Ars Arcana

di YuXiaoLong
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il pendolare dei mondi ***
Capitolo 2: *** Il nano volante ***
Capitolo 3: *** La spia riluttante ***
Capitolo 4: *** Draco Dormiens ***
Capitolo 5: *** Eidrath ***
Capitolo 6: *** La Zona Buia ***
Capitolo 7: *** Luminal ***
Capitolo 8: *** Yudrazath ***
Capitolo 9: *** Vox Draconis ***
Capitolo 10: *** Stigmata ***



Capitolo 1
*** Il pendolare dei mondi ***


Ars Arcana, Capitolo I

Il pendolare dei mondi


Con un sospiro, Yu chiuse il pesante libro e lo posò con un tonfo sulla scrivania di legno.

Fuori, il cielo scuro era puntellato di stelle, e il gelo tagliente si insinuava fra gli spifferi della finestra dai vetri coperti di trine di brina.

Sospirò, alzando gli occhi verso la luna, che con la sua luce tingeva d’argento le rade, soffici nubi che qua e là velavano gli astri. Mondi diversi, stesse regole, pensò fra sé, tirando indietro la sedia per sgranchirsi le gambe. L’inverno dell’Inframondo era freddo quanto quello della Terra, se non di più.

Con la coda dell’occhio gettò un’occhiata alla pendola sul muro. Le undici, e passate da un pezzo, notò, alla delicata luce dorata dei suoi cristalli.

Sbadigliò e si lasciò scivolare un po’, ingobbendosi nella sedia imbottita. La toga verde bottiglia gli si spiegazzò tutta, e il colletto gli strinse la gola, convincendolo a rimettersi a sedere in maniera più composta.

Avrebbe dovuto indossare qualcosa di più comodo della divisa, lo sapeva bene, così come sapeva che, probabilmente, avrebbe già dovuto essere a letto. Ma, dopo i recenti avvenimenti, non riusciva a prendere sonno, pur non capendoli a fondo: provava un profondo disgusto per la politica terrestre, tanto da disinteressarsene quasi completamente, e seguire le vicissitudini dell’Inframondo non era affatto facile per lui.

Borbottando, seccato, sfiorò uno degli affusolati cristalli, e la sua luce si fece più intensa e chiara; si alzò, si sistemò la veste e dalla robusta libreria di fianco allo scrittoio prese, per l’ennesima volta, prelevò il suo Compendium. Stancamente, lo gettò sul piano per poi afflosciarsi di nuovo sulla sedia.

“Ti pare questo il modo di trattare il tuo Compendium?” sbottò il libro, indignato, fremendo tutto per la rabbia.

“Come se potessi sentir male” sbuffò il mago, legandosi i capelli castani in una coda di cavallo.

Il tomo aveva un aspetto sì importante, ma certamente un terrestre non avrebbe mai capito il suo inestimabile valore: l’avrebbe liquidato come un pregevole pezzo d’antiquariato, con la copertina rigida, ricoperta di pelle blu scuro, rinforzato con l’aggiunta di elementi metallici argentati che ne costituivano parte della decorazione, e sigillato da un bizzarro meccanismo che non presentava, apparentemente, alcuna serratura o combinazione. Ma per un mago, quel pezzo da museo era come un’enciclopedia, in grado di assimilare e immagazzinare qualunque tipo di informazione in formato scritto o in forma di tavole illustrate. Intriso di una potente magia, era il dono più prezioso che veniva fatto al termine dell’apprendistato; ma erano diversi mesi, ormai, che nessuno riceveva più un Compendium. Quello di Yu era stato l’ultimo.

“Non è un buon motivo per trattarmi come carta straccia!” replicò il tomo, stizzito. “E comunque, che vuoi a quest’ora?”

Il giovane sospirò. “La solita mappa” fece. “Magari se ci perdo un altro po’ di tempo, mi verrà sonno” ironizzò, amaro.

“Non so quanto la geografia possa aiutarti” commentò il Compendium. “Ma se proprio ci tieni, al tuo servizio” disse rabbonito, aprendosi da solo ad una pagina bianca.

Yu incrociò le braccia sul tavolo e attese: dopo pochi istanti, tracciate da una mano invisibile, centinaia di linee sottili si disegnarono sulla carta, componendo la carta della penisola di Euphesia.

Erano passati ormai quasi sei mesi da quando le forze di Euxelia avevano attraversato l’Ostroponto e avevano cominciato la loro invasione della penisola. La Coalizione Settentrionale, poco avvezza alla guerra dopo decenni e decenni di pace, intimorita dalla potenza militare degli invasori orientali, aveva preferito evitare spargimenti di sangue usando la diplomazia, di fatto facendosi tributaria di Euxelia. Le regioni più orientali, Rubiera, Nebbiterra, e la sua, Alborea, erano state cedute a Euxelia come protettorato. Di fatto, sarebbero servite come base d’appoggio per iniziare una campagna contro il regno meridionale di Altosole.

“Non che mi riguardi” iniziò il Compendium, dopo diversi minuti di silenzio, ben sapendo che il mago conosceva ormai piuttosto bene il contenuto della mappa. “Ma forse ti converrebbe startene buono buono, mantenere un profilo basso ed evitare di metterti contro gli Euxeliani” commentò. “Non è che tu possa batterli coi giochi di prestigio che ti hanno insegnato qui, in ogni caso”.

Yu sospirò e non rispose. I Compendium, per quanto intelligenti, non erano come delle persone, e pertanto non erano grandi interlocutori; avrebbe potuto zittirlo facilmente, ma, tutto sommato, preferiva che parlasse: gli faceva, in qualche modo, compagnia.

Dentro di sé, sapeva perfettamente che tutto ciò che aveva imparato sull’Ars Arcana, lì all’Accademia, non erano giochi di prestigio. La Coalizione Settentrionale era da sempre stata retta da pacifisti, e i maghi di Alborea avevano preferito occultare in tempi remoti tutte le forme di magia distruttiva in loro possesso, onde evitare che qualche stregone si lasciasse tentare dai propri poteri. Ma, così facendo, e senza alcun esercito, si trovavano ovviamente in balia delle potenze straniere. La loro magia poteva essere utile a difendersi, ma solo fino ad un certo punto; contro un esercito numeroso e agguerrito i loro incantesimi potevano sembrare, in effetti, giochi di prestigio. Usare la magia per nuocere, era, dopo tutto, contro i loro princìpi.

“Io forse non servo a niente, ma il Drago della Valle e il Drago del Fiume potrebbero liberare la regione” bofonchiò, più rivolto a sé stesso che al Compendium.

“I due draghi dormono della grossa e tu non sai come svegliarli” gli rammentò prontamente il libro.

“Lea lo sa” rispose il mago.

“Lea è sparita, assieme a tutto il resto dell’esecutivo, in effetti. Non c’è più uno straccio di insegnante, qui. Solo un assistente e qualche creatura magica… risorse insufficienti a gestire la situazione” riassunse diligentemente il Compendium.

Yu fece una smorfia e si passò una mano sul viso pallido, giovane e aggraziato, ma leggermente scavato. Con ogni probabilità, i maghi dell’Accademia erano stati tratti in arresto, o costretti alla fuga. Stando ai gatti che aveva mandato a spiare giù a Sulfuracque, un mandato di cattura era in effetti stato emesso, ma di cosa fosse stato effettivamente di Lea, l’attuale Rettrice, e del resto dei maghi era un mistero.

Forse, la cosa migliore da fare sarebbe stata attendere loro notizie e custodire al meglio la fortezza e ciò che conteneva, attendendo il ritorno degli altri. Ma ormai era solo da settimane, e nulla era cambiato. Gli apprendisti non si erano più visti. L’Accademia era vuota, silenziosa e fredda, un vuoto gigante di pietra bianca abbarbicato sul monte.

Non aveva appreso di alcun mandato di arresto a suo carico, e se gli Euxeliani avevano tentato di penetrare nell’edificio, probabilmente era solo per impadronirsi della conoscenza in esso contenuta. Dopo tutto, lui era un terrestre, e la gente di Sulfuracque certamente era convinta che in una situazione come quella un terrestre avrebbe certamente lasciato l’Inframondo. Ma loro non conoscevano la Terra, e certo non si immaginavano che oltre il Confine la situazione, nel complesso, non fosse poi molto più rosea.

Non che Yu non visitasse regolarmente la Terra: era il luogo dove era nato, dopo tutto, e dove per diversi anni era anche cresciuto. Parte della sua vita era al di là del Confine, con un altro nome, in mezzo a persone che nulla sapevano dell’Inframondo e della magia.

Lui era nato col dono di attraversare il Confine, di superare la barriera fra i due mondi con naturalezza, benché lo sforzo fosse grande.

Lui era un Viaggiatore: un pendolare fra i mondi.



Angolo dell'autore (edit): minuscoli cambiamenti nel testo, niente di degno di nota, e cerco di rendere la formattazione meno orribile. Colgo l'occasione di questa piccola revisione per invitare sfacciatamente a lasciare qualche commento. Saluti a tutti. ^^

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Capitolo 2
*** Il nano volante ***


Ars Arcana, Capitolo II

Il nano volante



Era quasi mezzanotte quando Yu, ormai stanco di fissare la mappa di Euphesia, chiuse il Compendium e decise che, tutto sommato, quello che gli ci voleva era un bagno caldo.

Non poteva usare il fuoco per scaldare l’acqua, ovviamente: il fumo avrebbe segnalato agli Euxeliani la sua presenza, se fossero stati nei paraggi, ma era sicuro che i collettori che aveva piazzato sul tetto avessero raccolto abbastanza energia durante il giorno.

Lentamente, si alzò dalla sedia, staccato il pesante e ampio mantello verde dal gancio vicino alla porta, uscì dalla sua stanza e si avviò su per l’angusta scala di pietra, verso il tetto della torre. Già nel corridoio l’aria era così fredda che subito gli si intirizzirono le dita; d’altra parte, non poteva usare gli incantesimi per isolare anche i corridoi e i passaggi: c’erano troppe aperture sull’esterno, troppi spifferi, avrebbe richiesto troppa energia, e lui preferiva risparmiare le forze, o non sarebbe riuscito ad attraversare il Confine, se fosse stato necessario.

Giunto in cima, cercò a tentoni il chiavistello della botola, lo aprì e, alzato l’ampio cappuccio, tirò giù una cigolante scala a pioli e si arrampicò nel sottotetto. L’improvvisato osservatorio che vi aveva allestito era immerso nel più totale silenzio, e mobili e telescopi, coperti con teli di iuta, sembravano silenziosi fantasmi alla luce della luna.

Rabbrividendo per il freddo, il mago aprì ad uno ad uno gli sportelli dei tre lucernai, dove aveva posizionato, in mezzo a specchietti che aiutassero a convogliare la luce, i collettori, tre cristalli di quarzo nero purissimi. Li guardò luccicare alla luce della luna e sorrise.

La maggior parte della gente lo considerava un mago stravagante che anziché occuparsi seriamente dei suoi studi passava il suo tempo baloccandosi con sassi scintillanti.

Yu sicuramente non era il mago più potente della regione, ma solo in pochi sapevano quanto fosse abile: aveva un’intelligenza vivace e una mente inquieta, alla perenne ricerca di nodi da sciogliere, di idee da esplorare. I suoi studi sull’impiego dei cristalli come catalizzatori di potere erano cominciati, in effetti, un po’ come un gioco: un estro, una possibilità da esplorare, un tipo di magia originale. L’Accademia non aveva molti studenti, anche prima dell’arrivo degli Euxeliani, perciò, pur essendo assistente personale della Rettrice aveva abbastanza tempo libero per approfondire i suoi interessi; inoltre, Lea trovava divertente lasciarlo fare i suoi esperimenti.

In poco tempo era diventato molto abile in quell’ambito dell’Ars Arcana, ed era competente quanto ci si poteva aspettare da un mago adulto anche in altri campi. Pur essendo, per natura, assai pigro (potendo, avrebbe dormito sedici ore al giorno), possedeva un vantaggio rispetto alla maggior parte dei maghi dell’Inframondo: veniva da un mondo diverso, che già era sufficiente a stuzzicare il suo intelletto, e pertanto era animato da una costante, infantile curiosità, una sorta di ingenuità e di perenne meraviglia che gli permettevano di vedere possibilità che ad altri sfuggivano, o lo spingevano ad usare la magia in modi a cui pochi pensavano.

L’idea dei collettori solari ne era un perfetto esempio: sulla Terra, l’energia solare non era certo un prodigio, ma aveva lo svantaggio di essere discontinua e di non poter essere immagazzinata. I cristalli erano, invece, perfetti per immagazzinare energia, ma Yu non era ancora riuscito a trovare il modo di fargli convertire l’energia che raccoglievano in energia di altro tipo: i collettori solari immagazzinavano lue e calore, e solo quelle potevano restituire. Erano perfetti per riscaldare l’acqua senza usare il fuoco e senza che lui dovesse usare le proprie energie, benché, in effetti, fosse difficile anche per lui pensare ad altri modi di usare i collettori solari.

Da quando gli Euxeliani erano arrivati e, soprattutto, da quando Lea era sparita, tuttavia, Yu aveva cominciato a porsi una domanda insolitamente cupa: poteva trovare un modo di usare la sua magia come arma?

Sapeva perfettamente che era proibito cercare nuovi modi di nuocere al prossimo, e che Lea certamente avrebbe disapprovato… ma aveva indagato in merito, e aveva scoperto che sì, un sistema esisteva. Dopo tutto, era piuttosto scontato: i cristalli, fra le altre cose, erano eccellenti ricettacoli di energia. Attraverso semplici esperimenti, Yu aveva scoperto che essi potevano diventare armi, se preparati nel modo giusto: caricandoli con una sufficiente forza, li si poteva usare per appiccare fuoco ad oggetti, proiettare fasci di luce bruciante e persino farli deflagrare; ma, ovviamente, non disponeva di una fonte di energia sufficiente per preparare un cristallo-bomba, benché le altre due opzioni fossero piuttosto semplici da attuare.

Sospirò, stringendo nel pugno i tre quarzi; anche con quelle piccole scoperte, non poteva certo sperare di cambiare le cose: erano solo giochi, trucchetti; poteva usarli per difendersi da un malintenzionato, o da qualche aggressore, ma non poteva certo sperare di avere la meglio su un intero plotone. E poi, se usati in quel modo, si ricordò, i cristalli si scaricavano in fretta.

Scosse la testa per scacciare quei pensieri tetri, richiuse i lucernai e tornò nella sua stanza per prendere il necessario per il bagno, vestiti puliti e uno dei cristalli luminosi. Poi, con le dita ancora indolenzite, si avviò verso il lavatoio: era una stanza nel seminterrato che aveva adattato a quello scopo quando si era trasferito nella torre. In passato era stata una lavanderia: c’era una pompa che prelevava acqua da una delle cisterne interrate della fortezza, e la versava in una grande vasca di pietra. Yu l’aveva ripulita, aveva tappato la maggior parte degli spifferi e vi aveva portato tutto il necessario per lavarsi (fra cui alcuni flaconi di sapone terrestre, benché Lea avesse sempre sconsigliato di trasportare oggetti da un mondo all’altro) e qualche elementare mobile.

Gettò vestiti e teli su uno sgabello, poggiò il cristallo su un angolo della vasca e cominciò ad armeggiare con la pompa. L’acqua era gelida, ma la stanza era relativamente calda: Yu aveva commesso solo una volta l’errore di provare a farci il bagno senza averla protetta con la magia dal freddo, e la settimana di febbrone che si era dovuto fare gli era bastata per imparare la lezione.

Quando la vasca fu piena, vi gettò dentro uno dei quarzi e con un dito tracciò un cerchio sulla superficie dell’acqua, rilasciando l’energia del cristallo, riscaldandola. Infine, dopo essersi tolto la divisa, scivolò nel tepore della vasca, e si concesse un po' di tempo per lavarsi con tutta calma.

L’acqua aveva da poco cominciato a raffreddarsi quando forte vento aveva preso ad ululare fra le mura del castello. Il mago sbuffò; il fracasso della tormenta gli avrebbe guastato il sonno.

Aveva appena cominciato a rivestirsi, quando un boato, seguito da un forte schianto, scosse mura della torre.

Dopo un istante di paralisi, dovuta allo stupore, finì di allacciarsi l’ampia toga in tutta fretta, infilò le scarpe e prima ancora di aver finito di allacciarsi il mantello era già sfrecciato su per le scale buie, talmente di fretta che dimenticò il suo cristallo-torcia sulla vasca.

Chiedendosi cosa mai potesse essersi schiantato contro la sua torre e quale creatura poteva essere così pazza da mettersi a volare in piena notte con un tempo simile, si fece strada di corsa fino all’ingresso. Spalancò il portone e il vento lo avvolse in un mulinello di fiocchi di neve. La pessima visibilità gli ricordò che sarebbe stato opportuno disporre di una fonte di luce, così, richiusa a fatica la porta, scese di nuovo nel sotterraneo a recuperarla; infine, maledicendo la propria sfortuna e stringendosi ben bene nel mantello, il mago uscì nella tormenta, tenendo il cristallo davanti a sé, come una lanterna; uscire di notte portandosi una luce come quella, normalmente avrebbe sicuramente rivelato la sua presenza ad eventuali vedette Euxeliane, ma con quel tempo, di certo non l’avrebbero avvistato.

Le morbide scarpe che indossava non erano adatte a camminare nella neve, e dopo meno di un minuto erano già inzuppate e le dita dei piedi gli dolevano. Non avendo tempo di andare a prendere i suoi stivali, Yu ignorò il fastidio e fece un giro attorno alla torre, circospetto. Il manto di neve era ancora intatto, quindi qualunque cosa avesse colpito la torre o se n’era andata, o era ancora lì appesa.

Quando vide una strana ombra allungata penzolare da un balcone del terzo piano gli sfuggì un grido di sorpresa, temendo che il vento avesse portato nel castello un qualche mostro sconosciuto.

La sagoma si stagliava scura contro la parete dell’edificio, dondolava e si torceva, sospinta dal vento capriccioso, mandando tonfi sordi ogni volta che la sua estremità inferiore sbatteva contro la pietra.

Realizzando di cosa si trattasse, Yu sgranò gli occhi: un pallone aerostatico!

“Cielo santissimo!” esclamò, battendo i denti, chiedendosi se il passeggero della piccola mongolfiera fosse sopravvissuto all’impatto.

Per qualche istante, rimase immobile, domandandosi da dove potesse provenire: doveva certamente essere uno straniero; nella regione non c’erano artigiani in grado di costruire palloni aerostatici, e la gente di Alborea difficilmente sarebbe mai salita su uno di quei cosi anche in pieno giorno.

Scosse il capo, scacciando le domande: non aveva tempo per indagare. Se a bordo del pallone c'era qualcuno, era ferito, e di certo non sarebbe sopravvissuto nella tormenta. Doveva prestare soccorso.

“Chiunque tu sia, resisti!” gridò, cercando di frenare il battito dei denti e di sovrastare il vento. “Sto arrivando a soccorrerti, cerca di muoverti il meno possibile!”

Tese l’orecchio, sperando di udire una risposta, ma l’unico suono che giunse dal pallone furono i gemiti soffocati del cordame.

Coi piedi ormai intorpiditi, Yu rientrò nella torre, si chiuse la porta alle spalle e salì al primo piano: la cesta, oscillando per il vento, passava piuttosto vicina ad una finestra: se riusciva ad ancorarla e tirarla a sé poteva tirare in salvo il passeggero.

Col cristallo sempre stretto fra le dita gelate, si infilò nel ripostiglio, afferrò il primo rotolo di fune che riuscì a trovare e infilò un paio di guanti da giardinaggio, poi sfrecciò rapido verso il salotto su cui la finestra si affacciava. Spalancò i battenti e sporse fuori la testa; per poco la cesta non lo colpì in piena faccia.

Rabbrividendo da capo a piedi, il mago cercò di concentrarsi per tentare di attirare a sé la cesta con la magia, invano: era un oggetto troppo pesante, e il vento interferiva troppo. Avrebbe dovuto usare un sistema più elementare, pensò, appoggiando il cristallo illuminato sul tavolo.

Portò un capo della corda vicino al viso e sussurrò un incantesimo, come se stesse confidando un segreto alla fune, poi attese che l’oscillazione portasse la cesta vicino all’apertura e gettò la corda. Quella, guidata dall’incantesimo, serpeggiò nell’aria e si annodò saldamente ad una delle maniglie sul bordo della navicella. Quando il vento spinse di nuovo la cesta lontano dalla finestra, Yu allentò la presa per evitare che lo strattone lo precipitasse fuori.

Il problema, ora, era tirare la cesta vicino alla finestra e farla restare in posizione il tempo sufficiente per trarre in salvo lo sfortunato aviatore. Mentre si guardava attorno, temendo che il pallone si strappasse del tutto, il suo sguardo si posò sul camino. Sorrise e vi si accovacciò accanto. La legna andava adagiata su un supporto di ferro battuto, e la cenere, attraverso una grata, cadeva nel vano sottostante al focolare stesso, in una specie di grosso cassetto che poteva essere rimosso con facilità. La struttura era piuttosto robusta, e il mago era quasi sicuro che avrebbe retto; perciò, rimosse la grata e tirò fuori il cassone della cenere, fece passare la cima attraverso il foro, si sedette per terra e, puntellandosi coi piedi contro i bordi del vano, tirò con tutte le sue forze, augurandosi che quella carrucola improvvisata fosse di una qualche utilità.

Dopo quella che gli parve un’eternità, sentì la cesta colpire la parete. Di nuovo, recitò l’incantesimo, e la corda si annodò saldamente, dopo di che, stremato, si lasciò cadere supino sul pavimento, per recuperare le forze. Dopo un minuto, col cuore che ancora gli martellava nel petto, si alzò, raggiunse barcollando la finestra e si affacciò sulla navicella. Sul fondo, una figura vestita di scuro giaceva raggomitolata su un fianco, mandando gemiti sommessi di tanto in tanto.

Issare lo straniero al sicuro non fu affatto facile: era basso, ma aveva le spalle larghe e gli arti tozzi e robusti, ed era pesantissimo. Con difficoltà, l’esile mago lo rigirò e, dopo averlo afferrato per le ascelle, lo tirò dentro.

Yu non aveva idea delle lesioni che poteva avere riportato, se non che aveva sbattuto la testa e perso un po’ di sangue, e non sapeva se il suo soccorso assai poco professionale poteva aver peggiorato le cose.

Ma il tozzo straniero, dalla sua, aveva una grande fortuna: non era umano.

Svenuto nel salotto dell’ultimo custode dell’Accademia si trovava un nano.



Angolo dell'autore (edit), il ritorno: ancora, piccole revisioni per eliminare alcune sviste, e qualche piccolo esperimento per migliorare la formattazione altrimenti inguardabile. Spero che la maggiore leggibilità incoraggi a leggere e recensire questo mio racconto. A presto!

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Capitolo 3
*** La spia riluttante ***


Ars Arcana, Capitolo III

La spia riluttante

 

 

Issare il nano svenuto fu solo l’inizio delle fatiche, per Yu. Pur essendo esausto, si rendeva perfettamente conto che non poteva lasciarlo sul pavimento, e che doveva farsi venire un’idea per scaldarlo.

Incrociò le braccia sul petto e alzò lo sguardo al soffitto, pensoso. L’unico modo per riscaldare la stanza era accendere un fuoco, cosa che puntualmente cercava di evitare; d’altra parte, il temerario aviatore era fradicio e ferito, e pur sapendo che i Nani erano creature straordinariamente resistenti, non se la sentiva di lasciarlo lì al freddo.

Alla fine, stringendosi nelle spalle, decise che tutto sommato, un fuoco lo poteva accendere. La tormenta sarebbe andata avanti per un pezzo, e di certo gli Euxeliani, ammesso che fossero là fuori con quel tempaccio, non avrebbero notato il fumo.

Così, dopo aver sistemato il camino, scese al piano terra, caricò un po’ di legna nel montacarichi nel vano delle scale e salì nella sua stanza a recuperare un po’ di zolfo dalla credenza degli ingredienti, un grosso mobile rettangolare che copriva un’intera parete, suddiviso in tanti cassetti quadrati, ognuno abbinato ad un diverso tipo di ingrediente necessario per gli incantesimi.

“Oh, non preoccuparti per me” sbottò il Compendium, acido, quando il mago entrò nella stanza. “Me ne starò a qui, a prendere polvere come un pamphlet qualsiasi, mentre tu pensi ai fatti tuoi”.

“Oh, chiudi il becco, ho da fare” lo zittì Yu, gesticolando seccato mentre cercava il cassetto e recuperava il suo zolfo.

Ignorando le indignate proteste del libro, scese poi al primo piano, issò su la legna, la pose nel camino e, recitando velocemente qualche parola magica, vi gettò sopra lo zolfo. Il fuoco divampò all’istante, con uno sbuffo di fumo giallo, e prese subito a scoppiettare allegramente.

“Ohi ohi” lamentò, sentendosi la schiena indolenzita. Era stanco morto e non era neanche a metà dell’opera!

Sbuffando, trascinò il nano svenuto fino ad un divanetto su cui, ad occhio e croce, sarebbe stato abbastanza comodo, e con fatica ce lo caricò sopra. Di nuovo, la sua schiena protestò.

Ignorando la crescente irritazione, chiuse gli occhi e passò una mano sul viso rugoso e arcigno del nano, recitando un incantesimo che avrebbe reso il suo sonno ancor più profondo, poi si fece coraggio e gli tolse i vestiti fradici, appendendoli a delle sedie per farli asciugare. Benché l’umanoide dormisse della grossa, Yu si sentì arrossire ogni volta che rimuoveva un indumento: non era abituato a quel genere di cosa, e lui stesso non amava essere visto senza i vestiti piuttosto larghi che era solito portare, anche sulla Terra. Lo sconosciuto aveva con sé alcune armi (un’ascia e qualche pugnale), che confermarono i sospetti del giovane: la regione presentava pochissimi pericoli, e praticamente nessuno aveva bisogno di girare armato. “Queste, finché non so che ci fai qui, penso che le terrò in custodia” borbottò, circospetto.

Terminata l’operazione, tornò nella sua camera-studio, dove l’indignato Compendium proseguiva il suo soliloquio, e dalla cassapanca ai piedi del letto prelevò delle coperte per l’ospite. Poi scese nella stanza da bagno, recuperò la bacinella poggiata sulla specchiera, la riempì d’acqua e prese una pezzuola per pulire la ferita. Non avendo del disinfettante, dovette sciogliere un po’ di sale nell’acqua, per cercare di ripulire un po’ il taglio che il nano si era procurato nello schianto.

Quindi procedette con estrema lentezza ad un’improvvisata medicazione, al colmo del disagio: sapeva un paio di nozioni di pronto soccorso, ma soccorrere qualcuno che si era appena schiantato contro una parete di pietra era un tantino oltre le sue competenze in materia.

Quando finalmente ebbe finito, era esausto. Sentendosi la testa pesante, chiamò uno dei famigli dell’accademia, un gatto nero dai vivaci occhi verdi, e lo mise a guardia dell’ospite, che, in ogni caso, non si sarebbe svegliato se non verso mezzogiorno. Dopo di che, si trascinò su per le scale, fino alla sua stanza e, senza nemmeno spogliarsi, si gettò sul letto e si addormentò all’istante.

 

Si svegliò tardi la mattina dopo, tutto indolenzito, ma, se non altro, meno stanco. Le dieci e mezza erano passate da poco, e fuori la bufera continuava ad imperversare.

La giornata che si prospettava gli metteva una gran voglia di ignorare la pendola, girarsi dall’altra parte e ronfare della grossa fino alle tre del pomeriggio, ma, si ricordò aveva un ospite a cui pensare. Quindi controvoglia, e con estrema lentezza, si mise a sedere sul letto, si alzò in piedi, si stiracchiò e si avviò ingobbito e imbronciato giù per le scale. Con uno sbadiglio più simile, in effetti, ad un ululato, congedò il gatto da guardia e andò a verificare le condizioni del suo bizzarro paziente.

Lo trovò, come si aspettava, profondamente addormentato, l’espressione sul viso, segnato dal vento e dal sole, burbera, nonostante il sonno. Non aveva perso altro sangue durante la notte, né sembrava essersi agitato troppo, e il respiro lento e regolare gli fece pensare che le ferite quantomeno non dovevano essere così dolorose. E il fatto che fosse ancora vivo escludeva grosse lesioni interne.

Sospirando, Yu si passò una mano davanti al viso per togliere le ciocche di capelli che erano sfuggite dalla sua coda. Il risveglio non sarebbe stato facile, quindi tanto valeva destare subito il nano: non avrebbe gradito svegliarsi in quel modo, di questo il mago era sicuro.

Per prima cosa, era opportuno assicurarsi che fosse possibile comunicare, perciò, toccandosi la fronte con l’indice sinistro, toccò l’aviatore nello stesso punto con la destra, chiuse gli occhi e recitò un breve incantesimo. Qualunque lingua avessero parlato, ora, si sarebbero intesi, almeno fino al calar del sole.

Poi, tratto un profondo respiro, passò una mano sul volto del nano, sussurrando un controincantesimo che l’avrebbe ridestato.

 

Il risveglio del nano fu lento, accompagnato da brontolii, smorfie, e versi che Yu aveva famigliari ma a cui non avrebbe saputo dare un nome. Ma una volta aperti gli occhi, lo strano ospite fu del tutto desto: in un lampo gettò via le coperte, balzò in piedi e impugnò le armi… che, realizzò solo in quel momento, non aveva più.

Come il mago si era aspettato, il nano non fu affatto contento di svegliarsi nudo, in casa di uno sconosciuto e privo delle sue armi, e il successivo quarto d’ora fu tutto un saltellare, sbracciarsi e sgolarsi da parte di un furibondo ometto nudo. Yu si limitò a stringersi nelle spalle e a fissare genericamente un punto dietro al suo oltraggiato ospite, lasciandosi scivolare addosso le atroci minacce di morte e di vendetta mentre aspettava che si stancasse; era risaputo che i Nani erano fuochi di paglia.

Quando, come previsto, lo sconosciuto si fu calmato ed ebbe i capelli e la barba tutti arruffati per l’agitazione, il mago gli rivolse la parola: “Al tuo posto mi ringrazierei. Credo che la bufera sarebbe stata assai più inospitale del sottoscritto” lo redarguì, inarcando un sopracciglio. “Comunque sia”, proseguì, soffiandosi i capelli via dalla faccia, “io sono Yulannath. Ma preferisco semplicemente Yu. Perché non mi spieghi che ci facevi a bordo di un pallone nel cuore della notte?”

Fu evidente che il nano non gradì essere apostrofato in quel tono a metà fra il supponente e il condiscendente, perché il suo viso si fece paonazzo.

“Giusto, il tatto” lo smorzò il mago prima che scoppiasse in un’altra scenata. “Rivestiti, poi parleremo. Le tue armi le ho prese io… sai com’è, con gli sconosciuti” mise subito in chiaro. Non amava troppo comportarsi in quel modo, ma era opportuno che lo sconosciuto non pensasse di poterlo ingannare o di mettergli i piedi in testa.

Per qualche secondo il nano non rispose, rimanendo ritto dov’era, il petto gonfio d’indignazione, ma poi, sbuffando, si riprese la sua roba, grugnendo un “Rangrin” che il giovane suppose essere il suo nome.

“Dov’è il mio pallone?” domandò senza mezzi termini, non appena ebbe indosso i pantaloni.

Yu alzò le spalle. “Dove il vento avrà deciso di portarlo, suppongo” rispose. Il pallone era l’ultimo dei suoi problemi.

“HAI LASCIATO IL MIO PALLONE NELLA TEMPESTA?” sbraitò Rangrin, saltellando sul posto. Il mago si limitò ad incrociare le braccia sul petto e a guardarlo torvo.

Evidentemente, il gesto bastò per suggerire al nano che aveva appena detto una stupidaggine, perché il rossore sul suo viso si attenuò un po’. “Bene” bofonchiò, distogliendo lo sguardo da Yu. “Allora sarà meglio che mi incammini, non mi va di trattenermi troppo” borbottò, impacciato, facendo per recuperare mantello, stivali e il resto degli indumenti.

Ma il mago gli fece cenno di fermarsi.

“In primo luogo” cominciò, “ti sei appena ripreso dopo uno schianto di faccia contro la mia torre; al tuo posto mi riposerei, prima di farmi a piedi da qui a chissà dove. Secondo, non si esce con questo tempo, è una pazzia; e terzo, non vai da nessuna parte finché non mi dici perché te ne andavi svolazzando sopra casa mia” sancì.

Il nano si bloccò dov’era e lo guardò interdetto. Come si permetteva quel mucchietto d’ossa in sottana di dargli ordini?

“Fammi passare, bamboccio, prima che ti rovini il vestitino” mugugnò, mostrandogli il pugno. Subito dopo, sgranò gli occhi e fece un passo indietro, con un’espressione orripilata in viso. “Per la barba degli Antenati!” esclamò.

Yu batté le ciglia, perplesso. Non aveva nemmeno alzato un sopracciglio: da quando era diventato così intimidatorio?

“Come mai così mansueto, all’improvviso?” domandò, guardando scettico il nano. Dopo tutto, poteva anche essere un trucco.

“Un Demone Evanescente! Non vi avevo riconosciuto!” balbettò Rangrin, sgomento, indicando i suoi occhi di un innaturale color indaco, il Marchio dei Viaggiatori. Sulla terra, erano di un ordinario color castano, ma divenivano di quel colore quando si trovava nell’Inframondo. O, in un certo senso, il colore naturale degli occhi di un Viaggiatore, in quel mondo, era l’indaco.

Il giovane si accigliò.

Demone Evanescente? Non aveva mai sentito nessuno definire in quel modo i Viaggiatori, nemmeno nei libri dell’Accademia erano mai definiti così.

Fortunatamente, il nano fraintese il suo cipiglio, perché si affrettò a spiegare, frettolosamente, perché si trovasse lì: “S-signore, non avevo idea che aveste già preso possesso della fortezza. Mi stavo solo accertando se il terrestre di cui parlavano i paesani fosse ancora nell’Accademia, come ordinatomi dal maresciallo Turm…” farfugliò, la voce ridotta ad un soffio. “V-vi prego di perdonare la mia insubordinazione, ma ero in pensiero per l’esito della ricognizione e…”

Qualunque cosa fossero questi Demoni Evanescenti, il Rangrin ne era terrorizzato… e, in qualche modo, succube.

Yu lo zittì alzando una mano, l’espressione severa, mentre rifletteva. Il nano era una spia… probabilmente degli Euxeliani, posto che aveva nominato un ufficiale, ma questi Demoni Evanescenti sfuggivano la sua comprensione: che si trattasse di altri Viaggiatori? Ma perché chiamarli in quel modo?

In ogni caso, non credeva che fosse una persona cattiva… l’avrebbe percepito, a meno che il nano non fosse un mago a sua volta, in che era assai improbabile. Come tutti i suoi simili, era sgraziato, rude e sbrigativo, ma certamente non di cuore cattivo.

“Non ho idea di chi siano questi Demoni Evanescenti. Io sono un Viaggiatore e un mago dell’Accademia dei Due Draghi” scandì. “E ora, tu mi racconterai tutto quello che sai su questi… Demoni” ingiunse, puntandogli contro il dito “O ti ricoprirò di verruche e ti farò spuntare i funghi sulla barba”.

La rivelazione lasciò Rangrin scombussolato, era evidente dall’espressione stolida e dall’improvviso mutismo che l’avevano colto quando il mago gli si era rivolto. Ma, ancora scosso dalla paura dei fantomatici Demoni evanescenti e per il cipiglio severo del mago, rimase piuttosto mansueto anche dopo che ebbe superato la sorpresa.

“Come sarebbe a dire che non ne sai niente?” esclamò, sempre pallido in viso. “Sono uguali a te! Hanno gli stessi occhi! E… vanno e vengono da uno strano mondo al contrario, nel cielo, l’ho visto coi miei occhi!”

Yu s’incupì ancora di più e prese a carezzarsi il mento, meditabondo. Decisamente, la descrizione di Rangrin corrispondeva all’apertura del passaggio fra i mondi: i Viaggiatori creavano un portale, generalmente sopra sé stessi, che aveva l’aspetto di un’immagine fantasma dello stesso luogo sull’altro mondo, ma capovolto. Il varco risucchiava qualunque oggetto o creatura non ancorata al suolo dall’altra parte, poi svaniva, senza lasciare traccia, se non ciò che poteva aver spostato da un mondo all’altro. Ovviamente, la  maggior parte dei Viaggiatori preferiva creare passaggi più piccoli e discreti, sufficienti appena per sé stessi… e comunque, aprire un portale più grande richiedeva uno sforzo immane.

Chiuse gli occhi e si massaggiò una tempia.

“Che hanno a che fare, con te, questi Demoni Evanescenti?” domandò. Non riusciva ad immaginare il motivo per cui dei Viaggiatori avrebbero dovuto cominciare a terrorizzare i Nani.

Ma Rangrin indugiava, la sua espressione tradiva grande ansia.

Yu si sforzo di sorridere, e di apparire un po’ più conciliante. “Non temere, non sono uno di loro; e nessuno sa che sei qui: il pallone sarà sepolto sulla neve, o appeso ad un albero chissà dove. Per ora sei al sicuro” lo rassicurò. “E se mi spieghi tutto, magari potrò aiutarti”, aggiunse, pur credendoci solo fino ad un certo punto. Non riusciva a risolvere i propri problemi, figurarsi quelli del nano.

La spia-per-forza deglutì e annuì più volte, come per convincersi che stava facendo la cosa giusta.

“L-la mia casa è fra i Monti Arcoroccia, a nord… e… tempo fa, l-loro sono arrivati, di colpo e…” deglutì di nuovo. “E hanno fatto sparire delle persone. Nel loro mondo al contrario, li abbiamo visti, sono passati dall’altra parte del cielo, in quel mondo fantasma, fatto di ferro e di strana pietra, non plasmata dalla natura, te lo dico io” raccontò, la voce ridotta ad un tenue soffio.

Il mago lo ascoltò, le sopracciglia inarcate per la sorpresa. Sapeva che esistevano molti altri Viaggiatori… ma aveva mai avuto idea che ne esistesse un gruppo. Sempre che questi Demoni fossero effettivamente più di uno, come il nano suggeriva.

Rangrin, intanto, proseguiva il suo racconto: “Hanno detto che dovevamo fare quello che dicevano… o che si sarebbero presi altre persone. Chi si è opposto a loro, o è sparito nel loro mondo, o… o è la sua famiglia ad essere sparita. Non so perché lo facciano, ma adesso laggiù comandano loro e… e ci hanno detto di metterci a completa disposizione degli Euxeliani. Abbiamo provato ad opporci, non ci piace prendere ordini e non certo da degli umani, ma ogni volta che cercavamo di contrattaccare, loro sparivano nel loro mondo, portandosi via alcuni dei nostri, poi tornavano di notte, per portare via altra gente, o per delle rappresaglie!” gemette. “E io… io sono solo un aviatore, mi hanno detto di sorvolare la zona e di riferire tutto quello che scoprivo, e allora ho pensato che potevo anche farlo, dopo tutto davo solo un’occhiata, non mi avrebbero obbligato ad andare in guerra o a fare del male a qualcuno, no?”

Yu annuì, comprensivo, ma la sua espressione rimase cupa. Non gli piaceva affatto quello che stava sentendo.

“E questi… Demoni, sono alleati degli Euxeliani?” domandò.

Ma l’aviatore scosse il capo. “No, o non sanno chi siano. Almeno, è quello che ho capito dall’esercito” spiegò. “Se avessero idea di quello che abbiamo visto, non sarebbero tanto tranquilli… quelli vanno e vengono come gli pare, spuntano all’improvviso e si portano via cose e persone, e un minuto dopo, via! Come se non fossero mai esistiti”.

Il Viaggiatore sospirò. Era da quando era un bambino che attraversava il Confine, e ormai si sentiva anche abbastanza esperto in quell’arte… probabilmente, sarebbe stato in grado di creare passaggi piuttosto ampi, o di mantenerli aperti per anche un minuto; ma non avrebbe potuto certo farlo a ripetizione. Quei Demoni, chiunque fossero, sapevano il fatto loro.

“Vedo…” esordì, cauto, dopo un po’, sentendosi addosso lo sguardo angosciato di Rangrin. “Il tuo problema e il mio sembrano abbastanza collegati. Penso che possiamo darci una mano a vicenda” considerò, sorridendo. “Io sono bloccato da un po’ in questo castello” cominciò, cercando di ignorare l’espressione scettica che subito si dipinse sul volto del nano, “per cui sono poco informato su quello che accade fuori. Ho bisogno che adesso tu mi dica tutto, ma proprio tutto quello che sai sugli Euxeliani, sulle loro intenzioni e sulle loro forze in questa zona. Se riesco a ritrovare i miei superiori, certamente riusciremo a mettere in piedi un piano per allontanare gli invasori dalla regione e, credo, anche un modo per impedire a questi Demoni Evanescenti di tormentarvi ancora. E se le cose si mettono male, puoi sempre nasconderti e far finta di essere andato disperso nella tormenta. Che te ne pare?” propose, senza smettere di sorridere.

 

Rangrin incrociò le braccia sull’ampio petto villoso e lo squadrò a lungo, severo a sua volta, prima di rispondere. Studiò il suo viso giovane eppure in qualche modo vecchio, come il suo, il suo sorriso, stanco, ma sincero e solo per ultima cosa studiò i suoi occhi da mostro.

Non vi trovò la malizia o il gelo che luccicavano nello sguardo dei Demoni che avevano assalito i Clan. Che esistessero anche Demoni buoni?

“Sei disperato” sentenziò, guardandolo torvo.

Il sorriso del mago si tinse di una punta di colpevolezza mentre, con sincerità disarmante anche per un burbero nano, annuiva.

“Ho paura” ammise, con semplicità. “Ne avevo già da prima di incontrarti, e adesso che mi hai parlato di questi Demoni, mi sento ancora peggio. Ma standomene chiuso qui dentro, non otterrò nulla; devo fare qualcosa, e devo farla alla svelta… ma senza un briciolo di aiuto, non andrò lontano. Mi aiuterai, Rangrin l’Aviatore?”

Il nano fissò alternativamente il sorriso stanco del mago e la sua mano tesa, così magra e affusolata, poi, con una smorfia teatralmente carica di pena e disgusto, la prese fra le sue dita tozze e callose.

“Va bene, va bene, Demone, ti darò una mano. Per gli Antenati, devo essere impazzito!” concesse, col tono di una persona costretta a fare qualcosa di assolutamente disgustoso.

Yu chinò la testa in segno di ringraziamento e, quando l’aviatore si girò per recuperare la sua camicia, sorrise fra sé: aveva ritrovato le sue (pessime) maniere da nano; evidentemente, le sue ferite erano poca cosa.

 

 

***

 

Note finali: eccoci alla fine del terzo capitolo. Non sono molto abituato ad inserire note di chiusura nei miei racconti, perché sono abituato a lasciarli “puliti”, quindi perdonatemi se suonerò un po’ impacciato. ;)

Anzitutto, un grazie a tutti coloro che hanno concesso al mio modesto racconto il tempo di una lettura: spero che vi diverta quanto diverte me scriverlo. :)

Inoltre, dal profondo del mio cuoricino, un ulteriore ringraziamento va a chi ha messo la mia umile storiella fra i racconti seguiti/preferiti/da ricordare eccetera. E’ incoraggiante, per un dilettante come me, perciò spero che questa mia piccola creazione si mostri degna del vostro tempo.

Ovviamente, abbracci gratis a chi si è preso il tempo anche di lasciarmi una recensione, sono davvero apprezzatissime. *inchino*

Ah, e sì, per quanto riguarda l’html sono totalmente niubbo, quindi perdonatemi se questo capitolo ha una formattazione un po’ diversa rispetto ai precedenti. Sto sperimentando. o.o”

 

Abbracci e pucciosità gratis a tutti, e al prossimo capitolo! *3*

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Capitolo 4
*** Draco Dormiens ***


Ars Arcana, Capitolo IV

Draco Dormiens

Yu si sentì immensamente sollevato nel constatare che la fama dei Nani era ben meritata: a parte a ferita alla testa, Rangrin non sembrava aver riportato danni gravi e, bisognoso di tenere le mani occupate, aveva chiesto al mago il permesso di cercare il pallone nel cortile del castello. Il giovane, dal canto suo, non aveva motivo di vietarglielo, posto che la tormenta era ormai placata, quindi, dopo aver condiviso con lui un pranzo freddo a base di pane, vino e formaggio, lo lasciò fare.

Con suo sommo dispiacere, il nano trovò presto il suo mezzo: la tela si era completamente squarciata e si era afflosciata mestamente ai piedi della torre. Le scorte e gli attrezzi che si trovavano nella cassa all’interno della navicella erano salvi, ma Yu certamente non possedeva i materiali necessari per riparazioni così pesanti, e comunque, difficilmente l’avrebbe lasciato decollare: in primo luogo, perché il tempo era infido, e altre bufere potevano scatenarsi senza preavviso, e, ragionò Rangrin, perché un pallone che si gonfiava nel cortile del castello non sarebbe certo passato inosservato. Gli Euxeliani avrebbero l’avrebbero cercato e Turm avrebbe preteso spiegazioni. Fece una smorfia, contrariato dalla situazione: il suo prezioso pallone era distrutto, ed era costretto a fare il doppio gioco. Non erano certo Turm o l’esercito di Euxelia a spaventarlo: erano i Demoni Evanescenti a terrorizzarlo. Da quando li aveva visti, non era passato giorno in cui non si fosse sentito osservato, i loro occhi violacei perennemente inchiodati addosso, ammiccanti dietro ad ogni ombra.

Sospirò, pensando che forse Yu, essendo uno di loro, avrebbe saputo proteggerlo. Dopo tutto, i Demoni erano avversari formidabili, anche solo grazie al loro potere di svanire. E Yu era anche un mago, il che aumentava le risorse a sua disposizione… checché non sembrasse troppo sicuro di sé.

Brontolando a denti stretti, si passò una mano sul viso rugoso. Appiedato, doppiogiochista e, prevedeva, ridotto a balia di un Demone forse più sciocco che buono. Scuotendo il capo, recuperò gli oggetti che gli parvero più utili (tra cui la bussola, sebbene il freddo avesse congelato l’ago) e provò a convincersi che, dopo tutto, doveva un favore al piccolo Demone e che magari sarebbe stato un valido alleato.

Da parte sua, sicuro che Rangrin non rappresentasse una minaccia, Yu trascorse la giornata in biblioteca: come aveva fatto ogni giorno, doveva ampliare il repertorio di incantesimi contenuti nel Compendium, e doveva cercare di capire dove fossero i due Draghi e come fosse possibile svegliarli. Le indicazioni sui libri dell’Accademia, purtroppo, erano vaghe e fumose: come ogni conoscenza potenzialmente distruttiva, era stata nascosta chissà dove, e solo i Rettori potevano avervi accesso.

“Dietro al Velo che tutto cela, nel Santuario Interno ove solo Uno può entrare…”

Ogni volta che in un libro si accennava ai luoghi dove i due Draghi riposavano, lo si faceva attraverso quell’indovinello, o altri simili. Frustrato, come ogni volta, Yu si massaggiò con le dita la radice del naso.

Sapeva, ovviamente, che il Drago del Fiume (Dragonessa, in effetti) e il Drago della Valle non erano draghi ordinari: erano più simili a spiriti guardiani, numi tutelari della regione. L’Accademia era dedicata a loro, fondata nella speranza che i suoi studiosi potessero custodire Alborea durante il loro sonno. E così era sempre stato, ma il troppo amore per la pace li aveva resi vulnerabili. I draghi in senso stretto… be’, erano decisamente troppo riservati per preoccuparsi delle scaramucce fra esseri umani. Sarebbero semplicemente rimasti a guardare, fintanto che la cosa non li avesse toccati da vicino, e di certo gli Euxeliani si sarebbero ben guardati dal farli infuriare.

Non erano numerosi: non più che qualche decina sparpagliata fra le montagne, ma si trattava pur sempre di creature formidabili.

Yu, in passato, aveva più volte espresso il desiderio di poterli avvicinare per studiare la loro cultura e cercare di avvicinarli agli altri abitanti della regione, ma Lea era troppo spaventata dai pericoli che una simile spedizione comportava: non sarebbe stato esatto dire che si trattava di esseri crudeli o di cuore malvagio, ma avevano un’idea tutta loro di purezza e nobiltà, e non erano disposti a trattare con qualcuno che non fosse “puro”… qualunque cosa volesse dire. E di certo non l’avrebbero tollerato nei loro territori.

“Allora? Trovato notizie sui lucertoloni?”

L’improvvisa domanda di Rangrin lo fece trasalire con tanta violenza che per poco non cadde dalla sedia.

Si voltò con stizza verso il nano, evidentemente compiaciuto del suo sgomento, e fece una smorfia.

“Qui si parla per indovinelli. Tutti i libri che potrebbero dire dove effettivamente i due Draghi si trovino, sono stati nascosti molti anni fa. Tutto ciò che resta sono favole, saggi di etica e poco altro…” rispose.

“Hmm…” fece il nano, lisciandosi la barba rossa. “Non c’è un qualche luogo a cui siano collegati in particolar modo? Tipo… non so, un santuario o qualcosa del genere? Magari quello è un buon posto per cominciare le ricerche” ipotizzò.

Yu alzò gli occhi al cielo, pensoso. Sì, esisteva un santuario, in effetti… ma, a detta degli altri maghi dell’Accademia, era solo un luogo simbolico, una sorta di monumento ai protettori di Alborea. Un luogo come tanti altri. D’altra parte, nei libri che aveva a disposizione non v’era alcun riferimento al santuario: non era facile stabilire se fosse stato costruito prima o dopo il castello. Magari visitarlo non avrebbe risolto alcunché, dopo tutto ci era stato già altre volte, e non era accaduto niente di straordinario; ma era anche vero che, secondo le regole della magia, certe cose si palesano solo quando ce n’è davvero bisogno… e di aiuto ce n’era un gran bisogno, in quel momento.

Si strinse nelle spalle. Al peggio, avrebbero perso tempo; non che non lo stessero già perdendo, si rammentò.

“Abbiamo un santuario dedicato a loro, è nei sotterranei” rispose all’aviatore, annuendo. “Possiamo tentare” concluse, chiudendo i volumi e alzandosi in piedi.

In silenzio, guidò Rangrin fra gli scaffali della biblioteca, fino a raggiungere l’estremità nord-occidentale dell’edificio, ove esso si fondeva con la montagna: una sala lettura in cui la luce filtrava da grandi vetrate poste sul soffitto; la polvere che aleggiava per l’ambiente catturava i raggi del sole in una danza di scintille dorate. Il nano guardò alternativamente mago e le pareti con fare scettico, ma Yu lo ignorò, e prese a percorrere il lato occidentale della stanza, ad occhi chiusi, passando le dita sulla pietra grigia per risvegliarne la magia.

Quando ne avvertì la presenza, un fugace guizzo ai margini della coscienza, aprì gli occhi, recitò la formula-chiave e mosse la mano in un gesto ad esse; la parete si increspò come uno specchio d’acqua, e si dissolse, rivelando un passaggio scavato nella roccia.

Sorridendo allo sbalordito nano, frugò in una tasca della toga e ne estrasse un cristallo, che illuminò con poche sillabe magiche, indi si avviò per il cunicolo. Rangrin gli si accodò, e la parete ricomparve alle loro spalle, fredda e inamovibile.

Per diversi minuti, camminarono come sospesi nel buio, guidati dalla luce dorata del cristallo, e gli unici rumori furono i loro piedi sulla pietra umida e scivolosa e il loro respiro. Poi, il corridoio si fece più tortuoso e accidentato, le pareti stesse divennero irregolari, e più di una volta il tozzo Rangrin dovette mettersi di profilo per riuscire a passare; d’altra parte Yu, alto e snello, era spesso costretto a piegarsi un po’ di lato per non sfregare contro la pietra, e con quella toga verde sembrava un qualche bizzarro serpente. Qua e là cominciarono ad apparire chiazze di muschio, e in svariati punti Rangrin notò rivoletti d’acqua solcare la roccia. Il loro mormorio li avvolse a poco a poco, finché ad esso non sia aggiunse anche lo scroscio di una qualche cascata.

“Ci siamo quasi” annunciò a bassa voce Yu.

Poco dopo, il passaggio si allargò bruscamente, subito dopo una macchinosa svolta a gomito, e Rangrin comprese che lo scroscio non era quello di una cascata, ma di molte cascate assieme: la fine del corridoio si affacciava su un enorme pozzo circolare del raggio di svariate decine di metri. Un corridoio circolare, scavato nella roccia e protetto da un’alta balaustra, lo percorreva in tutta la sua circonferenza. Al centro del pozzo, poco più alto del passerella, si ergeva un grande pilastro; dal corridoio, una stretta scala conduceva alla sua piatta sommità; al centro, una sorta di altare di pietra bianca come la neve risplendeva accecante nella luce del sole, che precipitava nelle viscere dalla terra da un’apertura situata molto sopra di loro.

Senza esitare, il mago si incamminò per la passerella rabbrividendo per il freddo ogni volta che il cammino lo conduceva vicino ad una delle cascate che si riversavano, tutto attorno, nel buio del pozzo.

“Quando il sole è alto” gridò, per sovrastare il rumore dell’acqua, “le gocce d’acqua creano tanti arcobaleni, ma mi sa che per oggi ce li siamo persi”.

Rangrin, in quel momento molto più interessato alla sua barba piena di goccioline d’acqua che agli arcobaleni, si limitò a scrollare le spalle e a seguirlo, fino a che non videro l’altare.

Su un basamento cilindrico, era poggiato un grande disco di pietra bianca, ornato da un bassorilievo che persino l’arcigno nano avrebbe definito di rara bellezza: i corpi sinuosi dei due draghi ne percorrevano per intero la circonferenza, per poi curvarsi dolcemente verso il centro del bassorilievo, dove i loro musi si toccavano, tracciando un’aggraziata esse che divideva la composizione in due metà perfette. I due spazi che ne risultavano erano decorati con motivi diversi: da un lato, volute di nebbia, nuvole vorticose e spruzzi d’acqua, dall’altra un paesaggio nebbioso da cui emergevano maestosi picchi coperti da rigogliosa vegetazione.

La lavorazione era squisita, curata nei minimi particolari: le scaglie dei draghi, scolpite con pazienza una ad una, da quelle grandi, simili bande di cuoio sui ventri delle creature, fino a quelle sottilissime, in corrispondenza delle loro dita; le criniere, fluenti e folte, e l’espressione sui loro volti, serena, tenera, mentre si sfioravano a vicenda. Sulla fronte di ciascuno era incastonata una gemma purissima: uno zaffiro circolare per il Drago del Fiume, e uno smeraldo lanceolato per il Drago della Valle.

Rangrin era sbalordito.

“Chi l’ha fatto?” domandò, sfiorando la pietra senza chiedere il permesso. Yu non ne fu disturbato, o non lo diede a vedere: era un tocco leggero, carico di ammirazione e rispetto… probabilmente non tanto per i Draghi, ma per la mano che li aveva ritratti.

“Nessuno lo sa” rispose, sorridendo, come faceva ogni volta, rivolto alla coppia. Similmente al nano, carezzò la schiena di uno dei due draghi, e ne seguì il corpo sinuoso fino alla testa.

“Il Santuario è tutto qui?” domandò l’aviatore, senza staccare gli occhi dalla pietra.

Yu annuì.

“Nessuna iscrizione, nessuna camera secondaria… solo l’altare, le rocce e l’acqua” mormorò, sfiorando la fronte del Drago della Valle. Non l’aveva mai fatto prima: non era mai sceso là sotto da solo, e gli insegnanti gli avevano sempre detto che era di cattivo gusto toccare il bassorilievo. E, d’altra parte, non aveva mai percepito alcuna magia nel luogo.

Accadde tutto in un istante. Quando sfiorò lo smeraldo gli parve di vedere risplendere al suo interno una luce ammiccante. Si chinò sulla gemma per osservarla meglio, quando, all’improvviso, il Drago aprì gli occhi. Tutto il suo corpo fremette, la pietra si sbriciolò e cadde giù dal suo corpo come se fosse stata neve. Paralizzato, il mago lo guardò animarsi e volgere lo sguardo verso di lui. I loro occhi si incrociarono per un solo istante, poi, dallo smeraldo, scaturì una luce intensa, che lo avvolse completamente.

Un istante dopo stava precipitando. Non nel pozzo, come temette inizialmente, bensì dentro le profondità scintillanti della gemma: ne vedeva le sfaccettature sfavillare, distanti, sopra di lui, alla luce del sole, che si faceva sempre più piccola, un puntino bianco nella volta oscura.

“Una trappola…?” pensò, incapace di credere che una magia tanto potente potesse essere così ben celata. Ma non importava.

L’ultima traccia di luce svanì, il buio lo avvolse e si ritrovò sospeso. Non cadeva, ma non poggiava neanche su alcuna superficie. Era senza peso, come se il suo corpo si fosse dissolto.

Si domandò se la sua coscienza sarebbe rimasta intrappolata per sempre in quel silenzio, ma scacciò subito quel pensiero con tutte le sue forze: l’avrebbe solo portato alla pazzia.

Calma, si impose. Era improbabile che chiunque avesse costruito quel santuario potesse ricorrere ad una magia così sinistra. Di certo una via d’uscita da quel nulla c’era.

Di colpo, perse il filo dei pensieri, e si sentì annebbiare. Nell’oscurità, di fronte alla sua coscienza disincarnata, si delineò chiaro e per nulla adombrato, un grande portale, di giada purissima, di un verde lattiginoso. Senza un suono, i battenti si spalancarono su un cielo stellato. Yu li attraversò come in sogno, quasi senza accorgersene, e si ritrovò a guardare una catena di montagne innevate.

Arcoroccia…

Fu appena un mormorio ai confini della sua mente intorpidita, una voce bassa e gentile.

Yu guardò il cielo, e vide il riflesso terrestre di quel luogo… e si accorse che qualcosa non andava. Fra i due mondi gemelli si frapponeva qualcosa, un’ombra scura e nebulosa, aleggiava fra la Terra e l’Inframondo, ed era, lo sentiva, affamata. Dalle sfilacciate propaggini della tetra foschia filtravano una bramosia e una malevolenza che fecero sentire il mago completamente inerme.

Era lì che i nani erano tenuti prigionieri. Fra i due mondi.

Una folata di vento lo portò via, e lui si trovò a turbinare fra cielo e terra, senza sapere dove veniva trascinato, finché non si ritrovò a guardare una baia, piena di luci che si riflettevano sulle acque scure del mare.

Euxelia…

Di nuovo, lo sentì mormorare. E di nuovo, quando guardò il cielo, vide quella massa oscura, ancor più tetra e vorace di quella che aleggiava sulle montagne, galleggiare fra i due mondi, turbolenta, rabbiosa, ed estesa: non era solo una macchia, era come se un intero fronte temporalesco avesse reso ancor più nera la notte. Avrebbe voluto sapere di più, avrebbe voluto vedere la strada, il luogo dove poteva trovare i due Draghi… ma il sonno fu più forte. L’ultima cosa che intravide, fu una trama sottile di scaglie verdissime. L’incoscienza l’avvolse tra le sue morbide spire, poco alla volta, finché le stelle stesse non si spensero.

Oltre il Velo che Tutto Cela, nel Santuario ove solo Uno è ammesso…


Angolo dell'autore: hhmm, l'ennesimo parto della mia mente malata è condiviso. L'atmosfera qui si fa un po' più pesante e "seriosa", ma è normale, tutto calcolato e parte di un diabolico piano del sottoscritto. Sul serio. ò.ò

Colpo di scena? Non so se chiamarlo così... diciamo che è successo un po' di patatracchete. Di certo pare che Yu e Rangrin si siano trovati una bella gatta da pelare. :o

Ma niente paura, Ars Arcana non è un racconto dalle tinte fosche, quindi l'atmosfera tornerà ad assestarsi su quel tono fiabesco che ho cercato di introdurre negli scorsi capitoli. ;)

Un grazie a Lunastorta, che si prende il tempo di lasciare dei commenti su questa mia piccola insana storiella. E' incoraggiante, sul serio. *3*

Oooh, e quasi dimenticavo, un dovutissimo (checché un po' tardivo) ringraziamento a Chiara / fallsofarc, che mi ha pubblicizzato e che si è presa la briga di leggere il mio racconto anche s non è il suo genere. La trovate nella sezione racconti romantici tutta intenta ad essere una grande, se la cercate. *w*

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Capitolo 5
*** Eidrath ***


Ars Arcana, Capitolo V

Eidrath



Rangrin si sentì come se l’abisso attorno al pilastro l’avesse inghiottito nelle sue viscere gelide e umide: Yu si era volatilizzato, davanti ai suoi occhi!

Un istante prima, stava toccando, come lui, la superficie del bassorilievo. Un attimo dopo, lo smeraldo sulla fronte del Drago della Valle si era trasformato in un piccolo globo di luce verde, che aveva attraversato, fulmineo, il corpo del mago, all’altezza del cuore. Il giovane era scomparso in un nugolo di lucine bianche, che erano volate verso il cielo, assieme alla luce della gemma, lasciandolo solo, nel santuario gelido.

D’istinto, aveva fatto un passo indietro e staccato la mano dalla pietra: qualunque cosa fosse accaduta all’ingenuo Demone, voleva evitarla. Rimase ritto in piedi, i pugni serrati, per diversi minuti, aspettando un qualche sviluppo, magari che quel cretino riapparisse in una nuvola di fumo, dicendogli “Sorpresa!” o qualcosa del genere. Ma i secondi scivolarono via, il mago non si fece vivo. Svanito nel nulla.

Che fosse andato nell’altro mondo? No, che sciocchezza, li aveva visti, i Demoni, e tutti facevano la stessa cosa, quando si spostavano da un mondo all’altro: non svanivano in quel modo.

Imprecando, si picchiò una mano callosa sulla fronte e se la passò sul viso.

In realtà, la scomparsa di Yu non era poi cosa tanto grave: sembrava un tipo a posto, ma si erano appena conosciuti; ovvio, un pochino gli dispiaceva, ma in circostanze normali avrebbe solo significato una seccatura in meno a cui pensare. Il vero problema, era che il ragazzo era sparito nel nulla, lasciandolo chiuso in quella specie di tomba senza una via d’uscita: il passaggio da cui erano venuti si era sigillato dietro di loro, e lui non possedeva la magia necessaria a riaprirlo.

Alzò lo sguardo verso l’apertura da cui filtrava la luce, così lontana, lassù, sopra la sua testa. Arrampicarsi era fuori questione: le pareti curvavano a formare una sorta di cupola, e comunque erano maledettamente scivolose per via del muschio e dell’umidità. L’acqua, ovviamente, da qualche parte doveva uscire, ma quell’abisso scuro sembrava senza fondo, e in ogni caso, Rangrin non amava nuotare. Inoltre, non era affatto detto che le vie percorse dall’acqua fossero adatte ad un nano.

“Che tu sia maledetto, svitato di un Demone!” ringhiò a denti stretti, scendendo le scale per tornare all’ingresso. Si sarebbe trovato in un vicolo cieco alla fine, ma era sempre meglio che rimanere lì ad aspettare chissà cosa.

Tuttavia, non riuscì a trovare il passaggio da cui era entrato. Ne vide un altro, che, era sicuro, prima non c’era, e che l’avrebbe condotto in tutt’altra direzione.

Aggrottò le sopracciglia folte e tirò su col naso, burbero. Che fosse opera del mago?

Scrollò le spalle e si mise in cammino: era irrilevante, dopo tutto; era comunque l’unica strada da percorrere.

Non avendo alcuna fonte di luce, si trovò a percorrere il tunnel nella più totale oscurità dopo la prima svolta… ma fu un viaggio sorprendentemente agevole: al contrario dell’angusto e irregolare passaggio che avevano usato per entrare nel santuario, questo era ampio abbastanza da consentirgli di camminare normalmente, le infiltrazioni d’acqua e le macchie di muschio erano in quantità inferiore, ed era, nel complesso, più agevole, benché decisamente più lungo.

Camminò per più di un’ora e mezza nel buio, sempre con la bizzarra sensazione addosso che la montagna stesse chiedendosi dove poteva lasciarlo.

Quando, finalmente, si ritrovò all’aperto, vedendo le mura chiare dell’Accademia a poche centinaia di metri ad est, nell’intrico di rami e neve del bosco, si sentì quasi oltraggiato: tutto quel tempo per fare così poca strada? Non era più semplice farlo tornare da dov’era venuto?

Rinnovando le maledizioni al piccolo Demone reietto, si preparò ad una lunga, fredda marcia verso Sulfuracque, pensando che, con un po’ di fortuna, avrebbe trovato un tetto da mettere sopra la testa, un bagno caldo e magari un ufficiale euxeliano per fare rapporto e mettere la parola fine a quella storia assurda.

Pochi passi e, con un soffice tonfo, un blocco di neve si staccò dai rami di un albero e gli cadde proprio in testa.

Si scrollò e rabbrividì, sentendo gocce glaciali colargli giù per la schiena, imprecando fra i denti stretti contro quello stupido mondo che si divertiva a infliggergli ogni genere di pena solo perché era un nano. Stizzito, si alzò il cappuccio e fece per rimettersi in cammino, quando qualcosa lo sfiorò sulla testa e glielo abbassò.

“Oh, ACCIDENTI!” tuonò, tirandolo su di nuovo, solo per sentirlo di nuovo scivolare indietro e beccarsi un’altra salva di neve sul capo. “Albero della malora! Se avessi un’accetta ti sentiresti meno spiritoso!” ringhiò, agitando un pugno, senza ben sapere quale fosse l’albero temerario.

“In realtà, l’albero non ne ha colpa” commentò una voce maschile, all’improvviso.

Rangrin trasalì, temendo che potesse essere un altro Demone, ed estratto uno dei pugnali, se lo puntò attorno, con aria spiritata.

“No, no, non hai capito” seguitò l’estraneo, preoccupato. “Non ti faccio niente, ho solo bisogno di una mano” spiegò. Poi, come ripensandoci, aggiunse, circospetto: “Non sei uno di quelli, vero?”

Il nano continuò a guardarsi attorno, ma si sentì un po’ meno teso. Dal tono in cui aveva pronunciato la parola quelli, lo sconosciuto alludeva o agli Euxeliani o, più probabilmente, ai Demoni Evanescenti.

“Non direi, sono un onesto nano, io. Tu, piuttosto? Fatti vedere” rispose, cauto.

“Sopra di te, malfidente di un nano” fu la risposta.

L’aviatore alzò lentamente lo sguardo… e ciò che vide gli fece cadere l’arma di mano.

“Venerandi antenati!” esclamò, balzando indietro quel poco che le sue corte gambe gli permettevano. Sospeso fra i rami sopra di lui, si trovava un Drago del Gelo!

Il suo corpo muscoloso era coperto di scaglie bianche, e i suoi stessi occhi erano del colore del ghiaccio; era giovane, lo si capiva dal fatto che fosse ancora relativamente piccolo: non fosse stato per la potente coda e il lungo collo, sarebbe stato visibilmente più piccolo di un cavallo.

Rangrin stava per chiedersi cosa ci facesse un drago del genere proprio , ma gli bastò un’occhiata alla creatura per convincersi che il mistero era un altro: chi l’aveva ridotto così?

La sua pelle bianca era costellata di piccole ferite, per lo più solo scalfitture, ma il suo intero corpo era avvolto da robuste liane nere che lo tenevano appeso alle piante per le zampe, con la schiena rivolta a terra, cosicché si era ritrovato a fissare un nano a testa in giù.

“Mi tiri giù?” chiese, semplicemente. “Prometto che farò quello che vuoi, dopo: parola di drago. Ma ho bisogno che tagli questa roba. Più cerco di liberarmi e più si stringe, e già faccio fatica a respirare” spiegò.

Il nano recuperò il pugnale dal suolo innevato, ma non rispose subito.

“Per favore? Sono appeso qui da ore, e ho male dappertutto” insistette il drago, allungando appena il collo. “Se qualcuno non mi libera entro il calare del sole, mi soffocheranno, non scherzo” aggiunse, più spaventato.

Rangrin squadrò la creatura.

“E se fosse una trappola?”

Come previsto, il drago si offese subito e scoprì i denti.

“Trappola? Una trappola? Cosa pensi, che me la sia messa addosso da solo, questa robaccia malefica?” sibilò, stizzito. “Se avessi voluto papparmi un nano sarei sceso in picchiata, o mi sarei appostato da qualche parte, e comunque avete un saporaccio, o così mi dicono. E comunque, ti ho dato la mia parola, per gli Antichi! Non ti basta?”

Il nano non si scompose. “Magari tu non vuoi farmi la pelle, magari sei solo un’esca…”

Indignata, la creatura si contorse tutta e sibilò.

Esca? Esca per cosa? Quante sono le probabilità che un imbecille passi per questo tratto di bosco e sia pure nella disposizione d’animo di soccorrere un drago in pericolo? Quale idiota potrebbe mai mettere in piedi una cosa tanto ridicola?” brontolò. “Se ti preoccupano tanto gli Euxeliani, ho buone notizie: sono troppo impegnati con quel castello. Il che è un peccato, perché i tizi là dentro magari mi avrebbero aiutato. E comunque, farci una chiacchierata mi avrebbe fatto comodo. Oooh, se solo avessi ascoltato i miei genitori e mi fossi trasformato in un qualche rapace, a quest’ora non sarei qui…” sospirò. “Ero qui per il mio rito di passaggio… non voglio morire” disse, infine, abbandonandosi sulle liane come una bambola di pezza.

Rangrin fece una smorfia di disgusto.

“Va bene, va bene, non aggiungere altro, seccatore. Ti tirerò giù di lì, contento? Basta che la smetti di piagnucolare” fece, agitando le mani con ribrezzo.

“La prospettiva di morire tende a toglierti il buonumore” replicò il drago, caustico.

“Come ti pare, drago, adesso stai fermo, che provo a tirarti giù da lì. Ma ti avverto, ci vorrà un po’…” rispose il nano, gesticolando verso la creatura con fare assertivo. “E che non ti passi per la testa di mettermi fretta, o ti lascio lì. Sono un nano, non uno scoiattolo, gli alberi non fanno per me. Ma se te ne stai buono buono, prometto che ti tirerò giù, parola di nano” sentenziò, altezzoso.

“Non ho fretta… purché tu finisca prima del tramonto” commentò il drago. “E, ti prego, cerca di non staccarmi dei pezzi, se puoi. Oh, e se ti dico di allontanarti e restare immobile, fallo e basta, d’accordo?”

Il nano non rispose: aveva riposto il pugnale e preso una delle sue piccole asce, e se l’era messa fra i denti onde avere le mani libere per scalare uno degli alberi. Ma al drago parve che avesse grugnito qualcosa in tono interrogativo, perciò spiego: “Tu aiuti me, io proteggo te, per quanto posso da quassù. Mi sembra un buon piano, no?”

Rangrin mugugnò il suo assenso, studiando la pianta con fare dubbioso. In realtà, era un po’ più agile degli altri nani, quando si trattava di arrampicarsi: con tutte le volte che si era trovato a dover fare manutenzione al suo pallone, era inevitabile che imparasse. Ovviamente, gli alberi restavano ostici, ma era ragionevolmente convinto di farcela.

E, una volta capito come muoversi (la qual cosa richiese un po’), arrivare fino al drago fu relativamente semplice, posto che le piante, tutto sommato, fornivano abbastanza appigli. Rimuovere i vincoli lo fu meno: avevano una consistenza diversa dal legno, e non somigliavano nemmeno a delle corde; erano più elastiche, e reciderle con un colpo secco era difficile. La creatura finì per trovarsi con diversi tagli in più, ma non si lamentò mai, anche se diverse volte rabbrividì per i colpi subiti.

Non appena fu libera, si alzò in piedi e si scrollò tutta, ringhiando, infine cacciò fuori dal suo campo visivo ciò che restava delle liane con un rabbioso colpo di zampa.

“Ah, me la sono vista proprio brutta, Barbalunga” commentò. “Ora sarà meglio andarsene, però. Se quello torna, saranno guai seri”.

“Ho un nome, drago” brontolò Rangrin, cercando di non perdere l’equilibrio mentre scendeva dall’albero. “Mi chiamo- ooops!”

Mise un piede in fallo, e il ramo sotto di lui si spezzò, facendolo cadere con un gran tonfo sulla neve sottostante.

Il drago inarcò le sopracciglia, ma lo aiutò a rialzarsi senza commentare.

“Rangrin” mugugnò il nano, sputacchiando. “Rangrin di Arcoroccia. E tu invece chi sei?”

“Sithrim Adrathir Eidrath Rithlennithim, della Genia del Saggio Ethelos” rispose la creatura, seria. “Ma Eidrath basterà, quindi non serve che impari tutto quanto” aggiunse, notando l’espressione sgomenta del suo interlocutore. “Allora, conosci qualche buon posto dove nascondersi?”

Rangrin incrociò le braccia sul petto, burbero. “Veramente, speravo che tu potessi aiutarmi ad andarmene da qui” rispose. “Non sai volare?”

“Certo che so volare!” ribatté Eidrath, stizzito. “Ma mi sono ferito alle ali, vedi?” disse, spiegando le ali; le membrane, assai più fragili delle scaglie che coprivano il resto del suo corpo, erano bucate in diversi punti e presentavano varie lacerazioni alle estremità. “Per qualche giorno di volare non se ne parla” stimò, con una smorfia. “Odio essere bloccato a terra, ma non ha senso cercare di spiccare il volo solo per ficcarmi nel primo mucchio di neve come una freccetta, ti pare?”

“Hmm…” il nano sporse le labbra in fuori e aggrottò le sopracciglia, carezzandosi la barba fulva. “Non riesci proprio a staccarti da terra?” domandò.

Il drago sbuffò due nuvolette di vapore gelido dalle narici.

“Immagino di poter svolazzare per qualche breve tratto, se proprio devo. Ma non mi voglio ridurre a saltellare qua e là come un pollo. Sono un signore dei cieli, non un pennuto dal cervello piccolo” rispose, disgustato. “Oh, maledetto quel pazzo e i suoi sortilegi!” ringhiò subito dopo. “Mi ha fatto fallire la prova!”

“Che ti importa, di quello stupido oracolo, scusa? Almeno hai portato a casa la pelle” brontolò Rangrin, stringendosi nelle spalle. “Alla fine, è quello l’importante”.

“Tu non capisci! Nessuno mi prenderà sul serio, finché non avrò superato la prova, continueranno a trattarmi da cucciolo! E le dragonesse non mi degneranno di uno sguardo” lamentò l’altro, accorato. “Devo raggiungere l’oracolo” concluse.

“Devi essere vivo per raggiungerlo, zuccone!” sbottò il nano, sbracciandosi. Mancare di rispetto ad un drago, anche se giovane, era una mossa azzardata, e lo sapeva perfettamente; ma quel drago gli doveva la vita, ed era sicuro che avrebbe mantenuto la parola data, anche se controvoglia. “Se ti perdi questo giro, che importa? Puoi sempre riprovarci. Ma se ti fai acchiappare come un fagiano, il gioco è finito. Mi capisci?” lo rimproverò, senza ben sapere perché gli importasse cosa quel bestione faceva della sua vita.

Eidrath lo guardò storto, ma non protestò, né fece alcunché per minacciarlo.

“Bene” brontolò Rangrin, abbassando la voce e tornando ad incrociare le braccia sul petto. “Ora che questo punto è chiarito, vediamo cosa possiamo fare” stabilì, in tono pratico. “Tu non puoi volare, se non per tratti molto brevi, quindi non possiamo allontanarci troppo… e, a ben pensarci, gli Euxeliani ti vedrebbero subito. Hmmm… come te la cavi, a sputare fuoco?”

Il drago sbuffò e alzò gli occhi al cielo. “Ti sembro un Drago del Fuoco? Non sarai mica uno di quelli che credono che siamo di colori diversi solo per bellezza, spero. Più lontano sto dal fuoco, meglio è; se sputassi fuoco, sarei rosso. Ma sono bianco, come vedi: il freddo è la mia natura, sono un figlio del Vento e del Gelo, il mio soffio è quello dell’inverno” spiegò.

“Cioè sai solo sputare aria fredda? Devastante…” commentò il nano, per nulla impressionato.

Eidrath si accigliò. “Se avessi provato il mio soffio sulla tua pelle, non faresti lo spiritoso: quanto il fuoco di un altro drago è caldo, il mio soffio è freddo. Se servirà, lo userò, e cambierai idea. Perché me lo chiedi?”

Rangrin alzò le spalle. “Se potessi togliere di mezzo i soldati Euxeliani, potremmo rifugiarci nell’Accademia. Lì c’è un sacco di spazio, ed è sicura. Potremmo stare lì, finché le tue ali non saranno a posto” rispose.

“Sono troppi per me da solo” protestò il drago, distogliendo lo sguardo, tentando di ostentare un atteggiamento altezzoso. Era evidente che ammettere la propria impotenza lo repelleva.

“Non importa. Aspetteremo che si stanchino, allora. Poi scavalcheremo le mura e ci troveremo un angolino tranquillo dove aspettare che le tue ali guariscano”.

“E poi?” domandò la creatura, inarcando le sopracciglia con fare scettico.

“E poi…” iniziò, con l’intenzione di chiedergli di trovare un modo di riportarlo a casa. Ma, stranamente, cambiò idea; nella sua mente emerse con prepotenza l’immagine di Yu, il viso stanco illuminato da un sorriso, che gli diceva che l’avrebbe aiutato a salvare la sua gente. “E poi…” esitò. “E poi, mi dovrai un favore. Perciò, mi aiuterai a scoprire tutto quello che la tua gente può sapere sul Drago della Valle e sul Drago del Fiume” sancì, pensando che certamente era impazzito.

Eidrath inclinò il capo lateralmente. “Solo quei due? E del Drago del Cielo non vuoi sapere nulla?” domandò, non capendo perché al nano interessassero informazioni incomplete.

“C’è un terzo drago?”

“Certo che c’è. I due che hai menzionato sono figli suoi. Loro tre assieme hanno creato la valle, tutti i draghi lo sanno” spiegò la creatura, orgogliosa. “Ma i mammiferi si sono dimenticati del vecchio Drago del Cielo, perché lui non si fa vedere da tanto, tantissimo tempo. Si addormentò dopo aver generato gli altri due, e non si svegliò più da allora. Solo i suoi figli si fanno vivi, di tanto in tanto” raccontò. “E’ curioso che un nano si interessi alla saggezza della mia gente” commentò subito dopo.

Rangrin arrossì, mugugnando in sua difesa che uno stolto l’aveva incastrato in una questione arzigogolata e poi si era vaporizzato senza lasciar traccia si sé.

“Ha a che vedere con gli Euxeliani e quei bizzarri Viaggiatori, vero?” lo interrogò Eidrath, indovinando la fonte delle sue preoccupazioni.

“Viaggiatori, Demoni Evanescenti… non ho idea di come si chiamino. Occhi di uno strano azzurro-violetto, vanno e vengono da un altro mondo e ne combinano di tutti i colori. Sì, sono loro il problema. Ne sai qualcosa?” fece l’aviatore.

Ma la creatura scosse il capo. “So cosa siano i Viaggiatori, ma di Demoni Evanescenti non ho mai sentito parlare. Ho solo sentito gli anziani dire che da qualche tempo ne sono apparsi tanti, di Viaggiatori, e che è un fenomeno inusuale. Ma noi ci curiamo poco delle questioni dei mammiferi, quindi sono pochi a saperne qualcosa” rispose. “Ma va bene, Rangrin il nano. Se mi aiuti a rimettermi in sesto, ti porterò dalla mia gente e farò in modo che tu sia accolto come ospite puro e degno. Parola di drago” aggiunse poi, solenne.

“Ottimo” bofonchiò il nano, annuendo. “Allora, per prima cosa credo che dovremmo…”

Ma le sue parole furono coperte da un forte rombo, simile ad un tuono. Confuso, Rangrin alzò lo sguardo al cielo grigio di nubi, chiedendosi come potesse scoppiare un temporale in pieno inverno, ma si accorse che aveva guardato nella direzione sbagliata quando la terra tremò.

Un’improvvisa scossa squassò il bosco, facendo tremare le piante e cadere la neve che si era posata sui rami.

“Per gli Antenati! Il monte è arrabbiato” esclamò, cadendo seduto per terra, lo sguardo sgomento fisso sulla montagna. Eidrath gli fu subito sopra, riparandolo dai blocchi di neve cadente con il suo corpo. “Gli Euxeliani non mi avevano mai detto che questa fosse zona di terremoti” gridò, per sovrastare il fragore della terra.

“Non lo è, infatti” rispose il drago, avvolgendosi attorno al nano per impedire che la neve lo seppellisse.

“Ti pare il momento per gli abbracci?” sbottò quello, indignato, spingendo via la testa allungata della creatura.

“Tu pensa solo a prendere un bel respiro, zuccone” replicò Eidrath, senza stizza, guardando con occhi sgranati l’enorme massa di neve che si era staccata dalla parete della montagna. “Tieniti stretto a me e non prendere iniziative” lo ammonì.

“Pensi che abbia paura di qualche scossone e un po’ di neve?” si offese Rangrin, che non aveva visto la valanga in arrivo. Ma il drago non rispose: aveva chiuso gli occhi, e una fievole luce bianca l’aveva avvolto in un tiepido alone. Le parole che stava mormorando nella sua lingua antica furono inghiottite dal fragore della neve.


Il plotone Euxeliano agli ordini del Maresciallo Turm avvertì la scossa di terremoto, vi diede scarsa importanza. Era stata rumorosa, e quello era bizzarro, ma dalla forza sembrava solo un assestamento del terreno, niente di serio.

Turm li osservava montare l’ariete accigliato, cercando di accendere la sua pipa, il naso arrossato dal freddo. La spia che avevano mandato in ricognizione non era ancora tornata, e aveva il sospetto che la tormenta l’avesse colta di sorpresa. Avrebbe voluto sentire un suo rapporto, prima di tentare nuovamente un’irruzione nell’Accademia, ma dal Quartier Generale pretendevano fatti, non scuse, perciò avrebbe dovuto affrettarsi a chiudere la partita con quei quattro prestigiatori da strapazzo.

La valanga piombò su di loro come un falco in picchiata, cogliendoli completamente di sorpresa. La ruggente ondata bianca si riversò sui soldati prima da un lato, e poi da davanti, esplodendo da dietro le mura dell’Accademia come uno tsunami ghiacciato.

La pipa accesa con tanta fatica, gli cadde di mano e fu inghiottita nel bianco.



Note finali: rieccomi qui dopo i bagordi delle feste. Spero che ve le siate godute, e che il nuovo anno sia iniziato nel migliore dei modi! =D

Un nuovo personaggio fa il suo ingresso, e altre new entries popoleranno i prossimi capitoli; mica possono fare tutto Yu e Rangrin. =P

E a proposito di Yu, di lui si parlerà nel capitolo successivo. Spero di riuscire a pubblicarlo presto, anche se il nuovo anno significa dover ricominciare a studiare per l’università. Q.Q

Comunque sia, grazie ancora a chi segue questo mio delirio, a chi si è lasciato incuriosire e gli ha dato un’occhiata, e a quanti hanno avuto la bontà d’animo di lasciare una recensione. Fatemi sapere cosa pensate, non siate timidi, non mordo. Quasi mai. >X3

Un abbraccio a tutti, e al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** La Zona Buia ***


Ars Arcana, Capitolo VI

La Zona Buia

 

 

Quando Yu finalmente si risvegliò, l’oscurità attorno a lui era così fitta che gli ci volle qualche istante per capire che aveva effettivamente riaperto gli occhi. L’odore dell’aria attorno a lui era stantio, l’atmosfera calda, pesante e umida. Di certo, pensò, non era più nel santuario.

Non riusciva a ricordare come fosse arrivato lì, ma al momento non aveva importanza; doveva uscire da quella specie di sepolcro (ammesso, si disse con un brivido, che vi fosse un’uscita), capire dove fosse finito e poi… be’, e poi ci avrebbe pensato su. Dove l’aria fosse un po’ più fresca.

Si tastò tutto attorno per farsi un’idea dell’ambiente, ma non appena sfiorò il pavimento fece una smorfia di disgusto: era viscido, ricoperto di una qualche sostanza oleosa, che, stranamente, non gli imbrattò le mani. Continuò a saggiare il suolo, finché le sue dita non incontrarono un oggetto fresco, sfaccettato e liscio, e, constatò con un mezzo sorriso, pulito: il suo cristallo-torcia.

Un po’ rincuorato dalla sua presenza, lo strinse e lo attivò, circondandosi di un alone di pallida luce. Cauto, il mago si alzò a sedere e si guardò attorno: di fianco a lui, a meno di due metri, si spalancava la bocca di un qualche enorme, nerissimo abisso; provò a sporgersi leggermente (molto leggermente, aveva il terrore di pozzi e simili) per sbirciare giù, ma si ritrasse subito con un’ondata di nausea: l’oscurità laggiù era, se possibile, ancor più fitta, e dalle profondità della terra spirava un vento caldo, regolare, pulsante, come il respiro di una qualche enorme, immonda bestia. Era certo, però, di non essere finito nella pancia di qualche bestia: era solo una qualche specie di grotta dannatamente fetida. La sostanza che ricopriva la pietra, vide, era nera come la pece, lucida, e, notò con disgusto, sembrava viva; la sua superficie non era mai liscia, ma sempre piena di increspature e piccole onde, un costante fremito che il mago non sapeva spiegarsi. Il movimento era più evidente e febbrile laddove la luce del suo cristallo era più intensa, come se quella massa scura detestasse la luce, o ne fosse in qualche modo danneggiata.

Vincendo le vertigini, Yu si alzò in piedi e si allontanò dal baratro, ispezionando i dintorni alla ricerca di un’uscita.

L’operazione fu più lenta e difficile del previsto: sebbene il cristallo si fosse illuminato al suo comando, qualcosa sembrava non andare con l’incantesimo; per quanto il giovane cercasse di intensificare la luce per avere una visuale più ampia, tutto ciò che otteneva era un malsano alone di luce giallastra, che a stento riusciva a gettar luce a più di qualche metro.

Come se il buio mi si stringesse attorno, pensò, con un brivido.

Sospirò e decise che era inutile sprecare la sua magia in quel modo; ricominciò ad ispezionare la grotta, muovendosi con passi brevi e circospetti, più silenziosamente possibile: qualunque cosa abitasse quel posto, perché di certo vi erano creature abbastanza disgustose da abitarlo, non voleva incontrarla.

La fortuna, tuttavia, gli concesse un vago sorriso: quel posto orribile aveva, a quanto pareva un’uscita, o, per lo meno, un qualche pertugio dal quale spirava un’aria meno fetida. Yu imboccò il passaggio con estrema cautela, conscio di essere completamente disarmato e dei limiti della sua magia. Il viaggio sembrò durargli un’eternità: il cunicolo era angusto, pieno di svolte, e tutto ricoperto da quella robaccia disgustosa; per giunta, ovunque, dall’oscurità, provenivano strani suoni, indecifrabili, ma angosciosi e carichi di presagi sinistri.

Quando finalmente fu all’aperto, benché la galleria fosse quasi completamente pianeggiante, era sfinito e tremante. E lo spettacolo cui si trovò davanti non lo rincuorò.

Dove… sono finito…?

Sopra di lui, il cielo era nero come la pece, privo di qualsiasi astro a squarciare le tenebre, e l’unica luce, a parte il suo piccolo, triste cristallo, veniva da bagliori arancioni all’orizzonte, come distanti incendi, e da fiammate che, di tanto in tanto, fuoriuscivano con fragore da strane spaccature nel terreno. La maggior parte del suolo e di ogni superficie era ricoperta dalla medesima sostanza nerastra, e non c’era alcuna traccia di esseri viventi, tranne lui.

L’unica nota positiva era che, uscito da quella grotta nefasta, la stretta del buio si era attenuata, e adesso la luce del cristallo splendeva più vigorosa.

Quello non era Inframondo…  ma nemmeno la Terra poteva albergare un simile sfacelo.

Poi, nel brulicante, viscido rumoreggiare di quel mondo tetro, lo raggiunse un suono famigliare: una sirena, da un punto imprecisato nel buio, più a valle rispetto a lui, accompagnato dall’accensione, brusca e improvvisa, di una qualche grossa luce, probabilmente un riflettore o un faro potente, che poi divennero due, poi tre.

Sotto il lamento della sirena, i tre bagliori cominciarono a spostarsi, rapidi, verso di lui. Per un istante, il mago pensò ingenuamente che potesse trattarsi di soccorsi: magari erano altri terrestri, venuti a salvarlo da quell’incubo.

Ma, quando vide cosa stava avvicinandosi, sferragliando, dovette ricredersi: tre enormi macchinari simili ad enormi insetti correvano su di lui, spostandosi velocissimi su quattro paia di zampe lunghe ed affilate che uscivano dai loro corpi tozzi e tondeggianti.

Sfrecciarono su per il pendio, tranciando e travolgendo ogni cosa sul loro percorso, puntando su di lui. Yu capì in un istante che, chiunque comandasse quelle macchine, di certo non voleva aiutarlo, perciò tornò, suo malgrado, ad infilarsi nell’oscuro pertugio da cui era uscito e disattivò il cristallo, sperando che fosse sufficiente ad ingannare gli insetti metallici. Quelli raggiunsero il punto dove si trovava e, per alcuni secondi, sostarono, girando su se stessi lentamente per illuminare i dintorni.

Cauto, il mago si ritrasse più in profondità e si riparò dietro ad una protuberanza rocciosa, sperando che lo spessore fosse sufficiente ad occultare il calore del suo corpo.

Non ebbe il tempo di appurare se lo stratagemma aveva funzionato, perché, all’improvviso, sentì uno stridore metallico, seguito da uno schianto potente. Contro ogni forma di buon senso, assecondò la sua morbosa curiosità e sbirciò dal suo nascondiglio cosa mai potesse affrontare quegli orrori di metallo, ma non vide nulla, se non uno dei suoi inseguitori ribaltato zampettare inutilmente contro il cielo nero, prima che la scena diventasse un incomprensibile turbinare di scintille, schianti, oscurità e strani brontolii gutturali.

Pochi caotici istanti dopo, tutto ciò che restava delle macchine erano rottami contorti. Yu rimase bloccato dov’era, esterrefatto: non percepiva una presenza malevola, in quel buio, ma non poteva essere sicuro che chi aveva distrutto gli insetti metallici fosse socievole; poteva anche essere un predatore di quella terra buia.

Stava per tornare a rintanarsi, quando una voce profonda lo raggiunse dall’oscurità:

“Fuori dal pertugio, piccoletto. Io sono più furbo di quei rottami”.

Yu si sentì paralizzare per la sorpresa e la paura, ma se era vero che l’estraneo era più furbo dei cosi che aveva appena fatto a pezzi, era inutile cercare di scappare. Uscì, trattenendo il respiro, già sentendosi addosso gli artigli della creatura del buio.

Ma gli artigli non vennero. Lo sconosciuto si limitò ad osservarlo dall’oscurità, con luminosi occhi di un viola intenso, come per valutarlo. Incrociando il loro sguardo, il mago deglutì: pupille verticali, iridi color ametista, e un corpo che si confondeva con il buio circostante.

La creatura che l’aveva salvato era un Drago Oscuro. Non si fosse trovato in un luogo completamente sconosciuto e popolato da orrendi macchinari assassini, la sua anima di accademico ne sarebbe stata deliziata: quei draghi erano rarissimi, e pochi studiosi potevano dire di averne mai osservato uno dal vivo. Ma le circostanze avevano momentaneamente spedito in letargo lo studioso che era in lui.

“Io…” boccheggiò, cercando di trovare le parole per presentarsi al drago.

Ma quello subito lo interruppe: “Risparmia il fiato, Luminal. Non corri pericolo con me: sei abbastanza puro. E hai la Voce, sento”.

Yu sbatté le palpebre e chiuse la bocca. Non aveva idea di cosa la creatura intendesse; tutto ciò che aveva capito era che non gli sarebbe stato fatto del male. E non appena quella consapevolezza fece breccia nella sua mente, il caos che aveva in testa si calmò un poco. Trasse un respiro profondo, e parò con più calma: “Ti sono debitore, o possente. Ma temo di non capire di cosa tu stia parlando”.

“Non qui, devo portarti in un posto più sicuro” borbottò la creatura. Fece una pausa, come se dovesse dire qualcosa di estremamente difficile, ma poi aggiunse: “Ce la fai a salirmi in groppa?”

Il giovane si sentì stordire dallo stupore: cavalcare un drago? La fortuna certo aveva scelto un momento tremendamente bizzarro per esaudire quel suo infantile desiderio.

“Credo di sì, se posso aiutarmi con un po’ di luce”.

“E sia” mugugnò l’altro, appiattendosi a terra per aiutarlo.

Yu si affrettò a riattivare il cristallo per esaminare il drago: era grande, lungo più di una decina di metri, e il suo corpo snello e nerbuto era ricoperto di scaglie nerissime e lucenti. Dalla testa partiva una cresta che, retta da una fila di aculei bianchissimi, arrivava fino alla fine della coda. Le arcate sopra i suoi occhi erano delineate da file di piccole spine candide; altri speroni costellavano il suo corpo con regolarità, come stelle ammiccanti in una notte senza luna.

Arrampicarsi sul suo dorso fu decisamente più complicato che salire su un cavallo (non che il drago avesse delle staffe cui appoggiarsi), ma la creatura, comprendendo la difficoltà del compito, abbassò un ala perché il giovane potesse darsi la spinta, e così, anche se goffamente, il mago riuscì a sistemarsi in uno degli ampi intervalli fra gli aculei dorsali del suo salvatore.

 

Non appena il mago si fu sistemato, il drago balzò in volo con un solo, potente balzo. La valle oscura, e i rottami fumanti dei ragni metallici si allontanarono e sparirono nel buio, mentre la creatura si innalzava sempre più nel cielo tetro.

Quando l’aria attorno a lui cominciò a farsi un po’ più fresca ed ebbe perso quella nota greve e oleosa che aveva a terra, Yu riuscì anche a godersi l’esperienza: sentiva il vento sul viso, ed avvertire sotto di sé i colpi d’ala possenti e il respiro regolare del grande drago aveva un che di esaltante, checché la paura di cadere gli impedisse di abbandonarsi completamente all’ebbrezza del volo.

Il viaggio nel buio fu lungo: solo pochi, isolati sprazzi di quelle sinistre luci arancioni interrompevano la monotonia dell’onnipresente oscurità, e l’orizzonte era distinguibile solo quando il drago volava in direzione di uno di quei bagliori crepuscolari. E, curiosamente, la creatura continuava a salire e salire… dove lo stava portando?

“Reggiti forte, Luminal” lo ammonì.

Il mago non capì, né ciò che il suo interlocutore intendeva, né, di nuovo, cosa diamine fosse un Luminal, ma decise che avrebbe interrogato il drago in un secondo momento; si chinò sul suo collo e si aggrappò con tutte le sue forze, nascondendo il viso contro la sua pelle corazzata.

Un istante dopo, ebbe l’impressione che il drago avesse sfondato una qualche strana barriera, come una membrana elastica: si sentì passare addosso decine e decine di piccoli, gommosi tentacoli, che cercarono di strapparlo dal dorso del suo salvatore. Ma lo strattone fu troppo breve, e la creatura troppo veloce ad attraversare quel muro invisibile, perciò Yu riuscì a mantenere, anche se a fatica, la sua posizione.

E quando riaprì gli occhi, gli parve di essere finito in un altro mondo ancora: tutto attorno a lui si estendeva un’infinita distesa di un blu profondo, puntellata da miriadi e miriadi di stelle, pianeti, galassie e variopinte nebulose; qua e là, soffici banchi di nubi argentate si trascinavano nel cielo stellato, e delicate striature di ogni colore visibile attraversavano qua e là il paesaggio; la stessa terra, gli alberi, ogni cosa, sembrava composto da sola luce, o energia, delineata da sottili linee luminose e a malapena pervasa da un alone colorato.

Il mago si guardò attorno, sbalordito, convinto di essere stato catapultato in un qualche bizzarro sogno. Ma quando si guardò alle spalle, tornò alla realtà: la barriera che avevano attraversato era reale, e aveva l’aspetto di un’immane cortina di impenetrabile oscurità fremente, che interrompeva bruscamente quel paesaggio fantastico, ingoiandolo nella sua sinistra tenebra.

“Che luogo è mai questo?” domandò, con un filo di voce.

Il drago sbuffò dalle narici, infastidito.

“Che domande sono queste? Non riconosci casa tua, Luminal?”

Yu sospirò, ma carezzò con delicatezza la base del massiccio collo della creatura.

“Ho un nome, possente: mi chiamo Yulannath, ma preferisco Yu, e se ti faccio queste domande, è perché non ho idea di dove sono, né di cosa sia un Luminal”.

“Io sono Azadrath Alastellata, e questa è la Frontiera, la Zona Franca, e la casa del tuo popolo, piccolo Luminal. Anche se da un po’ di tempo a questa parte, sta diventando la Zona Buia” rispose Azadrath, un po’ meno seccato, cominciando a planare dolcemente verso quello che sembrava un grande palazzo fra le colline. Le sue mura sembravano avere un grado di opacità maggiore, rispetto all’ambiente circostante. “La tua gente chiama questo posto Astrelia. O almeno, così lo chiamava molto tempo fa”.

“Perché dici la mia gente? Io sono un Viaggiatore, ma sono un essere umano” lo interrogò il mago, confuso.

Il drago rise. “Non c’è più umanità in te di quanta non ve ne sia in me, piccolo Luminal. Ho vissuto qui abbastanza da essere in grado di riconoscere un Luminal quando lo vedo, anche se è un Esule come te”.

Yu sospirò, e concentrò la sua attenzione sul palazzo. Più domande faceva, meno ci capiva.

“La paura mi ha fatto dimenticare le buone maniere, Azadrath. Non ti ho ancora ringraziato per avermi salvato” aggiunse, quando Azadrath toccò terra in uno dei cortili del grande edificio. Fu un atterraggio dolce, e il mago avvertì appena la vibrazione.

Di nuovo, la creatura sbuffò e scosse il capo.

“Meglio tardi che mai. E comunque, era mio dovere” bofonchiò, impacciata.

“Conosci qualcuno che possa occuparsi delle tue ferite?” si preoccupò il giovane: ora che lo osservava bene, notava che le zampe affilate di quegli infernali marchingegni avevano ferito il drago in alcuni punti.

“Ferite? Oh… solo graffi. Andranno a posto nel giro di qualche giorno, piccolo Yu. Non dovresti preoccuparti per me, sembra che tu abbia problemi ben più gravi”.

“Cosa te lo fa pensare?”

“Ad esempio, il fatto che non ti ricordi della tua patria. Ma i problemi che hai in quanto Luminal posso capirli solo in parte, e forse non ti sembrano nemmeno i più grossi. Ma tu possiedi la Voce di un Drago Celeste, il che significa che qualunque posto tu abbia eletto a tua dimora fuori dalla Zona Franca è in pericolo”.

Yu si ingobbì e sbuffò leggermente. Ancora misteri, ancora enigmi.

“Posso farti ancora delle domande, per passare il tempo? Sembra che stiamo aspettando qualcuno o qualcosa…” chiese, carezzando di nuovo le scaglie lisce del drago. Sapeva che non era un gesto fuori luogo, perché i draghi, come molte creature magiche, avevano del contatto fisico una percezione e un’idea diversa dagli esseri umani.

“Hmm” brontolò quello, un po’ rabbonito dai modi del giovane. “Immagino tu possa trarre giovamento da un po’ di ciò che so. E comunque, la Principessa si fa attendere. Perciò immagino che sì, soddisferò qualche tua curiosità. Ma non tutte, alcune cose te le dovrà dire lei” rispose, in tono condiscendente.

Il mago sorrise fra sé. Azadrath era evidentemente compiaciuto dalla sua curiosità e probabilmente amava esibire la propria saggezza quasi quanto gli piaceva mostrare la sua prestanza. E se, le sue ipotesi erano corrette, molto probabilmente non aveva grosse occasioni di mettersi in mostra.

“Per prima cosa” esordì, sistemandosi più comodo in groppa alla creatura, posto che questa non gli aveva intimato di scendere, “cosa significa che io ho la Voce di un Drago Celeste?”

“Significa che una piccola parte del potere di quel drago ti pervade, anche se ancora non sai farvi ricorso. Lo rappresenti, in un certo senso. Sarebbe più corretto dire che adesso sei la Voce di un Drago Celeste. Rallegrati! E’ un onore che di rado viene concesso a qualcuno che non sia un drago!”

Yu annuì. Fino a quel punto, la cosa sembrava incoraggiante: essere riuscito a contattare in qualche modo il Drago della Valle costituiva un discreto successo, dopo tutto.

“Spiegami meglio, se puoi. In cosa si traduce, questo legame?” insistette.

“Te ne accorgerai, man mano che imparerai ad attingere alla sua forza” replicò Azadrath, vago. “Diciamo che ti ha donato qualcosa di suo. Qualcosa che, se porti a termine il tuo compito, resterà tuo”.

In altre parole, qualunque cosa fosse, avrebbe lasciato un segno permanente, rifletté il mago. Era prevedibile, dopo tutto: non si attinge mai ad una grande forza senza restarne segnati in qualche modo. Restava da vedere la forma che questo segno avrebbe preso. Il drago aveva parlato di un dono, ma Yu non poteva essere sicuro che sarebbe parso tale anche dalla sua prospettiva di umano… o Luminal, a sentire Azadrath.

“D’accordo. Allora, ecco un altro quesito: perché ai Draghi Celesti serve una Voce? Non possono essere destati, per scongiurare un grande pericolo?” proseguì, dopo aver riflettuto un attimo.

Di nuovo, il drago rispose prontamente, senza esitazione: “La loro forza è troppo grande, ed essi hanno difficoltà a calibrarla; è opportuno che si destino solo quando il pericolo è proporzionato al danno che la loro potenza scatenata potrebbe causare. La forza trasmessa attraverso la loro Voce, spesso, è più che sufficiente”.

Era evidente che la creatura non poteva o non voleva essere più specifica di tanto, perciò il giovane decise di cambiare argomento: “Va bene, quanto hai detto sui Draghi Celesti per ora basterà. Quanto a me, invece… seguiti a chiamarmi Luminal, ma io sono umano. Sono un Viaggiatore, sì… ma umano. Un Terrestre, se conosci quel mondo. Perché mi chiami Luminal?”

Azadrath volse di lato la grande testa per guardarlo con un occhio viola.

“Proprio non capisci, piccolo Yulannath? Io sono un Viaggiatore. Tu sei un Luminal. Tutti i Luminal hanno il potere di attraversare il Confine, ma non tutti i Viaggiatori sono Luminal. Ma tu sei un Luminal, ne sono sicuro. Sei solo un Esule, ma col tempo tornerai in sintonia con la tua patria ancestrale” disse, aggrottando le sopracciglia. “Poco importa se sei nato sulla Terra. Le tue vere origini sono qui”.

“Ma sulla Terra i miei occhi sono di un colore normale, non sono così come li vedi ora” ribatté il giovane, sentendosi un po’ mancare la terra sotto i piedi.

Andava bene sentirsi dire di essere la Voce del Drago della Valle… ma scoprire di essere una specie di alieno? Quello era un po’ troppo, per prenderlo semplicemente per buono.

Azadrath sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Indi, brontolò qualcosa nel suo linguaggio, scuotendo appena il capo, poi rispose, paziente: “Certo che sono di un colore diverso, mio ingenuo cucciolo. Ti sei Adattato alla vita sulla Terra, o l’hanno fatto i tuoi antenati prima di te, tanto da dimenticarsi le loro origini. E’ probabile che i Luminal da cui discendi si siano mescolati con gli esseri umani tanti anni fa… ma l’eredità Luminal è anche magica e spirituale, e si è palesata in te. Adesso che hai cominciato a Viaggiare, il tuo legame con la Terra si affievolirà, e tornerai ad avere l’aspetto di un Luminal a tutti gli effetti. Ancor più in fretta, ora che hai sviluppato un legame così profondo con un essere spirituale dell’Inframondo”.

Yu deglutì.

“E… che aspetto ha un Luminal?” chiese, titubante.

Non ne aveva idea, e, da come Azadrath si era comportato, aveva dato per scontato che somigliassero a degli umani… il che era plausibile, se doveva essere stato possibile per i suoi antenati mescolarsi coi Terrestri… ma chi glielo garantiva, dopo tutto?

Ma il drago rise di gusto.

“Non temere, non diventerai un mostro. Ne avrai un’idea quando vedrai la Principessa” lo rassicurò, sorridendo. “Di’, mi trovi brutto?” gli chiese, all’improvviso.

Il mago, preso in contropiede, batté le sopracciglia, perplesso. “No, affatto. Penso che tu abbia un aspetto magnifico… la Principessa somiglia ad un drago?” ribatté.

Azadrath sorrise ancora. “Per niente” fu la risposta.

Il giovane sospirò e scosse il capo. La situazione era così assurda che cominciava a sentirsi ubriaco: gli girava la testa, era stanchissimo, e non era certo di riuscire a ragionare con lucidità.

Se ciò che la creatura diceva era vero, la sua vita era stata un susseguirsi di vari ordini di illusione: l’idea di essere un terrestre, e di appartenere ai luoghi della sua infanzia… l’idea che l’Inframondo fosse la sua seconda casa, il rifugio dal grigiore e dalla malinconia che avvertiva sulla terra… l’idea di essere un essere umano… sembrava andare tutto all’aria come un castello di sabbia.

Poteva razionalizzarlo, sapeva che l’avrebbe fatto… ma sul momento, l’impatto era forte. Non si sentiva più sicuro di nulla, e adesso che il drago aveva rimescolato le acque del suo passato, il futuro gli sembrava più incerto che mai.

E il povero Rangrin… chissà se se l’era cavata?

Il pensiero che anche il nano potesse essere stato risucchiato in quella fetida oscurità gli diede un conato di vomito. Se così era stato, l’aveva abbandonato al suo destino… era un pensiero orribile!

Deglutì a fatica e rovesciò la testa all’indietro, volgendo il viso al cielo colorato. Un respiro profondo, e i pensieri si sarebbero rimessi un po’ a posto.

Il nano era con lui nel santuario, era vero, ma non aveva toccato la gemma, né stava toccando lui quando lui l’aveva toccata. Quindi era improbabile che fosse stato trasportato lì. Inoltre, l’avrebbe visto nella grotta, e sicuramente l’avrebbe sentito, se fosse stato lì.

Espirò lentamente e si calmò un poco: Rangrin era relativamente al sicuro nell’Inframondo, c’erano tutte le ragioni per supporlo; e quello avrebbe pensato fino a prova contraria. E comunque fossero andate le cose, avrebbe dovuto pensarci dopo: non poteva darsi troppe pene per il nano, sul momento, era già abbastanza difficile fare i conti con le novità su se stesso.

“Comunque sia, benvenuto in guerra” disse il drago, dopo un po’, riscuotendo Yu dai suoi pensieri.

“Da quando si dà il benvenuto, in guerra?” ribatté lui con una smorfia. “E perché ti consideri coinvolto nella guerra fra Euxelia e Altosole?”

Azadrath rise.

“Euxelia e Altosole? Sono solo una parte di un tutto assai più grande. No, io ti sto dando il benvenuto nella Grande Guerra Astrale… ma vedo che la Principessa si avvicina, quindi sarà meglio che tu scenda. Sarà lei a spiegarti, dopo tutto sono affari di famiglia…” disse, chinandosi per agevolare la discesa al giovane.

Quello seguì il consiglio e si lasciò scivolare giù dal dorso della creatura, volgendo lo sguardo nella sua stessa direzione per fronteggiare la misteriosa Principessa dei Luminal.

Dapprima, tutto ciò che vide fu una figura luminosa e snella muoversi fra le esili colonne che circondavano il cortile con una leggerezza tale da sembrare un miraggio. Con grazia, scivolò verso di loro e discese con fluidità i pochi gradini che rialzavano il loggiato.

Quando fu abbastanza vicina da riuscire a distinguerne i tratti, Yu poté apprezzarne l’inusuale bellezza, diversa dalle principesse delle fiabe che aveva imparato a conoscere e immaginare da bambino, ma forse ancor più ricca di fascino: il suo viso era pallido e affilato, e il suo corpo asciutto e proporzionato; le labbra, due sottili petali rosa sulla neve. Gli abiti, pur principeschi, sarebbero stati più adatti ad un principe, che ad una principessa: una camicia dal colletto rigido e sontuosa allacciatura di alamari cuciti con filo d’oro, e dei pantaloni di fattura preziosa, il tutto realizzato in una seta grigio perla che ben si intonava col suo etereo pallore. I suoi corti capelli argentei, morbidi e leggermente ondulati, stavano disciplinati in un’acconciatura elegante nella sua semplicità. E gli occhi, grandi, dal taglio deciso, erano dello stesso indaco di quelli del mago.

Ma il tratto più strabiliante erano le grandi ali piumate che, dalla schiena della Principessa, rimanevano appena scostate dal suo corpo, dando l’impressione che fosse avvolta in un soffice mantello bianco.

Yu, incantato, si esibì in un profondo inchino, ma non riuscì per un istante ad impedirsi di guardare quella fanciulla radiosa. Lei, d’altra parte, non ne parve offesa e, rivolto un radioso sorriso ad Azadrath, si precipitò ad abbracciarlo.

“Azadrath, vecchio furfante! Non lasciarmi più qui da sola così, senza dir niente” esclamò, accarezzandolo sul petto coriaceo. Al pari delle sue apparenze, la sua voce era forte, decisa.

Azadrath non rispose, e si limitò a sorriderle di rimando, con aria paterna.

Il mago, sentendosi di colpo molto fuori posto, si allontanò di un passo dai due e si ingobbì un po’ per sembrare più piccolo.

“E guardati, come ti sei conciato! Queste tue marachelle mi faranno morire per il dispiacere, un giorno di questi!” continuò a rimproverarlo bonariamente lei. “Vediamo di trovare al più presto qualcosa per queste ferite, eh?” terminò, staccandosi dal drago per guardarlo negli occhi.

Quello sorrise e con una zampa indicò l’imbarazzato Yu.

“Avevo buone ragioni per lasciarti così bruscamente, Principessa. Credo di averti appena trovato un nuovo alleato. E’ penetrato nella Zona Buia, non lavora per i tuoi nemici, ed è la Voce di un Drago Celeste. Di certo, il suo aiuto ti sarà inestimabile” spiegò.

A quelle parole, la donna si volse con aria vagamente sorpresa verso il giovane, che nulla di meglio avrebbe potuto chiedere, in  quel momento, se non di sprofondare nei recessi stellati del paesaggio.

“Yulannath dei Due Draghi, per servirvi. Ma Yu è sufficiente” bofonchiò, arrossendo.

La Principessa sorrise, e chinò a sua volta il capo, in segno di saluto.

“Perdonami per l’accoglienza poco cortese, Yulannath” si scusò. “Da molto tempo a questa parte, gli unici abitanti di questo palazzo, e del mio intero regno, siamo io e il mio Azadrath. Per quello che può valere un titolo in frangenti come questo, io sono Arshilenne, ultima legittima Principessa dell’Impero Astrale Luminal. Ti prego di essere mio ospite, almeno per oggi; io e te abbiamo molte cose di cui parlare, e sento che tu sei alla ricerca di molte risposte”.


Angolo dell’autore: nuovo capitolo, nuovo personaggio. Ho pensato di deviare un po’ dal solito cliché della leggiadra principessa in sottana, per puntare su qualcosa con un po’ più di carattere. E un po’ di nuovi interrogativi (be’, spero di aver messo qualche pulce nell’orecchio ò.ò”) su Yu e i Viaggiatori, buoni e cattivi. Un po’ alla volta, le risposte arriveranno, e altri personaggi faranno il loro ingresso sulla scena. E magari anche i cattivi avranno un po’ di spazio sul palco. Perché ogni tanto ci vuole (muhahaha!), checché io tifi sempre per i buoni. ù.ù

 

Che altro dire? Rinnovo ancora il mio ringraziamento a tutti coloro che mi hanno fatto l’onore di leggere il mio racconto, in special modo a Zest e Lunastorta94 per le recensioni incoraggianti di cui mi hanno omaggiato *3*

Oh, e un grazie (sto diventando ripetitivo é_è) anche a tutti coloro che hanno inserito Ars Arcana fra le storie seguite / da ricordare / preferite. Vi cuoro tanto tanto. *.*


Gaaah! Sono una frana nelle relazioni col pubblico! @_@

 

Ma ora basta delirare, ché mi devo laureare. Q.Q *torna a studiare per il suo ultimo esame universitario*

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Capitolo 7
*** Luminal ***


Ars Arcana, Capitolo VII

Luminal

 

 

Arshilenne guidò Yu fra i corridoi del suo onirico palazzo, fino ad un’ampia veranda, da cui si poteva ammirare il variopinto paesaggio della Frontiera; sarebbe stato uno spettacolo oltremodo corroborante, non fosse stato per l’immane cortina di oscurità che tremolava in lontananza.

Inoltre, un altro elemento turbava il giovane mago: la dimora della Principessa era una delle cose più belle che avesse mai visto, ma era vuota. Nessun servitore, nessun dignitario, nessuna corte: solo Arshilenne, Yu e Azadrath, che comunque era rimasto nel cortile per riposarsi.

Tuttavia, quando la Luminal lo fece accomodare su una poltrona di vimini (checché dal colore sembrasse fatta di cristallo, come ogni altra cosa in quel mondo strano), sul tavolino di fronte a lui si trovavano due tazze e una teiera fumante.

Yu si sedette e attese che la donna si accomodasse di fronte a lui e gli facesse cenno di servirsi, prima di cominciare a parlare.

“Perdonate l’indiscrezione… ma non ho visto nessuno in questo palazzo. Voi e Azadrath siete i soli abitanti?” domandò, versandosi del tè.

Arshilenne gli rivolse un sorriso amaro e annuì. “Sì. Sono l’ultima abitante del mio regno. Sto perdendo la guerra”.

“Azadrath ha accennato ad un conflitto. Ma chi mai avrebbe potuto privarvi del vostro regno e dei vostri sudditi?”

La Principessa si portò la tazza vicino al viso, vi soffiò sopra e bevve un piccolo sorso del contenuto, indi, con calma, rispose: “Un tempo, Astrelia era un luogo meraviglioso, e il nostro era l’Impero uno dei più grandi e fiorenti che fossero mai esistiti in tutti i mondi. A quel tempo, eravamo conosciuti come Asterinal” fece una pausa e volse lo sguardo verso l’impenetrabile muro di oscurità, distante, ma incombente. “Nulla sembrava poter ostacolare la nostra crescita; Astrelia è uno spazio illimitato, e noi avevamo imparato a plasmarla secondo i nostri desideri. La nostra capacità di controllo sul nostro mondo era tale da permetterci di accogliere e respingere i Viaggiatori di altri mondi a nostro piacimento. Siamo sempre stati esperti nell’arte del passare il Confine, e all’epoca del nostro splendore, ci consideravamo dei custodi: a noi era stato dato il potere di controllare il potere del Viaggio, poiché ogni Viaggiatore che apre un varco, lo fa attingendo al potere di Astrelia. Credevamo che il nostro compito fosse quello di custodire la pace fra i mondi, impedire che qualcuno abusasse del suo dono”.

Yu bevve un altro sorso di tè e annuì. Era strano pensare che quella specie di favola che la Principessa gli stava narrando fosse, in un certo senso, anche la sua storia, ma in quel momento si sentiva la testa talmente leggera che liquidò la questione dicendosi che umano o Luminal era sempre la stessa persona. Naturalmente, una volta che fosse stato più lucido accettare tutto quanto sarebbe stato più impegnativo, ma un passo alla volta ne sarebbe venuto a capo.

Arshilenne continuò: “Questo facemmo per molto tempo. E i Viaggiatori accettarono la nostra autorità; Viaggiatori da tutti i mondi venivano alla nostra capitale a portarci i loro doni, in segno di amicizia, e ad imparare i sentieri per raggiungere mondi sempre più lontani dai loro. Ma alla fine, il nostro potere ci fece cadere in tentazione: cominciammo a pensare che era giusto che i Viaggiatori, a rappresentanza dei loro mondi, ci omaggiassero, ed arrivammo a considerarli nostri vassalli. La famiglia reale divenne ambiziosa, e la loro ambizione infiammò i cuori della nostra gente.

“Tuttavia, anche a palazzo vi era chi non riteneva giusto il cammino che gli Imperatori stavano imboccando, perciò radunarono tutti coloro che non si erano lasciati sedurre dalla nostra potenza, e si separarono dall’Impero Asterinal. Erano i miei antenati… e anche i tuoi, giovane Yu. I primi ad essere noti col nome di Luminal” fece una pausa e sospirò, scrutando il fondo della sua tazza come se potesse trovarvi risposte a qualche grande interrogativo.

Yu la lasciò fare, ma visto che il suo silenzio si prolungava (il che lo imbarazzava parecchio), chiese: “Dunque… vi fu una guerra fra Asterinal e Luminal?”

Arshilenne batté le palpebre e si riscosse. Indi sorrise con aria un po’ colpevole e riprese il racconto: “Non all’inizio. I Luminal erano pochi, e l’Impero molto grande. Non rappresentavano un problema, ed erano contrari alla violenza. La guerra, tuttavia, si scatenò in centinaia di mondi. La Frontiera fu chiusa, solo le forze imperiali e i loro alleati potevano attraversare il Confine: colpivano e si dileguavano, veloci e letali. Innumerevoli popoli furono assoggettati; coloro che non si arresero, vennero distrutti, nel nome dell’armonia fra i mondi, di cui l’Impero era custode. Ma era evidente che ormai quella retorica serviva solo a giustificare una guerra di conquista. La corruzione indurì i loro cuori, e tinse le loro ali di nero. Gli Asterinal divennero quelli che ora sono i miei nemici. Divennero Noxinal”.

Pronunciò quell’ultima parola a bassa voce, come se il suono per lei fosse doloroso o insopportabile.

Il mago appoggiò la tazza sul tavolo, e incrociò le braccia sul petto, osservando con attenzione la Principessa.

Finalmente, le cose cominciavano ad acquistare un senso: ecco chi erano i Demoni Evanescenti, i Viaggiatori tanto paventati da Rangrin.

Noxinal…

Guardò per un attimo l’oscurità, lontana, famelica; loro erano lì. Quel mondo oscuro era il dominio degli eredi dell’Impero Asterinal.

“Fu a quel punto che scoppiò la guerra civile” riprese lei. “I Luminal dichiararono decaduto l’Impero, e si ribellarono, e non essendo influenzati dal Divieto imposto dagli Imperatori, poterono radunare le forze di molti mondi contro i Noxinal. L’Impero era sul punto di crollare, quando i nemici ridotti alla disperazione, scatenarono l’Oscurità perché inghiottisse tutta Astrelia, intrappolando per sempre sia Noxinal che Luminal nella Zona Buia, e segnando la fine di ogni Viaggio. Sotto il peso dell’Oscurità, Astrelia collassò su se stessa, e i collegamenti fra i mondi si interruppero. Sarebbero svaniti del tutto, se all’ultimo momento, la Regina Luminal, Eylanne, non avesse sacrificato la sua vita per salvare almeno una piccola parte dell’antico Impero”.

“Quindi… questa regione...?” cominciò Yu, sbalordito.

Arshilenne annuì, triste. “E’ come pensi, giovane Yu. E’ tutto ciò che rimane della grande e potente Astrelia” disse. “E io, temo di essere l’unica cittadina rimasta nella nazione Luminal. Eylanne era mia madre, e da quando lei è scomparsa ho ereditato il compito di mantenere collegati quei pochi mondi che ancora non sono stati separati dall’Oscurità” proseguì, alzando un poco il mento con fare orgoglioso. “Ma devo confessare che ultimamente è diventato sempre più difficile. La Zona Buia si espande, e i Noxinal hanno trovato il modo di abbandonarla. Non possono entrare qui, il mio potere protegge ancora questo luogo, ma temo che siano di nuovo in grado di raggiungere i mondi più vicini” ammise, a malincuore.

A quelle parole, il mago sgranò gli occhi.

“La Terra… e l’Inframondo!” esclamò, con un filo di voce.

La Principessa annuì.

“Temo che vogliano far dilagare l’Oscurità nei due mondi gemelli… se ci riusciranno, mi troverò circondata da tutti i lati, e il peso della Zona Buia mi schiaccerà. Astrelia cesserà di esistere per sempre, così come i Viaggiatori. I Noxinal avranno vinto” sentenziò, cupa.

“Ma… gli altri Luminal?” domandò Yu, agitato. Non gli piaceva come la questione si presentava… la superiorità dei Noxinal non poteva essere così schiacciante! “Dove sono finiti? Non è possibile che ci siate solo voi… che siano tutti…” non finì la frase, e si limitò a guardare la Luminal con fare quasi implorante.

Arshilenne gli rivolse un sorriso rasserenante.

“No. Sicuramente alcuni saranno sopravvissuti. Ma quando mia madre morì, vaste regioni di Astrelia furono catapultate su mondi lontani. Tu sei il primo Luminal a far ritorno alla Frontiera. Forse, un giorno, altri ti seguiranno… ma dall’inizio della Grande Guerra, sei l’unico che io abbia visto” rispose.

Il giovane si morse il labbro. Era una notizia buona solo a metà: il popolo Luminal esisteva ancora… ma era sparso chissà dove nel caos dei mondi. E con l’Oscurità a separarli, non potevano tornare! Chissà quanti di loro erano Esuli, come lui, e non avevano idea di chi fossero, né da dove venissero.

Si passò una mano davanti al viso, esasperato dalla situazione e dalla quantità di informazioni con cui era stato bombardato, indi trasse un profondo respiro.

“L’Oscurità… non è inamovibile, vero? Se può avanzare, può anche regredire” ipotizzò poi, guardando la Principessa con fare interrogativo. Non gli piaceva affatto la strada sulla quale quel ragionamento l’avrebbe condotto; ma non aveva scelta, dopo tutto. Non poteva ignorare quello che stava accadendo, non dopo aver ascoltato la storia di quello che probabilmente era il suo popolo.

Arshilenne lo osservò un attimo, come se dentro di sé lo stesse valutando, indi annuì.

“Allora deve essere ricacciata indietro” sentenziò Yu. “Come si fa?”

La Luminal gli sorrise, e al mago parve che un raggio di luna fosse entrato nella stanza.

“Tu non vuoi essere un eroe. Non hai mai voluto” osservò, con semplicità.

L’altro si sentì arrossire.

“Beh, io… è vero. Non sono coraggioso” ammise, sentendo le guance e le orecchie diventare sempre più calde. “Non lo sono mai stato… e non mi caccerei in questa storia, se avessi scelta. Ma…” deglutì. “Siamo solo io e voi… e i due mondi gemelli… sono la mia casa, anche se tecnicamente, voi dite che questa è casa mia. Ma vedete, sono i luoghi in cui sono cresciuto; e non ci tengo a vederli diventare parte della Zona Buia. Non sono un eroe, ma alla fine, credo che sia normale che ognuno faccia ciò che può per proteggere casa sua, no?” farfugliò velocissimamente, abbassando lo sguardo sulle dita, che intrecciava e si torceva febbrilmente. “E poi” aggiunse, quasi in un sussurro “voi sembrate così sola e malinconica. Vorrei fare qualcosa per aiutarvi”.

Abbassò lo sguardo, sapendo che quanto aveva appena detto suonava maledettamente stupido. D’altra parte, stanco, spaventato e imbarazzato com’era non avrebbe certo saputo formulare il pensiero in un modo migliore. Non era nemmeno certo che esistesse  un modo meno stupido di dire una cosa simile.

 

Malgrado la sua tristezza, Arshilenne continuò a sorridere. Quell’Esule era la creatura più strana che avesse mai incontrato; forse era dovuto al semplice fatto di aver ritrovato un suo simile, dopo tanto tempo, ma quel giovane così indeciso e forse un po’ fifone le scaldava un poco il cuore.

Inoltre, di rado il suo Azadrath si sbagliava: il mago di certo valeva di più di quanto lui stesso non volesse ammettere, e di lì a poco l’avrebbe realizzato. Era normale che in quel momento fosse così insicuro: lei stessa si era sentita schiacciare dal peso della sua responsabilità, quando si era ritrovata sola nel palazzo.

Poverino, pensò: probabilmente, avrebbe di gran lunga preferito continuare a credere di essere un semplice Viaggiatore, e lasciare a qualcun altro la responsabilità di volgere le sorti della Guerra Astrale a favore dei Luminal. Ma ormai, volete o nolente, c’era dentro fino al collo.

Lentamente, si alzò dalla sua poltrona e, silenziosa e leggera, si portò di fianco al giovane e gli mise una mano sulla spalla. Quello, in risposta, diventò ancor più rosso e la guardò di sfuggita.

“Sei coraggioso a offrirti di aiutarmi. Vali molto più di quanto tu non creda, amico mio” gli disse, sorridendogli e stringendogli la spalla, nel tentativo di dargli almeno un po’ di sicurezza. “Purtroppo, non so con esattezza come la Zona Buia si espanda, né come farla regredire. Azadrath dice che la Luce di un altro mondo può perforare l’Oscurità, ma più che questo non sa. Ma una cosa è certa: bisogna proteggere i mondi gemelli dalla sua avanzata… e chissà, con un po’ di fortuna, riusciremo a trovarla, questa Luce. Forse è qualcosa di reale, o forse significa solo che dobbiamo allearci coi popoli di quei mondi, lo scopriremo solo tentando” spiegò.

 

Yu guardò le dita pallide della Principessa, e con lo sguardo ripercorse tutto il suo braccio sottile, fino a incrociare gli occhi luminosi di lei.

Stava per dirle una cosa che gli era improvvisamente venuta in mente, chissà da dove e chissà perché, ma un’improvvisa fitta al petto gli mozzò il fiato.

Sconcertato, si piegò in due per il dolore e si portò una mano al cuore, che gli sembrava di colpo essersi incendiato: era come se stesse bruciando da dentro… o come se qualcosa dentro di lui, qualcosa di incandescente stesse facendo di tutto per uscire, compreso consumare il suo corpo, se fosse stato necessario.

La voce della Principessa, che lo chiamava, allarmata, lo raggiungeva appena, coperta all’improvviso da un frastuono inspiegabile, un boato di origine sconosciuta e di infinita potenza, giunto come un’ondata improvvisa dai recessi della sua mente.

Gemette, e cadde sul pavimento, dove si raggomitolò, impotente, nel tentativo di proteggersi da quel dolore inspiegabile, che si stava rapidamente estendendo a ogni angolo del suo corpo. La sua vista si offuscò e avvertì, con un vago, disperato sollievo, che presto avrebbe perso i sensi, e la tortura sarebbe finita.

Tuttavia, anche nel caos di quel tormento, riuscì a capire ciò che stava succedendo: sentiva che il suo corpo perdeva peso, come se una forza invisibile lo stesse sollevando da terra. Sentiva un aria diversa, non avrebbe saputo dire in che modo, spirare da sopra di lui, l’aria di un altro mondo.

Contro la sua volontà, senza che potesse opporsi, stava varcando il Confine.

 

Completamente atterrita, Arshilenne si inginocchiò accanto al mago. Non aveva idea di cosa gli fosse preso: un istante prima sembrava relativamente in salute, e un attimo dopo, eccolo agonizzante sul pavimento!

Provo a parlargli, a scrollarlo per una spalla, persino a recitare degli incantesimi per lenire il dolore. Tutto inutile. Il giovane sembrava non trarre alcun giovamento dai suoi tentativi.

Prima che potesse escogitare un approccio meno diretto alla questione, avvertì il Confine assottigliarsi sempre più, e una forza misteriosa farsi sempre più grande nel corpo del mago.

Sopra di loro, l’aria si increspò, e, alzando lo sguardo, la Principessa vide il fantasma di un mondo materializzarsi sopra le loro teste.

Sbalordita, guardò alternativamente Yu e il portale con occhi sgranati. Come era possibile, per quanto esperto potesse essere quel ragazzo, che in condizioni simili riuscisse ad aprire un varco? E perché proprio su quella distesa deserta di neve e rocce?

Era talmente sorpresa che le ci vollero diversi secondi per accorgersi che una colonna di luce viola li aveva avvolti, e che il mago stava venendo risucchiato nell’altro mondo.

Le domande a più tardi, pensò, alzandosi in piedi e spiegando le ali candide. Concentrandosi, tese una mano verso il portale, con fare regale, e gli intimò mentalmente di chiudersi.

Ma il varco continuò ad attirare il giovane svenuto, come se niente fosse.

“Impossibile!” esclamò la Luminal, indietreggiando di qualche passo.

Non aveva mai fallito nel chiudere un varco… che fosse opera dei Noxinal? No, si disse, era impossibile: lì non avevano potere, e il luogo su cui il portale si affacciava di certo era al di fuori della Zona Buia. Ma allora, che stava succedendo?

“Yulannath! Yu!” chiamò a gran voce.

Ma il giovane aveva perso i sensi, e non aveva più controllo su quanto stava accadendo di quanto non ne avesse lei.

E sotto il suo sguardo incredulo, sparì nell’altro mondo

 


 

Angolo dell’autore: un capitolo un po’ più breve del solito, e probabilmente assai meno denso di azione. D’altra parte, ho sempre optato per un ritmo narrativo piuttosto lento. Spero che la brevità lo renda meno faticoso da leggere, visto che si sono dette diverse cose sui Luminal.

 

Di nuovo rinnovo il mio invito: se avete il tempo, ditemi le vostre impressioni, non mordo. Giuro! XD

Se avete il tempo, fatemi sapere cosa ne pensate, di questo parto della mia mente malata, ve ne sarò grato. A presto, e grazie per aver letto il mio racconto!

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Capitolo 8
*** Yudrazath ***


Ars Arcana, Capitolo VIII

Yudrazath

 

 

 

Eidrath balzò fuori dalla neve come se fosse stata acqua, ancora avvolto dall’alone bianco che aveva protetto lui e il nano dalla valanga.

Non appena la creatura atterrò sulle robuste zampe posteriori e lo liberò dalla sua stretta, Rangrin balzò via, la barba e i capelli tutti arruffati, il petto gonfio di indignazione e le guance rosse come carboni ardenti.

“Ma dico!” sbottò, spazzolandosi tutti i vestiti con aria disgustata. “La prossima volta, prima mi spieghi cosa vuoi fare, poi mi abbracci, e comunque, solo se io ti do il permesso, testa brinata!”

Scusa?” fece il drago, indignato. “Le valanghe non aspettano, per tua informazione. O preferivi finire come i tizi fuori dal castello?” scandì, impettito, alzandosi sulle zampe posteriori e puntando un artiglio al petto del nano con fare inquisitorio.

“Bah!” fece Rangrin, incrociando le braccia e alzando il mento. Però distolse lo sguardo.

Eidrath sospirò e si rimise su quattro zampe. “In ogni caso, sarà opportuno trovare un posto più riparato. Sulla neve sei fin troppo evidente, e di certo qualcuno verrà a controllare la zona: non serve certo il sesto senso di un drago, per capire che la cosa non è affatto normale” considerò. “Se non altro, con tutta questa neve sarà più facile scavalcare le mura” aggiunse, guardando l’Accademia.

La neve che era scesa dalla montagna si era accumulata tutto attorno alla fortezza, soprattutto sul lato a monte, creando una sorta di rampa naturale.

“Renderà le cose più facili anche agli Euxeliani” bofonchiò il nano, lisciandosi la barba. “Anche se suppongo che non ci siano alternative…” osservò, guardandosi attorno. Degli alberi, ormai, si vedevano solo le cime, di certo non sarebbe stato possibile nascondersi tra le piante. Inoltre, col buio le temperature sarebbero scese ancora, per non parlare del fatto che un’altra tormenta poteva scatenarsi da un momento all’altro. Scendere in paese, poi, era fuori discussione: già lui solo avrebbe attirato parecchio l’attenzione, figurarsi poi come avrebbe reagito la gente vedendolo andarsene a spasso con un drago. “Bah” bofonchiò infine, scacciando le preoccupazioni con una scrollata di spalle. “In ogni caso, là dentro sarà più comodo. Avremo cibo e di certo riposerai meglio; vogliamo che torni a volare il prima possibile, no? Io non sono un gran guaritore… ma alla fine, le tue ali sono un po’ come il mio pallone. Magari le posso ricucire un po’…” rifletté, prendendo un’ala del drago e studiandola con fare clinico.

Eidrath, in risposta, sgranò gli occhi e diede uno strattone per sottrarla alle manacce di quello svitato di un nano.

“Palloni? Cucire? Sono un drago, non una bambola di pezza!” esclamò, indignato, lisciandosi l’appendice lesa con una zampa. Quel piccoletto era fuori di testa!

“Come credi che si sistemino le ferite, senza magia?” lo rimproverò l’aviatore. “Sei o non sei un drago adulto? Per gli antenati, comportati da uomo! E’ solo un ago e un po’ di filo, non morirai. O ti aspetti di riuscire a trovare qualcuno che possieda incantesimi curativi in questa situazione?”

La creatura si ingobbì e si rabbuiò, abbassando le orecchie; ma, non avendo alcun valido argomento da opporre, si limito a mugugnare il suo consenso.

“Un po’ di coraggio, su, ragazzo mio!” continuò il nano, apparentemente gratificato dall’edificante paternale che stava propinando al drago, stringendo un pugno con fare teatrale. “Un vero uomo… ehm…” si interruppe e lo studiò un attimo il suo interlocutore. “Uhm… be’, quello che sei. Un vero coso adulto come te affronta le cose a testa alta. Con onore, per gli Antenati!” esclamò, battendosi il pugno sul palmo dell’altra mano. “Considerala parte della tua prova, ragazzo”.

Eidrath lo ascoltò con scetticismo e una smorfia sul muso. La prospettiva di ricevere quelle cure così barbariche non lo allettava minimamente.

“E… guarirò più in fretta, se ti lascio fare questa cosa?” domandò, titubante. Non riusciva a credere di stare davvero prendendo in considerazione l’ipotesi fare come il pazzoide diceva.

“Orpo!” rispose quello. “Vuoi scherzare? Tornerai come nuovo in men che non si dica, parola di nano”.

Il drago sbuffò dalle narici e guardò da un’altra parte. “Va bene, va bene… adesso muoviamoci, però” borbottò, avviandosi verso la fortezza.

 

Anche con l’aiuto della neve, per Rangrin fu un’esperienza frustrante. Per qualche ragione a lui ignota, quel lucertolone ipertrofico non sprofondava minimamente nella coltre bianca, anzi, vi camminava sopra come se fosse senza peso… al contrario di lui, che si sentiva sprofondare nella gelida sostanza fino al ginocchio ad ogni passo. L’aria vagamente seccata con cui ogni volta Eidrath si voltava, sospirava e alzava gli occhi al cielo prima di aiutarlo gli faceva venir voglia di strangolarlo.

Le difficoltà non finirono quando, faticosamente, giunsero sotto le mura: il drago si accoccolò come un gatto e, con un potente balzo, si aggrappò ai merli del castello e, aiutandosi con qualche colpo d’ala, si issò oltre il bordo, indi si voltò con un’espressione curiosa che lo rendeva maledettamente simile ad un gatto per osservare i futili tentativi del nano di seguirlo.

Rangrin, non volendogli dare tanto presto la soddisfazione di chiedergli aiuto, si impegnò molto, e saltò tanto in alto quanto le sue corte gambe gli permettevano, ma finiva per sprofondare ogni volta che atterrava. Inoltre, la neve soffice smorzava il suo già scarso slancio.

Fortunatamente per lui, il drago si stancò presto di quel gioco, e con agilità felina si sporse oltre gli spalti, lasciò scivolare le zampe anteriori sulla pietra e si spinse in avanti con le posteriori. Poi si sollevò in stazione eretta e, appoggiandosi al muro per mantenere l’equilibrio, esortò il compagno: “Coraggio, arrampicati. Cerca solo di non farmi troppo male, va bene?”

Rangrin grugnì qualcosa che Eidrath interpretò come un ringraziamento e si inerpicò su per la scala improvvisata.

Finalmente sugli spalti, esaminò il cortile: era fondamentalmente come l’avevano lasciato, pieno di neve. Non c’erano impronte nuove, il che significava che nessun altro vi aveva messo piede.

Dove diavolo sei andato a finire, ragazzino?, pensò, rabbuiandosi.

“Allora…” fece il drago dopo un po’, riscuotendolo da quell’improvvisa malinconia che non si riusciva a spiegare. “Dove possiamo sistemarci?” domandò, guardandosi attorno con curiosità.

Il nano optò per la torre che aveva colpito col suo pallone: era abbastanza spaziosa, aveva una vaga idea di come fosse fatta… ed era il primo posto in cui Yu, se fosse tornato, l’avrebbe cercato.

Era assurdo che la sorte del piccolo Demone lo preoccupasse tanto:  Eidrath, una volta guarito, gli sarebbe stato molto più utile della fumosa promessa del mago; ma per qualche stupido motivo che non riusciva minimamente ad afferrare, gli importava della sua sorte.

Ma finché il ragazzo non si fosse fatto rivedere, la priorità andava al drago, senza dubbio. Almeno, con lui aveva un’idea, anche se un po’ vaga, del da farsi.

Lo fece accomodare nella sala dove Yu aveva soccorso lui, e, dopo avergli raccomandato di non ficcanasare in giro e di non rompere niente, cominciò a frugare in giro per la torre, alla ricerca di qualunque cosa potesse tornargli utile per medicare il drago. Diverse volte gli parve di intravedere un gatto nero guardarlo con ostilità, ma l’animale non si mostrò aggressivo(Aver paura di un gatto? Ma come sono ridotto?), e il nano decise di ignorarlo.

Si imbatté in vari intrugli, erbe e polveri di cui non conosceva l’uso, e che preferì non sperimentare in quella sede; prese, invece, una bacinella, degli stracci, del sale, acqua e, dalla sua cassetta degli attrezzi, ago e filo per ricucire le ali al giovane drago.

Medicarlo si rivelò una vera impresa: non solo Eidrath, che, in quanto creatura del gelo non amava gli oggetti roventi, cercò di sgattaiolare fuori dalla torre quando vide Rangrin mettere a bollire l’acqua, ma svariate volte soffiò o scoprì i denti mentre gli puliva le ferite, sulle ali e non.

Quando poi il nano cominciò ad applicare i punti (la membrana alare gli ricordava davvero tanto il suo pallone), il drago gli mollò una zampata sul naso e balzò via, appallottolandosi un angolo della stanza, ostile.

“Che diamine!” sbottò Rangrin, massaggiandosi la parte lesa, gli occhi lacrimanti per il dolore. “Mi spieghi perché l’hai fatto?”

“Perché mi hai fatto male, zuccone!” replicò Eidrath, stizzito, tenendo le ali ben chiuse, e fuori dalla portata di quel macellaio. “Pensavo che volessi farmi star meglio!”

“Che… urgh!” grugnì il nano, tirandosi la barba per la frustrazione. “Come ti aspetti che metta i punti, con le buone intenzioni? Ho un mano un ago, è ovvio che punge. Ora, sopporta un po’ questo fastidio e ti prometto che poi starai meglio” lo rimproverò.

Il drago, imbronciato, si ritrasse ancora di più.

“Non farmi arrabbiare… vieni qui e fatti medicare, aquilone squamato” ringhiò l’aviatore. Il drago ringhiò sommessamente, e sbuffò dal naso, ma alla fine obbedì e si avvicinò, con passo strascicato e l’espressione di qualcuno che va incontro al boia. Nondimeno, dopo la lavata di capo sopportò le  cure con molto più contegno.

Finito il lavoro, Rangrin tirò un sospiro di sollievo e si sedette sul pavimento. Era stato più faticoso del previsto: le lesioni erano tante, e quelle più vicine alla schiena erano complicate da raggiungere.

Eidrath si guardò le ali con aria affranta.

“Via, via, non fare quella faccia. Adesso hanno un brutto aspetto, ma nel giro di qualche giorno vedrai che miglioramenti” lo incoraggiò il nano. Probabilmente i punti che aveva messo non erano della miglior specie, ma erano sempre meglio di niente. “Odio fare la bambinaia” aggiunse subito dopo, giusto perché il drago non si facesse strane idee.

Ma quello si limitò a sospirare e ad accoccolarsi sul pavimento.

“Credo che sia un buon segno” disse dopo un po’, con aria vagamente trasognata. “La valanga, intendo”.

“Be’, ci ha risparmiato qualche seccatura, sì. Ma potevo anche restarci secco, se non mi proteggevi” rispose il nano, armeggiando col caminetto.

La creatura annuì e borbottò qualcosa nel suo astruso linguaggio, e subito dopo crollò addormentata.

Rangrin gli rivolse un’occhiata vagamente perplessa, indi tornò a concentrarsi sul fuoco.

“Bambinone” borbottò.

 

Il pomeriggio scivolò via piatto, e il sole tramontò senza che Eidrath si svegliasse. Solo quando fu buio, un nuovo boato gli fece riaprire gli occhi. Sembrava quello che avevano udito prima della valanga, eppure vi era anche qualcosa di diverso: sembrava risuonare nell’aria, come se non venisse da alcun punto nello specifico… come se l’intera valle stesse tuonando.

Rangrin alzò lo sguardo al soffitto, circospetto: non voleva certo restare schiacciato da un crollo. Poi guardò Eidrath. Anche lui pareva stupito, ma non spaventato… e, in qualche strano modo, concentrato… anche se per il nano era assai difficile decifrare le sue espressioni da rettile.

“Che fracasso. Speriamo non ci crolli tutto addosso” buttò lì, per attirare l’attenzione del drago. Quello non lo guardò, ma gli rispose: “Il Drago della Valle dorme male, stanotte”.

Rangrin non capì, ma dall’aria assorta del suo interlocutore dedusse che non sarebbero arrivate risposte più illuminanti, finché il frastuono non fosse cessato (d’altra parte, perfino lui sapeva che parlare per indovinelli era nella natura di ogni drago), perciò si avvicinò ad una finestra per guardare cosa accadeva fuori.

“Speriamo solo che rigirandosi non ci schiacci” brontolò verso il buio.

 

***

 

La parte più difficile fu riaprire gli occhi.

C’è del lavoro da fare.

Ma stava così bene, sdraiato!

Cose serie. Non c’è tempo per esser pigri.

Proprio no, era vero.

Ringhiò sommessamente per il disappunto, e uno alla volta, schiuse i suoi occhi color turchese.

Era buio. E freddo. Ma nessuna delle due cose lo spaventava: era buio, perché era notte, ed era freddo perché era inverno. Nulla di fuori dall’ordinario, a parte lui.

Inspirò profondamente, dopo tanti anni, lasciando che l’aria notturna gli riempisse i polmoni. Quel soffio fresco pervase il suo corpo robusto e al tempo stesso sinuoso, e bastò a spazzare via quasi tutto il sonno.

Un po’ goffamente, si alzò a sedere e si stiracchiò; sbadigliò, mostrando i denti affilati, poi si passò una mano nella folta criniera argentata.

Volse lo sguardo al cielo e sospirò. Eh, sì… era proprio ora di mettersi al lavoro, non c’erano scuse.

Ancora un po’ barcollante, si alzò in piedi. Una bella scampagnata per il cielo, ecco cosa ci voleva.

Sotto di lui, la valle brontolò.

“Sono sveglio, sono sveglio” assicurò Yudrazath. “Ho capito l’antifona. Avrò pur diritto ad un attimo per rimettermi in sesto?”

La terra mandò un secondo brontolio, ma più breve e sommesso.

“Bene” borbottò la creatura, guardandosi attorno. Le ci volle poco ad orientarsi.

Era piuttosto lontano dal suo obiettivo, ma in volo ci sarebbe arrivato in un batter d’occhio. C’era tutto il tempo per una passeggiata.

La sua lunga coda guizzò per l’emozione. Piegò le robuste gambe e chiamò a raccolta le forze. I suoi lunghi baffi ondeggiarono come privi di peso, catturando guizzi di luna.

Infine, spiccò un salto, e impose al suo corpo robusto la leggerezza del vento. Subito delle fiammelle verdi si accesero nell’aria e cominciarono a danzargli attorno.

Yudrazath le ignorò: ci era abituato, erano solo una manifestazione visibile del suo potere spirituale. E poi, dare un po’ di spettacolo non gli dispiaceva.

Senza bisogno di ali, volteggiò senza peso fino a raggiungere le nuvole, muovendosi quasi come se stesse nuotando, lasciando che l’estasi del volo, che non si concedeva da tanto tempo, si impadronisse di lui.

Per un po’, scivolò qua e là senza meta, lasciandosi guidare dal suo capriccio, tracciando eleganti curve nel firmamento.

Rise, pensando che ben poche creature erano maestose e sciolte quanto lui nel volo. Non gli sarebbe affatto dispiaciuto avere qualcuno con cui giocare, in quel momento… ma il cielo era vuoto, fatta eccezione per qualche sporadico rapace notturno o pipistrello.

La terra protestò di nuovo, e lui perse qualche metro di quota, di colpo.

“Va bene, va bene, ho capito. Vado, vado” brontolò, guardando in giù, imbronciato. Mai che potesse concedersi un po’ di divertimento. Era quasi sempre o lavoro, o dormire.

Nondimeno, si abbassò un po’, e lasciò che la terra lo guidasse, ma essa stessa era un po’ confusa. Il problema, sentì, era più complicato della sensazione immediata, ma porre rimedio alla questione più evidente era certamente il primo passo anche su più vasta scala.

Sbuffò. Odiava le questioni arzigogolate. O meglio, odiava doverci porre rimedio. A dire la verità, finché non lo concernevano, le trovava anche piuttosto stimolanti: solleticavano il suo intelletto. Non fosse stato ciò che era, e non ne fosse stato così maledettamente orgoglioso (d’altra parte, come non esserlo?), ci avrebbe sputo fare. Ma detestava trovarsi invischiato in questioni tanto meschine, e di solito preferiva il tipo di problema che si poteva risolvere applicando una buona dose di forza bruta.

Fece un brusco avvitamento, stizzito, sprizzando scintille verdi tutto attorno, e accelerò, portandosi in prossimità del suo obiettivo. Fu con grande, grande disappunto che li trovò dispersi nel paese. Sulfuracque, o così si chiamava l’ultima volta che l’aveva visto. Chissà se aveva ancora lo stesso nome, dopo tanto tempo?

Li sentiva, gli stranieri, impuri, mescolati alla gente della valle, non immacolata, ma non certo così corrotta; erano nelle loro case, nelle loro stalle, nelle loro locande, dappertutto. Tanti. Troppi, si disse con fastidio.

Ma, d’altra parte, non erano loro ad essere il problema principale, né erano, in effetti, il suo principale bersaglio: quello che doveva allontanare era lo Straniero.

Non gli piaceva minimamente, e non piaceva alla valle; per dirla tutta, tutto il mondo lo schifava.

Non doveva starci, lì; non era il benvenuto. Anzi, se non ricordava male, quelli come lui erano stati cacciati via, da un bel po’.

Guizzò silenzioso fra i tetti, serpeggiò basso fra i comignoli. Lo sentiva, lo Straniero, avrebbe potuto stanarlo ad occhi chiusi, tanto stonava con il suo mondo, il suo bel mondo.

Si poggiò con delicatezza sopra l’edificio che emanava il suo sgradevole sentore. Il tetto scricchiolò appena sotto il suo peso, ma fu un rumore insignificante.

Non era solo, lo Straniero… ce n’erano altri, con lui, pesci piccoli, di bassa stregua. Sarebbe bastato fare un po’ di fracasso, in condizioni normali, perché se la squagliassero. Ma con lui, tutto cambiava: lui era forte, lui era temuto. E poi, là dentro c’erano anche uomini e donne della valle… e lui non poteva e non voleva distruggere ciò che apparteneva alla valle.

Si sedette sui talloni e piegò il capo di lato, riflettendo. Era una bella seccatura: poteva provare ad attirarlo allo scoperto, ma se si fossero scontrati lì, avrebbero potuto nuocere alle creature della valle. Ciò era proibito, e lo Straniero certamente lo sapeva, e avrebbe cercato di trarne il massimo vantaggio.

Scoprì i denti per la rabbia e strinse un pugno tanto che quasi si bucò la pelle con gli artigli.

Vorrei semplicemente sgretolare questo edificio e…

Inspirò profondamente e si impose di calmarsi. Troppe vibrazioni negative l’avrebbero tradito: lui sentiva bene lo Straniero, ma lo Straniero, nella sua ignoranza, non sentiva lui; non più di quanto non sentisse il freddo nell’aria o la terra sotto i piedi, almeno.

Sbuffò due fiammelle verdi dalle narici e si sdraiò supino sul tetto freddo, imbronciato. Gli sarebbe toccato tirarla per le lunghe… e doveva pure tirare in causa i Pezzi Grossi. Quella sì che era una scocciatura. D’altra parte, perché sorprendersi? Finiva puntualmente così, ogni volta: tutto lavoro e niente divertimento. Be’, forse non proprio ogni volta, ma spesso.

Lavoro del tipo noioso, oltretutto, pensò con una smorfia, torcendosi un baffo. Perché toccava sempre a lui muoversi per primo, poi? Era tutto tremendamente ingiusto.

Sospirò. Alla fine, si trattava di passare per il solito, collaudato iter. Mai una volta che potesse affrontare il problema direttamente, a modo suo. No, doveva fare da balia all’improbabile gruppo di salvatori di turno, andargli dietro, suggerirli sul da farsi, aiutarli quando erano in pericolo, eccetera, eccetera… quante seccature.

“Bah” borbottò, rialzandosi a sedere. “La solita storia. Se devo farlo, tanto vale che provi a divertirmi un po’…” considerò, guardando il cielo stellato.

Quello spettacolo così banale riuscì a strappargli un sorriso. Abbassò lo sguardo, e osservò la valle addormentata. Era bello… era dannatamente bello. Bello abbastanza da passare per il solito calvario ancora una volta, tutto sommato.

Un po’ meno scocciato, si alzò in piedi e riprese il volo, accompagnato dai suoi fuochi fatui, puntando verso una delle montagne, seguendo la voce della terra.

Ovviamente, il suggerimento era quasi superfluo: sapeva bene che all’interno del Santuario il suo potere era maggiore… e anche lui avvertiva quella fastidiosa cappa, come se gli fosse stato messo un coperchio sopra la testa, grande come tutto il cielo. Era già successo un’altra volta, lo sapeva, ma lui era giovane, e se lo ricordava solo vagamente… anche se, doveva ammettere, stavolta la sensazione era molto più chiara.

Che sia più grave dell’altra volta?, si chiese, scendendo tracciando piccole spirali attraverso il pozzo che dava luce al Santuario. No, non c’era motivo di pensarlo: la terra non era più allarmata di quella volta. Né aveva visto o sentito lui grosse cose che potessero farglielo pensare. La differenza stava in qualcos’altro, che al momento aveva poca importanza.

Si posò sull’altare e notò che una delle gemme mancava. La cosa non lo sorprese: era la prassi, come la sua presenza lì in quel momento.

“Ah, le tradizioni…” sospirò, falsamente nostalgico, scrocchiandosi le dita mentre faceva mentalmente il punto della questione.

Il primo passo era diradare un po’ quell’odiosa cortina che si era stesa sulla sua valle: non gli piaceva, e sapeva che non poteva venirne niente di buono. Inoltre, così facendo avrebbe anche mandato un promemoria ai Pezzi Grossi, che era un’altra delle cose da fare; e per il resto, avrebbe dovuto stare a vedere cosa sarebbe capitato ai poveretti che avevano intenzione di proteggere quella terra… e aiutarli come poteva, ovviamente. La terra ne conosceva già qualcuno… e uno di loro era un imbranato: come al solito, la fortuna era dalla sua.

Scrollò il capo e scacciò quei pensieri negativi: meglio non perdere la concentrazione.

 

Luce

 

Si librò pochi centimetri sopra la pietra, richiamando una delle fiammelle nel palmo della sua mano. Se la accosto alla bocca e le sussurrò le parole dell’incantesimo, indi vi soffiò sopra e la proiettò nell’aria, piroettando fluidamente su se stesso.

La luce crebbe di intensità, e si mosse armonicamente attorno a lui, tracciando un’ampia spirale nell’aria.

La terrà mandò un rombo profondo, e la grotta fu scossa da una leggera vibrazione; un’intensa luce verde illuminò l’abisso attorno al grande pilastro centrale.

Yudrazath rimase imperturbabile e mantenne la concentrazione sulla fiamma che aveva invocato, proseguendo la sua danza aerea, facendola muovere in cerchi sempre più ampi attorno a sé. Lentamente, la fiamma cambiò aspetto, e prese una forma serpentina, inizialmente priva di tratti distintivi, che poi si fece sempre più grande e definita, fino ad assumere l’aspetto di un drago celeste, dal corpo maestoso e sinuoso, tutto composto di luminose fiamme verdi, che percorse serpeggiando tutto il perimetro del Santuario, scendendo verso la base del pilastro, per poi risalire in un’elegante spirale ascendente.

 

Purificazione Fulgente

 

Yudrazath tornò a toccare terra, e nello stesso istante il drago emerse dal pozzo, tracciò un ultimo, stretto anello con il suo corpo allungato attorno a lui, e con un possente colpo di coda guizzò verso il cielo stellato, lontano, per sparire fra gli astri.

Per alcuni secondi non accadde nulla. Poi la creatura alzò lo sguardo al cielo e allargò le braccia, e una colonna di luce smeraldina scese dal firmamento e inondò il Santuario col suo splendore.

Yudrazath rovesciò la testa all’indietro e chiuse gli occhi, concedendosi qualche istante per godersi il benevolo tepore della presenza del Capo.

E’ quasi come… come cosa?

Un pensiero ramingo si affacciò ai margini della sua coscienza, ma guizzò via subito, e la creatura ne perse il filo. Probabilmente nulla di rilevante, si disse.

Tuttavia, la distrazione fu sufficiente a riscuoterlo dal suo torpore e fargli percepire la stanchezza: l’invocazione l’aveva provato parecchio, e doveva riposarsi, se intendeva aiutare ancora gli improbabili difensori della valle.

 

***

 

Turm si svegliò di soprassalto, interrompendo sogni irrequieti che non riuscì a rammentare.

Dove si trovava? E come ci era arrivato? La testa faceva così male… l’ultima cosa che ricordava era un boato... come quello che l’aveva appena svegliato? Simile, sicuramente. E poi, in quel momento era buio, ed era sicuro che fosse giorno, quando aveva perso conoscenza.

“Fuori dal castello… un terremoto…” mormorò, chiudendo gli occhi scuri, per poi riaprirli di scatto.

Una valanga! I suoi uomini erano stati travolti da una valanga!

Spostò le coperte che aveva addosso e si alzò a sedere sul bordo del letto, guardandosi attorno. La stanza spaziosa e arredata in modo essenziale: qualche mensola, un tavolo rettangolare addossato ad una parete, una cassettiera e una cassapanca sul lato opposto, un paio di sgabelli. Sul tavolo bruciava una candela, unica fonte di luce nell’ambiente.

Vi era qualcosa di fuori posto, in quel quadro apparentemente banale, tuttavia, e a causa della confusione gli ci vollero alcuni secondi per realizzare di che si trattasse: in primo luogo, la luce che entrava dalla finestra aveva un che di innaturale; non era l’alone fievole degli astri notturni, né il bagliore bluastro delle notti di luna piena, ma un’innaturale luminescenza smeraldina e vibrante.

Inoltre, in piedi accanto alla finestra, pensieroso, c’era uno di loro.

Turm non sapeva bene come definirli, sapeva solo che erano maledettamente diversi e maledettamente sinistri. Emissari, li chiamava il Comando, diplomatici, rappresentanti di un’altra nazione… degli alleati di Euxelia.

Ambasciatori di un altro mondo.

Quello davanti a lui aveva l’aria giovane, il che non era straordinario, posto che nessuno di quelli che lui aveva visto (e nemmeno nessuno di quelli che si fossero presentati alla Corte, se era per quello) aveva l’aria particolarmente matura: viso liscio, appuntito, non un minimo accenno di barba; il naso ben proporzionato e tondeggiante, le sopracciglia sottili e una bocca aggraziata, dall’espressione sempre vagamente sorridente. I suoi occhi, grandi, di un impossibile color indaco, brillavano di una luce tanto magnetica quanto maliziosa e penetrante. I capelli, lunghi e lisci, solo in parte trattenuti in una coda alta, erano di un innaturale color grigio… ma non il grigio degli anziani e dei venerandi, bensì un colore metallico, bizzarro. I vestiti, poi, erano di una foggia stravagante che non aveva mai visto: scarpe nere (non avrebbe saputo dare un nome più preciso a quel tipo di calzatura) e lucide, pantaloni del medesimo colore, così come la giacca, bizzarra, che con quell’allacciatura strana sembrava sempre allacciata solo in parte, lasciando vedere una camicia sottile, bianchissima… e una strana striscia di stoffa annodata attorno al collo per scendere verticalmente sul petto.

“Sei sveglio” constatò l’Emissario, in tono piatto, senza degnarlo di uno sguardo.

Turm batté le palpebre, perplesso.

“Perdonatemi ma… che ci fate voi qui? In questa zona è in corso un’operazione militare, non è sicuro per un inviato come voi…” cominciò.

“Il Comando mi ha mandato ad assistervi” lo interruppe subito il giovane. “Ho fatto loro notare come le conoscenze magiche della mia gente siano di gran lunga superiore a quelle a vostra disposizione… e in una terra di maghi, questo tipo di conoscenza può sempre tornare utile. Quanto è accaduto e sta accadendo lo dimostra” illustrò con freddezza, senza staccare gli occhi dal cielo verde.

“Cosa è successo, di preciso?” domandò l’ufficiale con una smorfia, sentendo il dolore alla testa intensificarsi.

L’altro sospirò. Odiava dover dare spiegazioni a quel bruto; dubitava che avrebbe compreso. Lo guardò con un’aria di vaga sufficienza, accuratamente celata dal tono distaccato con cui parlava, e rispose: “Credo che si stia formando una resistenza alla vostra occupazione del territorio. Questa luce bizzarra è prodotta da dei sovversivi che intendono boicottare i progetti della Corte di Euxelia. La mia presenza qui, comandante, è volta a cogliere la sorgente del problema e assistervi nella sua necessaria eliminazione”.

Gli occhi vagamente a mandorla di Turm persero espressività, ma non luce.

Il Noxinal sapeva benissimo cosa significava: il soldatino voleva nascondere quello che pensava di ciò che aveva appena sentito; era ovvio che non gli piacesse: gli aveva appena comunicato di essere lì per dargli ordini. Non c’era certo bisogno della magia per indovinare cosa lo stolto stesse pensando.

“Il Comando ha dato disposizioni in merito?” domandò l’uomo, in tono perfettamente calmo.

L’Emissario, Zendramax, gli sorrise, un sorriso ostile, predatorio. “Naturalmente. La lettera è sul tavolo, ma ti consiglio, per stanotte, di riposarti. Avrai tutto il tempo domani, per leggerla” replicò, soave.

Turm gettò un’occhiata furtiva al tavolo, e, in effetti, notò una busta appoggiata poco distante dalla candela. Ma tornò subito a volgere gli occhi all’interlocutore: non gli piaceva distrarsi troppo, quello aveva qualcosa, nello sguardo, di tremendamente sbagliato.

Come se questo per lui fosse un gioco…

“Come sono scampato alla valanga?” chiese, dopo un momento di silenzio, esercitando il massimo controllo sul tono della voce.

“Fortuna ha voluto che giungessi appena in tempo per trarvi in salvo” fu la risposta serafica dell’altro.

Il Maresciallo esitò, prima di porre l’unico altro quesito logico.

“E… i miei uomini?”

Zendramax sospirò e tornò a guardare fuori.

“Troppi, e troppo distanti fra loro. Mi rincresce, ma i miei poteri non erano sufficienti a trarli in salvo. Sono stato costretto a scegliere… e voi, per il Comando, siete più importante dei semplici soldati” spiegò, senza traccia di rammarico nella voce limpida. Fece una pausa, indi, di nuovo con quel sorriso di tetra intelligenza, aggiunse: “E’ giusto che tu sappia che non si è trattato di una fatalità: la valanga non è semplicemente arrivata, è stata scatenata da qualcuno che desidera opporsi a voi. I tuoi uomini non sono solo morti, sono stati trucidati, schiacciati con una forza immane, rispetto a loro. Un potere soprannaturale considerevole…”

Si concesse qualche istante per studiare le reazioni dell’uomo, studiandolo con la coda dell’occhio. Lo vide abbassare lo sguardo al suolo, stordito, aprire la bocca per articolare qualcosa, poi scrollare il capo perché non trovava le parole.

Per ottenere il massimo della persuasione, doveva lasciarlo in quell’istante, di modo che si interrogasse tutta la notte, e che, il giorno dopo, pendesse dalle sue labbra.

L’animo dell’ufficiale era come un libro aperto, per lui: sapeva di non piacergli minimamente, e la cosa non gli importava… ma sapeva anche che il sempliciotto non si fidava di lui, e questo doveva cambiare. Ma, trattandosi di una cosa semplice come un essere umano, manipolarla sarebbe stato un gioco da ragazzi; con tutta probabilità, non sarebbe nemmeno servita la magia.

Senza smettere di sorridere, si alzò e si avviò verso la porta. Come previsto, l’umano tentò di trattenerlo.

“Dove andate?” domandò, senza riuscire a nascondere l’ansia nella sua voce.

Il Noxinal si arrestò, ma non si voltò. “E’ opportuno che ti riposi, adesso. Domani faremo il punto della situazione. Domani, Turm” disse, serafico, subito prima di imboccare l’uscita.

 


Angolo dell’autore: ci ho messo un po’ di più a mettere giù questo capitolo, e in questi giorni, essendo un po’ giù, mi sento decisamente più autocritico… spero che vi piaccia e vi intrattenga. :) Anche questa volta, abbiamo alcune novità con l’introduzione di Yudrazath e Zendramax.

E… hm… il fatto è che non mi sento particolarmente loquace, al momento. o.o”

 

Be’, comunque, come al solito, grazie a tutti quelli che si sono presi il tempo di leggere questo mio delirio. E, sempre come al solito, rinnovo il mio invito a recensire: sentire pareri può essere costruttivo (anche nel caso di recensioni negative) e certamente motivante. Al prossimo capitolo! ;)

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Capitolo 9
*** Vox Draconis ***


Ars Arcana, Capitolo IX:

Vox Draconis


Atterrita dalla scomparsa del mago, la Principessa Arshilenne corse a cercare il suo Azadrath, confidente del fatto, sperando che l'anziano drago potesse rassicurarla e darle una spiegazione.

Azadrath!”, lo chiamò, raggiungendolo nel cortile. “Svegliati, ti prego... ho bisogno dei tuoi consigli” lo pregò, trovandolo addormentato, carezzandogli con delicatezza la punta del naso.

La creatura aprì subito gli occhi e si alzò a sedere.

Principessa, cosa può spaventarti tanto nella tua stessa casa?” le domandò, bonario, lasciando che lei lo abbracciasse, per quel che la differenza di taglia le consentiva.

Azadrath, il giovane che hai portato è sparito. Un momento prima stava parlando con me, quando all'improvviso si è sentito male e un portale l'ha inghiottito... non ho saputo richiuderlo, Azadrath! Che i miei poteri stiano scemando?” lamentò la Luminal, nascondendo il viso contro le scaglie del dragone.

Azadrath circondò entrambi con la sua coda e spiegò appena un ala per coprire la sua piccola Principessa.

Non credo sia così, Principessa mia. A mio avviso, Yulannath è andato via perché doveva essere altrove... e quanto al non riuscire a fermarlo, non temere: dopo tutto, lui è il primo Luminal che incroci da molto tempo; non hai mai provato a chiudere un portale aperto da un tuo simile, forse non ti è riuscito perché non sai interferire bene con una magia così simile alla tua...” la rassicurò, paterno. “E' logico che per un Luminal come lui sia facile entrare e uscire da casa propria, non credi?”

La donna sospirò e annuì, cercando conforto nella sensazione della pelle tiepida del drago contro il suo viso.

Ciò che diceva doveva esser vero: se i Noxinal erano corrotti, probabilmente lo era anche il loro modo di varcare il Confine, e lei non aveva mai cercato di impedire ad un Luminal di aprire una breccia; non ne aveva mai avuto alcun motivo.

Starà bene?” chiese, dopo un po', sentendosi nuovamente serena.

Stava bene quando è andato via?” fece il drago di rimando, inarcando le sopracciglia.

Non proprio” ammise lei, con un sospiro, facendo un passo indietro. A quel movimento, Azadrath spostò rispettosamente la coda e ripiegò l'ala che aveva steso. “Ma il luogo che ho visto non sembrava presentare pericoli immediati. E se il varco si è aperto proprio lì, ci sarà una ragione.”

E' così. Il piccolo è la Voce di un Drago, e il Drago lo vuole laddove ha aperto il portale” commentò la creatura, annuendo. “Abbi fiducia, tornerà e ci aiuterà. Anzi, credo che ci aiuterà anche facendo semplicemente ciò che il Drago desidera, posto che con ogni probabilità ciò lo metterà contro ai Noxinal.”

Quindi, secondo te dovrei aspettare a convocarlo di nuovo?” chiese la Luminal, accigliandosi. L'idea di rinunciare ad un alleato appena trovato le sembrava oltremodo sciocca.

Azadrath sorrise nel veder riemergere il suo temperamento deciso; passato lo spavento, stava tornando la Principessa di sempre. E dopo tutto, era giusto che si concedesse qualche momento di sfogo, di tanto in tanto; e ogni volta che fosse accaduto, lui sarebbe stato presente, come aveva promesso di fare tanti anni prima.

Sì. Tienilo d'occhio, ma non chiedergli nulla, per il momento. Portare a termine l'incarico del Drago Celeste che l'ha scelto lo renderà più forte e gli permetterà di affinare le sue capacità. A quel punto, diventerà un alleato ancor più valido” spiegò, con una scintilla astuta nello sguardo. “Caricarlo di troppe responsabilità non gli farà bene, e lo manderà in confusione. Dagli tempo e ti accorgerai...” si interruppe all'improvviso e alzò lo sguardo verso il cielo.

Avvertiva qualcosa di insolito, nell'aria, come il vento che precede uno tsunami, solo che era una sensazione incredibilmente più sottile. Yu se n'era andato, ma qualcos'altro stava per entrare in Astrelia.

Stammi vicina, Principessa, una strana vibrazione agita il tuo regno” disse in tono grave, tendendo una zampa alla Principessa.

Cosa credi che sia?” domandò quella, salendo sul palmo del drago.

Non lo so, ma farà un bel fracasso, questo è certo” rispose quello, continuando a scrutare il firmamento, mentre stringeva a sé la piccola Luminal, ai suoi occhi così fragile, per proteggerla.

D'un tratto, un puntino nella miriade dei corpi celesti si accese di un bagliore più intenso, colorandosi di una luce verde che si fece, in pochi secondi sempre più grande e intensa, fino a diventare una sorta di astro smeraldino che tinse del suo colore tutto il palazzo, mentre un fragore simile ad un ruggito accompagnava la sua crescita. Un vento improvviso spazzò il regno, facendo ondeggiare l'erba e fremere le cime degli alberi, l'intero paesaggio cristallino riverberante di quella luce misteriosa.

Arshilenne si issò sopra le dita del drago per guardare, e l'aria le scompigliò i capelli. “Pensi che ci stiano attaccando?” gridò, per sovrastare il frastuono.

Non credo, ma non allontanarti da me, per sicurezza” rispose Azadrath.

La principessa rivolse al drago un sorriso e annuì, restando al sicuro nella sua mano, mentre, sotto il loro sguardo stupito, il sole smeraldino ebbe una sorta di palpito, e con fragore di tuono scagliava un unico raggio luminoso contro la cortina di oscurità.

L'impatto fece increspare la barriera, e la sua superficie oleosa inghiottì la folgore e tornò al suo normale, viscoso brulicare, dopo di che, l'astro svanì con un secondo lampo. Per qualche istante, tutto tacque, poi, qualcosa nel fronte della Zona Buia cambiò: la sua superficie si fece via via più opaca, come se si stesse rinsecchendo, finché, sotto lo sguardo incredulo della principessa, non cominciò a sgretolarsi in tanti frammenti simili a fiocchi di cenere che presero a volteggiare via, un po' alla volta, secondo i capricci del vento.

Il fronte della Zona Buia!” esclamò la Luminal, liberandosi dalla stretta del drago e arrampicandosi su per il suo collo, come una vedetta su un albero. “Azadrath, è regredito! Quel lampo ci ha restituito un pezzo di Astrelia, è straordinario!” fece poi, sempre più emozionata. “Ah!” gemette subito dopo. “Guarda come è ridotta l'area, però... pensi che tornerà come prima?” si preoccupò, lasciandosi andare e aprendo le ali bianche per rallentare la caduta.

Azadrath sorrise e spalancò le ali a sua volta. “Andrò a controllare, tu rimani qui al sicuro, Principessa. Come vedi, qualunque cosa il tuo nuovo alleato abbia fatto, ci ha aiutato; abbi fede, e vedrai ripetersi questo fenomeno molte altre volte ancora” disse, prendendo il volo, per poi planare in direzione della piana liberata dal giogo dell'oscurità.



Vorrei che il Capo mi avesse concesso un po' più della sua forza... sono esausto...

Yudrazath barcollò e scese da sopra il grande altare, cui subito dopo dovette appoggiarsi per non crollare a terra.

Si sentiva come se non avesse mangiato per giorni, e aveva una strana sensazione di intorpidimento vicino alla punta delle dita.

Ah, ho bisogno di riposarmi un po', pensò, ansimando. Solo un pochino, poi mi rimetterò all'opera, promesso... adesso ho tanto sonno...

Alzò lo sguardo verso l'apertura, e vide che il cielo era ancora acceso della luce purificatrice che aveva scatenato.

Be', anche i Pezzi Grossi non potevano lamentarsi, se si concedeva un po' di riposo. Insomma, sì, la sua veglia sarebbe stata una veglia breve... be', decisamente breve, per essere onesti, ma sicuramente intensa.

Peraltro, adesso che ci aveva pensato lui, in zona si sarebbe respirata un'aria decisamente migliore, e certamente anche i presunti liberatori della Valle avrebbero trovato il loro compito un pochino più facile. E comunque, una volta che si fosse ripreso, li avrebbe aiutati di nuovo, se ce ne fosse stato bisogno.

Sbadigliò, stiracchiandosi e torcendo la lunga coda in un buffo ricciolo, prima di tornare a distenderla, quando abbassò le braccia.

E adesso, mi serve solo un posto dove schiacciare un pisolino di una settimana o due...”

Non appena ebbe pronunciato quelle parole, una piccola scossa fece tremare il Santuario, cosicché un sasso si staccò dalla volta, precipitò giù e lo colpì proprio sulla sommità del cranio.

Ahia, ahia! Ma dico!” gridò, massaggiandosi la testa con indignazione.

Il Capo non aveva proprio senso dell'umorismo!

La terra brontolò corrucciata una seconda volta, poi tacque, e la creatura, seccata sbuffò e scrollò il capo, facendo ondeggiare comicamente i lunghi baffi, che, per qualche ragione, parevano muoversi sempre come se si fosse trovato sott'acqua, piuttosto che sulla terraferma.

Poi, lamentando fra sé la profonda ingiustizia della sua condizione, allargò un poco le braccia e fece una piroetta, sollevandosi di nuovo da terra per volare fuori dalla grotta.

Scherzi a parte, aveva davvero bisogno di riposarsi, perciò, dopo aver dato un'occhiata in giro , si trovò un posticino riservato e, scendendo dolcemente verso terra, si lasciò scivolare in un sonno ristoratore.



Yu riprese i sensi lentamente e controvoglia, perché più le sue percezioni tornavano chiare, più si sentiva indolenzito.

Il dolore al petto che aveva sentito era passato, e il resto dei malesseri che accusava probabilmente erano ancora i postumi degli sforzi compiuti per soccorrere Rangrin.

Già, Rangrin! Doveva trovarlo!

Aprì gli occhi e si tirò su a sedere, solo per perdere l'equilibrio a cadere giù dal ramo su cui si trovava. Fortuna volle che non si trovasse particolarmente in alto, e che la neve sotto fosse soffice, perciò la caduta fu così breve che non ebbe nemmeno il tempo di gridare, prima di piombare con un morbido tonfo sulla coltre gelida e bianca.

Oh, triple maledizioni” imprecò tra sé, alzandosi in piedi e spazzandosi la neve via dalla veste e dai capelli. Non si era fatto male, ma di sicuro era stato spaventoso... e dannatamente freddo.

Rabbrividì e guardò il ramo su cui si era risvegliato, chiedendosi come accidenti ci fosse arrivato... meravigliandosi, subito dopo, di quanto bassi fossero gli alberi in quel bosco.

Fece un giro attorno all'albero, volgendo lo sguardo tutto attorno per orientarsi, e, quando intravide le mura dell'Accademia in lontananza, capì: c'era stata una valanga, ecco perché il bosco aveva un'aria strana. Aveva senso.

Aspetta un momento...

Non c'erano mai state valanghe su quelle montagne! E da dove veniva tutta quella strana luce?

Alzò lo sguardo verso il cielo, e lo vide percorso da striature verdi, come fili di fumo lucenti fra le stelle. Poi si voltò verso la montagna, e rimase a bocca aperta: dalla sua sommità scaturiva un fascio di luce verde, che si innalzava come una sottile, infinita colonna nel firmamento buio.

Tirò su col naso e si strinse le braccia attorno al corpo, riflettendo mentre osservava lo strano fenomeno.

Che tutto fosse scaturito dalla gemma che aveva toccato nel Santuario? Forse... e se così era, aveva fatto qualcosa di buono, o l'aveva combinata grossa?

Abbassò lo sguardo sulla valanga e strinse le labbra, accigliandosi.

Probabilmente l'una e l'altra erano egualmente vere.

Tornò a guardare le stelle, soffiando nuvolette di vapore nell'aria gelida, pensoso.

Astrelia, il drago, la principessa, i ragni di metallo... era stato tutto un sogno?

Eppure...

Si guardò una mano. Era stato così vivido, era come se riuscisse ancora a sentire le scaglie di Azadrath sotto le dita. E la Principessa Arshilenne... anche lei era solo frutto della sua fantasia?

Si grattò la testa, sentendo che non ci capiva più niente.

La Grande Guerra Astrale c'era davvero o no? Luminal e Noxinal, la Zona Buia, e tutte quelle storie sui Viaggiatori... possibile che si fosse immaginato tutto?

E poi, c'era l'Oscurità che aveva visto fra i mondi. Solo ripensarci gli faceva venire la pelle d'oca.

Aveva sentito qualcosa di profondamente sbagliato quando l'aveva vista... e il suo sesto senso gli diceva che era lì che i Nani erano tenuti prigionieri. E i Demoni Evanescenti, che Rangrin tanto temeva, dovevano avere lì la loro casa, come poteva essere altrimenti?

Nani prigionieri sulla Terra? L'idea era assurda persino per lui. Certo, forse con delle misure di sicurezza straordinarie era possibile mantenere il segreto, ma al minimo errore ci sarebbe stato un bel pandemonio. Figurarsi poi se uno di loro fosse mai fuggito!

No, se avesse avuto a disposizione una fortezza costruita nello spazio fra i mondi, anche il mago certamente avrebbe usato quella come base d'appoggio per le sue scorrerie.

Si incamminò verso il castello, alzando il cappuccio del mantello per ripararsi almeno un po' dall'aria tagliente, mentre rifletteva.

I Demoni rapivano i Nani e li portavano in quella zona di Oscurità, e Azadrath e la Principessa avevano parlato di una Zona Buia. Prima corrispondenza.

La descrizione che Rangrin aveva fatto di loro corrispondeva a quanto sapeva dell'aspetto dei Noxinal descritti da Arshilenne... a parte il fatto che l'aviatore non aveva mai menzionato le loro ali. Seconda corrispondenza, anche se un po' più debole.

Infine, Azadrath sembrava avere una possibile spiegazione al fenomeno che era avvenuto nel Santuario: se era vero che il Drago della Valle l'aveva scelto come sua Voce (qualunque cosa ciò volesse dire), allora si spiegava perché aveva avuto quella visione toccando la gemma.

Heh...” fece tra sé, sorridendo amaro. Che se lo fosse sognato o meno, la Principessa l'aveva ritratto bene: non era un eroe, non aveva mai voluto esserlo, ma in fondo, che scelta aveva?

Scacciò quell'idea scrollando la testa. Quale eroe ed eroe, voleva solo aiutare per quanto poteva, e poi la parola “eroe” portava rogna, lo sapeva da quel po' di epica che aveva studiato e dai tanti romanzi che aveva letto.

Insomma, la Valle era casa sua (be', forse seconda casa, se tutta la storia dei Luminal era vera), e voleva fare ciò che era in suo potere per difenderla... checché l'idea di opporsi ad una nazione con un esercito armato, addestrato e determinato gli fosse sempre parsa poco attraente.

Nutriva l'illusione (perché razionalmente sapeva che era un'illusione) che se avesse risvegliato i due Draghi, di certo non gli sarebbe toccato partecipare ad alcuna violenza; non si aspettava alcun onore, perché non era all'onore che mirava, anzi: non aveva alcuna intenzione di essere cavalleresco o sportivo in questa sua ricerca; avrebbe mentito e ingannato secondo necessità. Era una guerra, diamine, avrebbe usato tutti i trucchi a sua disposizione, per riuscire nel suo intento.

Starnutì e allungò il passo, trottando sulla neve soffice sotto l'innaturale luce che pervadeva il cielo, sperando di non beccarsi una polmonite, con tutto quel freddo. Non vedeva l'ora di infilarsi sotto le coperte e lasciarsi alle spalle quella giorantaccia.

Ah, vedo un mago...” commentò una voce, all'improvviso.

Yu si irrigidì per la sorpresa, con occhi sgranati, si voltò verso lo sconosciuto, che aveva parlato dalle sue spalle.

Ciò che vide lo paralizzò: il giovane che aveva parlato con quel tono freddo, tagliente, possedeva un'innaturale bellezza non dissimile a quella della Principessa Arshilenne, ma in lui, nel suo sorriso, nei suoi occhi di Viaggiatore, vi era un che di sbagliato.

Lo osservava tenendo il capo leggermente inclinato di lato, una mano appoggiata sulla guancia con fare vagamente pensoso, come lo stesse valutando.

Certo, una bella delusione...” proseguì, abbassando il braccio con un sospiro. “Tanto chiasso e tanti grattacapo... e ciò che trovo è un Viaggiatore di seconda categoria...” lamentò, la voce appena tinta dalla delusione.

Il mago fece un passo indietro, senza dire nulla, scrutando l'altro con circospezione.

Che fosse un Noxinal? Se così fosse stato, allora anche Arshilenne e la Guerra Astrale erano reali.

Diamine!

Di quello non poteva essere sicuro... ma sicuramente, quell'uomo che sfoggiava il Marchio dei Viaggiatori e un abbigliamento da persona d'affari terrestre doveva essere uno dei Demoni Evanescenti che Rangrin tanto temeva, l'aveva praticamente scritto in faccia! Vi era un qualcosa, in lui, che lo turbava profondamente, un che di diabolico che non riusciva a descrivere a parole; in realtà, non era nemmeno qualcosa del suo aspetto, quanto più un'aria che spirava attorno al suo essere.

Come puoi essere stato tu a fare tutta questa confusione? Non possiedi un briciolo della forza necessaria...” proseguì il Demone, serafico.

Yu si accigliò e non rispose. Noxinal o Demone Evanescente che fosse, lo sconosciuto cercava di intimidirlo per avere informazioni, e lui non doveva cascarci.

Ma era più facile a dirsi che a farsi: il giovane possedeva un suo potere magico, riusciva a percepirlo con fin troppa chiarezza.

Strinse gli occhi con ostilità, cominciando a capire: stava facendo sfoggio della sua magia, ma in un modo sottile, quasi elegante; lasciava che la sua aura pervadesse l'aria circostante, senza fare nulla per mascherarla o celarla al sesto senso di altre creature soprannaturali, tingendo quella forza sottile di una risonanza minacciosa per essere più intimidatorio.

Un bel trucco, non c'è che dire. Dovrò tenerlo a mente, chissà che non torni utile, un giorno, pensò, studiando l'altro con più attenzione.

Qualcosa però, disturbava l'armonia angosciosa che il Demone cercava di creare: la sua risonanza era disturbata, e il mago non poté fare a meno di osservare come l'interferenza andasse e venisse secondo i movimenti delle luci nel cielo.

Chiunque fosse, il potere del Drago della Valle gli era avverso.


Zendramax incrociò le braccia sul petto rivolgendo al misero Viaggiatore un'ombra di sorriso sprezzante.

Almeno, non era cascato subito nel suo trucco di risonanza, significava che, se non altro, un po' di cervello l'aveva.

Vedo che sei un tipetto piuttosto sveglio, quindi so che questo incontro sarà proficuo per entrambi. Tu sei una di quelle irragionevoli e fastidiose persone che si oppongono all'occupazione del territorio, ed è assai probabile che tu sappia cosa è accaduto qui. Perciò, mi rivelerai ciò che sai” scandì, quasi annoiato. “Se lo fai, potrei anche considerare la possibilità di lasciarti libero. Dopo tutto, sei troppo debole per essere una minaccia. Ma se ti opponi, temo che dovrò passare a forme di persuasione più grossolane. Consegnarti ai soldati di Euxelia, financo...” proseguì, con fare più pensoso, per poi tornare a sorridere. “Ma sono certo che un Terrestre sveglio come te ha più senso degli affari di questo mucchio di sciocchi provincialotti, dico bene?”

Con suo disappunto, il mago rimase chiuso nel suo silenzio, anche se non avrebbe saputo dire se fosse per paura o perché stava pensando a come sbarazzarsi di lui.

Incantevole! Di norma non amava incontrare resistenza, ma se quel ragazzino avesse tentato di resistergli, forse sarebbe persino riuscito ad intrattenerlo un po'.

Dissipò la risonanza negativa e assunse un'aria più indulgente.

Oh, sei certo di non voler collaborare? Sarà molto meno spiacevole se lo farai, amico mio...” lo avvertì pacatamente.


Yu fece un verso sprezzante e si infilò una mano in tasca, ben sapendo che l'estraneo era più vigile di quanto non volesse apparire.

Ovunque l'avversario avesse appreso l'uso della magia, sarebbe stato sciocco pensare che fosse soggetto alle sue stesse limitazioni: dall'aria che aveva (e da ciò che Rangrin aveva raccontato), non erano il tipo di persone che si facevano troppi scrupoli sull'uso che veniva fatto degli incantesimi. Ciò giocava pesantemente a suo sfavore, ma sapeva anche di avere un piccolo vantaggio dalla sua: l'imprevedibilità.

Studiare forme di magia distruttiva era stato proibito anni prima che lui cominciasse a studiare, era vero, ma apprendere l'arte di indebolire o respingere gli incantesimi avversari era ancora permesso: dopo tutto, si trattava di una forza passiva, di cui era impossibile abusare.

Inoltre, essendo cresciuto sulla Terra, era inevitabile che un po' di pensiero scientifico (più o meno) contaminasse la visione del mondo che lo studio della magia voleva dargli. Aveva imparato che poteva ottenere alcuni effetti con molta meno fatica se, anziché lasciare che la magia alterasse le leggi della realtà, l'avesse usata per guidare materie ed energie naturali per ottenere un determinato obiettivo. Non era un mago potente, ma il suo approccio alieno alla magia gli forniva tanti piccoli vantaggi.

La forza bruta non poteva essere la sua carta vincente: avrebbe dovuto puntare sulle piccole astuzie e sperare che bastassero.

Sentì la superficie liscia di uno dei suoi cristalli sotto le dita e ve le strinse attorno, riflettendo.

Chi sei?” domandò, piatto.

Non contava davvero di ottenere informazioni rilevanti, voleva solo prendere tempo, e il tizio lì di fronte sembrava amare molto il suono della sua stessa voce. E forse, pomposo come era, avrebbe interpretato la rottura del silenzio come un cedimento.

L'altro ridacchiò.

Vedo che non sei muto, dopo tutto. Questo faciliterà le cose” constatò, con aria compiaciuta.

Pallone gonfiato... pensò tra sé il mago.

Mi chiamo Zendramax, e sono un Emissario della Corte di Euxelia. E tu...?” fece poi, infilandosi una mano in tasca e tendendo leggermente l'altra verso Yu per invitarlo a rispondere.

Il Viaggiatore scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.

Questo è peggio di un cattivo dei fumetti...

L'Emissario sembrava davvero un chiacchierone; chissà quante informazioni avrebbe potuto apprendere da lui! Era così sicuro di sé che magari si sarebbe lasciato sfuggire perfino qualcosa di rilevante, se se lo fosse lavorato a modo. Vi erano due problemi però: in primo luogo, probabilmente era abbastanza intelligente da capire il suo gioco e diventare più riservato; secondariamente... be', non sapeva ancora esattamente come se la sarebbe data a gambe.

Arricciò il naso, indignato, e rispose: “Io non ho mai detto che mi sarei presentato. Fai irruzione in casa mia e pretendi pure che mi presenti? Piuttosto, se sei un Emissario dell'Alta Corte, dimmi perché ci avete occupati.”

Zendramax tornò ad incrociare le braccia e alzò leggermente il mento, guardando il mago dall'alto al basso.

Se sapessi che puoi farmi queste domande ad un qualche titolo, sarei più che lieto di risponderti; peccato che non sappia chi tu sia... mi sarebbe piaciuto spiegare le ragioni dell'Alta Corte ad un diplomatico di Alborea. Trovo che la nostra causa sia... incompresa” replicò, con dispiacere palesemente falso.

Il mago tirò su col naso e si aggiustò meglio il mantello addosso, accigliandosi.

D'accordo, forse quel tizio era abbastanza furbo da non cascare in quel trucco elementare, ma ciò non voleva dire che avesse lui tutte le carte in mano.

Ora, se non ti dispiace, gradirei che tu rispondessi alla mia domanda...” aggiunse Zendramax, tagliente, ma senza perdere il suo sorriso.

Subito dopo che ebbe pronunciato quelle parole, Yu avvertì una vaga sensazione di stordimento, come se avesse bevuto.

Distogli lo sguardo!

Batté le palpebre e scrollò il capo per resistere al tentativo di ipnosi dell'avversario, ma così facendo fu costretto ad abbassare la guardia.

Un'improvvisa concentrazione di energia nell'avversario gli segnalò un attacco imminente, ma lui non era pronto a contrastarlo, e poté solo sperare che non fosse niente di fatale.


Zendramax sorrise e puntò un dito contro quel divertente viaggiatore: non era forte, e anche con quell'odiosa interferenza non era alla sua altezza, ma era sveglio, ed aveva reagito prontamente al suo attacco mentale, così come, ne era sicuro, aveva capito subito il trucco della risonanza. Ma era ora di finirla coi giochi.

Chiamando a raccolta la sua energia, invocò lo Stigma del Fulmine e il Signum della Lancia, indirizzandone la potenza contro l'avversario.

L'energia, obbediente, fluì attraverso di lui, si raccolse crepitando sulla punta del suo dito, illuminandogli il viso di una luce azzurra, poi si scatenò con fragore contro il mago.


La saetta lo investì con potenza tale da sollevarlo da terra e scagliarlo indietro diversi metri, e il dolore fu tale che non riuscì nemmeno a gridare.

Gli ci vollero un paio di secondi per realizzare di trovarsi steso a faccia in giù sulla neve, e ancor più difficile fu fare forza sulle mani per tentare di rialzarsi.

Riuscì a mettersi in ginocchio a stento, e si ritrovò a maledire le tendenze troppo pacifiste e l'etica troppo socratica dei maghi di Alborea.

Che potenza! Non fosse per tutto questo buonismo, forse avrei saputo difendermi... si disse, guardando con odio l'avversario, ansimando.

Zendramax inarcò un sopracciglio.

Ancora in grado di rialzarti? Sei più resistente di quanto non sembri, ragazzo. A guardarti, avrei giurato che sarebbe bastato un solo colpo per metterti fuori combattimento...” osservò, vagamente sorpreso. “Immagino di dovermi considerare fortunato, dopo tutto. Significa che provvederai intrattenimento più a lungo. Buon riposo” aggiunse, tornando a sorridere, con una scintilla di malefica intelligenza negli occhi, mentre raccoglieva le energie per un secondo assalto.

Ma Yu questa volta reagì più prontamente: estrasse il cristallo dalla tasca e lo gettò contro il Demone, invocando lo Stigma della Luce che era in esso e il Signum della Libertà, chiudendo gli occhi.

Tutta l'energia contenuta nell'oggetto si liberò di colpo in un lampo accecante, e l'Emissario, colto di sorpresa, ne rimase abbagliato e barcollò, scagliando la sua folgore troppo in alto e colpendo un albero, spezzando diversi rami, che caddero a terra, parzialmente carbonizzati.

Piccola serpe!” sibilò, coprendosi gli occhi con le mani. “Ti farò rimpiangere questo affronto!”

Yu non gli prestò attenzione: non sapeva se fosse l'adrenalina o altro, ma il dolore lo abbandonò in un lampo, così come la sensazione di soffocamento che era seguita all'assalto del nemico.

Recitò una formula di Velocità e scivolò in un flusso temporale alternativo, allontanandosi dal furibondo Emissario con rapidità soprannaturale, verso le mura bianche dell'Accademia, mentre il mondo tutto attorno sembrava muoversi a rallentatore. L'incantesimo, tuttavia, era uno dei più potenti che conoscesse, e consumò le sue energie in fretta: non appena ebbe raggiunto la fortezza, fu costretto a dissolverlo, o avrebbe rischiato di perdere i sensi.

Pensa, Yu, pensa!, si disse, guardandosi attorno, cercando un modo di superare le mura.

Le porte erano chiuse, e anche se in qualche modo fosse riuscito a contattare Rangrin, il Nano non avrebbe potuto sciogliere il sigillo magico che le bloccava, per non parlare della neve che vi si era depositata davanti.

Anche scalare le mura era fuori questione: non aveva incantesimi adatti allo scopo, e non era sicuro di riuscire a spiccare un balzo magico abbastanza alto da superarle (la qual cosa avrebbe comunque comportato un atterraggio problematico).

Per alcuni istanti, sentì che il panico stava per sopraffarlo, ma poi si impose la calma, e, tratto un profondo respiro, si disse che una via d'uscita c'era.

Doveva usare le energie che gli restavano per varcare il Confine e raggiungere la Terra, dove la fortezza non era che un rudere, e poi rientrare nell'Inframondo.

Poteva farcela, lo sapeva, doveva solo cercare di non svenire una volta arrivato sulla Terra: se riusciva ad effettuare il balzo di ritorno una volta aggirato l'ostacolo, sarebbe stato al sicuro.

Inoltre, era il momento migliore per collaudare la tecnica di spostamento rapido che aveva messo a punto negli ultimi mesi: in teoria, era decisamente più veloce e discreta dei consueti portali, e forse avrebbe confuso il Demone, che magari l'avrebbe scambiato per un incantesimo di teletrasporto.

Ora mi hai proprio stufato!”

La voce di Zendramax gli fece gelare il sangue nelle vene.

Si voltò e quel poco di colore che gli era rimasto sul viso svanì: il Demone Evanescente, sorretto da un paio di grandi ali dalle piume nere, planava verso di lui, una mano protesa in avanti, pronta a scagliare una nuova folgore.


Chi l'avrebbe mai detto che quel mucchietto d'ossa sarebbe stato una simile seccatura?

Non erano tanto il dolore agli occhi o l'ustione che aveva riportato al viso a farlo infuriare: il dolore sarebbe passato presto e la sua pelle sarebbe guarita in fretta, una volta tornato a casa.

No, ciò che lo mandava su tutte le furie era il fatto di essere stato giocato da quel pivello, e con un trucco così stupido per giunta!

Sapeva perfettamente che il giovane mago non era alla sua altezza, non era che un miserabile Viaggiatore, eppure la cattura si stava rivelando più complicata del previsto.

Forse doveva semplicemente ucciderlo, si disse. Sarebbe stato più semplice e, dopo tutto, il terrestre che poteva sapere, di così rilevante?

La folgore che crepitava fra le sue dita, pronta a colpire, e l'espressione atterrita dall'avversario, la brezza sul viso... erano sensazioni estatiche. Avrebbe schiacciato quel moscerino, ne avrebbe fatto un esempio, così che qualunque suo complice avrebbe sicuramente abbandonato la sciocca idea di potersi opporre alla sua causa.

Ma proprio nel momento in cui rilasciava la potenza del fulmine, accadde qualcosa: da un momento all'altro, il mago abbandonò la maschera di terrore che aveva assunto e lo guardò negli occhi con determinazione, solo per un istante. Poi, allargate le braccia, le portò verso il cielo, e rovesciò il capo all'indietro. Una scintilla viola apparve fra le sue mani. Un turbine d'aria si levò all'improvviso attorno a lui, una luce viola lo inghiottì e si spense in un istante, cancellandone ogni traccia.

La saetta crepitò furibonda attraverso la nebbiolina color indaco che si era lasciato alle spalle e colpì la neve, sciogliendola e scavando una profonda buca.




Quando il Confine si lacerò, Yu poté sentire l'aria della Terra spirargli sul viso. L'apertura era minuscola, talmente piccola che il bordo di luce viola che la circondava celava completamente il pertugio alla vista.

Checché la tecnica fosse faticosa e ci fosse voluto del tempo per mettere a punto il procedimento esatto, l'idea alla sua base era molto semplice: i portali che normalmente i Viaggiatori utilizzavano per spostarsi da un mondo all'altro erano difficili da aprire e da mantenere perché il Confine, per sua natura, tendeva non solo a resistere ad ogni tentativo di forzatura, ma anche a rimarginarsi rapidamente qualora violato.

Oltrepassando l'idea che i mondi fossero letteralmente speculari in favore di una visione di sovrapposizione, Yu (ed era certo che altri Viaggiatori più esperti avessero fatto lo stesso) era arrivato alla conclusione che poteva balzare rapidamente da un mondo all'altro se riusciva ad “afferrare” un lembo del confine e, letteralmente, avvolgerselo attorno per farsi trascinare dall'altra parte, sapendo che non appena lui fosse svanito, la barriera si sarebbe ristabilita all'istante. Lo svantaggio, oltre alla fatica, era il fatto che in quel modo non sapeva cosa avrebbe trovato dall'altra parte, ma, si era detto, nulla di ciò che poteva essere sulla Terra sarebbe stato peggio che restare lì con Zendramax.

Perciò, dopo aver perforato il velo fra i mondi, allargò e abbassò bruscamente le mani, come se stesse scostando delle cortine.

Ai suoi occhi, fu uno spettacolo bizzarro: fu come squarciare un arazzo e saltarci attraverso. L'Inframondo si lacerò davanti a lui, e la Terra comparve al suo posto, svelata dal gesto violento del mago.

Non appena fu dall'altra parte, Yu sentì le gambe cedere. Tentò di rialzarsi e di mettersi in cammino, ma gli riuscì solo di barcollare e crollare disteso sul suolo reso duro dal freddo invernale.

Alzati, femminuccia, alzati! Non c'è tempo di poltrire, devi aggirare le mura dell'Accademia ed entrare, prima che quel pazzo capisca il trucco!

Puntò le braccia per terra e fece forza per alzarsi, ansimando.

Il Demone Evanescente non si sarebbe lasciato ingannare a lungo, aveva poco tempo per mettersi al sicuro.

Con un gemito sommesso, si costrinse ad alzarsi in piedi, e, barcollando ad ogni passo, si avviò per il bosco terrestre, decisamente meno fitto e pittoresco della sua controparte, e si avviò verso le rovine del castello che sulla Terra occupavano il posto dell'Accademia.

Si infilò attraverso una grossa crepa ed entrò nel cortile, dal quale, facendosi largo tra gli arbusti che lo infestavano, proseguì alla volta del riflesso terrestre della sua torre. Una volta dentro il rudere, chiamò a raccolta tutta la determinazione e la forza che gli restavano e alzò le braccia, intimando al Confine di lasciarlo passare.

Un sottile cerchio di luce si allargò sopra di lui, mentre l'aria ondeggiava percorsa da lente increspature, rivelando il fantasma dell'Inframondo dall'altra parte.

A quanto vedeva, il camino era acceso, quindi Rangrin, pur non essendo in vista (poteva essere davvero poco lontano, si disse, considerando che in quelle condizioni era un miracolo che l'ampiezza del varco raggiungesse il metro di diametro) doveva essere, in qualche modo, riuscito ad uscire dal santuario.

Sorrise debolmente, sentendosi un po' rinfrancare da quella consapevolezza.

Poi, con un ultimo sforzo, proiettò il suo potere di Viaggiatore contro il Confine; l'immagine ebbe un'increspatura più violenta, e una colonna di luce viola lo avvolse, sollevandolo e sbalzandolo dall'altra parte un po' più bruscamente rispetto al solito.

Avrebbe voluto appurare se la sua supposizione era esatta, ma non appena si ritrovò sul tappeto della sala, al riparo dall'aria gelida e dal diabolico Zendramax, sentì la stanchezza sopraffarlo, e perse i sensi.

Non aveva idea di quanto ci impiegò per recuperarli, ma non appena lo fece, la prima cosa che capì era che si sentiva male: non c'era una parte del suo corpo che non gli facesse male, si sentiva la febbre e respirava con fatica. Inoltre, le sue energie magiche avevano bisogno di ricostituirsi, ma essendo lui così esausto, il processo sarebbe stato più lento.

Provò ad aprire lentamente gli occhi, ma tutto ciò che vide fu un nugolo di puntini rossi e brulicanti.

Li richiuse con un sospiro.

Se non altro, se lo aspettava: la magia aveva dei limiti, e prima ancora di essa, un mago stesso aveva i suoi. Superarli portava conseguenze, e la cecità momentanea era una di esse. Almeno nel suo caso.

Altri maghi sviluppavano altri sintomi, ma si trattava sempre di disturbi assai incapacitanti: una sorta di monito che il loro corpo gli dava perché non esagerassero, così da evitare conseguenze permanenti. L'aveva appreso durante l'addestramento, perciò non si preoccupò troppo; la vista sarebbe tornata dopo che fosse riuscito a riposarsi un po', nel frattempo doveva solo usare la magia con molta più parsimonia.

Ti sembra questo il modo di trattare un ospite? Pensavo che mi avresti aiutato, non che avrei dovuto farti da balia” brontolò Rangrin, poco distante da lui.

Nel sentire la voce roca del Nano, Yu si lasciò sfuggire un sorriso, e, schiuse nuovamente le palpebre, volse lo sguardo dove pensava che si trovasse.

Mi dispiace che tu ti sia annoiato in mia assenza. Sono stato trattenuto...” scherzò, con voce fievole.

Per gli Antenati! Guarda da un'altra parte, i tuoi occhi sono ancora più brutti di prima!” sbottò l'aviatore, la voce un misto di paura e ribrezzo.

Al giovane sfuggì una risata che si trasformò subito in un accesso di tosse che lo lasciò senza fiato per alcuni secondi.

L'Occhio dello Stregone ti urta, Rangrin?” lo punzecchiò, quando fu in grado di parlare.

Tutti i disturbi da uso eccessivo di magia, infatti, oltre ad incapacitare il mago, lasciavano anche un segno innocuo ma piuttosto evidente sui loro corpi; nella fattispecie, la cecità, chiamata Occhio dello Stregone, rendeva la sclera nera come l'inchiostro, mentre iride e pupilla diventavano di un bianco latteo.

Il Nano tardò a rispondere, perciò l'incantatore si immaginò che si fosse profuso in qualche gesto di ribrezzo.

Guardarti mi fa arricciare la barba. Togliti quelle mostruosità dalla faccia e poi potremo parlare.”

Yu sorrise con aria colpevole.

Non posso” ammise con semplicità. “Ho usato troppe energie, e questa è la punizione. No, non sono solo brutto, Rangrin. Sono anche cieco, almeno, finché non recupero le forze” spiegò brevemente, prima che il nano potesse fare domande.

Poi, aggrottò le sopracciglia e annusò l'aria. Non era nella sua stanza, posto che sentiva scoppiettare il caminetto e che il Nano l'aveva adagiato su un divano. Era nella stessa stanza dove lui l'aveva soccorso la notte in cui gli era precipitato in casa.

Questo posto sta diventando un'infermeria, si disse, cupo.

Ma c'era qualcos'altro, fuori posto... un odore insolito, nella stanza. Non avrebbe saputo identificarlo con precisione, gli sembrava come se il vento dei ghiacciai gli spirasse in viso, eppure l'aria era piacevolmente tiepida e sapeva che non potevano esserci molti spifferi.

Rangrin... l'aria ha un odore insolito...”

L'aviatore si scaldò subito: “Se vuoi insinuare che la mia barba sia sporca...”

Una risata sommessa si levò da un altro punto della stanza, all'improvviso, facendo trasalire il mago.

Una terza persona era nella stanza, e non era uno dei famigli, le loro voci erano molto più stridule!

Il Venerabile Oracolo sente il mio odore, non ti sentire offeso, Rangrin Barbasporca” commentò l'estraneo, con voce profonda e divertita.

A quelle parole, Yu inarcò le sopracciglia.

Non credo di sentire il tuo odore, amico mio, a meno che tu non abbia l'odore dell'inverno e del gelo” osservò, scettico.

Ah, ma è proprio quello l'odore che ho” rispose prontamente lo sconosciuto. “Certamente lo sai bene, Venerabile”.

Il mago si tirò su a sedere, faticosamente, e a prezzo di numerose fitte, indi volse il capo verso la voce, pensoso.

Impossibile... a meno che tu...” mormorò, poi sgranò gli occhi, folgorato da ricordi di certe letture.

Avvicinati, che possa toccarti, per favore” domandò, con voce tremante, tendendo una mano.

Già dal rumore pesante che il suo interlocutore fece mentre si avvicinava, il giovane cominciò ad avere sospetti circa la sua natura.

Poi sentì il suo muso sfiorargli le nocche e, quando lo toccò, sceglie lisce e coriacee scivolarono sotto le sue dita, simili ad un'armatura di pregevole fattura, solo fredde di un freddo diverso: non il freddo sterile del metallo, ma la frescura di una pelle corazzata.

Rangrin...” chiamò con un filo di voce, tastando delicatamente la testa del drago. “O la febbre è salita un po' troppo, o sto carezzando un drago...” commentò con una risatina isterica.

Un drago, nella sua stanza! Di tutti i posti, i momenti e le circostanze, doveva essere proprio quello il giorno in cui avrebbe incontrato un drago!

La sua risata si fece acuta, poi la gola tornò a bruciargli e non gli fu impossibile continuare. Se non altro, il dolore improvviso lo fece riavere dal crollo dei suoi nervi, restituendogli un po' di lucidità.

L'accesso di tosse durò più del precedente e lo costrinse a piegarsi in avanti per avere un po' di sollievo.

Venerabile, che ti succede?” domandò il drago, con una punta di sincera angoscia nella voce.

Yu voleva domandargli perché lo chiamasse così e perché gli importasse di lui, ma faticava a respirare, e ci vollero diversi secondi per riprendere il controllo.

Non credo ci sia alcunché di venerabile in me, creatura” replicò, a fatica. “E anche se la tua preoccupazione mi lusinga, mi trovo a chiedermi: perché un drago si curerebbe mai di un mortale cagionevole come me?”

Formulare il discorso gli costò grande fatica, ma, almeno teoricamente, si sentiva preparato in materia di draghi, e sapeva che era bene fare di tutto per cercare di non offenderli. Non significava che gli errori non fossero ammessi, ma un drago intelligente avrebbe facilmente distinto bene una gaffe ingenua da un'insinuazione offensiva.

Non mi permetterei mai di insultarti così, Venerabile Oracolo” protestò la creatura. “Se i Venerabili delle Genie di queste terre ti rispettano, sono certo che hanno i loro motivi per farlo. E io rispetto la saggezza dei Venerabili. Ho bisogno della tua guida, per superare i miei riti di passaggio” spiegò, trafelato. “Non hai idea delle prove a cui sono stato sottoposto solo per arrivare qui da te, ti prego, devi aiutarmi! Senza la tua guida, non supererò la prova, e non sarò mai un drago adulto. Non negarmi la tua sapienza!”

Il mago scrollò appena il capo, in un gesto di incredulità che il drago evidentemente fraintese, perché lo sentì picchiare una zampa per terra e rinnovare il suo appello, sempre più accorato: “Non respingermi così solo perché sono caduto in una trappola, Oracolo. So di essere stato imprudente, ma la Valle non aveva mai presentato simili pericoli da che i miei genitori abbiano memoria. Se il mammifero Rangrin non mi avesse soccorso, sarei perito ucciso da una stregoneria di cui non avevo mai sentito parlare...”

Aspetta, aspetta” lo interruppe Yu, roco. “Prima di tutto, dimmi come ti chiami”.

Eidrath, della Genia di Ethelos, Corridore dei Ghiacci” rispose Eidrath in tono solenne.

Ehi, non è come ti sei presentato a me” si intromise Rangrin.

Shhh! Tu non sei l'Oracolo, è tradizione, non capiresti” lo zittì la creatura, sbrigativa. Il Nano si limitò a borbottare “Draghi!” in tono poco lusinghiero per poi tornare (Yu si immaginava) a pensare ai fatti suoi.

Dopo una breve pausa, per assicurarsi che non ci fossero altre interruzioni (sapeva di non poter alzare la voce per sovrastare eventuali commenti o proteste dell'aviatore), il giovane riprese, in tono gentile: “Perché sei convinto che proprio io sia l'Oracolo che cerchi, giovane Eidrath?”

Perché lo sei. Me lo sento dentro, e un drago sente queste cose. O così tutti mi dicono” ribatté prontamente il drago, con aria diligente.

Il mago se lo figurò starsene seduto al suo capezzale, bello impettito, e sorrise fra sé. Tutto sommato, nonostante le circostanze spiacevoli, era sicuramente un bel primo incontro... cioè, il primo incontro che aveva sicuramente avuto luogo.

Poniamo che lo sia” proseguì, calmo. “Cosa ti aspetti da me? Io non ho mai saputo di essere un Oracolo per la tua specie”.

La domanda sembrò lasciare Eidrath interdetto, perché tacque per quasi un minuto, prima di rispondere, esitante: “Suppongo che... capirlo sia parte della mia prova...? Ha senso?”

Yu ridacchiò.

Se sono ciò che dici, forse sì. Magari, è solo un capriccio del destino che ti ha portato a me. Sarò sincero con te, non sono un veggente; sono solo un mago, e un Viaggiatore. Forse, proprio perché sono uno straniero in questo mondo, se mi fai la domanda giusta, saprò darti una risposta che qui nessuno ti darebbe. O forse accadrà qualcosa di speciale, non te lo so dire. Non ci sono più molte cose di cui mi senta sicuro, amico mio... tante cose sono cambiate attorno a me... e, sento, anche dentro di me. Ma se posso aiutarti, tenterò”.

Con sua sorpresa, Rangrin montò su tutte le furie a quelle parole.

Ah!” gridò, stridulo, balzando in piedi, a giudicare dal tonfo che seguì quel verso. “Con troppa leggerezza offri il tuo aiuto, mago! A quanti altri regalerai le tue promesse? Non hai ancora idea di come mantenere quella fatta a me, e già ti metti in parola con un drago? Sei uno stolto onesto, o uno spergiuro astuto?” sputò per terra. “Metti un po' d'ordine in quella tua testa stramba, mucchio d'ossa. Sei sparito solo per farti ritrovare qui più morto che vivo. Finora, siamo stati solo noi ad aiutare te, come pensi di riuscire a... umph!”

Le grida dell'aviatore divennero un mugolio soffocato, e il Viaggiatore sospettò che Eidrath gli avesse tappato la bocca. La parte più bieca di lui considerò che un drago da guardia gli avrebbe fatto comodo, ma subito il giovane si rimproverò per quel pensiero: ingannare la creatura non sarebbe stato più onorevole che ingannare un ragazzino; e poi, lui non era così disonesto.

Forse non sono così disposto a tutto come credevo, pensò fra sé, aggrottando le sopracciglia.

Già, ma ammesso che si fosse approfittato del drago, quali sarebbero state le conseguenze? E poi, un drago così giovane poteva davvero fare tutta questa differenza?

Scrollò il capo e mosse la mano come per scacciare un insetto. Decisamente no. Eidrath di sicuro non era abbastanza potente da risultare determinante, e un inganno ai suoi danni gli avrebbe attirato l'inimicizia della sua Genia. E poi, approfittarsi di lui rimaneva comunque un'idea ripugnante.

Tornò a sorridere.

Rangrin non essere così furioso. Che ci piaccia o no, ora che siamo bloccati assieme in questa situazione, i suoi problemi sono anche i nostri. Aiutare lui aiuterà anche noi, me lo sento” spiegò.

Hmhm” fece Eidrath per sottolineare le sue parole. “E tu, Zampecorte, non aggredire più l'Oracolo in quel modo, intesi?” aggiunse, rivolto a Rangrin, che non poté fare altro che mugolare furioso in risposta.

Il mago si concesse un sogghigno. Forse un pochino si sarebbe approfittato della situazione. Dopo tutto, quanto spesso capitava di avere un drago come guardia personale?

Eidrath” ricominciò, sommesso, “al momento devo ammettere che Rangrin ha ragione: non ho molte idee sul da farsi, e non so come aiutarti. Ma vorrei che tu avessi la gentilezza di raccontarmi gli eventi che ti hanno condotto qui”.

Il drago rimase in silenzio per alcuni secondi, riflettendo, poi, come se stesse recitando a memoria una lezione di storia, cominciò: “Dunque... il mio uovo si è schiuso ventidue anni fa, terzo nella sua covata, mentre nel cielo sorgeva la stella che la mia gente conosce come...”

Ehm... credo che tu possa limitarti agli eventi più recenti” si affrettò a correggersi Yu, sapendo quanto i draghi amassero parlare di sé ed intuendo perciò che un'autobiografia della creatura sarebbe solo stata, per lo più, un lungo e tedioso vaniloquio.

Oh” commentò l'altro, vagamente sorpreso. “Come desideri... Dunque, una settimana fa, ho pensato che ero stanco di essere trattato come un cucciolo, e che ero pronto per le responsabilità e i privilegi che l'età adulta comporta. Così ho comunicato al mio saggio padre Ethelos la mia decisione di sottopormi ai nostri riti di passaggio”.

Il mago annuì, e visto che il drago aveva fatto una pausa, commentò: “L'hai accennato. In cosa consisterebbero?”

Un aspirante adulto, per superare la prova, deve raggiungere l'Oracolo della Valle di Alborea, da solo, e ascoltare ciò che ha da dirgli” rispose il drago, con tanta diligenza nella voce che Yu poté figurarselo, compito come uno scolaretto a recitare la sua lezione davanti ad un maestro esigente. “A questo punto, possono succedere diverse cose: l'Oracolo può dirgli che semplicemente non è pronto, e quanto dovrà aspettare per tornare. Potrebbe semplicemente riferirgli un messaggio da riferire alla Genia, o potrebbe affidargli un compito da svolgere, o una prova da superare. In quel caso, il giovane drago dovrà superarla e portarne prova alla Genia. A quel punto, avrà luogo la Cerimonia del Passaggio vera e propria, e lui o lei diventeranno pienamente padroni delle loro facoltà”.

Quell'ultima frase suonò strana alle orecchie del mago, perciò si permise di indagare un po' più a fondo: “Pienamente? Che intendi dire? In che modo non avere l'approvazione della Genia limita la vostra padronanza di voi stessi?”

A quel punto, si aspettava che il drago mettesse, giustamente, in dubbio la sua saggezza oracolare; invece, Eidrath si limitò a schiarirsi la voce e a rispondere, con una punta di imbarazzo: “Be'... per esempio, non ci è concesso cercarci un compagno o una compagna finché non abbiamo superato la prova...”
Yu non poté trattenere un sorriso a quelle parole. Se aveva menzionato quel motivo prima di tutti gli altri, era probabile che si fosse sobbarcato quell'impresa perché voleva dichiararsi a qualcuno, e la cosa, ai suoi occhi, era molto poetica.

Il drago parve indovinare i suoi pensieri, perché si affrettò ad aggiungere, sempre più imbarazzato: “Ma... ma quella è solo la cosa più banale... eh... ci sono anche altre cose più importanti”.

Il Viaggiatore, sempre sorridendo, gli fece cenno di proseguire.

Be'... la nostra forza, per esempio. Non possiamo esserne i padroni finché non abbiamo dimostrato di esserne degni superando questa prova” proseguì l'altro, riacquistando sicurezza, ora che l'argomento più scomodo sembrava superato.

Il giovane batté le palpebre, perplesso.

Mi stai dicendo che se non superi la prova...”

Mphh!” protestò Rangrin, pestando i piedi per terra.

Non potrò crescere più di così. Rimarrò affacciato sulla soglia della maturità finché non avrò portato a termine l'incarico” confermò il drago. “Così è da sempre. Non è solo una tradizione, è parte di noi, della nostra vita, così come il nostro linguaggio non è un semplice strumento di comunicazione. Ora che ti ho spiegato, però, vorrei chiederti un favore, Venerabile”.

Yu annuì, sorridendo un po' amaro. Sapeva cosa la creatura gli avrebbe chiesto.

Non rivelerò quanto ho appreso adesso, né ciò che avrai la gentilezza di insegnarmi in futuro, senza il tuo permesso. Hai la mia parola” promise, anticipandolo.

Mphhghphh! Hmmmph!”

E credo che Rangrin abbia capito” aggiunse, con un sogghigno. “Lascialo andare, per favore. Temo tu gli stia facendo male”.

Subito dopo che ebbe pronunciato quelle parole, sentì il Nano inspirare rumorosamente una bella boccata d'aria.

Ma bene, se tu e il lucertolone ve la intendete così bene, a che ti servo io, eh?” sbottò non appena ebbe ripreso un po' di fiato.

Eidrath mandò un ringhio sommesso a quel rimbrotto, ma Yu alzò una mano, sperando fosse sufficiente a fermarlo prima che placcasse nuovamente l'indignato Nano.

Non ho mai detto che non ti aiuterò Rangrin. Mi ricordo bene ciò che ti ho detto. I tuoi nemici sono i miei, e non vivrei bene sapendo di aver lasciato la tua gente nelle loro mani”.

Rangrin Barbarruffata mi ha detto che i suoi nemici sono persone come lo stregone che mi ha aggredito; Demoni Evanescenti, li ha chiamati” aggiunse il drago. “Lui mi ha salvato da una loro stregoneria che mi avrebbe ucciso, e io l'ho salvato dalla valanga, poi ci siamo rifugiati qua dentro, e ci stavamo riposando, quando sei arrivato tu, Venerabile”.

Yu si accigliò. La notizia non era buona, ma preferì non condividere le sue preoccupazioni con gli altri, per il momento.

Hai idea del perché i No...” si interruppe e scosse il capo. “Scusa... perché i Demoni Evanescenti ti abbiano aggredito?”

Eidrath ci mise alcuni secondi a rispondere, e quando parlò, la sua voce tradiva il turbamento che ancora lo agitava: “Hanno solo detto che sarebbe stato divertente umiliarmi e distruggermi” riferì, a bassa voce. “Altre spiegazioni, non ne hanno date. E per ora, preferirei non ripensarci” aggiunse. “Non ne ha date, in realtà. Ne ho visto solo uno, credo che fosse solo. E' arrivato all'improvviso, mi ha aggredito e poi se n'è andato, dicendo che sarebbe tornato dopo il calar del sole. Dopo che...”

Si interruppe, e le membrane che gli proteggevano le orecchie e la cresta che gli percorreva tutto il corpo frusciarono appena quando scrollò il capo. “Non ha importanza” disse dopo alcuni secondi, e il Viaggiatore capì che il discorso era chiuso, almeno per il momento.

Non poteva vederlo, ma sentì che Eidrath era scosso nel profondo. Zendramax, era sicuro che fosse stato lui, non l'aveva solo quasi ucciso: si era divertito a terrorizzarlo e umiliarlo, e questa era una cosa che un drago non poteva accettare facilmente.

Chiuse gli occhi e sospirò.

Forse si stava dando troppe arie, ma aveva la sensazione di comprendere la creatura e il suo cruccio; nella sua voce, nelle sue parole gli pareva di cogliere tanti piccoli messaggi su di lui e la sua natura. E poi, aveva delle sensazioni suggerite dal suo sesto senso magico: i draghi erano creature possenti, e la loro aura era particolarmente facile da percepire.

Da tutte quelle informazioni, ebbe l'impressione di avere a che fare con una creatura dall'indole gentile, un po' ingenua e un po' irascibile, ma animata da una sorta di infantile caparbietà.

Era forse la cosa più bizzarra che avesse pensato in vita sua, ma Eidrath gli faceva tenerezza.

Il Demone non oserà entrare qui” lo rassicurò, sperando di non offenderlo. “Io per il momento ho un gran bisogno di riposo; ne approfitterò per riflettere sulla situazione, e magari mettere a punto un qualche straccio di piano. Restare rintanati qui non servirà a niente”.

Se il drago si offese, non ne diede segno, né la sua voce parve risentita.

Ti ringrazio, Venerabile” si limitò a mormorare.

Chiamami Yu. E' l'abbreviazione di Yulannath. Così mi chiamo” lo pregò Yu, sentendosi arrossire. Quell'appellativo altisonante lo metteva davvero in imbarazzo.

Come desideri, Venerabile Yulannath”.

Il Venerabile sospirò e tornò a coricarsi.

Farò prima io a farci l'abitudine, che lui ad imparare, pensò, prima di concedersi un altro po' di riposo.




Angolo dell'autore: wow, è davvero passato un sacco di tempo. Be', non voglio annoiare nessuno con le noiose storie della mia noisa vita. Diciamo solo che un po' una cosa e un po' l'altra mi hanno tenuto la testa occupata. Questo nuovo capitolo però mi dà l'occasione di formulare un bel proposito per il nuovo anno: essere più produttivo! ^w^


Per il resto, un grazie a tutti quelli che si prendono il tempo di leggere questo mio personale delirio. Ogni recensione o critica saranno apprezzate, perciò vi incoraggio a lasciarmene.

Auguri a tutti, e felice anno nuovo!


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Capitolo 10
*** Stigmata ***


Ars Arcana, Capitolo X

Stigmata



Zendramax si posò poco distante dal punto in cui il Viaggiatore si era volatilizzato e le sue ali svanirono in un guizzo di piume nere e fili di fumosa oscurità. La nebbiolina color indaco che si era lasciato alle spalle si stava già diradando.

Mantenne quel poco di distanza più per forza dell'abitudine, che per timore vero e proprio: quand'anche fosse stato un trucco, quel piccolo maghetto da due soldi non poteva certo mettere in piedi una trappola in grado di nuocerlo. Era solo avvezzo all'esercizio della prudenza, tutto qui.

I suoi occhi color indaco si ridussero a due fessure sottili.

Dove si era cacciato, quel marmocchio?

Scrutò la strana foschia per cercare qualche indizio della sua presenza. Vi era qualcosa, in quel fievole alone, qualcosa che poteva essere rilevante, se lo sentiva; non aveva un motivo razionale per sospettarlo, era semplice istinto.

Ma quando cercò di espandere i suoi sensi per sondare meglio il fenomeno, la Terra mandò un brontolio, e un lampo verde più intenso percorse il cielo; la sua coscienza fu colpita da una stilettata di dolore fulgente, e lo costrinse a ritirarsi in se stesso.

Il suo disappunto crebbe. La situazione sfidava ogni logica: quel patetico Viaggiatore non era alla sua altezza, non poteva essergli scappato così da sotto il naso! E le forze a difesa della Valle...? Non era possibile che si fossero riattivate tanto in fretta.

Strinse i pugni, sentendo la rabbia bruciarlo da dentro. Le ombre della foresta si raccolsero in un alone nero attorno al suo corpo, danzando come solleticate dalle fiamme di un fuoco invisibile.

In tutta risposta, le luci nel cielo sopra di lui si contorsero e si intrecciarono, illuminandolo con un fascio più intenso, che dissipò il velo di cui si era ammantato, mentre la sua mente veniva assalita da un boato terribile, che lo fece barcollare.

"Lasciami... in pace... vecchio!" sibilò, afferrandosi la testa. "Torna a fare la muffa fra le pagine delle leggende! Non sarai tu a fermarci!" urlò al firmamento lucente.


"Non io solo... hai ragione..."


La mente del Drago della Valle lo sfiorò, e Zendramax poté avvertirne l'antica alterigia, il suo scherno, e il suo disprezzo.


"Lascia le mie terre... tirapiedi..."


Il Drago sottolineò quell'ultima parola con un'altra lieve scossa ed un nuovo, doloroso ruggito.

Il Demone cadde in ginocchio e gemette, odiandosi per aver dato all'avversario quella soddisfazione.

Si rialzò a fatica e si sforzò di riprendere il controllo: cercare di tenere testa a quell'essere antico solo per puntiglio non aveva senso, si disse, prendendo un respiro profondo, mentre la creatura continuava ad infierire sulla sua coscienza senza pietà.

Se restava lì, avrebbe fatto il suo gioco, e il Drago della Valle l'avrebbe fatto impazzire: doveva andarsene.

Perciò, con gli occhi lacrimanti per il dolore, la rabbia e la vergogna, si incamminò con passo incerto per allontanarsi dalla montagna.

Sarebbe stata una marcia lunga e penosa, ma per mantenere intatta la sanità mentale si ricordò l'unica consolazione che aveva: l'Imperatore presto avrebbe conquistato quel mondo, e allora avrebbe inferto al vecchio cento e cento volte l'umiliazione cui lui era stato sottoposto.




Yudrazath mugolò soddisfatto nel dormiveglia, sentendo la rabbia del Capo. Una volta tanto, il vecchio se la prendeva con qualcun altro e lo lasciava riposare.

D'altra parte, lo Straniero se l'era proprio meritata, quella batosta. Yudrazath lo conosceva poco, ma l'aria attorno a lui aveva un che di malsano; era diverso, e in un senso tutto negativo.

Si rigirò nel buio, mettendosi supino. La sua coda ebbe un guizzo, e il folto ciuffo di pelo alla sua estremità mandò un morbido fruscio.

Cominciò a giocherellare con uno dei suoi lunghi baffi, attorcigliandoselo attorno a un dito per poi svolgerlo e ricominciare l'operazione, meditabondo.

Il Capo aveva sistemato lo Straniero, ma di sicuro quello non avrebbe mollato. E poi, il Capo aveva i suoi limiti, ed era certo che anche il nemico lo sapesse: una volta lontano dalla montagna, sarebbe stato fuori dall'influenza diretta del Drago, e allora si sarebbe ripreso.

E una bestia ferita è una bestia pericolosa.

Aggrottò le sopracciglia. Al mucchio d'ossa sarebbe servito più aiuto, ma lui non era ancora in condizione di prestargliene; lo sforzo per purificare l'area era stato troppo grande, soprattutto considerando che si era appena svegliato, e ci sarebbe voluto del tempo per riprendersi.

Sospirò. Il mago aveva bisogno di un'arma, fare finta del contrario era inutile.

Doveva impartirgli uno Stigma, ma quale? Non aveva energie sufficienti per dargliene che uno soltanto, e sapeva fin troppo bene che gli Stigmata erano assai difficili da controllare, senza i loro Signa.

Smise di tormentarsi i baffi e fece un respiro profondo. Bisognava ragionare: quale, fra gli Stigmata in suo possesso, era il più indicato?

Fuoco?, pensò, sogghignando ferocemente all'idea di vedere bruciare lo Straniero. No, troppo banale. E se poi si dà fuoco al vestito cercando di colpire l'avversario?

Scosse il capo e grugnì infastidito.

Acqua?

Agitò una mano, mandando un verso di disappunto. I giochetti acquatici non avrebbero impressionato nessuno, e uno stigma acquatico che decide di non funzioanre proprio mentre stai affogando non è piacevole. E poi, nemmeno lui sapeva usarlo troppo bene, quindi che senso aveva metterlo nelle mani di quel pivello?

Hmmm... Terra.

Sorrise. Il suo forte. Uno Stigma che racchiudeva una grande forza nascosta, la stessa energia invisibile che si accumula nelle profondità del suolo e si scatena con i terremoti. Sembrava una buona scelta... eppure...

Eppure, no, non andava bene. Alle sue manifestazioni più basilari, certo, poteva essere relativamente innocuo, ma il mucchietto d'ossa era un tipo furbo, e di certo avrebbe capito presto che poteva utilizzarlo come punto di partenza per manipolare forze più insidiose, come i pesi, la gravità e le distanze. E quel tipo di esperimenti poteva finire male. No, non restava che l'ultimo, e più sottile fra gli Stigmata Elementali: Aria.

Il suo sorriso si fece più amaro. Sì, era un po' da femminucce, era vero, ma di sicuro il ragazzino avrebbe saputo sfruttarlo in maniera produttiva; comprendeva molte piccole manifestazioni che gli sarebbero tornate utili: manipolazione del vento, del suono, levitazione, e, con un po' di astuzia, anche miraggi. Poteva anche usarlo per uccidere, e lì anche quello Stigma così effeminato sarebbe diventato pericoloso, ma Yudrazath era convinto che il pacifico maghetto avrebbe aspettato parecchio prima di cercare di utilizzare quel dono per un fine così spregevole.

Annuì. Aria era lo Stigma migliore. E poi, non era da escludere che il pivello potesse trovare qualche Signum nel suo viaggio.

Distese il braccio sinistro e tracciò un fluido gesto a spirale nell'aria, come se stesse rimescolando un liquido con la punta delle dita, visualizzando nella mente le sinuose linee dello Stigma dell'Aria.


"Nel nome degli Antichi, con cuore sincero e fedele invoco gli Spiriti del Cielo, del Vento e di tutto ciò che vi è di etereo. Concedete a questo apprendista la vostra forza, perché con le vostre sottili ali e le vostre astuzie possa superare gli ostacoli, come la brezza leggera scivola al di là di nemici, mura, monti, valli e acque. Che lo Stigma dell'Aria lo accompagni!"


Recitò l'invocazione, continuando a muovere la mano, indi, visualizzato chiaramente lo Stigma, soffiò a pieni polmoni: dalle sue labbra scaturì una brezza che turbinò sopra di lui per qualche istante, indi volò via, alla ricerca del suo apprendista.

"Fatto" borbottò Yudrazath, sentendosi di nuovo stanco. "Per ora dovrà bastarti per cavartela, piccolo..." mugugnò, girandosi su un fianco, sentendo che il sonno lo avvolgeva di nuovo fra le sue spire.




Yu si svegliò di soprassalto, con il cuore che batteva all'impazzata. Non ricordava che sogno stesse facendo, ma ciò che aveva visto appena prima di svegliarsi era straordinariamente nitido, troppo per essere normale: una folata di vento, così forte da minacciare di portarlo via l'aveva investito... e poi, quell'immagine...

Come una sorta di diagramma magico tracciato con scintillanti fili di fumo, gli era comparso davanti, e quando l'aveva visto, si era sentito forte, felice, spaventato e confuso assieme. Sapeva che in quelle linee sinuose si celavano i meravigliosi segreti di tutto ciò che vi era di sottile ed etereo, eppure quella consapevolezza lo atterriva; si sentiva suo padrone e sua preda assieme. Era come se un pezzetto del mondo, della sua sostanza più arcana e fondamentale, fosse divenuta parte di lui... quale sarebbe stato il prezzo da pagare?

Perché se lo sentiva, che non poteva essere stato solo un sogno: lui aveva appena ricevuto qualcosa, qualcosa di pericoloso, e doveva essere molto, molto attento all'uso che ne avrebbe fatto: nell'Ars Arcana, la prudenza non era mai troppa.

Provò a guardarsi le mani, ma la vista ancora non accennava a tornare, e per quanto si sforzasse di riuscire a mettere a fuoco qualcosa, il velo della sua cecità non accennava a diradarsi. Non aveva idea di che ore fossero, né di quanto avesse dormito. Sentiva che Eidrath e Rangrin erano ancora nella stanza, e, stranamente, gli sembrava di percepirlo con più chiarezza di prima: non solo l'odore del drago sembrava essersi fatto più forte, ma ora al giovane pareva anche di sentire la mescolanza di odori che provenivano dal nano: il cuoio che indossava, l'odore del cordame, della nafta e delle sostanze che usava per la manutenzione del suo pallone... più si concentrava più fragranze gli sembrava di riuscire a percepire. E poi, il respiro... sentiva quello lento e regolare del drago, e se solo si concentrava un po' meglio, anche quello più buffo del nano, un po' più irregolare e simile a quello di certi cani un po' asmatici.

Scrollò la testa per cercare di scacciare tutto quel caos di sensazioni e riflettere. Da quando aveva i sensi tanto acuti? Sicuro, conosceva il luogo comune per cui alla perdita della vista gli altri sensi di acuivano, ma lui era cieco al massimo da qualche ora, e poi, non lo sarebbe rimasto a lungo.

Sospirò. Avrebbe voluto prendere il suo Compendium per controllare, ma non era affatto sicuro di riuscire a trovare la sua stanza, né avrebbe comunque avuto modo di leggere le pagine, quand'anche fosse riuscito a prendere il libro.

"Non riesci a dormire, Venerabile?"

Yu trasalì a quella domanda. Era convinto che Eidrath dormisse. Peraltro, la sua voce suonava diversa rispetto a quando gli aveva parlato prima: era meno profonda, decisamente più simile alla voce di un ragazzo.

Fece per tirarsi su a sedere, ma si bloccò a metà dell'operazione e fece una smorfia: il dolore non accennava a diminuire. Se fosse una conseguenza dei sortilegi di Zendramax piuttosto che del suo uso eccessivo di energia non avrebbe saputo dirlo, ciò di cui era certo era che aveva un gran male addosso. Stava per abbandonarsi all'indietro, quando sentì la testa del drago spingere sulla sua schiena; lo stava aiutando a mettersi a sedere.

Seppur con imbarazzo, lo lasciò fare: si vergognava a farsi assistere così, ma pensava che se si fosse riuscito ad alzare a sedere, poi sarebbe stato meglio. Almeno, avrebbe potuto sciogliersi un po'.

"Ti ringrazio..." borbottò, impacciato, dopo che si fu alzato. "Ma... perché mi hai aiutato? Non mi devi nulla. Mi conosci appena..."

Eidrath rimase in silenzio per qualche istante, poi, sempre con la voce giovanile di poco prima, rispose: "Perché so come ci si sente".

Yu non commentò, e si limitò a sorridergli. Aveva visto giusto, in merito al drago; e quanto alla sua voce, sapeva che i suoi simili erano molto orgogliosi della loro estensione vocale, perciò immaginò che la voce profonda che aveva sentito prima servisse ad atteggiarsi perché Rangrin stava ascoltando; ora che il nano dormiva, la creatura non sentiva più la necessità di parlare con la voce impostata.

"Quando il Demone mi ha assalito, ho avuto paura. Sapevo che mi avrebbe ucciso e quando mi ha lasciato appeso a quegli alberi a morire, mi sono sentito solo, come mai in vita mia" proseguì il giovane drago, pensieroso. "Non mi ero mai sentito così inerme, nemmeno quando ero un cucciolo. E' come se l'umiliazione avesse spezzato qualcosa dentro di me... e..." sospirò, e scrollò di nuvo il capo, mandando ancora una volta quel curioso fruscio dalle creste che gli ornavano il capo e le orecchie. "Non mi va di pensarci troppo, scusami. Per ora, ti basti sapere che... capisco. Quando ho capito che da solo non ce l'avrei fatta, anch'io avrei voluto che qualcuno mi aiutasse; e so che lo devo solo alla fortuna, se sono ancora vivo. Tu avevi bisogno di aiuto, e io potevo offrirtelo, perché non avrei dovuto? Questo credo di aver imparato, oggi".

Il mago annuì. "Renderai orgogliosa la tua Genia e la tua famiglia" commentò. Sapeva che all'interno di una Genia, in realtà, tutti i draghi condividevano un qualche vincolo di parentela, ma sapeva anche che il termine "famiglia" era indicato solo per indicare le creature più prossime.

Eidrath ridacchiò sommessamente, con amarezza. "Dubito che si sentirebbero molto fieri di me, se sentissero la storia per intero..." osservò.

"Non c'è disonore nell'essere sconfitti da un avversario più forte di noi" obiettò Yu, in tono conciliante. "Tu hai lottato al meglio delle tue forze. Anziché dispiacerti della sconfitta, ringrazia il Cielo di avere avuto un'altra opportunità. Potrai superare la tua prova, e tornare a casa per prendere ciò che ti spetta, l'importante è questo, alla fine".




Eidrath inclinò il capo di lato e studiò il sorriso stanco del suo interlocutore. L'Oracolo era un vero mistero, per lui: si era aspettato qualcosa di più maestoso, che irradiasse un senso di maestà e di enigma... invece, si era trovato davanti quel piccolo mortale pallido ed emaciato, dagli occhi grandi e la voce gentile.

Era rimasto davvero perplesso quando il suo istinto gli aveva detto che l'Oracolo che cercava era proprio quel ragazzetto dall'aria fragile, ma ora che ci aveva scambiato qualche parola, doveva ricredersi. Forse non era esattamente l'Oracolo che lui si aspettava, eppure in lui vi era qualcosa in lui che lo rendeva simile ai Venerabili della Genia. Emanava un senso di saggezza, simile a quello che circondava certi draghi anziani, eppure era al contempo molto diverso da loro; forse perché, rispetto agli anziani, gli sembrava meno distante. Gli anziani sarebbero sempre rimasti tali, per lui, mentre il Venerabile Yulannath... sembrava davvero più vicino, aveva tutta l'aria che avrebbe potuto tranquillamente diventare suo amico. Parte di lui, per qualche motivo se l'augurava anche.

Scrollò il capo un'altra volta, facendo inarcare le sopracciglia al mago che, per fortuna, non poteva seguire il complicato filo dei suoi pensieri.

Si sentiva terribilmente confuso, dentro di lui si agitava una marea di emozioni e dubbi: non era indegno, pensare quelle cose, e sentirsi così smarrito? E l'Oracolo... l'avrebbe scoperto? O avrebbe dovuto confessarglielo lui? E tutta quella storia... non era segno che non era degno di compiere il passaggio?

Smettila, si rimproverò, aggrottando le sopracciglia.

"Cosa ti ha svegliato?" domandò, per cambiare argomento. Parlare di sé con il Venerabile gli faceva uno strano effetto: si sentiva scoperto, in qualche modo... il giovane aveva un modo di ascoltare del tutto diverso da quello del nano.

L'Oracolo rivolse lo sguardo altrove.

"Un sogno... o meglio... qualcosa che mi si è manifestato in sogno. Una qualche forza, che è diventata parte di me... credo di sapere cosa sia, ma..." fece una pausa, aprì una mano e abbassò gli occhi sul suo palmo che, Eidrath sapeva, non poteva vedere.

Yu sospirò e volse lo sguardo cieco davanti a sé. "Vorrei leggere qualcosa in merito, ma non posso... e tu, perché ti sei svegliato?"

Il drago sbuffò dal naso, un po' sulla difensiva. Perché lo metteva così a disagio, rispondere alle sue domande?

"Per diverse cose, immagino... qui per me è troppo caldo, e il fuoco per noi è doloroso, perciò è normale che non riesca a dormire bene vicino ad un camino. Ma non posso allontanarmi da te... è meglio che ci sia io a vegliare su di te, il nano è un pasticcione..." spiegò, guardando con occhio critico Rangrin, che ronfava a bocca aperta abbandonato su una poltrona. "E poi", proseguì, tornando a guardare il giovane "è difficile non pensare a quel che mi è capitato oggi... e, infine, anch'io ho sentito ciò che hai descritto".

Yu si voltò verso di lui, sorpreso. "Anche tu...?"

Lui annuì, pur sapendo che l'Oracolo non lo vedeva. "Sì. Qualcosa in te è cambiato, mentre dormivi. Hai qualcosa di più, ora... qualcosa che ti rende più simile a me, in un certo senso. In te c'è qualcosa dell'Inverno e del Vento, ora..."

Il mago chinò il capo e sospirò; Eidrath lo studiò: sembrava tanto stanco, e confuso, eppure, a dispetto di quell'aria debole, sentiva che il pallido Oracolo sarebbe stato un aiuto determinante.

"Eidrath... non voglio approfittarmi della tua gentilezza, ma vorrei chiederti un favore..." disse Yu dopo alcuni secondi di silenzio. "Vorrei che tu leggessi alcune pagine per me, da un mio libro. Uno molto speciale..." fece una pausa, poi sorrise, un po' imbarazzato. "Se sei in grado di leggere l'alfabeto umano, si intende..." aggiunse.

"Sicuro. Dove trovo questo libro-tesoro?" rispose Eidrath, alzandosi.

L'Oracolo tossì, e indicò un punto dove, probabilmente, pensava si trovasse la porta.

"Uscendo da questa stanza, troverai delle scale. Seguile fino alla mia stanza, è all'ultimo piano; il libro è sulla scrivania, è impossibile non notarlo: ti insulterà quando entrerai, probabilmente, e ti insulterà ancora di più quando lo prenderai. Non darci peso, è fatto così. Cerca di averne cura mentre lo porti qui, per favore. E' il mio tesoro più prezioso..."

Eidrath annuì e sorrise. "Va bene, Venerabile, tornerò presto" promise, gioviale, e si avviò su per le scale.




I passi pesanti del drago si allontanarono, e Yu tornò ad essere solo. Sospirò.

Era strano, trovarsi in quella condizione, come erano strani gli eventi attorno a lui; il destino aveva radunato una compagine piuttosto bizzarra, doveva ammettere.

Un nano che vola, un drago-bambino, e un mago di terza categoria...

Prese a giocherellare con un lembo della coperta, mentre aspettava che Eidrath tornasse, lasciando che la sua mente vagasse. Ripensò alla sua vita sulla Terra, a quando aveva scoperto il suo dono e la rivelazione che fu, all'epoca, scoprire di essere un Viaggiatore.

Ora tutto si ripeteva, ma la sconvolgimento era ancor più radicale: non era solo in possesso di un dono che lo rendeva diverso da tutti... era proprio qualcosa di diverso. O era pazzo. Nessuna delle due prospettive era facile da aspettare.

Fortunatamente, Eidrath fu rapido a tornare, e le proteste indignate che giunsero dalle scale distrassero il mago da quelle riflessioni cupe e gli restituirono il sorriso.

"Saliva sulla mia copertina!" gemette il Compedium quando, senza troppi complimenti, la creatura glielo sputò sulle gambe. "Questo bruto mi ha preso in bocca come un qualunque pezzo di carta straccia, dico!"

"Anch'io sono felice che tu stia bene" scherzò Yu, facendo l'occhiolino a Eidrath. "Che abbiamo in merito agli Stigmata?"

"Oh, un po' di cosucce... ma dubito che i tuoi occhietti vispi riescano a leggerle, adesso" commentò il libro.

"Certo. Ecco perché sarà il mio amico Eidrath a leggerle per me".

"Ma... un estraneo, leggere le mie pagine..."

"Le informazioni sugli Stigmata, se non ti dispiace" tagliò corto Yu. Era stanco, e non aveva voglia di mettersi a discutere con il suo Compendium. A volte, rimpiangeva di non averne avuto uno più conciliante.

Il libro smise di protestare, e dal fruscio che seguì il suo ordine, il mago capì che si era sfogliato e il testo si stava componendo sulla carta.

"Ooh, starorrrrdinario" sentì Eidrath mormorare, ammirato, mandando uno strano brontolio gutturale che, capì, doveva essere qualcosa di assai simile alle fusa di un gatto. Poi, schiaritosi la voce, cominciò a leggere il testo che era apparso sulle pagine del Compendium:


Gli Stigmata – al singolare, Stigma – sono l'elemento fondamentale per il controllo di una forma di magia antica nota con diversi nomi, tra cui Stregoneria Alchemica, Alta Stregoneria Draconica e Arte Fulgente presso gli Elfi.

Si tratta di un tipo di approccio alla magia affascinante ed esotico, che prescinde dall'utilizzo di formule per alterare la realtà secondo i desideri del mago. I praticanti di questo tipo di magia fanno affidamento solo sul proprio potere e sulla propria volontà per ottenere gli effetti desiderati. Gli Stigmata sono gli strumenti indispensabili attraverso i quali tali arcanisti praticano il loro controllo sugli elementi.

Essi non sono altro che una rappresentazione archetipica di un componente della realtà. Gli Elfi scrivono che, sebbene gli Stigmata principali siano quelli Elementali e che praticamente ogni tipo di effetto immaginabile può essere ottenuto mediante essi, esiste un numero molto più ampio di Stigmata cui attingere; secondo la loro teoria, tanto più uno Stigma è attinente ad un dato ambito, tanto più semplice sarà ottenere ciò che si desidera: per esempio, sarà più semplice e meno faticoso usare lo Stigma della Luce per illuminare una stanza, anziché ricorrere allo Stigma del Fuoco... ehi, queste cose le ho sentite dire anch'io, pensa. Però noi ne sappiamo più degli Elfi”.

Yu sorrise a quel commento del drago, e gli fece cenno di andare avanti.


Oh, scusa. Dunque... Ma nemmeno questo tipo di magia è perfetto. La natura del linguaggio archetipico cui fa ricorso rende estremamente difficile tanto il controllo di queste forze, quanto l'insegnamento del loro uso.

Controllare un sortilegio invocato usando uno Stigma, senza che esso sia incanalato in un Signum, richiede una grande chiarezza di intento, o si rischia che la magia si rivolti contro il mago, o che sfugga al suo controllo. I Signa sono quindi...”


Aspetta, ai Signa penseremo in seguito” intervenne di nuovo il mago. “Vai alla parte sull'apprendimento, è quella che mi interessa al momento”.


Hmm, va bene, allora... ecco. Tra i maghi umani, e persino fra gli Elfi, l'uso degli Stigmata è limitato, poiché il procedimento per intuire uno Stigma è difficile e richiede una forte sintonia con il linguaggio archetipico che non tutti possiedono. Quanti non possono dedurre uno Stigma attraverso la meditazione o l'indagine alchemico-archetipica devono apprenderlo, ma anche in questo caso il processo risulta estremamente complicato, e non sono molti i maghi che sono in grado di portarlo a termine senza danneggiare la propria padronanza dello Stigma in questione. Fanno eccezione i Draghi – hehe, naturalmente – la cui affinità con il linguaggio archetipico degli Stigmata trova pochi eguali tra le creature del regno materiale. Essi, assieme ad altre creature magiche, hanno la facoltà di imprimere gli Stigmata su coloro che ritengono degni, checché non impartiscano tali doni con leggerezza. Narrano le leggende che alcuni draghi particolarmente potenti siano riusciti a donare Stigmata a persone distanti semplicemente attraverso il loro legame mnemonico con loro; le teorie in merito sono diverse e tutte affascinanti...


Così può bastare, credo” lo interruppe Yu, alzando appena una mano. “Sei stato di grande aiuto; ti ringrazio” aggiunse poi, sorridendo al drago. “Credo di capire meglio ciò che è successo”.

Si passò una mano sul volto e si abbandonò nuovamente all'indietro. Gli era stato impartito uno Stigma, e da qualcuno che non era presente in quel luogo: Rangrin non sapeva nulla di magia, ed Eidrath era troppo giovane per fare una cosa simile. L'unica creatura che avrebbe avuto una qualche ragione per fargli quel dono era il Drago della Valle, ed il fatto che il Drago avesse scelto di impartire lo Stigma a lui piuttosto che agli altri maghi dell'Accademia significava...

Strinse la coperta, sentendosi riprendere dall'angoscia.

Significava che ciò che Azadrath era in qualche misura vero; che Azadrath, Arshilenne, i Luminal e la Frontiera esistevano, così come i Noxinal e la Zona Buia.

Sei turbato” osservò Eidrath, avvicinandosi di qualche passo.

Yu annuì, ma quella del drago non era una domanda, perciò non aveva senso cercare di dargli spiegazioni in quel momento.

Lo sono. Zendramax, lo stregone che ti ha aggredito, ci darà la caccia quando usciremo da qui. Ma dobbiamo farlo. Se vogliamo cacciare gli invasori, dobbiamo raggiungere Altosole” disse.

E come faremo, se il Demone sarà là fuori ad aspettarci?”

Il mago sorrise e strizzò un occhio.

Andremo ad Altosole, solo facendo una piccola deviazione”.




Angolo dell'autore: nuovo anno, nuovo capitolo. Sì, fra i buoni propositi per l'anno nuovo c'è anche lo scrivere di più.


In ogni caso, ho scelto di pubblicare un capitolo un po' più breve del solito; non c'è molta azione, ma ogni tanto ci vuole anche una piccola pausa per dare spiegazioni. In ogni caso, spero che vi piaccia.


Riguardo alla lunghezza dei miei capitoli, però, avrei bisogno di un consiglio: così come li ho strutturati finora sono troppo lunghi? E la formattazione, è leggibile, o affatica troppo la vista? Vi sarei molto grato se mi faceste sapere la vostra opinione in una recensione o anche solo in un messaggio. ^^


Grazie, e al prossimo capitolo!

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