Ars Arcana di YuXiaoLong (/viewuser.php?uid=107401)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il pendolare dei mondi ***
Capitolo 2: *** Il nano volante ***
Capitolo 3: *** La spia riluttante ***
Capitolo 4: *** Draco Dormiens ***
Capitolo 5: *** Eidrath ***
Capitolo 6: *** La Zona Buia ***
Capitolo 7: *** Luminal ***
Capitolo 8: *** Yudrazath ***
Capitolo 9: *** Vox Draconis ***
Capitolo 10: *** Stigmata ***
Capitolo 1 *** Il pendolare dei mondi ***
Ars
Arcana, Capitolo I
Il
pendolare dei mondi
Con un
sospiro, Yu chiuse il pesante libro e lo posò con un tonfo
sulla scrivania di legno.
Fuori, il
cielo scuro era puntellato di stelle, e il gelo tagliente si
insinuava fra gli spifferi della finestra dai vetri coperti di trine
di brina.
Sospirò,
alzando gli occhi verso la luna, che con la sua luce tingeva
d’argento le rade, soffici nubi che qua e là velavano
gli astri. Mondi diversi, stesse regole, pensò fra sé,
tirando indietro la sedia per sgranchirsi le gambe. L’inverno
dell’Inframondo era freddo quanto quello della Terra, se non di
più.
Con la
coda dell’occhio gettò un’occhiata alla pendola
sul muro. Le undici, e passate da un pezzo, notò, alla
delicata luce dorata dei suoi cristalli.
Sbadigliò
e si lasciò scivolare un po’, ingobbendosi nella sedia
imbottita. La toga verde bottiglia gli si spiegazzò tutta, e
il colletto gli strinse la gola, convincendolo a rimettersi a sedere
in maniera più composta.
Avrebbe
dovuto indossare qualcosa di più comodo della divisa, lo
sapeva bene, così come sapeva che, probabilmente, avrebbe già
dovuto essere a letto. Ma, dopo i recenti avvenimenti, non riusciva a
prendere sonno, pur non capendoli a fondo: provava un profondo
disgusto per la politica terrestre, tanto da disinteressarsene quasi
completamente, e seguire le vicissitudini dell’Inframondo non
era affatto facile per lui.
Borbottando,
seccato, sfiorò uno degli affusolati cristalli, e la sua luce
si fece più intensa e chiara; si alzò, si sistemò
la veste e dalla robusta libreria di fianco allo scrittoio prese, per
l’ennesima volta, prelevò il suo Compendium.
Stancamente, lo gettò sul piano per poi afflosciarsi di nuovo
sulla sedia.
“Ti
pare questo il modo di trattare il tuo Compendium?” sbottò
il libro, indignato, fremendo tutto per la rabbia.
“Come
se potessi sentir male” sbuffò il mago, legandosi i
capelli castani in una coda di cavallo.
Il tomo
aveva un aspetto sì importante, ma certamente un terrestre non
avrebbe mai capito il suo inestimabile valore: l’avrebbe
liquidato come un pregevole pezzo d’antiquariato, con la
copertina rigida, ricoperta di pelle blu scuro, rinforzato con
l’aggiunta di elementi metallici argentati che ne costituivano
parte della decorazione, e sigillato da un bizzarro meccanismo che
non presentava, apparentemente, alcuna serratura o combinazione. Ma
per un mago, quel pezzo da museo era come un’enciclopedia, in
grado di assimilare e immagazzinare qualunque tipo di informazione in
formato scritto o in forma di tavole illustrate. Intriso di una
potente magia, era il dono più prezioso che veniva fatto al
termine dell’apprendistato; ma erano diversi mesi, ormai, che
nessuno riceveva più un Compendium. Quello di Yu era stato
l’ultimo.
“Non
è un buon motivo per trattarmi come carta straccia!”
replicò il tomo, stizzito. “E comunque, che vuoi a
quest’ora?”
Il
giovane sospirò. “La solita mappa” fece. “Magari
se ci perdo un altro po’ di tempo, mi verrà sonno”
ironizzò, amaro.
“Non
so quanto la geografia possa aiutarti” commentò il
Compendium. “Ma se proprio ci tieni, al tuo servizio”
disse rabbonito, aprendosi da solo ad una pagina bianca.
Yu
incrociò le braccia sul tavolo e attese: dopo pochi istanti,
tracciate da una mano invisibile, centinaia di linee sottili si
disegnarono sulla carta, componendo la carta della penisola di
Euphesia.
Erano
passati ormai quasi sei mesi da quando le forze di Euxelia avevano
attraversato l’Ostroponto e avevano cominciato la loro
invasione della penisola. La Coalizione Settentrionale, poco avvezza
alla guerra dopo decenni e decenni di pace, intimorita dalla potenza
militare degli invasori orientali, aveva preferito evitare
spargimenti di sangue usando la diplomazia, di fatto facendosi
tributaria di Euxelia. Le regioni più orientali, Rubiera,
Nebbiterra, e la sua, Alborea, erano state cedute a Euxelia come
protettorato. Di fatto, sarebbero servite come base d’appoggio
per iniziare una campagna contro il regno meridionale di Altosole.
“Non
che mi riguardi” iniziò il Compendium, dopo diversi
minuti di silenzio, ben sapendo che il mago conosceva ormai piuttosto
bene il contenuto della mappa. “Ma forse ti converrebbe
startene buono buono, mantenere un profilo basso ed evitare di
metterti contro gli Euxeliani” commentò. “Non è
che tu possa batterli coi giochi di prestigio che ti hanno insegnato
qui, in ogni caso”.
Yu
sospirò e non rispose. I Compendium, per quanto intelligenti,
non erano come delle persone, e pertanto non erano grandi
interlocutori; avrebbe potuto zittirlo facilmente, ma, tutto sommato,
preferiva che parlasse: gli faceva, in qualche modo, compagnia.
Dentro di
sé, sapeva perfettamente che tutto ciò che aveva
imparato sull’Ars Arcana, lì all’Accademia, non
erano giochi di prestigio. La Coalizione Settentrionale era da sempre
stata retta da pacifisti, e i maghi di Alborea avevano preferito
occultare in tempi remoti tutte le forme di magia distruttiva in loro
possesso, onde evitare che qualche stregone si lasciasse tentare dai
propri poteri. Ma, così facendo, e senza alcun esercito, si
trovavano ovviamente in balia delle potenze straniere. La loro magia
poteva essere utile a difendersi, ma solo fino ad un certo punto;
contro un esercito numeroso e agguerrito i loro incantesimi potevano
sembrare, in effetti, giochi di prestigio. Usare la magia per
nuocere, era, dopo tutto, contro i loro princìpi.
“Io
forse non servo a niente, ma il Drago della Valle e il Drago del
Fiume potrebbero liberare la regione” bofonchiò, più
rivolto a sé stesso che al Compendium.
“I
due draghi dormono della grossa e tu non sai come svegliarli”
gli rammentò prontamente il libro.
“Lea
lo sa” rispose il mago.
“Lea
è sparita, assieme a tutto il resto dell’esecutivo, in
effetti. Non c’è più uno straccio di insegnante,
qui. Solo un assistente e qualche creatura magica… risorse
insufficienti a gestire la situazione” riassunse diligentemente
il Compendium.
Yu fece
una smorfia e si passò una mano sul viso pallido, giovane e
aggraziato, ma leggermente scavato. Con ogni probabilità, i
maghi dell’Accademia erano stati tratti in arresto, o costretti
alla fuga. Stando ai gatti che aveva mandato a spiare giù a
Sulfuracque, un mandato di cattura era in effetti stato emesso, ma di
cosa fosse stato effettivamente di Lea, l’attuale Rettrice, e
del resto dei maghi era un mistero.
Forse, la
cosa migliore da fare sarebbe stata attendere loro notizie e
custodire al meglio la fortezza e ciò che conteneva,
attendendo il ritorno degli altri. Ma ormai era solo da settimane, e
nulla era cambiato. Gli apprendisti non si erano più visti.
L’Accademia era vuota, silenziosa e fredda, un vuoto gigante di
pietra bianca abbarbicato sul monte.
Non aveva
appreso di alcun mandato di arresto a suo carico, e se gli Euxeliani
avevano tentato di penetrare nell’edificio, probabilmente era
solo per impadronirsi della conoscenza in esso contenuta. Dopo tutto,
lui era un terrestre, e la gente di Sulfuracque certamente era
convinta che in una situazione come quella un terrestre avrebbe
certamente lasciato l’Inframondo. Ma loro non conoscevano la
Terra, e certo non si immaginavano che oltre il Confine la
situazione, nel complesso, non fosse poi molto più rosea.
Non che
Yu non visitasse regolarmente la Terra: era il luogo dove era nato,
dopo tutto, e dove per diversi anni era anche cresciuto. Parte della
sua vita era al di là del Confine, con un altro nome, in mezzo
a persone che nulla sapevano dell’Inframondo e della magia.
Lui era
nato col dono di attraversare il Confine, di superare la barriera fra
i due mondi con naturalezza, benché lo sforzo fosse grande.
Lui era
un Viaggiatore: un pendolare fra i mondi.
Angolo
dell'autore (edit): minuscoli
cambiamenti nel testo, niente di degno di nota, e cerco di rendere la
formattazione meno orribile. Colgo l'occasione di questa piccola
revisione per invitare sfacciatamente a lasciare qualche commento.
Saluti a tutti. ^^
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Capitolo 2 *** Il nano volante ***
Ars
Arcana, Capitolo II
Il
nano volante
Era quasi
mezzanotte quando Yu, ormai stanco di fissare la mappa di Euphesia,
chiuse il Compendium e decise che, tutto sommato, quello che gli ci
voleva era un bagno caldo.
Non
poteva usare il fuoco per scaldare l’acqua, ovviamente: il fumo
avrebbe segnalato agli Euxeliani la sua presenza, se fossero stati
nei paraggi, ma era sicuro che i collettori che aveva piazzato sul
tetto avessero raccolto abbastanza energia durante il giorno.
Lentamente,
si alzò dalla sedia, staccato il pesante e ampio mantello
verde dal gancio vicino alla porta, uscì dalla sua stanza e si
avviò su per l’angusta scala di pietra, verso il tetto
della torre. Già nel corridoio l’aria era così
fredda che subito gli si intirizzirono le dita; d’altra parte,
non poteva usare gli incantesimi per isolare anche i corridoi e i
passaggi: c’erano troppe aperture sull’esterno, troppi
spifferi, avrebbe richiesto troppa energia, e lui preferiva
risparmiare le forze, o non sarebbe riuscito ad attraversare il
Confine, se fosse stato necessario.
Giunto in
cima, cercò a tentoni il chiavistello della botola, lo aprì
e, alzato l’ampio cappuccio, tirò giù una
cigolante scala a pioli e si arrampicò nel sottotetto.
L’improvvisato osservatorio che vi aveva allestito era immerso
nel più totale silenzio, e mobili e telescopi, coperti con
teli di iuta, sembravano silenziosi fantasmi alla luce della luna.
Rabbrividendo
per il freddo, il mago aprì ad uno ad uno gli sportelli dei
tre lucernai, dove aveva posizionato, in mezzo a specchietti che
aiutassero a convogliare la luce, i collettori, tre cristalli di
quarzo nero purissimi. Li guardò luccicare alla luce della
luna e sorrise.
La
maggior parte della gente lo considerava un mago stravagante che
anziché occuparsi seriamente dei suoi studi passava il suo
tempo baloccandosi con sassi scintillanti.
Yu
sicuramente non era il mago più potente della regione, ma solo
in pochi sapevano quanto fosse abile: aveva un’intelligenza
vivace e una mente inquieta, alla perenne ricerca di nodi da
sciogliere, di idee da esplorare. I suoi studi sull’impiego dei
cristalli come catalizzatori di potere erano cominciati, in effetti,
un po’ come un gioco: un estro, una possibilità da
esplorare, un tipo di magia originale. L’Accademia non aveva
molti studenti, anche prima dell’arrivo degli Euxeliani,
perciò, pur essendo assistente personale della Rettrice aveva
abbastanza tempo libero per approfondire i suoi interessi; inoltre,
Lea trovava divertente lasciarlo fare i suoi esperimenti.
In poco
tempo era diventato molto abile in quell’ambito dell’Ars
Arcana, ed era competente quanto ci si poteva aspettare da un mago
adulto anche in altri campi. Pur essendo, per natura, assai pigro
(potendo, avrebbe dormito sedici ore al giorno), possedeva un
vantaggio rispetto alla maggior parte dei maghi dell’Inframondo:
veniva da un mondo diverso, che già era sufficiente a
stuzzicare il suo intelletto, e pertanto era animato da una costante,
infantile curiosità, una sorta di ingenuità e di
perenne meraviglia che gli permettevano di vedere possibilità
che ad altri sfuggivano, o lo spingevano ad usare la magia in modi a
cui pochi pensavano.
L’idea
dei collettori solari ne era un perfetto esempio: sulla Terra,
l’energia solare non era certo un prodigio, ma aveva lo
svantaggio di essere discontinua e di non poter essere immagazzinata.
I cristalli erano, invece, perfetti per immagazzinare energia, ma Yu
non era ancora riuscito a trovare il modo di fargli convertire
l’energia che raccoglievano in energia di altro tipo: i
collettori solari immagazzinavano lue e calore, e solo quelle
potevano restituire. Erano perfetti per riscaldare l’acqua
senza usare il fuoco e senza che lui dovesse usare le proprie
energie, benché, in effetti, fosse difficile anche per lui
pensare ad altri modi di usare i collettori solari.
Da quando
gli Euxeliani erano arrivati e, soprattutto, da quando Lea era
sparita, tuttavia, Yu aveva cominciato a porsi una domanda
insolitamente cupa: poteva trovare un modo di usare la sua magia come
arma?
Sapeva
perfettamente che era proibito cercare nuovi modi di nuocere al
prossimo, e che Lea certamente avrebbe disapprovato… ma aveva
indagato in merito, e aveva scoperto che sì, un sistema
esisteva. Dopo tutto, era piuttosto scontato: i cristalli, fra le
altre cose, erano eccellenti ricettacoli di energia. Attraverso
semplici esperimenti, Yu aveva scoperto che essi potevano diventare
armi, se preparati nel modo giusto: caricandoli con una sufficiente
forza, li si poteva usare per appiccare fuoco ad oggetti, proiettare
fasci di luce bruciante e persino farli deflagrare; ma, ovviamente,
non disponeva di una fonte di energia sufficiente per preparare un
cristallo-bomba, benché le altre due opzioni fossero piuttosto
semplici da attuare.
Sospirò,
stringendo nel pugno i tre quarzi; anche con quelle piccole scoperte,
non poteva certo sperare di cambiare le cose: erano solo giochi,
trucchetti; poteva usarli per difendersi da un malintenzionato, o da
qualche aggressore, ma non poteva certo sperare di avere la meglio su
un intero plotone. E poi, se usati in quel modo, si ricordò, i
cristalli si scaricavano in fretta.
Scosse la
testa per scacciare quei pensieri tetri, richiuse i lucernai e tornò
nella sua stanza per prendere il necessario per il bagno, vestiti
puliti e uno dei cristalli luminosi. Poi, con le dita ancora
indolenzite, si avviò verso il lavatoio: era una stanza nel
seminterrato che aveva adattato a quello scopo quando si era
trasferito nella torre. In passato era stata una lavanderia: c’era
una pompa che prelevava acqua da una delle cisterne interrate della
fortezza, e la versava in una grande vasca di pietra. Yu l’aveva
ripulita, aveva tappato la maggior parte degli spifferi e vi aveva
portato tutto il necessario per lavarsi (fra cui alcuni flaconi di
sapone terrestre, benché Lea avesse sempre sconsigliato di
trasportare oggetti da un mondo all’altro) e qualche elementare
mobile.
Gettò
vestiti e teli su uno sgabello, poggiò il cristallo su un
angolo della vasca e cominciò ad armeggiare con la pompa.
L’acqua era gelida, ma la stanza era relativamente calda: Yu
aveva commesso solo una volta l’errore di provare a farci il
bagno senza averla protetta con la magia dal freddo, e la settimana
di febbrone che si era dovuto fare gli era bastata per imparare la
lezione.
Quando la
vasca fu piena, vi gettò dentro uno dei quarzi e con un dito
tracciò un cerchio sulla superficie dell’acqua,
rilasciando l’energia del cristallo, riscaldandola. Infine,
dopo essersi tolto la divisa, scivolò nel tepore della vasca,
e si concesse un po' di tempo per lavarsi con tutta calma.
L’acqua
aveva da poco cominciato a raffreddarsi quando forte vento aveva
preso ad ululare fra le mura del castello. Il mago sbuffò; il
fracasso della tormenta gli avrebbe guastato il sonno.
Aveva
appena cominciato a rivestirsi, quando un boato, seguito da un forte
schianto, scosse mura della torre.
Dopo un
istante di paralisi, dovuta allo stupore, finì di allacciarsi
l’ampia toga in tutta fretta, infilò le scarpe e prima
ancora di aver finito di allacciarsi il mantello era già
sfrecciato su per le scale buie, talmente di fretta che dimenticò
il suo cristallo-torcia sulla vasca.
Chiedendosi
cosa mai potesse essersi schiantato contro la sua torre e quale
creatura poteva essere così pazza da mettersi a volare in
piena notte con un tempo simile, si fece strada di corsa fino
all’ingresso. Spalancò il portone e il vento lo avvolse
in un mulinello di fiocchi di neve. La pessima visibilità gli
ricordò che sarebbe stato opportuno disporre di una fonte di
luce, così, richiusa a fatica la porta, scese di nuovo nel
sotterraneo a recuperarla; infine, maledicendo la propria sfortuna e
stringendosi ben bene nel mantello, il mago uscì nella
tormenta, tenendo il cristallo davanti a sé, come una
lanterna; uscire di notte portandosi una luce come quella,
normalmente avrebbe sicuramente rivelato la sua presenza ad eventuali
vedette Euxeliane, ma con quel tempo, di certo non l’avrebbero
avvistato.
Le
morbide scarpe che indossava non erano adatte a camminare nella neve,
e dopo meno di un minuto erano già inzuppate e le dita dei
piedi gli dolevano. Non avendo tempo di andare a prendere i suoi
stivali, Yu ignorò il fastidio e fece un giro attorno alla
torre, circospetto. Il manto di neve era ancora intatto, quindi
qualunque cosa avesse colpito la torre o se n’era andata, o era
ancora lì appesa.
Quando
vide una strana ombra allungata penzolare da un balcone del terzo
piano gli sfuggì un grido di sorpresa, temendo che il vento
avesse portato nel castello un qualche mostro sconosciuto.
La sagoma
si stagliava scura contro la parete dell’edificio, dondolava e
si torceva, sospinta dal vento capriccioso, mandando tonfi sordi ogni
volta che la sua estremità inferiore sbatteva contro la
pietra.
Realizzando
di cosa si trattasse, Yu sgranò gli occhi: un pallone
aerostatico!
“Cielo
santissimo!” esclamò, battendo i denti, chiedendosi se
il passeggero della piccola mongolfiera fosse sopravvissuto
all’impatto.
Per
qualche istante, rimase immobile, domandandosi da dove potesse
provenire: doveva certamente essere uno straniero; nella regione non
c’erano artigiani in grado di costruire palloni aerostatici, e
la gente di Alborea difficilmente sarebbe mai salita su uno di quei
cosi anche in pieno giorno.
Scosse il
capo, scacciando le domande: non aveva tempo per indagare. Se a bordo
del pallone c'era qualcuno, era ferito, e di certo non sarebbe
sopravvissuto nella tormenta. Doveva prestare soccorso.
“Chiunque
tu sia, resisti!” gridò, cercando di frenare il battito
dei denti e di sovrastare il vento. “Sto arrivando a
soccorrerti, cerca di muoverti il meno possibile!”
Tese
l’orecchio, sperando di udire una risposta, ma l’unico
suono che giunse dal pallone furono i gemiti soffocati del cordame.
Coi piedi
ormai intorpiditi, Yu rientrò nella torre, si chiuse la porta
alle spalle e salì al primo piano: la cesta, oscillando per il
vento, passava piuttosto vicina ad una finestra: se riusciva ad
ancorarla e tirarla a sé poteva tirare in salvo il passeggero.
Col
cristallo sempre stretto fra le dita gelate, si infilò nel
ripostiglio, afferrò il primo rotolo di fune che riuscì
a trovare e infilò un paio di guanti da giardinaggio, poi
sfrecciò rapido verso il salotto su cui la finestra si
affacciava. Spalancò i battenti e sporse fuori la testa; per
poco la cesta non lo colpì in piena faccia.
Rabbrividendo
da capo a piedi, il mago cercò di concentrarsi per tentare di
attirare a sé la cesta con la magia, invano: era un oggetto
troppo pesante, e il vento interferiva troppo. Avrebbe dovuto usare
un sistema più elementare, pensò, appoggiando il
cristallo illuminato sul tavolo.
Portò
un capo della corda vicino al viso e sussurrò un incantesimo,
come se stesse confidando un segreto alla fune, poi attese che
l’oscillazione portasse la cesta vicino all’apertura e
gettò la corda. Quella, guidata dall’incantesimo,
serpeggiò nell’aria e si annodò saldamente ad una
delle maniglie sul bordo della navicella. Quando il vento spinse di
nuovo la cesta lontano dalla finestra, Yu allentò la presa per
evitare che lo strattone lo precipitasse fuori.
Il
problema, ora, era tirare la cesta vicino alla finestra e farla
restare in posizione il tempo sufficiente per trarre in salvo lo
sfortunato aviatore. Mentre si guardava attorno, temendo che il
pallone si strappasse del tutto, il suo sguardo si posò sul
camino. Sorrise e vi si accovacciò accanto. La legna andava
adagiata su un supporto di ferro battuto, e la cenere, attraverso una
grata, cadeva nel vano sottostante al focolare stesso, in una specie
di grosso cassetto che poteva essere rimosso con facilità. La
struttura era piuttosto robusta, e il mago era quasi sicuro che
avrebbe retto; perciò, rimosse la grata e tirò fuori il
cassone della cenere, fece passare la cima attraverso il foro, si
sedette per terra e, puntellandosi coi piedi contro i bordi del vano,
tirò con tutte le sue forze, augurandosi che quella carrucola
improvvisata fosse di una qualche utilità.
Dopo
quella che gli parve un’eternità, sentì la cesta
colpire la parete. Di nuovo, recitò l’incantesimo, e la
corda si annodò saldamente, dopo di che, stremato, si lasciò
cadere supino sul pavimento, per recuperare le forze. Dopo un minuto,
col cuore che ancora gli martellava nel petto, si alzò,
raggiunse barcollando la finestra e si affacciò sulla
navicella. Sul fondo, una figura vestita di scuro giaceva
raggomitolata su un fianco, mandando gemiti sommessi di tanto in
tanto.
Issare lo
straniero al sicuro non fu affatto facile: era basso, ma aveva le
spalle larghe e gli arti tozzi e robusti, ed era pesantissimo. Con
difficoltà, l’esile mago lo rigirò e, dopo averlo
afferrato per le ascelle, lo tirò dentro.
Yu non
aveva idea delle lesioni che poteva avere riportato, se non che aveva
sbattuto la testa e perso un po’ di sangue, e non sapeva se il
suo soccorso assai poco professionale poteva aver peggiorato le cose.
Ma il
tozzo straniero, dalla sua, aveva una grande fortuna: non era umano.
Svenuto
nel salotto dell’ultimo custode dell’Accademia si trovava
un nano.
Angolo
dell'autore (edit), il ritorno:
ancora, piccole revisioni per eliminare alcune sviste, e qualche
piccolo esperimento per migliorare la formattazione altrimenti
inguardabile. Spero che la maggiore leggibilità incoraggi a
leggere e recensire questo mio racconto. A presto!
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Capitolo 3 *** La spia riluttante ***
Ars Arcana,
Capitolo III
La
spia riluttante
Issare
il nano svenuto fu solo l’inizio delle fatiche, per Yu. Pur
essendo esausto, si
rendeva perfettamente conto che non poteva lasciarlo sul pavimento, e
che
doveva farsi venire un’idea per scaldarlo.
Incrociò
le braccia sul petto e alzò lo sguardo al soffitto, pensoso.
L’unico modo per
riscaldare la stanza era accendere un fuoco, cosa che puntualmente
cercava di
evitare; d’altra parte, il temerario aviatore era fradicio e
ferito, e pur
sapendo che i Nani erano creature straordinariamente resistenti, non se
la
sentiva di lasciarlo lì al freddo.
Alla
fine, stringendosi nelle spalle, decise che tutto sommato, un fuoco lo poteva accendere. La tormenta sarebbe
andata avanti per un pezzo, e di certo gli Euxeliani, ammesso che
fossero là
fuori con quel tempaccio, non avrebbero notato il fumo.
Così,
dopo aver sistemato il camino, scese al piano terra, caricò
un po’ di legna nel
montacarichi nel vano delle scale e salì nella sua stanza a
recuperare un po’
di zolfo dalla credenza degli ingredienti, un grosso mobile
rettangolare che
copriva un’intera parete, suddiviso in tanti cassetti
quadrati, ognuno abbinato
ad un diverso tipo di ingrediente necessario per gli incantesimi.
“Oh,
non preoccuparti per me” sbottò il Compendium,
acido, quando il mago entrò
nella stanza. “Me ne starò a qui, a prendere
polvere come un pamphlet
qualsiasi, mentre tu pensi ai fatti tuoi”.
“Oh,
chiudi il becco, ho da fare” lo zittì Yu,
gesticolando seccato mentre cercava
il cassetto e recuperava il suo zolfo.
Ignorando
le indignate proteste del libro, scese poi al primo piano,
issò su la legna, la
pose nel camino e, recitando velocemente qualche parola magica, vi
gettò sopra
lo zolfo. Il fuoco divampò all’istante, con uno
sbuffo di fumo giallo, e prese
subito a scoppiettare allegramente.
“Ohi
ohi” lamentò, sentendosi la schiena indolenzita.
Era stanco morto e non era
neanche a metà dell’opera!
Sbuffando,
trascinò il nano svenuto fino ad un divanetto su cui, ad
occhio e croce,
sarebbe stato abbastanza comodo, e con fatica ce lo caricò
sopra. Di nuovo, la
sua schiena protestò.
Ignorando
la crescente irritazione, chiuse gli occhi e passò una mano
sul viso rugoso e
arcigno del nano, recitando un incantesimo che avrebbe reso il suo
sonno ancor
più profondo, poi si fece coraggio e gli tolse i vestiti
fradici, appendendoli
a delle sedie per farli asciugare. Benché
l’umanoide dormisse della grossa, Yu
si sentì arrossire ogni volta che rimuoveva un indumento:
non era abituato a
quel genere di cosa, e lui stesso non amava essere visto senza i
vestiti
piuttosto larghi che era solito portare, anche sulla Terra. Lo
sconosciuto
aveva con sé alcune armi (un’ascia e qualche
pugnale), che confermarono i
sospetti del giovane: la regione presentava pochissimi pericoli, e
praticamente
nessuno aveva bisogno di girare armato. “Queste,
finché non so che ci fai qui,
penso che le terrò in custodia”
borbottò, circospetto.
Terminata
l’operazione, tornò nella sua camera-studio, dove
l’indignato Compendium
proseguiva il suo soliloquio, e dalla cassapanca ai piedi del letto
prelevò
delle coperte per l’ospite. Poi scese nella stanza da bagno,
recuperò la
bacinella poggiata sulla specchiera, la riempì
d’acqua e prese una pezzuola per
pulire la ferita. Non avendo del disinfettante, dovette sciogliere un
po’ di
sale nell’acqua, per cercare di ripulire un po’ il
taglio che il nano si era
procurato nello schianto.
Quindi
procedette con estrema lentezza ad un’improvvisata
medicazione, al colmo del
disagio: sapeva un paio di nozioni di pronto soccorso, ma soccorrere
qualcuno
che si era appena schiantato contro una parete di pietra era un tantino
oltre
le sue competenze in materia.
Quando
finalmente ebbe finito, era esausto. Sentendosi la testa pesante,
chiamò uno
dei famigli dell’accademia, un gatto nero dai vivaci occhi
verdi, e lo mise a
guardia dell’ospite, che, in ogni caso, non si sarebbe
svegliato se non verso
mezzogiorno. Dopo di che, si trascinò su per le scale, fino
alla sua stanza e,
senza nemmeno spogliarsi, si gettò sul letto e si
addormentò all’istante.
Si
svegliò tardi la mattina dopo, tutto indolenzito, ma, se non
altro, meno
stanco. Le dieci e mezza erano passate da poco, e fuori la bufera
continuava ad
imperversare.
La
giornata che si prospettava gli metteva una gran voglia di ignorare la
pendola,
girarsi dall’altra parte e ronfare della grossa fino alle tre
del pomeriggio,
ma, si ricordò aveva un ospite a cui pensare. Quindi
controvoglia, e con
estrema lentezza, si mise a sedere sul letto, si alzò in
piedi, si stiracchiò e
si avviò ingobbito e imbronciato giù per le
scale. Con uno sbadiglio più
simile, in effetti, ad un ululato, congedò il gatto da guardia e
andò a
verificare le condizioni del suo bizzarro paziente.
Lo
trovò, come si aspettava, profondamente addormentato,
l’espressione sul viso,
segnato dal vento e dal sole, burbera, nonostante il sonno. Non aveva
perso
altro sangue durante la notte, né sembrava essersi agitato
troppo, e il respiro
lento e regolare gli fece pensare che le ferite quantomeno non dovevano
essere
così dolorose. E il fatto che fosse ancora vivo escludeva
grosse lesioni
interne.
Sospirando,
Yu si passò una mano davanti al viso per togliere le ciocche
di capelli che
erano sfuggite dalla sua coda. Il risveglio non sarebbe stato facile,
quindi
tanto valeva destare subito il nano: non avrebbe gradito svegliarsi in
quel
modo, di questo il mago era sicuro.
Per
prima cosa, era opportuno assicurarsi che fosse possibile comunicare,
perciò,
toccandosi la fronte con l’indice sinistro, toccò
l’aviatore nello stesso punto
con la destra, chiuse gli occhi e recitò un breve
incantesimo. Qualunque lingua
avessero parlato, ora, si sarebbero intesi, almeno fino al calar del
sole.
Poi,
tratto un profondo respiro, passò una mano sul volto del
nano, sussurrando un
controincantesimo che l’avrebbe ridestato.
Il
risveglio del nano fu lento, accompagnato da brontolii, smorfie, e
versi che Yu
aveva famigliari ma a cui non avrebbe saputo dare un nome. Ma una volta
aperti
gli occhi, lo strano ospite fu del tutto desto: in un lampo
gettò via le
coperte, balzò in piedi e impugnò le
armi… che, realizzò solo in quel momento,
non aveva più.
Come
il mago si era aspettato, il nano non fu affatto contento di svegliarsi
nudo, in
casa di uno sconosciuto e privo delle sue armi, e il successivo quarto
d’ora fu
tutto un saltellare, sbracciarsi e sgolarsi da parte di un furibondo
ometto
nudo. Yu si limitò a stringersi nelle spalle e a fissare
genericamente un punto
dietro al suo oltraggiato ospite, lasciandosi scivolare addosso le
atroci
minacce di morte e di vendetta mentre aspettava che si stancasse; era
risaputo
che i Nani erano fuochi di paglia.
Quando,
come previsto, lo sconosciuto si fu calmato ed ebbe i capelli e la
barba tutti
arruffati per l’agitazione, il mago gli rivolse la parola:
“Al tuo posto mi
ringrazierei. Credo che la bufera sarebbe stata assai più
inospitale del
sottoscritto” lo redarguì, inarcando un
sopracciglio. “Comunque sia”, proseguì,
soffiandosi i capelli via dalla faccia, “io sono Yulannath.
Ma preferisco
semplicemente Yu. Perché non mi spieghi che ci facevi a
bordo di un pallone nel
cuore della notte?”
Fu
evidente che il nano non gradì essere apostrofato in quel
tono a metà fra il
supponente e il condiscendente, perché il suo viso si fece
paonazzo.
“Giusto,
il tatto” lo smorzò il mago prima che scoppiasse
in un’altra scenata.
“Rivestiti, poi parleremo. Le tue armi le ho prese
io… sai com’è, con gli
sconosciuti” mise subito in chiaro. Non amava troppo
comportarsi in quel modo,
ma era opportuno che lo sconosciuto non pensasse di poterlo ingannare o
di
mettergli i piedi in testa.
Per
qualche secondo il nano non rispose, rimanendo ritto dov’era,
il petto gonfio
d’indignazione, ma poi, sbuffando, si riprese la sua roba,
grugnendo un
“Rangrin” che il giovane suppose essere il suo nome.
“Dov’è
il mio pallone?” domandò senza mezzi termini, non
appena ebbe indosso i
pantaloni.
Yu
alzò le spalle. “Dove il vento avrà
deciso di portarlo, suppongo” rispose. Il
pallone era l’ultimo dei
suoi
problemi.
“HAI
LASCIATO IL MIO PALLONE NELLA TEMPESTA?” sbraitò
Rangrin, saltellando sul
posto. Il mago si limitò ad incrociare le braccia sul petto
e a guardarlo
torvo.
Evidentemente,
il gesto bastò per suggerire al nano che aveva appena detto
una stupidaggine,
perché il rossore sul suo viso si attenuò un
po’. “Bene” bofonchiò,
distogliendo lo sguardo da Yu. “Allora sarà meglio
che mi incammini, non mi va
di trattenermi troppo” borbottò, impacciato,
facendo per recuperare mantello,
stivali e il resto degli indumenti.
Ma
il mago gli fece cenno di fermarsi.
“In
primo luogo” cominciò, “ti sei appena
ripreso dopo uno schianto di faccia
contro la mia torre; al tuo posto mi riposerei, prima di farmi a piedi
da qui a
chissà dove. Secondo, non si esce con questo tempo,
è una pazzia; e terzo, non
vai da nessuna parte finché non mi dici perché te
ne andavi svolazzando sopra
casa mia” sancì.
Il
nano si bloccò dov’era e lo guardò
interdetto. Come si permetteva quel
mucchietto d’ossa in sottana di dargli ordini?
“Fammi
passare, bamboccio, prima che ti rovini il vestitino”
mugugnò, mostrandogli il
pugno. Subito dopo, sgranò gli occhi e fece un passo
indietro, con
un’espressione orripilata in viso. “Per la barba
degli Antenati!” esclamò.
Yu
batté le ciglia, perplesso. Non aveva nemmeno alzato un
sopracciglio: da quando
era diventato così intimidatorio?
“Come
mai così mansueto, all’improvviso?”
domandò, guardando scettico il nano. Dopo
tutto, poteva anche essere un trucco.
“Un
Demone Evanescente! Non vi avevo riconosciuto!”
balbettò Rangrin, sgomento,
indicando i suoi occhi di un innaturale color indaco, il Marchio dei
Viaggiatori. Sulla terra, erano di un ordinario color castano, ma
divenivano di
quel colore quando si trovava nell’Inframondo. O, in un certo
senso, il colore
naturale degli occhi di un Viaggiatore, in quel mondo, era
l’indaco.
Il
giovane si accigliò.
Demone
Evanescente? Non aveva mai sentito nessuno definire in quel modo i
Viaggiatori,
nemmeno nei libri dell’Accademia erano mai definiti
così.
Fortunatamente,
il nano fraintese il suo cipiglio, perché si
affrettò a spiegare,
frettolosamente, perché si trovasse lì:
“S-signore, non avevo idea che aveste
già preso possesso della fortezza. Mi stavo solo accertando
se il terrestre di
cui parlavano i paesani fosse ancora nell’Accademia, come
ordinatomi dal
maresciallo Turm…” farfugliò, la voce
ridotta ad un soffio. “V-vi prego di
perdonare la mia insubordinazione, ma ero in pensiero per
l’esito della
ricognizione e…”
Qualunque
cosa fossero questi Demoni Evanescenti, il Rangrin ne era
terrorizzato… e, in
qualche modo, succube.
Yu
lo zittì alzando una mano, l’espressione severa,
mentre rifletteva. Il nano era
una spia… probabilmente degli Euxeliani, posto che aveva
nominato un ufficiale,
ma questi Demoni Evanescenti sfuggivano la sua comprensione: che si
trattasse
di altri Viaggiatori? Ma perché chiamarli in quel modo?
In
ogni caso, non credeva che fosse una persona cattiva…
l’avrebbe percepito, a
meno che il nano non fosse un mago a sua volta, in che era assai
improbabile.
Come tutti i suoi simili, era sgraziato, rude e sbrigativo, ma
certamente non
di cuore cattivo.
“Non
ho idea di chi siano questi Demoni Evanescenti. Io sono un Viaggiatore
e un
mago dell’Accademia dei Due Draghi”
scandì. “E ora, tu mi racconterai tutto
quello che sai su questi… Demoni” ingiunse,
puntandogli contro il dito “O ti
ricoprirò di verruche e ti farò spuntare i funghi
sulla barba”.
La
rivelazione lasciò Rangrin scombussolato, era evidente
dall’espressione stolida
e dall’improvviso mutismo che l’avevano colto
quando il mago gli si era
rivolto. Ma, ancora scosso dalla paura dei fantomatici Demoni
evanescenti e per
il cipiglio severo del mago, rimase piuttosto mansueto anche dopo che
ebbe
superato la sorpresa.
“Come
sarebbe a dire che non ne sai niente?” esclamò,
sempre pallido in viso. “Sono
uguali a te! Hanno gli stessi occhi! E… vanno e vengono da
uno strano mondo al
contrario, nel cielo, l’ho visto coi miei occhi!”
Yu
s’incupì ancora di più e prese a
carezzarsi il mento, meditabondo. Decisamente,
la descrizione di Rangrin corrispondeva all’apertura del
passaggio fra i mondi:
i Viaggiatori creavano un portale, generalmente sopra sé
stessi, che aveva
l’aspetto di un’immagine fantasma dello stesso
luogo sull’altro mondo, ma
capovolto. Il varco risucchiava qualunque oggetto o creatura non
ancorata al
suolo dall’altra parte, poi svaniva, senza lasciare traccia,
se non ciò che
poteva aver spostato da un mondo all’altro. Ovviamente, la maggior parte dei
Viaggiatori preferiva
creare passaggi più piccoli e discreti, sufficienti appena
per sé stessi… e
comunque, aprire un portale più grande richiedeva uno sforzo
immane.
Chiuse
gli occhi e si massaggiò una tempia.
“Che
hanno a che fare, con te, questi Demoni Evanescenti?”
domandò. Non riusciva ad
immaginare il motivo per cui dei Viaggiatori avrebbero dovuto
cominciare a
terrorizzare i Nani.
Ma
Rangrin indugiava, la sua espressione tradiva grande ansia.
Yu
si sforzo di sorridere, e di apparire un po’ più
conciliante. “Non temere, non
sono uno di loro; e nessuno sa che sei qui: il pallone sarà
sepolto sulla neve,
o appeso ad un albero chissà dove. Per ora sei al
sicuro” lo rassicurò. “E se
mi spieghi tutto, magari potrò aiutarti”,
aggiunse, pur credendoci solo fino ad
un certo punto. Non riusciva a risolvere i propri problemi, figurarsi
quelli
del nano.
La
spia-per-forza deglutì e annuì più
volte, come per convincersi che stava
facendo la cosa giusta.
“L-la
mia casa è fra i Monti Arcoroccia, a nord…
e… tempo fa, l-loro sono arrivati,
di colpo e…” deglutì di nuovo.
“E hanno fatto sparire delle persone. Nel loro
mondo al contrario, li abbiamo visti, sono passati dall’altra
parte del cielo,
in quel mondo fantasma, fatto di ferro e di strana pietra, non plasmata
dalla
natura, te lo dico io” raccontò, la voce ridotta
ad un tenue soffio.
Il
mago lo ascoltò, le sopracciglia inarcate per la sorpresa.
Sapeva che
esistevano molti altri Viaggiatori… ma aveva mai avuto idea
che ne esistesse un
gruppo. Sempre che questi Demoni fossero effettivamente più
di uno, come il
nano suggeriva.
Rangrin,
intanto, proseguiva il suo racconto: “Hanno detto che
dovevamo fare quello che
dicevano… o che si sarebbero presi altre persone. Chi si
è opposto a loro, o è
sparito nel loro mondo, o… o è la sua famiglia ad
essere sparita. Non so perché
lo facciano, ma adesso laggiù comandano loro e… e
ci hanno detto di metterci a
completa disposizione degli Euxeliani. Abbiamo provato ad opporci, non
ci piace
prendere ordini e non certo da degli umani, ma ogni volta che cercavamo
di
contrattaccare, loro sparivano nel loro mondo, portandosi via alcuni
dei
nostri, poi tornavano di notte, per portare via altra gente, o per
delle
rappresaglie!” gemette. “E io… io sono
solo un aviatore, mi hanno detto di
sorvolare la zona e di riferire tutto quello che scoprivo, e allora ho
pensato
che potevo anche farlo, dopo tutto davo solo un’occhiata, non
mi avrebbero
obbligato ad andare in guerra o a fare del male a qualcuno,
no?”
Yu
annuì, comprensivo, ma la sua espressione rimase cupa. Non
gli piaceva affatto
quello che stava sentendo.
“E
questi… Demoni, sono alleati degli Euxeliani?”
domandò.
Ma
l’aviatore scosse il capo. “No, o non sanno chi
siano. Almeno, è quello che ho
capito dall’esercito” spiegò.
“Se avessero idea di quello che abbiamo visto,
non sarebbero tanto tranquilli… quelli vanno e vengono come
gli pare, spuntano
all’improvviso e si portano via cose e persone, e un minuto
dopo, via! Come se
non fossero mai esistiti”.
Il
Viaggiatore sospirò. Era da quando era un bambino che
attraversava il Confine,
e ormai si sentiva anche abbastanza esperto in
quell’arte… probabilmente, sarebbe
stato in grado di creare passaggi piuttosto ampi, o di mantenerli
aperti per
anche un minuto; ma non avrebbe potuto certo farlo a ripetizione. Quei
Demoni,
chiunque fossero, sapevano il fatto loro.
“Vedo…”
esordì, cauto, dopo un po’, sentendosi addosso lo
sguardo angosciato di
Rangrin. “Il tuo problema e il mio sembrano abbastanza
collegati. Penso che
possiamo darci una mano a vicenda” considerò,
sorridendo. “Io sono bloccato da
un po’ in questo castello” cominciò,
cercando di ignorare l’espressione
scettica che subito si dipinse sul volto del nano, “per cui
sono poco informato
su quello che accade fuori. Ho bisogno che adesso tu mi dica tutto, ma
proprio
tutto quello che sai sugli Euxeliani, sulle loro intenzioni e sulle
loro forze
in questa zona. Se riesco a ritrovare i miei superiori, certamente
riusciremo a
mettere in piedi un piano per allontanare gli invasori dalla regione e,
credo,
anche un modo per impedire a questi Demoni Evanescenti di tormentarvi
ancora. E
se le cose si mettono male, puoi sempre nasconderti e far finta di
essere
andato disperso nella tormenta. Che te ne pare?” propose,
senza smettere di
sorridere.
Rangrin
incrociò le braccia sull’ampio petto villoso e lo
squadrò a lungo, severo a sua
volta, prima di rispondere. Studiò il suo viso giovane
eppure in qualche modo
vecchio, come il suo, il suo sorriso, stanco, ma sincero e solo per
ultima cosa
studiò i suoi occhi da mostro.
Non
vi trovò la malizia o il gelo che luccicavano nello sguardo
dei Demoni che
avevano assalito i Clan. Che esistessero anche Demoni buoni?
“Sei
disperato” sentenziò, guardandolo torvo.
Il
sorriso del mago si tinse di una punta di colpevolezza mentre, con
sincerità
disarmante anche per un burbero nano, annuiva.
“Ho
paura” ammise, con semplicità. “Ne avevo
già da prima di incontrarti, e adesso
che mi hai parlato di questi Demoni, mi sento ancora peggio. Ma
standomene
chiuso qui dentro, non otterrò nulla; devo fare qualcosa, e
devo farla alla
svelta… ma senza un briciolo di aiuto, non andrò
lontano. Mi aiuterai, Rangrin
l’Aviatore?”
Il
nano fissò alternativamente il sorriso stanco del mago e la
sua mano tesa, così
magra e affusolata, poi, con una smorfia teatralmente carica di pena e
disgusto, la prese fra le sue dita tozze e callose.
“Va
bene, va bene, Demone, ti darò una mano. Per gli Antenati,
devo essere
impazzito!” concesse, col tono di una persona costretta a
fare qualcosa di
assolutamente disgustoso.
Yu
chinò la testa in segno di ringraziamento e, quando
l’aviatore si girò per
recuperare la sua camicia, sorrise fra sé: aveva ritrovato
le sue (pessime)
maniere da nano; evidentemente, le sue ferite erano poca cosa.
***
Note finali: eccoci alla fine del terzo
capitolo. Non sono molto abituato ad inserire note di chiusura nei miei
racconti, perché sono abituato a lasciarli
“puliti”, quindi perdonatemi se
suonerò un po’ impacciato. ;)
Anzitutto,
un grazie a tutti coloro che hanno concesso al mio modesto racconto il
tempo di
una lettura: spero che vi diverta quanto diverte me scriverlo. :)
Inoltre,
dal profondo del mio cuoricino, un ulteriore ringraziamento va a chi ha
messo
la mia umile storiella fra i racconti seguiti/preferiti/da ricordare
eccetera.
E’ incoraggiante, per un dilettante come me,
perciò spero che questa mia
piccola creazione si mostri degna del vostro tempo.
Ovviamente,
abbracci gratis a chi si è preso il tempo anche di lasciarmi
una recensione,
sono davvero apprezzatissime. *inchino*
Ah,
e sì, per quanto riguarda l’html sono totalmente
niubbo, quindi perdonatemi se
questo capitolo ha una formattazione un po’ diversa rispetto
ai precedenti. Sto
sperimentando. o.o”
Abbracci
e pucciosità gratis a tutti, e al prossimo capitolo! *3*
|
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Capitolo 4 *** Draco Dormiens ***
Ars
Arcana, Capitolo IV
Draco
Dormiens
Yu
si sentì
immensamente sollevato nel constatare che la fama dei Nani era ben
meritata: a
parte a ferita alla testa, Rangrin non sembrava aver riportato danni
gravi e,
bisognoso di tenere
le mani occupate,
aveva chiesto al mago il permesso di cercare il pallone nel cortile del
castello. Il giovane, dal canto suo, non aveva motivo di vietarglielo,
posto
che la tormenta era ormai placata, quindi, dopo aver condiviso con lui
un
pranzo freddo a base di pane, vino e formaggio, lo lasciò
fare.
Con
suo
sommo dispiacere, il nano trovò presto il suo mezzo: la tela
si era
completamente squarciata e si era afflosciata mestamente ai piedi della
torre.
Le scorte e gli attrezzi che si trovavano nella cassa
all’interno della navicella
erano salvi, ma Yu certamente non possedeva i materiali necessari per
riparazioni così pesanti, e comunque, difficilmente
l’avrebbe lasciato
decollare: in primo luogo, perché il tempo era infido, e
altre bufere potevano
scatenarsi senza preavviso, e, ragionò Rangrin,
perché un pallone che si
gonfiava nel cortile del castello non sarebbe certo passato
inosservato. Gli
Euxeliani avrebbero l’avrebbero cercato e Turm avrebbe
preteso spiegazioni.
Fece una smorfia, contrariato dalla situazione: il suo prezioso pallone
era
distrutto, ed era costretto a fare il doppio gioco. Non erano certo
Turm o
l’esercito di Euxelia a spaventarlo: erano i Demoni
Evanescenti a
terrorizzarlo. Da quando li aveva visti, non era passato giorno in cui
non si
fosse sentito osservato, i loro occhi violacei perennemente inchiodati
addosso,
ammiccanti dietro ad ogni ombra.
Sospirò,
pensando che forse Yu, essendo uno di loro, avrebbe saputo proteggerlo.
Dopo
tutto, i Demoni erano avversari formidabili, anche solo grazie al loro
potere di
svanire. E Yu era anche un mago, il che aumentava le risorse a sua
disposizione… checché non sembrasse troppo sicuro
di sé.
Brontolando
a denti stretti, si passò una mano sul viso rugoso.
Appiedato, doppiogiochista
e, prevedeva, ridotto a balia di un Demone forse più sciocco
che buono.
Scuotendo il capo, recuperò gli oggetti che gli parvero
più utili (tra cui la
bussola, sebbene il freddo avesse congelato l’ago) e
provò a convincersi che,
dopo tutto, doveva un favore al piccolo Demone e che magari sarebbe
stato un
valido alleato.
Da
parte
sua, sicuro che Rangrin non rappresentasse una minaccia, Yu trascorse
la
giornata in biblioteca: come aveva fatto ogni giorno, doveva ampliare
il
repertorio di incantesimi contenuti nel Compendium, e doveva cercare di
capire dove
fossero i due Draghi e come fosse possibile
svegliarli. Le indicazioni
sui libri dell’Accademia, purtroppo, erano vaghe e fumose:
come ogni conoscenza
potenzialmente distruttiva, era stata nascosta chissà dove,
e solo i Rettori
potevano avervi accesso.
“Dietro
al Velo
che tutto cela, nel Santuario Interno ove solo Uno può
entrare…”
Ogni
volta
che in un libro si accennava ai luoghi dove i due Draghi riposavano, lo
si
faceva attraverso quell’indovinello, o altri simili.
Frustrato, come ogni volta,
Yu si massaggiò con le dita la radice del naso.
Sapeva,
ovviamente, che il Drago del Fiume (Dragonessa, in effetti) e il Drago
della
Valle non erano draghi ordinari: erano più simili a spiriti
guardiani, numi
tutelari della regione. L’Accademia era dedicata a loro,
fondata nella speranza
che i suoi studiosi potessero custodire Alborea durante il loro sonno.
E così
era sempre stato, ma il troppo amore per la pace li aveva resi
vulnerabili. I
draghi in senso stretto… be’, erano decisamente
troppo riservati per
preoccuparsi delle scaramucce fra esseri umani. Sarebbero semplicemente
rimasti
a guardare, fintanto che la cosa non li avesse toccati da vicino, e di
certo
gli Euxeliani si sarebbero ben guardati dal farli infuriare.
Non
erano numerosi: non più che qualche decina sparpagliata fra
le montagne, ma si
trattava pur sempre di creature formidabili.
Yu,
in passato, aveva più volte espresso il desiderio di poterli
avvicinare per
studiare la loro cultura e cercare di avvicinarli agli altri abitanti
della
regione, ma Lea era troppo spaventata dai pericoli che una simile
spedizione
comportava: non sarebbe stato esatto dire che si trattava di esseri
crudeli o
di cuore malvagio, ma avevano un’idea tutta loro di purezza e
nobiltà, e non
erano disposti a trattare con qualcuno che non fosse
“puro”… qualunque cosa
volesse dire. E di certo non l’avrebbero tollerato nei loro
territori.
“Allora?
Trovato notizie sui lucertoloni?”
L’improvvisa
domanda di Rangrin lo fece trasalire con tanta violenza che per poco
non cadde
dalla sedia.
Si
voltò con stizza verso il nano, evidentemente compiaciuto
del suo sgomento, e
fece una smorfia.
“Qui
si parla per indovinelli. Tutti i libri che potrebbero dire dove effettivamente i due Draghi si
trovino, sono stati nascosti molti anni fa. Tutto ciò che
resta sono favole,
saggi di etica e poco altro…” rispose.
“Hmm…”
fece il nano, lisciandosi la barba rossa. “Non
c’è un qualche luogo a cui siano
collegati in particolar modo? Tipo… non so, un santuario o
qualcosa del genere?
Magari quello è un buon posto per cominciare le
ricerche” ipotizzò.
Yu
alzò gli occhi al cielo, pensoso. Sì, esisteva un
santuario, in effetti… ma, a
detta degli altri maghi dell’Accademia, era solo un luogo
simbolico, una sorta
di monumento ai protettori di Alborea. Un luogo come tanti altri.
D’altra
parte, nei libri che aveva a disposizione non v’era alcun
riferimento al
santuario: non era facile stabilire se fosse stato costruito prima o
dopo il
castello. Magari visitarlo non avrebbe risolto alcunché,
dopo tutto ci era stato
già altre volte, e non era accaduto niente di straordinario;
ma era anche vero
che, secondo le regole della magia, certe cose si palesano solo quando
ce n’è
davvero bisogno… e di aiuto ce n’era un gran
bisogno, in quel momento.
Si
strinse nelle spalle. Al peggio, avrebbero perso tempo; non che non lo
stessero
già perdendo, si rammentò.
“Abbiamo
un santuario dedicato a loro, è nei sotterranei”
rispose all’aviatore, annuendo.
“Possiamo tentare” concluse, chiudendo i volumi e
alzandosi in piedi.
In
silenzio, guidò Rangrin fra gli scaffali della biblioteca,
fino a raggiungere
l’estremità nord-occidentale
dell’edificio, ove esso si fondeva con la
montagna: una sala lettura in cui la luce filtrava da grandi vetrate
poste sul
soffitto; la polvere che aleggiava per l’ambiente catturava i
raggi del sole in
una danza di scintille dorate. Il nano guardò
alternativamente mago e le pareti
con fare scettico, ma Yu lo ignorò, e prese a percorrere il
lato occidentale
della stanza, ad occhi chiusi, passando le dita sulla pietra grigia per
risvegliarne la magia.
Quando
ne avvertì la presenza, un fugace guizzo ai margini della
coscienza, aprì gli
occhi, recitò la formula-chiave e mosse la mano in un gesto
ad esse; la parete
si increspò come uno specchio d’acqua, e si
dissolse, rivelando un passaggio
scavato nella roccia.
Sorridendo
allo sbalordito nano, frugò in una tasca della toga e ne
estrasse un cristallo,
che illuminò con poche sillabe magiche, indi si
avviò per il cunicolo. Rangrin
gli si accodò, e la parete ricomparve alle loro spalle,
fredda e inamovibile.
Per
diversi minuti, camminarono come sospesi nel buio, guidati dalla luce
dorata
del cristallo, e gli unici rumori furono i loro piedi sulla pietra
umida e
scivolosa e il loro respiro. Poi, il corridoio si fece più
tortuoso e
accidentato, le pareti stesse divennero irregolari, e più di
una volta il tozzo
Rangrin dovette mettersi di profilo per riuscire a passare;
d’altra parte Yu,
alto e snello, era spesso costretto a piegarsi un po’ di lato
per non sfregare
contro la pietra, e con quella toga verde sembrava un qualche bizzarro
serpente. Qua e là cominciarono ad apparire chiazze di
muschio, e in svariati
punti Rangrin notò rivoletti d’acqua solcare la
roccia. Il loro mormorio li
avvolse a poco a poco, finché ad esso non sia aggiunse anche
lo scroscio di una
qualche cascata.
“Ci
siamo quasi” annunciò a bassa voce Yu.
Poco
dopo, il passaggio si allargò bruscamente, subito dopo una
macchinosa svolta a
gomito, e Rangrin comprese che lo scroscio non era quello di una
cascata, ma di
molte cascate assieme: la fine del corridoio si affacciava su un enorme
pozzo
circolare del raggio di svariate decine di metri. Un corridoio
circolare,
scavato nella roccia e protetto da un’alta balaustra, lo
percorreva in tutta la
sua circonferenza. Al centro del pozzo, poco più alto del
passerella, si ergeva
un grande pilastro; dal corridoio, una stretta scala conduceva alla sua
piatta
sommità; al centro, una sorta di altare di pietra bianca
come
la neve risplendeva
accecante nella luce del sole, che precipitava nelle viscere dalla
terra da
un’apertura situata molto sopra di loro.
Senza
esitare, il mago si incamminò per la passerella
rabbrividendo per il freddo
ogni volta che il cammino lo conduceva vicino ad una delle cascate che
si
riversavano, tutto attorno, nel buio del pozzo.
“Quando
il sole è alto” gridò, per sovrastare
il rumore dell’acqua, “le gocce d’acqua
creano tanti arcobaleni, ma mi sa che per oggi ce li siamo
persi”.
Rangrin,
in quel momento molto più interessato alla sua barba piena
di goccioline
d’acqua che agli arcobaleni, si limitò a scrollare
le spalle e a seguirlo, fino
a che non videro l’altare.
Su
un basamento cilindrico, era poggiato un grande disco di pietra bianca,
ornato
da un bassorilievo che persino l’arcigno nano avrebbe
definito di rara
bellezza: i corpi sinuosi dei due draghi ne percorrevano per intero la
circonferenza, per poi curvarsi dolcemente verso il centro del
bassorilievo,
dove i loro musi si toccavano, tracciando un’aggraziata esse
che divideva la
composizione in due metà perfette. I due spazi che ne
risultavano erano
decorati con motivi diversi: da un lato, volute di nebbia, nuvole
vorticose e
spruzzi d’acqua, dall’altra un paesaggio nebbioso
da cui emergevano maestosi
picchi coperti da rigogliosa vegetazione.
La
lavorazione
era squisita, curata nei minimi particolari: le scaglie dei draghi,
scolpite
con pazienza una ad una, da quelle grandi, simili bande di cuoio sui
ventri
delle creature, fino a quelle sottilissime, in corrispondenza delle
loro dita;
le criniere, fluenti e folte, e l’espressione sui loro volti,
serena, tenera,
mentre si sfioravano a vicenda. Sulla fronte di ciascuno era
incastonata una
gemma purissima: uno zaffiro circolare per il Drago del Fiume, e uno
smeraldo
lanceolato per il Drago della Valle.
Rangrin
era sbalordito.
“Chi
l’ha fatto?” domandò, sfiorando la
pietra senza chiedere il permesso. Yu non ne
fu disturbato, o non lo diede a vedere: era un tocco leggero, carico di
ammirazione e rispetto… probabilmente non tanto per i
Draghi, ma per la mano
che li aveva ritratti.
“Nessuno
lo sa” rispose, sorridendo, come faceva ogni volta, rivolto
alla coppia.
Similmente al nano, carezzò la schiena di uno dei due
draghi, e ne seguì il
corpo sinuoso fino alla testa.
“Il
Santuario è tutto qui?” domandò
l’aviatore, senza staccare gli occhi dalla
pietra.
Yu
annuì.
“Nessuna
iscrizione, nessuna camera secondaria… solo
l’altare, le rocce e l’acqua”
mormorò, sfiorando la fronte del Drago della Valle. Non
l’aveva mai fatto
prima: non era mai sceso là sotto da solo, e gli insegnanti
gli avevano sempre
detto che era di cattivo gusto toccare il bassorilievo. E,
d’altra parte, non
aveva mai percepito alcuna magia nel luogo.
Accadde
tutto in un istante. Quando sfiorò lo smeraldo gli parve di
vedere risplendere
al suo interno una luce ammiccante. Si chinò sulla gemma per
osservarla meglio,
quando, all’improvviso, il Drago aprì gli occhi.
Tutto il suo corpo fremette,
la pietra si sbriciolò e cadde giù dal suo corpo
come se fosse stata neve.
Paralizzato, il mago lo guardò animarsi e volgere lo sguardo
verso di lui. I
loro occhi si incrociarono per un solo istante, poi, dallo smeraldo,
scaturì
una luce intensa, che lo avvolse completamente.
Un
istante dopo stava precipitando. Non nel pozzo, come temette
inizialmente,
bensì dentro le profondità scintillanti della
gemma: ne vedeva le sfaccettature
sfavillare, distanti, sopra di lui, alla luce del sole, che si faceva
sempre
più piccola, un puntino bianco nella volta oscura.
“Una
trappola…?” pensò, incapace di credere
che una magia tanto potente potesse
essere così ben celata. Ma non importava.
L’ultima
traccia di luce svanì, il buio lo avvolse e si
ritrovò sospeso. Non cadeva, ma
non poggiava neanche su alcuna superficie. Era senza peso, come se il
suo corpo
si fosse dissolto.
Si
domandò se la sua coscienza sarebbe rimasta intrappolata per
sempre in quel
silenzio, ma scacciò subito quel pensiero con tutte le sue
forze: l’avrebbe
solo portato alla pazzia.
Calma,
si impose. Era improbabile che chiunque avesse costruito quel santuario
potesse
ricorrere ad una magia così sinistra. Di certo una via
d’uscita da quel nulla c’era.
Di
colpo, perse il filo dei pensieri, e si sentì annebbiare.
Nell’oscurità, di
fronte alla sua coscienza disincarnata, si delineò chiaro e
per nulla
adombrato, un grande portale, di giada purissima, di un verde
lattiginoso.
Senza un suono, i battenti si spalancarono su un cielo stellato. Yu li
attraversò come in sogno, quasi senza accorgersene, e si
ritrovò a guardare una
catena di montagne innevate.
Arcoroccia…
Fu
appena un mormorio ai confini della sua mente intorpidita, una voce
bassa e
gentile.
Yu
guardò il cielo, e vide il riflesso terrestre di quel
luogo… e si accorse che
qualcosa non andava. Fra i due mondi gemelli si frapponeva qualcosa, un’ombra scura e
nebulosa, aleggiava fra la Terra e
l’Inframondo, ed era, lo sentiva, affamata.
Dalle sfilacciate propaggini della tetra foschia filtravano una
bramosia e una
malevolenza che fecero sentire il mago completamente inerme.
Era
lì che i nani erano tenuti prigionieri. Fra i due mondi.
Una
folata di vento lo portò via, e lui si trovò a
turbinare fra cielo e terra,
senza sapere dove veniva trascinato, finché non si
ritrovò a guardare una baia,
piena di luci che si riflettevano sulle acque scure del mare.
Euxelia…
Di
nuovo, lo sentì mormorare. E di nuovo, quando
guardò il cielo, vide quella
massa oscura, ancor più tetra e vorace di quella che
aleggiava sulle montagne,
galleggiare fra i due mondi, turbolenta, rabbiosa, ed estesa: non era
solo una
macchia, era come se un intero fronte temporalesco avesse reso ancor
più nera
la notte. Avrebbe voluto sapere di più, avrebbe voluto
vedere la strada, il
luogo dove poteva trovare i due Draghi… ma il sonno fu
più forte. L’ultima cosa
che intravide, fu una trama sottile di scaglie verdissime.
L’incoscienza
l’avvolse tra le sue morbide spire, poco alla volta,
finché le stelle stesse
non si spensero.
Oltre
il Velo che Tutto Cela, nel Santuario ove solo Uno è
ammesso…
Angolo dell'autore:
hhmm, l'ennesimo parto della mia mente malata è condiviso.
L'atmosfera qui si fa un po' più pesante e "seriosa", ma
è normale, tutto calcolato e parte di un diabolico piano del
sottoscritto. Sul serio. ò.ò
Colpo
di scena? Non so se chiamarlo così... diciamo che
è successo un po' di patatracchete. Di certo pare che Yu e
Rangrin si siano trovati una bella gatta da pelare. :o
Ma
niente paura, Ars Arcana non è un racconto dalle tinte
fosche, quindi l'atmosfera tornerà ad assestarsi su quel
tono fiabesco che ho cercato di introdurre negli scorsi capitoli. ;)
Un
grazie a Lunastorta, che si prende il tempo di lasciare dei commenti su
questa mia piccola insana storiella. E' incoraggiante, sul serio. *3*
Oooh,
e quasi dimenticavo, un dovutissimo (checché un po' tardivo)
ringraziamento a Chiara / fallsofarc, che mi ha pubblicizzato e che si
è presa la briga di leggere il mio racconto anche s non
è il suo genere. La trovate nella sezione racconti romantici
tutta intenta ad essere una grande, se la cercate. *w*
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Capitolo 5 *** Eidrath ***
Ars
Arcana, Capitolo V
Eidrath
Rangrin
si sentì come se l’abisso attorno al pilastro l’avesse
inghiottito nelle sue viscere gelide e umide: Yu si era
volatilizzato, davanti ai suoi occhi!
Un
istante prima, stava toccando, come lui, la superficie del
bassorilievo. Un attimo dopo, lo smeraldo sulla fronte del Drago
della Valle si era trasformato in un piccolo globo di luce verde, che
aveva attraversato, fulmineo, il corpo del mago, all’altezza
del cuore. Il giovane era scomparso in un nugolo di lucine bianche,
che erano volate verso il cielo, assieme alla luce della gemma,
lasciandolo solo, nel santuario gelido.
D’istinto,
aveva fatto un passo indietro e staccato la mano dalla pietra:
qualunque cosa fosse accaduta all’ingenuo Demone, voleva
evitarla. Rimase ritto in piedi, i pugni serrati, per diversi minuti,
aspettando un qualche sviluppo, magari che quel cretino riapparisse
in una nuvola di fumo, dicendogli “Sorpresa!” o qualcosa
del genere. Ma i secondi scivolarono via, il mago non si fece vivo.
Svanito nel nulla.
Che fosse
andato nell’altro mondo? No, che sciocchezza, li aveva visti, i
Demoni, e tutti facevano la stessa cosa, quando si spostavano da un
mondo all’altro: non svanivano in quel modo.
Imprecando,
si picchiò una mano callosa sulla fronte e se la passò
sul viso.
In
realtà, la scomparsa di Yu non era poi cosa tanto grave:
sembrava un tipo a posto, ma si erano appena conosciuti; ovvio, un
pochino gli dispiaceva, ma in circostanze normali avrebbe solo
significato una seccatura in meno a cui pensare. Il vero problema,
era che il ragazzo era sparito nel nulla, lasciandolo chiuso in
quella specie di tomba senza una via d’uscita: il passaggio da
cui erano venuti si era sigillato dietro di loro, e lui non possedeva
la magia necessaria a riaprirlo.
Alzò
lo sguardo verso l’apertura da cui filtrava la luce, così
lontana, lassù, sopra la sua testa. Arrampicarsi era fuori
questione: le pareti curvavano a formare una sorta di cupola, e
comunque erano maledettamente scivolose per via del muschio e
dell’umidità. L’acqua, ovviamente, da qualche
parte doveva uscire, ma quell’abisso scuro sembrava senza
fondo, e in ogni caso, Rangrin non amava nuotare. Inoltre, non era
affatto detto che le vie percorse dall’acqua fossero adatte ad
un nano.
“Che
tu sia maledetto, svitato di un Demone!” ringhiò a denti
stretti, scendendo le scale per tornare all’ingresso. Si
sarebbe trovato in un vicolo cieco alla fine, ma era sempre meglio
che rimanere lì ad aspettare chissà cosa.
Tuttavia,
non riuscì a trovare il passaggio da cui era entrato. Ne vide
un altro, che, era sicuro, prima non c’era, e che
l’avrebbe condotto in tutt’altra direzione.
Aggrottò
le sopracciglia folte e tirò su col naso, burbero. Che fosse
opera del mago?
Scrollò
le spalle e si mise in cammino: era irrilevante, dopo tutto; era
comunque l’unica strada da percorrere.
Non
avendo alcuna fonte di luce, si trovò a percorrere il tunnel
nella più totale oscurità dopo la prima svolta…
ma fu un viaggio sorprendentemente agevole: al contrario dell’angusto
e irregolare passaggio che avevano usato per entrare nel santuario,
questo era ampio abbastanza da consentirgli di camminare normalmente,
le infiltrazioni d’acqua e le macchie di muschio erano in
quantità inferiore, ed era, nel complesso, più agevole,
benché decisamente più lungo.
Camminò
per più di un’ora e mezza nel buio, sempre con la
bizzarra sensazione addosso che la montagna stesse chiedendosi dove
poteva lasciarlo.
Quando,
finalmente, si ritrovò all’aperto, vedendo le mura
chiare dell’Accademia a poche centinaia di metri ad est,
nell’intrico di rami e neve del bosco, si sentì quasi
oltraggiato: tutto quel tempo per fare così poca strada? Non
era più semplice farlo tornare da dov’era venuto?
Rinnovando
le maledizioni al piccolo Demone reietto, si preparò ad una
lunga, fredda marcia verso Sulfuracque, pensando che, con un po’
di fortuna, avrebbe trovato un tetto da mettere sopra la testa, un
bagno caldo e magari un ufficiale euxeliano per fare rapporto e
mettere la parola fine a quella storia assurda.
Pochi
passi e, con un soffice tonfo, un blocco di neve si staccò dai
rami di un albero e gli cadde proprio in testa.
Si
scrollò e rabbrividì, sentendo gocce glaciali colargli
giù per la schiena, imprecando fra i denti stretti contro
quello stupido mondo che si divertiva a infliggergli ogni genere di
pena solo perché era un nano. Stizzito, si alzò il
cappuccio e fece per rimettersi in cammino, quando qualcosa lo sfiorò
sulla testa e glielo abbassò.
“Oh,
ACCIDENTI!” tuonò, tirandolo su di nuovo, solo per
sentirlo di nuovo scivolare indietro e beccarsi un’altra salva
di neve sul capo. “Albero della malora! Se avessi un’accetta
ti sentiresti meno spiritoso!” ringhiò, agitando un
pugno, senza ben sapere quale fosse l’albero temerario.
“In
realtà, l’albero non ne ha colpa” commentò
una voce maschile, all’improvviso.
Rangrin
trasalì, temendo che potesse essere un altro Demone, ed
estratto uno dei pugnali, se lo puntò attorno, con aria
spiritata.
“No,
no, non hai capito” seguitò l’estraneo,
preoccupato. “Non ti faccio niente, ho solo bisogno di una
mano” spiegò. Poi, come ripensandoci, aggiunse,
circospetto: “Non sei uno di quelli, vero?”
Il nano
continuò a guardarsi attorno, ma si sentì un po’
meno teso. Dal tono in cui aveva pronunciato la parola quelli,
lo sconosciuto alludeva o agli Euxeliani o, più probabilmente,
ai Demoni Evanescenti.
“Non
direi, sono un onesto nano, io. Tu, piuttosto? Fatti vedere”
rispose, cauto.
“Sopra
di te, malfidente di un nano” fu la risposta.
L’aviatore
alzò lentamente lo sguardo… e ciò che vide gli
fece cadere l’arma di mano.
“Venerandi
antenati!” esclamò, balzando indietro quel poco che le
sue corte gambe gli permettevano. Sospeso fra i rami sopra di lui, si
trovava un Drago del Gelo!
Il suo
corpo muscoloso era coperto di scaglie bianche, e i suoi stessi occhi
erano del colore del ghiaccio; era giovane, lo si capiva dal fatto
che fosse ancora relativamente piccolo: non fosse stato per la
potente coda e il lungo collo, sarebbe stato visibilmente più
piccolo di un cavallo.
Rangrin
stava per chiedersi cosa ci facesse un drago del genere proprio lì,
ma gli bastò un’occhiata alla creatura per convincersi
che il mistero era un altro: chi l’aveva ridotto così?
La sua
pelle bianca era costellata di piccole ferite, per lo più solo
scalfitture, ma il suo intero corpo era avvolto da robuste liane nere
che lo tenevano appeso alle piante per le zampe, con la schiena
rivolta a terra, cosicché si era ritrovato a fissare un nano a
testa in giù.
“Mi
tiri giù?” chiese, semplicemente. “Prometto che
farò quello che vuoi, dopo: parola di drago. Ma ho bisogno che
tagli questa roba. Più cerco di liberarmi e più si
stringe, e già faccio fatica a respirare” spiegò.
Il nano
recuperò il pugnale dal suolo innevato, ma non rispose subito.
“Per
favore? Sono appeso qui da ore, e ho male dappertutto”
insistette il drago, allungando appena il collo. “Se qualcuno
non mi libera entro il calare del sole, mi soffocheranno, non
scherzo” aggiunse, più spaventato.
Rangrin
squadrò la creatura.
“E
se fosse una trappola?”
Come
previsto, il drago si offese subito e scoprì i denti.
“Trappola?
Una trappola? Cosa pensi, che me la sia messa addosso da
solo, questa robaccia malefica?” sibilò, stizzito.
“Se avessi voluto papparmi un nano sarei sceso in picchiata, o
mi sarei appostato da qualche parte, e comunque avete un saporaccio,
o così mi dicono. E comunque, ti ho dato la mia parola, per
gli Antichi! Non ti basta?”
Il nano
non si scompose. “Magari tu non vuoi farmi la pelle, magari sei
solo un’esca…”
Indignata,
la creatura si contorse tutta e sibilò.
“Esca?
Esca per cosa? Quante sono le probabilità che un imbecille
passi per questo tratto di bosco e sia pure nella disposizione
d’animo di soccorrere un drago in pericolo? Quale idiota
potrebbe mai mettere in piedi una cosa tanto ridicola?”
brontolò. “Se ti preoccupano tanto gli Euxeliani, ho
buone notizie: sono troppo impegnati con quel castello. Il che è
un peccato, perché i tizi là dentro magari mi avrebbero
aiutato. E comunque, farci una chiacchierata mi avrebbe fatto comodo.
Oooh, se solo avessi ascoltato i miei genitori e mi fossi trasformato
in un qualche rapace, a quest’ora non sarei qui…”
sospirò. “Ero qui per il mio rito di passaggio…
non voglio morire” disse, infine, abbandonandosi sulle liane
come una bambola di pezza.
Rangrin
fece una smorfia di disgusto.
“Va
bene, va bene, non aggiungere altro, seccatore. Ti tirerò giù
di lì, contento? Basta che la smetti di piagnucolare”
fece, agitando le mani con ribrezzo.
“La
prospettiva di morire tende a toglierti il buonumore”
replicò il drago, caustico.
“Come
ti pare, drago, adesso stai fermo, che provo a tirarti giù da
lì. Ma ti avverto, ci vorrà un po’…”
rispose il nano, gesticolando verso la creatura con fare assertivo.
“E che non ti passi per la testa di mettermi fretta, o ti
lascio lì. Sono un nano, non uno scoiattolo, gli alberi non
fanno per me. Ma se te ne stai buono buono, prometto che ti tirerò
giù, parola di nano” sentenziò, altezzoso.
“Non
ho fretta… purché tu finisca prima del tramonto”
commentò il drago. “E, ti prego, cerca di non staccarmi
dei pezzi, se puoi. Oh, e se ti dico di allontanarti e restare
immobile, fallo e basta, d’accordo?”
Il nano
non rispose: aveva riposto il pugnale e preso una delle sue piccole
asce, e se l’era messa fra i denti onde avere le mani libere
per scalare uno degli alberi. Ma al drago parve che avesse grugnito
qualcosa in tono interrogativo, perciò spiego: “Tu aiuti
me, io proteggo te, per quanto posso da quassù. Mi sembra un
buon piano, no?”
Rangrin
mugugnò il suo assenso, studiando la pianta con fare dubbioso.
In realtà, era un po’ più agile degli altri nani,
quando si trattava di arrampicarsi: con tutte le volte che si era
trovato a dover fare manutenzione al suo pallone, era inevitabile che
imparasse. Ovviamente, gli alberi restavano ostici, ma era
ragionevolmente convinto di farcela.
E, una
volta capito come muoversi (la qual cosa richiese un po’),
arrivare fino al drago fu relativamente semplice, posto che le
piante, tutto sommato, fornivano abbastanza appigli. Rimuovere i
vincoli lo fu meno: avevano una consistenza diversa dal legno, e non
somigliavano nemmeno a delle corde; erano più elastiche, e
reciderle con un colpo secco era difficile. La creatura finì
per trovarsi con diversi tagli in più, ma non si lamentò
mai, anche se diverse volte rabbrividì per i colpi subiti.
Non
appena fu libera, si alzò in piedi e si scrollò tutta,
ringhiando, infine cacciò fuori dal suo campo visivo ciò
che restava delle liane con un rabbioso colpo di zampa.
“Ah,
me la sono vista proprio brutta, Barbalunga” commentò.
“Ora sarà meglio andarsene, però. Se quello
torna, saranno guai seri”.
“Ho
un nome, drago” brontolò Rangrin, cercando di non
perdere l’equilibrio mentre scendeva dall’albero. “Mi
chiamo- ooops!”
Mise un
piede in fallo, e il ramo sotto di lui si spezzò, facendolo
cadere con un gran tonfo sulla neve sottostante.
Il drago
inarcò le sopracciglia, ma lo aiutò a rialzarsi senza
commentare.
“Rangrin”
mugugnò il nano, sputacchiando. “Rangrin di Arcoroccia.
E tu invece chi sei?”
“Sithrim
Adrathir Eidrath Rithlennithim, della Genia del Saggio Ethelos”
rispose la creatura, seria. “Ma Eidrath basterà, quindi
non serve che impari tutto quanto” aggiunse, notando
l’espressione sgomenta del suo interlocutore. “Allora,
conosci qualche buon posto dove nascondersi?”
Rangrin
incrociò le braccia sul petto, burbero. “Veramente,
speravo che tu potessi aiutarmi ad andarmene da qui”
rispose. “Non sai volare?”
“Certo
che so volare!” ribatté Eidrath, stizzito. “Ma
mi sono ferito alle ali, vedi?” disse, spiegando le ali; le
membrane, assai più fragili delle scaglie che coprivano il
resto del suo corpo, erano bucate in diversi punti e presentavano
varie lacerazioni alle estremità. “Per qualche giorno di
volare non se ne parla” stimò, con una smorfia. “Odio
essere bloccato a terra, ma non ha senso cercare di spiccare il volo
solo per ficcarmi nel primo mucchio di neve come una freccetta, ti
pare?”
“Hmm…”
il nano sporse le labbra in fuori e aggrottò le sopracciglia,
carezzandosi la barba fulva. “Non riesci proprio a staccarti da
terra?” domandò.
Il drago
sbuffò due nuvolette di vapore gelido dalle narici.
“Immagino
di poter svolazzare per qualche breve tratto, se proprio devo.
Ma non mi voglio ridurre a saltellare qua e là come un pollo.
Sono un signore dei cieli, non un pennuto dal cervello piccolo”
rispose, disgustato. “Oh, maledetto quel pazzo e i suoi
sortilegi!” ringhiò subito dopo. “Mi ha fatto
fallire la prova!”
“Che
ti importa, di quello stupido oracolo, scusa? Almeno hai portato a
casa la pelle” brontolò Rangrin, stringendosi nelle
spalle. “Alla fine, è quello l’importante”.
“Tu
non capisci! Nessuno mi prenderà sul serio, finché non
avrò superato la prova, continueranno a trattarmi da cucciolo!
E le dragonesse non mi degneranno di uno sguardo” lamentò
l’altro, accorato. “Devo raggiungere l’oracolo”
concluse.
“Devi
essere vivo per raggiungerlo, zuccone!” sbottò il
nano, sbracciandosi. Mancare di rispetto ad un drago, anche se
giovane, era una mossa azzardata, e lo sapeva perfettamente; ma quel
drago gli doveva la vita, ed era sicuro che avrebbe mantenuto la
parola data, anche se controvoglia. “Se ti perdi questo giro,
che importa? Puoi sempre riprovarci. Ma se ti fai acchiappare come un
fagiano, il gioco è finito. Mi capisci?” lo rimproverò,
senza ben sapere perché gli importasse cosa quel bestione
faceva della sua vita.
Eidrath
lo guardò storto, ma non protestò, né fece
alcunché per minacciarlo.
“Bene”
brontolò Rangrin, abbassando la voce e tornando ad incrociare
le braccia sul petto. “Ora che questo punto è chiarito,
vediamo cosa possiamo fare” stabilì, in tono pratico.
“Tu non puoi volare, se non per tratti molto brevi, quindi non
possiamo allontanarci troppo… e, a ben pensarci, gli Euxeliani
ti vedrebbero subito. Hmmm… come te la cavi, a sputare fuoco?”
Il drago
sbuffò e alzò gli occhi al cielo. “Ti sembro un
Drago del Fuoco? Non sarai mica uno di quelli che credono che siamo
di colori diversi solo per bellezza, spero. Più lontano sto
dal fuoco, meglio è; se sputassi fuoco, sarei rosso. Ma sono
bianco, come vedi: il freddo è la mia natura, sono un figlio
del Vento e del Gelo, il mio soffio è quello dell’inverno”
spiegò.
“Cioè
sai solo sputare aria fredda? Devastante…” commentò
il nano, per nulla impressionato.
Eidrath
si accigliò. “Se avessi provato il mio soffio sulla tua
pelle, non faresti lo spiritoso: quanto il fuoco di un altro drago è
caldo, il mio soffio è freddo. Se servirà, lo userò,
e cambierai idea. Perché me lo chiedi?”
Rangrin
alzò le spalle. “Se potessi togliere di mezzo i soldati
Euxeliani, potremmo rifugiarci nell’Accademia. Lì c’è
un sacco di spazio, ed è sicura. Potremmo stare lì,
finché le tue ali non saranno a posto” rispose.
“Sono
troppi per me da solo” protestò il drago, distogliendo
lo sguardo, tentando di ostentare un atteggiamento altezzoso. Era
evidente che ammettere la propria impotenza lo repelleva.
“Non
importa. Aspetteremo che si stanchino, allora. Poi scavalcheremo le
mura e ci troveremo un angolino tranquillo dove aspettare che le tue
ali guariscano”.
“E
poi?” domandò la creatura, inarcando le sopracciglia con
fare scettico.
“E
poi…” iniziò, con l’intenzione di
chiedergli di trovare un modo di riportarlo a casa. Ma, stranamente,
cambiò idea; nella sua mente emerse con prepotenza l’immagine
di Yu, il viso stanco illuminato da un sorriso, che gli diceva che
l’avrebbe aiutato a salvare la sua gente. “E poi…”
esitò. “E poi, mi dovrai un favore. Perciò, mi
aiuterai a scoprire tutto quello che la tua gente può sapere
sul Drago della Valle e sul Drago del Fiume” sancì,
pensando che certamente era impazzito.
Eidrath
inclinò il capo lateralmente. “Solo quei due? E del
Drago del Cielo non vuoi sapere nulla?” domandò, non
capendo perché al nano interessassero informazioni incomplete.
“C’è
un terzo drago?”
“Certo
che c’è. I due che hai menzionato sono figli suoi. Loro
tre assieme hanno creato la valle, tutti i draghi lo sanno”
spiegò la creatura, orgogliosa. “Ma i mammiferi si sono
dimenticati del vecchio Drago del Cielo, perché lui non si fa
vedere da tanto, tantissimo tempo. Si addormentò dopo aver
generato gli altri due, e non si svegliò più da allora.
Solo i suoi figli si fanno vivi, di tanto in tanto” raccontò.
“E’ curioso che un nano si interessi alla saggezza della
mia gente” commentò subito dopo.
Rangrin
arrossì, mugugnando in sua difesa che uno stolto l’aveva
incastrato in una questione arzigogolata e poi si era vaporizzato
senza lasciar traccia si sé.
“Ha
a che vedere con gli Euxeliani e quei bizzarri Viaggiatori, vero?”
lo interrogò Eidrath, indovinando la fonte delle sue
preoccupazioni.
“Viaggiatori,
Demoni Evanescenti… non ho idea di come si chiamino. Occhi di
uno strano azzurro-violetto, vanno e vengono da un altro mondo e ne
combinano di tutti i colori. Sì, sono loro il problema. Ne sai
qualcosa?” fece l’aviatore.
Ma la
creatura scosse il capo. “So cosa siano i Viaggiatori, ma di
Demoni Evanescenti non ho mai sentito parlare. Ho solo sentito gli
anziani dire che da qualche tempo ne sono apparsi tanti, di
Viaggiatori, e che è un fenomeno inusuale. Ma noi ci curiamo
poco delle questioni dei mammiferi, quindi sono pochi a saperne
qualcosa” rispose. “Ma va bene, Rangrin il nano. Se mi
aiuti a rimettermi in sesto, ti porterò dalla mia gente e farò
in modo che tu sia accolto come ospite puro e degno. Parola di drago”
aggiunse poi, solenne.
“Ottimo”
bofonchiò il nano, annuendo. “Allora, per prima cosa
credo che dovremmo…”
Ma le sue
parole furono coperte da un forte rombo, simile ad un tuono. Confuso,
Rangrin alzò lo sguardo al cielo grigio di nubi, chiedendosi
come potesse scoppiare un temporale in pieno inverno, ma si accorse
che aveva guardato nella direzione sbagliata quando la terra tremò.
Un’improvvisa
scossa squassò il bosco, facendo tremare le piante e cadere la
neve che si era posata sui rami.
“Per
gli Antenati! Il monte è arrabbiato” esclamò,
cadendo seduto per terra, lo sguardo sgomento fisso sulla montagna.
Eidrath gli fu subito sopra, riparandolo dai blocchi di neve cadente
con il suo corpo. “Gli Euxeliani non mi avevano mai detto che
questa fosse zona di terremoti” gridò, per sovrastare il
fragore della terra.
“Non
lo è, infatti” rispose il drago, avvolgendosi attorno al
nano per impedire che la neve lo seppellisse.
“Ti
pare il momento per gli abbracci?” sbottò quello,
indignato, spingendo via la testa allungata della creatura.
“Tu
pensa solo a prendere un bel respiro, zuccone” replicò
Eidrath, senza stizza, guardando con occhi sgranati l’enorme
massa di neve che si era staccata dalla parete della montagna.
“Tieniti stretto a me e non prendere iniziative” lo
ammonì.
“Pensi
che abbia paura di qualche scossone e un po’ di neve?” si
offese Rangrin, che non aveva visto la valanga in arrivo. Ma il drago
non rispose: aveva chiuso gli occhi, e una fievole luce bianca
l’aveva avvolto in un tiepido alone. Le parole che stava
mormorando nella sua lingua antica furono inghiottite dal fragore
della neve.
Il
plotone Euxeliano agli ordini del Maresciallo Turm avvertì la
scossa di terremoto, vi diede scarsa importanza. Era stata rumorosa,
e quello era bizzarro, ma dalla forza sembrava solo un assestamento
del terreno, niente di serio.
Turm li
osservava montare l’ariete accigliato, cercando di accendere la
sua pipa, il naso arrossato dal freddo. La spia che avevano mandato
in ricognizione non era ancora tornata, e aveva il sospetto che la
tormenta l’avesse colta di sorpresa. Avrebbe voluto sentire un
suo rapporto, prima di tentare nuovamente un’irruzione
nell’Accademia, ma dal Quartier Generale pretendevano fatti,
non scuse, perciò avrebbe dovuto affrettarsi a chiudere la
partita con quei quattro prestigiatori da strapazzo.
La
valanga piombò su di loro come un falco in picchiata,
cogliendoli completamente di sorpresa. La ruggente ondata bianca si
riversò sui soldati prima da un lato, e poi da davanti,
esplodendo da dietro le mura dell’Accademia come uno tsunami
ghiacciato.
La pipa
accesa con tanta fatica, gli cadde di mano e fu inghiottita nel
bianco.
Note
finali: rieccomi qui dopo i bagordi delle feste. Spero che ve le
siate godute, e che il nuovo anno sia iniziato nel migliore dei modi!
=D
Un nuovo
personaggio fa il suo ingresso, e altre new entries popoleranno i
prossimi capitoli; mica possono fare tutto Yu e Rangrin. =P
E a
proposito di Yu, di lui si parlerà nel capitolo successivo.
Spero di riuscire a pubblicarlo presto, anche se il nuovo anno
significa dover ricominciare a studiare per l’università.
Q.Q
Comunque
sia, grazie ancora a chi segue questo mio delirio, a chi si è
lasciato incuriosire e gli ha dato un’occhiata, e a quanti
hanno avuto la bontà d’animo di lasciare una recensione.
Fatemi sapere cosa pensate, non siate timidi, non mordo. Quasi mai.
>X3
Un
abbraccio a tutti, e al prossimo capitolo!
|
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Capitolo 6 *** La Zona Buia ***
Ars
Arcana, Capitolo VI
La Zona Buia
Quando
Yu finalmente si risvegliò, l’oscurità
attorno a lui era così fitta che gli ci
volle qualche istante per capire che aveva effettivamente riaperto gli
occhi.
L’odore dell’aria attorno a lui era stantio,
l’atmosfera calda, pesante e
umida. Di certo, pensò, non era più nel santuario.
Non
riusciva a ricordare come fosse arrivato lì, ma al momento
non aveva
importanza; doveva uscire da quella specie di sepolcro (ammesso, si
disse con
un brivido, che vi fosse un’uscita), capire dove fosse finito
e poi… be’, e poi
ci avrebbe pensato su. Dove l’aria fosse un po’
più fresca.
Si
tastò tutto attorno per farsi un’idea
dell’ambiente, ma non appena sfiorò il
pavimento fece una smorfia di disgusto: era viscido,
ricoperto di una qualche sostanza oleosa, che, stranamente, non gli
imbrattò le
mani. Continuò a saggiare il suolo, finché le sue
dita non incontrarono un
oggetto fresco, sfaccettato e liscio, e, constatò con un
mezzo sorriso, pulito:
il suo cristallo-torcia.
Un
po’ rincuorato dalla sua presenza, lo strinse e lo
attivò, circondandosi di un
alone di pallida luce. Cauto, il mago si alzò a sedere e si
guardò attorno: di
fianco a lui, a meno di due metri, si spalancava la bocca di un qualche
enorme,
nerissimo abisso; provò a sporgersi leggermente (molto leggermente, aveva il terrore di
pozzi e simili) per
sbirciare giù, ma si ritrasse subito con un’ondata
di nausea: l’oscurità laggiù
era, se possibile, ancor più fitta, e dalle
profondità della terra spirava un
vento caldo, regolare, pulsante, come il respiro di una qualche enorme,
immonda
bestia. Era certo, però, di non essere finito nella pancia
di qualche bestia:
era solo una qualche specie di grotta dannatamente fetida. La sostanza
che
ricopriva la pietra, vide, era nera come la pece, lucida, e,
notò con disgusto,
sembrava viva; la sua superficie
non
era mai liscia, ma sempre piena di increspature e piccole onde, un
costante
fremito che il mago non sapeva spiegarsi. Il movimento era
più evidente e
febbrile laddove la luce del suo cristallo era più intensa,
come se quella
massa scura detestasse la luce, o ne fosse in qualche modo danneggiata.
Vincendo
le vertigini, Yu si alzò in piedi e si allontanò
dal baratro, ispezionando i
dintorni alla ricerca di un’uscita.
L’operazione
fu più lenta e difficile del previsto: sebbene il cristallo
si fosse illuminato
al suo comando, qualcosa sembrava non andare con
l’incantesimo; per quanto il
giovane cercasse di intensificare la luce per avere una visuale
più ampia,
tutto ciò che otteneva era un malsano alone di luce
giallastra, che a stento
riusciva a gettar luce a più di qualche metro.
Come se il buio mi si stringesse attorno,
pensò, con un brivido.
Sospirò
e decise che era inutile sprecare la sua magia in quel modo;
ricominciò ad
ispezionare la grotta, muovendosi con passi brevi e circospetti,
più
silenziosamente possibile: qualunque cosa abitasse quel posto,
perché di certo
vi erano creature abbastanza
disgustose da abitarlo, non voleva incontrarla.
La
fortuna, tuttavia, gli concesse un vago sorriso: quel posto orribile
aveva, a
quanto pareva un’uscita, o, per lo meno, un qualche pertugio
dal quale spirava
un’aria meno fetida. Yu imboccò il passaggio con
estrema cautela, conscio di
essere completamente disarmato e dei limiti della sua magia. Il viaggio
sembrò
durargli un’eternità: il cunicolo era angusto,
pieno di svolte, e tutto
ricoperto da quella robaccia disgustosa; per giunta, ovunque,
dall’oscurità,
provenivano strani suoni, indecifrabili, ma angosciosi e carichi di
presagi
sinistri.
Quando
finalmente fu all’aperto, benché la galleria fosse
quasi completamente
pianeggiante, era sfinito e tremante. E lo spettacolo cui si
trovò davanti non
lo rincuorò.
Dove… sono finito…?
Sopra
di lui, il cielo era nero come la pece, privo di qualsiasi astro a
squarciare
le tenebre, e l’unica luce, a parte il suo piccolo, triste
cristallo, veniva da
bagliori arancioni all’orizzonte, come distanti incendi, e da
fiammate che, di
tanto in tanto, fuoriuscivano con fragore da strane spaccature nel
terreno. La maggior
parte del suolo e di ogni superficie era ricoperta dalla medesima
sostanza
nerastra, e non c’era alcuna traccia di esseri viventi,
tranne lui.
L’unica
nota positiva era che, uscito da quella grotta nefasta, la stretta del
buio si
era attenuata, e adesso la luce del cristallo splendeva più
vigorosa.
Quello
non era Inframondo… ma
nemmeno la Terra
poteva albergare un simile sfacelo.
Poi,
nel brulicante, viscido rumoreggiare di quel mondo tetro, lo raggiunse
un suono
famigliare: una sirena, da un punto imprecisato nel buio,
più a valle rispetto
a lui, accompagnato dall’accensione, brusca e improvvisa, di
una qualche grossa
luce, probabilmente un riflettore o un faro potente, che poi divennero
due, poi
tre.
Sotto
il lamento della sirena, i tre bagliori cominciarono a spostarsi,
rapidi, verso
di lui. Per un istante, il mago pensò ingenuamente che
potesse trattarsi di
soccorsi: magari erano altri terrestri, venuti a salvarlo da
quell’incubo.
Ma,
quando vide cosa stava
avvicinandosi,
sferragliando, dovette ricredersi: tre enormi macchinari simili ad
enormi
insetti correvano su di lui, spostandosi velocissimi su quattro paia di
zampe
lunghe ed affilate che uscivano dai loro corpi tozzi e tondeggianti.
Sfrecciarono
su per il pendio, tranciando e travolgendo ogni cosa sul loro percorso,
puntando su di lui. Yu capì in un istante che, chiunque
comandasse quelle
macchine, di certo non voleva aiutarlo, perciò
tornò, suo malgrado, ad
infilarsi nell’oscuro pertugio da cui era uscito e
disattivò il cristallo,
sperando che fosse sufficiente ad ingannare gli insetti metallici.
Quelli
raggiunsero il punto dove si trovava e, per alcuni secondi, sostarono,
girando
su se stessi lentamente per illuminare i dintorni.
Cauto,
il mago si ritrasse più in profondità e si
riparò dietro ad una protuberanza
rocciosa, sperando che lo spessore fosse sufficiente ad occultare il
calore del
suo corpo.
Non
ebbe il tempo di appurare se lo stratagemma aveva funzionato,
perché,
all’improvviso, sentì uno stridore metallico,
seguito da uno schianto potente.
Contro ogni forma di buon senso, assecondò la sua morbosa
curiosità e sbirciò
dal suo nascondiglio cosa mai
potesse
affrontare quegli orrori di metallo, ma non vide nulla, se non uno dei
suoi
inseguitori ribaltato zampettare inutilmente contro il cielo nero,
prima che la
scena diventasse un incomprensibile turbinare di scintille, schianti,
oscurità
e strani brontolii gutturali.
Pochi
caotici istanti dopo, tutto ciò che restava delle macchine
erano rottami
contorti. Yu rimase bloccato dov’era, esterrefatto: non
percepiva una presenza
malevola, in quel buio, ma non poteva essere sicuro che chi aveva
distrutto gli
insetti metallici fosse socievole; poteva anche essere un predatore di
quella
terra buia.
Stava
per tornare a rintanarsi, quando una voce profonda lo raggiunse
dall’oscurità:
“Fuori
dal pertugio, piccoletto. Io sono più furbo di quei
rottami”.
Yu
si sentì paralizzare per la sorpresa e la paura, ma se era
vero che l’estraneo
era più furbo dei cosi che aveva appena fatto a pezzi, era
inutile cercare di
scappare. Uscì, trattenendo il respiro, già
sentendosi addosso gli artigli
della creatura del buio.
Ma
gli artigli non vennero. Lo sconosciuto si limitò ad
osservarlo dall’oscurità,
con luminosi occhi di un viola intenso, come per valutarlo. Incrociando
il loro
sguardo, il mago deglutì: pupille verticali, iridi color
ametista, e un corpo
che si confondeva con il buio circostante.
La
creatura che l’aveva salvato era un Drago Oscuro. Non si
fosse trovato in un
luogo completamente sconosciuto e popolato da orrendi macchinari
assassini, la
sua anima di accademico ne sarebbe stata deliziata: quei draghi erano
rarissimi, e pochi studiosi potevano dire di averne mai osservato uno
dal vivo.
Ma le circostanze avevano momentaneamente spedito in letargo lo
studioso che
era in lui.
“Io…”
boccheggiò, cercando di trovare le parole per presentarsi al
drago.
Ma
quello subito lo interruppe: “Risparmia il fiato, Luminal.
Non corri pericolo
con me: sei abbastanza puro. E hai la Voce, sento”.
Yu
sbatté le palpebre e chiuse la bocca. Non aveva idea di cosa
la creatura
intendesse; tutto ciò che aveva capito era che non gli
sarebbe stato fatto del
male. E non appena quella consapevolezza fece breccia nella sua mente,
il caos
che aveva in testa si calmò un poco. Trasse un respiro
profondo, e parò con più
calma: “Ti sono debitore, o possente. Ma temo di non capire
di cosa tu stia
parlando”.
“Non
qui, devo portarti in un posto più sicuro”
borbottò la creatura. Fece una
pausa, come se dovesse dire qualcosa di estremamente difficile, ma poi
aggiunse: “Ce la fai a salirmi in groppa?”
Il
giovane si sentì stordire dallo stupore: cavalcare un drago?
La fortuna certo
aveva scelto un momento tremendamente bizzarro per esaudire quel suo
infantile
desiderio.
“Credo
di sì, se posso aiutarmi con un po’ di
luce”.
“E
sia” mugugnò l’altro, appiattendosi a
terra per aiutarlo.
Yu
si affrettò a riattivare il cristallo per esaminare il
drago: era grande, lungo
più di una decina di metri, e il suo corpo snello e nerbuto
era ricoperto di
scaglie nerissime e lucenti. Dalla testa partiva una cresta che, retta
da una
fila di aculei bianchissimi, arrivava fino alla fine della coda. Le
arcate
sopra i suoi occhi erano delineate da file di piccole spine candide;
altri
speroni costellavano il suo corpo con regolarità, come
stelle ammiccanti in una
notte senza luna.
Arrampicarsi
sul suo dorso fu decisamente più complicato che salire su un
cavallo (non che
il drago avesse delle staffe cui appoggiarsi), ma la creatura,
comprendendo la
difficoltà del compito, abbassò un ala
perché il giovane potesse darsi la
spinta, e così, anche se goffamente, il mago
riuscì a sistemarsi in uno degli
ampi intervalli fra gli aculei dorsali del suo salvatore.
Non
appena il mago si fu sistemato, il drago balzò in volo con
un solo, potente
balzo. La valle oscura, e i rottami fumanti dei ragni metallici si
allontanarono e sparirono nel buio, mentre la creatura si innalzava
sempre più
nel cielo tetro.
Quando
l’aria attorno a lui cominciò a farsi un
po’ più fresca ed ebbe perso quella
nota greve e oleosa che aveva a terra, Yu riuscì anche a
godersi l’esperienza:
sentiva il vento sul viso, ed avvertire sotto di sé i colpi
d’ala possenti e il
respiro regolare del grande drago aveva un che di esaltante,
checché la paura
di cadere gli impedisse di abbandonarsi completamente
all’ebbrezza del volo.
Il
viaggio nel buio fu lungo: solo pochi, isolati sprazzi di quelle
sinistre luci
arancioni interrompevano la monotonia dell’onnipresente
oscurità, e l’orizzonte
era distinguibile solo quando il drago volava in direzione di uno di
quei
bagliori crepuscolari. E, curiosamente, la creatura continuava a salire
e
salire… dove lo stava portando?
“Reggiti
forte, Luminal” lo ammonì.
Il
mago non capì, né ciò che il suo
interlocutore intendeva, né, di nuovo, cosa diamine
fosse un Luminal, ma decise che avrebbe interrogato il drago in un
secondo
momento; si chinò sul suo collo e si aggrappò con
tutte le sue forze,
nascondendo il viso contro la sua pelle corazzata.
Un
istante dopo, ebbe l’impressione che il drago avesse sfondato
una qualche
strana barriera, come una membrana elastica: si sentì
passare addosso decine e
decine di piccoli, gommosi tentacoli, che cercarono di strapparlo dal
dorso del
suo salvatore. Ma lo strattone fu troppo breve, e la creatura troppo
veloce ad
attraversare quel muro invisibile, perciò Yu
riuscì a mantenere, anche se a
fatica, la sua posizione.
E
quando riaprì gli occhi, gli parve di essere finito in un
altro mondo ancora:
tutto attorno a lui si estendeva un’infinita distesa di un
blu profondo,
puntellata da miriadi e miriadi di stelle, pianeti, galassie e
variopinte
nebulose; qua e là, soffici banchi di nubi argentate si
trascinavano nel cielo
stellato, e delicate striature di ogni colore visibile attraversavano
qua e là
il paesaggio; la stessa terra, gli alberi, ogni cosa, sembrava composto
da sola
luce, o energia, delineata da sottili linee luminose e a malapena
pervasa da un
alone colorato.
Il
mago si guardò attorno, sbalordito, convinto di essere stato
catapultato in un
qualche bizzarro sogno. Ma quando si guardò alle spalle,
tornò alla realtà: la
barriera che avevano attraversato era reale, e aveva
l’aspetto di un’immane
cortina di impenetrabile oscurità fremente, che interrompeva
bruscamente quel
paesaggio fantastico, ingoiandolo nella sua sinistra tenebra.
“Che
luogo è mai questo?” domandò, con un
filo di voce.
Il
drago sbuffò dalle narici, infastidito.
“Che
domande sono queste? Non riconosci casa tua, Luminal?”
Yu
sospirò, ma carezzò con delicatezza la base del
massiccio collo della creatura.
“Ho
un nome, possente: mi chiamo Yulannath, ma preferisco Yu, e se ti
faccio queste
domande, è perché non ho idea di dove sono,
né di cosa sia un Luminal”.
“Io
sono Azadrath Alastellata, e questa è la Frontiera, la Zona
Franca, e la casa
del tuo popolo, piccolo Luminal. Anche se da un po’ di tempo
a questa parte,
sta diventando la Zona Buia” rispose Azadrath, un
po’ meno seccato, cominciando
a planare dolcemente verso quello che sembrava un grande palazzo fra le
colline. Le sue mura sembravano avere un grado di opacità
maggiore, rispetto
all’ambiente circostante. “La tua gente chiama
questo posto Astrelia. O almeno,
così lo chiamava molto tempo fa”.
“Perché
dici la mia gente? Io sono un Viaggiatore, ma sono un essere
umano” lo
interrogò il mago, confuso.
Il
drago rise. “Non c’è più
umanità in te di quanta non ve ne sia in me, piccolo
Luminal. Ho vissuto qui abbastanza da essere in grado di riconoscere un
Luminal
quando lo vedo, anche se è un Esule come te”.
Yu
sospirò, e concentrò la sua attenzione sul
palazzo. Più domande faceva, meno ci
capiva.
“La
paura mi ha fatto dimenticare le buone maniere, Azadrath. Non ti ho
ancora
ringraziato per avermi salvato” aggiunse, quando Azadrath
toccò terra in uno
dei cortili del grande edificio. Fu un atterraggio dolce, e il mago
avvertì
appena la vibrazione.
Di
nuovo, la creatura sbuffò e scosse il capo.
“Meglio
tardi che mai. E comunque, era mio dovere”
bofonchiò, impacciata.
“Conosci
qualcuno che possa occuparsi delle tue ferite?” si
preoccupò il giovane: ora
che lo osservava bene, notava che le zampe affilate di quegli infernali
marchingegni avevano ferito il drago in alcuni punti.
“Ferite?
Oh… solo graffi. Andranno a posto nel giro di qualche
giorno, piccolo Yu. Non
dovresti preoccuparti per me, sembra che tu abbia problemi ben
più gravi”.
“Cosa
te lo fa pensare?”
“Ad
esempio, il fatto che non ti ricordi della tua patria. Ma i problemi
che hai in
quanto Luminal posso capirli solo in parte, e forse non ti sembrano
nemmeno i
più grossi. Ma tu possiedi la Voce di un Drago Celeste, il
che significa che
qualunque posto tu abbia eletto a tua dimora fuori dalla Zona Franca
è in
pericolo”.
Yu
si ingobbì e sbuffò leggermente. Ancora misteri,
ancora enigmi.
“Posso
farti ancora delle domande, per passare il tempo? Sembra che stiamo
aspettando
qualcuno o qualcosa…” chiese, carezzando di nuovo
le scaglie lisce del drago.
Sapeva che non era un gesto fuori luogo, perché i draghi,
come molte creature
magiche, avevano del contatto fisico una percezione e un’idea
diversa dagli esseri
umani.
“Hmm”
brontolò quello, un po’ rabbonito dai modi del
giovane. “Immagino tu possa
trarre giovamento da un po’ di ciò che so. E
comunque, la Principessa si fa
attendere. Perciò immagino che sì,
soddisferò qualche tua curiosità. Ma non
tutte, alcune cose te le dovrà dire lei” rispose,
in tono condiscendente.
Il
mago sorrise fra sé. Azadrath era evidentemente compiaciuto
dalla sua curiosità
e probabilmente amava esibire la propria saggezza quasi quanto gli
piaceva
mostrare la sua prestanza. E se, le sue ipotesi erano corrette, molto
probabilmente non aveva grosse occasioni di mettersi in mostra.
“Per
prima cosa” esordì, sistemandosi più
comodo in groppa alla creatura, posto che
questa non gli aveva intimato di scendere, “cosa significa
che io ho la Voce di
un Drago Celeste?”
“Significa
che una piccola parte del potere di quel drago ti pervade, anche se
ancora non
sai farvi ricorso. Lo rappresenti, in un certo senso. Sarebbe
più corretto dire
che adesso sei la Voce di un Drago
Celeste. Rallegrati! E’ un onore che di rado viene concesso a
qualcuno che non
sia un drago!”
Yu
annuì. Fino a quel punto, la cosa sembrava incoraggiante:
essere riuscito a
contattare in qualche modo il Drago della Valle costituiva un discreto
successo, dopo tutto.
“Spiegami
meglio, se puoi. In cosa si traduce, questo legame?”
insistette.
“Te
ne accorgerai, man mano che imparerai ad attingere alla sua
forza” replicò Azadrath,
vago. “Diciamo che ti ha donato qualcosa di suo. Qualcosa
che, se porti a
termine il tuo compito, resterà tuo”.
In
altre parole, qualunque cosa fosse, avrebbe lasciato un segno
permanente,
rifletté il mago. Era prevedibile, dopo tutto: non si
attinge mai ad una grande
forza senza restarne segnati in qualche modo. Restava da vedere la
forma che
questo segno avrebbe preso. Il drago aveva parlato di un dono,
ma Yu non poteva essere sicuro che sarebbe parso tale anche
dalla sua prospettiva di umano… o Luminal, a sentire
Azadrath.
“D’accordo.
Allora, ecco un altro quesito: perché ai Draghi Celesti
serve una Voce? Non possono
essere destati, per scongiurare un grande pericolo?”
proseguì, dopo aver
riflettuto un attimo.
Di
nuovo, il drago rispose prontamente, senza esitazione: “La
loro forza è troppo
grande, ed essi hanno difficoltà a calibrarla; è
opportuno che si destino solo
quando il pericolo è proporzionato al danno che la loro
potenza scatenata
potrebbe causare. La forza trasmessa attraverso la loro Voce, spesso,
è più che
sufficiente”.
Era
evidente che la creatura non poteva o non voleva essere più
specifica di tanto,
perciò il giovane decise di cambiare argomento:
“Va bene, quanto hai detto sui
Draghi Celesti per ora basterà. Quanto a me,
invece… seguiti a chiamarmi
Luminal, ma io sono umano. Sono un Viaggiatore,
sì… ma umano. Un Terrestre, se
conosci quel mondo. Perché mi chiami Luminal?”
Azadrath
volse di lato la grande testa per guardarlo con un occhio viola.
“Proprio
non capisci, piccolo Yulannath? Io
sono un Viaggiatore. Tu sei un
Luminal. Tutti i Luminal hanno il potere di attraversare il Confine, ma
non
tutti i Viaggiatori sono Luminal. Ma tu sei un Luminal, ne sono sicuro.
Sei
solo un Esule, ma col tempo tornerai in sintonia con la tua patria
ancestrale”
disse, aggrottando le sopracciglia. “Poco importa se sei nato
sulla Terra. Le
tue vere origini sono
qui”.
“Ma
sulla Terra i miei occhi sono di un colore normale, non sono
così come li vedi
ora” ribatté il giovane, sentendosi un
po’ mancare la terra sotto i piedi.
Andava
bene sentirsi dire di essere la Voce del Drago della Valle…
ma scoprire di
essere una specie di alieno? Quello
era un po’ troppo, per prenderlo semplicemente per buono.
Azadrath
sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Indi,
brontolò qualcosa nel suo linguaggio,
scuotendo appena il capo, poi rispose, paziente: “Certo che
sono di un colore
diverso, mio ingenuo cucciolo. Ti sei Adattato alla vita sulla Terra, o
l’hanno
fatto i tuoi antenati prima di te, tanto da dimenticarsi le loro
origini. E’
probabile che i Luminal da cui discendi si siano mescolati con gli
esseri umani
tanti anni fa… ma l’eredità Luminal
è anche magica e spirituale, e si è
palesata in te. Adesso che hai cominciato a Viaggiare, il tuo legame
con la
Terra si affievolirà, e tornerai ad avere
l’aspetto di un Luminal a tutti gli
effetti. Ancor più in fretta, ora che hai sviluppato un
legame così profondo
con un essere spirituale dell’Inframondo”.
Yu
deglutì.
“E…
che aspetto ha un Luminal?” chiese, titubante.
Non
ne aveva idea, e, da come Azadrath si era comportato, aveva dato per
scontato
che somigliassero a degli umani… il che era plausibile, se
doveva essere stato
possibile per i suoi antenati mescolarsi coi Terrestri… ma
chi glielo
garantiva, dopo tutto?
Ma
il drago rise di gusto.
“Non
temere, non diventerai un mostro. Ne avrai un’idea quando
vedrai la
Principessa” lo rassicurò, sorridendo.
“Di’, mi trovi brutto?” gli chiese,
all’improvviso.
Il
mago, preso in contropiede, batté le sopracciglia,
perplesso. “No, affatto.
Penso che tu abbia un aspetto magnifico… la Principessa
somiglia ad un drago?”
ribatté.
Azadrath
sorrise ancora. “Per niente” fu la risposta.
Il
giovane sospirò e scosse il capo. La situazione era
così assurda che cominciava
a sentirsi ubriaco: gli girava la testa, era stanchissimo, e non era
certo di
riuscire a ragionare con lucidità.
Se
ciò che la creatura diceva era vero, la sua vita era stata
un susseguirsi di
vari ordini di illusione: l’idea di essere un terrestre, e di
appartenere ai
luoghi della sua infanzia… l’idea che
l’Inframondo fosse la sua seconda casa,
il rifugio dal grigiore e dalla malinconia che avvertiva sulla
terra… l’idea di
essere un essere umano… sembrava andare tutto
all’aria come un castello di
sabbia.
Poteva
razionalizzarlo, sapeva che l’avrebbe fatto… ma
sul momento, l’impatto era
forte. Non si sentiva più sicuro di nulla, e adesso che il
drago aveva rimescolato
le acque del suo passato, il futuro gli sembrava più incerto
che mai.
E
il
povero Rangrin… chissà se se l’era
cavata?
Il
pensiero che anche il nano potesse essere stato risucchiato in quella
fetida
oscurità gli diede un conato di vomito. Se così
era stato, l’aveva abbandonato
al suo destino… era un pensiero orribile!
Deglutì
a fatica e rovesciò la testa all’indietro,
volgendo il viso al cielo colorato.
Un respiro profondo, e i pensieri si sarebbero rimessi un po’
a posto.
Il
nano era con lui nel santuario, era vero, ma non aveva toccato la
gemma, né
stava toccando lui quando lui l’aveva toccata. Quindi era
improbabile che fosse
stato trasportato lì. Inoltre, l’avrebbe visto
nella grotta, e sicuramente
l’avrebbe sentito, se fosse stato lì.
Espirò
lentamente e si calmò un poco: Rangrin era relativamente al
sicuro
nell’Inframondo, c’erano tutte le ragioni per
supporlo; e quello avrebbe
pensato fino a prova contraria. E comunque fossero andate le cose,
avrebbe
dovuto pensarci dopo: non poteva darsi troppe pene per il nano, sul
momento,
era già abbastanza difficile fare i conti con le
novità su se stesso.
“Comunque
sia, benvenuto in guerra” disse il drago, dopo un
po’, riscuotendo Yu dai suoi
pensieri.
“Da
quando si dà il benvenuto, in guerra?”
ribatté lui con una smorfia. “E perché
ti consideri coinvolto nella guerra fra Euxelia e Altosole?”
Azadrath
rise.
“Euxelia
e Altosole? Sono solo una parte di un tutto assai più
grande. No, io ti sto
dando il benvenuto nella Grande Guerra Astrale… ma vedo che
la Principessa si
avvicina, quindi sarà meglio che tu scenda. Sarà
lei a spiegarti, dopo tutto
sono affari di famiglia…” disse, chinandosi per
agevolare la discesa al
giovane.
Quello
seguì il consiglio e si lasciò scivolare
giù dal dorso della creatura, volgendo
lo sguardo nella sua stessa direzione per fronteggiare la misteriosa
Principessa dei Luminal.
Dapprima,
tutto ciò che vide fu una figura luminosa e snella muoversi
fra le esili
colonne che circondavano il cortile con una leggerezza tale da sembrare
un
miraggio. Con grazia, scivolò verso di loro e discese con
fluidità i pochi
gradini che rialzavano il loggiato.
Quando
fu abbastanza vicina da riuscire a distinguerne i tratti, Yu
poté apprezzarne
l’inusuale bellezza, diversa dalle principesse delle fiabe
che aveva imparato a
conoscere e immaginare da bambino, ma forse ancor più ricca
di fascino: il suo
viso era pallido e affilato, e il suo corpo asciutto e proporzionato;
le
labbra, due sottili petali rosa sulla neve. Gli abiti, pur
principeschi,
sarebbero stati più adatti ad un principe, che ad una
principessa: una camicia
dal colletto rigido e sontuosa allacciatura di alamari cuciti con filo
d’oro, e
dei pantaloni di fattura preziosa, il tutto realizzato in una seta
grigio perla
che ben si intonava col suo etereo pallore. I suoi corti capelli
argentei,
morbidi e leggermente ondulati, stavano disciplinati in
un’acconciatura
elegante nella sua semplicità. E gli occhi, grandi, dal
taglio deciso, erano
dello stesso indaco di quelli del mago.
Ma
il tratto più strabiliante erano le grandi ali piumate che,
dalla schiena della
Principessa, rimanevano appena scostate dal suo corpo, dando
l’impressione che
fosse avvolta in un soffice mantello bianco.
Yu,
incantato, si esibì in un profondo inchino, ma non
riuscì per un istante ad
impedirsi di guardare quella fanciulla radiosa. Lei, d’altra
parte, non ne
parve offesa e, rivolto un radioso sorriso ad Azadrath, si
precipitò ad
abbracciarlo.
“Azadrath,
vecchio furfante! Non lasciarmi più qui da sola
così, senza dir niente” esclamò,
accarezzandolo sul petto coriaceo. Al pari delle sue apparenze, la sua
voce era
forte, decisa.
Azadrath
non rispose, e si limitò a sorriderle di rimando, con aria
paterna.
Il
mago, sentendosi di colpo molto fuori posto, si allontanò di
un passo dai due e
si ingobbì un po’ per sembrare più
piccolo.
“E
guardati, come ti sei conciato! Queste tue marachelle mi faranno morire
per il
dispiacere, un giorno di questi!” continuò a
rimproverarlo bonariamente lei.
“Vediamo di trovare al più presto qualcosa per
queste ferite, eh?” terminò,
staccandosi dal drago per guardarlo negli occhi.
Quello
sorrise e con una zampa indicò l’imbarazzato Yu.
“Avevo
buone ragioni per lasciarti così bruscamente, Principessa.
Credo di averti
appena trovato un nuovo alleato. E’ penetrato nella Zona
Buia, non lavora per i
tuoi nemici, ed è la Voce di un Drago Celeste. Di certo, il
suo aiuto ti sarà
inestimabile” spiegò.
A
quelle parole, la donna si volse con aria vagamente sorpresa verso il
giovane,
che nulla di meglio avrebbe potuto chiedere, in
quel momento, se non di sprofondare nei recessi stellati
del paesaggio.
“Yulannath
dei Due Draghi, per servirvi. Ma Yu è sufficiente”
bofonchiò, arrossendo.
La
Principessa sorrise, e chinò a sua volta il capo, in segno
di saluto.
“Perdonami
per l’accoglienza poco cortese, Yulannath” si
scusò. “Da molto tempo a questa
parte, gli unici abitanti di questo palazzo, e del mio intero regno,
siamo io e
il mio Azadrath. Per quello che può valere un titolo in
frangenti come questo,
io sono Arshilenne, ultima legittima Principessa dell’Impero
Astrale Luminal.
Ti prego di essere mio ospite, almeno per oggi; io e te abbiamo molte
cose di
cui parlare, e sento che tu sei alla ricerca di molte
risposte”.
Angolo
dell’autore: nuovo capitolo,
nuovo personaggio. Ho pensato di deviare un po’ dal solito
cliché della
leggiadra principessa in sottana, per puntare su qualcosa con un
po’ più di
carattere. E un po’ di nuovi interrogativi (be’,
spero di aver messo qualche
pulce nell’orecchio ò.ò”) su
Yu e i Viaggiatori, buoni e cattivi. Un po’ alla
volta, le risposte arriveranno, e altri personaggi faranno il loro
ingresso
sulla scena. E magari anche i cattivi avranno un po’ di
spazio sul palco.
Perché ogni tanto ci vuole (muhahaha!), checché
io tifi sempre per i buoni. ù.ù
Che
altro dire? Rinnovo ancora il mio ringraziamento a tutti coloro che mi
hanno
fatto l’onore di leggere il mio racconto, in special modo a
Zest e Lunastorta94
per le recensioni incoraggianti di cui mi hanno omaggiato *3*
Oh,
e un grazie (sto diventando ripetitivo é_è) anche
a tutti coloro che hanno
inserito Ars Arcana fra le storie seguite / da ricordare / preferite.
Vi cuoro
tanto tanto. *.*
Gaaah! Sono una frana nelle relazioni col pubblico! @_@
Ma
ora basta delirare, ché mi devo laureare. Q.Q *torna a
studiare per il suo
ultimo esame universitario*
|
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Capitolo 7 *** Luminal ***
Ars Arcana,
Capitolo VII
Luminal
Arshilenne
guidò Yu fra i corridoi del suo onirico palazzo, fino ad
un’ampia veranda, da
cui si poteva ammirare il variopinto paesaggio della Frontiera; sarebbe
stato
uno spettacolo oltremodo corroborante, non fosse stato per
l’immane cortina di
oscurità che tremolava in lontananza.
Inoltre,
un altro elemento turbava il giovane mago: la dimora della Principessa
era una
delle cose più belle che avesse mai visto, ma era vuota. Nessun servitore, nessun
dignitario, nessuna corte: solo
Arshilenne, Yu e Azadrath, che comunque era rimasto nel cortile per
riposarsi.
Tuttavia,
quando la Luminal lo fece accomodare su una poltrona di vimini
(checché dal
colore sembrasse fatta di cristallo, come ogni altra cosa in quel mondo
strano), sul tavolino di fronte a lui si trovavano due tazze e una
teiera
fumante.
Yu
si sedette e attese che la donna si accomodasse di fronte a lui e gli
facesse
cenno di servirsi, prima di cominciare a parlare.
“Perdonate
l’indiscrezione… ma non ho visto nessuno in questo
palazzo. Voi e Azadrath
siete i soli abitanti?” domandò, versandosi del
tè.
Arshilenne
gli rivolse un sorriso amaro e annuì.
“Sì. Sono l’ultima abitante del mio
regno. Sto perdendo la guerra”.
“Azadrath
ha accennato ad un conflitto. Ma chi mai avrebbe potuto privarvi del
vostro
regno e dei vostri sudditi?”
La
Principessa si portò la tazza vicino al viso, vi
soffiò sopra e bevve un
piccolo sorso del contenuto, indi, con calma, rispose: “Un
tempo, Astrelia era
un luogo meraviglioso, e il nostro era l’Impero uno dei
più grandi e fiorenti
che fossero mai esistiti in tutti i mondi. A quel tempo, eravamo
conosciuti
come Asterinal” fece una pausa e volse lo sguardo verso
l’impenetrabile muro di
oscurità, distante, ma incombente. “Nulla sembrava
poter ostacolare la nostra
crescita; Astrelia è uno spazio illimitato, e noi avevamo
imparato a plasmarla
secondo i nostri desideri. La nostra capacità di controllo
sul nostro mondo era
tale da permetterci di accogliere e respingere i Viaggiatori di altri
mondi a
nostro piacimento. Siamo sempre stati esperti nell’arte del
passare il Confine,
e all’epoca del nostro splendore, ci consideravamo dei
custodi: a noi era stato
dato il potere di controllare il potere del Viaggio, poiché
ogni Viaggiatore
che apre un varco, lo fa attingendo al potere di Astrelia. Credevamo
che il
nostro compito fosse quello di custodire la pace fra i mondi, impedire
che
qualcuno abusasse del suo dono”.
Yu
bevve un altro sorso di tè e annuì. Era strano
pensare che quella specie di
favola che la Principessa gli stava narrando fosse, in un certo senso,
anche la
sua storia, ma in quel momento si
sentiva la testa talmente leggera che liquidò la questione
dicendosi che umano
o Luminal era sempre la stessa persona. Naturalmente, una volta che
fosse stato
più lucido accettare tutto quanto sarebbe stato
più impegnativo, ma un passo
alla volta ne sarebbe venuto a capo.
Arshilenne
continuò: “Questo facemmo per molto tempo. E i
Viaggiatori accettarono la
nostra autorità; Viaggiatori da tutti i mondi venivano alla
nostra capitale a
portarci i loro doni, in segno di amicizia, e ad imparare i sentieri
per
raggiungere mondi sempre più lontani dai loro. Ma alla fine,
il nostro potere
ci fece cadere in tentazione: cominciammo a pensare che era giusto che
i
Viaggiatori, a rappresentanza dei loro mondi, ci omaggiassero, ed
arrivammo a
considerarli nostri vassalli. La famiglia reale divenne ambiziosa, e la
loro
ambizione infiammò i cuori della nostra gente.
“Tuttavia,
anche a palazzo vi era chi non riteneva giusto il cammino che gli
Imperatori
stavano imboccando, perciò radunarono tutti coloro che non
si erano lasciati
sedurre dalla nostra potenza, e si separarono dall’Impero
Asterinal. Erano i
miei antenati… e anche i tuoi, giovane Yu. I primi ad essere
noti col nome di
Luminal” fece una pausa e sospirò, scrutando il
fondo della sua tazza come se
potesse trovarvi risposte a qualche grande interrogativo.
Yu
la lasciò fare, ma visto che il suo silenzio si prolungava
(il che lo
imbarazzava parecchio), chiese: “Dunque… vi fu una
guerra fra Asterinal e
Luminal?”
Arshilenne
batté le palpebre e si riscosse. Indi sorrise con aria un
po’ colpevole e
riprese il racconto: “Non all’inizio. I Luminal
erano pochi, e l’Impero molto
grande. Non rappresentavano un problema, ed erano contrari alla
violenza. La
guerra, tuttavia, si scatenò in centinaia di mondi. La
Frontiera fu chiusa,
solo le forze imperiali e i loro alleati potevano attraversare il
Confine:
colpivano e si dileguavano, veloci e letali. Innumerevoli popoli furono
assoggettati; coloro che non si arresero, vennero distrutti, nel nome
dell’armonia fra i mondi, di cui l’Impero era
custode. Ma era evidente che
ormai quella retorica serviva solo a giustificare una guerra di
conquista. La
corruzione indurì i loro cuori, e tinse le loro ali di nero.
Gli Asterinal
divennero quelli che ora sono i miei nemici. Divennero
Noxinal”.
Pronunciò
quell’ultima parola a bassa voce, come se il suono per lei
fosse doloroso o
insopportabile.
Il
mago appoggiò la tazza sul tavolo, e incrociò le
braccia sul petto, osservando
con attenzione la Principessa.
Finalmente,
le cose cominciavano ad acquistare un senso: ecco chi erano i Demoni
Evanescenti, i Viaggiatori tanto paventati da Rangrin.
Noxinal…
Guardò
per un attimo l’oscurità, lontana, famelica; loro
erano lì. Quel mondo oscuro
era il dominio degli eredi dell’Impero Asterinal.
“Fu
a quel punto che scoppiò la guerra civile” riprese
lei. “I Luminal dichiararono
decaduto l’Impero, e si ribellarono, e non essendo
influenzati dal Divieto
imposto dagli Imperatori, poterono radunare le forze di molti mondi
contro i
Noxinal. L’Impero era sul punto di crollare, quando i nemici
ridotti alla disperazione,
scatenarono l’Oscurità perché
inghiottisse tutta Astrelia, intrappolando per
sempre sia Noxinal che Luminal nella Zona Buia, e segnando la fine di
ogni
Viaggio. Sotto il peso dell’Oscurità, Astrelia
collassò su se stessa, e i
collegamenti fra i mondi si interruppero. Sarebbero svaniti del tutto,
se
all’ultimo momento, la Regina Luminal, Eylanne, non avesse
sacrificato la sua
vita per salvare almeno una piccola parte dell’antico
Impero”.
“Quindi…
questa regione...?” cominciò Yu, sbalordito.
Arshilenne
annuì, triste. “E’ come pensi, giovane
Yu. E’ tutto ciò che rimane della grande
e potente Astrelia” disse. “E io, temo di essere
l’unica cittadina rimasta
nella nazione Luminal. Eylanne era mia madre, e da quando lei
è scomparsa ho
ereditato il compito di mantenere collegati quei pochi mondi che ancora
non
sono stati separati dall’Oscurità”
proseguì, alzando un poco il mento con fare
orgoglioso. “Ma devo confessare che ultimamente è
diventato sempre più
difficile. La Zona Buia si espande, e i Noxinal hanno trovato il modo
di
abbandonarla. Non possono entrare qui, il mio potere protegge ancora
questo
luogo, ma temo che siano di nuovo in grado di raggiungere i mondi
più vicini”
ammise, a malincuore.
A
quelle parole, il mago sgranò gli occhi.
“La
Terra… e l’Inframondo!”
esclamò, con un filo di voce.
La
Principessa annuì.
“Temo
che vogliano far dilagare l’Oscurità nei due mondi
gemelli… se ci riusciranno,
mi troverò circondata da tutti i lati, e il peso della Zona
Buia mi schiaccerà.
Astrelia cesserà di esistere per sempre, così
come i Viaggiatori. I Noxinal
avranno vinto” sentenziò, cupa.
“Ma…
gli altri Luminal?” domandò Yu, agitato. Non gli
piaceva come la questione si
presentava… la superiorità dei Noxinal non poteva
essere così schiacciante!
“Dove sono finiti? Non è possibile che ci siate
solo voi… che siano tutti…” non
finì la frase, e si limitò a guardare la Luminal
con fare quasi implorante.
Arshilenne
gli rivolse un sorriso rasserenante.
“No.
Sicuramente alcuni saranno sopravvissuti. Ma quando mia madre
morì, vaste
regioni di Astrelia furono catapultate su mondi lontani. Tu sei il
primo
Luminal a far ritorno alla Frontiera. Forse, un giorno, altri ti
seguiranno… ma
dall’inizio della Grande Guerra, sei l’unico che io
abbia visto” rispose.
Il
giovane si morse il labbro. Era una notizia buona solo a
metà: il popolo
Luminal esisteva ancora… ma era sparso chissà
dove nel caos dei mondi. E con
l’Oscurità a separarli, non potevano tornare!
Chissà quanti di loro erano
Esuli, come lui, e non avevano idea di chi fossero, né da
dove venissero.
Si
passò una mano davanti al viso, esasperato dalla situazione
e dalla quantità di
informazioni con cui era stato bombardato, indi trasse un profondo
respiro.
“L’Oscurità…
non è inamovibile, vero? Se può avanzare,
può anche regredire” ipotizzò poi,
guardando la Principessa con fare interrogativo. Non gli piaceva
affatto la
strada sulla quale quel ragionamento l’avrebbe condotto; ma
non aveva scelta,
dopo tutto. Non poteva ignorare quello che stava accadendo, non dopo
aver
ascoltato la storia di quello che probabilmente era il suo popolo.
Arshilenne
lo osservò un attimo, come se dentro di sé lo
stesse valutando, indi annuì.
“Allora
deve essere ricacciata indietro” sentenziò Yu.
“Come si fa?”
La
Luminal gli sorrise, e al mago parve che un raggio di luna fosse
entrato nella
stanza.
“Tu
non vuoi essere un eroe. Non hai mai voluto”
osservò, con semplicità.
L’altro
si sentì arrossire.
“Beh,
io… è vero. Non sono coraggioso”
ammise, sentendo le guance e le orecchie
diventare sempre più calde. “Non lo sono mai
stato… e non mi caccerei in questa
storia, se avessi scelta. Ma…” deglutì.
“Siamo solo io e voi… e i due mondi
gemelli… sono la mia casa, anche se tecnicamente, voi dite
che questa è casa mia.
Ma vedete, sono i
luoghi in cui sono cresciuto; e non ci tengo a vederli diventare parte
della
Zona Buia. Non sono un eroe, ma alla fine, credo che sia normale che
ognuno
faccia ciò che può per proteggere casa sua,
no?” farfugliò velocissimamente,
abbassando lo sguardo sulle dita, che intrecciava e si torceva
febbrilmente. “E
poi” aggiunse, quasi in un sussurro “voi sembrate
così sola e malinconica.
Vorrei fare qualcosa per aiutarvi”.
Abbassò
lo sguardo, sapendo che quanto aveva appena detto suonava
maledettamente
stupido. D’altra parte, stanco, spaventato e imbarazzato
com’era non avrebbe
certo saputo formulare il pensiero in un modo migliore. Non era nemmeno
certo
che esistesse
un modo meno stupido di dire una cosa simile.
Malgrado
la sua tristezza, Arshilenne continuò a sorridere.
Quell’Esule era la creatura
più strana che avesse mai incontrato; forse era dovuto al
semplice fatto di
aver ritrovato un suo simile, dopo tanto tempo, ma quel giovane
così indeciso e
forse un po’ fifone le scaldava un poco il cuore.
Inoltre,
di rado il suo Azadrath si sbagliava: il mago di certo valeva di
più di quanto
lui stesso non volesse ammettere, e di lì a poco
l’avrebbe realizzato. Era
normale che in quel momento fosse così insicuro: lei stessa
si era sentita
schiacciare dal peso della sua responsabilità, quando si era
ritrovata sola nel
palazzo.
Poverino,
pensò: probabilmente, avrebbe di gran lunga preferito
continuare a credere di
essere un semplice Viaggiatore, e lasciare a qualcun altro la
responsabilità di
volgere le sorti della Guerra Astrale a favore dei Luminal. Ma ormai,
volete o
nolente, c’era dentro fino al collo.
Lentamente,
si alzò dalla sua poltrona e, silenziosa e leggera, si
portò di fianco al
giovane e gli mise una mano sulla spalla. Quello, in risposta,
diventò ancor
più rosso e la guardò di sfuggita.
“Sei
coraggioso a offrirti di aiutarmi. Vali molto più di quanto
tu non creda, amico
mio” gli disse, sorridendogli e stringendogli la spalla, nel
tentativo di
dargli almeno un po’ di sicurezza. “Purtroppo, non
so con esattezza come la
Zona Buia si espanda, né come farla regredire. Azadrath dice
che la Luce di un
altro mondo può perforare l’Oscurità,
ma più che questo non sa. Ma una cosa è
certa: bisogna proteggere i mondi gemelli dalla sua
avanzata… e chissà, con un
po’ di fortuna, riusciremo a trovarla, questa Luce. Forse
è qualcosa di reale,
o forse significa solo che dobbiamo allearci coi popoli di quei mondi,
lo
scopriremo solo tentando” spiegò.
Yu
guardò le dita pallide della Principessa, e con lo sguardo
ripercorse tutto il
suo braccio sottile, fino a incrociare gli occhi luminosi di lei.
Stava
per dirle una cosa che gli era improvvisamente venuta in mente,
chissà da dove
e chissà perché, ma un’improvvisa fitta
al petto gli mozzò il fiato.
Sconcertato,
si piegò in due per il dolore e si portò una mano
al cuore, che gli sembrava di
colpo essersi incendiato: era come se stesse bruciando da
dentro… o come se
qualcosa dentro di lui, qualcosa di incandescente
stesse facendo di tutto per uscire, compreso consumare il suo corpo, se
fosse
stato necessario.
La
voce della Principessa, che lo chiamava, allarmata, lo raggiungeva
appena,
coperta all’improvviso da un frastuono inspiegabile, un boato
di origine
sconosciuta e di infinita potenza, giunto come un’ondata
improvvisa dai recessi
della sua mente.
Gemette,
e cadde sul pavimento, dove si raggomitolò, impotente, nel
tentativo di
proteggersi da quel dolore inspiegabile, che si stava rapidamente
estendendo a
ogni angolo del suo corpo. La sua vista si offuscò e
avvertì, con un vago,
disperato sollievo, che presto avrebbe perso i sensi, e la tortura
sarebbe
finita.
Tuttavia,
anche nel caos di quel tormento, riuscì a capire
ciò che stava succedendo:
sentiva che il suo corpo perdeva peso, come se una forza invisibile lo
stesse
sollevando da terra. Sentiva un aria diversa, non avrebbe saputo dire
in che
modo, spirare da sopra di lui, l’aria di un altro mondo.
Contro
la sua volontà, senza che potesse opporsi, stava varcando il
Confine.
Completamente
atterrita, Arshilenne si inginocchiò accanto al mago. Non
aveva idea di cosa
gli fosse preso: un istante prima sembrava relativamente in salute, e
un attimo
dopo, eccolo agonizzante sul pavimento!
Provo
a parlargli, a scrollarlo per una spalla, persino a recitare degli
incantesimi
per lenire il dolore. Tutto inutile. Il giovane sembrava non trarre
alcun
giovamento dai suoi tentativi.
Prima
che potesse escogitare un approccio meno diretto alla questione,
avvertì il
Confine assottigliarsi sempre più, e una forza misteriosa
farsi sempre più
grande nel corpo del mago.
Sopra
di loro, l’aria si increspò, e, alzando lo
sguardo, la Principessa vide il
fantasma di un mondo materializzarsi sopra le loro teste.
Sbalordita,
guardò alternativamente Yu e il portale con occhi sgranati.
Come era possibile,
per quanto esperto potesse essere quel ragazzo, che in condizioni
simili
riuscisse ad aprire un varco? E perché proprio su quella
distesa deserta di neve
e rocce?
Era
talmente sorpresa che le ci vollero diversi secondi per accorgersi che
una
colonna di luce viola li aveva avvolti, e che il mago stava venendo
risucchiato
nell’altro mondo.
Le domande a più tardi,
pensò, alzandosi
in piedi e spiegando le ali candide. Concentrandosi, tese una mano
verso il
portale, con fare regale, e gli intimò mentalmente di
chiudersi.
Ma
il varco continuò ad attirare il giovane svenuto, come se
niente fosse.
“Impossibile!”
esclamò la Luminal, indietreggiando di qualche passo.
Non
aveva mai fallito nel chiudere un varco… che fosse opera dei
Noxinal? No, si
disse, era impossibile: lì non avevano potere, e il luogo su
cui il portale si
affacciava di certo era al di fuori della Zona Buia. Ma allora, che
stava
succedendo?
“Yulannath!
Yu!” chiamò a gran voce.
Ma
il giovane aveva perso i sensi, e non aveva più controllo su
quanto stava
accadendo di quanto non ne avesse lei.
E
sotto il suo sguardo incredulo, sparì nell’altro
mondo
Angolo dell’autore: un capitolo
un po’
più breve del solito, e probabilmente assai meno denso di
azione. D’altra
parte, ho sempre optato per un ritmo narrativo piuttosto lento. Spero
che la
brevità lo renda meno faticoso da leggere, visto che si sono
dette diverse cose
sui Luminal.
Di
nuovo rinnovo il mio invito: se avete il tempo, ditemi le vostre
impressioni,
non mordo. Giuro! XD
Se
avete il tempo, fatemi sapere cosa ne pensate, di questo parto della
mia mente
malata, ve ne sarò grato. A presto, e grazie per aver letto
il mio racconto!
|
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Capitolo 8 *** Yudrazath ***
Ars Arcana,
Capitolo VIII
Yudrazath
Eidrath
balzò fuori dalla neve come se fosse stata acqua, ancora
avvolto dall’alone
bianco che aveva protetto lui e il nano dalla valanga.
Non
appena la creatura atterrò sulle robuste zampe posteriori e
lo liberò dalla sua
stretta, Rangrin balzò via, la barba e i capelli tutti
arruffati, il petto
gonfio di indignazione e le guance rosse come carboni ardenti.
“Ma
dico!” sbottò, spazzolandosi tutti i vestiti con
aria disgustata. “La prossima
volta, prima mi spieghi cosa vuoi
fare, poi mi abbracci, e comunque,
solo se io ti do il permesso, testa
brinata!”
“Scusa?” fece il drago,
indignato. “Le
valanghe non aspettano, per tua informazione. O preferivi finire come i
tizi
fuori dal castello?” scandì, impettito, alzandosi
sulle zampe posteriori e
puntando un artiglio al petto del nano con fare inquisitorio.
“Bah!”
fece Rangrin, incrociando le braccia e alzando il mento.
Però distolse lo
sguardo.
Eidrath
sospirò e si rimise su quattro zampe. “In ogni
caso, sarà opportuno trovare un
posto più riparato. Sulla neve sei fin troppo evidente, e di
certo qualcuno
verrà a controllare la zona: non serve certo il sesto senso
di un drago, per
capire che la cosa non è affatto normale”
considerò. “Se non altro, con tutta
questa neve sarà più facile scavalcare le
mura” aggiunse, guardando
l’Accademia.
La
neve che era scesa dalla montagna si era accumulata tutto attorno alla
fortezza, soprattutto sul lato a monte, creando una sorta di rampa
naturale.
“Renderà
le cose più facili anche agli Euxeliani”
bofonchiò il nano, lisciandosi la
barba. “Anche se suppongo che non ci siano
alternative…” osservò, guardandosi
attorno. Degli alberi, ormai, si vedevano solo le cime, di certo non
sarebbe
stato possibile nascondersi tra le piante. Inoltre, col buio le
temperature
sarebbero scese ancora, per non parlare del fatto che
un’altra tormenta poteva
scatenarsi da un momento all’altro. Scendere in paese, poi,
era fuori
discussione: già lui solo avrebbe attirato parecchio
l’attenzione, figurarsi
poi come avrebbe reagito la gente vedendolo andarsene a spasso con un
drago.
“Bah” bofonchiò infine, scacciando le
preoccupazioni con una scrollata di
spalle. “In ogni caso, là dentro sarà
più comodo. Avremo cibo e di certo
riposerai meglio; vogliamo che torni a volare il prima possibile, no?
Io non
sono un gran guaritore… ma alla fine, le tue ali sono un
po’ come il mio
pallone. Magari le posso ricucire un
po’…” rifletté, prendendo
un’ala del drago
e studiandola con fare clinico.
Eidrath,
in risposta, sgranò gli occhi e diede uno strattone per
sottrarla alle manacce
di quello svitato di un nano.
“Palloni?
Cucire? Sono un drago, non una bambola di pezza!”
esclamò, indignato,
lisciandosi l’appendice lesa con una zampa. Quel piccoletto
era fuori di testa!
“Come
credi che si sistemino le ferite, senza magia?” lo
rimproverò l’aviatore. “Sei
o non sei un drago adulto? Per gli antenati, comportati da uomo!
E’ solo un ago
e un po’ di filo, non morirai. O ti aspetti di riuscire a
trovare qualcuno che
possieda incantesimi curativi in questa situazione?”
La
creatura si ingobbì e si rabbuiò, abbassando le
orecchie; ma, non avendo alcun
valido argomento da opporre, si limito a mugugnare il suo consenso.
“Un
po’ di coraggio, su, ragazzo mio!”
continuò il nano, apparentemente gratificato
dall’edificante paternale che stava propinando al drago,
stringendo un pugno
con fare teatrale. “Un vero uomo…
ehm…” si interruppe e lo studiò un
attimo il
suo interlocutore. “Uhm… be’, quello che
sei. Un vero coso adulto come te
affronta le cose a testa alta. Con onore, per
gli Antenati!” esclamò, battendosi il pugno sul
palmo dell’altra mano.
“Considerala parte della tua prova, ragazzo”.
Eidrath
lo ascoltò con scetticismo e una smorfia sul muso. La
prospettiva di ricevere
quelle cure così barbariche non lo allettava minimamente.
“E…
guarirò più in fretta, se ti lascio fare questa
cosa?” domandò, titubante. Non
riusciva a credere di stare davvero
prendendo in considerazione l’ipotesi fare come il pazzoide
diceva.
“Orpo!”
rispose quello. “Vuoi scherzare? Tornerai come nuovo in men
che non si dica,
parola di nano”.
Il
drago sbuffò dalle narici e guardò da
un’altra parte. “Va bene, va bene…
adesso
muoviamoci, però” borbottò, avviandosi
verso la fortezza.
Anche
con l’aiuto della neve, per Rangrin fu
un’esperienza frustrante. Per qualche
ragione a lui ignota, quel lucertolone ipertrofico non sprofondava
minimamente
nella coltre bianca, anzi, vi camminava sopra come se fosse senza
peso… al
contrario di lui, che si sentiva sprofondare nella gelida sostanza fino
al ginocchio
ad ogni passo. L’aria vagamente seccata con cui ogni volta
Eidrath si voltava,
sospirava e alzava gli occhi al cielo prima di aiutarlo gli faceva
venir voglia
di strangolarlo.
Le
difficoltà non finirono quando, faticosamente, giunsero
sotto le mura: il drago
si accoccolò come un gatto e, con un potente balzo, si
aggrappò ai merli del
castello e, aiutandosi con qualche colpo d’ala, si
issò oltre il bordo, indi si
voltò con un’espressione curiosa che lo rendeva
maledettamente simile ad un
gatto per osservare i futili tentativi del nano di seguirlo.
Rangrin,
non volendogli dare tanto presto la soddisfazione di chiedergli aiuto,
si
impegnò molto, e saltò tanto in alto quanto le
sue corte gambe gli
permettevano, ma finiva per sprofondare ogni volta che atterrava.
Inoltre, la
neve soffice smorzava il suo già scarso slancio.
Fortunatamente
per lui, il drago si stancò presto di quel gioco, e con
agilità felina si
sporse oltre gli spalti, lasciò scivolare le zampe anteriori
sulla pietra e si
spinse in avanti con le posteriori. Poi si sollevò in
stazione eretta e,
appoggiandosi al muro per mantenere l’equilibrio,
esortò il compagno:
“Coraggio, arrampicati. Cerca solo di non farmi troppo male,
va bene?”
Rangrin
grugnì qualcosa che Eidrath interpretò come un
ringraziamento e si inerpicò su
per la scala improvvisata.
Finalmente
sugli spalti, esaminò il cortile: era fondamentalmente come
l’avevano lasciato,
pieno di neve. Non c’erano impronte nuove, il che significava
che nessun altro
vi aveva messo piede.
Dove diavolo sei andato a finire, ragazzino?,
pensò, rabbuiandosi.
“Allora…”
fece il drago dopo un po’, riscuotendolo da
quell’improvvisa malinconia che non
si riusciva a spiegare. “Dove possiamo sistemarci?”
domandò, guardandosi
attorno con curiosità.
Il
nano optò per la torre che aveva colpito col suo pallone:
era abbastanza
spaziosa, aveva una vaga idea di come fosse fatta… ed era il
primo posto in cui
Yu, se fosse tornato, l’avrebbe cercato.
Era
assurdo che la sorte del piccolo Demone lo preoccupasse tanto: Eidrath, una volta
guarito, gli sarebbe stato
molto più utile della fumosa promessa del mago; ma per
qualche stupido motivo
che non riusciva minimamente ad afferrare, gli importava della sua
sorte.
Ma
finché il ragazzo non si fosse fatto rivedere, la
priorità andava al drago,
senza dubbio. Almeno, con lui aveva
un’idea, anche se un po’ vaga, del da farsi.
Lo
fece accomodare nella sala dove Yu aveva soccorso lui, e, dopo avergli
raccomandato di non ficcanasare in giro e di non rompere niente,
cominciò a
frugare in giro per la torre, alla ricerca di qualunque cosa potesse
tornargli
utile per medicare il drago. Diverse volte gli parve di intravedere un
gatto
nero guardarlo con ostilità, ma l’animale non si
mostrò aggressivo(Aver paura di un
gatto? Ma come sono ridotto?),
e il nano decise di ignorarlo.
Si
imbatté in vari intrugli, erbe e polveri di cui non
conosceva l’uso, e che
preferì non sperimentare in quella sede; prese, invece, una
bacinella, degli
stracci, del sale, acqua e, dalla sua cassetta degli attrezzi, ago e
filo per
ricucire le ali al giovane drago.
Medicarlo
si rivelò una vera impresa: non solo Eidrath, che, in quanto
creatura del gelo
non amava gli oggetti roventi, cercò di sgattaiolare fuori
dalla torre quando
vide Rangrin mettere a bollire l’acqua, ma svariate volte
soffiò o scoprì i
denti mentre gli puliva le ferite, sulle ali e non.
Quando
poi il nano cominciò ad applicare i punti (la membrana alare
gli ricordava davvero tanto il suo
pallone), il drago
gli mollò una zampata sul naso e balzò via,
appallottolandosi un angolo della
stanza, ostile.
“Che
diamine!” sbottò Rangrin, massaggiandosi la parte
lesa, gli occhi lacrimanti
per il dolore. “Mi spieghi perché l’hai
fatto?”
“Perché
mi hai fatto male, zuccone!” replicò Eidrath,
stizzito, tenendo le ali ben
chiuse, e fuori dalla portata di quel macellaio. “Pensavo che
volessi farmi
star meglio!”
“Che…
urgh!” grugnì il nano, tirandosi la barba per la
frustrazione. “Come ti aspetti
che metta i punti, con le buone intenzioni? Ho un mano un ago, è ovvio che punge. Ora,
sopporta un po’ questo fastidio e ti prometto
che poi starai meglio” lo
rimproverò.
Il
drago, imbronciato, si ritrasse ancora di più.
“Non
farmi arrabbiare… vieni qui e fatti medicare, aquilone
squamato” ringhiò
l’aviatore. Il drago ringhiò sommessamente, e
sbuffò dal naso, ma alla fine
obbedì e si avvicinò, con passo strascicato e
l’espressione di qualcuno che va
incontro al boia. Nondimeno, dopo la lavata di capo sopportò
le cure con molto
più contegno.
Finito
il lavoro, Rangrin tirò un sospiro di sollievo e si sedette
sul pavimento. Era
stato più faticoso del previsto: le lesioni erano tante, e
quelle più vicine
alla schiena erano complicate da raggiungere.
Eidrath
si guardò le ali con aria affranta.
“Via,
via, non fare quella faccia. Adesso hanno un brutto aspetto, ma nel
giro di
qualche giorno vedrai che miglioramenti” lo
incoraggiò il nano. Probabilmente i
punti che aveva messo non erano della miglior specie, ma erano sempre
meglio di
niente. “Odio fare la bambinaia” aggiunse subito
dopo, giusto perché il drago
non si facesse strane idee.
Ma
quello si limitò a sospirare e ad accoccolarsi sul pavimento.
“Credo
che sia un buon segno” disse dopo un po’, con aria
vagamente trasognata. “La
valanga, intendo”.
“Be’,
ci ha risparmiato qualche seccatura, sì. Ma potevo anche
restarci secco, se non
mi proteggevi” rispose il nano, armeggiando col caminetto.
La
creatura annuì e borbottò qualcosa nel suo
astruso linguaggio, e subito dopo
crollò addormentata.
Rangrin
gli rivolse un’occhiata vagamente perplessa, indi
tornò a concentrarsi sul
fuoco.
“Bambinone”
borbottò.
Il
pomeriggio scivolò via piatto, e il sole tramontò
senza che Eidrath si
svegliasse. Solo quando fu buio, un nuovo boato gli fece riaprire gli
occhi.
Sembrava quello che avevano udito prima della valanga, eppure vi era
anche
qualcosa di diverso: sembrava risuonare nell’aria, come se
non venisse da alcun
punto nello specifico… come se l’intera valle
stesse tuonando.
Rangrin
alzò lo sguardo al soffitto, circospetto: non voleva certo
restare schiacciato
da un crollo. Poi guardò Eidrath. Anche lui pareva stupito,
ma non spaventato…
e, in qualche strano modo, concentrato…
anche se per il nano era assai difficile decifrare le sue espressioni
da
rettile.
“Che
fracasso. Speriamo non ci crolli tutto addosso”
buttò lì, per attirare
l’attenzione del drago. Quello non lo guardò, ma
gli rispose: “Il Drago della
Valle dorme male, stanotte”.
Rangrin
non capì, ma dall’aria assorta del suo
interlocutore dedusse che non sarebbero
arrivate risposte più illuminanti, finché il
frastuono non fosse cessato (d’altra
parte, perfino lui sapeva che parlare per indovinelli era nella natura
di ogni
drago), perciò si avvicinò ad una finestra per
guardare cosa accadeva fuori.
“Speriamo
solo che rigirandosi non ci schiacci” brontolò
verso il buio.
***
La
parte più difficile fu riaprire gli occhi.
C’è del lavoro da fare.
Ma
stava così bene, sdraiato!
Cose serie. Non c’è tempo per
esser pigri.
Proprio
no, era vero.
Ringhiò
sommessamente per il disappunto, e uno alla volta, schiuse i suoi occhi
color
turchese.
Era
buio. E freddo. Ma nessuna delle due cose lo spaventava: era buio,
perché era
notte, ed era freddo perché era inverno. Nulla di fuori
dall’ordinario, a parte
lui.
Inspirò
profondamente, dopo tanti anni, lasciando che l’aria notturna
gli riempisse i
polmoni. Quel soffio fresco pervase il suo corpo robusto e al tempo
stesso
sinuoso, e bastò a spazzare via quasi tutto il sonno.
Un
po’ goffamente, si alzò a sedere e si
stiracchiò; sbadigliò, mostrando i denti
affilati, poi si passò una mano nella folta criniera
argentata.
Volse
lo sguardo al cielo e sospirò. Eh, sì…
era proprio ora di mettersi al lavoro,
non c’erano scuse.
Ancora
un po’ barcollante, si alzò in piedi. Una bella
scampagnata per il cielo, ecco
cosa ci voleva.
Sotto
di lui, la valle brontolò.
“Sono
sveglio, sono sveglio” assicurò Yudrazath.
“Ho capito l’antifona. Avrò pur
diritto ad un attimo per rimettermi in sesto?”
La
terra mandò un secondo brontolio, ma più breve e
sommesso.
“Bene”
borbottò la creatura, guardandosi attorno. Le ci volle poco
ad orientarsi.
Era
piuttosto lontano dal suo obiettivo, ma in volo ci sarebbe arrivato in
un
batter d’occhio. C’era tutto il tempo per una
passeggiata.
La
sua lunga coda guizzò per l’emozione.
Piegò le robuste gambe e chiamò a
raccolta le forze. I suoi lunghi baffi ondeggiarono come privi di peso,
catturando guizzi di luna.
Infine,
spiccò un salto, e impose al suo corpo robusto la leggerezza
del vento. Subito
delle fiammelle verdi si accesero nell’aria e cominciarono a
danzargli attorno.
Yudrazath
le ignorò: ci era abituato, erano solo una manifestazione
visibile del suo
potere spirituale. E poi, dare un po’ di spettacolo non gli
dispiaceva.
Senza
bisogno di ali, volteggiò senza peso fino a raggiungere le
nuvole, muovendosi quasi
come se stesse nuotando, lasciando che l’estasi del volo, che
non si concedeva
da tanto tempo, si impadronisse di lui.
Per
un po’, scivolò qua e là senza meta,
lasciandosi guidare dal suo capriccio,
tracciando eleganti curve nel firmamento.
Rise,
pensando che ben poche creature erano maestose e sciolte quanto lui nel
volo.
Non gli sarebbe affatto dispiaciuto avere qualcuno con cui giocare, in
quel
momento… ma il cielo era vuoto, fatta eccezione per qualche
sporadico rapace
notturno o pipistrello.
La
terra protestò di nuovo, e lui perse qualche metro di quota,
di colpo.
“Va
bene, va bene, ho capito. Vado, vado” brontolò,
guardando in giù, imbronciato.
Mai che potesse concedersi un po’ di divertimento. Era quasi
sempre o lavoro, o
dormire.
Nondimeno,
si abbassò un po’, e lasciò che la
terra lo guidasse, ma essa stessa era un po’
confusa. Il problema, sentì, era più complicato
della sensazione immediata, ma
porre rimedio alla questione più evidente era certamente il
primo passo anche
su più vasta scala.
Sbuffò.
Odiava le questioni arzigogolate. O meglio, odiava doverci porre
rimedio. A
dire la verità, finché non lo concernevano, le
trovava anche piuttosto
stimolanti: solleticavano il suo intelletto. Non fosse stato
ciò che era, e non
ne fosse stato così maledettamente orgoglioso
(d’altra parte, come non
esserlo?), ci avrebbe sputo fare. Ma detestava trovarsi invischiato in
questioni tanto meschine, e di solito preferiva il tipo di problema che
si
poteva risolvere applicando una buona dose di forza bruta.
Fece
un brusco avvitamento, stizzito, sprizzando scintille verdi tutto
attorno, e
accelerò, portandosi in prossimità del suo
obiettivo. Fu con grande, grande
disappunto che li trovò dispersi nel paese. Sulfuracque, o
così si chiamava
l’ultima volta che l’aveva visto. Chissà
se aveva ancora lo stesso nome, dopo
tanto tempo?
Li
sentiva, gli stranieri, impuri, mescolati alla gente della valle, non
immacolata, ma non certo così corrotta; erano nelle loro
case, nelle loro
stalle, nelle loro locande, dappertutto. Tanti. Troppi, si disse con
fastidio.
Ma,
d’altra parte, non erano loro ad essere il problema
principale, né erano, in
effetti, il suo principale bersaglio: quello che doveva allontanare era
lo Straniero.
Non
gli piaceva minimamente, e non piaceva alla valle; per dirla tutta,
tutto il
mondo lo schifava.
Non
doveva starci, lì; non era il benvenuto. Anzi, se non
ricordava male, quelli
come lui erano stati cacciati via, da un bel po’.
Guizzò
silenzioso fra i tetti, serpeggiò basso fra i comignoli. Lo
sentiva, lo Straniero,
avrebbe potuto stanarlo ad occhi chiusi, tanto stonava con il suo
mondo, il suo
bel mondo.
Si
poggiò con delicatezza sopra l’edificio che
emanava il suo sgradevole sentore.
Il tetto scricchiolò appena sotto il suo peso, ma fu un
rumore insignificante.
Non
era solo, lo Straniero… ce n’erano altri, con lui,
pesci piccoli, di bassa
stregua. Sarebbe bastato fare un po’ di fracasso, in
condizioni normali, perché
se la squagliassero. Ma con lui, tutto cambiava: lui era forte, lui era
temuto.
E poi, là dentro c’erano anche uomini e donne
della valle… e lui non poteva e
non voleva distruggere ciò che apparteneva alla valle.
Si
sedette sui talloni e piegò il capo di lato, riflettendo.
Era una bella
seccatura: poteva provare ad attirarlo allo scoperto, ma se si fossero
scontrati lì, avrebbero potuto nuocere alle creature della
valle. Ciò era
proibito, e lo Straniero certamente lo sapeva, e avrebbe cercato di
trarne il
massimo vantaggio.
Scoprì
i denti per la rabbia e strinse un pugno tanto che quasi si
bucò la pelle con
gli artigli.
Vorrei semplicemente sgretolare questo
edificio e…
Inspirò
profondamente e si impose di calmarsi. Troppe vibrazioni negative
l’avrebbero
tradito: lui sentiva bene lo Straniero, ma lo Straniero, nella sua
ignoranza,
non sentiva lui; non più di quanto non sentisse il freddo
nell’aria o la terra
sotto i piedi, almeno.
Sbuffò
due fiammelle verdi dalle narici e si sdraiò supino sul
tetto freddo,
imbronciato. Gli sarebbe toccato tirarla per le lunghe… e
doveva pure tirare in
causa i Pezzi Grossi. Quella
sì che
era una scocciatura. D’altra parte, perché
sorprendersi? Finiva puntualmente
così, ogni volta: tutto lavoro e niente divertimento.
Be’, forse non proprio ogni
volta, ma spesso.
Lavoro del tipo noioso, oltretutto,
pensò con una smorfia, torcendosi un baffo.
Perché toccava sempre a lui
muoversi per primo, poi? Era tutto tremendamente ingiusto.
Sospirò.
Alla fine, si trattava di passare per il solito, collaudato iter. Mai
una volta
che potesse affrontare il problema direttamente, a modo suo. No, doveva
fare da
balia all’improbabile gruppo di salvatori di turno, andargli
dietro, suggerirli
sul da farsi, aiutarli quando erano in pericolo, eccetera,
eccetera… quante
seccature.
“Bah”
borbottò, rialzandosi a sedere. “La solita storia.
Se devo farlo, tanto vale
che provi a divertirmi un po’…”
considerò, guardando il cielo stellato.
Quello
spettacolo così banale riuscì a strappargli un
sorriso. Abbassò lo sguardo, e
osservò la valle addormentata. Era bello… era
dannatamente bello. Bello
abbastanza da passare per il solito calvario ancora una volta, tutto
sommato.
Un
po’ meno scocciato, si alzò in piedi e riprese il
volo, accompagnato dai suoi
fuochi fatui, puntando verso una delle montagne, seguendo la voce della
terra.
Ovviamente,
il suggerimento era quasi superfluo: sapeva bene che
all’interno del Santuario
il suo potere era maggiore… e anche lui avvertiva quella
fastidiosa cappa, come
se gli fosse stato messo un coperchio sopra la testa, grande come tutto
il
cielo. Era già successo un’altra volta, lo sapeva,
ma lui era giovane, e se lo
ricordava solo vagamente… anche se, doveva ammettere,
stavolta la sensazione
era molto più chiara.
Che sia più grave dell’altra
volta?, si
chiese, scendendo tracciando piccole spirali attraverso il pozzo che
dava luce
al Santuario. No, non c’era motivo di pensarlo: la terra non
era più allarmata
di quella volta. Né aveva visto o sentito lui grosse cose
che potessero
farglielo pensare. La differenza stava in qualcos’altro, che
al momento aveva
poca importanza.
Si
posò sull’altare e notò che una delle
gemme mancava. La cosa non lo sorprese:
era la prassi, come la sua presenza lì in quel momento.
“Ah,
le tradizioni…” sospirò, falsamente
nostalgico, scrocchiandosi le dita mentre
faceva mentalmente il punto della questione.
Il
primo passo era diradare un po’ quell’odiosa
cortina che si era stesa sulla sua
valle: non gli piaceva, e sapeva che non poteva venirne niente di
buono.
Inoltre, così facendo avrebbe anche mandato un promemoria ai
Pezzi Grossi, che
era un’altra delle cose da fare; e per il resto, avrebbe
dovuto stare a vedere
cosa sarebbe capitato ai poveretti che avevano intenzione di proteggere
quella
terra… e aiutarli come poteva, ovviamente. La terra ne
conosceva già qualcuno…
e uno di loro era un imbranato: come al solito, la fortuna era dalla
sua.
Scrollò
il capo e scacciò quei pensieri negativi: meglio non perdere
la concentrazione.
Luce
Si
librò pochi centimetri sopra la pietra, richiamando una
delle fiammelle nel
palmo della sua mano. Se la accosto alla bocca e le sussurrò
le parole
dell’incantesimo, indi vi soffiò sopra e la
proiettò nell’aria, piroettando
fluidamente su se stesso.
La
luce crebbe di intensità, e si mosse armonicamente attorno a
lui, tracciando
un’ampia spirale nell’aria.
La
terrà mandò un rombo profondo, e la grotta fu
scossa da una leggera vibrazione;
un’intensa luce verde illuminò l’abisso
attorno al grande pilastro centrale.
Yudrazath
rimase imperturbabile e mantenne la concentrazione sulla fiamma che
aveva
invocato, proseguendo la sua danza aerea, facendola muovere in cerchi
sempre
più ampi attorno a sé. Lentamente, la fiamma
cambiò aspetto, e prese una forma
serpentina, inizialmente priva di tratti distintivi, che poi si fece
sempre più
grande e definita, fino ad assumere l’aspetto di un drago
celeste, dal corpo
maestoso e sinuoso, tutto composto di luminose fiamme verdi, che
percorse
serpeggiando tutto il perimetro del Santuario, scendendo verso la base
del
pilastro, per poi risalire in un’elegante spirale ascendente.
Purificazione Fulgente
Yudrazath
tornò a toccare terra, e nello stesso istante il drago
emerse dal pozzo,
tracciò un ultimo, stretto anello con il suo corpo allungato
attorno a lui, e
con un possente colpo di coda guizzò verso il cielo
stellato, lontano, per
sparire fra gli astri.
Per
alcuni secondi non accadde nulla. Poi la creatura alzò lo
sguardo al cielo e
allargò le braccia, e una colonna di luce smeraldina scese
dal firmamento e
inondò il Santuario col suo splendore.
Yudrazath
rovesciò la testa all’indietro e chiuse gli occhi,
concedendosi qualche istante
per godersi il benevolo tepore della presenza del Capo.
E’ quasi come… come cosa?
Un
pensiero ramingo si affacciò ai margini della sua coscienza,
ma guizzò via
subito, e la creatura ne perse il filo. Probabilmente nulla di
rilevante, si
disse.
Tuttavia,
la distrazione fu sufficiente a riscuoterlo dal suo torpore e fargli
percepire
la stanchezza: l’invocazione l’aveva provato
parecchio, e doveva riposarsi, se
intendeva aiutare ancora gli improbabili difensori della valle.
***
Turm
si svegliò di soprassalto, interrompendo sogni irrequieti
che non riuscì a
rammentare.
Dove
si trovava? E come ci era arrivato? La testa faceva così
male… l’ultima cosa
che ricordava era un boato... come quello che l’aveva appena
svegliato? Simile,
sicuramente. E poi, in quel momento era buio, ed era sicuro che fosse
giorno,
quando aveva perso conoscenza.
“Fuori
dal castello… un terremoto…”
mormorò, chiudendo gli occhi scuri, per poi
riaprirli di scatto.
Una
valanga! I suoi uomini erano stati travolti da una valanga!
Spostò
le coperte che aveva addosso e si alzò a sedere sul bordo
del letto,
guardandosi attorno. La stanza spaziosa e arredata in modo essenziale:
qualche
mensola, un tavolo rettangolare addossato ad una parete, una
cassettiera e una
cassapanca sul lato opposto, un paio di sgabelli. Sul tavolo bruciava
una
candela, unica fonte di luce nell’ambiente.
Vi
era qualcosa di fuori posto, in quel quadro apparentemente banale,
tuttavia, e
a causa della confusione gli ci vollero alcuni secondi per realizzare
di che si
trattasse: in primo luogo, la luce che entrava dalla finestra aveva un
che di
innaturale; non era l’alone fievole degli astri notturni,
né il bagliore
bluastro delle notti di luna piena, ma un’innaturale
luminescenza smeraldina e
vibrante.
Inoltre,
in piedi accanto alla finestra, pensieroso, c’era uno di loro.
Turm
non sapeva bene come definirli, sapeva solo che erano maledettamente
diversi e
maledettamente sinistri. Emissari, li chiamava il Comando, diplomatici,
rappresentanti di un’altra nazione… degli alleati
di Euxelia.
Ambasciatori
di un altro mondo.
Quello
davanti a lui aveva l’aria giovane, il che non era
straordinario, posto che
nessuno di quelli che lui aveva visto (e nemmeno nessuno di quelli che
si
fossero presentati alla Corte, se era per quello) aveva
l’aria particolarmente
matura: viso liscio, appuntito, non un minimo accenno di barba; il naso
ben
proporzionato e tondeggiante, le sopracciglia sottili e una bocca
aggraziata,
dall’espressione sempre vagamente sorridente. I suoi occhi,
grandi, di un
impossibile color indaco, brillavano di una luce tanto magnetica quanto
maliziosa e penetrante. I capelli, lunghi e lisci, solo in parte
trattenuti in
una coda alta, erano di un innaturale color grigio… ma non
il grigio degli anziani
e dei venerandi, bensì un colore metallico, bizzarro. I
vestiti, poi, erano di
una foggia stravagante che non aveva mai visto: scarpe nere (non
avrebbe saputo
dare un nome più preciso a quel tipo di calzatura) e lucide,
pantaloni del
medesimo colore, così come la giacca, bizzarra, che con
quell’allacciatura
strana sembrava sempre allacciata solo in parte, lasciando vedere una
camicia
sottile, bianchissima… e una strana striscia di stoffa
annodata attorno al
collo per scendere verticalmente sul petto.
“Sei
sveglio” constatò l’Emissario, in tono
piatto, senza degnarlo di uno sguardo.
Turm
batté le palpebre, perplesso.
“Perdonatemi
ma… che ci fate voi qui?
In questa
zona è in corso un’operazione militare, non
è sicuro per un inviato come voi…”
cominciò.
“Il
Comando mi ha mandato ad assistervi” lo interruppe subito il
giovane. “Ho fatto
loro notare come le conoscenze magiche della mia gente siano di gran
lunga
superiore a quelle a vostra disposizione… e in una terra di
maghi, questo tipo
di conoscenza può sempre tornare utile. Quanto è
accaduto e sta accadendo lo
dimostra” illustrò con freddezza, senza staccare
gli occhi dal cielo verde.
“Cosa
è successo, di preciso?” domandò
l’ufficiale con una smorfia, sentendo il
dolore alla testa intensificarsi.
L’altro
sospirò. Odiava dover dare spiegazioni a quel bruto;
dubitava che avrebbe
compreso. Lo guardò con un’aria di vaga
sufficienza, accuratamente celata dal
tono distaccato con cui parlava, e rispose: “Credo che si
stia formando una resistenza alla
vostra occupazione del
territorio. Questa luce bizzarra è prodotta da dei
sovversivi che intendono
boicottare i progetti della Corte di Euxelia. La mia presenza qui,
comandante,
è volta a cogliere la sorgente del problema e assistervi
nella sua necessaria
eliminazione”.
Gli
occhi vagamente a mandorla di Turm persero espressività, ma
non luce.
Il
Noxinal sapeva benissimo cosa significava: il soldatino voleva
nascondere
quello che pensava di ciò che aveva appena sentito; era
ovvio che non gli
piacesse: gli aveva appena comunicato di essere lì per
dargli ordini. Non c’era
certo bisogno della magia per indovinare cosa lo stolto stesse pensando.
“Il
Comando ha dato disposizioni in merito?” domandò
l’uomo, in tono perfettamente
calmo.
L’Emissario,
Zendramax, gli sorrise, un sorriso ostile, predatorio.
“Naturalmente. La
lettera è sul tavolo, ma ti consiglio, per stanotte, di
riposarti. Avrai tutto
il tempo domani, per leggerla” replicò, soave.
Turm
gettò un’occhiata furtiva al tavolo, e, in
effetti, notò una busta appoggiata poco
distante dalla candela. Ma tornò subito a volgere gli occhi
all’interlocutore:
non gli piaceva distrarsi troppo, quello aveva qualcosa, nello sguardo,
di
tremendamente sbagliato.
Come se questo per lui fosse un gioco…
“Come
sono scampato alla valanga?” chiese, dopo un momento di
silenzio, esercitando
il massimo controllo sul tono della voce.
“Fortuna
ha voluto che giungessi appena in tempo per trarvi in salvo”
fu la risposta
serafica dell’altro.
Il
Maresciallo esitò, prima di porre l’unico altro
quesito logico.
“E…
i miei uomini?”
Zendramax
sospirò e tornò a guardare fuori.
“Troppi,
e troppo distanti fra loro. Mi rincresce, ma i miei poteri non erano
sufficienti a trarli in salvo. Sono stato costretto a
scegliere… e voi, per il
Comando, siete più importante dei semplici
soldati” spiegò, senza traccia di
rammarico nella voce limpida. Fece una pausa, indi, di nuovo con quel
sorriso
di tetra intelligenza, aggiunse: “E’ giusto che tu
sappia che non si è trattato
di una fatalità: la valanga non è semplicemente
arrivata, è stata scatenata
da qualcuno che desidera
opporsi a voi. I tuoi uomini non sono solo morti, sono stati trucidati, schiacciati con una forza
immane, rispetto a loro. Un potere soprannaturale
considerevole…”
Si
concesse qualche istante per studiare le reazioni dell’uomo,
studiandolo con la
coda dell’occhio. Lo vide abbassare lo sguardo al suolo,
stordito, aprire la
bocca per articolare qualcosa, poi scrollare il capo perché
non trovava le
parole.
Per
ottenere il massimo della persuasione, doveva lasciarlo in
quell’istante, di
modo che si interrogasse tutta la notte, e che, il giorno dopo,
pendesse dalle
sue labbra.
L’animo
dell’ufficiale era come un libro aperto, per lui: sapeva di
non piacergli
minimamente, e la cosa non gli importava… ma sapeva anche
che il sempliciotto
non si fidava di lui, e questo doveva cambiare. Ma, trattandosi di una
cosa
semplice come un essere umano, manipolarla sarebbe stato un gioco da
ragazzi;
con tutta probabilità, non sarebbe nemmeno servita la magia.
Senza
smettere di sorridere, si alzò e si avviò verso
la porta. Come previsto,
l’umano tentò di trattenerlo.
“Dove
andate?” domandò, senza riuscire a nascondere
l’ansia nella sua voce.
Il
Noxinal si arrestò, ma non si voltò.
“E’ opportuno che ti riposi, adesso.
Domani faremo il punto della situazione. Domani, Turm” disse,
serafico, subito
prima di imboccare l’uscita.
Angolo dell’autore: ci ho messo
un po’
di più a mettere giù questo capitolo, e in questi
giorni, essendo un po’ giù,
mi sento decisamente più autocritico… spero che
vi piaccia e vi intrattenga. :)
Anche questa volta, abbiamo alcune novità con
l’introduzione di Yudrazath e
Zendramax.
E…
hm… il fatto è che non mi sento particolarmente
loquace, al momento. o.o”
Be’,
comunque, come al solito, grazie a tutti quelli che si sono presi il
tempo di
leggere questo mio delirio. E, sempre come al solito, rinnovo il mio
invito a
recensire: sentire pareri può essere costruttivo (anche nel
caso di recensioni
negative) e certamente motivante. Al prossimo capitolo! ;)
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Capitolo 9 *** Vox Draconis ***
Ars
Arcana, Capitolo IX:
Vox
Draconis
Atterrita
dalla scomparsa del mago, la Principessa Arshilenne corse a cercare
il suo Azadrath, confidente del fatto, sperando che l'anziano drago
potesse rassicurarla e darle una spiegazione.
“Azadrath!”,
lo chiamò, raggiungendolo nel cortile. “Svegliati, ti
prego... ho bisogno dei tuoi consigli” lo pregò,
trovandolo addormentato, carezzandogli con delicatezza la punta del
naso.
La
creatura aprì subito gli occhi e si alzò a sedere.
“Principessa,
cosa può spaventarti tanto nella tua stessa casa?” le
domandò, bonario, lasciando che lei lo abbracciasse, per quel
che la differenza di taglia le consentiva.
“Azadrath,
il giovane che hai portato è sparito. Un momento prima stava
parlando con me, quando all'improvviso si è sentito male e un
portale l'ha inghiottito... non ho saputo richiuderlo, Azadrath! Che
i miei poteri stiano scemando?” lamentò la Luminal,
nascondendo il viso contro le scaglie del dragone.
Azadrath
circondò entrambi con la sua coda e spiegò appena un
ala per coprire la sua piccola Principessa.
“Non
credo sia così, Principessa mia. A mio avviso, Yulannath è
andato via perché doveva
essere altrove... e quanto al non riuscire a fermarlo, non temere:
dopo tutto, lui è il primo Luminal che incroci da molto tempo;
non hai mai provato a chiudere un portale aperto da un tuo simile,
forse non ti è riuscito perché non sai interferire bene
con una magia così simile alla tua...” la rassicurò,
paterno. “E' logico che per un Luminal come lui sia facile
entrare e uscire da casa propria, non credi?”
La donna sospirò e annuì, cercando
conforto nella sensazione della pelle tiepida del drago contro il suo
viso.
Ciò che diceva doveva esser vero: se i Noxinal
erano corrotti, probabilmente lo era anche il loro modo di varcare il
Confine, e lei non aveva mai cercato di impedire ad un Luminal di
aprire una breccia; non ne aveva mai avuto alcun motivo.
“Starà bene?” chiese, dopo un po',
sentendosi nuovamente serena.
“Stava bene quando è andato via?”
fece il drago di rimando, inarcando le sopracciglia.
“Non proprio” ammise lei, con un sospiro,
facendo un passo indietro. A quel movimento, Azadrath spostò
rispettosamente la coda e ripiegò l'ala che aveva steso. “Ma
il luogo che ho visto non sembrava presentare pericoli immediati. E
se il varco si è aperto proprio lì, ci sarà una
ragione.”
“E' così. Il piccolo è la Voce di un
Drago, e il Drago lo vuole laddove ha aperto il portale”
commentò la creatura, annuendo. “Abbi fiducia, tornerà
e ci aiuterà. Anzi, credo che ci aiuterà anche facendo
semplicemente ciò che il Drago desidera, posto che con ogni
probabilità ciò lo metterà contro ai Noxinal.”
“Quindi, secondo te dovrei aspettare a convocarlo
di nuovo?” chiese la Luminal, accigliandosi. L'idea di
rinunciare ad un alleato appena trovato le sembrava oltremodo
sciocca.
Azadrath sorrise nel veder riemergere il suo
temperamento deciso; passato lo spavento, stava tornando la
Principessa di sempre. E dopo tutto, era giusto che si concedesse
qualche momento di sfogo, di tanto in tanto; e ogni volta che fosse
accaduto, lui sarebbe stato presente, come aveva promesso di fare
tanti anni prima.
“Sì. Tienilo d'occhio, ma non chiedergli
nulla, per il momento. Portare a termine l'incarico del Drago Celeste
che l'ha scelto lo renderà più forte e gli permetterà
di affinare le sue capacità. A quel punto, diventerà un
alleato ancor più valido” spiegò, con una
scintilla astuta nello sguardo. “Caricarlo di troppe
responsabilità non gli farà bene, e lo manderà
in confusione. Dagli tempo e ti accorgerai...” si interruppe
all'improvviso e alzò lo sguardo verso il cielo.
Avvertiva qualcosa di insolito, nell'aria, come il vento
che precede uno tsunami, solo che era una sensazione incredibilmente
più sottile. Yu se n'era andato, ma qualcos'altro stava per
entrare in Astrelia.
“Stammi
vicina, Principessa, una strana vibrazione agita il tuo regno”
disse in tono grave, tendendo una
zampa alla Principessa.
“Cosa credi che sia?” domandò quella,
salendo sul palmo del drago.
“Non lo so, ma farà un bel fracasso, questo
è certo” rispose quello, continuando a scrutare il
firmamento, mentre stringeva a sé la piccola Luminal, ai suoi
occhi così fragile, per proteggerla.
D'un tratto, un puntino nella miriade dei corpi celesti
si accese di un bagliore più intenso, colorandosi di una luce
verde che si fece, in pochi secondi sempre più grande e
intensa, fino a diventare una sorta di astro smeraldino che tinse del
suo colore tutto il palazzo, mentre un fragore simile ad un ruggito
accompagnava la sua crescita. Un vento improvviso spazzò il
regno, facendo ondeggiare l'erba e fremere le cime degli alberi,
l'intero paesaggio cristallino riverberante di quella luce
misteriosa.
Arshilenne si issò sopra le dita del drago per
guardare, e l'aria le scompigliò i capelli. “Pensi che
ci stiano attaccando?” gridò, per sovrastare il
frastuono.
“Non credo, ma non allontanarti da me, per
sicurezza” rispose Azadrath.
La principessa rivolse al drago un sorriso e annuì,
restando al sicuro nella sua mano, mentre, sotto il loro sguardo
stupito, il sole smeraldino ebbe una sorta di palpito, e con fragore
di tuono scagliava un unico raggio luminoso contro la cortina di
oscurità.
L'impatto fece increspare la barriera, e la sua
superficie oleosa inghiottì la folgore e tornò al suo
normale, viscoso brulicare, dopo di che, l'astro svanì con un
secondo lampo. Per qualche istante, tutto tacque, poi, qualcosa nel
fronte della Zona Buia cambiò: la sua superficie si fece via
via più opaca, come se si stesse rinsecchendo, finché,
sotto lo sguardo incredulo della principessa, non cominciò a
sgretolarsi in tanti frammenti simili a fiocchi di cenere che presero
a volteggiare via, un po' alla volta, secondo i capricci del vento.
“Il fronte della Zona Buia!” esclamò
la Luminal, liberandosi dalla stretta del drago e arrampicandosi su
per il suo collo, come una vedetta su un albero. “Azadrath, è
regredito! Quel lampo ci ha restituito un pezzo di Astrelia, è
straordinario!” fece poi, sempre più emozionata. “Ah!”
gemette subito dopo. “Guarda come è ridotta l'area,
però... pensi che tornerà come prima?” si
preoccupò, lasciandosi andare e aprendo le ali bianche per
rallentare la caduta.
Azadrath sorrise e spalancò le ali a sua volta.
“Andrò a controllare, tu rimani qui al sicuro,
Principessa. Come vedi, qualunque cosa il tuo nuovo alleato abbia
fatto, ci ha aiutato; abbi fede, e vedrai ripetersi questo fenomeno
molte altre volte ancora” disse, prendendo il volo, per poi
planare in direzione della piana liberata dal giogo dell'oscurità.
Vorrei
che il Capo mi avesse concesso un po' più della sua forza...
sono esausto...
Yudrazath barcollò e scese da sopra il grande
altare, cui subito dopo dovette appoggiarsi per non crollare a terra.
Si sentiva come se non avesse mangiato per giorni, e
aveva una strana sensazione di intorpidimento vicino alla punta delle
dita.
Ah,
ho bisogno di riposarmi un po',
pensò, ansimando. Solo un pochino, poi mi rimetterò
all'opera, promesso... adesso ho tanto sonno...
Alzò lo sguardo verso l'apertura, e vide che il
cielo era ancora acceso della luce purificatrice che aveva scatenato.
Be', anche i Pezzi Grossi non potevano lamentarsi, se si
concedeva un po' di riposo. Insomma, sì, la sua veglia sarebbe
stata una veglia breve... be', decisamente breve, per essere
onesti, ma sicuramente intensa.
Peraltro, adesso che ci aveva pensato lui, in zona si
sarebbe respirata un'aria decisamente migliore, e certamente anche i
presunti liberatori della Valle avrebbero trovato il loro compito un
pochino più facile. E comunque, una volta che si fosse
ripreso, li avrebbe aiutati di nuovo, se ce ne fosse stato bisogno.
Sbadigliò, stiracchiandosi e torcendo la lunga
coda in un buffo ricciolo, prima di tornare a distenderla, quando
abbassò le braccia.
“E adesso, mi serve solo un posto dove schiacciare
un pisolino di una settimana o due...”
Non appena ebbe pronunciato quelle parole, una piccola
scossa fece tremare il Santuario, cosicché un sasso si staccò
dalla volta, precipitò giù e lo colpì proprio
sulla sommità del cranio.
“Ahia, ahia! Ma dico!” gridò,
massaggiandosi la testa con indignazione.
Il Capo non aveva proprio senso dell'umorismo!
La terra brontolò corrucciata una seconda volta,
poi tacque, e la creatura, seccata sbuffò e scrollò il
capo, facendo ondeggiare comicamente i lunghi baffi, che, per qualche
ragione, parevano muoversi sempre come se si fosse trovato
sott'acqua, piuttosto che sulla terraferma.
Poi, lamentando fra sé la profonda ingiustizia
della sua condizione, allargò un poco le braccia e fece una
piroetta, sollevandosi di nuovo da terra per volare fuori dalla
grotta.
Scherzi a parte, aveva davvero bisogno di riposarsi,
perciò, dopo aver dato un'occhiata in giro , si trovò
un posticino riservato e, scendendo dolcemente verso terra, si lasciò
scivolare in un sonno ristoratore.
Yu riprese i sensi lentamente e controvoglia, perché
più le sue percezioni tornavano chiare, più si sentiva
indolenzito.
Il dolore al petto che aveva sentito era passato, e il
resto dei malesseri che accusava probabilmente erano ancora i postumi
degli sforzi compiuti per soccorrere Rangrin.
Già, Rangrin! Doveva trovarlo!
Aprì gli occhi e si tirò su a sedere, solo
per perdere l'equilibrio a cadere giù dal ramo su cui si
trovava. Fortuna volle che non si trovasse particolarmente in alto, e
che la neve sotto fosse soffice, perciò la caduta fu così
breve che non ebbe nemmeno il tempo di gridare, prima di piombare con
un morbido tonfo sulla coltre gelida e bianca.
“Oh, triple maledizioni” imprecò tra
sé, alzandosi in piedi e spazzandosi la neve via dalla veste e
dai capelli. Non si era fatto male, ma di sicuro era stato
spaventoso... e dannatamente freddo.
Rabbrividì e guardò il ramo su cui si era
risvegliato, chiedendosi come accidenti ci fosse arrivato...
meravigliandosi, subito dopo, di quanto bassi fossero gli alberi in
quel bosco.
Fece un giro attorno all'albero, volgendo lo sguardo
tutto attorno per orientarsi, e, quando intravide le mura
dell'Accademia in lontananza, capì: c'era stata una valanga,
ecco perché il bosco aveva un'aria strana. Aveva senso.
Aspetta
un momento...
Non
c'erano mai state
valanghe su quelle montagne! E da dove veniva tutta quella strana
luce?
Alzò lo sguardo verso il cielo, e lo vide
percorso da striature verdi, come fili di fumo lucenti fra le stelle.
Poi si voltò verso la montagna, e rimase a bocca aperta: dalla
sua sommità scaturiva un fascio di luce verde, che si
innalzava come una sottile, infinita colonna nel firmamento buio.
Tirò su col naso e si strinse le braccia attorno
al corpo, riflettendo mentre osservava lo strano fenomeno.
Che tutto fosse scaturito dalla gemma che aveva toccato
nel Santuario? Forse... e se così era, aveva fatto qualcosa di
buono, o l'aveva combinata grossa?
Abbassò lo sguardo sulla valanga e strinse le
labbra, accigliandosi.
Probabilmente l'una e l'altra erano egualmente vere.
Tornò a guardare le stelle, soffiando nuvolette
di vapore nell'aria gelida, pensoso.
Astrelia, il drago, la principessa, i ragni di
metallo... era stato tutto un sogno?
Eppure...
Si guardò una mano. Era stato così vivido,
era come se riuscisse ancora a sentire le scaglie di Azadrath sotto
le dita. E la Principessa Arshilenne... anche lei era solo frutto
della sua fantasia?
Si grattò la testa, sentendo che non ci capiva
più niente.
La Grande Guerra Astrale c'era davvero o no? Luminal e
Noxinal, la Zona Buia, e tutte quelle storie sui Viaggiatori...
possibile che si fosse immaginato tutto?
E poi, c'era l'Oscurità che aveva visto fra i
mondi. Solo ripensarci gli faceva venire la pelle d'oca.
Aveva
sentito qualcosa di
profondamente sbagliato quando l'aveva vista... e il suo sesto senso
gli diceva che era lì che i Nani erano tenuti prigionieri. E i
Demoni Evanescenti, che Rangrin tanto temeva,
dovevano avere lì la loro casa, come poteva essere altrimenti?
Nani prigionieri sulla Terra? L'idea era assurda persino
per lui. Certo, forse con delle misure di sicurezza straordinarie era
possibile mantenere il segreto, ma al minimo errore ci sarebbe stato
un bel pandemonio. Figurarsi poi se uno di loro fosse mai fuggito!
No,
se avesse avuto a disposizione una fortezza costruita nello spazio
fra i mondi, anche il mago certamente avrebbe usato quella
come base d'appoggio per le sue scorrerie.
Si incamminò verso il castello, alzando il
cappuccio del mantello per ripararsi almeno un po' dall'aria
tagliente, mentre rifletteva.
I Demoni rapivano i Nani e li portavano in quella zona
di Oscurità, e Azadrath e la Principessa avevano parlato di
una Zona Buia. Prima corrispondenza.
La descrizione che Rangrin aveva fatto di loro
corrispondeva a quanto sapeva dell'aspetto dei Noxinal descritti da
Arshilenne... a parte il fatto che l'aviatore non aveva mai
menzionato le loro ali. Seconda corrispondenza, anche se un po' più
debole.
Infine, Azadrath sembrava avere una possibile
spiegazione al fenomeno che era avvenuto nel Santuario: se era vero
che il Drago della Valle l'aveva scelto come sua Voce (qualunque cosa
ciò volesse dire), allora si spiegava perché aveva
avuto quella visione toccando la gemma.
“Heh...” fece tra sé, sorridendo
amaro. Che se lo fosse sognato o meno, la Principessa l'aveva
ritratto bene: non era un eroe, non aveva mai voluto esserlo, ma in
fondo, che scelta aveva?
Scacciò quell'idea scrollando la testa. Quale
eroe ed eroe, voleva solo aiutare per quanto poteva, e poi la parola
“eroe” portava rogna, lo sapeva da quel po' di epica che
aveva studiato e dai tanti romanzi che aveva letto.
Insomma,
la Valle era casa sua (be', forse seconda
casa, se tutta la storia dei Luminal era vera), e voleva fare ciò
che era in suo potere per difenderla... checché l'idea di
opporsi ad una nazione con un esercito armato, addestrato e
determinato gli fosse sempre parsa poco attraente.
Nutriva
l'illusione (perché razionalmente sapeva
che era un'illusione) che se avesse risvegliato i due Draghi, di
certo non gli sarebbe toccato partecipare ad alcuna violenza; non si
aspettava alcun onore, perché non era all'onore che mirava,
anzi: non aveva alcuna intenzione di essere cavalleresco o sportivo
in questa sua ricerca; avrebbe mentito e ingannato secondo necessità.
Era una guerra, diamine, avrebbe usato tutti i trucchi a sua
disposizione, per riuscire nel suo intento.
Starnutì e allungò il passo, trottando
sulla neve soffice sotto l'innaturale luce che pervadeva il cielo,
sperando di non beccarsi una polmonite, con tutto quel freddo. Non
vedeva l'ora di infilarsi sotto le coperte e lasciarsi alle spalle
quella giorantaccia.
“Ah, vedo un mago...” commentò una
voce, all'improvviso.
Yu si irrigidì per la sorpresa, con occhi
sgranati, si voltò verso lo sconosciuto, che aveva parlato
dalle sue spalle.
Ciò che vide lo paralizzò: il giovane che
aveva parlato con quel tono freddo, tagliente, possedeva
un'innaturale bellezza non dissimile a quella della Principessa
Arshilenne, ma in lui, nel suo sorriso, nei suoi occhi di
Viaggiatore, vi era un che di sbagliato.
Lo osservava tenendo il capo leggermente inclinato di
lato, una mano appoggiata sulla guancia con fare vagamente pensoso,
come lo stesse valutando.
“Certo, una bella delusione...” proseguì,
abbassando il braccio con un sospiro. “Tanto chiasso e tanti
grattacapo... e ciò che trovo è un Viaggiatore di
seconda categoria...” lamentò, la voce appena tinta
dalla delusione.
Il mago fece un passo indietro, senza dire nulla,
scrutando l'altro con circospezione.
Che fosse un Noxinal? Se così fosse stato, allora
anche Arshilenne e la Guerra Astrale erano reali.
Diamine!
Di
quello non poteva essere sicuro... ma sicuramente, quell'uomo che
sfoggiava il Marchio dei Viaggiatori e un abbigliamento da persona
d'affari terrestre doveva essere uno dei Demoni Evanescenti che
Rangrin tanto temeva, l'aveva praticamente scritto in faccia! Vi era
un qualcosa, in lui, che lo turbava profondamente, un che di
diabolico che non
riusciva a descrivere a parole; in realtà, non era nemmeno
qualcosa del suo aspetto, quanto più un'aria che spirava
attorno al suo essere.
“Come
puoi essere stato tu a
fare tutta questa confusione? Non possiedi un briciolo della forza
necessaria...” proseguì il Demone, serafico.
Yu si accigliò e non rispose. Noxinal o Demone
Evanescente che fosse, lo sconosciuto cercava di intimidirlo per
avere informazioni, e lui non doveva cascarci.
Ma era più facile a dirsi che a farsi: il
giovane possedeva un suo potere magico, riusciva a percepirlo con fin
troppa chiarezza.
Strinse gli occhi con ostilità, cominciando a
capire: stava facendo sfoggio della sua magia, ma in un modo sottile,
quasi elegante; lasciava che la sua aura pervadesse l'aria
circostante, senza fare nulla per mascherarla o celarla al sesto
senso di altre creature soprannaturali, tingendo quella forza sottile
di una risonanza minacciosa per essere più intimidatorio.
Un
bel trucco, non c'è che dire. Dovrò tenerlo a mente,
chissà che non torni utile, un giorno,
pensò, studiando l'altro con più attenzione.
Qualcosa però, disturbava l'armonia angosciosa
che il Demone cercava di creare: la sua risonanza era disturbata, e
il mago non poté fare a meno di osservare come l'interferenza
andasse e venisse secondo i movimenti delle luci nel cielo.
Chiunque fosse, il potere del Drago della Valle gli era
avverso.
Zendramax incrociò le braccia sul petto
rivolgendo al misero Viaggiatore un'ombra di sorriso sprezzante.
Almeno,
non era cascato subito nel suo trucco di risonanza, significava che,
se non altro, un po'
di cervello l'aveva.
“Vedo
che sei un tipetto piuttosto sveglio, quindi so che questo incontro
sarà proficuo per entrambi. Tu sei una di quelle irragionevoli
e fastidiose persone che si oppongono all'occupazione del territorio,
ed è assai probabile che tu sappia
cosa è accaduto qui. Perciò, mi rivelerai ciò
che sai” scandì, quasi annoiato. “Se lo fai,
potrei anche considerare la possibilità di lasciarti libero.
Dopo tutto, sei troppo debole per essere una minaccia. Ma se ti
opponi, temo che dovrò passare a forme di persuasione più
grossolane. Consegnarti ai soldati di Euxelia, financo...”
proseguì, con fare più pensoso, per poi tornare a
sorridere. “Ma sono certo che un Terrestre sveglio come te ha
più senso degli affari di questo mucchio di sciocchi
provincialotti, dico bene?”
Con suo disappunto, il mago rimase chiuso nel suo
silenzio, anche se non avrebbe saputo dire se fosse per paura o
perché stava pensando a come sbarazzarsi di lui.
Incantevole! Di norma non amava incontrare resistenza,
ma se quel ragazzino avesse tentato di resistergli, forse sarebbe
persino riuscito ad intrattenerlo un po'.
Dissipò la risonanza negativa e assunse un'aria
più indulgente.
“Oh, sei certo di non voler collaborare? Sarà
molto meno spiacevole se lo farai, amico mio...” lo avvertì
pacatamente.
Yu fece un verso sprezzante e si infilò una mano
in tasca, ben sapendo che l'estraneo era più vigile di quanto
non volesse apparire.
Ovunque l'avversario avesse appreso l'uso della magia,
sarebbe stato sciocco pensare che fosse soggetto alle sue stesse
limitazioni: dall'aria che aveva (e da ciò che Rangrin aveva
raccontato), non erano il tipo di persone che si facevano troppi
scrupoli sull'uso che veniva fatto degli incantesimi. Ciò
giocava pesantemente a suo sfavore, ma sapeva anche di avere un
piccolo vantaggio dalla sua: l'imprevedibilità.
Studiare forme di magia distruttiva era stato proibito
anni prima che lui cominciasse a studiare, era vero, ma apprendere
l'arte di indebolire o respingere gli incantesimi avversari era
ancora permesso: dopo tutto, si trattava di una forza passiva, di cui
era impossibile abusare.
Inoltre,
essendo cresciuto sulla Terra, era inevitabile che un po' di pensiero
scientifico (più o meno) contaminasse la visione del mondo che
lo studio della magia voleva dargli. Aveva imparato che poteva
ottenere alcuni effetti con molta meno fatica se, anziché
lasciare che la magia alterasse le leggi della realtà,
l'avesse usata per guidare materie ed energie naturali per ottenere
un determinato obiettivo. Non era un mago potente, ma il suo
approccio alieno alla magia gli forniva tanti piccoli vantaggi.
La forza bruta non poteva essere la sua carta vincente:
avrebbe dovuto puntare sulle piccole astuzie e sperare che
bastassero.
Sentì la superficie liscia di uno dei suoi
cristalli sotto le dita e ve le strinse attorno, riflettendo.
“Chi sei?” domandò, piatto.
Non contava davvero di ottenere informazioni rilevanti,
voleva solo prendere tempo, e il tizio lì di fronte sembrava
amare molto il suono della sua stessa voce. E forse, pomposo come
era, avrebbe interpretato la rottura del silenzio come un cedimento.
L'altro ridacchiò.
“Vedo che non sei muto, dopo tutto. Questo
faciliterà le cose” constatò, con aria
compiaciuta.
Pallone
gonfiato... pensò tra sé
il mago.
“Mi chiamo Zendramax, e sono un Emissario della
Corte di Euxelia. E tu...?” fece poi, infilandosi una mano in
tasca e tendendo leggermente l'altra verso Yu per invitarlo a
rispondere.
Il Viaggiatore scosse la testa e alzò gli occhi
al cielo.
Questo
è peggio di un cattivo dei fumetti...
L'Emissario sembrava davvero un chiacchierone; chissà
quante informazioni avrebbe potuto apprendere da lui! Era così
sicuro di sé che magari si sarebbe lasciato sfuggire perfino
qualcosa di rilevante, se se lo fosse lavorato a modo. Vi erano due
problemi però: in primo luogo, probabilmente era abbastanza
intelligente da capire il suo gioco e diventare più riservato;
secondariamente... be', non sapeva ancora esattamente come se la
sarebbe data a gambe.
Arricciò il naso, indignato, e rispose: “Io
non ho mai detto che mi sarei presentato. Fai irruzione in casa mia e
pretendi pure che mi presenti? Piuttosto, se sei un Emissario
dell'Alta Corte, dimmi perché ci avete occupati.”
Zendramax tornò ad incrociare le braccia e alzò
leggermente il mento, guardando il mago dall'alto al basso.
“Se sapessi che puoi farmi queste domande ad un
qualche titolo, sarei più che lieto di risponderti; peccato
che non sappia chi tu sia... mi sarebbe piaciuto spiegare le ragioni
dell'Alta Corte ad un diplomatico di Alborea. Trovo che la nostra
causa sia... incompresa” replicò, con dispiacere
palesemente falso.
Il mago tirò su col naso e si aggiustò
meglio il mantello addosso, accigliandosi.
D'accordo,
forse quel tizio era abbastanza furbo da non cascare in quel trucco
elementare, ma ciò non voleva dire che avesse lui
tutte le carte in mano.
“Ora, se non ti dispiace, gradirei che tu
rispondessi alla mia domanda...” aggiunse Zendramax, tagliente,
ma senza perdere il suo sorriso.
Subito dopo che ebbe pronunciato quelle parole, Yu
avvertì una vaga sensazione di stordimento, come se avesse
bevuto.
Distogli
lo sguardo!
Batté le palpebre e scrollò il capo per
resistere al tentativo di ipnosi dell'avversario, ma così
facendo fu costretto ad abbassare la guardia.
Un'improvvisa concentrazione di energia nell'avversario
gli segnalò un attacco imminente, ma lui non era pronto a
contrastarlo, e poté solo sperare che non fosse niente di
fatale.
Zendramax sorrise e puntò un dito contro quel
divertente viaggiatore: non era forte, e anche con quell'odiosa
interferenza non era alla sua altezza, ma era sveglio, ed aveva
reagito prontamente al suo attacco mentale, così come, ne era
sicuro, aveva capito subito il trucco della risonanza. Ma era ora di
finirla coi giochi.
Chiamando a raccolta la sua energia, invocò lo
Stigma del Fulmine e il Signum della Lancia, indirizzandone la
potenza contro l'avversario.
L'energia, obbediente, fluì attraverso di lui, si
raccolse crepitando sulla punta del suo dito, illuminandogli il viso
di una luce azzurra, poi si scatenò con fragore contro il
mago.
La
saetta lo investì con potenza tale da sollevarlo da terra e
scagliarlo indietro diversi metri, e il dolore
fu tale che non riuscì nemmeno a gridare.
Gli ci vollero un paio di secondi per realizzare di
trovarsi steso a faccia in giù sulla neve, e ancor più
difficile fu fare forza sulle mani per tentare di rialzarsi.
Riuscì a mettersi in ginocchio a stento, e si
ritrovò a maledire le tendenze troppo pacifiste e l'etica
troppo socratica dei maghi di Alborea.
Che
potenza! Non fosse per tutto questo buonismo, forse avrei saputo
difendermi... si disse,
guardando con odio l'avversario, ansimando.
Zendramax inarcò un sopracciglio.
“Ancora in grado di rialzarti? Sei più
resistente di quanto non sembri, ragazzo. A guardarti, avrei giurato
che sarebbe bastato un solo colpo per metterti fuori
combattimento...” osservò, vagamente sorpreso. “Immagino
di dovermi considerare fortunato, dopo tutto. Significa che
provvederai intrattenimento più a lungo. Buon riposo”
aggiunse, tornando a sorridere, con una scintilla di malefica
intelligenza negli occhi, mentre raccoglieva le energie per un
secondo assalto.
Ma Yu questa volta reagì più prontamente:
estrasse il cristallo dalla tasca e lo gettò contro il Demone,
invocando lo Stigma della Luce che era in esso e il Signum della
Libertà, chiudendo gli occhi.
Tutta l'energia contenuta nell'oggetto si liberò
di colpo in un lampo accecante, e l'Emissario, colto di sorpresa, ne
rimase abbagliato e barcollò, scagliando la sua folgore troppo
in alto e colpendo un albero, spezzando diversi rami, che caddero a
terra, parzialmente carbonizzati.
“Piccola serpe!” sibilò, coprendosi
gli occhi con le mani. “Ti farò rimpiangere questo
affronto!”
Yu non gli prestò attenzione: non sapeva se fosse
l'adrenalina o altro, ma il dolore lo abbandonò in un lampo,
così come la sensazione di soffocamento che era seguita
all'assalto del nemico.
Recitò una formula di Velocità e scivolò
in un flusso temporale alternativo, allontanandosi dal furibondo
Emissario con rapidità soprannaturale, verso le mura bianche
dell'Accademia, mentre il mondo tutto attorno sembrava muoversi a
rallentatore. L'incantesimo, tuttavia, era uno dei più potenti
che conoscesse, e consumò le sue energie in fretta: non appena
ebbe raggiunto la fortezza, fu costretto a dissolverlo, o avrebbe
rischiato di perdere i sensi.
Pensa,
Yu, pensa!, si disse,
guardandosi attorno, cercando un modo di superare le mura.
Le porte erano chiuse, e anche se in qualche modo fosse
riuscito a contattare Rangrin, il Nano non avrebbe potuto sciogliere
il sigillo magico che le bloccava, per non parlare della neve che vi
si era depositata davanti.
Anche scalare le mura era fuori questione: non aveva
incantesimi adatti allo scopo, e non era sicuro di riuscire a
spiccare un balzo magico abbastanza alto da superarle (la qual cosa
avrebbe comunque comportato un atterraggio problematico).
Per
alcuni istanti, sentì che il panico stava per sopraffarlo, ma
poi si impose la calma, e, tratto un profondo respiro, si disse che
una via d'uscita c'era.
Doveva usare le energie che gli restavano per varcare il
Confine e raggiungere la Terra, dove la fortezza non era che un
rudere, e poi rientrare nell'Inframondo.
Poteva farcela, lo sapeva, doveva solo cercare di non
svenire una volta arrivato sulla Terra: se riusciva ad effettuare il
balzo di ritorno una volta aggirato l'ostacolo, sarebbe stato al
sicuro.
Inoltre, era il momento migliore per collaudare la
tecnica di spostamento rapido che aveva messo a punto negli ultimi
mesi: in teoria, era decisamente più veloce e discreta dei
consueti portali, e forse avrebbe confuso il Demone, che magari
l'avrebbe scambiato per un incantesimo di teletrasporto.
“Ora mi hai proprio stufato!”
La voce di Zendramax gli fece gelare il sangue nelle
vene.
Si voltò e quel poco di colore che gli era
rimasto sul viso svanì: il Demone Evanescente, sorretto da un
paio di grandi ali dalle piume nere, planava verso di lui, una mano
protesa in avanti, pronta a scagliare una nuova folgore.
Chi l'avrebbe mai detto che quel mucchietto d'ossa
sarebbe stato una simile seccatura?
Non erano tanto il dolore agli occhi o l'ustione che
aveva riportato al viso a farlo infuriare: il dolore sarebbe passato
presto e la sua pelle sarebbe guarita in fretta, una volta tornato a
casa.
No, ciò che lo mandava su tutte le furie era il
fatto di essere stato giocato da quel pivello, e con un trucco così
stupido per giunta!
Sapeva perfettamente che il giovane mago non era alla
sua altezza, non era che un miserabile Viaggiatore, eppure la cattura
si stava rivelando più complicata del previsto.
Forse doveva semplicemente ucciderlo, si disse. Sarebbe
stato più semplice e, dopo tutto, il terrestre che poteva
sapere, di così rilevante?
La folgore che crepitava fra le sue dita, pronta a
colpire, e l'espressione atterrita dall'avversario, la brezza sul
viso... erano sensazioni estatiche. Avrebbe schiacciato quel
moscerino, ne avrebbe fatto un esempio, così che qualunque suo
complice avrebbe sicuramente abbandonato la sciocca idea di potersi
opporre alla sua causa.
Ma proprio nel momento in cui rilasciava la potenza del
fulmine, accadde qualcosa: da un momento all'altro, il mago abbandonò
la maschera di terrore che aveva assunto e lo guardò negli
occhi con determinazione, solo per un istante. Poi, allargate le
braccia, le portò verso il cielo, e rovesciò il capo
all'indietro. Una scintilla viola apparve fra le sue mani. Un turbine
d'aria si levò all'improvviso attorno a lui, una luce viola lo
inghiottì e si spense in un istante, cancellandone ogni
traccia.
La saetta crepitò furibonda attraverso la
nebbiolina color indaco che si era lasciato alle spalle e colpì
la neve, sciogliendola e scavando una profonda buca.
Quando il Confine si lacerò, Yu poté
sentire l'aria della Terra spirargli sul viso. L'apertura era
minuscola, talmente piccola che il bordo di luce viola che la
circondava celava completamente il pertugio alla vista.
Checché la tecnica fosse faticosa e ci fosse
voluto del tempo per mettere a punto il procedimento esatto, l'idea
alla sua base era molto semplice: i portali che normalmente i
Viaggiatori utilizzavano per spostarsi da un mondo all'altro erano
difficili da aprire e da mantenere perché il Confine, per sua
natura, tendeva non solo a resistere ad ogni tentativo di forzatura,
ma anche a rimarginarsi rapidamente qualora violato.
Oltrepassando l'idea che i mondi fossero letteralmente
speculari in favore di una visione di sovrapposizione, Yu (ed era
certo che altri Viaggiatori più esperti avessero fatto lo
stesso) era arrivato alla conclusione che poteva balzare rapidamente
da un mondo all'altro se riusciva ad “afferrare” un lembo
del confine e, letteralmente, avvolgerselo attorno per farsi
trascinare dall'altra parte, sapendo che non appena lui fosse
svanito, la barriera si sarebbe ristabilita all'istante. Lo
svantaggio, oltre alla fatica, era il fatto che in quel modo non
sapeva cosa avrebbe trovato dall'altra parte, ma, si era detto, nulla
di ciò che poteva essere sulla Terra sarebbe stato peggio che
restare lì con Zendramax.
Perciò, dopo aver perforato il velo fra i mondi,
allargò e abbassò bruscamente le mani, come se stesse
scostando delle cortine.
Ai suoi occhi, fu uno spettacolo bizzarro: fu come
squarciare un arazzo e saltarci attraverso. L'Inframondo si lacerò
davanti a lui, e la Terra comparve al suo posto, svelata dal gesto
violento del mago.
Non appena fu dall'altra parte, Yu sentì le gambe
cedere. Tentò di rialzarsi e di mettersi in cammino, ma gli
riuscì solo di barcollare e crollare disteso sul suolo reso
duro dal freddo invernale.
Alzati,
femminuccia, alzati! Non c'è tempo di poltrire, devi aggirare
le mura dell'Accademia ed entrare, prima che quel pazzo capisca il
trucco!
Puntò le braccia per terra e fece forza per
alzarsi, ansimando.
Il Demone Evanescente non si sarebbe lasciato ingannare
a lungo, aveva poco tempo per mettersi al sicuro.
Con un gemito sommesso, si costrinse ad alzarsi in
piedi, e, barcollando ad ogni passo, si avviò per il bosco
terrestre, decisamente meno fitto e pittoresco della sua controparte,
e si avviò verso le rovine del castello che sulla Terra
occupavano il posto dell'Accademia.
Si infilò attraverso una grossa crepa ed entrò
nel cortile, dal quale, facendosi largo tra gli arbusti che lo
infestavano, proseguì alla volta del riflesso terrestre della
sua torre. Una volta dentro il rudere, chiamò a raccolta tutta
la determinazione e la forza che gli restavano e alzò le
braccia, intimando al Confine di lasciarlo passare.
Un sottile cerchio di luce si allargò sopra di
lui, mentre l'aria ondeggiava percorsa da lente increspature,
rivelando il fantasma dell'Inframondo dall'altra parte.
A quanto vedeva, il camino era acceso, quindi Rangrin,
pur non essendo in vista (poteva essere davvero poco lontano, si
disse, considerando che in quelle condizioni era un miracolo che
l'ampiezza del varco raggiungesse il metro di diametro) doveva
essere, in qualche modo, riuscito ad uscire dal santuario.
Sorrise debolmente, sentendosi un po' rinfrancare da
quella consapevolezza.
Poi, con un ultimo sforzo, proiettò il suo potere
di Viaggiatore contro il Confine; l'immagine ebbe un'increspatura più
violenta, e una colonna di luce viola lo avvolse, sollevandolo e
sbalzandolo dall'altra parte un po' più bruscamente rispetto
al solito.
Avrebbe voluto appurare se la sua supposizione era
esatta, ma non appena si ritrovò sul tappeto della sala, al
riparo dall'aria gelida e dal diabolico Zendramax, sentì la
stanchezza sopraffarlo, e perse i sensi.
Non aveva idea di quanto ci impiegò per
recuperarli, ma non appena lo fece, la prima cosa che capì era
che si sentiva male: non c'era una parte del suo corpo che non
gli facesse male, si sentiva la febbre e respirava con fatica.
Inoltre, le sue energie magiche avevano bisogno di ricostituirsi, ma
essendo lui così esausto, il processo sarebbe stato più
lento.
Provò ad aprire lentamente gli occhi, ma tutto
ciò che vide fu un nugolo di puntini rossi e brulicanti.
Li richiuse con un sospiro.
Se non altro, se lo aspettava: la magia aveva dei
limiti, e prima ancora di essa, un mago stesso aveva i suoi.
Superarli portava conseguenze, e la cecità momentanea era una
di esse. Almeno nel suo caso.
Altri maghi sviluppavano altri sintomi, ma si trattava
sempre di disturbi assai incapacitanti: una sorta di monito che il
loro corpo gli dava perché non esagerassero, così da
evitare conseguenze permanenti. L'aveva appreso durante
l'addestramento, perciò non si preoccupò troppo; la
vista sarebbe tornata dopo che fosse riuscito a riposarsi un po', nel
frattempo doveva solo usare la magia con molta più parsimonia.
“Ti sembra questo il modo di trattare un ospite?
Pensavo che mi avresti aiutato, non che avrei dovuto farti da balia”
brontolò Rangrin, poco distante da lui.
Nel sentire la voce roca del Nano, Yu si lasciò
sfuggire un sorriso, e, schiuse nuovamente le palpebre, volse lo
sguardo dove pensava che si trovasse.
“Mi dispiace che tu ti sia annoiato in mia
assenza. Sono stato trattenuto...” scherzò, con voce
fievole.
“Per gli Antenati! Guarda da un'altra parte, i
tuoi occhi sono ancora più brutti di prima!” sbottò
l'aviatore, la voce un misto di paura e ribrezzo.
Al giovane sfuggì una risata che si trasformò
subito in un accesso di tosse che lo lasciò senza fiato per
alcuni secondi.
“L'Occhio dello Stregone ti urta, Rangrin?”
lo punzecchiò, quando fu in grado di parlare.
Tutti i disturbi da uso eccessivo di magia, infatti,
oltre ad incapacitare il mago, lasciavano anche un segno innocuo ma
piuttosto evidente sui loro corpi; nella fattispecie, la cecità,
chiamata Occhio dello Stregone, rendeva la sclera nera come
l'inchiostro, mentre iride e pupilla diventavano di un bianco latteo.
Il Nano tardò a rispondere, perciò
l'incantatore si immaginò che si fosse profuso in qualche
gesto di ribrezzo.
“Guardarti mi fa arricciare la barba. Togliti
quelle mostruosità dalla faccia e poi potremo parlare.”
Yu sorrise con aria colpevole.
“Non posso” ammise con semplicità.
“Ho usato troppe energie, e questa è la punizione. No,
non sono solo brutto, Rangrin. Sono anche cieco, almeno, finché
non recupero le forze” spiegò brevemente, prima che il
nano potesse fare domande.
Poi, aggrottò le sopracciglia e annusò
l'aria. Non era nella sua stanza, posto che sentiva scoppiettare il
caminetto e che il Nano l'aveva adagiato su un divano. Era nella
stessa stanza dove lui l'aveva soccorso la notte in cui gli era
precipitato in casa.
Questo posto sta diventando un'infermeria, si
disse, cupo.
Ma c'era qualcos'altro, fuori posto... un odore
insolito, nella stanza. Non avrebbe saputo identificarlo con
precisione, gli sembrava come se il vento dei ghiacciai gli spirasse
in viso, eppure l'aria era piacevolmente tiepida e sapeva che non
potevano esserci molti spifferi.
“Rangrin... l'aria ha un odore insolito...”
L'aviatore si scaldò subito: “Se vuoi
insinuare che la mia barba sia sporca...”
Una risata sommessa si levò da un altro punto
della stanza, all'improvviso, facendo trasalire il mago.
Una terza persona era nella stanza, e non era uno dei
famigli, le loro voci erano molto più stridule!
“Il Venerabile Oracolo sente il mio odore, non ti
sentire offeso, Rangrin Barbasporca” commentò
l'estraneo, con voce profonda e divertita.
A quelle parole, Yu inarcò le sopracciglia.
“Non credo di sentire il tuo odore, amico mio, a
meno che tu non abbia l'odore dell'inverno e del gelo” osservò,
scettico.
“Ah, ma è proprio quello l'odore che ho”
rispose prontamente lo sconosciuto. “Certamente lo sai bene,
Venerabile”.
Il mago si tirò su a sedere, faticosamente, e a
prezzo di numerose fitte, indi volse il capo verso la voce, pensoso.
“Impossibile... a meno che tu...” mormorò,
poi sgranò gli occhi, folgorato da ricordi di certe letture.
“Avvicinati, che possa toccarti, per favore”
domandò, con voce tremante, tendendo una mano.
Già dal rumore pesante che il suo interlocutore
fece mentre si avvicinava, il giovane cominciò ad avere
sospetti circa la sua natura.
Poi sentì il suo muso sfiorargli le nocche e,
quando lo toccò, sceglie lisce e coriacee scivolarono sotto le
sue dita, simili ad un'armatura di pregevole fattura, solo fredde di
un freddo diverso: non il freddo sterile del metallo, ma la frescura
di una pelle corazzata.
“Rangrin...” chiamò con un filo di
voce, tastando delicatamente la testa del drago. “O la febbre è
salita un po' troppo, o sto carezzando un drago...” commentò
con una risatina isterica.
Un drago, nella sua stanza! Di tutti i posti, i momenti
e le circostanze, doveva essere proprio quello il giorno in
cui avrebbe incontrato un drago!
La sua risata si fece acuta, poi la gola tornò a
bruciargli e non gli fu impossibile continuare. Se non altro, il
dolore improvviso lo fece riavere dal crollo dei suoi nervi,
restituendogli un po' di lucidità.
L'accesso di tosse durò più del precedente
e lo costrinse a piegarsi in avanti per avere un po' di sollievo.
“Venerabile, che ti succede?” domandò
il drago, con una punta di sincera angoscia nella voce.
Yu voleva domandargli perché lo chiamasse così
e perché gli importasse di lui, ma faticava a respirare, e ci
vollero diversi secondi per riprendere il controllo.
“Non credo ci sia alcunché di venerabile in
me, creatura” replicò, a fatica. “E anche se la
tua preoccupazione mi lusinga, mi trovo a chiedermi: perché un
drago si curerebbe mai di un mortale cagionevole come me?”
Formulare il discorso gli costò grande fatica,
ma, almeno teoricamente, si sentiva preparato in materia di draghi, e
sapeva che era bene fare di tutto per cercare di non offenderli. Non
significava che gli errori non fossero ammessi, ma un drago
intelligente avrebbe facilmente distinto bene una gaffe ingenua da
un'insinuazione offensiva.
“Non mi permetterei mai di insultarti così,
Venerabile Oracolo” protestò la creatura. “Se i
Venerabili delle Genie di queste terre ti rispettano, sono certo che
hanno i loro motivi per farlo. E io rispetto la saggezza dei
Venerabili. Ho bisogno della tua guida, per superare i miei riti di
passaggio” spiegò, trafelato. “Non hai idea delle
prove a cui sono stato sottoposto solo per arrivare qui da te, ti
prego, devi aiutarmi! Senza la tua guida, non supererò la
prova, e non sarò mai un drago adulto. Non negarmi la tua
sapienza!”
Il mago scrollò appena il capo, in un gesto di
incredulità che il drago evidentemente fraintese, perché
lo sentì picchiare una zampa per terra e rinnovare il suo
appello, sempre più accorato: “Non respingermi così
solo perché sono caduto in una trappola, Oracolo. So di essere
stato imprudente, ma la Valle non aveva mai presentato simili
pericoli da che i miei genitori abbiano memoria. Se il mammifero
Rangrin non mi avesse soccorso, sarei perito ucciso da una
stregoneria di cui non avevo mai sentito parlare...”
“Aspetta, aspetta” lo interruppe Yu, roco.
“Prima di tutto, dimmi come ti chiami”.
“Eidrath, della Genia di Ethelos, Corridore dei
Ghiacci” rispose Eidrath in tono solenne.
“Ehi, non è come ti sei presentato a me”
si intromise Rangrin.
“Shhh! Tu non sei l'Oracolo, è tradizione,
non capiresti” lo zittì la creatura, sbrigativa. Il Nano
si limitò a borbottare “Draghi!” in tono poco
lusinghiero per poi tornare (Yu si immaginava) a pensare ai fatti
suoi.
Dopo una breve pausa, per assicurarsi che non ci fossero
altre interruzioni (sapeva di non poter alzare la voce per sovrastare
eventuali commenti o proteste dell'aviatore), il giovane riprese, in
tono gentile: “Perché sei convinto che proprio io sia
l'Oracolo che cerchi, giovane Eidrath?”
“Perché lo sei. Me lo sento dentro, e un
drago sente queste cose. O così tutti mi dicono” ribatté
prontamente il drago, con aria diligente.
Il mago se lo figurò starsene seduto al suo
capezzale, bello impettito, e sorrise fra sé. Tutto sommato,
nonostante le circostanze spiacevoli, era sicuramente un bel primo
incontro... cioè, il primo incontro che aveva sicuramente
avuto luogo.
“Poniamo che lo sia” proseguì, calmo.
“Cosa ti aspetti da me? Io non ho mai saputo di essere un
Oracolo per la tua specie”.
La domanda sembrò lasciare Eidrath interdetto,
perché tacque per quasi un minuto, prima di rispondere,
esitante: “Suppongo che... capirlo sia parte della mia
prova...? Ha senso?”
Yu ridacchiò.
“Se sono ciò che dici, forse sì.
Magari, è solo un capriccio del destino che ti ha portato a
me. Sarò sincero con te, non sono un veggente; sono solo un
mago, e un Viaggiatore. Forse, proprio perché sono uno
straniero in questo mondo, se mi fai la domanda giusta, saprò
darti una risposta che qui nessuno ti darebbe. O forse accadrà
qualcosa di speciale, non te lo so dire. Non ci sono più molte
cose di cui mi senta sicuro, amico mio... tante cose sono cambiate
attorno a me... e, sento, anche dentro di me. Ma se posso aiutarti,
tenterò”.
Con sua sorpresa, Rangrin montò su tutte le furie
a quelle parole.
“Ah!” gridò, stridulo, balzando in
piedi, a giudicare dal tonfo che seguì quel verso. “Con
troppa leggerezza offri il tuo aiuto, mago! A quanti altri regalerai
le tue promesse? Non hai ancora idea di come mantenere quella fatta a
me, e già ti metti in parola con un drago? Sei uno stolto
onesto, o uno spergiuro astuto?” sputò per terra. “Metti
un po' d'ordine in quella tua testa stramba, mucchio d'ossa. Sei
sparito solo per farti ritrovare qui più morto che vivo.
Finora, siamo stati solo noi ad aiutare te, come pensi di riuscire
a... umph!”
Le grida dell'aviatore divennero un mugolio soffocato, e
il Viaggiatore sospettò che Eidrath gli avesse tappato la
bocca. La parte più bieca di lui considerò che un drago
da guardia gli avrebbe fatto comodo, ma subito il giovane si
rimproverò per quel pensiero: ingannare la creatura non
sarebbe stato più onorevole che ingannare un ragazzino; e poi,
lui non era così disonesto.
Forse
non sono così disposto a tutto come credevo,
pensò fra sé, aggrottando le sopracciglia.
Già,
ma ammesso che si fosse approfittato del drago, quali sarebbero state
le conseguenze? E poi, un drago così giovane poteva davvero
fare tutta questa differenza?
Scrollò
il capo e mosse la mano come per scacciare un insetto. Decisamente
no. Eidrath di sicuro non era abbastanza potente da risultare
determinante, e un inganno ai suoi danni gli avrebbe attirato
l'inimicizia della sua Genia. E poi, approfittarsi di lui rimaneva
comunque un'idea ripugnante.
Tornò
a sorridere.
“Rangrin
non essere così furioso. Che ci piaccia o no, ora che siamo
bloccati assieme in questa situazione, i suoi problemi sono anche i
nostri. Aiutare lui aiuterà anche noi, me lo sento”
spiegò.
“Hmhm”
fece Eidrath per sottolineare le sue parole. “E tu, Zampecorte,
non aggredire più l'Oracolo in quel modo, intesi?”
aggiunse, rivolto a Rangrin, che non poté fare altro che
mugolare furioso in risposta.
Il
mago si concesse un sogghigno. Forse un pochino
si sarebbe approfittato della situazione. Dopo tutto, quanto spesso
capitava di avere un drago come guardia personale?
“Eidrath”
ricominciò, sommesso, “al momento devo ammettere che
Rangrin ha ragione: non ho molte idee sul da farsi, e non so come
aiutarti. Ma vorrei che tu avessi la gentilezza di raccontarmi gli
eventi che ti hanno condotto qui”.
Il
drago rimase in silenzio per alcuni secondi, riflettendo, poi, come
se stesse recitando a memoria una lezione di storia, cominciò:
“Dunque... il mio uovo si è schiuso ventidue anni fa,
terzo nella sua covata, mentre nel cielo sorgeva la stella che la mia
gente conosce come...”
“Ehm...
credo che tu possa limitarti agli eventi più recenti” si
affrettò a correggersi Yu, sapendo quanto i draghi amassero
parlare di sé ed intuendo perciò che un'autobiografia
della creatura sarebbe solo stata, per lo più, un lungo e
tedioso vaniloquio.
“Oh”
commentò l'altro, vagamente sorpreso. “Come desideri...
Dunque, una settimana fa, ho pensato che ero stanco di essere
trattato come un cucciolo, e che ero pronto per le responsabilità
e i privilegi che l'età adulta comporta. Così ho
comunicato al mio saggio padre Ethelos la mia decisione di sottopormi
ai nostri riti di passaggio”.
Il
mago annuì, e visto che il drago aveva fatto una pausa,
commentò: “L'hai accennato. In cosa consisterebbero?”
“Un
aspirante adulto, per superare la prova, deve raggiungere l'Oracolo
della Valle di Alborea, da solo, e ascoltare ciò che ha da
dirgli” rispose il drago, con tanta diligenza nella voce che Yu
poté figurarselo, compito come uno scolaretto a recitare la
sua lezione davanti ad un maestro esigente. “A questo punto,
possono succedere diverse cose: l'Oracolo può dirgli che
semplicemente non è pronto, e quanto dovrà aspettare
per tornare. Potrebbe semplicemente riferirgli un messaggio da
riferire alla Genia, o potrebbe affidargli un compito da svolgere, o
una prova da superare. In quel caso, il giovane drago dovrà
superarla e portarne prova alla Genia. A quel punto, avrà
luogo la Cerimonia del Passaggio vera e propria, e lui o lei
diventeranno pienamente padroni delle loro facoltà”.
Quell'ultima
frase suonò strana alle orecchie del mago, perciò si
permise di indagare un po' più a fondo: “Pienamente? Che
intendi dire? In che modo non avere l'approvazione della Genia limita
la vostra padronanza di voi stessi?”
A
quel punto, si aspettava che il drago mettesse, giustamente, in
dubbio la sua saggezza oracolare; invece, Eidrath si limitò a
schiarirsi la voce e a rispondere, con una punta di imbarazzo:
“Be'... per esempio, non ci è concesso cercarci un
compagno o una compagna finché non abbiamo superato la
prova...” Yu non poté trattenere un sorriso a quelle
parole. Se aveva menzionato quel motivo prima di tutti gli altri,
era probabile che si fosse sobbarcato quell'impresa perché
voleva dichiararsi a qualcuno, e la cosa, ai suoi occhi, era molto
poetica.
Il
drago parve indovinare i suoi pensieri, perché si affrettò
ad aggiungere, sempre più imbarazzato: “Ma... ma quella
è solo la cosa più banale... eh... ci sono anche altre
cose più importanti”.
Il
Viaggiatore, sempre sorridendo, gli fece cenno di proseguire.
“Be'...
la nostra forza, per esempio. Non possiamo esserne i padroni finché
non abbiamo dimostrato di esserne degni superando questa prova”
proseguì l'altro, riacquistando sicurezza, ora che l'argomento
più scomodo sembrava superato.
Il
giovane batté le palpebre, perplesso.
“Mi
stai dicendo che se non superi la prova...”
“Mphh!”
protestò Rangrin, pestando i piedi per terra.
“Non
potrò crescere più di così. Rimarrò
affacciato sulla soglia della maturità finché non avrò
portato a termine l'incarico” confermò il drago. “Così
è da sempre. Non è solo una tradizione, è parte
di noi, della nostra vita, così come il nostro linguaggio non
è un semplice strumento di comunicazione. Ora che ti ho
spiegato, però, vorrei chiederti un favore, Venerabile”.
Yu
annuì, sorridendo un po' amaro. Sapeva cosa la creatura gli
avrebbe chiesto.
“Non
rivelerò quanto ho appreso adesso, né ciò che
avrai la gentilezza di insegnarmi in futuro, senza il tuo permesso.
Hai la mia parola” promise, anticipandolo.
“Mphhghphh!
Hmmmph!”
“E
credo che Rangrin abbia capito” aggiunse, con un sogghigno.
“Lascialo andare, per favore. Temo tu gli stia facendo male”.
Subito
dopo che ebbe pronunciato quelle parole, sentì il Nano
inspirare rumorosamente una bella boccata d'aria.
“Ma
bene, se tu e il lucertolone ve la intendete così bene, a che
ti servo io, eh?” sbottò non appena ebbe ripreso un po'
di fiato.
Eidrath
mandò un ringhio sommesso a quel rimbrotto, ma Yu alzò
una mano, sperando fosse sufficiente a fermarlo prima che placcasse
nuovamente l'indignato Nano.
“Non
ho mai detto che non ti aiuterò Rangrin. Mi ricordo bene ciò
che ti ho detto. I tuoi nemici sono i miei, e non vivrei bene sapendo
di aver lasciato la tua gente nelle loro mani”.
“Rangrin
Barbarruffata mi ha detto che i suoi nemici sono persone come lo
stregone che mi ha aggredito; Demoni Evanescenti, li ha chiamati”
aggiunse il drago. “Lui mi ha salvato da una loro stregoneria
che mi avrebbe ucciso, e io l'ho salvato dalla valanga, poi ci siamo
rifugiati qua dentro, e ci stavamo riposando, quando sei arrivato tu,
Venerabile”.
Yu
si accigliò. La notizia non era buona, ma preferì non
condividere le sue preoccupazioni con gli altri, per il momento.
“Hai
idea del perché i No...” si interruppe e scosse il capo.
“Scusa... perché i Demoni Evanescenti ti abbiano
aggredito?”
Eidrath
ci mise alcuni secondi a rispondere, e quando parlò, la sua
voce tradiva il turbamento che ancora lo agitava: “Hanno solo
detto che sarebbe stato divertente umiliarmi e distruggermi”
riferì, a bassa voce. “Altre spiegazioni, non ne hanno
date. E per ora, preferirei non ripensarci” aggiunse. “Non
ne ha date, in realtà.
Ne ho visto solo uno, credo che fosse solo. E' arrivato
all'improvviso, mi ha aggredito e poi se n'è andato, dicendo
che sarebbe tornato dopo il calar del sole. Dopo che...”
Si
interruppe, e le membrane che gli proteggevano le orecchie e la
cresta che gli percorreva tutto il corpo frusciarono appena quando
scrollò il capo. “Non ha importanza” disse dopo
alcuni secondi, e il Viaggiatore capì che il discorso era
chiuso, almeno per il momento.
Non
poteva vederlo, ma sentì che Eidrath era scosso nel profondo.
Zendramax, era sicuro che fosse stato lui, non l'aveva solo quasi
ucciso: si era divertito a terrorizzarlo e umiliarlo, e questa era
una cosa che un drago non poteva accettare facilmente.
Chiuse
gli occhi e sospirò.
Forse
si stava dando troppe arie, ma aveva la sensazione di comprendere la
creatura e il suo cruccio; nella sua voce, nelle sue parole gli
pareva di cogliere tanti piccoli messaggi su di lui e la sua natura.
E poi, aveva delle sensazioni suggerite dal suo sesto senso magico: i
draghi erano creature possenti, e la loro aura era particolarmente
facile da percepire.
Da
tutte quelle informazioni, ebbe l'impressione di avere a che fare con
una creatura dall'indole gentile, un po' ingenua e un po' irascibile,
ma animata da una sorta di infantile caparbietà.
Era
forse la cosa più bizzarra che avesse pensato in vita sua, ma
Eidrath gli faceva tenerezza.
“Il
Demone non oserà entrare qui” lo rassicurò,
sperando di non offenderlo. “Io per il momento ho un gran
bisogno di riposo; ne approfitterò per riflettere sulla
situazione, e magari mettere a punto un qualche straccio di piano.
Restare rintanati qui non servirà a niente”.
Se
il drago si offese, non ne diede segno, né la sua voce parve
risentita.
“Ti
ringrazio, Venerabile” si limitò a mormorare.
“Chiamami
Yu. E' l'abbreviazione di Yulannath. Così mi chiamo” lo
pregò Yu, sentendosi arrossire. Quell'appellativo altisonante
lo metteva davvero in imbarazzo.
“Come
desideri, Venerabile Yulannath”.
Il
Venerabile sospirò e tornò a coricarsi.
Farò
prima io a farci l'abitudine, che lui ad imparare,
pensò, prima di concedersi un altro po' di riposo.
Angolo
dell'autore:
wow, è davvero passato un sacco di tempo. Be', non voglio
annoiare nessuno con le noiose storie della mia noisa vita. Diciamo
solo che un po' una cosa e un po' l'altra mi hanno tenuto la testa
occupata. Questo nuovo capitolo però mi dà l'occasione
di formulare un bel proposito per il nuovo anno: essere più
produttivo! ^w^
Per
il resto, un grazie a tutti quelli che si prendono il tempo di
leggere questo mio personale delirio. Ogni recensione o critica
saranno apprezzate, perciò vi incoraggio a lasciarmene.
Auguri
a tutti, e felice anno nuovo!
|
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Capitolo 10 *** Stigmata ***
Ars
Arcana, Capitolo X
Stigmata
Zendramax
si posò poco distante dal punto in cui il Viaggiatore si era
volatilizzato e le sue ali svanirono in un guizzo di piume nere e
fili di fumosa oscurità. La nebbiolina color indaco che si era
lasciato alle spalle si stava già diradando.
Mantenne
quel poco di distanza più per forza dell'abitudine, che per
timore vero e proprio: quand'anche fosse stato un trucco, quel
piccolo maghetto da due soldi non poteva certo mettere in piedi una
trappola in grado di nuocerlo. Era solo avvezzo all'esercizio della
prudenza, tutto qui.
I
suoi occhi color indaco si ridussero a due fessure sottili.
Dove
si era cacciato, quel marmocchio?
Scrutò
la strana foschia per cercare qualche indizio della sua presenza. Vi
era qualcosa, in quel fievole alone, qualcosa che poteva essere
rilevante, se lo sentiva; non aveva un motivo razionale per
sospettarlo, era semplice istinto.
Ma
quando cercò di espandere i suoi sensi per sondare meglio il
fenomeno, la Terra mandò un brontolio, e un lampo verde più
intenso percorse il cielo; la sua coscienza fu colpita da una
stilettata di dolore fulgente, e lo costrinse a ritirarsi in se
stesso.
Il
suo disappunto crebbe. La situazione sfidava ogni logica: quel
patetico Viaggiatore non era alla sua altezza, non poteva
essergli scappato così da sotto il naso! E le forze a difesa
della Valle...? Non era possibile che si fossero riattivate tanto in
fretta.
Strinse i pugni, sentendo la rabbia bruciarlo da dentro.
Le ombre della foresta si raccolsero in un alone nero attorno al suo
corpo, danzando come solleticate dalle fiamme di un fuoco invisibile.
In tutta risposta, le luci nel cielo sopra di lui si
contorsero e si intrecciarono, illuminandolo con un fascio più
intenso, che dissipò il velo di cui si era ammantato, mentre
la sua mente veniva assalita da un boato terribile, che lo fece
barcollare.
"Lasciami... in pace... vecchio!" sibilò,
afferrandosi la testa. "Torna a fare la muffa fra le pagine
delle leggende! Non sarai tu a fermarci!" urlò al
firmamento lucente.
"Non
io solo... hai ragione..."
La mente del Drago della Valle lo sfiorò, e
Zendramax poté avvertirne l'antica alterigia, il suo scherno,
e il suo disprezzo.
"Lascia
le mie terre... tirapiedi..."
Il Drago sottolineò quell'ultima parola con
un'altra lieve scossa ed un nuovo, doloroso ruggito.
Il Demone cadde in ginocchio e gemette, odiandosi per
aver dato all'avversario quella soddisfazione.
Si rialzò a fatica e si sforzò di
riprendere il controllo: cercare di tenere testa a quell'essere
antico solo per puntiglio non aveva senso, si disse, prendendo un
respiro profondo, mentre la creatura continuava ad infierire sulla
sua coscienza senza pietà.
Se restava lì, avrebbe fatto il suo gioco, e il
Drago della Valle l'avrebbe fatto impazzire: doveva andarsene.
Perciò, con gli occhi lacrimanti per il dolore,
la rabbia e la vergogna, si incamminò con passo incerto per
allontanarsi dalla montagna.
Sarebbe stata una marcia lunga e penosa, ma per
mantenere intatta la sanità mentale si ricordò l'unica
consolazione che aveva: l'Imperatore presto avrebbe conquistato quel
mondo, e allora avrebbe inferto al vecchio cento e cento volte
l'umiliazione cui lui era stato sottoposto.
Yudrazath mugolò soddisfatto nel dormiveglia,
sentendo la rabbia del Capo. Una volta tanto, il vecchio se la
prendeva con qualcun altro e lo lasciava riposare.
D'altra parte, lo Straniero se l'era proprio meritata,
quella batosta. Yudrazath lo conosceva poco, ma l'aria attorno a lui
aveva un che di malsano; era diverso, e in un senso tutto negativo.
Si rigirò nel buio, mettendosi supino. La sua
coda ebbe un guizzo, e il folto ciuffo di pelo alla sua estremità
mandò un morbido fruscio.
Cominciò a giocherellare con uno dei suoi lunghi
baffi, attorcigliandoselo attorno a un dito per poi svolgerlo e
ricominciare l'operazione, meditabondo.
Il Capo aveva sistemato lo Straniero, ma di sicuro
quello non avrebbe mollato. E poi, il Capo aveva i suoi limiti, ed
era certo che anche il nemico lo sapesse: una volta lontano dalla
montagna, sarebbe stato fuori dall'influenza diretta del Drago, e
allora si sarebbe ripreso.
E una bestia ferita è una bestia pericolosa.
Aggrottò le sopracciglia. Al mucchio d'ossa
sarebbe servito più aiuto, ma lui non era ancora in condizione
di prestargliene; lo sforzo per purificare l'area era stato troppo
grande, soprattutto considerando che si era appena svegliato, e ci
sarebbe voluto del tempo per riprendersi.
Sospirò. Il mago aveva bisogno di un'arma, fare
finta del contrario era inutile.
Doveva impartirgli uno Stigma, ma quale? Non aveva
energie sufficienti per dargliene che uno soltanto, e sapeva fin
troppo bene che gli Stigmata erano assai difficili da controllare,
senza i loro Signa.
Smise di tormentarsi i baffi e fece un respiro profondo.
Bisognava ragionare: quale, fra gli Stigmata in suo possesso, era il
più indicato?
Fuoco?, pensò, sogghignando ferocemente
all'idea di vedere bruciare lo Straniero. No, troppo banale. E se
poi si dà fuoco al vestito cercando di colpire l'avversario?
Scosse il capo e grugnì infastidito.
Acqua?
Agitò una mano, mandando un verso di disappunto.
I giochetti acquatici non avrebbero impressionato nessuno, e uno
stigma acquatico che decide di non funzioanre proprio mentre stai
affogando non è piacevole. E poi, nemmeno lui sapeva usarlo
troppo bene, quindi che senso aveva metterlo nelle mani di quel
pivello?
Hmmm...
Terra.
Sorrise. Il suo forte. Uno Stigma che racchiudeva una
grande forza nascosta, la stessa energia invisibile che si accumula
nelle profondità del suolo e si scatena con i terremoti.
Sembrava una buona scelta... eppure...
Eppure, no, non andava bene. Alle sue manifestazioni più
basilari, certo, poteva essere relativamente innocuo, ma il
mucchietto d'ossa era un tipo furbo, e di certo avrebbe capito presto
che poteva utilizzarlo come punto di partenza per manipolare forze
più insidiose, come i pesi, la gravità e le distanze. E
quel tipo di esperimenti poteva finire male. No, non restava che
l'ultimo, e più sottile fra gli Stigmata Elementali: Aria.
Il suo sorriso si fece più amaro. Sì, era
un po' da femminucce, era vero, ma di sicuro il ragazzino avrebbe
saputo sfruttarlo in maniera produttiva; comprendeva molte piccole
manifestazioni che gli sarebbero tornate utili: manipolazione del
vento, del suono, levitazione, e, con un po' di astuzia, anche
miraggi. Poteva anche usarlo per uccidere, e lì anche quello
Stigma così effeminato sarebbe diventato pericoloso, ma
Yudrazath era convinto che il pacifico maghetto avrebbe aspettato
parecchio prima di cercare di utilizzare quel dono per un fine così
spregevole.
Annuì. Aria era lo Stigma migliore. E poi, non
era da escludere che il pivello potesse trovare qualche Signum nel
suo viaggio.
Distese il braccio sinistro e tracciò un fluido
gesto a spirale nell'aria, come se stesse rimescolando un liquido con
la punta delle dita, visualizzando nella mente le sinuose linee dello
Stigma dell'Aria.
"Nel nome degli Antichi, con cuore sincero e
fedele invoco gli Spiriti del Cielo, del Vento e di tutto ciò
che vi è di etereo. Concedete a questo apprendista la vostra
forza, perché con le vostre sottili ali e le vostre astuzie
possa superare gli ostacoli, come la brezza leggera scivola al di là
di nemici, mura, monti, valli e acque. Che lo Stigma dell'Aria
lo accompagni!"
Recitò l'invocazione, continuando a muovere la
mano, indi, visualizzato chiaramente lo Stigma, soffiò a pieni
polmoni: dalle sue labbra scaturì una brezza che turbinò
sopra di lui per qualche istante, indi volò via, alla ricerca
del suo apprendista.
"Fatto" borbottò Yudrazath, sentendosi
di nuovo stanco. "Per ora dovrà bastarti per cavartela,
piccolo..." mugugnò, girandosi su un fianco, sentendo che
il sonno lo avvolgeva di nuovo fra le sue spire.
Yu si svegliò di soprassalto, con il cuore che
batteva all'impazzata. Non ricordava che sogno stesse facendo, ma ciò
che aveva visto appena prima di svegliarsi era straordinariamente
nitido, troppo per essere normale: una folata di vento, così
forte da minacciare di portarlo via l'aveva investito... e poi,
quell'immagine...
Come una sorta di diagramma magico tracciato con
scintillanti fili di fumo, gli era comparso davanti, e quando l'aveva
visto, si era sentito forte, felice, spaventato e confuso assieme.
Sapeva che in quelle linee sinuose si celavano i meravigliosi segreti
di tutto ciò che vi era di sottile ed etereo, eppure quella
consapevolezza lo atterriva; si sentiva suo padrone e sua preda
assieme. Era come se un pezzetto del mondo, della sua sostanza più
arcana e fondamentale, fosse divenuta parte di lui... quale sarebbe
stato il prezzo da pagare?
Perché se lo sentiva, che non poteva essere stato
solo un sogno: lui aveva appena ricevuto qualcosa, qualcosa di
pericoloso, e doveva essere molto, molto attento all'uso che ne
avrebbe fatto: nell'Ars Arcana, la prudenza non era mai troppa.
Provò a guardarsi le mani, ma la vista ancora non
accennava a tornare, e per quanto si sforzasse di riuscire a mettere
a fuoco qualcosa, il velo della sua cecità non accennava a
diradarsi. Non aveva idea di che ore fossero, né di quanto
avesse dormito. Sentiva che Eidrath e Rangrin erano ancora nella
stanza, e, stranamente, gli sembrava di percepirlo con più
chiarezza di prima: non solo l'odore del drago sembrava essersi fatto
più forte, ma ora al giovane pareva anche di sentire la
mescolanza di odori che provenivano dal nano: il cuoio che indossava,
l'odore del cordame, della nafta e delle sostanze che usava per la
manutenzione del suo pallone... più si concentrava più
fragranze gli sembrava di riuscire a percepire. E poi, il respiro...
sentiva quello lento e regolare del drago, e se solo si concentrava
un po' meglio, anche quello più buffo del nano, un po' più
irregolare e simile a quello di certi cani un po' asmatici.
Scrollò la testa per cercare di scacciare tutto
quel caos di sensazioni e riflettere. Da quando aveva i sensi tanto
acuti? Sicuro, conosceva il luogo comune per cui alla perdita della
vista gli altri sensi di acuivano, ma lui era cieco al massimo da
qualche ora, e poi, non lo sarebbe rimasto a lungo.
Sospirò. Avrebbe voluto prendere il suo
Compendium per controllare, ma non era affatto sicuro di riuscire a
trovare la sua stanza, né avrebbe comunque avuto modo di
leggere le pagine, quand'anche fosse riuscito a prendere il libro.
"Non riesci a dormire, Venerabile?"
Yu trasalì a quella domanda. Era convinto che
Eidrath dormisse. Peraltro, la sua voce suonava diversa rispetto a
quando gli aveva parlato prima: era meno profonda, decisamente più
simile alla voce di un ragazzo.
Fece per tirarsi su a sedere, ma si bloccò a metà
dell'operazione e fece una smorfia: il dolore non accennava a
diminuire. Se fosse una conseguenza dei sortilegi di Zendramax
piuttosto che del suo uso eccessivo di energia non avrebbe saputo
dirlo, ciò di cui era certo era che aveva un gran male
addosso. Stava per abbandonarsi all'indietro, quando sentì la
testa del drago spingere sulla sua schiena; lo stava aiutando a
mettersi a sedere.
Seppur con imbarazzo, lo lasciò fare: si
vergognava a farsi assistere così, ma pensava che se si fosse
riuscito ad alzare a sedere, poi sarebbe stato meglio. Almeno,
avrebbe potuto sciogliersi un po'.
"Ti ringrazio..." borbottò, impacciato,
dopo che si fu alzato. "Ma... perché mi hai aiutato? Non
mi devi nulla. Mi conosci appena..."
Eidrath rimase in silenzio per qualche istante, poi,
sempre con la voce giovanile di poco prima, rispose: "Perché
so come ci si sente".
Yu non commentò, e si limitò a
sorridergli. Aveva visto giusto, in merito al drago; e quanto alla
sua voce, sapeva che i suoi simili erano molto orgogliosi della loro
estensione vocale, perciò immaginò che la voce profonda
che aveva sentito prima servisse ad atteggiarsi perché Rangrin
stava ascoltando; ora che il nano dormiva, la creatura non sentiva
più la necessità di parlare con la voce impostata.
"Quando il Demone mi ha assalito, ho avuto paura.
Sapevo che mi avrebbe ucciso e quando mi ha lasciato appeso a quegli
alberi a morire, mi sono sentito solo, come mai in vita mia"
proseguì il giovane drago, pensieroso. "Non mi ero mai
sentito così inerme, nemmeno quando ero un cucciolo. E' come
se l'umiliazione avesse spezzato qualcosa dentro di me... e..."
sospirò, e scrollò di nuvo il capo, mandando ancora una
volta quel curioso fruscio dalle creste che gli ornavano il capo e le
orecchie. "Non mi va di pensarci troppo, scusami. Per ora, ti
basti sapere che... capisco. Quando ho capito che da solo non ce
l'avrei fatta, anch'io avrei voluto che qualcuno mi aiutasse; e so
che lo devo solo alla fortuna, se sono ancora vivo. Tu avevi bisogno
di aiuto, e io potevo offrirtelo, perché non avrei dovuto?
Questo credo di aver imparato, oggi".
Il mago annuì. "Renderai orgogliosa la tua
Genia e la tua famiglia" commentò. Sapeva che all'interno
di una Genia, in realtà, tutti i draghi condividevano un
qualche vincolo di parentela, ma sapeva anche che il termine
"famiglia" era indicato solo per indicare le creature più
prossime.
Eidrath ridacchiò sommessamente, con amarezza.
"Dubito che si sentirebbero molto fieri di me, se sentissero la
storia per intero..." osservò.
"Non c'è disonore nell'essere sconfitti da
un avversario più forte di noi" obiettò Yu, in
tono conciliante. "Tu hai lottato al meglio delle tue forze.
Anziché dispiacerti della sconfitta, ringrazia il Cielo di
avere avuto un'altra opportunità. Potrai superare la tua
prova, e tornare a casa per prendere ciò che ti spetta,
l'importante è questo, alla fine".
Eidrath inclinò il capo di lato e studiò
il sorriso stanco del suo interlocutore. L'Oracolo era un vero
mistero, per lui: si era aspettato qualcosa di più maestoso,
che irradiasse un senso di maestà e di enigma... invece, si
era trovato davanti quel piccolo mortale pallido ed emaciato, dagli
occhi grandi e la voce gentile.
Era rimasto davvero perplesso quando il suo
istinto gli aveva detto che l'Oracolo che cercava era proprio quel
ragazzetto dall'aria fragile, ma ora che ci aveva scambiato qualche
parola, doveva ricredersi. Forse non era esattamente l'Oracolo che
lui si aspettava, eppure in lui vi era qualcosa in lui che lo rendeva
simile ai Venerabili della Genia. Emanava un senso di saggezza,
simile a quello che circondava certi draghi anziani, eppure era al
contempo molto diverso da loro; forse perché, rispetto agli
anziani, gli sembrava meno distante. Gli anziani sarebbero sempre
rimasti tali, per lui, mentre il Venerabile Yulannath... sembrava
davvero più vicino, aveva tutta l'aria che avrebbe potuto
tranquillamente diventare suo amico. Parte di lui, per qualche motivo
se l'augurava anche.
Scrollò il capo un'altra volta, facendo inarcare
le sopracciglia al mago che, per fortuna, non poteva seguire il
complicato filo dei suoi pensieri.
Si sentiva terribilmente confuso, dentro di lui si
agitava una marea di emozioni e dubbi: non era indegno, pensare
quelle cose, e sentirsi così smarrito? E l'Oracolo...
l'avrebbe scoperto? O avrebbe dovuto confessarglielo lui? E tutta
quella storia... non era segno che non era degno di compiere il
passaggio?
Smettila,
si rimproverò, aggrottando le sopracciglia.
"Cosa ti ha svegliato?" domandò, per
cambiare argomento. Parlare di sé con il Venerabile gli faceva
uno strano effetto: si sentiva scoperto, in qualche modo... il
giovane aveva un modo di ascoltare del tutto diverso da quello del
nano.
L'Oracolo rivolse lo sguardo altrove.
"Un sogno... o meglio... qualcosa che mi si è
manifestato in sogno. Una qualche forza, che è diventata parte
di me... credo di sapere cosa sia, ma..." fece una pausa, aprì
una mano e abbassò gli occhi sul suo palmo che, Eidrath
sapeva, non poteva vedere.
Yu sospirò e volse lo sguardo cieco davanti a sé.
"Vorrei leggere qualcosa in merito, ma non posso... e tu, perché
ti sei svegliato?"
Il drago sbuffò dal naso, un po' sulla difensiva.
Perché lo metteva così a disagio, rispondere alle sue
domande?
"Per diverse cose, immagino... qui per me è
troppo caldo, e il fuoco per noi è doloroso, perciò è
normale che non riesca a dormire bene vicino ad un camino. Ma non
posso allontanarmi da te... è meglio che ci sia io a vegliare
su di te, il nano è un pasticcione..." spiegò,
guardando con occhio critico Rangrin, che ronfava a bocca aperta
abbandonato su una poltrona. "E poi", proseguì,
tornando a guardare il giovane "è difficile non pensare a
quel che mi è capitato oggi... e, infine, anch'io ho sentito
ciò che hai descritto".
Yu si voltò verso di lui, sorpreso. "Anche
tu...?"
Lui annuì, pur sapendo che l'Oracolo non lo
vedeva. "Sì. Qualcosa in te è cambiato, mentre
dormivi. Hai qualcosa di più, ora... qualcosa che ti rende più
simile a me, in un certo senso. In te c'è qualcosa
dell'Inverno e del Vento, ora..."
Il mago chinò il capo e sospirò; Eidrath
lo studiò: sembrava tanto stanco, e confuso, eppure, a
dispetto di quell'aria debole, sentiva che il pallido Oracolo sarebbe
stato un aiuto determinante.
"Eidrath... non voglio approfittarmi della tua
gentilezza, ma vorrei chiederti un favore..." disse Yu dopo
alcuni secondi di silenzio. "Vorrei che tu leggessi alcune
pagine per me, da un mio libro. Uno molto speciale..." fece una
pausa, poi sorrise, un po' imbarazzato. "Se sei in grado di
leggere l'alfabeto umano, si intende..." aggiunse.
"Sicuro. Dove trovo questo libro-tesoro?"
rispose Eidrath, alzandosi.
L'Oracolo tossì, e indicò un punto dove,
probabilmente, pensava si trovasse la porta.
"Uscendo da questa stanza, troverai delle scale.
Seguile fino alla mia stanza, è all'ultimo piano; il libro è
sulla scrivania, è impossibile non notarlo: ti insulterà
quando entrerai, probabilmente, e ti insulterà ancora di più
quando lo prenderai. Non darci peso, è fatto così.
Cerca di averne cura mentre lo porti qui, per favore. E' il mio
tesoro più prezioso..."
Eidrath annuì e sorrise. "Va bene,
Venerabile, tornerò presto" promise, gioviale, e si avviò
su per le scale.
I passi pesanti del drago si allontanarono, e Yu tornò
ad essere solo. Sospirò.
Era strano, trovarsi in quella condizione, come erano
strani gli eventi attorno a lui; il destino aveva radunato una
compagine piuttosto bizzarra, doveva ammettere.
Un
nano che vola, un drago-bambino, e un mago di terza categoria...
Prese a giocherellare con un lembo della coperta, mentre
aspettava che Eidrath tornasse, lasciando che la sua mente vagasse.
Ripensò alla sua vita sulla Terra, a quando aveva scoperto il
suo dono e la rivelazione che fu, all'epoca, scoprire di essere un
Viaggiatore.
Ora
tutto si ripeteva, ma la sconvolgimento era ancor più
radicale: non era solo in possesso di un dono che lo rendeva diverso
da tutti... era proprio qualcosa
di diverso. O era pazzo. Nessuna delle due prospettive era facile da
aspettare.
Fortunatamente, Eidrath fu rapido a tornare, e le
proteste indignate che giunsero dalle scale distrassero il mago da
quelle riflessioni cupe e gli restituirono il sorriso.
"Saliva
sulla mia copertina!" gemette il Compedium quando, senza troppi
complimenti, la creatura glielo sputò sulle gambe. "Questo
bruto mi ha preso in
bocca come un qualunque pezzo di carta straccia, dico!"
"Anch'io sono felice che tu stia bene" scherzò
Yu, facendo l'occhiolino a Eidrath. "Che abbiamo in merito agli
Stigmata?"
"Oh,
un po' di cosucce... ma dubito che i tuoi occhietti vispi riescano a
leggerle, adesso" commentò il
libro.
"Certo. Ecco perché sarà il mio amico
Eidrath a leggerle per me".
"Ma...
un estraneo, leggere le mie
pagine..."
"Le informazioni sugli Stigmata, se non ti
dispiace" tagliò corto Yu. Era stanco, e non aveva voglia
di mettersi a discutere con il suo Compendium. A volte, rimpiangeva
di non averne avuto uno più conciliante.
Il libro smise di protestare, e dal fruscio che seguì
il suo ordine, il mago capì che si era sfogliato e il testo si
stava componendo sulla carta.
"Ooh, starorrrrdinario" sentì Eidrath
mormorare, ammirato, mandando uno strano brontolio gutturale che,
capì, doveva essere qualcosa di assai simile alle fusa di un
gatto. Poi, schiaritosi la voce, cominciò a leggere il testo
che era apparso sulle pagine del Compendium:
“Gli
Stigmata – al singolare, Stigma – sono l'elemento
fondamentale per il controllo di una forma di magia antica nota con
diversi nomi, tra cui Stregoneria Alchemica, Alta Stregoneria
Draconica e Arte Fulgente presso gli Elfi.
Si
tratta di un tipo di approccio alla magia affascinante ed esotico,
che prescinde dall'utilizzo di formule per alterare la realtà
secondo i desideri del mago. I praticanti di questo tipo di magia
fanno affidamento solo sul proprio potere e sulla propria volontà
per ottenere gli effetti desiderati. Gli Stigmata sono gli strumenti
indispensabili attraverso i quali tali arcanisti praticano il loro
controllo sugli elementi.
Essi
non sono altro che una rappresentazione archetipica di un componente
della realtà. Gli Elfi scrivono che, sebbene gli Stigmata
principali siano quelli Elementali e che praticamente ogni tipo di
effetto immaginabile può essere ottenuto mediante essi, esiste
un numero molto più ampio di Stigmata cui attingere; secondo
la loro teoria, tanto più uno Stigma è attinente ad un
dato ambito, tanto più semplice sarà ottenere ciò
che si desidera: per esempio, sarà più semplice e meno
faticoso usare lo Stigma della Luce per illuminare una stanza,
anziché ricorrere allo Stigma del Fuoco...
ehi, queste cose le ho sentite dire anch'io, pensa. Però noi
ne sappiamo più degli Elfi”.
Yu sorrise a quel commento del drago, e gli fece cenno
di andare avanti.
“Oh,
scusa. Dunque... Ma nemmeno questo tipo di magia è
perfetto. La natura del linguaggio archetipico cui fa ricorso rende
estremamente difficile tanto il controllo di queste forze, quanto
l'insegnamento del loro uso.
Controllare
un sortilegio invocato usando uno Stigma, senza che esso sia
incanalato in un Signum, richiede una grande chiarezza di intento, o
si rischia che la magia si rivolti contro il mago, o che sfugga al
suo controllo. I Signa sono quindi...”
“Aspetta, ai Signa penseremo in seguito”
intervenne di nuovo il mago. “Vai alla parte
sull'apprendimento, è quella che mi interessa al momento”.
“Hmm, va bene, allora... ecco. Tra i maghi
umani, e persino fra gli Elfi, l'uso degli Stigmata è
limitato, poiché il procedimento per intuire uno Stigma è
difficile e richiede una forte sintonia con il linguaggio archetipico
che non tutti possiedono. Quanti non possono dedurre uno Stigma
attraverso la meditazione o l'indagine alchemico-archetipica devono
apprenderlo, ma anche in questo caso il processo risulta estremamente
complicato, e non sono molti i maghi che sono in grado di portarlo a
termine senza danneggiare la propria padronanza dello Stigma in
questione. Fanno eccezione i Draghi – hehe, naturalmente –
la cui affinità con il linguaggio archetipico degli
Stigmata trova pochi eguali tra le creature del regno materiale.
Essi, assieme ad altre creature magiche, hanno la facoltà di
imprimere gli Stigmata su coloro che ritengono degni, checché
non impartiscano tali doni con leggerezza. Narrano le leggende che
alcuni draghi particolarmente potenti siano riusciti a donare
Stigmata a persone distanti semplicemente attraverso il loro legame
mnemonico con loro; le teorie in merito sono diverse e tutte
affascinanti...”
“Così può bastare, credo” lo
interruppe Yu, alzando appena una mano. “Sei stato di grande
aiuto; ti ringrazio” aggiunse poi, sorridendo al drago. “Credo
di capire meglio ciò che è successo”.
Si passò una mano sul volto e si abbandonò
nuovamente all'indietro. Gli era stato impartito uno Stigma, e da
qualcuno che non era presente in quel luogo: Rangrin non sapeva nulla
di magia, ed Eidrath era troppo giovane per fare una cosa simile.
L'unica creatura che avrebbe avuto una qualche ragione per fargli
quel dono era il Drago della Valle, ed il fatto che il Drago avesse
scelto di impartire lo Stigma a lui piuttosto che agli altri maghi
dell'Accademia significava...
Strinse la coperta, sentendosi riprendere dall'angoscia.
Significava che ciò che Azadrath era in qualche
misura vero; che Azadrath, Arshilenne, i Luminal e la Frontiera
esistevano, così come i Noxinal e la Zona Buia.
“Sei turbato” osservò Eidrath,
avvicinandosi di qualche passo.
Yu annuì, ma quella del drago non era una
domanda, perciò non aveva senso cercare di dargli spiegazioni
in quel momento.
“Lo sono. Zendramax, lo stregone che ti ha
aggredito, ci darà la caccia quando usciremo da qui. Ma
dobbiamo farlo. Se vogliamo cacciare gli invasori, dobbiamo
raggiungere Altosole” disse.
“E come faremo, se il Demone sarà là
fuori ad aspettarci?”
Il mago sorrise e strizzò un occhio.
“Andremo ad Altosole, solo facendo una piccola
deviazione”.
Angolo dell'autore:
nuovo anno, nuovo capitolo. Sì, fra i buoni propositi per
l'anno nuovo c'è anche lo scrivere di più.
In ogni caso, ho
scelto di pubblicare un capitolo un po' più breve del solito;
non c'è molta azione, ma ogni tanto ci vuole anche una piccola
pausa per dare spiegazioni. In ogni caso, spero che vi piaccia.
Riguardo alla
lunghezza dei miei capitoli, però, avrei bisogno di un
consiglio: così come li ho strutturati finora sono troppo
lunghi? E la formattazione, è leggibile, o affatica troppo la
vista? Vi sarei molto grato se mi faceste sapere la vostra opinione
in una recensione o anche solo in un messaggio. ^^
Grazie, e al prossimo
capitolo!
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