She's my sassy nurse

di Minerva
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lui, il nostro scrittore ***
Capitolo 2: *** Lei, la nostra infermiera ***
Capitolo 3: *** Incidenti di varia natura ***
Capitolo 4: *** Pazienti che vanno, pazienti che vengono. ***
Capitolo 5: *** Déjà-vu ***
Capitolo 6: *** Il patto ***
Capitolo 7: *** Indovina cosa c'è per cena! ***
Capitolo 8: *** Appuntamenti al buio ***
Capitolo 9: *** Proposta indecente! ***



Capitolo 1
*** Lui, il nostro scrittore ***


Questa originale deve la sua esistenza alla richiesta di MikaEla, fatta sul forum di EFP per le "fanfiction on demand".
Qui potete trovare il link della discussione, così potrete leggere le richieste che sono state fatte per questa storia.
http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=7499424.
Ora vi lascio alla storia, le note dell'autore saranno in fondo alla pagina!

***


Lui, il nostro scrittore.


- Mabel! Quante volte dovrò cortesemente ripeterti che il caffè io lo prendo macchiato? MACCHIATO! Ora capisco qual è il motivo per cui il tuo adorabile marito cerca distrazioni con le portoghesi immigrate! Non sei nemmeno capace di fare un maledetto caffè! - L'urlo che si levò dall'ufficio fece sobbalzare la segretaria che stava leggendo Vouge in cucina.
Mabel McCabe sospirò, sull'orlo delle lacrime. Nemmeno dieci minuti prima le aveva urlato che il caffè lo voleva liscio. Si era decisamente svegliato con il piede sbagliato e glielo stava dimostrando in maniera molto esplicita. Intendiamoci, non che succedesse spesso che fosse sorridente... ma quella mattina aveva davvero la bile di traverso.
- Sbrigati! - l'ennesimo urlaccio le annunciò che il signor Haynes sarebbe stato intrattabile per le prossime due settimane.
Mabel scosse la testa. Del cianuro ci avrebbe messo, in quel caffè, la prossima volta! Lasciò cadere distrattamente la rivista sul tavolo, e si diresse verso la macchina del caffè.
- Mabel! - La donna non aveva nemmeno fatto in tempo ad arrivare alla suddetta macchinetta che già il signor Haynes aveva ripreso a sbraitare. - Ti vuoi muovere? O devo assumere una portoghese, come ha fatto il signor McCabe? -
Quel maledetto bastardo! Quante volte ancora le avrebbe ricordato che il signor McCabe, come lo aveva chiamato lui, le aveva regalato un bellissimo paio di corna?! Con quella colf portoghese che veniva a casa loro a stirare... no! Non voleva pensarci.
Il ricordo di quanto successo bruciava parecchio. Considerando poi che il fattaccio era successo appena tre settimane prima, non ci si poteva aspettare che Mabel la prendesse tanto bene, soprattutto perché il signor Haynes aveva scoperto il tutto per sbaglio, entrando in cucina proprio mentre lei era attaccata al telefono in lacrime con la propria migliore amica. L'unico commento che aveva ricevuto da parte sua era stato che durante le ore di lavoro non si dovrebbe piagnucolare al telefono come una mocciosa. E che si sbrigasse a portargli il caffè che aveva chiesto.
Mentre aspettava che la caffettiera elettrica fosse pronta a sfornare il macchiato che il suo capo reclamava con tanta impazienza, la segretaria, nonché cameriera di uno dei più famosi scrittori del momento, si chiese che cosa stesse facendo ancora lì. Ma la risposta era semplice: una paga simile non l'avrebbe trovata da nessun'altra parte. Quello che le veniva chiesto di fare era, semplicemente, preparare caffè, smistare la posta e rispondere al telefono per otto ore al giorno. In casa, oltre a lei, c'erano anche il cuoco e la colf. Erano due veterani del mestiere, che avevano imparato a non lasciarsi toccare dagli insulti del loro datore di lavoro.
Quando il signor Haynes l'aveva appena assunta le cose sembravano tranquille. Il suo capo era un po' scorbutico, certo, ma se le chiedeva un caffè liscio, non c'era il rischio che sette minuti più tardi stesse sbraitando per un caffè macchiato. Purtroppo, da una settimana a quella parte, lo scrittore stava rendendo la vita lavorativa dei propri dipendenti un vero inferno. Carol, la colf, sosteneva che fosse nel bel mezzo di una crisi di ispirazione e che sarebbe passata, come tutte le precedenti.
Il trillo della macchinetta la informò che la bevanda era pronta. La prese e preparò un vassoio sul quale servirla. Ci aggiunse i biscotti al cioccolato, il tovagliolo di cotone e un bicchiere d'acqua fredda.
Sistemò le cose in maniera quasi meccanica, troppo impegnata a capacitarsi di quanto potesse rendersi odioso un uomo e solo perché non riusciva a scrivere da una misera settimana.
Finito di riempire il vassoio, Mabel scoccò uno sguardo preoccupato all'enorme mole di posta cartacea che faceva bella mostra di sé sul tavolo.
Desiderò ardentemente una sfera di cristallo, per potervi leggere cosa fare con la posta del giorno.
Se avesse buttato la pubblicità, poteva esser sicura che il signor Haynes le avrebbe chiesto il perché. Se gliela avesse portata, si sarebbe sentita fare un predicozzo sul fatto che gli scrittori famosi non hanno tempo da perdere con certe stupidate. Che, insomma, l'aveva assunta appositamente per controllare la posta e che se non riusciva a farlo poteva anche andarsene!
Atterrita, Mabel dette uno sguardo alla pila di lettere sul tavolo; per quel giorno, decise, la pubblicità l'avrebbe buttata.
Sollevò il vassoio, dette un profondo respiro e si avviò nella tana del leone.

Nel frattempo, nel sancta sanctorum di Thomas Haynes, in arte Christopher Brown, si stava svolgendo una vivace conversazione.
- Sei un fottuto bastardo! - tuonò ridendo Jackob.
- Fatti i fatti tuoi. I miei dipendenti sono pagati per sopportare i miei capricci! -
- Ma non le tue offese. - fece notare con calma l'altro, spegnendo la sigaretta nel posacenere.
- Anche quelle. C'è scritto nel contratto. - replicò serafico Thomas, estraendo dal cassetto un plico di fogli e porgendoglielo. - Le offese e il vituperio sono inclusi, qui, seconda postilla, terza pagina. - E con un'alzata di spalle tornò a sbatacchiare rumorosamente sulla tastiera.
Erano giorni che non aveva una buona idea. La cosa lo irritava profondamente.
Eppure, aveva scritto romanzi del calibro di Le due pallottole che aveva venduto migliaia di copie, più i vari sequel, e spin - off. Un'opera colossale che i suoi appassionati apprezzavano. Era piaciuta talmente tanto che tuttora , dopo sei anni dalla prima pubblicazione, ancora se ne stampavano copie su copie.
Ristampe che sfruttavano alla casa editrice un bel po' di contante.
Aveva anche scritto dei romanzetti d'amore, sotto lo pseudonimo di Angela Ferguson come La casa d'inverno e Arsenico e fiori d'arancio. Ma erano opere a cui non dava la benché minima dignità di libro. Erano stupide storielline scialbe per le casalinghe che passavano la giornata a chiedersi che fine avesse fatto l'uomo che avevano sposato.
Le conosceva, lui, le donne. Sapeva che cosa volevano. Come avrebbe potuto, altrimenti, far restare per mesi al primo posto della lista dei best - seller Arsenico e fiori d'arancio? Erano così estremamente banali! Tutta la psiche femminile si basava sul trovare il compagno perfetto. Ed era attorno a questo che girava qualsiasi romanzo fosse uscito dalla penna di Angela Ferguson. La lei mediocre, entro cui qualunque donna avrebbe potuto immedesimarsi, e lui! Lui! L'esemplare maschio alfa che portava la protagonista di turno via dalla monotonia della vita quotidiana.
La cosa più ridicola era che le donne ci credevano! Dalle lettere delle ammiratrici di Angela, aveva avuto la conferma di aver colpito diritto nel segno. Un sacco di complimenti alla sensibilità della scrittrice. Ricordò una frase particolare, che lo aveva fatto sbellicare dal ridere per mesi:
Sai cogliere così bene ciò in cui spera una donna innamorata! Le sensazioni, i dubbi e le domande che si pone, l'interiorità che descrivi magistralmente mi dicono che, sicuramente, sei una persona fantastica!
Dato che conosceva così bene l'universo femminile, aveva anche deciso che non voleva averci nulla a che fare.
Buttò un'occhiata distratta alla libreria, dove facevano bella mostra di sé Sergente Turner, Sotto il fuoco nemico e Nessuna pietà!. Gli ultimi usciti. In un angolo giaceva quella che lui considerava una delle sue migliori opere: Tango sei. Il libro che lo aveva fatto conoscere anche in Europa, dove il suo pubblico era stato immediatamente vastissimo.
Con tutti questi titoli, e molti altri ancora, era ovvio che il suo editore gli stesse col fiato sul collo per avere il proseguo di Le cento notti, un thriller sulla guerra fredda che aveva appassionato un numero incredibile di fans. La storia era molto lineare, ma era piaciuto. E Marcus, ora, aveva preteso il sequel per rifornire le sue casse ed anche quelle di Thomas. Ma lo scrittore non riusciva a produrre. Ogni volta che gli pareva di aver trovato una buona idea, una buona scena, la metteva su carta, o meglio su monitor... e si rendeva conto di quanto fosse stupida!
Aveva bisogno di un punto di svolta!
- Puoi almeno fingere di starmi ad ascoltare? - sbuffò Jackob, dopo aver parlato quasi cinque minuti senza essere stato minimamente degnato di attenzione.
Thomas si lasciò cadere pesantemente contro lo schienale della poltrona. L'amico intuì quale sarebbe stata la risposta.
- Se ti serve attenzione, rivolgiti ad uno psicologo. O ad una meretrice. Quello che preferisci, ma con la seconda ti diverti di più. - Thomas continuò a fissare torvo il monitor.
La bella vietnamita già ce l'aveva messa, ed era già anche stata rapita e salvata nelle Cento Notti. La rivelazione alla: io sono incinta era stata inflazionata dal suo stesso alter - ego Angela nel Canto del Corallo... una buona idea, una buona idea...
- Grazie, Thomas, sei sempre così gentile e affabile... - un grugnito fu l'unica risposta che Jackob ricevette.
Scartò automaticamente un ennesimo rapimento. Sarebbe diventato noioso. Le scene di guerriglia erano all'ordine del giorno, mettercene altre sarebbe stato troppo.
Prese in esame i rapporti coi commilitoni, qualche triste storia, qualche triste passato che riemergeva... ecco, forse... no! Nessun intreccio amoroso, la gente voleva sangue, non lacrimucce da donnicciola mestruata! Continuò a rimuginare per un pezzo, mentre Jackob si limitava a fissarlo incredulo. Era andato da lui per potersi sfogare del proprio imminente divorzio... e Thomas era in crisi creativa.
Quando quel disgraziato aveva quei periodi c'era ben poco da fare, se non sperare che qualcuno gli mandasse l'ispirazione. Riusciva a passare mesi nel più completo isolamento a pensare, stracciando fogli su fogli e lanciando oggetti in giro per casa.
Metà delle sedie che aveva in casa Thomas portavano i chiari segni dei calci che lo scrittore tirava loro furente, così come non era raro trovare cocci di vetro per terra.
Vasi, bicchieri e piatti erano le fragili vittime dei repentini attacchi di collera verso quella maledetta puttana di ispirazione, come sbraitava sempre.
Scuotendo la testa, Jackob pensò a quante cameriere se l'erano data a gambe levate, dopo una sola sfuriata di Thomas in crisi. Mabel, coraggiosamente, stava resistendo da quasi cinque settimane, di cui l'ultima era stata nerissima. Ben sette giorni in cui l'affermato scrittore Christopher Brown non riusciva a scrivere altro se non la lista della spesa. L'uomo provo un immediato moto di simpatia per la neo assunta. Non era facile sopportare quel megalomane egocentrico. E misogino.
- Sono in fase creativa. - comunicò dopo quindici minuti di silenzio, picchiettando furiosamente sulla tastiera.
Il tradimento! Il tradimento del sergente ai danni del protagonista, l'incarcerazione, la tortura. Ecco l'idea, tutto tornava. Ok, faceva il paio con la storia di Douglas ed Harris ne Il fronte ma quel libricino non era che un piccolo riempitivo della saga di Le due pallottole, il sequel delle Cento Notti sarebbe stato molto, molto più famoso.
Thomas continuava a scrivere come un forsennato; vicino a lui un freddo caffè macchiato, di cui lo scrittore non si era nemmeno accorto.
- Vattene pure, ne avrò per molto. - aggiunse poi, facendo un gesto con la mano, rivolto all'uscio. - Mabel! - urlò di nuovo - Accompagna Jackob alla porta. -

Mabel era rimasta sulla soglia per tutta la durata della conversazione, se così di poteva chiamare, che i due uomini avevano avuto. Thomas non si era nemmeno accorto che lei fosse lì. Jackob, invece, l'aveva salutata e le aveva persino chiesto come stesse, nel tempo che lo scrittore si era messo a riversare la nuova idea sull'hard disk.
Pertanto era rimasto sorpreso dall'urlo di Thomas, Mabel al contrario si limitò a far spallucce: era abituata ad essere calcolata meno di un soprammobile.
- Complimenti ragazza! - esclamò Jackob appena richiusa la porta dell'ufficio - Sopravvivere più di un mese con quello scorbutico è una vera impresa - la segretaria scrollò le spalle, senza dire nulla. Sapeva che Jackob era l'unico amico di Thomas e quindi non poteva dirgli cosa pensasse veramente di lui. Per quanto lo stesso Jackob lo trovasse scorbutico e misogino non aveva la minima idea di come ci si sentisse a dover lavorare per lui.
Una donna, davanti a Thomas Haynes, doveva solo chinare il capo e annuire. Imparato ciò, la metà dei problemi con lui erano risolti.
Questo era quanto sosteneva Carol, che lavorava per Thomas da quasi sei anni.
Dopo aver cortesemente salutato Jackob, Mabel tornò in cucina. Ebbe appena il tempo di sedersi, prima che Thomas si mettesse a sbraitare nuovamente.
- Mabel! Questo caffè è freddo! Da quando in qua, in questa casa, il caffè si serve freddo?! Portamene uno liscio, e bollente! - Mabel sospirò e, per la dodicesima volta in quella giornata, tornò alla macchinetta del caffè.

***


Note dell'autrice:

Per prima cosa devo assolutamente ringraziare Edward per essersi prestato come beta della storia. (Non delle note dell'autrice, quindi se trovate delle virgole sbagliate qui è solo colpa mia!)
Dato il lavoro rapidissimo che ha fatto, non posso che fargli i complimenti.
Bene, avendo già ricevuto in anteprima il parere di alcune persone (Edward, appunto, Tone e Marik) ho anche ricevuto pareri discordanti riguardo al personaggio di Thomas. Secondo Edward è quasi troppo umano, secondo Tone e Marik va bene.
Dal parte mia, scrivendo, mi è sembrato quasi di esser stata troppo cattiva col nostro scrittore. Ma sarà perché ho immaginato abbastanza vividamente le scene che mi sembra di averlo reso pessimo. Per ora resto in attesa del giudizio di MikaEla, che ha commissionato la storia, per sapere se è di suo gradimento o meno.
Il rating è dovuto al fatto che il linguaggio dello scrittore potrà essere colorito.
Comunque il secondo capitolo è in fase di scrittura... sempre se il lavoro non mi ammazza prima!

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Capitolo 2
*** Lei, la nostra infermiera ***


Lei, la nostra infermiera.



Rachel amava molto il proprio lavoro. Allo stesso tempo odiava più della metà dei pazienti. Non così fortemente da spingerla ad avvelenarli o altro, semplicemente trovava insopportabili tutti quegli arroganti ricchi che, ogni giorno, venivano ricoverati al Saint Clare, la clinica esclusiva per VIP, politici, attori e altra gente della stessa risma. Persone abituate a comandare a bacchetta il loro prossimo forti del loro spropositato conto in banca. Nonostante tutte le sceneggiate da primadonna a cui Rachel assisteva giornalmente, ancora non aveva perso la passione per il lavoro di infermiera.
Già! Rachel non era né un rinomato chirurgo, né un diagnosta al pari del dottor House televisivo. Lei era una semplice infermiera. E la cosa la rendeva immensamente orgogliosa.
Aveva capito, dopo oltre dodici anni di onorata carriera, che nessun altro medico o presunto tale si preoccupava davvero del paziente.
Per i chirurghi il paziente non era altro che un pezzo di carne da sezionare. L'immagine mentale che Rachel si era fatta di loro comprendeva anche un cartellone simile a quelli che vedeva a volte nei supermercati. Quelli con sopra disegnati una mucca o un maiale sezionati, e le varie parti numerate con la legenda di fianco. Quella era la visione che, secondo Rachel, ogni chirurgo aveva del proprio paziente.
Per gli internisti il paziente si riduceva alla malattia. Non li chiamavano mai per nome, si limitavano a dire "Quello della trecentodue, con il Parkinson."
Per i vari specialisti, invece, il malato non era altro che la parte di cui loro si occupavano. Per un oculista gli occhi, per un neurologo solo il sistema nervoso e via dicendo.
Per Rachel il paziente poteva essere simpatico, scorbutico, isterico... ma mai in relazione alla malattia che lo affliggeva.
Non avrebbe mai considerato il signor Smith più degno d'attenzione del signor White solo in virtù del fatto che il primo aveva una malattia più interessante del secondo.
E, lo ammetteva candidamente, le prudevano le mani per la voglia di dare un paio di ceffoni quando vedeva certi medici e i loro assurdi comportamenti.
Non che non glielo facesse presente. Rachel non aveva un carattere timido o remissivo, tutt'altro! Sospirando, e recuperando le cartellette dei pazienti, iniziò il giro di visite della mattina.
- Signor Foster! Come andiamo oggi? - domandò con brio l'infermiera, entrano nella stanza. Il signor Foster era un semplice operaio, che doveva la sua permanenza alla clinica solo grazie ai soldi del figlio, un musicista di una band di successo di cui Rachel nemmeno ricordava il nome. Il fatto di non essere uno dei soliti ricchi che venivano ricoverati lo faceva apparire agli occhi dell'infermiera molto più simpatico.
Lei scostò le tende dalla finestra, lasciando che i raggi del sole mattutino illuminassero la stanza al posto delle luci artificiali al neon. Il signor Foster era impegnato a leggere il giornale, e le rispose solo dopo una manciata di secondi.
- Oh! Signorina Sullivan, è tornata a trovarmi? - il signor Foster, come già detto, poteva stare in quella clinica grazie ai soldi del figlio, ma per sua stessa ammissione avrebbe preferito di gran lunga essere in un ospedale meno pretenzioso e con accanto a sé l'unico membro della famiglia rimasto in vita.
Sua moglie era morta tanti anni prima, dando alla luce Nathan. Lui non aveva più voluto risposarsi o cercare un'altra compagna. Almeno, questo era quello che aveva raccontato a Rachel, e lei non stentava a credervi. Le disse anche di aver donato al figlio dedizione, amore e affetto. Di averlo spronato a raggiungere il successo. Ed ora che Nathan lo aveva raggiungo, quel successo cui tanto agognava, si era dimenticato dei sacrifici del genitore.
Da quando il signor Foster era stato ricoverato due settimane prima, il figlio non si era mai presentato nemmeno a salutarlo.
- Signor Foster, questo è il mio lavoro. - replicò lei, sprimacciando il cuscino e controllando la flebo. Benché capisse il suo stato d'animo, non poteva permettersi di indossare i panni di un'amica. Lei era lì per lavoro e così doveva essere. Affezionarsi ai pazienti non andava mai bene. Essere cortese e disponibile, sì, certamente. Comportarsi come una figlia perduta, no! Si rischiava solo di fare danni. Rachel ricordò con un mezzo sorriso il suo primo paziente quando era ancora una tirocinante.
Kornad Liegis, un ottantaquattrenne che aveva subito un lieve infarto. Nessuno dei suoi figli, né tantomeno i nipoti, erano mai passati a trovarlo. Rachel si era assunta il ruolo di una specie di nipotina. Restava a fargli compagnia anche oltre il suo turno normale, restando con lui per ore intere. Dietro insistenza dello stesso Liegis era arrivata a passare con lui anche la pausa pranzo. Non si era resa conto che col suo comportamento stava trascurando gli altri pazienti. Aveva in mente solo il povero signor Liegis, a cui dedicava anche le parti di attenzioni di tutti gli altri pazienti. Quando poi era stato dimesso, questi non aveva mai nemmeno mandato una cartolina a Rachel, ignorandola semplicemente come se non fosse mai esistita. Era tornato alla sua vita di sempre, e della giovanissima tirocinante che lo aveva accudito con tanto affetto non poteva che interessarsene meno di nulla.
Era stato un piccolo, ma quantomai utile colpo per l'infermiera. Aveva capito che il lavoro era solo un lavoro.
Con una scrollata di capo, Rachel tornò al presente e vide l'espressione del signor Foster rabbuiarsi aggiunse - Ma, non lo dica a nessuno, lei è il mio paziente preferito! - un mezzo sorriso si dipinse sul volto dell'anziano degente.
- Adesso si lasci misurare la febbre. - esordì lei piazzandogli un termometro sotto l'ascella. Segnò le temperature, misurò la pressione e tastò le giunture chiedendo se dolessero. Quella prassi si ripeteva dal giorno del suo ricovero. Adesso Rachel avrebbe spuntato alcune voci sui fogli che si portava perennemente appresso, lo avrebbe salutato e avrebbe imboccato la porta per andare dal paziente successivo.
Avvenne tutto con regolarità, proprio come il signor Foster aveva previsto.
- Signorina Sullivan. - la chiamò mentre lei stava per uscire dalla stanza.
- Sì? - rispose distratta, leggendo la cartella del paziente successivo.
- Come sta lei oggi? - domandò il paziente.
- Come? - Rachel era realmente stupita, nessuno dei suoi pazienti si era mai preoccupato di come stesse lei. - Bene, come al solito. - rispose alzando leggermente le spalle. Il signor Foster non replicò oltre, si limitò a sorriderle per poi tornare a leggere il giornale.
Senza ulteriori indugi l'infermiera si diresse nella camera successiva. Tanto il signor Foster era simpatico, quando il signor "Lamentela continua" era insopportabile. Rachel contò preventivamente fino a dieci e respirò profondamente, ancor prima di abbassare la maniglia.
- Buongiorno signor Harrison. - salutò neutra mentre prendeva la cartelletta appesa ai piedi del letto e iniziava a segnare.
- Finalmente si è degnata di arrivare! - sbottò quello in risposta, tirandosi mezzo a sedere con sorprendente agilità per chi accusa un doloroso mal di schiena. - Lei non sa cosa ho passato questa notte! - aggiunse poi, puntandole un dito contro.
Puntellò i gomiti sul soffice materasso, continuando a tenere la schiena in una posizione innaturale. Né sollevata, né distesa.
Non ci è rimasto secco, in ogni caso! Pensò Rachel scuotendo impercettibilmente il capo. Senza nemmeno rispondere prese i valori di temperatura e pressione, appuntandoli nelle caselle della scheda medica.
- Ma mi sta ascoltando?! - più che una domanda era un'accusa, Rachel sospirò.
- No. In realtà no, dato che per una persona che soffre di mal di schiena stare in quella posizione è qualcosa di impossibile. - spiegò calma lei. L'altro si rabbuiò immediatamente, rendendosi conto di esser stato colto in fallo. Rachel non aveva di certo la speranza che bastasse questo a zittirlo, tutt'altro. Molto probabilmente lo aveva appena reso più acido di prima.
- Sta forse insinuando che io non stia davvero male? - ecco... ecco che iniziava.
- Potrei. Credo di essere anche abbastanza qualificata per giudicarlo. - replicò, continuando il sistematico controllo del paziente.
- Come si permette! Io... -
- Lei ora si stenderà, e la smetterà di piagnucolare perché io non ho intenzione di ascoltare delle assurde lamentele infondate. Lei potrà essere un ospite pagante di questa clinica, ma nulla la autorizza a tartassare le infermiere con le sue manie di protagonismo. - e con un gesto deciso lo rispinse supino - Ora mi ascolti bene, perché non mi ripeterò. I suoi dolori alla schiena derivano solo da un'errata posizione quando lei sta seduto o sdraiato, esattamente come prima. Non ha alcuna ernia o infezione o il diavolo sa cos'altro! Se ne faccia una ragione e si decida a correggere quei vizi. Qui noi non possiamo fare nulla, se non imbottirla di antidolorifici. -
Il signor Harrison aveva chiamato a sé i migliori ortopedici per farsi spiegare il motivo del suo "terribile" mal di schiena. Nessuno di quei luminari aveva trovato nulla. Solo dei muscoli indolenziti che, con ogni probabilità, avevano provocato qualche leggero fastidio. Ma nessuna spiegazione aveva convito quel cocciuto paziente, che si ostinava a credere ad un complotto nei suoi confronti. Sicuramente, pensava, gli stavano tenendo nascosta qualche patologia gravissima e rarissima.
Rachel provò un debole piacere nel vederlo boccheggiare, pallido e sconvolto, davanti alla sua reazione. Si era stufata, lei, di sentire le sue lamentele per tre giorni di fila. Sarebbe rimasta a godersi quella scena per un bel pezzo, se il giro visite fosse stato concluso. Dato che così non era, decise di finire in fretta le formalità col signor Harrison.
- Il braccio. - ordinò poi, senza aver bisogno di spiegare. Da quando era stato ricoverato e si era scoperto essere così maledettamente insopportabile, Rachel aveva deciso di rendergli pan per focaccia. Voleva a tutti i costi attenzione? Perfetto! Ogni mattina lei gli avrebbe fatto un prelievo del sangue, per tutte le analisi di routine.
Che fosse una spesa inutile lo sapevano bene entrambi. Lei perché era conscia di aver applicato quella prassi su di un paziente che non aveva alcun bisogno di un tale controllo, lui perché si rendeva conto della labile connessione logica fra "mal di schiena" e "prelievi giornalieri". Sapeva quindi perfettamente che tutti i soldi che gli venivano spillati per quegli esami erano soldi buttati. Però non aveva mai protestato. Farlo avrebbe significato ammettere di star esagerando la cosa. Dato che ogni giorno millantava un morbo nuovo, una nuova patologia, non poteva proprio lamentarsi dell'estrema cura che Rachel impiegava. Si era reso conto di essersi pressoché incastrato da solo, e la cosa lo irritava.
Finito il prelievo l'infermiera lasciò la stanza senza nemmeno salutare. Con passo deciso, e decisamente galvanizzata dalla vittoria sul signor Harrison, entrò nella terza stanza.
- Signora Mayers, cos'ha oggi? - domandò consapevole della sequela di lamentele che l'avrebbero sommersa dopo questa domanda.
- Ho sentito che il signor Harrison ha la meningite! - esclamò preoccupata la trentenne stesa nel letto - Ed è da quando l'ho sentito che provo un male terribile al collo. - proseguì, tastandosi delicatamente la gola. Rachel sorrise. Elizabeth Mayers era un'ipocondriaca di prim'ordine. Il giorno del suo ricovero aveva intravisto un bambino con la varicella, ed aveva affermato di aver visto delle bolle sospette sul suo braccio sinistro. Meno simpatico era stato quando si era quasi spellata il braccio a furia di grattare queste bolle immaginarie. A nulla erano valsi i tentativi di medicinali placebo che il dottor Steven le aveva portato. Si era accorta che erano semplicemente dei blandi antidolorifici.
Il dottor Steven aveva presto capito che la paziente era tutto fuorché disinformata. Sempre attaccata al palmare alla ricerca di nuove, accattivanti malattie che sicuramente l'avevano contagiata - come non ricordare quando aveva affermato di aver contratto la Febbre Gialla? - e a proporre, ordinare per la precisione, al medico la sicura cura con cui debellarle.
Mentre l'infermiera continuava con tutta la solita routine, la paziente non smetteva per un momento di blaterare sulla meningite che sicuramente l'aveva colpita.
- La meningite procura anche dei forti dolori localizzati solo alla schiena? - domandò casualmente Rachel
- No! Non mi risulta, può provocare dolori ai muscoli, ma non solo alla schiena! - sbottò Elizabeth sconvolta dalla domanda, e per sicurezza si buttò sul palmare e digitò frettolosamente qualcosa. Una manciata di secondi dopo tirò un sospiro di sollievo - Proprio come dicevo io! Nessun dolore localizzato alla schiena. -
- Bene, allora stia tranquilla. Il signor Harrison accusa solo un forte dolore alla schiena. Non è meningite. - ghignò lei misurandole la pressione.
- Ma io sono sicura... -
- Non lo metto in dubbio. - la interruppe Rachel - Ma credo di sapere i sintomi di un mio paziente meglio delle chiacchiere di corridoio. -
- Oh. Certo, non volevo mettere in discussione la sua preparazione e le sue conoscenze. - rispose acidamente la signora Mayers, con un tono che diceva l'esatto contrario.
- Signora Mayers! - esclamò Rachel preoccupata - Questo sfogo sul gomito quando le è venuto? - preoccupata la paziente iniziò ad esaminare con cura il gomito incriminato. Lo trovò leggermente arrossato, ma questo poteva nascondere qualche sintomo di un'esotica malattia mortale!
Senza curarsi più dell'infermiera, che nel frattempo dovette girarsi per non scoppiare a ridere, afferrò l'amato palmare e diede inizio all'ennesima ricerca medica, sfogliando febbrilmente le pagine virtuali e leggendo tutto ciò che di utile, e di inutile, vi trovava.
Soddisfatta di come era riuscita a distrarla Rachel se ne andò, lasciando la paziente senza nemmeno salutare.
Appena fu sicura di essere fuori dal raggio delle sensibilissime orecchie di Elizabeth si concesse una risata liberatoria, seguita da un sospiro. Aveva ancora altri cinque pazienti da controllare, ed era già sfinita. Con passo lento si avviò verso la quarta porta pensando che, certo, a volte quello era proprio un lavoro ingrato, ma ci si poteva togliere degli sfizi che compensavano il resto.

***


Note dell'autrice:

Ed eccoci qui alla fine del secondo capitolo.
Senza betatura.
Eh, sì! Il mio beta di fiducia è irreperibile, e dopo una settimana di attesa ho deciso di pubblicarla così. L'ho ricontrollata fino allo spasmo, ma se c'è qualcosa di scorretto segnalatemelo!
Noticina tecnica: io lo so che MikaEla ha pensato ad un'infermiera molto più dispettosa della mia Rachel, ma ho riflettuto sul fatto che non potesse far tanto di peggio senza rischiare il licenziamento.
Dato che vorrei dare alla storia un'apparenza di adesione con una realtà nota ho deciso di trattenermi su tutto ciò che potrebbe fare Rachel.
Bene, e dopo questo capitolo monografico e di introduzione sulla seconda protagonista della storia, vi lascio e mi dedico alla scrittura del terzo capitolo.

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Capitolo 3
*** Incidenti di varia natura ***



Incidenti di varia natura


La statale si stendeva lineare, ampia e terribilmente calda sotto le ruote di una Spider lanciata a tutta velocità. La folle velocità della vettura aveva costretto molte altre auto a lasciarla passare, soprattutto quando il rombo del potente motore iniziava a ringhiare dietro di loro come una terribile minaccia.
Carmen de Zazoya si era trovata nella spiacevole situazione di avere quel mostro rumoroso attaccato alle calcagna - ma forse sarebbe meglio dire ai parafango - della sua lenta Ford. Si era sempre ritenuta una persona paziente. Avere a che fare con quattro pesti urlati e relativi amichetti aveva affinato di molto le sue abilità di sopportare, e talvolta ignorare, le cose fastidiose della vita. Anche la sua dolce metà aveva contribuito al processo, poiché Alvaro de Zozaya la considerava alla stregua di una cameriera. Anzi, no! Di una madre. Aveva per Carmen un profondo rispetto, misto all'incrollabile convinzione che lei gli avrebbe sempre fatto trovare una camicia stirata ed un paio di pantaloni ben piegati da mettere la domenica per partecipare alla Santa Messa. Questo gli permetteva di lasciare il bagno totalmente sottosopra dopo una doccia, perché la sua Carmencita avrebbe certamente sistemato, oppure di aspettare con placida tranquillità che sua moglie tornasse dal supermercato per preparargli il pranzo. Anche se, magari, lui era rimasto in panciolle sul divano per tutta la mattinata a guardare le televendite.
La casa era il regno della sua Carmencita! Era sempre stato così, e non c'era motivo perché la cosa cambiasse. Motivo per cui Alvaro non aveva la minima idea di come cambiare il sacchetto dell'aspirapolvere. L'aveva anche eletta sua fida consigliera: quando un dubbio lo rodeva e non lo lasciava dormire lei restava la sua unica ancora di salvezza. Quando doveva parlarle iniziava sempre alla stessa maniera:
- Carmencita, stavo pensando... - ed appoggiando la testa sul seno di lei iniziava a raccontare del problema della giornata: un acquisto importante, una lite sul lavoro, i figli e i loro problemi. Carmen, di norma, gli accarezzava i capelli e lo trattava proprio come Pedro, Marta, Estevania e Cosme, le quattro pesti citate prima. Le due sorelle erano oramai delle adolescenti di quattordici anni in perenne lotta. I due maschietti avevano appena compiuto rispettivamente cinque e sette anni. Carmen sorrideva sentendo Alvaro preoccuparsi per delle piccolezze quotidiane, come il fatto che Marta ed Estevania litigassero per chissà quale trucco o vestito, o Pedro facesse i dispetti al piccolo Cosme.
Un rombo più potente degli altri la portò a fissare lo specchietto retrovisore. La Spider non riusciva a superarla dato l'intenso traffico sull'altra corsia, e lei non aveva alcuna intenzione di scansarsi. Per rimarcare il concetto sollevò la mano di modo che lo spericolato guidatore della macchina da corsa la vedesse bene, e gli mostrò con una malcelata soddisfazione l'affusolato dito medio. Un prolungato rombo del motore le fece capire che il folle dietro di lei aveva visto e recepito il significato del gesto. Questo non gli impedì di continuare ad ignorare le distanze di sicurezza. Carmen si passò una mano fra i folti capelli ricci; quella situazione le stava mettendo ansia. Il pazzo che la stava tallonando avrebbe certamente provato a superarla, e nel farlo non avrebbe badato alla sicurezza. Se Carmen aveva un difetto era quello di fantasticare troppo. Da una piccola cosa era capace di costruire un gigantesco intrico di pensieri e catastrofi concatenate, esattamente quello che stava accadendo in quel momento. La sua mente era già lanciata verso un terribile incidente stradale che avrebbe coinvolto almeno otto macchine, due camion e anche un tir con rimorchio carico. Artigliò il volante così forte da rendere le nocche bianche, sbarrò gli occhi cercando di concentrarsi sulla strada e non prestare attenzione all'ansia. Tutte le sue paure furono però dileguate dal sorpasso avventato, ma riuscito, della Spider. Augurandogli di schiantarsi da qualche parte Carmen tornò a pensare alla lunga lista di cose da fare.

Thomas Haynes aveva inveito contro la lentissima Ford rossa per quasi dieci minuti, augurando alla donna alla guida le peggiori cose di questo mondo. Era certamente una donna che guidava, anche se lui non era riuscito a verificarlo se non in fase di sorpasso. La fase creativa che aveva avuto solo il giorno prima era già dileguata. Dopo aver scritto qualche pagina si era interrotto. Decisamente insoddisfatto di quella scenetta senza né capo né coda che aveva pensato, aveva cancellato e riscritto. Cancellato e riscritto fino all'alba, senza riuscire a produrre una sola riga decente. Quella brutta sorpresa lo aveva letteralmente mandato ai pazzi. Mabel era persino fuggita piangendo, accusandolo di essere un "pazzo, nevrotico, infido bastardo, figlio di una buona madre" e altri epiteti che lo scalpiccio dei tacchi alti, le porte sbattute e la lontananza non gli avevano permesso di sentire. Infuriato per una simile scenata isterica prettamente femminile Thomas aveva afferrato le chiavi della Spider che teneva in garage e aveva deciso di andare a farsi un giro. Quello era il suo modo per scaricare la tensione e la rabbia. Correre come un folle sulle strade, mettendo in pericolo chiunque incrociasse il suo cammino, come quella Ford rossa di prima.

Per capire se la giornata di Rachel era una di quelle buone tutti i suoi colleghi seguivano lo stesso piccolo, semplice rituale: andare a controllare il posacenere nella saletta delle infermiere e contare le cicche di Camel che vi erano schiacciati. Rachel non era un'accanita fumatrice, anzi. Nelle giornate in cui tutto andava bene nel posacenere non si trovava nemmeno una Camel. La soglia entro cui era pericoloso avvicinarsi a lei erano le cinque sigarette. Quando si contavano oltre i cinque filtri era meglio tenersi alla larga da Rachel, si correva il rischio di essere morsi e insultati.
Per questo motivo, quando Magda vide che la quota raggiunta in quella giornata era di una sola Camel, andò tranquilla dalla collega.
- Rachel, hai due minuti? - le chiese timidamente.
- Due minuti di numero, poi devo iniziare il giro di visite pomeridiane. - Rachel non apprezzava molto Magda. La trovata troppo smidollata per fare l'infermiera. Un visino dolce, una voce pacata e delle gentilezze che rasentavano il servilismo. I pazienti, con lei, si comportavano spesso in maniera orribile. Non riuscendo ad imporsi minimanete Magda finiva per accontentare i capricci di chiunque avesse un po' di polso. Rifare il letto quattro volte perché il lenzuolo era leggermente spiegazzato. Ascoltare le infinite lamentele sui letti troppo duri o troppo morbidi, le luci troppo basse o troppo alte. Il rumore troppo fastidioso, le finestre troppo grandi o troppo piccole, troppo chiuse o troppo aperte.
Insomma: una sequela di inezie che la povera Magda cercava di risolvere. Era una tirocinante, che cercava di laurearsi e mantenersi gli studi con quel lavoretto. Il Santa Claire era sempre alla ricerca di "carne fresca". Avendo dei pazienti più che insopportabili era ovvio che fossero poche le infermiere che riuscivano a resistere per più di tre mesi. Le tirocinanti, quindi, erano sempre bene accette.
- Vedi... io... non so cosa fare col signor Dominic. Si lamenta sempre... di tutto... - Magda sembrava seriamente sul punto di scoppiare a piangere. Tormentava un fazzolettino bianco fra le dita affusolate mordendosi il labbro inferiore che, tremante, svelava quanto la ragazza stesse male. - E poi, quando... quando non faccio come vuole, lui... lui... - e scoppiò davvero a piangere. Che Magda piangesse non era una novità. Aveva le lacrime in tasca, secondo Rachel, e per un'infermiera era controproducente iniziare a singhiozzare alle prime male parole che le venivano rivolte.
- Lui cosa? - domandò spazientita l'altra, già stufa della scenata.
- Lui... - ma i singhiozzi non le permisero di continuare il racconto. Alzando la mano per tamponarsi gli occhi, il polsino della camicia le scivolò verso il basso quanto bastò perché Rachel vedesse dei lividi.
- Ah. - Fu il suo unico commento, afferrandole il polso e slacciando il bottone del polsino per sollevare di più la manica. - Quindi è così? - domandò glaciale. Dominic Grant era un fottuto bastardo con i soldi che gli spuntavano anche dalle orecchie. Qualsiasi accusa Magda avesse provato a formulare sarebbe stata smontata da una schiera di squali travestiti da avvocati, e Magda non era tanto sciocca da mettersi contro di lui legalmente. Lavorare nella clinica più "in" di tutta Chicago aveva anche i suoi contro. Uno di questi è che il paziente ha sempre ragione. Sempre, anche se è nel torto più marcio e palese. Gli avvocati sanno fare miracoli.
- Mi strattona... - cercò di spiegare Magda - e io non posso farci niente. Se solo gli venisse in mente di farmi causa. Ho bisogno di questo lavoro, Rachel, non posso essere cacciata... ma non posso continuare così. - si giustificò la ragazza, apparendo molto più giovane dei suoi venticinque anni. Una tirocinante come Magda, tutta università e lavoro, non poteva perdere quel posto. Parlando assieme nelle piccole pause che si concedevano fra un giro di visite e l'altro Rachel aveva scoperto che la ragazza conduceva una vita che rasentava l'assurdo. Faceva turni da dieci ore in ospedale, e nei ritagli di tempo era sempre immersa nella lettura di qualche testo medico. Quando finalmente staccava dal lavoro, invece che concedersi una serata fuori a svagarsi si chiudeva in casa a studiare. La sua media era ottima, ovviamente, ma la sua vita sociale era ridotta all'osso. Non un'amica o un fidanzato che venisse a prenderla finito il turno. Per riuscire ad ottenere la borsa di studio doveva sempre impegnarsi al massimo dato che Madre Natura non le aveva donato alcuna genialità in campo medico, ma le aveva dato solo una testardaggine unica e una costanza ferrea. Raramente allungava la pausa pranzo fino al caffè e ai pettegolezzi con le colleghe, le quali l'avevano ben presto bollata come un'altezzosa senza speranza. In realtà Magda era dell'idea che, se aveva tempo per un caffè, aveva anche tempo per leggere l'ultimo articolo del dottor Gardner o quel testo di Neurologia che aveva nell'armadietto.
- Va bene. Questo pomeriggio mi occupo io di lui, Magda. Tu vai a visitare il signor Foster. - E così Rachel si privò dell'unico paziente decente che avesse nella propria lista.
Essere l'infermiera più brava e inflessibile della struttura era solo una scocciatura.

Correndo come se avesse il diavolo alle calcagna Thomas portò la Spider fin quasi al limite possibile del contachilometri. Sfiorò i trecento all'ora prima sentirsi soddisfatto. Si concesse il lusso di osservare per una manciata di secondi il numero trecentodieci.
Lo fissò troppo a lungo.
Un suono di clacson indistinto, e la sensazione di essere in pericolo fece sì che Thomas inchiodasse il più velocemente possibile, sterzando. Ringraziò mentalmente di aver pagato quei ventimila dollari in più per avere l'impianto frenante di carboceramica.
Attimi di terrore per Thomas. La macchina girò su se stessa, un testacoda, un altro. Continuando a stringere il volante come un'ancora di salvezza, l'uomo cercò di fermare quell'orrenda giostra. Ce l'aveva fatta! Senza danni per se stesso, per di più.
- Ecco bastarda! - gridò trionfante - Non mi hai preso nemmeno stavolta, schifosa! - sghignazzò poi. Avrebbe continuato a vantarsi di essere sfuggito all'incontro che la morte gli aveva teso se non avesse sentito un rumore assordante di clacson. Guardò finalmente la strada, e si rese conto che la sua Spider era sì ferma, ma ferma immobile in mezzo alla strada trafficata, messa di traverso sulla carreggiata.
Una piccola Ford rossa che si schiantava sulla sua portiera fu l'ultima cosa che vide.

Rachel decise di iniziare il giro di visite proprio dal nuovo paziente. Era della filosofia "via il dente, via il dolore". Appena entrata il signor Dominic la squadrò, le fece una scansione completa e poi optò per un sorriso di circostanza ed un tono che sfiorava il melenso.
- Non c'è oggi Magda? - domandò tranquillamente.
- No. Magda non credo verrà più. - si limitò a constatare lei, iniziando le analisi di routine. Tutto sembrava andare per il meglio. Nulla di anomalo da segnalare né nelle analisi, né sul comportamento del paziente.
Certo, Dominic era bloccato a letto per una gamba rotta, ma nulla di grave.
- Mi scusi, posso chiederle cortesemente di girare la televisione verso il letto? Vedo il riflesso della finestra. - il tono cortese, troppo cortese, mise in allerta l'infermiera. Troppe moine per una cosa così insignificante. Si avvicinò al televisore appeso alla partete e lo voltò.
- Troppo! Così non riesco a vedere nulla. - si lamentò l'altro in tono piagnucoloso. Rachel sospirò, e poi spostò di nuovo la tv.
- No! Non va bene! Andava quasi meglio all'inizio. - ringhiò in risposta quello, e Rachel capì perché Magda non lo potesse soffrire. Adesso era entrata nel suo gioco. Aveva mosso la televisione, e lui l'avrebbe costretta a rimanere lì delle mezzore a girarla di mezzo millimetro. E non perché non la vedesse, ma solo per il gusto di disturbarla e farsi ubbidire.
- Io la lascio così. - Annunciò Rachel di rimando, piazzandosi le mani sui fianchi e osservandolo con aria di sfida. - Sono sicura che ci vedrà ugualmente. - lo vide diventare paonazzo, e poi pallido come un cencio. Magda non lo aveva mai contraddetto, non ci era abituato. Rachel si aspettava di sentirlo urlare come un ossesso, ma non di certo che quello le tirasse il telecomando! La mancò, per fortuna, e l'oggetto andò a schiantarsi sul muro dietro di lei, lasciando una macchia nera. La resistente guaina in gomma protesse l'oggetto da ogni danno, e Dominic sembrava saperlo bene.
- Me lo ridia, voglio cambiare canale. - la informò lui senza nemmeno scusarsi. Rachel era furiosa, ma non lo dette a vedere. Raccolse il telecomando e lo gettò dalla finestra.
- Accidenti! Ma quanto sono distratta! Fa lo stesso... diremo che è stato lei. - sibilò - Quando mi ha lanciato il telecomando in uno scatto d'ira, disgraziatamente ha centrato in pieno la finestra, facendolo cadere di sotto. Che ne dice? - domandò poi, ed avvicinandosi alla televisione alzò il volume.
- No! Lei adesso mi procurerà un telecomando nuovo! Lo pretendo! - sbraitò di rimando. Ma Rachel lo fissava come se non lo sentisse, scuotendo la testa e indicando le proprie orecchie.
- Il volume è troppo alto. Non la sento, mi dispiace. Buona giornata! - e si chiuse la porta alle spalle. Appena approdò in corridoio avvisò tutte le infermiere che avrebbe azzannato la prima che fosse entrata nella stanza di Dominic Grant.
- Di lui me ne occupo io. -

***
Note dell'autrice


Terzo capitolo. E sono costante! Nei miei tempi geologici sono costante. Anche questo senza betatura. Edward è sparito, quindi dovrete accontentarvi dei miei ricontrolli maniacali e dell'aiuto di Tone, che mi corregge alcune sviste e mi dice quando la trama sfiora troppo l'assurdo. Grazie cara!
Solo una cosa: l'incidente di Thomas... vi prego, abbiate pietà. Parla una che non ha nemmeno la patente, quindi non so come reagisce una Spider lanciata a trecento all'ora, e non ci tengo a scoprirlo di persona. Ho comunque controllato su QuattroRuote, e quella velocità può raggiungerla. Altresì non so se quell'impianto in carboceramica sia così efficace (ma esiste, anche quello trovato su QuattroRuote). Credo di aver visto troppa Real TV, e che quindi possa risultare "assurdo" anche come dinamica. Spero di no, ma non posso saperlo.
Devo dire che mi sto divertendo a scrivere questa storia, anche se mi dispiace annunciarvi che nemmeno nel prossimo capitolo vedrete Rachel alle prese con Thomas. Vi faccio penare un po' per il grande incontro.
Torno ad escogitare malignità da far fare alla nostra infermiera, anche in previsione del suo incontro con l'adorabile scrittore.

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Capitolo 4
*** Pazienti che vanno, pazienti che vengono. ***


Pazienti che vanno, pazienti che vengono.


Dolore. Se Thomas Haynes non fosse svenuto, sicuramente avrebbe avuto un assaggio di come dovevano sentirsi i personaggi dei suoi libri dopo qualche malefico incidente da lui progettato. Di norma, quando doveva inventarsi qualche catastrofe per i suoi libri, Thomas non andava mai per il sottile. Esplosioni, mitragliate o accoltellate in punti vitali erano d'obbligo, a volte capitavano tutte e tre assieme, tanto per gradire. Ed i suoi protagonisti erano così resistenti e maschi da sopportare tutto ciò con un unico grugnito di disappunto. Lo scrittore, invece, era svenuto come una pera cotta, segno che realtà e fantasia erano due mondi molto distanti l'uno dall'altro.
Da un punto di vista esterno, come quello del vigile del fuoco Richard Cruise, l'incidente poteva apparire più grave di quanto non fosse in realtà.
Le macchine coinvolte erano due, entrambe sulla carreggiata di sinistra. Nella carreggiata opposta il traffico scorreva lento poiché gli automobilisti incuriositi rallentavano per guardare i rottami. Il cofano della Ford era divelto e la portiera destra della Spider non era in condizioni migliori. Il proprietario della macchina da corsa era ancora a bordo, totalmente schiacciato dagli airbag frontali e laterali.
Carmen era scesa dalla sua auto praticamente incolume. Per lei non si era trattato che di un tamponamento meno lieve del normale. Avendo visto l'evoluzione della Spider, con tanto di testa-coda, era riuscita ad iniziare la frenata. L'urto con la portiera della macchina da corsa era avvenuto a non più di trenta chilometri orari. La ridotta velocità e l'airbag avevano protetto la donna.
Richard Cruise decise di lasciare al collega Brandon il compito di accertarsi delle condizioni dell'uomo e si avvicinò alla donna mora che aveva appena richiuso lo sportello della Ford.
- Si sente bene? Sa dirmi come si chiama? - furono le prime parole che le disse. Carmen si ritrovò a pensare che quel vigile così carino si stava accertando che non avesse un trauma cranico, alla televisione facevano sempre così.
- Sì, sto bene. Sono Carmen de Zazoya. - rispose prontamente, tastandosi il collo per alleviare il colpo che aveva preso.
- Vuole dei leggeri antidolorifici? - domandò lui, constatando che la signora non aveva subito gravi lesioni, se non un leggero colpo di frusta. - Così mi spiega com'è andata - aggiunse poi, porgendole delle pillole.
- Sì, grazie, signor... Cruise?! - Carmen aveva letto il nome sulla targhetta appiccicata al petto del ragazzo, e si era subito emozionata pensando che, magari, sarebbe riuscita a procurarsi l'autografo dell'attore Cruise.
- No, non siamo parenti. - precisò subito l'altro, oramai abituato a dire quella frase a chiunque leggesse la targhetta o scoprisse il suo cognome.
- Ah. Peccato. Comunque l'incidente è stata una catastrofe annunciata! - iniziò Carmen, raccontando di come lo spericolato idiota l'avesse superata.

Brandon Wierner aveva intrapreso la carriera di vigile del fuoco per noia. Non aveva manie di supereroismo, non aveva l'impellente bisogno di rischiare la propria vita per il "bene dell'umanità" né si sentiva in debito verso la società in cui viveva. Semplicemente si annoiava troppo facilmente. Avrebbe potuto dirigere l'azienda di famiglia, ma lo atterriva la prospettiva di passare i prossimi quarant'anni della sua vita in giacca e cravatta. Lo spaventava, inoltre, l'idea di essere tutti i giorni alle prese con estratti conto, fornitori e clienti insoddisfatti. Non era una vita che faceva al caso suo, troppe responsabilità e troppa poca azione. Aveva perciò deciso di fare qualcosa di più eccitante, ed aveva mascherato quella scelta dicendo che desiderava rendersi utile.
Una balla, ovviamente. Ma i suoi genitori non avrebbero mai accettato di vederlo lavorare al di fuori della loro ditta. E così era toccato alla sorella Janet succedere ai genitori nella gestione dell'azienda. Janet era una donna molto particolare. Passava sul posto di lavoro un terzo del tempo che avrebbe dovuto, delegando a consiglieri e simili il compito di fare quello che, in teoria, sarebbe toccato a lei. In azienda la conoscevano tutti come "signorina Bellavita", e il soprannome le si adattava perfettamente.
Appena trentenne, con un fisico che le aveva fruttato l'arrivo sul podio in un paio di concorsi di bellezza, Janet "Bellavita" Wierner pensava solo a divertirsi: feste, discoteche e gite in ogni angolo del mondo componevano la sua impegnata vita mondana. Tuttavia non era una stupida, anche se sembrava volerlo far credere ad ogni costo. Aveva ben presto capito che, se voleva continuare con quel tenore di vita, doveva tener oliata quella splendida macchina per fare soldi che era la vetreria di famiglia. Con un numero eccezionale di dipendenti, la Vetreria Wierner riforniva tutte le grandi industrie di vuoti. Marmellate, bibite, sottaceti e altre migliaia di prodotti non avrebbero mai potuto essere messi in vendita senza quelle graziose bottigliette e gli utili vasetti in vetro. L'azienda, inoltre, possedeva il brevetto di uno stampo particolarmente ricercato per i barattoli di marmellata e lavorava a pieno ritmo per soddisfare le richieste del mercato.
Brandon non aveva molto in simpatia la sorella, ed infatti erano tre mesi che non la vedeva né la sentiva, e la cosa non gli dispiaceva. Voleva evitare in tutti i modi che la sua amata consanguinea decidesse di mollare la gestione della baracca nelle mani del fratello, cosa che avveniva puntualmente ogni volta che i due si incontravano per più di dieci minuti.
Dato che aveva scelto la carriera di Vigile del Fuoco per avere un po' di avventura era prassi che, quando pattugliava con qualcun altro, toccasse a Brandon correre i rischi maggiori. Era quell'insana voglia di strafare che lo portava a lanciarsi fra due auto in fiamme, cosa che Richard non avrebbe fatto con così tanta leggerezza. Per questo motivo Cruise aveva lasciato che Brandon corresse verso la Spider. Un ferito che urla, sbraita e si dimena è molto meno preoccupante di chi non si lamenta. Quindi: una donna che esce con le sue gambe dall'auto è infinitamente meno interessante di un uomo svenuto. Con difficoltà Brandon era riuscito ad estrarre Thomas dalla macchina, solo dopo aver scardinato la portiera accartocciata. Valutando la situazione decise che l'uomo doveva essere in condizioni critiche, chiamò il collega affinché gli portasse una barella e vi caricò sopra lo scrittore. Dopo aver messo la barella in ambulanza, ed aver lasciato Carmen alle cure della polizia, partirono alla volta della clinica del S. Claire.

Magda era convinta che il mestiere di infermiera non si adattasse a lei. Non c'era nulla da fare, per quanto si impegnasse non riusciva a gestire la metà dei pazienti che le capitavano. Non era la prima volta che rifilava un malato che le risultava particolarmente ostico alle colleghe. Non possedeva un polso fermo e assolutamente non le riusciva di fare la voce grossa con nessuno. C'era davvero da chiedersi perché la ragazza lavorasse come infermiera. In verità lei puntava al lavoro di ricerca: chiusa in un laboratorio con la sola compagnia di microscopi e provette, e magari di qualche batterio che le risultava molto più simpatico della metà degli esseri umani. Non dover confrontarsi con nessun altro era una fonte inesauribile di sollievo, una speranza a cui Magda si aggrappava costantemente per arrivare alla fine dei propri studi. Ma, adesso, era obbligata a occuparsi di malati irascibili o petulanti. Inoltre tutti gli ultimi arrivati toccavano a lei. Non perché ci fosse una sorta di nonnismo nei suoi confronti quanto per il fatto che, cedendo tanti casi alle colleghe, risultava l'infermiera con meno lavoro da seguire. Lillian l'aveva definita una ironicamente una smista-pazienti, quelli che non le andavano bene venivano scartati. Non si trovava molto in sintonia con lei, l'aveva ben presto bollata come una piccola viziata rompiscatole, di quelle che sono sempre pronte a farti fare il loro lavoro sporco. Non c'era da stupirsi se fra le due i rapporti fossero gelidamente cortesi, farciti di formalismi e forzature che aumentavano la tensione. Per questo motivo, quando si trovavano a dover dividere il turno e la sala infermiere, se ne stavano sedute negli angoli opposti senza nemmeno calcolarsi. Era quello che stava succedendo proprio in quel momento: Magda era assorta nella lettura di una delle tre riviste che aveva comperato quella mattina. Lillian stava aggiornando le cartelle, sbuffando di quando in quando. Se la situazione fosse rimasta così, non ci sarebbero stati battibecchi di sorta. Rachel entrò proprio in quel momento di calma apparente, il camice macchiato di caffè ed un'espressione furibonda in volto.
- Io lo ammazzo! - urlò sbattendo la cartelletta sul tavolo - Giuro che lo ammazzo! - sottolineò colpendo nuovamente il tavolo con la cartella del paziente. Entrambe le colleghe erano schizzate in piedi per lo spavento, ed ora Magda si stava torcendo le mani. Sapeva benissimo a chi si riferiva.
- Ma calmati, pazza isterica! - Lillian era una persona di poche parole. E di norma quelle poche parole erano sempre sbagliate.
- IO?! Vogliamo parlare del deficiente che mi ha versato il caffè bollente addosso? - sibilò Rachel in risposta, indicando con gesti eloquenti la macchia.
- Che vuoi che sia? Succede di continuo. - minimizzò l'altra con una scrollata di spalle.
- Ma di norma non lo fanno apposta! - replicò Rachel sempre furiosa.
- Che diavolo succede qui? - un altro urlo, questa volta del dottor Donovan. Era un uomo sulla sessantina, perennemente con la pipa in bocca. Spenta, quando girava per le corsie, ma onnipresente. Dopo quasi quarant'anni di onorata carriera era abituato a sedare i litigi più variopinti.
- Io voglio un avvocato. - sentenziò Rachel.
- Un che cosa?! - Donovan strabuzzò gli occhi totalmente incredulo.
- Un avvocato! Perché sto per commettere un omicidio. - Rachel appariva molto più tranquilla, e il vecchio dottore sapeva che questo era un pessimo segno. Conosceva quell'infermiera da abbastanza tempo da interpretare le sue reazioni. Finché sbraitava andava tutto bene, quando invece si calmava all'improvviso, era perché stava tramando qualcosa. Qualcosa di cattivo.
- Suvvia Sullivan. Cosa è capitato oggi? - domandò in tono leggero, dirigendosi verso la piccola dispensa della saletta.
- Nulla di che... ma io ammazzerò Dominic Grant. Fosse l'ultima cosa che faccio. - Rachel accompagnò la frase con un pestone al pavimento.
- Un omicidio non farebbe bene al buon nome della clinica. Che ne dice se cerchiamo una soluzione alternativa? - domandò in tono pacifico l'altro.
- O lui o me.
- Sicura di voler mettere la direzione davanti a questa scelta? - domandò Donovan sorseggiando una tazza di caffè rubata dalla caraffa delle infermiere. Che Rachel fosse un'ottima infermiera era certo, ma non avrebbe mai potuto competere con le donazioni che il signor Dominic forniva all'ospedale. Non che quella testa calda di Rachel non avesse mai dato problemi, ma aveva l'appoggio di tutto il resto delle infermiere e anche di molti medici. Per quanto potesse stare antipatica come persona, era indubbio che dopo due giorni con lei i pazienti diventassero degli agnellini. Una cosa molto utile, considerando il livello di boria minimo di chiunque fosse ricoverato lì.
- No... dannazione! Non è giusto! - essere impotente davanti alle prepotenze dei suoi pazienti era una cosa che Rachel detestava. Non le dispiaceva il confronto con un altro osso duro. Ma Dominic era solo un fifone che si divertiva a fare il bullo, forte dei suoi soldi. Non era uno scontro ad armi pari! Versarle il caffè addosso e minacciarla a ogni occasione di farla licenziare non erano una cosa corretta.
- Sullivan, cos'ha questo paziente? - chiese l'altro con un sospiro.
- È un maledetto bastardo! - affermazione enfatizzata da un pugno dato al muro.
- No, intendevo per quale motivo è stato ricoverato. - precisò Donovan rubando una rivista a Magda.
- Oh... nulla. Una gamba rotta. - rispose Rachel recuperando la cartelletta maltrattata in precedenza.
- Interessante... - fu l'unico commento che ricevette come risposta.

L'ambulanza non aveva nemmeno fatto in tempo a spegnere il motore che Thomas era stato imbottito di sedativi e antidolorifici. Il lavoro di Cruise e Wierner era finito. Lasciarono il loro paziente nelle mani dei medici del pronto soccorso e tornarono a pattugliare. Se c'era una cosa fastidiosa nel guidare l'ambulanza era che raramente quelli che avevi soccorso avevano il tempo o la lucidità di ringraziarti. La diagnosi, comunque, era tutta a favore di una guarigione. Lenta, ovviamente, ma grazie al soccorso tempestivo e alle prime cure ricevute era sicuramente fuori pericolo. L'unica cosa che preoccupava la dottoressa Finnies era la gamba sinistra del paziente, che presentava una frattura esposta. Oltre al fatto che anche gli altri arti non sembravano versare in condizioni migliori. Aveva prenotato, urlando, una sala chirurgica e aveva fatto ricucire a tempo record la gamba, così da evitare infezioni di sorta. Aveva prescritto altri esami, per scoprire se vi erano fratture interne di gambe e braccia. Le braccia, miracolosamente erano sane. E la gamba destra presentava solo delle escoriazioni.
In generale la situazione poteva essere definita miracolosa. Secondo la dottoressa Finnies qualcuno lassù aveva salvato quell'uomo.
Nel frattempo Thomas si stava lentamente riprendendo dall'anestesia. E il risveglio non si era certo prospettato dei migliori. Ancora intontito dagli antidolorifici, lo scrittore non aveva comunque perso il suo mordente.

- Secondo me non funzionerà! - Rachel, affacciata alla finestra, stava fumando gli ultimi rimasugli di una Camel, mentre il dottor Donovan sogghignava, rubando l'ennesimo cioccolatino dalla scorta delle infermiere.
- Perché non dovrebbe funzionare? - Lillian apparve stupita da questa domanda.
- Ovviamente perché noi infermiere non abbiamo il potere di farlo. E la smetta di mangiare! - precisò, togliendo dalle mani del goloso dottore la scatola di cioccolatini.
- Ma io sì... e se la sua collega mi ridà quella scatola, firmerò tutto l'incartamento necessario. - la proposta era davvero troppo, troppo allettante. Con uno scatto Rachel si impadronì della tanto contesa confezione e la rese al dottore.
- Ma faccia in fretta. - fu l'unica condizione che gli diede, prima di lasciare la saletta e tornare alle visite.

- Sono davvero contento che lei sia la mia infermiera. - il tono di voce sarcastico colpì Magda come una frustata - Ciononostante, io sarei molto, molto più felice se ci fosse una scimmia al posto suo! Per lo meno farebbe quello che le dico io! - Un sospiro profondo. Un altro. Magda si impedì di scoppiare a piangere e resistette alla tentazione di correre da qualche altra infermiera. Si era imposta una prova da superare: riuscire a gestire un paziente "difficile". Per questo sospirò di nuovo e rispose con voce tremante.
- Mi dispiace, ma non posso farle avere il suo cellulare né il suo notebook né nessun altro marchingegno tecnologico. Non adesso che è ancora in questo reparto. Vede? - precisò, indicando un grande cartello con un cellulare barrato in rosso - Non si può proprio. - il paziente la fissò lungamente, socchiudendo gli occhi come una tigre pronta a scattare.
- Non può? Io devo avvisare che sono in ospedale, col mio cellulare e col mio portatile! Cosa penserà la mia famiglia? - stoccata infame, Thomas non aveva un'amorevole moglie ad attenderlo a casa, né dei pargoli da crescere. Ma voleva un telefonino, e voleva accedere ad internet. Vide l'infermiera boccheggiare, e sorrise per la vicina vittoria. Era stato troppo facile.
- Se lei mi da i numeri, provvederò io a chiamare i suoi famigliari. - si offrì lei, decisa a non mollare. Un unico cedimento avrebbe segnato l'inizio di molti altri. Doveva essere inflessibile, se voleva superare la prova. Il paziente scosse la testa e aprì la bocca, chiaramente intenzionato a tornare alla carica.
- Mi scusi, devo continuare il mio giro visite. - e Magda lasciò la stanza in fretta e furia.

Fuggire dai problemi non era una soluzione che Rachel amava adottare. L'indole combattiva e spesso testarda non glielo permetteva. Ma Dominic Grant era un pericolo. Rachel rischiava davvero di commettere qualche sciocchezza, era quindi meglio prendere provvedimenti al più presto possibile.
- Ecco fatto. - con un fascicolo sotto il braccio, Donovan si presentò per l'ennesima volta nella saletta infermiere. L'unica persona ad accoglierlo fu Lillian.
- Fatto cosa? - domandò, dimentica della conversazione avuta solo poco tempo prima.
- Le carte... per Rachel. - specificò lui - Lei dov'è adesso? - chiese poi, scandagliando la stanza con lo sguardo.
- Fuori. Oggi è particolarmente nervosa. - sospirò lei in risposta, facendogli strada per esser sicura che non si avvicinasse alla dispensa.

Fuggire dai problemi coi pazienti era la soluzione che Magda preferiva. L'unica pecca del piano era che non poteva fuggire per sempre, e che il turno di visite successive arrivava sempre troppo presto per i suoi gusti. La cosa si complicava quando un paziente, poi, si attaccava al campanello d'allarme e lei doveva correre. Il signor Haynes sembrava non voler minimamente demordere.
- Noto con soddisfazione che lei si comporta come uno dei cani di Pavlov. Io suono il campanello e lei arriva. - battuta scontata ed anche di cattivo gusto, secondo Magda. Oltre che parzialmente scorretta storicamente.
- Quel campanello andrebbe usato solo per le emergenze. - precisò lei, scuotendo il capo.
- Ma questa è un'emergenza. Voglio un telefono! - il tono deciso.
- La mia risposta non è cambiata. - Magda sospirò.
- Mi ascolti attentamente, mia cara. Lei può decidere di non accontentare la mia richiesta, e si troverà ben presto a rimpiangere di essere stata assegnata a me... -
- Non si preoccupi, quello è già successo. - mormorò Magda affranta. Un sorriso sardonico si dipinse sul volto dello scrittore.
- Non le piaccio, la cosa è reciproca. Ma le assicuro che quando mi avrà fornito di un telefono e della connessione ad internet io sarò un angioletto. - era infido. Magda capì immediatamente che quell'uomo era abituato ad ottenere quello che voleva, e non era come il signor Dominic... no! Era peggio! Sorrisini e dolcezze fasulle agivano molto meglio di minacce e urla. Era così tentata da quella proposta. Cedere alle sue richieste e averlo tranquillo per il resto della permanenza all'ospedale.
- Allora, che ne dice Magda? Lo fa questo piccolo strappo alla regola? - voce melliflua e occhioni languidi. Il bastardo sapeva essere convincente, non aveva nulla a che spartire con l'atteggiamento sarcastico di poco prima.
- Io... signor Haynes. Non posso, lo sa! - Magda vide sgretolarsi quell'espressione dolce, proprio come una maschera che va in pezzi.
- Con lei non funziona proprio nulla, eh! Be', dato che non ha ceduto con le maniere dolci, le renderò il suo compito un inferno. - promise velenoso, prima di ordinarle di andarsene immediatamente. Le buone intenzioni di Magda si frantumarono all'istante. Non aveva la forza di tenersi un caso difficile. Con le lacrime agli occhi corse a cercare Rachel.

- Rachel! Finalmente ti ho trovata! - l'infermiera spense la sigaretta nel posacenere e si voltò.
- Oh, è lei dottor Donovan, mi dica. - un'occhiata triste accolse il gioviale dottore, ed anche il tono non sembrava granché allegro.
- Suvvia, non fare quella faccia da funerale, e osserva. - le disse con un sorriso raggiante, indicando un paziente su una sedia a rotelle che stava uscendo dall'ospedale proprio in quel momento. - Saluta il signor Grant! - aggiunse Donovan con un sorriso complice.
- Ce l'hai fatta? L'hai dimesso veramente?! - domandò sbalordita Rachel, con un sorriso che si allargava a vista d'occhio.
- Certo, non è stato difficile convincerlo che avrebbe avuto una riabilitazione più rapida a casa, con una fisioterapista privata. - spiegò Donovan dandole una pacca sulle spalle - Visto che non c'era bisogno di commettere un omicidio? -
- Rachel... io... - Magda era appena arrivata, e l'interpellata non dovette nemmeno chiedere il perché.
- Magda! Per la miseria, ma è mai possibile che non ci sia un paziente che ti vada bene? Mi sono appena liberata di quello... - uno sbuffo di Rachel, e poi un sospiro - Dammi la cartella, tanto sei un caso senza speranza. Spero che presto lascerai questo lavoro, non ci sei proprio tagliata! - concluse, accollandosi l'ennesimo grattacapo. Il paziente era subentrato praticamente nella stessa stanza di Dominic Grant, e la cosa non si presentava certo come un punto a favore del nuovo arrivato.



Angolino Recensioni:

Allora, devo scusarmi tantissimo con Nisi. Scusami carissima, ma quando ho pubblicato il terzo capitolo ero in corsa e mi sono davvero dimenticata di aggiungere i ringraziamenti. Li metto qui, sperando che tu li legga. Fa un immenso piacere saper di aver stuzzicato la curiosità di un'autrice che ritengo veramente insuperabile nelle storie comiche! Non hai idea di quanto piacere mi abbia fatto!

Poi, vediamo: kenjina mi fa un sacco di complimenti, ai quali arrossisco tantissimo, e che ringrazio molto. Spero di aver sviluppato Rachel bene quanto Thomas (che mi pare ti sia piaciuto come personaggio). E, sì, povera Mabel. Ma adesso mi sta dicendo che sta brindando alla faccia del suo datore di lavoro, facendogli fuori tutte le scorte di prelibatezze che ha in casa... tanto lui è via!

Kunimitsu direi che esser riuscita a soddisfare le tue richieste non può che rendermi orgogliosa di questa piccola storiellina. Dato che è la prima che scrivo "su richiesta" ho sempre paura di fraintendere o rendere male le richieste. Sono felicissima di averci preso anche con Rachel.

Ed infine ringrazio tantissimo Hikary per i complimenti e soprattutto sono sorpresa che questa storiellina piaccia così tanto. Ammetto che non prevedevo un pubblico così vasto. Quindi grazie a tutte per i complimenti e per il tempo che avete "sprecato" nel leggere e recensire questo esperimento: me felice!

Nota importante: Rileggendo il capitolo allo stremo mi sono resa conto di un errore grossolano e decisamente assurdo. In partenza avevo deciso che fossero le braccia ad essere fratturate, ma poi, riflettendoci ho cambiato idea. Per il continuo della storia è molto meglio che sia la gamba ad essere fuori uso. Così ho dovuto modificare questo capitolo. Mi spiace per il disagio.

Angolino dell'autrice per la serie "una padellata di fattacci miei"!

Allora: chiedo immensamente scusa per il ritardo, ma ho avuto giusto un paio di cose da fare, come un trasloco e altre cosine che mi hanno tenuta lontana dal pc. Per di più ho perso una persona molto cara, e per molti giorni non avevo proprio voglia di mettermi a scrivere qualcosa di comico, stando col morale sotto i piedi.
Questo è il principale motivo per cui ho ritardato così tanto la stesura di questo capitolo.
Per il prossimo capitolo non so dirvi, dato che sono ancora in fase di assestamento credo ci vorrà un po' di tempo. Vi chiedo scusa anticipatamente per il disagio!

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Capitolo 5
*** Déjà-vu ***


Déjà-vu


La tipica serata di Rachel prevedeva una televisione, un divano e una coppa ripiena di cibi molto poco dietetici. Altre rare serate erano dedicate alla socializzazione in qualche locale del centro. Ma, dopo la giornata di lavoro che aveva avuto, Rachel non aveva alcuna intenzione di imbellettarsi per uscire. Ciabattando per casa con addosso una vestaglia di calda flanella aspettava che il microonde facesse scoppiare i pop-corn, mentre del burro si scioglieva lentamente nel padellino sulla piastra. Non riusciva proprio a ricordare dove avesse nascosto il telecomando, aveva già controllato sotto i cuscini del divano e dentro al frigo.
Effettivamente era preoccupante la quantità di oggetti che si dimenticava lì dentro, e mai quelli giusti! Rachel si appuntò mentalmente di comperare un telecomando nuovo, sapendo benissimo che, solo dopo aver speso inutilmente i soldi, il telecomando disperso sarebbe ricomparso dal nulla. Progettò anche di legare il maledetto aggeggio con una cordicella al tavolino del soggiorno così da non poterlo più perdere.
Finalmente la sua cena scoppiettò allegra nel microonde. Infischiandosene allegramente del colesterolo condì con abbondante burro e sale e portò il tutto nella piccola sala. Si buttò sul divano e tornò a studiare la cartella del paziente che Magda le aveva rifilato poco prima di finire il turno. Non aveva molto materiale su cui lavorare. Di solito i pazienti più ostici avevano nomi conosciuti. Un grande imprenditore, un cantante famoso, ma questo Thomas Haynes, invece, non le diceva assolutamente nulla. Ed anche la sua cartella clinica non le diceva nulla di particolare: incidente automobilistico con conseguente rottura di qualche osso. I precedenti clinici non rivelavano nulla di particolare. Ancora non capiva perché Magda ne fosse così intimorita. Insomma, questo Thomas avrebbe dovuto essere imbottito di sedativi e morfina! Scrutò ancora i fogli sparsi, ben sapendo che a causa del segreto professionale non avrebbe mai potuto fare le fotocopie della cartella originale e portarsele a casa come se nulla fosse.
Impedendosi di rovinarsi la serata, Rachel accantonò il caso per dedicarsi completamente al film della serata. Ma, ovviamente, le cose non andarono come aveva previsto. Uno scampanellio deciso, e due colpi alla porta.
- Dai, pigrona, vieni ad aprirmi! - e Rachel sbuffò sonoramente, ci mancava solo quella rompiscatole di sua cugina Tiffany.
Tiffany Carter aveva ventisette anni appena compiuti, un futuro come commessa nel negozietto di famiglia ed un carattere che definire lunatico era un simpatico eufemismo.
- Oh, Racy! - iniziò, non notando l'espressione di puro disgusto che si era dipinta sul viso di Rachel all'udire il nuovo nomignolo.
- Ciao Tif, è sempre un piacere vederti. - soffiò l'infermiera intendendo l'esatto contrario.
- Lo so, lo so! - affermò l'altra abbracciandola. - Allora, che ci fai in casa stasera? Dai, dai, preparati che ti porto in un bellissimo locale che hanno appena aperto! Pensa, è proprio sul mare, è un locale molto cool, pieno di VIP! -
- No... Tif, davvero, io ho da fare... - balbettò spaventata Rachel, cercando di afferrare le cartelle mediche come estremo riparo dal disastro imminente.
- Non accetterò un no come risposta. E poi non hai nemmeno cenato. - constatò Tiffany sbirciando in cucina.
- In realtà questa è la mia cena. - affermò, sventolandole sotto il naso la coppa verde fosforescente piena di pop-corn.
- Anti-dietetici. - fu l'unica risposta che ricevette. - Adesso vestiti, ho prenotato per le nove e mezza. - Rachel ebbe la netta impressione che una tagliola grossa e cattiva fosse scattata, e le avesse tranciato in due la bella serata casalinga che si era programmata. Rassegnata e con sentimenti di profondo odio verso Tiffany si avviò verso la cabina armadio per cambiarsi.
- No, no, no. Non puoi uscire così. -
- Allora me ne starò a casa, non c'è problema. -
- Sciocchina! Dai, vediamo cosa puoi indossare senza sembrare mia madre. - la rimbeccò dolcemente Tiffany, appropriandosi della cabina armadio di Rachel ed iniziando a frugarci dentro con foga.

Thomas stava fissando con noia il soffitto della stanza in cui lo avevano segregato. Non sentiva nulla. Ma proprio nulla! La morfina aveva eliminato tutti i dolori, ed il sonnifero che gli avevano iniettato poche ore prima non voleva saperne di fare effetto.
A dire il vero Thomas aveva una strana resistenza ai sonniferi: non ce n'era uno che funzionasse, ne aveva provati diversi, ma il risultato era sempre lo stesso: una leggera sonnolenza che, però, non voleva saperne di tramutarsi in un sonno lungo e riposante. Da molti anni Thomas non riusciva a dormire bene, la notte si svegliava sempre, magari per un rumore o per Dio solo sa cosa, e così non riusciva che dormire per un paio d'ore di fila. Il sonno così spezzato non era per nulla riposante, ed alzarsi dal letto era un'agonia quotidiana.
Steso nel letto d'ospedale cercava di ricordare come diavolo ci fosse arrivato. Ricordava solo una Ford rossa che gli sfasciava la portiera della costosissima Spider.
La sua Spider, pensò con tristezza. Aveva comperato quell'auto in un momento di follia. Le "Due pallottole" avevano ottenuto un successo incredibile, e con tutti quei soldi si era potuto permettere l'auto dei suoi sogni. Adesso, probabilmente, era andata distrutta.
Non che fosse un problema: con quello che aveva sul conto in banca avrebbe potuto prendersene altre quindici.
Sempre più tediato dal silenzio e l'immobilità, decise di impegnarsi a dormire. Per lo meno non si sarebbe accorto del tempo che passava.

Sforzo inutile. Decisamente inutile. Tiffany stava osservando sua cugina con un'espressione compassionevole. Non c'era verso di farla socializzare con nessuno! Al poveretto che si era avvicinato e le aveva chiesto se poteva offrir loro da bere, Rachel aveva scoccato un'occhiata omicida ed un secco "no" era stata la sua unica risposta.
Anche la conversazione fra loro due stava languendo.
- Visto che bel posto? - buttò lì Tiffany cercando di entusiasmare la cugina.
- Uhn. Sì... certo. - rispose Rachel annegando i suoi dispiaceri nella birra.
- C'è anche molta gente stasera, non credi? - aggiunse, osservando con attenzione una splendida ragazza bruna appesa al braccio di quello che poteva essere tranquillamente suo padre. Poi passò ad osservare due uomini dallo sguardo ebete e con un bicchiere pieno di liquido non meglio identificato stretto fra le mani.
- Una gioia. - commentò sarcastica Rachel, osservando la fauna del locale con espressione apatica. Con gli uomini aveva deciso di darci un taglio. L'ultimo che aveva frequentato si era rivelato uno scavezzacollo pieno di debiti. Un idiota che era arrivato a vendere persino le porcellane che Rachel aveva ricevuto in dono quasi dieci anni prima.
Ok, ammise, erano comunque delle cose orribili che sperava cadessero a terra e si frantumassero in tanti minuscoli pezzettini, ed infatti malediva la nonna che gliele aveva appioppate. Ma, in ogni caso, aveva sbattuto Chris fuori dalla porta in meno di cinque secondi.
Quella volta era toccato alle porcellane, la prossima volta sarebbe toccato al televisore!
- Oh, dai! Non puoi chiuderti in casa solo perché Chris si è comportato come una carogna! - sbottò improvvisamente Tiff, centrando il nocciolo della questione.
- Non è per Chris... -
- Certo! E io sono Babbo Natale! - Tiff si scolò l'ultimo aperitivo della serata, prima di afferrare il menù con stizza e borbottare qualcosa di non meglio definito.
- Ok, forse Chris ha una parte di colpa. - altro borbottio indistinto - E va bene! Chris è un idiota, e io non voglio più aver niente a che fare con gli uomini! Contenta?. -
- Mah, contenta perché lo hai ammesso. - rispose l'altra continuando a fissare il menù - meno contenta perché ti stai comportando pure tu da idiota. - concluse, voltando pagina.
- Una padellata di fatti tuoi mai, eh Tiff? - domandò sarcastica Rachel tentando di cambiare discorso.
- Provvederò. - commentò infine, chiudendo il menù. Si era offesa, ed adesso la serata sarebbe stata uno schifo. Persino Rachel se ne accorse, e non fece nulla per rimediare al disastro. Cenarono in silenzio, lanciandosi occhiatacce malevole. Rachel non gradiva interferenze nella sua vita privata, Tiffany cercava sempre di aiutarla ad uscire dalle delusioni che solo gli uomini sapevano infierire.
Il risultato erano serate come quelle, passate malissimo e con la sensazione di essere totalmente inadatte alla reciproca compagnia.
- Grazie della serata. Io torno a casa. - annunciò l'infermiera, afferrando la borsetta ed allontanandosi senza nemmeno aspettare risposta. Tiffany rimase seduta, osservando con espressione assente il vino rosso che ristagnava ancora nel bicchiere.

Il mal di testa era una consuetudine per Rachel. Così come alcuni, appena svegli, sentono lo stomaco rivoltarsi solo a sentir parlare di cibo, Rachel appena sveglia veniva colta da un mal di testa acuto e fastidioso. Il malore la assaliva sempre quando la notte prima aveva dormito poco o male. Inutile dire che notti come quelle erano frequenti. Questa leggera emicrania era il perfetto preludio ad una giornata storta e all'umore nero dell'infermiera. Così, quando quella mattina si presentò nella clinica, nessuno ebbe il coraggio di avvicinarsi e chiederle qualcosa.
Come un automa Rachel iniziò il giro di visite, senza nemmeno ascoltare ciò che i pazienti avevano da dirle.
Il signor Harrison non aveva nemmeno fiatato, benché i suoi lancinanti dolori alla schiena non fossero minimamente passati. L'ipocondriaca signora Mayers si era ben guardata dall'accennare alla piccola escrescenza giallognola che Rachel avrebbe catalogato sotto il nome di "brufolo" e lasciò che l'infermiera prendesse i valori senza fiatare. E così anche tutti gli altri pazienti avevano capito che oggi Rachel mordeva, ed era meglio non stuzzicarla.
L'unico che sembrava infischiarsene allegramente era proprio lui: Thomas Haynes.

Thomas stava squadrando la nuova infermiera. Non aveva nulla a che spartire con la giovane e timida biondina del giorno prima. La targhetta recitava Rachel. Un nome adatto ad una donna dolce e sensibile. Ricordò di averlo usato per un qualche libro del suo alter-ego Angela Ferguson, ma al momento non ricordava quale.
Questa Rachel era mora, alta per essere una donna ed un'espressione gelida dipinta sul volto.
- Non c'è l'altra infermiera? Marisa... Maggie... - domandò per tastare il terreno.
- Magda. - lo corresse lei automaticamente. - No, non c'è. - e detto questo Rachel si fermò a squadralo. Un uomo sulla quarantina. I capelli già ingrigiti ed uno sguardo furbo e malizioso. Rachel lo catalogò immediatamente come un rompiscatole viscido, una di quelle persone che sa rigirare magnificamente la situazione a proprio favore.
- Vedo che in questa clinica la cortesia non è di casa. - commentò casualmente. - Magda mi ha rifiutato una semplice richiesta. Volevo solo il mio telefono ed il mio notebook. Lei potrebbe per caso provvedere a questa mancanza? - insistette lui.
- No, non provvederò. Se non le piace la clinica può sempre andarsene. - fu l'acida risposta.
- Noto che hai uno spirito combattivo, Rachel. - ridacchiò Thomas, passando al "tu" e calcando volutamente sul nome. Lei non rispose alla provocazione, preferendo continuare la visita e misurare la pressione. - Ma ho letto il regolamento della clinica. Non c'è nulla che mi impedisca di avere ciò che chiedo. -
- E questo lei come lo interpreta? - domandò la donna, indicando un bel cartello di divieto per cellulari. - E per quel che riguarda il regolamento: lei ha letto quello destinato ai pazienti che non risiedono in terapia intensiva. Date le condizioni della sua gamba resterà in questo reparto per almeno altri due giorni. Si rassegni. -
- Ma io mi annoio, Rachel. - commentò dolcemente Thomas, decidendo che prendere di petto quella donna non era la maniera migliore di convincerla.
- Legga un libro. - consigliò lei senza nemmeno degnarlo di un'occhiata.
- Come se qui ce ne fosse qualcuno d'interessante. - sbuffò l'altro, osservando i pochi titoli presenti nella stanza. Molte riviste femminili, un paio di quotidiani e una fila di libri insulsi. Gli ultimi best-sellers tutti uguali.
- Che ne dice di questo? - domandò Rachel piazzandogliene uno in mano per farlo tacere. Era un libricino che molti pazienti uomini amavano leggere. Thomas lo fissò incerto per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere di gusto, rischiando quasi di strozzarsi.
- Questo? - chiese Thomas continuando a sganasciarsi dalle risate.
- Be', che c'è? - sibilò l'infermiera davanti allo scoppio d'ilarità.
- Oh, allora non lo sa davvero! Dio, che divertimento. Non hai la minima idea di chi io sia! - e Thomas continuò a ridere, facendosi aria col libro che lei gli aveva dato.
- Ho qualche idea su chi lei sia, a dire il vero. Le opzioni che mi sovvengono al momento sono due: un pazzo, o un idiota. - rispose brusca. Thomas sembrò tornare serio davanti a quegli insulti. Salvo tornare a sghignazzare quando lesse di nuovo il titolo del libro.
- Mia cara, cara Rachel! - esordì - Devi sapere che questo libro - e sottolineò il gesto piazzandole il testo sotto gli occhi, così che potesse leggere bene la copertina - l'ho scritto io. Quindi, se sono queste le letture che hai da propormi, credo che mi annoierò ancor di più. Ora, che ne dici? Mi farai avere il mio notebook? - Thomas la osservò trionfante. Chi avrebbe mai avuto il coraggio di dire di no al grande Christopher Brown? C'erano donne, là fuori, che si sarebbero tagliate un braccio solo per parlargli! Osservò con gioia l'espressione stupita di Rachel: quello sgranare gli occhi era inconfondibile. Oramai l'aveva in pugno!
- Suvvia, ho capito che sei rimasta sconvolta dalla rivelazione. Se vuoi ti farò un autografo dopo. Però, in cambio, mi porterai quello che ti ho chiesto Rachel? - insistette in tono melenso e falsamente dolce. Un tono allenato dalle molte telefonate e dai molti incontri con i fans che lo costringevano a dimostrarsi gentile e sensibile.
- Ho capito, - disse lei in tono sommesso, boccheggiando - Ho capito... lei è un idiota! - esclamò infine - Ma lei ha idea di quanti scrittori, cantanti, attori e via dicendo mi capitano fra le mani ogni giorno? E sa quante richieste simili sento? Il portatile non glielo porto, il cellulare neppure! Si rassegni. Per quel che mi riguarda lei potrebbe anche essere il papa! Ed ora la smetta di piagnucolare e di fare i capricci. - rispose lei, prima di imboccare la porta ed andarsene con diavolo per capello, lasciando Thomas intontito. Decisamente spiazzato dalla reazione dell'infermiera si riebbe solo dopo qualche manciata di secondi. Fissò la porta sbattere e il rumore delle scarpe di Rachel nel corridoio lo riscossero dal torpore.
- Maledetta! - strillò poi - Vedrai che alla fine cederai! Oh, se cederai Rachel. Ti farò vivere un inferno stupida donna! - aggiunse poi, tirando un pugno al materasso. Quelle frasi avevano un senso di déjà-vu, erano più o meno le stesse cose che aveva promesso a Magda il giorno precedente.


Nota importante che riporto anche qui:
Rileggendo il capitolo allo stremo mi sono resa conto di un errore grossolano e decisamente assurdo. In partenza avevo deciso che fossero le braccia ad essere fratturate, ma poi, riflettendoci ho cambiato idea. Per il continuo della storia è molto meglio che sia la gamba ad essere fuori uso. Così ho dovuto modificare questo capitolo. Mi spiace per il disagio.

Angolino Recensioni:
Kunimitsu: Sono felice che i piccoli approfondimenti sui vari personaggi secondari non ti abbiano annoiata. Per il nostro Cruise... non lo so! Diciamo che me lo tengo lì, per varie ed eventuali. Se mi capiterà lo tirerò nuovamente in ballo! Spero che gradirai anche questo capitoletto.
Hikary: Felicissima che le comparse siano state così apprezzate, e la famiglia di vetrai tornerà di sicuro. Ho dei progetti per uno dei due fratelli. Ma non dico quale, non dico come e perché... tanto fra non molto lo scoprirete!

Angolino dell'autrice per la serie "una padellata di fattacci miei"!
Quasi da non credere, sono tornata! Non so come, ma questo capitolo è nato praticamente in due giorni. L'ispirazione per il personaggio di Tiffany è arrivata come un fulmine, e da lì in poi è stato un gioco da ragazzi. Spero che sia gradito e, se trovate errori, ve ne prego: segnalatemeli.
Spero che il prossimo capitolo non si faccia attendere così tanto, ma sicuramente non potrò lavorarci prima del 13 gennaio. Questo perché il 10, il 12 e il 13 avrò tre esami... yeah!
Se Lady Ispirazione si degna di passare a trovarmi dopo il 13, sarò più che felice di dedicarmici anima e corpo.

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Capitolo 6
*** Il patto ***


Il patto


Rachel ringraziò mentalmente di aver preso ferie esattamente il giorno dopo la tremenda serata con Tiffany. Era da un po' che progettava di farsi una settimana fuori porta, ma all'ultimo aveva deciso di rinunciare ai viaggi impegnativi ed aveva elegantemente ripiegato su di un centro benessere a pochi chilometri da casa.
Questo cambio di programma le aveva permesso di dimenticarsi dei suoi pazienti, dei suoi familiari e di tirare un po' il fiato.
Di tutt'altro avviso erano invece le infermiere rimaste al capezzale di Thomas Haynes. Dopo il trasferimento nella camera di degenza, Thomas aveva dimostrato quanto potesse essere odioso. Elizabeth era scoppiata in lacrime subito dopo che Thomas le aveva detto che, se non era nemmeno in grado di fare un caffè decente, di certo non avrebbe mai trovato marito. Lo scrittore non lo sapeva, ma due mesi prima la poveretta era stata piantata sull'altare dal promesso sposo. La motivazione di tale fuga non era il caffè, ovviamente, ma la ragazza aveva deciso di piantare il caso in mano alla collega Sharon, la quale non aveva avuto sorte migliore. L'aveva sopportato per la bellezza di due giorni, poi aveva minacciato di avvelenarlo con i sonniferi se non la smetteva di lamentarsi per i pasti. Alla fine, tutte le infermiere avevano cercato di scollarsi da quell'incarico poco gradito, e Lillian si era ritrovata la cartella fra le mani e la raccomandazione di avere tanta, tanta pazienza.

I due giorni nelle terribili stanze di Terapia Intensiva erano passati rapidamente. Rachel non lo aveva più visitato, probabilmente era di riposo. La cosa, comunque, non gli interessava. Adesso che era fuori da quel postaccio, e la sua gamba si stava lentamente sistemando, non avrebbe più dovuto preoccuparsi di quell'infermiera da quattro soldi!
Con malcelata soddisfazione osservò Lillian, l'ultima di una lunga serie di infermiere mandate ad occuparsi di lui. Finalmente aveva anche ottenuto il portatile e il tanto agognato cellulare e poteva tornare a concentrarsi sulla sua storia. Peccato che l'ispirazione continuasse a latitare e Thomas continuasse a fissare il cursore lampeggiare sul monitor del portatile.
Non era riuscito a scrivere nemmeno una parola, una sola, dannatissima parola. Per l'ennesima volta controllò il suo cellulare nella speranza che Jackob si degnasse di richiamarlo.
L'amicizia fra loro era molto particolare: potevano non sentirsi per settimane, e nessuno dei due avrebbe avuto nulla da ridire. Anche lo stesso Thomas ignorava allegramente le chiamate di Jackob quando era impegnato nella stesura di qualche nuovo libro. Il problema, ora, era che Jackob non poteva permettersi di ignorarlo così! Non per una settimana intera!
In realtà Jackob era corso in ospedale appena saputo dell'incidente. Si era preoccupato di cosa potesse servire all'amico ma, dopo essere stato trattato a pesci in faccia per l'ennesima volta, aveva ponderato che avrebbe speso meglio il proprio tempo in tribunale. Nonostante fosse circondato da squali e dalla sua ex-moglie, più che decisa a portargli via anche le mutande nella causa di separazione, si trovava più a suo agio che star dietro alle lamentele di Thomas.
- Lei, infermiera, mi attacchi la presa del portatile alla corrente. - esclamò rivolto a Lillian. Nessuna cortesia né gentilezza, doveva immediatamente stabilire chi comandasse lì.
- Certamente. - sibilò in risposta lei, agendo in maniera così brusca che Thomas temette di doversi procurare un nuovo alimentatore.
- Oh, ma insomma! - sbottò infatti - Se è nervosa si prenda una camomilla! - l'unica risposta che ricevette fu un'occhiataccia gelida. Dopodiché lei se ne andò sbattendo la porta.

Mabel stava metaforicamente stappando lo spumante. In neppure una settimana erano successe due cose bellissime: per prima cosa quel cane del suo capo era confinato per qualche bel tempo in ospedale - sempre che non ci fossero complicazioni, cosa in cui lei sperava ardentemente - e lei avrebbe potuto prendersi una vacanza. La telefonata di Carol le aveva rallegrato la giornata. In parole povere l'aveva informata che il signor Haynes era in ospedale, si sarebbe trattenuto per circa due settimane e non voleva che la nuova assunta girasse per casa in sua assenza. Il compito di Mabel, in quel lasso di tempo, era solo ridotto al controllo della posta, che le avrebbe portato Carol stessa la sera. Al telefono era stata messa la segreteria telefonica.
La seconda notizia era che quel bastardo di suo marito dormiva fuori casa da ben tre giorni. Si era dato alla macchia dopo l'ennesima sfuriata dalla moglie. Quando avevano iniziato a volare piatti e parole grosse il signor McCabe, che non era noto per il suo coraggio, era corso fuori di casa con la coda fra le gambe, giurando di lasciare quella pazza invasata che si era sposato.

Se Mabel McCabe si stava dando alla pazza gioia, Lillian Porter stava escogitando metodi cruenti e dolorosi per togliere dalla faccia della terra l'arrogante Thomas Haynes. Stava progettando una bella iniezione di un mix di medicinali a caso quando Rachel fece il suo trionfale ingresso nella saletta infermiere.
- Come mai così raggiante? - domandò quasi scocciata Lillian, scartando mentalmente l'idea di maciullare Thomas con una motosega.
- Nulla di che, la settimana di ferie che mi sono presa mi ha semplicemente rilassata. Sono andata a farmi un giro in un centro di bellezza, per coccolarmi un po'. Tu, invece? Ti è morto il gatto? - domandò giuliva Rachel.
- Mi è capitato fra le mani un deficiente di prima categoria. Stavo pensando di buttarlo giù dalla finestra e farlo passare per un suicidio, ma non credo che mi crederebbero. - spiegò con un sospiro, guardando afflitta la cartella incriminata.
- Thomas Haynes... - lesse Rachel - Me lo ricordo, Magda me lo aveva rifilato subito e pensavo di dovermelo accollare io fino alla fine della degenza. Ma per fortuna non è così! - e con un sorriso sornione piazzò la cartella sul tavolo.
- Rachel, non è che... ecco... non è che te lo riprendi? - abbozzò Lillian con sguardo supplichevole.
- Ma come! Non eri tu a fare i predicozzi a Magda per come scarica i pazienti? Non dirmi che adesso la imiti! Non posso mica fare il lavoro di tutti, qui dentro! - sbottò Rachel perdendo il buon'umore in tempo record.
- Non dico gratis! Rachel, senti, ho una proposta. Ho parlato anche con le altre, e nessuna se lo vuole prendersi questo... questo signore come paziente. Non c'è nessuno che riesca a sopportarlo per più di due ore. Il caporeparto è arrivato a promettere una settimana di ferie extra a chi lo accudisce, ma non c'è verso! Tutti si rimbalzano la cartella. Cosa ne diresti di un'altra settimana e di avere solo lui come unico paziente da seguire? - buttò lì Lillian sperando di convincerla.
- Il mio unico paziente? Niente più signora Mayer, niente più Lamentela Continua? - domandò dubbiosa.
- No, nessuno di loro. Almeno fino a quando Haynes non verrà dimesso. Finché ci sarà lui, non dovrai più pensare a nessun altro. Ci penseremo noi a spartirci i tuoi pazienti. Persino Magda è disposta a sopportare la Mayer, per scansarsi Haynes. - spiegò Lillian incoraggiante.
- Solo lui come paziente, e poi un'altra settimana di ferie che non inciderà sul mio monte vacanze? Ho capito bene? - riepilogò Rachel seriamente.
- Sì, esattamente così. Accetti? - Lillian sventolò la cartella sotto il naso di Rachel.
- Oh, va bene! Ma bada che deve essere come mi hai detto. Adesso andiamo a chiamare Terence e confermiamo la cosa. - e a passo di carica Rachel e Lillian si diressero verso l'ufficio del caporeparto.

- Abbiamo trovato la martire. - esordì Lillian aprendo la porta.
- Sì, certo, mi sacrifico per il bene comune, per la settimana di ferie extra e per il fatto di averlo come unico paziente finché non viene dimesso. - specificò lei fissando Carl Terence negli occhi - Perché è così, vero? -
- Sì, Rachel. Trovo francamente assurdo dover arrivare a questi livelli perché un cliente pagante venga assistito, ma a quanto pare rischia la vita con qualsiasi nostra infermiera. E, se posso essere sincero, nemmeno io riuscirei ad occuparmene. - aggiunse mesto, memore delle poche parole scambiate con l'uomo.
- Ecco, allora firmiamo qualcosa che certifichi tutto questo, e io mi occuperò con amore e dedizione di Thomas Haynes. - esclamò sbrigativa Rachel.
- Non so se Lillian ti ha avvisata, ma il signor Haynes è molto... - Terence si fermò alla ricerca della parola adatta.
- Terence, non ti preoccupare, ho già avuto a che fare con Haynes prima di andare in ferie. Ho una vaga idea di che razza di rompiscatole sia. - lo tranquillizzò Rachel, firmando il pezzo di carta che le accordava una discreta pace.
- Bene, direi che siamo a posto. Solo una cosa, Rachel. Ovviamente i turni diurni dovrai farli tutti tu. Mi preme che tu sia qui la mattina appena sveglio per i soliti controlli, ai pasti e magari la sera prima che si addormenti. - specificò Terence, facendole capire che avrebbe dovuto lavorare sedici ore al giorno.
- Il tempo di respirare lo ho, almeno? - domandò sarcastica.
- Dipenderà dal tuo paziente. - replicò l'altro con un'alzata di spalle - Comunque nelle ore libere puoi farti gli affari tuoi, se vuoi prenderti una stanza fallo pure. L'importante è che Haynes venga seguito come tutti gli altri pazienti della clinica. Capito, Rachel?, come tutti gli altri pazienti. - e con questo le accompagnò alla porta dell'ufficio.
Rachel sbiancò. Fissò il pezzo di carta fra le mani e capì di aver firmato la propria condanna a morte. Trattarlo come tutti gli altri pazienti equivaleva a cinque controlli giornalieri e a quello serale. Doveva avere a che fare con quel tizio come minimo sei volte al giorno - escluse le chiamate col campanello, che lei prevedeva sarebbero state molte - senza ucciderlo. Cercò di sollevarsi il morale pensando che avrebbe dovuto sopportare solo lui, adesso capiva perché Terence le aveva offerto una stanza in clinica: ci avrebbe passato le giornate e, probabilmente, anche molte nottate.
Delusa con se stessa per essersi fatta incastrare in quella maniera, Rachel evitò di pensarci e decise di andare ad avvisare il signor Haynes del cambiamento, salutò Lillian con un ringhio e si avviò nella tana del leone.

- Buongiorno signor Haynes. - esordì spalancando la porta e piazzandosi di fronte al letto con aria belligerante - Da oggi fino alla fine della sua degenza io sarò la sua unica infermiera. Se lei si comporterà bene, io farò altrettanto. Se lei deciderà per la guerriglia, io mi adeguerò. Se sceglierà di farmi fuggire come chi mi ha preceduta, bene, ci provi. Poi non si lamenti delle conseguenze. - lo osservò, squadrandolo con aria di sfida - Sono stata abbastanza chiara? - domandò poi.
- Sissignora! - sghignazzò quello di rimando, portandosi la mano alla fronte in una parodica imitazione del saluto militare.

Angolino recensioni:

Accidenti! Ma allora sono in tanti a seguire la mia storiellina. La cosa non può che rendermi felice. Passiamo ai dovuti ringraziamenti allora:

Kunimitsu: Figurati del ritardo! Spero solo che anche questo capitolo sia di tuo gradimento, e soprattutto che i personaggi restino come te li eri figurata quando hai posto la richiesta. Ovviamente se hai qualche richiesta di scene che vuoi veder inserite non hai che da suggerirmele. Nel prossimo capitolo credo comparirà quella scena sul "piatto" che Rachel prepara a Thomas con taaaaanto amore!

grow: Felice che ti piaccia. Per le tinte rosa... diciamo che non sono granché brava a delinare qualche bella e corposa storia d'amore. Se vedi, tutti i personaggi secondari - e Rachel stessa - non è che brillino per chissà quali relazioni: Mabel ha appena cacciato il marito di casa, Jackob sta lottando con gli avvocati e da ultima si è aggiunta una sposina abbandonata all'altare.
Direi che, per ora, le tinte rosa sono abbastanza lontane, e sicuramente improbabili per i due protagonisti. Seriamente, quale povera donna sopporterebbe un uomo simile per più di due minuti?

bravesoul: Addirittura un genio? Posso portarti in facoltà con me così convinci anche i miei professori e passo finalmente un paio di esami-scoglio? Per il resto sono abbastanza stupita che il personaggio di Thomas riscuota tanto successo: credo che sia il fascino alla "Dottor House" che colpisce.


Angolino dell'autrice per la serie "una padellata di fattacci miei"!:

Soffro di ansia da prestazione.
Non c'è altra spiegazione altrimenti. Non sono ancora riuscita a buttar giù una scena decente di un bello scontro fra Rachel e Thomas, trovo quasi più appagante girarci intorno... sono un po' i preliminari della loro complicata relazione!
E poi, dovevo specificare perché sarà Rachel ad accollarsi le cure di Thomas. Spero solo che risulti credibile!
No, seriamente: adesso ho paura di scrivere una vagonata di sciocchezze. Non ho più modo di tirarmi indietro e nel prossimo capitolo dovrò per forza farli interagire per molto tempo. Sono in ansia, molto, molto in ansia.
Vi prego, perdonatemi se dovessi deludere le vostre aspettative.
Per il resto: chiedo scusa umilmente per il ritardo. Il problema è che pensavo che dal 13 gennaio in poi i miei esami sarebbero stati pochi, ma ho fatto male i conti: il 28, il 29 e il 02 ho avuto tre appelli irrinunciabili, e quindi la storia non ha proceduto molto.
Poi ho deciso che l'appello del 10 febbraio era infattibile e mi sono dedicata alla storia. Spero che vi piaccia, e al prossimo capitolo.

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Capitolo 7
*** Indovina cosa c'è per cena! ***


Indovina cosa c'è per cena!


Rachel stava iniziando a pensare che un corso di yoga le avrebbe fatto bene. Avrebbe potuto rilassarsi e scaricare tutte le energie negative che accumulava al lavoro. Tutto quel controllo della respirazione, del trovare il tuo Io più profondo, di raggiungere vette insperate di calma e serenità... oppure poteva trovare un modo per eliminare il problema alla radice. Certo, sarebbe stato un po' drastico tappare per sempre la bocca a Thomas Haynes, ma avrebbe avuto molte attenuanti in caso di omicidio!
Quella mattina lui aveva rifiutato ben due menù per il pranzo. Non glieli aveva rifiutati quando lei gli aveva elencato i piatti, ma aveva aspettato che tali piatti fossero davanti ai suoi occhi per assaggiarli appena e decretare che facevano schifo e che non li avrebbe mangiati. Le sembrava di trovarsi davanti ad un bambino capriccioso. Il terzo menù, però, non c'era stato. Con la filosofia spiccia degna di sua madre Rachel aveva sentenziato che:
- Chi non mangia ha già mangiato. - e l'aveva lasciato a digiuno fino alla cena. Non era stato semplice, considerando che per la prima mezzora il suo adorabile paziente aveva suonato incessantemente il campanello, e non contento si era persino messo ad urlare a pieni polmoni, lamentandosi per il maltrattamento subito, per il fatto che non poteva assolutamente permettere che lui rimanesse digiuno, che doveva recuperare le forze e via dicendo.
Rachel era stata inflessibile. Aveva chiuso la porta della stanza del paziente e ci aveva attaccato un bel cartello di "attenti al cane" che aveva trovato in un negozietto vicino casa. Per passare il tempo aveva deciso di guardare la televisione in saletta infermieri. Stava aspettando che arrivasse l'ora della cena, e aveva persino saltato il controllo pomeridiano onde evitare di strangolarlo per le continue lagnanze.
L'orologio batté che le sette, e con stanchezza l'infermiera si preparò alla battaglia. Lo trovò attaccato al portatile, intento a sbatacchiare sui tasti velocemente e tutto concentrato. Solo in quel momento Rachel si accorse che il campanello non era suonato nemmeno una volta, e probabilmente lo scrittore aveva trovato una buona idea per il romanzo, dato che non si accorse nemmeno del fatto che Rachel fosse entrata.
- Buonasera signor Haynes. - salutò cordiale, per poi snocciolare il menù del giorno e chiedergli se gli andasse bene.
- Sto morendo di fame! Certo che mi va bene, che razza di domande fai. - sbottò lui con rabbia senza nemmeno guardarla, era troppo impegnato a scrivere per degnarla d'uno sguardo. Rachel si limitò ad annuire e a portare dentro il vassoio. Aspettò che Haynes spostasse il portatile per appoggiarlo e, incrociando le braccia, attese. Thomas fissò con espressione disgustata il cibo, ne spostò un po' con la forchetta, come se cercasse qualcosa fra la pasta. Continuò a giocherellarci per un paio di minuti prima di trovare il coraggio di mangiarne una forchettata. Lo trovò insipido e assolutamente inadatto. Per un breve, fugace istante sentì la mancanza della cucina di Carol.
- Voglio qualcos'altro! Questo non è di mio gradimento. - l'infermiera sbuffò, roteò gli occhi e gli portò via il vassoio.
- Bene. - esclamò Rachel squadrandolo - Se vuole fare lo sciopero della fame non sarò io a fermarla. - e, fatti i controlli del caso, se ne andò lasciandolo per la seconda volta digiuno.
Thomas Haynes aveva molti difetti. Anzi, per moltissime persone egli un unico, grande coacervo di difetti. C'era però una cosa positiva che andava detta sul suo conto: non si arrendeva. Mai. Se voleva ottenere qualcosa, l'avrebbe ottenuta. Non importava con che metodi, o con che mezzi. E Thomas, adesso, voleva una cena decente. La voleva, e l'avrebbe ottenuta.
Totalmente dimentico del romanzo che stava scrivendo recuperò il suo cellulare dal comodino e iniziò a pestare sui tasti con rabbia. Gliel'avrebbe fatta vedere lui, a quell'infermiera.

Rachel era intenta a seguire un film in televisione, non aveva ben capito la trama dato che si era persa la prima mezzora del film. Si trattava di una intricata storia di spionaggio, con un sacco di macchine che esplodevano ogni trenta secondi. Non si accorse del ragazzino appostato sulla porta della saletta infermieri finché questi non si schiarì la voce.
- Ehm, mi scusi, ho portato l'ordinazione del signor Haynes, mi potrebbe dire il numero della sua stanza, lui si è dimenticato di dircelo. - si scusò, reggendo in mano una borsa di plastica che emanava effluvi molto invitanti.
- Cosa? Ordinazioni di cosa? - rispose lei basita.
- Della cena. - replicò il ragazzo scuotendo leggermente il sacchetto. Rachel balzò in piedi irritatissima, quel maledetto!
- Me lo dia. - ordinò brusca - Il sacchetto. - specificò poi, davanti allo sguardo da pesce lesso del giovane. Quello mollò subito la busta di plastica, terrorizzato dallo sguardo dell'infermiera, e fuggi a gambe levate dal reparto. Rachel invece marciò decisa e verso la camera di Haynes, per poi fermarsi a venti centimetri dalla porta.
Thomas la stava sfidando: affrontarlo a muso duro non avrebbe portato a nulla, se non lamentele o, ancora peggio, subdoli tentativi di farle fare quello che lui voleva.
Si girò con calma, tornò nella saletta infermieri e posizionò su un vassoio quello che c'era nel sacchetto.
Una bistecca di notevoli dimensioni, con contorno di patate arrosto e una bottiglia di vino rosso di pregiata qualità. Una cena di tutto rispetto, pensò Rachel addolorata, mentre prendeva il sale e ne sommergeva letteralmente la bistecca, aspettando che questa lo assorbisse e non si notasse più.
Era davvero un gran peccato che anche quelle deliziose patate al forno andassero rovinate, stava pensando l'infermiera dopo averne assaggiate un paio, ma era un prezzo che era disposta a pagare per vendicarsi di Thomas Haynes. Scrutò nella dispensa della saletta infermieri alla ricerca di qualcosa di adatto: non voleva ripiegare di nuovo sul sale. Prese del piccantissimo peperoncino in polvere (quello che Lillian aveva portato da un viaggio in Messico) e ne piazzò una spolverata sulle patate. Poi, per precauzione diede un'altra passata della terribile polverina.
Infine stappò il vino e se ne versò un bicchiere con l'intenzione di berselo dopo con tutta calma. Indecisa su cosa aggiungerci, optò per allungare il vino con l'aceto rosso che si era portata da casa per condirsi l'insalata. In fondo vino e aceto non sono poi la stessa cosa?
Scosse la bottiglia perché vino e aceto si amalgamassero per bene, e poi tornò dal suo paziente.

- Signor Haynes! Le ho portato la cena che ha ordinato. - esclamò con tono rassegnato, appoggiando il vassoio sul tavolo.
- Che cosa sorprendente! Sono così felice che lei abbia finalmente capito che è inutile scontrarci su queste cose. Credo che si sia riuscito a raggiungere un accordo fra noi, Rachel, non crede? - rispose Thomas soddisfatto di esser riuscito a piegare anche quella testa calda di Rachel Sullivan. Era persino tornato a darle del lei, una strana forma di rispetto per chi lo assecondava. Senza nemmeno pensarci Thomas tagliò un grosso boccone di bistecca e lo infilò rapidamente in bocca. Aveva così fame che non si accorse dello strano sapore della carne se non dopo una manciata di secondi. Ingollò il boccone con disgusto, pensando di avere le papille gustative alterate dai medicinali e tentò con le patate.
Peggio di prima: il palato e la lingua in fiamme! Afferrò il vino e bevve direttamente dalla bottiglia per far passare il bruciore. Anche il vino gli parve orribile, gli sembrò di bere aceto, e il bruciore non passò di certo, anzi aumentò!
Rimase a boccheggiare e tossire per qualche minuto, decisamente sorpreso e visibilmente devastato dalla deliziosa cenetta che aveva ordinato. Non era possibile che i medicinali alterassero in maniera tanto evidente i sapori: anzi di solito si limitavano a renderli leggermente più scialbi. Nulla a che fare con quell'orrido gusto che aveva assaggiato.
Rachel nel frattempo se ne stava impassibile ad osservarlo. Dentro di se rideva come una matta, ma esteriormente era una maschera di pietra.
- Tutto bene signor Haynes? - chiese infine, vedendolo diventare di un bel color peperone e quasi lanciare a terra il vassoio.
- TU! - sbraitò lui con la voce roce - Cosa hai fatto alla mia cena?!
- Assolutamente nulla! Cosa c'è che non va nella sua cena? - domandò angelicamente Rachel
- Tu mi vuoi avvelenare! Tu stai cercando di uccidermi! - proseguì lui fra un colpo di tosse e l'altro.
- Purtroppo non sono autorizzata ad usare questi metodi. Qui il nostro lavoro è curare i pazienti, non ucciderli. - spiegò lei calmissima, continuando a restare sullo stipite della porta a braccia conserte.
- Tu hai messo qualcosa nella mia cena! Al Green Tower non propinano certe schifezze! - rincarò lui, lasciando che il pensiero andasse per un momento a quanto aveva pagato quella dannatissima bistecca.
- Forse è solo colpa dei medicinali se sente dei sapori diversi. - spiegò Rachel nel tono più professionale che poté.
- Medicinali un corno! - sbottò Thomas arrabbiato, cercando di riprendersi dalla cocente delusione della cena rovinata e della fame che gli torceva le budella. Per un momento Rachel quasi si pentì di quello che aveva fatto, il senso di colpa stava affiorando lentamente e lei decise di portar via la cena al signor Haynes, prima che questi gliela lanciasse addosso. Recuperò il vassoio in maniera pressoché fulminea e lo andò a svuotare.
- Sei un'incompetente di prim'ordine! Giuro che ti faccio licenziare! - ululò lui con voce roca e rabbiosa, per farsi sentire fino alla saletta infermieri dove lei stava sciacquando le stoviglie. Ecco, il suo senso di colpa era stato stroncato sul nascere.
- Ci provi pure, signor Hayens, e vedrà com'è bello restare in ospedale senza infermiere a disposizione. - gli urlò lei di rimando, asciugandosi con calma le mani in uno strofinaccio. Lui stava ancora strillando qualcosa, ma lei non gli stava più prestando attenzione.
Da quando lavorava lì erano stati in tanti a cercare di farla licenziare. Alcuni ci erano andati anche vicini, i primi anni, se non fosse stato per il fatto che tutto il corpo infermieri si era opposto in blocco. Rachel poteva non essere la più simpatica o la più brillante dell'ospedale. Sicuramente c'erano persone più preparate, più educate e più servizievoli: ed erano alcuni dei suoi colleghi. Colleghi che, come si era visto anche in quell'occasione le avevano rifilato il caso più rognoso. Non c'era quindi da stupirsi che sia i colleghi infermieri che i medici fossero restii a lasciarla licenziare senza dire una parola. Non c'era nessuno in ospedale che avesse più polso fermo di lei, e nessuno che sapesse gestire certi casi clinici.
Una volta Lillian le aveva chiesto da che genere di genitori fosse stata cresciuta per essere così. Non che i genitori di Rachel c'entrassero molto, a dire il vero. Quello che aveva fatto diventare Rachel così... così forte e decisa, al limite della tirannia secondo alcuni pazienti, era l'aver avuto ben quattro fratelli, tutti maschi, e l'aver vissuto la sua infanzia in campagna.
Rachel era la sorella di mezzo: due fratelli più grandi e due gemelli che erano nati solamente un anno dopo di lei. Le continue liti, a ben vedere, non avvenivano con il fratello maggiore Arthur, che aveva ben otto anni più di Rachel, ma col secondogenito: William.
Lei e William avevano iniziato a litigare quando lei aveva compiuto da poco gli otto anni. Prima il loro rapporto non era stato dei peggiori: certo, litigavano, ma come succede normalmente fra fratelli. Tutto era peggiorato quando Rachel aveva avuto la sua cameretta.

Benché vivessero in campagna, la casa non era molto grande. Suo padre non era un agricoltore, ma bensì un professore universitario decisamente stufo della calca cittadina. Sua madre una semplice casalinga con una particolare fissazione per il découpage. Ed entrambi avevano deciso di crescere i propri figli in aperta campagna, considerandolo un posto più appropriato per dei bambini.
La casa che avevano acquistato era semplice villetta su due piani. L'agente immobiliare si era dimostrata entusiasta nel far visitare loro la casa. Un'ampia cucina con un bellissimo tavolo di legno massiccio era stata la prima cosa che aveva mostrato con una punta di orgoglio. Il salotto era stato il passaggio obbligato per arrivare ad uno studio di discrete dimensioni che il padre di Rachel aveva oltremodo apprezzato. L'ovvio bagno e l'altrettanto ovvio box auto erano cose che i genitori di Rachel avevano dato per scontato.
Il piano superiore era mansardato, cosa che invece aveva reso oltremodo felice la madre di Rachel, che da anni sognava una camera con il legno a vista. Tre camere da letto e due bagni, di cui uno a dir poco colossale. Per finire un armadio a muro alla fine del corridoio, armadio che si era prenotata immediatamente la madre di Rachel per le lenzuola, i cambi invernali e tutto l'occorrente per il découpage.
All'epoca c'era solo Arthur e quelle tre camere così spaziose erano sembrate quasi troppe.
Ma nel giro di nemmeno cinque anni la famiglia si ritrovò con altri quattro figli a carico. Per un primo momento Arthur e William si trovarono a dividere una stanza, mentre Rachel stava nella stessa stanza dei gemelli. Ma non poteva durare, e il padre di Rachel decise di privarsi del suo studio per farne la cameretta per l'unica figlia femmina.
La cosa non era andata a genio a William, al quale pesava dover dividere la camera col fratello maggiore. Fratello, c'è da precisarlo, che soffriva di una mania di perfezionismo ai limiti della patologia. L'ordine era una cosa che nella loro camera non mancava mai: i vestiti di Arthur erano sempre piegati e perfettamente riposti negli armadi. I suoi libri erano messi secondo tre ordini diversi: grandezza, autore, argomento. Come ci riuscisse lo sapeva solo lui.
William soffriva in quella situazione, e vedere Rachel ottenere una cameretta tutta sua, senza sforzi apparenti se non per il fatto di essere una femmina, lo aveva letteralmente mandato in bestia. Per questo si sfogava sulla sorellina. Le staccava le teste dalle bambole, si divertiva un mondo a levare le pietruzze luccicanti dalla sua bigiotteria per poi buttarle nel fiumiciattolo vicino casa, e a volte anche a farle trovare sotto le coperte qualche insetto particolarmente orrido. Una volta ci aveva messo persino una ranocchia.
Come se tutto questo non bastasse, anche i gemelli avevano iniziato a tormentare Rachel, più per spirito d'emulazione verso il loro idolo William, che per odio o cattiveria verso la loro sorellona.
Le giornate della poveretta diventarono in breve un martirio. Nell'andare a scuola doveva sempre aspettarsi almeno uno sgambetto da parte di William, sull'autobus per arrivare a scuola i gemelli la tormentavano per tutto il tragitto. Riusciva a stare tranquilla solo in classe, dove per fortuna non aveva fratelli che potessero infastidirla, anche se una volta William aveva accennato al fatto di farsi bocciare un paio di volte per finire nella sua stessa classe. Cosa che per fortuna non aveva mai veramente fatto.
Rachel aveva iniziato a tornare a casa a piedi per evitare i fratelli, passando per i campi. Certo, ci metteva più di tre quarti d'ora tenendo un buon passo, ma era sempre meglio che sopportare le angherie dei suoi consanguinei. Purtroppo anche questa soluzione era durata per poco. William l'aveva scoperta e aveva iniziato a seguirla. Essendo più alto e più robusto non gli costava nessuna fatica raggiungerla per tirarle i capelli o darle dei pizzicotti.
Rachel era stata fino a quel momento una bambina paziente e calma, ma la sua indole testarda e cocciuta si risvegliò una mattina di settembre. Aprì gli occhi e decise che ne aveva avuto abbastanza, e che era ora di metterci un freno. Così, già prima di colazione, aveva le idee ben chiare su cosa fare. Si infilò in camera di suo fratello William mentre lui era in bagno e Arthur era al piano di sotto, e rovistò per un po' nei suoi cassetti. Finita l'incursione scese e fece finta di nulla. Aspettò pazientemente che suo fratello le facesse il solito sgambetto mattutino e, invece di schivarlo come al solito, Rachel gli affibbiò un bel calcio sullo stinco, gridandogli di piantarla di comportarsi da imbecille. William ovviamente non reagì bene a questa novità, ma la sorella si era premunita rubandogli l'album delle figurine a cui lui lavorava da un sacco di tempo.
- Se non mi lasci in pace, - lo avvisò quel mattino di settembre - giuro che te lo brucio. - William si era limitato a deglutire rumorosamente, covando vendetta per tutto il tragitto verso la scuola, vedendosi impossibilitato a riprendersi l'album senza danneggiarlo. Sempre in quella memorabile mattinata, Rachel aveva fatto capire anche ai gemelli che le cose stavano cambiando. Attese seduta al suo posto sul bus che i due le si avvicinassero per i soliti dispetti, poi prese uno dei due per i capelli e glieli tirò così forte da strappargliene una ciocca, aggiungendo al gesto poche, incisive parole.
- O la smettete, o diventerete calvi. - e dato che i gemelli avevano una strana adorazione per i loro capelli, per quel giorno la lasciarono perdere.
Anche durante il ritorno in autobus i fratelli le restarono a debita distanza, e una volta giunti a casa Rachel chiese alla madre le chiavi della sua stanza.
Deborah Sullivan non si stupì a quella richiesta. Sua figlia iniziava a farsi donna e, secondo lei, a undici anni era più che legittimo desiderare un po' di privacy. Certo non poteva immaginare che quella richiesta fosse dettata più dall'istinto di sopravvivenza, che dal desiderio di privacy.
Dopo quella mattina di settembre William aveva tentato di farle qualche dispetto, ma si era trovato a rinunciare quando il motivo di tanto odio nei confronti della sorella si risolse.
Arthur andava a studiare lontano da casa, e quindi la camera era diventata praticamente la camera di William, con rare visite di Arthur a settimane alterne.
Non che questo avesse risanato completamente i rapporti fra i fratelli, ma per lo meno William non tentava più di prendere lo scalpo di Rachel ogni volta che uscivano di casa.

Rachel si riscosse da queste riflessioni sul proprio passato quando sentì di nuovo la voce di Thomas.
- Ehi! Ehi! Rachel! Devo chiederti una cosa, vieni qui. - le stava gridando.
- Si è dimenticato la parolina magica, signor Haynes. - gli rispose lei, sorseggiando il bicchiere di vino che aveva salvato prima di boicottare la cena.
- Perfavore. - disse a denti stretti lui di rimando, chiaramente imbestialito dalla richiesta di Rachel.
- Così va molto, molto meglio. - sghignazzò lei contenta, avviandosi con molta calma verso la stanza di Thomas.
- Oh, finalmente! Allora, quali sono i sintomi della denutrizione? - domandò lui senza nemmeno guardarla. Se ne stava con lo sguardo fisso sul monitor del suo computer portatile, scorrendo delle pagine velocemente.
- Esiste Wikipedia. - si limitò a rispondere lei. Thomas sbuffò.
- Lo immaginavo. - disse poi lui, più rivolto a se stesso che a Rachel. - Era ovvio che mi assegnassero una infermiera assolutamente incapace, e che non sa nulla di denutrizione. Ma soprattutto che si affida a Wikipedia! - l'ultima parola, particolarmente calcata, fece capire a Rachel il profondo disgusto che Thomas provava per l'enciclopedia online.
- Ha forse paura di essere denutrito, signor Haynes? - chiede Rachel stizzita. Oh, accidenti! Come riusciva lui a farla andare fuori dai gangeri, non ci riusciva nessuno. Nemmeno suo fratello William nei tempi migliori.
- Potrebbe essere! Ma è tutta colpa tua che mi propini delle schifezze inenarrabili.
- Al massimo la colpa è sua, che rifiuta qualsiasi cosa le si porti. - Thomas sbuffò nuovamente.
- Per quanto dovrò sopportare la tua frizzante personalità? - domandò quindi, sviando il discorso.
- Secondo la sua cartella clinica lei dovrebbe restare presso questa clinica per circa un mese e mezzo. Se non ci sono complicazioni. Così da poter seguire la fisioterapia per ristabilirsi completamente. - lui strabuzzò gli occhi.
- COSA?! Un mese e mezzo? Ma stiamo scherzando mi auguro! La fisioterapia voglio seguirla lontano da te! Il più lontano possibile!
- Guardi, fosse per me la dimetterei subito, ma la sua frattura esposta ha bisogno di attenzioni particolari, e il nostro centro di fisioterapia è molto avanzato. Non potrebbe trovare migliori trattamenti da nessun'altra parte.
- Questo vuol dire che tu sarai la mia infermiera per un mese e mezzo? Oppure ho la speranza di essere trasferito in un altro reparto?
- Qui le infermiere girano tutti i reparti. I pazienti sono pochi, e molto impegnativi, mi creda! Quindi, spiace anche a me confermarle che sarò la sua infermiera per tutto il tempo del suo ricovero.
- Che immenso piacere. - commentò sarcastico - Chissà, magari trovo il modo di farti pentire di aver accettato questo incarico.
- Da quel che ho visto finora l'unico che ci ha rimesso è stato lei. Io oggi ho mangiato benissimo. - replicò lei con un ghigno malefico dipinto sul viso.
- Io quel ghigno te lo leverei a suon di ceffoni.
- Attento signor Haynes, adesso è lei che mi sta minacciando. Non è corretto.
- Ma, Rachel, è colpa tua, che scateni i miei più bassi istinti. - si scusò lui mellifluo - Sembra che ti stia impegnando davvero per farmi saltare i nervi.
- Che strano! - esclamò lei di rimando - Ero convinta che fosse lei ad impegnarsi in tal senso.
- Da quel che ricordo non ho inondato la tua cena di sale, né ti ho fatta stare a digiuno.
- Da quel che ricordo - precisò lei - non sono io che ho cercato di aggirare le regole e ho rifiutato i pasti dell'ospedale.
- Touché. Allora cosa hai intenzione di fare? Farmi mangiare a forza le schifezze che mi propina la terribile cuoca di questo posto?
- Jhonas è un uomo. E forse potrebbe venire lui a spiegarle che non sono schifezze, quelle che cucina.
- Sono sicuro che le motivazioni di Jhonas dell'assoluta mancanza di sapore dei suoi piatti sia un argomento di grande interesse. Magari gli vietano di usare qualsiasi spezia esistente sul pianeta. O magari va contro i suoi credo religiosi riuscire a cucinare una bistecca che non sembri una suola di scarpe. O...
- Va bene, va bene! Ho capito! La cucina di Jhonas non la esalta, allora cosa vuole fare?
- Mi pareva di avertelo già detto: io ordinerò i miei pasti al ristorante e me li farò portare. Non ti sembra un compromesso ragionevole? Non dovrai più preoccuparti di spiegare a Jhonas perché rimando sempre indietro le sue... squisitezze. - spiegò Thomas con un sorriso. Rachel strinse i denti infastidita, come soluzione le andava quasi troppo bene, e quindi c'era sicuramente la fregatura.
- L'ospedale non copre questo tipo di spesa.
- Oh, Rachel, non preoccuparti: se posso permettermi di stare qui, credo di potermi permettere anche di pranzare in un ristorante per un mese e mezzo.
- Se io adesso cedo, e ne sono tentata mi creda, sento che poi la vita con lei sarà un vero e proprio inferno.
- Lo sarà in entrambi i casi! - assicurò con un sorriso smagliante.
- Ah, bene. Questo mi incoraggia proprio a cedere alla sua richiesta. - commentò caustica.
- E se ti prometto di renderti la vita un po' meno infernale, se cedi? Non pensi che sarebbe bello poter pranzare e cenare senza che io mi lagni? Oppure vuoi lasciarmi morire di fame?
- Da quello che vede non rischia di certo di morir di fame, la sua riserva di grassi le permetterebbe di resistere qualche altro giorno tranquillamente. - sorrisino malefico e occhiatina ironica all'indirizzo di Haynes. Quello impiegò qualche secondo per capire a cosa si riferisse Rachel
- Sei davvero molto spiritosa, mia cara. Forse è per questo motivo che sei ancora single. - commentò caustico, toccando un nervo scoperto di Rachel. Colpita e affondata.
- E lei come lo sa che sono single?
- Unh. Domanda interessante: partendo dal fatto che non vedo anelli di alcun genere si può dedurre che non sei sposata. Secondo: con tutto il tempo che passi al mio capezzale, se avessi un compagno di qualche genere lui si sarebbe di certo lamentato e sarebbe venuto a trovarla. Invece, dato che stai qui da tre giorni e tre notti senza pause, deduco che a casa ad aspettarti non hai nemmeno un gatto. O forse mi sbaglio?
- Che spirito d'osservazione. - masticò fuori acidamente Rachel, non sapendo come controbattere. Chissà perché lei e la fauna maschile avevano sempre avuto incontri spiacevoli.
Ricordò giusto Chris, il disgraziato che le aveva venduto le porcellane. Scosse il capo corrucciata. Thomas Haynes aveva centrato il punto dolente della sua vita.
- Chissà, magari è per il tuo carattere solare, o per la tua dolcezza, - stava continuando Thomas imperterrito - immagino che belle serate tu possa offrire ad un uomo. Meravigliose! Mi auguro che almeno sotto le lenzuola tu riesca a raggiungere la sufficienza. - concluse.
- Co... cosa?! - riuscì a formulare a stento Rachel, con gli occhi fuori dalle orbite.
- Mi hai capito benissimo Rachel, ci dovrà pur essere una cosa, una singola cosa, che riesca ad assicurarti le attenzioni di un uomo per più di dieci minuti. - l'infermiera rimase in silenzio per qualche minuto, cercando di assimilare e controbattere, ma non trovò nulla di pungente. Era semplicemente rimasta basita dall'argomento assurdo che Thomas aveva usato per ridurla al silenzio.
- Che soddisfazione essere riuscito a zittirti! Mi dovrò ricordare di parlare più spesso di sesso, se sortisce questo effetto. - ghignò lui sornione, si stava divertendo come un bambino.
- Non è il sesso che mi imbarazza, signor Haynes. Quello che mi urta è che lei pensi di sapere qualcosa della mia vita sessuale. Non dovrebbe dare giudizi avventati.
- Di sicuro sei in astinenza da tre giorni. - non voleva demordere, aveva trovato il modo di imbarazzarla e ci restava attaccato come il cane ad un osso - Dovresti uscire e cercare un compagno: fra non molto non avrai più l'età per certe cose. - Rachel non rispose verbalmente, si limitò a marciare fuori dalla porta, sbatterla con rabbia e andarsene a casa.
Aveva appena varcato la soglia di casa quando decise che sarebbe uscita. Sì! Alla faccia della carogna che avrebbe dovuto accudire in ospedale, sarebbe uscita e si sarebbe divertita tantissimo!

Thomas se ne rimase sdraiato sul letto a sghignazzare, anzi a ridere apertamente della sua schiacciante vittoria.
Certo, era a digiuno da tutta la giornata, e questo scherzetto chissà cosa gli sarebbe costato, ma ne era valsa la pena. Eccome se ne era valsa!
Poi tornò a guardare il suo portatile. Aveva appena raggiunto l'illuminazione per continuare il romanzo. Il protagonista veniva catturato e tenuto a digiuno, al buio per un tempo indeterminato. Era la stessa idea che aveva avuto prima dell'incidente, ma adesso sapeva come scriverla. Rifletté ancora un paio di minuti prima di iniziare a descrivere la scena: sì! Doveva fare freddo. Terribilmente freddo. Poteva ambientarlo in un qualsiasi punto della Russia. E poi... poi, ovviamente, il momento della cattura: per catturare il suo protagonista servivano almeno cinque nemici armati di tutto punto.
Thomas iniziò a scrivere velocemente, e non prestò la minima attenzione al cellulare che iniziò a suonare. Anzi, lo spense senza nemmeno guardare chi cercava di contattarlo.
Jackob, dall'altra parte del telefono si limitò a scrollare le spalle, e si chiese chi glielo avesse fatto fare di tentare di chiamare Thomas.



Note dell'autrice:


Non è colpa mia! Questa è la mia crisi del sesto capitolo. Chissà perché quando arrivo al sesto capitolo ho una crisi mistica che non mi fa trovare l'ispirazione a pagarla oro.
Ok, seriamente parlando:
Sono in ritardo. E che ritardo! Chiedo umilmente scusa, ma alcuni problemucci mi hanno tenuta lontana dal mondo della scrittura amatoriale per un bel pezzo.
Poi, non so come mai, mi è tornata l'ispirazione per continuare questa storia, e magari finirla. Perché ho preso un impegno con chi mi ha commissionato la storia, e poi perché comunque mi piace come storia. Quando trovo la giusta vena creativa/cretina mi diverto molto a scriverla.
Non so per quanti capitoli la tirerò avanti ancora: di sicuro so cosa succederà nel prossimo, che prometto sarà più incentrato su Thomas che su Rachel.
Poi spero sempre che succeda qualcosa che mi regali qualche brillante illuminazione su come continuare.

Comunque, questo capitolo credo sia il più lungo della storia, per ora. Spero che questo aiuti a dimenticare il terribile ritardo del capitolo. Perché mi sento davvero in colpa per essermi praticamente dimenticata di continuare questa storia.

Angolino recensioni:

Kunimitsu: Hai ragione, Rachel non ci va tanto per il sottile, ed ho cercato anche in questo capitolo di spiegare perché "lei può" fare certe cose. Poi, ovviamente, alcune cose dovete farmele passare come licenza poetica. Dopo quello che ha fatto Rachel in questo capitolo, credo davvero che un licenziamento, nel mondo reale e normale, non glielo avrebbe tolto nessuno. Anche se c'è da dire che da una parte Thomas si sta divertendo, eh! Lui ci gode un casino a far incavolare Rachel. Aver trovato qualcuno che gli tiene testa lo rende euforico.
Comunque no, dai, non voglio che si uccidano a vicenda, anche se Rachel trova molto rilassante escogitare nuovi, truculenti modi di far sparire Thomas dalla faccia della terra.
Piaciuto come ho sistemato la bellissima cena di Thomas? E ho anche spiegato come mai Rachel sia così tosta.

bravesoul: Il dottor House è un po' il sogno segreto della maggior parte delle donne. Comunque spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento, anche se è più incentrato su Rachel che su Thomas. Il prossimo, lo prometto, sarà un tripudio dell'egocentrismo del nostro adorato scrittore.

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Capitolo 8
*** Appuntamenti al buio ***


Appuntamenti al buio.

La serata che Rachel aveva pianificato si stava rivelando piacevole. Aveva chiamato Tiffany e le aveva chiesto scusa per essere stata una stronza patentata, promettendole che non si sarebbe più comportata in quella maniera orribile e deplorevole. La cugina aveva fatto la sostenuta per cinque minuti, e poi era tutto tornato come prima.
Quasi.
Il fatto che Tiffany le avesse detto che era sua intenzione farle conoscere un amico non implicava nulla di buono, ma era lo scotto da pagare per riallacciare i rapporti con lei.
La cugina, infatti, si sentiva il cupido della situazione, e come tale si comportava. Le aveva presentato così tanti "amici" che Rachel raggelava al solo pensiero di incontrarne un altro. Aveva conosciuto la peggior fauna maschile presente sulla faccia della terra proprio grazie a Tiffany. Chris, quello che aveva venduto le sue orrende porcellane, era stato solo l'ultimo di una lunga lista.
Prima di Chris c'era stato Daniel. Un visetto pulito, sempre terribilmente elegante e sofisticato. Aveva però la più brutta abitudine che Rachel potesse immaginare: era un mammone. Ogni volta che uscivano, Daniel riceveva come minimo due telefonate: una per sapere se era arrivato sano e salvo, l'altra per informarlo che era ora di tornare a casa. Daniel aveva superato i trent'anni, ma viveva ancora con la madre. Era questo motivo per cui aveva sempre la camicia stirata a dovere, il pantalone con la piega perfetta e la giacca tirata a lucido.
Daniel voleva molto bene a sua madre. Anzi, per essere precisi lui la venerava. Rachel non capiva come potesse adorarla così tanto. Lei la trovava assillante, e non l'aveva mai nemmeno vista!
Daniel era avvocato. Aveva studiato una vita, e adesso cercava di farsi strada in quel mondo di pescecani supportato dalla madre. E questo era uno dei due argomenti di cui Daniel riuscisse a parlare con Rachel. L'altro era ciò che sua madre pensava di Rachel. Come lei aveva capito quasi immediatamente, la suddetta madre non la apprezzava minimamente. Daniel, dal canto suo, spesso sembrava dimenticarsi di filtrare le informazioni dal cervello alla bocca, col risultato di ripetere le esatte, e poco lusinghiere parole che la propria madre aveva detto su Rachel.
Lei aveva cercato di essere paziente. Di capire che non tutti hanno un rapporto sano coi genitori, che forse Daniel avrebbe potuto migliorare.
- Rachel, non dovresti mangiare gli spaghetti. - le aveva detto una sera a cena. - Mamma dice sempre che la pasta fa ingrassare! Che ne diresti di un'insalata? - Rachel aveva sospirato, e con estrema calma aveva risposto
- Daniel, questa cosa non può funzionare. Le relazioni a tre non mi entusiasmano. - lui non aveva capito subito chi fosse il terzo, e infatti aveva fissato Rachel con sorpresa, con l'espressione di un pesce lesso, a voler essere precisi. - Tua madre, Daniel. Tua madre è il terzo, in questa relazione. Ed è per questo che ho deciso che vi lascio da soli. - e detto questo l'aveva piantato lì e se ne era tornata a casa. Non aveva alcuna intenzione di sentire l'ennesimo "Mia madre pensa che...".
Ma prima ancora di Daniel c'era stato Alcide.
Alcide era un culturista. L'uomo ideale per le estimatrici dei pettorali perfetti e dei glutei sodi. E a Rachel non dispiaceva di certo un ragazzone simile, dato che era una vera gioia per gli occhi. Alcide amava molto allenarsi. Quasi troppo, e Rachel si trovò ben presto nella sgradita situazione di dover andare in palestra e guardarlo sollevare pesi per delle ore. Quando Rachel aveva smesso di seguire i suoi allenamenti, la loro storia si era conclusa così. Lui non se ne era nemmeno accorto. Come aveva detto a Tiffany, la loro storia era morta di morte naturale.
E adesso Rachel se ne stava seduta ad un tavolo con davanti un certo Jerry tutto intento a parlare del Mercato Azionario di non-mi-ricordo-cosa. La fortuna era che Jerry, quella sera, era l'accompagnatore di Tiffany. Rachel aveva dovuto accontentarsi di Samuel. Era un tipo carino, se si riusciva a passar sopra alla sua risata stridula. Non aveva ancora capito che cosa facesse Samuel per vivere, mentre aveva capito fin troppo bene che cosa faceva Jerry, ed era di una noia mortale.
Si concesse uno sguardo all'orologio e pensò che aveva appena saltato la visita serale del suo adorato paziente. Chissà che cosa sarebbe successo se il suo capo lo avesse scoperto. Poi, con una scrollata di spalle tornò a far finta di seguire il discorso di Jerry.

Thomas Haynes stava scrivendo, e freneticamente, aggiungerei. Dopo essersi assicurato che Rachel se ne fosse davvero andata, richiamò il Green Tower e si fece mandare un'altra bistecca. Questa volta si assicurò che avessero anche il numero di stanza corretto. Aveva finalmente potuto cenare in santa pace, con un piatto decente e dell'ottimo vino. Rinfrancato nello spirito e nel corpo, come si compiaceva di dire sempre suo padre dopo una sana bevuta, era tornato a scrivere.
La scena gli era chiara nella mente: il suo protagonista, che aveva deciso di chiamare Thomas in un momento di autocelebrazione egocentrica, era stato catturato da cinque spie russe, e adesso veniva tenuto prigioniero in una cella per metà interrata, con delle grosse sbarre di ferro e un'unica finestra. Finestra che era, ovviamente, rotta e da cui penetrava il terribile gelo dell'inverno russo.
Il fatto che Thomas avesse allegramente ignorato l'istantanea ipotermia che questo avrebbe causato al suo personaggio, lo portò a scrivere qualcosa di assolutamente impossibile in termini reali. Ma, si disse poi, chi diavolo andava a cercare la realtà nei romanzi d'azione?
Soddisfatto delle idee ben chiare che aveva in mente, Haynes si trovò a scrivere per gran parte della notte, arrivando ad addormentarsi solo verso le quattro e mezza del mattino, col portatile ancora appoggiato sulle gambe e un gran sorriso ad illuminargli il volto.
Fu Rachel a ritrovarlo così, verso le otto. Era corsa in ospedale sentendosi terribilmente in colpa per come stava trascurando il suo lavoro e di come fosse stata poco professionale, ed ecco che invece si trovava il suo detestabile paziente addormentato come un angioletto. Spostò con delicatezza il portatile, prima di accorgersi dei resti della cena di Haynes. Quella carogna se ne era fatto portare un'altra!
Stava per svegliarlo, così, tanto per fargli un dispetto, quando una vocina interiore la fermò.
- Sei proprio sicura, - diceva la vocina - di volerlo svegliare e poi sorbirtelo per tutta la giornata? - e Rachel decretò che la sua vocina era molto, molto intelligente ed arguta.
Se ne tornò quindi nella saletta e si concesse un caffè bollente. Lillian entrò giusto in quel momento, l'aria affaticata e due occhiaie che toccavano terra.
- Sei splendida oggi. - le fece notare sarcasticamente Rachel.
- Si nota così tanto? - domandò Lillian di rimando, fiondandosi in bagno per guardarsi allo specchio.
- Giusto un po'.
- Sembro uno zombie, - si lamentò l'altra - Rachel, dammi retta! Quando ti dicono quanto è bello avere dei figli, tu non credere ad una sola sillaba!
- Non ti preoccupare, il mio istinto materno è decisamente sottosviluppato.
- Come va con Haynes? - domandò poi Lillian, versandosi una generosa dose di caffè.
- Non l'ho ancora ucciso. Anche se ho provato ad avvelenarlo. - le confidò Rachel sottovoce, e le raccontò della bella cena che gli aveva portato.
- Alle volte sei un genio, Rachel. Dico davvero. Hai mai pensato di tenerlo sotto sedativi per renderlo più tranquillo?
- Non funziona, è una delle prime cose che ho fatto, ma quella carogna ha una strana resistenza a qualsiasi tranquillante o sonnifero. - sospirò Rachel affranta. - Però adesso sta dormendo tranquillo, e non vado di certo a svegliarlo per i controlli. Che dorma tutto il tempo che vuole, così io me ne posso star qui tranquilla.
- Io invece devo andare, ho almeno cinque pazienti da controllare prima che si faccia troppo tardi. A dopo! - e uscì a passo di carica dalla saletta.
Rachel si sentiva stranamente rilassata. La giornata iniziava bene: Haynes dormiva, lei non aveva il mal di testa e non aveva nemmeno fumato una sigaretta. Stringeva fra le mani una tazza di buon caffè e nessuno avrebbe potuto turbare quel momento.
Sentì il campanello trillare, ma decise di ignorarlo: non poteva essere il suo paziente. Lui stava dormendo. Altro trillo, un altro ancora.
- Rachel! Muoviti! - la voce di Haynes. Rachel sospirò, era stato tutto troppo bello per essere vero.

Ci aveva provato. Aveva provato per ben due giorni a non parlargli più dello stretto necessario. Semplicemente non voleva dargli nulla a cui aggrapparsi per farla arrabbiare. Ma Thomas era subdolo, e aveva capito quasi subito che, se voleva farla sbottare, l'unica maniera che aveva era tartassarla sull'unico punto sensibile che aveva finora mostrato: la sua situazione di single.
- Che hai fatto di bello ieri sera, Rachel? - aveva domandato con un sorriso smagliante. Quel giorno Thomas si sentiva particolarmente magnanimo: era riuscito a scrivere ben due capitoli per il nuovo romanzo, utilizzando proprio un incidente stradale come punto di svolta. Era grazie all'incidente che il suo protagonista veniva rapito e rinchiuso in una cella fredda e tenuto a digiuno. Era soddisfatto, felice e con un sacco di idee per il continuo. Questo stato di grazia gli aveva permesso di sorridere a Rachel e cercare di fare il simpaticone.
Aveva atteso con ansia una risposta, ma niente. Rachel non dava segni di voler collaborare. Si era limitata a prendere le temperature, segnare i dati e andarsene. Il buon'umore di Thomas aveva iniziato a svanire. Quello che il suo ego spropositato non riusciva a sopportare era l'indifferenza. Sopportava benissimo gli insulti, le adulazioni e tutto quello che gli faceva capire di essere considerato. L'indifferenza no, quella non la poteva soffrire.
Senza nemmeno saperlo, Rachel era andata a toccare forse l'unico punto debole di Thomas, ma era troppo concentrata ad ignorare le sue frecciate per rendersene conto.
Dal canto suo Thomas stava rimuginando su come far sbottare Rachel con una sola, unica frase. Di solito aveva bisogno di un piccolo "botta e risposta" per poter dare il meglio di sé, ma in questa situazione lei non gli dava corda per farlo. E ciò, concluse lui, era terribilmente irritante.
Se lei si era dimostrata così riottosa ed imbarazzata a parlare di del suo status di single, avrebbe potuto dire qualcosa su quell'argomento: il problema era che doveva renderlo abbastanza volgare e insinuante da farla andare su tutte le furie. Ma non poteva essere semplicemente volgare! Non era decisamente nel suo stile attaccarla solo a male parole, e poi, sospettava che non avrebbe ottenuto alcun effetto nel prenderla così di petto.
Si attaccò al campanello, deciso più che mai a non essere ignorato così platealmente da Rachel.
- Ha bisogno di qualcosa? -
- Sì! - esclamò lui con entusiasmo - Ho sentito un succoso pettegolezzo, e vorrei che tu me ne dessi conferma. - spiegò poi con sussiego, andando a colpire la curiosità di Rachel.
- Sentiamo. - si limitò a rispondere lei, con le braccia incrociate al petto.
- Ho sentito due inservienti che parlavano qua fuori di un'infermiera del reparto che ieri si è data alla pazza gioia nella saletta infermieri, divertendosi così tanto da svegliare un paio di pazienti. Non è che per caso... eri tu? - il sorriso smagliante di Thomas si allargò ancor di più sull'ultima sillaba. Rachel lo osservò con gli occhi sgranati per una manciata di secondi, cercando inutilmente di metabolizzare ciò che le aveva appena detto. Aprì la bocca. La richiuse. Una vocina le diceva di contare fino a dieci, cento, mille se necessario, ed andarsene con una calma invidiabile.
Ma mentre quella vocina ancora spiegava come Rachel dovesse comportarsi, la bocca della donna aveva iniziato a sputare coloriti insulti ad Haynes, coperti solo dal rumore della porta sbattuta e dai passi frettosoli della stessa che correva verso la saletta infermieri per prendersi una intera scatola di Valium.

Thomas, nel frattempo, stava ghignando come un matto, soddisfatto della sua trovata. Stava ancora gongolando quando qualcuno bussò alla sua porta.
- Rachel! Da quando sei così formale da bussare? - domandò garrulo, sicuro di non dover ricevere visite da nessun altro al di fuori di lei.
- Sono contento di aver cambiato nome e sesso. - replicò una voce profonda.
- Oh, ma sei tu. Perché sei qui? - domandò annoiato Thomas, ripescando il computer dal comodino e tornando a scorrere le pagine che aveva scritto.
- Ha mangiato pane e simpatia a colazione? - questa volta era una voce femminile. E non quella di Rachel. Per un motivo ignoto questa considerazione lo mandò in bestia.
- Da quando in qua ti porti in giro un soprammobile parlante, Jack?
- Non sono un soprammobile! - protestò acuta la vocetta femminile. Thomas le concesse un breve sguardo. Capì il perché del divorzio di Jackob.
- Oh, scusa, non avevo afferrato che fossi una bambola gonfiabile. - precisò caustico Thomas. - Però è un modello carino, dove l'hai pescata? Ad una rivendita dell'usato? - Jackob intuì vagamente che tutto quell'astio ingiustificato verso Janet poteva essere una strana forma di gelosia, ma quel pensiero non lo consolò minimamente. Lei, nel frattempo, se n'era andata sbattendo la porta e dicendo a Jackob qualcosa che somigliava molto ad un "ti aspetto al bar qui sotto."
- Thomas, ti prego! Non pretendo che tu sia gentile, ma per lo meno educato.
- Figurati se quel manichino possiede il minimo sindacale di neuroni necessari per comprendermi! - fu la secca risposta dello scrittore, che continuava imperterrito a fissare il monitor del computer. Janet proprio non gli piaceva. A dire il vero la maggior parte, se non la totalità del genere umano, non gli piaceva.
Però c'erano vari livelli in questo disgusto diffuso che Thomas provava. Rachel, ad esempio era una donna irritante, ma con cui si poteva avere un sano dibattito di insulti e frecciate. Una degna avversaria, secondo Thomas, una che ti avrebbe sempre e comunque pugnalato al petto, e mai alle spalle.
Jackob era un brav'uomo, se si tralasciava il fatto che per una gonnella si sarebbe venduto anche l'anima e che spesso era troppo buono, secondo gli standard di Thomas.
Ma le persone come Janet... quelle no. Thomas le inquadrava subito: troppo stupide, o troppo superficiali. Spesso e volentieri interessate solamente al conto corrente del povero pirla che concupivano con sguardi languidi e parole dolci. Thomas le sapeva riconoscere, quelle persone. Essere ricco abbastanza da potersi permettere ciò che si permetteva lui attirava rigorosamente anche le sanguisughe. Di norma la sanguisuga ha un aspetto piacevole, un modo di parlare elegante ed è affascinante. Inizia tutto quasi per caso, un drink, una cena, una notte di passione.
E improvvisamente ti ritrovi con una donna possessiva, gelosa e soprattutto spendacciona, che ti chiede la tua American Express Platino per comperarsi l'ultimo gioiello di Cartier.
Una ragazza aveva tentato quel trucchetto molti anni prima, proprio con lui. Si era dimostrata gentile e timida, con le guance rosse e un sorriso adorabile. Si era avvicinata a Thomas con una scusa qualsiasi e aveva attaccato bottone. Era giovane, allora, e si era lasciato incantare dagli occhioni verdi. Per questo ci rimase di sasso quando la fanciulla gli chiese se potesse avere la sua merendina. Lui aveva annuito inebetito e gliela aveva porta, troppo preso dalle trecce bionde di lei per capire che cosa stesse succedendo. Agguantata la merendina lei era sparita. Salvo ripresentarsi il giorno dopo per riscuotere il dolcetto che lei sentiva le fosse dovuto.
Thomas era solo alle elementari, ma aveva capito benissimo una cosa: le donne da lui volevano solo beni materiali. Fosse il dolcetto della ricreazione, o la sua American Express Platino.
Jackob nel frattempo gli stava raccontando di come avesse conosciuto Janet ad una festa, e di come lei fosse splendida, carina, affascinante... proprio come quella bambina delle elementari, rifletté Thomas.
- Sai, Jackob, credo che fra non molto tu ti ritroverai a dover difendere i tuoi soldi sia da tua moglie, che da Janet. - frecciò lo scrittore con indifferenza, continuando a fissare ostinatamente il monitor del portatile. Si stava chiedendo con che coraggio Jackob avesse portato al suo capezzale quell'ochetta da quattro soldi, stava appunto per inveire contro l'amico, quando questi gli disse una cosa che lo spiazzò.
- Da Janet? Non dire sciocchezze, lei possiede un'azienda tutta sua, non le mancano di certo i soldi!
- Non sapevo fossi sul lastrico, Jackob. Avresti potuto avvisarmi, ti avrei sicuramente assunto come mio autista per aiutarti. - rispose acido, chiudendo il portatile. Le cose si facevano interessanti.
- Se tu mi avessi ascoltato, in questo periodo, sapresti che mia moglie mi sta lasciando in mutande, e le mutande se le stanno prendendo i miei avvocati. - si inalberò finalmente Jack, stufo marcio di essere ignorato.
- Di quanto hai bisogno? Non serve che tu faccia il gigolò in giro, ti posso sempre fare un prestito.
- Il problema non sono i soldi, Thomas! - sbottò - E comunque a me Janet piace! Sa come divertirsi, e al momento è questo ciò di cui ho bisogno: distrarmi! Lo sai come la chiamano? La signorina Bellavita. - Thomas restò a bocca aperta. Bellavita, aveva detto, e il soprannome gli suonava familiare.
- Bellavita, hai detto?
- Mhh - mugugnò in risposta Jackob.
- Tu, oh emerito imbecille, ti sei preso una sbandata per Janet Wierner? - domandò ancora, incredulo.
- Spiegami l'imbecille... anzi, no! Non mi interessa. Sai che ti dico, Thomas, che mi sono rotto di star dietro alle tue cazzate! - e per la prima volta in vita sua, Jackob sbatté una porta in faccia a Thomas Haynes.

Thomas non l'avrebbe mai ammesso ad anima viva, ma stimava Jackob, lo conosceva da molti anni ed era sempre stato un buon amico. Si erano conosciuti per caso, presentati dall'ex moglie di Jackob, che al tempo era una responsabile della casa editrice per cui Thomas stava iniziando a pubblicare i suoi primi romanzi.
Benché non fosse ancora uno scrittore famoso, Thomas aveva già assunto quel comportamento misantropo ed arrogante che peggiorò con gli anni e con la fama. Jackob aveva creduto che fosse tutta una specie di corazza per proteggersi dagli squali che circolavano nell'ambiente dell'editoria, e aveva provato a scavare un po' più a fondo nel carattere di Thomas. Non che avesse ricavato chissà cosa, ma aveva scoperto un uomo brillante e sagace, con cui non era poi così spiacevole passare il proprio tempo.
Nessuno, né prima, né dopo, si era preso la briga di fare lo stesso, e Thomas si era fatto la reputazione che tutti ben conoscevano. E così andava bene sia a Jackob, sia a Thomas. Jackob non aveva grandi pretese verso i propri amici: una birra ogni tanto, quattro chiacchiere quando capitava erano più che sufficienti. Benché fosse un tipo più aperto e simpatico di Thomas, Jackob non riusciva a rinunciare alla sua privacy, cosa che aveva fatto naufragare il matrimonio, assieme ovviamente alla propensione dell'uomo a osservare ogni bella ragazza che passasse a tiro.
Jack non aveva mai litigato con Thomas, sapeva fin quanto poteva tirare la corda, e sapeva quando era meglio lasciarlo stare. Lo scrittore, dal canto suo, cercava di compensare i momenti in cui si comportava in maniera davvero orribile - come in quel momento- con un barilotto di birra e discorsi prettamente maschili.
Ma essendo in ospedale, e non potendo ricorrere all'alcool, Thomas si trovava spiazzato. Non gli piaceva per nulla il tono esasperato di Jackob, e soprattutto non amava essere ignorato. Una porta sbattuta in faccia dall'unico amico che aveva, gli aveva fatto più male di quel che pensasse.
Doveva escogitare qualcosa, e alla svelta, per cui si attaccò al campanello. Aveva assoluto bisogno di un complice, e chi meglio di Rachel poteva aiutarlo? Lei comparve quasi istantaneamente, probabilmente attirata dal baccano che lui e Jackob avevano creato.
- Mi dica, signor Haynes. - disse cortese.
- Rachel, lo so che stavi origliando, non fare la finta tonta. Ma adesso mi servi! Mi occorre un piano. - esclamò concitato il paziente.
- Non stavo origliando! - protestò lei, arrossendo per l'imbarazzo di sapere di stare a mentire più che spudoratamente.
- Sì, ok, saltiamo la parte in cui ti affermi innocente, io ti sbugiardo e tu confessi, eh? - quando Thomas era agitato, notò Rachel, perdeva gran parte della sua dialettica. - Mi serve un favore, Rachel. Ma non per me... se quell'idiota di Jakcob ragionasse con i neuroni, e non con gli ormoni, non ne avrei bisogno. - Rachel si trattene dal dirgli che tutta la sua solidarietà andava a Jackob, dato il modo in cui era stato trattato.
- No! Signor Haynes non ci pensi nemmeno, io non voglio entrare in questa faccenda...
- Nemmeno se questo ti portasse ai festini più esclusivi di tutta la Florida? - insinuò lui malizioso.
- Festini? Ma per favore, odio quel genere di feste, se davvero ci tenessi a parteciparvi, un modo l'avrei trovato già da tempo!
- Dimmi il tuo prezzo, Rachel, e io potrò pagarlo. - propose lui, sull'orlo della disperazione, non poteva attuare nessun piano sdraiato inerme in un letto di ospedale. Meno che meno riconciliarsi con Jackob: le scuse, ovviamente, non erano nemmeno prese in considerazione.
- Una casa con piscina idromassaggio e una Maserati. - esclamò lei con un sorriso, convinta di averlo incastrato.
- Va bene, ho una Maserati praticamente mai usata in garage, e una casa al mare con piscina idromassaggio e un campo da tennis. Puoi soprassedere sulla Maserati usata in cambio del campo da tennis? - il tono di urgenza nella sua voce aveva raggiunto livelli preoccupanti.
- Ma, signor Haynes, stavo scherzando... non la voglio la Maserati... - tentò di rimediare lei.
- Rachel! Non farmi perdere tempo! - Thomas non sapeva più dove sbattere la testa, l'unica persona che si fosse guadagnata un briciolo del suo rispetto, oltre a Jackob, era Rachel, e al momento non sembrava molto collaborativa. - Ci metteremo d'accordo sul compenso a storia finita. Ora, però, ho davvero bisogno che tu mi faccia un favore. Ho bisogno che tu seduca Jackob! -

Angolino recensioni:

Kunimitsu: Mi prosto col capo coperto di cenere e invoco perdono, sono sparita per un sacco di mesi e me ne dispiaccio. Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Da adesso fino alla fine la storia prenderà un po' una piega diversa. Dato che le situazioni in un ambiente ristretto come l'ospedale iniziano a mancarmi, ho deciso di ampliare la storia e inserire i personaggi secondari che avevo creato in precedenza. Thomas e Rachel resteranno comunque i principali, ma spero che questo cambiamento non ti spiaccia troppo.
Per la bistecca: sono tornata a casa dal Lucca Comics, dove ho potuto mangiare una fiorentina coi controfiocchi, e mi è venuto spontaneo associare i miei gusti culinari a quelli di Thomas!
Sul fatto di essere una lagna è vero, l'ho esagerato, ma so per esperienza personale che il cibo dell'ospedale spesso è davvero terribile, spesso insipido. E io mi lamentavo anche peggio di Thomas, ma essendo piccina (e non esistendo ancora i cellulari, all'epoca), non potevo ordinare i pasti in ristoranti esterni, e mi dovevo accontentare.

Eugeal: Che bello! Una nuova recensitr... recensor... una nuova persona che mi lascia una recensione! (Mi vergogno ad ammetterlo, ma ho sempre forti dubbi sul femminile di recensore.) Sono felice che il capitolo sia risultato abbastanza frizzante. Dato che è rimasto per mesi mezzo incompiuto sul mio desktop, aveva iniziato a puzzarmi di stantio, e non ero per nulla sicura della sua validità. Spero che anche questo sia di tuo gradimento.

Angolino autrice:
Ho buttato giù una trama provvisoria, e dovrebbero mancare ancora 4 capitoli, più un piccolo epilogo. Sempre che non mi venga qualche geniale idea, o che la trama che ho stilato non mi appaia orrida quando la trascriverò interamente (cosa che, ahimé, succede sempre!)
Avendo le idee chiare in testa non dovrebbe essere troppo problematico scrivere i capitoli, ma il blocco è proprio dietro l'angolo, e la mancanza di tempo mi soffia sul collo.
Non vorrei dare false speranze a voi poveri martiri che seguite questa storia dall'esistenza travagliata, ma spero di tutto cuore di riuscire a scrivere un capitolo al mese. Sono più che intenzionata a portare a termine almeno questa storia, quindi costi quel che costi ce la farò!
Al prossimo capitolo!


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Capitolo 9
*** Proposta indecente! ***


Proposta indecente!

- Io dovrei fare... cosa?! - lo sguardo vacuo di Rachel preoccupò non poco Thomas. Non gli sembrava di averle chiesto qualcosa di così complicato da capire.
- Devi sedurre Jackob. - scandì con tranquillità.
- Signor Haynes, lei crede forse di trovarsi in qualche suo libro, dove può chiedere una cosa simile con una tale naturalezza? - replicò l'infermiera in tono calmo. Doveva trattenersi. Lo aveva insultato poco prima e si era sfogata per tutti gli arretrati, ma adesso doveva restare calma e capire dove lui volesse andare a parare con quell'assurda proposta. Anche perché se si fosse comportata come desiderava si sarebbe trovata solamente ad allungare la permanenza di Haynes alla clinica, e lei non ci teneva proprio ad accudirlo per più tempo del dovuto.
- Oh! Cosa ci sarebbe di tanto strano? Jackob si è preso una sbandata per una donna inadatta a lui, anzi inadatta al novanta per cento della popolazione maschile presente sul pianeta. Ti sto chiedendo di fare in modo che lui si ravveda e la dimentichi in tempi brevissimi. Non serve mica che te lo porti all'altare! - esclamò poi, come se questo risolvesse tutto.
- Be', certo, se dovessi sposarmelo non basterebbero più la maserati e la casa con piscina e campo da tennis come compenso. - si trovò a rispondere lei sarcastica, sbuffando.
- Mi deludi, Rachel, anche tu sei interessata solo ai miei possedimenti! Che tristezza. - replicò lui falsamente addolorato, tenendosi una mano sul cuore in un gesto che definire teatrale sarebbe stato un eufemismo.
- Signor Haynes, davvero le sembra una richiesta normale? - lui parve rifletterci sopra, tornando serio e lasciando da parte le buffonate di poco prima.
- Non è una richiesta comune, me ne rendo conto senza che tu me lo faccia notare, ma vedi altri modi per risolvere questa spiacevole situazione?
- Ad essere sincera ne vedo almeno due, e non mi sono nemmeno sforzata troppo per trovarli. Lei chiede scusa a Jackob per come si è comportato...
- Impossibile. Io non chiedo scusa a nessuno. Soprattutto quando so di avere ragione... - disse lapidario lui scuotendo la testa.
- Dicevo, lei chiede scusa a Jackob e gli spiega le sue perplessità su questa donna. Se gliele spiega con calma e senza sarcasmi sono sicura che lui capirà perché lei è preoccupato. Certo, se lei parte a testa bassa e inizia a offendere la nuova compagna del suo amico, lui non le darà mai retta e resterà sempre sulla difensiva.
- Oppure?
- Oppure trova un modo per scoprire se questa donna è davvero così inadatta al suo amico. Con tutti i libri di spionaggio che ha scritto, avrà di sicuro qualche idea su come ottenere queste informazioni. - concluse Rachel.
- Giusto! Ottima idea. Rachel, devi diventare amica di Janet Wierner! - esclamò Thomas gioioso.
- Com'è che in una maniera o nell'altra io mi ritrovo sempre ad essere coinvolta? - il tono con lo domandò pareva genuinamente sorpreso.
- A chi potrei chiederlo? Non ho alcuna intenzione di assoldare detective privati o simili, sono tipi infidi in cui non ripongo la minima fiducia. Mercenari e nulla di più, arriverei ad usarli solo se Jackob fosse un mio avversario.
- Sono davvero lusingata che lei si fidi di me... - frecciò Rachel sarcastica.
- Non mi fido di te. - puntualizzò lo scrittore - Ma non voglio coinvolgere perfetti estranei nella vita di Jackob, non se lo merita. Estranei prezzolati che potrebbero rivendersi le informazioni che raccolgono. Sono sicuro che tu non lo faresti. Lavori in una clinica per VIP! Se tu comportassi in questa maniera, ti avrebbero già licenziata da tempo. Inoltre l'offerta della casa e della maserati resta sempre valida. - concluse con un ghigno sardonico.
Il fatto che Thomas avesse così timore degli investigatori privati fece pensare a Rachel che avesse avuto delle brutte esperienze, e quindi si stupì degli scrupoli di Thomas. Doveva provare un grande rispetto per Jackob, se arrivava a preoccuparsi di certe cose, e Thomas sembrava quel tipo di persona capace di preoccuparsi solo ed esclusivamente di se stesso.
Poi, un lampo di comprensione le illuminò le idee.
- Quella Janet Wierner? - chiese dubbiosa.
- In che senso? - domandò Thomas senza capire.
- Quella delle vetrerie Wierner? - puntualizzò l'infermiera
- Sì, certo, lei. Ne conosci altre, per caso?
- No, è che ho sentito cose poco...
- Lei è una sanguisuga. - sentenziò Thomas - Questo è quello che mi preoccupa. Jackob di solito le riconosce al volo, ma questa volta si vede che lui è troppo distratto da altri problemi per accorgersene.
- Signor Haynes, io credo che sia meglio che lei parli con Jackob, fargliela alle spalle significherebbe farlo arrabbiare solo di più.
- Jackob è abituato alle mie intromissioni, si aspetterà di certo una mia mossa. E poi non mi sembra il caso di farmi prendere da stupidi scrupoli morali, non ne ho mai avuti in vita mia, perché dovrei iniziare adesso? - ghignò cinicamente.
- Lei potrà non avere alcuna remora, ma grazie al cielo non siamo per nulla simili. - gli fece notare Rachel prima di andarsene.
- Rachel! - le urlò dietro lui - Ci pensi e mi faccia sapere. Se non lo farà lei, troverò sicuramente qualcun altro che accetterà la maserati per farlo. - e detto questo lo sentì tornare a digitare al computer.

Rachel non aveva mai avuto grossi dubbi su cosa fosse sicuramente sbagliato. Certo, a volte succedeva che ignorasse la voce della sua coscienza ed agisse volutamente male, come con la cena del signor Haynes qualche giorno prima, ma non le era mai capitato di pensare di aver fatto bene.
Ora, però, non sapeva bene cosa fare. Conosceva la reputazione che si era fatta Janet Wierner, e non le piaceva per nulla. Il fratello di Janet, lavorando come autista di ambulanze per i vigili del fuoco, passava spesso in ospedale per portare pazienti più o meno gravi ed era anche lo stesso che aveva recapitato quella piaga di Haynes.
In quindici anni di lavoro le era capitato di berci un caffé assieme, e chissà come il discorso andava a parare irrimediabilmente sulla sorella Janet. Per mesi si era lamentato della brutta figura fatta dalla sorella che era arrivata a farsi regalare un'auto da un suo spasimante decisamente ricco, per poi piantarlo per il giardiniere, un giovanotto di bell'aspetto e prestante. La cosa peggiore, secondo Brandon, era che Janet se ne fosse persino vantata con lui, dicendo che certi uomini erano davvero disposti a tutto pur di averla.
I pettegolezzi in ospedale, poi, riportavano sempre con dovizia di particolari le avventure di Janet, e di altre donne altrettanto famose. Quando Rachel sentiva parlare di quella donna, la associava immediatamente a quel telefilm di cui aveva visto solo qualche puntata costretta da Tiffany "Desperate Housewives " o qualcosa di simile.
Intorno alla figura di Janet Wierner aleggiava una foschia torbita, da cui era difficile estrarre la persona vera e i pettegolezzi nati intorno a lei. In certi pettegolezzi sembrava una donna algida e priva di scrupoli: prontissima a vendersi la madre per arrivare al suo scopo. In altri sembrava invece una ragazzina che ancora non ha capito come comportarsi, che faceva quel che faceva senza tutta quella malizia e premeditazione di cui la si accusava.
Però, anche se Janet non era in cima alla lista di simpatie di Rachel, non era comunque un buon motivo per buttarsi in mezzo ad una situazione simile. Lei se lo sentiva che era sbagliato. Che se ne sarebbe stata molto più al sicuro se avesse ignorato tutto e avesse continuato con la sua vita. In fondo aveva già i suoi bei problemi a cui pensare... e se non fosse stata terribilmente curiosa, magari Rachel lo averebbe anche fatto.
Il problema della curiosità era un problema che la affliggeva da molto, molto tempo. A Rachel interessava ficcanasare ovunque. Non le interessava il potere che derivava dal sapere determinati pettegolezzi, lei voleva solamente sapere cosa succedeva alle persone intorno a lei. Infatti il gossip di personaggi famosi la annoiava a morte, ma sapere che cosa fosse successo fra i suoi colleghi riusciva a diventarle un'ossessione.
Perché quel dottore è stato licenziato? Perché quell'infermiera arriva sempre in anticipo e se ne va sempre molto dopo che è finito il suo turno?
Tutte piccolezze a cui Rachel agognava di dare una spiegazione. Per questo motivo la proposta di Thomas, benché fosse chiaramente e indiscutibilmente sbagliata, la attirava come una mosca al miele. Non riusciva a togliersi dalla testa che avrebbe potuto scoprire un sacco di cose interessanti su Janet, su Thomas e su Jackob!

Thomas, dal canto suo, stava già pensando a strategie alternative nel caso in cui Rachel non avesse accettato la sua proposta. Gli dispiaceva che Jackob si fosse lasciato raggirare in maniera così semplice. Certo, con la causa di divorzio in corso il suo amico aveva bisogno di distrarsi, ed essere immobilizzato in un letto d'ospedale non aiutava certo Thomas ad essere presente per Jackob. Già normalmente non era molto interessato ai problemi dell'amico se non coincidevano con i suoi, o se non erano particolarmente interessanti per svilupparci una trama sopra.
Arrivò a pensare seriamente di chiamarlo e di scusarsi, prima di cassare l'idea come "assolutamente impossibile!"
E mentre ragionava su tutta la situazione, si era reso conto di avere fra le mani una trama meravigliosa per il prossimo libro del suo alter-ego Angela Ferguson.
Il personaggio ispirato a Rachel sarebbe dovuta essere un'infermiera molto più giovane e dal nome più dolce: Lyla, o Betty, o qualcosa del genere. Poi avrebbe fuso la sua figura e quella di Jackob nel protagonista maschile. Il poveretto abbagliato dall'arpia mangiauomini sarebbe anche stato lo stesso ricoverato all'ospedale a causa di un incidente. Lì avrebbe incontrato la giovane e premurosa infermiera che gli avrebbe fatto capire cosa significa essere veramente amati. Trama lineare, semplice, con pochi fronzoli. Giusto qualche vendetta da parte dell'antagonista. Doveva trovare anche un nome per l'arpia, qualcosa che suonasse come il nome di una matrigna cattiva. Per il momento non gli venne in mente nulla di che. Tralasciò la ricerca del nome e si concentrò su altri dettagli.
Voleva scriverlo in prima persona, con gli occhi della protagonista. L'inizio doveva essere abbastanza banale e quasi scialbo, un qualcosa che suonasse come "Era un normale giorno di lavoro per me, non sapevo che di lì a poche ore la mia vita sarebbe stata completamente stravolta, e avrei incontrato una persona speciale."
Thomas chiuse gli occhi per concentrarsi meglio, e visualizzare i personaggi che si muovevano e interagivano fra loro. Non voleva descriverli troppo stereotipati. La mangiauomini doveva sembrare simpatica per i primi capitoli, solo dopo doveva esserci una "grande rivelazione" che sconvolgesse tutto.
Ed ovviamente il protagonista maschile doveva essere l'incarnazione di ciò che le sue lettrici volevano in un uomo. Doveva puntare sul loro istinto di crocerossine, che le avrebbe portate ad immedesimarsi con la protagonista e non con l'altra. Voleva fare in modo che le sue lettrici si trovassero a desiderare di curare con le loro mani il protagonista, un uomo leggermente cupo, ma con una grande sensibilità di fondo. Doveva renderlo simpatico al suo pubblico: era un uomo sfortunato, con una figlia! Oh, questo avrebbe fatto andare in brodo di giuggiole le sue lettrici! E chiaramente la madre di questa bambina era morta. Di parto. Sì, ci stava. E poi arriva la mangiauomini, e la bambina viene trascurata.
La sua protagonista ama i bambini, come potrebbe essere altrimenti? Mentre la mangiauomini li detesta. Thomas aveva già in mente il finale della storia. Se lo sentiva che sarebbe stato un libro decisamente apprezzato!
Ed era anche un ottimo metodo per distrarsi dal libro più impegnativo che stava scrivendo. Inoltre per scrivere il seguito de "Le cento notti" aveva bisogno di una documentazione seria. Quel libricino per casalinghe, invece, poteva benissimo scriverlo mentre era in ospedale.
Pregustando già i meravigliosi incassi che avrebbe fatto, si mise a scrivere velocemente.
Non si preoccupò di utilizzare i nomi definitivi, ed ogni volta che aveva bisogno di scriverli si limitava a mettere i suoi nomi da canovaccio, o nomi provvisori.
Era una pratica che aveva iniziato ad usare sin dagli inizi: spesso aveva delle belle idee, delle trame complesse ed interessanti, che però rischiavano di arenarsi su dettagli come i nomi di persona o località. Aveva risolto questo problema usando dei nomi provvisori. Era una piccola lista di nomi comunissimi che usava quando si trovata in difficoltà, ad esempio: Jenny era il nome che usava per le sue protagoniste non ancora battezzate. Tom per i protagonisti maschili.
Era sicuro che, nello scrivere il romanzo, sicuramente avrebbe trovato il nome perfetto. L'illuminazione sarebbe arrivata prima o poi. Ma fino al momento in cui quel nome perfetto non si palesava, lui continuava ad usare i suoi nomi da canovaccio. Aveva bisogno di scrivere per farsi venire in mente altre idee, altre situazioni per rendere il romanzo più corposo.
Si ricordò di quando stava scrivendo "Il canto del Corallo", il romanzo era praticamente finito, ma all'ultimo momento aveva deciso di inserire un personaggio marginale come nuova complicazione fra la coppia di protagonisti, e solo perché aveva scoperto che Jackob aveva tradito la moglie con una ragazzetta ingenua e un po' stupida, che gli aveva ricordato molto la sua protagonista.

Quella sera, mentre Rachel si preparava la cena, le tornarono alla mente le parole di Thomas, su quanto Janet fosse potenzialmente pericolosa. Rachel aveva sentito solo alcune volte il fratello Brandon lamentarsene, ma ricordava che Tiffany ci era uscita con Brandon, qualche volta, anche se la cosa non era mai stata ufficializzata. Anzi, le sembrava di ricordare che qualche volta ancora si vedessero per bere qualcosa assieme. Cenò con quel tarlo che lavorava infido nella sua testa, e alla fine cedette alla curiosità, alzò la cornetta del telefono e digitò il numero di Tiffany. Mentre aspettava che la cugina le rispondesse, afferrò il pacchetto di biscotti che teneva sempre vicino al divano e ne divorò uno.
Tiffany rispose proprio mentre Rachel aveva la bocca piena.
- Pronto?
- Unghh. - Riuscì a rispondere Rachel rischiando di soffocarsi.
- Oh, Rachel, è sempre un piacere quando mi chiami con la bocca piena. Sei sempre un esempio di raffinatezza sublime. - commentò caustica Tiffany con un tono leggermente disgustato.
- Scusa Tiff. - tentò di bofonchiare Rachel - Ma volevo chiederti una cosa. Quand'è stata l'ultima volta che sei uscita con Brandon Wierner?
- Brandon? Sai che l'ho visto proprio poco tempo fa? Come mai me lo chiedi? Vuoi che organizzi un'uscita a quattro? - domandò premurosa Tiff.
- No. Mi interessava più che altro sapere di Janet...
- Janet? Cioè?
- Sì, sapere se ne ha combinata un'altra delle sue. - buttò lì Rachel distrattamente
- Non che io sappia, mi ha detto Brandon che si vede con uno pieno di soldi. La norma. Ma perché me lo chiedi? - insistette lei curiosa.
- Non so se dirtelo, non sei propriamente quel che si dice una persona discreta. - frecciò acida Rachel, pescando un altro biscotto.
- Rachel, potresti evitare di farmi sentire cosa stai mangiando? Lo trovo abbastanza fastidioso. Dai, dimmi che è successo!
- Hai presente il mio nuovo paziente?
- La Piaga?
- Sì, lui. - convenne Rachel. Il soprannome che aveva affibbiato a Thomas era semplicemente perfetto. Breve e conciso: La Piaga, con la p maiuscola.
- Ecco, credo che il tizio che Janet stia frequentando in questo momento sia un suo amico. Anzi, a naso direi che è l'unica persona che lo sopporti. Indi per cui la Piaga si sente minacciato e vuole che io indaghi. - sbuffò Rachel facendo chiaramente intendere quanto trovasse assurda l'intera faccenda.
- La cosa si fa interessante! - strillò Tiffany eccitata, gli intrighi amorosi erano la sua droga. - Senti, stasera vedo se Brandon ha voglia di uscire con me, e cerco di reperire informazioni! - annunciò poi, e senza lasciare a Rachel il tempo di obiettare qualcosa, chiuse la comunicazione e andò a prepararsi per la serata.
- Cosa ho fatto. Dio mio cosa ho fatto! Credo di aver scatenato un mostro. - si trovò a bisbigliare Rachel nella cornetta che oramai suonava a vuoto.

Angolino recensioni:

Eugeal: Eh, Rachel e l'universo maschile sono in eterno conflitto, e non è nemmeno tutta colpa della nostra infermiera. Ho riflettuto su come far reagire Rachel alla proposta, ma alla fine il suo lato curioso ha avuto la meglio su quello violento. Inoltre Rachel mi fa sapere che non ci pensa proprio ad allungare la degenza di Thomas rompendogli qualche altro osso, benché molto spesso sia tentata di farlo. Spero che anche questo capitolo sia gradevole come il precedente!

Angolino autrice:

Che fatica! Questo capitolo non sapevo proprio come concluderlo, e penso che si noti abbastanza. Cercherò di rifarmi col prossimo.
C'è anche da dire che la scaletta che ho stilato mi sta facendo ammattire, più che aiutarmi. Alla fine, in un modo o nell'altro, io la scaletta non la rispetto mai. Ho paura che come capitolo risulti un po' scarno perché alla fin fine non succede granché, però mi sono divertita moltissimo a descrivere "la nascita di un romanzo" dal punto di vista di Thomas. Quella parte che non era assolutamente preventivata, ma è una delle mie preferite di tutta la storia.
Sotto le feste è probabile che la storia subisca un ulteriore rallentamento: feste, cenoni e magari anche studiare per gli ultimi due esami che mi mancano non sarebbe un'idea malvagia.
Per fortuna ho già almeno due scene buone con cui iniziare il prossimo capitolo, quindi speriamo di farcela!
Un augurio in anticipo di buone feste!

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