rivelazioni d'estate

di amoreterno
(/viewuser.php?uid=92021)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il battibecco ***
Capitolo 2: *** la paura ***
Capitolo 3: *** la tregua ***
Capitolo 4: *** il risveglio ***
Capitolo 5: *** rivelazioni ***
Capitolo 6: *** epilogo ***



Capitolo 1
*** il battibecco ***


Voleva parlargli.
Si, voleva parlargli.
In fondo non c’era nulla di male nell’intavolare un’innocente conversazione civile.
Sarebbe andata da lui e visto, che André era tutto preso ad addestrare il nuovo castrato del padre, avrebbe potuto chiedergli come andava e se il cavallo reagiva bene ai suoi ordini. O, non so, magari chiedergli se fosse un buon cavallo…
Lui era un esperto in razze di cavalli e sapeva individuare i loro temperamenti. Comprendeva subito il carattere del cavallo e lo addestrava a seconda delle esigenze.
Gli era sempre piaciuto parlare di cavalli.
Ricordava, quando, qualche anno fa, ancora amici, come lui passasse ore intere a parlare di cavalli o come gli sarebbe piaciuto avere una stalla tutta sua e far diventare la sua passione per i cavalli un vero e proprio mestiere. Adorava addestrare cavalli e ancora più bello essere pagato per farlo. Sarebbe perfetto.
Suo padre, il generale, conscio della grande passione di André per i suoi equini, spesso gli aveva chiesto in passato consigli su quali acquisti portare a termine, e quali no. O che tipo di razze far accoppiare o altro ancora.
Ricordava ancora come André, entusiasta, rispondesse al generale con calore dandogli i suoi consigli senza troppo preoccuparsi nel contraddire il padrone su una convinzione sbagliata o poco idonea.
Aveva sempre invidiato il suo coraggio nel spiazzare il padre con un secco no, spesso mascherato da un gentile sorriso accondiscendente e spiegare il suo diniego con spiegazioni tecniche e di grande convinzione.
Ma ancora era stupita dal comportamento del genitore.
Da quando André e il generale erano stati in buoni rapporti erano successe tante cose. Tante piccole e grandi tragedie che ne avevano irrimediabilmente rovinato il rapporto.
Oscar sospirò tremante poggiando la fronte contro il portone socchiuso delle scuderie. Ripensare a quell’ultimo episodio della sua folle vita aveva sempre il potere di lasciarla senza forze. Chiuse gli occhi e cercò di frenare le lacrime che traditrici minacciavano costantemente di sgorgarle dagli occhi di zaffiro.
Ma dimenticare questa volta era impossibile. Ignorarlo era fuori discussione.
Serrò gli occhi forte ritornando con la mente a soli pochi giorni prima quando il padre, il rispettabile e onorevole generale Jarjayes aveva sancito la condanna del suo unico erede, il suo unico discendente, la sua unica speranza di essere fiero di essere padre, così come i suoi antenati, di un valoroso soldato fedele alla corona. Quel erede, quel discendente, che aveva come sola e unico torto di essere una donna. Una femmina. Una realtà che non era mai riuscito veramente a cambiare, benché ci avesse provato con tutte le sue forze.
La decisione era stata presa. La condanna ricadeva semplice e pulita sulla testa di Oscar. Quel traditore della corona, che invece di far rispettare gli ordini assoluti del Sovrano Supremo del popolo francese, ordinava ai suoi uomini di ignorare gli ordini con arroganza e prepotenza. Inutile cercar di farsi prendere dalla pietà. Dalla bontà mal riposta verso tutte quelle facce sporche e pietoso del popolo affamato e stanco dove le armi lucenti dei soldati avrebbero dovuto puntare inesorabili.
Aveva deciso di ucciderla così come meritava un prestigioso nobile servitore della Corona accusato di tradimento. Una decisione lancinante per un padre. Un padre che amava il figlio incondizionatamente a prescindere che esso sia nato di sesso maschile o femminile. Ma doveva farlo. L’onore era sempre stato più forte dell’amore di un semplice padre. Doveva uccidere il traditore.
E la spada luccicante e minacciosa era stata tanto vicina dal tranciare di netto il collo esile ed eretto di Oscar, che malgrado la minaccia di morte non aveva fatto altro che implorare per la salvezza dei suoi soldati condannati a morte per tradimento.
Poi…era stato un attimo. Un secondo e tutto era cambiato. La situazione si era capovolta.
André. Il suo André. L’uomo che lei amava con tutta se stessa l’aveva salvata. Aveva bloccato il braccio punitore del padre e lo aveva scaraventato via da lei.
Oscar aprì leggermente gli occhi umidi poggiò una guancia sul ruvido legno del portone accarezzando il legno con la stessa delicatezza che riserverebbe al viso perfetto e bellissimo di André.
André. Come suonava dolce quel nome nella sua memoria.
Quel dolce e buon amico che a discapito dell’etichetta e della buona misura aveva mandato all’aria anni e anni di perfetto servilismo e umile gratitudine per salvare lei.
Aveva minacciato il generale con la rivoltella dichiarando il suo amore per lei con un coraggio che Oscar non si sarebbe mai sognata di dimostrare al padre.
 E lei… e lei era stata solo in grado di rimanere inebetita dallo stupore e paralizzata dalla paura. Ma era rimasta ferma. Immobile. Non aveva parlato. Non aveva preso posizione. Solo confusa aveva visto come spettatrice di se stessa la scena drammatica che si stava esaurendo davanti ai suoi occhi.
Il generale che furioso ribadiva i suoi diritti di padre, ma soprattutto di far rispettare le sue convinzioni di nobile.
André che fermo e assoluto dichiarava il suo amore per Oscar. Aveva parlato senza vergogna o imbarazzo. Era stato semplice e esauriente come sempre. Pacato ed elegante anche contro la minaccia di morte. Perché aveva accettato di morire. Se non poteva sposarla sarebbe morto per lei.
“Vi prego solo di uccidere me per prima perché se così non fate mi costringerete ad assistere alla morte della donna che amo…” una frase lapidaria che come campane a morte erano risuonate sulla sua mente sconvolta.
Era solo riuscita a balbettare a mezza voce un singolo, ridicolo sussurro che, forse non venne udito da nessuno: “André…io…”
Non era riuscita a muovere un muscolo. Aveva solo guardato il viso di suo padre, che stravolto da un espressone mista tra il dolore e il rispetto per l’uomo che stava in ginocchio ai suoi piedi, aveva annuito e in un attimo aveva sollevato la spada.
Dopo non ricordava altro.
La confusione.
Le urla della nonna.
La voce imperiosa del mandante della regina.
Il perdono della regina al suo tradimento.
Il padre che felice l’aveva guardata con occhi colmi di lacrime di felicità e le aveva detto raggiante che era salva. Che non era più macchiata di tradimento.
Era salva?
Ricordava di essere stata come un automa. Rigida e insensibile al mondo che la circondava.
Solo un pensiero l’aveva retta e le avevano impedito di urlare tutta la sua frustrazione e il suo dolore. Di mandare al diavolo tutto e scappare via per sempre.
André.
Sempre e solo André.
André era salvo.
Non c’era stato più bisogno che si sacrificasse per lei.
Era vivo. E non aveva importanza altro.
Aveva sollevato lo sguardo e lo aveva guardato e il mondo le era crollato addosso. S era sentita persa e distrutta più di quanto si fosse mai sentita con il padre che la condannava a morte per mano sua.
André le aveva rivolto uno sguardo freddo e impassibile. Non un sorriso. Ne un occhiata complice. Nulla. Il suo viso era stata una maschera di ghiaccio.
Non sembrava felice. Non era sembrato nemmeno triste. Non aveva certo l’emozione indescrivibile di chi aveva scampato a morte certa.
Solo una gran delusione. Una rabbia senza nome, senza data. Ma che aveva solo un nome. Il suo.
E da allora non le aveva più rivolto la parola.
Certo, era stato sempre con lei, al suo fianco. Ma silenzioso. Distante.
Era come se fosse arrabbiato con lei. Che fosse deluso.
E come dargli torto. Non aveva mosso un muscolo per salvarlo. Quando invece lui aveva rischiato tutto per lei. La vita. La benevolenza del padrone. Il suo rispetto cosi duramente conquistato.
Ma era inutile recriminare il passato.
Doveva rimediare.
E l’occasione si era presentata benevola per lei.
Il padre inspiegabilmente, qualche giorno prima, nelle sue rare visite a casa le aveva chiesto di riferire un favore ad André da parte sua.
Oscar dapprima ne era rimasta confusa e un po’ preoccupata. Suo padre era sempre stato un tipo vendicativo e colmo di rancore  eterno contro chiunque gli facesse uno sgarbo. Oscar non aveva avuto alcun dubbio che suo padre avesse voluto scacciar via per sempre André dalle sue proprietà dopo quell’unico episodio di disubbidienza. Invece in modo del tutto inaspettato l’aveva intercettata per riferire ad André la novità del suo ultimo acquisto, un cavallo arabo imponente e prestigioso e, solo se non era di troppo disturbo, se poteva passare qualche giorno a casa Jarjayes per addestrarlo verso i più rudimentali comportamenti base per un cavallo di un gentiluomo.
Per non parlare dello stupore di André quando gli aveva riferito il tutto. Era sembrato dapprima giustamente molto sorpreso e in un secondo momento disturbato, ma ligio al dovere e ubbidiente come sempre aveva annuito senza discutere, per poi allontanarsi senza una parola.
Tutto qui. Non si erano detti nient’altro. Si erano comportati da estranei.
Due semplici, indifferenti estranei.
E adesso voleva rimediare. Voleva farlo ora, ora che ne sentiva il coraggio, perché troppe occasioni si era fatta sfuggire irrimediabilmente dalle mani.
Si,era una buona idea. Sarebbe andata da lui e gli avrebbe parlato di cavalli. Era un argomento innocuo e innocente. Lui non avrebbe continuato a usare qual tono scontroso con lei.
Voleva passare solo qualche minuto con lui. Sentiva l’estremo bisogno di sentire la sua voce vellutata rivolgersi a lei. Vedere i suoi occhi di smeraldo splendere per l’entusiasmo nel parlare della grande passione che aveva per i cavalli.
Osservarlo, guardarlo, ammirarlo.
Prendere nota di ogni più piccolo dettaglio del suo viso, delle sue spalle muscolose, delle sue braccia abbronzate, scoperte dalle maniche arrotolate. Spiare di nascosto le sue gambe fasciate dai pantaloni scuri grezzi, seguirne il percorso fino a indugiare sulle rotondità sode delle sue natiche scolpite…
Sospirò deliziata.
Solo qualche minuto. Voleva tornare a vivere solo per qualche minuto.
Non faceva nulla di male in fondo. Voleva solo parlare con lui. Fingere per qualche minuto che lui non le rivolgeva più la parola e che lei lo evitava come fosse stato un appestato a causa di quell’unica azione violenta rivolta contro di lei.
Così determinata si diresse a passo sicuro verso le scuderie.
Sbattendo le palpebre per abituare gli occhi all’oscurità tenue della stalla rispetto al sole abbagliante di quel pomeriggio d’estate, si fermò sulla soglia aspettando di riprendere la vista.
Arricciò gli occhi e con un sorriso segreto lo vide maneggiare con una sella e poggiarla senza alcun sforzo contro la parete borbottando una canzoncina tranquilla.
Quanto le erano mancate le sue canzoncine.
Non si era mai resa conto quanto quell’abitudine di canticchiare fosse cara al suo cuore.
André sentendosi osservato si girò verso l’ingresso della stalla e alzò un sopracciglio scettico quando la riconobbe.
Le rivolse mezzo sguardo e poi si girò, tornando tranquillo al proprio lavoro di spazzolare Raul, il nuovo cavallo arabo del padre.
“Comandante” la salutò freddo.
Oscar notò che aveva interrotto il suo canticchiare. Era irritato. E la causa era lei.
“André”
Seguì qualche attimo di silenzio, interrotto solo dal regolare strofinare di André sul pelo lucido del cavallo e il battito selvaggio del cuore di Oscar. Solo che quest’ultimo non poteva essere sentito da André, ma solo da Oscar, il suo rombare tuonava selvaggio alle sue orecchie.
Oscar si avvicinò al suo Ceasar e con un sorriso tenero gli accarezzò il muso bianco.
“Hai anche allenato Ceasar oggi?” gli chiese gentile.
“No,  non faceva parte del mio favore a vostro padre” replicò lui.
Oscar rimase spiazzata dalla risposta sgarbata di André e lo guardò irritata ma il moro non la stava guardando quindi Oscar dovette inghiottire la sua occhiataccia.
Ci riprovò.
“Capisco. E questo nuovo cavallo com’è?”
“Grosso quasi due metri. Pelo corto e bruno. Due occhi, un muso, denti e quattro grosse zampe”
Oscar tornò ad incenerirlo con lo sguardo ma ancora lui non si decideva a ricambiare lo sguardo.
“Guarda che lo so come sono fatti i cavalli”
“Allora perché me lo chiedete?” chiese lui con lo stesso tono tranquillo che si usava contro un bambino che faceva i capricci.
“Intendevo come ti trovi con questo cavallo? Ha un buon temperamento? Esegue gli ordini?” riprovò lei ma la sua voce aveva assunto un tono impaziente.
“Un po’ si e un po’ no”
Oscar scrollò le spalle e pensò di arrendersi.
André era impossibile. Non voleva collaborare.
Ma non era tipo che gettava la spugna troppo presto.
“E’ davvero un bello stallone. Deve avere un temperamento focoso” continuò lei con voce bassa e insinuante.
André finalmente smise di far finta che lei non esistesse e si girò a guardarla incuriosito. Oscar gli sorrise innocente e gli si avvicinò poggiando la mano sul muso della grossa bestia araba.
Sorrise quando vide che il cavallo accettava le carezze senza fare troppe storie.
André non rispose. Si allontanò e poggiò l’arnese su un tavolo con fare brusco.
Vi si appoggiò il fianco incrociando le braccia.
“E’ già piuttosto pesante fare del lavoro gratis e se voi continuate a interrompermi, il mio favore diventerà ancora più irritante” sbuffò André assottigliando gli occhi.
Con quanta fretta si era allontanato da lei! Che fosse ancora sensibile alla sua vicinanza? Forse non gli era completamente indifferente?
Oscar sorrise maliziosa: “Perché mi dai del voi? Cosa serve tutta questa formalità? Siamo soli”
“Ma cosa dite comandante? Pensavo che ci teneste a rispettare certe etichette?” chiese fintamente innocente.
“Smettila. Non ho mai sopportato certe formalità tra noi quindi dai un taglio a queste cretinate”
“Va bene” parve particolarmente conciliante e poi guardandola dritta negli occhi disse secco: “Sparisci”
Oscar trasalì e si voltò verso di lui adirata: “Ma che diavolo?...André non puoi mandarmi via dalla mia stalla!”
“Sarà la tua stalla ma voglio spiegarti il mio punto di vista: questa stalla è troppo stretta per tutti e due, o te ne vai oppure lo farò io e guarda che non tornerò qui stanotte per addestrare il benedetto cavallo di tuo padre”
“Non capisco perché ti devi comportare in modo così infantile”
“Non capisco perché tu sia qui e sinceramente la cosa m’infastidisce un bel po’”
“Ti stai comportando da bambino!” lo accusò lei con occhi fiammeggianti.
“E tu in modo irragionevole. Che vuoi?” le chiese fronteggiando il suo sguardo di fuoco. I suoi occhi verdi sembravano dardeggiare.
“Volevo solo conversare. Non vedo cosa ci sia di male nel conversare insieme come vecchi amici”
“Peccato che io e te non siamo più amici. Quindi và a torturare qualcun altro. Quel merluzzo di Fersen dovrebbe essere a Versailles. Và da lui”
Oscar era letteralmente a bocca aperta a quell’affronto diretto e confusa disse: “Non pensavo di fare nulla di male nel venire qui. Non volevo disturbarti”
“Invece lo fai. Quindi vai dall’uomo delle nevi e salutamelo tanto” sbuffò lui afferrando Raul dalle briglie e guidandolo verso il suo box.
“Stavo provando a… Pensavo di poter tornare indietro come quando eravamo amici…” cominciò lei ma venne interrotta.
“Brava! Hai detto bene! Quando eravamo amici! Ora non lo siamo più quindi entra in casa”
“Smettila André!”
“Ma si può sapere che vuoi?” si spazientì lui.
“Tua nonna è preoccupata. Non voglio impensierirla con il tuo comportamento da orso. La volevo rassicurare un po’ intavolando una serena conversazione con te…”
“Quindi sei preoccupata per nonna? E da quando tu ti preoccupi di qualcuno che non sia te stessa? Mi stupisci Oscar. Ma se proprio vuoi rassicurare nonna su un nostro rapporto fallo quando lei è nei paraggi. Siamo solo noi due, non sei costretta a eseguire questo spettacolino” replicò lui caustico avvicinandosi.
Oscar rimase spiazzata e lì per lì non seppe rispondere. Non seppe trovare una risposta adeguata alle sue parole.
Cercò di usare l’arma della bontà: “André…io…” s’interruppe quando lo sentì ridere amaramente.
“Perché ridi?”
“Perché da qualche tempo non sai dire altro: André io, André io… ma perché non te ne torni nel tuo sicuro appartamento? Lì nessuno verrà a torturarti”
“André sei ingiusto! Pensi che per me sia semplice essere qui! Sto cercando in tutti i modi di comportarmi in modo civile e…”
“Nessuno te l’ha chiesto!”
“André! Perché non capisci? Voglio riprovarci! Voglio tornare ad essere tua amica…”
“Io no.”
“Non puoi dire sul serio!” era sconvolta e ferita.
“Invece sono serissimo. Non voglio tornare tuo amico. Primo: è impossibile dopo tutto quello che è successo. Secondo: come puoi presentarti qui come se niente fosse dopo il modo in cui mi hai trattato? Oscar, sono due anni che non mi rivolgi la parola! E adesso te ne vieni qui con la tua assurda idea di voler far pace con me? No! Non se ne parla nemmeno!”
“Ascolta! Hai poco di fare l’offeso. Guarda che quella dovrei essere io l’offesa! Soprattutto dopo quello che hai fatto…” si bloccò sconvolta dalle sue parole. Mai in quei mesi aveva tirato in ballo quella notte e adesso il rimembrarla ad alta voce sembrò proiettarla di nuovo tra le sue braccia e vittima dei suoi baci. Arrossì.
Lui non parve farci caso e sibilò: “Bene! Allora visto che è tutto come prima puoi anche alzare il tuo bel cu…”
“André! Non ti permetto di rivolgerti così con me!”
“Allora vattene”
“Frequentare quell’Alain ti ha reso uno zoticone!”
“Ne sono desolato…” ridacchiò lui sarcastico.
“André…ascolta…non è facile per me fare il primo passo…”
“Il primo passo.. questa è proprio forte…” fece ironico.
“Va bene! Non è facile per me, punto e basta. Essere qui ed essere trattata in questo modo da te e comunque non mandarti al diavolo come meriteresti…”
“Mandami al diavolo e vattene”
“No! Ascolta André. Ho sbagliato a chiudere di botto i rapporti con te. Sono stata ingiusta e anche molto arrabbiata. Ma voglio rimediare…”
“Sei ridicola. Rimediare? Tu? Devi essere ubriaca”
“No! Invece sono lucida. Voglio solo metterci una pietra sopra e iniziare da zero. Io…vorrei tornare a quando eravamo amici e… e adesso…con tutto quello che sta succedendo…le rivolte…le battaglie che si consumano in ogni angolo della strada…gli animi turbolenti…le risse…i saccheggi…bè… mi fanno pensare.. la situazione potrebbe peggiorare e…non voglio essere tua nemica…”
“…e non vuoi avermi sulla coscienza…” terminò lui incrociando le braccia al petto muscoloso sogghignando ironico.
“Sai che non è così. Voglio tornare tua amica”
“Non voglio. Non mi basta più”
Non poteva dire sul serio? Perché era così intestardito nel volerla eliminare dalla sua vita? Era crudele e senza ragione. Oscar strinse forte i pugni e cercò di calmarsi.
“Perché non ti basta più? Cosa vuoi?” ma subito si pentì di quella domanda tanto ambigua.
“Certo non averti come amica. Mi è bastato essere tuo amico per ventanni. Ne ho le tasche piene e…non solo. Voglio di più e stavolta non voglio mezze misure” la sua voce era volutamente offensiva. Aveva detto quella frase con il solo scopo di offenderla e farla andare via. Non sopportava la sua vicinanza. Il suo autocontrollo era a pezzi e l’improvviso atteggiamento benevolo di Oscar non aiutava certo.
Oscar non voleva raccogliere la provocazione. La stava offendendo per ottenere il suo odio eterno. La stava provocando per indurla a lasciarlo stare.
No! Per troppo tempo era stata come una marionetta nelle mani di suo padre e della società! Non era mai stata libera di scegliere per se. Non avrebbe ceduto! Voleva rimediare e André non gliel’avrebbe impedito.
“Nulla è perduto André”
“Non puoi davvero chiedermi di dimenticare gli ultimi mesi e tornare innocenti e ipocriti come prima, è impensabile! Solo qualche giorno fa mi sono umiliato, prostrato ai piedi di tuo padre chiedendo di sposarti e adesso devo stare qui a pulire il cavallo puzzolente di tuo padre e magari giocare con la sua testarda figlia! Tu devi essere uscita di senno o credi che io sia più idiota di quanto non sia in realtà!”
“Non devi vederla in questo modo André. Io…”
“Dacci un taglio Oscar. Sto bene così come sto. Non mi serve altro”
“Perché parli così? Adesso che hai la tua nuova amichetta Juliette non ti servo più?” sbottò inferocita ma d’un tratto si rese conto della gaffe appena fatta.
Oddio! E adesso perché tirava in ballo l’amica di Diane? Non voleva essere accusata di essere gelosa…sarebbe stato troppo umiliante.
Juliette… il solo ricordo delle sue gote rosee e i suoi sorrisi dolci rivolti ad André la fecero arrossire di rabbia.
“Juliette? Che diavolo c’entra Juliette in tutto questo?” stavolta sembrava lui quello senza parole.
Oscar corrugò la fronte e innocentemente disse: “Mi sembrava di capire che ci fosse del tenero tra di voi?” Oh mio Dio! Ma in che diavolo di argomento si era andata a impelagare?
Juliette, dalla morte della povera Diane, passava ogni sabato, giorno di visite, insieme ad Alain e André, portando dolcetti o coperte per i due ragazzi. E sembrava che i due soldati, dal canto loro, non vedessero l’ora che Juliette arrivasse con i suoi doni. Non ci voleva un genio per capire che quella strega dai capelli rossi avesse messo gli occhi sul suo soldato dagli occhi di giada.
“Tenero? Ma come siamo fatti attenti? Da quando ti preoccupi della mia vita privata?” ridacchiò André sinceramente divertito.
Non poteva sapere che lei puntuale come un orologio ben sincronizzato, passasse ogni sabato a rodersi il fegato piazzata davanti alla finestra del suo ufficio per guardare quella stupida che rideva e scherzava con il suo André.
“Allora spiegami perché non vuoi tornare ad essere amico mio? Il tuo atteggiamento mi confonde…”
“Oscar! Io non voglio tornare ad essere amico tuo perché non voglio tornare a sperare,  a coltivare false speranze nei tuoi sguardi e parole. Sono stanco. Preferisco così. Mi sento libero di respirare. Niente amicizia! Su questo non transigo”
“Sei irragionevole! Perché ti intestardisci tanto?”
“E tu perché vuoi per forza tornare con me?” replicò di rimando André con uno sguardo di fuoco.
“Ti ho spiegato le motivazioni…”
“Non mi convinci. Ma comunque sia io non torno indietro”
“E non c’è modo per farti cambiare idea?” la sua voce aveva assunto un tono petulante.
Lui la guardò studiandola e poi, come illuminato da una splendida idea, perfida probabilmente, disse con un sorriso seducente: “Si, certo. Vieni a letto con me”
Oscar rimase senza parole. L’istinto immediato fu quello di mollargli un ceffone in pieno viso e intimargli di lasciare subito quella casa ma poi capì. André stava bluffando. Voleva proprio che lei lo schiaffeggiasse e lo mandasse via per sgravarsi la coscienza dalle sue colpe.
Bene! Voleva la guerra? E che guerra sia!
Strinse gli occhi: “Come credi che questo servirebbe a risanare un nostro rapporto?”
“Non lo so. Sicuramente farebbe miracoli con il mio umore” ridacchiò lui ma i suoi occhi verdi fiammeggiavano provocanti.
“Sei sicuro che Juliette non avrebbe nulla da ridire?” chiese fintamente interessata a studiarsi le unghie.
“Mi pare di avere già detto che tra me e Juliette non c’è assolutamente nulla. E comunque sia la cosa non avrebbe importanza. Ho sempre avuto un debole per te…” rise lui scuotendo il capo. Quella conversazione era ridicola.
“Minimizzeresti anni di amicizia finendo a letto insieme?” chiese Oscar insicura se continuare con quell’inutile sfida. Temeva di giocarsi più di quanto fosse disposta a perdere.
“Non desidero altro” replicò lui avvicinandosi a lei. Erano distanti solo di qualche metro. Oscar si sentì sudare.
“E se non fossi d’accordo?” provò ancora lei.
“Niente da fare. O vieni a letto con me o non se ne fa niente. Tu tornerai nella tua torre di integrità e alta moralità e io starò qui giù a vivere la mia vita imperfetta”
“Vuoi che diventi la tua puttana?” volle essere volutamente crudele.
“In verità lo diventerei io visto che quella ricca sei tu, però si. Vieni a letto con me e tornerò ad essere cordiale come prima. Anzi molto di più. Ti riempirei di attenzioni che tu nemmeno immagini” le sussurrò serafico facendole il baciamano.
Oscar si godette la sensazione delle sue labbra calde sulla sua mano ansimando per sentire ancora le sue labbra su di se. Ma lui la lasciò ben presto e con un sorriso sicuro di sé si girò e si allontanò.
Oscar aveva il cuore impazzito e il respiro corto. Non voleva dargliela vinta! Non poteva sfidarla e avere la convinzione di aver vinto! Lei era l’orgogliosa Oscar François de Jarjayes!
“Va bene” sussurrò mostrando una sicurezza che non sentiva.
André si girò di scatto verso di lei sicuro di non aver capito bene o meglio, che lei non avesse capito bene cosa lui volesse.
“Cosa?”
“Hai capito bene. Voglio fare come vuoi tu”
“E sarebbe?” chiese assottigliando gli occhi.
“Voglio venire a letto con te”
“Come? Sei impazzita?”
“No. Tu hai messo delle condizioni per instaurare un qualsiasi rapporto con te e io ho accettato le tue condizioni. Voglio venire a letto con te”
“Stai bluffando. Per venire a letto significa fare l’amore con me” chiarì lui sinceramente convinto che lei facesse finta di fuorviare il significato delle sue parole. Ne sarebbe capace, illuderlo di andare a letto con lui e poi gridare indignata che voleva solo andare a letto con lui e non fare altro.
“Lo so che significa. Non sono così ingenua. Fare unascopata colossale, come la descrive il tuo grande amico Alain” spiegò caustica lei sentendosi più che vittoriosa nel vederlo esterrefatto.
Dio come era bello lasciarlo senza parole!
“E tu verresti a letto con me solo perché io non cedo a voler comportarmi in modo civile con te? Dov’è il trucco?”
“Nessun trucco. Il sesso in cambio della tua amicizia e rimediare sul tuo ego ferito. Uno scambio più che equo”
“Non m’incanti”
“Perché? Come dici tu su quella torre dove mi sono barricata ci ho fatto le ragnatele e fa piuttosto freddo lassù. Tu potresti scaldarmi” sussurrò con un sorriso provocante.
“Oscar, non mi comporterò da gentiluomo, non stavolta. Guarda che non scherzo. Guarda che voglio davvero venire a letto con te. Non mi tirerò indietro solo perché tu non vuoi darmela vinta” si sentì in dovere di precisare, proprio per evitare fraintendimenti.
“Ne sono consapevole. Chissà, magari potrebbe anche piacermi…”
“Cosa pensi Oscar? Che ti porterei a letto e una volta svolto il sacrificio tornerà tutto come prima. No! Ti sbagli di grosso! Te l’ho già detto. Voglio tutto stavolta”
“In pratica vuoi essere mio amante” osservò lei in tono professionale, come se parlassero di lavoro.
“Per iniziare…”
“Quindi…farlo più volte?” chiese ancora sentendo quella sua sicurezza abbandonarla a poco a poco.
“Tutte le volte possibili. Hai qualche anno di frustrazioni sessuali da sgravarti dalla coscienza, dolcezza” ridacchiò lui. Stava cedendo. Presto lo avrebbe mandato al diavolo.
“Capisco. Solo una cosa…”
“Dimmi…” bene. Ora lo avrebbe picchiato.
“Pensi di spogliarmi gentilmente ogni volta o vuoi strapparmi i vestiti di dosso, ogni qualvolta che te ne prende la voglia? Perché, sai dovrei provvedere ad allargare il mio guardaroba…” chiese adirata mettendo le mani sui fianchi.
André sorrise deliziato da quella conversazione e avvicinandosi sempre più a lei rispose seducente: “Questo dipende dal mio temperamento del momento. Un po’ l’uno e un po’ l’altro comunque. Anche se preferisco strapparti di dosso quelle uniformi assurde”
Bene. Stava indietreggiando. Buon segno. In più, con le sue parole si vedeva che si stava offendendo sempre di più. Non avrebbe resistito ancora per molto.
“Sei un porco” l’insulto le sfuggì dalle labbra.
“Si. Lo so. Ma dovrai fartene una ragione. Prendere o lasciare”
“Ormai ho deciso. Farò come vuoi tu”
André decise di darle una possibilità di rimediare: “Oscar, dai su. Non fare la bambina. Stai giocando pesante e lo sai anche tu. Rimangia quello che hai detto e torna dentro” le sussurrò gentile.
“So quello che faccio”
“Davvero? E allora perché indietreggi?”
“Perché…perché il tuo intercedere minaccioso mi confonde”
“Farò molto di più che confonderti mia cara. Oscar. Non mi tirerò indietro, se non lo fai adesso tu io non metterò fine a questo gioco. Diventerai per davvero la mia amante. Niente compromessi”
“Non sono una stupida. So a cosa vado incontro” fingeva una spavalderia ben lungi dal provare.
“Ah si? E come fai a saperlo? L’hai già fatto con qualcuno? L’uomo delle nevi è stato il primo?” improvvisamente la collera gli infiammò il viso.
Era geloso? Oh che bellezza!
“Questo potrai scoprirlo da solo.” meritava che soffrisse un po’: “Comunque so perfettamente come vanno certe cose”
 “Ne sei sicura? Guarda che non mi sembri molto convinta” osservò lui vedendola arrossire pietosamente.
“Tutto dipende da quanto tu sarai bravo”
“Bravo? A far che?”
“A…a…Come a far che? Ma di che stiamo parlando da un ora?!” si spazientì lei.
“Parli quanto sarò bravo a fartelo piacere? Ti piacerebbe raggiungere l’orgasmo?” la sua voce era una musica peccaminosa per le sue orecchie.
“O…orgasmo?” chiese confusa.
“Ti fingi donna di mondo e poi non sai cosa è l’orgasmo?”
“Senti André! Dacci un taglio! Non conosco la terminologia ma so cosa si fa in quei frangenti…”
“Dannazione Oscar! Non stiamo parlando di organizzare una stramaledetta ronda! Stiamo parlando di sesso…!”
“Shh! Vuoi che tutta la casa ci senta?!”
“Oscar! Smettila! Stai giocando con il fuoco…”
“Voglio scottarmi André. Voglio bruciare! Dai fine la mio tormento!” esclamò lei perdendo le staffe. Si bloccò di stucco per le sue stesse parole.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** la paura ***


“Voglio scottarmi André. Voglio bruciare! Dai fine al mio tormento!”...
Non poteva crederci… non l’aveva detto sul serio… era stato solo il vento che sibilava impetuoso tra le foglie. Si, doveva essere stato questo l’urlo che aveva echeggiato tra le pareti della scuderia. Non esistevano altre spiegazioni… non poteva essere diversamente. Lei non era così. Non era capace di esprimere i suoi sentimenti con tale ardore. Non ne era capace. Era troppo orgogliosa, troppo timida, e perché no, troppo presuntuosa per esprimere un emozione a qualsiasi altro essere umano. Figurarsi davanti ad André. Al suo André.
Era quasi arrivata alla convinzione di non aver detto nulla quando di sottecchi riuscì a trovare il coraggio per spiare l’improvviso mutismo di André.
Arrossì vergognosamente quando lo vide immobile, come paralizzato di fronte a lei. Fermo come uno stoccafisso e la faccia dipinta da una pura e comica espressione di eterno stupore.
Oh mio Dio! Non era stato il vento a fischiare tra le fronde! Sono stata io ad urlare! Oddio!
No, non era stato il vento… e come poteva fischiare violento quando fuori dall’oscura e maleodorante stalla regnava una ridente e soleggiata giornata d’estate?
Il suo respiro si fece pesante e improvvisamente si sentì in trappola, come se fosse una preda appetitosa braccata dal suo vile cacciatore.
Era questo che rendeva l’amore? Stupidi? Senza controllo? In completa balia delle proprie emozioni? Tormentati?
Abbassò lo sguardo e trattenendo un singhiozzo per quell’umiliazione che sentiva addosso come melma vischiosa, cercò di allontanarsi ma le mani di André la bloccarono leste.
L’uomo la voltò con forza verso di lui incatenandole lo sguardo con i suoi occhi di giada, cercando, forse, la verità nascosta nei suoi ma lei sfuggiva codardamente dal suo sguardo così tremendamente penetrante. Sembrava che riuscisse a scavare fino in fondo al suo essere.
“Oscar? Stai dicendo sul serio?” sussurrò lui con voce curiosamente bassa, rauca.
Oscar, a dispetto  dell’imbarazzo, socchiuse le labbra come a voler saggiare fisicamente la dolcezza del suono della sua voce. Non riuscì a proferire parola. Chiuse solo gli occhi gettando la testa in un lato, fuggendo da lui. Fuggire. Di nuovo.
Non sapeva fare altro ormai.
Fuggiva da suo padre.
Dalla regina.
Dalle pene d’amore. Dai rifiuti.
Dalla sua vera natura.
Fuggiva e non riusciva più a guardarsi indietro, senza voler più guardare i frammenti di vita sprecata che intanto spargeva dietro di sé come le molliche di pollicina.
Era una vigliacca.
E adesso lo stava rifacendo.
Ma adesso fuggiva da se stessa Dalla verità delle sue parole appena pronunciate. Dall’amore proibito che provava per lui.
Si, era proibito. Come non definire sbagliati, peccaminosi i sentimenti che provava per il suo compagno d’infanzia. Per quel ragazzo che aveva visto crescere ma che non aveva mai davvero osservato. E adesso la sua sola vicinanza. Il suo sguardo intenso. Il suo respiro caldo la emozionavano in modo quasi scandaloso.
E aveva paura.
Paura dell’ardore che André scatenava nel suo cuore, nel suo corpo, fino a bruciare al centro del suo essere più intimo.
Ma doveva reagire. Doveva dire qualcosa. Doveva aggrapparsi a qualcosa, come un naufrago in mezzo ad un mare in tempesta, per combattere l’imbarazzo che le imporporava il viso.
“Perché fai quella faccia André…adesso sembri tu la verginella offesa” disse con voce secca e ferma. Le riusciva così bene fingere di essere fredda e controllata…ma non poteva essere più lontana dalla verità…
“Non stai dicendo sul serio, vero Oscar?” disse in un sussurro André recuperando un po’ di energia.
Oscar si limitò a guardarlo dal basso in alto restia a dire alcunché. Non si fidava molto delle sue parole, delle sue reazioni. Avrebbe solo scatenato un putiferio più grosso di quanto non fosse già.
“Oscar?” la chiamò lui sollevandole il viso con un dito sotto il mento. “Stai bluffando vero?”
“Cosa vorresti dire?”
L’occhio verde visibile tornò a brillare di una luce maliziosa e con un sorriso beffardo disse in un soffio: “Sai Oscar, ci stavo cascando. Ti stavo quasi per credere. Stavo quasi sperando che tu provassi qualcosa per me…ma questo è impossibile” e cominciò ad avanzare verso di lei con passo felpato. “Io non sono il tuo Fersen”
Non le credeva? Se l’era cavata con così poco? La sua frase pazza, detta in un attimo in cui si era sentita preda della passione, era stata presa per una stupida bugia?
Oscar corrugò la fronte. Qualcosa non andava…
Ma mentre la sua mente turbinava in quei pensieri confusi la donna si apprestava ad indietreggiare come un cucciolo impaurito.
Si, era impaurita da lui. Terrorizzata dai suoi occhi maligni e il suo sorriso sghembo. Era troppo affascinante per fidarsi delle proprie reazioni.
“Perché non mi credi?” chiese con un filo di voce.
Trasalì improvvisamente.
La sua schiena si era scontrata contro la parete dietro di lei. Era in trappola. Adesso si sentiva davvero braccata. Si guardò intorno. Stavano nella parte più buia e interna della stalla. I cavalli erano tranquilli nei loro box, sereni quanto inconsapevoli della guerra che si stava consumando a pochi passi da loro. La porta era nella parte opposta e nessuno avrebbe mai potuto vederli dall’esterno a meno che occhi curiosi non avessero deciso di avventurarsi tra le pareti oscure.
“Dovrei crederti Oscar?” chiese in un sussurro poggiando le mani ai lati del viso di Oscar. In realtà non la stava toccando, non la stava nemmeno sfiorando. Ma il suo respiro caldo tra i capelli, il suo viso a pochi millimetri dal suo, la sua chioma bruna che ribelle sfuggiva scomposta sulla sua fronte sfiorava in maniera impertinente la sua frangia, tutto questo aveva il potere di ipnotizzarla suo malgrado. Incatenarla come in un incantesimo. Oscar non era più padrona delle sue azioni, non riusciva più a controllare il suo corpo, che come manovrato da un burattinaio biricchino barcollava confusamente contro di lui. Non potè fare a meno di socchiudere le labbra e sognare di pregustare quelle labbra carnose e così vicine alle sue.
Infondo la distanza che li separava era minima. Sarebbe bastato solo un attimo…un leggero movimento in avanti e la sua bocca sarebbe stata sua.
“Sai cosa hai scatenato dentro di me Oscar? Hai la minima idea di come mi sento adesso?” sussurrò lui al suo orecchio.
Il cuore batteva impazzito nel suo petto. Non poteva immaginare come lui si sentiva ma Oscar aveva chiaro come si sentiva lei. Come travolta dalla tempesta, come travolta da un mare in piena. Come se stesse semplicemente morendo.
“Hai deciso di cedere, di accettare la mia sfida per orgoglio Oscar o perché non desideri altro che le mie mani su di te? Dimmi Oscar… la notte mi sogni? Ti giri e rigiri tra le lenzuola desiderando solo il mio corpo sopra il tuo?” chiese ancora lui, desideroso di una risposta ma al tempo stesso codardamente restio a darle la possibilità di replicare. Non voleva che lei pensasse, che si rifiutasse. La sentiva per la prima volta in suo potere, plasmabile come cera calda contro di sé. Strofinò il naso sulla sua gota prendendole una mano e portandosela al petto, lì dove batteva come un uccellino impazzito in gabbia, il suo cuore spezzato e gettato nel fango per troppo tempo e per troppe volte.
“Senti Oscar? Senti come batte furioso il mio cuore?”
Con il respiro spezzato in gola Oscar lo lasciava fare godendo della meravigliosa sensazione di toccarlo. Non lo aveva mai toccato in vita sua e il contatto l’aveva disarmata. Toccare la sua linda e leggera camicia bianca di batista che poco la proteggeva dal calore del suo petto, lasciava poco all’immaginazione. Era come toccare la sua pelle nuda. Poteva sentire i suoi muscoli tesi e la pelle ardente tra le dita. Chiuse gli occhi. Ad occhi chiusi poteva assorbire meglio il calore del suo corpo.
“E’ stato sempre tuo, questo ormai lo sai, vero?”
“A.. And…André…ti prego…è tutto sbagliato” sussurrò con voce sottile.
“Cosa è sbagliato Oscar? Dimmi… cosa è giusto e cosa è sbagliato? È sbagliato amare? È sbagliato desiderare la donna che ami? Dimmi Oscar…nella tua torre di integrità e di austerità non c’è spazio per la passione, vero? Per questo sei qui? Per questo… perché sei stanca del ghiaccio che ti porti nell’anima. Vuoi conoscere l’ardore del peccato. Sentire il calore della passione” la voce era delirante, che, esprimendo tutta la sua frustrazione dando vita ad un momento di totale abbandono delle regole che si era imposto di rispettare dopo quella famosa orribile notte, ma che avevano avuto solo il potere di destabilizzarlo mentalmente.
Stava perdendo il controllo, lo sapeva, ma aveva promesso. Non le avrebbe più fatto del male, ma non poteva ancora permetterle di prendersi gioco di lui. Perché lei stava facendo questo. Non capiva il motivo ma era stanco di essere un suo giocattolo. Da poter usare e gettare quando più le aggradava.
Sorrise mellifluo: “Conosci come può essere davvero un uomo? Tu sei davvero sicura, convinta, di voler accettare la mia proposta”
“Ti ho già dato la mia risposta” disse lei con voce incerta.
La mano che teneva schiacciata sul suo petto lentamente la guidò fino a scivolare dal suo petto scendendo giù, sempre più giù. Verso il peccato. Il proibito. Verso il centro del suo ardore.
Oscar trasalì scioccata quando lui la costrinse a stringere le dita attorno al suo turgore. Il suo viso si fece paonazzo e cercò invano di liberarsi. Se poco prima aveva provato imbarazzo adesso temeva di scatenare una scena di totale isterismo.
...Oddio com’è…Oddio! Oddio! Pensava in tanto saggiando tra le dita ciò che le era sempre stato sconosciuto.
André le impedì qualsiasi movimento schiacciandola con il suo corpo contro la parete.
“Sono un uomo Oscar, e questa è la mia reazione alla tua vicinanza. Una reazione incontrollabile e decisa. A prescindere che tu me lo ordini o no, comandante. Io sono un uomo e non un sbiadita imitazione.”
“Sei delirante André… lasciami la mano. La tua è un angheria gratuita!”
Il sorriso sul bel volto virile si sciolse lasciando posto ad uno sguardo arcigno e incollerito.
“Guardami Oscar! Dimmi comandante! Era questo che volevi?” chiese con voce volgare tenendole ferma la mano in ciò che più al mondo le stato insegnato come illecito e amorale. Oscar era paralizzata dalla vergogna, ma anche da un calore liquido che sentiva serpeggiare fin nel suo intimo, dove non aveva mai creduto di poter provare qualcosa di così intenso.
“Ti è sempre piaciuto umiliarmi? Godevi nel mandarmi via e recitare la parte della donzella offesa? Mi hai insultato, rinnegato, e infine ignorato per uno sbaglio. Uno sbaglio che ho fatto in un momento i cui mi sono sentito solo, ferito, abbandonato. Ho sbagliato quella volta e non mi hai dato la possibilità di rimediare, sorda alle mie richieste di tacito perdono. E malgrado tutto ti ho seguita e protetta. Fingevi un falso scontento nell’avermi attorno ma intanto gongolavi nella mia assurda fedeltà, felice nel vedermi afflitto per quell’unico errore che è bastato a cancellare un eterno sentimento di amicizia. Mi hai trattato con indifferenza e altezzosità, tronfia di vanità. Mi hai ripudiato senza uno sguardo. Ma adesso? Dov’è la tua sicurezza? Il tuo orgoglio mai scalfito? Io, al tuo ennesimo sberleffo inferto al mio orgoglio, ho deciso di non perdonarti e usare la tua stessa arma: l’indifferenza, la noncuranza. Ti infastidiva che non fossi lì a implorare un sorriso, o un plauso per il mio sacrificio? È questa la verità? È per questo che sei venuta qui mentre io lavoravo alle dipendenze di tuo padre? Odiavi che io ti ignorassi, che non fossi sempre lì ai tuoi piedi a scodinzolarti attorno mendicando qualche attenzione in più? O era il senso di colpa Oscar?”
“Non so di cosa tu stia parlando André! Lasciami André! È vergognoso!” si dibatteva ma si sentiva debole e instabile sulle gambe come fossero burro sciolto.
“Odi essere in difetto?  Ti sei sentita un verme nel non aver battuto ciglio mentre ero lì che mi sottomettevo a tuo padre? ”
Oscar scosse la testa sentendo il cuore batterle furiosamente. Le erano seccate le labbra per l’emozione e la mortificazione del suo rimprovero. Che sapeva di meritare…
“Rispondimi sinceramente Oscar! Me lo devi! Sei qui perché ti sentivi in colpa? Per questo hai ascoltato la mia indecente proposta? Vuoi sempre l’ultima parola in tutto…Hai sempre odiato sentirti in debito con qualcuno inferiore a te? Rispondi!”
“In colpa di cosa?”
“Mi stupisce che me lo chiedi. Odi non avere ragione e il mio atteggiamento di indifferenza ti faceva pesare che io mi sia sacrificato senza chiederti niente in cambio? Odi essere trattata allo stesso modo in cui tu tratti tutto il resto del mondo. La cosa ti disorienta e ti abbassa allo stesso livello di noi comuni mortali. È questa la verità? Oppure stai cercando di rimediare la tua totale apatia nei confronti di tuo padre. Non ti sei saputa ribellare anche a costo di sacrificare colui che tu definivi un fratello. E adesso stai cercando di zittire la tua coscienza?”
“E’ assurdo André! Non è affatto vero!”
“Menti Oscar! Hai talmente timore di tuo padre che per sopperire il torto a me fatto accetti la mia scandalosa offerta. Preferisci prostituirti piuttosto andare contro gli ordini del tuo mentore! Cristo Santo Oscar! Ti stavi facendo uccidere! E codardamente avresti permesso che ti seguissi senza fiatare!” i suoi occhi fulminavano ira, una collera che aveva covato per troppo tempo dentro di sé senza mai sfogare il suo malcontento. E adesso lo sfogo rischiava di gettarli in un vortice di biasimo e avvilimento taciuto per troppe volte tra di loro.
“Dio, quanto puoi scendere in basso. Stavi per vendere il tuo corpo per ripagare il mio atto di coraggio. Per averti salvato la vita. Mi deludi”
E improvviso come inaspettato era arrivato il momento di quello scontro che lungamente era stato rinviato, lasciando dietro di sé una serie infinita di amarezza.
“Non sei diversa da tutte le donne che tu guardavi storcendo il naso disgustata” la canzonò malignamente allontanando con furia la sua mano contro di sé.
Oscar dimenticò in un attimo la passione, l’ardore, i sentimenti, la meraviglia di scoprirsi donna tra le sue braccia, l’amore. E invece accolse benevola un emozione che sapeva gestire in modo migliore. La collera.
Si mosse fulminea e, libera dalle sue mani tentatrici, gli assestò un ceffone in pieno viso.
Aveva sopportato troppo dal suo sfogo per il suo ego ferito. Ma adesso doveva smetterla di insultarla.
L’aveva provocata  biecamente e adesso l’accusava anche di prostituirsi per lui, per zittire il senso di colpa. Non aveva idea di quanto fosse lontano da quella verità. Aveva accettato per orgoglio, in primis, ma la verità era che lo desiderava veramente. Ma non poteva confessarlo. Si era già messa in ridicolo abbastanza.
“Adesso hai davvero superato il limite! Come osi! Come osi insultarmi e accusarmi di tale infamia e sperare che io me ne stia lì zitta zitta a subire le tue prediche infondate. Ho provato a venirti incontro ma tu mi hai solo gettato in faccia solo la tua insoddisfazione, umiliandomi e godendo nel farlo. Certo questo non ti rende migliore di me!”
André accolse le sue urla indietreggiando scherzosamente. Scosse la testa ridacchiando. Ridacchiando? Stava ridendo?
“Ho solo provato a mandarti via e adesso ci sono riuscito…ho perso più tempo di quanto pensassi ma ho ottenuto il tuo odio. Sono riuscito nel mio intento iniziale” disse ammiccando. Sembrava aver dimenticato all’improvviso tutto il suo rancore.
Oscar era senza parole. Lui stava sorridendo. Lei si sentiva sull’orlo delle lacrime e lui sorrideva. Quasi sghignazzava goliardo. Non gli era nemmeno pesato il ceffone. Sembrava solo soddisfatto nell’aver scatenato quella furia cieca in lei. I suoi occhi luccicavano malandrini. Si era sfogato, è vero, ma lo aveva fatto non per lamentarsi ma solo per allontanarla. Intento che aveva fallito poco prima con la sua assurda proposta di portarla a letto
“Adesso vattene…mi hai fatto perdere anche troppo tempo. Ma se sono fortunato entro stasera tornerò in caserma” ridacchiò André allontanandosi.
Oscar si sentiva smarrita, i suoi occhi baluginavano da una parte all’altra incredula dalla sua reazione. Poggiò il capo al muro dietro la sua schiena.
“Mi hai svergognata solo per mandarmi via? Non t’importa più nulla di me? Dei miei sentimenti?”
“Benvenuta nel mio mondo, comandante” fece sarcastico dandole la schiena.
Non poteva crederci. Era riuscito a manovrarla come una stupida.
Ci era riuscito. Era riuscito abilmente a trovare l’argomentazione per indurla a mandarlo al diavolo e quindi allontanarla.
Aveva messo in atto le mosse che lei per anni aveva utilizzato con chiunque trovasse ripugnante. E lui l’aveva respinta. Anzi si era fatto respingere. Allontanando ogni sua possibilità di riallacciare quel legame che lei aveva rotto.
Era stato furbo. L’aveva indotta alla collera usando la chiave del senso di colpa, insultandola gravemente.
Era stato infido. Provocatorio e ignobile. Sleale e conturbante al tempo stesso. E lei ci era cascata in pieno. Si era sentita offesa in modo indicibile dopo essersi sentita calunniata in modo tanto vile.
Era riuscito a cogliere il punto che articolava la sua collera malamente trattenuta e trasformata in passione.
Tornò a guardarlo e immobile lo osservò fischiettare mentre tornava ad occuparsi di Raul. Noncurante del suo sbigottimento.
Era stata stuzzicata, provocata e poi offesa in modo abbietto.
Non era stata solo umiliata. Ma ferita nell’orgoglio, disonorata. Vergognosamente mortificata dal suo tocco. L’aveva trattata come una donna di strada, come una volgare meretrice. E lei ne aveva goduto, per un breve istante, aveva palpitato per il suo tocco licenzioso. Desiderando ancora e ancora che lui continuasse a trascinarla nella sua dissolutezza.
E lo desiderava ancora.
Ma adesso non era solo una questione di orgoglio. O di non dargliela vinta.
Lo voleva.
Semplicemente.
In modo lapidario.
Senza troppi giri di parole. Lo desiderava.
Come desiderava con altrettanta foga cancellargli quel sorriseto dal suo viso perfetto e bellissimo.
Erano pensieri osceni. Ma ormai il fuoco aveva preso corpo nel suo essere, trasformandola in una donna impudica.
Donna.
Si, era una donna.
Una donna che desiderava quell’uomo impertinente. Era la sua sfida.
Era semplicemente l’amore della sua vita. Il suo compagno. L’uomo che aveva ferito per troppe volte e, che, per troppe volte non era stata mai punita per questo.
Sorrise perfida e si avvicinò con passo fermo e deciso, altezzosa come sempre. La regina di ghiaccio che aveva affascinato per anni la corte artificiosa di Versailles. E che adesso infondeva sincero rispetto tra i suoi soldati della Guardia.
Si posizionò davanti a lui con le mani strette a pugni sui fianchi, in una posa che i suoi uomini sapevano, non presagiva nulla di buono.
Ma da André ottenne solo un annoiata alzata di sopracciglio.
“Nessuno mi ha mai trattato con la più totale mancanza di rispetto, anche i tuoi compagni sono meno cafoni di te!”
André per tutta risposta ridacchiò beffardamente.
“Trasformare una semplice conversazione in uno spettacolo di tale ignominia non ti rende onore André! Ho sopportato anche fin troppo i tuoi insulti, ma adesso basta! Per non parlare della tua prepotenza! Ho sbagliato più volte ma mai mi sarei immaginata di dover subire la tua arroganza. Mi hai insultata delle più abbiette accuse ma tu non sei migliore di me! Ricorda che il tuo enorme ego è superato solo dalla tua alterigia! Non dimenticarlo! Siamo fatti della stessa pasta io e te, solo che tu la camuffi dietro uno sguardo vigliaccamente angelico!”
Le sue furibonde parole sembrarono che avessero colto nel segno, infatti André smise di sorridere e con voce offesa disse: “Se pensi che ti chiederò scusa ti stai sbagliando di grosso…” sbuffò lui.
Oscar rise derisoria. Adesso avrebbe vinto quella stupida battaglia di supremazia…
“Non voglio le tue scuse. Ma pretendo che l’accordo venga rispettato, soldato…senza nessun ripensamento. È un ordine” sussurrò lei sollevandosi in punta di piedi.
Lo afferrò per il bavero e gli schiacciò le labbra con le sue.
Lo sentì trasalire e trattenere il respiro. Adesso non sorrideva più. Aveva sbarrato gli occhi sorpreso, anzi letteralmente allibito. Ma il suo stupore durò solo pochi secondi. Si lasciò vincere dall’ebbrezza dal contatto maldestro di quelle labbra morbide e dolci che lo baciavano decise.
Abbandonò le redini che teneva in mano e la strinse forte contro di sé.
Abbassò il viso sul suo approfondendo il bacio, che da semplice e goffo contatto si trasformò in un languido quanto passionale incontro di lingue.
Fu il turno di Oscar di trattenere il respiro ma non si allontanò, no, voleva di più. Voleva risentire quella sensazione di languore, il brivido del suo tocco, ma anche emozioni nuove, incominciare a vivere.
Volare, tra le sue braccia.
Iniziare a capire cosa era la vita. Cosa era l’amore. Il desiderio. Conoscere quel turbamento che stringeva le viscere e trasformava il respiro in mille miagolii incerti e senza controllo.
Sentiva le sue labbra morbide, ma decise, saccheggiarla del suo sapore. La lingua che prepotentemente incrociava una furiosa lotta con la sua. In loro respiri si fondevano e si attraevano inesorabilmente. I loro profumi così diversi si contrapponevano mischiandosi nell’odore inconfondibile della passione. Di quella passione che potevano conoscere e sperimentare solo loro due. Solo tra loro due.
Oscar aveva le dita artigliate disperatamente al colletto di lui restia a lasciarlo, a dare fine a quel contatto che per anni, si, per anni, aveva tacitamente agognato. Che aveva anelato fino alla follia nell’oscurità della notte.
Sentiva le sue mani stringere la sua schiena sollevandola leggermente contro di sé, dandole fisica prova di tutto il suo desiderio che gli inturgidiva le sue virili membra.
Tornò a schiacciarla contro la parete frugando curioso sul suo morbido e celato corpo di donna.
Entrambi trasformarono l’ira, la collera, la delusione di una vita sprecata inseguendo false speranze di felicità, in una frenesia mai sperimentata prima. L’eccitazione aveva raggiunto vette insostenibili per staccarsi, per frenare la pazzia che li aveva avvinti.
Gemette con bramosia quando sentì la sua mano afferrarle una gamba e sollevarla contro il suo fianco. Era avvolti in un abbraccio forte, avvinghiati nella morsa dei loro istinti più bassi.
Ansimò anche lui quando si premette contro la sua dolcezza che sentiva calda e umida contro la sua erezione. Erano come drogati e finalmente felici, rincorrendo strenuamente l’appagamento.
Oscar si allungò contro di lui allacciandogli le braccia al collo rispondendo in modo impacciato al suo bacio. Non sapeva come fare. Era la prima volta che rispondeva ad un bacio ma la sua totale inesperienza non la lasciava disarmata. Non le importava. Seguiva i suoi movimenti lasciandosi guidare dall’istinto. Affondò le mani nei suoi capelli sospirando deliziata mentre li sentiva scivolare serici tra le dita.
Tutto nella sua vita.
Le sue scelte sbagliate.
Le sue convinzioni.
Le sue esperienze di vita.
I suoi dolori.
Il rifiuto di un amore non corrisposto.
I suoi struggimenti.
Le ingiustizie di un mondo sbagliato.
I suoi pianti infiniti.
Le lacrime nascoste e taciute al mondo.
Le notti insonni.
Il vino che aveva ingurgitato per mesi cercando di cacciare via la solitudine.
La meraviglia di provare un amore profondo e intenso per il suo amico d’infanzia. 
Tutto.
Tutto l’aveva portata a quel magnifico attimo di vita.
Si, era quello il suo disegno di vita. Stare tra le braccia del suo André.
Semplicemente. Inevitabilmente.
“Oscar…Oscar…ti prego fermami…” bisbigliò rauco lui continuando a affogarla nella sua passione.
La donna non riusciva a parlare, non ne aveva voglia. Voleva solo sentire. Lo strinse forte premendosi contro di lui.
Lui gemette ma sembrava volesse dare fine a quell’incontro d’amore.
“Ti prego…”
“Zitto…” gli sussurrò tra le labbra.
Quasi gemette forte quando sentì le sue mani afferrarla per le natiche e sollevarla contro il suo grembo posizionandosi tra le sue cosce. Oscar intrecciò le gambe sui suoi fianchi cercando di stringere sempre di più a lui. Voleva sentire ogni millimetro del suo corpo maschio. Non voleva sentirlo lontano da sé. Non più.
Lui si schiacciò contro di lei riprendendo a baciarla con foga, come un affamato davanti ad un ricco banchetto. Ingordo la derubava degli ultimi barlumi di quell’innocenza che la donna trascinava ancora dentro il suo corpo vergine.
Ma improvviso come era nato, il momento di passione venne spezzato.
Lui sembrò svegliarsi da un sonno allucinante. La guardò con occhi nuovi mentre il suo respiro, eco di quello irregolare di Oscar, le soffiava il volto.
Corrugò la fronte e scuotendo la testa spezzò l’incantesimo. Si staccò da lei e allontanò le sue mani.
“Non esiste nessun accordo tra noi. Non voglio venire a letto con te a queste condizioni. Io non sono un oggetto ottenuto dopo la conveniente stipula di un contratto”
Oscar si appiattì contro la parete sbiancando in volto.
“Non sono tanto disperato da permetterti di comandarmi anche a letto. Non è di una prostituta di cui ho bisogno. Quelle le trovo a iosa ovunque e anche assai meno dispendiose di te, di te che vuoi il comando assoluto del mio cuore e adesso anche della mia anima. Ti desidero come non mai ma non a questo prezzo. Non ho mai voluto infangare la nostra amicizia. A quello ci hai già pensato tu. Se verrai a letto con me sarà solo per amore. Niente di meno. Adesso scusami” e se ne andò lasciandola lì sola e confusa.
Ad Oscar non rimase altro che osservarlo mentre andava via.
Continua…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sono tornata!
Un altro indegno capitolo del mio delirio letterario!
Ho voluto continuare la storia lasciando quel retrogusto amaro nell’atteggiamento ribelle di André. Forse ho esagerato. È stato troppo cattivo, ma mi sono lasciata andare troppo con la fantasia, giuro che mentre rileggevo avevo voglia di schiaffeggiarlo. Per la prima volta ho appoggiato la povera Oscar! Se ho trasformato in modo troppo crudele il nostro beniamino vi prego di segnalarlo. Vedrò di smorzare gli animi. In fondo sono una romanticona e adoro i lieti fini!
Previo restando che con questa trasformazione di personalità non volevo offendere nessuno. E’ solo che ho voluto catapultare una reazione umana (collerica e imperfetta) su quella povera vittima del nostro André.
Ne approfitto per ringraziare tutte di cuore per l’appoggio che mi avete donato! Non avete idea di quanto siate state speciali.
Rinnovo gli auguri di Buon Natale a tutte quante! Bacioni!!!!!
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** la tregua ***


prima di questo capitolo volevo chiarire solo un paio di cosette. primo: in questo capitolo non ci sarà molto. lo considero come un capitolo di passaggio, noioso ma fondamentale per la fine che mi sono prefissata. secondo: non succederà nulla di stravagante o sensazionale, soltanto noiosi blateramenti... terzo: volevo evidenziare un punto che non avevo chiarito. la mia Oscar non è affetta dalla tisi. ho sempre odiato questa poco dignitosa fine della mia eroina...ovviamente senza nulla togliere al capolavoro della Ikeda...detto questo mi arrogo di questa stupida licenza poetica per descrivere un momento che avrei voluto che si svolgesse così... senza essere troppo drammatico...in fondo la vita non è solo di un colore... baci a tutte!





E adesso eccola lì…
Perdente per la prima volta.
Inesorabilmente sconfitta.
Sola e distrutta seduta in angolo del suo orgoglio fatto a pezzi intenta a leccarsi le ferite.
Era tornata barcollante nella sua torre inespugnabile di alterigia e  integrità, lontana dalle tentazioni e dalla vita, avvolta da robusti strati di confortante ipocrisia.
E adesso all’interno della sua torre gelida sentiva freddo. L’eco del suo cuore echeggiava lento nel vuoto delle oscure pareti.
I suoi occhi spenti osservavano senza vederlo il camino spento di fronte a lei. Lasciò cullare lievemente il liquido color rubino nel suo bicchiere rimanendo ipnotizzata dal delicato movimento.
Non ne aveva bevuto nemmeno un goccio. Non aveva voluto rubare nessun centimetro di quel movimento corposo ed elegante. Se solo avesse bevuto avrebbe dovuto osservare l’immagine sbiadita del vino mancante attraverso il cristallo sporco.
E questo era un peccato. Quel semplice movimento rivelava una tale eleganza da lasciarla senza fiato.
Oramai erano poche le cose che la lasciavano senza fiato.
E una tra queste se l’era lasciata sfuggire esattamente quel pomeriggio.
Chiuse gli occhi e cercò di reprimere le lacrime che impudenti avevano cercato più volte di sgorgare dai suoi occhi gelidi.
Ma come fare per indurre la propria mente a non indugiare in quei ricordi così recenti? Era impossibile? Oppure semplicemente godeva nel farsi del male?
Si portò una mano sul viso cercando di zittire il gemito che più volte aveva minacciato di fuoriuscire dalle sue labbra secche e strettamente serrate.
Non doveva ricordare! Non poteva!
“Non sono tanto disperato da permetterti di comandarmi anche a letto. Non è di una prostituta di cui ho bisogno. Quelle le trovo a iosa ovunque e anche assai meno dispendiose di te, di te che vuoi il comando assoluto del mio cuore e adesso anche della mia anima. Ti desidero come non mai ma non a questo prezzo. Non ho mai voluto infangare la nostra amicizia. A quello ci hai già pensato tu. Se verrai a letto sarà solo per amore. Niente di meno. Adesso scusami”…
Aprì gli occhi, serrò forte le labbra lasciando fuoriuscire con attenzione il respiro corto dalle narici…ma stava scoppiando, non avrebbe resistito molto. Oramai si conosceva bene.
Cercò di calmare il cuore che sentiva rimbombare nel suo petto come se le chiedesse urlando di lasciarlo uscire. Lei si portò una mano sul petto e cercò di infondersi un po’ di calore. Quel calore che ormai non trovava più rifugio nella sua anima.
Piano piano la crisi sembrò passare e lei tornò a respirare normalmente. Ma era una sensazione momentanea e traditrice. Presto altri spezzoni di ricordi sarebbero affiorati lasciandola senza forze e più umiliata di prima, fino a che non avesse spirato l’ultimo respiro.
Ma in fondo come rimanere sani e coerenti dopo quello che aveva vissuto? Dopo il secco rifiuto ricevuto? Se lo chiedeva da ore ormai ma mai nessuno era venuto lì da lei per confortarla.
Solo uno sguardo pieno di rancore che faceva capolino più volte davanti ai suoi occhi.
Ripensare a quell’ultima frase però era il momento peggiore. Il suo rifiuto beffardo, perfido e graffiante l’avevano ferita.
No.
Scosse la testa. Non era la parola giusta.
Non era ferita. Era stata pugnalata al cuore, dritto al centro del suo essere. Colpita con il solo intento di spegnere la sua luce.
Lui, André, l’aveva rifiutata. Rifiuta in modo sprezzante a tal punto da uccidere quel poco di vitalità che le era affiorata nella sua anima dopo aver scoperto di amarlo. Lui, che sempre con poche parole, era riuscito ad essere confortante e pronto ad aiutarla. Ad essere la spalla su cui piangere, dove cercare rifugio o semplicemente trovarlo pronto a regalarle quella parola gentile in un momento in cui si era sentita sconfortata.
Ma era stato anche franco, schietto in modo disarmante tante altre volte. Perfido nella limpidezza dei suoi pensieri. E quel giorno era stato tutto questo.
L’aveva colpita più e più volte. Senza lasciar niente in sospeso. Senza più nessuna parola da rivolgersi. Lasciandola inerme e sconfitta. Vuota.
E adesso la luce che aveva saputo far brillare attorno a sé si era affievolita fino a sparire. La sua ombra, come amava definirsi André, si era fatta luce oscurando lei. Per sempre.
Le aveva vomitato addosso tutto il suo rancore e le sue delusioni. E non riusciva a dargli torto. Aveva temuto tante volte questo momento ma paventarlo non era servito ad evitarlo.
E adesso era sola.
Sola come non mai.
Rifiutata. Rifiutata come non lo era mai stata.
Certo, era stata rifiutata da Fersen una volta, tanti anni prima, e ricordava bene come si era sentita.
Umiliata. Mortificata.
Ma leggera. Si, leggera. Come libera da un peso estraneo.
Era stato come se il rifiuto di Fersen avesse aperto uno spiraglio attraverso il suo cuore spezzato.
In fondo non era stata mai tanto sicura di riuscire a cambiar vita solo per stare con lui. Avrebbe dovuto rinunciare a troppe cose.
La sua libertà.
Alla sua casa. A Nanny.
Ai propri sogni.
Al raggiungimento dei propri traguardi.
Ad André.
In fondo lei non aveva mai avuto la stoffa per sposarsi. O così aveva creduto.
Ma il rifiuto di André era stato diverso. Come se avesse lacerato la sua anima in profondità.
Aveva rifiutato lei e il suo corpo. L’aveva disprezzata rifiutando inconsapevole, forse, che lei gli stava donando in modo maldestro anche il suo cuore.
Respinta come una volgare e rozza donna di strada.
Dissacrata e beffata.
Eppure…eppure non riusciva ad odiarlo per questo.
Non riusciva a non pensare che in fondo si era meritata tutto.
Che cosa aveva sperato in fondo? Che lui al suo minimo schiocco di dita si sentisse onorato delle sue attenzioni?
Si, lo aveva sperato. Era troppo abituata a comandare e ottenere tutto ciò che volesse.
…Io non sono oggetto ottenuto dopo la conveniente stipula di un contratto…
No, non era un oggetto e lei per troppe volte lo aveva dimenticato. Troppo timida e insicura per affrontare il suo André con il cuore in mano invece che in sella al proprio orgoglio.
Doveva rimediare. Non pensava ad altro ormai. Non voleva continuare a compiangersi delegata nella sua torre. Voleva vivere di nuovo.
Aveva lottato per anni battaglie non sue. Le convinzioni del padre. La protezione della regina. Dimostrare a se stessa di essere non meno degli uomini, ma…aveva sempre vinto e ne era uscita distrutta e senza coraggio.
Adesso voleva lottare per il cuore. Quel cuore che aveva tenuto rinchiuso per troppo tempo.
Ma la consapevolezza di ciò non le aprivano alcuna strada. Non sapeva che fare.
André era diventato un territorio impervio ed inespugnabile.
Conquistarlo sembrava ormai impossibile.
Ma voleva provarci.
Come fare?
D'altronde, sembrava che il loro destino fosse segnato ormai dalle loro nascite.
Lei era una nobile e non poteva amare un plebeo. E lui si rifiutava di essere il suo amante.
Amarlo sembrava non bastare…
Questa volta voglio tutto!... quelle parole riecheggiavano senza tregua ma, benché risultassero tanto affascinanti, Oscar non riusciva come interpretare quel tutto…non era il mero desiderio appagato tra le lenzuola. Era di più…ma cosa?
Corrugò la fronte sentendo dei passi felpati dietro di sé.
Cercò di mantenere la calma e non girarsi di scatto sperando di vedere l’unica persona che amava al mondo, che fosse tornato da lei per illuminarle la strada da percorrere insieme. Ma la voce che accompagnò quei passi sconosciuti la riempirono di delusione e al contempo di collera mal repressa.
“Oscar? Che fai al buio?” chiese stupito il padre aggrottando la fronte.
“Nulla padre” rispose senza emozione Oscar tornando a fissare il suo bicchiere pieno.
“Ho saputo che i tuoi uomini alla fine sono stati liberati”
“Si. Anche stavolta posso solo ringraziare la bontà della Regina. Che Dio benedica la regina” sorrise Oscar alzando il bicchiere in segno di brindisi.
“Smettila di scherzare…sai bene che questa volta abbiamo davvero rischiato una rivolta…non capisco come quelle persona siano venuti a sapere della carcerazione dei soldati della Guardia…”
“Io e i miei soldati possiamo dire di essere stati molto fortunati” disse con un sorriso segreto. Se solo suo padre sapesse che era stata proprio lei a chiedere di aizzare la folla per liberare i suoi uomini…
Sorrise ancora.
Alzò lievemente lo sguardo verso suo padre che con passo rigido si dirigeva verso la finestra che dava sul cortile.
“Posso immaginare Oscar…” prese un respiro: “Che per te è stato un momento molto difficile e che magari mi consideri un padre ingiusto…ma…sai bene che dovevo farlo” sapevano entrambi a cosa si stesse riferendo.
“Si, lo so” non voleva parlare di quello che era successo. Non ne aveva le forze.
“Io posso solo ringraziare Iddio per aver messo nella nostra strada André… se non fosse stato per lui a quest’ora saresti vittima innocente di un accusa infondata. André ha permesso che si perdesse un po’ di tempo. Se solo il mandante della Regina fosse arrivato con un po’ più di ritardo al momento…non so…Oh mio Dio…” bisbigliò afflitto portandosi una mano al viso.
Oscar rimase insensibile all’evidente dolore del padre. Le spiaceva che soffrisse per i suoi errori,  o presunti errori, ma non si pentiva per aver disubbidito agli ordini del re. Non avrebbe mai permesso di sparare alla folla.
“Siamo debitori alla nostra Regina. Ci ha donato un grande regalo salvandoti dall’accusa di tradimento. E spero che tu, Oscar, saprai prenderne giusta nota”
“Si, padre”
“Gli dobbiamo la vita oltre che al nostro onore. E il nostro appoggio in questi momenti così difficile è fondamentale. Non dimenticarlo Oscar. Non dimenticare mai a chi dobbiamo la nostra fedeltà”
“Non dimentico, padre”
Il generale non sembrò molto soddisfatto dalla risposa atona di Oscar. Qualcosa non andava. Sembrava che nella sua voce mancasse di convinzione.
Si girò verso di lei e la trovò sempre uguale a come la conosceva. Retta. Elegante. Dignitosa. Altera. Come poteva essere solo un De Jarjayes, ma, eppure, qualcosa non andava.
Il suo sguardo era vuoto. Perso in chissà quali struggimenti.
Avrebbe dovuto essere contenta. Felice. Soddisfatta almeno. Aveva ottenuto tutto quello che aveva desiderato. La liberazione dei suoi uomini. La sua salvezza. Ma niente. Inerme e silenziosa come non mai.
Qualcosa la preoccupava.
“Spero tu sappia qual è il tuo posto in società? È tuo dovere obbedire ciecamente agli ordini del nostro re. Mentore del nostro regno. Spero che il tuo ruolo come comandante delle Guardie non ti abbia influenzata negativamente…”
“Conosco i miei doveri. Me li ripetete dacché sono cresciuta. Non ho fatto altro che espletare i miei doveri”
“Bene. Anche se…se tu avessi obbedito sin da subito adesso non ci troveremmo qui a parlarne…”
“Voi, voi mi avete insegnato ad onorare il ruolo che Dio mi ha donato. Dimostrarmi all’altezza del mio titolo e del nome che porto. Mi dicevate che un nobile teneva sulle sue spalle grandi responsabilità tramandate dai propri prestigiosi e valorosi antenati. Antenati che hanno combattuto a fianco del re al servizio del popolo. Liberando il popolo dalla tirannia e dalle conquiste barbare. Non avete idea di come queste parole siano state essenziali nella mia vita”
“E dove erano quando hai tradito il tuo re?”
“Il mio re ha tradito il popolo… non posso pensare altro quando mi si viene imposto di sparare alla folla. In mezzo a bambini indifesi e donne. Uomini disarmati e guidati dalla fame e dalla miseria, non certo educati all’arte della guerra. Voi non mi avete mai indotta a combattere slealmente”
“Non dire eresie Oscar! Quegli uomini, quella gente che tu ancora ti ostini di difendere non era altro che meri traditori! Era solo un accozzaglia selvaggia di primitivi! Questa non è la Francia!”
Oscar abbassò lo sguardo, il volto infiammato dall’ira. Avrebbe voluto continuare a polemizzare ma temeva quel confronto. Lo temeva grandemente… non era mai stata in grado di fronteggiare suo padre…quando improvvisamente le parole cariche di livore di André le vennero alla memoria…
…“Hai talmente timore di tuo padre che per sopperire il torto a me fatto accetti la mia scandalosa offerta. Preferisci prostituirti piuttosto andare contro gli ordini del tuo mentore!”…
“Non mi piacciono le tue parole Oscar. Spero per te che adesso tu abbia capito per chi combattere!” urlò il padre stringendo i pugni.
Oh si, padre…
“Si, padre, scusatemi se vi ho riposto così in malo modo. Ma questi eventi così tristi mi hanno sconvolto. So qual è il mio posto e grazie a voi non lo dimenticherò mai” disse con voce falsamente ubbidiente e rispettosa.
Il padre sorrise fiero di lei e avvicinandosi disse: “Sono fiero di te Oscar. So che tu non mi deluderai in questi momenti difficili. Sai essere valoroso e coraggioso in un modo tale che nessuno è mai riuscito ad eguagliarti. Sono orgoglioso di te”
“Vi ringrazio padre” e sorrise.
“Ma perché tieni quel broncio? Qualcosa non va?”
“No, padre. Sto solo ripensando agli ultimi eventi che hanno scosso la tranquillità della nostra grande nazione”
“Si, sono periodi duri questi. Ma sono sicuro che la corona saprà addomesticare ancora il proprio popolo come si fa con un cane rabbioso e affamato. Basta qualche carezza e un tozzo di pane ben distribuito e gli animi si allenteranno”
Si, come sparare alla folla…per favore padre!
“Già”
“Ma tornando a discorsi più lieti… Sono passato dalle scuderie poco fa e ho potuto notare con mio grande diletto che il mio nuovo acquisto, Raul, è davvero al di sopra delle mie aspettative. André ha fatto davvero un buon lavoro” disse con voce gaia tanto per attirare la sua attenzione. Parlare di André, in passato, aveva sempre conquistato l’animosità di Oscar.
Il suo sorriso però venne smorzato dall’espressione lugubre sul viso della figlia.
“Oscar? Che cosa c’è?” chiese infastidito dal suo impertinente silenzio.
“Niente padre”
“So, che nel pomeriggio sei passato a trovarlo. Spero che quel ragazzo sappia che gli devo la tua vita”
Oscar non rispose sentendosi arrossire.
“E’ incredibile, figliolo, come quell’André abbia fermato la mia mano. Ha avuto un coraggio senza precedenti. È sempre stato un bravo ragazzo, silenzioso ed ubbidiente, insomma un perfetto servo. Anche se…”
“Cosa padre?” chiese Oscar, messa subito in allarme dal suo tono grave.
“Non mi sono piaciute le sue parole. Certo, ho ammirato il modo in cui ti ha difeso ma non le sue parole. Si è lasciato vincere anche lui dal veleno traditore che si sta propagando tra le vie di Parigi. Ma lui è un plebeo. È facile per lui dimenticare qual è il suo posto nella società. Sposarti! Ah! Che assurdità!”
“Per questo lo avete chiamato? Per ricordargli qual è il suo ruolo in questa famiglia? Per ricordargli che il suo posto è tra le bestie?” chiese allibita Oscar alzandosi.
“Cosa ti aspettavi? Si era fatto strane idee su di te e su tutto. Mettere addirittura in discussione i ruoli essenziale della nobiltà e la borghesia è davvero un sacrilegio. Meglio ricordargli che è sempre al servizio dell’aristocrazia” e con un mezzo sguardo altero si girò verso la finestra lanciando il suo sguardo verso le scuderie.
Oscar era senza parole.
Adesso si spiegava tutto.
Il livore di André. La sua delusione. La sua collera.
Aveva capito l’intento del generale e per questo sembrava impazzito dalla rabbia che covava dentro. Lei era stata solo la miccia per farlo scoppiare.
Era stato usato, manovrato dietro la cortesia di un favore, per giunta gratis, solo per costringerlo a ricordare che lui non era un nobile e che la sua condizione di uomo del popolo era e sarà sempre essere al servizio della classe del primo stato.
Si sentì tremare, si sentì travolta dal dolore, dall’ignominia delle parole crudeli del padre.
Era ovvio che il padre non aveva digerito le parole di André. La sua impertinenza. Il suo gridare impetuoso di volerla sposare.
…“Tu no sei un nobile! Non puoi sposarla! Solo il re può permettere un matrimonio!”
“E se il re si innamora di una donna a chi deve chiedere il permesso?”…
Le parole sibilline di André riecheggiarono chiare nella sua memoria. Comprensibili finalmente anche per lei.
André aveva ragione. Era assurda questa distinzione di classe. L’amore non si può comandare secondo il proprio prestigioso passato o di quanto sia importante il nome della famiglia a corte. Se due persone si innamorano lo fanno solo perché glielo detta il cuore e non il re.
Il re è solo un uomo come tutti gli altri. Mangia, dorme, beve, si arrabbia, ride, si ammala e muore come qualsiasi mendicante di strada.
Basta! Basta con l’ignoranza e chiudere gli occhi su quegli argomenti così limpidi agli occhi di chiunque. Doveva agire.
E per farlo doveva fare la sua scelta. La giusta strada da percorrere.
E lei aveva scelto.
Aveva scelto la strada del cuore.
“Avete ragione padre. André non è altro che un domestico”
“Temevo, per un momento, che fosse stato lui a metterti queste strane idee in testa. Ma vedo che mi sbagliavo”
“Si, padre, sbagliavate. André è la persona più onesta che conosca…” dovette trattenere l’espressone scettica che le si era formata in viso: “Se ha detto quello che ha detto è stato solo un maldestro mezzo per indurvi a non uccidermi. Lui non sa, non può capire l’importanza del vostro sacro gesto”
Il padre sorrise a pieno viso. Era soddisfatto dalle parole di Oscar. Per la prima volta in quegli ultimi trent’anni Oscar parlava esattamente come voleva lui. Gli riempì il cuore di orgoglio.
Oscar si diresse verso la porta e prima di uscire disse: “Voglio farvi un regalo padre. Un regalo in onore a voi e a ciò che voi avete fatto di me. Un presente per dimostrarvi la mia stima per voi. Vi prego di accettarlo.”
“Di cosa parli Oscar?”
“Voglio fare una cosa che ho sempre odiato. Voglio regalarvi un mio ritratto”
“Ah ah ah. Che bello Oscar! Ne sono davvero compiaciuto! Da anni ne desideravo uno! Ti riserverò il posto d’onore in salotto. Lì la luce è perfetta e saprà dare giustizia alla tua immagine, che, pretendo, deve essere superba!” rise il padre.
Oscar sorrise, annuì e uscì dalla stanza dirigendosi verso i suoi appartamenti. Mentre un piano prendeva corpo nella sua mente.
 
***
 
Alain passeggiava tranquillamente per i corridoi della caserma felice come non mai di rivederne le lugubri pareti. Quei giorni in prigioni, certo come non mai che la fine era vicina, erano stati i peggiori che la sua mente ricordasse. Ma era vivo. Era stato condannato e invece era vivo. Libero. Grazie alla folla e soprattutto alla caparbietà del suo comandante. Gli doveva la vita.
Scosse la testa quando vide André, che silenzioso, guardava con sguardo assente fuori da una piccola finestra.
“Che ti succede Grandier? Da quando sei tornato che non hai proferito parola”
“Si, lo so. Hai ragione. Sono stato intrattabile in quest’ultimo periodo. Ti prego di perdonarmi”
“Ti va di parlarne”
“No, preferisco di no”
“Hai litigato con la tua bella?”
“Te l’ho già detto. Non mi va di parlare”
“E’ da un po’ che il comandante non ti fa chiamare nel suo ufficio per ogni minima scusa. E tu casualmente hai quella faccia da scemo. Avete litigato?”
“Alain, ti prego dammi tregua”
“Uhm…non mi convinci. C’è qualcosa che non va…vediamo…la tua donna comandante ti ha fatto una sceneggiata perché stai troppo tempo fuori a far baldoria con noi?”
“No”
“Ti ha fatto una scenata perché ultimamente non le rivolgi più quegli sguardi adoranti?”
“No”
“Perché fai il cascamorto con la nostra bella Juliette?”
“No, Alain per favore!”
“Ah ah ah ah! Questa volta devo esserci andato vicino! Sei tutto rosso!”
“non riesco a capire perché Oscar dovrebbe farmi una scenata per Juliette!”
“Ah! Mio caro e bel innocentino! Non hai mai notato come ti guarda il comandate dalla sua finestra quando viene a farci visita la bella rossa? Già me la immagino che accartoccia tra le dita un foglio di carta per sfogare la sua rabbia. È gelosa. Ascolta un amico!”
“Ricordi che stiamo parlando di Oscar, vero?”
“Si, certo. Il nostro bel comandante biondo che si è presa una sbandata per il soldato più scemo della caserma!”
“Sembrava che parlassi di me, ma visto che parli del più scemo allora credo che tu ti stia riferendo a te!”
“No, quello scemo sei tu. È incredibile che tu non riesca a vedere che quella lì non ti toglie gli occhi di dosso… ma d’altra parte perché mi stupisco. Sei mezzo orbo tu…”
“Oggi ti sei convertito al partito Torturiamo ad André?”
“Ah ah ah!” rise di cuore Alain. Ma tornando serio di colpo chiese con tono grave:“A proposito hai parlato con il medico? Che ti ha detto?”*
“Che sto rischiando grosso. A causa della tensione e della pressione mentale sto affaticando anche l’occhio destro. Dovrei, secondo lui, lasciare l’arma e dare riposo ai miei occhi. Potrei rischiare di perdere anche l’occhio destro…”
“E tu non hai alcuna intenzione di lasciare l’arma…”
“Già…”
“Ne hai parlato con Oscar?”
“No, se lo facessi lei mi manderebbe via”
“E sarebbe una cosa sensata. Siamo alle porte di una guerra. Un soldato cieco non è mai stato il massimo tra le prerogative di un esercito”
“Lo so”
“Sarebbe un suicidio, lo sai”
“Si”
“Esiste una cura?”
“Fondamentalmente riposo. E si, andare dal medico più spesso… ieri mi ha messo un liquido nell’occhio che mi ha per un momento dato un po’ di sollievo. Ancora il destro non è spacciato, ma pare che il mio destino sia segnato”
“Sei uno sciocco, André”
“Si lo so”
“Come pensi di poter dare una mano all’esercito e alla tua bella se non vedi più nemmeno il fucile che impugni! A volte mi verrebbe di picchiarti a sangue”
“Non servirebbe a niente”
“Uffa! Ma che razza di sortilegio ti ha fatto quella lì? Hai praticamente tutte le cameriere di tutte le taverne che frequentiamo ai tuoi piedi! E tu ti fissi con l’unica donna che non te la darà mai!” sbuffò l’amico scuotendo la testa. Inarcò un sopracciglio notando che André stava ridacchiando mentre una strana luce maligna brillava nel suo occhio ancora sano.
“Perché ridi?”
Se solo Alain sapesse che Oscar si era offerta su un vassoio d’argento! Chissà la faccia che farebbe!
“Scusa. Mi ha divertito solo il tuo sfogo”
“Senti fai una cosa: rapiscila. Tanto lei sarebbe d’accordo. Andate via lontano e vai in qualche posto tranquillo dove curare il tuo occhio e addomesticare quella bionda!”
“Non capisco perché non ci abbia mai pensato!” ridacchiò ancora l’uomo guardando Alain.
“Si, si, ridi, ridi. Tanto ti stai condannando a diventare cieco e suicidarti al minimo accenno di guerriglia. Non posso stare sempre lì a salvarti…” assottigliò gli occhi in modo minaccioso quando notò lo sguardo da cane bastonato che André imitava alla perfezione… ma non resistette molto…
“Ehi, dai non fare così…lo sai che ti salverò sempre se posso, ma…che ti succede?” chiese quando gli vide morire il sorriso, che birichino aleggiava sul suo viso.
“Niente. Ho solo voglia di stare solo. Lo so che ti chiedo tanto, ma ho bisogno di riflettere. Quello che dici è vero e ho bisogno di pensarci su…per favore”
“Va bene. Ma forse il tuo problema è proprio questo. Sei stato per troppo tempo da solo. Dovresti sfogare la tua rabbia con qualcuno e…”
“Ah! L’ho già fatto e no ho risolto nulla!” lo interruppe acido l’uomo tornando a guardare da fuori della finestra. Assottigliò gli occhi. Oscar era appena arrivata in caserma e stava scendendo dal proprio cavallo.
Alain seguì il suo sguardo e notò come André guardasse il suo comandante rabbuiandosi in volto.
“Avete litigato” proclamò entusiasta.
“Già” cedette André.
“E l’hai anche mandata al diavolo!”
André, malgrado la furia che la vista di Oscar gli aveva scatenato, rise.
“No. Non potrei mai”
“Perché? Guarda che se lo meriterebbe”
“Lo so. Ma ricordati sempre che io sono un suo sottoposto”
“Si, come no. Dai André, non m’incanti! Che cosa è successo?”
“Le ho solo…” si portò un mano ai capelli scuotendo la testa: “Alain, non è successo nulla. Solo che…Oddio…ho sbagliato…ho perso la testa e le ho vomitato addosso tutto la mia rabbia e la mia delusione. Ho perso il controllo…”
“E’ successo qualcosa di grave?”
“No, non le ho fatto del male se è quello che intendi. Forse, credo di avere esagerato. Ma se tornassi indietro mi comporterei allo stesso modo. Anzi, avrei dovuto farlo molto prima.”
“Questo ti fa onore, amico”
“Non riesco ancora a capire perché in tutti questi anni le abbia permesso di trattarmi…come dici tu? Ah! Come un tappetino ai suoi piedi! Le ho permesso di tutto! Ma adesso… dopo l’ultima volta…”
“Cosa è successo?” chiese incuriosito Alain.
André gli raccontò brevemente l’episodio con il generale e l’inaspettata presa di posizione di Oscar.
Alain annuì ma non commentò.
“Non mi vergogno di quello che ho fatto o di quello che ho detto. Sono convinto di ogni parola che è uscita dalla mia bocca, ma non riesco a darmi pace per il suo mutismo. Se solo lei avesse avuto una qualche reazione. Non so! Urlarmi di andare via e sbrigarsela da sola con suo padre e lasciarsi uccidere. Oppure che mi appoggiasse davanti a suo padre. Ero lì, in ginocchio pronto a darle la vita. Invece lei avrebbe permesso che morissi senza dire una parola. Nemmeno un addio. È proprio questo che mi fa rabbia. Ho sopportato di tutto. L’umiliazione. La derisione dei nobilotti imparruccati che mi stavano attorno. La sottomissione per dei principi che non capivo e non appoggiavo. Tutto. Ma la sua indifferenza non l’ho retta…”
“Magari era sotto shock” cercò di calmarlo alain, che ricordava con chiarezza quanto fosse stata sconvolta l’allora nuovo comandante Oscar quando aveva visto, con occhi sbarrati, André sanguinante e pesto sotto i pugni dei suoi commilitoni che poco apprezzavano il suo passato come servo degli aristocratici.
“Me lo sono detto tante di quelle volte Alain! Ma non ci riesco! Non riesco a convincermi! Non ci riesco a sopportarlo, non più ormai! Sono stanco di questa indecisione! Se solo lei mi avesse mandato via! Se solo lei mi avesse fatto capire da che parte stava! Io adesso saprei che strada percorrere!” chiuse gli occhi afflitto: “Sono stanco di vivere a metà. Incerto su quale sponda approdare. Se lei non continuasse a trattarmi in modo tanto ambiguo…”
“Mi pare di averti detto tante volte che quella donna non merita il tuo amore”
“Non sai quante volte ho provato a comandare il mio cuore e imporgli di dimenticarla, così all’improvviso. Ricordavo a me stesso tutto il male che sopportavo per lei, e quando ero pronto a lasciare tutto e andarmene lei tornava con un sorriso e con quella frase dolce che abbatteva tutte le mie difese. E l’altro giorno l’ha fatto di nuovo, lì nella scuderia...”
“Scuderia? Che è successo?” chiese Alain ghiotto di pettegolezzi.
“Ero arrabbiato. Il padre mi aveva fatto chiamare per addestrare il suo cavallo pulcioso. Tutto uno stratagemma per ricordarmi qual è il mio posto. L’idea che Oscar non mi consideri altro che un essere inferiore mi fa impazzire…anche se lei mi ha sempre giurato che non mi ha mai considerato al di sotto di lei… ma non ci ha mai creduto veramente…”
“Sono convinto che ti piacerebbe stare davvero sotto di lei!” rise Alain.
André rise ma tornando serio continuò:“Stavolta ho trincerato il mio cuore. Starò al suo fianco ma non sarò altro che un suo soldato. Non credo più alle posizioni sociali e alla monarchia. Se lei mi dicesse solo una parola, un'unica parola per capire che mi ama, o che non può vivere senza di me la prenderei e la porterei via da qui al volo, ma se così non sarà non farò più nulla per avere qualcosa di diverso da lei. Ho vissuto per troppo tempo in questo limbo tra l’amore e il dolore”
“Pare che le mie prediche abbiano dato frutti!”
“Ah ah ah! Già Alain! Solo conoscendo la fame e la miseria ho capito cosa non ha prezzo nella vita di un uomo: cioè la sua dignità. Quella non sarà più in vendita”
“Non essere troppo crudele però. Sappi ponderare ciò che ti sta attorno. Ma adesso vado. Stammi bene caro poeta!”
“Grazie Alain. Sei un vero amico. Avrei dovuto conoscerti parecchi anni fa”
Alain gli fece l’occhiolino e se ne tornò in camerata fischiettando.
André sorrise scuotendo la testa tornando ad osservare Oscar, che parlava fittamente con il colonnello D’Aguille.
Con sguardo serio ripensò alle sue parole.
Chissà perché quella sua nuova decisione, quel suo nuovo modo di agire non gli dava sollievo. Sentiva come un orribile peso allo stomaco che non gli permetteva di respirare liberamente.
Aveva mentito? Tutte quelle belle parole erano solo menzogne per ringalluzzire il suo orgoglio?
Scosse la testa e seguì Alain in camerata.
Forse era solo un ipocrita.


* mi sono sempre chiesta perché André non volesse curare il suo occhio, sembrava che godesse nel soffrire. ma tanto ormai ho stravolto il personaggio e continuerò a farlo impunemente. spero vogliate perdonarmi per questo.



Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** il risveglio ***


Sono tornata!!!!! Scusate il tremendo ritardo ma ho avuto poco tempo per scrivere! Intanto vorrei ringraziare tutte le meravigliose persone che hanno letto e anche commentato la mia storia senza senso! Rinnovo i miei grazie senza riuscire però ad esprimere correttamente la mia gratitudine sincera…
Tornando al nuovo capitolo vi anticipo che la fine è vicina. Quindi vi ammorberò solo per poco. Il capitolo chiarirà e svilupperà alcuni pensieri e azioni. Il piano di Oscar sarà un pò più chiaro e la scontrosità di André sempre più debole….ah l’amour!!!
Perdonatemi gli eventuali errori o ripetitività.
Scrivo di getto e senza prestare attenzione a dove metto le dita sui tasti. Ho seguito i vostri consigli a rileggere ma sono un caso senza speranza. Perdonatemi ancora se questo capitolo deluderà le vostre aspettative. Baci e a presto…
 
 
 
  ho corretto il capitolo da tutte quelle brutture grammaticali, imperfezioni verbali che sporcavano la lettura. non me ne prendo assolutamente il merito, io sono troppo pigra per notare gli errori. quindi ho chiesto aiuto e ausilio a Cosmopolitangirl e grazie a lei il capitolo è davvero più semplice da leggere. grazie di cuore per avermi fatto notare le mie mancanze così da poter correggere e migliorare il mio approccio con l'italiano.....
un bacio tutto dedicato alla mia amica di "penna" cosmopolitan girl...




La bionda comandante dei soldati della Guardia si stiracchiò delicatamente, cedendo con delizia ai pochi e semplici regali che una persona poteva mai donarsi, come il poltrire un po’, distesa tra le lenzuola candide del suo letto avvolto dalle evanescenti tendaggi del baldacchino. Raramente si concedeva tale piacere ma quel giorno le appariva tutto diverso, nuovo e come abbagliato da una luce scintillante di infinite promesse. Quella mattina si sentiva come mai si era sentita in vita sua. Era un giorno nuovo e colorato da ricchi colori pastello che tinteggiavano gioiosi le pareti della sua stanza fino a riflettere luminosi nella sua anima grigia e tetra. Si sentiva serena, mentre una nuova consapevolezza prendeva corpo nel suo essere e le alleggeriva i lineamenti, altrimenti sempre corrucciati, del suo bel viso.
Aveva deciso.
Sorrise dolcemente rallegrandosi del suo segreto.
Si alzò e canticchiando una canzoncina buffa cominciò a lavarsi rabbrividendo dell’acqua fredda del catino.
Era felice. Per la prima volta nella sua vita era contenta di aver preso una decisione, una decisione sua, solo e soltanto sua. Finalmente si sentiva padrona delle sue azioni.
Si guardò allo specchio e gli angoli della bocca si piegarono appena, dipingendole un sorriso che le illuminava il volto Si sentiva stupida ma non riusciva a fare a meno di rallegrarsi vedendo i suoi occhi splendere come gemme rare.
Per troppo tempo era rimasta come in apnea, restia a farsi sfuggire anche il più flebile soffio d’aria.
Trattenere il respiro e null’altro. Aveva vissuto la sua vita come ovattata, guidata solo da ordini e insegnamenti, nuotando tra le melmose acque delle maree ipocrite della nobiltà e l’orrido viscidume fangoso della città a cui apparteneva. Quella Parigi che da qualche tempo aveva cominciato a respirare e a vivere. La fame, la povertà, la malattia, la rabbia che dilagava avevano scosso in lei quella consapevolezza che per troppo tempo era stata oscurata da false certezze e artificiose convinzioni che il suo rango nobiliare le avevano assicurato.  L’assoluta perfezione del mondo era solo una caricatura. Adesso la verità appariva ai suoi occhi come acqua cristallina e non voleva più ignorarla.
André aveva ragione, erano figli del loro tempo, della loro patria, girare la testa dall’altra parte equivaleva come lottare contro la giustizia e la libertà.
Lei sapeva benissimo cosa si provava nel sentirsi rinchiusi, braccati, senza alcuna scelta, e lei era stata prigioniera dagli insegnamenti ricevuti che avevano corrotto la sua intelligenza e rendendola ottusa e cieca. Ma adesso aveva il coraggio, la forza adatta per risollevare la testa e dare una mano a chi non poteva ribellarsi.
Possedeva i mezzi necessari e l’energia per combattere le ingiustizie dando il suo umile contributo.
Ma non poteva gire da sola. Aveva bisogno di colui che rappresentava la sua fonte di forza e coraggio. Il suo André.
Aveva deciso ormai. Sarebbe andata fino in fondo.
Amava il suo paese e i suoi concittadini, il suo ruolo nelle Guardie Metropolitane avevano una volta per tutte chiarito a chi dovesse la sua totale fedeltà: alla sua patria.
Sorrise ancora.
Ma in fondo non era solo la patria a cui voleva restituire qualcosa, qualcosa che il suo rango e la sua ricchezza aveva rubato ad un popolo stanco e avvilito. No, doveva tanto ad una persona in particolare. Una persona che aveva stancato e avvilito con il suo fuggire dalla verità. La sua codardia, la paura che aveva sentito sottopelle di soffrire di nuovo per amore non le avevano permesso di sprigionare con nuova intensità quel forte sentimento che provava per André.
Era arrivato il momento di riscattarsi e correre da lui e chiedere, no, se era necessario implorare, il suo perdono.
Ma non voleva illudersi. André in varie occasioni aveva mostrato più carattere di quanto la suo mite  personalità lasciasse intendere. La sua reazione qualche giorno prima alle scuderie ne era stata la prova.
André non si lasciava vincere facilmente. Nemmeno se colpito nel punto più debole di un uomo.
La tentazione di un peccato.
Quel peccato che lei era stata più che felice di accontentare.
Ma il cocente rifiuto all’abbandono dei sensi avevano risvegliato in lei come una voragine, un fosso nelle barriere della sua falsa moralità. Aveva capito quanto profondamente André l’amasse e la rispettasse benché lei meritasse di essere trattata nel modo più crudele possibile. Se solo lui non fosse stato così onesto, così deliziosamente uomo, rubando tutto ciò che lei gli donava, forse Oscar non avrebbe mai trovato davvero il coraggio di essere padrona del suo destino e cercare la felicità con l’uomo che l’amava.
E se fosse troppo tardi?.
Lo aveva ferito e deluso come non mai. Adesso aveva capito quanto effettivamente rischiasse di perderlo definitivamente. Aveva rinunciato troppo nella sua vita ma lasciarlo andare via significava rinunciare a vivere. Oscar non poteva permettere che ciò avvenisse, perché se André avesse iniziato ad odiarla, lei non avrebbe avuto più alcuna ragione per continuare quella farsa che era diventata ormai la sua vita.
Trattenere il respiro non sarebbe più stata la via di fuga.
Viveva per lui.
E doveva dimostrarglielo.
Doveva oppure tutti i suoi sforzi non sarebbero valsi a nulla.
Sperava solo che André le donasse il tempo di spiegarsi e, se ancora la voleva, di unirsi al suo folle piano.
Si guardò allo specchio notando quanto il suo sguardo rivelava. La paura e l’incertezza avevano creato delle ombre scure nei suoi occhi di zaffiro.
Sentì da basso il richiamo della sua governante che l’avvertiva dell’arrivo del pittore. Alzò le sopracciglia e inspirò profondamente per darsi un contegno. Meglio non se non si concentrava troppo al possibile rifiuto dell’uomo che adorava.
Doveva essere presente a sé stessa se voleva procedere con la sua prima mossa in quella scacchiera pericolosa.
Ridacchiò tra se e se con fare cospiratore.
Povera Nanny, le prenderà un colpo quando le dirò cosa ho in mente…pensò.
 
***
 
“Ciao” salutò Oscar facendo capolino nelle cucine.
Nanny alzò lo sguardo dalla pentola che stava diligentemente rimescolando con un lungo mestolo di legno. La guardò tra lo stupore di vederla nelle umili cucine e tra la gioia di averla accanto a sé al di là dei loro ruoli che li guidavano verso direzioni diverse e opposte nella vita di ogni giorno. Così esclamò: “Oh buongiorno mia cara! Ma che bella sorpresa che mi fai!”
“Per così poco…” si schernì Oscar avvicinandosi al tavolo da lavoro. Notò che vi erano molte patate pronte per essere sbucciate e alcune cipolle da preparare. Quella povera donna aveva ancora molto lavoro arretrato.
“Sono anni che non passi dalle cucine…ma il pittore è già andato via?”
“Si…ha fatto presto” annuì afferrando una patata e studiandola con attenzione. Tanta gente a Parigi sognava di poter imbastire le proprie cucine con quel ben di Dio che lei poteva vantare senza fare alcuno sforzo per ottenerlo. Strinse le labbra.
“Mi fa piacere. Ho spiato l’abbozzo che ha già dipinto e posso dirti che sta facendo un ottimo lavoro”
“Mi fa piacere. Ma non mi importa” chiuse l’argomento Oscar. Toccando qua e là con sguardo nuovo e consapevole delle fortune che aveva a portata di mano. Molte di quelle gioie del palato presto sarebbero diventate pasto ai maiali a causa del poco appetito del padroni. Incredibile! La gente a Parigi vendeva la propria anima al diavolo per ingurgitare anche solo la metà del contenuto di quel pentolone e i nobili si permettevano di rifiutare con fare stizzoso il loro cibo per mantenersi in linea. La gente di Parigi crollava per le strade senza forze e i bambini erano scheletrici. Scosse la testa.
Guardò ancora Nanny e aggrottò la fronte: “Che cosa stai cucinando?”
“Oh niente di ché…solo un minestrone. Tuo padre non cena a casa e tu mangi così poco” sospirò la donna lanciandole un breve sguardo di rimprovero.
“Dove sono le altre cameriere? Perché sei tutta sola a cucinare?” chiese inutilmente. Sapeva bene perché fosse sola. Molti domestici avevano abbracciato la causa parigina e avevano abbandonato molti tetti aristocratici per combattere i soprusi e le ingiustizie. E anche i domestici Jarjayes non erano stati da meno. Solo i pochi fedelissimi non ne avevano voluto sapere di abbandonare i loro padroni. E Nanny era tra questi. Ovviamente.
“Mia cara, da quando molti domestici ci hanno lasciato i pochi che siamo rimasti ci distribuiamo una mole di lavoro davvero non indifferente”
“Capisco. Stiamo davvero attraversando tempi difficili… ma và…ti aiuto io…” sospirò arrotolandosi le maniche della camicia bianca. In fondo se voleva andare a fondo con il suo progetto per raggiungere la libertà avrebbe anche dovuto imparare a cucinare e prendersi cura di una casa. Un compito davvero arduo quanto sconosciuto, ma lei adorava le sfide, come era vero Iddio che si chiamava Oscar François de Jarjayes…finora…
Sentì il fragore di un coltello che cadeva per terra picchiando violentemente il pavimento grezzo della cucina. Si girò verso la sua governante e la vide con la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite. Quasi la donna si lasciò vincere da una crisi isterica: “Cosa!? Non osare! Non sia mai che un nobile debba sporcarsi le mani con lavori tanto umili”
“Su, smettila. Devo farlo. Sei sola e hai ancora un bel po’ di patate da sbucciare. Fatti dare una mano. Si avvicinano tempi duri per la nobiltà e non mi sembra così strano credere che prima o poi si dovrà fare a meno di tutta questa servitù. Su, dammi quel coltello”
“No!”
“Non fare i capricci. Qui dentro comando io o cosa?” tentò la carta del comandante severo, ma quella donna era un osso duro e sembrava insensibile ai suoi ordini. Negli ultimi tempi sembrava proprio una cosa di famiglia.
“Guarda che prendo il mestolo” la minacciò Nanny in barba alle condizioni umili del suo ceto.
“Forse mi stai scambiando per André… dai, su. Dammi quel coltello e falla finita. Dimmi cosa devo fare…” disse ancora cambiando tono e diventando un po’ più gentile. Doveva imparare a chiedere le cose con cortesia e non ordinare.
Almeno non sempre e non con tutti. Soprattutto con quei due…nonna e nipote erano davvero impossibili a volte.
Nanny sospirò pesantemente e scrollando le spalle cedette, anche se non molto convinta: “D’accordo, ma ti rendi conto che se la servitù venisse a sapere che tu…”
“Non diremo niente a nessuno, sarà il nostro segreto. Allora, mi dici cosa devo fare o vado ad intuito?”
“No, no! Allora passa il coltello piano e lentamente in modo da togliere solo la buccia e non la polpa. Brava…piano. Non tagliarti” diceva la donna anziana mostrandole come fare dopo aver fatto sedere Oscar al tavolo da cucina.
“Sono sempre stata brava con i coltelli, ma…” sbuffò la ragazza dopo essere stata corretta per l’ennesima volta dall’occhio vigile di Nanny.
“Ah, ah, ah… piano! Non è mica un tacchino da scuoiare!” ridacchiò Nanny guidandole la mano verso la buccia della patata e non nel suo cuore.
“Scusa…”
“Fai così…vedi… è semplice”
“D’accordo…dammi quell’altra patata. Sto imparando!” disse inorgoglita la donna contenta del suo misero risultato.
“Si…lo vedo…uff…non hai altro da fare Oscar?” sbuffò sarcastica la donna dandole le spalle.
“Mi stai cacciando via?”
“No, mia cara…” disse falsamente accondiscendente, ma le sorrideva con simpatia e affetto.
“Oggi non devo andare in caserma. Ho un bel po’ di tempo libero. Quello sciocco di pittore è rimasto solo poche ore e io sono stanca di stare seduta a non far nulla”
“Su tieni. Prendi qua”
“Bene. E adesso veniamo a noi” disse Oscar parlando con la povera patata pronta ad essere sbucciata fino in profondità diminuendo di molto il suo originale spessore.
“André ti ha mai aiutato in cucina?” buttò lì Oscar dopo essere state in ligio silenzio mentre ognuna eseguiva il proprio lavoro.
“Macchè! Quel fannullone non era capace di far nulla! Oppure lo faceva apposta. Odiava darmi una mano mentre cucinava e soprattutto non era altro che un pasticcione. Sporcava ovunque e rubacchiava sempre un biscotto o un pezzo di torta. Non perdevo molto tempo a mandarlo via. Stai con le bestie che è meglio! gli urlavo”
Oscar ridacchiò: “Si ricordo che correva terrorizzato verso le scuderie…ricordo anche che rubava sempre qualche biscotto in più per regalarlo a me” sospirò Oscar fermandosi un attimo a gustare quei dolci ricordi di un passato sereno e leggero.
“Quel farabutto” ridacchiò Nanny, che aveva sempre intuito che André avesse rubato un numero spropositato di dolcetti solo per offrirli anche alla sua amichetta del cuore.
Aveva sempre voluto così bene alla sua Oscar. Così l’aveva sempre chiamata. La sua Oscar. Quell’adorabile briccone. Quanto le mancava… La casa Jarjayes era così vuota senza di lui. Non c’era nessuno che canticchiava a qualsiasi orario, risate e fischietti che tanto innervosivano Oscar.
Adesso il palazzo sembrava rimbombare di vuoto, il silenzio regnava sovrano dove si sentiva echeggiare anche il più timido passeggiare delle sue cameriere. Con André ci sarebbe stata confusione e rimproveri.
“Che ti succede?” fece Oscar notando i suoi occhi lucidi.
“Oh, la cipolla deve aver…”
“Ma tu non stai tagliando la cipolla”
“Ma si! Dovrà essermi andato qualcosa nell’occhio…” disse tirando su con il naso e girandosi di botto dandole le spalle imbarazzata da quel momento di debolezza.
“Ti manca?” chiese Oscar con voce dolce sentendosi così vicina alla vecchia governante.
“Chi?”
“André”
“Bé…si. Certo. Le giornate passavano molto più velocemente quando lui era tra i piedi. Inventava sempre qualche scherzo per farmi arrabbiare.”
“Si! È vero!”
“Posso capire quando era piccolo ma anche da grande trovava sempre un modo per farmi uscire dai gangheri…era un monello…” un singhiozzo sfuggì dalle sue labbra serrate.
“Che c’è?”
“E’ passato tanto tempo da allora. Ho paura che la vita lo abbiano indurito. Non ricordo nemmeno l’ultima volta che l’ho visto ridere”
“Bé… in caserma si diverte molto con i suoi compagni”
“Lo spero… e anche tu sei molto cambiata” sospirò la donna guardando di sottecchi la ragazza bionda. Oscar abbassò lo sguardo finendo silenziosamente la sua ultima patata.
Nanny Scosse la testa e tornò ad occuparsi del minestrone. La sua bambina non si era mai confidata con lei e se adesso continuava a non renderla partecipe dei suoi pensieri non ne restava stupita. Aveva passato la vita ad imparare a chiudere tutto dentro il suo cuore. Cambiare non era facile.
“Su, taglia quelle patate a cubetti. Ti mostro come fare”
“Credi…che io sarei mai in grado di cucinare?” chiese timida Oscar abbassando lo sguardo
“Nessuno nasce sapendo fare tutto! Ma certo che potrai imparare a farlo…ma perché me lo chiedi?”
“Ecco…non so come dirtelo, ma pensavo…da tempo ormai penso seriamente l’idea di fugg…” cominciò lei indecisa su come iniziare l’argomento.
“Oh mio Dio, Oscar! Non dirlo!” la interruppe la governante portandosi una mano al cuore.
Oscar si alzò e volo dalla nonna di André afferrando le mani tra le sue: “Nanny! Ho bisogno del tuo aiuto! Ti prego!” Oscar non si stupì molto che Nanny avesse già capito tutto senza l’ausilio delle sue parole. Era una donna in gamba e la conosceva fin nel suo più intimo angolo nascosto della sua anima.
“No! Non posso crederci! No!” scuoteva la testa sconvolta non volendo ascoltare il seguito. Aveva capito. Aveva capito tutto e non poteva, non doveva ascoltare. Era sbagliato. E vergognoso! Non potevano! No!
“Devo farlo Nanny. Sono stanca, sono davvero tanto stanca di combattere. Di eseguire gli ordini di mio padre, sono stanca di essere la sua marionetta!”
“No! Non voglio sentire!”
“Nanny tu lo hai sempre saputo. Sapevi bene che sarebbe finita così! Sapevi bene che prima o poi…”
“No Oscar! È sbagliato!”
“Perché è sbagliato? Mi hai sempre ripetuto di seguire il mio cuore e io non ti ho mai voluto ascoltare ma adesso ho deciso…”
“Getterai la tua famiglia nella vergogna…” cercò di convincerla con le lacrime agli occhi.
“No, benché sia in credito con la mia famiglia per tutto il male che…no, malgrado tutto non subiranno problemi per colpa mia…” disse pronta a rivelare il suo progetto alla donna che avrebbe dovuto aiutarla.
“Che vuoi dire?” chiese timorosa l’anziana donna portandosi un fazzoletto alla bocca.
“Dirò al mondo di essere morta… in fondo con il lavoro che faccio rischio la vita continuamente!”
Nanny trattenne un grido angosciato e fece velocemente il segno della croce: “Dio del Cielo e della Terra abbi pietà di questa fanciulla! Non sa cosa sta dicendo! È solo affetta da un terribile male alla mente! Deve aver perso la ragione!” poi la guardò e urlò: “No! Sai bene che porta sfortuna parlare di morte!”
“Ah ah ah! Lo sai che André ti imita benissimo quando fai cosi...!” ridacchiò lei che malgrado la drammaticità della situazione non poté fare a meno di trovare Nanny particolarmente divertente.
“Ti prego, non parlarmi di lui!” esclamò come se Oscar avesse parlato del diavolo in persona. Ma Oscar aveva deciso di ignorare la voce della ragione e ormai non dava che ascolto al suo cuore: “Avrei dovuto cogliere l’occasione quando mi si è presentata…ma sono rimasta immobile. Come in trance. Incapace di muovere un muscolo. Ero lì di fronte, inerme, davanti ad André che dichiarava senza alcuna remora il suo amore per me sfidando mio padre e la morte, e io…io sono rimasta a guardare inebetita come spettatrice di una melodrammatica scena teatrale… non sono stata capace di parlare…di difenderlo…e lui adesso mi odia per questo”
“Ti odia? Ah! Non essere sciocca. Quello stupido vive solo per te!” sbuffò gettando il fazzoletto nel lavabo.
“Mi aiuterai?” le chiese direttamente con un espressione decisa in volto: “Ricorda solo che niente questa volta mi fermerà. Andrò per la mia strada e se tu non mi aiuterai troverò…”
“Oscar, bambina mia… ricordo bene quando ti presi tra le braccia appena nata, minuscola nelle tue fasce calde. Eri deliziosa. La tua testolina rotonda coperta da fitti riccioli d’oro, piangevi e strepitavi come un cucciolo e io ti vedevo, piccola mia, forte ma tanto indifesa. Poi tuo padre quando ti vide venne colto dalla follia e decise questo crudele destino, ma io non potevo fare nulla. Non sai quanto protestai ma la decisione era ormai presa. Io sono solo una umile domestica… Da quello stesso momento giurai a me stessa che ti avrei protetta per quello che le mie forze mi avrebbero permesso. Che avrei fatto tutto quello che era in mio potere per renderti felice…”
“Allora aiutami!”
“Una volta scelta questa strada non potrai più tornare indietro” l’avvertì prendendola il viso tra le mani.
“Io lo amo, Nanny!” esclamò in preda all’angoscia. Non sapeva esprimere a parole l’agonia che portava nel cuore ogni attimo che passava lontano da lui. Ma quelle parole espresse per la prima volta ad alta voce sortirono l’effetto sperato.
“Lo so. Oh Santo Cielo! Lo so! Oh Oscar lo so da così tanto tempo! Vi vedevo insieme, uniti dal destino e da un sentimento troppo forte per essere scacciato via! Oscar!...oh mio Dio!” singhiozzò allontanandosi dalla giovane donna che era afflitta dalla più forte emozione che un essere umano poteva mai provare: l’amore.
“Ti prego Nanny calmati”
“Io vi guardavo e qualcosa dentro di me moriva. Sapere quanto i miei bambini avrebbero sofferto per questo amore così intenso e sbagliato per voi due…ho cercato in tutti i modi di creare delle barriere tra di voi ma è stata una battaglia persa in partenza!”
“Non deve essere per forza così terribile Nanny”
“Vedevo mio nipote annullarsi sempre di più in un amore che lo stava annientando. Lo trovavo ubriaco o semplicemente triste e io mi maledivo ogni giorno di più. È stata tutta colpa mia! Se solo non avessi mai portato quel caro bimbo in questa famiglia…”
“Avresti permesso che vivesse solo?”
“Oh no…magari prendermi cura di lui abbandonando la tua famiglia, ma ero così legata a te che la cosa mi parve impossibile…dovevo proteggerti”
“E’ inutile recriminare. Lo amo e il mio cuore è legato a lui inesorabilmente. Cercare ancora di sfuggire a questo amore non mi porterà da nessuna parte. Nonna, se solo tu potessi vedere il mio cuore! Mi sento ogni secondo di più crollare nel baratro della follia…ormai non ragiono più…sono così stanca…voglio solo essere felice…renderlo felice.”
“Va bene bambina mia. Vi aiuterò. Sarò al tuo fianco in ogni decisione che vorrai prendere…solo…”
“Cosa?”
“Non permettere che quello stupido ti faccia soffrire, perché altrimenti lo ammazzo!”
“So difendermi da lui Nanny!”
“Oh mia cara vieni qui, fatti abbracciare!” e con il cuore ricolmo di gioia le due donne si abbracciarono, unite ormai dalla stessa reciproca felicità di realizzare un sogno perfetto.
Ora le rimaneva soltanto di riconquistare il cuore del suo amato.
Ma prima di tutto doveva occuparsi di alcuni fatti “pratici” per mandare avanti il suo piano.
 
***
 
Lo aveva fatto chiamare. Era desiderato con la massima urgenza nei suoi uffici, questo il messaggio per lui.
Scosse la testa.
Per lei era così semplice ignorare tutto e procedere con la vita normale come se niente fosse. Già immaginava il suo viso, un maschera di ghiaccio, dal mento alzato e la schiena ritta, che affrontava il mondo intero con il coraggio da leone ma diventava timorosa come un coniglio scappando dalla verità che le aveva schiaffato addosso.
Ma lui non era capace, non era capace ad ignorare tutto, di nuovo. Far finta che non fosse successo nulla, di nuovo.
Come quando, dopo quella famosa notte, lei lo aveva congedato freddamente, annunciandogli con voce melliflua  il suo perdono e il suo desiderio di non parlarne più, di dimenticare. Trattandolo con quella secca magnanimità che si riservava agli sciocchi, come se gli avesse concesso chissà quale onore ad avergli regalato una seconda possibilità.
E lui aveva obbedito, come sempre. Ma aveva rischiato il bene dell’intelletto. Aveva rischiato di impazzire dal dolore e di soffocare dal senso di colpa.
Ma le notti erano state tutta un’altra storia. Il desiderio non soddisfatto, il suo corpo che agognava un piacere mai appagato. Rivivere con la mente mille volte la scena su quel letto sognando fino allo sfinimento cosa avrebbe voluto farle disteso sul suo corpo perfetto.
L’ossessione di possederla, di sentirla gemere sotto di lui, di condividere la calda passione che li univa da sempre lo avevano quasi ucciso.
Si portò una mano sul viso puntellando i gomiti sulle ginocchia. Oscar era la sua droga. La sua ossessione.
Era assuefatto da lei, dell’aria che respirava. Le aveva permesso di prendere possesso del suo cuore e anche della sua mente.
Tutto in lui era stata comandato da lei. Anche quando, nelle rare volte in cui aveva deciso di ascoltare i bisogni della carne, si era trovato a chiudere gli occhi e immaginare di abbracciare lei e non l’entusiasta sgualdrina di turno.
Si alzò dalla brandina in cui stava seduto e si portò alla finestra.
Lei ordinava e lui obbediva.
Lei il comandante e lui il suo soldatino fedele.
E per una volta che si ribellava lo faceva quando lei gli offriva il suo corpo in dono.
Rise con malcelata ironia.
Alain aveva ragione. Era un fesso.
Sarebbe stato un bel premio di consolazione possedere quel corpo tanto agognato come riscatto di tutto il dolore e lo struggimento che aveva avvelenato la sua stupida esistenza e lui invece faceva il prezioso.
Aveva voluto fare l’eroe e rifiutarla. Rifiutarla come uno stupido stizzoso con troppo orgoglio.
Aveva rifiutato Oscar e l’incredibile possibilità di giacere con lei come uomo e donna.
Aveva recitato la parte del verginello carico di livore.
Santo Cielo André! Hai fatto il cane obbediente una vita proprio adesso dovevi ribellarti!
Respinse a stento la voglia di sbattersi la testa sullo spigolo più appuntito presente in quella maleodorante camerata carica di pulci e dal pavimento ricolmo di polvere, viscidume e altri elementi organici di cui non sapeva descriverne l’origine.
Rabbrividì e sbuffò.
Che idiota!
Se solo avesse confessato ad Alain cosa era successo qualche giorno prima alle scuderie Jarjayes, i suoi sberleffi non gli avrebbero dato tregua fino alla fine dei suoi giorni. E la parte più brutta era che aveva pure ragione!
Ma non era solo il pentimento di averla rifiutata ad ucciderlo. Era la voglia matta di correre in quel maledetto ufficio in cui lei si era barricata per afferrarla e scaraventarla senza pietà contro quella bella scrivania in cui amava trincerarsi e riprendere quello che aveva stupidamente interrotto.
Così si sarebbe reso ridicolo due volte.
Uno per aver rifiutato la sua offerta.
Secondo per essere tornato sui suoi passi.
Ma era così difficile cercare di ignorare il sangue che ruggiva nelle sue vene e il respiro farsi corto quando osava rimuginare nei ricordi deliziosi e tormentati della passione che avevano condiviso.
Inspirò tra i denti cercando di calmare il suo cuore impazzito e il suo corpo risvegliato. Era basilare non mostrare ai suoi compagni quale percorso avevano fatto i suoi pensieri caldi, che sempre di più parevano concentrarsi in una parte precisa del suo corpo. Le domande imbarazzanti sarebbero state senza fine.
“André…” lo chiamò in un bisbiglio Alain per non farsi sentire dagli altri commilitoni, che presi dalle loro sfide a carte non prestavano attenzione ai due amici.
“Dimmi…”
“Non hai sentito? Il comandante vuole vederti…”
“Si lo so. Ma non voglio vederla”
“Cosa? Ti sei bevuto il cervello? Disobbedire a un ordine…”
“Si, rischio rapporto o una sospensione…ma non importa…il fresco delle prigioni mi porteranno sollievo” sorrise l’uomo tenendo lo sguardo fisso fuori dalla finestra.
“André…lascia la tua questione privata fuori dall’esercito… non risolverai niente…”
“Non ti ho chiesto un parere Alain. Non vado”
“Sei un idiota! Provi adesso a fare l’uomo dopo che ti sei fatto umiliare nei peggiori dei modi! Sei ridicolo! Oltre che fesso! Non dimostrerai niente se non attirare l’attenzione su di te!” lo rimproverò Alain arrossendo d’ira.
André non rispose e senza dar segno di averlo ascoltato disse: “Và tu da lei e inventale una scusa. Dille di tutto. Dille anche che mi sono buttato da un ponte, tanto lei non cambierebbe espressione. Annuirebbe con un gesto annoiato della testa. Io ho sonno… vado a letto” disse stiracchiandosi e gettandosi sulla branda.
Alain non capiva. Non poteva capire.
Era necessario per lui non andare da lei. Non voleva rendersi ridicolo.
Si sentiva così vicino ormai. Così vicino a crollare ai suoi piedi e supplicarla di perdonarlo, di rinnovarle l’amore che provava ancora per lei. Di confessarla che lui le aveva solo mentito. che quel giorno alle scuderie era stata una maldestra tattica per scuoterla da quell’intorpidimento in cui lei sembrava essersi avvolta.
Ma il suo timore più grande non era solo tornare ad umiliarsi davanti a lei ma soprattutto cedere alla tentazione di terminare quello che era rimasto a metà il girono del loro violento litigio.
Affondò la faccia nel cuscino e mordendolo forte represse il desiderio di correre da lei e implorarle di riprenderlo con sé.
Alain scosse la testa e alzando gli occhi al cielo pregò Iddio di donargli la forza per sopportare quei due idioti.
Sbuffando scrollò le spalle e si diresse verso il corridoio.
Anche stavolta avrebbe dovuto risolvere la questione in spesso tra i due innamorati.
Ma come diavolo avevano fatto a vivere insieme in quei ventanni senza di lui?
 
***
 
 
La piuma lunga e nera picchiettava leggera ma decisa sulle labbra serrate e rosee del comandante. Sembrava che i colpetti regolari seguissero il corso ritmato del pensieri della donna.
La scelta era fatta. Aveva anche sistemato alcuni dettagli che non le avrebbero permesso di tornare sui suoi passi.
Ormai era inutile rimuginarci su. Doveva mandare avanti il suo piano e farla finita con quella vita che non voleva più e non la rendeva felice.
Ma era inutile anche recriminare il passato. Aveva sbagliato e anche tanto. Ma adesso voleva risollevarsi dal baratro in cui era crollata e prendere in pugno la propria vita.
Da tempo era ormai arrivata a quella possibilità, ma solo da pochi giorni l’aveva scelta definitivamente.
Aveva sbagliato tutto, eppure, eppure non riusciva a condannarsi tutto, eccetto il suo comportamento con André, vera vittima di tutte le sue scelte di vita.
Aveva sempre pensato che tutti gli esseri umani avessero un disegno di vita già prestabilito e che tutte le scelte o le follie fatte in passato siano stati solo elementi fondamentali per maturare e capire finalmente la strada da percorrere.
Aveva fatto bene ad arruolarsi e scegliere la vita da uomo. Certo, a prima occhiata sembra una decisione insensata che mortifica crudelmente la sua natura ma ripensandoci era l’unica cosa da fare. Perché se non avesse potuto fare altrimenti non avrebbe mai potuto maturare alcun rapporto con André, un semplice domestico. Lei, era una ragazza nobile e come tale aveva ben poche prospettive di vita, eccetto contrarre un conveniente matrimonio con un nobiluomo scelto dal padre.
Alla sua età avrebbe dovuto essere moglie e madre ormai da anni.
Invece era libera e vergine.
Era intelligente e la sua istruzione era superiore alla maggior parte della popolazione francese e migliore anche di molti nobili di sua conoscenza, soprattutto rispetto alle sue coetanee le quali hanno un istruzione quasi nulla se si eccettua l’arte del cucito, del disegno, della postura, delle buone maniere e l’arte del corteggiamento.
Invece lei una perla rara in quello stupido mondo comandato da soli uomini. Era in grado di pensare con la sua testa. Certo, per una vita aveva fatto scelte insensate e irragionevoli, ma adesso sembrava che la sua mente si fosse aperta definitivamente a ciò che le stava attorno.
Come se la sua presa di coscienza non sia limitata a vedere chiaramente che era innamorata e di chi ma anche la sua visione del mondo era cambiata. Definitivamente e irrimediabilmente.
Un mondo ingiusto e corrotto. Una nobiltà abbietta e parassitaria che si sfamava della fatica del resto del popolo senza far nulla per investire i propri beni e mandare avanti l’economia. Un economia retrogata e colma di crepe insanabili a causa la continua finanze di guerre espansionistiche insensate e assurde.
Il popolo era stanco e aveva fame. Fame di giustizia e libertà.
E anche lei aveva fame. Aveva fame di felicità. Quella felicità che sapeva, poteva trovare solo tra le braccia di André.
Ma non poteva dire al mondo che lei apparteneva ad un domestico, ad un figlio del popolino. E qui entrava in gioco tutta la sua vita sbagliata e assurda.
Era libera da legami e libera anche di poter scegliere.
Scegliere finalmente.
Decideva di scappare via. Lontano dalla mentalità corrotta e antiquata del padre. Dalle ingiustizie delle distinzione di classe. Da una vita triste e sterile.
Ma scappare non era semplicemente fare fagotto e sparire.
No.
Se così avesse fatto la sua famiglia sarebbe stata la prima a soffrire del suo tradimento. Tradimento, l’ennesimo, alla Corona, al casato a cui apparteneva per diritto di nascita. Alla sua famiglia non sarebbe rimasto che cadere in disgrazia, umiliati ed espropriati dai propri possedimenti,  esiliati da Versailles, poveri e denigrati dalla buona società. Oscar non desiderava questo. Era la sua famiglia e come tale l’amava dal profondo del cuore.
Nessuno doveva più soffrire per colpa delle sue scelte.
Al padre avrebbe lasciato il suo ritratto come ricordo di quell’immagine perfetta che lui aveva voluto creare nella sua persona. Senza che i suoi sogni di un erede perfetto vengano  macchiati dalla verità del tradimento che aveva in mente.
Per questo il suo piano era tanto rischioso quanto delicato. Se fosse stata scoperta la sua fine sarebbe stata terribile.
Sentì la porta bussare e il cuore cominciò a battere furioso nel petto.
La parte più difficile di tutto era parlarne con lui.
Lui che non le rivolgeva più la parola e che non incrociava più il suo sguardo, nemmeno durante le esercitazioni. E i suoi sguardi complici le mancavano, come le mancavano i suoi sorrisi e i suoi scherzi.
Ma doveva farsi forza e trovare il coraggio di aprire il suo cuore.
Rispose di entrare. Gettò lo sguardo sui suoi fogli cercando di recuperare un po’ del suo leggendario autocontrollo.
“Comandante, Alain de Soisson ai vostri ordini” disse il soldato bruno e altro quasi due metri facendo il saluto militare.
“Alain? Mi sembrava di aver fatto chiamare André” fece allibita.
L’uomo sembrava aspettarsi quel commento e si era preparato una scusa plausibile per giustificare l’assenza del suo ex attendente ma il furore negli occhi del comandante lo lasciarono un po’ incerto su come continuare: “A…André…André… ha rifiutato di venire ai vostri uffici”
“Cosa!? Come ha osato!? Vuole essere accusato di insubordinazione?” esclamò lei alzandosi in piedi.
“No, comandante. Semplicemente non si sentiva troppo bene…”
“Sta male? Che ha?”si calmò lievemente.
“Temo che ieri sera abbia esagerato con i balordi e adesso ne pianga le conseguenza”
“Esattamente cos’ha?”
“Ha passato la notte a vomitare e adesso temo abbia anche qualche linea di febbre” bisbigliò guardandosi le punte degli stivali. Alzò lo sguardo per il prolungato silenzio e dovette affrontare lo sguardo scettico del comandante. La donna inarcò un sopracciglio.
“Sono sincero” ci tenne a precisare.
“Guarda che non l’ho chiamato per farmi compagnia a bere il the! Se lo chiamo deve venire!”
“Su, comandante, non fate così! Sta un po’ male e si è permesso di rifiutare… voi lo conoscete da tempo e sapete che lui non si rifiuterebbe mai ma stavolta è davvero inguardabile…”
“Santo Cielo Alain! Non mi muovi pietà! Quindi smettila! È impensabile che un soldato possa rifiutare con tanta sfacciataggine gli ordini di un superiore. So bene di conoscere André da secoli ma non per questo, ha un trattamento diverso rispetto agli altri suoi compagni. Quindi chiamalo e imponigli di venire!”
Alain scosse la testa e disse burbero: “Siete ridicola quando fate così…”
“Come?! Ricorda che stai parlando con un tuo superiore!”
“Si lo so, ma prima di tutto ricordatevi che sono il migliore amico di André. Negli ultimi tempi André è stato intrattabile e non so perché ma sono pienamente convinto che voi c’entriate qualcosa…quindi fatemi un favore… o gli confessate che siete innamorata pazza di lui oppure lo lasciate in pace. Comandante!” si portò due dita sulla fronte e uscì dalla stanza
Oscar rimase senza parole e non seppe replicare prima di vedere la porta del suo ufficio richiudersi e ritrovarsi di nuovo sola.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** rivelazioni ***


grazie di cuore per tutte le persone che hano seguito la mia folle storia. vi sono davvero grata. questo capitolo è il capitolo della svolta, il finale, anche se non so se inserire un epilogo...mah...devo vedere...
per questo capitolo ho seguito i vostri consigli e mi sono fatta aiutare per eliminare le incertezze e gli errori. per questo ne approfitto per ringraziare tantissimo Cosmoplitan girl per la sua paziente collaborazione...pur di rischiare di essere ripetitiva la ringrazio ancora tanto.
spero che il continuo non deluda le vostre aspettative. baci.


 
***
 
“Perché fate tutto questo?” chiese Bernard ripiegando la lettera e riponendola al sicuro nella tasca interna della giacca marrone che indossava. L’ex paladino della giustizia, il cavaliere nero osservò la donna seduta al lato opposto del tavolino, con uno sguardo indeciso.
I due gentiluomini apparivano tranquilli ad occhi esterni mentre bevevano serenamente il loro boccale di birra fresca senza attirare l’attenzione di nessuno.
Nessuno poteva immaginare che in quell’angolo oscuro di quella anonima taverna si stesse confabulando per il tradimento della corona francese.
“Non ha importanza il motivo, solo non voglio che si faccia il mio nome. Sai bene cosa rischierei…” lasciò in sospeso la frase lanciando uno sguardo d’intesa all’uomo di fronte a lei.
Bernard annuì brevemente e strinse le labbra: “Che altro volevate dirmi?”
“In quella lettera è anche indicata un vecchio magazzino abbandonato alle porte della città che ho provveduto a riempirlo di scorte di cibo. So benissimo in quale stato sono costretti a sopravvivere la povera gente e i tumulti degli ultimi giorni hanno dimezzato la già scarsa quantità di vivande e altri generi alimentari”
“Si…non è difficile assistere a scene di svenimento per mancanza di sostentamento. Anche il pane comincia a sparire. E i saccheggi dei vandali ha prosciugato le ultime risorse” concordò l’uomo bruno sorseggiando il boccale di birra che la strana donna bionda lo aveva esortato ad offrirgli.
“Non è molto ma potrà dare un po’ di sollievo…so che ciò che sto facendo non è abbastanza ma…”
“Voi state facendo più di quanto mi sarei mai aspettato da un nobile. Ma in fondo Rosalie mi ha sempre detto che voi siete una persona meravigliosa…e io sto cominciando a crederci” e sorrise con simpatia.
“Non fare di un peccatore un santo, non merito alcun complimento. È solo un modo per ringraziarti per aver scatenato quella sommossa per indurre a liberare i miei uomini dalla prigione…ti devo tanto”
Bernard annuì e indicando la lettera nascosta nella tasca della giacca disse: “C’è scritto che ci sono più di cento fucili e munizioni in quel deposito d’armi…sicuro che non verremo scoperti?”
“In questo periodo l’esercito francese sta provvedendo ad armare le proprie truppe, svuotando così i propri depositi. Ma non vengono ripuliti del tutto, rimane sempre una parte di artiglieria di riserva per ogni evenienza. Sai benissimo che sono informazioni che solo un alto ufficiale può esserne a conoscenza…” e Oscar dovette deglutire un sorso di birra fredda per rinfrescare la gola arsa.
“Rischiate il tradimento…”
“Si. Se qualcuno venisse a sapere di quella lettera e che te l’ho data io per me sarebbe la fine, per questo ti chiedo assoluta discrezione nei tuoi movimenti e a chi ti rivolgerai per farti aiutare”
“Non temete. Vi proteggerò da ogni maldicenza o sospetto…ma voi? Voi che farete se il vostro esercito verrà chiamato a Parigi per sedare la folla?”
Oscar abbassò lo sguardo e disse sottovoce: “Spero che per allora io sia al fianco del mio popolo per combattere e non contro di esso…”
Bernard fece un sorriso enorme: “Sarete dalla nostra parte? Ma è magnifico! Ma cosa aspettate? Lasciate l’arma e venite con noi…”
“No. Devo prima risolvere alcune questioni lasciate in sospeso e prima di allora non posso assicurarti nulla…”
“Capisco” e l’uomo si mise ad osservarla attentamente, studiandole il viso mezzo coperto dall’ombra del cappuccio che aveva calato sulla fronte.
“Cosa vi preoccupa?” le chiese notando la sua espressione corrucciata.
“Nulla. O almeno nulla che t’importi. Voglio solo una promessa da te. Ho bisogno del tuo aiuto. Se riuscirò a risolvere questa questione in sospeso devi fare in modo che il comandante Oscar François de Jarjayes risulti defunta e vinta in uno scontro a fuoco durante il suo sforzo di smorzare la violenza della folla rivoltosa. Al mondo io dovrò apparire morta…è importante che io sparisca come nobile dalla faccia della terra…” la sua voce elegante e soave appariva determinata come non mai.
“Molto furbo da parte vostra…perire come eroe per la patria ed evitare che la vostra famiglia debba soffrire del vostro vero tradimento alla corona. Siete riuscita a prendere due piccioni con una fava!” e rise allegramente.
“Lo farai se te lo chiederò?” chiese ignorando il suo spirito e guardandolo dritto negli occhi.
“Volentieri… ho sempre desiderato farvi uccidere!” ammiccò furbescamente.
“Allora abbiamo una cosa in comune. Sai che non ti ho mai perdonato per ciò che facesti al mio…ad André” si corresse in tempo. Strinse le labbra. Sperava che un giorno avrebbe potuto dire al mondo intero che André era suo. Era il suo uomo. Il suo unico amore. Ma adesso no. Doveva salvaguardare ancora un briciolo di orgoglio.
“Si e me ne dispiace davvero tanto…André è gran buon amico. E lui? Lui sarà con voi?...vi seguirà?...”s’interruppe quando vide che lei abbassava lo sguardo nascondendo a fatica una smorfia di pura agonia e dolore. La donna cercò di trattenere le lacrime che minacciavano sempre più spesso in quegli ultimi tempi di far capolino dai suoi occhi trasparenti.
“Questo dovrà deciderlo lui” sussurrò con voce spezzata.
Bernard alzò un sopracciglio con aria di chi la sapeva lunga ma non commentò. Alzò il boccale in segno di brindisi e le sorrise: “Vive la France! Vive la liberté!”
Oscar lo imitò ma senza allegria.
 
***
 
Oscar tornò in sella al proprio stallone bianco senza fretta agli edifici austeri della caserma della Guardia Nazionale.
Teneva il capo basso e gli occhi rivolti al selciato liscio della pavimentazione grezza delle strade di Parigi.
Molti tormentosi pensieri e paure turbinavano nella sua testa.
Indecisioni e rimproveri. A se stessa. Al mondo corrotto a cui aveva fatto parte per tanti anni. Alla sua cecità. All’ignoranza delle alte cariche istituzionali che avevano permesso l’assoluto disgregarsi dell’identità francese legata ad un'unica corona regale.
Il popolo cercava la libertà.
E lottava per essa.
La fratellanza.
Idolatrava saggi letterari come Rousseau e Voltaire, esempi di sublime utopia di un mondo migliore.
L’uguaglianza.
Sull’ultima richiesta Oscar aveva riposto tutte le sue speranza.
L’uguaglianza tra gli uomini. Un eresia per suo padre. Un sogno impossibile per lei. Aveva desiderato, concentrato tutte le sue speranze al suo raggiungimento durante l’Assemblea degli Stati generali ma il triste epilogo aveva non solo riscaldato gli animi parigini da ulteriori delusioni ma allontanato, forse definitivamente da lei l’uomo che amava.
Da settimane ormai lo vedeva solo di rado. Se non per le riviste di routine o per le organizzazioni delle ronde. Poi il nulla.
Oscar aveva cercato in ogni modo di non guardarlo, di non cercarlo con gli occhi in continuazione. Ma i suoi sforzi a volte erano vani. Si sentiva attirata come una calamita da lui, dal suo fascino magnetico, ma soprattutto dal desiderio che le faceva accapponare la pelle quando ripensava alla passione che li aveva travolti quel pomeriggio nelle stalle di palazzo de Jarjayes.
Aveva cercato altre volte di chiamarlo, di parlargli, ma il suo orgoglio glielo avevano impedito grandemente.
André, dal canto suo sembrava averla dimenticata.
Era cordiale e amabile con tutti. Rideva e scherzava con i suoi compagni come se nessun problema lo preoccupasse. E forse, l’idea di rinunciare a lei lo aveva fatto rinascere in una nuova realtà più felice e leggera.
Ma era anche molto bravo a nascondere le proprie emozioni. Più bravo di lei. Era possibile che stesse recitando solo una parte a suo favore. Oscar, almeno, ci contava.
Avrebbe voluto affrontarlo di nuovo. Cercare di farlo ragionare, convincerlo che lei era cambiata, che aveva aperto gli occhi su quel sentimento che provava per lui. Ma il timore di essere arrivata troppo tardi la frenavano.
Arrivò alle porte della caserma e scese senza far caso all’aiuto offertole da una guardia.
Era insensibile ormai ad ogni elemento esterno che non fosse André e il suo amore perduto.
Avrebbe voluto che quel giorno all’incontro con Bernard, capo promotore di quella ribellione contro la corona, ci fosse stato anche André ma il suo atteggiamento scontroso non poteva farle perdere ancora tempo per mettersi d’accordo  sulla rifiniture del suo piano. Il tempo stringeva come artigli attorno al collo della pace spesso minacciata tra le strade di città.
Portò il suo cavallo alle stalle e sempre tenendo gli occhi bassi si diresse all’interno dei propri alloggi.
Estranea e depressa come non mai. Talmente alienata da non accorgersi dello sguardo afflitto che André le rivolse nascosto dietro le colonne bianche del porticato.
 
***
 
Lanciò un sospiro poggiando la testa contro la parete a fianco della porta che conduceva all’ufficio del comandante.
Non poteva continuare così. Doveva dare un taglio a quel tormento.
La notte non riusciva più a dormire e il giorno non riusciva a pensare ad altro che a lei.
Aveva sbagliato tutto nella sua vita.
L’amore per Oscar. Il dolore sopportato di un cuore spezzato dalla sua indifferenza.
E adesso la sua apatia sembrava aver inferto il colpo finale.
André chiuse gli occhi cercando di calmarsi. Ultimamente controllarsi sembrava sempre di più un compito gravoso da portare a termine.
Il suo autocontrollo andava in frantumi sempre più quando si avvicinava a lei.
Aveva provato ad evitarla ma sembrava che la follia lo stesse prosciugando della sua linfa vitale ogni giorno di più.
Aveva provato a disobbedirle per ripicca e adesso non riusciva più a dormire.
Aveva anche provato a ottenere il suo corpo come baratto ad una vita fatta solo di sacrifici e si era auto castrato per non usarla come un oggetto, e adesso, nemmeno la birra gli dava più sollievo.
La sua anima tormentata si dimenava tra dolore, amore e desiderio insoddisfatto. Una miscela esplosiva per un uomo che non aveva più nulla da perdere.
La tentazione di scuoterla, di costringerla a rivelare a se stessa e al mondo intero il legame forte che li univa, lo avevano trascinato come un sonnambulo di fronte alla sua porta.
L’ultimo briciolo di dignità mista a stupido orgoglio lo avevano fermato in tempo. In tempo a bloccarlo nel fare l’ennesima sciocchezza.
Scosse la testa avanzando su e giù per il corridoio. Si sentiva come un leone in gabbia e i suoi buoni propositi si stavano esaurendo.
Malgrado avesse cercato di scuoterla, insultarla, deriderla, non aveva ottenuto alcuna reazione da Oscar. Solo, forse, la sua possibilità di sgravarsi la coscienza, a patto che ne avesse una, di dipingerlo come un mostro, di nuovo, e ritenersi libera da ogni senso di colpa.
L’aveva allontanata da lui e la cosa sembrava che non procurasse dolore alla sua dolce metà.
Sempre perfetta e rigida nella sua uniforme, in quei giorni lo aveva ignorato. Aveva anche ignorato la sua disubbidienza. Non aveva meritato nemmeno una punizione. Solo indifferenza e alterigia.
Scuoterla non serviva a nulla. Riusciva solo a tormentarsi da solo con nuove lesioni al proprio cuore.
Oscar era fatta di ghiaccio, nient’altro. Perché continuare ad illudersi? Perché sbavare dietro al sua porta chiusa quando lei ignorava anche la sua esistenza?
Eppure…eppure il suo cuore gridava di andare da lei. Chiarirsi…
Chiarire ciò che era successo quel pomeriggio durante quel cocente battibecco che avevano avuto. Oscar era stata una donna diversa, differente dalla statua glaciale che conosceva.
L’aveva sentita ansimare, gemere tra le sue braccia mentre lui si lasciava vincere dalla passione. Non aveva vaneggiato in preda al turbine emotivo del momento. Non si era immaginato tutto. Lei era stata davvero consenziente mentre lui la baciava e si spingeva contro il suo corpo. Non era stato frutto della sua immaginazione.
Doveva andare da lei e scrollarsi di dosso quella fastidiosa sensazione di incompletezza. Chiarire la sua reazione al suo bacio, così differente da quella prima volta nella sua camera quella dannata notte di due anni prima. Non riusciva a spiegarselo. Ma doveva scoprirlo.
Non sapeva nemmeno lui perché fossero così importanti le sue risposte ma voleva andare da lei e scoprire fino a che punto lo avrebbe spinto nel baratro dell’umiliazione.
La Oscar che conosceva lui non si faceva insultare senza poi chiederne soddisfazione.
Era pronto anche a questo. Anche ad uno scontro fisico. Anche se lui partiva svantaggiato a causa della sua menomazione all’occhio sinistro. Preferiva la sconfitta piuttosto quell’indecisione che Oscar gli trasmetteva.
Così prese un respiro e aprì la porta del comandante.
 
***
 
Sentì chiudere piano la porta del suo ufficio.
Alzò lo sguardo e quasi si sentì morire quando vide l’oggetto dei suoi sogni e al tempo stesso dei suoi più terribili incubi appoggiarsi al legno massiccio della porta.
La guardava inespressivo e sembrava non avesse alcuna intenzione di parlare. Era lì fermo, immobile come una statua di sale ad osservarla.
Oscar trattenne a stento il gesto involontario di portarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, chiaro segno di incertezza e imbarazzo. Si sentiva così intimidita dai suoi occhi penetranti. Sembrava capace con una semplice occhiata di perforarle l’anima.
“La cara abitudine di bussare è passata di moda?” chiese acida tornando a visionare i suoi documenti.
“Mi sorprendi ogni giorno di più Oscar. A volte credo di conoscerti bene e poi mi spiazzi in questo modo” sorrise con ironia.
Oscar gli lanciò un occhiata annoiata e non rispose. Non c’era alcun bisogno di domandare. Sapeva che lui avrebbe continuato con il suo monologo.
“Ti ho insultata gravemente eppure non hai fatto nulla per vendicarti”
Oscar non raccolse la provocazione ma disse solo: “Ricorda il tuo posto in questa caserma e che ti stai rivolgendo ad un superiore. Non mi sento di farti rapporto, soldato, ma ti consiglio vivamente di cambiare tono se non vuoi dormire nel freddo della galera” lo minacciò con voce secca senza alzare lo sguardo dai dispacci che stava firmando
“Mandami pure in galera, non  m’importa. Pretendo delle spiegazioni” decise lui con voce ferma.
“Tu non pretendi nulla. Non sei nelle condizioni per chiedere alcunché, ammesso che non stiamo parlando di ore di permessi o di licenze, in tal caso se ne può discutere”
“Abbiamo un argomento in sospeso io e te”
Il cuore saltò di un battito e le sue gote si imporporarono al ricordo di ciò che era rimasto in sospeso tra di loro.
Si girò a guardarlo mentre una furia cieca le infiammavano le gote. Strinse le mani a pugno.
“La tua impertinenza è quanto mai sgradevole quanto indesiderata”
“La tua incoerenza invece mi lascia un gusto amaro in bocca” replicò per le rime lui avanzando verso di lei.
“Di quale argomento ti stai riferendo? Mi sembrava che quell’argomento, come lo chiami tu, lo avessi chiuso definitivamente”
“Mi aspettavo una reazione diversa da te. E non certo…”
Lei alzò brevemente lo sguardo: “Tu ti aspetti sempre qualcosa da me. Ma non so più che fare. Non so chi compiacere per prima, se te o mio padre” esplose lei alzandosi di botto. Il calamaio di cui si era servita poco prima cadde di traverso imbrattando i documenti di inchiostro nero. Oscar non se ne curò troppo presa da quell’impossibile uomo che aveva di fronte.
“Di che parli?” fece lui assottigliando gli occhi.
Si mise le mani lungo i fianchi e lo guardò minacciosa.
In fondo la migliore difesa era l’attacco.
“Parlo dell’ottusità degli uomini. Parlo della tua stupidità e dell’ignoranza antiquata di mio padre. In fondo non siete molto diversi voi due”
“Gli uomini? Non fai più parte del nostro sesso? Adesso ti metti anche a disprezzarli…” non potè trattenere un risata sprezzante.
“Io non disprezzo nessuno! Sei tu e mio padre che vi state barcamenando nella stupidità più assurda”
“Adesso mi stai offendendo sul serio”
“Tu ti stai offendendo? Oh! Che novità! Il nostro caro perfetto André non vuole essere paragonato all’uomo che odi..”
“Io non lo odio Oscar. Odio solo il potere che ha su di te!” arrossì d’ira. L’afferrò per le spalle stringendola lievemente.
“No! Non è vero! Sei un bugiardo André! Sei un ipocrita! Tu sei invidioso dei diritti che mio padre può esercitare sulla mia persona! Sono legata a lui dal sangue, dal nostro casato, dall’onore di illustre nome! Tu lo odi perché sai di non potere nulla su di me! E questo ti fa impazzire! Vorresti esercitare un minimo di autorità ma non puoi, a causa della mia testardaggine e dalla tua umile posizione in questa assurda società!” urlò lei dibattendosi fino a liberarsi dalla sua stretta.
“Stai vaneggiando Oscar!”
“No! Ci ho riflettuto per bene! Le ha provate tutte con te! Far pace, parlarti e tu invece mi hai trattata in modo ignobile. Lo sai perchè lo hai fatto? Lo hai fatto solo perché odi la mia indipendenza. Hai provato in tutti i modi di convincermi a fare come vuoi tu ma non ti è mai riuscito. E l’altro giorno hai finalmente scoperto le tue carte! Mi hai insultata, umiliata e svergognata come sa fare il più meschino degli uomini solo perché ho l’unica colpa di non poter essere tua!”
André rise scuotendo la testa: “E’ assurdo”
“Hai sfruttato il mio senso di colpa per colpirmi! ”
“Non sono venuto io a cercarti! Non volevo più niente da te!”
“Menti! Hai cambiato tattica e la tua presenza qui lo dimostra!”
“Che vuoi dire?”
“Hai dimenticato cosa mi proponesti? Mi hai provocata e io ho assecondato il tuo pazzo proposito perché…” s’interruppe per riprendere fiato. Strinse le labbra e sbottò: “E va bene! Ho accettato per ripicca. Non sopportavo farmi manovrare da te. Così ho assecondato il tuo pazzo proposito”
André allontanò lo sguardo da lei arrossendo per l’imbarazzo. Doveva ammettere che la trovata di andare a letto insieme non era stata una mossa intelligente ma per un breve attimo aveva quasi sperato che fossero andati fino in fondo.
“Sono qui per chiarire Oscar” cambiò tono cercando di calmare gli animi.
“Oh! Per chiarire? Ma quanto siamo magnanimi! Mi concedi anche questo! La tua presunzione ha sfiorato livelli senza precedenti!” sbuffò lei sarcastica.
“Si, Oscar pretendo delle spiegazioni per il tuo atteggiamento… non ho cambiato tattica su nulla…”
“Bugiardo! Odi questa mancanza di potere su di me. Le hai provate tutte! Il ruolo ipocrita di fratello paziente. L’amico protettivo. Il fidanzato offeso! Tutto e adesso, dopo avermi dato della puttana e dell’essere abbietto, sei qui che pretendi una spiegazioni perché non ti ho spaccato la faccia! Basta André! Sono stufa dei ridicoli intenti tuoi e di mio padre di poter guidare la mia vita! Non sono un osso da contendervi!”
“Non ti ho mai visto in questo modo…non ho mai…”
“Allora spiegami…spiegami perché mi aggredisti in quel modo nella scuderia quel giorno? Perché mi punisti così tanto? Ti vanti tanto di conoscermi bene e dovresti sapere quanto per me era difficile venire da te e chiedere il tuo perdono…”
“Tu non mi hai chiesto perdono su nulla! Venisti impettita…”
Arrossì impermalita: “Non sono mai impettita! Non sono un cavallo!”
“Si, ti presentasti altera e arrogante come se dovessi sentirmi onorato che tu ti stessi abbassando a parlare  con me!”
“Sei ridicolo! Eri arrabbiato e volevi sfogarti con me! Non importava come mi fossi presentata, mi avresti aggredita comunque! Ho saputo il motivo per cui mio padre ti avevo chiesto quel favore e ho capito che tu ti sei solo vendicato su di me!”
Lui rimase a guardarla senza più proferire verbo. La sua stoccata lo avevano zittito.
“Mi hai umiliata per vendicarti di mio padre” disse con voce sottile girandosi di botto verso la finestra. Stava crollando. Sentiva che stava per cedere. Ma non voleva piangere davanti a lui. Non poteva donargli anche l’ultimo briciolo di stima di se stessa.
Un pesante silenzio cadde tra loro. André guardava la sua schiena retta e rigida sentendo il mondo crollargli addosso. Bene, dovrebbe essere contento adesso. Aveva ottenuto quello che voleva.
L’aveva allontanata da sé definitivamente.
Cosa serviva ormai dirle che aveva ragione? A niente. Ma lei aveva indovinato la verità solo in parte. Non riusciva a capire che era stanco di soffrire di un amore non corrisposto. Inutile ribattere sempre su gli stessi argomenti, lei non voleva ascoltare.
Si girò e si diresse verso la porta. Non avevano altro da dirsi.
“Dove vai?” lo fermò lei girandosi di scatto.
“Credevo che avessi finito”
“E non mi dici niente? Accetti le mie accuse senza reagire? Dove è finito il tuo ego offeso?”
“Tanto non capiresti comunque. Non vuoi sentire. E io ho perso le speranze. Non è mai stato un duello tra me e tuo padre. Io ti amo e odio chiunque voglia farti del male. Non mi sono mai sentito in competizione con tuo padre. Si, mi fa pietà perché continua a cullarsi nella sua beata ignoranza, ma non provo altro per lui. Come posso desiderare di voler prendere il posto di colui che era pronto a sacrificare la vita della figlia per tenere alto l’onore del proprio casato! È assurdo. Ero deluso solo dal tuo atteggiamento. Non hai mosso un dito per me! Eri pronta a dare la vita per i soldati carcerati per salvarli. Hai anche accettato l’accusa di tradimento ma per me nemmeno un sibilo di riconoscenza!  Mi avresti lasciato morire senza neanche dirmi addio”
Oscar cedette.
Un gemito sfuggì dalle sue labbra serrate e i suoi occhi si riempirono di lacrime amare.
Si voltò per nasconderle ma era troppo tardi, lui le aveva già notate.
“Te lo dico adesso…in fondo era solo quello che volevi quel giorno alle scuderie…” disse tra le lacrime che ormai sgorgavano senza tregua.
André sussultò e rimase spiazzato dalle sue lacrime. Abbassò lo sguardo stringendo forte le labbra fino a renderle sottili come una linea retta.
“Addio” singhiozzò tenendo lo sguardo appannato dalle lacrime verso il misero spettacolo del sole morente tra le tettoie della case vicine.
Il debole schiocco della porta che si chiudeva parve rimbombare per ore nel suo petto.
Forti singhiozzi squassarono il suo petto e senza accorgersene si ritrovò a scivolare sul pavimento nascondendosi il viso tra le mani.
André invece dovette fare un grande sforzo di volontà per frenare la voglia che aveva per riaprire la porta e correre da lei. Dalla sua Oscar che aveva visto piangere.
Ma piangere perché? Per lui? Per lei? Per la loro vita complicata e infelice?
Bravo André. Dovresti essere orgoglioso di te. Hai voluto quello che chiedevi, ti ha detto addio prima di morire.
Perché lui si sentiva morire, morire come mai aveva temuto nemmeno sotto la lama vendicativa del generale Jarjayes.
Oscar era riuscita dove il generale aveva peccato.
Entrò come un tornado nella sua camerata e senza notare gli sguardi attoniti dei suoi commilitoni afferrò la sua sacca e cominciò a riempirla dei suoi effetti personali non curandosi di piegarli e riporli con attenzione. Afferrava gli abiti sfatti e li scaraventava alla rinfusa nella sacca. Gettava tutto quello che aveva con violenza senza rispondere, senza nemmeno ascoltare cosa i suoi compagni gli stessero domandando.
“Ehi André! che diavolo stai facendo? Che cavolo ti prende?”.
Lui era senza ragione e l’unico suono che sentiva era il ronzare furioso nelle sue orecchie.
Era furioso, ferito e per la prima volta consapevole di essere terribilmente solo e abbandonato. Forse lui aveva davvero goduto a fare da tappetino ad Oscar, perché in fondo era la sua natura, perché lui era davvero un cane. Un cagnolino buono e fedele, e adesso era stato scacciato via perché aveva tentato di disobbedire al padrone.
Si portò una mano al viso cercando di calmare la furia che sentiva dentro. Doveva trovare la forza per andare avanti. Doveva o altrimenti sarebbe impazzito. Oddio…quante volte si era sentito vicino al baratro della pazzia? Tante volte, troppe volte e adesso stava definitivamente cedendo.
Una mano cercò di scuoterlo ma lui non sentiva, sembrava che la sua mente fosse concentrato solo a non pensare al dolore, alla forza straziante dei suoi tentacoli che stritolavano il suo cuore fatto a pezzi.
“André? Stai bene?” chiese una voce, che come ovattata riuscì a penetrare nella mente ottenebrata dalla disperazione.
“Ehi André? Ma che ti succede? Perché fai saccoccio? Sei stato mandato via?” chiese ancora una voce preoccupata cercando di catturare il suo sguardo perso e vuoto.
Gerard? Si era lui.
“Ehi, figlio di un falegname, stai bene?” chiese un’altra voce sinceramente preoccupata.
Alain? Si, solo lui lo chiamava così.
Riuscì solo ad annuire per rispetto al suo amico per poi tornare a far fagotto.
Dove sarebbe andato? Cosa avrebbe fatto?
C’era il rischio di una guerra civile a momenti e lui pensava di rifarsi una vita?
Stava lasciando Oscar.
E il suo proposito di proteggerla? Ma cosa fare altrimenti? Forse sarebbe dovuto rimanere, ma in fondo un soldato mezzo orbo che aiuto avrebbe mai potuto dare? Forse doveva dare ascolto ad Alain e andarsene. Sarebbe stato solo un peso per la fanteria…
Avrebbe cercato un nuovo lavoro lontano da lì. Si sarebbe curato l’occhio superstite e avrebbe cercato con tutte le forze di non impazzire e di non tornare strisciando da colei che tornava sempre puntuale a ferirlo.
Poi…
L’inaspettato…
Il miracolo…
Non notò nemmeno che i suoi compagni si fossero girati quasi simultaneamente verso la porta chiusa. Non sentì nemmeno i passi, che decisi, si dirigevano verso la baracca dei commilitoni.
Un rombo, simile ad un boato accompagnò l’entrata del comandante.
La porta venne aperta e scaraventata verso la parete opposta.
A molti sembrò un apparizione mitologica.
Una dea agguerrita e pericolosa. Furibonda e dai meravigliosi capelli dorati scarmigliati e sfatti. Apparve come l’incarnazione di un sogno.
Ma la donna non parve accorgersi di coloro, che a bocca aperta rimasero attoniti osservarla senza reagire. Troppo sbigottiti anche solo per fare il saluto militare riservato solo ai superiori.
“Bravo! Scappa! In fondo non hai saputo fare altro negli ultimi giorni!”
André si girò verso Oscar, che con occhi asciutti e brillanti d’ira, lo sfidava con i pugni sui fianchi. Non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello che avessero un pubblico attonito ad ascoltare i loro sproloqui.
“Adesso che diavolo vuoi!” gettò con un gesto stizzito la roba stretta in pugno per terra.
La donna si avvicinò spedita verso di lui. Fino a fronteggiarsi come rivali in una lotta all’ultimo sangue. Alzò il mento per guardarlo dritto negli occhi.
“Chiarire! Non pretendevi delle spiegazioni? Bene! Eccole qua!”
“Non posso pretendere nulla da te!  L’hai chiarito qualche minuto fa! Sono solo un umile servo buono solo a leccare i piedi a tuo padre!”
“Idiota! Poi sono io quella che non ascolta! Lasciami parlare dannato stupido! Quel pomeriggio ti ero venuta a cercare solo per rispondere a quella domanda che non ti sei mai degnato di farmi direttamente! La risposta che prima di tutto avresti dovuto chiedere a me e non spiattellarla a mio padre senza alcun rispetto per la mia volontà! E la mia risposta è si, maledetto idiota, si e ancora si!”
André si sentì per la prima volta in vita sua spiazzato.
Al ragazzo sembrò di ricevere una botta in testa. Non aveva idea di che diavolo Oscar stesse parlando:“Si? E per cosa?” chiese stupefatto.
“Sei una maledetta testa di legno Grandier! Perché credi io sia venuta a far pace con te quel giorno? Per pietà? No! Perché credi che io abbia accettato con il cuore in gola quella tua maledetta proposta? Per ripicca, forse, ma non puoi capire quanto l’idea mi abbia affascinata e di quanto la prospettiva mi attraesse. E di nuovo tu non hai capito! Hai preferito credere il peggio di me e continuare la tua recita di cane bastonato. Perché l’hai fatto? Te lo dico io il perché. Perché per te era più semplice! Era più semplice dipingermi come il nemico piuttosto come una ragazza timida e insicura! Credi non abbia avuto una paura fottuta quando accettai la tua proposta di diventare amanti? Hai idea di cosa significhi per me essere catapultata improvvisamente su qualcosa che desideri con tutte le tue forze e al tempo stesso esserne terrorizzata? Invece mi hai gettata via come robaccia di seconda mano!”
“Io non volevo…” adesso era sbigottito.
“Cosa? Non volevi cosa? Venire a letto con me? Mi hai accusata che così facendo avrei insudiciato la nostra amicizia? Mi hai accusata di questo, ricordi? Come hai osato girare la frittata in questo modo? Sei stato tu a propormi di venire a letto con te per ripagare il tuo ego ferito! Sei stato tu a sbattermi sul letto e strapparmi la camicia di dosso per dimostrarmi che sei un vero uomo! E sei sempre stato tu a ricordarmi fino allo sfinimento che sono una donna! Sei stato tu a distruggere la nostra amicizia non io!”
I soldati trattennero il fiato e guardarono immediatamente André, il caro e mite André, sempre educato e gentile con tutti. Avevano tutti la medesima faccia allibita. Non potevano credere che quel bravo ragazzo avesse fatto simili misfatti con il loro austero comandante.
Erano increduli dalle parole del loro comandante e dalle rivelazioni urlate senza alcuna cura della discrezione. Quella discrezione che Oscar ne aveva fatto una ragione di vita.
“Ho sbagliato Oscar. Godi nel rigirare il coltello nella piaga!”
“No! Voglio…sto solo cercando disperatamente di farti capire che io non ho mai voluto rinunciare a te!”
“Mi hai mandato via! Mi hai licenziato senza alcuna ragione! Mi hai buttato via come uno straccio vecchio!” urlò lui
“Perché non ti metti nei miei panni e ti domandi perché lo avevo fatto? Non ci arrivi? Bene te lo dico subito! Perché avevo una maledetta paura di quello che provavo quando tu mi stavi accanto. La tua presenza mi confondeva e le sensazioni che mi procuravi erano talmente forti quanto sconosciute da temerle! Peggio mi ricordavano continuamente che ero una donna! Ero già stata umiliata da quell’altro idiota svedese e non volevo rendermi ridicola anche con te!”
“Co…come?” balbettò non meno stupito dalle sue parole di quanto non siano già gli altri soldati che assistevano alla scena senza fiatare per paura di perdere anche la più piccola sillaba.
“Si, idiota! ti amavo ma allora non lo avevo capito e non l’ho capito per tanto tempo! Ho quasi rischiato di perderti per vedere in faccia la verità!”
“Perdermi?” ripeté con un filo di voce, ormai non capiva più nulla delle sue parole. Si limitava solo a ripetere a pappagallo.
“Quella sera a Saint’Antoine ho rischiato di morire nel dubbio che fossi morto o meno. Ero come impazzita. Chiedi a Fersen se non mi credi! Ricordo benissimo come mi umiliai urlando disperata per te”
“Ma l’altra sera?...con tuo padre?...”
“Non so nemmeno io cosa mi è successo! Ero come sconvolta! Ero incapace di muovermi, di parlare. È stato orribile. Era come vivere in un incubo. Avrei voluto urlare, gridare a mio padre di lasciarti libero, di non ucciderti. Avrei voluto scappare, portarti via da lì ma non riuscivo a muovermi! Il panico mi aveva immobilizzata e non ero in grado di reagire! Forse sono talmente abituata a dominare le mie emozioni di fronte a mio padre da non essere capace di esprimerle. Ero bloccata da me stessa!”
“Perché non me lo hai detto subito? Perché mi hai permesso di trattarti in quel modo?”
“Perché per me è dannatamente difficile! Non sono capace di dimostrare…ma non voglio perderti. Non voglio! E se non ti ho detto addio è stato solo perché sapevo che ti avrei rivisto nell’al di là. Per me non era un addio…Oddio… mi sento così ridicola!” si nascose il viso tra le mani sentendosi come impazzita. Distrutta dal dolore. Dalla paura che l’aveva colta quando lo aveva scoperto preparare la sua sacca per lasciarla per sempre. La paura di perderlo le avevano fatto perdere il bene dell’intelletto. Stava reagendo come se una molla fosse scattata nella sua anima facendola scoppiare.
“Oscar…” André si avvicinò cercando di prenderla tra le braccia.
Ma lei si scostò violentemente: “No! Fammi finire! Altrimenti non troverò più la forza per dirtelo! Quella sera, la sera del tradimento ho capito tante cose e improvvisamente mi si sono aperte delle porte, delle possibilità, scelte che non ho mai sognato di riservare per me. Tu improvvisamente mi hai dato la possibilità di cercare una strada opposta, diversa, per fuggire dalla mia tetra vita! Urlasti a mio padre che saremmo scappati via e che mi avresti sposata…io non avevo mai pensato che… eppure da quel momento non riesco a pensare ad altro. Ho provato a parlartene ma tu recitavi la parte dell’offeso e non ho potuto… per ottenere un po’ di rispetto con te devo urlare come una pazza e…”
“Oscar ti prego…” la interruppe lui improvvisamente consapevole di avere alle sue spalle una ghiotta fila di spettatori che ascoltavano ingordi di pettegolezzi le loro urla. Arrossì quando incrociò lo sguardo con Alain, che non meno stupito degli altri, lo guardava a bocca aperta: “Che ne pensi di allontanarci?” chiese André scuotendola leggermente.
Oscar, rossa in volto per l’ira, aggrottò la fronte e seguì il suo sguardo incerto. Il suo viso si tinse di diverse sfumature di rosso fino a raggiungere il porpora quando notò tutto il dannato plotone ascoltare la loro animata discussione dai toni accesi.
Tra tutti i momenti che aveva avuto per aprire il suo cuore ad André aveva scelto davvero quello peggiore!
Ma non si diede per vinta e cercò di sfruttare quel pubblico a suo favore. La loro presenza avrebbe vinto l’imbarazzo che ogni volta l’assaliva quando stava sola con André.
“No! Non ha importanza se tutta la caserma mi sta ascoltando! che ascoltino pure! Neanche il re in persona mi impedirà di rinfacciarti quanto sai essere indisponente e arrogante!”
“Non vorrei farti notare che…”
Oscar gli si avvicinò con aria combattiva: “Dacci un taglio André! Ragiona su una cosa, su un fatto importante! Se tu avessi avuto la gentilezza di chiedere a me che volevi sposarmi ci saremmo evitati tante noie invece tu hai deciso di soprassedere alla mia volontà esigendo la mia mano da mio padre!” sottolineava ogni accusa puntando il dito contro il petto muscoloso del suo soldato, facendolo inesorabilmente indietreggiare confuso.
“Cerca di comprendermi…tu avevi una spada puntata contro il tuo collo e in quel momento ho dimenticato certi particolari. Ma…perché ci tieni tanto che io ti rivolga la mia proposta di matrimonio? Non riesci a rinunciare per una volta a spezzarmi il cuore con i tuoi netti rifiuti?” ribatté lui incrociando le braccia al petto dimenticando la timidezza per essere ascoltati da altre orecchie indiscrete.
Oscar non riusciva a credere alle parole di André. Il suo ex amico era più ottuso di quanto avesse mai pensato: “Spezzarti il cuore? Sono qui che mi sto umiliando davanti a tutti i miei soldati e dici che godo nel rifiutarti?” era letteralmente a bocca aperta. Poi scosse la testa e continuò: “Ma non ha più importanza ormai. Quel che è fatto è fatto. Non vuoi proprio capirlo, vero? Ma io ti rispondo lo stesso anche se non ti decidi a farmi la tua proposta di matrimonio. Si! Ti voglio sposare!” sbottò incollerita.
Ad André mancò il respiro e si sentì sul ciglio di svenire come una femminuccia. Impallidì di colpo mentre ancora incredulo, non riusciva a realizzare del tutto cosa Oscar gli avesse urlato in modo tanto poco delicato.
Non riuscì a proferire verbo mentre attonito la guardava con occhi tondi dallo stupore.
Oscar si calmò lievemente e gli si avvicinò ulteriormente poggiando le mani a palmo aperto sul suo petto caldo.
Alzò il viso sul suo sfiorando le labbra con le sue, in una dolce carezza: “Ti amo maledetto idiota”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** epilogo ***


 
André rimase inebetito.
Letteralmente incapace di parlare, di reagire, di esprimere l’esaltazione del momento che stava vivendo.
I suoi occhi di smeraldo brillavano di tutto l’amore di cui era capace.
Sorrise felice incatenando il suo sguardo estasiato con quello azzurro della donna che ricambiava con eguale trasporto il suo amore.
Prese le sue mani che gli incorniciavano il viso e se le portò alla labbra: “Oscar…è vero? Mi ami davvero? Non è un sogno?” chiese con voce rotta per l’emozione.
La donna distese le labbra morbide in un primo e vero sorriso. Annuì con un cenno della testa.
André le prese il viso tra le mani e sfiorandole le labbra con le proprie sussurrò a fior di labbra: “Ti amo anch’io Oscar. Ti amo più di ogni altra cosa al mondo. Sarei pronto a dare la vita per te…”
“Lo so André… il tuo amore è l’unica certezza della mia vita a cui sono ancorata disperatamente. La tua voce. Il tuo sorriso. I tuoi stupidi borbotti, la tua semplice presenza sono un sollievo per la mia anima in pena. Oh André…se solo lo avessi capito prima! Se solo avessi sbirciato nel mio cuore tanto tempo fa…io…” scuoteva la testa in preda al tormento di tanti anni sprecati, incapace di esprimere a voce ciò che l’affliggeva da tempo.
“Shh…”le sfiorò le labbra con un dito: “Non ha più importanza. Adesso sei qui tra le mie braccia…non esiste nient’altro ormai…” per dimostrarle che diceva il vero la prese tra le braccia stringendola forte a sé.
Oscar si rilassò per la prima volta nella sua esistenza e cedette al suo abbraccio poggiando la fronte sul suo vigoroso petto.
“Ti amo Oscar…Oh Dio…ti amo Oscar…ti amo tanto…” le bisbigliava all’ suo orecchio cullandola leggermente.
Lei sorrise e si allungò in punta di piedi per ricevere il suo tanto agognato bacio colmo d’amore… pronta a concedere una, mille volte, le labbra all’uomo che amava.
Solo che il bacio non arrivò…
Aggrottò la fronte e notò che André era come impietrito guardando dritto davanti a sé.
Inarcò le sopracciglia e chiese: “Che ti prende?” la sua voce era tornata autoritaria e secca. Non le andava bene se André le rifiutava un bacio in un momento così magico.
Si girò per seguire il suo sguardo allibito quando il suo mento ricadde spalancando la bocca sbigottita per ciò che vide attorno a lei.
A loro.
Tutto il reggimento li stava osservando in mille espressioni diverse.
Chi aveva la bocca aperta. Chi gli occhi spalancati. Chi si asciugava gli occhi commosso nella manica di un compagno. Chi sorrideva come un ebete.
Trattenne a stento la voglia di scappare via lontano per l’imbarazzo. Girò lo sguardo verso destra e non riuscì a trattenere un espressione di sconforto. Alain aveva uno sguardo allucinato mentre osservava André senza parole.
Oscar incrociò lo sguardo verso quello imbambolato del suo amore e sussurrò a mezza voce: “Credo che io c’entri qualcosa in questo stato di stupore generale” osservò con aria saccente.
André le lanciò uno sguardo severo e sibilò: “Credi?”
La donna alzò il mento con aria di sfida ma l’attimo di rivalità finì nell’attimo stesso che André le lanciò uno dei suoi sorrisi da canaglia.
Il comandante si rifugiò di nuovo tra le sue braccia ridendo birichina mentre André la baciava sull’orecchio.
Intanto nel dormitorio ricomparve l’ossigeno e i suoi partecipanti attoniti uscirono dal loro angolo di sbigottimento cedendo alla naturalezza dei loro caratteri gioviali.
Dalla camerata partì all’unisono uno scroscio torrenziale di applausi e battutine spiritose che facevano più o meno: “Evvai André! Sei il migliore! Dacci dentro André, ti sei beccata la donna più antipatica della Francia!”
O ancora: “Un urrà per il nostro comandante! Urrà!”
Oscar sorrise un po’ imbarazzata abbassando lievemente lo sguardo.
André rise e abbassando la testa le catturò le labbra baciandola con tutto l’amore che serbava da anni per la sua bella.
Oscar, sorda alle urla entusiaste dei suoi soldati, si alzò in punta di piedi e cinse il collo del suo soldato preferito e rispose con impeto ai suoi assalti alla sua bocca.
Così avvinti nel loro appassionato abbraccio dimenticarono tutto.
L’odio. Il rancore. I fraintendimenti.
Le mezze verità. Il dolore. Gli ostacoli al loro amore che fino a pochi attimi prima sembravano insormontabili.
Tutto il loro mondo era concentrato tra le loro braccia. Nei loro cuori. Nelle loro anime intrecciate e legate per sempre.
“Dimmelo ancora” le chiese André sorridendo.
“Ti amo”
“Ancora”
“Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo” ripeté all’infinito la giovane donna con le lacrime agli occhi e ridendo felice.
“Anch’io…Dio Santo…Anch’io…Oscar!” la chiamò con una nuova urgenza André mentre i suoi compagni facevano pronostici su quanto tempo avrebbero perso per mettere in cantiere il loro primo figlio.
Oscar aggrottò la fronte e gli chiese preoccupata: “Che c’è?”
“Perdonami per tutto. Per averti fatto del male. Per averti ferito. Per averti insultata…io…ero senza ragione…sono stato…si! Sono stato un orso…”
Oscar cercò più volte di interromperlo ma lui non glielo permise: “Oscar, amore, troverai mai la forza per perdonare la mia presunzione. La mia gelosia…ero così furibondo. Ero convinto che mi odiassi, che la mia vicinanza ti disgustasse…”
“Mi disgustassi? Soldato Grandier, credo che tu non sia consapevole di quanto tu sia affascinante…” scherzò lei volando di nuovo tra le sue braccia.
“Mi perdonerai mai?” chiese ancora lui con espressione pentita e vergognosa di sé.
“Chiedimelo fra cinquantanni” sorrise lei.
André si calmò e rise. Alzò nuovamente lo sguardo e strinse gli occhi interrogativo quando notò che ancora Alain era preda allo sbigottimento.
“Alain? Stai bene?” chiese sinceramente preoccupato. Non aveva mai visto Alain rimanere senza parole.
Alain scosse la testa per risvegliarsi e disse: “Grandissimo figlio di una buona donna!” urlò irato.
Calò il silenzio e tutti guardarono intimorito il loro capo indiscusso che sfidava il presunto mite soldato André Grandier. Oscar si eresse in tutta la sua altezza pronta a dar guerra se qualcuno, chiunque tanto idiota da far del male al suo uomo. Strinse le labbra in una linea severa.
“Che diavolo ti succede?” domandò André sinceramente esterrefatto dalla reazione incoerente di Alain.
Ma insomma non gli aveva detto, ripetuto fino allo sfinimento di dichiararsi con Oscar. E adesso che ciò era successo perché lo guardava come se volesse incenerirlo?
“Grandier! Ti ho sempre considerato un grande amico. Un fratello per me! Ero tanto amico tuo da ascoltare da mattina a sera le tue lagne per questa bionda che ci comanda…” indicò con il dito il petto di Oscar con fare accusatorio.
“Ehy!” André fermò la sua piccola leonessa, pronta a saltare alla gola di Alain, con un braccio.
“Non facevi altro che piagnucolare come uno stupido che lei non ti voleva, che non ti degnava di uno sguardo, mentre io ti esortavo di darti una smossa e tu invece…invece…” Alain sorrise non riuscendo a mantenere viva ancora la sua espressione fintamente furibonda e con una risata disse: “Piccolo pervertito mascalzone! Ti sei dato da fare con quella lì! Ci credo che lei ti stava lontano altrimenti si sarebbe trovata addosso questo animale in calore!”
Un coro di risate volgari si unirono allo scherno di Alain.
Oscar e André arrossirono vergognosamente e non riuscirono a guardarsi per il troppo imbarazzo.
“Forse avrei dovuto sfogarmi con te in privato invece che davanti a tutti questi zoticoni…”
“Già, non è stata una bella mossa parlare dei fatti nostri davanti a loro. Capisci che mi hai appena condannato ai loro scherzi crudeli? Mi daranno il tormento!” sospirò afflitto André scrollando le spalle. Ma il suo piagnucolio venne interrotto dalla voce baritonale di Alain che zittiva i suoi compagni con le braccia alzate.
“Shh! Shh! Siamo tutti molto contenti per i nostri due amici che finalmente dopo ben due anni si sono detti quello che noi avevamo capito al primo sguardo…però adesso credo sia arrivato il momento di lasciarli soli a sbrigarsela per i fatti loro. Bene André e voi, futura Madame Grandier, vi esorto a lasciare la camerata e starvene un po’ da soli. Non vorremmo vedervi rotolare su queste sudice brande…” rise ammiccando.
“Ehi Alain parla per te!” urlò Jean alzando una bottiglia di birra in segno di brindisi.
“Alain sei un animale!...”cominciò André avanzando minaccioso verso l’amico. Venne fermato solo da Oscar che gli afferrava con fermezza la mano.
“Si! Continuate con i vostri sbaciucchiamenti! Ci abbiamo preso gusto!” rise ancora un altro con le braccia incrociate dietro la testa.
“Tz tz! Andate via! Sparite!” disse Alain e le strizzò l’occhio allegramente.
Oscar sorrise grata che Iddio abbia messo nella loro strada quel bellimbusto di Alain. Grazie alla sua indisponente presenza aveva dato una vera e propria scossa al suo timido rapporto con André. Se lui non si fosse mostrato così schietto, così dannatamente franco nei suoi interventi che rasentavano la maleducazione forse Oscar non avrebbe mai avuto davvero il coraggio di aprire il suo cuore ad André.
“Credo che Alain abbia ragione. Vieni andiamo nel tuo ufficio…” sussurrò l’uomo innamorato con voce bassa, perdendo tutta la sua esuberanza.
“Aspetta André…devo prima dire una cosa ai miei uomini. Posso?” chiese docilmente.
André annuì sorpreso più per il suo posso? che per quello che voleva fare.
La donna si allontanò leggermente da lui mettendosi al centro della stanza attirando ancora più l’attenzione su di sé.
“Uomini! Miei soldati! Mi scuso per il piccolo spettacolino che abbiamo messo in scena io e il vostro compagno Grandier ma certe cose dovevano essere chiarite…”
“A noi non è dispiaciuto per niente!” la interruppe Antoine, il soldato dinoccolato e barbuto.
“Anzi! Riprendete a baciarvi!” rise un altro soldato dando sfogo ad un altro scoppio di risa e applausi.
Oscar sorrise e li calmò di nuovo alzando le braccia: “No, no. Basta così con i baci. La mia vita privata d’ora in avanti sarà solo dentro le mura della mia casa…della nostra casa…” e lanciò uno sguardo tenero ad André. Che ricambiò con eguale calore. Sussultò però quando ricevette una simpatica gomitata al fianco da Alain.
“Uomini. Sapete bene…conoscete bene la grave situazione che sta vivendo la nostra città in questo periodo. E presto il nostro reggimento sarà chiamato per intervenire e placare la folla. Vi verrà chiesto probabilmente di sparare e reprimere quella povera gente. Tra quella gente potrebbero esserci vostri amici e parenti. Capirei se voi vorrete disobbedire gli ordini… ma sarebbe tradimento, alto tradimento alla corona. Rischiereste la vita e potrete essere condannati…”
“Siamo pronti anche a questo… ne abbiamo discusso molto tra di noi e abbiamo deciso che se dovesse chiamare i nostro plotone a combattere noi ci uniremo alla folla” chiarì Alain, da sempre portavoce di tutta la compagnia.
Oscar gli sorrise e annuì: “Sono d’accordo con voi. Non potrei appoggiarvi di più. Ma io sono una nobile di nascita e questa libertà non mi è concessa. Se dovessi tradire di nuovo al corona, io perderei la vita ma la mia famiglia cadrebbe in disgrazia…”
“Allora…combatterete contro la folla? Uccidereste tanta gente innocente?” chiese Gerard prendendo parola.
“Non potrei mai farlo. Da tempo ormai appoggio la causa parigina. Anch’io bramo per libertà e uguaglianza. Per anni io e André abbiamo dovuto rinnegare il nostro amore perché nati sotto ceti diversi e opposti…è ingiusto e io voglio essere libera di amarlo…”
“Allora cosa ci proponete?”
“Nulla. Siete liberi di agire come volete…io non vi impedirò nulla. Lottate per la vostra patria, combattete contro di essa…fate come volete…io ho già scelto la mia strada. E non tornerò indietro…”
“Di cosa stai parlando Oscar?” chiese insospettito André incrociando le braccia al petto.
Oscar si girò verso di lui. Sentiva il cuore scoppiare per tutto l’amore che provava per lui.
Si avvicinò a lui e gli prese le mani tra le sue: “Voglio scappare. Voglio andare via da qui. Vorrei lottare per la patria ma ho paura di perderti. So bene che anche l’occhio destro ti da problemi e non voglio rischiare inutilmente”
“Scappare equivarrebbe a tradire la corona Oscar. La tua famiglia cadrebbe in disgrazia…”
“LO so, ho pensato a questa possibilità ma sarebbe impossibile…per questo spero che tu accetterai la proposta che voglio farti…”
“Vorreste chiedergli di diventare il vostro amante…” rise un soldato panciuto spezzando la gravità della situazione.
“Ma quanto sei scemo…si sposano! Non li hai sentiti!” sbuffò Alain poi si rivolse ad Oscar: “Vi prego di continuare…”
Oscar scosse la testa ma si costrinse ad ignorarli: “Ci fingeremo morti. Bernard organizzerà una rivolta farà in modo che io e te subiremo un agguato fino a risultare alle autorità defunti. Noi invece scapperemo via fino ai confini di Parigi dove tua nonna ci aspetterà…”
“Mia nonna? Mia nonna vuole fare la fuggiasca?” ridacchiò André accarezzandole i capelli.
“Si. Non era molto d’accordo ma l’idea di farci andare via senza di lei le risulta impossibile… vuole essere sicura che tu mi sposi sul serio…”
André rise e chiese: “E quando è stato organizzato il giorno della mia morte?”
“Non ho organizzato nulla perché non sapevo se tu volevi ancora sposarmi.”
“D’accordo. Contattiamo Bernard e cerchiamo di fare il nostro meglio per fingerci dei bravi cadaveri…” ridacchiò André prendendola tra le braccia.
“Credo che adesso sia arrivato il momento di starvene un po’ da soli…” osservò Alain vedendoli di nuovo persi l’uno negli occhi dell’altra.
“Si.”
Annuirono entrambi sorridendo agli altri soldati.
“Comandante. Io vi ringrazio a nome di tutti gli altri soldati per la vostra lealtà e il vostro coraggio. Possiamo dire con certezza che voi siete il migliore comandante comandate che un esercito abbia mai avuto. Oltre anche il più bello” sorrise Alain facendole il baciamano.
“E voi siete i migliori soldati maleducati che io abbia mai dovuto educare e comandare” sorrise a tutti i suoi uomini.
E se esisteva un solo soldato che non fosse rapito dal fascino di quella singolare donna, in quel momento si innamorò perso di lei.
 
****
 
 
Arras Luglio 1792
 
 
Oscar posò la penna sulla scrivania in noce e si alzò stiracchiandosi.
Si portò alla piccola finestra dello studio. Sorrise divertita quando vide Gabrielle correre, ridente e completamente nuda, inseguita da Monsieur Pierre, il loro stupido quanto enorme San Bernardo.
Scosse la testa e con un gran sospiro si costrinse ad uscire di casa e andar ad afferrare quella piccola sciagurata.
Uscì dalla piccola casetta di legno. Si schermò gli occhi dal sole raggiante.
Sospirò ancora e costrinse il suo viso ad assumere l’espressione più severa che riusciva ad elaborare.
In fondo era stata, ormai una vita fa, il comandante delle Guardie Metropolitane, e ancora prima delle Guardie Reali. Ma quest’ultimo incarico preferiva tenerlo per sé. Meglio evitare rischi inutili.
Si portò le mani sui fianchi in una posa in cui molti soldati avevano ragione di temere il caratteraccio del loro comandante.
Adesso invece era una grande fortuna se la piccola Gabrielle l’ascoltava.
“Gabrielle! Vieni subito qui!” urlò alla piccola biondina mentre questa scappava per i prati curati.
Oscar trasalì quando sentì due braccia vigorose allacciarsi stretta attorno alla sua vita voluminosa.
“Non dovresti stancarti troppo, tesoro” le sussurrò all’orecchio suo marito.
Oscar sorrise dolcemente e si accoccolò tra le sue braccia.
“Ma André, se quella piccola birbante non indossa dubito qualcosa il figlio del mugnaio potrebbe anche perdere la testa per lei…” ridacchiò lei sentendo suo marito irrigidirsi immediatamente.
“Oscar! Gabrielle ha solo due anni. La possibilità che possa pensare a certe cose è quanto mai scarsa…soprattutto se prende da sua madre…” disse lui con voce secca e irritata.
Oscar si girò verso di lui e volò al suo collo: “Hai ragione ma una volta capito non lo lasciamo più andare. Sai, poi se Gabrielle prende da me dovrebbe avere una certa passione per i domestici…”
“O per i svedesi imparruccati…” sbuffò lui allontanandola da sé per lanciarle un occhiatina fintamente arrabbiata. Sorrise quando la sentì ridere divertita.
Le accarezzò i capelli ammirandola in tutta la sua bellezza, che per quanto possa sembrare strano, dal giorno della loro fuga era diventata ancora più radiosa. Come una rosa che da bocciolo fiorisce in una meravigliosa rosa nel pieno della sua fioritura.
Il suo viso aveva abbandonato l’eterno pallore cereo, i suoi occhi azzurri freddi e glaciali avevano lasciato il posto ad un azzurro cielo caldo e abbagliante. I suoi capelli biondi erano più luminosi e morbidi. La sua pelle era molto più rosata, dolcemente baciata dal sole e le sue labbra sono quasi eternamente sfiorate da un sorriso di gioia.
Certo, non aveva rinunciato al suo brutto carattere.
Litigavano spesso e per ogni piccola inezia. Si sentivano spesso porte sbattute con violenza, o piatti gettati sul pavimento con irosi gesti di stizza. Ma non poteva certo lamentarsi di sua moglie. Era sempre la sua adorabile diavoletta. Non la vorrebbe diversa per nulla al mondo.
Ridacchiò in modo scanzonato quando la vide rincorrere con estrema agilità la piccola biondina che scappava dalle grinfie della madre ridendo sbarazzina.
Gabrielle era il loro piccolo tesoro. La loro gioia trasformata in due enormi occhi verdi, così simili al padre, e dei meravigliosi riccioli biondi sempre spettinati e selvaggi. Oltre ad essere una degna avversaria in quanto brutto carattere con la madre.
Sembrava ne avesse ereditato non solo l’avvenenza ma anche la fastidiosa abitudine a comandare a bacchetta. Scosse il capo ridendo di sé. Spesso lui e Oscar avevano dovuto obbedire pur di non sentirla piagnucolare.
Si, la loro figlioletta era una gran viziata.
Era colpa loro, lo sapeva. Erano talmente felici del loro miracolo. Della gioia di aver potuto realizzare il loro sogno d’amore che essere severi con lei era pressoché impossibili.
Certo non mancava  la disciplina.
Oscar era irremovibile sotto questo punto. La loro casetta in legno, posta in periferia di Arras era una vera e propria caserma.
Non faceva altro che impartire ordini a destra e a manca. E ad André, a Gabrielle e a Marie non rimaneva che obbedire senza fiatare.
Marie era la loro cuoca.
Nei primi mesi dalla loro fuga c’era stata Nanny a badare e accudire i suoi due “bambini” ma l’età avanzata della donna purtroppo presto l’ha costretta a dover rinunciare al regno (la cucina) e farlo ereditare ad Oscar.
Rabbrividì quando ricordò Oscar ai fornelli. Era una vera e propria frana.
Non ricordava di aver mai mangiato così male. Anche il rancio della caserma dei soldati della Guardia era più commestibile.
Verdure scotte e bruciate. Carne secca e senza gusto. Pietanze sformate e salate fino all’inverosimile.
Povera Nanny! A nulla erano servite mesi e mesi di regolare insegnamento.
Alla fine aveva dovuto ammettere che Oscar era davvero negata a cucinare.
Un anno dopo il lutto aveva investito casa Grandier con gran costernazione dei suoi abitanti. Nanny li aveva lasciati. Era morta come un angelo. Nel sonno sereno di una donna felice della propria esistenza.
Andrè dovette battere più volte le ciglia per scacciare via le lacrime. Non aveva superato ancora bene la perdita di sua nonna. Cercò di inghiottire il groppo alla gola e si distrasse vedendo sua moglie afferrare la bambina e portarla dentro.
Ad André sua nonna mancava molto. L’aveva adorata e amata come solo un nipote ma al tempo stesso un figlio poteva fare. Senza alcuna riserva. E sapeva che anche per Oscar era lo stesso.
Era felice solo che sua nonna era morta contenta di lasciare i suoi ragazzi sereni e insieme. Ripeteva spesso che non le importava più null’altro.
La sua morte era stata seguita da un altro evento che spesso segue la morte: la nascita di Gabrielle.
La loro piccola bambina perfetta.
Era nata esattamente un anno dopo la presa della Bastiglia: il 14 Luglio 1790.
Avrebbero voluto chiamarla Liberté, ma ci ripensarono quando dovettero assistere agli orrori successivi a quel gran giorno così ripiegarono per il nome dell’arcangelo Gabrielle.
Era nata esattamente nove mesi dopo il giorno del loro matrimonio.
Purtroppo non riuscirono a sposarsi subito dopo la fuga. La ricerca di un abitazione, di un lavoro li avevano costretti spesso a dover rimandare la data del matrimonio. ma grazie a Dio si erano sposati con gran sollievo della nonna.
Oscar, cancellando la promessa fatta tanti anni prima, si vesti con un bellissimo abito da sposa sorprendendo i presenti al matrimonio con la sua abbagliante bellezza.
Ricordava ancora l’emozione e l’imbarazzo di essere preda degli scherzi dei suoi vecchi compagni.
Già. I suoi vecchi commilitoni.
Avevano fatto una sorpresa e si erano presentati in chiesa creando un atmosfera di grande commozione.
Alain , con cui André e Oscar, non avevano mai perso i contatti e molti altri soldati si presentarono in uniforme. Si misero lungo la navata della piccola chiesa del paese e ben allineati avevano accolto la sposa facendo il saluto militare.
Inutile dire che Oscar era scoppiata in lacrime.
Anche allo sposo erano spuntati dei gran lacrimoni.
Fieri e orgogliosi nelle loro uniformi i soldati della Guardia erano considerati gli eroi della Rivoluzione Francese. Coloro che hanno aiutato il popolo ala presa della Bastiglia. Nella sconfitta degli ingiusti e dei crudeli.
Ma molti soldati erano mancati al giorno del loro matrimonio. molti avevano perso la vita in battaglia.
Tra i quali il caro piccolo Gerard…
Dal giorno del matrimonio tutto era andato a meraviglia.
Andrè aveva trovato lavoro come addestratore di cavalli di un signorotto inglese che in quei ultimi tempi, nella sua residenza francese non metteva più piede ma che preferiva tenere i suo cavalli in terra straniera per portarli in Inghilterra pronti per gareggiare.
Oscar invece era diventata insegnante di pianoforte. Aveva molti buoni allievi del vicino paesino.
Sembrava che quell’attività, benché non molto remunerativa, la soddisfacesse.
Guadagnavano abbastanza da potersi permettere una casa, una stalla, e una cuoca. Erano praticamente ricchi.
Certo molto dovevano alla dote di Oscar e i soldi delle paghe da ufficiale, ma finché potevano tirare avanti con i loro stipendi, conservavano i soldi per i loro figli.
Gia figli.
Qualche mese fa un altro miracolo aveva bussato alla porta della loro modesta casa. Oscar aspettava un altro bambino.
Era ormai al sesto mese, era gonfia come una mongolfiera ma abbastanza vivace da poter tenere a freno il carattere selvaggio della primogenita.
Alain si era sposato con Juliette (l’amica della defunta Diane) dopo mesi e mesi di ferrato corteggiamento di Alain. La ragazza aveva fatto la preziosa per tanto tempo, ancora innamorata di André, ma dopo il suo matrimonio si era rassegnata al moro dagli occhi verdi (con grande sollievo di Oscar) e aveva cominciato ad apprezzare il gigante buono.
Alain sarebbe venuto quella sera con la moglie per festeggiare insieme l’anniversario della presa della Bastiglia.
Era un avvenimento che non rinunciavano mai di commemorare. Ovviamente era anche il compleanno di Gabrielle, e con un unico giorno festeggiavano due eventi importantissimi.
A momenti sarebbero arrivati anche Bernard e Rosalie. Entrambi rimasti grandi amici di Oscar e André.
Grazie a loro la fuga e la finzione della morte del comandante de Jarjayes era stato possibile. Doveva molto a Bernard anche se quel maledetto aveva molto da farsi perdonare.
Aveva perso definitivamente l’occhio sinistro ma l’occhio destro, grazie le cure premurose della moglie, e la costante visita del medico di zona, era guarito quasi completamente e poteva dire di vedere bene.
Certo, aveva spesso attacchi di oscurità, soprattutto quando era sotto stress ma le premure di un amorevole moglie erano più efficaci di cento dottori.
Era felice. Era dannatamente felice.
E anche Oscar lo era.
Bastava osservarla un minuto intero per sentirti contagiato dalla sua felicità.
Ma spesso la sorprendeva nostalgica.
Le mancavano la sua famiglia.
Quella famiglia che la consideravano morta. Defunta. Eroe di guerra contro i rivoltosi della corona.
Avevano avuto notizie che il padre si era disperato molto della sua morte e che avesse eretto una lapide onorifica della figlia. Sembrava anche che l’uomo passasse giorni interi ad osservare il ritratto di Oscar. Ai domestici appariva afflitto e pentito di aver costretto la propria figlia a scegliere una vita che l’aveva portata alla morte.
Ma era solo una finta. Solo una stupida finzione per non destare sospetti.
Quando André ne era venuto a conoscenza era quasi svenuto per la sorpresa.
Circa un mese prima, durante una delle rare visite del conte Flaumbert, proprietario della stalla che lui accudiva, André era stato convocato con grande urgenza dal conte.
Così in ansia lo aveva raggiunto nei raffinati alloggi della sua residenza estiva.
Benché un umile servo André sapeva comportarsi come un vero gentiluomo quindi non fece mai trasparire il suo disagio di trovarsi al cospetto di un nobile dopo tanto tempo.
Certo, aveva sposato una di loro, ma ormai non aveva più importanza.
L’uomo, dopo alcuni convenevoli e dopo avergli offerto una tazza di tè, cambiò tono di voce. Si fece d’un tratto serio e gli mostrò una lettera.
Andrè l’afferrò un po’ titubante. Se la portò al viso e lesse la missiva tutto d’un fiato.
Improvvisamente i caratteri scritti in un’elegante calligrafia cominciarono a turbinargli impazzite davanti agli occhi. Il respiro si fece affannoso e alzò lo sguardo verso quello benevole del suo paziente datore di lavoro.
Riassumendo in brevi battute…
Il generale Jarjayes aveva venduto la sua residenza ad Arras cercando il denaro sufficiente per finanziare l’inizio di una nuova vita oltre la Manica insieme al resto della sua famiglia. Durante la transazione di vendita conobbe il conte Flaumbert circa un anno dopo lo scoppio della Rivoluzione Francese. Tra i due nacque una sincera amicizia.
Non ci volle molto che il conte Flaumbert parlasse della bravura del nuovo addestratore di cavalli.
Ricordava ancora come il nobile parlasse dello stupore del generale alla notizia che l’addestratore non fosse altri che André Grandier.
Il marito di sua figlia Oscar.
André sorrise al ricordo delle parole del conte di Flaumbert.
Poveretto! Chissà come doveva aver strabuzzato gli occhi alla notizia del tradimento della figlia.
La lettera scritta dalla mano del generale in persona comunicava ad André, con parole meste e pentite, la sua colma felicità nell’apprendere che sua figlia fosse ancora viva e che lui si era deciso a portarla via dalla caserma e da morte certa.
L’epistola augurava ogni felicità e ogni bene ai due ragazzi. Affermando con convinzione che solo André avrebbe potuta renderla davvero felice.
Chiedeva solo un favore a colui che aveva accolto nella sua casa come un figlio… non rivelare mai ad Oscar che lui sapeva.
Da allora il generale non aveva mai più provato a contattarli, forse deciso a non interferire più con la vita della figlia.
André era molto felice che il generale avesse trovato nel suo cuore la forza di perdonarli ma non riusciva a scacciare via quella brutta sensazione che sembrava pesare nel suo stomaco.
Avrebbe tanto voluto confessare tutto ad Oscar. Sua moglie spesso era in preda all’angoscia o si lasciava sciogliere in lacrime di nostalgia per il padre. Molte volte l’aveva sorpresa iniziare una lunga lettera di confessione al padre, per poi gettarla via.
Ma non poteva spezzare quella promessa fatta a suo padre. Non era onorevole.
Era convinto che prima o poi il generale si facesse vivo per rivedere sua figlia e i suoi nipotini…
 
 
Oscar borbottò un’ imprecazione e diede un piccolo scappellotto alla figlia mentre questa scappava via in cerca di qualcuno che poteva difenderla dall’ira della mamma.
Oscar scrollò le spalle e si mise le mani lungo i fianchi. Guardò il disastro combinato dalla piccola.
Aveva rotto il vaso dove quella mattina André aveva riempito di profumati fiori di campo.
Adesso il bel mazzolino era sparso sul pavimento e il piccolo recipiente ridotto in mille frammenti.
Prese la scopa e cominciò a spazzare via il disastro facendo attenzione che non rimanesse ulcun coccio tagliente per casa. Gabrielle aveva la brutta abitudine di camminare scalza o addirittura nuda.
Aveva una vera avversione per gli indumenti.
Ma da chi avrà mai preso?
“Mamma?” sentì una vocina falsamente innocente dietro di sé.
“Se sei venuta per quel dolce che ti ha fatto Marie puoi scordartelo. Sei in punizione per almeno una settimana…inutile che fai quella faccia. L’hai combinata davvero grossa stavolta. Appena tuo padre verrà a sapere che hai distrutto il vaso che mi aveva regalato…” lasciò la minaccia in sospeso per rendere ancora più grave la punizione.
Si era aspettata delle proteste ma quelle non arrivarono.
Alzò il viso verso Gabrielle e sorrise quando la vide a capo chino mentre si osservava la punta della scarpetta.
Sembrava una bambola di porcellana. Quei riccioli biondi, le gote rosee, la boccuccia a forma di cuore. Per non parlare di quanto fosse carina in quell’abitino. Quello era il vestito della “domenica” e Gabrielle aveva chiesto che per il suo compleanno venisse impreziosito da nuovi fiocchi rosa e da più merletti.
Al contrario di lei sua figlia era molto più vanitosa…
Si piegò sulle ginocchia e scostò i soffici capelli dal viso della sua bambina. Odiava vederla così triste, anche se sapeva bene che era solo una farsa.
“Che c’è?”
“Scusa mamma. Non volevo rompere…ti prego non dirlo a papà…” piagnucolò con gli occhi lucidi.
Ad Oscar si riscaldò il cuore di un amore infinito. Prese la sua piccola tra le braccia e disse: “Va bene, non dirò nulla a papà, ma promettimi una cosa. Smettila di essere così maldestra…non puoi permetterti di comportati come una bimbetta…sei grande ormai…”
“’cusa mamma” disse con il suo solito vizio di mangiarsi le parole.
“Bene, ora corri a giocare. Pare che Monsieur Pierre ti stia cercando…”
“Pierre sta giocando con un signore…” disse Gabrielle mordicchiandosi un dito.
Improvvisamente Oscar si pietrificò. Le mancò il respiro per un attimo e sbarrò gli occhi.
Un signore? Un estraneo? E chi poteva mai essere?
Che avessero scoperto che lei in realtà fosse una nobile? Che volessero arrestarla.
Prese la sua bimba e la portò nella sua stanza chiedendole di giocare con le bambole e di non uscire se prima non la chiamava lei.
Prese un respiro profondo, si fece un veloce segno della croce e si costrinse ad uscire.
Con un sospiro di liberazione vide André che le si parava davanti con un enorme sorriso.
“Oscar!”
“Ah che sollievo André! Gabrielle mi aveva detto che c’era un signore, un estraneo e io credevo…”
“Oscar…amore…guardami…” le disse André prendendole le mani tra le sue.
“Dimmi” fece interrogativa.
“Amore. Io ti amo”
“Lo so André e benché la cosa mi riempia di felicità quando me lo dici non capisco che cosa c’entri…?”
“Sta zitta e fammi parlare. Oscar…” ricominciò André bloccandola nella soglia della porta d’ingresso: “Io ti amo e farei qualsiasi cosa in mio potere per renderti felice e completa. La mia unica ragione di vita è servirti con amore e devozione”
“Anche per me è lo stesso André… ma che ti succede?...”
“Oggi arriveranno a festeggiare questo giorno glorioso i nostri più cari amici, una famiglia ormai per noi. Noi che abbiamo combattuto mille conflitti e tragedie, spesso create dal nulla dalla nostra testardaggine…” sorrise, ma poi ridivenne serio: “Mia nonna ci ha lasciati e so che la sua mancanza ti intristisce come addolora me. Era la nostra famiglia ma so bene che tu non ti sei mai sentita completa…che ti mancava qualcosa…”
“No, André. Ho te, la nostra libertà,Gabrielle e il piccolo che verrà…cosa potrei mai volere di più…”Oscar si stava lasciando andare nel panico. Che diavolo cercava di dirle André con quel tono così solenne? Voleva lasciarla?
“Ti vedo quando scrivi quelle lettere, le imbusti e non le spedisci mai. Non puoi pensare che io non me ne sia mai accorto…” osservò André.
Oscar sentì gli occhi pizzicarle da lacrime pungenti.
“Sai che la mia famiglia mi manca…”
“Lo so amore. Come so bene che per la nostra incolumità non hai mai pensato di cercarlo per non rivelare la nostra esistenza…ma tuo padre non l’ha pensata allo stesso modo…”
“Co…cosa…cosa stai dicendo André…cosa?” disse lei con il cuore in tumulto.
André le sorrise facendosi da parte dandole maggiore visuale del cortile davanti a lei.
Oscar si sentì mancare.
Suo padre e sua madre le stavano sorridendo con affetto, di quell’amore che mai le avevamo mostrato in trent’anni di vita.
“Va da loro. Va ad abbracciarli…” le sussurrò all’orecchio André spingendola oltre la porta…
Oscar non se lo fece ripetere due volte. Volò tra le braccia di sua madre e di suo padre piangendo e ridendo al tempo stesso.
André sorrise felice. Sentì un rumorino alle spalle e notò come sua figlia stesse spiando la scena tra le gambe del padre.
André la prese tra le braccia e diede un buffetto sulla guancia.
“Chi sono?” chiese mordicchiandosi un pollice.
“Delle belle sorprese per mamma. E il tuo regalo di compleanno. Siamo fortunati piccola mia. Anche quest’estate è stata una vera rivelazione!”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
GRAZIE DI CUORE A TUTTE LE PERSONE CHE HANNO LETTO, COMMENTATO, CRITICATO LA MIA STORIELLA.
QUESTA FF ERA NATA PER CASO, PER UNO SCOPPIO D’IRA. A VOLTE LA VITA è DIFFICILE E PROVA SEMPRE A SCHIACCIARCI…
COSì HO SCRITTO E HO MESSO TRA QUESTE PAGINE DI WORD TUTTE LE MIE SENSAZIONI. SONO STATE CONSIDERATE ESTREME E FORSE NON ADATTE AI PERSONAGGI DELLA IKEDA MA LE FF SONO PROPRIO IMMAGINI PERSONALI DI UNA STORIA CHE MERITA TANTO DA POTERCI FANTASTICARE DENTRO.
GRAZIE DI CUORE PER IL VOSTRO SOSTEGNO SENZA PREZZO. PER AVERMI ACCOLTO CON ENTUSIASMO E AFFETTO. SIETE STATE CARINISSIME E TANTO PAZIENTI CON ME, CON ME CHE SONO VITTIMA DELLA FRETTA E DELLA NONCURANZA. HO IMPARATO TANTO DA QUESTO SITO. A LEGGERE CON ATTENZIONE, A D ESSERE CRITICA, E IMPARARE AD ESSERE UMILE. E QUESTO GRAZIE A VOI.
GRAZIE A COSMOPOLITAN GIRL PER LA SUA PASIENZA E LA BONTà DELLE SUE ATTENZIONI SU DI ME. NON MANCA MAI DI FARMI SENTIRE…SPECIALE. GRAZIE DI CUORE. BACI

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=620661