Toujour Black

di Circe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bellatrix e Rodolphus ***
Capitolo 2: *** Andromeda e Ted ***
Capitolo 3: *** Cissy e Regulus ***
Capitolo 4: *** Sirius e James ***
Capitolo 5: *** Evan e Bellatrix ***
Capitolo 6: *** Riunione di famiglia ***
Capitolo 7: *** Il nato Babbano ***
Capitolo 8: *** Ribelle ***
Capitolo 9: *** Cuore di padre ***
Capitolo 10: *** Stirpi di maghi ***
Capitolo 11: *** Nei corridoi bui ***
Capitolo 12: *** Protagoniste a confronto ***
Capitolo 13: *** Ragazzi ***
Capitolo 14: *** Pomeriggio in casa Black ***
Capitolo 15: *** I giochi sono stati tutti riaperti ***
Capitolo 16: *** Gelosa ***
Capitolo 17: *** La sala dei ricevimenti ***
Capitolo 18: *** Segreti accennati e mai svelati ***
Capitolo 19: *** Ti amo, Andromeda ***
Capitolo 20: *** Solo un incidente ***
Capitolo 21: *** Stavolta ho vinto io ***
Capitolo 22: *** Allora spogliami, fai l'amore con me ***
Capitolo 23: *** Sarà da te che verrò ***
Capitolo 24: *** Sempre Black ***



Capitolo 1
*** Bellatrix e Rodolphus ***


Bellatrix e Rodolphus

Nonostante Rodolphus Lestrange sia ad Hogwarts da ormai alcuni mesi, è ancora chiamato da tutti “il ragazzo che viene dalla Francia”.

Nessuno realmente lo avvicina, nonostante molti tentino di parlare con lui e molte gli ronzino attorno.

Probabilmente è considerato un tipo poco raccomandabile, da cui, la gente per bene, istintivamente, si mantiene alla larga.

Io lo trovo interessante.

È chic nell’aspetto ricercato e nel suo tipico e personalissimo accento straniero. Quest’ultima caratteristica gli dà, almeno ai miei occhi, un non so che di lontano e sconosciuto. Una spiccata luce malvagia e ambigua capeggia nel suo sguardo, nonostante sia ancora così giovane. Il suo sorriso enigmatico, o forse semplicemente troppo snob, lo contraddistingue rispetto alla massa, e lo rende apparentemente più adulto dei nostri compagni.

Di lui non so molto, né si sa molto a scuola. È stato espulso da Beauxbatons ed è stato trasferito ad Hogwarts grazie a solerti insistenze paterne, e ovvie influenze della sua famiglia nelle alte sfere.

Il motivo della sua espulsione però, è assolutamente sconosciuto.

Vive da solo in Inghilterra perché i suoi parenti sono rimasti in Francia, è nella mia classe e ha la mia età, ma non parla, o non vuol parlare, nemmeno quel poco di inglese che serve per comunicare con qualcuno.

Conosce quasi solo me perché solo io so il francese.

Questo mi piace.

Lo osservo con curiosità ed interesse. Lui risponde con sguardi di cupa accondiscendenza. Non è semplice capirci davvero.

Quando mi siedo accanto a lui, durante le lezioni di trasfigurazione, o storia della magia, scambiamo sguardi e sussurri, fra un incantesimo e l’altro. Accenna solo pochi preziosi sorrisi, mi guarda a lungo i capelli neri e le dita sulle pagine di appunti.

Mi affascina.

Lui mi affascina, il primo a farmi realmente questo effetto.

Eccentrico, ma allo steso tempo leggermente schivo, dà l’idea di un essere piuttosto misterioso, non particolarmente bravo, o interessato alla scuola e ai voti. Ma, in ceti casi fortuiti, si dimostra piuttosto abile con la magia.

Beve sempre.

O, se non sempre, spessissimo. Lo dicono tutti a scuola, lo noto anch’io, anche senza frequentarlo assiduamente.

Non gli importa, almeno all’apparenza, dei commenti maligni dei compagni, né delle regole delle scuola: ogni fine settimana Rodolphus scappa fuori da scuola per andare ad Hogsmeade, a bere e divertirsi.

Torna sempre ubriaco a scuola, a notte inoltrata, normalmente non cerca nemmeno di dissimularlo, ed è quindi palese ai più.

Se lo incontro per caso, di sera tardi, in seguito a queste sue uscite clandestine, non ci diciamo mai nulla.

Lo guardo.

Mi guarda.

E nient’altro.

La tensione è così forte fra noi, che poi non riesco a non pensarlo per tutta la notte, non riesco a non desiderarlo, come non ho mai fatto con nessun altro.

Ma sono una Black, non mi abbasso mai a chiedere qualcosa a qualcuno, non mi costringo mai ad essere gentile con nessuno. Ho sempre fatto solamente ciò che mi pare e mi sembra giusto.

Inoltre, sono fidanzata.

Fidanzata con mio cugino Evan Rosier, uno della nostra famiglia, uno capace di mantenere la purezza del mio sangue, uno capace di capire il significato dell’antichissima casata dei Black.

Ha un paio di anni più di me, e non frequenta più Hogwarts.

Ci saremmo di certo rivisti per le vacanze di Natale, per i ricevimenti e i raduni in famiglia. Ho alzato lo sguardo sugli addobbi sparsi per la scuola che annunciano l’imminente arrivo delle festività.

Con un gesto di rabbia incontrollato, ho mosso inaspettatamente la bacchetta mandando in fumo tutto, luci, candele, addobbi magici, lungo il grande corridoio che porta alla sala comune.

Odio il Natale: solo una stupida festa babbana.

***

Non so esattamente perché l’ho fatto.

So solo che ogni volta che agisco seguo l’istinto, una forza che mi smuove completamente, come un incendio disastroso, o una grande ondata distruttiva.

Quella sera, prima di tornare a casa, l’ho aspettato. A lungo, fino a tardi, nella sala comune ormai praticamente deserta.

Nessuna luce di Natale è presente nella sala comune di noi Serpeverde, nessuna interferenza babbana nella nostra vita.

Resta sempre buia, scura, con grandi vetrate da cui si vedono gli abissi del lago nero, con grandi statue in marmo di serpenti e serpenti alati, tutti ricoperti di smeraldi e drappeggi verdi scuri.

Solo vicino al caminetto sempre acceso, la tonalità dell’atmosfera varia leggermente dall’oscurità punteggiata di verde, ad una luminosità rossa e arancione, che dà quasi una sensazione di calore.

Sono restata lì, sapendo che lo stavo aspettando.

Lui, Rodolphus Lestrange.

Adoravo pronunciare il suo nome.

Volontariamente mi ero vestita davvero poco per essere a scuola, soprattutto per essere in sala comune, dove tutti sarebbero potuti entrare.

Non avevo una reale idea però, di quello che avrei voluto fare.

Quasi non lo conoscevo nemmeno, non sapevo come avrebbe reagito quel ragazzo tanto strano, sempre isolato.

I capelli lunghi e neri mi ricadevano sulle spalle, coprendo leggermente la scollatura della sottoveste. L’unica cosa che avevo indosso.

Mi faceva sentire una donna, coi pizzi neri e lacci di raso lucidi e morbidi, me la osservavo addosso e mi sentivo forte.

Avvicinandomi al fuoco, nell’attesa, ho sorriso a me stessa. “Tu sei pazza” mi sentivo spesso dire dagli altri componenti della banda di Serpeverde, ed ora, pensandomi così, pensando a quello che stavo facendo, riuscivo a capire perché tutti pensassero che io fossi completamente fuori di testa.

Ho alzato le spalle, non me ne importava nulla.

E, in quell’esatto istante, alcuni rumori di passi incerti e poco lontani, mi hanno fatto capire che Lestrange era tornato, e si stava dirigendo in sala comune.

Vedendomi così, si è bloccato poco lontano dalla grande porta di entrata.

Dopo un’occhiata frettolosa al mio viso, ha iniziato ad osservarmi, silenzioso, tutto il corpo, il seno, le cosce.

Per poi tornare a posare i suoi occhi sui miei.

Era bello.

Anche con i capelli scompigliati, anche con lo sguardo confuso, il portamento scomposto. Era chiaramente ubriaco, ancora una volta.

Lo si notava da tutto, oltre che da una bottiglia mezza vuota che si portava ancora nella mano.

Ho sinceramente sperato che approfittasse della situazione.

Mi era diventato chiarissimo, solo in quel momento, qual’era stata la mia idea fin dall’inizio: presentarmi così a lui, provocarlo, e fare l’amore con lui, approfittando del fatto che sapevo di trovarlo ubriaco a quell’ora della notte.

Non avrebbe saputo frenarsi in quelle condizioni.

Non avrebbe voluto frenarsi con me.

Si è avvicinato lentamente infatti, senza dire una sola parola. Afferrandomi i capelli, facendo scivolare una ciocca corposa tra le sue dita, ha affermato “Sei più bella delle puttane francesi.”

Quella frase sussurrata con voce sensuale e resa vaga e cantilenante dall’alcol, invece che farmi inquietare e arrabbiare, mi ha fatto eccitare ancora più di quanto già non fossi.

Nel momento in cui ho accennato un sorriso, lui lo ha di certo capito, mi ha dunque baciata senza alcuna dolcezza né pudore. Tenendomi stretta con un solo braccio e tenendosi stretto a me come se fossimo le uniche ed ultime persone sulla faccia di questa terra.

Sentivo le sue labbra bagnate da un sapore sconosciuto, poi, man mano, più calde, vogliose, smaniose.

Per lungo tempo il crepitio del caminetto ha alimentato il calore di quel bacio di fuoco.

Non appena un rumore poco lontano ci ha distratti, ci siamo separati e guardati in volto.

Con un dialogo del tutto silenzioso, intimo e personale, mi ha porto la bottiglia che gli restava in mano.

Ho bevuto tanto, tutto in un sorso, fino a sentire le guance bruciare e lo stomaco contorcersi.

Volevo stare come lui.

Quando gli ho restituito la bottiglia, sulle labbra sentivo lo stesso sapore sconosciuto che avevo sentito poco prima sulle sue.

Non capivo nemmeno più chi ero.

Fidanzata, o non fidanzata. Black, o non Black, volevo solo lui, Rodolphus Lestrange.

Il ragazzo francese.

Quello espulso da Beauxbatons.

Quello misterioso, oscuro.

E lui mi sorrideva.

“Cognac francese” mi ha sussurrato dolce “fa più effetto del vostro whisky.”

Questa volta ho sorriso io, annuendo. Dandogli un altro bacio, stringendomi a lui completamente, per sentirlo, per non perdere l’equilibrio, per invogliarlo a continuare.

Ad andare fino in fondo.

E sentirmi dire ancora quelle parole sulle puttane francesi.

Che dunque lui frequenta già alla sua giovane età.

Mi sentivo morire di calore ormai, nonostante mi stesse malamente togliendo quel poco che avevo addosso.

Questo fino a che, un altro rumore molesto e gelide parole perentorie, non ci hanno fermato definitivamente.

Ero stata stupida a fare una cosa simile in sala comune.

Stupida davvero, o troppo sfrontata.

Avery mi osservava con puro rancore.

Avery, uno dei migliori amici di Evan, che ancora era ad Hogwarts, mi guardava disgustato.

L’avrebbe detto al mio ragazzo, questo era più che certo.

L’indomani sarei dovuta tornare a casa per le vacanze e rivedere il mio fidanzato.

Era un guaio.

Un enorme guaio. I Black volevano Evan come mio fidanzato ufficiale.

Lo sapevo.

Ma in quel momento, desideravo solo che Rodolphus riprendesse da dove ci avevano appena interrotto.

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Sono qui con una nuova storia (vi avevo detto che per le vacanze mi avreste dovuto sopportare più del solito …) che sarà più che altro una raccolta abbastanza breve sui segreti (più o meno inventati) coi quali i ragazzi Black avranno a che fare durante la loro permanenza a casa per le vacanze natalizie.

Saranno circa due capitoli auto conclusivi per ognuno, riguardanti quindi Bellatrix, Andromeda, Narcissa, Sirius e Regulus.

(Naturalmente ho iniziato con Bellatrix, la prossima sarà, credo, Andromeda)

Grazie come sempre per le letture e a chi vorrà commentare, spero non verrà fuori una schifezza.

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Capitolo 2
*** Andromeda e Ted ***


Andromeda e Ted

L’atmosfera di festa e di gioia per l’imminente ritorno a casa per le vacanze natalizie, mi ha sempre messo di buon umore.

Oggi, non so perché, mi rende invece inquieta, donandomi anche una vaga sensazione di nausea proveniente dallo stomaco.

Cerco di allontanare quelle sensazioni con un lungo sospiro, concentrandomi sulla preparazione di bauli e altri bagagli, chiacchierando con le mie compagne di dormitorio.

“Andromeda” insistono a dirmi poco più tardi “hai tantissimi e bellissimi vestiti, li indosserai tutti durante queste vacanze?”

Osservo con attenzione tutti gli oggetti che sto distrattamente ripiegando ed infilando nel baule con l’aiuto di vari incantesimi studiati al secondo anno.

Ricami argentati e dorati, pizzi arabescati, stemmi della mai casata e simboli antichi capeggiano praticamente su ogni mio indumento. Tutti di un’eleganza spropositata.

Anche se rispondo con un distaccato e quasi altezzoso “Probabilmente sì.” la mia mente vaga per conto suo, a riflettere.

Da così tante settimane non indosso più quel genere di vestiti, o quel genere di accessori, che quasi mi paiono estranei alla mia persona.

Da quand’è che hanno perso importanza per me?

Da quand’è che ho iniziato a vestire sempre con la semplice divisa, a dimenticarmi di adornare il tutto con gioielli, accorgimenti, personalizzazioni varie?

Questa situazione così strana mi stupisce, anche se sono io stessa l’artefice di ciò.

Di nuovo un’ondata di angoscia mi sale dallo stomaco … da quand’è, mi domando ancora, con un misto di ansia e allegro entusiasmo, che non appena sveglia, mi affretto a salire in sala comune a far colazione per poi precipitarmi nella mia classe di erbologia? E poi, insieme a tutti gli altri, verso quella di difesa contro le arti oscure?

Senza curarmi eccessivamente della forma, dei discorsi, di chi frequento assiduamente e chi no?

A quel punto, l’immagine di lui arriva prepotente a farsi strada nei miei pensieri.

Abbasso lo sguardo, timida come non sono stata mai in vita mia.

Da quest’anno noi Serpeverde siamo affiancati ai Tassorosso. Una casa che non ho mai sopportato del tutto.

Era orribile all’inizio, mi sentivo disgustata, umiliata.

Poi … poi è accaduto qualcosa che non mi so spiegare.

Giorno dopo giorno, con la pioggia fuori dalle vetrate, la nebbia, il cielo bigio, la condivisione dell’aula coi Tassorosso non mi destava più particolare sconforto, o fastidio.

Più passava il tempo, più, in quella situazione, mi sentivo protetta dal freddo, dal gelo che tutto attorno mi circondava a causa, sicuramente, del tempo atmosferico.

Ricordo quasi ogni piccolo istante.

Ted Tonks seduto sul mio banco ad aspettarmi, Ted Tonks con i compiti ancora da svolgere perché non aveva capito gli incantesimi, le mie spiegazioni, il suo sorriso, il suo modo orribilmente sgraziato di atteggiarsi, di farmi complimenti, di sfiorarmi i capelli.

Improvvisamente, non ho avuto la possibilità di rendermi conto del perché, è entrato silenziosamente nella mia vita.

Nonostante la sua insicurezza, la consapevolezza di essere anni luce indietro rispetto a me, così bella, elegante, perfetta.

Lentamente tutto è cambiato.

Non c’erano più i bei vestiti, non più i discorsi sulla magia e la stregoneria, non c’erano più le mie sorelle a parlarmene.

C’erano solo le attenzioni, semplici e apparentemente insignificanti di Ted nei miei confronti.

Sospiro lentamente, di nuovo.

Osservo di nuovo quegli stemmi. Gli stemmi della mia famiglia purosangue.

Purissimo sangue, come il mio.

Sedendomi sul letto, inizio a riflettere seriamente. Mi estranio dal chiacchiericcio delle mie compagne e, come chiudo il baule con un semplice incantesimo, cerco di chiudermi in me stessa allo stesso modo. E capire.

Ted Tonks è un nato babbano. Nemmeno un Mezzosangue, un nato babbano.

Ciò che di più sporco, estraneo e avvilente si possa immaginare. La mia famiglia non potrebbe mai accettare un ragazzo di quel genere.

Io stessa non posso accettarlo.

Eppure … qualcosa mi è successo, qualcosa, una parte di me, non ha nemmeno tenuto conto della nostra infinita diversità, non ne ha tenuto conto per nulla, e ora lo desidera ardentemente.

Mi accorgo che pensare di passare così tanto tempo lontana da scuola, e dunque da lui, mi toglie quasi le forze, mi fa sentire vuota di vita e di tenerezza, di vivacità.

Il tempo non passerà mai.

Che mi sia davvero innamorata?

***

Prima di andare a salutarlo, mi ero cambiata di tutto punto.

Ero di nuovo Andromeda Black, quella che sono sempre stata fino a prima dell’inizio di quest’anno.

Ero piena di arabeschi, merletti, ogni tipo di meraviglia ed eleganza. Forse, dentro di me, speravo che così fosse proprio Ted ad accorgersi della nostra incolmabile differenza e mi lasciasse in pace.

Questo perché io mi sentivo assolutamente incapace di allontanarlo.

Contrariamente alle mie aspettative, lui si è semplicemente incantato a guardarmi.

“Sei più bella di una regina … il tuo sguardo e il tuo sorriso fanno risplendere quell’abito e quei gioielli, non ti avevo mai vista così” mi ha detto in un sussurro stupito. Piacevolmente stupito.

Ciò che più mi ha colpito, che mi colpisce sempre di lui, è il suo dono speciale di mettermi sempre al centro di tutto, davanti ad ogni cosa.

Chiunque avrebbe notato i miei abiti, la mia eleganza ricercata e particolare, degna solo della mia casata.

Lui, al contrario, ha semplicemente detto che ero io, io col mio sguardo e col mio sorriso, a rendere speciale tutto il resto.

Sembrava di stare in un sogno.

Ero già in procinto di lasciare la scuola, di raggiungere le mie sorelle per partire, ma ugualmente mi sono allontanata con lui lungo la scalinata, verso l’aula di trasfigurazione.

Non potevo credere nemmeno di averlo preso per mano io stessa, di volergli parlare, anche se in fretta, soprattutto salutare in totale pace ed intimità.

Sotto al portico, all’entrata dell’aula, ci siamo fermati a lungo, in un silenzio imbarazzato.

Nessuno osava parlare, non volevo dire frasi scontate, spiacevoli, che avrebbero inesorabilmente rovinato tutto ciò che era nato fra noi.

Frasi doverose per una come me, ma che non mi andava nemmeno un po’ di pronunciare.

D’altra parte, nemmeno lui aveva intenzione di sentirsele dire. Le solite storie su purosangue e nati babbani, credo le conoscesse perfettamente, ma sapeva, sentiva, che io ero diversa, anzi, speciale.

Almeno questo mi trasmettevano i suoi occhi, le sue attenzioni.

D’improvviso, con un gesto gentile, ha passato le mani fra i miei capelli ondulati, morbidi. Incredibilmente è riuscito ad intricare quelle sue dita forti, in alcune delle mie forcine, un quasi totale disastro, che ha completamente rovinato quel momento pieno di tensione, di sentimento.

Ho cercato di fingere che non mi importasse.

Gli ho delicatamente preso la mano fra le mie, sbrogliandola dai miei capelli prima che combinasse altri pasticci.

Ma l’ho tenuta tra le mie, non volevo lasciarlo, non volevo più andare via.

Allora è stato lui a prendere coraggio, a lasciarmi sciogliere in un bacio tenero ed appassionato, voglioso, anche se leggermente insicuro.

Tenendo la sua mano fra le mie, ho continuato ad assaporare quel momento, il suo sapore, il suo odore tanto estraneo.

Sentivo il vento freddo di dicembre che ci avvolgeva, l’umida aria carica di pioggia che accarezzava le nostre guance e le nostre mani ormai legate.

Ero felice e non pensavo a nient’altro se non a lui.

A questo amore, questa novità infinita.

Non avevo nessun sospetto, non immaginavo minimamente che la mia sorellina più piccola fosse venuta a cercarmi proprio in quel momento.

Per invitarmi a tornare a casa.

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Mi scuso con alcune di voi a cui avevo detto che avrei pubblicato domani! Ho scoperto di avere da fare e ho deciso di anticipare ad ora. Spero sia una bella sorpresa …

Ecco qui il capitolo su Andromeda. Non ho mai scritto di lei e spero di non aver fatto un disastro colossale. Mi sono ispirata alla brevissima descrizione che ne dà la Rowling: una donna altera, molto somigliante a Bellatrix, ma dallo sguardo dolce.

Il resto è pura fantasia.

Come si può capire dal finale di questo capitolo, penso che il prossimo sarà su Cissy (data la sua giovane età, non aspettatevi però tresche amorose!)

Credo di aver detto tutto anche per oggi! Ho momentaneamente interrotto “Il maestro di Arti Oscure” che riprenderò subito dopo le vacanze!

A presto a tutte

Circe

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Capitolo 3
*** Cissy e Regulus ***


Cissy e Regulus

Avrei voluto parlare con mia sorella maggiore di quello che avevo visto poco prima di partire per tornare a casa.

Lei è sempre stata dalla mia parte.

Ma Bella è stata strana e silenziosa per tutto il viaggio e non ho avuto il coraggio di disturbarla. Poi, a casa, si è addormentata in camera sua per tutto il pomeriggio, ed infine è stata punita per il suo comportamento poco consone.

Dunque non ho avuto la possibilità di parlarle nemmeno per poco tempo.

Anche lei ci si mette ora, a fare la matta, ho pensato con stizza.

Sono dunque scivolata silenziosamente in camera mia, sedendomi sul letto sbuffando. Non volevo vedere Andromeda, non prima di aver capito davvero cosa fosse successo. Non volevo accusarla di nulla che non fosse vero, non volevo umiliarla e farla sentire così in basso da accusarla ingiustamente di aver baciato un nato babbano.

Eppure ne ero quasi certa, il ragazzo che avevo visto di sfuggita con mia sorella, pareva in tutto e per tutto uno di quelli che fanno parte della feccia.

Portava il lungo manto con il simbolo dei Tassorosso, e sotto … sotto aveva vestiti babbani. O almeno così mi pareva, e difficilmente mi sbaglio su queste cose.

Mentre penso freneticamente a tutto ciò, mi liscio delicatamente i capelli, lo faccio spesso quando sono pensierosa. Poi mi guardo intorno, osservando la mia stanza.

Qui mi ci sento ancora a casa, anche più che ad Hogwarts. Già da qualche anno frequento la scuola, ma la mia camera emana una sensazione di calore e bellezza che non riesco a ricreare nel dormitorio della scuola.

Il copriletto azzurro cielo, le lenzuola di seta bianca, gli specchi dorati e argentati, i tappeti morbidi e le fotografie e quadri alle pareti. Tutti i momenti più belli e divertenti della mia vita sono raffigurati lì.

La nascita del mio unico cugino più piccolo e noi due insieme a giocare. Io coi miei genitori nel parco della nostra casa. Il grande simbolo di Serpeverde sulla mia divisa, il primo giorno di scuola. Le prime piccole gite e i compagni conosciuti là.

Per non parlare del numero spropositato delle foto delle mie sorelle e con le mie sorelle.

Sono davvero molto affezionata a loro. Abbiamo sempre giocato insieme noi tre.

Siamo sempre state insieme, perché noi siamo diverse.

Mi alzo in piedi per scorrere da vicino tutti quei momenti raffigurati sulle pareti della mia camera: Bella nella culla, intenta a mordere un gioco portogli da nostra madre, Dromeda che prende il latte e io che strillo disperata per qualcosa.

Poi le foto di tutte e tre, più grandi, insieme.

Ed infine, solitario sulla grande parete laterale, il grande ritratto delle ultime esponenti di questo ramo della famiglia: noi tre.

Sopra la cornice ricca e decorata, lo stemma “Toujour pur” capeggia come sempre a rappresentare la famiglia.

Io, la più piccolina, al contrario delle aspettative, sembro felice di farmi ritrarre. Dromeda sorride, ma in maniera leggermente insofferente. Bella ha un broncio altero, non ha mai sopportato di restare ferma per troppo tempo.

A volte il sguardo di mia sorella più grande sembra inquietante.

Ma non è il momento di pensare a lei.

Riguardo il motto sulla tela “Toujour pur” riguardo il volto dell’altra mia sorella e ho un fremito.

Dromeda, ma che stai facendo? È vero ciò che ho visto? È con un nato babbano che ti ho scovata per caso?

Perché fai questo?

Sono piccola rispetto a lei, ma non stupida.

Certe cose sono palesi, e non so che fare.

Non ho intenzione di metterla nei guai davanti a tutta la famiglia senza rifletterci su, proprio il giorno di Natale poi, o durante le uniche vacanze lunghe che possiamo passare tutti insieme.

Ma devo capirci qualcosa.

Mi cambio velocemente e scendo a farmi preparare qualche dolce e del succo di zucca dai nostri bravissimi elfi casalinghi.

Dopo pochissimo tempo arrivo nel camino della casa dei miei zii, dove mi accoglie subito Kreacher, il loro elfo domestico che ha un’adorazione per Bella, ma in sua mancanza, riversa tutta questa adorazione su di me, e mi tratta come fossi una piccola principessa.

Dico che si occupi di sistemare i dolci e servirli in camera di mio cugino Regulus.

Lui è l’unico con cui, al momento, posso parlare.

***

Davanti alla porta della sua stanza mi fermo. Quella targhetta che indica di non entrare senza il suo regale permesso, mi fa sorridere ogni volta che la vedo.

Busso dunque, ed entro dopo aver ricevuto il suo assenso. Regulus pare intento a sistemare qualcosa sulla sua parete. Poi si interrompe e la osserva soddisfatto da lontano.

La stanza è immersa in un’oscurità tenue, la luce che penetra attraverso la finestra enorme, colpisce leggermente mio cugino lungo tutta la sua figura, creando uno strano alternarsi di luci ed ombre su di lui. Questo gioco di luce ed ombra lo rende quasi affascinante.

Poi il momento scompare, si volta verso di me e mi sorride, io mi avvicino.

È carino e spavaldo quando si guarda nelle foto della squadra di quiddich! E com’è contento di portare a casa i suoi trofei, sistemarli nella stanza, far sentire la sua presenza forte nella casa, nella famiglia.

Ci assomigliamo per certi versi. Sto bene con lui.

“Ciao Regulus! Che stai facendo?”

“Cerco di far capire a mio fratello maggiore che non mi batterà in quanto ad amore per la propria casa! Ma tu non farne parola con lui, è una gara segreta fra noi, e all’ultimo sangue.”

Rido quando mi dice queste cose, mai e poi mai andrei a parlare con Sirius, quel quasi rinnegato ormai, smistato in una casa scandalosa e orgoglioso di farne parte.

Ma non dico nulla dei miei pensieri a Regulus, dato che i due fratelli paiono ancora avere qualche difficoltoso e complicato legame.

È pur sempre un legame e lo rispetto.

Lo aiuto a sistemare alcune fotografie nuove, osservo compiaciuta le sue prime esperienze ed amicizie a scuola, vedo come ne è orgoglioso. Vedo il suo sorriso coi compagni a Serpeverde, un sorriso sempre velato di pensierosa malinconia, che mi capita raramente di notare fra i ragazzini della nostra età.

Forse è per questo che già piace parecchio.

Forse è la sua straordinaria maturità e capacità di ascoltare e riflettere che mi spinge ad iniziare quel discorso.

“Sai Regulus, devo parlarti …” dico, e lui mi guarda assorto per un po‘ di tempo, poi ci sediamo all’unisono, o quasi, sul largo tappeto che prende gran parte del pavimento della sua stanza.

Davanti alla finestra che fa entrare luce, poniamo dolci e succo di zucca, e parliamo di cose serie, strane per la nostra età.

“Prima di tornare a casa, ieri, ho per caso notato qualcosa in mia sorella. Qualcosa di strano.” lui non parla, attende che termini il mio discorso.

“Ho visto che baciava un ragazzo. Ma un ragazzo particolare … forse di Tassorosso, forse un mezzosangue, o peggio, un nato babbano.”

Avevo detto tutto con una velocità a cui non sono abituata, per liberarmi da quel peso e per non fargli subire l’ansia dell’attesa.

Lui lancia uno sguardo serio, cupo, verso la finestra, senza però dire nulla.

“Che facciamo?” aggiungo. “Non voglio perderla, non voglio che si allontani, che rovini tutto.”

“Hai paura che si comporti davvero come quei personaggi della famiglia di cui si parla tanto? Che hanno disonorato il nostro nome, allontanati dalla famiglia ed in seguito cancellati dal magico arazzo di casa mia?”

Annuisco. Non mi ero resa conto davvero di quale fosse la mia paura più grande, fino a che lui non l’ha pronunciata a parole.

“Ti capisco sai? A volte ho la stessa paura per mio fratello. E nemmeno io lo voglio perdere.”

Annuisco di nuovo “Vorrei che la mia famiglia fosse normale, che stessimo tutte unite, come io e te, non capisco cosa stia succedendo.”

A quel punto Regulus è diventato più triste, come se considerasse i miei desideri troppo belli per essere veri.

“Che facciamo?” dico dunque per passare all’azione “Bella è distratta, non so se vorrà interessarsi della questione proprio ora.”

Lui sorride.

“Bella ultimamente ha preso una bella sbandata per un ragazzo …”

Guardo Regulus stupefatta. “Sì … l’ha notato un mio amico: Barty jr … sai, lui ammira molto tua sorella e la sua banda, li osserva sempre e mi parla spesso di loro. Bella ha preso una gran cotta per quel ragazzo francese. Un tipo parecchio scombinato a dire il vero.”

Anche questa ci voleva, penso, Bella che dovrebbe essere fidanzata con Evan, inizia ad inseguire un altro.

Mi sento sola e abbandonata ancora di più, guardo Regulus con aria persa. Lui sospira, poi mi passa un braccio sulle spalle, quasi come fosse un vero ragazzo adulto. Sembrava gli pesassero quelle parole, ma le dice ugualmente, con sicura convinzione e sincerità, guardandomi dritto negli occhi.

“Non preoccuparti Cissy, noi siamo i Black, siamo una casata antichissima, con radici che si perdono nel tempo, la nostra famiglia non si sfalderà così facilmente ora. Non è pensabile.” poi fa una pausa quasi dolorosa e aggiunge “In caso, penserò io a tenere vivi i nostri ideali, la nostra superiorità e unicità.”

Prima di continuare mi sistema i capelli dolcemente, allontanandosi un po’ da me, per parlarmi ancora più seriamente. “Nonostante tutte le intemperanze di Bella, la passione appena nata in Dromeda e la forte ribellione di Sirius, prometto che farò di tutto per non deluderti, per mantenere alta la grandiosità del nostro nome, per portare la nostra famiglia in auge per sempre.”

Mentre mi dice queste parole, lo guardo come se fosse un vero eroe: mi piace avere un cugino così. È perfetto. Infatti aggiunge persino “E io non ti lascerò mai sola.”

È davvero un eroe per me.

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Ecco il capitolo dedicato ai più giovani fra i cugini.

Non sono in programma intrighi amorosi per loro, ma devono affrontare una situazione spinosa che li sconvolge non poco data la loro giovane età (i più grandi iniziano a fare di testa loro, ma Cissy e Regulus sono giovani e ancora molto legati alla loro famiglia e a ciò in cui hanno sempre creduto, prima di scontrarsi con la vita vera).

Sono un po’ di fretta oggi, per cui pubblico senza tante spiegazioni … scusate!

Grazie a coloro che seguono questa storia, grazie per i commenti (pochi ma buoni, anzi, bellissimi!!) prometto che risponderò, anche ai commenti sul capitolo scorso, in questi giorni non ho avuto tanto tempo e mi dispiace troppo! Recupererò, promesso.

Ancora grazie e al prossimo aggiornamento

Circe

p.s. spero che a Giulia piaccia Regulus!! Giuro che mi sono impegnata, se è venuto male, mi impegnerò ancora di più in seguito!!

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Capitolo 4
*** Sirius e James ***


Sirius e James

“Hey! Ma ormai è pomeriggio inoltrato! Come mai non ti hanno ancora messo in punizione?”

Non sapevo se ridere sfacciatamente a quella domanda provocatoria, o insultare il mio amico per almeno cinque minuti buoni.

Sì, decisamente, me ne rendo conto solo ora, James era ed è ben più di un famigliare, più di un fratello: era ed è un amico.

Il mio amico Grifondoro.

Gli amici si scelgono, sono quelli con cui si decide di passare la vita, non come i famigliari, che ti vengono imposti alla nascita e coi quali, magari, non vai neppure molto d’accordo. O un giorno ti accorgi di essere tremendamente diverso da loro, e te ne vorresti liberare.

Almeno in alcuni casi … almeno della maggior parte …

Guardavo James attraverso quel frammento di specchio e, in cuor mio ringraziavo, Godric Griffindor, o chi per lui, per averci fatto incontrare, per averci dato la possibilità di parlare anche ora, anche se lontani, anche se ero rinchiuso in casa mia, lontano da tutti.

Ovviamente quel fedifrago del mio amico, mai e poi mai avrebbe saputo queste cose. Mai e poi mai gli avrei parlato dei miei pensieri nei suoi confronti.

Eravamo ragazzi ormai, non bimbetti a cui confidare certe sensazioni.

“Sai” ho risposto beffardo “io in questa casa mi faccio le ossa, combatto, mi ribello! Non sono certo come te, amato e coccolato dai miei cari genitori!”

Ha colto la provocazione “Certo … infatti nessuno ti ha punito e sei lì tranquillo seduto in una stanza deserta. È proprio una grande ribellione la tua …”

“Aspetta e vedrai” ho risposto piccato “non puoi nemmeno immaginare cosa ho in mente di provare …” poi, per destare maggiore curiosità, ho cambiato velocemente argomento “comunque, non mi hanno ancora punito perché al momento hanno altri problemi. Mia cugina, la più grande, sai quell’odiosa? Si è messa a fare la matta, o meglio, sta solo dimostrando ciò che è sempre stata: una scombinata ed esaltata pazzesca.”

Il mio piano per sorprendere James è fallito miseramente.

“Non mi interessa di quella Slytherin fuori di testa, dimmi subito ciò che hai in mente e non tentare di tenermi sulle spine! Lo sapevo che avresti dovuto accettare il mio invito a passare il Natale qui: avremmo di certo escogitato meglio ciò che ti passa per la mente.”

Ho alzato le spalle.

Mi sarebbe piaciuto da morire passare il Natale da James … ma per dirla tutta non ero sicuro di come poter fare con la mia famiglia. In segreto speravo mi avrebbe invitato di nuovo, forse allora sarei stato più grande e più libero e convinto.

“Allora Sirius, mi rispondi? Che hai in mente?” ha gridato James dallo specchietto, tanto che ho dovuto nasconderlo in tasca per non farmi scoprire se qualcuno fosse passato, per caso, nei pareggi.

“Zitto, non urlare! Sono in incognito.” ho detto poi, guardandolo arrabbiato.

“Va bene, allora parla.” ha sussurrato lui più mansueto.

A quel punto ho puntato lo specchietto sul grande arazzo posto nella camera dove mi trovavo “Vedi questo James?”

“Sì, e dunque?” ha risposto incerto lui, tentando di osservare ciò che vedevo io dalla superficie magica dello specchio.

Mi trovavo nella casa dei miei zii. Ero lì per il pranzo con i vari parenti riuniti della nostra grandissima, antichissima, purissima famiglia Black.

Riassumendo, una vera rottura.

Durante il primo pomeriggio, ormai stanco di restare seduto tranquillo a tavola, o nel salotto, mi ero ritirato per conto mio, cercavo un posto dove parlare liberamente con James appunto, quando sono approdato nella grande sala dell‘arazzo.

E ho fatto una scoperta interessante.

Entrambi i rami della mia famiglia possiedono quadri su quadri, di tutti i componenti che ne fanno parte, possiedono due grandi ed antichi stemmi lavorati con tanto di motto e, come gran finale, due arazzi enormi, che prendono gran parte delle pareti di un’intera stanza a loro dedicata.

Il mio ramo dei Black possiede l’arazzo che rappresenta l’albero genealogico, con raffigurati nomi, volti, legami di parentela purosangue, è il più classico ed antico.

Il ramo di cui fanno parte i miei zii e le mie cugine invece, possiede un arazzo raffigurante le varie costellazioni della volta celeste, con le stelle che le costituiscono. Noi tutti infatti, portiamo il nome di stelle o costellazioni dell’universo.

È molto suggestivo, se devo essere sincero: lo sfondo dell’universo blu notte e le stelle argentate tenute insieme da fili che disegnano le figure delle costellazioni.

Ognuno di noi sa bene le leggende, le storie, le posizioni delle stelle da cui prende il nome, è una tradizione importante.

Forse l’unica che non mi dispiace del tutto.

Mi trovavo qui ad osservare tutta questa grandiosità, un po’ orgoglioso e un po’ disgustato, quando ho avuto una splendida idea. E non ho esitato a richiamare l’attenzione di James.

“Hai osservato bene James?”

“Sì, ti ripeto. Vuoi spiegarmi meglio ora?”

“Certamente! Il fatto è che ho scoperto l‘arcano. Ho avuto una sorta di illuminazione capisci?”

“No, non capisco proprio nulla.” mi ha interrotto il mio amico.

“Noi finora abbiamo sbagliato! Se non siamo ancora riusciti a trasformarci in Animagus, non è perché non abbiamo capito l’incanto, o siamo troppo giovani ed ignoranti! È perché non abbiamo capito che bisogna pensare di trasformarci in animali che sono rappresentativi per noi, che ci appartengono in qualche modo. Dobbiamo appartenere a loro in qualche modo. Capisci ora?”

James ha taciuto per qualche istante, poi ha esordito “Non bene … come faccio ad appartenere ad un animale? E lui a me? E che c’entra l’arazzo che mi stai mostrando?”

“Ti faccio il mio esempio, così capisci meglio, tonto che non sei altro! La mia costellazione, quella a cui appartiene la stella Sirio da cui prendo il nome, è quella del cane maggiore! E la stella di cui porto il nome è infatti chiamata Alpha Canis Majoris … è più che logico che io sia legato al cane, come animale, non ti pare? È in un cane che devo tentare la metamorfosi! In nessuna altro animale.”

James taceva, notavo che iniziava a capire il meccanismo che avevo compreso. Ero orgoglioso di me, entusiasta della cosa, non vedevo l’ora di provare.

Ero certo che, molto presto, Remus non si sarebbe più sentito così solo e reietto, a causa del suo piccolo problema peloso. Grazie al mio colpo di genio, saremmo stati tutti veri animali e ciò sarebbe successo molto presto.

“Devo avvisare gli altri Sirius. Credo tu abbia centrato perfettamente il problema.” ha risposto subito James e io ho sorriso orgoglioso più di prima grazie alle sue parole.

“Dobbiamo solo capire qual è l’animale realmente adatto a noi amico, e poi finalmente ci siamo. Non posso crederci, siamo davvero grandiosi.” ha poi aggiunto.

Ci siamo guardati entrambi con sguardo di grande intesa ed entusiasmo.

“Appena ne ho la possibilità, inizio ad allenarmi sulla metamorfosi. E ti farò sapere che succede. Tu cerca il tuo animale e dì a Peter di darsi una mossa in tal senso.” ho concluso io, prima di rimettere lo specchietto in tasca, per non dare troppo nell’occhio dato tutto il tempo passato lontano dal resto della famiglia.

“Ah, Felpato, grazie!” ha detto improvvisamente James.

Sono rimasto stupito e un po’ interdetto “Felpato? Che significa?”

“Non vorrai certo tenere il tuo vero nome quando sarai Animagus! Dobbiamo trovare degli pseudonimi, nomi in codice, che solo noi possiamo conoscere …” James a quel punto ha fatto una pausa, poi ha ripreso calmo “Mia madre mi ha sempre raccontato che i Felpati sono terribili cani neri, più grandi del normale che fanno la guardia in posti lugubri e strade abbandonate, sempre nascosti nel buio. Quando ero più piccolo, diceva anche che mi avrebbe fatto mordere da uno di loro, se un giorno si fosse stancata di mandarmi strilettere a scuola … insomma, mi è rimasto impresso. Credo ti si addica!”

Il nome inventato dal mio amico mi piaceva, ho annuito soddisfatto.

Dopo poco abbiamo chiuso la conversazione.

Mi sentivo contento e soddisfatto, pronto anche ad affrontare la mia terribile e terrificante famiglia. Non avevo ancora idea però, di quello che sarebbe successo in seguito.

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Note e chiarimenti

Prima di tutto bentornate e scusate tanto del ritardo. Oggi pomeriggio stavo studiando astronomia per il solito noiosissimo master annuale e improvvisamente mi è venuta in mente la storia … nonostante tutta la mia buona volontà con lo studio, non ho potuto fare a meno di scriverla.

Ho scelto di introdurre questo momento della vita di Sirius, il momento in cui i Malandrini cercano di diventare Animagi, perché rappresenta (almeno ai miei occhi) un forte distacco dalla sua identità famigliare e il passaggio graduale all’uomo che diventerà in futuro.

In questo punto è ancora un ragazzino giovane, ho scelto di renderlo piuttosto insofferente alla sua famiglia, ma non ancora del tutto distaccato da essa. Credo impieghi tempo per capire e allontanarsi man mano (anche se la Rowling lo ha descritto deciso e ribelle ai Black fino dagli 11 anni).

I riferimenti al nome Felpato derivano (mi pare) da leggende del nord Europa e nord America e sono vere. La parte di astronomia (quel poco che ho messo) è vero (tra l’altro lo devo per forza studiare appena finito di aggiornare … sig!

Ultimo chiarimento: mi dovranno scusare le puriste del canon (anche se, leggendo le mie storie, avrete notato che spesso esulo per conto mio …).

Quando ho letto i libri, precisamente il 4 libro, ho letto nel racconto di Sirius che Bella era a scuola con lui ad Hogarts e che Piton frequentava la banda di lei. Supponendo nel mio immaginario che ragazzi del settimo anno non potessero frequentare quelli del primo (sarebbe come se in 4 superiore si frequentasse gente di prima media), ho immaginato che Piton (e dunque anche i Malandrini) fossero per lo meno circa al 4 anno.

Quando parto con una fantasia, quella resta … ho scoperto solo pochi mesi fa dell’esistenza delle vere età date dalla Rowling in seguito alla fine della saga, ma ormai li immagino da anni diversamente. Ho preferito seguire la mia idea, altrimenti mi sarebbe venuta fuori una schifezza totale!

Per cui, in questa storia, le più grandi risultano Bella e Dromeda con un anno circa di differenza, Sirius e Cissy avranno più o meno la stessa età, anno più anno meno, e Regulus è il più giovane.

Ripeto: mi scuso con le puriste, ma ho preferito fare così.

Credo di aver detto tutto, torno a studiare e rispondo a tutte le scorse recensioni (credo) entro domani.

p.s. spero di aver reso decentemente Sirius e James dato che non mi ero praticamente mai cimentata con loro. Spero anche che non risultino troppo femminucce, ma ragazzi adolescenti e intraprendenti anche se giovani.

Circe

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Capitolo 5
*** Evan e Bellatrix ***


Evan e Bellatrix

Erano mesi che non vedevo Bellatrix.

Da quando io ho terminato la scuola e lei no, possiamo incontrarci soltanto durante le vacanze, ma se all’inizio questo non comportava molti scompensi, durante questi ultimi mesi, la faccenda è parecchio cambiata.

Risentivo ancora le parole di Avery risuonare nella mia mente “Bellatrix ha cambiato giro. Frequenta persone strane ormai.” mi aveva detto durante un incontro clandestino ad Hogsmeade.

Ero andato là per incontrarla, durante una delle gite scolastiche in quella cittadina sperduta.

Lei era in ritardo, impegnata non si sapeva dove né con chi.

E Avery, seduto con me al pub a passare il tempo, aveva lanciato quella frase strana, quasi un avvertimento.

Non avevo indagato molto oltre, non mi interessava chi frequentasse, era sempre stata strana in un certo senso, perciò non mi ero preoccupato più di tanto.

Anzi, mi ero messo a ridere, quando Avery insisteva che erano un paio di Serpeverde veramente scombinati, col cervello bruciato, diceva che era un giro malato, e che la mia ragazza c’era dentro fino al collo.

Era passato ancora del tempo, Bella mi scriveva normalmente, lettere sempre belle ed appassionate, l’unica novità erano alcuni accenni esaltati per Lord Voldemort, quel mago che sta diventando tanto potente ultimamente. Ma non potevano certo impensierirmi quelle frasi.

Era sempre la mia Bellatrix, nulla pareva cambiato.

Poi, qualche giorno fa, la lettera di Avery. Quel messaggio scritto brevemente, con una certa nota di cattiveria. Quelle frasi brevi e taglienti come lame: “Bellatrix ti tradisce … l’ho vista questa notte con un ragazzo … gli atteggiamenti erano inequivocabili …” ecc …

L’ho odiata.

E ho odiato anche Avery che, vedendoli, mi ha fatto sentire ancora più un coglione.

È successo poco prima delle vacanze di Natale, pochi giorni prima di rivederla a casa sua, per il grande pranzo in onore delle giornate di Yule.

Quando ci hanno annunciato, lei è venuta subito, mi è venuta incontro come se nulla fosse successo, salutando prima i miei genitori, per poi concedersi a me.

Tutto normale, almeno all’apparenza.

La conosco bene mia cugina, la mia fidanzata: era tesa e inquieta.

Nonostante tutto comunque, è riuscita a colpirmi ancora, un’altra volta, pur sapendo quello che aveva fatto. Mi ha colpito per la sua bellezza, per la sua finzione.

Non si trucca quasi, quando è a casa, davanti ai genitori, non mette il trucco nero sugli occhi, né il rossetto scuro sulle labbra, quello che ha il sapore delle rose e che invoglia a baciarla all’infinito.

Non mette i gioielli di pietre magiche, che risaltano sui vestiti neri provocanti e ammaliano coi loro poteri sconosciuti. Non vuole evidentemente sembrare fino in fondo la persona che è, non mostra la sua oscurità.

Non ancora.

Ma era bella ugualmente, elegante, spavalda, con un sorriso di sfida perennemente sulle labbra, nonostante la tensione, e la sua voce sferzante che spesso sovrastava le altre.

Indubbiamente era cresciuta in quei mesi, si stava facendo donna. Non ho evitato di poggiarle lo sguardo sul seno, scendendo poi, piano piano, verso il basso.

"Maledizione" ho pensato "la desidero ancora, nonostante tutto."

Lei lo ha visto, se n‘è resa conto.

Abbiamo entrambi taciuto sulle questioni personali per ore, cercando di mantenere un normale contegno a tavola, seduti vicini.

Mi piaceva la sua inquietudine, la sentivo vagamente dipendente da me, anche se non immaginavo a cosa stesse pensando veramente in quel momento.

Io non ero più certo di nulla, dopo il tradimento che mi aveva fatto, non volevo più di certo stare con lei, la odiavo.

Volevo vendicarmi: volevo lasciarla raccontando tutto ciò che aveva combinato a scuola, sarebbe stato un buon metodo per per far capire quanto sia abituata a fare sempre e solo ciò che le pare, senza curarsi di nulla e nessuno. I suoi genitori pensano di controllarla a dovere, erano già tranquilli, erano certi che noi ci saremmo sposati che avremmo mantenuto usi e conoscenze magiche all’interno della famiglia. Eravamo cugini, eravamo purosangue e ci eravamo innamorati.

Meglio di così?

Invece lei aveva distrutto i piani, si era comportata male. E tutti ne avrebbero subito le conseguenze.

Questo volevo fare. Questo, fino a poco prima di incontrarla di nuovo.

In quel momento invece, non ne ero più sicuro per nulla.

Il fatto di sentirla vicino a me, guardarla, sentire il suo profumo, farmi sfiorare dai suoi capelli lisci e morbidi, stava cambiando inesorabilmente le cose.

Non ascoltavo nemmeno una parola della conversazione a tavola. Anche lei era zitta, non gliene importava nulla tranne di ciò che stavo pensando io.

Era attenta, scrutava la mia mente, lo sapeva fare, lo capivo.

Allora non ho più atteso.

Da sotto il tavolo, facendo caso di essere ben nascosto dall’enorme tovaglia ricamata, le ho preso delicatamente la mano, senza che nessuno vi facesse caso.

Lei ha sorriso, aveva capito già tutto. Ricordava bene quello che facevamo da ragazzini, di nascosto da genitori e parenti.

Tutto quello per cui ora siamo insieme.

Non era amore, era un gioco.

Ho avvicinato la sua mano fra le mie gambe, facendomi accarezzare, finché da sola non ha preso l’iniziativa, così da poter spostare la mia fra le sue, risalendo lentamente le cosce, sentendo chiaramente il suo calore.

Abbiamo continuato così per diversi momenti, facendo attenzione a non destare sguardi indiscreti, o qualsiasi sospetto.

Terminato il pranzo, prima di alzarmi e accomodarmi in salotto con gli altri, ho dovuto aspettare parecchi minuti.

***

Durante il primo pomeriggio, mentre tutti, o quasi, chiacchieravano nel salotto, Bellatrix mi ha preso per mano e mi ha letteralmente trascinato fuori dalla stanza, dirigendosi poi verso le camere private.

L’avevo osservata poco prima, mentre restava in piedi davanti alla grande finestra della stanza. Nonostante non volesse in alcun modo evidenziare la sua oscurità davanti ai famigliari e parenti, per me essa era palese comunque. Il contrasto che la sua figura vestita tutta di nero e i suoi lunghi capelli neri creavano con la luce che proveniva da fuori, era talmente forte, da fare quasi male agli occhi.

Ascoltava zitta, senza fare alcuna reale attenzione. Il suo sguardo diventava vivo, vorace ed interessato, solo quando altri venivano in argomento potere, magia, Lord Voldemort.

Dimostrava un interesse particolare per quell’uomo, direi totale, non avevo mai notato in lei nulla di simile.

In famiglia percepivo grande ammirazione per quel mago, per ciò che rappresentava, per il grande potere che stava acquisendo. Ma serpeggiava anche, nell’ombra del silenzio, almeno a mio parere, un terrore generale per ciò che riguardava i suoi modi, le imprese da lui compiute per ottenere questo potere. Tutte le sue azioni venivano mantenute nel più completo mistero, ma era proprio questo che non faceva altro che aumentare la paura nei suoi confronti, da parte di tutti, anche di noi purosangue.

Tutti, ma non Bellatrix.

Almeno così mi pareva. Lei non aveva paura, provava solo desiderio e ammirazione.

Bramosia.

Era una ragazzina pazza e sconsiderata, non capiva proprio nulla. Voleva sempre essere importante, potente, la più potente, e nient’altro.

Per questo mi piaceva.

Ed in quel momento ero con lei, ancora una volta, a farmi trascinare per i corridoi scuri e deserti della sua immensa casa.

“Cosa stai facendo?” ho domandato stanco del dialogo muto di quel giorno.

“Voglio fare quello che abbiamo sempre fatto” ha detto con una punta di rabbia nella voce “quello che mi hai insegnato tu stesso tempo fa, lo sai.”

Fermandosi vicino all’ingresso di una stanza ed entrandoci poi silenziosamente, ha iniziato a toccarmi i fianchi avvicinandomi a lei, poi su, verso il petto, insinuandosi sotto la veste. Tutto in maniera estremamente veloce, cosa molto inusuale per lei.

“Quante volte abbiamo sperimentato modi e luoghi per non farci scoprire a baciarci, a masturbarci a vicenda e poi, pochi mesi fa, anche a fare l’amore?” ha continuato a dire con rabbia crescente nella voce, cosa che, non so perché, mi eccitava sempre di più.

“Quante volte ci stancavamo di ascoltare le chiacchiere dei vecchi e ci nascondevamo a fare qualcosa di più interessante? Ricordi? Tutte le tue idee, i tuoi sussurri, tutti i tuoi sotterfugi …”

Ho ripensato alle sue risate diaboliche di quei momenti.

Quell’atmosfera d’inganno, di ricordi spregiudicati, di rabbia travolgente che le percepivo addosso, tutto ciò che lei stava creando in quel momento, ha scombinato definitivamente i miei piani di vendetta e siamo stati lì, per svariati minuti, a riprenderci quel piacere tante volte rubato nei pomeriggi noiosi della nostra adolescenza.

Dopotutto, eravamo ancora entrambi adolescenti.

Io meno di lei, è vero, ma in quei momenti, in quegli istanti passati insieme così vicini, Bellatrix mi è sembrata già terribilmente donna.

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Ciao a tutte, finalmente aggiorno questa storia.

La mia idea di partenza doveva farla finire in pochi capitoli, invece si sta rivelando più lunga del previsto. È un problema dato che non so nemmeno io come stia riuscendo a tener dietro a tre ff contemporaneamente. (In pratica mi sto scusando, e trovando una spudorata scusa se dovessero fare schifo tutte e tre!!).

In questo capitolo ho introdotto Evan “il fidanzato ufficiale”. Pare che Bella lo abbia incastrato e sistemato, ma le apparenze ingannano!

Volevo chiarire che lei, inconsciamente, ritiene Evan responsabile di averla convinta a sviluppare una relazione sessuale con lui e un conseguente successivo fidanzamento (credo di aver detto nel primo capitolo che lui ha qualche anno più di lei), mentre ora si è accorta di volere un altro (Rodolphus) e non sapere come liberarsi dell’impegno preso davanti alla famiglia e al fidanzato.

Per questo motivo è arrabbiata e, in un certo senso, gli rinfaccia di averla “iniziata” al sesso.

Direi che è tutto, vado subito a rispondere alle vostre recensioni dato che, come sempre, sono indietro!!

Grazie infinite per avermele inviate, anche se impiego tanto a rispondere, è scontatissimo che mi facciano enormemente piacere!!

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Capitolo 6
*** Riunione di famiglia ***


 

Riunione di famiglia

Ero andato a cercare mio fratello in giro per la casa dei nostri zii. Ero nervoso e anche un po’ avvilito per come si stava comportando con me e con gli altri. Stava sempre per conto suo, a fare strane prove di magia. Oppure era sempre attaccato al suo strano specchietto, come se fosse dipendente da esso.

Non me ne aveva voluto parlare, ma avevo già capito che la magia di quello specchio stava nel poter comunicare in qualche modo con il suo amico Grifondoro, James Potter.

Sentivo chiaramente che stavo perdendo mio fratello, anzi, lui si stava volutamente allontanando. Mi sentivo strano ogni volta che pensavo alla situazione, non capivo però se stessi così per gelosia, invidia, o tristezza.

Poche cose ormai ci legavano, soprattutto a scuola. Speravo che almeno a casa però, lontano dall’influenza del suo gruppo di amici, avremmo potuto scambiare un paio di opinioni, persino qualche risata o qualche chiacchierata, invece la situazione continuava anche qui, quasi esattamente come a scuola.

Anche i miei genitori sembravano preoccupati, ma non seriamente allarmati per il suo modo di fare. Continuavo a non sapere come fare, ero un po’ perso.

Non immaginavo che la situazione sarebbe anche peggiorata.

Quel pomeriggio era ancora tutto tranquillo, un tenue soliciattolo invernale entrava dalle finestre. E, silenzioso e pacifico, illuminava le tante stanze della casa. Già a quell’ora, la sua luce tendeva a prendere la placida colorazione tipica del tramonto invernale, creando un’atmosfera serena: la quiete che annuncia la tempesta.

Mentre camminavo noncurante, non immaginavo che la tempesta sarebbe arrivata tanto velocemente e prepotentemente come in effetti è invece successo. E nemmeno immaginavo che a creare scompiglio e scandalo, sarebbe stata proprio la mia cugina più grande.

Io avevo paura per mio fratello, Cissy mi aveva detto delle relazioni sbagliate di Dromeda, invece è stata Bella a scatenare i problemi maggiori.

Lei ha sempre fatto tutti i suoi interessi in segreto, di nascosto, nel buio e nella piena oscurità. Così facendo, non ha mai creato problemi a nessuno, né discussioni con nessuno, né danni di nessun genere. Ho invece imparato che, quando ciò che combina esce alla luce del sole, le conseguenze sono tanto inaspettate quanto disastrose.

Mi trovavo ad avanzare verso la camera di mio fratello, quando ho scorto la porta del salone più piccolo socchiusa. Era strano, non avrebbe dovuto esserci nessuno lì, in quel momento. Per questo mi sono avvicinato curioso.

Credo di essere arrossito violentemente nel vederli, anche se da lontano. È terribile capire come per certe cose, io sia tanto ingenuo. Per fortuna non mi ha visto nessuno.

Spiare mia cugina col suo fidanzato, non era certo nelle mie intenzioni, meno ancora spiarli nella situazione in cui si trovavano.

Sono stati loro a fermarsi in una stanza mal celata e in un momento poco consono e io li ho visti in un momento in cui nessuno avrebbe dovuto vederli.

Continuavo a sentirmi strano, ed era ancora più strano per me vedere mia cugina così, eppure non sono riuscito ad allontanarmi.

Sapevo anche che ero molto indiscreto a rimanere lì, nascosto, a farmi gli affari loro, ma non ho potuto evitare di farlo. La scena che mi si parava davanti, non aveva nulla di elegante, nulla di consono al nostro sangue e alla nostra famiglia.

Mi pareva di vedere di nascosto un mondo tutto diverso, qualcosa che non conoscevo, che mi rendeva inquieto, ma allo stesso tempo ne ero attratto.

Mia cugina era ancora appoggiata al muro dove evidentemente i due si erano appoggiati, per fortuna, poco prima che arrivassi io. Aveva ancora i capelli tutti scarmigliati e spettinati. Si stava sistemando la gonna mentre bisbigliava qualcosa ad Evan, si vedeva chiaramente la sua veste, elegante e raffinata, abbondantemente aperta e scomposta sia sul seno che sui fianchi.

Evan era semplicemente impegnato a riassestarsi i pantaloni e non la guardava mentre gli parlava, sembrava pensieroso e distratto. Per diversi attimi ho pensato che fosse stanco. Curiosamente, in quel momento ho immaginato come deve essere forte un ragazzo per fare sesso con mia cugina Bella. E anche per stare insieme a lei, reggere e condividere tutte le sue follie.

Ho pensato anche che mia cugina ormai era diventata grande, che non sarebbe più stata con noi a divertirsi. E ho pensato, per la prima volta, a quando io sarei stato come lei, alla sua età. Mi domandavo se avrei avuto una bella e nobile ragazza al mio fianco. Se sarei stato forte e tanto spregiudicato da fare sesso di nascosto, durante le riunioni di famiglia.

Forse non lo avrei fatto, non è da veri Black.

Mentre immaginavo tutte queste fantasie future, ho sentito Evan rivolgersi duramente a Bella: “Non credere che questo mi basti sai?”

Mia cugina si è subito rivolta a lui, con sguardo indagatore e leggermente irato “Che significa?” gli ha domandato.

“Mi hai tradito Bellatrix, mi hai tradito e io l’ho saputo, non ho nessuna intenzione di perdonarti.”

Non si aspettava questa reazione, era palese. A queste parole, lo sguardo di Bella è infatti diventato improvvisamente di fuoco. Tutte le sue membra tremavano, probabilmente dalla rabbia.

“Non è successo nulla. Non ti ho tradito.” ha detto duramente.

“Non è successo nulla perché è arrivato Avery. Ti stava spogliando, e sarebbe successo tutto se fosse dipeso da te. Potrebbe accadere in futuro, a meno che non sia già avvenuto in seguito, quella stessa sera.”

I due si sono guardati furiosamente per alcuni istanti, poi Bella ha gridato letteralmente “Non puoi fare questo, tu non puoi metterti contro di me!”

La sua voce era talmente minacciosa e tesa che avevo paura lo picchiasse, o usasse la bacchetta per maledirlo.

“Non mi fai paura, sei solo una ragazzina egoista e prepotente. È inutile che mi guardi in quel modo, non ti temo. Non ho nessuna intenzione di stare ancora con te. Io ti lascio Bellatrix.”

Mia cugina ha sgranato gli occhi a quelle parole, sembrava non potesse credere a ciò che stava sentendo, si è limitata a soffiare come una gatta “Non puoi lasciarmi. Non ho intenzione di farmi umiliare da te.”

“Certo che posso, e non solo. Non mi limiterò a questo, dato il nostro fidanzamento, dirò ai nostri genitori il motivo del disfacimento di tutto, sapranno che è colpa tua, non mia, io non lo avrei mai voluto, sapranno ciò che mi hai fatto.”

Bella è impallidita e ha taciuto per diverso tempo, io non sapevo che fare e che pensare, avevo paura per lei, era mia cugina ed Evan la stava trattando male, ma sapevo anche che, se era vera tutta la storia, aveva ogni diritto di lasciarla.

Osservavo impunemente la scena in silenzio, aspettando le evoluzioni.

Improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, mia cugina ha iniziato ad urlare e spintonare Evan fino a gettarlo quasi contro al muro “Tu sei un Rosier, io una Black” gli diceva “come puoi permetterti di trattarmi in questo modo? Non hai nessun diritto di lasciare una come me, ti sono infinitamente superiore.”

A queste parole Evan, che prima rimaneva calmo di certo per non farle del male, si è scosso bloccandole i polsi e avvicinandola prepotentemente a sé.

Sapevo che lei aveva ragione, sapevo che gli era superiore per il nome che porta, ma qualcosa mi faceva come propendere dalla parte di lui. Continuavo a tacere e rimanere al mio posto.

“Certo che posso” le ha sibilato Evan strattonandola poi via “dopo quello che hai fatto, dopo colui con cui lo hai fatto …”

Bella ha ripetuto di non aver fatto nulla con Rodolphus Lestrange, con un tono piuttosto mesto, quasi triste. Sembrava le dispiacesse più di questo che del guaio che stava provocando.

Ciò ha di certo fatto infuriare ancora di più Evan, che ha aggiunto “Proprio lui, proprio con lui … lo sai con chi hai a che fare? Con chi ti diverti e con chi passi la maggior parte del tuo tempo?” le ha domandato incalzante.

A quel punto Bella ha tirato fuori la bacchetta, avanzando lenta, guardava Evan con odio, quasi lo volesse eliminare dalla sua vista.

Ancora una volta lui non ha avuto paura, o meglio, la sua rabbia, gelosia, dolore sono stati tali da vincere il terrore di mia cugina con la bacchetta in mano, e ha aggiunto quasi gridando “Lo sai perché è stato espulso da Beuxbatons il tuo Rodolphus? Te lo ha detto forse?”

Bellatrix è sembrata stupita per un attimo, ad Evan quell’attimo è bastato per riprendersi del tutto ed allontanarsi con passo deciso dalla stanza.

Come ultima frase sputata contro colei che era stata fino a quel momento la sua fidanzata, ha aggiunto “Faresti bene a conoscere bene chi frequenti, il suo segreto mia cara, non è roba da ragazzini.”

Questa frase mi ha spaventato non poco: effettivamente conoscevo anch’io, di vista, Rodolphus Lestrange, il ragazzo francese che aveva iniziato a frequentare Hogwarts da qualche tempo.

Non era un tipo di quelli a posto, non era uno di quelli con cui ti senti sicuro, questo mi era sempre stato chiaro.

Avevo capito che Bella si era presa una gran cotta per lui, ma non immaginavo sarebbe arrivata a tanto per quel ragazzo così strano, così dannatamente inquietante.

Ma ancora non avevo pensato all’effettivo motivo per il quale lui fosse stato espulso dalla sua precedente scuola. In effetti lo trovavo strano a pensarci in quel momento.

Avevo voglia di sapere, ma qualcosa mi diceva di andarci cauto, non sapevo come comportarmi.

Di una cosa però mi sentivo certo: mia cugina non era tipa da farsi spaventare facilmente da tipi malati o pericolosi come Rodolphus Lestrange, anzi, spiandola ancora attentamente, mentre era sola in quella stanza, a riflettere e a risistemarsi i vestiti e i capelli, iniziavo a pensare che ne fosse realmente molto attratta. Che non fosse solo uno sbandamento momentaneo.

Senza nemmeno pensarci, ancora agitato ed emozionato per ciò a cui avevo assistito e per ciò che avevo saputo in anteprima, avevo abbandonato la mia postazione per raggiungere di corsa Narcissa e raccontarle subito l’accaduto.

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Note:

Sono finalmente tornata dopo una settimana pesante come non ne ricordavo da tempo! Mi scuso anche del capitolo forse sconclusionato (ho avuto un’oretta per scriverlo e ho fatto del mio meglio), a cui darò un’ulteriore correzione entro la giornata.

La vicenda si svolge durante una delle riunioni di famiglia (Black) per le giornate di Yule. E fa riferimento a ciò che accade nei capitoli scorsi.

Se non è chiaro qualcosa, chiedetemi, io spiegherò o aggiungerò direttamente nel capitolo.

 

Grazie immensamente per la vostra partecipazione a questa storia che, man mano sta diventando sempre più lunga (scrivo un capitolo e mi arriva l’idea per uno ulteriore … chissà se finirà mai).

Credo che il prossimo sarà di nuovo incentrato su Andromeda, man mano che si andrà avanti, le vicende inizieranno ad accavallarsi maggiormente l‘una con l‘altra.

Qui, come avrete letto, Evan non ha ceduto e ha deciso di lasciare comunque la sua dolce metà. Questa decisione porterà a diverse conseguenze future. Per quanto riguarda Rodolphus, non so ancora quando, ma dovrebbe comparire in seguito (probabilmente piuttosto avanti).

Credo di aver detto tutto, vi ringrazio sempre delle letture e dei commenti. Risponderò ad arretrati e recensioni nuove il più presto possibile!

Grazie

Circe

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Capitolo 7
*** Il nato Babbano ***


Il nato Babbano

Quella notte non riuscivo proprio a dormire.

Mi giravo e rigiravo nel letto, la mente ingombra di pensieri, immagini, parole e preoccupazioni, ero più che mai agitata e confusa.

Provavo a rifugiarmi sotto le lenzuola di seta lavorata, a coprirmi con le coperte di lana antica e pregiata, piene di stemmi e rune dorate.

Nulla serviva a calmarmi e donarmi un sonno tranquillo.

Durante il viaggio di ritorno verso casa mi ero illusa che, la mia permanenza in famiglia, le festività di Yule passate fra persone come me, circondata dal mio mondo e dalle mie solite abitudini, mi avrebbe permesso di ritrovare un po’ di tranquillità e di lucidità, e mi avrebbe riportato ad essere ciò che ero sempre stata, la vecchia me stessa.

Nulla di più sbagliato.

Ancora più di prima, l’immagine di Ted tornava a farmi visita all’improvviso, nei momenti più impensati, con una prepotenza che mi sorprendeva ogni volta di più.

Bastava osservare una tavola imbandita, la divisa posata distrattamente sulla poltrona di camera mia, il cielo stellato la notte, o semplicemente bastava chiudere gli occhi, e lui, la sua voce e i momenti passati assieme, tornavano alla mia mente come fotografie.

Restavo basita e, allo stesso tempo, piacevolmente colpita dall’intensità di quello strano sentimento, e ancora di più, sapendo che era per una persona tanto sbagliata.

Inutile tentare di ragionare, inutile tentare di riacquistare i soliti pensieri e modi di fare: Ted mi mancava immensamente, e sapevo benissimo perché.

Mi ero innamorata.

Non mi era mai capitato di sentire questo strano e forte sentimento per nessuno prima di allora, per cui, non sapevo se si trattasse di amore vero, ma di certo era qualcosa di profondo, sincero, inspiegabile. Qualcosa che mi lasciava senza fiato e che non lasciava spazio a dubbi: lo desideravo tanto, desideravo averlo vicino, parlargli.

Mi mancava quando non ero con lui.

La mia permanenza a casa, lontana dal suo mondo, non faceva altro che evidenziare questa mia condizione e non la stava dissipando, come avevo ingenuamente pensato.

Era una cosa seria dunque? Come avrei potuto saperlo? Come mi sarei dovuta comportare?

Tutte domande senza risposta le mie, mi sentivo persa.

Mi sono alzata a sedere sul letto. Avevo un po’ freddo, dato che il fuoco nel camino si stava lentamente spegnendo. Con un gesto della bacchetta, ho deciso di ravvivarlo, avevo bisogno di pensare un po’ e, nel chiarore della fiamma, riesco a farlo meglio piuttosto che nel buio totale. Non riuscivo a pensare a nessuno di cui fidarmi e con cui confidarmi, a cui chiedere un consiglio, o un aiuto.

Dei miei genitori non se ne parlava proprio, li avrei fatti morire di pena e vergogna. Se non mi avessero uccisa prima per la rabbia.

Bastava vedere come stavano trattando mia sorella Bella, la quale aveva pensato bene di farsi lasciare dal fidanzato ufficiale, per essersi interessata ad un altro ragazzo che le piaceva di più.

Tutti sapevamo cosa volesse dire quel “essersi interessata ad un altro ragazzo” frase con la quale Evan aveva spiegato la rottura del fidanzamento.

I miei genitori erano andati su tutte le furie con Bella, la quale “si era comportata in maniera indegna”.

Se avessero saputo che il ragazzo in questione apparteneva ad un’antica famiglia purosangue, e quale famiglia, forse non avrebbero né detto né pensato certe cose.

Dal canto mio, non osavo pensare a come avrebbero trattato me, se mai avessi parlato loro del mio amore per un nato Babbano.

No, decisamente i miei genitori non mi avrebbero capita.

Cissy era troppo giovane, restava solo Bella.

Ero indecisa: mia sorella maggiore non era mai stata un tipo facile, aveva idee personali e particolari su svariati argomenti, ed era molto intransigente di carattere. Non sapevo come avrebbe potuto prendere la situazione, ma credevo mi avrebbe almeno capita, dato anche ciò che stava vivendo.

Sono scesa dal letto a piedi nudi, crogiolandomi sui fili morbidi del tappeto, ho preso con me una candela e sono uscita silenziosamente dalla mia stanza, attenta a non fare rumore e non svegliare nessuno.

Non ho fatto in tempo a fare molti passi, nel corridoio semi buio, che una sagoma snella, chiara e aggraziata, ha fatto capolino davanti ai miei occhi.

“Narcissa!” ho quasi gridato spaventata, cercando comunque di soffocare la voce avendo riconosciuto mia sorella “Cosa ci fai qui? Eri davanti alla mia camera?”

Lei ha soltanto annuito cupa, i capelli biondi che le ricadevano leggeri davanti agli occhi, con tutta l’oscurità attorno, la rendevano quasi minacciosa, un aspetto di lei in totale contrasto con la sua apparente dolcezza.

“Dovevi parlarmi?” ho insistito più dura, reagendo al suo atteggiamento.

“No, non volevo dire nulla di particolare …” ha subito detto lei, diventando improvvisamente più gentile “volevo soltanto vederti un po’ … tu dove stai andando?”

Le ho fatto cenno di entrare in camera mia, dove il camino era acceso e non avremmo preso tutto il freddo della notte invernale.

Richiudendo la porta dietro di me, sentendo il tepore della stanza, ho ripreso il discorso.

“Stavo andando da Bella, volevo parlarle.”

“Di cosa?” ha domandato Cissy di scatto.

L’ho guardata pensierosa,. Seduta seria sul mio letto, con uno sguardo leggermente triste nei suoi limpidi occhi chiari, mi ha fatto quasi tenerezza, Anche se so che, in fondo al cuore, mia sorella non è affatto tenera e dolce.

Non ho avuto comunque il coraggio di raccontarle davvero dei miei problemi, ero insicura e non riuscivo a fidarmi veramente di nessuno, nemmeno di lei, per questo ho divagato “Nulla di importante. Più che altro volevo chiedere cosa fosse successo a scuola, con quel ragazzo straniero, e volevo sapere quello che vorrebbe fare ora …”

“Nostro padre e nostra madre sono arrabbiatissimi con lei, dicono che non si è comportata per niente bene …” ha aggiunto Cissy guardando la fotografia di noi tre insieme che tenevo sulla grande scrivania della stanza.

Ho guardato mia sorella negli occhi, non vedevo rabbia mentre diceva quelle parole, vedevo solo domande, dubbi e riflessioni. Per lei che è ancora una bambina, non è difficile ubbidire ai desideri dei nostri genitori e, di conseguenza, ubbidire ai dettami del nostro stato di sangue.

Io invece, proprio in quel momento più che in ogni altro, non riuscivo a pensarla in tali termini.

Per di più, non avevo nessuna intenzione di parlare contro mia sorella Bella, mi sentivo anzi nettamente dalla sua parte, anche se non sarei mai riuscita ad essere tanto spudorata e sleale quanto è stata lei.

“Riflettici Cissy, Bella ha solo seguito i suoi sentimenti. Lo sai com’è fatta, è istintiva, fin troppo precipitosa. Avrà sbagliato a comportarsi in quel modo, ma i nostri genitori dovrebbero essere più comprensivi.”

Cissy mi ha guardato in maniera sospettosa, intuivo che mi stava studiando, che cercava di capire qualcosa di me, ma non sapevo esattamente cosa, non sapevo ancora che, quel giorno fatidico, mi aveva visto insieme a Ted.

E lei, dal canto suo, continuava a tacermi quel particolare.

Mentre ci guardavamo silenziose, io riflettevo.

Percepivo che molti segreti si stavano lentamente insinuando all‘interno della nostra famiglia, non era mai successo prima. In passato si era sempre trattato semplicemente di scontri fra noi ragazze e i nostri genitori, per le solite questioni di indipendenza.

In quel momento era diverso. Mi ricordava di quando Sirius è stato smistato a Griffindor e non a Slytherin. Si è trattato di una questione davvero seria e ne subivamo ancora le conseguenze.

Ormai era come se diverse volontà si stessero contrapponendo ai voleri prestabiliti e ordinati e l’incertezza sul come sarebbero cambiate le cose da quel momento in poi, era davvero palpabile, solo che ancora nessuno se ne rendeva pienamente conto.

“Ora sarà meglio che tu vada a letto, Cissy, o ti prenderai un raffreddore, e io con te, fa ancora molto freddo la notte, anche se restiamo qui in camera.” ho detto con un brivido, che però non sapevo se dipendesse davvero dal freddo, o da latro. “Dovremmo dire agli elfi di accendere più camini domani.”

“Parli come una vera padrona di casa, Dromeda, lo sai?”

Sentendo queste parole sono trasalita, devo anche essere arrossita leggermente. Non ho potuto fare a meno di pensare subito a Ted, a come sarei stata come padrona della nostra casa. Questo pensiero, davanti a mia sorella, mi ha imbarazzata ancora di più: mi sentivo stupida, ingenua, scoperta.

“Buona notte, Cissy.” ho detto sorridendo, come per chiudere gentilmente la conversazione.

Lei è uscita salutandomi con la mano.

Quella notte ho dormito pochissimo, e non ho fatto altro che sognare immagini di lui … il nato Babbano.

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Note:

Con estremo ritardo, eccomi con l’aggiornamento. Ho dato un’occhiata all’ultima data in cui ho postato questa storia e mi sono vergognata, così ho scritto un capitolo nuovo! Andromeda inizia a fare i conti con sé stessa e il suo amore. Ovviamente ci vorrà tempo perché accetti la situazione fino in fondo.

Spero di non essere stata troppo banale nel descriverla! È un dubbio atroce.

Credo di non avere altro da aggiungere.

Per cui ringrazio ancora una volta voi che mi leggete e recensite! Un ringraziamento speciale a meissa_s: perché sono felicissima di averti anche solo vagamente ispirato con questa storia!

Dovrei riuscire ad aggiornare in tempi ragionevoli anche “L’erede dell’erede” (qui ha ripreso a nevicare!!). Grazie per la pazienza.

Circe

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Capitolo 8
*** Ribelle ***


Ribelle

Avevo preso il Nottetempo e guardato dal finestrino tutte le vie del mondo esterno, ovvero il mondo babbano, osservavo attento come loro si comportavano per strada, i loro negozi, la loro merce e il loro abbigliamento.

Mi sentivo davvero forte, un ribelle alle prese con la vita vera, quella sconosciuta a quelli come me. Questo mi rendeva felice e orgoglioso della mia impresa. Il chiasso attorno mi eccitava, la vita frenetica dei Babbani era interessante e allegra, totalmente diversa dalla calma che si percepiva fra i maghi e dall’atmosfera mistica che regnava nel mio mondo.

Mi piaceva davvero questo modo di essere tanto diverso.

Sono sceso un paio di fermate prima della casa di James, camminando lento, godendomi ogni singolo istante.

Solo in seguito, mi sono procurato una torta con ripieno di quelle che sembravano Cioccorane fuse, in un negozio carino con una signora gentile.

Mi era venuto in mente di portare con me anche un paio di Burrobirre, sarebbe stata una bella impresa anche quella, ma ho pensato di rimandare i festeggiamenti di quel genere ad un‘altra occasione.

Non avevo dubbi su quale fosse la casa, anche se era la prima volta che ci mettevo piede, in quel momento era anche illuminata dal sole tenue di quella giornata speciale. Ho sorriso a me stesso e, senza esitazioni, ho bussato alla porta.

Ad aprirmi è giunto James stesso.

“Sirius! Che ci fai qui?” mi ha accolto con occhi sgranati ed espressione a metà tra la sorpresa più grande e la felicità più sfacciata.

“Sono scappato di casa.” ho risposto subito, restando fermo sulla soglia.

Per la prima volta in vita mia, ho visto James restare senza parole, era fermo e zitto a guardarmi, ancora più stupito di prima.

“Mi prendi in giro?” ha detto poi, guardando il mio sorriso e tutto l’abbigliamento che avevo addosso.

Effettivamente, non apparivo come un vero fuggiasco.

“Sì, ti prendo in giro!” ho detto ridendo. “Sei proprio stupido, pensi che se fuggissi davvero di casa, verrei qua da uno scellerato come te?”

James ha alzato le spalle mormorando piano “Non lo escluderei.”

Ci siamo guardati sorridendo di nuovo, e mi ha invitato ad entrare con una gran pacca sulla spalla. Ho spiegato che ero andato solo in visita, che avevo voglia di fare una chiacchierata. Non me la sono sentita, in quel momento, di raccontargli che mi sentivo male in casa mia, che avevo voglia di allontanarmi un po’ perché l’intera vacanza di Natale a contatto coi Black mi faceva sentire stretto, chiuso e agitato.

I continui litigi con mia madre, soprattutto, mi disgustavano. Lei era sicuramente la peggiore, se avesse potuto odiarmi, credo, lo avrebbe fatto volentieri.

Ma non era più solo quello: anche mio padre era diventato più duro con me in quei giorni. Lui era sempre stato un uomo stravagante, più gentile e aperto, ma su certi principi, comportamenti, atteggiamenti e pensieri, non transigeva minimamente.

La pace che regnava tra noi, sentivo, si stava dissolvendo.

Erano diventati tutti più duri ultimamente, complice sicuramente il fatto che mia cugina stava crescendo e voleva assolutamente fare di testa sua. Come fosse la padrona di tutto e tutti.

Con mio fratello, poi, faticavo ad andare d’accordo, troppo pieno di teorie di stampo famigliare, troppo bambino per capire, troppo cocco per pensare come avevo imparato a pensare io.

Mi sentivo bene solo con James e coi Malandrini, ci divertivamo come non mai insieme e questo mi rallegrava le giornate e rendeva bella persino la scuola.

Mentre pensavo tutto ciò, il mio amico ha interrotto il flusso di pensieri ed immagini nella mia mente.

“Sirius, ma mi stai ascoltando?”

“Sì, certo, ti sto ascoltando, ma prima di tutto ho fame, ho portato qualcosa per noi!” ho risposto io, mostrando orgoglioso il pacchetto con la torta.

“Avrei preferito un paio di Burrobirre … ma va bene lo stesso così, soprattutto contando che in casa c’è anche mia madre.”

Ho sorriso beffardo al mio amico, poi ci siamo recati nella cucina.

Casa, cucina, sala da pranzo, piatti per i dolci e tazzine per il tè … ogni singola caratteristica della casa di James era diversa da quelle che riscontravo in casa mia. Sembrava di essere in un mondo tutto diverso, sempre magico, ma diverso.

Caldo, accogliente. Non oscuro e imponente.

Soprattutto la madre di James era diversa, ovviamente, dalla mia. Era una mamma.

Gentile, simpatica, preoccupata di fare bella figura davanti ad un Black e scherzosa.

Quando ha detto che anche un solo quadro della collezione che si trovava in casa mia, valeva tre volte la sua intera casa, io le ho risposto che i quadri, da me, sono solo capaci di urlare e che avrei preferito, di gran lunga, anche una sola casa come la sua a tutto quell’inutile rumore.

Così siamo diventati amici sul serio e penso di averla davvero conquistata.

Quando ci ha lasciati soli, io e James abbiamo iniziato a confabulare dei nostri piani per diventare Animagus.

“Hai trovato l’animale in cui trasformarti, James? Lo sai che ti devi muovere, o non potremo mai accompagnare Remus nelle scorribande notturne.”

James ha sospirato sconsolato.

“Ho provato a concentrarmi, dico davvero, ma la mia mente poi se ne va per conto suo …” ha fatto una lunga pausa, poi ha aggiunto “mi manca la Evans …”

L’ho guardato disgustato “Sei impazzito?” ho domandato io allibito.

“Non scherzare, Sirius. Stavolta dico davvero, mi manca sul serio, non capisco perché lei non mi calcoli nemmeno di striscio.”

Onestamente non stavo scherzando, non riuscivo a capire come mai il mio amico, invece di pensare ai Malandrini, a come svolgere il nostro piano e i nostri progetti, si potesse perdere sul serio dietro a quella ragazza.

Pensare a lei, sognarla e volerla davvero. No, non riuscivo proprio a capirlo. Quando finalmente creiamo un’idea perfetta per divertirci insieme, come può lui pensare seriamente ad una ragazza?

Certo, è vero, la Evans è davvero carina, ma è di sicuro molto impegnativa. Senza contare che sta sempre con Mocciosus ed è un grosso punto a suo sfavore.

“Per me te la devi scordare, non ti vuole, pare quasi che tu le stia particolarmente antipatico, mi spiace James, ma il tuo fascino non funziona.”

Sembrava davvero triste.

“Certo, tu puoi dire così con noncuranza: le ragazzine ti guardano sempre, le nostre compagne sbavano per te e persino le più grandi non disdegnano di salutarti … io invece ne desidero una sola, e lei non mi vede nemmeno, anzi, mi odia.” dopo una pausa eloquente ha aggiunto “Ma poi, è possibile che non ti interessi davvero nessuna?”

Ho alzato le spalle ingoiando con appetito una buona parte della torta “Nessuna in particolare, te l’ho detto. Sono noiose. Mi diverto solo ogni tanto a dar loro corda, tutto qui.”

James mi ha guardato con ammirazione. Poi ha aggiunto “Tu punterai per forza in alto? Ad una purosangue?”

Non ero preparato alla domanda a dire il vero. Essendo un Black avrei dovuto rispondere di sì, ma non ero convinto. James per esempio continuava a star dietro ad una nata babbana, mi sarebbe piaciuto essere libero come lui.

“Non so. Non è per forza detto.” ho risposto vago, incerto, cercando di mostrare il massimo della trasgressione.

“Allora sei un grande, come tua cugina!”

L’ho guardato irato, ero abituato a essere paragonato a Bellatrix, l’odiosa, ma da lui non mi aspettavo nulla di simile, e il paragone poi non mi tornava.

“Cosa intendi dire?”

“Ho saputo un pettegolezzo ieri, a Diagon Alley, qualcosa di cui non ci eravamo mai accorti nemmeno noi Malandrini. Voglio dirtelo perché, se ciò che ho sentito è vero, allora tua cugina è proprio una grande.”

Guardavo James sconcertato ed incuriosito “Muoviti, parla, non tenermi sulla spine.” l’ho quasi aggredito, intuivo infatti dal suo tono e dal suo modo di fare, che era un argomento importante.

“A quanto pare, fra tua cugina Andromeda e Ted Tonks di Tassorosso, c’è del tenero. O comunque si sono assiduamente frequentati ad Hogwarts, nell’ultimo periodo. E lui lo sai, è un nato babbano, lei una Black!”

Mentre mi diceva così, James pareva felice e soddisfatto.

Non si trattava di Bellatrix ovviamente, come avevo pensato all’inizio, ma di Andromeda.

Riflettevo in silenzio.

James, come tutta la sua famiglia, aveva una forte convinzione: che maghi e mezzosangue, o nati babbani, fossero tutti uguali. E che non ci fosse nulla di male a mischiare i nostri usi, i nostri modi di fare, anche il nostro sangue.

Lo ammiravo per questo, volevo, segretamente, diventare come lui, aperto e libero di pensarla a modo mio.

Ma su questo argomento non sarebbe stato facile. “Sei sicuro? Mia cugina rischia molti guai a casa se quel che si dice è vero.”

“Non ti preoccupare, Sirius, sono solo chiacchiere tra studenti, per altro studenti di Tassorosso e Grifondoro, gente che la tua famiglia di certo non frequenta. Il suo segreto è al sicuro. Ora però ne sei informato anche tu, forse potresti scoprire se la storia è vera.”

“Lo farò di certo!” ho esclamato anch’io, man mano sempre più entusiasta.

Avevo iniziato a capire che, finalmente, anche nella mia famiglia c’era qualcuno che la pensava come me e come James, qualcuno con cui, forse, avrei potuto parlare davvero.

In quel momento, ho iniziato a vedere mia cugina come una persona speciale.

“Senti, a proposito di donne, vieni su nella mia stanza, ti devo far vedere qualcosa. Poi ti assicuro che mi impegnerò sull‘animale in cui intendo trasformarmi.”

Dopo aver annuito con un cenno di rimprovero, ho seguito James in camera.

Quando l’ho vista, ed era la prima volta, mi è sembrato quasi un sogno strano. Era diversissima dalla mia. Bellissima, secondo me. La sentivo quasi viva.

Vero, io avevo aggiunto molti particolari che sottolineavano la mia appartenenza a Grifondoro, ma la mia stanza restava terribilmente Black.

Lui invece mostrava orgogliosamente foto di ragazze babbane, poster enormi di giornali musicali, foto di Quiddich, immagini e disegni di scope ultimo modello. Insomma, qualcosa di mai visto dai miei occhi, nemmeno nel dormitorio ad Hogwarts, dove passavo parte del mio tempo.

“Guarda questa.” mi ha detto improvvisamente James tirando fuori dal cassetto una foto rubata della Evans. Raffigurava alcune ragazze Grifondoro durante una merenda sul prato della scuola, probabilmente nei pressi del giardino di Trasfigurazione, la Evans, coi suoi capelli rossi e il sorriso solare, capeggiava in primo piano tra tutte.

“Tu sei proprio fuori di testa per questa ragazza amico!” ho detto sinceramente guardandolo dritto negli occhi.

“Puoi giurarci.” ha risposto orgoglioso “vedrai che la conquisterò.”

“E intanto di questa foto nascosta nel cassetto del comodino che ci fai?” ho domandato con tono tendenzioso, scuotendo leggermente il cartoncino davanti a noi.

“Ma che vai a pensare Felpato? Per certe cose sono di gran lunga meglio questi. Lei è troppo preziosa.” ha invece ammiccato lui con malizia, estraendo, da sotto il letto, un giornale babbano pieno di foto di donne seminude.

Non immaginavo nemmeno esistessero giornali simili, l’ho preso in mano stupito, sentendo già gli ormoni in subbuglio.

Dovevo sembrargli molto stupito con la bocca semiaperta per lo stupore e la meraviglia stampata in volto per quelle visioni.

Io mio amico era forte, un eroe. Ed era strano sapere e capire che lui pensava lo stesso di me.

“Lo prendo come souvenir della permanenza a casa tua James! Potrebbe anche invogliarmi a ritornare …”

“Ti aspetto allora. Ci scambieremo altro materiale sul genere. Oltre che i compiti delle vacanze ovviamente …” ha risposto con tono scherzoso, ma con sguardo serio e sincero, uno sguardo che mi ha fatto sentire felice e accolto.

Al termine di quella giornata, James non aveva ancora trovato un giusto animale, nonostante tutto il mio aiuto, ma ci eravamo accordati su come suddividerci i compiti per le vacanze e svolgerne reciprocamente una metà ciascuno.

Sono tornato a casa di soppiatto ed entusiasta, pieno di nuove idee.

Prima ancora di rivolgere i miei pensieri ad Andromeda, sono volato letteralmente in camera mia per attaccare, come aveva fatto anche James, alcune foto di ragazze Babbane in costume. Le avevo appese lungo tutta la parete della mia stanza, quella vicino al letto ovviamente, ma non solo per scopi piacevoli: la mia era una ribellione bella e buona.

Iniziavo a dichiarare guerra a ciò che, lentamente, capivo non essere il mio vero mondo.

 

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Note:

Nuovo aggiornamento tutto su Sirius.

Non so perché, ma quando penso a lui, mi viene in mente anche James, forse perché erano amici inseparabili, da qui l’idea della visita da parte di Sirius. D’altra parte il nostro eroe inizia a sentire i disagi che caratterizzeranno la sua vita a casa Black e tende a rifugiarsi dove sa di essere accolto.

 

Sirius è sui quattordici anni in questa storia, la Rowling stessa ha detto che preferiva gli scherzi e i divertimenti con gli amici alle ragazze, per cui l’ho descritto così, ma voglio sottolineare che non lo ritengo affatto omosessuale (ho sentito chiacchiere a tal proposito, per cui chiarisco, dato che sono le prime volte che scrivo di lui).

James invece pareva star dietro a Lily fin da subito, per cui ho tentato di descrivere questo suo amore adolescenziale come si rispetti, ovvero: pensi sempre e solo all’oggetto dei tuoi desideri (o quasi).

Al posto del Nottetempo ho usato il Giornotempo perché siamo di giorno, non so se ho fatto un errore madornale …

Mentre le foto e gli addobbi della camera di Sirius li ho immaginati ricordando la descrizione che ne fa la Rowling nel settimo libro.

Ora passo a ringraziare le mie poche ma buone affezionate recensitrici!!

Julia Weasley, marik, Alohomora, e meissa_s

Senza di voi sarei persa!!

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Capitolo 9
*** Cuore di padre ***


Cuore di padre

Mia moglie mi ha lasciato l’ingrato compito di parlare con Bellatrix.

La questione del suo fidanzamento con Evan, ora che si sono lasciati, è particolarmente spinosa. I ragazzi erano molto giovani e temevamo proprio che buttassero al vento rapporti fra potenti famiglie di maghi consolidate ormai da tempo.

Ho fatto passare un paio di giorni prima di farla chiamare e intavolare un discorso. L’ho fatto soprattutto per osservarla e decidere come comportarmi, scegliere le parole giuste. Mi sono reso conto che mia figlia non è una ragazza comoda, non è assolutamente facile da prendere, ho avuto gran pena ad ammetterlo, ma sentivo quasi timore ad affrontarla.

Poi però, mi sono risolto a parlarle, avevo bisogno di sentire la sua opinione su diversi argomenti: era pur sempre la mia bambina, anche se cresciuta.

Non vedevo mia figlia dalla fine dell’estate, quando ha lasciato la casa e recarsi ad Hogwarts per l’ultimo anno di scuola.

Ora la trovavo diversa, cambiata.

Bella è sempre stata molto testarda e indipendente, meno affettuosa di Andromeda e meno gentile ed educata di Narcissa, già dal periodo vacanziero avevamo notato in lei alcuni cambiamenti rispetto alle estati precedenti: era insofferente e sfuggente, ci nascondeva diverse sue azioni e comportamenti, parlava meno ed era particolarmente aggressiva in certi casi.

Anche il suo aspetto era diverso, portava i capelli lunghi e aveva un’aria leggermente misteriosa.

Aveva iniziato a truccare i suoi occhi scuri in modo leggermente inquietante, il suo sguardo era diventato oscuro e indagatore, spesso nei discorsi era troppo esaltata, e diceva, convinta, parole preoccupanti, che rasentavano l’esagerazione.

Doveva essere un campanello d’allarme, forse è vero, ma noi non avevamo dato troppa importanza a questi cambiamenti, ci pareva assolutamente normale nel periodo dell’adolescenza.

Passavano gli anni, infatti, e lei era sola a scuola, lontana dalla famiglia, non avevamo consapevolezza e conoscenza di tutto ciò che la influenzava.

Inoltre, per la prima volta, aveva un ragazzo.

Imputavamo le sue alzate di testa, le sue pretese e suoi tanti moti di vanità, proprio alla presenza di un ragazzo nella sua vita sentimentale.

Si trattava di Evan Rosier, uno di famiglia, un mago vero, qualcuno che di certo sarebbe stato perfetto per lei e per la nobile famiglia che rappresenta.

Questo Natale, però, una doccia fredda è giunta improvvisa e prepotente.

Tornata da scuola con le sue sorelle e i cugini, ha iniziato subito a non comportarsi nel migliore dei modi, faceva ciò che voleva, senza preoccuparsi troppo delle convenzioni e del buon comportamento: l’abbiamo dovuta punire la sera stessa del suo arrivo.

Non pareva le importasse comunque molto nemmeno della punizione.

Era distaccata e dura nei suoi comportamenti, prepotente e fin troppo volitiva, non sembra affatto la ragazzina di un tempo, egoista e caparbia certo, ma senza mai comportarsi da padrona.

Infine, ecco la notizia della separazione fra i due rampolli che credevamo già essersi praticamente sistemati nella maniera più degna possibile.

Dovevo fare qualcosa per capire, per frenare una cascata di eventi che iniziava a sfuggirmi dalle mani.

Evan, chiamato in causa proprio dal sottoscritto, ha inventato qualche piccola scusa per difenderla, ma che poi, messo alle strette, ha accennato al fatto che mia figlia frequenta gente strana a scuola, un gruppo di sbandati e lui non vuole più averci a che fare.

Mia figlia? Com’era possibile? Proprio mia figlia?

Queste domande mi balenavano nella mente in continuazione, non potevo non insistere e strappargli la verità.

Il ragazzo ha quindi letteralmente sbottato che Bella è troppo legata a certe persone, soprattutto a certi ragazzi, che non brillano certo per integrità e buon comportamento scolastico.

Aggiungendo a malincuore che il legame in questione è fin troppo stretto per poter continuare ad avere una storia con lei.

Allora mi è parso di capire per bene ciò che non avrei mai voluto sentirmi dire. Le mie orecchie non volevano più ascoltare il seguito, o un eventuale racconto vero e proprio. La mia mente e il mio cuore avevano percepito benissimo quale fosse il tipo di comportamento troppo spavaldo di quella ragazzina immatura e scriteriata, e non sopportavo che mia figlia, proprio mia figlia, si mettesse a fare la stupida con il primo ragazzo che le facesse vedere e conoscere il mondo.

Non potevo non parlarle, questo era certo, ma quando me la sono trovata davanti, ho capito quanto fosse difficile trattare con una figli di certi argomenti.

Quando è entrata nella sala in cui l’attendevo, l’ha fatto con la testa alta e una cert’aria di sfida nello sguardo, ma potrei anche essermi sbagliato.

“Dimmi padre, perché hai voluto vedermi?” mi ha domandato con espressione seria.

“Vorrei sapere da te cosa è accaduto con Evan …” ho risposto subito in maniera cupa e risoluta.

Bella non ha avuto la benché minima esitazione, ha continuato a guardarmi restando zitta, come se stesse pensando alla risposta. In quel momento mi sono domandato quando fosse diventata così forte e così distaccata, mi sono persino chiesto da chi, della nostra famiglia, avesse preso quel suo modo di essere tanto particolare.

Mi ha fatto attendere per poco tempo prima di avere la risposta.

“È successo che, per un motivo inesistente, Evan ha deciso di lasciarmi. Non so dire più di così, padre e non è un argomento facile di cui parlare. Mi fa soffrire e mi ha molto offesa.”

“E quale sarebbe, di grazia, questo motivo inesistente, se posso saperlo?” ho insistito nervoso, incalzandola.

Ugualmente lei non ha ceduto ed è rimasta ferma sulle sue posizioni: era chiaro che non voleva più dire nulla.

“Sciocchezze tra noi ragazzi, padre. Evan le ha solo drammatizzate e ormai è una storia chiusa.”

“Secondo tuo cugino, non sono state solo sciocchezze evidentemente.” l’ho quasi aggredita, perdendo in parte la mia calma.

Silenzio.

Bella aveva abbassato lo sguardo, ma restava zitta, non voleva dire nulla. Ho deciso quindi di aggiustare il tiro, tentare di farle capire comunque su quale comportamento volevo ammonirla.

“Ti stai comportando bene a scuola, mi auguro, non è vero figlia?”

Era una domanda sibillina, fondamentalmente cercavo di intimidirla, di farle capire che si deve comportare degnamente nei confronti di cose e persone. Non volevo parlarle chiaramente di ragazzi e genere di divertimenti che poteva preferire ad altri.

Non era facile parlare con una figlia. Femmina poi.

Bellatrix per giunta.

Poteva forse parere una domanda che riguardasse semplicemente il profitto scolastico, lo studio, l’educazione.

Non so in che modo lei l’abbia interpretata.

Ha annuito socchiudendo leggermente le palpebre. Continuavo ad avere quella sensazione strana, come se mia figlia non fosse veramente la mia bambina, colei che io conoscevo, come se mi stesse sfuggendo lentamente dalle mani.

Forse stava semplicemente crescendo.

“Esigo che continui a comportarti come hai sempre fatto. Sei una Black, una ragazza superiore a tutti, non dimenticarlo.”

“Lo so, padre.” ha risposto semplicemente.

“Non posso fare nulla per far cambiare idea a te ed Evan, per farvi ragionare, ma cercate di mantenere buoni rapporti, dato che sarete costretti ad incontrarvi spesso.”

Ho detto questo poco convinto, in verità avrei voluto che i ragazzi si rimettessero insieme, quell’unione sarebbe stata perfetta per il nostro sangue. Non solo, mi stavo infatti rendendo conto che, se mia figlia fosse tornata ad essere la fidanzata di Evan sarei stato molto più tranquillo: lui l’avrebbe controllata, frenata, mentre ora, con quella nuova Bellatrix davanti, non sapevo più cosa aspettarmi da lei.

Ancora una volta, in segno di risposta, ha annuito silenziosa, ma sembrava già presa da altri pensieri e misteri.

Poco dopo infatti, mi ha domandato veloce, anche se cauta:

“Padre, posso avere accesso alla vostra camera degli incantesimi? Volevo cercare un libro … mi servirebbe per un compito importante per la scuola.”

“Di cosa si tratta?” ho domandato più rilassato: la sua bravura scolastica e il suo interesse per tutto ciò che riguarda la magia erano rimasti immutati, questo mi dava la speranza che tutti quei cambiamenti che avevo notato fossero da imputare semplicemente all’adolescenza, e che fossero solo condizioni momentanee.

“Ho bisogno di fare una sorta di ricerca durante queste vacanze, voglio preparare qualcosa sulla storia delle famiglie più importanti e potenti, i loro usi, quale tipo di magia le contraddistingue. È un lavoro semplice, ma per renderlo approfondito come vorrei, avrei bisogno di guardare fra i libri più specifici.”

“Ho capito,” ho risposto “usa pure il mio studio personale, questa è la formula magica per aprirlo.” e dicendo ciò, ho scritto l’incantesimo su un foglietto.

Bella ha allungato le mani per afferrarlo. Ho visto le sue unghie lunghe, anche quelle erano piuttosto cambiate, sembravano quasi artigli ora. Il suo sorriso soddisfatto però, quando ha ottenuto ciò che voleva, è rimasto sempre il solito: leggermente viziato, piuttosto egoista.

A quel punto è andata via velocemente, salutando gentile sulla soglia dell’uscio.

Non ero del tutto certo, ma probabilmente il mio cuore di padre si era di nuovo sciolto davanti alla mia prima figlia, la più bella e la più particolare.

Non ero molto tranquillo.

Era chiaro che di suo cugino non le importava particolarmente: aveva ben altro per la testa, ma non avrei davvero saputo dire cosa.

 

……………………………...............

Note:

Mi scuso per il ritardo davvero eterno questa volta! Spero, con l’arrivo del prossimo mese di poter tornare ad essere più regolare con gli aggiornamenti!

Questo capitolo, se non si era capito, è scritto attraverso gli occhi di Cygnus Black. Non ho voluto descriverlo troppo come “esponente di nobile famiglia” perché mi appare troppo “babbano” in quel modo.

Da quanto ne so io, le famiglie di maghi, sono magicamente potenti e sapienti, con radici molto antiche, ma anche piuttosto normali nei comportamenti (cioè nessuna tipologia “nobili del 700 o 800”), ho deciso di seguire questa visione della cosa.

Dato che non ho figli, non sono certa di aver reso al meglio i pensieri di un padre, ma spero che almeno non risultino assurdi!

Ringrazio meissa, Julia e Alohomora che hanno recensito! Potrei quasi quasi trasferire la ff solo su fb per “allietare” le vostre giornate!!

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Capitolo 10
*** Stirpi di maghi ***


Stirpi di maghi

Nel momento in cui ho chiuso la porta, ho tirato un sospiro di sollievo. Non era stato facile affrontare mio padre, non era stato semplice nemmeno confidare ciò che potevo dire, e tenere per me il resto, ma alla fine ce l’avevo fatta.

L’avevo spuntata io. Avevo vinto.

Non sentivo nemmeno voglia di pensare a nulla in quel momento, ero troppo soddisfatta di quello che ero riuscita ad ottenere, inoltre, in quel momento, nulla aveva grande importanza per me, assolutamente niente che non fosse quel libro.

Mi sono incamminata lentamente nel lungo corridoio che mi separava dalla stanza degli incantesimi usata da mio padre, ad ogni passo mi sentivo più leggera e soddisfatta.

Avevo in mente già da qualche giorno quella ricerca e ora, finalmente, avevo la possibilità di portarla a termine.

Ero così ansiosa ed emozionata, che la sola idea di incontrare altri contrattempi che mi separassero da quel momento, mi era odiosa.

Ho oscurato tutte le poche luci accese lungo il corridoio e le scale, e con un secondo incantesimo, ho reso silenziosi i miei passi e i miei movimenti. Al buio mi muovevo proprio bene, mi era sempre stato congeniale e più crescevo più lo preferivo alla luce.

Non che disdegnassi le giornate di sole … ma il buio … era tutt’altra cosa.

Quando sono arrivata davanti alla grande camera usata da mio padre, sono entrata con garbo e mi sono chiusa dentro.

Finalmente la stanza da lavoro di un vero mago adulto.

Senza censure, senza i freni dei professori, senza nessuno che mi dicesse cosa fare e cosa no.

Mi sono guardata attorno, accendendo alcune candele per comprendere la situazione e riuscirmi ad orientare.

La stanza restava piuttosto buia, c’erano diversi tavoli di legno pesante, scuro, riccamente decorate, c’erano piume e calamai pieni di gemme, libri con rilegature arabescate e pieni di miniature antiche … poi bugie, candelabri enormi.

Poche ampolle per le pozioni, pochi strumenti per la magia pratica, ma una biblioteca molto fornita.

Sfioravo leggera tutti quegli oggetti e mi immaginavo che un giorno sarebbero stati miei, avrei avuto tutto. Avrei usato ogni singolo libro, pergamena, appunto, ma mai e poi mai mi sarei limitata alla teoria, io avrei fatto magia pratica.

Ho sorriso al pensiero di come sarei stata abile e potente una volta adulta e una volta acquisiti i pieni poteri magici e non.

Mentre ero persa nei miei sogni, ho fatto perdere il mio sguardo verso l’alto, verso la libreria, poi, mi sono concentrata un attimo, richiamando, con un incantesimo di appello, il libro che volevo a tutti i costi consultare.

Appena l’ho avuto in mano, mi sono seduta su una poltrona poco distante e l’ho osservato.

In generale l’atmosfera di quella stanza mi piaceva, era antica, particolare, elegante, ma c’era qualcosa che non andava, che non mi faceva sentire perfettamente a mio agio. Nella mia camera da letto invece, sentivo tutto perfetto, tutto adeguato.

Lì avevo provato più volte, di nascosto, la notte, alcuni incantesimi proibiti e potenti. Le mura, le tende e le lenzuola del letto, i mobili e gli oggetti, si erano impregnati di quella magia potente, di quell’aura pesante, come le nubi piene di pioggia, o come il piombo così pregno rispetto agli altri elementi. Quell’atmosfera mi faceva sentire protetta, segreta, sicura. Qui era tutto diverso.

L’oscurità era dovuta semplicemente alla mancanza di illuminazione, non al tipo di magia usato. Quella leggerezza e leggiadria legati alla magia, mi facevano sentire quasi soffocare, come mi succedeva spesso, durante alcune lezioni a scuola.

Ho comunque ripreso a concentrarmi sul mio scopo, immaginavo già da tempo, comunque, di essere l’unica in famiglia ad interessarmi di argomenti tanto diversi dal solito.

Non mi importava.

Ho soffiato sul libro leggermente impolverato, e l’ho aperto.

“Stirpi magiche francesi.”

Sorridendo soddisfatta ho capito che doveva essere proprio quello.

Ho cercato velocemente, ma con cura, fino ad arrivare al nome dei Lestrange, lì il cuore ha iniziato a battermi all’impazzata, così, improvvisamente e violentemente, senza che quasi capire il perché.

Possibile che mi piaccia davvero tanto?

Ho scosso la testa all’idea, non ci volevo nemmeno pensare, e ho iniziato a leggere.

 

“Il casato dei Lestrange è un'antica famiglia originaria della Bretagna e divenuta tra le più grandi e potenti di Francia.

Molti dei membri del casato hanno ricoperto importanti ruoli nelle attività magiche del paese. Dislocati in diversi punti della Bretagna, ancora oggi la sede ufficiale dei rappresentanti del ramo principale della famiglia e della stirpe magica, è presente a Palais Lestrange, a nord della Bretagna.”

 

Ho continuato più sotto e velocemente:

“La stirpe da cui deriva la famiglia suddetta, si sviluppa da una parte delle tribù celte ubicatesi in zona. Fu la parte occidentale della penisola ad accogliere la più cospicua migrazione di popolazioni celtiche, essi saranno chiamati Aremorici, cioè "quelli che vivono davanti al mare", e Armorica venne utilizzato, in definitiva, come nome per tutta la penisola.

L'Armorica si estendeva dalla Loira alla Senna ed era abitata da numerosi popoli celti i cui nomi si sono conservati della regione ancora oggi.”

 

Dopo quelle brevi informazioni ho cercato qualcosa di più specifico: non vi era nemmeno l’ombra dell’albero genealogico della famiglia, ma il libro continuava con l’elenco di alcuni membri del casato, fra i più importanti del passato.

In seguito, nominava altri personaggi particolarmente importanti per l’attività magica e il comando di riti e congreghe antiche, e infine, terminava con un piccola descrizione dei membri tutt’ora in vita.

Questo m’interessava.

Sapevo che sarebbe bastato dirigermi in fondo alla lista ed infatti l’ho trovato immediatamente: Rodolphus Lestrange.

Nel vedere il suo nome ho sorriso come non avrebbe mai dovuto sorridere una ragazza come me, e in un istante, senza quasi che me ne accorgessi, ho sfiorato delicatamente con le dita la miniatura elaborata che rappresentava il suo nome.

Rodolphus Lestrange. La scritta era tutta elaborata e contorta, proprio come lui.

Sembrava quasi potessi riassaporare i suoi baci di quella sera, le languide carezze e i sospiri.

Sentivo come una strana morsa allo stomaco a tutti quei pensieri. Mi confondevano e mi facevano sentire in balia di qualcosa di sconosciuto e prepotente.

Ho tolto le dita dalla miniatura come se avesse iniziato a scottare: non sapevo più cosa stesse succedendo dentro di me.

Ho ripreso a leggere per distrarmi:

Rodolphus primogenito della famiglia, aveva un fratello minore, Rabastan Lestrange di poco più giovane di lui.

Entrambi erano nati dall’unione di Léandre Lestrange con Héloise Legendre, Rodolphus era nato il sette aprile di diciassette anni orsono e aveva frequentato l’accademia di Beuxbatons fino ai sedici anni.

Non c’era il minimo accenno al motivo del passaggio dall’accademia alla scuola di Hogwarts, mentre, da ciò che so io, il libro dovrebbe magicamente aggiornarsi in tempo reale sui fatti salienti dei componenti delle varie stirpi magiche più importanti.

Ho smesso di leggere e mi sono appoggiata allo schienale della poltrona riflettendo.

Qualcosa non mi tornava, non avevo minimamente creduto ad Evan quando mi aveva detto che Rodolphus aveva un segreto inconfessabile, o qualcosa di simile, ma in quel momento la mente mi si è affollata di dubbi, non capivo più quale fosse la verità.

Alzando lo sguardo verso il soffitto buio della stanza dove stavo ormai da un bel po’, ho sospirato in maniera strana, profonda e lenta.

Mi rendevo conto, in effetti, che quel ragazzo mi piaceva sempre di più.

 

……………………………...........

Note: ho impiegato un bel po’ ma alla fine ecco il nuovo capitolo.

Non ho ancora risposto a tutte le recensioni ma penso di riuscire a farlo nel giro di pochi giorni, scusatemi per il ritardo ormai cronico …

Di questo capitolo ho poco da dire, le notizie sulla famiglia lestrange sono ovviamente tutte inventate mentre la parte sulla Bretagna è per la maggior quantità vera e per il resto un po’ rimaneggiata a seconda dell’occorrenza.

Per quanto riguarda il nome francese di Rodolphus, resta così perché prende dal latino, ho preferito non variarlo!

Mi pare di aver detto tutto.

Grazie a tutte per letture e recensioni e supporto!

Alla prossima

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Capitolo 11
*** Nei corridoi bui ***


Nei corridoi bui

Avevo affiancato mio cugino non appena era entrato in casa, o quasi. Non potevo sopportare che ora le sue visite fossero tanto sporadiche, non potevo sopportare che si fosse lasciato con mia sorella e che nessuno lo potesse più vedere assiduamente.

Ormai lo consideravo uno di casa e di famiglia.

Adoravo Evan e volevo assolutamente che tutto tornasse alla normalità, come avevamo immaginato con Regulus, sapevo che anche lui desiderava ardentemente che l‘armonia tornasse nella nostra grandiosa famiglia.

Non sapevo esattamente che speranze avessimo, ma volevo impegnarmi anch’io per il bene della casata.

Mio cugino piccolo, mi aveva raccontato di aver visto Bella ed Evan in atteggiamenti … come dire … poco consoni al ritrovo di famiglia a cui stavamo partecipando tutti. Insomma, mentre si stavano rivestendo di nascosto.

È stato imbarazzante all’inizio, sia per lui accennarmi il racconto di quel momento, sia per me pensare a mia sorella ed Evan così. Io che avevo sempre pensato che in certi momenti fosse educato semplicemente chiacchierare, e mai e poi mai avrei pensato che qualcuno potesse vedere l’occasione per altri divertimenti.

Dopo quel racconto però, non so bene il motivo, ho iniziato a guardare con curiosità dentro ai cassetti di biancheria di Bella, o a sbirciare nei suoi armadi di vestiti, mentre lei, distrattamente, chiacchierava con me e si cambiava per la cena, o per uscire insieme.

Cercavo di capire i suoi segreti, comprendere meglio come dovesse essere una ragazza per piacere tanto ad uno come Evan e se a me sarebbe mai capitato di piacere ad uno come lui.

A parte le mie personali riflessioni però, dopo questo fatto, Regulus ed io abbiamo pensato di ricavare una situazione positiva da tutto il trambusto.

Se i due si comportavano in tal maniera, infatti, così appassionati e spudorati nonostante non fosse il caso di esserlo in quell‘occasione, voleva dire di certo che potevano tornare insieme come un tempo, perché si amavano veramente.

Su questa idea avevo puntato quello stesso giorno, e cercavo di riavvicinare Evan e Bella.

“Cissy, come mai sei venuta ad accogliermi proprio tu alla porta?” mi aveva domandato Evan, stupito della mia gentilezza inusuale di accogliere gli ospiti tanto calorosamente.

“Non che non mi faccia piacere …” si era poi affrettato ad aggiungere notando le mie labbra piegarsi in segno di disapprovazione.

“Lo so che devi vedere mio padre, non preoccuparti.” avevo risposto gentilmente.

“Il fatto è che ormai ti vedo così poco che mi manchi e volevo raccontarti, o sentirti raccontare qualcosa.”

Evan mi guardava piacevolmente stupito da quella situazione, mi auguravo non avesse capito i miei desideri, anche se era abbastanza palese che lo stessi lentamente portando in giro per tutta la casa a chiacchierare, prima di lasciarlo libero a parlare con mio padre, col chiaro intento di fargli incontrare Bella per puro caso.

Ero certa lei fosse rimasta in casa quel pomeriggio: ma mia sorella era difficile da reperire quando si chiudeva nei suoi silenzi e misteri infiniti ed impenetrabili, ma da qualche giorno a questa parte non era uscita spesso e, anzi, scompariva frequentemente per un paio di ore al pomeridiane, nei meandri bui della casa.

Contavo quindi di vederla presto o tardi, e avevo appunto quasi terminato ogni argomento di discorso con Evan quando, per fortuna mia, ce la siamo trovati davanti.

Ho sentito mio cugino di fianco a me avere quasi un sussulto alla comparsa e lei che, uscendo dal buio che la circondava, ha indurito fortemente lo sguardo già duro non appena ha notato la presenza di nostro cugino.

L’impresa che mi ero posta pareva ardua, molto più ardua del previsto, almeno per ciò che riguardava mia sorella.

“Buon pomeriggio Evan, ciao Cissy, che ci fai qui?” mi ha subito domandato senza tanti complimenti.

Ci trovavamo nell’ala del palazzo normalmente riservata a mio padre, dove solitamente noi ragazze non andavamo, un paio di volte negli ultimi giorni avevo notato mia sorella aggirarsi da quelle parti, ma non avevo capito perché. Ora che la dovevo far incontrare con Evan, avevo pensato di andarla a cercare per quei corridoi … ed infatti …

“Evan deve parlare con nostro padre, stavamo chiacchierando mentre lo accompagnavo. Tu lo hai visto per caso? Credevo fosse qui fosse come solito, invece ci sei tu.” ho risposto cautamente, senza dire una completa bugia, ma dall‘altra parte, per non rischiare di incorrere nelle sue ire, ho cercato di insinuarle il dubbio che avessi capito che ci fosse qualcosa di strano nel suo aggirarsi spesso per queste zone.

“Che io sappia, no, non c‘è.” ha risposto Bella laconica, ma anche un po’ inquieta.

Anche Evan doveva averlo percepito.

“E tu invece che ci fai qui, Bellatrix?” le ha domandato ben sapendo che nostro padre non ama che si giri attorno alla sua stanza delle magie.

Bella lo ha folgorato con lo sguardo, e questo particolare non è sfuggito a nessuno. Che mia sorella fosse veramente lì senza permesso per fare qualcosa di segreto?

In tal caso, mi domandavo cosa.

Anche se non la ritenevo capace di organizzare azioni ritenute tanto proibite e nascoste proprio in casa nostra.

Forse Evan, invece, la pensava diversamente da me.

Li guardavo entrambi inquieta, passando lo sguardo da uno all’altra in continuazione, finché Bella non si è decisa a rispondere, più ad Evan che a me.

“Mio padre mi ha dato il permesso di accedere alla sua camera delle magie, dovevo consultare un libro, tutto qui.”

Ero certa che questo risalisse ad un paio di giorni fa, non ero invece sicura che Bella avesse il permesso di ritornarci, e non sapevo nemmeno come facesse ad entrare liberamente. In ogni caso lei non si stava rivolgendo a me, ma ad Evan, e lui mi è sembrato soddisfatto della risposta.

Tacevano entrambi.

Ho deciso di tacere anch’io e, in caso, chiedere spiegazioni a mia sorella più avanti, al momento il mio scopo era diverso.

C’era tensione nell’aria e io la percepivo, improvvisamente non sapevo più come gestire tutto.

“Se cercate nostro padre comunque,” ha infine aggiunto Bella “non credo sia da queste parti, vi ripeto. Forse lo trovate al primo piano, nel salotto.”

Detto questo si è allontanata velocemente, lasciando soli Evan e me per qualche istante, lui è stato pensieroso i minuti seguenti, poi improvvisamente si è scosso.

“Scusami solo un attimo, Cissy, ti raggiungo subito.” mi ha detto guardandomi in viso mentre attendeva educatamente una risposta.

“Certo, vai pure, io ti aspetterò nel salotto a questo piano.” ho immediatamente risposto cercando di incitarlo: sapevo benissimo che avrebbe voluto raggiungere mia sorella e io non aspettavo altro.

Non appena si è allontanato, di soppiatto gli sono andata dietro. Non avrei dovuto per nessuna ragione al mondo, lo so, non sta bene, ma non mi importava, volevo vedere cosa sarebbe successo fra i due e nemmeno le regole di buona educazione avrebbero potuto fermarmi.

Mi sono mossa lentamente lungo il corridoio, tentando di non fare rumore, mi stavo domandando dove fossero finiti quei due quando finalmente ho sentito le loro voci basse, ero contentissima di poter portare qualche novità a Regulus sulla nostra famiglia di sangue puro, mi sono acquattata nell’oscurità per assistere al meglio alla scena.

Quando ho spostato l’attenzione sui due, ho spalancato gli occhi trattenendo il respiro quando li ho visti tanto vicini, sembravano quasi sfiorarsi.

Bella, nonostante tutto, restava però fredda ed indisponente, in un certo senso lo sfidava col suo sguardo fiero e strafottente. Era vicina al muro, quasi intrappolata dalle braccia di Evan che non osavano cingerla ma l’avevano chiusa, quasi stretta, perché non si potesse muovere da quella posizione.

Lui la sovrastava di poco, e la guardava con rabbia e tormento, a tratti ho avuto paura che la volesse picchiare e non l’avrei mai sopportato, era pur sempre mia sorella anche se volevo si rimettessero insieme, non avrei mai accettato una situazione simile.

La mia angoscia era tanta che ho afferrato la bacchetta dalla tasca della gonna, pronta ad intervenire per quanto avessi potuto, ma notavo che Bella non aveva nemmeno toccato la sua e che sembrava invece piuttosto tranquilla.

Non coglievo gran che del loro discorso, solo a tratti capivo le frasi perché smettevano di sibilare sottovoce, alzando il tono.

“Tu hai osato lasciarmi, Evan, non credere ora che tornerò indietro. Mi hai offesa, hai lasciato me, che sono immensamente superiore a te, ora non cercarmi mai più.” ho sentito quasi urlare mia sorella improvvisamente, mentre Evan si era leggermente avvicinato a lei, come per tentare di baciarla di nuovo, ma questo lo ha fatto allontanare, in silenzio.

Si guardavano con rabbia e disprezzo.

Non mi piaceva affatto come si stava mettendo la situazione, pareva stesse semplicemente peggiorando anziché migliorare come avevo sperato io.

“Se tu non ti fossi comportata male, se non mi avessi tradito …” ha iniziato a dire Evan stanco e quasi disperato, era forse l’unico dei due a soffrire della situazione che si era venuta a creare, anche se non lo potrei dire per certo, dato che Bella nasconde abbastanza facilmente tutti i suoi pensieri e sentimenti.

Non ho però potuto cogliere il seguito della frase, perché ha subito abbassato la voce, e risultava continuamente interrotto da Bella che ripeteva di non averlo tradito affatto.

Dunque era per questo che si erano lasciati?

Non potevo credere che mia sorella l’avesse tradito sul serio.

D’altra parte Evan asseriva il contrario e un motivo doveva pur esserci.

Mi piaceva mio cugino, tutto ciò che lo riguardava lo trovavo affascinante, mi sentivo confusa davanti a quella conversazione che andava a parare su risvolti a me totalmente sconosciuti.

“Ora lasciami andare.” ha mormorato Bella abbastanza chiaramente da farsi sentire anche alle mie orecchie.

“Cerca qualcun’altra con la quale godere durante le giornate in famiglia che ti annoiano tanto, qualcun’altra con cui giocare a quel modo e divertirti, a me non va più di accontentarti come ho sempre fatto.”

Evan si è spostato dal muro, indignato a quella frase, io ero sicuramente più rossa in viso di una fragola a sentire quelle parole.

Non ho fatto quasi in tempo a pensare che allora era per far quello che scomparivano di tanto in tanto nei lunghi pomeriggi assolati, o durante le conversazioni invernali, davanti ai camini … non ho fatto in tempo a collegare nulla che Evan ha contrattaccato:

“Mi pareva piacesse particolarmente anche a te.” le ha quasi urlato mentre lei si allontanava senza nemmeno guardarlo. “Quante moine, Bella, quanti sguardi languidi e paroline provocanti, non sei meglio di me, lo sai, io ti conosco.”

Sentivo mia sorella scendere le scale, non so se si sia voltata a guardarlo o meno.

Non appena Evan ha pensato di essere rimasto solo, ha dato un gran urto al muro del corridoio, tanto che è tremata la serie di quadri attaccata alle pareti lì vicino.

Non era affatto andata come speravo e c’erano un mucchio di particolari da valutare. Ero però certa che Evan non fosse più così convinto di lasciare mia sorella, e questo era l’unico risvolto positivo su cui riuscivo ancora a sperare per ricucire i pezzi della mia potente e antichissima famiglia.

 

……………………………......

Note:

Oggi incredibilmente sono riuscita a pubblicare un capitolo in anticipo rispetto al previsto.

I due ragazzi più giovani (Cissy e Regulus) iniziano una sorta di missione per tenere uniti cugini e fratelli in quello che era il nucleo originario, ma non sempre le cose andranno per il verso giusto (come ben si sa).

La prossima presto dovrebbe toccare ad Andromeda, ma devo ancora scrivere il capitolo per cui non sono certa.

Per il resto non mi pare ci siano altri particolari da chiarire a proposito del capitolo, ci sono alcuni accenni a fatti importanti del seguito della storia che per ora sono in divenire, quindi non anticipo nulla.

Grazie a tutti per le letture e a presto.

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Capitolo 12
*** Protagoniste a confronto ***


Protagoniste a confronto

Stavo camminando in fretta nel giardino di casa per recarmi alla gufaia.

Faceva freddo fuori, e dal cielo grigio nuvoloni neri minacciavano un ennesimo scroscio di pioggia, per questo motivo mi ero ben coperta nel mio cappotto di lana, berretto e sciarpa voluminosi, e mi affrettavo per non bagnarmi completamente.

Mi sarebbe tanto piaciuto andare a passare il Natale nella casa in montagna, là non piove, piuttosto nevica, e la neve è molto più divertente e romantica.

Ho ricordi splendidi di quei luoghi, di quando eravamo ancora tutti bambini, mi sarebbe piaciuto vedere ancora una volta la neve alta e morbida e godermi i paesaggi immensi, giocare fuori tutto il giorno e rilassarmi davanti al camino sul far della sera, insieme alle mie sorelle e ai miei cugini.

Come era buona la cioccolata in tazza durante quei momenti di riposo, quando Kreacher, l’elfo domestico dei miei zii, ce la preparava e insieme portava il latte e lo zucchero da aggiungere, esattamente come facevano i grandi.

Io mettevo sempre troppo zucchero e Sirius mi prendeva in giro.

Bella la beveva sempre senza, e tutti la prendevamo per matta.

Cissy, quando spesso si sporcava, piangeva disperata e Regulus ne aveva sempre doppia porzione, perché il fratello diceva che era roba per bambine e lui non la voleva bere per nessun motivo.

Lui aveva le sue cioccorane.

Era tutto splendido e divertente.

Un tempo.

Quest’anno, invece, siamo rimasti nella casa di Grimmuld Place durante tutto il periodo delle vacanze e a volte mi viene da pensare che quei bei momenti passati tutti insieme siano definitivamente finiti.

Questo pensiero, in quell’istante soprattutto, mi ha portato una stretta al cuore, ho stretto forte la lettera che avevo in tasca, pur attenta a non farla spiegazzare.

“Però ora ho te.” ho sussurrato piano, mentre la estraevo e guardavo nome ed indirizzo di Ted scritto con la mia calligrafia complicata sulla busta.

Ho sorriso teneramente, come mi era capitato di fare poche volte. Lui, anche a distanza, era capace di tirare fuori tutta la mia tenerezza: un’emozione che raramente qualcuno poteva notare in me, perché la tenevo gelosamente custodita e nascosta nel mio cuore.

Era una bella sensazione, ho rallentato il passo per godermela ancora, crogiolarmi in essa come solo io so fare, quando improvvisamente una frese mi ha scosso:

“Dove te ne vai con questo freddo, sorellina?” era la voce di mia sorella.

Ha rotto il silenzio freddo e tranquillo di quella mattina.

Il cuore ha iniziato a battermi troppo forte, ho tentato di rimettere la lettera al suo posto con noncuranza, ma a Bella raramente sfugge qualcosa.

“Soprattutto, cosa nascondi ora che mi sono avvicinata a te?” ha chiesto insinuante, afferrandomi il braccio la cui mano teneva saldamente la busta.

Ho sentito sin male.

“Nulla che ti riguardi sorellina, faccende private.” ho risposto togliendole con altrettanta forza la mano dal mio braccio, e riponendo la lettera in tasca, sperando non buttasse l’occhio sul nome del destinatario.

Bella non ha staccato un secondo il suo sguardo da me, ma ha messo lentamente la mano che aveva afferrato il mio braccio in tasca.

“Hai dei segreti, Andromeda?” mi ha domandato poi, scostandosi da me leggermente, pronunciando il mio nome per intero, cosa che non succedeva praticamente mai fra noi.

“E tu Bellatrix? Hai dei segreti?” ho risposto alzando lo sguardo verso il suo, pronunciando il suo nome per intero come non succedeva quasi mai.

“Ti sei innamorata?” ho aggiunto con cattiveria forse eccessiva.

Si diceva così a scuola, che si fosse presa una cotta per un ragazzo. Ovviamente, ho pensato io, era andata ad innamorarsi proprio di quello più difficile, complicato e poco rassicurante, uno da tenere alla larga.

Sapevo che Bella difficilmente si sarebbe presa una cotta come succedeva a tante ragazze, per cui quello doveva essere proprio amore.

E dato che quando si parla d’amore lei si confonde, diventa fragile e debole, le ho subito chiesto su quell’argomento, per evitare domande sul mio di amore: tattica sleale, ma spesso efficace, soprattutto con lei.

Infatti si è subito voltata in silenzio, camminando pochi passi avanti a me.

L’ho osservata.

Anche Bella era vestita pesante, col mantello, i guanti e la sciarpa, solo i capelli li aveva lasciati liberi al vento.

Anche lei era uscita per camminare dunque, aveva bisogno di aria, di pensare a lungo, ma non si confidava.

“Come va cono i nostri genitori?” le ho chiesto affiancandomi a lei, ma in risposta ha semplicemente alzato le spalle.

“Allora come va con Evan?” ho ritentato.

“Mi ha lasciata, e non c’è nulla da dire più di così.” ha risposto convinta e perentoria. Non ho insistito, non ho voluto dire che a me, almeno ultimamente, Evan non sembrava affatto convinto delle sue decisioni.

Ho notato che la guarda ancora e anche spesso, le guarda le gambe, il viso, i capelli, il seno …

E sembra sempre triste e serio ogni volta che sente la voce di lei e nota le sue movenze.

Speravo si rimettessero insieme, è vero.

Anche se non volevo ammetterlo, anche se sapevo che non sarebbe stata la cosa migliore per Bella, speravo comunque tornasse tutto come prima.

In fondo, chi avrebbe mai voluto che la propria sorella si mettesse con un mezzo emarginato, pericoloso e violento ragazzo sconosciuto e straniero, espulso dalla sua accademia di stregoneria per approdare qui da noi ed essere sempre e solo scontroso, cupo e taciturno e che si permetteva persino di bere tanto e a scuola?

No, decisamente preferivo Evan.

Pensavo questo mentre camminavamo in silenzio per i viottoli del giardino, con solo il rumore delle nostre scarpe sui ciottoli umidi di nebbia, e lei a fianco a me che taceva imperterrita.

Poi i miei pensieri finivano inesorabilmente su di me, sul solito tormento: e chi vorrebbe che io mi mettessi con un babbano di nascita, ingenuo, buono e generoso, ma ignorante di tutto ciò che riguarda il mondo magico, la purezza di sangue e la raffinatezza delle nostre usanze?

Un Tassorosso per giunta, casa mai presa in considerazione nemmeno lontanamente da nessuno della nostra famiglia, non benvoluta, spesso criticata.

Forse persino molto peggio di mio cugino Grifondoro.

Ho sospirato rumorosamente e Bella si è voltata verso di me:

“Che hai?” mi ha domandato stupita.

Avrei voluto risponderle:

“Quello che hai tu, Bella, sono innamorata e sono nei guai. Perciò non fare la forte, perché so che neanche tu sai che pesci prendere, anche se non lo ammetterai mai.”

Avrei voluto dirle questo e piangere, cercare il suo conforto e darne a lei. La guardavo trepidante e non cercavo altro, nel mio intimo, che confidarmi.

Invece ho mentito:

“Nulla, stavo solo ricordando quando preparavo tutti quegli infusi magici e decotti di erbe magiche per te, vicino alla grande fontana, passavamo così tanti di quei pomeriggi d’estate, ricordi? Saranno passati almeno dieci anni.”

“Che schifo,” mi ha risposto con una smorfia “ora non riesco più a berne uno senza che mi si rivolti lo stomaco, Dromeda.”

Ho sorriso, era vero che Bella non riusciva più a sopportare quelle bevande, le davano nausea e mal di stomaco.

“Ora sono diventata brava davvero però,” ho aggiunto lamentandomi “e se per questo, io non riesco più a guardare un pesce di quella fontana senza pensare a tutto quello che facevi loro: gare di nuoto, agguati con le mani, rumori nell’acqua e simulazioni di maremoto per vedere come se la cavavano …”

Lei ha sorriso senza dire una parola e io ho continuato per poco a scherzare.

Mentre dicevo queste cose, notavo che ero arrivata nei pressi della gufaia e che dunque avrei dovuto salirci da sola. Avevo iniziato ad agitarmi impercettibilmente e Bella si era fermata sorridendo di nuovo, ma in maniera diversa da prima.

“Hai un segreto. Davvero.” ha detto poi fermandosi.

“Devo mandare una lettera, tutto qui, non credo tu voglia salire, non hai paura di sporcarti?”

“Io, come facevi tu fino a poco tempo fa, lascio agli elfi le lettere da portare alla gufaia …”

Ci siamo guardate per un momento con tanta rabbia. I suoi occhi mi sfidavano, era piena di risentimento per il mio segreto, come io lo ero con lei, solo perché è, ed è sempre stata, una prepotente egoista, me lo dimostrava in continuazione e io mi ostinavo a volerle bene.

Ora non poteva pretendere di sapere anche ciò che riguardava la mia vita, avevo capito dalle mie stesse azioni che non potevo e non volevo dirle nulla.

Inaspettatamente, in un istante, è stata lei a placare gli animi:

“Comunque, ho rafforzato i pesci con le mie prove.” ha scherzato orgogliosamente accennando lo sguardo verso la fontana, e io non ho potuto fare a meno che scoppiare a ridere davvero divertita.

Ho approfittato di quel momento per iniziare a salire le ripide scale della gufaia, mia sorella non si è mossa dal suo posto, si era davvero decisa ad aspettarmi.

“Forse sono stata troppo cattiva e precipitosa a giudicarla così … forse l‘egoista sono io, non lei.” mi sono detta gradino dopo gradino, mentre salivo sulla pietra resa scivolosa dalla pioggia.

Arrivata su in alto ero completamente sola, guardavo il panorama sul nostro giardino deserto e il vento sferzava forte sul mio viso, vedevo Bella che giocherellava lenta e pensierosa con la sua bacchetta.

Era molto lunga quella bacchetta, spiccava da così lontano.

Mia sorella sembrava saper fare incantesimi molto più avanzati di quelli di una ragazza che si appresta a fare i M.A.G.O., era veramente inquietante a volte.

Come da bambina con quei pesci, come quello sguardo con cui mi aveva trapassata poco prima.

Continuavo a cambiare idea su di lei, prima la consideravo la mia amata sorella, subito dopo una persona quasi sconosciuta da cui guardarsi, con cui non confidarsi.

Comunque, non ho avuto il coraggio di parlarle sinceramente di me, qualcosa mi ha detto di tacere.

Quando ho mandato il gufo a Ted, là, sola nella parte alta della gufaia, ho aspettato si allontanasse nel cielo nuvoloso e bigio prima di scendere di nuovo nel mio mondo, sperando di non mettere nei guai nessuno per il mio capriccio amoroso.

 

……………………………......

Note:

Avevo il capitolo pronto da settimane … ma voglia di correzione saltami addosso.

Comunque eccomi qui!

Volevo prima di tutto ringraziare Julia Wesley e Nynphy Lupin mie affezionate recensirci!! Grazie! E grazie anche per le correzioni della punteggiatura (Ninphy), ne ho seriamente bisogno.

In questo capitolo ho voluto descrivere il personaggio di Andromeda (almeno per come lo vedo io), ovviamente la Rowling non dice molto su di lei, per cui è una mia libera interpretazione (MalandrinaFelpata: mi facevi l’appunto che per te era più simile a Sirius, a me è parso di capire, che fossero Bella e Sirius quelli simili in qualche modo, anche se di visioni opposte, ma non Andromeda, ma appunto, poi ognuno è libero di immaginare quello che desidera, non voglio assolutamente imporre una visione mia).

Andromeda, da quel poco che si sa, viene addirittura scambiata (da Harry) per Bellatrix, per cui l’ho sempre immaginata una tipa poco dolce e remissiva, come viene spesso descritta.

Coraggiosa e convinta di ciò che fa, anche un po‘ altera e distaccata.

Era una serpeverde, e ho sempre immaginato che per amore, e solo per amore, abbia deciso di rinunciare al “suo mondo” e all’affetto delle persone con cui è cresciuta.

Altra cosa: spesso viene descritta maltrattata dalla sorella maggiore, fragile, debole davanti a lei, pronta a scappare di casa davanti alla rabbia della sorella, appunto … è una cosa che proprio mi fa venire i nervi, la ritengo perfettamente in grado di tenere testa a Bellatrix e spero che da questo capitolo ciò sia chiaro!

Aggiungo anche qui che ho aperto un gruppo proprio sulle mie ff assieme ad un’altra fan writer, se volete saperne di più, guardate sul mio profilo dove ho aggiunto le spiegazioni

Direi che ho detto tutto, smetto di rompere con le infinite note e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento.

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Capitolo 13
*** Ragazzi ***


Ragazzi

In una piccola cittadina nei pressi di Londra, la calma regnava sovrana nel freddo e soleggiato pomeriggio invernale.

Vagando per le vie tranquille del luogo, si potevano scorgere diverse famiglie riunite attorno alle tavole per festeggiare le ricorrenze natalizie. Proprio in una di queste case di puro stile babbano, un’allegra famiglia terminava di consumare il pranzo del giorno, chiacchierando del più e del meno in serenità.

Osservando meglio, però, si poteva scorgere una certa inquietudine da parte di uno dei componenti.

Il figlio e fratello più grande, infatti, restava silenzioso e pensieroso davanti alla finestra, il cui vetro era diventato ormai opaco ai lunghi sospiri del ragazzo.

Nessuno vi aveva fatto particolare caso, fino al momento del termine delle chiacchiere:

“Ted, che ti prende oggi? Smuoviti da lì e vienimi ad aiutare, per piacere.” l’aveva apostrofato la madre, al momento di asciugare e riporre i piatti appena lavati.

Senza dire una parola, il ragazzo si era avvicinato alla cucina prendendo in mano il primo piatto gocciolante.

Era alto per la sua età, solamente sedici anni compiuti da poco, e di corporatura magra. I capelli, di un castano chiaro pieno di calore, erano appena adagiati sul collo e incorniciavano due grandi occhi marroni, profondi e sognanti come pochi ragazzi di quell’età riuscivano a dimostrare.

“Forse sarebbe più comodo usare la magia?” aveva domandato la madre scherzosamente.

A quella frase però, il ragazzo si era rianimato:

“Sicuro, mamma! Dovresti vedere con che velocità e precisione riuscirei a farlo con un semplice tocco della bacchetta!”

La madre lo aveva guardato orgogliosa, ma senza darlo a vedere al figlio.

“Allora sei diventato proprio abile ormai, vero? E tu che ti preoccupavi sempre di essere da meno di coloro che erano nati in una famiglia di maghi e che conoscevano da sempre la magia. Noi siamo normali ma intelligenti e abili.”

“Si dice Babbani, mamma.”

La madre aveva alzato le spalle, non troppo convinta di quell’appellativo.

“Non lo impari mai …”

Il ragazzo era tornato serio, ma qualcosa era cambiato in lui, sembrava aver voglia di continuare il discorso iniziato con fatica.

Dopo un paio di piatti impilati al posto giusto, aveva preso coraggio:

“In effetti è vero, non sono potente come molti compagni nati in famiglie di soli maghi. E non solo compagni, anche compagne, che in duello dovrebbero essere quantomeno più deboli di me, almeno fisicamente.”

La madre l’aveva guardato attenta, in maniera indagatrice.

“Questo non è mai stato un grosso problema, per te, prima d’ora, o sbaglio?”

Ted aveva alzato le spalle restando zitto.

“Forse c’entra quella lettera che hai ricevuto pochi giorni fa, se ora ti preoccupi di tutte queste faccende in maniera così seria?”

Ted l’aveva guardata con tanto d’occhi, sorpreso dall’attenzione che un adulto potesse avere per certi particolari, quando invece sembrava che tutti fossero impegnati in tutt’altre situazioni e interessi totalmente estranei a lui.

La madre aveva continuato con un lieve sorriso triste:

“Quella lettera con tanto di sigillo, quella calligrafia aggraziata e un po’ … come dire … retrò? Sembrava effettivamente provenire da un mondo tutto diverso.”

Gli occhi del ragazzo si erano fatti più tristi e pensierosi:

“Il mondo della magia più pura, penso, mamma.”

Anche la madre, a quelle parole, era sembrata rattristata, aveva persino interrotto, per un istante, di lavare la grande pentola che aveva nelle mani.

“Mi è parso di capire, in questi anni in cui sei stato in quella scuola, che i maghi con antiche tradizioni non considerassero bene gente come noi, e nemmeno come te. Però che tu stesso, allo stesso tempo, non badassi minimamente a queste sciocchezze e questi giudizi senza senso, ma che fossi capace di credere in te, nella tua casa di appartenenza e nelle persone che ti volevano bene per come sei.” aveva fatto una pausa osservando il ragazzo, poi aveva aggiunto dolcemente: “È cambiato qualcosa?”

Ted si era sentito a disagio, come scoperto, aveva alzato le spalle velocizzando le sue operazioni di asciugatura, aggiungendo, dopo diversi istanti:

“Direi proprio di no.”

La madre aveva sorriso incredula:

“Forse una ragazza, Teddy?”

“Mamma, non mi chiamare Teddy. E comunque, non c’è nessuna ragazza.”

“Davvero?” aveva insistito la donna con voce dura, ma con sguardo intenerito.

Ted aveva esitato a lungo dopo quella domanda, si era guardato intorno: la piccola e accogliente cucina con i mobili di legno marrone chiaro, le due finestre che davano sul cortile della casa, le allegre tende che decoravano il vetro.

Aveva ascoltato i rumori che provenivano dalla sala da pranzo: il padre che chiacchierava sparecchiando con la sorella e il fratello piccolo. Il fuoco nel camino con appese alcune statuette di sale che rappresentavano simboli natalizi.

Aveva sospirato impercettibilmente, sempre serio e pensieroso, aggiungendo in seguito:

“Non c’è nessuna ragazza, mamma, e non certo di quel mondo.”

La madre lo aveva osservato senza che se ne accorgesse, non pareva molto convinta delle parole del figlio e un’ombra di preoccupazione e ansia era passata velocemente sul suo volto, fuggendone poco dopo.

“Bene Ted, perché, a quanto mi hai raccontato, sarebbe una relazione piuttosto complicata …” aveva quindi aggiunto scherzando, ma con una lieve nota stonata nella voce.

“Non sono mica matto, mamma! Sarebbe un vero casino.” aveva terminato Ted afferrando l’ultima posata rimasta bagnata.

***

A Londra, il vento della sera sferzava gelido lungo le strade affollate. Seguendo e immergendosi completamente nella folla tipica delle feste, si poteva proseguire lungo le strade e i vicoli, arrivando, dopo lungo peregrinare, in un posto leggermente appartato, molto originale, “strano” lo avrebbero descritto alcuni abitanti dei dintorni.

Quel luogo, un piccolo pub della zona, dava segretamente accesso ad un altro, ancora più strano, molto più misterioso ed impenetrabile: il mondo dei maghi.

Dava accesso alla cittadina magica di Diagon Alley.

Essa era una cittadina tranquilla e piena di negozi addobbati a festa, ricca di posti di ritrovo per gente particolare, eccentrica, tutta vestita in maniera originale. Grandi tuniche multicolori, o scurissime, coperte da pesanti ed ampi mantelli in tinta, lunghi cappelli a punta calati sulla testa, e scope più o meno antiche che reggevano spesso in mano.

Entrando nei vicoli meno affollati, si potevano riconoscere diversi luoghi tipici e più o meno eleganti. Uno di essi portava un cartello di legno, con una grande scritta gialla: “Devil’s Mama”

Due ragazzi di circa vent’anni erano fermi in quel locale leggermente affollato, ma non eccessivamente rumoroso. Stavano seduti uno di fronte all’altro, separati dal piccolo tavolo di legno scuro, dove erano appoggiati due grossi boccali di Burrobirra fumante. Parevano intenti a parlare di argomenti molto seri.

Uno dei due mostrava uno sguardo triste e arrabbiato allo stesso tempo; aveva parlato per ultimo torturando, con le mani e dita sottili, il suo boccale di vetro.

“Se le cose stanno così, mio caro, mi spieghi per quale motivo l’hai lasciata?” lo aveva apostrofato l‘altro, più impostato e allegro, quasi scherzoso in quell’ultima battuta. Si era allontanato leggermente, ma senza distogliere lo sguardo dall‘amico.

Il ragazzo l’aveva ricambiato con fare cupo, leggermente pensieroso:

“Perché mi faceva dannare, davvero. Perché non volevo mi prendesse in giro. Per orgoglio ferito, a causa di quanto mi aveva detto Avery, ricordi?” aveva infine risposto passando a tormentarsi i capelli lisci, grossi e scuri, che gli conferivano un fascino, se non una bellezza, molto magnetico.

Wilkes, comprensivo, aveva subito sorriso a quelle parole:

“Dovresti sapere com‘è fatta, è tua cugina dopotutto!” aveva detto gentile; poi, però aveva rincarato la dose con parole più dure: “Non mi è mai parsa una di quelle ragazze docili, affettuose, semplici. Piuttosto è una di quelle che fanno perdere la testa, che fanno i capricci e sono toste da gestire. Di certo non una da lasciare così, per un moto di orgoglio del momento … ora cosa pensi di fare?”

Evan, a quel punto, aveva bevuto un sorso di burro birra e aveva sospirato.

“Non ne ho idea.” ed era sceso il silenzio fra i due.

Erano amici da tempo e avevano colto entrambi che il problema riguardante uno dei due sembrava essere veramente importante, questioni fondamentali di cuore.

“Non posso evitare di vederla ad ogni pranzo, ad ogni cena, ad ogni raduno o ricevimento di questi giorni festivi. Dovresti esserci anche tu per capire … è così bella, sensuale, intrigante.”

L’altro aveva sorriso:

“Ricordo perfettamente com’è.”

“Mi seduce, non so se lo faccia di proposito, per vendetta, o le venga naturale. È maliziosa, provocante e crudele. La odio, ma la rivoglio con me.”

Anche Wilkes aveva bevuto un sorso abbondante di Burrobirra a quel punto, per poi aggiungere:

“Ho capito benissimo: è una che sa prendersi quello che vuole. E poi ci sa fare con te in certi frangenti … dopotutto, gliel’hai insegnato tu, o sbaglio?”

Entrambi avevano riso, Evan più ironicamente dell’altro.

“Sì, ovvio. Era perfetta, sotto ogni aspetto, a letto e fuori dal letto; una con cui puoi andare ovunque e tutti t’invidieranno e ti ammireranno.”

Di nuovo silenzio.

“Sei proprio innamorato, temo.”

“Maledizione!” aveva imprecato Evan alle parole di Wilkes “Io credevo di giocare con lei, la piccola cuginetta, invece … ha iniziato a fare i capricci.”

Wilkes l’aveva guardato attentamente attraverso i ricci scuri che gli erano ricaduti sugli occhi mentre stava sorseggiando la sua bevanda:

“S’intuiva la tipa che era, o che sarebbe diventata, ti sei illuso, amico: questa è la verità. Dovevi stare attento con lei, ora non sarà per niente facile, a mio parere, riprendersela: è ancora più tosta di quanto appaia. Io la trovo, a tratti, persino inquietante.”

Evan si era appoggiato con la schiena alla panca ove era seduto, era stato zitto per qualche istante e poi aveva mormorato:

“Da solo è una gara persa con lei. Troppo testarda, troppo caparbia, troppo orgogliosa.”

“Dunque?” lo aveva incalzato l’amico.

“Dunque ... forse dovrei provare … a chiedere l’aiuto di mio zio.”

Wilkes l’aveva guardato stupito.

“Fino a questo punto la vuoi?”

“Certo,” aveva risposto Evan finendo la sua Burrobirra d’un fiato “non mi arrenderò tanto facilmente, almeno un tentativo lo devo pur fare.”

“Ci farai la figura dell’idiota davanti a lei, lo sai, vero?”

“Lo so perfettamente. L’’ho già fatta quando l‘ho lasciata tanto avventatamente. Ormai, persa per persa, ci devo riprovare.”

Silenzio di nuovo, i due si guardavano in volto dubbiosi, Evan era tornato a parlare poco dopo.

“La sogno la notte, capisci? Sogno il suo profumo, la sua pelle, i suoi baci. Il suo seno, le sue risate dopo aver fatto l’amore … non posso vivere così, di desiderio puro senza fare nulla.”

Wilkes aveva riso di gusto e aveva alzato il suo calice prima di terminarlo anch’egli in un sorso.

“Auguri amico. Dovrei trovarla anch’io una ragazza così.”

***

Durante il periodo natalizio, Hogwarts era ricoperta da una fitta coltre di neve che rendeva tutto il paesaggio straordinariamente irreale, silenzioso e lucente.

Pochi erano gli studenti che rimanevano a scuola per le vacanze, e ancor men, coloro che restavano taciturni e solitari nei loro dormitori.

Nei sotterranei del castello, nelle zone dove dimoravano i ragazzi della casa di Serpeverde, nel freddo dei dormitori posti al di sotto del Lago Nero, si aggirava, da solo, un ragazzo alto e snello, con i capelli scurissimi e l’aria un po‘ emaciata, un ragazzo dallo sguardo inquieto e tenebroso, velato di tristezza malcelata.

Stropicciandosi gli occhi e lanciando uno sguardo all’orologio, aveva iniziato ad incamminarsi lentamente verso i piani più alti, raggiungendo man mano lo studio del neo eletto preside della scuola.

“Buon pomeriggio, signor preside,” aveva esordito educatamente e cerimoniosamente il giovane al cospetto dell’uomo con una lunga barba ormai grigia “mi ha fatto chiamare?”

Il preside, elegantemente vestito con una grande tunica color porpora ed un cappello a punta della stessa tonalità che piegava verso il basso, aveva alzato lo sguardo studiando il ragazzo con pazienza, per poi rispondere delicato:

“Sì, signore Lestrange, vieni pure avanti, avvicinati.”

Rodolphus Lestrange si era avvicinato elegantemente, mantenendo però un fare cupo e distaccato.

“Come sta procedendo la tua permanenza qui, ragazzo? Ti trovi sufficientemente bene?”

“Sì, me la sto cavando bene.” aveva risposto l’altro senza esitazioni.

“Non sono troppo indietro con le materie di studio e credo riuscirò a recuperare per svolgere gli esami finali con gli altri studenti della mia classe.”

Il preside aveva annuito sollevato, poi aveva aggiunto: “Noto che con la lingua va molto meglio, hai imparato bene a parlare e anche a comprendere.”

Il ragazzo, a quelle parole, aveva semplicemente annuito.

“Hai fatto amicizia con qualcuno, hai legato con i tuoi compagni? È una tappa importante della tua integrazione nella scuola, lo sai.”

Il giovane aveva abbassato lo sguardo, una nota di stizza sembrava serpeggiare nei suoi occhi scuri.

“Non sono bravo a socializzare.” aveva risposto infine.

“Ricordati che era una promessa fatta in cambio del tuo trasferimento in questa scuola, non deludere le aspettative di chi ti vuole bene, di chi tiene a te e alla tua salute.”

Questa volta il giovane aveva alzato lo sguardo fiero in tono di sfida, con una nota forse rabbia, ma non aveva osato proferire parola.

Il preside non si era lasciato comunque impressionare da quel gesto così palese.

“Chi ti ha insegnato tanto bene l’inglese? Hai effettivamente recuperato molto bene in tutte le materie.” aveva insistito con una nota di bontà nella voce, che si era poi immediatamente trasformata in una nota di sospetto alla risposta dello studente.

“È stata la signorina Black. Bellatrix Black.”

“Hai dunque legato con la signorina Black?” aveva domandato il preside in tono evasivo, tono che non doveva essere sfuggito al ragazzo di fronte a lui.

“Lei conosce bene il francese, mi ha aiutato molto.”

“Bene,” aveva terminato il preside accennando un cambio di discorso “ti raccomando di ampliare le tue frequentazioni, anche nelle altre case di appartenenza ci sono studenti che possono offrirti molte opportunità di crescita.”

Il giovane aveva annuito poco convinto, ma educato.

“Veniamo a ciò di cui volevo parlarti.”

“Sì, professore, prego.”

“Quando sei arrivato qui, dopo ciò che era successo, e contando il tuo stato emotivo, ti ho concesso diverse libertà, che ora, dato il tuo inserimento ormai quasi avvenuto, non posso continuare a concederti a pieno.”

A queste parole, il silenzio era caduto tra i due interlocutori.

“Capisci, non è vero? Non puoi essere considerato diverso dagli altri.”

Rodolphus si era limitato ad annuire, al che il preside aveva continuato:

“Alcune libere uscite, alcuni permessi per vagare all’interno della scuola quando agli altri è proibito, certi allontanamenti durante le giornate passate alla città di Hogsmeade: tutti questi particolari, non li posso più accordare.”

Il ragazzo si ostinava nel silenzio.

“Tuo padre stesso è d’accordo, nonostante tutti conosciamo il tuo temperamento e quanto accaduto in passato, sono condizioni indispensabili perché tu possa restare qui, perché tu possa reinserirti in una condizione il più possibile normale. Voglio che tu sia uno studente come gli altri, mi capisci?”

“Certo, signor preside.” aveva risposto Rodolphus palesemente a malincuore.

L’uomo appariva però pensieroso e leggermente preoccupato.

“Con questa calma, con quest’accondiscendenza, dimostri di essere maturato molto in questi mesi, o ti sei solamente rassegnato?”

Il ragazzo aveva infilato le mani in tasca, palesemente nervoso, agitato, e aveva distolto lo sguardo.

“Non lo so, signore, questo me lo deve dire lei, o comunque voi professori, educatori, siete qui per questo, no?”

“Ho accettato di averti qui con noi per aiutarti, signor Lestrange, e così tenterò di fare.” aveva terminato il preside dopo aver ascoltato quelle parole.

“Ora vai, sei libero: fino alla fine delle vacanze potrai avere ancora la tua libertà speciale, dopo di che, dovrai attenerti alle regole che valgono per tutti, siamo intesi?”

“Sì, signore.” aveva detto il ragazzo allontanandosi piano.

“Le auguro una buona giornata.”

Poco fuori dall’aula del preside però, aveva sbuffato rumorosamente nel buio, ed estratto dalla tasca sinistra una piccola quantità di sostanza verde scuro: una piccola pianta.

Dalla tasca destra, invece, un po’ di carta leggera per avvolgerla.

Usava sempre il fuoco delle torce ai lati del ponte sospeso per accendere i suoi piccoli trucchi magici e aspirava lungamente fino al Lago Nero.

Il fumo era bianco, spesso e pesante quasi come la neve attorno, si confondeva a fatica nel panorama biancastro delle giornate invernali della Scozia. Sulla riva del lago, aveva smesso di tremare per la rabbia: la magia iniziava il suo effetto.

Spesso in quei momenti più volte ripetuti, immaginava le creature spaventose che si dicevano abitare il lago, a volte di essere uno studente normale come gli altri del castello, ma non era mai convinto appieno di voler essere uno studente normale, a volte, invece, gli tornava, quasi a tradimento, l’immagine di quella ragazza con i capelli scurissimi che sapeva tanto bene il francese.

Gli mancava quasi, in quei momenti, il fatto poter parlare con qualcuno.

Di solito, l’unica con cui gli piaceva abbastanza chiacchierare era proprio lei.

……………………………...

Note:

Scusate questo capitolo tremendamente lungo, ma non volevo spezzarlo e mi interessava aggiungere due novi personaggi mai trattati: Ted e Rodolphus.

Avanti così questa storia non la concluderò a breve, ma mi vengono in mente sempre altri particolari per la trama … (e meno male che doveva durare 10 capitoli …).

Potrei scrivere Toujour Black atto secondo ambientato ad Hogwarts!

Per il resto volevo aggiungere che ho preferito scrivere il capitolo tutto in terza persona, non so perché, ma mi sembrava più adatto, anche se forse è un grave errore di forma per una ff unica (in realtà ho letto un paio di libri, dove le autrici alternavano la prima alla terza persona, ma io non sono una scrittrice e non ho diritto a licenze poetiche …).

Altra cosa: “stile babbano” l’ho scritto in minuscolo perché è un aggettivo, ma non so se è giusto!

Vi ringrazio, come sempre, per le recensioni delle affezionate e no! Risponderò quanto prima a quelle dello scorso capitolo.

Ancora grazie e al prossimo capitolo!

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Capitolo 14
*** Pomeriggio in casa Black ***


Pomeriggio in casa Black

Stavo scendendo gli ultimi gradini che mi avrebbero portato nelle cucine, regno incontrastato degli elfi domestici, che nella casa dei miei zii stanno leggermente al di sotto del piano terra.

Ancora prima di entrarvi, mi ha raggiunto un profumino di dolcetti al cioccolato che ho sperato ardentemente sarebbero stati serviti per la merenda poco più tardi.

Poi ho colto il suono delle loro voci tutte concitate e più o meno impegnate nei preparativi di qualcosa che non ho capito.

“Signorina, cosa fa? Lei non dovrebbe scendere qui … veniamo noi da lei quando e se ha bisogno.” mi sono sentita dire non appena varcata la soglia della grande stanza.

Ho alzato gli occhi al cielo, ma cercando di evitare che mi vedessero … è stancante non poter fare mai qualcosa con le proprie mani, ma non volevo contrariarli troppo perché so quanto tengono a fare bella figura. Quindi, discretamente, ho detto sottovoce:

“Non preoccupatevi, è un mio desiderio: voglio farmi un tè con le mie mani. Poco prima di sera mi piace, mi rilassa. Me ne andrò subito dopo, e nessuno se ne accorgerà.”

Loro hanno annuito incerti, lasciandomi comunque fare. Ormai, a casa mia, erano tutti abituati alle mie stravaganze, se tali si possono chiamare, e nessuno faceva più tante storie, ma in questi giorni di festa e di inviti in un luogo o nell’altro, spesso mi capitava ancora di stupire.

A volte mi sentivo a disagio, non comprendevo a chi assomigliassi, come mai avessi certe abitudini, a volte, invece, mi consolavo pensando all’eccentricità di Bella, al suo carattere spigoloso e pieno di vizi, alla maniacale vezzosità ed eleganza della piccola Cissy, così particolare per una ragazzina tanto giovane, e ai continui atti di ribellione di Sirius.

Sirius faceva disperare chiunque, soprattutto ultimamente. Parlava di motociclette, giornali e televisione.

Portava a casa continui rimproveri da parte dei professori, compensati da voti ottimi, che eguagliavano perfettamente quelli di mia sorella più grande.

Ero certa che, anche durante queste vacanze, si fosse concesso varie piccole fughe da casa, probabilmente per incontrare i suoi ormai famosi amici.

Era, a parer mio, troppo allegro, rilassato, troppo concentrato sui suoi segreti per essere semplicemente il Sirius che vediamo noi qui, fra queste mura.

Pensando tutto questo, ho dedotto che le nuove generazioni dovessero essere tutte un po’ originali e strane, e non fosse un problema soltanto mio.

Non appena il tè è stato pronto, mi sono mossa e ho salutato educatamente tutti gli elfi, lasciando la cucina.

Sono salita nel salotto con la mia tazza di tè caldo tra le mani: mi aiutava a scaldarmi in quella grande casa che, nonostante i tanti camini, aveva anche spifferi e correnti d’aria dovuti, forse, all’età degli infissi, dei muri e delle finestre enormi.

Non appena entrata nella grande sala, ho visto mio cugino Sirius seduto a gambe incrociate sull’enorme tappeto persiano con la sua bacchetta in mano, era concentratissimo su un libro antico che stava leggendo velocemente.

Se l’avessero visto i genitori, o i miei zii, l’avrebbero di certo rimproverato, la posa, la disattenzione, l’uso della bacchetta quando gli sarebbe proibito, ma lui non si è mai lasciato spaventare da certe chiacchierate con gli adulti … anche se, in cuor suo, deve comunque soffrirne molto: sempre critiche, sempre rimproveri.

Sedeva vicino al fuoco, probabilmente anche lui infreddolito quanto me dal clima della casa. Teneva una giacca di velluto sulla camicia scura, e ogni tanto la aggiustava sulle spalle, di sicuro non adorava quegli abiti troppo eleganti e ricercati che, in certi casi, diventavano effettivamente scomodi.

Sirius era cresciuto rapidamente in altezza e si stava palesemente facendo un bel ragazzo. Aveva di sicuro varie ammiratrici, ma non mi pareva si dimostrasse indifferente, non doveva essere ancora maturo emotivamente dal punto di vista sentimentale: non lo avevo mai sentito parlare una sola volta di ragazze, solamente dei suoi tre amici Grifondoro.

Avvicinandomi, ho notato meglio il grande e vecchio libro poggiato per terra che stava consultando.

Leggeva attentamente e ogni tanto agitava la bacchetta pronunciando qualche strano incantesimo che aveva a che fare con la parola “canem”.

Solo dopo svariati minuti mi sono decisa a disturbarlo.

“Ciao cugino! Posso sedermi un po’ con te?”

“Certo,” aveva risposto lui, alzando lo sguardo verso di me “vieni vicino al fuoco, Dromeda, altrimenti, ti gelerai! Questa casa è tanto buia quanto fredda.” mentre parlava, si era fatto leggermente da parte per farmi posto.

Seduti l’uno accanto all’altra, non sapevamo che dire, sembrava ci fossero migliaia di discorsi troppo profondi da affrontare e altrettante migliaia, troppo futili per perderci tempo.

Mi sentivo comunque a mio agio con lui, anche nel silenzio, poi, non so perché, ho deciso di chiedere se volesse un po’ del mio tè.

“No, niente tè, grazie! Ci vorrebbe una bella Burrobirra e poi un po’ di risate allegre, questa è una casa così noiosa e cupa ...”

Inaspettatamente mi è spuntato un sorriso:

“Parli proprio come un vero Grifondoro, ormai, cugino!”

Lui mi ha guardata sorpreso e anche molto orgoglioso:

“Esattamente quello che sono! Hai qualcosa in contrario, forse?”

C’era una leggera vena di sfida in quella frase, anche se poteva sembrare solo scherzosa; ho deciso di non dare adito a classiche rivalità tra Serpeverde e Grifondoro e ridere con Sirius.

Ero comunque contenta per lui, che si trovasse bene nella sua casa rossa e oro e fin troppo abituata a sentire le lamentele dei miei zii e genitori nei suoi confronti, per dargli addosso anch’io.

Avrei giurato che lui, al contrario, volesse aggiungere altro … ma che non abbia voluto continuare.

Non ho potuto però trattenermi dal domandargli del fratello, col quale, ultimamente, i rapporti si erano allentati e raffreddati.

“E il piccolo Regulus? Che mi dici di lui?”

Sirius ha gettato lo sguardo sul suo libro, ancora aperto davanti all’immagine di alcuni grossi cani dal manto diverso. Sembrava pensare a qualcosa di entusiasmante e tintinnava il legno della sua bacchetta sulle pagine ingiallite mentre taceva pensieroso.

“Regulus è, appunto, troppo piccolo, non capisce niente. Sta sempre dietro ai genitori.” ha risposto improvvisamente, quasi con tristezza, ma con grande convinzione.

“Ti vuol bene. E i genitori, ricorda, sono anche i tuoi …” ho detto, capendo però perfettamente ciò che Sirius intendeva dire con le parole di poco prima.

Poi d’improvviso lui ha accennato una frase strana:

“Sai, so che mi capisci in realtà, so che sei una forte, che non si lascia influenzare …”

Io non capivo un accidente di ciò che intendesse, così ho chiesto spiegazioni.

“Nemmeno tu frequenti sempre e solo gente della tua casa, né purosangue di lunga data …” ha risposto vago.

Un forte batticuore mi aveva colto all’improvviso ascoltando quella frase: cosa sapeva mio cugino veramente? Quanto sapeva e chi lo aveva informato? Aveva forse intenzione di farsi sfuggire certe notizie tanto importanti e delicate?

“Sirius? Cosa stai dicendo?” mi sono sorpresa a chiedergli con ansia e angoscia crescenti.

“Hai capito, dai, non hai bisogno di fare la finta con me …” mi ha detto “questo comportamento che tieni a scuola mi rende orgoglioso di te! Sei un punto di forza, l‘unica cugina che ora sento vicina.”

Sirius era buono e allegro come al solito, anzi, entusiasta, solo io mi ero agitata, mi sentivo in colpa e in pericolo, ecco perché, volevo nascondere tutto a tutti, e questo mi angosciava, stare in questo stato non mi piaceva per nulla, non era da me.

Non sapevo come sarei potuta andare avanti.

Nascondere una situazione del genere, tenere segreti, manovrare le persone a seconda della mia utilità, vivere nell’oscurità … questa non ero io, questa era mia sorella magari, ma non io che al contrario ero sincera, spontanea, contenta delle mie decisioni.

Non potevo andare avanti così.

Dovevo chiudere subito quella storia con Ted … se di storia si poteva parlare.

Lo sguardo allegro ed intenso di mio cugino mi ha distratto ancora una volta dai miei brutti pensieri, i suoi occhi grigi erano fra i più belli e singolari di tutta la famiglia, e riuscivano sempre a trasmettermi positività.

Proprio in quel momento, quando stavo tornando ad acquisire un po’ di tranquillità, Bella è entrata nella stanza come una furia, correndo e buttandosi letteralmente in ginocchio vicino a noi davanti al camino.

Ci siamo voltati entrambi verso di lei, stupiti, e pronti a chiedere cosa stesse combinando.

In quell’istante però, non ho potuto fare a meno di notare che, istintivamente, sia lei che Sirius, si sono scambiati uno sguardo veloce e forse per istinto, hanno accantonato entrambi due libri, lontani dalla vista l‘uno dell‘altro.

Mio cugino, il libro che stava leggendo fino a poco prima, Bella invece, uno che teneva fra le mani mentre si scapicollava nella stanza.

Erano pieni di piccoli segreti quei due, sempre in guerra l’un con l’altra, portavano scompiglio ovunque si incontrassero.

A nessuno, comunque, sfuggiva la somiglianza sorprendente del loro carattere. Intraprendenti, cocciuti, rumorosi, altezzosi come nessuno mai in questa casa. Solare uno, quanto cupa l’altra, ma in maniera da non passare inosservati.

“Che ci fai qui?” ha domandato subito Sirius rifiutandosi di spostarsi.

“Sono tua ospite, deficiente.” ha risposto Bella spintonandolo per sedersi più comoda.

Portava il freddo negli abiti e nei capelli leggermente scompigliati e aveva il fiatone, le guancie erano leggermente arrossate dal freddo, ma aveva un sorriso che la rendeva straordinariamente bella e raggiante: evidentemente aveva corso parecchio, ma per coprire qualche guaio combinato poco prima.

“Che hai fatto Bella?”

Lei ha alzato le spalle:

“Niente di importante.”

Subito Sirius ha incalzato:

“Sei sciocca e troppo stupida per essere capace di farla franca.”

“Se non taci ti butto nel fuoco, piccolo rompiscatole.” ha risposto lei in un secondo.

Ho dovuto farli smettere io con fatica: entrambi devono avere sempre l’ultima parola.

Erano quasi buffi.

In un attimo di tranquillità, mentre Sirius era andato a prendere i biscotti dal grande tavolo al centro della stanza , dove gli elfi li avevano appoggiati per la merenda, Bella ha steso le gambe vicino al camino, stiracchiandosi più rilassata e sorridente.

Osservava dritta la danza della fiamma, come ipnotizzata da essa, era vagamente sorridente e proprio in quel momento mi ha sussurrato:

“Non ne posso più di chiedere il permesso per fare quello che mi piace, ho trovato una cosa, su nella stanza di nostro padre, oggi la casa era deserta …”

Quella frase mi ha colpita nel vivo dell’anima. Non ho capito bene cosa intendesse lei, ma mi sentivo esattamente nello stesso modo: stanca di non poter fare ciò che mi andava. Anche se non capivo bene nemmeno io cosa volessi veramente, chissà se Bella lo sapeva davvero

“Che intendi? Là non ci dovresti nemmeno mettere piede.” le ho chiesto, forse per avere un aiuto, un chiarimento sulla mia stessa situazione.

Prima ancora che mi potesse rispondere però, Sirius è tornato con il cabaret pieno zeppo di biscotti al cioccolato, e sapevo che Bella non avrebbe mai parlato in sua presenza: per il momento, dovevo rinunciare a capire.

I momenti seguenti sono stati però splendidi, forse gli ultimi che ricordo così sereni e divertenti.

Bella, Sirius ed io chiacchieravamo seduti davanti al camino, litigandoci i biscotti più pieni di cioccolato.

C’erano risate allegre e gli spintoni tra i due, le grida e gli insulti che ne scaturivano, così poco signorili e purosangue, mi facevano davvero divertire e sognare.

Era quasi come quando Ted mi raccontava di cosa accadeva in casa sua, stavo vivendo le stesse sensazioni che provava lui?

Mi sentivo felice.

Solo poco prima della cena, quando ormai avevamo terminato tutti i dolci e nessuno dei tre aveva minimamente fame, il brusco ritorno alla realtà si è fatto sentire profondamente.

Le grida di mia zia hanno richiamato Sirius all’ordine: per qualche incombenza che non aveva svolto al meglio, veniva punito per l’ennesima volta in quei giorni. Un’ombra di rabbia, delusione e sofferenza è apparsa sul suo viso allegro e sereno, subito camuffata dalla sua tipica espressione da sbruffone.

Soffriva, ne ero certa, non lo dava a vedere, ma faticava a sopportare tutto quel che gli stava accadendo.

A Bella non importava nulla invece, non ha nemmeno fatto caso a quella nota stonata nell’espressione di nostro cugino, e nemmeno a quelle eccessive urla da parte di nostra zia, troppo insistenti per una stupida incombenza. Mi pareva nascondessero quasi una stizza repressa e radicata contro Sirius.

Non capivo: lui era pur sempre suo figlio, no?

Mia sorella si è alzata pigramente al richiamo per la cena, come se nulla fosse e nulla le importasse, meno che se stessa. Attenta a non farsi scorgere da nessuno, si è avvicinata per sussurrarmi:

“Magia oscura.”

Mi sono voltata spaventata e sorpresa a quelle parole, a quello strano tono che aveva assunto improvvisamente, sinistro, sibilante:

“Come, scusa?” ho chiesto.

“Magia oscura. Ricordi? Quello di cui mi avevi chiesto prima.” mi ha ripetuto sorridendo sicura e orgogliosa, poi si è avviata in avanti, lasciandomi sola, scomparendo nell’oscurità della casa.

Aveva ragione Sirius: lì dentro, in verità, era tutto freddo e cupo, e mi sentivo un forte peso nel petto.

E sentivo tanta voglia di stare un po’ con Ted Tonks.

……………………………............

Note:

In questo capitolo non succede nulla!!

Per cui non ho note da spiegare, solo da dire che mi stupisco di me stessa per l’inutilità.

A mia giustificazione dico solo che mi è piaciuto descrivere qualcosa della vita quotidiana delle vacanze di Natale.

Mancano i due piccoli Cissy e Regulus … ma li recupererò presto.

Sirius inizia a provare l’incantesimo per diventare animagus, per contro, Bella visita spesso e di nascosto la stanza dove il padre tiene libri di magia e comincia a provare la magia oscura.

Andromeda … si innamora sempre più … si sta accorgendo del suo sentimento perché inizia a sentire prepotente la mancanza di Ted.

Grazie di cuore a tutte coloro che hanno letto questo lungo noiosissimo capitolo …

A presto!

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Capitolo 15
*** I giochi sono stati tutti riaperti ***


I giochi sono stati tutti riaperti

Ero arrivato nel pomeriggio presto quel giorno, perché a casa mia a trepidare, onestamente, non riuscivo più a resistere.

Non sapevo bene cosa avrei fatto una volta in quel posto, sapevo solo che non potevo aspettare tanto a lungo prima di avviarmi verso casa Black. Figuriamoci poi se avessi dovuto attendere la sera, o l’ora del ricevimento.

Avevo pur sempre una scusa per giungere là prima, ovvero quella di voler vedere lo scambio di doni che erano soliti farsi durante l’avvenimento di quel giorno. Non ricordavo esattamente quale fosse, ma era un anniversario di famiglia, e loro davano sempre una grande importanza a certe faccende.

Ero però in anticipo persino per lo scambio di doni, speravo comunque che nessuno me ne avrebbe chiesto il motivo.

Così, effettivamente, è stato.

L’elfo domestico mi ha fatto entrare subito, senza nemmeno farmi attendere in anticamera, e altrettanto presto mi ha condotto direttamente da lei.

Forse non aveva nemmeno idea, quell’elfo, della nostra situazione sentimentale. O forse i miei zii erano così impegnati nei preparativi, che aveva pensato di non disturbarli e portarmi da Bellatrix.

Lei non si aspettava di vedermi tanto presto, questo era sicuro, e nemmeno si era accorta della mia presenza nella stanza, tanto era intenta sul suo libro di pozioni. Avevo fatto cenno all’elfo di non annunciarmi, di non dire nemmeno una parola e di lasciarmi con lei. Soli.

Quando l'ho visto allontanarsi silenzioso e ossequioso, ho voltato lo sguardo verso mia cugina.

Era più bella ogni giorno che passava.

Stava diventando anche sempre più diversa, più particolare rispetto a tutti coloro che abitavano in quella casa, a tutti gli appartenenti alla famiglia in generale.

Non saprei dire perché, ma c’era qualcosa di inafferrabile in lei che la distingueva, qualcosa di impossibile da descrivere a parole.

Aveva spostato la sontuosa poltrona di velluto morbido viola, la sua preferita, lo sapevo bene, dall’angolo della stanza al posto più vicino al camino.

Conoscevo alla perfezione quella poltrona: era grande, elegante, comoda, tinta di viola intenso e profondo. Ampia sì, ma era effettivamente impossibile starci insieme in due.

Sorridevo a quel pensiero, sogghignavo fra me e me.

Quanti lividi, quante risate soffocate sbattendo su quel legno antico e duro come il marmo. Quante volte ci siamo stretti, toccati, baciati in segreto lì sopra. Veloci, felici, furtivi, sempre attenti a non farci scoprire da chi, nell’altra stanza, stava consumando il tè delle cinque. Come i protagonisti indiscussi di un gioco sporco ed eccitante.

Quant’era bella, innocente quasi, davvero una ragazzina, e come si è sporcata subito, senza tanti indugi. Come le piaceva trasformarsi in colei che è diventata dopo: brava, spregiudicata, lasciva.

Se solo qualcuno sapesse chi è davvero la primogenita, la signorina Black …

Ed io ero con lei in quei momenti, a godercela insieme.

Ho sospirato per non pensare a cosa avevo fatto, agli ultimi avvenimenti fra noi. Ho mandato via quelle sensazioni troppo sentimentali e sono tornato a guardarla in silenzio, quasi di nascosto.

Cercavo un difetto, qualcosa che potesse togliermela dalla testa. Eppure mi piaceva anche così, china sul suo libro, con uno scialle di lana nera e ricamata abbandonato sulle spalle, senza cura. Lei, su quella poltrona vicina al fuoco, ci stava perfetta. Sola, regina, intenta a scrivere qualcosa sulla sua pergamena arzigogolata e fin troppo lunga. Una formula, alcuni ingredienti, le dosi necessarie, non lo sapevo, sapevo solo che era tremendamente affascinante.

Mille libri ai suoi piedi, buttati sul tappeto, aperti, chiusi, impilati. I capelli che le ricadevano di lato, lunghi fino a sfiorare il libro, belli, morbidi, spettinati. Li volta e rivolta sempre quando studia, lo sapevo, perché così lunghi le danno fastidio, ma non ha mai pensato di legarli come si vede fare alle mezzosangue, o le nate babbane a scuola, durante le lezioni, o in biblioteca.

No, io lo sapevo: lei è strega fino in fondo e non avrebbe mai legato i suoi bei capelli selvaggi.

Per quanto non mi lamentassi affatto del mio aspetto, davanti a lei mi sentivo sempre un mortale di fronte ad una dea.

Ho riso in quell’attimo di me stesso e di quello stupido pensiero, e il rumore leggero del mio riso le ha fatto alzare lo sguardo nella mia direzione. Solo lo sguardo, verso la mia persona, ancora lì, sulla soglia della stanza.

Non appena mi ha visto, si è accomodata meglio, appoggiandosi allo schienale della grande poltrona e ha sospirato quasi stanca, rassegnata, poi ha sussurrato:

“Evan.” scuotendo il capo e allontanando appena i capelli dal volto.

A volte, in certi atteggiamenti sembrava davvero già una donna.

Era sorpresa di vedermi, ma non lo dava troppo a vedere.

Io la desideravo ancora più di prima.

Forse era anche leggermente intimorita. Mi domandavo come mai.

Stava temendo proprio me?

“Stavo facendo i compiti, non pensavo fosse già ora dell’arrivo degli ospiti.” Si era giustificata.

Si giustificava? E perché mai?

“Sono io ad essere in largo anticipo, Bella, non ti preoccupare.” ho risposto. “Avevo il desiderio di partecipare allo scambio dei regali.”

“Allora vado a cambiarmi, fra poco arriveranno comunque i miei zii e gli altri cugini.” ha detto distrattamente alzandosi.

Stava scappando?

Allora non temeva me, temeva se stessa, aveva paura di cedermi?

Qualcosa stava cambiando in quel momento, la situazione si stava come capovolgendo a mio favore.

Ho sorriso. Anzi, percepivo un chiaro ghigno sul mio volto e sulle mie labbra. Allora non era così sicura di respingermi come voleva far credere.

Era la prima volta che eravamo veramente soli, noi due, dopo che era avvenuto il fatto: il litigio e la separazione.

Mi era chiaro, in quel momento, che non era poi tanto distaccata, tranquilla, pacifica. Non mi pareva che tutto fosse passato senza lasciare traccia, senza lasciare in lei un segno profondo.

Non mi muovevo, non dicevo una parola, la attendevo al varco: per uscire da quella stanza avrebbe dovuto passare dalla porta accanto a me.

Non appena mi è passata accanto, ha accennato uno sguardo, orgogliosa, dura:

“Ci vediamo più tardi.” ha detto apparentemente fredda.

Io le ho afferrato forte il braccio, forse più per avvicinarla a me che per trattenerla, perché era quasi ferma e vicina.

Volevo sentirla, percepire il suo corpo caldo, il suo respiro, la sua eccitazione quando mi stava accanto.

“Fermati, Bellatrix.” le ho intimato, ma in un soffio seducente, non voluto, non creato di proposito.

Si è fermata, non si è nemmeno ribellata.

Ho chiuso la porta dietro di me in un istante: mia cugina che non si ribellava voleva semplicemente dire che moriva dal desiderio.

Le ho passato un braccio attorno alla vita, l’ho stretta a me, ma non l‘ho baciata subito.

Eravamo vicinissimi, tanto che le potevo sfiorare la pelle del viso e del collo.

Sentivo il suo respiro farsi più profondo, le membra allentarsi, abbandonarsi.

“Allora,” ho domandato “cos’è cambiato? Ora mi vuoi?”

Percepivo con tutti i miei sensi il suo seno che si muoveva sul mio petto, appena, delicatamente, ma era sempre più chiaro che mi voleva.

Stava giocando, ero confuso da quel cambiamento inaspettato.

Poi ho capito: finché non avrà lui, non riuscirà a rinunciare completamente a me. Troppo ingorda, troppo vorace.

Se voleva ancora me, significava che ancora non aveva lui in suo possesso, non definitivamente.

Rodolphus Lestrange non rispondeva alla sua magia: povera Bella.

Dovevo approfittare del tempo che mi restava.

Ho iniziato a far scivolare la mia mano lungo la sua schiena, lei ha piegato lentamente il capo all’indietro. Le ho accarezzato quindi la nuca, avvicinandola a me definitivamente.

Mentre ci baciavamo, lenti e lascivi come da tanto non avevamo fatto, lei ha mormorato: “Ti odio, cugino.” senza accennare minimamente a fermarsi.

A quelle parole non mi sono più trattenuto: ho portato le mani sul suo seno e iniziato a scostare i vestiti, a liberarlo da essi con sicurezza e sapienza, la conoscevo bene ormai, conoscevo bene tutto di lei, ogni singola parte del suo bel corpo.

Ogni suo erotico desiderio.

“Anch’io ti odio, cugina.” le ho mormorato senza guardarla in viso. Sentivo solo le sue guance infuocate contro la mia pelle fredda per il vento di poco prima.

E siamo andati avanti, senza sosta, fino in fondo.

Sublime.

I giochi sono stati tutti riaperti.

“E non solo i giochi, piccola cuginetta.” ho sussurrato fra me e me in seguito, ripensando alle sue calde grazie.

E, ho riflettuto, ancora prima di parlare con suo padre, molto prima del previsto dunque.

……………………………....

Note:

Non ho molto da dire su questo capitolo: come potete notare e come nota soprattutto Evan, i giochi si sono riaperti, è successo un fatto che nessuno si aspettava.

Sto cercando di fare varie cose in un momento, per cui devo proprio essere breve! Se ho scordato di spiegare qualcosa, chiedete pure.

Ho scritto il capitolo piuttosto di getto, cercando di correggerlo il più possibile, ma non so quanto scorra stilisticamente, perdonatemi, darò un’ulteriore lettura domani!

Grazie a tutte per le recensioni, mi hanno fatto enormemente piacere, e spero che la storia continui ad interessarvi!

Alla prossima

Circe

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Capitolo 16
*** Gelosa ***


Gelosa

(Narratrice: Cissy Black)

Quel giorno era iniziato così bene, ero contenta e felice: era il giorno dello scambio dei regali.

Una ricorrenza che a mio parere diventava ogni anno più bella perché, crescendo, i regali erano sempre più interessanti.

Quando ero piccola, mia madre mi raccontava spesso delle vicende familiari e mi diceva che, durante i secoli passati, la nostra era una dinastia così importante, famosa e numerosa, da contare esponenti in tutta la Gran Bretagna. Ciò però impediva loro di riunirsi e vedersi frequentemente, per questo dunque, per ovviare alla mancanza di contatti e scambi fra i componenti, durante il periodo della festa di Yule, si stabiliva un giorno preciso in cui riunire la famiglia, scambiandosi anche doni per celebrare tutte le ricorrenze a cui non si era potuti presenziare.

Oggi il mondo magico è, purtroppo, molto ridimensionato, e così pure la nostra antica famiglia, ma la tradizione è rimasta, almeno in piccola parte.

E io ne ero enormemente felice, fantasticavo già dal giorno prima sugli eventi, poi il giorno stesso, qualcosa è cambiato, ha iniziato ad andare tutto male.

Non mi è stato possibile trovare mia sorella Bella durante quel pomeriggio, aveva promesso che, dopo aver fatto i compiti per la scuola, mi avrebbe dato una mano a scegliere il vestito, ma non si è vista da nessuna parte.

Un po’ tristemente, perché è da un pezzo che le mie sorelle più grandi sembrano sempre troppo impegnate per passare del tempo con me, ho preso alcuni vestiti di diverse fatture e colori e mi sono diretta verso la camera di Regulus: eravamo ospiti dei nostri zii già da qualche giorno, per questo potevo vederlo e parlargli tutte le volte che desideravo e, anche se non poteva sostituire Bella e Dromeda, era molto bello per me stare con Regulus.

Ho bussato prima di entrare, perché era assolutamente vietato entrare nella sua camera senza prima bussare e aspettare il suo regale permesso.

Comunque lui lo concedeva sempre quel permesso.

Non era come suo fratello Sirius che in ogni momento si mostrava scocciato di sentir bussare alla sua porta, sembrava sempre impegnato in qualche attività ben più importante che sentire cosa volessimo dirgli noi, e doveva avere un mondo di segreti dentro alla sua stanza privata.

Lui non aveva messo nessun cartello di divieto d’entrata, come aveva invece fatto Regulus, ma puntualmente urlava attraverso la porta che, se si era chiuso in camera sua, era per non venir disturbato.

Un carattere impossibile: indisponente e ribelle, come diceva sua madre ad ogni occasione, e non aveva tutti i torti.

Chissà poi cosa doveva fare, in quella così preziosa e privata stanza.

Per non parlare poi di Bella! Anche lei, che carattere incredibile. Non che urlasse o avesse attaccato cartelli, lei no, semplicemente se osavi entrare nel momento sbagliato, potevi aspettarti, all’improvviso, uno Schiantesimo in pieno petto o, se era in buona, un Levicorpus che ti faceva svolazzare per metà del corridoio. Quando non c’erano adulti in casa, poteva persino lasciarti appeso a testa in giù davanti alla porta della sua camera per un tempo illimitato o chiacchierare amabilmente con te come se nulla fosse, ma con una cattiveria incredibile nella voce, prima di farti scendere definitivamente.

Era maggiorenne, per cui poteva usare la magia anche fuori dalla scuola, questo fatto non era privo di pericoli come potrebbe sembrare.

E, per fortuna, noi qui ci laviamo tutti le mutande, non come quel nostro compagno a Slytherin che viene preso di mira dal gruppetto di mio cugino e che ha le mutande grigie.

Un po’ curioso che sia uno Slytherin, in effetti, date le sue strane abitudini, non deve venire da una famiglia facoltosa o antica, ne deve avere il sangue completamente magico, ma forse è lì grazie alla sua straordinaria abilità e ambizione che si trova fra noi!

Dimostra soprattutto grandissima intelligenza: il suo talento in pozioni, e varie altre materie, è difficilmente raggiungibile.

“Avanti” ho sentito all’improvviso pronunciare da Regulus, dentro la stanza, e questo mi ha destato da tutti i miei pensieri.

“Permesso,” ho detto sorridendogli.

“Posso parlare un po’ con te? Dovrebbe essere un giorno di festa e nessuno passa del tempo con me.”

Regulus ha sorriso subito di rimando e mi ha guardato con occhi contenti.

“Non ti lamentare … lo sai che Evan e Bella sono insieme, da soli, e già da un bel pezzo?” mi ha detto subito avvicinandosi e sussurrando leggermente, con fare complice.

“Sono al secondo piano, nel salotto. Forse faranno pace.”

Sono rimasta zitta, dopo gli ultimi giorni non mi aspettavo questa notizia, infatti, a quelle parole, il mio viso di solito pallido deve essersi subito acceso di rosso.

Ho pensato, seppur in maniera vaga e veloce, che si stessero baciando appassionatamente e parlando del loro amore, che stessero discutendo come di solito si fa con mia sorella per poi rimettersi insieme.

“Dici che si stanno baciando?” ho chiesto improvvisamente, senza nemmeno sapere perché.

Cercavo di immaginare come fosse baciare mio cugino Evan. Se Bella lo facesse in modo particolare, se a lui piacesse tanto.

Regulus è parso un po’ a disagio dopo quella domanda.

“Non lo so cosa stiano facendo,” ha risposto mentre mi prendeva i vestiti dalle mani e mi aiutava a stenderli sul suo letto, sembrava imbarazzato “ho visto per caso Evan entrare nella stanza dove stava studiando tua sorella, doveva essere arrivato da poco. Volevo che restassero soli, così ho atteso un po’ nelle vicinanze, fermando Kreacher che voleva chiedere loro se avessero appetito. Poi mi sono allontanato.”

Regulus era stato bravo, ho annuito con la testa per dargli manforte: ero contenta che questa storia tornasse normale.

Però, mentre ho pensato ad Evan con Bella, soli al secondo piano, vicini, insieme, mentre guardavo il viso un po’ imbarazzato di Regulus, qualcosa nel mio stomaco si è come stretto, facendomi male.

Non volevo pensarci, ma sono rimasta muta a sentire ancora le parole di mio cugino che aveva ricominciato a parlare:

“Avevano chiuso la porta, ho pensato che già li ho quasi visti una volta in atteggiamenti intimi, non volevo rischiare. Il mio intuito, comunque, mi dice che sta succedendo qualcosa di bello.”

Regulus parlava allegro, con una nota sempre imbarazzata, ma allo stesso tempo maliziosa, in quel momento mi sono resa conto di essermi stancata, almeno in parte, di giocare a Cupido con quei due. In fondo avrebbero potuto benissimo arrangiarsi.

Così ho cambiato argomento bruscamente.

“Cosa metto questa sera?” ho domandato avvicinandomi al letto e ai miei vestiti. Regulus era stranito, mi guardava interdetto. Io ero stupita di me stessa: avevo assunto lo stesso tono di Bella e non capivo perché. Forse anche qualche momentaneo atteggiamento.

Ho cercato di tornare in me:

“Mi aiuti per favore a decidere? Ci tengo.”

Mentre mio cugino osservava attento i vestiti e la mia figura, come se non mi avesse mai davvero guardata prima di quel momento, mi sono sentita di nuovo male. Non più la stretta allo stomaco percepita prima, era più un vuoto totale che mi lasciava triste e delusa.

Non mi importava più dei vestiti, né dei regali, né della bella festa.

Mi sentivo vuota, sì, è la descrizione più giusta.

Osservavo silenziosa la stanza di Regulus: sempre discreta e ordinata, ma ugualmente piena di vita. Tutte quelle foto del Quiddich, i compagni di squadra attorno a lui, le divise curate, i momenti dopo le partite: la sua vita raccontata in vari momenti che ritiene importanti.

Ancora nessuna ragazza fissa al suo fianco, nonostante lui crescesse a vista d'occhio e diventasse sempre più affascinante, meno ragazzino. Un fascino discreto il suo, sensibile,leggermente cupo e riservato, quasi distante da tutto e tutti. Aveva, in quelle immagini sparse dappertutto, pochi intimi amici spesso vicini, sorridenti a fianco a lui. Le coccarde, i piccoli stendardi Slytherin a rappresentare il suo amore sincero per la nostra casa.

Poi c’era qualcosa di nuovo: alcuni ritagli di giornale appesi tutti in un grande quadro, erano pochi, forse doveva ancora completare la sua raccolta.

Era Lord Voldemort, la stessa persona che piaceva a Bella: si infervorava sempre quando parlava di lui.

Ancora Bella: ho sospirato buttando fuori l’aria quasi in un soffio nervoso.

“Questo, Cissy, secondo me è il più adatto alla serata.” ha detto Regulus strappandomi ancora una volta alla mia sensazione del momento.

Mi sono voltata subito per vedere il vestito: era il più bello e sontuoso fra quelli che gli avevo portato a far vedere.

“E il più adatto a me? Qual è a tuo parere, quello più adatto a me?” ho insistito.

“Credo sia quello.” ha risposto mio cugino senza indugio, indicandomene un altro, non particolarmente diverso, ma più elegante e raffinato del primo.

Ho guardato attentamente i due vestiti, poi, di getto ho continuato senza nemmeno volerlo davvero:

“Se Bella te lo avesse chiesto, le avresti detto direttamente quello più adatto alla serata come hai fatto con me, o semplicemente quello più adatto a lei?”

Regulus ha riso di gusto.

“Balla non chiede queste cose! Non a me almeno.”

Mi stavo innervosendo: Regulus non capiva niente, l’ho guardato molto male finché non ha risposto.

“Penso le avrei detto subito quello che le si addice di più, ma perché mi fai questa domanda?”

Non avevo idea del perché, non potevo rispondere.

“Tu preferiresti me o Bella?” ho domandato istantaneamente pentendomi pochi secondi dopo.

Regulus ovviamente non sapeva come rispondere e soprattutto cosa rispondere, la domanda era decisamente troppo stupida, nemmeno io capivo cosa mi stesse prendendo.

“Scusa, cugino, mi sono espressa male, non volevo dire niente di ciò che hai capito.”

ho detto, tentando di rimediare alla figura fatta, e dirigendomi poi vicino al suo letto. Ho preso tutte le mie cose e i miei vestiti e sono praticamente fuggita, lasciando Regulus ancora allibito.

“Cissy, io veramente non ho capito nulla!” ha provato ad urlarmi dalla porta della camera, ma io ero già sulle scale, andavo velocemente verso la stanza degli ospiti, sperando di non incontrare nessuno della casa.

Non ho voluto rispondere a mio cugino che ero terribilmente arrabbiata per il fatto che Evan avesse già perdonato Bella.

Ero gelosa.

Improvvisamente, in una manciata di minuti e parole, avevo iniziato a pensare tutto il contrario di ciò che avevo desiderato fino a pochi giorni fa: che i due tornassero insieme per il bene della famiglia.

Mi pareva di essere impazzita.

……………………………...

Note:

Finalmente sono tornata coi miei aggiornamenti lampo (anche se non so quanto dureranno, per ora la voglia e l’ispirazione ci sono e ne approfitto).

Ho aggiunto il narratore sotto il titolo perché ho riflettuto che in effetti non in tutti i capitoli è tanto facile capire subito chi appunto narra! Mentre nelle mie altre storie l’ho spesso aggiunto, qui mi scordavo sempre o non ci pensavo.

Come avrete notato, non solo Bella ed Evan combinano cose strane, ma ora Cissy è anche gelosa.

Solamente Fuck, almeno così mi pare di ricordare, aveva vagamente colto negli scorsi capitoli un accenno di questo “amore”.

In effetti eccolo qui che è scoppiato improvviso e potente. Non sarà un grande amore che farà nascere chissà che intrighi e peripezie, ma una semplice cotta adolescenziale, però intanto è presente, e sconvolge i piani dei due piccoli di casa.

Direi che su questo capitolo non ho altro da annotare, per cui vi ringrazio e vi do appuntamento al prossimo capitolo: potrebbe essere un aggiornamento lampo o meno, ho idee sia per questa storia sia per L’erede dell’erede. Se pubblicherò prima dei miei soliti standard comunque, vi avviserò nel gruppo!

Grazie a tutte!!

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Capitolo 17
*** La sala dei ricevimenti ***


La sala dei ricevimenti

Le donne sono strane, questo lo dicono tutti. Le mie cugine, ho scoperto, non fanno eccezione.

Avrebbero dovuto essere contente quel giorno, anche di più di quanto lo fossi io: si ricevevano i regali più belli di tutto l’anno, nessun adulto ci stava troppo addosso perché la famiglia riunita completamente finiva per essere troppo numerosa per riuscire a controllare ragazzi e ragazzini e, soprattutto, avevano esaudito molti dei desideri più grandi di quel periodo.

Cissy aveva appena saputo che forse Evan e Bella si erano ritrovati.

Bella ed Evan, forse, si erano ritrovati.

Dromeda, a cui è sempre piaciuto questo periodo dell’anno, ricco di sorprese e compagnia, poteva godere di tutto il tempo libero che desiderava avere. Avrebbero dovuto essere tutte al settimo cielo, ma non mi sembrava affatto così per nessuna delle tre.

Sirius, dal canto suo, era impacciato e di cattivo umore, ma lui è diverso, queste occasioni non le può sopportare da sempre.

L’unico ad essere contento sembravo proprio io e questo mi faceva arrabbiare perché la trovavo un’occasione sprecata di divertimento.

La sala destinata al ricevimento era quella enorme al pianterreno, usata solo in rare occasioni, tanto è grande e difficile da riscaldare. Possiede due porte e una grande arcata che dà su un’altra stanza anch’essa enorme. Grandi finestre che danno su Grimmuld Place, alle quali spesso sorprendo affacciato mio fratello, molto più spesso di quanto non facciano tutti gli altri, come se si passasse il tempo, fin da quand’era più piccolino, a guardare il via vai dei passanti Babbani.

A volte penso che mio fratello sia attratto da mondi e storie lontane, che non appartengono né a me, né al mondo in cui vivo io e ho paura che non riusciremo, almeno con lui, a trattenerlo con noi come io e Cissy speravamo.

Io invece sto bene in questa casa, fra le mie cose. La stanza dei ricevimenti è molto particolare, la tappezzeria delle pareti sembra dorata, fin sopra, all’angolo col soffitto, che non è esattamente un angolo, ma un ovale affrescato come in alcuni palazzi del settecento. Quel colore così caldo dà luce a tutto l‘ambiente: è la stanza più luminosa di tutta la casa.

Ci sono svariati camini e splendidi lampadari al soffitto: mi piace quella parte della casa, mi ricorda molto mia cugina Cissy, così bella ed elegante, e anche rassicurante e luminosa, a modo suo.

La immagino spesso, da adulta, in una casa simile.

Prima di scendere, comunque, sono passato a chiamare mio fratello che era ancora rifugiato in camera sua: di solito ci rimane fino all’ultimo minuto possibile.

“Sirius, vieni?” ho detto attraverso la porta. Lui mi ha aperto subito, anche se imbronciato, sfoggiando un completo scuro, come si conviene, ma con un mucchio di strane decorazioni dorate e vagamente rosse. Stavano perfettamente: mio fratello ha un gusto ineccepibile, molto più di me purtroppo, che a queste cose non so mai come ci si faccia caso, e nostra madre mi deve sempre aiutare.

“Farai infuriare mezza casata dei Black con quei colori, Sirius.” ho detto guardandolo di sottecchi.

Lui impettito e orgoglioso, ma con uno sguardo vagamente incerto, ha risposto:

“Peggio per loro, io sono contento di essere capitato a Grifondoro e voglio che tutti lo sappiano.”

Gli ho sorriso: tipico di mio fratello. I guai se li cercava, ma almeno in seguito aveva il buon senso di non lamentarsi. Nonostante io non sopportassi affatto i Grifondoro, ammiravo Sirius, anche se non l’avrei mai ammesso a lui direttamente. Aveva davvero coraggio, anche se apparentemente queste piccole cose che faceva sarebbero potute sembrare sciocchezze, per noi non lo erano, per una famiglia come la nostra e per dei genitori come i nostri, acquistano un valore di enorme.

Sirius era uno che sapeva sfidare, e non aveva paura di vincere.

Scendendo la grande scalinata è rimasto zitto e imbronciato, mentre io lo seguivo pensieroso, sfoderando poi un gran sorriso alla vista di Andromeda, con la quale subito ha fatto comunella per parlare dei regali.

Ho sbuffato appena: ecco che già mi lasciava da solo, neanche il tempo di dire due parole. Ecco che già un paio di ragazzine, di non so quale lontano grado di parentela, gli sono letteralmente volate vicine.

A lui non interessavano, le snobbava con alterigia e orgoglio. Io non so cosa avrei fatto al suo posto, non mi era capitato di avere ragazze che stravedessero per me.

Invidiavo un po’ mio fratello per questo, anche se la cosa non mi interessava del tutto.

Insieme a quelle ragazze c’era anche Cissy, che naturalmente non è affatto volata verso Sirius, anzi, sembrava muoversi controvoglia e parlare a stento.

Normalmente lei è sempre stata al settimo cielo durante questi eventi: gli occhi le brillavano, la voce diventava allegra e squillante e il sorriso quasi radioso. Durante quelle occasioni sembrava dimostrare molto più dei suoi anni, sembrava quasi diventare una giovane donna.

Quella sera era invece taciturna e imbronciata, ciò le faceva acquisire un’aura glaciale che avrebbe tenuto chiunque a distanza.

D’altra parte era tutto il pomeriggio che si comportava in maniera particolare, e non avevo ancora minimamente capito per quale ragione.

Anche Andromeda era strana, nemmeno a farlo di proposito.

Non aveva perso il suo sorriso e nemmeno la sua proverbiale gentilezza, ma aveva qualcosa di misterioso.

Era più taciturna del solito e si limitava ad annuire invece di chiacchierare come sempre. Era bellissima: il suo vestito attirava molti sguardi, anche delle ragazze e signore più adulte, sia per la bellezza che per il gusto.

Fra i capelli portava un piccolo diadema con alcune forcine che illuminavano la chioma castana, raccolta apparentemente senza un ordine preciso. Le labbra rosa confetto erano perfette col colore della carnagione e dei capelli. Sembrava si fosse fatta così bella per qualcuno.

Sembrava che i suoi occhi inquieti lo cercassero, anche se in maniera triste, senza speranza.

Mi sono chiesto se mia cugina si fosse innamorata davvero di quel Nato Nabbano come sosteneva Cissy, o se durante queste vacanze fosse rinsavita e avesse baciato un purosangue, e dunque se ne fosse innamorata dimenticando quel rifiuto che è Ted Tonks.

Ho sospirato sfinito: quanti problemi che dà l’amore, speravo di innamorarmi il più tardi possibile.

E quanti problemi poi ha chi deve cercare di riportare alla ragione cugine e fratelli impazziti, non sapevo davvero cosa fosse peggio.

Stanco di pensare a tutti quegli intrighi e di fare tutte quelle osservazioni, mi sono diretto verso il posto in cui erano raccolti i regali: volevo dar loro un’occhiata.

Attorno al camino centrale ho visto una miriade di pacchi e pacchetti multicolore con nastri e fiocchi rigorosamente argentati: mi sono avvicinato per cercare di riconoscere il mio.

Non si sarebbe dovuto fare: era vietato dalla consuetudine provare a riconoscere il proprio oggetto. Però, pensavo, Sirius rompeva sempre la consuetudine: perché io no?

Volevo solo sapere se quest’anno, finalmente, mi avrebbero regalato ciò che sogno da sempre, da quando gioco a Quidditch.

Il regalo più bello che si possa desiderare, il più ambizioso, il più importante: la scopa Nimbus Fire, l’ultimo modello.

Va velocissima.

Ero a pochi passi dal camino centrale dove era radunato per l’occasione il gran mucchio di regali, già stiravo e piegavo il collo per vedere qualche pacchetto dall’aspetto lungo, qualcosa che potesse ricordarmi un manico di scopa. Poco dopo, con la coda dell’occhio, ho intravisto un ragazzo che mi ricordava qualcuno di scuola. Qualcuno fin troppo conosciuto, che non avrei certo voluto vedere in quel luogo, e in quel momento.

Si trovava al di là del grande camino, la sua figura era leggermente sfocata per il calore che proveniva dal fuoco, ma non potevo sbagliare: alto, magro, i capelli scuri e vagamente spettinati, lo sguardo cupo e apparentemente perso.

La sua eleganza, terribilmente diversa dalla nostra, era palese. Gli abiti scurissimi, le labbra che spiccavano di un colore acceso, un colore che mai e poi mai un inglese avrebbe potuto sfoggiare.

Si teneva in disparte rispetto alla maggior parte della gente e, probabilmente, non capiva nemmeno la metà delle conversazione delle persone che aveva attorno.

Quello era Rodolphus Lestrange senza ombra di dubbio.

Era strano vederlo senza nulla da bere in mano, ma in quel momento non mi pareva un dettaglio importante, non sembrava nemmeno magro come al solito, o così inquietante come lo ricordavo a scuola, ma era lui, ne ero certo.

Come un fulmine mi è balenato nella mente un solo pensiero: dov’era Bella in quel momento?

Se fosse stata con Evan, e i tre si fossero incontrati, il francesino avrebbe sicuramente capito che non ci sarebbero state speranze per lui, e tutta la situazione sarebbe andata a posto prima ancora del previsto.

Dovevo cercare Bella, e subito.

L’avevo intravista vagamente alla mia entrata nella sala, ma si era mantenuta a distanza, senza interagire davvero con nessuno.

Anche lei era appunto strana: invece di essere felice per quello che era successo quello stesso pomeriggio, sembrava avere un’aria scontrosa e si manteneva alla larga da tutti, quasi ce l’avesse col mondo.

Solo ad Evan rivolgeva appena la parola e solo lui pareva riuscisse a starle vicino durante quella serata.

Non è semplice trattare con mia cugina quando è di cattivo umore, ma mi sono messo a cercarla ugualmente, con lo sguardo, fino a che non l’ho scovata poco lontano.

Portava un vestito tutto nero, lungo, con alcuni brillantini sul decolté: sembrava una regina della notte, di quelle che si leggono nelle fiabe, quelle leggermente sinistre che poi si rivelano personaggi pericolosi.

Era splendida e non passava inosservata. Strano che Rodolphus Lestrange non l’avesse vista, notata, o salutata.

Senza perdere altro tempo, ho provato ad attirare la sua attenzione e, non appena ho intrecciato il suo sguardo, le ho fatto cenno di avvicinarsi.

Vedendola avanzare, tanto bella e scontrosa, mi sono lievemente tremate le gambe: forse avrei dovuto pensare meglio a ciò che avevo in mente di fare.

Ho fatto in tempo a sorriderle nervosamente, improvvisamente incerto, prima che mia cugina rallentasse, sgranando gli occhi, alla vista di quel ragazzo, di Rodolphus Lestrange, che aveva iniziato ad osservarla da un angolo della grande stanza.

 

…………………………..

Note:

Dopo tanto che non aggiorno, ecco qui il nuovo capitolo. Dal punto di vista di Regulus questa volta.

Anche lui ha notato il cambiamento di Cissy, anche se appena accennato. Mentre per quanto riguarda la parte finale, non per forza le cose sono come appaiono! Ma capirete meglio nel prossimo aggiornamento.

Per ora non ho nulla da aggiungere, come sempre risponderò alle recensioni mancanti nei prossimi giorni.

Grazie a tutte.

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Capitolo 18
*** Segreti accennati e mai svelati ***


Segreti accennati e mai svelati

L’aria era fredda e pungente e la nebbia di quella sera sembrava penetrare nella carne, faceva rabbrividire fin nelle ossa. Passeggiavamo silenziosamente nei meandri del giardino di casa, parlando sottovoce per non farci scoprire da nessuno, sempre che qualcuno avesse deciso di addentrarsi in quel nulla ovattato, pieno solo di nebbia e freddo.

Nessuno di noi pareva avere comunque intenzione di rientrare alla festa.

Il fumo denso che stavamo usando mi bruciava gli occhi fin quasi a farli lacrimare e pareva stingermi i polmoni tanto da non riuscire a respirare.

Rabastan, al contrario di me, non sembrava per nulla provato da questi dettagli; tranquillo e curioso, si perdeva con lo sguardo e la mente nel paesaggio che gli stava attorno, quel paesaggio avvolto nella nebbia londinese che sembrava un sogno. Doveva apparirgli un’atmosfera molto particolare quella, lui era abituato a paesaggi così diversi dai nostri… i giardini immensi della casa si perdevano nel grigiore invernale, gli alberi alti, il cielo bigio reso denso dalla nebbia.

Lentamente, tutto quel fumare faceva il suo effetto, nessuno dei due sentiva più il bisogno di parlare con l’altro e il silenzio sembrava completamente naturale. Io mi perdevo ad osservare il ragazzo che avevo di fianco.

Rabastan era il fratello di Rodolphus.

Erano molto simili, almeno fisicamente, ma non capivo come alla festa avessero potuto scambiarli l’uno per l’altro: Rodolphus era molto più magro, il suo sguardo più triste e crudele, inquieto e a volte inquietante. Era più nervoso, più misterioso e cupo.

Rabastan invece era più alto e muscoloso, più vivace e vagamente sorridente. Sembrava forte e pieno di vita, di quelli sempre interessati e protagonisti di ciò che li circonda. Solo i capelli erano proprio dello stesso colore per entrambi, castani scuri, sembravano molto morbidi e profumati.

Infine le labbra, anche quelle erano simili e terribilmente affascinanti, quelle labbra che sapevano prendere la piega smorfiosa tipica dei francesi e che trovavo nobili e tanto eccitanti.

Io non mi sarei mai sbagliata comunque, non avrei mai scambiato i due fratelli l‘uno per l‘altro, ma forse questo dipendeva dal fatto che mi ero innamorata del maggiore e lo avevo spesso nei miei pensieri.

Appena i nostri sguardi si erano incrociati in quell‘enorme sala fra tutti gli invitati, sembrava che entrambi avessimo perfettamente capito chi fosse l’uno e chi l’altra: io ero a conoscenza dell’esistenza di Rabastan dal libro che avevo letto sulla sua antica famiglia, per intuizione ero arrivata subito a capire che si trattava proprio del fratello di Rodolphus.

Ma lui come poteva sapere?

In fondo al mio cuore speravo che suo fratello gli avesse parlato di me in qualche modo, ma mai e poi mai mi sarei abbassata a chiedere.

“Sei a Londra per le vacanze, o vorresti venire a studiare qui come ha fatto tuo fratello?” mi sforzai di dire ad un certo punto, interrompendo quel silenzio che durava ormai da un po‘ di tempo.

Sapevo perfettamente, in verità, che Rodolphus non aveva potuto scegliere di venire a studiare qui, ma che lo avevano espulso dall‘accademia francese di magia. Attorno a questo fatto, però, vi era ancora un enorme mistero che avevo tutte le intenzioni di svelare.

Rabastan mi guardò sospettoso e sorpreso, ma decise di parlare.

“Sono semplicemente qui in vacanza, nulla di più. Mio padre voleva vedere mio fratello dopo molti mesi di lontananza, e avevo pensato di venire anch‘io.”

Ci guardammo entrambi negli occhi arrossati, ci avvicinammo stringendoci nei nostri cappotti, la forte umidità dell’aria iniziava a penetrare sempre più dentro di noi, rendeva umidi e pesanti i capelli, facendoli scendere sugli occhi, dandoci un’espressione intima e particolare.

“Sono venuto qui con mio padre per salutare mio fratello, ma alla fine non ce l’ho fatta.” aggiunse Rabastan in seguito, dopo quello sguardo che ci eravamo scambiati e quell’intima vicinanza fra noi.

Piegai la testa incuriosita, piantai i miei occhi scuri nei suoi leggermente più chiari, restai a guardarlo per alcuni istanti, poi decisi di spronarlo.

“Parlami.” dissi quasi con dolcezza, per invogliarlo a spiegarmi ciò che ignoravo ancora.

Rabastan però tentennava, non sapeva che dire, se aprirsi o meno. Solo poco dopo forse prese coraggio e iniziò il suo racconto.

“Quando Rodolphus era ancora a Beauxbatones aveva iniziato a comportarsi in maniera piuttosto particolare. Quando questo divenne particolarmente evidente agli occhi di tutti, dicevano che si trattava di un periodo di normale ribellione giovanile. Forse avevano anche ragione, ma io lo vedevo peggiorare di giorno in giorno, un po‘ mi faceva paura e un po‘ mi affascinava.”

Rabastan fece una pausa riflessiva, poi riprese subito a parlare.

“Anche se era mio fratello, mi parlava e mi spiegava molte cose, forse perché sono più giovane, forse perché abbiamo due caratteri diversi, non riuscivo a seguirlo completamente in questa sua continua opposizione, in questa sua rabbia perenne e distruttiva.”

Di nuovo fece una pausa.

Lo ascoltavo attentissima, forse mi avrebbe raccontato davvero tutto, speravo ardentemente di sapere. Feci un respiro lungo e profondo per ossigenare il cervello annebbiato da tutto quel fumo.

“Vai avanti.” lo incalzai.

Annuì più convinto.

“Rod era sempre così arrabbiato, arrogante e crudele con tutti, sembrava non avere mai paura di nulla. Mi affascinava, molto per questo e volevo essere come lui, ma non ci riuscivo fino in fondo…”

Lo interruppi un attimo: “Perché lo era?”

“Non so dirti, forse dimostrava solamente chi era davvero, quello che era e quello che aveva dentro di se,” rispose lui “man mano, di giorno in giorno, di mese in mese, è diventato sempre più terribile, sempre più litigioso, a scuola come a casa. Con gli adulti, come coi ragazzi della nostra età. Rideva molto e provocava tutti. E io con lui, fino a che me lo permetteva il mio carattere. Era bello e ci divertivamo un mondo.”

Di nuovo il silenzio, quasi all‘imprevviso.

Notavo che Rabastan rifletteva su come andare avanti: voleva parlare, ma misurava le frasi e i toni, evitava i dettagli.

D’altra parte, pensavo, io non ero che una perfetta estranea per lui, almeno in teoria era così, ma non ne ero più del tutto certa. Intuivo che qualcosa di me, per aprirsi così, doveva sapere.

Capivo le sue titubanze e cercavo di non insistere per non ottenere l’effetto opposto. Cercavo di giocarmi bene quel momento, restando cauta, anche se mi costava molta fatica.

“Poi…” riprese lui alzando le spalle con fare noncurante “mio fratello iniziò ad interessarsi di varie sostanze e intrugli, e a bere molto, ma davvero molto.”

Sentivo che stava arrivando al nodo cruciale, lo captavo benissimo dalla sua finta tranquillità e dal modo in cui parlava e non mi guardava.

Non feci in tempo a pensare al da farsi che subito deviò leggermente il discorso, senza però distaccarsi totalmente dal filo conduttore.

“Tu, Bellatrix, lo conosci abbastanza bene, vero? Nelle sue scarse lettere mi ha parlato molto di te.”

Il cuore prese a battermi violentemente: Rodolphus scriveva, e scriveva di me. Non gli ero indifferente.

Affatto.

Avevo avuto la sensazione di non essere davvero così estranea per Rabastan, ma non ero certa delle mie intuizioni, questa notizia invece mi mise di nuovo il mio fuoco nelle vene, sentivo la pelle del viso bruciare contro l’aria umida e fredda.

“Tu gli parli. Tu gli insegni la tua lingua, ti siedi accanto a lui durante le lezioni. E anche se non dice una parola, vi capite all’istante. Non hai paura o timore dei suoi comportamenti e della sua persona.”

Sorridevo di nascosto a quelle parole.

“Poi mi dice che sei bella, anzi, quello lo mette sempre come prima frase. Bella e fidanzata, ma quest’ultimo particolare non gli interessa davvero.”

Ridemmo entrambi a quell’ultimo accenno che Rabastan aveva detto con tono critico, era aggiunta da lui, probabilmente Rodolphus non aveva realmente fatto parola né del mio presunto fidanzamento, né del fatto che a lui non interessasse.

Ero certa invece, non so perché, che avesse detto che ero bella.

Questo mi rendeva, in quel momento, ancora più radiosa, esattamente radiosa.

Così radiosa che mi ero distratta per diversi istanti, la mia mente si era deconcentrata completamente dallo scopo.

Per qualche motivo sentivo di non controllare più la situazione compre prima, quasi che i miei poteri potessero convogliare anche la mente di Rabastan e carpirne i segreti. Invece a quei discorsi mi ero distratta fin troppo e la mia mente correva per mille pensieri e sentimenti incalzanti. Probabilmente la stessa cosa valeva per lui.

“Mio fratello beve ancora molto, Bellatrix?” mi chiese poi all’improvviso.

Rimasi spiazzata.

Ero certa che l’argomento fosse strettamente collegato con il segreto di Rodolphus, ma non sapevo bene come comportarmi per farmi raccontare davvero tutta la storia.

Immediatamente la mia mente tornò a scuola, a tutte le volte che l’avevo visto con un bicchiere in mano, o con le occhiaie scure e lo sguardo confuso fin dalla prima ora di lezioni, a quando decisi di bere io tutto quel bicchiere di whisky incendiario nelle mani di Rodolphus, a quel calore e poi i suoi baci sulle labbra, sul collo, sulla pelle delle spalle, così delicata e sensibile sotto i suoi morsi voraci.

Istintivamente decisi di proteggerlo: volevo che fosse mio e solo mio, era stato bello sapere che scriveva di me e pensava a me.

“Non beve molto. Solo qualche volta.” risposi mentendo in gran parte.

Questo però, forse, servì a sciogliere i sui dubbi, permettendogli di parlare.

……………………………...........

Note:

Era da un bel po’ che non aggiornavo questa storia, ma eccola qui.

Spero che vi ricordiate dove eravamo rimasti coi capitoli precedenti. Chiedo scusa dei ritardi, ma è proprio un periodo pieno.

Come sempre per qualsiasi dubbio, commento, perplessità, curiosità, mi trovate nel gruppo su fb!

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Capitolo 19
*** Ti amo, Andromeda ***


Ti amo, Andromeda

(Narratore Ted Tonks)

Quella sera, una visione improvvisa comparve nel mio giardino inaspettatamente, fu così che iniziò il mio sogno.

Stavo passando un’altra serata mortalmente noiosa, una di quelle serate delle vacanze natalizie passate in famiglia che tanto piacciono quando sei bambino e che tanto ti pesano quando sei ragazzo, poi, improvvisamente, una lucetta particolare proveniente da un angolo scuro del giardino attirò il mio sguardo.

Era magia: l’avevo riconosciuta subito.

Decisi di uscire subito a vedere cosa fosse quella novità; inventai precipitosamente una scusa coi miei genitori, volevo fare presto, volevo capire, e sentivo anche uno strano presentimento, come una spinta forte allo stomaco, una forza che muoveva i miei muscoli e portava la mia mente a sognare e sperare.

Attraversai il piccolo giardino precipitosamente e guardandomi intorno: tutto era tornato buio, ma per fortuna la mia casa non era molto grande e in poco tempo la trovai. Proprio lei. Era ferma immobile davanti ai miei occhi. Non mi guardò subito, giocherellava imbarazzata con le sue unghie, vicino ai suoi lunghi capelli ondulati.

Era bellissima. Sotto il suo bel cappotto di lana e feltro, tutto elegantemente e lavorato, intravedevo il vestito elegantissimo. I capelli erano in parte raccolti e in parte lasciati cadere sulle spalle, erano morbidi e splendenti, li vedevo magici. Un bellissimo diadema le illuminava il volto, la pelle, gli occhi e le labbra. Anche se sembrava triste ed imbarazzata, io la trovavo splendida e desiderabile come non mai, pareva irraggiungibile, invece era lì con me, davanti a me.

E io non riuscivo a dire una parola.

“Scusa se mi paleso qui in questo modo, senza preavviso…” disse lei improvvisamente alzando lo sguardo verso il mio. Sembrava realmente imbarazzata e cercava un aiuto, ma poi il suo carattere forte e determinato, che tanto mi affascinava in lei, deve aver preso il sopravvento.

“Sono davvero mortificata, ma è tutta la sera che ti penso, e non ho potuto rimanere là senza dirtelo. Penso a come stiamo bene quando siamo vicini, penso a come tutto diventa bello quando stiamo insieme e penso che con nessuno mai mi sono sentita così.”

Disse questa bellissima frase tutto in un colpo, ma lentamente, con tutta la sua eleganza e il suo intenso fascino che a volte la faceva sembrare una donna.

Ero incantato: lei, Andromeda Black, una principessa bella e dal sangue purissimo, lei, proprio lei era con me e mi diceva cose che mai avrei davvero osato sperare. Gli stessi pensieri che tormentavano e rendevano felice il mio cuore. Dovevo scuotermi, dirle qualcosa, farle capire che lei era tutta la mia felicità, ero ogni mio desiderio più dolce e ardito.

Riuscii a dire soltanto uno stupido, insignificante e balbettante “Dici sul serio?” mi stupii di me stesso, ma era ormai troppo tardi. Lei stessa rimase stupefatta e per qualche secondo ci guardammo negli occhi intensamente, senza proferire parola, speravo che almeno il mio sguardo parlasse per me.

Lei, dopo poco, si rilassò e sorrise lievemente, abbassò lo sguardo verso l’erba e si mosse lentamente con una grazia e un’eleganza ineguagliabili; la seguii d’istinto,  iniziò a parlare quasi subito con voce dolce anche se appassionata e un po’ spaventata.

“Sai Ted… stasera a casa mia c’era una festa molto grande e bella, sono iniziati i ricevimenti e festeggiamenti di Yule, e da noi è consuetudine ritrovarci tutti.”

Fece un sospiro e una pausa, io non feci altro che invogliarla ad andare avanti col suo racconto.

“Solitamente questi avvenimenti mi piacciono, o comunque li ho sempre trovati divertenti. Mi fa piacere vedere e parlare con le persone che in altre occasioni non potrei incontrare, e scambiarsi regali e sorprese è una consuetudine per me molto bella.

Ma stasera… stasera era tremendamente diverso. Notavo che per me nulla aveva più il senso e il significato di un tempo, già solo dall’anno scorso.”

“Avresti voluto vedere me?” azzardai.

“Sì…” disse con tono incerto e un po’ imbarazzato “mi sentivo enormemente sola, quasi fuori posto. Mi sorprendevo a guardarmi intorno come a cercare qualcosa, o qualcuno, che però non arrivava mai. Mi sorprendevo a cercare te, pensare a te, immaginarti lì vicino a me.”

Fece un’altra pausa e mi puntò i suoi occhi profondi addosso. Mi fermai di botto davanti a lei, quasi le afferrai un braccio per attrarla vicina al mio corpo. Invece di un gesto appassionato e pieno d’amore come pensavo risultasse, realizzai che le avevo semplicemente fatto male. Accidenti a me… la lasciai subito andare, ma esplosi immediatamente dopo dicendo:

“Anch’io ti penso sempre, Andromeda! Conto i giorni che mi separano dal ritorno a scuola per poterti rivedere e parlare. Ripenso in continuazione a quel nostro bacio improvviso e stupendo. Ripenso a tutti i piccoli passi che ci hanno portato da estranei a quello che siamo ora. Mi manchi quando non sono con te, vorrei sempre sapere cosa fai e cosa pensi.”

Fu in quel momento che sentii la sua mano sul mio viso e il cuore prese a battermi all’impazzata. Le dita sottili e incerte mi solleticavano leggermente la pelle, sapevo che mi avrebbe baciato, ma rimasi senza fiato ad attendere quel regalo così splendido finché le sue braccia non si strinsero alle mie spalle e al mio collo.

Era splendida, così vicina, col suo sguardo fiero così improvvisamente dolce e languido, era tutto magico che mi venne più che naturale sfiorarle delicatamente i fianchi per poi stringerla più forte a me.

Il bacio fu sublime, lungo, indimenticabile, il tempo e lo spazio attorno a noi non esistevano più, tutto per me iniziava e finiva con lei, col suo sorriso, sulle sue labbra, fra i suoi capelli lunghi e profumati.

“Ti amo, Andromeda, ti amo tantissimo.” le dissi appena le mie labbra si allontanarono per un momento dalle sue. Rimanemmo vicini, sentivo il suo respiro nel mio e vedevo i suoi occhi nei miei. Forse ero stato precipitoso a parlarle di amore, inopportuno, ma era quello che sentivo realmente e non avevo motivo vero per frenarmi.

Alle mia frase d’amore lei sorrise e mi ribaciò con affetto e passione. Non aveva risposto a parole, ma quel gesto significava che provava gli stessi sentimenti che provavo io.

Ero felice, eravamo insieme e ci amavamo.

Non so dopo quanto tempo, non so dopo quante carezze e sorrisi indimenticabili fra noi, una voce arrivò a farci tornare purtroppo alla realtà del momento:

Ted, ma che fine hai fatto? Dove sei?”

Guardai Andromeda e la strinsi a me, per non far distinguere le nostre sagome, poi le dissi:

“Cavolo! Mia madre… avevo scordato che ero uscito tempo fa…”

Rimanemmo entrambi zitti e fermi per pochi istanti, poi urlai:

“Vengo mamma!! Aspetta un attimo, sono qui in giardino.”

La porta si richiuse delicatamente in maniera molto discreta: mia madre a volte capisce tutto.

“Scampato pericolo!” le dissi e le sorrisi, Andromeda guardava verso la casa in maniera pensierosa, subito la sua espressione divenne preoccupata.

“Cos’hai? Qualcosa che ti impensierisce?” le chiesi.

“I tuoi genitori sono gentili, anche se hanno di certo capito che sei con una ragazza, non ti hanno detto nulla… quando i miei genitori e familiari sapranno di te e me, invece, mi uccideranno…”

“Ma no, dai, che dici?” cercai di consolarla. Dopotutto era un momento felice per entrambi, ma il suo sguardo impaurito e pensieroso fecero gran effetto anche su di me… la strinsi forte accarezzandole i capelli e restammo ancora così, abbracciati l’uno all’altro, per molto tempo.

Sapevo bene quanto i purosangue odiassero noi nati babbani, ma non potevo immaginare che gli ostacoli al nostro bellissimo amore sarebbero stati così terribili.

Eravamo comunque troppo contenti di esserci confidati i nostri sentimenti per farci rovinare questo momento dai brutti pensieri, felici di essere ricambiati in maniera totale e pieni di entusiasmo per il futuro, di voglia di rivedersi, parlarsi e stare insieme scambiandosi baci e abbracci infiniti.

Desideravo guardarla e conoscerla più di qualsiasi altra ragazza sulla faccia della terra. Ci salutammo con un bacio veloce, promettendoci di rivederci presto, il più presto possibile.

Mentre Andromeda si smaterializzò via, io restai a guardarla, poi rientrai in casa lentamente e con un bel sorriso sulle labbra. Ero all’apice della felicità e nulla avrebbe potuto rovinare, almeno in quell’istante, la mia totale estasi d’amore.

Nemmeno i genitori e parenti della mia bellissima innamorata.

 

……………………………….

Note:

Ed ecco finalmente l’inizio dell’amore contrastato fra Andromeda e Ted. I due si sono appena uniti e non possono immaginare effettivamente gli ostacoli che dovranno superare, o forse Andromeda comincia ad avere dubbi in proposito, ma lei è già una ragazza con un carattere forte ed indipendente, per cui è sincera nei confronti di se stessa e dei suoi sentimenti.

 

Questo è l’ultimo aggiornamento prima delle vacanze, ripartirò verso fine agosto con le storie. Ho abbandonato questa mia per un po’ di tempo e ho perso tutte le mie “recensitrici”… spero nel frattempo di trovarne di nuove! Chi volesse darmi un parere, è ben accetto!!

 

Grazie a tutte per le letture e buone vacanze!

Alla prossima

Circe

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Capitolo 20
*** Solo un incidente ***


Solo un incidente

(Narratore: Regulus Black)

Avevo questo nuovissimo modello di scopa e non stavo più nella pelle: dovevo provarlo.

La festa stava andando avanti e riusciva davvero bene, come ogni festa della nostra famiglia. Forse, riflettevo, avrei avuto la possibilità di fare una piccola fuga in giardino, attraversarlo velocemente e arrivare nella parte più nascosta di esso, meno visibile dalla casa; di sicuro nessuno sarebbe stato intento a controllare fuori dai salotti cosa stava succedendo, e io ero troppo impaziente di provare la mia nuova scopa, per aspettare il giorno seguente.

Per farmi coraggio e tentare, mi dicevo continuamente: “Mio fratello l’avrebbe fatto di sicuro, se gli fosse interessato, lui non avrebbe avuto paura. Lui sì che è un vero ribelle!”

Sirius in effetti è davvero affascinante in questo e io avrei voluto essere come lui, non si lascia mai dire nulla da nessuno senza ribattere, o senza avere il coraggio di fare comunque di testa sua. Decisamente tutto il contrario di me… a volte mi domandavo se fossimo davvero fratelli.

Mi guardavo intorno per avere forse conferma, ma mio fratello era lì, attorniato dalle ragazze, che rideva felice di tutte le premure e le galanterie che loro gli porgevano, anziché il contrario, e in quel momento non stava affatto sfoderando il suo lato ribelle solamente quello affascinante: ciò non mi aiutava a farmi coraggio.

Anche Cissy era impegnata ad assaporare il clima delle sue prime feste in cui partecipava da ragazzina ormai completamente indipendente, e ci riusciva benissimo, sembrava nata e cresciuta fra questi avvenimenti (come effettivamente era accaduto, ma non solo lei, anche tutti noi cugini eravamo cresciuti così. Eppure sembrava essere l’unica ad aver appreso davvero il piacere di parteciparvi attivamente, di sentirsi a proprio agio in queste situazioni e di diventare il personaggio più ammirato e osservato fra gli invitati).

Evan non era con mia cugina, da un po’ aveva preso a parlare con un gruppetto di amici a me sconosciuti che gli avevano fatto una breve visita per l’occasione; Bella infatti non si vedeva più da qualche tempo: era forse scomparsa col ragazzo Lestrange. A quanto pare il fratello dell’ormai famoso e odiato Rodolphus, per il quale l’avevo scambiato all’inizio, aveva catturato la sua attenzione e stravolto i piani di Cissy e me di unirla con lo storico fidanzato.

Bella sì che era sparita nel nulla, senza chiedere né permesso, né per favore; io dovevo semplicemente fare come lei, trovare questo coraggio. Mia cugina più grande non appariva affatto una ribelle come era per mio fratello, avevano un modo di fare completamente diverso per cui lei non sembrava per nulla tale, ma sotto sotto, nel buio e nel silenzio, riusciva a fare esattamente come Sirius, ovvero ciò che voleva. Pensare a com’era Bella mi dava spesso tanta sicurezza: con quel suo carattere forte e misterioso, con quel suo essere sempre decisa su ciò che diceva o desiderava, col fatto che era la più grande di tutti noi, mi trasmetteva sempre un senso di sicurezza straordinario.

Mi decisi, dunque: afferrai stretto la mia scopa e m’incamminai verso l’uscita sul giardino.

Notavo che nessuno faceva effettivamente caso a me, nonostante avessi un manico di scopa in mano, potevano certo pensare che lo andassi a riporre in camera mia, dopo averlo scartato e ammirato, proprio perché ci tenevo molto.

Mi allenavo tanto, anche duramente, sia a scuola che a casa, il Quiddich era tutto per me e lì riuscivo ad esprimermi totalmente, a dimostrare la mia forza, la mia intelligenza d’azione e il mio coraggio. A volte avrei preferito che tutta la mia vita fosse come il Qiuddich, sarei stato di sicuro più amato e più felice.

Era un pensiero vago che talvolta arrivava prepotente nel mio cervello. Sapevo che non sarebbe stato possibile cambiare la mia vita come nel gioco, non capivo dove potesse essere il boccino d’oro… non sapevo come fare dunque per vincere, allora tentavo di rimandarlo via, quel pensiero, di lasciarlo vago e in parte incomprensibile, solo nella mia mente.

Mi avvicinai all’armadio del cappotti per prendere la giacca comoda e pesante: la più adatta al volo, lì notai l’assenza del cappotto di Bella, a conferma del fatto che era uscita per conto su. Mentre indossavo la sciarpa però, notai un’altra stranezza: non mancava solo quello di mia cugina più grande, mancava anche quello di Andromeda.

Segno che anche lei era uscita di nascosto.

Fu un colpo per me: Dromeda non avrebbe mai fatto una cosa simile senza un motivo importante. Sirius sì, per scherzo o per dispetto, o per amore di libertà. Bella sì, perché aveva intrighi e affari suoi a cui prestare tutta la sua attenzione, ma Andromeda? Mi domandavo febbrilmente dove fosse mia cugina e perché fosse andata via.

Si faceva strada nella mia mente un pensiero assurdo e spaventoso, qualcosa di così estraneo e nuovo che mi lasciava agitato e spaventato: Ted Tonks, lo studente di Tassorosso nato Babbano. Fu un pensiero fulmineo che mi colpì come un dardo, non riuscii quasi a respirare finché il presentimento non mi abbandonò almeno in parte.

Uscii all’aria fredda e pungente, ricca di nebbia e umidità e mi calmai lentamente. Forse era staro uno sbaglio, un momento di paura immotivata, era stato così veloce che lo rimossi abbastanza velocemente dai miei pensieri: di certo Andromeda non era andata via per qualche motivo riguardante quella relazione assurda, sicuramente era più probabile che avesse semplicemente preso del tempo per sé, come stavo facendo io stesso, e per un giro all’esterno, sola coi suoi pensieri.

Feci un sospiro e presi ad occuparmi semplicemente della mia scopa, del mio volo e del cielo nebbioso che mia avvolgeva completamente. Dimenticai presto tutto. Le gocciole di umidità mi bagnavano il viso e assaporavo l’aria sulla pelle: non conoscevo sensazione più bella.

Passai un po’ di tempo lassù, azzardai anche un piccolo volo al di là delle mura di cinta, ma breve, alto e velocissimo, per evitare gli sguardi indiscreti dei Babbani; poi decisi di atterrare. Era splendido, la scopa era perfetta e rispondeva splendidamente ai miei comandi, saliva e scendeva con eleganza e velocità sorprendenti, ma non volevo rischiare oltre, era già stato bellissimo così. Scesi lento in una piccola zona cespugliosa, poco lontana dal sentiero, ma sufficientemente vicina ad esso per sentire vagamente delle voci che provenivano proprio da là.

Stavo per tagliare la corda quando fui attirato dallo strano tono dello sconosciuto che discorreva, mi fermai. L’accento era palesemente francese e anche alcune parole venivano pronunciate interamente in quella lingua: dovevo aver trovato Bella col suo compagno…

Riflettei per un attimo se fosse il caso o meno di restare, poi, vinto dalla curiosità, mi avvicinai lento e di soppiatto. Mia cugina è furba e veloce come un gatto, dovevo stare molto attento a non farmi sentire o vedere. Li osservai da poco lontano, erano seduti vicini e si guardavano di tanto in tanto. Per fortuna sembravano davvero presi nella conversazione e non parevano attenti al luogo che li circondava, probabilmente dubitavano che qualcuno potesse uscire a cercarli con quel freddo e quell’umidità pungenti.

Mi spostai lento e silenzioso per ascoltare anche le parole.

“Perché ti interessa sapere se tuo fratello beve ancora o non beve?”

Era stata mia cugina a parlare, la sua voce mi fece avere un piccolo sussulto, per fortuna fui abbastanza bravo da non muovermi e non fare il benché minimo rumore fra i ramoscelli a terra e i cespugli. Dovevo fare particolare attenzione perché la stagione invernale e gli alberi ormai spogli non mi aiutavano a mimetizzarmi, dovevo usare solamente cespugli e siepi.

Il ragazzo, mi pareva si chiamasse Rabastan, alzò le spalle per tagliare il discorso, ma lei insistette.

“Io voglio saperlo, non sono contro tuo fratello, anzi, lui stesso ti ha parlato di me. Posso aiutarlo a fare le cose giuste se voglio, se solo mi spiegassi…”

Bella aveva fatto un piccolo sorriso mentre accennava al fatto che Rodolphus aveva parlato di lei al fratello, raramente mia cugina sorride così. Ero geloso del suo innamoramento per Rodolphus, e non capivo perché, ma mi provocava fastidio acuto.

I due poi sembravano capirsi bene, mentre io stentavo a comprendere i segnali e le parole.

Bella non usava la forza, ma lo convinceva man mano, e lui non sembrava spaventato da mia cugina, fui geloso, credo, anche di quella strana intesa di caratteri che dimostravano al primo sguardo.

Percepivo le frasi non completamente, ma il discorso mi diveniva man mano chiaro: Rodolphus aveva un segreto, Rabastan desiderava comunicarlo a Bella, ma tentennava, naturalmente lei voleva saperlo e incalzava con le domande, pur senza esagerare.

Qual era questo segreto? Mi domandavo io tra i cespugli. Desideravo più di Bella saperlo e in fretta, anche perché quella situazione stava diventando, oltre che pericolosa per la mia incolumità, anche dolorosa per le mie ginocchia, per il freddo e l’umidità che permeava nelle ossa.

Ad un certo punto notai Rabastan voltare il suo sguardo verso mia cugina e lo mantenne così a lungo.

“Si tratta di una cosa seria… molto seria. Si tratta del motivo per cui ha cambiato scuola, per cui ha ambiato paese. Il vostro preside, qui in Inghilterra, si è offerto di sorvegliare lui stesso la situazione giorno dopo giorno. Rodolphus effettivamente si è molto calmato rispetto a prima, rispetto ai giorni dell’incidente…”

Bella a quel punto mi stupì: invece di andare dritta al punto aggiunse:

“Molto calmato, dici? In che senso?”

“Il fatto di seguire le lezioni, di parlarti e stringere un rapporto con te, di restare a scuola e impegnarsi a studiare prima l’inglese e poi gli insegnamenti di magia e affini, di parlare al preside su ciò che fa e non fa… tutto questo per lui è già molto complicato. Sono certo che si deve impegnare molto per seguire queste semplici regole.” Fece una piccola pausa, poi terminò dicendo: “Anche quando parla di te, diventa più sereno, meno arrabbiato. Me ne sono reso conto in questi pochi giorni in cui ho avuto modo di vederlo, anche se per poco.”

Mia cugina sembrava stupita, ma soddisfatta della risposta, dunque arrivò al punto fondamentale:

“Allora dimmi, cosa è successo a scuola, in Francia, qual è l’incidente che ha originato tutto questa faccenda?”

Aveva puntato i suoi occhi indagatori in quelli del ragazzo, e attendeva la sua risposta in silenzio. Dopo qualche istante di attesa, anche Rabastan parlò, lo fece con un fil di voce, ma sentii tutto come se l’avesse detto a pochi centimetri da me, come se anche gli uccellini, il vento e i rami degli alberi avessero taciuto inorriditi.

“Un ragazzo è morto a causa sua…”

La frase mi rimbombava nelle orecchie, non riuscivo a capacitarmi. Trattenni il respiro, non so se per la paura, la sorpresa, o semplicemente per sentire meglio la spiegazione che ne seguiva.

“Avevano litigato furiosamente… un incantesimo fu scagliato male: fu un incidente…”

Mia cugina continuava a guardarlo senza muoversi minimamente, non sembrava affatto spaventata, ma semplicemente colpita, sembrava quasi che un’ombra oscura e selvaggia l’avesse pervasa di interesse e passione.

“Un incantesimo scagliato male?” chiese ancora.

Rabastan la guardava senza sapere cosa rispondere, era evidente che Bella pretendeva di sapere di più.

“Non so i particolari, ti assicuro. Nostro padre riuscì in qualche modo a evitare il peggio, quel ragazzo era solamente un nato Babbano, mio fratello un purosangue; l’altro l’aveva pesantemente provocato e Rodolphus aveva subito reagito… molto violentemente. Era ubriaco, erano nei dormitori, fu disastroso. Io non so molto di più, non ero presente all’evento e non è facile parlare di certe cose, nemmeno in famiglia.”

Calò di nuovo il silenzio.

Aveva fatto tutto questo discorso in maniera concitata e febbricitante, era chiaro che nemmeno lui aveva superato il trauma di ciò che era accaduto.

Al contrario Bella sembrava tranquilla e riflessiva, non parlava, ma osservava un punto lontano sul prato, aveva sguardo attento e profondo, quasi inquietante.

Io ero atterrito e già strisciavo silenziosamente verso casa, avevo brividi di freddo e terrore, di schifo quasi, stringevo la mia scopa come per averne protezione, desideravo solo di tornare nel calore e nella normalità delle mura domestiche.

Mia cugina, mi sorprendevo a pensare mentre rientravo furtivo, al contrario di ogni aspettativa, mi sembrava realmente affascinata.

 

…………………………………………………………

 

Note:

Sono tornata con questa storia che procede lentamente, ma spero di farla procedere fino alla fine! Il capitolo che avete appena finito di leggere (se siete arrivate fin qui) è da riagganciarsi a quello precedente intitolato “Segreti accennati e mai svelati”. Lì si parlava del segreto di Rodolphus e ho pensato di svelarlo a questo modo piuttosto che continuare come nell’altro capitolo.

Avrete notato la gelosia di Regulus nei confronti di sua cugina Bellatrix, tengo particolarmente a precisare che non anticipa nessun amore o rapporto strano fra i due, o unilaterale ecc… semplicemente ho immaginato che il piccolo maschio di casa tenesse particolarmente alla cugina grande e a vedere come si stia allontanando lo fa essere possessivo e geloso. Tutto qui!

Direi che con le note ho terminato! Vi ringrazio per le letture e i commenti e vi aspetto sul gruppo!

Circe

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Capitolo 21
*** Stavolta ho vinto io ***


Lacrime e misteri
(Narratore: Andromeda Black)


Non appena aprii gli occhi quella mattina, non appena ebbi il tempo di pensare alla situazione in cui mi ero cacciata, questi mi si riempirono immediatamente di lacrime.
Nella mia mente hanno iniziato ad affollarsi migliaia di domande e pensieri.
Come avrei fatto a stare davvero con Ted? Come avrei potuto dirlo ai miei genitori e alla mia famiglia? Soprattutto, come avrei potuto passare ancora tutti quei giorni di vacanza che restavano senza di lui?
Mi sentivo così sola e angosciata, così piccola per problemi così grandi, non sapevo come risolverli, mi veniva solo da piangere e mi sentivo soffocare nell’impotenza.
Lo amavo così tanto che il solo pensiero di non vederlo, non potergli parlare, non sentirlo vicino a me, mi stava senza ossigeno e soffocavo il mio pianto incessante col cuscino, sembravano lacrime interminabili e nemmeno capivo esattamente il motivo di quello sfogo così disperato e dirompente, proprio quella mattina.
Era molto presto, la luce filtrava lieve dalle tende, la vedevo arrivare all’interno con innaturale lentezza, il cielo non era ancora completamente illuminato; speravo nessuno mi sentisse, speravo fossero tutti ancora addormentati, dopo le lunghe giornate di festa e prima di quelle che ancora ci aspettavano.
Non fu così, qualcuno era già sveglio, me ne accorsi poco dopo. Sentii un leggero fruscio nella direzione del camino, quasi un balzo appena accennato, mi voltai ma non vidi nessuno, solo dopo essermi appoggiata al cuscino singhiozzante, una carezza dolce ed impacciata mi fecero sussultare. 
Stavolta non potevo sbagliarmi, c’era qualcuno.
Alzai gli occhi velocemente e misi a fuoco la figura di fianco a me, in piedi vicino al letto: Sirius.
“Avrei giurato fossi un cane, Sirius!” dissi in un impulso di stupore.
“Davvero, mi era parso, poco fa, che fosse entrato un animale in camera, se non sapessi che non abbiamo animali in casa, avrei detto un cane!” aggiunsi velocemente, non appena incrociai i suoi occhi, e le lacrime mi si frenarono quasi subito per lo stupore.
Mio cugino sfoggiò un sorriso beffardo e sornione alle mie parole.
“No, non sono un cane, sono Sirius! E voglio sapere perché piangi! Ti hanno fatto qualcosa gli abitanti di questa casa? Perché capisco che le feste qui siano noiose, ma piangevi così disperata che deve essere successa una cosa più grave.”
Cercava di essere allegro, ma sentivo come una nota di preoccupazione ed infelicità nella sua voce, nonostante fosse così giovane, in fondo, cercava di essere forte per se stesso e ora di consolare anche me. 
Sapevo bene, o comunque lo percepivo facilmente, come stesse male nella sua casa e fra i suoi parenti più stretti, non mi ero tanto occupata di lui, pensavo fosse transitorio, magari un momento di ribellione. Invece ora che mi trovavo nella stessa situazione, o quasi, di impossibilità di condividere la vita della mia famiglia, lo capii benissimo e mi sentii in colpa anche, per non averlo mai sostenuto, per essere stata sempre così incomprensiva. 
Lui invece al primo accenno di bisogno da parte mia era qui, pronto per aiutarmi, non capivo nemmeno da dove gli venisse la forza di resistere, di essere se stesso sempre e comunque, nonostante le difficoltà e di essere anche pronto ad aiutare gli altri.
“Non ti preoccupare cugino, non è successo nulla di grave…” gli risposi vaga, ma mia forza non era pari alla sua, cercavo di fingere senza riuscirci.
“Se non parli subito, ti faccio un incantesimo urticante come quando non hai voluto restituirmi il peluche a forma di unicorno, tre anni fa, proprio per queste feste, ricordi, vero?”
“No, ti prego! Quell’incantesimo no!” risi fra le lacrime che si andavano ormai asciugando sempre più.
“Allora parla!” fece lui ridendo e sguainando la bacchetta. Aveva una strana risata selvaggia, mi ricordava continuamente un cane, ma era un riso aperto, sincero, simpatico. Era così diverso da tutti i Black che a volte mi sorprendevo a pensare se veramente facesse parte della nostra oscura famiglia.
“Sono problemi d’amore?” insistette centrando perfettamente il punto.
Mi tornarono le lacrime agli occhi, scesero improvvisamente e copiosamente.
Sirius si sedette vicino a me dicendomi che sarebbe andato tutto bene, che avrei potuto contare su di lui. Era poco più di un bambino e già mi diceva quelle cose, fu l’unico.
“Mi sono innamorata di un ragazzo, sai…” gli dissi allora.
“Sono felice, Dromeda, sono contento per te. Lui ti ama? Sì, vero? Altrimenti gli spacco il muso!” disse, senza fare alcuna domanda sullo stato di sangue.
A Sirius importava l’amore, non il sangue. In quel momento mi fu chiaro come il sole.
“Sì… lui mi ama… ma vedi…” dissi fra le lacrime “è un nato Babbano capisci cosa vuol dire…?”
Mio cugino si avvicinò a me è mi fece una carezza sui capelli, in quel momento lo vidi maturo e posato, quasi come se queste questioni lui le avesse maturate, ci avesse riflettuto e le avesse digerite ed elaborate molto prima di me. Lo aveva fatto secondo la sua coscienza, non secondo quella che gli veniva imposta. Per questo era tranquillo e pacato. Per me era un Sirius tutto nuovo, che non conoscevo minimamente, ma sembrava ancora più affascinante e forte di quello che dimostrava essere di solito.
“Sai Dromeda, un mio amico è follemente innamorato di una ragazza nata Babbana. Lui è un Purosangue… il suo problema però, al contrario del tuo, è che lei non lo ama, non la questione di sangue magico. Questa sì che è una cosa grave, non certo lo stato del nostro sangue. Davanti all’amore, non c’ nulla che non vada nel sangue del tuo ragazzo. 
Io penso che tu dovresti essere felice per l’amore che c’è fra voi e che potrà vincere su tutte le cose, il resto è secondario. Si può risolvere.”
Restammo in silenzio. Dovevo riflettere su tutto quello che mi stava dicendo, capirlo e farlo mio nel profondo; ma anche solo nell’udire quelle poche e semplici parole, sentii un calore maggiore nel cuore.
Annuii e gli sorrisi, lui fece lo stesso con me, rimanendo in silenzio.
Dalle finestre entrava ormai un po’ di luce che rischiarava leggermente la stanza, doveva esserci la solita nebbia fuori, ma l’alba era ormai giunta. Mi sentivo più sicura. Restammo ancora un po’ insieme, a parlare sottovoce, di nascosto.
“Chi è? Dai, racconta! Avete fatto molte cose… intime? Fino dove vi siete spinti?” mi chiese man mano con malizia sorridendo felice.
A quella domanda ci prendemmo a cuscinate, senza fare rumore, soffocando le urla e le risate.
“Ma ti pare che mi devi domandare certe cose? Tu sei mio cugino… e sei piccolo…”
“Ma quale piccolo è piccolo, io ho fatto cose che tu, cugina mia, non puoi nemmeno immaginare!”
E ridemmo delle sue parole, anche se qualcosa mi diceva che in un certo modo, lui stesse proprio dicendomi la verità. Che non fossero scherzi, o soltanto battute.
Dopo una lotta senza esclusione di colpi, non resistetti comunque dal confidarmi almeno con lui.
“Si chiama Ted Tonks, è di Tassorosso…” dissi imbarazzata, ma felice anche solo di pronunciare il suo nome.
“Non ti dirò fino a dove ci siamo spinti! Sei troppo piccolo, cugino!” aggiunsi ridendo, nascondendo un certo imbarazzo. Non volevo confidare a mio cugino, lui così avanti rispetto a me nonostante l’età, che ci eravamo scambiati solamente pochi baci.
Anche se si trattava di baci sempre più meravigliosi.
Sirius reagì subito attaccandomi come un cane che fa le feste, soffocante, entusiasta e felice: era difficile vederlo così affettuoso, anche se di indole lo è sempre stato. Ridemmo insieme fino a che non si verificò un fatto piuttosto strano.
Notammo la luce fioca che penetrava dalla finestra della stanza calare quasi di colpo, come se fuori una grande nube oscura avesse oscurato il cielo già nebbioso e grigio. Sirius ebbe un brivido, lo attribuì al freddo delle mura lugubri della casa: era mattino presto e nessuno si era ancora alzato ad accendere camini e quant’altro, nemmeno gli elfi domestici.
Ci sorridemmo in silenzio, guardandoci, senza più voglia di ridere e scherzare spontaneamente.
Sentimmo la porta della stanza cigolare appena, aprendosi poi lentamente. Mi venne un tuffo al cuore, lo stomaco iniziò a dolermi forte e il cuore accelerò il suo battito.
Qualcuno poteva aver sentito le mie confidenze? O era appena giunto alla porta? O giunto da poco, e quindi non in tempo per sentire?
L’angoscia mi afferrò tutta, anche Sirius si irrigidì fortemente, uno sguardo ostile e selvaggio gli illuminò il volto dopo pochi secondi, mi voltai anch’io a guardare verso la porta.
Una ragazza completamente vestita di nero fece capolino: la gonna di panno leggero le si appoggiava appena sopra il ginocchio, il maglione attillato come una seconda pelle le copriva il busto lasciando scoperto il collo e una scollatura non troppo pronunciata, le scarpe alte color dell’argento erano l’unico vezzo  che si era concessa quella mattina insieme alle calze nere, velate.
I capelli neri anch’essi, sempre più lunghi, le incorniciavano il viso e le spalle, gli occhi truccati di nero profondo avevano una luce strana, quasi inquietante. Era vestita e truccata alla perfezione, era quindi già sveglia da lungo tempo, non poteva essersi appena alzata.
Era, non so perché, l’ultima persona che avrei preferito vedere sull’uscio della mia porta, all’alba, quella mattina, esattamente dopo che avevo fatto tutte quelle confidenze a mio cugino Sirius. Voleva chiedere di fare colazione insieme…
Era mia sorella Bella.
 
Sotto l'albero di Yule
(Narratore: Evan Rosier)


Arrivai a casa Black nel primo pomeriggio, sapevo bene che a quell’ora pochi giravano per la casa e avrei potuto parlare a lungo con Bella, discreto e indisturbato.
Arrivai dal camino principale, dove mi accolse un elfo domestico dei tanti che possedevano in casa.
“Ho bisogno di vedere Bellatrix, portami da lei, elfo.” dissi in maniera sbrigativa non appena fece capolino nella stanza; mentre camminavo mi toglievo cappotto e guanti e mi preparavo alla conversazione.
“La signorina è nella stanza del grande albero, signore, proprio qui.” mi indicò l’elfo con deferenza. Bella era seduta sul divano più grande, proprio vicino all’albero di Yule da cui avevano già tolto e bruciato il ceppo.
Aveva posato a terra il libro e il quaderno dei compiti e mi guardava silenziosa mentre entravo.
Mandai via l’elfo con un cenno e rimasi per qualche istante ad ammirarla da lontano: diventava, per me, ogni giorno più bella. I capelli neri, vellutati, lisci come la seta. Lo sguardo profondo e attento, pieno di mistero. Solo i lineamenti fin troppo marcati facevano intendere che non era un angelo, ma aveva qualcosa di distorto nella sua immane bellezza, qualcosa di stonato.
Mi avvicinai silenzioso, poggiandole una mano sulla spalla.
“Evan.” disse soltanto.
Quando pronunciava il mio nome così, non potevo resistere e mi eccitavo subito. La desideravo come mai nessuna prima, desideravo averla, sottomettere quella bellezza e quel carattere indomabile e altero. Portai una mano alla bocca, mi massaggiai le labbra cercando di placare il desiderio.
Lei mi guardava, era impossibile comprendere cosa stesse pensando.
“Cosa sei venuto a fare?”
Pronunciava quelle parole quasi in un sospiro, capii subito che aveva voglia anche lei, la conoscevo troppo bene per non cogliere quei particolari.
“A vedere mia cugina.” risposi sedendomi molto vicino a lei. Il respiro le diventò più irregolare, lo percepivo abbastanza chiaramente. Ci guardammo negli occhi per alcuni istanti, poi le misi la mano in mezzo alle gambe, risalendo pian piano lungo le gambe coperte dalle calze lisce e nere come il velluto.
Emise un sospiro forte e si avvinghiò a me, accarezzò il mio viso con le sue mani e le sue unghie, la barba leggermente sfatta e tagliente le piaceva, poi il collo, poi le spalle.
La baciai a lungo, appassionatamente e voracemente…  lei mi ribaciò con ardore, lasciandosi toccare, lasciandosi tentare.
Chiusi le porte sforzandomi di compiere un incantesimo col solo pensiero, Bella mi guardò sfrontata e mi mise subito le mani sotto il mantello, sotto la casacca, la camicia… sulla pelle. Questo fu l’ultimo cenno che mi serviva per partire totalmente: le tirai su la gonna sdraiandola sul divano.
La volevo e lei mi voleva.
Questa ragazza era l’inferno: un giorno mi desiderava così, senza ritegno, l’altro non voleva avere nulla a che fare con me, amava me o amava Rodolphus Lestrange?
Forse non amava nessuno dei due.
Ci ritrovammo sul largo tappeto sotto l’albero addobbato, ebbi una sorta di ripensamento, ma poco convinto a dire il vero.
“Bella, siamo sotto l’albero sacro di Yule… la magia… le usanze… spostiamoci di qui.”
Aprì gli occhi in maniera strana e inquietante. Lanciò uno sguardo di  fuoco.
“Qui Evan.”
Non potei replicare, quella situazione, la sua bellezza soffocante, la sua aura crudele e oscura mi portarono ad averla con una violenza inaudita che mai avevo sperimentato prima.
Le piaceva, chiedeva di più. Fu un amplesso splendido e infinito, che solo mia cugina sapeva trasformare in qualcosa di magico e spietato.
La amavo, la adoravo, avrei fatto di tutto per lei e per scoparla a vita.
Tutto.
Questo mi dicevo, mentre sentivo il piacere esplodere in tutto il corpo, scuotendomi nel profondo.
Mi accasciai poco dopo con la testa sul tappeto morbido e la guardai: vicina a me, quasi indifesa, ancora leggermente affaticata e persa, i capelli scompigliati sul viso e le gambe ancora vagamente avvinghiate alle mie: ancora più bella dopo aver fatto l’amore.
Era pensierosa, silenziosa. Il rumore della pioggia che si era mischiata alla nebbia fuori, fece subito capolino alle finestre e in tutta la stanza attorno a noi. Bella spostò il suo sguardo fuori, verso il cielo.
Non gliene importava nulla di me, i suoi pensieri erano sempre altrove.
La strinsi a me, non fece resistenza.
“A che pensi?” domandai poggiandole le dita sul seno semi nudo, accarezzandola dolcemente.
“Penso a quando tornerò a scuola, alla pioggia che cadrà là.” disse con voce vaga, sempre così sensuale. Fu però come un colpo allo stomaco, un pugno rapido e in quel momento inaspettato, mi infuriai letteralmente: la odiai.
“Pensi a Rodolphus Lestrange! A quando te lo porterai a letto e starete come ora!” dissi cercando di non gridare.
Lei non negò. Semplicemente rimase in silenzio senza guardarmi, questo mi faceva arrabbiare ancora di più.
“Guarda che fai con me e poi pensi a farlo con lui!” dissi ancora puntandole gli occhi addosso e scompigliandole i vestiti “che razza di persona sei?”
La vidi rialzarsi e sistemarsi la gonna, le calze e le mutandine di pizzo nere che tanto mi erano piaciute poco prima: ora mi parevano uno strumento di tortura. Quella ragazza era una tortura vivente e io, stupido, non volevo liberarmene.
“Ci siamo sempre usati, Evan. Non far finta che non sia sempre stato così, non credere di amarmi improvvisamente. Ero la tua cugina piccola e bella con cui potevi divertirti a piacimento, ero la tua ragazza elegante, purosangue affascinante e potente con cui avresti fatto qualsiasi cosa.
Lo pensavo anch’io di te, non pensavo ci fosse altro al mondo, adesso è diverso. Ora non voglio più, ho cambiato idea. Non ho più nessuna intenzione di essere la tua fidanzata.”
Avevo esultato troppo presto. Dall’ultima volta che eravamo stati insieme, pensavo che avesse fatto marcia indietro, che volesse lasciar stare tutto e riprendere la storia con me. Invece non avevo fatto i conti con la sua incredibile cocciutaggine e il suo innato egoismo, mi ero illuso e questo mi irritava. Faceva i comodi suoi dal punto di vista sessuale, con me, forse finché non avrebbe avuto l’altro, ma di me non le importava nulla.
Crescendo stava diventando un vero demonio.
Già durante il ricevimento, quando la vidi scomparire per tanto tempo col fratello di Lestrange, quando la vidi tornare confusa e distratta, già lì dovevo capire che non avevo vinto, che Bella aveva tutt’altro in testa rispetto ai soliti festeggiamenti e le scorribande sessuali nelle stanze buie e vuote.
Era tutto cambiato, lei cambiata, il suo mondo cambiato.
Mi prese una rabbia forte e una gelosia dirompente.
“Maledetta bugiarda.” dissi prendendola per un polso “rivestiti ora, prima che tuo padre, o qualcun altro della famiglia venga a sapere che genere di figlia possiede. Non ho intenzione di perdere il tuo nome e prestigio. Sappi che ho tutte le intenzioni di non dartela vinta. Se non è amore, sarà guerra, ma ti dovrai piegare a me.”
Non disse una sola parola, ma sapevo che anche la sua rabbia, l’astio e la ribellione stavano crescendo a dismisura, soprattutto dopo le mie parole.
Stavo sbagliando a mettermi contro Bellatrix, o era la scelta più giusta? In quel momento il mio orgoglio ferito non sentì ragioni: lasciai la stanza e mi diressi da Cygnus Black.

La sfida di Evan
(Narratore: Bellatrix Black)


Quella cena sembrava davvero non dover terminare mai. Le portate parevano infinite, le chiacchiere a cui non prestavo alcuna attenzione, se non vaga e di circostanza, iniziavano a ronzarmi nelle orecchie come fastidiose zanzare; il tintinnio delle posate sui piatti mi dava il tormento e, infine, il calore che sentivo innalzarsi nella stanza, a causa dei tanti camini accesi e dell’agitarsi dei partecipanti, mi dava un forte senso di soffocamento.
Iniziava a venirmi un fastidioso mal di testa e mi mancava completamente l’appetito.
Era stata una giornata faticosa e strana.
Iniziai a guardare le persone che mi circondavano, tanto per passare il tempo: li osservavo e pensavo a cosa conoscevo di loro, i loro segreti e comportamenti. Impiegavo in questo una crudeltà e un astio che conoscevo fin da piccolissima, ma ora accresciuto da un’insofferenza nuova, una voglia fortissima di non essere lì.
Alla mia sinistra c’era Evan, come sempre. Era bello quella sera, teso e ostile, fingeva calma e affetto nei miei confronti. Fingeva soltanto, ovviamente: dopo il nostro ultimo incontro amoroso nel pomeriggio, aveva capito benissimo che i miei pensieri andavano a Rodolphus Lestrange e quindi non sarebbe riuscito a tenermi legata come era nei suoi piani e nei suoi comodi. Lui però ci avrebbe provato a legarmi, lo vidi dai suoi occhi e dal suo sguardo pieno di possesso e rancore nei miei confronti.
Voleva sfidarmi.
Mi temeva, aveva capito che non ero un’ingenua piegata al suo volere, che lo avevo anzi preso in giro nell’ultimo periodo, con quella stessa arte sessuale che lui per primo mi aveva insegnato. Anch’io mi sentivo però inquieta: Evan più grande di me, conosce più cose, ha più esperienza ed è molto furbo, inoltre è maschio, e, in questa famiglia, i maschi sono sempre favoriti e facilitati nei loro scopi. Sarei dovuta essere molto pronta ed intelligente per riuscire a vincere se mi si fosse messo contro.
Non sarebbe stato semplice.
Spostai lo sguardo e cercai di mutare i miei pensieri in qualcosa di più positivo.
Andromeda e Sirius erano seduti vicini poco più in là, quasi di fronte a me, ed erano allegri. Mia sorella si faceva ogni giorno più bella, dolce e delicata. 
Sapevo tutto di lei, il suo segreto, la situazione in cui stava. Lei forse aveva capito che ne ero a conoscenza e non era contenta di questo. Avevo già dei sospetti, già a scuola, nei primi giorni qui a casa, ma poi questa mattina presto avevo sentito tutto chiaramente.
In quel momento non volevo pensarci, non era affar mio, ma avrebbe potuto tornarmi utile saperlo, chissà.
Sirius invece cresceva col fuoco dentro e mi somigliava terribilmente: riconoscevo in lui lo stesso carattere battagliero, la stessa voglia di vincere sempre, lo spirito ribelle, la vivacità, la voglia di fare, persino la stessa potenza nella magia, l’abilità negli incantesimi. Eravamo però anche tanto diversi, quasi le facce opposte della stessa medaglia.
Nonostante questi pensieri però, la sicurezza non veniva, non riuscivo a distrarmi. Sentivo una sensazione sgradevole che non mi lasciava. A volte percepivo lo sguardo di mio padre sopra di me, uno sguardo che mi metteva a disagio.
Non capivo per quale motivo mi monitorasse, perché improvvisamente avesse tutto quell’interesse per me.
Non ne potevo più di stare lì ferma, volevo alzarmi e uscire all’aria aperta, prendere ossigeno e ritrovare lucidità.
Fu così che, voltandomi per controllare l’orologio a pendolo sulla parete della stanza, sperando di trovare la salvezza nella tarda ora che mi avrebbe dato un motivo di fuga, finii per incrociare definitivamente lo sguardo di mio padre, seduto come di consuetudine a capotavola.
Sembrava adirato. Mantenni la testa alta e lo sguardo fisso, non capivo: possibile che mio padre, che mi aveva sempre adorata e voluta bene, che mi aveva sempre tenuta in grandissimo conto avesse in qualche modo capito qualcosa. Fosse a conoscenza di tutti i miei segreti e comportamenti?
O qualcuno gli avesse detto qualcosa…
Guardai per un attimo Evan al mio fianco, lui mi sorrise.
Mi si strinse lo stomaco, avevo davvero un brutto presentimento.
Ricacciai indietro quei pensieri: non poteva essere.
Ritornai a guardare nella direzione di mio padre, il quale mi fece un cenno.
Ci fu un momento di attesa, un attimo che mi sembrò eterno, poi decise di parlare.
“Scusate, vorrei un attimo di silenzio e attenzione per favore.” disse improvvisamente “vorrei che Evan e mia figlia Bellatrix mi raggiungessero qui, a capotavola.”
Mi morsi le labbra e trattenni il respiro per un attimo, non sapevo che fare.
Guardai poi Evan di nuovo, lui mi sorrise ancora, con una luce diabolica di trionfo negli occhi. Mi alzai, sentii che appena percettibilmente mi tremavano le gambe; quindi, lentamente, raggiunsi mio padre accanto al tavolo. Il camino era a pochi passi da me, potevo chiaramente sentire il calore del fuoco e della rabbia che mi cresceva dentro farmi avvampare le pelle e il sangue.
Evan mi si mise accanto, per caso gli sfiorai la mano: era gelata.
Intanto mio padre riprese a parlare.
“Voglio approfittare di quest’altra cena per il solstizio in cui siamo tutti insieme per annunciare che ho deciso di far unire il sangue puro di mia figlia primogenita con quello del primogenito della famiglia Rosier. Porteranno avanti una grandissima dinastia di maghi Purosangue.”
Non ci fu un attimo di silenzio, molti commentarono e altri applaudirono, io non li sentivo nemmeno.
Evan non aspettò una parola né il brindisi di mio padre, si avvicinò a me e mi baciò stringendomi le sue dita fredde vicino al collo, fra i capelli. Lasciai fare.
Riuscivo solo a pensare che io volevo Rodolphus, solo Rodolphus Lestrange. Sentivo un calore infuocato tra le gambe solo pensando a Rodolphus, anche in quel momento di crisi totale.
Non so dire quanto durò, ma nel momento in cui, finalmente, Evan lasciò libere le mie labbra allora mi sussurrò all’orecchio una frase che non scorderò:
“Questo gioco lo preferisci all’altro? Ho visto che ti eri stancata e sai, non vorrei farti annoiare per troppo tempo.” 
Gli avrei strappato la pelle con le dita, vedendolo morire sotto ai miei occhi, ma eravamo davanti a tutti.
Feci per parlare, ma mi zitti’ con un dito vicino alle mie labbra. Poteva sembrare a tutti un gesto d’affetto.
“Stavolta ho vinto io, mia dolce cuginetta.”
E dovevo ammettere che si era mosso proprio bene.
 
 
.......................  
Ciao a tutte! Ultimamente ho deciso di dare una sistemata alle mie fiction, terminare le incomplete e rivedere un attimo questa che non mi convinceva.
Si tratta solo di riscrivere il finale, infatti ho cancellato gli ultimi capitoli e li sto sistemando. Non si tratta di un cambio totale del finale, ma solo di alcuni fatti ed eventi, o di come vengono presentati.
Per cui chi ha già letto la storia non vedrà grandi cambiamenti, chi non l’ha mai letta e decide di farlo, bene😊 mi fa contenta.
A occhio e croce dovrebbero essere 3 o 4 capitoli in tutto, compreso questo appena pubblicato.
Sono contenta se qualcuna di voi vuole farmi sapere com' è la storia!
Vi ringrazio ancora (per la pazienza di ritrovarmi qui su efp!)
Circe

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Capitolo 22
*** Allora spogliami, fai l'amore con me ***


Tutto pur di averti

(Narratore Rodolphus Lestrange)

Ero andato a piedi fino al paesino di Hogsmeade, incurante del freddo e della neve che ancora cadeva lentamente. In quei luoghi ce n’era sempre molta, rendeva tutto perennemente bianco, senza rumore, senza colore. Io non ero abituato e mi piaceva camminare nella neve, immerso nel silenzio, vedere tutto il paesaggio ricoperto dalla coltre bianca e il cielo sempre grigio e carico di neve anch’esso. 
Quello strano candore mi calmava i nervi.
Tutti quei giorni sempre da solo… non avevo quasi mai parlato con anima viva, non sapevo nemmeno più che suono avesse la mia voce. 
Però finalmente mi ero deciso ad uscire fuori, respirare aria, complice un errore di mio fratello che aveva inviato una sua lettera non a scuola, ma alla gufaia del paese vicino. 
Sono uscito quando ho avuto voglia, incurante dell’ora e di quanto avrei impiegato ad andare a piedi fino in quel luogo, non ho avvisato nessuno e nessuno mi ha notato. In questo modo, se non avessi avuto alcun desiderio di tornare, se fossi voluto scomparire per sempre da quel luogo, forse nessuno se ne sarebbe accorto e nessuno avrebbe potuto riportarmi indietro. 
Chissà perché pensavo sempre così.  
Avrei semplicemente dovuto gettare via quel po’ di Metropolvere che mi ero procurato per tornare, e di sicuro non avrei avuto la forza per rifare la strada a piedi e me ne sarei andato altrove, per sempre.
Non lo feci. Mi ero anzi tenuto la polvere ben stretta e ben da conto perché, prima di leggere quella lettera, stavo ancora abbastanza bene e sarei tornato a scuola quasi volentieri.
Però poi l’avevo letta quella lettera, al caldo, nel pub di Madama Rosmerta. L’avevo aperta e sfogliata e riletta. Mi aveva fatto veramente male, più di quanto avrei potuto immaginare. Così avevo ordinato due Whisky Incendiari e tutto era ricominciato da capo, come prima: il sapore forte, lo stomaco che si spaccava e il dolore che sentivo dentro che piano piano se ne andava via, almeno per un po’.
Tutto per la lettera, anzi no, per una sola frase. 
Quella frase mi dava un fastidio terribile e insopportabile. 
“… sai fratello, ho saputo che Bellatrix Black si sposa. Mi sa che sia vero, una notizia sicura, ne parlano in tanti. Con suo cugino, tale Evan Rosier. Tu ne sai nulla? Sai, mi piaceva quella tua amica, è così bella… a dire la verità mi era sembrato vi piaceste voi due…”
Chiusi gli occhi per un secondo, mi bruciavano, poi lessi ancora due righe.
“… quando siamo venuti a trovarti ci hai parlato di lei, anche nostro padre era così piacevolmente stupito della tua vitalità… e lei, sai, ad una festa mi ha chiesto di te… si è fatta raccontare…”
Si è fatta raccontare di me, però sposa un altro.
Mi innervosiva terribilmente, l’accartocciai nella tasca e cambiai locale, è un trucco facile: così nessuno si accorge di quanto bevi e ti servono comunque. Alla fine compri una bottiglia, che magari fingi sia per una festa, e bevi fuori, per i fatti tuoi.
Anche se c’è freddo e anche se sei da solo, camminando fra una stupida vetrina e l’altra, fra la gente che ride ed è felice e tu gli sputeresti addosso per lo schifo.
Alla fine mi sedetti su una panchina perché ormai faticavo a tenermi in piedi, mi appoggiai allo schienale bevendo un ultimo sorso e ricominciò pure a nevicare forte. Tutti tornavano nelle case, o nei locali del piccolo centro. Ero di nuovo completamente solo.
Sospirai.
Aveva ragione Rabastan… “è così bella…” e io l’avevo avuta così vicina quella sera... 
Estrassi di nuovo la lettera dalla tasca, non riuscivo più a connettere nulla, ma il pensiero vago di Bellatrix mi torturava la mente.  Spiegai i fogli sul mio ginocchio ormai bagnato dalla neve, tremavo e non me ne accorgevo. Guardai lo scritto di nuovo e mi colpì sempre la stessa frase “… Bellatrix Black si sposa…” era una vera e propria pugnalata ogni volta.
Assaggiai di nuovo un sorso, ancora un po’ e avrei perso i sensi. Lì da solo come un cane, su una panchina sperduta, in un paesino sperduto in Inghilterra, senza nemmeno sentire di nuovo i suoi baci e il calore della sua pelle.
Sorrisi e chiusi gli occhi. Pensai che sarebbe stato bello avere l’ultimo bacio da lei, magari farmi scaldare dalle sue labbra, dalla sua pelle, entrare dentro di lei e sentire tutto quel suo fuoco bruciante, vederla e baciarla ovunque, nuda in tutta la sua bellezza.
Un vero fremito di calore e di vita.
Sorridevo a quei sogni mentre la neve mi si fermava sul volto. Magari non era solo un sogno, magari se fossi riuscito ad alzarmi, a ficcare la testa nella neve morbida e ghiacciata e non morire, a non abbandonarmi al freddo vuoto, al nulla...
 Avrei tanto voluto tornare un po’ lucido, trovare un camino e usare la Metropolvere per qualcosa di utile, mi sentivo così male, uno schifo, a bere sempre fino a quel punto. Se solo fossi riuscito a smetterla di comportarmi così, come poi mi consigliavano tutti di fare.
Il male che sento tanto non passa, lo sento solo più forte ora, e mi sento incapace, non faccio quindi che peggiorare la situazione. Purtroppo però questi pensieri li faccio solo dopo essermi ridotto così e non prima, in modo da fermarmi, da evitare tutto ciò, in modo da stare bene. 
E lei ora si sposa, e io qui incapace di tutto, a morire sotto la neve.
Non volevo si sposasse, la volevo io. Era così chiaro ora che mi piaceva e quanto. Per un attimo rividi nella mente delle immagini, momenti di quell’anno passato vicini.
Quando si era seduta di fianco a me nel banco, l’ultimo banco in fondo alla classe, che avevo preso per stare solo e non dover parlare con nessuno. Lei era entrata, con la divisa verde e argento che per la prima volta vedevo bella indossata da una ragazza, i capelli neri lunghi sulle spalle, la camicetta leggermente aperta sul seno e alcuni libri. Quando si era seduta accanto a me, avevo subito provato a guardarle le tette, ma mi aveva rivolto la parola e quella sua voce sferzante mi aveva distratto.
Tutte quelle ore passate al Lago Nero, soli, sull’erba, al tepore del primo pomeriggio, quando mi parlava in francese e frammischiava l’inglese per insegnarmelo, se l’ho imparato subito, o quasi, è stato merito suo. Arrivavo sempre fatto all’inizio, dopo poco però avevo smesso, perché mi piaceva essere lucido quando parlavo con lei, quando la guardavo.
Seduti sul prato, a volte coi piedi in acqua, soli, allora sì che le potevo vedere le gambe, le labbra, la pelle.
In sala comune, quella notte in sala comune… quando mi aveva aspettato, così selvaggia, svestita a quel modo, mi aveva fatto quasi impazzire. Come ci eravamo baciati, con che foga e passione, quanto era bella e sexy, ricordo tutto, ogni suo sguardo, ogni centimetro di pelle, anche se avevo bevuto tanto, ogni sensazione mi è rimasta impressa nella mente.
Anch’io le piacevo, anche questo ora mi era chiaro. Non era solo un gioco.
Cazzo, se solo la smettessi con questa vita, senza morire ora. Senza star qui ricoperto di neve a tremare senza nemmeno accorgermene, freddo come il ghiaccio, immobile. Se riuscissi ad usare la Metropolvere…
Allora, magari… l’avrei avuta solo per me per davvero. 
Stringevo nella mano la Metropolvere, forse era l’unica cosa che ancora sentivo bene al tatto, per il resto volevo solo andare da lei.
Improvvisamente qualcosa deve avermi aiutato, fatto una grazia, mandato un po’ di immeritata fortuna: lo stomaco mi si è ribaltato completamente, iniziai a vomitare come un dannato tutto quello che avevo bevuto. Tutto fuori nella neve, vicino a quella panchina. Mi sembrava di morire, ma una morte migliore di quella che sembrava arrivare poco prima, una morte dolorosa, stomaco che si contorce, gola che brucia, lacrime agli occhi per gli sforzi, ma i polmoni riprendevano un po’ di ossigeno, la testa faceva male, ma riprendeva un pochino a connettere.
Dopo un interminabile tempo in quelle condizioni, il peggio sembrava passato, mi sentivo meglio. Mi ero pulito per bene la bocca con la neve, avevo cercato con fatica il primo pub nelle vicinanze, ordinato, per la prima volta, un bicchier d’acqua e cercato il camino per la Metropolvere.
Prima di usarlo andai nel bagno, cercai di sistemare i capelli completamente inzuppati di neve, lavai il viso e tolsi il mantello bagnato.
Lo specchio non rimandava un’immagine ottima di me, ma pazienza. Volevo solo andare da lei.

Tu sei come me

(Narratore Bellatrix Black)

 

Erano giorni che me ne stavo quasi sempre sola, chiusa nella mia stanza, senza vedere nessuno, o parlare con nessuno. Mangiavo e discorrevo pochissimo, semplicemente l’indispensabile. I miei pensieri correvano continuamente al problema che mi ritrovavo davanti: un matrimonio che non volevo e non desideravo per nessuna ragione al mondo.
Evan aveva convinto mio padre, e lo aveva anche convinto a fare in fretta. Mio padre probabilmente era arrabbiato per il mio comportamento spregiudicato, che poi spregiudicato non è, e voleva mettere le catene alla mia libertà di fare ciò che volevo.
Sono pur sempre una Black e come tale mi devo comportare, penserà lui.
Certamente, io sono sempre una Black e come tale mi devo comportare, ma secondo quel che penso io sull’essere una Black, non secondo quel che pensano loro.
Dovevo solo trovare un modo. 
Quale però ancora non lo sapevo, non mi veniva in mente. Mi torturavo il cervello e non trovavo soluzione.
Non era solo questione di perdere il ragazzo che desideravo, era dover essere costretta e imprigionata in qualcosa che non volevo, lasciare la mia libertà, sentirmi comandata in un mondo di decisioni imposte dall’alto, da padri, o da uomini che non rispettavo.
Non l’avrei mai permesso. Per un piccolissimo istante mi era sembrato di capire mia sorella, anche lei non si sarebbe lasciata comandare a bacchetta, mai. Solo che lei aveva scelto la parte sbagliata.
Io comunque dovevo pensare a me.
Mentre riflettevo su tutte queste cose, il buio si era fatto più scuro nella stanza, le giornate erano brevi e lasciavano ampio spazio alle tenebre. Mi alzai dal letto per accendere le candele e rischiarare un po’ la stanza, il fuoco crepitava nel camino, ma in quel palazzo tanto antico, spesso l’umidità entrava nelle ossa e c’era bisogno di ravviarlo spesso, comunque non sarei uscita dalla mia stanza quella sera, per cui tanto valeva pensarci io. 
Mi avvicinai dunque per sistemarlo e fu così che sentii strani rumori nel camino spento, adibito al passaggio con la Metropolvere: strano perché nessuno lo usava mai per entrare nelle stanze private e men che meno se non si è minimamente fatto annunciare.
D’istinto afferrai la bacchetta, ero pronta per attaccare. Mi si palesò però davanti un ragazzo che a stento si reggeva in piedi, tutto bagnato dal nevischio e pallido come un morto. Aveva gli occhi stravolti e cerchiati da occhiaie profonde, tremava anche un po’, disse qualcosa in un inglese arrangiato, con quell’inconfondibile accento francese che mi faceva battere il cuore e mancare il respiro.
Trattenni il fiato per un momento: quanto lo avevo aspettato… quanto mi era mancato, finalmente si era deciso a fare la sua mossa anche lui.
Mi avvicinai e lo baciai immediatamente. 
Dovetti reggerlo in quell’abbraccio e in quel bacio, era ubriaco e malfermo sulle gambe e freddo come il ghiaccio, le labbra erano pallide, ma tanto belle.
Persino i capelli erano bagnati, non capivo perché dovesse sempre ridursi in quello stato, ma l’ho sentito sorridere durante quel lungo bacio e questo è stato molto bello, rassicurante.
“Sono venuto da te, Bella, non ti sposare, resta con me, stiamo insieme, sposa me.”
Quelle parole mi avevano ridato forza e speranza, una soluzione l’avrei travata.
Il suo tocco mi fece rabbrividire in ogni senso, dimenticare tutto, più lo stringevo e lo baciavo con passione, più lo sentivo animarsi: le labbra tornavano calde e morbide, il respiro si allungava in un sospiro appassionato, le sue mani fredde mi risalivano il corpo fino alle guance da dove iniziarono a riscaldarsi, io iniziai a sentire un desiderio intenso e forte, lo abbracciavo e lo baciavo con passione.
Ci buttammo sul letto, fra le lenzuola e le coperte calde, continuavamo a baciarci senza sosta, senza parlare.
Era un sogno che si realizzava all’improvviso e con un impeto inimmaginabile.
“Sei freddo e bagnato, ti devi spogliare, Rodolphus. Ti scaldo io.” gli dissi ad un certo punto, più per passione che per protezione.
Mi prese il viso tra le mani e guardò intensamente.
“Non ti sposare, Bellatrix. Se ti sposi uccido quel marito e poi stiamo insieme per sempre.”
“Non ho intenzione di sposarmi, Rodolphus, non lo farò per nessuna ragione al mondo, voglio te, da quando ci siamo incontrati, mi sei piaciuto subito e anche tu lo sai.” 
Sorrise a quelle parole, scendendo poi a leccarmi e mordermi il collo, sembrava più tranquillo, più contento, poi aggiunse:
“Dico davvero. Ci penso io, lo uccido, lo ammazzo con le mie mani, se necessario, anche senza bacchetta, tutto pur di averti.”
Mi avvinghiai a lui, ci abbracciammo stretti fra le coperte, sul letto ormai sfatto, lo baciai lenta sul collo e sul petto lasciato scoperto dalla camicia, assaporando l’odore freddo della neve che portava con sé.
“Vedremo, amore mio.”
Sorrise. Poi però ritornò serio un attimo, guardandomi cupo.
“Non sarebbe la prima volta, sai?”
Lo guardai con fare interrogativo.
“Non sarebbe la prima volta che uccido qualcuno, è già successo… per questo sono qui in Inghilterra.”
Rodolphus mi stava confessando il suo segreto finalmente, qualcosa che ormai già sapevo, ma che scelse di dirmi forse per liberarsi, o per paura che mi facesse orrore, non so, ma mi fece piacere quella confessione, comunque.
“Lo so, Rodolphus, lo sapevo già da tempo… e se non l’avessi saputo, l’avrei forse immaginato, tu sei così e io lo sento, lo percepisco, sei come me. E questo non mi fa paura, mi esalta.”
Rimase un po’ pensieroso, ma poi si avvicinò languido.
“Allora spogliami, e fai l’amore con me.” 
Disse così afferrandomi leggero per i fianchi, sotto la maglia, sulla pelle nuda, accarezzandomi  e stringendomi con una sensualità senza eguali.
Continuammo così a lungo, mischiando la nostra pelle, fin nella carne e anche i nostri diabolici sorrisi. Era ancora più bello vederlo sorridere solo per il mio piacere, solo per il mio orgasmo.
Avrei fatto l’amore con lui per sempre, fino alla fine dei miei giorni.

…….
Eccomi qui con il capitolo riveduto e corretto, in questa fiction ho avuto un momento in cui non sapevo se sarebbe stato meglio far scegliere Rodolphus o Evan… 
Solitamente non ho dubbi sul primo, ma qui mi è spiaciuto per l’altro. Ho poi scelto di togliere Lord Voldemort e dare più spazio ai due ragazzi e in seguito ad Andromeda e Ted.
Spero mi farete sapere cosa ne pensate, ormai la storia è quasi finita, così saprei un po’ come sta andando.
Intanto grazie per le letture!
Circe

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Capitolo 23
*** Sarà da te che verrò ***


Tutto pur di averti

(Narratore: Bellatrix Black)

La mattina dopo ci svegliammo presto, forse per l’agitazione della situazione, o  forse per la novità di aver dormito insieme per la prima volta e di aver fatto l’ amore insieme per la prima volta.
Forse era soltanto per il fatto che avevamo dormito prestissimo la sera prima, senza mangiare, senza allontanarci da quel letto, nascosti in camera mia come amanti segreti.
Effettivamente noi eravamo amanti segreti al momento.
Quando Rodolphus si svegliò si strinse subito a me, era lucido, bello, riposato, come se la sera prima non avesse lasciato strascichi su di lui.
“Sei bellissima stamattina...”
Gli sorrisi e lo baciai. Lui mi guardò negli occhi e terminò la frase.
“... Amore mio.”
Queste parole mi piacquero davvero tanto, lo desideravo da morire e lui mi ricambiava, era anche dolce a modo suo.Facemmo l’amore ancora, mentre dalle imposte iniziava a entrare la pallida luce dell’alba. La casa era immersa nel silenzio e noi fafacemmo tutto molto piano, senza fare rumore, sorridendoci anche, tra uno sguardo e l’altro, complici nel nostro segreto.
Indugiavamo in quei lunghi momenti di passione.
Solo dopo un paio d’ore ci risolvemmo ad alzarci, vestirci, ma non ci convincevamo a salutarci così, senza stabilire nulla.
Ci sedemmo sul letto a parlare.
“Ci penso io, Bellatrix, ci penso io ad affrontare tuo cugino Evan. Sono disposto a tutto, quello che ti ho detto ieri non era una storiella, tutto pur di averti.”
Rodolphus aveva un che di romantico e dannato a sentirlo parlare, un po’ drammatico, ma efficace.
“Va bene. Sono d’accordo, Rodolphus, ma devo esserci anch’io, dobbiamo parlargli insieme. Devo risolvere  la questione insieme a te.”
Gli presi la mano.
“Io comunque sono con te, non ho paura di nulla, mio cugino deve imparare cosa vuol dire mettersi contro di me. Non deve pensare di poterci riprovare mai più, devi solo svelarmi l’incantesimo giusto, tu lo conosci.”
Lui annuì convinto.
“Ti insegno io e vedrai che non tenterà più di mettersi contro di te.”
Questo patto mi eccitava. Non solo per la sfida lanciata i da mio cugino, la guerra intrapresa contro di me, una sfida che non avrebbe mai vinto, ma proprio perché il potere di vita e di morte mi eccitava, mi faceva sentire una vena di onnipotenza scorrere dentro.
Ritrovando un po’ di razionalità aggiunsi che io avrei comunque dovuto parlare con mio padre, prima, che avevo questioni davvero importanti di cui parlare e la mia situazione da sistemare, o non sarei mai stata rispettata come la vera Black che sono.
Rodolphus forse non capì bene a cosa mi riferissi. Lui del resto era un ragazzo, e non doveva combattere certe guerre per farsi valere.
Inoltre, dentro di me, puntavo a molto di più del semplice farmi valere, volevo avere il controllo totale, niente e nessuno avrebbe mai più potuto dirmi, o ordinarmi cosa fare e perché. Non potevo proprio accettarlo.
Sancimmo il nostro patto con un bacio. Le vacanze stavano volgendo al termine, ci saremmo rivisti presto, ci saremmo uniti presto, eliminando chiunque ci si fosse parato davanti per distruggere i nostri piani.

Il pomeriggio stesso mi feci coraggio e affrontai mio padre, mi sentivo forte e sapevo di potercela fare, ma non era comunque semplice, era pur sempre mio padre.
Bussai al suo solito studio ed entrai con calma ed educazione.
Era seduto alla scrivania, non sapevo cosa facesse sempre, non è che avesse bisogno di lavorare, a volte mi incuriosiva questa cosa, comunque non era il momento di perdersi a divagare, l’ho interrotto per parlargli e chiarire le cose.
“ Padre, ti devo parlare di alcune faccende importanti.”
Sembrava stupito, restava distaccato, Evan non doveva avergli raccontato cose lusinghiere su di me, tanto valeva scoprire subito le carte.
“Sono venuta a dirti che non sposerò Evan, non sono d’accordo e non sono innamorata di lui.”
Si alzò in piedi visibilmente teso.
“Tu sei mia figlia, fai quello che ti dico io!”
Aveva scelto la linea dura quindi, ma a me faceva più comodo, preferivo il contrasto aperto a tutto il resto.
“No padre, ho diciassette anni, e in ogni caso non sposerò un ragazzo che non voglio, che non desidero, sono innamorata di un altro e desidero stare.con quest’altro.”
Senza dire una parola mi fece arrivare uno schiaffo in pieno viso. Rimasi quasi a bocca aperta, più per lo stupore che per il dolore, mi fece paura, ma non arretrai di un passo, mantenni lo sguardo alto su di lui.
“Credi che tuo cugino non mi abbia già informato sulla tua bella condotta, figlia? So bene che di nascosto hai avuto… diciamo rapporti… con un altro ragazzo. Mentre prendevi in giro tutti noi, Evan compreso, mostrandoti con lui a casa e tenendo un comportamento non bello a scuola. Sei stata tu a scegliere tuo cugino tempo fa, e ora che fai cambi idea? Non ti ho educata così, non ti ho educata a fare…”
Si fermò non disse quelle parole, ma era chiaro quanto fosse deluso dal mio comportamento. Io però non vacillai neanche per un istante.
Non dissi nemmeno che il suo caro e amato Evan, mi aveva usato per primo, per accontentare i suoi istinti, quando io non sapevo nemmeno cosa significasse fare sesso… e l’abbiamo fatto sotto il suo naso.
“Non sposerò Evan, voglio sposare Rodolphus Lestrange!”
Invece di cercare una via d’uscita partii al contrattacco alzando la posta.
“Non sono più una bambina, ma non sono neanche… una poco di buono. Voglio sposare il ragazzo che amo e lo farò, non sono mai stata più convinta, padre. Non sono certo io il problema di questa famiglia, tu non ti accorgi di ciò che succede davvero e questo è un altro problema ben più grave.”
Stavolta lo avevo colpito.
“Tu sei una sciagurata, mi vuoi forse umiliare? Vuoi dire che non so gestire al meglio la mia famiglia?”
Non risposi, sentivo di essere più forte, sentivo il sangue scorrere nelle vene talmente forte da poter distruggere qualsiasi cosa, o persona.
Non sapevo da dove venisse tutto questo… odio…
Ed ecco che infatti ci fu una ritirata, il primo cedimento.
“Chi sarebbe questo ragazzo?”
Non mi feci scorgere, ma un chiaro sorriso di trionfo si dipinse sul mio viso nell’istante in cui udii quelle parole.
“Rodolphus Lestrange, un compagno di scuola, non lo puoi aver sentito perché si è trasferito da poco dalla Francia.”
Questa volta fu lui a restare zitto.
“Quando finirò la scuola mi sposerò con lui, questo voglio fare. E dopo ciò progetterò il mio futuro per come sono fatta io, perché sai bene che non sono come tutte le atre donne di questa famiglia, ho un’indole diversa, altri piani in mente.”
Pensavo al mio desiderio di unirmi ai Mangiamorte, di diventare una seguace di Lord Voldemort, ma di questo segreto non dissi nulla, era ancora qualcosa di troppo intimo, a cui io stessa dovevo pensare ancora per bene.
Lui si mise le mani sulle tempie, visibilmente provato dalla conversazione, come me del resto. Attese qualche minuto prima di voltarsi repentinamente e darmi le spalle.
“Da quando sei diventata così, Bella? Non me ne sono nemmeno accorto. Fino a poco fa eri solo una bambina… cosa dirà tua madre?”
Ora stava tentando la carta dell’affettività, ma non volevo cedere.
“Non ti sei accorto di molte cose, padre, cose che vanno sistemate.”
Voltandosi mi guardò in maniera interrogativa.
“Tua figlia ti sta sfuggendo di mano completamente, tuo nipote lo farà presto. E tu stai perdendo il tuo tempo a contrastare me che non ho fatto nulla di sbagliato, vedo cose che voi non riuscite nemmeno ad immaginare per il mio futuro e per il futuro del mondo magico in cui viviamo. Il mio futuro significa nome e prestigio per la tua famiglia, padre, a me non importa, ma a te sì. Sai bene, padre, che nel mio sangue scorre un potere molto, molto maggiore di tutti i vostri messi assieme…”
Feci una pausa un po’ enfatica.
“So io cosa fare della mia vita, lasciami decidere quello che desidero.”
Avevo vinto lo sentivo, ero stata brava davvero, non avevo lasciato spazio a tentennamenti. Si era spaventato per ciò che avevo accennato su Andromeda e Sirius, l’avevo messo in allarme. Dall’altra parte era lusingato per il prestigio che pensava avrei dato alla sua nobile e antica casata dei Black.
Sapeva che non stavo chiedendo, stavo ordinando.
“E sia…” 
“Grazie padre per aver capito.” 
L’avevo detto con gentilezza, sperando non ricominciasse coi contrasti.
“Ne parlerai tu con tuo cugino, perché io dei vostri battibecchi non ne voglio più sapere. Occupatevi voi di annullare tutto, io ne parlerò a tua madre. A tempo debito presenterai questo Lestrange alla famiglia. Deve essere molto speciale dopo tutto ciò che stai facendo per lui.”
Sorrisi, ma non risposi, annuii solamente.
Uscii lentamente dallo studio e corsi poi in camera mia come un fulmine. 
Non volevo più discutere, o rischiare che ci ripensasse.
Scrissi una lunga lettera a Rodolphus dove gli spiegavo che era andato tutto bene, ora mancava solamente di sistemare Evan per come si meritava, riportandogli ciò che avrei voluto fare.
Terminai la lettera dicendogli che pensavo tutto il tempo a lui a fare l’amore con lui e a rivederlo. Ero così contenta che feci tutto di fretta: firmai, misi il sigillo e mi vestii velocemente per uscire. Corsi nella nebbia e nel buio di quel tardo pomeriggio verso la gufaia. Era così fitta che mi bagnava le guance lasciate scoperte dalla sciarpa.
Lasciai la lettera al gufo e corsi giù, nel giardino, riprendendo a camminare lentamente solo a metà strada, respirai affannosamente tanta aria per due, tre volte e poi mi calmai, godendomi quell’atmosfera così ovattata e tetra allo stesso tempo.
Quando arrivai alla porta di casa sentii nel silenzio il battere delle ali del gufo che partiva per portare la lettera verso Hogwarts, notai che aveva impiegato parecchio tempo rispetto a quando avevo lasciato la lettera alla sua zampa.
Mi parve un po’ strano, ma ero stanca, distratta… e dopo poco non ci pensai più.

Sarà da te che verrò

(Narratore: Andromeda Black)

“Avevo davvero urgenza di parlarti, scusa se ti ho fatto così pressione…”
Ted era davanti a me accaldato e ansimante nonostante la temperatura piuttosto fredda di oggi, doveva aver fatto tutto di corsa per venire all’appuntamento improvvisato.
Lo trovavo bello nei suoi abiti da ragazzo babbano, abiti che ho sempre snobbato e di cui, solo in quel momento in cui li vedevo indossati da lui, notavo la bellezza e le caratteristiche peculiari.
Io invece avevo indossato un cappotto vecchio e pesante, non mi donava per niente, avevo tirato il cappuccio sulla testa così da non farmi notare in giro da nessuno, non potevo fare altrimenti, mi sentivo agitata anche se provavo a non darlo a vedere.
Deve averlo notato lo stesso. Cercò di calmarmi con un sorriso, una carezza.
“Va bene Andromeda, stai tranquilla, non è stato un problema venire, ora andiamo in un posto tranquillo e appartato, nessuno farà caso a noi, vedrai, ci vanno un sacco di coppie innamorate.”
Sorrisi più tranquilla. Leggermente più tranquilla.
Era bello ciò che aveva detto, e nonostante tutto, il pensiero di mischiarmi a tante altre coppie innamorate mi faceva emozionare e non poco. Non immaginavo avrei desiderato tanto questa normalità, questo passeggiare semplicemente per un parco col mio innamorato, scambiarci baci, coccole, risate.
Farci vedere insieme, innamorati, senza paura e senza preoccupazioni.
In ogni caso, il semplice fatto di tenergli la mano, camminare in silenzio nel prato, in direzione di un piccolo laghetto, il sole che faceva capolino fra la nebbia, il leggero calore sul mio viso… tutte queste cose mi stavano leggermente rilassando, mi sentivo meglio.
Vicino ad un albero che ci nascondeva almeno un pochino da sguardi indiscreti, Ted mi abbracciò, dandomi un lungo e caldo bacio.
Mi cingeva delicatamente la vita, ma in maniera forte e decisa, mi faceva sentire sicura e protetta. Questo lungo bacio con abbraccio mi dava una gran forza e un gran coraggio, mi trasmetteva amore vero, mi spingeva diretto verso la decisione che, fino a poco prima, era soltanto accennata dentro di me.
Quando ci allontanammo leggermente, sciogliendoci dal bacio, ma non dall’abbraccio, Ted mi chiese perché fossi tanto preoccupata.
Allora mi feci ancora più coraggio e tirai fuori tutto, tutti i fatti, gli avvenimenti, i pensieri e le paure di quelle ultime ore, mi sfogai completamente, chiedendo aiuto.
“Ted ho bisogno di te, di un consiglio, di un aiuto. A casa mia sono successe delle cose…”
Il suo sguardo attento mi invogliava a continuare.
“Avevo il sospetto che mia sorella avesse scoperto il nostro segreto… ieri mi sono decisa a scoprirlo, ho intercettato una sua lettera, l’ho letta velocemente e ne ho avuto la conferma.”
Silenzio.
“Si Ted, lo so che non si fanno certe cose, ma tu non capisci. Bella sa di noi, un po’ l’aveva capito da sola, un po’ mi ha sentito parlare, dato che mi sono confidata con mio cugino Sirius, lui mi capisce.”
Feci una pausa per prendere fiato.
“Non ha rivelato nulla al momento, ma non ci vorrà molto prima che i miei genitori lo scoprano, perché lei li manovra molto bene.”
Ted a quel punto mi interruppe.
“Andromeda, dai, cosa vuoi che sia se anche tu a sorella lo sa? O se lo va a dire ai tuoi genitori? Ci inventeremo qualcosa per stare comunque insieme, noi ci amiamo, o no?”
“Ted non è questo il punto, in quella lettera ci sono scritte cose orribili, lei ha una relazione con un ragazzo, parlano di omicidi, di morte, io ho paura anche per noi.”
“Ma dai, Andromeda che dici? È tua sorella, cosa mai vuoi che faccia? Saranno ragazzate buttate lì.”
Ted non si voleva convincere, mi sentivo sciocca, forse stavo davvero esagerando io… eppure se pensavo a Bella… se pensavo a Bella… 
“Ted, sei tu che non capisci, tu che non la conosci, mia sorella è cattiva!”
Lo dissi con un tono che stupì persino me stessa. Io volevo bene a mia sorella, ma era innegabile che lei avesse qualcosa, fosse fatta in un certo modo… e quel cattiva non rendeva esattamente ciò che era, che volevo intendere, questo che sentivo da un po’ di tempo a questa parte. Ted deve aver capito che non stavo esagerando, o semplicemente decise di provare a sentire la mia visione della situazione.
“Cosa pensavi di fare, allora?”
Infatti mi ascoltava, anche se non penso avesse ben presente cosa significasse mettersi con me, e contro la mia famiglia.
“Non so dirti se avremo contro solo Bella e la sua magia, o se deciderà di lasciare il lavoro di distruggermi ai miei genitori, in ogni caso Ted, io forse avrò bisogno di te… già nei prossimi giorni.”
Mi guardava senza parlare.
“Io non rinuncerò ad essere felice, voglio essere libera, non rinuncerò a te e a noi.”
Mentre dicevo queste parole gli accarezzai il viso, appena ruvido di barba. Lo presi e lo strinsi a me con foga e passione.
“Ma per farlo devo essere pronta a tutto, davvero tutto Ted. Non mi farò cacciare, se dovessero essere i miei genitori ad affrontarmi, me ne andrò io prima che siano loro a mettermi nelle condizioni di farlo. Dovesse essere Bella, non lo so davvero... vorrà uccidermi, forse? Comunque non mi farò piegare, dovrà uccidermi davvero, se vuole tanto fermarmi, non bastano le minacce..”
Ted iniziava ad essere preoccupato, direi spaventato, ma almeno aveva capito la gravità della situazione. Così potei arrivare finalmente al punto.
“Tu, Ted Tonks, saresti disposto, fin da ora, a stare con me, per sempre, per il resto della vita? A condividere tutto? A rischiare per me? Perché mettersi contro le persone della mia famiglia, una in particolare, significa voler rischiare, andare incontro anche a danni e problemi gravi.”
Feci una pausa, poi conclusi.
“Perché se deciderò di andarmene, sarà da te che verrò, quando avrò bisogno. Perché io ti amo. Sarai pronto a stare insieme davvero e per sempre?”
Ted non si aspettava certo tutto questo, meno che mai così velocemente, così presto e tutto così precipitosamente. Quella per lui, ragazzo normale, non segnato dall’essere nato Black, doveva essere una mattina normale, tranquilla.
Io purtroppo non ero normale, ero una Black. Non so se mi avrebbe accettata.
Mi batteva  il cuore forte, speravo mi desse una risposta subito, così da non impazzire dall’angoscia.
Lui all’inizio non disse nulla, prese il mio viso fra le sue mani, sulle guance accaldate dall’agitazione sentii un fresco tepore prodotto dalla sua pelle, dal suo tocco leggero, un po’ impacciato, ma profondo e rassicurante.
Mi avvicinò a se’ e mi diede un altro lungo bacio, morbido e appassionato.
“Non aspettare, Andromeda, vieni da me! Io sono pronto per stare con te, lo sono sempre stato, dal primo momento che ti ho visto, quando forse ancora non lo sapevi nemmeno tu.”
Stavo per commuovermi a quelle parole, mi fecero rinascere.
“Tutta quella gente che ci vuole male, non ha fatto altro che farci riconoscere fin da subito, che siamo nati per amarci, nati per stare insieme. Allora stiamo insieme subito, non aspettare che ti facciano alcunché.”
Era preoccupato, ma convinto di quanto diceva, aveva parlato lentamente, con calma e determinazione, anche con tanta dolcezza.
Era davvero il ragazzo che desideravo e amavo con tutto il cuore.
Chiusi gli occhi per non fargli vedere le lacrime e lo baciai.
“Ma piangi?” mi chiese allontanandosi un po’ dal mio viso, asciugando una lacrima che bagnava la la mia guancia.
“Sono solo lacrime di gioia, Ted.”


……………..

Ciao a tutte! Pubblico un po’ in velocità perché devo correre al mare, oggi è veramente una bella giornata, ma ci tenevo ad aggiornare prima.
Non vi chiedo più recensioni, mi sono rassegnata al noioso 0 vicino all’aggiornamento, però spero che la storia vi piaccia comunque, anche in questa versione riveduta e corretta.
Arrivati qui manca solo l’ultimo capitolo, un epilogo in pratica, poi anche questa fiction sarà ultimata!
A presto
Circe



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Capitolo 24
*** Sempre Black ***


La resa

(Narratore Evan Rosier)

Avevo invitato Wilkes al pub per parlare insieme, avevo davvero bisogno di raccontare di ciò che era successo, di scambiare pareri e opinioni. Eravamo seduti, uno di fronte all’altro, come sempre quando ci trovavamo a quel nostro tavolo a bere una Burrobirra. Quel giorno però ordinai un Whisky Incendiario per cercare di calmare i miei nervi. Mi sentivo ancora male e non sapevo come iniziare a parlare, alla fine buttai semplicemente lì ogni cosa.
“Ci rinuncio, sai? Basta, basta, anzi, più sta lontana da me più sono contento e mi sento sollevato.”
Wilkes non aveva capito quel mio sfogo improvviso, ma forse qualcosa la intuì subito, senza spiegazioni eccessive.
“Stai parlando di tua cugina? Rinunci? Ma se l’avevi praticamente in pugno…”
Mi mossi sulla sedia e passai una mano tra i capelli, mi sentivo ancora tremante all’idea di lei, di mia cugina, in quel frangente ultimo in cui mi aveva affrontato, il ricordo di quel momento mi angosciava.
“No, amico, quella è una pazza, non lo dico per dire.”
Deglutii e lui si fece più attento, forse aveva compreso che non scherzavo.
“Aveva già ottenuto da suo padre l’autorizzazione a non sposarmi, a frequentare quell’altro. Un altro pazzo malato assassino, si sono proprio trovati.”
Presi aria, non mi era facile fare un discorso compiuto, evitare frasi sconnesse, giocai un pochino col bicchiere e mi feci coraggio a continuare.
“Mi aveva detto che voleva solo comunicarmi questo, invece mi ha voluto incontrare per uccidermi, davvero quella voleva uccidermi.”
Wilkes sorrise guardandomi di sottecchi.
“Be tu volevi costringerla a sposarti…” mi disse. Io invece lo guardai scandalizzato. Evidentemente non mi credeva.
“Ma dici sul serio, o mi prendi in giro? Capisci quello che ti ho detto? Volevano uccidermi, mia cugina, il tipo con cui si è messa, mi hanno voluto incontrare per uccidermi, tutti e due.”
Wilker mosse la testa a destra e sinistra, non era convinto.
“Ma cosa è successo, Evan, almeno spiegami se vuoi che capisca per davvero, al momento il pazzo sembri tu.”
“È stato un momento orribile, ricordo solo dei momenti, non tutto distintamente, quasi la mia mente si rifiutasse di farlo. Non è semplice spiegarti.”
Parlavo concitatamente, ma Wilkes mi ascoltava comunque, almeno aveva capito che stavo parlando seriamente.
“Diceva di dovermi solo comunicare ciò che aveva deciso davanti a suo padre, cosa che riguardava anche me. Invece si è presentata insieme a quell’altro pazzo del suo attuale fidanzato. Me li sono ritrovati entrambi davanti, inquietanti, davvero avevano un che di spaventoso, io Bellatrix non la ricordavo così. Mi ha detto velocemente che non mi avrebbe sposato, che era già deciso. Quell’altro mi si è presentato come il suo fidanzato, con quell’inglese strascicato, una voce che non scorderò mai. Poi hanno taciuto entrambi, si sono guardati per un attimo e improvvisamente lui mi ha lanciato un incantesimo, una maledizione.”
Presi fiato tremando ancora.
“Ho provato il dolore più intenso dell’universo, Wilkes, una cosa indescrivibile. Tremo ancora al solo pensarci, i nervi non li controllo. Quando si è fermato e ho potuto prendere un attimo fiato l’ho sentita che rideva, lei rideva, aveva riso tutto il tempo, rideva come una bambina a cui hanno portato il regalo che desiderava da tanto. E non era finita lì perché poi ha iniziato lei, e come ha iniziato… era così più potente il suo incantesimo che credevo sarei morto, morto davvero in pochi attimi. E lei continuava a guardarmi con occhi indiavolati.”
Tacqui tremando letteralmente, il bicchiere tintinnava sul tavolo non appena lo toccavo tanto i miei nervi erano tesi e le mani tremanti.
Wilkes mi guardava incredulo, come se io stessi raccontando una storia incredibile.
“Poi si fermava, per un attimo, mi guardava, aspettava che alzassi lo sguardo verso di lei e mi ripeteva delle frasi. – Giochiamo ancora cugino? O ti sto annoiando? E allora chi ha vinto? Io o tu? – 
Faceva riferimento alla battuta che le avevo fatto io tempo addietro, quando pensavo di averla incastrata. E poi ricominciava, con quella tortura sempre più potente.”
Wilkes si mosse dal suo stupore e tentò di parlarmi.
“Ora calma Evan, ha usato una maledizione, entrambi l’hanno usata, tu li puoi denunciare per tutto questo che mi hai raccontato.”
A quella frase mi prese il terrore.
“Nemmeno per sogno, non voglio più avere nulla a che fare con lei, è un miracolo se sono vivo! Il francese le ha chiesto cosa fare di me ad un certo punto, si sono parlati, si consultavano se uccidermi, o no, capisci? Loro conoscono l’incantesimo. Mi ha graziato lei, mi ha detto di non farmi più vedere, di non disturbarla più se non volevo morire. Capisci? Io le ho dichiarato guerra e lei ha risposto, ora no, basta, ne ho avuto abbastanza, non la voglio vedere più, figuriamoci provocarla con una denuncia.”
Buttai fuori tutto con tutto il terrore che avevo ancora in corpo, Wilkes fece per parlare ancora, ma io chiusi ogni discorso:
“No Wilkes, non dire nulla a nessuno di tutto quello che ti ho raccontato, lasciami stare tranquillo, dovevo sfogarmi con qualcuno, ma di lei, di Bellatrix Black, io non voglio più sentire nemmeno parlare.”

La libertà

(Narratore Sirius Black)

Avevo sempre sognato di scappare. Scappare di casa ed essere finalmente libero di essere me stesso, libero dalla mia famiglia e da vincoli che non riconosco. Respirare l’aria pura e limpida della vita, lontano dall’oscurità del mio casato di cui, mio malgrado, porto ancora il nome. Orgoglioso di credere in ciò che voglio e di amare e odiare chi voglio. 
Era sempre stato un desiderio indistinto, un sogno un po’ vago che non riuscivo a mettere in pratica.
Ora finalmente mi sentivo di farlo, questa idea si era resa piano piano sempre più nitida ai miei occhi e nei miei pensieri, finché capii cosa davvero desideravo per la mia vita, quale futuro stavo cercando. Allora zaino in spalla e pochi vestiti addosso, ero uscito dal portone di casa deciso a non mettere mai più piede là dentro.
La vita mi era diventata odiosa nella mia stessa casa, i miei famigliari mi controllavano, mi sentivo spiato, odiato, umiliato.
Non potevo permettere a nessuno di farmi sentire così, non dissi nulla e me ne andai.
Girai a lungo senza meta, pensando e ripensando a me stesso e alla mia storia. Poi, con la mia piantina in mano e l’aria da marinaio all’avventura, bussai alla porta di casa Potter.
Fu James ad aprirmi, non poteva immaginare il peggioramento del mio dramma casalingo e che ciò mi aveva spinto a fuggire, non poteva capire come io mi sentissi veramente dentro, nonostante l’aria da spavaldo. Mi rivolse dunque uno sguardo stupito che, allo stesso tempo, rasentava la gioia più pura.
“Ho trovato il modo di trasformarmi in cane! Ora so come possiamo diventare Animagi.”
Avevo scelto una frase teatrale ovviamente, giusto per attrarre la sua attenzione, distogliendola però dal mio vero problema. James infatti rimase a bocca aperta, per la prima volta era rimasto senza parole. Riuscì soltanto a scompigliarsi i capelli come solito e guardarmi come un fesso.
Decisi di parlare io prima che potesse pensare a cosa rispondermi.
“In cambio di questa informazione preziosa, amico mio, mi potresti ospitare per un po’ a casa tua?” 
James mi spalancò la porta festoso, mi accolse come un vero fratello, non ci fu bisogno di parlare per capirsi...
“Ma come hai fatto? Io è dall’ inizio delle vacanze che ci penso, che faccio ricerche!”
Risposi con tono spavaldo, anche perché mi sentivo felice di essere stato accettato e accolto finalmente da qualcuno che mi voleva bene davvero.
“Volevi forse superare il maestro? Vieni che ora ti spiego tutto! Dobbiamo anche inventarci dei nomi in codice ora che abbiamo questo segreto, che potremo trasformarci in animali, da usare solo noi Malandrini, cosa ne pensi?”
“Mi trovi assolutamente d’accordo, Sirius! E poi dobbiamo dirlo a Remus, ti immagini che faccia farà? Finalmente non sarà più il solo a poter scorrazzare liberamente fuori Hogwarts, la notte!”
 Ridevamo felici, scherzavamo e ridevamo fra noi al culmine della gioia, avevo un amico e ora avevo trovato un vero fratello. 
Fu così che ebbe inizio la mia vera vita.
 

La cosa giusta

(Narratore Regulus Black)

Mia cugina si era rifugiata in camera mia, forse per parlare, o forse desiderava un po’ di pace dopo tutte le bufere e dopo tutti quei cambiamenti in atto. Ci sentivamo entrambi confusi e spaesati, cercavamo conforto l’un l’altra.
“Regulus, tu cosa pensi di tutto ciò che sta succedendo alle nostre famiglie?” mi chiese Cissy con aria timida e incerta. “Io sento tante frasi contraddittorie sussurrate fra i nostri genitori e i nostri zii, non riesco a capirci più nulla. Mi sento come i camaleonti, sai? Quelli che cambiano improvvisamente aspetto. Così mi pare di dovere cambiare continuamente vita, parere, idea…”
Io ero preparato a quella domanda, sapevo come rispondere, inoltre volevo proteggere e rassicurare la mia delicata e bellissima cugina, per cui non ebbi esitazioni.
“Noi non possiamo farci comunque nulla, Cissy, che questa nuova situazione ci piaccia o meno, dobbiamo adeguarci per il bene del nostro nome, della nostra nobile e sempre pura casata.”
Mia cugina mi guardava in silenzio, attenta e affascinata dalla mia sicurezza e dalla mia passione, mi piaceva sentirmi così importante e forte.
“Solo che a me manca mia sorella, in un qualche modo mi manca anche tuo fratello, anche se non andavamo molto d’accordo.”
Lo sapevo benissimo cosa provava, anch’io sentivo esattamente le stesse cose. Sentivo anche i nostri genitori sempre arrabbiati, tesi, in ansia e nervosi. Avrei tanto voluto ritrovare la pace e la serenità che avevamo un tempo, prima che quel Natale sconvolgesse tutte le nostre vite così profondamente.
“Vedrai che le cose andranno bene alla fine, si sistemerà tutto nel migliore dei modi e, anche se dovremmo sopportare delle sofferenze, come quella di non vedere più le persone che amavamo, sarà per un valido motivo, per qualcosa di superiore, di più giusto.”
Non sapevo bene nemmeno io cosa stessi dicendo, non mi riferivo a nulla in particolare a dire il vero, ma sentivo dentro di me questa forte pulsione che mi spingeva al bene, a conquistare la giustizia e preservarla.
Forse avevo detto parole sciocche per mia cugina, o incomprensibili, ma quando invece Cissy mi sorrise rassicurata, io per la prima volta mi sentii forte. Percepii che, qualsiasi cosa avessi fatto, sarebbe stato qualcosa di eroico.
 

L'amore

(Narratore Andromeda Black)

Solo fra le braccia di Ted mi sentivo sicura. Solo sentendo il suo immenso calore, guardando il suo sorriso e specchiandomi nei suoi occhi limpidi, mi sentivo certa che ce l’avrei fatta, e che ce l’avremmo fatta insieme. Avevo preso la mia decisione, avevo scelto il mio amore e abbandonato la mia famiglia. 
Nella mia breve vita, avevo desiderato tanto la felicità e la spensieratezza di sentirmi bene con me stessa e con gli altri. 
Avevo sognato continuamente la libertà, la possibilità di pensare e immaginare solo con la mia testa e col mio cuore, senza restrizioni di nessun tipo. Avevo sperato tanto, fin da bambina, di crescere forte e coraggiosa, di sbaragliare gli ostacoli su tutto il mio cammino. 
Ora, avevo finalmente trovato tutto ciò che desideravo, tutti questi pensieri e tutte queste immagini si racchiudevano in un’unica singola persona, e questa era Ted, in un unico immenso sentimento, e questo era l'amore. Avevo trovato tutto quello che cercavo nell’amore, quello vero, e non lo avrei lasciato per nulla al mondo.
Mi voltai verso Ted che mi teneva stretta e mi accarezzava dolcemente i capelli.
“Ted, ti amo davvero tanto, lo sai?”
Sentendo le mie parole, i suoi occhi blu si puntarono nei miei: aveva uno sguardo così dolce e penetrante che mi faceva sempre battere il cuore, qualsiasi altra cosa attorno a noi scompariva davanti a quel suo sguardo che mi avvolgeva tutta.
“Anch’io ti amo moltissimo e desidero stare sempre con te, Andromeda. Non lasciarmi mai. Mi hai reso felice, per me è stato bellissimo fare l’amore con te.” 
“Anche per me è stato bellissimo, sai? E ora che siamo così uniti non ci lasceremo mai, Ted, mai.”
 

La follia

(Narratore Rodolphus Lestrange)

Più la guardavo più la trovavo bella e impenetrabile. Aveva tutto quello che cercavo in una ragazza: bellezza, fascino, sensualità e spregiudicatezza. 
Ogni tanto, quando passavamo il tempo mollemente distesi l’uno accanto all’altra, nudi fra le lenzuola setose, accarezzandoci la pelle accaldata e morbida, allora la guardavo silenziosamente e pensavo a cosa fosse stata capace di fare pur di poter stare insieme, pur di poter fare tutto ciò che desideravamo in totale libertà, senza curarci di nessuno.
La trovavo audace e pericolosa. Aveva una volontà che rasentava la follia pura.
Mi piaceva il potere che avevo e quello che lei era in grado di donarmi, sembrava che tutto per lei fosse solo un gioco. O si vince o si perde, o si vive o si muore. D’altra parte era così anche per me.
 “Tu puoi fare tutto quello che riesci anche solo a immaginare, vero?” le chiesi una di quelle volte, mentre eravamo rilassanti e vicini. Lo chiesi solo per sentirmi rispondere quanto fosse vera la mia affermazione e ridere follemente della nostra onnipotenza.
Lei si voltò verso di me con i suoi occhi scuri e oscuri, con quello sguardo di chi si crede sempre superiore a tutto e tutti. Quindi, lentamente, mi rispose:
“Certo, amore, io sono pur sempre una Black.”

………………..

E finalmente è finita questa fiction! Vero che dovevo solo fare pochi cambiamenti ma alla fine alcuni capitoli li ho dovuti riscrivere da capo, ora che ho finalmente terminato tutto sono contenta e soddisfatta, posso dedicarmi a finire le altre (ormai mi sono fissata).
Allora, non ho avuto nessun commento per capire se è piaciuta o meno, ma io spero di sì, ci ho messo impegno e spero sinceramente di averla migliorata perché ci tenevo. Le letture non sono mancate, per cui mi auguro di non aver deluso aspettative e che tutto sommato vi abbia tenuto compagnia in questi giorni di agosto torrido! Se qualcuno leggerà in futuro la fiction e deciderà di lasciarmi un commento, mi farà enormemente piacere! Scrivetemi, fatemi sapere come vi è sembrata, se è piaciuta, o meno!
Ora non mi resta che salutarvi 
Alla prossima avventura!
Circe

 


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