Blackmist

di Ashbringer
(/viewuser.php?uid=119031)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La penombra regnava nella stanzetta. Un ufficio, di piccole dimensioni, ora illuminato solo dalla luce di un abat-jour, posata su di una scrivania, che era, tra le altre cose, uno dei pochi mobili presenti. Sarebbe bastata una rapida occhiata per memorizzare tutto il contenuto della stanza, arredata in modo piuttosto spartano: uno scaffale di freddo metallo, una scrivania, sulla quale si trovavano la suddetta abat-jour e un computer, ed una sedia. Lo scarno arredamento, combinato con le dimensioni ridotte dell'ufficio, davano una sgradevole impressione, facendolo sembrare un buco asfittico. Non che all'uomo, seduto alla scrivania, importasse di com'era la stanza. L'unico suono che, periodicamente, interrompeva il silenzio, era il click di un mouse, mentre la frenetica ricerca dell'uomo proseguiva. Database dopo database, la figura, illuminata dal monitor e dalla luce dell'abat-jour, continuava a cercare e cercare, la fronte corrugata. Aveva al massimo una cinquantina d'anni, e non aveva un aspetto che attirasse particolarmente l'attenzione: corti capelli brizzolati, con appena un accenno di stempiatura, occhi castani e profondi, un naso lievemente adunco ed un fisico asciutto. Dopo diversi minuti, finalmente il viso corrucciato si aprì in un'espressione di soddisfazione.
Passò il cursore sulla foto di una ragazza, un'adolescente, quasi sicuramente, dai lunghi capelli neri e gli occhi blu e penetranti.

"Trovata."

 


Altrove, sulla cittadina di Whiteglen, il sole stava sorgendo, inondando le strade con i suoi primi raggi. Al primo piano di una villetta, quello che pareva un ammasso informe sotto una coperta, si mosse. A un'occhiata più accorta, appariva più chiaro che la forma era invece un ragazzo, raggomitolato in una bizzarra posizione nel suo letto, durante un fiacco tentativo di convincersi che era il caso di svegliarsi. Dopo una breve disputa interna, curiosamente persa dalla pigrizia (che, tra parentesi, stava dominando, con un rapporto vittorie-sconfitte contro la solerzia di circa 25 a 1), il ragazzo decise di sgusciare fuori dalle coperte. Si diresse alla finestra, stiracchiandosi mentre assaporava gli ultimi rimasugli del torpore del sonno, e si fermò per un breve istante a contemplare l'alba, prima di dirigersi in bagno. Tempo una mezz'ora, e già Aaron, questo il nome del ragazzo, stava finendo di ingollare i suoi fiocchi d'avena, e, caricatosi lo zaino in spalla, si diresse alla volta della scuola.

Come al solito, le ore precedenti l'intervallo passarono in un quieto torpore, interrotto talvolta da sporadiche battute idiote o chiacchiere sul più e il meno. Solo durante la pausa Aaron si riscosse, e si mosse, secondo una routine che durava da circa 5 mesi, verso il corridoio. Come previsto, Erin Morris, l'unica ragazza che a memoria di chiunque fosse riuscita a smuovere qualcosa in Aaron, passò davanti alla porta, diretta probabilmente in cortile. Aaron si godette quella breve occhiata, perdendosi nella folta chioma di lucidi capelli corvini e contemplando gli occhi color dello zaffiro, che non mancavano mai di mettere a disagio lui o chiunque altro (ma principalmente lui) durante qualsivoglia conversazione. Il diciassettenne aveva l'espressione di chi stava per mettersi a sospirare beatamente, ma una mano sulla spalla lo fece desistere. Si voltò, e vide Arthur Clarke, uno dei suoi migliori amici, con un'espressione un po' scocciata e un po' divertita.

"Fammi un fischio quando hai finito di sbavare, ok? Così ti posso passare questi due siti, se ci dai un'occhiata e te li lavori scommetti che ci troverai parecchie cose non male"

Aaron fece un'espressione scocciata e basta, e si rivolse ad Arthur con tono lievemente velato da un rimprovero scherzoso: "Che cazzo, Arthur, sei una persona schifosamente terra-terra, non ti puoi lanciare una volta che una in un'impresa impossibile, tipo sperare che Erin faccia caso alla tua esistenza?"

Clarke fece finta di pensarci, un'espressione indecisa sul volto occhialuto e scarno , prima di rispondere, come consueto: "Priorità, amico, priorità..."

"Sì, un peccato che le tue priorità siano un pelo sballate, sai?"

Entrambi sbottarono in una breve risata, sapendo che ogni conversazione di quel tipo si concludeva così. Il resto delle ore di scuola si dissolse in un uniforme flusso di spiegazioni date dai professori, mentre Aaron prendeva svogliatamente qualche appunto, soffermandosi di tanto in tanto a fissare il foglietto di carta sul quale Arthur aveva appuntato due indirizzi che si riferivano ad altrettanti siti internet.

Il ragazzo si incamminò verso casa, come faceva da quattro anni a quella parte, ossia da quando aveva iniziato il liceo, mentre la tagliente brezza invernale di febbraio gli lambiva il volto. La cosa diversa che notò fu la Mercedes nera parcheggiata di fronte a una casa che, guardacaso, era la casa di Erin Morris, che abitava lungo la strada che Aaron percorreva per arrivare alla propria casa. Distolse lo sguardo dal telefono cellulare con cui stava scrivendo un sms e vide due uomini, vestiti in nero, discutere animatamente con i genitori di Erin, di argomenti che Aaron non poteva sentire da quella distanza, ma che a quanto pare stavano facendo alterare il signor Morris.

Aaron proseguì, non intenzionato a origliare, sebbene incuriosito dalla scena a cui aveva assistito.

Il tempo di arrivare a casa e gettarsi sul pranzo, e il ragazzo andò direttamente in camera, accendendo il computer. Appoggiò la testa sulla scrivania e si mise a pensare. Rivide di fronte a sè il volto di Erin, sorridente, gli occhi blu scintillanti, e si trovò a sospirare.

"Bah, ma cosa voglio combinare, sono senza speranze..."

Il diciassettenne aveva la ferma convinzione di essere troppo banale perchè Erin si accorgesse di lui anche solo come amico, e tuttavia non si decideva a provare a farsi avanti, anche solo per parlarle. Non che fosse un brutto ragazzo: era abbastanza alto, dal fisico asciutto, occhi verde smeraldo e capelli di un castano intenso, portati abbastanza lunghi, a incorniciare il suo volto giusto un pelo spigoloso. Semplicemente non si reputava all'altezza, per questioni al di là della timidezza, questioni che nemmeno lui comprendeva.Si preparò a tuffarsi in ciò che quasi sempre lo distoglieva dai pensieri erranti e funesti che vagavano nella sua testa: il suo lavoro da hacker. Non era un dilettante, nè un maestro, ma traeva divertimento dall'accedere a informazioni riservate, per il puro gusto di poter dire "L'ho fatto", non per trarne profitto. Era stato suo zio, Jake, a iniziarlo a queste pratiche non molto legali, ed Aaron era sicuro che i suoi genitori non sarebbero stati felici di quel genere di insegnamenti. Prese il foglietto di carta accartocciato che gli aveva dato Arthur, e immesse il primo indirizzo, con silenziosa gratitudine verso il suo amico. Non capiva esattamente di che cosa trattasse il sito, sembrava il sito di un qualche gruppo sanitario o farmaceutico, ma ciò non gli impedì di violare buona parte dei database, sfruttando una breccia nel sistema difensivo del sito.

"Ingenui... Pff."

Prese a sfogliare profili su profili, e, giunto a quello che era il tredicesimo, si fermò. La foto di Erin Morris, i suoi capelli neri come la notte inconfondibili anche in foto, spiccava sullo schermo. Aaron strabuzzò gli occhi.

"Oh, andiamo, Arthur, mi hai fatto arrivare fin qui solo per prendermi per il culo? Che palle..."

La stizza non gli impedì di controllare per bene il profilo, che conteneva informazioni delle più disparate, alcune delle quali Aaron non comprendeva. Sotto i vari "Data di nascita", "Statura", "Peso", "Caratteristiche fisiche" e altre amenità come il gruppo sanguigno (0 Rh+, per la cronaca), trovò due voci dubbie: "Status", che recava a lato la scritta "Inattivo", e "Tempo di Incubazione", indicato con "16-18 anni c.ca". Mentre Aaron si arrovellava, pensando a che status fosse quello indicato su quel database, il sito si chiuse improvvisamente, e l'antivirus del suo pc si attivò, con una scritta che annunciava l'arrivo di un visitatore non benvenuto, pronto a portarsi via buona parte dell'hard disk, probabilmente. Aaron, ancora pensieroso, cliccò pigramente il tasto "Quarantena", quando realizzò che il tasto non stava facendo assolutamente nulla.

"Ma che cavolo...?" gli sfuggì, mentre un'espressione stupita gli si dipingeva in volto. Perchè mai su un sito di uno stupido gruppo medico si sarebbe dovuto trovare un virus abbastanza fastidioso da evitare senza troppa fatica il suo antivirus? Cercò di salvare il salvabile, ma un fastidioso "Beeep" gli annunciò che non avrebbe potuto salvare un bel niente. Dopo una manciata di secondi, il computer tornò a rispondere ai comandi. Aaron, il viso cupo, si preparò a dare un'occhiata a cosa era stato obliterato dal suo computer, stupendosi ancora di più quando scoprì che solo le informazioni dei database del famigerato sito farmaceutico, o quello che era, erano state cancellate.Il ragazzo rimase basito, mente nella sua mente si disegnavano svariate ingegnose (ed inverosimili) possibilità sul reale scopo del sito, quando realizzò una cosa.

"Erin... Qualsiasi cosa sia quel sito, Erin è invischiata in qualcosa che mi sembra giusto un po' losco..."

Guardò fuori dalla finestra, dove una luce sanguigna gli annunciò che il sole stava scandendo l'ennesimo tramondo della sua vita.

 


Mentre il sole gettava la sua ombra scarlatta sui campi poco fuori Whiteglen, una Mercedes nera era ferma in una stradina di campagna. Due uomini vestiti di un completo nero stavano parlando al cellulare, in vivavoce, con un altro uomo, dal tono incollerito.

"Volete dirmi che non siete riusciti a convincere quei due idioti? Avevate mille cose su cui fare leva per farli desistere, e voi? Siete degli incapaci!"

Si udirono dei respiri mentre l'uomo cercava di calmarsi.

"E' inutile, dovrete agire con la forza. Stanotte, è necessario che l'azione sia condotta il prima possibile. Appuntamento nel settore Echo, 11, alle 2. Troverete un paio dei nostri, che spero potranno esservi d'aiuto, vista la vostra incompetenza! Ve lo ripeto un'ultima volta. La ragazza dev'essere nostra."

Pronunciò l'ultima frase sottolineando ogni sillaba, mentre i due uomini rabbrividirono, comprendendo le conseguenze sottintese di un eventuale fallimento, e si prepararono, mentre il crepuscolo cadeva su Whiteglen.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La pioggia cadeva fitta sulla cittadina di Whiteglen. Densi nuvoloni scuri saturavano il cielo, determinanti nel creare l'atmosfera uggiosa che si avvertiva quel giorno. Poche persone si trovavano in strada, poichè molte altre preferivano il tepore di casa propria. Aaron Evans, un normale, quasi banale, diciassettenne, ne aveva approfittato per invitare un suo ottimo amico, Arthur. I due erano impegnati in un intensa partita ad un gioco sparatutto. Dopo l'ennesima morte, Aaron lasciò cadere il joypad della sua console e si lasciò sfuggire un'imprecazione, esasperato. L'amico lo guardò, reprimendo a malapena una risatina. Nel giro di 10 minuti entrambi avevano deciso che quel gioco iniziava a non essere più così divertente, ed avevano preso a fare zapping, con aria annoiata, sdraiati in modo scomposto su un divano.

"Arthur?"

"Hmm?"

Il più magro tra i due, che era intento a pulire il proprio paio di occhiali, si volse pigramente verso l'altro.

"Che c'è?"

"C'è che mi ero dimenticato... Sei un cretino, lo sai? Ma su che razza di siti mi mandi? Prima quel cazzo di database mi prende per il culo con le sue belle foto di Erin, poi mi manda un bel virus sul pc... Grazie mille eh!"

Arthur si mise a sedere, e guardò con un po' più d'attenzione l'amico. Il suo volto fu occupato da un'espressione di perplessità.

"Erin? Il mio... spacciatore, per così chiamarlo, non mi ha detto assolutamente nulla di Erin, mi ha detto semplicemente che sarebbe stato figo lavorarselo, quel sito... Figurati se ti sfotto su Erin... Sei già in stato pietoso quando la vedi normalmente, a che serve darti il colpo di grazia?"

Aaron centrò l'altro ragazzo in pieno volto lanciando un cuscino con precisione, e i due impegnarono una buona manciata di minuti malmenandosi con svariati oggetti, finchè Arthur non lanciò il telecomando della tv sul ginocchio di Aaron. Il fortuito lancio ebbe l'effetto doppio di infastidire Aaron e di far cambiare canale alla tv, che si sintonizzò su un canale locale. In quel momento era in onda un'edizione del tg che si occupava di Whiteglen e del suo circondario. I due ragazzi si riscossero notando che il servizio pareva riguardare la via in cui abitava Aaron. Mentre sullo schermo la troupe camminava per il viale, Arthur aprì bocca:

"Ehi, non è la via in cui abiti? Finalmente sono venuti ad arrestarti?"

L'ennesima cuscinata seguì la sciocca uscita del ragazzo occhialuto. Nel frattempo, la giornalista del tg e il suo cameraman si erano fermati di fronte a una casa che Aaron riconobbe alla prima occhiata, perchè era l'abitazione di Erin Morris, davanti alla quale passava pressochè ogni giorno.

"Zitto un attimo, Arthur, per una volta nella vita sono interessato a un tg!"

"Tutto pur di vedere qualcosa su Erin, eh?"

"Oh, ma smettila!"

La giornalista, una donna mora, sulla trentina, si avvicinò alla porta di casa Morris, e si fermò circa un metro prima, per iniziare a parlare.

"Ci troviamo ora di fronte alla casa della famiglia Morris, in una delle zone più tranquille di Whiteglen, città anch'essa molto pacifica e tranquilla. Non abbastanza tranquilla, però, da impedire che due ignoti commettessero un'effrazione, introducendosi in casa, questa notte poco dopo la mezzanotte. I due sono statì però colti sul fatto dal signor Morris, svegliatosi per via dei rumori sospetti. I due uomini sono però fuggiti, in seguito, alla vista della pistola in mano al signor Morris, una Beretta M9 regolarmente acquistata e detenuta. Il signor Morris ha poi sporto denuncia contro ignoti, e..."

Il resto del servizio, Aaron lo udì solo come un ronzio di sottofondo, mentre il cervello del teenager lavorava a velocità incredibile.

"Qui qualcosa non quadra... Due giorni fa quel sito che puzzava di illecito da chilometri di distanza, e stanotte due tizi sconosciuti si introducono in casa di Erin... Questo quartiere... Che dico, tutta la cittadina, è tranquillissima, è da secoli che non si sente nemmeno di uno scippo! Per di più... una delle informazioni su Erin, in quel sito, era 16-18 anni, e lei ne ha 17, come me... Qualsiasi cosa sia, i conti tornerebbero..." si disse mentalmente il ragazzo, che si era istantaneamente prefissato di fare visita ad Erin l'indomani.

"AAROOON!"

La voce di Arthur ebbe l'effetto di far tornare alla realtà il ragazzo, che stava ormai divagando tra vari pensieri. L'adolescente castano si voltò verso l'amico, con aria interrogativa.

"Quando esci dalla trance fammelo sapere, ok?"

"Ah sì, scusa, ero... sovrappensiero, ecco..."

Per la precisione, un solo pensiero era presente nella testa di Aaron in quel momento, piantato come un chiodo nella sua mente: doveva parlare con la ragazza.

"Arthur... Senti, verresti con me da Erin domani? Dopo la scuola, facciamo alle 15... Devo parlarle."

Arthur gli lanciò un'occhiata maliziosa e Aaron diede immediatamente segno di averla notata, perchè sbottò stizzito all'amico:

"Cazzo Arthur, non devo parlarle in quel senso! Altrimenti cosa ti porterei dietro a fare?"

Iniziò a spiegare la situazione ad Arthur, la cui espressione si fece pian piano incuriosita ed infine stupita. Riuscì solo a borbottare un "Wow!". Un paio d'ore dopo Arthur si incamminò verso una fermata dell'autobus per tornare a casa, mentre la pioggia si faceva via via meno intensa. Lentamente, l'atmosfera tetra causata dal tempo nuvoloso fece spazio all'oscurità della notte.

Verso mezzanotte, tutto il viale in cui abitava Aaron era immerso nel buio e nel silenzio. Gli occhi del ragazzo, però, erano spalancati, e riflettevano la fioca luce della luna che era ormai visibile nel cielo ormai sereno. Erano l'unica fonte di luce in camera sua, mentre la sua mente continuava a pensare, frenetica, alla situazione.

 


Il sole brillava nel cielo limpido, macchiato solo da qualche nube vagabonda. Le sole testimoni del diluvio del giorno precedente erano le poche pozzanghere residue per la strada. Due ragazzi stavano camminando con passo svelto lungo il viale, in silenzio. Aaron aveva un'aria lievemente tesa, mentre il suo amico Arthur Clarke pareva più interessato a togliere una macchia dalla lente sinistra dei suoi occhiali che alla situazione. A pochi metri dalla loro destinazione, la casa di una compagna di scuola, Erin Morris, Aaron notò già una stranezza: proprio di fronte al cancello d'ingresso era parcheggiata una macchina, quasi completamente posizionata sul marciapiede, quasi a voler impedire il passaggio. Quasi impercettibilmente, Aaron aumentò l'andatura. A circa un metro dall'auto, capì che di strano non c'era solo l'auto: la porta di casa dei Morris si spalancò e ne uscirono due figure, una che correva e una che pareva cercare di divincolarsi. Il ragazzo impiegò qualche secondo per capire che, stretta tra le braccia di un uomo robusto, c'era Erin, imbavagliata e con le mani legate, negli occhi una silenziosa supplica, che il suo aguzzino pareva stare ignorando completamente. Aaron si lanciò verso il cancello, e l'uomo finalmente lo notò. Arthur era ancora a una certa distanza, e il suo viso sbiancò letteralmente alla vista della pistola che lo sconosciuto tirò fuori da una tasca interna della giacca, con il volto che pareva infastidito.

"Nessun testimone..."

Mormorò l'uomo. Ad Aaron il mondo parve congelarsi nell'istante in cui l'uomo puntò la pistola verso di lui. Il cuore prese a battergli ad un ritmo inverosimile, mentre il ragazzo era completamente immobile, come una statua di ghiaccio, incapace di muoversi per la paura. Le sue gambe ignoravano l'impulso del cervello che diceva loro di correre. Aaron spalancò gli occhi e fece per aprire bocca, forse per supplicare l'uomo, ma questi posizionò il dito sul grilletto e si preparò a fare fuoco. Il diciassettenne chiuse istintivamente gli occhi.

 

5 minuti prima, 1 km da casa di Erin

 

Il vento gelido era fastidioso, ma d'altra parte i due uomini erano appostati sul tetto di un condominio, a circa di un chilometro da casa di Erin. Uno dei due prese un'ultima boccata dalla sua sigaretta e la gettò a terra, schiacciando poi il mozzicone. Dopodichè afferrò un binocolo, e prese a scrutare Whiteglen, in cerca di qualcosa. A fianco dell'osservatore, l'altro uomo era sdraiato, con un fucile da cecchino appoggiato lì vicino, e pareva aspettare un cenno dell'altro. Vedendolo assorto nella sua metodica ricerca, sbuffò e disse:

"Rispiegami perchè diavolo i piani alti dell'FBI ci avrebbero dovuto mandare qui? Questa cittadina è un mortorio, a cosa serviamo?"

Senza smettere di guardare nel binocolo, l'altro uomo rispose:

"Abbiamo un bersaglio da proteggere, e dobbiamo tenere sott'occhio la situazione, te l'ho già spiegato. Non so altro, non mi hanno detto nulla, altrimenti credi che non ti avrei già aggiorn... Aspetta. Una Mercedes grigia, si è appena piazzata direttamente davanti al cancello."

Il cecchino mise in posizione il fucile, pronto a mirare. L'osservatore si lasciò sfuggire un'imprecazione.

"Sono riusciti a scavalcare in una frazione di secondo, la macchina li ha coperti. Trovati una posizione migliore."

I due si spostarono qualche metrò più in là sul tetto.

"Che ca...? Due ragazzi, si stanno dirigendo verso l'area bersaglio. Fantastico, altre complicazioni...!"

I sospetti dell'uomo si avverarono quando uno dei due corse verso il cancello, mentre un uomo usciva dalla porta di casa Morris, tenendo stretta tra le braccia una ragazza immobilizzata.

"Merda! Mike! Ore 11, distanza 980 metri circa, vento a 20 nodi. Fai fuoco quando sei pronto!"

Mike, il cecchino, inquadrò nel mirino la sagoma dell'uomo, che nel frattempo aveva tirato fuori la pistola. Smise di respirare, mentre il dito scivolava sul grilletto. Quando sparò, il rinculo del fucile lo destabilizzò per un breve istante.


Davanti alla casa di Erin


Aaron sentì un sibilo a destra della sua testa, ma nessun dolore. Aprì gli occhi, per vedere l'uomo davanti a sè che teneva premuta una mano sulla spalla sinistra, circa 10 centimetri al di sopra del cuore, mentre la pistola era caduta a terra. La giacca scura si stava macchiando di sangue, e l'uomo iniziò ad ansimare. Lo sconosciuto capì immediatamente che erano sotto tiro. In pochi istanti, coprì la distanza che lo separava dall'auto, e gettò Erin all'interno, prima di perdere conoscenza sul sedile posteriore a causa dell'eccessivo sforzo. Un altro proiettile del cecchino colpì, ma anzichè raggiungere il finestrino anteriore, finì poco sotto il tettuccio, a causa di un'improvvisa folata di vento. L'auto partì bruscamente, sgommando e quasi investendo Arthur, che cadde a terra, per poi scomparire lungo il viale. Aaron rimase come di ghiaccio, e solo dopo alcuni secondi cadde in ginocchio, l'espressione attonita.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Con un certo ritardo, ecco il terzo capitolo.

 

Aaron non si era ancora ripreso nemmeno lontanamente dagli inaspettati eventi di due giorni prima. Non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di Erin mentre veniva portata via da quello sconosciuto. Assorto nei suoi tormentati pensieri, non si accorse della porta di camera sua che si apriva.

"Aaron."

Il ragazzo si girò, notando infine sua madre, il cui volto lasciava trapelare la sua preoccupazione. Lo spiraglio di luce entrato dalla porta illuminò parte del volto di Aaron, che era ora molto più pallido e scarno di appena un paio di giorni prima. Diana, la madre del ragazzo, fece per aprire bocca, ma notò lo sguardo penetrante del figlio, che la ammutolì. Rimase sull'uscio, esitante, per una manciata di secondi, per poi balbettare un "La cena è pronta", che non era nemmeno remotamente simile a ciò che avrebbe davvero voluto dire. L'adolescente si voltò, attendendo con sollievo il rumore della porta che si chiudeva, per poi ributtarsi sul letto. Non voleva dormire, anche perchè ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva di nuovo Erin e l'uomo armato, ma semplicemente traeva conforto da quella posizione, e poteva riposarsi un poco.
Pochi minuti dopo, Aaron sentì la porta d'ingresso aprirsi, e udì la voce familiare del suo amico Arthur, la cui reazione ai fatti di qualche giorno prima era stata più contenuta. Dalle poche parole che riuscì a udire, il ragazzo sdraiato comprese che l'amico era lì per sapere come stava, tuttavia non riuscì a sentire la risposta data dai genitori, che forse avevano abbassato appositamente la voce. Al piano di sotto, nel soggiorno, il volto scarno di Arthur si contorse in una smorfia al pensiero degli avvenimenti di cui era stato testimone, che gli erano tornati in mente parlando con i genitori di Aaron. Non riuscì a ottenere da loro il permesso di fare visita ad Aaron, e fu costretto ad andarsene, scocciato dalla loro cocciutaggine. Aperta la porta, fu sulla strada in pochi secondi, e notò solo di sfuggita una macchina ferma, a motore acceso, a pochi metri di distanza dalla casa.

 


Buio. La ragazza aveva appena ripreso conoscenza, e tuttavia non riusciva a vedere nè sentire nulla, sospesa in una sorta di limbo calmo e oscuro. Aveva cercato di muoversi, per tentare di capire dove si trovasse, ma probabilmente i rapitori l'avevano sedata, perchè i suoi arti non erano in grado di compiere il benchè minimo movimento, bloccati in un torpore continuo. Dopo quelle che a Erin parvero ore, sentì finalmente un rumore. Un rumore sordo, continuo, che pareva quello di passi. Qualsiasi cosa era meglio di quel freddo silenzio. Sentì un rumore metallico, come di una serratura che faticava ad aprirsi, poi l'inconfondibile rumore di una porta che si apriva. Un lievissimo soffio d'aria fresca sfiorò il volto della prigioniera. Erin poteva distintamente percepire che c'era qualcuno lì vicino, immobile, intento ad osservarla.

"Sai perchè ti trovi qui?"

Furono le prime parole udite da Erin dopo il rapimento, pronunciate con un tono neutro, glaciale, che non era macchiato da alcuna emozione. La ragazza non riusciva a parlare, cercò semplicemente di rispondere con un cenno di diniego. Sentì l'uomo sospirare.

"Una domanda inutile. I tuoi genitori hanno fatto la loro scelta, e ti hanno tenuta all'oscuro di tutto, e quei due imbecilli che si sono occupati del tuo... trasferimento, non sono stati abbastanza intelligenti da dirti una singola parola riguardante il tuo scopo."

L'uomo si voltò e uscì dalla stanzetta.

"Ci rivedremo presto, molto presto."

Erin cercò di lanciare all'uomo una silenziosa supplica, poichè qualsiasi cosa, anche le parole apparentemente senza senso di quell'uomo erano meglio del silenzio assoluto in cui era rimasta a lungo, troppo a lungo. L'uomo non diede segno di aver notato nulla, e chiuse dietrò di sè la porta, con calma glaciale, per poi scomparire in un dedalo di corridoi.

 


Il sole era tornato a splendere su Whiteglen, dopo poco meno di una settimana di maltempo e clima uggioso. Ma probabilmente erano la pioggia e i nuvoloni scuri che si addicevano maggiormente all'umore di Aaron, ben lungi dall'essersi ripreso dal rapimento di Erin. Aveva ripreso ad andare a scuola, ma era irriconoscibile: pallidissimo, taciturno e introverso. Fu esattamente 8 giorni dopo il rapimento della ragazza che Aaron riprese una parvenza di vitalità.
Il sole era in procinto di calare del tutto, e le strade erano già semibuie, immerse nel crepuscolo. I genitori erano in soggiorno, a rilassarsi dopo una pesante giornata di lavoro, mentre il ragazzo si stava asciugando i folti capelli scuri, nel bagno al primo piano della casa. Qualcuno iniziò a bussare insistentemente, facendo sobbalzare la madre di Aaron, che chiese ad alta voce:

"Aaron, aspettavi qualcuno?"

L'adolescente riuscì a cogliere le parole della donna nonostante ella fosse al piano di sotto e gli rispose gridando a sua volta:

"Ti avrei avvisato ma', se avessi chiamato qualcuno per stasera!"

Con un cenno, Diana indicò al marito Ethan di andare ad aprire la porta. L'uomo rimase stupito quando vide chi stava aspettando che qualcuno aprisse. Una donna bionda, sulla trentina, e due uomini corpulenti, dal taglio di capelli cortissimo, erano in piedi di fronte all'uscio. Prima ancora che il padre di Aaron potesse aprir bocca, la donna mise la mano in una tasca interna della giacca scura che stava indossando, e tirò fuori un tesserino che sarebbe stato impossibile non riconoscere.

"Federal Bureau Investigation, siamo qui per prelevare suo figlio, Aaron Roberts."

Disse la donna, con voce calma. Ethan, che era impallidito soltanto al vederli, cercò di reagire, ma fu zittito da uno dei due accompagnatori dell'agente bionda.

"Ne abbiamo il diritto, non complichi le cose ulteriormente, prima ci porta il ragazzo, meglio è."

Il padre di Aaron tornò dalla moglie, pallido e stupefatto, e gli spiegò la situazione. La reazione di Diana fu la stessa di suo marito. I due si guardarono l'un l'altro, e in quello stesso istante Aaron scese le scale, l'aria interrogativa.

"Allora? Chi era?"

I genitori sobbalzarono nel vederlo, e la madre, che rimasta lievemente più calma, riuscì ad abbozzare una spiegazione:

"T-tesoro... C-ci sono degli uomini che vogliono p-parlarti... Ecco, d-devi andare via con loro per un po', non possiamo fare nulla per... i-impedirlo..."

Aaron rimase sgomento alla vista dei genitori in quello stato, e corse all'ingresso, rimanendo paralizzato, come il padre pochi minuti prima, dopo aver aperto la porta. La donna tirò fuori preventivamente il tesserino, e le parole che il ragazzo stava per pronunciare gli morirono in gola. L'adolescente indietreggiò di qualche passo, mentre la federale bionda lo squadrava con occhi scuri e penetranti.
Il giovane fu costretto a salutare i suoi genitori brevemente, e non riuscì quasi a spiccicare parola, stupefatto e imbarazzato dalla situazione ambigua. Non era sicuro di aver convinto i suoi genitori di non essere colpevole di alcun crimine, perchè i due lo guardavano ancora con lieve sospetto.

"Ma come cazzo possono pensare che chiamino l'FBI per un reato commesso da un adolescente, se anche ne avessi commesso uno?" pensò con stizza mentre entrava nel suv nero degli agenti. Dopo i primi cinque minuti di viaggio, fu costretto da uno dei due uomini a indossare dei paraocchi. Aaron protestò, e l'altro uomo lo zittì con un cenno:

"Senti ragazzo, non so tu che idee ti sia fatto. Non siamo in un film, e non abbiamo alcun motivo per fidarci di te, per cui mettiti questi fottuti paraocchi o sarò costretto a farti perdere conoscenza affinchè tu non possa capire che strada stiamo percorrendo."

Le ultime fioche scintille di protesta presenti nel ragazzo si spensero alla vista dello sguardo fermo dell'agente, ed Aaron capì che senza dubbio sarebbe stato pronto a mantenere la parola. Obbedì, di malavoglia, e passò il resto del viaggio bendato. Fu un viaggio di un paio d'ore, rese esageratamente lunghe dal silenzio assoluto che regnava nell'abitacolo. Le poche domande che Aaron pose agli agenti furono completamente ignorate. Ad un tratto, la macchina rallentò e si fermò, mentre all'esterno del veicolo si udivano voci indistinte. L'adolescente fu fatto scendere bruscamente e dovette percorrere una decina di metri prima che i tre federalin decidessero di rimuovere i paraocchi, consentendo ad Aaron di tornare a vedere. Erano in un lungo corridoio bianco, illuminato da lampade al neon, che facevano apparire il luogo ancora più asettico. I quattro svoltarono bruscamente a destra a metà corridoio, per poi entrare in una stanza. La sala era di medie dimensioni, affollata da scrivanie colme di volumi e pratiche o da computer. L'agente bionda si diresse verso un uomo girato di spalle, mentre il ragazzo fu costretto a rimanere con i due omoni. Pochi minuti dopo, l'agente tornò indietro accmpagnata dall'uomo. Era alto, imponente, con i capelli corti e di un castano chiaro, sebbene alcuni capelli grigi tradissero l'età non giovanissima dell'uomo. Aveva un viso serio ed austero, e pareva emanare autorevolezza, Si rivolse al giovane hacker, con voce profonda:

"Benvenuto. Sono Nicholas O'Hara, ufficiale di questa sede dell'FBI. Per prima cosa mi vorrei scusare per il trattamento che ti è stato riservato, ma ti chiedo di provare a comprendere, la velocità era essenziale."

Aaron sentiva che non sarebbe riuscito a provare rabbia nei confronti del nuovo arrivato, e la calma dell'uomo aveva tranquillizzato il ragazzo, per quanto solo lievemente. Con un cenno del capo, l'ufficiale congedò i tre agenti che avevano comdotto lì Aaron, e si diresse verso un ufficio, seguito dall'adolescente. Fu un colloquio breve, durante il quale Nicholas chiese ad Aaron di descrivergli gli avvenimenti dei giorni precedenti dal suo punto di vista, e dopo un quarto d'ora circa l'uomo era rimasto seduto, con un espressione indecifrabile sul viso.

"Tu sei qui perchè ci hai dato un'importante indizio per sospettare contro la Blackmist Corp., l'azienda farmaceutica alla quale appartenevano i database che sei riuscito, per pochi minuti, a visualizzare. Finora i sospetti erano troppo lievi per giustificare un'intromissione nei loro dati protetti, e se un'hacker anonimo come te è passato relativamente inosservato, noi avremo avuto qualche problema se fossero risaliti a noi. E' quasi certo che il rapimento di Erin Morris e la sua presenza nei dati siano strettamente legati, anche se non sappiamo come. Abbiamo bisogno di accedere di nuovo a quei database, e, per quanto l'FBI disponga di hacker di gran lunga migliori di te, abbiamo bisogno di ricreare gli avvenimenti di quel giorno, come se un semplice hacker si stesse introducendo nel sito, ma questa volta i dati salvati sul computer non saranno cancellati. Oh, e abbiamo pensato che ti avrebbe fatto piacere lavorare con una certa persona."

L'ufficiale si alzò e condusse Aaron con sè in un'altra stanza, questa volta più ampia, e dotata di numerosi computer, sistemati sulle diverse scrivanie presenti. Dopo pochi secondi di camminata, Nicholas si fermò a parlare con un uomo addetto a quella sezione, e lo condusse vicino ad Aaron.
Lo sconosciuto squadrò l'adolescente e disse semplicemente:

"Beh?"

Il giovane fu colto alla sprovvista, e guardò l'uomo con aria interrogativa. Solo dopo aver osservato attentamente il suo volto comprese.

"Jake? Zio Jake? Che diavolo ci fai all'FBI?"

Jake Roberts rise, ed abbracciò il nipote, ancora stupito dal vederlo lì.

"A qualcosa le mie doti dovranno pur servire! E vedo che i miei insegnamenti ti hanno trascinato qua, credo proprio di dovere delle scuse a Ethan, eh?"

Una decina di minuti dopo entrambvi erano seduti a una scrivania, sulla quale si trovavano due computer. Aaron, pronto a fare tutto il possibile per aiutare Erin, guardò con aria risoluta Nicholas, che fece un cenno al giovane e a suo zio. I due accesero nello stesso istante i rispettivi computer.

 


Nel buio della sua minuscola cella, Erin Morris iniziò a piangere sommessamente, il volto rigato da lacrime silenziose.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ecco il quarto capitolo, con un sacco di ritardo, dato che ho iniziato a scrivere solo nella parte finale di marzo e non sono riuscito a proseguire molto velocemente per problemi di tempo e blocchi vari...

 

Tre chiavette USB e due cd erano ordinatamente allineati sulla scrivania. Seduti nelle vicinanze c'erano due adulti e un ragazzo, che dimostrava all'incirca sedici anni. Tutti e tre avevano un'aria soddisfatta. All'interno dei dispositivi sul tavolo, contenuto in cartelle criptate, si trovava circa il 60% del database della Blackmist Corp., cioè tutto ciò che erano riusciti a prelevare senza suscitare particolari sospetti. I computer usati erano poi stati immediatamente spenti per evitare qualsivoglia rischio.

"Jake, Aaron, ben fatto, abbiamo in mano informazioni preziose, saranno fatte analizzare immediatamente dai nostri tecnici"

Disse un uomo dai capelli corti e lievemente brizzolato e dall'aria seria, guardando i due seduti dall'altra parte della scrivania. Pochi secondi dopo, un uomo entrò in silenzio nella stanza e prelevò una delle chiavette e un cd, salutando l'ufficiale con un cenno. Nicholas, il brizzolato agente dell'FBI, si voltò verso l'adolescente e parlò:

"Aaron, dovrei rivelarti il motivo per il quale siamo stati in grado di reagire prontamente al rapimento di Erin Morris. Devo ammettere, a malincuore, che il nostro servizio di informazioni non aveva alcun indizio riguardo un possibile rapimento. Non avremmo mai mandato a Whiteglen i due cecchini che ti hanno salvato, se non avessimo ricevuto una soffiata. E' stata una telefonata, impossibile da rintracciare, e la voce dell'interlocutore era pesantemente modificata da vari filtri vocali, ma il contenuto era... quantomeno convincente. In questo momento i tecnici stanno analizzando con cura i file su Erin per trovare qualsiasi indizio riguardante la sua attuale ubicazione, in quanto lei è l'unica traccia che abbiamo per collegare la Blackmist a... qualsiasi cosa stiano facendo."

Aaron guardò negli occhi l'ufficiale per qualche secondo prima di fissare il soffitto, sovrappensiero. Le parole di Nicholas gli avevano fatto improvvisamente ricordare che Erin era ancora là fuori, da qualche parte, prigioniera. Il ragazzo chiuse gli occhi, assorto.

 


Erin Morris non era in grado di capire nulla. Il torpore che provava da diversi giorni era arrivato al suo climax, e la ragazza non era in grado di muovere un solo muscolo, nè di aprire bocca. Poteva solo rimanere nella sua cella, supina, con gli occhi aperti e offuscati, persi nel vuoto, che osservavano il buio della cella. Di tanto in tanto un barlume di coscienza affiorava nella sua mente, per poi essere prepotentemente soffocato dall'effetto del cocktail di sedativi e narcotici. Quando la porta della cella si aprì, lasciando che una lama di luce filtrasse dall'ingresso, la ragazza dai capelli corvini non fu neanche in grado di voltarsi per osservare la situazione, e si accorse a malapena dello sconosciuto che la stava osservando. Dopo averla fissata per una buona decina di secondi, l'uomo la sollevò come se fosse stata una piuma. Di nuovo, la ragazza quasi non se ne rese conto, la mente offuscata dai farmaci e lo sguardo appannato. L'uomo camminò con sicurezza per circa cinque minuti, muovendosi attraverso un dedalo di corridoi bianchi illuminati da lampade al neon che rendevano l'atmosfera ancora più asettica. Lo sconosciuto giunse infine di fronte a una porta, anch'essa bianca. Uno scanner effettuò un rapido controllo della retina dell'uomo prima di aprirsi con un sibilo quasi impercettibile per lasciarlo passare. Poco dopo, Erin realizzò che era stata posata dallo sconosciuto su una poltrona dallo schienale reclinato, e riuscì ad accorgersi che c'era un secondo uomo nella stanza. I suoi aguzzini iniziarono a parlare, ma la ragazza non fu in grado di cogliere alcuna parola della conversazione, in parte per il basso volume delle loro voci ed in parte per l'effetto delle droghe. Il secondo uomo si avvicinò alla poltrona e squadrò Erin con interesse. La ragazza conservava una piccola parte della sua bellezza nonostante la prigionia, sebbene la sua pelle ora fosse molto più pallida ed i suoi capelli avessero perso la loro lucentezza. L'uomo la scrutò per un buon mezzo minuto, prima di voltarsi verso colui che aveva portato Erin nella stanza, e gli chiese qualcosa. L'altro annuì e tornò poco dopo con un contenitore metallico. L'uomo che fino a poco prima stava osservando Erin lo aprì e ne tirò fuori una siringa, che piantò senza preavviso nel braccio destro della ragazza seduta. Erin avvertì con distacco l'ago che penetrava il suo braccio, poi avvertì, può nitidamente, una sensazione di bruciore che aumentava poco a poco. Fu in grado di sentire l'uomo che le aveva piantato la siringa nel braccio dire:

"Entro 15 minuti farà effetto."

La ragazza rimase stupita dal fatto che ora iniziava persino a distinguere i tratti del viso dell'uomo. Aveva corti capelli che un tempo dovevano essere stati bruni, ma che ora tendevano al grigio, ed occhi castani e profondi. Pareva un ordinario uomo di mezza età, ma il sequestro di cui era stato partecipe non aveva nulla di ordinario. Le parole del secondo sconosciuto parevano però veritiere, perchè dopo circa un quarto d'ora la ragazza era tornata in condizioni fisiche e mentali quasi normali, fatta eccezione per i muscoli intorpiditi dalla prigionia. L'uomo nel frattempo si era seduto dietro una scrivania, che Erin aveva notato solo dopo una manciata di minuti dall'assunzione del nuovo farmaco, e si stava dedicando a un qualche lavoro su un computer. Pochi istanti dopo si voltò verso Erin, e comprese che la sostanza nella siringa aveva finalmente fatto effetto. Si alzo e con passo deliberatamente lento si avvicinò alla ragazza, squadrandola per l'ennesima volta. La prigioniera si sentì vagamente intimidita.

"Erin Morris. Finalmente possiamo parlare faccia a faccia. Non saremmo dovuti ricorrere a questo, se i tuoi sciocchi genitori non avessero deciso di voltarci le spalle all'improvviso."

Continuò a camminare avanti e indietro, lentamente.

"Il tuo scopo non è nemmeno così vitale... Avremmo potuto semplicemente rimpiazzarti, ma avevamo bisogno di un esempio, per mostrare le conseguenze di un eventuale tradimento..."

L'espressione di Erin si fece più tesa, e l'uomo sorrise crudelmente.

"Oh, sì, non credere che i tuoi genitori ne usciranno impuniti... Ma tu neanche quale fosse il ruolo dei tuoi genitori, il TUO ruolo... Dovrò iniziare dal principio."

Si avvicinò alla scrivania ed accese un proiettore che fece apparire sul muro di fronte alla ragazza una serie di schemi e dati pressochè incomprensibili.

"Bene, ragazza mia, ci prenderemo tutto il tempo necessario affinchè tu comprenda..."

 


Aaron, suo zio Jake e Nicholas, l'ufficiale dell FBI erano ancora seduti, in attesa di un qualsiasi cenno da parte dei tecnici che stavano analizzando i dati ottenuti dal sito della Blackmist. Aaron aveva il viso teso, e sembrava sul punto di crollare da un momento all'altro, per lo stress e la stanchezza. Jake e Nicholas erano molto più calmi, e stavano discutendo di cose incomprensibili al teenager.

Passarono circa tre ore e mezza prima che un agente si facesse vivo, bussando alla porta dell'ufficio di Nicholas. Il brizzolato ufficiale lo fece entrare, e i due parlarono a bassa voce per una manciata di minuti, impedendo ad Aaron, e probabilmente perfino a Jake, di comprendere alcunchè. Alla fine, Nicholas annuì e congedò l'altro agente con un cenno della mano. Rimase silenzioso per un breve attimo, con il volto apparentemente pensieroso. Poi parlò, con la sua consueta voce seria e calma:

"Mi è stato comunicato che gli informatici sono riusciti ad accedere ai dati criptati contenuti nei file riguardanti Erin Morris. Tra le cose scoperte, abbiamo la locazione del luogo in cui la ragazza si presume essere prigioniera. A quanto pare qualsiasi membro di una certa rilevanza della Blackmist avrebbe avuto più difficoltà ad accendere una televisione che a visualizzare quei dati, visto il tipo di protezione. In ogni caso, seguitemi."

L'uomo si alzò e uscì dall'ufficio, seguito da Aaron, la cui espressione ora faceva trasparire il suo interesse e la sua apprensione, e da Jake. Il trio si mosse lungo innumerevoli corridoi, fino a trovarsi in una stanza dotata di una notevole quantità di computer e apparecchiature di vario genere.

Nicholas si avvicinò a un capannello di uomini che si trovava in una fila di computer, ed iniziò a parlare con loro. Dopo qualche istante fece cenno ad Aaron e a Jake di avvicinarsi. Su un monitor era visibile l'immagine satellitare di un'area che Aaron riconobbe, in quanto vicina a Whiteglen. Un puntino rosso era situato sulla mappa, poco fuori la città di Wallsbury, che si trovava a una decina di chilometri da Whiteglen.

"Conosco quel posto. Hanno costruito una filiale della Blackmist poco meno di un anno fa. E anche l'immagine sull'altro monitor, quel luogo vicino a Kantville, indica la locazione di un'altra sede della Blackmist, le ho viste entrambe più di una volta passando da lì."

Disse Aaron, sorpreso egli stesso di stare parlando con voce relativamente calma ad un gruppo di agenti federali. I presenti si voltarono verso il ragazzo, e Nicholas annuì.

"Esatto, ed ora come ora si ritiene che Erin Morris sia tenuta prigioniera in una di queste sedi, ma purtroppo non siamo a conoscenza della sua esatta ubicazione. Il piano è semplice: invieremo un piccolo gruppo di agenti selezionati in entrambe le strutture, e in seguito gli agenti si infiltreranno negli edifici per trovare una qualsiasi traccia. Non sappiamo ancora cosa la Blackmist stia facendo, ma sappiamo che è potenzialmente pericoloso e personalmente ciò mi basta."

Si rivolse poi a un agente lì vicino:

"Voglio tutti gli agenti che attualmente non hanno incarichi nella sala riunioni tra mezz'ora, per scegliere chi andrà dove."

L'agente se ne andò di corsa borbottando quello che parve un 'Sissignore'.

Di nuovo, Aaron e Jake si trovarono a seguire l'ufficiale. Aaron pareva essere ora meno intimidito dalla situazione, ed aveva iniziato a rivolgere frequenti domande a Nicholas. D'improvviso il ragazzo si fermò, e Nicholas lo guardò, perplesso. Ora l'adolescente aveva un'espressione determinata.

"Devo chiederle una cosa, riguardo l'operazione."

 


Erin Morris aveva un'espressione quasi incredula sul volto. Ancora faticava a capacitarsi di ciò che l'uomo le aveva raccontato. Tutto suonava come una menzogna. L'uomo iniziò a spazientirsi di fronte alla reazione della ragazza, e parlò, questa volta in tono perentorio.

"Ancora non hai capito ciò che intendo dire? Non sto mentendo, ne avrai presto conferma. Tu sei una Carrier, porti all'interno del tuo corpo un virus letale pronto a essere rilasciato sotto nostro comando. Sei una vittima sacrificale, un martire necessario per un futuro migliore. Col tempo capirai."

Concluse l'aguzzino di Erin, lasciando la ragazza stordita e turbata da quell'affermazione che la etichettava come una pedina di qualcosa che nemmeno era in grado di comprendere.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=625306