Far away

di Sisya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hit me with your best shot ***
Capitolo 2: *** Jealousy ***
Capitolo 3: *** Things I'll never say ***
Capitolo 4: *** Propose and Promise ***
Capitolo 5: *** Changing habits ***
Capitolo 6: *** Sorry ***
Capitolo 7: *** Childhood friends ***
Capitolo 8: *** Under the pouring rain ***
Capitolo 9: *** Right kind of wrong ***
Capitolo 10: *** Trouble in the shower ***
Capitolo 11: *** Pretty and Beautiful ***
Capitolo 12: *** We are equals on this ground ***
Capitolo 13: *** Scarred man ***
Capitolo 14: *** Cover for two on a sleeping couchette ***
Capitolo 15: *** Hidden tears ***
Capitolo 16: *** God ***
Capitolo 17: *** Sneezing ***
Capitolo 18: *** Unworthy ***
Capitolo 19: *** Broken Smile ***
Capitolo 20: *** Personal Charming Prince ***
Capitolo 21: *** Prom Queen and Girl next door ***
Capitolo 22: *** Thunders and nightmares ***
Capitolo 23: *** Sentinel's affairs ***
Capitolo 24: *** Love is a Battlefield ***
Capitolo 25: *** When Roy met Riza ***
Capitolo 26: *** In Whiskey Veritas ***
Capitolo 27: *** Telephone ***
Capitolo 28: *** Wet kisses from a stupid ***
Capitolo 29: *** Gloves ***
Capitolo 30: *** Rain and Rainbow ***
Capitolo 31: *** (not) Meant to be ***
Capitolo 32: *** Last Impression ***
Capitolo 33: *** New World ***



Capitolo 1
*** Hit me with your best shot ***


Far away

(a Roy Mustang and Riza Hawkeye tribute)


È soltanto un piccolo esperimento.
Ormai mi sono completamente innamorata di questi due.
Perciò mi sa che continuerò a tormentarli ancora per un bel pezzo *O*
Commentate in tanti mi raccomando! Un bacio <33

1. Hit me with your best shot


Spaparanzato sulla sedia appoggiata alla parete in una posa tutt’altro che dignitosa, il colonnello Mustang allunga le gambe all’infuori, cacciandosi le mani in tasca e sbuffando per l’ennesima volta nel giro di pochi minuti. Hughes lo osserva distrattamente, in piedi di fianco a lui, e sta quasi per infilare una mano in tasca per recuperare una certa famosa fotografia e sbattergliela sotto il naso a tradimento, quando un repentino cambiamento da parte del suo sonnacchioso colonnello lo lascia sbigottito. Roy alza il capo di scatto, facendosi tutt’a un tratto attento e riprendendo una postura leggermente più composta.
Hughes allarga gli occhi, stupito, cercando di individuare la causa di un tale prodigioso risveglio dalla solita pennichella quotidiana.

- Tenente Hawkeye, prego -
Riza si fa avanti con passo deciso, appoggia la giacca dell’uniforme sul tavolo e la sua mano scende ad aprire la fondina. Sistema il caricatore con un movimento rapido, e fa scattare la sicura. Solleva le braccia, parallele, stringendo le dita affusolate intorno al calcio della sua fedele calibro nove. Un ciuffo ribelle, uscito dal fermaglio, le ricade morbido su una guancia. I suoi occhi sono fissi sul bersaglio, socchiusi. Prende la mira. Il colonnello la osserva in silenzio, tanto concentrato su di lei che si è persino dimenticato di continuare a sbuffare. Sente come un groppo fastidioso alla gola, un prurito alle mani, che sfrega alacremente dita contro dita, torturando la stoffa dei guanti. Qualche scintilla si sprigiona al contatto, rimbalzando nervosa attorno al suo pugno. Riza sposta l’indice in avanti, sul grilletto, concedendosi un lungo respiro, prima di fare fuoco. Una scarica di colpi a distanza ravvicinata si abbatte sull’omino in lontananza, che ricade all’indietro ridotto peggio di un colabrodo.

- Centrato in pieno, tenente, cinquanta su cinquanta. Ottimo lavoro -
Riza s’illumina in un sorriso di intima soddisfazione, mentre s’infila di nuovo la giacca e fa cenno al piccolo Hayate di seguirla.
Per un attimo, mentre lei li sorpassa diretta verso la porta, i loro sguardi sembrano incrociarsi. Roy socchiude le labbra, forse tentando di parlare, magari di farle persino un complimento, ma rimane invece zitto, limitandosi ad annuire brevemente. Riza lo fissa, interdetta, ma si ricompone subito e scatta sull’attenti, uscendo poi tanto velocemente quanto era entrata.
Hughes si sporge un po’ di più, inarcando entrambe le sopracciglia, nel notare che l’amico si è appena portato una mano sul lato sinistro del petto con una smorfia, sospirando di nuovo. Il colonnello rivolge un’ultima occhiata al punto in cui Riza è scomparsa, e si gira precipitosamente verso di lui, sentendosi un po’ troppo osservato per i suoi gusti. Hughes è costretto a nascondersi dietro un fascicolo di amministrazione, per coprire il ghigno che pian piano gli si stava allargando sulla sua faccia.

Ottimo lavoro, tenente.
Centrato in pieno.


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Capitolo 2
*** Jealousy ***


2. Jealousy


Recupera il cappotto dal sedile posteriore, le rivolge un cenno di saluto e scende dalla macchina, richiudendo lo sportello dietro di sé con un colpo secco.
Si sistema la cravatta con una precisione quasi snervante, lanciando inconsciamente un’occhiata nello specchietto retrovisore per controllare che non ci fosse niente fuori posto, e sfodera subito dopo uno dei suoi migliori sorrisi. Uno dei suoi migliori e letali sorrisi. Si affaccia un attimo al finestrino, inclinando la testa da un lato e socchiudendo le labbra in un gesto vagamente ammiccante - Buonanotte, tenente -
Riza annuisce, ingoiando il vuoto, mentre il colonnello si allontana con la sua solita andatura spavalda da dongiovanni incallito qual era.
Stringe le dita intorno al volante, convulsamente, e china il capo, domandandosi se lo facesse apposta o cosa.
- Buonanotte, colonnello -
Ogni volta.
Fingere di non notare il mazzo di fiori che teneva dietro la schiena e voltare subito lo sguardo dalla parte opposta con falsa noncuranza.
Ogni volta. Ignorare quell’intenso bruciore all’altezza del petto. Scacciare le lacrime, costringersi ad andare avanti, nonostante tutto. E indossare la maschera dell’indifferenza, nascondersi dietro alle strette di mano informali, limitandosi ad osservarlo da lontano, così com’era giusto che fosse. Ogni volta. Si domandava quanto ancora avrebbe potuto resistere.

Il colonnello si richiude la porta alle spalle e si porta la mano destra al collo per allentare il nodo soffocante della cravatta. Appoggia stancamente il mazzo di fiori sul tavolo. Non c’è nessuna donna a cui consegnarlo, almeno per ora. Si distende sul divano, dopo aver fatto una breve e deludente incursione nel frigorifero mezzo vuoto, passandosi una mano sulla fronte e fissando ostinato il soffitto - Prima o poi crollerai, Hawkeye - sussurra, portandosi la bottiglia alla bocca, con un sorrisetto spudoratamente sicuro di sé. E quel giorno, quando sarebbe successo, lui sarebbe stato lì. Con le mani tese in avanti, e il suo migliore e rassicurante sorriso, pronto a prenderla tra le sue braccia.
Doveva soltanto aspettare.



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Capitolo 3
*** Things I'll never say ***


3. Things I’ll never say

Riza si appoggia la borsa sulla spalla, lanciando un’ultima occhiata alla pila di documenti ancora intatta sulla scrivania del suo superiore.
L’orario di uscita è passato da un bel pezzo, e a dirla tutta se ne sarebbe già potuta andare un’ora prima con gli altri, ma lasciarlo lì da solo, seppellito da quella valanga di burocrazia a cui sapeva essere allergico Semplicemente, non le era sembrato molto professionale.

Il colonnello però si è assentato un attimo, probabilmente per dedicarsi con tutta tranquillità a fare la corte alla nuova segretaria appena assunta.
Riza si siede al suo posto, educatamente, sistemando con precisione i fogli sparsi qua e là e guardandosi poi intorno in quel silenzio quasi surreale.
Infine sospira di disappunto, abbandonando la testa contro lo schienale della sedia e alzando i piedi sulla scrivania così come faceva sempre lui.
Solleva da terra Hayate, che gironzolava lì intorno già da un po’, e ride al contatto ruvido della sua lingua contro la guancia, domandandosi tra sé perché diavolo quel fannullone la stesse facendo aspettare così tanto. Ci sono certe cose che però Riza non gli avrebbe mai detto.
Cose che non avrebbe mai potuto dire, per essere precisi. Che era un uomo impossibile, tanto per cominciare.
Che non ne poteva più delle sue innumerevoli spasimanti, che non c’era altra donna oltre lei davvero in grado di poterlo sopportare per una settimana consecutiva. Che ammirava il suo coraggio e non avrebbe mai esitato a premere il grilletto pur di saperlo in salvo, anche se nel frattempo stava andando incontro a qualcosa che non avrebbe saputo affrontare. E che dopo tutto quel tempo passato al suo fianco, continuando ad essere fedele al soldato, aveva finito per innamorarsi dell’uomo.

Si sporge all’indietro per prendere il cappotto del colonnello abbandonato sull’attaccapanni, e quasi senza pensarci, obbedendo ad un impulso improvviso, se lo stringe al petto, inspirando il suo profumo fino a perdercisi dentro, sotto lo sguardo confuso del povero Hayate. Cose che se solo avesse potuto dire …
- Sono proprio una stupida, eh? - sussurra, nascondendo il viso nella stoffa.
- No, non credo - Roy è lì, appoggiato allo stipite della porta, le braccia conserte e quel suo solito mezzo sorriso sulle labbra.
Riza si sente d’improvviso avvampare, lascia cadere il cappotto e inciampa nel rialzarsi precipitosamente dalla sedia per fare il saluto.
- Non c’era mica bisogno di azzopparsi, tenente - le dice, trattenendosi a stento dallo scoppiare a ridere, e si avvicina alla scrivania per raccogliere il soprabito dal pavimento, mentre Riza fa di tutto pur di mantenere un minimo di contegno nonostante le guance le stiano andando a fuoco - Passo a prenderti alle otto, va bene? - sussurra Roy inclinando dolcemente la testa e scostandole una ciocca di capelli dalla fronte. Riza spalanca gli occhi, stupita, scostandosi automaticamente dal contatto con le sue dita fredde, cercando mentalmente qualche impegno o missione fuori programma che si era scordata di annotare. Sconcertata, non avendo trovato nessuna spiegazione plausibile, è costretta a domandare: - colonnello? Cosa …? -
Lui scuote la testa come se trovasse la cosa molto divertente.
- Il nostro primo appuntamento, tenente - risponde, con una calma a dir poco sconcertante, calcandosi il cappello sulla testa - Oh, un’altra cosa La prego, cerchi di non indossare qualcosa di troppo scollato, altrimenti non posso prometterle che raggiungerà il ristorante in condizioni presentabili - Si concede qualche secondo per contemplare l’espressione semplicemente impagabile sulla faccia di lei, poi si richiude la porta alle spalle, senza smettere di sorridere.
Ci sono cose che Riza non avrebbe mai detto.

… ma per fortuna, col tempo, il colonnello Roy Mustang aveva imparato a leggere tra le righe.


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Capitolo 4
*** Propose and Promise ***


4. Propose and Promise


- Buongiorno - esordisce lei con tono abituale, controllato, avvicinandosi alla scrivania del suo superiore in equilibrio precario, reggendo una pila considerevole di documenti. Se quello fosse stato un giorno qualunque, Roy alla vista dei fogli sarebbe subito sbiancato, cominciando a elencare scuse campate per aria a proposito di una terribile distorsione alla mano destra o qualcosa del genere. … ma non si trattava di un giorno qualunque. Proprio no. Perché il colonnello non degna le pratiche neanche di uno sguardo annoiato, gli occhi che corrono ansiosi alla ricerca di quelli di lei, abbassandosi subito dopo con un gesto quasi timoroso - tenente -
Si scambiano un cenno formale, e ognuno torna più o meno volontariamente alle proprie occupazioni. Passano alcuni minuti di un silenzio palesemente imbarazzato; gli altri sottoposti intanto si scambiano occhiate perplesse, domandandosi se forse non fosse il caso di andare a prendersi un caffè e sparire dalla circolazione per un po’. Riza però salta improvvisamente su dalla sedia, facendo prendere un colpo a tutti, colonnello compreso.
Havoc ingoia il suo mozzicone di sigaretta. Breda rischia seriamente di strozzarsi con il panino al prosciutto di cui si stava rimpinzando di nascosto.
- Io ci ho riflettuto molto, non creda che non l’abbia fatto! - esclama d’un fiato, guardando dritto davanti a sé, un improbabile colorito sulle guance.
Roy rimane imbambolato per una frazione di secondo, ma subito riesce a ricomporsi con un finto colpo di tosse.
- Bene - replica con aria fin troppo distaccata per sembrare davvero reale.
- e sono arrivata a una sola conclusione, signore - prosegue lei, ancora senza guardarlo.
- Cioè, tenente? - domanda lui con un leggero tremito nella voce, e ingoiando il vuoto, comincia ad armeggiare freneticamente con alcuni documenti, fingendosi molto interessato, ma senza avere in realtà la più pallida idea di cosa ci fosse scritto - Ora come ora, non ritengo sia una buona idea, signore. Io non - balbetta lei, arrossendo così tanto che si sente quasi scottare. Qualche altro secondo in silenzio. Il colonnello stringe la penna tra le dita, deglutendo a fatica.
- Ah - risponde, e ritrovare la voce sembra uno sforzo immane - È un rifiuto questo, Riza? -
- No! - esclama in fretta lei, spiazzandolo, incontrando finalmente i suoi occhi - Intendo dire, signore, che non è un momento adatto per … non ancora -
- Sì, capisco credo - risponde Roy, chinando il capo, domandandosi tra sé perché mai adesso riuscire a respirare gli risultasse tanto difficile. - Signore - sussurra lei, tornando a sedersi, ed è un suono che sa quasi di preghiera - Ora non posso accettare, e lo sa benissimo anche lei … ma aspetterò, per tutto il tempo necessario, io io potrò … -
- Oh - balbetta lui, rendendosi conto di cosa stesse cercando di spiegare, reprimendo a stento un sospiro di sollievo - D’accordo, tenente. D’accordo -
Il colonnello riprende dunque ad armeggiare con gli stessi fogli di prima, questa volta però cercando di farli sparire in un cassetto o alla peggio bruciacchiarli giusto un pochino, per evitare nei limiti del possibile qualche noioso incarico. Perché certe cose in fondo non sarebbero cambiate mai, neppure in giorni tanto speciali.
Si concede tuttavia la piccola soddisfazione di prenderle la mano, sotto la scrivania, fingendo di controllare qualche stupida pratica, lasciando scivolare sull’anulare sinistro il piccolo cerchio rotondo e sentirla sussultare di sorpresa. E in quell’attimo, quando nessuno degli altri sottoposti stava guardando, posa le labbra sulla sua guancia morbida, beandosi del pensiero che l’avrebbe avuta tutta per sé, quella sera, lontano da sguardi indiscreti, al sicuro sotto le lenzuola.
- Saprò aspettare con te -
Promesso.

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Capitolo 5
*** Changing habits ***


5. Changing habits


Ognuno di noi, più o meno consapevolmente, col passare del tempo finisce per acquisire una propria routine.
Innocui, semplici gesti che si ripetono, giorno per giorno, entrando a far parte di una nostra personale, intima quotidianità. pat pat pat
Soprattutto la mattina, quando, ancora mezzi addormentati, riusciamo a scendere dal letto più per forza d’abitudine che per uno slancio di spontaneità. Soprattutto poi, se è pure domenica. pat pat pat
Sbircia nella stanza, facendo capolino dalla porta. Con aria curiosa sguscia dentro, domandandosi perché mai la signorina ci stesse mettendo tanto, dato che la ciotola ancora vuota reclama già da un po’ i croccantini le spettano. Si avvicina al letto, col muso all’aria. Il piccolo Hayate inciampa dunque in qualcosa di inaspettato, che non si aspettava certo di trovare lì. Si abbassa, inarcando la schiena, diffidente, e sporge il naso in avanti per annusare quell’oggetto, appartenente ad un intruso. Ha un odore forte, un miscuglio di profumo e dopobarba che lo fa quasi starnutire.
Rizza le orecchie, notando un movimento nel letto della signorina. Scodinzola, rotolandosi a terra per ricevere la sua dose quotidiana di coccole.
- Ssh! - fa debolmente l’intruso in questione, chinandosi a grattargli la testa con una mano - Sarà il nostro piccolo segreto, vero? -
Il nostro povero Hayate, del tutto scombussolato, ruota lo sguardo sulla signorina Riza, che ha appena indossato la camicia dell’ intruso e si inginocchia ad accarezzarlo con un sorriso, chissà perché, più luminoso del solito. pat pat pat
Il suo sesto senso canino gli suggerisce che in ogni caso si sarebbe dovuto ben presto abituare a questi innocui cambiamenti di routine. Segue la signorina Riza in cucina, dove trovano l’intruso che armeggia con la caffettiera, e che non appena la vede si gira e la solleva, baciandola sulla punta del naso. E la risata della signorina risuona così spontanea, così inconsueta Mmh, tutto sommato, decide a questo punto Hayate, poteva anche dargli una possibilità.
Comunque, al primo passo falso, si sarebbe arrogato il diritto di mangiucchiargli le scarpe e nascondergli i pantaloni sul davanzale.


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Capitolo 6
*** Sorry ***


6. Sorry


Sei il colonnello Roy Mustang e non hai paura di niente e nessuno.
Certo. Come no. Ingoi il vuoto. Sembra proprio che per quanto ti sforzi non ne combini mai una giusta, eh?
Come diavolo fa a sopportarti? Ingoi il vuoto, di nuovo. Anche adesso, bussando alla porta, pregando che non sia davvero così tanto arrabbiata da lasciarti fuori a congelare. E ti compare davanti, in tutto lo splendore della sua salopette fin troppo larga, i capelli un po’ arruffati. Ti osserva battere i denti e stringerti nel cappotto, socchiudendo gli occhi con aria sospettosa. Ci hai messo un bel po’ di tempo, in effetti. Forse troppo per sperare di impietosirla. Piegandoti in due per riprendere fiato, le tendi subito un sacchetto di plastica dai colori sgargianti, la tua unica speranza di non esser lasciato a dormire sullo zerbino. Lei guarda il sacchetto, poi di nuovo te - Scusa - sussurri, a fior di labbra, e quel suono insolito ti rimane incollato al palato, stranamente naturale.
Dovrai abituarti a ripeterlo spesso, in ogni caso, che tu lo voglia o no.

E poi eccolo. Il sorriso orgoglioso della tua donna, che lascia un attimo perdere l’adorazione della vaschetta e si sporge per incontrare le tue labbra già protese.
Ti senti attirare dentro casa, al calduccio, con il suo ventre rigonfio che preme sulla tua pancia. E qualcosa, vicino allo stomaco fa una capriola, rendendoti dannatamente completo - Scusa - sussurri di nuovo, strofinando il naso sui suoi capelli, e stavolta non ti stai riferendo soltanto all’attesa snervante per il suo gelato. Lei si sente stringere perfino più del dovuto, e non ha bisogno di guardarti in faccia per capire. Come sempre. Ed è un sussurro quasi inconsistente, vicino al tuo orecchio, che ti fa scappare fuori un estremo respiro di sollievo, mentre ti aggrappi alla sua schiena.
- Perdonato -


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Capitolo 7
*** Childhood friends ***


7. Childhood friends


- Sei ancora arrabbiata con me? -
Un ragazzino dagli occhi scuri la fissa da sotto in su, sbirciando con fare colpevole da dietro un librone pieno di formule incomprensibili.
La bambina scende dallo sgabello e non risponde, muovendosi impettita nel suo grembiule macchiato, con le trecce che dondolano ai lati della testa.
- No - borbotta in risposta, passandogli accanto senza degnarlo di uno sguardo. Lui torna a concentrarsi sullo scritto con un interesse fin troppo palese.
- Solo per questa volta però, d’accordo? - sussurra poi spazientito, sospirando con fare teatrale e decidendosi finalmente a lasciar perdere il librone soporifero.
E la ragazzina non riesce più a tenere il broncio; la sua faccia si accende come un raggio di sole birichino, si alza sulla punta dei piedi e gli stampa un goffo bacio sulla guancia. Roy si ripulisce con una manica, ostentando una smorfia disgustata, ma con ben pochi risultati di nascondere l’imbarazzo.
- Guarda che questa è l’ultima per davvero, capito? - ci tiene a precisare, pignolo, vedendosi arrivare di rimando una linguaccia impertinente.
Per un attimo è quasi tentato di rimangiarsi ogni parola, ma poi nota l’espressione dell’amica, quel sorrisone acceso di gratitudine tutto per lui ed ha subito la conferma di essersi proprio fregato da solo. E in quella corsa a perdifiato giù per il vialetto di casa, lontano dall’alchimia, dalle occhiate severe del signor maestro, tenne sempre ben salda la stretta sulla sua mano.

Un uomo, appartato nel suo studio polveroso, sposta leggermente la tenda della finestra, osservando i due puntini saltellanti che si confondono sempre più uno con l’altro, scomparendo insieme nel riverbero del sole. E così, a quanto pareva, la sua piccola Hawkeye l’aveva di nuovo avuta vinta sul senso del dovere del giovane rampollo dei Mustang. Sorride, suo malgrado, dando loro le spalle e scostandosi dalla vetrata nel lento zoppicare. E anche per oggi, la lezione era da considerarsi rimandata.


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Capitolo 8
*** Under the pouring rain ***


8. Under the pouring rain


Quel fastidioso ticchettio contro le vetrate, per qualche strana ragione, sembrava essere direttamente proporzionale al peggiorarsi del suo umore.
Se c’era una cosa che odiava era proprio essere sorpreso da un acquazzone fuori programma; alzare distrattamente lo sguardo al cielo e rendersi conto che anche per quella sera si sarebbe ritrovato a girovagare nel suo appartamento in preda al nervosismo più totale, con la divisa fradicia che si asciugava appesa davanti alla stufetta elettrica. Con un tempaccio del genere, tutti quanti in ufficio si guardavano bene dal fare qualsiasi commento fuori luogo. Stava di fatto però che perfino una vecchia signora con i reumatismi si sarebbe lamentata meno del loro prode colonnello.
Si era fermato sotto al porticato del quartier generale con aria alquanto scocciata, cercando di appiattirsi il più possibile contro al muro;
costretto ancora una volta a subire l’ennesimo sberleffo da parte del clima autunnale che, a dirla proprio tutta, sembrava essersi messo proprio d’impegno per fargli saltare ogni appuntamento galante di una - come sempre - fin troppo occupata settimana. Lei lo aveva raggiunto dopo qualche minuto, premurosa come al solito, reggendo un ombrello abbastanza grande per entrambi. Gli si era fermata di fianco, riparandolo dallo scroscio incessante.
- Signore? Si sente bene? - sussurrò dandogli un colpetto sulla spalla, con un tono un po’ preoccupato. - Piove - rispose lui con un’alzata di spalle, ritenendo una spiegazione più che sufficiente quel suo borbottio proveniente da sotto la sciarpa che si era avvolto fino al naso.
- Lo so. Posso offrirle un passaggio fino a casa? -
- Non abbiamo più la macchina a disposizione, tenente - le ricordò Roy, corrugando la fronte.
- So anche questo, signore - Si sentì tirato per una manica, e prima ancora di rendersene conto si ritrovò il suo tenente stretto al braccio, le gote arrossate e lo sguardo basso.
- Oh, ma potevi anche dirlo prima se volevi soltanto appiccicarti un po’ a me, mia cara Riza - fece lui sfoggiando un fantastico sorrisone a quarantadue denti.
- Un’altra parola, colonnello, e le assicuro che la pioggia diventerà l’ultimo dei suoi problemi - Roy scoppiò a ridere, portandosi le mani al petto in segno di resa e scuotendo la testa. - Messaggio ricevuto, tenente -
Eppure non smise di ridacchiare, incamminandosi lungo il marciapiede. E quando - con molta cautela - tentò di passare un braccio intorno ai suoi fianchi, dopo aver ricevuto un immediato pizzicotto, scoprì con estremo piacere che lei non aveva poi tutta questa fretta di ritrarsi. In fondo, si disse, due divise da militare appese alla stufetta erano molto meglio di una sola; e corrispondeva senza dubbio alla migliore delle sue aspettative per la serata.


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Capitolo 9
*** Right kind of wrong ***


9. Right kind of wrong


Sognare di strusciarti contro la sua divisa, alla ricerca affannata delle labbra che hai desiderato tutto il giorno, trattenendoti a stento dal prenderle la mano mentre ti passa di fianco con un sorrisetto appena accennato - che, se non si fosse trattato di lei, ti saresti perfino azzardato a definire stranamente ‘complice’ -
È sbagliato. Completamente sbagliato. Così proprio non va. Stai mettendo tutto quanto a repentaglio per la tua stupida incapacità di controllo, nonostante ti fossi riproposto di non cascarci. E la cosa peggiore è che lo hai sempre saputo, che in un modo o nell’altro ci sareste andati di mezzo. Entrambi.
Sollevi lo sguardo, spiandola da dietro un noiosissimo rapporto.
D’accordo. Contegno. Smetti almeno di sbavare sui documenti, non è molto dignitoso!
Un brusio generale ti fa spostare velocemente gli occhi sull’orologio; e ti scappa un sospiro. Quasi l’una.
- Hawkeye, tu no. Dobbiamo discutere di un affare di massima importanza - borbotti. Per una breve frazione di secondo, ti sembra quasi di notare lo stesso sorrisetto di poco prima che si riaccende compiaciuto. - Restiamo anche noi, colonnello? Gradisce … uhm? - Breda ti si piazza inaspettatamente davanti, offrendoti con estrema riluttanza i resti del suo toast precotto, e viene subito imitato dagli altri, che ti attorniano di facce sorridenti e volenterose.
Prima o poi dovrai scoprire come mai l’eccesso di zelo dei tuoi sottoposti saltasse sempre fuori nei momenti meno opportuni.
- No, no, potete andare. Voi -

Riza sorride, in piedi sulla porta, stavolta non tenta neanche più di nasconderlo.
Sorride, nonostante siate costretti a ricorrere a questi ridicoli sotterfugi pur di stare insieme,
Forse avresti dovuto rinunciare. Forse sarebbe stato meglio. Stavolta però ti convincerai a lasciar perdere di capirci qualcosa.
Stavolta, solo per un po’, potrete fingere che sia tutta una questione burocratica, regola più regola meno. Per adesso, comunque, sai soltanto che sei più che disposto a passare tutta la pausa pranzo chiuso dentro a uno sgabuzzino, pur di poter fraternizzare col tuo tenente come e quanto ti pare. E mentre attraversi quasi correndo i corridoi deserti, con lei che ti si stringe al braccio, guardandosi intorno apprensiva, che ti sussurra di darti una mossa, sfacciato poltrone, con le labbra premute una contro l’altra per non lasciarsi scappare una risata, non hai più nessun dubbio al riguardo. Riza era di sicuro lo sbaglio più giusto che avresti mai potuto fare.

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Capitolo 10
*** Trouble in the shower ***


10. Trouble in the shower


In tutta fretta, richiudi lo sportello dello scaldabagno con un mezzo sorriso sornione, sfilandoti i guanti e nascondendoli in tasca, portandoti nel frattempo il più lontano possibile dal luogo del misfatto, non troppo però da rischiare di perderti lo spettacolo. Incredibile quanto dannatamente fosse facile, sprigionare un leggero cortocircuito, giusto per Sei stato sleale, d’accordo, almeno questo lo ammetti. Un maritino perfetto non si sarebbe mai azzardato a fare una cosa del genere. E ne pagherai le conseguenze, più tardi, interessi compresi. Eppure non hai proprio saputo resistere. Uno. Due. E
Non ricordi di averla mai sentita strillare in questo modo. Senti arrivare qualche imprecazione che neanche credevi conoscesse, i rumori di sottofondo di una confusione frettolosa; ti scansi velocemente al rumore della porta scorrevole che si spalanca di botto, e dopo una manciata di secondi la tua dolce metà fa finalmente la sua comparsa; adorabilmente affannata, che ti guarda incredula come non mai, i capelli ancora tutti grondanti, scalza, con un asciugamano arrotolato addosso alla bell’è meglio, fin troppo lungo per i tuoi gusti.
Ti punta contro un indice tremante, non riuscendo neanche a sillabare - Tu … Tu brutto …! Roy Mustang! Giuro che questa me la paghi! -
- C’è forse qualcosa che non va, tesoro? - lei alza gli occhi al cielo, scossa dai brividi, ma la sua espressione cambia quando si accorge che hai appena fatto un paio di passi in avanti, sfoggiando un sorrisone sfacciatamente innocente.
- Ti do una mano? -
- Stai Stai indietro! Non ci provare nemmeno! Roy! -
Un giorno o l’altro dovrai ricordarti di dirle quanto la trovi semplicemente adorabile quando si arrabbia.
Quanto sia dannatamente bella, coi capelli bagnati attaccati al viso e la faccia in fiamme. Quanto tu muoia dalla voglia di farle questo scherzetto ogni volta, pur di vedertela comparire davanti così. Un giorno o l’altro dovrai ricordarti di dirle quanto tu sia innamorato della Riza che ride, si lascia sollevare tra le braccia, e al tuo primo momento di distrazione ne approfitta per vendicarsi e rovesciarti in testa un intero barattolo di bagnoschiuma. Se non altro adesso hai un buon motivo in più per spingerla di nuovo nella cabina stretta e scivolosa, insieme a te stavolta.

Un giorno o l’altro. Adesso in ogni caso sei fin troppo impegnato; neanche ti accorgi che Black Hayate fa per entrare nel corridoio, ma drizza le orecchie nel sentire degli strani, ma non troppo insoliti rumori. Fa dietro-front, e poi si allontana con la coda tra le gambe, inseguito dai risolini soffocati dei suoi due padroni.
Gli umani a volte non riusciva proprio a capirli. Che cosa poteva mai esserci di tanto divertente nel fare la doccia?

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Capitolo 11
*** Pretty and Beautiful ***


11. Pretty and Beautiful


- Ecco, questa qui è carina, mi passa il suo numero, colonnello? -
- Scherzi, Jean! Non mi sembra il tuo tipo. E poi perché dovrei rischiare che quella povera ragazza rimanga traumatizzata a vita? - rispose prontamente Roy facendosi una risata. Havoc lanciò un’occhiata mortalmente offesa al superiore, ma non si disdegnò di ficcare di nuovo il naso dentro all’agenda personale del suddetto, che intanto si era pigramente abbandonato contro lo schienale della sedia, gongolando giusto un pochino nell’osservare la faccia sempre più verdognola d’invidia dell’altro - E questa invece, eh? a guardarla bene non è neanche un granché, signore -
- Mmh, però è stato un bel problema ottenere un suo appuntamento - borbottò Roy, socchiudendo le palpebre e sbadigliando sonoramente.
- Dice davvero? - replicò Havoc, abbastanza scettico - E scusi, come mai? -
- Sai com’è … - e qui il colonnello non seppe trattenersi dallo sfoderare all’istante uno dei suoi sorrisi più accattivanti - Voleva farsi suora -
Riza, che fino a quel momento era rimasta in silenzio a riordinare i rapporti, senza interessarsi più di tanto a loro, sebbene i due non stessero combinando un bel niente per terminare il lavoro arretrato, alzò improvvisamente gli occhi dal rapporto, e Roy stavolta cominciò a temere di aver parlato davvero troppo.
Un brivido freddo gli corse giù per la schiena, nel vederla che si alzava tranquilla dalla scrivania, stiracchiandosi leggermente.
- Fammi vedere un po’ - disse poi abbassandosi su una spalla di Jean e tendendo una mano; e quello sembrò quasi ghignare nel consegnarle in fretta la preziosa agenda del superiore. Roy si appuntò mentalmente di trovare un modo per fargliela pagare molto cara, mentre si voltava inorridito verso Riza che osservava la foto della sua vecchia fiamma con la fronte corrugata.
- Ehm tenente, ecco non credo che sia una buona ide-
- Nah - Riza fece schioccare la lingua, scuotendo la testa con convinzione.
Si sedette accanto ad Havoc, accavallando le gambe in un modo che Roy non poté trattenersi dal deglutire sonoramente. I due la fissarono, piuttosto perplessi.
Soprattutto un certo colonnello, dato che Nah non era esattamente, come dire, il genere di commento che si sarebbe aspettato da lei - Jean, Jean - sussurrò Riza sorridendo mentre sfogliava le pagine con aria di sufficienza - Non troverai certo la tua donna ideale nell’agenda di un simile scapestrato. E poi, scusa se mi permetto, ma non dovresti cercarne una solo carina -
I due sgranarono contemporaneamente gli occhi. Havoc perché molto interessato dalla piega inaspettata che aveva preso la conversazione; Roy perché tutto si sarebbe potuto immaginare, tranne di venire apostrofato in quel modo così poco rispettoso dal suo migliore tenente.
- Cosa cosa vorrebbe dire? - domandò Jean, ansioso di ricevere ulteriori spiegazioni.
- Per esempio, mettiamo il caso che tu incontri una donna - iniziò lei appoggiando un gomito sul bracciolo, col mento sul palmo della mano.
- Impossibile - borbottò Roy di rimando. Riza sollevò un sopracciglio, ma non si scomodò neppure a rispondergli; lanciò un’occhiata di sbieco al vassoio del tè, in bella vista sulla scrivania del colonnello, e senza una parola prese anche lei una tazza, portandosela alle labbra e bevendo un lungo sorso del liquido dorato e fumante. Roy fece passare lo sguardo da uno all’altro dei sottoposti, incredulo, sentendosi fin troppo ignorato per i suoi gusti. A stento si trattenne dal far loro notare che anche lui era presente. - Incontri una donna. E se sarà quella giusta, Jean, non penserai certo che sia solo carina, no? Se te ne sarai innamorato, voglio dire - mormorò lei, abbassando lo sguardo e fissando intensamente le sue mani, intrecciate in grembo.
- E cosa penserò, tenente Hawkeye? -
Riza sorrise dolcemente, mentre il suo sguardo (del tutto involontariamente) andava a posarsi sul colonnello per un istante quasi impercettibile. Si affrettò a bere un altro sorso, per nascondere un rossore improvviso dietro la tazzina. - Che sia bellissima, Jean - sussurrò tutto d’un fiato, una volta riuscita a ricomporsi, sporgendosi e prendendo a sistemare la confusione di piattini sul vassoio per tenere occupate le mani, che avevano inaspettatamente iniziato a prudere.
- Oh, ma dice sul serio tenente? Oh, grazie! Lei sì che mi capisce! - esclamò Havoc balzando su dalla sedia con i lacrimoni di commozione negli occhi - Ha capito, colonnello, eh? Io non ho certo bisogno della sua agenda, ah ah La donna dei miei sogni è là fuori e mi sta aspettando!! Devo correre! -
- Ci penseremo io e il colonnello a concludere qui, vai pure - esclamò lei ridendo, guardandolo mentre cominciava a saltellare spensierato verso la porta, come aspettandosi di incontrare la sua donna ideale alla macchinetta del caffè.

- Crede davvero a ciò che ha appena detto, tenente? - domandò Roy dopo qualche secondo, recuperando finalmente la voce dopo aver ascoltato i loro discorsi del tutto ammutolito; e non solo per aver appena sentito snobbare la sua preziosissima agenda da uno come Havoc, ma soprattutto per aver assistito ad una lezione sul corteggiamento da Riza Hawkeye. - Certo - replicò lei con calma, abbandonandosi contro lo schienale con un mezzo sorriso soddisfatto - E quando lei la smetterà di importunare delle povere suore, forse potrà anche rendersene conto da solo - borbottò, la bocca piegata in una leggera smorfia d’irritazione.
- Credo tu abbia ragione -
- Sì. Con tutto il rispetto, signore, ma so benissimo di aver ragione - replicò Riza piccata, con un tono che non le aveva mai sentito usare prima.
Roy si costrinse quindi a richiudere la bocca, mentre distoglieva con gran fatica lo sguardo dal profilo del suo tenente e lo riabbassava sulle pratiche, una mano protesa sul vassoio per riempirsi la bocca con una manciata di biscotti, nel disperato tentativo di ignorare una nuova scarica di brividi freddi lungo la schiena dovuti ad una semplicissima, spontanea - e non richiesta – considerazione del suo subconscio: che c’era un solo aggettivo che in quel momento avrebbe potuto descriverla. Che no, Riza Hawkeye per lui non sarebbe mai stata una solo carina. E che la cosa, ad essere sinceri, lo spaventava alquanto.


Ringrazio infinitamente tutti quanti, dal profondo del cuore.
Questo capitolo lo aveva in testa già da un po’ ma non ne aveva mai voluto sapere di trasformarsi in qualcosa di decente.
Un ringraziamento speciale deve però andare a
Stray e Shatzy che mi hanno sempre seguita con tanto affetto.
Prometto che riuscirò a dedicarvi qualcosa di più un po’ più carino ed esclusivo, prima o poi. Abbiate fede! XD

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Capitolo 12
*** We are equals on this ground ***


12. We are equals on this ground



Si richiuse la porta alle spalle, appoggiandocisi sopra con la schiena ed portandosi un braccio sulla fronte con un sospiro teatralmente affranto.
Poi si trascinò faticosamente fino al divano, dove si spaparanzò beato con un ah soddisfatto. Questa sì che era vita. D’altra parte, lo stesso Hughes, non si era forse sempre vantato del suo matrimonio perfetto? Di tornare a casa ogni sera e trovare sempre un’adorabile mogliettina con la cena pronta che non aspettava altro che coccolarlo e massaggiargli i piedi? Eh? Con la coda dell’occhio, notò Riza che gli veniva incontro asciugandosi le mani nel grembiule. Inclinò all’indietro la testa, sorridendo sfacciato mentre lei si appoggiava allo schienale coi gomiti, abbassando il mento per poterlo guardare in faccia - Roy? Oggi tocca a te -
- Mmh, non ne ho voglia, tesoro, puoi pensarci tu, eh? -
- Non ci penso nemmeno. È il tuo turno -
- Beh. Sono pur sempre un tuo diretto superiore, mi sembra -
- E con questo? Comandante Supremo Roy Mustang, la smetta di polemizzare e si dia una mossa! - esclamò Riza scattando sull’attenti per prenderlo in giro - Prima cominci, prima finisci, no? ­­­- aggiunse poi ridendo. Lui la fissò come se fosse impazzita. - Ma ma tu dove te ne vai? –
- A dormire. Sono stanca -
- Eh …? -
Riza Hawkeye gli rivolse un sorrisetto intenerito, alzandosi sulla punta delle pantofole per schioccare un bacio sulla guancia del neo-marito.
Roy Mustang non fece neanche in tempo a ribattere che lei si era già volatilizzata dietro la porta della loro camera, nel loro letto.
Sbuffò decidendosi a raggiungere la cucina, e levandosi i guanti alchemici con un gesto rassegnato; infilò al loro posto con uno schiocco i sostituti gialli e plasticosi abbandonati sul lavello. E lanciando un’occhiata di sbieco al lavandino già riempito di detersivo e ai piatti sporchi accumulati dentro, non poté fare a meno di sentirsi un po’ fregato. Dannato Maes. Che si fosse dimenticato di accennargli qualcosa, a proposito delle gioie di una convivenza?


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Capitolo 13
*** Scarred man ***


13. Scarred man


Il suo profumo denso, fresco, riempie le tue narici ancora prima che tu apra gli occhi.
La luce del sole ti colpisce in pieno viso, costringendoti a rigirarti su un lato per sfuggirle, e ricacci la testa sotto al cuscino con uno sbuffo infastidito.
Dormi nel suo letto da cinque settimane. Da quattro giorni, lei dorme insieme a te. La convalescenza forzata dopotutto aveva portato a dei risvolti. Inaspettati, ma positivi. Decisamente positivi. Svegliarsi accanto a lei è come rinascere, ogni mattina. Hai il suo sguardo addosso, mentre tendi un braccio in direzione del comodino. Lei però è più rapida di te. Scivola sul pavimento, scalza. Poi torna a sedersi sul letto a gambe incrociate, davanti a te, e ti copre l’occhio sfregiato, posando con delicatezza la benda sopra la cicatrice, per poi sollevarla subito dopo.
Non puoi fare a meno di sorridere, avvertendo il tocco del suo bacio che si posa leggero. No, non sopra l’occhio sano.
E ringrazi, per quanto sia assurdo, ringrazi quell’orribile sfregio che ti ritrovi sulla faccia, che, ancora più assurdamente, ti ha permesso di ottenere Lei.
Per questo a volte non riesci a spiegarti quelle lacrime che ogni tanto spuntano tra le sue ciglia mentre ti guarda, quello stupido senso di colpa che - lo sai - ancora non l’abbandona. Per quanto ti riguarda, non c’è mai stato scambio equivalente migliore.


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Capitolo 14
*** Cover for two on a sleeping couchette ***


14. Cover for two on a sleeping couchette


Abbandoni il capo contro al poggiatesta, lasciando vagare lo sguardo fuori dal finestrino. La campagna e gli alberi che si susseguivano veloci, e il fischio acuto del treno stesso, erano un ritornello che si ripeteva ormai da ore intere. Il colonnello, circa a metà viaggio, era venuto a lamentarsi di essere quasi morto asfissiato nello scompartimento di Havoc e Breda per la puzza di fumo di uno e quella del cestino del pranzo dell’altro. Aveva poi aspettato qualche secondo la tua reazione alla battuta, guardandoti dalla porta con un sorrisone a cinquanta denti, ma tu avevi continuato a leggere il giornale in silenzio, senza dare nemmeno segno di averlo sentito. Lui aveva sbuffato, come al solito, cominciando a brontolare sulla tua completa mancanza di senso dell’umorismo, ma dopo averti lanciato un’occhiata di sbieco, si era comunque seduto. Ora, il problema non era tanto che Roy Mustang si era seduto accanto a te.
Piuttosto, che Roy Mustang si era seduto accanto a te. E forse era proprio per questo che da quando era arrivato lui, tu avevi passato tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino, le mani che si muovevano nervose e non ne volevano sapere di stare ferme - Sarà una lunga notte, e noi dobbiamo attrezzarci al meglio, tenente Hawkeye - sussurra lui con un sospiro, e quando tu ti volti (costretta) a guardarlo, solo allora ti rendi conto di quanto siate effettivamente vicini. Puoi quasi sentire il suo respiro contro la guancia.
È uno sforzo immane rimanere calma e rispondergli normalmente.
- Sì. Ha freddo? Vuole la mia coperta? La tenga pure, io non ne ho bisogno, signore -
Lui ti osserva sorpreso, come se avessi appena detto una cosa molto stupida.
- Ma così tu rimarrai senza. Non potrei mai farlo, Riza - Distogli in fretta lo sguardo e intrecci le mani in grembo.
Sei sempre a disagio nel sentirti dare del tu con tanta spontaneità. È una confidenza che non dovrebbe permettersi.
- Le ho detto che non ne ho bisogno - Roy sospira, decisamente esasperato. Sai benissimo di irritarlo comportandoti così, lasciandolo a sbattere la testa contro un muro chiedendosi dov’è che sbaglia sempre con te. Eppure non puoi fare altrimenti. Sarebbe stato troppo rischioso. Perché a giocare col fuoco ci si brucia. E nel tuo caso, soprattutto, era anche qualcosa di più di un semplice proverbio.
- Ci coprirebbe entrambi, sai? -
- Non se ne parla -
- Insomma, non lascerò certo che tu muoia assiderata solo per seguire uno stupidissimo protocollo! Ce la faremo bastare - borbotta Roy stendendo la coperta e, prima che tu possa ribattere, sei già al calduccio sotto di essa. Rimanete immobili, uno vicino all’altro, nel silenzio del vostro scomparto - Sei rigida come un pezzo di legno, lo sai? Rilassati, non stiamo facendo niente di male. E se qualcuno dovesse fare problemi, domani mattina ci penserò io a ridurlo in flambé - borbotta lui, liberandosi dei guanti e rivolgendoti un sorriso stranamente sincero.
E tu non puoi fare a meno di sorridere a tua volta, mentre chiudi gli occhi.

Senti un movimento al tuo fianco, la testa del colonnello si piega pericolosamente di lato, e non fai neanche in tempo a spostarti che te lo ritrovi addosso, con la testa appoggiata sulla tua spalla, che dorme beato. Avvampi, svegliandoti del tutto. Respiri profondamente, col cuore che, per qualche strana ragione, comincia a battere accelerato. La coperta avvolge ancora entrambi in un bozzolo tiepido e compatto. Intimo. Lui si scuote leggermente, poi ritorna nella posizione di prima, mugugnando qualcosa che non riesci a capire. In fondo non è certo colpa tua se quel maledetto treno continua a dondolare da una parte e dall’altra a causa del terreno sconnesso; e non puoi farci proprio niente se devi rannicchiarti un po’ di più contro di lui per stare un po’ più comoda. E no, non è affatto colpa tua, se poi quello stupido del colonnello sceglie proprio il momento sbagliato per voltarsi, e azzera quasi le distanze tra voi. Tanto da poter quasi sfiorare il tuo naso col suo. È una confidenza che non si dovrebbe permettere; ma per una volta sei felice che se la sia presa comunque.
Sta sorridendo. E di nuovo, per riflesso, sorridi anche tu. Fuori, comincia a piovere.
Dentro però, l’abbraccio della notte non ti è mai sembrato tanto caldo.


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Capitolo 15
*** Hidden tears ***


15. Hidden Tears


Se solo tentava a muoversi, la pancia gli faceva ancora un male cane. Non riuscì neanche a girarsi su un lato senza trattenere una smorfia contratta sul viso esangue. Ansimò, portandosi una mano al fianco. Cercò per l’ennesima volta di rivoltarsi dall’altra parte, facendo leva col braccio destro, ma si arrese subito con un sospiro frustrato, ributtandosi a pesto morto sul letto e affondando la faccia nel materasso freddo dell’ospedale. Un materasso - decisamente - scomodo. O chissà, forse era soltanto lui che non riusciva a prendere sonno, visto che Jean aveva cominciato a ronfare senza problemi ore prima. Roy aprì pigramente un occhio, immerso nella penombra. Percorse con lo sguardo il contorno del suo profilo, rimanendo in un religioso silenzio, come ammutolito dallo stupore.
Doveva esserci uno sbaglio. Riza?
Girata su un fianco e rannicchiata sopra la sedia accanto al letto in una posizione, se possibile, ancora più scomoda della sua. Roy ci mise un po’ per rendersi conto che il calore che sentiva intorno alla mano sinistra era dovuto al fatto che lei avesse appoggiato la sua mano sul suo palmo, intrecciando leggermente le loro dita. Sembrava che stesse tentando di tutto pur di fare meno rumore possibile; si mordeva le labbra fino a farsi male e ingoiava a forza i singhiozzi, ma bastavano semplicemente gli occhi gonfi di lacrime a tradirla. Stava piangendo. Ancora. Riza. Vederla di nuovo in quello stato era davvero troppo da sopportare. Roy si sentì quasi assalire dalla stessa rabbia di prima, tanto che dovette stringere i pugni sulla coperta per non sferrarne uno al comodino di fianco. Di nuovo. Avrebbe voluto gridarle di smetterla una buona volta. Possibile che non ci riuscisse proprio, eh? Non sopportava di vederla così.
- Cosa stai facendo? - domandò tutto a un tratto, rompendo il silenzio con un tono amaro che sapeva d’accusa.
Riza sollevò la testa di scatto, scostando subito la mano dalla sua e portandosela alle guance bagnate con un gesto automatico, per asciugarle. È difficile definire l’espressione che le si dipinse sul volto, in quel momento. Un misto improbabile tra imbarazzo e risentimento, per essere stata scoperta a fare qualcosa che non doveva. Come da bambina, quando veniva colta in flagrante dal padre mentre cercava di rubare il miele dalla dispensa, ed era costretta ad abbassare lo sguardo, un paio di graziose fossette che le sbucavano sempre sul volto imbronciato - … N-Niente -
- Credevo d’essere stato chiaro prima, tenente Hawkeye -
- Sissignore. Lo è stato -
- Cosa ci fai ancora qui, eh? Allora? -
- Va tutto bene. Si tratta del mio lavoro, signore. È il mio lavoro -
- Non lo è -
- Sì -
- Tenente, non sei tenuta a piangere per un tuo superiore -
Un altro singhiozzo, più forte - Vuole che me ne vada? -
Roy ruotò il capo sul cuscino per andare a incrociare quegli occhi ambrati pieni di lacrime, che al contrario, sembravano far di tutto pur di poter evitare i suoi. Si soffermò con lo sguardo sulle fossette di lei con un sorriso appena appena accennato. - Scusa - sussurrò infine sospirando pesantemente e coprendosi la fronte con un braccio - Io … Scusami, lo so, a volte sono un vero idiota -
- Solo a volte? -
- Ehi …! -
Sentirla ridere fu un vero sollievo, nonostante le gote arrossate e ancora un po’ lucide per il pianto.
Roy si sdraiò di nuovo e chiuse gli occhi, col respiro che man mano tornava regolare. Lei rimase composta per qualche minuto, aspettando che si fosse addormentato; poi timidamente, protese la mano e la richiuse con dolcezza su quella di lui, rinnovando la stretta di poco prima.
Ed è una fortuna che lui stesse già dormendo. Altrimenti non gliel’avrebbe saputo spiegare - È vero, colonnello, forse non sono tenuta a piangere per un mio superiore - sussurrò a fior di labbra appoggiando la testa sul materasso - ma di sicuro ho ogni diritto di questo mondo di piangere per l’uomo che amo -
Ed è una fortuna che nemmeno lei potesse vederlo, mentre quella goccia dispettosa rotolava giù dal suo occhio socchiuso e scivolava lungo il contorno della mascella. Perché quello sì, che sarebbe stato troppo complicato da spiegare.

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Capitolo 16
*** God ***


16. God


Ritorni quasi zoppicando fino al tuo giaciglio, sollevando appena con un braccio lo spiraglio della tenda, mentre fuori la luce fioca del lume va man mano diminuendo. Sei stremato, gli occhi fanno fatica a restare aperti e bruciano per la polvere. È da quando sei arrivato che non riesci più a dormire.
Stavolta però ti sono concesse solo quattro ore di riposo, e devi sfruttarle appieno.
[ Vecchio. Tu sei l’ultimo. C’è qualcosa che vuoi dire? -
- Io ti maledico ]
Opprimenti, come una mano serrata sulla gola che non accenna a lasciare a presa.
Ti accasci tra le coperte ruvide e impastate di sabbia, respirando a pieni polmoni nell’aria scura e soffocante. Dio.
Dov’e finito, quel Dio di cui tutti parlano? Che parte ha in tutto questo? Perché, se davvero esiste, permette che accada?
Hai ancora addosso del sangue rappreso sull’uniforme, e anche in bocca senti lo stesso sapore metallico che hai imparato a riconoscere.
In questo inferno che non sembra avere fine, in questo angolo di terra dimenticato perfino dal cielo, perché non sembra esserci compassione per nessuno? Dove bisogna guardare, per riuscire a credere ancora? Dove, Dio?
Si tratta soltanto di un’illusione, allora? Una chimera a cui aggrapparsi nella disperazione e cercare conforto là dove invece non se ne trova?
Per poi illudersi che debba esserci per forza dell’altro, che non si possa limitare tutto soltanto a un simile orrore? In tutto questo. Dove, Dio?
Ma non importa. Lo ripeti a te stesso, stancamente, ancora una volta, prima di abbassare le palpebre e lasciar fuori, almeno per un po’, il rimbombo spaventoso della guerra. Ogni eco esterno scompare, mentre scivoli finalmente nel sonno. Si ha bisogno di tenersi strette perlomeno le poche certezze che ancora ci sono rimaste. Dio dopotutto serve anche a questo, no? Riconosci, nel tuo confuso dormiveglia, le sue dita esili che ti circondano la nuca, mentre lei si corica accanto a te. Vicina, poco più di un soffio. Socchiudi di nuovo le palpebre, e i due occhi da assassina più dolci che tu abbia mai visto, ti strappano un debole, spento sorriso.
A tentoni, nelle tenebre, cerchi la sua mano con la tua. E poi quando la trovi, stringi tanto forte da farle quasi male. Non hai bisogno di nient’altro.
E no, non importa. Se Dio c’è oppure no, ormai non t’importa davvero più.
Tu lo hai già trovato, qualcosa in cui credere.

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Capitolo 17
*** Sneezing ***


17. Sneezing


Si porta entrambe le mani al viso istantaneamente, abbassando il capo e strizzando gli occhi in uno starnuto fuori programma.
Gli occhi di tutti si puntano su di lei, che sorride, un po’ imbarazzata, e riprende a correggere il suo rapporto come se niente fosse.
Anche i sottoposti subito dopo tornano a occuparsi dei loro affari; chi ad accendersi l’ennesima sigaretta, chi a proporre un torneo di scacchi, chi a mettere in ordini l’archivio, chi, che nemmeno prima si era scomodato ad alzare la testa, continua poltrire come suo solito spaparanzato coi piedi sulla scrivania. Dopo pochi secondi tuttavia, un altro starnuto costringe l’attenzione di tutti a calamitarsi di nuovo su di lei, che non può fare a meno di sbuffare infastidita.
- Dobbiamo provare a spaventarla, tenente? - propone Jean sorridente.
- Scemo, guarda che quello funziona solo per il singhiozzo - borbotta Breda in risposta.
- Può provare a saltellare su una gamba sola tappandosi il naso, tenente! -
- Ah! Oppure può trattenere il respiro per cinquanta secondi! -
- Bravo, così poi magari sviene! -
- Tu cosa proponi, eh, sapientone?! -
- Impacchi di camomilla! -
- Stai scherzando, vero? -
Riza si guarda intorno spaesata, non sapendo come calmare il putiferio creatosi tra tutti - Ehm. Ragazzi, non c’è n’è bisogno. Devo solo aver preso l’influenza e…eccì - Quando risolleva lo sguardo, asciugandosi gli occhi, si trova inaspettatamente davanti il colonnello che le tende un bicchiere di plastica con un po’ d’acqua, sorridendo leggermente - Scusami, credo sia stato per colpa mia -
- Sua, signore? -
- Temo di sì. mi perdoni? –
E lei non può fare altro che abbassare gli occhi e arrossire vistosamente, mentre gli altri ancora tentano in tutti i modi di scoprire la causa del suo presunto attacco allergico, senza rendersi conto la risposta non andava cercata molto lontano, perché stava semplicemente nello sguardo intenerito del loro superiore.

Piccolo chiarimento finale.
Questa idea è sicuramente molto stupida, ma non avendo a disposizione niente di meglio, ho aggiornato con il capitolo più ridicolo che io abbia mai scritto XD
In Giappone si crede che se si parla di qualcuno che non è presente, la persona in questione starnutisce. Ora, vi prego, chiudete un occhio e facciamo finta che valga anche se ti stanno soltanto pensando, altrimenti tutto il capitolo non avrebbe assolutamente senso ----> e quindi Roy si scusa perché evidentemente la stava sciupando un po’ troppo nei suoi pensieri per farle venire un simile attacco di starnuti XD Che ragionamento contorto >.< (me corre a rintanarsi in un angolino a fare circoletti per terra per la vergogna) Un ringraziamento speciale ai 19 che hanno aggiunto la raccolta ai preferiti *O*


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Capitolo 18
*** Unworthy ***


18. Unworthy


Rimani lì ancora per qualche attimo, immobile, a fissarti la punta delle scarpe, tenendo in una stretta quasi convulsa un misero, spoglio mazzolino di fiori recuperato dal primo fiorista scorbutico che eri riuscito a trovare e che avevi costretto a riaprire il suo negozio di domenica sera a un orario praticamente indecente. Respiro accelerato, mani appiccicose, tremore diffuso, tendenza a balbettare. Dopo qualche altro secondo, ti arrendi, lasciando cadere il braccio lungo il fianco, rassegnato. Forse, dopotutto, non sei poi così coraggioso come credevi. Così debole, così sbagliato, così inopportuno e immeritevole di starle accanto. Non dovresti nemmeno essere lì. Stai già per andartene quando lei, cogliendoti di sorpresa, apre la porta dall’interno stringendosi nella vestaglia con un sorriso, e lasciandoti appena il tempo di nascondere i fiori dietro la schiena e assumere un’aria un po’ meno patetica.
Sempre un tempismo dannatamente perfetto, la tua donna.
- Roy? -
- Ah. Ehm. Ciao -
- Ciao - Sorride, guardandoti come non stesse aspettando altro che vederti comparire a mezzanotte passata sul pianerottolo di casa sua.
Sorride, e ti si stringe il cuore in una morsa dolorosa. Dannazione, cosa ti eri messo in testa? Tu non la meriti una come lei.
- Beh, io vado allora. A domani. Mi raccomando, stammi bene -
- ma? Aspetta, Roy, dove dove stai andando? Sei appena arrivato e pensavo che aspetta, cosa è successo? -
- Sono passato soltanto per un saluto, eh. Non preoccuparti. Ci ci vediamo domani, va bene?
Riza si stringe addosso la vestaglia leggera, osservandoti per un lungo attimo di silenzio.
China il capo per nascondere la delusione e annuisce lentamente.
- Sì. Va bene, a a domani. D’accordo. Buonanotte, Roy -
Così indegno di lei. Eppure
Si richiude la porta alle spalle, rientrando in casa, e tu rimani da solo. Eppure
La tua mano non ci impiega neanche mezzo secondo a scattare sul campanello.
- Roy, ma si può sapere cosa …? -
- Sposami -
 Lei si blocca, sgrana gli occhi, mentre subito un piccolo fantasma di sorriso comincia a farsi strada tra le sue labbra socchiuse.
 E a giudicare dallo slancio con cui si appende al tuo povero bavero, sbilanciandoti all’indietro e coprendoti il viso di baci, beh, anche lei sembra abbastanza convinta in proposito. Ed è proprio allora che tu, sciocco e immeritevole uomo che non sei altro, capisci. Perché forse è vero che non sei affatto degno di lei. Ma tu l’ami. E questo, per ora e per sempre, te lo farai bastare.

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Capitolo 19
*** Broken Smile ***


19. Broken Smile


Sistemi i guanti contro la mano, le labbra serrate una contro l’altra per non farle tremare, mentre appoggi con più delicatezza possibile il palmo sulla sua schiena, nel punto ruvido che era stato appena deturpato. Sfregiato, proprio dalle tue stesse fiamme. Lei si scosta bruscamente, ritraendosi d’istinto dal tuo tocco. Scottata. Buffo e amaro allo stesso tempo. Quale paragone avrebbe mai potuto risultare più drammaticamente azzeccato? Lasci ricadere la mano dalla sua schiena, inerte. Vorresti poterla aiutare, fare qualcosa per lei. Ma osi soltanto rimanere in disparte - al tuo posto - con espressione assorta e colpevole a osservarla mentre si riveste. Indugi un attimo di troppo sui suoi piccoli seni stretti nella fascia, nello stesso momento in cui Riza, contraendo il bel viso stanco in una smorfia di dolore, si infila di nuovo la parte superiore della divisa.
E ti scopri inaspettatamente a domandarti come sarebbe andata, se ora l’avessi attirata a te, e avessi provato a baciarla. Ma abbassi subito dopo lo sguardo, perché certi pensieri non avrebbero potuto essere più fuori luogo. Perciò rimani immobile, ad aspettare, senza sapere cosa fare, né cosa poter dirle.
Ma quel sorriso triste che ti rivolge da dietro la spalla, quel sorriso mezzo spezzato, non lascia spazio a nessuna parola tra di voi.
Ti ci rifletti dentro, come in uno specchio rotto. Incrinato per sempre. Irreparabile. Improvvisamente, hai come il terribile bisogno di gridare.
- Aspetta, ti prego, lascia che ti aiuti - balbetti notando che fatica a riallacciarsi i bottoni, e tendi una mano fino a sfiorarle un braccio. Supplichevole?
Forse non sei tu quello che dovrebbe aiutare lei, ma il contrario.
- Non mi tocchi! - esclama Riza scostandosi di scatto da te, con tanta foga da farsi male.
Storce la bocca, portandosi una mano alla spalla ferita - p-per favore, mi lasci sola. Sto bene -
Una volta avevi sentito che col tempo, ogni ferita finiva sempre per guarire.
Ma ora non ne sei più così sicuro. Certe ferite sono impresse talmente a fondo che non si rimargineranno mai.
Dov’era finita la bambina dolce e premurosa che ti veniva a trovare durante ogni intervallo delle tue lezioni portandoti di nascosto un pezzetto di torta avvolta nel grembiule? La bambina che sorrideva sempre, che sembrava nata soltanto per quello; che sapeva rischiarare ogni stanza appena ci metteva piede.
L’unica che riusciva sempre a farti sentire un po’ meno solo. Cosa le avevi fatto?
Era come avesse preso fuoco anche lei, insieme ai segreti del padre.
 Ed eri stato tu, ad accendere il fiammifero. L’avevi uccisa?

Riza ti segue silenziosa mentre ti avvii verso la porta, e di nuovo, quando ti volti, lo stesso sorriso di prima ti colpisce dritto in faccia con la violenza di uno schiaffo. - Grazie, maggiore Mustang - Annuisci, a denti stretti. Eppure non puoi fare a meno di pensare che, comunque sia andata, saresti disposto a raccattare uno per uno, pezzo per pezzo, tutti i cocci di quei sogni infranti. E trovare un modo, uno qualsiasi, per rimettere tutto a posto.

Avevi fatto una promessa. L’avresti mantenuta.
Perché se la bambina era morta, la donna ora continuava a vivere.
A respirare pesantemente nel tuo abbraccio rigido, un po’ brusco, nel velo impalpabile di adulto disagio sceso tra voi.
E fu proprio allora che i due bambini scomparvero per sempre, annullandosi nel comune passato, e rimasero solo l’uomo e la donna, nell’ombra di un futuro ora come non mai incerto. Stretti l’uno all’altra. Sull’orlo del precipizio. E fu proprio allora che anche quel suo, ultimo sorriso le morì sulle labbra, premute a forza contro la casacca rigida della tua uniforme, spegnendosi tra le prime lacrime che finalmente uscivano libere, inondandole le guance.

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Capitolo 20
*** Personal Charming Prince ***


20. Personal Charming Prince


Riza si aggiustò con precisione il grembiule sui fianchi, dando un colpo di mano alla lunga treccia bionda per riportarsela dietro alla schiena, e una volta recuperati tutti quanti gli ingredienti necessari avvicinò uno sgabello al tavolo della cucina e ci salì sopra per raggiungere l'altezza giusta. Diede un ultimo sguardo alla ricetta - che ormai quasi sapeva a memoria da quante volte se l'era riletta - e si mise all'opera. Doveva riuscirle perfetta. Riza non riusciva a ricordare il volto di sua madre. Per quando si sforzasse, non sapeva ritrovarlo, forse perché sepolto troppo a fondo nella sua memoria. L'unica cosa rimastale di lei, l'unica cosa a cui ancora poteva aggrapparsi, era quel profumo fragrante e dolcissimo di crostata che emanava sempre quando la teneva stretta tra le braccia, sussurrandole che le voleva bene. Riza strizzò un po' gli occhi, fattisi improvvisamente lucidi di lacrime.
Doveva riuscirle assolutamente perfetta.

Poco dopo, un ragazzino coi calzoni corti e la camicia bianca sporca di terra entrò in cucina con un sorrisone irriverente, stravaccandosi sulla sedia e alzando le scarpe infangate sul tavolo ingombro. Riza assottigliò gli occhi, domandandosi se fosse o no il caso di lanciargli contro il mestolo di legno. Se c'era una cosa che aveva imparato fin dal primo momento che lo aveva visto, era che lei e quello sbruffone di Roy Mustang non sarebbero mai riusciti ad andare d'accordo.
- Che ci fai chiusa qui dentro, Rizey? Non vieni fuori a giocare con tutti gli altri? - chiese lui venendole accanto e intingendo il dito dentro la terrina, per portarselo poi furbescamente alla bocca sotto lo sguardo allibito di lei - Dimmi la verità. È per me, vero? Io ti piaccio -
Stavolta Riza non riuscì davvero a trattenersi, perché un attimo dopo il mestolo lo raggiunse in pieno sul naso.
- Ahia! Rizey! Sei impazzita?! - esclamò Roy premendosi una mano sul viso, dolorante.
- Non chiamarmi così! E comunque non è per te! È per mio padre! -
- Al signor Hawkeye non piacciono le torte! -
- E cosa ne vuoi sapere tu? -
- Io un giorno diventerò un grande alchimista! -
- Beh, a me non importa un bel niente! -
Rimasero entrambi a squadrarsi in cagnesco per qualche secondo, quando lui infine se ne uscì fuori con l'ultima frase che Riza si sarebbe mai aspettata.
- Tanto tu mi sposerai, Rizey! - esclamò, stringendo i pugni rosso d'imbarazzo - No, non è vero invece - replicò lei, tranquilla, mentre riprendeva a dedicarsi alla sua torta senza nemmeno degnarlo di un'occhiata.
- Io ti piaccio però - tentò di nuovo lui, non dandosi per vinto.
- Tu non mi piaci. E comunque, se proprio ci tieni a saperlo, io sposerò qualcun altro -
- Chi, scusa? - borbottò Roy imbronciandosi al sentir nominare un altro rivale.
Riza si sporse sul tavolo, alzandosi in punta di piedi sullo sgabello per recuperare il suo inseparabile libro di favole.
Passò una mano sulla copertina ruvida per togliere la farina che ci era caduta sopra, e lo aprì proprio alla pagina che cercava, sbattendolo poi sotto al naso (tra l'altro, ancora un po' ammaccato) del ragazzino - E cos'avrebbe questo tizio che io non ho? - borbottò, squadrando con aria poco amichevole il principe disegnato nell'illustrazione.
- È molto più forte, più bello, più coraggioso, e ha un bellissimo destriero bianco! -
- Tsk. Tanto sarà lui a non volere te, sei troppo antipatica! - replicò lui facendole la linguaccia. Riza gonfiò le guance per trattenere la rabbia, si appoggiò con una mano al tavolo per restare in equilibrio sullo sgabello e si tolse una ciabatta, lanciandogliela dietro mentre lui usciva correndo dalla cucina. Dannato Mustang. Non sarebbero mai, mai andati d'accordo.

Quella sera, come tutte le altre sere, Roy uscì dallo studio del signor Hawkeye richiudendosi dietro la porta.
Si sentiva tutto indolenzito, essendo rimasto troppo tempo chino sui libri. Sospirò pesantemente, portandosi una mano dietro alla nuca. E la vide, inaspettatamente, a pochi passi da lui. Riza, seduta a gambe incrociate con la schiena contro al muro, che si asciugava le lacrime in una manica, con uno sbuffo di farina ancora sulla punta del nasino all'insù. Il piatto con la sua crostata, appoggiato sulle gambe. Sollevò lo sguardo umido su di lui, con un labbro un po' tremolante. Roy sgranò gli occhi, domandandosi, con una nota di panico, se stesse piangendo per quello che le aveva detto prima.
- Ha detto che è venuta male - sussurrò invece lei accennando col capo al portone chiuso. - Posso? - domandò lui dopo essersi seduto accanto a Riza, prendendone una fetta e portandosela alla bocca. Trattenne a stento una smorfia, nel masticare, e riuscì perfino a sorriderle leggermente - Ma n-no, è così b-buona invece, davvero -
Riza per un attimo si domandò se la stesse prendendo in giro.
Perché lei l'aveva assaggiata, e di così buono non ci aveva trovato proprio niente. Ma poi realizzò.
Realizzò cosa lui stesse cercando di fare, mentre si prendeva addirittura il bis, sfoggiando uno dei suoi soliti sorrisoni.
Realizzò che Roy Mustang sarebbe stato anche disposto a mangiarsela tutta e farsi venire un mal di pancia senza precedenti, pur di farla felice.
Sorrise, togliendogli di mano la fetta e sussurrandogli un 'grazie' appena accennato in un orecchio, seguito subito dopo da un piccolo bacio a stampo sulla guancia che lo fece arrossire fino alla punta dei capelli. Per diventare un principe azzurro perfetto, in fondo, non era sempre necessario arrivare al galoppo di un bianco destriero; alle volte bastava anche solo essere provvisti di un pizzico di coraggio, e di uno stomaco di ferro. Perché chissà come, nel cuore della piccola Rizey quell'arrogante di Roy Mustang, aveva appena guadagnato parecchi punti sul principe cotonato.

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Capitolo 21
*** Prom Queen and Girl next door ***


21. Prom Queen and Girl next door


Si alzò leggermente sulla punta dei piedi, tenendo un voluminoso plico di documenti stretto al petto col braccio destro, mentre con l'altra mano si teneva aggrappata alla scala, in equilibrio alquanto precario. Diede uno sbuffo, mentre scrollava la testa tentando di spostarsi da davanti agli occhi una ciocca ribelle, sfuggita al fermaglio. Ecco - Ecco! - cosa ci guadagnava a offrirsi sempre di fare gli straordinari. Lei adorava il suo lavoro, d'accordo, questo era un dato di fatto. Ma doversi ritrovare ogni volta sull'orlo di una crisi nervosa al solo pensiero di dover sistemare lo schedario e compagnia bella, non era proprio il massimo delle sue aspirazioni. D'altra parte, un tenente perfetto quale lui si aspettava che fosse, non poteva certo lamentarsi per così poco.
Riza finse però di ignorare che lo stesso colonnello a cui doveva tanta devozione fosse appena uscito a prendersi la sua dodicesima presunta pausa caffè del pomeriggio, lasciandola da sola a ciondolare su una scala. Perché ormai, a cose del genere ci aveva fatto l'abitudine, e non se la prendeva neanche più.
E poi, lo sapeva perfettamente che se la signorina che serviva ai tavoli si fosse rivelata più carina del previsto, beh, in quel caso poteva anche rassegnarsi del tutto, non l'avrebbe più rivisto fino al mattino dopo. Un dannato perdigiorno, ecco cos'era. Un cascamorto, senz'ombra di dubbio. Eppure finiva sempre - sempre - col giustificarlo. Almeno, con se stessa. Con lui alle volte la faccenda poteva comprendere un'aggiunta di un paio di fori nel muro. Sospirò, augurandosi tra sé e sé di riuscire a finire il prima possibile. A quanto pareva, starsene in bilico in quel modo stimolava un po' troppi pensieri inopportuni per i suoi gusti. Stava già decisamente cominciando a innervosirsi, quando, ancora voltata, con la coda dell'occhio notò il movimento della porta dietro di lei che si apriva e si richiudeva. Non poté nemmeno trattenere un sospiro sollevato nel girare la testa, aspettandosi di trovare ad attenderla il suo solito sorriso, abbozzato a mo' di scusa.
Ma non fu così. Riza abbassò lo sguardo, sbattendo le palpebre un paio di volte.
Una mano curata, dalle lunghissime unghie chic laccate di rosso, tamburellava aggraziata sulla scrivania, cercando di reclamare la sua attenzione.
- Scusami - sussurrò la nuova venuta sbattendo più volte le ciglia con aria contrita - Ma fuori mi hanno detto che era questo l'ufficio di Roy Mustang, e quindi ho pensato che potevo entrare, sai com'è - si abbandonò a una risatina sciocca, portandosi elegantemente una mano al viso - Roy non c'è? - si guardò intorno un po' delusa. Forse, si disse Riza, valutando se per caso non si fosse nascosto sotto al tappeto pur di non doverla incontrare.
Grandioso. Incontrare una sua spasimante. Non aspettava altro, davvero. Quella non era decisamente la sua giornata.

- Sono spiacente, ma il colonnello non è qui. Ripassi un'altra volta - scandisce Riza ad alta voce, voltandosi di nuovo per nascondere l'irritazione. Lui poteva frequentare chi voleva, a lei non interessava minimamente. Ma adesso però si trattava di una questione di principio! No? Non era affatto corretto metterla in situazione tanto assurda. Non avrebbe dovuto! Era già abbastanza dura per lei senza che senza che … oh, beh, era già abbastanza dura.
- D'accordo - ribatté la donna con una vocina petulante, interrompendo il corso dei suoi imbarazzati pensieri. Si sedette con leggerezza al suo posto, incrociando le gambe in una posa provocante che le riusciva anche fin troppo naturale - Vorrà dire che lo aspetterò qui -
Doveva trattarsi di un incubo! Riza sospirò pesantemente, tornando a concentrarsi sul suo lavoro. Non doveva essere poi così difficile riuscire a ignorarla, no?
- Guarda un po' cosa mi ha regalato Roy la scorsa settimana - cinguettò lei amabilmente, alzando il palmo aperto per farle vedere il braccialetto dorato che portava al polso - Non lo trovi carino? L'ho sempre pensato che ha buon gusto. E poi sai, non è proprio il tipo di uomo che ti lascia delusa non so se mi spiego - ridacchiò, ammiccando leggermente. Riza fece per replicare, ma riuscì soltanto a rivolgerle un sorrisetto tirato. No, non era poi così difficile. Era anche peggio. La donna aggrottò le sopracciglia, fissandola poi di sottecchi come se stesse cercando di ricordare un particolare che invece le sfuggiva. Riza distolse lo sguardo, a disagio.
- Aspetta ma tu devi essere Riza, vero? - Ecco, questo, la stupì non poco.
- Ma certo che sei tu! Che stupida! Come ho fatto a non capirlo prima? Ho desiderato spesso conoscerti, sai? - esclamò ridendo elettrizzata.
- Conoscere … me? - ripeté Riza sgranando gli occhi, senza capire - Ma certo! Ho sentito parlare di te così tanto che ormai mi sembra quasi che tu sia diventata la mia migliore amica. Che cosa buffa, non trovi? Per esempio, so che sei in assoluto il miglior cecchino di tutto l'esercito, e che vivi da sola insieme a un cucciolo di nome Black Hayate. So che adori l'ordine, e che qui dentro sei tu quella più responsabile e attenta ad ogni cosa - mentre parlava intanto contava punto per punto sulle dita sotto lo sguardo allibito di Riza - E so che per legarti i capelli li giri tre volte prima di fissarli col fermaglio, so che qui ti piacciono i maglioni caldi, ma ti senti più a tuo agio con la divisa che con qualsiasi altro abito. So che detesti vedere una pistola tenuta male, so che non ti piacciono i dolci ma sei una brava cuoca, so che al mattino ti svegli prestissimo e che -
- S-Scusami ma che cosa significava tutto questo? - domandò Riza scuotendo la testa, semplicemente sconvolta. Il colonnello si divertiva a raccontare i fatti suoi alle sue nuove fiamme? Che cosa assurda. Non poteva essere. Come si era permesso? Come accidenti si era …?
- Significa che sei fortunata - Riza aggrottò leggermente la fronte, scettica - Sei fortunata a contare così tanto per lui Sai, ieri sera ha sbagliato a chiamarmi per nome. E invece di te si ricorda persino come ti annodi i capelli per questo, ti dico che sei davvero fortunata -

- Tenente Hawkeye, ti vedo strana c'è qualcosa che non va? Ti senti male? -
Roy abbassò il giornale, osservandola intensamente da dietro la scrivania, un velo di preoccupazione negli occhi scuri.
- No, no. Sto bene. Poco fa è passata una sua conoscente, colonnello -
- Ah, davvero? - domandò lui con cautela, inarcando un sopracciglio.
- Beh, le auguro una buona giornata, signore -
Gli lanciò un'occhiata che poteva significare tutto e niente, mentre si infilava la borsa su una spalla e si avviava silenziosa verso la porta.
Soltanto un'occhiata, per chiudere lì la faccenda. E un ben più ampio sorriso, nascosto appena sotto di essa. Roy la seguì con lo sguardo, aggrottando la fronte, confuso. Poi si abbandonò sullo schienale, rinunciando, almeno per quella volta, a capirci qualcosa.
Donne. Bah.


Sentivate la mia mancanza, eh? Uhm … no? >.<
Comunque, per la gioia (o il tormento, dipende dai punto di vista XD) di tutti voi, Sisya è tornata *O*
Beh, credo il titolo sia abbastanza intuitivo, ma a scanso di equivoci, the Prom Queen è appunto "la reginetta del ballo" mentre the Girl Next Door è ovviamente "la ragazza della porta accanto" Rispettivamente quindi la misteriosa spasimante (ò.ò) e la nostra Riza XD Che capitolo contorto >.<
Un bacio a tutti, uno un po' più grosso a tutta la famigghia RoyAi *O*


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Capitolo 22
*** Thunders and nightmares ***


22. Thunders and nightmares


 Si puntellò sui gomiti con un sospiro, rivoltandosi prima a destra e poi di nuovo a sinistra e rigirandosi nella coperta ruvida come un involtino, il tutto accompagnato dal sottofondo musicale delle molle che cigolavano sotto il suo peso. Riza alzò gli occhi al cielo e tirò uno strattone al lenzuolo - Roy! Insomma, che stai facendo? Vuoi stare un po' fermo?! Roy, mi stai rubando tutte le coperte! Roy! - esclamò Riza al limite della sopportazione, rifilandogli una gomitata che per poco non lo fece ribaltare giù dal letto. Letto che, tra l'altro, avevano avuto la sfortuna di dover condividere in quella che si preannunciava la notte più burrascosa di tutta la stagione. - Come sei fastidiosa, Rizey, non ti va mai bene niente - borbottò il ragazzino di rimando, mascherando uno sbadiglio in una smorfia seccata. Riza gli diede le spalle, esasperata, giurando a se stessa che la prossima volta che quel lavativo si fosse azzardato a presentarsi in camera sua col cuscino stretto al petto, cianciando del freddo, del camino spento e della solidarietà tra coetanei, beh, non si sarebbe più fatta nessunissimo scrupolo a richiudergli la porta in faccia, a lui e ai suoi occhioni da cucciolo sperduto che sapeva sfruttare tanto bene. Si rannicchiò su se stessa, stringendosi le ginocchia al petto, poi, badando a non farsi vedere, si portò in fretta le mani sulle orecchie, per tapparle. Roy la sentì sussultare al rombo improvviso di un tuono, e sebbene Riza continuasse a dargli le spalle, ostentando un broncio terribilmente offeso, ne fu più che certo. Si era spaventata.
- Non avrai mica paura, Rizey? -
- Stattene zitto e dormi - mugugnò lei, arrossendo furiosamente.
Uno scricciolo, pensò Roy con un sorrisetto divertito, ecco cosa sembrava l'intrepida Rizey in quel momento.
Ma si tenne comunque per sé il commento, cosa assai saggia, se non voleva rischiare di beccarsi un pugno in testa.
La ragazzina però non riuscì a trattenersi nemmeno al tuono successivo; fu scossa da un tremito e si prese la testa tra le mani.
- Vuoi che ti tenga una mano? - sogghignò lui, sarcastico.
- No, non la voglio la tua stupida mano! Io non ho paura! - sibilò lei a denti stretti, sforzandosi di non far tremare la voce.
Ma puntuale come un orologio a smentire le sue parole, un altro tuono coprì il ticchettio costante contro i vetri, costringendola ad aggrapparsi tremante a un lembo del pigiama di lui, serrando forte le palpebre - No, eh? Sicura? - Riza si scansò con un movimento brusco, rossa in viso, ma dovette interrompersi a metà del gesto, portandosi la mano infreddolita ad una spalla e contraendo la bocca in una smorfia di dolore trattenuto. - Ehi. Cos'hai? Ti sei fatta male? - domandò Roy sgranando gli occhi, non sforzandosi neanche di nascondere la preoccupazione. Riza si stupì del tono ansioso e protettivo che aveva appena assunto la voce di lui - No, va tutto bene, davvero - sussurrò, tornando a distendersi sul materasso con un sospiro.
I segni alchemici ogni tanto tornavano a farle male. E quasi parallelamente, i suoi sogni tornavano a popolarsi di incubi.
- Non riesco mai a dormire quando c'è il temporale. Ho sempre troppa paura - confessò poi debolmente, con una vocina tanto fievole che Roy dovette sporgersi per riuscire a sentire. - Beh, ma adesso ci sono qui io con te, Rizey - le assicurò lui con un sorriso talmente luminoso da essere visibile anche nella penombra della stanza. - Sì, lo so - sussurrò lei di rimando, appoggiando con cautela la testa al suo petto. Rimase per un po' in attesa, col fiato sospeso, ad ascoltare concentrata il respiro tranquillo e regolare di lui che le faceva solletico sul collo.
- E niente più incubi, Rizey. Promesso - biascicò lui, la voce impastata dal sonno. Quando ebbe la certezza che si fosse addormentato, Riza si arrischiò ad abbracciarlo più stretto, cercando di trattenere a sé ogni più piccolo residuo di calore. Tuoni e incubi adesso facevano un po' meno paura. E stavolta sarebbe bastato chiudere gli occhi, per scacciarli entrambi. La attendeva un sonno sereno come pochi.
Tra le braccia inaspettatamente calde e confortevoli di Roy, ne era sicura.

~

Roy uscì dal bagno in accappatoio, strofinandosi un asciugamano sui capelli bagnati.
Si stravaccò di traverso sul divano, la testa appoggiata placidamente sulle gambe incrociate di lei. Riza fece per protestare, ma poi incontrò lo sguardo supplichevole di lui e ci rinunciò. Ingoiò in un solo boccone quel poco che rimaneva della sua fetta di torta, e poi si appoggiò il piattino sulla pancia rigonfia, che ci rimase sopra perfettamente in equilibrio. Roy dovette ingoiarsi un'ennesima risata. Lei non poteva nemmeno immaginarsi quanto fosse buffa, in quel momento. E adorabile. Un tuono risuonò in lontananza, e lui non poté fare a meno, voltando la testa, d'inarcare eloquentemente le sopracciglia.
- Vuoi che ti tenga una mano, Rizey? -
- Sta bene attento e considera che ho una forchetta in mano. Potrei non rispondere più di me e diventare pericolosa - lo rimbeccò lei con un tono tremendamente serio, smentito però dalla sottile increspatura delle labbra. - Come vuoi. Ma nel caso cambiassi idea, io sono qui - le assicurò lui, sorridendo a sua volta, gli occhi richiusi - Ci sarò sempre - Lei si sporse leggermente verso il basso. Le loro labbra aderirono una all'altra in un incastro dannatamente soffice, che portava con sé ricordi lontani di coperte ruvide e sorrisi impacciati.
- Sì, lo so -

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Capitolo 23
*** Sentinel's affairs ***


23. Sentinel's affairs


Non sai più da quante ore sei ferma lì. Ormai hai perso il conto. Ti ricordi soltanto che quando sei arrivata, era quasi l'alba.
Adesso il disco rotondo e pallido della luna ti sta fissando da un bel po', immobile lassù, nella trapunta scura del cielo che la avvolge per metà. Sei rimasta in attesa, minuto dopo minuto, rannicchiata nel posto di vedetta che ti è stato assegnato; pronta in qualsiasi momento a far scattare l'indice sul grilletto, ad ogni minimo spostamento sospetto. Ma la landa desolata che si stende a perdita d'occhio davanti a te, non ha mai dato segni di vita. Segretamente, dentro di te, ringrazi che sia stato così. Sbatti le palpebre più volte, eppure quelle sembrano farsi sempre più pesanti. In momenti come questi, il sonno poteva rivelarsi il solo nemico ostico da combattere. Girandoti, dai le spalle alla postazione e ti accasci con la schiena sul sacco che funge da barricata; e con la scusa che devi assolutamente sistemare il fucile inceppato, ne approfitti per nascondere nel bavero della divisa uno sbadiglio molto poco decoroso.
- Stanca? - Hai abbassato la guardia probabilmente, perché quando finalmente ti accorgi della sua presenza ormai lui è a pochi metri da te. Sobbalzi per la sorpresa, trasalendo. Ma fai in fretta a riprenderti, il tuo corpo reagisce e tu scatti in piedi sull'attenti. O perlomeno ci provi, visto che le gambe formicolanti non sembrano avere molta voglia di collaborare - No, affatto - Ah, ma tanto è inutile prendersi in giro. Non sei stanca. Sei esausta.
Un sorrisetto ironico, appena accennato, e tu ti irrigidisci.
- Puoi andare a riposarti, ti do io il cambio -
Sollevi lo sguardo su di lui.
- È compito mio, maggiore - Sorride, ma tu distogli in fretta lo sguardo. Non penserà davvero che questo possa bastare, a farsi perdonare ogni cosa?
Per quel che ti riguarda, può anche andarsene al diavolo. Hai senza dubbio delle ottime ragioni per odiarlo, e per di più non hai nessuna intenzione di cambiare idea proprio stanotte. E non basterà certo questo, non basteranno i suoi deboli sorrisi comprensivi, o la sua scadente performance da gran gentiluomo. Se la pensa così, si sbaglia di grosso. Se la pensa così, non ha capito proprio niente - Lo so anch'io che non basta, e non sono tanto stupido da sperare il contrario. Ma da qualche parte dovrò pur cominciare, no? -
- S-Signore? -
- Vai a riposare - ripete lui, senza scomporsi. Sei troppo stanca per ribattere, o per fare qualsiasi altra cosa, e poi a pensarci bene sarebbe troppo controproducente. Le tue gambe si muovono da sole, mentre procedi a scatti e lo sorpassi senza guardarlo. Questa era un'altra delle molte cose che odiavi di Roy Mustang. Riusciva sempre a coglierti di sorpresa. Sorride di nuovo, mentre prende il tuo posto con naturalezza, appoggiandosi con la nuca al sacco e facendoti un breve cenno di saluto, che tu non ricambi. Sapere che hai i suoi occhi scurissimi incollati alla schiena non aiuta certo a mantenere una traiettoria dritta.
Senti le guance in fiamme, e le tue dita screpolate si chiudono sulla canna del fucile, stritolandolo. Ma nell'allontanarti in fretta dal posto di vedetta, nel tornare di filato fino alla tua tenda, il fucile pesante di traverso su una spalla, e la schiena indolenzita che ringrazia per il sollievo, hai come l'impressione di camminare a un palmo da terra. Non bastava, certo che no.
Ma dannazione, ci era andato vicino.

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Capitolo 24
*** Love is a Battlefield ***


24. Love is a Battlefield


Camminava lungo il corridoio deserto, silenziosa e discreta come sempre, lanciando ogni tanto qua e là delle occhiate attente per accertarsi che fosse tutto in ordine come doveva essere. Sì, in fin dei conti non c'era davvero motivo di preoccuparsi tanto. Girò su se stessa l'ennesima volta e appoggiò le mani ai fianchi con aria soddisfatta, beandosi della quiete quasi surreale che si era stranamente creata tutt'intorno, in quell'assolato pomeriggio di fine primavera. Sì, tutto relativamente tranquillo. Strano, ma piacevole. Terminato il suo giro di ricognizione fece per tornare velocemente sui suoi passi, quando però un suono inatteso e soffuso - quasi ovattato - la trattenne, costringendola invece a fermarsi sul posto e rimanere in ascolto. Sembrava una risata Sì, era stata proprio una risata, seguita da due voci concitate che avevano preso a discutere tra loro. Riza di certo non era mai stata il tipo di persona che si faceva gli affari degli altri. E se così fosse stato, beh, in quel caso proprio niente l'avrebbe distolta dal proseguire per la sua strada senza curarsi minimamente dell'accaduto. Oh, ma lei lo aveva sentito ridere tante, troppe volte, per non indovinare all'istante di chi si trattasse. E se si trattava di Lui, allora dopotutto centrava un po' anche Lei, e quindi era più che legittimo interessarsi. Perché era la voce del suo colonnello, non c'erano dubbi. Si avvicinò un po' di più alla porta socchiusa, sentendosi sicuramente molto stupida, ma non abbastanza da lasciar perdere e andarsene come se nulla fosse. Mettersi a origliare, però! Certe cose ce le si poteva aspettare da Havoc, da Breda, ma non certo da Lei! Eppure si appiattì lo stesso contro la parete, tendendo un orecchio.
Ah. Erano il Colonnello e il Generale Grumman! Questa proprio non se lo aspettava.
- Ragazzo mio, io ti comprendo, credimi, ma pensaci bene, ti ripeto! È una decisione importante, e capisco anche che tu abbia voluto chiedermi un parere, ma -
- Oh, ma io ne sono più che convinto, signore! Non ci sarà nessuna complicazione, ho già pensato a tutto nei minimi particolari! -
Riza spalancò gli occhi ambrati, portandosi una mano alla bocca incredula. Non sapeva cosa pensare. Che fosse …?
Oddio. In fondo lei era la sua donna, avevano una relazione da anni, non sarebbe stato poi così strano pensare che
- Beh, sarebbe un grande passo per entrambi, indubbiamente, ma ci hai riflettuto davvero bene? -
- Ma certo! Non potrei esserne più sicuro! -
- Una mossa azzardata però non ti facevo proprio il tipo da prendere una decisione di tale importanza, ma beh, non posso fare altro che congratularmi con te, ragazzo mio anche se bisognerà vedere non è ancora detto, sai, prima dovrai -
- Ah, non si preoccupi, so quel che faccio! Anzi, lo farò quanto prima! - Riza arrossì e si coprì le labbra con una mano per nascondere il sorriso enorme che non riusciva a frenare. Avrebbe tanto voluto bussare e inventarsi una scusa qualunque per trascinarlo fuori dalla stanza, chiudersi con lui nel primo ufficio vuoto a disposizione e riempirlo di baci fino a soffocarlo. Perché lo voleva, oh, se lo voleva! Si sarebbe messa a ballare per la gioia. Dopotutto era pur sempre una donna, e certe cose avrebbero messo addosso un'euforia incontenibile a chiunque, perfino a lei, che di solito era sempre la più restia a lasciarsi trascinare da romanticherie simili. Sì. Era deciso. Sarebbe entrata. Non poteva più aspettare. Doveva gridargli di Sì. Roy, il suo Roy! Le avrebbe presto domandato di
- Ecco … Ecco! Cosa le aveva detto, Generale? Lo sapevo! Sapevo che prima o poi ci sarei riuscito! Scacco Matto! -


Quella sera, quando Roy Mustang rincasò, tronfio della sua prima vittoria a scacchi contro il Generale Grumman, si aspettava come minimo di trovare la sua fidanzata, la sua adorabile, stupenda, semplicemente favolosa fidanzata ad attenderlo nella loro camera, magari con indosso una sottoveste molto, molto corta, magari già sotto le coperte, e magari con tanta, tanta nostalgia del suo uomo. Di certo non si sarebbe mai e poi mai aspettato, che una volta messo piede nella loro stanza tutto quello che avrebbe ricevuto da lei sarebbe stato un cuscino dritto in faccia e l'ordine tassativo di scordarsi pure di poter dormire nel loro letto per almeno una settimana. Si girò perplesso verso Buraha, che da spaparanzato placidamente sul divano gli restituì soltanto uno sbadiglio annoiato.
- Ma che ho fatto …? -

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Capitolo 25
*** When Roy met Riza ***


25. When Roy met Riza


Sta appoggiato con la schiena ad un covone, e un ciuffo di paglia gli fa solletico al naso. Una gamba lasciata dondolante giù dal pianale del carretto, l'altra piegata sotto di essa. I due grandi occhi scuri continuano a guardarsi intorno un po' incerti, in quell'ambiente estraneo e (almeno così gli pareva) inospitale.
Stando ben attento a non muovere la testa per non dare cattiva impressione, rivolge (di nuovo) un'occhiata di sfuggita alla ragazzina seduta al suo fianco, che fissa dritto davanti a sé, senza badare a lui. Sa di panni di bucato freschi, e lavanda. Odora di buono. - Come ti chiami? - domanda lei, voltandosi improvvisamente dalla sua parte e rivolgendogli la parola per la prima volta.
- Io? … Mustang R-Roy -
- Molto piacere, signor Mustang Roy - risponde la ragazza, tendendogli la mano con un piccolo sorriso irriverente - Io sono Riza -
Lui gliela stringe, un po' titubante. Con la sua fama di rubacuori ancora lontana, per ora c'è posto solo per tanto imbarazzo.
- Ho saputo che verrai a stare a casa nostra, per questo sono venuta a prenderti -
- Sei venuta a prendermi? - ripete Roy, stupito.
- Ero curiosa - risponde lei facendo spallucce - Volevo vedere che tipo eri -
- E che tipo sono? - Riza scoppia a ridere, tirandogli giù il berretto sugli occhi.
- Sembri un tipo a posto, signor Mustang Roy - Lui sorride. Oh, beh, forse non così tanto inospitale, dopotutto.
- Datti una mossa, cosa ci fai ancora lì impalato? - fu l'unico commento di benvenuto che ricevette dal maestro Hawkeye quando bussò alla porta di casa sua per la prima volta. Ma non gli importò poi molto. In un certo senso, se lo aspettava. A quei tempi non era ancora entrata, l'alchimia, nella sua vita. Nessun sogno pericoloso, a incupire i suoi pensieri.
Solo un futuro ancora tutto da scoprire, e una ragazzina dagli occhi color del miele che non avrebbe dimenticato tanto facilmente.
- Signor Mustang Roy - lo salutò con un cenno del capo, prima di sorpassarlo su per le scale. Riza, eh? Era carina. Sì, molto carina. Sarebbero andati d'accordo, decise. Avrebbe poi avuto modo di riesaminare gli ultimi punti di questa affermazione nei giorni successivi, con l'effettivo inizio del suo apprendistato a casa Hawkeye, quando l'adorabile Riza avrebbe cominciato a minacciarlo col battipanni ogni mattina per farlo alzare dal letto.
ma per il momento, gli sembrò che le cose non potessero andare meglio di così.

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Capitolo 26
*** In Whiskey Veritas ***


26. In Whiskey Veritas


- Come si fa a capire quando si ha oltrepassato il confine tra amicizia e amore? -
Maes inarcò leggermente un sopracciglio, squadrando di sottecchi l'amico, mezzo steso sul bancone.
Due grosse occhiaie violacee gli restituirono l'occhiata. Beh. Sinceramente, lo aveva visto in giorni migliori.
- Eh, quindi? Come si fa? - lo incalzò Roy, con un cenno stanco del capo; un leggero ma ispido strato di barba sotto al mento. Maes se lo aspettava. Anzi, lo stava curando già da un po', domandandosi se si sarebbe deciso a sputare il rospo o avesse continuato a specchiarsi dentro al suo bicchiere ancora per molto.
- Sinceramente, vecchio mio - rispose ridacchiando sottovoce - Senza offesa, ma non sei proprio il mio tipo -
Roy si unì stancamente all'eco della sua risata, accostando il bicchiere alle labbra secche.
Maes lo imitò. Il sapore familiare dell'alcol raschiò ad entrambi la gola infiammata.
- Avanti. Spara. Che hai combinato stavolta? Si tratta del tenente, vero? -
- Beh, è successo, cosa vuoi che ti dica - borbottò Roy con tono seccato.
Maes risputò dentro al bicchiere, spruzzando vino persino dal naso.
- Che cosa??! Come sarebbe a dire "beh è successo" Roy! Ti sei ammattito?! -
- No, no, non hai capito. È stato imbarazzante. Ieri sera lei mi ha riaccompagnato in macchina come al solito, no? Era tutto così tranquillo, sul serio, non so cosa le sia preso. E ad un certo punto se ne esce fuori con quella dannata frase. Insomma, mi ha spiazzato! Del tutto! -
- Ah. E cosa ti avrebbe detto di tanto sconvolgente? - Roy prese un altro sorso, socchiudendo leggermente le palpebre. Stette in silenzio per qualche minuto, ruotandosi il bicchiere tra le mani. Maes stava già per ripetere la domanda, quando lui piegò all'indietro la testa, lo sguardo al soffitto, lasciandosi sfuggire un sospiro affranto dalle labbra pregne di whiskey - Ha detto che mi ama. Che sapeva che era contro le regole, e che non c'era bisogno che dicessi niente. Ha detto semplicemente che voleva che lo sapessi -
- Ah - fu l'unico commento di Maes - E tu cosa le hai risposto? -
- Non le ho risposto niente - borbottò Roy di rimando, scontroso.
Maes fece scorrere lo sguardo tra Roy e il bicchiere.
Tra il bicchiere e Roy.
Roy. Bicchiere. Roy. Bicchiere. Roy
- Tu mi stai nascondendo qualcosa -
- Eh? … ma se ti ho appena detto che -
Roy abbassò lo sguardo, fissandosi intensamente le mani. Per un attimo rivide davanti agli occhi l'immagine dei boccoli biondi di lei che si sparpagliavano tra le sue dita. Rivide il suo piccolo sorriso, uno tra i pochi che era solita concedersi, e che era stato tutto per lui, la sera prima.
- E va bene. Sì. Può anche darsi che io l'abbia baciata. Ma è stato un incidente! -
- Ah. Un incidente. Certo. Cose che capitano -
- Cosa devo fare adesso? Cosa accidenti dovrei fare? -
- Per esempio, potresti cominciare con l'ammettere che anche tu ne sei innamorato -
- Eh?? Eddai, Maes! - esclamò, lasciandosi sfuggire una risatina nervosa - N-non scherziamo! Solo perché ho non significa che d'accordo, forse un po' mi piace anche. Come soldato però, intendo. Come … supporto, ecco. D'altra parte lei è così … beh, Riza è sveglia, e intelligente. Ovvio che mi piace. Ma da qui a dire che andiamo, mi sembra un po' esagerato! -
- Vuoi dire che non la trovi abbastanza attraente, è questo? -
- Ma no, no. Bella è anche riduttivo, per una come lei. Cioè - si corresse rapidamente - Lo dicono tutti, ma solo perché l'ho notato non significa che m'interessi. No? -
- Convinto tu -
- Cosa dovrei fare secondo te? - domandò Roy con tono decisamente lugubre.
- Uhm, cosa vuoi che ti dica? Potresti provare a invitarla a cena -
- Eh? Tutto qui? Questo sarebbe il tuo consiglio da migliore amico? Invitarla a cena? -
- In effetti, potevi arrivarci anche da solo senza venire a seccare me, hai ragione. Comunque. Glacier mi aspetta. Non posso rimanere qui tutta la notte a reggerti il moccolo -
- D'accordo. Beh, mi sei stato proprio di grande aiuto - borbottò lui sbuffando ironico.
- Roy? -
- Cos'altro c'è adesso? -
- Sei un vero idiota, lascia che te lo dica. È la prima cosa buona che ti capita dopo tanto tempo e invece di esserne contento stai qui a lamentarti. È assolutamente patetico. Ah, a proposito, salutami il tenente quando la vedi. E mi raccomando, dille che a parere mio i suoi gusti in fatto di uomini sono piuttosto discutibili -
- Spiritoso - replicò Roy, rivolgendo al bicchiere uno sguardo torvo.
- Ah, e quando sarai pronto ad ammettere di esserti preso una sbandata per lei, richiamami e ne riparliamo. Sai che non ti aspetterà per sempre O forse sì, lo farà. Ma in quel caso ci perdereste comunque entrambi. Carpe Diem, vecchio mio, Carpe Diem! -
- Maes, aspetta - lo richiamò, prima che l'amico si avviasse verso la porta - Solo grazie -
- Sono qui apposta, vecchio mio. E ricorda -
- Sì, sì, va bene, ho capito. Carpe Diem! - ripeté stancamente facendogli il verso.
- Esattamente. Paghi tu per me, vero? Oggi tocca a te -
- Sì, va pure non far aspettare Glacier -
- Ci vediamo -
Hughes si toccò con una mano l'ampia falda del cappello, indirizzandogli un cenno di saluto col capo prima di sparire dietro alla porta a vetri del locale.
Boccoli biondi. Piccolo sorriso. Carpe Diem. Un po' troppo tutto in una sola serata. - Ehi. Dammene un altro - alzò lo sguardo sul barista che si puliva una caraffa nel grembiule - E non guardarmi con quella faccia. Non è come pensi. Io non la amo. Punto. E non è detto che la inviterò a cena! - esclamò di getto, sospingendo il bicchiere verso di lui col tono minaccioso di uno che non si aspettava di essere contraddetto.
- E chi ha detto niente - replicò quello scuotendo la testa.
- Dico sul serio. Maes si sbaglia. Cosa può saperne lui -
- Certo, certo - asserì di nuovo il barista, ma sembrava più rivolto allo straccio che a lui.
Distrattamente, Roy tese una mano per prendere il foglietto del conto. Poi lo sguardo gli cadde sulla cifra e fece per uscirsene con una protesta.
- Bordeaux del 1865, proprio come mi aveva richiesto il suo amico. Un'annata davvero ottima - lo precedette l'altro, gongolando soddisfatto.
Roy si sentì improvvisamente molto meno riconoscente nei confronti del suo caro amico e del suo dannatissimo Carpe Diem. Gli parve quasi di sentire la voce di Maes, beffarda, che esclamava: - Beh? Non avrai davvero pensato che valesse solo per te, eh, vecchio mio? -


Ventiseiesimo capitolo postato! Yap! *O*
Come al solito, ringrazio dal profondo del cuore chi trova sempre il tempo da dedicarmi per commentare, e tutti coloro che continuano a seguire questa raccapric… *coff coff* raccolta >.<
Il capitolo sinceramente non mi convince proprio, ma piuttosto che vederlo a occupare spazio e basta sul documento di word, preferisco così ^^'' … tanto io ho sempre con me il mio fido ombrello anti-pomodori, pronto ad ogni evenienza XD … non ho nulla di cui preoccuparmi ù.ù … o quasi XD
Un grosso, grosso bacio a tutti. Vi adoro, ma tanto lo sapete già XP

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Capitolo 27
*** Telephone ***


27. Telephone


Le rivolge un'occhiata chiaramente disinteressata (o almeno secondo lui), mentre gli passa accanto con un breve cenno, dirigendosi come di consueto verso la sua scrivania. Con aria altrettanto disinteressata ( sempre secondo lui però) alza distrattamente la cornetta del telefono e la accosta ad un orecchio, trasudando charme da tutti i pori. Ruota su se stesso un paio di volte con la sedia dopo aver composto il numero ridacchiando e senza nemmeno guardare. Il sopracciglio leggermente inarcato del tenente Hawkeye, gli comunica che il suo piano geniale stava procedendo alla grande. Un colpo di tosse per schiarirsi la voce poi, non guastava davvero a ravvivare l'atmosfera - e concentrare l'attenzione di tutti su di lui, ovvio -
- Ah, ma che piacere sentirti …! - esclama, talmente forte che probabilmente lo arrivano a sentire persino dal corridoio. Le teste dei presenti si girano automaticamente verso di lui. Tutte tranne una, che rimane ostinatamente china sul suo lavoro - … Jenny -
In compenso, il sopracciglio biondo del suo primo tenente, si inarca in modo notevole.
- Come dici? Ah! Ma certo che sono libero stasera, tesoro. Prometto che mi avrai tutto per te -
Altrettanto velocemente, le teste dei presenti tornano a badare agli affari loro, seppur verdi d'invidia.
- Stasera è perfetto, davvero. D'accordo, dolcezza, ahahaha -
Solleva lo sguardo, ritrovandosi inaspettatamente a fissare negli occhi Riza, che, approfittando della sua distrazione, gli aveva appena appoggiato una pila di documenti proprio sotto al naso - Scusi se la interrompo, colonnello, ma - Lui sorride amabilmente, appoggiando una mano a coprire la cornetta.
- Dimmi pure. Cosa c'è? -
Riza lo squadra per qualche secondo, battendo appena le palpebre, confusa.
- Ci ci sarebbero questi fogli urgenti da firmare, se non le dispiace -
Ma poi, senza preavviso, si appoggia con entrambi i gomiti alla scrivania di lui, reclinando la testa da un lato, come pensierosa.
Lui la fissa a sua volta, un po' interdetto.
- Colonnello? -
- Sì? -
- Sta tenendo il telefono capovolto -
Lui batte le palpebre, inebetito, continuando a fissarla.
Poi sposta lo sguardo sulla cornetta del telefono, che effettivamente era capovolta.
I risolini trattenuti a stento dei suoi sottoposti iniziano già a risuonargli nelle orecchie.
Dovrà conviverci per i prossimi due o tre secoli, ma non è tanto questo a preoccuparlo.
- Ehm -
Incontra il sorrisetto stranamente irriverente di Riza, deglutendo - Firmi i rapporti, colonnello, mi raccomando -
Recupera frettolosamente la penna, arrossendo in modo scandaloso per uno come lui, e meditando intanto di andare a sotterrarsi per la vergogna da qualche parte nel cortile del Quartier Generale. Dopotutto, si appuntò mentalmente, tentare di far ingelosire Riza Hawkeye poteva anche rivelarsi molto più complicato - e imbarazzante - del previsto.


Il solo commento che posso fare al capitolo è: Muahmuhamuhamuah XD
Immaginarmi la faccia di Roy mentre scrivevo è stato incredibilmente spassoso, ve lo assicuro.
Bon, ben gli sta, ecco, così impara ù.ù Il mio lato sadico si scatena sempre contro di lui però, lo ammetto XD
Poverino, non se lo merita … ehi, no, aspettate un momento, se lo merita eccome!!
Vi ringrazio tutte quante, di cuore, per i vostri commenti e il vostro supporto.
Siete dei tesori *O*

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Capitolo 28
*** Wet kisses from a stupid ***


28. Wet kisses from a stupid


La ragazza camminava a fianco del ragazzo, sulla via di casa. Fin qui, niente di strano. Di certo no, non sarebbe affatto stata una situazione imbarazzante, se non si fosse trattato di loro. Ma erano loro, purtroppo, il che complicava le cose. Perché lui la guardava spudoratamente, e non faceva neanche la fatica di nasconderlo; la camicia sbottonata per metà e quel suo sorriso - un sorriso irresistibile, a stare a sentire la maggior parte degli esemplari femminili del posto - che adesso era indirizzato proprio a lei. E lei, che del resto faceva il possibile per ignorarlo, riuscendoci anche piuttosto bene, - nonostante il sentirsi squadrare in quel modo avrebbe fatto arrossire chiunque - però lo avvertiva, lo avvertiva benissimo il suo sguardo impudente che si soffermava decisamente più del dovuto sulle sue giovani curve da sedicenne, e non poté fare a meno di sbuffare, esasperata, aumentando il passo.
- Me lo dai un bacio? -
- Scordatelo -
- Ma perché? Non mi vuoi bene neanche un po', Rizey? - domandò Roy con tono melodrammatico, appoggiandosi con un braccio al muretto del ponte e portando l'altro alla fronte per dare più enfasi alla sua scenetta comica - Eppure lo sai che sono pazzo di te -
- Piantala, Roy, sembri solo un cretino - replicò Riza alzando gli occhi al cielo. Sotto di loro, il torrente scorreva limpido, un nastro azzurrognolo i cui contorni si perdevano in lontananza. Riza rimase a fissarlo assorta per qualche secondo, prima di venire nuovamente interrotta da quello stesso cretino, che ancora non si dava per vinto. - Così mi spezzi il cuore e io che sarei perfino disposto a morire per te! Farei qualsiasi cosa per conquistarti, lo sai? Ruberei la luna dal cielo per donartela, attraverserei il mondo intero e non ci sarebbe mare abbastanza esteso per fermarmi e -
- Certo, certo, sei davvero ammirevole - constatò sarcastica, sorpassandolo.
- Dico sul serio. Non t'importa proprio niente di me? -
Roy le tenne dietro, esibendo un'espressione profondamente ferita e sofferente.
- No, non m'importa - replicò Riza a braccia conserte, guardando dalla parte opposta.
- Non ti preoccuperesti per me allora? Neanche se fossi in grave pericolo? -
- Il pericolo maggiore che corri adesso è accorgerti della tua stupidità - Con la coda dell'occhio però seguì ogni sua mossa, e lo vide arrampicarsi con un agile balzo sul parapetto del ponte e voltarsi a fissarla, le braccia spalancate e un sorriso sfrontato. Riza aggrottò la fronte, fermandosi. - Guarda che io non so nuotare, Rizey, e c'è un fiume proprio sotto di noi. E io ho il cuore spezzato e soffro terribilmente. Davvero questo non ti preoccupa neanche un pochino? - Lei non rispose, limitandosi a sospirare seccata.
- Sto per buttarmi - la avvertì lui.
- Buon bagno e arrivederci -
- Oh, cuore mio, addio per sempre - esclamò lui, arretrando all'indietro.
- Roy, piantala, non è diverten… Roy! - Lo vide precipitare di sotto, a braccia aperte, e il suo cuore mancò un battito.
Corse al parapetto, sporgendosi incredula. Non credeva sarebbe arrivato a farlo davvero.
Era uno stupido, questo lo sapeva, ma non pensava che lo fosse così tanto.
Attese di vederlo riemergere sputacchiando, così com'era sicura che sarebbe andata.
Riza attese. Attese. E attese ancora, con la fronte che sempre più si corrucciava di pallido sgomento.
- Roy? - sussurrò smarrita, più a se stessa che a lui, sentendo le morse del panico farsi strada dentro di lei, il cuore che man mano accelerava i battiti come impazzito. Davvero non sapeva nuotare? Davvero era tanto idiota da …? Oh, dannazione, si trattava di Roy Mustang dopotutto. Era possibile eccome!
Riza fece leva con entrambe le braccia sul muretto, tuffandosi di sotto senza pensarci un attimo di più. Sprofondò di colpo nell'acqua gelida, e riemerse subito dopo annaspando, prendendo a guardandosi intorno freneticamente nel tentativo di avvistarlo. Si immerse di nuovo, ma non riusciva a vederlo da nessuna parte. Quando tornò in superficie per riprendere aria, ansante, era terrorizzata dalla paura. Dove diavolo poteva essere fini…?
- Ehi, Rizey, stai mica cercando qualcosa? -
Spostò lo sguardo, trasalendo, e finalmente lo vide, in piedi sulla riva, bagnato fradicio, che si stirava la camicia grondante mentre scrollava la testa. Sano e salvo. E soprattutto, Riza vide il suo odiosissimo sorrisetto che pian piano si allargava, e si sentì prendere dall'impulso di raggiungerlo e ricacciargli a forza la testa sott'acqua. Con poche ampie bracciate si portò di nuovo a riva, e rifiutò arrabbiata la mano tesa verso di lei per aiutarla a rialzarsi. Lo sorpassò con uno spintone, tremante di freddo, le ciocche bionde appiccicate ai lati delle guance e il respiro irregolare.
- Vattene al diavolo, tu e i tuoi stupidi scherzi -
- Oh, andiamo, Rizey, non è successo niente, non c'è bisogno di prendersela co -
Riza si voltò, tornando in fretta sui suoi passi, e lo afferrò per i baveri dandogli uno scrollone violento.
- Non è successo niente?? Hai hai una minima idea dello spavento che mi hai fatto prendere, eh? Idiota! Sei solo un idiota - ansimò, senza fiato, mentre le lacrime cominciavano prepotentemente a rigarle il viso, senza che lei potesse farci nulla. Roy la fissava ad occhi sgranati.
Bagnata, spaventata e furiosa allo stesso tempo, non gli era mai parsa così bella.
D'impulso, si sporse e congiunse le loro bocche in un bacio umido e frettoloso.
Quando si staccò, lei lo fissò allibita e viola d'imbarazzo.
- C-che c-cosa …? C-come?! -
- Scusa, io prima, non volevo spaventarti -
- P-perché mi hai baciata adesso? Non avevi nessun diritto di farlo! Sei … tu sei un -
Roy premette di nuovo la bocca contro la sua, frenandole in gola le parole per la seconda volta nel giro di quei pochi minuti.
- Che …? - boccheggiò Riza, ritraendosi di scatto, ancora più sconcertata.
- Me lo sono ripreso, no? - ribatté lui facendo spallucce con aria innocente.
- Roy Mustang! - riuscì a malapena a balbettare lei, letteralmente fumante di rabbia - Giuro che uno di questi giorni finirò con con …! - si interruppe, a corto di fiato e insulti, accorgendosi solo in quel momento di quanto fossero ancora vicini. "Con l'innamorarmi di te?" Ma non era questo che voleva dire, assolutamente no! E allora, perché adesso era Riza ad alzarsi in punta di piedi, in tensione, per …?
   Lui accostò teneramente la fronte alla sua, ed erano entrambe bollenti. Gli occhi si incontrarono.
Il cuore di lei batteva veloce, tanto veloce, ma la rabbia e lo spavento di poco prima stavano lentamente scemando via.
Il sorrisetto di lui ricomparve, però stavolta non le sembrò più così tanto odioso.
E le sue labbra erano morbide, davvero morbide.
- F-Finirò con -
- Lo so, Riza. Lo so -


Gli uomini sono stupidi. È un dato di fatto.
Ma forse sono ancora più stupide le donne, che, nonostante lo sappiano, continuano a innamorarsi di loro.


Awwwn, davvero non so quanto ci abbia messo per scrivere questo dannatissimo capitolo >.<
Ma stranamente si, mi piace *O* … non so perché, ma ce lo vedo troppo Roy a fare questo tipo di cose XD
E mi vedo anche Riza lì, pronta a salvarlo, a preoccuparsi, a esserci sempre per lui (… anche se poi dentro di sé gli tira non so quanti accidenti XDD)
La scena non è sicuramente delle più originali, però ci sono Roy e Riza, e tanto mi basta *O*

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Capitolo 29
*** Gloves ***


29. Gloves ~ to take this hand


Roy affondò il mento nella sciarpa ruvida e risalì a due a due i gradini del portico. Batté frettolosamente gli stivali per scrollare la neve, e una volta dentro, accostata la porta dietro di sé, rialzò lo sguardo giusto in tempo per scorgere il maestro Hawkeye che lo fissava dalle scale, decisamente accigliato. Roy si bloccò sul posto, ruotando appena la testa, esitante, per incrociare lo sguardo altrettanto perplesso di Riza, in piedi al suo fianco.
- Ci avete messo troppo tempo - esordì il vecchio, squadrandoli dall’alto in basso.
- Scusi, signore, la neve era ancora molto alta e quindi abbiamo dovuto -
- Lascia perdere. Almeno hai trovato tutti gli ingredienti? -
- Sì, signore – rispose prontamente Roy, e fece per infilare una mano in tasca e restituire la lista al maestro.
Solo in quel momento, si rese conto di star ancora tenendo la piccola mano di Riza stretta saldamente nella sua. Tornò a fissare il proprio maestro, osservando con un certo sgomento il suo cipiglio burbero (ma forse era tutta una sua impressione, chissà ) che si accentuava. Sciolse sbrigativamente le dita intorpidite da quelle della ragazzina e consegnò il sacchetto degli ingredienti all’uomo, le orecchie rosse d’imbarazzo. Il vecchio non fece commenti, limitandosi a lanciare ad entrambi un’ultima occhiata prima di sparire su per le scale, borbottando qualcosa che nessuno dei due riuscì a sentire.
- La prossima volta però ricordati di prendere i guanti, d’accordo? - borbottò Roy, imbronciato, voltandosi a fissarla.
Riza lo osservò per qualche secondo, stupita, poi si aprì in un caldo sorriso che le fece comparire due ingenue fossette ai lati del viso.
- D’accordo. La ringrazio per avermi tenuta per mano, signor Mustang - replicò con lo stesso tono serioso del padre, rivolgendogli un breve inchino - La prossima volta me ne ricorderò, così lei non dovrà più scomodarsi a causa mia - Gli rivolse un altro piccolo sorriso, seminascosto dalle mani che aveva portato al viso per alitarci sopra e scaldarle. Roy la seguì con lo sguardo mentre si allontanava, le orecchie che ancora non accennavano a tornare al loro colorito normale, e incapace di non domandarsi se gli sarebbe mai capito di tenerla per mano di nuovo, un giorno.

~

Aveva preso a saltare su un piede solo nella fretta di infilarsi uno stivale. Evitando per un pelo di inciampare nel tappeto, recuperò anche giaccone e berretto dall’attaccapanni, slanciandosi contemporaneamente verso la maniglia della porta. Riza lo raggiunse tutta trafelata, affiancandolo con la giacca già perfettamente abbottonata e gli stivaletti immacolati. Si fermò sulla soglia a rivoltare le proprie tasche, la fronte corrucciata.
- Ci sei? Possiamo andare? - domandò lui, guardandosi intorno e cercando di far suonare la domanda del tutto casuale.
Riza trasalì, voltandosi lentamente a guardarlo. Roy la fissò di rimando, sfoggiando uno dei suoi sorrisetti.
- Cosa c’è? - domandò lei, stupita.
- Te li sei scordati di nuovo, non è vero? -
- Io Ma io ero convinta di averli messi non so proprio come - abbassò lo sguardo, mortificata - Ne ho un altro paio su in camera, ora vado a prender -
- Eh, che co che dici Rizey! Su, non fa niente, dammi qua! Hai sentito tuo padre l’altra volta, no? Dobbiamo darci una mossa o faremo di nuovo tardi -
Lei fece per fargli notare che non ci avrebbe messo neanche mezzo minuto per salire a recuperarli, ma un Roy più deciso del solito le aveva già afferrato una mano senza troppe cerimonie e la stava trascinando giù per i gradini del vialetto, pregando dentro di sé che l’amica non si accorgesse del rossore improvviso e quanto mai sospetto ricomparso sulle sue orecchie semicoperte dal berretto. Era successo prima del previsto, tutto qui, pensò, rafforzando la stretta tra le dita di lei. Ora doveva solo ricordarsi di rimettere al loro posto i guanti di Riza senza farsi scoprire, una volta tornato a casa.


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Capitolo 30
*** Rain and Rainbow ***


30. Rain and Rainbow


Sollevi la faccia dal cuscino per riprendere fiato, strizzando gli occhi. C'è un'altra pallida, pigra alba ad attendervi appena fuori dalla tua tenda, dove il fuoco del campo si è spento da ore. Un leggero, sgradevole strato di sabbia sembra essersi appiccicato ovunque, e l'aria tutto intorno è pregna e stagnante di un'umidità innaturale. Mentre siete ancora avvolti nel groviglio informe e tiepido delle coperte, Riza si lascia circondare la vita, rimanendo inerte e un po' rigida nel tuo abbraccio titubante, che tuttavia non vuole essere protettivo, e nemmeno affettuoso. È prima di ogni altra cosa un contatto umano, e Dio solo sa quanto entrambi ne avete bisogno. L'incavo scoperto e roseo del suo collo però, è talmente vicino che non puoi resistere alla tentazione di avvicinarti e depositarvi un piccolo bacio. È voltata e non puoi vederla in viso, ma puoi immaginare il modo in cui si sta torturando le labbra coi denti, imponendosi di non piangere. È diventata donna prima ancora di rendersene conto lei stessa. Ti sei accorto dei suoi grandi occhi sbiaditi e disillusi. Ti sei accorto di quelle sue mani rapide e precise, che maneggiavano il fucile con una destrezza che affascinava e terrorizzava insieme. Te ne sei accorto, e semplicemente non hai potuto farci nulla.
- Me lo prendo io il tuo turno di vedetta. Tu continua pure a dormire - sussurri contro la sua tempia, mentre lei si stringe maggiormente al cuscino logoro, senza rispondere. Non tenta neppure di fermarti, non stavolta. Sa che non ce n'è motivo. Si porta una mano al collo indolenzito con un sospiro stanco, e avverti il suo sguardo incollato alla schiena, mentre esci dalla tenda e i tuoi stivali affondano nel pantano umido.
I ricordi della notte trascorsa sono un miscuglio di immagini e colori confusi, come se provenienti da un sogno.
Ma se non fosse stata lei saresti stato tu, quel giorno o un altro, sarebbe comunque accaduto. Certe cose, sono semplicemente fatte per accadere.
Si era presentata da te a notte fonda senza dire una parola. Si era seduta a gambe incrociate sul bordo del letto e tu avevi scovato un asciugamano abbastanza pulito da strofinarle sulla testa, sui capelli corti e gocciolanti, mentre lei evitava ostinatamente il tuo sguardo come una qualsiasi ragazzina cocciuta e risentita.
Poi, però, la ragazzina aveva teso le braccia, e tu l'avevi attirata a te.
Ricordi il ticchettio snervante e continuo delle gocce fuori dalla tenda, e ricordi anche come tu dopo un po' abbia smesso di farci caso; ricordi il respiro basso di lei nel tuo orecchio e le sue dita sudate aggrovigliate nelle tue, ricordi la polvere, quei primi baci che sapevano di lacrime e tenera, innocente disperazione. Riza che si aggrappava a te, perché ormai non le era rimasto più nient'altro. E tu, tu che non ne eri mai stato abbastanza meritevole o giusto per lei, col cuore intriso di rimorso, non avevi saputo - o voluto - opporti alla sua muta richiesta di essere amata. Almeno una volta, e per davvero.

Inspiri l'aria del primo mattino che ti entra a intense zaffate dentro ai polmoni.
I ricordi sono già come nebbia che si dirada a poco a poco, scoprendo il sole che sta per sorgere.
La pioggia, dopotutto, non era mai piaciuta neppure a lei. Alzi lo sguardo verso l'alto, al cielo inaspettatamente terso, sgranando gli occhi scuri.
E ti scopri a domandarti se magari anche lei lo stesse guardando, magari mentre si rivestiva; dallo spiraglio della tenda doveva essere altrettanto visibile, quel luccichio evanescente e incerto di colori, così sbagliato, così inopportuno eppure così bello.
a domandarti se magari, nonostante tutto, anche lei stesse sorridendo.



Dedicato a Lely, Shatzy e Valy, perché vi voglio bene ragazze, ma tanto! XD (*O*)
Sono arrivata al 30esimo capitolo e quasi non ci credo nemmeno io, qualcuno mi dia un pizzicotto >.<
Non so da dove cominciare, ma anche a costo di ripetermi ogni volta ringrazio tantissimo tutti quanti voi
per avermi seguita con tanto affetto fino a qui, chi solo leggendo chi anche commentando, in ogni caso grazie.
And just remember … RoyAi Rocks! *O*


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Capitolo 31
*** (not) Meant to be ***


31. (not) Meant to be


Totalmente AU. Totalmente angst.
Leggete a vostro rischio e pericolo. *fugge*



- Quando parti? -
- Domani mattina -
- Hai paura? -
- Sì -
La ragazza doveva avere sedici anni, diciassette al massimo. Il ragazzo qualcuno di più.
Lei aveva due occhi color dell'ambra scura, grandi e scostanti. Lui portava la divisa militare.
Sedevano sull'ultimo gradino del portico in quella giornata umida e incolore. I loro visi erano morbide maschere.
- Spegni la sigaretta, Riza. Ti fa male - fece lui stancamente, accostando l'accendino acceso alla stecca tra le proprie labbra.
La ragazza rimase muta. Non obbedì. Non si volse a fissarlo. Fu come se neanche avesse parlato.
- Cosa pensi di fare? - domandò Roy dopo qualche altro secondo di silenzio. Gli occhi neri
densi di lei, mentre rilasciava il fumo dalla bocca. Riza fece una piccola smorfia, arricciando le labbra. Mentre la giovane si curvava per abbracciare le ginocchia con le braccia, Roy distinse alla base del suo collo un indistinto reticolo di segni rossastri. Li conosceva bene. Li aveva ricoperti di baci tante volte, durante le notti trascorse insieme al vecchio mulino isolato. Quando tutto ciò che pareva valer la pena di esistere era la paglia sotto di loro, la luna lontanissima nel cielo e i loro respiri intrecciati nel buio. Quei segni li aveva visti cicatrizzarsi, lentamente, sotto le sue carezze. Ma adesso erano tornati a imprimersi su di lei, rossi, quasi scarlatti, e contrastavano brutalmente con la carnagione chiara.
- Lo sai - concluse Riza, pestando finalmente la sigaretta sotto la scarpa, e risalì svelta i gradini. Lo stomaco di Roy si contrasse di rabbia e impotenza.
- Riza - sussurrò implorante, un estremo disperato tentativo di richiamarla a sé. Ma qualcosa si era incrinato per sempre. Ed era tardi, tardi ormai.
La ragazza strinse i pugni lungo i fianchi esili, mordendosi con veemenza il labbro inferiore, la testa china.
- Solo Cerca di non morire, Roy. Ti prego. Non lo sopporterei -

Riza si passò una mano tremante sul viso, entrando in cucina, e avvertì con una sorta di fastidio il sapore salato delle lacrime sulle labbra dischiuse, il proprio respiro pesante che le rimbombava basso nelle orecchie. Si annodò frettolosamente i capelli prima di iniziare ad occuparsi della cena, come faceva di solito. Eppure, ancora una volta, la ciotola le sfumò dietro a quella familiare patina lucida e inconsistente, costringendola a sbattere le palpebre. Si fermò a prendere fiato, appoggiando i palmi sul tavolo. Avrebbe tanto voluto che Roy venisse a stringerla forte, e che le sussurrasse con la sua voce un po' roca che sarebbe andato tutto bene. Ma lui non lo avrebbe fatto, non più, era inutile continuare a prendersi in giro. Non sarebbe andata bene per niente.


Roy fumava ancora, fuori sul portico.
Non rientrò nemmeno quando le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere, spegnendogli il mozzicone tra le dita.
Riza pensò che non sarebbe mai più entrato. Né in casa, né nella sua vita. La guerra glielo portava via. Era tutto, tutto perduto. Il loro amore, che fino a pochi mesi prima le era parso la cosa più meravigliosa al mondo, ora era solo cenere da spargere al vento perchè ne portasse lontano il ricordo.
Eppure Riza conosceva abbastanza Roy Mustang per esser certa che nemmeno i suoi occhi erano rimasti asciutti.
- Scusa. Mi dispiace, mi dispiace tanto - sussurrò col fiato corto, coprendosi il viso con le mani.

Roy Mustang era arrivato in casa Hawkeye come un'improvvisa ventata d'aria fresca in un luogo rimasto chiuso per molto tempo. Si era conquistato la fiducia del vecchio maestro, e la timida adorazione della sua unica figliola. Riza si era innamorata di lui con una facilità quasi sconcertante. Ma dopotutto, stava aspettando un po' d'affetto sincero da tutta la vita, e lui era semplicemente troppo perfetto, troppo Roy, per tirarsi indietro. Aveva abbassato tutte le sue difese come mai prima d'ora. Lo aveva amato, avidamente e senza rimorso. La ciotola le sfuggì dalla presa e cadde a terra, rovesciandosi. Le balzò il cuore in gola al pensiero che suo padre sarebbe potuto comparire sulla porta per scrutarla con sospetto. Non si trattava di una faccenda di coraggio, o di morale. Roy Mustang sarebbe svanito, così com'era comparso, nella nebbia di un giorno uggioso. Tutto ciò che le sarebbe rimasto di loro erano fantasmi e ombre. E la memoria di vite spezzate. Riza si ritrovò a stringersi convulsamente le braccia al petto.
- Saresti stato un bambino bellissimo -
Le gambe le cedettero.

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Capitolo 32
*** Last Impression ***


32. Last Impression


La prima impressione che ebbe di lei, scorgendola con la coda dell'occhio che lo osservava timidamente dal sottoscala, fu che si trattasse di un folletto pallido e magrolino, ficcato quasi per sbaglio in un vestito color lavanda troppo largo che ricadeva addosso a quel corpo gracile con lo stesso effetto che avrebbe avuto se fosse stato indossato da un attaccapanni. Anche alla tenera età di quindici anni, Roy Mustang sapeva riconoscere una bella ragazza quando ne vedeva una, e perciò, con una noncuranza che non si diede neanche la pena di nascondere, classificò la piccola e insipida figlioccia del suo maestro come un dettaglio del tutto insignificante, che fu presto messo da parte e dimenticato rispetto a tutte le altre eccitanti novità relative alla sua futura permanenza a casa Hawkeye. La sua seconda impressione, maturata qualche settimana o mese più tardi, fu nel complesso che Riza pareva essere una bambina schiva ma piuttosto gentile, anche se non troppo simpatica; una insomma che più ci stavi alla larga più ci andavi d'accordo. Roy di solito, quando era annoiato e non sapeva che altro fare, si arrampicava sul vecchio platano in giardino e la guardava stendere i panni all'aperto, sui lunghi filari di corda, chiedendosi cosa potesse mai trovarci di tanto interessante il suo amico Jack Sommers in un tipino così. Quindi si limitava a sbirciarla, un po' dubbioso, un po' scocciato.

La terza impressione fu quella di Ishvar.
Aveva tra le labbra così tante cose da dire, ma gli occhi di lei dicevano chiaramente di non voler ascoltare.
Solo nella sua tenda quella notte, ricordava di aver pianto. Eppure l'ultima impressione, quella definitiva, la ebbe un pomeriggio d'autunno e in un modo assolutamente inaspettato, mentre indietreggiava con le braccia tese e le mani che stringevano forte quelle di Riza. La ebbe mentre crollavano insieme sul letto e il suo cervello registrava marginalmente che Riza aveva labbra morbidissime e un neo minuscolo appena sotto la scapola. Mentre il suo nome -Riza, finalmente solo Riza- gli rotolava fuori tra un respiro e l'altro, con una facilità e un sollievo quasi disarmanti. Perchè in quell'istantanea di luce ambrata, con le dita che tremavano ancora un pochino e il cuore che aveva ormai perso qualche battito, Roy s'innamorò di lei.



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Capitolo 33
*** New World ***


33. New World

( nuovo mondo )


Da queste parti l'estate è molto più calda, dura molto più a lungo.

Le piogge sono rarissime, ma vengono accolte come una benedizione dagli abitanti del posto.

Anni fa sono stata mandata in questa terra arida con l'ordine di sparare a vista. Ora, siamo qui per ripagare il nostro debito, o almeno una parte di esso.

Ricostruiremo là dove abbiamo portato distruzione, e invece di lacrime ci sforzeremo di suscitare sorrisi e speranza. Gli uomini di Ishbar aiutano i soldati nei lavori. Le donne camminano per le strade tenendo i loro bambini per mano, senza paura. È così che deve essere, che sarebbe sempre dovuto essere.

Roy indossa l'uniforme solo durante le cerimonie ufficiali, altrimenti porta abiti civili. Ha preso l'abitudine di arrotolarsi le maniche sulle braccia e unirsi anche lui ai soldati nelle riparazioni, a dispetto dei ranghi. Presto, secondo i progetti, sorgeranno ospedali, scuole e nuove case. Saranno tracciate strade e scavati pozzi.

Ha riavuto i suoi occhi, e può vedermi sorridere.

I cuccioli crescono a vista d'occhio. Seguono Buraha per casa scodinzolando – mentre la loro mamma li segue attentamente con lo sguardo – e ti fissano da sotto in su per implorare le coccole, assurdamente affettuosi. Roy dice che sono delle pesti, ma l'ho scoperto steso sul tappeto a giocare con loro come un ragazzino.

Non so esattamente cosa mi abbia spinta a farlo. Ero stesa sul letto sfatto, con le gambe al sole, e la pelliccia dei cuccioli contro la pelle del fianco scoperto. Uno di loro si era rotolato sulla schiena, infilandomi il muso sotto il braccio per ricevere qualche carezza. La tazza di tè freddo sul comodino l'avevo appena sfiorata.


Mi sono guardata allo specchio mentre le lunghe ciocche bionde mi cadevano attorno alle caviglie sotto ogni colpo di forbice.

Roy mi ha fatto passare una mano dietro la nuca e mi ha baciata sulla fronte. È stato un po' come gettarsi tutto alle spalle.

Per qualche ragione sono convinta che stavolta sia davvero possibile ricominciare da zero. Lo vogliamo entrambi. È tempo di pensare a noi stessi.



Abbiamo fatto un patto, Roy ed io, su mia personale richiesta. Lui mi ha assecondata con uno dei suoi soliti sorrisi, capendo cosa avessi in mente senza che dovessi spiegarglielo, come fa sempre. Lo amo anche per questo in fin dei conti. Ad alcuni potrà sembrare una pretesa sciocca, ma ci tengo comunque a vederla esaudita. Il patto è che entro sette mesi al massimo, più della metà degli edifici dovrà essere pronta. Per allora, tutti quanti avranno riavuto una casa, il proprio orgoglio, la propria identità. Perché si possa dire che davvero, un nuovo inizio è possibile. E poi, c'è un'altra cosa ancora più importante, per me. Per noi.


Voglio che nostro figlio nasca nel mondo che lui ha sognato.



Dedicata alle mie gelatine Lely, Shatzy e Valy. Ne approfitto per farvi gli auguri, ragazze.
Questa l'avevo scritta come tributo al finale del manga, e sì, anche per togliermi qualche soddisfazione x°D
Buon Natale (in ritardo) e Buon Nuovo Anno a tutto il fandom! *O* – un bacione < 3



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