Attesa di LubyLover (/viewuser.php?uid=16397)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 03 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 04 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 05 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 06 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 07 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 08 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 09 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 01 ***
Titolo della storia: Attesa - Capitolo 01 Fandom: ER Medici in prima linea Personaggio principale: Abby Lockhart Coppia: Luka Kovac/Abby Lockhart Rating: Giallo Set In Time: Stagione 13: è nato Joe da poco, Luka ed Abby non sono ancora sposati, Ames non è accaduto. Note: Long fic; What If?; Abby's POV; angst (molta angst) Allora, questa storia ha una "gemella": Ritorno, una fiction che parte dallo stesso punto ma raccontata dal punto di vista di Luka. Non è indispensabile leggere le due storie per capire; si capisce tutto benissimo anche leggendone una sola soltanto (ma io vi voglio più bene se le affrontate tutte e due...) Disclaimer: Luka Kovac ed Abby Lockhart non sono miei, ma di tutti gli aventi diritto. Non ci guadagno nulla.
La barca sta passando davanti a lei. La studia, attenta, cercando di capire le sue motivazioni. È partito. *** “Luka… ma?” Non ottiene risposta. La valigia chiusa, il biglietto appoggiato sul tavolo in salotto. *** Vukovar, se ne rende conto, ha sempre aleggiato su di loro, riempiendo lo spazio che tra di loro si creava. Una sorta di cuscinetto. Anche se lui non ne parlava. Anche se lei non chiedeva. E ora, la città è venuta a chiedere il conto, non dimentica del passato. Maligna e perversa, seguendo il leit motiv la vendetta è un piatto che va servito freddo. Abby continua ad osservare il lago che, placido, continua la sua vita immobile. Sulla panchina accanto alla sua, un uomo legge il giornale. Ai suoi piedi, è accucciato un cane. Anche l’animale è in attesa di qualcosa, di un cambiamento, di una novità. Per questo motivo, Abby sente di capirlo. Lo studia un po’, la corta pelliccia lucente, la lunga coda a scodinzolare lenta, le orecchie abbassate, rilassate. Il mantello bianco a macchie nere le ricorda che – ironia della sorte – il cane è un bell’esemplare sano di razza dalmata. Qualcuno, da qualche parte, si sta prendendo gioco di lei. E non è bello. Un rumore sulla sua testa la costringe ad alzare lo sguardo: l’aereo che la sorvola le fa male, anche se sa che non può essere l’aereo di Luka. Il suo aereo, stabilisce Abby dopo un rapido cenno all’orologio, ormai avrà lasciato la costa americana e si starà dirigendo verso l’Europa. *** "A volte mi chiedo come mai sei arrivato qui" "Ho preso un aereo..." Lei gli sorride, divertita. Ma non del tutto: in un certo senso, ha percapito la sua ritrosia, il suo nervosismo. Sono cose che non può ancora chiedergli. Non per quella sera, almeno. "No, il punto non è l'aereo, ma come hai potuto sorpassare la dogana. Tu sei di un sospettoso spaventoso" "Divertente... è finito l'interrogatorio?" "Ma sì, dai. Dormiano" Gli prende una mano e si sdraia. Lo sente sospirare piano, proprio poco prima di addormentarsi. Luka è un mistero. *** L'uomo col cane se ne va, trascinandosi dietro la docile bestia. Lei si sente osservata, dal cane naturalmente. Come è possibile stabilire una connessione con un animale a quattro zampe? Si rende conto che i suoi pensieri stanno prendendo una piega troppo irrazionale, e questo la spinge ad alzarsi ed incamminarsi verso la macchina. Dentro, sul cruscotto, c'è il biglietto del parcheggio. *** "Quando tornerai?" Si sente una stupida a fargli una domanda del genere. Ma, quando lui abbassa lo sguardo e non le risponde, è come se qualcosa dentro di lei morisse. "Tornerai, vero?", glielo chiede prima ancora di rendersene conto. Lui ha sempre detto di amarla per la sua indipendenza che la rendevano così unica, così forte, ed adesso eccola lì, come una fidanzata abbandonata qualunque. Non è da lei. Ma non è da lei nemmeno innamorarsi così. E ora? E, dopo un secondo, lui è sparito dalla sua vista. Forse per sempre. La sua guancia, calda per l'ultima profonda carezza che le ha regalato, si sta già raffreddando. Sulle sue labbra, il suo sapore forte sta già morendo. E già non sente più il rimbombare confortante del suo cuore sotto il suo orecchio. Ha freddo, senza le sue braccia attorno. Sola. In attesa. *** E' a casa, ora. Non sa come. Deve aver guidato con una sorta di pilota automatico. La baby sitter la saluta, in un turbinio allegro di cappotto, borsa e sorriso. Sente di odiarla. Che ne può sapere lei? Dal suo box, il suo - loro - bambino la guarda, il labbro imbronciato, gli occhi lucidi. Luka. E adesso? |
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Capitolo 2 *** Capitolo 02 ***
Sta fissando la notte. In quel buio immobile spera di trovare una risposta, che sa già, nessuno le darà. Non riesce a dormire, il pensiero fisso su Luka, da qualche parte, là a Vukovar, solo con i suoi demoni. Trema brevemente. L'oscurità le ha sempre fatto un po' paura; normale, quando da bambina nessuno ti scaccia gli incubi dalla stanza. *** "Mamma..." Gli occhi di Maggie appaiono spiritati, illuminati dalla luce della luna. Sta armeggiando in cucina. Dappertutto, utensili e cassetti spalancati. "Sì, Abby?" La bambina è spaventata; non le piace il tono della madre. E' come se... come se... fosse pazza. Il pensiero non la disgusta: una bambina non dovrebbe mai pensare una cosa del genere riguardo la madre. "E allora?" Maggie sta reggendo un coltello, ora. Non lo fa in modo minaccioso, ma non è comunque una cosa bella da vedere. "Niente... ho solo fatto un sogno e..." "Oh, tesoro, mi dispiace! Brutto sogno cattivo! Solo che io adesso devo cucinare per te e tuo fratello e quindi..." Abby trattiene le lacrime. "Va bene, mamma, non importa. Non faceva tanta paura" Si gira e, dondolando, si allontana. *** Si allontana dalla finestra, sospirando stanca. Si guarda intorno. La loro camera da letto. C'è Luka ovunque, lì dentro. Luka è nella camicia blu scuro piegata sulla sedia, nella cravatta grigia nel cesto dei panni da lavare, negli orribili calzini di spugna nel cassetto, nell'odore che è rimasto sul suo cuscino, nel suo cuore che è come se non battesse più. Abby si siede sul letto smarrita. Guarda il telefono sul comodino, la cornetta le appare incollata alla base, come se lei non lo potesse usare. Ma se lui squillasse, se quell'oggetto neutro ma maledetto tornasse alla vita, lei allora potrebbe... *** DRIIINN!! DRIIINN!! "Luka..." Sente le dita di lui accarezzarle la clavicola, le labbra a baciarle la pelle sensibile dietro l'orecchio. DRIIINN!! DRIIINN!! "Hey..." Tenta di allontanarlo per guardarlo, ma fallisce. Non che ci abbia veramente provato, in effetti. Gli passa una mano tra i capelli. "... Lukaaaa..." "Mhhh... che c'è?" Finalmente. Anche se lui non la sta comunque ascoltando con attenzione, visto che sembra molto più interessato al gancio del suo reggiseno. DRIIINN!! DRIIINN!! "Il telefono" Lui la fissa, ora. "Cioè?" Lei sorride. "Sta suonando" "E allora?" "Non rispondi? Potrebbe essere un'emergenza..." Lui si sporge verso l'apparecchio che sta ancora suonando, afferra la cornetta, la riappende, la solleva di nuovo e l'appoggia sul comodino. Problema risolto. Lei lo guarda confusa. "E' un'altra l'emergenza di cui mi voglio occupare ora" *** Il telefono rimane muto. Non ha senso. Perché tutto nella sua vita si deve complicare così? Perché tutto nella vita di Luka si deve complicare così? Pensa a lui, adesso, a quanto ha già sofferto, a quanto, a volte, sembra amare il potersi fare del male con le proprio mani. Sospira, rompendo il silenzio della stanza. Il telefono è sempre muto. Niente. Nessuno avrà bisogno di lei, stasera.
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Capitolo 3 *** Capitolo 03 ***
3. L'urlare improvviso del tuono la fa sobbalzare. Deve essersi addormentata, anche se non ricorda quando. Meno di due secondi dopo, le arriva la voce di Joe, certamente svegliato dal temporale. Ancora confusa, ed un po' nauseata, si dirige verso la stanza del bambino. Joe sta strillando a pieni polmoni, i pugnetti chiusi, il visino rosso e bagnato. Spaventato. Probabilmente, quello è il suo primo temporale e lei è lì da sola ad affrontarlo. Non le sembra molto giusto. *** "Non credo di essere abbastanza forte" "Essere genitore ti rende forte" La voce di Luka è carezzevole come la mano che sta seguendo il profilo della sua spalla. Per Abby, da sempre, quelli sono i momenti che preferisce dividere con Luka; loro due, soli, e la felicità di poter essere finalmente se stessi, senza interruzioni esterne. Completamente e totalmente a loro agio. Ed è per questo che prima che se ne renda conto se ne esce con quella risposta. "E ti spezza il cuore. Me l'hai detto tu" Se ne pente. Ovvio. Non era quello che intendeva lui quando gliel'ha raccontato. E infatti: "Non era questo che intendevo" Lei lo accarezza, prova a scusarsi, ma è vero, lui ci ha preso ancora: sta solo cercando dei pretesti per non affrontare ciò che sta capitando loro. Lo guarda e sente che la paura che prova si sta un po' attenuando: lui è lì e le sta promettendo di affrontare la cosa insieme. Insieme. *** E adesso? Dov'è in questo preciso momento la promessa di Luka? Dov'è finita quella promessa? A Vukovar, naturalmente. Stringendo il piccolo Joe, che ancora non si è calmato, Abby sente di odiarla un po' quella città che la sta privando di Luka. Si sa che le persone innamorate sono un po' egoiste ed, inoltre, Abby non può negare una cosa: è gelosa di Vukovar. E' assurdo, ma si sente in competizione con lei. Ridicolo. Un altro tuono rimbomba nella stanza e Joe rinvigorisce il pianto. Abby non può fare a meno di stupirsi quanta energia riescano a trovare i bambini così piccoli, quanto ossigeno riescano a trovare quei polmoni così fragili. Si siede sul divano della cameretta e si accoccola Joe tra le braccia, per poterlo guardare in faccia. Ha la bocca spalancata, in una O di disperazione e dolore. Il loro bambino. "Shhh... va tutto bene, è solo il temporale. Tranquillo, non ti può succedere niente, c'è la mamma" Mentre lo dice ne dubita. La mamma. È vero. Ma è da sola, e Joe è ancora così piccolo ed indifeso. Ma si accorge che il bambino le ha creduto, perché è più calmo, ora, sta sempre piagnucolando, ma niente più urli, né lacrimoni sulle guance. È così bello, quel bambino. Uguale a Luka. *** Sente il mento di Luka premere sulla sommità del suo capo, ma non è fastidioso, anzi. Si sente protetta, come all'interno del grembo materno. È così bello che Luka sia tanto più alto di lei. Nessuno è mai riuscito ad avvolgerla così. Stanno guardando Joe dormire tranquillo. Secondo Luka sta sognando. Lei se lo augura. E mentre guarda quell'esserino dormire in pace, l'incubo di Vukovar ancora inimmaginabile, si rende conto che non può fare a meno di innamorarsi del piccolo ogni volta di più. Tutte le volte che il suo sguardo si appoggia su di lui, è come se il cuore le volesse scoppiare nel petto; la fa sentire energica. Viva. Completa. Forte. Indistruttibile. Migliore. Il loro bambino. Con le ciglia di Luka, i suoi occhi, i suoi zigomi slavi. Ma con il suo sorriso e il suo naso. L'espressione perfetta del loro amore. Joe. *** Joe sta sbadigliando, adesso, assonnato. Il temporale è lontano finalmente; gli ultimi tuoni stanno risuonando distanti. Non fanno più paura, sono solo un brutto ricordo per Joe. Abby guarda fuori dalla finestra e si ricorda improvvisamente di Maggie. Ripensa a quando le aveva detto che era forte e che era una madre, ormai. Guarda il bambino addormentato. Gli bacia la fronte affettuosamente. E capisce. Forte lo è diventata davvero. Non poteva andare diversamente. Si alza per mettere Joe nella culla, sentendosi piena di speranza: Luka tornerà presto e lei lo aspetterà. Non lo deluderà. E' una madre adesso. |
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Capitolo 4 *** Capitolo 04 ***
Segue, quasi senza accorgersene, l'andamento della metropolitana. Galleggia, quasi, a malapena consapevole che tutto ciò che non la fa cadere è il palo di metallo a cui si sta distrattamente reggendo. Un altro giorno. Nessuna telefonata, nessuna lettera, nessun segno. Niente. Inizia a sentire che l'attesa la sta uccidendo. In ospedale, si muove e lavora come se niente fosse. Ma sa che le occhiate degli altri la condannano. La legge, nei loro sguardi, la commiserazione; lo percepisce, nei loro occhi, il senso di pietà. Pochi credono che Luka tornerà. E fa male. Come se l'amicizia di cui si vantano tanto sia solo apparente, di circostanza. Cerca di distrarsi con l'arrivo di un'ambulanza e potrebbe riuscirsi se non conoscesse il paziente. "Professore..." L'uomo, intubato, semiparalizzato sulla barella, la fissa da dietro il tubo. Lo sguardo è livido, spaventato. Ma lei lo riconosce. E ci vede quello che ci vedeva anni fa, dietro a quello sguardo. La forza e la determinazione. La sicurezza. *** "Abby Lockhart, sono al primo anno. Avrei bisogno di una firma per lasciare questo corso" "Abbandonare la biochimica?", gli occhi di Nate sono curiosi, ma si capisce dalla loro luce che hanno già vissuto la stessa situazione con altri studenti. "Sono già stata bocciata al primo trimestre e non ho molta fiducia per il futuro" "Ma è fondamentale!" Non è da lui insistere troppo, ma quella studentessa gli piace. È sempre puntuale ed attenta. Può farcela, con un po' di fiducia. Abby si sente sconfitta, come molte volte nella sua vita. Abbassa lo sguardo, non può sopportare gli occhi del professore. E lo ascolta distrattamente mentre patagona la biochimica alla danza. Vuole solo fallire in santa pace; tanto tutti si aspettano di essere delusi da lei. "... Le garantisco che si berrà l'esame come un bicchier d'acqua. Anzi, guardi, ci scommetto dieci dollari" Un sorriso, una luce furba negli occhi. *** Il Professore Nate Lennox è (o lo era) in grado di convincerti con lo sguardo. Ed Abby non riesce a non pensare a Luka che è in grado di fare esattamente la stessa cosa. Sopsira, tentando di concentrarsi sul paziente. Ma è una gran pena vederlo lottare persino con il computer che gli permette di esprimersi. "Professor Nate..." "Abby...", anche la voce elettronica ha una sfumatura debole, sconfitta, "... penso che ci siamo, ormai..." "Prof..." "No, Abby. Potresti far chiamare Fran?" La donna fa un cenno a Sam e poi si siede accanto a Nate. Controlla rapidamente i parametri e poi incontra il suo sguardo. Forse quello sguardo ha perso la forza di un tempo, ma quegli occhi parlano ancora. E le stanno dicendo quanto è orgoglioso di lei, la sua studentessa quasi rinunciataria. "Scommettiamo dieci dollari che..." Nate sbatte le palpebre, interrompendola: "No... siamo pari. Tu non mi hai mai pagato, io non ti ho pagato l'ultima volta. Stavolta, non potrei riscuotere la mia vincita", una lacrima gli scivola sulla guancia. In quel momento entra Fran. Si avvicina subito al letto per afferrare una mano dell'uomo. Guarda brevemente Abby, riconoscendola. Abby si alza ed esce, dicendo qualcosa riguardo all'arrivo dello specialista. Sulla porta, incrocia brevemente lo sguardo di Nate: la sta ringraziando. Ha gli occhi di chi è pronto, di chi ha visto. Ha lo sguardo tinto d'infinito. Abby sente di affogare in quegli occhi. Va in salottino e cerca di calmarsi con la compilazione delle cartelle. È un lavoro odioso, ma non serve essere particolarmente concentrati. Non si può uccidere qualcuno revisionando una cartella. Non ci si sente affogare quando si ha davanti una cartella da riempire. Un paio d'ore dopo è Sam a portare la notizia: Nate Lennox è morto. Abby si alza, apre il suo armadietto, si toglie il camice e lo stetoscopio. Si muove con gesti calcolati, come per non sprecare le forze. E ci riesce, quasi, a non crollare, ma poi vede la foto sul suo armadietto: Luka, sorridente, felice, con in braccio Joe. Gli occhi di Luka sono luce pura che irradia la stanza. I suoi occhi sono la vita. E Nate è appena morto. E nessuno la sta aspettando a casa per consolarla. Tira un pugno allo sportello dell'armadietto, e piange. Gli occhi di Luka. Le mancano da impazzire. Rivuole il suo sguardo, rivuole lui, rivuole ciò che avevano. Odia Vukovar. Con tutta se stessa. |
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Capitolo 5 *** Capitolo 05 ***
5.
"Pronto? Luka... sei tu
vero?"
Dall'altro capo del filo, silenzio
assoluto. Ma lei sa. Ne ha l'assoluta certezza. Non si trova di fronte ad
uno stupido scherzo di qualche ragazzino annoiato.
"Luka, parlami per piacere"
Niente. Solo un silenzio rumoroso.
Come se lui non ci fosse. Come se dall'altra parte non ci fosse
nessuno. Ma l'ipotesi non la sfiora nemmeno. Il suo sesto senso non si sbaglia, non
può sbagliarsi. È come quando sente che Joe si è svegliato ancora prima che il
bambino inizi a piangere; è come quando, in ospedale, sente che sta per
succedere qualcosa di brutto.
"Ok, allora... mmmm... io sto bene,
insomma... beh, mi manchi... e Joe... lui, anche lui sta bene... dice le prime
parole ormai... e... lo so, parlava anche quando sei partito ma... mmmm...
Luka"
Silenzio. Abby inizia a sentirsi
un po' stupida a parlare ad una cornetta muta. Ma, in un certo senso, sente
l'angoscia di Luka, la sua scissione, il suo voler essere lì con lei, e, allo
stesso tempo, la necessità di essere a Vukovar. Perché Vukovar? Per quale
ragione si è messa sulle loro strade? Mentre si fa questa domanda Abby si
rende conto, però, con disperazione, che Vukovar è stata
indispensabile. Loro due, senza quel passato tragico, come avrebbero fatto ad
incontrarsi? Non c'è soluzione.
"... beh, Joe oggi ha detto, detto
tata..."
***
Il paziente, un adulto
che evidentemente crede di essere ancora un bambino, sta blaterando senza sosta
dei suoi malanni. Abby è stanca e non vede l'ora di andare a casa a farsi un
bagno caldo. Mentre l'uomo continua a parlare Abby sente qualcosa di strano: un
frullio inimmaginabile dentro di lei. Il suo bambino si è mosso! E lei l'ha
sentito! Lo dice al paziente che, ovviamente, se ne risente e non le presta
troppa attenzione, ma lei non se ne cura: è contenta. Il suo bambino. È vivo e
sta bene. Il primo momento mamma-figlio di una lunghissima serie.
Esiste qualcosa di più bello?
***
"Io... Luka, riesci a dirmi qualcosa?
Lo so che è difficile... ho cercato di capire, e forse ci sto riuscendo, però ho
bisogno che tu mi aiuti... ho bisogno di te... per piacere"
Si sente fragile, metre gli parla così. E anche un po'
in colpa, perché non vuole pesare su di lui in un momento così drammatico. Ma
non sta mentendo: ha davvero provato a capire cos'è qualla cosa che lo sta
divorando dall'interno e la spiegazione la sente vicina, quasi a portata di
mano. Se solo lui
fosse a portata di mano. Se solo
lui fosse lì.
Non le parla ancora,
ma Abby sente la sua disperazione attraverso la cornetta. Ha la precisa
percezione del fatto che lui sta per crollare al di là del filo. Ancora poco ed i
pensieri di morte la raggiungeranno. E, infatti, i primi singhiozzi
angosciati giungono al suo orecchio. Sono coì reali, vivi, vicini da farle
paura. Vorrebbe essere lì, vorrebbe che lui fosse lì. Lo vuole
stringere, baciare, amare. Lo vuole.
"Luka... vorrei essere lì...
Luka parlami, ti prego..."
Si odia, Abby, perché si rende conto
che lo sta implorando e che lui per questo odierà se stesso di più. E lei si
ritrova a fissare disgustata quella cornetta muta, rendendosi conto che anche
lei sta detestando se stessa, perché una donna vera sa sempre come
tranquillizare il proprio uomo, una donna vera sa come farlo parlare, una
donna vera non continua a dubitare di aver preso un abbaglio. Una donna vera è
invincibile.
***
Ha finalmente appoggiato il
telefonino sul comodino, convincendosi che Joe potrebbe anche farcela.
Sposta lo sguardo du Luka che, appoggiato al materasso accanto a lei, si è
addormentato. Sente il suo respiro, ancora un po' rauco e accarezza il profilo
rosso delle ecchimosi che ha sulla guancia.
Abby lo sa. Lo percepisce. Lui ha
pianto un attimo prima in bagno. Si è disperato per quello che è successo.
E lei ha paura. Perché il dubbio si insinua già nella sua testa: lo
disgusti, non sei più una donna, ciò che ti rende donna ti è stato tolto,
strappato via. Sei vuota. Non vali più nulla. E lui ti lascerà.
Non vuole dare ascolto alla voce;
non gliel'ha mai detto ma lui la ama. Un'altra cosa che il suo sesto senso ha
intuito. Il loro è amore. Sarà strano, folle, imprevedibile, non convenzionale,
inaspettato, ma loro si amano.
Eppure... un bambino, uno solo
non di più. Un bambino che sta lottando per vivere. Sente un brivido di
freddo.
Inconsolabilmente
vuota.
***
Si lascia andare sul divano, quasi
senza accorgersene. La cornetta è ancora stretta nella sua mano. Chiude gli
occhi. Vede la sua mano coperta del suo stesso sangue. Li riapre di
colpo.
Riprende a parlargli, senza capire cosa
gli dice. Si sente svanire, piano piano, anche se, incongruamente, il suo cuore
batte sempre più forte.
"Non mollare, Luka, non mollare.
Non mollare. Non. Mollare"
Più nulla. È finita. Non è più solo
una telefonata muta. Lo sa con matematica certezza. Dall'altra parte non
c'è più nessuno ad ascoltarla.
Parole nel vento.
Tremiti e paura.
Luka. E Vukovar, ad
inghiottirselo.
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