L'ultima fermata

di Elos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** trentunesimo giorno - Epilogo ***
Capitolo 2: *** primo giorno ***
Capitolo 3: *** terzo giorno, settimo giorno ***
Capitolo 4: *** tredicesimo giorno, quattordicesimo giorno ***
Capitolo 5: *** sedicesimo giorno, diciannovesimo giorno, ventunesimo giorno ***
Capitolo 6: *** ventitreesimo giorno, ventisettesimo giorno, trentunesimo giorno ***
Capitolo 7: *** trentaduesimo giorno (e quelli che seguono) ***
Capitolo 8: *** trentanovesimo giorno, trentunesimo giorno - cinque minuti dopo l'Epilogo ***



Capitolo 1
*** trentunesimo giorno - Epilogo ***





.trentunesimo giorno - Epilogo



Il treno perse velocità all'ingresso nella Stazione. Dalla ciminiera fumante della locomotiva rossa s'alzò ad accompagnare il suo ingresso un fischio sordo, più forte del cigolare delle rotaie, acciaio contro acciaio, che sembrò far stridere nell'eco le enormi vetrate della cupola; c'era una lama ambrata di sole a filtrare dalle finestre, una luminosità come da crepuscolo sospeso.
Il treno ebbe a malapena il tempo di fermarsi, e le porte di spalancarsi, prima che una sola persona uscisse fuori dalle carrozze altrimenti deserte, gesticolando furiosamente in un turbinio di capelli rossi e movimenti bruschi:
- Capostazione! - Urlò forte. - Capostazione! -
Indosso aveva vestiti sporchi, logori e infangati ai bordi, e una barba malamente fatta ad adombrargli gli zigomi asciutti. Gli occhi erano infossati, occhi da persona stanca, ed una delle maniche della giubba era strappata: ma, malgrado l'aspetto malridotto, sembrava avesse ancora forza più che bastante per gridare a squarciagola.
- Capostazione! Esci fuori! Devo... Tu! - Puntò il dito contro l'uomo che gli veniva incontro, sempre più rabbioso, sempre più acceso, il viso chiaro e giovane contorto in una smorfia d'ira. - Perché mi hai portato via? Rimandami lì, ora! -
Il Capostazione si fermò di fronte a lui e scosse la testa:
- No. -
Il ragazzo rimase per un attimo immobile, la bocca schiusa in un'espressione di sconcerto - quasi non si fosse aspettato un diniego così secco - prima di afferrare il collo della veste del Capostazione per scrollarlo ferocemente:
- Tu mi rimanderai indietro immediatamente! - Ruggì. - La stanno... -
- Lo so. -
- Sta morendo! Devo tornare indietro prima che... -
- No, non devi. - Disse il Capostazione, quietamente. Non fece nulla per sottrarsi agli scrolloni del ragazzo, con la lunga barba bianca ad oscillargli sul petto ad ogni scossa e il berretto basso e schiacciato a pendergli tutto da una parte, a malapena trattenuto dalla punta d'un orecchio. - Tu non devi muoverti di qui. Non devi tornare indietro. Non devi intervenire. -
- Ma lei morirà! -
- Non è affar tuo. - Lo interruppe il vecchio. Parlava con lentezza, sempre mite, ma c'era tutta una sorta di durezza immobile nella sua voce, di freddezza, che pareva voler mettere in chiaro che lui non stava suggerendo qualcosa, lui stava spiegando qualcosa, ed era il genere di spiegazione del quale sarebbe stato meglio non dubitare.
Inchiodò i propri occhi chiari, chiarissimi, cristallini, in quelli color d'oro vecchio del ragazzo.
- Sei già intervenuto abbastanza. - Disse piano. - Sei intervenuto anche troppo. -
Il ragazzo strinse i pugni. Serrò i denti, contrasse le braccia: ma poi lo lasciò andare. Dalle labbra ancora contorte per l'ira gli sfuggì un verso strozzato che pareva insieme un ruggito e un lamento, un verso d'impotenza assoluta e dolorante, animalesco. Si scansò di scatto dal Capostazione, quasi temesse che prolungare il contatto avrebbe potuto ustionarlo.
Gli diede le spalle bruscamente, con i capelli a frustargli la schiena in una sferzata rosso fuoco, e si incamminò lungo i binari. Parve sul punto di mettersi a correre, ma non lo fece: con le spalle curve, i pugni serrati, il Capostazione lo vide abbandonare la propria umanità ad ogni passo, lasciandola cadere per terra, spogliandosene come fosse un vestito troppo stretto e pesante da portare.
Quando passò sotto alla vetrata, arrivato all'uscita della Stazione, tutto quel che il Drago dovette fare per prendere il volo fu spalancare le ali.

Sembrava stesse scappando, ma non c'era nessun posto, pensò il Capostazione, per scappare da quello.






Note della storia: Questa storia ha partecipato al concorso La Stazione... e il Drago indetto da Eylis, classificandosi terza e vincitrice di uno dei premi Eylis consiglia.
Per trovare tutte le storie partecipanti potete andare qui, sul sito degli Original Concorsi di Eylis. A classificarsi sul podio sono state le storie Amore fragile di Sisya-chan e Coldhold di lames76, ai quali faccio tutti i miei complimenti.
Le storie sono veramente tutte bellissime, per cui vi consiglio di andarvele a leggere!


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Capitolo 2
*** primo giorno ***





.primo giorno



Era cominciato tutto con un trillo d'orologio.

Quando l'orologio suonava significava che era ora di tornare a lavorare: emanava un breve trillo basso, musicale, e il quadrante di vetro scintillava riempiendosi di quelle che sembravano minuscole lucciole.
- Credevo avessimo detto... - Bofonchiò il ragazzo, sollevando l'orologio con due dita e reggendolo per la catena per poterlo osservare con un misto di fastidio e sospetto: - … che avrei avuto pausa per un paio di giorni. -
Il Capostazione, seduto accanto a lui sulla lunga panchina di legno di fronte ai binari, sorrise divertito:
- Non c'è pace per i giusti. -
- Dove vado? -
Il Capostazione alzò gli occhi verso la tabella degli orari. Era appena comparsa una stringa d'oro che luccicava sulla targa scura d'ebanite appesa ad una delle travi, scrivendosi una lettera alla volta per tutta la sua lunghezza.
- Vediamo, vediamo... Oh, Killarney. Un posto adorabile, Yeshrael, sei fortunato. -
Il ragazzo, Yeshrael, non ne parve convinto:
- C'è un mondo che si chiama Killarney? -
- C'è una città che si chiama Killarney. Su quel piccolo mondo siglato come Terra, te lo ricordi? -
- Uh. - Gemette il ragazzo, buttando indietro la testa e chiudendo gli occhi in una smorfia d'acceso disappunto. - Odio quel posto. Odio tutti i posti dormienti, ma quello più degli altri. -
Il Capostazione rise. Si mise in piedi lentamente, appoggiando le mani alle reni per stiracchiarsi con discrezione:
- Avanti, giovanotto, poche storie. Sei pronto? -
Lui mugugnò:
- Quanto tempo devo starci, stavolta? -
- Il tempo che serve. - Sentenziò il Capostazione, serenamente. - Non troppo a lungo, spero: se la memoria non m'inganna, tu ed io abbiamo ancora da concludere una certa partita a scacchi. -
Yeshrael soffiò tra le labbra socchiuse, alzandosi in piedi e cacciandosi le mani nelle tasche. Mentre seguiva il vecchio lungo la banchina - il treno rosso disteso sui binari come un enorme serpente di metallo - gli domandò seccato:
- Cos'è, ti diverte umiliarmi? -
Il Capostazione rise ancora, una mano già posata sulla maniglia della carrozza: spalancò la portiera e si fece da parte per permettere al ragazzo di passare.
- Ora... - Gli disse. - ... tieni bene a mente che lì non vedono nulla come te da oltre quattromila anni. L'orologio ti guiderà dalla persona che devi Osservare. Stalle dietro, ascoltala. Non raccontarle nulla di qui. -
Yeshrael sorrise mite, cominciando a salire la scaletta:
- Me lo dici tutte le volte. Ormai le regole le conosco. -
Il Capostazione assentì soddisfatto.
- Bravo ragazzo. - Allungò una mano per battergli una pacca leggera sulla spalla, gentilmente: - Sta' lontano dai guai. Da tutti i guai. -
Yeshrael sorrise:
- Sissignore. -
Cominciò a risalire la carrozza vuota mentre il vecchio chiudeva la portiera; si scelse il posto che preferiva, quello in fondo al treno, dove poteva appoggiare la fronte al vetro dei finestrini e, guardando fuori, vedere uno scorcio in movimento della locomotiva rossa.
Non erano trascorsi più che pochi minuti quando lo scrollone lieve del primo movimento arrivò fino al sedile di Yeshrael: sentì il cigolio familiarissimo delle ruote d'acciaio - secoli e secoli trascorsi ad ascoltarlo - e subito dopo il fischio della locomotiva in partenza. Alzò una mano a salutare il Capostazione, fermo sulla banchina, e questi ricambiò il gesto. Il treno scivolò rapido attraverso la Stazione, prendendo velocità, e in un attimo furono fuori: nel cielo azzurro e chiaro e ovunque che era oltre. Non c'era terra, non c'era mare, solo cielo dappertutto e nuvole chiarissime d'oro e rosa e un sole sempre basso, sempre al tramonto, che dava a tutte le cose gentili riflessi e sfumature pastello. Persa in mezzo a quei colori da pesca la Stazione era quasi una nube come le altre: solo, rossa e bruna.
Il treno fischiò dolcemente fendendo le nuvole. Puntava dritto verso il cielo, e Yeshrael vide le stelle splendere appena al di sopra della luce del sole, oltre lo strato più alto dei cumuli. La schiena gli pulsava per il desiderio di lasciarle uscire fuori e sfuggire alla carrozza, al treno, volando più veloce ancora alla ricerca d'una luna, ma poi fu tutto luce bianca e scintille chiare intorno a lui, dall'altra parte del finestrino, dentro la carrozza, e anche le ali smisero di dolergli.
Avevano raggiunto la Porta.



.primo giorno (solo un po' più tardi)



Da un certo punto di vista il lavoro di Yeshrael era vergognosamente semplice.
Era un lavoro dannatamente stancante, questo sì, e dannatamente complicato per tutte quelle regole che bisognava ricordarsi, tutte cose che non si dovevano fare, non si dovevano dire, non si dovevano dimenticare, ma dopotutto non c'erano poi molte decisioni da prendere: il Capostazione gli diceva dove andare, il treno lo portava a destinazione, l'orologio lo guidava. Era tutto banalmente semplice, davvero, non aveva mai bisogno di pensare troppo a cosa fare e come farlo.
Doveva solo sedersi e Osservare.
Dopo che il treno l'aveva scaricato oltre la Porta, a piedi aveva seguito le lucciole che dalla cassa dell'orologio erano schizzate fuori per indicargli la strada: tallonandole si era ritrovato in una specie di pub scuro dal bancone unto, con i tavoli troppo stretti e poca gente ad occuparli. Tutta la città era così, unta e stretta e scura e vuota. Non era per nulla graziosa, Killarney, anche se forse una volta lo era stata. Il cielo era verde. La terra nera. Mancava l'odore del vento - sapeva tutto di qualcosa di forte, lievemente alcoolico, che stordiva. Pece, petrolio, pensò Yeshrael.
Aveva ordinato un caffè. Gliene avevano portato uno allungato, chiaro, macchiato di panna. Il caffè era una delle poche cose che rendesse quel mondo tollerabile: lo beveva lentamente - era servito in un alto bicchiere panciuto di vetro - e ad ogni sorso ne approfittava per tener d'occhio la sua cosa da Osservare.
Era piccola ed era insignificante. Era femmina. Aveva i capelli in due bande lisce sul viso, la testa china ed enormi occhiali rotondi. Vestiva come sperasse di poter diventare trasparente - e, a giudicare dal modo in cui tutti la ignoravano, ci stava riuscendo benissimo.
Era piccola e non era insignificante, pensò Yeshrael. Bastava tenerla d'occhio per accorgersene ma, uh, strano, nessuno lo faceva! Guardavano tutti da un'altra parte: lei non era abbastanza bionda, né abbastanza alta o abbastanza bella o abbastanza strana per attirare l'attenzione, però la zuccheriera che aveva davanti alla tazza si spostava zigzagando sul suo tavolino, lentamente, senza che nessuno la toccasse.
La ragazza sembrò accorgersene tutto ad un tratto, perché allungò una mano di scatto e inchiodò il recipiente sul piano di legno. Si guardò intorno, con un'espressione di vago panico che si affievolì solo un po' quando dovette pensare che nessuno a parte lei l'avesse visto accadere.
Yeshrael la Osservò per tutto il pomeriggio.

La sua tazza tintinnava nel piattino ogni volta che lei si distraeva. I cucchiaini sembravano attratti dalla sua mano. La sua mano sinistra. Si incollavano alle dita ogni volta che li raccoglieva per aggiungere la panna o lo zucchero, e doveva far forza per staccarli. A giudicare dall'espressione, la cosa non la rendeva particolarmente felice.
In un mondo tutto fatto di umani, pensò Yeshrael, quella cosina minuta e trasparente era del tutto fuori luogo. Nessuno stupore che gliela avessero data da Osservare.

La seguì quando uscì dal pub. Forse era il tramonto - il suo orologio suggeriva fossero le sette di sera, ora locale - ma il cielo non era cambiato per niente: era sempre verde, di quel verde malsano che ci si aspetterebbe veder marcire in una palude e nelle pozze di muffa e di fango, non levato a dipingere il cielo.
La seguì lungo la via principale, poi in una strada laterale, poi in una viuzza, in un vicolo, una strettoia: e solo lì, lontano da tutto e da tutti, lei si girò a guardarlo. Si teneva la borsa stretta contro il petto e lo guardava cauta e sospettosa:
- Che cosa vuoi? -
Sembrava un topolino. Anche la sua voce era insignificante. Yeshrael le sorrise, alzando le mani per mostrarle d'averle vuote:
- Mi chiamo Joss. -
Joss, da quelle parti, era meglio che Yeshrael. Yeshrael era uh, e come si scrive? Da dov'è che vieni, tu, che cosa ci fai qui?, mentre Joss era semplicemente ah, be'.
La ragazza aggrottò la fronte e scosse la testa. Intimorita, fece un altro passo indietro e si strinse la borsa ancora più vicina per farsene scudo.
- Che cosa vuoi da me? - Insistette. Un topolino spaventato, pensò lui, ed aveva appena iniziato a mettere insieme una scusa, un po' di conforto, qualcosa che la tranquillizzasse, quando lei tirò su la faccia e, per la prima volta, incontrò apertamente il suo sguardo.
E i suoi occhi – stellacaduta pietradicielo apritiapriticielo - i suoi occhi non erano insignificanti.






Note: Un grazie di cuore a Killuale94, che ha commentato lo scorso capitolo, per i meravigliosi complimenti.
Ho aggiornato questa settimana perché domenica prossima sarò a Lucca (*_*), e il capitolo precedente era in ogni caso molto, molto breve. Da qui in avanti si aggiornerà ogni due settimane, probabilmente, sempre di domenica. Deciderò in corso d'opera se aggiornare più spesso o diluire gli aggiornamenti, tutto dipende da una serie di fattori! xD
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** terzo giorno, settimo giorno ***





.terzo giorno



Si chiamava Alys, nulla di più. Aveva sicuramente anche un cognome, ma non gliel'aveva detto, e a Yeshrael - a Joss - non interessava. L'avrebbe Osservato sicuramente in uno dei giorni che fossero seguiti, ma non era primario. Primario era Alys.
Dev'essere una strega, si disse. Questo gli interessava. Le streghe erano come i Draghi - non proprio come i Draghi, cioè, perché non sputavano fuoco e non avevano grosse ali e non correvano mai il rischio di dimenticarsi di nascondere la coda nel passare da una forma all'altra: però anche le streghe, come i Draghi, non diventavano streghe, nascevano streghe. Lo si era o non lo si era.
Non c'erano più state streghe su Terra da quell'ultima volta in cui la gente era impazzita e le aveva distrutte. Tutte. Non era una caratteristica da trasmettersi di padre in figlio, di madre in figlia, e quindi alla Stazione i Viaggiatori s'erano aspettati di vederle tornare nel giro d'una cinquantina d'anni, un secolo al di più; e invece sembrava che Madre Magia avesse deciso d'esser stanca di veder sterminate le proprie bambine, perché non ce n'erano più state. Dalla mattina alla sera, niente più streghe: e adesso di nuovo eccole qui, eccola qui, Alys, sotto un cielo verdissimo di sporco e di schifo con i suoi occhi da stella e il display portatile che le levitava in grembo senza peso.
Lei sbirciava Joss da sotto in su, ansiosa, mentre faceva ruotare il dispositivo tra le proprie mani senza aver bisogno di toccarlo:
- Non ti dà fastidio? -
- Perché dovrebbe? -
- Agli altri dà fastidio. Voglio dire... - Arrossì. Quando arrossiva non era per nulla insignificante, Osservò Joss. - … che darebbe loro fastidio se lo sapessero. -
- Perché lo pensi? -
- Non leggi i giornali? -
Lui le sorrise:
- Fingi che io venga da un posto molto, molto lontano. Non ci sono giornali. Dimmi tutto come se io non sapessi nulla. -
Il lavoro già semplice di Joss era reso ancora più semplice dal fatto che, come tutti i Capostazione e come tutti i Viaggiatori, aveva una di quelle che si chiamavano doti: la dote in questione li faceva apparire irresistibilmente degni di fiducia per tutti coloro che Osservavano, che così si trovavano a raccontare loro segreti, vergogne, tutte le piccole cose che si nascondono in genere agli occhi del mondo. Adesso c'era Alys, davanti a lui, che gli stava rivelando candidamente come e perché quelli che lei aveva attorno l'avrebbero uccisa se avessero saputo che cos'era, innaturalmente fiduciosa.
- So che ci sono altri come me. - Gli disse. - Li arrestano. E' passata una legge al Consiglio... li arrestano tutti, ma poi non se ne sa più niente. Dicono che ne abbiano preso a sassate uno fino ad ucciderlo, un ragazzo, verso Parigi. - Inghiottì a vuoto. Gli occhi da stella erano pieni di panico, ora. - Farebbero lo stesso con me. -
Uccidono ancora le streghe qui su Terra, capì Joss.
Guardò curiosamente Alys. Era questo che era venuto ad Osservare? Mentre la uccidevano, mentre la lapidavano? E perché prendersi la briga di Osservarlo? Perché sarebbe stata l'ultima a morire, l'ultima a nascere, perché sarebbe stato importante?
Era giovane, Alys. Molto giovane. Con occhi di cielo. Per un attimo gli dispiacque pensare che avrebbe potuto Osservarla morire.



.settimo giorno (prima, dopo, durante)



Il display che Alys portava sempre con sé era un rettangolo piatto di schermo: vi faceva scorrere sopra le dita come stesse suonando, richiamando dalla Rete lunghe schedule trasparenti piene di scritte e di foto.
- Ci chiamano Next, adesso. - Bisbigliò. E poi, di fronte allo sguardo perplesso di Joss: - New Evolution eXperimenT. Quando nel 2013 sono stati scoperti i primi Next, il mondo ha pensato che presto tutti sarebbero diventati come noi. Credevano fosse il passo successivo dell'evoluzione. Sai, per tutte quelle storie di... delle guerre, dei disastri. No? L'Onda Nera dell'Atlantico, l'Asia e... e l'atomica, avevano tutti paura. Facevano bene ad aver paura, ma comunque... Sono passati un sacco di anni, che poi sono diventati decenni, e alla fine devono aver capito che non tutti sono noi. -
Spense lo schermo, nervosamente, stringendolo tra le mani chiuse.
- Adesso non siamo più il prossimo passo di niente, siamo solo l'ennesimo scherzo che la natura ci ha tirato, un bidone. Dio ha giocato a dadi con noi, e tutte le facce che sono uscite davano sempre zero. -

Joss ed Alys se ne restavano fuori da Killarney per gran parte del tempo: in giro per i dintorni, boschi e colline e prati che un tempo dovevano essere stati belli davvero, ma adesso c'era il cielo verde sopra le loro teste, e quello faceva rivoltare lo stomaco di Joss.
La schiena - le ali - gli dolevano in continuazione.
Ad Alys piacevano i dolci. Le piaceva il caffè zuccherato, le brioche. Lui gliene portava tutte le mattine e lei, così, diventava sorridente e ciarliera. Arrossiva - non sembrava abituata a che qualcuno fosse tanto premuroso nei suoi confronti. Quando arrossiva, lui Osservava il modo in cui le lentiggini diventavano minuscole lenticchie brune sulla sua pelle vellutata e per nulla pallida. I suoi occhi da stella erano la cosa più vicina al cielo vero quel mondo avesse.
Osservarla gli piaceva. Preferiva non interrogarsi sul perché.

Alys aveva molta paura del mondo. Tendeva a camminare schiacciandosi contro le pareti, a muoversi evitando la folla, evitando la gente. Tentava di farsi toccare il meno possibile, ma pareva cercare le mani di Joss come fosse un sollievo poterle stringere, come fossero acqua e lei una pianta secca. Joss sapeva che era per via della sua dote, tutta quella fiducia, tutto quel piacere, ma lo stesso non riusciva proprio ad evitare di sentirsene almeno un po' compiaciuto.
Smise di sentirsi compiaciuto il giorno in cui, passeggiando nel bel mezzo d'una strada vuota, dovettero schiacciarsi da una parte per permettere il passaggio di una macchina della polizia che sfrecciava per le vie a sirene spiegate. Alys si bloccò di colpo e gli si nascose praticamente addosso, nel vederla arrivare, schiacciandogli il viso contro una spalla e stringendogli il braccio tra le mani con tanta forza che, se Joss fosse stato davvero umano, avrebbe sentito dolore.
- Mi dispiace. - Gli disse poi, vergognosa, mentre la macchina si allontanava. Aveva il respiro affannoso, gli occhi dilatati nel panico. - Scusa. E' che n-non mi piace quando... - Inghiottì a vuoto, ma non lo lasciò andare. - Scusa. Possiamo restare così ancora un attimo, per favore? -
Restare così era star fermi e lasciar il braccio tra le mani di Alys. Si aggrappava a lui in cerca di conforto, di rassicurazione, e gli si era nascosta dietro come pensasse che l'avrebbe protetta. Che pensiero sciocco, si disse Joss. Si sentiva come estraniato da sé stesso, opaco, istupidito. Osservava Alys e aveva la nausea. Che pensiero sciocco. Io non la proteggerò.






Note: Un grazie di cuore a tutti coloro che si sono fermati a leggere, a chi ha inserito questa storia tra le Seguite, i Preferiti o la Ricordate e a chi ha lasciato un commento.

Killuale 94: Grazie di cuore per i commenti! *__* Lucca è stata meravigliosa e sono ancora in fase depressa e... io vado pazza per tutto quel che contiene la parola "drago". Sono andata a vedere How to train a dragon, adoro alla follia Silvana de Mari, ho cinquemilamilioni di pupazzetti a forma di drago sparpagliati in giro per la stanza... tutto purché non mi si parli di Eragon. xD Eragon è il male, Silvana de Mari la cura. Senza voler offendere in nessun modo tutti quelli che lo leggono o lo apprezzano. Spero che questo capitolo non ti abbia delusa!
Murasaki: Quando mi sono trovata a dover pubblicare il prologo (epilogo?) ho scoperto che quella che era una dignitosissima pagina e qualche riga in Times New Roman 12 si trasformava in due spauritissimi paragrafi persi nel bianco di EFP. Mi sono interrogata sul da farsi (tenerlo così? modificarlo?), ma alla fine ho optato per mantenere la suddivisione iniziale. Grazie mille per i complimenti! ^_^
Rohchan: che cos'è, ESATTAMENTE questa storia? Il parto di una mente malata? xD Il risultato di tre lunghi pomeriggi all'insegna del "non ho voglia di studiare? A tua decisione! Foto ce ne sono, ma nessuno le avrà! Mwahahaha! x°°°D Spero che questo capitolo abbia aiutato a fare chiarezza... e un bacione!

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Capitolo 4
*** tredicesimo giorno, quattordicesimo giorno ***





.tredicesimo giorno



Non erano ancora trascorse due settimane da quando Joss era arrivato sul Terra, il mattino in cui Alys si presentò al solito appuntamento di fronte al bar con gli occhi pieni di terrore e il viso rigido. Lui non poté fare a meno di allungare un braccio e afferrarla, sostenerla, sorreggerla, quando la vide barcollare e piegarsi da una parte:
- Stai bene? -
- Hanno preso Sibyl. - Esalò lei. Gli strinse il braccio tra le mani con forza. Era cerea più che bianca, lo sguardo da stelle vitreo, annebbiato. - Stamattina. Era su tutti i notiziari. Hanno preso Sibyl e... - Le scappò un singhiozzo. - E' come me. Avevamo parlato ieri sera. Stava bene. Non aveva paura, non... non se l'aspettava. -
Joss allungò una mano per accarezzarle la testa, piano: si disse che lo stava facendo perché la fiducia di Alys gli serviva per poterla Osservare, ma c'era una piccola parte molto acida, in lui, che strillava che si era mosso anche prima di pensare a questo.
- Andrà tutto bene. - La confortò meccanicamente.
Alys singhiozzò ancora:
- Avevamo parlato ieri sera. Ieri sera. Troveranno le conversazioni, in Rete, possono trovarle... m-mi troveranno... Sanno cosa sono... -

Osservarla mentre la uccidevano, pensò Joss. Forse era davvero questo che era venuto ad Osservare. Osservare, Osservare. Solo Osservare.

Gli occhi da stella di Alys erano la cosa più vicina al cielo vero quel mondo avesse. Piovevano, oggi.



.quattordicesimo giorno



Il mattino successivo Alys si presentò all'appuntamento con una grossa sacca rigonfia in spalla.
- Me ne vado. - Gli disse. - Sono venuta solo per salutarti. -
Joss non poteva, in tutta franchezza, dirsi stupito dalla sua decisione di andarsene: avrebbe potuto invece sorprendersi che lei avesse perso tempo per venirglielo a dire, prima di partire, ma era la sua dote, no? Una volta di più il pensiero gli giunse venato d'amarezza.
- Vuoi scappare? -
Alys annuì fermamente. Il suo viso era sempre pallido, ma non singhiozzava più. Aveva gli occhi asciutti.
- Non lascerò che mi prendano qui. Posso fuggire. Posso restare lontana da casa, posso... posso stare lontana per mesi. Possono cambiare molte cose in un mese. Magari scriveranno una nuova legge su... su di noi. Magari si dimenticheranno di me. -
Magari ti troveranno.
- Ho detto ai miei genitori che andavo in vacanza con un'amica. Un paio di settimane, verso Dublino. Li chiamerò, ogni tanto, così... Loro non sanno cosa sono. Non gliel'ho mai detto. - Stropicciava il laccio della borsa tra le dita lunghe, nervosamente. - Avrei dovuto farlo. -
Joss allungò una mano: le batté due colpetti leggeri sulla testa, con gentilezza, prima di afferrare il manico della sacca e sfilarglielo dal braccio, buttandosela sulla schiena.
- Se hai fatto tutto, possiamo andare, allora. -
Gli occhi di Alys si sgranarono:
- Come...? -
- Vengo con te. -
- No, tu... tu non capisci. - Lei scosse la testa, agitata, prima di cercare di riprendersi la borsa. - E' pericoloso. E'... sto scappando. E' pericoloso, se mi... se ci... Arresteranno anche te, e quelli che arrestano non... -
- Non ti preoccupare. - Non ti preoccupare, pensò Joss, sentendosi di nuovo come intorpidito a quel pensiero. Sta' pur sicura che io non sarò arrestato. A me non faranno niente. - Dovremmo sbrigarci ad andarcene, adesso, e forse è meglio che non ne parliamo qui. -
Erano ancora di fronte al caffè. Gente che entrava, gente che usciva, nessuno che badava loro: ma Alys si strinse nelle spalle intimorita, a quelle parole, guardandosi intorno con espressione colpevole. Non durerà una settimana, si disse lui. Aveva ancora la nausea. Non durerà una settimana, la prenderanno prima.
Si incamminò lungo la strada, per allontanarsi dal locale, ed Alys gli sgattaiolò accanto come un topolino.
- Ma i tuoi genitori? - Domandò, angosciata. - La tua famiglia? Loro cosa penseranno? -
- Non ti preoccupare neanche di questo. -
Alys parve colta da un pensiero improvviso:
- Ma tu... tu hai una famiglia, sì? Io non ti ho mai chiesto da dove vieni, cosa fai. - Ne sembrava stupita. - Non ho mai pensato di chiedertelo. -
- Non è importante. - Minimizzò Joss. Le sorrise, anche se non aveva per nulla voglia di farlo. - Te ne parlerò un'altra volta. -
Non te ne parlerò mai.

Presero un pullman appena fuori da Killarney. Alys aveva dei soldi in un cartoccio ed altri soldi in una busta, e poi un sacchetto pieno di monetine. Non aveva documenti, non aveva carte di credito, carte prepagate, niente. Aveva lasciato tutto a casa, perfino il display.
Nella borsa portava vestiti e coperte; Joss non aveva nemmeno quelli, ma non se ne preoccupò.
- Vedrai che andrà tutto per il meglio. - Le disse.
Ma sapeva che tutto non sarebbe potuto andare che sempre peggio.






Note: Un grazie di cuore a tutti coloro che si sono fermati a leggere, a chi ha inserito questa storia tra le Seguite, i Preferiti o la Ricordate e a chi ha lasciato un commento.
Le risposte alle recensioni slittano nella sezione apposita creata adesso sul sito in ogni commento.

Per chi fosse interessato, nella sezione Sovrannaturale ho aggiornato ieri La casa di Candledoore Square.

Si ringrazia Murasaki per avermi permesso di correggere un errore di battitura.

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Capitolo 5
*** sedicesimo giorno, diciannovesimo giorno, ventunesimo giorno ***





.sedicesimo giorno



Cambiavano posto ogni giorno. Si spostavano usando pullman e treni - bastava pagare il biglietto e non servivano documenti, e nelle stazioni più piccole non c'era nemmeno sorveglianza, telecamere, niente. Dormivano dove capitava: sdraiandosi sulle panchine non correvano il rischio di incappare in un albergatore un po' troppo curioso, ma attiravano l'attenzione e potevano ad ogni momento essere sorpresi dalla polizia; nei motel ai bordi delle strade di largo scorrimento, in compenso, facevano poche domande. Bisognava stare attenti al denaro, poi, perché non era tanto e doveva bastare per due.
Joss portava la borsa di Alys. L'aiutava a scavalcare le recinzioni, ad arrampicarsi; un pomeriggio che lei si era fermata a metà d'una salita, stremata, l'aveva presa in schiena. L'unica cosa che non faceva era darle consigli: un consiglio sarebbe stata una maniera d'influenzare le sue scelte, e non si potevano influenzare le scelte d'un soggetto da Osservare.
- Non mi hai mai detto da dove vieni. - Aveva mormorato lei, reggendosi alla sua schiena mentre Joss la portava fin sulla cima della collina. Alys aveva braccia sottilissime, un corpo leggero da nuvola soffiata.
- Da un altro posto. -
- E' una risposta un po' vaga, no? -
Joss girò la testa quel tanto che serviva a sorriderle.
- Tutte le risposte sincere lo sono. -
Lei gli appoggiò la tempia contro la spalla, strofinandosi piano, pianissimo. Tutto quel che Alys faceva era piano: era gentile, era morbido, era incerto. Era fatta così, due dosi di paura e una di quello che è il coraggio di chi è timido e buono, vibrato, vergognoso, altruista.
- Ti peso? - Bisbigliò.
L'avrebbe potuta portare in schiena per chilometri. Avrebbe potuto sollevarla con un braccio solo, con una mano, reggerla sulla punta di due dita. Avrebbe potuto prenderla sul dorso e spiccare il volo, e le ali, così, forse avrebbero smesso di dolergli.
Yeshrael avrebbe potuto. Tutte cose che Joss non poteva fare.
- No. - Le rispose morbidamente. - No, non mi pesi. -



.diciannovesimo giorno



Avevano trovato una specie di ostello nei pressi di Galway: il proprietario era un uomo molto anziano e molto sordo che non si era preoccupato di chiedere loro i documenti. Gli avevano detto che erano fidanzati, che stavano per sposarsi. Volevano una stanza sola per tutti e due, grazie.
C'era il bagno in camera, con la doccia. Una doccia. Acqua calda. Era da quando avevano lasciato Killarney che nessuno dei due si lavava con dell'acqua veramente calda, e sembrò loro di aver raggiunto qualcosa di molto simile al paradiso.
Quando furono entrambi puliti e vestiti con abiti freschi - Joss aveva comprato maglie, pantaloni e calze in un supermercato lungo la strada - uscirono per girare un po' la città.
Era un po' come essere tornati a Killarney: Alys sorrideva, rideva quasi, aveva il viso disteso. Gli occhi da stella, così, erano azzurri come neanche l'acqua riesce ad essere mai, come il cielo di quel mondo non era più da troppi anni.
Presero dei panini, e Alys entrò in una cabina pubblica per telefonare ai suoi genitori.
Joss la Osservò comporre il numero, guardare nel visore. La vide sbiancare, farsi prima pallida e poi cerea, contrarre il viso e mettersi a piangere. Lui schiacciò le mani contro la porta della cabina e desiderò poter entrare lì dentro con lei, poterle cancellare le lacrime con le mai, ripulirla, ripulire qualunque cosa fosse accaduta per farla piangere così. Si sentiva nauseato - di nuovo - e pensò che se avesse potuto vomitare forse si sarebbe sentito meglio.
Alys si asciugò la faccia prima di uscire, ma aveva ancora una voce gutturale di pianto mentre lo raggiungeva e gli diceva:
- La polizia è stata a casa dei miei, ieri. Sanno che sono scappata. - E poi, stringendosi le mani l'una nell'altra con forza tale da graffiarsele. - Dobbiamo andare via di qui. -

Sul pullman che li avrebbe portati verso la baia di Donegal, Alys gli appoggiò la testa contro la spalla. Joss esitò per un attimo, solo per un attimo, e poi le fece girare un braccio attorno alla schiena e la strinse leggermente.
Si disse che lo faceva solo per tenerla al caldo: tremava, non sarebbe stato umano, no? Lasciarla morire di freddo. Doveva Osservarla, e sicuramente non ci sarebbe stato nulla da Osservare se fosse congelata in quella maniera inutile, insignificante.
Questo ragionamento non spiegava, però, come e perché tenerla così facesse sentire caldo anche lui.



.ventunesimo giorno



E venne il mattino in cui Joss si svegliò in un letto sfatto e in una stanza orribile, piccola e gelida come una ghiacciaia, sporca come una discarica, e scoprì che dopotutto tutto questo non aveva nessuna importanza: perché c'era Alys sdraiata accanto a lui e il letto era stretto, un letto per una persona sola, e così lei gli si era insinuata addosso e insinuata dentro, tra le braccia e contro il petto e contro le gambe, il respiro a mescolarsi al suo all'altezza delle labbra.
C'era qualcosa nel petto di lui che rombava, tuonava, un tum-tum assordante che lo fece tremare - pensò che gli sarebbe esplosa la cassa toracica, così, che l'avrebbe svegliata con tutto quel rumore - e gli occorse del tempo per accorgersi che Alys era già sveglia e lo stava guardando.
Lei alzò la testa di un soffio, poi ancora un altro po', esitò e infine premette le labbra sulle sue. Era calda. Era calda, calda. Morbida e gentile. Calda, lui aveva il fuoco nello stomaco ma lei era più calda. Calda. Caldo, umido, le labbra lucide. Aveva i capelli di Alys aggrovigliati alle dita, il gusto di Alys aggrovigliato in gola. Respirava quel che lei respirava.
La sto baciando, pensò.
Era la sensazione migliore del mondo.

Alys si riaddormentò dopo un po'.
Il bacio, rifletté Joss, doveva essere una specie di cura naturale per il voltastomaco, la nausea, il mal di testa e i cattivi pensieri, una specie di panacea universale, perché adesso si sentiva bene. Benissimo. Non si era mai sentito così bene da quando aveva messo piede su Terra.
La Osservò dormire, giocando incantato con i suoi capelli e chiedendosi come aveva fatto prima a non notare quanto fossero belli, bellissimi, quanto lei fosse bella, bellissima, meravigliosa. Come aveva fatto a trovarla insignificante? Questa era Alys.

Si addormentò anche lui: e, per la prima volta da settimane, sognò la Stazione.






Note: Come sempre, un grazie di cuore a tutti coloro che si sono fermati a leggere, a chi ha inserito questa storia tra le Seguite, i Preferiti o la Ricordate e a chi ha lasciato un commento.

In ritardo d'un giorno - mi ero bellamente dimenticata che questa fosse la settimana giusta per l'aggiornamento - nella sezione Sovrannaturale sto andando ad aggiornare La casa di Candledoore Square.

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Capitolo 6
*** ventitreesimo giorno, ventisettesimo giorno, trentunesimo giorno ***





.ventitreesimo giorno



C'era un treno in arrivo, lui lo sentiva sferragliare alle sue spalle e non osava volgersi: perché se si fosse girato l'avrebbe visto. Giaceva bloccato tra le traversine e non poteva muoversi, non poteva scansarsi, saltare via, aprire le ali e volare. Il treno stava arrivando, avrebbe attraversato la Stazione e l'avrebbe travolto, e lui non poteva farci niente.
Sentiva che Alys era lì da qualche parte sulle banchine e lo stava guardando, guardando, non Osservando, e Joss sapeva che lei stava piangendo, che era infelice, che voleva aiutarlo: ma quando la cercava con gli occhi lei sembrava sparire e spostarsi un po' più in là.

Dal giorno del bacio aveva cominciato a sognare questo tutte le notti.
Il bacio c'entrava sicuramente in qualche modo. Il bacio doveva aver causato il sogno. Se avesse smesso di baciarla forse il sogno sarebbe scomparso, ma lui la baciava e la baciava e la baciava e tutta la nausea spariva. Quando la baciava si sentiva guarito, rinato. Quando la baciava le camere d'albergo erano sale e stanze di posti stupendi che aveva visitato, pieni di luce, con l'odore del vento e del mare. Quando la baciava il cielo era azzurro.
Quando la baciava Alys era vestita di lino bianchissimo in un posto dove alle streghe costruivano ponti d'oro. Faceva ballare i cucchiaini sul tavolo e lui spalancava le ali per portarla più vicina alla luna.

Davanti a un pensiero come questo anche il ricordo del sogno e della Stazione si faceva fioco e lontano.



.ventisettesimo giorno


- In un posto così si potrebbe stare per sempre. -
A nord di Donegal c'era un faro bianchissimo gettato a scavalcare un promontorio verde - com'era verde il cielo, che però nel contrasto sembrava quasi azzurro - e un villaggio minuscolo incastrato tra due lembi di bosco spoglio. Faceva freddo da morire e da giorni mangiavano solo funghi e biscotti secchi, ma se dormivano abbracciati nel sacco a pelo riuscivano a scaldarsi, dopo un po'; e anche lo stomaco doleva di meno. Respiravano l'uno addosso all'altra e Joss passava il suo tempo con gli occhi aperti, spalancati.
Stava sveglio. Non poteva perdersi neanche un minuto di tutto questo, e perciò stava sveglio. Non sapeva quanto di Alys avrebbe potuto avere quanto a lungo. Non sapeva quanto di lei gli sarebbe stato permesso di prendere, gli occhi da stella e quella scheggia di denti bianchi in mezzo al sorriso intimorito e gli occhiali che al mattino erano sporchi, unti, perché lei glieli aveva strofinati contro una guancia per tutta la notte. Le mani di Alys. I sassolini che tremavano attorno al sacco a pelo, le foglie che le si incollavano ai capelli e non volevano venir via, come forcine verdi, come calamite. Cercava di prendere tutto quel che avrebbe potuto portare con sé, ma lui non se ne voleva andare, no: voleva restare con lei e continuare a scappare così. Quando avessero terminato di girare quell'isola sarebbero passati ad un'altra, e poi ad un'altra ancora e infine sulla terraferma; c'era tanto da vedere, tanti posti nei quali nascondersi, dormire. Tanti spicchi di mare buio da guardare, e lui e la Stazione avevano un'infinità di tempo, no? Cos'erano dieci anni, cento, a confronto di tutto il tempo che aveva passato ad Osservare?
- Il posto da cui vengo io... - Disse Joss, distratto. - … è molto più bello di questo. -
Le teneva una ciocca di capelli tra le dita, e Alys strusciò la testa contro il sacco a pelo per poter alzare gli occhi e guardarlo:
- E che posto è? -
- Un posto di mare, come questo. E' un grosso arcipelago di isole verdi. Fa sempre molto caldo, la gente si sposta in piccole barche. -
Lei domandò, incerta:
- Esiste un posto così? -
Non qui.
- Sì. -
Un attimo di silenzio.
- Mi piacerebbe andarci. - Bisbigliò Alys.
Mi piacerebbe portartici. Joss aveva appena festeggiato il suo primo secolo di vita il giorno in cui il Capostazione gli aveva detto che era stato scelto tra migliaia di razze, tra milioni di miliardi di creature, che avrebbe Osservato. L'aveva portato via da casa prima dell'alba e, malgrado tutto l'orgoglio provato nel sentirsi chiamare Viaggiatore, gli era rimasta dentro, così, quell'alba mancata, con le ali degli altri - fratelli - come spuma iridescente nel cielo.
- Joss....? -
- Uh? -
Alys inghiottì a vuoto un paio di volte e poi disse con un filo di coraggiosissima voce:
- Sono molto contenta di averti conosciuto. Mi vergogno di esserlo, perché tu sei in pericolo, così, e lo sei per colpa mia, ma sono contenta. Vorrei averti conosciuto prima. Vorrei averti conosciuto da sempre. -
Sempre, sempre. Joss le accarezzò i capelli: erano lisci e sottilissimi, capelli infantili. Un posto così non era bello quanto il posto dal quale veniva lui, ma avrebbe potuto rimanere egualmente lì per sempre, pensò, attorcigliato agli occhi da stella. Edera, erica, lei gli stava fiorendo addosso.
Voleva portarla via. Intera. Tutto di lei, tutto di lei, alla Stazione, altrove. Continuare a scappare da lì in eterno. Averla sotto le mani, dentro le mani, tenerla tra due palmi e serrarla senza farle del male.
- Non ho più molta paura. - Bisbigliò Alys.
E sentirglielo dire gli fece male da morire.



.trentunesimo giorno



Il trentunesimo mattino si svegliarono ed inciamparono senza accorgersene nel giorno in cui Alys sarebbe morta.
Ed era cominciato di nuovo tutto con un trillo.

Non era stato l'orologio a squillare, stavolta, ma un uccello spaventato in fuga tra i rami più alti degli alberi; Joss scivolò dal sonno alla veglia in un attimo, gli occhi pieni del verde spezzato d'oro pallido della foresta nell'alba, e poi qualcos'altro esplose a valle, ai piedi della collina, un suono come di sirena aguzza che spezzò in due parti taglienti l'aria. Alys spalancò gli occhi accanto e lui e Joss le accarezzò la testa, meccanicamente.
- Va tutto bene. - Le disse, e mentiva. - Resta sdraiata. -
Non voleva che si alzasse, ancora, perché forse il trillo e il suono e il ronzio non erano quel che lui pensava fossero; e, se lo erano, forse sarebbero passati oltre. Forse li avrebbero superati. Forse non li avrebbero visti. Il bosco era folto, il paese lontano. La collina alta.
Si inerpicò su un sasso per sbirciare tra gli altri, e la prima cosa che gli saltò nel petto nel vedere il grande mostro argentato fu fratello...?, ma poi si ricordò in un baleno che non c'era nessuno come lui su quel mondo, nessun drago, Drago, niente di così grosso che volasse senza che fossero stati gli uomini ad appenderlo sul cielo. Puntava proprio da quella parte e sul suo tragitto tranciava i rami, gli alberi, tutto, e Joss seppe immediatamente che stavano cercando loro due.
Saltò giù dal sasso, afferrò Alys e - senza ricordare quasi che aveva promesso al Capostazione che sarebbe stato attento a passare per umano, solo per umano - la sollevò senza sforzo e la mise in piedi, un po' spingendola, un po' tirandola.
- Corri! -
Scapparono. Giù per la collina, giù per il prato, giù per una terra verde, verdissima, l'Isola di Smeraldo, dove però il cielo era sempre più verde dell'erba. Superarono una bassa valletta e furono allo scoperto, e il mostro d'argento era sempre alle loro calcagna: ruggiva inghiottendo gli alberi, con occhi di vetro opaco che riflettevano le nuvole e non lasciavano vedere gli uomini che lo stavano manovrando.
Erano lì per Alys. Li stavano inseguendo. Erano lì per prendere Alys.
La trascinò su per la collina e non si stupì di sentirla tremare, terrorizzata, di sentirla mugolare piena di spavento mentre gli correva dietro e cercava di tenere il suo passo.
- Tirali giù! - Le urlò, senza fermarsi. - Alys! Tu puoi! Tu puoi farlo! -
- Non posso... - Boccheggiò lei.
- Sì che puoi! Tirali solo... pensa che siano sassi e tirali, tirali giù! -
La voce nella gola di Alys si strozzò in un singhiozzo:
- Non posso! - Lei si fermò di colpo a metà della salita, bloccandosi senza preavviso. - Lasciami andare, Joss! Lasciami, vai, vattene via! - Cercò di strattonare il braccio per costringerlo a lasciare la presa, ma Joss era semplicemente troppo, troppo forte per lei. - Joss, ti prego... -
Il mostro d'argento era proprio dietro di loro. Li stava raggiungendo. Li avrebbero presi. Avrebbero preso Alys. Alys la strega. Alys preziosa. Alys occhi di stella, cuordicielo, Alys bianchissima e candida con i suoi occhiali macchiati della pelle sulla quale s'era strofinata - la sua.
La strattonò, trascinandosela dietro e obbligandola a muoversi:
- Non ti fermare! Corri! -
Non ce l'avrebbero mai fatta, pensò Joss. Quella salita sembrava infinita, tutta alberi radi e cespugli bassi, e il mostro d'argento volava veloce come una saetta, come una gonfia libellula mostruosa, sarebbe stato loro addosso a momenti. Joss avrebbe potuto prendere Alys in spalla e correre di più, più forte, ma anche così prima o poi sarebbero stati raggiunti.
Non possiamo scappare. Realizzò tutto ad un tratto. Non possiamo scappare. Inchiodò lì dov'era, bloccandosi, e Alys lo superò e fece ancora qualche passo prima di fermarsi e volgersi a guardarlo, stupita. Joss vide il mostro d'argento riflesso nelle sue lenti, nei suoi occhi, e poi il panico e le mani di lei che si allungavano per afferrarlo. Joss cominciò a girarsi, e gli sembrò che le spalle gli scoppiassero di dolore mentre le stirava, lentamente, mentre le ali venivano fuori poco alla volta da sotto la pelle. Vide di nuovo panico negli occhi di Alys, poi sbalordimento e poi, poi, poi, gli arrivò alle orecchie il fischio lontano.
Il trillo della campana.
Non adesso, pensò Joss, terrorizzato, non adesso, non adesso, la nausea lo stava schiacciando, no, no, no!
Il treno stava arrivando: fischiava e suonava per annunciare la sua comparsa, e Joss vide le rotaie allungarsi sotto ai suoi piedi, una delle traversine stesa a separarlo da Alys, e prima pensò no e poi lo urlò più forte che poteva.
No, no, no, no, centinaia di volte no, mille volte no, Alys era lì, Alys era in pericolo, lui doveva salvarla, lui doveva restare, fermarsi, la Stazione poteva aspettare, il treno poteva aspettare, lui voleva Osservare, osservare, osservare Alys fino a quando non avesse avuto i capelli bianchi e la faccia piena di rughe e la pancia piena di bimbi e il sorriso colmo, traboccante, luminoso. Voleva Osservarla, osservarla, sempre. Voleva che vivesse.
Tese le mani e cercò di incontrare le sue: e si accorse di avere le dita luminose, le braccia luminose, scintillanti di uno sciame di lucciole che si concentrava in prossimità della tasca dei calzoni - dove teneva l'orologio. Nauseato, si rese conto che stava già scomparendo. Poteva guardare il terreno in trasparenza attraverso le proprie braccia, e anche Alys doveva vederlo così, perdersi e svanire, perché grido e tentò di nuovo di trattenerlo.
Il fischio del treno gli esplose dentro la nuca, e il rombo del mostro sovrastò il suo nome sulla bocca di Alys. Un fascio di schegge di metallo luminoso passò attraverso al corpo di Joss che scompariva e si piantò nel petto di Alys, nel viso di Alys, nel suo stomaco liscio, nelle sue spalle curve. Le sue gambe brillarono come piante irte d'aculei, le dita protese, insanguinate, fu la volta di Joss di gridare e urlare mentre la Osservava cadere.
Sta morendo, pensò Joss, muore.

Aveva creduto che gli sarebbe dispiaciuto doverla Osservare morire, ma questo non era dispiacere, questo non era dolore. Questo gli stava mangiando il cuore.



.trentunesimo giorno – Epilogo



- Capostazione! Capostazione! Esci fuori! Devo... Tu! Perché mi hai portato via? Riportami indietro, ora! -
Ma non sarebbe mai più tornato indietro, pensò Joss, Yeshrael. Mai più. Alys era morta, moriva.
Ora anche i suoi pensieri stavano sanguinando.






Note: In ritardo per via di problemi alla connessione internet!
Come sempre, un grazie di cuore a tutti coloro che si sono fermati a leggere, a chi ha inserito questa storia tra le Seguite, i Preferiti o la Ricordate e, soprattutto, un grazie a chi ha lasciato un commento.

Doppiamente grazie a Killuale94, che sta partecipando alla campagna Adotta una storia anche tu. Ondate di grazie.

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Capitolo 7
*** trentaduesimo giorno (e quelli che seguono) ***





.trentaduesimo giorno (e quelli che seguono)



Yeshrael sognava.
In ciascuno dei suoi sogni c'era Alys, le mani e le gambe e il sorriso di Alys, e certe volte era bianca, certe volte spezzata di sangue. In ciascuno dei suoi sogni aveva addosso l'odore di Alys. In ciascuno dei suoi sogni credeva di averla vicina, di poterla toccare, ma poi si svegliava e la Stazione era un labirinto di rotaie che portavano tutte in nessun luogo.
Lasciò trillare a vuoto l'orologio il primo giorno, il secondo, il terzo: il quarto lo buttò per terra, sotto ad una panca, e poi uscì e si spogliò di tutto quel che aveva di umano, la pelle e i capelli e i vestiti, le ossa fragili, le dita flessibili - quelle di Alys si erano tese verso di lui, ed aveva il pollice rotto da una scheggia di metallo, l'anulare tranciato - prima di alzarsi nuovamente in volo.
Il quinto giorno il Capostazione gli fece ritrovare l'orologio in mezzo ai vestiti. Yeshrael lo prese e se lo rigirò tra le mani per un po', osservandolo senza realmente vederlo, prima di lasciarlo cadere tra le traversine. Lo calpestò, metodicamente, iniziando con i piedi da umano e terminando con gli artigli da Drago, fino a quando non fu ridotto a niente più che polvere di metallo e ingranaggi fracassati.
C'era un mondo che si chiamava Terra, da qualche parte, con una città che si chiamava Killarney e che era un posto delizioso, aveva detto il Capostazione, con una ragazza che si chiamava Alys che lui avrebbe dovuto Osservare. Qualcosa di Alys sarebbe stato molto importante.
Alys tutta era importante. Alys tutta era importante per Yeshrael, non c'era qualcosa di più o qualcosa di meno, perché si cominciava dagli occhi e si scendeva fino ai polmoni - che si flettevano attorno al suo respiro caldo - e poi le mani ossute, le unghie rotte che l'avevano graffiato spesso - e lei si scusava tutte le volte - e la voce e le gambe, lisce, nelle quali alla mattina si trovava aggrovigliato.
Questo la Stazione non riusciva a capirlo? Quant'era importante, preziosa, quant'era fondamentale che respirasse, camminasse, esistesse?
Aveva già visto morire altri prima di lei, uomini e donne, giovani e vecchi, umani e Draghi, decine di razze in decine di mondi, ma non aveva mai permesso a nessuno di quei morti di toccarlo tanto, di rimanergli tanto addosso: e adesso tutti loro erano come ferite aperte sulla pelle, incrostate di sale, esponevano il muscolo vivo e lui pensava a ciascuno di essi come a qualcuno che aveva la faccia di Alys, la voce di Alys, gli occhi di Alys.
Sognava di non essersene mai andato da quella collina. Sognava che il treno non fosse mai arrivato, sognava di essere rimasto. Sognava volando, come fanno i Draghi, con gli occhi aperti a perdersi nel mare di nuvole rosa e oro, in un cielo azzurrissimo che era infinitamente più bello di quello della Terra.
Il Capostazione lo lasciava in pace. Non gli aveva più chiesto di partire: forse, pensò Yeshrael, aspetta che io guarisca. Il pensiero che fosse possibile guarire, non sanguinare più, era semplicemente orribile. Questo era quello che gli era stato permesso di portare via di Alys, il buco nel cuore, e lui lo voleva, lo voleva, lo voleva. Non voleva perdere anche questo.
Se fosse rimasto l'avrebbe protetta, pensava Yeshrael. Non sarebbe mai più tornato a casa, alla Stazione, ma lei almeno l'avrebbe protetta.
Era tardi per perdere il treno, adesso.

- Vorrei averti conosciuto prima. - Dice Alys. - Vorrei averti conosciuto da sempre. -
Si svegliò nauseato e sconvolto, il sudore in uno strato ghiacciato sulla pelle nuda, e si lasciò cadere dal letto senza nemmeno pensare a vestirsi. Barcollò fuori dalla sua stanza, ignorando l'occhiata bizzarra che il Capostazione gli rivolse - era neutra, gentile, sicuro, ma c'era forse compassione là in fondo? - e si strappò la carne di dosso.
- Vorrei averti conosciuto prima. -
Spalancò le ali, premette con i piedi contro il terreno prima ancora d'aver ripreso del tutto la propria vera forma.
- Vorrei averti conosciuto da sempre. -
Puntò verso il cielo e dalle fauci schiuse ruggì fuoco e fiamme, una striatura rossa a fendere guizzando le nuvole, incandescente. Yeshrael aveva sperato che il rumore avrebbe coperto le voci, la voce, ma nella sua testa Alys continuava a parlare e diceva:
- Vorrei averti conosciuto prima. -
- Vorrei averti conosciuto da sempre. -
- Vorrei averti... -

L'aveva voluta, Alys. Aveva pensato che fosse insignificante, fragile, ma nessuna cosa insignificante si poteva desiderare così. L'aveva voluta. L'aveva conosciuta da sempre. L'aveva avuta da sempre, ancora prima di incontrarla, non aveva saputo che si potesse avere qualcosa di tanto bello ma una parte di lui già ne era certa, già la aspettava, una parte di lui era stata ansiosa di avere Alys, i baci di Alys, gli occhiali di Alys e la pelle di Alys contro di sé.
Vorrei averti conosciuto prima, qualche altro giorno con Alys prima di doverla Osservare morire. E il prossimo che avesse Osservato? Vedere di nuovo il sangue e il panico, senza pensare ad Alys...? Gli era intollerabile. Era il suo dovere, impensabile, impensabile.
Forse era per questo che il Capostazione lo guardava così, penso Yeshrael. Si seppellì in un cumulo di nubi e per un attimo non ebbe più la percezione del luogo nel quale si trovava: nessun contorno, nessuna immagine, un nulla bianco e sospeso di panna montata, ed era la sensazione migliore che potesse pensare di provare, ora come ora.
Forse era per questo che il Capostazione lo guardava così.
Yeshrael chiuse le ali. La membrana si piegò contro le squame dei fianchi e del dorso, e tutto ad un tratto il corpo che gli era parso così indescrivibilmente leggero, volatile, divenne una pietra gettata nell'acqua. Emerse dal cumulo di nubi precipitando, e c'era una partita a scacchi in sospeso, si ricordò Yeshrael, che qualcuno non avrebbe mai concluso.






Note: Non è l'ultimo capitolo! xD ... il prossimo lo è. U.u
Rimando ad allora tutti i ringraziamenti che ci sono da fare, persona per persona, limitandomi a ringraziare, qui, come sempre, tutti coloro che hanno inserito e che continuano ad inserire questa storia tra le Preferite, le Seguite e le Ricordate; e a ringraziare doppiamente chi si ferma a lasciare un commento. Quelli che avete lasciato allo scorso capitolo mi hanno acceso il cuore, grazie.

Nel rispondere ad un'osservazione di YuXiaoLong ho realizzato di non aver spiegato da nessuna parte il significato dei nomi dei due protagonisti. Per Yeshrael mi sono ispirata a Yorsh, protagonista della meravigliosa saga di Silvana De Mari (vedi qui) che ha inizio con L'ultimo elfo; aggiungendo al nome il suffisso -el, che in ebraico indica "Dio". Dalla saga di Silvana de Mari ho preso anche il nome Joss, che è una storpiatura di Yorsh apparsa ne Gli ultimi incantesimi. Alys è una delle possibili variazioni del nome Alice; scelta per via di un accostamento alla protagonista di Alice nel Paese delle Meraviglie, in grado di aprire le porta di altri mondi, e per una vaga rassomiglianza fonetica con il nome francese del fiordaliso (fiore azzurro, simbolo di amicizia, purezza e sincerità).

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Capitolo 8
*** trentanovesimo giorno, trentunesimo giorno - cinque minuti dopo l'Epilogo ***





.trentanovesimo giorno



- E tu sei assolutamente certo che questo sia quel che vuoi? -
- Del tutto certo. - Confermò Yeshrael. E poi, stringendo le cinghie della sacca: - Certissimo. -
Era strano avere una borsa così vuota: aveva trascorso degli anni dentro la Stazione, secoli, e tutto quel che possedeva si poteva conservare in un parallelepipedo di stoffa largo venti centimetri e spesso quindici. Dopo un attimo di silenzio il Capostazione si chinò per scansargli le mani, gentilmente. Riaprì la borsa e ci fece scivolare dentro la base della scacchiera e la sacca con i pezzi, raccogliendola dalla panchina. Yeshrael sgranò gli occhi e cercò di impedirglielo:
- No, io... tienila tu! -
- Non avrei nessuno con cui giocarci. - Replicò il Capostazione, serenamente. - Sarà più utile a te. -
- E con il prossimo Viaggiatore come farai? -
- Ne comprerò un'altra, da qualche altra parte. -
Yeshrael osservò le mani lunghe e asciutte del vecchio armeggiare con le fibbie, di nuovo, richiudendole.
- Devi esserne ben sicuro, Yeshrael. - Gli disse il Capostazione. Alzò gli occhi ed erano chiarissimi e lucidi, penetranti. - Perché una volta deciso non potrai mai più tornare indietro: né qui, né a casa. Il treno non passerà mai più per te. -
- Ci ho pensato. - Ci aveva pensato, davvero. La Terra era un posto orribile, con un cielo verde e un mare sporco, ma la Terra era bellissima in ogni momento in cui c'era Alys, Alys che respirava, Alys che aveva un cuore che batteva ed integre dita bianche.
- Vivere lì sarà difficile per voi. -
- Ci adatteremo. - Disse Yeshrael, e quel che pensava era combatterò. Sorrise al Capostazione: - Dovrai mandare qualcuno ad Osservarci, prima o poi. Vedrai. -
Il vecchio lo guardò in silenzio per un attimo, prima di alzare la testa e fissare la tabella degli orari. La stringa d'oro sulla targa d'ebanite diceva Killarney, adesso, e c'erano una data e un orario familiari lì accanto. Il Capostazione si sistemò il berretto sul capo e mormorò quietamente:
- E' quasi ora. -
Yeshrael si chinò per afferrare la sacca e caricarsela in spalla, seguendo l'uomo lungo le banchine. La Stazione sembrava protendersi verso di lui per salutarlo, il fischio lontano dei treni come qualcosa di familiare, di amichevole. Guardò il cielo azzurrissimo e pensò che probabilmente era l'ultima volta che ne vedeva uno così - e poi si ricordò che non era vero, che ce n'era un altro che avrebbe avuto tutta la vita, il cielo negli occhi, portatile. Occhi da stella.
Il Capostazione gli aveva già aperto la porta della carrozza, tirandosi indietro per permettergli di passare, quando Yeshrael si girò a guardarlo:
- Non mi hai mai spiegato perché la morte di Alys era qualcosa da Osservare. -
Vide il viso del vecchio piegarsi, per un attimo, e poi stendersi in un sorriso lento, lentissimo, aperto.
- Nessuno ha mai detto che lo fosse. -
La riposta lasciò Yeshrael sconcertato:
- Ma noi... io sono andato lì! L'ho seguita per... per trenta giorni, l'ho Osservata, ho... -
- Era quel che doveva accadere. - Disse il vecchio, piano. Sorrideva ancora mentre si sporgeva per appoggiargli una mano sulla spalla, augurandogli: - Buona fortuna, Joss. E fai buon viaggio. -

Il treno in movimento. Il Capostazione sulla banchina con la mano levata in un gesto di saluto. La stazione rossa e oro, il cielo terso. Nuvole rapidissime all'orizzonte, la locomotiva che fischiava. La campana del treno a suonare in fondo ai vagoni, Yeshrael - Joss - e il treno scivolarono tra un mondo e l'altro mentre la Porta si apriva.



.trentunesimo giorno - cinque minuti dopo l'Epilogo



Su per la collina, il cielo verde gli veniva incontro scevro di nuvole, scevro di pioggia, con il suo sole pallido e malato e il mostro d'argento a splendere lì in mezzo, e Alys era girata verso di lui e cercava di afferrargli le mani.
Tese le braccia e le strinse i gomiti, e Alys singhiozzò stupita.
Joss vide la propria mano tornare concreta e consistente; sentì il fischio del treno che s'allontanava e seppe che era andato, che era la sua fermata, questa, l'ultima, che era qui che sarebbe rimasto. Alys pianse e:
- Perché sei tornato? - gli chiese.
Doveva averlo visto sparire, pensò Joss, e doveva aver capito quel che stava accadendo. Alys. Alys la strega. Adesso se ne stava lì a tremargli in mano, ma prima o poi lui le avrebbe insegnato come schiacciare i mostri, come spingerli via, come nascondersi e come far fiorire le stelle e far tornare il cielo azzurro, il cielo da Alys. C'era tempo. L'idea gli accendeva il sole nella pancia. C'era tutto il tempo di questo mondo.
Le tenne forte i gomiti e si girò verso il mostro. Ronzava e ruggiva dietro di loro, e adesso era vicino, così vicino che tra un attimo avrebbe cominciato a soffiare schegge di metallo - ma questo non aveva più importanza.

Sulla cima della collina, con le mani di Alys strette alle sue, Yeshrael il Drago aprì le ali.






Note: E così finisce. Non ho avuto quasi tempo di pubblicare questo capitolo, tra una cosa e un'altra, ma ho pensato che era l'ultimissimo e che sarebbe stato carino metterlo online in orario.

Credo che per Joss ed Alys andrà tutto bene, poi. Dopotutto, un lieto fine ogni tanto è qualcosa al quale credo che potrei piacevolmente sopravvivere.

Ringrazio Killuale 94, Rohchan, Murasaki, YuXiaoLong e wari che, durante la pubblicazione di questa storia, si sono fermati a lasciarle un commento. Grazie davvero: mi avete fatto venire voglia di continuare a metterla online fino alla fine.
Un grazie anche ad Eylis, giudice del concorso, che ha permesso a L'ultima fermata di nascere.
Un grazie anche a chi ha messo questa storia tra le Preferite, tra le Ricordate, tra le Seguite. Lettori silenziosi, ora che è finita, un'opinione me la lasciate?

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