DARK SOULS di Unsub (/viewuser.php?uid=105195)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I. Well comeback ***
Capitolo 3: *** Capitolo II. A new case? ***
Capitolo 4: *** Capitolo III. Something from the past ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV. Teacher and Student ***
Capitolo 6: *** Capitolo V. I will survive ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI. The room ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII. Wake up ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII. Angst ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX. Abstinence ***
Capitolo 11: *** Capitolo X. Secret ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI. Deep Inside ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII. The plane ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII. Alone ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV. Who is he? ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV. Where are you? ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI. My escape ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII. You find me ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII. What's happened? ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIX. Leane ***
Capitolo 21: *** Capitolo XX. Collins ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
prologo
AUTORE: Unsub/Ronnie89
TITOLO: Dark souls
RATING: Arancione
GENERE: sentimentale, azione, introspettivo.
AVVERTIMENTI: LongFic
PERSONAGGI: squadra BAU, Cameron Leane, Sarah Collins
DISCLAIMER: I personaggi non ci appartengono(tranne quelli da noi
inventati), sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS.
Questa storia non è a scopo di lucro.
NOTE: spoiler 6 stagione.
Prologo
Sede dell’F.B.I., Quantico, Virginia.
Sarah era seduta di fronte a Hotch, ancora visibilmente turbato dalla
partenza di JJ. Lei lo scrutava e cercava di decidersi a fargli la sua
proposta.
- Non credo che tu sia venuta qui solo per consolarmi della perdita di JJ – la prevenne lui.
- Infatti. Io… voglio rendermi utile. Sai che ho lezione solo di
mattina e che il pomeriggio sono a disposizione delle matricole che
vogliono approfondire gli argomenti trattati. Non viene quasi mai
nessuno, sono pochi quelli veramente interessati al profiling –
prese un respiro e si buttò – Potrei fare una prima
scrematura dei casi e poi proporti solo quelli che richiedono un
intervento diretto della squadra. Sai che sono una profiler, questo
è qualcosa che posso fare senza problemi.
- JJ partiva con noi…
- Già. Non credo di poter ricoprire il ruolo di JJ. Voglio
dire… sai che la diplomazia non è decisamente il mio
forte e che odio i giornalisti…
- Decisamente! – rispose Hotch con un accenno di sorriso.
- Torno a ripeterti che potrei fare una prima scrematura dei casi,
questo alleggerirebbe di molto il tuo lavoro. Inoltre se proprio fosse
necessario, potrei partire qualche volta con voi. Sai che il mio
contratto lo prevede.
- E come faresti con Christopher?
- Ho già parlato con mio padre. Lui sarebbe disposto a darmi una mano.
- Lo faresti davvero?
Lei si alzò sorridendo.
- Anche se non lavoro più in questo ufficio, voi rimanete la mia
famiglia. Si fa quello che si deve per proteggere la propria famiglia.
- Buffo, è quello che ha detto JJ una volta.
- Siamo d’accordo?
- Si. L’hai già detto a Spencer?
- Ne abbiamo parlato. Lui è d’accordo o almeno non
è proprio contrario – rispose lei alzando le spalle.
- Bene. Direi che puoi cominciare da domani.
- Allora… a domani.
- A domani Collins.
Uscì dall’ufficio e scese nell’openspace ormai quasi
deserto. L’unico membro del team ancora presente era Cameron,
intenta come al solito a lucidare la sua pistola. Le due si guardarono
e Sarah si avvicinò alla sua scrivania.
- Agente Leane, non riesce proprio a tenerla in ordine questa
scrivania, vero? – il suo sguardo di ghiaccio si posò
sulla sua ex allieva.
- Ho altro a cui pensare, professoressa – Ron alzò lo sguardo su di lei e corrugò la fronte.
La professoressa Collins era sempre molto critica con lei. A volte si
domandava cosa Spencer ci trovasse in un ghiacciolo del genere. Lui era
cosi gentile che il contrasto era nettissimo con sua moglie.
- Vada a dormire, Leane. Un buon profiler deve essere riposato, nel
corpo e nella mente – dicendo cosi si avviò verso
l’ascensore lasciandosi la ragazza alle spalle.
Leane la osservò andare via e poi riprese a lucidare la sua
pistola. Decisamente fra lei e la moglie del suo collega non scorreva
buon sangue. Si domandò perché lei era cosi fredda ed
avesse sempre quell’aria di disapprovazione nei suoi confronti.
Sarah intanto premette il pulsante dell’ascensore e le porte si
chiusero. Si lasciò andare ad un sorriso. Voleva spronare quella
ragazza. Anche se il suo atteggiamento probabilmente faceva capire
tutt’altro, Leane era stata la sua allieva preferita e si
aspettava molto da lei. Si, quella ragazza era stata il migliore
acquisto per la squadra ed era orgogliosa di averla addestrata lei
stessa.
Leane rimase ancora qualche minuto seduta alla sua scrivania, la vista
cominciava ad appannarsi ed era estremamente stanca, aveva il piede
destro appoggiato al ginocchio sinistro a formare una P e la schiena
scivolava sempre più giù. Se continuava a strofinare la
pistola si sarebbe addormentata senza neanche accorgersene e Hotch le
avrebbe tirato un secchio d’acqua. Sarah aveva ragione, aveva
decisamente bisogno di dormire anche se non le aveva dato soddisfazione
nella risposta, maledetto orgoglio. Mise al suo posto il panno e
infilò la pistola nella fodera, in quel momento anche Hotch
uscì dall’ufficio per andarsene.
- Leane? So quanto desideri un letto al posto della sedia ma non è possibile. Domani ti voglio al cento per cento.
- Come faremo senza JJ? – chiese accennando al suo ufficio vuoto.
- Per questo vi voglio tutti in ottima forma più del solito,
abbiamo un agente in meno e dobbiamo organizzarci come meglio possiamo.
- Ci sarà la professoressa Collins? – Hotch rimase un
attimo sorpreso poi annuì. Non doveva dimenticare che Ron
vedeva, sentiva e intuiva tutto.
- Si, ci aiuterà con la scrematura dei casi e qualche volta
partirà con noi. Dovresti esserne contenta sei stata sua allieva.
- Oh… si che lo sono… - sollevò un sopraciglio
maliziosamente, più che contenta era curiosa di misurarsi con
lei, non le piaceva quell’aria di superiorità che si
trascinava addosso di “so tutto io”. Almeno adesso aveva
l’opportunità di dimostrarle che non era solo la sua ex
allieva migliore, ma uno dei profiler migliori della squadra.
A volte sono le persone più improbabili a cambiarci la vita sempre nei momenti in cui non te lo aspetteresti.
(Damiano Bello)
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Capitolo 2 *** Capitolo I. Well comeback ***
Capitolo I
Capitolo I. Well Comeback
La lezione era appena finita e Sarah si era prontamente rifugiata nel
suo ufficio. Quei ragazzi l’avrebbero fatta impazzire prima o
poi, cosi poco attenti, cosi poco interessati a conoscere quello che un
giorno avrebbe potuto fare la differenza fra la vita e la morte.
Era ancora appoggiata contro la porta con gli occhi chiusi, quando una
risatina la destò dal suo attimo di pace. Aprì gli occhi
e si trovò davanti Spencer con un’espressione divertita
sul viso.
- Sono cosi tremendi?
- Prova tu ad insegnare ad un branco di saputelli che
considerano il profiling una disciplina non indispensabile. Alcuni di
loro hanno espresso il desiderio di entrare nell’unità.
Dovranno passare sul mio cadavere!
- Cosi difficile trovare almeno un ragazzo interessato? – chiese lui accigliandosi.
- L’ultima volta che ho visto qualcuno degno di
nota è stata Leane – sospirò lei – Ti devo
ricordare che è entrata nell’unità un anno fa?
- Tesoro – le disse lui prendendole le mani
– Non troverai mai nessun’altro come Cameron e questo lo
sai bene anche tu.
- Voglio addestrare bravi profiler – disse lei
abbassando gli occhi – Sai quanto me che è importante
potersi fidare dei propri compagni. Non autorizzerei mai
l’ingresso nell’unità di uno studente meno che
lodevole.
- Sei sempre stata una perfezionista. Lo sai cosa ci vuole per tirarti su di morale?
- Cosa? – rispose lei dubbiosa.
- Un bel pranzo che ho tutta l’intenzione di offrirti. Dopo di che tornerai nel tuo ambiente naturale.
Finalmente, alla prospettiva di rientrare nella squadra, un sorriso le
illuminò il viso. Non l’aveva mai ammesso con nessuno per
orgoglio, ma quel lavoro le mancava da morire.
Sarah e Spencer uscirono dall’ascensore insieme, si attardarono fuori dall’openspace e si sorrisero.
- Pronta per tornare nell’arena? – le chiese lui.
- Mai stata più pronta in vita mia.
Spencer le aprì la porta e la tenne aperta per permetterle di
passare. Come arrivò in prossimità delle scrivanie si
ritrovò, non sapeva neanche lei come, nell’abbraccio di
Emily che la stringeva come per non lasciarla andare mai più.
- Ci sei mancata, Sarah – disse l’amica.
- Anche voi, Emily. Ma cerchiamo di ricordarci che
è solo un prestito. Quando Hotch avrà trovato qualcuno in
grado di rimpiazzare JJ mi rispediranno giù all’Accademia.
- E allora speriamo che Hotch non trovi mai nessuno
– disse Derek facendosi avanti per abbracciarla a sua volta.
- Speriamo, due neuroni, altrimenti chi ti tiene d’occhio? – cominciò a stuzzicarlo lei.
- Sturati le orecchie, ciuffo buffo, sono io che
guardo le spalle a te, non il contrario – rispose lui strizzando
l’occhio.
- Ah, si? Ti devo ricordare il caso Patterson? – disse lei sollevando un sopracciglio.
- Guarda che la tua è stata solo fortuna! – rispose lui piccato.
- Ringrazia la sua “fortuna” se sei ancora qui a raccontarlo – si intromise Emily ridendo.
Derek le circondò le spalle con un braccio e poi le diede un sonoro bacio sulla guancia.
- Sono contento di riaverti qui, mi sei mancata premio nobel – le disse sorridendo.
- E tu sei mancato a me, pollice non opponibile.
Il baccano che facevano nell’openspace fu notato da Hotch e
Rossi, che prontamente uscirono dai rispettivi uffici e si
precipitarono nell’openspace per darle il bentornata.
- Collins, finalmente sei tornata – l’apostrofò Rossi dandole un pacca sulla spalla.
- Ehi! Spostatevi tutti che c’è un
mega-abbraccio in arrivo – disse una voce allegra alle loro
spalle.
Penelope era in piedi sulla porta del corridoio e la guardava con un
sorriso. Poi si affrettò a stringerla fra le braccia.
- Quando parlavi di mega-abbraccio non scherzavi
– disse Sarah ridendo – Se continui cosi mi soffochi.
- Non preoccuparti, non lascerei mai Christopher da solo nelle mani di Reid – scherzò la rossa.
- Credo che sia arrivato il momento per me di
mettermi al lavoro – rispose Sarah tornando seria – Dove mi
posso sistemare?
- Non sono riuscito a trovare ancora una sistemazione
adatta – disse Hotch contrariato – Ci sono un sacco di
uffici vuoti ma pare che non riesca a procurartene uno. Per il momento
dovrai accontentarti della sala riunioni, ma vedrò di risolvere
la situazione il prima possibile.
- Non preoccuparti, la sala riunioni andrà
benissimo – Sarah sentiva un tuffo al cuore al pensiero di
rimettere piede lì dentro.
Si avviò sicura verso le scale, i fascicoli erano impilati sul
tavolo. Si soffermò un momento per guardare quella stanza che le
riportava alla mente tanti ricordi. L’ultimo, il più
triste, la sua festa di addio alla squadra. Sospirò soddisfatta,
era di nuovo a casa e sperava di poterci rimanere per molto tempo. Si
mise a sedere e tuffandosi subito nel lavoro.
Ron era seduta al suo posto intenta a compilare un rapporto quando il
suo lavoro venne interrotto dall’arrivo di Sarah. Lo sapeva dal
giorno prima che sarebbe arrivata ed era stata l’ultima persona
ad aver visto Hotch, dunque non si scompose più di tanto per
andare a farle le feste come gli altri.
Aspettò che lei si avvicinasse alla sua scrivania prima di rivolgerle la parola.
– Buongiorno professoressa Reid, felice di poter lavorare insieme – si sforzò alla fine.
Non sopportava di doverla chiamare “professoressa
Reid”, avrebbe preferito chiamarla semplicemente
Collins. Restò alla sua scrivania per tutto il tempo
osservando le feste di benvenuto. Vedeva Sarah scherzare con Derek, poi
si accorse che involontariamente aveva assunto un espressione da cane
da guardia e agitava un piede freneticamente. Aveva visto il braccio di
lui circondarla e sentì il suono del bacio sulla guancia, adesso
stava anche agitando la penna con la mano, si accorse
dell’atteggiamento che aveva assunto e cercò di
riordinarsi, non pensava che la vista di quella donna insieme a Derek
potesse darle così fastidio.
Infondo lui le aveva raccontato un miliardo di volte il suo
rapporto con Sarah prima di lei, dunque avrebbe dovuto aspettarsi un
riaffiorare della loro complicità sul campo. Quando Sarah si
accomodò nella sala riunioni, nell’openspace non si
sentiva altro che felicitazioni per il suo ritorno. Si mise in piedi e
si sedette sulla scrivania, il rapporto era finito doveva solo
consegnarlo, decise di andare a prendere un caffè e fu seguita
da Derek.
- Lo sai che ti voglio bene vero? – non
si aspettava quella domanda, si girò con aria perplessa - Ti sei
dimenticata che sono un profiler.
- Si vede il tuo bagliore negli occhi a miglia di
distanza… potresti accecarmi… - gli parlò
senza togliere gli occhi dalla tazzina.
Lui scoppiò in una risata.
- E adesso chi è che fa la gelosa?
Si girò verso di lui pronta per tornare nella sala.
- Devo consegnare un rapporto non ho tempo per
parlare delle mie gelosie, e comunque ti ci puoi strusciare quanto vuoi
… - gli passò di fianco, lui la fermò per un
braccio, l'altro glielo passò sulle spalle e le diede un bacio
vicino all’occhio.
- Stupida ragazza – le disse lasciandola libera.
“Non ho bisogno del contentino” avrebbe voluto dirgli in
contrasto con la sua voglia di affetto, così ricambiò il
sorriso.
- Cattivo ragazzo.
Ritornò al suo posto più soddisfatta di prima.
Passarono un paio di ore in religioso silenzio,ognuno intento a
compilare o leggere fascicoli nella propria postazione. Venne
distratta solo da Reid che tornato dal cucinino portò una
tazza di caffè a Sarah.
Spencer entrò nella sala riunione e si fermò sorridente.
Come al solito lei era cosi concentrata sul suo lavoro che non si era
accorta della presenza di un’altra persona nella stanza. Era
sempre stato cosi quando lavoravano insieme. Quando due giorni prima
lei gli aveva palesato la possibilità di aiutare la squadra con
la scrematura dei casi, lui non aveva reagito bene.
Non voleva che lei fosse di nuovo in pericolo, avevano un figlio a cui
pensare. Ma ora tutti i suoi dubbi era stati fugati dalla prospettiva
di vederla di più. Fra il lavoro della squadra e l’impegno
di insegnante di lei non riuscivano quasi mai a stare un po’ di
tempo insieme. Poterla anche solo guardare, attraverso i vetri
dell’openspace, era estremamente piacevole. E poi c’erano
le pause caffè…
- Hai intenzione di darmi quella tazza di
caffè o preferisci rimanere lì impalato a fissarmi?
– Sarah si girò con un sorriso malizioso stampato sul
volto.
- Stavo facendo un tuffo nel passato – disse
lui posando il caffè sul tavolo – Ti ricordi il primo
giorno che eri tornata, durante l’incidente?
Anche se non ne avevano mai parlato, avevano un tacito accordo. Quando
si riferivano all’amnesia di Sarah, al periodo della loro
infelicità, parlavano di un “incidente”. Sarah
l’aveva sempre considerato solo quello, un incidente di percorso
durante la felicità che lui aveva portato nella sua vita.
- Quando tu cercavi di riconquistarmi? – disse lei afferrando il caffè.
- Tu eri già cotta di me, ancora prima che ci provassi – disse lui pavoneggiandosi.
- Se è per questo lo sono ancora – disse lei strizzandogli l’occhio.
Il sorriso sul volto di lui si allargò ancora di più. Si riscosse e guardò l’orologio.
- E’ meglio che torni al lavoro ora. Altrimenti rischio di fare tardi anche questa sera.
Lei si alzò dalla sedia e gli si avvicinò. Lentamente
tolse un capello dalla sua giacca e con le mani la sistemò
meglio. Si guardarono per un istante che per loro era senza tempo e lui
si chinò a baciarla.
- Cerca di non distrarti troppo – disse lei sorridendo.
- TU cerca di non distrarmi troppo – risponde lui uscendo dalla sala.
Cameron riusciva a vederli bene dal suo posto, anche se non capiva di
cosa stessero parlando. Non aveva mai visto Spencer così sciolto
e felice e non capiva come riusciva ad esserlo proprio con lei
così dura e fredda. Erano completamente agli antipodi non
c’entravano niente l’uno con l'altro.
“Forse” pensò “è
per questo che stanno bene, perché si completavano a
vicenda… lei sembra così tenera e dolce con lui, un'altra
persona insomma. Peccato lo sia solo con lui”.
Comunque non approvava neanche le storie tra colleghi, lei non sarebbe
mai riuscita a tenere le distanze con la persona amata, soprattutto in
campo. Avrebbe dato tutte le sue attenzioni a lui e la cosa avrebbe
raddoppiato le sofferenze, ma quando si era innamorati si poteva
superare tutto si disse e quei due lo erano.
D’altronde non poteva neanche lamentarsi più di tanto del
carattere di Sarah dato che era molto simile al suo, forse anche
troppo. Due ghiaccioli determinati e sicuri di se, come potevano andare
d’accordo? Non doveva lasciarsi influenzare dalla sua presenza,
avrebbe pensato solo a dare il meglio di se come sempre e più di
prima, dato che l’aveva addestrata lei e l’ultima cosa che
voleva era deluderla.
Reid ritornò alla scrivania e Ron cercò di smettere di
pensare, ripose gli occhi sui fascicoli e tornò a leggere.
Continua…
P.S. Commentate, commentate, commentate^^
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Capitolo 3 *** Capitolo II. A new case? ***
capitolo 2
Capitolo II. A new case?
Sarah continuava a sorseggiare il caffè, mente buttava un occhio
ai movimenti nell’openspace. Non le era sfuggita la reazione di
Ron alle effusioni fra lei e Derek. La ragazza era gelosa, ora era lei
la nuova compagna di Morgan e questo Sarah lo capiva bene. Fra quei due
c’era una complicità tutta speciale e la cosa la faceva
sorridere. Pensava alle lunghe conversazioni avute con il ragazzo a
proposito della “ragazzina”, come la chiamava lui.
La vide alzarsi e dirigersi nell’ufficio di Hotch e anche questo
la mise di buonumore. Ricordava tutte le titubanze del suo ex capo
quando gli aveva mostrato il fascicolo della sua allieva più
promettente. A ripensarci ora la scena aveva una vena comica. Il sempre
compassato Hotch che si allentava sempre di più la cravatta,
mano a mano che proseguiva nella lettura del fascicolo.
D’improvviso aveva alzato lo sguardo su di lei con
un’espressione stravolta sul viso.
- Spero tu stia scherzando… questa è
una bomba a orologeria. Non credo proprio che sia adatta ad entrare
nell’unità.
Si era dovuta addentrare in un terreno a lei non famigliare: la
persuasione. C’erano voluti un sacco di incontri in privato a
porte chiuse, un sacco di emicranie per Hotch e una vagonata di
anti-acido per lei. Alla fine, come al solito, la sua testardaggine
l’aveva spuntata sulle rimostranze dell’agente supervisore.
Convincere sua zia a non buttarla fuori dopo tutti i casini in cui Ron
si metteva di continuo era stato qualcosa di snervante, che fra
parentesi le era costato un raddoppio settimanale della cena di
famiglia.
Eppure era disposta a tutto per tenere quella ragazza inchiodata a
quella scrivania. Ormai Ron faceva parte della famiglia e nessuno
doveva più mettere in dubbio che quello era il suo posto.
Piano piano tutta la squadra sembra sul punto di finire il lavoro sui
dossier, mentre lei fissava un fascicolo con insistenza. Come primo
giorno sperava di riuscire a fare un buco nell’acqua e di dover
assegnare solo dei profili preliminari, senza coinvolgere i ragazzi in
qualcosa di pericoloso.
Sbuffò esasperata e tornò a guardare la scrivania che un
tempo era sua, Ron si stava avvicinando dopo essere stata in bagno, ma
prima di mettersi di nuovo a sedere si avvicinò a Spencer con un
sorriso furbo stampato sul volto. Scompiglio i capelli biondo miele del
ragazzo, che si affrettò cercando di rimetterli in ordine.
Mentre si sedeva alla sua scrivania disse qualcosa a Derek e Emily, che
si misero a ridere. Dopo di che tirò fuori la sua adorata
pistola e cominciò quello strano rituale che Sarah non riusciva
a capire.
Ron poteva passare anche delle ore a pulire quella pistola. Ogni volta,
che per qualche motivo, era andata da Hotch passando davanti a lei,
l’aveva trovata a lucidarla come un’ossessa. Beh,
pensò, ognuno a le sue manie.
Sospirò, pensando che non poteva più rimandare. Si
alzò con piglio deciso e si avviò verso l’ufficio
di Hotch. Mentre camminava nel corridoio sopraelevato si scambiò
un’occhiata con Spencer. Lui aveva capito e aveva assunto una
posizione di attesa mentre lei spariva dietro la porta
dell’ufficio.
- Hotch?
- Collins, hai già un caso per noi? – chiese lui stupito.
- Purtroppo temo di si – disse lei con titubanza.
- Cosa c’è? E’ una cosa grave?
- Giudica tu stesso – disse lei aprendo il fascicolo e poggiandolo sulla scrivania.
Hotch lo esaminò superficialmente, fino ad arrivare alle foto
delle vittime. Sgranò gli occhi e incrociò lo sguardo con
quello di Sarah.
- Non può essere – disse con poca convinzione.
- Lo spero anch’io… ma se fosse? – chiese lei con uno sguardo preoccupato.
- Va da Garcia e preparate la presentazione –
disse lui prendendo in mano il telefono – Io chiamo la polizia
locale.
Lei riprese il fascicolo e cominciò ad avvicinarsi alla porta, quando Hotch la richiamò indietro.
- Collins, se è come pensiamo…
- Dovevo partire con voi, giusto?
- Sì, avverti Jason che dovrà fare da
baby-sitter al piccolo Christopher per un po’ di giorni. Spero di
poterti rimandare a casa il prima possibile, ma…
- Devo comunque andare prima a casa. Non ho la valigia con me.
- Passa da Garcia e poi vai a casa. Fra un’ora
ci ritroviamo in sala riunioni per presentare il caso al resto della
squadra. Spero tu ti sia sbagliata – disse lui chiaramente
preoccupato.
- Lo spero tanto anch’io, Hotch.
Nell’openspace, tutti non le levarono gli occhi di dosso per un
momento mentre si dirigeva all’ascensore. Spencer la raggiunse di
corsa nell’atrio dove gli altri non potevano sentirli.
- Cosa è successo? Dove vai? – chiese preoccupato dallo sguardo di lei.
- A casa a fare le valigie, dove partire con voi. Vi spiegheremo tra un’ora.
- Sarah, sei sicura di sentirtela? – lui le poggiò una mano sulla spalla.
- Non si tratta di sentirsela o meno, dobbiamo andare
– disse lei ricominciando a camminare – Vado a salutare
Chris e poi torno.
Spencer tornò indietro spaesato, Sarah sembrava essere
letteralmente sopraffatta dal caso. Cosa diavolo aveva trovato in quei
fascicoli?
Ron aveva notato gli spostamenti frenetici di Sarah, mollò la pistola e si rivolse ai colleghi.
- Che dite, nuovo caso in arrivo?
- Dalla sua faccia temo proprio di sì – le rispose Derek.
- Finalmente un po’ di movimento! ..
Ancora un po’ seduta qui e avrei sciolto la pistola con le
mani….
- Attenta a come parli ragazzina che poi mi tocca
tenerti a bada – le strizzò l’occhio mentre lei gli
fece una smorfia .
Continua…
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Capitolo 4 *** Capitolo III. Something from the past ***
capitolo 3
Capitolo III. Something from the past
Sarah entrò nella sala riunioni dove la squadra
l’attendeva. Dietro di lei Garcia e Hotch sembravano due cani
bastonati. Collins percepiva la tensione del resto del team, legata
all’incertezza di cosa stesse effettivamente succedendo.
Pensò con rammarico che la spiegazione avrebbe riaperto ferite
non ancora rimarginate.
Mentre Hotch e Penelope si accomodavano, lei prese il telecomando. Quel
gesto le fece tornare in mente JJ, l’aveva sempre vista con
quell’aggeggio in mano ed ora toccava a lei dare spiegazioni che
avrebbe preferito non fossero necessarie. Si disse infine che le
spiegazioni non sarebbero servite appena gli altri avessero visto la
foto dei due cadaveri.
- New Haven, Connecticut. Le vittime sono due
studentesse universitarie. Clementine Baldwin di diciannove anni e
Allison Barnett di venti.
Sarah tacque sotto lo sguardo attento degli altri, ingoiò a
vuoto un paio di volte e poi premette il pulsante che accendeva il
monitor. Apparvero i corpi ormai senza vita di due giovani donne, tutte
e due avevano un pugnale conficcato nel petto. Con un altro click sul
telecomando apparve il dettaglio dei pugnali. La forma
dell’impugnatura era piuttosto insolita.
Non serviva dire niente, i volti dei suoi ex colleghi indicavano che
avevano fatto anche loro lo stesso collegamento mentale. Il primo che
si riscosse fu Rossi.
- Non è possibile, lì abbiamo arrestati tutti.
- Questo non possiamo saperlo – preciso
Prentiss non staccando gli occhi di dosso a Sarah – Nessuno di
loro ha collaborato. Abbiamo arresto i tre ragazzi che erano presenti
in quella palestra e Mary Oldbride, ma non sappiamo se ce ne fossero
altri.
- Questi due omicidi, credo, rispondono a questa
domanda – rispose Derek stringendo le palpebre – Cosa
facciamo, Hotch?
- Collins verrà con noi. Per il momento
andremo tutti a New Haven. In caso Reid e Collins si sposteranno a
Biloxi per interrogare di nuovo Mary Oldbride.
- Sempre che lo psichiatra ce lo permetta –
interloquì Sarah abbassando gli occhi – Sai che ha perso
qualsiasi contatto con la realtà. Credo sarebbe fatica sprecata
anche con gli altri ragazzi.
- Perché? – chiese Garcia – Sono in prigione, possiamo interrogarli quando vogliamo.
- Peccato che i loro avvocati abbiano presentato
appello. Si sono sempre dichiarati innocenti addossando tutte le
responsabilità a Mary, diranno di non saperne niente.
- Adesso pensiamo ad arrivare a New Haven e poi
valuteremo la situazione – disse Hotch – Forse è
solo una coincidenza.
Nessuno di loro aveva l’aria di crederci molto.
- Io cerco nei file relativi al vecchio caso e anche
nei vecchi articoli di giornale. Forse mi è sfuggito un nome
– disse Garcia pronta.
- Credo che dovremmo anche riguardare gli
interrogatori fatti all’epoca – intervenne Morgan convinto
– Garcia potresti fare una lista degli studenti universitari che
provengono da Biloxi?
- Pensi che sia uno studente universitario? – interloquì Cameron appoggiata alla parete.
- All’epoca i ragazzi coinvolti avevano fra i
sedici e i diciassette anni. Se è uno di loro adesso
andrà all’università – spiego Prentiss.
- Altre idee? – chiese Hotch non distogliendo lo sguardo da Sarah.
Stranamente non partecipava alla riunione, si era chiusa in se stessa.
Doveva scuoterla in qualche modo, ma si disse che rischiava
l’effetto contrario. Inoltre, quel caso gli portava alla mente
ricordi non piacevoli, di quando si era comportato come
un’adolescente innamorato e non come il capo
dell’unità. Preferì soprassedere, decidendo di
parlare in separata sede con Reid, l’unico a cui lei desse sempre
ascolto.
Sarah fu la prima a lasciare la sala riunioni. Arrivata
all’openspace si fermò vicino alla sua vecchia scrivania e
rimase semplicemente lì a guardarla. Troppi ricordi legati a
quel caso, troppi sensi di colpa. Sentì una stretta decisa sulla
sua spalla, Spencer era lì fermo e la guardava. Lei non si
lasciava andare a manifestazioni di affetto in pubblico, era quella
ferma e decisa dal temperamento di ghiaccio. Eppure al solo ricordo di
quel caso le venne naturale cercare rifugio nelle braccia di lui.
Il resto della squadra non aveva ancora lasciato la stanza e li osservava attraverso i vetri.
- Hotch, credi che sia proprio necessario portarla
con noi? – Derek osservava Collins con fare apprensivo.
- Lei più di tutti noi conosce i dettagli del
vecchio caso. L’ha risolto lei. Dobbiamo essere sicuri che non
sia solo una coincidenza, nel caso la rimetterò sul primo aereo
per Washington.
- Questa storia non mi piace – Rossi aveva accavallato le gambe e continuava a fissarsi la scarpa.
- Neanche a me – intervenne Prentiss –
Possiamo cavarcela da soli, senza sottoporla di nuovo a quello stress.
- Potrebbe seguirvi in collegamento da qui –
suggerì Garcia – Sai che sono brava ad organizzare queste
cose.
- Lei è d’accordo, ha già fatto
le valigie. Volete dirglielo voi che non siamo sicuri che regga?
– Hotch sospirò avviandosi al suo ufficio.
Come aspettando quel gesto da parte sua il resto della squadra
raggiunse la ragazza nell’openspace per darle conforto, almeno
cosi si dicevano.
La realtà è che avevano tutti paura per lei, ricordavano
anche troppo bene come quel caso l’avesse coinvolta a livello
emotivo. Era letteralmente fuggita dalla squadra, rifiutandosi persino
di parlare con Reid per quasi una settimana.
Quando l’avevano vista tornare il lunedì successivo
avevano tirato tutti un sospiro di sollievo. Nessuno si sarebbe
meravigliato se avesse deciso di mollare tutto dopo quel caso. Lei non
fornì mai spiegazioni di dove era andata in quei giorni e il
resto del team non gliene chiese.
Cameron era in piedi con la schiena poggiata alla parete, le braccia
conserte e le gambe incrociate, sembrava si fosse messa in stand-by.
Non sapeva niente del vecchio caso riguardante Oldbride, odiava
sentirsi apparentemente inutile e in quel momento era così.
Guardava incuriosita e stupita quel siparietto che si stava creando
intorno a lei, tutti sapevano qualcosa, tutti avevano qualcosa da dire
riguardo quegli omicidi, solo lei era l’unica estranea. Non
ne poteva più di fare la spaventa passeri a guardare gli altri
mentre cercavano di risolvere il caso. Si staccò dalla parete e
raggiunse Morgan che in quel momento era solo. Si avvicinò con
passo deciso, gli prese un braccio e lo tirò leggermente
verso di lei. A quel tocco il ragazzo si girò di scatto.
- Ron! Non ti avevo sentita, mi hai fatto prendere un colpo.
- Forse eri troppo concentrato sui tuoi pensieri
– rispose fredda - Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo?
- Che vuoi dire?
Lei sospirò .
- Voglio dire che mi sento un pesce fuor
d’acqua piombato qui per caso. Io non so nulla del vecchio caso e
in più state tutti facendo i cani da guardia a Collins!
Perché avete paura che non regga?
- È stato un caso piuttosto delicato, sopratutto per lei …
- Allora raccontamelo. Sono qui per questo – disse alzando un sopraciglio.
Morgan distolse lo sguardo per un attimo verso l’openspace.
- Mary Oldbride era l’ S.I. - tornò a
guardare lei - Aveva ucciso i responsabili della morte del suo
ragazzo, Robert, che era morto cadendo dal tetto della scuola. Lei era
con loro, aveva visto tutto. La trovammo in tempo prima che uccidesse
l’ultima complice, ma Robert somigliava tantissimo a Reid,
tanto che Mary si convinse di rivederlo in lui. Sarah
cercò di farla ragionare in tutti i modi con la
complicità di Reid ma non ci riuscì, così Mary
cercò di aggredirla con un pugnale ma feci in tempo a
spararle…
Morgan sospirò e riprese il discorso.
- Non fu una storia facile da digerire. Tornati a Quantico, Sarah si prese una settimana libera..
Cameron lo ascoltava in silenzio facendo scorrere le immagini nella sua mente.
- Voi avete fatto tutto il possibile non avete nulla
da rimproverarvi – scosse la testa come se per lei quel
pensiero fosse così banale - Possiamo arrivare a capire il
perché delle loro azioni non possiamo pretendere di poterli
controllare come pedine, quello che è successo è solo
conseguenza delle azioni di Mary, della sua follia.
Morgan la guardò senza rispondere, se fosse stata al posto di
Sarah non la penserebbe così si disse. Ma anche lei aveva
ragione, loro erano stati pedine di Mary e non potevano controllarla.
- Raggiungiamo gli altri – le disse vedendola
in attesa di una qualsiasi risposta mentre lo guardava curiosa .
- Ok – rispose un po’ contrariata.
Avrebbe voluto restare per ore a parlare di quello che successe, di
quello che provava lui, voleva sapere ogni minimo dettaglio sulle
azioni e sensazioni che vissero loro come se ci fosse stata anche lei,
ma non volle forzare Morgan. Si fece bastare quello che le aveva detto.
Ora che aveva più o meno chiara la situazione poteva scacciare
quelle sensazioni di disagio e concentrarsi sul caso. Dovevano pensare
al presente adesso.
Continua…
Mi raccomando: commentate, commentate, commentate^^
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Capitolo 5 *** Capitolo IV. Teacher and Student ***
capitolo 4
Capitolo IV. Teacher and student
Interno del Jet
Sarah aveva recuperato il suo solito autocontrollo e sedeva seria
vicino a Hotch. Sul sedile di fronte Morgan e Rossi la scrutavano
preoccupati, mentre Prentiss, Reid e Leane erano seduti
dall’altra parte del corridoio e continuavano a studiare i
fascicoli. Almeno all’apparenza, in realtà Ronnie stava
studiando la sua ex insegnante e il suo sguardo freddo e distaccato.
Possibile che quella donna non avesse emozioni umane? Anche quando
aveva abbracciato il marito nell’openspace era sembrata solo
leggermente confusa, non aveva avuto nessun tipo di crollo emotivo.
Perché tutti si preoccupavano? La Collins non sembrava un tipo
cosi delicato, era sicuramente affetta da “stitichezza
emotiva”, come disse una volta un suo compagno di corso.
- Ci sono altre connessioni con gli omicidi di
Biloxi? – Hotch chiuse il fascicolo di scatto, voltandosi verso
la donna mora.
- Le vittime erano tutte belle ragazze e da quello
che ho capito erano anche molto popolari – Sarah punto i suoi
occhi verdi in quelli scuri di Cameron – Il problema adesso
è capire se ci sono ulteriori collegamenti. Il primo passo
è andare sulle scene dei ritrovamenti e cercare…
- Dalle foto non sembra esserci – la interruppe
Prentiss continuando a guardare le foto – Forse è solo una
coincidenza oppure qualcuno che, all’epoca, ha letto i resoconti
del caso apparsi sui giornali.
- Un copycat? – Spencer sembrava dubbioso
– Il particolare dell’impugnatura non era stato reso noto,
come non è stato reso noto cosa abbiamo ritrovato sulle scene
dei delitti.
In quel momento il monitor posto sulla parete in fondo all’aereo
si accese, mostrando una serissima Garcia che continuava a digitare
sulla tastiera.
- Allora, non ho trovato riscontri di studenti
universitari provenienti da Biloxi. Per quanto riguarda i filmati degli
interrogatori sono in viaggio verso la casella postale di Sarah. Sto
passando al setaccio i vecchi articoli, volete anche quelli?
- Sarebbe utile, raggio di sole, sì –
Sarah continuava a fissare qualcosa all’interno dei dossier.
- Ok, spediti anche quelli. Posso fare altro per te, francesina?
- Per il momento non mi viene in mente altro, grazie
– si voltò verso Hotch aspettando un suo commento.
- Io qualcosa da chiederti l’avrei – si
intromise Ron – Puoi cercare Susan Billings? Vorrei sapere che
fine a fatto…
- Perché? – le chiese Collins inarcando un sopracciglio – Credi sia coinvolta?
- Non si sa mai. E’ l’unica
sopravvissuta, almeno che noi sappiamo. Sicuramente potrà dirci
se altri ragazzi erano presenti all’incidente di Robert Summers.
- Non è stato un’incidente –
l’espressione di Sarah ora era dura come l’acciaio –
Si è trattato di un omicidio, anche se il giudice ha deciso di
non procedere contro quei “bravi ragazzi”.
- Scusi professoressa – Ron tirò fuori
uno dei suoi sorrisetti ironici – La prima regola non era non
lasciarsi mai coinvolgere?
Collins chiuse il fascicolo di colpo girandosi verso la ragazza con lo
sguardo pieno di astio. Leane la stava sfidando? Beh, avrebbe trovato
pane per i suoi denti. Aveva straviziato quella mocciosa, era ora che
qualcuno la rimettesse al proprio posto. L’aveva protetta fino a
quel momento, ma questa volta la ragazza non l’avrebbe passata
liscia, avrebbe scoperto che c’era un abisso fra lavorare in un
team della B.A.U. ed essere una profiler.
- Garcia, aspettiamo tue notizie – Hotch cercò di fermare quello scontro sul nascere.
- Passo e chiudo, capo.
- Arriveremo a New Haven in serata, andremo
direttamente in albergo e cominceremo le indagine domani. Vi voglio
tutti riposati, quindi niente uscite per fare baldoria.
Il resto del volo fu molto silenzioso, anche troppo per i gusti di
Morgan che sperava con tutto se stesso che Sarah lasciasse cadere la
provocazione senza reagire. Sapeva perfettamente che la sua amica
avrebbe fatto di tutto per rimettere Cameron al suo posto, sperava solo
che non ci andasse giù troppo pesante.
New Haven, Connecticut
La mattina dopo, nel garage dell’albergo trovarono tre SUV neri
messi a loro disposizione. Hotch si girò verso la squadra per
impartire gli ordini, continuava a tenere d’occhio Collins che
sembrava estremamente calma e fredda. Sapeva per esperienza che
quell’atteggiamento in lei non preludeva niente di buono. Leane
l’aveva provocata, senza sapere in che pasticcio si era cacciata
con la sua linguaccia lunga e il suo modo di fare strafottente. Sarah
era una donna estremamente ligia al dovere e professionale, ma
c’era anche una cattiveria assopita in lei e Cameron rischiava di
svegliarla. L’aveva sperimentato in prima persona. Finalmente si
decise a parlare.
- Reid e Rossi dal medico legale, controllate se ci
sono altri riscontri. Morgan, Collins e Leane sui luoghi dei
ritrovamenti – indugiò un momento voltandosi verso Sarah
– Sai cosa cercare. Prentiss con me.
Le squadre appena formate si avviarono alle proprie destinazioni,
l’atmosfera era pesante. Morgan prese le chiavi e si avviò
alla macchina seguito dalle due ragazze. Sarah non permise a Leane
neanche di provare a salire davanti, con un gesto deciso aprì la
portiera e si mise a sedere sul lato del passeggero. Cameron era
visibilmente seccata e a riprova della sua contrarietà
sbatté lo sportello più forte del dovuto. Morgan scosse
la testa preparandosi ad una giornata quanto mai lunga e snervante.
Ron si sedette al centro del sedile per poter avere sotto controllo
entrambi, non voleva che Collins la fissasse dallo specchietto,
l’aveva già fatta irritare abbastanza prendendole il suo
posto davanti. L’aveva provocata volontariamente sul jet e lei si
era limitata fulminarla con lo sguardo, Leane era fin troppo emotiva e
impulsiva per capire quell’atteggiamento freddo e distaccato, al
suo posto avrebbe sbottato incollerita. Morgan le aveva detto che
questo era stato un caso particolare per tutti e specialmente per lei
ma non sapeva esattamente cosa la legava a tutta quella faccenda e
vista la sua indole calma e fredda di certo non aveva bisogno di tutta
quella compressione da parte della squadra.
Già da quando aveva saputo che avrebbero lavorato insieme
l’aveva presa come una sorta di sfida, infondo l’aveva
addestrata lei, era inevitabile che Leane cercasse di provocarla e
sfidarla. Avrebbe fatto di tutto per dimostrarle che era una brava
profiler e non le importava se questo voleva dire calpestarle i piedi
ogni tanto, era la prima volta che poteva avere un confronto diretto
con lei sul campo e ne avrebbe approfittato per metterla alla prova, un
minimo di emotività doveva pur averlo da qualche parte. Per
adesso era stato solo un botta e risposta silenzioso fatto di gesti e
sguardi, si chiedeva fino a che punto avrebbe retto la sua ex
insegnante.
Nel SUV c’era silenzio e l’aria traboccava di tensione,
nessuno osava dire niente soprattutto Morgan per paura di
accendere la miccia, in compenso sollevava gli occhi di tanto in tanto
nello specchietto per scrutare Ron che fissava un punto fuori dal
finestrino. Leane sapeva essere davvero irritante quando voleva e
Morgan sapeva bene anche questo, si trovava in mezzo a due fuochi e
sperava solo che Cameron non superasse il limite o si cacciasse in
qualche casino.
Arrivati nel luogo del primo ritrovamento scesero tutti e tre dal SUV.
Collins aveva in mano le foto scattate dalla polizia e continuava a
guardare il parco con la fronte aggrottata. Annuì grave e si
affiancò a Morgan, che rimaneva fermo vicino a Cameron.
- Laggiù – indicò un punto poco distante – Agente Leane resti qui.
- Come? – Ron le lanciò uno sguardo di fuoco.
- Dobbiamo cercare una cosa. Lei può benissimo
rimanere qui – guardò la ragazza dall’alto in basso
come cercando di valutarla – Non dovrebbe essere un incarico
complicato rimanere a distanza mentre io e Derek controlliamo una cosa.
Leane era pronta a rispondere ma sentì la mano ferma di Morgan
sul suo braccio, il ragazzo di colore non si voltò neanche a
guardarla.
- Andiamo Sarah.
Ron sbuffò indispettita. La Collins aveva tutta l’intenzione di lasciarla fuori da quel sopralluogo.
Derek e Sarah camminarono fianco a fianco fino al punto delineato dal
nastro giallo. Non si scambiarono una parola, come ai vecchi tempi uno
sguardo era sufficiente. Collins si posizionò al centro della
zona delineata dalla polizia e poi cominciò a guardarsi
lentamente intorno, mentre Morgan si limitava a fissarla con le braccia
conserte.
- Sarah, vacci piano. Ronnie è molto suscettibile sul lavoro.
- Se l’ho addestrata bene, è abbastanza
tosta da reggere. Altrimenti vuol dire che non ha la stoffa – era
troppo concentrata su quello che dovevano cercare per prestare molta
attenzione al suo amico.
- Era proprio necessario lasciarla indietro come una pivellina?
- Credo che sia ora che capisca qual è il suo
posto e visto che voi ci andate con il guanto di velluto…
- Tu hai tutta l’intenzione di andarci con il pugno di ferro, giusto?
- Là – indicò un albero coperto per metà da un cespuglio.
- Andiamo a vedere.
Indossarono i guanti e si chinarono davanti al punto indicato di Sarah.
Con cautela Derek cominciò a spostare i rami del piccolo arbusto
fino a scoprire qualcosa. Sarah si alzò in piedi e si
girò verso la macchina. Ronnie era appoggiata allo sportello con
le braccia e le gambe incrociate e uno sguardo che era tutto un
programma. Sarah sorrise pensando di intuire gli epiteti che la ragazza
stava indirizzando alla sua persona.
- Agente Leane, può portarci la macchina fotografica?
Cameron si riscosse prontamente, afferrò quello che aveva
chiesto Collins e si mise a correre nella loro direzione. Una volta
arrivata si avvicinò per osservare quello che Derek aveva
trovato e cominciò a scattare foto.
- Cosa vuol dire? – chiese incerta continuando a guardare quegli strani simboli.
- A quanto pare un vecchio amico di Derek è
tornato a farci visita – interloquì Sarah con lo sguardo
preoccupato rivolto a Morgan.
- Dobbiamo avvertire Hotch – il moro
tornò in posizione eretta – Nessuno di noi deve rimanere
mai da solo.
- Decisamente – convenne Collins.
Continua…
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Capitolo 6 *** Capitolo V. I will survive ***
5
Capitolo V. I will survive
Le veniva in mente solo un appellativo ripensando alle parole di Sarah
dette poco prima: “STRONZA!”. Chi si credeva di essere per
trattarla come una principiante? Non era certo il suo burattino e non
era più la sua insegnante! Aveva sentito la pazienza scemare
quando con quegli occhi l’aveva squadrata dall’alto verso
il basso, era pronta ad esplodere quando sentì la mano di Morgan
come un avvertimento, così si limitò a chiudere gli occhi
e trattenersi da ogni commento poco pulito.
L’aveva provocata sul jet ed era pronta ad ogni reazione, le
poteva urlare in faccia qualsiasi cosa, poteva provocarla a sua volta
ma non doveva metterle i bastoni tra le ruote sul lavoro, non doveva
trattarla come se non esistesse, non doveva impedirle di dimostrargli
chi era e questo la faceva andare in bestia più di ogni altra
cosa.
Sarah era sempre stata molto critica con lei, anche durante
l’addestramento era stata bravissima a farla sentire inutile come
una pivellina da quattro soldi e quando veniva toccata
nell’orgoglio andava su tutte le furie, chissà quanto si
era dovuta sforzare per permetterle di fare almeno le foto. Se la
risposta di Sarah alla sua provocazione era fare di tutto per
escluderla avrebbe reagito di conseguenza, ossia avrebbe fatto di tutto
per non permetterglielo.
Stazione di polizia
Morgan stava mettendo al corrente il resto del team dalla loro
scoperta. Erano tutti seduti intorno ad un tavolo e appena Leane
mostrò loro le foto scattate cominciarono a fare ipotesi.
L’unica che non partecipava alla discussione era Collins,
apparentemente persa in un mondo tutto suo.
- Dobbiamo riprendere in mano il vecchio profilo ed
aggiornarlo – Hotch si alzò per posizionarsi davanti al
tabellone.
- Quindi stiamo parlando di un ragazzo tra i diciotto e i ventidue anni – cominciò Prentiss.
- Psicopatico e sociopatico – intervenne Reid
– Ossessionato dalle belle ragazze popolari, vuole punirle per i
peccati che lui immagina.
- Dovremmo chiedere a Garcia di cercare nei computer
delle vittime – Rossi continuava a lisciarsi il pizzetto –
Potrebbe esserci un blog simile a quello di tre anni fa che parla delle
possibili vittime.
- Le due ragazze non venivano da Biloxi, non possono
far parte del piano originale – Morgan sembrava un leone in
gabbia, intento a fare su e giù nella sala.
Gli occhi di Cameron si spostavano dall’uno all’altro,
mentre rimaneva seduta a braccia conserte e gambe accavallate. Sentiva
la necessità di dire qualcosa anche lei, voleva dimostrare di
essere brava quanto gli altri. Specialmente dopo come Collins
l’aveva trattata quella mattina, al solo ricordo sentì il
sangue ribollire di nuovo. Cominciò ad aprire bocca, senza avere
bene in mente cosa dire, ma fu interrotta.
- Secondo me partiamo dal presupposto sbagliato
– Sarah alzò finalmente gli occhi, anche se non guardava
nessuno di loro – Anche se ho riguardato i filmati fino alla
nausea non ho trovato niente in quei ragazzi. E se il nostro Mikael non
fosse stato uno studente?
- Cosa vuoi dire? – Morgan sembrava perplesso.
- Se fosse stato qualcuno che ha usato la tragedia di
Mary per manovrarla? – continuava a ragionare ad alta voce
– Stavo pensando che nessuno dei ragazzi, a detta dei professori,
era particolarmente religioso.
- Mentre il nostro S.I. conosce molto bene la
teologia – intervenne Rossi ridestandosi a sua volta –
Oserei dire che la sua è un’ossessione.
- Decisamente, ricordate i messaggi? – Prentiss
sfogliò velocemente i vecchi dossier – Ricordate cosa ci
dissero i professori?
- Quella non è la scrittura di Oldbride
– Hotch si avvicinò al tavolo, mettendosi alle spalle di
Sarah – Qualcuno scriveva quei biglietti al posto dei ragazzi.
- Che poi si limitavano a lasciare il messaggio
– finì Reid – Il vecchio profilo va accantonato.
Dobbiamo ripartire da zero.
Sarah camminava lungo il corridoio sorseggiando un caffè, si
sentiva come svuotata. Aveva sognato il proprio ritorno sul campo da
quando Hotch aveva accettato la sua proposta di aiutare la squadra, ma
non era come l’aveva immaginato. Quel caso era stato troppo
personale, aveva scosso le sue certezze e i dubbi che l’avevano
attanagliata in quel periodo tornavano più prepotenti che mai
nella sua mente.
Riusciva a immedesimarsi troppo bene in Mary Oldbride. Sapeva per
esperienza personale quanto potevano essere cattive le ragazze delle
scuole superiori nei confronti dei meno popolari. Non tutti mandavano
giù il rospo, qualcuno si ribellava a quello stato di cose.
Ricordava gli articoli sui casi di ragazzi che entravano a scuola con
un’arma da fuoco e facevano una strage. Aveva sognato di farlo
anche lei ai tempi del liceo.
Reid era fermo al centro del corridoio con le mani in tasca e la
guardava con una faccia che era tutto un programma. Niente più
fughe, era questo l’accordo, ma quando erano tornati a Quantico
lei era fuggita più veloce della luce. Era andata
dall’unica persona che in quel momento pensava potesse aiutarla a
superare i suoi timori, con il risultato che finalmente aveva capito
che l’unico al mondo che poteva tenerla all’Accademia era
il ragazzo che ora l’aspettava immobile.
Si fermò solo quando erano cosi vicini che i loro corpi quasi si
sfioravano, guardava in quelle iridi color nocciola. Sperava che non ci
fosse nessuno in giro, perché sentiva l’impellente bisogno
di un contatto fisico con lui, anche minimo. Era più forte di
lei quel desiderio e così allungò una mano a sfiorare il
viso di lui delicatamente in una carezza che voleva essere di conforto.
- Ho parlato con Morgan – lo sguardo di lui si era fatto duro.
- So quello che faccio – lei invece era
tranquilla e continuava a percorrere i lineamenti di lui con un dito.
- Non credi che tirando troppo la corda rischi di spezzarla?
- Non la conoscete bene, se credete che basti questo
a spezzarla – sorrise in modo dolce scostandogli una ciocca di
capelli dietro l’orecchio – E’ come me, forte e dura.
Non basta una parola per metterci a terra.
- Lei ieri ha esagerato, ma non andarci giù
troppo pesante – finalmente Spencer si lasciò andare a
guastarsi quel contatto fra loro.
- Non prometto niente, a meno che… - un sorriso furbo e malizioso le arricciò le labbra.
- Da me o da te? – sapeva perfettamente dove stava andando a parare la moglie.
- Da me, ti aspetto stasera – gli posò
un bacio all’angolo della bocca e si incamminò verso la
sala riunioni.
Spencer era nella sala relax intento a prepararsi un caffè. Si
chiedeva dove fosse stata Sarah in quella settimana di tre anni prima,
ma scacciò il pensiero infastidito. Non ne avevano mai parlato,
nonostante lui all’inizio l’avesse tormentata. Dopo il caso
a Miami lei aveva promesso di non fuggire più da lui, eppure di
ritorno da Biloxi aveva preso una settimana di ferie e se l’era
svignata chissà dove e chissà con chi.
Aveva parlato di un vecchio amico che forse poteva rispondere alle sue
domande, ma poi aveva aggiunto che le uniche risposte che le servivano
erano fra le sue braccia. Le aveva creduto, aveva voluto credere che
fosse l’unico a cui lei si appoggiava, ma ora voleva delle
risposte.
Si voltò sentendo di non essere più solo, Ronnie era
ferma sulla porta e lo fissava con fare indagatore. Spencer
sospirò, pensando che quasi sicuramente lei era nascosta dietro
un angolo mentre lui parlava con Sarah. Quando voleva Leane sapeva
essere più silenziosa di un gatto e, anche se nessuno glielo
aveva mai detto, tutti sapevano che usava questa dote per spiare
discorsi che non la riguardavano.
- Qualcosa non va? – cercò di assumere l’espressione più innocente possibile.
Cameron rimase a guardarlo ancora un attimo, poi lentamente si
avvicinò chiudendo la porta e si fermò a pochi passi da
lui. Reid corrugò la fronte, non sapeva cosa aspettarsi da
quella ragazza. Lei finalmente aprì le labbra, lasciandolo
completamente spiazzato.
- Avrei preferito che rifiutassi il suo invito per
stanotte almeno continuerebbe a darmi filo da torcere, sai mi sto quasi
divertendo.
- Hai sentito proprio tutto eh? – la guardò accigliato.
- Passavo di qua involontariamente – ora si era
poggiata al muro con le mani in tasca e un sorrisino maligno stampato
in faccia. Reid la guardò più attentamente tenendo fermo
il caffè tra le mani.
- Hai esagerato ieri Ronnie, non avresti dovuto provocarla.
- Io faccio il mio lavoro e lei fa il suo, se quello
che le dico non le sta bene non m’interessa ma non deve impedirmi
di lavorare. E poi era la verità che le piaccia o no.
- Non voglio che vi facciate la guerra a vicenda, specialmente con questo caso...
- Sopravvivrò, non voglio stare neanche un passo dietro di lei, comincio a non sopportarla più.
- Tu non conosci Sarah come la conosco io, non sai fin dove può arrivare se continui a sfidarla.
- Su una cosa ha ragione, non basta una parola per buttarmi a terra, dovrà passare sul mio cadavere.
Reid scosse la testa, gli sembrava di parlare con Sarah. Quella ragazza era più testarda di un mulo.
- Tu non sei contenta se non ci sbatti la testa, vero?
Lei alzò le spalle dandogli ragione poi si avvicinò
mettendogli una mano fra i capelli morbidi, lo guardò con
occhioni dolci mentre glieli scompigliava allegramente.
- Non preoccuparti non dovrai raccogliere i miei
pezzetti per strada – non ci credeva nemmeno lei mentre lo
diceva, cercava di auto convincersene.
- Lo spero per te, so che non sei così forte come fai credere, anche tu hai i tuoi punti deboli.
Fu il turno di Ronnie a rimanere spiazzata, si rimise le mani in tasca guardando altrove.
- Il problema è scoprirli – girò
gli occhi nuovamente su quelli nocciola di lui - anche tu sei in cerca
di risposte vero?
Reid la guardò senza rispondere. Ron era sicuramente
imprevedibile, lasciò cadere il discorso senza pretendere
nient’altro e si avvicinò alla porta aprendola, poi si
girò sorridendogli timidamente.
- Anch’io ti voglio bene Reid.
Continua…
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Capitolo 7 *** Capitolo VI. The room ***
6
Capitolo VI. The room
Sarah cercò di alzarsi,
ma la testa continuava a girarle. Il senso di nausea era soffocante e
non riusciva ad aprire gli occhi. Sentiva una superficie dura e liscia
sotto il suo corpo, strinse gli occhi e fece appello a tutta la sua
testardaggine. Doveva alzarsi e capire dove si trovava.
Dischiuse appena le palpebre,
si rese conto di essere sdraiata a pancia in giù su un
pavimento. Percorse tutta la lunghezza della superficie con gli occhi,
fino ad incontrare la parete in fondo. Spoglia e scrostata, di un
colore indefinito fra il verde e il grigio.
Girò lentamente il collo
fino a poter guardare nella direzione opposta. Intravide la sagoma di
una persona, distesa a terra come lei. Sbatté più volte
le palpebre cercando di mettere a fuoco quel corpo distante pochi
passi. Folti capelli castani, fisico esile, gambe magre. Un fulmine le
attraverso la mente. Leane!
La ragazza era svenuta o
peggio, non riusciva a scorgere il benché minimo movimento. Una
paura primordiale la attanagliò e si costrinse, con immenso
sforzo, a cercare di tirarsi su. Riuscì a mettersi carponi e si
tastò il volto e la testa. Niente ferite, ma il senso di
intontimento persisteva, probabilmente era stata drogata. Ma da chi?
Come era arrivata in quel posto?
Scosse piano la testa cercando
di chiarirsi le idee, ma l’unico pensiero che le veniva in mente
era la necessità di assicurarsi che Cameron fosse viva e stesse
bene. Sempre carponi si trascinò fino al corpo immobile della
collega. Le tastò il collo alla ricerca di pulsazioni, che dopo
attimi di angoscia finalmente avverti sotto la pressione delle dita. Il
cuore batteva, anche se lento e in maniera irregolare. Esaminò
superficialmente il capo della ragazza e, una volta assicuratasi che
non avesse ferite, la voltò lentamente.
Sembrava addormentata, ma come
alzò una pupilla si rese conto che la realtà era ben
diversa. Qualcuno le aveva drogate e rapite, rinchiudendole in quel
posto. Sapeva che la squadra le stava sicuramente cercando e prego che
riuscisse a trovarle presto.
Preoccupata dal respiro
rantolante dell’altra prese una decisione. In ginocchio,
agganciò le spalle di Ronnie e la trascinò con se verso
la parete. Vi posò la propria schiena e poi si tirò
addosso la ragazza. Ringraziò il cielo che Leane fosse cosi
magra ed esile da permetterle di spostarla, se fosse stata leggermente
più pesante non avrebbe potuto eseguire quella manovra.
Accomodò il torso di Cameron contro il suo petto e le fece
poggiare la testa sulla sua spalla, stando attenta che le vie
respiratorie fossero libere. Le tirò indietro la testa con una
mano e cercò di sistemarsi con lei addosso.
Una volta riuscita
nell’intento di far respirare meglio Ronnie si concentrò
su quel posto. Gli effetti della droga stavano lentamente passando,
così che il suo cervello fosse più reattivo alla
situazione di pericolo che avvertiva.
La stanza era semibuia,
l’unica luce era una lampada di emergenza collocata su un muro
laterale. Si trovava in una sala rettangolare dai pavimenti spogli e le
pareti scrostate, altre loro due non c’era nient’altro
all’interno. Sulla sua destra era posizionata una porta di ferro
dall’aspetto pesante, non c’erano finestre né altre
vie di fuga. Alzò lentamente gli occhi sulla parete di fronte a
lei e li chiuse di scatto con un singulto.
Simboli tracciati con quella che sembrava vernice rossa
מיכאל
Erano prigioniere di Mikael, su questo non c’erano dubbi. Ma come erano finite nelle mani di quel pazzo?
Lottò con se stessa e la propria mente, doveva ricordare. La memoria era la loro unica possibilità.
Aveva
ascoltato la conversazione fra Ronnie e Spencer da dietro la porta
chiusa. Sorrise pensando che Leane non poteva immaginare
“come” la sua ex professoressa fosse sempre al corrente di
tutto. Cameron non era la sola ad origliare conversazioni che non la
riguardavano.
Si
incamminò velocemente lungo il corridoio, voleva essere fuori
portata quando la porta fosse stata riaperta. Non le piaceva
l’intimità che c’era fra quei due, era sciocco
essere gelosa ma non riusciva a trattenersi. Anche con JJ era stata la
stessa cosa, sospirò pensando che fra lei e la ex addetta stampa
della squadra era sempre stata guerra.
Non si era
mai considerata un tipo geloso, il fatto che ora Ronnie fosse la
migliore amica di Derek non intaccava minimamente la sua corazza.
Ripensò a quello che Spencer aveva detto alla ragazza:
“anche tu hai i tuoi punti deboli”. Sì, decisamente
anche Sarah Collins aveva il suo punto debole, quel nervo scoperto
aveva un nome e un volto: Spencer Reid.
Ogni volta
che qualcuna era gentile con lui, oppure mostrava troppo interesse per
il timido ed impacciato genio della squadra, lei sentiva il sangue
ribollirle nelle vene.
Fortunatamente
la porta era chiusa, immaginava che Ronnie avesse fatto un gesto di
affetto verso Reid. Se avesse assistito alla scena le sarebbe saltata
agli occhi come una gatta selvaggia, alla faccia di quella che alcuni
studenti chiamavano la sua “stitichezza emotiva”. Un largo
sorriso le illuminò il volto, se solo Cameron Leane avesse
saputo quanto in realtà era umana ed emotivamente
coinvolta…
Aprì
la porta della sala destinata a loro, l’unico presente era Hotch
che continuava a studiare la lavagna dove avevano preso appunti sul
caso. Gli si accostò in silenzio e lui non sembrò stupito
di trovarsela accanto. Lo guardò di sottecchi, non era mai
riuscita a prenderlo di sorpresa. Un altro dei misteri della
squadra…
- Hotch? – si impose di fissare il caffè contenuto nel bicchiere di carta che teneva in mano.
- Dimmi Collins, novità?
- No. Mi chiedevo… come fa a sapere sempre che sono io?
- Il tuo profumo… lo riconoscerei fra mille.
Si
guardarono e Sarah trattenne il respiro. Nonostante quello che si erano
detti il giorno del suo matrimonio(1), lui la guardava ancora in quel
modo. Non si era arreso, non trovava rassegnazione. Sbatté le
palpebre per distogliere lo sguardo, come sempre si sentiva in colpa
nei suoi confronti. Forse se fosse stata più dura, se gli avesse
mentito dicendo che non ci sarebbe mai potuto essere niente fra loro a
prescindere dalla situazione…
Si
rimproverò, non era da lei rimuginare sul passato, né
tanto meno fantasticare di dire bugie. Spencer la rimproverava spesso
di essere sempre e comunque sincera, anche a costo di essere brutale.
Ma aggiungeva sempre che amava quel lato del suo carattere, lei era una
persona sincera e vera.
-
Smettila di tormentarti – il tono di lui le fece venire le
lacrime agli occhi – Non è colpa tua, non è colpa
di nessuno. Non si può decidere di chi innamorarsi… Prima
o poi mi passerà.
Sarah si
ostinava fissare il bicchiere che teneva in mano, non era sicura di
riuscire a reggere lo sguardo di quell’uomo così speciale.
Sicuramente Aaron meritava qualcuno al suo fianco, una donna che
sapesse apprezzarlo veramente.
-
Ti dico una cosa e poi torniamo a concentrarci sul caso,
d’accordo? – le posò delicatamente una mano sulla
spalla e lei assentì – Ho cominciato a frequentare una
donna. E’ una brava persona, vedova con un figlio a carico. A
Jack è simpatica.
Si
guardarono di nuovo e Sarah gli regalò un timido sorriso.
Sperava che quella donna prendesse definitivamente possesso del cuore
del suo ex superiore. Anche se avevano avuto i loro
“scontri” augurava ogni bene a Hotch.
No! Non doveva soffermarsi su
particolari inutili! Sentì Cameron rantolare di nuovo fra le sue
braccia. Era scivolata e la testa era reclinata in avanti.
Riportò la ragazza nella posizione originaria e le tirò
di nuovo indietro la testa per permetterle di respirare più
agevolmente.
Sentì una lacrima di
frustrazione scenderle lungo la guancia e l’asciugò con un
gesto stizzito. Non era il momento di cedere, doveva uscire di
lì. Doveva salvare se stessa e Leane. Aveva un marito e un
figlio da cui tornare, non avrebbe permesso a quel pazzo psicopatico di
avere la meglio.
Respirò profondamente e
cercò di sgombrare la mente. Il suo cervello riprese a lavorare
in modo frenetico. Doveva trovare la risposta che le avrebbe portate
fuori da quel posto.
Continua…
(1) “Profiler” capitolo XIX “The caos in my mind”.
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Capitolo 8 *** Capitolo VII. Wake up ***
7
Capitolo VII. Wake up
Sarah era
leggermente intontita dal narcotico che le era stato somministrato.
Leane era ancora incosciente e non sembrava prossima al risveglio.
Collins era atterrita dalla situazione: due agenti federali drogati e
rapiti da uno psicopatico che giocava all’angelo vendicatore. Se
le avessero detto che si sarebbe ritrovata in una situazione del
genere, non ci avrebbe mai creduto.
Era sempre
molto prudente sul campo, non abbassava mai la guardia e anche quando
doveva fare irruzione prendeva tutte le precauzioni necessarie. Quello
che rimproverava più spesso alla sua ex allieva era
l’impulsività, il fatto di non pensare mai alle
conseguenze delle sue azioni. Ronnie aveva dimostrato in più di
un’occasione di essere troppo avventata e di non prevedere le
mosse degli S.I. a cui dava la caccia.
E ora si
trovavano tutte e due nella medesima situazione: prigioniere e in
procinto di scontrarsi con un pericoloso assassino. Sospirò
pensando all’ironia della cosa. Un sorriso amaro le
arricciò le labbra, nonostante tutto il suo buonsenso era in un
mare di guai in compagnia di una ragazza che probabilmente la odiava.
Lei, invece, non provava nessun tipo di sentimento negativo per
Cameron. L’aveva scelta e credeva fermamente che con il tempo
sarebbe diventata la profiler migliore che avesse mai addestrato.
Decise che
era il momento di darsi una mossa e cominciare a fare qualcosa di
concreto per togliere entrambe da quel pasticcio. Perlustro di nuovo la
stanza con gli occhi, stavolta più lentamente, alla ricerca di
un appiglio. Finalmente la vide, posizionata nell’angolo in altro
proprio di fronte a loro. Una piccola telecamera di sorveglianza. Ora
riusciva a ricordare…
La
porta si spalancò facendo entrare un affannato Morgan seguito
dal resto del team. Reggeva ancora in mano il cellulare e aveva uno
sguardo deciso negli occhi.
- Bambolina, sei in viva voce. Puoi ripetere?
-
Ho utilizzato gli indirizzi IP che mi avete procurato. Mentre
cercavo nella loro “spazzatura virtuale” ho trovato un
sito… - Garcia era evidentemente agitata.
- Come a Biloxi… un blog? – chiese Rossi mettendosi a sedere.
- No, qualcosa di completamente diverso. Vi ho inviato il collegamento tramite computer.
Sarah
si avventò, letteralmente, sul suo portatile e fece in modo che
le immagini venissero rimbalzate sul grande monitor appeso alla parete.
Si aprì una schermata di un sito chiamato “La prova del
purgatorio”. C’era una specie di piantina interattiva.
Varie stanze collegate da alcuni corridoi. Sarah provò a
cliccare su una delle stanze e subito si aprì una finestra
laterale con le immagini della stanza.
- Ma cosa diavolo…? – cominciò Leane osservando interessata quella nuova scoperta.
-
Dici bene, dinamite – quello era il soprannome che Garcia
aveva affibbiato alla irrequieta profiler – Qui il diavolo
c’entra e come. E’ una specie di reality show. A quanto
pare i presunti peccatori vengono rinchiusi in quel posto, spiati da
telecamere e la loro unica salvezza è trovare l’uscita.
- Come fai a sapere queste cose? – le chiese Reid.
-
Ho navigato sul sito per riuscire a scoprire qualcosa. Chi
l’ha aperto è irrintracciabile. Ci sono una ventina di
proxi che rimbalzano il segnale da una parte all’altra del globo,
sto lavorando per capire da dove vengono le immagini – Garcia si
fermò e fece un lungo sospiro – Credo che dobbiate vedere
una cosa…
Sullo
schermo parti una sequenza di immagini. La vittima numero due, Allison
Barnett, correva lungo un corridoio scarsamente illuminato.
Repentinamente si fermava davanti ad una porta e provava ad aprirla
tirando. Per aiutarsi aveva poggiato il piede contro la parete e le
braccia erano tese nello sforzo. Improvvisamente una figura
incappucciata apparve dietro di lei. La afferrò saldamente e la
girò facendola sbattere contro la parete. La ragazza continuava
a muovere le labbra, cercava di parlare con il suo assalitore. La
figura alzò un braccio, impugnava una lama e la conficcò
con decisione nel petto della ragazza.
Rimasero
tutti attoniti, avevano appena assistito all’omicidio di una
povera ragazza, la cui unica colpa era di essere finita nel mirino di
un pazzo. Lo schermo divenne improvvisamente buio e una scritta apparve
a grandi lettere rosse.
-
“Prova fallita, la peccatrice è stata punita”
– lesse a voce alta Sarah, che subito dopo scosse la testa e si
mise a sedere – Garcia c’è altro?
-
No, non ho trovato riscontri per quanto riguarda studenti
provenienti da Biloxi. Susan Billings in questo momento si trova a Los
Angeles, ha intrapreso la carriera di modella.
-
Grazie, Garcia – si intromise Hotch, ancora visibilmente
scosso – Per il momento è tutto. Tienici aggiornati.
- Senz’altro.
Il
silenzio scese nella sala riunioni. Erano tutti frastornati dalla
visione di quel filmato. Lentamente, ognuno di loro, prese posto a
sedere.
- Profilo? – domandò Hotch, cercando di recuperare il controllo.
- Maschio, bianco, tra i venticinque e i trentacinque anni – cominciò Reid.
- Istruito, fisicamente in forma, intelligente – era il turno di Prentiss.
-
Fa un lavoro che gli permette di interagire con ragazzi giovani,
adolescenti per lo più. Ha un aspetto innocuo che infonde
sicurezza, quasi sicuramente le vittime lo hanno seguito di loro
spontanea volontà – Morgan continuava a massaggiarsi la
testa.
-
E’ rispettato nella comunità. Sicuramente è
una figura di spiccò per questi ragazzi – si intromise
Sarah con fare sicuro – Scapolo, non ha legami famigliari…
- Come fa a dirlo? – chiese Leane accigliandosi.
-
Il suo modus operandi – Collins non la degnò di uno
sguardo – Per fare tutto questo: quella specie di labirinto, il
sito, i rapimenti… Deve potersi muovere in piena libertà,
non ha nessuno che gli chieda dove è stato. Se avesse una
famiglia, qualcuno si sarebbe già accorto che c’è
qualcosa che non va’.
- Da dove cominciamo? – chiese Rossi tornando a guardare il resto del team.
-
Io proporrei di interrogare le amiche delle vittime – si
fece avanti Leane – Se veramente si fidavano del loro assalitore,
doveva essere qualcuno che conoscevano…
-
Leane e Collins, voi andate ad interrogare la compagna di stanza
della Barnett. Reid e Morgan voi andata da quella della Baldwin. Io,
Prentiss e Rossi continueremo a lavorare sul profilo – Hotch
impartiva gli ordini sicuro e deciso – Vi raccomando la massima
prudenza, non dividetevi per nessun motivo. Se è veramente lui,
siamo in pericolo. Chiaro?
Quattro teste assentirono mentre si dirigevano verso la porta.
Il sito! Come
un lampo afferrò ancora più saldamente Ronnie e mosse le
labbra a formulare la frase “E’ viva, sbrigatevi”. Se
il resto del team stava guardando, dovevano sapere che le loro compagne
erano vive e stavano bene, almeno per il momento.
Accostò
la bocca all’orecchio della ragazza ancora svenuta, dovevano
prepararsi allo scontro. Anche se il video su internet era senza audio,
non significava che non ci fossero microfoni nascosti da qualche parte.
Radunò le idee e poi cominciò a bisbigliare
nell’orecchio di Leane.
-
Cameron, so che puoi sentirmi. Sei stata drogata, ma tu sei
più forte di quel veleno. Combatti, devi svegliarti prima che
sia troppo tardi – si fermò incerta su come proseguire,
doveva scuoterla in qualche modo – Morgan sarà in pensiero
per te, per non parlare degli altri. Ti prego, fallo per loro. Reagisci.
Non sapeva
cosa altro dire per farla svegliare, non poteva scrollarla o alzare la
voce. Doveva fare tutto nel massimo silenzio possibile, se l’S.I.
si fosse accorto che si erano svegliate, sarebbe andato a cercarle e
lei non poteva trascinarsi dietro un corpo, non ne aveva la forza.
Sentì
una lieve pressione sulla mano che aveva messo intorno alla vita di
Leane, sperò di non essersi sbagliata. Si rincuorò
sentendo un gemito provenire dalla ragazza, vide le palpebre tremare.
Stava reagendo.
-
Ti prego, Cameron, svegliati – aveva la voce rotta dal
pianto e dalla paura – Dimostrami che sei una profiler in gamba e
non una stupida ragazzina che gioca a fare l’agente federale.
Di nuovo un
movimento quasi impercettibile del corpo stretto a lei. Il respiro era
diventato affannato, mentre gli occhi lottavano per aprirsi.
-
Io non gioco mai – la voce era impastata e gli occhi ancora
chiusi ma lentamente stava riprendendo coscienza.
- Dimostramelo, agente Leane. Rendimi fiera.
Sentiva la
voce di Sarah sussurrarle nell’orecchio come se fosse lontana
anni luce. Aveva gli occhi socchiusi e le palpebre erano pesanti come
cemento, da quella piccola striscia che riuscì ad aprire vedeva
tutto sfocato e appannato, gli arti erano ancora intorpiditi ma
cercò disperatamente di riprendere il controllo del corpo. Le
uscì un altro gemito lottando contro lo stordimento, conosceva
quella situazione c’era passata migliaia di volte non poteva
certo farsi mettere ko adesso. Faceva respiri profondi e lunghi come se
avesse l’asma, sentiva il corpo poggiare su quello della collega
ma voleva cambiare posizione così cercò di concentrarsi
su tutto il suo corpo lottando con la sua determinazione. La testa le
stava scoppiando, girò il capo al lato e mosse le gambe lungo il
pavimento, si sporse verso sinistra allungando una mano per terra
lasciandosi scivolare. Poggiò la schiena sulla superficie fredda
lentamente, riuscì ad aprire completamente gli occhi con un
enorme sforzo.
Sentiva
risuonare ancora le parole di Collins nell’orecchio, non era il
momento di lasciarsi andare, vedeva il soffitto sopra di lei girare
vorticosamente, aveva ancora quel senso di nausea che la opprimeva.
Chiuse gli occhi ed aspettò mentre riprendeva il senso della
realtà e riordinava le idee. Quando li riaprì qualche
secondo dopo la stanza aveva smesso di girare, ora doveva concentrarsi
su quello che stava succedendo. Le aveva detto che erano state drogate
e rapite… fece forza con le mani sul pavimento e si mise a
sedere con la schiena al muro, girò gli occhi lungo il perimetro
della stanza riuscendo lentamente a mettere a fuoco tutto, mentre
ispezionava con lo sguardo veniva assalita da piccoli ricordi: il
video, le stanze, i corridoi… erano finite sicuramente in quel
casino.
Vide la scritta sul muro e si girò verso la collega.
- Che cosa..?
- Mikael…
Leane
restò immobile a guardare il volto della collega che di sicuro
non aveva mai visto così, l’aveva sentita piangere e aveva
sentito la sua paura nella voce mentre cercava di svegliarla e di
sicuro l’ultima cosa che voleva vedere al suo risveglio era la
sua ex insegnante che dava segni di cedimento.
-
Le sembra il momento di piangere? – si era
affiancata ancora di più per poterle parlare sottovoce, muoveva
ancora a fatica la lingua – Se crede di farsi prendere dal panico
si sbaglia di grosso, quel figlio di puttana mi ha fatto arrabbiare e
noi usciremo di qui..chiaro?
Continua…
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Capitolo 9 *** Capitolo VIII. Angst ***
8
Capitolo VII. Angst
- Dove diavolo sono finite? – Morgan urlava mentre dava un pugno alla porta della sala.
Hotch scosse
la testa mentre continuava a fissare il cellulare, sembrava incredibile
che un’ora prima avesse sentito Collins. Sollevò lo
sguardo verso il resto della squadra. Erano tutti preoccupati dopo il
suo resoconto di quella telefonata. Garcia cercava ancora di
rintracciare il segnale, ma con scarsi risultati. Il telefono era stato
spento.
Rossi si mise a sedere davanti a lui e lo fissò intensamente. Era arrivato il momento dell’intervista cognitiva.
-
Rilassati – la voce di Dave era quasi ipnotica –
Chiudi gli occhi e prova a ricordare. Qualsiasi cosa può essere
utile.
Aveva
risposto alla chiamata di Collins, era arrabbiato con quelle due.
Invece di tornare indietro come previsto erano finite chissà
dove.
- Si può sapere dove siete?
-
Stiamo seguendo una pista – breve pausa di Sarah, che
sembrò rivolgersi a Ronnie – Non allontanarti, dobbiamo
rimanere insieme. Hotch, quella ragazza, Barnett, aveva dei problemi
psicologici a detta della sua compagna di stanza. Si sentiva in colpa
per qualcosa e si era rivolta ad un’assistente, che però
non sapeva come aiutarla.
- E quindi?
-
Nello studio di quest’ultimo ho trovato un dépliant
e… - un rumore di sottofondo, come un tonfo – Leane? Cosa
diavolo stai combinando?
Attimi di silenzio, il respiro affannoso di Collins, come se stesse correndo da qualche parte.
- LEANE! – era agitata – Hotch è successo qualcosa… Leane rispondimi.
- Cosa sta succedendo? – era agitato anche lui a quel punto.
-
Non lo so, forse ha avuto un malore… - altra breve pausa
mentre la ragazza chiamava la collega – Mandate qualcuno! Ci
troviamo…
Una
serie di rumori attutiti, una serie di farfugli come se qualcuno
provasse a parlare attraverso un fazzoletto. Un altro tonfo e poi una
voce maschile.
- Pessima mossa, loro saranno le prossime.
- Chi diavolo…?
Non poté finire la frase, la chiamata era stata interrotta.
Spencer alzò lentamente la testa, aveva uno sguardo vacuo. Chiuse gli occhi e fece un profondo respiro.
-
Avevano trovato qualcosa nello studio di quell’assistente
– cercava di farsi coraggio, ma la voce tradiva la sua angoscia
– Dobbiamo parlare di nuovo con la sua coinquilina e farci dare
il nome di quel tale.
-
Giusto – intervenne Prentiss – Hanno scoperto
qualcosa, l’hai detto anche tu che seguivano una pista. Un
dépliant che hanno trovato in quello studio.
-
Prentiss, tu e Rossi andate da quella ragazza. Se necessario
tirate l’assistente giù dal letto. Voglio che entriate in
quello studio il più in fretta possibile – mentre i due
lasciavano la stanza, Aaron prese il telefono e compose il numero di
Quantico – Garcia?
- Notizie? – la ragazza era agitata come tutti – Le avete trovate?
-
No. Se è lui, sicuramente le ha portate in quel posto
– Hotch cercava di mantenere la calma – Devi controllare il
sito di nuovo, devi darci un indirizzo.
- Ci sto lavorando – l’informatica fece una pausa prima di esclamare – O mio dio!
- Cosa c’è Garcia? – Spencer si era alzato in piedi.
- Sono loro. Vi passo subito il collegamento.
Il monitor
sulla parete si accese, mostrando una delle stanze del labirinto
virtuale. Due corpi erano stesi a terra a pancia sotto, due ragazze
more dai capelli lunghi. Hotch, Morgan e Reid si avvicinarono allo
schermo, alla ricerca di un minimo movimento delle due.
Reid continuava a fissare lo schermo ipnotizzato, mentre dentro di sé continuava a incoraggiare Sarah “Riprenditi, ti prego, muoviti. Lui potrebbe arrivare da un momento all’altro. Devi svegliarti!”.
Finalmente,
come in risposta alle sue preghiere, vide la moglie muovere la testa.
Un movimento lento e quasi impercettibile. I tre uomini trattenerono il
fiato, nella speranza che non fosse stato un riflesso incondizionato.
Di nuovo un
movimento, più deciso, del capo che ora veniva girato lentamente
nella direzione dell’altra ragazza. Collins fece forza sulla
mani, riuscì a mettersi carponi e a trascinarsi fino
all’altro corpo presente nella camera.
- E’ viva – Hotch sembrava immensamente sollevato.
- Ma Ronnie? – Morgan era ancora agitatissimo.
Videro la donna mora trascinare l’altra fino alla parete e poi eseguire una serie di manovre sul corpo inerme.
-
Cosa sta facendo? – Derek quasi non batteva le ciglia nel
timore di perdersi anche il minimo movimento.
-
Sta cercando di liberare le vie respiratorie – Reid si
aggrappava alla sua mente analitica per non impazzire – E’
una tecnica per farla respirare meglio.
-
Quindi anche Leane è viva, grazie al cielo – Aaron
si passò stancamente una mano sul viso.
Improvvisamente
Sarah alzò lo sguardo verso la telecamera e lentamente
cominciò a muovere le labbra. Stava cercando di trasmettere un
messaggio.
-
Cosa sta dicendo? – Derek provò a mimare gli stessi
movimenti con le labbra – “E’ viva,
sbrigatevi”. Maledizione!
Si sentivano impotenti davanti a quelle immagini. Potevano vedere le loro colleghe ma non potevano aiutarle.
Pochi istanti
dopo videro Sarah che cercava di parlare a Ron ancora svenuta ma non
riuscivano a capire cosa stesse dicendo,la bocca era nascosta dai
capelli della ragazza.
- Avanti Ronnie svegliati, svegliati! – Morgan strinse un pugno mentre dava voce ai suoi pensieri.
Rimasero
tutti in silenzio e immobili con gli occhi sempre fissi sulle immagini
aspettando un qualsiasi movimento, finché notarono le gambe di
Ron spostarsi dopo aver detto qualcosa in risposta alla collega.
-
“Io non.. io non gioco mai” – Reid
ripetè le parole di Leane, che aveva il viso diritto verso la
telecamera.
Seguirono i suoi movimenti mentre si accasciava al pavimento per poi mettersi seduta nella stessa posizione di Sarah.
-
Te lo faccio vedere io chi non gioca - Morgan sbuffò e si
passò una mano in testa seguito da sospiri di sollievo degli
altri.
L’unica certezza che avevano adesso era che le due ragazze erano vive e che potevano guardarle.
Leane e
Collins erano ancora sedute una di fianco all’altra, Cameron
spostò gli occhi verso la telecamera distogliendo subito lo
sguardo intuendo che sicuramente i loro compagni le stavano guardando.
Il respiro le stava tornando più o meno regolare col passare dei
secondi, cercò di scacciare via l’agitazione e ogni minima
angoscia che poteva assalirla, se anche lei si fosse fatta prendere dal
panico non ne sarebbero mai uscite vive e sarebbero impazzite prima di
essere uccise come quella ragazza.
Al contrario
l’unica cosa che provava Cameron in quel momento non era
né paura di morire né di non essere trovate in tempo
dalla squadra… anzi più che non averne cercava di auto
convincersene, sentiva solo crescere la rabbia per essere finite in
quel casino, frustrazione e una voglia matta di mettere le mani addosso
a quello psicopatico.
Studiò
il suo corpo con gli occhi constatando di non avere ulteriori ferite o
qualsiasi cosa potesse impedirle di fuggire, infine si voltò
verso Collins intenta ad asciugarsi le ultime lacrime, parlandole
avrebbe dato coraggio a lei e contemporaneamente si sarebbe distratta
liberando la mente.
- Si ricorda cosa mi ha detto quel giorno per farmi tornare nella squadra?
- Sì Leane – la voce tradiva ancora la paura e il pianto.
-
Beh glielo ripeto: “non ti ho fatto entrare nella squadra
per arrenderti alla prima difficoltà”. Io ora dico la
stessa cosa a lei, la mia insegnante Sarah Collins non è una che
si arrende alla prima difficoltà, io non mi sono arresa
né adesso e tantomeno lo farò in futuro, il mio orgoglio
me lo impedisce – indicò la telecamera con un dito –
Ci staranno guardando immagino, di sicuro Reid non la vuole vedere in
questo stato dunque se vuole rivederlo da viva ritorni, almeno
finché non usciamo di qui, la Sarah Collins che conosco io.
- Leane – gli occhi di Collins si erano fermati su un punto della ragazza.
- Cosa? – Ron aggrottò la fronte seguendo la sua direzione.
- Le tue mani,stanno tremando..
Ronnie
abbassò il viso e le fissò per un attimo poggiate sulle
cosce, venne assalita da un brutto presentimento mentre le guardava
vibrare e di sicuro non era per l’agitazione visto che era
paurosamente calma e con mente fredda, per quanto si potesse
concentrare non riusciva a farle smettere. Le nascose tra le cosce
alzando le spalle.
- Non è niente, mi passerà. Pensiamo a come uscire di qui piuttosto.
Continua…
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Capitolo 10 *** Capitolo IX. Abstinence ***
9
Capitolo IX. Abstinence
- Non è niente, mi passerà. Pensiamo a come uscire di qui piuttosto.
Sarah
continuava a guardarla. Sembrava aver dimenticato la paura e
l’angoscia, era concentratissima sulle mani di Cameron.
Sospirò scuotendo la testa.
- Di cosa ti facevi? – guardava un punto della stanza.
- Di cosa parla? – Ronnie si mise automaticamente sulla difensiva.
-
Qualsiasi cosa ci abbia dato per drogarci, ha avuto su di te un
effetto molto più forte. Quel tremore alle mani poi racconta una
storia che non puoi negare – tornò a fissare la ragazza,
lo sguardo impenetrabile.
-
Non è questo il momento per questi discorsi – Leane
era nervosa, non voleva rivangare il suo passato – Dobbiamo
pensare a come uscire di qui.
- Non possiamo fare molto, almeno finché lui non comincia il gioco.
- Come, scusi?
- Ricordi il filmato? La ragazza scappava lungo un corridoio, non era rinchiusa come noi.
-
Alla fine è apparsa una scritta – le pupille di
Cameron si dilatarono, comprendendo cosa la sua compagna cercava di
dirle – “Prova fallita”… quindi…
-
Sì, ci metterà alla prova. Non so in cosa
consisterà, ma non dubito che il nostro “gentile
ospite” ci fornirà tutti i ragguagli necessari al gioco
– Sarah tornò a fissare la telecamera – Allora, di
cosa ti facevi?
-
Conosce così bene i sintomi? – un’idea
balenò nella mente dalla giovane profiler – Anche lei?
- No, ma conosco qualcuno che ne è uscito. Abbiamo parlato spesso della riabilitazione e dei sintomi.
Morgan
continuava ossessivamente a fissare la scena. Le sue due migliori
amiche erano prigioniere e lui era impotente davanti a questo fatto. Si
sentì nuovamente come quando Henkel rapì Reid, la stessa
angoscia, la stessa frustrazione.
- Di cosa staranno parlando? – chiese senza voltarsi.
-
Non ne ho la minima idea – Hotch si era seduto e si
massaggiava le tempie – Credi sia importante?
- No. Se avessero avuto un indizio su dove le ha portate, Sarah avrebbe trovato il modo di dircelo.
Reid non
partecipava alla conversazione, aveva visto qualcosa che non gli
piaceva. Morgan e Hotch non ci avevano fatto caso, ma per lui il
tremore delle mani di Leane aveva un significato preciso. Sapeva che
c’era qualcosa nel passato della ragazza, qualcosa che
l’aveva segnata profondamente, ma aveva sempre pensato che
riguardasse la morte dei suoi genitori.
Ora la
verità su quello di cui Ronnie non voleva parlare si era
palesata davanti ai suoi occhi. Cameron era
un’ex-tossicodipendente e qualsiasi cosa le avesse dato
l’S.I. stava per scatenare in lei una crisi di astinenza.
Sarah
continuava a farla parlare cercando di distrarla. Avevano affrontato
molte volte il discorso su cosa avesse passato lui dopo la sua
dipendenza da Dilauded, comprese le sue crisi di astinenza. Era penoso
vedere Ronnie in quello stato, ma la ragazza sembrava reagire bene.
Sperava solo che Sarah riuscisse a farle mantenere la concentrazione su
quello che era il loro scopo ultimo: uscire sane e salve da quel
labirinto.
- Dunque ha capito benissimo cosa mi sta succedendo.
- Si, negarlo da parte tua sarebbe inutile.
Sarah aveva
ragione, non potevano fare niente da sole in quella stanza
finché quel pazzo non avesse dato il via alla prova, se le stava
guardando sarebbe entrato da un momento all’altro o gli avrebbe
dato in qualche modo le indicazioni. Tanto valeva rispondere alle sue
domande senza troppi giri di parole e dirle quello che voleva sapere,
già era nervosa, se avesse cercato di tergiversare su un
discorso che non voleva affrontare si sarebbe innervosita ancora di
più.
-
Mi facevo di cocaina, interessante no? Vuole sapere altro?- Sarah
sentì una punta di acidità nel suo tono.
- Come ne sei uscita?
I ricordi di Ron tornarono involontariamente.
- Non da sola questo è sicuro, altrimenti a quest’ora sarei morta da un pezzo.
- Perché non me ne parli? – Sarah continuava a guardarla interessata, doveva farla parlare.
Ronnie sbuffò chiudendo gli occhi cercando di separare la mente da quello che diceva come se parlasse senza ascoltarsi.
-
Mi trovò un poliziotto a Los Angeles in mezzo alla strada,
stavo andando in overdose e mi portò all’ospedale appena
in tempo – fece una pausa incerta su cos’altro dire –
Non avevo già più nessuno, i miei erano morti e non
potevo tornare in Spagna da sola così sono rimasta con lui. Io
stavo in un centro di recupero per tossici, quando non ero lì mi
portava nel dipartimento di polizia così al posto della cocaina
cominciai a sparare al poligono di tiro per distrarmi. Ci sono rimasta
due anni e nel frattempo bazzicavo nel dipartimento, lì ho
cominciato ad interessarmi di psicologia e alla sezione di
criminologia, così iniziai a studiare e a rimettermi in
carreggiata dimenticando il resto, la cocaina non era più
indispensabile a quel punto.
Sarah la
guardava impietrita, come poteva una ragazza sbandata essere divenuta
un’agente dell’FBI grazie alla forza di
volontà? Non sapeva cosa risponderle. Ronnie finalmente
aprì gli occhi incrociando quelli di lei mentre si voltava,
almeno per poco era riuscita a distrarsi.
- Non sono più quella ragazza.
- Lo so bene Leane...
Ronnie
girò gli occhi nuovamente verso le mani, non la smettevano e
sentiva il nervoso crescerle dentro mentre cercava a tutti i costi di
mantenere la calma e la lucidità.
Cameron
sapeva benissimo che l’apice della crisi di astinenza arriva tra
le 24-48 ore, ma non disse niente alla compagna e anche se
probabilmente lo sapeva pure lei non si azzardò ad aggiungere
altre preoccupazioni, sperò solo di uscire di lì prima
che succedesse il peggio.
-
Dunque ce ne stiamo buone qui a non fare niente finché non
sapremo qualcosa? – aveva chiuso nuovamente gli occhi e cercava
di controllare il respiro.
- È l’unica cosa che possiamo fare per adesso, oltre che pensare.
- Continui a farmi parlare allora.
- Tu ricordi come siamo finite qui?
- L’ha detto lei: ci hanno drogate e…
-
Sì, ma prima? Ricordo il sito e ricordo che Hotch ci ha
mandate dalla compagna di camera di Barnett, ma tra quello e il
risveglio qui c’è il vuoto – guardò Cameron,
sperando che almeno lei ricordasse qualcos’altro.
La ragazza
continuò a sbattere le palpebre interdetta. Si passò una
mano fra i capelli con un gesto nervoso e poi tornò a fissare la
sua ex insegnate.
-
Vuoto. Cavoli! – buttò indietro la testa e si mise a
guardare il soffitto – Può essere importante, potrebbe
dirci chi ci ha rinchiuse qui.
-
Già… - Sarah tornò a chiudere gli occhi e
cercava di concentrarsi – Quella ragazza… Alice…
-
Walters, il cognome è Walters – senza abbandonare la
sua posizione, Leane cercava di riordinare le idee – Bionda,
occhi chiari, fisico atletico… iscritta a…
-
Sociologia, mi pare… Ha detto qualcosa sul conto di
Barnett, qualcosa che riguardava i sensi di colpa…
-
Allison si sentiva in colpa – la ragazza bionda tirò
su col naso – Veniva da una famiglia molto religiosa, il
prototipo della brava ragazza assennata, poi due settimane fa durante
una festa… oddio, forse non c’entra niente.
-
Tutto può essere importante – cercò di
incoraggiarla Collins – Non conta se a lei sembra irrilevante,
per noi è fondamentale riuscire a ricostruire la vita della sua
amica nelle ultime settimane.
Alice
annuì vigorosamente, stringendo le labbra. Prese un altro
fazzolettino dalla scatola e si soffiò il naso, poi tornò
a guardare i due agenti federali.
-
Due settimane fa Allison fece una cosa di cui poi si
pentì… - si interruppe un momento riprendendo fiato
– Fece sesso con un ragazzo che conosceva appena, io le dissi che
era normale. Voglio dire… al college si sperimenta… Ma
lei non l’ha prese bene, cominciò a dire di aver peccato,
che sarebbe andata all’inferno e cose così. Io le
consigliai di andare da uno dei consulenti psicologici
dell’università e la convinsi a prendere appuntamento.
Aveva bisogno di aiuto, ma io non mi sentivo all’altezza.
-
Sa se si è incontrata con questa persona? – Leane
continuava a rimanere in piedi e ad osservare l’alloggio.
-
Credo di sì… sì, sicuramente. Lo so
perché il giorno dopo sembrava diversa, più
rilassata… diceva di aver trovato qualcuno che la capiva e
poteva guidarla.
Collins
fece un cenno a Cameron. Forse avevano trovato l’uomo del
profilo. Tornò a guardare la ragazza con un’espressione
incoraggiante.
- Lei conosce questo consulente?
- No.
- Come ha fatto a rintracciarlo?
-
C’era un volantino in bacheca… aspetti, dovrei
averlo ancora nell’agenda. Ora glielo prendo.
Sarah sorrise e si rilassò leggermente… avevano una pista.
Cameron cercò di alzarsi lentamente.
- Stai seduta, non fare rumore – la redarguì Sarah.
- Ho bisogno di sgranchirmi le gambe non ce la faccio più.
Si mantenne
con le mani al muro mentre si metteva in piedi, improvvisamente
sentì la testa girare e si poggiò alla parete stordita.
- Cos’hai?
- Niente.
Scosse il capo con una mano tra i capelli e cominciò a camminare lentamente nel raggio di qualche metro.
-
Sto cercando di ricordare, ma non ci riesco – guardava per
terra girandosi una ciocca tra le mani, il pensiero di avere il vuoto
in testa la faceva imbestialire. Si fermò di fianco a Sarah e
fissò un punto del pavimento davanti a lei. Erano entrambi in
silenzio concentrate sui loro ricordi.
Continua…
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Capitolo 11 *** Capitolo X. Secret ***
10
Capitolo X. Secret
- Ricordi il consulente? – chiese Sarah.
-
Sì, vagamente… un tipo insignificante –
Ronnie si portò un dito alle labbra cercando di ricordare
– John qualcosa…
- Markis? Markolis? – provò Collins.
- Markinson! – il viso di Leane si illuminò – John Markinson.
La
studio non era altro che un piccolo ufficio di due stanze messo a
disposizione dall’università. Gli psicologi erano tre e
dovevano seguire gli studenti che presentavano problemi di inserimento.
I
due agenti si avvicinarono convinti ad una ragazza seduta dietro la
scrivania che stava leggendo un libro. Mostrarono le proprie
credenziali, mentre la ragazza sbarrava gli occhi stupita.
- Perché siete qui? – chiese.
- Abbiamo problemi di inserimento – ironizzò Leane acida.
Sarah le diede una leggera gomitata e sorrise rassicurante alla ragazza, che era evidentemente spaventata.
- Siamo qui per un’indagine. Lei è la segretaria?
-
Ehm… io studio qui. Mi pagano per far accomodare le
persone e per impedire che qualcuno entri durante i colloqui, tutto qui.
-
Certo, capisco – il sorriso di Collins si era allargato
ulteriormente – Bisogna pur arrotondare le entrate, giusto?
- Già, io ho una borsa di studio, ma la mia famiglia non naviga nell’oro.
-
Ragazza coscienziosa, mi congratulo. Ehm… per caso ha
visto questa ragazza? – le mostrò una foto di Barnett.
-
Qui passa tanta gente – rispose dubbiosa, prendendo in mano
la foto – Aspettate… sì! Mi ricordo di lei. Era
terribilmente agitata quando è venuta, il dr. Markinson ci ha
impiegato un quarto d’ora buono per convincerla ad entrare
nell’altra stanza. Continuava a dire che nessuno poteva aiutarla,
sembrava una pazza.
- Ha notato qualcos’altro? – insistette Cameron.
-
Era particolarmente interessata a quei dépliant
laggiù. Nessuno li legge mai, invece lei li ha sfogliati tutti.
Anzi, ora che ci penso, prima di andare via è ripassata davanti
all’espositore e ne ha preso uno.
- L’ha più vista? – chiese Sarah accigliandosi.
-
No e la cosa non mi sorprese – l’espressione del
volto tradiva indifferenza per quella ragazza – Non ha neanche
finito la prima seduta. Dopo dieci minuti si è catapultata
fuori, dicendo che non le serviva una terapia psicologica.
- Per caso ricorda che tipo di dépliant ha preso? – provò di nuovo Collins.
- No, ma sono quasi tutti uguali.
Leane
si era messa a parlare con lo psicologo del campus, terrorizzandolo
letteralmente. Sarah non le aveva prestato attenzione, concentrata su
quell’espositore. Alla fine si voltò verso la sua compagna
e si avvicinò ai due. Sorrise pensando che Markinson
probabilmente non avrebbe mai più aiutato gli studenti, Ronnie
aveva fatto capire di considerarlo un sospettato e gli aveva palesato
la possibilità di passare al setaccio la sua vita privata.
Collins
le posò una mano sulla spalla, come a trattenerla da ulteriori
uscite infelici e regalò un largo sorriso allo psicologo.
-
Grazie della collaborazione dr Markinson – prese un
biglietto dalla tasca e glielo porse – Se dovesse venirle in
mente qualcos’altro, qualsiasi cosa, la prego gentilmente di
volermi contattare. Ora la lasciamo al suo lavoro.
L’uomo
prese il biglietto con un’aria sospettosa, poi guardò la
ragazza che l’aveva tormentato e fece un segno all’altra.
- Se volete che le persone siano disponibili con voi, dovreste cambiare il tipo di approccio.
-
Come? – Leane era sul piede di guerra, ma Sarah la prese
per un braccio e cominciò a trascinarla fuori.
- Ha perfettamente ragione, grazie del consiglio.
Arrivate a metà corridoio, Ron si libero della presa dell’altra con uno strattone.
-
Si può sapere che le prende? – era arrabbiate
– Quello è un sospettato. Le ricordo che stiamo cercando
una persona che abbia un qualche tipo di influenza su questi ragazzi,
chi meglio di uno psicologo.
-
Glielo dico subito agente Leane – le regalò uno dei
suoi sguardi di ghiaccio – Prima di partire in quarta avrebbe
fatto meglio a darsi un’occhiata intorno.
-
Come ha fatto lei? – ironizzò la ragazza – Non
ha partecipato minimamente all’interrogatorio di Markinson!
-
Avevo trovato qualcosa di molto più interessante –
dicendo così le mostrò il volantino, che Ron prontamente
le strappò dalle mani per leggere – Ricordi cosa ci ha
detto la compagna di stanza di Barnett a proposito della sua famiglia?
- Cavoli! – Leane la guardò stralunata – E ora?
-
Andiamo a fare una “chiacchieratina” con questa
persona – si avviò lungo il corridoio con passo sicuro,
poi si girò verso l’altra – Allora? Che fai vieni o
rimani qui?
Cameron
si era incantata a studiare il volantino tra le sue mani, al richiamo
di Collins alzò la testa indispettita pronta a ringhiare.
S’infilò il foglio in una tasca interna del giubbotto in
pelle, rimproverandosi di essersi fatta riconoscere anche in
quell’occasione s’incamminò decisa verso Collins.
- Certo che vengo – chiuse il discorso acida.
Senza degnarla di uno sguardo, superò l’ex insegnante che scosse la testa seguendola.
Il telefono squillò e prontamente Hotch rispose mettendo il vivavoce.
- Hotchner.
-
Sono Prentiss. Abbiamo delle novità. A quanto pare, oggi
pomeriggio due donne, che si sono presentate come agenti federali, sono
venute ad interrogare il dr. Markinson, del consultorio del campus
– Emily fece una breve pausa – Una delle due si è
comportata in modo sgarbato e ha interrogato il dottore come se fosse
un sospettato.
- Leane – risposero in coro Morgan, Hotch e Reid.
-
Cavoli. Non la conosciamo affatto, vero? – Prentiss
tornò subito seria – A quanto pare l’altra donna si
è interessata principalmente ai dépliant di un
espositore, ha richiamato la sua collega e sono uscite dirette
chissà dove. Sarah ha lasciato un biglietto da visita a
Markinson, pregandolo di ricontattarla nel caso ricordasse
qualcos’altro.
- E’ tutto? – chiese Morgan.
-
No. Il dottore ha provato tutto il pomeriggio a richiamarla con
scarsi risultati, partiva sempre la segreteria. Dice che Barnett
continuava a farneticare di peccato ed espiazione. Inoltre anche lei
era ossessionata da quei volantini.
- Che tipo di volantini sono? – Reid era visibilmente ansioso.
-
Per lo più di gruppi di auto aiuto, ma ce ne sono un paio
di alcune congregazioni religiose che si offrono di aiutare
“giovani che hanno perso la retta via” e cose del genere.
-
Prendete quei volantini e portateli qui. Dobbiamo comunicare a
Garcia… - Hotch cercava di mantenersi lucido.
-
Mi sono permessa di contattarla. Le ho fornito i dati delle varie
associazioni con i numeri di telefono da contattare. Ci sta già
lavorando. Io e Rossi dovremmo esseri lì fra venti minuti, siamo
per strada – Emily chiuse la conversazione.
-
Forse abbiamo qualcosa su cui lavorare – Morgan si
girò verso Spencer che era tornato a guardare lo schermo.
Il giovane
genio era sull’orlo di una crisi di nervi, ma nessuno poteva
biasimarlo. Derek gli si avvicinò e gli strinse delicatamente
una spalla.
- La troveremo, vedrai.
- Non abbiamo molto tempo.
Hotch si alzò a sua volta e si affiancò al ragazzo, dall’altra parte.
-
Faremo in tempo, quelle due sanno badare a loro stesse.
Riusciranno a tenere a bada l’S.I. abbastanza a lungo.
-
Smettetela! – Reid si scostò e si passò una
mano fra i capelli, tesissimo – Sono disarmate, devono smaltire
la droga che è stata loro somministrata, lui può vedere
loro ma non viceversa, e oltretutto Leane…
-
Leane cosa? – Derek corrugò la fronte, chiedendosi
perché Spencer avesse interrotto la sua analisi della situazione
in modo così brusco.
-
Niente… lasciamo perdere. Concentriamoci su quello che
abbiamo – non voleva tradire il segreto della sua collega.
Continua…
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Capitolo 12 *** Capitolo XI. Deep Inside ***
12
Capitolo XI. Deep inside
I ricordi
stavano tornando a pezzi lentamente ma era già qualcosa, almeno
non stavano brancolando nel vuoto come nei primi momenti. Leane si era
nuovamente seduta vicino a Collins con le ginocchia alzate, le braccia
intorno alle gambe e il viso verso il soffitto. Sarah dal canto suo
restava immobile e fissava concentrata un punto a caso della parete di
fronte, si girò verso la collega e la guardò sedersi al
suo fianco, era pallida e aveva un’espressione di marmo, non
trapelava nessun sentimento da quegli occhi verdi.
Sospirò
mentre poggiò la schiena al muro. Erano lì da qualche ora
e le sembrava di esserci da giorni, i minuti passavano lenti e pesanti
senza che succedesse niente, era snervante stare lì a non fare
nulla,avessero almeno qualcosa su cui ragionare… invece potevano
solo concentrarsi a rievocare gli eventi che le avevano portate fin
lì.
Cameron
evitava qualsiasi contatto visivo con la telecamera al contrario di
Sarah che sembrava trovarne un appiglio. Guardare
quell’obbiettivo sarebbe stato come guardare in faccia i suoi
compagni uno ad uno mentre viveva quell’incubo e lei non voleva
far trasparire niente di cosa stesse provando, era convinta che se
avesse ceduto nel guardarla, Morgan soprattutto, si sarebbe accorto che
in realtà era terrorizzata. Invece lei voleva essere forte e
fargli credere che era tutto apposto, di non preoccuparsi che ce
l’avrebbe fatta, così costruì un muro invisibile
tra lei e quella telecamera che non si azzardava ad oltrepassare.
Chi
gliel’avrebbe mai detto che sarebbe finita chiusa in un labirinto
nelle mani di uno psicopatico senza che potesse fare nulla per
difendersi? Oltretutto con l’ultima persona che si sarebbe mai
immaginata di vedere vicino a lei, con tanto di crisi di pianto da
parte di Collins e crisi di astinenza da parte sua. Se non fosse
terrorizzata da quello schifo di situazione si sarebbe messa a ridere,
per concludere tutto ci mancava solo una ramanzina di Collins ed era
apposto.
Pensò a come stessero reagendo i loro compagni: “Morgan
starà sicuramente distruggendo qualche porta, Hotch sarà
una statua, come se non fosse successo niente, idem Emily e Rossi,
Garcia si sarà fusa con la tastiera, Reid starà per avere
un infarto e io sono sull’orlo di un precipizio”.
Ricacciò indietro le lacrime e soffocò tutte le emozioni che volevano uscire “Non è il momento di cedere! Io non cedo mai! Che fine ha fatto il mio orgoglio!”.
Sentiva le mani tremare come foglie e l’ansia che faceva largo
insieme alla rabbia. Non si azzardava minimamente a poter pensare che
non ce l’avrebbe fatta, alla possibilità che avrebbe
potuto lasciare per sempre la sua “famiglia”, no, quella
possibilità non esisteva per Cameron.
Scacciò
via altri pensieri prima che s’impossessassero della sua mente,
qualunque cosa le avesse dato l’S.I. le aveva risvegliato voglie
e istinti che aveva sconfitto da tempo. Affondò la testa nelle
gambe facendo profondi respiri e si perse nei pensieri. “Dove
siete? Perché quando dobbiamo salvare noi gli altri facciamo
sempre in tempo e adesso che tocca a noi sembra non finire più?
Perché ci mettete così tanto? Smettila Ronnie di
piagnucolare, arriveranno in tempo e usciremo da qui sane e salve
perché è così che deve andare. Nessuno mi
può rapire, nessuno si prende gioco di me, sono io che ho sempre
tutto sottocontrollo e allora adesso perché sono finita qui?
Cosa ho sbagliato? Schifoso pazzo psicopatico, se ti trovo
t’infilo una pallottola in mezzo agli occhi!”.
Si girò verso Collins che sembrava altrettanto concentrata nei suoi pensieri “Dev’essere
proprio arrivata al limite se sono riuscita a vederla piangere per la
prima volta, non credo ricapiti più un occasione simile,
è più fredda di un pezzo di ghiaccio, uscita di qui le
riprenderà sicuramente la stitichezza emotiva… e a me che
succederà?”.
Sarah
continuava a concentrarsi sulla telecamera, cercando di non farsi
distrarre dai movimenti di Leane che continuava a spostarsi nervosa.
Sapeva che Spencer poteva vederla e cercava di mantenere il controllo,
se lui l’avesse vista cedere avrebbe perso le speranze e questo
non doveva accadere.
Si
concentrava sulla necessità di mantenere una faccia da poker con
Leane, la ragazza non doveva capire che lei era terrorizzata. Sapeva
che i problemi con la sua ex allieva sarebbero cominciati entro
ventiquattro ore dal momento in cui erano state drogate e lei non
sapeva quanto era passato esattamente. Quando la crisi di astinenza si
fosse presentata, Cameron avrebbe dovuto trovare un’ancora di
salvezza in lei.
Doveva essere
più dura e spietata dal solito, doveva punzecchiarla, incitarla,
scuotere l’orgoglio ipersviluppato della ragazza. Dovevano uscire
di lì, lei doveva tornare da suo figlio sana e salva.
L’unica sua possibilità era mantenere la ragazza sotto
controllo e non permettere agli altri della squadra di arrendersi.
Il pensiero
di Chris era un chiodo fisso per lei. Suo figlio doveva avere
un'infanzia normale e non costellata da lutti e perdite. Sapeva cosa
significava perdere la propria madre, Chris non doveva provare quel
dolore.
Aveva visto il piccolo Jack tramutarsi in un bambino taciturno,
attaccato al padre in maniera morbosa. Aveva convinto Aaron a
lasciarglielo sempre più spesso, in modo che potesse giocare con
il piccolo Christopher e trovare una sorta di “madre
surrogato” in lei. La cosa sembrava funzionare, ma come avrebbe
reagito il piccolo Hotchner se anche a lei fosse successo qualcosa?
Poi
c’era suo padre, l’immenso senso di colpa che gli leggeva
negli occhi ogni volta che si guardavano. Non ne avevano mai parlato
apertamente, ma sapeva che Jason si era pentito della decisione presa
prima della sua nascita. Suo padre era logorato anche dalla decisione
che aveva preso vent’anni dopo: quella di mandarla a Lione per
metterla al sicuro dalle insidie del loro lavoro.
Nessuno dei
due era bravo ad esternare i propri sentimenti e questo era sempre
stato fonte di incomprensioni e risentimenti da parte di entrambi. Con
il tempo Spencer aveva imparato a fare da mediatore fra loro,
spronandoli a essere più espansivi, a parlare, a capirsi.
Doveva
lottare per Derek, il suo migliore amico. Quante chiacchierate fino a
notte fonda, quante risate e quanti discorsi seri. La persona
più simile a lei all’interno della squadra, quello che non
parlava mai dei suoi sentimenti. Sorrise ricordando quante spinte nella
giusta direzione aveva dovuto dargli per convincerlo che meritava la
felicità, che anche lui poteva amare e essere riamato.
Emily, con
cui aveva diviso le pene di un amore che credevano non corrisposto, con
cui aveva gioito nello scoprire che entrambe sbagliavano. Con lei aveva
scoperto la complicità femminile, un’amica fidata con cui
parlare, una sorella che non le negava mai un dolce sorriso e un
abbraccio.
Hotch,
l’uomo a cui aveva spezzato il cuore, ma per cui provava
un’infinita tenerezza. Quando pensava che il suo amore per
Spencer non fosse ricambiato aveva vissuto l’inferno e quindi
poteva capire il suo ex capo. Empatia, una delle doti necessarie per
essere un bravo profiler. Anche se si nascondeva dietro il suo sguardo
di ghiaccio, lei possedeva quella dote e proprio per questo i suoi
slanci verso quell’uomo che non sorrideva mai erano dettati da
una profonda comprensione.
Rossi, che
oltre ad essere un bravo profiler, era anche uomo estremamente
perspicace. Lui aveva intuito da subito la verità che si celava
dietro il suo rapporto di amore-odio con Jason. Non aveva mai detto
niente e si era limitato a vegliare su di lei nell’ombra. Una
frase gentile qui, una pacca sulla spalla là… sempre
pronto ad incoraggiarla, a farle sentire che non era sola.
Garcia che
illuminava con un sorriso la stanza. Ore ed ore passate nel suo ufficio
a parlare di programmi e applicazioni, di pettegolezzi e di facezie.
Sempre pronta a tirarla su con una battuta o un soprannome assurdo,
lesta nel sorridere e rallegrare le loro vite. Dolce come lo zucchero e
forte come l’acciaio. Sempre in pensiero per i suoi
“ragazzi”, non poteva darle quel dolore.
E poi…
c’era lui. L’uomo che l’aveva “guarita”
dalle ferite che le aveva procurato Mark. Spencer era stato dolce,
passionale, paziente ed estremamente comprensivo. Le aveva regalato la
gioia di vivere, le aveva insegnato a svegliarsi al mattino con un
sorriso sulle labbra.
Tutti
pensavano che fosse un uomo fragile, ma non lo conoscevano veramente.
Nonostante tutto quello che la vita gli aveva fatto, lui riusciva
sempre a rialzarsi con un sorriso sulle labbra. Lui era forte, non si
arrendeva mai. Non voleva essere lei a farlo cadere di nuovo, no! Lei
avrebbe reagito e sarebbe tornata da lui, perché questa era
l’unica cosa che contava.
Si alzò in piedi di scatto e si voltò a guardare Leane con la determinazione dipinta sul volto.
- In piedi, agente – il tono era perentorio – E’ ora di darsi da fare.
Si alzò immediatamente a quell’ordine, con la stessa determinazione dell’ex insegnante.
- Era ora, mi stavo annoiando.
Continua…
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Capitolo 13 *** Capitolo XII. The plane ***
12
Capitolo XII. The plane
- Quanto pesi? – Sarah la guardava spassionatamente.
-
Cos’è? Invece di pensare ad un piano per uscire di
qui, ci diamo alle chiacchiere fra donne? – il caratteraccio di
Leane era esasperato dall’imminente crisi di astinenza.
-
Congratulazioni, agente Leane, vedo che il suo senso
dell’umorismo non risente della situazione – Sarah
continuava a fissarla – Si rende conto che lui può vederci
ma noi non possiamo vedere lui?
- E allora? – Cameron incrociò le braccia.
-
Io sono per il gioco ad armi pari – un sorriso ironico
piegò le labbra di Collins – Venga con me e si tolga le
scarpe.
Senza
aspettare la risposta, la donna si avvicinò all’angolo
della stanza dov’era posizionata la telecamera. Con un brivido
Ronnie capì dove stesse andando a parare l’altra.
- Ma così tagliamo fuori anche gli altri – la guardava sbigottita.
-
Si staranno muovendo per trovarci, non si preoccupi – Sarah
guardò ancora nella telecamera – Non possiamo permetterci
di partire svantaggiate.
Cameron
annuì e si tolse le scarpe prima di raggiungere l’altra.
Sarah la issò fino alla piccola telecamera e Ron staccò i
fili che la tenevano accesa.
-
Cosa diavolo stanno facendo? – Derek aveva visto Cameron
togliersi le scarpe e Sarah avvicinarsi all’obiettivo.
Spencer
cercò di mantenere la mente lucida. Sapeva perché era
necessario farlo, ma si sentiva morire dentro alla prospettiva di non
potersi assicurare che la moglie stesse bene.
Improvvisamente
il monitor si riempì di neve, come i televisori senza antenna.
Hotch si alzò dal suo posto con gli occhi sbarrati.
- Sono impazzite?
-
No, cercano di riequilibrare la situazione – disse Reid
dando le spalle a tutti – In questo modo l’S.I. non
può tenerle d’occhio e loro hanno una possibilità
di prenderlo di sorpresa.
- Ma così ci hanno chiuso fuori! – Morgan diede un altro pungo alla porta.
- Sarah sa quello che fa – Spencer cercò di attaccarsi a quel pensiero.
Cameron si
era seduta per terra e si stava rimettendo i suoi adorati anfibi. Sarah
le dava le spalle e continuava a guardare la porta, la postura tradiva
una certa tensione.
- E ora? – Leane si rimise in piedi.
-
Sarà lui a dover venire da noi – Collins non
staccava gli occhi dalla porta – Sa qual è la prassi in
queste situazioni, vero?
Leane scosse
la testa. Non aveva mai dovuto affrontare una cosa simile e non
riusciva a ricordare niente del genere durante il suo addestramento.
- Derek – bisbigliò Sarah guardandola solo un momento.
Ronnie
finalmente capì. Le manovre di accerchiamento che aveva studiato
con Morgan, ecco a cosa si riferiva l’altra. Annuì
rincuorata, sì decisamente quella poteva essere la loro unica
possibilità.
Sembravano
passate ore, invece che pochi minuti. Si sentiva solo i respiri delle
due donne dentro la stanza. Improvvisamente Sarah si tese e fece un
gesto all’altra.
Rumore di
passi pesanti lungo il corridoio dietro la porta. C’era qualcuno
fuori dalla stanza, sicuramente il pazzo che le aveva imprigionate. Una
voce maschile parlò, prima ancora che la serratura scattasse.
-
Pessima mossa, mie care. Potevate stare tranquille ancora un
po’, ma visto che insistete tanto credo che per voi sia arrivato
il momento del giudizio.
Un uomo con
un cappuccio e una lunga tunica entrò nella stanza e rimase
fermo sulla soglia. Le braccia lungo i fianchi, in atteggiamento di
attesa. Sobbalzò quando si rese conto che contro le sue
aspettative le due non si trovavano vicine, ma erano posizionate sui
due angoli estremi della camera.
Guardò
ora l’una, ora l’altra, incerto su cosa fare. Poi
pensò di aver individuato l’anello debole ed estrasse il
pugnale. Ancora un attimo di indecisione e poi si avventò su
Cameron.
La ragazza
prontamente schivò il colpo, mentre da dietro Sarah assestava un
calcio sulla schiena dell’aggressore. Per il dolore l’uomo
lasciò cadere la sua arma, che Leane afferrò prontamente.
Come l’uomo tornò a voltarsi, Collins partì con un
altro calcio. Stavolta il movimento era dal basso verso l’alto ed
impattò in maniera sicura sulle parti intime dello sconosciuto.
Afferrò
la mano di Cameron e si precipitò fuori dalla loro prigione.
Chiuse la porta e cercò di tenere la maniglia verso
l’alto, in modo che il loro sequestratore non potesse uscire.
- Trova qualcosa per bloccarla! – Sarah tirava come una disperata.
Leane si
guardò intorno e notò una spranga di ferro che sembrava
della lunghezza giusta. Con perizia la posizionò tra il
pavimento e la maniglia, in modo che quest’ultima non potesse
scendere per liberare il loro aggressore.
- E ora? – chiese Ronnie con il fiato corto.
- Corri più veloce che puoi! – le intimò Sarah cominciando una folle corsa.
La
seguì più veloce che poteva, non avevano la minima idea
di quale fosse la direzione, l’obiettivo per il momento era
correre immaginando una via d’uscita da lì.
Non sapeva da
quanto tempo stava correndo, vedeva solo corridoi davanti a lei oltre
la figura di Sarah, improvvisamente cominciò a vedere tanti
puntini bianchi tra lei e le pareti, appena trovò un angolo nel
muro vi appoggiò le mani sbattendo contro di esso senza riuscire
a rallentare in tempo. Sarah si girò non sentendola più
alle sue spalle.
Ronnie vedeva
tutto nero e le girava la testa, si appoggiò con la schiena al
muro per un momento per non rischiare di perdere l’equilibrio e
cadere.
- Leane! Le sembra il momento per un sonnellino?
- Un attimo! Un attimo accidenti!
- Era così fiacca anche durante l’addestramento?
“Stai
zitta!”. Cominciava a sudare e si fece una mezza coda con un
legaccio che portava al polso. Il fischio alle orecchie sparì e
la vista tornò normale almeno per il momento.
- Non sono fiacca!- era pronta a continuare quella folle corsa verso chissà dove.
Sarah cercava
di farsi forza, era evidente che Leane era sull’orlo del baratro.
Si chiese quanto ancora avrebbe resistito prima che la crisi entrasse
nel pieno e le togliesse ogni possibilità di lottare. Fece un
respiro profondo e prese la sua decisione.
L’uomo
era destro. Statisticamente ad un bivio avrebbe preso la direzione
della sua mano dominante. Afferrò Cameron per un gomito e la
portò in fondo al corridoio a T. Due strade si dipanavano
davanti a loro, due vie di fuga. Esitò un solo istante, poi
sentì il rumore della leva di metallo che avevano usato per
bloccare la porta.
Loro erano in
trappola e quell’uomo si sarebbe liberato presto. Afferrò
Cameron per le spalle e la guardò intensamente.
- Ascoltami bene, sturati quelle maledette orecchie e segui alla lettera le mie istruzioni…
Gli occhi di Ronnie si granarono mano a mano che l’altra le dava le stringate direttive da seguire.
- NO! – non poteva credere a quello che Collins le stava chiedendo.
La mano di
Sarah partì prima che l’altra se ne rendesse conto. Leane
si portò la mano sulla guancia che bruciava per l’impatto,
mentre la sua ex insegnante la scuoteva esasperata.
- Farai quello che ti ho ordinato e senza discutere!
- E’ un suicidio.
- Fallo e basta!
Continua…
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Capitolo 14 *** Capitolo XIII. Alone ***
13
Capitolo XIII. Alone
Sarah aveva preso la sua decisione, ma Leane non sembrava disposta a
cooperare. Aveva dovuto schiaffeggiarla per farla tacere una buona
volta, Cameron doveva fare quello che lei gli aveva ordinato.
- Allora, ripeti cosa devi fare? – lo sguardo di Collins non tradiva nessun tipo di emozione.
- Devo andare a sinistra, se mi trovo davanti ad un
bivio come questo devo sempre svoltare a sinistra, mai a destra –
ripeté Ronnie, respirando profondamente.
- Brava – Sarah le diede un leggero colpetto sulla spalla – Hai ancora il pugnale?
- Sì – la ragazza lo tolse dalla cinta,
dove l’aveva incastrato – Forse è meglio che lo
prenda lei…
- No, è la tua sola speranza nel caso ti trovasse - dicendo così respinse la mano di Leane.
- E lei come si difenderà? – Cameron la guardava sempre più stupita.
- Io non sono sull’orlo di una crisi di astinenza, sono ancora in grado di ragionare lucidamente.
- Perché devo andare a sinistra? – Leane aggrottò la fronte.
- Perché lui è destrorso…
- Come? – non seguiva il ragionamento.
- Secondo uno studio scientifico, davanti ad un bivio
si è sempre portati a prendere la direzione della mano dominante
– spiegò Collins guardandola ancora negli occhi –
Ora vai, cerca di nasconderti. Mi raccomando, qualsiasi cosa succeda
cerca di rimanere al riparo.
- E’ un suicidio! – mille pensieri si affollavano nella mente confusa della giovane.
- Ce la faremo, vedrai. Gli altri ci stanno cercando,
il tuo unico compito è di tener duro fino al loro arrivo.
- Ma lei come farà? – si rifiutava di incrociare il suo sguardo.
- Non preoccupartene adesso, vai. Non farmi perdere tempo.
Anche se esitante, Leane cominciò ad incamminarsi verso
sinistra. Un pensiero attraverso la mente di Collins, non voleva
pensarci ma era un’eventualità da non scartare.
- Leane… se mi dovesse succedere
qualcosa… dì a mio figlio che gli volevo bene e dì
a Spencer… - un sorriso le incurvò le labbra – Non
importata, lui lo sa.
Cameron rimandò indietro le lacrime.
- Non dica un'altra parola – la voce aveva
ripreso l’acidità e l’esasperazione per quella
situazione.
Sarah Collins, la persona più fredda e scostante che conoscesse
stava rischiando la vita per darle una possibilità. Si sentiva
da schifo, ma sapeva che la donna aveva ragione. Oramai sentiva la
crisi arrivare galoppante, il malore di poco prima era solo
l’assaggio iniziale. A parti invertite lei non avrebbe avuto
speranze.
Guardò il corridoio davanti a lei e fece una promessa silenziosa “Un giorno mi sdebiterò, quindi non faccia scherzi e veda di uscirne sana e salva”. Si voltò e vide la donna ferma con gli occhi chiusi, poi riprese fiato e cominciò la sua corsa.
Non si era più voltata da quando aveva lasciato Sarah al bivio,
doveva resistere a tutti i suoi impulsi di rifiutarsi, di tornare
indietro. Doveva solo fare ciò che le aveva detto, quella
sembrava l’unica via d’uscita possibile, almeno per lei.
Teneva il coltello stretto nella mano mentre correva, per ora
c’era solo un lungo corridoio che si parava davanti a lei, lo
percorse cercando di non pensare a niente, di tenere la mente lucida
concentrandosi sulla presa dell’arma. Anche se era cintura nera
di judo e con il coltello se la cavava piuttosto bene in quel momento
l’unica cosa che voleva era la sua pistola a darle protezione e
sicurezza, non era in grado di avere riflessi abbastanza lucidi per un
combattimento corpo a corpo.
Non si era mai sentita le gambe così pesanti fino a quel
momento, non poteva certo levarsi gli anfibi e lasciarli in giro “Non fa niente, son tutti muscoli, continua a correre e non ci pensare”.
Rallentò di colpo quando vide il muro davanti a lei, non c era
un bivio a T ma solo la possibilità di svoltare a sinistra.
Svoltò la curva e quello che vide era lo stesso panorama di
prima: corridoi-pareti, pareti-corridoi, “Non voglio più vedere un labirinto neanche sullo schermo di un computer”.
Adesso non correva più, doveva riposarsi così
cominciò a camminare con passo veloce, gli unici suoni che
sentiva erano il rumore dei suoi passi, i lunghi capelli che battevano
sulla schiena e il suo respiro affannoso, reso pesante
dall’affaticamento e dalla crisi imminente.
C’era troppo silenzio per riuscire a non farsi sorprendere dai
propri pensieri, incrociò le braccia e strinse i denti
soffocando un’altra volta le lacrime. Era impossibile non
pensarci, era più forte di lei, si sentiva dannatamente in colpa
per aver dato retta a Sarah.
Non avrebbero dovuto dividersi, non doveva permetterglielo, se gli
fosse successo qualcosa per questa stupida decisione non se lo sarebbe
mai perdonato, di sicuro avrebbe abbandonato per sempre la squadra,
incapace di guardare in faccia Reid senza sentirsi uno schifo e una
vigliacca.
Si fece sopraffare improvvisamente da un pensiero e si fermò
incerta se dargli ascolto o continuare ad eseguire gli ordini, si
girò indietro e vide la strada fatta fino ad allora, c’era
un silenzio tombale, si avvicinò al muro e vi poggiò la
fronte, chiuse gli occhi e lottò contro quel pensiero che le
martellava la testa “Torna
indietro stupida vigliacca stai correndo come un coniglio impaurito!
Hai lasciato da sola Sarah Collins che sta rischiando la vita per te e
l’unica cosa che stai facendo è correre! Ma che ti
è preso? Cameron Leane non scapperebbe mai, raggiungerebbe Sarah
e affronterebbe quello psicopatico una volta per tutte e vada come deve
andare! Avresti dovuto ucciderlo quando ce l’avevi di fronte con
il coltello in mano, sai che succederà adesso? Troverà
prima lei e la farà fuori, a te esploderà la crisi prima
che ti raggiunga e sistemi anche te, così l’unica cosa che
vedranno Morgan e Reid saranno i vostri corpi a pezzi!“
“BASTA! SMETTILA!”.
Sbatté violentemente la mano aperta sul muro con tutta la rabbia
che aveva, come se fosse l’unico modo di far smettere quella voce
insistente. Riaprì gli occhi e guardò il coltello alla
mano destra, se lo girò un paio di volte fra le dita, si sedette
per terra in un angolo che poteva nasconderla ad una prima occhiata e
mandò la testa all’indietro, richiuse le palpebre e si
concentrò sulla lama che scorreva lieve sulla guancia come una
carezza.
Voleva aprire gli occhi e vedere l’intera squadra sorridere,
invece vide solo il solito corridoio tetro e aniconico. “Okay
sto impazzendo questo è chiaro, e non è il momento di
farsi prendere dalla pazzia… più tardi forse, se
sarò viva”.
Si alzò e constatò i sintomi della crisi, brividi, sudore
freddo, spossatezza, nervosismo, esaurimento, rabbia e un desiderio
dimenticato da tempo che si faceva spazio in lei prepotente.
Pensò a quanto stesse dando fuori di matto Morgan nel tentativo
di trovarle, aveva bisogno di lui e di un suo abbraccio invece non
c’era nessuno, si asciugò una lacrima con la mano.
“Sono l’agente Cameron
Leane, sto bene, la squadra ci troverà, non ho bisogno di quella
cosa e devo solo eseguire gli ordini come ogni giorno”. Guardò il corridoio che aveva lasciato a metà e riprese a correre.
Sentì Cameron cominciare a correre e per lei fu il segnale che
era arrivato il momento. La guardò allontanarsi e una volta
sicura che Leane avrebbe eseguito i suoi ordini, guardò la mano
che poco prima aveva poggiato sul pugnale. La ragazza era talmente
agitata che non si era resa conto dei movimenti di Collins. Si era
deliberatamente tagliata ed ora il sangue cominciava a filtrare
attraverso le dita.
Di nuovo quel rumore metallico, decisamente l’S.I. stava facendo
di tutto per liberarsi, non aveva molto tempo. Guardò la
telecamera posta all’angolo del corridoio e sorrise. “Dammi
la forza”, dedicò un ultimo pensiero a Spencer e Chris.
Appoggiò la mano sul muro poco dopo la svolta del corridoio,
macchiandolo con il suo sangue e strusciando la mano da sinistra verso
destra. L’uomo avrebbe sicuramente notato quella macchia.
Si asciugò rabbiosamente una lacrima che era sfuggita al suo rigido controllo e cominciò la sua folle corsa.
Il corridoio era delineato da pareti scrostate, come la stanza dove
erano state rinchiuse, il colore era indefinito, fra il verde e il
grigio. Qualcosa le martellava in testa. Vide delle finestre con delle
sbarre verso l’esterno. Si fermò solo un attimo a
contemplare il mondo al di fuori di quell’inferno.
Vedeva solo alti alberi e non sentiva rumori provenienti da fuori.
Brutto segno, erano in un’area virtualmente deserta. Riprese a
correre seguendo il corridoio e cercò di distaccare la mente
concentrandosi su un indizio che potesse aiutare gli altri a trovarle.
Dopo un paio di svolte si trovò davanti una grossa porta, con
delle maniglie anti-panico. Entrò decisa e si trovò
davanti una nuova speranza.
“SCALE!” Si
sentiva euforica fino a che un rumore attutito non la fece sobbalzare.
La spranga di ferro era caduta, quell’uomo era di nuovo libero di
cercarle e finire il suo lavoro. Prese un profondo respiro e
guardò ancora una volta le scale.
Cominciò a scenderle di corsa, sperando che l’uomo la
seguisse e lasciasse in pace Leane che ora stava combattendo una
battaglia tutta personale.
Continua…
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Capitolo 15 *** Capitolo XIV. Who is he? ***
14
Capitolo XIV. Who is he?
Morgan continuava a
giocare con il mouse, cambiando continuamente la telecamera di
riferimento, cercava disperatamente Sarah e Cameron. Sapeva che erano
chiuse in una stanza e che avevano staccato il circuito di
collegamento, ma se il killer seguiva il solito schema presto le
avrebbe liberate.
Vide una figura aprire
una porta ed entrare con in mano un pugnale. Trattenne il fiato,
sperando che non fosse andato direttamente dalle ragazze. La porta si
riaprì poco dopo, Cameron si catapultò fuori seguita da
Sarah che richiuse la porta e si sforzava di bloccarla.
- Sono libere! – l’urlo di Morgan fece sobbalzare il resto del team.
Puntarono tutti gli occhi
sul monitor, era inquadrato un lungo corridoio dove Cameron si muoveva
alla ricerca di qualcosa, mentre Collins rimaneva attaccata alla porta
e la tirava con tutte le sue forze.
Leane andò in
soccorso della collega con una spranga metallica che sistemo sotto la
maniglia, poi le due cominciarono una folle corse.
- Sono riuscite a scappare! – Derek non staccava gli occhi da quelle immagini rassicuranti.
- Ma
ora devono trovare l’uscita – fece notare Reid – Non
sappiamo cosa sia successo là dentro. Potrebbero solo averlo
imprigionato.
- Oppure sono riuscite a stordirlo – Emily si aggrappava a qualsiasi speranza.
-
Qualunque cosa siano riuscite a fare, hanno poco tempo –
fece notare Rossi tamburellando nervoso sul tavolo.
Morgan continuava a
cambiare inquadratura seguendo le due all’interno del labirinto.
Videro Ronnie sbattere contro una parete e Sarah che le si avvicinava.
- Cosa
diavolo sta succedendo? Ron è molto in forma, perché
diavolo non regge il ritmo? – Derek era sconcertato.
Spencer guardò
l’amico di sottecchi, non sapeva esattamente quanto fosse noto
agli altri sul passato della ragazza, ma si rese conto che non era
più il momento di indugiare.
- Crisi di astinenza – sentenziò scuotendo la testa.
- Leane non è una drogata – Prentiss difese subito l’amica.
- O almeno non più – Reid non mollava.
- Cosa te lo fa dire? – Morgan si stava alterando.
- Qualsiasi cosa gli abbia dato l’S.I., ha scatenato in lei una crisi di astinenza.
- Sei sicuro? – chiese Hotch.
- Fidati, ne so qualcosa – ammise il genio chinando il capo.
- Vuoi
dire che sono rinchiuse lì dentro, con un pazzo che le insegue e
Ronnie sta andando in crisi di astinenza? – Morgan si passo le
mani sulla testa, cominciava a sudare – Cos’altro
può succedere?
Videro Collins trascinare
Leane lungo il corridoio, fino ad un bivio, afferrarla per le spalle e
scuoterla, mentre le diceva qualcosa. Videro chiaramente Ronnie
dissentire ed in risposta fu colpita da uno schiaffo.
Le due donne si
fronteggiavano, la prima a chinare il capo fu Cameron. Sarah le disse
ancora qualcosa e la ragazza tirò fuori un coltello, che
sicuramente aveva preso al killer. Collins vi passò sopra una
mano e lo spinse indietro.
Leane si incamminò
verso sinistra mentre Sarah rimase ferma con gli occhi chiusi. Morgan
spostò ancora l’inquadratura e videro Cameron cominciare a
correre. Sarah riaprì gli occhi, si voltò verso la
telecamera e sorrise, poi chinò la testa e si osservò il
pugno chiuso.
-
Perché si sono separate? E’ una follia! –
Morgan era sempre più vicino a perdere il controllo.
- Sarah
vuole provare a salvare Leane – Reid ingoiò a vuoto un
paio di volte – Ti prego, non lo fare.
Collins guardò ancora una volta l’obiettivo e le sue labbra formarono lentamente la frase “mi dispiace”.
- No!
– Spencer si spostò in avanti come se potesse afferrare
sua moglie e impedirle di fare quella scelta.
La donna aprì
lentamente la mano sinistra e la passo sul muro, lasciando una chiara
impronta di sangue che andava verso destra. Dopo di ché
cominciò a correre lungo il corridoio.
- Si sta portando dietro l’S.I. – Prentiss era allibita.
Correva spinta solo dalla
sua forza di volontà staccando il cervello dal resto del corpo.
Rallentò nuovamente cominciando a camminare non appena vide il
corridoio diramarsi nel suo primo bivio a T, si fermò col
fiatone tra le due vie, guardò prima una poi l’altra, due
possibilità identiche tra loro.
Sobbalzò sentendo
in lontananza un eco metallico, doveva essere la spranga che
l’S.I. era riuscito a togliere dalla porta, ci
sarebbe voluto poco tempo prima che avesse raggiunto una delle due e
non c’era molto da pensare, fece come le aveva raccomandato
Collins e svoltò a sinistra.
Riprese il suo cammino
con passi lunghi e spediti cercando di fare meno rumore possibile,
nella mano si arrovellava il coltello che in quel momento sembrava
essere il suo giocattolo preferito. L’aria che incontrava il suo
viso mentre camminava le faceva sentire una guancia fredda e umida
“Adesso non mi rendo conto neanche di piangere”
pensò tra di sé, si passò una mano sul viso non
così delicatamente asciugandosi la guancia destra, posò
gli occhi sul palmo della mano e si fermò di colpo
concentrandosi su quel liquido scuro. Gli occhi si stavano abituando
alla penombra del corridoio ma di certo quelle non erano lacrime.
Poco prima si era passata
“dolcemente” la lama sul viso ma non era ferita né
lì né in altre parti del corpo, quando capì a chi
apparteneva quel sangue il coltello cadde sul pavimento seguito da
Ronnie che restò in ginocchio a fissarlo, eppure l’aveva
contemplato anche prima ma aveva la mente offuscata da troppi pensieri
per rendersi conto di quello che vedeva realmente. Restò con le
mani poggiate sul pavimento sentendo tremare le braccia e tutto il
resto del corpo, non sapeva se per la crisi o se per la rabbia verso se
stessa “Cosa diavolo ho fatto?” continuava a ripetersi e questa volta non ebbe dubbi, furono le lacrime a scorrerle sul viso.
Sarah cercò di
riprendere fiato poggiandosi alla parete, sapeva di non potersi
permettere lunghe pause ma aveva un disperato bisogno di riordinare le
idee.
Ricordava di essersi
recata ad un centro di ascolto per giovani con problemi spirituali,
prima di entrare aveva chiamato Hotch. Con la coda dell’occhio
aveva notato Cameron allontanarsi dietro un angolo e aveva provato a
chiamarla indietro.
Rumori confusi, come di
una colluttazione e poi un tonfo sordo. Era corsa e una volta svoltato
l’angolo aveva trovato Leane riversa sul selciato. Si era
inginocchiata vicino a lei ed aveva provato a scuoterla non ottenendo
nessun risultato. Mentre parlava con Aaron, qualcuno le aveva messo un
fazzoletto sulla bocca.
Ricordava di aver lottato
furiosamente e poi aveva avvertito un doloro, come una puntura, sul
braccio. Prima che tutto diventasse buio era riuscita a vedere un
dettaglio importante: un collarino da sacerdote.
Sì volto con gli occhi sgranati verso la telecamera più vicina.
- Un prete – cercò di scandire bene le parole – E’ un prete!
Hotch fissava Collins,
mentre Derek continuava a seguire i movimenti di Leane. Vide
distintamente la donna voltarsi verso la telecamera e dire qualcosa
facendo una pausa tra una parola e l’altra.
Si concentrò sulle labbra di Sarah e poi si precipitò sul telefono. Compose il numero e mise il vivavoce.
- Garcia – la rossa spumeggiante non era in vena di scherzi.
- Ci sono preti in quella lista che ti abbiamo fornito?
- Quella dei volantini?
- Esatto, ci sono dei preti? – Hotch era concentratissimo.
- Sì, un paio.
- Vedi se ci sono collegamenti con Biloxi.
- Subito! – una breve pausa – Sì, uno di loro viene da Biloxi. O mio dio!
Continua……
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Capitolo 16 *** Capitolo XV. Where are you? ***
15
Capitolo XV. Where are you?
“Alzati, alzati agente Cameron Leane!”
cercò di dare a quella voce nella sua testa per non scivolare
nuovamente nella pazzia e nei sensi di colpa. Diede uno sguardo a
quello che aveva davanti, un corridoio tanto per cambiare ma
c’era una porta alla fine di esso, notò anche che lungo il
perimetro era posizionata un'altra telecamera e non esisteva che la
vedessero in quello stato.
Afferrò il coltello e lo strinse nella mano, “maledetto”,
fece forza sulle gambe e si alzò in piedi barcollante respirando
profondamente. Riprese a camminare vedendo la destinazione sempre
più vicina, una via d’uscita, la fine di tutto questo
sperò. Arrivò a quella porta spinta da una nuova luce e
speranza, aveva una lunga maniglia di ferro stile uscita di sicurezza,
prese fiato e cominciò a spingere più che poteva.
Niente, la porta non si apriva.
Ripeté
l’operazione facendo forza su gambe e braccia quando
un’immagine le attraversò la mente, la vittima numero due,
Allison Barnett, mentre compiva le stesse azioni e veniva pugnalata al
cuore senza pietà. “Prova fallita, la peccatrice è
stata punita”.
Si girò di scatto
con un morso di paura tagliando l’aria con il coltello credendo
di colpire qualcuno, ma il corridoio era vuoto, la sua mente si stava
prendendo gioco di lei, condizionata da quella situazione. Sentiva il
petto gonfiarsi e sgonfiarsi ritmicamente, sbatté gli occhi
più volte per essere sicura di quello che vedeva.
No, non c’era
nessuno era solo un’illusione. Il nervoso e la delusione
crescevano sempre di più, strinse gli occhi e i denti e mosse i
primi passi verso il bivio che si era lasciata alle spalle, così
svoltò nuovamente a sinistra.
-
Patrick O’Brian, quarantasei anni – scandì
Garcia – E’ un prete cattolico di origini irlandesi,
è stato docente presso la Catholic High School di Biloxi per
circa otto anni. Era uno degli insegnanti di Mary Oldbride.
L’anno scorso è stato trasferito dall’Arcidiocesi a
New Haven, presso la chiesa di Saint Gabriel.
- Sai dirci altro di lui? – chiese Hotch.
-
Bambolina, abbiamo bisogno di un indizio. Dove può averle
portate – Morgan continuava a fissare lo schermo.
-
C’è dell’altro… è originario di
New Haven, a tredici anni fu internato in un ospedale psichiatrico. La
diagnosi era “turbe psichiche con allucinazioni auditive”.
- Cioè? – chiese Rossi.
-
Sentiva le voci – tagliò corto Reid – E’
possibile parlare con uno dei medici che lo tenevano in cura?
-
Difficile – ammise l’informatica –
L’ospedale è stato chiuso svariati anni fa, i medici che
lo avevano in cura sono tutti in pensione.
Morgan sbatté il
pugno sul tavolo. Leane era palesemente spaesata e non in se,
continuava ad agitare il coltello nell’aria come se cercasse di
ferire qualcuno. Dovevano trovarle prima di O’Brian.
-
Aspettate – Reid si voltò a guardare lo schermo
– Hai detto che l’ospedale è stato chiuso. Cosa ne
è stato della struttura?
- Non
era una struttura statale, apparteneva alla diocesi. Tutt’ora
l’edificio è vuoto, non è stato destinato a
nient’altro. Troppo costosa la ristrutturazione – Garcia
fece una breve pausa – Dalle carte risulta che la chiesa che se
ne dovrebbe occupare è… cavoli! La chiesa di Saint
Gabriel!
- Puoi
mandarci l’indirizzo – Hotch si era scambiato uno sguardo
di intesa con Reid – E’ probabile che si trovino lì.
- Sta
viaggiando verso i vostri palmari. Riportatemi indietro la francesina e
dinamite. Possibilmente tutte intere.
- Ci può scommettere, dolcezza – Derek era già sulla porta.
-
Andate avanti, io avverto la polizia e arrivo con i rinforzi.
State attenti, quello psicopatico non è prevedibile, potrebbe
decidere di non volersi arrendere.
- Sappiamo cosa fare – annuì Rossi toccando la pistola.
- Le riporteremo indietro sane e salve – garantì Prentiss.
- Reid, vai anche tu.
- Non riusciresti a tenermi qui, neanche se mi legassi – Spencer era già sulla porta.
Non aveva idea di quanto
tempo fosse passato da quando erano state rapite, di sicuro era
troppo. Ronnie cominciava a sentire il peso della crisi mentre
vedeva le pareti bianche verdastre passarle ai lati. Ora si rifiutava
deliberatamente di correre, avrebbe sprecato troppe energie, continuava
a camminare spedita concentrandosi su ogni dettaglio e rumore intorno a
lei, il corridoio proseguiva verso destra e constatò che la
aspettava un’altra lunga camminata, le sue gambe si muovevano per
inerzia come se l’obiettivo fosse solo un miraggio.
Non rendendosene conto
arrivò alla fine prima di quanto potesse pensare, oppure era il
suo cervello che non riusciva a calcolare più il tempo che
passava. Si trovò davanti ad un muro bianco con ai lati due
porte entrambe identiche a quelle incontrate fino ad allora,
guardò prima una poi l’altra dopo di ché
spalancò la destra, aprì quella di sinistra ed entrandovi
richiudendola piano.
Vi poggiò la
schiena contro e restò ferma, sentiva di avere la pressione
bassa e si sforzò di rimanere in piedi mantenendosi alla
maniglia di ferro ma le gambe cedettero come due spugne morbide.
Lasciò cadere il coltello a qualche passo da lei e si
accasciò sul pavimento a pancia in giù, sentiva fischiare
le orecchie e il cervello che scoppiava, strinse forte gli occhi e si
lasciò sfuggire un lamento mentre con la mano si stringeva la
maglietta.
Il cuore cominciò
a battere forte e velocemente, cominciava a sudare freddo, si
voltò subito a pancia in su cercando aria fresca da mandare nei
polmoni, iniziò a muovere la testa da una parte all’altra
ansimando e scuotendo le gambe, si sentiva come un pesce intrappolato
in una rete.
“Resisti, non durerà ancora per molto”,
si voltò nuovamente isterica verso il pavimento poggiandosi i
gomiti continuando ad ansimare nervosamente, alzò gli occhi e
fissò la telecamera a qualche metro da lei, non aveva più
paura di guardarla, adesso ne aveva un bisogno disperato, “Dove
siete?”.
Garcia guardava Ronnie
con le lacrime agli occhi. Non sapeva cosa esattamente stesse
succedendo alla ragazza, ma stava male. La respirazione era
visibilmente difficoltosa e Leane sembrava sul punto di perdere il
controllo.
- Coraggio dinamite, i ragazzi stanno venendo a tirarti fuori. Resisti!
Spostò la sua
attenzione sull’altra donna inquadrata dalle telecamere. Collins
sembrava lucida, ma affaticata. Le sue doti fisiche non erano
sviluppate quanto quelle mentali. Penelope la guardò mentre
camminava a passo svelto, girando un angolo. Spostò
l’inquadratura, ma di Sarah non c’era più neanche
l’ombra.
- Dove è finita? – si alzò in piedi di scatto e compose il numero di Derek.
- Ehi, bambolina. Novità? – Morgan aveva messo il vivavoce.
- Ho perso Sarah – balbettò la rossa.
- Come
l’hai persa? – Reid era vicino ad una crisi di nervi
– Come diavolo hai fatto a perderla? E’ rinchiusa dentro un
edificio sorvegliato da telecamere!
- Ha girato l’angolo e come ho cambiato inquadratura… puff! Scomparsa!
- Forse
è un bene, Reid – Morgan cercò di essere
rassicurante – Si è nascosta così bene che neanche
le telecamere di quel posto infernale la trovano.
- Ma
dove sarà finita? – Reid cercò di trattenere le
lacrime, anche se gli tremava la voce.
- Sarah
sa quello che fa – Emily gli posò una mano sul braccio
– Se c’è qualcuno che può venir fuori da
quella trappola, è lei.
Spencer sperò con tutto se stesso che Prentiss avesse ragione.
Continua…
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Capitolo 17 *** Capitolo XVI. My escape ***
16
Capitolo XVI. My escape
Sapeva che la sua preda era da qualche parte, lì nascosta dietro
qualche angolo che aspettava la giusta punizione per i propri peccati.
Era sempre così e sempre lo sarebbe stato. Ragazze sciocche, che
si facevano irretire da false promesse, anime che perdevano la retta
via per loro scelta e poi andavano da lui piangendo e implorando
perdono.
Il perdono andava conquistato, non si poteva dire semplicemente
“mi dispiace, ho sbagliato”. Dov’era il pentimento?
Dov’era la redenzione? Lui dava loro la possibilità di
tornare pure, anche se nessuna di loro era mai riuscita a superare la
prova.
L’unica sua consolazione era stata Mary. La dolce e cara Mary,
così ferita, così pronta ad aprirsi alla giusta visione
delle cose. Le aveva insegnato a punire senza pietà i peccatori
che non volevano redimersi. Lei, non solo aveva colto le sue parole, ma
le aveva fatte proprie.
Un sorriso piegò le labbra del prete. A Biloxi aveva creduto che
quei giovani da lui plasmati potessero portare la verità nel
mondo, quella verità che gli arcangeli gli avevano annunciato
quando, appena adolescente, aveva ricevuto la sua
“chiamata”.
Era molto più di un semplice sacerdote, lui era il braccio
terreno dell’arcangelo Michele che guida le armate celesti. Lui
aveva il potere di divulgare la felice novella. “Peccatori,
pentitevi ed affrontate la prova che il Signore vi pone
dinnanzi”.
Solo quei ragazzi della scuola avevano capito che non era una prova
metaforica, ma qualcosa di molto più concreto. Avevano rapito
quei ragazzi cattivi per processarli, per metterli di fronte ai peccati
che avevano commesso allontanandosi dalla parola del signore. Nessuno
di loro si era piegato e quindi erano stati puniti di conseguenza.
Nella sua continua lotta contro il peccato, aveva dovuto affrontare
persino Lucifero. L’angelo traditore aveva osato provare a
portare dalla sua parte uno dei suoi seguaci con false promesse,
raccontando bugie. Ma lui era stato più forte persino del
demonio. Aveva sconfitto l’angelo caduto e aveva epurato il suo
esercito. Chiunque osasse sfidare la volontà di Dio meritava la
morte ed ora lui aveva due peccatrici da inseguire.
La donna dagli occhi di serpente, che sembrava vedere dentro le anime
delle persone, e quella ragazza che, come aveva sentito lui stesso
attraverso il microfono nascosto, si era donata al demone della droga.
Meritavano di essere messe alla prova, ma nessuna delle due
l’avrebbe superata. Erano irrimediabilmente due anime perdute,
destinate all’inferno fin dalla notte dei tempi.
Sapeva che i suoi proseliti lo fissavano dalle telecamere, che
partecipavano con lui a quell’impresa. Giovani menti che
chiedevano solo che qualcuno mostrasse loro la via. Avrebbe mostrato
ancora una volta al mondo che chi pecca difficilmente torna indietro e
si rende conto dei suoi errori.
Si fermò ad un bivio, chiuse gli occhi ed invocò San
Michele. Riaprì gli occhi e la prima cosa che vide fu
l’impronta di una mano sul muro. Impronta lasciata con il sangue.
Una delle due si era ferita mentre aggrediva il prescelto del signore e
lui ora sapeva cosa fare.
Svoltò sicuro a destra e si incamminò. Il topolino stava per finire in trappola.
Si aspettava un impatto più forte. Fortunatamente alla fine
dello scivolo c’era ancora un carrello per la raccolta del
materiale, che slittando, aveva attutito il colpo.
Sperava di essere stata abbastanza rapida nella sua decisione. Se
l’S.I. stava seguendo i loro movimenti tramite il sito, era
importante che non l’avesse vista infilarsi in quel vecchio
scivolo per la biancheria sporca.
Si tirò fuori dal carrello con fatica, sentiva un dolore sordo
al ginocchio che aveva sbattuto violentemente contro la superficie di
ferro. Sospirò pensando che forse aveva trovato il modo di
seminarlo per il momento.
La sua deduzione di poco prima si era rivelata esatta. Un vecchio
ospedale. Ecco spiegato il colore delle pareti e le grate alle
finestre. Durante la sua folle corse, aveva notato delle porte aperte,
in una stanza era ancora presente una barella.
Sicuramente si trovava nel seminterrato. Si guardò attorno,
studiando ogni più piccolo dettaglio della lavanderia. Non
c’erano telecamere. Uscì zoppicando e si trovò di
nuovo in un corridoio. Unica differenza con quelli dei piani superiori,
la totale assenza di circuiti di video-sorveglianza.
Si poggiò alla parete per riordinare le idee e riprendere fiato.
L’uomo che la inseguiva non voleva che occhi indiscreti vedessero
quella zona, perché? Una speranza si fece largo in lei.
Si incamminò scrutando nella penombra ogni più piccolo
segno di presenza umana. Non si sentivano altri suoni che quello
ovattato dei suoi passi. Fortunatamente, quella mattina, aveva scelto
di indossare delle comode scarpe da ginnastica e dei jeans neri, invece
del solito tailleur e delle consuete scarpe col tacco. Questo la
rendeva più libera nei movimenti e più silenziosa
nell’incedere.
Aprì lentamente una porta e trovò quello che stava cercando.
Un sorriso torvo le piegò le labbra.
- A noi due, figlio di puttana.
Ronnie aspettò che passasse il giramento di testa per provare ad
alzarsi. Una volta sicura che non sarebbe caduta un'altra volta si
portò fino al muro dove poteva reggersi ad un carrellino formato
da quattro mensole una sopra l’altra. Era in piedi e guardava le
mani poggiate all’ultima di quelle, il respiro era ancora
affannoso e le tremavano anche le gambe, desiderava ardentemente un
qualsiasi tipo di droga che facesse subito effetto, non riusciva
più a scacciare quel pensiero, era un tarlo nella sua testa.
Di tutte le emozioni e sensazioni che provava in quel momento dava
ascolto soltanto alla rabbia, rovesciò il carrellino per terra
che finì a qualche passo da lei, si girò e
cominciò a sbattere più volte la mano sul muro
lasciandosi sfuggire un’ urlo. Non sentiva neanche il dolore al
polso a furia di sbatterlo con forza sulla parete.
- Ti ammazzo schifoso bastardo fatti vedere!
Quei pugni divennero sempre più deboli finché non si
fermò, si voltò e si avvicinò al pugnale
chinandosi per prenderlo, alzò lo sguardo su quello che aveva di
fronte, un piccolo corridoio che portava ad una sala. Sospirò
chiedendosi fino a che punto avrebbe retto psicologicamente, continuava
a rispondersi che non le interessava, l’importante era resistere
fino all’arrivo della squadra e non incasinare ancora di
più la situazione con l’S.I.
Il suo corpo era pervaso da momenti di debolezza in cui era lucida e di
forza in cui perdeva il controllo, sperava solo che il killer stesse
inseguendo lei e non Sarah.
Andò al centro della sala e si guardò intorno, le pareti
avevano delle piccole vetrate con all’interno quelli che
sembravano essere stati degli uffici, ignorò qualsiasi cosa che
non fosse una via d’uscita, così s’incamminò
al centro dell’incrocio della sala e prese la via di sinistra
sperando che la portasse a qualcosa di concreto.
Le aveva perse entrambi! Com’era possibile? Frustrato,
tornò sui suoi passi. Pensavano di essere riuscite a sfuggirgli?
Povere illuse. Lui sapeva come ritrovarle e tra poco per quelle due non
ci sarebbe stato scampo.
Si mosse sicuro all’interno del vecchio ospedale. Prese le scale
e scese fino allo scantinato. Percorse il lungo corridoio male
illuminato, stava quasi correndo nella fretta di ritrovare le due
peccatrici.
Si impose di rallentare il passo e di calmarsi. Quelle due piccole
streghe non sarebbero fuggite alla giusta punizione per i loro peccati.
Vide la luce della sala monitor filtrare da sotto la porta.
Sorrise soddisfatto, grazie al sistema di sorveglianza le avrebbe
ritrovate in un baleno ed allora la caccia sarebbe ripresa più
spedita.
Girò la maniglia ed entrò sicuro nella piccola stanza.
Avrebbe dato loro la punizione che si meritavano usando le loro stesse
armi, quelle pistole che aveva trovato mentre le perquisiva.
Morgan entrò per primo all’interno dell’edificio
abbandonato. Rossi, Reid e Prentiss lo seguirono e si misero in
posizione per coprire tutto lo spazio visivo di cui disponevano.
- Dove andiamo adesso? – chiese Rossi,
guardando i tre corridoi che si dipanavano dall’atrio principale.
- Possiamo dividerci – propose Morgan –
Adesso chiamiamo Garcia e cerchiamo di farci guidare dalle ragazze.
Sono loro la nostra priorità.
Spencer annuì deciso. Sicuramente salvare sua moglie era la sua priorità assoluta.
Improvvisamente il silenzio fu rotto dal rumore di tre detonazione.
Qualcuno aveva sparato con una pistola tre colpi in rapida successione.
Si voltarono verso l’origine di quel suono e cominciarono a correre.
Continua…
Commentate, commentate, commentate^^
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Capitolo 18 *** Capitolo XVII. You find me ***
17
Capitolo XVII. You find me
Sentì dei passi
veloci arrivare verso di lei da dietro. Strinse più forte il
pugnale e si poggiò al muro pronta a qualsiasi cosa fosse
successa, forse. I passi si facevano sempre più vicini e
pesanti, le mani tremavano ancora e il cuore batteva forte, non pensava
a niente, aveva la mente vuota e annebbiata vicina a perdere nuovamente
il controllo.
- Ronnie?
Non sembrava sentire quel
nome, come se fosse frutto della sua immaginazione. Voltò
l’angolo con la spalla e il coltello pronto a essere usato,
Morgan si fermò di colpo vedendola e prontamente alzò le
mani.
- Ronnie sono Derek, metti giù il coltello.
C’era qualcosa di
strano negli occhi di Ron, erano fermi ed estremamente freddi, non
reagì minimamente alla vista dell’amico, restava ferma a
studiare il nemico.
- Non è vero.
- È tutto finito adesso, ti porto via da qui.
- Non sei Derek sei solo un’illusione, smettila di prenderti gioco di me.
Morgan cercò di abbassare le mani e di avvicinarsi a lei lentamente, Ron era completamente fuori di testa.
- Non ti avvicinare!
Derek non esitò, era a un passo da lei e aveva tutta l’intenzione di farla tornare alla realtà.
- Vattene!
Ronnie cercò di
colpirlo con il pugnale, lui schivò la lama e le afferrò
il polso, la disarmò lasciando cadere l’arma per terra.
Ron gli tirò un ceffone che non ebbe nessun effetto, lo spinse
con le mani sul petto e si divincolò cercando di raggiungere il
coltello ma Derek la teneva stretta e l’abbracciò
immobilizzandola.
Si trovava con lui
addosso e con le spalle al muro, non poteva fare niente se non restare
con il fiatone e con la testa sulla sua spalla. Derek cominciò a
carezzarle i capelli e la schiena mentre le parlava all’orecchio
per calmarla.
- Shh è tutto finito, ora sei al sicuro.
Cosa stava succedendo? Era davvero Derek? Non era un’ illusione come quella di prima?
Smise di agitarsi quando
capì che quel corpo esisteva davvero, ma la sua astinenza stava
arrivando al limite. Non si rendeva conto di quello che voleva dire e
di quello che le uscì dalla bocca.
- Ho bisogno di droga - “Ma cosa sto dicendo?”
Morgan la scostò da sé e le prese la testa fra le mani.
- Ehi non hai bisogno di nulla capito? tu sei più forte di questo lo sai bene non lasciarti ingannare.
- Cosa mi sta succedendo? Sto diventando pazza?
Le sue gambe cedettero,
era distrutta dallo stress emotivo, non sentì neanche la
risposta di Morgan, tutte le sue funzioni si spensero, si mise in
stand-by, era libera. Si lasciò cadere a peso morto e Derek la
prese in braccio.
Quando riaprì gli
occhi Cameron si trovò davanti un soffitto bianco con luci al
neon. Sbatté le palpebre confusa e sentiva la testa pesante e
indolenzita.
- Ben tornata fra noi, bell’addormentata – una voce femminile calda e dal tono tagliente.
Prima ancora di voltarsi, sapeva che si sarebbe trovata davanti due occhi verdi freddi ed imperscrutabili.
Sospirò, ora non
si sentiva pronta ad affrontarla. Si diede della codarda, in fin dei
conti quella donna le aveva salvato la vita e doveva almeno dirle
grazie.
Provò a mettersi
seduta, ma il dolore alla testa divenne una fitta lancinante e fu
costretta ad abbandonarsi di nuovo sulle coltri che sapevano di
disinfettante.
- Se
fossi in te, non farei gesti bruschi. Devi avere un mal di testa di
proporzioni bibliche – la voce non tradiva la minima emozione.
“Siamo tornate in
modalità stitichezza emotiva, vero regina dei ghiacci?”
Almeno riusciva ancora ad essere ironica e acida, anche se solo nella
sua testa. Non sapeva perché, ma aveva la netta sensazione che
non avrebbe mai trovato il coraggio di parlare così a Collins.
- Dove mi trovo?
- Con
questa, agente Leane, vince il premio per la domanda più banale
– c’era una nota divertita nella sua voce – Sei in
ospedale, il povero Derek si è fatto venire quasi un’ernia
per portarti fuori da quel posto.
- Ci hanno trovati in tempo, allora. L’S.I.?
- Gli stanno facendo l’autopsia in questo momento.
Finalmente riuscì
a voltarsi lentamente verso la voce che l’aveva accolta al suo
risveglio. Nella camera c’erano solo lei e Sarah. Si chiese
distrattamente dove fossero gli altri, poi pensò che aveva
domande più importanti ed urgenti da fare.
- Chi? Morgan immagino…
- Io.
A
quell’affermazione Cameron spalancò gli occhi e si mise a
sedere di colpo, guardandola stralunata. Non riusciva a capire quello
che aveva appena sentito. L’S.I. era armato, il coltello che
erano riuscite a sottrargli lo aveva lasciato a lei per difendersi,
come diavolo aveva fatto ad ucciderlo?
Sarah capì
perfettamente quali percorsi avesse preso la mente di Leane, era una
ragazza sveglia. Un sorriso triste le piegò le labbra e chiuse
gli occhi. Non aveva mai ucciso nessuno, neanche Brunet quando aveva
minacciato Spencer con la pistola. Di solito era Morgan quello che
premeva il grilletto, lei si limitava a dar man forte al collega.
-
Durante la fuga, ho usato un vecchio scivolo per la biancheria
sporca. Mi sono trovata nel seminterrato. Sapevo che O’Brian ci
aveva preso le pistole, doveva avere un qualche tipo di rifugio
all’interno dell’edificio. E’ stato abbastanza
semplice trovarlo.
- Poi è andata a cercarlo.
- Non
è stato necessario. Avevo lasciato delle tracce di sangue per
indurlo a seguirmi, quando non mi ha più trovata è stato
preso dal panico ed è tornato alla sala monitor –
un’alzata di spalle – Mi sono limitata ad aspettarlo al
varco. Come mi ha visto là dentro, mi si è avventato
contro. Ho semplicemente agito d’istinto.
Cameron meditò su
quelle parole e sull’espressione di Collins. Non le aveva detto
tutto, di questo era certa. Sapeva che la sua ex insegnante non sarebbe
tornata sull’argomento, almeno non con lei.
- Come avete fatto a trovarmi?
- Le
telecamere – Sarah riaprì gli occhi, trovandosi fuori dal
suo territorio minato – E’ stato facile individuarti, Derek
è corso a prenderti.
- Gli altri, dove sono?
-
Arriveranno tra poco. Abbiamo fatto dei turni – Sarah si
alzò dalla sedia con l’aiuto di due stampelle.
Ronnie osservò il
tutore che portava al ginocchio destro, il vistoso ematoma che aveva
sullo zigomo, sempre a destra, e la fasciatura sulla mano sinistra.
Combatté una profonda lotta interiore, non era da lei dire certe
cose. Non faceva parte del suo carattere, odiava essere in debito con
qualcuno.
-
Io… volevo dirle… - ingoiò un paio di volte
“Cameron, forza! Non è difficile da dire, è solo
una parola” – Grazie.
- Se vuoi ringraziarmi, vedi di rimetterti presto. Non ne posso più di New Haven.
- Siamo
qui solo da due giorni – il tono acido era tornato più
prepotente del solito – Siamo smaniose, eh?
Collins la guardò sbattendo le ciglia un paio di volte, sollevò il sopracciglio e la scrutò attentamente.
- Agente Leane, forse non le è ben chiara la situazione. Lei è qui da tre giorni.
Tre giorni? Era stata
incosciente per un periodo piuttosto lungo. Ecco spiegato perché
avevano fatto a turni per tenerle compagnia. Sentiva ancora quella
smania addosso e strinse i pugni fino a far diventare bianche le nocche.
In quel momento la porta si aprì, lasciando entrare un Reid sorridente con due tazze di caffè in mano.
- Ehi! Ti sei svegliata finalmente.
Cameron non riuscì
a ricambiare il sorriso. Sentiva la voglia disperata di qualcosa che
sapeva estremamente sbagliato e pericoloso. Sentiva ancora i sudori
freddi addosso.
- Appena la dimettono possiamo partire – Sarah guardò suo marito – Avverti Hotch.
- Certo – Spencer fece per uscire, ma la moglie lo richiamò.
- Spencer? Quando torniamo a Washington… credo che Leane abbia bisogno di essere portata al cinema.
- Al cinema? – chiese Ronnie sgranando gli occhi.
Lei era ancora sull’orlo dell’abisso e quella pensava di mandarla a vedere qualche strano film?
- Il film che devo finire di vedere, immagino* – disse Spencer con un sorriso.
- Direi
che la nostra Leane lo troverà molto istruttivo – Sarah
fece l’occhiolino al marito e sorseggiò il suo
caffè.
Continua…
* Riferimento all’episodio 3x16 “Memoria da elefante”.
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Capitolo 19 *** Capitolo XVIII. What's happened? ***
18
Capitolo XVIII. What's happened?
Tornata a Washington con mente decisamente più lucida rispetto
l’ultima settimana si permise il lusso di riflettere su
ciò che era successo constatando che il risultato finale era che
si sentiva un vero schifo.
Quel caso era iniziato male ed era finito peggio. Cameron cercava
spudoratamente di evitare ogni sguardo con Collins o Reid, si limitava
solo ad annuire con cenni del capo o semplici sì e no senza mai
alzare la testa.
Non ci riusciva era più forte di lei, non era abituata a
dipendere da qualcuno specialmente durante il lavoro e sapere che la
sua vita era nelle mani di qualcun altro, che sia stato un collega o un
S.I. la destabilizzava.
Lei era sempre stata abituata a cavarsela da sola, a tenere tutto sotto
controllo, ad essere padrona di sé e della situazione…
invece per la prima volta si era sentita impotente, una codarda,
inutile e dannatamente in colpa per tutto.
Se non si fosse allontanata non le avrebbe rapite, pensò, e non
avrebbe dovuto lasciare sola Sarah al bivio, doveva ribellarsi e farsi
mandare via a calci se fosse stato necessario. Il risultato era che
aveva obbedito anche se dopo uno schiaffo, solo per non perdere altro
tempo con l’S.I. alle spalle, aveva corso per i corridoi
lasciando la situazione nelle mani di Collins.
“Complimenti Cameron sei proprio un’agente dell’ FBI
degno di essere preso a calci”. Si ritirò in bagno stufa
di pensare a quanto era stata vigliacca, si lavò la faccia con
acqua fredda e si guardò allo specchio, lei non era quella
persona. Aprì lo sportellino in alto alla sua destra e
guardò il barattolino di EN che prese tra le mani, in quel
momento sembrava l’unica via d’uscita.
Derek continuava a guardare la propria tazza di caffè,
nell’attesa che l’altra parlasse. Sapeva che era successo
qualcosa di cui lei non voleva parlare con nessuno, neanche Spencer.
Erano giorni che girava intorno all’argomento e sul lavoro era
piuttosto fredda con tutti.
Niente più pause caffè per dire due stupidaggini e
scoppiare tutti a ridere, niente più saluti calorosi quando
arrivava, niente più sorrisi. Sarah nascondeva qualcosa e lui
voleva farle dire cosa la tormentava.
All’inizio della loro amicizia era lui a tormentarla per ore,
anche nel cuore della notte, per avere un consiglio o solo per sfogarsi
con qualcuno che lo capiva. Si era aspettato che lei si confidasse con
Reid o con Emily, ma evitava accuratamente entrambi. Non era da lei
scappare davanti alle cose, lei la vita l’affrontava di petto
anche a costo di farsi male.
Spencer gli aveva detto che quella sera aveva un impegno con Ronnie e
che quindi sarebbe rientrato molto tardi. Aveva aggiunto, con
noncuranza, che Sarah sarebbe rimasta a casa da sola tutta la sera. Era
una richiesta di aiuto implicita, evidentemente neanche lui sapeva come
comportarsi con la moglie.
Si era presentato a casa loro senza preavviso, temeva che se le avesse
detto che voleva passare a trovarla lei avrebbe inventato una scusa.
Appena entrato si era diretto in cucina e aveva messo a fare il
caffè, Sarah era rimasta in silenzio dal suo arrivo.
- Reid mi ha detto che rimarrà fuori casa parecchio – provò a prenderla alla larga.
- Sì, immagino di sì.
- Ti dispiace restare sola? – continuava a
guardarla, sperando che lei si sentisse incoraggiata a parlare.
- A causa del suo lavoro, molto spesso passiamo
giorni senza vederci – Sarah fece spallucce – Sarebbe
sciocco lamentarsi per una sera in cui ha da fare. Aveva un impegno a
cui non poteva rinunciare.
- Me lo ha detto. Doveva portare Cameron da qualche parte.
Collins non commentò. Si era chiusa in un mondo suo, dal quale gli altri erano banditi.
- Non puoi continuare così, anche Reid è preoccupato.
- Non capisco di cosa vi preoccupiate. Sto bene.
Morgan sbatté violentemente una mano sul tavolo e fece sussultare Sarah.
- Con chi credi di stare parlando?
- Non voglio parlare con te – lo sguardo di lei
non tradiva la minima emozione – Non voglio parlare con nessuno.
Mi passerà.
- Perché non vuoi farti aiutare? Capisco che
tu non voglia parlare con gli altri, ma non puoi estromettere persino
tuo marito.
- Non merito aiuto – era quasi un
sussurrò mentre chinava la testa per nascondere le lacrime che
le riempivano gli occhi.
- Cosa vai blaterando?
- Se non lo dico a qualcuno finisco con
l’impazzire – la donna si prese la testa fra le mani
– Giurami di non dire mai niente a nessuno. Non voglio parlare
con Derek Morgan, agente dell’F.B.I., sto per confidarmi con
Derek Morgan il mio migliore amico. Chiaro?
- Sarò una tomba – le promise posandole una mano sul braccio.
- Non mi ha aggredito – scosse la testa –
Quando è entrato nella stanza non gli ho dato il tempo di fare
niente.
- Mi stai dicendo che…?
- L’ho ucciso, Derek. L’ho ucciso a
sangue freddo – scoppiò in singhiozzi, incrociò le
braccia sul tavolo e vi poggiò sopra la testa.
- Eri stata rapita, drogata, quell’uomo aveva
minacciato di uccidervi. Chi potrebbe biasimarti? Hai solo pensato che
se non lo uccidevi, lui avrebbe ucciso te.
- No, non ho pensato a niente. Ho solo premuto il
grilletto – era distrutta – Come posso guardare in faccia
Spencer e Chris ora? Io sono un agente federale, non un giustiziere.
- Era una situazione di stress estremo. Cercavi di salvare te stessa e Ronnie.
- Vuoi sapere qual è stato il mio ultimo
pensiero coerente prima di sparare? Riuscivo solo a pensare che quel
bastardo stava per portare via la madre a mio figlio.
Derek si alzò e fece il giro del tavolo. La prese per le spalle
e la costrinse ad alzarsi, prima di stringerla in un abbraccio
consolatorio.
- Hai fatto quello che dovevi per sopravvivere. Ecco
perché puoi guardare tuo marito e tuo figlio a testa alta. Hai
fatto quello che era necessario per tornare da loro.
Erano le 19:00, il poligono di tiro ai piani bassi della sede della
B.A.U. stava ormai per chiudere e Cameron continuava a sparare
imperterrita alla sagoma nera riempiendola di buchi bianchi.
Un giovane ragazzo le si avvicinò ricordandole l’orario e
di riporre tutto l’occorrente nel magazzino, lei annuì e
prima di eseguire gli “ordini” finì di scaricare del
tutto l’arma sparando gli ultimi colpi. Si tolse le cuffie che
poggiò sull’ apposito piano di legno, sospirò
pensando che in fin dei conti nonostante il male alle spalle sarebbe
rimasta volentieri ancora un bel po’. Riportò la
custodia al ritiro delle armi e si diresse verso l’uscita.
Con la coda dell’occhio vide una figura poggiata al muro che la fissava con le braccia incrociate.
- Ehi – la salutò Reid con la mano e con un sorriso stampato sulle labbra.
- Ehi – Ronnie non riusciva ancora a guardarlo.
Rispose fredda e distaccata. Pensava che Reid, anche se non lo faceva
vedere, le desse la colpa di aver messo in pericolo la moglie e aveva
tutte le ragioni del mondo.
- Immagino che sei venuto a portarmi “al
cinema” – non credeva a quella messa in scena, sapeva che
sotto c’era qualcosa.
- Già, guarderemo tutto il film e non provare a svignartela a metà.
In macchina era silenziosa e guardava fuori dal finestrino, sapeva che
stava sbagliando tutto, non avrebbe dovuto aprire quel barattolino
arancione che ora teneva sempre in borsa.
Si sistemava ritmicamente i capelli e muoveva il piede su e giù,
aveva passato otto ore al poligono per provare a dimenticare ma la
voglia di prenderne un’altra scalpitava. Reid la guardava con la
coda dell’occhio, rivide se stesso ai tempi della sua dipendenza.
Sorrise tra sé, era bello sapere che ora toccava a lui dover
aiutare una collega.
- Dove siamo? – Ronnie si fermò a
metà dello sportello della vettura guardando la struttura di
fronte a lei con due poliziotti nel giardino.
- Entriamo – Reid le sorrise un'altra volta facendole segno con la mano di seguirlo.
Ron chiuse lo sportello e lo seguì tenendo la testa bassa.
La sala era piena di poliziotti che stavano seduti di fronte ad una
cattedra, a fianco di essa c’era un altro poliziotto che parlava
al suo pubblico con un microfono. Ronnie aveva capito benissimo dove
l’aveva portata.
Le tornò in mente quello che le disse Sarah riguardo la sua
conoscenza di qualcuno che c’era già passato, si
voltò subito a guardare Spencer che mosse le labbra tirandole ai
lati della bocca. Cameron riportò gli occhi sulla platea di
agenti, incrociò braccia e gambe e si poggiò al
muro,infondo non le costava nulla aspettare la fine del film.
- Anch’io ti voglio bene Ronnie – Spencer
vide un timido sorriso farsi spazio tra le labbra della ragazza.
Continua
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Capitolo 20 *** Capitolo XIX. Leane ***
12
Capitolo XIX. Leane
Sarah aveva deciso di accendere il camino, aveva sempre trovato
rilassante sedersi davanti al fuoco e parlare con calma. Derek le
faceva compagnia, avendo trovato posto su uno dei grandi cuscini che
lei teneva sparsi per terra. Non avevano parlato molto da quando
avevano lasciato la cucina, lei si limitava a stare lì
abbracciandosi le ginocchia mentre le fiamme strappavano strani
riflessi ai suoi occhi verdi.
Morgan si trovava ad osservarla bene dopo tanto tempo. Sembrava diversa
dalla ragazza che aveva conosciuto, aveva un’aria più
matura e l’espressione del viso era più dolce. Sorrise
ripensando a quella ragazzina scontrosa e arrogante che gli si era
seduta di fronte tre anni prima. Una venticinquenne che credeva di
avere tutte le risposte e il cui gioco preferito era “ignoriamo
il resto del mondo, tanto non è interessante quanto me”.
Per la prima volta si rese conto di quanto si somigliassero Collins e
Leane: testarde, dure, determinate e con un bagaglio di problemi
personali grosso come un tir. Decise di renderla partecipe dei suoi
pensieri, per scioglierla un po’.
- Sai, stavo pensando… - provò a cominciare.
- Ehi due neuroni, pensare è una parola grossa detta da te – lo prese in giro lei.
- Spiritosona! Il fatto che io non vada in giro a
snocciolare statistiche e concetti astrusi come te e il tuo caro
maritino, non vuol dire che non usi la materia grigia – gli
rispose piccato lui – Quando fai così mi ricordi Ronnie.
- Le sei molto affezionato, vero? – si girò finalmente a guardare il suo amico.
- Sì, e devo dire che la cosa mi sorprende molto visto il nostro inizio.
Sarah scoppiò a ridere.
- Mi ricordo quel giorno, o meglio… quella
telefonata - sembrava persa nei ricordi – Eri arrabbiatissimo con
me e con lei.
- Avevo tutti i motivi per essere arrabbiato –
ora anche lui sorrideva – Aveva fatto piangere Garcia.
- Raggio di sole è più tosta di quanto
tu possa immaginare, non ha bisogno del cavaliere dalla scintillante
armatura. E comunque le tue rimostranze non si sono fermate lì,
mi sembra.
Tornarono entrambi con la mente a quella telefonata di un anno prima.
- E’ di un’arroganza allucinante! – Morgan era decisamente alterato.
- E’ il suo primo giorno. Prima di sbranarla
viva, dalle almeno una possibilità – Sarah cercava di
mantenere la voce calma, aveva temuto quella telefonata per tutto il
giorno.
- Come diavolo ti è saltato in mente di far entrare in squadra quella tipa?
- E’ un ottimo elemento. L’ho addestrata personalmente, vedrai che con il tempo…
- Il tempo? Se non se ne va per la fine della
settimana, o la sbatte fuori Hotch o io l’ammazzo. Quella
è una bomba a orologeria.
- Derek, tesoro… ti prego, calmati – cercava di rabbonirlo con la dolcezza, con scarsi risultati.
- Non chiamarmi “Derek tesoro”! Non dopo
averci fatto uno scherzo del genere. Quella si comporta come se fosse
tanto speciale, beh glieli faccio riportare io i piedi per terra!
- Accomodati pure – decise che
l’indifferenza fosse la tattica più appropriata
all’umore dell’altro – Spero che Spencer mi faccia
sapere chi dei due sopravvivrà.
- Sicuramente non lei – Morgan trasse un lungo
respiro – Ok, hai vinto. Le darò una possibilità.
- Grazie, due neuroni.
- Vi somigliate molto, sai? – Derek le scostò una ciocca di capelli dal viso.
- Sì, propri per questo l’ho scelta.
Ogni tanto ho paura di aver commesso un errore di valutazione.
- Ormai fa parte della squadra, è una di noi
– Morgan le passò un braccio intorno alle spalle –
Si è calmata parecchio.
- Non abbastanza – Collins sembrava triste
– Come mai nessuno l’ha mai fatta venire alla cena del
venerdì?
Morgan ritirò il braccio e si mise ad osservare il fuoco, cercando di evitare lo sguardo indagatore dell’altra.
- Credo che il compito spetti o a te o a Reid.
- Balle! Se la consideraste parte della famiglia non vi sareste fatti problemi di alcun tipo a portarla qui.
- E’ che… non lo so, a volte ho come
l’impressione che lei sia solo di passaggio. E’ la prima a
non fidarsi di noi. Ogni tanto mi piomba in casa anche nel cuore della
notte per un consiglio, ma non permette a nessuno di entrare nel suo
intimo, se capisci cosa voglio dire.
- Lei non si apre con voi e voi non vi fidate fino in fondo, chiaro.
- E’ un po’ più complesso di
così. Sai benissimo che la nostra forza è il fatto che ci
appoggiamo uno con l’altro. Lei non si appoggia a nessuno, non
permette a nessuno di aiutarla, crede di poter fare sempre tutto da
sola. Cosa succederebbe se una volta non fosse in grado di tirarsi
fuori dai guai?
Sarah meditò sulle parole del suo amico e chiuse gli occhi.
- Portate pazienza, ancora per poco. Sono sicura che
lei finirà con l’aprirsi, accetterà il fatto che
lavorare in squadra è l’unico modo.
- E se si decidesse a farlo quando ormai è troppo tardi?
Era tardi e Derek stava rientrando a casa sua, nella veranda in una
panchina vicino alla porta c’era Cameron che lo aspettava. Lei lo
scorse con la coda dell’occhio senza guardarlo interamente, si
mise le mani in tasca e accavallò le gambe, lui rallentò
alla sua vista e si diresse verso di lei.
Ronnie si era chiusa e si ostinava ad avere meno contatti possibili
anche con tutti gli altri, in particolare con Collins e Reid, mentre
con Derek, Emily e Hotch s’impegnava a sembrare il più
normale possibile cercando tuttavia di evitarli. Aveva imparato a
costruirsi una maschera di salvataggio per le situazioni di emergenza,
nessuno entrava nella sua testa e lei non faceva uscire nessun tipo di
emozione che potesse tradirla. Ma aveva anche imparato a cedere con
Morgan.
- Hey – lo salutò lei con un cenno del capo.
Lui la guardò di sottecchi poggiandosi ad una colonnina della veranda.
- Come stai?
“Bene, come sempre… no, uno schifo”, era indecisa su quale risposta dare ma forse ci mise troppo tempo.
- Ti va di parlare?
- Sì – mugugnò.
Derek si sedette in una panchina di fronte a lei e si chinò
poggiando i gomiti sulle ginocchia, gli occhi divennero due fessure
mentre continuava a fissarla.
- Mi ha detto Sarah che sei stato tu a portarmi via
da quel posto, e che sono stata incosciente per tre giorni. Non ricordo
molto degli ultimi momenti…
- Non c’è molto da ricordare, quando ti
ho trovato mi sei praticamente svenuta in braccio – decise che
era meglio evitare il particolare che Ron l’aveva aggredito con
il pugnale, altrimenti non si sarebbe mai data pace – Prima
intendevo come stai veramente, non quello che vuoi farmi credere.
- Noi due non parliamo mai dei nostri sentimenti,
dovresti capirmi – continuava a guardare la punta delle scarpe.
- Mi avevi promesso che non saresti più scappata.(1)
- Infatti non sono scappata,lavoro ancora con voi mi sembra, no?
- No – Morgan scosse la testa - Sei invisibile,
ti ostini a comportarti come se non fosse successo niente. Hai saltato
un appuntamento che Hotch ti ha preso con lo psicologo
dell’Unità e non hai parlato a nessuno dopo il nostro
rientro, neanche con me.
- Forse perché c’è troppo da
dire, o forse niente – sospirò amareggiata - Non so da
dove cominciare.
- Comincio io allora, hai ripreso a bere? (2)
Cameron venne presa da un brivido e alzò la testa per guardarlo. Non si aspettava una domanda così diretta.
- Non come prima.
Derek aveva tutta l’intenzione di affrontare quel discorso,
specialmente dopo aver sospettato dei suoi movimenti nel cucinino
dell’ufficio, così andò fino in fondo.
- Stai prendendo qualcosa? Farmaci?
- Di cosa stai parlando?
- Lo sai benissimo a cosa mi riferisco, non ci girare intorno.
- Ma certo! - Ron si alzò dalla panchina
energicamente – Per un ex tossica quale occasione migliore per
riprendere a drogarsi! Infondo è questo che sono sempre stata,
una drogata!
- Ehi - gli ringhiò lui balzando in piedi a sua volta - Non ho detto questo Cameron, frena!
La ragazza andava avanti e indietro e sospirava tenendo gli occhi chiusi.
- Lo so’, scusa – poi lo aggirò e
tornò a sedersi nella panchina bianca prendendosi la testa fra
le mani.
- Ti ho visto nel cucinino ieri, prima o poi dovevo dirtelo.
Morgan si sedette vicino a lei che continuava a nascondersi il viso con le mani, così gliele spostò delicatamente.
- Lo sai dove sono stata oggi? –
continuò Ronnie guardando per terra - All’incontro per gli
agenti che hanno dipendenze… non pensavo che sarebbe tornata una
situazione simile a distanza di anni.
- Non è colpa tua, sei stata drogata da lui, tu non avresti mai ricominciato per tua volontà.
- Già, mi sono limitata a continuare la sua
opera, sono troppo vigliacca per ammettere quello che ho fatto.
- Ma ti senti quando parli o sei ubriaca anche adesso?
- È la verità, ho deluso tutti, ho
deluso me stessa. Dimmi cos’ho fatto di buono – gli occhi
di Cameron tradivano ogni emozione che cercava di sopperire –
E’ colpa mia se ci hanno rapite, l’ho lasciata sola per due
volte, ha rischiato la vita per colpa mia e ha fatto di tutto per
cercare di darmi una possibilità, e io cos’ho fatto? Sono
scappata come un coniglio…
- Non potevi fare altro che stare al suo piano, non
è colpa di nessuno. Hai agito di conseguenza ed è andata
così. E togliti dalla testa di aver deluso qualcuno. Se ci tieni
a non farlo adesso vedi di non sprecare la possibilità che ti ha
dato Sarah e di rimetterti in carreggiata - si fermò un attimo
per essere sicuro che lo stesse seguendo e che non si fosse persa nei
suoi pensieri – Ci sei già passata Ronnie, sei più
forte tu di questo, lo sei sempre stata e non sei sola neanche ora.
Rivoglio la mia migliore amica più in forma di prima, chiaro?
Ronnie sospirò e tirò su col naso, sentiva gli occhi
bagnarsi e poggiò braccio e testa sopra la spalla di Derek,
così cominciò a singhiozzare.
- Mi dispiace..
(1) Salvation – capitolo 13
(2) Salvation – capitolo 11
Commentate, please ^^
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Capitolo 21 *** Capitolo XX. Collins ***
20
Capitolo XX. Collins
Reid chiuse piano la porta di casa ed inserì l’allarme. Si
stupì nel vedere un lieve bagliore provenire dal salone, era
convinto di trovare sua moglie profondamente addormentata al suo
ritorno.
Invece Sarah era ancora lì davanti al cammino, dove Derek
l’aveva lasciata circa un’ora prima. Sapeva di dover
affrontare Spencer e preferiva farlo subito invece di rimandare
all’infinito, quella conversazione sarebbe stata piuttosto
difficile ed aspettare ancora avrebbe peggiorato le cose.
Spencer si tolse la giacca ed allentò la cravatta, mentre si
accomodava sul cuscino accanto a lei. Le mise un braccio intorno alle
spalle e l’attirò a sé, mentre le reclinava il capo
e si abbandonava sulla sua spalla. Rimasero un po’ così,
abbracciati in silenzio a guardare il fuoco.
- E’ passato Derek – non sapeva bene da dove cominciare.
- Lo avevo immaginato. Avete parlato?
- Sì, un po’ – improvvisamente si
girò verso di lui con gli occhi lucidi ed affondo il viso
nell’incavo del collo del marito – Mi dispiace.
- Per cosa? – Spencer cercava di consolarla come poteva.
- Per averti fatto stare in pensiero, per aver rischiato così tanto, per tutto.
- Hai fatto quello che ritenevi più giusto.
Ronnie era in seria difficoltà e tu hai agito di conseguenza.
- Non dovevo farlo, dovevo pensare prima a te e Christopher.
- Sarah, se non ti fossi comportata come hai
fatto… non saresti stata la donna di cui mi sono innamorato
– le baciò la fronte e la strinse ancora di più
– Anch’io al tuo posto avrei agito nello stesso modo,
questo fa di me un cattivo padre o un cattivo marito?
- No, fa di te l’uomo più adorabile che
io conosca – sorrise contro il petto di lui –
C’è dell’altro e lo sappiamo entrambi. Dopo che mi
avete trovato, quando siete entrati in quella stanza, io… non
sono stata del tutto sincera.
- Non lo voglio sapere. Hai fatto quello che dovevi
per tornare da me e questo mi basta. Per quel che mi riguarda lui ha
provato ad aggredirti dopo che avevi recuperato la pistola e tu sei
stata costretta a sparargli.
- Da quando ci raccontiamo le bugie anche fra di noi?
- Questa è l’unica verità, lui ti
aveva minacciata. Anche se non lo aveva ancora fatto, ti avrebbe
aggredito appena avesse avuto il tempo di reagire. L’unica che sa
come sono andate veramente le cose sei tu, l’inchiesta è
stata chiusa e tanto basta.
- Derek lo sa, gliel’ho confidato.
- Se glielo chiederai domani, ti dirà che tu hai agito per legittima difesa.
- Se Hotch lo venisse a sapere…
- Dopo quello che è successo con Foyet? Non
credo che direbbe niente. Noi ci atterremmo sempre alla prima versione
che hai fornito.
- Io e Derek abbiamo parlato anche di altre cose.
- Tipo?
- Leane.
- Perché ho la vaga impressione che per te quella ragazza sia un’ossessione?
Sarah rise e si scostò per guardarlo in faccia.
- Ti ricordi la nostra conversazione il giorno prima del suo ingresso nell’unità?
- E come potrei mai dimenticarla – Reid
alzò gli occhi al cielo in un gesto teatrale – Quando vuoi
sai essere un moglie despota.
- Ti avevo chiesto solo un favore.
- Chiesto? Non ti ho mica sentito chiedere per favore.
Risero tutti e due persi nei ricordi.
Spencer continuava a guardare nel proprio piatto, spostando il cibo con
la punta della forchetta, mentre Sarah non gli staccava gli occhi di
dosso.
- Non credo sia così difficile, no? – lo guardava di traverso e imbronciata.
- Perché è così importante?
- E’ nuova, non ha mai lavorato in squadra e ha
un caratterino che sicuramente la metterà in diretto scontro con
Derek.
- Mica vorrai che le faccia da baby-sitter?
- Devi solo essere gentile con lei, questo ti risulta
piuttosto facile. Poi, se per caso dovessi incontrarla nel
cucinino… e, che so… volessi provare a metterla a suo
agio, io non ci vedrei niente di male.
- Sarah, perché non mi dici chiaramente cosa
sta succedendo? L’hai scelta tu e Hotch e tua zia l’hanno
approvata, quindi?
- Eh… diciamo che… l’approvazione non è stata indolore.
- Dimmi che non hai insistito come al solito –
gli basto uno sguardo per avere la risposta – Ok, vediamo di
salvare il salvabile. Che tipo è?
- La classica ragazza di venticinque anni, direi – provò a glissare sulla domanda.
- Adesso mi hai fatto capire che c’è qualcosa che non va…
- Ma è così difficile fare semplicemente quello che ti ho chiesto?
- Se è così impossibile, mi spieghi come hai fatto a farla entrare nella squadra?
- Persuasione… - ammiccò maliziosa.
- Cioè?
- Te lo mostro subito – si alzò solo per sedersi nuovamente sulle gambe di lui.
Fu molto persuasiva quella sera e Spencer decise che non era così difficile, in fondo, fare quello che gli aveva chiesto.
- Il suo primo giorno è stato qualcosa di
memorabile – ricordò Spencer – Mai visto Morgan
così arrabbiato.
- Eppure adesso è parte integrante della
squadra – rifletté un momento prima di continuare –
Ho chiesto a Derek perché nessuno l’ha mai invitata alla
cena del venerdì.
- Credi che sia pronta?
- Non lo so, non credo. Lo dimostra il fatto che continua ad evitarci.
- Direi “evitarti”.
- Avete risolto?
- E’ stato più facile del previsto.
Credo che se non l’affronterai tu, lei non farà mai il
primo passo.
- Possibile che io debba andarle sempre incontro?
- Smettila di fare così. Per quanto tu faccia
la cattiva con lei, io so perfettamente che tu adori quella ragazza.
- Non riesco a nasconderti proprio niente, vero?
- E’ il problema di aver sposato un profiler.
- Sai, non me ne sono mai pentita – lo baciò con trasporto.
Senza parlare spenserò il camino e si avviarono mano nella mano verso la camera da letto.
Cameron era nel cucinino per prendersi una tazza di caffè,
cominciò a sorseggiare quando sentì rumore di tacchi
avvicinarsi. La stava evitando da quando erano tornate al lavoro
e lo avrebbe fatto anche adesso, buttò la tazzina vuota nel
cestino, fece per andarsene e aprì la seconda porta per fare il
giro.
- Leane! – era la voce di Sarah.
Fermò la porta a metà e la richiuse piano restando nella
piccola stanzetta, si girò con le spalle al muro e la testa
bassa per non guardarla negli occhi. “Stupida vigliacca prima o
poi la devi affrontare tanto vale farlo ora”, alzò decisa
il viso e la guardò.
Era tornata ad essere la “regina delle nevi”, come la
chiamavano all’Accademia. Dura, fredda e decisa, la fissava con
occhi di ghiaccio come aspettando che fosse lei la prima a parlare.
Ronnie si sentiva nervosa, non era ancora in condizioni di affrontare
quell’atteggiamento duro e freddo. Era ancora in riabilitazione e
non sapeva bene cosa dire o fare.
- Professoressa – provò a sembrare disinteressata.
- Mi stavo giusto chiedendo se lei lavorasse ancora qui o se ne fosse già andata.
Quell’asserzione gelò Leane, che guardò la donna
con paura. Che le stesse dicendo che non c’era più posto
per lei all’unità?
- Di cosa sta parlando? – si maledisse per il tremito della propria voce.
- Sta facendo di tutto per evitarmi, ma visto che
anch’io lavoro qui ha solo due possibilità –
incrociò le braccia e la squadrò da capo a piedi.
- Cioè?
- Ho da’ le dimissioni e se ne va, quindi evita il problema alla radice. Oppure…
- Oppure?
- Mi affronta e la facciamo finita.
Cameron si guardò le punte dei piedi e cercò di riordinare le idee. Fu interrotta dal tono perentorio di Collins.
- Si può sapere cos’ha? Perché mi evita?
- Io… me lo chiede pure? Dopo che per colpa mia…
- Per colpa sua cosa? E’ stata una mia scelta, lei hai solo ubbidito agli ordini.
- Se non mi fossi allontanata…
- Sì, effettivamente quello è stato uno
sbaglio, un grosso sbaglio. Specialmente dopo che Hotch si era
raccomandato di non separarci mai, per nessun motivo – Sarah si
limitò a fare spallucce – Credo le servirà da
lezione per la prossima volta.
- Non è arrabbiata con me?
- Leane, il mio essere arrabbiata con lei ormai
è diventato il mio status quo. Credo che non riuscirei
più a farne a meno, ma questo non deve impedirle di fare il suo
lavoro. Credo che questo metta fine alla discussione. Comunque, se le
può interessare, la squadra si sta riunendo per un nuovo caso.
Si incamminò verso la sala riunione, ma dopo pochi passi si voltò verso la ragazza alzando un sopracciglio.
- E’ ancora dei nostri o ha intenzione di rimanere lì invece di venire a lavorare?
Il tono sarcastico che aveva usato destò definitivamente Cameron, che incrociò il suo sguardo con aria di sfida.
L’agente Cameron Leane è tornata, pensò Sarah, attenti criminali.
Fine
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