Living well is the best Revenge

di Haemoglobin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Son of Mother Earth ***
Capitolo 2: *** 2. It's the end of the World as we know it (and I feel fine) ***



Capitolo 1
*** 1. Son of Mother Earth ***


TriggerHappy avverte:

TriggerHappy avverte:

Al fine di non farvi diventare pazzi mentre leggete, vi dico solo che la prima parte è ambientata nel presente, mentre invece le parti che cominciano con scritte in grassetto sono ambientate nel passato.

Avevo provato a mettere tutto il presente in corsivo, ma mi sembrava molto peso da leggere ^^

 

 

1. Son of Mother Earth

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< Bom dia, exorcista.>>

L’uomo con il cappello elegante, da gran signore, saluta educatamente l’esorcista che, riverso miseramente a terra, solleva con sguardo stravolto gli occhi. Le sue pupille, una volta vista la carnagione cinerea e le iridi color topazio dell’uomo, si dilatano. Ha compreso, lo ha riconosciuto, e a quel punto l’uomo si concede un sorriso così ampio e smagliante, così diverso dalla smorfia scomposta che solitamente gli deforma il viso mentre massacra il nemico, da farlo apparire quasi angelico.

L’uomo cerca di reprimere il sorriso e, con un gesto fluido, si sfila il copricapo.

<< Il mio nome è Tyki Mikk. Ma questo lei, mi sembra, lo sa già.>>

Tyki Mikk si accovaccia tranquillamente accanto all’esorcista agonizzante e si accende una sigaretta. Sa che c’è tempo, e che quell’esorcista sta per morire.

Soffia il fumo della sigaretta e ne assapora un altro tiro, prima di rivolgersi all’uomo.

<< Il tuo nome, esorcista?>>

Il pover’uomo ha un sussulto, ed inizialmente non risponde.

<< Su, su>>, lo esorta fiaccamente Tyki Mikk, al che l’esorcista deglutisce rumorosamente.

<< Hamlet Elliott.>> balbetta lui, e Tyki Mikk sospira scontento, scostandosi i ricioli neri dalla fronte e spingendoli all’indietro.

<< Non sei sulla lista.>>, dice seccato, come se fosse colpa di Hamlet Elliott. Come se Hamlet Elliott avesse anche una vaga idea di che cosa sia, la lista. Come se al momento gli importasse.

<< Signor Elliott>>

Riprende Tyki Mikk come se nulla fosse

<< Ha già conosciuto Tease? E’ un interessante golem cannibale…>>

E via, con quella storia che aveva già raccontato a cento altre persone, se non di più; la sua mente vaga mentre il discorso esce come automatico, e dai palmi delle sue mani sbocciano farfalle nere come petrolio, che paiono fatte di carta.

L’esorcista, ormai allo stremo ed alla fine della sua corsa, si sforza di parlare

<< Pietà.>> esala a fatica. Tyki Mikk corruga le sopracciglia, quindi scoppia a ridere.

<< Pietà? Che motivo avrei di concedertela, la pietà? Cosa dovrebbe impedirmi di strapparti il cuore dal petto mentre ancora batte, esorcista?>>

Un bisbiglio troppo debole per essere udito, anche da orecchie non umane. Tyki Mikk, si vede, si sta irritando.

<< Ripeti.>> esorta iroso, chinandosi sull’uomo morente.

<< Fu anche lei umano. Da qualche parte lo è ancora.>>

Il Noah, sentendo queste parole, sospira seccato.

<< Una frase poetica ma inesatta, esorcista. Non c’è più nulla di umano in me ma, indovina? La cosa mi piace.>>

<< Lei fu umano.>> insiste Hamlet Elliott, con una cocciutaggine che, seppur debole al momento, di sicuro l’ha accompagnato in vita. Usa le sue ultime forze per strappare al Noah il privilegio di una morte dignitosa.

Tyki Mikk, che ovviamente l’ha intuito, decide di stare al gioco. Ha ancora molte sigarette ed una notte intera: nessuno sta cercando quell’esorcista, almeno per ora.

<< Fui umano>> concede Tyki Mikk, sedendo composto a terra ed accendendosi un’altra sigaretta

<< Ma fu molto tempo fa. Tu non eri ancora un pensiero nella testa di tua madre, esorcista, anche se ora come ora il tuo aspetto da umano è più vecchio del mio.>>

L’esorcista, disteso a terra, tace, ma non è ancora morto. Tyki Mikk aspira fumo dalla sigaretta e comincia a parlare.

 

 

 

                                                                        

 

 

Se da bambino Tyki Mikk avesse potuto parlare, avrebbe detto che la vita faceva schifo.

Era figlio di un minatore e di una contadina, e fino a cinque anni non spiccicò parola, perché nessuno parlava con lui.

Sua madre era una presenza evanescente, che appariva saltuariamente durante la giornata per cucinare o sistemare la casa; la sera mangiava in silenzio, e poi andava a dormire senza guardare in faccia nessuno.

Il padre di Tyki, invece, era un uomo bellissimo: era alto e solido, con i capelli folti e lucidi e gli occhi profondi come pozzi neri. Cosa più importante, era un gran lavoratore, responsabile ed instancabile: lavorava in miniera ogni giorno per estrarre stagno dalla terra, e si spaccava la schiena dalle dieci alle dodici ore al giorno. A volte rimaneva in miniera giornate, altre volte settimane intere, per poi tornare a casa stanco e di cattivo umore; Tyki, già da bambino, aveva deciso che sarebbero andati bene tutti i lavori del mondo tranne quello.

Non voleva, per colpa del suo lavoro, odiare la sua famiglia, quando mai ne avesse avuta una.

Tyki parlò per la maggior parte dell’infanzia (almeno, quando si decise a parlare) solo con i ragazzini che, come lui, passavano le giornate a giocare in strada: imparò quindi ad imprecare, a scappare dopo aver rubato le mele al fruttivendolo, imparò a conoscere tutti gli angoli e le strade della sua città finchè non fu sicuro di conoscerli tutti a menadito. La sera tornava a casa, si sedeva alla tavola dove la sua famiglia consumava una cena frugale e silenziosa e poi andava a dormire.

Passò così tutta l’infanzia fino a che, a dieci anni, convinto di essere più figlio della strada che di sua madre e suo padre, decise che gli bastava così.

 

 

 

 

 

 

<< Così presi le mie cose e partii. Non erano tante, non riempivano neanche una borsa da viaggio. Avevo una mappa del territorio che era tutta macchiata e che, comunque, segnava i terreni sbagliati, una coperta ed un paio d’abiti, e non avevo bisogno d’altro, almeno finchè non fossi stato in grado di rubare… E credimi, esorcista, lo ero. Lo ero.>>

Tyki Mikk abbassa lo sguardo per controllare che l’esorcista sia ancora vivo: il suo petto si alza e si abbassa impercettibilmente. Almeno per ora, potrà continuare ad ascoltare; tra un po’, invece, Tyki Mikk parlerà a vuoto.

 

 

 

 

 

 

All’età di sedici anni, Tyki Mikk vagava senza meta per le aride terre del Portogallo centrale: passava di treno in treno senza sapere dove andava, e non gli interessava affatto saperlo. Nord o sud che fosse, si trovava sempre immerso in paesaggi di campagne e di città che erano tanto drammaticamente uguali tra loro da fargli venire l’emicrania; spesso, steso su un letto d’albergo (o, molto più probabile, raggomitolato sotto la sua coperta) si chiedeva se non stesse per caso girando in tondo. Non potevano esistere così tante città talmente simili l’una con l’altra.

Per mantenersi lavorava saltuariamente nei campi dei grandi proprietari terrieri, guadagnando poco o niente e spaccandosi la schiena dalla mattina alla sera curando la terra, con il sole che gli bruciava implacabile la nuca ed il sudore che scorreva a rivoli, talmente tanto che a fine della giornata aveva la camicia zuppa. Cominciò a togliersi la camicia per lavorare, fregandosene delle bruciature provocate dal sole, ed il suo fisico si irrobustì.

La sera, sporco e di cattivo umore, spendeva tutti i soldi guadagnati in giornata in cibo, o alcolici o, quando fu abbastanza grande per permetterselo, donne; le trattava rudemente, senza gentilezza, perché pensava di non dovergliela visto che le ragazze facevano il loro lavoro, non di certo un piacere a lui, e mentre era con loro si chiedeva se suo padre si sentiva come lui quando tornava dalla miniera in una casa calda dove c’erano una famiglia silenziosa ed una moglie che non l’amava. Si convinse che probabilmente era così, e lo comprese un po’ di più.

Le prostitute, dal canto loro, ammiravano la bellezza del ragazzo e la sua prestanza e spesso, mentre lui fumava imbronciato una sigarette guardando ostentatamente davanti a sé, parlavano del più e del meno, coprendo i suoi gelidi silenzi. Dopo anni di lavoro erano abili nel capire la differenza tra un uomo che passava per una toccata e fuga prima di tornare a casa dalla famiglia ed un ragazzo che non parlava perché nessuno parlava mai con lui.

La più utile per Tyki, tuttavia, fu una certa Trànsito Soto, prostituta di un locale di Leira.  Era una prostituta a stampo classico, di un’età variabile tra i ventotto ed i trentatrè anni, con una cascata di riccioli neri che le ricadevano sulla pelle olivasta, che si vestiva con abiti così succinti da coprire a malapena le sue forme più che floride. Aveva un neo appena sopra le carnose labbra dipinte di rosso, fumava almeno venti sigarette al giorno ed aveva una risata tonante che si sarebbe sentita da una parte all’altra di un teatro.

Le forme sinuose di Trànsito Soto erano lontane dall’idea di bellezza che, con il tempo, si erano formate nella mente di Tyki Mikk, ma Trànsito aveva una qualità che nessun’altra donna aveva: era un’abilissima giocatrice di poker.

Era inoltre una donna intelligente, nonostante la sua rudezza. Tyki aveva passato mesi cercando la sua compagnia e spendendo tutti i suoi soldi per lei, finchè non aveva imparato tutti i trucchi del poker che lei poteva offrirgli.

Per prima cosa gli aveva insegnato a contare, perché Tyki non era mai andato a scuola e sapeva scrivere a malapena il suo nome; poi, una volta superato l’ostacolo più grande rappresentato dalla sua ignoranza, gli aveva insegnato a contare le carte. Dopodichè era passata a tutto il resto.

<< Quando nascondi le carte, capo, non metterle dove le metto io.>>, sogghignò una sera Trànsito, tirando fuori un asso di picche dal corpetto intrecciato. Tyki deglutì ed abbassò lo sguardo, e Trànsito Soto rise.

<< Penso che li metterò all’interno della manica.>>

Commentò lui, girandosi le carte di mano in mano. Trànsito annuì

<< O all’interno dei pantaloni. Capo, da qualsiasi parte le metti, basta che non ti fai beccare mentre le tiri fuori. Mano lesta ed occhio veloce.>>

Tyki annuì, concentrato sul mazzo.

Se fosse riuscito a diventare così bravo da non poter mai perdere, pensava, non avrebbe mai più dovuto lavorare la terra.

Mai più pelle ustionata, mai più sudore, mai più quella sensazione di sporco che pareva non andarsene mai via.

Continuò a vedere Trànsito Soto per mesi e mesi, finchè lei non decise che era abbastanza bravo da potersi esercitare da solo

<< Eri portato, capo.>>

Gli disse l’ultima sera che si videro, nella stanza semibuia del secondo piano.

<< Ormai devi solo allenare l’occhio e velocizzare la mano. Sai tutto quello che potevo insegnarti. Non l’avrei mai pensato, ma penso che mi mancherai. Perché ora partirai, vero, capo?>>

Tyki annuì, abbassando lo sguardo. Doveva molto a Trànsito Soto, ma voleva che, una volta sul treno per la sua nuova vita, restasse un avvenimento del passato.

<< Non posso fregare quelli che mi vedono da mesi girare in città>>, spiegò, <qui da te solo per il poker. Nessuno accetterebbe una partita con me, con questi presupposti… Soprattutto considerando che tu li hai spennati tutti prima di me.>>

Trànsito Soto, in effetti, quando ancora non era famosa per le sue forme sinuose e le sue danze sensuali, aveva sfidato e derubato con l’imbroglio buona parte della popolazione maschile di Leira e dintorni.

<< Andrò verso nord.>>

Aggiunse Tyki, mentre Trànsito sogghignava.

<< Non hai mai fatto un discorso così lungo da quando ti conosco, capo.>>

Tyki si strinse nelle spalle senza aggiungere nulla.

Il giorno dopo, Tyki Mikk si trovava alla stazione dei treni, con la sua sacca da viaggio impolverata buttata malamente sulla spalla ed il mazzo di carte incastrato tra l’anca e la cintura.

 

 

 

 

 

 

 

<< Fu un viaggio lungo fino al nord, esorcista.>> Tyki soffia il fumo verso l’alto, pensieroso.

<< Era più freddo e più ventoso, e l’aria odorava talmente di mare che dopo un po’ l’odore ti rimaneva addosso e non c’era doccia che potesse togliertelo.

Ma lì non fu male.>>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota dell’autrice

Salve ^^

Ho deciso di cominciare questa fic per raccontare la storia di Tyki da prima che diventasse Noah. Non durerà molto, ma era una fiction che da tempo avevo voglia di scrivere.

Spero che il personaggio di Tyki sia IC… Nel caso non lo fosse, avvertitemi, per favore xD non vorrei mai renderlo OOC proprio in questa ambientazione.

Se mai vi preoccupaste per il personaggio di Trànsito Soto (il cui nome, e ahimè non solo, è stato rubato dallo splendido libro di Isabel Allende, La casa degli Spiriti) e pensate che sia una Mary Sue, allora buttate via le vostre preoccupazioni, perché non la vedremo più. Mi sono resa conto rileggendo che può sembrare un personaggio principale, ma per quanto sia a suo modo “importante”, non lo è.

Spero che abbiate voglia di commentare, perché scrivere una fanfiction, per quanto bella o brutta sia, almeno per me, è sempre un lavoro che va fatto con pazienza, volontà e impegno, ed è bello veder apprezzati i propri sforzi ^^

Grazie mille per aver letto e/o recensito, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto.

                                                                                

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Capitolo 2
*** 2. It's the end of the World as we know it (and I feel fine) ***


Capitolo 2- It’s the end of the World as we

Capitolo 2-  It’s the end of the World as we

know it (and I feel fine)

                         

 

 

 

L’aria della città era marina e satura di peccato, e Tyki Mikk vi si gettò a pesce.

Era riuscito a trovare delle città dove ci fossero più locali, pub e bordelli che alberghi, il che gli andava benissimo, visto che nel suo piano erano comprese bettole ed ostelli, non certo ricchi saloni e ristoranti.

Aveva rifiutato il consiglio datogli da Trànsito Soto di esercitarsi un po’ prima di lanciarsi nelle vere sfide e, in treno, aveva fatto piazza pulita dei soldi di due uomini che avevano accettato di giocare.

 

 

 

 

 << Ovviamente ora come ora mi rendo conto che quei tipi non sapevano molto, anzi, oserei dire quasi nulla del poker, altrimenti non li avrei mai battuti. Se solo fossero stati un pelo più attenti, esorcista, avrebbero visto che mi sfilavo le carte dalla manica. Ingenui, no? >>

L’esorcista, sempre steso supino a terra, non risponde; non che abbia molto da commentare, comunque, visto che quella non è la sua storia. Una farfalla si posa leggiadra sul suo petto, e l’uomo trasale. Tyki Mikk, che benché guardi la scena di sottecchi non si lascia sfuggire un dettaglio, schiocca le dita. La farfalla si allontana.

<< Niente golem dentro di te, esorcista.>> spiega guardando la farfalla che si allontana.

<< Più tardi, magari, ma ora devi ascoltare. Non ho intenzione di parlare ad un morto come uno sciocco. L’idea che i morti possano ascoltare fa parte delle vostre stupide convinzioni, non certo delle mie.>>

Lo dice con tono imperioso, superiore; e l’esorcista, dal canto suo, difenderebbe sicuramente le sue convinzioni se non stesse rischiando di soffocare con il suo stesso sangue.

Sentendo i gorgoglii, Tyki Mikk deforma il viso in una smorfia che è un misto di disgusto ed impazienza e, senza alzarsi dal suo posto, gli tira un calcio perché si giri di lato.

Sentendo i colpi di tosse, si rilassa e distende le spalle, che si riassestano con uno scricchiolio.

<< Dov’ero arrivato?>> chiede quindi accendendosi una terza sigaretta, la terza ormai.

<< Ah, sì, poker e bordelli.>>

 

 

 

 

Con il tempo, Tyki Mikk si era fatto più audace: sfidava damerini ed ingenui creduloni, ma anche esperti marinai e giocatori professionisti, più per orgoglio che per necessità.

Spesso vinceva, a volte perdeva, rarissimamente – per fortuna sua- veniva scoperto mentre barava e, se succedeva, doveva abbandonare la città in cui si trovava in fretta e furia.

Più saliva a nord, aveva imparato, più freddo era la notte, soprattutto se si trovava in città vicine all’odioso Oceano Pacifico ed alle sue correnti d’aria gelida; così aveva imparato a dirigersi verso nord-est, spesso a confine con il territorio spagnolo: lì l’aria era quasi sempre calda come al centro del Portogallo.

Aveva imparato che ciò che è poetico non sempre è comodo (anzi, quasi mai), e che tra il poetico ed il pratico preferiva il pratico.

E, in conclusione, un classico della praticità era nascondersi sotto ai letti delle prostitute, se grossi omaccioni nerboruti lo cercavano per rifargli i connotati dopo che lui li aveva spennati; dopo qualche anno Tyki Mikk poteva vantare conoscenza e fiducia della maggior parte delle prostitute della parte nord-est del paese. Raramente gli uomini inferociti trovavano la forza per mettere a soqquadro le stanze delle ragazze per stanarlo e queste ultime, per buona parte, si difendevano con strilli isterici o risate tonanti, proclamando la loro innocenza e che non c’era nessuno, tantomeno un ragazzo in fuga, che ci dovrebbe fare poi, e di uscire immediatamente perché l’orario di lavoro era finito, e che un ragazzo alto con i capelli neri era solo uno tra mille e che né quella sera né quella prima lo aveva visto, sempre posto che esistesse e che non fosse una scusa per un lavoretto fuori servizio, e non lo era, vero? E tante grazie.

Tyki rimpiangeva con nostalgia puramente professionale la sua vecchia amica Trànsito Soto, che certamente se la stava cavando egregiamente nella sua attività. Spesso, nascosto sotto ad un materasso o ad una pila di vestiti, ricordava la tranquillità della sua stanza semibuia: gli uomini non osavano neanche entrare in quella stanza senza bussare. La rispettavano troppo.

Molto diverso da quello che succede qui, pensò una sera ironicamente Tyki Mikk mentre la prostituta di turno metteva alla porta l’omaccione della serata, dopo scongiuri, maledizioni e promesse.

<< Paghi solo per non dormire per strada o per nasconderti.>>

Disse la ragazza  con tono lamentoso, mentre lui nuotava faticosamente fuori da un mucchio di abiti, con una calza di seta incastrata tra i ricci.

<< Non dovrebbe essere un problema per te.>>

Ribattè, togliendosi la calza dalla testa.

<< Vi lamentate perché vi usano come oggetti, e quando arriva uno che la maggior parte delle volte paga solo per dormire, vi lamentate perché vi occupa metà letto. Galline senza cervello.>>

La ragazza, che si chiamava Irène Fèrula ed era abituata a trattare con successo con uomini certo più minacciosi di Tyki Mikk, incassò l’insulto senza badarci e, vedendo il ragazzo particolarmente irritato, gli mise entrambe le mani sulle spalle.

<< Volevo solo dire che se cerchi rifugio ci sono le chiese, e lì non devi certo pagare! Né per dormire, né per nasconderti. Diritto d’asilo, si chiama.>>

Tyki Mikk alzò la testa guardandola attentamente. Quello sì che era interessante.

<< In cosa consiste?>>

Domandò posando le mani sopra quelle di Irène, ancora posate sulle sue spalle.

Lei le tolse malamente portandosele alle anche e scosse la massa invidiabile di capelli castani prima di rispondere.

<< Basta che entri dentro ad una chiesa e dici al primo prete che incontri “Invoco diritto d’asilo”>>

Tyki inarcò un sopracciglio, dubbioso, ma Irène Fèrula si legò i capelli annuendo con convinzione.

<< Invoco diritto d’asilo.>> ripeté soddisfatta, annuendo per buona misura. << Ed è inutile che fai quello sguardo scettico, è la verità. Sono obbligati ad ospitarti finchè non decidi di andartene.>>

<< Sono religiosi>> obbiettò lui con l’unica argomentazione che conosceva << Possono denunciarti quando gli pare.>>

Irène fece un segno sdegnato con la mano

<< Non capisci nulla. E tanto più non lo faranno perché sono religiosi.>>

A quest’ultima affermazione Tyki Mikk strinse le labbra, contrariato, senza dire nulla. Non voleva rimanere a discutere tutta la notte.

<< Hai soldi?>> gli domandò infine Irène Fèrula mentre si ammirava allo specchio, ritornando in un istante l’immagine dell’efficienza lavorativa, nonostante indossasse solo un corpetto intrecciato ed una gonna di seta semitrasparente. Tyki Mikk, sempre contrariato, scosse il capo, e lei gli indicò semplicemente la porta.

 

 

 

 

<< E puoi scommetterci, esorcista, che ho preso e l’ho mollata lì. Lei mi aveva dato l’idea, ed io volevo sfruttarla al meglio… Non fraintendermi, non ammiravo Irène Fèrula. Era frivola, volgare e stupida, e parlava sempre come se la ragione fosse stata da una parte sola… la sua. >>

Tyki Mikk dice tutto questo con le sopracciglia aggrottate, infastidito al ricordo, masticando tra i molari il filtro della sigaretta come se fosse stato un delizioso bastoncino di liquirizia. Aspira una generosa boccata di fumo, e questo sembra calmarlo.

<< Dentro di me sapevo che non era una buona idea, ma che alternative avevo?  Non ero più stupido a quel tempo di quanto non lo sia ora… Ed io non sono stupido, vero, esorcista?>>

Anche senza che si muova, si evince che Hamlet Elliott è certamente d’accordo. In un universo in cui non è riverso su un fianco per non soffocarsi con il suo stesso sangue, probabilmente avrebbe qualcosa da obbiettare, ma così va.

Tyki Mikk sembra non badarci e continua

<< La chiesa, giusto? Questa ti piacerà, esorcista! Giuro su… Dio!>>

 

 

 

 

Una chiesa di campagna, per un ragazzo che non c’era mai entrato, era strabiliante: alti soffitti con vetrate colorate che illuminavano la pavimentazione del corridoio come se fosse stata dipinta, marmi e ombra.

Il crocifissi, imponente e pesante, dominava l’abside con il suo sguardo sofferente. Tyki Mikk vide la targhetta sopra la sua testa e si avvicinò. “INRI”, lesse lentamente, scandendo le lettere. Che significava? In un posto così mistico e misterioso, tutto sembrava avere un significato speciale.

Il senso di nausea che aveva provato entrando si stava acuendo, e la testa gli pulsava fastidiosamente. Doveva dormire.

Si guardò attorno, ma non vide preti scalpitanti per accoglierlo, quindi si rivolse all’unico presente nella sala.

<< Diritto d’asilo.>> disse al crocefisso, quindi si distese su una scomoda panca di legno e si assopì, un sonno leggero e disturbato da incubi in cui il Cristo morente, appeso alla sua croce, abbassava lo sguardo travolto dalla sofferenza per guardarlo.

 

 

 

 

<< Quando mi svegliai, il mattino seguente, la nausea non se n’era andata per niente.  Immagino che già da allora avrei dovuto sospettare qualcosa. Intendo dire, un Noah che cerca rifugio in una chiesa! C’è nulla di più assurdo? Certo che no. Ovvio che mi sentissi male.>> Allunga lo sguardo verso l’esorcista, Tyki Mikk, e si sorprende di vederlo ancora vivo. E’ un uomo d’acciaio, ma non certo un degno avversario. Semplicemente rifiuta di lasciare che la vita gli scivoli via dalle dita: non sarebbe meglio per lui se abbandonasse tutta la sofferenza?

<< Stupidi uomini.>> sibila tra sé e sé Tyki Mikk, disgustato, prima di ricominciare a parlare.

 

 

 

              

<< Svegliati, ragazzo! Svegliati!>>

Tyki Mikk venne sempre strappato dalle braccia del sonno in modo violento, scrollato come un toro al maneggio.

Imprecando si alzò in piedi, maledicendo il vecchio che lo svegliava alle prime luci dell’alba. Quante ore poteva aver dormito… due, quattro? Di certo, pensò sbadigliando, non abbastanza.

<> cominciò l’uomo, gonfiando il petto con aria autoritaria << Che cosa ci fai qui dentro?>>

Tyki si grattò il naso prima di rispondere

<< Ero venuto a… Dormire?>> concluse esitante. “Dormire” sembrava una buona idea.

Il prete, un uomo basso e tarchiato con un’incolta barba che cresceva a ciuffi grigi sul viso rubizzo, sbuffò dal naso.

<< Non sei un novizio.>>

Non era una domanda, per cui Tyki Mikk non rispose.

<< Neanche un catecumeno.>>

Questa volta Tyki fece un cenno di diniego.

<< Speravo di poter avere ospitalità per la notte.>> spiegò. Il prete scosse la testa, contrariato.

<< Qui diamo asilo solo ai rifugiati politici.>> spiegò con foga. Tyki annuì rassegnato, e si avviò per l’ampio corridoio centrale, dove la luce riflessa sulle vetrate formava suggestivi giochi di colore sul pavimento.

Tyki Mikk li osservò con scarso interesse, dato che il suo mal di testa peggiorava di minuto in minuto. Dopo tutta una notte di cova, era diventata un’emicrania lancinante.

 

 

 

 

<> sbuffa ancora Tyki Mikk, crogiolandosi nella sua antica ingenuità. L’esorcista tace, ma se potesse parlare saprebbe cosa dire: direbbe di piantarla di rimuginare su uno sbaglio del passato, che ai tempi non sapeva neanche cosa fosse un Noah, che non ne avrebbe potuto neanche immaginare il nome, per cui che la piantasse di brontolare e continuasse la storia, grazie.

Hamlet Elliott non lo dice, ma Tyki Mikk lo avverte comunque; si accende l’ennesima sigaretta strofinando il fiammifero sull’unghia del pollice, e aspira il fumo tossico beandosi di quel momento.

Una notte stellata e silenziosa, sigarette a sufficienza per giorni e qualcuno… Qualcosa, fermo lì ad ascoltare.

 

 

 

 

Era l’ennesima prova del fatto che non ci si poteva fidare né delle prostitute, né dei preti.

<< Hanno un’etica tutta loro.>> brontolava Tyki Mikk, allontanandosi dalla chiesa con passo pesante.

Camminava curvo, imbronciato, con le mani cacciate fino in fondo alle tasche dei pantaloni, che gli cadevano sui fianchi: li aveva vinti a poker qualche mese prima (un bene, perché i pantaloni che aveva prima erano ricoperti di sporco incrostato ed impossibile da lavare, e dove non era sudiciume erano buchi) ma gli stavano a dir poco giganteschi. La camicia che indossava, anche questa non sua, era sbottonata all’altezza dei pettorali, e quando c’era vento gli volava intorno al busto come una vela.

Fumava di rabbia e sentiva che la vita era ingiusta: lui sapeva fare praticamente tutto ciò che era utile saper fare, cacciare, pescare, barare, raccogliere i frutti della terra a mani nude, curare i campi, pulire, trasportare pesi senza lamentarsi, tutto, ed era ridotto a fuggiasco, cacciato persino dalle chiese, indossando abiti scomodi e leggeri, inadatti alle condizioni climatiche notturne. Uno come lui, uno capace, avrebbe dovuto avere tutto quello che si meritava, senza resti.

Ma cosa si merita in realtà un uomo che ha di suo solo una rabbia cieca che non lo lascia mai andare?

Un uomo – perché ormai, a vent’anni, non sei altro che uomo- che si accontenta di vivere giorno per giorno senza mai mettere da parte nulla per il futuro perché filosoficamente e profondamente convinto che il futuro non c’è?

Più Tyki Mikk ci pensava, più si arrabbiava; più si arrabbiava, più gli piaceva tornare con il pensiero a quegli argomenti che alimentavano la sua collera.

E, man mano che pensava, trovava i suoi colpevoli: Irène Fèrula, quello stupido prete? No di certo. Loro erano gli ultimi, inutili gradini nella scala delle sue accuse. Mirava più in alto: la società, l’iniquità del mondo, quel Dio che tanto odiava. Focalizzò su quella presenza evanescente ed adorata tutta la sua ira, ed infine seppe cosa doveva fare.

 

 

 

 

<quanto ero arrabbiato! Quasi c’era da non crederci!>>

 

 

 

 

E più sassi raccoglieva, più sentiva di avere forza sulla schiena, e più erano pesanti, più gli era facile trasportarli.

Ne raccolse tanti da formarne una montagnola che gli arrivava alla vita – e le sue gambe non erano certo corte- e si fermò ansimando ad ammirare il proprio lavoro. Sentiva un doloroso cerchio alla testa dovuto al lavoro eseguito senza mangiare neanche un boccone, e si sedette a terra con la testa tra le mani, gemendo per la sofferenza e la rabbia.

Tyki, puoi?

Chiedeva, speranzosa, la voce che alimentava la sua collera, ed il cerchio alla testa si fece più ferocemente acuto.

Tyki, puoi?

Si piegò su sé stesso in posizione fetale, sapendo che se avesse aspettato che il dolore passasse avrebbe perso la forza che aveva ottenuto grazie alla rabbia.

POSSO!

Poteva! Perché se non avesse potuto sarebbe ricaduto nel suo immobile mondo senza emozioni, e anche se quella sensazione era cattiva e lo consumava dentro, se non altro era qualcosa… E qualcosa è meglio di nulla, sempre.

 

 

 

 

<fu cattivo, esorcista?>>

 

 

 

 

Dapprima prese tra le mani un sasso poco più grande del suo palmo, e lo scagliò con forza contro la vetrata colorata; che la sera prima gli fosse piaciuta non aveva nessuna importanza, perché ora era lui ad avere il controllo, ed il piacere che provò nel vedere il volto della Madonna prima incrinarsi e poi sparire in mille cocci all’interno della struttura lo travolse, e non era nulla di sessuale o paragonabile a qualsiasi altro piacere mai provato in vita sua prima di allora, oh no!, era un qualcosa di nuovo ed inebriante che gli scorreva nelle vene come il sangue, che pompava nel suo cuore, che brillava nei suoi occhi spenti.

Il secondo sasso, un po’ più pesante, distrusse la mano protesa di Gesù; il terzo, un po’ più pesante, il seno della Vergine. Il quarto, il quinto, il sesto… Chi lo ricorda?

Tutte le vetrate della parete di destra furono distrutte in meno di dieci minuti, senza che nessuno dall’interno arrivasse per protestare.

<< Vengano pure.>> sibilava Tyki Mikk, pregustando come sarebbe stato l’incontro tra il masso spigoloso ed il viso del prete.

<< Vengano pure, porci schifosi.>>

Ma non venne nessuno.

Finiti i massi, distrutta la facciata, Tyki Mikk si lanciò all’interno e, dopo pochi calci, riuscì a far cadere a terra il massiccio crocifisso.

Anche a terra lo sguardo del Cristo puntava verso l’alto, e questo fece infuriare Tyki.

<< Guarda a terra! Guarda noi!>> gridò mentre, con un candelabro dorato, frantumava il viso del crocifisso, senza rendersi conto che le schegge gli penetravano nella carne facendolo sanguinare, senza accorgersi che mentre il viso di legno si frantumava piangeva. Quando fu distrutto, le lacrime di Tyki Mikk erano ormai asciutte ed il ragazzo riemerse sconvolto dal suo stato di rabbiosa frenesia. Corse fuori sentendosi leggero, e sempre correndo raggiunse gli immensi campi di grano che si trovavano nella campagna vicina.

Si lasciò cadere a terra ansimando; era stato terribile. Era stato meraviglioso! Voleva rifarlo subito! Non voleva rifarlo mai più.

Steso sul grano che gli pungeva la schiena, Tyki Mikk rivolse la sua risata folle al sole ed al cielo, gli unici che potessero ascoltarlo.

 

 

 

 

<< Non mi ero ancora risvegliato, ma penso che quello fu un punto chiave della mia vita. Distruggere una chiesa… Oh, cielo.>>

Lo ricorda con nostalgia e con nostalgia lo racconta all’esorcista, Tyki Mikk, perché ora non ha più tempo di farlo, e se lo facesse non avrebbe senso. Ha incarichi più importanti a cui badare.

Ma, oh, la poesia di quel gesto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scettro dell’Autrice

Salve carissimi ^^

Torno dopo un tempo da scandalo per aggiungere questo capitolo, più lungo del primo, che mi sono divertita moltissimo a scrivere. Tyki praticamente impazzito dalla rabbia l’abbiamo visto, ma non in questo senso… Credo. Spero che mi sia venuto bene, perché è molto difficile scrivere di questi stati d’animo e risultare convincenti.

Voi che mi dite?                                                      

Spero in qualche recensione che mi critichi/consigli per migliorarmi ancora :)

Spero comunque di avervi allietato questi dieci minuti che ci avrete messo a leggere, magari anche meno. Spero che vi piaccia, e per qualsiasi errore nella trama, nella grammatica o in qualsiasi altra cosa mi scuso ;) Aggiornerò più in fretta la prossima volta, promesso, soprattutto se vi piace :)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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