One Shots!

di Sunny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Da Grande... ***
Capitolo 2: *** Una giornata con papà ***
Capitolo 3: *** A Wizard's Life ***
Capitolo 4: *** And the winner is... ***
Capitolo 5: *** Natale in casa Weasley ***
Capitolo 6: *** Non è poi così male... ***
Capitolo 7: *** Mi sudano le mani! ***
Capitolo 8: *** Mission Very Possible ***
Capitolo 9: *** Fratelli? No, grazie! ***
Capitolo 10: *** My Name is Cupido ***
Capitolo 11: *** Once upon a time... ***
Capitolo 12: *** Ascensori, che passione... ***
Capitolo 13: *** Hero ***
Capitolo 14: *** Un cuore grande così ***
Capitolo 15: *** Casa mia... ***
Capitolo 16: *** Until I find you again ***
Capitolo 17: *** Fast & Furious ***
Capitolo 18: *** Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Vietnamita ***
Capitolo 19: *** What a Mess, Jay-Jay Potter! ***
Capitolo 20: *** My Boo ***
Capitolo 21: *** Where the heart is ***



Capitolo 1
*** Da Grande... ***


Ragazzi, rieccomi

Ragazzi, rieccomi! Si sa che io non resisto a stare tanto tempo lontana da un pc…e visto che l’estate è finita (ahimè, le mie versioni di latino ancora no…) riapriamo ufficialmente la nuova stagione delle mie fanfictions! Lo so che avevo promesso che avrei cominciato subito BAWM Capitolo Zero, ma prima devo accontentare alcune richieste. Questa storiella è la prima di queste richieste, ed è anche il mio modo di fare gli auguri di buon compleanno alle persone che mi hanno commissionato un regalino speciale.

BUON COMPLEANNO, SARA LEE!!!!! Ecco la one-shot che tanto volevi…uno dei momenti che ho accennato nell’epilogo di Die Another Day. Goditela tutta, tesoruccio! ^^

 

P.S.: tanto per orientarci meglio: Jack e Dan hanno fra i 17 e i 18 anni, Julie ne ha 16, Simon 15 e la piccola Katie appena 8. Ed è estate.

 

P.S.2: sarà anche un regalo di compleanno per lei…ma voi altri recensite! ^^

 

 

 

DA GRANDE…

 

 

 

“Ciao, ci vediamo domani al parco!”

 

Katie Weasley salutò ancora una volta le sue amichette e la madre della festeggiata, quindi uscì e raggiunse suo padre che la stava aspettando alla porta d’ingresso.

 

“Ciao papy!” squittì allegramente, sollevandosi sulle punte per dargli un bacio.

 

“Ehi, patatina!” le rispose vispo Ron, dandole a sua volta un bacio sulla fronte e prendendola per mano mentre si avviavano lungo la strada alberata che portava a casa loro. “Allora, com’è stato questo compleanno?”

 

“Molto bello. A Mary è piaciuta molto la bambola che le ho regalato, più degli altri regali.”

 

“Avete giocato molto?”

 

“Si, anche a nascondino a tempo. Lo sai che sono molto veloce? Ho vinto sempre!”

 

Ron rise e si voltò a guardare sua figlia mentre passeggiavano tranquillamente lungo il vialetto. Aveva i suoi stessi occhi blu quella bambina, ma i tratti somatici e il fisico erano senza dubbio quelli di Hermione. In più era vispa come una cerbiatta, nonostante fosse di natura tranquilla e silenziosa. “Oh, questa non è una novità per me.”

 

Katie scrollò le spalle. “Nellie Roland dice che non è vero, che è lei la più veloce, ma lo sappiamo tutti che non è così. Solo che se glielo diciamo, quella piagnucolona scappa subito dalla madre.”

 

“Chi è Nellie Roland?”

 

“Una mia compagna di classe.” Katie si sistemò il cappello in testa. “Quella che alle gare della scuola è arrivata quarta ai cento metri. Ti ricordi come ha pianto perché la maestra non le aveva dato la medaglia? E’ proprio infantile.”

 

Ron rise e scosse la testa. Ricordava quel giorno perché Katie si era classificata prima a un bel po’ di discipline, con grande orgoglio dei suoi genitori e fratelli. E pensare che nessuno lo avrebbe mai detto: sentendola parlare chiunque avrebbe giurato che fosse uguale a Hermione, ma poi sotto quell’aspetto tranquillo e pacifico Katie Weasley era molto competitiva.

 

“Dov’è mammina?”

 

“E’ andata con zia Ginny a fare un servizio, torna per ora di cena.” Le rispose Ron. “Ehi, che ne dici se ora io e te ce ne andiamo a fare un giro alle giostre?”

 

Katie s’illuminò. “Possiamo davvero?”

 

Ron rise. “Certo che si.”

 

“Che bello!” Katie prese a saltellare. “Sei proprio fantastico, papy!”

 

“Si può fare di meglio.” Fece Ron con un sorrisetto furbo. “Che ne dici di un bel gelatone?”

 

“Panna e cioccolato?” replicò Katie con lo stesso sorrisetto, e all’occhiolino del padre quel sorriso si allargò ancora di più. “Quanto mi piace l’estate!”

 

Suo padre sorrise e le sistemò meglio la visiera del cappello. Katie aveva preso da Simon  il vizio di metterselo storto. “Specie le belle giornate come oggi.”

 

Katie annuì. “Si, oggi è veramente una bella giornata. Ho fatto un sacco di cose belle: sono andata alla festa di Mary, mi sono fidanzata, ora andiamo alle giostre col gelatone…”

 

Ron si accigliò. “Come sarebbe che ti sei fidanzata?”

 

La bambina lo guardò senza il minimo imbarazzo. “Si, con Johnny Toddler. Sai, quello di quarta.”

 

“Ah, e sentiamo. Com’è che non me l’hai detto prima che mi hai sostituito?” fece Ron, con un’aria divertita.

 

Katie scosse la testa. “No, tu sei sempre il mio fidanzato preferito. Però anche Johnny mi piace.”

 

“Mh. Bisogna che me lo presenti, sai.”

 

Katie spalancò gli occhioni blu. “Non è che gli fai tutte le domande come ha fatto zio Harry col ragazzo di Julie?”

 

Ron rise ripensandoci. “No, non ti preoccupare. Quello lo farò quando ti fidanzerai per davvero.”

 

Katie si accigliò. “Ma io sono fidanzata per davvero con Johnny. Pensa che ci diamo sempre la mano quando stiamo vicini.”

 

Il padre sorrise. “Fidanzarsi per davvero vuol dire che poi ti sposerai con il ragazzo con cui stai insieme.”

 

“E allora? Io mi sposerò con Johnny.”

 

“Non è un po’ presto per parlare di matrimonio?” Ron inarcò un sopracciglio: forse Harry non aveva tutti i torti a stare sempre con un occhio aperto con Julie. Una figlia femmina era più impegnativa da sorvegliare.

 

Katie si scansò i capelli biondi dal viso. “No…perché dovrebbe?”

 

“Beh, perché sei solo al primo amore.” Hermione, dove sei quando servi?

 

“Ma scusa, nonna dice sempre che il primo amore è importantissimo e si sposa quasi sempre.”

 

“Ma non sempre…”

 

“E tu e mamma, allora?”

 

Katie 1, Ron 0. “Ok, comunque devi prima finire la scuola, poi ti potrai sposare.”

 

Katie annuì soddisfatta. “Così avremo anche il tempo di scegliere le bomboniere.”

 

Ron cercò di togliersi rapidamente dalla testa l’immagine della sua bambina col velo bianco all’altare. Cercò di spostare il centro del discorso su altri argomenti mentre passeggiando arrivarono proprio vicino casa loro, ma quando stavano per svoltare a destra e imboccare la via per le giostre videro arrivare Simon sulla bicicletta.

 

“Ma che hai combinato?” gli chiese Ron, accigliandosi. Simon aveva detto di dover giocare una partita a basket coi suoi amici nel pomeriggio…e ora aveva un taglio sul sopracciglio destro, le ginocchia sanguinanti e un livido sul braccio. E nonostante questo non sembrava assolutamente seccato, anzi.

 

“Partita a basket, Matt ci è andato un po’ pesante.” Disse con un mezzo sorrisetto, frenando la bici. Ron inarcò scetticamente un sopracciglio, e dopo un po’ Simon fece un sorrisetto e scosse la testa. “Ok, ok…Devon Collins stava facendo l’idiota con una mia amica, e…”

 

“Con Melanie?” disse Katie con la sua inconfondibile vocetta da spiona.

 

Simon inarcò un sopracciglio. “Ma tu non eri alla festa della tua amica?”

 

“Ti sei azzuffato col figlio di Collins?” gli chiese Ron, e dopo un secondo gli fece un sorriso fiero. Collins era un imbecille di vice segretario nella sezione Uso Improprio dei Manufatti Babbani che per giunta più di una volta aveva fatto il cascamorto con Hermione. Evidentemente il figlio aveva la sua stessa attitudine, e non era cascato bene sbattendo contro Simon. Non c’era ragazzo più cocciuto e testardo di suo figlio: e oltretutto Simon aveva fatto a botte con suo fratello e i suoi cugini per un’infanzia intera, ne aveva di esperienza. E se la cavava anche piuttosto bene, perché pur non essendo alto come Jack aveva un fisico ben piantato per essere un quindicenne.

 

“Si, però non dirlo a mamma.” Gli disse subito il figlio.

 

Ron gli fece un occhiolino. “Se ti sistemiamo adesso non se ne accorgerà nessuno.”

 

Simon smontò dalla bici e seguì suo padre e sua sorella nel giardinetto di casa. “Ma non andiamo più alle giostre, papy?” fece sconsolata Katie.

 

“Certo che ci andiamo, ci mettiamo un secondo qui.” La rassicurò Ron, entrando in casa e dirigendosi in cucina.

 

“Stavate andando alle giostre?” chiese Simon, sedendosi sul bordo del tavolo e lasciando a suo padre la possibilità di occuparsi delle sue ginocchia.

 

Katie annuì, mettendosi in ginocchio su una sedia. “Vuoi venire con noi? Dopo ci prendiamo anche il gelatone da Florian.”

 

“Non suona male come programma.” Disse Simon mentre suo padre gli puntava la bacchetta alle ginocchia, mormorando l’incantesimo per rimettergliele a posto.

 

Katie sorrise. “Mi piace quando vieni con me alle giostre. Mi fai la voce di Spenky il Porcellino per strada?” Simon le obbedì volentieri, imitando il suo pupazzo preferito e facendola ridere. “Lo fai benissimo! Ma come ci riesci?”

 

Simon le fece un occhiolino. “Potrei dirtelo, ma poi dovrei ucciderti.”

 

La porta di casa si aprì ancora, ma questa volta ad entrare fu un ragazzo alto coi capelli rossi che gli finivano leggermente sulla fronte, con la stessa identica espressione del viso di Ron.

 

“E tu che fai già qui?” chiese Ron al figlio maggiore, senza però distogliere la sua attenzione dal ginocchio di Simon. “Credevo che fossi uscito con Kessie.”

 

Jack entrando si prese una mela dal cestino che stava sul tavolo e l’addentò. “Tecnicamente si, ma poi abbiamo avuto una discussione e…”

 

“Hai mollato pure questa?” gli disse Katie, spalancando gli occhi.

 

“Non è che l’ho mollata io, ha fatto tutto da sola.” Jack scrollò tranquillamente le spalle, arruffando i capelli alla sorella. “Dice che la trascuro troppo, che non sono il tipo fedele…”

 

“Che bugiarda.” Fece ironicamente Simon, con un mezzo sorrisetto piantato sulle labbra.

 

“E tu che hai combinato?” Jack diede un altro morso alla sua mela. “Sei caduto dal seggiolone?”

 

Simon inarcò un sopracciglio. “Riderei se non mi facessero male le costole, davvero.”

 

“Ha gonfiato Devon Collins.” Disse Katie con un sorriso fiero, mentre Ron finiva di rimediare al taglio sul sopracciglio del figlio.

 

“Veramente?” ora anche Jack aveva lo stesso sorriso. “Congratulazioni, fratellino, sei ufficialmente il mio eroe.” Disse al fratello, dandogli una pacca sulle spalle.

 

“Voilà, come nuovo.” Fece Ron, rinfoderando la bacchetta. “Fa male da qualche parte?”

 

Simon provò a muovere le ginocchia. “A posto.”

 

“Allora adesso andiamo alle giostre?” Katie balzò giù dalla sedia.

 

“Ci andiamo subito, patatina.” Ron si voltò verso i figli. “E voi ragazzi che fate?”

 

Jack scrollò le spalle. “Andate senza di me, sto aspettando…” la porta suonò. “…appunto. È Dan.” E senza aggiungere altro si avviò verso la porta, ma invece di aprirla uscì lui.

 

“Simon, tu sei dei nostri?”

 

“Solo se si passa da Florian.”

 

Ron annuì. “Allora possiamo andare.”

 

Simon si accigliò. “Pa’, aspetta un momento…secondo me ti stai dimenticando qualcosa.”

 

“Mh?” Ron lo guardò incuriosito, poi spalancò gli occhi. “Hai ragione! Miseriaccia, stavo quasi per dimenticarmene!” ecco cosa aveva dimenticato: Hermione gli aveva raccomandato ben dieci volte di spedire alcune lettere via gufo nel pomeriggio. Subito Ron provvide a inviarle in meno di un minuto. “Vostra madre mi avrebbe letteralmente ammazzato se le avesse ritrovate qui al suo ritorno.” Mormorò, mentre finiva di legarle attorno alla zampa del loro gufo.

 

“Che lettere sono?” chiese curiosa Katie, mentre accarezzava il dorso del gufo.

 

Simon non concentrò la sua attenzione su quello che suo padre e sua sorella si stavano dicendo: le urla di Dan e Jack stavano cominciando a farsi sentire fino in casa, e sapendo bene di cosa stavano parlando bisognava avvertirli di abbassare la voce. “Vengo subito…aspettatemi qui, per favore.” Disse semplicemente, uscendo velocemente da casa mentre Katie si lamentava che avrebbero fatto tardi.

 

Come aveva previsto lui, Jack e Dan erano in giardino e stavano litigando in grande stile. Simon conosceva il motivo, visto che Jack gli aveva confidato il problema, ma sapeva anche che se continuavano ad urlare in quel modo il segreto non sarebbe rimasto più tale. E d’altra parte suo fratello e suo cugino erano figure ben impostate, piuttosto atletici entrambi, di conseguenza non potevano avere due vocette appena udibili.

 

“Questa è la stronzata più colossale che abbia mai sentito!” urlò Jack. “E lo sai perfettamente anche tu!”

 

“Ti stai comportando come un egoista, e nemmeno mi stai a sentire!” ribatté altrettanto forte Dan, stringendo i pugni.

 

“Oh, oh!” intervenne Simon. “Siete pazzi a urlare così? Vi si sente perfettamente dentro!”

 

Questo sembrò solo suggerire a entrambi i due litiganti di abbassare il tono della voce, ma non li calmò. Infatti quando Jack si voltò verso di lui aveva gli occhi colmi di rabbia. “Vuoi sapere cos’ha fatto questo grandissimo bastardo collaudato?! Ha passato la selezione per i Cannoni di Chudley!”

 

Simon si voltò verso suo cugino con un sorriso incredulo e soddisfatto per un momento. “Ci sei riuscito veramente?”

 

“Piccolo idiota che non sei altro, non lo capisci che vuol dire questo?!” ruggì Jack.

 

“Jack, io non ti ho mai detto che volevo cambiare idea, ma mi è stata offerta un’occasione unica! Perché diavolo dovrei rifiutare?!” replicò Dan, con gli occhi verdi oscurati dal nervosismo. Dan era un ragazzo abbastanza tranquillo, ma anche irascibile. Non quanto Jack, ma notevolmente.

 

Jack fece un passo avanti. “E’ stato il nostro sogno da una vita.” Sibilò fra i denti. “Lo abbiamo sempre desiderato. E avevamo detto che lo avremmo fatto insieme, dannazione!”

 

“Lo so, lo so!” ribattè Dan. “Ma io adoro il quidditch, e anche giocare in una vera squadra è sempre stato il mio sogno! E fra le due cose scelgo questa! E’ una mia scelta, non puoi incazzarti solo perché seguiremo strade diverse!”

 

“Non è questo che mi fa incazzare a morte!!” Jack era furioso. “Il fatto che tu fino all’ultimo non me l’abbia detto mi fa vedere rosso!!”

 

“Non fare l’ipocrita del cazzo, tu lo sapevi benissimo che avevo passato le selezioni!”

 

“E allora perché hai presentato quella maledetta domanda alla War Mage Team con me, eh?!”

 

“Ssh, Jack!!” Simon fece un inutile tentativo a calmare gli animi.

 

“Perché ancora non lo sapevo che ero stato preso!” Dan cercò di darsi una calmata e si passò una mano fra i capelli spettinati come quelli di suo padre. “Senti, ma perché fai così? Io non me la prenderei tanto se fossi al tuo posto!”

 

“Questa è veramente forte!” fece sarcastico Jack. “Ti puzzava la bocca di latte e già dicevi che saremmo stati una gran coppia di War Mage, e proprio quando eravamo a un passo dal metterlo in pratica ti sei tirato indietro, molto leale da parte tua!”

 

“Ma tu lo diventerai comunque un War Mage, Jack!”

 

“Ma davvero?”

 

La voce dura e robusta fece voltare i tre ragazzi di scatto: sulla soglia c’era Ron, con le braccia incrociate sul petto e l’aria truce. Katie, accanto a lui, stava guardando i tre ragazzi con aria preoccupata. Sapeva già come andavano a finire le cose quando suo padre aveva quella faccia e quella voce.

 

Simon si grattò la nuca. “Ehm…non ci andiamo più da Florian, eh?” provò, ben sapendo che era inutile. Suo padre era furibondo.

 

“Dan, ti dispiace.” Ruggì Ron. “Jack e io dobbiamo fare quattro chiacchiere.” Dan annuì e salutò gli altri con un cenno della testa, allontanandosi in silenzio. Ron entrò in casa senza fare ulteriori commenti, seguito a ruota da Katie.

 

“Puttana…” brontolò Jack fra i denti, entrando.

 

Ron si fermò in salotto, sedendosi su un divano e appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Jack si fermò davanti a lui con le mani sui fianchi, cercando di non mostrarsi minimamente colpevole. “Siediti, Jack. Abbiamo molto di cui parlare.”

 

Solo il tono di suo padre avrebbe fatto rabbrividire chiunque. Jack gli obbedì; Simon e Katie stavano per sedersi a loro volta, ma Ron si voltò verso di loro.

 

“Simon, Katie, andate a giocare di sopra.”

 

I due si scambiarono uno sguardo e uscirono dalla stanza, ma invece di salire di sopra si andarono a sedere in cima alla rampa di scalette che portava al piano superiore, da dove potevano sentire tutto.

 

Ron incrociò le braccia sul petto e guardò il figlio con uno sguardo durissimo. “Forse potremmo cominciare con te che ti siedi e mi dici cos’è questa storia.”

 

Jack prese posto di fronte al padre sul tavolino, e perse un secondo di troppo ad esitare. Tanto valeva essere sinceri, ormai era già nei guai più totali. “Ho presentato la domanda per entrare nei War Mage, e l’hanno accettata.” Disse, tutto d’un fiato.

 

Ron serrò la mascella, ma tentò di restare calmo. “Non mi risulta che tu abbia parlato di questo con me o con tua madre.”

 

Jack raccolse tutto il suo coraggio e guardò il padre dritto negli occhi. “Non vi ho detto niente, infatti. Perché lo sapevo che avreste reagito così.”

 

Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. “Eh già, che razza di genitori di merda che siamo! Ci permettiamo il lusso di preoccuparci per i nostri figli!”

 

“Non è così la questione, papà!” fece esasperato Jack, alzandosi in piedi e passandosi una mano fra i capelli. Vizio per cui Simon e Katie lo prendevano continuamente in giro, ma che ora era solo un’ennesima espressione di tensione. “Mamma si preoccupa…ma a te non è solo un fatto di preoccupazione.”

 

“No?”

 

“No!” ribattè duramente Jack. “Tu la pensi diversamente.”

 

Ron avrebbe tanto voluto fargli una faccia di ceffoni e fargli capire che stava dicendo solo un mucchio di sciocchezze, ma Jack non era più un bambino. Ed era un testardo allucinante. Bisognava prenderlo col ragionamento, o non ci sarebbe stato dialogo. Perciò si sforzò di controllarsi. “Rispondi solo a questa domanda, Jack. Perché il War Mage?”

 

“Cosa?” Jack lo guardò confuso.

 

“Perché non l’Auror!” replicò incalzante Ron. “Perché hai fatto questa scelta, fammi capire.”

 

Jack rimase un attimo a bocca aperta, non avendo capito dove volesse portarlo suo padre con questo discorso, e alla fine optò per dire la verità. “Io voglio vigilare sul nostro mondo perché rimanga bello così com’è. Voglio collaborare attivamente a mantenere la pace.”

 

“E’ un pensiero molto nobile e ti fa onore, ma allora perché non porti avanti la tua idea facendo l’Auror?”

 

Jack scosse la testa, esasperato. “Sei l’ipocrita più grosso della terra o mi stai solo prendendo in giro?! Credevo che fossi proprio tu quello che diceva sempre che gli Auror non valgono niente!”

 

Ron scattò in piedi. “Credi che sia come quando tu e tuo fratello giocavate coi soldatini? Lascia che ti dica una cosa, figliolo, La vita del War Mage è infame e atroce, io lo so. Ti ci vorranno anni per abituarti, ti trasformerai in un’altra persona lì dentro.”

 

“Tu però sei uno di loro!”

 

“Esatto, e sono stato un bastardo per anni! Chiedi a tua madre se non mi credi!”

 

“Ma quanti anni avevi quando ti sei arruolato?!”

 

Ron scosse la testa. “Questa è una cosa completamente diversa, noi eravamo nel bel mezzo di una guerra! Dovevamo difenderci!”

 

Jack lo ignorò. “Tu avevi poco più della mia età! Ma questo non ti ha fermato, non ti ha impedito di diventare il Grande Ron Weasley!”

 

Il Grande Ron Weasley??” Ron si passò una mano in faccia. Jack gli stava tirando gli schiaffi dalle mani… “Sentimi bene.” Sibilò, con tono forzatamente trattenuto. “So cosa significa avere 17 anni. So cosa significa aver voglia di far vedere al mondo che esisti. Ma so anche che io ho commesso i più grandi errori della mia vita in quel periodo, e ho continuato a sbagliare perché non ascoltavo i consigli di chi mi voleva aiutare. Ho ceduto solo quando è arrivata una persona più forte di me. Ma tu sei diverso da me, posso aiutarti perché so già come ci si sente. Sediamoci, parliamone con calma.”

 

Jack lo fissò con un’espressione inorridita, scuotendo la testa. “Non ci posso credere.” Disse alla fine. “Tu credi che io voglia diventare un War Mage solo per essere uguale a te? Perché voglio farmi notare?”

 

“Quale altro dannatissimo motivo può esserci?!?” ruggì Ron. “Non siamo in guerra, non c’è bisogno di altri ragazzi che rischino quotidianamente la vita!”

 

Jack aveva un’espressione disgustata sul viso. “Se è questo che pensi, papà, possiamo anche smettere di parlare.” E così dicendo prese bruscamente il suo giubbotto dalla sedia dove l’aveva appoggiato, avviandosi verso la porta.

 

Ron gli fu dietro immediatamente, furibondo. “Jack, se esci da quella porta senza aver finito il discorso, ti giuro che te le suono come non le hai mai prese in vita tua!”

 

Jack si voltò di scatto, furioso. “Non sono un moccioso!!” urlò.

 

“Ma sei mio figlio!!” tuonò Ron.

 

“Già, e spero che non mi metteranno mai nella tua stessa divisione!!” gli urlò dietro Jack, uscendo e sbattendosi la porta di casa alle spalle.

 

Ron fece appello a tutto il suo self control per non aprire la porta e ricordare a suo figlio un po’ di educazione a suon di sberle. Dannatissimo ragazzo ottuso, presuntuoso e impudente! Che cosa credeva, di giocare alla guerra? Di voler diventare il cavaliere con l’armatura dorata e liberare il mondo dai cattivi? Perché voleva per forza immischiarsi in un mondo che per anni e anni i suoi genitori avevano tenuto fuori dalla porta di casa? Perché, perché di tutti i mestieri proprio quello più pericoloso?!?

 

Katie, sulle scale, osservava suo padre lì fermo in piedi con un’espressione preoccupata. Jack lo faceva arrabbiare spesso, soprattutto quando combinava dei guai, ma non l’aveva mai fatto arrivare a questo punto. Si voltò verso suo fratello per cercare un punto di riferimento. Simon era accigliato, e stava facendo quello strano piccolo movimento con la mascella che faceva sempre quando era arrabbiato. E adesso perché anche lui si è innervosito?, si chiese la bimba. Comunque si alzò a sua volta quando vide suo fratello che scendeva le scale per raggiungere suo padre.

 

Simon si avvicinò in silenzio, mantenendo lo sguardo accigliato. Esitò quasi come se stesse cercando le parole giuste, ma poi alzò lo sguardo e mormorò qualcosa piano. “Non mi è piaciuto quello che gli hai detto.”

 

Ron si voltò verso di lui, con gli occhi che ancora gli fiammeggiavano per la rabbia. “Come hai detto?” sibilò.

 

Simon non s’intimidì. “Ho detto che non è giusto il modo in cui hai trattato Jack.”

 

“Ah, questa è davvero bella!” replicò acido Ron. “E perché, sentiamo?”

 

“Perché gli hai detto che vuole solo copiare te, non hai capito affatto quello che ti stava spiegando e non l’hai ascoltato.”

 

Crack. Ogni forma di resistenza rimasta nel cervello di Ron si frantumò in quel momento. “Vediamo se indovino.” Ruggì, avanzando in modo tanto minaccioso che Simon fu costretto a fare un passo indietro. “Anche tu vuoi fare…vediamo un po’, che cosa è rimasto? Se Jack vuole fare la spia dei servizi segreti vuol dire che ci deve essere qualcos’altro di abbastanza originale e pericoloso anche per te, no?!” ora stava urlando. “Sai cosa, Simon? Ce l’ho io una soluzione! Vai di sopra, apri l’armadio che io e tua madre teniamo chiuso a chiave, prendi i nostri cinturoni e le nostre armi, esci e fai vedere a tutti quanto vali uccidendo il primo dannatissimo bastardo che ti capita sotto mano!!!” le ultime parole furono urlate molto forte, e accompagnate da un sonoro pugno nel muro.

 

Simon faticò a mantenere il controllo. Tremava di rabbia. Alla fine disse semplicemente “Vaffanculo” in una voce così ferita e furiosa allo stesso tempo che per Ron fu un colpo allo stomaco, il colpo che lo risvegliò dal suo attacco di rabbia immotivato nei confronti del figlio minore. Ma quando tentò di fermarlo prima che se ne andasse, Simon si scrollò violentemente la mano del padre dal braccio e uscì di casa sbattendo forte la porta.

 

Nella casa piombò il silenzio. Katie stava ferma immobile a guardare suo padre. Ron serrò forte gli occhi per un momento, e mormorò qualcosa come “idiota” fra sé e sé. Si trascinò sul divano senza dire una parola, e lì si sedette con la testa fra le mani e i gomiti sulle ginocchia.

 

Katie rimase un istante ferma sulle scale per decidere se andare dietro a suo fratello o restare con suo padre, ma alla fine scelse di restare. Si ciondolò sui piedini ancora un momento; non riusciva bene a capire perché suo padre si fosse arrabbiato così tanto con Simon. Poteva anche capire che ce l’aveva con Jack…perché voleva fare come lui? In ogni caso Jack aveva combinato qualcosa di sbagliato, Simon no. Voleva avvicinarsi, però non voleva nemmeno farlo arrabbiare anche lei. Così lasciò passare qualche minuto prima di raggiungerlo e mettersi in piedi vicino a lui.

 

“Papy?” chiese in un soffio.

 

Ron sollevò a fatica la testa. “Che c’è, tesoro?”le chiese, con la voce più bassa del solito.

 

Katie con la manina gli scansò un ciuffo di capelli dal viso. “Sei arrabbiato?”

 

Ron non disse niente, ma si prese la bambina in braccio. Si lasciò andare contro la spalliera del divano, accarezzandole i capelli e guardando un punto fisso nel vuoto.

 

“Non mi piace quando sei triste.” Gli disse piano Katie. “Perché adesso sei così giù?”

 

“Perché non sono un bravo papà.” Le mormorò in un soffio.

 

Katie si accigliò. “No, non è vero, tu sei il migliore del mondo!”

 

Ron si limitò a baciarle la manina, ma rimase in silenzio. Katie non volle dire altro. Era una bambina tranquilla, e sapeva capire quando era il momento di stare buona. Non chiese a suo padre perché se l’era presa con Simon, cos’aveva fatto Jack, e nemmeno perché per colpa del loro litigio il pomeriggio alle giostre era saltato. Prese il suo album e i suoi pennarelli e si mise a disegnare ai piedi del divano, senza dare alcun fastidio.

 

 

***************

 

 

Hermione si chiuse la porta di casa alle spalle con un piede, cercando di raggiungere il prima possibile la cucina. Aveva le buste della spesa in mano, più una serie di pacchi e pacchettini che aveva bisogno di appoggiare da qualche parte. Gettò solo rapidamente uno sguardo in giro e non vide nessuno; non si soffermò oltre, e una volta raggiunta la cucina mise giù le buste e cominciò a riporre con cura il cibo nel frigo e nei mobiletti.

 

“Mammina!”

 

Hermione si voltò: c’era Katie sulla soglia della porta, con una bambola in mano che apparentemente stava pettinando. “Katie! Com’è andata la festa di Mary?”

 

La bambina scrollò le spalle. “Bene, è stata divertente. Però è finita molto presto.”

 

Hermione fece un sorriso a sua figlia e prese una scatola da una busta. “Vieni qui, ti ho portato una bella sorpresa.”

 

Katie fece un gran sorriso e la raggiunse. “Che cos’è?”

 

Dalla scatola Hermione estrasse un vestitino smanicato a righe rosa e bianche. “Ti piace?” le chiese, appoggiandoglielo addosso per vedere se le misure erano giuste.

 

Katie sorrise contenta. “E’ proprio bello….dove l’hai preso?”

 

“In un negozio a Hogsmeade. Zia Ginny e io ci siamo andate per accompagnare Julie a comprarsi qualcosa di carino da mettere per la festa di sabato, e questo bel vestitino aspettava solo te.” Hermione glielo porse. “Su, vai a metterlo nel tuo armadio.”

 

Katie se lo guardò ancora per un momento. “E’ proprio bello…me lo posso provare adesso?”

 

“Va bene, ma dopo mettilo a posto, intesi?” Hermione sbirciò oltre la porta e si accigliò. “Ma…non c’è nessuno con te? Eri da sola?”

 

Katie scosse la testa. “No no, c’è papy.”

 

“Oh. E dov’è?”

 

Katie si rabbuiò. “E’ in camera vostra. Sai…è molto triste perché ha litigato con Jack e Simon.”

 

Hermione smise di frugare nelle buste e mise la busta del latte che aveva in mano sul tavolo. “Che cos’è successo?”

 

Katie scrollò le spalle. “Io non l’ho capito molto bene…dovevamo andare alle giostre e poi da Florian, però siamo venuti qua a casa e Jack e papà hanno litigato. Hanno urlato molto, sai…poi papà se l’è presa anche con Simon, però non lo so bene perché. Cioè…lui stava con me, non aveva fatto niente. E papà lo ha sgridato tantissimo, pensavo che gliele suonava.”

 

Hermione sospirò. “Sai dove sono i tuoi fratelli ora?”

 

La bambina scosse la testa. “No. Se ne sono andati tutti e due e si sono sbattuti la porta dietro.” Katie si gongolò sui piedi per un momento, come incerta sul da farsi. “Mi prometti che non li sgridi se ti dico una cosa?” la madre annuì. “Hanno detto pure le parolacce.”

 

“Pure.” Hermione, rassegnata, incantò con la bacchetta le buste della spesa perché tutto si rimettesse a posto da sé, poi diede un bacio sulla fronte della figlia. “Katie, posso chiederti un piacere da signorina grande?” la bimba annuì, emozionata all’idea. “Fai la brava e resta a giocare qui in giardino. Papà e io dobbiamo parlare di cose da grandi. Però se vedi Jack o Simon vieni subito a dirmelo, intesi?”

 

Katie annuì. “Intesi, mammina.”

 

Hermione lasciò la figlia e si diresse con calma verso la sua stanza da letto. Doveva esserci stata sicuramente una scenata da ricordare se Ron era così furioso da non fare compagnia alla sua bambina. Con Katie lui aveva un rapporto diverso…i due maschi li aveva cresciuti come due ometti fin da piccoli, non li aveva mai né viziati né coccolati più di tanto, anche se ogni volta che uno di loro aveva bisogno anche solo di un bicchiere d’acqua lui era lì per loro. Ma con Katie era diverso. Lei era la piccola di casa, l’unica femminuccia, un regalo della vita a una famiglia che si era quasi rassegnata a una sorte diversa…la coccolava di continuo, e invece di passare il tempo a insegnarle come montare una scopa preferiva perfino stare semplicemente a guardarla mentre giocava con le bambole, perché quella bambina era un piccolo grande miracolo….e oltretutto aveva un dono speciale, comunicava tranquillità e serenità a chiunque stava intorno.

 

E Katie stava giocando da sola. Cosa poteva essere successo di così grave?

 

Nella loro camera da letto regnava un silenzio triste. Il sole si stava finalmente decidendo a tramontare, ma c’era ancora molta luce. L’unico suono che si sentiva era quello degli uccellini che cinguettavano sul davanzale del balcone. Ron era seduto sul bordo del lettone rivolto verso la finestra, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e lo sguardo fisso a terra. Non mosse un muscolo quando la sentì entrare, eppure Hermione sapeva bene che un soldato esperto come lui aveva avvertito di sicuro la sua presenza. E quel silenzio ostinato le faceva solo capire che doveva essere successo qualcosa di grave per davvero. Prese posto accanto a lui in silenzio, e gli passò lentamente una mano sulle spalle, baciandogli una tempia e poi una guancia con estrema dolcezza.

 

“Sono una merda.”

 

Quelle parole erano state sussurrate con una voce così addolorata che Hermione provò una sensazione di profonda tristezza in corpo. “Perché dici questo?” gli sussurrò a sua volta, senza smettere di accarezzarlo.

 

“Sono stato un padre di merda.” Le rispose piano lui, tenendo gli occhi fissi a terra.

 

Hermione scosse la testa piano, con un piccolo sorriso. “No. Puoi aver fatto molti errori nella tua vita, ma sei sempre stato il miglior padre che abbia mai visto. E i tuoi figli ti adorano, tutti e tre.”

 

Ron scosse la testa e chiuse gli occhi, passandosi le mani in faccia. “Non sai quanto ti sbagli.”

 

Hermione sospirò. “Katie mi ha detto che avete litigato.” Nessuna risposta. “Cos’è successo?”

 

Ron sospirò e non alzò di un millimetro lo sguardo da terra. “Jack è entrato nei War Mage.”

 

Hermione ebbe bisogno di un momento per digerire il significato di quelle parole. Ron si voltò a guardarla quasi come se il suo stupore fosse la reazione che si aspettava e che sperava di vedere. Lei soffocò ogni forma di reazione isterica e si diede un contegno. “Quando?” chiese semplicemente.

 

“Ieri, oggi…non ha importanza ormai.” Ron si massaggiò le nocche della mano destra come faceva sempre quando aveva voglia di sfogare la rabbia. “Immagino che anche tu non ne sapessi niente.”

 

Lei scosse la testa e si morse le labbra. “E’ già ufficiale?”

 

Ron annuì. “E’ nel programma dell’addestramento di quest’anno.”

 

Hermione sospirò e rimase per un lungo momento in silenzio, quindi anche lei guardò a terra. “Dovevamo aspettarcelo. Non è più un bambino, ormai.”

 

“Non è la decisione che ha preso oggi Jack che mi fa star male.” Disse piano Ron. “E’ il motivo per cui l’ha fatto che mi fa sentire il peggior padre della terra.”

 

“Che motivo ti ha dato?”

 

“Vuole salvare il mondo. Vuole mantenerlo così com’è.” Disse Ron quasi con sarcasmo, facendo un sorriso amaro e scuotendo la testa. “Ma dopo, mentre ci urlavamo addosso di tutto, se l’è fatta uscire allora la verità.” Hermione rimase in silenzio. “Gli ho chiesto perché non ci ha detto niente, e perché non si è iscritto all’addestramento per fare l’Auror, e lui….molto eloquentemente mi ha detto che aveva l’età giusta per entrare nello stesso programma in cui io mi sono forgiato e ho fatto carriera fino a diventare il Grande Ron Weasley.”

 

Hermione analizzò attentamente le sua parole. “E’ questo che ti ha detto?”

 

Ron annuì. “Mi ha detto che ha tutto il diritto di diventare come me. E quando io gli ho fatto notare che non ha bisogno di essere il mio clone per essere un uomo in gamba si è offeso e ha sparato fuori cazzate a vanvera, e poi se n’è uscito sbattendo la porta. E non mi chiedere dove diavolo è andato, perché non ne ho idea.”

 

Hermione arricciò il naso e scosse leggermente la testa, ritirando la mano che aveva sulle spalle del marito. “Gli sei corso dietro?”

 

“No. No, perché vedi…” e qui il suo tono si fece amaro. “…in quel momento è arrivato Simon, che col suo solito atteggiamento di chi la sa lunga – e non voglio nemmeno dire da chi ha preso in questo – mi ha gentilmente fatto notare che era dalla parte del fratello.”

 

Hermione si voltò a guardarlo. “Dimmi che non hai sfogato la tua collera su Simon.”

 

Ron sbuffò e si voltò a guardare oltre la finestra. Esitò a parlare. “L’ho fatto un’immondizia. Tutto quello che non ero riuscito a dire a Jack l’ho detto a lui. E giustamente lui mi ha mandato a fare in culo e se n’é andato.”

 

Hermione chiuse gli occhi e si passò una mano sulla faccia. Simon era un ragazzo forte e in gamba, ma quando qualcuno che amava lo feriva con delle parole particolarmente dure dopo ci stava male per davvero. E guardacaso gli unici capaci di fare questo erano proprio Ron e Jack, impulsivi e irrefrenabili per natura. “Ti rendi conto di quanto ti sei comportato male, Ron?” gli disse seccamente.

 

Ron balzò in piedi. “Lo so!” esclamò. “Lo so, dannazione! Simon non c’entrava niente, il casino lo aveva creato Jack! Ho cercato di fermarlo per scusarmi, ma…”

 

“Simon ha fatto poco andandosene, io come minimo ti avrei riempito la faccia di ceffoni!” anche Hermione balzò in piedi. “Che cosa pretendevi, che restasse lì in piedi a farsi offendere ancora? Lo sai benissimo che prima di darti la soddisfazione di vederlo piangere si sarebbe cavato gli occhi con le sue stesse mani.” Hermione sapeva bene come ci si sentiva a soffrire per qualcosa che aveva detto Ron. Oh, se lo sapeva bene.

 

“Grazie, Hermione, sei molto d’aiuto così.” Ron si fece arcigno, e incrociò le braccia sul petto.

 

Hermione mise le mani sui fianchi. “Non me ne frega niente, Ron. Devi assumerti le tue responsabilità. Devi trovare tuo figlio e scusarti con lui.”

 

“Lo so da me questo, appena Simon torna a casa mi scuso con lui e…”

 

“Ho detto che devi scusarti con tuo figlio? Oh, scusami. Mi sono sbagliata. Devi scusarti con i tuoi figli, con tutti e due.”

 

Qui Ron strabbuzzò gli occhi. “Dovrei scusarmi io con Jack? Hermione, hai capito bene cos’ha fatto tuo figlio?!”

 

“E tu hai capito bene cosa gli hai risposto?” Hermione tirò un esasperato sospiro per calmarsi. “Ron. Hai detto a tutti e due i tuoi figli che non li stimi.”

 

“COSA?!?” Ron praticamente urlò. “Ma quando mai, che diavolo…”

 

“Non è importante quello che penso io o quello che pensi veramente tu, ma quello che loro hanno percepito dalle tue parole!” replicò subito Hermione. “Capisci che quando hai detto a Jack che si è arruolato solo per essere uguale a te è stato come sfidarlo?”

 

Ron la guardò con un’espressione completamente stupita e confusa. “Sfidarlo io??? Suo padre???”

 

Hermione scosse la testa e tornò a sedersi. “Io lo so che ti senti sconvolto perché il nostro adorato bambino vuole tentare una strada lunga, difficile e pericolosa da cui noi volevamo tenerlo al riparo, ma se ha preso una decisione noi possiamo solo assecondarlo e supportarlo, e aiutarlo ovunque questo sia possibile.”

 

“Non ci posso credere.” Ron scosse la testa quasi disgustato. “Questo detto dalla donna più apprensiva della terra dopo mia madre!”

 

Hermione lo guardò furiosa. “Credi che sia facile per me dire questo? Forse ti stai dimenticando che Jack è anche mio figlio, Ron.”

 

Ron sospirò forte e tornò a sedersi di nuovo sul letto accanto alla moglie. “Ti rendi conto? Jack… cambierà completamente. Passerà quello che abbiamo passato noi.” E qui si mise le mani fra i capelli. “Io…non sono pronto a vedere mio figlio finire come me. Tu te lo ricordi com’ero io, vero?”

 

Hermione gli passò la mano fra i capelli, massaggiandogli dolcemente la testa. “Eri un ragazzo che soffriva. Eri un casino di ragazzo, per essere sinceri. Ma forse non eri abbastanza incasinato, se poi alla fine mi sono innamorata di te.”

 

Ron si voltò verso sua moglie, le passò le braccia attorno alla vita e nascose il viso nel suo collo. “Io voglio che Jack resti com’è.”

 

Hermione continuò ad accarezzargli la testa. “Ron, non era l’addestramento che ti faceva fare quello che facevi. Tu combattevi contro i tuoi incubi, ed era come lottare contro dei mulini a vento. Quello che era successo a te grazie al cielo non è successo a nostro figlio. Jack non cambierà.”

 

Calò un momento di silenzio. Alla fine Ron sospirò, ma non si mosse. “Mi ha detto che vuole vivere senza sprecare niente. Che vuole lottare perché il mondo sia più giusto.”

 

“Nobili principi.”

 

Nonostante tutto a Ron scappò un sorriso. “Mi ricorda tanto qualcuno….e il suo CREPA…”

 

Anche Hermione sorrise. “Era C.R.E.P.A. E tu sei ancora il tesoriere.”

 

Ron finalmente si rimise dritto, ma prese una mano di Hermione fra le sue. “Quando ho detto che sono stato un padre di merda…è perché ho educato male i nostri ragazzi.” Hermione non lo interruppe. “Ho insegnato a Jack e Simon a essere impavidi, a non avere paura di niente, e guarda che cosa ho creato. Due pazzi. Uno più scapestrato di un altro.”

 

“Ora ti dirò cosa vedo io quando guardo i miei figli.” Disse ferma Hermione. “Io vedo due ragazzi forti, coraggiosi, in gamba, disponibili ad aiutare sempre chi è in difficoltà, che davanti al pericolo non scappano. Tu hai insegnato ai tuoi figli a essere forti, a non dipendere da nessuno, a guardare in faccia ai problemi e a risolverli senza piangersi addosso. Non puoi lamentarti se ora che sono cresciuti vogliono sfruttare le loro capacità per fare qualcosa di speciale.”

 

Ron esitò, poi scosse la testa. “Credevo che un giorno sarebbe stato compito mio fare a te questo discorso.”

 

Hermione sorrise per un momento. “Ti ricordi quella volta che andammo a mare, quando Jack aveva due anni e tu lo buttasti in acqua e mi facesti prendere quello spavento?”

 

Ron sorrise. “E chi se la scorda.”

 

“Mi dicesti che i tuoi figli sarebbero cresciuti senza aver paura. Che dovevano imparare a fare tutto, perché dovevano capire da subito che nel mondo ognuno di noi se la deve saper cavare da solo, o non sopravvive. Sul momento mi sembrò un discorso esagerato, perfino fuori luogo visto che parlavamo di insegnare a un bambino di due anni a nuotare…poi però ci ho riflettuto nel tempo. E ho capito che avevi ragione.” Ron la guardò. “E la prova l’ho avuta quando abbiamo passato quella orribile settimana senza sapere dove fossero i bambini. Non avevano neanche undici anni, e sono sopravvissuti da soli a cose che perfino un adulto avrebbe sopportato a fatica. E’ stato allora che ho capito che sei sempre stato un ottimo padre.”

 

Ron fece una smorfia. “Dubito che i ragazzi la pensino allo stesso modo dopo oggi.”

 

Hermione scosse la testa. “Ora devi solo rassicurare entrambi che tu hai fiducia in loro. Che sai che hanno le carte in regola per farcela in questo mondo. E soprattutto devi far capire a Jack che sai perfettamente che lui non sta cercando di dimostrare niente arruolandosi nei War Mage. Provagli che quello che hai detto riguardo alla storia di imitarti è venuto fuori solo dalla rabbia e dalla preoccupazione, e vedrai che le cose si rimetteranno a posto.”

 

Ron si lasciò andare di spalle sul lettone. “Non lo so. Jack è una testa calda…”

 

Hermione fece un sorrisetto. “Una cosa del tutto nuova in questa famiglia.”

 

“Già.” Ron fece un sorrisetto amaro. “Io spero solo di non aver spinto i miei ragazzi troppo oltre con la fiducia in se stessi. Li amo troppo per vederli commettere errori per cui pagherebbero loro stessi.”

 

Hermione sospirò. “E’ difficile, ma ci sono errori che non possiamo evitare che commettano. Saremo sempre accanto a loro per qualsiasi cosa, ma dovranno cadere e rialzarsi da soli moltissime altre volte ancora. E non possiamo farci proprio niente.”

 

“Un po’ comincio a capire cosa hanno dovuto provare i nostri genitori quando fecero tutte quelle storie perché noi ci eravamo arruolati.” Disse stancamente Ron. “Eppure non ce l’hanno impedito.”

 

“Appunto.” Disse piano Hermione. “E noi ora dovremo sforzarci di essere altrettanto intelligenti.”

 

Ron annuì in silenzio e le baciò una tempia. Sentirono bussare alla porta, ma nessuno dei due si alzò. “Katie, sei tu?”

 

Sulla soglia della porta c’era Harry, che teneva in braccio Katie. “Ehi, voi due.”

 

Hermione lo salutò con un sorriso. “Com’è andata la conferenza?”

 

“Una noia mortale, come tutte le idiozie di Montgomery.” Harry si voltò a dare un piccolo bacio alla manina con cui Katie gli stava arruffando i capelli sulla fronte. “Piuttosto…sono passato di qua e questa bella signorina mi ha detto che mammina e papino stavano parlando da adulti…Ron, da quando tu parli da adulto?” e qui non potè evitare un sorrisetto.

 

Ron si fece la prima sana risata del pomeriggio. “Lascia perdere, diciamo che mammina parlava…e papino cercava di starle dietro.”

 

Harry gli fece un occhiolino. “Come cambiano le persone nel tempo, eh?”

 

“Che fai da queste parti, Harry?” gli chiese Hermione. “Avrei giurato che dopo tre ore di scorta a Montgomery ti saresti fiondato a casa al volo.”

 

Harry scrollò le spalle e mise giù Katie. “L’ho fatto, ma poi sono venuto a chiedervi se sapevate che Simon è…scappato di casa, o almeno è questo che sta tentando di fare.”

 

Ron inarcò un sopracciglio. “Sai dov’è andato?”

 

“In camera di Julie, lei lo sta aiutando a prepararsi il sacco per dormire all’aperto dovunque abbia intenzione di andare.”

 

Ron fece una smorfia ironica. “Brava ragazza, si è precipitata a fargli cambiare idea all’istante.”

 

Harry si grattò la nuca. “Hanno parlato un po’ prima, e credo che lei sia d’accordo con lui.”

 

“Sempre meglio.” Ron si lasciò andare supino sul letto.

 

Katie sembrava preoccupata. “Ma come, zio? Simon se ne scappa?”

 

Harry le rivolse un sorriso rasserenante. “Non ti preoccupare, tesoro, la porta della stanza è bloccata al momento, anche se loro ancora non lo sanno.”

 

Katie tirò un sospiro di sollievo. “Oh, meno male.”

 

“Ma che è successo, poi?”

 

Ron si tirò su stancamente e si alzò in piedi. “Te lo dico per strada. Adesso andiamo a casa tua, ho un fuggitivo da acciuffare.”

 

 

***************

 

 

Hermione si passò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio mentre camminava a passo deciso lungo il corridoio del quartier generale della War Mage Team, diretta nella palestra dove Liam si stava prendendo cura delle nuove reclute. Quella storia durava assurdamente da troppo tempo, e se loro non erano capaci di mettere a posto le cose, allora lo avrebbe fatto lei.

 

La sera del litigio Ron era andato a riprendere Simon e gli aveva spiegato bene le cose come stavano. Simon era un Weasley, quindi il temperamento collerico era nei suoi geni, ma aveva moltissimo della sensibilità di Hermione, forse più degli altri due. Quindi lasciò a suo padre la possibilità di spiegarsi e accettò le sue motivazioni, facendo la gioia di Ron che temeva di averlo ferito a fondo con la sua durezza.

 

Con Jack naturalmente…beh, quella era un’altra storia. Mai far scornare due persone con lo stesso identico carattere impulsivo e testardo. Ron e Jack erano praticamente identici…e quindi nessuno dei due se la sentiva di tirare il freno per primo. Jack non era tornato a casa quella sera; aveva preferito trasferirsi per qualche giorno a casa di Charlie e Tennesee, che non gli avevano fatto troppe domande proprio perché sapevano della sua domanda alla War Mage Team e immaginavano, e così era riuscito ad evitare casa sua e quindi suo padre per tre interi giorni. Ovviamente Ron era andato su tutte le furie…e via dicendo.

 

Hermione aprì la porta della palestra: Liam stava mostrando a Jack e ad altri tre ragazzi come impugnare correttamente una sciabola. Sentendola entrare l’abbassò. “Hermione.” La salutò confidenzialmente. “Che ci fai da queste parti?”

 

“Scusa se t’interrompo, Liam. Avrei bisogno di Jack, posso portartelo via?” Hermione vide con la coda dell’occhio suo figlio alzare gli occhi al cielo.

 

Liam annuì tranquillamente. “Fa’ pure, non c’è problema. Siamo solo all’inizio.”

 

Hermione lo ringraziò con un cenno della testa e uscì dalla palestra seguita dal figlio, che borbottava oscenità a bassa voce. Quando girarono l’angolo e furono soli, Jack non esitò a dire la sua.

 

“Grazie davvero, mamma! Come se non fosse stato già chiaro abbastanza, era necessario farmi sembrare un raccomandatello!”

 

Hermione scosse la testa, continuando a camminare. “Se tu non fossi così stupido da dormire altrove, quello che ho da dirti te lo direi nella privacy di casa nostra.”

 

Jack sbuffò. “Mamma, forse dovremmo chiarire un paio di cose…”

 

Hermione si fermò e si voltò di scatto, con gli occhi pericolosamente socchiusi e la voce fredda più di un iceberg. “Hai proprio ragione, matricola, ci sono ancora una serie di cose che vanno messe in chiaro qui.” Sibilò, e Jack si sorprese per il tono estremamente professionale che stava adottando. “Finchè siamo fuori siamo madre e figlio, ma qui dentro io sono un tuo diretto superiore, e ti rivolgerai a me chiamandomi colonnello Granger o signore. E’ chiaro, Weasley?”

 

Jack sbattè gli occhi un paio di volte, realizzando come mai sua madre riusciva a tenere a bada lui e suo padre tanto facilmente. “Sissignore.” Mormorò.

 

“Bene.” Hermione riprese a camminare. “Mi occorre la tua presenza nel mio ufficio.” Il resto della camminata fu in silenzio, finchè non arrivarono nella stanza di Hermione e lei aprì la porta…per svelare Ron, che stava dando un’occhiata a dei fogli che aveva in mano, di spalle alla porta.

 

“Hermione, non capisco davvero perché tu mi abbia chiesto di controllare questi moduli.” Disse, scuotendo la testa ma senza alzare gli occhi dai documenti. “Sono le solite scartoffie, perché non le mandi a quelli dell’amministrazione?”

 

Jack si voltò verso sua madre, furioso. “Allora è per questo che mi hai fatto venire qui?!”

 

Ron si voltò di scatto e strabuzzò gli  occhi. “Che ci fai tu qui??”

 

Jack fece per uscire, ma Hermione lo trattenne per un braccio. “Tu non ti muovi da qui, o giuro che ti prenderò a schiaffi in faccia di fronte ai tuoi compagni e agli altri.” Jack evitò di tirare oltre la corda; sapeva bene che sua madre non faceva minacce, ma promesse.

 

“Hermione…” provò Ron.

 

“Adesso mi state a sentire tutti e due.” Ruggì ferocemente Hermione, spostando lo sguardo dal marito al figlio. “Questa storia è andata avanti anche troppo a lungo, e io sono stanca dei vostri pessimi modi di fare! Siete due adulti, comportatevi come tali! E comunque adesso basta, siete a dir poco ridicoli. Non mi interessa se tu hai ucciso il Ministro in persona o tu hai saccheggiato la Gringott, ora vi chiuderò in questo dannatissimo ufficio per un’ora, e se per quando rientro non avrete sistemato la cosa a modo vostro, lo farò io…ma vi assicuro che non vi piacerà.” E così dicendo uscì dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle e sigillandola con l’apposito incantesimo dall’esterno.

 

“Grande!” sbottò Jack, alzando le braccia al cielo. “Mia madre è una tiranna!”

 

Nonostante la situazione, a Ron sfuggì una risatina. “E la vedi ora che si è ammansita…avresti dovuto vederla quando era ancora una ragazzina…”

 

“Ma che bella coppia che dovevate essere da ragazzi.” Fece ironicamente Jack, sedendosi sulla scrivania della madre. “Una rompipalle e un lavativo.”

 

Ron inarcò un sopracciglio, divertito.” “Ehi, chi ti ha detto che ero un lavativo?”

 

Jack non riuscì a restare serio. “Lei.”

 

Ron prese posto accanto a suo figlio, e la scrivania scricchiolò sotto il peso dei due uomini. “Beh, da ragazzi si ha sempre la testa un po’ sconclusionata.”

 

“Adorabile frecciata la tua.”

 

“Non era una frecciata.”

 

“No, era una buona imitazione.”

 

Ron sospirò e scosse la testa. “Jack, io e te dobbiamo parlare.”

 

Jack scrollò le spalle con l’espressione più strafottente che poteva mettere su. “Dal momento che siamo segregati dentro per un’ora e non c’è altro da fare…parla se vuoi. Grande padre.”

 

“Grande padre.” Ron scosse la testa, sul viso una smorfia di sarcasmo. “Ok. Suppongo che sia arrivato il momento di farti il discorso.”

 

“Quale discorso?”

 

“Non ti ricordi più tutte le volte che tu e Simon ci avete chiesto di parlarvi della guerra, e di Voldemort?”

 

Jack si accigliò e annuì. Quello era un tabù in casa Weasley, ma sia lui che Simon avevano letto articoli di vecchi giornali e targhe di riconoscimento che non avevano mai saputo interpretare, e quando avevano chiesto ai genitori di spiegare…la cosa era stata liquidata con un ‘non è il caso che sappiate queste cose’.

 

Ron esitò, come se stesse prendendo il tempo necessario per vincere gli ultimi dubbi. “Beh…forse è venuto il momento che tu sappia la verità.”

 

 

*****************

 

 

Jack rimase in silenzio dopo che suo padre ebbe finito di raccontare. Erano così tante cose atroci da digerire…possibile che suo padre, sua madre e i suoi zii avevano passato quel periodo così terribile? Possibile…

 

“Ora sai come sono andate veramente le cose.” Disse piano Ron, senza la sua solita maschera di sicurezza sul viso. “E ti prego, Jack, quello che ti ho detto deve restare fra noi due. Simon e Katie sono ancora troppo piccoli….avrei evitato di parlarne anche a te, ma ora era necessario.”

 

Jack annuì in silenzio.

 

“Così ora sai il vero motivo per cui non volevo che tu facessi il War Mage.” Ron guardò suo figlio. “Non voglio vederti cambiare, perché mi piaci così come sei. Sei un ragazzo in gamba, e non voglio nemmeno immaginare come sarebbe…vederti combinare tutti i casini che ho combinato io.”

 

“Le circostanze però sono diverse.”

 

“Si, beh…hai il permesso di pensare che sono stato un padre iperprotettivo per un momento.”

 

Jack non esitò. “Papà, tu sei sempre stato il nostro eroe. Da quando eravamo piccoli, e non avevamo paura di niente perché sapevamo che c’eri tu a proteggerci. Poi ci hai insegnato a essere come te, e io mi ritengo fortunato per questo. Non mi ci vedo a fare un monotono lavoro da scrivania…” si voltò a guardare suo padre con un sorrisetto. “…io sono come te. Tu mi ci vedi a fare l’impiegato?”

 

Ron increspò le labbra in un sorriso. “No, suppongo di no.”

 

“Allora non puoi aspettarti di trovarmi un posto al Ministero come zio Perce o Gertie. Non è roba per me.”

 

“Lo so. Lo capisco. Mi sono solo…spaventato all’idea di vederti soffrire com’è successo a me.”

 

“Grazie a voi la guerra è finita prima che potessimo vederla.” Jack tirò su col naso. “E francamente dopo quello che mi hai raccontato sono felice di non averla vissuta.”

 

“Io spero sempre che non saremo più trascinati in una guerra sanguinosa come quella. Nessuno merita di vivere quei momenti.”

 

Jack guardò suo padre con un lampo di decisione negli occhi. “E io voglio battermi per questo.”

 

Ron gli diede una pacca sulle spalle. “Come padre posso essere preoccupato all’idea…ma come War Mage sono convinto che se i nuovi arrivi sono tutti come te, il mondo della magia può dormire tranquillo.”

 

Jack si gongolò per un momento per il complimento del padre, senza poter evitare un sorriso fiero e soddisfatto. Poi però gli tornò in mente una cosa e si accigliò. “Ehi, pa’…posso chiederti un’ultima cosa sul tuo passato?”

 

“Sicuro.”

 

“L’altra sera hai detto che hai cominciato a far funzionare il cervello di nuovo solo quando è arrivato uno più forte di te.”

 

“Infatti.”

 

“Parlavi…di zio Harry?”

 

Ron rise e scosse la testa. “Parlavo di tua madre.”

 

“Mamma?” Jack si grattò la nuca. Sua madre era una donna in gamba e anche molto forte, ma…più forte di suo padre?

 

Ron annuì, con un sorrisetto sulle labbra. “Si. Con il suo modo di fare irritante, petulante, testardo, prepotente…”

 

“Mica suona tanto bene detto così…”

 

“Prova a immaginarti una ragazza con tutte queste qualità, mentre cerca di tirarti fuori da un tunnel di casini e brutti pensieri…immaginatela passionale, bella, caparbia…”

 

Jack rise. “Suona piuttosto sexy.”

 

Anche Ron rise e annuì. “Hai afferrato perfettamente il concetto, ragazzo mio.”

 

“E così mamma alla mia età era affascinante senza nemmeno saperlo, magari.”

 

“Tua madre era…era wow.”

 

“Wow?” Jack ridacchiò.

 

“Wow.” Ribadì Ron, con la stessa espressione allegra.

 

In quel momento l’ora che avevano a disposizione terminò: la porta scricchiolò e poi si aprì, rivelando Hermione sulla soglia; aveva le braccia conserte e l’aria di chi si aspetta una risposta all’istante…un’aria insopportabile che Ron adorava alla follia. Così lui e Jack si guardarono un attimo in faccia, poi dissero contemporaneamente “Wow” e scoppiarono a ridere, sotto gli occhi confusi di Hermione.

 

 

***************

 

Hermione raggiunse Ron nella loro camera da pranzo con due tazze di latte caldo; Ron stava comodamente sdraiato nella sua poltrona preferita a guardare il fuoco nel caminetto, ma quando la vide arrivare le fece posto per farla sedere accanto a lui.

 

“Dormono tutti?” le chiese, passandole un braccio attorno ai fianchi e prendendo la sua tazza.

 

Hermione scrollò le spalle. “Katie si, Simon è a letto ma sta leggendo, e Jack…credo che sia molto preso da una conversazione via gufo con la sua amica Amelia.”

 

“Finalmente qualcosa di magnificamente abituale.” Ron sorseggiò il proprio latte con molta tranquillità. Era stata una giornata lunga, ma alla fine era andato tutto per il meglio.

 

“Che vuoi farci, il tempo passa…cambia…” e qui si voltò a guardarlo. “E presto anche noi non saremo più tanto giovani.

 

Ron le fece un occhiolino. “Ma saremo sempre bellissimi.”

 

Hermione sorrise e scosse la testa per un momento, guardando il suo latte. “Ti confesso che non mi attira più di tanto l’idea di invecchiare…”

 

“Guarda il lato positivo.” Ron si mise seduto, facendola sedere sulle sua gambe. “Invecchieremo insieme. Così quando saremo due pezzi da museo potremo continuare a litigare felici e contenti, pensa: ci faremo dispetti tutti i giorni, io ti ruberò la dentiera e tu mi fregherai il bastone. Sarà divertentissimo.”

 

Hermione non potè fare a meno di ridere all’immagine che le era appena venuta in mente, e la sua risata fu contagiosa. Continuarono a ridere ancora per qualche secondo, poi si calmarono. Quindi lei lo guardò e gli accarezzò una guancia. “Sai…non credo che sarà così terribile diventare vecchia se tu sarai con me.”

 

Lui le baciò la mano. “Basta parlare di vecchiaia…siamo ancora due fresconi, e poi ci pensano i nostri ragazzi a tenerci in forma.”

 

“Su questo puoi contarci. Ma per fortuna ora che Jack ci ha strapazzati per bene, possiamo stare tranquilli. E’ lui quello più turbolento…Simon e Katie sono tranquilli.”

 

“Tu dici?”

 

“Si.” Dicendo questo Hermione si chinò sul marito e cominciò a baciarlo dolcemente sulle labbra.

 

Lui rispose immediatamente al bacio, ma a un certo punto sorrise contro le sue labbra. “Amore?”

 

“Cosa?” mormorò lei, senza smettere di baciarlo.

 

Il sorrisetto di Ron si allargò. “Lo sapevi che Simon dopo Hogwarts vuole fare l’allevatore di draghi?”

 

“COSA?!?”

 

 

*** THE END ***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Una giornata con papà ***


AUGURI NENE’

AUGURI NENE’!!!!!!!! Augurissimi alla mia fantastica sorellona…e il mio regalino è tutto qui per te che aspetta di essere letto…una bella one-shot di Papà Ron alle prese coi suoi figlioli, proprio come piace a te! Goditela tutta, Né, il mio cervelluzzo folle si è scervellato esclusivamente per te! ^^ E adesso fai la brava e vai a leggere subito la storia, ignora le note dell’autrice…

 

P.S.: Ary e Mikisainkeiko, se non sbaglio mi avevate chiesto qualcosa per lo stesso periodo, no? (tranquilla, Ary, niente battutine…come vedi c’è n’è una in famiglia che ha una festa collegata pure lei a questa data particolare, perciò…^^)…beh, non ditelo a mia sorella che è il tipo possessivo, ma vi dedico volentieri un pezzettone di questa storia! Va bene lo stesso? ^^ Baci!

 

 

 

 

UNA GIORNATA CON PAPA’

 

 

 

“Sei sicuro che non vuoi andare dai tuoi genitori?”

 

Hermione sembrava ancora incerta anche pochi minuti prima di prendere la Polvere Volante ed andare, anche se cominciava a farsi tardi per davvero. Era stata invitata a partecipare ad un’importante conferenza in rappresentanza dei War Mage, ma questo le imponeva di lasciare Ron e i bambini da soli per una giornata intera, il che non era proprio una passeggiata: era una giornata d’estate, chiaramente a casa c’erano anche Jack e Simon, perciò il lavoro era quadriplicato.

 

Ron fece un sorrisetto e scosse la testa. “Ancora? Hermione, sono perfettamente in grado di badare ai ragazzi anche da solo, sai.

 

Hermione sospirò e diede un altro bacio sulla guanciotta morbida della piccola Katie, che si stava succhiando tranquillamente il suo ciucciotto mentre stringeva a sé il suo orsacchiotto di pelouche, beatamente rilassata fra le braccia del padre. “Stai attento che Katie mangi tutto. E non darle la coca cola, come avete fatto l’ultima volta.

 

Ron ridacchiò e scosse la testa. “Patatina starà benissimo, vedrai.”

 

“Me lo auguro.” Hermione, rassegnata, raccolse la borsa dalla poltrona dove l’aveva appoggiata e accarezzò ancora una volta i capelli biondi della bimba. “Chiamatemi per qualunque problema, ti prego.

 

“L’unico vero problema è che mi mancherai. Ron le fece un rassicurante sorriso e le diede un lungo bacio, passandole un braccio attorno alla vita. Quando si staccarono ci misero un momento prima di interrompere il contatto fisico fra di loro. Lui le fece un occhiolino. “Facci essere orgogliosi di te.”

 

Lei sorrise. “E voi fate i bravi.”

 

Ron si rivolse alla piccola. “Saluta mamma, patatina. Fai ciao ciao.”

 

Katie sollevò la manina grassoccia e l’aprì e chiuse a pugnetto un paio di volte. “Sao sao.” Mormorò, senza togliersi il succhietto dalla bocca.

 

Hermione sorrise e le baciò la manina, poi si voltò e raccolse la polvere volante necessaria; e con un ultimo bacio a marito e figlia, si dissolse nel camino, direzione Ministero della Magia.

 

Ron si sistemò meglio la figlia in braccio. “Bene, patatina…e ora che siamo rimasti io e te…che facciamo? Pappa?” le disse con un sorriso.

 

Katie si tolse il succhietto di bocca per un attimo, il tempo di dire “Pappa.

 

Ron rise. “E pappa sia.” Katie fece un gran sorriso. “Allora dobbiamo svegliare quei due pigroni dei tuoi fratelli, che ne pensi?”

 

“Si!” per via del succhietto Katie continuava a pronunciare la s come una f, cosa che suo padre adorava alla follia.

 

“Allora andiamo su.” Ron portò la piccola in braccio finchè non ebbero raggiunto la stanza dei due figli più grandi. Jack e Simon stavano dormendo beatamente, approfittando del buio in cui la loro stanza era ancora immersa. Jack era tutto stravaccato sul suo letto, e le coperte ai suoi piedi erano tutte arrotolate; Simon dormiva a pancia sotto, con un braccio che gli penzolava dal letto a poca distanza dal muso del suo cane, Spock, che dormiva accucciato a terra vicino al letto del suo padroncino. Ron, entrando, si diresse subito alla finestra per sollevare le tapparelle. “Sveglia, dormiglioni!”

 

“Vveglia, vveglia!” fece eccitata la piccola Katie, sgambettando in allegria mentre la stanza si riempiva di luce. Jack e Simon, però, non si mossero neanche. L’unico ad alzare la testa e a fare uno sbadiglione fu Spock, che in cambio ottenne un po’ di coccole da Ron, che si sedette sul letto di Simon. “Giovanotti…è mattina…” provò ancora.

 

Katie scivolò giù dal braccio del padre e si arrampicò sulla schiena del fratello che ancora dormiva, e cominciò a fargli toc-toc sulle spalle col pugnetto. “Taimon…taimon…domme.” Disse alla fine al padre, sconsolata.

 

Ron rise. “Adesso papà lo sveglia.” E così dicendo tappò il naso al figlio. Simon continuò a dormire solo per qualche secondo in più, alla fine tossì e aprì gli occhi, seppure malvolentieri. “Buongiorno e ben svegliato, pigrone.”

 

Simon brontolò qualcosa nel sonno. “…mmh…ancora cinque minuti…è sabato…”

 

“Già, ma abbiamo un sacco da fare oggi.” Gli ricordò il padre. “Forza, il sole è già alto e la giornata è cominciata.

 

Simon emise un sospiro esasperato e furente allo stesso tempo, mentre si metteva seduto nel letto. “Che rottura.” Brontolò, stropicciandosi gli occhi.

 

“Sao sao, Taimon!” fece tutta felice Katie, salutandolo con la manina. Il fratello le rivolse un mezzo sorriso assonnato e le diede un pizzicotto sulla guancia.

 

“Brontola meno, Simon, a Hogwarts la levataccia te la farà fare una sveglia rompiscatole, e sarà anche peggio di così. Fece Ron con un sorrisetto.

 

Simon si voltò a guardare suo padre con un sorriso volutamente sarcastico. “Buongiorno anche a te, papà, si, è una gran bella giornata in effetti, direi che è cominciata proprio bene.” Ron rise: Simon aveva tutta l’ironia di sua madre. Simon sbadigliò, poi si voltò ancora mezzo assonnato verso il letto dove dormiva il fratello e si accigliò. “Ehi!” disse, voltandosi subito verso suo padre. “Perché lui dorme ancora?”

 

Ron fece un sorriso ambiguo e malizioso. “Katie?” la piccola si voltò a guardarlo, e lui la mise per terra. “Vai a svegliare Jack, tesoro.”

 

Anche Simon rise mentre Katie tutta eccitata correva verso il letto del fratello, facendo agitare il pannolino che a momenti le cadeva di dosso. “Veglia! Veglia! Veglia!” cominciò a strillicchiare, e arrivata vicino a Jack cercò di spingerlo, ma senza risultati. Per niente demoralizzata, si sfilò il succhietto di bocca e lo tirò in un occhio di Jack, che subito fece un salto, non senza un’esclamazione furibonda.

 

Ron e Simon scoppiarono a ridere, al contrario di Jack. “Katie, ma che ca…”

 

“Sao!” esclamò la bimba, saltellando su e giù.

 

“Sao un corno!” Jack si voltò verso suo padre e suo fratello, che si stavano rotolando sul letto dalle risate. “Ah ah ah, fa veramente ridere.” Bofonchiò, mettendosi seduto.

 

Ron cercò di tornare sobrio e fece un gran sorriso alquanto irritante. “Buongiorno, Jack.”

 

Anche Simon fece finta di essere serio, con scarsi risultati. “Buongiorno, Jack.”

 

“Detesto queste sveglie…” Jack sbadigliò e si alzò dal letto, prendendo in braccio la sorella che stava cercando di infilare un dito nel muso del povero Spock. “Mamma è già andata via?”

 

Ron annuì. “Si. Ora siamo solo noi. E vediamo di comportarci bene, ok?”

 

Simon curvò le labbra in un sorrisetto. “O altrimenti mamma ti dirà che sei un irresponsabile.

 

“Appunto.” Ron si alzò in piedi. “Beh, forza…colazione per tutti.”

 

Simon si grattò una tempia. “Papà? Ti ricordi che cosa hai promesso? Hai detto che oggi sarebbe stata la giornata dello spasso totale, te lo ricordi?”

 

Ron fece un sorrisetto furbo. “Se cambi il pannolino a tua sorella entro i prossimi cinque minuti avrai il diritto di scegliere come passare tutto il pomeriggio.”

 

Simon si alzò e prese in braccio la piccola Katie. “Ci vediamo fra un minuto.” E così dicendo si avviò di buon passo verso la camera della bambina, seguito da Spock.

 

Jack si voltò verso suo padre e inarcò un sopracciglio. “Non ci provare, io non te li lavo i piatti e nemmeno metto a posto quel casino di armadio che abbiamo.”

 

Ron rise e scosse la testa. “Non me lo sarei mai sognato, Jack. Adesso scendiamo a fare colazione o passiamo il resto della nostra giornata tutta al maschile a contrattare su quello che devi o non devi fare?”

 

Una volta in cucina Ron incantò la macchinetta del caffè e un bollilatte perché si mettessero sul fuoco lui mentre dava una guardata nel frigo. Jack, nel frattempo, si dava da fare a prendere i cereali e il pane tostato dalle mensole.

 

Che cosa facciamo oggi, pa’?”

 

“Intanto per cominciare andiamo a fare la spesa. Gli rispose Ron, richiudendo il frigo e prendendo in mano il biberon di Katie. “Altrimenti non possiamo mangiare tutte le porcherie che vogliamo.

 

Jack fece un sorriso malizioso identico a quello del padre e si sedette su una sedia, mettendo i cereali nella sua tazza. “Wow, mi piace questa giornata maschile.”

 

Ron sistemò il latte nella tazza di Simon e nel biberon di Katie. “Comincia a pensare che vuoi fare stamattina.

 

“Dopo la spesa?” Ron annuì. “Ah, beh…non lo so, tu che dici?”

 

“Mmh…”

 

Simon rientrò con Katie per mano. “Kat è pulita. Però il pannolino era tutto pieno di cacca, l’ho lasciato sotto al letto perché puzzava troppo.”

 

“Hai lasciato un mucchio di cacca sotto al letto di mamma e papà?” fece Jack, inarcando un sopracciglio.

 

“Ma che vuoi, puzzava come una discarica.” Simon si sedette al suo posto mentre Ron metteva sua figlia nel seggiolone.

 

“Ecco qua, patatina.” Le disse dolcemente, dandole il biberon. “Finiscitelo tutto.” Katie si tolse il succhietto e si mise subito in bocca il biberon, bevendo tranquillamente.

 

“Sai che ti dico?” disse Jack al padre, con la bocca mezza piena di cereali. “Io voglio fare una partita di quidditch stamattina. Tu stai a porta, e Simon e io ci sfidiamo a chi segna di più.”

 

Ron scosse la testa. “Non si può, Jack.”

 

“No, ma che è?!” replicò infuriato il figlio maggiore. “Avevi detto che oggi ce la saremmo spassata!”

 

“E infatti voglio che ci divertiamo, ma non possiamo lasciare Katie da sola per casa.”

 

E vabbè, sta ferma a giocare a terra! La guardiamo dall’alto.”

 

“Jack, non si può e basta. Tua sorella è troppo piccola.”

 

Che palle.” Sbuffò Jack, spingendo via la sua tazza. “Mai una volta che si fa quello che dico io.

 

Perché non andiamo al Luna Park?” propose Simon.

 

“Vacci tu!” ribattè il fratello. “Quello è un posto per mocciosi.”

 

Ma quando mai.” Replicò tranquillamente Simon, scuotendo la testa.

 

Ce l’ho io una bella idea.” Fece Ron. “Ci state per una partitella di basket?”

 

Jack e Simon s’illuminarono. Quello era diventato lo sport dell’estate, da quando Harry aveva insegnato a Ron e ai ragazzi lo sport babbano si erano talmente appassionati che erano perfino andati a Londra a comprare un piccolo canestro e una palla da tenere nel giardino.

 

“Vada per la partita, allora.” Fece allegramente Ron.

 

 

***************

 

 

“Ricapitoliamo.” Ron si rivolse ai due figli, che tenevano già le mani sui rispettivi carrelli e sembravano più che desiderosi di superare l’ingresso del supermercato per darsi al loro sport preferito – la ‘corsa a quattro ruote’, come la chiamava Jack. “Niente figuracce, non vi lanciate nel settore frigorifero come l’ultima volta, non ho voglia di venire a scongelarvi. E non combinate guai. Simon, se ti serve qualcosa sugli scaffali più alti fattela prendere da tuo fratello, chiaro?”

 

Simon mise il muso, mentre Jack si mise ancora più eretto, soddisfatto di essere di buoni dieci centimetri più alto di suo fratello. L’ultima volta che Simon per orgoglio aveva voluto dimostrare di essere capace di arrivare in alto anche da solo era rimasto a penzoloni da uno scaffale, piagnucolando perché non riusciva né ad andare su né a scendere giù.

 

“Quante merendine, pa’?” chiese Jack.

 

“Un pacco a testa, mamma non vuole schifezze per casa.

 

Jack scosse la testa, disgustato. “Sei peggio del padre di Frankie Marshall.

 

Ron inarcò un sopracciglio, sistemando meglio Katie nel sediolino per bambini del suo carrello. “Perché, che ha fatto il padre di Frankie?”

 

“Fa sempre tutto quello che dice la moglie, Frankie dice che è proprio uno schiavetto.

 

“Jack, Frankie non capisce quello che dice e io non sono lo schiavo di nessuno. Fece duro Ron. “Non è il caso che prendiate più pacchetti di merendine perché poi vi viene il mal di pancia.”

 

Jack scrollò le spalle. “Facciamo tre a testa.”

 

“Due.” Replicò suo padre,. Avviandosi col suo carrello verso l’entrata, seguito dai figli.

 

“Tre.”

 

“Due.”

 

“Quattro!”

 

“Uno a testa se continui.”

 

“Due andranno benissimo.”

 

“Mh.” Ron si voltò verso i due ragazzini, che si stavano già avviando verso il reparto dolciumi. “E ricordatevi che…”

 

“…ci vediamo alla cassa e chi prima arriva aspetta. Rispose Simon con una voce da cantilena. “E dai, papà. Non siamo più dei bambini.”

 

Ron scoccò a entrambi un ultimo sguardo prima di indirizzare il suo carrello verso il primo reparto, dove alcune streghe stavano agitando le loro bacchette per far entrare i cibi nei loro carrelli. “Beh, siamo rimasti solo tu e io alla fine, eh?” disse alla piccola Katie, che era tutta presa dalla bambola che aveva in mano; più precisamente le stava tirando il succhietto nell’occhio con una certa insistenza. Smise appena sentì il carrello che si muoveva, e lanciò un urletto felice. Ron le sorrise. “Si, lo so che ti piace tanto. Bene…e adesso cerchiamo di comprare qualcosa di commestibile, visto che i tuoi fratelli porteranno due carrelli di cioccolata e merendine.”

 

La spesa non si rivelò tanto ardua, visto che Ron seguì alla lettera i suggerimenti di Hermione e fece appello a tutti i ricordi che aveva dei pomeriggi passati con sua moglie ad accompagnarla mentre faceva la spesa. Il problema si ripresentò per la scelta dei surgelati: Hermione gli aveva sempre detto che nei supermercati magici i surgelati erano piuttosto sconsigliabili, tutti tranne i frutti di bosco già puliti e preparati per la marmellata che lei sapeva preparare tanto bene (e che oltretutto è una vera mano santa per una sana alimentazione, gli fece eco la voce di sua moglie nelle orecchie); c’era una busta più grande ma non di marca, e un’altra di marca ma molto più piccola.

 

“…mmh…” Ron osservò le due buste. “…questo potrebbe essere un problema…quale usa Hermione?...” Katie lo stava fissando allegramente, e Ron con un sorrisetto rivolse le due confezioni verso di lei. “Dopo tutto sei tu la ragazza qui: cosa dici, quale prendo?” Katie sporse la manina verso la confezione più piccola (anche perché era la più colorata) nel tentativo di afferrarla. Ron annuì e mise la busta nel carrello, rimettendo a posto l’altra. “Grazie mille, Kat. Sei molto preziosa.”

 

“Il leggendario Ron Weasley nei panni di marito e padre di famiglia, non sono cose che si vedono tutti i giorni queste.

 

Ron fece un sorrisetto nel riconoscere quella voce, e si voltò alle sue spalle girando anche il carrello. “Si può dire lo stesso del leggendario Liam Nixon al supermercato.

 

Liam rise e salutò il suo amico e collega con una pacca sulle spalle, chinandosi ad accarezzare la paffuta guanciotta di Katie. “Ehi, bella signorina! Che fai, aiuti papà a fare la spesa?”

 

Katie prontamente aprì e chiuse la manina un paio di volte, accompagnando il gesto con un vispo “Sao Sao.

 

“Sao sao a te.” Le rispose paternamente Liam, accarezzandole il pugnetto, poi si voltò verso Ron. “Accidenti se è cresciuta, me la ricordavo più piccola!”

 

“E’ una gran mangiona, sta venendo su bene. Disse fiero Ron.

 

In quel momento una affascinante donna sulla quarantina raggiunse Liam spingendo il suo carrello piuttosto pieno, e nel riconoscere Ron sorrise cordialmente. “Oh, Ron! Che sorpresa incontrarti qui! Ooh, c’è anche la piccola stellina!” la moglie di Liam subito si chinò a dare un bacio alla bambina. “Ciao, dolcezza!”

 

Katie si esibì nuovamente nel suo “Sao Sao”, con le S più simili a delle F per via del ciucciotto.

 

Ma quanto sei educata!” le disse dolcemente Caroline Nixon, rispondendo al cenno di saluto.

 

“E’ tutto merito della mamma.” Fece Ron con un sorriso.

 

“Ah, ma su questo non ci sono dubbi.” Liam inarcò le sopracciglia. “Vediamo se indovino... è oggi quella conferenza di Hermione, e tu sei tutto solo a casa con la piccolina e le due pesti.

 

“Centrato in pieno.” Annuì Ron. “Stiamo dando prova di essere dei bravi ragazzi.

 

Caroline non potè contenere una risata. “In altre parole, vuoi dimostrare a tua moglie che anche se non c’è lei a controllare, non brucerete la casa per favi un uovo al tegamino.

 

Ron rise a sua volta e scosse la testa. “E’ più o meno così.”

 

“Oh, buona fortuna allora.” Replicò cordialmente la donna. “Ma se avessi bisogno di una mano, non fare l’orgoglioso e chiama pure, capito?”

 

“Grazie, Caroline, ma credo proprio che ce la caveremo.”

 

“Ah proposito.” Fece Liam, che stava giocherellando con Katie. “E i ragazzi non sono con te?”

 

“In giro per il supermercato, a comprare schifezze suppongo.

 

Liam fece un sorrisetto furbo. “Quando il gatto non c’è i topi ballano, eh? Dacci uno sguardo, sarebbero capaci di farsi venire il mal di stomaco a botte di ciambelle e cioccorane.

 

Proprio in quel momento si sentirono due voci familiari provenire dal reparto affianco.

 

Se tu puoi prendere quel coso, allora io posso prendere questo!”

 

“Non è un coso, è un libro!”

 

“Si, però lo vuoi comprare, no? E allora pure io voglio comprare questo.”

 

“Si, ma quel coso è stupido e inutile.”

 

Anche il tuo libro è inutile!”

 

Perché tu non sai leggere, sennò sarebbe utile eccome!”

 

E come per magia Ron vide comparire Jack e Simon coi rispettivi carrelli per metà pieni di confezioni di cioccorane e merende d’ogni genere, che si stavano dando degli spintoni nel tentativo di arrivare uno prima dell’altro a destinazione. Vedendo il suo padrino, Simon fu il primo a salutare.

 

“Zio Liam! Ciao!”

 

“Ciao.” Disse anche Jack, dando uno spintone al carrello del fratello per mettersi in mostra.

 

“Ciao ragazzi!” disse festosamente Caroline.

 

“Oh, eccoli qui i due terremoti.” Fece affettuosamente Liam, arruffando i capelli di Simon.

 

“E meno male che avevo detto due confezioni a testa. Ron inarcò severamente un sopracciglio.

 

Simon prese un libro dal suo carrello e lo mostrò al padre. “Papà, me lo puoi comprare? E’ un libro sui draghi, l’ha scritto un famoso allevatore che ci ha lavorato insieme per tutta la sua vita, è interessante.

 

Ron prese il libro e gli diede un’occhiata sommaria. Non costava molto, e poi Simon aveva quella specie di fissa per i draghi. “Ok, va bene. Ma rimetti a posto un po’ di quella roba. Disse, accennando al cumulo di pacchetti colorati di gelatine e caramelle.

 

“Allora io mi compro questo. Posso, no?” Jack mostrò a suo padre una scatola colorata.

 

Ron la guardò un po’ confuso. “Che roba è?” chiese, mentre Katie allungava le due manine verso la scatola fremendo per toccare tutti quei colori.

 

“E’ una roba fortissima, una specie di pozione che se la metti in fondo a un bicchiere fa uscire i ragni e i serpenti finti dai bicchieri.” Fece emozionato Jack, mettendo via la scatola visto che sua sorella stava facendo un gran baccano a ripetere ossessivamente “Dammi” e a sgambettare furiosamente.

 

Caroline storse le labbra. “Sembra un po’ disgustoso, no?”

 

Ma che te ne fai di una cosa così stupida, Jack?” fece scettico Ron. “Sei grande per queste cose.” Provò, scacciando mentalmente l’immagine di Fred e George sedicenni che facevano camminare la gente con addosso mantelli stacca-braccia.

 

“No, è forte!” replicò Jack. “Così se quest’anno posso mettere questo nell’acqua di Sally Sullivan invece del sale.

 

Liam rise. “Ah, ma che bravo! Così metti il sale nei bicchieri delle tue compagne.

 

Ma Sally Sullivan è proprio una scema! Si attacca come un polipo addosso, è l’unico modo che ho per levarmela di torno.

 

Ron ridacchiò. “Noi Weasley siamo maschi aitanti, che vuoi farci.

 

Liam rise a sua volta e gli diede una pacca sulle spalle. “Ti lascio ai tuoi compiti di uomo di casa, Ron…ci vediamo, ragazzi.”

 

I bambini salutarono Liam mentre Caroline dava un sonoro bacio sulla guancia della piccola Katie e si allontanava insieme col marito, salutando Ron con un caloroso cenno della mano.

 

“Il tuo è proprio un regalo stupido.” Commentò sprezzante Simon.

 

Ma perché non pensi agli affari tuoi, eh?!” riattè infuriato Jack.

 

“Dammi! Dammi!!” piagnucolò insistentemente Katie.

 

Ron prese in mano le redini della situazione. “Tu, sta’ buona.” Disse a Katie, infilandole il ciucciotto in bocca. “Tu, smetti di prendere in giro tuo fratello. Disse a Simon. “Tu, sta’ un po’ zitto qualche volta.” Disse a Jack.

 

Jack sembrò sul punto di replicare qualcosa, ma poi scelse di restare buono e zitto. Più che altro per allontanare il proprio carrello da quello in cui stava la sorella, pericolosamente vicina ad afferrare la scatola magica.

 

“Forza, abbiamo preso tutto. E’ ora di tornare a casa.” Ron si avviò verso la cassa più vicina, spingendo il suo carrello mentre i figli lo seguivano. Jack e Simon si scambiarono un paio di gestacci dietro le sue spalle ma Ron, da bravo fratello di altri cinque maschi, fece un sorrisetto e senza voltarsi disse “E mettete giù quelle dita.”

 

 

***************

 

 

Ron  scorse rapidamente con gli occhi le istruzioni che Hermione gli aveva lasciato per preparare il pranzo (“Non ti permettere di usare la magia per cucinare! Non l’hai mai fatto, rischieresti di avvelenare tutto il cibo!”). Non sembrava molto difficile preparare una frittata…ok, vero era che non aveva mai messo mano ai fornelli in vita sua, ma diamine…si trattava solo di rompere un uovo e friggerlo, no? Mentre metteva con attenzione l’olio nella padella gettò uno sguardo rapido alle sue spalle per sincerarsi che tutto fosse a posto; aveva lasciato la porta socchiusa per sentire le voci dei bambini fuori. Dopo una divertentissima ed eccitante partita di basket era arrivata l’ora di pranzo, e in giardino Simon stava dando da mangiare a Spock i suoi croccantini; dovevano aver detto qualcosa di molto divertente, perché Ron li sentì tutti e due ridere e anche la piccola Katie stava strillicchiando allegramente qualcosa, di cui però si sentiva distintamente solo un “Io! Io!” molto emozionato. Spock abbaiò.

 

Ron prese l’uovo e lo ruppe, facendo attenzione a non far cadere il guscio nella padella…

 

“AAAHHHH!!!”

 

“Ma che cacchio hai combinato?!?”

 

“Io??? Sei tu che gliel’hai dato!!”

 

A Ron cadde tutto l’uovo nella padella, guscio compreso, nel sentire Katie che piangeva e strillava, i due ragazzi che litigavano e il cane che abbaiava. Immediatamente corse fuori con la bacchetta pronta in mano, ma dopo un momento di confusione si fece un’idea di cosa stava succedendo. Jack teneva per i piedi Katie a testa in giù mentre Simon le stava dando dei piccoli colpetti dietro la schiena, ripetendole “Soffia col naso, Katie!”, e la bambina era rossissima in faccia.

 

“Si può sapere che diavolo sta succedendo qui?!?” tuonò Ron, correndo a prendersi in braccio la bambina che piangeva e singhiozzava ed era tutta rossa in faccia.

 

“Si è infilata un pezzo del biscotto di Spock nel naso!” fece allarmato Jack.

 

Ron non si soffermò a far notare a Jack che Katie non l’avrebbe mai fatto se non lo avesse visto fare, pensò a sua figlia e le tappò la mano con la bocca. “Soffia forte col naso, Katie! Soffia!” le disse, ma quando la piccola cominciò a tossire e farsi ancora più rossa le liberò la bocca e cercò di darle dei colpetti dietro la schiena.

 

“Papà, non è che si strozza e muore?” piagnucolò Simon.

 

Ron mantenne un minimo di razionalità (per quanto si potesse con una bambina di un anno e mezzo in crisi respiratoria fra le braccia): fece cenno ai figli di seguirlo in casa, corse in salotto e prese al volo una manciata di polvere volante, afferrò Simon per i fianchi e lo prese sottobraccio bruscamente, si fiondò nel camino e disse a voce ben alta “Casa Potter!” scomparendo un attimo dopo aver visto che anche Jack stava prendendo la sua manciata di polvere per seguirli.

 

Ginny Weasley Potter, tutta presa ad apparecchiare la tavola, improvvisamente sentì un rumore proveniente dal salotto di casa sua e fece per andare a vedere…e un attimo dopo a momenti sbatteva contro suo fratello, tutto sporco di cenere e piuttosto in difficoltà, a quanto poteva vedere: era alquanto stravolto, teneva in braccio una Katie rossa e in lacrime, e dall’altra parte Simon si stava aggrappando alla camicia di suo padre visto che la posizione in cui era sospeso non era molto stabile.

 

“Ron? Ma che…”

 

“Gin, Katie ha un biscotto nel naso e non viene fuori!” le disse tutto d’un fiato Ron, porgendole la bambina che aveva ripreso a tossire.

 

Ginny capì immediatamente e prese in braccio la nipotina, sedendola sul divano; le puntò la bacchetta contro il nasino e mormorò un incantesimo, e un istante dopo Katie starnutì facendo schizzare via dal naso un frammento di quello che una volta era stato uno dei croccantini di manzo di Spock. “Ecco qui, tesoro, è tutto passato.” Ginny prese in braccio la piccola, accarezzandole la schiena per calmarle gli ultimi singulti.

 

Ron e Simon, che nel frattempo erano stati raggiunti anche da Jack, tirarono un sospiro di sollievo. “Santo Iddio…” mormorò Ron, passandosi una mano fra i capelli.

 

“Ooh, eccola qui la mia adorata cucciolotta!” Ginny diede un bacio sulla guanciotta della piccola e se la mise seduta sulle gambe, scansandole i capelli dal visetto ancora un po’ rosso per il pianto. “Ora va tutto bene…ma come è successo?” chiese ai tre maschi.

 

Simon fece una faccia sinceramente dispiaciuta. “Papà, mi dispiace…non siamo stati attenti… scusa…”

 

Jack annuì, anche lui mortificato. “Veramente, è tutta colpa nostra…non volevamo che Katie…insomma, non pensavamo che…”

 

Fino a un attimo prima Ron avrebbe voluto prendere i suoi figli e metterli in punizione per una settimana intera, ma poi li guardò un momento: erano davvero mortificati, e si erano presi un gran bello spavento. Volevano entrambi un gran bene alla sorella, sicuramente si era trattato di una distrazione. “Va tutto bene, ragazzi.” Gli disse piano. “Sono convinto che avete capito che bisogna stare attenti quando c’è Katie. Ci credo che vi dispiace, e non sono arrabbiato.

 

“No?” chiese speranzoso Simon, e il suo faccino intristito terribilmente simile a quello di Hermione fece sorrisere Ron, che gli accarezzò la testa.

 

“No, non vi preoccupate. Solo state più attenti la prossima volta, va bene?”

 

“Contaci.” Disse subito Jack.

 

Ginny sorrise e porse a Ron la bambina. “Harry e i ragazzi sono andati a prendere un po’ di cucina cinese da quel ristorante babbano vicino alla stazione, non è che volete restare a pranzo da noi?”

 

Ron scosse la testa, accarezzando i capelli di Katie che si stava tranquillamente succhiando il pollice. “No, grazie Gin, ma abbiamo il pranzo già pronto.

 

Ginny inarcò le sopracciglia. “Hai cucinato tu?” il fratello annuì. Lei scoppiò a ridere.

 

“Ehi!” fece offeso Ron, mentre anche i due bambini ridacchiavano. “Come ti permetti?”

 

Ron e i ragazzi salutarono Ginny (che sembrava ancora molto divertita, comunque) e tornarono a casa, rientrando nel salotto dove Spock si era accucciato in attesa del loro ritorno.

 

“Ho una fame da lupi.” Fece Jack, accarezzando il cane dietro le orecchie.

 

“Devi solo lavarti le mani, Jack, c’è una bella…” entrando in cucina tutti e tre si bloccarono: sulla padella c’era una gran quantità di roba strana…cenere, e una specie di guscio d’uovo mezzo rotto e mezzo attaccato alla padella, e il fornello era tutto sporco di bianco d’uovo.

 

Dopo un iniziale silenzio Ron si schiarì la gola. “Chi vuole un bel panino?”

 

 

***************

 

 

Simon sollevò la palla da bowling con una certa difficoltà; aveva imparato a giocare solo da poco, ma era una cosa che ogni tanto si concedevano il sabato sera tutti insieme, andare al bowling in un locale babbano di Londra dove suo padre e sua madre erano anche conosciuti come ottimi giocatori. Era molto divertente starli a guardare, ma recentemente anche lui aveva avuto il permesso di imparare a provarci da solo, così quel pomeriggio maschile con votazione unanime era stato destinato a un po’ di allenamento. Jack era molto bravo, faceva sempre punteggi molto alti.

 

“Ok, Simon.” Gli disse il padre restando fermo dietro di lui, pronto a dargli una mano se minacciava di darsi la palla sui piedi per errore. “Tira forte e dritto, non piegare il polso.

 

Simon fece due passi e tirò…ma la palla rotolò fuori, lungo la linea di demarcazione con l’altra pista vicino. “Ma che schifo…” brontolò il bambino.

 

Jack, che stava tenendo in braccio Katie (avevano stabilito turni a rotazione per occuparsi della bambina: chi non tirava la teneva in collo), ridacchiò. “Mollaccione.”

 

“A chi hai detto mollaccione?” ruggì Simon, ma Ron lo trattenne.

 

“La smettete subito o dobbiamo tornare a casa?”

 

Jack passò Katie in braccio al fratello e prese la palla, portandosi sulla pista. Una piccola rincorsa, un tiro…e e sei birilli giù. “Quando uno ha classe, ha classe.” Fece, tutto orgoglioso. Simon brontolò qualcosa fra i denti, tenendo ben stretta Katie che stava scalciando allegramente per raggiungere la palla che aveva appena preso in mano suo padre: era rossa, e la piccola amava il rosso.

 

“Non te la prendere, Simon, è solo questione di esercizio.” Disse tranquillamente Ron. “Jack è più grande di te, gioca da più tempo, e si allena tutto l’anno con una pluffa. E così dicendo tirò la sua palla, facendo un sonoro strike che gli valse un applauso da un paio di signore sedute a un tavolino alle loro spalle.

 

Simon lasciò Katie a suo padre e prese rabbiosamente la palla: stavolta ci sarebbe riuscito! S’inclinò in avanti… “Sta’ più dritto.” Gli suggerì Ron. Simon si mise più eretto e tirò…un birillo.

 

Jack scrollò le spalle. “Va già meglio, almeno ne hai messo giù uno.

 

Simon si voltò di scatto. “Che fai, sfotti?”

 

“No, per niente!” Jack scosse furiosamente la testa. “Stavolta giuro che non ti volevo prendere in giro!”

 

Ron rimise Katie in braccio a Jack e si avvicinò al figlio minore con un’altra palla in mano. “Calmati, Simon…non ti devi innervosire, altrimenti non ci riuscirai mai. Vieni qua.”

 

Simon prese la palla, ma Ron subito gli modificò la posizione delle dita nei tre buchi in superficie. Lo aiutò a far oscillare la palla avanti e indietro per un po’, mantenendogli il polso dritto. Jack a un certo punto mise un momento Katie seduta sulla piccola porzione di muretto lungo cui scivolavano le palle già lanciate e andò a sistemargli meglio la posizione dei piedi, completamente sbagliata.

 

“Vedi, il movimento è questo…” continuò a dirgli Ron. “Ora prova a far dondolare la palla da sola…e quando ti senti pronto tirala con tutta la forza che hai.

 

Jack, tutto preso a incitare il fratello, si dimenticò di riprendere in braccio la sorella; Katie, intanto, stava accogliendo con strillini di gioia l’arrivo della palla rossa. Naturalmente era troppo pesante per lei da sollevare, così la piccola pensò bene di buttarsi sopra col suo corpicino…e la palla scivolò giù dal muretto, rimbalzando più volte.

 

Simon fece il suo tiro…e caddero quattro birilli. “E vai!!” strillò felice.

 

Mica male!” disse allegramente Jack.

 

Hai visto, te l’avevo detto che…”

 

BAM. CRACK.

 

Simon si mise le mani davanti alla bocca per non urlare dal dolore: una palla rossa gli era appena caduta con tutta la violenza su un piede…e faceva un male atroce.

 

Ron lo prese subito in braccio, facendolo sedere sul tavolino dove tenevano le loro cose. “Porca miseria maledetta…ti fa molto male?” subito gli sfilò la scarpa e il calzino, scoprendo il piede che già stava cominciando a farsi viola per il livido, e Simon scoppiò a piangere.

 

Jack si voltò e vide la sorella che batteva le manine allegramente e diceva “Io, palla!”

 

“Katie!!” le urlò. “Guarda cos’hai combinato!” la bambina però non sembrò fregarsene più di tanto, nemmeno quando il fratello la prese in braccio bruscamente.

 

Simon continuava a piangere mentre suo padre gli tastava il piede per capire cosa si era fatto, e gli scappò un urletto quando gli toccò il pollice. “Potrebbe essere rotto.” Fece teso Ron.

 

“Dai, rimettiglielo a posto, papà!” replicò Jack.

 

“Andiamo prima in un posto non babbano.” Ron prese in braccio Simon e con la mano libera afferrò la borsa con le cose di Katie. Ma proprio quando avevano fatto i primi gradini della scala per l’uscita comparve davanti a loro una delle due donne che prima gli aveva battuto le mani così calorosamente.

 

“Posso aiutarvi?” disse con un gran sorriso. “Sono un medico.”

 

“Ah, ehm…” Ron cercò di aggirarla ma quella fece un passo avanti e gli appoggiò una mano sul braccio che reggeva il figlio.

 

“Mi faccia dare un’occhiata a questo piedino, sono certa di poter dare una mano…”

 

“Lei è molto gentile, ma dobbiamo proprio andare…” provò Ron.

 

Simon strillò quando la donna gli tastò il piede. “Si, all’ospedale. Questo piede è rotto.” Un altro super largo sorriso. “Posso accompagnarvi io, nel mio reparto il primario è un carissimo amico, sono certa che si potrà occupare di suo figlio al meglio, signor…?”

 

Jack fu più rapido di suo padre. “Grazie infinite, ma nostra mamma è un medico anche lei, e ci sta aspettando qua fuori!”

 

Ron annuì vigorosamente. “Si, infatti.”

 

La signora perse ogni entusiasmo. “Oh. Va bene, allora…sarà per la prossima volta.

 

Ron le fece un cenno di saluto e riprese la camminata rapidamente, voltandosi un attimo a guardare Jack. “Ma da chi hai imparato a dire le bugie così bene?”

 

Jack fece un sorrisetto. “Da zio Harry. Lui non arrossisce mai quando le dice, tu si.

 

 

***************

 

 

Hermione rientrò in casa dal camino facendo bene attenzione a non fare troppo rumore. Era mezzanotte passata, i bambini erano sicuramente già a letto. Dopo una noiosissima giornata passata a parlare al fianco di Montgomery aveva una gran voglia di abbracciarli e stare assieme a loro, ma era troppo tardi, sarebbe stato meglio aspettare la mattina dopo. Si tolse le scarpe per fare meno rumore possibile…ma intravide qualcosa in cucina che le fece arruffare i capelli sulla nuca. C’erano tanti di quei piatti sporchi nel lavello che potevano sembrare una montagna, la tavola era ancora apparecchiata e piena di briciole e resti della cena, la ciotola di Spock stava lì a terra tutta sporca e sul pavimento c’erano varie chiazze di sporco e unto.

 

Ecco, lo sapevo. Hermione marciò verso le scale con l’umore molto più nero di prima, soffermandosi solo ad accarezzare sommariamente Spock che l’era venuto incontro. Si diresse nella stanza di Katie, giusto per assicurarsi che almeno della bambina si erano presi cura appropriatamente…ma lei non era nel suo lettino. Viceversa c’era un odore orribile…si chinò sotto il letto per guardare…un pannolino sporco di cacca. Pure!

 

Disgustata e infuriata, Hermione si avviò verso la sua camera da letto per dare a Ron la lavata di testa più grande della sua vita, e i suoi propositi si rafforzarono quando vide la lucetta del comodino ancora accesa…ma quando fu sulla soglia della porta si fermò.

 

Ron si era addormentato ancora mezzo seduto di spalle contro la spalliera del lettone, tenendo un braccio attorno al corpicino della piccola Katie, che dormiva della grossa col ciucciotto in bocca sulla pancia del padre. Simon aveva un libro aperto in mano e dormiva con la bocca aperta e la testa appoggiata alla coscia del padre, mentre Jack si era accoccolato vicino al fratello, e dalla sua posizione si capiva che si era messo così per guardare nel libro. I bambini erano tutti e tre in pigiama e sembravano molto rilassati e sereni…Ron un po’ meno, ma non aveva l’aria scocciata o arrabbiata, solo stanca. Eppure in qualche modo sembrava sereno e soddisfatto anche lui.

 

Hermione si avvicinò per dare un’occhiata al libro che Simon teneva spalancato sulle gambe…era l’album delle fotografie – annuario di quando loro andavano a Hogwarts. C’erano le loro foto di quando erano ragazzi, e Hermione non potè fare a meno di sorridere alla vista di una foto che ritraeva lei, Ron e Harry appena sedicenni, esaltati dal fatto che avevano vinto la coppa di Quidditch (che Harry e Ron, entrambi con la casacca della squadra di Grifondoro, stavano tenendo in mano) e spensierati come non mai. Molto delicatamente Hermione sfilò il libro dalle mani del figlio e lo ripose sul comodino, quindi spense la lucetta e si accoccolò ai piedi del letto, dove poteva restare a guardarli tutti e quattro ancora un po’ prima di addormentarsi. Erano uno più bello dell’altro…ed erano tutti suoi.

 

Hermione si addormentò con un gran sorriso sulle labbra quella notte.

 

 

 

** THE END **

 

 

 

P.s.: c’è uno spoiler di BAWM Capitolo Zero in questa storia, quando si parla del bowling…ma non vi dirò assolutamente niente, perciò non fate domande perché non avrete risposte! ^^

 

però recensite!

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Capitolo 3
*** A Wizard's Life ***


Buon Compleanno, Mony

Buon Compleanno, Mony!!!!!!!!!!!! Mille di questi giorni!!!!!!!!! Eccolo qui il tuo sospiratissimo regalino… spero davvero che ti piaccia! Penso proprio di averci messo tutto quello che volevi tu! ^^ Un bacio grande quanto tutta una torta! =)

 

 

A WIZARD’S LIFE

 

 

 

Simon Weasley oltrepassò la barriera del binario 9 e ¾ di King’s Cross con un mattone al posto dello stomaco. Non era la prima volta che vedeva da vicino l’Espresso per Hogwarts (con tutte le volte che aveva accompagnato suo fratello…) ma stavolta c’erano i suoi bagagli, la gabbia del suo piccolo gufo Pepe e la sua bacchetta nel carrello che stava spingendo. Quante volte aveva sognato questo momento? Mille? E ora avrebbe sinceramente voluto mollare tutto e andare a nascondersi da qualche parte.

 

“Dai, spicciamoci!” fece la vocetta allegra di Julie Potter, che sembrava molto ansiosa di salire sul treno.

 

“Aspetta un po’, signorina! Neanche un bacio?” Ginny trattenne la figlia per la manica della giacca e le sistemò meglio i capelli spettinati.

 

“Mamma!” fece Julie, staccandosi in tutta fretta e guardandosi in giro per assicurarsi che nessuno dei suoi compagni l’avesse vista mentre la madre la trattava come una bambina.

 

“Quest’anno quelli del primo anno sono proprio dei nanerottoli.” Osservò Dan guardando lungo il binario, ostentando la sua scopa nuova luccicante – un regalo di Sirius.

 

Jack annuì con aria ovvia, passandosi una mano sulla fronte per cacciarsi indietro il ciuffo di capelli rossi che gli finiva sempre davanti agli occhi. “Guarda quello, secondo me non supera il metro.” Disse al cugino, indicando un ragazzino grassoccio vicino ai suoi genitori.

 

“Jack, smettila di comportarti da arrogante.” Hermione si chinò all’altezza di suo figlio minore e gli sistemò con un sorriso amabile il colletto della camicia. “Va tutto bene, Simon?”

 

Simon annuì ma non rispose. Aveva le mascelle rigide.

 

Ron gli diede una bottarella bonaria sulle spalle. “Rilassati, campione! Te la caverai alla grandissima, vedrai.”

 

“Anch’io vado!” Katie Weasley, vispa e allegra più che mai, stava saltellando per aggrapparsi al carrello di Jack incurante dei tentativi del fratello di tenerla a distanza, e alla fine si fermò solo perché Ron la prese in braccio. “Anch’io voglio!!” ma le proteste svanirono facilmente alla vista della bambola che il papà le aveva provvidenzialmente portato da casa per un’emergenza di questo tipo.

 

“Forza, vi conviene salire o non troverete posti liberi.” Harry aiutò Julie a caricare il suo baule e poi si fece indietro, mentre anche gli altri sistemavano le loro cose sul vagone bagagli.

 

“Avete tutto, no?” Ginny fece un sorriso raggiante. “Fate i bravi, divertitevi, studiate…”

 

“Non vi cacciate nei guai…” aggiunse Hermione.

 

Julie salutò tutti con un bacio e salì per prima sul treno, seguita da Dan che stava cercando di scappare da suo padre (Harry voleva ricordargli di evitare di tornare a casa per Natale con l’ennesimo osso rotto per via di quei soliti voli acrobatici ai limiti del regolamento che tanto amava fare).

 

“Fatti onore, tesoro.” Hermione abbracciò ancora una volta Simon, che era stato appena salutato da suo padre e sua sorella. Ancora una volta il ragazzino si limitò ad annuire e basta, salendo sul treno.

 

“Da’ uno sguardo a tuo fratello.” Ron diede una pacca sulle spalle a Jack. “E non combinare disastri…mi sono spiegato?”

 

Jack gli fece un occhiolino mentre saliva sul predellino del vagone. “Come no. Ciao!”

 

Katie si sbracciò vorticosamente per salutare i fratelli e i cugini mentre il treno partiva, sgambettando furiosamente e mandando bacetti al ‘ciuf ciuf’ che si allontanava da King’s Cross.

 

 

 

“Vedrai, ti piacerà da morire.” Julie continuava a parlare allegramente al cugino per rassicurarlo mentre camminavano lungo il corridoio del vagone. “Ti divertirai da matti. Tranne a Pozioni, quella è una materia barbosa. Ma per il resto…”

 

Simon si sistemò lo zaino sulle spalle e ingoiò a fatica. In meno di poche ore sarebbe arrivato…e ci sarebbe stato lo Smistamento…il terribile Smistamento

 

“…che comunque è simpatica, anche se è un po’ severa.” Julie smise di parlare e guardò dentro uno scompartimento. “Quelle sono le mie amiche!” dall’esterno del vetro salutò due ragazzine bionde che stavano sedute l’una di fronte all’altra a parlare, e quelle fecero due gran sorrisi e ricambiarono il saluto. Solo in quel momento Simon notò che erano due gemelle. “Che fai, Simon? Vuoi venire con me?” gli chiese vispa Julie.

 

“Ma sei matta?” Jack da dietro appoggiò le mani sulle spalle del fratello con una leggera botta e lo scosse un po’. “Vuoi farlo vedere in compagnia di tre femmine il suo primo giorno di scuola?”

 

Anche Dan scosse la testa come se il solo pensiero lo disgustasse. “Lo vuoi proprio rovinare, Julie.”

 

Julie li guardò con un sopracciglio inarcato. “Siete molto immaturi, sapete? Comunque Simon, fa’ come ti pare.” Entrò nello scompartimento a testa alta, e i tre ragazzi la videro abbracciare calorosamente le sue amiche.

 

“Lascia perdere le ragazzine per oggi, è un consiglio.” Disse Dan al cugino mentre si rimettevano in cammino. “Ti faresti una pessima reputazione. No, oggi solo maschi.”

 

Finalmente trovarono uno scompartimento vuoto, e Jack fu il primo a sedersi con un’esclamazione allegra e rilassata, mentre anche Dan affondava nel suo posto con aria disinvolta. Viceversa Simon stava seduto dritto come un palo. Dan inarcò un sopracciglio. “Ti sei ingoiato una manico di scopa prima di venire qui?”

 

Jack scosse la testa con un sorrisetto. “E’ terrorizzato perché non vuole finire a Corvonero.”

 

“Perché dovresti finire a Corvonero?” Dan scrollò le spalle. “Ok che sei un cervellone, ma anche zia Hermione era come te e stava a Grifondoro.”

 

Jack guardò suo fratello e istintivamente rise. “Perché non glielo dici, Simon?”

 

“Che cosa?”

 

Simon sbuffò. “Lasciami in pace.”

 

“No, davvero…dirmi cosa?”

 

Jack fece un sorrisetto losco.

 

 

Simon si guardò in giro nella stanza per vedere se aveva messo tutto nel baule prima di chiuderlo. No, non aveva dimenticato niente, a quanto sembrava. Allora poteva anche chiudere il suo bagaglio…si voltò per farlo, ma trovò sua sorella seduta su tutti i libri accumulati nel grosso baule.

 

“Mi porti?” gli disse la piccola Katie, con un sorriso adorabile e infantile.

 

“No.” Simon le fece cenno di alzarsi. “Dai Kat, mi scombini tutto.”

 

La bambina non si arrese. “Se mi metto qua?”

 

Simon alzò gli occhi al cielo. “Aria, Kat. Non ti posso portare con me. Fila, forza.

 

Katie mise il broncio. “No!”

 

“Come sarebbe no??”

 

“Se non mi porti ti faccio pipì sulle tue cose!”

 

“Sto perdendo la pazienza, hai tre secondi per sparire dal mio baule. Simon sollevò un dito. “Uno…due…” per tutta risposta Katie si alzò la gonnellina, decisa a portare a termine la sua minaccia. Simon le si lanciò addosso. “Ma sei cretina??” urlò, cercando di strapparla via da lì dentro. Katie si aggrappò forte dove poteva e si mise a strillare. “Levati, Katie!! Ho detto levati!!”

 

Ma che sta succedendo qua?!” Ron entrò nella stanza e appena si rese conto della situazione afferrò Simon per i fianchi e lo tirò via dal baule. “Simon!”

 

“Vuole pisciare sulla mia roba!!” urlò Simon, scalciando furiosamente.

 

“Mi ha tirato i capelli!!” protestò Katie.

 

Jack si affacciò nella stanza con aria annoiata. “Avete finito di far casino voi due?”

 

Ron marciò verso il baule e prese in braccio la figlia, che stavolta non oppose resistenza. “Katie? Volevi veramente fare pipì sulle cose di tuo fratello?”

 

La bimba tirò su col nasino e sbuffò. “Ma tanto non mi scappa.”

 

“Cretina.” Brontolò a bassa voce Simon mentre sistemava alla men peggio quello che la sorella aveva scombinato nel suo bagaglio.

 

“La prossima volta spiegagliele le cose, Simon. Fece severo Ron. “E’ piccola, ancora non le capisce certe cose.

 

“E’ piccola.” Simon gli fece il verso. “Tu fai le differenze.”

 

Ron fece una smorfia. “E stavo solo aspettando quando l’avresti detto.

 

Jack diede un’occhiata nel baule del fratello e ridacchiò. “Ma che ti sei portato? Guarda che a Hogwarts c’è già la biblioteca.

 

Simon scrollò le spalle. “Sono i miei libri preferiti.”

 

Ron si sporse per guardare e rise. “Nah, vanno benissimo. Voi non l’avete mai visto il baule di mamma quando andava a scuola. Questo non è neanche la metà.”

 

Jack si pulì il naso con la manica. “Fortuna che il cappello parlante non fa le selezioni in base a quello che c’è nei bagagli, sennò saresti già bello che fritto a Corvonero.”

 

Simon si accigliò. “E’ tanto male Corvonero?”

 

Ron inarcò un sopracciglio. “No, più che male…sai com’è, figliolo, a Grifondoro ci vanno quelli in gamba. A Serpeverde c’è sempre un po’ di marcio. Quelli di Tassorosso sono brava gente…un po’ meno svegli, ma brave persone. I Corvonero non mi sono mai stati simpatici, perché saranno intelligenti quanto ti pare ma poi alla prima difficoltà si soffiano il naso con le mutande.

 

Simon ingoiò a fatica.

 

 

 

Dan scoppiò a ridere. “Io l’ho sempre detto che zio Ron è un grande!”

 

Anche Jack stava ridendo. “Ecco perché Joe Mallery ha sempre il naso che gli cola.”

 

Simon non ascoltò i commenti su Joe Mallery e le sue mutande, tutt’a un tratto si ritrovò a fissare il panorama fuori dal finestrino nascondendo il mento in una mano. E se fosse veramente finito a Corvonero? Che cosa avrebbe pensato suo padre di lui? E tutti gli altri, che avrebbero detto?

 

“Pronto? Terra a Simon!” Dan ridacchiò e gli passò una mano davanti alla faccia.

 

“So io che cosa ci vuole.” Jack infilò la testa nel suo zaino e ne venne fuori un momento dopo tenendo in mano un libro. “Lo sapevo che sarebbe servito…tieni.”

 

Simon prese il libro che gli stava porgendo il fratello: Le basi elementari per una buona Cura delle Creature Magiche volume 2. Istintivamente lo aprì e lo sfogliò rapidamente…era uno dei nuovi libri di scuola di Jack, pieno anche di illustrazioni. Vinto dall’interesse dimenticò tutta la faccenda per un po’ e si sistemò meglio sul sedile, tirandosi le ginocchia al petto e scomparendo dietro la copertina del librone.

 

“Funziona sempre.” Fece Jack con un sorrisetto.

 

Neanche un minuto dopo la porta dello scompartimento si aprì di nuovo, rivelando due ragazzi della stessa età di Jack e Dan; uno aveva i capelli cortissimi neri, l’altro era castano. “Ehi gente!” esclamò allegramente il moro.

 

“Stavo cominciando a pensare che vi foste persi!” fece Dan mentre i due nuovi arrivati si sedevano nei posto liberi. “Che fine avevate fatto?”

 

“Mio padre ha perso un sacco di tempo col controllore babbano, quel tizio era insopportabile. Voleva per forza il biglietto.” Marshall West, il ragazzo coi capelli neri, aveva un tipico accento irlandese.

 

“Se tuo padre si è vestito da babbano, ci credo che il controllore l’ha fermato.” Ridacchiò l’altro ragazzo, Ben Larrison. Questo fece sorridere anche Dan e Jack.

 

Marshall scrollò semplicemente le spalle e sorrise. “Che ci vuoi fare, mio padre ha la fissa per i babbani. E soprattutto per le babbane…” altri sorrisetti.

 

“Chi pensate che rimpiazzerà Rogers in porta quest’anno?” chiese Jack, ricordandosi che il loro capitano e portiere della squadra di Grifondoro si era diplomato l’anno passato.

 

Dan scrollò le spalle. “Faranno i provini. Ma sicuramente la fascia di capitano se la becca Annabelle. Per la gioia di tutti.”

 

“Eh, soprattutto la gioia mia.” Disse Marshall con una smorfia. “Mi sta terribilmente antipatica, non la sopporto…”

 

Jack trattenne una risatina. “Solo perché non ride alle tue battute.”

 

“No, perché manca completamente del senso dell’umorismo, è diverso.”

 

Ben, che stava guardando nel corridoio del vagone, fece un fischio strano e si voltò verso i suoi amici. “Ehi Jack, guarda un po’ chi sta arrivando…”

 

Jack si sporse a guardare. Lungo il corridoio comparvero Amelia Sheffield e due sue amiche; Amelia lo vide e gli rivolse un sorriso radioso, salutandolo con la mano. Lui ricambiò il saluto con un occhiolino.

 

“Uuh…la ragazza di Jack…”

 

“Sta’ zitto, Marsh, non è la mia ragazza.”

 

“Vero, si sono lasciati due anni fa.” Dan fece un sorrisetto perfido. “Lei gli ha mollato un ceffone perché ha trovato scritto sui suoi appunti ‘Gia Robbins sei bellissima’.”

 

Marshall sembrava sul punto di vomitare. “Ti piace Gia Robbins?!”

 

“Ehi, non è che mi piaceva!” Jack si difese subito. “E comunque due anni fa non si era ancora rotta il naso sulla scopa, e col naso dritto non era proprio bruttissima.”

 

“Però adesso Amelia non ti picchia più, eh?”

 

“Marsh, o la smetti o ti gonfio.”

 

In quel momento la porta dello scompartimento si aprì ancora…e una ragazzina con capelli cortissimi biondi e due grandi occhi scuri un po’ svampiti entrò saltellando. “Ah, ecco dove eravate!”

 

Dan sbuffò. “Sally Sullivan, ero in pensiero.”

 

“Per favore, tornatene da dove sei venuta, ok?” Ben arricciò il naso.

 

“Anch’io sono contenta di rivedervi.” La ragazzina, con aria molto professionale e anche un po’ svampita, si sfilò la matita dai capelli ed estrasse un blocco per gli appunti, sedendosi vicino a Jack. “Sono qui per il giornale scolastico…sto lavorando a un’intervista sui risultati dei sondaggi dell’anno scorso. Jack, tu sei risultato il ragazzo più carino del nostro anno. Che cosa ne pensi?”

 

Jack si accigliò. “Che se te ne vai mi fai un piacere.”

 

Lei lo ignorò. “Non pensi di essere in debito con le tue elettrici?”

 

“Gli stai chiedendo di uscire con te?” la pizzicò Marshall, facendo una faccia odiosa.

 

“Sta’ zitto, West. Anche se ti agiti così tanto con quella mazza lassù in aria, hai conquistato a malapena il settmo posto nella classifica. Ribattè pungente lei.

 

“Sai che me ne faccio delle tue classifiche del…”

 

“Lo hanno fatto già un sondaggio sulla più rompipalle della scuola?” replicò Jack.

 

La ragazzina arricciò il naso e prese a scarabocchiare furiosamente sul suo blocco. “Come immaginavo, tutto muscoli e niente cervello…”

 

“Ehi Sullivan, stai veramente giocando col fuoco.” Jack si mise su eretto sul sedile.

 

“Dico davvero, non hai abbastanza cervello da rispondere neanche al più banale degli indovinelli.”

 

Sfida aperta. “Mettimi alla prova.”     

 

“Bene.” Sally mise via gli appunti e sollevò il mento in aria. “Sentiamo, qual è quella cosa gigantesca che è capace di sopportare pesi smisurati ma non un sassolino?”

 

Jack esitò, e aprì la bocca per rispondere ma non gli venne fuori niente. Sally fece un sorriso soddisfatto e scrutò anche le facce degli altri ragazzi, che avevano l’aria di chi stava riflettendo.

 

“Il mare.”

 

Tutti si voltarono verso la vocetta che aveva parlato. Simon mise giù il libro e le ginocchia, mostrandosi per la prima volta.

 

“E questo soldo di cacio da dove spunta?” fece Ben.

 

Sally si accigliò. “Conoscevi già questo indovinello, non è vero?”

 

Simon scosse la testa. “Che ci vuole. Nel mare le navi che sono pesantissime galleggiano, mentre i sassi vanno a fondo subito. E’ elementare.”

 

Marshall fece una smorfia. “Bel colpo, piccoletto.”

 

Sally Sullivan si mise seduta ben dritta e si rimise la matita fra i capelli. “Allora rispondi un po’ a questo. In cielo non si vede, in mare è centrale, il diavolo ne ha una, in paradiso ce ne sono due, scalinata ne ha tre, e in tutto l’universo non ce n’è una. Che cos’è?”

 

Dan si grattò una tempia. “Eh?”

 

“In cielo non si sente…stai dando i numeri?” fece Ben.

 

Simon ci pensò un attimo. “E’ la lettera A.”

 

Sally spalancò gli occhi. Marshall fece mentalmente la verifica e annuì. “E’ vero! Ma come..”

 

Jack guardò Sally con una faccia spudoratamente fiera e sfacciata. “Sullivan, ti presento mio fratello Simon.” Simon le fece ciao con la mano.

 

Sally strinse le labbra in una smorfia strana. “Bene. Ci vediamo in giro.” E così dicendo se ne uscì dallo scompartimento.

 

“Wow!” Ben si voltò verso gli altri. “Che goduria, avete visto che faccia?”

 

Marshall inarcò le sopracciglia. “Ehi, ma tu chi sei? Un’enciclopedia coi piedi?”

 

Dan ridacchiò. “Più o meno.”

 

“Quella che hai appena messo a figura di niente è Sally Sullivan, Corvonero del quarto anno.” Spiegò Jack al fratello. “E’ una rompiscatole incredibile, ed è convinta di essere un genio.”

 

“Ed è stata appena ridicolizzata da un ragazzino alto due dita.” Ben se la rise. “Aspetta che lo raccontiamo in giro…”

 

“Io non sono alto due dita.” Sibilò Simon a denti stretti.

 

“Ti consiglio di evitarla se non vuoi trovartela appiccicata pure nel bagno la mattina.” Gli suggerì Marshall. “Anche se non vedo come potrai fare, visto che molto probabilmente finirai nella sua stessa casa.”

 

Dan gli fece furiosamente cenno di stare zitto da dietro, mentre le orecchie di Simon si arrossavano poco alla volta. “Io non finirò a Corvonero.”

 

Ben scrollò le spalle. “Tutti i cervelloni finiscono lì…” si bloccò quando vide la faccia feroce che gli stava facendo Dan.

 

“Mio fratello non finirà a Corvonero.” Disse risoluto Jack, voltandosi poi verso Simon. “Non finirai a Corvonero, rilassati.”

 

Simon gli passò il libro e si alzò. “Vado a fare un giro.”

 

“Ma che c’è, che ho detto?” balbettò Ben.

 

Simon uscì dallo scompartimento coi pugni serrati e le guance in fiamme. Così tutti pensavano che sarebbe finito in quella dannatissimo Corvonero! Ma non ci voleva finire, che cosa doveva fare, mettere gli striscioni?! Si fermò dopo qualche passo, sentendosi chiamare da Jack, e si voltò. Suo fratello, affacciato alla porta, gli sorrise largamente facendogli un cenno coi due pollici verso l’alto e mormorando “Grifondoro” con un occhiolino. Simon annuì con un sorrisetto brevissimo e si allontanò a passi rapidi. Si sentiva lo stomaco bloccato.

 

E in quel mentre qualcosa di grosso lo urtò bruscamente e gli fece fare un volo all’indietro, facendogli battere la testa contro la parete alle sue spalle..

 

“Oh, mi dispiace!” sentì dire a qualcuno, ma siccome stava ancora vedendo le stelle non riuscì a capire chi fosse. “Scusa, stavo…e non ti ho visto…ecco, vieni…” quella stessa persona che lo aveva presumibilmente buttato giù lo aiutò a rimettersi in piedi. Simon si toccò la nuca dolorante e scosse leggermente la testa, riuscendo finalmente a recuperare l’uso degli occhi.

 

Davanti a lui c’era un ragazzo robusto e piuttosto altino, ma almeno all’apparenza non più adulto di lui. Era castano con gli occhi castani e il naso più schiacciato.

 

“Mi dispiace.” Balbettò ancora. “Ti sei fatto male?”

 

Simon fece a malapena in tempo a scuotere la testa per rassicurarlo che si sentirono dei passi rapidissimi e un altro ragazzino arrivò di corsa. Questo era magro e biondo e sembrava furioso. “Eccoti qui, finalmente!!”

 

Il ragazzo grassoccio arretrò fino a nascondersi dietro Simon, che lo guardò oltre la sua spalla con un’aria sorpresa: così grosso aveva paura di uno così magro? “Non è colpa mia!” lo sentì biascicare.

 

“Ah no, eh?” ringhiò l’altro ragazzo. “L’ho dato a te il libro, cosa credi? Di prendermi in giro? E adesso come la mettiamo, eh?”

 

“Ma non l’ho fatto apposta!”

 

Simon decise di intromettersi. “Perché ce l’hai con lui, che ti ha fatto?”

 

Il biondino lo squadrò per un momento, decidendo se era il caso di dar retta a un ragazzino più basso di lui. “Questo stupido idiota mi ha rotto il libro di Incantesimi. Gliel’avevo prestato per un attimo e il suo gattaccio l’ha strappato tutto. Guarda.”

 

Simon osservò il libro che il ragazzini stringeva in mano, da cui penzolavano dei fogli. “Non farla così tragica. Si può riparare.”

 

Il biondo lo guardò con gli occhi stretti in due fessure. “E tu che ne sai?”

 

Simon lo guardò per un momento. “I tuoi genitori sono babbani, vero?”

 

“E allora?” fece quello, quasi sulla difensiva.

 

Simon scrollò le spalle con un’aria serena. “Forse non lo sai, ma con la magia si può riparare quasi tutto. Non c’è bisogno di scaldarsi tanto.”

 

Il biondo sbattè gli occhi e sembrò rifletterci su, poi finalmente si calmò. “Ne sei…assolutamente sicuro?”

 

“Sicurissimo.”

 

“Beh…in tal caso…”

 

Il ragazzo grassoccio finalmente venne avanti e si voltò verso Simon con un sorrisone. “Grazie mille, amico. Ti devo un favore.”

 

Simon scrollò le spalle. “Non mi devi niente, l’avrebbe scoperto da solo tra un po’.”

 

“Già, ma prima gliele avrei suonate.” Fece il biondo con un sorrisetto. “Mi chiamo Matthew Walker, Matt per gli amici. Tu?”

 

“Simon Weasley.”

 

“Weasley?” il ragazzo grassoccio si accigliò. “Ma tuo fratello non è…”

 

“…cacciatore di Grifondoro, si.”

 

“Anche mio fratello è nella squadra, battitore. Io sono Samuel West.” Il paffuto ragazzo sorrise amichevolmente.

 

“Qualcosa dal carrello, ragazzi?” una signora dall’aria gentile si fermò proprio davanti ai ragazzini, spingendo un carrello su cui stava ogni ben di Dio.

 

Samuel strabuzzò gli occhi. “Ooh…”

 

 

***************

 

 

Adesso muoio. Adesso muoio. Adesso muoio.

 

Entrando nella Sala Grande di Hogwarts Simon non si soffermò neanche a guardarsi in giro con aria stupita e ammirata come facevano gli altri compagni; no, lui aveva lo sguardo basso e teneva le mani strette forte in due pugni nelle tasche dell’uniforme. Ecco, ormai lo Smistamento era a secondi. Ora sarebbe iniziato o finito tutto. Non aveva il coraggio di alzare gli occhi, infatti non vide gli altri che si fermavano e inciampò in avanti, finendo addosso al suo grassoccio amico che lo sorresse gentilmente.

 

“Ehi, tutto bene?” gli chiese con la vociona impacciata, e Simon annuì senza parlare.

 

Una strega dal cappello appuntito, coi capelli bianchi e il naso adunco, si schiarì la voce. “Un momento d’attenzione, per favore. Diamo inizio alla cerimonia dello Smistamento!”

 

Simon neanche prestò ascolto alla canzone che recitava il cappello parlante; solo in quel momento parve rendersi conto delle quattro lunghissime panche che stavano nella Sala Grande, e scorgendo quella di Grifondoro vide Jack e Dan che se la ridevano di gusto coi loro amici e sua cugina Emily, la figlia di zio Bill e zia Aki, che esibiva con orgoglio il suo distintivo di Caposcuola. Vide anche Julie, che aveva un’espressione sognante mentre con le sue amiche guardava un ragazzo molto più grande al tavolo di Tassorosso. Julie incontrò il suo sguardo e gli rivolse un gran sorriso incoraggiante. Simon fece per rispondere al sorriso, ma capì immediatamente che la sua bocca aveva fatto probabilmente più una smorfia che altro.

 

“Amanda Lorins!”

 

“Isabel Temple!”

 

“Robert Noringhtons!”

 

“Kennie Howards!”

 

Uno a uno i ragazzi chiamati andavano a farsi smistare. Simon stava saltellando sui piedi impercettibilmente, e quando Kennie Howard fu spedito a Serpeverde sentì un fastidiosissimo bisogno di correre nel primo bagno disponibile.

 

“Matthew Walker!”

 

“Speriamo bene.” Il ragazzino biondo che stava vicino a lui avanzò verso la sedia e si lasciò mettere il cappello in testa. E un momento dopo fu mandato a Grifondoro.

 

“Bravo Matt, beato lui.” Disse il ragazzo grassoccio a bassa voce. “Tu dove vorresti andare, Simon?”

 

“Va bene tutto.” Simon si stava strozzando per biascicare poche parole. Non aveva una goccia di saliva in gola.

 

“Melanie Mitchell!”

 

“Samuel West!”

 

“Oh mamma.” L’impacciato Samuel raggiunse la sedia – urtandola piuttosto bruscamente, e facendo ridere qualche studente – e si agitò goffamente mentre il cappello borbottava qualcosa a bassa voce. Ma alla fine si rilassò visibilmente quando il cappello urlò “Grifondoro.”

 

Simon fu felice per lui, soprattutto quando lo vide sorridere per le orgogliose pacche sulle spalle che suo fratello, l’amico di Jack, gli diede appena lo raggiunse al tavolo di Grifondoro.

 

“Harold Travis!”

 

“Connie Brown!”

 

Ecco, perfetto... se finisco a Corvonero farò fare una figura da niente anche a Jack… e papà penserà che sono un piscione, sarò l’unico in tutta la famiglia… farò la fine di zio Percy, che razza di figura ci faccio se…

 

“Simon Weasley!”

 

Merda.

 

Simon si trascinò fin sulla sedia con l’aria di un condannato a morte. Chiuse forte gli occhi quando sentì il cappello posarsi sulla testa. Ecco, adesso è proprio la fine… questo mi manda a Corvonero e io non potrò…

 

“Grifondoro!”

 

Simon spalancò gli occhi mentre la professoressa gli sfilava il cappello dalla testa, e a malapena sentì gli applausi dei suoi compagni di casa. Si alzò dalla sedia solo quando la professoressa lo guardò con un sopracciglio inarcato e gli fece cenno con la testa di togliersi di lì.

 

Samuel gli diede una vigorosa pacca sulle spalle, facendolo barcollare in avanti. “E vai, siamo nella stessa casa!”

 

“Congratulazioni, Grifondoro!” Jack lo spettinò a furia di strapazzargli i capelli, e anche Dan gli fece una gran festa. E finalmente Simon si lasciò andare al suo primo sorriso della giornata. E il suo primo pensiero fu di andare a cercare il suo gufo Pepe dopo cena; voleva spedire a suo padre e a sua madre la notizia quanto prima.

 

 

***************

 

 

Jack aveva ragione, Hogwarts era davvero come casa, o almeno lo diventava dopo un po’. Simon, per esempio, ci si trovava benissimo. Seguiva ogni mattina le lezioni con grande interesse – per lui ogni novità era un’emozione nuova – e studiare non gli pesava per niente; la sera, poi, si stava sempre tutti insieme in qualche modo. Qualche volta era andato ad assistere agli allenamenti della squadra di Grifondoro, in particolare ai provini per la scelta del nuovo portiere. Per lui non era una grande novità vedere suo fratello e suo cugino che davano spettacolo, visto che lo facevano da una vita, ma dopo un po’ finiva per annoiarsi a sentire per tutto il tempo ragazzine urlanti che sospiravano e strillicchiavano ogni volta che Jack faceva quel suo odioso sorrisetto e si scansava i capelli dalla faccia. Squallido e patetico. E poi lui non aveva mai particolarmente amato il quidditch, andava a vederlo solo perché era la passione di Matt. Samuel, invece, avendo anche lui già il fratello in squadra ed essendo anche troppo goffo e robusto per aspirare a uno sport simile, non andava pazzo per il quidditch.

 

In breve tempo si era fatto un sacco di amici, soprattutto fra i ragazzi di Tassorosso che facevano Pozioni e Trasfigurazione con loro e gli altri ragazzi del dormitorio maschile di Grifondoro, ma Matt e Sam erano quelli con cui stava di più. Il più delle volte Sam combinava qualche pasticcio grosso e lui lo tirava fuori in qualche modo, però lo faceva con piacere: Sam era un buon amico, anche se ancora non sapeva puntare i piedi con la gente e si lasciava sempre aggredire con troppa semplicità. Al contrario Matt voleva sempre averla vinta su tutti, ma era un grande giocatore di scacchi e alle volte lui e Simon passavano ore la sera davanti a una scacchiera, ed erano così bravi che perfino i ragazzi più grandi si soffermavano ad assistere.

 

Inutile a dirsi, Simon si era distinto immediatamente come un piccolo genio: aveva il massimo dei voti già in un mese di scuola, e i suoi professori erano entusiasti di lui. Il più fiero era proprio Jack, che si vantava spudoratamente con i suoi amici di avere un fratello così sveglio. Simon non si lasciò abbindolare dai suoi sprazzi di affetto fraterno: Jack aveva una reputazione piuttosto elevata in tutta Hogwarts, e sarebbe stata certamente macchiata in qualche modo se si fosse detto in giro che suo fratello era scemo o piagnucolone. Invece così era perfetto, aveva un fratello che aveva fatto guadagnare a Grifondoro un sacco di punti in meno di un mese.

 

Ai primi di Novembre dal terzo anno in poi ebbero il permesso di ricominciare le gite a Hogsmeade, e questo lasciava la sala comune di Grifondoro decisamente svuotata il sabato; quella sera, ad esempio, non c’era quasi nessuno in giro: un paio di ragazzi del secondo anno stavano giocando a Sparaschiocco vicino al fuoco, tre ragazzine del primo anno parlottavano a bassa voce sul divanetto, mentre Simon e Matt giocavano a scacchi vicino alla finestra. Sam, che era seduto a terra vicino alle loro sedie, ogni tanto sbadigliava e alzava gli occhi per vedere a che punto era la partita.

 

Simon ordinò alla sua regina di muoversi. “Scacco.” Dichiarò con un sorrisetto.

 

“Tu sei un demonio.” Matt osservò con attenzione la scacchiera, arricciando il naso quando vide che era decisamente in difficoltà.

 

“Chi sta vincendo?” chiese pigramente Samuel, sbadigliando.

 

“Lui si sta illudendo.” Fece Matt, cercando una possibile soluzione.

 

Simon fece un sorrisetto e si stiracchiò. “Alla prossima mossa chiudo la partita.”

 

Samuel si mise dritto sulle ginocchia. “Ehi ragazzi, è un po’ che vorrei dirvi una cosa.”

 

“Che c’è, Sam?” chiese Simon.

 

“Ecco, pensavo…noi non ci siamo iscritti a nessun club.”

 

Matt si accigliò ma non tolse gli occhi dalla scacchiera. “Cioè?”

 

Samuel scrollò le spalle. “Cioè tutti fanno qualcosa e noi no.”

 

“Cavallo in D6.” Matt si liberò dallo scacco. “Io avevo proposto Quidditch, ma voi rompete.”

 

“E’ una palla, Matt. Lo vuoi fare solo perché lo fanno tutti. Torre in A8.” Simon si grattò una tempia.

 

Samuel annuì. “E poi io non voglio fare uno sport dove c’è anche mio fratello. E’ già abbastanza penoso viverci insieme.”

 

“Potremmo iscriverci a qualcosa di stupido che ci lascia un sacco di tempo libero.” Disse piatto Matt, facendo la sua mossa.

 

“Perché deve essere per forza qualcosa di stupido?”

 

Matt alzò gli occhi al cielo. “Perché così non dobbiamo per forza dipendere da te, Simon.”

 

“Che scemenza.” Simon con noncuranza ordinò al suo alfiere di avanzare.

 

“E se facessimo quella specie di corso di Erbologia del venerdì pomeriggio?” propose Samuel.

 

“Scordatelo, Sam.” Fece deciso Simon. “Non mi piacciono le piante.”

 

“Però prendi sempre il massimo a Erbologia.” Osservò Matt.

 

“Si, perché è una materia facile.” Simon scrollò le spalle. “Scacco matto.”

 

“Cos…no! Ma dai!” Matt guardò inorridito la scacchiera. “Non è matto, non…”

 

“E’ matto, piantala.”

 

“Ma come diavolo…hai barato!”

 

Samuel rise. “Sei il migliore, Simon.”

 

“Ma quale migliore!” Matt non voleva rinunciarci. “Ci deve essere un errore…non è matto…”

 

Simon ridacchiò. “Sei un caso disperato.”

 

“Proprio te cercavo!”

 

Simon riconobbe la voce della cugina e si voltò quando la vide che si avvicinava. “Ehi Julie.”

 

Julie Potter si scansò una lunga ciocca di capelli ramati dalle spalle. “Simon, non è che ti sei ricordato di dire a Jack del regalo?”

 

Simon si accigliò. “No…non mi pare.”

 

“Quale regalo?” chiese Matt.

 

“Per il compleanno di mia sorella.” Gli rispose Simon. “Ma scusa, non lo sapevano che lo dovevano comprare loro?”

 

Julie fece una smorfia. “Si, figurati. E’ la prima volta che vanno a Hogsmeade quest’anno, saranno talmente presi che secondo me nemmeno se lo ricordano. Come si fa se non comprano niente?”

 

Simon scrollò le spalle. “Troveremo qualcosa da mandare a Katie. Puoi rubare a Dan quel modellino di Jenky Il Mago Volante, quello l’è sempre  piaciuto.”

 

Julie fece un sorrisone furbo. “Giusto! Sei un grande!”

 

Matt tirò su col naso. “Quanti anni fa tua sorella?”

 

“Quattro.”

 

“E le regalate un modellino?”

 

Julie sorrise allegramente. “Katie adora tutto quello che si costruisce, le piacerà. E poi se posso fregare qualcosa a mio fratello è ancora meglio.”

 

“Ah, beh.” Matt scosse la testa e ridacchiò.

 

Samuel, che aveva le guance decisamente infuocate e si stava contorcendo le dita in grembo, mormorò in una voce piccola e malferma “Tu a che gruppo sei iscritta?”

 

Julie si accigliò. “Scusa, non ho sentito.”

 

“Che gruppo ci consigli di frequentare, Julie? Sai, di quelli pomeridiani.” fece sbrigativamente Simon.

 

“Avete provato il club di Incantesimi?” chiese Julie. “Io faccio Trasfigurazione Speciale, ma Mary mi ha detto che anche Incantesimi è buono. E poi c’è un sacco di gente.”

 

“Non è male come idea.” Simon guardò Matt. “Che dici?”

 

“Da provare. Quando si riuniscono?”

 

“Quelli del primo e secondo anno il lunedì alle sette.”

 

“Allora domani ci andiamo.” Fece Simon.

 

“Beh…ci vediamo.” Julie li salutò e si allontanò in direzione del dormitorio femminile.

 

Matt fece un sorrisetto malizioso e diede una gomitata a Simon, indicandogli con un cenno della testa Samuel, che continuava a fissare Julie con le guance in fiamme. Simon ridacchiò, e rise ancora di più quando Matt fece fare un salto a Samuel battendo con forza il suo alfiere sul tavolo.

 

“Sveglia Romeo!” rise Matt.

 

“Non c’è niente da ridere!” protestò il ragazzone, con le orecchie in fiamme.

 

“Ti piace mia cugina?” anche Simon ridacchiò.

 

“Siete proprio due idioti.” Brontolò Samuel, abbassando lo sguardo.

 

“Non te la prendere, Sam…è solo che…eh eh…tu e mia cugina…”

 

“Ora ti faccio vedere io!” Samuel si alzò rapidamente, ma nel farlo prese in pieno con un piede la gamba della sedia di Simon, che si rovesciò all’indietro con un gran tonfo, facendo finire Simon di testa a terra. “Oh cavolo!”

 

Matt si arrampicò sul tavolo velocemente per sporgersi e dare un’occhiata al suo amico a terra. “Sei ancora tutto intero?”

 

“…ohi…” Simon fece per rialzarsi appoggiandosi su un gomito ma ricadde giù, con la testa alquanto dolorante.

 

“Scusami tantissimo, Simon, davvero!” Samuel era davvero mortificato. “Mi dispiace moltissimo, non l’ho fatto apposta…”

 

“Sai cosa, Sam? Tu dovresti iscriverti al gruppo dei maldestri, se esiste.” Osservò Matt con un’espressione divertita sul viso.

 

Samuel si mortificò ancora di più. “Scusa tanto…”

 

“…lascia perdere, è tutto ok.” Simon si rimise seduto a terra, massaggiandosi la nuca. “Beh…credo proprio che frequenteremo Incantesimi, no?”

 

Samuel arrossì furiosamente. “E se…facessimo un salto a Trasfigurazione?”

 

Matt alzò gli occhi al cielo. “Sei patetico, Sam. Farai la fine del fratello di Simon.”

 

Simon rise. L’ultima volta che aveva visto Jack quel pomeriggio era con una ragazza del quinto anno di Tassorosso, una tipa bionda bassetta…si riservò mentalmente di prenderlo un po’ in giro quando sarebbe tornato da Hogsmeade. Era un po’ che non lo tormentava.

 

 

***************

 

 

In effetti al club di Incantesimi c’era un bel po’ di gente, come aveva detto Julie. Simon, Matt e Sam entrando riconobbero un gruppetto di compagni di Tassorosso e li salutarono allegramente, ma a parte loro c’erano parecchi Corvonero e anche qualche Serpeverde.

 

“Siamo in parecchi, per essere solo del primo e del secondo anno.” Osservò Samuel.

 

“Scusami?” una ragazzina con le trecce e gli occhiali si avvicinò a Simon con un blocco note in mano. “Tu sei il fratello di Jack Weasley, vero? Ehm…mi faresti avere un suo autografo, per favore?”

 

Lui la guardò torva, e Matt e due ragazzi di Tassorosso che erano con loro scoppiarono a ridere quando la videro sgattaiolare via sotto lo sguardo ‘inceneritore’ di Simon.

 

“Chi è che dirige gli incontri?” chiese Matt a Nigel Pink, un ragazzetto magro e coi capelli corvini.

 

Quello storse la bocca. “Non lo so con precisione, ma mi pare che se ne occupa il prefetto di Corvonero, Jane Mellory.”

 

“E oggi come facciamo, allora?” esclamò Mark Devon-Durray, un Tassorosso alto e lentigginoso. “So che oggi c’è la riunione dei Prefetti coi Caposcuola, chi prende il suo posto?”

 

Simon si guardò un po’ in giro per farsi un’idea di chi poteva essere il sostituto…e finì per notare una ragazzina che ricordava vagamente allo Smistamento (ricordava molto poco di quella giornata, comunque); era una Corvonero del primo anno, con degli incredibili occhi color ghiaccio e i capelli neri lucenti corti fino alle orecchie. Era piuttosto carina, e sedeva su una delle sedie con un grosso libro aperto sulle gambe.

 

“Secondo voi la riunione si fa lo stesso?” chiese Sam, grattandosi con la manona un braccio.

 

In quel preciso momento si aprì la porta ed entrarono cinque ragazzi, cinque Serpeverde del secondo anno per la precisione, tutti con espressioni tronfie e alquanto arroganti. Immediatamente si capì che non potevano assolutamente essere brave persone, perché uno di loro – il più robusto – per passare diede uno spintone a una ragazzina del primo anno di Grifondoro, che finì a terra in malo modo. Simon osservò quello che stava davanti a tutti…e nel riconoscerlo si accigliò.

 

“Ma che simpatici.” Fece ironicamente Matt.

 

“Lo sapevo che era a Serpeverde…” borbottò Simon sottovoce.

 

“Chi?” gli chiese incuriosito Sam.

 

“Quello lì davanti si chiama Devon Collins, abita poco lontano da me.” Fece Simon, seguendo con lo sguardo il ragazzo spavaldo mentre si andava a piazzare nella parte centrale della stanza. “E’ un idiota. Suo padre è un pezzo grosso al Ministero e perciò se la crede tanto, ma mio padre dice che è solo un pallone gonfiato.”

 

“Bene bene.” Esordì Collins, guardando tutti con un sinistro sorrisetto. “Il prefetto oggi non c’è, e come studente migliore del gruppo lo sostituisco io.” Si levò un leggero mormorio in proposito. “Perciò vedete di rigare dritto o posso anche farvi sbattere fuori dal club.”

 

“Appunto.” Fece Simon sottovoce.

 

“Tutti mocciosi del primo anno, eh?” fece uno dei ragazzi che si accompagnava a Devon, e il ragazzo rise.

 

“Se dovete venire qui a rallentare le cose, badate che ci sono una miriade di altri club che fanno bene per voi.” Fece ancora Collins. “Tipo quello per imparare a pulire per bene i bagni.”

 

Il gruppetto di Serpeverde scoppiò in una risata sguaiata, mentre alcune ragazzine del primo anno di Tassorosso lasciarono la stanza indignate. Matt si accigliò e guardò i ragazzi come se avesse una gran voglia di prenderli a botte.

 

“Ehi, tu!” Devon Collins si avvicinò alla ragazzina che stava leggendo. “Non mi stavi ascoltando, per caso?”

 

Lei alzò gli occhi dal libro. “Ho capito che stavi dicendo. Sto aspettando che passi alla parte pratica.”

 

Collins inarcò un sopracciglio. “Sei una Corvonero, eh? Come ti chiami?”

 

“Melanie Mitchell.” Rispose brevemente lei.

 

“Beh, Mitchell…non mi piacciono quelli che mi danno fretta.” Con una fredda risatina le strappò il libro di mano.

 

“Ehi!” Melanie balzò in piedi. “Ridammelo!”

 

“No, non credo proprio.” Devon passò il libro a uno dei suoi amici. “Stavi disturbando la mia lezione. Non hai avuto rispetto per me. Credo proprio che per oggi te ne andrai fuori senza partecipare.”

 

Melanie mise le mani sui fianchi. “Sei solo un prepotente, e non mi puoi cacciare fuori. Non ne hai l’autorità.”

 

“Ah no, eh?” Collins fece un sorrisetto e chiamò il suo compagno robusto. “Tony, questa mocciosa pensa che non possiamo sbatterla fuori di qui. Tu che dici?” Il grosso ragazzo fece un passo avanti piuttosto minacciosamente, e Melanie ne fece uno indietro.

 

Quando è troppo è troppo. “Perché non te la prendi con qualcuno della tua taglia?”

 

Tutti i presenti si voltarono a guardare il ragazzino che aveva parlato – Simon. Sam lo fissò con gli occhi sbarrati, quasi come a voler capire come gli era saltato in testa di intromettersi, ma Simon non si lasciò scuotere. Anzi, incrociò le braccia sul petto e guardò con aria torva il gruppetto di bulli. Melanie Mitchell lo guardò con un misto di sorpresa e ammirazione. Devon Collins, invece, nel vederlo fece un sorrisetto odioso e gelido.

 

“Ma guarda chi c’è qui.” Avanzò verso di lui, mentre gli altri ragazzi si allontanavano per lasciargli spazio. “Weasley, incredibile…sei da solo? Non ci sono tuo padre e tuo fratello ad asciugarti il naso? E che sarà successo mai?” il gruppo di Serpeverde si diede a un’altra risata, ma Simon non si scompose neanche. Continuò a fulminare con lo sguardo il prepotente ragazzo. “Che cosa ci fai qui, piccoletto? Sei venuto a rompere? Alza i tacchi, questo non è posto per te.”

 

“Nemmeno per te.” Sibilò Simon. “Restituiscile subito il suo libro e lasciaci in pace.”

 

“Ooh, il moccioso viene qui a fare l’eroe.” Devon fece una sgradevole smorfia ironica. “Tornatene dai tuoi genitori, nanerottolo. Tanto di questo club non farai mai parte, non finchè ci sono anch’io.”

 

“Allora è molto più semplice di come pensi.” Simon curvò le labbra in un sorrisetto. “Muovi le chiappe e levati di torno, Collins.”

 

Sentendo alcuni dei più giovani – tra cui Matt più degli altri – incoraggiare vivacemente Simon, Collins fece un passo avanti e lo spinse bruscamente e con forza. Simon finì addosso a Sam, che col suo pancione gli impedì di cadere e lo aiutò a rimettersi subito in piedi, ma Simon scattò in avanti con rabbia e sfoderò la bacchetta minacciosamente. A quel gesto si levarono alcuni “oh!” e molti ragazzi arretrarono.

 

“E quella dovrebbe spaventarmi, Weasley?” Collins rise. “Sai a malapena come far levitare gli oggetti!”

 

“Conosco molti più incantesimi di te.” Ruggì Simon.

 

Collins fece un sorrisetto maligno e sfoderò la sua bacchetta. “Te la sei proprio cercata, moccioso.” Tutti gli altri ragazzi si fecero indietro. “E chi ti difenderà stavolta, o hai già chiesto a tuo fratello di venire a prenderti all’uscita?”

 

Il tipico temperamento Weasley prese il sopravvento, e Simon senza aggiungere altro gli puntò la bacchetta contro e urlò “Tarantallegra!”

 

Devon Collins cominciò a saltellare involontariamente assumendo le pose più buffe, e molti ragazzi scoppiarono a ridere forte nel vederlo in quelle posizioni ridicole. Il ragazzo ringhiò di rabbia e sempre agitandosi a più non posso riuscì a puntare dritto la bacchetta e urlare “Reflego!”

 

Simon si vide piombare addosso l’incantesimo e non ebbe il tempo per evitarlo: un secondo dopo sentì le gambe diventargli pesantissime e crollò sulle ginocchia, evitando di sbattere la faccia per terra solo perché puntò le mani.

 

Uno degli amici di Collins lo liberò dall’incantesimo di Simon pronunciando “Finite Incantatem” e quello finalmente smise di agitarsi, ma molti ragazzi protestarono – Matt in testa a tutti – che non era una mossa leale. Per tutta risposta Collins si avvicinò a Simon, che non riusciva ad alzarsi dalla posizione a quattro zampe in cui era finito, e gli puntò la bacchetta contro. Ma prima che potesse scagliargli qualche incantesimo, Simon lo afferrò per la caviglia e tirò con forza, facendolo cadere a terra di netto. Altri strilli di incoraggiamento accompagnarono il duello, mentre Simon mormorava il controincantesimo e si rimetteva in piedi.

 

“Mi hai stancato!” urlò Devon Collins, rialzandosi con rabbia e puntandogli la bacchetta contro proprio mentre lo faceva anche Simon.

 

“Aereria!”

 

“Repello!”

 

Simon non riuscì a vedere se il suo incantesimo era andato a segno – una zaffata di vento lo colse alla sprovvista e lo fece sbattere con violenza con una tempia contro uno dei banchi dietro di lui, e tutto si fece nero.

 

 

***************

 

 

“Qualcuno chiami Madama Shirley, presto!”

 

“Idiota, così finisce nei guai!”

 

“Aspetta, aspetta! Sta aprendo gli occhi!”

 

“Volete farvi un po’ più indietro, accidenti?! Lasciatelo respirare!”

 

“Ci sei, Simon? Riesci a sentirmi?”

 

Simon aprì gli occhi con difficoltà, avvertendo subito un gran mal di testa e un bruciore alla fronte. Quando riuscì a mettere a fuoco forme e colori realizzò di stare steso a terra e riconobbe il faccione preoccupato di Sam e quello di Matt, che erano in ginocchio accanto a lui, ma praticamente c’era tutto il club che lo guardava dall’alto; alcuni avevano l’aria preoccupata, altri sembravano al settimo cielo.

 

“Sei ancora tutto intero, amico?” chiese premurosamente Sam.

 

Simon si toccò la fronte dove gli bruciava e si trovò le dita sporche di sangue, il che non gli fece assolutamente piacere. “…ma che…”

 

“Sei stato grande, Simon!” esclamò entusiasta Matt, smanettando per l’emozione. “Hai centrato in pieno Collins!”

 

“L’ho preso?”

 

“E sei stato mitico!” fece Nigel da dietro.

 

“Ha cominciato a fare rutti a più non posso e a sussultare, non riusciva più nemmeno a parlare!” Matt se la rideva di gusto. “Lui e i suoi leccapiedi se ne sono usciti di corsa, non riuscivano nemmeno a farlo camminare dritto.”

 

“Ehi Weasley, chi ti ha insegnato quella forza di incantesimo?” fece un ragazzo alto del secondo anno.

 

Simon fece un sorrisetto stanco. “Mio fratello.”

 

“Sei stato il massimo!” fece un altro ragazzo.

 

Sam aiutò Simon a mettersi seduto mentre ancora si levavano strillini allegri e gioiosi. Matt gli passò una mano davanti al viso un paio di volte, ma notò che Simon aveva l’aria un po’ stralunata e ridacchiò. “Sarà meglio se ti portiamo da Madama Shirley. Le dirai che sei caduto per le scale. Dai, andiamo.”

 

Simon si lasciò aiutare da Sam a rimettersi sulle sue gambe e accolse volentieri l’idea di Matt di passargli un braccio attorno al collo per farsi aiutare a camminare: non si sentiva molto stabile, girava un po’ tutta la stanza.

 

“Mi raccomando, qua dentro non è successo mai niente!” disse ad alta voce una ragazza più grande, e tutti concordarono tacitamente, anche se in parecchi si congratularono ancora con Simon mentre lui, Matt e Sam si avviavano alla porta.

 

“Si, credo proprio che seguiremo questo club.” Disse allegro Matt mentre Sam apriva la porta per farli uscire.

 

“Aspettate!” la ragazzina coi capelli neri e gli occhi grigi, Melanie Mitchell, li rincorse e si fermò a un passo da loro. Si schiarì la voce e fece un sorrisetto timido. “Ehm…io volevo…ecco…insomma, grazie.” Disse a Simon, arrossendo visibilmente.

 

Simon fece un sorriso stralunato. “Ma ti pare.”

 

“Comunque io sono Melanie.” Disse ancora lei, ciondolandosi sui piedi. “Mel per gli amici.”

 

“Simon, tanto piacere.” Simon tese la mano ma dal momento che gli girava la testa a momenti le centrava un occhio, e Matt ridacchiò abbassandogliela all’altezza normale.

 

Lei sorrise radiosa e gliela strinse. “Allora…ci vediamo qui tutti i lunedì e i mercoledì, giusto?”

 

Simon annuì e per qualche strano motivo non gli dispiacque nemmeno un po’ l’idea. Matt lo scosse. “Andiamo?”

 

Melanie li salutò con la mano e Sam chiuse la porta alle loro spalle, e Matt finalmente si lasciò andare a un fischio soddisfatto. “Wow! Come inizio è stato fantastico! Sapete, l’inizio di una cosa è la parte più importante, se fai una bella impressione poi tutto fila per il meglio.”

 

“Già, però sono io che mi sono rotto la testa.” Brontolò Simon, anche se non era affatto deluso.

 

“E sei anche il nuovo eroe del club. Vedi, volevi che non ti vedessero solo come il fratello di Jack e ora sei ‘Super Rutto Simon’, il che non è poco.” Replicò Matt, aiutandolo a camminare. “Roba da fare invidia. Non è vero, Sam? …Sam?” Samuel era fermo davanti alla porta dell’aula di Trasfigurazione Speciale. I suoi amici si fermarono e lo guardarono con aria interrogativa. “Ma che fai?”

 

“…non vogliamo avvertire tua cugina che ti sei fatto male?”

 

“SAM!!!!”

 

 

 

** THE END **

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Capitolo 4
*** And the winner is... ***


Cumpleanos feliz

Cumpleanos feliz!!

te deseamos a ti!!

Cumplanos felizes!!

Te deseamos a ti!!

 

BUON COMPLEANNO MAYSTRO!!!!!!!!!!!!!!! =D Alla fine è arrivato anche il tuo comply, hombre! E la tua amichetta marocchino/spagnola si è data da fare per un bel regalino che potesse piacerti…spero proprio che ti piaccia, mi ci sono impegnata seriamente stavolta! ^^ 1000 di questi giorni e 10000 auguroni!!!! =)

 

 

 

AND THE WINNER IS…

 

 

 

Julie Potter sbadigliò e si scansò i capelli dal viso assonnato, accorgendosi solo in quel momento di aver fatto letteralmente spugnare il biscotto che aveva bagnato nel latte. D’istinto fece una faccia disgustata: odiava le cose troppo molli. Ma non era colpa sua se l’era venuta una botta di sonno così forte, quella mattina la colazione sembrava un mortorio: suo padre non era ancora tornato dal turno di notte, sua madre armeggiava fra i fornelli e suo fratello era ancora in piena crisi chissà dove.

 

“Mi dispiace molto, Julie, ma la torta si è bruciata. Ginny si avvicinò al tavolo con una guantiera in mano…la torta di mele che stava preparando era evidentemente rimasta troppo a lungo nel forno, perché sopra era tutta bruciacchiata. Ginny appoggiò il piatto sul tavolo e si pulì le mani sul grembiule, decisamente seccata. “E’ tutta colpa di tuo fratello, ho passato dieci minuti a chiamarlo…niente di niente!”

 

Julie sbadigliò. “Dan ha decisamente rotto, mamma. Non la può fare così lunga per delle stupide selezioni. Dan aveva saputo che i Cannoni di Chudley cercavano un nuovo cercatore proprio il giorno prima: peccato che le iscrizioni alle selezioni fossero a numero chiuso e lui non avesse fatto in tempo a inserirsi nella lista. “Dai, è ridicolo…ok, non ce l’ha fatta…ma può sempre provare l’anno prossimo! Che cavolo, ha finito Hogwarts neanche un mese fa!”

 

Ginny sospirò e prese posto accanto a sua figlia. “Io lo capisco, era un’occasione imperdibile…però non può continuare a stare con quest’aria da cane bastonato fino alle prossime selezioni. E’ invivibile così. Hai provato a parlarci?”

 

Julie fece una smorfia. “Sicuro, è stato molto divertente e soprattutto utile parlare mentre lui guardava il suo stupido boccino come se fosse la donna della sua vita. Patetico.”

 

Ginny a, dispetto della situazione, rise. “Non avrei mai creduto che dopo tutto quello che abbiamo passato, avrei anche dovuto fare i conti con un figlio in crisi per una cosa simile.”

 

“Ehi famiglia?” la voce di Harry risuonò nell’aria un secondo prima che la porta di casa Potter si aprisse e lui entrasse. Aveva l’aria stanca, ma non sembrava giù di morale.

 

Ginny si alzò e gli andò incontro, dandogli un leggero bacio mentre lo aiutava a sfilarsi il cappotto. “Com’è andata la nottata?”

 

Harry scrollò le spalle e fece una risatina. “Non saprei, Gin, ci hanno chiamato per sventare una rapina alla Gringott. Se ci siamo ridotti a questo, beh…i War Mage sono decisamente scesi di livello dai vecchi tempi.”

 

“Io preferisco così.” Disse tranquilla Ginny, tornando ai fornelli per preparare il caffè al marito. “Mi sento molto più tranquilla se tutto quello che dovete fare è acciuffare quattro stupidi goblins.

 

Harry si accasciò stancamente sulla sedia accanto a quella della figlia. “Quattro stupidi goblins con delle gambe maledettamente veloci, ci hanno fatto sudare da pazzi. Vedessi che cosa non gli ha combinato Ron appena gli ha messo le mani addosso.

 

Julie rise e mise giù la sua tazza di latte. “Zio Ron mi fa morire, non ha la minima idea di cosa sia la pazienza.”

 

Harry si stiracchiò e sbadigliò. “Mmh…voglio dormire per una settimana.

 

Ginny gli mise davanti la sua tazza di caffè e prese a massaggiargli le spalle. “Rimanda di qualche minuto…dovresti dire qualcosina a tuo figlio.

 

Harry bevve un sorso di caffè. “Che ha fatto?”

 

A rispondere fu Julie. “Papà, è diventato insopportabile. Solo perché non è riuscito a entrare in quelle benedette selezioni fa la larva umana, è impossibile! Non parla, non ride, non scherza, non fa niente! E’ ridotto come un idiota!”

 

“Un po’ di rispetto per tuo fratello, Julie. Ha avuto una delusione.

 

“Harry, non voglio che mio figlio si deprima per una cosa sciocca come questa. Sono ben altri i problemi della vita, e se l’ha dimenticato vai su e ricordaglielo, per cortesia. Adesso.”

 

Harry sbuffò. “Dan non è cretino, lo sa che non è così grave. E’ solo un po’ giù di tono.

 

Julie fece una smorfia. “Tutta questa comprensione ti passerà quando andrai a parlarci e scoprirai che non fa altro che giocherellare col suo boccino senza ascoltarti.

 

Harry si passò una mano sulla faccia. “Va bene, va bene! Avete vinto, non andrò prima a riposarmi cinque secondi, non mi farò una doccia, andrò puzzolente di sudore a prendere a ceffoni in faccia mio figlio diciottenne e lo farò tornare un clown, ma per favore mi fate almeno bere questo accidenti di caffè in santa pace?!”

 

Ginny incrociò le braccia sul petto. “Sei impossibile dopo un turno di notte, veramente.

 

Un rumore di vento proveniente dal salotto impedì a Harry di rispondere alla moglie, e un attimo dopo nella cucina di casa Potter arrivarono Jack e Simon Weasley, tutti e due allegri e vispi come non mai. “Buongiorno a tutti!” esclamò sorridente Simon.

 

“Mmh, torta di mele…” Jack addentò al volo un pezzetto della torta che aveva in mano Julie, che lo spinse bonariamente indietro.

 

Harry diede un’occhiata all’orologio mentre Ginny dava un sonoro bacio a Simon, che dei due era quello meno alto. “Che sarà successo mai, sono le otto e mezza di una mattinata estiva e i fratelli Weasley sono già in piedi…ma siamo sicuri che siete proprio i miei nipoti?” disse con un sorrisetto.

 

Jack gli strizzò l’occhiolino. “Siamo in missione, zio. Siamo venuti a salvare quella lagna di tuo figlio.”

 

Ginny fece a entrambi un largo sorriso. “Doppia razione di qualunque torta vogliate se ci riuscite.”

 

“Allora per me la crostata di fragole.” Fece Simon mentre s’incamminava in direzione della stanza del cugino.

 

Anche per me.” Gli fece eco Jack, immediatamente dietro di lui.

 

Julie guardò suo padre con un’espressione divertita e curiosa, e un attimo dopo si alzò e andò dietro ai cugini. Harry bevve anche l’ultimo sorso del suo latte. “Non ho la minima idea di cosa abbiano in mente quei due, ma sono così felice che se la sbrighino da soli che tu non hai idea.”

 

Ginny ridacchiò. “Harry James Potter, stai diventando terribilmente pigro, lo sai?”

 

Harry si alzò e le stampò un bacio sulla nuca. “Pigro è una parola un po’ grossa, no?” stiracchiandosi si avviò verso la sua stanza da letto. “Mmh…voglio dormire per una settimana.”

 

Ginny rise. “Stai invecchiando.” Cantilenò.

 

“Guarda che ti ho sentito!”

 

 

***************

 

 

“Permesso? Si può?”

 

“Ehi rinnegato, sei là dentro?”

 

Dan Potter alzò gli occhi al cielo quando sentì le voci dei suoi cugini attraverso la porta della sua camera. Non aveva voglia di vedere nessuno, voleva essere incavolato nero ancora un po’. La sua più grande occasione di diventare un giocatore professionista di Quidditch era andata in fumo, e lui era nero. Prima delle prossime selezioni a una squadra decente sarebbe passata una vita, e lui sarebbe stato costretto a trovarsi un altro lavoro, cosa che non gli andava per niente. Lui voleva volare, volare e giocare e vincere.

 

La porta si aprì e fece capolino Jack, che poi lasciò entrare anche Simon e Julie. “Ah, allora sei ancora vivo.

 

“Cominciate a non rompere e andatevene.” Fece brusco Dan, tirandosi le ginocchia su appena un attimo prima che Julie ci si sedesse sopra.

 

“Bel modo di salutare i tuoi adorati cugini. Osservò Simon, appoggiandosi di spalle al muro con le braccia conserte.

 

“Non vi adoro proprio per niente.”

 

“Oh, suvvia Dan.” Julie gli fece un sorriso affettuoso. “Non è mica colpa nostra se non sei riuscito a fare le selezioni, non prendertela con noi.

 

“Ecco, allora andatevene e lasciatemi in pace, così non me la prenderò con nessuno.

 

“Sicuro, ma continuerai a fare la larva.” Fece sprezzante Julie. Dan le lanciò uno sguardo assassino.

 

“Io invece dico che se la smetti per un secondo di fare la povera vittima della vita crudele e ci dai ascolto…dopo ci ringrazierai in ginocchio.” Jack aveva un’aria sicura, addirittura baldanzosa.

 

Dan emise una specie di sbuffo strano e si rimise seduto sul suo letto, decisamente seccato. “Quanto mi date fastidio non ve lo so dire! Un poveraccio non è nemmeno libero di avere le palle storte, no! Qui bisogna ridere sempre come i fessi! Non mi va, va bene? E se pensate di tirarmi su il morale con la solita propostina del cazzo di…”

 

“Tu non hai molto spirito d’osservazione, eh?”

 

Dan s’interruppe e guardò Simon, che aveva un’aria divertita. “Che vuoi tu?”

 

Jack prese una palla da una mensola e cominciò a tirarla in aria e riprenderla senza sforzo. “Ehi, trattalo bene. Quello lì è più magico di quanto può sembrare.

 

Dan si accigliò. “Posso capire che cazzo state dicendo?”

 

Jack smise di tirare la pallina e fece un sorrisetto losco. “Hai presente la ragazza di Simon?”

 

Simon lo incenerì con lo sguardo. “Non è la mia ragazza.

 

Jack alzò gli occhi al cielo. “Ok, la sua amica. Quella che si lascia esplorare le tonsille da lui di tanto in tanto.

 

Ma chi, Mel?” disse Julie con un sorrisetto.

 

Ma quali tonsille?!” Simon aveva le orecchie rosse. “Mel è la mia migliore amica e basta!”

 

“Sarebbe quella con gli occhi azzurri?” disse seccato Dan.

 

“Si, lei.”

 

“Non vedo cosa me ne può fregare di che cosa ci fai o non ci fai, comunque.”

 

Simon fece un sorriso identico a quello del padre. “Melanie di cognome si chiama Mitchell, Dan. Questo nome non ti dice niente, testa di legno?”

 

Julie si accigliò e si voltò a guardare il fratello in cerca di una risposta, perché a lei quel cognome non ricordava nessuno. Dan rimase ancora un attimo perplesso, poi assunse un’aria incredula e spalancò gli occhi.

 

Jack annuì con la stessa faccia irritante. “Sta suonando il campanello, mh?”

 

Julie si grattò una tempia. “Ma perché, Mitchell chi è?”

 

“Johnatan Mitchell, il padre di Mel, è il presidente della squadra dei Cannoni di Chudley. Disse fiero Simon. “Tutta la baracca è sua, in pratica.

 

Julie sbattè gli occhi. “Davvero?”

 

Dan aprì la bocca come a voler dire qualcosa, ma non riuscì a proferire parola. Così Jack rise. “Bacia i piedi a mio fratello, Potter. Domani mattina alle undici hai le selezioni per diventare cercatore della squadra, e vedi di essere puntuale.”

 

Dan esplose in un’esclamazione di gioia e balzò in piedi sul letto. “SI!!!!!!! Si, si, si, si, si, SI!!!!!!” saltò giù al volo e afferrò per la testa Simon, scombinandogli tutti i capelli a furia di strapazzarlo. “Tu sei il mio mito, Simon!! Sei un eroe, sei un grande, sei il migliore!!” Simon rise quando lo lasciò finalmente andare, talmente spettinato che non si capiva che direzione volessero prendere i suoi capelli.

 

Ce l’hai fatta!” esclamò allegramente Julie, schizzando in piedi e ridendo insieme agli altri nel vedere Dan che faceva una specie di danza della vittoria.

 

“Adesso vedi di impegnarti e non fare figuracce. Gli disse Simon, mentre cercava di rimettersi a posto i capelli. “Perché Mel ha detto al padre che sei un giocatore di grande talento e che puoi fare molta strada.”

 

Dan si bloccò. “Ok. Bene, statemi tutti a sentire. Lavoro di squadra, ecco quello che ci vuole, si. Ci vuole collaborazione.” Disse, guardandosi i piedi. “Si, allenamento e collaborazione.

 

Julie inarcò le sopracciglia. “…ma che fa, parla da solo?”

 

Jack lo stava guardando con un sorrisetto tra il divertito e il comprensivo. “Non lo so, non sarebbe la prima volta.

 

Dan si voltò verso Jack. “Tu, vai immediatamente a prendere Marsh e Ben, buttali giù dal letto e portali qui, hai massimo dieci minuti.”

 

Jack fece una smorfia, ma si mosse. “Agli ordini, capo.

 

Dan aprì il suo armadio e tirò fuori due delle sue vecchie scope, poi le tirò a Julie e Simon. “Voi due prendete queste e seguitemi giù in giardino.

 

Simon si accigliò. “Che ci facciamo con due scope?”

 

Julie pestò il piede a terra per ottenere l’attenzione del fratello, che era chino a terra per prendere la sua scopa che era sotto al letto. “Dan! Io non voglio fare l’ostacolo! L’ultima volta mi hai buttato giù dalla scopa!”

 

Simon capì che il loro ruolo sarebbe stato quello di intralciare il cugino che si esibiva al meglio per raggiungere il boccino in tutte le posizioni e con tutti gli impedimenti possibili, e quello era un allenamento che non gli piaceva per niente. Non quando lui doveva fare l’ostacolo. “Ma scusa, Marsh e Ben saranno qui in dieci minuti…”

 

“Non ce li abbiamo dieci minuti.” Dan si rialzò, con la scopa nella mano e il boccino nell’altra. Aveva un’aria decisa e risoluta. “Sono dieci preziosissimi minuti sottratti ai miei allenamenti. Muovetevi, tutti e due, forza! Che state aspettando?!”

 

Simon fece una faccia strana e si grattò la nuca. “…ehm…veramente…”

 

Julie mise le mani sui fianchi. “Invasato, vuoi salire sulla scopa in mutande o te li metti un paio di pantaloni?”

 

 

***************

 

 

“Scusa eh, ma io tutta la tua preoccupazione non la capisco. Marshall West teneva le mani affondate nei tasconi dei jeans mentre camminava. “Sei sempre stato il migliore in assoluto. Te la caverai alla grande.

 

“Queste non sono le selezioni per entrare nella squadra di Grifondoro, Marsh. Disse teso Dan, con la mascella che proprio non voleva collaborare. Gli era difficile perfino camminare, si sentiva bloccato. Più si avvicinavano al cancello dello stadio dei Cannoni, più sentiva lo stomaco che gli ballava in corpo.

 

Jack scrollò le spalle. “Vero, ma anche tu non sei più un ragazzino di undici anni.”

 

Ben Larrison ridacchiò. “Io me lo ricordo ancora il provino del nostro primo anno, sapete? Dan faceva paura anche allora. Non ho mai conosciuto nessuno che volasse come te a quell’età.”

 

Jack scosse la testa. “Si, però se non la smetti di stare teso come una corda di violino non riuscirai mai a dare il meglio di te, e questo è un peccato.”

 

Dan arricciò il naso. “Non sono così teso. Posso farcela. Disse, più a se stesso che ai suoi amici.

 

Marsh annuì. “Bene, questo è lo spirito giusto.

 

“Già.” Jack si fu il primo a fermarsi davanti al grosso cancello che alla cima recava due C intrecciate di un vivacissimo color arancione. “Ok, ci siamo. Tu sei pronto a spaccare il mondo?”

 

Dan annuì. “Adesso vediamo chi è il migliore qui.

 

“Copriti di gloria, amico.” Lo incoraggiò Ben, dandogli una pacca sulle spalle.

 

Il gruppetto finalmente si decise a entrare. Dan si riparò gli occhi dal sole per vedere un po’ com’era la situazione…c’era un grandissimo prato verde che si estendeva per più di una ventina di metri, e gli spalti erano ampi e molto ben attrezzati. In fondo all’ellisse del campo si potevano vedere i membri dell’equipe dei Cannoni: un uomo alto in giacca e cravatta, una donna bionda, un uomo coi capelli grigi, un cappellino arancione e un fischietto appeso al collo…e sei fra ragazzi e ragazze sulla ventina d’anni – i Cannoni, senza dubbio erano loro. Quello che invece fece voltare di scatto Dan fu un urlo di un gruppo di ragazze: con orrore constatò che dietro le sbarre laterali che contrassegnavano il campo c’era una folla di gente – ragazzi e ragazze – che erano lì con striscioni e cartelli per sostenere i loro beniamini, gli altri 25 ragazzi che oltre lui erano lì per le selezioni.

 

Ma stiamo scherzando?! Dobbiamo fare le selezioni con questo casino?!”

 

Marsh scrollò le spalle. “Che c’è di male, dovresti esserci abituato dopo tutte le nostre partite, no? Jack, smetti di guardare quella bionda con quella faccia da predatore.

 

Dan si passò una mano in faccia. “Non ci si può concentrare con queste galline che urlano!”

 

Ben fece un smorfia. “Che te ne frega, neanche le conosci…” Jack gli rifilò una gomitata e lui lo guardò storto. “Ma che vuoi? …oh oh…”

 

Dan si volò a guardare nella direzione dove guardava Ben: in piedi proprio davanti c’erano Simon e Julie, che non erano neanche da soli; c’erano pure Mel, Samuel e Matt (gli amici di Simon) e anche Shannon, la migliore amica di Julie. Dan si fece livido. “Che cosa diavolo ci fanno quelli lì?!”

 

Marsh scrollò le spalle. “Che fastidio ti danno? Sono qui per sostenerti, no?”

 

Jack arricciò il naso. “Io direi per fare baldoria, più che altro.

 

Dan si voltò minaccioso verso il cugino. “Naturalmente, avrei dovuto immaginarlo! C’era bisogno di portarsi dietro tutta l’allegra brigata?! Perché non è venuta anche Katie, già che c’eravamo?”

 

Il cugino inarcò le sopracciglia. “Ti sei scordato che è a casa col morbillo?”

 

“Questa è tutta colpa di tuo fratello!”

 

“Ehi, c’è anche quell’angelo di tua sorella là. Il tono di Jack era chiaramente di avvertimento. “E poi piantala di rompere le palle alla gente, a te non deve fregare di chi c’è o non c’è a bordocampo, tu devi concentrarti solo sulla prova. Ce ne sono altri 25 che vogliono quel posto, e tu devi provare a tutti che sei il migliore.”

 

Dan abbassò lo sguardo. Non aveva intenzione di dire la verità nemmeno a Jack, e cioè che aveva una paura sfacciata. Entrando nel campo aveva riconosciuto alcuni degli aspiranti concorrenti, molti dei quali li aveva già visti su Quidditch Sport Magazine anche più di una volta, con didascalie del tipo La nuova giovane promessa dello sport… Di sicuro avevano più esperienza e più fama di lui; che speranze aveva di batterli sulla tecnica?

 

“Dan?” Marsh lo richiamò. “Stai bene, si?” Dan annuì e basta.

 

L’uomo col cappellino arancione e il fischietto battè le mani e si avvicinò alla folla, che tacque in segno di rispetto. “Va bene, voglio assoluto silenzio durante le prove. Siamo intesi, ragazzi e ragazze?” in parecchi annuirono. “Gli aspiranti cercatori mi seguano.”

 

“In bocca al lupo.” Jack fece appena in tempo a dare una pacca sulle spalle al cugino prima che Dan prendesse la sua scopa e seguisse in silenzio gli altri ragazzi, la maggior parte tutti ventenni e più.

 

L’uomo col fischietto raggiunse il gruppetto dei giocatori dei Cannoni e si fermò, voltandosi verso gli altri ragazzi. “Ok, ragazzi. Io sono Howard Smith, l’allenatore dei Cannoni. E questi, naturalmente già lo saprete, sono i futuri colleghi di uno di voi. Uno solo, il migliore. Le vostre selezioni consisteranno in due prove: prima vi esibirete nel volo acrobatico, voglio vedere fin dove potete spingervi; e poi libereremo il fatidico boccino d’oro.

 

Il ragazzo biondo vicino a Dan fece una smorfia sprezzante.

 

“Permettetemi di presentarvi chi vi darà le grane lassù in aria. Il mister fece cenno a una ragazza castana di avvicinarsi. “Signori, lei è Lory Dalton, cacciatrice dei Cannoni. Era cercatrice fino a qualche anno fa…uno fra i migliori in circolazione. Se battete lei avete praticamente vinto il posto in squadra.”  La ragazza inarcò le sopracciglia in modo leggermente snob, squadrando la folla di ragazzi davanti a lei. Non doveva avere più di vent’anni, eppure sembrava piuttosto sicura di sé.

 

Gli aspiranti cercatori furono spediti indietro, dove stava la folla con le transenne, mentre il mister li chiamava uno alla volta e dopo qualche secondo di discussione li faceva volare. Dan, che aveva raggiunto i suoi amici, guardava con notevole interesse le acrobazie del primo ragazzo in volo.

 

“Non mi sembra una cima.” Disse Jack, coprendosi gli occhi dal sole mentre guardava in alto.

 

Però è affascinante.” Disse sognante l’amica di Julie, Shannon. Dan alzò gli occhi al cielo.

 

“Ehi, io quello l’ho già visto!” Sam West indicò il secondo candidato, un ragazzo moro, che si stava esibendo in una contorta serie di giri della morte in aria, superando abilmente la Dalton.

 

Mel annuì. “Si, è piuttosto famoso. Si chiama Ethan Fillard, ha partecipato ai campionati regionali con la sua squadra e l’ha fatta vincere l’anno scorso.

 

Dan tirò un respiro profondo…erano tutti giocatori in gamba. La ragazza bionda che venne dopo (quella che stava guardando Jack) addirittura fece un giro avvitato che riscosse l’applauso dei Cannoni stessi…

 

Simon guardò con aria scettica il ragazzo biondo che a Dan era sembrato così sicuro di sé. “Non capisco perché se la crede tanto…ha fatto due svolazzate normalissime, che ha da ridere?”

 

Mel sorrise. “No, veramente ha fatto di più…quella è una mossa speciale, vedi?”

 

Simon scrollò tranquillamente le spalle. “Capirai, me la ricordo quella roba…è vecchia cent’anni, l’ha spiegata mio zio a Dan e Jack quando neanche ci andavano a Hogwarts…com’è che si chiamava, Falsa Wonky?”

 

Matt inarcò un sopracciglio. “Falsa Wonky?!”

 

Jack si voltò a guardare il fratello con l’aria di chi voleva strangolarlo all’istante, indispettito dalla storpiatura del termine tecnico in questione. “Ti sto odiando con tutte le mie forze.

 

“DANIEL POTTER!”

 

Dan registrò a malapena i vari in bocca al lupo che gli avevano dato i suoi amici; con la mascella serrata e la gola asciutta prese la sua scopa e si avviò verso il tavolo della giuria. Smith, l’allenatore, stava controllando il foglio coi suoi dati quando lo raggiunse. La ragazza con la quale doveva misurarsi, Lory Dalton, lo stava guardando con uno sguardo assai poco lusinghiero.

 

“Allora…” Smith sollevò un attimo gli occhi dal foglio per squadrare a vista Dan. “…capitano della squadra di Grifondoro a Hogwarts per sei anni consecutivi…e per sette la tua squadra ha vinto la coppa delle case…non male, complimenti Potter.

 

“Grazie, signore.” Disse semplicemente Dan.

 

“Non hai ancora giocato da professionista, anche come riserva?”

 

“No, signore.”

 

“Hai già presentato altre domande, fatto altre selezioni?”

 

“No.” Dan si voltò verso la ragazza quando la sentì fare una smorfia ironica.

 

“Capisco.” Smith mise giù il foglio. “Beh, facci vedere che sai fare.

 

Dan annuì e montò sulla sua scopa. Lory lo affiancò per salire sulla sua a sua volta. “Tu sei il numero 26, giusto?” gli disse sottovoce in tono chiaramente provocatorio, ma spiccò un salto prima che lui potesse risponderle. Dan si alzò in volo e cominciò subito a giocare di velocità, volando a tutta forza e poi cambiando direzione in modo fulmineo all’ultimo momento, cercando di avvicinarsi agli ostacoli il più possibile per rendere la cosa più emozionante. Sentì i suoi amici che da sotto lo incitavano con entusiasmo e si decise a tentare anche lui un giro avvitato…ma prima che potesse provarci si ritrovò sulla sua traiettoria Lory Dalton, che gli bloccò la strada con un sorrisetto.

 

“E’ tutto qui?” gli disse lei. “Credevo che sapessi fare di più, campione.

 

Dan scelse di non raccogliere la provocazione e riprendere a volare, ma strinse più forte le mani attorno alla scopa. Puntò verso il basso a tutta velocità, avrebbe fatto una zig-zag fra gli spalti all’ultimo istante…ma Lory lo costrinse a una frenata brusca e alquanto brutta, tanto che per un pelo non scivolò giù dalla scopa.

 

“L’obbiettivo è intralciarmi, non farmi fare un volo di venti metri!” le urlò Dan, decisamente seccato.

 

Lory alzò in aria il mento. “Cosa credevi, che sarebbe stata una passeggiata, Potter? Che saresti venuto qui, avresti mostrato la tua cicatrice e tutti ti avrebbero fatto l’applauso? Perché naturalmente ce l’hai anche tu la cicatrice, vero?”

 

Dan sentì una rabbia bollente scorrergli nelle vene e fece fatica a rimettersi a volare con la stessa precisione di prima; ogni volta che stava per fare un’acrobazia o qualcosa di spettacolare, la ragazza lo ostacolava, lo braccava o addirittura gli faceva fare una figura penosa. E lui sentiva che la frustrazione e la rabbia gli stavano chiaramente facendo perdere il controllo.

 

Anche mia nonna saprebbe fare di meglio, Potter!” gli disse la ragazza.

 

Dan la fulminò con lo sguardo. “Tua nonna non deve vedersela con una specie di psicopatica!”

 

Lory fece una smorfia. “Non basta avere la fama e le raccomandazioni per entrare, bello! Se ti ho fermato io può fermarti chiunque! Non ci serve una mammoletta così in squadra! Tornatene a casa!”

 

Dan perse la calma: spronò la scopa a tutta velocità contro la ragazza, ma lei sgattaiolò via giusto un istante prima della collisione…in compenso Dan per un pelo non si sfracellò contro gli spalti.

 

“Basta così!” Smith fischiò da sotto. “Abbiamo visto abbastanza, scendete!”

 

Quando smontarono dalle scope Lory passando gli diede una botta con la spalla. “Torna l’anno prossimo, magari papino ti potrà accompagnare e sarà più facile.

 

Dan strinse i pugni e si mantenne dal rifilarle un calcio solo perché era una ragazza. La più odiosa, mefitica, perfida che avesse mai incontrato, ma pur sempre una ragazza. Avrebbe voluto urlarle in faccia chiaramente che non gli serviva la fama di suo padre per dimostrare la sua stoffa…ma le parole gli rimasero mozze in gola quando l’allenatore gli disse di tornare fra gli altri in attesa di essere chiamato per la seconda prova. Dan prese la scopa e marciò furibondo verso le transenne, dove stavano anche tutti i suoi amici.

 

“E’ una vergogna!” disse Marsh, il cui viso tondo era contorto in una smorfia d’indignazione. “Quella spostata non ha fatto così anche con gli altri!”

 

“Te la sei cavata fin troppo…ehi!” Ben, come tutti gli altri, sussultò quando Dan buttò a terra la scopa e si avviò a passo svelto verso l’uscita del campo.

 

Jack lo raggiunse in due secondi. “Che diavolo stai facendo?”

 

“Ehi amico, guarda che le selezioni sono di là!” disse anche Marsh, che gli era dietro insieme a Ben.

 

Dan non si fermò. “Questa è una farsa, e io non ho intenzione di continuare a lasciarmi insultare così.

 

Ma che…” Jack tentò inutilmente di trattenerlo per un braccio. “Che stai dicendo? Non sei andato affatto male! Lo abbiamo visto tutti che quella sciacquetta ti ha braccato in modo assurdo!”

 

“Fai una figura di merda se abbandoni adesso, Dan. Disse anche Ben.

 

“Non me ne fotte un benemerito!!” Dan si voltò di scatto, sorprendendo i suoi amici. Era livido. “Non sono venuto qui per farmi sfottere, è chiaro?!”

 

“Chi ti ha sfottuto?” fece accigliato Marsh.

 

“Pensano che io sia qui solo per il mio nome!” ruggì Dan. “Solo perché mi chiamo Potter, automaticamente sono un raccomandato! Beh, io non ci sto!”

 

“Dimostragli il contrario!” replicò Jack.

 

“Ci ho provato, non hai visto?!”

 

“Insisti! Da quando ti fermi al primo tentativo?”

 

“Da quando quella stronza mi fa saltare i nervi e la concentrazione e mi fa finire in mezzo agli spalti come un attimo fa!”

 

“Ok, ok, allora calmati e recupera la concentrazione. Provò Ben.

 

Dan scosse la testa. “E’ ridicolo, perché devo fare anche la seconda figura di merda?! Perché devo permettere a questa massa di imbecilli di ridermi dietro?! L’hanno già fatto abbastanza, non ti pare?!”

 

Jack fece un passo avanti. “Stai facendo il cacasotto, Dan. Almeno perdi con onore.

 

“Vaffanculo tu e tutte le tue stronzate!” replicò furioso Dan. “Ora io me ne vado da qui, se vuoi venire bene, altrimenti non mi sprecherò a tirarti per i pantaloni!” riprese la sua marcia furiosa verso l’uscita dello stadio.

 

“Non credevo che l’avrebbe fatto sul serio. Mormorò piano Marsh, mentre lui e Ben tornavano dagli altri per avvertirli.

 

“Dan!”

 

Il giovane Potter si fermò e si voltò. Sua sorella lo stava guardando con le mani sui fianchi e la faccia furibonda.

 

“Si può sapere cos’hai combinato là sopra? Non ti sei impegnato affatto!”

 

Dan fece due passi verso di lei. “Ah, davvero?! Perché non ci provi tu a evitare una come quella?!”

 

Julie non arretrò. “Non blaterare idiozie, conosco il tuo modo di volare! Avresti potuto buttarla giù dalla scopa in qualsiasi momento.

 

Il fratello le diede uno spintone. “Va’ al diavolo anche tu.

 

Julie non gettò la spugna. “Mandami pure dove vuoi, ma almeno impegnati e vola come hai sempre fatto! Che cos’era tutta quella scena là sopra? Non era assolutamente il tuo stile! Stavi cercando di imitare gli altri?!”

 

Dan aprì la bocca per urlarle addosso, ma non potè negare che aveva ragione lei. Lui aveva cercato di dare spettacolo della sua tecnica, ma così si era complicato la vita.

 

Jack annuì. “Ha ragione lei, hai voluto giocare a modo loro e non hai fatto vedere veramente quello che sai fare tu.

 

E che so fare io, eh??” urlò Dan. “Non li avete visti gli altri?! Sono tutti più grandi, più esperti e più abili di me! Io sono uno scarto qua in mezzo!”

 

E va bene, forse quel posto da cercatore non sarà tuo!” strillò Julie. “Sceglieranno pure uno di questi pagliacci, ma tu devi andartene a testa alta! Almeno fagli vedere come sei quando sei lassù!”

 

“Io volo come cazzo mi gira!”

 

“Esatto!” Julie fece un passo avanti. “Tu non voli secondo uno schema predefinito, tu vai a istinto! Quando sei in aria tu diventi un altro, come se fossi parte del cielo! Sei armonico, attiri l’attenzione di chi ti guarda! Tu ti diverti quando sei lassù, Dan! Tu giochi!”

 

Dan scosse la testa. “Credi che giocando e divertendomi farò meglio di loro?”

 

“Si!” disse ferma Julie. “Si, ne sono sicura!”

 

Jack annuì. “Sarai molto più sciolto di com’eri prima. Farai senz’altro meglio.”

 

Dan voleva urlare che no, che non aveva importanza, che avrebbe perso comunque…ma una piccola vocina dentro di sé gli stava urlando vai e spacca il mondo. Che male c’era a far vedere a tutti, e in particolar modo a quella stronzetta, che anche se non sarebbe diventato il cercatore dei Cannoni lui restava pur sempre un asso della scopa? Uscire sconfitti, si…ma a testa alta. Senza più bisogno di cercare una tecnica che non era sua, semplicemente volando… divertendosi come faceva sempre. Osservò per un momento le facce di Jack e Julie, che lo fissavano in attesa di una risposta.

 

“…ma sta’ zitto, idiota!” Simon si avvicinò al gruppetto mentre ancora stava mandando a quel paese Ben. “Ehi Dan, quell’imbecille di Marsh dice che vuoi mollare…ma perché non gli dici di chiudere quel forno di bocca, eh?...” il ragazzo si bloccò quando vide che aria tesa c’era fra gli altri tre. “…che sta succedendo qui?”

 

Dan tirò su col naso ed esitò ancora un attimo…poi raccolse la sua scopa da terra e si avviò di nuovo in direzione del campo. “Dì a Marsh di cucirsi la bocca.”

 

Julie sorrise largamente e scambiò un cinque con Jack, che le diede una pacca sulle spalle. Simon inarcò un sopracciglio, ma non disse niente.

 

Presto fu di nuovo il turno di Dan, ma stavolta lui non sentiva quella stretta allo stomaco di prima. No…lui stava andando a volare, a divertirsi…non era mai nervoso prima di volare, quindi non era nervoso adesso. No, ora si sentiva un leone.

 

Lory si avvicinò con la sua scopa e prima di montare su liberò il boccino d’oro, che subito svolazzò rapidamente in aria attorno a loro. “Pensavo avessi abbastanza dignità da evitare una seconda figuraccia. Gli sussurrò, evitando di farsi sentire dall’allenatore.

 

“Spero per te che ti piacciano le stelle, Dalton, perché ora te le faccio vedere da vicino. Sibilò Dan, spiccando il volo prima di darle l’opportunità di reagire. La ragazza gli fu subito dietro. Il boccino d’oro schizzò in avanti rapidamente, percorrendo una traiettoria a zig-zag tra le porte del campo. Dan spronò la sua scopa al massimo, liberando la sua mente da ogni pensiero: non c’era Lory Dalton, non c’erano i Cannoni, non c’erano i fan…c’era solo lui, la sua scopa, e la magnifica sensazione del vento che gli sferzava in faccia liberamente…e un sorrisetto gli comparve sulla faccia.

 

Lory Dalton imprecò tra i denti. Il suo avversario sembrava un fulmine su quella scopa…era a buoni cinque metri da lei e per quanto lei stesse cercando di raggiungerlo, lui era maledettamente inavvicinabile. Era una tecnica tutta strana la sua…o meglio, non era tecnica, era un modo di volare grezzo e privo di complesse evoluzioni, eppure…era come se quel ragazzo e la sua scopa fossero una sola cosa. Lory si spinse ancora di più in avanti, guadagnando un po’ di spazio.

 

Dan se ne accorse con la coda dell’occhio, e improvvisamente fece un inaspettato tuffo alla sua destra. Lory rimase per un attimo interdetta: il boccino era appena sfrecciato a sinistra! Non si soffermò a seguire lui, scelse di lanciarsi verso il boccino e in due falcate fu abbastanza vicino da stendere il braccio per afferrarlo. Il boccino si spinse più avanti, e lei si tese ancora di più…e un istante dopo qualcosa le schizzò davanti in discesa, costringendola a tirare su con forza l’estremità della sua scopa nel tentativo di fermare la sua corsa, e la frenata fu così brusca che per un pelo lei non scivolò giù.

 

Ma che diavolo…”

 

Daniel Potter era proprio davanti a lei, fermo sulla sua scopa e con un irritante sorrisetto. “Cercavi questo?” le disse, aprendo il pugno che non stringeva la scopa e liberando il boccino d’oro, che dalla sua mano riprese il volo in aria liberamente.

 

Lory non potè contenere il suo stupore, e spalancò gli occhi. “Come…che razza di trucchetto è questo?”

 

Dan fece una smorfia. “Se stai qui a chiedertelo, non sei la grande campionessa che dici di essere.”

 

La ragazza era evidentemente furiosa, ma lo stupore era più forte. Così rimase in silenzio, sentendo in lontananza gli strilli gioiosi dei sostenitori del suo avversario e il fischio del suo allenatore.

 

Dan non si soffermò ad accogliere gli applausi né si avvicinò al mister per sapere l’esito della sua prova – non gli interessava realmente. Tutto quello che voleva era dimostrare di essere in gamba indipendentemente dal suo cognome…e c’era riuscito, tanto bastava. Così scese a terra e senza aggiungere altro si avviò verso l’uscita del campo, seguito dai suoi amici e sostenitori che manifestarono le reazioni più disparate – Matt si lamentò perché se ne stavano già andando, Simon brontolò per aver dovuto scomodare Mel solo per un’esibizione, Julie si ritrovò costretta a trascinare via la sua amica che voleva chiedere l’autografo al portiere dei Cannoni e Marsh tornò indietro una volta al cancello per recuperare Jack, che stava parlando allegramente con la ragazza bionda che aveva volato prima.

 

 

***************

 

 

Harry rise e scosse la testa. “Non è andata poi così male per essere stato il tuo primo colloquio di lavoro.

 

Dan fece una smorfia e si tirò una delle buste della spesa sulla spalla. All’indomani del giorno delle selezioni aveva avuto finalmente il tempo di parlare con suo padre e raccontargli per bene le cose, e così avevano approfittato del momento più banale della giornata – la spesa che sua madre aveva chiesto a entrambi di portare a casa – per parlare un po’.

 

“Sai che ti dico, Dan?” Harry aveva un’aria soddisfatta. “Sono molto fiero di te, preferisco un figlio che conserva la sua dignità a uno che la vende per un semplice posto in squadra.”

 

“Dì pure un figlio disoccupato.” Dan fece una risatina. “Ora che le sensazioni forti sono passate ti restano i fatti, e onestamente ci speravo in quel lavoro.

 

“Anche a me sarebbe piaciuto vederti su una scopa tutto l’anno.” Harry rise. “Zio Ron ti avrebbe fatto un monumento se avessi indossato i colori dei Cannoni, ma ehi…hai fatto quello che potevi, e sei stato fantastico. Non devi avere rimpianti.”

 

“Non ne ho.”

 

“Bene. E non avere fretta per il lavoro…l’estate è appena cominciata, c’è tempo per scegliere la nuova professione.

 

Dan scrollò le spalle. “Jack e io avremmo una mezza idea che sta andando in porto…”

 

“Si?” Harry continuò a camminare placidamente con suo figlio. “Che idea?”

 

“Preferirei non dirti ancora niente. Dobbiamo avere prima la risposta alle domande che abbiamo presentato stamattina.

 

“Va bene, come preferisci. Sono sicuro che te la caverai alla grande qualsiasi lavoro sceglierai.”

 

“Ah si?”

 

Harry fece un sorrisetto. “Sei mio figlio, no?”

 

Dan rise. “E chi se lo scorda.”

 

Harry si fermò nel vedere che davanti alla porta di casa c’era una ragazza mora che camminava avanti e indietro lentamente. “E quella chi è, un’amica tua o di Julie?”

 

Dan la notò e si accigliò. “E quella che ci fa qui?”

 

“Chi è?”

 

Dan passò le buste della spesa a suo padre. “Ti dispiace? Sbrigo questa faccenda e vengo subito dentro.

 

“Ok.” Harry si avviò verso la porta, scambiando uno sguardo curioso con la ragazza che, nel vederlo, sussultò e inevitabilmente gli guardò la fronte nel breve attimo che lo ebbe davanti prima che lui entrasse in casa.

 

“Si, è proprio lui il grande Harry Potter, se ti interessa.”

 

La ragazza sobbalzò e si voltò. Dan sembrava molto più simile a suo padre ora che aveva i lineamenti meno tesi. “Gli somigli molto. Disse asciutta.

 

Dan inarcò un sopracciglio. “Ti sei disturbata a venire fin qui per dirmi questo, Dalton?”

 

Lory si morse il labbro e scosse la testa. “Io e te non abbiamo avuto un inizio fra i migliori.”

 

“No, direi di no.”

 

Lory si grattò la tempia. “E’ un peccato. Voglio dire…credo di aver sbagliato a giudicarti solo per il tuo nome. Credevo che tu fossi un ragazzino ricco e viziato, e io li odio quelli così.

 

Dan fece un sorrisetto. “Oh, avresti potuto anche dirmelo subito, io detesto quel tipo di persone. Ci saremmo risparmiati tutto quel casino in aria.

 

Lory si lasciò scappare un sorrisetto in risposta. “Devo ammettere che mi hai impressionato, lo sai? Non ho mai visto nessuno volare come te.”

 

Dan scrollò le spalle. “Gli altri candidati dove li metti?”

 

“Non ho detto che hai volato meglio di loro, ho detto che hai volato in modo strano.

 

“Strano?”

 

“Diversamente da come fanno quelli che ho visto finora. Tu non hai una tua tecnica…ma lassù è come se la scopa fosse il tuo paio d’ali, la manovri con un’agilità e una destrezza impressionanti.

 

Dan rise. “Devo prenderlo come un complimento, Dalton?”

 

“Era un complimento.” Lory sorrise e fece un passo avanti, stendendo la mano. “E sono convinta che abbiamo cominciato col piede sbagliato io e te. Perciò…piacere di conoscerti, io sono Lory.

 

Dan le strinse la mano. “E io Daniel, ma mi chiamano tutti Dan.

 

E Dan sia, allora.” Disse lei con un sorriso.

 

Dan inclinò la testa di lato e sbattè gli occhi. “Posso chiederti una cosa?” lei annuì. “Perché volevi per forza sbattermi giù dalla scopa all’inizio? Non sapevi neanche se ero veramente un fantoccio raccomandato o uno bravo…”

 

Lory fece una smorfia. “Avevo sentito che eri entrato nelle selezioni grazie a una raccomandazione, e avevo subito pensato che ti saresti preso il posto in squadra nel più indegno dei modi. Io ho dovuto faticarmelo, non sopportavo nemmeno l’idea che quel posto da cercatore fosse in vendita.”

 

“Nobili principi.” Dan annuì e sorrise. “Quasi quasi sei giustificata anche se mi hai quasi fatto spezzare l’osso del collo.

 

Lory rise e scosse la testa. “Beh, ne è valsa la pena, no?”

 

“Sul momento si, è stata una gran bella emozione.”

 

“Sul momento?” Lory inarcò un sopracciglio. “Cioè il fatto di essere dei nostri ti ha emozionato solo sul momento?”

 

Dan sbattè gli occhi, cercando di registrare le parole che le aveva appena sentito dire. “…dei vostri?” mormorò.

 

Ma si, scusa…non sai che…” Lory alzò gli occhi al cielo. “Oh, andiamo bene se il nostro nuovo cercatore è così tonto.

 

Dan aveva occhi e bocca enormemente spalancati. “Io ho passato le selezioni?”

 

“Proprio così.” Lory gli sorrise. “Il nostro allenatore dice che uno come te è quello che ci vuole per la squadra. Ma come, non l’hai sentito?”

 

Dan si contenne a fatica – aveva una voglia pazza di gridare al mondo intero la sua gioia. Cercatore! Proprio lui! Ce l’aveva fatta, allora!

 

Lory rise. “Conosco quella faccia…è la stessa che ho fatto io due anni fa. Avanti, vai a dare la bella notizia a tutti, corri.

 

Dan rise e le strinse amichevolmente la mano. “Grazie mille per la bellissima notizia.

 

Lei annuì con un sorrisetto. “Ci vediamo da lunedì agli allenamenti, tutte le mattine alle otto. Sii puntuale, ok Potter?”

 

“Ok.” Lui annuì e la salutò con un occhiolino quando la vide andare via.

 

Dan tirò un profondo respiro e sorrise al cielo in penombra per il tramonto…poi si voltò e corse dentro casa sua, aprendo la porta con un rapido colpo di bacchetta e correndo a cercare i suoi genitori e sua sorella…era così emozionato che quasi scivolò nel corridoio, ma niente era importante in quel momento all’infuori di quella splendida notizia…

 

“ CE L’HO FATTAAAAA!!!!!!!!!

 

 

* Fine *

 

 

 

…ehm…voi altri non festeggiati…qua sotto c’è la scritta “Vuoi inserire una recensione?” …che ne direste di cliccarla? =D Andiamo, lo so che volete recensire…^^

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Capitolo 5
*** Natale in casa Weasley ***


E questo è il mio modo di augurare a tutti buon Natale

E questo è il mio modo di augurare a tutti buon Natale! C’era questa ideuzza che Eli e Nenè volevano che scrivessi…e visto che ultimamente mi sento molto produttiva, perché non accontentarle! Perciò questa simpatica storia di Natale è dedicata a loro…ma auguri a tutti quanti, ragazzi! =D

P.S.: tanto per orientarci un po’…Jack e Dan non hanno più di sei anni. Perciò Julie dovrebbe averne quattro e Simon tre. Che piccioli! ^^

 

 

NATALE IN CASA Weasley

 

 

 

 

“Allora?”

 

Ron sfilò il termometro dalla bocca di Jack e ci diede un’occhiata. “Mmh…più di trentotto.”

 

“E qui abbiamo…” Hermione, che teneva in collo il piccolo Simon, controllò anche la sua temperatura. “…trentotto e mezzo.”

 

“Ecco, perfetto.” Ron sistemò Jack in modo che fosse seduto più comodamente sulle sue gambe. “Questo è il modo ideale di passare una vigilia di Natale, con pustolette e febbre.”

 

Hermione sospirò e accarezzò un po’ la guanciotta scottante del piccolo Simon, che si succhiava beatamente il pollice fra le sue braccia. Davanti a lei, seduti anche loro sul letto, Ron e Jack facevano un quadretto altrettanto avvilente. Era la vigilia di Natale e le cose dovevano andare molto diversamente… ma Dan e Jack si erano beccati il morbillo a scuola e l’avevano passato in meno di 24 ore anche a Julie e Simon. Risultato? I piccoli di casa Potter e Weasley erano tutti a pallini rossi e decisamente di malumore, e tutti i piani per la giornata erano andati gloriosamente in fumo.

 

“Natale è di cacca.” Borbottò Jack, stringendosi sotto la spalla del padre.

 

“Ma no, invece pensa a tutti i regali che avrai stanotte.” Ron gli trattenne la manina quando lo vide grattarsi la guancia piena di puntini rossi.

 

Jack mise il broncio. “Non li voglio i regali che mi comprate voi. Siete due imbroglioni.”

 

Hermione alzò gli occhi al cielo. “Jack, quante volte te lo devo ripetere? Babbo Natale esiste! E stasera vi porterà un sacco di bei regali.”

 

“Io non ci credo alle storielle.” Jack si mise seduto e si pulì il naso con la manica del pigiama. “Sean, il compagno di banco di Amelia, dice che Babbo Natale non c’è, che ha visto i suoi genitori che gli mettevano i regali sotto l’albero. Allora dicete le bugie!”

 

“Dite.” Hermione lo corresse con un sorriso. “E poi credi di più a Sean che a mamma tua?”

 

“Si.”

 

“Ooh, grazie mille!”

 

“Sai com’è, Jack?” Ron attirò l’attenzione di suo figlio cercando di essere il più disinvolto possibile. “A lui i regali li ha portati suo padre perché Babbo Natale non va da chi non gli crede. Anzi, stai attento perché sennò non verrà neanche qui.”

 

Jack, testardo, incrociò le braccia sul petto e fece una faccia dispettosa. “Ah si, e allora che Babbo Natale è, scusa? Perché invece non porta semplicemente il carbone ai cattivi e i regali ai buoni?”

 

“…ehm…” Ron guardò Hermione con un’espressione che voleva dire una sola cosa: SOS.

 

“Jack, Babbo Natale esiste, vedrai che ne avrai la prova stasera.” Disse semplicemente Hermione.

 

Simon si tirò su, sempre succhiandosi il pollicione, e si rotolò giù sul lettone, sventolando all’aria il culetto che col pannolino sembrava ancora più grande. “Regali.” Disse tranquillamente.

 

“Si, che ti portano mamma e papà, sai che cambiamento.” Sbuffò Jack.

 

Ron scosse la testa. “No, stammi bene a sentire: non dire queste cose a tuo fratello e nemmeno agli altri, capito? Babbo Natale c’è e basta, va bene?”

 

“Ma non è vero!”

 

“Jack!”

 

“Babbo Natale!” esclamò allegramente Simon, tirando in faccia al fratello il termometro che stava a poca distanza dalla sua manina e centrandogli in pieno la fronte. Jack scoppiò a piangere e nascose la faccia nell’abbraccio del padre.

 

“Simon!” Hermione sfilò il termometro dalla mano del figlio e lo prese di nuovo in braccio.

 

“Su, su, basta piangere…” Ron diede qualche amorevole pacchetta sulla schiena al figlio maggiore. “E’ tutta colpa di questa stupida febbre, ma adesso vedi che passa…”

 

“Ehi, di sopra?”

 

Hermione fece un gran sorriso. “Eccoli qua gli zii! Andiamo, andiamo a salutarli!”

 

Ginny e Harry avevano imbacuccato tanto i figli che a malapena si vedevano gli occhi tra sciarpe e cappelli! Julie, poi, che di conformazione era piuttosto piccolina, sembrava ancora più tenera in braccio a suo padre avvolta nel cappotto pesante.

 

“Scusate il ritardo, abbiamo passato un’ora a cercare di far passare il prurito col talco profumato.” Disse Harry mentre sia lui che la moglie svestivano un po’ i figli, lasciandoli in pigiama.

 

“E’ arrivata la cavalleria contro la febbre!” squittì allegramente Ginny, sfilandosi dalla borsa una bottiglietta marrone. “Nonna ha mandato a tutti un po’ di sciroppo magico, con questo passa tutto in meno di due giorni.”

 

“Oh, perfetto! Allora se ne occuperanno loro mentre io e te pensiamo alla cena.” Disse Hermione, passando la bottiglietta a Ron.

 

Ginny mise giù Dan. “Ok, ma prima di portarci avanti coi lavori…riunione speciale per soli adulti in cucina!”

 

“Biscotti per tutti se andate subito a giocare nella vostra stanza!” fece Ron, e ottenne il successo sperato perché i bambini corsero via strillando felicemente.

 

Hermione si chiuse la porta della cucina alle spalle. “Allora?”

 

“Dobbiamo risolvere questo problema di Babbo Natale.” Disse piano Ginny, mantenendo il tono della voce il più basso possibile. “Sono ancora troppo piccoli per non credere a una cosa così importante, non esiste che già sappiano la verità.”

 

“E tu che suggerisci?” fece Ron, appoggiandosi al tavolo. “Non sono stupidi, Gin.”

 

“Ho pensato a tutto io.” Ginny estrasse dalla sua borsa due costumi- uno rosso e l’altro marrone. “Ecco, questi sono i vestiti da Babbo Natale e da Renna, voi due vi vestite così e portate i regali a mezzanotte in punto.”

 

Hermione sorrise largamente. “Mi sembra un’ottima idea.”

 

Harry annuì. “Si, se ci vestiamo per bene viene una cosa carina.”

 

“Brava Gin.” Disse vispo Ron, sporgendosi per prendere il suo costume. “E’ la soluzione migliore.”

 

Harry si accigliò. “Scusa, che stai facendo?”

 

“Che?”

 

“Che fai?”

 

“…sto prendendo il mio costume per nasconderlo da qualche parte, perché?”

 

“E chi ti ha detto che quello è il tuo costume?”

 

Ron si accigliò. “Perché è il costume da Babbo Natale, non vedi?”

 

“Appunto, chi lo dice che Babbo Natale lo devi fare tu?”

 

Ron rise. “Harry, Babbo Natale è più alto e più robusto. E io sono più alto e più robusto di te.”

 

“Anche la renna è un animale piuttosto grosso, lo sapevi?”

 

“Si, beh, tu come renna vai benissimo.”

 

“Io non credo proprio!” Harry incrociò le braccia sul petto. “Perché non la fai tu la renna?”

 

“Ma che problema ti crea fare la renna?!”

 

“E a te che problema ti crea?”

 

“Ma dai, è una cosa ovvia!” Ron si prese fra le dita una ciocca di capelli. “Di che colore sono questi? E di che colore è il vestito di Babbo Natale?”

 

Harry fece una smorfia ironica. “Questa è la più grossa idiozia che abbia mai sentito.”

 

“Ehi, come sarebbe a dire?!”

 

“Io non voglio fare la renna!”

 

“E che vuoi fare, la Befana?!”

 

Ginny osservò la scena con uno sguardo allucinato. “…non ci posso credere…”

 

“Avanti, vuoi vedere come la fai bene la renna?” Ron prese Harry per le spalle e tentò di farlo piegare a quattro zampe. “E scendi!”

 

Harry si rimise dritto immediatamente, tentando di fare l’opposto. “Vediamo come la fai bene tu!”

 

Ron lo spinse indietro. “Sono troppo alto per fare la renna, idiota!”

 

“Guarda, ti sta bene pure il colore!”

 

“Marrone?!?”

 

“E allora? A scuola portavi solo pigiami e maglioni marroni!”

 

“Ma ti stai ascoltando?!”

 

Ginny scosse la testa. “Giuro, sono molto più adulti i vostri figli di voi! Ma che vi prende a voi due, eh?”

 

Hermione fece una smorfia. “Vogliamo scommettere che indovino?” prese il costume della renna… che dalla parte della testa aveva un gran bel paio di corna lunghe e ramificate.

 

“E’ questo il vostro problema???” Ginny scoppiò a ridere forte.

 

“Non c’è proprio niente da ridere!” protestò Harry.

 

“Appunto!” fece Ron. “A te piacerebbe andare in giro con un paio di corna di questa maniera in testa?”

 

Hermione trattenne a fatica una risatina. “…va bene, ma qui non si tratta di andare in giro, dovete solo passare dalla finestra e arrivare in salotto, tutto qui. Nessuno vi vede.”

 

“Ma io non ci voglio camminare lo stesso con quella roba addosso.” Replicò Harry.

 

“Andiamo, è per i bambini!” Hermione guardò il marito con occhi palesemente supplici. “Amore?”

 

“No, non ci provare, Hermione.” Fece Ron. “Io ho una reputazione da mantenere.”

 

Hermione sbuffò. “Non ce le hai le corna, Ron, e se te lo dico io puoi fidarti, non credi?!”

 

“Ok, basta.” Ginny prese il costume e si voltò di spalle. “Adesso facciamo così, io tiro il vestito e chi lo prende fa la renna.”

 

Ginny tirò alle sue spalle il costume senza dare il tempo di scostarsi a nessuno dei due; Harry e Ron si schiacciarono contro la prete il più velocemente possibile, ma…

 

“Ma nooo!!! Cazzo!!”

 

“Ah ah ah ah!!!! Visto?? Ah ah!!”

 

“Smettetela tutti e due o ve li faccio ingoiare questi costumi!!!” fece livida Hermione.

 

 

***************

 

 

“Ooh, finalmente.” Hermione si tirò su le maniche e si avvicinò a Ginny, che aveva preparato tutti gli ingredienti per la torta sul tavolo. Ora che Harry e Ron si stavano finalmente occupando dei bambini, in cucina avevano via libera.

 

“Bene, cominciamo.” Ginny le porse la busta col pesce. “Tu pensa a preparare il pesce, levagli le spine e mettilo a bollire, poi…”

 

“Non posso fare la torta?”

 

“…ehm…” Ginny stava cercando il modo più gentile per dire a Hermione che lei, per quanto brava potesse essere a preparare da mangiare, coi dolci era negata. “…veramente io volevo utilizzarti per il secondo, sei così brava a preparare…”

 

“Va bene, posso farlo dopo.” Hermione scrollò allegramente le spalle. “Inizio con la torta, così mentre sta in forno penso al pesce.”

 

“Ah, si…ehm…” Ginny si grattò la nuca in modo assente, fingendo un entusiasmo che non le veniva proprio all’idea. “…ok, fai così.”

 

“Bene.” Con un sorriso radioso, Hermione si mise subito al lavoro. Canticchiando prese farina, uova e zucchero e buttò tutto nella terrina contemporaneamente, cominciando a mescolare l’impasto col mestolo. Ginny rabbrividì: le tre cose andavano messe una alla volta, per evitare che si formassero grumi. Non passarono neanche cinque secondi che Hermione prese il lievito. “Che dici, lo metto tutto o metà?”

 

“Metà!” Ginny, che aveva appena cominciato a lavorare al primo piatto, spalancò gli occhi all’idea. “Se lo metti tutto intero come minimo ti scoppia tutto nel forno.”

 

“Oh.” Hermione continuò la sua opera indisturbata…mentre sua cognata si scervellava per trovare un modo di salvare la torta di Natale.

 

 

***************

 

 

“Aaah…apri la bocca, da brava…” Harry avvicinò di nuovo il cucchiaio di sciroppo alla bocca di Julie, che voltò la faccia dall’altra parte.

 

“No! Fa schifo!” protestò energicamente la bambina.

 

Harry sfoderò l’asso nella manica. “Fai vedere a Babbo Natale come sei brava, così ti porta ancora più regali.” malvolentieri Julie aprì la bocca e sopportò il sapore orribile della medicina.

 

“Babbo Natale non…” Jack non riuscì a finire la frase, perché Ron gli tappò la bocca.

 

Harry si avvicinò a Simon, che si stava succhiando il pollice tranquillamente sul tappeto. “Apri la boccuccia…” il piccolo obbediente lo fece, assumendo un’aria schifata dopo. “Bravissimo Simon che non fa storie…Dan, esci da lì sotto, tanto lo devi prendere anche tu lo sciroppo!”

 

Jack stava facendo di tutto in braccio a Ron: scalpitava, saltava, si divincolava, cercava di sfuggire, ma suo padre aveva una presa salda su di lui. “Jack! Piantala! Vuoi fartela passare la febbre si o no?!”

 

“Quella cosa sa di cacca!” Jack era una furia, tanto che Harry tirò indietro il cucchiaio per non far rovesciare lo sciroppo.

 

“E forza!!” Ron, stufo, afferrò il figlio per le braccia e lo trattenne con forza.

 

“Dai, che passa subito!” Harry riprovò col cucchiaio. “Apri la bocca!”

 

“Te la sputo tutta sai!” ringhiò Jack.

 

“Fallo e ti riempio la faccia di ceffoni!” la minaccia del padre servì a calmare Jack, che aprì la bocca appena un pochetto, ma abbastanza perché Harry potesse infilarci il cucchiaio di sciroppo. Ron lo lasciò subito libero. “Ooh! Tutto qui era!”

 

Jack aveva la faccia di uno prossimo al vomito. “…bleah…”

 

Harry si alzò in piedi e cercò l’altro figlio nella stanza. “Dan, dove sei finito?”

 

Julie sorrise e indicò al padre il letto di Jack. “Sta qua sotto, papy!”

 

“Sporca spiona!” la vocetta di Dan era camuffata dal lenzuolo.

 

“No, no! Simon, che fai?” Ron fece una corsa e fermò il piccolo, che si stava grattando la mano piena di bollicine. “Non ti devi grattare, ti fai male.”

 

Simon mise il broncio. “Prude.”

 

“Aspetta, ci pensa papà…Harry, dov’è il talco?”

 

“…sono…un po’…impegnato…al momento…”

 

Ron si voltò e vide che Harry stava tirando per i piedi il figlio, che da sotto al letto si era arpionato al materasso. “Ma che…”

 

“Dan!!!” ruggì Harry.

 

“Non la voglio la medicina!!” si lamentò il bambino.

 

Julie scosse la testa con aria superiore. “Peggio per te, Babbo Natale non ti porterà proprio nessun regalo.”

 

“Babbo Natale non esiste.” Disse spavaldo Jack.

 

“Si invece!” replicò decisa la cugina.

 

“Invece no, i regali li comprano i genitori!”

 

“Jack!!”

 

“Papàààà….” Julie scoppiò a piangere.

 

“Non voglio prendere la medicina!!!”

 

“Smettetela tutti e due!!” fece esasperato Harry.

 

“Jack, ti ho detto di finirla con questa storia!” Ron strattonò il figlio malamente.

 

“Bugiardo, bugiardo!!” strillò Jack.

 

Simon, che si stava succhiando tranquillamente il pollice, vedendo Julie che piangeva e Jack e Dan che strillavano, pensò bene di unirsi ai cori e urlare a sua volta.

 

Ron si tappò le orecchie con le mani. “State zitti tutti quanti!!”

 

“Daniel!!” Harry ficcò a forza il cucchiaio in gola al figlio, che per tutta risposta cominciò a piangere.

 

 “Ma che cos’è questo macello?” Hermione era sulla soglia della porta, con un grembiule sporco di farina legato in vita.

 

Julie si alzò e corse ad aggrapparsi alle gambe della zia. “Jack dice che Babbo Natale non c’è…” piagnucolò.

 

“Papà mi ha fatto male!” frignò Jack.

 

“Adesso ti vomito addosso!” strillò Dan.

 

Hermione scosse la testa e prese in braccio Julie, andando a sedersi vicino agli altri bimbi sul tappeto. “Buoni, venite qui…vi ho portato un po’ di caramelle, le volete?”

 

Simon saltellò allegramente. “Melle, melle!”

 

“Ah, ma solo se non piangete.” Hermione asciugò gli occhioni a Julie e cominciò a distribuire le caramelle che aveva nel tascone del grembiule.

 

“Dammi il cambio per cinque minuti, vado a far riposare un attimo le orecchie.” Harry, piuttosto esausto, prese lo sciroppo e scese giù in cucina, dove Ginny stava mescolando uova e farina in una terrina di plastica. “Parola mia, questi col morbillo sono ancora più irrequieti… altro che sciroppo, un tranquillante ci voleva.”

 

Ginny fece un sorriso senza smettere di impastare. “Sono piccoli, Harry.”

 

“Voi ragazzi facevate così da piccoli?” chiese incuriosito Harry.

 

“Oh, anche peggio.” Ginny gli indicò il forno. “Mi fai un piacere? Puoi prendere quella roba nel forno?”

 

Harry fece come gli aveva chiesto sua moglie, ma storse il naso quando vide che nel vassoio c’era una specie di…cos’era? “Gin, ma che è questa…cosa?”

 

Ginny ridacchiò. “La torta di Hermione. Falla sparire, per favore, ma lasciami il vassoio.”

 

Harry si sfilò la bacchetta dalla tasca dei jeans e con un tocco fece sparire la mostruosa creazione di Hermione. “E tu adesso che stai facendo?”

 

Ginny fece un sorrisetto malizioso. “La torta di Hermione.”

 

Harry rise. “Sono questi i momenti in cui mi piace essere tuo marito.”

 

 

***************

 

 

Ginny si affacciò dalla porta della cucina per vedere i bambini che stavano finalmente buoni e fermi, seduti vicino all’albero mentre Hermione leggeva una storia da un suo vecchio libro di favole. Mangiando lo sciroppo aveva fatto subito effetto, e la febbre era scesa quasi del tutto. Ormai la mezzanotte si avvicinava…e bisognava approfittare del fatto che i bambini erano distratti per agire.

 

“Ok.” Ginny si voltò verso Harry e Ron. “Hermione ha la situazione sotto controllo, potete andare.”

Istintivamente le venne da ridere nel vedere come erano conciati, ma si trattenne per evitare storie. Ron sembrava veramente Babbo Natale (in realtà poteva benissimo passare per un Silente di tre o quattro taglie più grande) con la lunga barba bianca che lei gli aveva applicato al cappello, ma la parte più ridicola erano certamente i tre cuscini che si era dovuto legare alla pancia per sembrare grasso. Harry, poi…con quelle corna lunghissime e la sella colorata sulla schiena faceva un figurone. E poi era impagabile lo spettacolo di una renna che si reggeva perfettamente solo sulle zampe posteriori.

 

“Quant’è scomoda questa dannata barba…” Ron sputacchiò qua e là peli bianchi.

 

“Ti permetti anche di lamentarti?” Harry s’indicò le corna sulla testa, che si agitavano pericolosamente ogni volta che lui si muoveva.

 

Ginny rise un istante. “Dai, basta! Andate sul tetto e calatevi giù dal camino.”

 

Harry si accigliò. “E come faccio a scendere dal camino atterrando a quattro zampe, scusa?”

 

“Più che altro, il camino non è abbastanza largo per il mio pancione.” Ron si diede una bottarella ai cuscini che aveva davanti alla pancia.

 

Ginny si guardò in giro. “Ok, allora entrate dalla finestra…quella del salone, dietro l’albero.”

 

Ron annuì. “Sperando di non portarci dietro tutte le palline, Hermione detesta il disordine.”

 

Harry ridacchiò. “Ma sentitelo, Babbo Natale ha paura della moglie.”

 

“Gin, vuoi dire a quel cornuto di tuo marito di stare zitto o ci bruciamo l’entrata a sorpresa?”

 

Ginny fece un sorrisetto. “Mio marito non ha le corna, per tua informazione.”

 

“A guardarlo ora si direbbe il contrario.”

 

Harry lo spinse bruscamente in avanti e gli buttò addosso il sacco dei regali. “Ma quanto sei simpatico… muoviti, idiota, che tra un po’ è mezzanotte.”

 

Ron lo tirò per le corna. “E tu cammina a quattro zampe, eh.”

 

“Ti tiro uno zoccolo in culo, ti lascio il segno.”

 

“Prenderesti a calci Babbo Natale?” Ron fece un sorrisetto.

 

Ginny alzò gli occhi al cielo e li prese entrambi per un braccio, portandoli verso la porta di servizio. “Vi prenderò io a calci se non vi date una mossa! Avanti!” strattonandoli li spinse fuori. “E vedete di essere convincenti, perché i vostri figli sono molto più intelligenti e svegli di voi!”

 

“Sempre gentilissima tu, eh Gin?”

 

“Parli tu che te la sei sposata?”

 

Ginny mise le mani sui fianchi. “Ron, vedi di recitare bene la tua parte o Hermione andrà a letto con Mamma Natale stasera.”

 

Ron fece una smorfia e istintivamente si portò le mani sotto la cintura. “Ohi ohi…”

 

 

***************

 

 

Forse non era una cuoca in gamba come Ginny (anche se la torta le era venuta misteriosamente bene), ma Hermione era imbattibile in fatto di intrattenere i bambini. Dando il tempo a Harry e Ron di prepararsi, aveva radunato i piccoli sotto l’albero e si era seduta con loro sul tappeto; tenendo in collo il piccolo Simon, che per metà era addormentato, e facendo in modo che a illuminare la stanza fossero solo delle candele e non la luce centrale, era riuscita a creare un’atmosfera rilassante e tranquilla. Perfino Jack e Dan stavano ascoltando la sua storia con particolare interesse. E naturalmente Julie pendeva dalle sue labbra, come al solito.

 

“…e così il buon re regnò sul suo paese per molti e felici anni, insieme alla sua bella regina.” Hermione chiuse il libro e sorrise. “Fine.”

 

Julie sospirò. “Che bella storia hai raccontato, zia…”

 

Dan tirò su col naso. “Niente male. Anche se non ho capito perché il re non ha ammazzato il cavaliere cattivo.”

 

“Perché si sarebbe comportato male come lui.” Hermione accarezzò placidamente la fronte e i capelli di Simon, che sbadigliò. “Invece il re era buono e pietoso.”

 

Jack scrollò le spalle. “Io l’avrei fatto fuori e basta.”

 

Hermione fece un sorrisetto. Jack assomigliava a suo padre ogni giorno di più. “Beh, e adesso fate i bravi cinque minuti, va bene?”

 

Julie sbattè gli occhi nel vedere sua zia che si alzava. “E tu dove vai?”

 

Hermione si rimise in piedi, lasciando seduto Simon. “Io e mammina dobbiamo lavare un po’ i piatti. Invece voi rimanete qui…è quasi mezzanotte, stanno per arrivare i regali.”

 

Jack inarcò un sopracciglio. “Stai andando a prenderli?”

 

“Sai, Jack, dovrai chiedere scusa molte volte a Babbo Natale prima di farti perdonare.” Hermione non si attardò oltre: raggiunse Ginny in cucina, ed entrambe si appostarono dietro la porta socchiusa per spiare quello che succedeva nel salotto.

 

Dan sbadigliò e si stiracchiò. “Secondo voi ora che succede?”

 

Jack fece una smorfia. “Appena ci voltiamo ci portano i regali e dicono che è stato Babbo Natale.”

 

Julie mise le mani sui fianchi. “Babbo Natale esiste!”

 

Jack fece un sorrisetto maligno. “E arriva dal camino, eh? Accendiamo un fuoco, così gli bruciamo le chiappone.”

 

Julie lo spinse. “Sei cattivo!”

 

Jack la spinse a sua volta. “E tu sei scema!”

 

Dan sentì un rumore e si voltò. Gli era sembrato che l’albero si muovesse…ma probabilmente era stata solo una sensazione.

 

“Voglio i giochi!” protestò Simon.

 

“…dannatissimo albero…”

 

Dan si voltò di scatto: stavolta aveva visto davvero l’albero che si agitava! “Ehi, guardate là!”

 

Jack e Julie smisero di litigare. “Cos’è?”

 

Improvvisamente un grosso sederone rosso comparve dietro l’albero, mentre a bassa voce si udì il sussurro arrabbiato di qualcuno che mormorava “abbassa la testa, che non ci passi!”

 

Simon rise e indicò il sederone. “Un culone! Un culone!”

 

Julie trattenne il respiro per l’indignazione. “Hai detto una brutta parola!”

 

Dan si mise in piedi. “Ehi! Di chi è quel culone, eh?” disse ad alta voce, e Jack scoppiò a ridere forte.

 

“Ma bravo, diciamo la parolacce a Babbo Natale, eh?”

 

I quattro bambini rimasero a bocca aperta quando videro che il proprietario del sederone era proprio lui…Babbo Natale, tutto vestito di rosso, con tanto di sacco sulle spalle, barba lunga, cappellone e renna (che sembrava stare a quattro zampe in un modo un po’ strano…)

 

Babbo Natale fece un gran sorriso. “Buonasera a tutti, giovanotti e signorina.”

 

Julie si nascose dietro suo fratello, osservando la scena oltre la sua spalla. Dan sbattè gli occhi. “Tu sei… sei davvero Babbo Natale? Quel Babbo Natale? L’originale?”

 

Babbo Natale annuì. “Proprio io. Sono qui perché i miei gnomi mi hanno raccontato che qualcuno qui non crede che io esista per davvero.”

 

Jack si mise in piedi a testa alta. “Io non ci credo. Chi sei veramente?”

 

“Secondo te chi sono?”

 

Jack fece una smorfia e lo squadrò con attenzione. “Boh, che ne so…potresti anche essere lui…ma lui non esiste.”

 

Ron sorrise dietro la sua barba e si inginocchiò davanti al figlio maggiore. “Oh, ti assicuro che sono io, Jack Weasley.”

 

Jack spalancò gli occhi. “Come fai a sapere il mio nome?”

 

Babbo Natale gli fece un occhiolino. “Scommettiamo che indovino anche cosa hai chiesto nella tua letterina?”

 

Dan era senza parole. “Wow…allora Babbo Natale esiste!”

 

Julie saltellò su e giù più volte. “Lo dicevo io! Io l’avevo detto! L’avevo detto!”

 

Jack sembrava indeciso. “Mmh…se sei davvero lui…perché la tua renna non vola?”

 

“Ehm…sai com’è, è un po’ vecchiotta.” Harry bofonchiò qualcosa tra i denti nel suo costume.

 

Simon stava fissando Babbo Natale con uno sguardo timido e impacciato. Ron si voltò verso di lui e gli accarezzò il nasino con un dito. “E tu, piccolino? Hai fatto anche tu la tua lettera, vero?”

 

Jack scosse la testa. “L’ho fatta io per tutti e due, perché lui non sa scrivere.”

 

Simon allungò con curiosità le manine verso un filo che pendeva dal sacco che Babbo Natale aveva sulle spalle, e lo tirò…un secondo dopo il sacco si scucì e tutti i regali caddero a terra con un tonfo. I bambini risero forte, mentre Ron si voltò per capire cos’era successo.

 

Dan rise. “Ma che pasticcione che sei, Babbo Natale!”

 

“Ti sei perso tutti i regali!” fece Jack fra le risate.

 

Simon battè le manine. “Bravo!”

 

Anche Ron, a dispetto della situazione, rise. “Beh…in realtà prima dovete dirmi se avete fatto i bravi quest’anno, poi vi darò i regali.”

 

Julie si affrettò ad afferrare Simon per un braccio. “Io e lui siamo stati buonissimi, invece loro no!”

 

“Spiona che non sei altro!” ringhiò Jack.

 

“Se fai la spia non sei buona!” replicò infuriato Dan.

 

“Va bene, adesso fate i bravi.” Babbo Natale riprese in mano le redini della situazione. “Promettete di fare i buoni, tutti e quattro?”

 

Tutti annuirono. “Babbo Natale?” chiese Jack.

 

“Dimmi, Jack.”

 

“…visto che tu esisti davvero…mi fai fare un giro sulla tua renna?”

 

“Si, si!” esclamò Julie. “Pure io!”

 

“E allora anch’io!” Dan saltellò. Simon alzò le manine bene in alto.

 

“Ah, ehm…certo, perché no?” Ron si voltò verso la sua renna e la prese per le corna. “Vieni, bella, vieni qua.” La renna sembrava molto restìa a obbedire, ma lo fece.

 

Dan fu il primo ad arrampicarsi saltando, afferrandosi alla sella instabile per montare su. Jack fu molto più pratico: picchiò con la mano il sederone della renna per farla abbassare. “E siediti, come mi salgo sennò! Uffa…Babbo Natale, ma questa renna è scema!”

 

Harry si morse le labbra per non dire ad alta voce che Jack era schifosamente uguale a suo padre. E suo padre era mooolto in debito…

 

“Calma, piano voi due!” Ron, che stava facendo sedere Julie sulla sella, non potè evitare di provare pena per Harry: Dan e Jack per salire sulla sua groppa lo stavano riempiendo di calci. “Ecco, ci siamo quasi…” Ron prese in braccio anche Simon e lo sistemò davanti a Julie, tenendolo per la manina visto che aveva le gambette più piccole degli altri. “Ok, bene!”

 

“Ma che è ‘sta cosa?!” Dan scalciò nei fianchi della renna. “E’ moscia, questa renna fa pena!” Harry, che stava facendo una fatica enorme a camminare piegato in avanti sulle punte delle dita con quei pesi addosso, emise un suono che i bambini scambiarono per un verso da renna.

 

“E dai, muoviti!” Jack riprese a picchiare il sedere della sua cavalcatura.

 

“Oh, buoni o vi faccio scendere!” Ron se la stava ridendo alla grande dietro la barba, ma si sforzò di restare serio.

 

“Bello.” Fece sorridente il piccolo Simon, che però teneva la mano di Babbo Natale stretta forte forte nel suo pugnetto. Evidentemente per lui l’andatura così lenta andava bene.

 

“Ma poverina, sta tremando!” Julie accarezzò un fianco della renna sotto la sua gamba. “Scendete voi, siete pesanti!” disse a Dan e Jack. Tutti e due le fecero le boccacce. “Babbo Natale, li hai visti?”

 

“Niente boccacce o niente regali!” fece Ron, che stava calcolando la possibilità di interrompere la passeggiatina: Harry stava barcollando un po’ troppo. “Ok…il giro è finito. Stooop!”

 

Jack e Dan protestarono, ma scesero ugualmente dalla groppa della renna mentre Ron metteva giù Julie e Simon. Harry crollò sulle ginocchia con uno sbuffo represso, e mentre Jack e Dan sghignazzarono Julie accarezzò il muso della povera renna sfinita. “Povera rennina…sarai stanca, lo vuoi un po’ di latte nella scodella?”

 

“No!” Ron aiutò Harry a rimettersi a quattro zampe e lo fece arretrare. “Grazie, tesoro, ma la renna e io dobbiamo continuare il nostro giro e andare a portare i regali anche agli altri bambini.”

 

“Non ti fermi ancora un po’?” fece Jack. “Volevo farti conoscere mio padre.”

 

“Me lo saluterai tu. Intanto godetevi i vostri regali, forza!”

 

La vista dei pacchetti colorati fece esaltare i piccoli, che dimenticarono tutto e tutti e si lanciarono in avanti per prenderli e scartarli. Ron aiutò Harry a sgattaiolare fuori in silenzio mentre nessuno li vedeva, e furono anche fortunati perché quando Harry beccò in piena faccia la finestra, lasciandosi scappare un paio di epiteti…poco consoni a una renna, gli strilli di gioia e soddisfazione dei bambini coprirono tutti i rumori. E fu una fortuna, perché sarebbe stato decisamente poco carino sentire la renna di Babbo Natale che minacciava il suo padrone di riempirgli il sedere di calci.

 

Quella sera la cosa più bella che Hermione vide fu il sorriso felice di suo figlio Jack quando, vedendola entrare, le andò incontro con le braccia piene di regali e regalini gridando “Mamma, Babbo Natale esiste, esiste davvero!”

 

 

***************

 

 

Ron si trascinò a letto più stanco del solito quella sera; era l’una passata, e solo dopo molti sforzi era riuscito a calmare l’emozione di Jack, che non voleva sentire ragioni e preferiva giocare col suo nuovo super mostro con gli occhi luminosi piuttosto che dormire. Moriva dal sonno, tutto quello che voleva era raggiungere il suo letto, buttarcisi sopra e dormire fino al Natale prossimo.

 

Hermione, che già stava seduta sul lettone, sorrise nel vedere suo marito che si trascinava letteralmente ad occhi chiusi verso di lei, e rise ancora di più quando lo vide buttarsi di schiena sul letto. “Ma guarda, se non ti conoscessi direi che sei stanco morto.”

 

“Adesso capisco perché Babbo Natale lavora solo una volta all’anno.” Ron sbadigliò, tenendo gli occhi chiusi. “Mmh…sai che pensavo?”

 

“Cosa?” Hermione si mise in ginocchio accanto a lui, massaggiandogli la testa con le dita.

 

“Pensavo…poveraccio mio padre.” Ron sorrise, senza aprire gli occhi. “Questi due demonietti ci fanno stramazzare dalla fatica, e sono solo due. Noi eravamo in sette…come avranno fatto mio padre e mia madre?”

 

“Ah, ma io ho sempre pensato che tua madre fosse una santa.” Hermione sorrise largamente.

 

“Altrochè, ha sfornato me.”

 

Hermione rise e gli stampò un bacio sulle labbra. “E per questo le sarò sempre molto grata.”

 

Ron inarcò un sopracciglio e aprì un occhio. “Sbaglio o qualcuno qui è in vena di coccole?”

 

Hermione scrollò le spalle e si acciambellò sull’addome del marito. “Beh…sai com’è, Babbo Natale…hai portato regali a tutti, ma un regalo a te ancora non l’ha fatto nessuno…”

 

Ron ridacchiò e le passò le mani sui fianchi. “Piccola ninfa tentatrice…Babbo Natale qui ha la schiena a pezzi.”

 

“Davvero?” Hermione si chinò su di lui. “…peccato…”

 

Ron curiosò nella scollatura della sua camicia da notte e le fece un sorrisetto. “Ripensandoci…”

 

Hermione gli strizzò l’occhiolino e un secondo dopo ognuno si perse nel bacio dell’altro, godendosi un po’ di sana intimità come ai ‘bei vecchi tempi’, come diceva sempre Ron. Fecero un mezzo giro fra le lenzuola, in modo che le posizioni si invertissero, e le cose sarebbero anche andate oltre piuttosto in fretta… ma Ron ruppe il bacio e si tirò indietro sentendo qualcosa di piccolo e sottile che gli faceva il solletico al piede.

 

“…ma che…e tu che ci fai qui?!”

 

Tra i due non si riusciva a capire chi era il più frustrato per l’interruzione, ma né Ron né Hermione trovarono il coraggio di sgridare il bimbetto col viso a puntini rossi che stava ai piedi del letto. Simon era chiaramente mezzo addormentato, si stava succhiando il pollice e teneva stretto a sé l’orsacchiotto con cui dormiva, e soprattutto era di una dolcezza infinita col pigiamone azzurro imbottito dal pannolino.

 

“Tesoro, che fai qui?” gli chiese subito Hermione.

 

“Posso stare qua?” Simon sbattè gli occhioni, sfilandosi il dito dalla bocca. “Jack ha detto che mi fa mangiare dal suo mostro.”

 

Ron lo prese in braccio e se lo mise sulle ginocchia. “Il mostro di Jack è finto, e i mostri finti non mangiano le persone.”

 

“Però quello è brutto.” Simon sbadigliò e si accoccolò fra le braccia del padre. “Nel lettone con voi.”

 

Ron si grattò la nuca e guardò Hermione, chiaramente in difficoltà. Aveva una voglia pazza di stare un po’ con lei, però…si sarebbe sentito il bastardo numero uno al mondo a mandare via quel piccolino. Hermione gli fece un sorriso accondiscendente e scrollò le spalle. “Hai vinto tu, campione. Vieni.” Ron sdraiò il bimbetto sul materasso e Hermione lo coprì per bene, quindi si stesero anche loro.

 

“…buon Natale e buon anno nuovo e buona befana e buono tutto.” Mormorò Simon ad occhi chiusi, addormentandosi profondamente in meno di pochi secondi.

 

Hermione gli baciò la guanciotta. “Anche a te, tesoro.”

 

Ron passò un paio di minuti ad accarezzare la fronte del figlio, per assicurarsi che fosse veramente addormentato, quindi scansò la mano con delicatezza…ok, Simon era profondamente addormentato.

 

Hermione riconobbe quello sguardo e quel sorrisetto sulla faccia del marito, e vedendolo scivolare giù dal letto si coprì la bocca con una mano per non far sentire la sua risatina e gli fece cenno di no con le mani. “No, che fai?” sussurrò a bassa voce, mettendosi seduta. “Ron…mettimi giù!”

 

Lui rise piano quando se la caricò sulla spalla e a passi felpati e veloci uscì dalla stanza. “Ssh…”

 

Hermione rise nella sua spalla. “E se si svegliano i bambini?”

 

Ron fece un sorrisetto. “Capiranno perché la storia della cicogna è una stronzata.”

 

 

*** The End ***

 

 

^_- Buon Natale a tutti!

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Capitolo 6
*** Non è poi così male... ***


BUON COMPLEANNO ALICE

BUON COMPLEANNO ALICE!!!!! Felicissimi 17 anni alla mia migliore amica adorata e bellissima… auguri sconfinati, tesoruccio! E naturalmente il mio regalo è stato puntuale come non mai! E’ tutto tuo, Aly, goditi questa one-shot tutta per te!

 

 

NON E’ POI COSI’ MALE…

 

 

Ron Weasley si coprì con una mano gli occhi per ripararli dal sole. Era pomeriggio inoltrato, e nonostante la brezza marina il caldo continuava a rendere quei primi giorni di giugno assurdamente torridi. Il che non era di nessun aiuto alla gravidanza di Hermione, anzi.

 

Diversamente da quando aveva avuto Jack e Simon, Hermione aveva passato nove mesi d’inferno: vomitate continue, giramenti di testa, svenimenti, mal di schiena che non la lasciavano dormire la notte…ma a differenza delle due precedenti gravidanze lei non si era lamentata mai, nemmeno per un secondo. Aveva sopportato tutto sapendo che la bambina che portava in grembo era un dono del cielo inatteso quanto desiderato, e alle volte Ron desiderava quasi di poter sopportare tutto quel dolore al suo posto: come quando la trovava seduta sul divano in lacrime per il mal di schiena… eppure mai un lamento.

 

L’aveva portata al mare quel giorno nel tentativo di farle avvertire meno il caldo; ormai il tempo stava per scadere, mancavano poco più di due settimane al parto, e nessuno dei due poteva mascherare l’apprensione. Con tutto quello che aveva passato e con le complicazioni per la ferita che aveva riportato durante la lotta col demone pazzo l’anno prima sicuramente non sarebbe stato un parto facile, come oltretutto aveva già preannunciato anche Aki. C’era qualche rischio.

 

Ron si era appena seduto sul bordo del lettino su cui stava dormendo profondamente Hermione; sembrava molto rilassata e al tempo stesso molto stanca, e Ron non potè fare a meno di baciarle dolcemente la tempia, scansandole una ciocca di capelli dal viso. Incredibile a dirsi e a pensarsi, Hermione Granger era da nove mesi la persona più dolce e tenera della terra, e lui non aveva altro desiderio che coccolarla e tenerla come una regina in ogni secondo della giornata.

 

“Mamma!! Mamma, guarda!!”

 

Ron si voltò in tempo per fare cenno a Simon di abbassare la voce; il piccolo stava correndo su dalla riva tutto emozionato, ma quando vide suo padre mise il muso e raggiunse l’ombrellone con un broncio lungo fino a terra.

 

Ron sospirò impercettibilmente; sembrava che in nove mesi Simon non fosse stato capace di fare altro. “Che hai in mano?” gli chiese a bassa voce, cercando di distrarlo dal suo cattivo umore.

 

Simon socchiuse la mano. “Ho trovato una stella marina. La volevo dare a mamma.” Mormorò con voce triste.

 

Suo padre gli fece un largo sorriso. “Sarà contentissima, appena si sveglia gliela dai.”

 

Il bambino abbassò gli occhi, ciondolando un piede nella sabbia. “Mamma dorme sempre. Io volevo che faceva un bagno con me.”

 

“Non è colpa di mamma, è che la sorellina è diventata grande e la fa stancare di più. Appena uscirà dal pancione, vedrai che tornerà tutto normale.”

 

Simon sbuffò e appoggiò senza troppa grazia la stella marina sulla sua sedia, quindi si avviò di nuovo verso la riva con aria seccata.

 

Ron si alzò e gli fu accanto in un minuto. “Ehi, che ne dici di un bagno, mh? Anzi, ancora meglio: vuoi fare una gara di nuoto?”

 

Simon alzò gli occhi al cielo e si fermò, voltandosi verso suo padre. “No, mi scoccio. Tanto si sa che vinci tu. E se vinco io vuol dire che mi hai fatto vincere. Io non sono scemo come Jack.” E con aria annoiata riprese a camminare.

 

Ron non potè trattenere un sorrisetto. “Brutto affare che hai preso l’intelligenza di tua madre. E se invece facessimo un bel castello di sabbia insieme? Uno proprio bello?”

 

Simon scrollò le spalle e annuì. “Va bene.”

 

Ron fece il possibile e l’impossibile per far ridere un po’ suo figlio mentre giocavano con la sabbia, ma Simon si limitò a qualche sorrisetto o risatina isolati. E questo preoccupava non poco Ron. Perché anche se ufficialmente non lo aveva mai ammesso, era evidente che il bambino fosse geloso marcio della sorellina in arrivo.

 

“E’ bello questo castello.” Mormorò alla fine Simon, osservando il risultato del loro lavoro. “Come fai a costruirli così bene, papà?”

 

Ron scrollò le spalle. “Conosco un paio di trucchetti. Vedi, per esempio, se prendi la sabbia quando ancora è…” s’interruppe nel vedere arrivare sua moglie.

 

Hermione li raggiunse con un sorriso beatamente assonnato, tenendo una mano sul pancione e l’asciugamano nell’altra. “Che bel castello!”

 

“L’abbiamo fatto io e papà insieme.” Disse fiero Simon. Sua madre si chinò a dargli un bacio sulla fronte.

 

“Ti abbiamo svegliata noi?” le chiese Ron.

 

Hermione scosse la testa mentre stendeva a terra l’asciugamano. “Oh no, voi siete stati buonissimi. Lei non altrettanto.” Disse, accarezzandosi il pancione.

 

Ron inarcò un sopracciglio. “Che stai facendo?”

 

“Mi siedo, no?”

 

“Per terra?! Aspetta qua.” Ron armeggiò con il lettino finchè non riuscì a farci accomodare sopra la moglie. “Ecco, così va meglio.”

 

Hermione si sdraiò, appoggiandosi allo schienale. “Ooh…se ingrasso ancora un po’ rischio di esplodere.”

 

Simon, che stava trafficando con paletta e secchiello, alzò la testa di scatto. “Puoi esplodere veramente??” chiese, con gli occhioni spalancati.

 

Hermione sorrise. “Ma no, tesoro, stavo solo scherzando.”

 

Ron le porse la stella marina che il figlio aveva portato prima. “Guarda un po’ Simon cos’ha trovato per te.”

 

“E’ bellissima! Che bei colori! Grazie, Simon! Dove l’hai trovata?”

 

Il bimbetto scrollò le spalle. “Sott’acqua.” Disse semplicemente prima di tornare a riempire di sabbia il suo secchiello.

 

Ron prese posto accanto a sua moglie e le accarezzò dolcemente il pancione. Lei gli sorrise e poi tornò a guardare il figlio. “Ti ha scritto Jack?” Simon annuì. “E che ti ha detto?”

 

“Che manca solo l’ultima partita per vincere la coppa di quidditch. E invece la coppa delle case la vince quasi sicuramente Corvonero.”

 

Ron fece una smorfia. “Capirai, c’è Gertie lì…non ci dimentichiamo che è la fotocopia di Percy alla sua età, quella ragazzina.”

 

“E gli esami?” chiese ancora Hermione. Conosceva già le risposte a quelle domande, ma voleva che Simon si sentisse importante a parlare lui della vita scolastica di suo fratello.

 

“Ha detto che tranne due o tre gli sono andati abbastanza bene.”

 

Hermione a un certo punto fece un gran sorriso e spostò la mano di Ron più in alto sul pancione. Anche lui sorrise. “Senti come scalcia…Simon, vieni a sentire!”

 

Simon mise il broncio. “No.”

 

“Perché?”

 

“Perché l’altra volta mi ha fatto male.”

 

Ron rise e scosse la testa. “Ma piantala, una bimba così piccola ha fatto male a un giovanotto come te?”

 

“Beh, e allora?! Che c’entra che è piccola, mi ha fatto male alla mano.”

 

Hermione decise di mettere fine alla discussione. “E se andassimo a farci un bagno prima di tornare a casa?”

 

Il viso di Simon s’illuminò. “Vieni anche tu, mammina? Non ti fai male?”

 

Hermione sorridendo gli scansò i capelli dagli occhi. “No, non ti preoccupare.”

 

Simon balzò in piedi. “Che bello! Facciamo il bagno tutti e tre insieme, evviva!!”

 

Ron rise, scuotendo la testa. “A saperlo che bastava così poco.”

 

 

***************

 

 

Hermione si guardò ancora una volta nello specchio lungo del bagno, osservando bene il pancione che risaltava ancora di più sotto la camicia da notte, quindi uscì in tempo per vedere Ron che portava a letto Simon, tenendolo in braccio senza il minimo sforzo. Lei si avvicinò e stampò un bacio sulla guanciotta del bambino, che teneva la testolina abbandonata sulla spalla del padre. E notò la sua espressione triste.

 

“Che c’è, tesoro? Non ti senti bene?”

 

“No.” Mormorò assonnato Simon.

 

Hermione continuò ad accarezzargli la fronte. “E che c’è che non va, mh?”

 

“Mal di testa.”

 

Hermione gli sentì la fronte con le labbra. “…forse hai preso troppo sole oggi…” Ron da dietro le fece cenno di no con la testa, mantenendo un’espressione rassicurante e tranquilla. “Una buona notte di sonno ti farà sentire benissimo, vedrai.” Hermione gli diede un altro bacio sulla fronte.

 

Simon esitò, poi tese la mano verso la madre. “Posso dormire nel lettone con voi stanotte?”

 

“Ne abbiamo già parlato, Simon.” Fece piano Ron, accarezzandogli la testa. “Niente lettone finchè mamma ha ancora la sorellina nel pancione.”

 

“Ma perché?” piagnucolò Simon.

 

Ron gli diede un bacio sulla fronte. “Perché tu di notte scalci come un cavallino. Pensa se per sbaglio dessi un calcio a mamma.”

 

Simon s’incupì. “La nuova bambina lo fa sempre e siete tutti felici, perché se lo faccio io non va bene, eh?!”

 

“Non è la stessa cosa, Simon.” Cercò di dirgli Hermione. “E’ diverso perché…”

 

Simon con due grossi scrolloni costrinse Ron a metterlo giù, e quando guardò i genitori lo fece con gli occhi gonfi di lacrime. “E va bene, non ci voglio dormire con voi, tanto chi vuole stare in mezzo a voi due?? Mamma è una balena e a te ti puzzano i piedi!!” strillò, e piangendo corse in camera sua.

 

Hermione rivolse un rapido sguardo di rassegnazione al marito per poi andargli dietro. Ron sospirò e si grattò la nuca, scuotendo leggermente la testa. Ma dopo un paio di secondi cedette alla sensazione…

 

…e si annusò un piede.

 

 

***************

 

 

Hermione arrivò a letto quasi un’ora dopo, e piuttosto stancamente si lasciò andare sul lettone dove la stava aspettando Ron, che le passò un braccio attorno alle spalle permettendole di appoggiarsi comodamente sul suo petto.

 

“Si è addormentato?”

 

“Dopo cinque racconti.”

 

Ron le baciò una tempia. “Gli passerà, vedrai.”

 

Lei sospirò. “Non capisco…non è mai stato così.”

 

Lui sorrise. “Non ci arrivi, Hermione? Simon ha un attacco di gelosia in piena regola.”

 

“Ci avevo pensato.”

 

“Fidati dell’esperto. Tipica crisi del piccolo di casa che sta per essere scalzato dalla sua posizione da una bambina.” Le labbra di Ron s’incresparono in un sorrisetto. “Quasi quasi mi sembra di vivere un flash-back.”

 

Hermione lo guardò con un’espressione divertita. “Non mi dire…eri geloso di Ginny?”

 

Ron ridacchiò. “Una volta l’ho quasi affogata nella vasca da bagno mentre faceva il bagnetto.”

 

Hermione rise e gli diede uno schiaffetto sul braccio. “Ron Weasley!”

 

“Beh, avevo due anni e mezzo!”

 

Lei scosse la testa e poi tornò seria. “Noi che facciamo con Simon?”

 

Ron le accarezzò pigramente un braccio. “Niente. Lo coccoliamo, lo rimettiamo nei ranghi…ci si deve abituare da solo, con calma si renderà conto che la sorella non gli toglierà niente. E’ un bambino intelligente, lo capirà presto. E poi confido molto nel ritorno di Jack, sono certo che lui farà anche meglio di noi.”

 

“Forse hai ragione.”

 

“Mmh…detto da te ha un gusto ancora più dolce…”

 

“Scemo.” Hermione gli diede un bacio sulle labbra. “’Notte.”

 

“’Notte.”

 

… … … …

 

“Ron?”

 

“…mmh…”

 

“Ron?”

 

“…mmmh…”

 

“Ron?”

 

“…ma che c’è…”

 

“Per favore, è una cosa seria.”

 

“…cosa?...”

 

Hermione si appoggiò su un gomito. “Controllami un attimo i denti.”

 

Ron aprì a stento un occhio. “…Hermione…” biascicò, con la voce rauca per il sonno. “…è notte fonda…”

 

“Si, si, lo so! Ma ho paura che mi stiano per cadere tutti i denti!”

 

“…ma come ti viene a quest’ora…”

 

Hermione emise un sospiro irritato. “Senti, alle donne in gravidanza può capitare di perdere qualche dente! Adesso vuoi controllare i miei o no?!”

 

Fu proprio per amore (e per paura di quel tono minaccioso) che Ron si appoggiò su un gomito e con gli occhi mezzi chiusi le sentì i denti con un dito. “Sono a posto.” Mormorò, lasciandosi di nuovo cadere sul letto.

 

“Ne sei assolutamente sicuro?”

 

“Si. Dormi.”

 

Hermione si tastò i denti ancora una volta, incerta. “Non lo so, non ti sembra che questo molare…”

 

“…sta dritto e immobile…” brontolò lui nel cuscino. “…rimettiti a dormire, dai…”

 

… … … …

 

“Ron?”

 

“…mmh…”

 

“Ron!”

 

“…cos…che c’è adesso?!”

 

“Non riesco a dormire.”

 

“…ci credo…continui a rompere…”

 

Anche nel buio lei gli lanciò un’occhiataccia. “C’è qualcosa che non va stanotte.”

 

“…mmmh…”

 

Hermione gli diede uno scrollone. “Ma non ti addormentare mentre parlo!”

 

Ron alzò la testa dal cuscino, facendo fatica a tenere gli occhi aperti. “Hermione, è notte…che vuoi da me?”

 

“Devi restare sveglio con me, perché c’è qualcosa che non va.”

 

“Cosa?”

 

“Non lo so.”

 

“Mh.” Ron si rimise giù.

 

“Ho detto che mi devi fare compagnia, sei diventato sordo?!”

 

“Dormi, Hermione. Se dormi ti faccio tutta la compagnia di questo mondo.”

 

“Quanto ti odio quando fai così.”

 

Ron sospirò e con un braccio la attirò gentilmente giù sul materasso, facendole delle carezze lente e dolci sul collo, sapendo bene quanto la rilassasse. “…chiudi gli occhi e rilassati…è tutto a posto…”

 

Lei si rilassò veramente, non potendo resistere alla dolcezza delle sue carezze, ma pochi minuti dopo le carezze cessarono perché lui era crollato di nuovo. Hermione sospirò e si tastò il pancione per qualche minuto, poi…

 

“Ron?”

 

“…mmh…”

 

“Dannazione, svegliati!”

 

“…ma che cazzo c’è stavolta?”

 

Hermione si mise seduta nel letto e accese la lucetta sul comodino. “Non va bene.”

 

“Qua sono d’accordo con te.” Fece lui, senza alzare la testa dal cuscino.

 

“Tirami i capelli.”

 

Ron inarcò un sopracciglio e aprì un occhio solo.

 

“Non fare quella faccia! Tirami i capelli!”

 

“Posso almeno capire perché?”

 

“Perché se le cellule del mio corpo stanno avendo dei fastidi per la gravidanza, la prima cosa a risentirne saranno i capelli.”

 

Con una santa pazienza Ron allungò una mano e le tirò leggermente i capelli. “Soddisfatta, ora? Non sei né sdentata né calva. Possiamo dormire, per favore?”

 

“Guarda le mie gambe, ti sembrano gonfie?”

 

“…Hermione, ti imploro…domani mattina devo alzarmi presto…”

 

“Ti sembrano gonfie o no?”

 

“No! Ma te le gonfio io fra un minuto se non la smetti e non ti metti a dormire!”

 

“Isterico.” Hermione si rimise giù e spense la luce con un gesto brusco. Ron si morse la lingua per non replicare, e chiuse gli occhi di nuovo.

 

“Aaahhh!!!”

 

Ron balzò seduto. “Che c’è, che succede??”

 

Hermione era piegata in due e si teneva le mani sul pancione. “Oddio, che dolore!!”

 

Ron impallidì e cercò di capirci qualcosa, preso com’era da un sonno pesante e rilassante e catapultato in quel casino. “Quale dolore, cosa ti fa male?!”

 

“Qui!! Oddio, Ron, credo di avere le doglie!!”

 

“Adesso???”

 

“Razza di idiota, non ci sono orari per avere un figlio!!!!”

 

Ron si buttò giù dal letto e si infilò rapidamente un pantalone e una camicia (al rovescio). “Ok, ok…sta’ calma, ho tutto sotto controllo…”

 

“Si, col cazzo!!” Hermione fece una faccia sofferente e cercò di scendere dal letto, ma se non fosse stato per il marito che la sorresse in tempo sarebbe crollata per il dolore. “Oddio, che male…aahh!!”

 

“Calma, stai calma!! Ora andiamo subito in infermeria!”

 

“Ooh…oddio, sta uscendo!!”

 

“QUI??????”

 

 

***************

 

 

Ron parò solo il primo dei colpi di Harry, ma sorprendentemente non fu svelto abbastanza da schivare il secondo, che lo spedì dritto a terra.

 

Harry inarcò le sopracciglia e mise le mani sui fianchi. “A te la vita di famiglia fa proprio male, lo sai? Hai due occhiaie che ci si potrebbe pescare un tonno dentro.”

 

Ron gli lanciò un’occhiataccia. “Certo, perché non prendi per un po’ il mio posto?!”

 

Harry rise e gli diede una mano a tirarsi su. “Così quello di stanotte era solo un falso allarme, eh?”

 

Ron annuì. “Già. Una prova generale, come l’ha chiamato Aki. Hermione e la bambina stanno benissimo, grazie al cielo. In compenso abbiamo passato la notte completamente in bianco, io e quel povero figlio mio che ha dormito su una sedia in sala d’attesa per due ore. E giustamente dopo era di pessimo umore.”

 

“Quello che ci voleva per convincere Simon che la sorellina è una bella cosa.”

 

“Puoi ben dirlo…” Ron si passò una mano fra i capelli umidi di sudore per l’allenamento in palestra. “Harry, questa storia sta cominciando a preoccuparmi. Non è più solo questione di gelosia…ho l’impressione che Simon ce l’abbia con me.”

 

“Con te?”

 

“Si. Non è più come una volta…cerca Hermione in continuazione, addirittura siamo arrivati alla fase dei falsi malanni per attirare l’attenzione, ma se io cerco di fargli notare che è tutto a posto mi chiude fuori dal suo mondo e tanti saluti.”

 

Harry tirò su col naso. “Questo è semplice da spiegare, se Hermione non si sente bene sei sempre tu che le dici di riposarsi, e molte volte questo significa che non è tutto come prima.”

 

Ron sbuffò stancamente. “Ho capito, ma qui in un modo bisogna pur fare.”

 

Sirius entrò in quel momento con una serie di fogli in mano, e quando vide Harry e Ron nella palestra fece un sorrisetto e mise giù i fogli. “Ah, stiamo cercando di sfogare un po’ di stress arretrato, eh?”

 

Harry sorrise e scosse ironicamente la testa. “Già…ma a quanto pare non ci stiamo riuscendo più di tanto.”

 

“Come sta Hermione, Ron?”

 

“Oh, molto bene, grazie.” Fece una voce femminile alle loro spalle.

 

I tre uomini si voltarono: nella palestra era appena entrata Hermione, con tanto di Simon per mano e un sorriso enorme.

 

“E tu che ci fai qui?” le chiese Ron, ricevendo il piccolo bacio sulle labbra con piacere.

 

“Niente d’importante, sono venuta a farmi dare un’occhiata da Aki per sicurezza.” Hermione fece un sorriso amabile e guardò il figlio. “E poi Simon e io siamo andati a mangiarci un bel gelatone.”

 

Sirius sorrise al piccolo e si chinò alla sua altezza. “Ehi, giovanotto! Ho saputo che hai avuto una pagella fantastica, complimenti!”

 

“Tutto la mamma, eh?” disse allegramente Harry, scompigliandogli allegramente la testolina. Simon si limitò a scrollare le spalle.

 

Ron si voltò verso Hermione con uno sguardo preoccupato. “Perché non te ne vai subito a casa? Vuoi che vi accompagni io?”

 

Lei alzò gli occhi al cielo. “Ron, sono solo incinta, non sono diventata un’invalida.”

 

Harry ridacchiò e appoggiò una mano sul pancione della sua amica. “La signorina è tranquilla stamattina?”

 

Hermione sorrise stancamente. “Si è sfogata stanotte, lo credo bene che ora è crollata.”

 

Sirius le rivolse un sorriso paterno. “Sai che ti dico, su una cosa Ron ha proprio ragione. Sei veramente bellissima con quel pancione.”

 

“Il mio adorabile marito dice questo di me coi suoi colleghi?”

 

“Ah, tutto il tempo.”

 

Tutti risero un po’, ma Ron fu il primo a smettere quando notò che Simon non solo aveva un’aria imbufalita, ma si stava ciondolando da un piede all’altro tenendo la mano della madre possessivamente. “Tutto a posto, Simon?” gli chiese.

 

Il bambino gli lanciò un’occhiataccia, poi si voltò verso la mamma e la tirò per la mano. “Mammina…mi sento la febbre.”

 

Hermione si accigliò. “Come? Aspetta, vieni qui…”

 

Ron le appoggiò una mano sul braccio per fermarla e si chinò all’altezza del figlio, passandogli una mano sulla fronte. “Per fortuna non sei caldo…pensa, se avessi davvero la febbre poi dovresti prendere quello sciroppo disgustoso dell’altra volta, ti ricordi?”

 

Simon sbuffò e prese a tirare la mano di Hermione. “Dai mamma, andiamo a casa, andiamo a casa per piacere, andiamo a casa…dai…”

 

Hermione sospirò e si voltò verso gli altri. “Vabbè, allora ci vediamo.”

 

“Riguardati.” Le disse gentilmente Sirius, e Harry la salutò con un cenno della mano.

 

Appena furono usciti Ron sospirò profondamente e mise le mani sui fianchi. “Il problema di Simon si sta facendo serio.”

 

“Sta solo cercando di stare con Hermione tutto il tempo.” Fece Sirius nel tentativo di rassicurarlo. “Molto probabilmente crede che quando la sorellina sarà qui gliela ruberà.”

 

Ron scosse la testa. “No, non è questo che mi preoccupa. Il problema è che ce l’ha con me, anche se non ho ben capito il perché.”

 

Harry si grattò una tempia, con un sorrisetto piantato sulle labbra. “Beh, amico mio…tecnicamente buona parte della responsabilità della gravidanza di Hermione é opera tua.

 

“Si, ma grazie al cielo il quadretto ben chiaro lui ancora non ce l’ha.”

 

“Dagli tempo.” Sirius gli diede una pacca sulle spalle. “Si abituerà.”

 

Ron fece una piccola smorfia. Se Simon era davvero così identico a sua madre, dargli tempo non era la soluzione ideale.

 

“Ce l’ho io un’idea.” Fece Harry. “Sabato pomeriggio, luna park?”

 

 

***************

 

 

La porta di casa Weasley si aprì, e un momento dopo Simon entrò e marciò a tutta velocità verso le scalette per andare su in camera sua, con un muso lungo fino a terra. Hermione e Ron rientrarono un attimo dopo, lui la stava aiutando.

 

“Tesoro, mi dispiace tantissimo, davvero!” fece Hermione, cercando di farsi sentire dal figlio. “Perché tu e papà non siete rimasti ancora? Simon?” Nessuna risposta.

 

Ron l’aiutò a sedersi sul divano. “Lascia stare.” Le disse piano, anche se aveva un’aria decisamente accigliata. Si stavano divertendo al luna park insieme a Harry, Ginny e Julie, ma poi Hermione aveva cominciato a sentirsi stanca, dolorante, e lui aveva voluto portarla subito a casa nonostante le sue proteste. Aveva proposto a Simon di restare con gli zii, ma ovviamente il bambino si era imbronciato al volo. “Va meglio adesso?”

 

“Si.” Disse piano lei, sospirando. “Mi dispiace moltissimo. Stava andando tutto per il meglio…”

 

“Ehi.” Lui le sedette accanto. “Non è colpa tua. A Simon passerà, vedrai.”

 

Hermione rimase in silenzio per un po’, poi si appoggiò alla spalla del marito. “Scusami se ti ho fatto preoccupare inutilmente.” Sussurrò.

 

Ron, che le stava accarezzando pigramente i capelli, le diede un bacio sulla fronte. “L’importante è che tu e la bambina state bene. Il resto non conta.”

 

Passò un lungo momento prima che il silenzio fosse rotto. “Ron.”

 

“Dimmi.”

 

“Ho…ho bisogno che tu mi prometta una cosa.”

 

Ron la vide ritrarsi e mettersi seduta. Aveva un’espressione molto triste…quasi angosciata. “Cosa? …va tutto bene?”

 

Lei si morse un labbro. “Ascolta…devi promettermi che se io…” strinse forte gli occhi per un momento, quindi tirò un sospirone come per trovare il fiato per parlare. “…se qualcosa andasse storto, tu…”

 

“Tesoro…” lui cercò d’interromperla, ma lei gli posò una mano sul ginocchio per fermarlo.

 

“No. Ho bisogno di dirtelo questo.” Hermione abbassò lo sguardo. “Se…se mi succedesse qualcosa…devi promettermi che ti prenderai cura dei nostri figli dando il meglio che puoi. Che non ti lascerai andare, che non penserai a disperarti ma a stare vicino ai nostri bambini.”

 

Ron si sentì come se gli stessero strizzando lo stomaco in un pugno, e a malapena trovò il fiato per risponderle. “Lo sai che io non valgo niente senza di te.”

 

Lei fece un sorriso triste e gli strinse una mano nelle sue. “Invece sei un padre insostituibile, ed è per questo che qualsiasi cosa succeda io sono tranquilla, perché ci sarai tu qui con loro.”

 

Ron scosse la testa. “…non parlare così…ti prego…”

 

Hermione abbassò lo sguardo per non fargli vedere la lacrima che le era scivolata giù lungo la guancia. “…fa’ in modo che…che Jack e Simon non pensino mai che sia stata colpa della sorella… a te daranno ascolto, si fidano di te…e anch’io.”

 

Ron la prese per le spalle e la guardò dritto negli occhi. “Tu starai benissimo, mi hai capito?” la sua voce era così decisa e forte che per un attimo Hermione provò un tuffo al cuore. “Andrà tutto per il meglio, e ti resterai qui con me, con noi. Non ti lascerò andare tanto facilmente, scordatelo.”

 

Hermione trattenne a fatica un singhiozzo e cercò conforto nell’abbraccio di Ron, che la strinse forte fra le sue braccia robuste, stringendola a sé come se volesse metterla al riparo da qualsiasi sofferenza o paura, e lei nascose il viso nel suo petto come aveva fatto tante volte nella sua vita.

 

“…io non voglio morire…”

 

Ron serrò forte gli occhi e la strinse ancora di più. “Non morirai…non ora e non così, capito bene? ...non te ne puoi andare, non ci puoi lasciare…”

 

Il pianto silenzioso dei due coniugi fu abbastanza da distrarre perfino due esperti War Mage come loro…o si sarebbero accorti della presenza del piccolo Simon, che dalle scale aveva sentito tutto e aveva gli occhi gonfi di lacrime. Se le asciugò rabbiosamente e corse su in camera sua…aveva bisogno di aiuto, e sapeva anche chi doveva chiamare…e per un caso fortunato il gufo di suo fratello era sul davanzale della finestra con la risposta che tanto attendeva. Simon si prese il foglietto di carta che aveva legato alla zampa e lo lesse rapidamente.

 

Simon,

come sarebbe che devo tornare a casa?! Stai scherzando! Lo sai che non si può, e poi domani mattina c’è la gran finale, Grifondoro contro Serpeverde. Rassicurati, fratellino: sono sicuro che vinceremo noi, ci siamo allenati bene. E quel falco di Dan ci metterà un secondo a fregare il boccino d’oro al cercatore di Serpeverde, quello è una puzza. Piuttosto…come sta mamma? Tutto ok, si? Perché vuoi che torni a casa tutto all’improvviso, c’è qualcosa che non va? Tu stai bene? Bada che se è uno scherzetto tuo e di Julie come a Pasqua, sappi che non fa ridere, capito?

                                                                                                                      Jack

 

Simon prese un altro pezzo di carta e ci scarabocchiò sopra con la sua scrittura infantile.

 

Jack,

non sto scherzando! Mamma sta bene, però non troppissimo, quella cretina della sorellina sta rompendo un sacco. Devi tornare presto, subito dopo la partita! Ti devo dire una cosa importantissima su mamma e papà. Vieni presto, per favore!

 

 

***************

 

 

“Si può sapere che ti prende oggi?” Julie Potter sospirò esasperata e si passò una manina sulla fronte per scansarsi i lunghi capelli ramati dagli occhi. “Non vuoi giocare a nascondino, niente bacchette finte, niente guardie e ladri, niente di niente! Io così mi scoccio!”

 

Simon la ignorò e si attirò le ginocchia allo stomaco. Stavano tutti e due all’ombra del grande albero nel giardino della Tana, dove si stava svolgendo l’abituale festa primaverile della famiglia Weasley, festa a cui partecipava praticamente un intero clan di membri della numerosa famiglia, dimezzato solo dalle assenze dei più giovani che ancora andavano a Hogwarts. Loro due erano i più piccoli – fatta eccezione per i gemelli di Charlie e Tennessee, ancora in fasce – e se ne stavano lì nella speranza di godersi un po’ di fresco…ma Simon non ne voleva sapere di divertirsi un po’. Era troppo preoccupato per sua madre. Se quello che aveva sentito era vero…

 

“Ma mi stai ascoltando oppure no?!” Julie si accigliò. “Simon!”

 

“Che vuoi?” borbottò il cugino.

 

“Perché non vuoi giocare con me?”

 

“Non mi va.”

 

“Ooh, andiamo…ehi, vogliamo andare a mettere il pepe nella bibita di zio Percy? Zio Fred ha detto che è divertente!”

 

“Vacci tu.”

 

Julie sbuffò. “E dai!...ma almeno posso capire che c’è?”

 

Simon esitò. “Julie…se ti dico una cosa, prometti di non dirla a nessuno?”

 

“Giurin giurello.” La bambina si fece un segno di X sulle labbra col pollice.

 

Simon si guardò le mani. “…io credo che mia mamma può morire per colpa di quella schifezza di sorella che sta per arrivare.”

 

“Simon!” protestò la cugina. “Non si dice così!”

 

Il bambino la guardò arrabbiato. “Ah no?! Per colpa sua mamma sta sempre male, e se esce dalla pancia rischia pure di morire!”

 

“Ma chi te l’ha detto, è una scemenza!”

 

“Invece è verissimo, ho sentito io mamma e papà che lo dicevano ieri sera.”

 

Julie chiuse la bocca e si morse le labbra, ma poi si guardò alle spalle e spalancò gli occhi: suo padre stava venendo di corsa nella loro direzione. Quando fu abbastanza vicino fece loro un sorriso incoraggiante. “Simon, ho una bella sorpresa per te!” disse allegramente. “Indovina un po’? La sorellina sta per nascere!”

 

Simon schizzò in piedi e impallidì. “Come…adesso? Proprio in questo momento?”

 

Harry annuì. “Si, mamma e papà si sono avviati…”

 

“Zio Harry, mi devi portare subito da mamma!” piagnucolò Simon. “Ti prego, portami da lei! Ti prego, ti prego, andiamo subito, andiamo! Per favore!”

 

“Certo che ci andiamo, vieni.” Harry lo prese per mano e rimase sorpreso sentendo come subito il nipotino cominciò a tirarlo in avanti bruscamente.

 

“Papà, che bello!” esclamò allegramente Julie. “Sta nascendo la cuginetta!”

 

 

***************

 

 

Arrivarono all’infermeria in un lampo con la Polvere Volante; nella saletta d’attesa c’erano Bill, Percy e Penelope, George e sua moglie seduti sulle sedioline, tutti più o meno intenti a fare qualcosa per passare il tempo; quando videro arrivare Harry e i bambini George subito fece per complimentarsi con  Simon per l’arrivo imminente della sua sorellina, ma il piccolo corse a più non posso verso la porta che dava sulla sala parto e cominciò a urlare e a batterci i pugni contro.

 

“No!! Fermi, fermatevi!! Lasciate stare mia mamma, non le fate male!! Fermatevi!!”

 

Bill lo tirò indietro, cercando di impedirgli di scalciare così tanto. “Simon, Simon calmati…buono!”

 

“Mammina!! Lasciatela stare!!” urlò il bambino, che ora aveva al suo fianco anche una preoccupata Penelope e Harry.

 

“E’ tutto a posto, tesoro, stai tranquillo, mamma starà benissimo.” Cercò di dirgli sua zia.

 

“No, no, tu non capisci!!” Simon scosse freneticamente la testa e lottò per non scoppiare in lacrime. “Mamma non deve farlo!!”

 

In quel momento la porta si aprì e ne uscì Ron, col camice verde addosso, la mascherina abbassata, l’aria pallida e un leggero fiato corto. “Che sta succedendo?” chiese, allarmato nel vedere il figlio in quelle condizioni.

 

Simon si divincolò dalle mani che lo trattenevano e si voltò a guardare suo padre rabbiosamente. “E’ tutta colpa tua, tutta tua!!” urlò. “Mamma sta per morire, ed è tutta colpa tua!!”

 

“Che stai dicendo, Simon?!”

 

“Eri tu che volevi la sorellaccia a tutti i costi, pure se poi a mamma faceva male la schiena e la pancia, e noi non andavamo più da nessuna parte e non facevamo più niente insieme, e io non posso più dormire nel lettone perché non c’è più posto per me, ma tu eri tutto felice perché c’era la nuova bambina brutta e odiosa!! E adesso mamma sta male per colpa sua!!”

 

Ron fece un passo avanti, cercando di far ragionare il figlio. “No, mamma sta bene, non devi…”

 

“E’ inutile che dici le bugie!!” Simon stava piangendo mentre continuava a strillare. “Io lo so che lei sta male ed è tutta colpa della sorellaccia, e io la odio!! E odio pure te, sei cattivo, ti odio, ti detesto!!!” senza aspettare una replica, il piccolo girò sui tacchi e corse via lungo un corridoio, sparendo dietro un angolo. La moglie di George trattenne Julie prima che potesse corrergli dietro.

 

Ron fece per rincorrerlo, ma contemporaneamente sentì un lamento di dolore di Hermione oltre la porta. Sconsolato e angosciato, si passò una mano sulla faccia. “Dio santo…”

 

“Vai, vai dentro da lei.” Harry lo spinse verso la porta. “Ci penso io qui.”

 

Ron annuì a malapena e si buttò di nuovo dentro, ignorando Percy che gli ricordava di alzarsi la mascherina e coprirsi di nuovo il viso.

 

“Papà?” Julie si aggrappò alla mano del padre. “E’ vero che zia Hermione sta morendo?”

 

“No amore, stai tranquilla.” Harry le diede un bacio sulla fronte. “Mi raccomando, resta buona qui così puoi vedere subito la nuova cuginetta appena è nata, ok?”

 

Questo riportò il sorriso sul visino della bambina. “Va bene.”

 

Harry si rialzò e si assicurò che la figlia restasse con Penelope, che lo rassicurò, quindi si allontanò per andare dietro al nipotino in fuga.

 

 

***************

 

 

Harry trovò Simon seduto sulle scale dell’ingresso centrale del loro quartier generale; stava tirando su col naso piuttosto insistentemente e guardava dritto davanti a sé. Gli sedette accanto in silenzio e lo guardò con un sorriso. Simon finalmente si accorse di lui, ma fortunatamente non diede segno di voler scappare via di nuovo.

 

“Zio Harry?” mormorò con la vocina rotta dal pianto.

 

“Si?”

 

“Mi presti cento galeoni?”

 

Harry rimase un attimo colpito dalla richiesta piuttosto insolita e si accigliò. “A che ti servono?”

 

“Mi servono per scappare in Romania.”

 

“Aah.” Harry annuì, sforzandosi di mantenersi serio. “E perché vuoi andare in Romania?”

 

Simon si pulì il naso con la manica della camicia. “Perché se mamma muore io non voglio restare con papà e la sorellaccia.

 

“Mh. Simon, ci vogliono molti più soldi per andare in un paese così lontano.

 

E non me li puoi prestare?” Simon lo guardò con i suoi grandi occhioni castani lucidi per il pianto, e a Harry ricordò terribilmente Hermione quando era ancora una ragazzina.

 

“Io posso prestarti anche tutti i soldi di questo mondo, figliolo, ma c’è un problema. Sei piccolino per andartene in giro per l’Europa, dovunque andrai ti chiederanno la firma di mamma o papà per fare qualcosa, e allora come farai?” gli spiegò dolcemente, accarezzandogli la testolina.

 

Il piccolo alzò spallucce. “Non lo so…magari mi nascondo, così non mi trovano e posso fare quello che voglio di nascosto.

 

“Non è così semplice, Simon.”

 

“E allora scappo da un’altra parte, pure se non ci stanno i draghi.

 

“Non pensi che faresti soffrire mamma e papà?”

 

“Tanto loro nemmeno se ne accorgeranno, saranno troppo impegnati con la nuova mocciosa.”

 

“Io non credo proprio. Ogni figlio è importante per i genitori, non importa quanti altri fratelli ci sono. Harry gli passò un fazzoletto per fargli asciugare il naso. “Mamma e papà vogliono un bene dell’anima sia a te che a Jack che alla nuova bimba, così come io e zia Ginny vogliamo un sacco di bene sia a Dan che a Julie. E anche nonna e nonno, hai visto quanti figli hanno? E hanno sempre voluto lo stesso bene a tutti ugualmente.

 

Simon si accigliò e si guardò le scarpe. “Si, però…io papà lo odio.”

 

“No, non lo odi.”

 

“Si, invece. E’ tutta colpa sua.”

 

Harry si accigliò. “Colpa?”

 

Simon annuì con decisione. “Si, perché mamma sta sempre male da quando ci sta la mocciosa. E lui non la fa più stare con me, le dice sempre di riposarsi e non stancarsi con noi, e poi…”

 

“Poi?”

 

“…li ho sentiti parlare ieri sera…mamma ha detto a papà che può morire. Qui Simon alzò gli occhioni lucidi e guardò suo zio. “Io non voglio che mamma muore.”

 

Harry capì tutto in una volta il problema, e sospirando prese Simon per i fianchi e se lo mise in braccio. “Stammi a sentire, piccolo. Mamma non morirà, forse starà un po’ a letto per qualche giorno e tu dovrai fare l’ometto in gamba e cavartela da solo a casa, ma non succederà niente a mammina. Ha rischiato di morire molte volte e non l’è mai successo niente, non le succederà niente nemmeno questa volta. E papà vuole che lei stia bene, per questo le dice sempre di riposarsi, perché vuole essere sicuro che non sentirà nemmeno un po’ di dolore quando nascerà la tua sorellina.

 

Simon non sembrava convinto. “Papà non mi vuole più bene. Pensa solo alla mocciosa.”

 

“No, questo non è vero.” Harry gli pizzicò il naso fra le dita con un piccolo sorriso. “Te ne vuole un mondo di bene, sei tu che lo stai tenendo lontano. Lui conta molto sul tuo aiuto quando questa bambina sarà nata.”

 

Ma io non la voglio!” piagnucolò Simon. “Non voglio che questa arriva e cambia tutto, a me piace che noi continuiamo a fare quello che facevamo pure prima!”

 

“Farai quello che facevi prima e anche di più.” Harry lo incoraggiò con un sorriso. “Ti divertirai moltissimo a giocare con tua sorella, le insegnerai un sacco di cose, ti farà compagnia finchè non andrai anche tu a Hogwarts, e vedrai che dopo un po’ ti sembrerà perfino strano che prima eravate solo in quattro. Ehi, io lo so perché anche Dan non era molto sicuro di volerla una sorellina, lui preferiva un fratello, lo sai?”

 

Simon tirò su col naso. “Davvero?”

 

Harry annuì. “Si. Però poi si è divertito lo stesso con Julie anche se lei è una femminuccia. E adesso anche se ogni tanto litigano le vuole un mondo di bene.

 

Simon sospirò e si accoccolò nell’abbraccio di suo zio, che gli accarezzò la schiena. “…ma mamma e papà mi vorranno bene lo stesso?”

 

“Ti adoreranno ancora di più.”

 

“E papà mi insegnerà lo stesso a volare e a giocare a scacchi?”

 

Ma certo, perché non dovrebbe? Non l’ha insegnato a Jack anche se c’eri tu che sei più piccolo?”

 

E posso dormire di nuovo nel lettone qualche volta?”

 

“Su questo non devi proprio preoccuparti. Harry gli fece un occhiolino. “La piccola dormirà nella culla, mamma non avrà più il pancione e ci sarà di nuovo tutto lo spazio del mondo.

 

Simon arricciò il naso. “E se la bambina piange sempre?”

 

“Guarda, male che vada c’è sempre il tuo letto nella camera di Julie. Quando proprio non ce la fai più, vieni a dormire da noi e il giorno dopo torni a casa tua.

 

Simon esitò per un momento, poi si voltò verso Harry. “Allora…forse non è poi così male.”

 

Harry fece un gran sorriso. “No, non è proprio niente male. Ora sarai un fratello maggiore anche tu. E Jack e Dan non potranno più chiamarti pannolone.”

 

Simon s’illuminò. “E’ vero!”

 

Harry lo abbracciò ridendo sentendo le manine del piccolo stringersi forte al suo collo. “Allora, vogliamo andare a vedere a chi assomiglia la tua sorellina, mh?”

 

Simon annuì tranquillamente. “Ok. Ma speriamo che non è uguale a Jack, ne basta già uno.

 

 

***************

 

 

Harry rientrò nella sala d’aspetto con Simon per mano, e vedendo Ginny fuori capì immeidatamente che il parto doveva già essere finito…e tirò un sospiro di sollievo quando vide la moglie sorridere largamente. Era andato tutto bene. Stavano uscendo anche gli altri che prima erano fuori in attesa, e sembravano tutti molto felici. E finalmente notò che c’era anche Dan fra la piccola folla: suo figlio aveva ancora addosso la casacca della squadra di Grifondoro – sporca d’erba e di terreno – coi capelli più scompigliati del solito e in mano la scopa sua e quella di Jack.

 

Julie gli venne incontro saltellando. “Com’è bella, com’è bella! La nuova bambina è bellissima, e poi è morbida morbida!”

 

“Si?” Harry le fece un sorriso, poi arruffò i capelli al figlio che gli era appena venuto incontro. “E tu campione, da dove arrivi?”

 

Ci è venuto a prendere zio Charlie a scuola.” Dan sfoderò un sorriso fiero a 32 denti. “Abbiamo vinto la coppa, lo sai? Abbiamo proprio vinto!”

 

“Congratulazioni, figliolo!” Harry gli diede una pacca sulle spalle.

 

“Simon, mamma ha chiesto di te!” gli disse Ginny.

 

Andiamo dentro, dai.” Harry aprì la porta della stanza…

 

…Hermione era sdraiata nel letto, era molto pallida e sembrava piuttosto debole, ma aveva un bel sorriso felice sulle labbra e questo li rassicurò. Ron era in piedi vicino a lei, le stava tenendo la mano e con l’altra osservava sorridente il fagottino che aveva fra le braccia Jack. Jack era messo più o meno come suo cugino: spettinatissimo, sporco e con un graffio sulla guancia, ma i suoi guantoni stavano abbandonati su una sedia dietro e si era lavato le mani per tenere la sorella in braccio. Sembrava molto soddisfatto.

 

Ron alzò lo sguardo e li vide, e subito gli andò incontro. Harry gli fece un occhiolino e lasciò la mano di Simon, che fece un passo indietro. “Ehi.” Gli disse dolcemente il padre.

 

Simon si ciondolò sui piedi. “…io…ehm…”

 

Ron gli tese le braccia aperte. “Vogliamo fare la pace e non ci pensiamo più?”

 

Harry fu più che felice di vedere Simon saltare in collo a suo padre, e Ron lo strinse forte fra le braccia, ringraziando il suo migliore amico con un sorriso.

 

“Jack si voltò con la bimba in braccio. “Ehi pannolone, vieni a vedere! E’ liscia e morbida come una gelatina, fa ridere!” Harry rise e andò a vedere la piccola, soffermandosi un momento a baciare Hermione sulla fronte prima di dirle quanto era bella la sua bambina.

 

Ron prese in braccio Simon e lo portò da Hermione, che quando lo vide gli sorrise e aprì dolcemente le braccia per abbracciarlo a sua volta. Simon si buttò nel collo di sua madre e l’abbracciò forte forte. “Mammina, stai bene, vero?”

 

Lei gli baciò la fronte. “Si…tu?”

 

Il bambino annuì con convinzione. “Adesso si.”

 

Ron prese la neonata dalle braccia di Jack e si avvicinò. “Vuoi tenere tua sorella?”

 

“…non è che si rompe?”

 

Ron ridacchiò e gliela passò facendo bene attenzione, sistemandogli le braccia alla meglio e tenendo una mano sotto la testolina della piccola per essere sicuro che non gliela piegasse. Simon osservò la sorella: era veramente molto piccola, con un piccolo ciuffetto di capelli biondi e gli occhioni grandi e blu che si aprivano e si chiudevano lentamente, i pugnetti chiusi e la boccuccia rosa e sottile su un paio di guanciotte paffute e colorite. In fondo era davvero carina…era così piccola, non poteva causare tutti quei problemi, no? Così piccina…

 

“Katie, questo è tuo fratello Simon.” Disse allegramente Ron. “Simon, lei è Katie.”

 

Simon abbozzò un sorriso e le infilò un dito nella manina stretta forte, che si aprì leggermente per poi richiudersi forte attorno al ditino. Aveva ragione suo fratello, era davvero morbida.

 

“Beh, allora?” fece Jack, avvicinandosi. “Che ne dici?” tutti quanti nella stanza sembravano pendere dalla risposta.

 

Simon fece un sorrisetto. “Non è poi così male.”

 

 

** THE END **

 

 

 

Prima di concludere vorrei ringraziare uno per uno tutti i recensitori e le recensitrici che sono stati così adorabili da recensire queste one-shot, grazie infinite a tutti per i commenti adorabili!!

Bene, e adesso…con le one-shot abbiamo un periodo di pausa, ne ho promesse ancora un paio a quelli che me le hanno chieste, ma i loro compleanni sono ancora lontanucci…io direi che nel frattempo potremmo anche cominciare con BAWM Capitolo Zero…voi che dite?  =)

 

Baci baci,

Sunny

 

P.S.: recensite, eh?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Mi sudano le mani! ***


Buon compleanno Kiarusssssssaaaa

Buon compleanno Kiarusssssssaaaa!!!!!!!! Maggiorenne!!! *volano cartoncini colorati da tutte le parti* Ti chiedo umilmente perdono per il ritardo…non sono riuscita a trovare un pc con la connessione da nessuna parte ieri! -_- Sono convinta che ti hanno fatto una festa di quelle che si ricordano a vita! Beh, io non posso festeggiare lì con te…ma almeno posso farti il regalo, anche se un po’ in ritardo! Come volevi tu, una cosa dedicata a quanto di più importante c’è al mondo: l’amicizia! Un sacco pieno di auguri, Kia! ^3^

P.S.: ehi, voi altri! Non vorrei illudermi…ma pare che per la fine di questa settimana ci faranno il grande onore di restituirci la linea…pare! -_-

 

 

 

MI SUDANO LE MANI!

 

 

Harry sussultò sentendo bussare alla porta; in un primo momento pensò di esserselo immaginato, o per meglio dire, sognato…ma un rumore piuttosto consistente lo costrinse ad aprire gli occhi. Era ancora magnificamente notte, perché non solo era buio ma la sveglia sul suo comodino segnava le tre e mezza...perchè dovevano bussare alla porta proprio adesso che dormiva così bene?! Harry sbuffò quando sentì bussare per la terza volta. Evidentemente il suo ospite notturno non si sarebbe arreso tanto facilmente. Malvolentieri si alzò piano per evitare di svegliare Ginny, che invece continuò a dormire profondamente senza accorgersi dei movimenti del marito. Fortunatamente anche Danny nella sua culla aveva il sonno pesante come sua madre, e confortato dal fatto che almeno loro due stavano dormendo beatamente Harry andò ad aprire la porta, trascinandosi sui piedi e sbadigliando senza ritegno. Non si prese nemmeno il disturbo di afferrare la bacchetta strada facendo, tanto sapeva già chi poteva essere… l’unico pazzo che la notte prima del suo matrimonio brancolava per le strade della città…

 

…Ron Weasley.

 

Harry aprì la porta e si appoggiò con un gomito al muro, osservando con curiosità (e pietà) il suo migliore amico, che a differenza sua aveva ancora i vestiti della sera precedente. “Se sei qui per un’altra dannatissima prova generale, guarda che non se ne parla.” Mormorò in una voce assonnatissima.

 

Ron si stava ciondolando sui piedi. “Mi sudano le mani. Disse piano.

 

Harry sbadigliò largamente. “Hai provato con un po’ di talco?”

 

Ron gli lanciò un’occhiataccia. “Non sono in vena di scherzi.”

 

Harry inarcò le sopracciglia. “Perché ti sudano le mani?”

 

E che ne so, non mi era mai capitato prima!”

 

“Ti sudano le mani e vieni a casa mia alle tre di notte. Harry ridacchiò e scosse la testa. “Spero vivamente che non ti stiano sudando anche i piedi.

 

Harry…”

 

“Ok, ok…ho capito.” Harry gli fece cenno di aspettare e sparì per qualche secondo…tornando col giaccone addosso e un paio di bottigliette di burrobirra in mano. “Avanti.” Gli disse allegramente, chiudendosi la porta alle spalle. “Vediamo un po’ se riusciamo a risolvere questo tuo problema.

 

I due giovani uomini si avviarono nel silenzio della nottata primaverile lungo la strada per casa Potter, camminando piano e stappando le bottigliette per berne un goccio a testa. Era una notte piuttosto tranquilla…fresca ma non fredda, e c’era una bella luna.

 

“Allora? Che è successo alle tue mani?”

 

Ron si scollò dalla bottiglietta. “Ho una distinta voglia di barricarmi in un cesso fino a domani.

 

Harry rise. “E che avrai mangiato mai.”

 

“Ah, me lo sono chiesto anch’io.” Ron fece una smorfia. “Di sicuro qualcosa di molto efficace, perché sta facendo effetto e anche bene.

 

Harry rise. “Questa si chiama paura, Ron.

 

“…non è una parola un po’ troppo grossa per un po’ di cacarella?”

 

“Non è cacarella, è paura allo stato brado. E non ti farebbe male ammetterlo, Iceman.

 

Ron fece un piccolo sorrisetto e si grattò la nuca. “Ok, ok…magari è un po’ di…fifa.

 

Fifa.” Harry soffocò la sua risata in un sorso di burrobirra. “Fidati di chi ci è passato, questo è un attacco di panico in piena regola.”

 

Ron lo guardò. “L’hai avuto anche tu?”

 

Harry annuì. “Altrochè. In realtà mi stavo chiedendo come mai non ti sei rifugiato da noi già a cena. Speravo che non ti riducessi a farmi fare le ore piccole.

 

Ron scrollò le spalle. “Sono stato un po’ in giro…non riesco a stare a casa senza di lei.”

 

“Lo sposo non può vedere la sposa il giorno prima delle nozze.”

 

“Si, si…ma tu lo sai che mi sentirei molto meglio se Hermione fosse stata a casa e avessimo…”

 

“Non passare ai dettagli, ho capito.” Harry fece un sorrisetto. “Vedila in questo senso, domani a quest’ora tu e lei sarete in luna di miele…con le bibite con l’ombrellino e tutto il resto.”

 

Ron buttò giù un sorso di birra. “Già.”

 

“Sai, Ron, faremmo molto prima se tu parlassi apertamente di quello che stai pensando…così magari domani mattina non ci presentiamo al tuo matrimonio come due morti di sonno.

 

Ron si sedette su un muretto lungo la strada, e altrettanto fece il suo amico. “Veramente non lo so qual è il problema…te l’ho detto, non sono abituato ad avere le mani sudate.

 

“Nooo, infatti.” Harry bevve un sorso di burrobirra per nascondere un sorrisetto. “La tua prima partita di quidditch a scuola ti ricorda niente?”

 

Ron fece una smorfia. “Non avevo le mani sudate in quell’occasione!”

 

“No, in compenso avevi un colorito grigiastro che era molto gradevole da vedere.

 

Ron fece un piccolo sorriso e si grattò la nuca. “Ok, magari anche in quell’occasione avevo le mani un po’ umide.

 

“Non c’è niente di male ad ammettere le proprie emozioni.

 

Ron tirò su col naso e fissò la burrobirra rimasta nella sua bottiglia con un’aria accigliata. “E se mando tutto al diavolo?”

 

Harry inarcò un sopracciglio. “In che senso?”

 

Ron sospirò e si appoggiò di spalle contro il muro. “Harry, io non sono un bravo ragazzo. Ho commesso tantissimi errori nella mia vita…solo che finora le conseguenze sono ricadute solo sulla mia persona…ma adesso sarà diverso. Siamo in due. Anzi, per essere precisi in tre.”

 

E che intendi fare in proposito?”

 

“Non lo so.” Ron si grattò la tempia. “Non lo so, perché…da un lato ho una voglia pazza di correre all’altare domani e sposare Hermione e iniziare con lei la mia nuova vita…dall’altro mi chiedo se sto facendo bene, se è giusto legare una donna come lei a una testa di cazzo come me.”

 

Harry tamburellò con le dita sulla sua bottiglia. “Non credo che Hermione non si sia già accorta in passato di che mente geniale sta per sposare.

 

Infatti il problema non è lei, sono io. Sono io perché…perché non lo so se sono tagliato per il matrimonio. Non so se sono capace di starle vicino senza farle del male.

 

Harry sospirò. “Se mi avessi fatto questa domanda cinque anni fa ti avrei detto che facevi molto meglio a tenerti lontano da lei. Oggi ti dico che se le vuoi veramente bene non ti devi preoccupare di niente.

 

“Lo sai meglio di me che a volte l’amore non è sufficiente.

 

Harry appoggiò la testa contro il muro alle sue spalle. “Il matrimonio ha alti e bassi, come tutte le cose…capiterà una fase no in cui vi farete del male anche senza volerlo, come capiterà un momento di gioia immensa…è inevitabile. Se anche tu fossi un ragazzo d’oro non potresti essere perfetto, nessuno di noi può. E per quanto strano possa sembrare, neanche Hermione è perfetta. Sbaglierà lei, sbaglierai tu, rimetterete le cose a posto e andrete avanti, altri errori, altre gioie… funziona così.

 

“E’ solo che…” Ron fece un piccolo sorriso. “Ti ricordi quando eravamo a Hogwarts? Quando lei era almeno due spalle sopra di noi in tutto? Certe volte…certe volte mi sento…inadeguato vicino a lei. Non so se è una cosa che si può capire…”

 

Harry rise. “Altrochè se si può capire. La conosci tua sorella? Lo sai, a volte ancora mi capita di tornare a casa e trovarla con Danny…penso a quello che deve aver passato negli ultimi mesi senza di me, mentre io ero a fare il pazzo con quella specie di puttana folle…e mi rendo conto che lei ha molta più forza di me, perché se fosse stata lei a sparire per tanti mesi, io come minimo sarei impazzito.

 

Ron si sentì in parte più sollevato, e buttò giù un sorso di birra. “E poi la guardi e ti rendi conto che anche volendo non potresti fare a meno di lei.

 

Harry annuì con un sorriso. “Precisamente. Ti frega la concentrazione, non riesci a connettere. Sai solo che la vuoi sempre vicina a te, in ogni singolo istante della giornata per tutti i giorni della tua vita.

 

Ron sorrise. “Già.”

 

Harry gli strizzò l’occhiolino. “E allora te la sposi, perché non puoi farne a meno.

 

E cadi nella trappola.” Qui risero tutti e due forte.

 

Harry scosse la testa, mentre ancora stava ridendo. “Ma guarda tu che fine abbiamo fatto io e te… tenuti a bada da due ragazzine.”

 

Ron ridacchiò. “E’ questione di stile…sia Hermione che Ginny sapevano farsi rispettare molto meglio di noi fin da piccole. Di’, te la ricordi Hermione al nostro primo anno?”

 

Harry rise. “Meno male che si è ammansita…ti giuro che alle volte mi mandava in crisi.

 

Anche Ron rise. “Io pensavo che fosse una spia mandata dalla McGranitt per sorvegliare noi studenti. Questo fece ridere tutti e due. “No, davvero…avevo considerato questa possibilità.

 

Harry fece un sorriso malinconico. “Quanto tempo è passato da allora…eravamo praticamente dei bambini quando ci siamo conosciuti.”

 

Ron increspò le labbra in un sorrisetto. “Io mi ricordo ancora il nostro primo incontro sul treno… tu mi facesti vedere la tua cicatrice come se fosse stata la cosa più comune del mondo.

 

E tu facesti una faccia da babbeo.” Harry ridacchiò. “Chi l’avrebbe mai detto che saremmo arrivati fin qui.

 

Ron annuì. “Ti chiedi mai cosa sarebbe successo se non ci fossimo mai incontrati?”

 

“Non lo so…ma preferisco sapere che è andata così.

 

“Già.”

 

“Alla salute.” Harry sollevò leggermente la bottiglietta e bevve altra birra.

 

Ron tirò su col naso e guardò dritto davanti a sé. “Harry.”

 

“Eh.”

 

“Secondo te riusciremo a rispettarci l’un l’altra senza litigare dalla mattina alla sera?”

 

Harry fece un sorrisetto. “Lo sai perchè Hermione ha rifiutato l’invito di Ginny di passare la notte a casa nostra ed è andata a stare da Bill e Aki?”

 

Perché?”

 

“Perché sapeva che stanotte tu avresti avuto bisogno del tuo migliore amico molto più di lei.” Harry si voltò a guardarlo. “In pratica ti ha ceduto il posto.

 

Ron esitò, poi sorrise guardando la strada davanti a loro. “Lei è sempre così…si preoccupa per gli altri più che per se stessa. E’ per questo che mi chiedo se sono all’altezza.

 

“Vi siete scelti a vicenda, Ron.” Gli rispose piano Harry. “Tu vuoi lei come lei vuole te, tutto il resto verrà di conseguenza.

 

“Io voglio essere un bravo ragazzo, per lei. Ron lo guardò con un’ espressione divertita. “Tu come ci riesci?”

 

“Io non sono un bravo ragazzo.”

 

Si che lo sei.”

 

“In quale mondo?”

 

“Oh, andiamo.” Ron allungò le gambe per far distendere i muscoli. “Sei un buon marito e un bravo padre, che altro vuoi?”

 

Harry fece una smorfia ironica. “Un marito modello, ho appena passato gli ultimi sei mesi alle dipendenze di una pazza assassina che aveva qualcosa da chiarire col mio migliore amico. Un bravo ragazzo davvero, si.

 

“Beh, effettivamente mettendola in questi termini…”

 

“Però ti ho quasi ammazzato, e per questo meriterei una medaglia.

 

“Non è così facile.” Ron fece un sorrisetto orgoglioso e sorseggiò l’ultimo goccio di burrobirra che gli era rimasto.

 

“Me ne sono accorto.” Harry sorrise fra sé e sé.

 

“Senti…” Ron stava gesticolando distrattamente. “…in fatto di tempo libero…”

 

Harry inarcò un sopracciglio. “Che?”

 

“No, dico…tu e Ginny come fate con Danny? Cioè, il tempo lo trovate per…”

 

Harry fece un sorrisetto. “Il tempo lo trovi, lo trovi…beh, magari all’inizio col bambino e tutto il resto…”

 

“Eh, è appunto per questo che te lo sto chiedendo. Sai com’è, con la gravidanza e tutto il resto è già un po’ che non…”

 

Harry rise nel sentire la preoccupazione nella voce di Ron. “Non è così difficile come sembra… poi ci fai l’abitudine.

 

Ron fece una smorfia. “Guarda, non per entrare nei particolari, però…tu e Ginny siete i tipini discreti, con la testa a posto…noi siamo un po’ più…”

 

Harry rise. “Un po’? Siete due conigli, questa è la verità. E con la fecondità di cui siete dotati voi Weasley ritieniti fortunato se avrete solo una dozzina di figli.”

 

“Ehi!” Ron fece una faccia buffissima. “Questo detto dall’uomo dalla mano morta che ha conquistato la mia sorellina quando non era neanche maggiorenne! E non mi ricordare che fai ancora il porco con lei perché mi mandi in crisi mistica.

 

“Errore, io non faccio il porco con tua sorella. Sto insieme a mia moglie, il che è diverso. Harry fece un sorriso sfacciato. “Vedi, un altro dei vantaggi del matrimonio.

 

“Questo è un motivo che da solo basterebbe a garantire i privilegi di un uomo sposato. Ron ridacchiò e si stropicciò gli occhi.

 

Harry annuì con un’espressione falsamente seria. “Così parla un vero marito.

 

Ron si grattò una tempia. “Marito…suona strano dire che sono un marito, eh?”

 

Harry ridacchiò nella sua bottiglietta. “Ti confesso che c’è stato un tempo in cui credevo che non ti saresti mai accasato seriamente.

 

“Già.” Ron rimase in silenzio per qualche istante. “E se…”

 

Se?”

 

Se…se non fossi un bravo padre?”

 

“Qui ho paura di non poterti dire un granchè. Non mi sento l’esempio ideale di genitore al momento.

 

Ron non disse niente per un momento. Ricordava ancora la sera in cui Harry era tornato a casa dopo quei terribili sei mesi di assenza, e il piccolo Danny non aveva voluto saperne di andare in braccio a lui. Harry aveva dovuto lavorare per giorni per riconquistarsi la totale fiducia del suo bambino, che finalmente ora lo accoglieva con festosi gridolini e allegri sorrisi sdentati. Ma Ron più degli altri sapeva bene come Harry aveva sofferto per aver perso i primi sei mesi di vita del figlio.

 

“Credo che dovrai affidarti al tuo istinto. Harry scrollò le spalle. “Magari potresti ricordarti tutto quello che tuo padre ha fatto per te e i tuoi fratelli, tu che sei fortunato abbastanza da avere dei ricordi.

 

Ron tirò su col naso e si massaggiò la nuca. “Non credo che i miei ricordi di papà possano aiutare… siamo due persone completamente diverse. Lui è posato e riflessivo, io sono quello che sono…non vorrei rovinare anche questo bambino.”

 

Harry rise. “Eh no, il mondo non può reggere due Ron Weasley.

 

“Appunto.”

 

“Ron, io scherzavo.”

 

“Io no.”

 

Harry lo guardò. “Non te la toglierà nessuno l’ansia di saper fare il padre…ti ci devi solo abituare.”

 

Ron fece una smorfia. “Secondo te sono in condizione di prendermi cura di un bambino? Di gestire la situazione senza combinare i miei soliti casini?”

 

“E’ un po’ che non ti vedo combinare guai. Harry gli fece un sorriso incoraggiante. “Anche se ti piace mantenere la tua prestigiosa reputazione da duro, amico mio, la verità è che Hermione ha la testa più dura della tua ed è riuscita a cambiarti…per fortuna tua e di tutti quelli che ti vogliono bene.”

 

Ron fece un sorrisetto. “La mia donna.” Disse con orgoglio.

 

Harry rise e guardò la stradina alberata davanti a sé. “L’unico consiglio che posso darti è di non farti intimidire dai primi momenti…sai, quando tutto quello che tuo figlio farà sarà pappa, cacca e pipì…all’inizio è un po’ un dramma, poi ci farai l’abitudine.

 

Ron annuì. “Ok, posso farlo.”

 

“No, un attimo.” Sembrava quasi che Harry stesse lottando per non scoppiare a ridere. “Non farti venire strane idee in testa…se pensi che una sberla lo farà smettere di piangere ti sbagli…e ti ricordo che la pozione sonnifera non si dà ai neonati, chiaro?”

 

Ron rise e scosse la testa. “Ho la faccia di uno che risolverebbe così la questione?”

 

“Si.”

 

“Bene!” tutti e due risero forte, bevendo tutto quello che era rimasto nelle bottiglie.

 

Harry diede un’occhiata all’orologio. “Mi sa che dovremmo andare a dormire adesso…non credo che farai una bella figura se domani ti addormenti all’altare e sbavi sul vestito della tua futura sposa.

 

“Mh.” Ron si alzò con fare meccanico.

 

Harry riconobbe quei movimenti tesi e fece un piccolo sorriso. “Rilassati. Non andare in panico, non serve.”

 

E chi ci va in panico.” Ron riconobbe da solo che il suo tono non era molto sicuro.

 

“Ron.” Harry gli diede una pacca sulle spalle. “Andrà tutto benissimo. Magari ti verrà voglia di correre al bagno fino a trenta secondi prima di entrare in chiesa, ma ti prometto che appena vedrai arrivare Hermione passerà tutto. Ti sentirai da Dio. Credimi.”

 

Ron annuì e si infilò le mani in tasca. “Ok. Ce la posso fare. Non c’è niente di cui aver paura.

 

“Appunto.” Harry gli fece un gran sorriso. Ron poteva anche essere un colosso, ma quando si trattava di emozioni riusciva a perdersi in un bicchiere d’acqua. “Dormi stanotte…pensa a cosa farai domani a questa stessa ora. Il sorrisetto eloquente di Ron lo fece ridere. “Ecco, questo è lo spirito giusto.

 

Ron si ciondolò sui piedi e fece un piccolo sorriso. “Ehi…questa roba delle…mani sudate…resta fra noi due, no?”

 

Harry inarcò ironicamente un sopracciglio. “Ora che mi ci fai pensare potrei anche creare un pensatoio della nostra conversazione e venderlo alla Gazzetta del Profeta, ma come ho fatto a non pensarci prima?”

 

Ron sorrise. “Dai, vattene a letto. Chi la sente mia sorella se si sveglia e non ti trova.

 

E vedi di dormire, capito?” Harry fece per andarsene.

 

“Ehi Harry.”

 

“Mh?”

 

Ron si stava massaggiando la nuca come in un gesto imbarazzato. “Ecco, io…si, insomma…cioè, io volevo dirti…uhm…”

 

Harry rise. “Prego, amico mio.”

 

 

***************

 

 

“Queste maledette mani mi stanno sudando a fiumi!”

 

Harry appoggiò una mano sulla spalla di Ron, mantenendo un’espressione allegra e disinvolta mentre parlava. Sarebbe stato alquanto imbarazzante se il testimone dello sposo si fosse fatto trascinare dallo sposo in una crisi isterica proprio all’altare, davanti a mezzo mondo della magia e a cinque minuti dall’arrivo della sposa.

 

“Rilassati…respira e rilassati.”

 

“La fai facile tu.” Borbottò Ron, cercando di passarsi le mani umide sui pantaloni del suo elegante vestito blu notte. “Con queste maledette mani che sembrano due laghi…porca miseria maledetta, mi scivolerà l’anello e farò una figura da cazzone…”

 

Harry lo tirò per un gomito, facendogli smettere quell’irritante movimento delle mani. “Piantala di far vedere a tutti che sei terrorizzato, datti un contegno.”

 

Ron gli lanciò un’occhiataccia di sbieco. “Io non sono terrorizzato!”

 

“Noo, te la stai solo facendo sotto al pensiero che devi assumerti una responsabilità come questa.” Una zia di Ron, seduta vicina a sua madre, sventolò la mano per attirare la loro attenzione e afferrò la macchina fotografica. “…sorridi…” mormorò Harry fra i denti, e lui e Ron fecero un sorriso estremamente forzato giusto il tempo di essere fotografati.

 

Ron si voltò verso di lui e finalmente smise di ridere. “Ma come si può, io rischio la pelle tutti i santi giorni e non mi capita mai niente, e proprio adesso devo avere queste mani così schifosamente appiccicose?”

 

Harry ridacchiò e gli sistemò meglio la cravatta. “Più ci pensi peggio è. Fidati, parlo per esperienza.”

 

Ron inarcò le sopracciglia. “Ma tu non avevi le mani sudate quando ti sei sposato.

 

“In compenso avevo un mal di pancia formato famiglia, per poco non mi sono sposato in bagno.

 

La cosa rassicurò vagamente Ron…allora non era poi tanto anormale sentirsi così tesi. Non era una debolezza sua. “Beh…suppongo che ti sia passato, perché non mi pare di averti visto correre al bagno durante la cerimonia.

 

Harry scosse la testa e si mise le mani in tasca. “Te l’ho detto, ho visto Ginny ed è passato tutto al volo. Ehi, Fred e George ti stanno dicendo qualcosa…”

 

Ron si voltò: i gemelli gli stavano facendo dei cenni strani da lontano, indicando la porta e facendogli cenno di correre…il loro messaggio era chiaro: scappa finchè sei in tempo. Un secondo dopo Angelina diede una sberla sulla nuca di Fred, tirandolo giù a sedere sulla panca. Harry e Ron ridacchiarono.

 

“Sai quanto sudavano le mani a quei due quando si sono sposati?” Harry fece un sorrisetto al solo pensiero.

 

Ron non disse niente, abbassò lo sguardo e si sporse in avanti per parlare con Harry senza farsi sentire. “Senti…non fare scherzi tu, capito? Cioè…non sparire più per fare il pazzo assassino e roba del genere, ok? Un po’ di gente ha bisogno di te qui.”

 

Harry evitò accuratamente di ridere, si limitò a un caloroso sorriso. Nel linguaggio burbero di Ron, che difficilmente sbottonava i propri sentimenti, quello era il modo per dirgli quanto era importante per lui la loro amicizia, e quanto avesse bisogno della sua presenza…ed era una bella sensazione poter contare su qualcuno come lui…più che un migliore amico, era un fratello. “E io ho bisogno di questa gente.” Gli rispose allegramente, dandogli una pacchetta sulle spalle.

 

Nel mormorio soffuso degli invitati in chiesa comparve Ginny, elegantemente fasciata dal suo bel vestito lungo color lavanda, che percorse la navata lungo il tappeto blu e raggiunse il fratello con un’aria raggiante.

 

“Sono proprio fiera di te, sei veramente bellissimo!” gli disse felice, abbracciandolo. “Guarda mamma, si sta squagliando a furia di piangere.

 

Ron rivolse un sorriso a sua madre, che da lontano agitò leggermente il fazzoletto con cui si stava asciugando le lacrime di commozione, e poi guardò Ginny. “Come sta Hermione?” le chiese a bassa voce.

 

Ginny sorrise. “E’ più bella che mai…e muore dalla voglia di sposarti.

 

Ron fece un sorriso malfermo. “E’ già qualcosa.

 

“Dai, tieniti pronto che è ora.” Ginny gli diede un pizzicotto sulla guancia e mandò un bacio a Harry, quindi si avviò verso l’altra parte dell’altare.

 

Ron si voltò verso Harry con una faccia spaventata. “Perché deve dire così, se dice così sembra che sta per esplodere una bomba o chissà che cosa…” le note della marcia nuziale lo interruppero, e Ron spalancò gli occhi, chiaramente colto di sorpresa.

 

Harry fece una risatina e lo spinse, facendolo voltare verso il lato giusto. “Respira e rilassati, io sono qua dietro.” Gli mormorò all’orecchio, poi fece un passo indietro. Voleva che Ron si sentisse tranquillo, che non si fosse sentito solo…ma sapeva che in pochi secondi tutta quell’angoscia sarebbe passata. Come migliore amico non poteva che sentirsi felice di stargli vicino.

                                                                           

Ron si strofinò leggermente le mani umide, e il suo stomaco si contrasse notevolmente quando vide tutti gli invitati che si alzavano per vedere la sposa che stava entrando, accompagnata dal padre dello sposo. E finalmente riuscì a vederla anche lui… Dio, non aveva mai visto niente di più bello in vita sua. Hermione sembrava una dea nel suo bel vestito lungo bianco, con lo strascico portato con molto orgoglio da Jimmy e Emily, i bambini di Bill e Aki, e le morbide ciocche castane che le incorniciavano il viso scivolando dalla perfetta acconciatura che le teneva su il velo. Anche lei sembrava emozionatissima, perché aveva gli occhi lucidi, ma era raggiante e si teneva una mano sul vistoso pancione come se volesse far partecipare alla sua immensa gioia anche il bambino che portava in grembo. Un sorriso enorme e sereno comparve sul viso di Ron, e quando i loro sguardi si incrociarono si sentì come se gli avessero appena restituito l’ossigeno che per ventiquattro ore gli era stato tolto. Adesso sapeva che lei era lì, ed era lì per lui…per fare questo grande passo insieme, e insieme erano sempre stati una forza loro due…quindi non c’era proprio niente per cui agitarsi. C’era solo da essere felici e ringraziare la sorte per avergli dato quella donna fantastica tutta per lui.

 

E fu con una gran sorpresa che sentì i palmi delle mani di nuovo perfettamente asciutti. Ron si voltò un attimo a guardare Harry, che gli strizzò un occhiolino eloquente. Ron gli fece un sorrisetto prima di voltarsi di nuovo e andare incontro a Hermione, che suo padre ormai aveva accompagnato fino all’altare.

 

 

A distanza di anni Ron ancora rideva nel ricordarsi che la sua mente per qualche istante era stata altrove all’inizio della cerimonia…impegnata a ringraziare qualunque forza facesse muovere l’universo, che quel giorno a King’s Cross gli aveva fatto incontrare le due persone più splendide e uniche di tutta la Terra.

 

                                                          

 

*** The End ***

 

 

 

^_- Recensite anche se non posso ancora leggere tutti i commentucci che lascerete (…dannato telefono -_-)

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Capitolo 8
*** Mission Very Possible ***


Buon Compleanno, Kim e Giuggy

Buon Compleanno Kim e Giuggy!!!! Adorate bimbe belle che hanno compiuto gli anni questo mese…perdonatemi per non essere stata puntuale, ma sapete già che gran casini ho avuto…ma come non fare gli augurissimi proprio a voi due, amorucci miei!!! Vi voglio un casiiiiiiiino di bene! Auguri di tutto cuore, e un bacio grande grandissimo! =D

 

P.S.: ambientazione della storia…qualche mese dopo BAWM 1!

 

 

 

MISSION VERY POSSIBLE

 

 

“Charlie, tu sei veramente un mago.”

 

Harry guardò con un sorriso grande quanto una casa i due biglietti che Charlie gli aveva procurato per lo spettacolo di danza magica che Ginny sognava da mesi di andare a vedere. Lui aveva provato a farle una sorpresa, ma non era arrivato in tempo al botteghino…al contrario di Charlie, che sembrava avere una certa…influenza…sulla ragazza della biglietteria.

 

“Più che altro è bravo a maneggiare le sue…doti.” Fece Ron con una strizzatina d’occhio, appoggiandosi al muro della palestra con aria allegra e furba.

 

Charlie raccolse la corda da terra e si preparò a saltare un po’. “Puoi ben dirlo, fratello. Io non mi sono rinchiuso a vita nelle braccia di un’unica pollastrella…a differenza di voi due. Beh, oddio…nel caso tuo, Harry, va bene così visto che è della mia sorellina che stiamo parlando.”

 

“E lui è un caso disperato.” Fece Josh, indicando con un cenno del capo Ron.

 

“Orgoglioso di essere tale.” Ron annuì allegramente.

 

Harry si mise in tasca i biglietti. “Domani sarà una giornata fantastica.”

 

Charlie rise e gli appoggiò le mani sulle spalle. “Avanti, Romeo, io e te avremmo un po’ di sparring arretrato o sbaglio?”

 

“Oh bene, proprio voi stavo cercando.” Sirius Black entrò nella palestra in alta uniforme, ricordando col suo aspetto maturo e professionale che era pur sempre un pezzo grosso fra i War Mage.

 

“A che si deve l’onore, colonnello?” disse Josh.

 

“Più che onore, sono qui perché ci dobbiamo togliere una rogna.” Sirius mise le mani sui fianchi e si voltò verso Harry e Ron. “Ragazzi, considerate pure la giornata di domani impegnata dalle sette della mattina fino a non so quando.”

 

Harry inarcò le sopracciglia. “Come?”

 

Sirius annuì. “Un paio di tizi – marito e moglie, a quanto ho capito – sono stati testimoni di un omicidio e hanno contribuito a spedire dentro un pregiudicato molto amato nella sua famiglia…che infatti ora sta cercando di fare la pelle ai testimoni. C’è da accompagnare questi due all’aeroporto babbano e spedirli in America domani mattina.”

 

“E ce ne dobbiamo occupare noi?” il tono di Ron non escludeva un pizzico di polemica. “Questa è robetta da auror.”

 

“Sono amici stretti di Montgomery.” Il tono di Sirius era compassionevole. “E’ una gran rottura di palle, ma il Ministro si è rivolto direttamente a Homer e lui ha già emesso l’ordine. Non vuole sprecare uomini per una cosa così banale, dice che gliene bastano un paio.”

 

“E giustamente di tutta la squadra ha scelto noi.” Fece acido Harry.

 

Sirius fece un sorrisetto irritante. “Testuali parole: due, ma fra i più tosti.”

 

Ron sbuffò e scrollò le spalle. “E leviamoci questo dente.”

 

Harry scosse furiosamente la testa. “Noo, ma stai scherzando? Io domani me la chiamo di festa, non esiste proprio!”

 

“Mi dispiace, figliolo, ti prenderai la tua vacanza tra qualche giorno.”

 

“No, Sirius, non ci siamo capiti.” Harry incrociò le braccia sul petto. “Porto Ginny fuori città domani, abbiamo già i biglietti e tutto, ed è una sorpresa. Non me la puoi rovinare così, dico davvero. Liberami domani e ti giuro che sabato prossimo mi metto di turno tutta la mattina.”

 

Sirius si grattò la nuca. “Fammi pensare che si può fare…”

 

Charlie fece un sorrisetto furbo. “Homer ne vuole uno tosto? Mandaci Hermione.”

 

Lo sguardo di Ron si fece vispo come quello di un cerbiatto. “Si, mandaci lei.”

 

Sirius inarcò ironicamente un sopracciglio. “Tu e lei da soli, Ron?”

 

“Eh! Che problema c’è?”

 

“Vediamo un po’ se riesco a dirtelo in modo elegante…ragazzo mio, tu e la tua fidanzata siete in una fase del vostro rapporto in cui non si riesce ad evitare il contatto fisico per più di dieci secondi, e io ne so qualcosa, perciò mi riesce difficile credere che riusciate a mantenere la concentrazione adeguata.”

 

Charlie si voltò verso il fratello. “Traducendo, Sirius pensa che tu non riesca a mantenere le mani a posto in presenza di Hermione.”

 

Sirius annuì. “Il senso è quello.”

 

“Ma no, sarà bravissimo.” Harry scoccò uno sguardo minaccioso al suo migliore amico. “Vero che terrai le mani e tutto il resto nelle tasche, Ron?”

 

Ron annuì furiosamente. “Giuro.”

 

“Benissimo.” Harry si voltò verso Sirius. “Allora siamo d’accordo? Vanno Ron e Hermione?”

 

Sirius rise e scosse la testa. “Va bene, va bene.”

 

“Vai!” esclamarono insieme Ron e Harry.

 

Josh ridacchiò. “Gioventù moderna, sempre così ligia al dovere e ansiosa di lavorare.”

 

“Mh. Harry, va’ a chiamare Hermione e portala qui.”

 

Ron guardò Sirius con gli occhi spalancati. “No, aspetta un secondo…che bisogno c’è di chiamarla, glielo dico io…”

 

Sirius fece un sorriso perfido. “Si, ma io voglio responsabilizzarla e ricordarle un paio di preziose regolette sul senso del dovere durante una missione.”

 

Ron fece una smorfia scontenta. “Non ti fidi di me?”

 

“No.”

 

Gli altri risero, e Charlie diede una pacca sulle spalle a suo fratello. “Povero Ronnie, tutti i suoi progetti sfumati in una bolla di sapone.”

 

“Tu sta’ zitto.” Borbottò fra i denti Ron.

 

 

***************

 

 

Hermione controllò ancora una volta sul foglietto che aveva in mano l’indirizzo delle persone da cui dovevano andare, e guardando la bella casetta che avevano di fronte si ritrovò a invidiare chi ci abitava. Sembrava grande da fuori, ma non eccessivamente; era una villetta a due piani con un bel giardino non troppo grande e un cancello molto semplice, neanche lontana dalla città.

 

“Non riesco a credere che due persone che vivono in questo posto così bello debbano andarsene.”

 

Ron sorrise. “Questo perché ultimamente sei così ossessionata dal pensiero di trovare una casa che non riesci a pensare ad altro.”

 

Hermione lo guardò con un sopracciglio inarcato. “Se non sbaglio, Ron Weasley, sei stato tu il primo a dire che è arrivato il momento di trovarci una casetta tutta nostra.”

 

“E ne resto convinto.” Ron le sfiorò la guancia con un dito. “Casa mia è un porto di mare, e io voglio stare solo con te.”

 

Hermione sorrise. “Ti ricordi però le condizioni principali?”

 

Ron sbuffò e alzò gli occhi al cielo. “Le mie scarpe devono stare nella scarpiera, non devo usare i tuoi asciugamani e farteli trovare bagnati, devo stare lontano dalla cucina e non devo bere dalle bottiglie.” Fece monotonamente, come se stesse recitando una poesia. “E dai, baby, così mi rovini l’umore…”

 

Hermione lo allontanò quando lui si sporse in avanti. “Ron…stiamo lavorando.”

 

Ron sbuffò. “Io odio Sirius Black. Lo odio.”

 

Hermione ridacchiò e bussò alla porta. “Su, coraggio…che sarà mai, dobbiamo solo accompagnare queste due brave persone all’aeroporto, riuscirai a tenere la bocca a un metro di distanza dalla mia per qualche ora…ehi!”

 

Ron le rivolse il suo sorriso più furbesco. “La mia bocca è a un metro di distanza dalla tua, amore.”

 

“Ma la tua mano è appena scivolata accidentalmente sul mio sedere!”

 

Ron rise. “Ops.”

 

Hermione mise le mani sui fianchi, ricordando a Ron terribilmente la bambina autoritaria e fissata che aveva conosciuto a undici anni. “Sentimi bene, Ron Weasley, siamo alla nostra prima missione insieme e non mi sembra assolutamente il caso di…”

 

“TI HO DETTO CHE MI HAI STANCATO, VATTENE DA QUESTA CASA E NON RIMETTERCI PIU’ PIEDE, E’ CHIARO?!?”

 

Improvvisamente la porta si aprì e un uomo di mezza età coi capelli neri uscì di corsa, abbassandosi in tempo per evitare un vaso che gli volò sopra la testa e si andò a schiantare a pochi centimetri dai piedi di Ron.

 

“Sei una pazza, ecco cosa sei!!” urlò l’uomo, voltandosi verso la porta socchiusa.

 

Ron e Hermione si guardarono con un un’espressione incerta e confusa sul viso, prima che lei provasse ad avvicinarsi in modo prudente. “Ehm…è lei il signor John O’Connor?”

 

L’uomo si voltò a guardarla con gli occhi ancora furibondi per la lite di prima. “Si! E tu chi saresti, ragazzina?!”

 

“Si dia una calmata, amico.” Fece duro Ron. “War Mage Weasley e Granger, siamo la vostra scorta.”

 

John O’Connor esaminò con gli occhi i due ragazzi: due ventenni che potevano perfettamente essere presi per due babbani. Lei con un grazioso vestitino estivo a bretelle per niente sofisticato, lui in camicia e jeans. “Voi due…sareste dei War Mage?” chiese in tono scettico. “La scorta che mi ha promesso Ersilius?”

 

Hermione annuì con decisione. “Esattamente.”

 

“Ma per piacere.” John si voltò verso la porta. “Se è uno scherzo non è divertente, ragazzi, non so come facciate a sapere della faccenda della scorta ma non credo proprio di…” non fece in tempo a finire la frase che si trovò con una lama piuttosto affilata a un pelo dal suo pomo d’Adamo.

 

Ron fece un sorrisetto e non abbassò il pugnale. “Stava dicendo?”

 

John ingoiò rumorosamente, guardando prima il pugnale e poi Ron con una certa inquietudine. “M-ma come hai fatto? D-da d-dove…?”

 

Ron sorrise e ritirò il pugnale, sollevandosi la camicia e rivelando il cinturone che teneva ben nascosto in vita. “Contrariamente a quanto si aspettava lei, signor O’Connor, siamo abituati a non sbandierare ai sette venti chi siamo quando siamo in missione.”

 

Hermione scoccò uno sguardo seccato a Ron e sorrise all’uomo, per cercare di rassicurarlo. “Si tranquillizzi, signore, siamo i migliori nel nostro campo, altrimenti non vi avrebbero affidati a noi. Sappiamo quello che facciamo, anche se possiamo sembrarle ancora molto giovani.”

 

O’Connor inspirò profondamente sembrò calmarsi un po’. “Oh…va bene, in fondo è stato Ersilius a mandarvi.”

 

“Eh, è stato Ersilius.”

 

“Sua moglie è già pronta?” Hermione parlò in fretta, per evitare di far cogliere l’ironia nel commento di Ron.

 

John s’incupì e si grattò una tempia. “Ho paura che potremmo avere qualche problema…ecco, io e Catherine stiamo attraversando un periodo non facile, e quindi…”

 

“Avete litigato di brutto.” Annuì Ron, dando un’occhiata al vaso infranto per terra.

 

“Appunto.” Fece l’uomo, sospirando. “Catherine dice che dopo tanti anni le sembra che le cose fra noi si siano appiattite…e così non vuole venire in America con me. Ma non può fare una cosa del genere, non ora che i Deagles ci sono alle calcagna! Quella gente ci vuole morti!”

 

Hermione si sistemò un ciuffetto di capelli dietro le orecchie. “Posso parlare con la signora per un momento?”

 

“Va bene, adesso…magari con lei…” John provò ad aprire la porta di un soffio. “Catherine, ci sono…”

 

“TI HO DETTO DI USCIRE!!”

 

Un altro vaso volò come un fendente, mancando il viso di Hermione solo perché Ron la tirò indietro un istante prima che potesse essere colpita.

 

“Adesso basta, Catherine! Questo comportamento è inaccettabile!!”

 

“Aspetti un secondo, per favore, lasci fare a me.” Hermione aprì di nuovo la porta. “Signora O’Connor, mi chiamo Hermione Granger e faccio parte della sua scorta…sto entrando da lei, quindi per favore non mi tiri nulla addosso, va bene? Sono solo io, suo marito non c’è.” Fedele alla sua parola, Hermione si chiuse la porta alle spalle e lasciò fuori i due uomini.

 

John emise un sospiro esasperato. “Queste donne…chi le capisce è bravo! Un momento ti fanno le coccole, ti abbracciano, ti stringono, ti vogliono…e un momento dopo ti cacciano di casa!”

 

Ron sorrise e annuì. “Alquanto volubili, si.”

 

“E tu hai appena cominciato, ragazzo.” O’Connor incrociò le braccia sul petto e si appoggiò al muro. “Non sai cosa diventano dopo che te le sposi.”

 

Ron scrollò le spalle. “Ho già avuto qualche problema prima…spero vivamente che da adesso in poi sia un po’ più facile.”

 

L’uomo lo guardò con aria quasi paterna. “Quanti anni ha la tua fidanzata?”

 

“Venti, quasi ventuno.” Ron gli indicò la porta. “E’ quella ragazza.”

 

“Lei?!” John spalancò gli occhi. “Ma…le permetti di venire con te in una missione così rischiosa?”

 

“Nah, non è rischiosa affatto.”

 

“Ah no? Figliolo, forse tu non sai chi sono i Deagles…”

 

“E forse lei non sa chi era Voldemort.” Replicò tranquillamente Ron, facendo trasalire il suo interlocutore.

 

Passarono ancora un paio di minuti, poi finalmente la porta si aprì e Hermione e una donna bionda e ancora piacente uscirono dalla casa. La donna aveva gli occhi rossi di pianto e teneva in mano ben stretta la sua borsa.

 

“Perfetto, ora ci siamo tutti.” Disse pacata Hermione, chiudendosi la porta alle spalle.

 

“Mh.” Ron si staccò dal muro e si eresse in tutta la sua statura. “Bagagli?”

 

“E’ già stato preparato tutto, li verranno a prendere domani.” Gli spiegò Hermione, mentre la signora O’Connor si consolava vedendo che almeno Ron era un ragazzo alto e robusto, e in qualche modo la sua decisa impostazione fisica la rassicurava visto che la sua giovane età l’aveva lasciata un po’ perplessa.

 

“Benissimo, allora possiamo anche andare, no?” Ron controllò l’orologio. “Il Nottetempo dovrebbe passare qui per le…”

 

“Il Nottetempo?” squittì la signora Catherine, scuotendo con decisione la testa. “Come sarebbe a dire il Nottetempo? Credevo sapeste che non voglio prendere quel mezzo sporco e pericoloso.”

 

Ron inarcò un sopracciglio. “Signora O’Connor, l’aeroporto di Londra è dall’altra parte della città…come pensa di arrivarci?”

 

“In qualsiasi altro modo.” Replicò scattante la donna. “Io detesto il Nottetempo, non lo prenderei mai, nemmeno se fossi costretta.”

 

“Ma ragiona, Catherine!” fece il marito. “Se andiamo a piedi daremo milioni di possibilità ai Deagles di attaccarci!”

 

Ron annuì. “Suo marito ha ragione, è molto più sicuro andare col Nottetempo, mi creda.”

 

Catherine incrociò ostinatamente le braccia sul petto. “Non mi interessa affatto, io non prenderò il Nottetempo, perciò o venite con me o continuerò da sola.”

 

“Va bene, va bene.” Hermione s’intromise pazientemente nella discussione. “Possiamo prendere la metropolitana dei babbani e poi procedere a piedi. Non è poi tantissimo.”

 

“E se usassimo una passaporta?” provò John.

 

Ron scosse la testa. “No, i Deagles sono piccoli criminali, ma sappiamo che il fratello dell’uomo che avete mandato dentro ha lavorato per qualche anno al Ministero nel settore Attivazione e Disattivazione Passaporte, non ci metterebbe nulla a manomettere quella che serve a noi. No, meglio a piedi a questo punto.”

 

John puntò minacciosamente il dito contro sua moglie. “Sappi che se succede qualcosa ti riterrò responsabile di tutto, Catherine.”

 

La donna alzò il mento in aria. “Se sarai ancora vivo.” Sibilò, alzando i tacchi e incamminandosi. Il marito le fu subito dietro, strillandole addosso.

 

Ron sbuffò pensando a quanto sarebbe stata lunga la giornata, e guardò Hermione. Lei gli fece un sorriso piccolo e avvilito, e gli mandò un bacio prima di andare dietro ai due coniugi urlanti. All’improvviso a Ron il peso della missione sembrò non essere poi così insopportabile.

 

 

***************

 

 

Ron fu lieto di uscire dalla metropolitana, se non altro perché John O’Connor la smise finalmente di continuare a ripetergli sottovoce di stare attento a tutti i lati. A differenza della moglie, che si era immersa completamente in un discorso molto fitto con Hermione, John sembrava convinto che i Deagles avrebbero fatto saltare in aria il treno da un momento all’altro e per questo non gli dava pace. Il tutto mentre Ron non desiderava altro che stare a guardarsi la sua Hermione in tutta la sua bellezza. ‘Vestitevi come dei ragazzi normali che si prendono una giornata di vacanza’, gli aveva detto Graham. Così avevano fatto, peccato solo che Hermione più era semplice il vestito più era bella…e Ron avrebbe dato il mondo intero per passarle una mano fra i morbidi capelli mossi che le scivolavano lungo tutta la schiena. E quella zanzara fastidiosa di John O’Connor gli stava rovinando tutti i sogni ad occhi aperti che stava facendo sulla sua ragazza.

 

“Ooh, finalmente all’aria aperta.” Esclamò felicemente la signora O’Connor. “Io amo il sole.”

 

Hermione sorrise e annuì. “E’ una gran bella giornata, si.”

 

John O’Connor scosse la testa mentre lui e Ron camminavano dietro Catherine e Hermione. “Mi domando sinceramente se mia moglie abbia capito la gravità della situazione. Stiamo rischiando di morire e lei parla del sole.”

 

Ron scrollò le spalle, concentrandosi più che altro sul modo in cui si muovevano le anche di Hermione sotto il vestito. “Non c’è niente di male a stare un po’ più tranquilli. In fondo ci siamo noi a proteggervi, giusto?”

 

“Mh.” Fece poco convinto l’uomo, e Ron non gli rispose per le rime solo perché era piacevolmente distratto.

 

“Ooh.” Catherine si fermò davanti alla vetrina di un negozio di vestiti. “Hermione, guarda quell’abito blu…non è splendido?”

 

Hermione lo osservò e annuì. “Molto bello…anche elegante.”

 

“Tu dici che mi starebbe bene?”

 

“Ma santo cielo, Catherine!” protestò energicamente il marito. “Questo non è il momento di pensare ai vestiti!”

 

La donna lo guardò duramente. “E certo, quando mai per te lo è.”

 

“Ti rendi conto che stiamo scappando?”

 

“Tu è una vita che scappi!” replicò rabbiosa la moglie. “Quante volte ti ho chiesto di uscire con me, di accompagnarmi a comprare qualcosa da mettere, e mai che tu fossi venuto, avevi sempre il tuo stramaledetto lavoro!”

 

John scosse furiosamente la testa. “E vorresti rifarti ora?!”

 

“…sentite…signori…” provò Hermione.

 

“…questo non è il posto migliore per…” tentò anche Ron.

 

“Sai qual è la verità, John?” Catherine avanzò minacciosamente verso il marito. “La verità è che tu te ne infischi di me, potrei anche andare in giro nuda che tanto non mi noteresti! Io non conto più niente per te!”

 

“Questo è ingiusto!” ribattè John. “Solo perché non faccio tante smancerie…”

 

“Tu non fai niente, niente!! E’ una vita che non ci comportiamo come una coppia sposata, e io sono stanca di questo!” Catherine era ormai molto prossima alle lacrime, e alcuni passanti cominciavano a voltarsi verso la coppia.

 

“Catherine, stiamo facendo una scenata…”

 

“Non mi interessa, io sto soffrendo e a te non importa niente!”

 

“Sentite, sono certo che avrete molto da chiarire sull’aereo,” s’intromise bruscamente Ron. “Ma adesso non è il caso di continuare qui. Stiamo attirando un po’ troppa attenzione…”

 

“Uomini, uomini, siete tutti la stessa cosa!” strillò Catherine, con la voce che le tremava.

 

“Che ne dice se io e lei andiamo a prenderci un caffè insieme, signora?” si offrì gentilmente Hermione, facendola voltare con dolcezza dalla sua parte. Ci volle del bello e del buono per convincere la donna, ma alla fine lei e Hermione si ritrovarono al tavolino di un bar delle vicinanze, mentre Ron e il signor O’Connor prendevano il loro drink al bancone.

 

“Mi dispiace, non volevo fare scenate davanti a voi…” balbettò Catherine, guardando la sua tazzina ormai vuota.

 

Hermione le fece un sorriso gentile. “Non deve preoccuparsi per questo.”

 

“E’ solo che…cara, tu sei ancora così giovane e carina e non puoi ancora capirlo, ma quando si diventa donne mature vengono così tanti dubbi…gli uomini possono essere molto insensibili quando vogliono, e feriscono moltissimo.”

 

“Feriscono anche da giovani.” Hermione scrollò le spalle. “Ne so qualcosa.”

 

Catherine la guardò accoratamente. “Hai sofferto anche tu?”

 

“Molto. Ma credo di aver superato la fase più critica…ora le cose vanno molto meglio.”

 

“Mi fa piacere per te, cara.” La donna le sorrise amabilmente. “E’ un bel ragazzo il tuo fidanzato?”

 

Hermione sorrise largamente. “E’ lui il mio ragazzo, Ron.”

 

“Dici davvero?” la signora fece un gran sorriso. “In tal caso devo farti i miei complimenti… e dimmi, state bene insieme?”

 

“Abbiamo avuto i nostri momenti no…ma adesso finalmente sembra che le cose stiano andando per il meglio. Stiamo cercando casa per andare a vivere insieme.”

 

“E’ una cosa molto dolce.” Catherine si accigliò. “Ma tu sei ancora molto giovane…cosa dicono mamma e papà?”

 

Hermione sospirò e abbassò lo sguardo. “I miei genitori sono stati uccisi poco meno di un anno fa.”

 

“Oh cara, mi dispiace tanto.” La donna le appoggiò una mano sul braccio. “Deve essere stato orribile per te.”

 

“Si.” Hermione fece un piccolissimo sorriso. “Ma Ron mi è stato molto vicino, e mi ha aiutata più di quanto non credessi…lui è tutta la mia famiglia adesso.”

 

Catherine sospirò. “Una volta anche il mio John era così…ma poi siamo diventati adulti a tutti gli effetti, e qualcosa è andato perduto.”

 

“Ma non è detto che non possa essere ritrovato.” Hermione la incoraggiò con un sorriso. “E forse questo trasferimento, questo cambio d’aria non vi farà che bene.”

 

Catherine esitò, poi sorrise e accarezzò la mano di Hermione. “Sei una brava ragazza, Hermione. Ti conosco solo da poco, ma sono una persona molto intuitiva e sento che sei davvero bella dentro e fuori. Il tuo Ron è fortunato.”

 

Hermione sorrise. “Andiamo, adesso. Dobbiamo mettervi su quell’aereo per l’America…la consideri come una seconda luna di miele.”

 

L’espressione usata da Hermione piacque veramente molto alla signora O’Connor, perché quando si avvicinò al marito lo fece con un piccolissimo sorriso timido sulle labbra. “Vogliamo proseguire?” gli chiese piano.

 

John rimase colpito da tanta tranquillità dopo quella burrasca, e si limitò ad annuire e porgere il braccio alla moglie.

 

Ron inarcò un sopracciglio e guardò Hermione. “Ma che cosa le hai detto?” mormorò.

 

Hermione scosse la testa, invece si avvicinò e si sollevò sulle punte dei piedi per sussurrargli all’orecchio “Ti voglio tanto bene.” Ron le sorrise, e approfittando del fatto che i due coniugi si stavano chiarendo a bassa voce lì davanti le stampò un piccolo bacio sulle labbra.

 

 

***************

 

 

Ron controllò l’orologio e fece una piccola smorfia. “Allegri, signori, vi informo che abbiamo appena perso l’aereo.”

 

“Oh santo cielo.” Esclamò John. “E adesso?”

 

“Non c’è da agitarsi.” Gli rispose Hermione. “Vi faremo imbarcare sul volo che parte alle quattro.”

 

“Non ce n’è un altro prima?”

 

“Mi dispiace, signor O’Connor, ma siamo ancora parecchio lontani dall’aeroporto.”

 

Catherine scrollò le spalle. “Non è una cosa grave…partire con un po’ di ritardo, voglio dire.”

 

Ron osservò allegramente che moglie e marito sembravano un po’ meno isterici rispetto a poche ore prima, e questo lasciava a lui e a Hermione la possibilità di camminare dietro di loro, fianco a fianco…e qualche volta anche mano nella mano. Era piacevole camminare per mano a lei…sapeva di vaniglia e di primavera…i suoi odori preferiti.

 

“Ron?”

 

“Mh?”

 

Hermione controllò prima con la coda dell’occhio che i due coniugi non li stessero ascoltando. “Quel tipo vestito di blu, non molto indietro…o sta facendo la nostra stessa strada da un po’, o ci sta seguendo.”

 

Ron guardò con la coda dell’occhio il tipo in questione. “Ho idea che gli stiamo particolarmente simpatici.”

 

“Già…un po’ troppo per i miei gusti. Come procediamo?”

 

“Innanzitutto vediamo se veramente ce l’ha con noi.” Ron si schiarì la gola rumorosamente, richiamando l’attenzione dei due O’Connor. “Che ne dite se ci fermiamo a mangiare un boccone?”

 

Catherine sbattè gli occhi. “Ma…non facciamo tardi?”

 

“Nah.” Ron indicò un piccolo ristorante in fondo alla strada. “Quello mi sembra un bel posticino.”

 

“Se lo dici tu.” Fece incerto John.

 

Il ristorante era abbastanza accogliente come sembrava anche da fuori; Ron e Hermione condussero i due O’Connor a un tavolino vicino ad un finestrone che dava su un giardino interno con tanto di fontana, e qualche istante dopo che avevano preso posto un cameriere portò i menù. Catherine sembrava molto presa dalla scelta del primo piatto – suo marito naturalmente sosteneva che avrebbero dovuto mangiare leggero e limitarsi a un buon secondo – ma Hermione e Ron finsero di guardare i loro menù per osservare invece la situazione; finalmente un passo falso fu commesso dal cameriere: l’uomo in blu lo aveva chiamato dalla soglia della porta facendogli cenno di stare zitto, ma erroneamente quello lo aveva accolto con il solito formale inchino che aveva chiaramente mostrato la presenza dell’uomo nel locale.

 

Hermione scoccò uno sguardo a Ron. “E’ lui.” Sussurrò.

 

“Invece secondo me la pasta al forno è troppo pesante, ricordati che dobbiamo affrontare sei ore d’aereo, cara.” John si voltò. “Ragazzi, voi cosa prendete?”

 

“Pasticcio di patate.” Rispose distrattamente Ron, fissando i movimenti del cameriere che era appena entrato nella cucina.

 

“Vedi?”

 

“Catherine, loro non devono partire.”

 

“Beh, comunque io voglio una porzione di pasta al forno per me.”

 

“Bene, fa’ come credi. Io mi limiterò a un buon arrosto.”

 

Non passarono che pochi secondi prima che il cameriere tornasse al loro tavolo con una bottiglia d’acqua in mano. “Prego, signori. Passerò tra un momento per prendere le ordinazioni.”

 

“Molto gentile.” Gli rispose Catherine, versandosi l’acqua nel bicchiere mentre il cameriere tornava a sparire nelle cucine.

 

Hermione le strappò il bicchiere di mano. “No, aspetti.”

 

Catherine la guardò stralunata. “Ma…”

 

Hermione si guardò bene a destra e a sinistra prima di estrarre la bacchetta in modo che nessuno la vedesse e mormorò qualcosa a bassa voce, puntandola contro il bicchiere. In pochi istanti l’acqua divenne verdastra, e John impallidì.

 

Ron se la portò vicino al naso e l’annusò. “E’ Belladonna.”

 

“Che?” biascicò una pallidissima signora O’Connor.

 

“Veleno.” Replicò sbrigativamente Hermione, rinfoderando la bacchetta.

 

“Oddio.” Sussurrò John. “Ci hanno trovati.”

 

“Già.” Disse serenamente Ron, alzandosi. “Che ne dite di una visitina alle cucine?”

 

“M-ma…”

 

“Stia tranquilla, signora.” Hermione sorrise in modo fiducioso. “E’ tutto perfettamente sotto controllo. Venite con noi, niente paura.”

 

Gli O’Connor seguirono i due ragazzi non esattamente elettrizzati all’idea di vedere cosa sarebbe successo, ma si tennero molto vicini a Hermione, che a sua volta camminava dietro Ron.

 

“Permesso?” Ron aprì la porta della cucina con un odioso sorrisetto. “Si può?”

 

Catherine si strinse al marito; la situazione in cucina non era molto promettente: c’erano due donne – due donnoni, a dire il vero – e due uomini alti quasi quanto Ron che avevano l’aria di essere in attesa di qualcosa, mentre tre cuochi, una cameriera e il cameriere di prima stavano immobili contro la parete opposta al forno, decisamente pallidi e spaventati.

 

“Stiamo disturbando qualcosa?” fece provocatorio Ron, mettendo le mani in tasca con aria sfacciata.

 

Uno dei due donnoni avanzò fino a pararsi davanti a lui. “Posso fare qualcosa per te, occhi blu?”

 

“Forse si. Sto cercando il gentile signore che mi ha portato l’acqua prima…ho la sensazione che gli sia sfuggita anche una goccia di veleno che non mi sembra di aver ordinato. Lei sa dove posso trovarlo?”

 

La donna fece uno sgradevole sorriso e parlò ancora con la sua voce rauca. “Ooh, quanto mi dispiace…certo, deve essere stato seccante…”

 

“Abbastanza.” Replicò tranquillamente Ron, mentre alle sue spalle Catherine e John O’Connor stavano letteralmente tremando.

 

“Forse possiamo venirci incontro a vicenda, bellezza.” L’altra donna muscolosa si fece scrocchiare rumorosamente le mani e si piazzò davanti a Ron con intenzioni poco amichevoli. “Io ti dico chi è stato il bambino cattivo…e tu mi fai scambiare quattro chiacchiere con quei due signori là dietro.”

 

“Oh cielo.” Sussurrò soffocata Catherine.

 

Ron fece una smorfia. “L’offerta è interessante, ma temo proprio di dover rifiutare. Quei signori non hanno una gran voglia di parlare con voi al momento.”

 

I due uomini affiancarono le donnone. “Stai giocando col fuoco, occhi blu.” Fece di nuovo la prima. “E’ la tua ultima occasione per correre da mamma e salvare il tuo bel culetto.”

 

Ron sfoderò un sorriso ipocrita. “Vi devo proprio deludere, signore, se state cercando di spaventare qualcuno state fallendo miseramente.”

 

“Davvero?” le due donne si massaggiarono i pugni. “Che peccato, mi eri simpatico…ora quei begli occhioni ti diventeranno gonfi come due uova…”

 

Ron scosse la testa. “Oh no, mi dispiace ma io non picchio le signore.” Con un sorrisetto malizioso porse la mano a Hermione e la fece avanzare. “Ma la mia ragazza è a vostra disposizione.”

 

I due donnoni osservarono Hermione e poi scoppiarono a ridere. “Cos’è, moccioso, ci stai prendendo in giro forse?” fece una.

 

“Questa specie di fiorellino dovrebbe vedersela con noi?” completò ridendo l’altra. “Ehi, se vuoi che facciamo il lavoro sporco e te la leviamo di torno non è mica gratis.”

 

Hermione inarcò un sopracciglio in modo irritato. Ron le sorrise. “Ti va di sgranchirti un po’ le gambe, amore?”

 

“Con vero piacere.” Disse lei, fulminando con gli occhi le due donne che ancora se la ridevano.

 

“Divertiti.” Ron le strizzò l’occhiolino e andò a raggiungere gli O’Connor, che lo guardavano con aria a dir poco allibita.

 

Le due donne si pararono di fronte a Hermione in tutta la loro statura muscolosa. “Allora, ragazzina…” fece una delle due, guardando Hermione dall’alto in basso. “Sei pronta a vedere le stelle?”

 

Il grosso donnone le sferrò un pugno che fece sussultare Catherine, ma Hermione si piegò sulle ginocchia in tempo per evitarlo e colpire con un calcio la sua avversaria, facendola cadere a terra di netto; l’altra donna tentò di sferrarle un calcio, ma lei le rotolò fra le gambe e con un calcione al sedere la spedì lunga distesa a terra.

 

Quando anche i due uomini si unirono alla rissa, John O’Connor non potè più contenersi. “Mio Dio, Ron! Che stai facendo ancora qui, perché non vai ad aiutarla??”

 

Ron fece un sorrisetto, senza staccare gli occhi dallo spettacolo. “Poveracci, non mi sembra il caso di infierire. E poi il mio compito è proteggere voi.”

 

Catherine chiuse gli occhi quando vide uno degli assalitori scagliarsi contro Hermione con un coltellaccio affilato in mano. “Santo cielo, si farà male!”

 

“Chi, Hermione?” Ron aveva sulla faccia un’espressione di orgoglio tutto maschile che lo faceva sembrare ancora più irritante del solito. “Tutto bene, amore?”

 

Hermione diede un calcio in bocca a una delle due donne. “Benissimo!”

 

Ron guardò soddisfatto il signor O’Connor e indicò Hermione con un cenno della testa. “La mia ragazza.” Esclamò fiero.

 

Catherine non potè non sobbalzare quando Hermione colpì con una gomitata alla tempia l’uomo che credeva di averla messa in trappola fra le sue braccia muscolose, ma col passare dei minuti vedere la giovane donna così competente e soprattutto così in gamba nonostante la sua età e la sua corporatura le fece tirare un sospiro di sollievo. Hermione poteva anche essere una ragazza con un vestitino estivo e l’aria innocente, ma stava mettendo ko gente più alta e più forzuta di lei.

 

“E non rovinarmi il vestito!” Hermione spedì anche l’ultimo avversario nel mondo dei sogni con un pugno sotto al mento. Nessuno si mosse quando rimase solo lei al centro della stanza, in piedi in mezzo a quattro corpi robusti a terra.

 

“Santissimo cielo…” mormorò la cameriera. “Vado a chiamare la polizia!” strillò prima di correre fuori.

 

Hermione si voltò verso il personale del ristorante. “E’ tutto sotto controllo, siamo della Protezione Testimoni e stiamo portando in salvo queste due persone. Non vi preoccupate, consegnate questi quattro alla polizia e state tranquilli perché è tutto finito.”

 

“Accidenti…” mormorò John O’Connor. “Sei molto brava, complimenti…ma ancora non mi spiego come hai fatto.”

 

“Ti sei fatta male, cara?” le chiese accoratamente Catherine.

 

Hermione scosse la testa e sorrise, scansandosi i lunghi capelli mossi dal viso. “Andiamocene da qua prima che arrivi la polizia babbana.”

 

“Si. Andiamocene, e anche subito.” Annuì John.

 

“Mi date un secondo?” Ron senza troppi preamboli afferrò Hermione per i fianchi e la baciò in quel modo tutto suo, capace di farle dimenticare perfino di essere in missione. Quando si tirò indietro vide con la coda dell’occhio la signora O’Connor che sorrideva largamente e il marito che guardava altrove in evidente imbarazzo. Fu solo per la loro ingombrante presenza che non baciò di nuovo Hermione, che con le labbra e gli occhi socchiusi era un vero e proprio invito a nozze per la sua voglia. “Scusate, ma ci voleva proprio.”

 

Hermione sbattè gli occhi e scosse la testa, come se in quel momento si stesse rendendo conto di quello che la circondava. “Oh…uhm, s-si…mi sa che questo non possiamo scriverlo nel nostro rapporto a Sirius, proprio no…”

 

John sbuffò e appoggiò le mani sui fianchi. “Possiamo andare adesso, per favore? Nel caso l’abbiate dimenticato, ci sono dei terroristi che ci stanno seguendo.”

 

Catherine lo fulminò con lo sguardo. “Sai cosa ti dico, John? Anche tu dovresti essere baciato, molto e spesso e anche in pubblico…ma da qualcuno con più pazienza di me.” Sibilò, e senza perdere altro tempo alzò i tacchi e si avviò.

 

 

***************

 

 

“Come sarebbe mezzora di ritardo?!” Ron quasi non voleva credere alla hostess. “Ma è sicura?”

 

La donna annuì. “Mi dispiace molto per il contrattempo, signore, ma come vede anche tutte quelle persone sedute nelle poltroncine laggiù stanno aspettando il suo volo e sanno del ritardo…sono cose che avvengono, sono molto spiacente.”

 

Ron sbuffò e si passò una mano fra i capelli. “Mezzora ha detto, eh?”

 

“Si, il suo volo decollerà alle sedici e trenta precise.”

 

“Grazie.” Brontolò Ron prima di tornare al check-in, dove Hermione e gli O’Connor lo stavano aspettando. “Incidente di percorso, il volo è in ritardo.”

 

Catherine sospirò. “Tipico dei babbani. Stavo in pensiero che ne combinassero una dritta.”

 

“Tu non hai fatto di meglio, cara, con la tua paura di prendere il Nottetempo.” Brontolò John. “A quest’ora saremmo già in viaggio per l’America se mi avessi dato retta.”

 

Hermione intervenne per evitare l’irreparabile. “Che ne dite se andiamo tutti a prenderci una bibita fresca al bar dell’aeroporto? Fa molto caldo, non trovate?”

 

“Va bene.” Disse la signora bionda, guardando in malo modo suo marito.

 

Ron lanciò un bacio furtivo a Hermione mentre entravano nel bar, e lei gli sorrise allegramente. Ron quasi rise da solo mentre si sedevano a un tavolino tutti e quattro…il buon vecchio Sirius era molto più in gamba di quello che sembrava a volte: ci aveva preso perfettamente, lui e Hermione erano in una fase di bisogno perenne l’uno dell’altra.

 

“Ron, hai capito quello che ho detto?” gli chiese il signor O’Connor.”

 

Ron sbattè gli occhi. “Mi scusi, mi ero distratto un attimo. Diceva?”

 

“Ti ho chiesto se avete fatto quell’incantesimo per verificare che queste limonate…”

 

“Stia tranquillo.” Hermione annuì compiaciuta. “Ci ho già pensato io…sono pulite.”

 

Catherine sbattè gli occhi. “Non ti ho visto prendere la bacchetta.”

 

Hermione sorrise. “Se mi avesse vista mi sarei sentita un’autentica incapace.”

 

Ron ridacchiò e scosse la testa. “Abbiamo ordine di non attirare l’attenzione dei babbani…non possiamo usare la magia perché i Deagles sono notoriamente degli imbroglioni, si servono di babbani per attaccare i maghi ben sapendo che la nostra legge vieta di attaccare un non mago con una bacchetta…quindi stiamo cercando di comportarci come loro, e farci i fatti nostri mentre nessuno guarda.”

 

John sembrava molto interessato. “Prodigioso.” Disse, sorseggiando la sua bevanda. “Certo che vi hanno addestrato proprio bene…così giovani siete già così esperti?”

 

“Siamo i migliori.”

 

Ron.”

 

“Ok, siamo tra i migliori.”

 

La signora O’Connor sollevò un giornale dalla panca e lo osservò con moderato interesse, quindi sorrise e lo porse a Hermione. “Tieni, cara, questo potrebbe esservi utile.”

 

Hermione s’illuminò quando riconobbe il giornale degli annunci di vendite e affitti di appartamenti, e subito lo aprì sul tavolo. Il signor O’Connor inarcò le sopracciglia. “Stai cercando casa?”

 

La moglie annuì e sorrise beatamente. “Vanno a vivere insieme.”

 

L’uomo guardò Ron con un’aria sorpresa ma positivamente. “Oh, congratulazioni ragazzi.”

 

“Grazie.” Ron buttò giù la sua aranciata e diede uno sguardo a quello che stava leggendo con tanto interesse la sua ragazza.

 

“…senti qui.” Hermione si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Tre stanze, due bagni, cucina abitabile…”

 

“Solo tre stanze?” fece scettico Ron.

 

Hermione inarcò leggermente un sopracciglio, ma passò oltre senza commentare. “…quattro vani, ripostiglio, cucina, un bagno, pieno centro di Londra…”

 

“In mezzo ai babbani.”

 

“…quattro stanze, cameretta, cucina, ampia veduta sulla città, quinto piano in palazzo signorile…”

 

“Neanche a parlarne, io voglio il giardino.”

 

“…tre camere, salone, tre bagni, cucina abitabile, posto auto…”

 

“Che ce ne facciamo del posto auto, scusa?”

 

Hermione chiuse il giornale con uno scatto di rabbia. “Ecco. Ci risiamo.” Sibilò.

 

Ron alzò le spalle. “Beh? Mi hai chiesto un parere, no?”

 

“Sei impossibile! Quante case ti ho proposto negli ultimi tre giorni, cinquanta? A tutte sei stato capace di trovare un difetto!”

 

“Ma che cosa vuoi, che mi butto nel primo buco disponibile solo per fare un piacere a te?”

 

Hermione emise un sospiro esasperato. “Ron. Tre stanze sono poche, Londra è babbana, il posto auto non serve, la vista non te ne frega, il giardino è obbligatorio, troppo lontano dalla città non ti piace…fammi indovinare, tu stai cercando una fotocopia di casa tua o sbaglio?”

 

Ron si accigliò. “E questo che cosa vorrebbe dire?”

 

“Che non è importante che io ti proponga tutti gli appartamenti del mondo, nessuno sarà mai all’altezza di casa tua.”

 

Gli O’Connor sembravano leggermente a disagio, ma stavano seguendo ugualmente la situazione. Ed entrambi capirono, pur non conoscendo Ron, che il fatto che le sue orecchie si stessero facendo rosse non era un buon segno.

 

“Guarda un po’ chi parla! Se c’è una che è fissata con le cose, quella sei proprio tu!”

 

“Si, ma io almeno so quando è il momento di scendere a compromessi!”

 

“Perché, io no?!”

 

“E’ evidente che no! Altrimenti perché non ti piace nessuna delle case che ti ho proposto? Perché non sono uguali a casa tua! Insomma, Ron! Io capisco che ti è difficile adattarti quando hai avuto una casa così accogliente e confortevole per tanti anni, ma guarda che anch’io ho avuto una reggia e non per questo sto cercando una villa come quella dei miei genitori!”

 

Ron sentì il sangue andargli al cervello. “Ma certo, deve essere stato un sacrificio lasciare la costosissima villa dei tuoi genitori per essere ospitata nella nostra umile casa visto che non sapevi dove andare, mi rendo conto!”

 

Nello stesso istante in cui le parole gli uscirono di bocca Ron si rese conto di averla offesa troppo gravemente; la signora O’Connor lo guardò disgustata, mentre lo sguardo di Hermione si fece così freddo che lo fece sentire molto peggio di quanto non si sentisse già.

 

Hermione abbassò lo sguardo e si alzò. “Vado a farmi dare il conto.”

 

“Aspetta un attimo…”

 

Hermione si scrollò violentemente di dosso la sua mano e si allontanò in direzione del bancone. Ron sbuffò e nascose la faccia fra le mani.

 

“Sei stato pessimo con lei.” Gli disse acida Catherine. “Non avresti dovuto dirle una cosa del genere.”

 

John sospirò. “Può scappare una parola di troppo in un momento di rabbia…ma devi chiederle scusa. Mi sembra molto scossa per quello che le hai detto.”

 

Ron sospirò e annuì, voltandosi a guardare Hermione lì in piedi, in attesa del conto dal cameriere. Non voleva dirle una cosa così orrenda, non sapeva neanche perché gli era uscita…lui e il suo dannato caratteraccio!

 

 

 

Hermione s’impose di non piangere neanche una lacrima, e riuscì a restare solo con gli occhi lucidi. Ron aveva il maledetto dono di farla sorridere più di chiunque altro…e di farla star male ancora più facilmente. Possibile che prima di parlare non lo usasse mai il cervello? Ma non si era reso conto della cosa disgustosa che le aveva appena detto?

 

“Guarda guarda…viva l’estate, che porta tutte queste belle ragazze in giro seminude.”

 

Hermione si voltò per vedere che accanto a lei stava un uomo che poteva tranquillamente definirsi come un brutto ceffo, vestito male e con un’espressione molto poco raccomandabile.

 

“Che fai di bello, bambolina? Stai aspettando il gelatino?”

 

Lei lo ignorò, restando ferma dov’era.

 

“Fai la sostenuta, eh? Mmh…dimmi, cosa posso offrirti per farti aprire quella bella boccuccia…”

 

Hermione schivò la mano dell’uomo, che stava cercando di appoggiarsi sulla sua. “Le suggerisco di lasciarmi in pace.” Sibilò.

 

L’uomo rise sguaiatamente. “Una bella ragazza come te non dovrebbe andare in giro da sola, sai…” le si avvicinò ancora, e benchè lei arretrasse non le restava molto spazio prima del muro. “…ooh, non scappare, bambolina…non voglio mica mangiarti…”

 

Hermione maledisse il cameriere, che continuava a servire caffè come un idiota.

 

“Ma che bel collo che hai…” le sussurrò viscidamente l’uomo, sporgendosi verso di lei.

 

“Le ho detto di stare al suo posto.” Ringhiò Hermione.

 

 

 

“Io gli avrei già fatto cadere le mani.”

 

“Quel brutto porco…”

 

John e Catherine O’Connor stavano assistendo alla scena con decisa indignazione.

 

“Hai intenzione di lasciare che quel viscido animale dia fastidio alla tua ragazza?” il tono della signora era pungente e diretto.

 

Ron stava stringendo il bicchiere così forte che le unghie gli erano diventate bianche. “Hermione sa cavarsela da sola.” Ruggì fra i denti. “E poi non posso lasciarvi da soli.”

 

“Sono solo pochi metri.” Fece John, scrollando le spalle.

 

Ron sentiva dentro di sé una rabbia che stava montando inarrestabilmente alla vista di quello schifoso che continuava a guardare con una faccia largamente deliziata nella scollatura del vestito di Hermione. Le mani gli prudevano così tanto che gli facevano male, e il bicchiere che stringeva sembrava avere i minuti contati.

 

“Che schifo.” Mormorò disgustata Catherine. “Certa gente non dovrebbe avere la faccia tosta di andare in giro…quell’uomo andrebbe rinchiuso…”

 

“Magari rinchiudessero tutti i maniaci dello stato, tesoro.” Le rispose il marito.

 

Ma quello che successe dopo spazzò via ogni senso del dovere dal cervello di Ron. L’uomo allungò tutte e due le mani e le sbattè con forza sul sedere di Hermione. Ron scattò in piedi alla velocità della luce, e prima ancora che quello potesse ritirare le mani si ritrovò di schiena a terra con il labbro spaccato.

 

“Brutto bastardo…ti faccio vedere io, lurido porco… ” Hermione trattenne Ron per un braccio, che al contrario sembrava non ancora soddisfatto. Ma il viscido ometto fece una cosa inaspettata…un sorrisetto.

 

“AIUTO!!!”

 

Ron e Hermione si voltarono di scatto: un uomo, apparentemente spuntato dal nulla, aveva il pugnale levato contro la signora O’Connor.

 

“Merda!!” Ron scattò in avanti, pur sapendo che non avrebbe fatto in tempo.

 

“Sta’ lontano da mia moglie!!” John O’Connor afferrò una bottiglia e la fracassò sulla testa del suo assalitore, che per un istante barcollò…quell’istante prezioso che servì a Ron per sbatterlo a terra con una spallata a parecchi metri di distanza. Il suo complice, il porco che aveva insidiato Hermione, fu abbastanza veloce da sfuggire a entrambi e recuperare il suo amico, trascinandolo di corsa fuori prima che Ron potesse raggiungerli e sparendo appena fuori la porta del bar.

 

“Figli di puttana…” ruggì Ron, tornando dentro per accertarsi delle condizioni degli O’Connor.

 

Hermione era in piedi accanto alla signora O’Connor, che sembrava ancora sconvolta, mentre nel locale c’era un gran fermento e gente che mormorava e richiedeva la presenza della polizia.

 

“Oh cielo…” Catherine alzò gli occhi e guardò il marito con un sorriso enorme. “John…tu mi hai salvato!”

 

Lui arrossì e annuì. “Credevi forse che avrei potuto sopportare l’idea di perderti?”

 

“…amore mio!!” la donna gli balzò al collo e gli coprì il viso di baci, e Hermione sorrise compiaciuta.

 

“State tutti bene?” chiese trafelato Ron, arrivando in quel momento.

 

“Grazie al cielo si.” Fece John, abbracciando ancora sua moglie.

 

Hermione si voltò verso Ron con gli occhi che le saettavano per la rabbia. “Che cosa diavolo avevi in testa?!” ruggì.

 

Lui s’infiammò. “Che vorresti dire?”

 

“Come hai fatto a essere così pazzo! Hai abbandonato loro, che sono la nostra prima priorità, per venire da me che avevo la situazione perfettamente sotto controllo!”

 

“Ooh, ho visto come la tenevi sotto controllo!” Ron si passò una mano fra i capelli. “Pretendevi anche che fossi rimasto a guardare mentre quello ti metteva le mani addosso?!”

 

“Cara, ha ragione lui.” Catherine appoggiò maternamente una mano sulla spalla di Hermione, cercando di calmarla. “E’ rimasto con noi fino all’ultimo, non potevi aspettarti che restasse con le mani in mano mentre quell’uomo disgustoso cercava di molestarti.”

 

“Non è questo quello che ci hanno insegnato!” replicò ferocemente Hermione, guardando dritto negli occhi il suo ragazzo. “Ci è mancato poco che pagaste voi per un errore suo.”

 

Ron scosse la testa con amarezza. “Andrai avanti finchè non riterrai di avermela fatta pagare per quello che ho detto prima, non è vero? In tal caso risparmia tempo e fatica, Hermione, perché mi dispiace da morire e non so nemmeno come…”

 

“Tutto nella tua vita succede senza che tu sappia come è capitato.” Hermione gli voltò le spalle e prese Catherine per un braccio. “Andiamo, il vostro aereo sta per arrivare.”

 

Il signor O’Connor rivolse a Ron uno sguardo carico di comprensione, invitandolo a seguire le due donne che stavano uscendo dal bar. Hermione stava camminando rapidamente, tanto che la signora O’Connor sembrava affaticata per tenere il suo passo, infatti avevano già attraversato la strada che li divideva dall’ingresso dell’aeroporto, e che dava su una specie di belvedere con una vista su tutta la città. Hermione ebbe per un istante la tentazione di guardare quel bel paesaggio, data la sua passione per le vedute di collina…ma l’arrivo improvviso di una macchina che per poco non la investì la svegliò completamente da qualsiasi distrazione.

 

Avvenne tutto come a rallentatore: lo sportello posteriore della macchina si spalancò e comparve un uomo con un fucile in mano. Per istinto Hermione si gettò sulla signora O’Connor, trascinandola a terra un istante prima che potesse essere colpita e sentendo alle sue spalle le grida del marito.

 

Ron sfoderò il pugnale e colpì in pieno l’uomo col fucile, facendolo crollare di schiena sul sedile dell’auto. Quello alla guida, però, non si arrese: sterzò rapidamente il volante e puntò a tutta velocità contro Catherine e Hermione, che si stavano rialzando.

 

“Attenzione!!!” urlò disperato John.

 

Hermione rotolò alla sua destra trascinandosi la signora O’Connor e schivando di un pelo le gomme dell’automobile, ma in quel momento sentì un ruggito furioso e seppe che era Ron prima ancora di alzare gli occhi: lo vide aggrapparsi al cofano della macchina e balzarci sopra in qualche modo, e con un calcio a piedi uniti sfondare il parabrezza ed entrare nella macchina per lottare direttamente con l’autista.

 

“Catherine!!” urlò John, raggiungendole ed aiutando la moglie ad alzarsi. Hermione scattò in piedi, vedendo che la macchina vagava a zig-zag e soprattutto ad alta velocità verso il parapetto del belvedere.

 

“Ron!!!” strillò. “Il burrone!!!”

 

La macchina compì un’improvvisa svirgolata alla sua destra, ma alla velocità con cui stava andando non fu capace di frenare in tempo: sfondò il parapetto e piombò giù con un tonfo assordante.

 

Hermione sbiancò paurosamente, e a malapena avvertì le voci della folla che si era radunata nello spiazzo, né tantomeno quelle degli O’Connor. Si coprì la bocca con le mani e rimase senza respirare per qualche secondo, con gli occhi che le pungevano per le lacrime che si rifiutava di far uscire.

 

No… non ci credo, non così…

 

“Oh Dio mio.” Sussurrò con voce strozzata Catherine, aggrappandosi al braccio del marito.

 

“Chiamate la polizia, presto!!” urlò una donna.

 

“Aiuto, polizia!!” strillò istericamente una signora anziana.

 

Hermione trattenne il fiato quando vide una mano callosa tendersi e aggrapparsi al parapetto semidistrutto, poi le mani divennero due…e pochi istanti dopo un ciuffo di capelli rossi rivelò la presenza di Ron, che si stava arrampicando con un’aria un po’ stravolta e soprattutto molto sporco di terreno, ma era vivo. Hermione fece un sorriso misto alle lacrime che le scesero copiosamente sulle guance, e nemmeno sentì le esclamazioni di stupore della folla e quelle di gioia degli O’Connor…semplicemente gli corse incontro piangendo, e appena lo ebbe raggiunto gli gettò le braccia al collo così forte che lo fece barcollare all’indietro di qualche passo.

 

Ron, seppure visibilmente provato, sorrise e la strinse forte a sé, nascondendo il viso fra i suoi capelli e rifocillandosi col suo odore di vaniglia e primavera.

 

“Mi dispiace così tanto…” piagnucolò Hermione, col viso nel suo collo. “…ho avuto così tanta paura…oddio, Ron…scusami, scusami…io non volevo…”

 

“Ssh…” Ron le baciò il viso più volte. “Non è successo niente, amore…sono io che devo chiederti scusa, sono il solito stronzo…mi dispiace, scusami amore, scusami tanto…”

 

Hermione tirò su col naso e si asciugò le lacrime con la mano. “…sono stata una scema, a me non importa niente di dove andiamo a vivere…tu sei tutta la mia famiglia, dovunque andremo a stare sarà casa per me purchè ci sia tu.”

 

Ron sorrise e le accarezzò la guancia. “Non puoi dire una cosa del genere e aspettarti che non ti baci. Me ne frego che siamo in servizio.”

 

Hermione sorrise fra le lacrime. “Me ne frego anch’io.”

 

 

 

 

Catherine sospirò e sorrise ancora di più quando vide i due ragazzi che si baciavano meritatamente, e si strinse ancora di più al marito. “Quanto sono carini…”

 

Fra la folla ancora in subbuglio si fece largo un poliziotto. “Chi sono i ragazzi che sono stati attaccati, quei due?”

 

Catherine lo guardò con disprezzo. “Ma li vuole lasciare un attimo in pace, santa pazienza, non vede che sono occupati?!”

 

“Come sarebbe a dire, signora??”

 

“Ehi! Non contraddire mia moglie, sai!”

 

Catherine emise un urletto di gioia e si lanciò addosso al marito. “Quanto sei bello quando mi difendi!! Sei magnifico, sei il mio eroe!”

 

John accolse il bacio della moglie con molto piacere…a differenza del poliziotto, che guardò prima una coppia, poi l’altra e…

 

“Ma insomma, si può capire cosa diavolo è successo qua?!?”

 

 

***************

 

 

“E’ stata una delle giornate più emozionanti della mia vita.”

 

Catherine O’Connor sorrise serenamente, mentre lei e il marito – mano nella mano – stavano salutando le loro guardie del corpo al varco per imbarcarsi sul loro volo, ormai in partenza.

 

John annuì. “E’ stato un vero macello, ma molto istruttivo.”

 

Ron ridacchiò, godendosi la sensazione di stare abbracciato a Hermione, che gli teneva un braccio attorno ai fianchi mentre lui le aveva passato un braccio sulle spalle. “Devo ammettere che non è andato esattamente tutto come previsto, ma si può considerare una storia a lieto fine per fortuna.”

 

Catherine soffermò lo sguardo sullo zigomo viola e sui tagli che ricoprivano il viso del ragazzo. “Mi raccomando, fatti controllare da un guaritore appena puoi, capito?”

 

“Non si preoccupi, c’è una bella signorina qui che non mi darà pace finchè non mi avranno visitato per bene.” Ron guardò la sua ragazza con un sorrisetto.

 

“Sono molto felice che alla fine sia andato tutto per il meglio.” Hermione sorrise ai due coniugi. “Anche fra voi due, se ho capito bene.”

 

Catherine sorrise al marito. “Si, e dobbiamo ringraziare solo voi per questo.”

 

Hermione sbattè gli occhi. “Noi?”

 

John annuì. “Ci avete dato una bella rinfrescatina su ciò che importa davvero nella vita…ci avete ricordato come eravamo anche noi all’inizio della nostra storia, e abbiamo capito che vale la pena riprovarci ancora una volta.”

 

“Questo mi riempie di gioia.” Hermione fece un largo sorriso.

 

Ron annuì compiaciuto. “L’America è un buon punto di partenza, no?”

 

“Già.” John rise. “Vi manderemo una bella cartolina.”

 

Catherine con la coda dell’occhio seguì i movimenti del poliziotto di prima, che stava smanettando con un suo subalterno. “A quanto pare la polizia babbana ha in mente di rovinarvi la giornata.”

 

Ron scosse la testa. “Abbiamo già avvertito quelli del reparto Relazioni coi Babbani, se ne occuperà il Ministero.”

 

“Bene.” Esclamò John. “Meritate un lungo periodo di pausa dopo quello che avete fatto oggi.”

 

Ron rise. “Neanche cinque minuti ci daranno, è ordinaria amministrazione. Anche se non ci capita tutti i giorni di far riconciliare le coppie che salviamo.”

 

Tutti risero. “A proposito di salvataggi.” Catherine estrasse qualcosa dalla tasca e la tenne nella mano stretta a pugno. “John e io stavamo parlando prima…non vogliamo andarcene così, voi ci avete salvato la vita in molti sensi e noi non sappiamo neanche come ricambiare in qualche modo…”

 

Hermione scosse la testa. “Ci mancherebbe altro, signora, abbiamo fatto solo il nostro dovere…”

 

“Permetteteci comunque di farvi un piccolo regalo.” La donna aprì la mano di Hermione e vi depose l’oggetto che stava stringendo. “Così vi ricorderete di noi.”

 

Hermione guardò cosa aveva in mano: era un mazzo di chiavi…

 

John sorrise largamente. “Aprono la nostra vecchia casa, il villino dove siete venuti a prenderci.” E dicendo così strizzò l’occhiolino a Ron. “Ha sei stanze e il giardino, e niente posti auto.”

 

Hermione rimase a bocca aperta. “Ma non…g-grazie mille, ma noi non possiamo accettare…”

 

Catherine sorrise. “Oh, si che potete. E’ un regalo, e i regali non si rifiutano mai.”

 

John annuì. “E usatela meglio di come l’abbiamo usata noi.”

 

Hermione non potè trattenersi oltre e gettò le braccia al collo di Catherine, che si commosse a sua volta e l’abbracciò. Ron era raggiante quando strinse la mano al signor O’Connor. “Non potremo mai ringraziarvi abbastanza, dico sul serio…”

 

“In questo caso siamo pari.” John gli strizzò l’occhiolino. “Sono certo che vi troverete benissimo nella nuova casa.”

 

“Passate a trovarci se mai tornerete in Inghilterra.” Hermione sorrise felicemente, e Ron le passò un braccio attorno alle spalle.

 

“Ben volentieri, ragazzi.” John prese la moglie per mano. “Arrivederci, allora…e grazie di tutto.”

 

“Grazie a voi.” Fece allegro Ron. “In bocca al lupo.”

 

“Buona fortuna anche a voi, cari.” Catherine baciò la fronte a Hermione e quindi si allontanò col marito verso la scaletta per l’aereo, voltandosi a salutare ancora una volta prima che li facessero entrare nell’aereo in procinto di decollare.

 

Hermione e Ron rimasero a salutare l’aereo che spiccava il volo finchè non fu scomparso fra le nuvole, quindi Hermione si voltò e balzò in collo a Ron, emettendo un urletto che lui trovò adorabile. “Abbiamo una casa, abbiamo una casa tutta nostra!”

 

“E proprio come la volevamo.”esclamò felice Ron, sorridendole largamente.

 

Hermione si strinse di nuovo a lui, ridendo emozionata. “Casa nostra, tutta per noi!” un secondo dopo si fece indietro. “Abbiamo un milione di cose da fare! Prima dobbiamo vedere se la casa ha bisogno di essere ristrutturata…beh, naturalmente per quello ci faremo aiutare da tuo padre e tua madre…poi bisogna andare a scegliere i mobili…certo, converrà fare acquisti a Diagon Alley, si fanno ottimi affari lì…”

 

Ron rise fra sé e sé nel vederla tutta concentrata, con quell’aria professionale che assumeva sempre fin da quando era piccola ogni volta che pensava intensamente a qualcosa. Pazzo doveva essere stato il primo uomo sulla terra che si era innamorato…e pazzo era lui, che ormai sentiva di dipendente da lei in tutto e per tutto, ma se quella pazzia significava vederla sorridere così spensieratamente allora si, voleva essere pazzo e restarci fino a che avesse avuto fiato in corpo. Con questo pensiero in testa e un sorriso sulle labbra la baciò mentre lei stava ancora parlando da sola, col preciso proposito di lasciarla piacevolmente stordita e soprattutto…finalmente un attimo zitta.

 

“Stavi dicendo?” le disse con uno sfacciato sorrisetto volutamente fascinoso.

 

Hermione sbattè gli occhi e si passò una mano fra i capelli…poi lo guardò con un sopracciglio inarcato e sorrise a sua volta. “Non credere di farla franca così, signor Weasley. Non pulirò tutta la casa da sola, e puoi scordarti che lo chieda a tua madre.”

 

Ron si accigliò. “C-come…pulire la casa?! Tu vuoi pulire la casa?!”

 

Hermione fece un irritante sorrisetto e gli stampò un rapido bacio sulle labbra. “Non io, amore, noi due insieme.”

 

Ron prese a seguirla quando lei s’incamminò allegramente verso l’uscita. “No, aspetta un momento, ma non potremmo chiedere una mano a qualcuno che ne sia capace? Né io né te siamo proprio esperti con gli incantesimi domestici, non siamo gente da pulizie…”

 

“C’è sempre tempo per imparare.” Rispose vispa lei, continuando a camminare.

 

“Ma ragiona! Almeno facciamoci aiutare!”

 

“Non se ne parla, è la nostra casetta, ce la prepareremo io e te da soli.”

 

“E se prendessimo un elfo domestico?”

 

“Sei impazzito?”

 

“Pagandolo!” Ron stava praticamente supplicando Hermione mentre la rincorreva, e lei ne era talmente consapevole che un sorriso beato le adornava la faccia. “Lo riempiamo di soldi, giuro!”

 

“No.”

 

“Ma almeno parliamone un attimo, non…”

 

“Ron.” Hermione si fermò e si voltò.

 

“Cosa?”

 

“Sta zitto e baciami.”

 

 

*** THE END ***

 

 

 

Psst…ehi, ragazzi…cliccate qui! =D

 

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V

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Capitolo 9
*** Fratelli? No, grazie! ***


Meglio tardi che mai

Meglio tardi che mai! Questa shotty è ufficialmente dedicata a Vale e Vale86… vvtb! Doveva essere on-line già un bel po’ di tempo fa…ma il mio simpatico pc collassando si è portato via una cartellina di file tra cui c’era anche questo…e riscrivere le cose già scritte è terribile perché sembrano sempre meno belle dell’originale! -_- Speriamo che sia venuta bene comunque! Di sicuro è venuta più lunga!

 

 

 

 

Fratelli? No, grazie!

 

 

“Molly, tesoro, io capisco che ti serve un’ora per prepararti, capisco anche che devi dare le ultime raccomandazioni a tua figlia prima di uscire, ma non credi che il normale ritardo da signora sia stato ampiamente superato a questo punto?”

 

“Ooh, sta’ zitto Arthur, Ginny non è ancora capace di cucinare! Vuoi che dia fuoco alla cucina per la tua stupida fretta?”

 

Ginny fece una smorfia disgustata e appoggiò le mani sui fianchi. “Mamma…sarò anche una frana, ma non fino a questo punto.”

 

Harry trattenne una risatina e si limitò a un sorriso. “Stia tranquilla, signora, le darò una mano io.”

 

“Ecco, vedi cara? Credi che adesso possiamo andare?” il signor Weasley fremeva per non arrivare tardi alla riunione dei membri più anziani del Ministero che si sarebbe tenuta di lì a pochi minuti in uno dei saloni del palazzo ministeriale. “Non sarebbe molto educato presentarsi a discorso iniziato, non credi?”

 

“Si, si, va bene.” Molly Weasley afferrò il cappotto e lo indossò rapidamente, quindi si rivolse ancora a sua figlia. “Hai capito bene, Ginny? Non usare la magia per cucinare, potresti mandare tutti al San Mungo per avvelenamento se sbagli qualcosa…se non sbaglio Bill e Charlie escono stasera, e Ron…Ron?”

 

“Con Hermione.” Disse tranquillo Harry.

 

“Bene, ricordatevi di sistemare gli incantesimi di sigillo della porta, non aprite a nessuno per nessun motivo…”

 

“Mamma! Harry è un War Mage, se te lo sei dimenticato!”

 

Apprendista War Mage, e comunque siamo in tempi di guerra e la prudenza non è mai troppa!”

 

“Andiamo Molly, vieni.” Il marito la prese affettuosamente per un braccio e l’attirò verso il camino.

 

“…tieni basso il fuoco quando riscaldi il sugo…”

 

“Buonanotte e buon divertimento!” Ginny diede uno spintone a sua madre, facendola finire fra le braccia del marito giusto in tempo per usufruire della polvere volante. Appena i genitori furono svaniti, Ginny si voltò e fece un sorriso largo quanto tutta la mascella. “Soli!”

 

Harry fece un sorrisetto losco e si sfregò le mani. “Puoi ben dirlo, amore…magnificamente soli…”

 

Ginny lo raggiunse in due rapidi passi felpati e morbidi che a Harry fecero venire in mente una cerbiatta che saltellava verso il suo compagno. “Stasera non dovremmo avere seccature…” lei gli passò le braccia attorno al collo. “…Bill esce con Aki, Charlie chi lo rivede prima di domani mattina… a Ron ci pensa Hermione…”

 

Harry, che la stava stringendo possessivamente a sé, fece una smorfia di disgusto. “Potresti evitare…?”

 

Ginny alzò pazientemente gli occhi al cielo. “Sei proprio un bambino.”

 

“Un bambino, eh?” Harry assunse un’aria maliziosa. “In tal caso, Miss Weasley, sarebbe estremamente disdicevole se io raccontassi a tua madre che le te la fai coi minorenni…”

 

Ginny rise. “Io non credo che andrai a riferire una cosa simile a mia mamma, Mister Potter… “ e così dicendo gli avvicinò le labbra all’orecchio e gli strinse il sedere fra le mani. “…se vuoti il sacco su un particolare poi devi raccontare tutto…”

 

“…preferisco i fatti alle parole…”

 

Ginny si rese conto per l’ennesima volta che forse la magia di Harry, quella innata, non era tanto la capacità di fare a meno della bacchetta…quanto di farla camminare sulle nuvole al punto che nemmeno si accorgeva di quello che le succedeva intorno quando era fra le sue braccia. Un esempio? Come c’era finita nella sua stanza, di spalle al suo armadio, con i primi due bottoni della camicia sbottonati per di più? Magia?...di sicuro le sue mani erano magiche per davvero perché stavano…

 

“Gin Gin?”

 

La voce di Bill spezzò ogni incantesimo, e Ginny reagì ad una velocità incredibile e istintiva: respinse Harry, aprì l’armadio, ce lo spinse con forza dentro e poi richiuse le ante nello stesso istante in cui suo fratello comparve sulla soglia della porta.

 

“Si?”

 

Bill inarcò un sopracciglio e si appoggiò con un braccio alla porta. “Ti ho disturbato?”

 

“Assolutamente no!” Ginny si passò una mano fra i capelli e cercò di mostrarsi più disinvolta possibile. “Cosa…che ci fai qui, non eri uscito?”

 

Bill scrollò le spalle. “Aki e io abbiamo avuto…qualche piccolo screzio.”

 

Ginny si accigliò. “Niente di grave, voglio sperare.”

 

“Le solite scemenze…” Bill sembrava abbastanza tranquillo. “Ma le sto dando un po’ di tempo per calmarsi.”

 

Adesso?! Quanto tempo?!?  “Oh…beh, non farne passare troppo, altrimenti potrebbe sentirsi trascurata… sai come siamo noi ragazze…”

 

“Un mistero apparentemente irrisolvibile, ecco cosa siete voi donne.” Bill studiò per un attimo la sorella e inarcò le sopracciglia. “Gin Gin…tutto bene?”

 

“Si, meravigliosamente.” Ginny appoggiò una mano all’armadio. “Allora, ehm…ti fermi per cena?”

 

“Cucini tu?”

 

“E’ una domanda tendenziosa?”

 

Bill rise e scosse la testa. “In parte…non saprei, stavo pensando quanto tempo dovrebbe servire alla mia dolce metà per riprendere il controllo della sua momentanea isteria…”

 

Ginny sfoderò un sorriso smagliante. “Invece di perdere altro tempo, corri da lei…sono sicura che le faresti passare il malumore in un istante.”

 

“Si, lo farò…” Bill le fece un occhiolino. “…ma lasciamola cuocere nel suo brodo ancora un po’, eh?”

 

Ma dannatissima miseria… “Come preferisci.” Ginny si sforzò di mascherare la sua frustrazione. “Quindi che fai, ti fermi a cena?”

 

“Ma si.” Bill si guardò in giro. “Hai visto Harry?”

 

“Credo sia sotto la doccia.” Ginny si passò una mano fra i capelli.

 

“Ok.” Bill le fece un occhiolino. “Vado a vedere cosa ci ha lasciato mamma in frigo.”

 

“Va bene.” Il sorriso falso di Ginny svanì dal suo viso non appena il fratello se ne fu uscito, e in quel momento l’anta dell’armadio si aprì e Harry scivolò fuori.

 

“Fantastico.” Brontolò. “Giustamente per una volta che potevamo stare un po’ da soli, tuo fratello entra in crisi con la ragazza. Semplicemente fantastico.”

 

Ginny sbuffò. “Dai…tanto dopo cena se ne va…”

 

Harry scosse la testa. “Senti Ginny, forse sarebbe ora di smetterla di fare i ladri…”

 

“Vuoi dire tutto ai miei fratelli?” Ginny inarcò le sopracciglia. “Ora?”

 

“No, diciamoglielo direttamente quando avremo il primo figlio!” Harry sbuffò. “Andiamo, Gin… non stiamo facendo niente di male, no?”

 

“No, infatti, è solo che non ho idea di come possano reagire se…”

 

“Lo sapevi che mamma ci ha lasciato perfino la carne già tagliata?”

 

Ginny si staccò di scatto da Harry e tirò in avanti l’anta dell’armadio per nascondercelo dietro, ma sfortunatamente lo fece con un po’ troppo entusiasmo…e Harry si dovette tappare la bocca con una mano per evitare di lamentarsi ad alta voce per la botta al naso. Bill ricomparve sulla soglia della porta. “Cosa?”

 

“Mamma ancora non si fida molto delle nostre doti culinarie se ci taglia ancora la carne come quando avevamo due anni, eh?” Bill smise di sorridere vedendo il sorriso palesemente falso della sorella. “Ginny?”

 

“Si?”

 

“Tutto bene…?”

 

“Tutto benissimo…” Ginny si sistemò un po’ meglio la camicia con fare distratto. “Perché?”

 

“Mah…hai un’aria un po’ strana…”

 

Ginny smanettò sommariamente. “Niente di particolare…ci tengo a cucinare bene stasera così mamma si renderà finalmente conto che ci so fare anch’io fra i fornelli.”

 

Bill fece un sorrisetto. “Mamma, eh?”

 

Ginny si accigliò. “Si, mamma…”

 

Bill annuì e si allontanò dalla stanza una seconda volta. Ginny aprì l’armadio di nuovo, e subito accarezzò il naso dolorante di Harry.

 

“Tesoro scusami! Non volevo!”

 

“Ok, ma la prossima volta mettici un po’ meno entusiasmo, va bene?” Harry fece per venire fuori dall’armadio sporgendosi in avanti.

 

“Ehi, Gin Gin?”

 

Questa volta Harry si tappò la bocca con due mani, perché il bruciore al naso si triplicò dopo la terza botta. Un rivoletto di sangue gli scivolò sulle mani, e un paio di parolacce gli sfuggirono di bocca sottovoce.

 

“Che c’è, Bill?” il tono di Ginny stavolta era piuttosto esasperato.

 

Bill si contenne ed evitò accuratamente di riderle in faccia. “Il sugo che hai lasciato a bollire sta bruciando.”

 

Ginny spalancò gli occhi. “Oddio, no!”

 

Questo fu il segnale che Bill aspettava per scoppiare a ridere senza ritegno, tanto che si appoggiò al comò per non cadere di faccia a terra.

 

Ginny lo guardò prima confusa, poi incredibilmente irritata. “Mi fa piacere che la cosa ti faccia addirittura sbellicare dalle risate!” sbottò, incrociando le braccia sul petto.

 

Bill si asciugò le lacrime che gli erano scese a forza di ridere a crepapelle. “Ooh…oddio…dovresti vedere la tua faccia, Gin Gin…impagabile…”

 

“Fai così tutte le volte che Aki manda a fuoco la cena, per caso?” replicò ostinata lei.

 

Bill rise e scosse la testa. “No, dolcezza, non è il sugo bruciato che fa ridere…fa ridere il fatto che non c’è nessun sugo a bollire sul fuoco.” Ginny sbattè gli occhi. “Non ce l’hai mai messo.”

 

Ginny aprì la bocca per parlare, poi la richiuse. “Oh…ehm, s-si…devo essermene dimenticata…”

 

Bill incrociò le braccia sul petto e fece un odioso sorrisetto. “Resterai dentro quell’armadio ancora a lungo, Harry?”

 

Ginny arrossì furiosamente di colpo, e mordendosi le labbra si voltò a guardare Harry, che uscì silenziosamente dall’armadio. Bill rise forte quando vide il naso gonfio e sanguinante di Harry, che non sembrava abbastanza soddisfatto del comportamento della sua ragazza.

 

“Però…” Bill fece un occhiolino al suo amico. “…siamo già arrivati a questa fase? Te le suona di già, Harry?”

 

“Più o meno.” Brontolò il ragazzo, lanciando uno sguardo rapido a Ginny.

 

Lei guardò il fratello con aria tesa. “Bill…ma come…”

 

Lui scrollò le spalle. “Ho avuto anch’io la vostra età, sai…neanche troppo tempo fa, ti ricordo.”

 

“Non stavamo facendo niente.” Disse subito la sorella.

 

“No?”

 

“No, davvero. Stavamo parlando.”

 

“Ehi, un momento.” Harry lanciò un’occhiataccia a entrambi i Weasley. “Non dobbiamo giustificarci per quello che facciamo o non facciamo.”

 

“Giustificarvi no, ma sarebbe stato apprezzato se le cose fossero avvenute alla luce del sole, non credi?” questo zittì Harry. “Comunque ormai è acqua passata…e poi meglio tardi che mai! Non c’è proprio niente che sentite il bisogno di raccontarmi, mh?”

 

Ginny prese fiato, e a Harry venne subito in mente quanto lei ci tenesse all’approvazione di Bill più ancora che di tutti gli altri. “Ecco…io e Harry stiamo insieme. Da più di sei mesi, a dire il vero…i sei mesi più belli della mia vita.”

 

Harry annuì. “Non abbiamo voluto dire niente a nessuno per una serie di buoni motivi… tra cui il nostro bisogno di conoscerci meglio senza pressioni esterne. Capisci cosa intendo?”

 

“Credo proprio di si.” Bill fece un sorrisetto. “Sei mesi, eh? Però…avrei detto di più. I vostri sguardi hanno cominciato a tradirvi da molto prima, allora.”

 

Harry e Ginny si scambiarono un sorriso, e fu lui a parlare. “Già…a te non sfugge proprio niente, eh?”

 

Bill rise, poi si fece serio…o quasi. “Beh, vediamo un po’…a questo punto esce di scena Bill amico di Harry e subentra Bill fratello maggiore di Ginny…”

 

Ginny sbattè gli occhi. “Ti prego, dimmi che stai scherzando.”

 

Bill fece una piccola smorfia. “In parte. Non ho niente in contrario a voi due insieme…per quel che ho potuto vedere vi cercate da un bel po’, era prevedibile che le cose andassero in questo modo… ma…”

 

“Ma?” lo esortò Harry.

 

“…ma vorrei sapere in che tipo di…rapporti siete.”

 

Harry si grattò la nuca. “Vuoi sapere…se Ginny e io facciamo sesso?”

 

Bill contrasse il viso. “Ehi, puoi moderare i termini visto che è della mia sorellina che stiamo parlando?”

 

Ginny alzò gli occhi al cielo. “Bill, io ho diciassette anni.”

 

“E sei ancora una ragazzina, perciò sta’ buona e lasciami fare il mio dovere di fratello maggiore.”

 

Harry si grattò la nuca e fece una smorfia. “Mh…vediamo un po’. Se dico al mio amico Bill che io e Ginny non siamo andati al di là di un bacio mi riderà in faccia e non ci crederà, ma se dico al fratello della mia ragazza che io e lei siamo intimi saranno rogne…quindi cosa mi suggerisci?”

 

Bill alzò spallucce. “Prova a essere sincero.”

 

Harry annuì e si infilò le mani nelle tasche. “Ok. Io e Ginny stiamo insieme…sotto tutti i punti di vista. E io la amo come non ho mai amato nessuna al mondo.”

 

Ginny si morse le labbra e guardò suo fratello con apprensione, tirando un impercettibile sospiro di sollievo quando gli vide le labbra curvarsi leggermente in un piccolo sorriso.

 

“Non si può dire che suoni male detto così. Bravo, hai stile.”

 

“Ooh, insomma!” Ginny mise le mani sui fianchi, assomigliando in tutto e per tutto a sua madre. “Bill, smettila di fare quella faccia! Lui è stato onesto, adesso devi esserlo anche tu. Hai qualcosa da dire o no?”

 

Bill scosse la testa con un sorrisetto. “Gin Gin, non siete sotto esame con me… tutto quello che voglio da Harry è che ti tratti col massimo rispetto, e con questo intendo anche sapersi controllare in certi momenti… ho avuto 18 anni anch’io, so cosa significa perdere la testa per una ragazza. Solo… ricordati di chi è che parliamo, va bene? E’ mia sorella, e voglio essere sicuro che sia in buone mani.”

 

Harry tirò su col naso. “Non ti posso dare un granchè di garanzie…deve bastarti il fatto che ne sono innamorato, e che farò tutto quello che posso per vederla felice.”

 

Bill annuì e gli strizzò l’occhiolino. “Hai ufficialmente passato il test della verità, congratulazioni.”

 

Harry rise e Ginny abbracciò allegramente suo fratello. “Mi hai fatto tremare, sai. Di solito non sei così amichevole coi miei ragazzi.”

 

Bill le diede un bacio sulla tempia. “Cucciola, stavolta conosco bene il maschio in questione… e mi fido abbastanza.”

 

Harry si grattò la nuca. “Wow, credevo che fosse molto più difficile parlare con un fratello maggiore.”

 

Bill inarcò un sopracciglio. “Avete già parlato con Ron?”

 

Ginny si ciondolò sui piedi. “Ecco…”

 

Harry scosse la testa. “Non è il momento più adatto.”

 

Bill fece una smorfia divertita. “Allora aspetta a dire che è facile parlare coi fratelli… si dà il caso che il tuo amico sia il tipo un po’ possessivo…”

 

“Un po’?” fece ironico Harry.

 

“Siete sempre i solito pessimisti, ce la caveremo benissimo e a lui farà piacere sapere di noi.” Disse sbrigativamente Ginny.

 

“Si…” Bill trattenne una risatina e guardò l’orologio. “Beh…a questo punto direi che Aki ne ha avuto di tempo per calmarsi, no?”

 

Ginny sorrise all’istante. “Oh, sicuramente.”

 

Bill rise. “Sai una cosa, cucciola, ho la sensazione che più che a Harry mi devo raccomandare a te per il controllo…ho la netta sensazione che neanche tu ci scherzi.”

 

Harry annuì. “E non ti sbagli affatto.”

 

“Harry!” protestò Ginny, arrossendo.

 

“E’ nei geni Weasley, amico mio!” fece Bill ridendo, mentre si allontanava dalla stanza della sorella per raggiungere il camino di casa. In meno di un minuto si sentì il tipico plop della Polvere Volante, e i due ragazzi seppero di essere di nuovo soli.

 

Ginny sorrise. “Che magnifica sensazione sapere che anche Bill sa e approva…”

 

Harry annuì. “Si…e così siamo a meno uno. Quanti fratelli ci mancano?”

 

Lei rise e gli fece cenno di seguirla. “Dai, andiamo a prepararci qualcosa da mangiare.”

 

La cucina della Tana era già invasa da un buon profumo: a quanto pare la signora Weasley aveva lasciato il suo ottimo pasticcio di carne nel forno, e questo rallegrò di molto Harry. Ginny stava imparando davvero benissimo a cucinare come sua madre, ma si sentiva ancora parecchio la differenza fra loro… mamma Weasley restava imbattibile.

 

Ginny arricciò il naso quando scoprì che nel forno stava già cuocendo la cena. “Uffa…lo sapevo che si metteva in mezzo lei…volevo preparare qualcosa io.”

 

Harry le accarezzò i capelli e le spalle da dietro. “E chi te lo impedisce.”

 

“Capirai, se sei capace di mangiare ancora dopo il pasticcio di carne di mamma devi avere un pozzo senza fondo al posto dello stomaco.”

 

“Mangeremo meno pasticcio e ci lasceremo il posto per quello che preparerai tu.” Lui le diede un bacio sul collo. “Ti sta bene?”

 

“Mh mh…” Ginny annuì assentemente. “Che cosa vorresti?”

 

“Non mi provocare…”

 

“Tu passi troppo tempo coi miei fratelli, stai diventando peggio di loro.” Lui sorrise contro la sua pelle, ma non si interruppe. “…Harry?”

 

“Mh?”

 

“Di questo passo non riuscirò a mettere neanche ad accendere il fuoco…”

 

Harry fece un sorrisetto malizioso e la fece voltare. “Sicura?”

 

“Porco.” Con lo stesso sorrisetto furbo Ginny lo attirò a sé e lo baciò come aveva voluto fare fin dal momento in cui i suoi genitori erano usciti, lasciando finalmente la Tana libera e vuota e tutta per loro… avevano aspettato tanto quella sera per godersi un po’ di sana intimità, e finalmente si potevano permettere lussi come quello di baciarsi nella cucina, che di solito era territorio off limits (troppo via-vai…). Al solo pensiero di stare un po’ da sola con Harry, Ginny lo abbracciò più forte ed emise un sospiro soddisfatto quando sentì le sue mani scivolarle lentamente lungo la schiena… non riusciva più a sentire niente intorno a sé, tranne il ritmo dei loro cuori… i loro sospiri… il frigorifero che si apriva e si chiudeva…

 

…il frigorifero???

 

Ginny sussultò quando Harry si staccò da lei, facendola quasi cadere. E lei gli avrebbe volentieri ricordato le buone maniere se la sua attenzione non fosse stata completamente catturata dal sorrisetto beffardo di Charlie, che stava appoggiato di schiena al frigo con una bottiglia d’acqua in mano e il suo solito ciuffo rosso ribelle sulla fronte.

 

Harry si passò una mano sulla faccia e scosse la testa. “E chi più ne ha più ne metta…”

 

Ginny, rossa quasi quanto i suoi capelli, si coprì la bocca con una mano. “Charlie…”

 

Charlie scosse la testa e le strizzò un occhiolino. “Niente panico, Gin, sei capitata col Weasley giusto… vedi, non lo sto ammazzando il tuo ragazzo.”

 

“Grazie per il voto di fiducia.” Fece avvilito Harry.

 

“Charlie, non è come sembra…”

 

“Ah no?” fece divertito il fratello.

 

Harry scosse la testa e ridacchiò. “Ginny, mi sa che da questa non ne puoi uscire…”

 

Charlie fece un sorriso enorme. “No, lasciala parlare, Harry, se riesce a trovare una scusa plausibile per quella specie di risucchio di tonsille che ho visto prima…giuro che mi depilo tutto il corpo dalla testa ai piedi.”

 

I due ragazzi si voltarono a fissare Ginny con delle espressioni così irritanti che lei nemmeno provò a parlare, semplicemente sbuffò e lanciò a entrambi delle gran brutte occhiatacce.

 

Charlie rise. “Ecco, appunto.”

 

Ginny fece una smorfia e lo guardò coi suoi grandi occhi nocciola. “Sei arrabbiato?”

 

Charlie scosse la testa. “E perché dovrei esserlo? Ehi, sarai anche la mia sorellina adorata ma sei una donna, una gran bella donna per di più. E questo poveraccio qui non è asessuato. E’ pressocchè normale.”

 

Harry, sbalordito, inarcò le sopracciglia. “Davvero?”

 

Charlie annuì e bevve un sorso della sua acqua. “Certo, diciamo che trovare la mia sorellina incollata in quel modo barbaro al mio amico Harry nella cucina della casa dove sono cresciuto non è esattamente il massimo, tanto per incominciare…”

 

Ginny prese a torcersi le dita. “Il fatto è che…ehm…non è la prima…volta che noi…uhm…”

 

Charlie scrollò le spalle. “Questo lo so.”

 

“Lo sai?” fecero Harry e Ginny insieme. “Ma…”

 

Charlie rise. “Cresci, Harry. Ce l’hai scritto in fronte che sei pazzo di lei. E quanto a te, Ginny-Gin, beh…che saranno, sette, otto anni che gli muori dietro? Mica male come finale per una favola.”

 

Ginny aprì e chiuse la bocca un paio di volte, trattenendo per sicurezza quel sorrisetto che voleva tanto spuntarle sulle labbra. “Charlie, dimmi che non stai scherzando.”

 

Lui si fece stranamente serio. “Non scherzo affatto. Viviamo in una guerra dove la gente muore ogni giorno, e insieme con gli innocenti scompaiono anche le nostre speranze… l’amore è tutto quello che ci resta per andare avanti, per credere che ce la possiamo fare, e se ci sono due persone che meritano di trovare amore e felicità quelli siete voi.”

 

Ginny fece un sorriso lacrimoso. “Non ti avevo mai sentito parlare così…”

 

Charlie scrollò una spalla. “Che vuoi farci… gli anni passano. Cresce il mio fascino, e a quanto pare anche la mia saggezza innata.”

 

Harry si passò una mano fra i capelli. “Mi credi se ti dico che mi sarei aspettato di peggio a raccontare di me e Ginny a voi ragazzi?”

 

“Chi altro sa di voi?”

 

“Mamma, papà e Bill.” Rispose Ginny.

 

“E Ron?” i due ragazzi scossero la testa. “Uuh…” Charlie agitò la mano.

 

“Lo sappiamo, è solo che ci sembra un po’…” Ginny smanettò. “…cioè…lui è sempre così chiuso ultimamente, e non vorremmo creargli altri problemi, perché…”

 

“Ve la fate sotto di dirglielo.”

 

“Ehi, io non me la faccio sotto proprio per niente se…” protestò lei.

 

“Reagirà male, è meglio che ve ne fate una ragione.” Continuò tranquillamente Charlie. “E non perché Harry non gli piaccia, anzi…quando si sarà calmato sarà contento che sia lui e non un altro a stare con te. Ma sul momento cederà all’impulsività, come al solito, perché per lui Ginny è sempre la bambina con le treccine che a tre anni gli si infilava nel letto perché aveva paura dei tuoni.”

 

Harry ci riflettè su. A volte dimenticava che Ron e Ginny avevano un legame così forte…o meglio, non ci pensava. Eppure Ginny gli aveva raccontato spesso come l’estate dopo il suo primo anno lui le era stato vicino in tutto, l’aveva aiutata moltissimo ad uscire da quel brutto periodo con tutto l’amore che un fratello poteva offrire. Ginny aveva con Ron un legame più stretto che con gli altri fratelli.

 

Charlie sorrise. “Ti spaccherà la faccia, poi si calmerà e vi farà le sue congratulazioni. Quindi via quel panico dagli occhi, Ginny.”

 

Lei annuì e gli sorrise brevemente. “Grazie, Charlie…per tutto.” Harry annuì.

 

Charlie strizzò un occhiolino a lui, tirandogli la bottiglietta d’acqua, e arruffò rapidamente i capelli a lei. “Ora devo proprio lasciarvi, ho un appuntamento con Madeline tra dieci minuti, e l’adorabile Rose mi aspetta tra due ore esatte. Se faccio tardi rischio di mandare all’aria la bellezza di due appuntamenti.”

 

“Ma sei disgustoso…due diverse in una sola serata?!” Ginny spalancò la bocca, inorridita, mentre Harry fece una risatina e gli diede una pacca sulle spalle.

 

“Ah, a proposito Harry?” Charlie si affaccio di nuovo nella stanza. “Quasi dimenticavo…non voglio sapere che cosa fate tu e mia sorella quando siete da soli, ma la prossima volta che siete alla mia presenza vedi di tenere le manine dove le posso vedere…intesi?”

 

Harry fece una smorfia di ovvietà. “Eccolo qua il colpo finale.” Charlie rise e si chiuse la porta di casa alle spalle.

 

Ginny guardò Harry e scoppiò in una risatina nervosa. “Harry, ci è andata di lusso! Dico, ti rendi conto?”

 

“Vero.”

 

“Non poteva andare meglio…avevo così tanta paura che non capissero, che fraintendessero il motivo per cui abbiamo fatto tutto di nascosto.”

 

Lui le scoccò un occhiolino. “I tuoi sono persone intelligenti…e ci amano. E’ una gran fortuna, sai…forse a te può sembrare scontato perché ti hanno sempre amata fin dall’inizio, ma per me… è una bella sensazione sapere di far parte di una famiglia.”

 

Ginny lo abbracciò forte. “E’ per questo che non hanno fatto storie, perché ti amano tutti come se fossi parte della famiglia Weasley…e ora lo sei a tutti gli effetti. Accidenti, mia madre mi ha quasi ringraziato per aver scelto te!” lui ridacchiò. “Quello che è strano è che tutti sapevano già… pensavo che ci fossimo stati attenti abbastanza. Cioè, passi per mia mamma con l’istinto di madre…ma gli altri?”

 

Harry sorrise e la prese per mano. “Questo conferma solo che avevo capito bene.”

 

“Cosa?”

 

“Che Bill e Charlie hanno preso tutto da tuo padre. Facci caso, hanno la sua stessa capacità di controllo e il suo ottimismo. E adesso sappiamo che hanno anche occhi ovunque, a quanto pare.”

 

Ginny annuì. “E’ vero.”

 

“Mentre tu e Ron avete moltissimo di vostra madre. Tu quasi tutto, lui magari qualcosina no.”

 

Ginny gli fece un largo sorriso e gli scansò i capelli dalla fronte. “Io invece avrei tanta voglia di congratularmi con tua madre per averti dato i suoi stessi occhi… lo sai che per un ragazzo con degli occhi così belli io potrei anche perdere completamente la testa?”

 

“Cogliamo l’occasione tra un fratello e l’altro!” esclamò allegramente Harry, prendendola per un polso e correndo verso le scalette per andare di sopra.

 

Ginny rise e si lasciò portare fino alla cima della rampa di scale. “La cena nel forno!” provò a dire.

 

Lui la guardò e sorrise. “Lascia che si bruci tutto…ho voglia di stare con te. Siamo sempre così impegnati, ed è tutto il giorno che non vorrei fare altro che abbracciarti e tenerti stretta a me… al diavolo tutto il mondo, Gin, stanotte siamo solo io e te…vuoi?”

 

Per tutta risposta lei gli passò le braccia dietro al collo e lo bacio teneramente, quasi lottando per non commuoversi. Harry sapeva essere così dolce che a volte la lasciava senza parole… e soprattutto la faceva sentire la cosa più importante del mondo, e questo era a dir poco inebriante… oh, se voleva passare la notte con lui…

 

“…io invece dico che è in casa, dove vuoi che sia a quest’ora?”

 

“…che ne sai, magari è andata con i tuoi genitori…o a casa di un’amica…”

 

“Nah…”

 

Ginny quasi strillò nel sentire la voce dell’unico fratello che non avrebbe mai dovuto trovarli in quello stato, e reagì d’istinto. Peccato che il suo istinto spinse Harry con forza, facendolo rotolare per tutte le scale finchè non finì di faccia a terra.

 

“…che non penso proprio di…” Ron era appena entrato, tenendo la porta aperta per far entrare Hermione, e immediatamente si bloccò.

 

Inarcò le sopracciglia nel vedere Harry a terra, che si stava toccando il naso sanguinante e la fronte graffiata con un’aria decisamente dolorante, quindi spostò lo sguardo sulla figura in cima alle scale: Ginny aveva tutte e due le mani premute sulla bocca, e le orecchie rosse come due peperoni.

 

Ron sbattè gli occhi. “Siete impazziti tutti e due insieme o uno per volta?”

 

“Oddio, quanto mi dispiace!” mormorò Ginny dietro le mani.

 

“Già.” Bofonchiò Harry, rialzandosi e tastandosi ancora il naso.

 

Ron guardò sua sorella con aria inquisitoria. “Cioè, fammi capire…tu lo hai buttato giù dalle scale?”

 

Hermione si scrollò la neve dai capelli e decise di rendersi utile. “E’ quello stupido giochino che fa sempre Ginny anche con me, Harry non ci è abituato ed è ruzzolato giù.” Disse sbrigativamente, togliendosi il cappotto e passando davanti a Ron. “Andiamo, Harry, ti rimetto a posto quel naso.”

 

Ginny corse giù mentre Hermione muoveva delicatamente la bacchetta sul naso del suo amico. “S-si, è proprio uno scherzetto idiota, mi dispiace così tanto… scusami, Harry…”

 

“Ma quanto sei scema…” Ron scosse la testa e chiuse la porta, appoggiando sul tavolino il pacchetto che aveva in mano per togliersi il giubbotto. “Ma dico io, devi proprio tormentarlo così tanto questo poveraccio? E comunque la colpa è tua,” disse a Harry. “Perché non la mandi affanculo ogni tanto?”

 

Harry scosse la mano con aria assente, senza muoversi per non disturbare Hermione. “Lascia perdere.”

 

“Allora tieniti le lividure, San Potter.” Borbottò Ron.

 

“Ecco fatto.” Hermione mise via la bacchetta e fece un passo indietro. “Sei come nuovo.”

 

“E comunque che ci fate qui?” domandò Ginny, scostandosi i capelli dagli occhi.

 

Hermione fece un sorriso smielato come raramente ne faceva. “Siamo qui perché tuo fratello è la persona più dolce e sensibile della terra.”

 

Harry inarcò le sopracciglia. “E che le avrai fatto mai?”

 

Ron scosse la testa e si massaggiò la nuca. “Ma niente…”

 

“Altro che niente!” Hermione, sprizzando gioia ed emozione da tutti i pori, prese il pacchetto dal tavolino e lo infilò in mano a Ron, dandogli una vigorosa spinta in avanti verso Ginny. “Avanti, non fare il timido adesso! Daglielo!”

 

“E non c’è bisogno di spingere…” la protesta di Ron era palesemente minima.

 

Ginny osservò con curiosità il pacchetto che suo fratello le stava porgendo e lo prese. “Per me? E come mai ti sei scomodato fino a questo punto?” mormorò divertita mentre scartava.

 

Ron alzò spallucce e mise su un’espressione quasi indifferente. “Così…”

 

Hermione rise e scosse la testa, vispa come non lo era da molto tempo. “Appena l’ha visto nel negozio ha detto subito che te l’avrebbe preso.”

 

“Cos’è?” Harry si sporse per guardare.

 

Quando Ginny finalmente riconobbe il regalo di Ron rimase senza parole per un secondo, incapace di formulare un qualsiasi pensiero razionale, ma solo di provare una valanga di intensissime emozioni. Lottie…quella era proprio la sua Lottie, la sua bambola preferita. Quando era piccola ci dormiva, ci mangiava, ci faceva il bagno, non c’era niente che non facesse senza quella bambola sotto braccio…ma poi un giorno Crosta, il mefitico topo di Ron, aveva deciso di modificare la sua abituale dieta a base di formaggi vari in favore della povera Lottie, che era stata letteralmente distrutta. Ginny ancora ricordava le lacrime che aveva versato per quella bambola, ma a suo tempo Ron aveva liquidato la cosa da perfetto fratello undicenne: “Tanto ormai sei grande per le bambole!”

 

“A quanto pare le bambole di pezza sono tornate di moda.” Ron fece un piccolo sorrisetto imbarazzato. “E in fondo io te ne dovevo una, giusto?”

 

Ginny sentì le lacrime pungerle gli occhi per l’emozione di tutti quei ricordi che le erano tornati così fulmineamente in testa; stringendo a sé la bambola abbracciò Ron forte forte, sussurrandogli qualcosa di impercettibile all’orecchio che lo fece sorridere e annuire.

 

Harry sorrise nell’assistere alla scena. Forse la guerra aveva indurito i loro cuori, ma questo non gli impedì di provare una gran piacere nel vedere Ginny e Ron così vicini e affiatati… e soprattutto il fatto stesso che Ron avesse avuto un pensiero così dolce nei confronti della sorella provava che le ombre nere che gli avevano avvelenato l’anima stavano cominciando a dissiparsi… e per un momento gli sembrò che il tempo si fosse fermato lì, in quella piccola cucina, in quel banale venerdì sera. In quella stanza c’erano le persone che più amava al mondo: la sua Ginny, la luce dei suoi occhi, e Ron e Hermione, praticamente suo fratello e sua sorella. Loro tre erano la sua famiglia… ecco perché la guerra, con tutti i suoi orrori, non era riuscita a fargli perdere la testa: la sensazione di avere una famiglia tutta sua, una sensazione che per anni gli era stata negata, lo rafforzava e lo rendeva felice più di ogni altra cosa. E fu in quel momento che capì perfettamente come doveva comportarsi con Ron riguardo alla sua relazione con Ginny.

 

Ron scansò Ginny dolcemente, arruffandole i capelli come faceva sempre quando erano più piccoli. “Sei rimasta la solita azzeccosa.”

 

Ginny rise e si asciugò quelle due lacrimucce che le erano scivolate sulle guance. “Scemo.” Mormorò, stringendo a sé la sua bambola.

 

“Fammela vedere…” Hermione si complimentò con Ginny, mentre lei le mostrava tutta orgogliosa la sua bambola.

 

“Beh?” Harry mise le mani in tasca e si avvicinò a Ron. “Avete già mangiato?”

 

Ron annuì, e inaspettatamente sorrise. “Abbiamo cenato a casa di Hermione…conoscevi il poker tu?”

 

Harry inarcò un sopracciglio. “Hai imparato il poker?”

 

Il sorrisetto di Ron si allargò, ma a rispondere fu Hermione. “Gliel’ha insegnato mio padre. Ron l’ha battuto a scacchi, e così lui gli ha insegnato il poker per lo sfizio di batterlo a sua volta.”

 

“Ma ho perso con onore.” Fece fiero Ron.

 

Hermione rise. “Papà ti ha stracciato!”

 

“Balle…gli ho dato un po’ di vantaggio perché volevo restituirgli un po’ il suo ego.”

 

Hermione si voltò per nascondere la sua risatina. Ginny si accigliò. “Cos’è il poker?”

 

“Un gioco che si fa con le carte babbane.” Le spiegò Harry. “In cui io sono pressocchè imbattibile.”

 

Ron fece quel sorriso che faceva ogni santa volta che qualcuno lo provocava. “Ma davvero?”

 

Harry annuì con lo stesso sorriso. “Ah ah.”

 

“Ma guarda…” Ron si sfregò le mani. “Con un po’ di fortuna mio padre dovrebbe avere le carte babbane fra le sue cianfrusaglie…”

 

“Valle a prendere, preparo il tavolo.”

 

“Ci sto.”

 

Ron fu di parola: tornò giù dalla soffitta cinque minuti dopo con le carte francesi, e Harry gli fece trovare il tavolo già preparato per la partita.

 

“Adesso mi rifaccio per tutte le volte che mi hai fatto il culo a pezzi coi tuoi scacchi.”

 

“Povero illuso.”

 

Ginny osservò con curiosità Harry che mescolava le carte. “Si direbbe che tu conosca questo gioco.”

 

“Ho imparato quando zio Vernon ha tentato invano di insegnarlo a Dudley.” Harry prese a distribuire le carte. “Ma poi mi hanno impedito di giocare con loro perché vincevo sempre.”

 

Ginny annuì con aria assente, e osservò per un attimo prima Harry, poi Ron…e tutto all’improvviso afferrò Hermione per un braccio a la trascinò in cucina. “Torniamo subito!” disse alle sue spalle, prima di chiudere la porta.

 

Hermione la guardò un po’ stupita. “Che ti prende, Gin?”

 

“Basta, non ce la faccio più!” esclamò la rossa. “Non riesco più a non dire a Ron di me e Harry… non è giusto. Non si merita che gli teniamo questo segreto.”

 

Hermione sbattè gli occhi un paio di volte e ci riflettè su. “Beh… a dire il vero non so se i tempi siano maturi…”

 

“Tu sei quella con cui passa la maggior parte del suo tempo libero ultimamente.” Replicò tesa Ginny. “Come lo trovi? Sta meglio? E’ più tranquillo?”

 

Hermione esitò, vedendo che la sua amica pendeva dalle sue labbra. “S-si…”

 

“Allora è pronto per la grande notizia, no?”

 

“Io credo…” Hermione buttò fuori il fiato che si rese conto di stare trattenendo e fece una piccola smorfia. “Non sta a me deciderlo, Ginny.”

 

“Ma come? Credevo che volessi aiutarmi!”

 

“Certo che voglio aiutarti!” le rispose subito Hermione. “Ron sta meglio rispetto a prima, lo vedi anche tu…ma è ancora molto confuso, e ha ancora i suoi momenti no. A questo punto non dipende da lui se vuoi digli di te e Harry… dipende solo da te. E da Harry.”

 

Ginny annuì. “E allora è si, stasera parleremo con Ron.”

 

Hermione inspirò profondamente e seguì di nuovo la sua amica nella camera da pranzo, dove Harry e Ron sembravano molto presi dalla loro partita a carte. In tutta franchezza non si sentiva molto sicura che Ron avrebbe accolto la notizia benissimo… secondo lei era ancora troppo presto, era solo da poco che aveva smesso di affogare i suoi dubbi nell’alcool…ma in fondo era vero che la decisione finale spettava a Ginny. Lei poteva solo essere lì per Ron, e questo avrebbe fatto.

 

 

***************

 

 

“Vedo.”

 

“Stai bluffando…”

 

“Può darsi…ciò non toglie che hai un solo modo per scoprirlo.”

 

Ron si grattò una tempia e scrutò bene il viso di Harry, per vedere se dietro quel sorrisetto fastidioso si celava il minimo dubbio…apparentemente no. Quel piccolo bastardo aveva abbastanza sangue freddo da mandarlo in crisi.

 

“Allora?”

 

“…ok, vediamo.” Ron scoprì le sue carte. “Doppia coppia.”

 

Harry fece un sorriso sadico e scoprì le sue…full di re.

 

“Ma non è possibile!” Ron buttò le sue carte sul tavolo. “Ma fai schifo, tu bari!”

 

Harry rise e scosse la testa. “La vendetta fa male, vero?”

 

Ginny sorrise largamente. “Questo è per tutte le volte che ci hai distrutto a scacchi, fratellone.”

 

“Io dico che c’è qualcosa che non quadra, per me tu bari e anche alla grande, piccolo…”

 

“Su, non ti abbattere…” Hermione gli appoggiò una mano sul braccio. “Vedrai che questa sarà la tua mano vincente.”

 

“Lo dici dall’inizio della partita, Hermione.” Ron mise il broncio, lasciando a Harry il compito di incartare le carte. “Non ti stai comportando da bravo portafortuna.”

 

Hermione inarcò un sopracciglio. “Da quando io sarei il tuo portafortuna, di grazia?”

 

Ron fece un sorrisetto perfido e senza preavviso la trascinò dalla sua sedia fin sulle sue ginocchia, strappandole un piccolo urletto. “Da adesso, cara mia. E vedi di farmi vincere.”

 

“Sei impazzito?!” protestò lei, rinunciando a rialzarsi quando lui la trattenne. “Ooh…se speri che una ragazza sulle tue ginocchia ti porterà fortuna…”

 

“Beh, tuo padre ha detto che con tua madre in braccio ha sempre vinto!”

 

Ginny scoppiò a ridere, e perfino a Harry scappò una risatina nel vedere Hermione arrossire di colpo come un peperone.

 

La partita riprese di lì a poco in un interessante silenzio; Hermione aveva smesso di protestare, e osservava le carte di Ron con un certo interesse; lui sembrava piuttosto preso dalla sua mossa, ma non disdegnava di lanciare occhiatine furtive alla sua amica. Accertatasi che l’interesse di suo fratello era altrove, Ginny riprese a guardare il suo Harry. Aveva un’espressione a dir poco adorabile… concentratissimo, con gli occhi verdi fissi sulle sue carte e le sopracciglia leggermente corrugate… irresistibile, semplicemente irresistibile. E fu così che Ginny vinse ogni inibizione e allungò un piede fino a trovare la sua gamba…

 

Harry sbattè gli occhi e lanciò un rapido sguardo verso Ginny, trovandola sorridente con quell’espressione innocente e felicemente colpevole allo stesso tempo. Schiarendosi leggermente la gola, alzò lo sguardo verso Ron. “Quante carte?”

 

“Due.”

 

Ginny si morse il labbro e fece salire il suo piede più su lungo la gamba di Harry, soffermandosi sotto il ginocchio e accarezzandogli lentamente la coscia con le dita.

 

“Pronto? Harry?”

 

“Eh?” Harry scosse la testa. Ron e Hermione lo stavano fissando un po’ accigliati.

 

“Ho detto due carte, ci senti?”

 

“Mh…si.” Harry tentò inutilmente di scrollarsi di dosso il piede di Ginny e passò a Ron le sue carte con una mano più malferma del solito.

 

Ginny incrociò il suo sguardo feroce e gli strizzò l’occhiolino.

 

“E tu?” fece Ron, mascherando a fatica uno sguardo soddisfatto per il suo punteggio.

 

Il piede di Ginny stava risalendo sempre più…

 

“Harry?”

 

“…mh?”

 

Hermione si accigliò. “Ti senti bene? Sei un po’ rosso in faccia…”

 

Ron fece un sorrisetto. “Secondo me gli sono venuti i bollori per qualcuna…ehi!” protestò, quando Hermione gli mollò uno schiaffetto sulla nuca.

 

Harry ingoiò a fatica, quindi mise la mano sotto il tavolo, spinse via il piede di Ginny e mise giù le sue carte. “Sono a posto così. Vediamo le carte.”

 

“Con vero piacere.” Ron attese che il suo amico scoprisse le sue…un misero tris. Con un incontenibile sorriso passò un braccio attorno ai fianchi di Hermione e mise giù con orgoglio le sue carte. “E poi dici che tuo padre non ha ragione, Hermione…poker di sette, bello mio! Ah ah!!”

 

Hermione rise e schiacciò il cinque con lui. “Te l’avevo detto che questa era la tua mano!”

 

“Ma come…” Harry fulminò Ginny con lo sguardo e raccolse bruscamente le carte. “…geniale, geniale davvero…” brontolò fra i denti. Ginny rise nella testa della bambola.

 

“Perché Weasley è il nostro re, ogni due ne para tre…” Ron ridacchiando prese a canticchiare la sua vecchissima canzoncina, e Hermione si accodò con grande entusiasmo.

 

“Ah ah ah.” Fece ironico Harry. “Guardali quanto sono bellini, un cervello in due.”

 

Ginny rise. “Non sai proprio perdere, Harry.”

 

Quando tutte le risate si furono calmate, Hermione si alzò e si stiracchiò. “Credo proprio che sia arrivata ora per me di tornare a casa. Non posso fare tardi stasera.”

 

Ron si alzò subito. “Ti accompagno io.” Lei annuì.

 

“Aspettate un minuto, per favore.” Ginny si mise ben eretta sulla sua sedia. “Ron, prima c’è una cosa che vorrei dirti. Che Harry e io vorremmo dirti.”

 

Immediatamente Harry la guardò con gli occhi spalancati, inorridito. Ron inarcò un sopracciglio e mise le mani sui fianchi. “Che c’è?”

 

Ginny inspirò profondamente e alzò gli occhi. “Si, uhm…è un po’ complicato, forse vorresti sederti prima?”

 

“Gin, se è una cosa lunga puoi aspettare che riaccompagno a casa Hermione e torno?”

 

“Veramente io preferirei che ci fosse anche lei…”

 

Hermione ingoiò con difficoltà e osservò Ron, che aveva incrociato le braccia sul petto e fissava sia Harry che Ginny con aria scura. “Che c’è di così misterioso?”

 

“Non c’è niente di misterioso.” Fece energicamente Harry, voltandosi poi verso Ginny. “Vero che non c’è niente di misterioso?”

 

Ginny scosse la testa. “Io credo che sia arrivato il momento di dirti una cosa. Cioè, di dirvela…a tutti e due.”

 

Ron si accigliò ancora di più. “Sarebbe?”

 

“Ecco…ecco, io e Harry…io e Harry…”

 

“…abbiamo combinato un casino nella cucina e abbiamo dato fuoco a una pentola.”

 

Ginny guardò Harry come se fosse uscito di senno. Ron inarcò le sopracciglia. Hermione spalancò la bocca.

 

“Avete…bruciato una pentola?” ripetè piano Ron.

 

Harry annuì con aria sicura. “Si, quella con cui di solito tua madre prepara la pasta al forno. Completamente carbonizzata, è un bel macello. E se te lo chiede, per favore dì che non ne sai niente, va bene?”

 

Ron fece una smorfia indifferente e alzò spallucce. “Per me va bene.”

 

Hermione non si era ancora riavuta dallo shock, ma smanettò un po’ e annuì. “Anche per me.”

 

Ginny, che guardava dritto davanti a sé con aria truce e tamburellava nervosamente con le dita sul tavolo, non si trattenne oltre e si alzò in piedi, afferrando Harry per un braccio. “Scusateci un momento.” Sibilò, trascinandolo con lei in cucina. Appena ebbe chiuso la porta lo lasciò e si voltò a guardarlo, più furibonda che mai. “Si può sapere cosa diamine ti è preso?”

 

“No, veramente dovrei essere io a farti questa domanda.” Replicò teso Harry.

 

Ginny scosse la testa, incredula. “E’ un momento così delicato, sto finalmente per dire a Ron di noi…e tu rovini tutto!”

 

“Fai bene a dire di noi!” ribattè animosamente Harry. “E’ una cosa che riguarda anche me, no? Non credi che avresti dovuto prima chiedermi se anche io me la sentivo di dirgli tutto invece che mettermi davanti al fatto compiuto?!”

 

Ginny mise le mani sui fianchi. “E’ mio fratello, Harry.”

 

“E’ anche il mio migliore amico, Ginny. Non ti allargare tanto.”

 

“Non ci posso credere!” sbottò Ginny, smanettando furiosamente. “Quindi tu vuoi dirmi che vuoi andare avanti tutta la vita così, tenendolo all’oscuro di tutto! Beh, sorpresa sorpresa, Harry, a me non sta più bene! Voglio bene a Ron, e non mi piace più andare avanti così. Mi sembra di tradirlo. Quindi ora torniamo fuori e gli diciamo tutto, punto e basta.”

 

“Ooh, non credo proprio!”

 

“Come?!?”

 

Harry sbuffò e cercò di darsi una calmata, visto che dal modo in cui lo stava guardando Ginny era facile immaginare che non sarebbe stata certo lei la prima a deporre l’ascia di guerra. “Senti. Innanzitutto calmiamoci un attimo, stiamo urlando come due ossessi e se c’è un modo tremendo per dire a Ron la verità è proprio questo.”

 

Ginny si passò una mano fra i capelli. “Harry, Ron merita di sapere la verità quanto Bill e Charlie e tutti gli altri. E’ molto importante per me sapere che lui approva quello che c’è fra noi…lo so anch’io che all’inizio avrà la sua solita reazione da zuccone, lo conosco da quando era piccolo e so quanto può essere impulsivo, ma ha il cuore a posto, anche se ultimamente ha avuto dei problemi… perché non vuoi dirgli niente?”

 

“Perché gli voglio bene.” Harry fece un sorriso inaspettatamente dolce e calmo…e alquanto disarmante. “Perché non voglio rompergli le scatole adesso. Non è il momento adatto. Niente lo deve incasinare più di quanto non lo è già… nemmeno questo.”

 

“Ma…questo dovrebbe fargli piacere, no?” balbettò Ginny. “E’ una bella cosa, certo che gli verrà l’attacco di iperprotettività all’inizio, ma poi…”

 

“Non è semplice come la vedi tu, Gin.” Harry le accarezzò una mano. “Lo sai che non gli potrai dire che il nostro primo bacio ce lo siamo scambiato ieri…lo sai che gli dovremo dire tutta la verità, vero? E che ti piaccia o no, la verità è che stiamo insieme da mesi, e per mesi non gli abbiamo detto niente di niente, né io che sono il suo migliore amico né tu che sei la sorella. Questo ti suona bene?”

 

Ginny aprì la bocca un paio di volte, poi abbassò lo sguardo e si ciondolò sui piedi. “Ok, magari… detto così no…”

 

“E’ esattamente la prima sensazione che avrà tuo fratello.” Harry le accarezzò una guancia. “Io invece voglio che sia diverso…voglio che sia felice per noi. Certo, la solita sfuriata ci sarà…ma se lui sarà sereno la prenderà bene, e sarà contento per noi.”

 

“Dici…che se aspettiamo ancora un po’ è meglio?”

 

“Io dico di si. E’ sempre più allegro ultimamente, gli sta tornando il buonumore…lasciamo che si riprenda del tutto e poi gli diciamo di noi. Ok?”

 

“Ok.” Ginny finalmente sorrise e gli passò le braccia attorno al collo. “Basta che sia contento per noi.” Harry le sorrise, annuì e si chinò per baciarla.

 

“…ma no che non sono usciti pazzi, Ron…”

 

“…intanto controlliamo, eh?”

 

Harry e Ginny fecero appena in tempo a separarsi prima che entrassero Ron e Hermione, lui profondamente accigliato e lei piuttosto a disagio.

 

“Si può sapere che avete voi due?” sbottò Ron.

 

“Non è niente.” Ginny gli fece un sorrisone. “Avevamo una cosa da chiarire…e ora è tutto a posto.”

 

Ron guardò Harry. “E’ tutto a posto?”

 

Harry annuì. “Perfettamente.”

 

Ron li guardò entrambi. “Mh…mica me la contate giusta, voi due…”

 

Hermione lo prese per mani e lo attirò verso di lei. “Adesso che abbiamo appurato che non sono impazziti…mi accompagni a casa?”

 

Ron guardò gli altri due. “Perché non venite anche voi?”

 

Ginny e Harry si scambiarono un paio di sguardi. “Ehm…veramente io avrei un po’ sonno…”

 

Harry annuì, grattandosi la nuca. “…mh…beh, lei da sola non può stare…”

 

Hermione si rese conto che toccava a lei salvare la situazione in extremis; così fece un sorriso dolce e vispo e si sollevò sulle punte, appoggiandosi agli avambracci robusti di Ron. “Invece di prendere la solita passaporta, fermiamoci giù nella piazza prima del viale per casa mia…ti va una crepe calda? Lì ne fanno di buonissime…”

 

Ron sembrò dimenticarsi di Harry e Ginny all’istante, perché fece un sorrisetto contento e annuì.  “Con la cioccolata e il caramello?”

 

“Il solito cinghiale.” Hermione ridacchiò e lo prese per mano.

 

Ron sembrò non avere più dubbi di alcun tipo quando si rivolse a sua sorella e al suo amico. “Ok, non mi aspettate alzati.”

 

“Si, papà.” Fece allegra Ginny.

 

“Ci vediamo domani.” Harry li salutò con un sorriso.

 

Ron fu il primo a uscire dalla porta e per fortuna non si voltò, altrimenti avrebbe visto Harry e Ginny smanettare e mandare baci a una Hermione col sorriso più sornione che potesse avere.

 

Ginny si voltò e fece un sorrisino vispo. “E poi hai la faccia tosta di dire che Ron non pende dalle labbra di Hermione! Quell’uomo è ridotto a uno zerbino!”

 

Harry rise, e le passò le mani sulla schiena. “Andrà a finire che farò anch’io la fine dello zerbino… tu non permetti al mio cervello di funzionare come dovrebbe. Quando ci sei tu in giro vado in tilt.”

 

Ginny gli stampò un piccolo bacio sulle labbra. “Quanto ti adoro quando sei così dolce…”

 

“…mh…” lui le sfiorò il collo con le labbra, facendola rabbrividire. “…forse ce la facciamo a stare cinque minuti da soli…”

 

Neanche a dirlo, Ginny si avvinghiò a lui come un koala. “Finalmente si!” esclamò, prendendogli il viso fra le mani e baciandolo sonoramente. Istintivamente lui la strinse a sé, spingendola di spalle al muro…

 

“Ehi famiglia, siete in casa?”

 

Harry si appoggiò di peso con le mani e la faccia contro il muro, scivolando giù in ginocchio e piagnucolando un disperato “Basta”

 

Percy fece capolino dalla porta. “Ma…che sta succedendo qui? Ehm…Ginny? Perché sei così rossa? …ehi, un momento, metti giù quella padella!!!”

 

“BASTA!!!! VOGLIO ESSERE FIGLIA UNICA!!!!”

 

 

 

** The End **

 

 

Recensioooniii? Dove siete, belle della Sunny? ^___-

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Capitolo 10
*** My Name is Cupido ***


BAWM mi mancava… una insistente ispirazione mi ronzava nel cervelluzzo da un paio di giorni… e mettiamoci anche il compleanno

BAWM mi mancava… una insistente ispirazione mi ronzava nel cervelluzzo da un paio di giorni… e mettiamoci anche il compleanno della mia cuginetta/cuginona maggiorenne Paoletta, ecco qui il risultato! La shotty più lunga che abbia mai scritto, wow… beh, buona lettura!

P.S.: quando è ambientata? Mmh… diciamo che abbiamo a che fare con Jack quindicenne, Simon dodicenne e Katie…picciola di cinque anni! =)

 

 

 

 

MY NAME IS CUPIDO

 

 

Ron odiò con tutto se stesso la sveglia, che continuava a ripetergli di alzarsi e incominciare un nuovo giorno… quel maledetto attrezzo era puntualissimo come sempre, poco importava che fossero cominciate da poco le vacanze estive, il lavoro chiamava e bisognava rispondere… certo che sentirsi dire Alzati Grande Padre da una stupidissima sveglia alle sette di mattina non era proprio il massimo…una chiacchieratina in proposito con Jack ci sarebbe stata proprio bene…

 

Sbadigliando largamente, Ron allungò la mano sul materasso per trovare l’unica cosa che gli avrebbe regalato un sorriso di prima mattina… e si accigliò quando trovò l’altra metà del letto vuota. Si mise subito in piedi, sbattendo gli occhi. “Hermione?” mormorò, con la voce impastata dal sonno.

 

“Mmh.”

 

Ron sbuffò quando vide che cosa stava facendo la moglie. Era in piedi davanti allo specchio, col viso praticamente schiacciato contro la superficie. “…tesoro? Che stai facendo, si può capire?”

 

“Ho una ruga.”

 

Ron si sforzò di non ridere al tono terrorizzato della sua compagna, e scosse la testa. “Terribile rivelazione, ci credo che sei sconvolta. Come pensi di poter sopravvivere?”

 

Hermione gli lanciò un’occhiataccia nel riflesso dello specchio. “Sei il solito superficiale…guarda qui, sulla fronte…se mi acciglio così c’è questa piccola linea rosa che…”

 

Ron non seppe più resistere, e scoppiò a ridere. “Ma sei pazza, ti stai schiacciando tutta la faccia! E’ chiaro che ti vedi le linee!”

 

Hermione si voltò verso di lui con uno sguardo risentito e glaciale allo stesso tempo, e senza degnarlo di una risposta alzò i tacchi e si andò a chiudere nel bagno. Ron alzò gli occhi al cielo e con molta pazienza scese dal letto, trascinandosi sui piedi fino alla porta chiusa del bagno.

 

“Dai, amore, apri…” Mormorò ancora assonnato, sbadigliando largamente. “Hermione?” ancora nessuna risposta. “E forza, Hermione, ma che c’è stamattina…non mi dirai che ce l’hai ancora con me per ieri, vero?”

 

All’improvviso la porta si aprì, e Ron si ritrovò i suoi vestiti e i suoi asciugamani praticamente sbattuti in faccia. “Vai a usare il bagno dei tuoi figli, questo è occupato.” Sibilò ferocemente Hermione. “Non vorrai arrivare tardi al tuo appuntamento con Vanessa.”

 

“Ancora con questa storia, ma che cosa devo fare per convincerti che…” SLAM. “…ma ti vuoi comportare da persona matura, per favore?”

 

Quando la porta rimase chiusa Ron si arrese, e sospirando profondamente si avviò verso il bagno dei ragazzi. Lui e Hermione stavano avendo dei problemi ultimamente…forse erano arrivati alla loro prima seria crisi matrimoniale, ma quello che era assurdo era il motivo per cui ci erano arrivati.

 

Tutto era cominciato un mese prima, quando gli era stato assegnato un caso che al Ministero stava seguendo una giovane magistrata, la dottoressa Vanessa Gaggins, una donna dotata di molto polso…e molto charm, che aveva messo gli occhi su di lui. Ron non era certo stupido, ma nonostante il fascino della sua corteggiatrice fosse innegabile, non gli suscitava il minimo interesse. Certo non era stato d’aiuto il fatto che Hermione fosse saltata fuori nei momenti meno indicati, cioè ogni volta che la sfacciata magistrata aveva avuto atteggiamenti equivoci nei suoi confronti. Come se questo non fosse bastato, Hermione era entrata in piena crisi: tutto in una volta si era convinta di essere vecchia e brutta. Ron questo non riusciva proprio a capirlo: a parte il fatto che a trentotto anni non si poteva nemmeno lontanamente parlare di vecchiaia, ma poi ai suoi occhi lei era la donna più bella del mondo… e non solo ai suoi occhi. Hermione era una donna dotata di carisma e fascino, oltre che di una bellezza elegante ed estremamente sensuale. Più volte gli era capitato di sorprendere uomini anche più giovani a fissarla… come faceva a sentirsi brutta?!

 

E poi il colpo di grazia era venuto proprio da Harry. Quando la dottoressa Gaggins gli aveva chiesto di aiutarla col caso, Ron aveva dovuto rinunciare alla vacanza che stava progettando per la sua famiglia…a differenza di Harry, che aveva preferito negarsi alla missione e portare moglie e figli alle Hawaii. E proprio tre giorni prima una furibonda litigata era avvenuta davanti alla foto di Harry, Ginny, Dan e Julie felicemente abbronzati e rilassati, arrivata via gufo insieme a regalini, saluti e cartoline.

 

Ron scese in cucina con la speranza di trovarci sua moglie, ma niente. L’unica presente all’appello era la piccola Katie, che si stava dando da fare a sistemare le tazze dei suoi familiari ai loro posti sulla tavola. Ron sorrise e le stampò un bacio sulla fronte. “Come sei servizievole stamattina.”

 

“Voglio farvi trovare la colazione.” Katie fece un sorrisone, mostrando la boccuccia senza i due dentini davanti. “Così siete contenti e non vi arrabbiate.”

 

Ron si rese conto con suo profondo dispiacere che le ultime litigate con Hermione erano state un po’ troppo violente per i suoi figli…in particolare per Katie, che era ancora una bambina. “E’ un pensiero molto dolce, tesoro, grazie.” La piccola sorrise quando il padre le accarezzò la guanciotta.

 

Hermione entrò in quel momento, mentre ancora si stava sistemando una matita fra i capelli per tenerli su, nonostante le solite ciocche ribelli le scivolassero sul viso e davanti agli occhi. “Ciao piccolina.” Disse alla figlia, scoccandole un lungo bacio sulla guancia e correndo ai fornelli.

 

“Ho messo la tavola!” esclamò allegramente Katie.

 

 “Bravissima, cucciola, grazie.” Hermione fece un rapido sorriso. “I tuoi fratelli?”

 

“Stanno giocando.” Rispose tranquillamente la bambina. “A quel gioco che ci ha insegnato zio Harry.”

 

Ron non fece in tempo a voltarsi che si sentì un rumore di vetri infranti, e un pallone da basket rimbalzò nella cucina. “RAGAZZI!!” tuonò ferocemente Hermione.

 

“Scusa!” fecero due voci da fuori.

 

“Venite subito dentro, tutti e due!” insistette Hermione.

 

Ron dovette contenere un sorrisetto quando vide entrare i figli: erano tutti e due sudati fradici, coi capelli umidi – quelli di Jack appiccicati alla fronte, quelli di Simon più riccioluti  del solito – e le magliette che avevano cambiato colore per le chiazze di sudore. Una scena come questa era praticamente di casa alla Tana fino a una trentina d’anni prima.

 

“A quest’ora, dico io, a sudare di questa maniera nell’aria fredda della mattina?!” urlò Hermione. “Ma vi volete rovinare?!”

 

Ron agitò la bacchetta e riparò con aria distratta il vetro infranto. “Che stavate facendo?”

 

“Giocavamo a basket.” Disse vispo Jack. “Stavo massacrando il mostriciattolo.”

 

“See, ti piacerebbe.” Replicò Simon, sicuro del fatto suo. “Hai vinto per un miserabile punto, chi vuoi stracciare tu…”

 

Ron osservò divertito Jack e Simon, che mentre si sedevano ai loro posto a tavola si stavano tirando dei piccoli spintoni e anche qualche calcio, cercando naturamente di non farsi vedere. Tipico sangue di razza Weasley, osservò divertito Ron tra sé e sé.

 

“Quand’è che mi insegnate pure a me questo gioco?” chiese allegramente Katie, arrampicandosi sulla sua sedia.

 

“Quando sarai alta almeno il doppio, tesoro.” Hermione, bricco alla mano, cominciò la distribuzione di latte nelle varie tazze.

 

“Sempre la stessa storia…” borbottò Katie, nascondendo il musetto nella sua tazza.

 

“Ehi, che ne dite se stamattina ce ne andiamo a pranzo fuori tutti insieme?” fece all’improvviso Ron, cercando soprattutto lo sguardo di Hermione.

 

“Sii!” Katie esultò.

 

Simon sbuffò e nascose il mento in una mano. “Ci avrei giurato. Te lo sei dimenticato, non è vero?”

 

Ron si accigliò. “…di che parli?” Lo sguardo truce di Simon fu aggravato dal suo silenzio.

 

“Non prendertela con tuo padre se si è scordato della tua finale di scacchi, tesoro.” Fece Hermione, senza staccare gli occhi dal pane e marmellata che stava preparando a sua figlia. “Lui è un uomo molto impegnato ultimamente.”

 

Ron la guardò con stizza. “Il mio lavoro non ha mai interferito con la mia famiglia prima, e non lo farà ora né mai.” Replicò seccamente. “E non avevo dimenticato la finale di Simon, solo mi sembrava che fosse mercoledì prossimo… farò un po’ più tardi, ma ci sarò.”

 

“Me la dai a me questa coppa se la vinci, Simon?” fece Katie, sbattendo gli occhi. Il fratello annuì.

 

“Non contate sulla mia presenza.” Disse subito Jack. “Amelia e io siamo impegnati tutta la mattina.” Amelia Sheffield era la migliore amica di Jack, e da quando si era trasferita con la sua famiglia a poca distanza da casa Weasley, lei e Jack si vedevano ora, minuto e secondo.

 

“Tu è meglio se non vieni.” Replicò Simon. “Mi deconcentri e basta.”

 

Io?!” Jack fece una smorfia. “A parte che è materialmente impossibile deconcentrarti, piccoletto, e poi…”

 

“Non mi chiamare piccoletto, montato!”

 

“Ma come siamo suscettibili… agitato per la gara? Sicuro che la sbagli?”

 

“Jack, sei uno str…”

 

“Basta così!” intervenne subito Hermione.

 

Katie fece un sorriso felice. “Stavi dicendo una brutta parola, vero?”

 

“Cinque minuti di pace, va bene?” fece esasperata Hermione, rinunciando al suo pane e marmellata. “Non chiedo altro che un po’ di pace in questa benedetta casa, voi due non fate altro che litigare!”

 

“E allora?” Jack la guardò con aria di sfida. “Tu e papà non fate la stessa cosa?”

 

“Modera i toni, Jack.” Ron s’incupì. “Gli affari degli adulti lasciali agli adulti e pensa a fare il ragazzino.”

 

“Troppo comodo, non credi?” fece ostinato il figlio.

 

“La discussione si conclude qui.” Il tono di Ron era lapidario, ma il suo sguardo lo era mille volte di più. “Sono stato chiaro?”

 

“Sissignore.” Borbottò Jack fra i denti.

 

Hermione si alzò in piedi e cominciò a sparecchiare, se non altro per non sentire quella stretta allo stomaco che ultimamente non l’abbandonava mai. Simon la guardò con la coda dell’occhio, poi si voltò verso suo padre. “Allora, ehm…non verrai, vero?”

 

Ron fece una faccia dispiaciuta. “Potrei non fare in tempo…senti, perché non facciamo una cosa? Vengo a prenderti quand’è finita e mi racconti tutto, mossa per mossa. E poi ce ne andiamo a mangiare insieme, eh campione?”

 

Simon abbassò gli occhi e annuì, evitando di far notare a suo padre che questo non era quello che voleva lui. Ci teneva alla sua presenza…

 

“Io vengo!” esclamò Katie. “Mammina ha detto che veniamo!”

 

Ron si voltò verso Hermione. “Credevo che dovessi fare quella ricerca per la Gaggins…”

 

Hermione nemmeno si voltò. “Oggi sono in licenza, che se la faccia da sola la sua ricerca la Gaggins. Mio figlio viene prima del resto.”

 

“E con questo che vorresti dire?” ribattè subito Ron.

 

Simon nascose il viso fra le mani. Jack, vedendolo, si schiarì la voce e gli diede una bottarella sulla nuca. “Ho cambiato idea, quasi quasi ci vengo anch’io a vederti. E’ un po’ che non assisto a una partita a scacchi come si conviene.”

 

Simon allargò le dita quel tanto da scoprirsi gli occhi, e guardò suo fratello un po’ incerto…poi tolse le mani e fece un sorrisetto. “E’ la volta che impari qualcosa.”

 

“Ah ah.” Fece ironico Jack.

 

Sentendo bussare all’improvviso alla porta, Hermione si asciugò le mani sul grembiule che teneva legato in vita. “Ma chi è a quest’ora?”

 

Jack si alzò e si diresse verso l’ingresso. “Lascia, è Amelia…”

 

Con sua grande sorpresa aprendo la porta Jack non si ritrovò davanti la sua amica, ma un’estranea… un’estranea strepitosa. Era una donna bionda, formosa, con una gonna molto corta e una giacca alquanto scollata, in piedi su un paio di tacchi per niente bassi. La donna fece uno sgargiante sorriso e si sistemò meglio gli occhiali da sole.

 

“Ciao. Tu devi essere il figlio di Ron, vero? Sei il suo ritratto. E’ un piacere conoscerti…”

 

“…Jack.” Jack allungò la mano per stringere quella della donna, senza riuscire a chiudere la bocca che teneva spalancata.

 

“Jack.” La donna sorrise ancora. “Potresti chiamarmi papà, caro? Sono un po’ di fretta.”

 

“…pa’?” la voce di Jack era insolitamente stridula.

 

“Che c’è?” Ron raggiunse suo figlio alquanto imbronciato, e nel vedere la donna alla porta si fermò e sbattè gli occhi un paio di volte. “Dottoressa Gaggins.”

 

La donna fece un sorriso enorme. “Andiamo, Maggiore, quante volte le ho detto di chiamarmi Vanessa?”

 

“Si, uhm…” Ron sembrava parecchio a disagio. “A che cosa devo il piacere…?”

 

“Oh, stavo andando al Ministero quando mi hanno comunicato che devo presentarmi da Montgomery per aggiornarlo sulle evoluzioni del nostro caso…così ho pensato bene di portare anche lei con me, sarà senz’altro più completo nelle spiegazioni tecniche…Maggiore Granger, anche lei qui.”

 

Ron si voltò a guardare sua moglie. Hermione stava fissando la Gaggins con gli occhi ridotti a due fessure e le mani sui fianchi. Neanche a dirlo, Simon, che era in piedi vicino a sua madre, aveva il suo stesso sguardo truce.

 

“Si dà il caso che questa sia casa mia..” Sibilò gelida Hermione.

 

La magistrata annuì con un movimento più frenetico della testa, e tornò a guardare Ron. “Vogliamo andare, allora?”

 

Hermione precedette Ron, utilizzando il suo tono più secco. “E’ veramente gentile a disturbarsi tanto, addirittura passa a prendere a casa i suoi collaboratori.”

 

La donna scrollò spallucce e si sistemò una ciocca voluminosa di capelli dietro l’orecchio. “So riconoscere un buon collega quando lo vedo.”

 

Hermione mise su il sorriso più falso che poteva. “Saranno fortunati tutti gli impiegati del Ministero, in tal caso.”

 

Ron notò con orrore lo scatto con cui la Gaggins si sfilò gli occhiali dal naso, e per evitare l’irreparabile prese la giacca dall’attaccapanni e fece un passo fuori. “Ok, noi andiamo o faremo tardi. Ci vediamo dopo.”

 

Hermione si morse le labbra mentre guardava Ron allontanarsi con la formosa dottoressa, e stringendo forte le mani attorno al grembiule che aveva in mano alzò i tacchi e si diresse verso la cucina. Jack, che continuava a fissare la donna in lontananza, nemmeno si accorse della ragazzina castana che gli era comparsa davanti alla porta.

 

“Ehi, chi è la sofisticata bonona con cui sta andando via tuo padre?”

 

Jack scosse la testa e finalmente si decise a notare Amelia, che lo stava guardando coi suoi grandi occhi nocciola alquanto vispi. “Quella? A quanto ho capito io è una collega…”

 

Amelia fece una smorfia. “Che ci sta dichiaratamente provando con tuo padre.”

 

Jack scosse la testa. “Tutte uguali voi donne, eh? Uno non può essere un po’ gentile che subito pensate male…”

 

“Veramente lì c’è molto poco da pensare, basta guardare com’è vestita.” Amelia inarcò un sopracciglio. “Tua madre che ne dice?”

 

“Paranoia totale.”

 

“Come se avesse torto.” Borbottò fra i denti Simon.

 

“Oh, andiamo!” Jack fece un sorriso disteso. “Quella ci prova con papà. E con ciò? Papà è innamorato di mamma, non le darebbe mai corda. Possiamo non pensarci più?”

 

Simon sbuffò e guardò altrove.

 

Amelia gli fece un sorriso dolce. “Ehi, sbaglio o è oggi la tua finalissima?” Simon annuì. “Allora meriti un deciso incoraggiamento.” Senza alcun preavviso gli stampò un sonoro bacio sulla guancia.

 

Jack non si contenne e scoppiò a ridere quando vide le orecchie di Simon farsi paonazze, e gli arruffò i capelli ancora più di quanto non lo fossero già. Amelia sorrise ancora di più, contenta di averlo distratto dai problemi dei suoi genitori. Ultimamente i ragazzi Weasley erano sempre così tesi…

 

 

***************

 

 

“Quant’è bella questa statuetta!”

 

Simon lanciò un’occhiatina di traverso alla sorella, che sulle spalle di Jack si passava da una mano all’altra il suo premio di campione del Torneo di Scacchi della sua città, e gli venne da ridere a vedere che fine inglosiosa avesse fatto la statuetta.

 

“Sei stato bravissimo, tesoro.” Disse orgogliosa Hermione, mentre tutto il gruppetto camminava lungo la strada assolata di Hogsmeade.

 

“E’ stata una vittoria schiacciante.” Esclamò vispa Amelia, che ogni tanto strappava qualche risatina alla piccola Katie facendole il solletico sotto le gambette.

 

“Scegli tu come vuoi festeggiare.” Gli disse Hermione.

 

“Qualsiasi cosa?” chiese incerto Simon. Sua madre annuì.

 

Jack, che continuava a camminare con la sorella sulle spalle, fece un sorrisetto losco. “Ehi piccoletto, perché non ti fai comprare i biglietti per la partita di domenica prossima delle Api di…”

 

“Non se ne parla, il regalo è mio e decido io.” Fece subito Simon. “E smettila di chiamarmi piccoletto.”

 

“Anch’io voglio un regalo!” esclamò Katie.

 

“Tu hai già avuto il mio premio, non ti basta?”

 

Hermione sorrise e scosse la testa. “Mentre ci pensate e trovate una soluzione, andiamo a prenderci un gelato al bar.”

 

Jack non gettò la spugna. “E dai, se andiamo a vederci la partita tutti insieme ci divertiamo!”

 

“Ancora?!”

 

“Jack, lascialo in pace.” Amelia si scansò un ciuffetto di capelli dal viso. “Ha diritto di scegliere il suo premio, no?”

 

“Parole sante, e mi piacerebbe che per una volta non vi azzuffaste, per favore.” Hermione appoggiò la mano sulla maniglia della porta del bar in cui stavano per entrare, e istintivamente diede un’occhiata nel piccolo saloncino dove una decina di persone prendevano il caffè e chiacchieravano tranquillamente. Dopotutto lei era un War Mage, e come tale il suo primo istinto era quello di prestare bene attenzione ai particolari…ecco perché non le sfuggi la macchia di capelli rossi in fondo alla sala. Quei capelli…

 

Amelia sbattè gli occhi e si voltò a guardare Jack, che a sua volta si era accigliato nel vedere sua madre immobile con la mano sulla maniglia. “Ma’? Tutto bene?”

 

Incuriositi, i ragazzi si sporsero oltre per seguire la traiettoria del suo sguardo… c’era Ron in fondo alla sala, seduto a un tavolo con la donna bionda che quella mattina aveva bussato alla loro porta. La donna si era tolta la giacca, restando solo con una scollata camiciola; teneva le gambe accavallate e sorrideva largamente, scansandosi in continuazione i capelli dal viso. Ron sembrava piuttosto serio, ma anche lui rise a un certo punto, e lei gli appoggiò una mano sul braccio come se si stessero divertendo molto.

 

“Chi è quella signora con tutti quei capelli?” chiese incuriosita Katie.

 

Simon ebbe quasi paura di voltarsi per vedere la reazione di sua madre. Hermione aveva un’espressione illeggibile sul viso molto pallido, sembrava sotto shock. “…mamma?”

 

Hermione si voltò verso i ragazzi e forzò un sorriso. “Scusatemi, ho un mal di testa tremendo… credo che tornerò a casa.”

 

“Torniamo tutti.” Disse subito Jack.

 

Hermione scosse la testa. “No, no, è una bella giornata…perché voi ragazzi non restate ancora un po’ fuori all’aria aperta, vi farà bene… state attenti a Katie, va bene?” i figli annuirono.

 

Amelia esitò. “Non…si preoccupi, signora.”

 

Hermione annuì freneticamente e salutò i ragazzi con la mano, non fidandosi della sua voce tremula e instabile, fondamentalmente rauca per il pianto ancora inesploso. Simon la guardò mentre si allontanava, e tutto in una volta si rese conto di avere anche lui un blocco alla gola.

 

“Dove va mammina?” fece Katie.

 

“Ehm…che ne dite se ce ne andiamo…al parco?” Amelia cercò di fare un sorriso genuino alla bambina, che s’illuminò e annuì festosamente.

 

Jack fissò accigliato suo padre per qualche istante, ma distolse lo sguardo in tempo per vedere suo fratello che marciava verso la porta del bar; riuscì a fermarlo appena in tempo, trattenendolo per un braccio e facendogli cenno di no con la testa. Quello non era né il momento né il luogo.

 

Katie si agitò sulle spalle di Jack. “Allora, ci andiamo al parco?”

 

 

***************

 

 

Ron si chiuse alle spalle il cancello del giardino di casa che era sera ormai, e con un rapido sguardo all’orologio si rese conto di aver fatto tardi. La gara di Simon…suo figlio sarebbe stato furibondo con lui. Ma non era colpa sua se in assenza di Harry il suo lavoro si era raddoppiato! Deciso a farsi perdonare, entrò in casa e subito si guardò in giro, cercando il resto della sua famiglia.

 

“Ehi, siete a casa?”

 

Il sorriso di Ron vacillò quando trovò tutti e tre i suoi figli nella camera da pranzo; dei tre solo Katie smise di colorare i suoi disegni per correre a salutarlo; Jack si stava lucidando la scopa, scuro in volto, e Simon stava sprofondato nella poltrona e fissava il pavimento con uno sguardo truce. Sospirando, Ron fece un passo avanti per raggiungerli, ma un rumore brusco di piatti lo fece voltare verso la porta aperta della cucina: Hermione stava mettendo a tavola…di spalle alla porta, con movimenti alquanto violenti e un’aura di rabbia tutta intorno a sé.

 

Pure…

 

Ron si schiarì la voce e sorrise. “Lo so già che ce l’avete con me perché avevo promesso che vi avrei portati fuori… mi dispiace davvero, ma senza zio Harry a lavoro è tutto molto più faticoso…”

 

“Immagino.” Ringhiò tra i denti Simon.

 

Ron rimase colpito dal suo tono. “Simon, mi dispiace.”

 

Suo figlio sollevò un attimo lo sguardo per incontrare e fulminare il suo, poi riprese a guardare a terra, stringendo forte le mani sui braccioli della poltrona.

 

“Non mi è piaciuto anteporre il dovere a voi, ragazzi, perciò vi prego di non farmene una colpa.” Ron appoggiò le mani sui fianchi, sperando in una reazione di qualunque tipo. Quella tensione era insopportabile. “Andiamo, non è la prima volta che manco a uno dei vostri appuntamenti, ma non avete mai fatto questi musi lunghi!”

 

Simon non si trattenne. “Si vede che ti abbiamo abituato male.” Sibilò.

 

Ron si accigliò. “Che cos’è questo tono, Simon? Non mi piace per niente.”

 

Jack alzò per la prima volta lo sguardo. Era duro anche il suo. “Lascialo in pace.” Gli disse con durezza.

 

A questo punto i dubbi di Ron si triplicarono. “Si può sapere che cos’è successo in questa casa? Hermione?” nessuna risposta, solo rumori bruschi.

 

Katie si grattò il nasino. “Papino, chi era quella signora bionda?”

 

Ron sbattè gli occhi. “Quale signora bionda?”

 

“Quella che tu ci prendevi il gelato insieme stamattina.”

 

Una mano gelida s’impossessò dello stomaco di Ron. Ecco svelato l’arcano…ecco perché quegli sguardi. E soprattutto… ecco perché Hermione continuava a fare quel baccano in cucina. Sforzandosi di restare calmo, Ron sospirò. “Ragazzi, vi state sbagliando di grosso.”

 

Simon rimase a fissarlo col fuoco negli occhi per qualche altro secondo, poi senza aggiungere altro si alzò e corse su per le scale. Jack sbuffò e mise giù la sua scopa, alzandosi a sua volta e tendendo la mano a Katie. La sorella subito lo seguì su per le scalette, lasciando Ron da solo in quel terribile silenzio interrotto solo dai rumori bruschi delle pentole.

 

Ok, nervi saldi…

 

Ron entrò piano in cucina e si appoggiò con una mano alla porta. “Hermione?” lei non gli rispose né si voltò, semplicemente continuò a fare quello che stava facendo. Lui sospirò. “Per favore, ho bisogno di parlarti.”

 

Hermione s’interruppe bruscamente e si voltò, appoggiandosi con le mani sul tavolo e fissandolo con rabbia e sfida a più non posso.

 

“Se ho capito bene, tu e i ragazzi mi avete visto con la Gaggins oggi.” Lei non mosse un muscolo, continuò solo a guardarlo con aria di sfida. “Hermione, io non so cosa stai pensando ma ti posso giurare che ero lì solo per lavoro.”

 

Hermione inarcò un sopracciglio. “Lavoro?” sibilò, gelida e incredula.

 

Ron fece un passo avanti. “Vanessa Gaggins mi ha invitato a discutere di alcune soluzioni che le hanno proposto al Ministero per risolvere più in fretta il nostro caso, e lei mi ha invitato a parlarne lontano da orecchie indiscrete. Tutto qui.”

 

Hermione scosse la testa e si morse le labbra. “Quanto credi che sia stupida, Ron?”

 

“Io non ti credo affatto stupida, e ti ho detto la verità.”

 

Hermione fece una risata ironica. “Quindi vuoi dirmi che non sei più capace di accorgerti se una donna ha interesse per te? Non ci credo nemmeno se lo vedo!”

 

Ron perse la pazienza e fece due passi avanti. “Ok, ammettiamo che tra le varie cose Vanessa Gaggins ci abbia provato con me. Questo cosa cazzo cambia?”

 

“Te lo dico io cosa cazzo cambia!” Hermione sbattè rumorosamente le mani sul tavolo. “Cambia tutto! L’hai guardata bene in faccia quella bambolona? E’ praticamente perfetta, senza contare che avrà almeno una decina di dannatissimi anni meno di me!”

 

“E con questo che vuoi dire?!” Ron stava urlando a sua volta. “Che a me bastano tette e culo per perdere il controllo e dimenticarmi di quelli che amo?! E’ questa la stima che hai di me?!”

 

“Io non lo so più che cosa pensare!” strillò Hermione, con la voce che le tremava. “So solo che stamattina credevo che tu fossi al lavoro, e invece non solo non ti sei presentato alla gara di tuo figlio, ma sei stato anche a…bere uno stramaledettissimo caffè con una bellissima puttana senza dirmi niente!”

 

“E quando te lo dicevo, scusa?!”

 

“Dimmi una cosa, Ron: se noi non ti avessimo visto me l’avresti mai detto?”

 

“No!” Ron si passò una mano sulla faccia. “No perché non ha alcuna importanza per me, è stata una missione come un’altra!”

 

Hermione fece una smorfia intrisa di sarcasmo. “Certo, perché ora mi dirai che sei indifferente al fascino di quella donna!”

 

“Non sono cieco, cazzo, ma questo non vuol dire che…”

 

“Lo vedi, lo vedi che lo ammetti anche tu!!”

 

“Ma ti stai ascoltando??”

 

 

 

 

Seduta fra i suoi fratelli in cima alle scalette, la piccola Katie si tappò le orecchie con le mani e chiuse gli occhioni. Non ce la faceva a sentire ancora i suoi genitori che urlavano… stavolta stavano urlando più del solito. Perché non facevano pace? Mentre un paio di lacrimoni le scivolavano sulle guance, Katie si lasciò prendere in braccio da Jack, che le diede un bacio sulla fronte e le accarezzò lentamente la schiena. Ma quando facevano pace?...

 

 

 

 

“Non riesco a credere alle mie orecchie!” Ron scosse la testa. “Tu stai cercando di sfogare la tua frustrazione su di me, e questo è ingiusto!”

 

Tu sei la mia frustrazione, Ron!!” urlò Hermione. “Tu, che sei ancora un uomo maledettamente affascinante e io fatico a strati dietro, ma a te questo cosa importa?! Chi sono io per te?!?”

 

Ron sbattè un pugno sul tavolo, facendolo scricchiolare. “Non ti permetto di parlare a nome mio dei miei sentimenti, maledizione! Come ti permetti di mettere in dubbio il mio amore per te?!”

 

“Perché stamattina non hai liquidato quella puttana quando è venuta a fare la stronza in casa mia, eh?” Hermione avanzò minacciosamente, facendolo arretrare. “Perché invece di andare con lei non le hai detto che saresti venuto dopo con tua moglie?”

 

Ron esitò per un attimo. “Tu a momenti le davi della puttana! Anzi, scordati a momenti, gliel’hai praticamente detto! Che altro dovevo fare secondo te??”

 

“Dovevi semplicemente comportarti da uomo sposato, tutto qui!!” urlò lei. “Che cazzo ti costava stamattina, quando quella ti ha invitato fuori, dirle che non c’era bisogno di parlare in modo così intimo e isolato dagli altri?! Non hai pensato che mi avrebbe dato fastidio saperti con lei?!”

 

Stavolta fu Ron ad avanzare, urlando. “Ma se ti ho detto che per me non aveva alcun valore, sei sorda?!”

 

“Tu sei solo un egoista, e in tutti questi anni mi sono illusa che tu fossi cambiato, ma non è così!!”

 

La stanza si immerse in un tetro silenzio. Ron stava fissando la moglie con gli occhi a forma di fessure, e quasi non voleva credere a quello che aveva appena sentito. “Quindi è questo che pensi veramente di me.” Mormorò.

 

“Putroppo non ho bisogno di pensare, io vedo…e ho visto mio marito accettare le avances di un’altra donna esattamente come faceva quando era un ragazzo.” La voce di Hermione era rauca e rotta dal pianto. “Tu sei rimasto come allora, Ron. E io mi sono illusa del contrario per tutti questi anni.”

 

Quelle parole ferirono Ron più di una lama affilata. Gli fu difficile trovare il fiato per esprimere quel groviglio di sensazioni che provava. “Credevo che tu mi conoscessi più di chiunque altro al mondo…” mormorò, freddo e addolorato allo stesso tempo. “Ma se è questo che pensi di me, allora hai ragione quando dici che abbiamo sbagliato tutto.”

 

Due singole lacrime scivolarono giù dagli occhi di Hermione. “Non è più tempo di fare i ragazzini…siamo adulti, siamo genitori. Ultimamente non facciamo altro che litigare… Katie è confusa, i ragazzi sono sconvolti…stiamo facendo del male a noi stessi e soprattutto a loro.”

 

Ron ingoiò a fatica un boccone amaro. “Non posso pensare che proprio tu credi questo di me… credevo di essermi meritato la tua fiducia oltre che il tuo amore.”

 

Hermione strinse forte gli occhi. “Avrei dovuto lasciarti libero molto tempo fa.” Sussurrò.

 

 

 

 

Simon si voltò a guardare Jack con gli occhi spalancati, e lesse negli occhi del fratello la stessa espressione di orrore.

 

 

 

 

Ron si avvicinò alla moglie finchè non fu a un centimetro di distanza da lei, guardandola negli occhi dall’alto della sua statura imponente. “Nessuno è mai riuscito a farmi tanto male quanto te.” sibilò, stringendo i pungi. “Nessuno.”

 

 

 

 

Jack strinse forte gli occhi quando vide suo padre uscire di casa e sbattersi forte la porta alle spalle, e quando sentì i singhiozzi disperati di sua madre si rese conto che non sarebbe riuscito a restare su quelle scale un istante di più. Si alzò in piedi e prese in braccio la sorella, e con la coda dell’occhio vide Simon asciugarsi bruscamente le lacrime con la manica prima che anche lui si alzasse per correre via.

 

 

***************

 

 

Amelia si fermò davanti alla porta di casa Weasley. Quando li aveva lasciati la mattina precedente, i ragazzi le erano sembrati molto scossi e la madre sconvolta. Forse non era un’idea brillante presentarsi a quell’ora e rompere le scatole ai genitori di Jack, che forse non avevano ancora rimesso a posto le cose. Forse era meglio entrare col ‘Piano B’, come faceva sempre quando volevano evitare la sorveglianza degli adulti (anche se Amelia aveva la netta sensazione che sia la madre che il padre di Jack conoscessero perfettamente tutti gli spostamenti dei figli anche senza bisogno di vederli… non a caso erano due spie dei servizi segreti del Ministero). Così si mise a cavalcioni della sua scopa e si alzò in volo, fino ad arrivare davanti alla finestra della stanza del suo migliore amico.

 

Con sua grande sorpresa, Amelia vide che i letti erano perfettamente intatti nonostante fosse ancora molto presto; Jack era seduto sulla sedia della sua scrivania, e teneva il mento in una mano mentre giocherellava con una penna distrattamente. Simon era sdraiato in modo sbilenco sul tappeto con Katie rannicchiata contro la spalla, e tutti e due dormivano pesantemente.

 

Amelia picchiò leggermente il pungo contro il vetro. Jack alzò lo sguardo e la vide, e subito si alzò e venne ad aprirle la finestra. “Che è successo?” gli chiese piano lei.

 

Jack si guardò un attimo indietro, quindi le fece cenno di avvicinarsi e salì sulla sua scopa, chiudendosi la finestra alle spalle. Amelia volò fino a terra, ma invece di atterrare nel giardino di casa Weasley si diresse verso il parco vicino.

 

Jack sbuffò quando si appoggiò di spalle al muretto, incrociando le braccia sul petto e guardando un punto in lontananza. “Papà se n’è andato di casa.” Disse piano dopo una lunga pausa di silenzio.

 

Amelia si inumidì le labbra e saltò sul muretto, guardandolo attentamente. “Hanno litigato molto male, eh?”

 

Jack annuì. “Papà ha cercato di dire a mamma che per lui conta solo lei. Lei gli ha dato del bugiardo. E così lui ha detto che non sopportava di non avere la sua fiducia e se n’è andato.”

 

Amelia gli appoggiò una mano sulla spalla. “Era prevedibile, no? Voglio dire… tua madre lo ha beccato con quella specie di fotomodella…”

 

Jack fece una smorfia rabbiosa e si voltò a guardarla in faccia. “Perché diavolo punti il dito subito contro mio padre?” ruggì. “Lui non ha fatto niente, se l’ha detto io gli credo! E’ così difficile dargli un po’ di fiducia?! Sei identica a mia madre!”

 

Amelia si sforzò di restare calma. “E tu sei uguale a tuo padre.” Disse con tono tranquillo. “Jack, io non sto assolutamente dicendo che tuo padre ha tradito tua madre, proprio no. Però tu vedi solo il tuo punto di vista maschile…prova a metterti per un attimo al posto di tua mamma. Tuo padre è un uomo a dir poco bellissimo, e lei si sente sempre minacciata dalle altre donne, soprattutto da quelle come la tipa di ieri.”

 

Jack spalancò le braccia. “Ma se papà è innamorato pazzo di lei! Le altre non le guarda neppure!”

 

“Lo sai che noi donne abbiamo un tantino di sensibilità in più?” Amelia inarcò un sopracciglio. “Siamo molto insicure di noi, e spesso e volentieri abbiamo bisogno di essere rassicurate sui nostri dubbi. In tutta onestà, Jack, tuo padre ha rassicurato tua madre uscendo con quella tizia, anche se non gli importava niente di lei?”

 

Jack aprì la bocca per ribattere, poi la chiuse… sbuffò e scosse la testa.

 

Amelia scrollò spallucce. “Non ti devi preoccupare, si amano ancora… hanno fatto la sfuriata, ora si calmano.”

 

Jack scosse la testa. “Tu non li conosci…sono testardi, cocciuti…”

 

Amelia fece un sorrisetto. “Mi sembra di aver avuto a che fare con una personcina simile una volta o due…”

 

“Si, ma con loro è diverso… papà se n’è andato, mamma ha pianto tutta la notte, e sono pronto a scommettere che nessuno dei due vorrà fare il primo passo. Uff, vorrei tanto che ci fosse zio Harry…”

 

“Abbi un po’ più di fiducia nell’amore.”

 

“Io non ci credo nell’amore.” Disse cupo lui.

 

Amelia sospirò. “Simon e Katie come l’hanno presa?”

 

Jack scrollò le spalle. “Abbiamo passato la notte a parlare.”

 

“Cioè tu parlavi e loro dovevano ascoltare il grande capo?” lei fece un sorrisetto alla sua occhiataccia. “Di solito è così che il grande Jack Weasley tratta suo fratello e sua sorella.”

 

“Piantala… forse abbiamo un piano.”

 

Amelia sbattè gli occhi. “Un piano?”

 

Jack annuì vigorosamente. “Un piano per farli tornare insieme. Faremo in modo di far incontrare mamma e papà per caso oggi, e così si potranno parlare con calma e si chiariranno. ”

 

Amelia esitò. “Jack, non voglio dire che non è una buona idea, ma forse i tempi non sono ancora maturi…”

 

“Più tempo passa più rischiano di non tornare insieme. No, devono parlarsi e anche subito.”

 

“Non pensi che avrebbero bisogno di qualche giorno per rimettere a posto le idee e sbollire la rabbia?”

 

“No.”

 

Amelia fece un sospiro rassegnato e annuì. “Io direi di aspettare…comunque…”

 

Jack scosse ancora la testa. “Finirà tutto in una bolla di sapone, lo so. Abbiamo già preparato tutto fin nei dettagli. Rimetteremo noi le cose a posto, vedrai.”

 

Amelia si sforzò di fare un sorriso incoraggiante, pur sapendo che se i genitori di Jack avevano anche solo la metà del caratteraccio testardo e duro del figlio, l’impresa si sarebbe rivelata quasi impossibile.

 

 

***************

 

 

“Grazie per avermi accompagnato, pa’. Lo sai che mamma è un po’ impedita in queste cose.”

 

Jack fece un breve sorriso a suo padre mentre uscivano dal negozio dove avevano comprato la pluffa nuova. Ron sembrava molto giù di corda, ma non aveva esitato a dire di sì al figlio quando gli aveva chiesto di accompagnarlo a cercare una nuova pluffa, in sostituzione di quella che Katie gli aveva perso.

           

“Questa è proprio bella, starò attento a non farmela prendere da tua figlia.” Jack osservava con molto interesse il suo nuovo acquisto.

 

“Che si dice a casa?” chiese piano Ron, mentre s’incamminavano lungo Diagon Alley.

 

Jack scrollò spallucce. “Katie dice che non riesce ad addormentarsi senza di te, così stanotte ha dormito con noi. Simon ce l’ha col mondo intero… e io vorrei solo capire che cavolo ci è capitato tutto in una volta.”

 

Ron annuì e si grattò la nuca. “Per il resto?...”

 

Jack alzò gli occhi al cielo. “Ma se vuoi sapere di mamma non fai prima a chiedermelo direttamente, grande padre?” suo padre fece un piccolo sorriso vuoto. “Lei sta peggio di tutti… stanotte l’abbiamo sentita piangere tutto il tempo.”

 

Ron inspirò profondamente e continuò a guardare dritto davanti a sé mentre proseguivano per la strada.

 

Jack sentì che le mani gli prudevano. “Io proprio non vi capisco… non ti dispiace nemmeno un po’ che mamma sta soffrendo?”

 

“Mi fa stare molto più male di quanto credi, Jack.”

 

“E allora?”

 

“E allora ci sono delle cose che non puoi ancora capire.” Ron aveva una voce stranamente calma, ma molto triste. “Tua madre è il mio punto di riferimento in tutto, e se lei dice che non sono cambiato… io so che non è così, ma se a lei arriva questo vuol dire che c’è qualcosa che non va.”

 

Jack si accigliò. “Che vuol dire che non sei cambiato?”

 

Ron fece quasi un piccolo sorriso alla curiosità del figlio. “Un giorno forse te lo spiegherò.”

 

Jack sbuffò. “Tieniti pure tutti i segreti che vuoi, basta che torni a casa a parlare con mamma!”

 

A questo Ron non potè trattenere una piccola risata. “Tu sei proprio il mio ragazzo, eh? Mollare non rientra nel tuo vocabolario, a quanto pare.”

 

Jack si lasciò arruffare i capelli e gli strizzò un occhiolino. “E ti è andata ancora bene che sono io, Simon è leggermente più incazzato di me.”

 

“Andiamo, ho voglia di…”

 

“Ron?”

 

Jack rimase pietrificato nel sentire di nuovo quella voce, e controllò freneticamente l’orologio. Era quasi ora! Che diavolo ci faceva quella proprio lì?!

 

“Vanessa.” Ron fece un piccolo sorriso forzato. “Ciao.”

 

La donna fece il suo solito sorriso enorme e gli strinse la mano, quindi sorrise anche a Jack. “Torno ora da Montgomery. Ha accettato la tua soluzione, il caso è ufficialmente concluso. E io posso andare a casa.”

 

Ron annuì. “E’ stato un piacere lavorare con te. Nonostante…tutto.”

 

La donna rise e scosse la testa. “Ah, Ron…tua moglie è fortunata, lo sa, vero?”

 

“Al momento non proprio…”

 

“Beh, dovresti ricordarglielo. Non mi è mai capitato di incontrare un uomo così innamorato da precludersi qualunque… alternativa.” Lei gli tese la mano. “Sei davvero leale, ti fa onore questo.”

 

Jack strabuzzò gli occhi. Ma allora

 

Ron le strinse la mano. “Fa’ buon viaggio, e in bocca al lupo per la tua carriera.”

 

Vanessa annuì. “Ok, ma almeno fatti salutare decentemente.” Si avvicinò e gli stampò un bacio sulla guancia. “Addio, Maggiore Weasley.”

 

Jack guardò prima la donna che si allontanava, quindi si accigliò. “Pa’, ma allora lei…tu…” si voltò a guardare suo padre, che teneva lo sguardo dritto davanti a sé, ma gli lesse in faccia una strana espressione di orrore. Seguì la traiettoria del suo sguardo… e poco mancò che gli scappasse uno strillo di frustrazione.

 

C’erano Hermione, Katie e Simon dall’altra parte della strada, Simon era stato puntuale secondo i piani. Peccato che, a giudicare dalla faccia di Hermione, forse di tutto quel bel discorso di Ron non si era sentita una sola parola, mentre il bacio si era visto eccome…

 

Ma che cazzo, no!

 

Ron aprì la bocca per dire qualcosa, ma Hermione girò sui tacchi e si diresse dalla parte opposta, tirandosi Katie; Simon squadrò suo padre con un’espressione di disgusto, quindi seguì la madre e la sorella.

 

Jack sbuffò sonoramente, e provò una gran brutta sensazione nel vedere suo padre che nascondeva la faccia in una mano. Amelia aveva ragione, il loro piano era andato tutto storto.

 

 

***************

 

 

Katie si grattò il nasino e riprese a pettinare la bambola, accoccolandosi di più contro il fianco di Simon. “Ma perché papino e mammina non si sono dati il bacio come dicevi tu, Jack?” chiese tranquillamente. “Noi l’abbiamo portata mammina come ci avevi detto.”

 

Jack sbuffò, continuando a lanciare in aria la pallina e a riprenderla. “E’ andata male, Katie.”

 

Amelia, che stava seduta a cavalcioni sulla sedia di Jack, si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “E’ successo tre giorni fa…da allora non ci sono stati cambiamenti?” Jack scosse la testa.

 

Simon guardò stizzito suo fratello. “E come ti aspettavi che ce ne fossero? Dovevamo convincere mamma che papà ha occhi solo per lei, e le abbiamo fatto vedere papà che baciava quella stronza.”

 

“Quella stronza.” Esclamò Katie.

 

“Papà non stava baciando proprio nessuno.” Sibilò Jack fra i denti. “Te l’ho già spiegato mille volte, sei diventato scemo per caso?”

 

“E’ quello che lei ha visto, fattene una ragione.”

 

Jack si accigliò, scuro in volto. “Perché se mamma mettesse da parte per cinque minuti i pregiudizi…”

 

“Ce li ha anche papà i pregiudizi.” Ribattè Simon. “E’ che non riescono a cedere all’orgoglio.”

 

Katie annuì come se la cosa le fosse perfettamente chiara, e guardò il fratello. “Che sono i predizi?” Simon le accarezzò sbrigativamente la testa e ignorò la domanda.

 

Amelia si grattò una tempia. “Beh, ma sono anche passati dei giorni… se conosco un po’ i vostri genitori, hanno una voglia pazza di parlarsi… aspettano solo l’occasione giusta.”

 

“Che non arriverà mai, di questo passo.” Fece sconsolato Jack.

 

Katie continuò a pettinare la sua bambola. “Quando torna papà?”

 

Jack fece una smorfia. “Probabilmente quando mamma la smetterà di aspettarlo sulla porta con la bacchetta puntata in mano.”

 

Simon lo guardò inorridito. “Lo vedi, lo vedi perché non riescono a fare pace?” disse, alzando la voce. “Perché hanno il tuo stesso modo di pensare di merda!”

 

Katie sorrise largamente, mostrando con orgoglio i due dentini mancanti. “E’ tutto una merda!”

 

“Non ripetere, Katie.” Provò Amelia, sapendo bene che con quei due fratelli quella povera bambina aveva a sua disposizione un arsenale di porcherie da ripetere.

 

Jack si alzò in piedi, in tutta la sua altezza. “Meno male che ci sei tu ad illuminare il mondo, piccoletto! Ma perché non hai imposto le mani fin dal primo momento, così ci risparmiavi un sacco di tempo e fatica e salvavi il matrimonio di mamma e papà coi tuoi poteri sconfinati!”

 

Amelia scosse la testa. “Jack…”

 

Simon si alzò in piedi a sua volta, col fuoco negli occhi. “Su una cosa hai perfettamente ragione, amico, io sono più intelligente di te, anche di papà, e in questo momento anche di mamma.”

 

“Uuh, fantastico!” urlò Jack. “Gloria a te, o potente stregone, facci vedere che sai fare!”

 

Simon strinse i pugni. “Non mi provocare.” Sibilò.

 

Jack gli diede uno spintone. “Avanti, fammi vedere che cosa sai fare tu meglio di tutti noi! Avanti!” un altro spintone. “Visto che tu sei il più intelligente di tutti, trova nei tuoi stupidi libri una magia per rimettere le cose a posto!”

 

Katie aveva smesso di pettinare la bambola per guardare preoccupata i suoi fratelli. Amelia tentò inutilmente di afferrare Jack per la camicia. “Ragazzi, non serve a niente…”

 

Jack spinse un’altra volta suo fratello. “Forza e coraggio, piccoletto, dimostrami quanto sei forte!!”

 

Pochi istanti dopo Jack si ritrovò di schiena a terra senza neanche capire come c’era finito; sentì lo strillino di Katie e vide in lontananza Amelia che balzava in piedi, ma il suo campo visivo fu riempito da Simon, che lo teneva inchiodato a terra con un braccio sulla gola e una gamba sotto il suo ginocchio – ecco come l’aveva fatto cadere! – con l’espressione più furibonda che gli avesse mai visto addosso.

 

“VUOI CHIUDERE QUEL CESSO DI BOCCA E STARMI A SENTIRE???”

 

Jack spalancò gli occhi.

 

“Vaffanculo, Jack, vaffanculo!” Simon si tirò indietro, restando sulle ginocchia e continuando a urlare. “Mi avete rotto, sia tu che mamma che papà!! Mamma e le sue maledette crisi che non se le dovrebbe nemmeno far venire, papà che deve fare il frescone con tutti o non è lui, e tu che giochi a fare il grande eroe per lo sfizio di vedere se riesci a rimettere le cose a posto e dire che è merito tuo! NE HO ABBASTANZA!” Jack provò a replicare, ma non ne ebbe il tempo. “Nessuno di voi si è veramente preoccupato di quello che succedeva intorno, mamma e papà sono troppo impegnati a fare i bambini e tu sei tutto preso dai tuoi stupidi piani idioti che non hanno fatto altro che peggiorare la situazione! Che cosa credi di saperne tu, eh? Credi che solo perché sei più grande di me ne capisci di sentimenti?! Certo, come no! Vogliamo parlare di Brenda? O di Elise? O di quell’altra, come si chiamava… quella che è durata due ore, Jack, due ore!!”

 

“Charlotte!” suggerì Katie.

 

“E mentre voi grandi vi scannate, nessuno pensa a come possiamo stare noi! Tanto chi se ne frega?! Che cos’hai fatto tu la prima notte che papà se n’è andato, eh?!” Simon era furioso, ma sembrava quasi che la sua voce tremasse per un pianto inespresso. “Non ci ha dormito tu con tua sorella, non l’hai sentita piangere in piena notte perché voleva stare nel lettone di mamma e papà, non l’hai tenuta nel tuo letto tutte queste notti!! Dov’eri tu, Jack, quando Katie e io avevamo bisogno di te?! Alla tua dannata scrivania a disegnare progettini per far incontrare mamma e papà, e noi mocciosi non potevamo disturbarti, è vero?!”

 

Jack aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Io…”

 

Simon mise le mani sui fianchi. “Ora apri bene le orecchie, fratellone, per una volta ti toglierai dalle palle e farai fare a me!! Non voglio sentire un fiato su chi è più grande, perché il tuo corpo sarà anche più grosso del mio ma il mio cervello è cinque volte il tuo, ci siamo capiti?!E soprattutto NON CHIAMARMI PICCOLETTO!”

 

Seguì un momento di silenzio in cui nessuno mosse un muscolo. Jack sbattè gli occhi e curvò leggermente le labbra in una specie di sorrisetto furbastro, appoggiandosi sui gomiti. “Wow…ne hai di potenziale, eh?”

 

Con uno strillino gioioso Katie si buttò addosso a Simon, aggrappandosi al suo braccio come faceva sempre, e Amelia fece di meglio: gli prese il viso fra le mani e gli stampò un lungo bacio sulla guancia, facendogli un sorriso e congratulandosi ampiamente per la dimostrazione di carattere.

 

“Ehi, piantatela voi due!” protestò Jack, alzandosi. “E tu finiscila di baciarlo per ogni cosa buona che fa, quando ne azzecco una io nemmeno una pacca sulle spalle mi dai!”

 

Amelia incrociò le braccia sul petto e assunse un’aria dispettosa e fiera. “Perché tu non hai lo stile di tuo fratello.”

 

Jack le lanciò una breve occhiataccia, quindi si voltò a guardare Simon, che era tutto rosso e sembrava scombussolato dal bacio di Amelia. “Posso capire almeno che hai in mente di fare?”

 

Simon scosse brevemente la testa per riprendere la concentrazione. “E’ centomila volte più semplice di tutti i tuoi piani contorti, e funzionerà garantito al cento per cento.”

 

Jack inarcò le sopracciglia. “Ma perché non l’hai proposto subito se sei così sicuro?”

 

Simon lo guardò torvo, e incredibilmente fu Katie che cercò di imitare la voce del fratello maggiore e mise le manine sui fianchi. “Stai zitto, piccoletto, sono io il cervello dell’operazione.”

 

Amelia scoppiò a ridere così forte che si piegò in due, e Jack si passò una mano sulla nuca con un sorrisetto imbarazzato.

 

Simon incrociò le braccia sul petto e fece un sorriso furbo. “Allora, facciamo a modo mio?”

 

 

***************

 

 

Ron sbuffò rientrando nella sua stanza al quartier generale, e la prima cosa che fece fu togliersi il cinturone e lasciarlo cadere pesantemente sulla sua scrivania, sedendosi senza grazia sulla sua sedia. La solita stupida ricognizione del mattino gli aveva impedito di poter andare a parlare con Hermione prima che lei partisse per la sua, e così un’altra occasione era sfumata. Si sentiva fisicamente male a stare lontano da sua moglie e i suoi figli, una volta forse fare lo scapolone d’oro gli sarebbe piaciuto…ma non adesso, non adesso che sapeva quanto era bello essere marito e padre… sì che era cambiato, lo era davvero… perché la sua Hermione non riusciva a vederlo tutto a un tratto?

 

Il rumore proveniente dal caminetto scosse Ron dai suoi pensieri, e poco dopo il fumo compose l’immagine del viso di Simon. “Papà?”

 

“Simon?” Ron si alzò e subito s’inginocchiò davanti al caminetto. “Che è successo?”

 

Il figlio aveva una strana voce, e un’espressione sofferente. “Papà, sto male…non mi sento bene… ti prego, vieni… non trovo mamma… mi gira tutta la testa…”

 

“Arrivo in un istante, stai calmo.” Ron immediatamente prese la bacchetta e la passaporta per casa sua dal cinturone, e in meno di un attimo si ritrovò nella sua cucina. “Simon?” disse ad alta voce, mentre saliva a passo rapido per le scalette. Lo trovò sdraiato sul suo letto con una pezza sulla fronte, mentre Jack era seduto ai suoi piedi con Katie in braccio. “Ehi, campione…che succede?”

 

Simon si lasciò prendere in collo da suo padre lì sul letto, e si appoggiò con la testa sul suo addome. “Mi fa malissimo lo stomaco… e gira tutto… e mi bruciano gli occhi…”

 

Ron scostò un attimo la pezzuola per sentirgli la fronte. “Non scotti…”

 

“Ha vomitato.” Disse preoccupata la piccola Katie.

 

“Sta male da stanotte.” Fece serio Jack. “Si lamentava nel sonno.”

 

Ron accarezzò la testa di suo figlio. “E’ tutto ok, campione, sarà solo una stupida influenza…”

 

Simon sbattè lentamente gli occhi. “Mamma non c’era da nessuna parte…e non c’eri neanche tu… avevamo paura di essere soli.”

 

“Ehi, ehi.” Ron gli accarezzò la guancia con la sua manona callosa. “Non importa tutto il resto, mamma e io ci siamo sempre per voi…non dovete avere paura.”

 

“La fai facile tu.” Fece piano Jack. “Piccoletto stava davvero male stamattina. E Katie si è messa a piangere.” La bambina annuì vigorosamente. “Non sapevo nemmeno io che fare.”

 

Ron sentì lo stomaco stringersi. “Mi dispiace… mi dispiace da morire… sono qui adesso, non dovete aver più paura di niente.”

 

Simon si stropicciò gli occhi. “Papà… noi ti manchiamo un po’?”

 

“Un po’?” Ron fece un piccolo sorriso amaro e diede un bacio sulla testa del figlio. “Simon, voi siete la cosa più importante per me…mi mancate in ogni attimo della giornata.”

 

“E mamma? Lei ti manca almeno un po’?”

 

“Più di quanto tu possa immaginare.”

 

Simon fece un piccolo sorriso. “Sai a me cosa manca più di tutto?” suo padre scosse la testa e continuò ad accarezzargli i capelli. “Mi manca lo spuntino notturno che facciamo sempre io, tu e Jack… quando mamma arriva e si arrabbia con noi perché la cioccolata fa male ai denti.”

 

Ron sorrise e annuì. “Già.”

 

“Io invece voglio di nuovo fare il vola vola la mattina.” Disse vispa Katie. “E saltare nel lettone quando voi dicete basta che volete fare ancora la nanna.”

 

“E tu ti diverti a buttarci giù dal letto, eh signorina?” Ron le diede un pizzicotto sul naso.

 

Jack ridacchiò. “Una sana partita a basket…ecco cosa mi manca. Tu contro me e Simon… oppure due tiri con la pluffa. Non ti offendere, piccoletto, ma tu come portiere sei negato.”

 

Sia Ron che Simon risero. “Lui ha altri talenti, Jack.”

 

“Scacchi.” Simon sorrise. “Vorrei fare un partitone con te… voglio vincere, ti voglio schiacciare.”

 

“Oh, guarda che lo fa, eh?” Katie puntò il suo ditino grassoccio in avanti, e Jack le arruffò i capelli.

 

Ron ridacchiò. “Non ne ho dubbi.”

 

“Papà?” Simon esitò, cercando le parole giuste. “A te cosa manca di più?”

 

Ron sospirò e fece un sorriso malinconico. “Mi manca la sera, quando prima di andare a letto vengo a controllare che siate tutti a dormire nei vostri letti. Quando vi rimbecco le coperte perché vi rotolate nel sonno, e mi assicuro che siate tutti e tre vicini a me, dove vi posso proteggere da tutto e da tutti.” i tre figli fecero dei piccoli sorrisi timidi. “Mi manca quando mi infilo nel letto e tengo mammina stretta forte a me, e quando non caschiamo dal sonno riusciamo a raccontarci qualcosa e anche a farci due risate prima di addormentarci… è bello quando stiamo così.”

 

“Mamma ti piace così tanto?” chiese Jack, quasi curioso. “Più di tutte?”

 

“Anche della signora bionda?” fece Katie.

 

Ron sorrise annuì. “Certo che sì. Mamma è splendida…lo è sempre stata. Nessuna è come lei.”

 

Jack inarcò le sopracciglia. “Davvero?”

 

Katie fece un sorriso dolce e si gongolò sulle ginocchia del fratello. “Lei è la tua principessa?”

 

“Si, tesoro, lei è la mia principessa.” Ron le baciò la fronte.

 

Simon tirò su col naso. “E perché non glielo dici? Noi vogliamo che torni… rivogliamo la nostra famiglia così com’era prima.”

 

Ron fece una piccola smorfia e scosse la testa, accarezzando la guancia lentigginosa di Simon. “Non è così semplice, purtroppo…gli adulti sono capaci solo di complicarsi le cose.”

 

Jack fece un sorriso identico a quello di suo padre. “Comportati da ragazzo, allora… se tu avessi la mia età cosa le diresti?”

 

“Ah, beh…” Ron ridacchiò. “Le direi che è la persona più cocciuta, fissata, testarda, ansiosa, gelosa e paranoica di tutta la terra.” Il suo sorriso si fece furbastro. “E per questo la amo da impazzire… devo essere pazzo anch’io per morire dietro a una così, eh?” Jack e Simon risero piano.

 

Un piccolo singulto catturò l’attenzione di tutti i presenti, e Ron spalancò gli occhi quando vide Hermione sulla soglia della porta; aveva ancora addosso l’uniforme, sembrava stanca e aveva due lacrime che le stavano lentamente scivolando lungo le guance… ma subito se le asciugò col palmo della mano, facendo un piccolo sorriso e venendo avanti.

 

“Ho ricevuto il gufo di Jack.” Disse piano, con la voce rotta. “Stai bene, tesoro?”

 

Simon annuì, restando appoggiato a suo padre. “Molto meglio, non ti preoccupare.” Hermione annuì nervosamente e si passò una mano fra i capelli, ciondolandosi sui piedi.

 

Ron le offrì un sorriso genuino…non sopportava di vederla così. “Un mal di stomaco passeggero… è tutto passato adesso.”

 

Katie battè le manine. “Mammina, lo sai che sei la principessa di papà?”

 

Due lacrime fresche scivolarono sulle guance di Hermione, che però cercò di ignorarle. “Sono contenta che… che tu sia arrivato subito, mi dispiace di aver fatto tardi, è solo che non riuscivo a…”

 

“Ehi.” Ron le prese una mano senza alzarsi, cercando i suoi occhi. “Va tutto bene, i ragazzi stanno bene.”

 

“E sono fortunati ad avere un padre come te.” Hermione rinunciò a trattenere le lacrime.

 

Simon annuì soddisfatto. “Questo si.”

 

Jack le strizzò l’occhiolino. “Beh, ci è andata bene anche ad avere una mamma come te, sai.”

 

Katie si stropicciò il naso. “Si, ma se mamma è la principessa di papà… allora io pure voglio fare la principessa! Simon, posso fare la tua principessa?”

 

“Va bene.” Simon annuì pazientemente.

 

Jack le diede un pizzico sul naso. “Guarda che puoi essere anche la mia.”

 

Katie scosse allegramente i riccioli biondi. “No, perché tu hai troppe principesse.” Qui tutti risero, Jack incluso.

 

Simon guardò sua madre. “Ma adesso papà mica se ne va di nuovo, vero?” disse piano.

 

Hermione si sentì stringere da un nodo la gola, e istintivamente strinse la mano di Ron nella sua. “Io non… non pensavo tutto quello che…non è vero che non ho fiducia in te, ne ho così tanta…” mormorò tra i singulti. “…tu e loro siete le cose più belle che la vita mi abbia mai dato, e non sono disposta a condividervi con nessuno, ecco…ecco la verità…”

 

“Vieni qua.” Ron la tirò giù finchè non la ebbe di nuovo fra le sue braccia, e la strinse forte a sé mentre lei singhiozzava e si aggrappava forte a lui. “Per me non è diverso, lo sai questo, vero?” le sussurrò contro una spalla, e lei annuì nel suo collo.

 

Jack sollevò i pollici a Simon, che gli strizzò l’occhiolino.

 

Ron sorrise quando Hermione si ritrasse indietro. “Ma riesco sempre a farti piangere io, eh?” lei rise e tentò di asciugarsi le lacrime.

 

“Alla buon’ora.” Fece Simon, appoggiandosi sui gomiti.

 

Katie battè festosamente le manine. “Bacio, datevi un bacio!” Ron e Hermione accontentarono la bambina più che volentieri, evitando di lasciarsi andare. Jack si mise le dita in bocca e cacciò un fischio, Katie battè le manine e Simon li prese in giro ululando.

 

Hermione rise e si scansò i capelli dalla faccia. “Ok, ok…” disse allegramente, tirando su col naso. “Tu hai bisogno di una tisana per lo stomaco, io devo lavarmi la faccia e bisogna preparare la cena… vado a darmi da fare.”

 

Jack notò lo sguardo di adorazione con cui suo padre stava seguendo sua madre che usciva dalla stanza, e suo malgrado fece un sorrisetto. “Avanti, valle dietro.” Gli disse ammiccante. “Tanto lo sappiamo che muori dalla voglia di sbaciucchiartela per bene.”

 

Ron gli strizzò l’occhiolino e si alzò, soffermandosi solo un attimo a dare un bacio a Katie prima di uscire anche lui dalla stanza. Simon aspettò che si sentissero i suoi passi lungo le scalette, quindi si mise eretto e si tolse la pezza dalla fronte, guardando il fratello con un’aria di orgoglio, sfida e furbizia scritta tutta sulla faccia.

 

Jack rise e scosse la testa. “Tu, piccolo sadico bastardino cervellotico e manipolatore… sei un maledetto genio, lo sai?”

 

“Oh, eccome se lo so.” Simon annuì con orgoglio. “Ma non ho sentito le parole.”

 

Pure?!”

 

Simon incrociò le braccia dietro la testa, con aria ostinata. “Allora?”

 

Jack s’imbronciò, ma le labbra gli si incresparono in un minuscolo sorrisetto compiaciuto. “Avevi ragione tu, e il tuo cervello è più grande del mio. Soddisfatto adesso, poppante?”

 

Simon rise e annuì. “Si.”

 

 

***************

 

 

Ron entrò molto piano nella cameretta di Katie, facendo bene attenzione a non svegliarla e a non urtare la sua lampada preferita, quella che proiettava le immagini sul muro e in cui lui inciampava sempre. Katie dormiva della grossa, e i suoi morbidi riccioli biondi erano raccolti in un paio di piccole trecce. Ron le sistemò meglio il lenzuolo leggero e si soffermò a darle un piccolo bacio prima di uscire e andare nella stanza degli altri due figli.

 

Tanto per cambiare si erano addormentati con l’abat-jour ancora accesa i vestiti per metà a terra. Simon dormiva a pancia sotto con la testa sul bordo estremo del letto e un braccio di fuori, mentre Jack aveva una gamba penzoloni dal materasso e la testa appoggiata a un cuscino di troppo. Ron li sistemò delicatamente entrambi, e uscì spegnendo la lucetta e gettando un ultimo sguardo ai suoi ragazzi, quindi riuscì a raggiungere la sua camera.

 

Hermione era già sdraiata nel lettone, in attesa; appena lo vide entrare gli tese le braccia, e lui con un sorriso s’infilò nel letto e le passò le braccia attorno ai fianchi, dandole un bacio sulla fronte. Lei si sistemò bene nel suo solido abbraccio, e si accoccolò con la testa sulla sua spalla. “Sai cosa?” gli sussurrò. “Ho tre notti di sonno arretrate… a quanto pare da sola non riesco più a dormire.”

 

Ron fece un sorrisetto. “Ah, ora mi hai rassicurato davvero…così adesso so cosa fai quando mi mettono di turno la notte.

 

Hermione gli diede uno schiaffetto sul braccio, gongolandosi su di lui. “Mmh…ho tante di quelle cose da raccontarti…ma sto crollando dal sonno…”

 

Ron le vide socchiudere gli occhi, e la rassicurò con un bacio. “Mi dirai tutto domani… chiudi gli occhi e fa’ un bel sogno, adesso.”

 

Hermione li chiuse, ma fece un sorriso assonnato. “Sogni d’oro anche a te.”

 

“Buonanotte.” Ron ci mise un po’ di più ad addormentarsi… preferì godersi di nuovo la quiete di casa sua, e crogiolarsi ancora un po’ in quella magica sensazione di pace e serenità che solo Hermione e i suoi figli sapevano dargli. Quella magica sensazione di nome amore.

 

 

 

*** The End ***

 

 

 

Quasi dimenticavo! Un in bocca al lupo generale a tutti quelli che devono fare gli esami quest’anno! Spaccate il mondo, ragazzi! ^_-

 

Sunny

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Once upon a time... ***


Dedicato a Kim… per il semplice fatto che è una santa, e che ha un cervello vulcanico

Dedicato a Kim… per il semplice fatto che è una santa, e che ha un cervello vulcanico! ^_____^

 

 

 

 

ONCE UPON A TIME...

 

 

 

“…perciò se moltiplichiamo il risultato dell’addizione per il numero dei lati del triangolo che… Weasley!! Potter!!”

 

Dan e Jack neanche sussultarono a sentirsi richiamare con tanto impeto dal loro maestro di matematica. Smith era troppo ridicolo e stupido per non essere preso in giro costantemente, e il disegno del serpente con la sua faccia che aveva fatto Jack li stava facendo ridacchiare troppo rumorosamente per non essere scoperti.

 

Smith si aggiustò gli occhialini con fare stizzito e si avvicinò a grandi passi verso il banco dei suoi due alunni più indisciplinati, chiaramente irritato dal fatto che nessuno dei due sembrasse minimamente turbato per essere stato scoperto.

 

E che cosa c’è di nuovo questa volta, mh?” ringhiò acutamente. “Due settimane fa durante l’ora di scienze avete organizzato quel patetico spettacolino con le rane…” alcuni ragazzini della classe ridacchiarono, e Dan trattenne a stento un sorrisetto fiero. “…martedì scorso ci avete deliziati con dei compiti a casa su pergamene che guardacaso hanno preso fuoco fra le mie mani…” Smith si fermò per fulminare due bambini del primo banco che stavano nasconcendo a fatica le risate dietro le mani. “…e oggi cosa c’è in programma, incendiare l’aula?”

 

“E’ un’idea.” Fece allegramente Jack. Tutta la classe scoppiò a ridere.

 

“SILENZIO!” tuonò Smith. “Chiaramente per te, Weasley, tutto questo è molto divertente, non è vero? Ti senti fiero di te stesso per aver attirato l’attenzione dei tuoi compagni, giusto?”

 

Jack fece un irritante sorrisetto di marca Weasley. “Se le dico una bugia, signor maestro, si arrabbia di più?” una ragazzina bionda rise con più foga degli altri.

 

“Bene, molto bene.” Smith si aggiustò di nuovo gli occhialetti e incrociò le braccia sul petto. “Weasley, risolvimi l’operazione che sta sulla lavagna. Jack aprì la bocca per rispondere. “Con il metodo che ho appena spiegato.”

 

“Oh.” Jack si accigliò, poi scrollò le spalle. “No, allora no.”

 

“Potter?”

 

Ma non si può fare come facciamo sempre, facendo prima la moltiplicazione di…”

 

Che cosa ho detto, Potter?”

 

Dan fece una smorfia. “E allora non lo so fare, grazie tante.”

 

Smith fece un ghigno soddisfatto e scivolò a passi felpati dietro la cattedra. “In tal caso una bella comunicazione a casa potrà schiarirvi un po’ le idee. Con una soddisfazione immensa che gli si leggeva tutta in faccia, il maestro cominciò a scrivere rapidamente sul suo registro qualcosa, per poi estrarne due foglietti bianchi. Ci scrisse su qualcosa, poi li porse ai due bambini. “Prego, signori.”

 

Jack e Dan si alzarono sbuffando dal loro banco, e trascinandosi sui piedi presero le due note e tornarono a sedersi, raccogliendo non pochi cenni di incoraggiamento e strizzatine d’occhio dai compagni di classe.

 

“E ora, se Potter e Weasley ce lo permettono, possiamo tornare alla nostra lezione. Garrett, prova a risolvere tu il primo esercizio del libro.

 

Jack fece una serie di movimenti con le mani per imitare il maestro mentre lui non guardava, intento a correggere l’alunna che stava interrogando, e Dan e i due bambini dietro di loro se la risero fra i denti.

 

“Fai l’imitazione di lui che fa cacca.” Sussurrò Dan al cugino.

 

Jack trattenne il respiro fino a diventare tutto rosso, tappandosi il naso e allargando i gomiti come una gallina, ma spalancò gli occhi quando si vide una mano rugosa e bianca a due passi dalla faccia.

 

“…ops…” bisbigliò Dan.

 

“Bene bene, cos’abbiamo qui…” Smith si guardò approfonditamente il foglietto col disegno di Jack, e tutti gli occhi della classe si spostarono prima su di lui, poi su Jack… che non sembrava più di tanto in pena. “…interessante senso dell’arte, Weasley, se fossi il tuo maestro di disegno mi avresti appena dato la soddisfazione di poterti mettere un bel due.” Jack si limitò a inarcare un sopracciglio. “E’ evidente che il tuo talento è sprecato con Potter, qui, che ti disturba in continuazione… vediamo di rimediare. Potter, va’ a sederti in banco con Stoppet.

 

Dan sbuffò sonoramente mentre raccoglieva le sue cose per raggiungere il suo compagno Andrew Stoppet. Jack s’imbronciò sonoramente.

 

Smith curvò le labbra in un ghigno soddisfatto. “Non ti preoccupare, Weasley, non ho certo intenzione di lasciarti in banco da solo…” la bambina bionda con le trecce si mise più dritta sulla sedia, e la sua compagna di banco coi capelli neri si sporse in avanti, fremente. Smith si risistemò gli occhialini. “Sheffield, vieni a tenere compagnia a Weasley.

 

Jack sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Amelia Sheffield era una bambina decisamente noiosa: stava sempre per conto suo, in quattro anni di scuola non ci aveva parlato praticamente mai, non l’aveva mai vista con le altre bambine della sua classe e in banco stava sempre zitta e muta come un pesce. Jack la vide con la coda dell’occhio mentre scivolava al posto accanto al suo, tenendo i libri con una mano mentre con l’altra si scansava i capelli mossi castani dalla faccia.

 

“Queste saranno le vostre posizioni per il resto dell’anno scolastico. Fece crudelmente Smith.

 

Che?!” protestò Dan.

 

“No, un momento…”

 

Cosa vuoi ancora, Weasley?”

 

Jack guardò con la coda dell’occhio la sua nuova compagna di banco: sembrava molto interessata alla copertina del suo libro. Lui s’infuriò. “Signor maestro, lei non può farlo…”

 

“Neanche tu puoi fare tutto quello che fai di solito durante le mie ore di lezione, Weasley. Smith si chinò in avanti, assottgiliando pericolosamente gli occhi. “Ora o ti metti l’anima in pace e segui la spiegazione, o avrai la punizione più severa che ti sia mai stata data nella vita.”

 

Jack non abbassò lo sguardo, semplicemente rimase in silenzio ma senza smettere di fulminare il suo insegnante.

 

“Bene.” Smith tornò a rivolgersi alla lavagna. “Allora, come dicevamo…”

 

Quando suonò la campanella Jack fu il primo ad andarsene, sbattendosi sulle spalle lo zaino senza la minima grazia e urtando volutamente il suo banco, su cui stavano ancora le cose della sua nuova compagna di banco.

 

 

***************

 

 

“Mamma?!”

 

Jack entrò in casa e si chiuse la porta alle spalle con un colpo secco, soffermandosi a malapena per lasciarsi cadere lo zaino alle spalle vicino alle scale.

 

“Mamma?!”

 

“Di qua!”

 

Jack li trovò tutti in cucina. Sua madre era ai fornelli, ma lei e suo padre stavano ridendo per qualcosa… probabilmente battutine sulla sua cucina, erano capaci di farli sbellicare per ore… e Simon era seduto sulle gambe di suo padre con un libro di figure colorate in mano.

 

“Mamma, devi venire subito a parlare a scuola!” fece Jack, tutto d’un fiato. “Il maestro è impazzito!”

 

Hermione sbattè gli occhi. “Come, scusa? Che dici?”

 

“Quale maestro?” chiese confuso Ron.

 

“Smith.” Jack fece una faccia disgustata. “Ha fatto una cosa terribile!”

 

Ron si accigliò. “Che ha fatto?”

 

“Ha spostatao di posto Dan!” protestò Jack. “Ci ha divisi! E per tutto l’anno!”

 

Hermione fece una smorfia. “Sei sicuro che non ve la siete meritata?”

 

Jack scosse furiosamente la testa, poi arrossì un po’ e fece una smorfia. “Beh, magari solo un pochetto… ma lui è stato perfido! Tutto l’anno niente più banco insieme!”

 

“Adesso sei senza banchetto?” chiese morbidamente Simon, senza smettere di leggere il suo libro.

 

Ma non è questo!” fece irritato Jack, vedendo che i genitori sembravano indifferenti alla notizia. “Mi ha messo vicino… una femmina! Una noiosa!”

 

Ron scrollò tranquillamente le spalle. “Anch’io alle elementari stavo in banco con una bambina. E per tua informazione, zio Harry ha passato metà delle lezioni di Pozioni seduto affianco a mamma, che a scuola non era proprio il massimo del divertimento.”

 

“Quanto sei adorabile come sempre, Ron.” Fece ironica Hermione.

 

“Io sto seduto col mio amico Jimmy.” Disse allegramente Simon, ottenendo un sorriso di suo padre.

 

Jack vide rosso. “La volete piantare?!” urlò. “Io ho un problema serio, non ci voglio stare in banco con quella lì!”

 

Hermione si voltò e lo guardò severa, appoggiando le mani sui fianchi. “Beh, Jack, farai meglio a cambiare atteggiamento… perché io non chiederò al tuo maestro di farti spostare. Starai in banco con la tua compagna e ti deciderai a comportarti bene durante le lezioni, e non voglio più sentire una sola parola, è chiaro?”

 

Jack sbattè un piede a terra per la rabbia e corse di sopra in camera sua, incapace di sopportare oltre i toni autoritari di sua madre. Possibile che non lo capivano che a stare in banco con una come Amelia Sheffield ci avrebbe fatto una figuraccia?! Furibondo col mondo intero, Jack rimase a lungo seduto a terra a strapazzare fra le mani una pallina di gomma di suo fratello… e alla fine la soluzione arrivò prima che i suoi genitori lo chiamassero per andare a mangiare. Se non la sistemavano gli adulti quella faccenda, toccava a lui prendere le redini del gioco… e visto che Smith non avrebbe ascoltato per nessun motivo una sua lamentela, tutto stava a far lamentare l’unica che sarebbe stata presa in cosiderazione sul serio… Amelia Sheffield.

 

 

***************

 

 

Jack allargò bene le spalle e tenne il mento più alto del solito entrando in classe quella mattina; c’erano già più o meno tutti, e ognuno faceva qualcosa in attesa dell’arrivo del maestro. Jack salutò con un sorrisetto un paio di amici, strizzò l’occhiolino alla ragazzina bionda del primo banco e finalmente raggiunse il suo posto… Amelia era già seduta accanto alla sua sedia, ma guardava dalla parte opposta – fuori dalla finestra – e tanto per cambiare non sembrava aver voglia di aprir bocca.

 

Jack si schiarì rumorosamente la gola, ma non ottenne alcun risultato. “Ehi, Sheffield?”

 

La bambina si voltò con un cipiglio seccato, e solo allora Jack notò che portava i guanti di lana nonostante non facesse ancora così tanto freddo. “Che vuoi?” gli chiese brevemente.

 

“…ma perché hai i guanti?”

 

“Non sono affari tuoi.” Amelia si voltò di nuovo dall’altra parte.

 

Jack si spazientì; lasciò cadere rumorosamente lo zaino al suo posto e si andò a piazzare sulla traiettoria dello sguardo della bambina. “Sto parlando con te!”

 

“Non stavi parlando, ti stavi impicciando.

 

Ma sei sempre così odiosa tu?”

 

E tu sei sempre così ficcanaso?”

 

Jack sentì il sangue ribollirgli nelle vene, e fece quasi fatica a ricordarsi le parole di suo padre in merito a picchiare le femmine… “Senti un po’, io non ci voglio stare in banco con te.

 

Amelia inarcò un sopracciglio. “Nemmeno io, se è per questo. Ma tu e tuo cugino vi siete fatti scoprire come due scemi, e di chi è la colpa?”

 

Perché non vai a piagnucolare dal maestro e gli dici che non mi sopporti?” le suggerì Jack.

 

“Io non piagnucolo, piagnucolano quelle come Mandy Moon che a te piace tanto. Ribattè dura Amelia, indicando con un cenno della testa la bambina bionda del primo banco, che continuava a lanciare occhiatine a Jack e a voltarsi a ridacchiare con la sua compagna.

 

Jack sbuffò e si scansò i capelli dalla fronte. “Ma così Smith ci lascerà vicini tutto l’anno!” protestò. “Andiamo, mica vuoi stare in banco con me che ti sto così antipatico!”

 

Amelia scrollò le spalle. “Non mi stai antipatico.” Disse tranquillamente. “Adesso lasciami in pace.”

 

Jack rimase a bocca asciutta e non seppe cosa rispondere… semplicemente rimase lì in piedi, e così potè notare la piccola smorfia di dolore sulla faccia di Amelia quando prese in mano la penna. Lui si accigliò. “Che c’hai?”

 

Amelia neanche si sprecò a rispondergli, semplicemente lo fulminò con un’occhiata.

 

“Buongiorno, classe.”

 

La voce per niente melodica del maestro Smith fece sbuffare Jack per la seconda volta in pochi minuti.Tempo pochi secondi, tutti i bambini erano seduti al loro posto e stavano rispondendo all’appello. Smith iniziò subito la sua lezione senza perdere un solo momento, e cominciò proprio dalla parte più odiata di tutte: la correzione dei compiti a casa.

 

“Se non erro, vi avevo assegnato delle operazioni da risolvere col metodo che ho spiegato ieri in classe, giusto? Benissimo, vediamo un po’…” Smith si sporse in avanti per dare una lunga occhiata alle facce dei suoi studenti… poi un viscido sorriso gli si spalmò sulla faccia. “…Weasley, perché non ci dici tu la risposta al primo esercizio, mh?”

 

Jack impallidì: la sera prima era stato così preso dalla storia della compagna di banco che gli era completamente passato di mente di studiare la nuova lezione… aveva svolto i compiti, ma nel solito modo… ecco, c’era un distinto e netto odore di seconda nota nell’aria… misto alla sua adrenalina, visto che sua madre lo aveva avvertito che non avrebbe tollerato altri votacci…

 

“Weasley, stiamo aspettando tutti.”

 

“S-si, uhm…”

 

Se ci fosse stato Dan lì vicino… ora per guardarlo in faccia avrebbe dovuto voltarsi, e certo non lo poteva fare con Smith che sorvegliava l’aula come un falco.

 

“Ecco… la soluzione… è…”

 

“Si?”

 

Jack guardò sul suo banco, quasi disperato… quando scorse una mano avvolta in un guantino rosso scrivere qualcosa con la matita sul bordo del tavolino, laddove Smith non poteva vedere…

 

“Sessantatre.” Fece sicuro Jack, tornando ad assumere la sua aria provocatoria.

 

Smith parve quasi deluso quando brontolò un assenso e passò a chiedere ad un altro bambino la soluzione al secondo esercizio. Jack buttò fuori tutta l’aria che si rese conto solo in quel momento di aver trattenuto, e finalmente potè rilassarsi. L’istinto lo portò a cercare lo sguardo di suo cugino, il suo fantastico compagno di banco che lo aveva salvato un’altra volta… quando si rese conto che la mano in rosso era proprio di Amelia, la sua nuova vicina. Cercò il suo sguardo, ma lei era voltata dall’altra parte, come sempre. Così le urtò leggermente il gomito, e quando lei si girò lui le fece un piccolissimo sorriso. Lei annuì impercettibilmente e tornò a guardare fuori dalla finestra.

 

 

***************

 

 

“Io proprio non ti capisco, Jack, che ci andiamo a fare a casa sua?”

 

Dan sbuffò e continuò a pedalare la sua bicicletta al fianco di quella del cugino, muovendo un po’ le spalle a cui stava scomodamente appeso lo zaino. Il sole di Novembre era decisamente gradito quando la giornata era più fredda… ma in quell’occasione stava rendendo la vita impossibile a Dan, finendogli in continuazione negli occhi.

 

“Non andiamo a casa sua.” Replicò deciso Jack, pedalando un po’ di più. “Voglio solo vedere dove abita.”

 

“Si, ma perché adesso che io ho fame?” protestò ancora Dan. “Per una volta che usciamo prima da scuola dobbiamo pure andare dietro a questa tipa strana?”

 

“Non è strana.” Fece subito Jack. “E’ solo… silenziosa.”

 

“Amelia Sheffield è strana, Jack, sta sempre zitta!”

 

“Beh, non si è stata zitta stamattina! Se non era per lei, Smith oggi mi rimandava a casa con un’altra nota e poi chi la sentiva mamma!”

 

“La sentirai lo stesso quando saprà che abbiamo lasciato Julie e Simon da soli ad aspettare sotto scuola. Fece Dan improvvisamente ridacchiando. “Meno male che Mandy e Jen aspettavano mamma con loro…”

 

Jack gettò uno sguardo in avanti, giusto per essere sicuro che non stessero sbagliando strada, ma continuò a pedalare. “Ti piace Mandy?”

 

“Nah.” Dan arricciò il naso. “Di classe non mi piace nessuna… la più bella è Debbie Chester, quella di quinta… sai, quella con gli occhi azzurri.

 

“Nemmeno a me mi piacciono quelle di classe.” Disse indifferente Jack. “Sono tutte uguali… sembrano le bambole di Julie.

 

“Già.”

 

“Beh, no… magari Amelia no.”

 

Dan fermò di botto la bici, facendo fermare anche il cugino. “Ah, ecco!!” esclamò a voce alta. “Adesso ho capito, noi stiamo andando a casa di Amelia perché lei ti piace!”

 

Ma quando mai!!” urlò Jack, a cui le orecchie divennero subito paonazze. “Non hai capito niente, deficiente!”

 

“Ti piace Amelia, ti piace Amelia…”

 

Piantala!!”

 

Dan rise e riprese a pedalare. “Non è mica brutta, sai. Ti ci vuoi fidanzare, così poi la baci?”

 

Jack arricciò il naso. “Noo, non mi piace Amelia! Ho solo detto che non è brutta…un po’ è bellina.

 

“Si, ma è musona…”

 

“E io glielo voglio chiedere perché è musona.

 

Ma tanto non ti parla, perché…”

 

Due voci in lontananza attirarono l’attenzione dei due bambini, che subito accellerarono un po’ e raggiunsero l’angolo della strada da dove venivano le voci. C’erano due loro compagni di classe, Frankie Murton e Randy Zender, due colossi che con Dan e Jack si scontravano in continuazione, e dietro di loro, di parecchio più piccolina, c’era proprio Amelia… che li stava fissando con gli occhi stretti in due fessure e la bocca contratta in un’espressione di rabbia.

 

E così adesso credi che te ne puoi andare in giro tutta sola, eh Sheffield?” fece Frankie, sghignazzando. “Ti senti una di noi, non è vero?”

 

“No no, principessina, qualcuno dovrebbe insegnarti ad abbassare la testa quando camminiamo noi veri maghi. Continuò Randy, molto compiaciuto delle sue parole.

 

Amelia si strinse i libri al petto, ma non fece un solo passo indietro. “Lasciatemi in pace.” Ringhiò.

 

“Sennò che ci fai, mezza maga?” Randy si fece scrocchiare rumorosamente le mani. “Chiami quel babbano di tuo padre? Oh, aspetta… ma tuo padre non c’è mai, giusto?”

 

Amelia si morse le labbra forte vedendoli ridere.

 

“Aspetta, aspetta… allora chiamiamo tua madre!” propose Frankie, scoppiando a ridere un attimo dopo. “Ah no, è vero… tua madre se n’è andata appena ti ha visto per la prima volta!”

 

“Chiudi quella boccaccia, brutto scimmione!” fece furibonda la piccola, che ora aveva le guance arrossate.

 

“La sanno tutti la tua storia, cosa credi, Sheffield?” fece odiosamente Frankie. “Lo sanno tutti quanti che sei un esserino brutto e puzzolente, è per questo che nessuno ci vuole mai stare con te, nemmeno tua mamma… perché sei solo una sporca mezzosangue e basta.”

 

Amelia perse il controllo; lasciò cadere a terra i libri e si lanciò addosso a Frankie e gli affondò con forza i denti nella mano. Quello ululò per il dolore, e il suo compagno afferrò di peso la bambina e la sbattè forte a terra.

 

Guarda questa piccola idiota, adesso ti faccio vedere io chi…”

 

“Ehi!!”

 

Frankie e Randy si voltarono di scatto: Dan Potter e Jack Weasley, abbandonate le biciclette in un angolo della strada, si stavano avvicinando di corsa.

 

Guarda guarda, ero in pensiero.” Randy s’incupì.

 

Jack aveva gli occhi saettanti di rabbia. “Perché non te la prendi con qualcuno della tua taglia, imbecille che non sei altro?”

 

“Vuoi fare a pugni, Weasley?” il ragazzino alzò le mani e le chiuse forte. “Avanti, ci sto!”

 

Se il meglio che sai fare è picchiare una bambina, non mi fai paura nemmeno un po’!” Jack alzò i pugni a sua volta. “Fatti sotto!”

 

“Si, io scommetto che se la sta facendo sotto per davvero, senti come puzza!” fece Dan, ridendo.

 

Randy diventò tutto rosso e fece due passi in avanti, quando il suo amico lo prese con un braccio e gli fece furiosamente cenno alla sua destra… un uomo alto e grassoccio stava camminando proprio da quelle parti, e i bambini lo riconobbero come il loro preside.

 

Ma non finisce così!” urlò Randy a Jack prima di correre via, scappando a gambe levate insieme al suo compagno.

 

“Che razza di idioti.” Commentò disgustato Dan, scuotendo la testa. “Il preside nemmeno stava venendo per di qua.

 

Jack si voltò a guardare Amelia, che era rimasta per terra. Non sembrava sollevata, anzi… aveva gli occhi lucidissimi e pareva quasi che fosse inorridita per qualcosa. Jack si schiarì la voce, incerto sul da farsi, e le tese la mano. “Ti sei fatta male?”

 

Amelia non gli rispose, ma due grossi lacrimoni le scivolarono sulle guance…e un momento dopo Jack si sentì schiaffeggiare via la mano e la vide correre dalla parte opposta senza nemmeno fermarsi a raccogliere le sue cose che stavano sparpagliatre per terra.

 

Ma guarda tu che tipo!” protestò Dan. “Noi la salviamo e lei manco grazie dice!”

 

Jack esitò, quindi recuperò lo zaino della sua compagna, ci mise i libri dentro e lo appese al manubrio della sua bici.

 

“Guarda che io mi sono stufato di stare dietro a quella lì.” Fece annoiato Dan. “E me ne torno a casa. Tu che fai?”

 

“Ci vediamo oggi.” Disse semplicemente Jack, montando sulla bicicletta e prendendo subito a pedalare nella direzione in cui era andata Amelia. Non gli ci volle molto per raggiungerla… lei era a piedi, lui su due ruote. “Ehi, Amelia!” La bambina continuò a correre, e per fermarla Jack fu costretto a passarle davanti e a fermare la bicicletta in orizzontale, bloccandole la strada. “Ma insomma, ti vuoi fermare?!” le urlò.

 

Amelia stava piangendo, e anche forte. “Lasciami in pace!” strillò fra i singhiozzi, mentre due lacrimoni le scendevano sulle guance arrossate. “Adesso ti sei divertito, te ne puoi anche andare!”

 

Jack smontò dalla sua bici. “Non mi sono divertito proprio per niente… e poi perché ti arrabbi con me? Sono quelli che ti hanno buttato per terra!” Amelia singhiozzò e si voltò per andarsene, ma Jack l’afferrò per un braccio. “Ma che ti ho fatto io, perché ce l’hai con me?!”

 

Amelia si asciugò il naso con la manica del golfino pesante. “Perché mi vuoi prendere in giro anche tu che non ho la mamma.”

 

Jack si accigliò. “Io nemmeno lo sapevo, e non si prendono in giro le persone per una cosa come questa.

 

Amelia singultò un paio di volte, ma sembrò calmarsi un attimo. “…tu…non mi vuoi prendere in giro perché sono una…una mezzosangue?”

 

“Mio padre dice che non esistono i mezzosangue, siamo tutti maghi uguali.” Disse risoluto Jack, prendendo qualcosa dalla tasca. “Tieni, prendi un fazzoletto.”

 

Amelia lo guardò incerta, ma alla fine si asciugò il naso col fazzoletto di carta che Jack le stava porgendo e gli sedette timidamente affianco quando lui appoggiò la bicicletta a un muretto e ci saltò sopra. “Mio padre non sta mai a casa con me.” Disse piano la bambina, guardando a terra.

 

Perché no?”

 

“Perché lui fa un lavoro che lo fa andare sempre fuori… si chiama ambasciatore.

 

Jack si grattò una tempia. “E che mestiere è? Una specie di Auror?”

 

Amelia scosse la testolina castana. “No… è una cosa babbana. Non lo so bene che fa, ma va in giro per il mondo, e sta sempre dei mesi fuori.

 

“E tu con chi stai?”

 

Amelia si grattò il naso arrossato. “Con la tata. Le cambio spesso, però questa qui di adesso è terribile.

 

“Una tata?” Jack inarcò un sopracciglio. “Ma non ce l’hai dei nonni, o degli zii?...”

 

“Oh, si che ce l’ho… i miei nonni non vivono molto lontani da casa tua. Sono molto buoni…però sono dei maghi, e papà preferisce che vivo ancora a Londra con lui. Amelia fece un piccolo sorrisino. “E’ merito dei miei nonni se vengo a scuola qui…loro dicono che riceverò anch’io la lettera per Hogwarts quando faccio dieci anni. E papà è contento solo così e così…penso che lui si vergogna. Con la nuova moglie, ecco.”

 

Jack annuì, osservando attentamente gli occhi risti di Amelia… erano proprio grandi. Belli. “Senti, ma… posso chiederti una cosa? Se vuoi non me la dici…”

 

Che cosa vuoi sapere?”

 

“Ecco… come mai mamma tua non c’è? Per caso… è andata in cielo?”

 

Amelia si tirò le ginocchia al petto e ci nascose il musetto in mezzo. “Papà dice che se n’è andata subito dopo che sono nata io… che si scocciava di stare con noi. Io penso che tutti quanti si scocciano di stare con me.

 

“No, non è vero…” Jack si grattò il naso e si appoggiò indietro, sui gomiti. “Io non mi sto scocciando. Solo che tu non parli mai con nessuno… vedi, se parli non scocci affatto.

 

Amelia lo guardò attentamente coi suoi grandi occhioni nocciola. “Non te ne vuoi andare anche tu?”

 

Jack fece una smorfia e scosse la testa. “Perché?”

 

Amelia scrollò le spalle. “Così.”

 

“Beh no, non me ne voglio andare ancora. Mi dici perché la tua tata è cattiva?”

 

Gli occhi di Amelia si illuminarono. “Oh, lei è orribile perché ha una specie di piccolo bastoncino…lo chiama bacchetta, ma non è come quella dei maghi… e quando non le obbedisco lei me la dà sulle mani, ma io la frego sempre! L’altra sera le ho messo un secchio di ragni nel letto!”

 

Jack fece un sorrisone enorme. “Wow, forte!”

 

“Si!” Amelia annuì, finalmente sorridendo. “Quella vecchiaccia schifosa non voleva farmi giocare un po’ dopo i compiti, e io le ho messo il peperoncino nel caffè!”

 

Ma sei meglio di un maschio tu!” Jack si mise su dritto, tutto vispo più che mai.

 

“Sai a quante tate le ho mandate via così… solo che questa è terrificante, non se ne vuole proprio andare…e poi mi fa sempre male.

 

“Con quella bacchetta?”

 

Amelia annuì, e si sfilò i guantini rossi… su entrambe le mani spiccavano due grossi segni viola, e la pelle sembrava arrossata e gonfia più del normale.

 

Jack spalancò la bocca e glieli sfiorò con un dito, ma lei tirò via la mano con una smorfia di dolore. “Fanno molto male?” lei annuì mentre si infilava di nuovo i guanti. Jack provò un moto di rabbia. “Ma questa è proprio una cessa…non si fa così!”

 

Amelia scrollò le spalle, mortificata con se stessa. “Si…è una cessa.”

 

Ma a tuo padre non l’hai detto? O ai tuoi nonni?”

 

“Papà dice che mi sta solo insegnando a fare la brava perché io mi comporto sempre male come mia mamma…”

 

Jack scosse la testa, furibondo. “Non ci tornare a casa… quella ti picchia, non è giusto!”

 

E che posso fare?” Amelia sospirò e balzò giù dal muretto. “Papà torna tra un mese, se resisto poi glielo dico da vicino e spero che mi ascolta.

 

Anche Jack saltò giù, e la prese per un braccio. “Amelia, non ci andare a casa tua…vai dai tuoi nonni, là quella pazza non ti può fare male…oppure vieni da me!”

 

Amelia sbattè gli occhi. “Da te?”

 

Jack annuì vigorosamente. “Si! I miei genitori sono un po’ duri ma sono buonissimi… loro ti proteggeranno! Mia mamma è fortissima…e mio padre la fa a polpette la tua tata, anche a occhi chiusi!”

 

Amelia esitò, poi scosse la testa. “Grazie lo stesso, ma è meglio che torno a casa. Ci vediamo domani a scuola.”

 

Jack sbuffò e la lasciò andare, ma mentre lei si prendeva lo zaino e i libri le si avvicinò di nuovo. “Però dimmelo se quella ti picchia di nuovo, eh?”

 

Amelia annuì, poi si ciondolò per un attimo sui piedi…quindi si sollevò sulle punte dei piedi e gli stampò un bacetto sulla guancia, allontanandosi in tutta fretta. Jack sbattè gli occhi e si sfiorò la guancia…poi scosse la testa e rimontò sulla sua bicicletta, diretto verso casa.

 

 

***************

 

 

“Giochi con me, Jack?” Simon sembrava adorare quella frase…non faceva altro che ripeterla col tipico monotono e irritante tono di voce del bambino di sei anni che era, e a Ron cominciava a creare qualche problema leggere il giornale col figlio nelle orecchie. “Giochi con me? E dai, vuoi giocare con me? Giochi con me, per favore?”

 

Ron perse la pazienza e mise giù il giornale. “Jack, che ti costa accontentare tuo fratello per cinque minuti?!”

 

Jack sbuffò, restando spaparanzato sul divano e afferrando senza nemmeno guardare il cerchio colorato che gli stava porgendo Simon. Il fratello squittì allegramente e cominciò a far volare il suo pupazzo con la scopa, riproducendo i rumori con la bocca. Jack continuò a fissare un punto imprecisato davanti a sé mentre Simon faceva passare nel cerchio il suo giocatore, facendosi la telecronaca da solo.

 

Ron inarcò un sopracciglio. “Va tutto bene, Jack?”

 

Jack continuò a mantenere il cerchio, ma si voltò a guardare suo padre. “No, è che…”

 

“…che?”

 

Jack esitò e si grattò la nuca, quindi fece una piccola smorfia. “C’è un mio amico… una mia amica, in realtà…che in pratica ha dei problemi…”

 

Ron si accigliò. “Che tipo di problemi? E chi è questa amica?”

 

“Uhm…non so se te lo posso dire…”

 

“Non si tengono mai segreti ai propri genitori, papà e mamma devono sapere le cose altrimenti non ti possono aiutare.” Ron mise via il giornale. “Allora, vuoi raccontarmi che è successo a questa tua amica?” mormorò pazientemente.

 

“Ecco…”

 

“Simon, il bagno è pronto!” Hermione si affacciò dalla cima delle scalette. “Vieni, tesoro!”

 

“No, non lo voglio fare!” Simon scappò a nascondersi in braccio al padre. “Mi sono già lavato domenica!”

 

“Andiamo, tesoro, mammina è già in ritardo, va a finire che stasera mangiamo alle dieci…” si lamentò Hermione.

 

Ron prese Simon per i fianchi e lo rimise a terra. “Forza, giovanotto, fila a lavarti. Non mi piacciono i bambini che puzzano.”

 

“Mi scoccio!” protestò ancora il piccolo.

 

Hermione incrociò le braccia sul petto. “Devo venire io a prenderti?”  

 

Il tono minaccioso di Hermione fece rabbrividire il bambino, che si aggrappò a una gamba del padre. Ron gli accarezzò la testolina rotonda. “Facciamo così…tu vai su a farti il bagno, e poi ti raggiungo anch’io e giochiamo a fare le puzzette nell’acqua, ok?”

 

Simon s’illuminò. “Uh, si!”

 

Ron ridacchiò. “Avanti, fila.” Hermione avrebbe chiaramente voluto protestare – non era un giochetto che approvava poi tanto – ma era servito a far smuovere il figlio, così si limitò a un sospiro sconsolato.

 

Il suono del campanello fermò la corsa di Simon e le intenzioni di Ron di parlare col figlio. Leggermente seccato, Ron sbuffò e si alzò per andare ad aprire… e rimase un po’ sorpreso quando si trovò davanti alla porta una bambina piuttosto piccolina e castana, con gli occhi lucidi e il fiatone. La piccola non gli lasciò nemmeno il tempo di aprire bocca che si fiondò in casa, chiudendosi la porta alle spalle di scatto.

 

Ron sbattè gli occhi. “E tu da dove salti fuori, signorinella?”

 

La bambina si guardò intorno con un’aria spaventata, ma non rispose.

 

“Amelia!” esclamò Jack, sorpreso, nel raggiungere suo padre.

 

Amelia non disse niente, semplicemente fece una corsa e si buttò fra le braccia di Jack, aggrappandosi al suo collo. Jack rimase senza fiato e incerto sul da farsi,  ma quando la sentì tremare istintivamente le passò le braccia attorno ai fianchi. “Che è successo?”

 

“L-l’ha fatto di n-nuovo!” mormorò la bambina, con la voce che le tremava. “M-ma stavolta forte… n-non si fermava p-più…”

 

Che sta succedendo qui?” chiese Hermione, lanciando uno sguardo rapido al marito.

 

“Jack, non ci presenti la tua amica?” fece piano Ron, che però aveva un cipiglio piuttosto serio.

 

Amelia si separò da Jack e si affrettò a guardare a terra, mentre Jack stava stringendo forte i pugni. “L’ha picchiata! Quella schifosa della sua tata l’ha picchiata di nuovo, papà!”

 

Hermione si accigliò e subito si chinò sulle ginocchia davanti alla bambina, facendole un piccolo sorriso per rassicurarla. “Ehi, piccolina…sei un’amica di Jack?”

 

Amelia annuì, ma fu Jack a rispondere. “Si chiama Amelia.” Disse animosamente, con le orecchie che gli stavano diventando rosse. “Suo papà non c’è mai a casa, ci sta sempre la tata…e quella stronza la picchia con una bacchetta!”

 

“Jack.” Lo ammonì Hermione, prima di tornare a guardare Amelia. “E’ vero quello che dice, tesoro?” Amelia le mostrò il dorso delle mani: oltre ai lividi viola della mattina prima c’erano anche dei graffi e dei tagli che stavano sanguinando. Hermione li guardò inorridita, poi le accarezzò le guance umide di lacrime e le appoggiò le mani sulle spalle. “Stai tranquilla, Amelia, ora che sei qui non ti succederà più niente…però mi devi spiegare bene che cosa è successo, e come mai papà ti ha lasciata con questa signora. Va bene?”

 

Amelia guardò Jack, che annuì lentamente mentre affondava le mani nelle tasche dei jeans. “Però non lo dite a papà, vero?” sussurrò piano. “Altrimenti lui dice che sono una monellaccia…”

 

Ron le si avvicinò e le diede un pizzicotto sul naso, incoraggiandola con un sorriso. “Non è mica una cosa grave essere monelli da piccoli… io lo sono stato molto, sai?”

 

Hermione le accarezzò i capelli e glieli portò dietro le orecchie. “Allora, me la racconti la tua storia?”

 

Rassicurata dalla presenza confortante dei genitori di Jack, Amelia trasse un sospirone e cominciò a raccontare per bene della sua famiglia, dei suoi genitori e dei suoi nonni, della tata tedesca che avevano assunto e di come la trattava sempre come un soldato.

 

“Non sapevo dove andare.” Mormorò molto piano la bambina, asciugandosi il naso nella manica un po’ troppo lunga del suo golfino. “Se andavo dai nonni, quella mi trovava…”

 

Jack le accarezzò i capelli. “Sei stata proprio brava a venire da casa tua fino a qui. Adesso ti proteggiamo noi, quella neanche si può avvicinare.

 

“Rimani coi bambini, vado a dire due paroline a questa stronza pazza.” Sussurrò rabbiosamente Ron a Hermione, che si era alzata e gli si era avvicinata.

 

“No, resta tu qui con loro.” Hermione prese la giacca dall’attaccapanni e se la infilò. “E’ meglio se me la vedo io con lei. Cerca di rassicurare la bambina, mi sembra spaventata. Lui annuì. “Allora, piccola, mi dici per bene il tuo indirizzo e il numero di telefono dove chiami papà?” preso nota delle informazioni, Hermione si chinò a darle un bacio sulla fronte. “Ora sta’ solo tranquilla e pensa a divertirti, lascia fare a me. Jack, te l’affido, d’accordo?”

 

Jack annuì. “Rompile le ossa a quella, mamma.”

 

Hermione uscì dalla porta con un ultimo cenno d’intesa per Ron, che le rivolse un piccolo sorriso. “Speriamo solo che la tata non usa la bacchetta anche con tua mamma…” mormorò Amelia.

 

Jack fece un sorrisetto. “Prega piuttosto che sia mamma a non usare la sua bacchetta sulla tata.

 

Ron si chinò all’altezza di Amelia, sorprendendola, e le fece un sorriso largo e sereno. “Allora, bella signorina…vogliamo cominciare col disinfettarti quelle manine?” Amelia, arrossita, annuì. “Vieni.”

 

Sentendosi più a suo agio – specie con Jack che ogni tanto le accarezzava la schiena – Amelia entrò nella cucina di casa Weasley, e si fermò vicino al tavolo mentre Ron prendeva qualcosa da un mobiletto.

 

“Questa è casa mia.” Disse vispo Jack, scansandosi bruscamente i capelli dagli occhi.

 

Amelia si guardò in giro. “E’ carina…” s’interruppe quando scorse un bimbetto castano che osservava la scena con interesse dalla soglia della porta. “…e lui?”

 

“E’ mio fratello Simon.” Fece Jack, infilando le mani in tasca.

 

“Ecco, bravo Jack, fai le presentazioni.” Ron prese delicatamente le mani di Amelia e le bagnò con il disinfettante, soffiandoci sopra per attutirne il bruciore. “Simon, vieni qui…vieni a conoscere la nuova amichetta di Jack.”

 

Simon si ciondolò fino a raggiungerli, guardando la nuova arrivata un po’ insospettito e un po’ incuriosito. “Come ti chiami?”

 

“Amelia.” Gli rispose la bambina, mentre Ron si sfilava di tasca la bacchetta.

 

Simon la fissò coi suoi grandi occhioni color cioccolato e si trastullò sui piedini, poi si voltò verso suo padre. “Ma è pure amica mia?”

 

Ron mormorò un incantesimo sanatore per le mani della bambina. “Certo…”

 

Però non cominciare a rompere, eh?” protestò Jack. “Cioè non fare che ti azzecchi addosso, Amelia è amica mia e poi è troppo grande per te.”

 

“Non gli dire così.” Intervenne Amelia, facendo un sorriso a Simon. “Io sono amica di tutti.”

 

Simon fece un sorrisone sdentato. “Amici.”

 

“Ecco fatto.” Ron si rimise a posto la bacchetta. “Senti ancora dolore?”

 

Amelia provò a muovere le mani…e con grande gioia scoprì di averle completamente a posto. “Oh…no, non fanno più male! Grazie mille!”

 

“Grande, pà!” esclamò allegramente Jack.

 

Simon si attaccò alla manica del golfino di Amelia e la tirò leggermente. “Vuoi giocare con me?”

 

Jack la tirò per l’altro braccio. “No, e dai! Papà, guarda!”

 

“Papà ha detto che è pure amica mia!” ribattè con forza Simon.

 

Però tu sei un pannolone!”

 

“Non è vero!”

 

“La smettete tutti e due?!” protestò Amelia, liberandosi le braccia e facendo un passo indietro. “Facciamo un gioco tutti insieme.”

 

Ron annuì soddisfatto. “Brava Amelia.”

 

Ma mica vuoi fare i giochi delle femmine, vero?” fece Simon, improvvisamente sospettoso. “Perché a me non mi piacciono le bambole.”

 

Amelia si scansò i capelli dalla faccia. “Ce le avete le barchette dei pirati, quelle che si mettono nella vasca da bagno?”

 

Jack s’illuminò. “Ti piacciono i vascelli dei pirati?” disse tutto d’un fiato. “Sono i miei preferiti!”

 

“Ci giochiamo?” fece Amelia, altrettanto emozionata.

 

“Pure io, pure io, pure io!!” fece Simon, saltellando su e giù.

 

“Ok, ok…adesso buoni un attimo.” Ron, sorridendo, cercò di tenere a freno il figlio minore. “Andate pure a giocare con le barche e l’acqua, ma cercate di non fare un macello su nel bagno…Jack, presta un maglione ad Amelia, così non si bagna il suo.

 

“Agli ordini!” esclamò felicemente il bambino, correndo su per le scale un attimo dopo, seguito a ruota da Amelia e da Simon, che strillicchiava emozionato. Ron sentì che un sorriso si stava facendo spazio anche sulla sua faccia…niente da fare, le risate dei bambini erano sempre contagiose.

 

 

***************

 

 

Hermione rientrò in casa che fuori ormai già stava facendo buio, e appena si chiuse la porta alle spalle si guardò intorno per cercare tutti gli altri. Riusciva a sentire distintamente le voci dei bambini che ridevano e strillicchiavano, ma intuì che erano al piano di sopra.

 

“Ehi, ce ne hai messo di tempo.” Ron venne fuori dalla cucina con una bottiglietta di succo di frutta in mano.

 

“Sono andata anche dai nonni di Amelia.” Gli rispose brevemente lei, dandogli un piccolo bacio sulle labbra. “Sono delle persone molto carine.”

 

Ron notò la piccola borsa che aveva in mano. “E quella?”

 

“E’ un po’ di roba della bambina…a proposito, come sta?”

 

Ron fece un sorrisetto allegro e stappò la bottiglietta. “Scoppia di salute, non senti?”

 

“Si, ma…” Hermione rimase un attimo in ascoltò e si accigliò. “Che stanno facendo esattamente i bambini, Ron?”

 

Lui smise di bere il suo succo e scrollò le spalle. “Oh beh, sai…stanno…giocando un po’, in fondo Amelia era un po’ scossa e quindi ho pensato di concedere un po’ più di…libertà…”

 

Il tono colpevole di Ron insospettì Hermione, che lo respinse quando cercò di darle un bacio per distrarla. “Aspetta un attimo…”

 

Ron fece una smorfia quando la vide dirigersi verso le scalette. “…ehm…tesoro, non potremmo…”

 

Hermione seguì gli strillini e le battute scherzose per capire dove stessero giocando i bambini…e quando arrivò fuori dal bagno e si fermò sulla soglia della porta, rimase letteralmente inorridita.

 

Per terra c’era acqua dappertutto, e i tre bambini continuavano a spruzzarne dalla vasca da bagno. Jack si era messo un asciugamano grande come un mantello – che finiva nell’acqua e gli bagnava il maglione – e stava praticamente con la faccia nella vasca, a spingere la sua barchetta e a spruzzare gli altri due. Amelia – che col felpone di Jack addosso sembrava ancora più piccolina – aveva i capelli bagnati e una chiazza d’acqua sui jeans. Simon, poi…era seduto nella vasca – naturalmente vestito – e ogni tanto si alzava in piedi e rovesciava altra acqua a terra.

 

“Ehm…” Ron provò ad appoggiare le mani sulle spalle di sua moglie. “Non ti preoccupare, Hermione, non fa freddo, si asciugheranno subito…e non ci mettiamo proprio niente ad asciugare qui, sai? Davvero, non è così grave…sono piccoli, volevano distrarsi un po’…l’abbiamo fatto tutti almeno una volta, no? …Hermione? …tesoro, perché non dici niente?...”

 

 

 

Amelia inarcò le sopracciglia, cercando di non farsi vedere da Ron mentre lo osservava pulire il pavimento del bagno, in stile babbano e tra mille imprecazioni a bassa voce. “Ma è sempre così?” sussurrò a Jack, che come lei si stava nascondendo dietro l’angolo della porta. “Pulisce tuo papà?”

 

Jack ridacchiò piano. “No, solo quando mamma lo mette in punizione come noi.

 

 

***************

 

 

“Papà si è arrabbiato molto?”

 

Hermione scosse la testa e accarezzò il viso di Amelia, facendola sedere sulle sue ginocchia. “No, si è soltanto dispiaciuto perché non poteva essere qui con te stasera.

 

Jack, che stava seduto sul suo letto vicino al fratello, si grattò il naso e fece una smorfia. “Ma della tata che ha detto?”

 

“La tata è stata licenziata su due piedi.

 

Simon spalancò gli occhi. “L’hai picchiata tu?”

 

Hermione rise e scosse la testa. “No, ma mi sarebbe piaciuto…ma la violenza non è sempre la soluzione ideale, sapete.

 

Ron, che stava appoggiato con un gomito alla porta, fece una piccola smorfia. “Mmh…”

 

“No comment.” Gli disse subito sua moglie, tornando a concentrarsi su Amelia. “Comunque papà ha detto che tornerà sabato e domenica per stare un po’ con te, e per parlare…vuole sapere se ti piacerebbe trasferirti dai nonni tutte le volte che lui è fuori.”

 

Amelia s’illuminò. “Dice davvero?”

 

“Si, tesoro.” Fece contenta Hermione. “E intanto fino a sabato resterai qui con noi, va bene?”

 

Jack schizzò in piedi, con un sorriso enorme sulla faccia. “Amelia resta a casa nostra tutti questi giorni?”

 

“Posso davvero?” chiese la bambina, ugualmente emozionata e sorridente.

 

“Certo che sì!” Hermione rise felicemente quando Amelia le buttò le braccia al collo, e l’abbracciò forte a sua volta. A due centimetri di distanza Jack stava saltellando per tutta la stanza tra le varie esclamazioni di gioia, e anche Simon stava facendo del suo meglio per manifestare la sua contentezza.

 

“Bisogna festeggiare!” esclamò sorridendo Ron, battendo le mani. “Chi vuole andare a mangiare a Hogsmeade stasera?”

 

Tutti e tre i bambini strillarono “Io” quasi contemporaneamente. “Andate a prendere le giacche, forza!” li incitò Hermione, e subito loro corsero fuori, scendendo rumorosamente le scalette.

 

Hermione sorrise a Ron e gli diede un piccolo bacio mentre lui, ugualmente rilassato e soddisfatto,  le passava un braccio attorno ai fianchi. Non si attardarono oltre, non avrebbero potuto… Jack, Amelia e Simon stavano strillando “Pizza” come degli ossessi dal piano inferiore.

 

 

***************

 

 

“…non ho sonno…” mormorò Simon tra uno sbadiglio e l’altro, mentre stava praticamente sdraiato sulla spalla del padre, con un braccio penzoloni e gli occhi socchiusi.

 

“Certo, però noi andiamo a letto lo stesso, che domani c’è scuola. Gli disse tranquillamente Ron, mentre risaliva le scalette seguito da Hermione, Amelia e Jack, tutti in pigiama data l’ora tarda.

 

“Mi raccomando, Amelia, noi siamo nella stanza in fondo al corridoio. Disse piano Hermione quando si furono fermati tutti davanti alla stanza dei bambini. “Se hai bisogno di qualcosa, vieni pure a chiamarci.

 

Amelia annuì. “Va bene, signora Weasley, grazie tante.”

 

“Buonanotte, tesoro.” Hermione baciò prima lei e poi Jack. “Fate sogni d’oro.”

 

“Jack, ricordatevi che domani c’è scuola…” fece Ron, con un piccolo sorrisetto. “…perciò cercate di addormentarvi subito, co ci vorranno le cannonate per svegliarvi.

 

Jack si spettinò i capelli con un paio di manate. “Siamo brave persone noi.” Ron e Hermione sorrisero.

 

“Voglio che Amelia mi dà il bacio della buonanotte. Mormorò Simon, che era più addormentato che sveglio.

 

Che pannolone.” Borbottò Jack.

 

Ron si piegò in avanti, sorreggendo il figlio, e lasciò che Amelia si sollevasse sulle punte dei piedi per stampargli un bacio schioccoso sulla guancia.

 

“Buonanotte, Simon.”

 

“Buonanotte.” Rispose il padre per lui, rimettendosi dritto e avviandosi verso la stanza da letto.

 

“…papà…” brontolò Simon, con la voce impastata. “…voglio dormire con Amelia che è bella…”

 

Senza starci troppo a pensare, Jack afferrò la sua amica per un braccio e dopo aver salutato rapidamente i genitori, entrò nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle. “Scusa tanto, mio fratello è proprio un rompiscatole.

 

Invece è dolcissimo, mi piace un sacco.” Amelia saltellò fino al suo letto – quello di Simon – e si sistemò meglio il pigiama prima di sedersi sul materasso.

 

Jack si sdraiò nel suo letto e spense la luce centrale, lasciando accesa solo la lucetta sul comodino. “Beh, buonanotte allora.”

 

“Buonanotte.”

 

Passò qualche minuto di silenzio, e Jack provò a chiudere gli occhi…ma il sonno sembrava lontano anni luce.

 

“Dormi già?”

 

“No, e tu?”

 

“Per niente, io non ho sonno.”

 

Jack sentì dei piccoli rumori di passetti…e un attimo dopo si sentì spostare di fianco da un altro corpo…Amelia si era infilata nel suo letto, rubandogli metà dello spazio e del piumone…ma non era fastidioso, però. No, per niente.

 

“Ti dispiace se mi metto qua? Se resto nel letto di tuo fratello e parliamo, subito ci sentono. Gli sussurrò la bambina.

 

Jack scosse la testa e le fece più spazio. “Per niente, rimani così…stai comoda?”

 

Lei annuì. “La sai una cosa?”

 

Cosa?”

 

“E’ la prima volta che ho un amico…è divertente avere un amico.

 

Jack fece un sorrisetto, ma parlò anche lui a bassa voce. “E’ la prima volta che dormo nel letto con una femmina. Dicendo così voltò leggermente la faccia. “Com’è che non ti fai le trecce per andare al letto?”

 

Amelia fece una smorfia. “Mai amate. Fanno sembrare tutte bambolotte…io non sono una bambolotta.

 

Jack fece un sorriso orgoglioso. “Sei una femmina divertente quanto un maschio.

 

Amelia rise piano. “Anche tu sei un amico divertente…soprattutto quando perdi alla lotta dei vascelli.

 

“Hai vinto per un soffio, sai? Domani ti stendo.”

 

“Non penso che tua mamma ci fa giocare di nuovo…”

 

“E allora domani mattina ti stendo a cuscinate.

 

Amelia fece un sorrisino furbo. “Nessuno è meglio di me a cuscinate.”

 

Jack rise e si strofinò le mani. “Ti faccio vedere io che campione che sono.”

 

Ce l’hai una bicicletta in più? Ti faccio vedere che sono più veloce di te.

 

Jack si mise su un fianco, l’emozione se lo stava mangiando vivo. La sua nuova amica era sempre più fantastica ogni secondo che passava. “Se siamo fortunati, domani sera papà torna prima dal lavoro e gli chiediamo se ci porta sulla sua scopa.

 

Amelia spalancò gli occhi, che le brillarono per la gioia. “Uh, si!”

 

Jack annuì. “Vedrai che forza volare. Io e mio fratello lo facciamo ogni tanto, con papà e zio Harry…è fortissimo, lo devi provare. Ti piacerà sicuramente.”

 

Amelia fissò il soffitto con un sorriso sulle labbra. “Però, che forza avere degli amici…” guardò Jack sorridendo, e gli porse il mignolo. “Jack, vogliamo fare un patto? Vogliamo essere amici fino a quando non diventiamo grandi? Ma amici amici, però…amici per vero.”

 

“Affare fatto.” Jack intrecciò il mignolo con quello della sua amica. “Amici amici.”

 

Amelia sorrise largamente e si scansò i capelli dalla faccia. “Sai che cosa? Io non ho proprio sonno…”

 

“Nemmeno io.”

 

“Ho un’idea: ci vogliamo raccontare le storie di paura?”

 

Jack spalancò gli occhi, incredulo. “Ti piacciono le storie di paura?” lei annuì, e lui fece un sorrisone di cuore. “Wow, forte…dai, chi comincia?”

 

“Io.” Fece subito Amelia, grattandosi il naso. “Ne conosco una su un vampiro che è terribile…però non ti mettere a urlare, eh?”

 

“Io non ho paura di niente.” Fece fiero Jack, appoggiando la testa su un gomito e guardandola in faccia. “Vai, racconta.”

 

 

 

 

 

La mattina seguente Ron non si sorprese affatto di trovare Jack e Amelia nello stesso letto, profondamente addormentati come due che non prendevano sonno da mesi… né si sorprese di notare che non davano cenno di volersi alzare, visto che con molta probabilità erano rimasti svegli fino a qualche ora prima… li aveva osservati per tutta la sera prima, quei due, e aveva avuto l’impressione che sarebbe nata proprio una gran bella amicizia fra loro…sesto senso paterno? Chi poteva saperlo… comunque davanti a lui aveva la prova che, come tutte le belle storie, anche questa aveva appena avuto il suo inizio.

 

C’era una volta…

 

 

** the end **

 

 

…si, indovinato, mi mancava la mia saga…^^ e beh! Seguire la freccia, prego! ^_- Baci baci!

 

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V

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Capitolo 12
*** Ascensori, che passione... ***


E stavolta la dedica è tutta per Angèle, quella fantastica fanwriter che ci sta conquistando tutti con la sua storia…e tutta p

E stavolta la dedica è tutta per Angèle, quella fantastica fanwriter che ci sta conquistando tutti con la sua storia…e tutta per la simpaticissima AvaNa Kedavra, la mia fedelissima recensitrice… augurissimi, tesori, buon compleanno a entrambe! ^_____________^  Una bella ffic di love love come piace a tutte e due, ognuna per la sua coppia preferita. Spero che vi piaccia! Vvtb!

 

 

 

ASCENSORI, CHE PASSIONE

 

 

 

Harry spalancò impercettibilmente gli occhi ma mantenne una presa salda sul sacco, che stava cominciando a cedere sotto i pugni violenti di Ron. L’ultimo colpo aveva fatto saltare uno dei punti laterali, e un piccolo schizzo di sabbiolina era scivolato giù. D’altra parte meglio che fosse il sacco a pagare per l’ira di Ron…

 

“Fanculo!” urlò rabbioso Ron, colpendo con un ultimo destro il sacco, che si lacerò all’istante e rovesciò tutto il suo contenuto sul pavimento della palestra.

 

Harry inarcò leggermente le sopracciglia e lasciò andare il pezzo di cuoio, ormai inutile, appoggiando tranquillamente le mani sui fianchi e osservando i movimenti del suo arrabbiatissimo migliore amico. “Meglio?”

 

Ron sbuffò, passandosi una mano fra i capelli umidi e liberandosi della canotta completamente fradicia. “No.” Ringhiò. “Non me ne faccio niente di un maledetto sacco, è Forester che voglio.”

 

Harry ridacchiò e si sedette sulla panca, appoggiandosi di schiena al muro. “Mi sa che è meglio se te la prendi col sacco, se riservi lo stesso trattamento a quel poveraccio lo condanni a mesi di San Mungo.”

 

“Non è all’ospedale che lo voglio spedire.” Sibilò fra i denti Ron, facendo scoppiare a ridere Harry. “Si, si…ridi tu…tanto il problema è il mio.”

 

“Ron, non puoi fare fuori un uomo solo perché fa il bellimbusto con Hermione…”

 

“Quello stronzo deve tenere le mani a posto, perché altrimenti gliele cionco!”

 

“Ma voleva solo sentire se il bambino si muoveva…”

 

Mio figlio e la pancia di mia moglie, come tutto il resto di lei, sono territorio off-limits per quel sudicio incravattato colletto bianco, e forse bisognerebbe mettere le cose in chiaro una volta e per tutte! ...Harry, ridi un altro po’ e ci facciamo una bella seduta di sparring straordinario.”

 

Harry non poteva fare a meno di ridere. Ron si stava scaldando tanto per nulla…beh, oggettivamente anche a lui avrebbe dato un po’ fastidio una situazione simile, ma il suo migliore amico aveva una soglia di pazienza molto più sottile della sua… Tutto era cominciato con la gravidanza di Hermione, e la costante e inutile supplica di Ron di restarsene a casa, in maternità… Hermione si stava occupando di una ricerca che le aveva commissionato direttamente Homer Graham tempo prima su una nuova forma di Cruciatus e sul suo possibile contro-incantesimo… qualcosa che non solo affascinava Hermione, ma che le permetteva di continuare a lavorare perché la teneva impegnata sui libri tutta la mattina, lontano dalla palestra e dai giri di pattuglia. E considerando che Jack passava la giornata alla Tana coi cuginetti Danny e Julie, amorevolmente coccolato dai suoi nonni, Ron aveva avuto grossi problemi a trovare un motivo per impedirle di dedicarsi a questa ricerca. Peccato che quel motivo fosse arrivato tre mesi dopo… Graham aveva affiancato a Hermione un guaritore del San Mungo esperto in incantesimi e maledizioni, e questo Forester era il classico spaccone convinto di essere irresistibile, che oltretutto a quanto sembrava era affascinato da Hermione.

 

“Amico, tu hai anche ragione a trovare questa situazione scocciante…”

 

Scocciante?!” Ron fece una smorfia inorridita. “Quello stronzo sbava su mia moglie…”

 

“…che non lo prende nemmeno lontanamente in considerazione.” Harry scosse la testa e sorrise. “Hermione è innamorata di te, ed è talmente presa da te e dalla vostra famiglia che neanche lo vede quel damerino. Andiamo, Ron, non credevo di doverti fare ancora un discorso simile…”

 

“Non è lei il problema.” Ron si fece scrocchiare i pugni. “Mi dà un fastidio marcio vedere lo stronzo che la guarda…con quei suoi commentini del diavolo…”

 

“Ha detto solo che si stava portando bene la gravidanza, Ron.”

 

“Soltanto io posso complimentarmi con mia moglie sul modo in cui si porta la gravidanza, al massimo puoi farlo tu!” ruggì Ron, dando un calcio allo sgabello dove stavano gli asciugamani.

 

Harry inarcò le sopracciglia e si massaggiò la nuca. “Stai esagerando un tantino…”

 

“Non sto esagerando, e poi è tutta colpa tua!” protestò Ron. “Se me l’avessi lasciato gonfiare stamattina, adesso mi sentirei già molto meglio…mi impedisci di sfogarmi!”

 

Harry rise e scosse la testa. “Sei un caso senza speranza…”

 

“Ok, ci vediamo domani, Natan…” Hermione entrò nella palestra con un’espressione rilassata e contenta, esibendo con orgoglio il suo pancione rotondo. “Ehi…ma che è successo?” domandò incerta, notando il sacco sfasciato.

 

“Quel bisonte di tuo marito.” Le disse sorridendo Harry, e appena lei si fu avvicinata le appoggiò una mano sulla pancia. “Ehi, là dentro…che si dice, frugolo?” Hermione rise e gli accarezzò la mano.

 

“Dove sei stata finora?” le chiese Ron, sforzandosi di non mostrare il suo nervosismo.

 

“Ho staccato un po’ prima oggi.” Disse tranquilla Hermione, scansandosi una ciocca di capelli dal viso. “Ah, Harry, Ginny stasera ci ha invitati da voi.”

 

“Benone.”

 

Ron annuì assentemente. “Si, ma tu non sei stanca?”

 

“Non ricominciare, amore, ti prego.” Hermione si chinò a stampargli un bacio sulle labbra, accarezzandogli la nuca. “Sto benissimo.” Harry mentalmente fu grato alla sua amica, che era davvero l’unica a saper calmare la furia di Ron.

 

Ron appoggiò una mano grande e callosa sulla pancia gonfia della moglie…per sentire il suo bambino che si muoveva lentamente. “Bello di papà…” disse con un sorriso. “…sta sgambettando.”

 

“E beh, comincia a stare stretto là dentro.” Hermione fece un sorriso. “Aki dice che è bello paffuto.”

 

“Quando esci di conto?” le chiese Harry.

 

“Teoricamente tra due settimane…”

 

“Hermione?”

 

I capelli sulla nuca di Ron si rizzarono all’istante nel sentire la voce zuccherosa (e stomachevole) di Hugh Forester, la sua attuale nevrosi, e fu con molto autocontrollo che si sforzò di restare seduto e non fare niente. L’uomo entrò nella palestra con la sua solita camminatina scivolosa e un po’ andante, fermandosi davanti a Hermione e facendole un sorriso sfavillante, sfoderando la sua dentatura perfettamente bianca e lo scintillìo dei suoi occhi celesti.

 

“Hugh.” Disse pacatamente Hermione.

 

“Hai dimenticato questa.” Hugh le porse una cartellina con numerosi fogli. “Sono le relazioni di ieri, avevi detto che ci avresti dato un’occhiata a casa.”

 

Ron prese la parola prima di Hermione. “Cos’è, Forester, adesso le dai anche i compiti a casa?”

 

Hugh inarcò un sopracciglio, e Hermione gli lanciò un’occhiataccia. “Da’ pure a me.” Disse al suo collega, trasfigurando la cartellina con un colpo di bacchetta e rendendola piccola e leggera come un foglietto di carta.

 

“Non intendevo impegnare il suo tempo libero.” Fece Hugh, passandosi una mano fra i capelli per farsi ricadere il ciuffo sulla fronte. “So bene che Hermione ha molto da fare ultimamente…”

 

Harry osservò con un mezzo sorrisetto il colore delle orecchie di Ron, che si andavano scurendo pericolosamente, e decise di intervenire. “Hermione, tu non stavi andando a casa?”

 

Lei non smise di guardare in modo truce suo marito. “Infatti.”

 

“Oh, aspetta…” Hugh sfoderò ancora il suo irritantissimo sorriso bianco. “Se vuoi posso farti mandare una macchina dal Ministero… ho un amico che…”

 

Bingo, pensò Harry, chiudendo gli occhi e ridacchiando.

 

Ron si alzò lentamente in piedi, ergendosi in tutta la sua statura e fisicità. “Grazie per l’interessamento, Forester, ma non ce n’è alcun bisogno.” Con aria decisamente possessiva passò un braccio attorno ai fianchi di Hermione. “Mia moglie e io torniamo a casa insieme con le nostre passaporte.”

 

“Ti ringrazio, Hugh, sei sempre molto gentile.” cercò di dire Hermione, nel tentativo di mitigare l’atmosfera.

 

“Oh…si…certo, ci…vediamo domani, eh?” fece insicuro Hugh, guardandola con un sorriso gentile ma leggermente tirato.

 

Non appena l’uomo fu uscito, Harry scoppiò a ridere e Hermione tirò un malrovescio allo stomaco di Ron. “Insomma!!”

 

“Ehi!” protestò Ron, toccandosi lo stomaco dolente. “Che ho detto di male?”

 

“Ti avevo avvertito di smetterla con questa paranoia, Ronald Weasley!” Sibilò Hermione, puntando un dito contro di lui. “Ti avevo avvertito di smetterla di minacciare Hugh Forester!”

 

“Beh? Perché, l’ho minacciato, forse?” Ron finse uno sguardo ingenuo e si voltò verso Harry. “Harry, l’ho minacciato, malmenato o spaventato in alcun modo?”

 

“Nooo…” Harry ridacchiò. “…non fisicamente, almeno…”

 

“Tutto questo è assurdo e penoso.” Il tono di Hermione era furibondo. “Sono stanca di fare figuracce perché tu sei un pazzo esaurito!”

 

“E’ un mio diritto sincerarmi che gli altri non ci provino con te, e questo tizio…”

 

“Ne ho sentite anche troppe di stronzate!” urlò inaspettatamente Hermione. “Vedi di cambiare il tuo modo di porti, Ron, perché io già ho mille problemi e sicuramente non ho tempo per pensare alle idiozie che ti inventi tu!”

 

Ron e Harry sobbalzarono quando sentirono il portone della palestra sbattere con forza.

 

“Interpretando la cosa fra le righe,” mormorò pacatamente Harry. “…credo che tu le abbia rotto le palle in grande stile, Ron.”

 

 

***************

 

 

“Tesoro, ci siete?”

 

Harry si affacciò in cucina, ma di sua moglie e dei suoi figli non c’era traccia.

 

“Ginny?”

 

Una risatina infantile attirò l’attenzione di Harry, che quasi istintivamente distese le labbra in un sorriso. Intuendo da dove provenivano le voci raggiunse il bagno della sua amata casetta, e come previsto ci trovò il resto della famigliola. Ginny stava facendo il bagnetto a Julie, che sembrava tutta presa dal suo ciucciotto, e Danny continuava a schizzarla con la paperella di gomma nonostante i morbidi tentativi di sua madre di tenerlo buono.

 

“Danny, vuoi stare buono?” disse serenamente Ginny, mentre teneva la piccola Julie sdraiata sul suo braccio e le lavava la schiena con una spugna morbida per neonati.

 

“Guarda come fa, mamma!” Danny, tutto felice, schizzò un paio di gocce d’acqua in faccia alla sorella, che chiuse forte gli occhietti e arricciò il nasino. Danny rise.

 

A Ginny scappò un sorriso. “Ma la vuoi lasciare in pace, povera piccola?”

 

Danny fece saltellare la paperella di gomma sulla testolina rotonda di Julie. “Com’è pelata…tiene tutti i capelli azzecati come una palla.”

 

Ginny rise, e lo fece anche Harry dalla porta. “Ehi.” Disse allegramente lei, voltandosi.

 

“Papy!” Danny lasciò perdere la paperella e corse incontro a suo padre, che lo prese in braccio.

 

“Ciao, giovanotto!” Harry si sistemò bene il figlio in braccio e si sporse quel tanto da poter dare un piccolo, rapido bacio a Ginny. “Allora, com’è andata la giornata dai nonni?”

 

“Bene. Nonno ha fatto camminare la pelata.”

 

Harry rise e scosse la testa. “Tua sorella non è pelata.”

 

Julie, che sembrava molto rilassata mentre si lasciava coccolare dalla morbida spugnetta, borbottò qualcosa nella sua lingua di bimbetta di appena un anno e si sfilò il succhietto di bocca, intingendolo con cura nella schiuma del bagno.

 

“No, non si fa.” Disse subito Ginny, sfilandole il ciucciotto dalla mano. Julie subito cominciò a piangere. “Hai ragione, piccolina mia, ssh…adesso abbiamo finito…”

 

Danny si tappò le orecchie. “Papà, spegnila!”

 

“Tua sorella non è un giocattolo che si accende e si spegne, Danny!”

 

“Si, tesoro, si…” mormorò dolcemente Ginny alla figlia, mentre l’avvolgeva in un morbidissimo accappatoio rosa. “…hai ragione, amore, si…Harry, me la tieni un attimo?”

 

Harry la prese con il braccio libero, accoccolandosela in collo, e la bambina smise subito di piangere e si infilò un pugnetto in bocca, appoggiando la testolina umida alla camicia del padre. Harry le baciò la fronte più volte. “Cucciola di papà…e tu come stai?”

 

 Danny le affondò un dito nella guanciotta paffuta. “Ma com’è molla…”

 

A questo Harry non potè non ridere, e Ginny, che stava asciugando l’acqua che era caduta a terra dalla vasca, fece altrettanto. “Ti piace che è così morbida?” chiese alla fine al suo bambino.

 

Danny scrollò le spallucce. “Si, però mi fa venire voglia di darci gli schiaffi sopra.”

 

“Oh, questo direi proprio che non si fa.” Harry ridacchiò e stampò un bacio in fronte al figlio, quindi guardò Ginny. “Non ti ho vista neanche cinque minuti oggi.”

 

Ginny gli fece un sorriso sfuggente e appoggiò lo straccio accanto alla scopa, passandosi un ciuffo di capelli dietro la fronte col gomito. “Abbiamo avuto un po’ da fare con Aki…è arrivata quella pergamena con la lista di tutti i nuovi controincantesimi del mese, e abbiamo dovuto aggiornare i prontuari e tutto il resto…piuttosto faticoso, direi.”

 

“Mi sei mancata.” Le disse onestamente Harry, regalandole uno sguardo sereno e disteso. “Mi piace vederti col tuo camice addosso…hai un’aria tremendamente sexy.”

 

“Harry!” Ginny controllò che i bambini non avessero prestato attenzione alla conversazione – benchè una parola come ‘sexy’ era ancora decisamente fuori dal loro molto ristretto vocabolario – e potè rasserenarsi, perché Danny si stava impegnando a dare le ditate nella guancia della sorella, che stava cominciando a protestare. Ginny gli trattenne la manina. “E comunque sei mancato anche tu a me…”

 

Harry rispose al suo sorriso eloquente con un occhiolino e si sporse in avanti, trovando la possibilità di baciare sua moglie come desiderava da ore, ormai. Ginny gli passò le mani lungo le guance, rispondendo al suo bacio con altrettanto desiderio, e fece una piccola smorfia dispiaciuta quando lui si tirò indietro. “…se fai così mi fai venire voglia di andare subito a mettere a letto i bambini…”

 

Ginny sorrise e scosse la testa. “Ti sei dimenticato che abbiamo Hermione e Ron a cena, stasera?”

 

“Tesoro, io adoro Ron e Hermione, ma come mai proprio stasera che avevo voglia di stare con te me li ritrovo per casa?” Harry si sistemò meglio Danny sul braccio. “Voglio dire, dato che li vediamo in continuazione e tutto il resto…”

 

“Sono un po’ in crisi da tensione pre-parto, quei due.” Fece Ginny, accigliandosi leggermente. “Ho pensato che sarebbe carino dare una mano.”

 

Danny allungò un dito fin nella narice della sorella, che lanciò uno strillino e gli assestò un deciso schiaffone sulla faccia. Danny all’istante si sporse per picchiarla a sua volta, ma Ginny intervenne prendendolo in braccio.

 

“Ok, va bene…” Harry si riaggiustò la figlia in collo. “Ma arrivati a una certa ora, loro a casa e i bambini a letto…ho voglia di parlare un po’ con te, come facevamo ai vecchi tempi.”

 

Ginny sorrise largamente. “Con i pop-corn e le patatine.” Lui annuì con lo stesso sorriso e si sporse a baciarla.

 

“Pop-corn! Pop-corn! Pop-corn!” Danny si agitava irrequieto più che mai. “Pop-coooooooorn!”

 

“Danny!” Harry lo zittì tappandogli la boccuccia. “Se stai buono te ne preparo una manciata, va bene? Però devi stare buono e devi smetterla di dare fastidio a tua sorella. Che mi dici?”

 

Il bimbetto si disegnò una croce sulla bocca con un paffuto ditino. “Sto buono.”

 

“E tu, Julie?” disse sorridente Ginny. La piccola si infilò il succhietto in bocca e tornò a rilassarsi addosso a suo padre.

 

Harry rise. “Ok, pop-corn per il giovanotto e la signorina. Seguitemi, prego.”

 

“Pop-corn! Pop-corn! Pop-corn!”

 

 

***************

 

 

Hermione sbuffò e buttò sul letto l’ennesimo vestito che non voleva saperne di entrarle. A nove mesi inoltrati era diventato davvero grosso il suo pancione, e qualsiasi vestito mettesse la faceva sembrare più simile a una mongolfiera che a un essere umano. E quel maledetto specchio sembrava quasi ridersela…

 

“…eh eh eh…come vooola…”

 

La vocetta allegra e vispa di Jack irruppe nella sua camera, e dal riflesso nello specchio Hermione lo vide entrare correndo dietro al giocattolo che Ron gli aveva regalato qualche giorno prima, un pupazzetto con la divisa dei Cannoni di Chudley che svolazzava sulla sua scopa e fingeva di correre dietro al piccolissimo boccino, e quando lo afferrava partiva la musichetta dell’inno dei Cannoni.

 

Jack si sporse per afferrare il pupazzo, e sarebbe finito direttamente lungo per terra di faccia se un paio di grosse mani callose non lo avessero afferrato per le ascelle giusto in tempo. Hermione tirò un sospiro di sollievo.

 

“Anch’io volo!” esclamò felice Jack quando suo padre lo prese in braccio.

 

“Eh, e stavi per fare un volo che ti sarebbe costato qualche dentino.” Ron lo mise seduto sul lettone, porgendogli il suo giocattolo. “Che cosa ti avevo detto, Jack?”

 

“Attento quando cammini.” Mormorò il piccolo, tutto concentrato sul suo giocatore in miniatura e per niente convinto di quello che stava ripetendo in stile cantilena.

 

Ron fece una smorfia sconsolata e spostò la sua attenzione su Hermione, che si guardava allo specchio con uno sguardo truce. “Possiamo fare la pace?” le disse alla fine, dopo qualche secondo di esitazione. “Non mi piace quando litighiamo.”

 

“Dovresti pensarci prima, allora.” Fece duramente Hermione, buttando il vestito e prendendone un altro.

 

Ron le venne dietro e le appoggiò lentamente le mani sulle spalle, massaggiandogliele in quel solito modo rassicurante che la faceva sempre sentire tanto bene. “Dai…” le sussurrò all’orecchio, mentre il suo respiro regolare la accarezzava languidamente. “…parliamone almeno, no?...”

 

Hermione sospirò profondamente e socchiuse gli occhi. “…non mi piaci quando ti comporti come un uomo delle caverne…”

 

Ron fece un sorrisetto e le baciò furtivamente il collo. “…mi sembra di ricordare altre circostanze in cui hai detto il contrario…”

 

Hermione gli diede una gomitata nello stomaco, suscitando una risatina, e gettò uno sguardo a suo figlio – che si stava scatenando sul lettone – per controllare che stesse tranquillo.

 

“Pace?” le chiese ancora lui.

 

Hermione esitò, quindi fece un piccolo sorriso al loro riflesso nello specchio. “Sei impossibile, lo sai?”

 

“E tu mi ami anche per questo.” Ron le schioccò un bacio sulla guancia.

 

“Ron, non puoi aggredire una persona solo perché mi fa un complimento…”

 

“Non è una persona, è un maniaco sessuale.”

 

“Un maniaco sessuale?!” Hermione fece una risatina incredula e si voltò a guardare il marito negli occhi. “Ma ti stai ascoltando?!”

 

Ron si accigliò. “Non mi piace come ti guarda…e io ho tutto il diritto e il dovere di prendermi cura di te, sei mia moglie.”

 

Hermione incrociò le braccia sul petto. “No, caro, io lo so bene qual è il problema…il problema è che questo poveraccio ha fatto gli occhi dolci alla tua donna e tu non gli hai ancora rotto tutti i denti, anche in presenza dei tuoi compagni…”

 

“…e se lo meriterebbe, quel figlio di…”

 

“Ma tanto a te cosa importa che tua moglie non lo guarda nemmeno uno così?”

 

“…non è che non me ne importa, è che lui non dovrebbe proprio…”

 

Ronald Weasley, io posso essere responsabile solo delle mie azioni.” Hermione appoggiò le mani sui fianchi, alzando la voce per coprire quella scherzosa e argentina di Jack. “Non posso impedire a Hugh di prendersi certe confidenze, ma so da me quando è il momento di rimetterlo a posto e quando è completamente innocuo e inutile. Ti sembra mai possibile che io possa cedere alla corte di uno come lui, lasciando tutto quello che di bello ho creato insieme a te? Riesci a crederci anche solo per un istante?”

 

Ron sospirò profondamente e si grattò la nuca. “Io mi fido di te…ti giuro. E’ solo che certe volte è come se dentro di me scattasse una molla… tutto quello che vorrei è parlare a quattrocchi con questo tizio e fargli capire che non si deve nemmeno permettere di guardarti in quel modo…cosa ti costa lasciarmelo fare?”

 

Hermione fece un sorriso e gli scansò un ciuffetto di capelli rossi dalla fronte. “Ti conosco abbastanza da sapere come li porti avanti certi discorsi, tu…” lui sorrise. “Sei troppo possessivo… cosa te ne importa di quello che pensano gli altri? Tutto quello che deve interessarti è quello che penso io…e tu già sai cosa penso, no?”

 

Ron annuì e le passò le braccia attorno ai fianchi. “Sei impossibile…troppo razionale.”

 

Hermione rispose al suo sorriso con una carezza sulla guancia. “E tu sei impossibile perché sei un bambino…”

 

“A proposito di bambini…” Ron appoggiò una mano sulla pancia gonfia e tesa di sua moglie. “Ehi, giovanotto, come vanno le cose là dentro?” Hermione sorrise e si accarezzò a sua volta il pancione.

 

“Anch’io parlo col fratellino!” Jack balzò giù dal lettone e si sollevò sui piedini per aggrapparsi alla gonna di Hermione. Ron lo prese in braccio, e il piccolo appoggiò una manina grassoccia sul pancione. “Ciao fratellino…”

 

“Senti se scalcia, che ti risponde…” gli sussurrò amorevolmente Ron.

 

Jack si accigliò. “…mmmh…no, è un po’ moscio stasera. Forse perché non ci sono giochi là dentro…mamma, come fa a stare lui solo senza giochi tutto il tempo?”

 

Hermione sorrise e gli baciò la guanciotta paffuta. “Oh, non si annoia…è ancora troppo piccolo per giocare.”

 

“E che fa?”

 

“Sta buono buono e sente noi che parliamo qui fuori.”

 

“Ah si?” Jack si sporse in avanti. “Allora senti questa cosa, fratellino: io ti faccio giocare coi miei giochi, ma con questo qua no…perché è mio e tu sei piccolo e lo rompi. Capito?”

 

Ron ridacchiò. “Si, penso che abbia capito abbastanza bene il concetto, Jack.”

 

“Adesso ti vado a prendere un giocattolo che puoi usare…” Jack scivolò giù dalle braccia di suo padre e corse nella sua stanza.

 

Hermione si sedette sul lettone ed esaminò una salopette di jeans. “Niente da fare, devo mettere sempre le stesse cose ormai…sono una balena.”

 

Ron sorrise e le baciò la tempia. “Ancora qualche giorno di pazienza, amore.”

 

Hermione annuì e sospirò…quindi si voltò verso di lui e gli accarezzò una guancia col dito. “Mi prometti che non farai più il geloso senza motivo?”

 

Ron fece una piccola smorfia. “Ci proverò, ma non aspettarti niente.”

 

“Grazie.” Hermione gli diede un piccolo bacio.

 

“Eccolo qua il giocattolo!” Jack arrivò di corsa con un carillon in mano. “Senti che bello,  senti…”

 

Hermione sorrise quasi commossa quando Jack le appoggiò sulla pancia il carillon, che subito iniziò a riprodurre la sua musichetta dolcissima. Ron si sedette accanto a lei e prese il bimbetto in braccio, baciandogli la fronte. “Sei proprio un bravo fratello maggiore, Jack.”

 

Jack mise una manina sul pancione. “Hai capito, tu, io sono il tuo fratello maggiore!”

 

Hermione rise di cuore, mentre una piccola lacrima felice le scivolava sulla guancia.

 

 

***************

 

 

“Ecco qui i vostri biscotti…” Ginny si chinò a terra, facendo bene attenzione ad evitare le macchinine e i pupazzetti che stavano sparpagliati disordinatamente, e porse un biscotto prima a Danny e poi a Jack. “…e questo è tuo.” Infine diede un biscottino anche alla piccola Julie, che se ne stava beatamente seduta nel suo box pieno zeppo di bamboline e giocattolini vari.

 

“Guarda adesso mia sorella come fa schifo…” mormorò ridendo Danny, indicando la bimbetta. “…il biscotto non è che se lo mangia, lo lecca tutto e si fa molle molle…”

 

“Che schifezza…” Jack addentò il suo biscotto. “…ma mio fratello non farà così, perché lui è un maschio come noi.”

 

“Meno male.” Anche Danny si mangiucchiò il suo.

 

Ginny sorrise e tornò a sedersi sul divano, sdraiandosi contro la spalla di Harry, che le passò un braccio attorno alle spalle. “E’ una fortuna che Jack sia così contento del fratellino.” Disse allegramente, scostandosi un ciuffo di capelli rossi dal viso.

 

“Speriamo che sia così anche dopo.” Mormorò Hermione, facendo un sorriso stanco e accarezzandosi l’addome. Stava spaparanzata comodamente sull’altro divano, e sembrava quasi che il pancione fosse più grande del solito.

 

“Non lo so…” Harry fece un sorrisetto sornione. “Jack assomiglia sempre di più a Ron, se il nuovo piccolo Weasley dovesse assomigliare a Hermione sarebbe guerra aperta, io ne so qualcosa.”

 

Tutti ridacchiarono, e Ron scosse divertito la testa. “Avanti, Harry, dillo pure che questa sarebbe la tua vendetta.”

 

“Oh, altrochè.” Harry annuì, ridendo.

 

Ginny si accoccolò contro la spalla del marito. “Hermione, quand’è che entri in maternità? Ormai non manca molto…”

 

“Dovrei prima concludere la ricerca che sto facendo, ma credo che al massimo con venerdì dovrei potermi ritirare.”

 

Ron le appoggiò morbidamente una mano sul ginocchio. “Chiederò a mamma di farti compagnia la mattina, mentre non ci sono a casa.”

 

“Ron, lascia stare…perché devi disturbare tua mamma? Già ci tiene ogni giorno i bambini, adesso anche questo?...”

 

Ron scosse la testa. “Non puoi pensare a Jack e alla casa, devi rilassarti e stare tranquilla. E io voglio lavorare sereno, non posso pensare che tu sei da sola e nessuno ti dà una mano.”

 

“Un paio di mattine posso rimanere io.” Fece Ginny. “Abbiamo finito oggi l’inventario delle nuove pozioni, mi è rimasto un bel po’ di tempo libero al lavoro.”

 

“Grazie, Gin.” Le disse sorridente il fratello.

 

Harry si grattò la nuca. “Avete scelto il nome del giovanotto?”

 

“Simon.” Gli rispose fiera Hermione.

 

“Simon…” Harry annuì con un sorriso. “Mi piace come suona Simon Weasley. Bella scelta.”

 

“Abbiamo coinvolto anche Jack.” Ron accarezzò assentemente il ginocchio di sua moglie. “Hermione ha fatto dei bigliettini coi tre nomi che ci piacevano di più, e poi ne abbiamo fatto scegliere uno a Jack.”

 

“Così si sente partecipe di tutto quello che succede.” Hermione si scansò i capelli dalla fronte. “Finchè questo è possibile, vorremmo evitare tutte le crisi di gelosia.”

 

“Danny fu abbastanza tranquillo con Julie, eh?” chiese Ginny a Harry, voltandosi leggermente.

 

Lui annuì. “Si, niente storie…tranne quando la portammo a casa e vennero a vederla i parenti, lì si arrabbiò perché tutte le zie non facevano altro che ripetere quanto era bella la nuova bambina.”

 

“No, noi ci stiamo organizzando per…” Ron s’interruppe quando vide un gufo grigiastro beccare contro il vetro. “Ma di chi è quello?”

 

Ginny si alzò per aprire la finestra. “Non so, non aspettavo notizie da nessuno…voi?” le smorfie di dubbio degli altri le risposero da sole. Il gufo approfittò della finestra aperta ed entrò, svolazzando fino a lasciar cadere morbidamente sulla pancia di Hermione una lettera in busta chiusa.

 

“Per me?” Hermione si accigliò e prese ad aprire con calma la busta.

 

“Chi è che ti scrive?” fece subito Ron, mettendosi seduto dritto. Hermione aprì la lettera e scorse rapidamente le righe con un sopracciglio leggermente inarcato…quindi fece una piccolissima smorfia e mise giù la lettera. “Allora?”

 

“Niente di particolare…” Hermione richiuse la lettera. “…è di Hugh, che ha voluto fare appuntamento davanti all’ascensore domani per dirmi delle cose.”

 

Le orecchie di Ron divennero rapidamente rosse, e Harry e Ginny osservarono il cambiamento repentino e si lanciarono un’occhiata d’intesa.

 

“Beh, che stavamo dicendo?” Hermione fece un sorriso disinvolto, decisa a liquidare l’argomento.

 

“Cos’è che deve dirti di così urgente?” il tono di Ron era cupo come la sua espressione.

 

Hermione lo guardò. “Non ne ho la più pallida idea, Ron, e francamente non me ne…”

 

“Certo che deve essere qualcosa di importante per mandarti addirittura un gufo qui.”

 

Hermione inspirò profondamente. “Credevo che avessimo già parlato di questa cosa…”

 

“Ehm…” Ginny si sedette eretta. “Vi va un pezzo di crostata di fragole di mamma? Me l’ha mandata giusto stamattina.”

 

“Ecco, una fetta di crostata è quello che ci vuole.” Harry annuì. “Tu ne vuoi, vero, Ron?”

 

Ron lo ignorò completamente. “Mi sembra di essere stato chiaro prima, Hermione, questo stronzo si sta allargando troppo e…”

 

“Ron, ci sono i bambini!” protestò Hermione, fulminandolo con lo sguardo.

 

“Se non vuoi che lo metta a posto io, questo idiota, perché non lo fai tu?”

 

Hermione incrociò le braccia sul petto. “E infatti domani gli spiegherò che non deve mandarmi addirittura un gufo per dirmi una cosa così stupida, ma non è il caso di rovinarci la serata per questo, no?”

 

Ron strinse gli occhi in due fessure. “Lo sai cosa credo? Credo che tu sappia fare la dispotica e la tiranna solo con me, che con gli altri sei tutta uno zuccherino e non sei capace di rispondere a dovere, specialmente con uno che non fa altro che lodarti dalla mattina alla sera.”

 

Hermione spalancò gli occhi e poi si sedette sulla punta del divano, sporgendosi minacciosamente in avanti. “Ritira immediatamente quello che hai detto!”

 

“Provami il contrario!”

 

“Io non credo che sia il caso di scaldarsi tanto, Ron, dopotutto Hermione ha detto che parlerà con questo tizio…” fece piano Ginny.

 

“Si, come ci ha parlato le altre volte! Hai visto che risultati ha ottenuto finora!”

 

“Ma non è colpa mia se questo ha preso una cantonata per me, Ron!!”

 

“Appunto, è il caso che lasci a me il compito di liquidarlo!!”

 

“Andiamo, ragazzi, calmatevi…” Harry offrì a entrambi un sorriso bonario. “Dai, Hermione, se Ron si sente più tranquillo a parlarci lui con Forester…”

 

“Ero in pensiero che tu non fossi dalla sua parte!” fece furibonda Hermione. “E quando mai non vi spalleggiate voi due!”

 

“Ma no, non è questo che volevo…” Harry guardò male Ginny, che gli diede una bottarella allo stomaco.

 

“Ad ogni modo, basta con l’atteggiamento da gentiluomo e tutte le tue stronzate.” Fece risoluto Ron. “Domani mattina farò io quattro chiacchiere con Forester, e vedremo se dopo avrà ancora il coraggio di mandarti i fiori a casa!”

 

“Ti ha mandato dei fiori?” chiese incredula Ginny.

 

“Se tu hai dei problemi di autocontrollo, Ron, non devo pagarne io le conseguenze! Non ti permetterò di farmi fare una figuraccia davanti a tutta la War Mage Team!” protestò Hermione.

 

Ron fece una smorfia provocatoria e incrociò le braccia sul petto. “Comincia a fartene una ragione, amore.”

 

Hermione emise un verso di frustrazione. “Non credere di poter fare il bullo con me, sai benissimo che non funziona!”

 

Harry abbandonò indietro la testa e fece una smorfia. Gli sembrava di vivere un flash-back.

 

 

***************

 

 

“Si è addormentato anche Danny, finalmente.”

 

Ginny si lasciò cadere stancamente sul divano accanto a suo marito, e sorrise quando Harry le porse la terrina piena di pop-corn. Lei si sdraiò con la testa sull’addome di lui, e infilò una mano nella terrina.

 

“Direi che come cena pacificatrice è stato leggermente un fiasco.” Osservò pacatamente Harry, facendo un sorrisetto.

 

Ginny fece una smorfia e ingoiò il pop-corn. “Stava andando tutto benissimo prima che quell’idiota mandasse quel gufo…secondo te si saranno ammazzati a casa?”

 

Harry scosse la testa e buttò giù altro pop-corn. “Nah…ma probabilmente Ron starà dormendo sul divano.”

 

Ginny ridacchiò piano. “E’ strano come sia complicata la vita familiare…è bellissima, ma a volte è incredibilmente difficile. Bisogna saper capire quando è arrivato il momento di scendere a compromessi, e quando no…e spesso e volentieri la differenza non è così evidente, non credi?”

 

“E’ così. Il matrimonio è tutto un equilibrio precario.” Harry ingoiò una manciata di pop-corn e le accarezzò una guancia col dorso della mano. “E’ per questo che ci si sposa da adulti, si spera che a quell’età si sappia individuare quel limite.” Con un sorrisetto furbastro, Harry afferrò altro pop-corn. “Ora, naturalmente chi ha detto questo non ha mai incontrato Ron e Hermione.”

 

Ginny rise e si crogiolò nell’abbraccio di suo marito…ma a un certo punto si voltò fino a poterlo guardare in faccia dal basso. “Posso chiederti una cosa, tesoro? Come…come fai tu?”

 

“A fare cosa?” le chiese morbidamente lui.

 

“A saper fare così bene il marito e il padre.” Ginny si accigliò. “Voglio dire, è chiaro che anche tu hai i tuoi difetti, come tutte le persone normali, ma sei…non so come spiegartelo…Harry, tu non hai mai vissuto in una famiglia da piccolo, non hai mai visto come si comportava tuo padre con tua madre e con te…eppure tutto ti riesce così naturalmente bene, così spontaneamente…potevi benissimo finire col prendere a modello paterno tuo zio Vernon, e invece… come fai, da dove ti viene tutto questo…?”

 

Harry sospirò e guardò dritto davanti a sé, senza smettere di accarezzarle la guancia. “Non saprei bene cosa risponderti, Gin…” mormorò piano. “Quando stavo coi Dursley sapevo che non poteva finire così, che doveva per forza esserci qualcuno in questo mondo che mi avrebbe voluto almeno un po’ di bene… poi sono arrivati Ron e Hermione…la tua famiglia…tu… voi mi avete cambiato la vita. Non avevo dei modelli veri e propri…non ne ho nemmeno adesso. Faccio per i miei figli tutto quello che desideravo io da piccolo quando stavo chiuso in quello scantinato e sognavo come sarebbe stato se mia madre e mio padre fossero venuti a salvarmi da quell’inferno, e beh…era un bel sogno.”

 

Ginny sbattè gli occhi freneticamente quando si rese conto di avere le lacrime che glieli pungevano, e rimettendosi dritta vinse ogni esitazione e gettò le braccia al collo a Harry, abbracciandolo forte. “…scusami, ma io a volte non riesco proprio a crederlo…” disse con un singhiozzo, lasciando finalmente libere le lacrime. “…che tu sei stato così solo per tanti anni, senza amore, proprio tu che ne meriti così tanto…”

 

Harry sorrise e le baciò la spalla. “Tesoro, non c’è bisogno di disperarsi…è andata tutto bene poi, no?”

 

Ginny annuì e fece un sorriso fra le lacrime, tirandosi indietro ed asciugandosele con il dorso della mano. “…non lo posso evitare, non riesco a pensare alla tua infanzia senza starci male. Chiamami piagnucolona, ma…”

 

Harry la zittì con un bacio. “Tu mi fai sentire così amato che a volte penso di essere l’uomo più forte del mondo.” Le disse con un sorriso. “Quando sto insieme a te scompare tutto il male del mondo… cosa vorresti fare di più, amore?”

 

Ginny si accoccolò fra le sue braccia e gli baciò il collo. “Non lo so…so solo che per colpa tua e di quanto ti amo, a volte divento disgustosamente zuccherosa.” Ridacchiarono piano entrambi.

 

Harry mantenne un braccio attorno ai suoi fianchi, ma con l’altro riprese a mangiare il suo pop-corn. “Ehi, la sapevi l’ultima di Charlie e Tennessee?”

 

Ginny agguantò la sua razione e fece un sorrisetto. “Che hanno combinato stavolta?”

 

“Oh, lui le ha fatto la dichiarazione e lei l’ha rifiutato… e lui per tutta risposta l’ha rincorsa con l’anello per tutto il corridoio!”

 

“La vendetta di tutte le donne sedotte da mio fratello! E poi che è successo?”

 

“Beh, direi che la tenacia di Charlie l’ha avuta vinta, ma senti come…”

 

 

***************

 

 

Hermione pigiò con decisione il bottone per chiamare l’ascensore del quartier generale, quello per mettere in comunicazione il palazzo con i servizi esterni tra cui il Ministero. Accanto a lei Ron stava tutto eretto, imponente più del solito con le braccia incrociate sul petto e le spalle volutamente larghe. La sua postura fisica era tutta volta a incutere un certo timore nel fascinoso guaritore che stava lì con lei, e a quanto pare la cosa stava funzionando perché Hugh Forester stava più zitto del solito, e continuava a lanciare occhiatine di sbieco a Ron.

 

“Questo stupido ascensore è più lento del solito…” brontolò Hermione.

 

“Forse una passaporta sarebbe meglio.” Azzardò Hugh. “Conosco una persona che potrebbe…”

 

“Meno passaporte Hermione prende, meglio è per il bambino.” Fece duramente Ron, con un tono così duro da far voltare un paio di persone che camminavano nel corridoio. “Mi meraviglia che proprio tu che sei un guaritore non lo sappia.”

 

“Certo che lo so, ma…”

 

“Ma proprio niente.” Ron fece un passo avanti. “Forester, credo che sia ora che io e te facciamo due chiacchiere.”

 

Hermione si voltò di scatto. “Ancora?!”

 

Ron neanche la guardò. “Tu sta’ zitta.”

 

Hermione vide rosso. “Che cosa hai detto?!?” urlò.

 

Hugh spalancò gli occhi. “Ehm…”

 

“Come osi zittirmi, Ronald Weasley?! COME OSI???”

 

“E chi autorizza te, invece, a zittire me?!” replicò altrettanto accesamente Ron. “Vediamo di ristabilire i ruoli, qui, Hermione: io sono l’uomo, porto io i pantaloni della relazione, e non ho intenzione di lasciarmi mettere a tacere da mia moglie ogni volta che apro la bocca, è chiaro?!”

 

Hermione, inorridita, fece una smorfia di frustrazione. “Non ho parole, sei un cavernicolo completo!”

 

“E te ne accorgi solo adesso?” disse scherzosamente Harry, mentre lui e Ginny arrivavano vicino all’ascensore mano nella mano.

 

Ginny si rese conto che l’atmosfera non era delle migliori. “…che succede?”

 

“Uhm, è che lui…” provò Hugh.

 

“Adesso piantala di urlare tanto, farà male al bambino.” Fece seccamente Ron.

 

“Ah ecco, adesso ci pensi!!” urlò Hermione, chiaramente al limite di una crisi di nervi. “Ma che bravo padre che sei!! Prima mi porti al limite e poi ti ricordi di fare il bravo marito!!”

 

“Sei tu che dovresti ricordarti di fare la brava moglie, una volta ogni tanto, anziché fare sempre il duro della situazione!”

 

Hermione si appoggiò una mano sul pancione, come se urlare le provocasse sforzo. “Lo sai cosa ti dico, Ron, mi ha stancato!! Sei riuscito a lasciarmi senza parole, ormai avrei così tante cose da dirti che mi rifiuto di perdere altro tempo con te, che sei un ottuso zotico primitivo…” l’ascensore arrivò al piano e si aprirono le porte.

 

“Coraggio, va’ avanti!” le urlò Ron. “Vediamo a che punto arrivi!”

 

Hermione scosse la testa, disgustata, e afferrò per un braccio Hugh. “Mi fai schifo, è tutto quello che ho da dirti.” Sibilò, gettando bruscamente dentro l’ascensore il povero Hugh – che barcollò e per un pelo non cadde – e pigiando con forza il bottone della sua destinazione. Ginny lanciò un’occhiataccia a suo fratello e riuscì a infilarsi nell’ascensore prima che le porte si richiudessero.

 

“Al diavolo!!” fece Ron, dando un sonoro pugno contro il pannello dei comandi.

 

Harry inspirò profondamente e gli si avvicinò. “Direi che è il caso di calmarsi.”

 

 

 

 

“Quel villano…egoista…presuntuoso…maschilista…”

 

“Basta, Hermione, ti devi calmare!” stavolta il tono di Ginny era perentorio. “Non ti fa bene tutta questa agitazione!”

 

“Posso offrirti un bicchiere d’acqua?” le mormorò gentilmente Hugh, sorridendo a 32 denti.

 

Hermione fece una smorfia. “Hugh, io e te dobbiamo…”

 

STUNK

 

Il rumore metallico attirò l’attenzione di tutti…e un attimo dopo l’ascensore si fermò.

 

“Che diavolo succede…” Ginny cercò di premere a turno tutti i bottoni. “Porca miseria…è bloccato…”

 

“Bloccato? Come sarebbe bloccato?” fece Hugh, con una nota di panico nella voce.

 

“Harry???” urlò Ginny, sbattendo i pugni contro le porte. “Harry!!!”

 

 

 

 

“Ginny?” Harry smise di parlare con Ron e si avvicinò alle porte chiuse del piano. “Ginny, sei tu?!”

 

“Harry!!!”

 

“Che cazzo…” Ron si voltò a guardare il bottone dell’ascensore: era rosso e lampeggiava.

 

“Ginny, mi senti??” Harry urlò contro le porte. “State bene là dentro??”

 

“Si, stiamo bene…ma l’ascensore si è bloccato!!”

 

Ron afferrò per un braccio uno dei nuovi arrivi della squadra. “Ehi, va’ a chiamare qualcuno, l’ascensore si è bloccato!”

 

“Subito, signore!” il ragazzo corse nella direzione delle scale.

 

“Ok, tenete duro là dentro!” urlò Harry. “Stanno chiamando la sicurezza, saranno qui in un minuto!”

 

“Levati di messo, adesso risolviamo subito noi…” Ron sfoderò la bacchetta e la puntò contro le porte chiuse.

 

“No, si fermi!” Harry si voltò e si accorse che si era fatta una piccola folla di curiosi. A parlare era stata una donna vestita elegantemente. “Non lo faccia, usare la magia con questo tipo di ascensori è particolarmente pericoloso…mi creda, è capitato anche a me, meglio usare metodi tradizionali per sbloccarlo…il minimo passo falso e potrebbe sprofondare.”

 

“Merda…” brontolò fra i denti Ron, avvicinandosi alle porte. “Ehi! Ehi, Ginny! Va tutto bene?!”

 

 

 

 

“Uff, si soffoca…” Hermione si asciugò il sudore con una mano. Poco aiutava il fatto che l’ascensore fosse diretta al Ministero, e quindi si trovasse di qualche metro sotto terra.

 

“Ci sarà un modo per sbloccare questo affare dall’interno…” Ginny si guardò freneticamente in giro…e alla fine vide una leva. “…si! E’ per lo sbloccaggio!”

 

“Ci penso io.” Fece subito Hugh, afferrando la leva e cominciando a tirarla con notevoli sforzi.

 

“…no, aspetti…sta facendo leva nel punto sbagliato, aspetti…” Ginny provò a scansargli le mani.

 

“…mi lasci fare, so cosa sto facendo…”

 

CRACK

 

“…ops…” Hugh si grattò la nuca e fissò incerto la leva spezzata in mano.

 

“Lo sapevo!” protestò Ginny. “Ma perché non ha voluto ascoltarmi?!”

 

Hermione scivolò lentamente per terra di spalle contro il muro, incapace di riuscire a distinguere più le voci di Ginny e Hugh che litigavano. Si sentiva le gambe pesanti, la testa le girava, l’addome le faceva male come se le si contorcesse ritmicamente…

 

“…e io non voglio rimanere chiuso qui dentro!!” fece istericamente Hugh. “Ehi!!! EHI, LA’ SOPRA!!!! AIUTO!!!! AIUTATECI!!!!”

 

 

 

 

“DANNAZIONE, FORESTER, PIANTALA DI GRIDARE COME UN IMBECILLE E LEVATI DI TORNO!!!” Ruggì Ron. “Ginny!!!”

 

“Ma che diavolo stanno facendo quelli della sicurezza…” Harry si guardò intorno. “Qualcuno li vada a cercare, presto!!”

 

 

 

 

“La vuole smettere di urlare?!” strillò Ginny.

 

“Io odio i luoghi chiusi!!”

 

“…Ginny…” mormorò debolmente Hermione, a terra.

 

“Non è che qui noi ce la stiamo spassando, ma il panico è quanto di peggio si possa…”

 

“Ma facciamo qualcosa!!”

 

“…Ginny…”

 

“Senta, lei…Hermione!!” Ginny si buttò in ginocchio accanto alla sua amica, e subito le accarezzò il viso sudato. “Tesoro, che c’è?”

 

Hermione era pallida e sudata, e ansimava. “…credo proprio…che il bambino…non ne voglia sapere di aspettare oltre…”

 

Ginny spalancò gli occhi e sollevò la gonna di Hermione…lì per terra c’era una chiazzetta d’acqua. “Oh merda…”

 

“CHE???” strillò terrorizzato Hugh. “ANCHE QUESTO ADESSO???”

 

 

 

 

Harry e Ron si guardarono in faccia. “Cosa…” Ron diede un pugno contro le porte. “Ehi, che sta succedendo là dentro???”

 

“…il bambino sta per nascere, Ron!!” si sentì la voce di Ginny. Sembrava tesissima.

 

“Oddio santo…” mormorò Harry.

 

Ron perse la calma. “Hermione!! HERMIONE!!!! Come stai, come ti senti??”

 

 

 

 

Hermione si lasciò scappare un singhiozzo, e abbandonò la testa contro il muro. “…qualcosa non va, Gin…mi gira troppo la testa…”

 

Ginny non aveva il coraggio di dirle che qualcosa non stava andando per davvero, sapeva che l’avrebbe terrorizzata se le avesse detto che stava perdendo troppo sangue e troppo presto. Stringendo un attimo gli occhi, Ginny richiamò a sé tutta la sua concentrazione e si voltò verso Hugh. “Mi serve il suo aiuto, dobbiamo…ehi!”

 

L’uomo si schiacciò contro il muro opposto, come per sfuggirle. “Eh no, eh! Io non sono del reparto maternità…non ne so niente di queste cose!!”

 

“Grandioso.” Sibilò fra i denti Ginny.

 

 

 

 

“HERMIONE, RISPONDIMI!! CE LA FAI?? RIESCI A SENTIRMI, AMORE?!?” Ron stava lasciando un buco nella lamiera d’acciaio a furia di batterci contro il suo robusto pugno.

 

“Si può sapere dove sono questi cazzo di tecnici?!” anche Harry era una furia.

 

“Pare che sappiano già qual è il problema…” spiegò un ragazzo. “Dicono che si blocca sempre, stanno cercando il pezzo di ricambio.”

 

“Si, col cazzo!” tuonò Harry.

 

 

 

 

Hermione si rese conto che non poteva smettere di piangere, tra il dolore all’addome e il senso di oppressione che provava. “…il mio bambino…”

 

“Stai tranquilla, tesoro, adesso ci penso io.” Ginny si sfilò la giacca e la usò per coprire le gambe di Hermione, tenendogliele belle larghe. “Ehi tu, dammi la tua camicia.”

 

“Come?...” Hugh lanciò un’occhiata sfuggente e capì che Ginny l’avrebbe usata per asciugare tutto quel sangue. “…non se ne parla, questa camicia è firmata!”

 

Ginny gli lanciò un’occhiata di fuoco, quindi si alzò e in due passi lo raggiunse e gli strappò la camicia di dosso. “Ma chi diavolo te l’ha data la licenza di guaritore, eh?!?” tuonò, tirandolo per un braccio. “Cioncati qui seduto e dammi una mano, è chiaro?!”

 

Hermione singhiozzò. “…Ron…”

 

 

 

 

A Ron si strinse il cuore sentendo la vocina disperata di sua moglie. “Amore, sono qui!! Va tutto bene, vi tireranno fuori fra un attimo…resisti, capito? Tieni duro, io sono qui!!”

 

“Ginny, ce la fai?” provò a dire Harry, e un attimo dopo sentirono Ginny urlare qualcosa di oscenamente furioso a Hugh. “Ma che sta facendo quel cazzone?!”

 

Ron sentì Ginny ordinare all’uomo di tenere la mano a Hermione, e tutto il sangue gli andò al cervello. “TOGLI LE TUE SUDICE MANACCE DA MIA MOGLIE, SPORCO COGLIONE…”

 

“VAFFANCULO, RON!!”

 

Harry avrebbe riso in un’altra occasione sentendo il tono della moglie, ma in quel caso c’era ben poco da ridere. “Piantala di fare l’isterico, le serve tutto l’aiuto possibile là dentro!”

 

 

 

 

“…Ginny, non ce la faccio…” Hermione socchiuse gli occhi.

 

“NO!” Ginny la scosse per le spalle. “Hermione, no! Devi restare sveglia! Dobbiamo far uscire questo bambino, e non posso farlo senza il tuo aiuto!”

 

“…mi sento male…” sussurrò Hermione, lottando per restare cosciente. “…non riesco a respirare…”

 

“Lo so, tesoro, lo so, ma devi per forza resistere!” Ginny le strinse una mano. “Tu vuoi bene a tuo figlio, vero?”

 

“…lo adoro…”

 

“Benissimo, e allora pensa che tra meno di un’ora lo terrai stretto fra le tue braccia!” Ginny le sorrise. “Lo vuoi vedere Simon, vero?”

 

Hermione fece un sorriso stanco. “…si…”

 

“Brava…continua così, tieni duro…” Ginny tornò a sedersi davanti a lei, appoggiandole le mani sulle gambe. “Ok…calma…”

 

Hugh la guardò un po’ incerto. “Sei sicura di sapere dove mettere mani?...forse la magia sarebbe utile…”

 

“Chiudi quella boccaccia o te la sigillo io!! Non si usa la magia con le partorienti, dannato incompetente!!”

 

Hermione inarcò la schiena e cacciò uno strillo, quasi sconvolta dal dolore.

 

 

 

 

“HERMIONE!!!” Ron si schiacciò contro le porte.

 

“Porca miseria ladra…” Harry si asciugò il sudore con una manica.

 

“Dio santo…” Ron credette di morire quando sentì Hermione piagnucolare il suo nome.

 

“RON!!” Ginny era al limite di una crisi di nervi. “Parlale!! Aiutala a restare sveglia!!”

 

Ron si scansò rapidamente i capelli dalla fronte. “Merda…amore!! Ehi, mi senti??”

 

Harry strinse gli occhi quando sentì Hermione urlare per il dolore.

 

“Cazzo, ha bisogno di me…CAZZO!!!” Ron perse la calma e assestò due violentissimi calci alle porte, senza ottenere proprio niente. “MALEDIZIONE!!!”

 

 

 

 

“…Ron…” piagnucolò Hermione, sempre più debolmente.

 

“No, Hermione, no!” Ginny la scosse, cercando di tamponarle le perdite di sangue. “Non chiudere gli occhi, non lo fare…ora devi concentrarti! Dobbiamo cominciare a spingere!”

 

Hermione scosse la testa, piangendo. “…no, non ce la faccio…”

 

“Si che ce la fai, devi farlo!!”

 

“…non ci riesco…”

 

“Hermione, non ti addormentare, no!!!”

 

 

 

 

“Al diavolo…” Ron afferrò le estremità delle porte e raccolse tutte le sue forze, quindi cominciò a spingere…erano dannatamente dure…

 

“Ma che sta facendo?!” esclamò una donna.

 

“Si farà male!” le fece eco un signore piuttosto anzianotto.

 

Harry infilò le mani nella piccola apertura e prese a spingere forte anche lui, mettendoci tutta la forza possibile e immaginabile. “…gnnnhh…cazzo, APRITI!!!”

 

Con un rumoraccio brusco le due portiere si spalancarono innaturalmente, sbattendo nella parete. Ron si affacciò e vide l’ascensore, pochi metri più sotto di loro. “Non possiamo saltare, sfonderemmo tutto…”

 

“La fune.” Harry gli indicò il cavo che teneva l’ascensore, e in meno di un secondo entrambi si afferrarono a quello e si lasciarono scivolare né troppo lentamente né troppo in fretta. Atterrarono sull’ascensore e subito Ron afferrò la manopola della botola e la sollevò, tirando su il pannello e scoperchiando parte del tettuccio dell’ascensore.

 

Ginny, piuttosto disperata, alzò lo sguardo e s’illuminò nel vederli. Subito cercò di scuotere Hermione, che sembrava svenuta. “Hermione, c’è Ron!! Apri gli occhi!”

 

Ron si calò dentro immediatamente, atterrando – per caso – addosso a Hugh, che si accartocciò sotto il suo peso. Ron lo scalciò indietro e si sedette di spalle a Hermione, tirandola su finchè non se la fu sistemata con la schiena contro il suo petto. “Amore, sono qua…svegliati, non è il momento di dormire ora! Coraggio…!” le disse freneticamente, scuotendole il viso bianco e sudato.

 

“Ehi, Forester!” Harry gli tese un braccio. “Vieni qua sopra, dobbiamo fare aria là dentro!”

 

“Che?!?” Hugh spalancò occhi e bocca. “Là sopra, ma sei pazzo?!”

 

Harry s’infuriò. “Stammi a sentire, stronzo, o ci sali con le buone o ti vengo a tirare io per il collo!!”

 

L’uomo esitò, quasi ponderando l’esito peggiore, e quando gli tese timidamente il braccio si sentì tirare sopra così forte che diede una testata contro il tettuccio dell’ascensore.

 

Hermione strinse gli occhi e li socchiuse. “…Ron…”

 

“Brava, bravissima!” lui le scansò i capelli dalla fronte. “Resta sveglia, dolcezza, sta per finire tutto!”

 

Hermione singhiozzò. “…mi dispiace, non volevo dirti quelle cose orribili prima…”

 

“Sshh, pensa solo al nostro bambino ora…” lui le sorrise e le baciò la fronte. “Coraggio…”

 

Ginny tirò un respiro e le aprì meglio le gambe. “Hermione, adesso cerca di spingere forte…il più forte che puoi!”

 

Hermione strinse gli occhi. “…non so se ci riesco, mi trema tutto…”

 

Ron le strinse forte una mano. “Tu provaci! Dai, amore, c’è di mezzo la vita del nostro piccolino, ce la devi fare!”

 

Hermione annuì. “Ok…” tirò un respiro profondo e spinse più che poteva…e immediatamente una fitta di dolore la fece strillare forte.

 

“Va benissimo così, brava!!” Ginny sembrava piuttosto indaffarata lì dov’era, e Ron s’impose di non chiedersi che stesse facendo… “Ancora, più forte!”

 

Lo strillo di Hermione fece sobbalzare Harry, che per un attimo preferì distogliere lo sguardo. Ron si lasciò strizzare la mano fino al punto da sentire le ossa scricchiolare, ma in quel momento nemmeno se ne rese conto.

 

“E’ uscita la testa!!” esclamò trionfante Ginny. “Dai, è l’ultimo sforzo, coraggio!!”

 

“…oddio…” mormorò ansimando Hermione.

 

“Vai, amore mio, forza!!” la incoraggiò Ron.

 

Hermione raccolse tutte le energie che le restavano e le concentrò in una spinta verso il basso… sentì un dolore lancinante e strillò con tutte le forze che aveva in corpo…

 

Il pianto di un neonato riempì l’ambiente, e Ginny lo avvolse subito nel suo giacchino. “Eccolo qua…eccolo!”

 

“Sei stata fantastica, Hermione!” Ron la strinse forte a sé, e le baciò la tempia e la guancia ripetutamente. “Ce l’hai fatta, amore, ce l’hai fatta!”

 

Hermione avrebbe voluto sorridergli, partecipare alla gioia e all’entusiasmo, ma ora che era certa che il suo bambino era fuori pericolo allentò ogni tensione e si lasciò cadere in una placida e benvenuta incoscienza.

 

 

***************

 

 

“Guarda com’è mollo, papà…è mollo mollo!”

 

“Fai piano, Jack…ecco, così, accarezzalo poco alla volta…”

 

“Guarda, si succhia il pollicione!”

 

Hermione aprì a fatica gli occhi e li sbattè un paio di volte, quel tanto da mettere di nuovo tutto a fuoco. Riconobbe l’infermeria del quartier generale, e le bastò girare la testa per accertarsi di essere in uno dei letti…istintivamente sorrise quando vide Ron e Jack, seduti su una sedia accanto e chini sul cestello vicino al suo letto, che era evidentemente la culletta messa a disposizione per il nuovo piccolino.

 

Jack fece un sorrisone orgoglioso. “Guarda, papà, si tiene il mio dito in mano!”

 

“Bravissimo…non glielo far mettere in bocca, però, sta’ attento…ehi!” Ron fece un sorriso largo e beato quando vide sua moglie con gli occhi aperti, e anche Jack distolse l’attenzione dal nuovo arrivato per correre ad abbracciare sua madre.

 

“Ciao mammina! Lo sai che il fratellino ha gli occhi come i tuoi?”

 

“Davvero?” Hermione gli accarezzò la guancia e cercò di mettersi più dritta.

 

Ron le fu immediatamente alle spalle per aiutarla. “Attenta, non fare movimenti bruschi…Aki ha consigliato riposo assoluto per un paio di giorni.”

 

Hermione sorrise brevemente. “Questa ci mancava, eh?”

 

“Non ridere, mi hai fatto venire un accidente.” Ron le diede un piccolo bacio sulle labbra, approfittando del fatto che Jack era tutto preso dal fratello. “Mi hai fatto letteralmente morire…”

 

“Il bambino sta bene?”

 

Ron annuì. “Benissimo…è sano come un pesce. Tu invece ci hai fatto preoccupare, non riprendevi conoscenza…”

 

Hermione gli accarezzò ripetutamente la guancia, intuendo che quello che aveva fatto gli aveva richiesto uno sforzo più grosso delle sue possibilità. “Se non ci fossi stato tu non sarei riuscita a fare proprio niente…sei il mio cavaliere con l’armatura, hai fatto anche l’entrata trionfale.” Aggiunse con un sorriso.

 

“Ruffiana.” Ron rise e la baciò un paio di volte.

 

Hermione fece un gran sorriso. “Me lo fai vedere il nostro bambino?”

 

“Subito.” Ron si alzò dal letto e si chinò a prendere un batuffolo di panni avvolto in una copertina celeste… aveva qualche capello castano, gli occhietti languidamente socchiusi e si stava ciucciando beatamente il pollice. Quando lo ebbe fra le braccia, Hermione non potè evitare di commuoversi… e pensare che quel frugoletto stava per non nascere… “…ciao, amore mio…”

 

Jack balzò in braccio a Ron. “Ehi! Anche io sono amore tuo!”

 

Hermione sorrise. “Ma certo…però tu sei anche un fratello maggiore adesso.”

 

Jack annuì con aria saggia. “Infatti gli ho spiegato che i giocattoli sono miei e glieli presto, però me lo deve chiedere e non li deve rompere.”

 

Ron rise e gli baciò la testa. “Che Dio ti benedica, Jack, sarai davvero un bravo fratello.”

 

Hermione accarezzò con un dito la guanciotta sofficissima di Simon, che sbadigliò. “Ginny è stata fantastica oggi.”

 

Ron annuì e fece un sorrisetto. “Glielo stava dicendo anche Harry prima… in modo alquanto convincente, direi.”

 

Hermione rise e baciò la fronte del piccolino che aveva in braccio. “Hai visto quant’è bello?”

 

“E’ splendido.” Ron le strizzò l’occhiolino. “D’altra parte è un Weasley.”

 

“Jack Weasley.” Disse solennemente Jack. “E lui è Simon Weasley. Abbiamo lo stesso cognome come mamma e papà.”

 

“Esatto.” Hermione tirò un sospirone beato e si rilassò. “E grazie al cielo è fatta anche questa…”

 

“Mh.” Ron annuì fece una piccola smorfia. “Tesoro, me lo potresti fare un solo piccolo piacere?”

 

“Dimmi.”

 

“La prossima volta che sarai incinta, per favore, potresti evitare di usare l’ascensore?”

 

 

 

 

** THE END **

 

 

^_____________^ …e in onore del nuovo nato, che ne dite di cliccare il bottone qua sotto? ^_- smack smack!

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Capitolo 13
*** Hero ***


Questa shotty è dedicata a Kefkait, detto anche il ‘vecchiaccio’ di Corvonero… ^^ E’ nel classico stile fighting-Ron che piace

Questa shotty è dedicata a Kefkait, detto anche ilvecchiaccio’ di Corvonero… ^^ E’ nel classico stile fighting-Ron che piace tanto a te, amicissimo, spero che anche questa piccola storia ti dia la carica come il resto di BAWM…maestro! ^_-

Un bacio speciale a tutti i miei recensitori…dire che vi adoro è poco! ^____^ E a voi fan della coppia Harry/Ginny: scusatemi amici, ma stavolta non posso accontentarvi…la richiesta per la shotty è ben precisa, e non ho trovato il modo di inserirli…mi farò perdonare alla grande la prossima volta. In compenso ho accontentato un numero considerevole di voi che volevano rivedere un certo paio di personaggi all’opera…^_- Smack smack! ^^

 

 

 

HERO

 

 

 

 

“Ameliaaaa?? A che punto seiiii???

 

Amelia fece una smorfia disgustata e alzò gli occhi al cielo. “Perché nessuno la uccide…”

 

Jack ridacchiò e continuò a passarle i maglioni pesanti dal cassetto, aiutandola a prepararsi il borsone. Di lì a meno di dodici ore la famiglia Weasley al completo – Amelia inclusa – sarebbe partita per una natalizia vacanza sulla neve…quello che ci voleva sia a Jack che ad Amelia per staccare un po’ i contatti con le dure fatiche di uno studente al secondo anno di Hogwarts.

 

“Quanto la detesto.” Amelia sbattè un felpone nella borsa con più forza del solito. “E’ talmente falsa.”

 

“Non è la migliore seconda mamma che ti poteva capitare, in effetti. Ammise Jack, tirandosi finalmente su e chiudendo il cassetto.

 

“Ma per carità, è un’oca col cervello bacato e la voce stridula. Amelia chiuse la lampo del suo borsone. “E poi con me questa parola non funziona…non ce l’ho mai avuta una madre io, né finta né vera.”

 

Jack riconobbe una nota di malinconia nella voce della sua migliore amica, e le sedette affianco. “Mia madre ti adora.”

 

Amelia fece un piccolo sorriso. “E’ l’unica che mi ha trattato con più amore degli altri…per il resto, la cosa più vicina a un parente che si occupa di me sono i miei nonni…mezzi sordi e mezzi rimbambiti.” Concluse sorridendo.

 

Anche Jack ridacchiò. “A me fanno ridere i tuoi nonni.”

 

Amelia scrollò le spalle. “Allora, quando passa a prenderci tuo padre?”

 

“Tra un po’, credo.” Jack si accigliò. “Tu secondo me hai una cotta per mio padre.”

 

Ma finiscila.” Disse tranquilla Amelia, alzandosi e soppesando il suo borsone imbottito al massimo.

 

“Ti prego, baceresti la terra dove cammina. Jack si alzò e nascose le mani nelle tasche dei jeans. “Ti piace proprio tanto, eh?”

 

“Che tuo padre sia bellissimo non è un mistero. Amelia si diede una sommaria guardata allo specchio, sistemandosi alla meglio i capelli confusamente raccolti in una coda. “Secondo me quello che lo fa sembrare così affascinante è quell’aria di sicurezza…ti fa sentire protetta.

 

Jack si osservò il braccio e provò a piegare il gomito. “Anche io sto facendo i muscoli, cosa credi. Amelia gli scoppiò cordialmente a ridere in faccia. “Ehi! Non c’è proprio niente da ridere!”

 

“Ameliaaaa??? La fotoooo!!!!”

 

Amelia sbuffò, trascinandosi la sacca per terra fuori dalla stanza. “Mannaggia il lavoro di mio padre, mannaggia…”

 

“Si può capire cos’è questa faccenda della foto?” fece incuriosito Jack, chiudendosi la porta alle spalle.

 

“E’ per un’intervista al mio glorioso padre. Amelia fece una smorfia ironica. “Sta concludendo un importante accordo commerciale con non ho capito quale paese produttore di petrolio…e siccome se la sta cavando alla grande, gli dedicano gli articoli con tanto di maxi foto in prima pagina.”

 

Jack ridacchiò osservando la sua amica: aveva addosso un felpone più largo della sua taglia già molto esile, un jeans trasandato e i capelli erano piuttosto spettinati…decisamente un abbigliamento ideale per una foto da prima pagina in qualità di figlia dell’ambasciatore. “Sei consapevole del fatto che a Denise verrà un attacco di cuore, vero?”

 

Amelia fece un sorriso crudelmente sadico. “Oh, si…eccome.

 

E come Jack aveva previsto, Denise Sheffield fece tanto d’occhi quando vide entrare la ragazzina… lei e suo marito Laurence erano agghindati molto elegantemente, e la aspettavano davanti a un quadro d’autore molto grande che stava nel gigantesco salotto di Villa Sheffield, mentre quattro tipi in giacca e cravatta – i fotografi – erano alle prese con l’attrezzatura fotografica e le luci.

 

“Amelia…” fece in tono di rimprovero suo padre. “Non potresti vestirti in modo un po’ più consono alla situazione?”

 

Amelia inarcò un sopracciglio. “Per me potete anche fare solo tu e Denise…io sto aspettando il padre di Jack.

 

“Cara, cerca almeno di darti una sistemata ai capelli…”

 

Amelia la fulminò con lo sguardo. “Stanno bene così.

 

A prevenire la reazione della signora Sheffield fu uno dei quattro incravattati – con dei grossi baffoni neri – che si avvicinò con un sorriso irritante stampato in faccia. “…ed ecco l’ultimo elemento di questa bella famiglia, tu devi essere la signorina…”

 

“Amelia.”

 

“Amelia, certo, molto piacere…mmh, hai un faccino alquanto fotogenico, complimenti cara…”

 

Amelia fece una finta faccia di gratitudine, mentre Jack si accigliò. Era strano il modo di parlare di quell’uomo, troppo scivoloso…quasi impostato.

 

Laurence Sheffield sussultò sentendo il campanello. “Questo deve essere Ron che è venuto a prendere i bambini.

 

“Grazie al cielo.” Borbottò fra i denti Amelia, mentre la domestica andava ad aprire.

 

Ron entrò nel salotto qualche secondo dopo, con le mani nelle tasche del giubbotto e le guance più rosse per il freddo. Vedendo il padre di Amelia che subito gli venne incontro tendendogli la mano, si districò la sua destra dal tascone e sorrise cordialmente. “Buongiorno, Laurence. Interrompo qualcosa?”

 

“Oh, foto di famiglia, niente di particolare. Il signor Sheffield lasciò che anche la sua super-sorridente moglie salutasse il loro ospite, prima di accarezzare bonariamente la testa della figlia. “Ancora grazie per tutto quello che tu e Hermione fate per questo diavoletto.”

 

Ma per carità, per noi è un piacere.” Ron le sorrise. “Pronta per la montagna, piccola?”

 

“Prontissima.” Fece sorridente Amelia.

 

“Prima deve farsi fotografare.” Fece Jack con un sorrisetto, ottenendo una gomitata dalla sua amica.

 

“Signorina Sheffield?” il fotografo baffuto si avvicinò con fare effemminato e le porse la mano. “Le dispiacerebbe, Miss, venire un momentino a sistemarsi davanti all’obbiettivo? Dovremmo verificare quale tonalità di luce si adatta meglio al suo delicato colorito…”

 

“Eh, al tuo delicato colorito…” la prese in giro Jack.

 

Amelia arricciò il naso ma seguì il fotografo, voltandosi però prima verso Jack e sussurrandogli “Sei morto.

 

Il signor Sheffield scosse la testa e si voltò di spalle all’ingresso del salone. “Quella bambina è una vera peste, è difficilissimo starle dietro…”

 

Ron fece un sorrisetto sornione e diede una pacchetta sulle spalle di Jack. “Anche noi abbiamo il nostro da fare, non credere.

 

“E’ che è una piccola ribelle, non riusciamo a controllarla…e io e Denise siamo sempre fuori con il mio lavoro, e così…”

 

“AAAAAHHHH!!!!”

 

Ron schizzò nel salone senza pensarci due volte, seguito a ruota da Jack e dal signor Sheffield. I quattro fotografi avevano lasciato perdere le macchine fotografiche, invece in mano stringevano delle mitragliatrici e quello con i baffoni, che ora aveva perso ogni tratto effemminato, stringeva Amelia per un braccio e le teneva puntata contro una pistola. Ron mise immediatamente la mano sulla bacchetta, ma dovette trattenersi…era in pieno territorio babbano. E benchè pur di salvare la bambina avrebbe volentieri mandato al diavolo ogni legge, conosceva il funzionamento di quelle armi…avrebbero fatto fuoco al primo movimento della sua bacchetta.

 

“Oh santo cielo!!” esclamò il signor Sheffield. “Ma siete impazziti?! Cosa state facendo, in nome del cielo?!”

 

“Amelia!!” Jack si buttò in avanti, e Ron lo trattenne per un braccio.

 

Amelia stava facendo di tutto – calci, spinte, pugni – ma niente sembrava funzionare. “Lasciami andare, rimbecillito!!”

 

“Sheffield, noi dobbiamo parlare.” Fece l’uomo coi baffoni. “E per il bene di tua figlia, ti suggersico di stare calmo e non avvertire la polizia né nessun altro.

 

“Lasciate andare la bambina.” Fece duro Ron.

 

“Nessuno ha chiesto il tuo parere, stronzo. Replicò in uno strano accento scozzese un altro falso fotografo coi capelli color platino.

 

“Per l’amor di Dio, lasciate mia figlia e farò tutto quello che volete!” fece subito il padre di Amelia. “Che cosa vi serve, denaro…?”

 

“Arriveremo alla questione economica in un secondo momento, signor ambasciatore” fece il baffone. “Al momento sono i tuoi servizi in politica che ci interessano.”

 

“Terroristi.” Mormorò senza fiato Denise, che si stava stringendo forte al braccio del marito.

 

Esatto, signora, e con le idee pure molto chiare.”

 

Ron e gli altri si voltarono alle loro spalle: i domestici di casa Sheffield stavano con le mani alzate sopra la testa e l’aria terrorizzata, tenuti sotto tiro da tre uomini armati vestiti di nero.

 

“Possiamo fare le cose in fretta e bene se collabori, Sheffield. Riprese il baffone. “Sappiamo del tuo accordo sul petrolio, e ci siamo fatti un dovere di scoprire in che modo state cercando di truffare il nostro paese.”

 

Ma questo non è vero, io…”

 

“Non. Mi. Interrompere.” L’uomo si accigliò ancora di più. “E’ inutile che cerchi di negarlo, sporco inglese colonialista e sfruttatore, non hai scusanti…meriteresti una punizione per la tua arroganza, ma abbiamo deciso di darti un’ultima possibilità. O meglio…” l’uomo tirò il grilletto e puntò la pistola contro la tempia di Amelia, che si fermò. “…vogliamo darla a tua figlia…”

 

“Provate solo a farle un graffio…” Jack fece tre minacciosi passi avanti, prima che suo padre lo tirasse indietro con forza per gli avambracci.

 

Che cosa volete da me?” fece atterrito il signor Sheffield.

 

Straccia quel documento.”

 

“…ma non è possibile, non ce l’ho io, e poi non è mia proprietà, è sotto la tutela dello Stato e della polizia inglese…”

 

“Forse non mi sono spiegato.” Il baffone spinse la pistola contro la tempia di Amelia, che chiuse forte gli occhi. “Non è affare mio cosa devi fare per obbedirmi, fatto sta che se vuoi che tua figlia continui a vivere devi portarmi quel documento e strapparlo alla mia presenza…per cominciare.”

 

Ma vi prego, io…”

 

“Avrai due ore per fare quello che ti ho detto, scadute le quali cominceremo a far pagare ogni minuto di ritardo direttamente a tua figlia.” Il baffone controllò l’orologio. “Ora uscirete da qui e resterete dove io posso vedervi…in questo lussuoso e ampio giardino coperto di neve. E tu darai ordine ai tuoi uomini di portarti l’accordo firmato, sempre senza muoverti da qui e senza chiamare la polizia. Abbiamo un uomo a ogni finestra, li vedremmo arrivare e lo sai. Alle undici precise dovrai essere qui con il documento, altrimenti taglieremo un dito alla bambina. E più tarderai, più lei soffrirà.

 

“…bastardi…” ringhiò fra i denti Ron.

 

“Adesso ti faccio vedere io!!!” Jack fu trattenuto da subito da suo padre, che gli diede uno scrollone deciso.

 

Il baffone fece un cenno con la testa. “Tutti fuori.

 

“Amelia!” urlò disperato suo padre, spinto via dalle canne delle mitragliatrici dei terroristi. “No, vi prego!”

 

“Jack!!” strillò disperata Amelia, che ora era trattenuta per tutte e due le braccia.

 

“Amelia, no!!” Ron fu costretto a prendere in braccio Jack, che come ultimo tentativo si era aggrappato allo stipite di una porta. “Amelia!!!”

 

“Jack!!!”

 

Il rumore del portone di casa Sheffield sembrò un tuono per la sua intensità. Jack scalciò violentemente e scivolò giù dalle braccia di suo padre, che tuttavia lo teneva per un polso e lo tirava insieme agli altri. “Lasciami, papà!! LASCIAMI!! Non possiamo lasciarla da sola, quelli vogliono…”

 

“Vuoi stare zitto, dannazione?!” ruggì Ron. “Se muoviamo anche solo un dito, quei pazzi la uccideranno!!”

 

“Non possiamo lasciarla da sola!!” ripetè disperato Jack.

 

Santo Iddio, non vi rendete conto della gravità della situazione!” mormorò stravolto e tremante il signor Sheffield, quando finalmente si furono fermati davanti al patio. “Io non ho più poteri su quell’accordo ormai, non c’è modo di poterlo recuperare… quel documento è già stato siglato e firmato da entrambe le parti, a quest’ora sarà nella cassaforte della tesoreria cartacea dello Stato…non potremo mai tirarlo fuori!”

 

“Chiamiamo la polizia.” Fece subito Denise.

 

Ron scosse la testa. “No, adesso restate fermi e non fatevi vedere in preda al panico, d’accordo? Ricordatevi che quelli possono vederci, e non devono capire che non avranno mai quello che chiedono…ne va della vita di Amelia.”

 

E che facciamo, allora?” fece disperato il padre della bambina.

 

“Innanzitutto fate tutti silenzio e cercate di coprirmi per qualche secondo.” Ron si voltò di spalle, fingendo di parlare con il signor Sheffield, e accostò alla bocca una pietra trasparente. “Harry, mi ricevi?”

 

Dalla piccola pietra si sentì una voce che fece sussultare la signora Sheffield. “Ron?”

 

“Harry, questa è una cosa seria…porta il culo qui nel più breve tempo possibile, chiama Hermione e scegli una trentina di uomini. C’è un’emergenza a casa di Amelia, terroristi babbani…cercate di venire con un tendone dell’invisibilità, perché questi non scherzano.”

 

“Dammi cinque minuti.” Fece semplicemente Harry, chiudendo le comunicazioni.

 

“Papà, non possiamo lasciare Amelia da sola!”

 

“Sta chiamando…quelli come lei, vero?” fece sconvolta Denise. “Altri…stregoni?”

 

“Papà!!”

 

Ron emise qualcosa di molto simile a un ruggito, tappò la bocca a Jack con una mano e guardò la signora Sheffield con uno sguardo di pura rabbia. “Non mi pare che voi babbani possiate rendervi molto più utili, signora!”

 

“Sei sicuro che non sia più prudente chiamare la polizia?” chiese debolmente il signor Sheffield, tutto sudato nonostante il freddo pungente.

 

Ron scosse brevemente la testa. “Questi sono molto più svegli.

 

 

***************

 

 

“Vi ho detto di togliermi quelle sudice manacce di dosso, brutti stronzi!”

 

Amelia diede uno strattone all’uomo che la tratteneva e si divincolò, per essere riacciuffata in un istante dal biondo platino che la prese per le braccia.

 

“Lasciami!!” strillò lei, scalciando.

 

“Guarda come scalcia, questa puledrina.” Rise un altro coi capelli cortissimi.

 

Il baffone si avvicinò a lei in due passi e le prese il mento in una mano, stringendolo e constringendola a guardarlo in faccia. “Adesso, bambolina, vedi di stare buona e calma…altrimenti ti farò stare buona io.

 

Amelia si liberò dalla sua mano e lo guardò con aria di sfida. “Non mi fai paura. Sibilò.

 

L’uomo rise forte. “Sei giovane e irruenta…e non sai ancora come vanno le cose. Con un sorriso viscido stampato in faccia, le fece comparire davanti agli occhi un coltellaccio dalla lama lunga e affilata. “Ma…”

 

Amelia spalancò gli occhi, ma si sforzò di non vacillare.

 

Vedi di fare la brava bambina, non vorrei diverti rovinare questo bel faccino. Adesso resta seduta e zitta, non voglio un fiato.

 

Decisamente irritata e malvolentieri, Amelia si andò a sedere nella sua poltrona preferita e rimase lì, imbronciata e con gambe e braccia incrociate. Oh no, mai e poi mai avrebbe dato la soddisfazione ai suoi rapitori  di capire che aveva paura, preferì mordersi forte le labbra. Ma provò un’ondata di tristezza sentendosi completamente sola e alla mercè di quei pazzi…la sua unica via di salvezza era Ron, ma nel frattempo…in quei momenti di paura lei non aveva nessuna mano da stringere, nessuna spalla su cui appoggiare la testa…

 

Jack, dove sei…ho paura…

 

 

***************

 

 

“No, io da qua non me ne vado senza Amelia!”

 

Ron si passò una mano sulla faccia di fronte all’ostinazione di suo figlio, ma si sforzò di mantenere la calma. “Jack…”

 

“Amelia è da sola là dentro.” Ruggì Jack. “Ora devo pure andarmene senza sapere cosa succederà?!”

 

Ron avrebbe voluto ribattere, ma qualcosa nello sguardo fermo e determinato di suo figlio gli impedì di farlo. Forse lo stesso lampo di rabbia e coraggio che era sicuro fosse stato onnipresente nei suoi occhi quando qualcuno aveva fatto del male ai suoi amici, molto tempo prima.

 

“Ron, siamo qui.”

 

Tutti i presenti si voltarono, ma solo Ron e Jack videro il consistente gruppo di War Mage in uniforme che era appena arrivato. Liam alzò subito una mano per rassicurare Ron.

 

“Siamo sotto incantesimo mascherante. I babbani non possono vederci.

 

Il signor Sheffield sbattè gli occhi. “Ma…chi è che parla?” chiese piano, guardandosi in giro.

 

Lascia perdere, non puoi vederli.” Fece seccamente Ron.

 

“Va tutto bene, tesoro?” disse subito premurosamente Hermione, chinandosi giusto un attimo su Jack, che annuì rabbiosamente.

 

Che sta succedendo?” Harry alzò lo sguardo verso la casa.

 

“Una decina di babbani armati, hanno in ostaggio Amelia. Spiegò teso Ron. “Ci hanno dato due ore per recuperare un documento che a quanto pare è irreperibile, perciò dobbiamo tirarla fuori da lì prima della scadenza dell’ultimatum.”

 

Hermione annuì una volta. “Ci stanno osservando?”

 

“Le finestre sono piantonate.”

 

“Ci serve una piantina della casa.” Disse subito Charlie. “Porte, finestre, porte di servizio…”

 

Tennessee, venuta con loro a scopo precauzionale, scosse la testa. “Volete entrare là dentro e scatenare un inferno?”

 

“Abbiamo il permesso di usare la magia?” domandò Ron, sentendo le mani che gli prudevano.

 

“Ho mandato una richiesta ufficiale tramite Remus, ma credo di sapere già quale sarà la risposta. Fece scettico Liam, passandosi una mano fra i capelli. “O lasciamo la cosa in mano ai babbani, o ce la vediamo noi...senza magia. Con tutto ciò che questo comporta.”

 

Hermione scosse la testa. “C’è Amelia là dentro, io non lascio la cosa in mano ai babbani… non mi fido abbastanza.”

 

Siamo War Mage per questo, no?” fece secco Ron. “Possiamo cavarcela anche senza magia…ci metteremo solo qualche minuto in più.

 

“…ehm…” il signor Sheffield si grattò una tempia. “…scusatemi…che strategia…intendete usare?”

 

“Non ti preoccupare, Laurence, ci riprenderemo Amelia sana e salva. Hermione cercò di usare un tono rassicurante al massimo.

 

Denise fece una faccia strana. “…io continuo a pensare che la polizia…”

 

Ron fece una smorfia irritata, ma Harry lo prevenne. “Io credo che sia nell’interesse di tutti collaborare.

 

Il tono duro di Harry spinse il signor Sheffield a guardare male sua moglie.

 

“Ok, niente magia…” Charlie incrociò le braccia sul petto. “Dunque dobbiamo solo andare dentro e rompere qualche culo, giusto?”

 

Tennessee si passò le mani in faccia, all’apice della frustrazione. “Quando imparerai a contare fino a dieci prima di parlare…c’è una bambina là dentro!”

 

“Grazie per avermelo ricordato, amore, quasi quasi prendo e vado dentro così come sto adesso, che dici?!” l’ironia pungente di Charlie spinse sua moglie sul piede di guerra.

 

“Dico solo che dovremmo andarci piano perché…”

 

“Ehi.” Hermione si guardò freneticamente in giro. “Dov’è Jack?”

 

Ron immediatamente si voltò e cercò con gli occhi la sagoma di suo figlio lungo tutto il parco…inutilmente. “Maledizione…” ringhiò a denti stretti. “…Jack, che cazzo hai fatto…”

 

 

***************

 

 

Jack rimase appiattito sotto il cespuglio coperto di neve, aspettando con pazienza che l’uomo alla finestra si voltasse e controllasse il giardino dall’altro balcone, quindi sgattaiolò camminando piegato in due fino al muro sotto la stanza di Amelia. Quello era l’unico modo che aveva per entrare senza essere visto…e magari sarebbe riuscito a far uscire la sua amica usando il loro ‘passaggio segreto’…la botola della cantina.

 

Facendo attenzione a non fare rumore – e a non essere visto dai suoi genitori, che forse non avrebbero approvato – Jack si chinò sulla botola e la sollevò, facendola ricadere sulla terra nevosa molto lentamente. Ci mise qualche minuto ad attraversare la cantina, giusto per assicurarsi che non ci fosse nessuno, quindi si fece coraggio e aprì lentamente la porta…benedicendo mille volte la matrigna di Amelia, che l’aveva nascosta con una tenda colorata per non dare nell’occhio nell’arredamento della cucina. Jack osservò la situazione in cucina da un piccolo spiraglio nella tenda, e si sincerò che la via fosse sgombra… quindi uscì molto lentamente e a passi felpati e rapidi raggiunse il corridoio, riparandosi dietro un mobile più alto. Ancora nessuno, ma si sentivano delle voci…dove tenevano Amelia? Forse nella camera da pranzo, da lì si sentivano dei passi…no, forse ancora nel salone…in fondo da lì si aveva la visuale migliore sul parco attorno alla casa, sarebbe stato più logico…

 

Ma guarda un po’ cosa abbiamo qui.”

 

Oh  merda.

 

“Non è commuovente?” uno dei terroristi, con un paio di occhialetti da sole, fece un sorriso scomposto mentre continuava a masticare sguaiatamente la gomma e gli fece cenno col mitra di camminare. “Sei tornato per la tua amichetta, ragazzo? Beh, premiamo il tuo coraggio…ti ci porto.

 

Jack scoprì di conoscere molte più parolacce di quante sua madre gli avrebbe consentito di usare, perché gli uscirono tutte come una collana di perle mentre camminava con la canna della mitragliatrice puntata contro la schiena. Adesso sì che suo padre gliele avrebbe suonate di brutto.

 

“Ehi, Karl, guarda un po’ chi è venuto a farci visita.

 

Il baffone fece una smorfia vedendo il nuovo arrivato, ma l’attenzione di Jack andò subito ad Amelia…che quando lo vide s’illuminò in viso e scattò in piedi. Gli corse incontro e lo guardò con aria preoccupata. “Stai bene?”

 

“Io si, e tu?” Jack mandò un’occhiataccia al baffone. “Ti hanno fatto qualcosa?”

 

Lei scosse la testa…e un attimo dopo il suo sguardo s’incupì. “Si può sapere che diavolo sei tornato a fare qua dentro?!”

 

Jack spalancò la bocca. “Scusa tanto se ho pensato che da sola potevi avere paura!”

 

“Io non ho paura di questi qua!”

 

E sbagli, puledrina.” Il baffone schioccò le dita. “Portate i mocciosi in una stanza di sopra e pattugliate la porta, non perdeteli di vista…abbiamo due ribelli, a quanto pare, potrebbero essere…pericolosi.”

 

Jack trovò offensive le risate degli uomini, e allargò le spalle prima di parlare. “Avete poco da ridere, mio padre verrà a prenderci e vi sbriciolerà a tempo di record.

 

“Avanti, tu, cammina.” Uno dei terroristi lo spinse per un braccio, e poi toccò ad Amelia, che naturalmente lo spinse indietro prima di incamminarsi di sopra assieme a Jack.

 

 

***************

 

 

Ron andava avanti e indietro coi pugni stretti e il fiato affannoso, senza riuscire a controllare la rabbia che gli stava montando dentro ad ogni secondo. Un gruppo di pazzi babbani teneva in ostaggio suo figlio – il suo giovanotto – e una bambina che considerava praticamente come un’altra figlia…e lui era costretto ad aspettare. Inchiodato a non usare quella dannata bacchetta che avrebbe risolto tutto in un secondo per degli stupidissimi cavilli burocratici…mentre due bambini in quella casa si vedevano puntare delle armi contro.

 

Il signor Sheffield teneva il cellulare all’orecchio, fingendo di parlare coi suoi collaboratori, mentre in realtà dava ai War Mage le notizie che volevano sulla piantina della casa, Harry stava studiando in lungo e in largo la possibilità di accedere da qualche altro ingresso, mentre le proposte – inutili – si sprecavano. Tutto questo stava lesionando pericolosamente la pazienza di Ron.

 

“Non farlo.”

 

Ron si voltò: Hermione lo stava guardando da vicino, stringendosi nelle braccia con un’aria preoccupata.

 

“Non lasciare che la rabbia abbia il sopravvento. Gli spiegò, avvicinandosi e prendendogli nelle mani uno dei suoi pugni stretti forte. “Dobbiamo arrivare alle trattative con questi tizi… Jack e Amelia sono troppo importanti, non ci possiamo permettere errori. E non si attacca mai per rabbia.”

 

Ron scosse la testa, sentendo i nervi delle sue braccia tendersi. “Non possiamo trattare… non abbiamo quel cazzo di documento che vogliono loro. Bluffare non servirà a niente, al massimo guadagneremmo un po’ di tempo…tempo che due bambini dovranno passare con un’arma puntata addosso.

 

Hermione chiuse un attimo gli occhi e sospirò. “Ron, ti prego…sto cercando di mantenere un minimo di lucidità… se solo penso che…non possiamo perdere i nervi saldi, dobbiamo rimanere concentrati e non fare passi falsi.

 

“Per me è un passo falso dare retta alla legge, che in questo caso…”

 

“Ti toglieranno il distintivo e la bacchetta, vuoi capirlo?!”

 

Cosa credi che sia più importante in questo momento, Hermione, la mia dannata bacchetta o nostro figlio?!”

 

Libereremo Jack in un altro modo, dammi retta. Ti prego.”

 

“SHEFFIELD!!”

 

Richiamato dalla voce proveniente dal balcone, il signor Sheffield corse subito avanti, e Ron gli fu accanto in un baleno.

 

Il baffone mise in bella mostra il pugnale che stringeva in mano. “Quali buone nuove mi dai?”

 

“Ci…sto lavorando!” il signor Sheffield chiuse un attimo gli occhi, cercando di regolarizzare il respiro. “Come sta mia figlia?”

 

In attesa di sapere quanto le vuole bene suo padre.”

 

Il signor Sheffield scosse la testa. “Voglio vederla…voglio la prova che sta bene.

 

Il baffone fece un sorrisetto crudele. “La mia parola dovrà bastarti. In fondo, sai già cosa devi fare se vuoi tirarla fuori di qui tutta intera. Lei, e naturalmente anche il suo amichetto.

 

Ron serrò forte i pugni e avanzò di un passo. “Sta’ a sentire, bastardo, se torcete anche solo un capello a quei due bambini potete scordarvi qualsiasi accordo, è chiaro?!” urlò.

 

“Io non credo che siate in condizione di imporre le regole del gioco qui!” gli urlò di rimando quello.

 

Gioco?!” Ron vide rosso. “Giuro che appena ti metto le mani addosso, grandissimo figlio di…”

 

Il baffone rise forte. “Bravo, bravo…continua. E’ tuo figlio il marmocchio che abbiamo preso, non è vero? Continua pure a insultarmi, sarà piacevole fare due chiacchiere con lui dopo.”

 

Ron non si lanciò a sfondare le porte della casa solo perché Harry, prevedendo la sua reazione, corse  a trattenerlo per un braccio.

 

“Vi prego, cerchiamo di essere ragionevoli…” implorò il signor Sheffield. “Se mi chiedete qualcosa che posso veramente fare, io…”

 

“Siamo ancora a questo, Sheffield? Forse se ti ritrovassi per le mani un orecchio di tua figlia cambieresti tono? Perché se è questo che vuoi, non hai che da continuare su questa linea.

 

“NO!” urlò disperato l’ambasciatore.

 

Liam scosse la testa. “Stanno sbagliando, li stiamo solo innervosendo…”

 

“Al diavolo…” mormorò tra i denti Hermione. “Finite Incantatem.

 

“Hermione, che fai?” sussurrò a denti stretti Josh.

 

Hermione, ora perfettamente visibile a tutti, andò ad affiancare il padre di Amelia.

 

Il baffone subito le puntò contro la mitragliatrice. “E chi diavolo è quella?”

 

Tutti si voltarono di scatto, e Hermione fu pronta ad alzare bene in alto le mani. “Sta’ calmo, non sono armata…sono la segretaria dell’ambasciatore Sheffield, mi sto occupando io del documento che avete chiesto.

 

Il baffone curvò le labbra in un sorrisetto. “E’ curioso che l’ambasciatore Sheffield sia capace di trattare con i rappresentanti delle nazioni più potenti del mondo…e per riavere sua figlia deve affidarsi alla sua segretaria, non credi, bellezza?”

 

Hermione mantenne il sangue freddo. “Stiamo lavorando al recupero dell’accordo che avete chiesto, ma è un documento già siglato e controfirmato, ci vorranno più di due ore.”

 

“Non ce l’avete altro tempo!”

 

E voi non avete altri modi di recuperare quel documento! Perciò se noi abbiamo interesse a riavere i bambini, a voi serve per forza l’ambasciatore per avere quello che volete. Vediamo di far funzionare la testa, minacciandoci e basta non otterrete altro che una condanna all’ergastolo!”

 

Il baffone esitò, riflettendo sulle parole di Hermione. “E va bene, tesoro, mi hai convinto…avrai trenta minuti in più alla scadenza dell’ultimatum, e stavolta è definitivo. Ma voglio parlare con te. Quindi resta dove ti posso vedere, ti tengo d’occhio.

 

“Ottima mossa.” Mormorò Liam, aspettando che il terrorista si fosse allontanato dalla finestra. “Abbiamo guadagnato un altro po’ di tempo.

 

“Nervi a posto.” Sussurrò Harry a Ron, lasciandolo libero dalla sua presa. “Dobbiamo andarci piano con questi.

 

“A modo mio faremmo molto prima, e tu lo sai. Ruggì a bassa voce Ron. “E risparmieremmo a Jack e Amelia tutto questo.

 

 

***************

 

 

Jack lanciò un’occhiataccia ai tre uomini che stavano fuori dalla porta della cameretta di Amelia, e tornando a guardare per terra sbuffò. “Ma quanto ci mettono a tirarci fuori da qua…”

 

Amelia scrollò le spalle, anche lei seduta a terra e di spalle al letto come il suo amico. “Boh, magari stanno aspettando il momento giusto.

 

Jack allungò le gambe e sbuffò per la seconda volta. “Da non credersi…e io che pensavo che potevamo scappare…pensavo che ti avrei aiutato…”

 

Amelia lo guardò. “Tu mi hai aiutato.” Vedendolo titubare, gli prese la mano e gli fece un sorriso. “Prima ero da sola, non sapevo cosa fare…invece adesso ci sei tu…non ho più così paura.”

 

“Davvero?” Jack fece un piccolissimo sorriso.

 

“Si.” Amelia annuì. “Grazie per essere tornato, Jack…ora va molto meglio.

 

“Prego.” Fece soddisfatto Jack, contento di sentire la sua amica appoggiare la testa sulla sua spalla come faceva sempre.

 

Passò qualche momento di silenzio, quindi Amelia si mise a ridere piano. “Certo che è un po’ assurdo…mio padre combina solo guai col suo lavoro.”

 

Jack fece un sorrisetto. “In effetti…”

 

Anche se finora non eravamo mai arrivati a questi livelli…” Amelia si tirò su e guardò il suo amico, stavolta tremendamente seria. “Secondo te…se qualcosa dovesse andare storto… me lo tagliano veramente un dito?”

 

“Ci devono solo provare!” esclamò Jack, con le orecchie più rosse del solito.

 

Amelia si strinse nelle spalle e guardò a terra. “Sono armati…”

 

“Ci difenderemo lo stesso.” Fece risoluto Jack, con uno sguardo deciso e fermo. “Non si avvicineranno neanche, vedrai…e poi i miei genitori sono là fuori, e stanno per venire a salvarci. Amelia annuì con un faccino triste, e Jack sentì il bisogno di accarezzarle la mano. “Non devi avere paura, Amy…io sono qui con te, no?”

 

Amelia fece un lacrimoso sorriso sarcastico. “Al massimo ci ammazzano insieme.

 

“Ecco.” Jack rise. “Così poi facciamo i fantasmi a Hogwarts e ci divertiamo a spaventare i ragazzi.

 

E i quadri.” Aggiunse ridendo Amelia.

 

Anche.”

 

Le risatine si spensero dopo qualche minuto, e Amelia tornò ad appoggiare la testa contro la spalla di Jack. Sospirando, parlò con una vocina sottile sottile. “Un po’ mi dispiace solo…beh, che se ci ammazzano…che schifezza, non sono neanche riuscita ad avere il mio primo bacio.”

 

Lui si accigliò. “Non credevo che pensassi anche tu…a certe cose.

 

“Non è che ci penso, cioè…non me ne frega proprio niente. Solo che una cosa è non pensarci, e un’altra è che devo morire senza mai averle avute.

 

Jack fece la stessa faccia amareggiata. “Già.” …passarono pochi secondi… “…ehi, aspetta un attimo…perché non ci baciamo noi?”

 

Amelia scattò indietro e lo guardò inorridita. “Noi?! Adesso?!”

 

“E quando, dopo che ci avranno ammazzati?” Jack scrollò le spalle. “Almeno così possiamo sapere com’è baciare. Così non facciamo una fine di niente.

 

Ma se hai appena detto che i tuoi genitori…”

 

“Si, ma se qualcosa va storto?”

 

Amelia si grattò una tempia e si accigliò. “Ma non è…un po’ troppo sdolcinato? Voglio dire…siamo io e te…”

 

Tanto mica lo andiamo a dire.”

 

Amelia lo guardò poco convinta. “…ma almeno lo sai fare?”

 

“Baciare?” Jack si grattò il naso. “Non lo so…che ci vuole, si deve solo appoggiare la bocca, no?”

 

“Boh.” Amelia sospirò. “Credo di si…magari la apri un po’…”

 

“Come un pesce?”

 

Ma no, cretino, non la devi spalancare!”

 

“Come la fai difficile…proviamo e basta.”

 

“…va bene, ma giura che non lo diciamo a nessuno.

 

“Giuro.”

 

“Giuro pure io.”

 

Jack si mise più dritto e allargò bene le spalle, cercando di ricordarsi come faceva suo padre i miliardi di volte che lo aveva beccato a baciare sua madre: prima di tutto si piegava un po’ perché lei era più bassa…e così fece anche lui; poi la abbracciava…ma questo loro non lo potevano fare, erano amici…Amelia chiuse gli occhi forte, li chiuse anche lui e andò un po’ alla cieca…ma seppe di aver fatto centro quando sentì la bocca morbida della sua migliore amica sotto la sua. Socchiuse leggermente le labbra, come stava facendo lei…e qualche istante dopo si tirò indietro e riaprì gli occhi.

 

Amelia sbattè gli occhi. “…si bacia così?”

 

“Credo di si.” Jack fece un sorriso più timido. “Non è male…”

 

“No, è…” Amelia sorrise a sua volta. “E’ strano…però mi piace.”

 

“Anche a me.” Jack annuì con orgoglio. “Adesso ho capito perché mamma e papà lo fanno così spesso. Guarda che grande cosa che abbiamo fatto…adesso se viviamo sappiamo anche come si bacia.”

 

“Già.” Amelia tornò ad appoggiare la testa sulla spalla di Jack e si rilassò. “Adesso posso morire in pace, grazie Jack.

 

Jack ridacchiò. “Prego, Amy.”

 

E non mi chiamare Amy.”

 

“Va bene, Amy.”

 

“Jacky.”

 

“Amy.”

 

“Jacky.”

 

“Amy.”

 

“Jacky.”

 

“Amy.”

 

“Amy.”

 

“Ja…ehi, l’hai fatto di nuovo!”

 

Amelia scoppiò a ridere, coinvolgendo anche Jack. Ci cascava sempre.

 

 

***************

 

 

Ron diede un pugno contro una delle colonne del patio. “Sai quanto me ne può fregare del decreto numero 43, Josh?! Là dentro c’è mio figlio!!”

 

“Ron, c’è un altro modo, ci deve essere.” Liam alzò la voce per superrare quelle dei due contendenti. “Non possiamo entrare là dentro e scatenare un putiferio con le nostre bacchette, e non solo perché è vietato usare la magia in presenza di babbani…ma perché metteremmo ancora più in pericolo la vita dei bambini.”

 

“Senza contare che quelle che hanno in mano sono mitragliatrici. Tennessee si scansò un ciuffetto di capelli dal viso. “Le conosco…sono armi babbane semi-automatiche, basta un soffio d’aria per farle partire. E’ troppo pericoloso.”

 

“Non se li disarmiamo entrando sotto incantesimo. Fece accesamente Ron. “Se non ci vedono non possono reagire.

 

Hermione scosse la testa. “A questo punto ci converrebbe entrare non visti e tentare almeno di trovare i bambini, mettere in salvo loro e lasciare ai poliziotti babbani i terroristi.

 

Charlie si accigliò. “I bambini saranno sicuramente tenuti sotto stretto controllo, appena manderemo a tappeto il primo stronzo daranno l’allarme.

 

“No, un momento.” Harry sembrava l’immagine della concentrazione. “Liam, cos’è che dice esattamente il tuo maledetto decreto?”

 

Liam inarcò un sopracciglio. “Che è vietato esercitare la magia in presenza di babbani. Harry, non ti seguo...credevo che avessimo appurato che…”

 

“E’ vietato fare magie perché i babbani le vedrebbero. Harry curvò le labbra in un mezzo sorrisetto. “Ma se succedesse qualcosa che non vedono…qualcosa che non possono ricollegare alla magia…quello non sarebbe considerato reato.

 

Che diavolo intendi?” brontolò Ron a denti stretti.

 

“Io li posso disarmare.” Harry inspirò. “Se vedo le loro armi, posso disarmarle. Ma le devo vedere.”

 

“Magia senza bacchetta?” chiese Charlie, e Harry annuì.

 

Hermione s’illuminò. “Se Harry riesce a entrare senza farsi scoprire e disarma quelle mitragliatrici, poi possiamo intervenire tutti!”

 

Ron annuì vigorosamente. “Vediamo di lavorare su questo piano, il tempo stringe.

 

Liam annuì e guardò oltre il gruppo di War Mage. “Va bene, allora Sheffield, mi ripeta bene quali sono tutti gli ingressi possibili e immaginabili a casa sua.

 

 

***************

 

 

“Karl, questa storia non mi piace.” L’uomo coi capelli biondo platino mise via il mozzicone di sigaretta che stava continuando a sfumacchiare nervosamente. “Quella stronza è venuta fuori dal nulla, e tu le hai dato mezzora in più…”

 

Un altro tizio, particolarmente robusto e grosso, annuì. “Quelli non hanno capito che facciamo sul serio, credono che cederemo alle loro richieste se fanno la voce grossa…”

 

“State zitti una buona volta.” Il baffone con molta calma spense nel posacenere il suo sigaro e tirò fuori dalla tasca il coltellaccio, ripulendone la lama da una minuscola briciola col guanto. “So già da solo che non possiamo permettere a quella massa di inglesi bastardi di adagiarsi sugli allori… e so anche cosa dobbiamo fare e quando.”

 

E allora che suggerisci?”

 

“Portate qui i mocciosi.”

 

Quando Jack e Amelia entrarono nel salone – trascinati per i capelli da due omoni – vennero accolti tutt’intorno da sorrisetti di svariate dimensioni…ma tutti ugualmente eccitati.

 

E toglimi le mani di dosso!” urlò Amelia, dimenandosi.

 

Il baffone rise forte e mostrò il coltellaccio con aria baldanzosa. “Portatemi qua la puledrina… vediamo se scalcia lo stesso con un ditino in meno.

 

Amelia strillò e subito si divincolò con tutte le forze che aveva, ma le sue grida furono soppresse dalle risate degli uomini e dalla mano che uno di loro le appoggiò con forza sulla bocca mentre la trascinava in avanti.

 

“LASCIATELA SUBITO, BRUTTI STRONZI!!!” Jack si buttò in avanti, ma l’uomo biondo platino lo trattenne per entrambe le braccia nonostante lui stesse lottando con tutte le sue energie.

 

Il baffone rise e avvicinò il coltello a un dito, strisciandolo sulla lama. “La gente importante dovrebbe avere il sangue blu…vediamo com’è quello di questa puledra selvaggia.

 

Amelia spalancò gli occhi…e un attimo dopo afferrò fra i denti un dito dell’uomo che la tratteneva e lo strinse con forza…il terrorista urlò e tirò indietro la mano, e lei ne approfittò per pestargli sonoramente il piede. Jack gettò la nuca indietro fino a dare una testata contro il mento dell’uomo biondo platino, liberandosi in tempo per dare uno spintone all’uomo che si stava avventando su Amelia. Lei si abbassò e ne fece cadere un altro, pronta a correre verso la porta e a scappare…

 

Fermate la mocciosa!!” urlò il baffone.

 

Jack avrebbe voluto urlare ad Amelia di correre e mettersi al sicuro, ma una mano grossa e impietosa gli afferrò la testa e lo sbattè di faccia per terra, facendogli vedere le stelle per il dolore a uno zigomo.

 

“Jack!” Amelia si fermò a due passi dal mobilone che stava vicino alla porta. L’omone che fino a un istante prima aveva fumato si buttò a capofitto su di lei, ma non vide i piedi di Jack a terra… inciampò e fece un gran volo, atterrando sulla sua preda.

 

L’ultima cosa che Amelia vide prima di cadere in avanti fu lo spigolo del mobile che si avvicinava a una velocità inaudita…

 

 

 

 

Lo strillo che si sentì fece interrompere tutti i piani e i discorsi dei War Mage.

 

“Oddio…” il signor Sheffield sbiancò. “Era la voce di Amelia!”

 

Ron e Hermione corsero più avanti. “Amelia!! Jack!! Che sta succedendo là dentro?!!”

 

“Maledizione, rispondete!!! EHI!!!”

 

 

 

 

Lo stranissimo crack che aveva sentito e lo strillo fecero alzare Jack da terra nonostante il dolore alla guancia e il mal di testa gigante che gli era appena scoppiato…ci mise un attimo a rimettere a fuoco la stanza, specie con le sagome dei due omoni che gli occupavano tutto il campo visivo, poi finalmente… Amelia era piegata in ginocchio, con le mani premute contro lo stomaco, l’aria terrorizzata e la bocca spalancata…stava boccheggiando.

 

“Amelia!!” Jack strisciò sulle ginocchia fino a raggiungerla. “Che le avete fatto, maledetti stronzi!!”

 

Amelia sembrava incapace di respirare. “…Ja…Jack…n-non…p-punge, non ri-riesco…non resp-piro..aaahh…”

 

Jack spalancò occhi e bocca, decisamente allarmato. “Come non respiri…non…che devo fare??”

 

Il baffone afferrò Amelia per la nuca e la voltò verso di sé, osservandole il viso sbiancato. “Dannatissimo idiota… questa mocciosa ci serve viva!!” urlò contro il suo uomo.

 

Jack lo spinse violentemente indietro. “Non la toccare, sporco bastardo!!”

 

Due lacrimoni uscirono dagli occhi spalancati di Amelia, che respirava a stento e con piccoli rumori strani come se stesse soffocando. “…J-Jack…”

 

Jack le strinse subito la mano. “Stai calma, Amy, sono qua…a-adesso risolviamo…in qualche modo…” il suo tono era quello di qualcuno al limite di una crisi di pianto.

 

“…f-fa male…n-non r-respi…respiro…”

 

Jack guardò il baffone con il fuoco negli occhi. “Fate qualcosa, non vedete che sta male?!”

 

Il biondo platino s’inginocchiò e tastò leggermente l’addome di Amelia, facendola strillare. “Non va bene…questa si è rotta qualcosa, una costola o due.

 

“Quanto può resistere?” chiese asciutto il suo capo.

 

“…un’ora al massimo, credo…dipende dai danni interni.

 

Jack stava affannando per la rabbia e per la paura. Non sapeva cosa fare…i loro rapitori non sembravano sconvolti dal fatto che Amelia stesse male, semplicemente si preoccupavano dei tempi…mentre lei stava piangendo per il dolore e quel poco di respiro che riusciva a passarle per la gola la faceva strozzare con dei forti colpi di tosse. Se solo ci fosse stata sua madre… Jack si voltò di scatto verso la finestra: tutti erano concentrati dove stava stesa Amelia, nessuno era lì…e facendo leva su tutto il coraggio che aveva, Jack scattò in piedi e corse verso la finestra.

 

“Prendete il ragazzo, presto!!!

 

“MAMMA!!!” Jack si arpionò al davanzale per resistere a chi lo stava tirando via dalla finestra. “MAMMA, AMELIA STA MALE!! NON RIESCE A RESPIRARE!!! SI E’ ROTTA UNA COSTOLA!!!”

 

“Piccolo idiota!!!” tuonò l’uomo dietro di lui, tirandolo con forza giù e facendogli prendere una botta alla fronte che gli lasciò un livido.

 

 

 

 

“JACK!!!” urlò Hermione.

 

“Che sta succedendo a mia figlia?!?” il signor Sheffield gridò con quanto fiato e disperazione aveva in gola. “Ditemi che l’è successo o chiamerò la polizia!!!

 

“Maledizione, fate entrare Harry!!!” tuonò Ron contro il resto dei suoi compagni.

 

“Aspetta, aspetta un secondo!” urlò Liam.

 

Il baffone si affacciò alla finestra, stavolta il suo proverbiale autocontrollo sembrava sparito. “Sheffield, un altro scherzo di questi e la faccio secca la tua mocciosa!!” urlò un attimo prima di ritirarsi di nuovo.

 

“Noo, vi prego!!”

 

Hermione si voltò verso Tennessee, con la fronte umida di sudore freddo. “Una costola rotta che danni interni può provocare?” chiese velocemente.

 

Tennessee lanciò un’occhiata laterale al padre di Amelia, che continuava a urlare verso la finestra. “Se non riesce a respirare la cosa è seria.” Disse velocemente, mantenendo un tono di voce basso. “La frattura potrebbe essere scomposta, e una scheggia può averle leso o addirittura bucato un polmone.”

 

“Dio…” mormorò Hermione, chiudendo un attimo gli occhi.

 

In quanto tempo riesci a recuperare una persona in queste condizioni?” fece teso Harry.

 

Tennessee scosse la testa. “Con la magia anche in un secondo, ma così…bisogna intervenire immediatamente con una pozione che ripari la frattura, e qualcosa per aiutare la bambina a respirare…quel tanto da mantenerla stabile in attesa di cure proprie.”

 

Ron perse il controllo…o meglio, ne acquistò più di quanto ne avesse avuto mai. Ora sapeva cosa doveva fare. “Hai con te questa roba?”

 

Tennessee annuì e si accigliò. “Non in quantità industriali, ma si…che vuoi fare?”

 

Hermione afferrò il marito per un braccio quando lo vide voltarsi e dirigersi a passi di tigre verso casa Sheffield. “Ron, che diavolo vuoi fare?...”

 

Lui la ignorò e si piazzò a pochi passi dal portone della villa. “EHI!! EHI VOI, STRONZONI LA’ SOPRA!!!

 

Qualche istante dopo il baffone tornò ad affacciarsi, e quando vide quanto avanti stava Ron gli puntò contro il mitra. “Torna subito indietro!!”

 

“No, adesso stai tu a sentire me, spappolapalle!!” tuonò Ron, con una voce che sembrava un ruggito per quanto era carica di rabbia. “Hai commesso l’errore più grave che potessi fare…stai mettendo in pericolo la vita di un ostaggio, ora le trattative sono molto più in bilico di quanto tu non creda!!”

 

T’ho detto di restare indietro, o sparo!!”

 

“Fallo, avanti!” Ron lo guardò con aria di sfida. “Ma che tu mi spari o meno i fatti non cambieranno… la bambina ha bisogno di cure urgenti, dovete far salire immediatamente un medico!”

 

Il baffone caricò il mitra. “Puoi scordartelo, se credi…”

 

“NO, SEI TU CHE TI PUOI SCORDARE IL TUO MALEDETTO TRATTATO SE NON FAI SALIRE UN MEDICO ORA!!”

 

Gli occhi del baffone saettarono. “Ti dimentichi CHI ha i mocciosi mentre parliamo, tuo figlio…”

 

“Mio figlio potrebbe fare la stessa fine della sua amica, per quanto ne sappiamo noi li ucciderete prima ancora che vi portiamo il vostro dannato documento!! Ormai non abbiamo più niente da perdere…avete sbagliato, e anche pesantemente!”

 

Il baffone esitò cercando di non far vedere a Ron che aveva ragione lui. “Non permetterò a nessuno di salire qua sopra!”

 

Ron fece un altro passo avanti. “La figlia dell’ambasciatore sta per morire. Sibilò, attirando su di sé lo sguardo stravolto del signor Sheffield. “Ha un polmone bucato, non resisterà più di qualche minuto…lo sai tu e lo sappiamo noi, e suo padre non ti darà nient’altro che calci in culo se si ritroverà a dover trattare per un cadavere!”

 

Hermione sbattè gli occhi nel notare con quanta freddezza e lucidità Ron stava gestendo la situazione…era quasi incredibile a sentirlo così, proprio lui che era sempre stato una testa calda.

 

Il baffone esitò. “…e va bene, un medico può salire.

 

“Insieme a me.”

 

“Te lo puoi scordare!!”

 

Ron incrociò le braccia sul petto. “I bambini sono spaventati e hanno bisogno di qualcuno. Sarò disarmato e starò lì solo per occuparmi di loro.

 

“Tu non metterai piede qua sopra!!”

 

“Benissimo, allora non salirà neanche il medico. Ron mantenne saldo il suo sguardo, ignorando i suoni ncreduli che emetteva il padre di Amelia. “Noi non abbiamo più niente da perdere, te l’ho detto… voi invece vi state giocando tutta una vita in galera.

 

Il baffone aveva un affanno nevrotico. “Stai bluffando.

 

“Forse.” Ron strappò il cellulare di mano al signor Sheffield. “Ma all’ambasciata non aspettano che una telefonata per bloccare il recupero di quel trattato, e tu devi darmi solo un motivo per chiamarli. Tanto ormai i nostri ragazzi sono condannati comunque.”

 

“…dannatissimo inglese…” il baffone sputò a terra. “E va bene, salirai col medico e resterai qui… ma devi fare solo un cazzo di passo falso, uno…e ti riduco peggio di un maledetto colabrodo… sempre dopo tuo figlio, naturalmente.

 

Ron aspettò che si fosse allontanato dalla finestra per voltarsi, ignorando le domande frenetiche di Laurence Sheffield. Hermione lo guardò con aria tesa e preoccupata all’ennesima potenza, e lui si soffermò a farle una piccola carezza sulla guancia prima di prestare la sua attenzione a Harry, che stava urlando ai suoi di procurargli un camice o qualcosa di simile.

 

“Noi ci apposteremo tutto intorno alla casa. Fece subito Liam. “Al segnale che ci darete, faremo irruzione.”

 

“Vi facciamo un fischio quando le loro armi saranno scariche.”

 

“Avete un’idea del segnale che ci darete, così, tanto per non essere presi alla sprovvista?” fece Charlie.

 

Ron inarcò per un istante un sopracciglio. “Oh, non ti preoccupare per questo…lo vedrai il segnale, lo vedrai senza problemi.

 

Harry arrivò di corsa con il camicione bianco strappato a un incredulo massaggiatore del centro estetico del negozio alla fine della strada. “Con questo affare addosso sembro tutto meno che un medico.” Borbottò fra i denti mentre se lo infilava.

 

Tennessee gli si avvicinò e gli porse due vaschette. “Questa pozione rimetterà a posto la frattura…per il resto c’è questo unguento, non è molto ma almeno le toglierà quella sensazione di fitte dolorose. E comunque dobbiamo portarla in infermeria al più presto.”

 

Harry annuì e le prese. “Va bene, ci pensiamo noi.

 

“Vi prego, salvate mia figlia.” Implorò il signor Sheffield, e Harry lo rassicurò appoggiandogli una mano sul braccio.

 

Hermione inspirò profondamente e posò la mano sulla guancia di Ron. “…cerca di essere prudente là dentro…lo so che sei furioso, ma rifletti prima di…prima di tentare qualsiasi cosa…”

 

Ron le baciò il palmo della mano ed annuì, quindi si voltò verso Harry. “Pronto?”

 

“Andiamo a riprenderci i ragazzi.”

 

 

***************

 

 

“…no, per favore, non fare così….Amelia…”

 

Jack stava praticamente piagnucolando, mentre teneva stretta la mano della sua migliore amica. Amelia, ancora sdraiata a terra, era pallida di un pallore mortale, sudatissima e quasi immobile, respirava a malapena una volta ogni tanto. Aveva gli occhi socchiusi e le pupille dilatate, e ogni tanto veniva scossa da un debole singulto.

 

“Amelia, no…” Jack le accarezzò la fronte. “…parlami, dai…ti prego…”

 

Il terrorista biondo platino le tastò il collo, poi guardò cupo in faccia il suo capo, che si voltò di nuovo verso la finestra.

 

“Karl.” L’omone col sigaro in bocca fece un cenno verso l’ingresso. “Sono qui.

 

Il baffone si avvicinò alla porta. “Li avete già controllati?”

 

“Sono puliti.”

 

“Falli passare.”

 

Jack alzò lo sguardo sfiduciato…e s’illuminò quando vide entrare suo padre e suo zio – con le mani alzate e un’aria piuttosto guardinga. “Papà!” esclamò, tutto a un tratto di nuovo pieno di speranza.

 

“Jack, tutto a posto?” il tono di Ron era quello di un padre preoccupato per suo figlio… ora non era il guerriero a parlare, perché la gioia di rivedere Jack tutto intero si era sovrapposta per un attimo alla rabbia.

 

Jack annuì e spostò lo sguardo su Harry, che gli fece un cenno leggerissimo della testa, un cenno negativo. “S-si, io…sto bene.” Fece incerto il ragazzino, e un attimo dopo scattò sulle ginocchia. “Papà, Amelia…fa’ qualcosa, ti prego!”

 

Harry diede una manata all’uomo che lo tratteneva per un braccio e si liberò, inginocchiandosi accanto alla bambina. Ron si mosse per fare altrettanto, ma il baffone gli si parò davanti, guardandolo fisso negli occhi. Se mai uno sguardo poteva fare scintille, quelli dei due uomini che si guardavano in cagnesco in quel momento avrebbero potuto appiccare un incendio. Il baffone non riusciva a tollerare che il suo piano perfetto fosse stato messo in forse da quell’uomo. Ron doveva trattenersi dal saltargli alla gola per quello che aveva fatto a Jack e Amelia.

 

Un solo passo falso.” Sibilò piano il terrorista. “E tuo figlio è morto.

 

Ron per tutta risposta lo spostò con un movimento brusco del braccio e si gettò sulle ginocchia vicino a Harry, che stava cercando di far bere la pozione ad Amelia. La bambina era completamente priva di sensi e non sembrava rispondere in alcun modo.

 

“Fa’ la brava, piccola, tieni duro…” mormorò piano Harry, mentre finiva di farle scivolare in gola la pozione.

 

“Papà…” Jack aveva una smorfia di panico ancora forte sul viso. “…ma adesso starà bene, vero?”

 

“Certo che starà bene.” Ron sollevò delicatamente la bambina per le spalle e la prese fra le braccia, asciugandole il sudore con la manica del maglione e accarezzandole il viso. “…è tutto passato, Amelia, è tutto passato…resisti solo un altro po’…” le sussurrò amorevolmente.

 

Harry stava spalmando la pomata di Tennessee sullo stomaco della bambina , come gli aveva spiegato sua cognata, ma quando si fu assicurato di averne steso la maggior parte continuò a farlo più lentamente e per inerzia…e spostò lo sguardo sulla canna della mitragliatrice che il biondo platinato gli stava puntando addosso. Strinse leggermente gli occhi e si concentrò…quindi spostò lo sguardo impercettibilmente, verso un’altra mitragliatrice…

 

“Avete un bel modo di trattare gli ostaggi voi. Mormorò, quel tanto da distrarre l’attenzione dei presenti.

 

“Pensa a fare il tuo lavoro, sottospecie di macellaio. Ribattè acido l’omone col sigaro.

 

Ron osservò attentamente ogni movimento facciale di Harry, continuando ad accarezzare il viso pallido di Amelia, e studiò rapidamente la situazione. Erano in sei nella stanza…gli altri dovevano essere sicuramente sparsi nel resto della casa.

 

“Papà?”

 

Jack lo stava fissando con i suoi grandi occhi blu stanchi e insicuri. Ron dovette dominare un’ondata di rabbia che lo attraversò quando vide lo zigomo viola e la fronte graffiata del suo giovanotto, e con l’altra mano gli accarezzò la guancia sana. “Andrà tutto bene, Jack…non devi avere paura. Sussurrò.

 

“Non ne ho più ora che tu sei qui.” Jack arricciò il naso. “Adesso ce ne andiamo, vero?”

 

Ron annuì leggermente, guardandosi alle spalle. “Si, adesso ce ne andiamo.” Sussurrò a voce molto bassa. “Ma tu devi promettermi che resterai buono e fermo qui…stavolta dico sul serio, Jack, devi restare immobile qui…mi hai capito bene?”

 

Il figlio annuì. “Si.”

 

“Bravo ragazzo.” Ron gli arruffò i capelli. “Resta qui e prenditi cura di Amelia.”

 

“Non ti preoccupare, papà, resto io con lei.

 

Ron gli rivolse un piccolo sorriso rassicurante, e sentì il cuore meno pesante quando vide un raggio di speranza negli occhi spaventati di suo figlio. Harry chiuse rumorosamente la vaschetta di pomata, attirando l’attenzione di Ron. Il rapidissimo sguardo d’intesa fu eloquente abbastanza da fargli capire che la prima parte del piano era andata a buon fine.

 

“Questa bambina ha bisogno di cure urgenti. Harry si voltò verso il baffone. “Bisogna portarla all’ospedale, e in fretta anche.

 

L’uomo strinse gli occhi. “L’hai rimessa a posto, no? Adesso sta a suo padre sbrigarsi nel più breve tempo possibile.

 

Ron prese in braccio Amelia e la stese sul divano il più delicatamente possibile, scansandole i capelli dalla fronte e dal collo, e fece sedere lì vicino anche Jack, che lo guardava con gli occhi grandi e attenti.

 

Quindi Ron si voltò verso i terroristi e strinse i pugni. Il baffone inarcò un sopracciglio e diede un colpetto al caricatore della sua mitragliatrice. Ron avanzò a una lentezza inesorabile, coi denti stretti forte e i muscoli delle spalle decisamente in tensione. Con la coda dell’occhio vide Harry spostarsi fluidamente nelle vicinanze dei bambini, e tornò ad occuparsi dei terroristi – del baffone in particolare, visto che stava avanzando verso di lui.

 

“Prima di stamattina facevo fatica a immaginare come potesse esistere qualcuno abbastanza vigliacco da prendersela con dei bambini innocenti.” I pugni di Ron erano stretti così forte che le nocche delle dita erano bianche. “Adesso so per certo che la feccia come te esiste eccome.” Sibilò, praticamente a due passi dalla faccia del terrorista.

 

Il baffone fece scattare rumorosamente il grilletto della mitragliatrice, stringendo gli occhi. “Tu vuoi proprio morire, non è vero?”

 

Ron appoggiò le mani sui fianchi e fece una smorfia. “Che problema hai, amico? Facevi così tanto il duro quando ti sbracciavi dalla finestra…e devi essere davvero forte se sei riuscito a spezzare le costole a una bambina così esile…”

 

Il tono da presa in giro alla lunga fece effetto, e il baffone puntò la sua mitragliatrice a diretto contatto con lo stomaco di Ron, facendo trattanere rumorosamente il fiato a Jack. Al contrario, suo padre non battè ciglio. “Se ti puzza di campare, cane inglese, ti consiglio caldamente di sigillarti la bocca.

 

Ron curvò le labbra nel sorrisetto più strafottente che avesse mai fatto. “Vai a fare la voce grossa con quei leccaculo che ti porti dietro, bastardo, perché con me non funziona.

 

Il terrorista non ci pensò due volte: sollevò l’arma e la puntò dritta in faccia a Ron, premendo con forza e soddisfazione il grilletto…ma non successe niente. “Ma che…” l’uomo agitò la sua mitragliatrice e riprovò a sparare, ancora una volta senza successo.

 

Un po’ in tutta la stanza si sentirono rumori di grilletti premuti senza risultati, e Jack si voltò da destra a sinistra per sincerarsi del miracolo…le armi erano tutte fuori uso!

 

Il baffone guardò orripilato Ron, ed ebbe a malapena un attimo per rendersi conto della furia omicida che aveva scatenato in lui: aveva gli occhi blu fiammeggianti di odio e rabbia, ma c’era anche qualcos’altro…piacere…voglia di colpire…sete di vendetta…

 

“Non avresti mai dovuto prendertela con dei bambini…” sibilò. “Specie con i miei.

 

Ron rapidamente afferrò la mitragliatrice con una mano e la lanciò con forza oltre la finestra, frantumando il vetro con un rumoraccio.

 

 

 

 

Charlie fece un sorrisetto vedendo volare l’arma babbana. “Che dite, io lo interpreterei come il segnale di Ron.

 

Liam si alzò in piedi e urlò “Avanti, tutti dentro!!” al resto degli uomini.

 

 

 

 

Tempo pochi istanti, a villa Sheffield piombarono una trentina di War Mage…mentre nel salone si scatenava un putiferio. Ron colpì il baffone al viso con una gomitata forte e ben piantata, e non contento gli sferrò un pugno allo stromaco che lo fece piegare in due. Non aveva bisogno di niente, voleva finirlo a mani nude quel maledetto ricattatore… voleva avere la soddisfazione di vedere nei suoi occhi quella stessa paura che aveva visto nello sguardo sfinito di suo figlio. Voleva vederlo bianco e madido di sudore freddo come era ridotta Amelia. Lo avrebbe strangolato, ridotto a pezzettini minuscoli, bruciato vivo… Jack e Amelia avrebbero avuto gli incubi quella notte, si sarebbero svegliati urlando…avrebbero sofferto… con un ruggito violento Ron riempì di calci l’uomo che si stava rialzando, ributtandolo a terra.

 

Con una rapida occhiatina alle sue spalle, Ron si accorse che Charlie stava portando fuori Jack, seguito da Josh che teneva Amelia fra le braccia. Saperli fuori pericolo lo fece sentire ancora più libero di fare tutto quello che voleva, specie se Harry e gli altri stavano facendo altrettanto.

 

Il baffone si rialzò, con il naso fracassato, e assestò un buon pugno in faccia a Ron, ma se il primo colpo andò a segno il secondo fallì, perché Ron parò il suo destro e gli riempì di ginocchiate lo stomaco fino a farlo ricadere con violenza su una sedia alle sue spalle, che si rovesciò. Ron si pulì il rivoletto di sangue che gli era scivolato dal labbro spaccato e si gettò addosso al suo nemico, afferrandolo per la collottola e sbattendolo in piedi, per poi gettarlo con forza contro il muro.

 

“E così avresti ucciso mio figlio, eh?!” ruggì, spiaccicandogli la faccia contro la parete, e ottenendo un grugnito di dolore in risposta. “Avresti tagliato un dito a quella bambina, giusto?! Alza la voce con me, adesso!! Avanti, grand’uomo, fammi vedere quanto cazzo vali!!”

 

Il baffone tentò di respingerlo facendo leva con le braccia contro il muro e spingendosi indietro, ma Ron era una furia senza controllo, e lo sbattè di nuovo in avanti. Quando quello riuscì a voltarsi fu solo perché Ron glielo consentì…per potergli assestare due pugni in faccia che rimbombarono con un orribile suono secco e vibrante.

 

“Miserabile bastardo…” a Ron sembrò quasi di risentire gli strilli di Amelia, le urla di Jack… “…ma io non te lo faccio rivedere il sole!!!”

 

Il baffone non ebbe il tempo materiale di rendersi conto delle mani di Ron, che saettarono in avanti per stringergli la gola in una presa mozzafiato. Il terrorista cominciò ad annaspare e ad emettere degli strani versi gutturali, tutto rosso in viso. A nulla servì cercare di allontanare le mani del suo aggressore dal suo collo, a malapena riuscì a sfiorargli le braccia coi polpastrelli…

 

“Ron, no!!”

 

Harry ebbe bisogno di tutta la sua forza per tirare indietro il suo migliore amico, e fu solo al terzo tentativo che riuscì a far staccare le mani di Ron dalla gola del baffone, che scivolò al suolo mezzo svenuto.

 

Che fai, sei pazzo?!”

 

“Maledizione, Harry!!” tuonò Ron. “Chi ti ha pregato di fermarmi?! Questo bastardo ha quasi ucciso Jack e Amelia, merita di morire!!”

 

Harry gli mostrò la situazione: i War Mage stavano portando via i terroristi – alcuni legati, altri mezzi intontiti, altri feriti – e scosse la testa. “Li dobbiamo consegnare alla polizia babbana, non è affare nostro.

 

“Non me ne fotte niente di chi è l’affare!” Ron era imbufalito. “Questo porco ha fatto del male a Jack e Amelia, e se non gli spacco la faccia esplodo!”

 

“Gliel’hai già spaccata!” Harry fece un minuscolo e fugace sorrisetto prima di scuotere ancora la testa. “Ron, no…c’è tuo figlio là fuori. Che cosa vuoi che veda, che suo padre può diventare un assassino solo perché non è capace di controllare la propria rabbia?”

 

Ron aprì la bocca e poi la richiuse, passandosi nervosamente una mano fra i capelli. “…questo schifoso deve pagare per quello che ha fatto…io voglio fargli provare la stessa sofferenza che abbiamo dovuto passare noi.”

 

“Lo hai già fatto, mandando a monte il suo piano e facendolo sbattere dentro.” Harry gli diede una pacca sulle spalle. “Non farai passare a Jack e Amelia questo spavento portandogli in un’ampolla le ceneri del loro rapitore.

 

Ron guardò con gli occhi infuocati l’uomo, stringendo i pugni.

 

Harry gli appoggiò una mano sulla spalla. “Pensiamo ai bambini adesso, sono loro la cosa più importante. Questi stronzi ci hanno fatto già perdere fin troppo tempo.

 

Ron esitò, quindi afferrò per la collottola il baffone e lo tenne sollevato così per qualche istante, guardandolo con aria di schifo e rabbia…ma poi lo lasciò cadere a terra e si avviò verso l’uscita della sala. Harry fece un piccolo sorrisetto e si dedicò a portare al piano di sotto il terrorista… trascinandolo per i capelli e fingendo di non sentire affatto i suoi lamenti.

 

Era sempre troppo poco per una bestiaccia come lui.

 

 

***************

 

 

“Non potrò mai ringraziarti abbastanza, Ron, dico davvero. Laurence Sheffield strinse per l’ennesima volta la mano a Ron. “Siete stati veramente perfetti.

 

Ron annuì una volta con una smorfia che assomigliava a un sorriso, ma non tolse neanche per un istante la mano dalla spalla di Jack, che teneva incollato a sé da quando era uscito dalla villa. I poliziotti babbani erano arrivati di corsa appena avevano saputo chi era stato in pericolo, e i War Mage gli avevano consegnato i terroristi impacchettati e pronti per la galera. Il signor Sheffield era stato pronto nel rispondere ai poliziotti che quegli uomini erano la sua scorta personale, ignorando gli sguardi increduli dei babbani, e ora si aspettava solo il ritorno di Hermione, che aveva portato di corsa Amelia all’infermeria del quartier generale con Tennessee.

 

“Sei stato veramente coraggioso.” Il signor Sheffield sembrava non riuscire più a chiudere bocca. “Hai avuto un sangue freddo che davvero io…”

 

Signor ambasciatore.” Un agente di polizia gli porse un cellulare. “E’ il segretario del Ministro degli Interni… vogliono incontrarla quanto prima, anche adesso se è possibile.

 

L’uomo sbuffò. “Tanto per cambiare…passerò ad abbracciare Amelia stasera, prima che si addormenti.”

 

Jack gli lanciò un’occhiataccia, pensando a come ci sarebbe rimasta male la sua amica, e anche Ron strinse la mano del signor Sheffield con più energia del dovuto. “A stasera, allora. Ma ricordati che andremo tutti a letto prima, domani si parte presto.”

 

“Naturalmente, certo.”

 

Jack guardò il signor Sheffield andare via con il poliziotto e il cellulare all’orecchio, e scosse la testa con un’espressione di disgusto.

 

Ron gli arruffò un po’ i capelli e si voltò dall’altra parte, dove i War Mage si stavano organizzando per tornare al quartier generale, ma anche mentre camminava non smetteva di tenere Jack vicino a sé. “E’ tutto a posto, figliolo?”

 

Jack annuì distrattamente, guardando a terra. “Già…”

 

Ron gli strinse la spalla amorevolmente. “Adesso è tutto passato, Jack…lo so che per il momento ti senti ancora scombussolato, ma ci siamo mamma e io con te…non ti succederà più niente, capito?”

 

“Lo so.” Disse piano Jack. “Quando ti ho visto ho capito che sarebbe andato tutto bene…tu mi togli sempre dai guai.

 

“E’ quello che fa un padre di solito.”

 

Jack lo guardò. “Riesco sempre a combinarne una, eh?”

 

Ron fece un piccolo sorrisetto. “Sai…quando mi sono reso conto che mi avevi disobbedito ed eri tornato dentro la casa…ho avuto paura.

 

Jack sbattè gli occhi. “Ma tu non hai mai paura, pa’.

 

“Ne ho sempre quando succede qualcosa a mamma o a voi. Ron lo guardò serenamente. “E stavolta avevo paura per te…avevo paura che ti facessero del male…e mi ero ripromesso che quando ti avrei portato fuori, te ne avrei suonate così tante che non ti saresti potuto sedere per una settimana.”

 

Jack spalancò gli occhi. “Però…poi hai cambiato idea, vero?”

 

Ron sorrise e annuì. “A dire la verità un ceffone te lo meriteresti, Jack…ti avevo detto di restare qui perché non volevo preoccuparmi anche per te, volevo dedicare tutta la mia attenzione ad Amelia. Un bravo papà non riesce mai a concentrarsi bene se pensa che i suoi figli sono in pericolo…e ci è mancato poco che non perdessi la calma qua fuori, pensando a te chiuso là dentro.”

 

“…ehm…” Jack fece una piccola smorfia. “…non perché lo voglia, o cosa…anzi…ma come mai poi non me lo dai più il ceffone? Perché non me lo darai…vero?”

 

“No, Jack, non te lo darò…perché sono fiero di te.”

 

Jack spalancò occhi e bocca. “Come?”

 

Ron gli arruffò i capelli. “Sei tornato là dentro per stare vicino alla tua migliore amica, per non saperla da sola ad avere paura…io avrei fatto lo stesso.

 

Jack fece un piccolo sorriso. “Davvero?”

 

“Si, davvero.” Ron lo guardò. “Ora, questo non toglie che hai fatto una cosa pericolosissima e hai disobbedito ai tuoi genitori, ma c’è una bella differenza tra disobbedire per fare una bravata e disobbedire per aiutare un amico.

 

“Oh.”

 

“Ma ricordati che la prossima volta che ti comporterai così sconsideratamente e non penserai prima di agire, prenderai tante di quelle botte che te le ricorderai a vita. Devi imparare a non sottovalutare mai il pericolo.

 

“Sissignore.” Jack scrollò spallucce e perse il suo buonumore, guardando dritto avanti a sé. “E comunque non è servito proprio a niente, sai…non sono riuscito a salvare Amelia.”

 

“Questo non è vero.”

 

Si che è vero.” Jack si pulì il naso con una manica. “Sei tu che ci hai tirati fuori. Lei lo sa… infatti dice che tu sei il suo eroe.”

 

“Io non ci giurerei.” Ron fece un sorrisetto e strizzò l’occhiolino al figlio.

 

“Ma dai, pa’, io non sono stato capace di fare proprio niente.

 

“Però quando siamo entrati noi era la tua mano che lei stava stringendo forte.” Ron gli diede una pacchetta sulla schiena. “Tu e Amelia avete più o meno la stessa testa dura, non siete sdolcinati…ma lei era aggrappata a te come se solo tu potessi aiutarla.”

 

“Nah…” Jack sospirò e si scansò un ciuffo di capelli dalla fronte.

 

Ron non gli rispose, piuttosto sorrise quando vide uscire dal vicoletto dove avevano sistemato la passaporta Hermione e Amelia, sorridenti e tranquille e l’una per mano all’altra. Amelia era ancora palliduccia, ma si reggeva perfettamente in piedi ed era visibilmente più distesa. “Perché non lo chiedi direttamente a lei, Jack?”

 

Jack alzò lo sguardo e sorrise largamente. Dall’altra parte della strada Hermione fece cenno ad Amelia di guardare davanti a lei…la bambina le lasciò la mano all’istante, si lanciò in una corsa sfrenata e balzò in collo a Jack, aggrappandosi a lui come faceva sempre e incrociando i piedi dietro la sua schiena, proprio come un piccolo koala. Jack non fece nessuna fatica a sostenere la sua migliore amica, un po’ perché era magrissima e leggera…e un po’ perché la gioia di rivederla tutta intera lo faceva sentire mille volte più forte di quanto potesse essere.

 

 

***************

 

 

Ron appoggiò anche l’ultimo borsone nel corridoio davanti alla porta di casa, facendo bene attenzione a non fare troppo rumore. La casa era tutta immersa nel silenzio della notte, e i bagagli per la partenza della mattina dopo erano già tutti sistemati.

 

“Sarà bene svegliarsi un po’ prima per caricare la macchina. Disse a bassa voce Hermione, sistemandosi meglio il nodo che teneva unita la vestaglia.

 

Ron scosse la testa e le passò un braccio attorno ai fianchi. “Facciamo tutto in un lampo con la magia…e sono incredibilmente felice di poterla usare, credimi. Io non so davvero come tu e Harry abbiate fatto per undici anni senza.”

 

Hermione gli passò a sua volta un braccio attorno alla vita, senza allontanarlo anche quando si diressero verso le scalette per raggiungere il piano di sopra. “Oggi per la prima volta nella mia vita ho provato la sensazione che prova probabilmente ogni mago purosangue…mi sono sentita impotente senza magia…come se avessi rinnegato il mio mondo tutto all’improvviso. E’ stato stranissimo.”

 

Ron annuì e le baciò la tempia, salendo con lei le scalette. “Già…è assurdo come i figli ti fanno provare tutte le sensazioni più strane della terra, eh?”

 

Hermione fece un piccolo sorriso e lo guardò. “Oggi sei stato fantastico. Quando credevo che avresti dato retta alla tua impulsività, mi hai dimostrato di saper pensare con una lucidità e una freddezza che non ti ho mai visto usare…”

 

Ron fece una piccola smorfia. “Avrei volentieri sfondato le porte e travolto tutti a modo mio, lo sai.

 

“Si, ma poi sei riuscito a salire nella casa trattando con quel terrorista…” qui le scappò un sorrisetto. “…quasi come se avessi seguito le lezioni di strategia che abbiamo preso durante l’addestramento.”

 

Ron rise a bassa voce. “Non ci ho pensato neanche per un momento, amore.

 

Hermione lo guardò. “E da dove l’hai preso tanto sangue freddo, signor prima-agisco-poi-penso?”

 

“…ho bluffato.” Ron scrollò le spalle. “Ci era rimasto solo quello da fare per riprenderci i bambini. Suppongo che la disperazione faccia miracoli per davvero, eh?”

 

Hermione si strinse a lui. “Comunque sono fiera di te…sei stato meraviglioso.”

 

Ron le sfiorò la tempia col naso amorevolmente, mentre salivano gli ultimi gradini. “Adesso viene il difficile…Jack e Amelia erano molto taciturni a cena.

 

Hermione sospirò e annuì. “Io spero solo che partendo domani si distraggano presto.

 

“Cerchiamo di stargli vicini…hanno molto più bisogno di sostegno di quanto non lascino a vedere.

 

Hermione appoggiò la mano sulla maniglia della porta della cameretta dei bambini. “Facciamo così, mi porto Amelia e Katie nel lettone e tu resti a dormire qui con Jack e Simon. Si sentiranno più tranquilli.

 

Ron annuì. “Ok, è una buona idea.”

 

Hermione aprì la porta piano, notando che la l’unica luce accesa era la lucetta dell’abat-jour sul comodino di Simon… e istintivamente le venne da sorridere. Amelia e Jack dormivano insieme nello stesso letto, stretti l’uno all’altra, e sembravano anche molto tranquilli. Ron le fece un piccolo sorriso e chiuse la porta.

 

A quanto pare hanno fatto da soli.” Mormorò allegramente. “Lasciamoli dormire… non mi sembra proprio che abbiano bisogno di noi.

 

Hermione si strinse nelle spalle. “Sai a cosa penso spesso? Anche noi ci volevamo questo bene da piccoli…ma Jack e Amelia hanno un modo così intenso di dimostrarselo che alle volte… penso proprio che noi fossimo un po’ tardi.

 

Ron ridacchiò piano. “Non eravamo tardi…eravamo attratti l’uno dall’altra e troppo testardi per ammetterlo.”

 

“Eravamo tardi, tesoro, fattene una ragione. Hermione sospirò e inclinò la testa. “A quanto sembra stasera nessuno ha bisogno di noi.

 

“Ci restano sempre i più piccoli.”

 

“Giusto…andiamo a coccolarci loro.”

 

Anche questa volta Hermione aprì piano la porta della stranza di Katie, in cui avevano sistemato un letto d’emergenza per Simon… il lettino di Katie era vuoto, e la piccola stava tutta sdraiata con le guanciotte paffute e le manine grassocce sulla schiena del fratello, che dormiva beatamente a pancia sotto e la cullava dolcemente col suo respiro tranquillo.

 

Chiusa anche quella porta, Ron si fece una piccola risata incredula. “E’ evidente che non c’è proprio bisogno di noi stasera, eh?”

 

Hermione sorrise. “Già…stanno cominciando a crescere proprio tutti.

 

“Devo proprio dire che mi sento inutile…” Ron le stuzzicò il collo con un paio di piccoli baci. “Ma va bene…visto che nessuno mi vuole…io ripiegherei per un premio di consolazione…”

 

“Grazie mille, Ron, tu sai sempre come farmi sentire importante. Fece ironicamente Hermione, sentendo ridere il marito contro il suo collo. “Andiamo a coccolarci, va.

 

“Agli ordini, signora.” Ron la tirò per la mano fino in camera loro, facendola ridere, e si sedette senza grazia sul lettone. “E adesso…ehi, che è qua?”

 

Cosa?”

 

Ron si alzò per sfilarsi qualcosa che era finita sotto il suo sedere…un foglio di carta tutto colorato. Non appena capì cos’era, sul viso di Ron comparve un sorriso di felicità pura: era un biglietto dei bambini, un disegno di lui che picchiava i ‘cattivi’, come recitava la didascalia scritta da Simon. Jack aveva raccontato a suo fratello e sua sorella tutti i dettagli della giornata, catturando la loro totale attenzione, e quel disegno ne era il risultato. Il suo ritratto era evidentemente opera di Amelia, che sapeva disegnare bene…mentre di sicuro di colorare se n’era occupata Katie, perché schizzavano pennellate di pastelli un po’ per tutto il foglio senza un’ordine preciso. La scritta ‘PAPY ZEI UN ERROE’ era ancora opera della piccola – sicuramente Simon le aveva portato la mano, come faceva tutte le volte che le faceva scrivere il suo nome – e infine c’erano le due righe sotto al disegno, che indicavano con una freccetta il suo ritratto con la scritta ‘Papà che ci salva tutti e picchia i cattivi’.

 

Il sorriso lacrimoso di Hermione non era niente in confronto a quello di Ron… ancora una volta Ron Weasley dovette ricredersi: aveva detto che senza la magia non avrebbe saputo come fare…ma qualsiasi incantesimo al mondo non avrebbe mai nemmeno lontanamente sfiorato il bellissimo potere che gli dava la magia di essere papà…quella era la sua magia più forte, e non l’avrebbe cambiata mai con niente al mondo.

 

 

 

** THE END **

 

 

Occhio alla scritta in arancione qua sotto: …mirate…puntate…premete! ^_____^ Buone vacanze a tutti! VVTB!

 

Sunny

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Capitolo 14
*** Un cuore grande così ***


Buon compleanno Vale

 Buon compleanno Vale!!!!!!!! Sono più che felice di poterti dare il mio regalino…in ritardo, tanto per cambiare (maledette versioni di latino…), ma mi sono impegnata per soddisfare la tua richiesta il più in fretta possibile…ancora mille auguroni, amicissima! E per tutti quanti…cronologicamente questa shotty dovrebbe essere collocata il Natale successivo agli eventi di ‘My Name is Cupido’.

 

 

 

 

UN CUORE GRANDE COSI

 

 

 

 

“Ehm…mi permetti, Ron? Secondo me i tuoi figli ti stanno svuotando il portafogli.”

 

“Lasciali fare.”

 

“Oh…certo, se lo dici tu…” il simpatico nanetto gestore del negozio scrollò le spalle e si appoggiò coi gomiti sul bancone.

 

Ron fece un sorrisetto e rimase con le braccia conserte e la schiena appoggiata al bancone. Hermione era sempre stata una donna dotata di un’intelligenza fuori dal comune, ma a volte si superava in modo quasi assurdo. Era stata sua l’idea di lasciare che fossero i ragazzi ad organizzare la festa di Capodanno tutta da soli, ed era stato uno spasso vederli tutta la settimana mentre si affaccendavano con gli addobbi, la cena e tutto il resto…ma la ciliegina sulla torta era venuta quando Hermione lo aveva pregato di accompagnare lui i ragazzi a comprare il necessario. Ron le aveva fatto notare che era una cosa noiosa e che i ragazzi non avrebbero avuto bisogno del suo aiuto, ma Hermione non ne aveva voluto sapere e gli aveva quasi ordinato di andare…e gli aveva fatto un regalo enorme. Mentre era lì in piedi ad osservarli, Ron non poteva fare a meno di sorridere…Jack, Amelia e Simon avevano gli occhi che brillavano per la gioia mentre più trovavano decorazioni – alcune spiritose, altre belle ed eleganti – e più si facevano venire delle idee brillanti…le loro risatine riempivano l’aria natalizia di allegria, e Ron scoprì che non avrebbe voluto essere da nessun’altra parte del mondo se non lì, a sentire i suoi figli gioire e godersi la loro età sereni e felici.

 

“Papà, papà!” Simon gli venete incontro di corsa, tenendo in mano una specie di cilindro colorato. “Possiamo prendere i Vulcani Magici? Sono dei fuochi d’artificio stranissimi, cambiano forma a seconda di chi li tiene in mano…possiamo prenderne una decina, si?”

 

Ron si lasciò scappare un sorrisetto e si fece passare il vulcanetto per dargli un’occhiata da vicino, mentre gli tornava in mente una vivida immagine di un Simon, ancora col succhietto in bocca e il pannolino, che gli veniva incontro gattonando per mostrargli con orgoglio il dentino appena spuntato. Devo proprio preoccuparmi se finisco per assomigliare a mia madre…

 

“Allora, li possiamo prendere?” fece vispo Simon.

 

Ron gli passò il vulcanetto. “Bada a non dare fuoco alla casa, altrimenti poi te la vedi con mamma.”

 

Simon s’illuminò. “Grazie, pa’!” esclamò vispo, correndo verso lo scaffale per fare un rifornimento di fuochi d’artificio.

 

“Quale ti piace di più, questa o questa?” Amelia gli mostrò due bellissime confezioni di vischio, una grande e rotonda con un fioccone rosso, l’altra con le candele e le palline colorate. “Non riesco a scegliere…”

 

Ron le osservò. “Sono entrambe molto belle …”

 

“Eh si…”

 

“Prendile tutte e due, dai.” Ron fece un sorrisetto rassegnato. “Solo ed esclusivamente per oggi fate la vita dei viziati.”

 

“Grazie!” Amelia gli scoccò un bacetto sulla guancia e sistemò con gioia il vischio sul bancone.

 

“Guarda qui, pa’, adesso ti faccio vedere io un modo intelligente di spendere i soldi…” Jack aprì il blocco variopinto che aveva in mano…che si rivelò un catalogo di biancheria femminile tutta rossa e nera e altamente sexy, come si addiceva alla notte di Capodanno.

 

Amelia alzò gli occhi al cielo. “Ma è possibile che pensi sempre alle stesse cose…”

 

“Nessuno potrà mai dire che Jack Weasley è un egoista.” Jack le fece un sorriso odioso e vispo, e aprendo il catalogo a metà le mostrò una collezione di mutande e boxer tutta al maschile.

 

Amelia inarcò un sopracciglio. “E allora?”

 

“Non sei contenta? Ho pensato anche alla tua soddisfazione personale, guarda quanti ragazzi.”

 

“In che modo un gruppo di uomini che si lasciano fotografare in mutande dovrebbe rendermi soddisfatta?”

 

Jack scosse la testa, indignato. “Mi deludi molto, insensibile che non sei altro.”

 

Ron rise, e Amelia appoggiò le mani sui fianchi. “Io sarò anche insensibile, ma tu con le donnine nude sul giornaletto…”

 

“Donnine nude?” domandò curioso Simon, avvicinandosi con le braccia piene di fuochi d’artificio e sporgendosi in avanti per vedere.

 

“Oh no, questo no.” Amelia gli coprì gli occhi con la mano. “Salviamo il salvabile.”

 

Ron sfilò il catalogo dalle mani del figlio e lo mise via. “Ok Jack, per quanto possa essere interessante, questo è meglio se lo lasciamo qua, eh.”

 

Jack scosse la testa. “Branco di buonisti e puritani.” Brontolò.

 

Ron gettò uno sguardo al bancone ormai carico di merce. “Avete finito di prosciugarmi il conto in banca?”

 

“Mi pare che non manchi niente…” Amelia si guardò un po’ in giro nel negozietto.

 

“Aspetta, mancano le candele galleggianti di Katie.” Le fece notare Simon.

 

“Le ho prese io prima.” Jack mostrò loro una scatola colorata.

 

“Allora vi faccio il conto?” esclamò sorridente il nanetto dietro al bancone.

 

Ron annuì. “Abbi pietà delle mie tasche, Tom, ricordati che vengo qui da quando avevo la loro età.”

 

Il nanetto sorrise. “Oh, se me la ricordo bene la tua bellissima famiglia. Soprattutto i tuoi fratelli gemelli, eh se me ne hanno fatti fare di affari comprando i miei fuochi d’artificio…”

 

“E spero per te che non siano gli stessi che hai venduto ai miei figli.” Ron gli strizzò un occhiolino e mise mano al portafogli.

 

Simon tirò su col naso e si ciondolò allegramente fino allo scaffale accanto alla porta. Non osava chiedere altri soldi a suo padre, ma c’era un bellissimo libro sulle leggende magiche del Natale che aveva tutta l’aria di essere pieno di interessanti informazioni…lo prese ancora una volta, osservandone la copertina colorata, e si chiese in quale modo sarebbe stato più facile ottenere un si da suo padre…

 

…ma sia il libro che tutto il resto gli passarono di mente quando con la coda dell’occhio scorse movimenti strani fuori, nella piazzetta innevata su cui dava la porta a vetri del negozietto. Non si riusciva a sentire niente, ma si poteva vedere bene…e si vedeva un uomo vestito con degli stracci addosso che smaniava come un pazzo, sventolando in aria la bacchetta mentre la puntava minacciosamente contro un pover’uomo che teneva per la gola.

 

“Papà!” fece allarmato Simon. “Corri!”

 

Ron lo raggiunse in un secondo, seguito a ruota da Jack e Amelia. “Ma che diavolo…”

 

Il nanetto sbucò fra le gambe di Jack. “Oh no, alla fine l’ha fatto davvero…”

 

Il ragazzo si accigliò. “Chi ha fatto cosa?”

 

“Quello è Jeremy, una specie di pazzo maniaco che ogni giorno spaventa la gente di queste zone…” mormorò atterrito il nano. “E’ stato anche dentro, ma non so quale idiota l’ha fatto uscire perché ha pensato che non fosse pericoloso…”

 

“Chi ha detto questo dovrebbe vederlo adesso.” Fece dura Amelia.

 

Il pazzo urlò qualcosa e con un colpo di bacchetta prese in pieno il tetto di una casa, scoperchiandolo. Ron guardò il nano. “C’è un’uscita sul retro, Tom?”

 

Lui annuì. “Sbuca nel vicoletto alle spalle della piazza.”

 

“Ok.” Ron si sfilò la bacchetta dalla tasca posteriore del pantalone e fece qualche passo indietro. “Voi tre restate qui e non provate a uscire, è chiaro?”

 

“Ti posso aiutare?” fece subito Jack.

 

Amelia annuì vigorosamente. “Non andare da solo, possiamo tornarti utili!”

 

“Tornatemi utili restando al sicuro qua dentro.” Replicò duro Ron. “Impacchettali a dovere se si muovono, Tom.”

 

“Agli ordini.” Fece allegramente il nanetto mentre Ron usciva dall’altra parte del negozio.

 

Jack sbuffò e tornò a guardare oltre la porta a vetri. “Che schifo, per una volta che c’era da fare qualcosa…”

 

“Chiudi il becco.” Mormorò piano Simon, che aveva la faccia completamente schiacciata contro il vetro per vedere. Non riusciva a sentire cosa stava urlando quell’uomo, ma vedeva i suoi occhi… carichi di follia, certo, ma anche di qualcosa di strano, di…disperazione… di qualcosa che gli fece provare un brivido lungo la schiena.

 

 

 

 

“INDIETRO, CAPITO? INDIETRO TUTTI!!!”

 

Una piccola folla di maghi e streghe – molti disarmati, ma alcuni con la bacchetta in mano – si era radunata nella piazzetta, ma nessuno osava fare un passo avanti con la tempia dell’uomo incollata alla punta della bacchetta del pazzoide.

 

“Adesso l’ammazzo!! L’ammazzo e poi vi ammazzo tutti!! E vi faccio saltare in aria!!” urlò ancora quello, guardando da una parte all’altra con uno sguardo da vero folle e gli occhi iniettati di sangue.

 

L’uomo in ostaggio gemette e chiuse gli occhi. “Aiutatemi, vi prego!”

 

“Zitto, carogna!! Zitto!!!” gli urlò addosso il pazzo. “Vi ammazzo perché mi avete fatto bruciare la casa, e adesso io la brucio a voi…a cominciare da quella!!!”

 

Tutti strillarono e il panico colse la folla quando l’uomo puntò la bacchetta dritta davanti a sé, contro un edificio alto.

 

L’uomo rise sguaiatamente. “Adesso vi faccio crepare tutti come maiali!!!”

 

I due maghi che avevano deciso di tentare il tutto per tutto e fermare il pazzo si bloccarono a metà strada quando gli videro spalancare gli occhi…e un attimo dopo la sagoma alta e robusta di un uomo coi capelli rossi non fu più nascosta dall’angolo della palazzina retrostante.

 

“Calmati, amico.” Fece teso Ron, continuando a tenere la bacchetta piantata fra i reni del pazzo. “Butta la bacchetta e arrenditi, te la caverai con poco per quattro minacce.”

 

Per tutta risposta il pazzo strinse la morsa sulla gola del suo ostaggio, che piagnucolò. “Buttala tu la bacchetta, pezzo di merda, altrimenti gli friggo il cervello!!”

 

“Te lo ripeto per l’ultima volta, se ti fermi adesso non dovrai scontare una pena troppo dura. Forza, consegnami la bacchetta.”

 

“VATTENE O FACCIO SALTARE TUTTO STRONZO!!!!!”

 

Inaspettatamente il pazzo respinse bruscamente indietro il suo ostaggio, gettandolo a terra, e sgomitando all’impazzata colpì la mano di Ron e gli fece cadere la bacchetta. Ron fu molto più rapido di lui, perché lo stordì con un pugno in faccia e gli spedì la bacchetta nella neve con un calcio contro il braccio. Il pazzo, vedendosi alle strette, urlò e si gettò addosso a Ron, rovesciandolo di schiena nella neve e coprendolo col suo corpo…

 

“Papà!!!” Jack senza esitare spalancò la porta a vetri – incurante dei tentativi del nano di fermarlo – e schizzò fuori, seguito a ruota da Amelia e Simon. “Papà!!!”

 

Il pazzo – di cui si poteva vedere solo la schiena – sobbalzò bruscamente e poi rimase fermo per un attimo…e un secondo dopo ricadde di schiena a terra, con un pugnale piantato in pieno petto. Dalla folla partì qualche strillo femminile, mentre Ron si rialzava a fatica e con una smorfia sulla faccia.

 

“Papà, stai bene?!” fece allarmato Jack, mentre si avvicinava di corsa insieme agli altri due.

 

“Si, si…” Ron aveva le mani imbrattate di sangue, e tentò di pulirsele alla men peggio passandosele sui pantaloni.

 

“Oddio…” Amelia si coprì la bocca con le mani.

 

Ron si portò una pietra trasparente alla bocca e mormorò in fretta qualcosa, quindi si voltò verso i figli. “Andate a casa, subito.”

 

Jack scosse la testa, mentre Amelia trovò finalmente il coraggio di distogliere lo sguardo dal cadavere a terra. “Non se ne parla, papà, non ti voglio lasciare…”

 

“Stia indietro, per favore, sto aspettando i miei uomini.” Fece rapidamente Ron, mostrando a un uomo alto il suo distintivo per impedirgli di avvicinarsi oltre. Nella piazzetta c’era molta folla, tra curiosi e passanti e donne che urlavano senza un vero motivo. Ron chiuse per un attimo gli occhi. “Andatevene a casa, ragazzi, per favore…Simon, no, non guardare…”

 

Simon era rimasto impietrito a fissare il cadavere a terra, mentre insanguinava la neve bianca e ovattata man mano che cadeva e si poggiava sulla coltre bianca e silenziosa. Il pazzo aveva ancora gli occhi spalancati…sbarrati in qualcosa che sembrava terrore, o forse meglio…era orrore… Non voleva morire. Non credeva di morire. Non ha avuto il tempo di capire che stava perdendo la vita… Continuava a fissare quel corpo inerte con una orribile sensazione addosso… quell’uomo era morto prima ancora di rendersene conto, senza poterci fare niente…era una sensazione orribile, la più orribile che avesse mai provato in vita sua…roba da perderci la testa solo a pensarci…

 

Ma ovviamente se questo gli era sembrato terribile a vedersi, Simon non era neanche lontanamente preparato a vedere il resto… suo padre che gli veniva incontro per allontanarlo con le mani sporche di sangue. Del sangue di quell’uomo morto prima ancora di potersene accorgere. Due più due purtroppo aveva sempre, sempre fatto quattro…e mai la dura realtà della ragione fu più dura da comprendere: quell’uomo era stato ucciso da suo padre.

 

Ron gli si avvicinò. “Non guardare, Simon…vieni qui…”

 

Il ragazzino arretrò di un passo, ingoiando il vuoto. Una nausea smisurata gli stava straziando lo stomaco. L’hai ammazzato tu, papà? Senza nemmeno esitare? …

 

Ron si bloccò e osservò attentamente lo sguardo sconvolto di suo figlio minore. Cosa non avrebbe dato per non leggere nei suoi occhi quella dolorosa incredulità… “Portali a casa, Jack.” Mormorò piano. “Per favore.”

 

Jack avrebbe volentieri esitato per il solo fatto di aver sentito la sconfitta nella voce di suo padre, ma sapeva che in quel momento gli sarebbe stato molto più utile obbedendogli. Spinse leggermente Amelia in avanti appoggiandole una mano sulla schiena, e sussurrò al fratello di muoversi. Simon rimase immobile a guardare ora suo padre ora il cadavere, ma quando Amelia lo prese morbidamente per mano non esitò a lasciarsi portare via da quel posto orrendo, mentre in lontananza poteva sentire le voci di suo zio Harry e degli altri War Mage che arrivavano di corsa.

 

E né lui né gli altri si accorsero dei due occhi nerissimi nascosti dietro a uno dei cespugli coperti di neve…occhi che li seguirono mentre si allontanavano con l’attenzione di un falco a caccia.

 

 

***************

 

 

Ron si scrollò la neve dal giaccone e dalla sciarpa prima di entrare in casa, sapendo bene quanto ci tenesse Hermione a non far sporcare il pavimento…aveva deluso già troppa gente per quella giornata. Aprì la porta piano e la richiuse altrettanto piano, notando con un sospiro rassegnato che non c’era nessuno ad attenderlo. Avanzò lentamente con passi pesanti verso la cucina, e quando vide Hermione corrergli incontro fu più che felice di ritrovarsela fra le braccia e sentire il suo profumo. Il suo tocco lo calmava e lo rassicurava da sempre, e anche ora gli stava facendo quel piacevole effetto.

 

“Mi dispiace tanto per quello che è successo.” Gli mormorò contro una spalla, baciandogli un lato della mascella. “Tu stai bene? E’ stato tutto sistemato?”

 

Ron annuì stancamente. “Si, c’erano fin troppi testimoni…la mia è stata legittima difesa. Tecnicamente.”

 

Hermione sospirò e gli accarezzò il viso. “Ron…”

 

“Lascia stare.” Ron si tirò indietro. “Come stanno i ragazzi?”

 

Hermione si strinse nelle spalle. “Scombussolati.”

 

“Senti, forse è il caso di…”

 

“Papy!!!” una riccioluta e biondissima Katie gli balzò in collo, mostrandogli con tutta la sua gioia la scatola di candele galleggianti che le aveva portato a casa suo fratello. “Guarda che belle! Sono tutte colorate!”

 

Ron per un brevissimo istante si concesse l’indulgenza di dimenticare l’accaduto e  sorridere alla sua bambina. “Ti piacciono?”

 

“Si, tantissimo!” esclamò vispa la piccola, sorridendo con la boccuccia senza qualche dentino. “Posso andare a metterle nella vasca e faccio la festa delle lucine colorate?”

 

“Certo, vai…” Ron la mise giù.

 

“Non ti bagnare.” Le disse sua madre mentre la piccolina saettava di sopra come una scheggia.

 

Ron inspirò profondamente e raccolse tutto il suo coraggio…non poteva rinviare oltre perché non aveva senso, doveva affrontare i suoi figli…e i loro giudizi. Anche se questo significava aprire una ferita che si era ricucita nel tempo, ma una spiegazione a Jack e Simon era più che doverosa. Si avviò verso il salotto a passi lenti e pesanti, e l’unica cosa che gli diede la forza di non avvilirsi fu la mano di Hermione, calda e amorevole, che scivolò nella sua. Ron gliela strinse… non poteva andare così male, non con lei al suo fianco. Lei era la sua forza.

 

Il salotto di casa Weasley era stranamente silenzioso, rotto solo dallo scoppiettare del fuoco nel caminetto e dal pennarello con cui Amelia, sdraiata a pancia a terra, stava colorando senza particolare entusiasmo uno striscione con la scritta ‘Felice Anno Nuovo’. Jack la osservava in silenzio, seduto sul pavimento accanto a lei…e ogni tanto le accarezzava la schiena come se la cosa lo facesse rilassare. Lei si voltava e gli offriva un sorriso, lui gliene faceva uno in risposta, e l’aria si faceva un po’ più respirabile. Almeno per loro. Simon invece se ne stava per conto suo, sdraiato a pancia sotto su una poltrona e con lo sguardo fisso sul fuoco nel caminetto…evidentemente deciso ad ignorare tutto il resto.

 

Ron si fece forza e si schiarì la voce. “State tutti bene?”

 

Amelia subito si mise seduta, chiudendo il pennarello. “Noi si, e tu?” gli chiese apprensiva.

 

“Ti hanno creato problemi?” fece subito Jack.

 

Ron si sentì riscaldare il cuore nel sentire le loro voci accorate. “No, tutto a posto.”

 

“Non ti ha…fatto niente quello, vero?” fece ancora Jack.

 

Ron scosse la testa. “Mi dispiace. Mi dispiace che abbiate dovuto vedere…”

 

“Hai fatto il tuo lavoro. Hai fatto quello che dovevi fare.” Fece deciso Jack. “E hai salvato tutti gli altri. Non ti devi scusare perché non hai niente di cui scusarti.”

 

Se Jack fosse stato appena un po’ più piccolo e se non si fosse dato tutte quelle arie da duro che si dava, Ron era sicuro che l’avrebbe abbracciato forte come faceva quando era ancora un bambino. Tra quello che gli aveva appena detto lui e la mano affettuosa di Hermione che gli accarezzava lentamente la schiena, Ron si sentì di nuovo bene. “Grazie.” Gli disse piano.

 

Amelia fece un piccolo sorriso e accennò al suo striscione. “Io…lo sto colorando comunque questo.”

 

“E fai bene.” Disse calorosamente Hermione. “Tra due giorni c’è una festa qui. Jack, dalle una mano.”

 

“Nah, mi piace guardarla.”

 

Amelia arricciò il naso. “E ti pareva.”

 

Ron e Hermione si lasciarono andare a qualche sorriso allegro…che sparì subito quando si resero conto che Simon era rimasto completamente estraneo a tutta la loro conversazione. Hermione guardò Ron, e lui annuì leggermente e le lasciò la mano per andare dal figlio minore, chinandosi finchè non fu all’altezza del suo viso. “Ehi, campione…”

 

Simon non disse niente e non smise di guardare il fuoco.

 

“Non vuoi parlare?”

 

Il ragazzino rimase in silenzio per qualche secondo, poi parlò a voce bassa e senza voltarsi. “Era proprio necessario?” mormorò piano, e finalmente girò il viso verso quello di suo padre. “Era l’unico modo?”

 

Ron colse un leggero tono accusatorio nascosto poco e male, e sospirò brevemente. “Probabilmente si.”

 

Simon rimase a fissarlo con uno sguardo indecifrabile. “Probabilmente?”

 

“Non ho avuto il tempo di trovare alternative quando mi è saltato addosso, e non avevo la bacchetta. Non avrei potuto fermarlo…e quell’uomo non ragionava più, avrebbe fatto una strage.”

 

Simon spostò lo sguardo sulla mano che suo padre teneva sul bracciolo della poltrona. Quella era la stessa mano che l’aveva sorretto, aiutato e nutrito per tutta la sua vita…quando non la vedeva era sempre così? Era sporca di sangue?

 

Ron tese una mano per accarezzargli la testa. “Ascoltami, lo so che cosa stai provando…”

 

Simon si mise bruscamente seduto e poi si alzò, senza lasciare al padre la possibilità di continuare a parlargli, ma soprattutto evitando la sua carezza. Hermione lo guardò uscire in silenzio e salire le scalette fino in camera sua, poi spostò lo sguardo su Ron e lo vide sedersi pesantemente sulla poltrona ormai vuota e massaggiarsi le tempie con gli occhi chiusi. Non sapeva cosa fare…voleva aiutare entrambi, ma sapeva che non era in suo potere farlo. Quel tipo di ferite non si curavano così facilmente, toccava al tempo fare la sua parte. Lei poteva solo sperare che questo accadesse il più in fretta possibile…

 

 

***************

 

 

“Buongiorno e buona vigilia della vigilia di Capodanno!”

 

Hermione alzò lo sguardo dallo zainetto che stava riempiendo di panini, e sorrise. Sulla soglia della porta della cucina c’era un sorridente Jack…con Amelia aggrappata alle sue spalle, proprio come faceva la maggior parte del tempo che passavano a casa.

 

“Buongiorno a voi due.” Disse allegra Hermione, porgendo a Jack una ciambella e infilandone un’altra in bocca ad Amelia. “Dormito bene?”

 

Jack annuì. “Ke shtai fachendo anchora kua?”

 

“Quante volte ti avrò detto, Jack Weasley, che non si parla con la bocca piena?”

 

“Non ci fai niente, è un uomo delle caverne.” Fece divertita Amelia.

 

Jack ingoiò e la indicò col pollice. “E lei fa la donna preistorica, vedi? Le avventure di Popò il Koala nella terra dei Mammuth.”

 

Hermione non si trattenne e scoppiò a ridere forte. “Popò il Koala?”

 

Perfino ad Amelia venne da sorridere vedendo madre e figlio che se la ridevano. “Sono io… il genio, qui, dice che io sono come i koala perché mi piace camminare così.”

 

Hermione scosse la testa, ancora sorridendo. “E Popò sta per…?”

 

“E’ un nome da gommino.” Jack si trattenne, ma avrebbe volentieri riso ancora. “Come lei, che è tutta gommosa.”

 

Amelia si finse pensierosa, muovendo le mani che teneva morbidamente rilassate attorno al collo del suo migliore amico. “Devo ancora decidere se è offensiva o mortificante questa cosa del gommino.”

 

“Né l’uno né l’altro.” Replicò Jack, con la sua immancabile faccia da schiaffi. “E’ divertente.”

 

“Per te.”

 

“Si si, per me.”

 

“Te l’ha mai detto nessuno che potresti vincere un premio per l’altruismo, Jacky?”

 

“Ehi, non sono io quello che si scappotta sempre le scale! Consideralo un pedaggio per la passeggiata, milady.”

 

“Jack, lasciala in pace.” Disse morbidamente Hermione, mentre riempiva tre tazze di latte.

 

Amelia balzò giù dalle spalle di Jack e si andò a sedere al suo posto al tavolo. “Lascialo parlare, un rinoceronte con le zampe di cemento armato è più delicato di lui.”

 

Jack ridacchiò. “Ha parlato la principessa del mondo delle favole…” Amelia lo fece ridere quando gli fece una buffissima linguaccia.

 

“Siete pronti per l’ultima fiera di paese dell’anno?” fece allegramente Hermione, mentre chiudeva lo zaino.

 

“Altrochè!”

 

“Ehi, ma papà e Katie?”

 

“Si sono avviati, Katie voleva vedere quando montano le bancarelle di prima mattina.” Hermione si sporse oltre per guardare verso le scalette. “Ma Simon ancora non è sceso?”

 

Amelia si voltò per vedere, ma poi scosse la testa. “Niente.”

 

Hermione sospirò. “E’ ancora sconvolto per ieri.” Mormorò piano, prendendo in mano la tazza di latte che aveva riservato a suo figlio minore. “Sarà meglio parlarci un po’…”

 

“Alt, ferma.” Jack le prese la tazza di mano. “Posso farlo io? Non penso che tu sia la sua persona preferita al momento…fai lo stesso mestiere di papà, no? Ci penso io.”

 

“…ok…” Hermione osservò stupita Jack che usciva dalla cucina per risalire di sopra. “Esattamente come Ron, ogni tanto si fa venire gli scatti di maturità…”

 

Amelia mise giù il suo latte e le strizzò un occhiolino. “Sarà anche un rinoceronte, ma sa essere un grande amico se vuole. Io mi fido di lui.”

 

Hermione sospirò. “Speriamo che si fidi anche Simon.”

 

 

***************

 

 

Jack non ebbe difficoltà a trovare suo fratello: dopo la nottata passata nella camera  con la sorella per cedere il letto ad Amelia, Simon aveva ripreso possesso della sua stanza e se ne stava stravaccato sul suo letto, mentre il suo cagnolone gli leccava la mano affettuosamente. Vedendo entrare Jack, il bel labrador gli venne incontro scodinzolando e abbaiò gioiosamente nel ricevere una grattatina dietro le orecchie.

 

“E allora, piccoletto, ti sei dimenticato che oggi c’è la fiera?” gli disse vispo, sedendosi pesantemente sul letto accanto al fratello.

 

Simon continuò a giocherellare assentemente con un elastico fra le dita. “Non mi va di venire.”

 

Jack gli porse la tazza di latte. “Dai, non fare il palloso. E fai colazione.”

 

Per tutta risposta Simon prese il suo latte e lo appoggiò sul comodino. “Ho detto che non mi va.”

 

Jack incrociò le braccia sul petto. “Per quanto ancora hai intenzione di fare la lagna?”

 

Simon lo incenerì con lo sguardo. “Solo perché tu non hai abbastanza cervello per capire quello che è successo, non significa che tutti dobbiamo…”

 

“E’ successo che un pazzo assassino ha attaccato un gruppo di persone innocenti e ha rischiato di radere al suolo mezza Hogsmeade, e papà l’ha fermato in tempo.” Il tono di Jack era duro e la sua voce era più alta. “E’ successo che papà ha fatto il suo dovere, e ha salvato un sacco di persone.”

 

Simon schizzò a sedere. “Perché ha ucciso quell’uomo?”

 

“Perché non aveva scelta!”

 

“No, non è vero, è impossibile! Bastava ferirlo, tramortirlo…”

 

“Prova tu a farti tutti questi calcoli se uno ti viene addosso per sbranarti! Ti vorrei proprio vedere a te, sai quante volte te ne fregherebbe e agiresti per legittima difesa!”

 

“Legittima per chi, per te?!”

 

“No, per tutti quelli che lavorano per assicurarci protezione da questo genere di cose…fra cui i nostri genitori!”

 

Simon strinse i pugni. “Che possono uccidere quanto vogliono, che tanto non dirà mai niente nessuno…vero?”

 

Jack esitò. “Senti…io so solo che papà non ucciderebbe mai nessuno se non fosse costretto. Dovresti capirlo da solo…andiamo, Simon, ti pare possibile che ammazzare la gente sia il divertimento segreto di papà? Non gli piace affatto, e ti dico di più…il tuo atteggiamento lo sta facendo soffrire.”

 

Simon tornò a sdraiarsi, tenendo gli occhi bassi. “Lui non se ne frega niente…altrimenti sarebbe stato molto meno impietoso.”

 

Jack scosse la testa. “Sei fuori strada, Simon…per favore, pensaci…non guardare le cose solo secondo il tuo modo, papà ha le sue motivazioni e prima le capisci, meglio starai. Gli vuoi dare almeno la possibilità di spiegarsi?”

 

Simon sbuffò. “Se ti dico di no te ne vai?”

 

Jack fece un irritante sorrisetto. “Assolutamente no.” Simon fece una smorfia, e Jack lo tirò per il maglione fino a farlo sedere. “Andiamo…beviti questo latte, poi andiamo alla fiera e tu parlerai con papà. Ok, piccoletto?”

 

“Non ti sopporto.”

 

Jack gli strapazzò i capelli, schivando a malapena un malrovescio. “Avanti, gnomo, datti una mossa invece di fare il rompipalle.”

 

Simon sbuffò ancora nella sua tazza di latte. L’ultima cosa che voleva fare era parlare a quattrocchi con suo padre… non quando non riusciva a pensare ad altro che alle sue mani sporche del sangue di quell’uomo morto con quello sguardo di orrore stampato in faccia.

 

 

***************

 

 

Forse era anche un bene che la fiera fosse così affollata e rumorosa, perché questo garantiva a Simon che non sarebbe riuscito a parlare con suo padre… ma essendo così tanto di malumore, tutto ciò che aveva sempre amato di quel genere di evento sembrava sparire a confronto con il fastidio che provava a essere continuamente spinto dalla folla, o a sentire i vocioni dei venditori che urlavano di avvicinarsi alle loro bancarelle.

 

Una volta la fiera di fine anno gli piaceva…con i guitti, le bancarelle colorate, la neve, le caldarroste calde che gli comprava puntualmente sua madre, il panino mangiato sulle panchette di legno… perché prendersi in giro, la fiera l’aveva sempre adorata. Ma quella mattina Simon si sentiva solo fisicamente male, costretto a spingere fra la gente solo per camminare e seguire il resto della sua famiglia. Gli venne spontanea una smorfia di rabbia mentre li osservava: sua madre salutava gli amici con aria serena, suo padre indicava a Katie, seduta sulle sue spalle, tutte le cose più belle e colorate delle varie bancarelle, Jack e Amelia avevano l’aria di chi si stava divertendo alla follia…possibile che nessuno fosse almeno un po’ turbato per quello che era successo il giorno prima? Era morto un uomo, e per mano di suo padre! Una stupida fiera bastava a cancellarne il ricordo così facilmente? Possibile che fossero tutti così superficiali? Anche…anche sua madre?

 

Simon si allentò la sciarpa dal collo…non riusciva a respirare. Rallentò e lasciò che gli altri andassero avanti senza di lui, quindi si fece spazio fra la folla e riuscì a raggiungere un vicoletto sul retro del viale, una minuscola stradina tutta piena di neve e completamente deserta. Lì il ragazzino si appoggiò di schiena al muro, chiuse forte gli occhi e abbassò la testa. Non ci riusciva, non ci riusciva proprio… non poteva togliersi dalla mente quello sguardo di orrore…

 

“Sei un giovane lupo solitario…o un’anima perduta?”

 

Simon sussultò e si girò: c’era qualcuno nel vicoletto…se non l’avesse sentito parlare potrebbe aver giurato di aver di fronte un Dissennatore, ma quello era un uomo…non particolarmente alto, e col viso coperto in parte dal pesante mantellaccio nero che gli avvolgeva tutto il corpo. “Chi è?”

 

L’uomo fece un sorriso sinistro. “Io sono un’anima perduta…quindi tu devi essere il lupo solitario.”

 

Simon fece un passo indietro. “Che cosa vuole?...”

 

“Niente. Tu invece cosa vuoi?” l’uomo zoppicò in avanti, trascinandosi la neve col mantello. “Sai…questa è casa mia, perciò dovresti dirmi tu cosa vuoi.”

 

Simon si accigliò e si guardò in giro. “Casa sua?...ma qui non c’è…niente, nemmeno un tetto…”

 

“Eh, lo so bene, figliolo.” L’uomo scrollò miseramente le spalle e si appoggiò a un vecchio cartone mezzo fradicio per via della neve. “Ma questo è tutto quello che mi resta.”

 

Simon s’incuriosì. Questa era la tipica situazione in cui avrebbe dovuto allontanarsi subito e cercare i suoi genitori…ma era sempre stato più curioso che prudente. “Ehm…posso chiederle…come mai si trova qui?”

 

“Vuoi sapere la verità?” l’uomo si sfilò dal mantello una bottiglia di vodka e ci si attaccò per un attimo, pulendosi sguaiatamente la bocca con una manica. “Ho incontrato la persona sbagliata al momento sbagliato. Le cose per me non sono sempre andate così…ero una persona per bene, sai. Lavoravo alla Gringott. Guadagnavo pure bene.”

 

“E poi?”

 

“E poi…ho avuto un gravissimo problema familiare…mia moglie, sai, lei era…molto malata.” L’uomo tracannò un altro sorso di vodka. “Per curarla ho finito tutti i soldi che avevo, ma lei non era ancora guarita, e così…ho fatto una cosa che non si doveva fare, ma l’ho fatto per lei. Ho rapinato la banca.”

 

Simon sbattè gli occhi. “Lei è un ladro?”

 

“Non esattamente…non se consideri che la mia prima rapina è stata anche l’ultima. E poi io non volevo quei soldi per me…li volevo per la mia adorata moglie. Il tuo papà non farebbe tutto per la tua mamma, figliolo?”

 

Simon annuì lentamente. Quell’uomo aveva ragione, suo padre avrebbe anche ucciso a sangue freddo per sua madre. Beh, in realtà aveva scoperto che lo faceva anche senza un motivo simile, ma comunque il senso era quello.

 

“E durante la mia…povera rapina,” continuò l’uomo. “Ho incontrato l’uomo che mi ha distrutto la vita. Era un War Mage, un…paladino del bene, a sentire la gente…”

 

“Un…War Mage?” fece il ragazzino, con la voce che gli tremava.

 

L’uomo annuì. “Si. Mi ha fermato e mi ha spedito ad Azkaban per cinque anni, stavo per impazzirci in quell’inferno…nel frattempo mia moglie è morta, mi hanno tolto tutto quello che avevo, bacchetta inclusa…e del nostro scontro mi è rimasto anche un ricordino.”

 

Simon trattenne rumorosamente il respiro e spalancò gli occhi quando l’uomo si scoprì la testa dal mantello: aveva tutto il viso ustionato e cicatrizzato in modo scomposto, piaghe e vesciche gli incorniciavano occhi e bocca, e i capelli gli crescevano solo da un lato della testa.

 

“Ti faccio paura, figliolo?” mormorò quello, con un orribile piccolo sorriso. “Lo so…ne faccio anche a me stesso. Ma credimi, io non ero così prima…”

 

“Chi…chi le ha fatto questo?”

 

“Probabilmente non lo conoscerai, anche se è piuttosto famoso nell’ambiente…si chiama Weasley. Quella carogna di Ron Weasley.”

 

Simon ingoiò il vuoto e arretrò di un passo, ma scivolò sulla neve e cadde a terra con un tonfo sordo. Per favore, fa’ che non sia vero…

 

“Ti senti bene, ragazzo?” l’uomo gli si avvicinò.

 

Simon lottò per trovare la voce, e potè usarne ben poca. “Ma…lei stava derubando una banca, poteva… poteva far male a qualcuno, è per questo che ha dovuto attaccare…”

 

“Potevo fare male solo a me stesso, per quanto mi tremavano le mani.” Fece mestamente l’uomo, scuotendo la testa. “No, lui lo aveva capito che non avrei potuto fare granchè…solo che non ha avuto pietà neanche quando l’ho supplicato.”

 

Simon socchiuse le labbra, nel misero tentativo di dare un po’ d’aria ai suoi polmoni. “…non è possibile…papà non può aver fatto questo…”

 

“Papà? Un momento, figliolo, non dirmi che Weasley…lui è tuo padre?” il ragazzino annuì, e l’uomo finse una smorfia di stupore e mortificazione. “Santo cielo, mi dispiace…non sapevo, ragazzo, scusa.”

 

Simon si rimise in piedi. “Lei sta mentendo, papà non può aver fatto una cosa così orrenda!” urlò. “Lui è una brava persona, e poi sta dalla parte dei buoni e salva la gente…”

 

“Io non ho interesse a dirti una bugia.” Fece calmo l’uomo. “Mi hai chiesto una cosa e io ti ho risposto, adesso sta a te decidere se credermi o no…in fondo, conosci tuo padre meglio di me. Sai di cos’è capace, no?”

 

Simon arretrò lentamente, scuotendo la testa come se stesse cercando di impedire a se stesso di dubitare, e senza rimanere oltre in quel posto orribile girò sui tacchi e corse di nuovo fuori nella folla, incurante dello sguardo dell’uomo dal viso sfigurato…e del suo sorrisetto perfido e soddisfatto. Simon corse e ingoiò le lacrime alla men peggio, e continuò a correre nella neve finchè non andò a sbattere contro qualcuno…

 

“Ehi, piccoletto! Ma che fine avevi fatto? Ti stavamo cercando da tutte le parti!”

 

Simon fece fatica a guardare in faccia suo fratello senza farsi vedere con gli occhi gonfi di un pianto inesploso. Vide le facce di Jack e Amelia farsi da meravigliate a preoccupate, e ingoiando il vuoto tornò a guardare a terra. “Io non mi sento bene.” Mormorò, con la voce che gli tremava. “Vado a casa.”

 

Amelia guardò Jack. “Vado a chiamare i tuoi genitori.” Mormorò, prima di tornare di nuovo nella fiera affollata.

 

Simon si voltò e si avviò lungo la strada coperta di neve, barcollando e inciampando nei suoi stessi piedi. Incredibilmente un minimo di conforto gli venne dal braccio che suo fratello gli passò attorno alle spalle e dalla sua voce stranamente confortante che gli mormorava che era tutto a posto, ma c’era quell’orribile ossessione che gli martellava il cervello…che lo lasciava boccheggiante e sconvolto…

 

…il mio papà…papà è solo un assassino…ditemi che non è vero…

 

 

***************

 

 

Hermione si chiuse piano la porta alle spalle, e ci si appoggiò di schiena in silenzio. Lasciò che fosse Ron a entrare nella stanza in penombra e a sedersi sul letto dove Simon stava sdraiato a pancia in giù, col viso affondato in un cuscino. Le faceva male vederlo così, avrebbe tanto voluto stringerselo al petto e coccolarlo fino a fargli tornare il sorriso sulle labbra, ma Ron era stato irremovibile. Niente coccole, Simon doveva superare questa cosa da persona forte e in gamba. Doveva rimettersi in piedi con le sue sole forze, anche se loro erano lì pronti a stargli vicino…si doveva rialzare lui.

 

Simon non si mosse quando sentì la mano grande e callosa di suo padre accarezzargli affettuosamente la testa, ma un singhiozzo soffocato lo costrinse a nascondere il viso ancora di più nel cuscino. “La conosco questa sensazione di smarrimento, sai?” gli disse piano Ron. “Forse non mi credi, ma l’ho provata anch’io…molto tempo fa. Quando sono cresciuto…quando ho visto com’è fatto il mondo. La vita non è fatta solo di quelle belle cose che vedi in famiglia, campione, purtroppo c’è ben altro…e l’episodio di ieri è un esempio. Non ti devi vergognare, è normale sentirti sconvolto. Sei ancora piccolo per capire certe cose, fanno più male da accettare alla tua età.”

 

Facendosi forza, Simon si sollevò sui gomiti e si voltò quel tanto da poter guardare in faccia suo padre, senza nascondere gli occhi gonfi e rossi che aveva per le ore passate a piangere di nascosto nella sua stanza. “Perché mi dici tante bugie?” mormorò.

 

“Non ti sto dicendo bugie.” Replicò calmo Ron.

 

“Si, invece.” Simon singultò e si asciugò il naso con una manica del maglione. “Adesso con me sei buono e paziente…e poi fuori sei qualcuno che non conosco…ma chi sei veramente tu, papà?”

 

Ron scosse la testa. “Non mi piace uccidere la gente, Simon, non vorrei mai doverlo fare e detesto quando sono costretto a prendere altre vite…ma ci sono circostanze in cui purtroppo è inevitabile, giusto perfino.”

 

Simon fece una faccia disgustata. “Giusto? ...ma chi ti credi di essere per decidere se è giusto o meno uccidere un altro essere umano?! E se qualcuno una mattina si svegliasse e decidesse che è giusto uccidere te?!”

 

“Hai ragione, per quanto necessario possa essere non è mai giusto uccidere un uomo, ma certe volte sei costretto perché devi fermarlo prima che lui faccia qualcosa di terribile…prima che faccia del male ad altri innocenti, o addirittura a quelli che ami.”

 

“Ma non puoi fare qualcosa…che ne so io, ferirlo…bloccarlo…mandarlo in prigione!”

 

“Quando questo è possibile lo faccio, si.” Ron sospirò stancamente. “Ma non credere che Azkaban sia tanto meglio della morte.”

 

Simon si sentì incredibilmente triste, quasi come se in quella stanza ci fosse anche un Dissennatore. “Allora…allora non c’è proprio modo di salvare quelli che hanno agito solo per disperazione, vero? Finiscono male come i criminali veri?”

 

Ron provò un’incredibile sensazione di malessere e di inadeguatezza, ed esitò prima di rispondere. Simon aveva ereditato l’intelligenza ma anche la sensibilità e il senso di giustizia di Hermione, poteva anche essere ancora piccolo ma la sua domanda era più che sensata. “Il più delle volte purtroppo si. Ma non sempre… per fortuna molte volte riusciamo a recuperare qualcuno, lo aiutiamo a rimettersi in sesto… ed è una bella soddisfazione, sai. Ma ci dobbiamo assicurare che non faccia più del male a nessuno.”

 

Simon esitò, quindi cercò lo sguardo di suo padre. Aveva un bisogno disperato di sapere… “Ho…letto una cosa.” Mormorò, tirando su col naso. “Qualche anno fa c’è stata una rapina alla Gringott che hai sventato tu…”

 

Ron si accigliò, ma annuì solamente. “Si.”

 

“C’era scritto…che il rapinatore era un povero disperato, e che aveva bisogno di soldi per la sua famiglia…e che tu l’hai mandato ad Azkaban, e gli hai bruciato la faccia.” Simon trovò il coraggio di guardare suo padre dritto negli occhi. “E’ vero questo?”

 

Hermione si allontanò dalla porta e avanzò verso il letto. “Mi ricordo di quello che stai raccontando.” Disse dolcemente, chinandosi finchè non fu all’altezza del suo bambino e sfiorandogli i capelli spettinati. “C’ero anch’io…e le cose non stavano esattamente così. Non so dove tu abbia letto di questa storia, ma non è questa la verità.”

 

Simon tirò su col naso e la guardò con uno sguardo stanco, ma desideroso di sperare ancora. “Qual è la verità?”

 

“La verità è che l’uomo che voleva rapinare la Gringott era un assassino, perché per prendere quel denaro non esitò a fare una strage fra i dipendenti della banca.” Hermione sospirò e gli accarezzò un braccio. “Papà e io arrivammo tardi, ma riuscimmo comunque a braccarlo…lui sembrò voler collaborare, ma poi appiccò un fuoco che divampò in un incendio, e quell’uomo piuttosto che lasciarsi prendere si gettò nelle fiamme. Nessuno lo aveva minacciato o colpito, non ce n’era stato il tempo. E più che essere disperato, quello era disperatamente deciso a scappare con un bottino principesco…non aveva nessuna famiglia da cui tornare, nessuno è mai andato da lui mentre era in carcere.”

 

Simon esitò, quindi tornò a guardare suo padre. Ron lo stava osservando in silenzio, in attesa di interpretare il suo sguardo ancora incerto.

 

Ci devo credere? …mi sono sbagliato sul conto di papà? …

 

“Dormici su.” Ron si alzò dal letto e gli accarezzò la testa. “Prenditi un po’ di tempo per pensare…e decidere se ti vuoi fidare di me. Va bene?”

 

Simon annuì lentamente, lasciò che sua madre gli baciasse la fronte amorevolmente e aspettò di essere tornato da solo nella stanza prima di appoggiarsi di nuovo con la testa sul cuscino. Papà è stato onesto… non mi ha raccontato cretinate, ha ammesso che qualche volta le uccide le persone… e se mi ha detto la verità prima, perché avrebbe dovuto dirmi una palla con la storia del ladro? E’ stato sincero prima…

 

E tu gli credi?, mormorò una fastidiosissima vocetta dal più remoto angolo del suo cervello.

 

Quella notte Simon non chiuse occhio per rispondere a quella domanda.

 

 

***************

 

 

Una sferzata di vento gelido gli punse la faccia, ma Simon non si fermò mentre correva per raggiungere quell’orribile vicoletto che gli aveva portato tanti guai. Quella mattina i suoi genitori avevano accompagnato Katie al parco giochi con un paio di amichette, e Jack e Amelia erano troppo presi dalla loro sfida all’ultima palla di neve per accorgersi di lui che usciva di soppiatto dalla finestra. Normalmente il suo senso razionale non avrebbe approvato una trovata simile, ma sentiva che questo lo doveva proprio fare. Al diavolo la razionalità e l’autocontrollo, questo lo doveva a suo padre…e a se stesso.

 

Il vicoletto era apparentemente vuoto, e nell’aria si sentiva solo il respiro affannoso di Simon, che appoggiò le mani sulle ginocchia e spostò lo sguardo un po’ dovunque mentre riprendeva fiato.

 

“Stai cercando me?”

 

Simon sobbalzò e si voltò di scatto. Strinse i pugni forte nel vedere il viso mostruoso dell’omuncolo col mantello addosso. “Già, proprio te!”

 

L’uomo inarcò un sopracciglio. “Dimmi pure, mio focoso amico.”

 

“Sei un bugiardo!” ruggì Simon, avanzando col mento bene in alto. “Mi hai riempito di palle…mio padre non è un mostro, e tu non sei un poveraccio ma un ladro e un assassino!”

 

“Ma tu mi hai creduto quando ti ho detto quelle cose.” L’uomo fece un orrendo sorriso sadico. “Non eri così sicuro di te fino a ieri…lo sa il tuo caro paparino che non hai tutta questa fiducia in lui?”

 

Simon strinse i pugni ancora di più. “Ieri ti è andata bene, ma se sono qui oggi è per dirti che sei solo uno sporco stronzone bugiardo e fallito!”

 

L’uomo gettò indietro la testa e rise forte, facendo risuonare quel suono spettrale nel vicoletto deserto. “Mio povero piccolo coraggioso idiota…impavido come tuo padre, che pur di prendermi si gettò nel fuoco a rischio e pericolo della sua incolumità…non te la sei perdonata questa mancanza di fiducia verso il tuo caro paparino, vero? Che bravo ragazzo, i tuoi genitori ti hanno tirato su proprio bene, complimenti.”

 

“Brutto stronzo.” Ringhiò Simon, ormai deciso ad andarsene e lasciarsi alle spalle quella brutta storia…quello che lo fermò fu l’affilata lama di un coltellaccio appuntito che si ritrovò premuto contro la gola.

 

L’uomo fece un sorrisetto e gli fece cenno di no con un dito. “Credevi che ti avessi intrattenuto qui per il piacere della tua presenza, piccolo Weasley? Il tuo caro papà e io abbiamo un discorsetto in sospeso da sistemare…e adesso tu farai il bravo e mi porterai a casa tua.”

 

Simon lo guardò con aria di sfida. “Vaffanculo.”

 

“Come preferisci, sono certo che a tua madre farà bene ritrovarsi le budella del suo adorato figlioletto in un pacco postale, che dici?”

 

Più che per una paura fisica sua, Simon si mosse pensando a sua mamma…una cosa del genere l’avrebbe uccisa.

 

“Bravo ragazzo.” Mormorò quello, voltandolo davanti a lui e piazzandogli il pugnale direttamente contro la schiena, dove nessuno poteva vederlo. “Adesso cammina non troppo piano e non troppo veloce. E guai a te se attiri l’attenzione di qualcuno, te ne farò pentire amaramente.”

 

Tutto il tragitto fino a casa fu quanto di più terribile potesse vivere Simon. Non faceva altro che scervellarsi nel tentativo di capire qual’era la cosa migliore da fare, come tentare di fermare quell’uomo…ma più si rendeva conto del grado di follia del suo sequestratore e più il cervello gli diceva di restare fermo e obbedirgli…in quel modo almeno poteva sperare nei suoi genitori…in suo padre, in un suo intervento…

 

L’uomo fece un sorriso mefitico quando furono abbastanza vicini alla casa da poter vedere e sentire Jack e Amelia, che ridevano come matti mentre si prendevano a palle di neve nel giardino coperto di bianco. Con uno strattone spinse in avanti Simon, costringendolo a camminare finchè non fu davanti al cancello.

 

Jack schivò una palla di neve e si preparò a rispondere al fuoco con un colpo netto, ma fermò la mano in aria quando vide suo fratello insieme a un uomo quasi completamente coperto da un mantello nero. “Ehi, ma tu non eri di sopra?”

 

Amelia si voltò e gli sorrise. “Chi c’è sotto il mantello, Matt?”

 

“Non esattamente.” L’uomo fece una smorfia di folle soddisfazione e si tirò giù il cappuccio con uno scatto. Amelia si lasciò sfuggire uno strillo e si coprì la bocca con le mani, e Jack assunse un’aria inorridita. “Scusate tanto per l’interruzione, ragazzi.” Fece compiaciuto l’uomo.

 

Jack s’impose di autocontrollarsi. “Simon, posso capire cosa diavolo sta succedendo?”

 

Simon aprì la bocca per rispondere, mentre un’espressione di mortificazione gli ricopriva il viso, ma a replicare fu il suo sequestratore, che gli passò il coltello sotto la gola in modo che potesse essere visto alla luce del sole. “Questo soddisfa la tua curiosità, giovanotto?”

 

“…oddio…” mormorò tra i denti Amelia.

 

“Senti amico…vedi di calmarti, eh?” Jack provò a fare un passo avanti.

 

“Fai silenzio, ragazzino, e chiamami immediatamente tuo padre.”

 

Jack scosse la testa. “Non c’è.”

 

L’uomo col viso martoriato spinse con più forza il coltello contro la gola di Simon, che chiuse forte gli occhi. “Portami qui Ron Weasley o gli taglio la testa.”

 

“Siamo soli in casa, può controllare se non ci crede!” fece subito Amelia. “Guardi!”

 

Jack strinse i pugni. “Lascia andare mio fratello, lui non c’entra niente in questa storia.”

 

Sul viso dell’uomo comparve un losco sorrisetto felice. “C’entra molto più di quanto tu non pensi, chi credi che mi abbia portato qui?”

 

“Mi ha imbrogliato, mi dispiace!” fece subito Simon, con la voce che gli tremava. “Non volevo…!”

 

“Basta così.” L’uomo lo strattonò e lo afferrò per un braccio, tornando a tenergli il coltello puntato nella schiena.  “Mi sono stancato di queste lagne… è arrivata l’ora di riaprire i giochi, e stavolta lo faremo a modo mio… tu!” fece, indicando Jack. “Vieni qui… cammina davanti con le mani bene alzate, e non provare a fare neanche uno starnuto o finirai figlio unico prima della fine della giornata.”

 

Jack e Amelia si scambiarono uno sguardo teso, ma non c’era altro da fare. Jack si avvicinò lentamente all’uomo e alzò le mani, senza guardare suo fratello in faccia. Simon ingoiò a fatica il vuoto… aveva ragione ad avercela con lui, dopo tutti i guai che aveva combinato…

 

“Quanto a te, signorinella.” L’uomo guardò Amelia, che gli restituì uno sguardo carico di odio. “Renditi utile…va’ a cercare Ron Weasley, e digli che se si vuole riprendere i suoi figli può venire a salutare un vecchio amico al boschetto di pini sulla strada per Hogsmeade. Entro il tramonto, naturalmente…non farò da babysitter ai suoi mocciosi per un istante di più.”

 

Amelia fece un passo avanti, desiderosa di fermarlo, ma Jack scosse la testa e le fece cenno di stare indietro. Era troppo pericoloso.

 

“Bene.” L’uomo strattonò Simon, facendo muovere anche Jack. “E adesso andiamo…ci aspetta una bella passeggiatina all’aria aperta.”

 

Amelia rimase a guardare col cuore in gola i suoi due più cari amici che si allontanavano con quel pazzo, poi girò sui tacchi e corse a più non posso verso il parco giochi. Ci impiegò a stento un paio di minuti per arrivarci, forse il miglior tempo della sua vita.

 

 

***************

 

 

Ron strinse la mano sulla bacchetta, mentre avanzava lentamente nella radura alberata e completamente coperta di neve. Si muoveva piano, pronto a trovare il minimo movimento fra i rami degli alberi o fra i cespugli imbiancati, cercando allo stesso tempo di mantenere la calma e respingere quel ronzio sordo che gli martellava il cervello…non riusciva a pensare con calma e lucidità quando sapeva che i suoi figli stavano rischiando la vita…di nuovo. Voleva vederli per assicurarsi che stessero bene, poi al resto ci avrebbe pensato lui…ma sentiva il bisogno di vederli, perché quel senso di angoscia e attesa lo stava uccidendo. Ma l’unico rumore che fino a quel momento si era sentito distintamente era il fruscio del vento fra le foglie, e nulla più.

 

Forse qualche santo in cielo l’aveva ascoltato, perché qualche metro più avanti intravide una sagoma in ginocchio a terra…Jack aveva i polsi legati all’albero vicino al quale stava inginocchiato, e un bavaglio piuttosto consistente gli tappava la bocca. Ron lasciò che un po’ dell’aria che stava trattenendo uscisse fuori dai suoi polmoni sovraccarichi…ma non corse subito da suo figlio. Innanzitutto perché quella aveva tutta l’aria di essere la tipica trappola contorta, e poi…mancava Simon.

 

Jack si sentì chiamare da una voce familiare, e un’ondata di speranza lo invase mentre alzava gli occhi da terra per vedere suo padre che si avvicinava, lentamente, con la bacchetta in mano ed estremamente guardingo mentre si voltava a destra e a sinistra.

 

“Stai bene, figliolo?”

 

Jack annuì, poi gli fece freneticamente segno di andarsene, di scappare perché quella era una trappola…ma Ron non si mosse, rimase fermo e osservò attentamente la situazione. Jack urlò qualcosa di incomprensibile contro il bavaglio, nel disperato tentativo di avvertire suo padre…e d’istinto serrò forte gli occhi quando vide un pugnale scagliato a tutta forza contro di lui. Fu il sollievo più grande che avesse provato in vita sua quando aprì gli occhi e vide la lama incastrata in un albero a pochi centimetri da suo padre.

 

“Chi diavolo sei, e cosa vuoi da me?!” urlò Ron. “Vieni fuori!!”

 

Si sentì un fruscìo di foglie e il rumore ovattato della neve calpestata, quindi l’uomo col viso deformato dalle ustioni venne allo scoperto, tenendo saldamente per un braccio Simon mentre gli puntava alla gola il pugnale.

 

“Stai bene, Simon?” fece subito apprensivo Ron, dominando la sua voglia folle di disarmare quell’uomo e finirlo a morsi.

 

Simon aveva una faccia mortificata e disperata, e guardò suo padre con gli occhi colmi di angoscia. “Papà, mi dispiace, mi dispiace tanto…”

 

“Non ti preoccupare, va tutto bene…” Ron era così preso da suo figlio che neanche guardò in faccia il misterioso sequestratore. “Sistemo tutto io, non aver paura…”

 

“…è tutta colpa mia…” mormorò Simon con una vocina piccola e sconfortata.

 

“Stai tranquillo, va tutto bene…”

 

“Andrà ancora meglio se butterai quella bacchetta, Weasley.”

 

Ron finalmente puntò lo sguardo sul suo nemico…gli ci volle poco per riconoscere i lineamenti distorti del mostruoso ladro davanti a lui. “Lerman, figlio di puttana…” sibilò a denti stretti.

 

L’uomo fece un largo sorriso disgustoso e annuì. “Vedo che ti ricordi di me, Weasley…che bravo. Certe cose non si scordano, eh?”

 

“Che diavolo vuoi?” ruggì Ron. “Lascia andare i miei figli, subito!

 

“Eh no, amico mio…stavolta le detto io le regole del gioco.” L’uomo sfiorò la tempia di Simon con la lama del pugnale. “Intanto butta la bacchetta…e metti le mani sopra la testa.”

 

Ron non esitò, non se lo poteva permettere…gli obbedì, ma senza staccargli gli occhi di dosso.

 

“Ma come sei malleabile…” l’uomo rise sguaiatamente. “Ti posso manovrare come un burattino di legno, tu non sai che divertimento…è stato il mio obbiettivo per tutti questi anni, e ora finalmente… sei mio, sporca carogna…”

 

“Vediamocela io e te, da soli.” Fece subito Ron. “Lascia andare i ragazzi, loro non c’entrano con quello che ti è successo.”

 

“Stai scherzando?” l’uomo diede una pacchetta sulla spalla di Simon. “Senza la collaborazione di tuo figlio non sarei mai arrivato a te…pensa, credeva di comportarsi in nome della giustizia e della morale...”

 

“No, non è vero!!” urlò Simon. “Tu mi hai ingannato, mi hai detto delle stronzate…”

 

“E tu hai creduto a me e non a tuo padre.” Replicò orgoglioso l’uomo. “Ecco perché sei tornato da me stamattina.”

 

“Non è vero, non è così!!” Simon guardò implorante suo padre. “Non è così, io non volevo…”

 

Ron fece un passo avanti, tenendo i pugni così stretti che gli tremavano. “Tormenta ancora mio figlio, Lerman, e ti giuro sulla mia testa che ti seppellisco vivo!”

 

L’uomo gettò indietro la testa e rise forte. “Sei così patetico, Weasley…non ti puoi permettere il lusso di minacciare, puoi solo supplicare….” Jack si sforzò di rimanere immobile quando si vide la lama del pugnale puntata contro la fronte. “Per esempio, perché non cominci a implorarmi di non aprire la testa a tuo figlio?”

 

Ron si contenne a fatica. “Non lo toccare!!”

 

“Supplicami, avanti!! Che c’è, Weasley? Troppo orgoglioso per farlo?”

 

Ron serrò un attimo gli occhi, cercando di trovare in sé la concentrazione e la calma per agire. La tigre dentro di lui ruggiva e si dimenava per fare qualcosa, per salvare i ragazzi…ma se per salvarli era necessario un sacrificio del suo orgoglio, allora non avrebbe esitato. “…ti supplico, non fargli del male!”

 

“Mi piace sentirti nella veste del paparino spaventato, sembri quasi un essere umano!” esclamò orgoglioso l’uomo, allontanando il pugnale da Jack e tornando a puntarlo contro Simon. “Non sei come quattro anni fa alla Gringott, super uomo…”

 

“Mentre tu sei rimasto lo stesso bastardo mainpolatore di allora!”

 

“Noo, amico mio…sono diventato molto peggio. Ne ho avuto di tempo per pensare a te…e a come mi sarei vendicato.” L’uomo fece un sorrisetto e spinse Simon di un passo più avanti. “Vediamo un po’…qui abbiamo il figlioletto irresponsabile e pieno di senso della giustizia…è ancora piccolo, scommetto che non gli hai raccontato neanche la metà delle tue gloriose gesta…eroiche…mentre qui…” così dicendo diede un piccolo calcio a Jack, che lo guardò con gli occhi di fuoco. “…c’è il giovanotto che assomiglia a te…quello irruento che non abbassa mai la testa…che accoppiata, Weasley, dei figli su misura per te…e dimmi, amico mio, quale dei due preferisci?”

 

A Ron si seccò all’istante la gola. “Cosa diavolo…”

 

“Ti propongo un affare, anche se non te lo meriti affatto. Scegline uno, almeno uno te lo lascio vivo.”

 

Jack e Simon lo guardarono inorriditi, e Ron sentì che il sangue gli scivolava via dalla faccia e si congelava nelle vene. Dio mio, no… “Vaffanculo Lerman, tu e tutti i tuoi giochetti perversi!!!”

 

Il sorrisetto sadico dell’uomo si allargò. “Cos’è, non riesci a dire ai tuoi figli chi di loro è il tuo preferito?”

 

“Lasciali andare immediatamente!!!” urlò Ron, col viso rosso per la rabbia.

 

“Bene, come vuoi…se non riesci a farlo tu, vorrà dire che sceglierò io per te.” a sorpresa e in una frazione di secondo, l’uomo abbassò il pugnale e con l’altra mano spinse Simon con tutta la forza che aveva. Il ragazzino si lasciò scappare uno strillo, e incespicò con i piedi sulla neve abbastanza da cadere di schiena sulla superficie congelata del laghetto alle sue spalle. Inevitabilmente il ghiaccio si frantumò in una voragine molto piccola, ma larga abbastanza perché Simon sprofondasse nell’acqua gelida.

 

“NOO!!!”

 

“FERMO LA’!!”

 

Ron fu costretto a fermare la sua corsa verso il laghetto quando vide che l’uomo sfigurato teneva Jack per i capelli, puntandogli il coltello alla gola.

 

“Prova ad avvicinarti all’acqua e perderai anche quest’altro!”

 

Ron si sentiva d’impazzire. Riusciva a vedere Simon agitarsi sotto il ghiaccio come un’anguilla impazzita, e sapeva che tra il freddo terribile e la mancanza d’aria avrebbe resistito meno di una manciata di secondi…e la lama del pugnale era così vicina a Jack che sarebbe bastato un movimento leggerissimo del polso…

 

L’uomo rise forte. “E’ questo perdere la testa, Weasley! E’ quello a cui mi hai condannato tu ad Azkaban, e adesso sai cosa si prova! Non potrai fare proprio niente, resta a guardare tuo figlio morire con la consapevolezza che è tutta colpa tua, solo tua!”

 

“Maledizione, no!!!!!” urlò Ron, e la disperazione era chiara nella sua voce.

 

L’uomo rise ancora più forte quando vide il viso già pallido di Ron farsi letteralmente terreo… Simon non si vedeva più. “E per il gran finale, Weasley…non volevi fare una scelta, eh? Ti voglio accontentare… eliminiamo anche questo!”

 

Jack spalancò gli occhi quando vide la mano col pugnale sollevarsi contro di lui.

 

“Expelliarmus!!!”

 

Il pugnale dell’uomo fece un volo nella neve, e anche lui sobbalzò di buoni tre passi indietro…quel tanto da consentire a una figura dai folti capelli castani di centrarlo con un pugno in pieno viso. Lo sfigurato ci impiegò qualche secondo per riaprire gli occhi e si tastò il naso dolorante, ma gli montò in corpo una rabbia disumana quando sentì il rumore del ghiaccio che si rompeva sotto il peso del tuffo di Ron…il suo odiato nemico si era lanciato in soccorso del figlio. Con uno scatto di reni l’uomo si rimise in piedi…solo per ritrovarsi davanti una donna con uno sguardo di fuoco che gli puntava la bacchetta contro.

 

“Dammi solo un motivo per farlo, e ti giuro che non avrò pietà.” Sibilò gelida.

 

L’uomo la guardò per un attimo…si ricordava di lei, era la moglie di Ron Weasley. Sapeva bene quanto fosse infallibile con una bacchetta in mano…ma a quel punto non c’era più niente da perdere, non voleva tornare in prigione…così agì d’istinto. Si gettò in avanti con tutto il peso del corpo e la caricò fino a farla cadere nella neve, quindi si voltò per correre verso l’albero in cui stava incastrato uno dei suoi pugnali…ma nella fretta non vide la gamba che Jack allungò di proposito, e fece un gran volo fino a finire di faccia a terra nella neve.

 

“Cazzo, no!!!”

 

“Stupeficium!!”

 

Hermione fu velocissima e precisa…l’uomo si accasciò a terra privo di sensi. Lei non perse tempo, e con un incantesimo ben piazzato fece avvolgere il suo corpo da alcune robuste radici che somigliavano molto a delle catene. Quando si fu assicurata che non ci fosse più pericolo, il suo primo pensiero fu di liberare Jack, che si alzò in piedi massaggiandosi i polsi.

 

“Stai bene, tesoro?” fece agitata Hermione, accarezzandogli il viso pallido, e Jack annuì stancamente.

 

Un rumore di ghiaccio rotto attirò la loro attenzione, e qualche secondo dopo Ron si issò pesantemente sulla riva del laghetto congelato, tenendo Simon ben stretto a sé. Jack e Hermione furono accanto a loro in un istante, aiutandoli a risalire. Il primo pensiero di Hermione, vedendo Ron tremare di freddo, fu quello di asciugare i vestiti di entrambi con un rapido colpo di bacchetta, ma si rese subito conto che Ron non ci faceva neanche caso al freddo...il suo sguardo angosciato era fisso su Simon, che dopo aver a malapena tossicchiato un po’ era rimasto privo di conoscenza fra le sue braccia.

 

“Oddio…” Hermione si coprì la bocca con le mani. Il suo bambino aveva un colorito livido e le labbra blu…

 

Jack si sfilò il giubbotto di dosso e lo mise sulle spalle di suo fratello, e Ron prese subito a fare vigorose strofinazioni sulle braccia e sulla schiena di Simon. “…avanti, campione, avanti…non fare scherzi, svegliati…”

 

“…Ron…” piagnucolò Hermione, impallidendo.

 

Ron la guardò con uno scattò di rabbia negli occhi. “Invece di piangere dammi una mano, cazzo!!” tuonò, tradendo il suo panico mentre stringeva forte a sé il figlio.

 

Hermione ingoiò il vuoto e riprese la bacchetta in mano, costringendosi a recuperare quel tanto di lucidità necessaria a mormorare un incantesimo per riscaldare l’aria…pronunciò tutti gli incantesimi per produrre calore che conosceva, tanto che per poco non diede fuoco ai suoi stessi vestiti.

 

“…dai…” mormorò Ron, facendo appoggiare la testa di Simon sulla sua spalla così che potesse guardarlo in faccia. I suoi massaggi e gli incantesimi di Hermione stavano avendo un qualche effetto, perché almeno non aveva più le labbra blu. “…dai, Simon…”

 

Hermione gli prese una delle mani fredde fra le sue e gliela baciò amorevolmente. “Ti prego, ti prego non mi fare questo…”

 

Ron prese suo figlio per le spalle e lo scrollò con una certa energia. “Basta dormire, Simon, apri gli occhi!” lo scrollone servì a far stringere gli occhi a Simon. Quando Ron gli vide socchiudere debolmente gli occhi, potè giurare che il tempo si fosse fermato in quel meraviglioso, splendido momento. Gli sentì sussurrare un debole ‘papà’, e lo abbracciò così forte che per un momento ebbe paura di romperlo, ma non gliene importava…il suo bambino stava bene, contava solo questo.

 

Hermione lanciò uno strillino e si prese Simon fra le braccia, coprendogli il viso di baci e soffocandolo di attenzioni. Ron li osservò per un istante, poi si lasciò scivolare col sedere nella neve e si appoggiò indietro sui gomiti, chiudendo gli occhi e respirando profondamente. Jack scompigliò bonariamente i capelli umidi del fratello, poi emise un gigantesco sospiro di sollievo e si lasciò cadere di schiena nella neve.

 

 

***************

 

 

Katie si accoccolò ancora di più sulla spalla di Simon, senza però infilarsi sotto le coperte…anzi, con molta premura gli sistemò il piumone addosso e lo coprì per bene. “Non ti scoprire, sei ancora tutto caldo… non devi prendere freddo, i bambini con la febbre stanno nel letto buoni buoni.” Gli disse col suo solito tono di mammina previdente.

 

Amelia, che era seduta dall’altra parte del letto, accarezzò per l’ennesima volta i capelli di Simon e gli sentì la fronte. “Sta cominciando a scendere anche la febbre, vedrai che per domani starai benissimo.” Gli mormorò, regalandogli un bacio sulla guancia scottante.

 

Jack, che era in piedi di spalle al muro vicino a suo padre, scosse la testa divertito. “Mi devono ancora spiegare come fa…attira le donne come una calamita, dovresti vederlo a scuola.” Ron ridacchiò.

 

“Arriva il latte caldo col miele!” Hermione entrò nella stanza con una tazza azzurra in mano, e la porse al figlio minore. “Bevilo tutto, tesoro, ti farà sentire meglio.”

 

“Grazie.” Mormorò pacatamente Simon, mettendosi più dritto nel letto. Prese la tazza e l’accostò alla bocca, ma poi notò il modo in cui Katie la fissava…lei adorava il latte col miele. Così gliene porse un po’ per un assaggio, e la bimba ne prese un sorso tutta felice.

 

Ron fece un piccolo sorriso e si voltò verso Jack. “Ecco come fa…ha un cuore grande così.”

 

Jack fece una smorfia. “Perché, io no?” Ron inarcò un sopracciglio. “Ok, ok…no comment.”

 

Simon porse la tazza vuota a sua madre e si appoggiò di nuovo al cuscino alle sue spalle. “Non perdete tempo con me, avete una festa da preparare.”

 

Katie sbattè gli occhioni. “Ma tu dopo ci vieni, vero? Ci vestiamo tutti eleganti!”

 

“Io ho un’idea migliore.” Amelia fece un sorrisetto. “Trasformiamo la festa in un pigiama party di fine anno! Così Simon non prende freddo ma ci divertiamo tutti comunque.”

 

“Brava Amelia.” Osservò compiaciuto Ron. “E’ un’idea grandiosa.”

 

Hermione le diede un pizzicotto sul naso. “Allora andate di sotto e finite di sistemare gli addobbi, vi faccio trovare i pigiami già pronti.”

 

“Sii!” Katie balzò giù dal letto del fratello e corse fuori dalla stanza, Amelia le fu dietro e quindi si accodò anche Jack.

 

Hermione sentì ancora una volta la fronte del figlio, quindi gli fece un sorriso incoraggiante. “Tra qualche ora ti sentirai già molto meglio…cerca di riposare un po’, ti farà bene.”

 

Simon annuì. “Va bene.”

 

Hermione gli diede un bacio sulla fronte e si alzò, dirigendosi verso la porta e soffermandosi a dare un piccolo bacio anche a Ron, che ricambiò.

 

“Ehm…mamma?”

 

“Si?”

 

“…scusami se ti ho fatto preoccupare.”

 

Hermione gli fece un sorriso dolcissimo e materno. “Pensa a stare subito bene, capito?” lui annuì, e con una strizzatina d’occhio lei uscì.

 

Ron si staccò dal muro e si avvicinò serenamente al letto di suo figlio, sedendosi su una sedia lasciata vuota lì accanto. “E allora, campione? Come ti senti?”

 

Simon scrollò le spalle. “Stanco…mal di testa.”

 

“Mamma ha ragione, un paio d’ore di riposo non possono che farti bene.”

 

Simon tirò su col naso. “Resti?”

 

“Si, se vuoi.”

 

Simon si morse le labbra…non sapeva cosa dire. “Sei arrabbiato?”

 

Ron scosse tranquillamente la testa. “No.”

 

“Deluso?”

 

“Nemmeno. Sto facendo scivolare via la tensione accumulata oggi.”

 

Simon abbassò lo sguardo. “Ho combinato proprio dei gran casini, eh?”

 

Ron lo osservò morbidamente, e lottò per mantenersi serio…non riusciva ad avercela con lui, non riusciva a sgridarlo… aveva avuto così tanta paura di perderlo che se avesse potuto, lo avrebbe tenuto tutta la sera sulle sue ginocchia, stretto nel suo abbraccio protettivo. “Si, campione, devo ammettere che fra te e tuo fratello sarà un miracolo se non ci farete venire i capelli bianchi a quarant’anni… ma non credo di avere il diritto di giudicare, proprio io che alla tua età ne ho fatte di tutti i colori.”

 

Simon fece un piccolo sorriso timido e alzò lo sguardo. “Però sono in punizione lo stesso…vero?”

 

“Si.” Ron annuì e sorrise paternamente. “Si, sei in punizione…ma perché voglio che tu capisca bene una cosa. Non hai sbagliato a dubitare di me, è normale provare sensazioni contrastanti e non capirci più niente… ma non avresti dovuto tornare da quell’assassino da solo. Dovevi parlare con mamma, o con zio Harry…con Jack…con chiunque. E ti saresti risparmiato tutti quei sensi di colpa…ti avrei raccontato la storia di quel ladro, e della sua capacità di convincere la gente. A me lo fece nella banca, quasi quasi lo lasciavo andare per pena.”

 

“E’ che io volevo dire a quello stronzo che tu sei una brava persona!” si lamentò Simon. “Volevo che sapesse che io mi fido di te…”

 

Ron gli accarezzò la testa. “E io mi fido di te. Mi fido di te anche più di quanto non mi fido di quello sconsiderato di tuo fratello… non avevi bisogno di provarmi il tuo affetto e la tua fiducia, non a rischio della tua vita. E la punizione ha questo scopo… insegnarti a riflettere prima di fare le cose. Per fortuna del cielo tu assomigli più a mamma, ma a quanto pare hai la tua buona dose di irruenza di marca Weasley, e io non voglio che né tu né Jack finiate per fare gli stessi errori che ho fatto io.”

 

Simon si grattò la tempia. “Ho fatto una cosa stupida… l’ho capita dopo.”

 

“Hai fatto una cosa normale…hai fatto un errore.” Ron gli indicò il cuore. “Perché hai ascoltato solo questo…” poi gli indicò la testa. “…e non questa. Un errore di valutazione che io ho fatto una vita intera… e ho pagato a mie spese. Tu imparerai a bilanciare le due cose… un passo alla volta, sei ancora piccolino.”

 

“Papà, ho dodici anni…”

 

“Eh, sei maggiorenne ormai.”

 

“Sfotti, sfotti…” Simon mise il broncio e affondò la schiena nel cuscino. “Allora, che punizione è?”

 

“Niente dolci né uscite con gli amici per una settimana, a partire da domani mattina.” Ron inarcò brevemente un sopracciglio. “E se mamma ha bisogno di una mano in casa, collaborerai.”

 

Simon sbuffò e chiuse gli occhi. “Nient’altro?”

 

“Si.” Ron gli fece un occhiolino. “Ho scoperto che nella Londra babbana hanno aperto una nuova libreria con una bellissima sezione dedicata agli animali… vogliamo andare a vedere se troviamo qualcosa sui draghi?”

 

Simon guardò suo padre con gli occhi illuminati da una gioia vispa e contagiosa. “Dici davvero? Mi ci porti?”

 

Ron sorrise e annuì. “Si, ma non dire niente a mamma… dice che perdo credibilità quando vi salvo dalle punizioni.”

 

Simon rise e annuì. Aveva gli occhi lucidi e le guance rosse per la febbre, eppure aveva tutta l’aria di stare meglio di quanto non fosse stato negli ultimi giorni…e Ron non potè fare a meno di arruffargli i capelli e dargli un pizzicotto sul naso, quel tanto da sentirlo vispo e vivo com’era sempre stato…per scacciare quell’immagine spettrale del suo corpo congelato in fondo al lago.

 

“E adesso fa’ il bravo e mettiti sotto le coperte, niente pigiama party se prima non ti fai una buona dormita.”

 

“Sissignore.” Simon si sdraiò nel letto e si coprì col piumone. “…grazie di tutto, pa’… non te la rendiamo proprio facile, eh?”

 

“Proprio per niente.” Ron gli sistemò le coperte con un sorriso. “Ma è il pepe che mette gusto al piatto, no?”

 

Simon ridacchiò. “Non farti sentire da mamma.”

 

Uno strillo rabbioso precedette dei passi di corsa provenienti dal corridoio, e un attimo dopo Jack balzò nella stanza e si affrettò a chiudere la porta a chiave.

 

“…porcaccia la miseria…” mormorò con una smorfia sulla faccia.

 

“JACK WEASLEY, VIENI FUORI DI LI’!!!!!!!!!” la voce di Amelia si sentiva benissimo anche oltre la porta. “GUARDA COS’HAI COMBINATO, IO T’AMMAZZO!!!!! AVANTI, ABBI IL CORAGGIO DI VENIRE FUORI!!!!”

 

“Amy, ti giuro che non l’ho fatto apposta!...”

 

Ron inarcò un sopracciglio. “Ma che le hai fatto?”

 

Jack fece una smorfia mortificata. “…ma niente, è che lo striscione di auguri stava vicino alle candele… praticamente mi sono dimenticato di toglierlo da là, però non è che…”

 

“IMBECILLE, VIENI FUORI!!!”

 

Simon ridacchiò. “Hai dato fuoco allo striscione di Amelia, quello che sta preparando da giorni?”

 

Jack assunse un’aria tranquilla. “Si, ma adesso la senti così…tra cinque minuti si calma, ne parliamo…”

 

Un attimo dopo la porta si spalancò all’improvviso, aperta da un buon Alohomora…e colpì in pieno Jack, mentre Amelia si sporgeva all’interno giusto in tempo per vedere lo spigolo colpire in pieno il suo amico, che cadde come una pera cotta. Non contenta continuò ad infierire per lo striscione…e Ron e Simon se la risero di gusto fino alle lacrime.

 

Com’era bello poter ridere di nuovo così!

 

 

 

**The end**

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Casa mia... ***


Nuova shotty, nuova dedica

Nuova shotty, nuova dedica! Questa va alla mia ormai ventunenne sorellona Nenè, alla super compleannizzata Eli, e anche alla simpaticissima Rosy! Buon compleanno a tutte, e un bacio formato gigante! Come promesso, una storia ambientata nella ‘nuova’ Hogwarts, e precisamente… al settimo anno di Dan e Jack. Enjoy yourselves! ^_-

 

 

 

Casa mia

 

 

 

“…West respinge un bolide e permette a Potter di continuare la sua discesa verticalizzata, nel frattempo Lang recupera palla sull’errore di Wilson, e la passa a Sheffield…da lei a Weasley, e poi di nuovo a Sheffield…oh si, ragazzi, vai così, Corvonero non ha speranze!!”

 

Larrison!

 

“Scusi, professoressa…l’azione riprende…”

 

Jack abbassò la testa per schivare il cacciatore di Corvonero che lo aveva puntato, e afferrò la pluffa che gli passò Amelia, che volava parallelamente a lui.

 

“Che stavi dicendo di Beverly Thompson?” gli urlò Amelia, continuando a evitare gli avversari e alzando la voce per farsi sentire nel fracasso dello stadio.

 

“E’ stata un fiasco totale!” replicò a voce molto alta Jack, passandole la pluffa e deviando per mancare un bolide. “Credo che mi odi adesso, sai?”

 

“Ma no, non mi dire!” Amelia fece un sorrisetto e recuperò la pluffa…la lanciò con forza verso la porta e il tiro oltrepassò l’anello centrale.

 

Un boato dalla curva di Grifondoro rese ancora più difficili le comunicazioni. “Ma perché non andava bene?” fece Amelia, scattando in avanti per rubare palla ai cacciatori di Corvonero che avevano già ripreso l’azione dopo il suo gol.

 

Jack si avvicinò abbastanza all’avversario con la pluffa, fece una finta buttandosi a destra e si lasciò superare…e un istante dopo girò la scopa su se stessa con un rapidissimo movimento del polso e piombò addosso al cacciatore, facendogli cadere dalle mani la pluffa…che venne subito recuperata da una velocissima Amelia.

 

“Era bella ma un po’ scema.” Fece lui, tagliando la strada alla cacciatrice di Corvonero che inseguiva Amelia.

 

“E te ne sei accorto solo adesso?” replicò lei, evitando un bolide.

 

“No, però prima mi attizzava!” ribattè lui, ricevendo la pluffa e partendo a tutta velocità.

 

Uno dei cacciatori di Corvonero allungò la mano per fermare Jack, ma Amelia fu più veloce… l’affermò e gliela strinse come se si stessero presentando. “Piacere!” fece beffarda, portandosi dietro il ragazzo quando scese rapidamente in picchiata e lasciandolo parecchi metri più sotto. La curva di Grifondoro esplose in applausi e strilli d’incoraggiamento.

 

“Vai, Luis, buttala dentro!” Jack passò la palla all’altro cacciatore, più vicino all’anello di destra, che tirò con forza e non mancò l’obbiettivo.

 

“Siii!” Ben Larrison esultò nel megafono. “Grifondoro 250, Corvonero 100! E vai, li stiamo stracciando!”

 

Larrison!!”

 

“Ma è vero, professoressa!”

 

“Ma tu devi limitarti alla telecronaca!!”

 

Il gioco riprese, e Jack si andò ad affiancare ad Amelia. “Sai qual è la cosa più ridicola? La sua migliore amica ci ha provato con me mezzo secondo dopo che Beverly mi ha silurato!”

 

Amelia spronò la scopa in avanti. “Ma tu hai rifiutato, vero?”

 

“Scherzi?!” Jack ricevette la pluffa dall’altro cacciatore e partì a tutta velocità. “Stiamo parlando di Jenny Green!”

 

Amelia alzò gli occhi al cielo, ed evitò un bolide spedito dal battitore avversario. “Quella è un buco con due tette!”

 

“Oh, andiamo!...” Jack le passò la pluffa, sfuggendo a un cacciatore avversario. “Non è un buco!”

Un boato di applausi e grida di gioia accolse il gol di Luis Lang, a cui Amelia aveva tirato la pluffa.

 

Il gioco riprese immediatamente, visto che ormai mancava poco alla fine…i cercatori tallonavano il boccino già da qualche minuto, presto ci avrebbero messo le mani sopra. “Vabbè, ma si è già fatta avanti questa?” fece sbrigativamente Amelia, mentre lei e il suo compagno ripartivano alla carica verso il cacciatore di Corvonero che aveva la pluffa in mano.

 

Jack fece un sorrisetto, sbuffando indietro il ciuffetto di capelli che gli arrivava poco più su degli occhi. “Diciamo che stiamo insieme.”

 

Amelia spalancò la bocca. “Ma fai schifo, Jack!”

 

“Ehi, non prendertela con me!” Jack scrollò le spalle e le lasciò la possibilità di avvicinarsi alla coda della scopa avversaria. “E poi ieri sera ti ho cercato dappertutto e non c’eri, e quel che è peggio nemmeno Dan era da nessuna parte… non avevo uno straccio di consiglio da nessuno!” Amelia rallentò leggermente e abbassò lo sguardo in un modo strano…e Jack lo notò quando le vide perdere velocità. “Amy, che fai?!”

 

Amelia si morse le labbra. “S-senti, dopo magari avrei bisogno di parlarti un momentino…”

 

“Amelia, il bolide!!!!”

 

Jack fece appena in tempo ad afferrare con una mano la scopa di Amelia per farle schivare il colpo, ma ci riuscì solo in parte…il bolide non la prese in pieno viso, ma in compenso le arrivò dritto nello stomaco, facendola restare per un paio di secondi senza fiato. Mentre boccheggiava per un po’ d’aria, la ragazza sentì distintamente il suo amico urlare oscenità al battitore di Corvonero che aveva scagliato il colpo. Un fischio interruppe la partita, e Madama Bloomby planò fino a raggiungere i due Grifondoro.

 

“Signorina Sheffield, ha bisogno di andare in infermeria?”

 

“Niente di rotto, Amy?” le chiese Jack, scansandole i capelli dal viso per controllare la sua espressione.

 

“Stai bene, Amelia?” le chiese Marsh, guardando male i Corvonero. Anche l’altro cacciatore le si affiancò.

 

Amelia fece un piccolo sorriso e agitò la mano. “E’ tutto a posto, è solo una bella botta… continuiamo questa partita, dai!”

 

Jack fece un sorrisetto fiero. “Così parla la super cacciatrice della squadra campione dell’anno. Ehi, Marsh! Phil! Restituite il favore a quelle mammolette, ok?” urlò ai due battitori non appena la professoressa di volo si fu allontanata.

 

Amelia buttò fuori un po’ d’aria e lasciò che gli altri continuassero a parlare di schemi da utilizzare per massacrare gli avversari, e quasi sussultò quando sentì una mano grande appoggiarsi sulla sua. “Ti sei fatta male?” le chiese piano Dan.

 

Lei scosse la testa e gli offrì un sorriso molto piccolo e sfuggevole, ma si morse le labbra quando lo guardò negli occhi…nei suoi grandi occhi verdi che ora sembravano veramente colmi di preoccupazione per lei. Quasi istintivamente Dan fece un minuscolo spostamento della testa in avanti, e Amelia arretrò al volo, tirando via la mano come se si fosse scottata. Dan si accigliò e lei scosse freneticamente la testa.

 

“Avanti, diamoci una mossa!” Jack volò non molto lontano da loro. “Ehi, Dan, questa partita deve andare avanti ancora per molto? Lo vuoi prendere quell’accidenti di boccino o no?”

 

Dan distolse lo sguardo da Amelia dopo averla ancora guardata a lungo, quindi spronò in avanti la sua scopa. “La finiamo qui, allora.”

 

Jack lo vide schizzare in direzione del boccino, e fece un sorrisetto. “Alla buon’ora…Amy, ti muovi?”

 

Amelia sembrò cadere dalle nuvole, ma si riprese subito e fu rapida ad annuire e a spronare la scopa in avanti.

 

 

***************

 

 

Amelia contò fino a dieci dopo l’uscita di Philip e Marsh, gli ultimi che avevano lasciato lo spogliatoio maschile di Grifondoro già pronti per la festa in onore della vittoria, e si accertò che ormai non fosse rimasto dentro nessuno…o almeno nessuno che lei non volesse trovare. Aprì la porta piano, curiosando prima per assicurarsi di non trovarsi in situazioni…imbarazzanti…quindi entrò, si chiuse la porta alle spalle e inspirò profondamente.

 

“Forse sono io che sono informato male, ma non mi risulta che tu abbia dei cromosomi di segno Y… lo spogliatoio dei maschietti non dovrebbe ammettere femminucce.”

 

Amelia fece un piccolo sorriso. Dan si stava tranquillamente allacciando le scarpe seduto su una delle panche, con la felpa ancora infilata solo per metà e i capelli al solito elettrizzati… non erano capelli docili i suoi, ma dopo una partita di Quidditch diventavano quasi uguali a quelli di suo padre, e lei li trovava divertenti.

 

“Hai l’aria preoccupata.” Le disse piano, cambiando scarpa.

 

Amelia annuì e si ciondolò sui piedi. “Jack è già uscito?”

 

Dan le indicò il bagno. “Sta finendo di fare la doccia.”

 

Amelia esitò, scegliendo con cura le parole giuste. “Senti, io credo…che forse gli dovremmo parlare. Non mi sento serena a fare le cose di nascosto.”

 

“Ok.” Le rispose tranquillamente Dan, infilandosi la felpa.

 

Amelia si sentì infinitamente stupida. Si morse le labbra e guardò a terra, cercando di evitare di sembrare imbarazzata…ecco perché detestava questo genere di situazioni, lei preferiva cose più consone alla sua personalità, non…non esattamente queste. Poi però si sentì prendere la mano da Dan, e lo guardò… lui le sorrise e l’attirò verso di sé, accarezzandole le nocche della mano e fissandola intensamente. Riuscì perfino a strapparle un sorriso, e stavolta quando si alzò e le si avvicinò lei non si fece indietro…

 

“…vorrei capire quando sistemeranno mai questa cacchio di acqua calda…” Jack uscì dal bagno mentre ancora si stava abbottonando la camicia, coi capelli rossi tutti umidi che gli ricadevano sugli occhi e l’aria spavalda e allegra che aveva sempre, soprattutto dopo una vittoria.

 

Amelia – che si era immediatamente allontanata da Dan – gli fece un largo sorriso. “Ti sei fatto di nuovo la doccia gelata?”

 

“Per forza, sono sempre uno degli ultimi!...”

 

“Pensa meno al tuo fan club, e vedi come riesci ad arrivare più in fretta per la tua razione di acqua calda.” Gli disse divertito Dan, infilando le mani nelle tasche dei jeans.

 

“Nah…le due cose sono in sequenza.” Jack gli strizzò un occhiolino e sistemò la sua casacca gialla e rossa nell’armadietto col suo nome. “E’ già iniziata la festa? C’è una persona che vorrei portare…”

 

Amelia fece una smorfia disgustata. “Un buco con due tette, vorrai dire.”

 

A Dan scappò una risatina. “Te la fai con Jenny Green?”

 

Jack spalancò la bocca, indignato. “Non è un buco! E se non ricordo male, non hai mai disprezzato tutto quel ben di Dio…anzi.”

 

Dan lanciò un’occhiatina laterale ad Amelia, e le vide incrociare le braccia in tono poco amichevole. “Non è vero…non mi piacciono solo quelle che ce l’hanno grosse.”

 

Jack fece una rumorosa smorfia scettica e chiuse il suo armadietto. “Andiamo?”

 

“Ehm…” Amelia si grattò la fronte. “No, aspetta un attimo…ecco, io ti dovrei…ti dovrei dire una cosa.”

 

Jack inarcò un sopracciglio. “Adesso? Amy, la festa sta per iniziare…”

 

“Si, Jack, adesso…se non te la dico finisco per esplodere, perciò siediti e ascoltami.”

 

“Va bene, però muoviti.”

 

“E piantala di darmi fretta, è già una cosa imbarazzante!”

 

Jack appoggiò le mani sui fianchi e rise. “Ho smesso di imbarazzarmi con te da quando avevamo dieci anni e ti ho vista in mutande.”

 

Dan contenne a fatica una risata. “Questa mi mancava, l’hai vista in topless?”

 

Jack rise e annuì. “E con le mutande coi panda…”

 

Dan si morse le labbra con decisione per evitare di scoppiare a ridere…Amelia lo stava incenerendo con lo sguardo.

 

Jack si schiarì la gola. “Va bene, che cos’è questo segreto di stato che mi devi dire?”

 

Amelia si attorcigliò le dita. “Ok, senti, non ci giriamo tanto attorno che è anche peggio…ti darebbe fastidio se Dan e io uscissimo insieme?”

 

Jack fece tanto d’occhi, poi fece una specie di risatina e guardò il cugino. “Scherza o fa sul serio?”

 

Dan le prese una mano. “Niente scherzi.”

 

Amelia lo guardò. “Allora, che dici?”

 

“Che dico?” Jack sorrise e scrollò le spalle. “Non lo so, non ho ancora interiorizzato la cosa… wow, la mia migliore amica e mio cugino… ma com’è successo, cioè…da chi è partito…?”

 

Dan notò con gioia che le domande di Jack erano cariche di curiosità, non di risentimento. “Qualche giorno fa ci è capitato così, senza nemmeno che ce ne rendessimo conto…ci siamo baciati, e poi… e poi eccoci qua.”

 

Jack fece un sorriso incredulo. “E’ una notizia sconvolgente… chi l’avrebbe mai detto! E tu, Popò, non mi avevi ancora detto niente?”

 

Amelia si strinse nelle spalle. “Non sapevo come l’avresti presa…”

 

Dan scosse la testa. “Amelia era convinta che tu ti saresti sentito tagliato fuori…mi fai il piacere di rassicurarla, così possiamo fare le cose per bene e non come due ladri?”

 

Jack le strizzò un occhiolino. “Non mi sento escluso, anzi…adesso so che c’è qualcuno che si prende cura del Koala mentre io sono fuori con la mia ragazza.”

 

Amelia fece un sorrisetto. “Col tuo buco.”

 

Jack guardò il cugino. “La tua ragazza è una vipera, lo sai?”

 

Dan rise e passò un braccio attorno alle spalle di Amelia, attirandola a sé e baciandole una guancia. Jack quasi non notò il cambiamento… gli sembrò strano pensare a due fra le persone più importanti per lui coinvolte insieme in quel senso. Sarebbe stato quasi divertente vedere come sarebbero andate le cose fra Dan e Amelia.

 

 

***************

 

 

Ma sono al  90% stupido e al 10% ipocrita, o al 90% ipocrita e al 10% stupido?

 

Jack sbuffò mentre entrava nella biblioteca, con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni e la cravatta gialla e rossa mezza allentata. Questo era approfittarsene! Ok, aveva detto che non aveva nessun problema a sapere Dan e Amelia insieme…ma mai avrebbe immaginato che avrebbe perso in un sol colpo entrambi i suoi migliori amici! Era passata neanche una settimana, e ogni volta che cercava uno dei due lo trovava incollato all’altro a sbaciucchiarsi in un angolo di Hogwarts… impossibile! Come prima, ad esempio… voleva parlare con Amelia di una cosa che gli stava particolarmente a cuore – il regalo per Natale da fare ai suoi genitori – e dove l’aveva trovata? Seduta sulle ginocchia di Dan, a ridere – no, a sbellicarsi dalle risate – con lui e un’amica sua… ma cos’era diventato lui, invisibile?!

 

Imbronciato fino all’inverosimile, Jack si guardò in giro nella biblioteca…proprio quello che cercava. Simon era seduto in un angolo tranquillo in mezzo agli scaffali pieni di libri, con un librone aperto sul suo tavolo e una pergamena su cui stava scrivendo con molta attenzione. Senza dire niente si diresse verso di lui.

 

“Non ti presto neanche un falci, Jack. Mi devi ancora i cinque galeoni del regalo di Julie.” mormorò Simon, senza alzare gli occhi dalla sua pergamena.

 

Jack fece una smorfia e si lasciò cadere sulla stessa panca del fratello. “Quanto sei materiale…chi ti ha detto che vengo a chiederti dei soldi?”

 

Simon fece un sorrisetto e continuò a scrivere. “Perché, in genere cosa fai?”

 

Jack si grattò la nuca. “…ok, ma sono solo cinque galeoni…”

 

“Più i sette del paiolo che mi hai squagliato, del libro che mi hai perso, dell’ampolla che mi hai rotto…”

 

“Va bene, va bene!” sbottò Jack. “Quando torniamo a casa te li rifilo tutti i tuoi dannati soldi!”

 

Simon inarcò un sopracciglio e smise di scrivere, voltandosi a guardarlo. “Brutta giornata?”

 

Jack sbuffò e prese a tormentare fra le dita la copertina del librone del fratello. “…lo sapevi che Dan e Amelia stanno insieme?” gli chiese con aria casuale.

 

Simon annuì e tornò a scrivere. “Lo sa mezza scuola.”

 

Jack notò con un misto fra irritazione e compiacimento che Simon non gli aveva ancora chiesto che problema avesse…si faceva sempre i fatti suoi. Forse non era stato uno sbaglio venire a parlare con lui, anche se era più piccolo… “Che stai facendo?” gli chiese con curiosità.

 

“Una ricerca sul modo barbaro in cui trattano i draghi.” Gli rispose tranquillo Simon, riponendo la penna e indicandogli il librone. “Sono secoli che questa storia va avanti, invece di addestrarli li addomesticano, è disgustoso…questo è un tipico caso di sfruttamento che la legge ha volutamente ignorato, e a me non sta proprio bene…così sto preparando una bella relazione, e chiederò a papà di portarla al Ministero sotto forma di petizione.”

 

Jack si accigliò. “Ma ti ci vogliono delle firme…”

 

“Me ne hanno già promesse un centinaio, e se riesco a finire questa relazione per mercoledì ne parlerò durante la lezione di Cura delle Creature Magiche.”

 

“Wow.” Jack annuì. “Ti sei organizzato alla grande…ma papà che ti ha detto?”

 

Simon fece un sorrisetto e si grattò il naso lentigginoso. “Che ho formato un’associazione a delinquere.”

 

Jack ridacchiò. “Perché?”

 

“Perché ho chiesto a Katie di farsi un giro fra i parenti per raccogliere le firme…lei li incanta con gli occhi da cucciolo e i riccioletti biondi, e hanno già firmato una ventina tra zii e zie… mamma ha detto che trascinerà papà fino al palazzo del Ministero se sarà necessario.”

 

Jack scoppiò a ridere, dimenticandosi un attimo dei suoi problemi. “Sei un grande, piccoletto…” gli disse, schiacciandogli il cinque. “Dove devo firmare?”

 

“La lista non è ancora pronta, passerò da te in questi giorni…sicuramente prima di mercoledì.”

 

“Niente male come programma…” Jack annuì divertito. “Mai pensato di fare il politico da grande?”

 

“Nah…” Simon riprese a scrivere. “E tu come mai hai quella faccia?”

 

Jack tornò a rabbuiarsi. “Niente, che vuoi che sia…ho la faccia della ruota di scorta, che ti devo dire.”

 

Simon si morse le labbra per non lasciarsi sfuggire un sorrisetto. “Sei geloso di Dan e Amely?” mormorò, chiamando la sua amica col nomignolo che solo a lui era permesso usare.

 

“A me non frega niente se quei due si sposano e fanno trecentomila figli, figurati!” ribattè accesamente Jack. “Solo che non capisco… solo perché stanno insieme si sentono autorizzati a dimenticarsi degli altri?”

 

“Non si sono dimenticati degli altri.” Simon scrollò le spalle. “Sei tu che hai questa sensazione.”

 

“Non è una sensazione.” Brontolò Jack, scansandosi i capelli dagli occhi. “Amelia e io passavamo intere serate davanti al camino a raccontarci le cose e a riderci su, e con Dan facevamo di tutto… adesso non ho né l’uno né l’altro.”

 

Simon fece un sorriso perfido. “Ti resta sempre Jenny Green.”

 

Jack gli diede uno spintone. “Idiota.”

 

Simon rise un po’. “Ok, ok… senti, ma perché fai così? Voglio dire… è capitato che Amely ti trascurasse perché stava con un ragazzo, non ti sei mai risentito tanto…non è che ti dà semplicemente fastidio che stavolta sia Dan?”

 

Jack rimase spiazzato e si prese qualche secondo per pensare. “No…no, cioè la cosa che mi dà fastidio è che prima se uno dei due mi trascurava c’era sempre l’altro, tutto qui…”

 

“Ah…quindi lo sguardo di odio dell’altra sera era solo una coincidenza?”

 

Jack spalancò gli occhi. “Ma come diavolo…tu eri lì?!”

 

Simon rise e annuì. “Io sono sempre ovunque.”

 

Jack sbuffò, ricordando perfettamente a cosa si riferiva… qualche sera prima Amelia era rientrata stanca dagli allenamenti di Grifondoro, e lui si era offerto di portarla sulle spalle, come faceva sempre fin da quando erano piccoli…ma era arrivato Dan, e Amelia era saltata sulle sue spalle… Jack aveva visto rosso: Amelia aveva sempre fatto il Koala solo sulle sue spalle, non su quelle degli altri!

 

“Senti, perché non ti semplifichi il problema?” Simon scrollò le spalle. “Parlaci.”

 

“Con Dan?”

 

“Con tutti e due.”

 

“E che gli dico?”

 

“Che ti dà fastidio come si comportano in tua presenza.”

 

Jack fece una smorfia. “Come se fossero affari miei…e poi secondo te cambierà qualcosa?”

 

“Si, se conosco Amely.” Simon gli strizzò un occhiolino. “Non sono affari tuoi, è vero, però se Dan e Amelia sapranno che certi atteggiamenti a te danno fastidio, sicuramente eviteranno di comportarsi in quel modo davanti a te.”

 

Jack scosse la testa. “Non lo so…non mi pare una grande idea…”

 

Simon fece una smorfia ovvia. “E che ti aspettavi da un piccoletto? Dai, levati dalle scatole che ho da fare.”

 

Jack si accigliò. “Ehi…”

 

“Simon, indovina!!!”

 

Melanie Mitchell, la graziosa compagna con gli occhi azzurri di Simon, arrivò di corsa nella biblioteca e saltellò fino al tavolo dei due ragazzi Weasley.

 

“Ciao Mel.” Le disse sorpreso Simon, mettendosi dritto.

 

Mel gli lanciò un sorriso al massimo della felicità. “Ho chiamato papà…non immagini che bella cosa! Mi ha promesso che prima della prossima partita dei Cannoni farà presentare un promo con i punti essenziali della tua petizione per i draghi! Pensa quante firme in più!”

 

Simon s’illuminò. “Dici davvero? Ma come hai fatto?”

 

Mel gli sorrise largamente, e si sedette accanto a lui. “A che serve essere la cocca di papà se non puoi approfittarne?”

 

Simon le restituì il sorrisone. “Sei grande, Mel.”

 

“Dai, voglio vedere a che punto sei…ti posso aiutare?”

 

“Certo, guarda…” Simon le passò il librone. “Vedi, se mi aiuti con queste date…”

 

Jack ridacchiò…Simon non aveva bisogno di nessun aiuto, era un fulmine a copiare e una saetta a scrivere. Con un sorrisetto divertito e orgoglioso, Jack si alzò dalla panca e si allontanò in direzione della porta, arruffando scherzosamente i capelli del fratello lungo la strada.

 

Forse il suo consiglio non era poi da gettare.

 

 

***************

 

 

Jack continuò a fare finta di concentrarsi sul libro che aveva trovato sulla poltrona vicina al camino, tenendo d’occhio la porta della sala comune. Era sera inoltrata, mancava poco all’ora di cena e la sala era piena di ragazzini, molti dei quali se ne stavano andando a mangiare, per la sua gioia… facevano troppo chiasso per i suoi gusti. Il fuoco scoppiettò rumorosamente, attirando la sua attenzione e distraendolo dalla porta…che proprio in quel momento si aprì.

 

“E’ libero quel posto?”

 

Jack guardò Amelia con un’aria indecifrabile. “Ma non mi dire, hai cinque minuti di tempo libero…”

 

“Ah ah.” Fece ironica Amelia, sedendosi sulla poltrona accanto a lui e accoccolandosi con la testa sul suo petto, come faceva sempre. “Perché sei scappato dopo l’allenamento oggi? Volevo parlarti…”

 

Jack inarcò un sopracciglio. “Non volevo distogliere la tua attenzione… Dan avrebbe sentito la tua mancanza.”

 

“Sei polemico stasera, Jack?”

 

“No. Sono onesto.”

 

“Come no, potresti quasi scrivere un articolo di cronaca rosa sul Settimanale delle Streghe con tutta questa onestà.” Amelia scosse la testa. “Dai, non ho voglia di litigare.”

 

“E di che hai voglia?” le chiese collericamente il ragazzo.

 

Amelia prese un braccio di Jack e se lo passò attorno alle spalle, così da sentirsi raccolta nel suo abbraccio. “Di questo…di noi due.”

 

Jack sospirò, sentendosi disarmato. Aveva una gran voglia di dirle tutto quello che pensava, invece decise di lasciar perdere e le accarezzò i capelli morbidamente. “Da quando stai con Dan ci vediamo solo di sfuggita.”

 

Amelia si accoccolò su di lui. “Scusami, non voglio che tu ti senta escluso… è che siamo all’inizio, sai, quando è tutto nuovo e coinvolgente…”

 

Jack annuì piano. “Ti trovi bene con Dan?”

 

“Si…è diverso dagli altri.” Amelia fece un piccolo sorriso. “A volte sembra così strano…”

 

Stranissimo, credi a me. “Comunque ti piace parecchio…state sempre incollati l’uno all’altra.”

 

Amelia scrollò le spalle. “E a te come va con Jenny Green?”

 

“Si, bene…niente di che, ma bene.”

 

“Che ti vuoi aspettare da quel buco.” Mormorò piano Amelia, sbadigliando. “Prima stavo pensando a cosa potremmo regalare ai tuoi genitori per Natale…”

 

Jack si rilassò… sembrava quasi come se tutto fosse tornato normale. Forse Simon aveva ragione… “Non lo so…qualcosa di utile per la casa?”

 

“Mmh…senti, io un’idea ce l’ho…è una cosa babbana, si chiama telecamera…”

 

Jack annuì. “So cos’è. Mio nonno fa la collezione di queste cose...sa anche sistemarle in modo che funzionino con la magia.”

 

Amelia si mise su dritta per guardarlo in faccia, coi suoi grandi occhi nocciola vispi più che mai. “Che ne pensi, è un’idea carina?”

 

Jack annuì. “Non è male. Però dove la compriamo?”

 

“Questo non è un problema.” Amelia arricciò il naso. “Manderò un gufo a papà e me ne farò comprare una, così poi la facciamo modificare da tuo nonno.”

 

Jack inarcò le sopracciglia. “Tuo padre non ama molto ricevere gufi…”

 

Amelia scrollò le spalle. “Impazzirà dalla gioia se gli dico che per Natale non sarò a casa…lui è sempre contento se non gli sto fra i piedi, così non gli infastidisco la sua deliziosa terza moglie.”

 

Jack sospirò e le accarezzò amorevolmente la testa. Lei era sempre così forte e ribelle, ma quando si trattava della sua famiglia diventava vulnerabile, anche se non lo dava a vedere… erano secoli che non passava un Natale a casa sua con suo padre, e non ne aveva mai voluto parlare con nessuno… ma avevano passato ore intere seduti davanti a un caminetto e abbracciati l’uno all’altra, in un silenzio molto più eloquente di mille parole.

 

Amelia gli pizzicò il naso fra le dita. “Ehi, non fare quella faccia…lo sai che non me ne può fregare un bel niente di quell’idiota di mio padre, figurati un po’ della sua sciacquetta… vogliamo pensare al regalo per i tuoi genitori, che è mille volte più importante?”

 

Jack annuì e le accarezzò un braccio. “Come vuoi tu…allora, come vuoi fare per questa telecamera?”

 

“Sarebbe carino se cominciassimo a fare già un filmato noi.” Gli disse emozionata lei. “Sai, una di quelle cose in stile ‘Vita ad Hogwarts’… riprendiamo gli allenamenti di Grifondoro, Simon mentre fa le sue ricerche sui draghi, Dan e Julie… pensa quanto sarà contenta Katie di vedere com’è la sua futura scuola!”

 

L’entusiasmo di Amelia si rivelò trascinante, perché riuscì a strappare a Jack un sorriso. “Forte, mi piace.”

 

“Allora scrivo a papà immediatamente…così già domani ci arriva la telecamera, che dici?”

 

“Ok, e io scrivo a nonno.”

 

Amelia annuì e aprì la bocca per dirgli qualcosa, ma fu distratta dall’ingresso di Dan nella stanza; aveva un’aria molto stanca e lei subito si alzò per raggiungerlo, suscitando in Jack una sensazione di vuoto e di irritazione.

 

Dan fu ben contento di passarle un braccio attorno ai fianchi e darle un bacio a fior di labbra. “Ti invidio, hai l’aria molto felice…”

 

Amelia annuì, quasi saltellando per l’emozione. “Jack e io abbiamo trovato un magnifico regalo di Natale per i tuoi zii… e a te com’è andata la punizione?”

 

Dan fece una smorfia. “No comment.”

 

Amelia per consolarlo gli restituì il bacio. “Pensa che è finita.”

 

Dan la trattenne per un braccio quando se la vide schizzare via verso il dormitorio femminile. “Ehi, dove vai? Credevo che mi avresti fatto un po’ di compagnia…”

 

“Tra cinque minuti, prometto!” Amelia saltellava dalla gioia incontenibile. “Dai, devo proprio andare, ti prego!”

 

Dan rise e la lasciò scappare via, andando a sedersi davanti al fuoco sulla poltrona di fronte a quella di Jack. “Che tipo…” mormorò, scuotendo la testa con un sorriso. “E’ proprio carina quando fa così, eh?”

 

Jack fece una specie di smorfia e annuì una volta sola, rigirandosi fra le mani il libro che stava fingendo di leggere prima.

 

Dan appoggiò i piedi su uno dei braccioli della poltrona, mettendosi comodo. “Che regalo fate ai tuoi? Deve essere sensazionale, perché Amy non riusciva a contenere la gioia.”

 

“Una telecamera babbana. Popò la vuole inaugurare con un filmino su di noi.” Jack continuò a fissare il fuoco, sentendo uno strano bisogno di…marcare il territorio. Quella era sempre la sua migliore amica, dopo tutto!

 

“E’ un’idea carina.” Dan sbadigliò. “Sono distrutto…quello stronzo del professor Elphius mi ha fatto lucidare tutto il suo maledettissimo studio per una bravata! E’ un coglione, dovrebbero toglierlo dal suo posto e metterci qualcun altro più capace…”

 

“E così con Amelia fai sul serio, eh?”

 

La domanda a bruciapelo colse Dan di sorpresa. “Come?”

 

“Ti ho chiesto se fai sul serio con Amelia.” Gli occhi blu di Jack ora più che mai ricordavano quelli di suo padre.

 

Dan si accigliò. “Mi piace molto…è una ragazza in gamba.”

 

“Questo lo diresti anche se fosse solo tua amica.” Jack incrociò le braccia sul petto. “Dì un po’, ti sei spinto oltre un semplice bacio?”

 

Dan fece una smorfia. “Con Amelia? Stiamo parlando della stessa persona?”

 

“E con questo che vorresti dire?”

 

Dan lo guardò accigliato. “Semplicemente che Amy non è il tipo che si spinge oltre… lei prende le cose un passo alla volta, e poi siamo ancora all’inizio. Ma perché questa faccia? Che c’hai?”

 

Jack scosse la testa. “Perfettamente niente.”

 

“Mh.” Dan annuì poco convinto. “Comunque ero venuto a chiederti un consiglio, ma visto che sei così allegro credo che rimanderemo.”

 

“Non ce n’è motivo. Dimmi.” Jack inconsapevolmente provò una strana sensazione di ostilità.

 

Dan esitò, poi alla fine parlò. “Niente, è che…pensavo di invitare Amelia per Natale. Si, insomma, a passarlo a casa mia. Che ne dici?”

 

Eh no, questo è davvero troppo!  “Oh, è una splendida idea…e l’anello di fidanzamento glielo dai prima o dopo la mezzanotte?”

 

Dan lo guardò incredulo. “Ma che diavolo blateri…?”

 

Jack si sporse in avanti, con le orecchie improvvisamente più rosse. “Perché vuoi fingere che con Amelia sia importante?! Ti conosco, lo so quando fai sul serio…lei è uno sfizio, tutto qui, e lo posso anche capire…ma perché continuare?!”

 

“Senti un po’, tu.” Dan si mise dritto sulla poltrona. “Hai qualche problema che non so? Perché l’ultima volta che ne abbiamo parlato, tu non avevi proprio niente contro noi due insieme!”

 

“No, infatti, perché ancora non sapevo come sarebbero andate le cose!” Jack non riuscì a restare seduto, e schizzò in piedi. “Adesso ho visto com’è…non è una cosa seria, perché vuoi che lo diventi?!”

 

Dan si alzò lentamente in piedi, socchiudendo gli occhi verdi in un’espressione furibonda. “Chi cazzo credi di essere tu per decidere cosa c’è o non c’è fra me e la mia ragazza… se hai qualche problema o qualche attacco di gelosia, Jack, farai meglio a fartelo uscire adesso, perché questa non te la faccio passare!”

 

Jack fece un passo avanti. “Io non te la faccio passare… stai mettendo a repentaglio la nostra amicizia per un capriccio, e lo stai facendo con la persona sbagliata. Lei non è il tuo tipo, e maledizione se non so come sei fatto, Dan Potter… lei non è la ragazza che vuoi che sia, hai preso un abbaglio che è durato fin troppo!”

 

Dan lo spinse indietro senza grazia. “Non sei nessuno per dire una cosa del genere, chiudi quella boccaccia e pensa alla tua di ragazza ideale, se mai riuscirai a fartene una sola!”

 

Jack avanzò bruscamente e col fuoco negli occhi, ma si fermò quando vide entrare Amelia, ancora tutta felice. Anche Dan la notò, e si limitò a stringere i pugni lungo i fianchi.

 

Amelia sbattè gli occhi, e il sorriso svanì dalla sua faccia. “Ehi…che avete tutti e due?”

 

Jack guardò suo cugino con uno sguardo di fuoco. “Tu non hai nessun diritto su di lei…” gli sussurrò a bassa voce. “Ricordati che è la mia migliore amica da più di otto anni, mentre è la tua ragazza da neanche otto giorni.”

 

Amelia guardò stupita Jack allontanarsi verso l’uscita…era furioso. E a giudicare dalla sua faccia, lo era anche Dan. Con estrema cautela si avvicinò al ragazzo moro e gli sfiorò un braccio. “Ma che è successo?”

 

Dan fece una smorfia di rabbia. “E’ successo che il tuo amico è uno stronzo. E che farà meglio a farsi gli affari suoi, o giuro che glieli faccio pesare davvero i nove mesi di differenza che abbiamo.”

 

Amelia rimase ancora più confusa nel vedere anche Dan andarsene nel dormitorio, con l’aria di chi voleva lanciare fulmini e saette da tutte le parti. Ma che cosa era successo in cinque benedetti minuti che li aveva lasciati soli?

 

 

***************

 

 

“Jack? Jack? Insomma, ti vuoi fermare?!”

 

Malvolentieri Jack decise di ascoltare la voce petulante di Amelia, se non altro per evitare di fare scenate durante gli allenamenti di quidditch. Già erano in ritardo, lui era appena uscito dagli spogliatoi mentre gli altri erano già in volo…ora ci voleva anche lei.

 

“Grazie infinite per l’onore!” esclamò irritata Amelia, anche lei con la casacca gialla e rossa addosso e la scopa in mano. La scopa che le avevano regalato Ron e Hermione per il suo sedicesimo compleanno, un modello da vera campionessa che lei custodiva con incredibile affetto.

 

“Che vuoi?” brontolò Jack, scansandosi i capelli dagli occhi.

 

“No, che vuoi tu!” Amelia mise le mani sui fianchi. “Litighi con tuo cugino e poi eviti me…dov’è il nesso? Che ti ho fatto io?”

 

Jack sospirò e si decise a guardarla. Aveva l’aria molto decisa e battagliera. “Perché stai con Dan?”

 

Amelia sbattè gli occhi. “Ma che domanda è?”

 

“E’ una domanda che esige una risposta.”

 

“Beh, stiamo insieme perché stiamo bene…”

 

Jack scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. “Che risposta di cazzo…”

 

Amelia si accigliò. “Detto da te, che cambi una ragazza ogni dodici ore…”

 

“Ma io lo ammetto che non faccio sul serio con loro.” Jack avanzò fino a piazzarsi proprio davanti a lei, troneggiando nella sua statura rispetto alla figura esile della sua amica. “Sarò anche stronzo, ma almeno sono onesto.”

 

“Sicuro, che bella accoppiata.” Fece ironica Amelia. “Che hai contro me e Dan?”

 

“Adesso te lo dico che ho.” Jack tirò su col naso, mentre un tuono in lontananza rendeva l’atmosfera ancora più cupa e greve. “Io sono convinto che sia tu che lui vi siate voluti togliere uno sfizio… non c’è niente di male, non è condannabile…succede agli amici di lunga data. Diamine, è successo perfino a noi…”

 

“Avevamo tredici anni, Jack.” Fece gelida Amelia, incrociando le braccia sul petto. “E tu mi hai messo un paio di corna che ci potevo fare gol dal centro dello stadio.”

 

“E ti ho chiesto scusa un milione di volte da quella maledetta volta!” fece accesamente Jack, le cui orecchie erano ormai rossissime. “Ma non è questo il punto…il punto è che io conosco te e conosco quell’idiota di mio cugino, e ti posso giurare in tutta onestà che nessuno dei due è preso dall’altra tanto quanto volete far credere…ok, vi siete baciati e sbaciucchiati quanto vi pare, ma perché andare oltre adesso? Non ce n’è bisogno!”

 

“Questa è una scelta che spetta a me e Dan!” replicò animosamente Amelia. “Non ti devi impicciare!”

 

“Non se questo scherzetto idiota mi porta via una delle cose più importanti della mia vita!!”

 

Amelia rimase a bocca aperta. “Tu sei pazzo…”

 

“Perché non lo vuoi capire?!” Jack la scosse per le spalle. “Cazzo, Amelia, la nostra amicizia dovrebbe essere sacra…”

 

“E’ sacra!” Amelia lo respinse bruscamente indietro. “Come ti permetti di metterlo in dubbio?!”

 

“E allora perché l’altra sera sei andata a dormire sulle sue spalle, eh?” le urlò lui. “Credevo che ti piacesse farle solo con me certe cose!”

 

“Anche Dan è mio amico!”

 

“E proprio qui che ti voglio portare!!” Jack la costrinse di spalle contro un albero. “Lui non è come i tuoi ragazzi di sempre, quelli avevano uno spazio da far pena nella tua vita…invece con Dan è diverso perché ha più spazi e più libertà, se devi piangere sulla spalla di qualcuno non hai bisogno di venire a cercare me, lui va benissimo comunque!”

 

“Non è assolutamente vero!!” urlò di rimando lei.

 

“Ok, mettiamola in un altro modo.” Jack la guardò con rabbia. “Hai detto che vuoi entrare anche tu nei War Mage l’anno prossimo, giusto?”

 

“Non ti va bene neanche più questo?!” sibilò furibonda Amelia.

 

“Anche Dan e io faremo lo stesso.” Jack la ignorò. “Se mai ci chiedessero di dividerci in squadre composte da due elementi, con chi dei due andresti? Sceglieresti lui o me, Amelia?!”

 

Amelia rimase a bocca aperta. “Questo è ingiusto!” ringhiò. “Non puoi chiedermi di fare una scelta simile!”

 

“No, questo è semplicemente quello che succederà se vai avanti come stai andando, amica mia… dovrai fare una scelta tra me e Dan, e non ti piacerà!”

 

“Tu sei pazzo e paranoico, e la tua gelosia è immotivata!” Amelia lo spinse con forza indietro, finchè non si fu ripresa il suo spazio. “Dan non è una minaccia per la nostra amicizia…”

 

“Certo, sicuro!” Jack fece una smorfia e appoggiò le mani sui fianchi. “Allora che gli risponderai quando ti chiederà di passare il Natale da lui? Gli dirai che non puoi perché devi stare con me?”

 

Amelia esitò. “Natale è lungo, posso anche fare un giorno da te e uno da lui…”

 

L’espressione sul viso di Jack la disse tutta. Amelia aveva commesso un gravissimo errore di valutazione: lui era un Weasley, non era abituato alle mezze misure. “Ho capito tutto quello che c’è da capire.” Sibilò gelido.

 

“Con quel tono ho motivo di crederti!” gli urlò Amelia.

 

“Non ti disturbare oltre, Amelia, vai a cercare il tuo ragazzo… adesso ti tocca ricominciare tutto fin dall’inizio e con un nuovo migliore amico.” Jack le diede le spalle e alzò il mento con decisione. “Scordati di me, perché io una che sceglie una cottarella squallida a otto anni di amicizia non la voglio nemmeno vedere.”

 

“Chi ti ha detto che ho deciso??” gli strillò dietro lei, livida.

 

Jack rimase tremendamente e incredibilmente immobile e gelido. “E ti è andata anche bene, zio Harry e zia Ginny ti accetteranno volentieri in famiglia… o in alternativa puoi sempre tornare dalla tua, tanto non hai più bisogno né di me né dei miei.”

 

Amelia rimase in silenzio per un lungo momento, troppo presa a mordersi le labbra per evitare di piangere…tentativo vano, quelle parole l’avevano ferita troppo. Due lacrime le scivolarono sulle guance arrossate, e un singhiozzo le morì in gola. “Tu sei l’unica famiglia che abbia mai avuto.” Sussurrò, con la voce che le tremava. “Ho sempre sentito casa tua come mia… evidentemente ho sbagliato di nuovo.”

 

Jack si voltò a guardarla, tenendo testa a un brutto nodo alla gola che gli faceva sentire tante spine nel cuore. “Sei tu che hai fatto la tua scelta.”

 

Amelia ingoiò le lacrime, e trovò la forza di guardarlo in faccia. “Ho sbagliato a illudermi, Jack… io sono sempre stata sola. Mia madre, mio padre…credevo che tu fossi diverso, ma ho sbagliato di nuovo. Io sono maledettamente sola, punto e basta.”

 

Jack la guardò correre via mentre un altro tuono squarciava forte l’aria. Dentro di sé era convinto di aver ragione, di aver detto solo cose giuste e innegabili… quello che però gli faceva sentire il cuore pesante era averla fatta piangere, averla presa sul suo punto debole… forse aveva tirato troppo la corda. Ma lei aveva scelto Dan, era stata solo colpa sua!

 

Accidenti a te, Amelia!!

 

 

***************

 

 

“Sono proprio contenta che finalmente possiamo uscire un po’ insieme in santa pace, Jack!”

 

Jack alzò gli occhi al cielo, ma continuò a camminare e a lasciare che Jenny Green si strusciasse contro il suo braccio mentre lo portava in giro per Hogsmeade. Poveraccia, non era una cattiva ragazza… era anche carina, ma era troppo petulante…e lui non desiderava altro che stare un po’ in pace a pensare. Non aveva più visto Amelia dalla mattina, non si era presentata alle lezioni del pomeriggio e non aveva seguito il gruppetto dei settimo anno che erano sgattaiolati fuori da Hogwarts per un venerdì sera a suon di burrobirre a Hogsmeade.

 

“Jaaack…ho sete!” Jenny lo scosse per il braccio a cui stava attaccata. “Mi offri qualcosa da bere?”

 

“S-si.” Jack sospirò e la prese per mano, mentre lei continuava a parlare e lui era perso nei suoi pensieri. Dov’era Amelia? Stava bene? Ma soprattutto…Dan sapeva veramente come prendersi cura di lei? No, non lo sapeva… non era stato Dan ad abbracciarla forte mentre lei piangeva a dirotto perché suo padre si era dimenticato di farle gli auguri del compleanno, non l’aveva coccolata lui quando il Natale precedente suo nonno era morto, non le aveva tenuto la mano durante tutto il funerale di sua nonna qualche anno prima, non aveva mai costruito una tana col piumone sul letto per nascondersi con lei dal mondo quando diventava insopportabile… Diamine, cosa non avevano diviso lui e Amelia? Jack ricordava ancora perfettamente il giorno in cui Amelia aveva avuto il suo primo ciclo e si era messa a piangere perché non aveva una madre a cui raccontarlo… non era stato Dan a riempirla di coccole e carezze, a farla ridere con battute idiote e a rubare per lei una tazza di tè caldo dalle cucine…

 

“Jack?”

 

“…cosa?”

 

Jenny Green fece una faccia seccata. “Mi sembri leggermente distratto…c’è qualcosa che non va?”

 

Jack sospirò e scosse la testa. “No…no, va tutto bene. Che mi stavi dicendo?”

 

“Pensavo…vogliamo fare una cosa romantica? Io adoro il chiaro di luna… abbiamo infranto le regole scappando stasera, finiamo di infrangerle… conosco un posto dove vorrei andare con te.”

 

Jack scoprì che sotto sotto non gliene importava un granchè. “Ok, andiamo dove vuoi tu.”

 

 

***************

 

 

Dan accarezzò la guancia fredda della sua ragazza, ma ancora non ottenne risposta. Erano lì sdraiati davanti al fuoco della sala comune da ore, ma lei non aveva detto una parola. Non era un atteggiamento nuovo, Amelia amava il silenzio…ma c’era sempre stato Jack a sbloccarla quando faceva così. E per quanto gli desse fastidio ammetterlo, sembrava che lui non fosse capace di fare altrettanto.

 

“Amy…” Dan sospirò ancora. “Per favore, parlami… è stato lui, vero? E’ stato quell’imbecille idiota di mio cugino… che ti ha detto?” ancora niente. “Amelia? Quanto deve andare avanti questo silenzio? Dimmi quello che vuoi, però parlami!”

 

Amelia si voltò lentamente a guardarlo e lo osservò per un lungo momento, passandogli dolcemente una mano lungo il viso e fissandolo con quei suoi grandi occhi da cerbiatta che riuscirono a mettere in soggezione Dan. Sempre con la stessa dolcezza, lei gli baciò dolcemente le labbra e si tirò indietro, riprendendo a guardarlo. “Mi ami?” sussurrò.

 

Dan fece tanto d’occhi. Bel modo di rompere un silenzio! “C-che?”

 

Amelia non si mosse di un muscolo. “Mi ami?” ripetè con la stessa tranquillità di prima.

 

Dan esitò e si grattò una tempia, facendo una piccola smorfia e cercando di guadagnare tempo. “Ahem… amare? Beh…”

 

“Non mi ami.”

 

Dan la guardò preoccupatissimo. “No, aspetta…mica ora torni a stare muta come prima? Non è che non ti amo…”

 

Amelia fece un sorriso largo e appagato. “Non ti amo nemmeno io.”

 

“…perché in fondo…che?”

 

Amelia sorrise e gli accarezzò ancora il viso. “A te non sembra una specie di gioco? Noi due, intendo.”

 

Dan si accigliò. “Stai dicendo questo perché te l’ha detto Jack?”

 

Amelia fece una smorfia. “Ho mai fatto qualcosa perché me l’ha detto qualcuno?”

 

Dan sorrise. “In effetti, per questo ti credo sulla parola.”

 

“Abbiamo dato addosso a Jack perché si era permesso di prendere una decisione al nostro posto, e se l’è meritato…però non ha così tanto torto.” Amelia fece una piccola smorfia imbarazzata. “Tanto per capirci, Dan, lo sai che io non ci giro tanto attorno… non è che mi suiciderei se le cose non andassero bene fra noi… cioè, tu mi piaci davvero tanto, e oltretutto baci come un demonio, ma in certi momenti mi sembra addirittura strano…tu sei il migliore amico di Jack, quello che mi sfotte perché sono più esile di fisico, ti vedo molto più in questa luce che non come…come ragazzo. Lo capisci cosa voglio dire?”

 

Dan annuì e si lasciò andare a un sorriso. “In realtà non mi dici niente di nuovo… voglio dire, tu sei Amelia… sei una delle mie amiche più care, che succederebbe se finissimo a schifo?”

 

“Butteremmo via la nostra amicizia.”

 

“Sarebbe troppo un peccato…” Dan inarcò un sopracciglio. “Beh, oddio…neanche troncare adesso è proprio il massimo, cioè…chi lo sa, magari va bene col tempo…”

 

Amelia lo guardò. “Ma tu credi davvero che fra noi alla lunga potrebbe scoppiare la scintilla?”

 

Dan assunse un’aria pensierosa, poi arricciò il naso. “Non lo so…”

 

“Dan.” Amelia si mise seduta meglio, e gli prese il viso fra le mani. “Tu, Jack e io siamo amici… molto amici. Se fra te e me fosse scoppiata una roba grossa, di quelle che ti stravolgono cielo e terra, tu mi conosci…sai bene che non mi avrebbe fermato nessuno. Tutto quello che so è che tu mi piaci molto, che con te sono stata meglio che con chiunque altro, ma che mi sento anche troppo strana… e non posso rischiare la mia amicizia con Jack per qualcosa di cui non sono nemmeno sicura. Lui non c’entra, perciò non odiarlo… è una decisione mia. Lo capisci?”

 

Dan sospirò e la osservò a lungo, facendole scivolare un dito lungo la mascella. “Tu… lo abbracceresti in quel modo così intenso come fai di solito comunque, anche se noi stessimo insieme?”

 

Amelia annuì, anche se ebbe il tatto di sembrare rammaricata. “Jack è tutta la mia famiglia, Dan… non potrò mai rinunciare a lui. Ed è proprio per questo che tra noi non può andare… se fosse un altro a dover fare i conti con la gelosia non m’importerebbe nulla, ma se sei tu… e poi Jack ha bisogno anche di te, non potete non parlarvi a vita per colpa mia, non lo sopporterei.”

 

Dan inarcò un sopracciglio. “Ti ha detto tutte quelle cose orribili…e tu lo perdoni?”

 

Amelia sorrise in quel modo adorabile tutto suo. “E’ uno scemo, ma ha il cuore al posto giusto. Perde sempre il controllo, e per difendersi aggredisce per primo. Lo conosco bene questo modo di fare…e adesso sarà da qualche parte a farsi l’esame di coscienza tutto rammaricato. Non le voglio le sue scuse, non me ne faccio niente… voglio tornare ad essere sua amica, tutto qui.”

 

Dan le passò un braccio attorno alle spalle e le baciò la tempia. “Quel grandissimo stronzetto rosso non lo sa nemmeno che fortuna che ha ad avere un’amica come te.”

 

“Tipico di Jack.” Lei gli strizzò un occhiolino.

 

Lui sospirò e la lasciò andare. “Accidenti, un po’ mi dispiace… sarà stata anche una fiammata prevedibile e tutto il resto, però è stato bello.”

 

“E’ stato bellissimo, e per questo siamo fortunati… perché ci porteremo dietro un bel ricordo invece di uno cattivo.” Amelia gli tese la mano. “Amici?”

 

Dan fece un sorrisetto e gliela strinse. “Amici.”

 

“Bene.” Amelia sorrise largamente, e con una capriola all’indietro si sdraiò pancia a terra sul tappeto davanti al camino. “E adesso aspettiamo quello scemo di tuo cugino.”

 

Dan fece una smorfia. “Ah, non me lo nominare…abbi un po’ di rispetto, io sto ancora cercando di disintossicarmi da te!”

 

Amelia rise. “Non ti sarà così difficile.”

 

“No, eh? E a te chi te lo dice?”

 

“Pensa al fatto che ho le tette piccole.”

 

“E vabbè, non sono male…non fare quella faccia, mi fai passare per un malato perverso!”

 

“Silenzio, ti sto aiutando a disintossicarti. Ripeti con me: Amelia ha le tette troppo piccole per i miei gusti e non mi piace.”

 

Dan scoppiò a ridere di gusto, e lo fece anche lei.

 

 

***************

 

 

Jack non potè evitare una smorfia di disgusto…di tutti i posti romantici per osservare la luna piena, quella pazza di Jenny Green lo aveva trascinato all’ingresso della Foresta Proibita, dove oltretutto la neve era caduta da poco e rendeva il terreno più scivoloso. Il vento freddo fece agitare gli alberi sonoramente, e Jenny rischiò di prendere uno scivolone non avendo visto un tronco a terra.

 

“Si può sapere in che razza di posto mi hai portato?” le disse senza troppi complimenti.

 

“Non lo so…l’ultima volta era bello!” replicò lei.

 

“E quand’è stata l’ultima volta?”

 

“Con Micheal Miller, a ottobre…sai, era pure comodo…”

 

“Con Micheal Miller non c’erano due centimetri di neve a terra.” Ribattè cupo Jack. “Non c’erano nemmeno i lupi in sottofondo, come puoi notare…e oltretutto non si vede un accidente! La prossima volta che hai intenzione di sedurmi, ti dispiace portarmi almeno dove posso scappare?”

 

Jenny spalancò occhi e bocca. “Se tu fossi stato un po’ meno distratto e un po’ più interessato, forse non avrei dovuto far ricorso a un metodo così…così estremo!”

 

“Stronzate.” Borbottò fra i denti Jack. “Muoviamoci, torniamo a Hogwarts.”

 

“Come ti permetti di parlarmi così…”

 

Jenny gli venne incontro minacciosamente, ma proprio mentre attraversava una specie di collinetta di neve non si accorse di essere finita su una zona senza piede… si afferrò disperatamente al braccio di Jack e urlò mentre la terra le franava sotto i piedi, e tutti e due sprofondarono e ruzzolarono per qualche lunghissimo istante…finchè non finirono sul fondo del piccolo strapiombo che dava sulla Foresta Proibita in tutta la sua tetra e macabra oscurità.

 

“Oh mio Dio!!!” Jenny si guardò le maniche della giacca, tutte a brandelli. “Guarda qui! Questa giacca l’ho pagata 50 galeoni!”

 

Jack si rimise in piedi e cercò di constatare i danni subiti, per fortuna limitabili a qualche graffio e un paio di lividi. “Ma porca putt…”

 

“Ehi!”

 

“Ehi un cazzo!” le sbraitò contro Jack. “Ci hai fatto fare questo bel volo con le tue stronzate!”

 

“Non incolpare me, sei tu quello che mi stava aggredendo!” replicò arrabbiata lei.

 

Jack si passò le mani in faccia. “D’accordo, d’accordo, basta che stai zitta… almeno ce l’hai la bacchetta con te?”

 

Jenny incrociò le braccia sul petto. “Certo che no…è proibito fare magie fuori da Hogwarts.”

 

“Già.” Brontolò Jack, costretto a non dire niente in proposito…dopotutto, anche lui non aveva la sua bacchetta per lo stesso motivo.

 

Jenny si guardò in giro spaventata quando sentì l’ululato di un lupo. “E adesso che facciamo?”

 

“Aspettiamo che qualcuno si accorga della nostra assenza.” Jack incrociò le braccia e si appoggiò di spalle alla parete rocciosa dello strapiombo, mantenendo un’espressione infuriata. “Il che non avverrà prima di domani mattina.”

 

“Che???” Jenny inorridì. “Tu sei pazzo, con tutti i pericoli in questa foresta tu vorresti rimanere qui???”

 

“Ti ricordo che non è stata una mia idea.” Sibilò glaciale lui. “E poi se hai un’idea migliore, accomodati pure.”

 

Jenny si schiarì la gola, si avvicinò le mani alla bocca… “AIUTOOOOOOOO!!!!!!!! QUALCUNO CI AIUTIIIIII!!!! AIUTOOOOOOO!!!!!!”

 

Jack si coprì le orecchie. “Dio, perché mi punisci così…”

 

 

***************

 

 

Dan si scosse dal suo torpore sentendo il rumore di un tessuto trascinato per terra, e quando aprì gli occhi vide Amelia che s’infilava il mantello. “Ma che stai facendo?” le mormorò con la voce assonnata.

 

“Sono quasi le tre.” Gli rispose decisa lei, mentre si abbottonava il mantello. “Tutti quelli che sono andati a Hogsmeade sono già tornati, mentre Jack e Jenny mancano…deve essere successo qualcosa, io vado a cercarli.”

 

Dan si mise su dritto nella poltrona. “Da sola? A quest’ora di notte?”

 

Amelia si tirò su il cappuccio e si coprì la testa. “Non ho paura.”

 

Dan fece un sorrisetto. “Non pensavo che ce l’avessi.”

 

Amelia lo vide alzarsi, e fece un piccolo sorriso. “Vieni con me?”

 

“E che faccio, ti lascio andare da sola?” Dan si infilò anche il suo mantello, che stava tutto appallottolato sulla poltrona accanto alla sua. “Hai un’idea di dove cercarli?”

 

Amelia annuì. “Lungo la strada per Hogsmeade non li ha visti nessuno, e mentre dormivi sono andata a controllare il passaggio segreto. Perciò ci restano il parco e la Foresta Proibita.”

 

Dan si accigliò. “Credi davvero che Jack porterebbe una ragazza a fare le porcate nella Foresta Proibita?”

 

Amelia fece un sorrisetto. “Stiamo cercando Jack Weasley, non una persona normale.”

 

 

***************

 

 

“AIUTOOOOOOOOO!!!!!!!!! VENITECI A SALVAREEEEEEEEEEE!!!!!!!”

 

Jack rasentava un esaurimento nervoso. “Jenny, o la pianti o ti tiro il collo!”

 

“Sta’ zitto, cretino, io almeno cerco di fare qualcosa!”

 

“Nel caso tu non l’avessi notato, io sto cercando di accendere un fuoco!” e in effetti Jack si stava dando parecchio da fare con dei piccoli tronchi e delle pietre, che strofinava con forza.

 

Jenny sbuffò. “Non ci serve un fuoco.” Disse altezzosa.

 

Jack fece una smorfia, e poi un sorrisetto quando sentì ancora l’ululato. “No, infatti…appena si fa vivo il primo lupo, ti lascio come cena e me ne scappo.”

 

“Che pessimo senso dell’umorismo.” Jenny riprese a urlare aiuto.

 

Jack si trattenne…le avrebbe ben volentieri tirato una pietra in faccia…

 

“JACK!! JENNY!!”

 

“EHI, SIETE VOI???”

 

Jenny saltellò freneticamente. “Qui, siamo qui!!!!!”

 

Jack rimase a bocca aperta quando vide comparire Amelia e Dan sul ciglio del baratro. “Dan…Amelia!!”

 

Amelia si scoprì la testa dal cappuccio. “Jack! Stai bene?”

 

Jack non potè evitare un sorriso… la sua migliore amica si era accorta della sua assenza, quindi l’aveva perdonato se era venuta fin lì a cercarlo!

 

“Ma con tutti i posti della terra, proprio qui dovevi venire a fare il porco?” Dan fece un sorrisetto furbastro. “Qualcosa di più civile no?”

 

Jack si sentì sollevato nel vedere che anche suo cugino sembrava aver deposto l’ascia di guerra, e ridacchiò serenamente. “Per una volta io non ho colpa, è lei che mi voleva violentare.”

 

Jenny Green arrossì spaventosamente. “Ma chi te la dà tanta confidenza, maleducato che non sei altro?!”

 

Amelia fece una smorfia. “Dacci un taglio, bionda, hai già fatto anche troppo per stanotte.”

 

Jenny incrociò minacciosamente le braccia sul petto, e a Jack fece quasi pena…non sapeva contro chi se la stava giocando. “Posso chiederti che sei venuta a fare, oltre che a prenderti il tuo momento di gloria in cima a quella roccia?”

 

“Sono venuta a tirarvi fuori dai guai, sorella.” Replicò Amelia, inarcando pericolosamente un sopracciglio. “E adesso vedi di chiudere il becco, non mi fai concentrare…tornatene a fare la figurina delle Cioccorane.”

 

Dan e Jack scoppiarono a ridere simultaneamente, coprendo l’isterica reazione della ragazza bionda, ma tutti si ammutolirono quando si sentì un ululato particolarmente forte…e vicino.

 

“…oddio…” piagnucolò Jenny Green.

 

Dan si guardò attentamente in giro, in cerca di qualcosa che poteva tornare utile. Amelia impugnò la sua bacchetta, ma lui le fermò la mano e scosse la testa. “No…non funzionerebbe. Quando hanno ricostruito Hogwarts hanno allargato il cerchio di difesa fino a tutta la Foresta Proibita, nemmeno qua possiamo usare la magia…ci faremmo soltanto scoprire.”

 

Un altro ululato fece cacciare uno strillino a Jenny, mentre Jack si voltò di scatto per cercare il lupo fra i cespugli e gli alberi.

 

“Ascolta.” Dan si rivolse ad Amelia. “Resto io con loro, tu torna a Hogwarts e trova qualcosa che ci può servire…”

 

“Non vi posso lasciare in balia di un lupo!” protestò Amelia.

 

“Amy, vai! Non ti preoccupare!” le disse Jack. “Ce la caveremo, corri!”

 

Amelia scosse la testa e si rifiutò di ascoltare quello che le stavano dicendo Dan e Jack…viceversa alzò lo sguardo, e nel fitto del fogliame dell’albero sopra le loro teste intravide qualcosa…una specie di grossa liana dal diametro molto largo, incastrata fra tre rami che si incrociavano al centro lasciando pochissimo spazio alla vista. Erano rami cosparsi di spine.

 

“Quella cosa…” Amelia la indicò a Dan. “Se riusciamo a calare quella giù, la potranno usare come corda.”

 

Dan alzò la voce per coprire il rumore dell’ululato. “E come ci passiamo, non lo vedi com’è stretto quel buco? No, dammi retta…”

 

“Non li possiamo lasciare là sotto con un lupo nei paraggi!”

 

“Amy, vai a Hogwarts!!” urlò Jack, cercando di farsi sentire da sotto.

 

“Basta che prendiate una decisione, ma muovetevi!” aggiunse Jenny.

 

“Io non ci passo là in mezzo!!” protestò a voce grossa Dan.

 

Amelia osservò il piccolo foro. “Tu no…io si.”

 

“No, no…Amelia, non puoi farlo! E’ pieno di spine là sopra, ti combinerai un macello!”

 

Amelia si sfilò il mantello con risolutezza. “Quattro graffi sono un prezzo accettabile.”

 

Dan cercò di fermarla, ma lei si divincolò. “Aspetta, ti farai male…!”

 

Quando Jack capì qual’era l’idea, corse verso la parete rocciosa dello strapiombo e ci appoggiò le mani sopra, nel tentativo di guadagnare qualche centimetro in alto e farsi sentire. “No, Amy, no!! Stai ferma, è pericoloso!!”

 

Jenny gli diede un piccolo schiaffo sul braccio. “Vuoi finire in pasto ai lupi?!”

 

“Aspetta…!” Dan non riuscì ad afferrare il piede di Amelia, che fu sveltissima ad arrampicarsi lungo il tronco dell’albero e ad arrivare poco sotto il groviglio di rami.

 

“Maledizione, scendi da lì!!” urlò Jack.

 

“…fate più casino voi di un intero pollaio…” mormorò fra i denti Amelia, mentre si preparava mentalmente a cosa significasse infilarsi lì in mezzo.

 

Jenny lanciò uno strillino sentendo l’ululato del lupo molto forte e molto distintamente.

 

“Beh, per una volta non mi prenderete in giro perché sono piccola e magra.” Fece con un sorrisetto Amelia, e dopo un ultimo respiro profondo si spinse in su e infilò un braccio in mezzo ai rami spinati. Ci volle tutto il suo autocontrollo per non strillare… quei cosi pungevano impietosamente. Si spinse ancora più in su, e trattenne rumorosamente il respiro quando cominciò a far passare anche l’altro braccio e le spalle nell’intricata matassa spinosa… sentiva punture da tutte le parti.

 

“Amelia, ti scongiuro, scendi!!” le urlò disperato Jack, che mai come in quel momento avrebbe desiderato poter andare lì e tirarla giù a forza.

 

“La liana è proprio sopra di te, un po’ più su!!” cercò di dirle Dan, nel tentativo di aiutarla.

 

“…la vedo…!” gli rispose con difficoltà lei, mentre cercava almeno di tenere il viso lontano dai rovi. Cercò un punto libero da spine dove poter appoggiare i gomiti, e riuscì a far passare il suo vitino sottile nel buco di rami. Tese la mano per afferrarla… poteva sfiorarla… “…andiamo, bella…” cercò di spingersi ancora un po’ più su…

 

“Manca l’ultimo sforzo!” la incoraggiò Dan.

 

“…e cazzo, vieni qui!!” Amelia decise di fare le cose a modo suo…con un deciso colpo di reni riuscì a fare un piccolo salto che le consentì di afferrare la liana…ma pagò la sua acrobazia un secondo dopo, quando la liana cedette e assecondò la sua caduta, che terminò con due rami spinati conficcati nelle cosce.

 

Jack chiuse gli occhi quando la sentì gridare.

 

“Aspetta, resta ferma, resta ferma!!” Dan si arrampicò il più velocemente possibile lungo il tronco. Amelia penzolava dai fianchi in giù sotto il groviglio di rami, così la prese per la vita e le strappò via le spine. “Tieni duro, adesso scendiamo…tieniti a me, ti faccio scivolare giù lentamente, ok?” lei annuì, mordendosi forte le labbra mentre due lacrime le scivolarono sulle guance. Dan afferrò un ramo dove non aveva le spine e lo usò per fare un po’ di spazio e lasciarla scendere.

 

Jack tirò un impercettibile sospiro di sollievo quando vide Dan scendere a terra con Amelia fra le braccia. “Stai bene??” urlò.

 

Dan aiutò Amelia a sedersi a terra e si inginocchiò davanti a lei, asciugandole le lacrime coi pollici. “…guarda cos’hai combinato, pazza incosciente…” aveva le mani e i polsi completamente coperti di graffi, e le spine le avevano bucato i jeans, ora insanguinati per i tagli sulle gambe.

 

Nonostante le facesse un male cane, Amelia si morse le labbra e scosse la testa. “…non è niente… tieni.”

 

Dan si ritrovò fra le mani la punta della liana…con un piccolo sorriso orgoglioso la prese, e con due belle tirate forti ottenne abbastanza corda da poterla calare fin dentro lo strapiombo, proprio mentre il lupo si faceva sentire di nuovo. “Dai, ragazzi, venite su!”

 

“Io non mi so arrampicare!!” protestò Jenny.

 

Jack non aspettò neanche un secondo…appena ebbe corda a sufficienza si arrampicò a tutta velocità e arrivò fino in superficie, dove Dan gli diede una mano a scavalcare, ma neanche con lui si soffermò un attimo… corse da Amelia, si gettò in ginocchio accanto a lei e l’abbracciò con tutte le sue forze. Amelia rispose al suo abbraccio, rifugiandosi nelle sue braccia forti che la stringevano così tanto d farle male, quasi le mancava l’aria…ma non gliene importava, l’unica cosa importante era sentire di nuovo Jack. Nascose il viso nel suo petto, e lo strinse per quanto le permettevano le braccia doloranti… e Jack sembrava aver bisogno di quel contatto fisico ancora più di lei, perché la teneva stretta forte a sé e non riusciva a pensare ad altro che al bene immenso che le voleva, e a quanto fosse stato male lontano da lei. Nascose il viso fra i suoi capelli e chiuse forte gli occhi, mentre continuava a chiederle scusa sottovoce quasi come una preghiera… e non accennava a lasciarla respirare, voleva assicurarsi che lei sentisse tutto il suo affetto smisurato che a parole non sarebbe mai riuscito a esprimere… ma in fondo, quando mai aveva avuto bisogno delle parole per comunicare con lei?

 

Dan fece un piccolo sorriso, e nel vedere i due ragazzi che si stringevano e si cullavano a vicenda si rese conto che alla fine era meglio così, non sarebbe mai riuscito a stare con una ragazza che aveva questo genere di legame con suo cugino. Volendo essere obbiettivi erano perfino teneri visti così, a cercare rifugio l’uno nell’altra…

 

“INSOMMA!!! Io sono sempre qua sotto!!!” strillò Jenny.

 

“E sali su, che aspetti?!” replicò Dan.

 

Jenny emise uno strano verso di frustrazione. “Ma se ti ho appena detto che non so salire!! Avanti, scendi e vienimi a prendere!!”

 

Dan si passò una mano sulla faccia. “Santa pace, tutte a me…”

 

Amelia non poteva smettere di sorridere mentre Jack le accarezzava la tempia e la teneva stretta al suo petto, baciandole la fronte di tanto in tanto. Si fece indietro per un momento quando lo sentì sospirare forte, e come immaginava nei suoi occhi lesse rimorso e mortificazione in abbondanza. Jack non era mai stato bravo a esprimere i suoi sentimenti a voce, ma i suoi occhi blu facevano il lavoro per lui altrettanto bene…e Amelia li sapeva leggere benissimo, quegli occhi. Gli fece un piccolo sorriso felice e gli pizzicò il naso fra le dita martoriate, cercando di rassicurarlo. Vedendolo ancora titubante, gli fece un occhiolino allegro e gli porse il dito mignolo… quello stesso dito che si erano stretti la prima notte della loro amicizia, tanti anni prima. Finalmente Jack sorrise largamente e le strinse il mignolo col suo, baciandole la fronte e sfiorandole il naso col suo nel loro solito modo scherzoso di fare. Questo è come tornare a casa, pensò felice Amelia, mentre la gioia di aver ritrovato il suo migliore amico superava il bruciore ai graffi e alle ferite.

 

“…ahia, cazzo!! Toglimi questo braccio davanti agli occhi, non ci vedo!!!” Dan dovette fermarsi mentre si arrampicava con Jenny Green sulle spalle lungo la liana… la ragazza  sgambettava e smanettava furiosamente.

 

“Mi stai facendo cadere!!!” urlò lei. “Aiuto, aiuto!!!”

 

Vuoi stare ferma, porca miseria ladra?!?

 

Jack sfiorò una gamba sanguinante di Amelia e la guardò preoccupato, ma lei scosse la testa. “Non fa male.” Gli disse piano.

 

Lui fece una piccola smorfia. “Bugiarda.”

 

Amelia scrollò le spalle. “E’ sopportabile… passa presto.” Jack sospirò e le accarezzò la guancia. Lei fece un piccolo sorriso. “Dan e io non stiamo più insieme.”

 

“No?” le chiese piano lui.

 

Lei scosse la testa. “C’è ancora posto per un Koala solitario sotto il tuo albero di Natale?” lui sprecò solo un secondo a sorriderle, perché tornò ad abbracciarla forte come e più di prima.

 

“…stai fermo, che non riesco a salire!!” Jenny scavalcò i pochi centimetri che le restavano per balzare su… arrampicandosi sulla testa di Dan, che bofonchiò fra i denti una serie di apprezzamenti poco gentili. “…oh, santo cielo…” mormorò la ragazza, spolverandosi la gonna.

 

Dan si rimise in piedi con una smorfia di affaticamento, e si toccò la schiena. “Accidenti a te, Jenny Green, ma quanto diavolo pesi?”

 

Jenny lo ignorò. “Jack? Dobbiamo tornare a Hogwarts, e io ho i piedi che mi fanno male.”

 

“Si, eh?” Jack fece un sorrisetto, poi passò un braccio sotto le ginocchia di Amelia e uno attorno ai suoi fianchi, e si alzò con lei fra le braccia. “Quanto mi dispiace, Jet, davvero. Fatti un bel pediluvio col sale quando arriviamo.”

 

Jenny inorridì e rimase a bocca aperta, e Amelia le fece un irritante sorrisetto, accompagnato da un saluto della mano. “Ciao, bionda.”

 

Con suo profondo orrore, la ragazza li sentì ridere mentre si allontanavano in direzione del castello. Represse uno strillo per forza di cose, e si voltò verso Dan. “Daniel…”

 

“Te lo scordi, bambola.” Dan si affrettò a infilare le mani nelle tasche e accelerò il passo per affiancare Jack.

 

“Siete solo degli stronfi cafoni!” strillò Jenny. Un ululato però la riscosse, e la costrinse a correre dietro di loro strillando.

 

Jack e Dan se la risero di gusto, Amelia invece preferì passare le braccia attorno al collo di Jack; e mentre lui camminava, lei si rilassò col viso nel suo collo e sospirò, sentendo finalmente la tensione accumulata in quei giorni andarsene via quasi come per effetto di un incantesimo. Un sospiro beato le comparve sulle labbra.

 

Sono a casa adesso.

 

 

** the end **

 

 

^_______^ …e non protestate se non si sono messi insieme… c’è più di un motivo, e magari un giorno di questi vi dirò anche il perché! ^_-  Please, cliccate la scritta qua sotto…che è blu! (…si comincia col non saper riconoscere i colori, poi si passa direttamente al cane guida… -_____-)

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Capitolo 16
*** Until I find you again ***


Beh, diciamoci la verità…questa shotty non era in programma, ma mi è entrata una pulce nell’orecchio dopo aver letto la recens

Beh, diciamoci la verità…questa shotty non era in programma, ma mi è entrata una pulce nell’orecchio dopo aver letto la recensione di Iceygaze…(e poi c’era questa canzone che è troppo bella, l’adoro!) …perciò stavolta mi sa proprio che la dedica spetta a lui! Ho alleviato un po’ la tua protesta, amico? Dai che ho dato un po’ di respiro a tutti i fan di Jack e Amelia… ^_- Bacissimi a tutti e grazie ancora per gli auguri! Buona lettura!

 

 

 

 

UNTIL I FIND YOU AGAIN

 

 

 

 

 

Lately I've been trying
To fill up my days since you're gone
The speed of love is blinding
And I didn't know how to hold on
My mind won't clear
I'm out of tears
My heart's got no room left inside

 

 

 

Per quanto impossibile potesse suonare, per la prima volta in tre anni stare nello stesso scompartimento dei suoi amici a Jack dava un fastidio enorme. Sembravano tutti così contenti e così allegri, se la ridevano anche per le cose più stupide, fondamentalmente emozionati all’idea che di lì a pochi giorni avrebbero festeggiato il Natale con tutti i regali che desideravano. Il treno pr Londra era stato precisissimo come al solito, e sfrecciava nel paesaggio imbiancato e terribilmente malinconico… e Jack non riusciva a staccare gli occhi da quel finestrino. Marsh lo aveva massacrato a Sparaschiocco, si era lasciato scappare almeno tre o quattro affaroni tra quelle diavolerie che comprava sottobanco Ben a Hogsmeade, che a giudicare dalle risate di Dan dovevano essere state trucchi fra i migliori… ma niente, a lui non andava.

 

Che voglia poteva avere di festeggiare il Natale se lei non ci sarebbe stata?

 

Non era più abituato a non averla per casa ogni istante del suo tempo libero… sarebbe stato tristissimo. Avrebbe passato un Natale da fare schifo, ma dopo tutto questa era la giusta punizione. O meglio, era un anticipo sulla giusta punizione. Forse non avrebbe mai pagato abbastanza per quello che le aveva fatto.

 

“Ehi, piattola, ti vuoi decidere a pescare la tua carta?! Mi sto ammuffendo!”

 

Lascialo stare, Marsh, è in fase larva…”

 

“Jack, pronto? Sei ancora con noi?”

 

La mano di Dan che andava su e giù davanti ai suoi occhi infastidì Jack, che sbattè le due carte che aveva in mano sul sediolino e guardò male i suoi compagni. “Non mi tirate le palle.”

 

E chi ci tiene.” Ridacchiò Marsh.

 

In risposta alle risatine dei suoi amici, Jack brontolò un paio di parolacce fra i denti e si voltò verso il finestrino, deciso ad ignorarli. Aveva ben altro per la mente.

 

 

 

 

“…i tuoi capelli mi fanno il solletico!”

 

“Non sono i capelli, te lo sto proprio facendo!”

 

E meno male che volevi dormire!”

 

Amelia rise col suo solito tono vispo, ma allo stesso tempo appena sussurrato per evitare che Ron e Hermione scoprissero che né lei né Jack stavano dormendo. Quando si infilavano nello stesso letto, le cose potevano andare solo in due modi: o si addormentavano come due sassi subito, o passavano gran parte della notte a ridere o a parlare…o anche a piangere, se ne sentivano il bisogno. Cioè… lei piangeva, lui non lo aveva mai fatto…non era una cosa ‘da maschi’.

 

“Secondo me tu domani ti addormenti su quel coso che devi prendere…come si chiama?”

 

“Aereo.” Amelia fece un sorriso disteso. “Non ci posso fare niente, è la prima volta dopo tanto tempo che papà mi porta a passare una vacanza di una settimana intera con lui… sono troppo emozionata.

 

Jack le fece un sorriso sincero. Era così tenera…mendicava un po’ di affetto da chiunque gliene offrisse, ma lo faceva sempre con quel suo modo brusco e aggressivo e ribelle…e infinitamente dolce, quando ne otteneva.

 

Che cosa farai questa settimana senza di me?” gli domandò curiosa.

 

“Vediamo un po’…” Jack si finse pensieroso. “Me la spasso, si.” 

 

Amelia ridendo gli tirò il naso. “Scemo.”

 

Jack si voltò su un fianco e la osservò per un lungo momento. “Un po’ mi dispiace di non venire con te…mi piaci in costume.

 

“Si, ti piaccio davvero…tra te e Dan mi avete fatto il lavaggio del cervello che sembro una scopa.”

 

“Non è vero…” a Jack sfuggì un sorriso. “Scherzavamo.”

 

“Come no.” Fece beffarda Amelia.

 

Jack appoggiò la guancia su una mano. “Io scherzavo di sicuro…non sei affatto una scopa. Anzi, secondo me sei molto carina.”

 

Amelia aprì solo un occhio e lo guardò, scoppiando a ridere un momento dopo. “Io non sono carina, sono carine tutte quelle tipe che piacciono a te… a confronto io sono una mocciosa insignificante.

 

Jack inarcò un sopracciglio. “E questo chi lo dice?”

 

“Lo dicono tutti.” Amelia si rotolò su un fianco e si nascose col viso nel suo petto. “Dai, basta parlare di queste cose…non mi piace, mi imbarazza.”

 

“No no, invece ne parliamo eccome…” Jack le appoggiò una mano sulla spalla e la fece tornare supina. “Io non sono tutti, e in tutti questi anni non ti ho mai detto una palla… e se ti dico che sei bella mi devi credere e basta.

 

Amelia lo guardò in silenzio, sbattendo piano gli occhi. “Fai sul serio?”

 

Jack annuì. “Si…anzi, per essere onesti io ti trovo bellissima.”

 

Amelia arrossì e si grattò il naso. “Grazie.”

 

“Io ti piaccio?”

 

Lei sorrise. “No, sei un rospo.”

 

A Jack scappò un sorriso, poi tornò serio. “Dai, per vero… non ti piaccio nemmeno un po’?”

 

Amelia arrossì ancora di più. “…te lo posso dire da qua?” gli mormorò, nascondendo il viso nel suo collo.

 

Jack rise e annuì. “Ok.”

 

“…si che mi piaci…” Amelia trovò alla fine il coraggio di tirarsi su e guardare Jack dritto in faccia. “Come si fa adesso…cioè, non è che se c’è questa cosa poi non possiamo più essere amici…”

 

Jack scrollò le spalle. “Chi lo dice? Possiamo fare quello che vogliamo, mica dobbiamo per forza smettere di essere amici solo perché possiamo stare insieme.”

 

Amelia si strinse nelle spalle. “No…solo che…”

 

“Tu ti fai troppi problemi.” Jack si mise seduto sul letto, alla sua stessa altezza. “Allora, ti piaccio o non ti piaccio io?”

 

“Mi piaci un casino, ok, mi piaci un casinissimo!” replicò stizzita Amelia, smanettando. “Ma non mi fai nemmeno…” …chissà se era mai stato provato che gli occhi potevano ingigantirsi improvvisamente e senza preavviso…perché quelli di Amelia si ingigantirono eccome quando Jack la interruppe, afferrandola per gli avambracci e zittendola con un bacio. Un semplice quanto indimenticabile casto incontro-scontro di labbra che faceva scintille quanto un fuoco d’artificio.

 

Quando Jack si fece indietro, sul suo viso si fece largo un sorriso tipicamente Weasley. “Finalmente… accidenti a te, Sheffield, ma sai da quant’è che avevo voglia di farlo?”

 

Amelia aveva ancora una faccia decisamente confusa – e soddisfatta allo stesso tempo – e questa affermazione le incoraggiò un sorriso. “Davvero?”

 

Jack annuì tranquillamente…era tutto così sereno, così spontaneo… niente battutine già preparate per far colpo, niente aria da macho…era se stesso e basta, contento di esserlo e di sapere che per lei era la stessa cosa. “Si, davvero.”

 

Amelia recuperò il suo caratterino. “E mi hai fatto aspettare tutto questo tempo? Scusa, eh, ma non sei tu quello sciolto?”

 

“Appunto, sai che risate se venivo da te e ti chiedevo un bacio nel momento sbagliato?” Jack le accarezzò una guancia arrossata. “Minimo minimo mi svenivi… tu sei una patata in questo genere di cose.

 

Amelia si imbronciò. “Non sono una patata.”

 

Si che lo sei.”

 

“Non è vero.”

 

“E’ vero…sei timida.”

 

“Vuoi che ti dimostro il contrario?”

 

“Come vuoi e quando vuoi.”

 

“Bene.” Per tutta risposta, Amelia gli prese il viso fra le mani e senza starci troppo a pensare appoggiò le proprie labbra contro le sue…per la seconda volta in quella notte bizzarra e meravigliosa. All’inizio pensava che il bacio sarebbe durato poco, quanto il primo…ma poi sentì le braccia di Jack attorno ai fianchi, e le fece piacere…fu per istinto che anche lei gli passò le braccia attorno al collo, e non si staccò da lui. E seguendo un po’ i suoi movimenti, Amelia scoprì che baciare era molto più semplice e rilassante con lui.

 

“Adesso si crea davvero il problema di cosa faccio io tutta questa settimana. Mormorò Jack, col fiato leggermente corto e un sorriso entusiasta e allegro sulla faccia. “Sette giorni senza la mia ragazza.”

 

Amelia fece un sorriso così bello e felice che gli fece venire una gran voglia di baciarla ancora. “Ehi, suona bene…”

 

Jack annuì con convinzione e la strinse un po’ di più a sé. “A che ora parti domani mattina?”

 

Amelia ci riflettè. “Alle nove, più o meno.”

 

Jack fece un sorrisetto furbo. “Abbiamo più o meno sette ore a disposizione.

 

E che aspetti a baciarmi, scemo?”

 

 

 

 

Punto, partita e torneo!! Vi ho fatti fessi!!”

 

“Hai barato, ti sei fatto scivolare una carta nella manica, ti ho visto!”

 

Ma quale barato! Tu non sai perdere, Potter!”

 

Ha ragione Dan, sei uno schifosissimo baro!”

 

Jack sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Non riusciva a sopportare tutto quel baccano…baccano che in un’altra situazione lo avrebbe fatto divertire molto, ma in quel momento era solo rumore… un fastidioso rumore che gli faceva da ronzio in sottofondo ai suoi pensieri. Mormorò una scusa biascicata fra i denti – con la certezza che avrebbe dato l’ennesimo motivo ai suoi amici di definirlo un vegetale – e uscì dallo scompartimento, richiudendone la porta scorrevole con un piccolo click silenzioso. Si trascinò lentamente lungo il tranquillo corridoio…da qualche parte c’era un bagno, all’inizio del vagone…

 

 

 

 

“…e dai, Jack…dobbiamo studiare…”

 

“…non fare la secchiona…” Jack la baciò di nuovo, impedendole di leggere il libro che aveva in mano. “Manca più di un mese all’inizio della scuola.

 

“Si, ma noi siamo messi male coi compiti.” Amelia gli coprì la bocca con una mano. “E dai, sembri una ventosa!”

 

“Non ti dava così tanto fastidio di stare appiccicata a una ventosa l’altra mattina!”

 

E beh, non ti vedevo da una settimana!”

 

Jack le accarezzò i capelli. “Ti sono mancato un po’?”

 

Amelia si sistemò meglio sulle sue ginocchia. “Molto…senti una cosa, ma non diciamo niente a nessuno?”

 

“Di noi?” Jack scrollò le spalle. “Io veramente non mi vorrei far prendere in giro… sai, tipo che ci chiamano i fidanzatini e quella roba lì…”

 

Hai ragione, non se ne parla.” Amelia gli scansò i capelli dalla fronte. “Ma se poi mentre siamo a scuola io avessi voglia di un bacio?”

 

Jack fece un sorrisone. “Vienimelo a dire, poi ci penso io.”

 

Amelia rise, e gli stampò un piccolo bacio sulle labbra. “Sei una ventosa.”

 

Jack ridacchiò. “Non mi hai ancora raccontato com’è andata con tuo padre mentre eravate via.

 

“Siamo stati bene, anche se c’era Denise. Amelia arricciò il naso. “Siamo stati fin troppo bene…sai da quant’è che papà non si prendeva un’intera settimana da passare tutta con me?”

 

“Visto, poi non mi credi quando ti dico che ti vuole bene.

 

“Speriamo che sia la volta buona… sai, sarebbe bello se restasse anche lui per Natale…per una volta potrei essere io a invitare voi a casa mia, anche con papà…secondo te resterà per Natale?”

 

Jack fece un piccolo sorriso vedendo lo sguardo speranzoso di Amelia. Non se la sentiva affatto di deluderla, anche se conoscendo il signor Sheffield… “Può essere…ma anche se non rimane non fa niente, resti con noi…lo sai che mamma e papà ti adorano, li fai solo contenti.”

 

“Anche io li adoro…però mi piacerebbe invitarvi a casa mia. Amelia fece un sorriso sognante. “Magari quest’anno potrei cercare di sistemarmi un po’…sembrare un po’  più carina. Sai…per te.” aggiunse sottovoce, con le guance rosse.

 

Jack le accarezzò il viso. “Tu sei già bellissima.”

 

Amelia si accoccolò con la testa sotto il suo mento, lasciandosi abbracciare come faceva sempre quando aveva voglia di coccole. “Che bello che ci sei tu, Jack… se non ci fossi tu io non so cosa farei. Non sai quant’è brutto essere soli…e io prima ero solissima.

 

Jack la strinse a sé. “Dimenticati questa sensazione, Amy, perché finchè ci sarò io tu non la proverai più.”

 

 

 

 

Jack uscì dal bagno dando un calcio alla porta. Più ripercorreva gli eventi e più si rendeva conto di che schifo faceva… era come avere un grosso peso sul petto che non lo lasciava respirare liberamente. Amelia…io non volevo, te lo giuro!! Parole…poteva averle chiesto perdono un milione di volte, le aveva strappato l’unica cosa che non avrebbe mai dovuto toglierle…il suo migliore amico. L’aveva fatta piangere così tanto…quanto si odiava! Se solo avesse potuto portare indietro il tempo

 

Sospirando forte Jack si trascinò lungo il corridoio, sbuffando e affondando le mani nelle tasche. Quasi per caso guardò dritto davanti a sé…e rimase pietrificato quando la vide.

 

Stava camminando insieme alla sua amica riccioluta, Hellen qualcosa, ma non sembrava ascoltare quello che le stava raccontando lei…teneva gli occhi bassi, e il suo viso tradiva stanchezza e noia. Fu Hellen a vederlo e a fermarsi per prima, Amelia si bloccò solo di conseguenza. Jack provò una fitta al petto quando i loro sguardi si incrociarono…i suoi occhi da cerbiatta erano vuoti e tristi come tanti anni prima, quando ancora non si dicevano più di un ciao. Hellen li guardò entrambi tentando di essere discreta.

 

Jack fece un piccolo passo avanti. Non sapeva cosa dire, eppure ce n’erano di cose… “…ciao.

 

Amelia sospirò impercettibilmente e abbassò lo sguardo, riprendendo a camminare e superandolo senza guardarlo.

 

“Amelia, aspetta…” Jack provò a fermarla, ma non ci fu verso. Hellen gli lanciò uno sguardo mortificato e raggiunse la sua amica, sussurrandole animosamente qualcosa che però lasciò Amelia imperturbabile. Proprio come tanti anni prima…

 

…ti ho ridotto io così, Amy?…

 

 

***************

 

How many dreams will end?
How long can I pretend?
How many times will love pass me by
Until I find you again?

 

***************

 

 

La stazione di King’s Cross era affollata come al solito, e Jack e Dan fecero quasi fatica a trovare i loro genitori al di là dei binari. Per fortuna Dan a un certo punto smise di parlare con lui per voltarsi e cercare sua sorella – Julie era solo al primo anno, e Dan era molto più attento di quanto non potesse sembrare – e Jack salutò lungo la strada i suoi zii, per poi vedere finalmente la sua famiglia.

 

La piccola Katie scivolò giù dalle braccia di suo padre e gli venne incontro, correndo felicemente coi riccioletti biondi che si agitavano ad ogni passetto. Jack fece la cosa più simile a un sorriso che avesse fatto in due mesi, e la prese in braccio. “Ciao birba.”

 

“Sao!!” gli disse felice la bambina, attaccandosi al suo collo.

 

“Finalmente!” Simon aveva l’aria allegra. “Mi hai portato quel libro che ti avevo chiesto di comprarmi?” Jack annuì, e lui sembrò ancora più contento. “Wow, evviva!”

 

“Ciao tesoro!” Hermione non si soffermò neanche per un istante a pensare se a suo figlio tredicenne un bacio dato pubblicamente avesse dato fastidio, semplicemente lo abbracciò e gli baciò la guancia… e con sua grande sorpresa, il ragazzino non fece storie. “Bentornato a casa! Com’è andato finora l’anno scolastico?”

 

Jack scrollò le spalle. “Alti e bassi.” Mormorò, mettendo a terra Katie.

 

“Buon Natale, Jack.” Ron gli diede una pacca amichevole sulle spalle. “Come va, tutto bene?”

 

Simon anticipò la risposta del fratello, guardandosi in giro con aria accigliata. “Ma Amely? Non c’è?”

 

Hermione indicò l’uscita della stazione. “Ho visto l’autista di suo padre fuori…che bello, speriamo che sia venuto a prenderla…per lei significherebbe tanto…”

 

Ron scosse la testa, facendo una smorfia amara. “Chi, Laurence Sheffield? Mi meraviglio che ancora si ricordi che faccia ha la figlia.

 

“Ron.” Lo ammonì Hermione.

 

Perché Amely non è con te?” chiese Simon al fratello. Katie si aggrappò alla mano del suo adorato fratellone, saltellando allegramente.

 

E che ne so io, non sono la sua balia.” Replicò animosamente Jack, lasciando la mano della sorella e facendo qualche passo avanti per allontanarsi dai binari.

 

Hermione si accigliò. “C’è qualcosa che non va, Jack?”

 

“Non va che state sempre a chiedermi…”

 

“C’è Amely!!” Simon le corse incontro appena la vide scendere dal vagone, e ancora più tenera fu Katie… che gli corse dietro con quella camminata instabile e da paperetta che poteva avere una bimba di tre anni.

 

Amelia sorrise largamente quando se li vide arrivare incontro; prima abbracciò forte Simon, arruffandogli i capelli, poi prese in braccio Katie e le stampò un sonoro bacio schioccoso nella guanciotta paffuta, facendola ridere.

 

Ron inarcò un sopracciglio e guardò suo figlio maggiore, mentre anche Hermione andava a salutare Amelia. “Avete litigato o sbaglio?”

 

Jack sbuffò. “Posso tenermi i fatti miei per me?”

 

“Come vuoi.” Anche Ron si avviò verso il gruppetto.

 

Jack rimase a guardare con aria torva. Finalmente un sorriso…ora che c’erano i suoi genitori, suo fratello e sua sorella, Amelia sembrava essere di nuovo la stessa. Ron le diede un pizzicotto sul naso e le disse qualcosa, e in quel momento Amelia abbassò per un attimo gli occhi e scosse la testa. Jack intuì che forse le aveva appena chiesto a che ora sarebbe venuta a casa loro per Natale, e lei si era negata. La conferma venne dalle proteste di Simon, che Amelia rassicurò con una carezza, e dalla strana occhiata che Hermione gli lanciò in lontananza. Mai come in quel momento Jack avrebbe voluto che si aprisse una fossa sotto i suoi piedi, e fu ben felice quando Amelia salutò tutti e si defilò verso l’uscita della stazione. Non che questo lo facesse sentire meglio, anzi…gli sguardi eloquenti dei suoi genitori e le occhiatacce di Simon provvedevano a farlo sentire costantemente peggio.

 

Bene, potrebbe andare peggio di così?

 

“Tutti nella poppò!” esclamò felice Katie, mentre si sedeva sul sedile posteriore della macchina fra i suoi fratelli. Simon le pizzicò la guanciotta paffuta. “Io guido!”

 

“Si, amore, tra qualche annetto però, eh?” Ron sorrise e fece partire la macchina.

 

Hermione si tolse gli occhiali da sole e si voltò verso i suoi figli. “Allora, avete raccontato a Jack dello gnomo che ha fatto impazzire papà la settimana scorsa?”

 

Ron alzò gli occhi al cielo. “Ancora con questa storia…”

 

“Papà faseva così!” Katie agitava le manine come per colpire qualcosa. “E lo nnomo puff, via e poi puff, faseva la linguaccia…” Jack le accarezzò vagamente la testa, ma non diede peso al racconto. Hermione scambiò un’occhiata rapida con Ron.

 

Improvvisamente Simon si voltò verso il fratello. “Che cos’hai fatto ad Amelia, eh?”

 

Jack lo guardò male. “Non sono affari tuoi.”

 

“E’ anche amica mia, sono affari miei!” ribattè Simon. “Ha detto che non verrà per Natale da noi, quindi tu le devi aver fatto qualcosa!”

 

Jack si incupì ancora di più. “Quello che succede fra me e Amelia non sono affari tuoi, stupido pannolone che non sei altro!”

 

“Sei uno stronzo!”

 

“Oh!” li richiamò Hermione.

 

“Onzo, onzo!” esclamò festosa Katie, battendo le manine.

 

Ti insegno io a farti gli affari tuoi, brutto moccioso!” Jack balzò addosso a Simon, e nello spazio ristretto della macchina non si riuscì a capire come, ma riuscirono a darsele. Katie, travolta in mezzo, strillò.

 

“Smettetela subito!!” Hermione si affannò per cercare di dividere i due ragazzini.

 

Senza starci a pensare su, Ron accostò la macchina, scese, aprì lo sportello posteriore e trascinò letteralmente fuori sia Jack che Simon, tirandoli per un braccio. “E allora?!” tuonò, strattonandoli entrambi. “Neanche vi siete visti per cinque minuti che già cominciamo?!”

 

Hermione scese dalla macchina, con Katie fra le braccia. “Jack, si può sapere che hai?”

 

“Lui ha cominciato!” protestò animosamente Jack, cercando di divincolarsi dalla presa di suo padre.

 

“Lui ha fatto qualcosa ad Amelia e non lo vuole ammettere perché è uno stronzo!” replicò ardentemente Simon.

 

“Vaffanculo!!” Jack fece per gettarsi di nuovo addosso al fratello, ma il padre lo trattenne solidamente.

 

“Tra un secondo la calma la ristabiliamo a modo mio!!” urlò Ron. “E’ chiaro?!”

 

Finalmente i due ragazzini si placarono, dato che nessuno dei due amava particolarmente prendere ceffoni da quel colosso del padre. Katie, che si stava succhiando beatamente il pollicione, si accoccolò in collo a sua madre.

 

“Ora, tu.” Ron lasciò andare Jack e lo strattonò per guardarlo in faccia. “Non so cosa ti sia capitato e non ho intenzione di chiedertelo di nuovo, ma ricordati che tuo fratello non ti ha fatto niente e si stava solo preoccupando per un’amica, quelle manacce te le devi tenere nelle tasche quando non sei costretto ad usarle, o ti assicuro, Jack, te lo faccio perdere io il vizio! Quanto a te.” stavolta toccò a Simon. “Lascia in pace tuo fratello e non fare il petulante, se ti ha detto che sono affari suoi lascia che se ne occupi lui! Cuciti la bocca e non lo provocare, perché altrimenti un bel ceffone in faccia non te lo leva nessuno, è chiaro?! Mi sono spiegato?!”

 

Jack e Simon brontolarono unsissignore’ fra i denti.

 

“E’ Natale, porca miseria! Vediamo di godercelo!” Ron aprì lo sportello della macchina. “Avanti, dentro! E se sento un fiato sono guai!”

 

“Fate come dice papà.” Mormorò Hermione, facendo sedere sul sedile posteriore anche la piccola Katie. I due ragazzini obbedirono, e Ron chiuse bruscamente la portiera e sbuffò. Hermione gli appoggiò una mano sul braccio. “E’ normale, sono tutti e due in un’età difficile.”

 

“Qua il problema è che questi ci assomigliano troppo, Hermione. Sbottò stancamente Ron. “Mai che riuscissero a essere d’accordo su qualcosa.”

 

Passerà, è una fase.” Hermione scrollò le spalle. “Riusciranno a trovare il loro equilibrio, piano piano.

 

“Eh.” Ron le passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “E’ quel piano piano che mi spaventa.”

 

 

***************

 

Will the arms of hope surround me?
Will time be a fairweather friend?
Should I call out to angels
Or just drink myself sober again?
I can't hide, it's true
I still burn for you
Your memory just won't let me go

 

***************

 

 

Ma chi ha mai detto che la notte porta consiglio?

 

Jack si trascinò dal letto fino all’armadio, per tirare fuori il felpone e i jeans che avrebbe indossato. Non erano neanche le otto, e lui era già in piedi…che tristezza. Non che fosse il primo a svegliarsi in casa, visto che i suoi genitori erano già di sotto, in cucina, e si sentivano distintamente le risate di Simon e Katie provenire dal corridoio. Ma quello era il suo primo giorno di vacanza da Hogwarts… avrebbe dovuto dormire come un ghiro, e invece per tutta la notte non aveva chiuso occhio. Continuava a pensare ad Amelia… il giorno seguente sarebbe stato Natale, come l’avrebbe passato lei? Suo padre era rimasto? In genere non restava mai…e lei con chi sarebbe stata? Perché chiederselo, quando già conosceva la risposta…da sola.

 

 

“Che bello che ci sei tu, Jack… se non ci fossi tu io non so cosa farei. Non sai quant’è brutto essere soli…e io prima ero solissima.

 

 

Jack chiuse forte gli occhi. Si sentiva come un macigno in gola…era questo piangere? Lui non lo faceva mai, non era una cosa da maschi…suo padre non piangeva mai, quindi perché avrebbe dovuto farlo lui…però adesso aveva un’idea della sensazione che precedeva un buon pianto. Inspirò e respirò più volte, sforzandosi di calmarsi…e quando ci riuscì prese una decisione, e uscì dalla sua stanza rapidamente.

 

I suoi genitori erano ovviamente già in piedi, e già in alta uniforme di War Mage nascosta da mantelli che ricordavano tanto quelli che si usavano a Hogwarts; stavano prendendo il caffè in piedi, accanto al lavello, e si stavano parlando in tono fitto. Ron sussurrò qualcosa all’orecchio di Hermione, che rise di gusto. Ron annuì e si sporse per baciarla, e lei rispose al bacio passandogli una mano fra i capelli. Jack si sentì un verme a doverli interrompere, a parte che provava un leggero imbarazzo a vedere i suoi genitori in quella situazione – anche se ormai ci era abbondantemente abituato – così procedette piano, avvicinandosi alla porta e sperando che fossero i suoi passi ad attirare la loro attenzione… ma alcune risatine allegre provenienti dal piano di sopra lo bruciarono sul tempo.

 

Ron si fece indietro e sorrise. “Che hanno da ridersela così quei due?”

 

Anche Hermione parlò con un sorriso disteso sulle labbra. “Non ti ho detto che è successo un paio di giorni fa?” lui scosse la testa. “Katie ha scoperto che Simon fa la pipì diversamente da come la fa lei, e si prendono in giro da allora…lei ha detto che lui fa la pipì con la trombetta, e lui ogni volta che va in bagno dall’altra parte della porta fa il verso della tromba e ridono…sai che ti dico? Hanno un umorismo contagioso.”

 

Ron ridacchiò e scosse la testa. “Ehi, stavolta tocca a te spiegare la differenza tra maschi e femmine.

 

“Simon ha eliminato il problema alla radice…gliel’ha spiegato lui.

 

“Sono sempre più convinto che quel ragazzino sia in gamba, si vede che ha sangue Weasley nelle vene.

 

“Però tu sei stato molto dolce l’ultima volta che hai spiegato ai ragazzi come nascono i bambini. Hermione gli stampò un bacio sulle labbra e sciacquò la tazzina ormai vuota nel lavello.

 

Ron fece un sorrisetto, bevendo l’ultimo goccio di caffè. “Aspetta che me lo richiedano adesso che sono grandi, lì ti voglio.

 

“Ah!” Hermione gli diede uno schiaffetto sulla nuca. “Non ci provare!”

 

Ron rise e scosse la testa…e solo allora si accorse della presenza di Jack sulla soglia della porta. “Ehi, buongiorno.”

 

Anche Hermione lo vide. “Ciao tesoro! Già in piedi a quest’ora?”

 

Jack esitò. “…papà? Io avrei bisogno…di parlare con te.”

 

Ron si accigliò. “Va tutto bene, Jack?” il figlio scosse la testa.

 

“Vai.” Hermione gli sfilò la tazzina di mano. “Ci vediamo direttamente al quartier generale.

 

Ron annuì e raggiunse suo figlio, passandogli un braccio attorno alle spalle e portandolo con sé in camera sua e di Hermione. “Sono a tua disposizione.” Gli disse amorevolmente, sedendosi sul lettone.

 

Jack non riusciva ad alzare gli occhi da terra. “La…la verità è che Simon ha ragione. Io sono uno stronzo. E sono anche un infame.”

 

Ron si accigliò. “Che cosa hai fatto ad Amelia, Jack?”

 

Jack non si meravigliò che il padre fosse saltato alla conclusione giusta così rapidamente… era una spia dei servizi segreti del Ministero, in fondo. “L’ho fatta piangere. E adesso lei mi odia.”

 

“Mh.” Ron si sporse in avanti. “Ti andrebbe di raccontarmi per bene cos’è successo?”

 

Jack trasse un profondo respiro. Si vergognava da pazzi, e soprattutto c’era quella faccenda della gola strozzata da quelle lacrime che non volevano saperne di uscire che gli rendeva tutto più difficile.

 

 

 

 

“Buongiorno!” Jack scoccò un bacio sulla guancia ad Amelia quando la raggiunse nella Sala Grande, mentre faceva colazione con gli altri. Non avrebbe osato baciarla in pubblico… avevano deciso di non farsi scoprire. Però un bacetto innocente…

 

“Ciao!” esclamò felice Amelia, chiudendo il libro di Babbanologia che aveva davanti a sé.

 

“Meno male che sei arrivato!” esclamò Dan, mentre il cugino prendeva posto accanto a lui. “Non è che hai fatto i compiti di Pozioni ieri? Mi devi salvare da quell’arpia…”

 

“Spiacente, siamo sulla stessa barca.” Jack guardò Amelia e si trattenne dal sorridere. Avevano passato mezzo pomeriggio nascosti nel bagno delle ragazze, a sbaciucchiarsi…non c’era stato tanto tempo per studiare.

 

“Fantastico!” Dan sbuffò. “Che diamine…certo che almeno tu, Amy…perché non li hai fatti tu?”

 

“Li dovevo fare perché tu potessi copiare?” Amelia inarcò un sopracciglio. “Incrociando le dita non verremo interrogati.”

 

Dan fece una smorfia. “E pensare che ti credevo una brava studentessa…”

 

Amelia rise. “Solo quando ti fa comodo.”

 

Jack addentò una fetta di torta di mele. “Ha ragione lei.”

 

E quando mai.” Commentò ironico Dan.

 

“Com’è tardi…” Amelia si alzò e raccolse la sua borsa dalla panca. “Ho Babbanologia fra cinque minuti… ci vediamo a pranzo!”

 

Jack la salutò con la mano, e Dan appoggiò il mento in un gomito. “Ultimamente Amy è sempre allegra, eh?”

 

“Già.” Jack continuò a mangiare.

 

Dan si guardò un po’ in giro…e l’occhio gli cadde sul tavolo dei Serpeverde. Più precisamente, su un paio di ragazzine sue coetanee… “Jack?”

 

“Mh?”

 

“C’è Gia Robbins che ti sta fissando da quando sei arrivato.

 

Jack alzò lo sguardo. Gia Robbins era una biondina tredicenne di Serpeverde, faceva parte della squadra di quidditch e non perdeva mai occasione di sbattere gli occhi azzurri quando Jack era in circolazione.

 

Dan ridacchiò. “Secondo me le piaci un sacco.”

 

Jack la guardò…lei gli sorrise. “Brutta non è.”

 

“No, infatti…ti piace?”

 

“No.” L’amica di Gia le mormorò qualcosa, e lei rise e annuì. Jack si alzò dalla sua panca e prese anche i suoi libri.

 

“Ehi, dove vai?” gli chiese stupito Dan.

 

“A portare il libro di Babbanologia ad Amelia. Jack prese il grosso tomo dal tavolo. “Ci vediamo a Divinazione.”

 

Jack uscì dalla Sala Grande e voltò l’angolo per avviarsi verso l’aula di Babbanologia, al secondo piano, quando si accorse di essere seguito. Si voltò…e con sua grande sorpresa si trovò di fronte Gia Robbins.

 

“Ciao.” Disse tranquillamente lei, avvicinandosi.

 

“Ciao.” Rispose semplicemente Jack.

 

“Vai a Babbanologia?”

 

“No, ehm…porto il libro alla mia amica che l’ha dimenticato…”

 

“Io ho Divinazione fra un po’.” Gia si passò i capelli dietro le orecchie. “E’ una materia stupida.”

 

“E’ vero.”

 

“Ti andrebbe di saltarla? Potremmo andarcene in giro…” Gia gli si avvicinò ancora di più. “Magari potremmo fare un salto alla Torre dell’Astronomia…mi hanno detto che c’è una vista molto bella da lassù.

 

Jack scrollò le spalle. “Veramente io dovrei portare questo libro alla mia amica…”

 

Gia gli si avvicinò, sorridendo. “Magari neanche le serve… perché invece non vieni con me? Dai… ti farai una bella reputazione se salti la prossima ora, lo so per esperienza…”

 

Jack la osservò…e rimase turbato per un momento. Aveva dei bellissimi occhi azzurri quella ragazza, e i capelli biondi le stavano davvero bene… “…ehm…”

 

Lei gli prese la mano. “Wow, questa sì che è una novità… Jack Weasley che si fa pregare…”

 

Jack non capì esattamente per quale motivo rimase immobile quando la vide sporgersi in avanti per baciarlo…non capì perché non la respinse, non capì nulla… solo una cosa gli era perfettamente chiara, e cioè che Gia Robbins aveva le labbra più morbide che avesse mai sfiorato. Forse era per quel lucidalabbra che portava con tanto orgoglio, o semplicemente perché era una ragazza carina, anche se una Serpeverde… certo baciava bene eccome. Baciava benissimo… sembrava che non avesse fatto altro in tutta la sua vita. Jack le passò una mano attorno ai fianchi e rispose al bacio… e con sua grande sorpresa la sentì farsi indietro solo pochi attimi dopo.

 

Gia stava guardando accigliata oltre la sua spalla. “Ma che vuole quella?”

 

Jack si voltò di scatto…e non riuscì a pensare né a capire, semplicemente gli sembrò di essere stato colpito da un fulmine. Una ragazzina castana era in piedi sulla rampa di scale, con la bocca socchiusa e un’espressione inorridita sul viso…era immobile, non urlava né parlava, ma sembrava sconvolta.

 

“A-Amy…” Jack provò ad avanzare verso di lei, ma la vide voltarsi e correre su per la scale il più velocemente possibile. Lui subito le corse dietro, ignorando Gia Robbins che lo chiamava con insistenza… a cose fatte gli sembrava addirittura impossibile, aveva tradito Amelia! Aveva baciato un’altra, una Serpeverde per di più! Si sentiva un verme… rincorse la sua ragazza per tutto il secondo piano, finchè non la vide nascondersi nel bagno delle ragazze.

 

“VAI FUORI!!!!!!” gli urlò Amelia, vedendolo entrare.

 

“Aspetta, aspetta un attimo!!” Jack cercò di avvicinarsi. “Non volevo farlo…”

 

“Non volevi!!! Non volevi!!!” Amelia lo riempì di spinte e pugni, allontanandolo violentemente. “Hai baciato quella stronza…hai baciato un’altra appena ti ho lasciato solo un attimo!!!”

 

“Non l’ho fatto apposta!!” Jack per fortuna aveva dei riflessi pronti, e riuscì a schivare in tempo la borsa piena di libroni che si vide scaraventare addosso. “Non lo so perché l’ho fatto…a me non importa niente di quella!”

 

Amelia stava facendo di tutto per trattanere le lacrime, e si buttò indietro i capelli che le erano finiti davanti alla faccia. “Ma perché l’hai baciata?! Se volevi un bacio non potevi venire da me?!”

 

Jack esitò…esitò un momento di troppo. E il suo viso contratto in un’espressione di mortificazione completò il quadro.

 

Amelia inorridì e fece un passo indietro. “…tu non volevi un bacio…tu volevi un bacio da lei… perché lei è bella e bionda…”

 

Jack scosse la testa e avanzò. “Non me ne importa niente che è bionda, tu sei molto più…”

 

“…a te sono sempre piaciute le bionde, avrei dovuto saperlo…” sussurrò Amelia, con la voce rauca per il pianto che ormai era pronto a scuoterla. “…lei ti ha baciato e a te è piaciuto, è chiaro…”

 

Jack provò a prenderla per un braccio. “Amy, è stato uno sbaglio idiota…”

 

Per tutta risposta Amelia gli rifilò un ceffone che gli fece voltare la faccia dall’altra parte. “Non mi toccare!!” urlò, spingendolo indietro e allontanandosi.

 

Jack provò a muovere la mascella e se la toccò, pensando per un attimo a come si sarebbe complimentato allegramente con lei se la situazione fosse stata diversa, e subito si voltò. “Amelia, per favore… è stato un errore, niente di più, te lo giuro!”

 

Amelia strinse forte le labbra…ma alla fine le lacrime ebbero la meglio. “Avresti potuto dirmelo… bastava dirmelo che avevi voglia di baciare un’altra, sarebbe stato onesto…e invece hai fatto tutto di nascosto, mi hai trattato come tutte le altre… tu non sei mio amico, Jack!”

 

“Non dire così, per favore…”

 

“Io credevo che tu fossi diverso!!” gli urlò disperatamente Amelia, mentre un singhiozzo le disturbava il respiro. “Papà mi ha sempre detto bugie, mia madre se n’è andata, e tutti quelli che stanno con me alla lunga non mi vogliono più…e tu sei come tutti gli altri, ti credevo speciale e invece sei come tutti quanti gli altri!!!

 

Jack sentì la gola chiudersi. “…non è vero, non è vero che io non ti voglio più!”

 

“Ti odio e ti detesto!!!” gli urlò Amelia con tutte le sue forze, e un istante dopo uscì e sbattè forte la porta alle sue spalle.

 

Jack rimase immobile, coi pugni serrati e lo sguardo sperduto… cercando di digerire la gravità di quello che aveva appena fatto.

 

 

 

 

Ron avrebbe tanto voluto allungare una mano e abbracciare Jack, che stava facendo uno sforzo sovrumano per non piangere… gli faceva una tenerezza senza confini. Era sinceramente pentito dell’errore commesso, e lui più di ogni altro poteva capirlo… ma capiva anche Amelia, che era sempre stata insicura dell’affetto degli altri per colpa di sua madre e suo padre, e non si era mai fidata di nessun altro al mondo all’infuori di Jack. Avevano ragione entrambi… e si capiva chiaramente che ci stessero male tutti e due a vivere quella insostenibile lontananza.

 

“Adesso…” Jack tirò su col naso e provò a guardare in faccia suo padre. “Quello che volevo chiederti io… non potresti chiedere a qualcuno di prestarti una Giratempo?”

 

Ron sbattè gli occhi. “Una Giratempo?”

 

Jack annuì. “Per tornare indietro nel tempo…così io non bacerò Gia Robbins, e tutto andrà bene.

 

Ron scosse la testa. “No, Jack. Non risolverai così questa situazione.”

 

“Lo so che è un brutto modo, ma è l’unico possibile! Amelia non vuole né vedermi né parlarmi…”

 

E tu devi insistere! Devi sforzarti di farle capire che le vuoi bene, non importa quante volte lei ti sbatterà la porta in faccia.

 

Jack abbassò lo sguardo. “Tu non sai com’è diventata adesso… è come quando era piccola, non parla più con nessuno, non ride mai, se ne sta sempre da sola…”

 

Ron gli appoggiò una mano sulla spalla. “Perché si sente di nuovo sola e abbandonata da tutti, proprio com’era prima di conoscere te. E’ proprio per questo che è importante che tu le parli, che le dici quello che hai appena detto a me: che ti dispiace da morire, che ci stai male, che vuoi essere di nuovo suo amico…”

 

Jack sembrava sconfortato. “Lei non mi crederà mai…”

 

Invece ha una gran voglia di crederti.” Ron gli fece un sorriso gentile. “Amelia ti adora… e vuole avere fiducia in te, perché sei l’unica persona di cui si fida veramente. Scommetto che solo vederti la farebbe sentire già meglio.

 

Jack guardò suo padre. “…tu dici?”

 

“Si.” Ron si alzò. “Andiamo, ti accompagno da lei. Prima ci parlerai, e prima tutta questa storia sarà solo un brutto ricordo.”

 

Jack sospirò e si alzò lentamente. Sapeva che Amelia non lo avrebbe accolto a braccia aperte…ma suo padre aveva ragione, doveva tentare ancora. Aveva sbagliato lui, dopo tutto.

 

 

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How many dreams will end?
How long can I pretend?
How many times will love pass me by
Until I find you again?

 

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Jack cercò di asciugarsi nelle tasche del giubbotto i palmi sudati delle mani. Quando furono arrivati sotto il tettuccio che circondava il portone di Villa Sheffield, Ron potè finalmente chiudere l’ombrello che li aveva riparati dalla pioggia battente che veniva giù fin dalle prime ore del mattino, e diede un’ultima pacca sulle spalle al figlio.

 

“Nervi a posto, andrà tutto bene…basta essere sinceri. Gli disse confortante, mentre bussava alla porta. Jack annuì, guardandosi in giro distrattamente.

 

Ad aprire la porta fu l’anziana governante di casa Sheffield, che subito riconobbe i due ospiti e sorrise largamente. “Signor Weasley, Jack, che piacere.”

 

“Buongiorno, signora Mackins.” Ron le sorrise gentilmente a sua volta. “Amelia è in casa?”

 

“Oh si, signore… ma sta ancora dormendo, ha chiesto di non essere svegliata prima di mezzogiorno.

 

Ron si accigliò. “Strano, è sempre così mattiniera…”

 

La signora alzò le spalle. “Cosa posso dirle, la trovo molto strana ultimamente… e poi dopo la litigata di ieri sera…”

 

“Con chi ha litigato?” chiese subito Jack.

 

La signora Mackins si guardò alle spalle, per essere certa di non essere ascoltata. “Il signor Laurence è partito stanotte per l’America, ma Amelia credeva che sarebbe rimasto a casa per Natale… così si sono scontrati piuttosto duramente,  e lei non ha neanche voluto salutarlo prima che partisse.

 

Ron sentì una rabbia non indifferente scuotergli il cuore… possibile che quella povera ragazzina dovesse avere una famiglia così schifosa? Aprì la bocca per chiedere alla governante di lasciargli vedere Amelia, ma vide Jack schizzare via e sparire dietro l’angolo della villa, e dopo essersi congedato dalla signora lo seguì. Lo trovò in ginocchio a terra, a frugare dentro una cassapanca di legno marcito che stava in un angolo dietro la riserva di legno per il camino.

 

“Jack, si può sapere che stai facendo?”

 

“…non c’è…” Jack si rimise in piedi, con le orecchie improvvisamente arrossate. “Lo sapevo, lo sapevo! E’ scappata!”

 

Ron si accigliò. “Aspetta un attimo, come fai a dire che…”

 

“Lo zaino!” Jack non badava alla pioggia che gli stava inzuppando i capelli. “Tu non capisci, quello zaino l’abbiamo preparato insieme…è quello che si porta sempre quando scappa da noi! Ci abbiamo messo dentro le cose che possono servire durante una fuga… e ora lo zaino non c’è! Papà, Amelia è scappata!”

 

Ron si riservò una manciata di secondi per pensare lucidamente, quindi fece cenno a suo figlio di seguirlo e si avviò a passo sostenuto fuori dalla villa. “Va bene, adesso tu torni a casa e io e mamma…”

 

Cosa?! No!!” Jack protestò con forza. “Voglio venire anch’io a cercarla!”

 

“Tu invece starai a casa, nel caso lei venisse lì.” Ron non sembrava intenzionato a trattare. “Ci penseremo noi a trovarla.”

 

Ma io…”

 

“Niente ma, Jack!” Ron gli mise in mano una passaporta. “Adesso tu torni subito a casa, e non te lo voglio ripetere più, è chiaro? Non posso cercare Amelia se devo pensare anche a te!”

 

Jack avrebbe voluto urlare, protestare, buttare via quella passaporta…ma sfortunatamente suo padre l’aveva già attivata prima ancora di passargiela, così si ritrovò nel giardino di casa senza neanche avere il tempo per realizzarlo.

 

 

***************

 

 

Amelia tirò su col naso e rabbrividì, mentre la pioggia la bagnava tutta fino alle ossa. Si sistemò meglio lo zaino sulle spalle e si scansò la coda di cavallo dal collo, continuando a trascinarsi per la strada senza sapere neanche dove andare. Era scappata da quella trappola infernale che quel suo orribile padre aveva il coraggio di chiamare casa perché sentiva di essere prossima a impazzire, ma in realtà non sapeva neanche lei cosa potesse fare ora.

 

La sua famiglia faceva schifo…una volta c’era sempre il suo rifugio, il posto che amava di più al mondo…casa Weasley. Ma adesso? Cosa le restava adesso? Perfettamente niente, ecco cosa.

 

Si guardò in giro… c’era una mamma che faceva del suo meglio per riparare la sua bambina con l’ombrello, tenendola in braccio perché non si bagnasse i piedini. Amelia una mamma non l’aveva mai avuta, era scappata poco dopo la sua nascita…e tutte le nuove mogli del padre erano rimaste a casa troppo poco tempo per affezionarsi a lei. Per non parlare di suo padre, che metteva sempre il lavoro al primo posto… a sette anni l’aveva lasciata da sola per Natale, da sola con una baby-sitter che conosceva da appena pochi giorni… e a dieci anni non era neanche tornato a casa per festeggiare il suo compleanno. Se non fosse stato per i genitori di Jack, che le avevano organizzato la festa a sorpresa…

 

Jack… lui le aveva fatto riscoprire la gioia di vivere quando credeva di non avere nessuno al mondo che pensasse bene di lei, le aveva dato amicizia, amore, calore umano…perfino una famiglia. E poi, tutto in una volta, quando stavano meglio del solito… era così felice di potergli stare vicino non solo come amica, Amelia lo adorava in tutti i sensi e non c’era niente che non avrebbe fatto per lui. Per quanto tempo erano stati insieme, un mese e mezzo? Era stato un bellissimo mese e mezzo… forse lui non se n’era neanche accorto, ma lei si era messa il lucidalabbra la prima volta che erano andati a Hogsmeade insieme…solo perché sapeva che a lui piaceva il lucidalabbra sulla bocca delle ragazze. Che cosa non avrebbe fatto per lui…ed ecco il ringraziamento. Anche Jack l’aveva tradita.

 

Suo padre le preferiva il lavoro, sua madre le aveva preferito un’altra vita, e adesso Jack aveva scelto una bionda appariscente. Che cosa le rimaneva? Da chi poteva andare a piangere?

 

Stringendosi nel giubbottino e rabbrividendo ancora, Amelia continuò a barcollare senza meta per la strada sotto la pioggia scrosciante, ben felice che le goccioline nascondessero le lacrime che le stavano bagnando le guance.

 

 

***************

 

I'd hold you tighter
Closer than ever before
No flame would burn brighter
If I could touch you once more
Hold you once more

 

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E c’è anche da chiederselo? E’ chiaro che il cappello parlante ci metterà a Grifondoro. Dan tenne il mento alto entrando nella leggendaria Sala Grande di Hogwarts per la prima volta. “Dove credi che ci sbatteranno, ce li hai presenti i nostri cognomi?”

 

Jack avanzò al suo fianco, mentre il gruppetto dei primo anno si avvicinava alla sedia col cappello parlante. “Papà ha detto che quando vedrà l’ennesimo Weasley, minimo minimo quel povero pezzo di stoffa si scucirà tutto.

 

Dan ridacchiò. “Eh eh… beh, si è vendicato con Gertie…lei l’ha spedita a Corvonero, no?”

 

“Capirai, è la figlia di zio Percy…” Jack si fermò, prima di sbattere contro la schiena del bambino che si era appena bloccato davanti a lui. La cerimonia dello Smistamento era appena cominciata.

 

“Beh, me la voglio proprio godere.” Dan osservò le facce preoccupate degli altri bambini quasi con divertimento, sentendosi sicuro del fatto suo, e incrociò le braccia sul petto con aria alquanto sfacciata.

 

Jack era altrettanto tranquillo, anche se era genuinamente curioso di vedere la vera reazione del cappello parlante alla vista dell’ennesimo Weasley ad Hogwarts…e comunque i suoi pensieri si dissolsero quando si sentì prendere la mano alle sue spalle.

 

Amelia gli strinse la mano fra le sue più sottili e fredde…non disse niente, semplicemente lo fissò per un lungo momento e si morse le labbra, sperando che lui capisse da solo. E per Jack non fu difficile intuire al volo, conoscendola così bene…aveva paura di essere separata da lui, di tornare a essere sola un’altra volta. Jack le strizzò l’occhiolino e l’attirò verso di sé, facendole prendere il posto di Dan accanto a lui. Era sicurissimo che Amelia sarebbe finita a Grifondoro, non conosceva una ragazza più coraggiosa di lei…perciò non perse tempo a rassicurarla a parole, semplicemente non le lasciò la mano neanche per un secondo.

 

E piano piano, anche la mano piccola e sottile di Amelia si riscaldò.

 

 

 

 

Jack era così preso a fissare il fuoco che nemmeno fece caso a suo fratello e sua sorella, che dalla soglia della porta lo fissavano preoccupati. L’unica cosa che riusciva a sentire era lo scroscio della pioggia… che gli faceva da sottofondo mentre cercava con tutte le sue forze di pensare a dove potesse essersi andata a cacciare la sua migliore amica. Erano già più di due ore che i suoi genitori la stavano cercando senza successo…

 

“Guadda qua!” Katie gli porse un foglietto piegato male.

 

Malvolentieri Jack ruppe il contatto visivo col camino e prese il foglio, aprendolo e notando con un impercettibile sorriso che Katie gli aveva disegnato un cuore tutto storto e colorato male.

 

“E’ per te.” Katie si dondolava sulle gambette, senza smettere di tenere la mano di Simon. “Così sorridi.”

 

Jack le accarezzò pigramente il visetto paffuto. “Grazie.”

 

Katie fece un sorrisone felice e saltellò, aggrappandosi alla mano di Simon. “Noppiange più! Jack è felicio!”

 

“Felice.” La corresse Simon, prendendola in braccio quando la piccola cercò di arrampicarsi sui suoi jeans. “Si dice felice.”

 

“Felise.” Disse soddisfatta Katie. “Non è più onzo?”

 

Simon fece una smorfia… suo fratello guardava dall’altra parte, sembrava quasi che lo stesse evitando. “…sei arrabbiato con me?”

 

Jack lo guardò. “Come? No, no…”

 

“Non ce l’hai con me per ieri?”

 

“Lascia perdere.” Jack scrollò le spalle. “E poi avevi ragione…ho fatto piangere Amelia, è colpa mia se adesso è scappata.

 

“E’ ccappata…” ripetè distrattamente Katie, mentre giocherellava con l’orecchio del fratello.

 

Simon si sedette a terra, facendo una smorfia strana. “Io non ci credo che è scappata…lei scappa sempre qui da noi.”

 

“Ma è arrabbiata con me, per questo non è venuta qui.” Jack si appoggiò pesantemente allo schienale della poltrona. “Mi odia.”

 

“Ma se Amely odia suo papà e la sua mamma finta, e adesso odia pure te…” Simon si accigliò, scansando con indifferenza le dita della sorella dal suo orecchio. “…a chi vuole bene?”

 

Bella domanda. “…non lo so.”

 

“Mica odia anche me?”

 

“No, tu non c’entri.”

 

“Allora forse dovrei andare a cercarla io. Simon ignorò il fastidioso dito bagnato di saliva che la sorellina gli piantò a tradimento nella guancia. “Se a me non mi odia…”

 

“Papà ha detto di restare qui.” Brontolò Jack, guardando torvo verso la finestra su cui sferzava forte la pioggia. “E poi voi due non potete uscire di casa con questo tempaccio.

 

Simon alzò gli occhi al cielo, seccato di sentire Jack in versione fratello maggiore. “Che cretinata… allora neanche tu puoi uscire.

 

“Io sono più grande.” Gli ricordò Jack. “E poi se sapessi dov’è andata, ci andrei anche subito a prenderla.

 

“Katie!!!” Simon le diede uno schiaffo sulla manina quando la piccola gli infilò un dito in un occhio, ma Katie non se ne turbò…continuò a giocare coi capelli del fratello, indifferente alle piccole spinte che riceveva ogni tanto. “Ma scusa, Jack…come puoi andare tu da Amelia? Se è vero che ti odia, sai quante botte finisce che ti dà…guarda che quella mena forte, eh…”

 

“Lo so bene, cosa credi.” Jack fece un sorrisetto. “Sai quante volte Amelia e io ce le siamo date?”

 

Simon fece tanto d’occhi. “Mamma lo sa che tu e Amely facevate a botte?”

 

“Nah. Era un bel modo di litigare, quella picchia più duro di Dan… però lo facevamo quando eravamo più piccoli di te, all’inizio. Adesso siamo troppo grandi per suonarcele da soli come due scemi.”

 

“Secondo me lei te le suona se ti vede adesso. Simon ridacchiò. “Ma com’è che non vi ho mai visto fare a botte?”

 

“Semplice, perché andavamo a farlo al…” Jack s’interruppe e si accigliò lentamente, come se un’idea gli fosse balenata improvvisamente in testa. “…ma si…perché non ci ho pensato prima!!”

 

Simon rimase sbalordito nel vedere Jack balzare giù dalla poltrona e correre versolo stanzino, per uscirne un secondo dopo con il giubbotto in mano. “Ehi! Ma dove stai andando?!”

 

Jack s’infilò il giubbotto. “Sei un genio, fratellino…adesso so dov’è andata a finire Amelia!”

 

Simon lo raggiunse di corsa. “E che fai, esci col tempaccio? Perché non aspettiamo mamma e papà…”

 

Jack si coprì la testa col cappuccio della felpa. “Faccio prima io. Non ti muovere da qui e resta con Katie, va bene?”

 

“Si, però…ehi!” Simon non fece in tempo a dare il suo consenso che Jack aprì la porta di casa e corse fuori, sotto la pioggia insistente. Simon si grattò la testa, decisamente preoccupato, ma si accorse in tempo della sorella che gli gattonava fra le gambe per imitare il fratello maggiore. “Dove credi di andare tu…” la prese in braccio subito.

 

Katie sorrise felicemente. “Pure noi a fare ciaff ciaff!”

 

Ma quale ciaff ciaff…” Simon chiuse la porta di casa e si riportò la sorella nella camera da pranzo. “Secondo me qua l’unico a fare ciaff ciaff sarà papà quando scopre che Jack è uscito…e lo farà pure sui nostri culi, sai, quindi non ridere tanto.”

 

Culi!” A Katie doveva piacere un mondo quella parola, e la canticchiò felicemente. “Culi, culi culi!”

 

Nonostante tutto, a Simon scappò da ridere. “Ma che ridi, polla?”

 

“Polla e culi! Polla e culi! Polla e culi!”

 

Simon scoppiò a ridere forte a vedere sua sorella che ballava intonando quella canzoncina idiota.

 

 

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How many dreams will end?
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Until I find you again?

 

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Quando si fermò dopo la lunga corsa, Jack appoggiò le mani sulle ginocchia e rimase qualche istante ad ansimare, cercando di regolarizzare il respiro. Aveva corso come non credeva di aver mai fatto, il cuore gli tamburellava forte nel petto e non vedeva quasi niente sotto quella pioggia torrenziale che lo aveva bagnato fino alle ossa… ma nonostante tutto non si sentiva stanco, non adesso che aveva raggiunto il vecchio parco giochi.

 

Il nostro posto speciale…

 

Jack subito si mise alla ricerca della sua amica, guardando in tutti gli angoli possibili. “Amelia!!” nessuna risposta, ma lui non si diede per vinto e continuò a cercare. “Amy, dove sei??” sembrava proprio che non fosse da nessuna parte… “Amelia, rispondi!!” Un momento di sconforto colse in pieno Jack…possibile che non fosse neanche lì? Poi lo sguardo gli cadde sul vecchio scivolo mezzo rotto e arrugginito che stava proprio sotto il palo della luce…

 

“Amy!!” Jack si fiondò sulle ginocchia nel terreno fangoso, cercando di infilarsi fra le due strette sbarre orizzontali che circondavano la base dello scivolo, ma gli risultò subito impossibile data la sua statura… ad Amelia però non dovevano aver creato problemi quelle sbarre, perché era riuscita ad attraversarle e a sdraiarsi a terra nel piccolo quadrato di spazio a disposizione. Ed era proprio lì, quasi incredibilmente era proprio lì… rannicchiata su se stessa come un neonato, profondamente addormentata.

 

“Amelia!! Amelia!!” Jack provò a tirare via almeno una delle due sbarre, ma capì che non poteva farcela. Provò perfino a prenderle a calci con una certa violenza, la stessa con cui gli stavano venendo fuori parole alquanto oscene per cui sua madre lo avrebbe messo in punizione per buoni sei mesi come minimo.

 

Tutto quel rumore però servì a qualcosa…Amelia finalmente sussultò, strinse gli occhi e poi li aprì, sembrando piuttosto spaesata.

 

“Amelia!!” Jack lasciò perdere le sbarre, e gli uscì un sorriso speranzoso. “Stai bene, vero??”

 

La ragazzina ci mise un attimo a capire dov’era e cosa le stava succedendo…sembrò stupita di vedere Jack, ma si tirò indietro per quanto possibile e ritrasse le gambe.

 

“Che diavolo ci fai là dentro?! Vieni fuori di lì!”

 

Amelia lo guardò male, e spostò lo sguardo altrove. “Vattene.” Mormorò.

 

Anche subito!” ruggì Jack. “Insieme a te, però!”

 

Amelia si girò dall’altra parte, tirando su col naso e cercando di ignorarlo…forse in quel modo se ne sarebbe andato, prima o poi

 

“Dai, Amy, per favore…andiamo a casa, fa freddo e piove  da fare schifo…” Jack si aggrappò alla sbarra quasi con disperazione, vedendo che continuava e parlare con la schiena della sua amica. “Per favore, Amelia…ti verrà un malanno, andiamocene!”

 

La ragazzina tirò su col naso, scansandosi rabbiosamente le lacrime dalla faccia – che per fortuna lui non poteva vedere. “Tornatene a casa tua, Jack… lasciami in pace.

 

“No!!” Jack ebbe la tentazione di buttare giù le due sbarre a calci. “Non ti lascio qua da sola, che cosa credi di poter fare?!”

 

Amelia fece una smorfia ironica. “Io sono sola, Jack… sono più sola di quanto non pensassi. Tanto vale che imparo a vivere basandomi solo sulle mie forze.

 

Ma perché!” Jack diede uno scrollone allo scivolo. “Io ho fatto un solo stupidissimo maledetto errore, ma lo so che è stato uno sbaglio! Che cosa devo fare per fare pace con te, mi devo uccidere?!”

 

Amelia si morse le labbra…lui non capiva. Lentamente si voltò e lo guardò con un’aria tristissima e sconfortata, scuotendo leggermente la testa. “Non è colpa tua, Jack…tu non sei l’unico che si stanca di me dopo un po’. Mio padre si stanca quando stiamo insieme anche solo un’ora, sua moglie mi detesta, mia madre ha capito subito che sarei stata solo un fastidio per lei… pensavo che con te sarebbe stato diverso, e ci ho provato, te lo giuro…” con un piccolo sorriso timido e triste, Amelia scrollò le spalle. “Una volta mi sono messa anche il lucidalabbra per te, lo sai? Magari nemmeno te ne sei accorto, però l’ho fatto…perché volevo che pensassi che vale la pena restare con me. E invece non sono riuscita a far rimanere nemmeno te.”

 

Jack si sentì un nodo alla gola così forte che non riuscì a parlare, aprì e chiuse la bocca come se volesse scusarsi ancora, mortificato più che mai, ma non trovò il fiato per dire niente.

 

Amelia abbassò gli occhi. “Non fa niente…ci sono abituata. E’ da quando ero piccola che sto sempre da sola. Adesso vattene via, per favore.”

 

Jack scosse la testa. “…ma che vuoi fare?...”

 

Amelia scrollò le spalle. “Non sono affari tuoi…non sono affari di nessuno. Lasciami in pace, Jack.” Senza guardarlo più, si voltò dall’altra parte e si strinse le ginocchia al petto, tremando vistosamente per il freddo. Non voleva e non poteva guardare in faccia Jack, la faceva pericolosamente vacillare dal suo proposito di aspettare che la pioggia si fosse fermata per scappare dalla città. Ancora non sapeva dove andare, ma di sicuro avrebbe trovato il modo per sopravvivere da sola, era piuttosto bravina a fare quasi tutto…

 

I suoi pensieri furono bruscamente interrotti quando sentì uno strano rumore e avvertì una vibrazione nella parte interna dello scivolo…la ragazzina si voltò per capire cosa fosse, e spalancò gli occhi, inorridita.

 

Jack stava cercando di infilarsi nello stesso strettissimo passaggio che aveva usato lei per entrare prima, ma si vedeva ad occhio che era una cosa materialmente impossibile: lei aveva un fisico piccolo ed esile, magra e bassetta com’era si infilava nei posti più assurdi…Jack era alto almeno una decina di centimetri in più, e aveva le spalle ben più larghe delle sue…passare lì in mezzo era assurdo, impossibile!

 

Ma che stai facendo??”

 

Jack aveva il viso contratto in una smorfia di fatica, sofferenza e determinazione. “Sto cercando…di passare…qua in mezzo…”

 

Amelia scattò in ginocchio. “Tu sei pazzo! Fermati, non ci passi! Ti farai male!”

 

Jack fece un veloce sorrisino dei suoi, mentre riusciva a far passare un braccio all’interno e usava l’altro per fare leva sulla sbarra sopra la sua testa. “Non è colpa mia…se tu non ne vuoi…saperne… di uscire…”

 

Amelia lo fissò con gli occhi sbarrati…Jack si stava spingendo dentro quello spazio strettissimo affondando i piedi nel fango, tirandosi con le mani, usando tutta la sua forza e la sua determinazione… lo stava facendo per lei? Possibile?

 

Jack puntò i piedi e si spinse ancora un po’ più dentro, facendo passare una delle spalle con notevole sforzo. “…io non ti lascio qua da sola…hai capito?” le disse tra una spinta e l’altra. “…te ne vuoi andare?...va bene…però io vengo con te…”

 

Amelia non riusciva a parlare, era incredula… il suo cervello le impediva di gioire nel vedere il suo migliore amico affaticarsi in quella maniera solo per lei, e continuava a riproporle frammenti della orribile sensazione che aveva provato il giorno che lo aveva scoperto a baciare Gia Robbins. Questo la riscosse. “Non dire idiozie…non vedi che ti stai incastrando?! Esci da lì!”

 

“Tu vieni con me?”

 

“No!”

 

E allora non me ne vado!”

 

Incapace di parlare, Amelia scosse la testa… forse era vero che Jack era diverso dagli altri, nessuno aveva mai fatto una cosa simile per lei… nessuno l’aveva mai cercata quando scappava, e di sicuro né suo padre né gli scimmioni che mandava a riprenderla si sarebbero infilati in uno spazio così piccolo per tirarla fuori… e se lui era lì, sincero com’era sempre stato… lo guardò di nuovo in faccia: stava stringendo gli occhi forte, si mordeva le labbra…era davvero in una posizione dolorosa adesso, e tutto per lei…

 

“…basta!!!”

 

Jack quasi non si rese conto di come, ma si ritrovò seduto con il sedere nel fango in cui fino a un secondo prima stava puntando i piedi, finalmente libero di muovere di nuovo le spalle che ora gli facevano un po’ male… ma quello che lo fece sorridere fu vedere Amelia che usciva agilmente dallo scivolo e si gettava in ginocchio accanto a lui.

 

“Ti sei fatto male??” gli urlò, con le lacrime che le scendevano copiosamente sulle guance. “Ti sei rotto qualcosa?! Rispondimi!” Jack avrebbe voluto farle notare che più lo scuoteva in quel modo brutale, più gli faceva aumentare quel dolorino alle spalle, ma era impossibile frenarla mentre urlava così… l’unica cosa che riuscì a fare fu bloccarle i polsi quando cercò di riempirlo di pugni. “Sei un idiota, Jack, sei soltanto un idiota, ecco cosa sei!!!” gli urlò disperata Amelia…ma un attimo dopo smise di spingerlo e scoppiò a piangere forte, gettandogli le braccia al collo e baciandogli ripetutamente la faccia e le labbra tra un singhiozzo e l’altro. E Jack non fu da meno.

 

Ci volle un buon quarto d’ora, ma alla fine Amelia si calmò e il suo pianto disperato si ridusse a un paio di singulti silenziosi mentre stava col viso nascosto nel giubbotto di Jack. Lui non aveva smesso di abbracciarla nemmeno per un minuto, e si sentiva tanto bene da aver completamente dimenticato il dolore alle spalle. La pioggia non aveva avuto pietà dei due ragazzini e aveva continuato a scendere con insistenza, e il brivido di freddo che scosse Amelia la spinse finalmente a tirarsi indietro.

 

Jack le fece un sorrisetto. “Andiamo a casa?”

 

Amelia esitò. “Non credo che a casa mia qualcuno mi stia cercando…”

 

Intendevo a casa mia, scema.” Jack tirò su col naso. “E per tua informazione, mio padre e mia madre ti stanno cercando da tutte le parti da stamattina, mio fratello voleva venire con me e mia sorella ha riempito casa di disegni per te.

 

Amelia fece un piccolo sorriso…adorava sentirsi parte della famiglia di Jack, si sentiva protetta e amata…le davano quell’amore che le era sempre mancato, e in cambio non chiedevano proprio niente… un concetto che a casa sua era più astratto che concreto.

 

Jack le scansò un ciuffo di capelli dalla faccia e si sporse in avanti, socchiudendo gli occhi e sfiorandole le labbra con le sue, dolcemente ma insistentemente, cercando una risposta che non tardò ad arrivare…ma prima che il loro bacio durasse troppo a lungo, Amelia gli appoggiò le mani sul petto e lo spinse indietro. Lui la guardò con un’espressione interrogativa sulla faccia.

 

Amelia si morse le labbra e scosse la testa. “No.”

 

Jack si accigliò. “No cosa?”

 

“No questo…” Amelia scoprì che dirlo a lui era più difficile che ammetterlo con se stessa. “Non ti posso più baciare.”

 

Jack assunse per un attimo un’aria inorridita, ma si riprese subito. “In…in che senso, scusa?”

 

“Nel senso che non posso essere la tua ragazza.” Amelia sospirò. “Pensaci…tutti i guai sono cominciati così. Come amici stiamo sempre bene, anche quando litighiamo…come fidanzati siamo stati solo male. Io non voglio stare male anche con te…voglio essere contenta come al solito. Come facciamo sempre.”

 

Jack tirò un sospiro profondo e annuì. “Si…è solo che era bello sapere che eri la mia ragazza…”

 

“Così bello che ti sei spupazzato un’altra. Amelia fece un sorrisetto ironico. “Se eravamo amici sai quanto me ne fregava? Invece guarda come sono andate le cose.”

 

“Magari posso cambiare!” Jack annuì freneticamente. “Se ti prometto che non le guardo più le altre?”

 

Amelia si strinse nelle spalle. “Le guarderai eccome… lo hai sempre fatto, anche quando eravamo piccoli. Ti viene spontaneo.”

 

Jack sbuffò. “Mi sa che hai ragione. Ma mi credi, io non lo faccio apposta!”

 

Amelia rise. “E’ colpa degli occhi che guardano dove non devono guardare!”

 

Jack rise e annuì. “Vero.”

 

Amelia sorrise e gli scansò dalla fronte i capelli bagnati. “Allora lo ammetti che non si può stare insieme?”

 

Jack fece una smorfia imbufalita. “Si…però che cacchio, così non ti posso baciare più!”

 

“Tanto ti consola subito un’altra, non ti preoccupare. Amelia rimase stupita quando invece di ridere, lui si fece serio.

 

“Ho detto che mi piace baciare te, non una ragazza qualunque.

 

Amelia s’inumidì le labbra e abbassò gli occhi. “Anche a me piace baciare te… ma mi piace anche ridere e scherzare con te, mi piace essere coccolata e mi piace coccolarti…e se facciamo gli scemi a sbaciucchiarci buttiamo tutto all’aria.

 

Jack storse la bocca ed esitò. “No…non ti voglio perdere.”

 

“Nemmeno io.”

 

“Beh, allora…ci stiamo lasciando?”

 

Amelia fece un sorrisetto. “Eh si, mi sa tanto di si.”

 

Jack scoppiò a ridere. “Non ci posso credere, e io che pensavo che ci saremmo sposati e avremmo fatto tanti bambini.

 

Amelia rise a sua volta. “Non sai nemmeno come si fanno i bambini.

 

Jack fece un sorrisetto furbo. “Dici?”

 

Amelia spalancò occhi e bocca. “Che porco!” esclamò, mollandogli una botta sulla nuca.

 

Lui rise. “E va bene, allora…addio Amelia-fidanzata, bentornata Amy-il Koala.

 

“Bentornato, Jack-mamma koala.” Disse allegramente Amelia.

 

Jack la guardò un attimo, poi fece un piccolo sorriso stranamente timido. “Ma se un giorno da grande diventassi bravo… se quando saremo tutti e due grandi io non guardassi più le altre ragazze… tu ti metteresti con me?”

 

Amelia arrossì. “Ma non dovresti proprio pensare a nessuna… dovresti pensare solo a me. Ci pensò su, poi annuì con un sorrisetto. “Magari mi regali anche un anello col diamante come quello bellissimo che tuo padre ha regalato a tua madre.

 

“Come sei costosa!” Jack ridacchiò. “Vabbè che tanto i War Mage guadagnano un sacco di soldi, quindi quando diventerò uno di loro…ok, diciamo che allora se ne parla quando ho i soldi e sono serio.”

 

“Va bene.” Cantilenò la ragazzina, ridendo di gusto alla vista della faccia imbronciata di lui. “Ti credo, ti credo!”

 

Jack arricciò il naso. “Ci ho ripensato, non ti voglio più sposare…sei costosa e neanche mi credi.

 

“Ah, però…il nostro matrimonio è durato nemmeno cinque secondi!”

 

I due ragazzini scoppiarono a ridere così forte che si piegarono in due, finalmente liberi di sorridere di nuovo come non facevano più da qualche tempo.

 

Jack sorrise largamente. “Ti voglio bene, Amelia. Veramente, te ne voglio proprio tanto.”

 

Il sorriso di Amelia fu altrettanto largo, finalmente di nuovo vivace e vivo. “Anch’io ti voglio un bene dell’anima, zuccone che non sei altro. E adesso che ne dici se torniamo a casa?”

 

“Ok, però prima…” Jack esitò, guardando per un attimo a terra. “…senti, non è che… cioè, visto che non si può più…insomma, posso baciarti l’ultima volta? Sai, per…per dirci ciao come si deve.”

 

Amelia fece un sorriso lacrimoso. “E’ solo ciao…magari non è addio.”

 

Jack annuì. “Già, magari no. Chi lo sa.”

 

Amelia gli si avvicinò e lo guardò, e per un momento si sentì quasi come se avesse voglia di piangere… perché si, quella di tornare amici era la scelta migliore, però non poteva dire di essere felice al cento per cento… però forse Jack aveva ragione. Forse un giorno, da grandi… forse lui sarebbe cambiato, tante cose sarebbero state diverse, e magari quel bacio era davvero solo un ciao e non un addio. E poi doveva pensare a come era bello e gratificante che il suo Jack poteva stare con tutte le belle bionde del mondo, ma era sempre da lei che tornava, anche se non era la sua ragazza… valeva proprio la pena aspettare il momento giusto, se davvero un giorno sarebbe arrivato mai. E fu con quel pensiero che gli prese il viso fra le mani e appoggiò le proprie labbra sulle sue. Che fosse di addio o di arrivederci, valeva la pena renderlo memorabile quel bacio.

 

 

 

 

 

 

“La vuoi smettere di guardare?!”

 

“Sshh, zitta!”

 

“Come ti permetti di zittirmi?!?

 

Ron alzò gli occhi al cielo e tornò a nascondersi dietro l’angolo del muro. “Hermione, sei insopportabile.” Sussurrò.

 

“E tu non hai il diritto di spiare tuo figlio. Il sussurro di Hermione era simile a un sibilo.

 

Ron aveva un ampio sorriso orgoglioso stampato in faccia. “E’ potente quel ragazzo, io a tredici anni nemmeno me lo sognavo di dare un bacio così. Che grand’uomo, sono fiero di lui.”

 

Hermione lo guardò con aria impietosita e scosse la testa, incrociando le braccia sul petto. “Che pena che mi fai…ragioni come un uomo, punto e basta.

 

“Giustamente, come mai…dovrei ragionare come una donna, no?”

 

Nonostante tutto, a Hermione sfuggì un sorrisetto. “Mi riferisco al fatto che ti rende fiero Jack perché è già così spigliato con le ragazze.

 

Ron indicò con un cenno della testa Jack e Amelia, che si stavano abbracciando forte. “Giudica tu se è spigliato.”

 

Hermione sorrise maternamente. “Sono pronta a scommettere che normalmente è timido almeno il doppio di quanto tu non pensi. Non è spigliato…è sereno, è a suo agio perché quella è la sua Amelia. Non lo capisci? Sente di sapere già quello che deve o non deve fare perché l’adora, non ha bisogno di darsi le arie né altro, è come se sapesse già la strada di casa senza che nessuno gliel’abbia insegnata.”

 

Ron guardò suo figlio. Stava ridendo e prendendo in giro Amelia, a cui era scappata una lacrima tardiva e che a sua volta rideva di se stessa. “Tanto per cambiare, amore, hai ragione.” Ron fece un sorriso malinconico. “Sai che mi dispiace che quei due non stiano più insieme?”

 

Hermione gli accarezzò la guancia. “Io ti ho aspettato per qualcosa come sette o otto anni, sai.”

 

Ron ridacchiò. “Dici che la cosa sia genetica?”

 

Hermione arricciò il naso. “Può darsi. Non è detto che la storia si ripeta… ma potrebbe anche avere ragione Jack. Da grandi forse…”

 

Ron le diede un piccolo bacio a fior di labbra. “Io comunque faccio il tifo per la piccoletta.”

 

Hermione sorrise e annuì, guardando intenerita Amelia saltare sulle spalle di Jack mentre si allontanavano verso la strada per casa. “Andiamo, voglio precederli.”

 

“Sai che mi sconvolge pensare che Jack faccia delle cose che io alla sua età trovavo impensabili?” mormorò incuriosito Ron.

 

“Questo perché tu alla sua età dormivi in piedi in fatto di sentimenti.

 

Io dormivo in piedi in fatto di sentimenti?! IO???”

 

“Si, tesoro.”

 

“Non è assolutamente vero! Ma stiamo scherzando! Io non dormivo affatto, semmai eri tu quella che non si faceva gli affari suoi…guarda, te lo faccio dire da Harry se non mi credi, non ero io quello che…”

 

Hermione lo zittì con un bacio lungo e intenso, molto intenso… “Dicevi?” gli chiese, facendosi indietro.

 

Ron sbattè gli occhi, poi annuì. “Io ero un maledetto sonnambulo.”

 

Hermione rise di cuore, e non potè fare a meno di abbracciarlo forte.

 

 

 

…'till I find you again...

 

** FINE **

 

 

 

 

 

Io suggerirei di ascoltarla questa canzone…si chiama “Until I find you again” ed è di Richard Marx, di qualche anno fa…è splendida e mi ha ispirato tantissimo! ^_- Oh, e a proposito… ci sarebbe questa scritta in blu qua sotto che ha l’aria di voler essere cliccata… ^____- Bacissimi e alla prossima!

 

Sunny

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Capitolo 17
*** Fast & Furious ***


Sono stata attaccata da una piccola ideuzza lampo…mi ha letteralmente travolto

Sono stata attaccata da una piccola ideuzza lampo…mi ha letteralmente travolto! *me ancora a terra coi segni dei copertoni addosso* E quindi non si è potuto evitare… è una cosuccia non molto lunga, disimpegnata, divertente, rilassante… dedicata a Vale, la mia super amicissima che deve assolutamente aggiornare DG perché io sono in crisi d’astinenza qui! ^__-  Oh, e quasi dimenticavo… c’è un po’ di Ron/Hermione anche per festeggiare il compleanno di Marilia… non mi ricordo quand’è, ma augurissimissimissimi festeggiata!!! ^________^

 

 

 

 

FAST AND FURIOUS

 

 

Ron controllò ancora una volta il suo cinturone prima di incamminarsi con Harry lungo il viale illuminato dai lampioncini in tipico stile inglese. La Londra magica era bellissima di sera, specie durante una notte di fine estate non ancora fresca, ma neanche più tanto calda. Il tempo ideale per il turno di notte…una routine alquanto seccante, ma che toccava a tutti i War Mage almeno una volta ogni due settimane.

 

“E’ una bella serata.” Commentò pacatamente Harry, mentre camminavano piano. “Speriamo che rimanga così.”

 

Ron fece una smorfia sconfortata. “E quando mai il turno di notte è statao tranquillo…speriamo solo che passi in fretta, vorrei tornare a casa da Hermione il prima possibile.”

 

Che è successo, avete litigato?”

 

“No…l’ho lasciata piuttosto sconvolta e nervosa… con la bravata di Simon, e tutto il resto…”

 

Harry si accigliò. “Che ha combinato stavolta?”

 

“Ma niente…niente che non ci potessimo aspettare.” Ron scrollò le spalle. “Stamattina si è fatto assumere da Mr. Lomping, quel tipo strano e simpatico che possiede quel grande allevamento di draghi un po’ fuori Londra…”

 

Harry fece un sorriso fiero. “E bravo, alla fine ha coronato il suo sogno di diventare allevatore di draghi.

 

Sul viso di Ron comparve una bellissima espressione di puro orgoglio paterno. “Lo hanno praticamente supplicato di entrare a far parte del loro gruppo…per farlo provare gli hanno fatto incontrare un cucciolo di drago particolarmente turbolento, e pare che dopo quel piccoletto non volesse saperne di allontanarsi da lui.”

 

“Fantastico, è fuori da Hogwarts da neanche due mesi che già si è trovato un buon lavoro!”

 

“Buono quanto vuoi tu, ma a sentire Hermione è troppo pericoloso…” Ron fece una smorfia che rasentava il divertimento. “…soprattutto considerando che Simon si è presentato a casa con un drago che gli copre mezza schiena.

 

“Si è fatto un tatuaggio?” Harry scoppiò a ridere. “Povera Hermione, combatte una battaglia persa…”

 

“Già…e come se non bastasse, Katie ha ricevuto la sua lettera per Hogwarts…quindi altra disperazione, perché adesso non abbiamo più la nostra cucciola per casa.

 

Harry annuì. “Questo posso comprenderlo fino in fondo.”

 

Ron scrollò ancora le spalle. “Francamente stanotte avrei preferito restare con Hermione… l’ho vista un po’ sconsolata, credo che avesse bisogno di parlare un po’.”

 

“Hermione è forte, ed è una mamma eccezionale. Harry gli fece un sorriso incoraggiante. “L’hai vista così perché ha dovuto digerire questo bombardamento di novità tutte insieme, ma vedi che appena si ferma a rifletterci su affronterà le cose con la sua solita razionalità disarmante.

 

“Si, confesso che ci spero anch’io…” Ron s’interruppe quando sentì un piccolo rumore di scalpiccio…dei passi in una pozzanghera d’acqua. Alle sue affinatissime orecchie di War Mage non era sfuggito per niente, e lo stesso valeva per Harry. Si fermarono entrambi, senza voltarsi completamente, semplicemente controllando la strada con la coda dell’occhio. Rimasero in ascolto per qualche secondo, e alla fine sentirono un soffio impercettibile, qualcosa di molto simile a una voce…una voce familiare. Ron si passò una mano sulla faccia.

 

Harry incrociò le braccia sul petto con fare severo. “Da quando in qua le reclute fanno il turno di notte?”

 

Ron si voltò, scuro in volto. “Avete trenta secondi per uscire fuori, poi vi vengo a prendere io.

 

Ma come diavolo…”

 

Harry non si stupì per niente quando dall’angolo della strada sbucarono Jack e Amelia, che almeno ebbero il pudore di sembrare mortificati. Non c’era da stupirsi perché quei due sembravano smaniare dalla voglia di mettersi in gioco, erano senza dubbio le migliori reclute che i War Mage avessero assunto in decenni. E poi, quella testa calda di Jack era un Weasley dal sangue focoso esattamente come suo padre… quanto ad Amelia, lei non era una Weasley di nome ma lo era di fatto, senza contare che Ron e Hermione l’avevano praticamente adottata nella loro famiglia.

 

“Sbaglio o sono stato io a dirvi meno di due ore fa che non vi avrei portato proprio da nessuna parte stanotte?” tuonò Ron, avanzando verso i due ragazzi.

 

A Harry venne da ridere, ma si sforzò di trattenersi. Buon vecchio Ron…credeva ancora di poter fare paura a Jack, che gli arrivava praticamente all’altezza degli occhi, ed era un bisonte esattamente come suo padre… stesso fisico imponente, stesso sguardo volitivo e deciso, e in aggiunta molta ma molta più furbizia e impertinenza di lui. E Amelia…a vederla così nessuno le avrebbe dato fiducia, perché sebbene in altezza fosse cresciuta prodigiosamente – ora sfiorava il naso di Jack – era rimasta di fisico piccolino ed esile. Ma a prenderlo un pugno in faccia da quella manina delicata! E poi, a dirla tutta, se coi due maschi Ron era specializzato nel fare la voce grossa, con Amelia e Katie si scioglieva come la cera… ma guai a farglielo notare.

 

Jack scrollò le spalle. “E dai, pa’, non facciamo niente di male…vi accompagniamo soltanto.

 

“Durante un turno di notte!” protestò Ron. “Le reclute non possono fare già pratica così…”

 

“Appunto, ci siamo rotti di fare solo esercizi e teoria!” replicò deciso Jack. “Avanti, Grande Padre, non è che tu a vent’anni te ne stessi tutto buono a fare addominali tutto il giorno…”

 

“Noi eravamo in guerra, Jack.” Sibilò Ron.

 

“Beh, potrebbe sempre scoppiare!”

 

Ma non dire fesserie e tornatene a casa!”

 

Jack si voltò a guardare suo zio. “Zio Harry…!”

 

Harry ridacchiò e alzò le mani. “No, Jack, non guardare me…io non ti farei restare.

 

“Sono io il tuo diretto superiore, matricola. Stavolta lo sguardo di Ron era duro sul serio.

 

Jack fece un sorrisetto furbastro. “Si, ma zio Harry è il tuo.”

 

“Niente favoreggiamenti, non si scavalcano gli ordini gerarchici. Fece subito Harry. La storia della sua promozione a Colonnello era un episodio della sua vita che non avrebbe dimenticato facilmente… l’ennesimo in cui aveva avuto modo di apprezzare Ron come un fratello, ancor più che un amico. Quando Homer Graham era andato in pensione e Liam era stato promosso Generale dei War Mage, lui, Ron e Hermione avevano ricevuto immediatamente il titolo di Colonnello… titolo che Ron aveva rifiutato, restando Maggiore. E sia a Harry che a Hermione era stato subito chiaro il perché… innanzitutto Ron aveva scelto di seguire da vicino Jack nel momento più delicato della sua vita, durante il durissimo addestramento. Come Maggiore poteva addestrare lui i nuovi arrivi, come Colonnello avrebbe potuto a stento impartire un paio di lezioni speciali, come faceva Hermione. E poi Ron aveva specificamente detto più di una volta che il titolo di Generale stava molto meglio a Harry che non a lui…Harry aveva combattuto fin da quando era in fasce, con uno stato di servizio come il suo e una promozione a Colonnello tanto prematura, non avrebbe avuto rivali al momento opportuno. Perché Ron era Ron… leale, devoto, onesto e pronto a far brillare meno la sua popolarità pur di sapere felici i propri amici. Harry aveva toccato il cielo con un dito quando Liam gli aveva confessato che avrebbe aspettato che Jack fosse diventato War Mage a tutti gli effetti, e poi avrebbe assegnato perentoriamente il titolo di Colonnello a Ron.

 

“Resteremo indietro, vogliamo solo guardare!” provò Jack.

 

“Non durante un turno di notte!”

 

Jack sospirò sconsolato, e lanciò un’occhiata di traverso ad Amelia…e in quel momento Harry capì che non ci sarebbe stata storia, i ragazzi sarebbero venuti con loro.

 

Amelia avanzò fino ad avvicinarsi a Ron. “Veramente non possiamo nemmeno guardare?” gli chiese mielosamente, sbattendo gli occhi vispi e guardandolo in quel modo tenero che sapeva essere un’arma vincente.

 

Ron si ammorbidì. “Tesoro, non fare quella faccia… giuro che lunedì vi permetto di accompagnarmi a Diagon Alley mentre sono di turno, va bene?”

 

Amelia arricciò il naso e curvò le labbra in quel modo adorabile e irresistibile che la faceva sembrare una bambina piccola. “Ma quello è per bambini… non ci succederà niente, ci hai addestrati tu… e poi non interverremo, hai la mia parola…dai…”

 

Ron sospirò. “E’ perché vi conosco che non posso crederti…”

 

Amelia gli prese una mano fra le sue più piccole, accarezzandogliela e facedogli ancora gli occhioni da cucciolo. “Per favore…dici sempre che io sono la più buona perché non ti chiedo mai niente, è solo un favore piccolo piccolo…ti prego…”

 

Harry osservò Ron, che sembrava combattere con se stesso per dare una risposta…poi l’occhio gli cadde su suo nipote: braccia conserte, mento in alto, sorrisetto furbastro e fiero, occhi carichi di orgoglio… Jack era una peste, un vero Weasley. E sì che lui sapeva quanto fossero impossibili da fermare una volta che avevano chiara un’idea in testa… ne aveva sposata una esattamente così.

 

“Allora, ci lasci venire?”

 

Ron esitò. “…mi prometti solennemente che qualsiasi cosa succeda, voi due ve ne starete in disparte a guardare e basta?”

 

Amelia s’illuminò e annuì. “Promesso, promesso!”

 

Ron fece una smorfia arrendevole. “Solo per questa volta, sia chiaro.”

 

“Ah, grazie mille!” Amelia gli balzò in collo, stampandogli un bacio sulla guancia. “Ti devo un favore.”

 

“Strozzami Jack e lo considero già fatto. Brontolò Ron.

 

“Grazie, pa’, anch’io ti voglio bene.” Fece ridendo Jack, mentre schiacciava il cinque con Amelia.

 

Harry si avvicinò a Ron quando ripresero a camminare. “E meno male che era un no deciso…”

 

“Non ci posso fare niente, quando le bambine fanno così ci serve Hermione, è lei che sa mantenere il punto con loro…”

 

Beh, Amelia tanto bambina non è…”

 

“E’ ancora piccola, non la vedi?” Ron gli lanciò un’occhiataccia. “A diciannove anni dovrebbe uscire con le amichette a prendere un gelato…”

 

Harry fece un sorrisetto. “Tu a diciannove anni ti facevi Hermione, Ron.

 

“Non ricordarmi chi ti facevi tu.” Sibilò Ron, mantenendo la voce bassa. “E poi sta’ zitto, senti chi parla…hai fatto una storia lunga una quaresima con quella poverina di Julie.

 

“Oh, avrei voluto vedere te al mio posto, a ritrovarti una figlia fidanzata ad un mollaccione con un ciuffo di capelli blu che te la riporta a casa con un buco al naso!”

 

“Il piercing va di moda.” Osservò divertita Amelia.

 

“Vero, e poi Chad è sveglio per essere un Auror. annuì Jack.

 

Ron lanciò unocchiataccia a tutti e due, voltandosi verso di loro che gli camminavano dietro. “Silenzio voi due, consideratevi già in punizione!”

 

“Si, Grande Padre.” Jack trattenne a fatica una risata, lanciando un occhiolino ad Amelia.

 

Harry sospirò. “Va bene, vediamo di continuare il turno senza altre interruzioni.

 

“Ehi, lo facciamo un saltino a berci un bicchiere di Whisky Incendiario, dicono che è un’abitudine di tutti i War Mage durante le nottate di…” Harry e Ron lo fulminarono con lo sguardo. “…ok, niente Whisky.”

 

Amelia lo tirò per un orecchio e lo rimise in riga. “Guarda se non devi sempre combinare casini…”

 

“Ohi! Amy, l’orecchio!”

 

Ron si passò una mano sulla faccia. “Che guaio che ho combinato, come me lo sento…”

 

 

***************

 

 

“Guarda come si vede che è venerdì sera.” Notò Amelia, mentre il gruppetto di War Mage in borghese camminava per le strade della Londra magica. “Tutti per strada a far casino.”

 

“Mh…” Jack annuì distrattamente, i suoi occhi puntati su una bionda che gli era appena passata accanto. Una gomitata di Amelia lo fece tornare in sé.

 

“Se vi venisse in mente di comportarvi come due normali diciannovenni e voleste andare a spassarvela, fatelo pure.” Ron fece anche un sorriso. “Non siete in servizio.”

 

“Vuoi scherzare?” Amelia sprizzava grinta da tutti i pori. “Il nostro primo turno di notte, doppiamente glorioso perché illegale, e lo scambiamo con una banale serata fuori?”

 

“Eh, Ron, io proprio non so dove hai la testa. Harry non potè fare a meno di infierire… c’era un qualcosa di gustoso nel vedere Ron che minacciava di cacciare fumo per le orecchie…

 

“Beh, ma non succede niente stanotte?” Jack si guardò un po’ in giro. “Niente assassini, niente invasati, niente pazzi che vogliono far saltare mezza Diagon Alley…”

 

“Jack, figliolo, tu hai le idee un po’ confuse…” Harry sorrise e scosse la testa, continuando a camminare lentamente. “C’è anche un po’ di pace ogni tanto in giro.

 

Jack sbuffò. “Che sfiga…”

 

“Ehi, guardate qui!” Amelia s’incollò a una vetrina colorata…la vetrina del miglior negozio di articoli sportivi di Diagon Alley. In bella mostra c’era uno scintillante e nuovissimo manico di scopa che portava inciso sul retro le parole ‘Black Blaze 3000’.

 

“Guarda quanto l’hanno fatto bello!” Jack osservò con molto interesse la scopa. “Questo deve essere il nuovissimo modello di cui parlano tutti.

 

Harry annuì. “Venticinque galeoni che mio figlio se la compra in un massimo di dodici ore.”

 

“Non toccare quel ragazzo, la sua carriera è preziosissima. Ron assunse quella buffissima espressione che Hermione prendeva sempre in giro, chiamandola ‘Tifosus Invasatus’. “Se vogliamo vincere il campionato, Dan deve volare molto veloce…e quindi ha bisogno del massimo che il mercato gli offre.

 

“Un po’ più di oculatezza nello spendere non guasterebbe…”

 

“Con quello che guadagna…”

 

Amelia si accigliò, premendo il viso contro il vetro. “…ma è normale che a quest’ora della notte ci sia movimento nel negozio?”

 

Anche gli altri tre si sporsero a osservare: nell’ombra in cui era avvolto il negozietto s’intravedevano delle sagome che si affaccendavano dietro il bancone…finchè una delle due non si tirò parzialmente su, rivelando un fascio di manici di scope in mano.

 

“Io dico che non stanno mettendo a posto la mercanzia. Harry si sfilò la bacchetta dalla tasca e si diresse rapidamente verso la porta. “Ron, io passo di qua, tu…”

 

Jack, no!!

 

“Da qui si fa prima!” Jack caricò una rincorsa e buttò giù la vetrina del negozio con una spallata, fiondandosi dentro. Amelia balzò dentro al volo e fu velocissima e saltare sul bancone con la bacchetta già puntata verso il basso.

 

“Mani in alto, bastardo!” strillò a uno dei due, che colto di sorpresa potè solo sobbalzare e obbedirle.

 

“Vieni qui, dove vai…” Jack non ebbe bisogno di usare la bacchetta per fermare l’altro ladro: afferrò al volo una pluffa da uno scaffale e gli centrò la nuca, facendolo cadere a terra. “Ehi, amico, riflessi zero tu, eh?” infierì, tirandolo su per il colletto del maglione.

 

Ma siete impazziti?!” tuonò Ron, entrando. “Si era detto che sareste rimasti a guardare!!”

 

Amelia si morse le labbra, senza smettere di tenere per i capelli il ladro che aveva acciuffato. “… ma questi stavano per scappare…”

 

E tocca a noi pensarci!” fece Harry, con uguale durezza. “E poi che sono questi metodi…”

 

“Me l’ha insegnato papà.” Disse fiero Jack, strattonando il malcapitato che aveva per le mani, che ancora scuoteva la testa per riprendere a vedere bene.

 

Ron ignorò l’occhiataccia di Harry. “Non siete ancora pronti per intervenire direttamente!!”

 

E che ti aspettavi, Grande Padre, che saremmo rimasti a guardare per davvero?” Jack scosse la testa e fece una risatina. “Su, non ti arrabbiare che ti fa male alla salute…guarda, adesso noi ce ne usciamo e aspettiamo che siano venuti a prendere questi due mentecatti, e non diremo a nessuno che li abbiamo acciuffati noi. Contento?”

 

Amelia annuì amabilmente e sfilò dalla tasca di Harry il talismano per comunicare col quartier generale, porgendoglielo. “Tieni, contatta pure i nostri. Noi ordiniamo qualcosa al bar di fronte, ci vediamo lì.

 

“Questo è tuo.” Jack spinse uno dei due ladri verso suo padre.

 

Anche questo.” Amelia fece lo stesso. “Burrobirra per tutti, vero? Eh, siamo in servizio!”

 

“Non ci mettete una vita.” Jack si avviò verso la vetrina quasi completamente distrutta, abbassandosi mentre usciva per non far urtare Amelia, che gli era balzata sulle spalle come faceva sempre.

 

Ron emise un verso incomprensibile, qualcosa fra una risata incredula e un suono stupito. “E’ una mia impressione o quelle due piccole canaglie ci hanno appena preso per il culo in grande stile?”

 

“Non è una tua impressione, e sono due grandi canaglie dotate di grandissimo stile. Harry si accostò alla bocca il talismano e richiese un’unità di recupero malviventi nel più breve tempo possibile, poi infilò di nuovo la pietra trasparente nella tasca. “Mi faresti un piacere, Maggiore? Quando insegni ai ragazzi a usare le mani, ti dispiacerebbe specificare che i criminali che arrestiamo almeno in linea teorica ci servono vivi?”

 

 

***************

 

 

“Al nostro primo turno di notte.” Jack brindò allegramente con la bottiglietta di burrobirra, mandandone giù un gran sorso prima di tornare a dedicarsi alla sua ciambella.

 

“Drammaticamente illegale.” Brontolò Harry.

 

“Tanto lo so che non vi dispiace di averci tra i piedi. Amelia rubò a Jack un pezzetto della sua ciambella, guardando saltuariamente fuori dal finestrone vicino a cui stava il loro tavolo. “Sotto sotto vi fa piacere avere compagnia.

 

“Io veramente sono preoccupato.” Harry scosse la testa e sorseggiò la sua burrobirra. “Mi sembrate ancora un po’ troppo a briglia sciolta, voi due.

 

Jack fece un sorriso tipicamente Weasley. “Papà dice che si diventa un bravo War Mage solo se si ragiona col proprio cervello, quindi niente briglie.”

 

Harry fulminò Ron con un’occhiataccia. “Questo potrà valere per quando sarete completamente formati e avrete perso un po’ di questa pericolossisima irruenza, Jack. Tuo padre ti ha spiegato anche questo?”

 

“Ci ha provato, non ha attecchito.”

 

Amelia ridacchiò nella sua burrobirra, poi gettò uno sguardo all’orologio. “E’ ancora molto presto… in genere a che ora finisce un turno di notte?”

 

“Alle prime luci dell’alba, quando la gente comincia a svegliarsi. Ron finì la sua bevanda. “O almeno quando si svegliano i più mattinieri.

 

E noi dobbiamo presidiare le strade camminando per tutta la notte?”

 

“Si.”

 

Amelia arricciò il naso. “Secondo me è un sistema antiquato…a piedi si copre molto meno territorio che in macchina. Nello stesso numero di ore, con la macchina riusciremmo a controllare almeno il doppio delle strade.”

 

Ron fece una smorfia. “E tu credi davvero che i ragazzi del ministero assegnerebbero a tutte le pattuglie un’automobile di servizio? Tesoro, non hai ancora capito come funziona la politica.

 

“Senza contare che da noi non si insegna a guidare le macchine.” Aggiunse Harry.

 

“Io so guidare.” Esclamò orgogliosa Amelia.

 

Harry annuì. “Per inseguire qualcuno non è sufficiente saper cambiare le marce e girare il volante…”

 

Ma tu hai mai visto guidare il Koala?” Indicandola con il pollice, Jack sembrava camminare a mezzo metro da terra per l’orgoglio. “E’ una potenza, una forza della natura.”

 

Ron si accigliò, sentendo un orribile presentimento farsi strada nel cervello. “…chi ti ha insegnato a guidare, Amelia?”

 

La ragazza indicò Jack con un cenno della testa. “Lui.”

 

Ron si coprì la faccia con le mani. “Lo sapevo.”

 

Jack fece una smorfia. “Grazie mille per la fiducia, paparino.”

 

Harry inarcò un sopracciglio. “Guidi così male?”

 

“Assolutamente no! La mia è una guida…sportiva!”

 

“Sportiva?!” Ron abbassò le mani e guardò sconfortato Harry. “Non ti sei chiesto perché a tuo figlio la macchina l’hai comprata, mentre questo disgraziato è ancora a piedi?”

 

Harry fece un sorrisetto. “Corre?”

 

“E’ un pirata della strada!”

 

“Ehi, ehi, non esageriamo!” intervenne Jack.

 

Ron scosse la testa. “Non è assolutamente responsabile, tantomeno prudente.

 

Jack sbuffò. “Tutte scuse… intanto la macchina io la voglio e non esiste che Dan ce l’abbia e io no!”

 

“Lui non la sfascia la macchina!”

 

“Per forza, è una lumaca da paura! Dagli una scopa ed è un diavolo dell’aria, ma su quattro ruote pare che dorme in piedi!”

 

Amelia si strinse nelle spalle. “In effetti è un po’ lento…”

 

Harry scrollò le spalle. “A me ha sempre dimostrato di sapersela cavare.

 

“Precisamente.” Ron fece una smorfia. “Non solo Jack mi ha quasi demolito la macchina l’ultima volta che gliel’ho fatta guidare…adesso scopro che si è messo a dare anche lezioni ad Amelia!”

 

“Sulla macchina del padre!” precisò Jack.

 

“Non mi interessa, chissà cosa diavolo le hai insegnato…” Ron guardò la ragazza. “Da domani ti porto a guidare io, ricominciamo tutto dall’inizio come se non ti avesse mai spiegato niente nessuno, ok?”

 

Amelia ridacchiò e annuì. “Va bene.”

 

Che palle rotolanti.” Jack si stiracchiò e poi si alzò. “Non credete che abbiamo poltrito anche troppo qui al calduccio, mentre fuori i criminali se la spassano? Muoviamoci, il dovere ci chiama.”

 

Anche Amelia si alzò in piedi. “Il giro è ancora lungo, ci conviene andare.

 

Uscendo, Jack fece un fischio in direzione del barista. “Ehi, capo! Il conto ai due signori stagionati laggiù!”

 

Ron rimase a fissare un punto imprecisato davanti a sé con un’espressione pensierosa. “Che dici, Harry, se lo faccio fuori Hermione si arrabbierà? In fondo ne abbiamo altri due a casa...”

 

Harry ridacchiò, mettendo mano al portafoglio. “Non ti conviene, tua moglie ci è abbastanza affezionata.”

 

“Va bene, potrei sempre fargli il lavaggio del cervello. Osservò Ron, mentre uscivano dal piccolo locale. “Magari riesco a farlo diventare un bravo ragazzo.

 

Harry fece una smorfia. “Ne dubito, è figlio tuo.”

 

Amelia si voltò a guardarli. “Dove si va?” domandò, indicando il bivio davanti a loro.

 

“Facciamo un salto alla Gringott.” Propose Harry. “Conviene sempre passarci, di questi tempi.

 

“Con un po’ di fortuna la stanno pure rapinando. Fece Jack, con un sorrisetto furbastro e vispo.

 

Amelia ebbe un lampo di emozione nello sguardo. “Wow, ti immagini a prendere dei ladri professionisti?”

 

Ma che razza di discorsi sono?” sussurrò Harry a Ron, mentre lasciavano che a camminare davanti fossero i ragazzi.

 

Ron scosse stancamente la testa. “Lascia perdere, io ci ho rinunciato.”

 

 

***************

 

 

La Gringott era un palazzo monumentale decisamente bello dall’esterno, e di sera vederlo colpito dai faretti di luce che avevano piazzato sulla stradina antistante il portone, rendeva Diagon Alley molto più elegante di quanto la semplice stradina non fosse in realtà. A Harry piaceva guardare quell’immagine nel silenzio della notte, e se dimenticava di essere in servizio poteva perfino sentirsi più rilassato.

 

“Questo posto sembra irriconoscibile di notte. Osservò pacatamente Ron, mentre camminavano lungo il viale. “Di giorno è affollatissimo, e guardalo adesso.

 

Jack stava guardando con aria famelica una bella macchina rossa fiammante parcheggiata davanti al portone di un palazzo, una vettura chiaramente sportiva. “Ehi, pà, guarda questo gioiello…”

 

“Avrai la macchina solo quando sarai diventato responsabile, Jack.

 

“…dittatore…”

 

Harry ridacchiò. “Jack, perché non ti concentri su un’altra cosa invece che sulla macchina? Tra non molto viene il tuo compleanno, cosa vorresti per festeggiare i tuoi primi vent’anni?”

 

Amelia fece un sorrisetto. “Il numero di telefono di Amanda Travis.”

 

Harry inarcò un sopracciglio. “Chi è Amanda Travis?”

 

Ron fece una smorfia. “Ma come ti ha ridotto mia sorella, Harry? Sei diventato proprio…un padre di famiglia in giacca e cravatta!”

 

Jack ridacchiò. “Amanda Travis è quella super bona che si è messa a rappresentare i Tornado a tutte le loro partite. Dai, zio, veramente non l’hai mai vista? Quella non è una donna, è una dea.”

 

Amelia fece una smorfia di disgusto. “E’ solo tette e culo, cervello zero.”

 

Jack le fece un accenno di solletico sul fianco. “Guardala, la gelosona… ti rode, eh?”

 

“Metti giù quelle manacce!” Amelia gli diede uno schiaffetto sulla mano. “Mi fai solo molta pena, a correre sempre dietro queste sofisticatissime galline impagliate.

 

Ron fece un sorrisetto. “Questa però ha delle gran belle piume.”

 

Harry se la rise. “E quanto la deve amare Hermione, questa tizia. Ron fece una smorfia che lo fece ridere di gusto.

 

Improvvisamente non si capì più nulla.

 

Tre uomini completamente vestiti di nero e col cappuccio sulla testa sbucarono fuori da una finestra della Gringott, correndo all’impazzata e travolgendo Amelia – che non cadde a terra perché Jack fu rapido ad afferrarla per i fianchi prima che perdesse l’equilibrio – fino a raggiungere una vettura nera parcheggiata all’angolo della strada. Naturalmente Ron e Harry avevano la bacchetta pronta e stavano già rincorrendo i ladri nell’istante stesso in cui si erano resi conto di quello che avevano fatto; Jack, invece, si fermò e trattenne per un braccio Amelia quando vide la macchina nera che si metteva in moto.

 

“Ce n’è un altro là dentro!”

 

Amelia fu velocissima…si voltò e puntò la bacchetta contro la macchina rossa fiammante, pronunciando un incantesimo che fece spalancare le due porte anteriori. “Dai, dai!” urlò a Jack, mentre si infilava al posto di guida e metteva in moto l’auto.

 

Vedendo i ladri infilarsi nella macchina, Harry ebbe la stessa idea e si voltò per prendere la prima auto a disposizione…quando si ritrovò davanti agli occhi un bolide rosso, che gli tagliò la strada con una sgommata.

 

“Avanti, salite su!” fece furiosamente Jack.

 

Ron balzò dentro per primo. “Amelia, lascia fare a me…”

 

“Non se ne parla neanche!” la moretta schiacciò l’acceleratore prima ancora che Harry fosse riuscito a mettere anche la seconda gamba nell’auto – Ron lo afferrò per un braccio al volo – e la macchina impennò in avanti.

 

“Dacci sotto, che li riprendiamo!” la incitò Jack, per niente toccato dalla velocità folle a cui stava guidando la sua amica.

 

“Ci vuoi far ammazzare?!” Harry si afferrò al sedile anteriore per sporsi in avanti. “Rallenta!!”

 

“Si, così ce li perdiamo!” Amelia sterzò bruscamente a destra per una curva, facendo involontariamente schiacciare Harry e Ron contro la porta posteriore con un tonfo.

 

“Guarda quei bastardi quanto corrono!” Jack si sfilò la bacchetta dalla tasca e si sporse fuori dal finestrino, cercando inutilmente di prendere la macchina davanti a loro con qualche incantesimo… ma era una cosa quasi impossibile, visto che l’auto sfrecciava troppo velocemente. “Avvicinati di più!”

 

“No, che avvicin…”

 

Harry non riuscì a finire la frase… Amelia schiacciò l’acceleratore a tavoletta e lui e Ron finirono schiacciati completamente contro la spalliera del sedile… la macchina fece una specie di cavallo e guadagnò qualche metro.

 

“…adesso vi faccio vedere i sorci verdi, belli…” con un sorrisetto maligno, Jack si sporse di nuovo fuori dal finestrino… ma attaccare l’auto davanti gli passò di mente quando vide che il muro del palazzo ad angolo che si avvicinava a grande velocità. “…oh oh…”

 

“Gira a destra, a destra!!!” urlò Ron.

 

“Allacciate le cinture, si ballerà un po’!” Amelia voltò con forza il volante verso la destra, facendoselo scorrere fra le dita con rapidità… le ruote fecero un rumore stridente e sgommarono sull’asfalto, e la macchina si ritrovò a camminare su due ruote per qualche metro.

 

“Si, dacci dentro, Amy!” Jack controllò quanto vantaggio aveva la macchina davanti a loro.

 

“Basta, frena questa maledetta macchina, Amelia!!” protestò Harry.

 

“Guido io, avanti…” provò Ron.

 

“Silenzio, che mi deconcentrate!!” urlò Amelia.

 

Jack si voltò a guardarli, profondamente accigliato. “Non si distraggono i novellini quando sono alla guida, non lo sapete? E’ così che si fanno gli incidenti, mi meraviglio di voi!”

 

TU!!!” Ron lo afferrò per la spalla. “Appena scendiamo da questo arnese infernale, quanto è vero che ti ho fatto ti distruggo!!”

 

“Insomma, la sto seguendo solo io quella macchina?!” strillò Amelia, evitando un bidone della spazzatura con una rapida quanto pericolosa svolta sulla sinistra, e facendo liberare così anche Jack dalla presa di suo padre.

 

Harry cercò di rendersi conto della strada che stavano percorrendo. “Siamo a Purple Street, la parallela di Knockturn Alley… questa porta in campagna, alle spalle della stazione…”

 

Se non li becchiamo qui, ce li perdiamo nel verde!” notò Jack, provando a mettere fuori la testa per mirare alle ruote dell’auto davanti.

 

Amelia fece un sorrisetto losco. “Ok, tagliamo la strada a questi bastardi!” prima che i due uomini potessero protestare, la ragazza girò velocemente e improvvisamente il volante, dirigendosi verso una stretta stradina affiancata da due palazzi molto vicini l’uno all’altro… troppo vicini…

 

“Ferma!!” urlò Harry. “Non ci passeremo mai!!”

 

“Pesta a tavoletta, ce la facciamo passare!” replicò Jack.

 

Ron non potè fare a meno di chiudere gli occhi forte quando sentì la macchina entrare in collisione con le due pareti… e un momento dopo si chiese se quella piccola pazza al volante aveva una fortuna smisurata che nemmeno conosceva, o era abbastanza coraggiosa da rasentare la follia… ma di fatto l’automobile continuava a sfrecciare nel vicolo nonostante il terribile rumoraccio della carrozzeria che per poco non prendeva fuoco… praticamente gli sportelli si erano accartocciati tanto da potersi considerare andati.

 

“Secondo voi ce l’avrà un’assicurazione questa macchina?” chiese incuriosita Amelia, mentre non accennava a decelerare neanche minimamente.

 

E te lo chiedi adesso??” protestò Ron.

 

“Non ti scaldare, Grande Padre, non è mica tua.

 

TU NON DEVI NEMMENO FIATARE, E’ CHIARO?!?

 

Jack ridacchiò e annuì. “Muto.”

 

“…oh cazzo…” Amelia guardò allarmata il cruscotto. “Si è sfasciato qualcosa…”

 

“Qualcosa??” Harry stava facendo uno sforzo per non essere sfiorato dalla lamiera accartocciata dello sportello. “Tu l’hai distrutta tutta questa carretta, Amelia!!”

 

“La benzina… comincia a mancare!”

 

“Allora è vero che lassù c’è qualcuno che ci ama!” fece Ron, e Amelia gli lanciò un’occhiataccia.

 

La macchina scricchiolava sempre più rumorosamente, sembrava stesse per comprimersi al punto da esplodere. “E meno male che doveva essere una scorciatoia, non finisce più questo cazzo di vicolo!!” Harry cercò di vedere l’uscita davanti a sé.

 

“Non manca molto!” fece Amelia, accellerando più che poteva. “Solo c’è una cosa che non mi ricordo bene…”

 

Jack si accigliò. “Sarebbe?”

 

“… dove sbuca con precisione!”

 

Ron si passò una mano in faccia. “Sei entrata in un buco che non sai dove va a finire?!”

 

E lasciala stare, sta andando benissimo!” intervenne Jack.

 

Amelia si voltò indietro. “Sei arrabbiato con me?”

 

Ron scosse rapidamente la testa. “No, tesoro, io non ce l’ho con te… ce l’ho con quel disgraziato pezzo d’idiota completamente fuori di testa che ti ha insegnato a guidare, quell’imbecille sclerotico…”

 

“Ehi!” protestò Jack.

 

Harry spinse bruscamente Amelia. “Guarda la strada, la strada!!!

 

Sia Harry che Ron chiusero gli occhi… alla fine del vicolo, proprio sui due marciapiedi chiaramente non strutturati per lasciar passare un’automobile, spiccavano due lampioncini… Amelia li prese in pieno, facendoli volare in avanti, e gli sportelli accartocciati che erano rimasti bloccati dalle due mura, finalmente liberi di esplodere, schizzarono via come proiettili… e per uno strano caso del destino, i due sportelli della fiancata destra andarono a colpire proprio la macchina dei ladri, che stava arrivando in quel momento sulla strada.

 

“Wow, forte!” esclamò Jack quando l’auto sbandò violentemente, rallentando di parecchio.

 

“Adesso li prendiamo!” Amelia fece entrare la marcia – con una grazia che poteva rivaleggiare con quella di un elefante – e spronò la macchina in un cavallo che li spinse più avanti dalla macchina che inseguivano. E appena ne ebbe la possibilità, Amelia l’affiancò e la colpì bruscamente con la fiancata, facendola scivolare giù per la vallata campestre.

 

“Frena, frena!!!!!” urlò Harry.

 

“Ne sta scappando uno!” Amelia sbattè entrambi i piedi sul freno, e la macchina inchiodò il muso a terra con una violenza che proiettò tutti in avanti con un urto non indifferente.

 

Jack neanche uscì dalla macchina che puntò l’auto scura nella vallata e urlò “Immobilus Totalus!!”, bloccando così all’interno i tre ladri, tutti alquanto scossi e dall’aria smarrita.

 

Amelia non perse tempo, e uscendo dalla macchina corse a tutta velocità verso l’unico ladro che era scappato in tempo, e che ora stava correndo per quando potesse. “Fermo, ti dichiaro in arresto!”

 

L’uomo cercò di correre più forte, ma lei era veloce almeno il doppio… e lo afferrò per un braccio. Quello fece per colpirla, ma Amelia si chinò sulle gambe e gli tirò una ginocchiata fra le cosce, completando il lavoro con un buon gancio destro in pieno viso.

 

Jack arrivò di corsa, e guardando il malcapitato che si contorceva a terra e si teneva la parte dolorante, si voltò verso Amelia e ridacchiò. “Dio mio, non vorrei mai essere tuo nemico.

 

Amelia inarcò un sopracciglio e appoggiò le mani sui fianchi. “Cos’è, paura che ti rovinerei i gioielli di famiglia?”

 

E fai bene a chiamarli gioielli, io sono più unico che raro!” fece orgogliosamente il giovane rosso, facendo ridere la sua amica. “Ehi, là dentro, tutto bene?” urlò verso la macchina che avevano usato… quello che ne restava, più che altro.

 

 

 

 

I due uomini all’interno dell’auto per la prima volta nella loro vita si ritrovarono ad avere un tratto estetico che li accomunava: il colorito verdastro e gli occhi da fuori. Harry era per metà proiettato sul freno a mano e per metà appeso al sedile del posto guida, Ron era rimasto supino sul sedile posteriore che con la frenata aveva ceduto…e si era appiattito fin nel portabagagli della macchina.

 

“Siamo ancora vivi.” Mormorò piano Harry.

 

Ron era altrettanto incredulo, e continuava a fissare il tettuccio dell’auto. “Pare di si.” Sussurrò, con un tono di voce stranamente calmo. “Harry?”

 

Cosa?”

 

“Ti rendi conto che quel pazzo coi capelli rossi l’ho generato io?”

 

“…lo so, è abbastanza inquietante.”

 

“Sai, ora sono assolutamente sicuro che se lo ammazzo non ci sono problemi… ne abbiamo sempre altri due… magari nemmeno si nota che non viene a pranzo…”

 

Va bene, hai la mia benedizione.” Rispose Harry, con la stessa voce. “Però prima fammi un favore, prendi i distintivi di tutti e due e buttali in un pozzo senza fondo, dove nessuno possa più ritrovarli.”

 

“Non ti preoccupare, butterò sia i distintivi sia quelli che ci stanno dietro.

 

 

***************

 

 

“…nah, non credo proprio che ce lo permetteranno…”

 

“Oh, si si! E ti dico di più, ci faremo assegnare ai turni di notte pr almeno due notti a settimana!”

 

“Ma secondo te ce lo faranno fare?”

 

Jack aprì la porta, e da bravo cavaliere lasciò che fosse Amelia la prima a rientrare a casa Weasley… era ancora mattina molto presto, e nonostante la movimentatissima nottata entrambi erano decisamente svegli e pimpanti… e anche maledettamente soddisfatti, come osservava Ron… che li seguiva guardandoli in cagnesco.

 

“Ehi, siamo troppo bravi per essere lasciati a fare gli addominali in palestra!” Jack saltellò lungo il corridoio. “Ehi, non c’è nessuno qua dentro?!”

 

“Sshh, Jack!” Amelia gli diede uno schiaffo sulla nuca. “E’ ancora presto…”

 

Che presto, il sole splende e gli uccellini cantano!” esclamò vispo Jack.

 

Che pallone gonfiato.” Ridacchiò Amelia, arrampicandosi pigramente sulle sue spalle e lasciandosi trasportare fino in cucina.

 

“Voi due, sentite un po’.” Ron schioccò le dita un paio di volte per attirare l’attenzione dei due ragazzi. “Abbiamo un paio di cose da dirci…”

 

“Non si può parlare a stomaco vuoto, Grande Padre. Jack era chinò nel frigorifero, intento a cercare qualcosina da mettere sotto i denti… e per chinarsi troppo per un pelo non ci fece cadere dentro Amelia, che prima lanciò uno strillino acuto e poi scoppiò a ridere insieme al suo migliore amico… ignorando Ron che sembrava decisamente irritato… “Quando avete finito di fare i pagliacci, dobbiamo…”

 

“Papà!”

 

Una ragazzina con dei grandi occhi azzurri e una cascata di corti riccioletti biondi entrò saltellando nella cucina, ostentando con grande orgoglio la cravatta gialla e rossa che si era annodata sul pigiama.

 

Amelia le sorrise e scivolò giù dalle spalle di Jack. “Katie, la cravatta di Grifondoro!”

 

Katie annuì felicemente, soffermandosi un attimo a dare un bacio a suo padre. “E’ di Simon, me l’ha regalata!” esclamò felice. “Ha detto che mi porterà fortuna a Hogwarts!”

 

“E’ bellissima, amore mio.” Ron smise di sorridere e guardò di nuovo male i due più grandi. “Quanto a voi…”

 

“Ah, ce l’ho in mente io un buon porta fortuna mio da darti.” Fece sornione Jack, mentre chiudeva il frigo e passava una mela alla sua amica, che la prese al volo.

 

Amelia gli lanciò uno sguardo intimidatorio. “Io non credo proprio che sia il caso…”

 

Jack rise. “Che scema, parlavo della pluffa, Popò! Alla faccia, e poi sarei io quello col chiodo fisso…”

 

“Appunto!”

 

“Io voglio i guantoni di quidditch di Amelia!” fece allegra Katie. “La più grande cacciatrice di tutti i tempi!” Amelia fece un sorriso larghissimo e abbracciò forte la ragazzina, sbaciucchiandole la guancia rumorosamente.

 

Jack fece una smorfia. “Sorella ingrata.”

 

Ron gli strappò la mela di mano e l’appoggiò sul tavolo, attirando la sua attenzione. “Stammi bene a sentire, tu…”

 

Uno sbadiglio piuttosto rumoroso annunciò l’ingresso di un ragazzo moro e discretamente alto, coi capelli tutti arruffati e l’aria ancora molto assonnata. “…ma che avete da fare tanto casino a quest’ora…”

 

“C’è il dragatore!!” Amelia gli balzò in collo, abbracciandolo e facendolo ridere. “Vedere, vedere!” senza dargli il tempo di replicare, lo fece voltare di spalle e gli sollevò la maglietta… aveva un tatuaggio realizzato decisamente benissimo, e gli stava veramente bene. “…mamma mia quanto sei bello, Simon! Ti amo!” Simon rise e le scoccò un bacio sulla guancia.

 

Visto che forza, il piccoletto?” Jack aveva tutta l’aria del classico fratello maggiore orgoglioso. “Festeggiamo lo sbarbatello che si è trovato il lavoro da frescone, Hogwarts per la biondona ricciuta, e la prima notte mia e del Koala da War Mage in azione!”

 

Simon ridacchiò. “Vi siete imboscati nel turno di notte con papà e zio Harry?”

 

Katie arricciò il naso. “Poverini.”

 

“Dai, che si festeggia!” tra le risate generali, Jack aprì di nuovo il frigorifero e prese tre burrobirre, una per sé, una che tirò ad Amelia, e una che lanciò a Simon. “Alla salute!”

 

Katie balzò sullo sgabello più alto. “Ehi, voglio festeggiare anch’io!”

 

Amelia l’attirò a sé. “Vieni qua, tu… ne prendi un goccio da me, questa roba di prima mattina non è l’ideale.

 

Katie annuì festosamente, scansandosi un ricciolo biondo dalla faccia. “Si, ma fammene bere abbastanza per sfidare Jack… l’ultima volta l’ho quasi battutto alla gara dei rutti!”

 

 

 

 

Ron rimase fermo a osservare la scena sotto l’arco della porta, sentendo ridere forte i suoi figli mentre festeggiavano i loro traguardi. Le risate dei suoi ragazzi gli avevano sempre fatto un effetto benefico… perché adesso invece era il contrario?

 

“Allora alla fine sono riusciti a venire con voi stanotte.

 

Ron si voltò e vide Hermione, ancora in camicia da notte, venirgli incontro con un piccolo sorriso sulle labbra.

 

“Avevo capito che ci avrebbero provato.”

 

Ron le passò un braccio attorno ai fianchi e si voltò verso di lei, alontanandosi verso un’altra stanza. “Non parliamo di stanotte, guarda, che è meglio.

 

“E’ stata così dura?” chiese divertita Hermione.

 

“Dura??” Ron aveva un’espressione starvolta. “Jack ha praticamente castrato un evaso!” Hermione scoppiò a ridere. “Ma che ridi?! Tuo figlio ha inseguito per tutta Diagon Alley Johnny Frey, quel mentecatto che abbiamo messo dentro qualche mese fa… gli è corso dietro per tutta quella diavolo di strada, lui e quell’altra spostata della sua amica… e quando quello ha cercato di aggredire Amelia, Jack…” Ron fece una smorfia disgustata e terrorizzata insieme. “…uuh…poveraccio… tu non puoi avere idea di com’era ridotto.

 

Hermione non trattenne una risatina. “Beh, è stato molto… zelante.”

 

E ti ho detto forse una delle cose più normali della notte!”

 

Hermione sorrise e gli accarezzò il viso. “Che c’è che non va, tesoro?”

 

“C’è tutto che non va.” Ron ignorò persino la mano rassicurante di sua moglie. “Non va il modo in cui questi due vogliono fare i War Mage, non va che non riesco a parlarci perché hanno delle idiozie da raccontarsi, non va che ho passato una notte infernale nel vero senso del termine… e non va che volevo tornare presto a casa per consolare te, e invece non solo non sono più dell’umore giusto… ma noto anche che tu non mi sembri tanto bisognosa di conforto!”

 

Hermione si strinse nelle spalle. “Ho passato la notte sveglia… e alla fine mi sono consolata da sola.

 

Ron fece una smorfia ironica e si lasciò cadere sul divano. “Beh, beata te.”

 

Hermione si sedette pazientemente al suo fianco e gli porse un paio di foto. “Queste hanno aiutato.”

 

Ron ci diede un’occhiata… erano due foto di gruppo di Jack, Simon, Amelia e Katie quando non potevano avere più di dodici anni, una scattata al mare, l’altra in campeggio fra le tende ancora da montare. Ron istintivamente sorrise, e accarezzò le foto quasi senza accorgersene.

 

“Me la ricordo quella notte.” Hermione prese in mano la foto del campeggio. “Non riuscivano a mettere in piedi quella tenda… e si arrabbiavano, la strapazzavano, ma non volevano avere aiuti da nessuno perché volevano montarla loro.

 

Ron annuì. “Già… quando mai non sono stati testardi, mi chiedo.

 

“Oh, lo sono stati sempre… solo che prima potevamo riportarli al nido quando ne vedevamo la necessità, mentre adesso tappare le ali è la strategia peggiore che potremmo usare.

 

Ron sospirò. “Hermione, io vorrei essere razionale come fai tu, ma se avessi visto quello che ho visto io stanotte… ok, passi per Simon perché so che sotto sotto ha la testa a posto ed è un ragazzo responsabile e maturo… ma tu gli altri due non li hai visti. Jack e Amelia sono un pericolo pubblico, sono scalmanati…”

 

“…irruenti…”

 

“…non hanno paura di niente…”

 

“…prima agiscono, poi pensano…”

 

“…e buttano le mani in ogni caspita di circostanza che capita…”

 

Hermione finse di concentrarsi. “Mmh… vediamo, dovrei aver già visto questo genere di comportamento da qualche altra parte…”

 

“Io non sarò sempre dietro di loro.” Ron era terribilmente serio. “Prima o poi dovranno cavarsela da soli… e se fanno anche solo la metà delle pazzie che hanno fatto stanotte…”

 

Hermione scrollò le spalle. “Io credo che molte di queste pazzie le abbiano fatte proprio perché c’eravate voi… e non solo perché volevano impressionare te e Harry, ma anche perché sotto sotto sapevano di avere comunque le spalle ampiamente coperte.”

 

Ron si passò una mano fra i capelli. “Non lo so…”

 

“E’ stata una bravata.” Hermione gli accarezzò la schiena lentamente, cercando di aiutarlo a rilassarsi. “Io ho fiducia sia in Jack che in Amelia, anche se sono due teste calde… sono ragazzi, e sono entusiasti perché al contrario di noi, loro hanno scelto questa professione perché vogliono mantenere bella una vita che è già bella… noi combattevamo contro qualcosa di orrendo. Abbiamo affrontato le cose con uno spirito completamente diverso.

 

Ron esitò… sospirò stancamente e si appoggiò alla spalliera del divano, passando un braccio attorno alle spalle di Hermione. “Sono troppo sicuri di sé stessi.”

 

“Benissimo.” Hermione gli appoggiò morbidamente la testa sulla spalla. “Lunedì mattina convochi tutte le reclute con la scusa di una verifica generale e li strapazzi per bene in presenza di tutti, senza dimenticarti di aggiungere alla fine che si può fare decisamente di meglio.”

 

Ron fece un sorrisetto. “Una bella batosta all’orgoglio, eh?”

 

“Si.” Fece soddisfatta Hermione, accarezzandogli dolcemente l’addome. “Plateale il più possibile. Ti faccio vedere come abbassano la cresta al volo e tornano a fare gli apprendisti responsabili e prudenti. Però… lasciamogli questo momento di gloria. A tutti e quattro. E’ bello vederli così felici.”

 

Ron ridacchiò e le baciò la fronte. “Sei una volpe, amore… e poi non ti scomponi mai. Ma come diavolo fai a non scomporti mai?”

 

“Mi scompongo più raramente di te, il che è un tantino diverso.

 

“Sarà, però mi sarebbe comunque piaciuto vederti alle prese con quelle due furie della natura stanotte…” Ron fece un sorrisetto. “Ti sarebbe venuto un colpo.”

 

“Ti dirò…” Hermione lo guardò con uno sguardo molto furbo. “Sei tu che li hai addestrati, no? Dunque è soprattutto colpa tua se Jack e Amelia sono così… e perciò in un certo senso ti hanno ripagato a dovere!”

 

Ron le diede una piccola spintarella. “Guarda che donna in cattiva fede!”

 

Hermione rise e lo abbracciò, stampandogli un bacio sulle labbra. “Che poi che avranno combinato di tanto terribile questi due ragazzi, chi lo sa…”

 

Ron fece una smorfia. “Lasciamo stare, guarda.”

 

Hermione si rilassò sotto l’effetto delle carezze languide che stava ricevendo dalla manona di Ron. “Un colosso come te che si fa mettere a tappeto da due piccole pesti? Non lo credo possibile…”

 

“…a parte che non sono tanto piccole…” Ron si accigliò… riflettè attentamente sulla scelta delle parole, quindi si schiarì la gola e inclinò la testa per guardare in faccia sua moglie. “…senti… secondo te… mi trovi in forma?”

 

Hermione fece un sorrisetto incredulo. “Cos’è, una domanda retorica?”

 

“No, una semplice domanda.”

 

“Mi stupisce una domanda simile… sei in forma perfetta, spettacolare direi…” Hermione gli diede un piccolo bacio. “Mi fai fare sempre delle gran belle figure quando andiamo in giro, mi piace sentirmi invidiata dalle altre donne…”

 

Ron fece una smorfia. “Ma no, voglio dire… mi trovi ancora un War Mage all’altezza?”

 

Hermione lo osservò incredula, quasi divertita… poi capì cosa voleva dire, e scosse la testa con un sorriso. “Aah… è per questo, allora… i due diavoletti sono veloci, eh?”

 

Ron arricciò il naso. “…corrono maledettamente forte… Harry e io abbiamo corso al nostro massimo, e non è che ci fosse tanta distanza, però…”

 

“…però quella distanza c’era.”

 

“Già.”

 

Hermione gli accarezzò il viso. “Hanno vent’anni di meno, Ron… e tu e Harry siete in una forma che fa invidia a qualsiasi nostro coetaneo.”

 

Ron fece un piccolo sorriso insicuro. “A te piaccio ancora, no?”

 

“No.” Hermione gli baciò la guancia. “Io ti amo ancora, il che è un po’ diverso… e se mi sono calmata stanotte è perché pensare a te mi ha tenuto compagnia. Perché anche quando i nostri ragazzi saranno troppo grandi per correre a chiedere il nostro aiuto, ci sarai sempre tu qui con me. Almeno a te potrò essere utile.”

 

Ron ridacchiò. “E per più di una motivazione.”

 

Hermione gli diede uno schiaffetto. “Sei impossibile, passano gli anni ma tu non cambierai mai.

 

“Si…ed è per questo che mi ami.” Con un sorrisetto disteso e fiero, Ron le passò una mano fra i capelli e l’attirò a sé, facendole sentire in quel bacio tutto l’amore che provava per lei… per la donna che amava, per la compagna di una vita intera, per la madre dei suoi figli, per la sua migliore amica… in qualunque forma o atteggiamento, Hermione significava tutta una vita per lui. Una vita felice. “Sai che ti dico?” le disse allegramente, quando si furono scollati. “Nella peggiore delle ipotesi, possiamo fare sempre un altro figlio.

 

“Ooh, non se ne parla proprio.” Hermione scosse freneticamente la testa. “A parte che non credo che il miracolo di Katie possa ripetersi, ma poi… ricominciare tutto daccapo adesso?”

 

Ron scrollò le spalle. “Ma questi sono autosufficienti, ormai…che sfizio c’è? Non ti manca avere per casa un bambino che ti fa sentire quanto ha bisogno di te?”

 

“Autosufficienti, eh?” Hermione fece una risatina sarcastica.

 

Ma si, non li senti? Chi lavora, chi si compra la casa, chi va a Hogwarts…”

 

“Paparino?” Katie fece capolino dalla porta con un sorriso vispo e dolce. “Poso entrare o tu e mamma volete farvi le coccole?”

 

Hermione le sorrise maternamente. “No, tesoro, vieni pure.”

 

Ron la fece sedere su una gamba e le accarezzò i capelli. “Ehi, scolaretta… conti proprio di finire a Grifondoro, eh?”

 

Katie si sistemò con orgoglio la cravatta gialla e rossa. “Simon dice che è sicuro al cento per cento… sono una Weasley!”

 

“Così si parla, brava la mia principessa. Ron le pizzicò il naso.

 

“A proposito di scuola…” Katie si mise seduta più dritta. “… dobbiamo vestirci in fretta, perché poi dobbiamo andare a Diagon Alley a comprare le cose…”

 

Ron fece una smorfia. “Adesso? Amore, ho passato la notte completamente in bianco…”

 

“Andiamo io, te e Simon a Diagon Alley, va bene?” le disse Hermione. “Papà è stanco, lasciamolo dormire qualche ora…”

 

Katie mise il muso. “Ma io volevo andarci tutti insieme…”

 

“…ma sentilo, e secondo te toccherebbe a te!”

 

E certo, tra me e te io so guidare molto meglio!”

 

“Sta’ zitto, piccoletto…” Jack entrò di corsa nella stanza, seguito da suo fratello. “Ehi, pa’, è vero che stasera la presti a me la macchina?”

 

“Noo, serve a me e non se ne parla proprio. Replicò per tutta risposta Simon.

 

Vuoi chiudere quella boccaccia, io devo portare fuori Olivia Gatterson…”

 

E portacela a piedi! Ho promesso a Mel un giro in macchina da una vita!”

 

“A piedi?! Che razza di figura ci faccio?!”

 

“Tanto la sostituirai tra due giorni al massimo, che problema c’è?”

 

“Tu sei più piccolo, quindi devi aspettare il tuo turno!”

 

“Tu non sai guidare, quindi l’unica cosa dotata di ruote con cui potresti spostarti è un monopattino!”

 

“Ooh, ma quanto sei divertente!”

 

Amelia si sedette pigramente sull’altra gamba di Ron. “Che piantagrane… io invece posso prendere la tua moto per un paio d’ore? Vorrei far venire un colpo a quella vipera della mia matrigna, presentarmi alla sua festa con quel bolide…”

 

Ron spalancò gli occhi. “Ma non se ne parla proprio! …no, Amelia, aspetta… non fare quella faccia, non volevo dire… facciamo così, guido io e ti lascio fuori dal cancello di casa, va bene?”

 

Amelia gli fece gli occhioni da cucciolo. “Che vorresti dire, che non ti piace come guido?”

 

“N-no, certo che no, piccoletta, guidi molto… s-si, bene, però la moto è pesante e grossa…”

 

“Papinooo…” cantilenò Katie. “Quando andiamo a Diagon Alley, me l’avevi promesso…”

 

“Allora ce la giochiamo, avanti! Dai, pannolone, testa o croce?”

 

“Non ci casco, bello mio, l’ultima volta la moneta aveva due teste!”

 

E allora rassegnati, forza!”

 

Perché dovrei farlo io?! Fallo tu!”

 

“Allora è vero che non ti piace come guido?”

 

“Papà, i negozi aprono tra poco!”

 

Ron si mise le mani fra i capelli. “BASTA TUTTI QUANTI!!! Non presto la macchina proprio a nessuno, la moto non si tocca, i negozi sono aperti tutta la giornata e possiamo andarci anche più tardi, e comportatevi da persone adulte!! Non siete più dei bambini, per la miseria! …e tu vuoi smetterla di ridere, Hermione?!

 

 

 

 

** FINE **

 

 

 

…bene… e a questo punto ho soltanto un'altra piccola shotty in cantiere * si Vega, amicissima mia, sto guardando proprio te… ^_- * …dopodichè… beh… ^_____-

 

 

Sunny

 

P.S.: non dimenticatevi di cliccare la scritta blu, così non si sente sola soletta… ^__^

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Capitolo 18
*** Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Vietnamita ***


E finalmente è arrivato anche il turno della mia amica Vega

E finalmente è arrivato anche il turno della mia amica Vega!!! ^_____^  Povera anima che mi sta chiedendo qualcosa su Charlie e Tennessee da mesi, ormai… e stavolta ti ho accontentata, anche se ti devo chiedere umilmente perdono per il mostruoso ritardo… speriamo almeno che ne sia valsa la pena! ^___^

Prima di proseguire: per la realizzazzione di questa shotty mi sono documentata un po’ sulle usanze in questione, ma dato che non sono molto esaustivi sulle abitudini matrimoniali in Vietnam, ho chiesto in prestito qualcosina ai paesi limitrofi di cui parlano di più, perciò non vi meravigliate se c’è un po’ un misto… ^^ Devo ammettere che sono costumi molto, molto pittoreschi e affascinanti… mi hanno fatto venire voglia di assistere a un matrimonio in oriente! ^___^

P.S.: Guest Star… l’omino della nota pubblicità che riconoscerete senza dubbio! ^_-

 

 

 

 

 

 

IL MIO GROSSO GRASSO MATRIMONIO VIETNAMITA

 

 

 

Charlie sbadigliò largamente e si sfregò gli occhi, lasciando che le prime luci del mattino lo svegliassero per bene. Aprì un occhio solo, tanto per capire che ore erano… e la sveglia segnava implacabile le sei in punto, l’ora della levataccia.

 

“…mmh…’more?”

 

“Si, sono già sveglia.”

 

Charlie aprì entrambi gli occhi; Tennessee era seduta in mezzo al loro lettone, con i capelli ancora un po’ in disordine per la notte e gli occhi a mandorla apparentemente del tutto svegli. Aveva un’aria incredibilmente sexy, e magari nemmeno lo sapeva…

 

“Ehi, pantera.”

 

Tennessee rise allegramente e gli pizzicò il naso fra due dita. “Il dragone che dorme e non si accorge delle luci dell’alba deve preoccuparsi per i suoi sensi troppo assopiti.”

 

Charlie fece un sorrisetto, ancora non completamente sveglio. “Ma quanto mi piace svegliarmi all’insegna di questi proverbi cinesi…ohi!”

 

Tennessee gli rifilò un piccolo calcio. “Vietnamiti, prego. C’è una bella differenza.”

 

Charlie si morse la lingua… normalmente avrebbe fatto notare alla sua interlocutrice che cinesi o vietnamiti, sempre più o meno della stessa razza orientale si parlava, ma la sua compagna era sempre… un tantino suscettibile

 

“Devi lavorare tutto il giorno oggi?”

 

Lui annuì e le passò una mano sulla gamba, accarezzandogliela lentamente. “Mh-mh… perché?”

 

Tennessee arricciò amabilmente il naso. “No, sai… oggi è un giorno importante per me. Inizia Ottobre.

 

Charlie inarcò un sopracciglio. “Si, è il primo di Ottobre… cos’è, l’anniversario della tua prima volta? Ahia! Ehi, quelle zampe tienile a freno!”

 

Tennessee gli lanciò un’occhiataccia. “Ignorante che non sei altro, Ottobre è il mese più importante dell’anno per noi in Vietnam… è il mese della Grande Lotta e della Grande Vittoria.

 

“Non mi dire che il Vietnam ha una squadra di Quidditch.

 

Ma ci sei nato così stronzo, o ci sei diventato col tempo?”

 

“Andiamo, Liso Flitto… ti stavo prendendo in giro. Charlie provò a scoprirle un po’ di più le gambe, ma si beccò una sberla sulla mano. “Amore, hai la luna storta stamattina?”

 

Tennessee lo guardò malissimo, e si sedette sulle ginocchia per sfuggire completamente alle sue mani. “Quanto ti detesto quando fai così, non ne hai idea.

 

Charlie abbandonò il suo irritante sorrisetto e le prese la mano. “Ok, ok… chiedo umilmente perdono. Chiedo molto umilmente perdono… come si dice nella tua lingua che ti amo e che imploro la tua pietà?”

 

Tennessee esitò, poi alla fine fece un sorrisetto. “Certe volte mi chiedo se non apparteniamo a due mondi troppo differenti, io e te.

 

Infatti è vero.” Charlie le fece un sorrisetto. “Ma è questo che mette il pepe, no?”

 

“Si.” Tennessee sembrò seppellire l’ascia di guerra, e si chinò a dargli un piccolo bacio.

 

“Allora.” Charlie riprese ad accarezzarle la gamba. “Che cos’è questa storia del bene e del male?”

 

“E’ un’antichissima leggenda induista, se la tramandano di generazione in generazione da secoli. A Tennessee sfuggì un sorriso divertito. “Talmente tanti che nessuno sa con precisione che cosa sia successo mai ad Ottobre.

 

Charlie rise. “E meno male che è una leggenda a cui tenete!”

 

La giovane asiatica scrollò le spalle. “Posso solo dirti che questo è un mese sacro per noi… non si sa come sia avvenuta questa lotta, ma il Bene tanti secoli fa ha trionfato sul Male una volta e per tutte, e da allora Ottobre è stato definito il mese sacro per eccellenza… ed è provato che chiunque si sposa durante questo mese ha una famiglia felice e numerosa.

 

“Mh, però.” Charlie fece una smorfia divertita. “Faranno la fila per farsi sposare tutti questo mese, eh?”

 

“Si celebrano fino a dieci matrimoni al giorno.”

 

“Ci avrei scommesso.” Charlie ridacchiò. “Tanti auguri alle dieci coppie che si sposano oggi, allora.

 

Tennessee sospirò e lo guardò a lungo negli occhi, tanto da farlo accigliare… poi annuì e distolse lo sguardo. “Si. Tanti auguri agli sposi.”

 

 

***************

 

 

Charlie osservò con la coda dell’occhio Tennessee mentre camminava al suo fianco, lungo il corridoio centrale del quartier generale. Aveva avuto la sensazione che fosse un po’ strana quella mattina, ma poi dopo quell’iniziale silenzio che aveva mantenuto per una buona mezzoretta era tornata ad essere la solita meravigliosa testa di legno di cui era innamorato. Comunque, tanto per essere sicuri…

 

“Ehi, pantera? Che ne dici se stamattina andiamo a pranzo fuori? Ti porto a gustare il pudding inglese…”

 

Tennessee arricciò il naso. “Per carità, quelle porcherie che preparate voi inglesi non le voglio vedere neanche in fotografia.”

 

Perfetto, è tutto a posto.

 

A un certo punto Tennessee rallentò fino a fermarsi, facendo fermare anche lui. Quando Charlie si voltò a guardarla, lei gli fece cenno di stare zitto e ascoltare… dallo spogliatoio provenivano voci allegre e gioiose… e molto familiari.

 

“Ehi, che sta succedendo qui?” Charlie fece capolino dalla porta della piccola stanza. “C’è una festa e non sono stato invitato?”

 

“E’ una festa per davvero!” Ginny, vestita di tutto punto e con tanto di camice addosso, aveva un sorriso enorme e disteso. “Fate gli auguri a Ron e Hermione… diventeranno papà e mamma per la seconda volta!”

 

Tennessee subito sorrise e abbracciò una quanto mai allegra Hermione. “Tantissime congratulazioni!”

 

Charlie attirò a sé il fratello minore per un rude e affettuoso abbraccio tutto fraterno. “Questa sì che è una bella notizia!”

 

Harry annuì soddisfatto, incrociando le braccia sul petto. “Bella davvero! Decisamente un bel modo di incominciare la settimana e il mese.”

 

E Jack che ne dice, è contento?”

 

Hermione sorrise. “Per il momento pare di si, ringraziando il cielo.”

 

Ron le passò un braccio attorno ai fianchi, per tenerla più vicina a sé. “Volendo essere precisi, vuole un fratello… l’idea di una sorella non lo attira per niente.

 

“Anche se con una sorella litigherebbe di meno. Fece Ginny. “O almeno così è con Danny e Julie.”

 

Tennessee guardò Hermione con aria dolce e assorta, e un momento dopo le appoggiò una mano sulla pancia. “E’ talmente bello quando c’è un bambino in viaggio… sei felice, vero?”

 

Hermione annuì, sorridendo. “Moltissimo. Non vedo l’ora di poter abbracciare anche questo piccolino.

 

Tennessee sorrise sognante e si morsicò il labbro… Ginny lo notò e lanciò uno sguardo eloquente a Charlie… che naturalmente era perso nel suo discorso con Harry e Ron.

 

“La famiglia Weasley si allarga a macchia d’olio, stiamo invadendo l’Inghilterra. Fece ridendo Harry.

 

“Presto avremo il nostro squadrone di quidditch fatto solo da membri di famiglia. Fece orgoglioso Charlie.

 

Ron annuì, ridacchiando. “Sono d’accordo, ormai ci mancano pochi elementi e siamo al completo.

 

Scusate, io sono in ritardo.” Tennessee salutò con un cenno della mano tutti i presenti. “Devo scappare, mi aspetta un lungo inventario di nuove pozioni.

 

“Ci vediamo dopo.” Charlie si sporse per ricevere un bacio… ne ottenne uno molto piccolo, dato che lei era impegnata a salutare anche gli altri.

 

Ginny la guardò andare via… e poi si voltò verso suo fratello maggiore, stringendo gli occhi in due fessure. “Tu fai schifo, lo sai, vero?”

 

Charlie si accigliò, guardandosi alle spalle prima a destra e poi a sinistra. “…scusa, ma ce l’hai con me?”

 

“Esattamente.” Ginny appoggiò le mani sui fianchi, ricordando a tutti per un momento Molly Weasley quando s’infuriava. “Sei senza cuore… come fai a non accorgerti dei sentimenti della donna che ami? L’abbiamo capito tutti tranne te, possibile?”

 

“Scusa, non ti seguo… capire che cosa?”

 

Hermione fece una piccola smorfia. “Proprio non ci arrivi, Charlie? Tennessee vorrebbe di più da te.”

 

Charlie inarcò le sopracciglia. “E’ questo che vi viene a dire, che è insoddisfatta di me? Ooh, andiamo benone… e adesso cos’ho fatto, sentiamo?”

 

“E’ piuttosto quello che non hai fatto.” Replicò acida la sorella.

 

Charlie la guardò molto confuso… ma poi la sua attenzione fu attirata da Ron, che fischiettava in modo losco e si indicava l’anulare della mano sinistra… il dito su cui stava in bella mostra la sua fede matrimoniale. Harry, accanto a lui, annuì sornione.

 

“…voi vorreste dire…” Charlie sbattè gli occhi. “Volete dire che Tennessee vuole sposarsi?”

 

Visto che riesci a capire le cose anche da solo, e senza nessun suggerimento?” mormorò divertito Ron.

 

“Questa è follia pura.” Charlie scosse la testa. “Evidentemente non conoscete affatto Tennessee… lei è anticonformista per eccellenza, il matrimonio e tutte le altre convenzioni sociali non la interessano affatto…”

 

“Prima di ogni altra cosa, mio povero stupido fratello, Tennessee è una donna.” Ginny scosse la testa, esasperata. “Una donna di trent’anni che desidera farsi una famiglia in modo serio.

 

E poi considera le sue origini.” Hermione si strinse nelle spalle. “Lei non ha i nostri stessi costumi… probabilmente in Vietnam il matrimonio è ancora più sacro di quanto pensiamo noi.

 

Charlie ci pensò un attimo su… questo forse era vero, se ripensava alle parole della sua compagna solo poche ore prima… il matrimonio aveva davvero un ruolo fondamentale per la sua gente, ma questo non voleva dire che valesse lo stesso per lei.

 

Ron si accigliò. “Ma tu glielo chiederesti?”

 

“Di sposarmi?” Charlie ci riflettè un attimo su, poi gli sfuggì un sorriso. “Si, perché no… in fondo ho fatto l’uccello di bosco abbastanza, no? L’età ci sta tutta… la testa è meno calda… sono innamorato di lei… che mi manca per sposarmi?”

 

“Spirito di sacrificio.” Fece Hermione, con una inesorabile calma. “E di adattamento.”

 

Charlie scrollò le spalle. “In ogni caso, se Tennessee vuole che la sposi deve darmi un segnale più chiaro… voi non la conoscete come me… con quella testa di legno se fai un passo falso sei morto.”

 

“Fai come ti pare.” Ginny fece una smorfia. “Non sono convinta che tu sia nel giusto, ma la vita è tua, no?”

 

“Ed è anche perfetta così com’è, perciò procediamo coi piedi di piombo e tutto andrà a gonfie vele.”

 

Hermione storse la bocca, ma non disse niente.

 

 

***************

 

 

Charlie non si sorprese di trovare Tennessee sdraiata sul divano e molto presa da un libro… la sera trovava la lettura molto rilassante, e ultimamente aveva divorato più di un libro. Alcune volte l’aveva punzecchiata anche con dei volumi scritti in viatnamita, e come un’idiota aveva fatto battutine sulla scarsissima possibilità di distinguere quel tipo di scrittura da quello dei suoi nipotini di tre anni, meritandosi consapevolmente quei ceffoni che si era guadagnato. Eppure, nonostante tutto, a Charlie quella donna faceva perdere la testa, anche se aveva uno stranissimo senso dell’umorismo.

 

“Amore?”

 

Tennessee alzò gli occhi e gli sorrise. “Già a casa, fustaccio?”

 

“Si, per passare un po’ di tempo con la mia donna dagli occhi a mandorla. Charlie le sfilò il libro di mano, appoggiandolo distrattamente sul tavolino, e le sedette accanto. “Che ti stavi leggendo di bello?”

 

“Un saggio sugli utilizzi benefici che può avere una foglia di Oleandro se conservata in un vasetto pieno di olio al mallo per sei mesi di fila.”

 

Charlie ridacchiò. “E poi dicono che Erbologia è una materia da poco… tu l’hai presa molto sul serio, eh?”

 

Tennessee inarcò un sopracciglio. “Scemo, è per curare le ferite da ustione.

 

Charlie fece un irritante sorrisetto. “Adesso ti faccio anche questo effetto? Eh, che ci posso fare… è una vita che le donne bruciano per me.

 

“Hai il senso dell’umorismo di un guru con le chiappe in fiamme. Mormorò divertita lei.

 

Lui rise e si chinò a baciarla. “Che metafora indicativa.” Le sussurrò contro le labbra.

 

Tennessee si lasciò baciare languidamente in quel modo tutto adorabile e sensuale che il suo uomo conosceva tanto bene, e rispose con lo stesso desiderio… ma si fermò prima di spingersi troppo oltre. “Charlie?”

 

“Si, pantera?” le domandò pigramente lui, mentre le dispensava qua e là bacetti lungo il collo.

 

“Stavo pensando… mi chiedevo se… insomma, tu non vorresti… sposarti?”

 

Charlie si fece indietro e la guardò per un lungo momento negli occhi, dandole i brividi… e poi alla fine il suo viso si sciolse in un sorrisetto furbastro. “Allora avevano ragione gli altri che vuoi sposarmi!”

 

Tennessee avvampò furiosamente e sentì le lacrime pungerle insistentemente gli occhi. Ecco, ecco che cosa ci aveva guadagnato a provare ad aprirsi e a fare le cose a modo suo… ci aveva perso la faccia. “T-tu sei andato a chiedere in giro se io volevo sposarti?”

 

Dal tono gelido e tremolante allo stesso tempo della sua voce, Charlie capì di aver fatto un passo falso. “Tesoro?”

 

“Hai preso i nostri affari personali e li hai sbattuti in piazza, davanti a tutti?” Tennesse lo incenerì con lo sguardo. “Ti sei vantato del fatto che sarei stata io a proporti di sposarmi?!”

 

Charlie la guardò sorpreso. “A parte il fatto che con altri intendevo i nostri stessi amici e parenti, prima cosa non mi sono vantato proprio di niente, e secondo… che significa questo? Che hai, ti vergogni di avermi chiesto di sposarti?”

 

Tennessee si alzò in piedi. “E’ evidente che se non lo avessi fatto io, potevamo andare avanti così a vita! Tanto tu non senti il bisogno di impegnarti a tutti gli effetti, non è così?”

 

“Questa è una stronzata grande quanto tutta Hogwarts!” anche Charlie schizzò in piedi. “E poi continuo a non capire qual è il problema… siamo due persone adulte e perfettamente emancipate, siano innamorati l’uno dell’altra e stiamo benissimo insieme, giusto? Oggi ti sei svegliata e hai deciso che vuoi consolidare il tutto con il matrimonio, e allora va bene, facciamolo… ma perché prima lo metti in mezzo e poi ti dà fastidio di averlo fatto?”

 

“Mi dà fastidio di averlo fatto per prima! E mi dà fastidio che la cosa sia fonte di orgoglio maschile per te, che sei un gran montato!”

 

Charlie, ai limiti della pazienza che possedeva, si strinse i capelli fra le mani e scosse la testa. “No, senti… Tennessee, io capisco tutto, i tuoi sbalzi di umore, ma questo…”

 

“ I miei sbalzi di umore?!” Tennessee fece una smorfia incredula. “Io sopporto il tuo machismo e il tuo maschilismo, il tuo disordine, la tua chiusura mentale…”

 

“Wow, si direbbe che ne hai di motivi per sposarmi, eh?”

 

“Tutto questo è ridicolo.” Tennessee si sforzò di calmarsi, e abbassò la voce. “Ascolta, io ho trent’anni, non sono più una ragazzina… ti amo e lo sai, ma ho bisogno di un uomo che oltre a essere brillante ed esuberante sia anche responsabile, maturo… non me la sento più di scherzare, capisci? Voglio un uomo che mi prometta amore eterno a tutti gli effetti.”

 

“Va bene, ho capito e sono convinto di darti già quello che vuoi… ma mi sta benissimo sposarti se è questo che ti rassicura di più. Ma mi puoi spiegare qual è il problema adesso, perché amore mio…” Charlie fece un piccolo sorriso. “Io non ho capito perché stiamo litigando.

 

Perché tu non mi rispetti.”

 

“Questo non è vero!”

 

“E’ verissimo.” Tennessee fece una smorfia. “Per te vengono sempre prima le tue esigenze, e poi le mie… non sei mai disposto a fare un sacrificio per me, non ascolti quello che ti chiedo, e tutto il mondo ruota attorno a te e alle tue abitudini.

 

Charlie scosse la testa e la guardò male. “Questa è bella, mi stai dando dell’egocentrico! Sai, bellezza, se davvero fossi egocentrico non te le farei passare tutte così…”

 

E quali mi fai passare?” Tennessee lo guardò con aria di sfida. “Quali, Charlie?”

 

“Intanto per cominciare, cerco sempre di accontentarti in tutto.

 

“Ah si?” Tennessee gli indicò la porta di casa. “Guarda lì, per esempio… gli stivali sporchi di fango all’ingresso. Quante volte ti ho chiesto di non lasciarli lì? E le riviste sul divano? E la tavoletta del gabinetto perennemente alzata? Ma tu mi ascolti mai?”

 

Charlie era incredulo. “Amore, ma queste sono stronzate! Problemi all’ordine del giorno in una casa!”

 

“Si, beh, io ho la sensazione che tu non sia più disposto a fare il pazzo per me. Che la nostra storia si sia appiattita.”

 

Charlie l’attirò a sé. “No, no… questo non dirlo, non dirlo mai. Io ti amo alla follia.”

 

Tennessee lo guardò con i suoi grandi occhi a mandorla stanchi e avviliti. “Ti amo anch’io, dragone… ma forse tutto questo non è più abbastanza.

 

E allora cerchiamo insieme una soluzione!” Charlie cercò il suo sguardo. “Le crisi sono passeggere, vanno via così come sono venute.”

 

“Forse hai ragione tu.” Tennessee si districò dolcemente dal suo abbraccio. “Ma per stanotte almeno ho bisogno di stare un po’ da sola. Ho bisogno di pensare chiaramente.”

 

Conoscendola e conoscendo il suo caratterino pepato, Charlie non insistette oltre e si limitò ad annuire, anche se quello non era assolutamente il modo in cui era abituato a risolvere i problemi… c’era così tanto da dire, da spiegare, da capire insieme… eppure ora si stava mordendo la lingua proprio per non darle fastidio, per lasciarle i suoi spazi. E tu dici che io sono egocentrico…

 

 

***************

 

 

“Finalmente si è addormentato.” Hermione raggiunse Ron sul divano e si accoccolò sulle sue gambe, mentre lui metteva via il giornale che stava leggendo. “Non sta nella pelle all’idea di avere un fratellino.

 

Ron sorrise largamente e le passò le braccia attorno ai fianchi. “Beh, è chiaro, no? Noi Weasley siamo abituati alle famiglie numerose.

 

“Speriamo solo che sia davvero un maschietto. Hermione si accarezzò la pancia, pensierosa. “A quanto mi ha detto, Jack non ne vuole sapere di una sorella…”

 

“Nah, andrà bene qualsiasi cosa…” Ron le mordicchiò l’orecchio. “Noi maschietti siamo sempre così, ma poi alla fine cediamo.”

 

Hermione lo scansò. “Secondo te avremo un bimbo o una bimba?”

 

Ron sorrise e la osservò… aveva gli occhi vispi e gioiosi, le guance rosate e i morbidi capelli più spettinati del solito… ed era più bella che mai. “Va bene qualsiasi cosa.” Le disse, attirandola giù per baciarla.

 

Hermione non ebbe la forza di respingerlo, non mentre la stava baciando in quel modo… ma poi gli appoggiò le mani sul petto e lo spinse dolcemente indietro. “…no, frena…” mormorò, senza fiato.

 

Perché?” Ron le rivolse il suo tipico sorrisetto furbastro e vispo, quel sorriso a cui lei non era stata mai capace di dire di no.

 

“…aspetta ancora un po’, Jack si è appena addormentato, lo sai che ci mette sempre un po’, va a finire che si sve…” prima che potesse rendersi conto di come e quando fosse successo, Hermione si ritrovò supina sul divano, con un braccio di Ron attorno ai fianchi e il suo viso più sorridente che mai a pochi centimetri di distanza. “Ron, che diav…”

 

…oh, beh… magari Jack si è addormentato più profondamente del solito stasera…si, Jack si è SICURAMENTE addormentato più profondamente del solito stasera…

 

 

Fu Ron a sentire per primo il campanello, e la sfilata di imprecazioni e parolacce che gli sfuggì per sua fortuna non fu udita da Hermione, troppo stordita da quel bacio mozzafiato e dai movimenti dei loro corpi stretti l’uno all’altro. Il campanello tornò a suonare, e Ron sbuffò sonoramente… se fosse stato per lui, avrebbe continuato a baciare Hermione per dodici ore di fila…

 

Hermione sbattè gli occhi e finalmente sembrò sentire il campanello. “…chi è a quest’ora?”

 

Ma chi se ne frega…” Ron si chinò per baciarla di nuovo, ma il campanello suonò per la terza volta e un’espressione omicida gli si dipinse sul viso. “Non ti muovere da qui, uccido chiunque sia e torno da te.”

 

Hermione ridacchiò. “Va bene, ma non metterci molto…perché mi guardi così?” lui le sussurrò qualcosa all’orecchio, e lei rise e gli diede una piccola sberla sulla nuca. “Ma sei osceno!”

 

Ron arrivò davanti alla porta a tempo di record. “Chi diavolo è?!”

 

“Ron?”

 

Tu??” Ron aprì la porta e guardò con una strana smorfia incredula l’ultima delle persone che si sarebbe aspettato di trovare davanti alla sua porta a quell’ora di notte. “Ma che ci fai qui?”

 

Charlie squadrò in lungo e in largo il fratello. “…ho interrotto qualcosa?”

 

“Noo, ma diciamo che se entro quindici secondi non ti sarai levato dalle scatole mi procurerai dei grossi, grossissimi problemi.

 

Charlie colse l’allusione, e nonostante non fosse dell’umore giusto gli scappò da ridere. “Ohi ohi, scusami fratellino… brutto momento, eh?”

 

“Si, decisamente!” sembrava quasi che Ron saltellasse sui piedi. “Avanti, dimmi in dieci secondi che diavolo ti serve.

 

“Uhm… nah, lascia perdere. Non fa niente, torna pure dalla tua mogliettina.

 

“Benissimo, grazie!”

 

“Ron? Chi è?”

 

Hermione bloccò in tempo il marito prima che chiudesse la porta, e rimase altrettanto sorpresa nel vedere Charlie. “Ehi! Va tutto bene? Come mai sei qui a quest’ora?”

 

Charlie si sentì ancora più un verme nel vedere che Hermione era più o meno nello stesso stato di Ron… spettinata, coi vestiti poco in ordine e le labbra gonfie. “Aah… no, non è niente, ragazzi. Scusate l’interruzione, riprendete pure da dove avete interrotto.

 

Hermione lo trattenne per un braccio. “No, no! Vieni dentro, Charlie... che è successo, perché quella faccia cupa?”

 

Charlie fece una smorfia e si grattò la nuca. “Non vorrei disturbare…”

 

“E non ci potevi pensare due minuti prima?” brontolò Ron.

 

“Ron, smettila.” Hermione prese per mano il cognato. “Andiamo, una buona burrobirra calda è quello che ci vuole per metterti a tuo agio e spiegarci.

 

Ron supplicò in tutte le lingue Hermione di lasciar perdere, facendole segnali e gesti per impedirle di far entrare il fratello e interrompere il loro momento magico, ma per tutta risposta Hermione gli fece una smorfia di rimprovero e tornò a tranquillizzare Charlie che la sua presenza non era affatto un disturbo. Ron li guardò avviarsi verso la cucina con una smorfia avvilita, quindi si lasciò andare con la fronte contro la porta ed emise un sospiro frustrato, abbassando lo sguardo.

 

“E’ inutile, amico, meglio che ti arrendi… faciliti le cose a me e a te.

 

 

 

“Ecco, prendi.” Hermione sorrise a Charlie mentre gli passava il suo bicchierone di burrobirra, sedendosi di fronte a lui.

 

“Grazie, sei veramente un angelo.” Charlie ne bevve un sorso. “Jack dorme?”

 

“Si, si è addormentato poco fa.” Hermione afferrò la mano di Ron, che stava entrando in quel momento con un’aria decisamente afflitta, e lo fece sedere sulla sedia accanto alla sua.

 

“Si può sapere che guaio hai passato?” brontolò Ron.

 

“Il mio guaio è anche la mia gioia, dipende da che lato guardi la medaglia.

 

Hermione si accigliò. “E’ successo qualcosa con Tennessee?”

 

“Si.” Charlie fece una smorfia. “E la cosa più bella è che non so neanche io cos’ho fatto stavolta!”

 

Ron fece un sorrisetto. “Beh, diciamo che è difficile stabilire se sei peggio tu con quell’atteggiamento da idiota, o lei con quel carattere da bisbetica.

 

“Ron.” Hermione lo guardò male, poi si voltò di nuovo. “Spiegami bene come sono andate le cose.”

 

“Ti ha sbattuto fuori di casa, per curiosità?” Ron ricevette un pestone da sua moglie, e preferì non insistere.

 

“Stavamo parlando come al solito, cioè… tranquillamente.” Charlie scrollò le spalle. “Lei ha messo in mezzo il discorso del matrimonio, e io ho detto che la sposerei volentieri.

 

E allora è chiaro perché si è incazzata, è rinsavita in tempo!”

 

Ron!

 

“Ok, sto zitto.”

 

Hermione si accigliò. “Non è possibile che Tennessee si sia arrabbiata perché le hai detto che vuoi sposarla… ci deve essere qualcosa che l’ha fatta innervosire. Forse la proposta ti è venuta male, sai, noi donne ci teniamo molto e se qualcosa va storto…”

 

Charlie si grattò la nuca. “Veramente non le ho fatto la proposta.”

 

Hermione rimase basita, e Ron ridacchiò. “Cioè non le hai chiesto di sposarti?”

 

“Non per esteso…” Charlie si strinse nelle spalle. “In pratica lei mi ha proposto la cosa e io ho detto che mi andava bene.

 

Hermione arricciò vistosamente il naso, mentre Ron nascondeva la bocca dietro una mano. “Ehm… le hai detto proprio così? Che ti va bene?”

 

“Si.”

 

Ron non si trattenne più e scoppiò a ridere forte, e Hermione scosse la testa.

 

“Beh?” Charlie inarcò le sopracciglia. “Che c’è da ridere?”

 

Ron si riprese a fatica dalla risata. “Non ci posso credere, e dire che fino a una decina di anni fa era il mio mito!”

 

“Charlie, non voglio immischiarmi né giudicare…” Hermione fece una piccola smorfia. “Ma sinceramente è il modo più orribile che potessi trovare per dire a Tennessee che la sposi.”

 

“A parte il fatto che non è vero, ma poi voi non la conoscete come la conosco io… lei è anticonformista in tutto, non le piacciono le cose tradizionali, figurati se la proposta la vuole nella nostra squallida maniera inglese!”

 

“Tutte le ragazze, per quanto ribelli possano essere, sognano il loro matrimonio fin da bambine… è un sogno che tutte vogliamo realizzare, inclusa Tennessee.”

 

E che dovevo fare?” Charlie li guardò incredulo. “Prevedere che le sarebbe venuta la voglia dalla sera alla mattina e fare un salto a comprare un anello per dichiararmi? Il tutto in meno di ventiquattro dannatissime ore?”

 

“Sempre meglio che dire che la sua proposta ti va bene. Mormorò disgustata Hermione.

 

Ron ridacchiò. “Tanto valeva dirle che te l’abbiamo suggerito noi. L’espressione di Charlie fu chiarissima… e Ron si trattenne a fatica. “…non l’hai fatto, vero?”

 

“…uhm…”

 

Ron scoppiò in una risata esplosiva, e Hermione si coprì la faccia con le mani.

 

Andiamo, dai! Ma che avrò detto mai di così tremendo?!”

 

“Charlie! Credevo ci sapessi fare con le donne!”

 

Il fratello lo guardò storto. “Ci so fare molto più di te, fratellino, il problema è che non è di una donna qualunque che stiamo parlando, io ho avuto la gran fortuna di innamorarmi della ragazza più complicata e strana e fuori di testa che esista in tutto il paese! Non è facile capire come comportarsi con lei… tutto quello che so è che la amo, a dispetto di tutto e di tutte le differenze fra i nostri due mondi, ma a quanto pare per lei questo non è abbastanza.

 

“Hai centrato il punto.” Fece Hermione, molto riflessiva. “E se il problema fosse proprio la differenza di abitudini? Noi abbiamo le nostre consuetudini qui, no? Chi ci dice che in Vietnam le cose non sono completamente diverse?”

 

Ron inarcò un sopracciglio. “Come fai a dirlo?”

 

“Tralasciando la disgustosa e mancata proposta di tuo fratello, Tennessee è andata in crisi perché è stata lei a chiedere a Charlie di sposarla… e se questo fosse una sorta di… segno di debolezza o disonore nel suo paese? Magari è così e noi nemmeno lo sappiamo.”

 

Ron annuì. “Perché no, potrebbe anche essere.”

 

Charlie scrollò le spalle. “Io non le conosco le sue abitudini, ma francamente penso che sia assurdo ritenersi disonorati per una cosa così stupida. La mia donna è intelligente, arriverebbe a questo?”

 

Hermione annuì. “Io credo di si. Perché non consultiamo quell’amico di Ginny, come si chiama… si, Raja qualcosa…”

 

Ron ridacchiò. “Chi, il bonzo ispirato?”

 

“Nah, grazie tante.” Charlie scosse la testa, tutto a un tratto molto più sicuro di sé. “Adesso ho capito, voleva la proposta in grande stile e io l’ho delusa… ma domani organizzerò una dichiarazione in piena regola e in grandissimo stile… vedrete che sarà contentissima.”

 

Ron gli diede una pacca sulle spalle. “Così si fa, vai e spacca tutto.”

 

“Diamine, le farò girare la testa come si conviene stavolta. Altro che bonzo e disonore.” Fece Charlie, orgoglioso e sicuro.

 

Hermione arricciò il naso. “Io non ne sarei così convinta, comunque fai come credi sia meglio.”

 

 

***************

 

 

E anche per oggi abbiamo finito.” Ginny chiuse l’armadietto delle pozioni e si sfilò il camice, appendendolo all’attaccapanni. “Adesso l’unica cosa che desidero è il mio comodissimo divano.

 

“A me basta anche una sedia, purchè sia lontano da questo armadietto malefico.” Tennessee ridacchiò. “Anche se, a ben pensarci, il leone che non corre non procaccia e quindi non si nutre.

 

“E questo è un modo molto delicato per ricordarmi che se non si lavora non si mangia. Ginny prese la sua borsa e insieme alla sua amica uscì dall’infermeria del quartier generale e si chiuse la porta alle spalle. “Senti, come vanno le cose con quello zoticone di mio fratello? Mi sbaglierò, ma ultimamente ti vedo un po’ tesa…”

 

“Non sbagli quando lo definisci uno zotico, Gin.” Tennessee sospirò. “Niente, i soliti alti e bassi… un minuto stiamo benissimo e lui è l’essere più dolce della terra, e un minuto dopo è insopportabilmente presuntuoso ed egoista, fai un po’ tu.”

 

“Abbi pazienza con lui, tesoro… lo so che può essere molto irritante, ma ti posso assicurare che non l’ho mai visto amare qualcuna come ama te. E’ solo un po’…”

 

Tennessee scosse la testa. “Se io non l’amassi, ti assicuro che a quest’ora sarebbe già a mile miglia da me.”

 

Ginny le appoggiò una mano su un braccio. “Scommettiamo che per amore tuo si ravvederà in tempo e comincerà a rigare dritto?”

 

Tennessee fece un sorrisetto avvilito, guardando dritto davanti a sé… poi inarcò un sopracciglio e rallentò la sua andatura. “Ginny, credo che ti convenga annullare la scommessa finchè sei in tempo.

 

Ginny si accigliò e seguì la traiettoria dello sguardo di Tennessee… in fondo alla rampa di scale che stavano per scendere, con tanto di smoking super-elegante, mazzo di rose rosse, sorrisetto furbo e fascinoso, striscione con su scritto ‘Sposami Pantera’ e folla di curiosi War Mage in assetto da sostegno morale maschile, Charlie Weasley stava aspettando la sua donna. “Non ci posso credere.” Mormorò sconvolta Ginny.

 

“Ehi, amore!” esclamò a gran voce Charlie. “Ci sposiamo?” un’ovazione di applausi, ululati di incoraggiamento e complimenti allo sposo esplosero nella grande sala.

 

Tennessee fece una smorfia disgustata e si passò una mano in faccia. “Niente, non c’è proprio niente da fare. Egocentrico fino in fondo.” Sbuffando scosse la testa. “No, Maggiore Weasley, francamente non mi va proprio.

 

Un coro di “uuh” delusi e in parte divertiti accompagnò la ritirata di Tennessee, che senza perdere tempo a guardare la faccia incredula di Charlie si allontanò il più possibile da quello spettacolo pietoso. Ginny inarcò pericolosamente un sopracciglio, e scese le scale per raggiungere il fratello mentre la folla di curiosi si dileguava.

 

Charlie scosse la testa, incredulo. “No, tu adesso devi dirmi cos’ho sbagliato!”

 

Ginny fece una smorfia. “Da dove vuoi che cominci?”

 

Charlie avrebbe replicato, ma il rumore di risatine soffocate lo fece voltare… Hermione stava spingendo in malo modo Harry e Ron, che avevano trovato evidentemente molto divertente lo spettacolo. “Bene, mi fa piacere che qualcuno si diverta qui!”

 

Harry provò a tornare sobrio. “No, uhm… scusa, amico, ma la tua faccia era veramente spettacolare.

 

Charlie si passò una mano fra i capelli, al massimo della frustrazione. “Ragazzi, io veramente non riesco a capire… ho organizzato tutto questo per lei, perché l’amo e volevo farle una dichiarazione in grande stile come voleva lei, visto che la prima volta ho fatto fiasco… e nemmeno adesso va bene?! Che diavolo ho sbagliato?!?”

 

Ron scrollò le spalle. “A me sei piaciuto molto.”

 

Harry annuì. “Vero, decisamente romantico.”

 

Hermione storse il naso. “Le tue buone intenzioni non sono in discussione, Charlie, ma forse hai sbagliato la dichiarazione… non mi guardare così! Ti interessa capire cosa ne pensa la donna che ami? Beh, io credo che dovremmo entrare nella testa di Tennessee per un momento.

 

Charlie fece una smorfia ironica. “Attenzione a dove metti i piedi, allora, ci sarà filo spinato da tutte le parti là dentro.

 

Hermione lo ignorò. “Una ragazza vietnamita di trent’anni che ti parla del mese ideale per un matrimonio nel suo paese… a mio parere ti sta facendo capire che le piacerebbe fare le cose a modo suo, stavolta. Seguire le sue tradizioni nel giorno più importante della sua vita.

 

Ginny annuì. “E per questo ha trovato questa tua plateale dichiarazione di matrimonio un po’ troppo inglese… e soprattutto un tantino appariscente.

 

Harry trattenne a fatica una risatina. “Beh, in effetti un po’ appariscente sei stato…”

 

Charlie gli lanciò un’occhiataccia, poi tornò a concentrarsi sulle due donne. “Cioè voi mi state dicendo che Tennessee vorrebbe sposarsi alla maniera vietnamita?” le due annuirono. “Facendo tutte quelle… cose strane che si fanno laggiù?”

 

“Non sono cose strane, sono i costumi di un paese e tu devi rispettarli. Hermione incrociò le braccia sul petto, recuperando il suo tipico tono autoritario. “Il fatto che le sue usanze siano diverse dalle nostre non ti autorizza a mettere le nostre abitudini su un piano di superiorità. E se vuoi proprio saperlo, le usanze orientali sono molto ma molto più affascinanti delle nostre.

 

Ron la guardò intensamente. “Sei maledettamente eccitante quando metti gli altri al loro posto, lo sai, amore?”

 

Harry gli diede un piccolo buffetto sulla nuca. “Ce lo diamo un po’ di contegno?”

 

“Numero uno, io non penso affatto che le abitudini di Tennessee siano ridicole o inferiori.” Protestò Charlie. “E numero due, se quella testa di legno non mi spiega le cose, come diavolo faccio a indovinare cosa le frulla nella zucca, devo leggerle la mente nei fondi di caffè?!”

 

Harry inarcò un sopracciglio. “Beh, oddio…”

 

Ron si strinse nelle spalle. “In teoria potresti anche, sei un mago…”

 

VE LA TAPPATE QUELLA BOCCACCIA INUTILE?!?

 

Ron fece una smorfia disgustata. “Quest’uomo è disperato, è meglio se gli diamo una mano a sposare quell’altra spostata della sua ragazza, almeno sfogano e non rompono a noi.

 

Ginny lo fulminò con un’occhiataccia, ma attirò dolcemente l’attenzione del fratello maggiore su di lei. “Hai ragione, non è facile stare dietro a Tennessee…ma lei ti ama, e anche tu la ami molto, no? Quindi vale la pena fare  un piccolo sacrificio…dico bene?”

 

Charlie sospirò. “Se serve a vederla felice, certamente.”

 

Hermione sorrise largamente. “Questo è lo spirito giusto! Vedrai che andrà benissimo!”

 

Harry inarcò un sopracciglio. “Uhm… scusate, io ancora non ho capito che idea avete in mente…”

 

“Ora ci concentreremo sulla nuova proposta di Charlie. Spiegò Ginny. “Tutta in perfetto stile vietnamita, e in previsione di un matrimonio proprio come vuole lei.

 

“Vedrai come sarà contenta.” Gli disse sorridente Hermione.

 

“Questo è l’unico motivo per cui mi presto a tutto questo.” Charlie fece una smorfia rassegnata. “Allora, come si comporta uno sposo in Vietnam?”

 

Ginny scosse la testa. “Non ne ho la più pallida idea, ma posso aiutarti. Ho un amico tibetano…”

 

Charlie inarcò le sopracciglia. “E dove te lo sei fatto un amico tibetano, Gin?”

 

“E’ un nostro corrispondente al San Mungo, uno stimato medico che si occupa di misture e pozioni curative. Si chiama Rajah Tum-Pat-Nee.” Ginny fece un breve sorrisino. “E’ un tipo un po’ particolare, a dire il vero…”

 

“Particolare?” Ron si finse serio. “Uno con un cognome così? Nooo, non ci credo.” Harry rise.

 

“Ignorali.” Fece secca Hermione. “Comunque, questo simpatico signore ti aiuterà a capire come devi comportarti  per sembrare un perfetto sposo orientale.”

 

“Oggi pomeriggio lo chiamo e gli spiego la situazione. Ginny diede un’occhiata all’orologio. “E domani mattina ti presenterai da lui.”

 

Charlie scosse la testa, incredulo. “Io non posso credere che sto facendo tutto questo per una donna.

 

“Non è una donna qualsiasi, è la tua futura moglie. Hermione gli sorrise largamente. “E poi non ci andrai da solo… Harry e Ron verranno con te.

 

Cosa??

 

Che??

 

E state zitti, non volete proprio dare una mano a questo pover’uomo?” protestò Ginny.

 

Hermione appoggiò le mani sui fianchi. “La mia non era una domanda, era un’affermazione… con relativa contro-minaccia in caso di risposta negativa. Sono stata abbastanza chiara?”

 

“Allora era una minaccia, altro che affermazione!” ribbattè Ron.

 

“Lui si sposa e noi dobbiamo andare dal bonzo!” annuì Harry.

 

“Avanti, che un po’ di sana spiritualità non fa male a nessuno qua dentro!” insistette Ginny. “E badate che faccio sul serio!”

 

 

***************

 

 

“Pensaci bene pima di sposarti, vedi poi come finisci?” fece Harry, mentre la piccola combriccola arrivava fuori da una palazzina di tre piani poco lontano dal Paiolo Magico. “Loro ordinano e tu, mentecatto, obbedisci pure.

 

Charlie ridacchiò. “Non mi invogliare ancora di più, Harry, qui già è una situazione molto precaria…”

 

“Avanti, zucca vuota, il cerimoniale matrimoniale del Vietnam non può essere poi così assurdo…” Ron gli diede un’amichevole botta sulle spalle. “…mai più assurdo della tua donna, comunque.”

 

Anche questo è vero.” Ridacchiando, Charlie bussò alla porta.

 

Uno strano rumore di campanelli e alcune note di flauto irruppero nell’aria, e la porta si aprì con una lentezza esasperante. Con lo sfondo di una musichetta arabica pacata e poco ritmica, davanti a dei quanto mai increduli Harry, Ron e Charlie si rivelò un lungo corridoio pieno di tappeti e veli.

 

“Bene.” Ron annuì lentamente. “Adesso possiamo anche cominciare a preoccuparci.

 

Harry fece una smorfia e fu il primo ad avanzare. “Andiamo, togliamoci il pensiero.”

 

I tre uomini proseguirono lungo il corridoio finchè non furono arrivati in una grande stanza molto colorata… c’erano tappeti, piante di bambù, incensiere e lampade ad olio che svolazzavano nell’aria, e in sottofondo continuava la musichetta indiana. Ma la cosa probabilmente più assurda era l’uomo seduto a gambe incrociate su un cuscino a terra, tutto vestito di bianco e con un turbante in testa, ad occhi chiusi e in una posizione decisamente innaturale.

 

Harry lanciò un’occhiata insicura agli altri due, poi si schiarì la gola e si avvicinò. “Ehm…buon uomo? E’ lei il signor… Tum-Pat-Nee?”

 

L’uomo rimase immobile nella sua posizione, semplicemente mosse gli indici delle mani (che teneva appoggiate alle ginocchia) e li strinse fino a farli combaciare con i pollici.

 

“Questo sarebbe un si?” bisbigliò Ron al fratello.

 

E che ne so io?”

 

“Sei tu che hai la fidanzata indiana!”

 

“Vietnamita, prego!”

 

Sul viso del bonzo comparve un sorriso lento e alquanto divertito. “Voi amici di Mem Ginny, immagino.”

 

“Si, in teoria siamo parenti, ma il senso è quello. Rispose Ron.

 

“Io mi chiamo Charlie Weasley, sono qui per…”

 

“Conoscere nostre tardizioni di unione.” Il bonzo aprì gli occhi. “So bene, Sahib. Tu deciso a fare cosa più grande di te.”

 

Harry si accigliò. “Ma che fa, lo scoraggia?”

 

“Voi inglesi uomini di carattere molto focoso. Commentò quasi divertito l’ometto. “Shiva ama coraggio e sacrificio, quindi tu può riuscire se veramente desidera di fare ciò.

 

Charlie annuì. “Senti, amico…io non ne capisco molto delle vostre cose qui, e non metto in dubbio che siano degne di grande rispetto perché sono le vostre tradizioni, però sono qui perché voglio rendere felice la mia futura moglie. E voglio sposarla alla vostra maniera, so che lei ci tiene. Perciò farò qualunque cosa.”

 

Il bonzo lo guardò ammirato. “Tu uomo molto innamorato, Sahib. Amore viene da Shiva, dunque è sacro.” Con un’agilità che lasciò letteralmente di sasso i tre uomini, l’indiano si mise in piedi senza spostare le gambe intrecciate, sollevandosi sui talloni con un movimento elastico e quasi innaturale. “Segui me.”

 

Ron inarcò un sopracciglio e si voltò verso Harry. “Dici che alla fine della giornata ci avrà insegnato a fare anche questo?”

 

Harry sembrava scettico. “Non lo so, non lo vedo tanto bene questo benedetto…”

 

Charlie diede una botta sulla nuca a entrambi e si avviò rapidamente verso la direzione che aveva appena preso il bonzo. Dopo un’interminabile scalinata di buoni cinque piani, i quattro uomini giunsero in una stanza stranissima… e bellissima. Sembrava parte di un giardino di Kyoto, con tanto di laghetti e ninfee, piccoli ponticelli in legno, canne di bambù e uccellini cinguettanti.

 

“Wow.” Mormorò stupito Harry. “Ma come…”

 

“Voi non è unici a saper usare magia, Sahib.” Commentò serenamente l’indiano, facendo cenno di sedersi sotto l’albero più grande. “Prego, sedere.”

 

“…certo che un cazzo di cuscino no, eh…” borbottò a bassa voce Ron, quando si sedette direttamente su una fastidiosissima radice.

 

Il bonzo si sedette con la stessa elegante elasticità con cui si era alzato, prendendo posto davanti agli altri tre. “Benvenuti in stanza di riflessione.”

 

Charlie si guardò in giro e fece una smorfia. “Però, non ti tratti male…”

 

L’indiano sollevò leggermente le mani. “Adesso, Sahib, saprai come funziona cerimoniale di unione in nostra bellissima terra d’Oriente. Poi ascolteremo la voce di Shiva.”

 

Sono pronto, spara.” Fece subito Charlie.

 

Il bonzo trasse un profondo sospiro. “In religione indù questo è mese di prosperità e salute, quindi migliore momento dell’anno per unirsi in matrimonio. Cerimonie durano per una settimana o due, e alla fine sposo e sposa sono veramente marito e moglie.”

 

Harry si accigliò. “Due settimane di festeggiamenti?!”

 

“Aspetta, aspetta che ho fiutato la trappola…” Charlie lo guardò storto. “…alla fine? Cioè vuol dire che finchè non sono chiusi i festeggiamenti, la mia donna e io non possiamo…non possiamo concludere un fico secco?”

 

“Shiva non benedice coppie che non rispettano suo volere. E suo volere è bene per tutti, Sahib.”

 

Charlie si passò le mani in faccia, e Ron lo guardò con un misto di pena e misericordia. “Ma non si può corrompere questo Shiva? Tutti chiudono un occhio oggigiorno…”

 

Harry gli rifilò una gomitata. “Idiota, sta parlando del loro Dio.”

 

L’indiano osservò divertito la scenetta, quindi continuò il suo racconto. “Tu e tua sposa siederete su troni d’oro con corone di fiori su vostre teste, e bambine cospargeranno di petali vostri piedi. Secondo cerimoniale, anche parenti e amici devono gettare fiori su nuova famiglia, ma prima bambine piccole perché segno di purezza e longevità. Tutti buoni auspici per nuova unione.”

 

“E dobbiamo fare questo per due settimane. Commentò avvilito Charlie.

 

“No, Sahib. Pranzo molto importante nella vita di nuovi sposi. Tutti portano cose preparate in casa durante settimane di nozze.

 

“Qua è già meglio.” Fece solidale Harry.

 

“E naturalmente tu deve avere sacra mucca a fianco quando sposa.”

 

Charlie inarcò le sopracciglia. “Devo sposarmi con una mucca al mio fianco?”

 

“Mucca è animale sacro, Sahib, presente a tutte cerimonie importanti in nostro paese.

 

Ron fece una smorfia. “E ti è andata bene che è solo una vacca, Charlie, pensa se era un toro.”

 

Charlie annuì. “Ok, va bene… mi sono arreso a questa parte tragica. Adesso vorrei capire… per il resto è tutto uguale a noi? Cioè, lei vestita di bianco col velo, io…”

 

“Oh, no no, Sahib! Bianco è colore di morte da noi.”

 

“Ecco, perfetto.” Commentò sarcastico Charlie.

 

L’indiano fece un sorriso pacifico. “Rosso è colore di sposa. Di sposa e di addobbi e regali di parenti più stretti. E niente velo, ma corona di fiori gialli. Giallo come il sole, il simbolo del nostro grande padre Shiva.”

 

E io?”

 

“Tu può scegliere, ma oro è colore benaugurante.”

 

Ron trattenne a fatica un sorrisetto. “Quindi tu non può scegliere, ma può prenderla in quel posto e…”

 

Charlie lo incenerì con lo sguardo e tornò a guardare l’indiano. “Tiro a indovinare… il modello del vestito è come il tuo, giusto?”

 

“Si, Sahib.”

 

L’espressione di Charlie era a metà fra l’avvilito e l’incredulo. “Santa pace, tu guarda quanta roba mi tocca fare per quella cocciutissima, legnuta donna.

 

L’indiano sorrise largamente. “Tu uomo molto coraggioso, Sahib. Ci vuole molto amore e molto coraggio per fare cose di paese non tuo. Shiva protegge uomini coraggiosi come te.

 

“Si, beh… tutto il mio coraggio e il mio amore mi fanno solo vedere un casino di colori e veli e fiori… vedrai che qualcosa la sbaglio!”

 

“No, Sahib, non sbaglierai.”

 

E come fai a dirlo, scusa? Hai un suggerimento?”

 

Il sorriso dell’indiano si fece ancora più largo, e le sue mani si andarono a congiungere in una posa simile a quella di un uomo in preghiera. “Segui voce di tuo spirito.” Cantilenò.

 

Ron fece una smorfia. “Ecco, adesso sì che è tutto chiaro.”

 

“Adesso, Sahib, cominceremo percorso per chiedere a Shiva sua benedizione su sposo. Il bonzo indicò le sue gambe incrociate. “Voi sedete come me.”

 

Harry arricciò il naso. “Non so perché, ma non mi piace…”

 

Quando vedo Hermione la strangolo.” Ringhiò Ron a denti stretti.

 

“Adesso voi mette mani su ginocchia…ecco, così… aprite palmi, prego… ora chiudete occhi e meditate.”

 

“Meditiamo…su cosa?”

 

“Su vostra essenza.”

 

Charlie si accigliò. “…in parole povere?”

 

“Voi sentite vostra anima lasciare vostro corpo per unirsi con immenso universo che vi circonda. Ed entrate in contatto con divino Vishnu.

 

Ron inarcò le sopracciglia. “Ma non era Shiva?”

 

Harry scrollò le spalle. “Sarà il segretario.”

 

L’indiano sorrise beatamente. “Divino Vishnu benedirà vostri spiriti e permetterà incontro con grande padre Shiva.”

 

Ron fece una smorfia. “Alla faccia, là sopra hanno tutta questa organizzazione burocratica?”

 

Charlie ridacchiò, ma si ricompose subito. “Ok, va bene… meditiamo.”

 

Alquanto confusi, i tre obbedirono e chiusero gli occhi. “Ricordate… segui voce di tuo spirito.”

 

 

 

 

Charlie aprì un occhio e poi l’altro… lanciò un’occhiata all’orologio, e quasi si stupì di essere riuscito a rimanere immobile (e a occhi chiusi) a fare niente per quaranta minuti senza aver dato di matto. Con suo immenso piacere, anche il bonzo aprì gli occhi a sua volta e gli sorrise amabilmente. “Divino Vishnu sarà molto soddisfatto, Sahib.

 

Harry si stiracchiò. “Mamma mia, ho la schiena a pezzi… ehi Ron, puoi anche smettere di meditare.”

 

Charlie ridacchiò. “Ci ha preso gusto.”

 

Harry rise. “Oh, ci sei?”

 

Charlie per poco non scoppiò a ridere quando sentì che suo fratello stava russando beatamente e rumorosamente.

 

 

 

 

 

 

“Scusa, amico…non è che mi potresti spiegare in quale modo questa posizione da mentecatto mi aiuterà a prepararmi per il matrimonio?!”

 

Ron, nonostante tutto, trovò la forza di ridacchiare. “E te lo chiedi? Ti rende inagibile giusto per le due settimane di astinenza forzata.” Harry rise e quasi cadde.

 

Erano tutti e quattro in una posizione che definire assurda sarebbe stato un complimento. Il buon indiano aveva suggerito a Charlie di ingraziarsi il favore dei suoi dei pregando per una buona ora nella posizione in cui erano soliti pregare i sacerdoti indù quando facevano atto di devozione… con la schiena contro la parete, la testa all’ingiù e le gambe incrociate in alto.

 

“Voi anime molto pure adesso!” li rinfrancò il bonzo. “Shiva benedice puri!”

 

Ron lo guardò molto male. “Vai al diavolo tu, il tuo amico puro, i tuoi preti strani, le tue assurdità…”

 

“Ron!” Charlie gli lanciò un’occhiataccia. “Scusalo tanto, è il solito bufalo senza grazia…”

 

L’indiano sorrise largamente. “Spirito di voi molto vivo e audace, benedetto da Vishnu. Vishnu ama vita.”

 

Harry tentò di sistemare un po’ la testa dolorante sul cuscino che aveva sotto la nuca. “Visto che quest’altro è più malleabile e ama la vita, possiamo fare uno strappo alla regola e finirlo ora questo…esercizio?”

 

“Tu ha pregato, Sahib?”

 

“Molto!”

 

“In mia terra molto vuol dire poco… immenso è vostro molto.

 

Ron riuscì a svincolare una mano per poter fare un gestaccio al suo amico. “Ma perché non impari a usare le parole giuste, eh?!”

 

 

 

 

 

“…uhm… in che modo esattamente osservare il movimento delle api dovrebbe essere utile al mio matrimonio, amico?”

 

“Tu ancora non concentra abbastanza.” Il bonzo gli indicò ancora una volta lo sciame di api che svolazzava attorno a uno degli alberi presenti nella stanza della meditazione – per fortuna di tutti, questo era circondato da una barriera di vetro per evitare alle api di uscire. “Se tu guarda bene, vede che ape regina fa danza e fuchi attorno a lei…”

 

Ron inarcò un sopracciglio. “Fuchi?”

 

“Api maschio, Sahib.”

 

“Esistono api maschio? Ma non sono tutte femmine?”

 

“Scusa, ma se sono tutte femmine mi dici come fanno a riprodursi?”

 

“E che vuoi che ne sappia io, non mi sono mai posto il problema di stare a guardare un alveare per un’ora!”

 

“Se tua moglie sapesse che non sai cos’è un fuco…”

 

Charlie si schiarì rumorosamente la gola, sperando che questo fosse sufficiente a far tacere Harry e Ron. “Dicevi?”

 

“Fuchi e ape regina formano disegno che Sahib può vedere chiaramente se concentra mente… se tu vede disegno, tu pronto a vedere al di là di tuo naso… e dunque pronto per bere sacra acqua di Gange.”

 

Charlie aveva un po’ di difficoltà a vedere un’immagine in quel turbinio di corpi gialli e neri, e certo il continuo brontolare di Harry e Ron non era di grosso aiuto. All’inizio anche lui aveva preso a ridere su tutto, ma poi… mentre meditava, pregava a testa in giù e anche ora, mentre cercava per lo meno di capire quale fosse l’ape regina in quel macello di insetti… gli era venuta in mente Tennessee. Lei era di un mondo che in queste cose ci credeva, ed era una persona intelligente e preparata, dunque… dunque forse non c’era proprio niente da ridere. Era tutto molto diverso, estremamente strano… ma non per questo era follia pura. E se la donna che amava credeva tanto in queste cose… perché non fare uno sforzo per avvicinarsi almeno di un passo alle sue credenze?

 

Ron sbadigliò. “Ok, ho visto l’ape regina che sculettava in mezzo a un’orda di…fuchi eccitati. Va bene? Possiamo andare avanti?”

 

L’indiano sorrise. “Immagine divertente, Sahib, ma non reale.

 

Perché non reale?”

 

“Perché ape non ha culo.”

 

“Ah no?”

 

“No, Sahib.”

 

Harry scosse la testa. “Onestamente io non riesco a vedere proprio niente, perché non…”

 

“Un fiore.”

 

Tutti si voltarono a guardare Charlie. “Un…fiore?” domandò incredulo Ron.

 

Charlie annuì. “L’ape regina disegna il pistillo, e i fuchi tutto intorno ricamano i petali.

 

Harry inarcò un sopracciglio. “Complimenti, fratello, se sei riuscito a vedere tutto questo in quel casino…”

 

“Lui non ha visto, Sahib.” L’indiano stava sorridendo largamente. “Lui ha immaginato con occhi interiori…disegno di fiore era quello che Sahib voleva che api disegnassero. Molto bene, Sahib… tu comincia a seguire voce di tuoi spirito. Molto, molto bene.”

 

Charlie sorrise. “Grazie, amico.”

 

Ron si voltò a guardare lo sciame di api veloci e lo fissò per un lungo momento, quindi fece un mezzo sorrisetto. “La testolina rotonda di un bambino piccolo. Disse allegramente, voltando a guardare gli altri. “Il mio bambino che sta per nascere.”

 

L’indiano sorrise ancora più di quanto non avesse fatto per tutta la giornata. “I migliori auguri per te e Mem moglie, Sahib! Shiva sorride sempre a vita nuova e benedice bambini.

 

Ron gli fece una buffa imitazione del saluto militare. “Grazie, amico.”

 

Harry smise di fissare le api e assunse un’espressione contenta… soddisfatta.. “Una colomba bianca… e un arcobaleno. Ecco cosa ci vedo io.”

 

“Spirito puro vede pace e desidera pace.” Il bonzo sorrise anche a Harry. “Ora voi spiritualmente pronti per avvicinare voi stessi a grande padre Shiva.”

 

Charlie osservò con una certa curiosità l’indiano mentre sollevava da terra un vassoio e lo scopriva dal velo… rivelando tre ciotole piene di acqua. “Quella sarebbe…”

 

“Acqua di Gange, sacro fiume indiano che purifica spirito e conduce a Shiva. L’indiano distribuì le tre scodelle. “Ecco, ora voi potete.”

 

“Alla salute.” Harry fu il primo a bere l’acqua… e come gli altri due fece una faccia alquanto strana. “Uhm… senti, come mai ha un sapore così strano?”

 

Charlie annuì. “Vero, sa di… non lo so, di…cose.”

 

Ron scrollò le spalle. “Forse ha questo sapore perché è stata a bollire… è acqua di fiume, è chiaro che si deve bollire…”

 

Ma l’acqua bollita non cambia il sapore…”

 

“No, Sahib, acqua non bollita.”

 

Charlie, Harry e Ron guardarono il bonzo ad occhi spalancati. “Acqua non bollita?”

 

L’indiano scosse la testa e sorrise allegramente. “Certo che no…acqua di Gange deve mantenere sapore di Shiva, e di purificazione di corpi di tutti quelli che si sono immersi in essa per purificarsi.”

 

Ron aveva un’espressione di disgusto stampata sul viso. “…la gente che fa il bagno in questo caspita di fiume… ce li ha i vestiti addosso?”

 

“Ovviamente no, Sahib.”

 

Harry, Ron e Charlie sputarono fuori l’acqua praticamente nello stesso istante.

 

 

***************

 

 

Adesso Tennessee aveva veramente un diavolo per capello. Vero, era stata lei a chiedere a Charlie un po’ di tempo per starsene per conto suo, ma da una notte a tre giorni c’era una bella differenza! Quel mascalzone si era praticamente dileguato! Decisa ad agguantarlo per il collo e dirgli tutto quello che si meritava di sentirsi dire, Tennessee salì in fretta le scale che portavano al piano di sopra del quartier generale dei War Mage e si diresse a passi decisi verso la palestra… ma delle risatine attirarono la sua attenzione. C’erano due infermiere che stavano scendendo le scale.

 

“…completamente fuori di testa, però è divertentissimo.”

 

“Chissà se anche stavolta lei gli rifila il palo.

 

“Beh, oddio…per come si è conciato… me lo ricordavo più normale, sai?”

 

Che vuoi farci, anche per Charlie passano gli anni…”

 

Tennessee si accigliò, e senza esitare osservò le scale da cui erano appena scese le due ragazze. Erano quelle che portavano all’infermeria… da dove, oltretutto, provenivano delle robuste risate maschili. Decisa a capire cosa stesse succedendo, Tennessee salì di corsa e si ritrovò su un  pianerottolo pieno di War Mage ridacchianti che si affollavano attorno alla stanza dell’infermeria. Vicino alla porta Harry, Hermione, Ron e Ginny sorridevano divertiti a loro volta ma cercavano di allontanare gli altri.

 

“Si può sapere cosa succede qui?!” Tennessee si fece largo fra la folla a suon di gomitate. “Insomma, che state facendo tutti quanti?!”

 

“Abbi pietà di lui, Tennessee, quell’uomo è completamente andato!” rise Josh.

 

Natan annuì, ridacchiando. “Vacci piano coi rifiuti stavolta.”

 

Ginny la prese affettuosamente per un braccio e la condusse sulla soglia della porta. “C’è qualcuno che vorrebbe chiederti qualcosa…”

 

Tennessee rimase senza parole. In piedi al centro dello stanzone c’era Charlie, sorridente più che mai… e conciato come mai avrebbe creduto di poterlo vedere. Indossava un completo indiano tutto verde, con tanto di turbante e cintura dorata e scarpe dello stesso colore e a punta. E la cosa più assurda era la mucca accanto a lui, che continuava a mordicchiargli il turbante indisturbata.

 

“…ma che…” Tennessee si coprì le labbra con le mani… conosceva quel tipo di abbigliamento, e nel suo paese voleva dire una sola cosa…

 

Charlie le fece il suo solito bellissimo sorriso fascinoso. “Adesso sono abbastanza pazzo per te?”

 

Tennessee rise fra le lacrime che cominciavano già ad uscirle. Aveva fatto veramente tutto questo per lei… rinunciando al solito esibizionismo da macho, si era perfino lasciato prendere in giro dai suoi colleghi pur di farla felice…

 

Charlie sorridendo le si avvicinò e le prese le mani. “Se accetterai, pantera, domani stesso partiamo per il Vietnam… possono sposarci quando vogliamo, ho parlato già col bonzo. Mi sono anche fatto il bagno nel Gange ieri…l’acqua era un po’ sporchina, ma dicono che adesso sono più puro agli occhi di Shiva.”

 

Tennessee non soppresse un singhiozzo e sorrise, accarezzandogli le mani. “Hai fatto tutto questo per me?”

 

Charlie annuì allegramente… ma si voltò per riprendersi il turbante che la mucca gli aveva sfilato dalla testa con l’intenzione di fare merenda. “Ehi, Brunilde, questo affare fa parte del mio completo di nozze… dammi qua.”

 

Tennessee rise. “Tu sei tutto pazzo.”

 

“Si, ma sono un pazzo innamorato.” Charlie le fece l’occhiolino. “Allora, pantera… che mi dici? Andiamo a farcelo un bel viaggio di nozze nel tuo paese?”

 

“Si, si, si!!” con uno strillino di gioia, Tennessee si gettò al collo di Charlie e lo baciò, mentre un coro di applausi e strilli d’incoraggiamento esplodeva nell’aria.

 

Hermione sorrise commossa ancora una volta vedendo con quanto amore e quanta gioia si stavano baciando i futuri sposini, e per discrezione decise di chiudere la porta mentre Ginny suggeriva a tutti di allontanarsi.

 

 

 

“Bene, e così adesso andiamo a farci una bella vacanza in oriente. Disse allegramente Harry, prendendo per mano Ginny mentre s’incamminavano lungo il corridoio.

 

“Beh, vacanza… quanto possiamo trattenerci, un paio di giorni… giusto il tempo della cerimonia e…”

 

Ron rise e le passò un braccio attorno ai fianchi. “E qui casca l’asino… amore, nel paese di Tennessee i matrimoni durano un buon paio di settimane.

 

Ginny spalancò gli occhi. “Wow, così tanto?”

 

Harry le baciò la tempia e ridacchiò. “Quanto mi piace sapere una cosa che tu non sai.

 

“Tu pensa nel caso mio, quanta soddisfazione disumana e immensa…” fece Ron con aria sognante, facendo ridere tutti.

 

Hermione arricciò il naso. “Beh, si direbbe che vi ha fatto bene la giornata della spiritualità, avete imparato un sacco di cose.

 

“Vero, abbiamo fatto un po’ di tutto: ci siamo stesi sui chiodi – e ci siamo veramente distrutti la schiena – poi abbiamo bevuto una roba strana che non mi ricordo il nome… abbiamo imparato a mettere le mani sul fuoco senza bruciarci – molti, ma molti tentativi dopo….” Ron annuì ridacchiando. “Ma meno male che domani si parte per l’oriente, perché l’unica cosa che Harry e io volevamo veramente imparare, l’amico di Gin non la sapeva spiegare.”

 

Harry annuì con lo stesso sorrisetto furbastro. “Già, ha detto di essere un po’ impreparato sull’argomento.

 

Hermione lanciò uno sguardo insospettito a Ginny e si voltò verso il marito. “Che argomento?”

 

“Quel piccolo diavolo di bonzo non aveva neanche uno straccio di libro sul Kamasutra.

 

RON!!!!!

 

 

** THE END **

 

 

 

^________-  Bene, e se vi siete fatti due genuine risate… che ne dite anche di completare l’opera e recensire? ^_- 

 

E con questa shotty tutta da ridere vi annuncio che almeno per un po’ non mi vedrete pubblicare storie da un solo chap… perché incredibile ma vero, credo proprio che quanto prima mi vedrete ricomparire con una sorpresa speriamo bella…no, speriamo bellissima! (…e quando riuscirete a liberarvi di me voi, povere anime… @_______@) Un bacio speciale a tutti quelli che mi hanno recensito nelle ultime shotty… vi adoro tutti! Uno smack gigante a testa e ancora auguroni a tutti! ^____________^

 

 

Sunny

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Capitolo 19
*** What a Mess, Jay-Jay Potter! ***


E alla fine una dedica se l’è beccata anche il buon vecchio Strek

E alla fine una dedica se l’è beccata anche il buon vecchio Strek! ^_____________^ Buon compleanno, amicissimo, cento di questi giorni da parte mia, di tutto lo staff dei giovanotti qui, e soprattutto da parte della tua affezionatissima Julie! ^______________-

 

P.S.: la shotty è ambientata durante le vacanze di Natale, abbiamo tutti i baldi giovani a casa… contate che Julie è al quarto anno, come riferimenti d’età, ok?

 

 

 

 

 

WHAT A MESS, JAY-JAY POTTER!

 

 

 

 

 

Salve. Il mio nome è Julianne Lilian Potter.

 

E la mia vita è un inferno.

 

Mio padre è uno psicopatico cronico convinto che tutti i ragazzi della mia età siano potenziali stupratori o drogati pericolosi.

 

Mia madre è una folle evasa da qualche manicomio, che dice di ascoltare con onestà le nostre richieste ma alla fine si fa sempre come ha stabilito lei.

 

Mio fratello è la degna somma dei due, con la stessa testardaggine della dittatrice e lo stesso cervello dello psicopatico.

 

I miei zii sono due calamite anche un tantino disgustose, se non stai attento giri l’angolo e te li ritrovi nelle più svariate situazioni di intimità.

 

I miei cugini sono completamente, dichiaratamente, ufficialmente e ufficiosamente definibili come soggetti ai limiti della pazzia.

 

E tutta la mia famiglia è una specie di guscio da tartaruga, solo che la tartaruga il guscio normalmente lo vuole, la sottoscritta al momento no…

 

…l’ho menzionato che la mia vita è un inferno?

 

 

 

*****************

 

 

“Aaahh… ok, puoi anche chiudere la boccuccia, tesoro.” Ginny si rivolse ad Hermione. “E’ la stessa influenza di Simon, se la sono passata fra loro.

 

“Che allegria.” Brontolò Simon, sdraiato scompostamente sul suo letto.

 

Katie si lasciò coccolare da Amelia, sulle cui ginocchia si stava trastullando beatamente. “Io invece sono contenta, così papà mi compra la sorpresina. Papà mi compra sempre la sorpresina quando sono malata, sai zia?”

 

Ginny sorrise e accarezzò il visetto accaldato della piccola biondina. “E te la meriti, Katie, non fosse altro per il fatto che non ti lamenti mai.”

 

“Allora vanno bene le stesse medicine anche per lei?” domandò Hermione a sua cognata, coprendo la bambina con una copertina di lana e lottando col suo nervosissimo figlio minore per farlo mettere sotto le coperte.

 

“Vanno benissimo.” La rassicurò Ginny. “Ma a lei dimezza le dosi di tutto. Te li vedrai senza febbre in un paio di giorni, sta’ tranquilla.”

 

“Sentito?” Amelia prese a fare una treccina coi capelli spettinati della piccola Katie. “In un paio di giorni torniamo fuori a fare pupazzi di neve.”

 

Katie annuì, con la boccuccia allungata in un’espressione che la faceva sembrare una trombetta. “Ne abbiamo fatti troppo pochi, e tra un po’ arriva l’anno nuovo e neanche abbiamo fatto il pupazzo dell’anno vecchio da distruggere a mezzanotte. Uffa.”

 

“Che sfiga.” Borbottò Simon. “Giusto la fine dell’anno con la febbre, così ce le passiamo decisamente in allegria queste feste.”

 

“Ah, vedo che il morale è alto.” Commentò divertita Ginny.

 

Katie fece un sorrisino. “E’ perché la sua amica Mel è partita per passare le vacanze a Parigi.”

 

“Ma a te chi te le dice certe scemenze, piccola pulce che non sei altro?!” protestò Simon.

 

Katie si nascose nell’abbraccio di Amelia. “Non sono stata io… è Jack che dice che tu ci fai i succhiotti… ma perché giocate con le cose dei bimbi piccoli, scusa?”

 

“Mamma!!!”

 

“Hai ragione, tesoro, hai ragione…” fece stancamente Hermione, prendendo in braccio Katie. “Katie, tuo fratello Jack dice solo fesserie e per favore non ripeterle, va bene?”

 

“Menomato che non è altro…” Simon si rimise sotto le coperte. “…aspetta che gli metto le mani addosso, poi altro che succhiotti…”

 

Amelia ridacchiò. “Lascialo perdere, è scemo col cuore, credimi.”

 

Ginny incrociò le braccia sul petto e inarcò un divertito sopracciglio. “Noto con piacere che allora non è solo casa nostra che sembra l’arena dei gladiatori…”

 

“Figurati, qui non ci facciamo mancare niente… gladiatori e tigri, e chi più ne ha più ne metta.” Hermione fece un sorriso stanco, mentre la figlia si divertiva a sistemarle i capelli. “Che ti devo dire, sarà la differenza d’età…”

 

“Ti capisco bene. A casa mia ci sono cane e gatto.”

 

“Ecco, e qui abbiamo cane, gatto e topo.”

 

“Beh, però domani sera è serata di distrazioni.” Fece vispa Amelia, scansandosi i capelli dalla fronte col suo solito gesto un po’ brusco. “C’è la festona…”

 

“Uh, si!” esclamò Katie, illuminandosi. “Quella che papà ha detto che non vede l’ora che viene perché così vede mammina che si fa bella e ci salta addosso…” Amelia si coprì la bocca con una mano, ridendo.

 

“…famiglia di depravati…” borbottò Simon.

 

“Ma come devo fare io con questi che mi stanno turbando la bambina?!” fece esasperata Hermione.

 

Ginny rise e scosse la testa. “Tanto non c’è modo, tesoro. Anch’io combatto una battaglia persa.”

 

“…ma se ti dico che non sono gente simile!”

 

“…quello che tu mi dici conta meno di zero, mentre valgono i fatti!”

 

“E certo, parla il Grande Padre e tutti ci dobbiamo calare le mutande!”

 

“Risparmiatelo pure, farai un favore alla comunità!”

 

Ginny si voltò verso la scaletta da cui provenivano le voci, sempre più vicine e più forti, e le riconobbe subito… guardò Hermione e le vide passarsi stancamente una mano sulla faccia.

 

“…tanto si deve fare sempre quello che decidi tu!” Jack ignorò il padre e salì di corsa gli ultimi gradini. “Ma’! Sentimi almeno tu, tuo marito è un invertebrato!”

 

Simon inarcò un sopracciglio. “Sai cosa vuol dire invertebrato? Wow, mio fratello ha imparato a pronunciare una parola di più di tre sillabe…”

 

“Si dà il caso che qua dentro a comandare sia proprio l’invertebrato.” Fece durissimo Ron, che raggiunse il gruppetto decisamente scuro in volto. “Perciò l’argomento è chiuso.”

 

Hermione vide Jack farsi di tutti i colori, e decise che quello era il momento di intervenire. “Ok, frenate un minuto tutti e due… che succede?”

 

Jack sbuffò. “C’è una festa domani sera, e Amelia e io vogliamo andarci.”

 

Hermione inarcò un sopracciglio. “Non mi sembra che ci sia nulla di male, basta rispettare il coprifuoco…”

 

“Aspetta, aspetta bella mia… credi davvero che sia così facile?” Ron scosse la testa e fece una smorfia. “Il giovanotto e la signorina, qui, vogliono andare a una festa a casa di un amico maggiorenne, dove ci sarà da bere in abbondanza e di tutte le qualità, e come se non bastasse conosco la famiglia di questo tipo… gli Auror hanno pizzicato il fratello con le mani in un giro di pozioni illecite e droghe leggere… niente di che, ma non mi sembra affatto il caso di andarci a cercare rogne, no?”

 

“Ma noi non cercheremo rogne, davvero!” fece subito Amelia. “Vogliamo solo andare alla festa, non toccheremo niente da bere né altro, però è importante… ci vanno tutti! Che figura ci facciamo?”

 

“Tesoro, se vuoi possiamo darla qui una bella festa quando vuoi con invitati anche illimitati, ma per quanto mi riguarda voi due non ci andate in quella casa.”

 

“In quel luogo di perdizione.” Jack fece il verso a suo padre, accompagnandolo con una smorfia.

 

“Allora anche voi con questa festa, eh?” Ginny fece una smorfia. “Dan ha fatto la stessa richiesta… e si è beccato la stessa risposta.”

 

Amelia sbuffò sonoramente. “Ma noi siamo responsabili!”

 

“Amelia, te l’ha mai detto nessuno che a mettere la paglia vicino al fuoco si crea un incendio?” le disse maternamente Hermione. “Sono assolutamente d’accordo con papà, per me a quella festa non ci andate.”

 

“E due!” protestò con forza Jack. “E che dovremmo fare, sentiamo, restare a casa a fare da balia ai due malati?!”

 

Ron fece una buffa faccia divertita. “Ottimo, così risparmiamo pure i soldi della babysitter.”

 

Simon lo guardò in cagnesco. “Se ti azzardi a mettermi una babysitter…”

 

“La babysitter pure fa i succhiotti?”

 

Katie!!!”

 

Ginny rise e prese la sua borsa dalla poltrona su cui l’aveva appoggiata. “Ok, suppongo che questo si possa risolvere facilmente… vengono anche Dan e Julie qui e vi fate compagnia tutti quanti, va meglio così?”

 

Katie battè le manine felice. “Si, viene Julie!”

 

“Grazie, Gin, è un’ottima soluzione.” Hermione sorrise, un po’ più rilassata. “Vieni, ti accompagno.”

 

“Tieni duro, altre storie pure da me per questa festa… cerchiamo di tenerli occupati e vedrai che sapranno gestirsi, ormai sono grandicelli.” Ginny le diede un piccolo bacio sulla guancia, mentre prendeva una manciata di Polvere Volante.

 

“Eh, speriamo che non abbiano preso tutto dai padri.” Replicò Hermione, scoccandole un occhiolino.

 

“Ci vediamo domani.” Ginny gettò la Polvere nel caminetto e raggiunse casa sua in meno di pochi secondi… c’era un relativo silenzio in giro, probabilmente Dan era di sopra in camera sua a tenere il muso al mondo intero e in particolar modo a suo padre, che gli aveva negato il permesso di andare a quella festa. Certe volte era quasi incredibile come Dan assomigliasse a Harry senza nemmeno saperlo… anche lui aveva il viziaccio di rintanarsi da qualche altra parte quando si sentiva l’incompreso di turno.

 

L’unico rumorino che si avvertiva era quello di un mestolo che si rotolava in una terrina… Ginny sorrise pensando che sua figlia aveva ereditato da lei tutto il suo amore per la cura della casa, e soprattutto il suo talento in cucina… beh, quello era della nonna, molto probabilmente. Julie era quella che si poteva definire la classica giovane quattordicenne in via di sviluppo, ma aveva una bellezza in crescita decisamente notevole… una bella linea, il viso appena leggermente paffuto, e dei bellissimi capelli lisci ramati che portava lunghi fino alle spalle e che erano il suo vanto. Le lentiggini sul naso evidenziavano bene il suo sangue per metà Weasley, ma la bocca, il naso e il mento erano decisamente quelli di Harry. Per non parlare del caratterino collerico… come tutte le ragazzine, Julie cercava la sua indipendenza con una certa grinta e quando trovava qualche ostacolo sulla sua strada, invece di cercare di aggirarlo ci sbatteva contro il muso finchè uno dei due non finiva per sfracellarsi… e questo per la verità era una caratteristica di entrambi i suoi genitori.

 

Vedendo entrare sua madre, Julie fece un largo sorriso. Ma continuò a girare rapidamente il mestolo nella terrina, sporcandosi marginalmente il grembiule con il suo contenuto. “Allora, come stanno i malatini?”

 

Ginny si tolse la borsa e la giacca di dosso, e li appese all’attaccapanni. “Con la tosse, la febbre e il mal di gola, come previsto se la sono attaccata all’istante.”

 

Julie ridacchiò, scansandosi col braccio il ciuffo di capelli che le era scivolato sugli occhi. “Questa è sfiga, speriamo che passi presto.”

 

“Passerà in un paio di giorni, non temere.” Ginny assaggiò un po’ dell’impasto che stava preparando con tanta cura la figlia. “Mmh… buono! Cosa ci stai preparando?”

 

“Dei biscotti.”

 

“Ah, brava… e per chi sono?”

 

“…per Simon e Katie.” Julie fece un sorriso un po’ esagerato, parlando più in fretta. “Per aiutarli a tirarsi un po’ su col morale.”

 

“Sei proprio una cuginetta adorabile.” Ginny le accarezzò i capelli. “Simon e Katie saranno in buone mani domani sera.”

 

“Si…” Julie spalancò gli occhi e fissò sua madre con un’espressione accigliata. “Come hai detto?!”

 

Ginny inarcò un sopracciglio. “Ho detto che i tuoi cugini saranno contenti di stare con te domani…”

 

“M-Ma io non devo andare da loro domani…” balbettò Julie, lasciando perdere la terrina col suo impasto. “Credevo che stessimo ognuno per conto proprio…”

 

“Doveva essere così, ma tuo fratello, Amelia e Jack ci danno da pensare… vogliono andare a quella festa a cui tuo padre si è opposto, e così…”

 

“E che dovrei fare io, da babysitter a tutti e cinque?!”

 

“Assolutamente no, ci mancherebbe altro… nessuno farà da babysitter a nessuno, si tratta solo di farvi un po’ di compagnia.” Le spiegò con calma la madre. “Invece di restartene sola sola a casa darai un occhio a Simon e Katie, giusto per vedere se hanno bisogno di qualcosa, e per gli altri tre… è sufficiente la tua presenza, sanno bene che sei una brava soldatessa.”

 

Julie si fece paonazza, ma serrò la mascella e annuì. “E va bene, ho capito. Tanto alla fine si fa sempre quello che decidete voi.”

 

Ginny si accigliò. “Non mi sembra di averti imposto nulla, Julie… se è un problema dimmelo, ma pensavo che ti facesse piacere passare una serata tutti insieme… cos’è, ho rovinato qualcosa che avevi in mente?”

 

“Non avevo in mente proprio niente.” Replicò stizzita Julie, togliendosi il grembiule e lasciandolo cadere sulla sedia senza grazia. “E comunque non ti preoccupare, farò il soldato cattivo come vuoi tu… tanto che c’è di diverso dal solito.”

 

Ignorando volutamente sua madre che la chiamava per una spiegazione, Julie sbuffò e corse di sopra, nella sua stanza. Ecco, perfetto! Proprio come si aspettava, tutti i suoi piani in fumo! La ragazzina si passò una mano fra i capelli e prese a torcersi un ciuffetto fra le dita… era così nervosa che se lo sarebbe volentieri strappato di testa. Ma possibile che non le andasse mai bene niente?!

 

“Beh, che è successo? Ti sei spezzata un’unghia mentre facevi la brava massaia?”

 

Julie alzò gli occhi al cielo. L’ironia di suo fratello non era esattamente l’ideale visto che al momento era uno dei bersagli del suo odio sconfinato… e vederlo sulla soglia della porta della sua stanza, con braccia e gambe incrociate e quell’aria da saputello stampata in faccia, quasi la fece esplodere. “Senti, vedi di andartene da qualche altra parte, prima che ti stacco la testa e ne faccio una pluffa.”

 

Dan emise un fischio di scherno. “Però, non ti ho insegnato proprio niente in tutti questi anni, eh?”

 

“Ma che vuoi da me?!” Julie si voltò verso di lui con gli occhi decisamente feroci. “Non ti basta che per colpa tua mi hanno rovinato la serata?!”

 

“Allora avevo fiutato giusto che avevi altri programmi…”

 

Julie gli diede le spalle e si sdraiò su un fianco sul letto, mordendosi le unghie nervosamente. Si sentiva profondamente incompresa, adesso anche suo fratello le stava addosso…

 

“Andiamo, Jay, ti stai complicando la vita in un modo assurdo.” Dan si allontanò dalla porta per venire a sedersi sul letto accanto a sua sorella. “Noi dovremmo aiutarci fra fratelli, non farci la spia… abbiamo un segreto a testa, perché non seppelliamo l’ascia di guerra e facciamo una bella alleanza?”

 

Julie lo guardò… Dan aveva stampata in faccia quell’aria sicura e fiera di sé che la irritava non poco… ma conosceva suo fratello, era tanto sicuro di sé da sembrare perfino tracotante a volte, ma era anche bravissimo a risolvere le situazioni più complesse… e poi gli voleva molto bene, questo era innegabile, magari poteva anche aprirsi con lui…

 

“Allora? Non hai veramente niente da dirmi?”

 

Julie sospirò e si scansò un lungo ciuffo ramato dal viso. “…se te lo dico, prometti di non raccontarlo a mamma e papà?”

 

Dan le strizzò l’occhiolino. “Sarò muto come un pesce.”

 

Julie esitò. “Ecco… si, insomma, domani sera volevo approfittare della festa dei grandi perché… avrei un mezzo appuntamento con un ragazzo.”

 

“Ma davvero!” esclamò vispo Dan. “E chi è il fortunato?”

 

“Lo conosci Tim Delany?”

 

“Quello di Tassorosso con i capelli che sembrano acciughe sotto sale?”

 

“E finiscila!”

 

Dan rise, ma si sforzò di darsi un contegno. “No, scusa… però devi ammettere che ha dei capelli assurdi… per non parlare del nome! Dai, Jay, puoi avere di meglio…”

 

Julie lo guardò male. “Non ho chiesto il tuo parere. E poi Tim è un ragazzo adorabile, è dolcissimo e sempre disponibile.”

 

“…si, si, ho inquadrato il tipo.” Dan scrollò le spalle. “Da un lato è anche meglio che te ne esci col buon samaritano, così almeno siamo tranquilli che più di un bacio non ci scappa.”

 

Julie gli diede uno spintone. “Fatti gli affari tuoi.”

 

“E infatti me li sto facendo eccome, sto organizzando la serata a me e a quella peste ingrata di mia sorella.” Dan si guardò un attimo in giro, per assicurarsi che sua madre non fosse nei paraggi, e abbassò la voce. “Ascolta, tu e Tim dovevate uscire insieme, no? Beh, ti posso assicurare che qualunque posto andrà bene per quello che dovete fare voi, voglio dire… al primo appuntamento si parla un po’ per rompere il ghiaccio e poi c’è la pomiciata finale, ma per quello non è necessario che siate per strada…”

 

Julie arrossì. “Ma certo, lo invito a casa e ci mettiamo a baciarci davanti a voi…”

 

“Qua casca l’asino.” Dan fece un sorrisetto furbastro. “Avrai campo libero, noi non ci saremo… Amelia, Jack e io andremo a quella festa, e Simon e Katie non ti daranno nessun fastidio, se ne staranno per conto loro… poi a mezzanotte noi rientriamo, Acciuga Salata se ne torna a casa, e quando il gruppo genitoriale torna sarà tutto come ci hanno lasciato. Che ne dici?”

 

Julie esitò, e si mise a sedere. “E’ rischioso…”

 

“Ma ha un buon novanta per cento di probabilità di riuscita.”

 

“…e se qualcosa andasse storto?”

 

“Niente può andare storto, ognuno reggerà il segreto all’altro. Basterà non fiatare coi nostri vecchi.”

 

“Quindi fammi capire bene…” Julie fece un piccolo sorrisetto… l’idea era pericolosa ma validissima. “Se io reggo il gioco a voi e non dico che siete andati a quella festa…”

 

“…noi reggiamo il gioco a te, e non diciamo che ti sei vista con un ragazzo di nascosto.” Dan le strizzò un occhiolino. “Secondo me ci possiamo solo guadagnare. Allora? Accetti?”

 

Julie guardò la mano tesa del fratello… in effetti non le piaceva mentire ai suoi genitori, soprattutto considerando che aveva sentito quanto era stato duro suo padre nel negare a Dan il permesso di andare a quella festa, quindi accettare significava andare due volte contro le regole della casa…ma in fondo loro le avevano mandato tutto all’aria solo per fare da babysitter! Se l’erano cercata!

 

“Ok, ci sto.”

 

 

***************

 

 

“Quanto sei bella…” commentò sognante Amelia mentre guardava Hermione, che si stava sistemando gli ultimi dettagli del vestito da sera. Stava davvero bene, sembrava una vera donna di classe, e questo le faceva piacere soprattutto perché a furia di fare la mamma e il Maggiore finiva sempre per trascurare i suoi diritti di donna e di moglie… mentre aveva una gran voglia di sentirsi fisicamente bene per passare un po’ di tempo da sola con suo marito.

 

“…ma con che cuore ci lasci qua?” brontolò Simon, che insieme alla sorella si era sdraiato scompostamente sul lettone. Sembravano ancora più piccoli, tutti e due col pigiama e il naso rosso a furia di soffiarselo.

 

Katie annuì, accucciandosi sulla pancia di suo fratello. “E’ vero, io mi sento sola così…”

 

“Altro che sola, amore mio, stasera avete la casa a disposizione per fare i pazzi scatenati.” Hermione arruffò affettuosamente i capelli ad Amelia. “E anzi, vediamo di intenderci… niente incendi né impiccagioni, se non vi dispiace, ok?”

 

Amelia ridacchiò. “Promesso.”

 

“Mamma, voglio venire pure io alla festa!” protestò Katie. “Se mi vesto elegante mi porti con te?”

 

“Eh no, patatona mia, stasera mamma e papà se la chiamano di vacanza. Anche Ron, che era appena entrato nella stanza, aveva l’aria elegantissima… smoking, capelli pettinati, neanche un filo di barba… l’occasione richiedeva, e i coniugi Weasley si erano ampiamente regolati di conseguenza.

 

“Mamma mia, quanto sei bello!” esclamò Amelia.

 

“E’ vero, papino, sei bellissimissimissimo!”

 

“Belle, quelle bambine mie.” Ron diede un bacio sulla guancia a entrambe, soffermandosi ad accennare un po’ di solletico sul fianco di Simon. “E tu, campione? Che mi dici?”

 

“Ho mal di gola.” Brontolò il ragazzino.

 

“Un po’ di pazienza, già oggi sei stato meglio, vedrai che domani sarà quasi passato tutto.” Hermione infilò il rossetto nella borsa e si voltò. “Allora? Vado bene?”

 

Ron fece un sorrisone tutto Weasley. “Vai bene per una favola in cui sei la regina, amore.”

 

Hermione gli accarezzò la guancia, ma a rispondere fu una sognante Amelia, che sospirò rumorosamente. “Ma dove li vendono gli uomini belli e romantici così, che ne voglio uno anch’io?”

 

“Al supermercato no, sai che folla.” Commentò annoiato Simon, facendo sorridere tutti.

 

“Ehi, gente!” Jack fece capolino dalla porta. “C’è l’altra metà di famiglia qui!”

 

“Si può?” anche Harry e Ginny erano elegantissimi e distinti, e Katie subito balzò in piedi per essere presa in braccio dallo zio.

 

“Come siete bellissimi pure voi!”

 

“Grazie piccolina mia!” Harry le baciò la guanciotta paffuta, imitato da sua moglie. “Ah, direi che ci siamo tirati tutti a lucido.”

 

“Tutti tranne noi.” Bofonchiò Dan, infilando le mani nelle tasche dei jeans. “Che dobbiamo restare a casa di venerdì sera.”

 

“Non vi farà male.” Ginny gli diede un piccolo scappellotto dietro la nuca.

 

“Beh, io direi anche che è ora di andare…” Ron diede un’occhiata all’orologio. “Ragazzi, in linea di massima saremo qui per mezzanotte, minuto più minuto meno… pensate sia possibile non dare fuoco alla casa né far saltare in aria tutto il quartiere?”

 

Jack fece una piccola smorfia. “Vedremo cosa possiamo fare.”

 

“In frigo c’è qualcosa che potete mettere sotto i denti, invece per Simon e Katie c’è il brodino caldo…”

 

Simon fece una faccia avvilita. “Mamma, no… il brodino è una cosa così triste…”

 

Hermione lo ignorò. “Amelia e Julie, mi fido di voi.”

 

“E non aprite a nessuno, chiaro?” fece Harry.

 

“Chiaro.” Replicarono in coro i ragazzi.

 

Ci fu qualche minuto di confusi saluti ad incrocio… la più tenace di tutti fu Katie, che si attaccò al collo di suo padre e lo supplicò in tutte le lingue di portarla con lui, ma per il resto filò tutto normalmente… e Harry, Ginny, Ron e Hermione uscirono di casa per infilarsi nell’auto e avviarsi alla festa di Natale che aveva dato il Ministero.

 

“Anch’io voglio andare a una festa vestita bella.” Fece convinta la piccola Katie, intenta a salutare i genitori dalla finestra mentre Amelia la teneva in braccio.

 

Dan controllò l’orologio, lanciò un’altra occhiata alla finestra… “…ok, la strada è sgombra.”

 

Simon e Katie fecero tanto d’occhi quando Dan e Jack si sfilarono i felponi per indossare delle magliette ben più eleganti, e Amelia corse per un attimo di sopra per poi scendere anche lei con una graziosa magliettina aderente e un paio di jeans scuri a vita bassa che le stavano proprio bene.

 

“…ma che…”

 

“Mi raccomando.” Fece Jack, mentre Dan ancora controllava alla finestra se i suoi genitori non fossero sulla via del ritorno per un qualsiasi caso. “Noi torniamo verso le undici e mezza, così precediamo…”

 

“State andando a quella festa!” protestò Simon.

 

Jack inarcò un sopracciglio. “Qualcosa in contrario?”

 

“Si, perché se mamma e papà lo vengono a sapere, qui il guaio lo passiamo tutti!”

 

“Non verranno a sapere niente se tenete la bocca cucita! Non ti preoccupare, pannolone, è stato già tutto perfettamente organizzato e pianificato prima, non sbaglieremo.”

 

Amelia gli diede un bacio sulla guancia. “Ti prego, non dire niente a nessuno!”

 

Simon si rivolse verso la cugina. “Jay Jay, diglielo tu!”

 

Julie si morse le labbra. “…faremo attenzione, non ti preoccupare.” Mormorò, spiazzando Simon.

 

“Ok, possiamo andare.” Dan passò il giubbotto ad Amelia e indossò il suo, mentre Jack teneva aperta la porta per entrambi. “Mi raccomando, eh!”

 

“Ciao!” Amelia si soffermò un secondo ad abbracciare Katie lungo la strada, poi uscì anche lei e si chiuse la porta alle spalle.

 

“…non ci posso credere…” Simon scosse la testa. “Cioè, vi rendete conto che se li scoprono, come minimo li mettono in punizione fino a che non prendono la pensione?”

 

Julie rovistò in una bustona che aveva appoggiato sul divano. “Non è un problema nostro… se sono usciti di nascosto senza dirci niente.”

 

Katie si sporse per guardare nella busta. “Che stai facendo?”

 

Julie emerse dalla bustona con una graziosa camicetta rosa e una gonna a pieghe in mano. “Vi piacciono, che ne dite?”

 

Katie spalancò gli occhioni azzurri. “Vai a una festa anche tu? E noi?”

 

“Oh, no piccola, no…” Julie appoggiò sul divano i vestiti e si chinò all’altezza dei cugini con un sorriso amorevole. “Sentite… me lo fareste un favore grande grande?”

 

Simon arricciò il naso. “Perché ho la sensazione che questo ci porterà solo guai?”

 

“Io stasera avevo un appuntamento… mi è saltato per venire qui, però io ci tengo molto…” Julie si passò i capelli dietro un orecchio. “Tutto quello che vi chiedo è il salotto per un paio d’ore…”

 

“Cioè hai invitato questo tipo con cui devi uscire… qui?”

 

“Solo per un paio d’ore, niente di più!” fece subito Julie. “Ti giuro che non combineremo niente, non metteremo casino, assolutamente nessuna traccia… staremo solo un po’ a parlare, nient’altro.”

 

Katie sbattè gli occhioni. “E ci posso parlare anch’io col tuo amico?”

 

“Ma non hai capito, Katie?” Simon fece un sorrisetto furbastro. “Questo è il fidanzato di Jay Jay.”

 

“No, non è il mio fidanzato.” Puntualizzò subito Julie. “E’ un ragazzo che mi piace… se voi due poteste fare i bravi solo per qualche ora, io vi prometto che mi farò perdonare!”

 

“E se arrivano mamma e papà?”

 

“Gli dirò la verità, che la colpa è solo mia!”

 

“Mh…” Simon annuì. “Ok, basta che non mettete casino.”

 

Felice come una Pasqua, Julie abbracciò forte i suoi cugini. “Quanto vi adoro, grazie! Vi devo un favore!”

 

“Io un favore da chiederti ce l’ho.” Esclamò la piccola Katie, aggiustandosi il codino in cui teneva racchiusi i riccioletti. “Possiamo buttarlo il brodino e mangiamo le cose buone?”

 

“Ma certo!”

 

Simon schiacciò il cinque alla sorella. “Ottima mossa, Kat.”

 

“Adesso datemi un consiglio…” Julie mostrò di nuovo a entrambi i vestiti. “Vi piacciono?”

 

“Tanto tu sei bella sempre.” Le disse Katie.

 

Simon scrollò le spalle. “Si, secondo me vai bene così.”

 

“Ok, allora mi vesto.” Julie diede ancora un bacio a entrambi prima di correre di sopra. “Vi adoro!”

 

Simon scosse la testa, avvilito. “Qui è chiara solo una cosa… che se papà e mamma tornano prima, come minimo succede la fine del mondo.”

 

Katie si grattò il nasino. “Si arrabbieranno anche con noi?”

 

“Nah, noi siamo le vittime…” Simon le strizzò l’occhiolino. “I poveri malati trascurati… stai scherzando? Si ammazzeranno fra di loro in grande stile.”

 

Katie annuì, seguendo il fratello mentre si avviava in cucina. “E noi che facciamo mentre loro si ammazzano, Simon?”

 

“Secondo te perché stiamo andando a prepararci i pop-corn?”

 

 

***************

 

 

“…là…” Julie s’inumidì le labbra colorite dalla tinta chiara del rossetto, controllando che non avesse fatto sbavature, mentre aveva la testa quasi completamente schiacciata contro lo specchio.

 

“Sai quanto sarebbe contento zio Harry se ti vedesse truccata?” ridacchiò Simon, sdraiato sul lettone, mentre Katie giocherellava con una bambola seduta accanto a lui.

 

“Nemmeno un po’, ma è per questo che io mi fido del vostro silenzio.” Julie si voltò verso di loro e si lasciò guardare. “Allora? Sto bene?”

 

“Sei bellissima.” Esclamò felice Katie.

 

Simon sollevò i pollici. “Perfetta, ma io al posto tuo farei qualcosa per quelle pantofole che sono inguardabili.”

 

“…santa pazienza, me l’ero dimenticate, che scema.” Julie afferrò la sua bustona e la frugò fino ad estrarne qualche attimo dopo un paio di stivali scuri con dei lunghi lacci.

 

“E come si chiama lui?” le chiese il cugino. “Lo conosco?”

 

“Non so se ci hai mai fatto caso, è di Tassorosso ed è del mio stesso anno…”

 

Il campanello fece sussultare Julie, che spalancò gli occhi. “Ma è in anticipo! Non… non sono ancora pronta, devo pettinarmi…!”

 

“Tira un respiro profondo e rilassati, Jay Jay, ce la gestiamo noi.” Simon balzò in piedi, facendo un sorrisetto perfido. “Faremo i bravi bambini.”

 

“Bravissimi!” esclamò Katie, mentre si avviava di corsa verso il piano di sotto.

 

“Non lo terrorizzate, per favore!” gli urlò dietro Julie, che scosse la testa sconsolata mentre prendeva rapidamente la spazzola e si pettinava energicamente. “…come me lo sento scendere che in un modo o nell’altro qua va tutto a rotoli…”

 

 

 

 

 

Katie aprì la porta e fece un sorrisone dei suoi, mentre il codino riccioluto le cascava sul collo armoniosamente. “Ciao! Tu sei l’amico speciale di mia cugina?”

 

Il ragazzo sulla porta fece un sorrisino incerto. Era piuttosto magrolino, portava un gran paio di occhiali sul naso e i capelli erano decisamente troppo lisci… abbastanza simili a delle acciughe. “Ehm… si, ciao… sei la cuginetta di Julie, giusto?”

 

“Si si.” Katie spalancò la porta. “Vieni dentro, che non ti mordo!”

 

Il ragazzo abbozzò un sorrisino ed entrò, stringendosi nelle spalle. “Julie non c’è?”

 

“Sta arrivando, si sta facendo bella per te.” Simon saltò gli ultimi gradini della scala e gli si avvicinò con un gran sorriso da bravo Weasley, tendendogli la mano. “Ciao, io sono Simon, l’altro cugino… tu sei?”

 

“Tim, piacere.” Il ragazzo gliela strinse.

 

“Ciao, Tim. La bella bionda qui è mia sorella, Katie… eh, mi rendo conto che in pigiama non siamo esattamente il massimo dell’eleganza, però…”

 

“Non ti preoccupare, non è un problema.” Il timidissimo Tim si aggiustò gli occhiali sul naso e fece un piccolo sorriso.

 

“Quanti anni hai?” gli chiese Katie. “Io ne ho sei, sono grande… vado anche a scuola! Faccio la prima, e tu?”

 

“Tim.” Julie attirò l’attenzione dei presenti su di sé. Tim arrossì di colpo: era veramente carina, forse anche troppo per lui. “Ciao, benvenuto… vedo che hai già conosciuto i miei cugini. Pestiferi, eh?”

 

“E dove sta scritto che se noi siamo pesti, tu sei la santarellina del gruppo?” Simon fece un angelico sorrisetto irritante.

 

“Ok, ok… allora andate di là? Se avete bisogno di qualcosa mi chiamate, va bene?”

 

“Come vuoi, vi lasciamo soli così potete fare tutte le porcherie che volete.” Simon fischiettando si avviò verso la cucina e lasciò la porta aperta per far passare la sorella, che trotterellò allegramente fin nella stanza.

 

Julie scosse la testa e sorrise. “Scusali… sono più discoli del solito perché hanno l’influenza.

 

“Oh, no… sono molto simpatici, non ti preoccupare.”

 

“Non ci romperanno le scatole, o almeno così hanno promesso…” Julie gli fece un sorriso intrigante. “Ehi, perché mi stai fissando?”

 

Tim arrossì e abbassò gli occhi. “N-No, è che…uhm… sei molto carina, ecco.”

 

“Grazie.” Julie lo prese per mano. “Vieni, sediamoci di là.”

 

Tim fu ben felice di seguirla fin nel salotto… era ampio e spazioso, ma soprattutto aveva un bellissimo caminetto in cui scoppiettava un accogliente fuocherello. “E’ molto bello qui… è casa dei tuoi zii, giusto?”

 

Julie fece una piccola smorfia. “Si, perché come ti ho spiegato, io sono di turno come babysitter stasera… è un po’ una rogna, ma non importa. Riesco a bilanciare le cose.”

 

“Ti ho portato una cosa.” Tim si sfilò dalla tasca un piccolo barattolo pieno di marmellata. “Ecco… è la marmellata che ti ho fatto assaggiare l’altra volta a scuola… quella buonissima di fragole che fa mia mamma.”

 

“Che pensiero carino, grazie!” Julie aprì subito il barattolo e ne annusò il contenuto con un’espressione estasiata. “Mmh… che buon profumo! Ti dispiace?” senza aspettare conferma, inzuppò il dito nella marmellata e l’assaggiò. “Che buona… devi fare i complimenti a tua madre, è strepitosa!”

 

“Sono contento che ti piaccia.” Tim fece un sorrisone un po’ sbilenco. “Le ho dato una mano a prepararla, sai?”

 

“Davvero?” Julie sorrise allegramente. Si sentiva davvero a suo agio con quel ragazzino timido eppure dal cuore così tenero… “Beh, allora andiamo bene, perché io ho preparato questi per stasera.”

 

Tim si ritrovò davanti una guantiera piena di biscotti perfettamente cotti, a forma di stella e cuore. Subito ne prese uno per assaggiarlo. “…ehi, ma te la cavi proprio bene ai fornelli tu… è molto buono.”

 

“Aspetta, possiamo fare di meglio…” Julie intinse il suo biscotto nel vasetto di marmellata e lo addentò. “…mmh…perfetto!”

 

Tim ridacchiò e fece lo stesso. “Ottima idea.”

 

La serata andò avanti nel più gradevole dei modi… Tim era un ragazzo timido, ma anche molto simpatico e sensibile e con Julie si sentiva perfettamente a suo agio… e lei, inutile a dirsi, con la sua dolcezza e il suo brio trovava quel salotto col caminetto la sua situazione ideale. Avevano parlato di tutto un po’… si erano raccontati tante cose, e avevano scoperto di avere in comune molto più di quanto sembrasse a prima vista. E il tutto con un’armonia che stupiva entrambi.

 

Julie si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e gli fece un piccolo occhiolino. “Non si potrà mai dire che resteremo senza lavoro, allora…”

 

“Vero.” Tim ridacchiò. “Se la magia ci va male, almeno sappiamo già che cosa dobbiamo tentare… apriremo un ristorante.”

 

Julie rise e scosse la testa. Tim le fece un sorriso timido, ma anche se sembrava volerle dire qualcosa poi alla fine richiuse la bocca e si guardò le mani.

 

Ok, ho capito… qui se non comincio io, possiamo anche aspettare che si fa notte…

 

“Tim… se ti chiedo una cosa, tu mi rispondi onestamente?”

 

“Certo, dimmi.”

 

“Io ti piaccio un po’?”

 

Tim ingoiò a fatica e si sistemò gli occhiali. “…piacermi? Altrochè se mi piaci, Julie… i-io penso che tu sia la più bella ragazza della scuola.”

 

“Dici sul serio?” sorridendogli, Julie gli si avvicinò.

 

“Si, ma vedi… è proprio per questo che non capisco bene che cosa vuoi…” Tim fece spallucce e trovò il coraggio di guardarla in faccia. “Nel senso che tu sei bellissima, e sei famosa a Hogwarts… e poi sei in gamba, sicura di te… io invece sono uno che si vergogna anche dell’ombra sua, non mi conosce nessuno, e non sono neanche tanto bello… diciamo pure che non lo sono affatto, eh.

 

Julie scosse la testa e gli prese una mano. “Non devi mica avere il nome scritto nell’annuario di Hogwarts per piacermi… né tantomeno devi essere il più bello della scuola, o chissà che altro… ti ho invitato qui perché mi trovo bene con te, mi fai sentire a mio agio e mi diverto e mi rilasso contemporaneamente… e mi piaci così come sei. Anche se sei timidissimo.”

 

Tim azzardò un sorriso. “E non ti vergogneresti di me?”

 

“Vergognarmi?” Julie fece una smorfia. “Ma allora non mi conosci proprio, eh?”

 

Finalmente Tim sorrise in modo più rilassato… quella ragazza gli piaceva moltissimo e gli aveva appena detto che anche lui piaceva a lei… e per quanto incredibile questo potesse sembrare, era una realtà e lui non era abbastanza scemo da sprecarla. Così si sporse leggermente in avanti per avvicinare il viso a quello di lei… Julie gli strinse la mano nella sua, cercando il suo sguardo. Era perfetto, dolcissimo come aveva immaginato che sarebbe stato…

 

“Jay Jay?”

 

Julie sbuffò e si voltò. “Che c’è, Katie?”

 

La piccola si pulì il nasino sporco con la manica del pigiama. “Simon non si ricorda quanta medicina dobbiamo prendere.”

 

Julie controllò l’orologio. “Ma non è l’ora della medicina…”

 

Katie scosse la testa, facendo rimbalzare il codino riccioluto. “Noi un cucchiaio l’abbiamo preso…”

 

“…ma no!” Julie balzò in piedi. “Scusami un attimo, Tim…”

 

“Vai.” Il ragazzino si sistemò gli occhiali, non disdegnando di lanciare un’occhiata a Julie mentre correva come una gazzella nell’altra stanza. La vide ricomparire pochi secondi dopo, e si trascinava per un braccio il cugino.

 

“Io veramente non lo so questi lampi di genio dove li cacciate! Avanti, siediti qui!” senza particolare delicatezza, Julie fece sedere Simon e gli controllò la fronte. “Non mi sembra che la febbre sia alta… uffa, non dovevate prendere la medicina se non ce n’era bisogno!”

 

“Ehi, ci brucia la gola!” protestò Simon, mentre la sorella gli correva in braccio.

 

“E me lo dovevi chiedere prima!”

 

“Veramente non ti volevo disturbare, pensavo che ti stessi sbaciucchiando col tuo amico qui.”

 

Julie arrossì furiosamente. “Sempre la solita storia, come al solito tutto storto a me…”

 

“Uhm… sai, Julie, forse ti stai preoccupando per nulla.” Provò a dire Tim. “In fondo le medicine si danno sempre quando c’è la febbre, adesso che sia poca o tanta dovrebbe essere la stessa cosa…”

 

“Ma sei un genio della medicina, capo, complimenti!” Simon gli fece un beffardo salutino militare, quindi si rivolse alla cugina. “Si può sapere dove l’hai preso questo, ti è uscito in omaggio dai cereali?” Katie rise forte.

 

Julie gli tappò la bocca. “Chiudi quella boccaccia! E adesso statemi a sentire, tutti e due… non muovetevi da qui, devo tenervi d’occhio… va tutto bene, si? Cioè vi fa male qualcosa?”

 

“No.” Disse tranquilla Katie.

 

“A me fa male l’idea di dover stare qui a guardarti mentre vi baciate, sinceramente.” Replicò seccato Simon.

 

Tim si schiarì la gola. “Julie, forse se preferisci che vi lascio soli…”

 

“No, non se ne parla!” Julie lo prese per la mano e lo fece sedere di nuovo. “Dammi solo cinque minuti, mi assicuro che stanno bene e poi riprendiamo da dove ci eravamo interrotti.”

 

Katie scivolò giù dalle gambe del fratello e si avvicinò a Tim. “Senti, ma tu ce l’hai grosso?”

 

Tim diventò di tutti i colori possibili e immaginabili, Simon si piegò in due per le troppe risate e Julie proruppe in uno scandalizzatissimo “Katie!”

 

La piccola scrollò le spallucce. “Mio fratello Jack dice che a lui tutte le ragazze lo vogliono perché ce l’ha grosso. Ce l’hai grosso pure tu?”

 

“A-Aehm…” Tim si massaggiò la nuca nervosamente. “Veramente io…”

 

“Scusala.” Julie afferrò la cugina in tutta fretta e la rimise in braccio a Simon, che non riusciva a smettere di ridere. “Quante volte ti ha detto mamma che queste cose non si ripetono? Sono da grandi, le brave bambine non le dicono!”

 

Katie inclinò la testolina. “Si, ma cos’è che ha grosso Jack?” Simon si teneva lo stomaco per le troppe risate.

 

“La bocca.” Ruggì Julie, al limite della sopportazione. “Jack ha una bocca che è una caverna.”

 

“Aah…” fece tranquillamente Katie.

 

“Ehi, non devi sentirti in imbarazzo…” Tim appoggiò una mano sulla spalla di Julie. “Ho anch’io un fratello piccolo, e mi capitano le stesse cose… è normale, sai.”

 

Julie gli sorrise grata. “Grazie, Tim… a volte essere l’unica persona responsabile in famiglia è un po’ pesante.”

 

Tim sorrise. “Eh, lo so.”

 

“Senti, ho un’idea. E se…”

 

Julie s’interruppe. Fuori dalla casa si sentivano dei rumori strani… risate, risate sguaiate e canzoni completamente stonate. La ragazza controllò l’orologio… erano appena le undici, nessuno doveva essere già a casa per quell’ora… si sforzò di non andare in panico, e provò a distinguere le voci per capire almeno chi le avrebbe fatto quella sgraditissima sorpresa.

 

Simon fece un sorrisetto. “Sembra che la festa sia andata proprio come l’aveva prevista papà.”

 

Tim si accigliò. “Ma chi sono?”

 

La porta si spalancò senza la minima moderazione, e Dan cadde sulle ginocchia come se ci si fosse buttato contro per aprirla ma continuò a ridere come stava facendo. E come stavano facendo anche Jack e Amelia, che sembravano ancora più instabili di lui… Amelia era sulle spalle di Jack, e insieme a Dan intonavano delle note decisamente scordate di una canzone assai poco lusinghiera.

 

Julie si coprì gli occhi con le mani. “Oh no, questo no…”

 

“Svelta, Kat.” Simon mise in piedi la sorella. “Vai a prendere i pop-corn.” La bimba, elettrizzata dall’emozione, corse in cucina.

 

“Saaaaaalve a tutti, signori e signore…” Dan entrò trionfalmente nel salotto a braccia spalancate. “Diamo il benvenuto a… rullo di tamburi… Supergirl!!!”

 

Neanche finì la frase che Jack prese Amelia per i fianchi e le fece fare un volo fin sul divano; lei strillò e riprese a ridere come una pazza. Tim, che se la ritrovò a un centimetro di distanza, spalancò gli occhi e arretrò. Amelia alzò gli occhi, lo vide, rise e gli fece un sorriso a trentadue denti. “Ma ciao, cosetto…”

 

Tim ingoiò a fatica. “C-C-Ciao.”

 

“Insomma!” Julie afferrò per la camicia Dan, che ancora rideva, e lo costrinse a guardarla. “Che cosa diavolo sta succedendo qui?! Si era detto che sareste tornati alle undici e mezza, no?!”

 

Ridendo, Jack le piombò alle spalle e la fece sussultare. “Si, ma sai che cosa…Jaaaaaaay? Tuo fratello è convinto che io e il Koala siamo ubriachi!”

 

“Jack non è solo ubriaco…” Dan rise forte. “…è fradicio!!!” a questo tutti e due scoppiarono a ridere sguaiatamente.

 

Julie si coprì la faccia con le mani. “Ma perché tutto a me…”

 

Simon passò alla sorellina una manciata di pop-corn. “Secondo te papà lo confina a casa per un mese?”

 

Katie ingoiò il suo boccone. “No, forse per sei mesi.”

 

Tim si alzò in piedi. “Senti, Julie, forse sarebbe meglio che io…”

 

“Uuuh, guarda chi abbiamo qui!” Dan lo afferrò per le spalle e lo voltò verso gli altri. “Ragazzi, guardate qua! L’appuntamento di mia sorella… Tim Tutte Acciughe!”

 

Jack e Amelia sprofondarono sul divano a forza di contorcersi dalle risate, ma Julie spinse bruscamente indietro il fratello. “Smettila di comportarti così!”

 

“Ehi, che ho fatto?”

 

“Sei arrogante e maleducato, e poi sei completamente fuori!”

 

“Aah, ho capito… non l’ho salutato, te la prendi per questo!” Dan avvicinò il suo faccione sorridente a quello decisamente inorridito di Tim… e poi a sorpresa gli sollevò la frangia. “Ehi, come va là sotto?” Jack rise così forte che cadde dal divano, e lo stesso Dan si lasciò andare su una poltrona dove potersi sbellicare.

 

“Sono mortificata, io…” Julie si avvinghiò a un braccio di Tim. “Devono aver bevuto… in genere sono degli imbecilli, ma non così tanto…”

 

Tim scrollò le spalle e le accarezzò la mano. “Può capitare, dai… non sentirti in colpa, non c’entri niente tu.”

 

“Ehi Tim, dove li hai lasciati Tom e Tam?” urlò Jack, e ne seguì un’altra scarica di risate.

 

“Se non la finite immediatamente ve la faccio pagare!” strillò Julie, rossa per la vergogna. “Aspettate che arrivino i nostri genitori…”

 

“E poi che fai?” la provocò Jack.

 

“Ci sputtana, mi sa.” Fece Amelia, mentre anche lei non riusciva a fare altro che ridere.

 

Dan fece una smorfia. “Nah, la signorina tutta d’un pezzo non ci può sputtanare stavolta… perché altrimenti noi sputtaniamo lei poi, e non ne usciamo più… non è vero, Jay Jay?”

 

Julie strinse forte i pugni. “Non ti permetto di ricattarmi!”

 

“Ooh, andiamo, non volete mica litigare?” Amelia si alzò in piedi, mostrando di essere chiaramente instabile. “Noooooon si può litigare stasera, noooo….”

 

“Guarda quant’è profonda questa donna!” fece Jack, provando ad alzarsi anche lui, ma ricadendo giù un attimo dopo e ridendo di se stesso.

 

“Senti, Tim, forse…” Julie sembrava decisamente esasperata.

 

“Ok, ok, ho capito tutto…. Raddrizziamo questo cesso di serata!” Amelia saltò sul tavolino. “Spoooooogiarello!!” Jack e Dan acclamarono la notizia con applausi e ululati di incoraggiamento. E la cosa non era un bluff, visto che Amelia ancheggiando si stava sfilando la giacca e i due ragazzi, oltre agli applausi, stavano provvedendo a farle anche da sottofondo musicale.

 

“Insomma basta!!!!” urlò Julie, ma chiaramente non venne assolutamente presa in considerazione.

 

“Vai così, bellezza!!” urlò Dan.

 

“Giù quei pantaloni!!” gli fece eco Jack.

 

Katie smise un attimo di mangiare pop-corn per coprire gli occhi al fratello. “No, non si guardano le femmine senza vestiti…”

 

“Ssh, buona Katie…” Simon le scansò la mano, osservando la scena con una curiosa espressione parecchio interessata.

 

Quando Amelia si tolse la giacca e la lanciò addosso a Jack, Julie raggiunse in due falcate il fratello, lo prese per il bavero della camicia, lo trascinò in piedi e gli piantò la faccia a un millimetro dalla sua. “APRI BENE LE ORECCHIE!! Portala giù da lì e piantatela immediatamente con questo schifo, o ti giuro che vado io stessa a chiamare papà e mamma e non me ne fotte un benemerito che ci sono anch’io nei casini, PERCHE’ TU CI SARAI MOLTO PIU’ DI ME!!!”

 

Dan sbuffò. “Sei una scassapalle, ecco cosa sei.”

 

“Oh, oh!” protestò Jack, quando il cugino salì sul tavolo e si caricò Amelia, fortunatamente ancora vestita,  su una spalla. “Ma che è, io me la stavo spassando!”

 

“Ciao, ciao, ciao, vi voglio bene tanto!” Amelia smanettava, salutando non si sa chi mentre Dan la portava giù di peso.

 

Tim era così rosso da fare invidia ai capelli di Jack. “…uhm…”

 

“Finitela tutti quanti, adesso basta!!” urlò Julie, a cui ormai le lacrime pungevano gli occhi.

 

“Mia sorella ha perfettamente ragione!” Dan balzò di nuovo sul tavolo. “Truppe!! State a sentire il vostro generale, mentre prepariamo l’assalto alle torri del castello…”

 

“Si spari una sega, generale!!” ululò ridendo Jack.

 

“Che cos’è una sega?” chiese Katie.

 

Simon continuò tranquillamente a mangiare. “E’ l’unica attività che il cervello di Jack è in grado di portare avanti.”

 

“…e vinceremo sui mari, in aria, per terra, sotto terra, sott’acqua, sopra e sotto il letto…nei giorni festivi anche sopra e sotto il divano…”

 

Amelia smise lentamente di ridere alle parole di Dan… assunse un colorito decisamente verdastro, si toccò lo stomaco… “…mmh… ho voglia… di vomitare…”

 

Julie chiuse gli occhi. “Non ce la faccio…”

 

Jack le diede una bottarella sulla schiena. “Su con la vita, bella donna!” Per tutta risposta Amelia schizzò in piedi in direzione della porta di casa, la spalancò, si chinò su se stessa e vomitò anche l’impossibile…

 

…a due centimetri dai piedi di un confusissimo Ron Weasley.

 

E dal resto della comitiva di genitori.

 

“Amelia!” Hermione subito si fece largo per inginocchiarsi accanto alla ragazza e tenerle la testa mentre dava di stomaco. Ginny fece altrettanto.

 

“…oddio…” Julie impallidì vistosamente quando vide entrare suo padre, che era a metà fra il confuso e il furente.

 

Simon allungò le labbra in una buffissima espressione sorniona. “Ora ti voglio.”

 

Katie si sfilò dalla tasca del pigiamino una busta di caramelle alla frutta. “Secondo round.” Disse tranquillamente, mentre le offriva a suo fratello.

 

“Qualcuno intende spiegarmi cosa diavolo è questo casino?” mormorò truce Ron, mentre si guardava in giro.

 

“E tu chi sei?” fece brusco Harry, rivolgendosi direttamente a Tim.

 

Il ragazzo arrossì violentemente, ma a parlare fu Julie. “Papà, ti posso spiegare tutto se me ne dai la possibilità…”

 

“Aaaalt, ci penso io! Faccio io le presentazioni!” Dan si reggeva in piedi per miracolo, e prima si gettò praticamente addosso a Tim, che lo sostenne a fatica. “Allora… questo, caro padre leggendario, è niente di meno che la nuova fiamma di tua figlia… Tim-Tom-Tam Acciugone… uno dei tre, insomma…”

 

Jack ridendo raggiunse gli altri. “Occhio, zio, questo è pericoloso!”

 

“E questo, caro Tammy…” Dan battè la mano sul petto di suo padre, che lo stava guardando con le sopracciglia tanto corrugate da farle appiattire. “…questo è l’unico, vero, originale e inimitabile Moccioso-Che-Di-Tirare-Le-Cuoia-Non-Ne-Ha-Voluto-Sapere… lo vuoi un autografo, te lo faccio fare sai!”

 

“Uno pure del Grande Padre!” fece Jack, che però smise improvvisamente di ridere quando suo padre lo afferrò per i capelli e gli avvicinò il viso al suo.

 

“…ubriaco…” Ron annusò l’alito di suo figlio e fece una smorfia. “Completamente fradicio.”

 

“Ah ah, vedi che avevo ragione??” canticchiò Dan. “Jack è fatto, Jack è fatto!”

 

“Pa’, stacca questi capelli!” protestò energicamente Jack, smanettando all’aria. “Alle femmine piacciono, ahia!”

 

“Siete andati a quella dannata festa, non è così?!” tuonò Harry.

 

“Ron, dammi una mano…” Hermione e Ginny facevano fatica a mantenere Amelia, che era ridotta a uno straccio a forza di vomitare.

 

“…non voglio più vedere neanche una burrobirra…” le sentirono mormorare fra i denti.

 

Ron subito la prese in braccio. “Guarda qua come vi siete ridotti… disgraziati, e dire che vi avevamo dato fiducia!! E’ questo il modo di comportarsi alla vostra età, eh?!?”

 

Jack tentò di sembrare sobrio. “Ma in fondo non abbiamo bevuto così tanto… oh!!!” Ron gli assestò una botta sulla nuca che gli fece fare tre involontari passi avanti.

 

Harry afferrò il figlio per un braccio e lo strattonò fino a lasciarlo cadere sul divano. “Pezzo d’imbecille che non sei altro, e meno male che credevo che essendo il più grande avresti avuto un briciolo di responsabilità anche per gli altri!! Ah, ma adesso ce la vediamo con calma, caro mio…”

 

Ginny li guardò disgustata. “Questa volta ve la siete veramente cercata, e vi posso assicurare che vi ricorderete la punizione da adesso fino a che non metterete un po’ di giudizio in quelle zucche vuote.”

 

Hermione abbandonò momentaneamente i colpevoli per rivolgersi ai due più piccoli… che erano stati furbi abbastanza da far sparire in tempo le caramelle. “Vi hanno lasciati da soli tutta la sera? Venite qua, fatemi sentire come state…”

 

“Va tutto bene, mamma.” Simon sorrise a sua madre, mentre appoggiava una mano sulla fronte di ciascuno dei due. “Ce la siamo cavata con un po’ di mal di gola, niente di più.”

 

Katie annuì tranquillamente. “Simon e io abbiamo giocato a un sacco di cose, e poi lui ha letto il suo libro sui draghi e io ho giocato a mamma e figlia con le bambole.”

 

Hermione sorrise, finalmente rincuorata. “Meno male che almeno ci siete voi…”

 

“…pazzi idioti senza cervello!!” Harry suonò un sonoro scappellotto al figlio, che protestò rumorosamente. “A ridurvi in questo stato per fare i bulletti!!”

 

Ron stese Amelia dolcemente sul divano, avendo cura di passarle un cuscino sotto la nuca, e lei gli prese una mano prima che potesse allontanarsi. “Mi dispiace tanto, non ti arrabbiare…” mormorò.

 

“…non è stata affatto una cosa saggia, sai…” Ron le accarezzò bonariamente la testa. “E pericolosa, per di più… non è un bel modo per cercare di attirare l’attenzione.”

 

“Ah, ecco!!” urlò Jack. “A lei tutte coccole e bacetti e carezze, eh?? Ohi!!”

 

Un’altra sberla gli era venuta proprio da Hermione. “Non ti permettere di aprire bocca, tu!! Cretino che non sei altro, sconsiderato senza cervello!! Hai lasciato tuo fratello e tua sorella a casa con la febbre!!”

 

“Ma non erano soli!!” protestò Jack, ora molto meno incline a ridere. “C’era Julie con loro!”

 

“Julie, Tim, Tom e Tam.” Precisò Dan.

 

Harry si voltò di scatto alle sue spalle non vedendo in giro sua figlia… Julie stava cercando di far uscire di soppiatto il suo amico, e ovviamente quando si vide scoperta rimase di sasso. “Voglio sapere chi è quel tizio, maledizione!!”

 

“E magari anche che ci fa a casa mia!” aggiunse Ron.

 

“Julianne Lilian Potter, vieni immediatamente qui!!” ringhiò Ginny, posizionando le mani sui fianchi… segno evidente dello stadio di guerra a cui erano arrivati.

 

Julie strinse gli occhi per un attimo, sentendo Tim al suo fianco irrigidirsi spaventosamente. “Calmatevi, per favore… non abbiamo fatto niente di male, Tim e io abbiamo solo parlato…”

 

Parlato??” tuonò Harry.

 

“Coi tuoi cugini da soli di là?” replicò furibonda Ginny. “Senza aver chiesto il permesso di invitarlo a casa degli zii, senza aver detto niente a noi?!”

 

“Ehi, tu!” Harry attirò l’attenzione di Tim schioccando le dita un paio di volte. “Mi auguro caldamente per te che sia vero che non avete fatto niente, ma ti consiglio di aprire quella porta, uscire e non farti vedere per i prossimi cinquant’anni, sono stato chiaro?”

 

Tim naturalmente non se lo fece ripetere due volte, e Julie lo vide correre fuori a tempo di record. “Era questo il modo di cacciarlo??” strillò, mentre lacrime di rabbia le pungevano gli occhi.

 

“Non aprire bocca, signorina!” le rispose sua madre. “E meno male che mi ero fidata di te…”

 

“Chi te l’ha chiesto!!” urlò Julie. “Non vedo perché devo pensare sempre io a tutti!! E poi non ho fatto proprio niente di male, ho solo invitato un amico a casa e guarda come l’ha trattato papà!! Sono stati loro a combinare il casino, io non c’entro!!”

 

“Certo, come no!” le urlò il fratello. “Peccato che fossimo tutti d’accordo fino a qualche ora fa!”

 

“Tu sta’ zitto, brutto…”

 

Julie!”

 

“Ne ho abbastanza!!!”

 

“E’ tutta colpa tua!!”

 

Mia??? Non sono io che non riesco a spiccicare due parole di senso compiuto!!”

 

“No, chi sa come te lo sei slinguazzato il tuo Acciugone Salato, però!!”

 

“Io ti sbriciolo!!!”

 

“Chi cazzo vi ha dato il permesso di andare a quella maledetta festa a voi tre, eh???”

 

“E chi ti ha detto che potevi organizzarti l’appuntamento romantico qua dentro???

 

“Non urlate a quest’ora, che svegliamo tutto il vicinato!!”

 

Ma se stai urlando tu!”

 

“Non alzare la voce con tua madre!!!

 

Katie osservò la scena tranquillamente, restando sulle ginocchia di Simon, e si scansò un ricciolo dal faccino. “Adesso siamo sicuri che siamo tutti Weasley…guarda, hanno tutti le facce rosse rosse.”

 

“E’ proprio vero.” Simon rise e annuì. “Wow, che casino.”

 

 

***************

 

 

Dan continuò a strapazzarsi i capelli con l’asciugamano mentre si avviava dal bagno verso la sua stanza… la pozione di sua madre aveva restituito lucidità a tutti, ma il mal di testa era rimasto, e a quanto sembrava nemmeno la doccia calda era servita a qualcosa. Probabilmente non gli restava migliore opzione di una bella nottata di sonno… perciò lungo il percorso per raggiungere il letto su cui non desiderava altro che buttarsi, Dan cercò di asciugarsi una volta e per tutte i capelli. Inutile a dirsi, la capigliatura sembrava quella di un porcospino a furia di passarci sopra l’asciugamano.

 

Passando lungo il corridoio vide la porta della stanza di sua sorella… era socchiusa, e riusciva a vedere Julie sdraiata sul letto anche da lì. Era rivolta di spalle, guardando verso la finestra, ma dal modo in cui era appallottolata su se stessa ci voleva poco a capire che era in piena crisi. E Dan sentì un immediato bisogno di andare da lei.

 

“Jay Jay, sei sveglia?”

 

“Esci subito.” Piagnucolò duramente Julie.

 

Dan fece una piccola smorfia quando la sentì tirare su col naso, e facendo attenzione all’accappatoio si sedette sul letto vicino a lei. Julie aveva il viso per metà nascosto nel cuscino, e per metà mascherato dal fazzoletto che stava stritolando in una mano. “…con cosa te la sei cavata?” le chiese mestamente.

 

Julie fece una smorfia e lo guardò male, scansandosi bruscamente la morbida ciocca di capelli che l’era ricaduta sul viso. “Secondo te, genio del crimine?! Non posso uscire per due settimane.”

 

Dan fece un piccolo sorrisino. “Ti è andata di lusso perché è la prima volta che ti beccano con le mani nel sacco… io ho il divieto assoluto di andare a Hogsmeade per quattro weekend consecutivi. Mamma ha già scritto alla professoressa McCork, e ho idea che per Jack e Amelia la cosa non sia andata diversamente.”

 

“Ma perché ti ho dato retta!” protestò Julie, colpendo con una leggera pacca il cuscino.

 

Dan scrollò le spalle. “Perché qualche volta fa bene trasgredire… perché non sei un essere perfetto, perché sei una ragazzina… ci sono duemila motivi per cui puoi aver avuto voglia di fare una cosa contro le regole per una volta.”

 

“E ci ho guadagnato davvero tanto.” Borbottò lei.

 

“Io non direi, te la sei cavata con poco… andiamo, vuoi restare per sempre l’unica di noi che sempre rigato dritta senza rischiare mai?”

 

Julie inarcò un sopracciglio. “Non sono l’unica, Simon è altrettanto responsabile e non ha mai…”

 

Dan fece un sorrisetto. “Simon è maledettamente furbo e intelligente, combina il doppio dei nostri casini eppure non si fa beccare mai… beato lui, noi esseri mortali non riusciamo a fare altrettanto.”

 

Julie si raggomitolò ancora di più su se stessa. “Che bell’ aiuto che ti sei dimostrato… non solo mi hai consigliato male, ma mi hai anche fatto beccare subito, grazie mille.”

 

Dan si strinse nelle spalle. “Non l’ho fatto apposta… eravamo un po’ ubriachi…”

 

“Solo un po’?” Julie fece una smorfia. “A giudicare dal tuo alito, sembrava quasi che foste appena scappati da una distilleria in fiamme.”

 

Dan ridacchiò e si massaggiò la nuca ancora umida. “Diciamo che non è stata proprio una mossa da dieci e lode…”

 

Julie s’incuriosì… ora che era completamente sobrio, suo fratello aveva l’aria persino pentita… beh, quasi pentita. “Ma perché avete fatto una cosa così idiota? Che c’è di divertente nel farsi venire un mal di testa a forza di ingurgitare porcheria?”

 

Gli occhi vivaci e decisi di sua sorella misero non poco a disagio Dan, che abbassò lo sguardo. “Non è che ci stai a ragionare poi tanto su queste stronzate, sai… volevamo andare a quella festa perché ci andavano tutti i nostri amici, e quando si è cominciato ad alzare un po’ il gomito… insomma, dovevamo farci solo quattro risate in più. Non era previsto quel casino di dopo…”

 

Julie si allontanò il fazzoletto dal viso. “E ora che sai cosa significa una sbronza, pensi che ripeterai l’esperienza?”

 

Dan arricciò il naso. “Francamente penso proprio di no… te l’ho detto, all’inizio era divertente, però adesso questo mal di testa mega me lo devo sopportare io.”

 

Julie fece una piccola smorfia e annuì. Non ce l’aveva poi tanto con suo fratello… in fondo lui era fatto così le cose le doveva prima provare, poi magari ne traeva le conclusioni. Non era mai stato capace di guardare in faccia a una situazione rischiosa senza mettersi alla prova. Ce l’aveva nel sangue, da quando era piccolo.

 

“Mi dispiace davvero se ti ho incasinato la serata, Jay Jay…” Dan le appoggiò una mano amichevole sulla spalla. “Non volevo metterti in fuga il fidanzato… anche se, detto fra noi, ma dove l’hai pescato quel poveretto?”

 

Julie si mise a sedere. “A differenza di te e di quell’altro campione di tuo cugino, a me non piacciono i ragazzi solo perché sono belli o atletici… Tim è un ragazzo dolcissimo, di una tenerezza innata. E poi mi fa sentire a mio agio.”

 

Dan fece spallucce. “L’importante è che piaccia a te.”

 

“Ma tanto, ormai…” Julie fece un sorriso amaro. “Molto gentilmente papà l’ha congedato per la prossima metà del secolo, quindi credo che posso anche andarmene a letto con l’anima in pace.”

 

Dan le passò un braccio attorno alle spalle. “Sta’ su, Jay! Sai quanti soggettazzi come lui ci sono in giro per il mondo?”

 

Julie riuscì finalmente a sorridere, e gli diede una spintarella. “Non crescerai mai.”

 

“Può darsi, ma almeno mi godo la mia età.” Dan le strizzò l’occhiolino. “E adesso sono contento perché ho tramandato il messaggio anche alla nuova generazione di Potter.”

 

Julie ridacchiò. “Un messaggio utile e valido, da riutilizzare.”

 

“Ovvio.” Dan fece una smorfia. “Anche se in realtà non ti meritavi tanto…”

 

“Ah no?”

 

“Certo che no! Hai interrotto lo spogliarello di Amelia, e adesso quando mi capita di nuovo un’occasione di vederla nuda?”

 

Julie rise e gli tirò in faccia il cuscino. “Depravato che non sei altro.”

 

“…ehi, aspetta, aspetta…” Dan la fermò e le fece cenno di rimanere in silenzio… sentiva il rumorino di qualcosa che picchiava contro il vetro della finestra… e così era: un sassolino, poi un altro… i due ragazzi subito si alzarono per affacciarsi alla finestra… e mentre Julie apparve incredula, Dan fece un sorrisetto stupito nel vedere Tim Delany fuori dal loro giardino, che faceva cenno alla ragazza di raggiungerlo.

 

“E’… è Tim!” esclamò felice Julie, voltandosi verso il fratello.

 

Dan fece un sorrisetto e diede un occhiata all’orologio a muro. “Posso darti un massimo di dieci minuti di copertura.”

 

“Sei un amore.” Julie lo abbracciò e rapidamente corse fuori nel corridoio, facendo bene attenzione a non farsi vedere. Per aprire la porta ed uscire di casa aspettò che Dan avesse rumorosamente richiamato i suoi genitori dall’altra parte, e solo allora si mosse. Tim era nascosto dietro un albero, e lei lo raggiunse in pochi passi rapidi e leggeri.

 

“Ehi!” esclamò, confusa ma felice di vederlo lì.

 

“E-Ehi.” Tim le sorrise timidamente. “Non ti ho svegliata, vero?”

 

“Oh, no… no, non preoccuparti. Stavo accettando le scuse di mio fratello.” Julie si strinse nelle spalle e abbassò lo sguardo. “Anche se, a dire il vero, le scuse avresti dovuto riceverle tu… mi dispiace molto per quello che è successo stasera, dovrai esserti giustamente fatto un’idea terribile di me e della mia famiglia…”

 

“Julie…”

 

“…però credimi, non sono cattivi, solo irresponsabili e impulsivi, ma se li conosci ti rendi conto che…”

 

“No, è che…”

 

“Lo so, anche mio padre è stato maleducato, ma era così arrabbiato e aveva tutte le ragioni per esserlo, la colpa è mia che…”

 

Julie rimase di sasso per un momento… mai e poi mai avrebbe pensato che Tim sarebbe stato capace di interromperla in quel modo… un bacio così improvviso era l’ultima cosa che si aspettava da lui. Ma era anche quello che più aveva desiderato per tutte quelle ore di attesa… e quasi sorrise contro le sue labbra per la gioia. Esattamente il tipo di bacio che si sarebbe aspettata da lui… dolce e non pressante, amorevole e non eccessivo…un dolcissimo incontro di labbra anche un po’ timide e indecise, ma desiderose di condividere quella sensazione di benessere che si erano comunicati con le parole fino a qualche ora prima. Né tantomeno le mani di Tim erano i tentacoli che temeva tanto suo padre… erano stabili sui suoi fianchi, non chiedevano niente che lei non gli volesse dare di sua spontanea volontà, ma la loro presenza era confortante e dolce. E Julie fu ben felice di potergli passare la mani fra i capelli… altro che acciughe, erano solo più lisci, tutto qui… e lei timidamente glieli accarezzò, scoprendo a suo tutto vantaggio che doveva avergli fatto provare una bella sensazione, dato che il bacio diventò più intenso pur restando timido e incerto.

 

Fu Tim il primo a tirarsi indietro, e a inchiodare lo sguardo a terra senza rialzarlo. “Scusami.” Sussurrò.

 

“…e di che?” mormorò Julie, che sbattè gli occhi e scosse leggermente la testa. “A me non è dispiaciuto affatto… anzi! Perché, a te si?”

 

“Stai scherzando?!” Tim si accorse di essere stato irruento nel rispondere vedendo il sorrisetto della ragazza, e subito arrossì. “Cioè, scusa… non volevo… voglio dire, altrochè se volevo…”

 

“Tim.” Julie gli prese il viso fra le mani. “Sono contenta… sono fin troppo contenta. Ho passato una serata bellissima insieme a te, e non sai quanto ci ero rimasta male per il modo in cui era finita… ma poi ti ho visto qui, e non ci ho visto più dalla gioia… se ti scusi mi rovini tutto, è così romantico…”

 

Tim si strinse nelle spalle e fece una piccola smorfia. “Non sapevo se ti andava di baciarmi… te l’ho detto, tu sei bellissima mentre io sono il classico secchione… che ci fa una come te con uno come me?”

 

“Ci passa la serata più bella della sua vita.” Replicò sorridente Julie.

 

Tim fece un piccolo sorriso. “Vorrei… vorrei poterti invitare ancora ad uscire… vorrei fare coppia con te, ma so già che non…”

 

Stavolta fu lui a essere sorpreso da lei… piacevolmente sorpreso, perché quel bacio così improvviso che l’aveva colto alla sprovvista era dolce e soave, eppure vivace e pieno di gioia. Fu col massimo della felicità che rispose a quel contatto, passandole anche le braccia attorno ai fianchi.

 

Julie sorrise contro le sue labbra. “Ritieniti ufficialmente impegnato, e bada che io sono il tipo geloso.”

 

Tim rise e annuì, sentendosi improvvisamente meno teso del solito. “Non dovresti avere problemi con me, allora, anche perché non è che sono richiestissimo…”

 

“Beh, io ti richiedo eccome!” gli mormorò allegramente Julie. “Ancora non so con quale pazienza sei tornato dopo il trattamento di stasera…”

 

Tim scrollò le spalle. “Alle famiglie svitate ci sono abituato, te l’ho detto, anche i miei non scherzano… e mi sembrava assurdo buttare via una serata così bella, non è stata nemmeno colpa tua. Anzi, direi che sei stata grande, hai tenuto testa a tutti proprio bene… mi sei piaciuta dieci volte di più.”

 

Julie sorrise largamente, mentre il vento le scompigliava i capelli. Era così divertente abbandonare i panni della ragazza tutta d’un pezzo per vivere quelli della ragazzina vivace e libertina… Dan aveva ragione, c’era più gusto così. Il casino si addiceva molto di più alla sua età di quanto non lo facesse tutto quel senso di responsabilità che si era sempre voluta sentire sulle spalle… a ben pensarci, neanche i suoi genitori l’avevano mai fatta sentire la mammina degli altri, piuttosto si era assunta lei questo compito… ma adesso che aveva deciso di abbandonarlo, tutto sembrava più divertente.

 

Tim si strinse nelle spalle. “Io adesso dovrei andare… quando ci possiamo vedere?”

 

“Quando vuoi.”

 

“Non ti hanno messo in punizione o roba simile?”

 

Julie sorrise largamente. “Non è un problema, basta organizzarsi. Che ne dici se andiamo insieme alla festa di Michelle Ghuntar martedì prossimo?”

 

“Oh, mi piacerebbe molto.” Tim si avvicinò di nuovo e sorrise. “Allora… me lo dai il bacio della buonanotte?”

 

Più che volentieri, Julie si sollevò sulle punte dei piedi e lo baciò dolcemente… adesso entrambi si sentivano più sicuri, meno indecisi, e anche i movimenti erano meno impacciati… ma la cosa più bella era che stavano imparando insieme, senza fretta, come due complici… come ciascuno dei due aveva sempre voluto.

 

“Buonanotte.” Julie rimase a salutare Tim, che ogni tanto si voltava con un sorriso da ebete, finchè non se ne fu andato… poi fece attenzione a verificare se le voci dei suoi familiari provenivano dall’ingresso, e solo quando se ne fu assicurata entrò di soppiatto, camminando piano per non farsi scoprire.

 

Le voci di sua madre, suo padre e suo fratello provenivano dalla cucina, e lei ci passò davanti che la porta era ancora aperta… appena la vide, Dan smise di parlare. “Alla buon’ora, ci fai proprio la tenda nel bagno tu, eh? Mamma mia, che cosa impossibile…”

 

Uscendo, Dan le strizzò l’occhiolino e si diresse verso la sua stanza. Julie trattenne a fatica un sorrisetto e si voltò vero i suoi genitori. “Io andrei a letto ora.”

 

“Bada, signorinella, che domani mattina voglio parlare approfonditamente con te di quello che è successo stasera.” Le disse duro suo padre.

 

“Va bene.” Julie sorrise a entrambi. “Buonanotte.”

 

Harry la guardò allontanarsi con gli occhi spalancati. “Gin… ha detto veramente va bene senza negare prima cinquanta volte, hai sentito anche tu?”

 

“Ho sentito, ho sentito…” fece Ginny, altrettanto confusa. “…che abbia bevuto anche lei?”

 

 

 

“Dan!” Julie rincorse il fratello e lo fermò prima che entrasse nella stanza. “Me lo fai un favore?”

 

“Un altro?” Dan inarcò un sopracciglio, divertito. “Credevo non ti piacessero i miei metodi…”

 

Julie scosse la testa. “Mi sbagliavo… voglio imparare. Martedì devo andare a una festa ma sono confinata, come faccio?”

 

Dan fece un sorriso da un orecchio all’altro e schiacciò il cinque alla sorella. “Benvenuta nella coalizione anti-genitori, Jay Jay Potter, il regno dove in un niente anche l’impossibile diventa possibile.”

 

 

 

 

** The End **

 

 

Mi rendo conto, non ho ancora aggiornato FMI… ma ehi, un compleanno è sempre un compleanno e ha la precedenza su tutto! ^___________^ Vedrò di rimediare, promesso… nel frattempo voi potreste anche lasciarmi un bel commentuzzo, che li adoro tanto!

 

Rinnoviamo gli auguri al festeggiato! Anzi, Strek, Nenè ha fatto anche lei una cosuccia per te… non è una locandina vera e propria perché lei ritiene di non saperle fare (-________-“), è piuttosto la presentazione del casting della shotty… è stata così brava da trovare le foto dei famigerati giovanotti della seconda generazione con qualche annetto in meno, così sembrano molto simili alle loro versioni giovanili del mio regalo qui… è nel Sottoscala, naturalmente, nella sezione Locandine di BAWM! Insomma, per chi è iscritto, cercatela qui. Ha il nome di questa shotty.

 

Besitos a todos, muchachitos! Alla prossima (quanto prima) con FMI!!

 

Sunny ^_____________^ (tutta felice perché oggi si toglie il gesso alla mano)

 

 

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Capitolo 20
*** My Boo ***


My Boo

Dottoressa Vale auguri!!!!!!!!!! *maracas, trombette da stadio, coriandoli, stelle filanti, spogliarellisti che escono dalle torte, possibilmente rossi…(riferimenti a cose, fatti e persone puramente casuali)* ^_______________^ Amica, sei una laureata, altresì definibile… donna libera!!! *invidia gocciolante*  Poteva mancare un mio regalo? Ovviamente no! Devo dirti che grazie a te molti degli appassionati della coppia Simon/Mel troveranno pace con questa shotty… benefattrice! ^____- Ti lascio al tuo dono… complimentoni giganti e schioccosi!!

 

P.S.:…diciamo che quello che vedrete accadere è successo un anno prima degli eventi di FMI, o giù di lì…

P.S.2: si ringraziano gentilmente Usher e Alicia Keys, perché la loro canzone è proprio azzeccatissima!

 

 

 

MY BOO

 

 

 

 

 

There's always that one person
That will always have your heart
You never see it coming cause
You're blinded from the start
Know that you're that one for me,
It's clear for everyone to see
Ooh baby, you will always be my boo

                                               My Boo, Usher and Alicia Keys

 

 

***************

 

 

Mel sorrise largamente contro le labbra del suo ragazzo, senza nemmeno provare ad allontanarsi da lui. “Ti rendi conto che stai facendo tardissimo a lavoro?”

 

Simon annuì, con un sorrisetto vispo e allegro. “Sono disperato per questo, consolami con un bacetto…”

 

Mel rise e lo accontentò ben volentieri. Con lui era sempre un sogno, non c’era mai niente di banale… era come vivere una favola ancora più bella perché reale. Simon aveva una predisposizione naturale ad amare, era talmente perfetto ogni volta che apriva il suo cuore a qualcuno… e con lei era semplicemente divino. Anche i baci non erano come quelli ricevuti da altri, i suoi erano… speciali. Pieni d’amore. Lui dava tutto, senza trattenere niente… e lei non era da meno. Tutti li prendevano in giro, li chiamavano la coppia perfetta, quella incapace di scoppiare… scaramanticamente Mel avrebbe preferito che si fossero risparmiati questi commenti, ma non le importava più di tanto… amava troppo il suo ragazzo per lasciarsi condizionare da quelle idiozie.

 

E la cosa più bella era che dopo cinque anni, ancora sentiva il cuore che le batteva all’impazzata quando la baciava… come quella mattina. Avevano fatto in modo di incontrarsi per fare colazione e andare a lavoro insieme, ma al momento opportuno non erano stati capaci di scollarsi… Mel aveva accompagnato Simon fin fuori dal suo allevamento, tanto era di strada per il suo giornale, ma quando gli aveva dato il primo bacio poi era arrivato il secondo, poi il terzo… e non erano stati più in grado di fermarsi, erano lì a baciarsi da un quarto d’ora buono.

 

“…amore…” Mel ridacchiò, mentre cercava di staccare la testa di Simon dal suo collo. “…amore!”

 

Simon mise un adorabile broncio. “Odiosa.”

 

Mel rise e gli accarezzò il viso. “Se tu mi tenti, dolcezza mia, io non me ne vado più da qui… resto tutto il giorno con te, mi faccio licenziare dal giornale, non avremo i soldini per la vacanza…”

 

Simon arricciò il naso. “Un quadretto positivo, niente di meglio per incominciare la giornata.”

 

“No, purtroppo per noi è un quadretto fin troppo realista.” Mel gli sfiorò il naso con le labbra. “Voglio finire presto oggi, così mi faccio bella per te e andiamo a mangiare fuori… magari in quel bel ristorantino con i lampioncini, quello del mese scorso.”

 

“Sissignora.” Simon le fece un sorrisetto dolce e allegro. “I lampioncini vuoi, e i lampioncini avrai.”

 

“Quando è finita questa produzione industriale di miele… Weasley, per caso ti ricordi che hai un lavoro?”

 

Simon ridacchiò e si voltò. “Si, Sam, me lo ricordo…”

 

“Scusalo, è colpa mia.” Fece Mel, sfoderando il suo sorriso da cucciolo.

 

Sam West, il migliore amico di Simon, era un ragazzone piuttosto grasso e simpatico, buonissimo e anche molto insicuro di sé. Fin dai tempi di Hogwarts aveva sempre seguito fedelmente Simon in tutte le sue decisioni, e anche quando si era trattato di scegliere un lavoro… il buon ragazzone si era convinto che lavorare insieme al suo migliore amico gli avrebbe fatto solo bene. E infatti così era stato… presto anche lui si era affezionato al mondo dei draghi, quello tanto amato dal suo amico, e aveva imparato proprio bene il suo mestiere. Ma per certe cose ci voleva il tocco magico… “E’ inutile che mi fai quella faccia, Mel, tanto resta sempre colpa sua.”

 

Simon rise e annuì. “Va bene, gigante, adesso che mi hai ricordato che devo venire a passare con te il resto della mattina, me li dai cinque minuti per salutare il mio angelo?”

 

Sam scosse la testa. “Non ce li ha cinque minuti, genio… ti sei dimenticato che oggi è giorno di compratori?”

 

Simon alzò gli occhi al cielo e sbuffò. “E ti pareva.”

 

Mel gli accarezzò dolcemente la schiena. Il giorno dei compratori era il dramma mensile di Simon… una cosa che odiava. Una volta al mese si presentavano lì gruppi di persone – generalmente molto ricche – che per i più svariati motivi decidevano di comprare un drago… e pochissimi di loro lo facevano per amore nei confronti di quella razza animale, il più delle volte era per esibizionismo e basta… possedere un drago era un marchio di eleganza per alcune famiglie dal sangue nobile. Cosa che, Mel sapeva bene, il suo ragazzo trovava orribile.

 

“Dai, andiamo…” Sam fece una piccola smorfia. “Il capo ha bisogno di te… pare che ci sia un riccone americano interessato ad Hector.”

 

Simon fece un sorrisetto. “Ah, allora ci possiamo fare due risate.”

 

Mel si accigliò. “Perché?”

 

“Hector è un drago terribilmente irascibile.” Le spiegò Sam. “Simon è l’unico che riesce a calmarlo per più di cinque minuti.”

 

“Non mi piace…” Mel scosse la testa. “Mi fai preoccupare… se questo drago è pericoloso…”

 

“Non è pericoloso, amore.” Simon ridacchiò. “E’ pestifero, è un bambinone capriccioso, nulla di più.”

 

“Comunque non sono tranquilla.”

 

“E allora vieni con me, ti farò vedere che non c’è proprio nulla di cui preoccuparsi.”

 

Mel esitò… poi pensò che arrivare tardi a lavoro non sarebbe stato un problema, avrebbe scattato qualche foto lungo la strada e si sarebbe giustificata dicendo che aveva trovato dei soggetti interessanti… ora la precedenza su tutto ce l’aveva la sicurezza di Simon. “Va bene, andiamo… ma se ti fai anche solo un graffietto sul ginocchio…”

 

“Capita l’antifona.” Simon le passò un braccio attorno alle spalle e si diresse verso l’allevamento.

 

Era una bella giornata primaverile di sole, l’ideale per un gruppo di buontemponi alla ricerca di un lusso in più da aggiungere alla propria villa di sei o sette piani… e mentre si dirigeva a passo sostenuto verso il recinto nella vallata, Simon intuì anche chi era il compratore della situazione. C’era un gruppetto di quattro uomini, tutti rigorosamente in giacca e cravatta, vestiti con completi di diversi colori ma tutti elegantissimi. E si poteva individuare facilmente il capo del branco, perché aveva un vistoso fermacravatta d’oro a forma di falce con tanto di anello altrettanto notevole, in oro bianco, alla mano destra.

 

Decisamente tu tendi ad essere e non ad apparire, eh amico?

 

 “E adesso… oh, eccolo qui.” Richard Sommers, il direttore dell’allevamento, vedendo arrivare Simon gli passò un braccio attorno alle spalle, e gli battè una pacca affettuosa sulle spalle. “Lui è il nostro miglior allevatore, Simon Weasley. Simon, i signori sono della Toyos Corporation.”

 

“La compagnia che sta lavorando al nuovo progetto di Nottetempo.” Simon strinse la mano dell’uomo in abito bianco col fermacravatta d’oro. “E’ piuttosto inattesa la vostra visita.”

 

“Non sai quanto hai ragione, ragazzo mio.” L’uomo si guardò in giro con aria disgustata. “Questi animali fanno un rumore assordante, senza contare che ci sono più escrementi qui che in una fabbrica di concime.”

 

Simon s’incupì… non aveva gradito già quel tono da uomo vissuto, visto che l’uomo davanti a lui non poteva avere più di trent’anni, ma l’ultima frase fu la scoccata vincente. “Sentiamo, cosa ci deve pubblicizzare con un drago?”

 

L’uomo inarcò un sopracciglio. “Prego?”

 

“Considerando che in genere riceviamo le visite di veri intenditori o esperti, e voi non mi sembrate parte né dell’una né dell’altra categoria, resta fuori la soluzione pubblicitaria. Che con voi casca a pennello, visto il nome piuttosto noto. O sbaglio?”

 

Sam si trattenne a fatica dal ridere soprattutto quando vide lo sguardo in tralice che il loro capo stava lanciando a Simon, che dal canto suo non sembrava aver intenzione di prendere in considerazione. Anche gli altri tre uomini in giacca e cravatta si lasciarono scappare qualche sorrisetto.

 

L’uomo col fermacravatta si tolse gli occhiali da sole. “Sei un attento osservatore, figliolo.”

 

Simon replicò con lo stesso sorrisetto falso e di circostanza.

 

Sommers si schiarì la gola. “Ehm… come ti stavo dicendo, questo è il signor Tyler Toyos in persona, ed è qui per scegliere uno dei nostri ragazzi. Da portare con sé in America.”

 

Simon lo squadrò dall’alto in basso. “Posso chiederle a che cosa le serve questo drago?”

 

Sommers sentì le mani che gli sudavano. “Simon…”

 

“Non la prenda come una domanda indiscreta.” Continuò tranquillamente il ragazzo. “Ma li allevo, mi affeziono a loro, e mi piace sapere se dove andranno saranno trattati bene.”

 

“Sarà trattato benissimo a casa del signor Toyos. Rispose a denti stretti Sommers, dominando a fatica la rabbia.

 

Tyler Toyos, l’uomo del fermacravatta, guardò il ragazzo dritto negli occhi senza battere ciglio. “Voglio farmi un ritratto.”

 

Simon non scoppiò a ridere per miracolo. “Un… ritratto?”

 

“Un enorme quadro da esporre nel mio salone, e nel mio ufficio naturalmente.” Tyler sorrise. “Con un drago alle mie spalle, perché come sapete bene i draghi sono simbolo di potere e dominio… sono sempre fuori per lavoro, il mio ritrattista dovrà prendere numerosi appuntamenti con me prima di poter finire questo quadro… è per questo che il drago non lo noleggio ma lo compro.”

 

Simon trattenne a fatica una risata. “E lei crede veramente che un drago resterà fermo dietro di lei, per lasciarsi ritrarre?”

 

“Da questa parte, signori.” Intervenne subito Sommers, lanciando un’occhiataccia al suo allevatore. “Vi mostro i nostri draghi più belli.”

 

Simon guardò con aria di pena il gruppetto che si indirizzava verso la discesa della vallata, dove tutti i draghi erano liberi di restare all’aria aperta sotto gli occhi vigili degli altri allevatori. Quel riccone voleva un drago… per farsi fare un quadro…

 

Sam gli appoggiò una mano sulla spalla. “Non te la prendere… dai, andiamo.”

 

Sommers indicò la vallata piena di draghi. “Ecco, come potete vedere qui abbiamo parecchie razze, le più svariate dimensioni ed età, e…”

 

“Me ne serve uno grosso…” Tyler osservò gli animale senza togliersi gli occhiali scuri. “Uno che incuta tutto il terrore necessario… ecco, quello lì.”

 

Simon fece una smorfia. Aveva appena indicato un drago molto alto e grosso che se ne stava in disparte rispetto agli altri, lontano dagli abbeveratoi e all’ombra di una grande quercia; un drago il cui carattere era quasi impossibile tenere a freno.

 

“Hector?” Sommers si grattò la nuca. “Oh, ehm… s-si, il problema è che…”

 

“Mi piace. E’ maestoso.” Tyler gli si avvicinò ulteriormente. “E’ proprio quello che cerco.”

 

“Il problema, signor Toyos, è che ha scelto un drago di rara bellezza, ma molto difficile da gestire. Fece rammaricato Sommers. “Hector ha un carattere particolare, e se…”

 

Con un sorriso beffardo, Tyler si voltò verso Simon e Sam, che erano in piedi a braccia conserte a poca distanza. “Tu quale di questi animali mi consiglieresti, ragazzo?”

 

Simon increspò le labbra in un sorrisetto. “Nessuno di quelli che ha più di due zampe.”

 

L’uomo proruppe in una risata. “Mi piace questo ragazzo, ha del carattere. Ma resta il fatto che io voglio questo drago, e lo voglio subito.”

 

Sam scosse la testa. “Ne parla come di un oggetto.”

 

Tyler schioccò le dita. “John, scattami una foto col drago alle mie spalle, voglio vedere che effetto fa.”

 

“No, aspetti!”

 

“Si fermi subito!”

 

Simon e Sam non fecero in tempo a fermare l’uomo che estrasse la macchina fotografica… lo scatto ebbe luogo con tanto di flash, e il drago, che era rimasto immobile e silenzioso fino a un momento prima, spalancò i grossi occhi, gettò indietro la testa ed emise un ruggito che fece tremare anche l’aria. Inevitabilmente, presto fu seguito anche da tutto gli altri draghi della vallata, e gli allevatori ebbero il loro da fare per tentare di calmarli. Hector sembrava il più arrabbiato di tutti… si sollevò sulle due zampe posteriori e sbattè a terra le anteriori con forza, facendo cadere a terra Tyler.

 

“…io là ti lascerei!” ruggì fra i denti Simon, mentre balzava su una scopa e volava velocemente all’altezza del muso di Hector. “Ehi! Ehi, Hector! Frena tutto, fratello, sono io… sono io, mi riconosci?” il drago spalancò le fauci ed emise un altro suono assordante. Simon fu più veloce di lui: scattò in avanti, saltò giù dalla scopa e si aggrappò al suo collo. “Ok, ok bello… hai ragione… hai ragione, ragazzo, hai ragione… sshh… sono io… senti la mia voce, Hector… sshh… senti la mia voce… sono io… non ti farò del male… buono…”

 

Poco alla volta le carezze di Simon sul collo calmarono i ruggiti e i movimenti del drago… il grosso animale si placò definitivamente e tornò a posizionarsi come stava prima, sdraiato sulle zampe, e nel farlo abbassò il collo per far scendere Simon. “Bravissimo, sei sempre il migliore.” Il ragazzo gli diede un bacio sul musone duro e rugoso e lo lasciò alle cure premurose di Sam, mentre anche gli altri allevatori a poco a poco riuscivano a calmare gli altri draghi.

 

Tyler si spolverò il vestito. “Santo cielo, questi bestioni incomprensibili… se sapessero quanto l’ho pagato questo accidenti di vestito dubito che…” l’uomo s’interruppe quando vide Simon che marciava verso di lui con un cipiglio decisamente oscuro sul viso.

 

“Mi stia bene a sentire, signor Come-Si-Chiama.” Gli disse duramente, fermandosi a un passo da lei. “Vada a comprarsi un grosso pelouche e usi quello per farsi il suo dannato quadro, perché se pensa di trattare uno di questi draghi come un oggetto solo perché non è abbastanza intelligente da capire che è di un essere vivente che parliamo, allora farà molto meglio a prendere i suoi amici clonati e a uscire da questa riserva nel minor tempo possibile!”

 

Sommers lo spinse indietro e fece un larghissimo sorriso di circostanza. “Mi perdoni, signor Toyos, il ragazzo è giovane e irruento, non deve assolutamente pensare male, se vuole Hector lo facciamo preparare subito, sono certo che possiamo anche raggiungere un ottimo accordo sul prezzo…”

 

Tyler inforcò nuovamente gli occhiali da sole. “Hai ragione tu, figliolo, questi bestioni sono decisamente troppo pericolosi. Userò la foto che ho appena scattato come sfondo al mio quadro.”

 

“Buon per lei.” Replicò asciutto Simon.

 

“N-no, aspetti un attimo…”

 

“Arrivederci, Sommers.”

 

L’uomo osservò il gruppetto di elegantoni allontanarsi verso il recinto e dunque l’uscita della vallata, quindi perse le staffe e si voltò furibondo. “Weasley!!!”

 

Simon lo guardò impassibile, a braccia conserte. “Non urlare, dai fastidio a Hector.”

 

“Stammi bene a sentire, ragazzino, ti rendi conto cos’hai appena fatto?!”

 

“Si, perfettamente.”

 

“Bravo!! Perché mi hai appena fatto perdere un cliente con nove seri al seguito! Un dannatissimo impresario di quelli col nome scritto in oro zecchino sulla targhetta!” Sommers si passò una mano sulla faccia. “Come diavolo ti è saltato in mente di pizzicarlo in quel modo?? Come diavolo ti è saltato in mente?!”

 

Simon s’incupì. “Ehi, io allevo draghi, non carne da macello. Se ti sta bene mi tieni, altrimenti licenziami perché vuol dire che di questo lavoro non ho capito niente.”

 

Sommers lo vide dargli le spalle e tornare ad accarezzare il muso rugoso del gigantesco drago ostile, che ora sembrava dolcissimo. “Razza di bastardino… vieni qui!” l’uomo fece un passo avanti, ma si fermò quando si ritrovò sulla sua strada un accigliatissimo Sam West. “Guarda che non finisce mica così!” proseguì, ma in tono meno minaccioso. “Adesso tu vai su, rincorri Toyos, gli offri anche dieci draghi se li vuole…”

 

“Scordatelo.”

 

“Weasley!!”

 

“Eh dai, capo, lascialo in pace…”

 

“Tu sta’ zitto, Sam!!!”

 

 

 

 

Tyler Toyos imprecò sottovoce mentre risaliva la vallata fino alla recinzione… aveva appena pestato l’ennesima piccola montagna di escrementi di drago. Si chiese come gli fosse saltato in mente di entrare in un posto simile, e di farlo per giunta con le scarpe nuove addosso, ma decise che avrebbe semplicemente lasciato perdere. Si asciugò la patina di sudore che aveva sulla fronte e gettò uno sguardo al recinto davanti a lui… e fu lì che la vide. E la riconobbe.

 

“Melanie? La piccola Melanie Mitchell?”

 

Mel si voltò sentendosi chiamare, e inarcò le sopracciglia… lo sconosciuto elegantissimo che le stava venendo incontro aveva un’aria familiare, ma non riusciva ad inquadrarlo…

 

“Ti ricordi di me?” Toyos si tolse gli occhiali da sole.

 

Mel lo guardò bene… e finalmente le tornò in mente. “Ma certo, sei Tyler! Eri un collega di mamma quando lavorava alla Progettazione del Ministero!”

 

“E ti ho vista che eri alta meno di un metro e mezzo.” Le disse affezionatamente Tyler, salutandola con un bacio su ciascuna guancia. “Ah, ma adesso ti sei decisamente fatta una donna… e che donna, sei veramente bellissima.”

 

Mel arrossì. “Grazie, anche tu sei in forma.”

 

“Come mai sei qui?”

 

“Ho accompagnato il mio fidanzato.”

 

“Il tuo fidanzato?” Tyler sorrise. “Lavora qui?”

 

Mel fece un sorrisetto. “E’ allevatore… il migliore di questo posto.”

 

Tyler seguì lo sguardo adorante che la ragazza stava rivolgendo verso la vallata… era diretto al ragazzo castano che lo aveva affrontato con tanto coraggio e determinazione, e che in quel momento era preso a ignorare il suo capo urlante. Tyler rise e annuì. “Ah, è lui il fortunato… è molto… sanguigno, direi.”

 

“E’ la persona più in gamba che conosco.” Disse subito Mel, mettendo bene in chiaro dalla parte di chi si era schierata durante l’incontro/scontro di prima. “Ha degli ideali e li difende con tutto se stesso, e io lo ammiro infinitamente per questo.”

 

Tyler sorrise. “Assomigli molto a tua madre, sai.”

 

Mel fece un sorriso malinconico. “E’ bello sentirselo dire.”

 

“Che cosa stai facendo al momento? Lavori?”

 

“Oh, si… sono fotografa al Cavillo.”

 

“Non lo conosco.”

 

“E’ un giornale… uhm… si, ecco, è una rivista a caccia di scoop.”

 

Tyler inarcò un sopracciglio. “Un giornale scandalistico?”

 

Mel era rossa come un pomodoro. “E’ solo una sistemazione temporanea, mi serve un po’ di gavetta…”

 

“Sei appassionata di fotografia?”

 

“Infinitamente.”

 

“Perché non me lo hai detto prima!” Tyler estrasse dal taschino della giacca un piccolo biglietto e glielo porse. “Forse non lo sai, ma mia sorella Felice è la direttrice della Felice Toyos Academy School… una prestigiosissima accademia che si occupa di arte fotografica, è a New York ed è per maghi e streghe di talento. Basta che tu me lo dica, e io ti ci faccio entrare anche domani.”

 

Mel rimase per un attimo senza parole, a girarsi e rigirarsi il biglietto fra le mani. Conosceva la fama di quella scuola, e più di una volta ci aveva pensato… ma aveva sempre gettato in un angolo della sua mente quel tipo di pensieri. Il suo mondo era lì in Inghilterra…

 

“Melanie.” Tyler le appoggiò una mano sul braccio. “Stiamo parlando di alta fotografia qui… arte, non scandaluccio da quattro soldi. Sono certo che è frustrante dover lavorare per qualcosa in cui non si crede, ma possiamo fortunatamente porre rimedio a questo.”

 

Mel scosse la testa. “Ti ringrazio per la tua generosa offerta, Tyler, ma New York è un po’ troppo lontana… tutto il mio mondo è qui, e soprattutto c’è Simon…”

 

“Simon ti capirà.” Tyler scrollò le spalle. “Il corso a scuola dura due anni e non di più, se lui ti ama saprà anche rispettare te e i tuoi sogni.”

 

Mel si morse le labbra. “No, io non credo che si possa fare… sono io la prima che non riuscirebbe a stargli lontana per tanto tempo.”

 

Tyler sospirò e le indicò i tre uomini che lo stavano aspettando poco più indietro. “Adesso devo scappare, ma c’è segnato il mio numero e il mio indirizzo su quel biglietto… puoi contattarmi quando vuoi, se ci ripensi. E porta i miei saluti a tuo padre, mi raccomando.”

 

“Grazie ancora.” Mel lo guardò andare via, poi tornò a fissare il bigliettino… e non si accorse della presenza di Simon, che la fece sobbalzare bruscamente. “Oddio, sei tu! Mi hai fatto morire!”

 

Simon era piuttosto accigliato. “Che voleva quello da te?”

 

“Oh… oh no, non voleva niente.” Mel gli sorrise largamente. “Era un collega di mia madre, si ricordava di me e mi ha riconosciuta.”

 

“Mh.” Simon inarcò un sopracciglio. “Nient’altro?”

 

Mel gli prese il viso fra le mani e gli stampò un bacio sulle labbra. “Torna a lavoro, il tuo capo mi sembra furibondo… ci vediamo a pranzo al Paiolo Magico, va bene?”

 

“Va bene. Sta’ attenta.” Simon la salutò, ma rimase a guardarla mentre andava via finchè non fu scomparsa oltre la collinetta.

 

 

***************

 

 

Simon percorse di corsa l’ultimo tratto di Diagon Alley che lo separava dal Paiolo Magico. Era in ritardo, tanto per cambiare, ma la mattinata era stata parecchio strana e confusa dopo la visita di quel tizio col nome strano… Hector era stato più nervoso del solito, e il suo capo si era profuso in una litania di motivi per cui meritava il licenziamento in tronco per avergli fatto perdere un simile acquirente… più confusione del solito, insomma. E così aveva perso la cognizione del tempo.

 

“Ciao.” Simon salutò a volo il proprietario del locale e si sedette al tavolo dove stava Mel. “Lo so, amore, sono in ritardo ma non è stata colpa mia… che mattinata, non immagini neanche cosa… Mel?”

 

Mel volò il viso verso di lui, mostrandogli due grosse lacrime in discesa dagli occhi blu.

 

“Ehi…” Simon subito le prese la mano. “Amore, che è successo?”

 

Mel si asciugò dignitosamente le lacrime. “Sono stata licenziata.”

 

“Licenziata?” Simon si accigliò. “Tu? E perché?”

 

Mel fece una smorfia di sarcasmo. “Perché secondo il mio capo non ho il talento del giornalista dotato di vero intuito… perché invece di fotografare i personaggi famosi nei loro atteggiamenti più intimi, mi perdo a fare foto d’arte che lui giudica anche scadente.”

 

“Quanto credi che valga il giudizio di uno scribacchino che per arrivare alla fine del mese si inventa cazzate a sacchi?” Simon le accarezzò la guancia. “Lo abbiamo sempre detto che in quello schifo di rivistucola non potevi restarci a lungo.”

 

“Si, ma ora sono senza lavoro.”

 

“Ne troveremo un altro, ti aiuterò anch’io.”

 

Mel si strinse nelle spalle. “Vuoi sapere la verità? La verità è che mi sento così… così fuori luogo…”

 

Simon inarcò un sopracciglio. “Fuori luogo?”

 

“Tutti quelli che conosco, e tu per primo, sono innamorati pazzi del lavoro che fanno.” Mel tirò su col naso. “Cosa dovrei amare io del mio?”

 

“Tu ami fotografare…”

 

“Infatti è vero, io amo fotografare… ma fare foto artistiche, o almeno foto che raccontino la società in cui viviamo.”

 

“Un giornale serio, ecco quello che ti ci vuole.” Simon si grattò la nuca. “Forse una soluzione ce l’abbiamo… non è il nostro stile, ma…”

 

Mel si accigliò. “A che ti riferisci?”

 

Simon fece una piccola smorfia. “Papà ha salvato la vita al direttore della Gazzetta del Profeta qualche mese fa, e lui da allora gli è molto devoto…”

 

Mel storse la bocca. “Credevo che io e te fossimo una realtà a parte… credevo che avessimo intenzione di lasciar fuori dal nostro mondo le cariche importanti dei nostri genitori. Altrimenti spiegami perché per andare in vacanza stiamo risparmiando come due scemi, a questo punto facciamocela pagare da papà…”

 

“Non mi fraintendere, Mel.” Simon scosse la testa con decisione. “Non sto dicendo che voglio l’aiuto di qualcuno per farti fare carriera… ma sai che ti dico? Sono un dannato essere umano, e come tale voglio essere libero di commettere degli errori perché non sono perfetto. Io ti voglio vedere felice, e se per farlo devo venir meno a uno dei miei principi… così sia.”

 

Mel si morse le labbra e abbassò gli occhi… Simon era un legittimista, non cedeva mai quando combatteva per un ideale giusto e onesto, eppure per amore suo avrebbe gettato all’aria tutto. Questo la spinse a sporgersi in avanti a cercare un piccolo bacio consolatorio. “Amore, io non… non lo so, però non capisco… tu la tua strada l’hai trovata subito e senza aiuti, perché io non riesco a fare altrettanto?”

 

“Non è mica detto che si deve essere tutti uguali.” Simon le sorrise incoraggiante. “Per trovare la tua di strada non devi mica battere il record dei velocisti. Io ho molta fiducia in te, bimba, e sono certissimo che troverai un lavoro che ti piace e ti farà sentire soddisfatta. Ok, lasciamo perdere le raccomandazioni… compriamoci un giornale e vediamo le offerte di lavoro. Facciamolo finchè non troviamo una soluzione. Ti va? Ti aiuterò io.”

 

Mel strinse forte gli occhi per un momento. “Io… vorrei dirti una cosa, ma non qui. Andiamo fuori, ti prego.”

 

“…va bene…” Simon si accigliò… non gli piaceva quel tono, era sicuramente preludio di qualcosa di spiacevole. Uscirono insieme dal locale dopo aver pagato, e si avviarono lungo la stradina alberata e assolata che conduceva verso la periferia di Diagon Alley, una zona molto più tranquilla e silenziosa. Simon le appoggiò una mano sulla spalla. “Allora, cosa volevi dirmi?”

 

Mel sospirò e si fermò, appoggiandosi di schiena a un muretto. “Sai, quel… quel tizio di stamattina, il compratore…”

 

Simon fece un sorrisetto. “Mister T.”

 

“Si, lui.” Mel ingoiò a fatica. “Lui era un amico di mia madre… mi ha riconosciuta, è stato molto gentile… e in nome della vecchia amicizia che lo legava alla mamma mi ha fatto una proposta.”

 

Simon si accigliò. “Una proposta?”

 

Mel trovò il coraggio di guardarlo negli occhi. “C’è una scuola in America, un’accademia della fotografia molto prestigiosa che dirige sua sorella, è a New York, e…”

 

Simon si irrigidì. “Non mi dire… scommetto che si è offerto generosamente di farti inserire a tempo di record nella lista degli iscritti.”

 

“Esatto.”

 

“E tu gli hai detto che non andava bene?”

 

“Si.” Mel si morse ancora le labbra. “Gliel’ho detto, ma a questo punto sto cominciando a pensarci su…”

 

Simon rimase immobile per qualche istante, poi sorrise. “E’ uno scherzo, vero?”

 

Mel scosse la testa. “Non ho detto che ci voglio andare, ho detto che ci sto pensando…”

 

Simon fece tanto d’occhi. “Ci stai pensando?”

 

Mel si voltò di spalle. Non riusciva a guardarlo in faccia e vedere la sua delusione. “E’ una scuola molto prestigiosa, lì si studia la fotografia come piace a me… è arte, non giornalismo scandalistico… probabilmente è quello che avrei sempre voluto fare, solo che non ho mai avuto il coraggio di andarmene da qui… di andarmene da te…”

 

Simon le si parò davanti. Voleva guardarla dritta negli occhi e capire… “Stai dicendo che c’è qualcosa che non va fra noi?”

 

“Non c’è niente che non va fra noi!” gli disse subito lei, prendendogli le mani. “Io ti amo come e più di prima, e la nostra è una bellissima favola che voglio vivere giorno per giorno perché è la cosa più bella che ho… questa scuola non ha niente a che fare col nostro rapporto…”

 

Simon arricciò il naso. “Certo, assolutamente niente, peccato che ci metta un oceano intero in mezzo.”

 

“Sarebbe solo per due anni.”

 

“Mi stai chiedendo un parere su una decisione già presa?”

 

“Ti sto chiedendo un consiglio perché non ho deciso, e non lo farò se non so cosa ne pensi tu.”

 

Simon si passò una mano fra i corti capelli castani. “Mel… non c’è bisogno di andare oltre oceano per realizzare il tuo sogno. Ci sarà una benedetta scuola di fotografia qui in Inghilterra, se non vuoi fartela pagare da tuo padre posso pensarci io, ho messo da parte un piccolo gruzzoletto… magari non andiamo a fare la vacanza dei nostri sogni, però almeno tu sei contenta…”

 

Mel sentì le lacrime pungerle gli occhi. Simon era sempre così meraviglioso con lei, e cosa poteva dargli in cambio? Perfettamente niente. Uno come lui al suo fianco avrebbe dovuto avere una donna di successo, una donna in gamba almeno quanto lui, e invece…

 

“…parliamone prima, per favore…”

 

Mel lo guardò con gli occhi lucidi. “Se tu credi che per me due anni senza di te siano facili, ti sbagli sul serio.” Gli mormorò, con la voce che le tremava per il pianto in arrivo. “Troverei il tempo anche dove non c’è per venire da te appena possibile, perché so già che ogni minuto senza di te sarebbe una pugnalata al cuore… mi mancherebbe l’uomo che amo, il mio migliore amico, la mia spalla e il mio sorriso…”

 

“E allora cosa ti spingerebbe ad andare, scusa?”

 

“Il mio bisogno di trovare la mia strada.” Mel si asciugò una lacrima. “Voglio essere alla tua altezza, non voglio che tu abbia al tuo fianco una fallita.”

 

“Una fallita?!” Simon si passò una mano sulla faccia. “Fallita per cosa, perché ti hanno licenziato da una topaia e ora sei alla ricerca di un nuovo lavoro? Cosa ti rende una fallita, Mel, me lo spieghi?”

 

“Il fatto che io sia insoddisfatta della mia professione ti basta?”

 

“A me questa sembra piuttosto una crisi di insicurezza… hai perso fiducia in te stessa e pensi che l’unica soluzione possibile sia la più radicale, ma non è così. Io ti voglio aiutare, e tu non me lo lasci fare… perché?”

 

“Perché sento che la mia personalità è debole!” strillò Mel. “Perché non riesco a fare qualcosa da sola senza il tuo aiuto! Ma guardami, non riesco nemmeno a prendere una decisione da sola!”

 

“Ma questo è assurdo!”

 

“No, il problema è che è maledettamente vero!”

 

Simon fece una smorfia di puro sarcasmo. “La raccomandazione che ti voglio offrire io l’hai rifiutata, però quella del tuo amico Mister T va bene, eh? Non mi sembri molto sicura del fatto tuo!”

 

“E hai ragione, è vero!” Mel sentì nuove lacrime di rabbia e tristezza bagnarle le guance. “E’ vero, io non sono sicura di me stessa… ti amo, e ti ho chiesto aiuto per questo…”

 

“Aiuto??” urlò Simon. “Tu mi hai messo con le spalle al muro!”

 

“L’aiuto non doveva essere questo!” urlò più forte Mel. “Quella scuola sarebbe il mio sogno… quello che provo per te non potrebbe cambiare né ora né mai, per me gli altri ragazzi non esistono neanche, e ho la massima fiducia che anche per te vale la stessa cosa… un amore come il nostro può reggere qualsiasi prova, perché non vuoi appoggiare una mia scelta?!”

 

“Perché sono un maledetto egoista, ok?!?” urlò a pieni polmoni Simon. “Perché ti amo tanto che se non ti vedo mi sento scoppiare il cuore, perché per me non c’è quotidianità se non ci sei tu, e non riesco a passarla una giornata senza vedere il tuo viso! Ecco perché!!”

 

Mel singhiozzò e chiuse forte gli occhi. “Pensi che per me sia diverso?”

 

“Penso che ti sbagli, Mel. Dici di essere troppo dipendente da me, ma la realtà dei fatti è che il vero incapace qui sono io… sono io che dipendo da te, e non il contrario. Perché se quella proposta l’avessero fatta a me, io non sarei riuscito a prenderla in considerazione nemmeno per un momento.”

 

Mel scosse la testa. “Non lo puoi dire… ami alla follia i tuoi draghi, e ti fidi di me, potresti benissimo tirare le somme e decidere che senti il bisogno di trovare te stesso.”

 

Simon sospirò profondamente e scosse la testa, appoggiando le mani sul muretto e restando in silenzio per un attimo. Dire quello che doveva dire gli costava troppo. “Mel… la decisione è tua. Devi scegliere tu. Io non posso fare altro che dirti che non è così che supererai la tua crisi di identità, ma so già che non mi ascolterai… non mi resta altro che aspettare il tuo verdetto adesso.”

 

Mel sentì il cuore stringersi in una morsa nell’udire la rassegnazione nella sua voce. “…ma se io trovassi una soluzione di compromesso…”

 

“Non c’è una soluzione di compromesso. Non c’è perché tu ora ce l’hai con me perché non penso alla tua carriera, non lo dici ma è così.”

 

Mel tirò su col naso. “Si, è così.”

 

“Appunto.” Simon chiuse gli occhi per un breve momento. “Prendi liberamente la tua decisione, ma ragionaci… ragionaci a fondo, perché deve essere una decisione definitiva.”

 

Mel lo guardò andare via e provò un turbine di emozioni diverse… avrebbe voluto fermarlo, abbracciarlo, stringerlo a sé e ricordargli che qualunque decisione avesse preso, l’amore non era in discussione… e allo stesso tempo avrebbe tanto voluto sentirgli dire che l’appoggiava, che l’avrebbe aspettata… che proprio perché il loro amore era inossidabile l’avrebbe aiutata a trovare mille soluzioni per far funzionare quella situazione passeggera… e sapeva che lui tutto questo non lo avrebbe mai detto. Perché Simon era l’esemplare umano più vicino che conoscesse alla perfezione, e la perfezione è tale perché lo è in bene e in male.

 

 

***************

 

 

Amelia rise forte e si aggrappò ancora di più alle spalle del suo migliore amico. “Sei cretino, se salti mi fai cadere!” fece ridendo.

 

“Questo è il prezzo da pagare, caro il mio Koala!” replicò Jack, mentre entrava in casa dei suoi genitori saltellando con lei sulla schiena. “Hai osato atterrarmi in pieno allenamento davanti a tutti, mi hai reso uno zimbello… e adesso mi devo vendicare.”

 

“Se tu non fossi rientrato a casa stamattina alle cinque, dormendo solo un’ora, non saresti stato così moscio.” Fece pungente Amelia, mentre cercava disperatamente un appoggio a cui aggrapparsi per liberarsi da quella presa e saltar giù dalle spalle del ragazzone rosso.

 

Jack rise. “L’invidia ha le gambe corte…”

 

Alla fine Amelia trovò lo stipite della porta e ci si aggrappò saldamente, riuscendo così a tornare coi piedi per terra. “Beh, vendicatore solitario, metti da parte i tuoi piani di odio e rimboccati le maniche, perché non ho proprio intenzione di fare tutto il lavoro da sola.”

 

Jack fece una smorfia. “Veramente qui dovrebbe esserci anche il Pannolone a dare una mano, teoricamente questa è casa sua…”

 

“E piantala, hai dato la tua parola a tua madre…”

 

E in effetti a Jack non era stata data molta scelta. Per festeggiare il loro anniversario di matrimonio, Jack, Amelia, Simon e Katie avevano messo da parte un piccolo gruzzoletto e avevano pagato l’anticipo su un viaggio di crociera romantica e bellissima per Ron e Hermione. Inutile a dirsi, i due coniugi avevano gradito infinitamente e senza perdere tempo avevano versato la differenza sulla quota ed erano partiti per quelle due settimane di vacanza. Ma Hermione si era fatta promettere da Jack e Amelia che avrebbero dato una mano a Simon con le pulizie, visto che con Katie a Hogwarts era rimasto completamente solo e stava fuori a lavorare la maggior parte del giorno.

 

“Avanti, cominciamo dal salone così ci togliamo di mezzo la stanza più grossa…” Jack afferrò al volo il secchio e una scopa, ed entrò fischiettando nella stanza… ma si fermò immediatamente quando video quello spettacolo infinitamente triste davanti a sé.

 

Simon era seduto a terra, a testa china, e sulle sue ginocchia aveva il suo vecchio cagnolone Spock… lo stava accarezzando lentamente, dolcemente… e fu allora che si capì che il cane era troppo immobile per essere ancora vivo… drammaticamente troppo.

 

“Spock…” sussurrò addolorata Amelia, chinandosi all’altezza di Simon ed accarezzando il cagnolone. “…no…”

 

Jack mise via la scopa e il secchio e s’inginocchiò a terra, dando anche lui una grattatina amorevole al cane. “Mi dispiace, Simon…” disse piano. “…lo sapevamo tutti che era vecchio…”

 

Simon annuì e tirò su col naso, guardando suo fratello e facendogli un piccolo sorriso nonostante gli occhi rossi e gonfi. “Non ha sofferto… è venuto da me, mi ha leccato la mano, poi si è sdraiato per terra e non si è più mosso.”

 

Amelia gli accarezzò ripetutamente una guancia e gliela baciò. “Mi dispiace tantissimo, piccolo…”

 

“Ti aiuto a seppellirlo, se vuoi.” Gli disse mesto Jack. “Scegli un posto, per me va bene dove decidi tu.”

 

Simon fece una piccola smorfia amara e continuò ad accarezzare il suo cane. “Forse non ci crederete, ma anche se mi mancherà da morire, non sono triste per Spock… so che lui è andato a stare meglio. Nel paradiso degli animali, voglio dire.”

 

Jack fece un sorriso affettuoso e annuì. Simon aveva la fissa del paradiso degli animali da quando era piccolo, era una storia che gli aveva raccontato sua madre quando aveva quattro anni e aveva visto morire un gattino cadendo da un albero, e aveva pianto a dirotto per più di un’ora fin quando Hermione non gli aveva detto che il gattino era più felice ora che poteva correre felice nel paradiso degli animali.

 

Amelia gli sorrise nel più solare dei modi possibili. “Sarà felicissimo lì.”

 

“Si.” Simon fece una smorfia amara. “Però perché tutti hanno improvvisamente deciso di andarsene da me ultimamente?”

 

Amelia si accigliò. “Tutti chi?”

 

Simon sospirò stancamente. Per tre lunghi giorni si era tenuto per sé la storia di Mel, rimpiangendo abbastanza l’assenza dei suoi genitori a cui avrebbe chiesto volentieri un consiglio, ma ora si sentiva così stanco di quel segreto…

 

“Mel vuole andarsene in America.”

 

“In America?” Amelia fece tanto d’occhi.

 

Jack si accigliò. “Perché?”

 

“Perché sono settimane che è in crisi col lavoro… l’hanno licenziata e ha perso fiducia in se stessa. Ed è convinta che la soluzione ai suoi problemi sia iscriversi a una famosa accademia di fotografia che sta a New York.”

 

“Tutto questo è assurdo.” Amelia scosse la testa. “Tu e Mel siete inseparabili, lo sappiamo tutti…”

 

“Aspetta, aspetta un secondo.” Jack cercò lo sguardo di suo fratello. “Mel ha sempre sognato di andare in un posto come questo, o sbaglio?”

 

Simon inarcò un sopracciglio. “Stai dicendo che farebbe bene ad andarsene?”

 

“Assolutamente no.” Jack scosse la testa. “Sto solo dicendo che conosco le donne abbastanza da sapere che se le hai detto di non andare ti sei fottuto con le tue stesse mani.”

 

Amelia lo guardò male. “E con questo che vorresti dire?”

 

“Semplicemente che Mel è in crisi con se stessa, ma è anche arrabbiata perché non trova un lavoro che le piace… e il rifiuto di Simon comporterebbe che tutta quella rabbia e quella frustrazione si scaricherebbero alla grande su di lui, con tanto di benservito finale… non so se mi spiego.”

 

Simon rise ironicamente e lasciò cadere la testa all’indietro, contro il divano. “Mi rifiuto di credere che tu abbia ragione.”

 

“Purtroppo si, fratellino, le ragazze sono una macchina da guerra che conosco abbastanza.” Jack fece una smorfia. “Dimmi che non le hai detto di non andare…”

 

“Ma con chi credi di avere a che fare, con una macchina?!” protestò con forza Amelia. “E’ il suo ragazzo, la ama! E’ normale che il primo istinto sia quello di volerla trattenere a tutti i costi!”

 

“No, invece, trattenere qualcuno è il peggior errore che si possa commettere, fidati!” replicò Jack, sicuro del fatto suo. “E’ vero che per lui sarà un sacrificio enorme, ma avendo un rapporto solido come quello che hanno loro è chiaro che lei gli chieda una cosa del genere, voglio dire… si sente tranquilla, si sente amata, cerca comprensione…”

 

“Sai perché non ti interrompo e ti lascio nelle tue convinzioni, Jack?” gli rispose calmo Simon. “Perché non sei innamorato, non sai che vuol dire. Non lo sai neanche lontanamente, o non parleresti così… forse un giorno verrai da me e mi dirai che hai perso la testa per una ragazza, e allora ne riparleremo.”

 

“Io stavo solo cercando di aiutarti.”

 

“Lo so, e ti ringrazio… ma l’amore è troppo difficile da capire se non lo provi in prima di persona. Se ami non riesci a stare lontano dalla persona amata neanche per cinque minuti, devi per forza vederla, sentirla… devi poter accarezzare il suo viso, sussurrarle che è la cosa più importante per te… devi essere certo che qualunque cosa succeda, tu puoi correre da lei ad abbracciarla, a tenerla stretta a te, a sussurrarle che comunque vada tu ci sei… devi essere tranquillo che puoi proteggerla in ogni momento, non puoi pensare che mancano giorni interi per rivedere il suo sorriso altrimenti puoi perderci la testa… l’amore ti obbliga a provare delle sensazioni che scopri di voler provare tu stesso. Non ti lascia in pace.”

 

Amelia annuì malinconicamente, evitando di guardare in faccia Jack. “Dall’amore non scappi facilmente… ti insegue dovunque vai. Non ti risparmia mai. E’ la più bella delle delizie, ma può anche essere la peggiore delle torture.” Simon le coprì la mano con la sua… la tristezza nella sua voce aveva una nota familiare che conosceva bene.

 

Jack sospirò. “E’ per questo che io l’amore non lo voglio, perché non sono ancora pronto a soffrire tanto… vedi anche tu, se lei dovesse veramente partire dovresti superare due anni difficilissimi e…”

 

“No.” Simon scosse la testa. “Se lei dovesse scegliere New York… significherebbe che io non ho capito niente della nostra storia.”

 

Amelia sbattè gli occhi. “Vuoi dire che non la aspetteresti?”

 

“E se ti facessero qualche buona offerta di lavoro laggiù? Se i due anni diventassero tre, quattro o cinque? Non ce la farei.” Simon chiuse gli occhi per un attimo. “Perché questa non è l’unica soluzione che ha a disposizione… e su una cosa Jack ha ragione, credo che lo voglia fare perché ha bisogno di mettersi alla prova… ma se fa una cosa del genere, vuol dire che non vuole il mio aiuto. Non vuole le duecento soluzioni alternative che le sto offrendo… quindi vuole essere indipendente da me e da quello che abbiamo creato insieme per tutto questo tempo. Abbiamo sempre affrontato tutto insieme, il fatto che ora non sia così è un chiaro sintomo di malessere della nostra storia.”

 

Jack scosse la testa. “Non sono d’accordo, l’amore non è in discussione… è un momento di crisi, passerà…”

 

“Non passerà con mille miglia di oceano fra me e lei, Jack. Lo so io e lo sai anche tu.”

 

Jack sospirò. “Questo si.”

 

“Io posso solo sperare che alla fine si ricordi di tutto quello che abbiamo…” Simon sospirò profondamente. “Ma purtroppo qualunque decisione spetta a lei.”

 

“Andrà bene, piccolo.” Amelia gli accarezzò la mano. “Mel ti adora, sono certa che alla fine risolverete tutto.”

 

“E poi questo momento difficile è una mano santa, sai?” Jack gli strizzò un occhiolino. “Doveva arrivare prima o poi il momento nero, altrimenti non era neanche una cosa reale, e ora che è arrivato… ve lo togliete subito dalle palle e si ritorna a fare i bravi bambini.”

 

Simon fece un piccolo sorriso… non credeva che risolvere quella situazione sarebbe stato così facile, però una parola di conforto gli aveva restituito un po’ di speranza. Almeno un pochetto.

 

 

***************

 

 

Quando anche l’ultimo raggio di sole fu calato, Mel cominciò a mordersi le unghie nervosamente. Più non lo vedeva arrivare, e più le si stringeva lo stomaco nell’attesa. Aveva un bisogno folle di lui… voleva sentirsi di nuovo fra le sue braccia, ma soprattutto voleva la sua comprensione e la sua fiducia… e le tremavano letteralmente le gambe al pensiero che la sua decisione potesse ferirlo. Tutto voleva meno che vederlo star male per lei… lei che voleva ritrovare se stessa, capire cosa voleva veramente da sé e cosa chiedeva alla sua personalità che ancora non si era rafforzata abbastanza… lei che voleva meritarsela quella stima così amorevole che lui nutriva nei suoi confronti, ma che a volte le sembrava scaturita solo dall’amore. Era talmente abituata a risolvere i problemi col suo aiuto che prendere una decisione completamente da sola le sembrava così strano…

 

I suoi passi di corsa. Ogni pensiero si dileguò dalla sua mente quando lo vide arrivare correndo… e un piccolo sorriso affettuoso le comparve sul volto.

 

Non ci riesci proprio mai a essere puntuale, eh amore mio?

 

“Scusa.” Simon la raggiunse in pochi passi frettolosi. “Non ho visto l’ora.”

 

“Non ti preoccupare.” Mel gli sfiorò la guancia con la mano, poi la ritirò… lui sembrava sulle spine, era chiaro che voleva sapere quella risposta prima ancora di doverla fare una domanda. Dopo aver inspirato molto profondamente, la ragazza trovò il coraggio di non abbassare lo sguardo. “Ho preso la mia decisione.”

 

“Cosa farai?”

 

Mel deglutì a fatica. “Vado all’accademia.”

 

Simon strinse forte gli occhi e si voltò di spalle, incapace di guardarla in faccia un istante di più.

 

“Ti prego, ascoltami!” Mel lo costrinse a voltarsi. “Non lo sto facendo perché non ti amo, o perché penso di poter fare a meno di te per due anni, semplicemente sento il bisogno di prendere una decisione tutta da me… di intraprendere qualcosa che mi restituisca un po’ di fiducia in me stessa… voglio meritarmela la tua stima, voglio meritare di stare accanto a una persona come te… voglio sentirmi forte, una volta nella vita almeno…”

 

Simon rimase a guardarla in silenzio, pregando di non morirci mentre la ascoltava. Perché per come gli faceva male il cuore, poteva tranquillamente restarci secco da un secondo all’altro.

 

“…ho bisogno di fare questo…” Mel gli prese una mano fra le sue. “E ho bisogno di sentirmi dire che mi ami, dimmelo adesso… ti prego…”

 

“Altrochè se ti amo.” Simon sentì la bocca asciutta e impastata… anche parlare era difficile. “Purtroppo.”

 

“Voglio trovare insieme a te tutti i modi che vuoi per vederci almeno due volte a settimana.” Mel gli prese freneticamente il viso fra le mani. “Possiamo fare tutto noi due insieme, non è vero?”

 

Simon fece un sorriso amaro. “Lo credevo anch’io prima… ora non più.”

 

“Amore…”

 

“No… Mel, no.” Simon si districò dal suo tentativo di abbracciarlo. “Forse hai ragione quando dici che per ritrovare la fiducia in te stessa non hai bisogno di me, devi ritrovarla da sola… e deve essere così anche per me, perché ora sono io che non credo più in niente.”

 

“No…”

 

“Credevo che noi due insieme avremmo potuto superare tutto… ma questo non lo avevo previsto. Non avevo previsto che la nostra testardaggine sarebbe stata la nostra rovina. Testarda tu, che fra mille soluzioni ti sei scelta la peggiore, e testardo io, che non voglio fare a meno di te neanche per un secondo.”

 

Mel scosse la testa. “Tu non hai motivo per sentirti in crisi, sei la persona più unica al mondo che esista…”

 

Simon sentì nelle vene il sangue pulsargli per la rabbia. “Piantala! Sono un maledetto essere umano, sono pieno di difetti… sono egoista, va bene? Sono così egoista che non sono pronto a vederti andare via da me per tanto tempo, così egoista che non sono d’accordo con te… e sono così egoista che riconosco che lo sei anche tu! E dopo tutti questi anni la nostra storia finisce per questo, non riesco ad accettarlo… noi eravamo una squadra, la migliore che ci fosse in giro, e accettare questo adesso…”

 

“Allora non farlo!” lo supplicò lei. “Non mettere fine a questo, non mettere fine a noi…Simon, ti supplico… non reagire così, parliamone…”

 

“Come mi hai parlato tu della tua decisione?”

 

Mel si sentì trafiggere da quello sguardo così duro, e abbassò gli occhi. “Non sono l’unica ad aver fatto una proposta del genere al proprio compagno, Simon…” sussurrò piano. “E non tutte le storie finiscono per una cosa simile… noi abbiamo una favola, non voglio sciuparla… non voglio perderla, sono disposta a lottare fino alla fine, ma se tu non mi aiuti…”

 

“Il punto è che forse io non sono la persona che speravi che fossi, Mel.” Simon scosse la testa, mentre la sconfitta e la rassegnazione gli si dipingevano a caratteri cubitali sul volto. “Forse hai ragione tu a voler partire, e io ho torto a volerti trattenere… ma sono fatto così. In questi ultimi anni non sono riuscito a stare nemmeno un giorno senza vederti, e non sono pronto a rinunciare a te per un sogno che potresti tranquillamente realizzare qui… ma la vita è tua, e chi sono io per impedirti una cosa del genere… giusto?”

 

Mel sentì le lacrime pungerle dolorosamente gli occhi quando la guardò in faccia. “Questo è un addio?” piagnucolò.

 

Simon fece una piccola smorfia amara e trattenne il respiro per un attimo. “…già.”

 

Due lacrime silenziose e spietate scesero lungo le guance di Mel, che annuì una sola volta e fece un piccolo sorriso. “Mi credi se ti dico che non riesco quasi a crederci?”

 

“Cazzo se ti credo.” Simon si passò una mano fra i capelli. Aveva sempre saputo esercitare un ottimo controllo sui suoi sentimenti, ma ora quel controllo stava pericolosamente andando a farsi quattro passi… aveva una voglia folle di farsi un bel pianto liberatorio sano e distensivo, eppure sapeva in cuor suo che non darebbe servito a niente. E quando vide piangere lei sentì l’impulso naturale di asciugarle le lacrime con le dita. “Non piangere… non mi piace quando piangi.”

 

“Non ci incontreremo più?” gli chiese in un soffio lei, socchiudendo gli occhi quando sentì le sue mani sulle guance.

 

Lui le fece un piccolo sorriso. “Mai dire mai… forse quando sarai una fotografa famosa verrai a comprarti un drago da giardino.”

 

Persino in quel momento così orribile era riuscito a strapparle un sorriso… Mel ingoiò le lacrime e gli prese il viso fra le mani, decisa a dargli almeno l’ultimo bacio… e fu davvero l’ultimo, nel modo in cui se lo stavano scambiando. Disperato, triste, malinconico, e maledettamente pieno d’amore…

 

Simon si separò dolcemente da lei, lottando con se stesso per non piangere. “Buona fortuna, amore mio.” Le sussurrò pianissimo, e senza aspettare una risposta si allontanò a passi decisi da lei. E strinse forte gli occhi per non far scendere quella maledetta lacrima, ma quando in lontananza la sentì singhiozzare, beh… le sue emozioni ebbero la meglio.

 

 

***************

 

 

Una settimana intera.

 

Una settimana e già le mancava tanto…

 

Mel chiuse la valigia con un click delle chiusure a scatto, e rimase in piedi a fissarla. In meno di un’ora sarebbe partita per New York… era tutto pronto, ormai, doveva solo indossare il cappotto e uscire. E possibilmente, doveva lasciare lì tutti quei sensi di colpa e quel rimorso che non la lasciava nemmeno respirare a volte.

 

Aveva preso la decisione giusta, in fondo non poteva andare avanti ancora a lungo in quel modo, senza avere una personalità stabile e forte… Simon era forte, forse il più forte che conoscesse, e lei si affidava sempre a lui per una scelta… l’aveva sempre fatto. I suoi consigli erano una necessità per lei… e adesso doveva imparare a farne a meno. Quando aveva preso la decisione di partire aveva sperato con tutte le sue forze che lui l’appoggiasse, ma forse era stato meglio così… adesso aveva l’assoluta certezza che almeno per un periodo di tempo poteva mettersi alla prova e capire se era soddisfatta di sé, se era in grado di prendere una decisione seria anche senza di lui.

 

Solo che non aveva messo in conto quanto le sarebbe mancato… perché le mancava tanto da lasciarla senza più lacrime, a volte. Aveva sperato con tutte le sue forze che in quella settimana lui la chiamasse, andasse da lei per dirle che non riusciva a stare senza di lei, ma niente… lo aveva aspettato tutte le notti alla finestra, ma non era mai venuto.

 

“Mel?”

 

La ragazza si voltò. Suo padre la stava aspettando sulla soglia della porta, con un’altra valigia in mano.

 

“Sei pronta, tesoro?”

 

Mel annuì. “Si.”

 

Suo padre esitò. “Sei… assolutamente sicura che è questo che vuoi, figliola?”

 

E’ questo che vuoi?

 

Mel fece un sorrisino malinconico… una sola frase, eppure quanti ricordi…

 

 

 

 

 

Era così carino… con quell’aria tutta concentrata, nonostante il caldo era l’unico capace di resistere a quell’ora nella biblioteca su cui batteva un sole assurdamente caldo per un inizio di Maggio ancora primaverile… tutti si lamentavano per quel compito che aveva assegnato il vecchio professore di Storia della Magia, un ometto tanto vecchio da avere la pelle traslucida… ma lui no.  Simon non aveva protestato neanche un po’… la ricerca era sul rapporto fra l’uomo e il drago nei secoli, praticamente la sua materia preferita… era l’unico in quella torrida biblioteca ad aver già scritto più di una pergamena.

 

E lei non riusciva a smettere di fissarlo… i capelli spettinati, il viso concentrato mentre fissava le pagine di un librone sulla grossa scrivania, le labbra leggermente socchiuse e il naso appena un po’ arricciato in quell’adorabile espressione che assumeva sempre quando si concentrava su qualcosa… le lentiggini sparse sugli zigomi e sul naso erano una tentazione per lei, che aveva sognato di contargliele a suon di baci un milione di volte… aveva la fronte imperlata di sudore, la cravatta slacciata, le maniche della camicia arrotolate sui gomiti, eppure a modo suo era così ordinato per essere un sedicenne…

 

Lei non stava affatto studiando, a differenza sua, non riusciva a smettere di rubare occhiate… e la sua concentrazione era ridotta al minimo grazie a quel massaggino adorabile al palmo della mano che lui, distrattamente, le stava facendo. Glielo aveva chiesto lei, adorava sentire le sue mani sulla propria pelle… come poteva sperare di riuscire a studiare con lo spettacolo che aveva proprio davanti a sé? Ogni tanto abbassava gli occhi sul libro, fingeva di girare pagina, ma poi tornava a fissare lui… a fissare le goccioline che dolcemente dalla tempia gli scivolavano lungo la guancia, e doveva lottare con se stessa per non allungare la mano ed asciugargliele con una carezza…

 

Non fu abbastanza svelta ad abbassare lo sguardo quando lui alzò il viso… e le rivolse quel sorrisetto vivace e furbetto che l’aveva fatta innamorare, quel sorriso intelligente e scaltro che teneva fede al cognome che portava… gli sorrise in risposta, imbarazzatissima per essersi fatta sorprendere a fissarlo, però poi lesse qualcosa nel suo sguardo… qualcosa di strano, di diverso… ma di riconoscibile… che fosse stato… amore? Lo stesso sentimento che provava lei? Era quasi impossibile a credersi, ma perché no… non poteva essersi sbagliata, conosceva bene Simon… lo vide distogliere frettolosamente lo sguardo e tornare a guardare il libro, ma aveva le guance più rosse ora, le lentiggini non spiccavano più così tanto…

 

Che si fosse sbagliata o no, non aveva intenzione di lasciar cadere la cosa… avrebbe fatto i conti con un eventuale rifiuto solo dopo, ma ora… ora non riusciva a vedere altro che lui, quel viso così familiare e così dolce, così amato e desiderato… non aveva paura di provare, perché con lui non aveva mai paura di niente…e poi che cosa diavolo era a fare una Corvonero se non era abbastanza intelligente da trovare il coraggio delle sue azioni?

 

E fu così che si avvicinò ancora di più con la sedia al suo posto, cogliendolo di sorpresa… lui la guardò confuso, e lei gli fece un piccolo sorriso mentre sentiva il cuore che le tamburellava a mille… si sporse verso di lui, e lo vide trattenere per un attimo il respiro e spalancare gli occhi… era così adorabile… e aveva le labbra più dolci che avesse mai baciato prima. Era sorpreso, ma non rigido… lei si aspettava persino di essere respinta, ma quella mano non arrivò mai… arrivò per accarezzarle la nuca… ne arrivò un’altra per stringerla a sé, mentre lei affondava le sue sulle sue spalle, per abbracciarlo di più, per assicurarsi che non era un sogno quello, che era tutto vero e soprattutto che quel bacio iniziato da lei ora era diventato più profondo e più sicuro perché anche lui stava rispondendo.

 

Quando all’improvviso lui si fece indietro, lei potè giurare che il cuore le si era fermato nel petto. La stava fissando con un’espressione quasi incredula ma felice, eppure ancora così incerta e insicura… e poi quella domanda appena sussurrata…

 

“E’ questo che vuoi?”

 

Si… si era l’unica risposta possibile, perché lo voleva con tutte le sue forze e tutta la sua volontà. Potè solo annuire, passargli una mano lungo il collo fin tra i capelli per attirarlo di nuovo giù e baciarlo ancora… si, si… si, era quello che voleva… solo ed esclusivamente quello… in quel momento e per sempre…

 

 

***************

 

 

Era così carina… tutta rossa in viso per quell’ondata di calore anomalo che aveva investito l’Inghilterra quell’anno, calore che in quella biblioteca sembrava essere centuplicato dai raggi del sole che penetravano attraverso i finestroni. Ma a lei il sudore donava infinitamente, con quelle delicate goccioline che le imperlavano la pelle chiara… tutto di lei era bellissimo. A cominciare dai morbidi capelli neri racchiusi in una coda, da quei bellissimi occhi blu mare dolcissimi e caldi, e da quel fisichino snello al punto giusto… per finire al modo in cui si era sistemata la divisa in occasione di quel caldo assurdo, con la camicia ampiamente sbottonata che offriva spazio all’immaginazione di un povero disperato come lui… lui, che era ridotto a rubare occhiatine quando lei non guardava.

 

Normalmente a quell’ora un saggio sui draghi l’avrebbe già abbondantemente finito, ma non riusciva a concentrarsi sentendo la pelle liscia del braccio di Mel sotto la sua mano. Era così delicata e soave, faceva venire voglia di accarezzarla tutta… e quell’aria accaldata che aveva, era così adorabile…l’avrebbe guardata per ore senza mai stancarsi…

 

Peccato che scelse di tornare a fissarla come uno scemo proprio mentre lei lo stava guardando… che figura da fesso. Le sorrise allegramente, ma non potè fare a meno di notare quanto era bella… gli faceva quasi desiderare di buttare all’aria tutto e gettarsi a capofitto su di lei… distolse lo sguardo in fretta, prima di mettere ulteriormente in imbarazzo se stesso e lei. Cosa avrebbe dovuto pensare lei ora? Che anche lui era come tutti gli altri, che le lanciavano occhiatine golose appena se ne dava la circostanza? Che stupido, stupido idiota che si sentiva…

 

Poi avvertì il suo calore… la vicinanza del suo corpo, non si era accorto che gli si fosse avvicinata tanto… e spalancò gli occhi quando la vide sporgersi verso le sue labbra. Non riusciva a crederci, se era un sogno non voleva svegliarsi… era parecchio che sognava un bacio da lei, ma nemmeno la sua immaginazione aveva mai partorito quell’esplosione di emozioni… la strinse forte a sé, e quando sentì le sue mani delicate avvinghiarsi alle sue spalle quasi perse il delicato controllo che poteva avere un ragazzo sedicenne baciato dal suo amore di sempre. E fu in quel momento che lo colse un timore… aveva bisogno di sentirselo dire… aveva bisogno di sapere con certezza che non si stava sbagliando… Si separò da lei, seppure contro voglia, e la guardò dritta negli occhi.

 

“E’ questo che vuoi?”

 

Che voce strozzata, quasi non la riconosceva come la sua… le vide accennare un sorriso, e si sentì attirare di nuovo verso le sue labbra… e a quel punto sentì il cuore riempirsi di gioia, una gioia immensa e mai provata prima. Dubbio sparito.

 

 

 

 

 

Simon sorrise senza aprire gli occhi, ringraziando la pioggia che gli bersagliava la faccia abbastanza da nascondere le due lacrime che gli erano scivolate sulle guance. I capelli gli ricadevano sul viso stanco e affaticato, le mani stringevano forte il legno del recinto della sua amata riserva, quella maledetta canotta che aveva addosso gli dava più fastidio che mai… aveva voglia di sentire addosso solo la pioggia, per avvertire la sensazione di liberazione… forse la pioggia poteva lavargli un po’ l’anima, ripulirgliela da quelle sensazioni di dolore così intenso… o forse no. Quella malinconia e quella rabbia se le sarebbe portate dentro per un bel po’ di tempo, e nessun temporale o uragano avrebbero potuto aiutarlo in questo. Doveva solo imparare a convivere con queste sensazioni per un po’. Solo quello.

 

Sentì una mano grassoccia appoggiarsi affettuosamente sulla sua spalla, e annuì lentamente. “Non ti preoccupare, Sam.” Disse piano. “Va tutto bene.”

 

Sam si strinse nelle spalle robuste. “Posso fare qualcosa per te?”

 

“Oh, si.” Simon gli indicò l’abbeveratoio. “Perché non le porti tu le vitamine a Hector?”

 

Sam fece un sorrisino. “Perché come minimo mi stacca un braccio… lo sai che quella roba la prende solo da te.”

 

Simon annuì e si sforzò di fare un piccolo sorriso, raccogliendo da terra il secchio e avviandosi verso l’abbeveratoio mentre la pioggia lo inzuppava beatamente fino al midollo.

 

Sam si ciondolò sui piedi. “E’ partita stamattina, non è vero?”

 

“Si.” Simon riempì il secchio senza alzare lo sguardo.

 

Sam fece una piccola smorfia. “Magari ci ripensa, chi può dirlo… insomma, lei ti ama moltissimo, e anche tu… voi siete la coppia per eccellenza, io dico che non può finire così. Forse aveva solo bisogno di mettersi alla prova…”

 

“Grazie lo stesso, Sam.” Simon gli battè sulla spalla una pacca gentile. “Lo apprezzo molto.”

 

Sam lo guardò mentre si avviava senza il minimo entusiasmo verso il grosso drago irascibile che in quel momento giaceva buono sotto la sua quercia, e si rese conto che non c’era davvero molto che potesse fare per il suo migliore amico. Nonostante questo, gli dispiaceva di non poterlo aiutare come lui aveva sempre fatto invece nei suoi riguardi.

 

Simon si avvicinò a Hector e appoggiò il secchio a terra, incrociando lo sguardo del drago per un momento. “Ehi, bello.” Gli sussurrò, accarezzandogli il muso e ottenendone uno sbuffo amichevole in cambio. “Credimi, oggi più che mai non vorrei darti questa merda.”

 

Il grosso drago sembrò quasi percepire la tristezza nelle carezze di Simon, perché a un certo punto sollevò il poderoso collo e sporse il muso finchè non urtò dolcemente lo stomaco del ragazzo, quasi come se stesse cercando di dargli una bottarella affettuosa. Simon sorrise e gli baciò il muro rugoso, chiudendo per un attimo gli occhi e lasciandosi colpire a fondo da quella pioggia così fitta e intensa. Forse era la sua malinconia, forse l’effetto dei rumori della natura, ma se si concentrava abbastanza riusciva perfino a sentire la sua voce… la voce del suo amore che lo chiamava… Dio, se la tristezza ne faceva di scherzi…

 

…però Hector si era irrigidito come se avesse sentito la presenza di un altro essere umano…

 

Simon si voltò di scatto, facendo difficoltà ad aprire gli occhi sotto quella pioggia scrosciante… e il cuore gli si fermò.

 

Lei era lì… era lì davanti a lui.

 

Era bagnata fradicia, spettinata, sporca di fango… e aveva sul viso il sorriso più bello e radioso che  aveva mai visto prima.

 

…che cos’è, uno scherzo? Un sogno? Un miraggio?

 

Simon boccheggiò… la sentì chiamare il suo nome… sembrava vera, forse era vera, forse non stava sognando… la vide avvicinarsi le mani alla bocca come per amplificare la voce, e poi… e poi…

 

“SPOSAMI!!!”

 

Simon non seppe mai se in quel momento la sua prima reazione fu una risata o un singhiozzo… non riusciva a sentire il rumore della pioggia, le urla di incoraggiamento e gioia dei suoi amici allevatori poco distanti da loro, che avevano sentito… l’unica cosa che riusciva a vedere era Mel, la sua faccia radiosa come mai lo era stata, il suo sorriso disteso, sereno, sicuro… i suoi occhi vivi e determinati, ora liberi da quella patina di dubbio che li aveva velati in quelle ultime settimane…

 

Con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro, Simon le andò incontro a grandi passi… le corse letteralmente incontro, e lei fece altrettanto… si incontrarono a metà strada in un abbraccio famelico e in un bacio disperatamente felice e desideroso, traboccante di desiderio di recuperare tutto ciò che si era quasi sgretolato sotto il peso di un momento difficile… mani fra i capelli, unghie affondate nelle spalle, corpi avvinti l’uno all’altro in una stretta scivolosa e precaria, eppure sicura più che mai… non si capiva nulla, ma era la più bella confusione che avessero mai provato in vita loro.

 

Simon ruppe il bacio solo ed esclusivamente per ragioni di respirazione, e le prese il viso fra le mani mentre la guardava come se fosse un diamante purissimo appena trovato in una miniera di carbone. Non riusciva ancora a crederci, lei era lì… non era partita… e gli aveva chiesto di…

 

“E’ questo che vuoi?”

 

Mel rise gioiosa e lo attirò giù per un altro bacio ancora più intenso del precedente, abbracciandolo più stretto che poteva. Oh, si… si, era proprio questo che voleva. Nell’ultimo periodo si era sentita debole, incapace di prendere una decisione da sola… e invece ora avvertiva una nuova energia scorrerle nelle vene, una energia che le veniva dall’amore… era stata capace di prendere la più importante decisione della sua vita senza pensarci un attimo, da sola, senza il consiglio di nessuno, e sapeva di aver scelto bene… aveva rinunciato a quella accademia, aveva rinunciato a un cammino che si era resa conto tutto in una volta di non aver bisogno di percorrere. Voleva un sogno da esaudire… eccolo lì il suo sogno, era lì in piedi davanti a lei. La favola che stava vivendo con il suo Simon era il suo sogno, ora era certa di non voler investire la sua vita in nient’altro che quello. Qualunque lavoro sarebbe andato bene… la cosa più importante era stare con lui. Vivere quella favola fino in fondo, spazzare via i dubbi perché non ne aveva più. E sapeva che non ne avrebbe avuti più neanche in futuro.

 

Si… si, amore mio, è quello che voglio… in questo momento e per il resto della mia vita. E voglio un gigantesco album di fotografie del nostro matrimonio, perché alla fine ci devo scrivere grande grande “E vissero per sempre felici e contenti…”

 

 

 

** The End **

 

 

 

 

Ecco perchè adoro Simon e Mel, perché sanno risolvere le cose nella metà del tempo che ci impiegano gli altri di FMI! *ogni riferimento a fatti, cose e persone è puramente casuale* ^____________^  Bene, bimbetti belli, adesso vi lascio perché domani è giornata di scuola… ma prometto di aggiornare prestissimo FMI perché ci sono grandi novità in arrivo! ^___^ Nel frattempo, se mi lasciate un bel commentuzzo mi fate un sacco felice! Vvttttb!

 

Sunny

 

 

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Capitolo 21
*** Where the heart is ***


Buon 14° compleanno Hiromi

Buon 14° compleanno Hiromi!!! Questo è il mio piccolo regaluzzo per te… speriamo che l’orda di parenti che si aggirava per casa non mi abbia distratto troppo, spero proprio di farti un regalo che ti piaccia e non ti deluda, insomma proprio come lo volevi tu… un bacissimo e ancora auguri!!! *^_____^*

P.S.: per orientarci… questa shotty dovrebbe collocarsi a giugno, proprio qualche giorno dopo la fine del sesto anno scolastico di Dan, Jack e Amelia. Quindi tecnicamente… viene prima di “Casa Mia”. Tutto chiarissimo, no? O___o

 

 

 

Where the heart is

 

 

 

 

Gotta find a way to get home strong
Gotta find a way back home
Gotta find
the light to guide me along
Gotta finda a way back home
Running for your life won't get you so far
Running for your life so far
Gotta find the road to bring me home slow
Gotta find a way back home

                                    Bluebird of Happiness, Mojave 3

 

***************

 

 

“Muoviti, pappamolla, corri!”

 

“Non c’è motivo di correre in questo modo!”

 

“Balle, tutte scuse! Sei un vecchio lumacone, ecco la verità!”

 

“Senti chi parla! Non sono io che ho compiuto sedici anni proprio oggi!”

 

“Appunto, tu è già un po’ che hai soffiato sedici candeline… e guarda che effetto ti hanno fatto, ti sei rammollito!”

 

Jack non riuscì a replicare… un po’ perché gli conveniva risparmiare il fiato per continuare quella corsa sfrenata, un po’ perché in fondo lo divertiva vedere Amelia così battagliera… era sempre battagliera quando era felice. E dal modo in cui si guardava e stringeva in mano il manico di scopa ancora infiocchettato, si poteva dedurre che fosse più che felice… era briosa. Ancora una volta i suoi genitori avevano fatto centro, pensò con un sorriso il giovane rosso… quell’elegante e velocissimo nuovo modello di scopa era stato il regalo più bello che la sua amica avesse ricevuto quel giorno. E così la festa era riuscita benissimo, e il regalone aveva ottenuto l’effetto sperato.

 

“Ci siamo!”

 

Amelia quasi scavalcò il cancello di casa per l’emozione… moriva dalla voglia di far vedere a suo padre il regalo che aveva ricevuto. Jack quasi faticò a starle dietro… sembrava quasi che per la gioia pattinasse sul pavimento in marmo della casa, era inafferrabile.

 

“Papà!!”

 

Laurence Sheffield era dove sua figlia si aspettava di trovarlo… come al solito alla sua scrivania in mogano, intento a firmare fogli scritti con caratteri così piccoli da costringerlo a inforcare un paio di occhiali da lettura, con un gomito appoggiato sulla pila di fascicoli che ancora aspettavano di essere visionati.

 

Amelia sentì il rumore delle scarpe che facevano attrito col pavimento mentre frenava bruscamente. “Papà! Guarda che bellissimo regalo mi hanno fatto i genitori di Jack!”

 

Il signor Sheffield si tolse subito gli occhiali e alzò gli occhi, contento di poter vedere la figlia così raggiante, e le rivolse un gran sorriso. “Congratulazioni, piccola peste… e così adesso mi dovrò preoccupare ancora di più se non ti trovo per casa, sarai sicuramente su quella…scopa.”

 

Jack riprese fiato per un momento, poi si unì all’allegria generale. “Questa non è una semplice scopa… è un bolide. La stessa versione che ho io, solo che è modello femminile. Vede la disposizione della coda, e anche questa specie di piccolissimo sellino qua…”

 

Laurence rise bonariamente. “Non mi abituerò mai a questo genere di cose. Speriamo solo che non siano pericolose.”

 

“Pericolose un accidenti, lo saranno per chi non sa volare.” Amelia scrollò le spalle allegramente. “Ma dato che io lo so fare, e anche bene, paparone adorato, puoi dormire sonni tranquilli.”

 

“Ah, me lo auguro.”

 

“Cos’è questo baccano?”

 

Amelia alzò gli occhi al cielo. Aveva appena fatto il suo ingresso Charlotte, la terza moglie di suo padre… che poi altro non era che una fotocopia della precedente. Sembrava che suo padre avesse una predilezione per quelle snob col naso perennemente all’insù, le tipiche donne all’antica che lei non aveva mai potuto sopportare. E dire che se ne era trovata già due così per casa! Lei amava moltissimo suo padre, ma certe volte si chiedeva se non lo facesse apposta a scegliere la persona sbagliata da portare all’altare.

 

“’Sera.” Jack alzò una mano per salutare, ma non si sprecò più di tanto.

 

“Ciao Charlotte.” mormorò Amelia, usando un tono molto simile ad una cantilena monotona.

 

La donna era vestita in modo sobrio ma elegante, fasciata da un abito di velluto blu e con i capelli raccolti in uno chignon molto ordinato, e aveva in mano due bicchieri di limonata. Squadrare Amelia dall’alto in basso le venne automatico… coi jeans mezzi strappati, una maglietta più larga di almeno due misure al punto da lasciarle scoperta una spalla, i capelli disordinatamente raccolti in una coda di cavallo e le scarpe coi lacci che le finivano fin sotto le suole, quella ragazzina era quanto di più sciatto e disordinato avesse mai visto in vita sua.

 

“Amelia, tuo padre ti ha regalato proprio ieri un vestito delizioso… perché non lo metti? Ti starebbe d’incanto, e poi s’intona con il colore dei tuoi bellissimi occhi.”

 

Amelia le fece la linguaccia mentre era di spalle. “E dovrei andare in giro vestita da bomboniera?” Jack nascose la sua risata in un colpo di tosse.

 

Charlotte Sheffield chiuse gli occhi per un attimo, come se cercasse di dominare la frustrazione, e appoggiò una mano sul fianco. “Dovresti saperlo, signorina, che tuo padre è un personaggio fin troppo mondano, siamo sempre sotto i riflettori. Una vera signora si distingue dalla classe con cui si mostra, per rispetto a suo marito, a suo padre…”

 

“Si, si, d’accordo.” Amelia scosse brevemente la testa. “Adesso non ho tempo. Papà, guarda questa meraviglia… è una Blackblaze 2020, ultimo modello. Guarda da te…”

 

Il padre prese il manico di scopa e ne osservò con cura i dettagli. Pur non capendoci molto era felice, non era tanto frequente sentire la voce di Amelia così gioiosa. “Davvero molto elegante… ha un bel disegno.”

 

“Puoi dirlo forte, conosco la donna che disegna questa marca di scope.” Amelia si riappropriò del suo regalo, guardandolo come se fosse un barattolo di cioccolato. “E’ un vero genio. Pensa che ha costruito la sua fortuna in questo modo.”

 

“Disegnando modelli per scope volanti?” Laurence Sheffield fece una smorfia divertita. “E’ sempre più evidente che ho sbagliato lavoro.”

 

Jack ridacchiò. “Si è messo d’accordo con mio padre, per caso? Questa frase è il suo tormentone da un po’ di tempo a questa parte.”

 

Amelia accarezzò la sua scopa quasi con venerazione. “Ci vuole il gusto femminile per disegnare capolavori come questi. E poi l’artista è una francese, si sa che dalla Francia parte la moda di classe… non è vero, Charlotte?”

 

“Assolutamente si.” La donna non colse la nota di scherno nelle parole di Amelia, anzi… lasciò la stanza infinitamente felice di quel riferimento al suo vestito di moda d’oltre Manica.

 

“Amelia.” Laurence la rimproverò bonariamente, ma non con severità. “E sentiamo, chi è questo genio delle scope?”

 

“Si chiama Daisy De Blanche.”

 

La mano con cui l’uomo stava firmando tranquillamente uno dei tanti documenti si immobilizzò di scatto.

 

“Mi pare che sia stata anche qui in Inghilterra per un certo periodo della sua vita, ma prima di mettersi a disegnare modelli per manici di scope.” Amelia scrollò assentemente le spalle. “Boh, è Dan che sa vita, morte e miracoli di quelli che fabbricano queste meraviglie.”

 

Jack si accigliò… a lui non era sfuggito il pallore improvviso del padre della sua amica. “Signor Sheffield? Tutto bene?”

 

“Mh?” l’uomo alzò lo sguardo assente. “Cosa… dicevate?”

 

Amelia rimase perplessa. “Papà? Perché hai quella faccia, che è successo?”

 

Laurence decise di darsi una scrollata, e agitò lievemente la mano in tono leggero. “No, scusate… niente, mi sono ricordato solo adesso che ho dimenticato di far preparare una copia del documento per domani. Niente di che.”

 

Amelia scrollò le spalle. “Boh, io non ti capisco… comunque vado a posare questa di sopra e prendo la mia borsa. La mamma di Jack pensava che invece di andare domani mattina da loro, potevo restare da stanotte.”

 

“Si… si, certo cara, vai pure.” Per un momento il padre l’aveva guardata come se avesse dimenticato del suo weekend nel torrido Marocco per lavoro. Ora più che mai desiderava prendere quell’aereo e mettere quanta più distanza possibile fra sé e l’Inghilterra… arrivò a pentirsi di aver permesso ad Amelia di restare dai Weasley, perché l’avrebbe volentieri portata con sé per restare via più tempo…

 

“Io ti aspetto qua.” Jack aspettò di sentire i passi veloci della sua amica su per le scale, poi si voltò vero l’uomo pallido seduto dietro la scrivania. “Signor Sheffield, cos’è successo? Non si sente bene?”

 

“No. No, Jack, per niente.” Laurence si sfilò gli occhiali dal naso e strinse gli occhi, massaggiandosi stancamente la fronte.

 

“Non è per la copia del documento, vero?”

 

“No…” l’uomo tirò un lungo sospiro. “E’ per… questa donna, questa disegnatrice di scope… dov’è adesso, che tu sappia?”

 

Jack scosse la testa. “Non ne ho la più pallida idea, suppongo a casa sua… perché?”

 

“Devi promettermi che la terrai lontano da mia figlia, se mai sapessi che possono incontrarsi. Io farò del mio meglio, ma lei passa più tempo con te che con me… promettimi che non gliela lascerai mai incontrare.”

 

“…va bene, ma continuo a non capire perc…”

 

“E’ la madre di Amelia.”

 

Jack rimase di sasso, con la bocca socchiusa e lo sguardo frastornato. “La ma… sua madre? Quella che…”

 

“Che l’ha abbandonata da piccola. Si, è lei.” Laurence Sheffield si appoggiò stancamente alla spalliera della sedia, ma non osò alzare lo sguardo. “Nessuna delle due riconoscerebbe l’altra, ma se Amelia sapesse… se la conoscesse… non voglio che soffra come ho sofferto io. Non è giusto. E’ per questo che devi promettermi che starai attento a lei… non so dove sia in questo momento Daisy, non so dove sarà domani né tra una settimana o fra un anno, quello che so è che la voglio lontana da Amelia… posso contare su di te, vero ragazzo?”

 

“Certo.” Jack annuì, per quanto si sentisse ancora scosso dalla notizia. “Non si deve preoccupare.”

 

“Grazie. Mi rendo conto che posso sembrare paranoico a preoccuparmi per una donna che vive in un altro stato…”

 

“Non è paranoia…”

 

“Non ti auguro di incontrare mai una donna come lei nella tua vita, Jack.” Laurence sospirò profondamente. “Una che ti ruba anima e cuore… e poi te li mette sotto i piedi senza un briciolo di pietà.”

 

Calò un silenzio imbarazzante. Da una parte c’era un uomo a cui sembrava di provare nuovamente lo stesso dolore di anni prima, con la consapevolezza di non poterlo esternare per il bene di sua figlia, dall’altra un ragazzo che aveva voglia di fare mille domande pur sapendo che sarebbe stato indelicato, e per rispetto di quell’espressione avvilita sul volto del suo interlocutore si tratteneva a fatica la lingua. L’aria era tesa e fremente comunque.

 

“Eccomi!” Amelia rientrò nella stanza di corsa, zaino in spalla, capelli ancora più disordinati e sorriso a trentadue denti. “Non ci ho messo proprio niente, vero?”

 

Jack si riscosse da quello stato di perplessità e forzò un sorriso. “Allora ho ragione quando dico che non sei una ragazza ma un koala… le donne ci mettono un sacco di tempo per prepararsi.”

 

Amelia gli strizzò l’occhiolino. “Beh, non io. Papà, allora ci salutiamo?”

 

“Si… ma certo, tesoro, dobbiamo proprio salutarci adesso.” A malincuore Laurence Sheffield si alzò dalla sua poltrona e abbracciò forte la figlia… aveva un tale desiderio di portarla via con sé, di tenerla sotto controllo per non permetterle neanche lontanamente di provare il dolore che aveva provato lui… “…sei sicura che non vuoi venire con noi?”

 

Amelia arricciò il naso, districandosi gentilmente dall’abbraccio del padre. “Nah, lo sai che questi posti surriscaldati non fanno per me. Io ti aspetto qua… e portami un bel regalo, eh.”

 

“Va bene, tesoro.”

 

“Ci vediamo fra tre giorni!” Amelia uscì dalla stanza facendogli allegramente ciao con la mano.

 

Jack gli rivolse un cenno di saluto meno esuberante, ma rassicurante allo stesso tempo, e il padre di Amelia potè finalmente sedersi in solitudine e abbandonare per un attimo la testa fra le mani. Potevano essere passati anni, ma quelle ferite erano ancora fresche come il primo giorno… come quel lontano giorno di sedici anni prima in cui si era ritrovato con una neonata fra le braccia e una porta sbattuta in faccia senza ripensamenti.

 

 

***************

 

 

Non ti auguro di incontrare mai una donna come lei nella tua vita, Jack… una che ti ruba anima e cuore… e poi te li mette sotto i piedi senza un briciolo di pietà.

 

“…lo possiamo sempre chiedere a Simon, magari lui ci da una mano.” Amelia continuava a camminare allegramente in direzione di casa Weasley. “Tanto a lui non serve neanche leggerle queste notizie, di sicuro ha abbastanza materiale per farci fare quella stupidissima ricerca… così guadagniamo qualche giorno di vacanza in più, che ne pensi?”

 

“…mh?” Jack era ancora così preso dai suoi pensieri che non poteva fare a meno di estraniarsi dalla conversazione. Innanzitutto aveva una gran voglia di raccontare al mondo intero quella notizia bomba che aveva appena appreso, ma si sentiva vincolato da quella promessa e poi… la cosa bella era che sarebbe andato a dire tutto proprio alla sua migliore amica prima di tutti gli altri, che al momento era l’unica persona che non doveva sapere neanche una virgola sull’argomento.

 

Amelia si imbronciò. “Se c’è una cosa che odio con tutte le mie forze… sono quelli che non mi ascoltano quando parlo.”

 

“Come? No, scusa…” Jack sbattè gli occhi blu. “Ti stavo ascoltando… parlavi del Pannolone?”

 

Amelia si accigliò, rallentando il passo. “Ehi, se hai qualche problema e vuoi parlarne…”

 

“Ma no, che ti salta in mente?”

 

“Ti vedo strano…”

 

“Non sono strano.” Jack evitò accuratamente il suo sguardo. “Stavo pensando a una cosa, tutto qui.”

 

“Si?” Amelia increspò il visetto furbo in una smorfia allegra. “E a cosa, di grazia?”

 

Jack ridacchiò e le premette un dito sul naso. “Mai farti gli affari tuoi tu, eh? Beh, se proprio vuoi saperlo… devo dare un palo a Holly Johnson.”

 

“Mmh, però… questa quanto è durata? Due settimane? Record…”

 

“E piantala…” Jack le diede una spintarella.

 

Amelia rise. “Ma nonostante la tua infamante reputazione di sciupafemmine senza cuore, la tua amica ha pensato a te.”

 

“Ah si?”

 

“Si. Ok, tecnicamente ci ha pensato tuo cugino, però il biglietto in mano ce l’ho io, perciò…”

 

Jack inarcò un sopracciglio. “Il biglietto per cosa?”

 

Amelia sorrise largamente e saltellò sul posto. “Sorpresa sorpresa… è il regalo di Dan per il mio compleanno! Ha preso tre biglietti per noi per andare indovina dove… alla conferenza di Daisy De Blanche di Londra domani mattina!”

 

…non ci credo…

 

“Ehi, non metterci così tanto entusiasmo, mi raccomando.”

 

Jack fece fatica ad annotare l’ironia pungente della sua amica… al momento aveva il vuoto in testa. Sembrava incredibile: era una maledetta francese questa donna, e proprio adesso che il padre di Amelia non era nei paraggi… lei piombava in Inghilterra in poche ore! Dire che aveva dell’incredibile sarebbe stato poco, sembrava piuttosto una presa in giro montata a perfezione…

 

“Oh, cretino! Ma non te ne frega niente?”

 

“Mi dici che diavolo ci andiamo a fare a sentire una stupidissima conferenza?!” Jack fece una smorfia disgustata. “Racconteranno le solite frottole da rotocalco, questa farà i soliti sorrisini di circostanza, ci addormenteremo dopo i primi dieci minuti! E poi che cazzo ci fa questa a Londra, non avevi detto che era francese?”

 

Amelia sembrava stupita, confusa e offesa allo stesso tempo. “Non capisco perché ti scaldi tanto.” Replicò acida, incrociando le braccia sul petto.

 

Jack si rese conto di essersi scomposto troppo, e tentò di recuperare in tempo. “Non è che mi scaldo… dico solo che possiamo passarlo mille volte meglio un sabato estivo, insomma… ma che vacanza è chiudersi in uno stanzone pieno di gente a sentire una miliardaria snob che si alliscia le piume perché è troppo brava e intelligente?”

 

“Daisy De Blanche non viene a farsi allisciare le piume.” rispose freddamente la brunetta. “Presenta il nuovo modello di scopa che ha progettato per la nazionale in vista dei mondiali dell’estate prossima. Credevo che ti interessasse il quidditch.”

 

“Il quidditch, non la teoria.” Jack fece una smorfia. “Dai, Popò, cambiamo programma… facciamo qualcosa di veramente divertente!”

 

“Tu fai quello che diavolo ti pare.” Amelia gli prese la mano, gli sbattè senza troppi complimenti un biglietto accuratamente piegato in due, e proseguì nel giardino di casa Weasley senza voltarsi indietro. “Io ci vado.”

 

Daniel Potter, sei morto.

 

Jack alzò gli occhi al cielo e la rincorse. “Tanto sei affidata ai miei per questi due giorni, devi chiedere il permesso a loro. E non è detto che te lo diano.”

 

Amelia fece un sorriso sadicamente furbo. “Ci scommetti?” gli mormorò mentre bussava alla porta.

 

Jack aprì la bocca per protestare, ma venne bruciato sul tempo dalla piccola Katie, che aprì la porta con un gran sorrisone sdentato dei suoi. “Ciao di nuovo!”

 

“Ciao di nuovo a te, tesorino.” Amelia la prese in braccio e le scoccò un bacio nella guancia paffuta.

 

“Non cambiare argomento.” Protestò Jack, trattenendola per un braccio. “Ci vai solo perché l’ha detto Dan… ma lui è un fanatico di queste cose, tu no. Che bisogno c’è?” Amelia lo congelò con uno sguardo furioso.

 

Katie allungò le labbra a cuoricino in una smorfia di dubbio, inclinando la testa bionda. “Sei arrabbiato, Jack?”

 

“Lascialo perdere.” Replicò sbrigativamente Amelia, entrando e lasciando cadere a terra lo zaino che si era portata dietro.

 

“Fanculo, voi donne siete una razza a parte!” bofonchiò fra i denti Jack, entrando precipitosamente e chiudendo la porta di casa con un sonoro calcio.

 

“Si può?” Amelia fece capolino in cucina con Katie ancora in braccio.

 

“Le mie bambine preferite più belle che mai.” Ron sorrise largamente, ma non si allontanò dalla pentola in cui stava buttando un po’ di tutto… o almeno, un po’ di tutto quello che aveva tagliuzzato minuziosamente fino a un attimo prima. “Chi è così carina da venire qui e assaggiare il mio minestrone?”

 

Katie rise felice e si nascose col viso nel collo di Amelia. “Che schiiiiifo, papino fa le cose con le erbe… a me mi fanno schifo le erbe.”

 

“Cucini tu?” chiese interessata Amelia, avvicinandosi e lasciando Katie seduta sul tavolo. “Hermione dov’è?”

 

“Turno di notte… e come vedi, mi ha lasciato i compiti a casa.” Ron le porse un cucchiaio colmo di minestrone. “Che mi dici? Di sale è buono?”

 

Amelia assaggiò… e non potè fare a meno di tossire e scuotere la testa. “Bleah… ma che ci hai messo dentro? Acido? Questa roba corrode!”

 

Ron scoppiò a ridere. “Lo sapevo che il minestrone non è arte mia… ci facciamo una bella frittata?”

 

“Si, la frittata!” Katie battè le manine. “Come mi piace la frittata, la fai come mammina? Mammina ci fa il sorriso dentro…”

 

Ron inarcò le sopracciglia. “Uhm… amore, ti dispiace proprio tanto se la frittata è di malumore e non sorride stasera?”

 

Amelia ridacchiò e svuotò il contenuto della pentola – quella specie di minestrone – nel lavandino. “Ma mica glielo devi fare mentre la friggi, il sorriso… si fa dopo, quando la servi a tavola.”

 

“Hermione fa così?” la brunetta annuì, e Ron ridacchiò. “Ma io dove sono quando succedono queste cose?”

 

“Di solito quando mamma si sporge in avanti tu sei disconnesso, le guardi il culo e noi altri possiamo anche bruciare che manco te ne accorgeresti.”

 

“Bentornato a casa, amabilissimo figlio dalla bocca pulita.” Ron accolse con una pacca sulla nuca l’ingresso di Jack. “Niente parolacce davanti a tua sorella, te la faccio cadere quella lingua.”

 

“Si, ok, tutto quello che vuoi… dobbiamo parlare.”

 

“No, prima io.” Amelia tirò Ron per una mano, ottenendo la sua completa attenzione. “Dan mi ha fatto un regalo bellissimo… domani a Londra c’è la conferenza per la presentazione della nuova scopa della nazionale, e lui ha preso i biglietti… è vero che posso andare?”

 

Ron scrollò le spalle. “Si, se vai con Dan e torni a casa per cena…”

 

Amelia fece un sorriso raggiante, e Jack la spinse bruscamente indietro. “No che non può andare! Se ci va lei ci devo andare pure io, e francamente non mi va di passare così il sabato!”

 

Amelia incrociò le braccia sul petto e lo guardò storto. “Datemi un paio di forbici, così ci tagliamo questo cordone ombelicale e alla conferenza posso andare anche senza di lui.”

 

“Ma quanto sei divertente.” Ringhiò Jack.

 

Ron era accigliato e confuso. “Scusate, io non sto capendo perché litigate.”

 

“Sinceramente nemmeno io!”

 

Jack maledisse in tutte le lingue la situazione, le scope, suo cugino… “Senti, Grande Padre, se ti dico che non dobbiamo andare a questa maledetta conferenza ho le mie motivazioni, che ne dici se per una volta mi credi e mi dai ascolto?”

 

“Davvero?!” protestò Amelia. “Allora perché non me le spieghi?!”

 

Jack si passò le mani in faccia. Urgeva una soluzione… “…non ci posso andare perché… non posso vedere Dan, perché… si, insomma…” Amelia strinse gli occhi in due fessure, Ron inarcò un sopracciglio. “…perché Dan mi ammazza se mi vede. Gli ho soffiato la ragazza, ecco.”

 

Amelia scoppiò a ridere sonoramente. “Tutto qui? Scemo che non sei altro, perché non me l’hai detto prima! Non hai rubato niente a nessuno. Dan e Elanor stanno sempre insieme, e sono anche molto affiatati.”

 

“Problema risolto, allora.” Ron scrollò le spalle. “Potete andarci tutti e tre insieme e poi fare quattro passi per Londra. Mi sembra un’idea carina.”

 

“Carinissima.” commentò acido Jack.

 

Katie tirò Amelia per la maglietta. “Mi accompagni a fare la pipì?”

 

“Sicuro.” Amelia la aiutò a scendere dal tavolo e la prese per mano. “Andiamo.”

 

Jack fece attenzione, attese che Amelia fosse fuori dalla portata della sua voce e subito si voltò verso suo padre. “Fermala finchè sei in tempo.”

 

Ron si accigliò. “Si può sapere cos’è questa storia? Ma che hai, sei strano…”

 

“Amelia non deve assolutamente andare a questa maledetta conferenza!” sibilò a bassa voce il ragazzo. “La tizia che intervisteranno è…”

 

Jack sigillò le labbra a tempo di record quando sentì dei passi decisi e scanditi nei pressi della cucina… e gli scappò una parola di quelle off-limits per le orecchie di Katie quando vide che era solo Simon. Anche se ‘solo Simon’ era una definizione riduttiva… suo fratello marciava a passo di guerra verso suo padre, e quando sbattè con violenza sul tavolo il librone che aveva in mano ottenne definitivamente tutta l’attenzione che cercava.

 

“Tu sei un assassino.”

 

Ron spalancò gli occhi. “Io? Che ho fatto adesso?!”

 

Simon fece due passi avanti con la stessa aria minacciosa che aveva sempre sua madre quando voleva spaventare qualcuno. “Sei un barbaro perché permetti delle cose barbare, sei spietato e soprattutto schiavista!”

 

Schiavista??? Ma se non abbiamo nemmeno uno straccio di elfo domestico, cosa diamine…”

 

“Non si è schiavisti solo perché si esercitano dei poteri in prima persona, ma anche e soprattutto se si lascia correre una situazione immonda come questa!” Simon marcò l’ultima parola puntando l’indice contro il librone sul tavolo. Era un libro sui draghi.

 

“Cos… campione, guarda che sei male informato.” Ron scosse la testa furiosamente… quel ragazzino era pericolosamente simile a Hermione alla sua stessa età quando si comportava così… e chissà perché, gli incuteva lo stesso terrore. “Non lavoro mica all’Ufficio per le Creature Magiche o come diavolo si chiama, quella è roba da Ministero!”

 

“Lo sai quanti draghi muoiono ogni anno perché li trattano come fenomeni da baraccone? Eh?” Simon gli puntò l’indice contro. “Lo sai? Tu sei una persona importante, se tenessi una discussione a riguardo, magari potrebbero anche aprirne un caso e…”

 

“Ah no, scordatelo proprio!” replicò subito Ron arretrando e alzando le mani in cenno di difesa. “Io detesto parlare in pubblico, perché non lo chiedi a tua madre o a zio…”

 

“Mamma dice che lo devi fare tu, perché sei tu il menefreghista!”

 

“Ah, io sarei menefreghista?!”

 

Jack per poco non si strappava i capelli dalla testa. “Per favore, potreste rimandare queste cazzate a un altro momento?”

 

Simon lo guardò in cagnesco. “Ecco, ecco cosa pensano quelli come te! Che sono cazzate… è una specie vivente che stiamo danneggiando, ma tanto che ci importa?”

 

“Ehi, io non ho danneggiato nessuno, sia ben chiaro!” fece Ron. “Solo che non è una cosa di mia pertinenza…”

 

“Devi fare qualcosa, c’è una specie da salvare, certo che è una cosa di tua pertinenza!”

 

“Io salvo la gente, non gli animali!”

 

“Gli animali sanno essere meglio delle persone!”

 

“Sono assolutamente d’accordo, ma che ci posso fare io se li allevano male i tuoi draghi?!”

 

Jack si lasciò cadere su una sedia, nascondendo il viso fra le mani. “E’ un incubo…”

 

Ron increspò le labbra in un’espressione disperata. “Ti prometto che cercherò di fare qualcosa… magari ne parliamo con tua madre domani, va bene? Possiamo calmarci adesso?”

 

“Io non mi calmo finchè questa situazione di abbrutimento andrà avanti.” Simon riprese il librone sotto braccio. “Tu forse sei abituato a voltare la faccia dall’altra parte, ma io decisamente no. E non me ne starò a guardare.”

 

Ron lo guardò uscire e tirò una specie di sospiro di sollievo. “Diamine…” mormorò, passandosi una mano fra i capelli. “…dannata somiglianza… adesso capisco perché Harry diceva sempre che lo immaginava con terrore un figlio maschio col carattere di Hermione…”

 

Jack aprì gli occhi fra le fessure delle dita che ancora gli coprivano la faccia, all’apice della frustrazione, e gli venne spontaneo digrignare i denti. “Se questo spettacolino da due soldi è finito, ti dispiacerebbe starmi a sentire?”

 

Ron lo guardò. “Che mi stavi dicendo tu, scusa?”

 

“Cercavo di dirti che…”

 

“Papino?”

 

Un piccolo ciclone biondo entrò di corsa nella stanza, arrampicandosi in collo a suo padre.

 

“Amore, che è successo?”

 

Katie prese a giocherellare con il bavero della camicia del papà. “A te ti piace tanto tanto la giacca elegante?”

 

Ron si accigliò. “Quella che mi ha tirato fuori mamma per il compleanno di zio Bill?”

 

“Eh, quella.”

 

“…che vuol dire se ci tengo tanto?”

 

Katie scrollò le spallucce e sorrise, facendo bella mostra dei dentini mancanti. “Perché mi sa che Spock non lo sa questo… non ti arrabbiare con lui, non ci ha fatto cacca sopra per farti un dispetto.”

 

Ron spalancò occhi e bocca. “Spock ha fatto cacca sulla mia giacca buona?!?”

 

Jack non ebbe il tempo di far notare ad alta voce quanto pietosa fosse la situazione… Ron corse fuori con la figlia in braccio.

 

SIMON!!! IL TUO CANE MI HA DISTRUTTO UNA GIACCA, E POI SAREI IO IL BARBARO ABBRUTITO?!?”

 

Jack lasciò cadere la testa sul tavolo, sbuffando. In quel momento più che mai aveva una voglia pazza di sua madre, dei suoi consigli saggi, più che altro di un adulto che si fermasse ad ascoltarlo. Non aveva avuto il tempo di assimilare le novità… aveva saputo una notizia sconvolgente che avrebbe voluto raccontare alla sua migliore amica, e non poteva… suo padre gli aveva chiesto un favore apparentemente banale, tenere la figlia lontana da una donna di un altro Paese, e per uno scherzo del destino quella benedetta donna sarebbe stata a meno di dieci metri da Amelia in una manciata di ore. E lui era in panico totale. Certo, poteva andare tutto per il meglio, le cose potevano evolversi senza ripercussioni, ma se qualcosa fosse andato storto… aveva letto una grave sofferenza negli occhi del padre di Amelia. Mai e poi mai voleva vedere quello stesso dolore nello sguardo della sua migliore amica. E dopo un colpo di ‘fortuna’ simile, come poteva credere che tutto sarebbe andato per il meglio?

 

 

***************

 

 

“…ecco, come si può vedere dalla posizione del predellino, la postura della gamba verrà a rivolgersi verso l’interno del corpo, e in questo modo il baricentro sarà ancora più compatto verso il centro della scopa, il che dovrebbe far acquistare un bel po’ di velocità in più a chi ci sarà in groppa…”

 

“Genio.” Dan scosse la testa e continuò a fissare il palco verso cui puntavano tutti i riflettori dello stanzone in cui erano seduti. “Quella donna è un vero genio.”

 

Amelia annuì, altrettanto entusiasta. “Con questi nuovi modelli, l’Inghilterra arriva dritta dritta in finale l’estate prossima.”

 

Jack fece una smorfia di circostanza che doveva assomigliare ad un sorriso, ma sotto le braccia conserte non riusciva a smettere di stringere convulsamente i pugni. La sala in cui erano seduti assomigliava piuttosto a un anfiteatro per la sua forma, per la disposizione dei posti a sedere e per il palco interamente occupato dal grosso tavolo su cui stavano disposti i vari modelli di manici di scopa. I flash dei giornalisti si ripetevano in modo quasi ossessivo, ma d’altra parte la signora De Blanche era stata molto chiara: domande e interviste potevano essere concesse solo durante la conferenza e non dopo, e a giudicare dall’aria dei due omoni vestiti in abito scuro – scontato a dirsi, due guardie del corpo – quella non era un’affermazione flessibile, ma un ordine in piena regola. Jack smise di seguire i discorsi di Dan e Amelia, e si concesse il lusso di trastullarsi nei suoi pensieri.

 

La mamma di Amelia.

 

Quella donna sul palco era proprio la madre di Amelia, la donna che l’aveva abbandonata da piccola. Si era sempre chiesto come potesse essere… e tutto sommato nel vederla ora molte cose gli sembravano chiare… Amelia aveva preso molto da lei, a quanto poteva vedere.

 

Daisy De Blanche aveva tutta l’aria di essere una donna molto indipendente, altamente emancipata, e soprattutto incredibilmente moderna e al passo coi tempi. Conoscendo Laurence Sheffield si sarebbe aspettato l’ennesima signorona dal nome altisonante, una col naso sparato in aria, mentre quella donna portava la sua età con una sorprendente leggerezza che aveva qualcosa di sportivo. Anche il suo modo di vestire… niente vestitoni lunghi, niente gonne elegantissime… un pantalone e una camicia, punto. Sobria e sportiva, con gli occhiali da sole piantati fra i capelli corti e un filo di perle attorno al collo. Si muoveva con sicurezza e padronanza di sé, dominava la scena e la riempiva, si esprimeva con toni semplici, chiari, decisi… eppure non le mancava la battuta, più di una volta aveva pronunciato qualche frasetta a doppio senso che aveva sollevato le risate del suo pubblico. Una donna decisa, all’avanguardia… una tosta.

 

E nessuno poteva notarlo, ma lui si… aveva gli stessi occhi da cerbiatta di Amelia. Lo stesso taglio furbetto e vivace verso l’alto, lo stesso modo di sorridere arricciando il naso.

 

Jack moriva dalla voglia di dirlo a qualcuno… ma si morse la lingua fino a sentire dolore e rimase zitto. Dovevano solo arrivare alla fine di quella stupida conferenza illesi, finita la quale sarebbero tornati a casa e l’incubo De Blanche sarebbe finito. Lui si sarebbe sfogato raccontando la storia ai suoi genitori, Amelia non avrebbe saputo niente, e non ci sarebbero stati problemi. Fine della storia.

 

“Pronto? Terra a Jack.”

 

Il rosso sbattè gli occhi. “Che?”

 

Dan fece una smorfia divertita. “Tu secondo me l’hai presa proprio nel verso sbagliato questa conferenza. Guarda che non è mica una lezione di Pozioni, è uno spasso.”

 

Jack si sporse verso il cugino, invadendo lo spazio personale di Amelia. “Senti, se tu vai pazzo per queste cose non puoi pretendere che tutti ci caviamo gli occhi per l’emozione!” ringhiò a bassa voce.

 

Dan si accigliò furiosamente e si spinse anche lui sul sediolino di Amelia, abbassandosi all’altezza del cugino. “Ehi, ma ti senti bene? Credevo che ti interessasse il quidditch!”

 

“Questo non è quidditch, questi sono modelli di scope che non ci potremo comprare mai, visto che costano quanto un mese di stipendio dei nostri genitori!”

 

“Ti si è annodata la bacchetta, Jack? E poi io sto cominciando già da adesso a mettere da parte i soldi, magari non subito ma vedrai che me la compro una scopa così.”

 

“In questo momento ruberei quel modellino per ficcartelo in…”

 

“Volete fare un po’ di silenzio?” protestò un ragazzo dietro di loro, e Amelia respinse i due ragazzi con risolutezza.

 

“Piantatela, stiamo facendo una figuraccia!”

 

Jack si rimise seduto, più imbronciato di prima, e controllò l’orologio. Per fortuna in dieci minuti quell’inferno sarebbe finito. Amen, e voglio bere alla mia salute.

 

“Chissà se possiamo avvicinarci abbastanza da chiederle un autografo.”

 

“Avevo già previsto tutto… ho con me penna e taccuino.”

 

Come?

 

“Brava, ottima idea. Fra qualche minuto ci alziamo e andiamo a metterci in posizione strategica per fermarla prima che esca…”

 

Jack li guardò come se avessero bestemmiato. “Anche questo adesso?!”

 

Dan lo guardò stranito. “Io proprio non ti capisco oggi.”

 

“Lascialo perdere, è da ieri che fa questo.” Amelia lo ignorò completamente. “Noi andiamo, se tu vuoi venire bene, se no fregati.”

 

“Grazie, come al solito sei un fiore.” Jack le fece una smorfia acida. “Sto solo dicendo che fra un momento si scatenerà l’inferno là davanti, e tutto per avere uno scippo di penna da una che neanche vi guarderà in faccia quando lo farà.”

 

Dan rise in tono basso e rauco. “Questo detto dalla stessa persona che ha rincorso quella Veela per tutta Diagon Alley pur di fare una foto.”

 

Amelia scosse la testa. “Quanto alla folla avrai anche ragione, ma noi siamo più furbi e giochiamo di anticipo.” Così dicendo, la brunetta si alzò in piedi e scivolò silenziosamente lungo il corridoio laterale che dava sull’ingresso transennato da cui sarebbe uscita la De Blanche.

 

Dan fece per seguirla, ma appena fu in piedi nel corridoio si sentì afferrare per la collottola e attirare dietro l’ultima fila di sedie.

 

“Si può sapere che ti ha preso?!”

 

“Sshh!!” Jack si guardò frettolosamente in giro per controllare di non essere ascoltato. “Senti, non ho tempo per spiegarti… dobbiamo fermare Amelia, non deve assolutamente avvicinarsi a quella tizia!”

 

Dan aveva un’aria confusa più che mai. “Perché? Si può sapere cosa cacchio…”

 

“Quella è la madre!” ruggì Jack, badando a tenere la voce bassa.

 

“La madre…quella vera?”

 

“Noo, la sua imitazione!”

 

Dan assunse un’espressione seccata per la presa in giro, ma un attimo dopo si concentrò sulla notizia incredibile appena appresa. “Ma che ne sai tu?”

 

“Me l’ha detto suo padre.” Jack alzò gli occhi al cielo. “E’ per questo che ho tentato in tutti i modi di tenerla lontana da questo posto… guarda che si somigliano, se si dovessero vedere da vicino… insomma, io non so niente, non ne ho parlato con nessuno, ma il padre di Amelia sembrava sconvolto. Mi ha fatto promettere che lei non lo avrebbe mai saputo… e non mi chiedere il perché, ne so quanto te! So solo che Amelia non deve parlare con quella donna, punto!”

 

Dan rimase un attimo in silenzio, poi annuì. “Facciamo così… mi metto davanti a lei quando passa la madre, così nessuna delle due vedrà l’altra. Se ce ne andiamo adesso la faremmo solo insospettire. Facciamo finta di niente, andrà tutto bene.”

 

Jack annuì una volta, contento finalmente di essersi potuto sfogare. Adesso aveva l’appoggio di suo cugino, poteva contare su un aiuto e non si sentiva più così solo… in due sarebbero riusciti a far filare tutto per il verso giusto. Dan si alzò in piedi e Jack fece altrettanto, ma appena si voltò ebbe un sussulto e arretrò di un passo.

 

Amelia era in piedi davanti a lui. Immobile, pallida, coi pugni stretti forte e il respiro lievemente affannoso. Aveva sentito tutto.

 

Jack ebbe la sensazione che la lingua fosse ridotta peggio di una felpa usata. Con la coda dell’occhio incrociò lo sguardo di Dan, e si accorse che anche lui stava esitando. Evidentemente nessuno dei due sapeva che fare.

 

“Amelia…”

 

La ragazza si sottrasse alla mano di Dan, arretrando bruscamente.

 

Jack le si avvicinò senza permetterle di allontanarsi, prendendola per un braccio. “Dammi un attimo e ti spiego tutto…”

 

“Vai al diavolo.” Amelia gli rifilò una gomitata nello stomaco e si liberò, correndo a tutta velocità giù per il corridoio e uscendo attraverso una delle tante porte alla sua sinistra.

 

Dan e Jack registrarono a malapena il rumore degli applausi della folla, segno che la conferenza era appena finita, perché si preoccuparono solo di correre nella direzione presa un momento prima dalla loro amica e di farlo nel più breve tempo possibile. Sentivano la gente applaudire e urlare il nome del loro idolo come dei fanatici, e quei rumori così dirompenti non permettevano di sentire i passi di Amelia… la porta dalla quale era uscita dava su un corridoio con due ulteriori uscite, e lei sembrava sparita nel nulla.

 

“Tu vai a sinistra.” Disse frettolosamente Jack al cugino, correndo verso la direzione opposta.

 

A quanto sembrava la porta di destra dava sull’ingresso principale, quello da cui era entrata Daisy De Blanche prima della conferenza e dove l’aspettava anche la sua lussuosa limousine bianca. Jack arrivò di corsa nelle vicinanze dell’auto, sul cui cofano stava appoggiato il sederone di un autista tanto grasso quanto distratto… apparentemente troppo preso a leggere il giornale per accorgersi di altro. Il ragazzo rosso si voltò in tutte le direzioni in cerca della sua amica, ma niente… in compenso dall’ingresso principale stava uscendo proprio in quel momento Daisy De Blanche, occhiali da sole sul naso e sorriso fotogenico stampato in faccia, seguita da una folla di ammiratori e fotografi che i due omoni ben vestiti faticavano a trattenere. La donna si soffermò un attimo a salutare la folla mentre l’autista le apriva lo sportello… e fu allora che Jack la vide.

 

“Grazie a tutti, ci vediamo presto.” Daisy accompagnò con un sorriso raggiante il saluto alla gente che urlava il suo nome, poi si voltò per entrare nella macchina… e rimase alquanto sorpresa di trovarci dentro una ragazzina. “E tu da dove salti fuori?”

 

L’autista avvampò furiosamente e si fece largo per infilare le braccia dentro la macchina e tirare fuori l’intrusa. “Ehi mocciosa, ma cosa credi di fare, eh? Vieni subito qui!”

 

Amelia si ritrasse finchè non fu con le spalle alla portiera opposta, incapace di aprire bocca. Sua madre… la stava guardando. Per la prima volta in vita sua, dopo anni di domande, di dubbi, di sogni e incubi senza senso, eccola lì… era lei. Non era sparita dalla faccia della terra come le aveva sempre fatto credere suo padre, era proprio lì.

 

“Avanti, non farmi perdere tempo! Vieni fuori con le buone, altrimenti…”

 

“Gerard, per favore.” La donna lo scansò con grazia, chinandosi lei stessa per osservare l’intrusa. Era una ragazzina magra con dei bellissimi occhi scuri, aveva l’aria spaurita eppure familiare in qualche modo… aveva dei bellissimi capelli lisci che le incorniciavano il viso, anche se era evidente che non curasse abbastanza il suo aspetto fisico. Niente trucco, niente pettinature… era decisamente semplice, acqua e sapone, e non aveva per niente l’aria di un’invasata che si era infilata lì dentro per un banalissimo autografo. La donna le sorrise in modo amichevole. “Stai bene, signorina?”

 

Amelia finalmente si sbloccò… inghiottì le lacrime di emozione che le intasavano la gola, e forzò un sorriso che indubbiamente le venne fuori tremulo. “Le chiedo scusa, s-signora… non volevo introdurmi così nella sua auto… ma sono… sono…”

 

Daisy si sfilò gli occhiali da sole e continuò a sorriderle gentilmente. “Sei?”

 

Amelia si morse le labbra. “…sono un’apprendista alla Gazzetta del profeta, e… ecco, una sua intervista mi farebbe… il mio direttore mi permetterebbe di… ecco…”

 

“Oh.” La donna rise leggermente, come se la cosa la divertisse. “Mi piace l’audacia in una ragazza così giovane… e voglio premiarti. Avrai la tua intervista, cara.”

 

Amelia rimase per un momento senza fiato quando vide la donna sedersi accanto a lei. Quella che le stava seduta icino era sua madre… non riusciva a crederci. Eppure era vero, avevano gli stessi occhi… lo stesso sorriso… forse prendendo tempo con quell’assurda storia dell’intervista l’avrebbe guardata meglio anche lei, avrebbe notato a sua volta la loro somiglianza… si sarebbero ritrovate. Dopo tanti anni quella era pur sempre la donna che l’aveva abbandonata, il suo orgoglio le urlava di trattarla da schifo come aveva sempre desiderato di poter fare, ma la bambina dentro di lei la obbligava a darle almeno l’ultima possibilità. Probabilmente non ce ne sarebbero state altre.

 

Daisy fece ancora un altro saluto alla folla… e rimase molto sorpresa di vedere che un ragazzo rosso correva a tutta velocità nella sua direzione, inseguito da uno dei suoi uomini. Il giovanotto era decisamente più veloce, perché raggiunse la macchina e spalancò la portiera, ansimando.

 

“Dove credi di andare, eh?”

 

Daisy seguì il suo sguardo… era rivolto alla ragazzina seduta al suo fianco.

 

“Vattene.” Fu la secca replica della brunetta.

 

“All’istante, ma solo se tu vieni con me!”

 

“Ehi, tu!” uno dei due omoni aveva quasi raggiunto Jack.

 

Daisy inarcò un delicato sopracciglio per un momento, poi sembrò illuminarsi come colta da un’ispirazione. “Ma certo, ho capito… sei anche tu qui per l’intervista, giusto?”

 

“Che cosa?” replicò confuso Jack. “Ehi, giù le mani!!”

 

L’omone lo strattonò indietro, senza riuscire a scollarlo dalla portiera della limousine. “Vieni subito qui, razza di galletto…”

 

“Norman, un attimo.” La donna gli fece cenno di lasciarlo andare. “Sei anche tu un giovane apprendista per la Gazzetta del Profeta e vuoi l’intervista come la tua amica, ho capito bene?”

 

Jack guardò Amelia… pur essendo furibonda con lui, con lo sguardo gli stava facendo cenno di annuire… evidentemente era con quella scusa che si era intrufolata nell’auto. Non gli restava altro da fare… se l’avesse fatta scoprire, Amelia non glielo avrebbe mai perdonato e soprattutto sarebbe diventata ossessionata da quella donna… tanto valeva farle fare quello che voleva fare, e limitarsi almeno a starle vicino.

 

“Si… si, noi siamo… siamo colleghi.”

 

Daisy sorrise largamente. “Nessun problema, allora. Sali pure su, adesso andiamo a prendere un caffè tutti e tre insieme e avrete la vostra intervista. Non sia mai che due giovani non abbiano la possibilità di fare carriera.”

 

Jack si scrollò bruscamente le mani dell’omone di dosso, ed entrò nella limousine. Amelia lo gelò con lo sguardo, poi tornò a guardare timidamente la donna al suo fianco. Il ragazzo sospirò profondamente e maledisse chiunque gestisse il destino, perché si stava facendo gioco di lui in quel modo… tutto quello che non doveva succedere era successo. Adesso non sapeva davvero più a quale santo votarsi.

 

 

***************

 

 

Daisy De Blanche sorseggiò il suo caffè e rimise la tazzina sul piccolo piatto, e tornò a sorridere in direzione dei due ragazzi come aveva fatto fino a un attimo prima. “Va’ pure avanti, cara. Cosa altro vuoi chiedermi?”

 

Jack vide Amelia esitare. Evidentemente la storia dell’intervista – che oltretutto durava già da una buona ora – le stava costando un impegno che non si sentiva di portare avanti, fingere di essere una completa estranea quando probabilmente non desiderava altro che parlare di sé e ascoltare a sua volta sua madre, le sue motivazioni, tutti i suoi perché…lui avrebbe tanto voluto aiutarla, ma quando lei gli aveva passato bruscamente il taccuino e la penna, dicendogli di prendere appunti, gli aveva quasi bucato la mano con la penna… evidentemente era ancora arrabbiata con lui. In tal caso c’era ben poco che potesse fare per rendersi utile.

 

La donna si guardò distrattamente le unghie, poi appoggiò il mento in una mano e fissò Amelia. “Hai degli occhi molto belli, lo sai?”

 

Sono i tuoi, mamma… non li riconosci, vero?

 

Jack vide Amelia guardare in basso, e cercò di venirle in aiuto. “Uhm… senta, come mai ha deciso di fabbricare le scope per l’Inghilterra? Voglio dire, con i mondiali imminenti e lei che è francese, sarebbe stato più logico…”

 

“Che a beneficiare del mio lavoro fossero stati i ragazzi della nazionale di Francia?” Daisy fece un sorriso allegro e divertito. “Ebbene, ho passato un periodo molto bello della mia vita in Inghilterra… mi sono sentita legata da una sorta di debito morale.”

 

Jack scarabocchiò qualcosa sul taccuino, senza in realtà staccare gli occhi dalla sua amica. “E’… stata in Inghilterra?”

 

“Quando avevo più o meno la vostra età. Ero una ragazzina in cerca di lavoro… ricordo perfettamente che avevo una voglia pazza di sfondare, di farmi un nome. E’ per questo che vi ho concesso questa intervista, qualcuno a suo tempo ha dato un’opportunità a me e adesso io voglio darla a voi.”

 

“Eh già.” Jack fece un sorriso falso.

 

Amelia raccolse il filo di voce che le era rimasto. “Non vogliamo entrare nel suo privato né farle domande troppo… personali… ma non ha una famiglia?”

 

“Se per famiglia intendi un marito…” la donna estrasse dalla borsetta un pacchetto di sigarette. “…no, tesoro. Ho un compagno, è francese. Mi ci trovo molto bene perché anche lui, come me, mette sempre al primo posto la carriera e quindi non abbiamo incomprensioni che potrebbero sorgere con altri tipi di compagni.”

 

“Come con uno che vuole avere dei figli, vero?”

 

Jack ingoiò rumorosamente e la penna quasi gli scivolò di mano… Amelia doveva aver perso il controllo, perché era stata troppo pungente per passare inosservata.

 

Daisy inarcò un sopracciglio. “Prego?”

 

Amelia inspirò profondamente e abbassò gli occhi per un momento. “Niente, mi scusi.”

 

Jack spostò lo sguardo fra le due, e tentò di ammortizzare il colpo schiarendosi la gola. “Si, come dicevamo… signora De Blanche, progetta di… uhm… fare dei… dei viaggi?”

 

La donna scosse la testa. “Chi può dire dove saremo domani. Ognuno ha dei progetti, non credi anche tu?”

 

Jack annuì, fingendosi disinvolto abbastanza da sorseggiare il suo caffè.

 

Daisy tornò a guardare Amelia. “E tu, cara? A quanto ho capito, da grande vuoi fare la giornalista.”

 

“No. Voglio fare la moglie. E la madre.”

 

Jack si sputò il caffè addosso.

 

Daisy gli scoccò un’occhiata interrogativa, mentre guardò la brunetta come se avesse detto la più grossa idiozia possibile. “Tesoro, è una bella cosa, ma… rinchiuderti fra le quattro mura di casa tua? Sei una ragazza molto bella, hai le proporzioni per sfondare sulle copertine di qualche stilista, o se lo vuoi puoi darti da fare nel campo del professionismo… insomma, ci sono così tante porte aperte davanti a te… perché precludersele?”

 

Amelia scosse leggermente la testa, mentre la sua espressione mutava dall’incredulità allo sconforto. “Lei non capirebbe.”

 

“No?”

 

“No.”

 

“Solo perché ritengo che una persona può tracciare la sua strada e farsi un futuro pieno di brio e spensieratezza?”

 

“Mandare avanti una famiglia con tutto l’amore possibile… è qualcosa che ho visto fare, e che mi piace. Per me quella è la spensieratezza. Cosa c’è di vero nel mondo esterno? La fama passa, dura un attimo… quello che conta è avere un motivo per tornare a casa la sera felici di farlo.”

 

Daisy fece un sorriso quasi ironico e distolse lo sguardo. “Lo pensavo anch’io una volta.”

 

Amelia cercò il suo sguardo. “E poi cos’è successo?”

 

“Sono cresciuta.” La donna la guardò dritta in faccia senza esitazione. “Ho capito di avere ambizioni… sogni… e non volevo che nessuno al mondo mi tappasse le ali per nessun motivo. Quello che faccio può non piacerti, ma a me invece piace moltissimo… riempie le mie giornate. Riempie la mia vita. Non sostituirei mai tutto questo con una vita da casalinga.”

 

Jack accusò il colpo come se fosse stato lui a riceverlo. Poteva sentire a pelle la delusione della sua amica… e adesso gli sembrava di comprendere anche quella sensazione afflitta che aveva letto negli occhi del signor Sheffield. Quella donna, quella Daisy, aveva davvero l’aria di una in gamba che sapeva far girare la testa a un uomo… ma sotto sotto era dura come la roccia. Era egoista, egocentrica, presa dalle sue idee, convinta di essere nel giusto. Era sprezzante nel suo carisma travolgente. Nella sua mondanità non aveva la minima idea dei valori considerati più all’antica nonché più sani della società… adesso era chiaro perché Laurence Sheffield continuava a sposare donne completamente opposte a lei. Anche se nessuna di loro poteva competere con quello che doveva avergli fatto provare a suo tempo lei, altrimenti la ferita non sarebbe stata così fresca. Jack prese una decisione, quella che ritenne la migliore, e chiuse il taccuino.

 

“Credo che sia sufficiente così.”

 

Daisy gli rivolse un sorriso compiaciuto, probabilmente sollevata dalla notizia. “Spero di esservi stata utile… sono sicura che ne otterrete un bell’articolo, e che farete progressi nel vostro praticantato al giornale.”

 

“Mh.” Jack aiutò Amelia ad alzarsi, cercando di farle capire che era arrivato il momento di mettere fine a quella tortura. “Arrivederci, signora, e grazie mille per il suo tempo.”

 

Daisy gli strinse la mano, poi la tese ad Amelia. “Allora mi raccomando, in bocca al lupo.”

 

Amelia fissò quella mano tesa per pochi estenuanti secondi… ricambiò la stretta in modo innaturalmente flebile. Stava dicendo probabilmente addio a sua madre… e lo stava facendo con una stretta di mano. Un fredda, insignificante stretta di mano.

 

“Posso chiederle un’ultima cosa?”

 

“Certamente.”

 

“Lei… lei non ha figli?”

 

“No.”

 

Jack si voltò dall’altra parte e chiuse forte gli occhi. Questa era stata pesante.

 

“E non…” la voce di Amelia tremava. “Non le sarebbe piaciuto… averne avuto almeno uno?”

 

Daisy strinse le labbra sottili. “Come dite voi giovani… un figlio per me sarebbe stato l’incidente di percorso. In una carriera come quella che ho fatto io, con anni di gavetta più caotica che mai, sarebbe stato un problema. D’altra parte voi capite cosa intendo, vero?”

 

“No. E non ci interessa farlo.” Jack agguantò Amelia per un braccio e la trascinò verso la porta. “Addio, signora.”

 

Il click della porta che si chiudeva fu una specie di sollievo per il giovane rosso… erano finalmente usciti da quel bar dove l’aria era stata irrespirabile per oltre un’ora, respirare un po’ di ossigeno pulito non poteva che fare bene. Jack sospirò pesantemente e provò a guardare Amelia… teneva gli occhi bassi, ma non poteva nascondere i due lacrimoni che le stavano scivolando lungo le guance fin nel collo. Piangeva dignitosamente in silenzio, neanche i singhiozzi facevano rumore… ed era peggio che mai, tanto che Jack non si soffermò a pensare, semplicemente le passò le braccia attorno ai fianchi e la strinse forte a sé, contenendo nel suo abbraccio solido la sua figura più minuta.

 

“Mi dispiace.” Le sussurrò fra i capelli. “Mi dispiace tanto…”

 

Amelia non disse nulla, continuò a piangere in silenzio e si rifugiò in quella stretta senza sottrarsi come aveva fatto alla conferenza. Non ne aveva la forza, non ne aveva la voglia… e poi in quel momento non riusciva a provare niente. Solo una grande, profonda e amara tristezza.

 

 

***************

 

 

Jack rimise a posto lo spazzolino e sbuffando si appoggiò ai bordi del lavandino del suo bagno, guardandosi allo specchio con un’aria disgustata. Si sentiva l’ultimo degli amici. Si era comportato da idiota, non era riuscito a fare la cosa più stupida del mondo… era vero che la sorte aveva congiurato mostruosamente contro di lui, ma era altrettanto vero che non era stato capace di gestire le cose. Non aveva mantenuto la promessa fatta al padre di Amelia. Avrebbe dovuto trascinare la sua amica via da quel bar prima che sentisse quella donna parlare in modo così insensibile e freddo, ma nemmeno questo era riuscito a fare. Si sentiva un fallimento. E adesso Amelia ne pagava le conseguenze.

 

Il viaggio di ritorno sul Nottetempo era stato orribile. Amelia se ne era rimasta rannicchiata in un cantuccio tutto il tempo, e lui e Dan si erano scambiati continue occhiate insicure, incerti sul da farsi, finchè non erano arrivati al tacito accordo di lasciarla stare e non invadere il suo spazio personale, almeno per il momento. Una volta a casa, Amelia si era scusata con i Weasley dicendo di non aver fame ed era andata a coricarsi prima di cena… cena che lo stesso Jack aveva sorprendentemente saltato. Si era limitato a riassumere in due parole la giornata ai suoi genitori, e poi aveva optato per andare a dormire anche lui. Si sentiva troppo stanco per pensare o per dire qualcosa in più.

 

Trascinandosi sui piedi, il ragazzo uscì dal bagno e si chiuse in camera sua… nel letto di Simon c’era Amelia, con la lucetta ancora accesa sul comodino, raggomitolata verso la parete e abbracciata al suo cuscino. Pur non potendola vedere in faccia era chiarissimo che fosse ancora sveglia… il suo respiro non era pacato e tranquillo, anzi.

 

Jack si sedette sul bordo del letto, e le accarezzò i capelli che le coprivano le spalle… avrebbe voluto fare tanto di più per farla sentire meglio, ma non sapeva davvero cosa fare o cosa dire.

 

“Ehi…” provò a sussurrarle, senza smettere di accarezzarle i capelli. “Ancora sveglia?”

 

Amelia tirò su col naso. “E’ una cosa così stupida.” mormorò piano. “Quando sei sfinito e il sonno non ti viene.”

 

“Già.” Jack inspirò profondamente, continuando ad accarezzarle i capelli. “Forse vuoi parlare un po’… io sono qui.”

 

Amelia strinse forte gli occhi. Era stufa di piangere. “Che cosa vuoi dire di più…”

 

“Tutto quello che hai voglia di dire.” Jack sbuffò. “Sono stato un pessimo amico… volevo tenerti lontana da… da quella donna, e invece guarda che casino ho combinato… manco mi ci fossi messo d’impegno…”

 

“Non è colpa tua.” Amelia tirò su col naso una seconda volta… non serviva la sfera di cristallo per indovinare che doveva essersi fatta un bel pianto fino a pochi momenti prima. “In fondo l’ho sempre saputo… che non doveva avermi amato, visto che se n’è andata… è solo che…”

 

“Solo che?”

 

Amelia si voltò sulla schiena per guardarlo in faccia, con gli occhi gonfi e rossi e l’aria infinitamente triste. “E’ così orribile sentirsi considerare un incidente di percorso…” piagnucolò.

 

Jack le accarezzò il viso. “Lei non ti è più nulla! Fottitene di quello che dice o che pensa. Andiamo, non l’hai vista? E’ così vuota e senza scopi nella vita… che te ne importa se lei non ti voleva? Tuo padre ti ha voluta tantissimo. E anche noi ti vogliamo. Che vada al diavolo lei e la sua carriera, non è tua madre…”

 

“E’ la donna che mi ha partorito, Jack…” sussurrò Amelia, con la voce spezzata dal pianto. “E ha negato anche questo… non mi ha riconosciuto, non ha visto niente di lei in me… o forse non ha voluto vederlo, lei non mi ha mai desiderata… sono stata la sua brutta notizia…”

 

Jack fece una smorfia avvilita quando vide la sua migliore amica tornare a voltarsi verso la parete. Era così triste… chi poteva biasimarla o darle torto, stava dicendo solo cose vere. Che possibilità aveva per farla sentire meglio? Per rimediare al danno che non era stato capace di evitare?

 

“Non c’è niente che posso fare per te?” le bisbigliò.

 

Amelia scosse la testa, mordendosi le labbra. Per quanto adorasse Jack e la sua vicinanza, stavolta non riusciva a trarne alcun beneficio. Si sentiva così sola e abbandonata… in cuor suo sapeva che era stata un’illusione fin dall’inizio, sapeva che sua madre non poteva che essere così, esattamente come era consapevole di non essere sola… ma per quanto la voce della ragione volesse rendersi utile, il cuore le sanguinava comunque.

 

Jack sospirò, piuttosto sconsolato. “Io non so che cosa dire.”

 

“Allora non dire niente.” Gli rispose piano lei.

 

E niente si dissero. Passarono dei lunghi momenti di silenzio e immobilità, interrotti solo dai piccoli singulti di Amelia, ma nessuno dei due osò fiatare. Jack detestava quel genere di situazioni… si sentì paradossalmente sollevato quando bussarono alla porta.

 

“Posso?” Era Hermione, già in camicia da notte, e aveva l’aria serena e tranquilla. “Jack, ti dispiace proprio tanto se per questa notte mi requisisco la tua amica?”

 

Jack fece una smorfia. “Non lo so, cioè… non credo che a lei vada…”

 

Amelia si voltò leggermente per negarsi con quanta più gentilezza possibile, ma poi vide il sorriso sereno di Hermione, la sua mano tesa… e non riuscì a dire di no. In fondo si sentiva persa, non sapeva neanche lei cosa volesse fare e cosa no… quella bella donna dall’aria così serena invece le infondeva un senso di calma che le serviva più che mai.

 

Hermione scompigliò i capelli di uno stupito Jack lungo il tragitto, e senza lasciare la mano di Amelia si diresse verso la sua camera da letto. Ad attenderle sul lettone matrimoniale c’era una Katie con tanto di pigiamino e treccine, che quando le vide arrivare balzò sulle ginocchia e mostrò orgogliosa il barattolo di gelato che aveva in mano.

 

“Amy, guarda! Guarda cos’ha preso mammina per noi!”

 

L’entusiasmo di quella bambina tutto pepe non potè non strappare un pallido sorriso ad Amelia, anche se solo per qualche attimo.

 

Hermione chiuse la porta della stanza e si sedette accanto ad Amelia sul lettone. “Non esiste terapia migliore del cioccolato dopo una giornata pesante… altrimenti perché lo userebbero contro i Dissennatori?”

 

“Non fa una piega.” mormorò malinconica Amelia, ricevendo con poco entusiasmo il suo cucchiaino.

 

“Lo voglio aprire io!” Katie si diede molto da fare per sollevare il tappo del barattolo, e quando ci riuscì lo mise al centro del letto per fingere di essere giusta… fu una finzione che durò poco, visto che fu la prima a infilarci dentro il cucchiaio per due volte consecutive.

 

Hermione ridacchiò. “Stai diventando un po’ troppo simile a tuo padre e ai tuoi fratelli, giovanotta.”

 

Katie sorrise largamente, con la boccuccia tutta sporca di cioccolato. “E’ buono.”

 

Hermione le strinse il naso fra le dita, poi prese una cucchiaiata di gelato a sua volta. “Mmh… effettivamente è davvero buono. Assaggialo, Amy.”

 

Amelia si strinse nelle spalle. “Grazie… non mi va adesso.”

 

“Come vuoi.” Hermione non impedì alla figlia di continuare a mangiucchiare il suo gelato, ma mise via il suo cucchiaino e prese la spazzola dal comodino. “Allora…” disse dolcemente ad Amelia, mentre le spazzolava con delicatezza la chioma bruna e liscia. “…hai voglia di passare una bella notte tutta al femminile qui con me e Katie?”

 

Katie annuì vivacemente. “Sii, mammina ha sfrattato papà dal lettone! Ha detto che per stanotte è tutto per noi.”

 

Hermione ridacchiò, continuando a pettinare dolcemente la brunetta. “Non c’è niente di più divertente di una bella serata tutta in rosa quando hai la casa piena di maschi.”

 

Amelia provò a fare un sorriso. “Si.”

 

“La sai una cosa?” mormorò Hermione, mettendo via la spazzola e suddividendo con delicatezza i capelli di Amelia in tre ciocche per farne una morbida treccia. “Alla tua età desideravo dei capelli come i tuoi con tutta me stessa… ma niente, ce li avevo crespi e alla fine mi sono arresa. Si può proprio dire che tu sia la mia soddisfazione, starei a pettinarti per ore.”

 

Amelia sentì le lacrime pungerle gli occhi, ma le ricacciò indietro. Non per questo la sua voce era ferma quando provò a parlare. “Non credo di essere la soddisfazione di nessuno.”

 

“No?” Hermione finì indisturbata la treccia morbida e la racchiuse con un piccolo elastico colorato.

 

Amelia si voltò verso di lei… aveva gli occhi lucidi. “Tutti scappano da me.”

 

“Errore, mio piccolo soldatino…” Hermione le accarezzò le guance, scostandole dal collo i ciuffi più corti che uscivano impertinenti dalla treccia. “Jack non è scappato. Io sono qui. Nessuno di noi va da nessuna parte. Siamo una famiglia, o sbaglio?”

 

Amelia si rannicchiò nel suo abbraccio, stavolta senza neanche provare a trattenerle le lacrime. “Non mi ha mai voluta…” sussurrò rauca. “Io sono stata un incidente di percorso per lei…”

 

Hermione la tenne stretta a sé e le accarezzò con dolcezza i capelli. “Voglio raccontarti una cosa.” le disse piano, ottenendo in qualche modo l’attenzione anche della piccola Katie, col musetto ancora sporco di cioccolato. “La prima cosa che mi hanno insegnato quando sono entrata nei War Mage è che esiste un sentimento col quale devi fare i conti tutti i giorni, perché se non lo fai non sei un essere umano… e quel sentimento è la paura. Se la affronti e la batti, hai vinto tu. Se la affronti e perdi, hai vinto comunque tu.” e qui Hermione sollevò dolcemente Amelia, asciugandole le lacrime dal viso. “Ma se scegli di scappare… se non provi nemmeno ad alzare i pugni e darle del filo da torcere… hai perso tutto. Incluso te stesso.”

 

Amelia si morse ripetutamente le labbra, tirando su col naso.

 

Hermione le sorrise serenamente, prendendole una mano. “Un figlio ti cambia davvero la vita… e come tutti i cambiamenti, fa paura. Non devi pensare che lei non ti abbia voluta per chissà quale ragione… è molto più semplice, amore piccolo. Lei ha avuto paura. E vuoi sapere un’altra cosa? E’ più che normale che non abbia visto niente di lei in te.”

 

Amelia si strinse nelle spalle. “Perché?”

 

“Perché lei è debole… mentre tu sei una roccia.” Hermione le prese il viso fra le mani e le baciò la fronte. “E sarai una mamma meravigliosa, quando sarà il momento… la migliore di tutte.”

 

Amelia sorrise, ancora commossa ma non più in lacrime. “Tu dici?”

 

“Altrochè. Non dovrai fare altro che metterti una mano qui…” Hermione le appoggiò una mano sulla pancia. “…tutte le volte che avrai paura di portare a termine una cosa così bella e allo stesso tempo così impegnativa… chiuderai gli occhi, e penserai che lì dentro c’è un piccolo cuore che batte per te… e non ti ricorderai nemmeno il significato della parola paura.”

 

Amelia le gettò le braccia al collo… si stava così bene nell’abbraccio di una mamma. Certo, tecnicamente quella non era la sua… ma era come se lo fosse. Si sentiva coccolata, protetta, perfino piena di speranza per il futuro… si sentiva bene. Di nuovo viva. E fu con un sorriso felice che si separò da Hermione e prese in mano il suo cucchiaino. “Adesso un po’ di questo cioccolato lo vorrei proprio.”

 

“Ooh, questo sì è parlare.” Hermione fece lo stesso, e insieme intinsero il cucchiaio nel barattolo per poi assaggiare il gelato. “Mmh… buonissimo… ora comincio a capire perché Ron e i ragazzi di notte se ne spazzolano barili interi.”

 

“E fa venire la carie così.” Katie spalancò la boccuccia e si indicò le fessure dove i dentini da latte avevano lasciato spazi momentaneamente vuoti.

 

Amelia ridacchiò e prese un’altra cucchiatata di gelato. “Mh… ne vale la pena.”

 

“Mammina?” Katie si mise sulle ginocchia, emozionata. “Pure io voglio fare la mamma brava come Amy!”

 

Hermione rise. “Ma certo che sarai anche tu bravissima, amore mio. Sarete due mamme da manuale… e sarete anche ottime mogli, il che è molto divertente perché quando impari a fare la moglie impari anche un sacco di trucchetti… come questo.”

 

Amelia e Katie osservarono stupite Hermione afferrare la sua bacchetta e puntarla con noncuranza verso la porta… che un attimo dopo si spalancò di botto, facendo cadere a terra Ron, Jack e Simon, che evidentemente fino a un momento prima ci erano appoggiati contro. Le due ragazzine scoppiarono a ridere.

 

“Ehi!” protestò Ron, mentre si rimettevano in piedi. “Non solo ci rubate il gelato…”

 

“Aah, e così sei qui per questo, per il gelato…” Hermione gli rivolse uno di quei sorrisini che sapeva bene quanto facessero breccia nel cuore di suo marito.

 

Katie si mise in piedi sul lettone. “Ma non potete entrare, mamma ha detto che stanotte solo femminucce!”

 

“E se facessimo uno strappo alla regola?” tentò Simon.

 

Jack annuì come se la cosa fosse ovvia. “Ehi, avete in ostaggio il nostro ultimo barattolo di gelato…” Spock, il cagnolone di Simon, abbaiò rumorosamente.

 

Hermione non si trattenne, e sorrise. “Almeno i cucchiaini ce li avete?”

 

“A me il gelato!” urlò Simon, lanciandosi sul lettone.

 

“Giù quelle zampacce, è anche mio!” Jack gli fu subito alle calcagna.

 

Katie si buttò sul barattolo. “No! E’ il gelato delle femminucce!” Amelia rise di cuore, rischiando quasi di strozzarsi per le troppe risate.

 

“Passami subito quel barattolo!” le intimò Simon, sfoderando il cucchiaino come una spada.

 

“No!” la bambina saltellò sul posto nel tentativo di sfuggire al fratello, attirando anche l’attenzione di Spock, che pensò bene di balzare anche lui sul letto matrimoniale.

 

“Te l’ho mai detto che sei il mio eroe preferito?” sussurrò Ron a Hermione, sedendosi accanto a lei e chinandosi per baciarla.

 

“Eww, papà!” protestò Jack.

 

“Amy, salvalo!” Katie le tirò il barattolo del gelato.

 

Amelia si preparò a ricevere l’oggetto volante, ma Jack le piombò alle spalle e glielo soffiò dalle mani, mentre ridendo le stampava un sonoro bacio sulla guancia. Amelia ridacchiò e per una volta non si diede alla competizione, lasciandogliela vinta.

 

Ron si scollò dalle labbra di sua moglie e cercò il gelato. “Ehi, che facciamo qui, due pesi e due misure? Anch’io voglio il cioccolato!”

 

“E’ delle femminucce, l’ha detto mamma!”

 

“Sta’ zitta, pulce, l’avete rubato a noi!”

 

“Spock, no!” Hermione fece fatica a piombare in avanti giusto in tempo per fermare il cagnolone, che mirava dritto al barattolo che stringeva in mano Simon. “Quello non è per te!”

 

“Mettilo in mezzo!”

 

“Dammelo… e dammelo!”

 

Non si capì né come né perché… o forse era fin troppo chiaro il motivo, ma le gambe di legno del letto cedettero sotto tanto peso e tanto agitarsi di gambe e braccia. E quando si ritrovarono per terra, nessuno dei presenti osò trattenersi: ci scappò una risata di quelle che difficilmente si riescono a fare, come quando qualcuno ride così tanto da farsi scendere le lacrime dagli occhi. Le prime lacrime della giornata che Amelia accolse con un benvenuto felice.

 

Si, il letto si era appesantito troppo sotto tutto quel peso chiassoso… o più semplicemente non aveva retto l’impetuoso e felice battere di tutti quei cuori. Perché un cuore che batte felice è il rumore più bello e assordante che si possa sentire.

 

 

** The End **

 

E’ proprio il caso di dirlo, speriamo di aver chiuso in bellezza… perché al novanta per cento, questa è l’ultima shotty su BAWM (…salvo novità dell’ultimo minuto, è ovvio ^____-) Felicissimo anno nuovo a tutti, speriamo davvero che porti a tutti un po’ di pace e serenità che ne avremmo tanto bisogno… e se volete lasciarmi un commentino, sapete già che fare! ^_____- Besitos!!

 

Sunny

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