Stokholm Syndrome

di Lady Yoritomo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Thoughts after the leap - Jill ***
Capitolo 2: *** Falling - Wesker ***
Capitolo 3: *** Shattered Paradise - Jill ***
Capitolo 4: *** Welcome Back - Wesker ***
Capitolo 5: *** Inside the fiend's nest - Jill ***
Capitolo 6: *** Unwanted Care - Wesker ***
Capitolo 7: *** Crumbling Determination - Jill ***
Capitolo 8: *** Humanity? - Wesker ***
Capitolo 9: *** Piano Lessons - Jill ***
Capitolo 10: *** Trust - Wesker ***
Capitolo 11: *** Loose feelings - Jill ***
Capitolo 12: *** Hasty - Wesker ***
Capitolo 13: *** Stockholm Syndrome - Jill ***
Capitolo 14: *** Two years later - Wesker ***
Capitolo 15: *** Persephone - Jill ***
Capitolo 16: *** Second Heart - Wesker ***



Capitolo 1
*** Thoughts after the leap - Jill ***


Capitolo 1
"Thoughts after the leap - Jill"


Il vetro della finestra esplode in una miriade di frammenti che paiono restare immobili per alcuni secondi, il tempo necessario che mi ci vuole per stringerti all’altezza della vita e trascinarti giù con me. Con la coda dell’occhio vedo Chris, sgomento, che si massaggia con una mano la gola che prima gli stavi stringendo in una morsa mortale. Nei suoi occhi, lo stesso terrore che sento io nel mio cuore, ora che mi rendo conto di quello che ho appena fatto.
Mi sento come se stessi volando, ma so che è una sensazione che non durerà a lungo. Presto verrà lo schianto, la superficie dura e fangosa del terreno reclamerà la mia vita e, con essa, la tua, maledetto. Stavolta non puoi scappare, ti porterò all’altro mondo con me. Wesker, che tu possa soffrire per l’eternità le pene dell’inferno, una volta che ci saremo schiantati.
Sento la pioggia battere sul mio corpo e i frammenti della finestra che mi graffiano il volto, ma più di ogni altra cosa, è il battito del tuo cuore quello che percepisco oltre il pulsare furioso del mio: come fai ad essere ancora così calmo? Sei finito, dannazione. Non potrai più portare avanti i tuoi progetti da folle, né perseguitare Chris. Se con il mio sacrificio riuscirò a porre fine alle tue macchinazioni, lo faccio con piacere. Se so che con la mia morte riuscirò ad uccidere anche te, Wesker, sono pronta ad andarmene con gioia.
L’urlo del vento nelle mie orecchie è assordante e cancella dalla mia mente la maggior parte dei pensieri. Non ho più spazio per la paura o per la ragione: c’è solo l’odio che mi ha spinta a sacrificarmi trascinandoti con me giù da quella finestra. È l’odio che provo per te, traditore maledetto. È l’odio che posso provare solo dopo averti amato per tutto il tempo in cui sei stato dei nostri, finché non ci hai voltato le spalle, Wesker.
È per questo che mi stringo a te più saldamente, ex-capitano: non per paura, né per qualche vecchio sentimento di attrazione che ormai ho cancellato dal mio animo, ma per appesantire la tua caduta col mio corpo, per accorciare il tempo che mi separa dalla tua dipartita. Sento la pelle del tuo vestito scricchiolare sotto la presa delle mie mani, mentre le falde del tuo cappotto frustano violentemente l’aria. Chiudo gli occhi, che si sono riempiti di lacrime per il vento e per la disperazione. Stringo più forte e premo il viso contro alla tua schiena, in attesa dello schianto.
Stiamo ancora cadendo, quando sento che il tuo corpo muoversi sotto l’abbraccio in cui ti sto trattenendo: ti stai voltando verso di me? Sento che fai forza per liberarti dalla mia stretta, ma sono determinata a non lasciarti andare. Non stavolta. Eppure riesci a divincolarti… per un attimo le mie mani cercano nel vuoto un appiglio, poi sento un braccio dietro alla schiena che mi attira verso di te. Finisco schiacciata contro al tuo petto e le mie mani si aggrappano di nuovo alla tua giacca. Socchiudo un momento gli occhi, per vedere il tuo volto che non tradisce alcuna emozione. Sono stretta fra le tue braccia, mentre vedo la terra venirci incontro a velocità folle. Fra di esse sto per morire e l’ultima cosa che avrò visto prima di chiudere per sempre gli occhi sarà il tuo volto, il volto del mio peggior nemico. Ti odio anche per questo. Morirò odiandoti, spero che tu te ne renda conto, Wesker. E non sto troppo a chiedermi perché mi hai stretta a te in questa maniera che potrebbe essere protettiva, né perché tu sembri disposto a farmi scudo col tuo corpo nello schianto. Moriremo tutti e due, non m’importa se in un abbraccio che sembra quello di una coppia di innamorati piuttosto che quello di due nemici. Neanche i tuoi poteri ti salveranno, stavolta, Wesker.
Finalmente, lo schianto arriva. Alle mie orecchie è come il rombo di un tuono, seguito da un urto incredibile. Poi, il blackout. L’ultima cosa che sento è il principio di un dolore lancinante ovunque, unita al pulsare del tuo cuore, che ancora non ha perso un battito. Augurandomi che esso smetta presto di battere, mi abbandono all’oscurità prima che il dolore mi prenda.
La tua storia finisce qui, Albert Wesker.

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Capitolo 2
*** Falling - Wesker ***


Capitolo 2
"Falling - Wesker"

Che tu fossi imprevedibile, Valentine, avevo già avuto ampiamente modo di constatarlo nei giorni in cui facevamo entrambi parte della STARS, ma che mi saresti stata d’ostacolo fino a questo punto, rimpiango di non averlo potuto prevedere prima, altrimenti mi sarei sbarazzato subito di te, anziché concentrarmi su Chris. Mai mi sarei aspettato una mossa come quella di oggi. Così eroica e disperata da meritarsi la mia ammirazione, se non fosse che è perfettamente inutile. Davvero credi che una semplice caduta dall’alto possa uccidermi? Allora non hai veramente idea dell’estensione delle mie capacità, eh? Ormai sono invulnerabile a qualsiasi cosa, come solo un dio può essere. E puoi provare a farmi cadere da qualsiasi altezza che vuoi, non morirò per così poco. Che peccato che invece per te non sia lo stesso, mia giovane ex-compagna… è davvero triste che tu debba sprecare la tua piccola vita per un’uccisione fallita. Eppure, considerato che hai appena tentato di uccidermi, meriti di morire, così non ti avrò più d’ostacolo ai miei piani. Non puoi certo capire la grandezza che c’è dietro di essi, né concepire l’idea che siano giusti, quindi è ora per te di morire, come tutti coloro che sono morti prima di te per essersi opposti a me. Andrai presto a raggiungerli, Valentine. E da lì non dovrai attendere molto perché anche il tuo adorato Chris ti raggiunga. Spazzerò via anche lui, dopo che mi sarò liberato di te.
Sento il vento fischiare con forza contro alle mie orecchie, infilarsi dentro al collo della mia giacca e scuoterne le falde violentemente, mentre i cocci della finestra attraverso la quale ci siamo lanciati mi fluttuano accanto, apparentemente immobili grazie ad uno scherzo delle leggi della fisica. Mentre rifletto su come sia meglio atterrare per subire meno danni possibili, sento le tue braccia stringersi con forza al mio petto e il tuo viso schiacciarsi contro alla mia schiena: la logica reazione di un essere umano in preda al terrore, o quella di una donna innamorata del proprio ex-capitano che, resasi conto dell’approssimarsi della sua dipartita, gli si stringe contro come avrebbe voluto fare per tutta la sua vita? Quali che siano le ragioni che ti spingono ad abbracciarmi così forte non mi interessano più di tanto, tra poco sarai morta a causa della caduta e diventerai semplicemente un altro nome nella mia lista mentale di persone che ho ucciso per arrivare al mio obiettivo.
Che spreco… eppure è inevitabile, mia cara Valentine. Devi essere punita per esserti opposta al mio intento. Subirai per prima la sentenza che toccherà presto anche a Chris… a meno che…
Negli ultimi secondi di caduta prima dell’impatto, mi viene in mente un’idea perfetta: sì, forse ti risparmierò la vita, ma tu in cambio diventerai il mio strumento per infliggere dolore a Chris. Attraverso le tue mani, che tu lo voglia o no, io lo farò capitolare. E la tua misera esistenza non sarà sprecata, perché degnerò dell’onore di essere un mio prezioso alleato.
È questione di pochissimo: per salvarti la vita non devo far altro che farti scudo col mio corpo. Chissà cosa starai pensando, adesso che mi giro verso di te per stringerti forte al mio petto. Il tuo cuore batte così velocemente per l’emozione o per il terrore? Stringiti forte, mia futura pedina, perché stai per cominciare una nuova esistenza, a partire da questo schianto.
 
La mia schiena è la prima cosa che tocca violentemente il terreno. Tutta la spina dorsale scricchiola, dall’osso sacro fino alla base del collo, ma non un solo osso va fuori posto. L’impatto mi spreme il fiato fuori dai polmoni per alcuni secondi, sensazione che viene accentuata subito dal peso del tuo corpo che si abbatte violentemente sul mio. Qualche schiocco mi lascia presagire che il tuo scheletro non sia stato fortunato come il mio, ma sarà solo questione di risistemarti qualche osso rotto… l’importante è conservare intatta la tua preziosa, piccola vita.
La tua testa giace immota appoggiata al mio petto, i capelli bagnati incollati al viso, mentre il tuo corpo è scompostamente abbandonato sul mio. Socchiudi dolorosamente gli occhi per guardarmi, poi li richiudi. Devi essere svenuta per il troppo dolore, meglio così. Farai meno domande riguardo a quello che sto per fare.
Mi alzo a sedere, poi lentamente in piedi. Come avevo previsto, sono illeso. Mi chino a raccoglierti, ora che sei solo un fagotto di arti abbandonato nel fango. Non sei neanche troppo pesante, cosa che mi facilita il prenderti in braccio. Stretta tra le mie braccia, respiri fievolmente e muovi le labbra senza produrre alcun suono. Forse, nel tuo delirio semicosciente causato dal dolore, ti immagini tra le braccia di Chris. Forse dovrei dispiacermi a darti la cattiva notizia che invece sei tra le braccia del tuo peggior nemico, ma ovviamente non posso fare altro che sorridere, mentre mi allontano sotto la pioggia battente dal luogo della caduta.

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Capitolo 3
*** Shattered Paradise - Jill ***


Capitolo 3
"Shattered Paradise - Jill"

E’ al suono di un pianoforte che mi risveglio. La prima cosa di cui mi rendo conto è il torpore in cui il mio corpo è immerso, che mi fa sentire leggera. Non c’è più traccia del dolore, né dell’odio, benché i ricordi degli ultimi istanti della caduta siano impressi a fuoco nella mia mente. C’è solo quella lenta e dolce melodia, dai tratti un po’ malinconici, che mi culla, suadente. Il mio addestramento militare vorrebbe che io aprissi gli occhi e constatassi la mia situazione, mentre il mio corpo vorrebbe restare per sempre immerso in quel nulla, con la sola compagnia della musica. Per venire incontro alle necessità di entrambi, mi decido a socchiudere gli occhi con grande fatica. La luce che filtra attraverso le ciglia è troppo chiara e forte per i miei gusti, quindi serro nuovamente le palpebre, tornando a rifugiarmi nell’oscurità. Ancora non percepisco il mio corpo, ma, lentamente, tutta la mia coscienza sta riaffiorando, permettendomi di cominciare a riflettere sulle mie condizioni. Devo essere morta, senz’altro. Nessuno sarebbe potuto sopravvivere ad una caduta simile, lungo il versante della montagna su cui è arroccata Villa Spencer. Perciò questo deve essere l’aldilà… e tu devi essere finito nelle viscere più profonde dell’inferno, Wesker. Insieme al tuo nome, riaffiorano tutti i sentimenti di odio. Spero proprio che ci sia una giustizia al di là della morte e che tu sia stato punito per tutto quello che hai fatto. E che se io sono destinata ad una serena eternità in questo pacifico torpore, tu sia invece costretto a soffrire sul tuo corpo tutto quello che hai fatto agli altri, per sempre.
Ancora non percepisco chiaramente i miei arti, sono avvolta da un piacevole calore che mi ricorda quello di un piumone in una notte invernale. La musica non smette, è una melodia abbastanza ripetitiva, ma orecchiabile e rilassante. Mi domando chi la stia suonando… è così dolce e malinconica… se solo riuscissi a sentirmi le dita, forse riuscirei ad imitarne ad orecchio alcuni accordi. Mi godo la situazione ancora per un po’, ma poi la curiosità è troppa: devo vedere chi sta suonando per me. Ignorando la forza della luce che mi ferisce gli occhi, mi sforzo di aprire completamente le palpebre.
Non appena i miei occhi si abituano alla luce, la sensazione di calore e sicurezza svanisce. Come lo specchio ghiacciato di un lago, in cui si apre una rete di crepe, il mio sogno s’incrina inesorabilmente. Non sono in paradiso. Probabilmente, per qualche improbabile coincidenza divina, o per qualche scherzo della fisica, non sono neanche morta. Mi trovo distesa in un letto, coperta effettivamente da un morbido e voluminoso piumone. La luce che prima mi feriva gli occhi si rivela essere quella di una piantana alla mia destra, che illumina i dintorni di una larga stanza. Il mio corpo si sta lentamente riscuotendo dal torpore, che lascia spazio ad un indolenzimento soffuso. Con grande sforzo, mi sollevo sui gomiti e mi metto a sedere.
E solo in quel momento, il mio sogno riceve il colpo finale, che lo manda in frantumi completamente. In fondo alla stanza c’è un pianoforte, quello da cui proviene la musica che continuo a sentire. Mi dai le spalle, ma ti riconosco subito per la silhouette imponente della tua schiena… tu stai suonando al pianoforte la musica che sento… tu, di tutte le persone! Quella musica così dolce e rilassante diventa ora la colonna sonora del mio insensato fallimento.
Devi avermi sentita muovere, perché smetti di suonare e ti volti verso di me. I tuoi occhi incontrano i miei e io rivedo quelle iridi luminose che avevo sperato di non dover mai più fissare. Ora che non indossi neanche i tuoi soliti occhiali da sole, il tuo sguardo mi incute ancora più timore, soprattutto se penso che dovresti essere morto e che invece sei qui seduto di fronte a me come se niente fosse, a suonare il pianoforte.
«Ben svegliata.»mormori. La tua voce, ulteriore testimonianza del mio fallimento, mi dà i brividi. Non avrei dovuto sentirla mai più… e invece è la prima che mi dà il bentornato nel mondo dei vivi.
Che cos’ho sbagliato?

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Capitolo 4
*** Welcome Back - Wesker ***


Capitolo 4
"Welcome Back - Wesker"

Finalmente ti sei svegliata, Valentine. Finalmente sei tornata alla luce, lì dove ti voglio, lì dove posso usarti per il mio progetto. Non mi servivi a molto, in stato quasi comatoso, addormentata in un letto, eppure ti sei presa il lusso di restare così per oltre due mesi… in alcuni momenti ho addirittura temuto che volessi farmi lo smacco di morire, dopo tutta la fatica che avevo fatto per tenerti in vita. Ironico, no? Io che faccio di tutto perché tu sopravviva, dopo che hai cercato di uccidermi. Quanto meno, mi aspetterei un minimo di gratitudine per essermi preso cura di te per tutto questo tempo, negando la mia attenzione ad altre questioni importanti, ma tu sei troppo sgomenta per proferire parola. Già, dimenticavo: probabilmente eri convinta, anzi, speravi, di avermi ucciso e di essere morta con me. Deve essere dura, vedere deluse a questo modo le proprie aspettative, lo vedo dalla tua espressione.
«Wesker…» mormori. Già, l’unico e inimitabile. Sono lieto che tu ti ricordi ancora il mio nome, se non altro è segno che la caduta non ha danneggiato le zone del tuo cervello adibite alla memoria.
«Valentine. È un piacere vederti di nuovo in vita.» ti rispondo. Ti guardi attorno, forse chiedendoti dove ci troviamo, o perché non siamo entrambi all’altro mondo.
«Tu dovevi essere morto… dovevamo morire tutti e due!» rantoli, cercando di muoverti. Mi alzo dal mio pianoforte e mi avvicino a te, per aiutarti a metterti meglio seduta.
«Calmati, agitarti non ti servirà a nulla.» ti ordino, sedendomi sul bordo del letto e mettendoti le mani sulle spalle. Vedo come eviti di guardarmi negli occhi, mia cara Valentine. Ti fanno forse paura? È un vero peccato, perché presto dovrai imparare a considerarli gli occhi del tuo padrone… «Sei stata immobile per troppo tempo, il tuo corpo non è più abituato al movimento.» ti spiego.
Sei sgomenta, ti dimeni sotto alle mie mani, ma le tue forze sono così deboli da suscitarmi qualcosa di molto simile alla tenerezza. Vederti mentre cerchi di imparare di nuovo a muoverti mi strappa un sorriso. Dopo averti messo un cuscino sotto alla schiena, ti aiuto a piegare le braccia e a muovere le dita. Ancora tenti di fare da sola, ma quando le tue mani ricadono inerti sul tuo grembo ti decidi a lasciare che io ti guidi nei movimenti.
«Perché…?» domandi, mentre tengo le tue mani tra le mie, piegandone lentamente le dita perché si riprendano dall’atrofia. Ti sento tremare, probabilmente di rabbia e frustrazione per il fallimento. Sorrido: per te deve essere inconcepibile vederti salvare la vita dal tuo nemico… e anche avercelo di fianco al letto che ti massaggia le mani non deve essere facile da accettare! Beh, anche per me non è il massimo averti in giro ancora in vita, considerato che preferirei ucciderti alla svelta per toglierti di mezzo, ma in tutti questi anni ho imparato ad essere paziente. Se per raggiungere il mio scopo mi servirai anche tu, saprò gestirti. Anzi, saprò essere un ospite d’eccellenza, in modo che tu, mia  preziosa pedina, ti senta a tuo agio ed eviti inutili tentativi di evasione… finché non sarà il tuo momento di darmi ciò che voglio.
«Ti ho salvata io, facendoti scudo con il mio corpo.» ti spiego mentre ti massaggio le spalle. «Se non fosse stato per me, saresti morta sul colpo. E invece te la sei cavata con entrambe le gambe rotte, buona parte delle costole incrinate e tutta un’altra serie di ossa in frantumi.»
«Ma… io sto bene!» farfugli, mentre cerchi con lo sguardo tracce di fasciature o di stecche.
«Credimi, due mesi fa non avresti detto lo stesso.» ti rispondo con noncuranza. Da come sbarri gli occhi, mi rendo conto che credevi di essere stata fuori gioco per molto meno tempo.
«Due mesi…?» ripeti. Batti più volte le palpebre, sembri non riuscire a capacitarti della rivelazione. Forse è il caso di approfittare del tuo stato per fiaccare in te gli istinti di ribellione.
«Sì, due mesi.» confermo. «Sei ufficialmente morta da un mese e venti giorni. Chris ha condotto le ricerche del tuo corpo per oltre dieci giorni, finché non si è poi arreso a dare l’ok per il funerale ad una bara vuota.»
Devo essere stato abbastanza duro, perché vacilli come se ti avessi colpita fisicamente. Bene, le mie parole devono aver sortito l’effetto desiderato, facendoti piombare nella disperazione. Devi sentirti sola e abbandonata, mia povera Valentine… cosa della quale mi compiaccio, perché forse così ti piegherai più docilmente al mio progetto. Mi soffermo per alcuni secondi a guardare i tuoi occhi, alla ricerca della rassegnazione in cui conto, ma l’unica cosa che ci trovo è il tuo odio per me. E dire che una volta mi amavi, anni fa, prima che vi tradissi tutti… era solo attrazione fisica, la tua, o amore vero e proprio? Anch’io, a suo tempo, fui attratto da te… e sono le profondità verdi delle tue iridi a ricordarmelo. Quando ancora il mio progetto era solo un’idea, quando mi sarei ancora potuto permettere delle distrazioni come i sentimenti umani, ti avrei amata a mia volta. Ma adesso non è più il momento e tu mi hai ampiamente dimostrato di odiarmi, quindi non ho ragione di distrarmi dal mio obiettivo. E tu, che mi odi o no, mi aiuterai a raggiungerlo.

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Capitolo 5
*** Inside the fiend's nest - Jill ***


Capitolo 5
“Inside the fiend’s nest” - Jill
 
“Due mesi”… “ufficialmente morta”… “bara vuota”… e Chris. Chris! Il mio partner, l’unica persona da cui mi sarei aspettata aiuto in questa situazione… Chris è convinto che io sia morta! Le tue parole mi rimbombano nella mente, che risuona dei loro echi, come una cattedrale deserta. Sono sola, sola nella tana della bestia! Sola, alla mercé del mio nemico! Sola, senza che il mio corpo mi obbedisca, senza poter nemmeno esternare il mio sgomento mettendomi le mani tra i capelli. Cos’è andato storto? Perché non siamo morti tutti e due? Te lo domando e la risata con cui mi rispondi mi ferisce più di qualsiasi altra parola tu possa dire.
«Mia cara, credevi veramente di potermi uccidere con una caduta del genere?» mi chiedi. È evidente come la domanda non necessiti di risposta, cosa che mi irrita ancora di più di quel lieve sogghigno rimasto sulle tue labbra dopo la risata.
Vorrei riuscire a darti un pugno, così almeno distoglieresti quegli occhi da rettile dai miei. Perché mi fissi così? Non ti basta vedere la mia disperazione dai miei occhi? Vuoi forse che pianga? Che ti supplichi di lasciarmi libera? Non avrai nulla di tutto questo, maledetto. Se anche Chris non verrà ad aiutarmi, riuscirò con le mie sole forze a sottrarmi alla tua presa. E allora te la farò pagare anche per oggi, per il piacere malevolo che hai dimostrato nel rivelarmi la mia condizione e per il gusto con cui sembri assaporare la mia disperazione.
«Perché mi hai tenuta in vita?» ti domando dopo qualche minuto in cui verifico che finalmente riesco a muovere le dita delle mani.
«Per il momento non ti deve interessare.» mi rispondi. «Prendilo come un atto di gentilezza da parte del tuo ex-capitano, o come un capriccio di colui che presto diventerà il dio di un nuovo mondo.»
Come sono grandi le tue mani, rispetto alle mie, noto, mentre provo a stringere le dita sulle tue. Sento che ricambi la mia stretta e, per un attimo, mi ritrovo a voler credere alle tue parole. Il mio ex-capitano… l’Albert Wesker che ho amato… quelle mani sono pur sempre le stesse che strinsi a suo tempo, in quei momenti in cui riuscivo a tirare fuori dal nostro taciturno capitano l’uomo che realmente era. O che voleva farmi credere di essere realmente. Torno alla realtà con violenza, realizzando che le tue parole non sono state solo per l’ex-capitano, ma anche per il nuovo Wesker, quello che ha deciso di giocare a fare il dio. Lascio andare le tue mani, rabbrividendo ai ricordi che il loro calore mi ha suscitato. Credevo di averli seppelliti bene in fondo alla mia coscienza… e invece eccoli ricomparire di nuovo, nel momento più sbagliato, a indebolire la mia determinazione, a fiaccare la mia resistenza. Da anni, ormai, da quando tu sei diventato il mio nemico numero uno, non posso più permettermi certi sentimenti, proposito che credevo consolidato nel momento stesso in cui avevo deciso di sacrificare la mia vita per porre fine alla tua, ma che invece ora mi pare fragile come il mio stesso corpo, costretto persino appoggiarsi al tuo per riuscire ad alzarsi in piedi.
Tu non dici una parola, mentre mi passi le braccia sotto alle ascelle e mi sollevi di peso dal letto, né mentre mi osservi barcollare sulle gambe rese malferme dai prolungati mesi di inattività. Cerco di muovere alcuni passi, cercando di ignorare il tuo sguardo che pare scavarmi un solco rovente nella carne, mentre rifletto su quel poco che mi hai detto: in effetti non mi hai spiegato nulla dei tuoi progetti nei miei confronti, perciò immagino che dovrò scoprirlo da me. Però non posso indagare in questo stato, devo riprendermi in fretta. Maledette gambe, perché non obbedite agli ordini che vi do? Piangerei, se solo non ci fossi tu. Esprimerei tutta la mia rabbia e la mia frustrazione nell’unico modo che, per ora, questo debole corpo mi concede, se solo tu, la persona che odio di più al mondo, non fossi lì in piedi accanto a me, con un atteggiamento controverso da carceriere che osserva divertito la sua goffa prigioniera e contemporaneamente da fratello maggiore, pronto ad aiutare la sorella imbranata nel momento in cui lei non ce la faccia con le sue sole forze.
Dopo alcuni passi, mi cedono le ginocchia e vedo il pavimento venirmi incontro. Sto cadendo, sono inciampata mentre compivo la semplicissima azione di camminare…! La frustrazione si fa ancora più forte nel momento in cui, pochi secondi prima di finire in ginocchio a terra, sento le tue braccia stringersi al mio petto e tirarmi su nuovamente. Ancora una volta siamo stretti in un abbraccio non voluto, in cui l’unica cosa che percepisco, oltre al mio desiderio di prenderti a pugni, è il pulsare calmo e potente del tuo cuore. Lasciami… lasciami, maledizione! Non stringermi così, come se fossi mosso da un’umana premura, mi fa più male che se mi stringessi le dita attorno al collo per strangolarmi. Eppure, incurante del mio stato d’animo, come se aiutare la tua avversaria fosse la cosa più naturale del mondo, mi cingi un braccio attorno alla vita e mi porgi l’altro come appoggio.
«Forse per oggi hai fatto abbastanza.» osservi, con una nota divertita nella voce. «Sei stata brava, comunque.» Con questo complimento che mi sussurri mentre mi aiuti a sistemarmi nel letto mi stai forse prendendo in giro? Mi sentirei legittimata a dire di sì, se non fosse che non percepisco nel tuo tono quello sprezzo che hai sempre riservato ai tuoi nemici.
«Riposati. Torno fra qualche minuto.» mi dici, prima di sparire oltre la porta. «Devo toglierti dei punti e cambiarti delle medicazioni.»
Con queste parole mi lasci sola, a ripensare a tutto quello che è appena successo. E la voglia di piangere si fa più forte, così impellente che mi ci abbandono, inumidendo di lacrime tutto il cuscino. Sono troppi gli interrogativi, troppi i propositi di fuga, troppi anche i sentimenti confusi che si fanno strada nel mio inconscio, per poter riflettere con lucidità.
E allora piango. È la sola cosa che riesco a fare, per ora.

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Capitolo 6
*** Unwanted Care - Wesker ***


Capitolo 6
“Unwanted Care” – Wesker
 
Quando ritorno da te, la prima cosa che noto è la macchia di umido sul cuscino. Tu sei seduta come ti ho lasciata e mi fissi senza celare l’odio che provi per me, ma non puoi nascondere la prova del fatto che hai pianto mentre non c’ero. Non posso che ammirare la tua caparbietà ed i tuoi tentativi per mostrarti forte ai miei occhi, sono un tratto di te che ho sempre apprezzato… ma in questa situazione mi generano anche una genuina tenerezza, perché nonostante io non sia più umano, sono ancora capace di mettermi nei panni degli altri e posso capire come ti senti. Sei stata abbandonata, sei frustrata, sola, debole e costretta a fare affidamento sul tuo peggior nemico se vuoi sopravvivere, decisamente è comprensibile se hai voglia di piangere. Io, di sicuro, non ho fatto nulla per metterti a tuo agio e, onestamente, me ne compiaccio: più fiaccherò la tua resistenza, più facile mi sarà usarti. Ma per questo c’è tempo, ora come ora, ridotta come sei, non mi servi a nulla. Devo prima aiutarti a rimetterti in forze, cosa che farò con sommo piacere e al meglio delle mie capacità. A cominciare da oggi.
«Devo toglierti la maglia.» ti spiego. I tuoi occhi si sgranano, per poi ridursi a fessure subito dopo.
«Neanche per sogno.» mi rispondi, con astio. Devi aver frainteso le mie intenzioni, Jill. Per una volta non voglio farti del male in alcun modo, ma non posso certo pretendere che tu mi creda sulla parola, ragione per cui, dopo un sospiro, mi costringo ad essere più cortese con te.
«Jill, hai decisamente frainteso il mio proposito.» ti mostro gli attrezzi di pronto soccorso che ho portato con me come prova delle mie buone intenzioni. «Devo toglierti dei punti dalla schiena, niente di più.»
Sospiri, poi mi lanci un’altra occhiata sospettosa, ma pare che mi lascerai avvicinare. Mi sembra di avere a che fare con un animale ferito che, consapevole della sua debolezza, fa di tutto per mostrarsi pericoloso al suo potenziale aggressore. Mi siedo sul letto vicino a te e ti aiuto a levarti la maglietta. La superficie pallida della tua schiena, interrotta qua e là dalle garze che ti ho applicato precedentemente, s’increspa sotto al tocco delle mie mani. Hai la pelle d’oca per il freddo o per la sensazione che ti provoca il contatto con me?
Senza indugiare ulteriormente, inizio a toglierti i punti da una sutura che si è rimarginata. Rimarrà una bella cicatrice, ma sarà un ottimo memento del giorno in cui hai fallito nel tuo intento, mia piccola Jill. Dopo qualche secondo di silenzio, ti sento gemere ed imprecare sottovoce.
«Fai più piano!» sbotti.
«Scusami.» ti rispondo, ringraziando il fatto che tu sia voltata di schiena e non possa vedere l’espressione irritata che la tua esclamazione mi ha appena strappato. Su questo, lo ammetto, ti preferivo quando non reagivi.
Dopo la prima medicazione ne vengono altre e tu sei costretta a sottoportici. Non servono a nulla le occhiate furenti che mi lanci mentre ti spoglio per prendermi cura delle tue ferite. Sei alla mia mercé, costretta a restare priva di qualunque difesa davanti al mio sguardo e sai benissimo che anche adesso sei in vita solo perché io non ho deciso di ucciderti. Se non altro, come prova della mia onestà quando ti ho detto che volevo solo medicarti, non indugio troppo con le mani sul tuo corpo, come invece ammetto che mi piacerebbe fare. Non ti ricordavo così bella, Jill... l'ultima volta che ti sei spogliata per me è stata tanto tempo fa, ma la ricordo ancora come se fossero passati solo pochi giorni. Il tuo corpo pallido sotto al mio, il calore della tua pelle, la sensazione delle tue mani fra i miei capelli... e la tua voce, rotta dagli ansiti, che chiama il mio nome. Già, a quei tempi mi chiamavi per nome. Ma a quei tempi non avevi alcuna paura di svelarti davanti ai miei occhi ed io ero ansioso di perdermi nei tuoi. Incredibile, sto sorridendo. Ripenso al passato e sorrido... e forse lo rimpiango anche. Rimpiango i momenti in cui eri al mio fianco di tua volontà, in cui non vedevi l'ora che lavorassimo insieme, in cui, quando ti chiamavo, rispondevi prontamente, con un tono malizioso che solo io riuscivo a percepire: "Sì, Capitano?"
Se solo tu mi avessi seguito nel mio tradimento, ora non saresti una mia pedina, ma la mia signora. Saresti ancora una volta al mio fianco, potresti di nuovo scompigliarmi i capelli e, alla notte, coricarti stringendoti al mio petto. Ma ora mi odi per quello che ho fatto e per i mezzi che ho utilizzato per portare avanti il mio piano... e l'unico modo che ho per assicurarmi la tua collaborazione è costringerti.

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Capitolo 7
*** Crumbling Determination - Jill ***


Capitolo 7
“Crumbling determination” - Jill
 
Quando mi hai detto che volevi spogliarmi, lì per lì ho creduto che stessi scherzando. Poi i ricordi del passato sono tornati a galla e, con essi, la paura. Non la paura del contatto con te, ma la paura di ciò che esso avrebbe potuto suscitarmi. Non ho dimenticato ciò che c’è stato tra di noi, anzi. Ne avevo fatto una delle mie più forti motivazioni per odiarti. Prima che ci tradissi tutti, quando ci frequentavamo, avevo cominciato a capire che ti amavo e speravo che, prima o poi, anche tu ti saresti reso conto della stessa cosa. Ma poi ci hai voltato le spalle, le hai voltate a me… e io non ho potuto fare altro che odiarti per quello che avevi fatto, nonostante i miei sentimenti non fossero realmente mutati. Li ho solo usati come base per costruirne di nuovi in cui mi sono costretta a credere. Avevo sempre pensato di esserci riuscita… io ti odiavo, Wesker. Ti odiavo per il tradimento alla S.T.A.R.S., perché avevi fatto soffrire Chris e altre persone a me care, per tutti i compagni che avevi ucciso, nonostante si fidassero di te, del loro capitano. Ti odiavo perché avevi voltato le spalle a me, per perseguire i tuoi piani folli… e perché sapevo che non avrei mai più potuto abbracciarti. Mi ero costretta ad odiarti al punto da volermi sacrificare per ucciderti, ma inconsciamente, mentre cadevo con te, ero felice di morire così, abbracciata a te per l’ultima volta.
Ancora una volta, mi sforzo di tornare alla Jill determinata che ero prima di entrare in questa situazione surreale. Sì, ti odio, Wesker. Non voglio che tu mi tocchi, perciò tieni le mani lontane da me. Esprimo la mia disapprovazione lanciandoti un’occhiata truce e la tua risposta mi fa rendere conto di quanto sono appena stata stupida: vuoi solo medicarmi. Niente a che vedere col passato, vuoi solo che io mi rimetta per potermi usare, no?
La determinazione ad odiarti pare ritornare mentre lascio che tu ti avvicini e mi tolga la maglietta. Ti sento armeggiare alle mie spalle, poi varie fitte dolorose mi strappano alcuni gemiti. Davvero non sei più quello di una volta, maledizione. A suo tempo saresti stato delicato… e nel compiere le azioni necessarie per togliermi i punti avresti trovato il tempo per una carezza o per posare le tue labbra sulla mia pelle. Ora invece il tuo tocco è così freddo e meccanico, così impersonale che mi fa male. Come fai, dopo quello che c’è stato tra di noi? Fingevi anche allora? Non hai mai pensato che potevo essermi innamorata di te, o tu di me?
Una fitta più dolorosa mi strappa ai ricordi, costringendomi a protestare. Come puoi farmi del male in questo modo, senza alcun rimorso?
Non capisco più cosa stia succedendo dentro di me. Ti odio, questo è sicuro. Dopo tutto quello che hai fatto non posso non odiarti. Tuttavia, una parte di me è triste, affranta dalla freddezza con cui mi tocchi dopo tanti anni in cui ho desiderato poter rivivere l’intensità ed il calore dei momenti trascorsi al tuo fianco. Quella parte che ho cercato di soffocare per tanto tempo sta di nuovo manifestandosi, costretta a protestare violentemente dal contrasto che il nuovo Wesker crea con quello che amavo.
Finalmente il supplizio finisce e posso rimettermi la maglietta. Tu sei di nuovo in piedi di fronte a me, una mano dietro la schiena, l’altra stretta sulla cassetta del pronto soccorso e gli occhi puntati su di me. Quegli occhi da rettile che ora brillano lievemente nella penombra della stanza, più di ogni altra cosa, mi ricordano come sei cambiato… ti prego, rimettiti gli occhiali da sole, mi fanno paura. Celali dietro alle lenti, in modo che io possa credere che siano ancora del loro colore originario…
«Per oggi ho finito, domani dovrò controllarti di nuovo.» dici, come se la cosa non ti avesse minimamente turbato. «Jill…»
«Cosa vuoi?» è la prima volta che mi chiami per nome. Chissà perché risentire la tua voce che lo pronuncia mi dà i brividi.
«… non sei cambiata, da allora.» mormori. Prima che io riesca a chiederti in che senso, sei già sparito oltre la porta della mia stanza, lasciandomi di nuovo sola, più inquieta di prima.
Sola, con tutti i miei dubbi e le mie paure. Sola, con mille pensieri per la mente. Chris, la mia prigionia, un piano di fuga… e ora le tue parole.

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Capitolo 8
*** Humanity? - Wesker ***


Capitolo 8
"Humanity?" – Wesker
 
Dubbi. Una cosa così dannatamente umana, così intrinsecamente debole, che, nel mio percorso per diventare un dio, sono stati la prima cosa che ho abbandonato. Un dio non può, non deve avere dubbi. Sa che quello che fa è sempre giusto, non deve spiegazioni a nessuno, nemmeno a se stesso e, soprattutto, sa sempre perché compie un’azione, o proferisce parola. In questi ultimi anni della mia vita, trascorsa a tramare e ad organizzare un piano di proporzioni smisurate, ogni mia singola azione, ogni parola, ogni fatto, ogni cosa ha avuto la sua precisa ripercussione sul mio piano, in un perfetto rapporto di causa-effetto che, di giorno in giorno, mi porta più vicino al mio obiettivo. Non ho mai avuto dubbi su ciò che facevo, né tanto meno sul perché lo facessi: tutto era calcolato, tutto era previsto… eppure oggi, nella quiete del mio ufficio, in cui mi sono ritirato dopo averti lasciata da sola, mi ritrovo preda di un dubbio.
Perché ti ho detto quella frase?
Non lo so. E la cosa mi fa imbestialire. Cosa volevo dire, constatando che non sei cambiata, Jill? Erano le reminescenze del mio passato, di quando il tuo corpo non era un segreto ai miei occhi, che parlavano attraverso le mie labbra? Stavo veramente per dirti che, come in passato, sei rimasta bellissima?
Stringo i pugni e mi alzo dalla poltrona su cui mi ero seduto, cominciando a misurare a grandi passi il mio ufficio. Le luci sono basse e creano una lieve penombra che nasconde parzialmente i tratti degli oggetti che mi circondano. Lo schermo del computer è, insolitamente, spento e silenzioso, mentre una moltitudine di carte e documenti affolla la mia scrivania. Mi fermo per raccogliere i miei occhiali da sole dal tavolo, prima che le carte li sommergano e li inforco lentamente. Schermata dietro alle lenti scure, la mia visuale percepisce un’ulteriore penombra, che però non mi infastidisce, anzi, mi rilassa. E, visto quello che è appena successo, ne ho decisamente bisogno.
Devo riflettere con calma, per decidere cosa voglio fare di te, Jill. Non devo farmi prendere dai fantasmi del passato e ricordarmi del fatto che ora mi detesti. Odi ciò che sono diventato e mi temi, come è giusto che sia. Nonostante io possa ammettere che sì, sei bella come in passato, non posso pensare che tu possa stare al mio fianco di tua volontà. Ho percepito chiaramente la tua ostilità, Jill, nemmeno lo smarrimento che le mie ultime parole ti hanno causato è servito a cancellare dai tuoi occhi l’odio che provi per me.
Eppure, se solo riuscissi a riavvicinarmi a te, potrei capire se ci sono possibilità di riaverti dalla mia parte. Se i ricordi del passato trascorso insieme hanno toccato me, che sono refrattario a quasi tutti i sentimenti umani, non è possibile che tu sia riuscita ad ignorarli. Ricordo perfettamente com’eri quando eravamo insieme… e comincio a pensare che la tua non fosse solo attrazione fisica. Se sono veramente l’uomo che amavi, anche se ora mi odi, l’avermi nuovamente vicino dovrebbe farti ricordare quello che c’è stato. Ne sono certo, anche se ti nascondi dietro ad una maschera di odio e durezza, dentro hai sicuramente una piccola crepa che posso allargare, per far sbriciolare la tua determinazione.
Sorrido, mentre una nuova strategia si fa strada tra i miei pensieri. Riuscire a portarti dalla mia parte per averti nuovamente al mio fianco, non sarà un’impresa facile. Ma se ci riuscirò, sarà la mia vittoria più grande su Chris. Ti perderà per la seconda volta… e sarai tu stessa ad abbandonarlo. Dopo, non mi resterà che dare il colpo di grazia ad un uomo distrutto, per riuscire finalmente a liberarmi di un ostacolo che mi intralcia da troppo, troppo tempo.
Chris verrà spazzato via, io sarò il dio di un nuovo mondo e tu, Jill, senza nemmeno accorgerti del mio intervento, sarai felice di essere al mio fianco. Sarai la mia signora, saremo di nuovo insieme. Tornerai con l’uomo che hai amato… non dovrò nemmeno costringerti, lo farai di tua spontanea volontà.
Sorrido alla mia immagine riflessa sul monitor del computer, osservando come il bagliore arancione dei miei occhi sia chiaramente percettibile anche attraverso le lenti degli occhiali.
Il volto di un dio… che presto avrebbe avuto la sua signora.

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Capitolo 9
*** Piano Lessons - Jill ***


Capitolo 9
“Piano lessons” – Jill
 
Ho dormito malissimo, stanotte. Nonostante il morbido piumone che mi ha protetta dal freddo, il cuscino in cui mi sembrava di affondare, il profumo di lenzuola pulite e la quiete che permeava la stanza, non ho chiuso occhio. Continuavo a guardare di fronte a me la sagoma del pianoforte al quale ti ho visto seduto e a pensare a tutto quello che è successo dal mio risveglio. Dovevo essere morta e non lo sono. Dovevi essere morto con me e non lo sei. Dovevo odiarti… e ora non so cosa mi prende. Il mio passato ha continuato per tutta la notte a stuzzicarmi, proponendomi immagini e ricordi che credevo di aver nascosto in un cantuccio segreto della mia mente in cui non avrei mai più potuto ritrovarli.
Il tempo mi scorreva addosso come acqua mentre vedevo il buio farsi lentamente luce dalla piccola finestra alla destra del mio letto. I ricordi, anch’essi come una cascata, mi hanno inondato la mente, ora rischio di annegarvi dentro.
Deve essere mattina presto quando la porta della mia stanza si riapre e ricompari tu. Niente cassetta del pronto soccorso, stavolta, niente sorrisetto sarcastico, solo il tuo volto impassibile ed i tuoi occhi luminosi che mi squadrano con attenzione. Il silenzio si fa pesante mentre mi sollevo a sedere e cerco di sostenere il tuo sguardo con aria di sfida. Non so cosa ti passi per la testa, a dire il vero non so nemmeno cosa passi per la mia, ma una cosa è certa: non mi vedrai aver paura. Non ti temo, Wesker.
«Buongiorno.» mi saluti. Il tuo tono sembra neutro, così come l’espressione sul tuo viso. «Dormito bene?»
La tua domanda mi strappa un risolino: probabilmente stai cercando di iniziare una conversazione, ma non sono più abituata a sentirti proferire frasi del genere. Sentire l’assassino dei miei compagni che mi domanda se ho dormito bene mi agghiaccia e insieme mi diverte.
«Sì.» mento. Non voglio che tu sappia della mia debolezza. Potresti approfittartene… di più di quanto tu non stia già facendo.
«Bene.» mi rispondi. Ti avvicini al letto e mi aiuti a scendere. Oggi mi reggo già meglio in piedi, ma ho comunque bisogno di appoggiarmi al tuo braccio, cosa che non manchi di farmi notare con tono divertito. Nonostante il lieve sorriso che ti increspa le labbra, non sembra che tu voglia schernirmi… potresti togliermi l’appoggio e guardarmi cadere per ricordarmi quanto ora tu sia vitale per me, ma non lo fai. Oggi non sembri intenzionato a rammentarmi la tua grandezza, né ad umiliarmi. La cosa mi inquieta più che se ti avessi visto arrivare armato di strumenti di tortura.
«È ora che recuperi l’uso degli arti, Jill.» mi dici. «Oggi comincerai con le mani.»
Non ho idea di che esercizio tu abbia in mente per farmi riprendere dall’atrofia alle dita, ma qualsiasi cosa mi va bene, basta che dopo mi obbediscano di nuovo. Ti rivolgo un’occhiata veloce e tu mi indichi il pianoforte con un cenno della testa. Noto che ci sono due sgabelli davanti ad esso e sento che mi stai indirizzando verso uno dei due. Mi siedo, sempre sentendo le tue mani e le tue braccia che mi vengono in aiuto lì dove non riesco a muovermi bene, poi alzo le braccia con fatica e appoggio le mani sui tasti. Non mi ci vuole molto per ritrovare dimestichezza con la tastiera, ma le mie dita non vogliono saperne di rispondermi. Tu nel frattempo ti sei seduto al mio fianco, sento chiaramente la tua gamba contro alla mia e il tuo gomito che tocca leggermente il mio.
Cominci a suonare, con calma e metodicità. Riconosco subito la melodia: "Moonlight Sonata". Beethoven è sempre stato il tuo preferito, non è vero? Suoni senza staccare gli occhi dalla tastiera, sembri completamente assorto. Noto la dolcezza con cui tocchi i tasti, una dolcezza di cui credevo che le tue mani non fossero più capaci da molto, molto tempo. Quelle mani hanno ucciso centinaia di persone e condannato alla corruzione altrettante, eppure io riesco ancora a ricordarmi quando mi accarezzavano il viso. Quella dolcezza, una volta, la riservavi a me.
Lentamente, con grande sforzo, comincio anch’io a muovere le dita sui tasti. Comincio supportando la tua melodia con pochi e semplici accordi, di quelli che non mi richiedono di muovere molte dita contemporaneamente. Mi inserisco lentamente, a stento, sbagliando di tanto in tanto i tasti a causa delle dita intorpidite, ma tu non batti ciglio ai miei errori, continui a suonare imperterrito, a volte chiudendo persino gli occhi, come a voler godere da solo della tua melodia. Di tanto in tanto ti sbircio di sottecchi, sollevando lo sguardo dalla tastiera e rischiando di steccare pesantemente, ma non posso farne a meno. Vederti così assorto, così sereno, mi ricorda i bei giorni trascorsi insieme. Non c’è nemmeno il bagliore dei tuoi occhi da rettile a ricordarmi che non sei più il mio capitano, ma un Albert Wesker nuovo e pericoloso.
Continuiamo a suonare a lungo, per un periodo che non riesco a quantificare. Tu non sembri volerti fermare, quindi neanche io arresto il movimento delle mie dita. Lentamente, sento che stanno tornando a rispondere ai miei comandi e posso finalmente passare, con timida reverenza, all’esecuzione di accordi più complessi. Le note sbagliate diminuiscono, i miei accordi si mescolano alla tua melodia, finché ogni nota non risulta perfetta. Mentre continui a suonare, un sorriso ti attraversa le labbra e, per un attimo, mi pare che le tue sopracciglia perennemente aggrottate si distendano. Di nuovo, l’immagine di te che avevo in passato torna a sovrapporsi a quella di te che ho adesso. Il mio capitano, l’assassino. L’uomo che amavo, il mio peggiore nemico. Non capisco più quale dei due tu sia.
Quando finalmente terminiamo di suonare, dopo quelle che mi sono parse ore senza fine, ho recuperato perfettamente l’uso delle dita e tu mi sorridi. Non un sogghigno, non un sorriso intriso di sarcasmo. Un sorriso incoraggiante, quasi dolce, in cui però stonano, come una nota sbagliata nella melodia che abbiamo suonato insieme, i tuoi occhi. Inumani, luminosi di un bagliore arancione, così inquietanti da farmi correre un brivido lungo la schiena anche nel momento in cui mi ero sentita riscaldare il cuore dalla tua espressione.
Non sembri notare la mia inquietudine, o forse non ti interessa.
«Brava.» mormori. Niente di più, non una parola di troppo, che mi faccia capire cosa stai pensando. Mi aiuti ad alzarmi e mi riaccompagni a sedere sul letto. Fuori dalla finestra, la luce del sole si è fatta più intensa, probabilmente è mattino inoltrato. Abbiamo veramente suonato per alcune ore.
E, nonostante i miei propositi di odio, è stato meraviglioso.

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Capitolo 10
*** Trust - Wesker ***


Capitolo 10
“Trust” – Wesker
 
Mi alzo dallo sgabello lentamente, come se mi fossi appena risvegliato da un sogno. È sempre stato così, quando suono il pianoforte: dimentico ciò che mi circonda, concentrandomi interamente sulla melodia. Nella mia mente non c’è più spazio per i pensieri, ma solo per richiamare i movimenti meccanici degli accordi, il tutto con la maggiore perfezione possibile. E la sensazione di essere io, con le mie mani, a creare qualcosa di meraviglioso come una melodia, è così inebriante da farmi persino dimenticare i miei progetti, i miei rancori, l’odio e il desiderio di morte. Mai mi sono sentito vicino alla condizione di dio come quando ho suonato per ore il pianoforte senza fermarmi.
Solo io e la musica, la mia creazione. Molto più armonica di qualsiasi altra cosa io sia mai riuscito a creare. In questi momenti mi sento veramente sereno. Volevo che tu mi vedessi, Jill, volevo che vedessi questo lato di me, è ciò che di più umano posso mostrarti senza fingere, senza risultare falso o sforzato e che, sono sicuro, ti avrà colpita. Non mi credevi ancora capace di provare sentimenti, non è vero? Eppure mi hai appena visto sorridere e, anche se non lo sai, era un sorriso vero. L’unico che riesco ancora a concedermi, la sola fetta di umanità a cui non voglio rinunciare e l’unica parte umana di me che probabilmente potrebbe ancora attrarti. Sì, Jill, il tuo amato capitano c’è ancora, nonostante sia stato consumato da qualcosa di superiore. Ha ancora dei sentimenti, nascosti sotto alle sue fredde macchinazioni, può ancora sentire il calore che si prova suonando al pianoforte una melodia commovente, o quello della tua gamba contro alla mia, che non si è mossa da quella posizione per tutto il periodo in cui abbiamo suonato.
Ti porgo una mano per aiutarti ad alzarti e tu me la stringi con rinnovato vigore. Sono piacevolmente sorpreso dal fatto che ti ci sia voluto così poco per recuperare l’uso delle dita. Sei in gamba, lo devo ammettere ancora una volta. Ti sollevi maldestramente e, di nuovo, ti aggrappi al mio braccio per non cadere mentre ti accompagno fino al letto. Non hai ancora aperto bocca, ma posso notare che non mi fissi più con aria di sfida. Qualcosa di me ti inquieta, lo vedo. Ma non sembra più suscitare il tuo odio verso di me. Che il vedermi suonare ti abbia ricordato tutte le volte che ci siamo seduti al pianoforte insieme, in passato? O forse hai ripensato alla prima volta in cui, mentre mi sentivi suonare, mi sei arrivata alle spalle e mi hai abbracciato? Ricordo ancora benissimo che, colto di sorpresa, mi ritrovai a steccare sulla mia parte preferita e desiderai per un attimo che la terra ti inghiottisse, pur di completare alla perfezione la melodia, ma che poi il mio perfezionismo venne meno quando sentii il tuo profumo ed il calore del tuo corpo.
Prima o poi mi abbraccerai di nuovo così, Jill, dovessi metterci degli anni. Ricomincerai ad amarmi, ne sono certo. Vedo già i primi leggeri cambiamenti nel tuo atteggiamento e sono sicuro che la tua non sia finzione. Almeno la tua non lo è. Per quello che mi riguarda, invece, io ti ho fatto vedere il mio lato ancora umano, ma il mio obiettivo non cambia. Ti avrò per annientare Chris.
Avrò la tua fiducia, mia preziosa Jill, anche se il prezzo da pagare fosse abbassare la guardia come ho fatto oggi. La mia tecnica pare aver dato dei frutti, per quanto piccoli… e sono certo che, continuando così, raggiungerò il mio obiettivo.
Per ottenere la fiducia di un’altra persona bisogna entrarci in contatto e la maniera migliore per farlo è condividere i propri sentimenti. Questo è l’unico sentimento che mi rimane e l’ho condiviso con te, Jill. Fanne buon uso, interpretalo nella maniera giusta e vedrai che andremo d’accordo. Non c’è fretta, ho aspettato tanti anni per portare a termine il mio piano, posso aspettare ancora un po’, pur di togliere Chris di mezzo.
«Devi avere fame.» osservo, riflettendo sul fatto che non devi aver toccato cibo solido da tantissimo tempo. «Vado a prenderti qualcosa da mangiare.»
Prima che tu possa ringraziarmi sono già fuori dalla tua stanza, percorro a grandi passi un corridoio e rifletto su cos’altro posso fare per conquistarmi la tua fiducia. Ci vorrà tempo, ne sono certo, ma ci riuscirò.
Una voce femminile interrompe i miei ragionamenti, facendomi digrignare i denti e stringere violentemente i pugni.
«Albert! Albert, aspettami!» la voce è irritantemente alta ed è seguita dal suono di tacchi da donna troppo alti per essere comodi. Senza contare che mi chiama per nome, fatto che, da solo, basterebbe per condannare una persona comune ad una morte prematura. Ma questa, purtroppo, non è una persona comune. È una di quelle che, mio malgrado, mi tocca tenere al mio fianco per i miei scopi e di cui mi sbarazzerò con sommo piacere quando sarà il momento.
Sono tentato dall’idea di nascondermi per sfuggirle, ma mi trattengo. Le pubbliche relazioni prima di tutto e, se voglio che il mio piano riesca, devo fare questo sacrificio. Mi costringo a voltarmi e la vedo mentre mi viene incontro.
Impeccabilmente vestita come al solito, con un abito troppo scollato e troppo corto, tacchi esagerati ed una crocchia di capelli corvini che torreggia sul suo capo. Sarebbe piuttosto bassa, ma fa di tutto per dissimularlo, probabilmente per sentirsi alla mia altezza in tutti i sensi. Sorride, come sempre, quando mi guarda. Mi viene vicina e mi si struscia voluttuosamente contro, come un gatto quando è felice di vedere il padrone. Deve credere di essere seducente, ma in effetti non mi fa né caldo né freddo. Prego solo che abbia qualcosa d’importante da dirmi e che non si tratti di una visita di cortesia tanto per venire a farsi gli affari miei. Certo, essendo convinta di essere la mia partner, si ritiene investita del privilegio di ficcanasare nei miei progetti… e non c’è verso di dissuaderla.
«Excella…» mormoro, cercando di mascherare la mia irritazione. «Cosa ci fai qui?»
«Beh, non posso venire a vedere come sta il mio caro socio?» mi domanda, battendo esageratamente le ciglia ed aggrappandomisi ad un braccio.
Come temevo, non ha nulla da dirmi, è passata di qui soltanto per deliziarmi della sua presenza… o così crede lei. Preferirei un giorno in compagnia di un Licker, piuttosto che con lei attaccata al braccio… ma questo non lo deve sapere.
Mia cara Jill, spero non ti dispiaccia aspettare, ma temo che qui avrò da fare per un bel po’… appena mi sarò liberato di Excella tornerò da te, spero solo di non farti morire di fame nel frattempo!

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Capitolo 11
*** Loose feelings - Jill ***


Capitolo 11
“Loose feelings” - Jill
 
Il mio stomaco sembra essersi improvvisamente risvegliato e pare di pessimo umore. Ulula come un lupo disperato mentre ti aspetto, rannicchiata in mezzo al piumone. Mi stringo le gambe contro al petto e mi domando dove tu sia finito. Ti sei dimenticato di me? Hai trovato un’incongruenza nelle tue trame e ora ti sei rinchiuso in un laboratorio a cercare di correggerla, mettendo in secondo piano il tuo ostaggio? Da te potrei aspettarmelo. Da questo nuovo te con gli occhi inumani, che gira tutto il giorno vestito di nero, che non si toglie mai i guanti, che potrebbe uccidermi solo stringendo le dita attorno al mio collo… ma che non l’ha ancora fatto, nonostante io per prima abbia cercato di ucciderlo. Non capisco cosa ti passi per la testa, Wesker. Non riesco  ad interpretare le tue poche espressioni come una volta, né a comprendere perché sembri così determinato a prenderti cura di me. Avrai senz’altro un piano per la testa, non credo tu ti stia occupando di me solo per compassione umana. Un dio come te non prova compassione, non è vero? Forse è per questo che mi stai lasciando qui, sola, preda della fame, per un periodo che mi sembra di alcune ore.
Quando finalmente ritorni, il pomeriggio è trascorso e il buio della sera serpeggia oltre la finestra a coprire le ultime propaggini del tramonto. Ti rivolgo un’occhiata seccata, mentre il mio stomaco esprime il suo disappunto.
«Era ora.» sbotto, mentre ti vai a sedere al pianoforte.
«Scusami.» mi rispondi. Non è esattamente quello che mi aspettavo che mi avresti detto, ma riesco ad intravedere, oltre la maschera impassibile della tua espressione, che sei provato da qualcosa. Fermo per un momento i miei propositi di protestare e aspetto che tu mi spieghi che diavolo ti è successo. «Sono stato trattenuto. Da una collaboratrice… piuttosto insistente.» In effetti non è granché come scusa…
«Beh, non puoi ammazzarla, come hai fatto con tutti gli altri?» ti chiedo, sarcastica. Non so nemmeno cosa voglio fare, parlandoti così, ma di sicuro non riesco a ferirti, anzi.
«Lo farò a tempo debito, quando avrà esaurito il suo scopo.» mi rispondi, mentre un sogghigno ti attraversa le labbra, restituendoti quell’espressione che odio e che mi ricorda, ancora una volta, che nonostante tutto sei più un mostro che un essere umano.
Dentro di me i ricordi stridono con violenza, sovrapponendosi al presente. Sogghignavi così anche in passato, quando mi dicevi che Chris, ai tempi ancora novellino, ti era insopportabile e che avresti tanto voluto sbarazzartene. Scherzavi, allora, o già avevi in mente di diventare quel che sei adesso? Quando dicevi così io ridevo, perché credevo che non dicessi sul serio, ora non mi viene neanche voglia di sorridere, so che lo farai.
«La mia cena?» domando. Doveva essere un pranzo, ma visto l’orario, dovrò cambiarle nome. Ti alzi e mi porgi un vassoio. Sopra c’è una scodella piena di qualcosa che sembra minestra calda, una fetta di pane bianco, una di formaggio ed alcuni quadretti di cioccolato. La minestra profuma di buono e tutto mi sembra dannatamente invitante, il mio stomaco mi supplica di mangiare, ragione per cui mi butto sul cibo come un naufrago, dimenticando le buone maniere.
«Mangia con calma, nessuno ti porterà via nulla.» mi dici, divertito, ma io non ti ascolto. Ho troppa fame, e tutto è troppo buono per non finirlo in pochi minuti. Smaltisco la minestra in qualche cucchiaiata, pane e formaggio spariscono subito dopo, solo il cioccolato riceve un trattamento di favore, ma solo perché ho sempre avuto un debole per il cacao e mi piace gustarmelo.
Terminata la cena, mi volto nuovamente verso di te. Sembra che stare qui a guardarmi ti rilassi, non so perché. Probabilmente questa tua collaboratrice deve darti del filo da torcere come neanche i tuoi peggiori nemici, se vieni a rifugiarti nella mia stanza pur di sfuggirle. Non sono particolarmente ansiosa di conoscerla, se anche tu non sembri sopportarla. Mi guardi in silenzio, poi, dopo alcuni minuti, ti alzi e ti vieni a sedere vicino a me.
«Fatti controllare la schiena.» mi ordini. Io ti volto le spalle e sollevo la maglia, aspettando lo stesso trattamento di ieri.
Eppure non è la pelle dei tuoi guanti quella che sento sulla mia, è troppo calda rispetto a ieri… E il tocco è troppo delicato per essere veramente quello delle tue mani: mi verrebbe da pensare che non si tratti di te, ma nella stanza ci siamo solo tu ed io… e le tue mani non sembrano più quelle di un aguzzino, ma corrono sulla mia schiena con delicatezza, senza ferirmi.
«Ti stai riprendendo alla svelta.» osservi, con una nota soddisfatta nella voce, mentre continui a controllare fasciature e cerotti. Non so cosa risponderti, probabilmente non c’è nulla che io possa dirti, sei troppo preso dal constatare la salute del tuo ostaggio per preoccuparti dei suoi sentimenti…
O forse no?
Sulla scapola destra, lì dove hai appena levato l’ennesimo cerotto, percepisco il tocco lieve di quelle che non sono le tue mani, bensì le tue labbra. Il cuore mi sembra esplodere, mentre sento che le posi di nuovo sulla mia pelle, dolcemente. Non sono gelide come mi immaginavo… hanno conservato lo stesso identico calore che avevano in passato… e tu sembri ricordarti benissimo i gesti che facevi allora, perché li ripeti con precisione incredibile.
Le tempie mi pulsano furiosamente, tutto il mio corpo sembra scosso dai battiti del mio cuore. Dovrei allontanarti, eppure non ci riesco. È un contatto che avevo dimenticato da troppo tempo, ritrovarlo ora, così improvvisamente, è insieme uno shock ed una sensazione meravigliosa. Per quanti anni, dopo il tuo tradimento, ho bramato ancora questo contatto, nonostante mi fossi imposta di odiarti? Pian piano sono riuscita a dimenticarlo, a seppellirlo sotto strati di odio, ma non l’ho cancellato. Il desiderio di risentire le tue labbra sulla mia pelle era ancora lì, in attesa di poter tornare alla luce al momento giusto.
Le tue mani mi accarezzano le braccia, mentre ti siedi più comodamente alle mie spalle, continuando a baciarmi. Sì, non hai i guanti. È la tua pelle, quella che sento sulla mia, il tuo calore, un ultimo vestigio della tua umanità perduta.
E, mentre rimango immobile, seduta sul letto, con la mente ad anni di distanza, rivedo mille altri ricordi che credevo di aver relegato fuori dalla mia memoria. È bastato il tuo tocco per liberarli dalla fragile gabbia in cui li avevo rinchiusi.
Ti accarezzo una mano, timidamente, mentre sento le tue labbra ed il tuo respiro sul collo.

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Capitolo 12
*** Hasty - Wesker ***


Capitolo 12
“Hasty” - Wesker
 
“Precipitoso”. Questo è il primo appellativo che riesco ad assegnarmi mentre mi rendo conto di quello che sto facendo. Seguono altri, più offensivi, che preferisco non ripetere, nonostante sia stato io stesso a darmeli. Quando riesco a domandarmi mentalmente che diamine mi sia saltato in mente, è già troppo tardi, ti sto baciando la schiena.
Non avrei mai pensato di poter perdere la testa così facilmente, eppure eccomi qui, con il viso premuto contro la tua pelle, mentre respiro con avidità il tuo profumo. Quanti ricordi mi richiama alla mente…! Il passato non mi è mai sembrato così dolce, così degno di rimpianto come adesso, in cui mi ritrovo a pensare ai momenti che abbiamo trascorso insieme.
Le mie mani indugiano sul tuo corpo, mentre una parte di me continua a protestare contro il mio comportamento. Avrei dovuto essere meno precipitoso, così rischio di rovinare tutto. Avevo previsto di cominciare a dimostrarti affetto togliendomi i guanti per medicarti, ma mi sono ritrovato a baciarti come un innamorato che ritrova la sua amata dopo numerosi anni in cui ne è stato separato. Ti prego, Jill, non ritrarti da questo contatto, dimostrami che provi ancora qualcosa per me e che questa mossa ardita non manderà tutto all’aria… ti prego, dimostrami che, per una volta, un azzardo ha maggiore resa di un piano ben calcolato.
Un azzardo… che cosa dannatamente umana. Mentre ti accarezzo le braccia, mi ritrovo a pensare che ho preferito una mossa maledettamente avventata alla sicurezza del mio piano. Cosa mi è preso? Di nuovo, i dubbi mi assalgono. Non dovrei chiedermi perché agisco… non dovrei nemmeno agire senza pensare, maledizione.
Eppure, mentre ritrovo il contatto con il tuo corpo, la frustrazione per la mia avventatezza lascia il posto a qualcosa che credevo di non essere più in grado di provare: felicità. Un sentimento inutile, uno tra i primi che ho abbandonato, ma che ora ritorna con violenza, confondendomi i sensi e stordendomi. Sono felice di poterti baciare di nuovo, Jill. Sono felice di aver ritrovato quel contatto che dovetti abbandonare dopo il mio tradimento. E, soprattutto, sono felice di aver ritrovato te, Jill, in questo modo. Non c’entra nulla il mio piano, si tratta semplicemente della gioia di aver ritrovato la donna che amavo e che, mi rendo conto con stupore, amo ancora. Tutte le idee sul ferire Chris sono secondarie, lo capisco solo adesso. Il mio vero obiettivo primario era quello di riaverti per me, per quel bisogno egoistico che l’umanità chiama “amore”. È incredibile come, dopo tutto questo tempo, sia tu a farmi vedere quanto io sia ancora umano. Avevo scacciato dal mio animo i sentimenti, ma sei bastata tu a farli ritornare, più intensi di prima. Mi sento strano ad ammetterlo, è un po’ come ammettere che mi hai sconfitto, ma è così.
Come quando mi abbandono alla musica del mio pianoforte, ora mi abbandono ai sentimenti, restandone coinvolto nuovamente. Lo so, non dovrei permettermelo, pena il rischio di mandare a monte ogni mio piano, ma non riesco ad oppormi al mio stesso bisogno di amarti. Sei il mio punto debole, Jill. Dovrei eliminarti all’istante, pur di essere nuovamente inattaccabile, ma non riesco a concepirlo. Penso piuttosto a come posso fare per tenerti accanto a me, cosa posso fare per proteggerti, per difendere tutti questi sentimenti che solo tu sei riuscita a farmi provare di nuovo.
Raggiungo l’incavo del tuo collo con le labbra e sento che, finalmente, il tuo corpo sembra rilassarsi dallo shock che ha appena subito. Le tue dita accarezzano le mie, poi tu ti volti e mi guardi. Non c’è sfida nel tuo sguardo, né paura. Sei perplessa, lo capisco, ma vedo anche qualcos’altro che lentamente viene in superficie. Sollevi una mano e, quasi con timore, come se avessi paura di una mia possibile reazione violenta, mi accarezzi il viso. Le tue dita sono delicate, ma si fanno più sicure con ogni secondo che passa. Le sento che mi scorrono lievemente lungo la mandibola, lì dove è rimasta qualche traccia di barba dall’ultima volta in cui mi sono rasato. Lo facevi spesso, in passato. Ricordo che poi sorridevi e trovavi sempre qualche commento al riguardo della mia rasatura per stuzzicarmi.
«Da quanto tempo non cambi la lametta al rasoio?» mi domandi ora, con un sorriso sottile. Sembra che anche tu ricordi il passato, in fin dei conti.
Sorrido a mia volta, mentre continui ad accarezzarmi il viso. Mi togli delicatamente gli occhiali da sole, poi ti soffermi a guardarmi negli occhi. Il tuo sorriso si spegne ed un’espressione accigliata prende il suo posto. Non mi ci vuole molto per capire che è il loro colore ad inquietarti. Beh, in questo caso, per te, posso fare qualcosa di speciale. Il virus che scorre nel mio sangue mi ha dato molte capacità straordinarie, ma anche alcune più semplici, delle quali non mi servo quasi mai. Una di queste è la possibilità di regolare il bagliore dei miei occhi, cosa di cui solitamente non mi curo, preferendo di gran lunga concentrare sui miei piani anche la piccola parte della mia volontà che sarebbe adibita a questo compito. Ho sempre considerato molto più funzionali i miei occhiali da sole, ma stavolta farò un’eccezione.
Chiudo le palpebre per alcuni secondi e mi rilasso. Percepisco il cambiamento in atto e so, che, ora che te li mostro di nuovo, i miei occhi non brillano più. È il mio corpo a dirmelo, ma anche la tua espressione stupita. Sembri felice, Jill. Vederti così mi strappa un sorriso e mi rende ancora più avventato: prendo le tue mani tra le mie ed avvicino il viso al tuo. È di nuovo quel sentimento egoista chiamato amore che mi fa muovere e cercare le tue labbra, che mi rende incurante del fatto che, fino a qualche ora fa, tu fossi la mia peggiore nemica.

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Capitolo 13
*** Stockholm Syndrome - Jill ***


Capitolo 13
“Stockholm syndrome” – Jill
 
Cosa mi sta succedendo? Una voce sempre più stentata nella mia mente mi dice che quello che sto facendo è sbagliato, ma tutto il mio corpo ed il mio cuore paiono desiderarlo. Ora che hai anche smorzato quell’orribile bagliore arancione dei tuoi occhi, nulla sembra più trattenermi. Provo una serie di sentimenti sconnessi, contrastanti, quasi incomprensibili. L’unica cosa chiara, che mi spaventa dannatamente, è che, se mi baci, potrei perdonarti tutto quello che hai fatto e ricominciare ad amarti come in passato. I compagni morti, il tradimento, Chris… sarei disposta a gettarmi tutto alle spalle, se solo il sapore delle tue labbra sulle mie fosse come quello di una volta.
Dio, cosa mi sta succedendo? Deve essere senz’altro un inizio di Sindrome di Stoccolma… non c’è altra ragione per cui potrei ritrovarmi ad amare il mio aguzzino. Non sei più il mio capitano, lo so bene, eppure il contatto di prima mi ha confermato che certe cose non sono cambiate. Dentro di me, di sicuro, per quanto io non voglia ammetterlo, ti amo ancora. Ma tu, invece, cosa provi? Perché provi qualcosa, non è vero? Non è l’ennesima finzione, la solita messinscena da traditore, costruita per piegarmi ai tuoi scopi? Guardo nei tuoi occhi, finalmente senza timore, e non mi sembra di leggervi inganni. Non so se riesco a leggere veramente l’espressione sul tuo viso, forse non ne sono mai stata capace, altrimenti credo che sarei riuscita a prevedere il tuo tradimento, eppure, nonostante la voce del soldato nella mia mente mi metta in guardia contro i tuoi raggiri, la donna dentro di me non desidera altro che poter credere alle tue buone intenzioni.
È con mille campanelli d’allarme che mi risuonano nella testa e con una strana sensazione di fine del mondo imminente, che riduco la distanza tra il tuo viso ed il mio. So che, dopo, niente sarà più come prima. Ho paura, ma non posso fare a meno di ripensare, ancora una volta, al passato. Passato che, improvvisamente, sembra molto più vicino di quel che credevo.
Non posso più tirarmi indietro, quando tu annulli la distanza rimasta tra noi. Mi manca il fiato, come se fosse la prima volta che bacio una persona e non sapessi come respirare dal naso. Il cuore mi esplode nel petto e mi rimbomba nelle orecchie mentre sento il sapore della tua bocca nella mia. Mentre mi baci, con una mano mi accarezzi i capelli, dolcemente. Chiudo gli occhi e mi rendo conto che l’odio, i campanelli d’allarme, tutte le legittime sensazioni di pericolo che percepivo fino a pochi secondi fa, stanno scivolando via con ogni tua carezza. Ogni secondo che passo a contatto con le tue labbra mi aiuta a realizzare che non sono cambiate dall’ultima volta in cui ti ho baciato: sono ancora le labbra dell’uomo che amavo e che, malgrado tutto, ora capisco di amare ancora.
Probabilmente è Sindrome di Stoccolma, forse è il passato che torna a bussare alla mia porta, non lo so. Ma di una cosa sono certa: vorrei che questo bacio non finisse più. È la prova del fatto che tu non hai dimenticato cosa c’è stato tra di noi, nonché l’ultima crepa che, nel mio animo, infrange finalmente la maschera di odio che avevo costruito per difendermi da te. Sì, ti amo ancora. A dispetto di ogni buon senso, di ogni esperienza passata, di ogni consiglio del mio soldato interiore, voglio credere che anche tu mi ami ancora. Voglio credere di averti ritrovato.
Non appena sollevi le labbra dalle mie, mi ritrovo ad inspirare profondamente. Riapro gli occhi e tu sei ancora davanti a me. Sorridi, ancora con quel sorriso privo di secondi scopi che sto imparando ad apprezzare. I tuoi occhi non brillano più, sembri riuscire a controllarli alla perfezione, nonostante tutti i sentimenti che, immagino, ti stiano vorticando nell’animo. Ti chini nuovamente su di me e mi dai un altro bacio, leggero, sulle labbra.
«Albert…» mormoro, stupendomi della facilità con cui ti chiamo nuovamente per nome, dopo tutti questi anni.
«Non parlare.» mi rispondi, accarezzandomi il viso. «Lasciami credere che le tue non saranno parole d’odio.» le tua voce sembra triste, come se ti fossi pentito di ciò che hai fatto. Probabilmente, come me, ti sei appena reso conto del fatto che siamo nemici, schierati sui lati esattamente opposti della scacchiera.
«Mi sei mancato.» sussurro semplicemente, cercando di dar voce al marasma che mi sento dentro. Non rende perfettamente l’idea di quello che provo, ma dovrebbe bastare per farti capire che, nonostante tutto, non voglio dirti parole di odio.
Sorridi, mi baci ancora, poi mi attiri verso il tuo corpo, in un abbraccio non dissimile da quello con cui ci dicemmo temporaneamente addio alla Spencer Mansion. L’unica differenza è che, stavolta, non me ne chiedo il perché. Non ne sono irritata, anzi, poter premere nuovamente il viso sul tuo torace per sentire il pulsare del tuo cuore mi riempie di una sensazione di pace e calore che non provavo da molto tempo.
Hai il viso immerso nei miei capelli, quando ti sento sospirare.
«Anche tu mi sei mancata, Jill.» mormori, mentre chiudo gli occhi e scivolo dolcemente nel sonno.


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Nota dell'autrice:
Un ringraziamento particolarmente sentito va a tutte/i coloro che continuano a seguire e a commentare questa storia nonostante i tempi ridicoli che impiego per pubblicarne i capitoli.
Grazie a tutti per la pazienza e per il supporto e, credetemi, voglio finirla, questa storia!

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Capitolo 14
*** Two years later - Wesker ***


Capitolo 14
“Two years later” – Wesker
 
Sollevo lo sguardo dal monitor del mio computer per incontrare il tuo. Sei tornata dalla missione, vittoriosa come sempre e, mentre appoggi sulla mia scrivania una valigetta di metallo, mi sorridi. Il tuo è il sorriso spavaldo del conquistatore che ha fatto terra bruciata attorno a sé, del soldato che non ha fatto prigionieri, di una persona che è conscia della propria abilità e che sa di non avere limiti. Mi piace come sei cambiata in questi due anni, Jill: vivendomi sempre accanto, hai finito per assomigliarmi, la tua purezza è stata corrotta dalla mia presenza… e il risultato non poteva essere migliore. Sei la mia signora, adesso, nonché il mio agente migliore. Sei diventata quella Jill che, due anni fa, mentre mi chiudevo alle spalle la porta della stanza in cui ti avevo lasciata, addormentata, dopo quel bacio che ti avevo dato senza capire perché, non pensavo che sarebbe potuta mai esistere. Pur volendoti egoisticamente accanto a me, ti sapevo incompatibile con i miei progetti e per questo ero disposto a costringerti. Ma non ce n’è stato bisogno: contro ogni aspettativa, tu ti sei adattata, prima a fatica, poi sempre più con semplicità, a quella nuova condizione in cui io non avrei mai creduto, pur desiderandolo ardentemente, di poterti vedere. Eppure mi sei rimasta accanto di tua volontà e, per non perdere il posto al mio fianco, sei diventata quello che vedo ora di fronte a me… un essere letale e spietato, apparentemente privo di coscienza e sensi di colpa, una personificazione meravigliosa dei miei propositi, di aspetto incantevole e dalla forza inarrestabile. Eppure, nonostante questo tuo radicale cambiamento di principi, sei rimasta sempre la stessa Jill di sempre. Quando non sei in missione, quando non prendi la vita di qualcuno per adempiere il compito che ti ho assegnato, quando sei con me e non c’è nessun altro, ritorni quella creatura dolce ed adorabilmente testarda di cui mi innamorai tanto tempo fa, ai tempi della S.T.A.R.S. Queste tue due incarnazioni paiono convivere indisturbate dentro di te, riempiendo di gioia il mio animo con la loro presenza. Sei così bella, mia adorata Jill, nella tua tuta da combattimento color indaco macchiata di sangue, con i capelli raccolti in una coda da cui sfuggono numerose ciocche e con quel sorriso vittorioso stampato sul viso. Sei bellissima… e sei mia.
Non mi hai mai detto perché ti sei schierata arbitrariamente dalla mia parte, né mi hai mai dimostrato apertamente di essere d’accordo con i miei ideali, eppure, pur di rimanere con me, non hai esitato a tradire tutto ciò in cui credevi, rinnegando tutto il tuo passato. E io ne sono felice, perché ora ho una partner degna di affiancarmi nel momento in cui cambierò il mondo con le mie mani, la stessa che proteggerò con tutte le mie forze da qualsiasi pericolo, la cui presenza mi dà un senso di pace che neanche la musica ha mai saputo darmi.
«Hanno fatto resistenza.» la tua voce interrompe i miei pensieri. «Non ci sono sopravvissuti.»
«Bene.» ti rispondo. Vorrei poterti dire di più, ma la terza presenza nella stanza mi impedisce di alzarmi e stringerti a me per respirare il tuo profumo misto all’odore acre del massacro. Excella, la solita, fastidiosa, irritante Excella, che mi è rimasta appiccicata addosso per questi due, lunghi anni, è seduta leziosamente sul bordo della mia scrivania e ti squadra con gelosia. Sa di non essere lei la mia preferita… e la cosa la fa oltremodo adirare, oltre a spronarla ad essere ancora più appiccicosa e seducente nei miei confronti. Attende che tu sia uscita per voltarsi verso di me, lasciando volutamente scoperta una generosa porzione delle sue gambe, che spuntano da un elegante tailleur color panna.
«È inarrestabile!» osserva. «Sai, Albert, a volte credo che la sua abilità in missione ti porti a preferirla a me… spero che tu non dimentichi che è grazie al mio aiuto se ora sei in possesso di tutto il necessario per portare a termine il tuo progetto…»
Senza risponderle, prendo i miei occhiali da sole da una tasca della giacca e li indosso. Così almeno non noterà se le scocco un’occhiata di odio…
«Confido che, nel momento in cui dovrai decidere gli eletti che porteranno avanti il tuo nuovo mondo, tu ti ricorderai di chi ti ha aiutato… e ti è stata vicina per tutto questo tempo…» conclude, alzandosi in piedi e portandosi alle mie spalle. Sento il tocco delle sue mani che scivola giù dalla base del mio collo fino a metà del petto. Le sue labbra ora sono vicinissime alle mie orecchie, così tanto da rendere perfettamente chiaro ciò che mi sussurra.
«Hai bisogno di una regina, non di un alfiere che faccia il lavoro sporco al posto tuo…»
Scosto la testa, infastidito. Dopo oltre due anni, ancora non mi spiego come mai questa donna non abbia capito che facendo così non mi seduce. Mi alzo in piedi, prendo la valigetta sulla scrivania e mi avvio verso la porta. Subito un senso di aspettativa si fa strada dentro di me: fra poco sarò da te, Jill. Dammi solo il tempo di liberarmi di questa seccatrice… fortunatamente non ci vorrà ancora molto prima che lo faccia per sempre.

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Capitolo 15
*** Persephone - Jill ***


Capitolo 15
“Persephone” – Jill
 
Sono immobile davanti allo specchio della mia stanza, osservo il mio riflesso. Di fronte a me c’è una donna imbrattata di sangue, minacciosa, arrogante. Dalla sua postura si capisce che è cosciente della propria forza e che non si farà scrupoli di utilizzarla contro chiunque si ponga fra lei ed il suo obiettivo, qualunque esso sia. Ha occhi spietati e calcolatori, sopracciglia corrugate e labbra sottili, distese in un sorriso indecifrabile, probabilmente di scherno per coloro che le stanno attorno, che lei considera poco più di insetti. Vedo te, Wesker, in questa donna. Vedo te in ciò che sono diventata in questi due anni, da quando mi sono svegliata credendo di averti ucciso e ti ho invece trovato, vivo e vegeto, al mio capezzale. Vedo quel lato di te che tutt’ora mi terrorizza, quello del pazzo che vuole giocare a fare il dio e che sa di avere tutti i mezzi per farlo indisturbato, solo che ora è anche dentro di me, un pezzo di anima nera che ha corrotto la mia coscienza, che mi ha resa insensibile ad ogni richiamo della ragione, che mi ha resa capace di restare con te senza provare alcun senso di colpa. Per poterti baciare ancora, per potermi stringere al tuo corpo durante la notte e sentire il profumo della tua pelle, ho accolto una scheggia della tua anima dentro di me ed ho lasciato che avviluppasse il mio cuore, rendendo insensibile la mia coscienza ed annullando la mia etica. Solo così sono riuscita a rimanere accanto all’uomo che amo e che ho sempre amato: rinnegando tutto ciò in cui ho sempre creduto.
Dal mio corpo debole e reso malfermo dal coma, è nata una nuova Jill, un’assassina inarrestabile ed insensibile, l’unica in grado di restare impassibile davanti all’operato di quel Wesker folle ed assassino che sei diventato. Ma dentro a questo guscio di freddo distacco, protetta dall’orrore che stai causando, c’è ancora la vecchia Jill di un tempo… ed è lei che si spaventa vedendo che cos’è diventata, che si rassegna alla sua condizione perché non può fare a meno di te. Perché se la nuova Jill può convivere senza problemi con il nuovo Wesker, è la vecchia Jill che è finalmente felice con il suo capitano, il Wesker di un tempo, l’uomo che ama. L’uomo che sono riuscita a ritrovare in mezzo al labirinto di corruzione e dissennatezza di ciò che sei diventato. Sì. Non solo io sono cambiata… non lo avrei fatto se non avessi visto che anche tu eri disposto a farlo… ed è per i momenti che trascorriamo insieme, nell’intimità di una stanza, dopo una giornata di massacri e distruzione, che ho accettato di schierarmi dalla tua parte. Ti amo, Albert Wesker. E sono disposta a radere il mondo al suolo, pur di restare con quella parte di te che credevo perduta.
La porta alle mie spalle si apre, ma io non ho bisogno di voltarmi, per sapere che sei tu. Sento che getti i guanti e gli occhiali sul letto, che lasci alle tue spalle quei due freddi schermi che di solito usi contro il resto dell’umanità. È il calore delle tue mani, non il gelo della pelle dei tuoi guanti, quello che sento sul collo e sulla nuca. Mi volto e non vedo il mio riflesso sulle lenti dei tuoi occhiali, ma neanche il bagliore arancione dei tuoi occhi. È il loro colore normale, quello in cui mi perdo, prima che il tuo bacio mi richiami sulla terra.
«Scusa il ritardo.» mormori, tra un bacio e l’altro.
«Sei stato trattenuto…?» ti faccio il verso, mentre ti abbraccio.
«Ti prometto che presto non succederà più.» mi rispondi. Quest’affermazione mi ricorda dolorosamente che, presto, il tuo piano verrà portato a compimento. Excella esaurirà il suo scopo e tu ti libererai di lei, come hai sempre fatto con chi non ti serviva più. Ma la cosa che più mi terrorizza, anche più del mio riflesso nello specchio, è che probabilmente dovremo affrontare Chris.
«Che ti succede?» mi domandi, probabilmente notando il mio disagio.
«Niente.» ti rispondo. «Ho paura per il futuro e per te. Non voglio che tu ti faccia ammazzare.» in fin dei conti è una buona parte della verità. È inevitabile che, nello scontro fra te e Chris, uno dei due dovrà uscire perdente. Non voglio perdere te, ma non so nemmeno come reagirei vedendoti mentre uccidi il mio ex partner.
«Nessuno può fermarmi.» mi rispondi. «Non mi farò ammazzare, tanto meno da Chris.» come sempre, cogli perfettamente nel segno il mio problema. «Riuscirò a cambiare il mondo… e quando avrò finito, tu sarai al mio fianco.» probabilmente vuoi sembrare rassicurante, ma io non riesco ad essere tranquilla. In momenti come questi, la Jill impassibile e crudele pare non voler prendere il mio posto, lasciandomi fra il martello e l’incudine in questa situazione da cui non vedo vie d’uscita. Pur di preservare la nuova immagine di me che sono riuscita a creare, ho sempre fatto del mio meglio per convincermi che sarebbe andato tutto bene, che c’era ancora tempo, che il confronto non ci sarebbe stato, ma ora che vedo ogni cosa andare al suo posto nel puzzle del tuo piano, mi rendo conto che sono agli sgoccioli: devo liberarmi per sempre degli ultimi sensi di colpa, se voglio vivere al tuo fianco. Devo liberarmi dei ricordi… o rischio di impazzire.
«Posso farti una domanda?» ti chiedo, mentre vado a sedermi sul letto.
«Me ne hai già fatta una.» mi rispondi, seguendomi. «Dimmi pure.»
«Hai presente Persefone?» esordisco. «Deve vivere per sei mesi nel mondo dell’Ade, dove c’è colui che ama, ma ha nostalgia del mondo di luce da cui proviene. Se avesse dovuto vivere per sempre nell’Ade, pensi che avrebbe voluto dimenticare la sua terra di origine, perché il ricordo non la facesse soffrire?» ti vedo alzare lo sguardo con aria pensierosa. Probabilmente hai già capito la metafora e sai dove voglio andare a parare.
«Cosa vuoi dimenticare, Jill?» mi chiedi. Come volevasi dimostrare, hai già capito tutto.
«È proprio Jill che voglio dimenticare.» ti rispondo.
Se solo ci fosse un modo per abbandonare quei ricordi che, di tanto in tanto, mi generano terribili sensi di colpa, per fondere la nuova Jill con la vecchia, potrei finalmente vederti uscire vincitore da uno scontro con Chris ed esserne felice al cento per cento. Dovrei semplicemente dimenticare tutto quello lo riguarda e vederlo come uno dei tanti estranei che si parano davanti alla riuscita del tuo progetto e che non mi faccio problemi ad eliminare. Tuttavia temo sia impossibile, anche per le tue capacità superiori.
Mi stringo a te e premo il viso contro al tuo torace: il tuo cuore batte come quello di qualsiasi altro essere umano. È strano che al suo posto non ci sia una desolazione vuota, ma mi piace pensare che, se si sente ancora qualcosa pulsare nel tuo petto, sia anche merito mio.
«Una soluzione si può trovare.» mi rispondi, dopo un lungo silenzio. «Ma te ne parlerò domani. Ora non è il momento.»
Ti stendi sul letto, attirandomi a te. Sotto ai tuoi baci e alle tue carezze, dimentico lentamente le mie preoccupazioni: è per queste cose che sono rimasta con te, non posso permettermi di perderle. Sento che stai armeggiando con la zip della mia tuta e capisco che è venuto il momento di smettere di pensare.

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Capitolo 16
*** Second Heart - Wesker ***


Capitolo 16
“Second Heart” – Wesker
 
Mia povera Jill, come sono stato cieco! Non ho capito appieno il conflitto dentro al tuo animo finché non ti sei decisa a parlarmene apertamente. Sei ancora divisa tra la vecchia Jill e la nuova, fra la partner di Chris e la mia regina… so che dovrei considerarlo una minaccia, una possibilità che tu ti rivolti contro di me nonostante tutto quello che hai fatto fin’ora, che tu ti ribelli a quella natura a cui ti sei così magnificamente adattata, anche se non del tutto.
E la colpa è di Chris, ovviamente. È sempre lui la causa di tutto. Corro il rischio, anche se minimo, di perderti per mano sua. Quell’uomo riesce a mandarmi fuori di me anche senza fare nulla di concreto… ed è per questo che, non appena capisco che sei disposta a cancellarlo per sempre dal tuo cuore in favore del tuo rapporto con me, mi metto al lavoro.
Questo tuo lieve vacillare è un inconveniente non da poco, Jill: concentrando tutta la mia attenzione sul tuo caso mi sono visto costretto a rallentare, se non bloccare del tutto, il mio progetto principale, posponendo l'inevitabile resa dei conti con Chris e con il mondo ancora di qualche tempo, ma d’altronde non me la sono sentita di lasciare le redini ad Excella. Non volevo vederla con il viso raggiante e l’espressione di chi crede di averla finalmente vinta, né avevo intenzione di permetterle di crogiolarsi nella sensazione di essere lei la mia regina, occupando indebitamente il posto al mio fianco, che spetta invece a te e a te soltanto. Eppure, nonostante questo rallentamento nelle operazioni, mi sto applicando con tutte le mie forze al tuo caso, sia perché me lo hai chiesto tu per prima, dimostrandomi quindi che nemmeno tu vuoi ribellarti alla tua nuova natura e che desideri restare con me, sia perché così facendo, inferirò un colpo ancora più magistrale a Chris. Già me lo immagino, mentre ti guarda ergerti al mio fianco, sua nemica, mia alleata. Già sento la sua voce mentre chiama il tuo nome e il mio cuore si riempie di una gioia sadica all’idea che tu non lo riconoscerai, alla certezza che di lui, dentro di te, non sarà rimasto nulla. Questa volta lo distruggerò definitivamente e lo farò col tuo aiuto, Jill.
Questo dispositivo è il mio nuovo capolavoro, l’ho creato in foggia di gioello e l’ho preparato specificamente per te. Solo tu potrai indossarlo ed ucciderebbe chiunque altro provasse ad utilizzarlo. Il tuo corpo ha una straordinaria difesa contro i virus con cui sono solito lavorare, perciò mi sono trovato costretto ad aggirare i tuoi anticorpi con una nuova sostanza basata sul mio siero e sul tuo DNA. Non solo ti permetterà di dimenticare Chris, ma ti renderà anche più letale di quanto sei già, avvicinandoti allo status divino di cui sono solo io il depositario. Non posso renderti come me, una dose superiore del mio siero nella sostanza che ti ho preparato ti ucciderebbe, ma con questo dispositivo potrai arrivare quanto più vicina possibile a me. Sarai la mia signora e la mia assassina insieme… e questa volta il connubio sarà perfetto.
«È l’unico modo che ho trovato, Jill.» ti spiego. «Il tuo corpo smaltisce questa sostanza con una velocità inusuale, perciò l’unico modo di mantenerla costantemente in circolo nel tuo corpo è quello di impiantarti un dispositivo che te la somministri a ciclo continuo.»
«Lo so… è solo che… quell’affare non mi piace.» mormori, mentre osservi il gioiello rosso che tengo in mano. Sospiro. Purtroppo, se vuoi annichilire il tuo rimorso e, con esso, i tuoi ricordi di Chris, dovrai abituarti ad esso. L’ho reso il più bello possibile, sembra un rubino levigato, di forma ovoidale, incastonato in un supporto di metallo cromato. Una volta che sarà acceso, brillerà dall’interno. Speravo che almeno il suo aspetto non ti facesse paura.
«Nessuno ti costringe.» ti rispondo. «Sei tu che vuoi dimenticare Chris, io ti sto solo fornendo il mezzo.»
Esiti ancora. Ti ho spiegato che ti farà male quando lo attiverò, sei spaventata, te lo leggo in viso. Ti accarezzo una guancia e sospiro. Spero solo che ora non mi dirai che non ne vuoi più sapere perché, lo confesso, mi irriterebbe non poco. Ci ho lavorato notte e giorno, trascurando qualsiasi altra cosa… e l’ho fatto per te.
«Va bene.» esclami. «Attiva quel dannato aggeggio.» sul tuo viso si è dipinta quell’espressione determinata che adoro da sempre. Prendo il dispositivo e te lo appoggio delicatamente sul petto nudo, proprio sopra allo sterno. È costituito da un serbatoio contenente la sostanza che ho preparato per te e da una serie di sottili aghi che, una volta attivato il dispositivo, te la inietteranno costantemente, nella giusta dose e con il giusto tempismo, in modo che non ti venga mai a mancare. Non ricorderai mai più Chris, a meno che non ti venga strappato a forza dal petto, o che non te lo tolga io. Ma lo farò solo se me lo chiederai.
«Sei pronta?» ti chiedo. Le tue dita s’insinuano fra le mie e ti sento stringere la mia mano sinistra.
«Vai.» mi intimi. Premo un piccolo pulsante sul supporto ed il serbatoio s’illumina immediatamente, diffondendo una luce rossa sulla tua pelle diafana. La stretta della tua mano sulla mia si fa convulsa e ti sfugge un gemito di dolore, mentre gli aghi entrano in azione e penetrano la tua carne. Ti accarezzo il viso e mi congratulo con me stesso per aver avuto l’idea di bloccarti i polsi ed il resto del corpo al tavolo su cui ti ho fatta sdraiare: le tue braccia tremano, preda dello spasmo e del desiderio di strapparti il gioiello dal petto. Se ti avessi lasciata libera, te lo saresti tolto immediatamente. Un grido sfugge alle tue labbra, prolungato ed angosciato, non so se per il dolore o per un ripensamento, poi, finalmente, ti rilassi di nuovo. Il dispositivo si è attaccato meravigliosamente al tuo sterno ed ora è un rubino brillante nel mare d’alabastro della tua pelle. È probabilmente la cosa più bella che io abbia mai creato, nonché l’unica a cui io abbia cercato di dare una forma piacevole. La luce pulsa con regolarità, segno che tutto funziona come previsto. I tuoi occhi cercano i miei. Mi sorridi.
«Come ti senti?» ti chiedo.
«Mi ha fatto un male del diavolo.» mi rispondi. «Ma adesso brucia solamente un po’.»
«Devi dare tempo al tuo corpo perché ci si abitui.» ti spiego, accarezzandoti dolcemente il viso. «Ma non dovrebbe esserci rigetto.»
Mi chino su di te e ti slego. Tu ti sollevi a sedere e mi attiri a te. Da seduta sul tavolo, arrivi esattamente alla mia stessa altezza e la cosa sembra piacerti parecchio, perché mi stringi la vita con le gambe e mi intrappoli in un bacio.
«Grazie.» sussurri, dopo esserti staccata dalle mie labbra. «Ora non ho più paura del futuro.»
Sorrido, mentre ti bacio sul collo e sul petto, proprio vicino al gioiello, che pulsa tranquillamente, quasi come un secondo cuore, il cuore malvagio e corrotto che hai accettato di portare dentro di te per restare con me. Sei mia. E lo sei completamente.





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Nota dell'autrice: chiedo scusa a tutti voi per il ritardo assurdo con cui pubblico questo capitolo, vi prego di perdonarmi, ma ahimé, la voglia di scrivere questa storia dipende molto dalla persona che me la ispira. Il fatto è che ultimamente abbiamo ripreso a parlare di Resident Evil dopo un periodo in cui ce n'eravamo praticamente dimenticati e così mi sono decisa a riprendere Stockhom Syndrome in mano. La finirò, lo giuro!

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