Princesse de glace

di Nisi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gaijin - lo straniero ***
Capitolo 2: *** Lo scocciatore ***
Capitolo 3: *** L'innamorato ***
Capitolo 4: *** L'amante ***
Capitolo 5: *** Watashi to issho ni aruku hito - colui che mi cammina accanto ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Gaijin - lo straniero ***


Anche dietro le bende, gli occhi di Ayumi Himekawa assunsero un’espressione stupita.
“Oh…” fu tutto quello che fu in grado di dire.
Aveva davanti a sé Maya Kitajima. “Ho chiesto alla signora Tsukikage di aspettare fino quando tu sarai guarita… cioè, quando vedrai di nuovo.”
“Non devi fare questo per me.” ribatté Ayumi.
“Non dirlo nemmeno!” la sentì avvicinarsi mentre la voce di Maya si faceva accalorata. “Tu mi hai aspettato fino a quando non ho ricominciato a recitare professionalmente. E’ giusto.”
“La signora Tsukikage non sta molto bene…”
“Si riposa molto e sembra stare meglio. Sono venuta da te solo dopo essere andata da lei.”
Le parole di Maya chiusero la discussione una volta per tutte.
“Allora… grazie.”
“Non è niente. Come ti senti, Ayumi?”
“Sto facendo degli esami perché devono avere un’idea delle mie condizioni generali prima di potermi operare. Per ora sono andati bene, anche se sto aspettando altri esiti, ma ci vorrà tempo.”
“Sono contenta che tu stia bene”, esclamò Maya con calore. Ad Ayumi sembrò quasi di vederla, le mani giunte, lo sguardo pieno di preoccupazione. Oramai, dopo tanti anni, poteva dire di conoscerla un po’.
“Sono contenta anche io.” rispose seria Ayumi.
“E’ permesso?”
“Kobayashi-san? Prego, entri pure”.
“Signorina Ayumi, sono arrivati ancora dei fiori per lei.”
“Grazie.” e stese le braccia in un gesto elegante per ricevere il dono.
Avvicinò piano i fiori al viso e inalò. Non appena riconobbe il profumo, il suo viso si rabbuiò in una smorfia di disappunto.
A Maya non era sfuggita quella smorfia. “Non ti piacciono?”
“Non è questo. Sono giorni che ricevo fiori da qualcuno e non so chi sia.”
“Allora anche tu hai un ammiratore dei…” Maya gettò un’occhiata verso il mazzo che Ayumi teneva ancora tra le braccia.
“Frangipani. Sono frangipani.”
“Come fai a…”
“Il profumo… è inconfondibile.”
“Ah, ah, ah,” rise Maya, leggermente imbarazzata. “Io conosco solamente il profumo delle rose.”
Ayumi levò una mano per accarezzare i petali setosi. “Sì, me lo immagino”, rispose sorridendo appena.
“Allora io vado. Se vuoi torno a trovarti, cioè, se non ti disturbo.”
“Non mi disturbi, ma spesso sono fuori dalla stanza per i miei esami…”
“Va bene, allora ci vediamo.” E si voltò verso l’uscita.
“Maya!” la richiamò indietro Ayumi.
“Il signor Hayami sa già di questa decisione?”
“La signora Tsukikage è d’accordo, è l’unica cosa che importa… e anche che tu riprenda presto la vista.”
“Glielo dovete dire, però.”
“Preferirei andare dal dentista a farmi strappare tutti i denti.”
La solita risposta di Maya quando si parlava del presidente della Daito. Però… ad Ayumi era sembrato di avvertire nella voce di Maya una punta di qualcosa di diverso dal rancore. Ma sicuramente si stava sbagliando.
“Li metto in un vaso?”
Nessuna risposta.
L’infermiera sospirò e ripeté pazientemente: “Li metto in un vaso?”
Ayumi si riscosse: “Ah, sì, certo. Grazie”.
Quei fiori… era almeno una settimana che ogni giorno le venivano consegnati quei rametti dal profumo inebriante e dolce. Le sarebbe piaciuto vedere quei petali bianchi e carnosi screziati di giallo.
Come diceva Maya, ora anche lei aveva un ammiratore che le inviava dei fiori, i suoi fiori preferiti, per di più.
Chi poteva essere? E soprattutto, chi la conosceva tanto bene da sapere i suoi gusti?
Lei era diversa da Maya, che dietro a tutti quei regali vedeva un affezionato ammiratore. Lei no, e la cosa aveva cominciato ad impensierirla.
Fino a quel momento non si era posta il problema, aveva ricevuto molti mazzi di fiori, ma nessun altro le aveva mandato dei frangipani e parlare con Maya aveva risvegliato la sua curiosità.
“Kobayashi-san”, chiamò “Mi sa dire chi li ha portati?”
“Ah, sì, certo. Un uomo alto, uno straniero. Capelli lunghi e ricci.” Kobayashi-san si portò una mano alla guancia che era diventata rossa. “Signorina, è fortunata ad avere un ammiratore tanto fedele.”
Fortunata un bel fico secco. Peter Hamil, uno degli scocciatori peggiori che avesse avuto la sfortuna di incontrare. E uno dei più sfacciati, per di più. Ma lei era una persona educata e si vantava di esserlo.
“Non è molto che se ne deve essere andato, riuscirebbe a raggiungerlo, per caso” disse con un sospiro. Non aveva voglia di vederlo, non in quelle condizioni di debolezza e soprattutto, non dopo le ultime cose che lui le aveva detto. Questi stranieri, sempre così fastidiosamente sinceri. Un giapponese non l’avrebbe mai definita “bambola” e le sue parole l’avevano ferita profondamente.
“Permesso?”
“Prego, si accomodi” e quasi le venne da ridere perché una stanza di ospedale era tutto tranne un posto nel quale si stava comodi e a proprio agio.
“Sono felice di vederla, mademoiselle Ayumi. La vedo bene”.
Ayumi era troppo beneducata per ridere sardonicamente. Si limitò a fare un cenno del capo.
“Volevo ringraziarla per i fiori.”
“Di niente, è stato solo un piccolo pensiero”.
Ayumi ristette per qualche secondo e poi chiese a bruciapelo: “Perché mi ha mandato proprio dei frangipani?”
“Perché trovavo inutile, viste le sue condizioni, inviarle fiori che non le avrebbero dato alcun piacere. Hanno un buon profumo e non è necessario vederli per apprezzarli. Spero di aver scelto bene”.
Ancora una volta infastidita dalla brutale sincerità di quell’uomo, Ayumi ammise: “In verità, sono i miei preferiti…”
Le sembrò quasi di vedere il sorriso di quel fotografo, ma sentì chiaramente la nota di trionfo nella sua voce: “Sono contento! I suoi fiori preferiti!”
Ayumi non sperava altro che lui se ne andasse, e presto, possibilmente. Rimase dunque ferma e zitta, il volto una maschera di indifferenza e disapprovazione. Essere un’attrice aveva i suoi vantaggi, anche in quelle situazioni sgradevoli.
Hamil sembrò non accorgersi del silenzio ostinato della ragazza e proseguì: “Visto che le piacciono, gliene porterò tutti i giorni, io…”
“No, grazie” lo interruppe, la voce fredda e tagliente. “Non si deve disturbare per me.”
“Nessun disturbo, sono felice di offrirle i suoi fiori preferiti”.
Niente, era inutile, non capiva.
“Non si deve disturbare”, il tono ancora più ostile, se possibile.
“Lo faccio volentieri, Ayumi.”
Ora era veramente irritata. Ma perché non se ne andava, quel gaijin testardo? “Non mi importa se lo fa volentieri. Sono io che non voglio i suoi fiori. Anzi, per quanto mi riguarda, questi può anche riportarseli a casa o dove diavolo sta. Francamente, non riesco a capire perché si dia pena di portare dei regali proprio a me, che mi considera….” Fece finta di stare pensando “Ah, sì. Come aveva detto? Sì, una bambola.”
Ayumi non potè vederlo, ma Hamil scattò all’indietro come se la ragazza gli avesse mollato un ceffone.
“Non la deve prendere così, signorina Himekawa”. Da Ayumi era diventata “signorina Himekawa”. Era forse riuscita a rendere l’idea?
“Mi spiace se l’ho offesa…” ecco, finalmente. “Ma me l’ha chiesto lei di darle un parere. La sua recitazione era fumo negli occhi… ”
Ora Ayumi era infuriata, profondamente infuriata. “Signor Hamil, la ringrazio per avermi spiegato ancora una volta il suo punto di vista e penso di aver afferrato il senso delle sue parole. Quello che non ho capito è perché lei stia a perdere tempo con me, visto che considera la mia recitazione così…”
Si odiò, Ayumi, perché la voce la tradì e un groppo le strinse la gola.
Hamil si sedette sul letto e le prese le mani. “Ayumi, mi perdoni se l’ho ferita. Io…”
“Non mi tocchi!” sibilò Ayumi ritirando di scatto le mani da quelle di lui.
“Quello che volevo dirle è che in quel momento mi è sembrata una bambola e che il suo lavoro non mi è sembrato… Mon Dieu, come dite voi qui in Giappone? All’altezza dei suoi standard.”
Se c’era un modo per risvegliare l’interesse di Ayumi Himekawa era proprio quello, parlare di recitazione. “Cosa intende dire?” chiese seria.
“Io sono un fotografo e di recitazione so poco, ma… vederla provare quel giorno mi ha fatto pensare a un’artista da circo.” Il fotografo si avvide che Ayumi dopo le sue parole aveva serrato i pugni. “Quelle pirouettes, quelle mosse… bellissime, eleganti, ma non mi hanno dato emozioni. Lei è un’artista molto brava, ma quel giorno non mi ha trasmesso niente. La sua amica Maya invece…”
“Non mi parli di Maya Kitajima!” ruggì Ayumi e Hamil capì di aver colpito un punto debole, tuttavia proseguì. “Quella ragazza non ha la sua presenza scenica, né la sua bellezza o la sua preparazione. Però è vera…”
Quell’uomo aveva colpito nel segno, doveva ammetterlo.
“Vuole dire che la mia recitazione è falsa e che non trasmette niente?” chiese piano.
“No, non ho detto questo.” Si morse le labbra prima di proseguire.”E’una cosa che non capisco di lei, Ayumi… Quando eravamo lassù in montagna, io l’ho seguita tante volte di nascosto mentre provava nel bosco da sola… Sì, lo so che sono cose che non si fanno” esclamò vedendo l’espressione furiosa di Ayumi. “ma… la Ayumi che ho visto in mezzo a quegli alberi mi ha colpito profondamente. E’ curioso, per un’attrice, ma sembra quasi che lei riesca a recitare al suo meglio solamente quando non ha un pubblico a guardarla.”
“Quello che dice è assurdo, signor Hamil!”
“E’ lei quella che conosce la recitazione. Ma il mestiere di un attore non è forse quello di suscitare emozioni? Mi ha affascinato di più vederla camminare per il bosco in tuta, spettinata e sudata piuttosto che durante le prove ufficiali. Oltretutto era…” la voce gli si incrinò. “Era bellissima…”
Un ennesimo groppo strinse la gola di Ayumi. Era abbastanza intelligente da riconoscere delle parole sincere e Peter Hamil non stava mentendo. In realtà, non pensava l’avesse mai fatto, non con lei, almeno. E nessuno le aveva mai detto che era bellissima, non in quel modo.
“Lei potrebbe anche aver ragione, signor Hamil, tanto ora cosa importa? Sono qui, in una stanza d’ospedale e non ci vedo. Non fa nessuna differenza ora che sia brava o no.”
“E perché mai!?” sembrava sinceramente stupito e ad Ayumi pareva di avere a che fare con un bambino un po’ troppo ingenuo.
“Perché non posso provare, perché mentre sono qui a letto ad aspettare non so bene cosa, Maya Kitajima continua a lavorare alla Dea Scarlatta e io… io non riuscirò a stare al passo, Maya sarà sempre due passi davanti a me, ecco perché.” Ringhiò, ma rimase a bocca aperta quando Hamil scoppiò a ridere. “Signorina Ayumi, lei mi stupisce!”
“E per quale ragione?”
Le si avvicinò e sussurrò: “Lei non ha forse recitato la parte di una ragazzina cieca?”
Helen, Helen di Anna dei Miracoli, Helen Keller che non vedeva, non sentiva e non parlava.
“Presto la opereranno e riacquisterà la vista, perché non approfitta di questo periodo di cecità per mettersi alla prova e per capire se la sua interpretazione di Helen potrebbe essere diversa? Se ora che sa cosa si prova a trovarsi nella situazione di quella ragazzina, lo faccia! Cerchi di confrontare la sua interpretazione di allora con una nuova di adesso che sa cosa significa non poter vedere. Usi questa sfortuna per crescere ancora di più come attrice! Questo l’avvicinerà alla Dea Scarlatta, e anche se non ci si dedicherà per qualche giorno non succederà niente, tanto quel copione lo sa a memoria.”
Quell’uomo cosa andava a pensare! “Si sbaglia, signor Hamil, se dovessi recitare ancora la parte di Helen sarebbe esattamente la stessa di qualche anno fa.”
Peter si alzò e levò le mani davanti a sé: “Convinta lei… Va bene, credo sia ora di andare, penso di averla disturbata abbastanza.”
“Già” rispose acida Ayumi.
“Tornerò a trovarla presto…”
“Non si disturbi”.
“Ha ragione, lei sarà troppo impegnata a provare la parte di Helen.
Decisamente, con quell’uomo Ayumi non riusciva mai ad avere l’ultima parola, le sue risposte erano sempre così imprevedibili e non sapeva cosa fosse il ritegno.
Ma non era né uno sciocco, né uno stupido. Dopo che fu uscito, Ayumi si perse nei suoi pensieri, mordicchiandosi l’unghia del pollice nervosamente, fino a farlo sanguinare.
* * *
Utako Himekawa era una donna attiva, impegnata e sempre in giro per il mondo e ciò le faceva apprezzare i pochi momenti di riposo dei quali poteva godere. E quel pomeriggio non fece eccezione. Si era fatta preparare una bella teiera di tè verde e si era sdraiata sul divano per leggere un libro. Di solito ne approfittava per esaminare i copioni che le inviavano, ma decise che aveva bisogno di una pausa. Era rincasata da poco dalla visita ad Ayumi e non l’aveva trovata affatto bene: il problema di vista era superabile con un’operazione, era dello stato d’animo di sua figlia che la preoccupava. Utako aveva deciso di rilassarsi per un po’ e poi avrebbe cercato una maniera per aiutare Ayumi. Di solito era così sicura e indipendente e vederla così giù di corda la spiazzava, la faceva sentire a disagio. Non conosceva quel lato del carattere di sua figlia e ne aveva un po’ paura.
In realtà era passata almeno una buona mezz’ora da quando si era accomodata su quel morbido, confortevole divano, ma non aveva ancora cominciato a rilassarsi. Si era persa nei suoi pensieri, e quando il suo telefonino iniziò a squillare, sobbalzò.
Non c’erano molte persone in possesso di quel numero e a tutti coloro che lo conoscevano, lo aveva dato lei personalmente, per cui rispose senza leggere sul display chi fosse il mittente della chiamata.
“Utako Himekawa”

“Come, prego?”
….
“Va bene, vengo subito.”
* * *
Il medico era piuttosto irritato, per cui Utako Himekawa fece del suo meglio per trattenere una risata schiarendosi la voce rumorosamente. Ridergli in faccia non sarebbe stato affatto cortese, ma lei si sentiva talmente sollevata che quella risata le era salita spontaneamente alle labbra.
“Mi scusi, Sensei, mi deve essere andato qualcosa in gola. Mi stava dicendo che Ayumi…”
“Sì, signora, sua figlia continua a chiedere insistentemente una stanza per provare.”
Se Ayumi voleva provare e addirittura pretendeva un ambiente nel quale poterlo fare, significava che stava uscendo dal suo stato di prostrazione.
“Ed è un problema?”
“Signora Himekawa, lei si rende conto delle condizioni di sua figlia?”
“Mia figlia gode di ottima salute.”
“Sì, ma è momentaneamente cieca.”
“E lei lo vede come impedimento?” Utako era una donna di mondo: “Se è per i soldi, non importa”.
“La ringrazio, signora, ma non è questo il problema. Non voglio che provi in quelle condizioni in una stanza, da sola… è sotto la mia personale responsabilità, sua figlia e se le dovesse accadere qualcosa…”
“Capisco perfettamente e condivido la sua preoccupazione. Pensa che farle indossare delle protezioni potrebbe ridurre i rischi? Insieme a una liberatoria che la scaricherebbe di ogni responsabilità?”
“Certamente il rischio di incidenti con conseguenti traumi si ridurrebbe di molto, ma…”
Utako si alzò dalla sedia e gli porse la mano: “Molto bene, allora è deciso”.
Ora poteva andare a casa a rilassarsi, ma sul serio, questa volta.
* * *
“Signorina Ayumi, è sicura di quello che sta facendo?”
“Certamente. Kobayashi-san? Mi aiuterebbe a indossare l’imbottitura per le ginocchia e il caschetto, per favore?”
“Sì, ma…”
“Ha portato l’ovatta che le ho chiesto? E le garze? E il cerotto?”
“E’ tutto qua.”
“Molto bene”. Ayumi annuì soddisfatta. “Ora mi accompagnerebbe alla stanza che mi hanno assegnato?”
“Se riesce a risollevarle l’umore, sì.”
“Certo che mi risolleverà l’umore. Sempre meglio che stare a letto a non fare niente, non le pare?”
“Sarà”, rispose dubbiosa l’infermiera mentre entrambe si avviavano verso l’ascensore, la mano della ragazza appoggiata al braccio di Kobayashi-san.
“Ecco, è qui. Come ha richiesto, le porteremo i pasti e da bere. Ma quando il dottor Yamamoto dirà che deve riposare, lei dovrà ascoltarlo, va bene?”
“Certo, grazie, Kobayashi-san.”
L’infermiera sorrise. “Non c’è di che. Ma la prego, faccia attenzione.”
“Sì, senz’altro.” Mormorò Ayumi mentre la porta si chiudeva alle sue spalle.
Si sentì un po’ disorientata, l’avevano chiusa in una grande stanza che non conosceva e che, per sua espressa richiesta, non era stata svuotata da tutti gli arredi e cianfrusaglie che conteneva. Tastando il muro con cautela, Ayumi si sedette sul pavimento. Sempre a tentoni, cercò il pacco di ovatta che le aveva lasciato l’infermiera, lo aprì e ne ricavò delle palline che si infilò nell’orecchio.
Fissò la garza sulla bocca col cerotto e sentì un moto di agitazione. Ora, tecnicamente, aveva riprodotto le condizioni nelle quali si trovava Helen. Non vedeva, non sentiva e non poteva nemmeno parlare. E in quella stanza non ci era mai stata. Quando aveva preparato la parte di Helen per le audizioni, si era limitata ad osservare il comportamento di ragazzini che versavano nelle identiche condizioni della protagonista dell’opera. Ora, aveva deciso di adottare lo stesso metodo che aveva utilizzato Maya per calarsi nella parte di Helen. Se come diceva Hamil il suo problema era capire e trasmettere i sentimenti e diventare tutt’uno col suo personaggio, ora il personaggio sarebbe stata lei medesima. Analizzare quello che provava sarebbe stato sicuramente più semplice e da lì sarebbe partita.
* * *
Era inquieta. Non aveva paura, ma il suo animo era pieno di quel sentimento strisciante che cresce di minuto in minuto. Non sapeva da quanto tempo si trovasse in quella stanza, ma non aveva ancora avuto il coraggio di esplorarla. Sapeva benissimo che non c’erano pericoli, tuttavia qualcosa dentro di lei la teneva ancorata a quel muro e forse non c’era nemmeno una ragione per la quale dovesse scoprire cosa ci fosse in quella stanza. Non sapeva se fosse mattina, pomeriggio, sera oppure notte inoltrata. Non c’era nessuno al quale domandare. Il riscaldamento era troppo alto, per cui bruciava dalla sete, solo che non era in condizioni di poter chiedere ad anima viva. Era completamente sola, in quel piccolo mondo artificiale che si era creata e non era in grado né di comunicare, né di vedere o di sentire. Era straziante.
Rimase lì, ancora per molto tempo, quando, ad un tratto, si sentì prendere una mano. Sobbalzò perché logicamente non aveva sentito o visto nessuno entrare. Avvertì che le stavano porgendo qualcosa, ma non riuscì ad afferrare quel che le veniva offerto e mancò la presa. Dopo un secondo, sentì che un liquido caldo le scottava una coscia e gemette per il dolore e  per la frustrazione.
Chiunque fosse quella persona, le mise in mano un’altra tazza, facendo in modo che la afferrasse bene prima di lasciare la presa. Ayumi non sapeva bene cosa le avessero dato, per cui si chinò per annusare il contenuto. Il suo odorato non era allenato per cui non riuscì a capire bene di che bevanda si trattasse e affondò il naso nella tazza. Doveva sforzarsi a capire, Helen avrebbe fatto esattamente in quel modo.
Gradatamente, il suo olfatto le trasmise l’informazione che cercava: avvertì un lieve profumo di fiori. Annusò ancora e finalmente capì che si trattava di tè al gelsomino. Staccò il cerotto che le copriva la bocca e con cautela, per paura di rovesciare il tè, si portò la tazza alle labbra. Bevve avidamente e con gratitudine.
Aveva fame, sperava le avessero portato anche qualcosa da mangiare. Mosse la mano con circospezione fino a quando urtò contro un piatto. Ancora con più cautela, cercò di afferrare il cibo senza rovesciarlo. Sembrava qualcosa tagliato in piccoli pezzi, facile da prendere in mano. Lo annusò, aveva un buon odore. Sembrava carne… assaggiò. Era pollo teriyaki, era buono, ma… se non le fosse piaciuto? Helen non era in grado nemmeno di dire “oggi preferisco mangiare della carne invece che della verdura.”, oppure chiedere del sale perché la zuppa era sciapa o dire che non si sentiva bene. L’unico modo che aveva era… urlare, sbraitare perché non poteva fare altro.
Ma era vita, quella?
Forse nemmeno la stoffa dei vestiti che le facevano indossare le piaceva e magari le grattava la pelle.
E neanche il latte che le davano da bere tutte le mattine, probabilmente era troppo freddo o troppo caldo o addirittura non le piaceva.
E non poteva uscire di casa senza sapere che tempo facesse perché non era in grado di far domande.
Cosa potevi aver provato, Helen?
Tanta frustrazione, ma soprattutto una immensa, infinita rabbia, il suo stesso corpo una prigione dalla quale non poteva uscire.
Alla rabbia non aveva mai pensato e questa consapevolezza la lasciò spiazzata, completamente.
Appoggiò la testa contro il muro, in un gesto di resa incondizionata. “Hamil, avevi ragione tu. Devo ammetterlo, la Helen che porterei in scena oggi è totalmente diversa da quella di qualche anno fa”.
Però… però c’era qualcosa in positivo in quel disagio: aveva cominciato a capire cosa poteva aver provato quella ragazza e per la prima volta, ne aveva abbracciato la sofferenza. Erano bastate solamente poche ore per farle capire la ragione per la quale sua madre su quel palco aveva baciato Maya invece che lei, Ayumi, sua figlia. Dopo tanto tempo, quel bacio le bruciava ancora dentro. La sua Helen era stata impeccabile. Tecnicamente. Ma quella di Maya aveva avuto un impatto devastante. E lei aveva provato il gusto amaro della sconfitta al quale non era abituata.
Era abbastanza sicura di avere compreso cosa fosse mancato alla sua resa del personaggio di Helen, ma aveva bisogno di un’ultima conferma, della prova del nove.
Si alzò di scatto, ma rovinò a terra. Digrignando i denti, inconsapevolmente proprio come avrebbe fatto Helen, si tirò in piedi e a tentoni cercò la porta. Dopo averla trovata, si strappò rabbiosamente il cerotto dalla bocca e cominciò a picchiare sul vetro. “Fatemi uscire! Fatemi uscire! Venite ad aprire!” Finalmente, arrivò qualcuno. Ancora una volta, non poté capire di chi si trattasse perché aveva ancora l’ovatta nelle orecchie. La gettò via e finalmente, dopo tante ore, riuscì a sentire qualcosa. Che sollievo! Si trattava dell’infermiera Kobayashi. “Signorina Ayumi? Sta bene?”.
“Sì, sto bene.” Ed era vero. “Devo chiederle un altro favore, infermiera.”
“Mi dica, se posso.”
“Dovrebbe trovarmi un numero di telefono.”
Kobayashi la guardò incuriosita, piegando la testa da un lato, ma non fece domande.
Qualche ora dopo, l’infermiera compose quel numero sul cellulare di Ayumi e lasciò la stanza.
Ayumi, dal canto suo, avrebbe preferito non fare quella telefonata, ma sapeva bene che non c’erano alternative.
“Pronto? Buongiorno sono Ayumi Himekawa. Sì, sto bene, grazie. E lei? Bene, mi fa piacere. Le ho telefonato perché dovrei chiederle un favore. Sì, dovrebbe darmi un parere. Uno di questi giorni verrebbe qui in ospedale? Oggi stesso? Beh, ecco… Sì, come vuole. L’aspetto. A più tardi”
Ayumi chiuse la comunicazione e non poté fare a meno di sentirsi tesa.
Decise che avrebbe cercato di riposarsi, più tardi avrebbe avuto bisogno di tutto il suo sangue freddo e di nervi saldi.
 

* * *
Buona sera, come state?
E' la prima storia che scrivo su Glass No Kamen per cui penso che parecchi non mi conoscano.
Ho letto da pochi mesi il manga e me ne sono innamorata. Mi piace molto il personaggio di Ayumi, per cui... ecco una storia che parla di lei.
Ho scritto questa fanfic per una sfida sul sito di Anonima Autori, è già finita per cui aspettatevi aggiornamenti abbastanza celeri.

Spero che vi sia piaciuta.
Volevo ringraziare Floriana di Murasaki no bara no Yume e la mia cara Lunetta che hanno letto "Princesse" in anteprima e che mi hanno dato l'ok.
Un abbraccio dalla Nisi
 

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Capitolo 2
*** Lo scocciatore ***


“Bonsoir, Mademoiselle Ayumi.”
“Bonsoir, Monsieur Hamil. La ringrazio per essere venuto.”
“Non mi deve ringraziare, Mademoiselle. E non c’è bisogno di essere così formali.”
Ayumi ignorò di proposito le sue parole.
“E’ stato molto gentile a disturbarsi per me.”
Hamil sorrise, un po’ tra il divertito e l’esasperato; meglio giungere subito al punto, visto che era chiaro che lei non lo aveva chiamato per dirgli frasi carine. “Bon, allora, cosa posso fare per lei?”
 “Ho provato recitare la parte di Helen, come mi ha consigliato lei. Aveva… aveva ragione. La mia Helen di oggi non è quella di tanto tempo fa. Vorrei avere un suo parere sulla mia recitazione, per quella questione dei sentimenti.” La voce le si incrinò e Hamil si sentì invadere dalla tenerezza, ma non osò fiatare. Sapeva benissimo che se avesse fatto un qualsiasi gesto di affetto, Ayumi gli avrebbe staccato la testa a morsi… e non era sicuro solamente in senso figurato.
“Va bene.”
“Ma mi deve dare un parere sincero e spassionato.”
“D’accordo.”
“Mi deve dire la verità.”
“Non lo faccio sempre, mademoiselle?”.
Ayumi storse la bocca: “Già, questo è vero. Ora andremo nella stanza che uso per le prove. Reciterò solamente le parti in cui Helen è da sola o le scene incentrate su di lei.”
“Molto bene.”
“Kobayashi-san, ci accompagnerebbe, per favore?”
“Non ce n’è bisogno, se mi dice dove si trova la stanza…”
“Non si disturbi.”
Ancora quella gelida cortesia. Avrebbe preferito sentirla sbraitare, arrabbiarsi, ma non quella quieta indifferenza. Gli faceva male al cuore, in una ragazza tanto giovane non andava bene.
“Reciterò le parti in cui Helen gioca, mangia e beve. E quando cerca di scappare da Miss Sullivan.”
“Bien, vas-y, la sto a guardare.”
Ayumi rimase in piedi per qualche minuto prima di cominciare e fece qualche esercizio di respirazione, anche per calmarsi. Recitare sola davanti a quell’uomo aveva il potere di innervosirla, anche se poche volte aveva sofferto di panico da palcoscenico.
Cominciò a recitare quasi senza rendersi conto di quello che stava facendo. Lei oramai era una ragazza che non vedeva e sapeva esattamente cosa volesse ciò comportasse.
Ancora non sapeva cosa ci fosse nella stanza e ciò stranamente l’aiutò nella sua interpretazione: si mosse come Helen, mangiò come Helen e pianse come Helen mentre lo sguardo di Peter Hamil la seguiva attento.
 
Quando tutto fu finito, Ayumi era stravolta, aveva un mal di testa martellante ed era coperta di sudore. Era pure caduta a terra qualche volta, ma le protezioni che l’avevano costretta a indossare avevano attutito i colpi anche se sospettava che il giorno dopo avrebbe avuto una natica tutta blu, ma tanto non l’avrebbe vista nessuno.
“Ecco, prenda”, Hamil le aveva teso un bicchiere d’acqua fresca e Ayumi lo bevette avidamente.
“Posso averne ancora?”
Hamil rise a bassa voce e le riempì di nuovo il bicchiere, e ancora Ayumi bevve.
Hamil pareva non aver intenzione di parlare, né di muoversi da lì. Non riuscendo più a contenere la propria impazienza, Ayumi chiese a bruciapelo: “Allora?”
“Mademoiselle, avevo visto la registrazione della sua interpretazione e mi era sembrata ottima.”
“Grazie. E cosa ne dice di questa?”
“Mi lasci finire. Quando ho visto la versione di qualche anno fa, ho pensato che lei fosse una grande attrice. In questo caso, ho pensato di avere davanti una povera ragazza cieca e sordomuta.” concluse con un sorriso.
“Allora le sono piaciuta?”
Hamil scoppiò a ridere: “Se è per questo, lei mi piace sempre.” Ayumi divenne paonazza dall’imbarazzo. “Ma se intende la recitazione, sì, in qualche momento mi ha emozionato.”
Ayumi, estremamente delusa, si limitò a tacere. Solo in qualche momento?
Doveva essere più trasparente di quanto pensasse perché Hamil le prese le mani ed esordì, in tono di scusa: “Ayumi, è stata bravissima, ma pensa che per avere il ruolo della Dea Scarlatta possa bastare una prova estemporanea? Se così fosse, la Dea Scarlatta non sarebbe quella che è, e nemmeno lei. Vorrebbe dire sottovalutarvi entrambe.”
Aveva odiosamente ragione. E aveva anche l’abitudine di toccarla, quell’uomo. “Mi lasci” gli intimò gelida, ritirando bruscamente le sue mani da quelle di lui.
Hamil rimase a guardarla allibito. Sapeva di non piacerle, ma la reazione di Ayumi al tocco delle sue mani era stata quella di puro disgusto. Non era un uomo da abbattersi per poco, ma quel tono e quel suo ritrarsi di scatto lo ferirono.
“Le chiedo scusa. Penso sia ora di andare e lei ha bisogno di riposarsi.”
Dopo un secondo lui non c’era già più e Ayumi si ritrovò sola nella stanza.
Era irritata con Hamil, che tutte le volte che la vedeva la corteggiava, ma il quale giudizio era il più delle volte corretto e le diceva la verità, sempre. A voler ben guardare, forse era più arrabbiata con se stessa per non averlo saputo stupire e averlo sentito lodare la sua stupenda recitazione. Sapeva di essere una persona terribilmente orgogliosa, d’altronde, il suo ego era uscito da quegli ultimi giorni piuttosto ammaccato. Anzi, a voler ben guardare, era da quando Maya Kitajima era comparsa all’orizzonte che il suo amor proprio aveva preso una botta dopo l’altra.
 * * *
Il parco dell’ospedale era piacevole e ben curato. C’erano parecchie panchine, ma a quell’ora non c’era molta gente. C’era anche un laghetto circondato da alberi frondosi e Hamil si avvicinò.
Non era ancora riuscito a trovare un modo per raggiungere il cuore di Ayumi Himekawa. Quando l’aveva vista per la prima volta, la sua bellezza e la sua dedizione al teatro l’avevano impressionato, però, lui, di donne belle e impegnate ne aveva conosciute tante; poi, man mano che il tempo passava, era rimasto sempre più affascinato da lei come persona, fino a quando una sera, davanti a un bicchiere di whiskey irlandese, aveva deciso di fare i conti con se stesso e aveva ammesso che desiderava conoscere Ayumi quanto più intimamente possibile. Non era un ingenuo ed era un uomo che aveva un passato; non credeva al colpo di fulmine e infatti l’anima di quella ragazza l’aveva lentamente intrigato, senza fretta e sempre di più, senza che se ne accorgesse, fino a che era stato troppo tardi per porvi rimedio.
Il fotografo in lui ebbe il sopravvento e si avvicinò ancora di più al laghetto: a quell’ora la luce era perfetta. Non aveva voglia di fare delle foto, ma di vedere qualcosa di bello, sì.
* * *
Ayumi ritornò in camera accompagnata da Kobayashi-san, la quale non poté fare a meno di notare il suo pallore. “signorina Ayumi, perché non andiamo a prendere una boccata d’aria nel parco?”
“E’ una buona idea, dell’aria fresca mi farà bene.”
Scesero con l’ascensore e uscirono dall’edificio. C’era una bella luce e fuori si stava bene.
“Mi può descrivere il parco?” chiese Ayumi.
Kobayashi-san la guardò incerta e cominciò a parlare: “Qui ci sono parecchi alberi, li sente gli uccelli che cantano? Ecco, ci sono tanti susini, i parenti dei pazienti a volte fanno il picnic proprio sotto a questi alberi. Ci sono tante panchine di legno, ma ora non c’è tanta gente, è tranquillo. C’è un laghetto…”
“Per caso c’è una panchina vicino al laghetto?”
“Sì, ce n’è una proprio laggiù. Vuole sedersi?”
“Sì, grazie.”
Si erano sedute da qualche minuto quando Ayumi sentì i passi di qualcuno avvicinarsi: “Kobayashi-san? Potrebbe venire all’accettazione? C’è bisogno di lei.”
Kobayashi-san si girò verso Ayumi con uno sguardo preoccupato.
“Non si preoccupi per me, vada pure. Non durerà molto, no? Posso aspettarla.”
“La ringrazio, signorina Ayumi. A dopo, allora.”
”A dopo.”
Era tanto tempo che non si sedeva su una panchina del parco a godersi il fresco. Si alzò in piedi per sgranchirsi le gambe… e lo vide.
 
* * *
Peter Hamil sentì l’impulso prepotente di avvicinarsi di più al laghetto. Fu proprio in quel momento che la vide, vide Ayumi avvicinarglisi raggiante, passo dopo passo. Non poté fare a meno di andarle incontro e quando fu a un soffio dal prenderla tra le braccia, lei mosse il capo in segno di diniego e sussurrò: “Aspettami…” Ma sorrideva e lo guardava con uno sguardo dolce che non le aveva mai visto.
Piano piano la sua immagine andò svanendo, lasciandolo debole e vulnerabile.
Quando si riebbe appena un po’ pensò che doveva essere stato uno scherzo della sua mente: Ayumi aveva ancora gli occhi bendati e quella… qualunque cosa fosse stata, quella sembrava vederci benissimo. Non era possibile. Forse il caldo di Tokyo gli aveva dato alla testa. Tornato a casa avrebbe fatto una doccia gelata.
 
* * *
Vide Peter Hamil andarle incontro, le braccia tese verso di lei. Una forza irresistibile la fece muovere verso di lui e prima che potesse stringerla a sé, solo un attimo prima, sentì se stessa mormorare: “Aspettami!” e poi più nulla. Era stata felice di vederlo lì, e gli aveva sorriso con grande calore.
In qualche modo, riuscì a sedersi sulla panchina, visibilmente turbata. “E’ la mia testa che mi fa dei brutti scherzi, io non ci vedo. Dovrei farmi visitare.” Tuttavia, non era preoccupata per la sua salute, l’unica cosa che sentiva in quel momento era una sensazione di calma che non provava da tempo.
Sarebbe rimasta lì ancora un po’, tanto Kobayashi-san non era ancora tornata e dopotutto lei doveva aspettarla lì.
* * *
Si era ripreso. Non del tutto, ma abbastanza da poter camminare e uscire da quel posto. Che strana cosa era accaduta. E non poteva nemmeno dire di aver bevuto.
“Signor Hamil!”
Riconobbe subito la voce decisa della signora Tsukikage. “Signor Hamil,” ripeté, “Si sente bene? Dalla sua faccia si direbbe che ha visto un fantasma!”
“S… sto bene, Madame. Forse sono un po’ stanco.” La sua immaginazione continuava a giocargli dei brutti scherzi: gli sembrava quasi che Madame lo stesse prendendo in giro.
“Tenga, beva!” nel frattempo la signora aveva tirato fuori dalla borsa una bottiglietta d’acqua. “E’ pallidissimo, beva, si sentirà meglio.”
“Merci beaucoup, Madame” bevve qualche sorso ed effettivamente si sentì un po’ rinfrancato.
“Mi dica, è venuto a trovare Ayumi Himekawa?”
“Trovare è una parola grossa, piuttosto le ho dato un parere sulla sua recitazione.”
“E cosa ha recitato?”
“Helen in Anna dei Miracoli. Mi è sembrata brava.”
“Ayumi è sempre brava.” Rimbeccò freddamente la signora Tsukikage. “Perché proprio quella parte?”
Hamil sprofondò le mani in tasca. “Perché gliel’ho detto io.”
La signora Tsukikage lo fissò, senza dire niente. “Qualche giorno fa le ho detto che sembrava una bambola…” si sentiva lo sguardo penetrante dell’anziana donna su di sé, sembrava quasi che gli stesse leggendo dentro. “che la sua recitazione trasmetteva poco. Credo di averla ferita molto, anzi ne sono sicuro.”
Non si aspettava certo che la signora scoppiasse a ridere: “Certo che sì, Ayumi è una ragazza estremamente orgogliosa.”
“C’est vrai. E io l’ho sfidata a provare ancora a recitare la parte di Helen. Ora che non ci vede, deve essere stato più facile per lei capire come si sente una ragazza cieca e questo potrebbe aiutarla a migliorare la sua sensibilità. Mi ha chiesto di assistere alla sua prova e cosa ne pensavo.”
“E cosa ne ha pensato?”
“Rispetto alla Helen che ho visto nelle vecchie registrazioni è molto più emozionante, ma le ho detto che per poter recitare la Dea Scarlatta è troppo poco.”
La signora Tsukikage scoppiò ancora a ridere: “Signor Hamil! Lei vuole rubarmi il mestiere!”
L’idea era talmente folle e ridicola che anche il fotografo si unì alla risata.
“Ayumi si fida di lei…”
“No, mi ha chiamato solamente perché sa che quello che le dico è esattamente quello che penso.” L’espressione addolorata sul volto del fotografo le fece capire molte cose.
Gli sfiorò una mano con la sua, ossuta e avvizzita. “Non pretenda troppo da Ayumi, con lei deve avere pazienza…”
Peter levò su di lei gli occhi chiari. “Vede, Ayumi è come una bambina piccola. Maya Kitajima, pur con tutte le esperienze negative che ha dovuto affrontare è più matura: ha dovuto lottare per essere quello che è, però ha una vita normale, ha delle amiche e ora si è anche innamorata. Ayumi, invece…”
“Ayumi cosa?”
La signora Tsukikage sospirò…
* * *
Kobayashi –san non era ancora tornata. Cominciava a far freddo e voleva tornare in camera. Si alzò dalla panchina e fece qualche passo. Che strano, le era sembrato di sentire la voce ben impostata della signora Tsukikage. Si mosse nella direzione dalla quale proveniva quella voce. Sì, era la sensei e stava parlando di lei.
Sentì la signora Tsukikage sospirare: “Ayumi è nata in una famiglia ricca e benestante. Non ha mai avuto problemi, è sempre stata perfetta in tutto, ma non ha un amico, non ha avuto particolari esperienze di vita, non si è mai innamorata, ha solo pensato a recitare. Non conosce il mondo e tutto ciò che lo fa girare, per cui ora come ora non è in grado di dar vita a una Dea Scarlatta credibile. Quella ragazza ha bisogno di crescere, di vivere per davvero. La Dea Scarlatta si manifesta pienamente solamente a chi è in grado di accoglierla nel suo cuore. Ayumi non lascia avvicinare le persone a sé e credo che lei ne sappia qualcosa, signor Hamil.”
Ogni parola della Tsukikage fu una pugnalata al cuore di Ayumi. Mentre ascoltava quelle parole non piangeva, ma tremava come una foglia. Non era come Hamil che si era limitato a criticare la sua recitazione, ma la sua maestra, l’attrice che per lei era un esempio pensava che lei non fosse altro che una bambina senza esperienza. Non dubitò nemmeno per un attimo che la sensei non pensasse ogni singola parola di quello che aveva appena detto, e per quella ragione, la ferita bruciò ancora di più. Allora era così, si era rinchiusa in una bella torre d’avorio dalla quale non era mai uscita, ecco perché non aveva nessun amico e perché invidiava a Maya la sua vita così semplice, ma piena. Sì sentì ferita, sia come attrice che come persona.
“Signorina Ayumi! Mi scusi per averla fatta aspettare. Ma… si sente male? E’ così pallida!”
“Non si preoccupi, Kobayashi-san, sono solo un po’ stanca. Possiamo rientrare in camera?”
* * *
Ci fu un momento di silenzio tra Peter Hamil e la signora Tsukikage. “Capisco… E’ venuta a trovare Ayumi?”
“Sì, ma ora penso che tornerò a casa. Dopotutto, Ayumi sa come la penso.” Disse mentre guardava una ragazza bionda allontanarsi al braccio di un’infermiera.
* * *
“Permesso? Ayumi, ciao! Ti ho portato dei takoyaki…”
Le parole di Maya vennero completamente ignorate perché Ayumi stava discutendo animatamente con sua madre.
“Mamma, per favore!”
“Non se ne parla nemmeno! Tu devi rimanere qui a farti curare, uscire dall’ospedale è una pazzia. Ti rendi conto che potrebbe succederti qualcosa e noi non ne sapremmo niente!”
“Cosa vuoi che mi succeda, mamma! Io sto benissimo!”
“Già, stai benissimo, ti dimentichi soltanto che tu al momento sei cieca!”
“Lo sai cosa voglio dire!”
Maya rimbalzava lo sguardo da Ayumi a Utako ad Ayumi e non capiva niente di quello che stesse succedendo tra madre figlia. La tentazione di lasciare i takoyaki sul comodino e di darsela a gambe era forte, però era strano vedere Ayumi, sempre tanto controllata, perdere le staffe in quel modo. L’aveva vista infuriata solamente quando se l’erano date di santa ragione, lassù in montagna. E aveva picchiato duro.
“Cosa è questo baccano? E’ un ospedale, questo!” esordì Kobayashi-san entrando nella stanza.
“Kobayashi-san, non riesco a far ragionare mia figlia…”
“Kobayashi-san, mia madre non vuole farmi l’unico favore che le abbia mai chiesto”.
Peccato che le due avessero parlato contemporaneamente, per cui l’infermiera ne sapeva quanto prima. Sospirò: “signora Himekawa, prego…”
“Mia figlia vuole che firmi le carte per farla uscire dall’ospedale.” Il viso di Kobayashi-san assunse un’espressione terrea.
“Signorina Ayumi, si rende conto, vero?”
“Io sto bene. Io devo far qualcosa, devo provare… devo cercare di crescere!”
L’infermiera tacque. Aveva assistito alla scena del giorno prima, ma si era tenuta in disparte e aveva reso nota la sua presenza solamente qualche minuto dopo. Con voce dolce domandò alla paziente: “Se sua madre la facesse uscire, cosa farebbe…”
“Io… io non lo so bene, ma a qualcosa…”
Kobayashi-san si girò verso la signora Himekawa. “Signora, penso di capire la ragione per la quale sua figlia vuole uscire dall’ospedale. Qual è il motivo per il quale lei non vuole che Ayumi esca?”
“Ho paura per lei… Non voglio che le succeda niente di male, è mia figlia e ci tengo a lei.”
“Senta… sua figlia si trova qui solo in osservazione e perché è più semplice farle degli esami. Se dovesse andare in un altro posto protetto, lei acconsentirebbe?”
“Kobayashi-san, mi meraviglio di lei!”
“Mi rendo conto che non è il comportamento più professionale per una infermiera, ma ho già avuto pazienti che sono fuggiti dall’ospedale… e ho due figli adolescenti. Dopotutto, il mio lavoro è assicurare il benessere di sua figlia e non c’è ragione perché debba rimanere qui in ospedale a intristirsi.”
La signora Himekawa la guardò dubbiosa: “Dovrebbe essere affidata a qualcuno di…”
“Certamente.”
Per la prima volta, Ayumi parlò, mentre Maya osservava la scena, ancora cincischiando la scatola dei takoyaki.
“Ha in mente qualcosa, Kobayashi-san?”
“Mia sorella è una monaca. Vive allo Zenko-ji, a Nagano e hanno uno shukubo per gli ospiti e i pellegrini.”
Fu la volta di Maya, di intervenire: “Nagano! E’ un bel posto, si sta bene e fa fresco!”. Ayumi non la poteva vedere, ma Maya al ricordo di quei momenti in montagna, era diventata tutta rossa. Kobayashi-san la guardò incuriosita, mentre Utako Himekawa la fissò come se la volesse incenerire.
“Scu… scusatemi… io non…”
“E’ tutto a posto, Maya.” La interruppe Ayumi, alla quale era venuta una voglia improvvisa di farsi un giro a Nagano per stare allo Zenkoji con la sorella di Kobayashi-san. Non che fosse una gran praticante, ma…
Utako Himekawa capitolò: erano in tre contro una e non poteva vincere, soprattutto con quella testarda di sua figlia. “E sia, però a Nagano ti ci accompagno io, voglio conoscere la sorella di Kobayashi-san e tu ritorni in tempo per gli esiti degli esami e per farti operare.”
“Ha dieci giorni, signorina.” Puntualizzò l’infermiera.
Solo dieci giorni per crescere, pensò Ayumi, voleva dire che avrebbe fatto in modo di farseli bastare.
* * *
“Kobayashi-san?”
“Sì, signorina?” l’infermiera alzò gli occhi dalla borsa che stava preparando.
“Lei… lei ha sentito quello che ha detto la signora vestita di nero, vero?”
“Sì, ho sentito.”
“E’ per questo che ha deciso di aiutarmi?”
“Sì, ma non solo per questo. Vede, mia madre è un’appassionata di teatro e aveva assistito alla Dea Scarlatta della signora Tsukikage. Me ne ha sempre parlato come uno dei momenti più emozionanti della sua vita, la conosce a menadito. Ho capito che per poterla interpretare bisogna essere un tutt’uno con la natura e Nagano potrebbe essere un buon posto per lei, per far pratica.”
“Le sono grata, Kobayashi-san.”
“Far star meglio i miei pazienti è il mio dovere, signorina.”
“Cercherò di sfruttare al meglio questa occasione, allora.”
”Mi sembra un’ottima idea. Ora andiamo, sua madre la starà sicuramente aspettando.”
* * *
Il taxi le lasciò proprio davanti al Daimon e Utako gettò un’occhiata al tempio che si trovava al termine del breve viale che si stendeva dinnanzi a loro.
“Non capisco questa tua ostinazione ad andartene via. Capisco la Dea Scarlatta, ma voler lasciare l’ospedale…”
“Mamma, la Dea Scarlatta mi sta sfuggendo di mano e non posso perderla.”
Utako esitò un momento: “Forse perché è destino che non sia una Himekawa ad interpretarla, te lo sei mai chiesto?”
“Forse, ma ci voglio provare comunque…”
“Va bene, non voglio che tu abbia rimpianti a causa mia. Vieni, andiamo.”
Le due donne si incamminarono lungo il Nakamise e arrivarono davanti all’ingresso.
“Le signore Himekawa?” una voce decisa dietro di loro le fece trasalire.
Utako Himekawa si trovò faccia a faccia con una ragazza giovane dalla faccia tonda e dalle guance rosse che assomigliava all’infermiera di Ayumi in maniera impressionante. Sembrava solo molto più giovane, aveva la tonsura e vestiva la tunica delle sacerdotesse del tempio.
“Hajimemashite, sono Sayaka Tsukimoto, sono la sorella di Kobayashi Tsuruko” la ragazza si inchinò profondamente e prese la valigia dalle mani di Utako senza troppi complimenti.
“Himekawa-san, prego, mi segua, la accompagno alla sua stanza.”
“Tsukimoto-san, mia figlia attualmente è priva della vista.” Fece notare gelida Utako.
“E’vero, mi scusi. Ecco, si appoggi a me. Arrivederci, signora, ci vediamo tra dieci giorni!”
Ayumi sospirò maledicendo il suo destino ingrato:  anche in quel luogo di santità, le era capitata una persona a dir poco strana. Non si era vestita abbastanza pesante e faceva freddo, in più era di cattivo umore. Mancava soltanto che arrivasse quel fotografo gaijin e il quadro sarebbe stato perfetto.
 
* * *
“Himekawa-san? Ora di pranzo, le ho portato da mangiare?”
“Grazie.” Annusò l’aria per capire cosa le avessero servito. “Mi potrebbe aiutare? Vorrei capire cosa c’è nei piatti.”
“Oh, certo! Allora in questo piatto c’è…”
”No, non così, voglio capirlo con l’olfatto, ma vorrei che mi reggesse i piatti e le ciotole mentre cerco di…”
”Ah, sì, ho capito. Allora, cominciamo con questo…” e Tsukimoto-san le avvicinò una ciotola.
“Fate la shojin riyori, qui, vero?”
“Sì.”
“Mmmm… questa è zuppa di miso, vero?”
“Giusto. Assaggi, il nostro tempio ha un’ottima cucina.”
Ayumi cominciò a sorbire la zuppa. “E’ buonissima…” esclamò sorpresa.
“Vero? E’ l’ideale per oggi che fa fresco. Vediamo… cerchi di capire che cosa è questa, è più difficile, però…”
”Non si sente niente…”
“Provi ancora, forza.”
“No, non ce la faccio… anzi… sembra qualcosa di fritto…”
“Molto bene. E’ del tempura, assaggi!”
Ed era buono davvero. Sarà stata l’aria di montagna, la fatica del viaggio, ma Ayumi aveva una gran fame.
Riuscì a indovinare quasi tutte le pietanze che componevano il suo pranzo. “Grazie per l’aiuto, Tsukimoto-san.”
”Mi chiami solo Sayaka, per favore”
“Oh, ma ci conosciamo appena…”
”Sì, lo so, ma Tsukimoto-san è mia madre e non sono abituata a sentirmi chiamare così…”
”Va bene, allora mi chiami anche lei solamente Ayumi.” Non era venuta lì per preoccuparsi delle formalità e dalla voce Sayaka sembrava una ragazza giovane.
“Molto bene. Ha da fare nel pomeriggio, Ayumi-san?”
“No, non ci ho ancora pensato…”
“Mia sorella mi ha telefonato e mi ha spiegato perché è venuta qui.”
Ayumi non trattenne un moto di irritazione. Non le piaceva essere oggetto di conversazione.
“Non deve arrabbiarsi, volevo solo aiutarla: il pomeriggio vado a fare meditazione nel bosco. E’ un bel posto, si trova al sole e non è lontano da qui. Potrebbe cominciare ad avere qualche contatto con la natura.”
Ayumi sorrise, addolcita: “Sì, è una buona idea, vengo volentieri.”
”Va bene, allora se vengo tra mezz’ora…”
“Io sono già a posto, se vuole possiamo andare adesso.”
“Come vuole, allora si vesta comoda perché non si può andare a fare meditazione nel bosco con i tacchi e la gonna stretta. Faccia con calma, io intanto devo fare una visita in bagno!”
Quella ragazza non sembrava una monaca, era un vero turbine. Peggio di Maya Kitajima.
Si cambiò e indossò una tuta calda con delle scarpe da tennis. Era diventata brava a vestirsi da sola e quando Sayaka tornò dalla sua “visita”, era pronta.
“Andiamo, allora!”
Il bosco iniziava esattamente dietro la montagna, ma quei primi passi Ayumi li percorse su un terreno completamente piatto. “Ecco!”
“Siamo già arrivate? Non mi sembra un bosco, questo.”
“No, ha ragione. Siamo davanti al bruciatore dell’incenso. Attiri il fumo sacro verso di lei, per la salute.”
Ayumi fece come le veniva richiesto. L’incenso aveva il suo caratteristico aroma e quel gesto vecchio di secoli la fece sentire bene.
Sayaka approvò annuendo vigorosamente. “Ora andiamo. Risparmi il fiato, ne avrà bisogno!”
Era vero. Ayumi si ritrovò presto boccheggiante e grondante di sudore, sembrava stessero percorrendo un sentiero piuttosto ripido. Sayaka se la trascinava dietro apparentemente senza alcuno sforzo.
“Quanto manca?” riuscì ad articolare Ayumi.
“Oh, poco, manca poco… coraggio, resista! Un po’ di movimento fa bene.”
Ayumi pensava di essere in forma, dopo tutte quelle ore passate a danzare, ma non era abituata a camminare velocemente su una mulattiera. E aveva anche paura, visto che non poteva vedere dove stessero andando
Quando pensava ormai che sarebbe stramazzata a terra, Sayaka annunciò: “Ecco, ci siamo!”
E poi, in tono molto più tranquillo e pacato che Ayumi stentò a riconoscere: “Vorrei potesse vedere quanto è bello, qui.”
“Purtroppo non è possibile.” Rispose Ayumi un po’ acidamente.
“Anche se non vede, lei può godere di questo posto. Ecco, venga, si sieda qui. Questo è il mio masso da meditazione. Si metta comoda, può incrociare bene le gambe. Bene. Ora, chiuda gli occhi e cerchi di non pensare a niente. Anche se un pensiero dovesse affacciarsi alla sua mente, non si inquieti, lo faccia andare via e si concentri sul niente. Ora, si concentri sulla respirazione, faccia partire il respiro dalla pancia e lo faccia arrivare su, su, fino alle sue spalle. Respiri solo con il naso… Molto bene, così. I suoi muscoli sono rilassati e il respiro scorre facilmente. Ora, rivolga la sua attenzione all’ambiente che la circonda, cerchi di avvertirlo su di sé. Senta il vento che le accarezza la pelle, i raggi del sole che le scaldano il viso e il profumo di questo bosco.”
Ayumi non seppe dire quanto tempo fosse passato dall’inizio della meditazione, ma arrivò il momento in cui Sayaka pronunciò le frasi di conclusione: “E ora, piano piano ritorni in sé, prenda consapevolezza del suo corpo, dei suoi muscoli e delle sue ossa, ritorni in questo mondo e al qui e ora.”
“Io…”
Sayaka le prese delicatamente una mano. “Come si sente?”
“Mi sento un po’ stordita, ma… “ sorrise esitante. “Mi sento bene e rilassata. Da quanto tempo…”
“Un bel po’”, rise Sayaka. “Ora si riprenda per qualche minuto che poi torniamo al tempio”.
“Va bene.”
Ayumi rimase in silenzio seduta sul suo masso e ascoltò i rumori del bosco: uccelli che cantavano, le fronde degli alberi che fremevano agitati dalla brezza; sentiva il sole che le scaldava il viso e il vento che le carezzava la pelle. Vicino a lei dovevano crescere delle erbe perché ne avvertiva chiaramente l’aroma e respirò profondamente. Non ci aveva mai fatto molto caso a queste sensazioni, forse perché non aveva mai prestato attenzione alle altre sue percezioni diverse da quella visiva. E decise che era bello e che le piaceva. Forse, Akoya si sentiva proprio così quando si trovava a contatto con la natura.
Si alzò lentamente per non cadere.
 “Se vuole, possiamo tornare, io sono pronta.”
“Prima assaggi questa.” Le cacciò in mano una borraccia. “Non si può dire di essere stati in montagna se non si beve l’acqua di fonte.”
Ayumi bevve. L’acqua era fredda e buona e la dissetò.
“Ora andiamo!”
La discesa fu meno faticosa della salita e ancora più rapida. Sayaka sembrava una capra di montagna: saltava, quasi correva e Ayumi faceva fatica a starle dietro.
Arrivarono al tempio che era quasi buio. “Che ne dice di un bel bagno?”
Ayumi sapeva che Nagano era famosa per le sue acque termali. Si sentiva sudata, stanca e accaldata e un bel bagno le avrebbe fatto bene.
Senza però aspettare la risposta, Sayaka se la trascinò dietro nel bagno, le piazzò un cestino di vimini tra le braccia dentro il quale c’erano degli asciugamani. “Ecco, le farà bene”, sentenziò, inconsapevolmente facendo eco ai pensieri di Ayumi.
Entrambe si sedettero sugli sgabelli di plastica e si lavarono accuratamente.
“Serve aiuto per lavare la schiena?”
“Sì, grazie.”
In verità, più che lavarle la schiena, le scorticò quasi la pelle. Quando fu il suo turno di ricambiare, Ayumi, malignamente, fece altrettanto e ci andò giù pesante. “Una bella mano vigorosa, Ayumi-san!”
“Grazie, sono contenta che apprezzi, Sayaka-san.” Rispose mentre entrambe si avviavano alla vasca termale.
“Ahhh, questa sì che è vita!”
Ayumi uscì dal bagno termale letteralmente bollita: l’acqua era molto calda e le aveva causato una grande sonnolenza. Sayaka l’aiutò a indossare lo yukata e l’accompagnò in camera sua. “Arrivo fra un attimo con la cena” e fece scorrere la porta dietro di sé.
Quando ritornò qualche minuto dopo, Ayumi era sdraiata sul futon che dormiva tranquilla.
Certo che si era addormentata, poverina, doveva essere stanca morta. La coprì col piumino del futon e pensò che era proprio un peccato buttare via quel buon cibo, per cui si servì della cena mentre Ayumi continuava a dormire.
 

 

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Capitolo 3
*** L'innamorato ***


 “Ayumi-san? Ayumi-san? Sveglia, sveglia!”
“Cosa? Ma che succede? E’ tardi?”
“Sono le sei meno un quarto, alle sei comincia la funzione!”
“Non sono praticante, mi lasci dormire, buonanotte.”
Sayaka era una persona piuttosto energica, che capiva quando le parole non servivano: senza troppi complimenti le tolse il materassino da sotto il sedere, facendola rotolare sul tatami.
“Cosa sta facendo? Fa un freddo cane, mi ridia le coperte.”
“E’ ora di alzarsi, fra un quarto d’ora comincia la funzione.”
“Le ripeto che non sono praticante.”
”Va bene, ma fin che è qua deve partecipare alla vita del tempio, quindi alle sei deve venire alla funzione del mattino.”
“Va bene. Ora mi vesto e andiamo alla funzione. Contenta?”
“Non deve fare una visitina in bagno?”
“Non sono come lei, non è una cosa immediata. E ieri sera non ho mangiato.”
“Si è addormentata come un bébé, ecco perché non ha mangiato… Ha almeno dormito bene?”
Aveva dormito come un sasso, ecco la verità.
“Devo bere del tè.”
“Avrà del tè dopo…”
”Ho capito, dopo la funzione mattutina.”
Ayumi cominciava a pensare che Sayaka fosse una catastrofe quasi peggiore di Maya Kitajima.
La funzione non durò molto, ma le sue gambe già provate dalla scarpinata in montagna del giorno prima soffrirono parecchio, anche perché in casa sua, arredata all’occidentale, non ci si sedeva praticamente mai sui talloni; quando rientrò in camera sua, si buttò sulla colazione, senza nemmeno cercare di capire cosa stesse mettendo in bocca.
Poco dopo arrivò Sayaka. “Ha in mente qualcosa di speciale per stamattina?”
“No, niente di particolare.”
“Vorrebbe aiutarmi? Devo finire di preparare gli o-mamori, i talismani…”
Anche in quel caso, non aveva pianificato niente e non aveva niente di meglio da fare. “Va bene, ma non posso fare molto.” disse, alludendo alla sua cecità.
“Non si preoccupi, deve solo inserire le frasi beneauguranti nella bustina e legarla. Lei ha delle dita sottili e delicate, riuscirà benissimo.” E senza aggiungere altro, le pose in grembo due scatole.
“Stamattina stiamo qui, ho portato del tè.”
Cominciarono a lavorare e per un po’ rimasero senza dire niente. Il silenzio fu interrotto da Sayaka, che a bruciapelo le chiese: “Ha il fidanzato?”
Sotto le bende, Ayumi strabuzzò gli occhi. “No, certo che no.”
“Beh, peccato, alla sua età dovrebbe.”
“Perché, lei quanti anni ha, Sayaka-san?”
”Io? Ventitre.”
“Lei è una monaca ben strana. Non avrei mai pensato che una monaca mi facesse questo tipo di domanda.”
“Perché no? Siamo esseri umani come tutti: abbiamo testa, naso, occhi… abbiamo anche la stessa anima che avete voi. Nemmeno un corteggiatore?”
Ayumi divenne di brace.
“Oh, allora c’è qualcuno!”
“No, assolutamente no, è uno scocciatore.”
“Ma è uno scocciatore attraente?”
“Non ci ho mai pensato…” rispose diventando ancora più rossa.
“E’ diventata rossa, quindi ci ha pensato. Come si chiama?”
Ayumi non rispose e si chiuse in un mutismo ostinato.
“L’ha ferita?”
“Certo che mi ha ferita, ma non nel modo che pensa lei.”
“Cosa ha fatto?”
Ayumi appoggiò rudemente la scatola al tatami. “Mi ha detto quello che pensava, ecco cosa ha fatto.”
”E’ una bella dimostrazione d’amore, non è facile.” commentò tranquilla Sayaka mentre in bella calligrafia e servendosi di un pennello vergava le frasi beneaugurati sui cartoncini.
“Io avrei un’altra idea delle dimostrazioni d’amore.”
“Forse anche lui. Gli ha permesso di dimostrarle il suo amore in altro modo?”
Un rossore cocente bruciò ancora una volta le guance pallide di Ayumi. Si immaginò tra le braccia di Peter Hamil in quel modo… e la cosa le fece uno strano effetto. “Io… io penso che una monaca non dovrebbe parlare delle cose che non conosce.”
La religiosa rispose sorniona: “E chi glielo ha detto che sono cose che non conosco, Ayumi-san? In ogni caso, allora, è di bell’aspetto?”
“Sì, potrebbe piacere, ma non è il mio tipo con quei capelli ricci e biondi e quel grosso naso…”
Sayaka non disse più niente, ma sorrise e continuò il suo lavoro coi cartoncini beneaugurati.
* * *
La mattinata passò velocemente, il pranzo fu ancora una volta delizioso e, quasi come stesse diventando un’abitudine, Sayaka si presentò nella sua stanza per proporre qualcosa da fare.
“Devo fare delle compere in città, viene con me?”
“Sì, a patto che non mi chieda più di fidanzati o di corteggiatori.”
Sayaka ridacchiò e promise: “Un giorno sarà lei a volermene parlare.”
“Ci credo poco, visto che fra una settimana me ne sarò andata e l’unica persona che ho visto è solo lei.”
La giornata era fresca e il sole piacevolmente caldo. Le due ragazze percorsero il Nakamise. Sayaka cominciò a fare acquisti, poi fece accomodare Ayumi su una panchina, si avvicinò a uno dei negozi dal quale tornò pochi istanti dopo, cacciandole qualcosa in mano. “Ecco, prenda.”
“Cos’è?”
”Gelato al miso.”
“Ma ho appena pranzato!”
“Cosa le importa, questo gelato è buono, lo mangi.”
Ayumi obbedì. Il gelato era buono e se lo gustò sotto lo sguardo di approvazione di Sayaka.
“Devo sbrigare una commissione personale. Se la sente di aspettarmi qui per un po’?”
Al sole si stava bene e Ayumi si sentiva ancora stordita dalla levataccia. “Sì, prego, vada pure.”
Aveva anche bisogno di far riposare le orecchie: Sayaka parlava molto. In realtà ammise tra sé che era lei a non essere abituata a sentir chiacchierare la gente, era spesso sola e il silenzio di casa sua era una costante.
“Mi scusi, le dispiace se ci sediamo qui?”
Ayumi si riscosse. Una voce di donna, giovane e gentile. “Prego, fate pure.”
“Mamma, chi è quella signorina?”
Era un bambino piccolo, a giudicare dalla voce.
“Mi chiamo Ayumi.” rispose la ragazza, divertita dall’ingenuità del piccolo: di solito tutti sapevano chi fosse e non aveva mai bisogno di presentarsi.
“Perché hai gli occhi coperti?”
“Perché la luce mi dà fastidio”.
“Shinji, smettila di disturbare la signorina.”
“Non si preoccupi.”
Improvvisamente, Ayumi sentì che Shinji aveva preso a toccarle i capelli. Si irrigidì per un secondo e fece per spostarsi bruscamente, a lei non piaceva essere toccata. Improvvisamente le tornarono in mente le parole della signora Tsukikage, quando aveva detto che lei, Ayumi, non permetteva a nessuno di avvicinarlesi. In fondo, era solo un bambino, e anche simpatico e lo lasciò fare, le manine che si facevano strada tra le sue ciocche. “Shinji, lascia stare la signora! Mi scusi, signorina… non so perché ma mio figlio ha un debole per i capelli lunghi!”
“Non si preoccupi, non mi dà fastidio. Shinji, non mi devi tirare i capelli, però!”
“Hai dei bei capelli, Ayumi”.
Un complimento sincero, per una volta. “Grazie, sono contenta che ti piacciano.”
Improvvisamente, si ritrovò tra le braccia il piccolo che la stringeva.”
Il volto le si atteggiò a una espressione sorpresa.
“Shinji, per favore…”
”No, lasci, non mi dà fastidio” ripeté. Quel bambino sconosciuto le trasmise una forte sensazione di calore e di tenerezza inaspettata. Era stata abbracciata altre volte, dai suoi pseudo fidanzati, ma non aveva mai provato quello struggimento che le aveva trasmesso quel bambino che l’aveva stretta d’impulso e senza sapere chi fosse. Forse la verità era che non era mai stata abbracciata sul serio e il pensiero la fece sentire triste. Esitante, nascose il viso nel collo di Shinjii. La sua pelle era morbida e sapeva di borotalco e di pulito. Shinji si era messo in piedi sulla panchina, per stringerla meglio. “Stai attento a non cadere, piccolo, mi raccomando.” E ricambiò il suo abbraccio, con cautela. Era piacevole.
Fu così che la trovò Sayaka, quando tornò qualche minuto dopo.
“Ayumi-san!”
“Ha visto, Sayaka-San? Voleva sapere del mio corteggiatore? Eccolo!”
“E’ molto carino, il suo corteggiatore, ma lo facevo più alto.” Ayumi le sorrise, poi si rivolse al bambino che ancora la stringeva.
“Shinji? Ora devo andare, lasciami i capelli.” Ayumi mormorò con voce stranamente dolce.
“Sì, ma Ayumi, andiamo a bere il tè assieme?”
La mamma di Shinji era sempre più imbarazzata: “Mi scusi, deve scusarlo…”
”Ma no, è un bambino molto dolce. Se lo vuole davvero, un giorno possiamo prendere il tè assieme.”
La signora Hotaru se ne andò con Shinji pensando che i giornali che descrivevano Ayumi Himekawa come una persona fredda e distante non avessero capito niente. In ogni caso, il giorno dopo si sarebbero trovate per il tè. Certo che la vita era ben strana, chissà cosa avrebbe detto suo marito quando glielo avrebbe raccontato!
Shinji si girò a salutarla con la manina e Ayumi, pur non vedendolo ricambiò il saluto
* * *
 “Ha voglia di far due passi, Ayumi-san?”
“Sulla montagna?”
“Esatto. Oggi vorrei provasse a fare meditazione da sola.”
Ayumi la guardò dubbiosa.
“Non ha molto tempo, no? Cercheremo di fare quello che possiamo” e subito Sayaka partì, trascinandosela dietro, come due giorni prima. Anche questa volta Ayumi arrancò e sbuffò, ma il sentiero era lo stesso e si sentiva più sicura. Arrivarono al masso e Ayumi si sedette.
“Cominci con la respirazione e sciolga i muscoli. Poi cerchi di meditare da sola, va bene? Io sarò qui accanto a lei.”
“Va bene, allora ci provo.”
Ayumi si limitò a respirare correttamente e a cercare di mantenere la mente sgombra da ogni pensiero. Sentì piano piano le tensioni abbandonare il suo corpo e il respiro fluire e defluire liberamente. Ora era totalmente concentrata su se stessa, e le sue sensazioni, la serenità e la calma erano diventate tutt’uno col suo essere e meditò, questa volta totalmente inconsapevole di quello che la circondava, cercando di sondare le profondità della sua anima.
“Ayumi? Ayumi-san?” si sentì scuotere gentilmente.
“Sayaka-san?”
“Penso che per oggi basti. L’ho vista molto concentrata, credo dovremmo fermarci qui. Come va?”
“Sto bene, ma sento freddo.”
“E’ normale, quando si medita la temperatura corporea si abbassa. Prenda, metta la felpa e poi scendiamo. Nel pomeriggio non deve incontrarsi con la mamma e quel bambino, Shinji?”
“Oh, sì.” Rise Ayumi. “Mi faccio un bagno caldo, mangio e poi vado.”
“E’ carino, quel bambino.”
“Sì, è vero.”
“Allora non facciamo aspettare il suo cavaliere, scendiamo!”
* * *
“Ayumi!” il bambino le volò tra le braccia e le afferrò i capelli.
“Ciao, Shinji, come stai?”
“Bene!”
“Bene, grazie si dice.”intervenne la signora Hotaru.
“Signorina Himekawa, buongiorno. Sta bene?”
“Sto bene, grazie e lei?”
“Anche io sto bene.”
“Ha idea dove possiamo andare a berci il nostro tè?”
“Qui c’è un posticino dove fanno anche dei buoni dolci, che ne dice?”
“Bene, da quando sono qui ho una gran fame!”
“E’ l’aria di montagna che mette appetito. E’ bene che lei mangi, le darà le forze per affrontare l’operazione.”
”La ringrazio. Allora, vogliamo andare?”
La sala da tè non era molto lontana. A Nagano quasi tutto è concentrato a pochi isolati dallo Zenko-ji, tranne forse la via commerciale, per cui nel giro di pochi minuti le due donne e il piccolo si erano già accomodate al tavolo. La signora Hotaru stava leggendo la lista ad Ayumi.
“Lei cosa mi consiglia?”
“Qui hanno un buon tè Uji, lo conosce?”
“Sì, mi piace. E’ buono, credo che prenderò quello. Cosa hanno qui come dolci?”
“Hanno del parfait…” Vedendo l’espressione un po’ perplessa di Ayumi, proseguì: “… e anche della pasticceria francese, una torta panna e fragole…”
”Prendo quella! E tu cosa prendi, Shinji?” chiese al bambino che nel frattempo le si era arrampicato in grembo dopo una serie di manovre per sfuggire alla madre.
“Io voglio la tua torta e il tuo tè!”
“Allora due Uji e due torte. E lei, signora?”
“Penso che prenderò un macha e un daifuku.”
Arrivò il cameriere per prendere le ordinazioni.
Davanti a un tè e una fetta di torta è facile parlare, infatti le due donne chiacchierarono a lungo del più e del meno. Per Ayumi quella era una novità, non aveva mai provato a fermarsi per ore a conversare in maniera così piacevole. Era sempre di corsa, passava da un impegno all’altro e non aveva il tempo materiale per rilassarsi. La signora Hotaru era molto timida, ma raccontava volentieri, soprattutto di suo figlio e di suo marito, che lavorava per una multinazionale americana e che spesso era fuori per lavoro. Ayumi ordinò una seconda teiera, per sé e per Shinji, che era sempre accoccolato in grembo a lei e che la fissava e la ascoltava con grande interesse parlare del suo lavoro e del teatro.
Hotaru controllò l’ora sull’orologio: “Oh, si è fatto davvero tardi, fra un po’ dovrò iniziare a preparare la cena a mio marito! Sono già le cinque e mezza.”
Ayumi non ci poteva credere che fosse passato tutto quel tempo e tanto in fretta. “Credo che sia meglio che rientri anche io.” Quindi, entrambe presero le loro cose e dopo aver pagato uscirono dal locale.



* * *
Tre giorni prima
Peter Hamil fissò il letto vuoto e la camera sgomberata con espressione perplessa. Aveva ancora tra le braccia il mazzo di frangipani.
“E’ venuto a cercare la signorina Himekawa? Mi dispiace, ma la signorina ha appena lasciato l’ospedale.”
”Non avrebbe dovuto rimanere ancora per qualche giorno ad aspettare gli esiti?”
Kobayashi-san si strinse nelle spalle. “Sì, ma non c’era motivo per farla rimanere qui, per cui sua madre ha firmato per le dimissioni e ha lasciato l’ospedale. Non l’ha incontrata per poco.”
“Va bene, la ringrazio. Andrò a trovarla a casa, allora.”
”Temo che stia sprecando il suo tempo, signore. La signorina Himekawa ha lasciato Tokyo.”
“Dove è andata?”
Kobayashi-san si strinse ancora nelle spalle. “Non sono autorizzata a dirglielo. Sappia solo che fra dieci giorni sarà di ritorno per ritirare gli esiti e per parlare col chirurgo della sua operazione.”
“Non posso fare niente per convincerla?” sorrise il francese.
“Temo proprio di no, mi spiace.”
Hamil abbassò lo sguardo a fissare i frangipani: “E’ un peccato sprecare dei fiori tanto belli. Li tenga lei, infermiera.”
”La ringrazio molto. Vado a recuperare un vaso, mi scusi.”
Peter Hamil fece per uscire dalla stanza per andarsene, quando incontrò una signora anziana vestita in maniera tradizionale. Quella donna aveva un qualcosa di familiare. Sembrava contrariata quanto lui di non aver trovato Ayumi. Reggeva tra le mani la busta di un negozio che sembrava contenere dei maglioni accuratamente ripiegati.
“Sono arrivata in ritardo perché c’era traffico. Ora Ayumi come farà a Nagano, senza maglioni? Lassù di sera fa freddo.” Si lamentò la vecchietta.
Peter Hamil non era tipo da farsi sfuggire un’occasione, tanto meno una ghiotta. Quella donna era tata Umeno, la donna che si prendeva cura di Ayumi!
“Signora, non si deve preoccupare. Devo andare anche io a Nagano, posso consegnare io i maglioni ad Ayumi.”
”Dice davvero? Scusi, ma non mi sembra di conoscerla.”
”Mi scusi lei, signora. Sono scortese, non mi sono presentato. Mi chiamo Peter Hamil e sono un fotografo. Ho fatto tante foto ad Ayumi e volevo farne delle altre.”
”Ayumi è andata via per riposare, non per lavoro.”
”Lo so, signora, ma non la disturberò, ha la mia parola.”
Raddolcita, tata Umeno gli porse il sacchetto. “Mi raccomando, glieli faccia avere il prima possibile. E li tenga con cura.”
“Non si preoccupi signora, e vorrei vedere Ayumi al più presto.” finalmente, poteva dire la verità.
“La ringrazio tanto. Ora devo andare, arrivederci.”
”Arrivederci, signora. E’ stato un piacere.”
Hamil ringraziò la sua proverbiale faccia di bronzo. Si sentiva un po’ in colpa per essersi preso gioco di quella simpatica signora, ma come si dice, in guerra e in amore tutto è permesso e lui aveva troppa voglia di vedere Ayumi. Non volle domandarsi come lei avrebbe reagito a saperlo lì a Nagano. Probabilmente, con un’espressione infastidita e delle parole gelide.
* * *
Tutto sommato, come viaggio era abbastanza breve e da Tokyo gli shinkansen diretti a Nagano erano frequenti.
Arrivato sul piazzale della stazione, cercò un taxi. Sorrise nel vedere la portiera aprirsi da sola, non si era ancora abituato a quell’automatismo dei taxi giapponesi.
“Dove la porto, signore?”
“Allo Shimizuya ryokan, per favore.”
Il tragitto fu anche in questo caso piuttosto breve e nel giro di pochi minuti, faceva il suo ingresso nel ryokan.
“Irasshaimase!” fu il benvenuto dei due anziani proprietari.
Alla reception c’erano pile e pile di carte dappertutto e quel disordine gli diede l’impressione di essere a casa.
I proprietari parlavano poco l’inglese, lui parlava poco il giapponese, ma si intesero comunque.
Gli mostrarono la sua stanza, una camera in stile tradizionale scrupolosamente pulita, dal tatami impeccabile e un futon che gli fece venire voglia di tuffarcisi dentro. Possibilmente con Ayumi.
Dopo essersi rinfrescato, uscì a dare un’occhiata in giro. Dopotutto, era sempre un fotografo e gli avevano parlato dello Zenko-ji come di un magnifico tempio, dal passato illustre. Si mise a tracolla la macchina fotografica, prese la borsa che gli aveva dato tata Umeno e uscì.
Aveva percorso solamente pochi metri, quando una scena attirò la sua attenzione.
“Signora, la ringrazio per il piacevole pomeriggio.” La ragazza bionda dagli occhi bendati si inchinò davanti a una giovane signora che era con lei e che la ringraziò a sua volta. “Anche io la ringrazio molto, è stato molto piacevole stare con lei, e credo che anche Shinji sia stato bene, vero, piccolo?”
“Sì, Ayumi, ci vediamo presto!” e abbracciò strette le ginocchia di Ayumi, la quale rise di gusto e si chinò a stringere il bambino e a baciargli la guancia rotondetta e soffice.
Hamil osservava rapito Ayumi, la stessa Ayumi Himekawa, la principessa di ghiaccio dai gesti sempre regali e misurati, abbracciare quel bambino e ridere con lui. Quasi senza rendersene conto, afferrò la macchina fotografica e scattò una foto, due foto, tante foto.
 “Molto bene, allora arrivederci!” fu il commiato definitivo della signora, poi si allontano con Shinji, che mandava baci verso Ayumi che continuava a sorridere. La ragazza si voltò poi bruscamente verso il fotografo e incrociò le braccia sul petto: “Allora, Monsieur Hamil, si può sapere cosa è venuto a fare qui?”
La ragazza dolce era definitivamente scomparsa e al suo posto una donna bellissima dalla voce gelida.
“Come ha fatto…” Hamil era sinceramente sorpreso.
“Lei dimentica che i non vedenti sviluppano gli altri sensi rimasti. E il rumore della sua macchina fotografica lo riconoscerei tra mille, da tante volte l’ho sentito.”
“Complimenti. Mademoiselle, la vedo bene e in forma.”
“Sto bene, grazie.” Ancora quella voce gelida. Ayumi era irritata che lui l’avesse vista (e fotografata) in un momento privato, nel quale era vulnerabile. “Non ha risposto alla mia domanda. Cosa è venuto a fare, qui?”
Ma anche Hamil era vulnerabile, aveva visto quella che pensava fosse la vera Ayumi e ne era rimasto totalmente rapito. Ed era totalmente indifeso, perché non si sarebbe mai aspettato di vederla così, a baciare e a coccolare beatamente un bambino mentre rideva contenta, come se fosse la cosa più normale per una come lei.
La cosa più assurda era che si sentiva geloso di un ragazzino alto un soldo di cacio perché, mon Dieu, avrebbe voluto essere lui quello ad essere baciato e coccolato. Doveva però ammettere che i baci che avrebbe desiderato dare ad Ayumi Himekawa erano più torridi ed erotici di quelli di un bimbo. Platonico e Ayumi erano due concetti che per lui erano l’uno l’antitesi dell’altro.
“Si può sapere cosa fa qui?”
“Sono venuto a portarle i maglioni” rispose con una faccia di bronzo da manuale piazzandole in mano il sacchetto che gli aveva dato tata Umeno.
“I maglioni?” Ayumi sembrava perplessa. Meglio perplessa che gelida da far male, pensò Hamil.
“Me li ha dati la sua tata.” Proseguì imperturbabile. “Ha pensato che qui a Nagano dovesse fare freddo e…”
“E’ stata tata Umeno a dirle che ero qui?” Ayumi era sempre più sorpresa.
“Mademoiselle, attenzione, le stanno cadendo i maglioni…”
”Ah, già, è vero. Scusi. Comunque, gliel’ha detto la tata?”
“Non si arrabbi con lei, non ha fatto apposta. Sono stato io che ne ho approfittato.” Non si diede nemmeno la pena di negare.
“Va bene, non mi arrabbierò con la tata. Ora che mi ha dato i maglioni, se ne torni a Tokyo, per favore.”
“Magari, quando tornerà anche lei, così faremo il viaggio assieme.”
“Lei è impossibile! Ma perché non mi lascia in pace?” Ayumi era esasperata.
“Mi dispiace, le chiedo scusa per il disturbo, ma avevo tanta voglia di vederla, mademoiselle.”
“Io non capisco che cosa ci trovi lei, in me. Pensa che sia fredda, che sia una bambola e che non sia capace di trasmettere emozioni. Perché spreca tempo dietro a una come me?”
”Perché sono innamorato di lei, Ayumi. Perché non si sceglie la persona che si ama, capita e basta.”
Quelle parole erano di una sincerità disarmante.
“In che albergo alloggia?” Ayumi cambiò repentinamente argomento e Hamil non se ne stupì.
“Allo Shimizuya, è un bel posto.”
“Cenerà lì?”si morse la lingua perché un secondo dopo aver parlato, indovinò cosa avrebbe detto lui.
“Io speravo di convincerla a cenare con me.”
Infatti.
Ayumi aveva passato un bel pomeriggio con Shinji e sua madre, anche se era stata tentata almeno dieci volte di trovare una scusa e non andare. Peter Hamil era un uomo intelligente e se non faceva il cascamorto era di buona compagnia, per cui Ayumi, memore delle parole della Tsukikage sensei, decise che forse con Hamil avrebbe potuto passare una bella serata. Le venne da ridere: “Lei non molla mai, vero?” ad un tratto, la situazione aveva cominciato a sembrarle paradossale.
“Non se ci tengo.” E ricambiò il sorriso.
”Va bene, ha vinto, cenerò con lei. Però deve promettermi di non cercare di fare il romantico con me, lo sa che non attacca. Ha già idea dove andare?”
“No, volevo chiedere consiglio ai proprietari del ryokan.”
“Chiediamo a Sayaka, lei non farebbe altro che mangiare, un posto lo conosce senz’altro.”
“Chi è Sayaka?”
“E’ la sorella di Kobayashi-san, è una monaca del tempio. Sto quasi tutto il tempo con lei. Se mi riaccompagna al tempio, la conoscerà di sicuro.”
“L’accompagno volentieri, venga.” La prese delicatamente per il gomito e si diressero verso il tempio. Avrebbe voluto prenderla a braccetto, ma si sentiva come in bilico su una corda. Lei avrebbe cenato con lui, quella sera ed era più di quanto potesse sperare. Non voleva rovinare tutto, ci teneva troppo.
Oltrepassato il Daimon, Hamil vide una monaca rotondetta dirigersi verso di loro. “Ayumi-san, pensavo fosse già tornata!”
“Ho preso il tè con la signora Hotaru, una parola tira l’altra, poi ho incontrato Monsieur Hamil.”
Solo in quel momento la monaca parve accorgersi della sua presenza. Lo guardò con curiosità, specialmente i capelli e il naso. “Ayumi-san, è per caso il suo corteggiatore?”
Vedere Ayumi Himekawa arrossire fino alla radice dei capelli non era cosa da tutti i giorni.
“Grazie tante, Sayaka-san.” E fu la volta della monaca, di arrossire.
“Sì, Sayaka-san, sono il corteggiatore di Ayumi, mi chiamo Peter Hamil.”
Infastidita dall’indiscrezione di Sayaka e dalla faccia tosta di Hamil, Ayumi proruppe in un: “Va bene, io vado a farmi un bagno caldo.”
“La vengo a prendere alle sette.”
Sayaka guardò entrambi parecchio incuriosita.
“A proposito, Sayaka-san, ci consiglierebbe un buon ristorante?”
* * *
Li avevano fatti accomodare a un tavolo appartato. Era un ristorante vecchiotto, quello, e tutt’altro che di lusso, ma molto tranquillo. Ayumi stava bevendo il tè che le avevano portato.
“Qui non c’è il menu.”
”No, infatti. Sayaka mi ha detto che però qui fanno dei soba favolosi.”
“Allora vada per i soba. Quali mi consiglia?”
”Pare che la specialità di questo posto siano i sansai soba, vorrebbe assaggiarli?”
”Certo, vada per i sensei soba (sansai sono le verdure di montagna, sensei vuol dire maestro NdA) o come si chiamano.”
“Se le piacciono i funghi non se ne pentirà.” Lo rassicurò Ayumi, sorridendo appena nel sentire lo strafalcione. Si sentiva un po’ strana, quella sera. Quando Peter Hamil era passato a prenderla, aveva avvertito chiaramente il profumo del bagnoschiuma e del dopo barba. Lui non era un uomo che badava troppo alle apparenze, ma le fece piacere che ci avesse tenuto a mettersi in ordine per lei. Magari si era anche pettinato. Sorrise fra sé.
Anche lui la stava guardando. Si era vestita in modo molto più semplice del solito, indossava uno dei maglioni che le aveva mandato tata Umeno, dei calzoni chiari e delle sneakers. I capelli sembravano appena lavati e profumavano di shampoo.
“Perché ride? A cosa sta pensando?”
”No, a niente. Pensavo a Sayaka” mentì.
“E’ un bel tipo.”
”Già, mi sta aiutando molto.”
Hamil la guardò interessato. “In che senso?”
“Mi trascina sulla montagna, mi lascia da sola a meditare, mi fa lavorare, mi butta giù dal futon all’alba, mi mette in imbarazzo. Cose così.”
“Non la facevo così masochista” rise lui.
“Non lo sono. In realtà mi fa un po’ da sorella maggiore e non mi prende molto sul serio. Non è male.”
”Avrebbe voluto avere dei fratelli?”
“Sì, mi sarebbe piaciuto, ma pensarci non cambierà le cose.”
”Io ho quattro fratelli e a volte avrei voluto essere da solo.”
”Perché?”
”A casa c’era sempre un grande caos, c’erano troppi pochi soldi e troppo da fare. Tutto qui. Ah, ecco che arriva la nostra cena. Itadakimasu.”
“Itadakimasu”
Mangiarono in silenzio, Ayumi aveva la sensazione che gli stesse raccontando troppe cose di se stessa e troppo facilmente e ciò la turbava perché lei era una persona molto riservata, lo era sempre stata. Trangugiò i soba più velocemente che poté e quando la ciotola fu vuota si rivolse ad Hamil, nervosamente: “Grazie per l’ottima cena. Ora devo proprio andare, sono molto stanca e ho sonno.”
Il fotografo la guardò con gli occhi sbarrati. Ayumi aveva preso troppo alla lettera quel “ceniamo assieme” perché a quanto pareva, aveva l’intenzione di limitarsi a quello. Sembrava che stesse cominciando ad abbassare la guardia e invece… non gli restava che riaccompagnarla al tempio e tornarsene in camera per una bella dormita, la speranza di un bacio della buonanotte svanita nel nulla.
Più tardi, quando si trovò da solo nel bagno termale dell’albergo, ripensò a quella serata lampo. Si era creata tra loro un’atmosfera di complicità e aveva avuto la chiara impressione che anche Ayumi se ne fosse resa conto, e avesse fatto poi marcia indietro, forse per paura di essersi aperta troppo. In maniera molto maldestra, perché da quando la conosceva, era la prima volta che la vedeva meno che impeccabile, lei e la sua mania di essere perfetta. La signora Tsukikage aveva visto giusto nell’assegnarle la parte di Oligerd: Ayumi era una ragazza ombrosa dall’apparenza raggiante, mentre Maya era il suo esatto opposto, un carattere solare racchiuso in un fisico ordinario. Tutti coloro che erano rimasti stupiti da questa scelta avevano considerato solamente l’aspetto esteriore delle due ragazze, mentre l’anziana attrice aveva tenuto conto della loro anima. Per quello l’interpretazione di Ayumi era stata così buona, perché era una ragazza lunare e spigolosa, dal carattere complesso, proprio come Oligerd.
Si passò la mano sul viso, come a cercare di scacciare la frustrazione: era per questo che con Ayumi sembrava fare un passo in avanti e due all’indietro. Ma doveva accettare questa situazione come un dato di fatto, lei con i rapporti umani non aveva grande dimestichezza e aveva il sospetto che quei due attorucoli da strapazzo coi quali era uscita per un po’ non fossero andati molto lontano con lei, in tutti i sensi.
Ma ormai si era innamorato, si era completamente arreso al suo sentimento. Il problema, ora, era far sì che anche lei facesse chiarezza nel suo cuore, questo anche a rischio di vedersi respingere.
Rise di se stesso: era la prima volta che impersonava il cavaliere senza macchia e senza paura.
Chi l’avrebbe mai detto!
 
* * *
Altra levataccia, altro servizio mattutino alle sei in punto, altra colazione letteralmente divorata.
Altra mattinata passata a lavorare sui talismani, un altro pranzo e, infine un’altra sgroppata sulla montagna per la meditazione.
Ayumi si era appena seduta sul solito masso e si apprestava a seguire le istruzioni di Sayaka per la meditazione. Aveva chiuso gli occhi, aveva cominciato la respirazione, sgombrando la mente da tutti i pensieri.
“Com’è andata ieri?”
Ayumi sussultò: “Non sono cose che la riguardano.”
”E’ tornata presto.”
”Non pensavo che mi controllasse.”
”Passavo di lì per caso…”
”Sì, come no!” era proprio una sorella maggiore, Sayaka, e di quelle ficcanaso.
“Non è successo niente?”
”Cosa avrebbe dovuto succedere?” domandò Ayumi, gelida.
“E’ inutile che glielo spieghi, è grande abbastanza per saperlo, non le farò un disegnino. Allora, le piace?”
Ayumi tacque.
“Mi sembra un bell’uomo ed è preso da lei. Allora, le piace?”
Ayumi si morse il pollice nervosamente e ammise. “Non lo so…”
“Mi sembra un bel passo avanti rispetto all’altro giorno quando diceva che era uno scocciatore. Senta, io devo tornare al tempio, devo incontrare dei pellegrini. Verrò a prenderla non appena finito.
Mi aspetti qui, va bene?”
“Certo, non si preoccupi.”
Quel giorno faceva particolarmente caldo, per cui Ayumi aveva tolto la felpa ed era rimasta con una semplice maglietta sbracciata di cotone.
Sayaka aveva un talento speciale nell’estorcerle le cose sue personali e a metterle le pulci nell’orecchio, anche a dispetto di lei stessa. Per esempio, se qualcuno le avesse chiesto fino a dieci minuti prima se Peter Hamil le piacesse, avrebbe risposto un bel “NO” deciso, ora invece… quel “non lo so” le fece paura.
Meglio meditare, e svuotare la testa.
* * *
Ed ecco che entra in scena il fotografo invadente e Ayumi comincia a farsi qualche domanda.
Colgo l’occasione per augurarvi un ottimo 2011 che, per quanto mi riguarda, spero sia meglio di quello appena finito.
Ringrazio coloro che leggono (non mi aspettavo che una fanfic su Ayumi potesse interessare), ma un arigatou particolare va a Tetide.
Vi lascio, domani parto per Barcellona, ci si sente la prossima settimana.
Un bacio dalla Nisi

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Capitolo 4
*** L'amante ***


 
 
Era giunto a una decisione: sarebbe andato a invitarla ancora per la cena. Tanto, aveva fatto decine e decine di foto del tempio, alcune di esse molto belle, ma non era venuto a Nagano per fotografare.
Entrò nel cortile e andò a cercarla. Chiese a un monaco dove fosse, ma rispose di non averla vista.
“Chieda a Sayaka-san, è in quella stanza con dei pellegrini.”
”Non disturbo?”
“No, non credo, non è un incontro formale. Vada, vada pure.”
Hamil fece scorrere la porta ed entrò nella stanza. Sayaka-san stava parlando con delle persone.
“Buon pomeriggio.”
“Ah, Hamil-san. Cosa posso fare per lei?”
“Ha visto Ayumi?”
“È nel bosco a meditare.”
“Sta scherzando, spero.”
“Perché?”
”Non ha visto il cielo? Potrebbe arrivare un temporale da un momento all’altro!”
Sayaka-san balzò in piedi: “La devo andare a prendere, subito!”
Hamil la trattenne per un braccio. “Mi scusi, non intendevo essere scortese. Lei ha delle persone, qui… posso andare io?” Sayaka-san lo guardò in viso e gli vide dipinta in volto la preoccupazione, l’ansia e molto altro. “La prego, vorrei andare io.” ripeté l’uomo.
Era la scelta più sensata. “Ma certo.” Uscì sulla veranda e indicò un punto dietro il tempio. “Laggiù parte il sentiero. Ha buone gambe e buone scarpe?”
Hamil annuì.
“E allora vada e cerchi di far presto. Nel caso vi sorprendesse il temporale, andate a ripararvi nel vecchio santuario, dove ci sono i susini, poco più avanti. Con la pioggia il sentiero diventa molto scivoloso e non è il caso di rischiare.”
“Va bene, vado.” Hamil alzò il braccio in un gesto di saluto e corse via.
Il cielo si stava facendo più scuro di minuto in minuto. Hamil non era religioso, ma chiese a colui che stava da qualche parte lassù nel cielo di far sì che non accadesse niente ad Ayumi.
* * *
Ayumi sussultò nel sentire un tuono in lontananza. Non aveva ancora terminato la meditazione, ma quel fragore l’aveva riscossa. Cominciava a sollevarsi il vento e sentì freddo, ma non riuscì a trovare la felpa. Si strinse le braccia attorno al corpo, dicendosi che Sayaka sarebbe arrivata a presto.
* * *
Quando Hamil sentì le prime gocce di pioggia cadere, soffocò un’imprecazione. Cercò di camminare ancora più velocemente, ma il sentiero era ripido e sassoso e non voleva correre rischi. Si fermò un secondo a riprendere fiato, ma quando udì il temporale avvicinarsi, riprese il cammino con ancora più foga di prima.
* * *
Stava cominciando a piovere e Sayaka non c’era ancora. Senza di lei non poteva muoversi e non sapeva dove andare. Calma, doveva stare calma.
* * *
La pioggia cadeva scrosciando e Hamil era ancora sul sentiero. Maledisse Sayaka e la sua idea di portare Ayumi nel bosco. Cercò di aumentare l’andatura, ma era già al massimo ed era stravolto dalla preoccupazione.
*  * *
Ormai era bagnata fino alle ossa e aveva paura. Ma dov’era Peter? Si rannicchiò sul masso, tirò le ginocchia al petto e vi nascose il viso.
* * *
Il sentiero sembrava essere giunto al termine, ma con quella pioggia non si vedeva praticamente niente. Si guardò in giro e finalmente vide una figuretta rannicchiata su un masso. Si sentì quasi svenire dal sollievo. “Ayumi! Ayumi!”
La ragazza sollevò il viso, cercando di capire chi la stesse chiamando. “Ayumi, sono qui!”
“Peter!”
La strinse forte tra le braccia per un momento e lei, grata, gli si appoggiò contro: “Meno male…”. Per un attimo Hamil aveva dimenticato la pioggia, il temporale, il fango per stringerla ancora di più, ma sentì la ragazza tremare di freddo e il suo buon senso ebbe il sopravvento: “Non possiamo rimanere qui, andiamo!”
Ayumi impallidì: “Dobbiamo scendere per il sentiero?”
“No” rispose lui mentre se la trascinava dietro. “Sayaka mi ha detto che c’è un vecchio tempio in disuso qui vicino e che possiamo ripararci lì. Si trova dietro ai susini… Eccolo, è laggiù!”
Di corsa, raggiunsero il tempio e vi entrarono. Era minuscolo, ma pulito. C’era una piccola lampada e una stufa a legna. Hamil accese la lampada e il fuoco, poi si lasciò cadere sul pavimento e appoggiò la schiena contro al muro. Era esausto, non aveva più fiato e aveva bisogno di riprendersi dallo spavento.
Ayumi era rimasta in piedi e gli girava le spalle. Sembrava tesa, tremava dal freddo e cercava di scaldarsi frizionandosi le braccia.
“Come sta?” azzardò Hamil.
“Bene, credo. La ringrazio di essere venuto a cercarmi.” Ricadde seduta. “Io… ho avuto paura, non saprei cosa avrei fatto se lei…” Ayumi si girò verso di lui e Hamil impallidì. Si tolse la giacca e la tese alla ragazza.
“Tolga quella maglietta bagnata e si metta la mia giacca, vas-y.” La apostrofò bruscamente.
“Io sto benissimo e la sua giacca se la può tenere.” Fu la risposta piccata di Ayumi.
Hamil abbassò gli occhi e si morse il labbro. La mano appoggiata al ginocchio piegato si era serrata in un pugno.
“Se non vuole farlo per se stessa, lo faccia per me. La sua maglietta è diventata trasparente, lei non indossa il reggiseno e io non mi fido di me stesso. Tolga quella dannata maglietta, si metta la mia giacca, e per una volta non discuta!”
Ayumi, fattasi di brace, gli aveva di nuovo girato le spalle. Con voce tremante gli chiese: “Mi può passare la giacca, per favore?”
“Tenga. Faccia con comodo, non la guardo.” Fu la laconica risposta.
Dopo che si fu cambiata, si rannicchiò in un angolo. Hamil sembrava molto arrabbiato e per una volta non parlava. Era strano, lui parlava sempre, non era abituata a un Peter Hamil che non fosse ironico, scanzonato e un po’ gigione, e l’uomo che aveva davanti a sé era invece taciturno. Fuori continuava a piovere e la legna della stufa era quasi finita. Lo sentì sospirare e agitarsi, forse per cambiare posizione. Ayumi sentiva molto freddo, ma non osò fiatare.
“Lei ha freddo.”
“Sì, è vero.” dopo la sfuriata di qualche minuto prima, non osò contraddirlo.
“Ho freddo anche io, se stiamo vicini possiamo scaldarci. Ma se non vuole…”
La sentì avvicinarglisi: “Ho molto freddo e ho le mani gelate. F… forse è la cosa più sensata da fare.”
Lui rise. La logica, sempre la logica con quella ragazza. Si chiese se almeno una volta nella vita avesse agito d’impulso, di pancia. “Si accomodi, allora.” E le prese la mano.
Ayumi gli si inginocchiò davanti per poi, esitante, accostarglisi. Lui aprì le braccia, la fece appoggiare al suo petto e le scostò i capelli con una mano, facendo attenzione a non farli impigliare nei bottoni della sua camicia. “Comoda?”sussurrò con la voce calda venata da un tremito. Ayumi rimase stupita dalla dolcezza dei gesti e delle parole di Hamil, non pensava che lui potesse essere così delicato, sembrava quasi fosse un’altra persona.
“Sì, grazie” fu la risposta, tuttavia Ayumi era rigida e tesa tra le sue braccia.
“Mi sembra di abbracciare un tronco d’albero, non una donna. Si vuole rilassare, hein? Guardi che non mordo.”
“Non mi preoccupo, lei ha detto che sono una bambola, non una donna. Se lo ricorda?”
Hamil le afferrò il mento rudemente. “Senti, ma per quanto tempo ancora me la farai pagare per questa storia? Oppure è solo una tua reazione al fatto che siamo praticamente incollati l’una all’altro, tu sei poco vestita e stai cercando di non pensarci?” Arrabbiato, era passato automaticamente al “tu”.
“Sì, forse hai ragione…” Ayumi abbassò gli occhi.
Hamil la attirò ancora più vicina a sé. “Dai, vieni qui, Princesse de glace!”
“Come mi hai chiamato?” la sentì ridere contro la sua spalla.
“Princesse de glace.” E rise anche lui.
“E perché…”
“Forse perché siamo incollati l’una all’altro, tu sei poco vestita e io ho bisogno di pensare a qualcosa di freddo.”
Era vero: Ayumi indossava la sua giacca, ancora calda di lui, e per quanto l’avesse abbottonata, non la copriva molto. Poteva sentire ogni respiro di Peter e dovette sforzarsi per non cedere al languore che si era impadronito di lei.
Dal canto suo, Peter avvertiva il morbido seno di Ayumi contro il petto e quello che era iniziato come una frizione energica per scaldarle le braccia si era presto tramutato in una carezza. Per quanto fosse romantico essere lì soli nel tempio quando fuori c’era il temporale, lei era ancora scossa e spaventata e una scena di seduzione su un pavimento gelido non era il massimo, anche se… anche se la sua vicinanza gli stava facendo perdere la testa.
Era calato il silenzio, e una strana tensione aleggiava nell’aria. Ayumi aveva il viso appoggiato al petto di Peter e ascoltava, quasi ipnotizzata, il battito forsennato del suo cuore. Lui aveva chiuso gli occhi, non sapeva bene se per godere meglio della vicinanza di lei oppure per cercare di mantenere una parvenza di controllo.
Non ce la fece. Era un uomo, dopotutto, e il suo sangue era caldo.
Improvvisamente scostò Ayumi da sé e si alzò.
“Cosa…”
“Devo uscire un attimo, non resisto ad averti così vicina. Ho… bisogno di darmi una calmata. Torno subito.” E uscì come una furia.
Ayumi rimase di stucco: “Peter, dove…” ma lui non poteva più sentirla.
Ma anche lei aveva bisogno di darsi una calmata. Lui era così vicino, così caldo e lei avrebbe voluto averlo ancora più vicino. Non aveva mai provato quella sensazione, quel calore, quel bisogno strano che aveva paura di chiamare col suo nome. Non avrebbe mai pensato di sentirsi così, non a causa di un uomo come Hamil e questa consapevolezza l’aveva lasciata confusa e sconvolta. Lei, così concreta e razionale, voleva con tutte le forze riaverlo lì con lei e in fretta, perché in quegli ultimi minuti tra di loro era successo qualcosa e Ayumi era per una volta ansiosa di scoprire dove tutto questo l’avrebbe portata.
La porta si riaprì improvvisamente, facendo entrare il freddo.
“Peter!”
“Sono tornato, sì.”
“Meno male, mi stavo preoccupando.” Si alzò e seguì la direzione della sua voce, tenendo in avanti le mani, che toccarono un petto solido e una camicia fradicia.
“Sei tutto bagnato! Togliti quella camicia, ti prenderai un malanno. E dire che dovresti essere un uomo maturo.” E senza pensarci, cominciò a slacciare i bottoni dalle asole sotto lo sguardo attonito dell’uomo.
Peter la bloccò: “Lascia, faccio io. È meglio per tutti e due”.
Gli prese la mano e lo portò a sedersi: “Ora tocca a me scaldarti.” disse con voce un po’ imbarazzata.
“Sei sicura che sia saggio?”
Ayumi scosse il capo: “No, ma tu hai freddo e se non ti scaldi subito ti ammalerai.” E lo fece appoggiare contro di sé.
Per una volta, Hamil benedisse il buon senso di Ayumi.
Nel giro di poco, entrambi ebbero il fiato corto: Peter aveva allacciato le braccia attorno alla vita di Ayumi, mentre lei aveva cominciato ad accarezzargli i capelli e moriva dalla voglia di sentirlo ancora più vicino, di sciogliersi in lui, quasi.
“Ayumi…” sussurrò lui con voce roca, mentre si chinava a posarle un bacio nell’incavo tra i seni e poi sollevava il viso a guardarla. “Lo vedi che non è saggio per niente?”
Si mise in ginocchio e appoggiò delicatamente una mano alla guancia di lei, avvicinandolesi piano, piano. Ayumi chiuse gli occhi e socchiuse le labbra, trattenendo il fiato.
La porta si spalancò di scatto e Sayaka entrò come un turbine. Subito Ayumi, al colmo dell’imbarazzo, spinse via Peter che atterrò malamente sul pavimento.
Sayaka li guardò con curiosità, notando oziosamente che Hamil era a torso nudo e che Ayumi indossava una giacca che la copriva ben poco. “Andiamo, riprenderete quello che stavate facendo più tardi, ha smesso di piovere.”
Sayaka scendeva dal sentiero velocemente, al solito tirandosi dietro Ayumi che rischiò più volte di cadere. Chiudeva il gruppo Hamil, il quale si era sul serio dato una calmata: l’arrivo improvviso di Sayaka era stato peggio della pioggia gelata e Ayumi che lo aveva respinto come un sacco di patate gli aveva dato il colpo di grazia.
Finalmente riuscirono ad arrivare al tempio, in uno stato pietoso.
“Io… entro a cambiarmi” disse visibilmente imbarazzata e con gli occhi bassi, e se ne andò senza né salutare né guardare Peter, al quale non restò altro che tornarsene al ryokan.
Sayaka rimase ad osservare Ayumi che si dirigeva verso il bagno senza parlare. Tra quei due stava succedendo qualcosa e lei l’aveva interrotta. Si sentì in colpa e sperò di non aver rovinato tutto.
* * *
Pioveva, ancora.
Era tornato in albergo e si era lavato via tutto quel fango di dosso, poi era uscito a cena. Il ristorante nel quale aveva cenato con Ayumi era chiuso per riposo ed era finito in uno strano posto dove gli avevano servito una pietanza diversa da quella che aveva ordinato. Il conto poi si era rivelato più salato del previsto e, per finire, aveva ricominciato a piovere, per non parlare di quello che era successo nel pomeriggio. Si diede dell’idiota. Forse se non avesse detto ad Ayumi della maglietta…
Inutile ripensarci. Arrivò al ryokan sotto una pioggia battente. Curiosamente, davanti all’ingresso era ferma una persona di spalle che indossava un giubbetto impermeabile. Passando di fianco, ne riconobbe i capelli biondi.
“Ayumi!”
La ragazza si voltò: “Ciao, Peter.” Come gli piaceva sentirle dire il suo nome…
“Non hai preso abbastanza acqua per oggi?”
“Avevo bisogno di parlarti.”
“Andiamo a bere qualcosa o…” la bocca gli si seccò improvvisamente e la gola gli si chiuse. Lui, un uomo adulto emozionarsi a quel modo: “O vuoi salire un attimo da me?”
“Sì, facciamo così.” Ayumi aveva le mani in tasca, l’espressione seria.
“Vieni, allora” e la guidò verso la sua stanza. “Ecco, accomodati.”
Si sedette di fronte a lei sul tatami e con un asciugamano cominciò ad asciugarle vigorosamente le ciocche fradice: “Ahia, mi fai male!”
“Ti sto solo asciugando i capelli.”
“Con quelle manone che ti ritrovi! Fai piano.”
“Ecco fatto, ora va meglio.” La fissò intensamente, poi riprese, con voce bassa e dolce: “Cosa sei venuta qui a fare, Chérie?”
“Io… devo chiederti scusa per… Hai capito, vero?”
“No, non ho capito.”
Ayumi sospirò: “Per averti sbattuto sul pavimento come un sacco di patate.”
“Se non volevi, bastava dirlo. Sono un uomo adulto, posso sopportare un rifiuto. Oppure farti ammettere di desiderarmi è chiedere troppo?”
“Non è questo.” Ayumi era a disagio, era arrossita e aveva chinato il capo.
“Spiegami, Ayumi. Io vorrei capirti, ma certe volte non ci riesco proprio.” le prese una mano e cominciò a giocherellarci. Ayumi lo lasciò fare.
”Ero in imbarazzo.”
”A questo ci ero arrivato.”
Ayumi si batté la mano libera sul ginocchio per la frustrazione. “Dici tanto di me, ma anche tu sei uno zuccone! Perché non capisci? Io non volevo che… Volevo che… non mi vergogno di quello che stavamo… ma era una cosa solo nostra, privata. Tra me e te!”
Il peso che Peter sentiva sul cuore sparì all’improvviso, e sorrise.“Se non fosse arrivata Sayaka cosa avresti fatto?”
“Non lo so e ho un po’ paura a pensarci” ammise, “Di certo non ti avrei scrollato di dosso.” Arrossì.
Peter allungò la mano ad accarezzarle una guancia, tenero: “Ma quante volte sei arrossita, oggi?”
“Non lo so, ho perso il conto… tu mi fai questo effetto… e mi fai dire cose che non direi mai” E posò una mano su quella che le copriva la gota.
“Princesse!” le si avvicinò ancora di più e le prese il viso tra le mani. Le baciò le palpebre sotto le bende, la punta del naso, la fronte, le guance, godendo del fatto che lei aveva socchiuso le labbra e che aspettava, invano, un bacio che non arrivava. Quando le baciò la testa, la sentì mormorare: “Che uomo imposs…”Non fece in tempo a finire la frase che le labbra di Peter furono sulle sue. Ricaddero all’indietro, sul futon morbido e pulito, cominciando ad accarezzarsi febbrilmente e scoprendosi a vicenda, l’inesperienza di Ayumi che piano piano si scioglieva come neve al sole.
Ayumi era già stata baciata, ma per la prima volta capì cosa fosse la dolcezza di un uomo. Mentre la baciava e la toccava con una passione da mozzarle il fiato, Peter le diceva che era bella, le sorrideva, l’abbracciava, le accarezzava i capelli, e la invitava a fare lo stesso con lui, sospirando nel sentire le sue mani su di sé. Con lei, Hamil era a suo agio e le trasmise la sua tranquillità e naturalezza. Peter era anche un uomo incredibilmente affettuoso, e Ayumi per la prima volta si sentì davvero una principessa, anche se del ghiaccio non vi era più traccia.
Riprendendo fiato tra un bacio e l’altro, gli prese una mano e l’appoggiò alla sua. “Hai visto, te l’avevo detto che hai delle manone!”
“Per toccarti meglio, ma princesse!” e la baciò ancora, con calma, a lungo e profondamente. Ayumi rispose a quei baci con una sensualità che non sapeva di possedere e che eccitò entrambi ancora di più. Questa volta Ayumi non pensò alla recitazione, la sua attenzione era tutta concentrata sull’uomo che la teneva tra le braccia, il teatro non era mai stato più lontano dalla sua mente.
Improvvisamente, Peter si chinò amorosamente a baciarle il ventre, proprio sotto l’ombelico. “Ayumi, Chérie… tu… sei protetta?”
”Cosa? Ah, ecco… veramente...”
“Dovrei avere qualcosa nella borsa, aspettami solo un momento.”
Ayumi si fece di brace: non era abituata a quei discorsi e Peter non si imbarazzava di fronte a niente.
Veloce, Peter andò a recuperare quello che cercava e lo trovò. Si girò a guardare Ayumi e la vide sdraiata sul futon, l’espressione un po’ confusa e incerta. Non era proprio il momento di pensare alla signora Tsukikage,  ma si ricordò delle parole dell’anziana attrice, quelle sul fatto di avere pazienza.
Tornò da lei e le si sdraiò accanto: “Niente da fare, me li sono dimenticati, dommage!” le diede un bacio e giocherellò coi suoi capelli, arrotolandoseli poi attorno a un dito. “Non ci metterei molto a rimediare qualcosa, ma se vuoi aspettiamo fino a quando recupererai la vista… o quando vuoi tu.” Le carezzò una guancia col dorso della mano.
“Beh, forse, sì…”
“ Certo che sì, e poi mi piacerebbe anche che mi vedessi nudo: anche se ho un brutto naso, per il resto non sono fatto male, tu sais?” bacino tenero tenero che da lui non si sarebbe mai aspettata.
Ayumi non sapeva se ridere o sentirsi imbarazzata. Fece entrambe le cose. “Non ti posso vedere ancora, ma ho sentito che sei ben costruito.”
“Non fraintendermi, amore mio” bacio languido e appassionato sul collo con carezza malandrina che la fece gemere. “Non è che dobbiamo per forza rimanere casti. Ho un paio di idee per farci sentire bene entrambi”.
Gliele mostrò.
* * *
Che cos’era quello strano rumore? Sembrava quasi il suono di qualcosa che stesse grattando.
Ayumi emerse dal piumino in un groviglio di capelli. Dove si trovava?
“Bonjour, Chérie.”
Chi era? Oh! Diventò rossa nel ricordare che si trattava di Peter, di dove si trovasse e perché.
Ancora quel rumore. “Cos’è questo suono?”
Lo sentì avvicinarsi: “Non si saluta?” si chinò su di lei e la baciò teneramente.
Ayumi non era del tutto sveglia, per cui non ricambiò il bacio. Ma era arrossita ancora e sentì Peter ridere. “Se arrossisci solo per un bacio, allora cosa succederà quando ti sedurrò sul serio?”
“Non mi prendere in giro!” sembrava un uccellino che arruffava le piume.
“Comunque, quel rumore ero io che mi facevo la barba.”
“Ma che ore sono?”
“Le nove e mezza passate, pourquoi?”
“Ho saltato la celebrazione mattutina! Sayaka sarà in ansia.”
Peter si mise a ridere: “Non credo, sono già passato ad avvertirla che eri qui con me. Mi ha detto che non era nemmeno preoccupata, tanto sapeva che non saresti tornata a dormire.”
“Ohhh!” esclamò Ayumi contrariata e si tirò le coperte sulla testa per nascondere l’ennesimo rossore, mentre Peter continuò a ridere di gusto. Si inginocchiò davanti a lei e le tolse il piumino da sopra il capo. “Chérie, sono anche passato a comprarti qualche dolcino per colazione e ti ho preparato il tè.”
“Grazie.” Ayumi era stupita della sua gentilezza.
Le sventolò davanti un pacchettino dal profumo delizioso: “Vedi come mi so prendere cura di te? Sono come la tua tata Umeno, solo più sexy.”
Ayumi scoppiò a ridere mentre si immaginava Peter vestito col grembiulino, nel frattempo lui le versò il tè e le mise in mano la tazza. “Tieni, amore.” Che strano, sentirsi chiamare a quel modo…
“Grazie, ne prendi una tazza anche tu?”
“No, no. Io bevo solo caffè, il vostro tè non riesco a farmelo piacere. Dolcetto?”
“Uhmmm. Sì.” A tentoni Ayumi cercò di capire il contenuto del sacchetto. Non ci riuscì, ma era pesante e conteneva parecchia roba.
“Hai preso cibo per un esercito!”
“Mais non, ho solo pensato che dopo ieri notte avessi un po’ appetito.”
“Peter!”
“Io ho una fame da lupi e sono in piedi dalle sette, sono un mattiniero. Mentre tu dormivi, sono andato da Sayaka, a prendere da mangiare, ho fatto un bel bagno bollente che mi ha messo la pressione sotto i tacchi, poi mi sono fatto la barba.”
“Perché non mi hai svegliata? Sarei andata io da Sayaka.”
”Uno, perché ieri ti ho fatto stancare parecchio… ti ho visto, sei ancora diventata rossa… e, due, non volevo perdermi la sua faccia.”
“Cioè?”
“Cercava di rimanere seria, ma non ce la faceva. Mai vista una monaca così. Mia madre avrebbe detto che le rideva anche il didietro (questa è una frase tipica di mia madre, ma detta in milanese NdA).”
Quando la ragazza ebbe finito di ridere, obiettò: “E io come faccio a ritornare al tempio? Come minimo, mi farà il terzo grado.”
“Non ti preoccupare, ti difendo io.”
Ayumi finse un cipiglio che le riuscì male. Pessima interpretazione, Chérie!
“Hai finito?” le chiese togliendole di mano la tazza ancora mezza piena.
“Io veramente…” si ritrovò ancora lunga distesa sul futon mentre Peter la baciava appassionatamente e la carezzava con ardore, il muffin dimenticato sul tatami. “Mmm, adoro toccarti, sei così…” e tra un bacio e l’altro Ayumi gli chiese:  ”Non avevi una fame da lupi?”
“Sì, ma tu sei meglio del cibo, Chérie” ridacchiò Peter, malizioso. “molto più appetitosa.”
“Ti diverti a mettermi in imbarazzo?” alitò senza fiato.
Peter si limitò a ridere ancora più forte e ad attaccare il suo collo, aggiungendo brividi ai brividi che già stava provando e facendole dimenticare tutto… tranne il cellulare che aveva preso a squillare.
Peter si rialzò e si passò tra i capelli una mano tremante: “Merde… toujours en blanc…” sussurrò e tese il telefono  alla ragazza.
“Pronto?”

“Ciao, sì. Bene.” – fino a un minuto fa.

“Davvero? Va bene, grazie.”

“Sì, ci vediamo, ciao.”
Ayumi spense il telefono con un gesto rabbioso, lo gettò sul futon e si lasciò cadere all’indietro, sulle coperte. Si coprì gli occhi con le mani  e rimase senza parlare.
Peter si sdraiò accanto a lei e aspettò con pazienza.
“Era mia madre. Sono arrivati gli esiti dei miei esami.” Sospirò. “Devo tornare a Tokyo” disse a bruciapelo.
“Dovresti essere contenta. Fra poco riavrai la vista e potrai riprendere le tue prove della Dea Scarlatta.”
“Sì, certo.” ma la sua faccia diceva esattamente il contrario. A tentoni, cercò i suoi vestiti. Non fece in tempo a indossarli, perché Peter la intrappolò con braccia e gambe contro di sé.
“Cosa fai? Non lo vedi che sono mezza nuda?”
“Non mi dà fastidio.”
Ayumi se l’aspettava una risposta del genere e sorrise.
“Sono riuscito a farti sorridere, bien. Alors, Chérie, che succede? Non mi sembri molto felice.” Peter era un uomo paziente e aveva già capito da tempo che ad Ayumi bisognava strappare le cose con le tenaglie.
“Io… sto bene, qui. Ci sono Sayaka, Hotaru, Shinji e la vita che faccio qui mi piace, anche il cibo sembra più buono, qui. E poi ci sei tu…” mormorò timida, chinandosi a baciarlo sul petto. “Forse non sono adatta a fare l’attrice, non mi rende così serena come la vita semplice di qui.”
“Forse hai solo bisogno di essere te stessa e il tuo lavoro non c’entra…”
“Io sono sempre me stessa!” Ayumi si agitò tra le sue braccia.
“Calmati! Voglio dire che hai sempre pensato solo al teatro. Non ti sei mai presa del tempo per te e per fare le cose che ti fanno sentire bene. È normale che ora che devi lasciare questo posto, tu non sia felice. Però Nagano non è lontano da Tokyo, puoi sempre venire a trovare i tuoi amici e rallentare un po’ i tuoi ritmi che ucciderebbero anche un toro. E per quanto mi riguarda, tutte le volte che vorrai imboscarti con me da qualche parte, basta solo che me lo chieda.”
La conoscenza che aveva Ayumi dell’inglese era molto buona, ma quel termine non lo conosceva: “Cosa vuol dire imboscarsi?”
”Te lo spiegherò più avanti.”
“Va bene, ma non ho voglia di rientrare oggi.”
”Perché non dici a tua madre che torni domani e oggi non passi del tempo con Sayaka e gli altri? Non cambierebbe molto.”
“E tu?”
 Peter fece spallucce, come solo un francese sapeva fare: “Bof! Io ci sono sempre. Oggi posso andare a Matsumoto a vedere il castello, col treno è comodo. Sto preparando un libro illustrato sulle bellezze del Giappone, ma non posso metterci solamente le tue foto.”
* * *
o-hayou! Come state? Io non benissimo, sono a casa con l’influenza. Non ho più febbre, ma sono ancora ridotta a una larva.
Come avete potuto vedere, in questo capitolo c’è una brusca evoluzione nel rapporto di Ayumi e Peter, non solo a un livello prettamente fisico, ma anche nella loro interazione personale. Spero vi sia piaciuto, anche perché non resisto ad alleggerire le scene con qualcuna delle mie uscite demenziali. Proprio non ce la faccio a trattenermi, non me ne vogliate. Sono in primo luogo un’autrice di commedie e di storie brillanti, ce l’ho nel DNA. Me lo dice anche mio marito da quando mi ha conosciuta che non sono seria, quindi fidatevi.
Avrete notato sicuramente che la scena del tempio ricalca moltissimo quella tra Masumi e Maya. Mi piace pensare che la Dea Scarlatta abbia questo “modus operandi” per unire due anime gemelle che da sole non si sono ancora trovate, usando templi e susini e temporali improvvisi.
In tutta onestà, non ho idea se in francese “andare in bianco” sia reso in questo modo, l’ho cercato sul vocabolario e prevedibilmente non l’ho trovato. Ma sono certa che voi, Italiche lettrici, abbiate compreso perfettamente il senso.
Infine (at last but not at least!) grazie come sempre a Tetide per la sua puntuale recensione.
Mancano solamente un paio di capitoli e abbiamo finito.
Un bacio dalla Nisi e buon fine settimana.
 
 

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Capitolo 5
*** Watashi to issho ni aruku hito - colui che mi cammina accanto ***


Sayaka guardava Ayumi con l’impressione che fosse successo qualcosa di sgradevole. Non con quel fotografo, perché lui l’aveva accompagnata, l’aveva lasciata dandole un bacio sulla tempia e lei aveva sorriso.
Ormai Ayumi aveva imparato a chiudere i talismani che faceva quel lavoro meccanicamente.
“Vuole del tè?”
“No. Grazie.”
Ayumi si sentiva osservata, per cui posò il talismano che stava chiudendo in grembo e: “Sono arrivati gli esiti dei miei esami e domani devo tornare a Tokyo, e prima che me lo chieda, no, non sono contenta, anche se dovrei.”
“Grazie per avermelo detto, Ayumi-san, ma si capiva benissimo. Perché non vuole tornare?”
“Forse perché ho un po’ paura dell’operazione, ma più che altro perché qui sto bene. Qui non sono Ayumi Himekawa, la famosa attrice. Qui sono solo Ayumi, non importa cosa faccio e non devo dimostrare niente a nessuno.”
“Si riferisce al suo fidanzato?”
“Non è il mio fidanzato!”
Sayaka la guardò beffarda: “Forse ufficialmente no, ma in pratica…”
“Non importa, lasciamo perdere; no, non mi riferisco solo a Peter, dico in generale.”
“Quindi, qui ha trovato qualcosa che a Tokyo non c’è.”
”Non ne ho idea, non sono mai stata brava ad analizzare i miei sentimenti. E non penso nemmeno di essere andata lontano con la mia preparazione della Dea Scarlatta.”
“Ah no? Va bene, si alzi che andiamo sulla montagna, devo mostrarle qualcosa.” Sayaka sembrava irritata e ancora più decisa del solito.
Ayumi la guardò, un po’ incerta, ma la seguì.
Sayaka la trascinava sul sentiero e intanto le parlava. “Pensi ai suoi piedi. I primi giorni, lei arrancava e faceva fatica, ora i suoi piedi hanno imparato come ci si muove in un bosco: con attenzione e rispetto!”
Fecero un altro tratto di strada e si trovarono in una radura illuminata dal sole: “Li sente i raggi del sole sul suo viso? Certo che li sente e le piacciono! Il fuoco è calore, ma diventa pericoloso sotto forma di  tuono e lei lo sa! E il vento, la brezza che le scompiglia i capelli! Può essere piacevole, ma ha imparato a sue spese che il vento può essere infido e pericoloso! E lo stesso per l’acqua: si è dissetata con l’acqua fresca della fonte, però si è trovata nel temporale e ha avuto paura! E la terra: il masso l’ha fatta stare comoda mentre meditava, ma la terra diventa fango e ieri mentre scendevamo ha rischiato di cadere più volte e di farsi male. Ha imparato che nella natura c’è un aspetto piacevole, ma anche un lato temibile che va rispettato. In ogni cosa c’è uno yin e uno yang e ora lo sa bene. Le pare poco, quello che ha imparato?”
Ayumi era sbiancata: Sayaka, inconsapevolmente, aveva nominato i quattro elementi che la signora Tsukikage le aveva fatto studiare assieme a Maya e che aveva interpretato con così tanta fatica, ma che non aveva mai completamente fatto propri. Solamente ora, grazie a Sayaka e alle esperienze che le aveva fatto fare su quella montagna, aveva capito. Lei aveva bisogno di provare le cose sulla sua pelle, non era un’istintiva come Maya, ma era intelligente e ricettiva.
I due diversi volti di una stessa Dea.
“È poco, Ayumi?” la incalzò la monaca.
“No, non è poco…” sussurrò mentre gli occhi le si riempivano di lacrime e Sayaka continuava a parlare, quasi animata da una forza sovrannaturale ma con voce più dolce: “Non è tutto, Ayumi. Hai provato l’abbraccio di un bambino e il suo amore disinteressato, ora sai cosa vuol dire avere un uomo che ti venera come la sua Dea, che ti cammina accanto e che tu ami altrettanto… e stai ora provando l’affetto di un’amica che a te ci tiene. Ti pare ancora poco?”
“No, è tantissimo, invece.” Più di quanto avesse mai avuto. Ora Ayumi piangeva davanti a Sayaka che le aveva preso le mani e gliele stringeva forte.
“Hai imparato tanto! Allora, dimmi, cosa è per te, adesso, la Dea Scarlatta? Chi è, cosa sai di lei, ora? È un’entità che può tutto, forse?”
“No” Ayumi scosse il capo in segno di diniego. “Non è questo, essere la Dea non è affatto così.”
“E allora, chi è la Dea?”
Ayumi balbettò la risposta tra i singhiozzi: “È uno spirito che vive in armonia con la natura, che la rispetta e la teme. Che prova amore, diversi tipi di amore, ma tutti importanti, e che per amore si sacrifica. È una persona umana completa, come dovremmo essere tutti noi.”
Sayaka le gettò le braccia al collo: “Lo sapevo che avresti capito! Ce l’hai fatta, Ayumi! La Dea è con te e dentro di te!”
E Ayumi abbracciò la sua amica, ringraziando la Dea per averle dato Peter, Sayaka, Shinji, Hotaru… e anche Maya, perché da lei era partito tutto: l’aveva messa in crisi e ciò le aveva dato la rabbia per reagire.
“Tieni, prendi…” Sayaka le mise in mano un fazzoletto. “Asciugati gli occhi, poi ridammelo che serve anche a me.”
“Grazie…”
Sayaka si soffiò il naso rumorosamente: “Ora scendiamo… siamo tutt’e due un po’ emozionate, abbiamo bisogno di calmarci, e fra un po’ dovrai incontrare i tuoi amici per il tè.”
* * *
Il silenzio scese tra le due donne, Shinji non si era accorto di niente perché stava giocando con una macchinina che si era portato dietro, ma un bambino è una creatura ricettiva e dopo un attimo alzò la testa e guardò prima sua madre e poi Ayumi con aria interrogativa.
“Shinji, finisci di mangiare la tua torta.”
“Non voglio la torta. Perché siete zitte e non parlate come fate sempre?”
Ayumi si stupì: per piccolo che fosse, Shinji aveva osservato che quando lei e Hotaru si trovavano, non facevano altro che parlare. Decise di dire la verità, mentire non era mai stato nelle sue corde.
“Shinji, domani devo tornare a casa.”
“Perché devi tornare, non puoi stare qui con me e la mamma?”
“Io lo vorrei tanto, ma devo andare all’ospedale, mi devo operare.”
Senza dire niente altro, Shinjii si infilò sotto al tavolo. Ayumi non poté vederlo, ma lo sentì buttarsi sul pavimento.
“Cosa sta facendo?”
“Ha fatto la stessa cosa con mio suocero.” Sospirò Hotaru torcendosi le mani nervosamente. “Qualche settimana fa è entrato in ospedale per operarsi di ernia. Purtroppo era qualcosa di molto più serio ed è mancato una decina di giorni fa. Shinjii gli era molto affezionato e quando ha saputo che il nonno non sarebbe più tornato, si è infilato sotto al tavolo e non voleva più uscire.”
Ayumi era senza parole: “Ma come è possibile, io e Shinji ci conosciamo solo da pochi giorni, non può essersi affezionato a me in così poco tempo.”
Hotaru le sorrise: “Lei dice, Ayumi-san? Mi sono innamorata di mio marito non appena l’ho incontrato. Sono cose che succedono tutti i giorni. Non ci vuole tanto tempo ad affezionarsi a qualcuno, e Shinji è un bambino sensibile.”
Era sorpresa e stupita dall’affetto che il piccolo provava per lei. Quei giorni a Nagano erano stati una vera scuola di vita, per lei e scoprire che anche lei si era affezionata a Shinji le scaldò il cuore.
“Hotaru-san, mi permette?” e senza aspettare risposta, scivolò anche lei sotto al tavolo.
Dovette piegarsi, il tavolo non era molto alto. Sentiva Shinji tirare su col nasino.
“Shinji? Me lo vuoi dire perché piangi?”
“Perché tu vai via all’ospedale, come mio nonno e lui non è più tornato.”
Cercò di tirarselo vicino. “Tu hai paura che io non torni più, allora?”
“Sì”
“Tuo nonno era molto malato. Io invece sto bene, devo solo operarmi per poter vedere ancora.”
Gli pose delicatamente le mani sugli occhi. “Riesci a vedere qualcosa?”
“No, è come quando la mamma di notte mi spegne la luce.”
“Se io non mi opero, per me sarà sempre così. Io adesso non posso vedere il tuo faccino, né quello della tua mamma, né le montagne che ci sono qui. Se mi opero, potrò vedere di nuovo.”
“Me lo prometti?”
“Sì, certo.”
Era buffo, si trovava sotto il tavolo di una sala da tè per cercare di far ragionare un bambino, ma Ayumi non aveva nessuna voglia di ridere.
“Allora ritorni?”
”Certo che ritorno, voglio ancora bere il tè assieme a te e alla tua mamma.”
“Vieni con tuo marito?”
Ora la situazione da buffa si era trasformata in comica. Ayumi arrossì: “Non ho un marito.”
”Il fidanzato ce l’hai?”
Come far capire a un bambino che non lo sapeva bene nemmeno lei? Scelse la risposta più pratica: “Sì, ce l’ho il fidanzato. Ora risediamoci e finiamo il tè, altrimenti la tua mamma si preoccupa.”
Emersero entrambi da sotto il tavolo e Shinji le si arrampicò in grembo.
“Ci è riuscita.” Osservò Hotaru mentre le riempiva ancora la tazza.
“Pare di sì”
“Ritornerà ancora a Nagano?”
“L’ho promesso a Shinji.”
“Sarà contento di vederla ancora.”
“Anche io.”
“Si è fatto tardi. Devo andare” e si alzò per andare a pagare.
Ayumi la fermò: “La prego, vorrei pensarci io, ci tengo.”
Hotaru si inchinò: “Allora molte grazie.”
Uscirono in strada e si ritrovarono faccia a faccia per salutarsi. Erano entrambe in imbarazzo. Hotaru teneva per mano Shinji che era più quieto del solito.
Ayumi si chinò a salutarlo per primo: “Allora, Shinji, aspettami, mi raccomando.”
“Sì, ma tu torna presto.”
Gli fece una carezza e gli diede un bacio sulla guancia. “Farò il possibile.”
Si rialzò e si inchinò dinnanzi a Hotaru, che fece lo stesso. “La ringrazio per questi bei pomeriggi, mi ha fatto molto piacere.”
“È stato un piacere anche per me.”
“Allora… arrivederci.”
Ancora una volta, ad Ayumi dispiacque di non poter vedere i visi di Shinji e Hotaru. Se quel breve soggiorno a Nagano era stato per lei così importante, era grazie anche a quella mamma e al suo bambino. Sentì che non poteva finire così.
“Hotaru-san! Torni qui, la prego!” non era la sua voce a chiamare, era il suo cuore.
Avvertì la presenza della donna accanto a sé. “Hotaru, io non so quando mi potrò muovere da Tokyo, ma…” cercò nella borsa e tirò fuori il suo biglietto da visita. “Qui c’è il mio numero di casa, il cellulare, il mio indirizzo. Non si faccia scrupolo a chiamarmi. E venite a trovarmi, pagherò io le spese, la mia casa è grande, ci starete benissimo. Io… non voglio perdervi!”
Hotaru era commossa. “Grazie, Ayumi. Verremo senz’altro a trovarti. Vero Shinji?” il bambino fece vigorosamente di sì con la testa.
“Mi piacerebbe molto che mi vedeste recitare.”
“Piacerebbe molto anche a me. Ti chiamerò per sapere dell’operazione, allora.”
”Va bene. Allora ciao, a presto.”
Rimase lì, accanto alla sala da tè, senza sapere bene cosa fare.
“Bonsoir, Chérie.”
“Bonsoir, Peter.”
“Ho visto che hai salutato i tuoi amici.”
“Sì, ora devo passare al tempio a prendere le mie cose e a salutare Sayaka. Mi accompagni?”
“Andiamo, allora. Ti fermi da me stanotte?”
“Se mi vuoi…”
”Non devi nemmeno dirlo, Chérie.”
Percorsero quei pochi metri in silenzio, lui che le cingeva le spalle con un braccio. Entrarono nel tempio e fecero il loro ingresso nella stanza nella quale Sayaka era solita lavorare, infatti la trovarono lì a riordinare dei documenti.
“Ayumi!”
“Ciao, sono venuta a prendere le mie cose e a salutarti.”
“Sì, ti ho preparato tutto, i tuoi bagagli sono lì nell’angolo.”
“Grazie.”
Sayaka le si era inginocchiata di fronte. “Ci dobbiamo salutare…”
”Già.”
“In bocca al lupo per l’operazione.”
“Grazie, farò del mio meglio per guarire in fretta.”
Sayaka le prese le mani e gliele giunse con le sue, nel rito della benedizione. Avvicinò il capo al suo e mormorò: “Io ti benedico. Possa Buddha essere sempre con te.”
Si rialzò, ma le tenne ancora le mani tra le sue. “Tornerai ancora a Nagano?”
“Spero proprio di sì, sono stata molto bene qui con voi. Io… ti sono molto grata, hai fatto tanto per me.”
“E tu per me…”
Le due ragazze si abbracciarono e Sayaka, poggiandole la mano sul cuore soggiunse: “Non scordare mai la Dea che è dentro di te”
Peter le mise un braccio attorno alle spalle. “Torniamo a casa, Chérie.”
* * *
Ecco, siamo quasi alla fine. Nel prossimo aggiornamento troverete l’epilogo.
Un grazie molto grosso a Tetide e a coloro che leggono anche senza commentare.
Buona serata!
Nisi
 
 
 

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Semisdraiata nel suo letto, Ayumi stava leggendo una lettera di Hotaru. Nella busta c’era anche un disegno che Shinji aveva fatto per lei.
Era sola nella stanza: Peter era andato a prenderle una tazza di tè perché al solito negli ospedali faceva sempre troppo caldo e lei bruciava dalla sete.
“Ayumi?”
La testa bruna di Maya fece capolino dalla porta. “Maya, entra pure!”
Maya era un po’ perplessa, non era abituata a questa Ayumi tanto più sorridente del solito. Sakurakoji le aveva detto che frequentava da un po’ quel fotografo francese e che si era fatta degli amici. Sentì una punta di invidia, lei amava Masumi Hayami ma non aveva nessuna speranza con lui: presto si sarebbe sposato con l’erede dei Takamiya, come era giusto, perché non era possibile che lui, bello, ricco e potente potesse amare una ragazza semplice come lei. Ciononostante, non riusciva a smettere di soffrire. Vedere il Presidente della Daito era diventato troppo, per lei e la semplice vista di innamorati felici le faceva male al cuore.
“Come stai?”
“Sto bene, finalmente ora ci vedo di nuovo. Sento ancora l’anestesia, ma il dottore dice che fra qualche giorno potrò lasciare l’ospedale.”
Prima di rispondere, Maya esitò: non era la prima volta che andava a trovare la sua rivale, ma durante tutte le sue visite, Ayumi non aveva mai accennato alla Dea Scarlatta. Decise che forse si stava preoccupando per niente e ribatté: “Sono contenta, non vedo l’ora di riprendere la nostra sfida.”
“Non credo che sarà possibile. La signora Tsukikage mi ha fatto capire che non mi considera più in corsa per la parte della Dea Scarlatta.” disse tristemente Ayumi.
“Si sbaglia! Ayumi, io…”
“Buon pomeriggio, Ayumi.”
Quasi evocato dai pensieri di Maya, Masumi Hayami fece il suo ingresso nella stanza. Portava un mazzo di fiori che pose in grembo ad Ayumi.
Non appena vide Maya, si irrigidì e iniziò  subito a punzecchiarla: “Allora, ragazzina, sei venuta a vedere se la tua rivale è ancora in condizioni di gareggiare con te?”
“Come può dire una cosa del genere! Lei è…”
“Ragazzina, qui siamo in ospedale, devi controllarti. Abbassa la voce, stai disturbando gli altri pazienti.”
Hayami aveva nel frattempo appoggiato le mani sulle spalle di Maya, la quale gli si era avvicinata di un passo.
Ed nel frattempo era arrivato anche Peter, il quale reggeva tra le mani la tazza di tè per Ayumi. “Allez, allez, che ne dite di appianare le vostre divergenze fuori da questa stanza?” e dopo aver affidato la tazzina ad Ayumi, senza troppi complimenti spinse i due fuori dalla porta.
“Peter! Sei matto?”
“Moi? No. Mi sono stancato di vedere quei due che fanno finta di litigare. È la terza volta, questa settimana.”
”In che senso, fanno finta di litigare?”
“Di solito, quando mi arrabbio con qualcuno, non gli metto le mani sulle spalle e non lo guardo come se stessi pensando di baciarlo.”.
“Tu credi che…”
“Sì”
“Ma lui si deve sposare!”
“È per quello che è tanto frustrato, le pauvre. La sua fidanzata mi fa venire i brividi, mi sembra un mollusco.”
“Che problema…”
”La Dea Scarlatta troverà il modo per farli stare assieme; comunque se lui ha un minimo di cervello, la deve sedurre e farla finita una volta per tutte. Amore mio, bevi il tuo tè che si fredda.”
Ayumi gli lanciò una delle sue occhiatacce gelide che però non facevano più tanto effetto, poi prese il cucchiaino… e vide che sul manico c’era infilato qualcosa. Precisamente, un anello con un piccolo brillante.
“Peter, che cos’è questo?”
“Un promemoria, cosa vuoi che sia?”
“In che senso?”
Peter le prese la mano e ne baciò il palmo. “Nel senso che mi rendo conto che sei giovane e hai una carriera davanti. Questo anello” e glielo infilò all’anulare. “serve per ricordarti che quando vorrai avere qualcuno al tuo fianco per il resto della tua esistenza, io ci sarò. Se vorrai sposarti, a me andrà bene, se preferirai vivere nel peccato, andrà bene lo stesso, scegli tu, a me basta che tu ci sia. Quando arriverà quel momento, ricordati di me.”
Ayumi era commossa, ma anche preoccupata. “Perché dici così? Stai tornando in Francia?” Non aveva mai voluto pensare a quando lui sarebbe dovuto rientrare, troppo doloroso, ma forse era arrivato il momento.
“No, per niente. Non ho un gran rapporto con la mia famiglia, è sufficiente vederli un paio di volte l’anno e c’est tout.”
“Ma parli come se fossi lì lì per scappar via.”
“No, Chérie. Parlo così solamente perché non so bene cosa tu provi per me. Ti ho detto centinaia di volte che ti amo, ma tu non mi hai mai confidato i tuoi sentimenti e mi piacerebbe conoscerli”. Non c’era risentimento, nelle parole di Peter. Solo, ancora una volta, un’infinita pazienza e una constatazione di fatto.
Le labbra di Ayumi pronunciarono quelle parole prima ancora che il suo cervello potesse mandare l’impulso:
 
Non esistono età, aspetto, rango. Quando si incontrano, queste anime si attraggono vicendevolmente, cercando l'altra metà di se stesse, ansiose di trovare l'unità, implorano pazzamente l'altra...un'anima divisa in due, lo yin e lo yang. Questo significa innamorarsi:innamorarsi è implorare pazzamente l'anima di un'altra persona.
 
… e io imploro pazzamente la tua anima..
 
“Io ti amo, Peter.”
 
Non appena Ayumi ebbe finito di pronunciare quelle parole, Peter le prese il viso tra le mani e le diede un bacio pieno di amore e di passione, lo stesso bacio che Isshin avrebbe dato ad Akoya, un bacio talmente caldo, eccitante e selvaggio da farla arrossire al solo pensiero anche a molti anni di distanza.
All’improvviso, una voce: “Ottima interpretazione, Ayumi. Emozionante e convincente. Lei, signor Hamil, se proprio si ostina a voler recitare la parte di Isshin, cerchi almeno di rispettare il copione!”
Era la signora Tsukikage che era entrata nella stanza senza che loro se ne fossero accorti. L’anziana signora vide subito l’anello che brillava al dito di Ayumi e sorrise. “Cerca di rimetterti presto in forze, Ayumi. Ti aspetto a teatro per le prove.” E se ne andò, silenziosamente come era arrivata.
 
 
Fin
 
Ed ecco che le avventure della Princesse Ayumi sono giunte alla conclusione, almeno per quanto riguarda questa fanfiction.
Che dite, come primo tentativo nel fandom di Maya è andato bene? Mi è piaciuto scrivere questa storia, mi sono divertita, tranne quando Sayaka ha trascinato Ayumi sulla montagna per dirle il fatto suo. Lo so che è idiota, ma ho pianto come una fontana.
Tantissimi ringraziamenti a Tetide che ha commentato ogni capitolo e grazie a chi ha letto solamente.
Grazie per la vostra attenzione.
 

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