Il mio nero Natale

di MedusaNoir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Narcissa ***
Capitolo 2: *** Andromeda ***
Capitolo 3: *** Bellatrix ***



Capitolo 1
*** Narcissa ***


Nick forum ed EFP: MedusaNoir
Personaggi: Narcissa Malfoy, Andromeda Tonks, Bellatrix Lestrange
Paring: Narcissa/Lucius, Andromeda/Ted, Bellatrix/Voldemort
Generi: Malinconico, Triste
Avvertimenti: Long-fic di tre capitoli
Rating: Giallo
Pacchetto utilizzato (Colore + contenuto): Nero
Prompt: Valori, Tutto, Proibito, Oscurità, Passione

Capitolo I - Narcissa

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Narcissa Malfoy non era malvagia, al contrario di quello che tutti credevano al primo impatto; il suo volto duro sapeva donare dolcezza alle persone che amava e ne aveva una in particolare per il marito e per il figlio. Non che avesse amato realmente qualcun altro oltre a loro: in passato aveva provato un grande affetto per le due sorelle maggiori, ma in un caso aveva dovuto rinunciarvi e nell’altro l’orrore rendeva il suo sentimento il più lontano possibile da quello fraterno.

Non era malvagia, no, ma era completamente diversa dalle sorelle. Andromeda era la donna coraggiosa, colei che aveva sacrificato anche la sua famiglia per i suoi valori, mentre Bellatrix… effettivamente, anche lei avrebbe sacrificato tutto per i valori, solo che non erano esattamente gli stessi di Andromeda, tutt’altro: se la “traditrice del suo sangue” lottava per i diritti dei Babbani e per l’amore di suo marito, Bellatrix lo faceva per distruggere tutto quello che la sorella aveva faticosamente creato. Narcissa anche aveva dei valori, e tra questi risultava la codardia, che non avrebbe mai, mai potuto tradire.

Il Natale del 1997 non prometteva quindi niente di buono per le tre sorelle Black. Ormai Malfoy Manor veniva utilizzato come luogo di ritrovo dei Mangiamorte, quindi l’ambiente di casa non era per niente accogliente per Narcissa, che sembrava diventata meno importante per gli ospiti di un elfo domestico; in poche parole doveva essere presente alle riunioni, servire i Mangiamorte, restarsene seduta a testa bassa al suo posto senza nemmeno sognarsi di aprire bocca e dire la sua opinione. Non che ne avesse una: a lei era sempre bastato seguire il vento, lasciarsi trasportare dalle idee del marito e della famiglia Black. Quello fu il secondo Natale in cui le balzò alla mente l’idea di poter prendere una decisione da sola.

Il primo fu un Natale di diciassette anni prima, quando il suo Draco era appena nato e lei aspettava con trepidazione il ritorno di suo marito da una delle incursioni dei Mangiamorte. In quel periodo Voldemort era al massimo del suo potere, niente e nessuno poteva ostacolarlo, ma c’era sempre la possibilità che succedesse qualcosa; se lo sentiva dentro. Gettò uno sguardo fuori dalla finestra, osservando il cielo cupo, oscuro come la missione che suo marito stava compiendo.

Per cosa stavano lottando?, si chiese. Per il sangue puro? Per un mondo migliore? Per vivere tranquilli senza più Babbani.

Un sorriso grottesco le deformò per un secondo il giovane viso pallido. Se per vivere tranquilla avrebbe dovuto spendere la propria esistenza in un’alternanza di tuffi al cuore, allora no, non ne valeva davvero la pena. L’oscurità della notte si estese in tutta la stanza e arrivò fino al suo cuore: era la Vigilia di Natale, ma in quella casa non c’era nessuna decorazione, nessun albero, nessun vischio, nessun regalo. Era il primo Natale di suo figlio e non avevano per lui nessun regalo. Si voltò a guardare la culla in cui dormiva placidamente Draco, la piccola bocca appena aperta e le piccole mani strette in pugnetti. Sperava che almeno un regalo potesse esserci per lui, lo stesso che sperava per se stessa, il migliore, il più importante di tutti. Lo sperò sentendo il pendolo del salone che batteva la mezzanotte, lo sperò rimboccando le coperte al suo bambino, lo sperò cercando di trattenere le lacrime che spingevano incessantemente per uscire.

Sperò che Lucius tornasse a casa quella notte.

 

Narcissa Malfoy stava ripensando a quel Natale quasi vent’anni dopo, seduta su una poltrona impolverata, fingendo di ricamare. Aveva detto a Bellatrix di non sentirsi molto bene quel pomeriggio e con quella scusa era riuscita a rimanere sola in una stanza ormai inusata della villa. Guardò distrattamente fuori: la neve, come sempre, non era caduta a Malfoy Manor; il giardino immenso era vuoto, gli alberi spogli. Nessuna magia avrebbe potuto cambiare il paesaggio, lo sapeva; finché fosse stato buio nel suo cuore, nemmeno una lacrima di purezza avrebbe bagnato quel posto.

Si strinse nelle spalle, tremante di freddo non dovuto al clima nella stanza, in cui brillava invece un fuoco nel camino, ma interno a lei. Quanto sarebbe andata avanti quella guerra? Anni e anni prima si era detta che era inutile, ma quando suo marito era tornato a casa raggiante, anche se stanco, aveva gettato ogni pensiero al vento, perché vedere un sorriso sul suo volto le aveva riempito il cuore di gioia.

Ora Lucius girava per la casa, di cui un tempo era il padrone assoluto, con aria tetra, affranta; non si sarebbe nemmeno svestito per andare a dormire se ogni volta Narcissa non glielo avesse ricordato. Voldemort aveva richiesto la sua bacchetta e ora Lucius era diventato come un semplice Babbano. Non poteva fare niente. Solo in quel momento Narcissa si era resa conto della ragione dell’espressione sul viso del marito, tanti anni addietro: anche ora c’era una guerra, anche ora c’era la possibilità di sterminare la razza Babbana e diventare padroni indiscussi del mondo, ma Lucius non era raggiante come quel Natale; sua moglie, scossa da un rapido e quasi mortale brivido, capì che suo marito non era entusiasta per come stavano andando le cose in battaglia, ma era semplicemente – e si pentì che il pensiero non le avesse mai sfiorato la mente – felice di essere tornato dalla sua famiglia.

Narcissa aveva sbagliato tutto: non doveva assecondarlo, assicurargli che avevano ragione a combattere, ma dire la sua, per una volta. Avrebbe portato alla felicità entrambi; una felicità che, come quella di Andromeda, sarebbe stata patita e difficile da raggiungere, ma non importava: prima o poi ci sarebbero arrivati.

Sospirò, pensando se fosse possibile, dopo tutto quel tempo, cambiare le cose. Come poteva mettersi contro Voldemort, spalleggiata da un mago senza più bacchetta e da un figlio costretto a diventare un Mangiamorte? Non sarebbero sopravvissuti; e questo non doveva accadere. Draco doveva vivere, così come Lucius, così come lei. Loro erano tutto per Narcissa, erano il suo mondo; non avrebbe mai sopportato di perderli.

E in un attimo vide il suo vero valore, quello per cui anche le sorelle avevano lottato: l’amore. Ma non l’amore per un ideale astratto, come quello di Bellatrix, bensì quello puro che si riserva solo alla famiglia, lo stesso di Andromeda.

L’oscurità doveva essere esiliata da quella casa, non doveva più restarne traccia nel futuro di Draco; non era quello che voleva per il figlio adorato.

Si alzò dalla poltrona per andare a chiudere le tende, per lasciare fuori il buio e la desolazione che regnavano anche all’esterno della villa; ma, appena si fu avvicinata alla finestra, notò qualcosa di bianco sul davanzale.

Neve?

Narcissa sorrise, speranzosa. Quel Natale sarebbe stato meno nero: se la neve si era decisa a cadere finalmente sul loro giardino, allora c’era qualche possibilità di cambiare anche per lei, per suo marito, per Draco; per tutti i Malfoy.

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Capitolo 2
*** Andromeda ***


Capitolo II – Andromeda

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Quello non era il primo Natale senza albero per Andromeda.

La famiglia Black non era solita festeggiare riempiendo la casa di addobbi e facendo cucinare agli elfi domestici tavolate di dolci. Ricordava di quando era solo una bambina e la sorella maggiore era appena tornate da Hogwarts per le vacanze di Natale: i suoi genitori sedevano ai due lati della sala da pranzo, immobili nella loro compostezza, alzando lo sguardo ogni tanto solo per chiedere a Bellatrix come si trovava a scuola. Sua sorella era, fin da piccola, l’emblema del Male: sedeva e mangiava educatamente, rispondeva alle domande come una ragazza adulta e non una semplice undicenne, ma per tutta la cena aveva tenuto sul volto un sorriso strano, allo stesso tempo felice e malefico; fissava il piatto avida, ma come se il suo desiderio non fosse per la pietanza, che non dava nemmeno segno di notare: era persa nei suoi pensieri oscuri, proibiti, ma Andromeda non immaginava nemmeno lontanamente quanto lo fossero.

Narcissa sedeva accanto a lei, lanciando fugaci occhiate alle finestre come per sperare di finire in tempo per uscire a vedere se quell’anno sarebbe caduta un po’ di neve; fremeva sulla sedia come la bambina che era, ricevendo sguardi severi sulla madre che sembravano rimproverare: - Guarda tua sorella com’è educata, impara da lei - .

E poi c’era lei, Andromeda, così simile a Bellatrix, ma insieme così diversa, dai lineamenti meno marcati e i capelli poco più chiari. Quel giorno, osservando il ghigno orribile di Bellatrix e la durezza negli occhi della madre, si era chiesta cosa facesse lì, in quella oscurità. Si portò la mano al volto, tenendola per qualche momento sul graffio che la bacchetta di sua madre le aveva inferto quel pomeriggio: era ancora profondo, pulsante quasi; sentiva il dolore fino in fondo all’anima.

Andromeda aveva avuto l’imprudenza, imperdonabile per la famiglia Black, di fermarsi a giocare con due bambine Babbane mentre i genitori entravano a Diagon Alley; Narcissa aveva visto che la sorella era rimasta indietro, ma non aveva detto niente, fissandola soltanto con infantile invidia perché poteva rotolarsi nella neve. Quando i suoi si erano accorti della scomparsa, avevano mandato l’elfo che li accompagnava a cercarla: la notizia che Andromeda fosse in compagnia di due Babbane avevano fatto andare in furia la signora Black che, corsa fuori dal Paiolo Magico, aveva trascinato la figlia per un braccio spaventando le altre due, finché fu abbastanza sicura che nessuno la vedesse per lasciarle sul volto una punizione esemplare.

 

 

Decine di anni dopo Andromeda si riportò istintivamente la mano alla guancia, esattamente dove sua madre le aveva lasciato un segno per punirla. C’era voluto tempo per allontanarsi dalla famiglia Black, ma quel gesto apparentemente senza motivo aveva scatenato la sua voglia di scappare dall’oscurità che le regnava intorno. Sua madre non l’aveva punita perché stava giocando con due Babbane: era una bambina, non poteva averle riconosciute immediatamente non-streghe; la bacchetta era stata mossa quando lei, ai rimproveri della madre, aveva chiesto cosa ci fosse di male a divertirsi con dei Babbani.

- Questo - , le aveva detto fissandola negli occhi. – E’ l’unico modo che hai per divertirti con i Babbani. Torturali, o se non vuoi ignorali, ma non ripetere un’altra volta che non li avevi riconosciuti perché sono uguali a noi. E’ proibito! - .

Cosa aveva fatto di male? Andromeda se l’era chiesta per moltissimo tempo, fino a cominciare a ragionare di testa propria, infischiandosi dell’opinione dei genitori: questo l’aveva cancellata dall’albero genealogico, ma allo stesso tempo le aveva dato una nuova famiglia, ben migliore della prima.

Sua figlia Ninfadora stava cullando tra le braccia il piccolissimo Teddy Lupin, nato da poco; gli cantava una tenera ninna nanna, stringendoselo al petto ogni volta che un brivido di paura le attraversava il corpo. L’unica cosa che restava in quel momento del nonno della creatura, Ted Tonks, era la sua bacchetta; non quella di tasso, che il Ministero gli aveva sottratto, ma la sua prima bacchetta. Era divisa a metà nel mezzo: Ninfadora c’era caduta sopra quando stava imparando a camminare; Ted ci aveva scherzato su, ma non aveva mai voluto buttarla, considerandola sempre come una parte di sé.

Ted non c’era e Andromeda non aveva nessuna idea di dove fosse; a dire la verità, non poteva neanche giurare che suo marito fosse ancora vivo. Inspirò forte, stringendosi nelle braccia: quello era sicuramente il suo più nero Natale. La neve cadeva fuori, in giardino, e un nuovo arrivato che si aggrappava con le manine alle dita della madre avrebbe riempito una casa di tenerezza; ma non era così a casa Tonks, dove l’aria che si respirava era solo di paura e morte.

La porta si aprì e le due donne trasalirono, poi Ninfadora poggiò il bambino tra le braccia di Andromeda per correre incontro a suo marito; la madre li vide abbracciarsi con le lacrime agli occhi. Era successo qualcosa? Chi era morto? Remus la salutò con lo sguardo, senza aggiungere altro: Andromeda capì che non si trattava di suo marito.

Dov’era Ted? Era ancora vivo? Sarebbe tornato dalla sua famiglia? Migliaia di interrogativi si formavano nella mente della donna, che aspettava, invano.

Guardò la tavola quasi spoglia dove avrebbero cenato quella sera, accanto a cui erano state sistemate solo tre sedie: il Natale non avrebbe potuto essere più oscuro.

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Capitolo 3
*** Bellatrix ***


Capitolo III – Bellatrix

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Il Natale non era mai contato molto per Bellatrix; fosse stato per lei, sarebbe stato un giorno come gli altri. Natale significava tornare a casa Black, conoscere qualche amico influente dei genitori, partecipare alle cene dei suoi. Solo quell’anno Natale era qualcosa di diverso.

Per quel giorno era stata indetta una riunione speciale dei Mangiamorte. Bellatrix sapeva che molto probabilmente Voldemort voleva solo infierire ancor di più sui Malfoy togliendo loro anche quel giorno che sarebbe dovuto essere di festa, ma non aveva importanza: l’avrebbe rivisto, questo era ciò che contava.

Narcissa di era data malata, così toccava fare a lei le veci della padrona di casa all’arrivo degli ospiti. Li fece entrare uno ad uno lungo i corridoi che portavano alla sala da pranzo, dove si sarebbe svolta la riunione. Lucius e Draco assistevano alla processione con lo sguardo basso e, per quanto riguardava il primo, spento: non restava loro quasi più niente dell’antico orgoglio Malfoy. Bellatrix lanciò uno sguardo al cognato e vide che la barba incolta stava rischiando di crescere paurosamente; si appuntò mentalmente di ricordare a sua sorella di incitarlo a rendersi più presentabile in presenza del Signore Oscuro.

E poi, finalmente, arrivò lui: scivolò con tranquillità tra la fila di sedie, facendo sussultare chi aveva intorno. Bellatrix scoccò un’occhiata furiosa a Piton, che si era seduto alla sua destra, poi prese anche lei posto; Narcissa entrò poco dopo, riluttante, ma obbligata a stare lì. Suo marito le strinse una mano sotto il tavolo.

Voldemort cominciò a parlare e Bellatrix, che lo ascoltava con il busto leggermente piegato verso di lui come se volesse arrivare a toccare la sua aria, annuiva con la testa a ogni sua frase. Sentiva il terrore, il raccapriccio e il desiderio. Quelle sensazioni si agitavano come anguille nella sua anima. Aveva visto delle foto di quando lui era un ragazzino e frequentava ancora Hogwarts; in confronto, i Serpeverde di ora sembravano dei Tassorosso rammolliti. Era bello, Dio, quant’era bello: aveva accarezzato avidamente le foto, soffermandosi sui capelli neri e gli zigomi alti, come a volersene impadronire; e ancora adesso non riusciva a fare a meno di cercare il suo sguardo. Si nutriva di lui, del suo aspetto e delle sue parole, arrivando quasi a leggergli nel pensiero; era diventare il suo luogotenente più fidato, disposta a sacrificare tutto per lui. Tutto. L’anima, il corpo, gli antichi legami familiari: gli avrebbe dato tutto.

Sapeva che non si trattava di una passione comune, nessuno l’avrebbe potuta provare. Non desiderava baciarlo, stringerlo tra le braccia o costruirsi una vita insieme a lui; no, voleva solo accontentarlo in tutto ciò che desiderava, fare il possibile per renderlo più potente che mai. Era la passione per l’oscurità, per il proibito. Era la sua passione, talmente forte e implacabile da poterla quasi toccare.

Guardò il tavolo come in un Natale di tanti anni prima, ghignando esaltata.

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PRIMA CLASSIFICATA
Il mio nero Natale di MedusaNoir
Mafra
Grammatica: 9/10
Lessico e Stile: 13/15
IC e Caratterizzazione: 10 /10
Attinenza al tema: 10/10
Gradimento personale: 9/10
Punti bonus (Pacchetto + Prompt) : 13/16
Per un totale di 64 punti.
Grammaticalmente parlando, è praticamente perfetta, a parte qualche piccolo errorino di battitura.Il lessico è vario, si sente addirittura il diverso modo di pensare di Andromeda, Narcissa e Bellatrix. E’ lo stile della parte in cui parla Narcissa, più che altro, ad abbassarti il voto: ci sono alcune frasi che spezzano totalmente la lettura.Le sorelle Black sono proprio loro, si sente, così come è chiara la presenza del Natale.La storia è davvero bella. Complimenti davvero. 
HarryPotterianaDOC
Grammatica: 9/10
Lessico e Stile: 14/15
IC e Caratterizzazione: 10 /10
Attinenza al tema: 9/10
Gradimento personale: 8.5/10
Punti bonus (Pacchetto + Prompt) : 12/16
Per un totale di 62.5 punti.
Niente da dire sulla grammatica e sul lessico. Lo stile è buono, ma ho trovato qualche errore di battitura. Inoltre lo trovo poco scorrevole nella parte di Narcissa.L’ IC è perfetto, così come l’ attinenza al tema.Il gradimento è abbastanza alto; sebbene questa sia una bella storia, non mi ha totalmente presa.Ho tolto 1 punto ai prompt Tutto, Valori e Proibito e alla citazione del pacchetto, che hai solamente inserito.Una buona storia senza dubbio, anche se poco scorrevole  in certi punti e non del tutto entusiasmante.

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Finita! Vi è piaciuta? :D Certo, come faccina è in netto contrasto, visto il tema della storia...
Come ho detto alle giudici, non sono d'accordo con il loro giudizio perché non amo questa ultima flashfic. Non mi piace, è troppo breve e bla bla bla bla... non mi piace molto.

La citazione era (l'ho inserita in questa terza flashfic) : "Sentiva il terrore, il raccapriccio e il desiderio. Quelle sensazioni si agitavano come anguille nella sua anima". Il pacchetto conteneva: Bellatrix/Voldemort, Narcissa e il prompt "Bacchetta".

In ogni caso spero che la storia vi sia piaciuta ^^

Medusa

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