Il mio nero Natale di MedusaNoir (/viewuser.php?uid=85659)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Narcissa ***
Capitolo 2: *** Andromeda ***
Capitolo 3: *** Bellatrix ***
Capitolo 1 *** Narcissa ***
Nick forum ed EFP:
MedusaNoir
Personaggi: Narcissa Malfoy, Andromeda Tonks, Bellatrix Lestrange
Paring: Narcissa/Lucius, Andromeda/Ted, Bellatrix/Voldemort
Generi: Malinconico, Triste
Avvertimenti: Long-fic di tre capitoli
Rating: Giallo
Pacchetto utilizzato (Colore + contenuto): Nero
Prompt: Valori, Tutto, Proibito, Oscurità, Passione
Capitolo
I - Narcissa
Narcissa Malfoy non era
malvagia, al contrario di quello che
tutti credevano al primo impatto; il suo volto duro sapeva donare
dolcezza alle
persone che amava e ne aveva una in particolare per il marito e per il
figlio.
Non che avesse amato realmente qualcun altro oltre a loro: in passato
aveva
provato un grande affetto per le due sorelle maggiori, ma in un caso
aveva
dovuto rinunciarvi e nell’altro l’orrore rendeva il
suo sentimento il più
lontano possibile da quello fraterno.
Non era malvagia, no, ma
era completamente diversa dalle
sorelle. Andromeda era la donna coraggiosa, colei che aveva sacrificato
anche
la sua famiglia per i suoi valori, mentre Bellatrix…
effettivamente, anche lei
avrebbe sacrificato tutto per i valori, solo che non erano esattamente
gli
stessi di Andromeda, tutt’altro: se la “traditrice
del suo sangue” lottava per
i diritti dei Babbani e per l’amore di suo marito, Bellatrix
lo faceva per
distruggere tutto quello che la sorella aveva faticosamente creato.
Narcissa
anche aveva dei valori, e tra questi risultava la codardia, che non
avrebbe
mai, mai potuto tradire.
Il Natale del 1997 non
prometteva quindi niente di buono per
le tre sorelle Black. Ormai Malfoy Manor veniva utilizzato come luogo
di
ritrovo dei Mangiamorte, quindi l’ambiente di casa non era
per niente
accogliente per Narcissa, che sembrava diventata meno importante per
gli ospiti
di un elfo domestico; in poche parole doveva essere presente alle
riunioni,
servire i Mangiamorte, restarsene seduta a testa bassa al suo posto
senza
nemmeno sognarsi di aprire bocca e dire la sua opinione. Non che ne
avesse una:
a lei era sempre bastato seguire il vento, lasciarsi trasportare dalle
idee del
marito e della famiglia Black. Quello fu il secondo Natale in cui le
balzò alla
mente l’idea di poter prendere una decisione da
sola.
Il primo fu un Natale di
diciassette anni prima, quando il
suo Draco era appena nato e lei aspettava con trepidazione il ritorno
di suo
marito da una delle incursioni dei Mangiamorte. In quel periodo
Voldemort era
al massimo del suo potere, niente e nessuno poteva ostacolarlo, ma
c’era sempre
la possibilità che succedesse qualcosa; se lo sentiva
dentro. Gettò uno sguardo
fuori dalla finestra, osservando il cielo cupo, oscuro come la missione
che suo
marito stava compiendo.
Per cosa stavano
lottando?, si chiese. Per il sangue puro?
Per un mondo migliore? Per vivere tranquilli senza più
Babbani.
Un sorriso grottesco le
deformò per un secondo il giovane
viso pallido. Se per vivere tranquilla avrebbe dovuto spendere la
propria
esistenza in un’alternanza di tuffi al cuore, allora no, non
ne valeva davvero
la pena. L’oscurità della notte si estese in tutta
la stanza e arrivò fino al
suo cuore: era la Vigilia
di Natale, ma in quella casa non c’era nessuna decorazione,
nessun albero,
nessun vischio, nessun regalo. Era il primo Natale di suo figlio e non
avevano
per lui nessun regalo. Si voltò a guardare la culla in cui
dormiva placidamente
Draco, la piccola bocca appena aperta e le piccole mani strette in
pugnetti.
Sperava che almeno un regalo potesse esserci per lui, lo stesso che
sperava per
se stessa, il migliore, il più importante di tutti. Lo
sperò sentendo il
pendolo del salone che batteva la mezzanotte, lo sperò
rimboccando le coperte
al suo bambino, lo sperò cercando di trattenere le lacrime
che spingevano
incessantemente per uscire.
Sperò che
Lucius tornasse a casa quella notte.
Narcissa Malfoy stava
ripensando a quel Natale quasi
vent’anni dopo, seduta su una poltrona impolverata, fingendo
di ricamare. Aveva
detto a Bellatrix di non sentirsi molto bene quel pomeriggio e con
quella scusa
era riuscita a rimanere sola in una stanza ormai inusata della villa.
Guardò
distrattamente fuori: la neve, come sempre, non era caduta a Malfoy
Manor; il
giardino immenso era vuoto, gli alberi spogli. Nessuna magia avrebbe
potuto
cambiare il paesaggio, lo sapeva; finché fosse stato buio
nel suo cuore,
nemmeno una lacrima di purezza avrebbe bagnato quel posto.
Si strinse nelle spalle,
tremante di freddo non dovuto al
clima nella stanza, in cui brillava invece un fuoco nel camino, ma
interno a
lei. Quanto sarebbe andata avanti quella guerra? Anni e anni prima si
era detta
che era inutile, ma quando suo marito era tornato a casa raggiante,
anche se
stanco, aveva gettato ogni pensiero al vento, perché vedere
un sorriso sul suo
volto le aveva riempito il cuore di gioia.
Ora Lucius girava per la
casa, di cui un tempo era il
padrone assoluto, con aria tetra, affranta; non si sarebbe nemmeno
svestito per
andare a dormire se ogni volta Narcissa non glielo avesse ricordato.
Voldemort
aveva richiesto la sua bacchetta e ora Lucius era diventato come un
semplice
Babbano. Non poteva fare niente. Solo in quel momento Narcissa si era
resa
conto della ragione dell’espressione sul viso del marito,
tanti anni addietro:
anche ora c’era una guerra, anche ora c’era la
possibilità di sterminare la
razza Babbana e diventare padroni indiscussi del mondo, ma Lucius non
era
raggiante come quel Natale; sua moglie, scossa da un rapido e quasi
mortale
brivido, capì che suo marito non era entusiasta per come
stavano andando le
cose in battaglia, ma era semplicemente – e si
pentì che il pensiero non le
avesse mai sfiorato la mente – felice
di essere tornato dalla sua famiglia.
Narcissa aveva sbagliato
tutto: non doveva assecondarlo,
assicurargli che avevano ragione a combattere, ma dire
la sua, per una volta. Avrebbe portato alla
felicità entrambi;
una felicità che, come quella di Andromeda, sarebbe stata
patita e difficile da
raggiungere, ma non importava: prima o poi ci sarebbero arrivati.
Sospirò,
pensando se fosse possibile, dopo tutto quel tempo,
cambiare le cose. Come poteva mettersi contro Voldemort, spalleggiata
da un
mago senza più bacchetta e da un figlio costretto a
diventare un Mangiamorte?
Non sarebbero sopravvissuti; e questo non
doveva accadere. Draco doveva vivere, così come
Lucius, così come lei. Loro
erano tutto per Narcissa, erano il
suo mondo; non avrebbe mai sopportato di perderli.
E in un attimo vide il
suo vero valore, quello per cui anche
le sorelle avevano lottato: l’amore. Ma non l’amore
per un ideale astratto,
come quello di Bellatrix, bensì quello puro che si riserva
solo alla famiglia,
lo stesso di Andromeda.
L’oscurità
doveva essere esiliata da quella casa, non doveva
più restarne traccia nel futuro di Draco; non era quello che
voleva per il
figlio adorato.
Si alzò dalla
poltrona per andare a chiudere le tende, per
lasciare fuori il buio e la desolazione che regnavano anche
all’esterno della
villa; ma, appena si fu avvicinata alla finestra, notò
qualcosa di bianco sul
davanzale.
Neve?
Narcissa sorrise,
speranzosa. Quel Natale sarebbe stato meno
nero: se la neve si era decisa a cadere finalmente sul loro giardino,
allora
c’era qualche possibilità di cambiare anche per
lei, per suo marito, per Draco;
per tutti i Malfoy.
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Capitolo 2 *** Andromeda ***
Capitolo II – Andromeda
Quello
non era il primo Natale senza albero per Andromeda.
La famiglia Black non era
solita festeggiare riempiendo la
casa di addobbi e facendo cucinare agli elfi domestici tavolate di
dolci.
Ricordava di quando era solo una bambina e la sorella maggiore era
appena
tornate da Hogwarts per le vacanze di Natale: i suoi genitori sedevano
ai due
lati della sala da pranzo, immobili nella loro compostezza, alzando lo
sguardo
ogni tanto solo per chiedere a Bellatrix come si trovava a scuola. Sua
sorella
era, fin da piccola, l’emblema del Male: sedeva e mangiava
educatamente,
rispondeva alle domande come una ragazza adulta e non una semplice
undicenne,
ma per tutta la cena aveva tenuto sul volto un sorriso strano, allo
stesso
tempo felice e malefico; fissava il piatto avida, ma come se il suo
desiderio
non fosse per la pietanza, che non dava nemmeno segno di notare: era
persa nei
suoi pensieri oscuri, proibiti, ma Andromeda non immaginava nemmeno
lontanamente quanto lo fossero.
Narcissa sedeva accanto a
lei, lanciando fugaci occhiate
alle finestre come per sperare di finire in tempo per uscire a vedere
se
quell’anno sarebbe caduta un po’ di neve; fremeva
sulla sedia come la bambina
che era, ricevendo sguardi severi sulla madre che sembravano
rimproverare: -
Guarda tua sorella com’è educata, impara da lei - .
E poi c’era
lei, Andromeda, così simile a Bellatrix, ma
insieme così diversa, dai lineamenti meno marcati e i
capelli poco più chiari.
Quel giorno, osservando il ghigno orribile di Bellatrix e la durezza
negli
occhi della madre, si era chiesta cosa facesse lì, in quella
oscurità. Si portò
la mano al volto, tenendola per qualche momento sul graffio che la
bacchetta di
sua madre le aveva inferto quel pomeriggio: era ancora profondo,
pulsante
quasi; sentiva il dolore fino in fondo all’anima.
Andromeda aveva avuto
l’imprudenza, imperdonabile per la
famiglia Black, di fermarsi a giocare con due bambine Babbane mentre i
genitori
entravano a Diagon Alley; Narcissa aveva visto che la sorella era
rimasta
indietro, ma non aveva detto niente, fissandola soltanto con infantile
invidia
perché poteva rotolarsi nella neve. Quando i suoi si erano
accorti della
scomparsa, avevano mandato l’elfo che li accompagnava a
cercarla: la notizia
che Andromeda fosse in compagnia di due Babbane avevano fatto andare in
furia
la signora Black che, corsa fuori dal Paiolo Magico, aveva trascinato
la figlia
per un braccio spaventando le altre due, finché fu
abbastanza sicura che
nessuno la vedesse per lasciarle sul volto una punizione esemplare.
Decine di anni dopo
Andromeda si riportò istintivamente la
mano alla guancia, esattamente dove sua madre le aveva lasciato un
segno per
punirla. C’era voluto tempo per allontanarsi dalla famiglia
Black, ma quel
gesto apparentemente senza motivo aveva scatenato la sua voglia di
scappare
dall’oscurità che le regnava intorno. Sua madre
non l’aveva punita perché stava
giocando con due Babbane: era una bambina, non poteva averle
riconosciute
immediatamente non-streghe; la bacchetta era stata mossa quando lei, ai
rimproveri della madre, aveva chiesto cosa ci fosse di male a
divertirsi con
dei Babbani.
- Questo - , le aveva
detto fissandola negli occhi. – E’
l’unico modo che hai per divertirti con i Babbani. Torturali,
o se non vuoi
ignorali, ma non ripetere un’altra volta che non li avevi
riconosciuti perché sono uguali a
noi. E’ proibito! - .
Cosa aveva fatto di male?
Andromeda se l’era chiesta per
moltissimo tempo, fino a cominciare a ragionare di testa propria,
infischiandosi
dell’opinione dei genitori: questo l’aveva
cancellata dall’albero genealogico,
ma allo stesso tempo le aveva dato una nuova famiglia, ben migliore
della
prima.
Sua figlia Ninfadora
stava cullando tra le braccia il
piccolissimo Teddy Lupin, nato da poco; gli cantava una tenera ninna
nanna,
stringendoselo al petto ogni volta che un brivido di paura le
attraversava il
corpo. L’unica cosa che restava in quel momento del nonno
della creatura, Ted
Tonks, era la sua bacchetta; non quella di tasso, che il Ministero gli
aveva
sottratto, ma la sua prima bacchetta.
Era divisa a metà nel mezzo: Ninfadora c’era
caduta sopra quando stava
imparando a camminare; Ted ci aveva scherzato su, ma non aveva mai
voluto
buttarla, considerandola sempre come una parte di sé.
Ted non c’era e
Andromeda non aveva nessuna idea di dove
fosse; a dire la verità, non poteva neanche giurare che suo
marito fosse ancora
vivo. Inspirò forte, stringendosi nelle braccia: quello era
sicuramente il suo
più nero Natale. La neve cadeva fuori, in giardino, e un
nuovo arrivato che si
aggrappava con le manine alle dita della madre avrebbe riempito una
casa di
tenerezza; ma non era così a casa Tonks, dove
l’aria che si respirava era solo
di paura e morte.
La porta si
aprì e le due donne trasalirono, poi Ninfadora
poggiò il bambino tra le braccia di Andromeda per correre
incontro a suo
marito; la madre li vide abbracciarsi con le lacrime agli occhi. Era
successo
qualcosa? Chi era morto? Remus la salutò con lo sguardo,
senza aggiungere
altro: Andromeda capì che non si trattava di suo marito.
Dov’era Ted?
Era ancora vivo? Sarebbe tornato dalla sua
famiglia? Migliaia di interrogativi si formavano nella mente della
donna, che
aspettava, invano.
Guardò la
tavola quasi spoglia dove avrebbero cenato quella
sera, accanto a cui erano state sistemate solo tre sedie: il Natale non
avrebbe
potuto essere più oscuro.
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Capitolo 3 *** Bellatrix ***
Capitolo III – Bellatrix
Il
Natale non era mai contato molto per Bellatrix; fosse
stato per lei, sarebbe stato un giorno come gli altri. Natale
significava
tornare a casa Black, conoscere qualche amico influente dei genitori,
partecipare alle cene dei suoi. Solo quell’anno Natale era
qualcosa di diverso.
Per quel giorno era stata
indetta una riunione speciale dei Mangiamorte.
Bellatrix sapeva che molto probabilmente Voldemort voleva solo
infierire ancor
di più sui Malfoy togliendo loro anche quel giorno che
sarebbe dovuto essere di
festa, ma non aveva importanza: l’avrebbe
rivisto, questo era ciò che contava.
Narcissa di era data
malata, così toccava fare a lei le veci
della padrona di casa all’arrivo degli ospiti. Li fece
entrare uno ad uno lungo
i corridoi che portavano alla sala da pranzo, dove si sarebbe svolta la
riunione. Lucius e Draco assistevano alla processione con lo sguardo
basso e,
per quanto riguardava il primo, spento: non restava loro quasi
più niente
dell’antico orgoglio Malfoy. Bellatrix lanciò uno
sguardo al cognato e vide che
la barba incolta stava rischiando di crescere paurosamente; si
appuntò mentalmente
di ricordare a sua sorella di incitarlo a rendersi più
presentabile in presenza
del Signore Oscuro.
E poi, finalmente,
arrivò lui:
scivolò con tranquillità tra la fila di sedie,
facendo
sussultare chi aveva intorno. Bellatrix scoccò un’occhiata
furiosa a Piton, che
si era seduto alla sua destra, poi prese anche lei posto; Narcissa
entrò poco
dopo, riluttante, ma obbligata a stare lì. Suo marito le
strinse una mano sotto
il tavolo.
Voldemort
cominciò a parlare e Bellatrix, che lo ascoltava
con il busto leggermente piegato verso di lui come se volesse arrivare
a
toccare la sua aria, annuiva con la testa a ogni sua frase. Sentiva il
terrore,
il raccapriccio e il desiderio. Quelle sensazioni si agitavano come
anguille
nella sua anima. Aveva visto delle foto di quando lui era un ragazzino
e
frequentava ancora Hogwarts; in confronto, i Serpeverde di ora
sembravano dei
Tassorosso rammolliti. Era bello, Dio, quant’era bello: aveva
accarezzato
avidamente le foto, soffermandosi sui capelli neri e gli zigomi alti,
come a
volersene impadronire; e ancora adesso non riusciva a fare a meno di
cercare il
suo sguardo. Si nutriva di lui, del suo aspetto e delle sue parole,
arrivando
quasi a leggergli nel pensiero; era diventare il suo luogotenente
più fidato,
disposta a sacrificare tutto per lui. Tutto.
L’anima, il corpo, gli antichi legami familiari: gli avrebbe
dato tutto.
Sapeva che non si
trattava di una passione comune, nessuno
l’avrebbe potuta provare. Non desiderava baciarlo, stringerlo
tra le braccia o
costruirsi una vita insieme a lui; no, voleva solo accontentarlo in
tutto ciò
che desiderava, fare il possibile per renderlo più potente
che mai. Era la
passione per l’oscurità, per il proibito. Era la sua passione, talmente forte e
implacabile da poterla quasi toccare.
Guardò il
tavolo come in un Natale di tanti anni prima,
ghignando esaltata.
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PRIMA
CLASSIFICATA
Il
mio nero Natale
di MedusaNoir
Mafra
Grammatica:
9/10
Lessico
e Stile: 13/15
IC
e Caratterizzazione: 10
/10
Attinenza
al tema: 10/10
Gradimento
personale: 9/10
Punti
bonus (Pacchetto + Prompt) : 13/16
Per
un totale di 64 punti.
Grammaticalmente
parlando, è praticamente perfetta, a parte qualche piccolo
errorino di battitura.Il
lessico è vario, si sente addirittura il diverso modo di
pensare di
Andromeda, Narcissa e Bellatrix. E’ lo stile della parte in
cui parla
Narcissa, più che altro, ad abbassarti il voto: ci sono
alcune frasi
che spezzano totalmente la lettura.Le
sorelle Black sono proprio loro, si sente, così come
è chiara la presenza del Natale.La
storia è davvero bella. Complimenti davvero.
HarryPotterianaDOC
Grammatica:
9/10
Lessico
e Stile: 14/15
IC
e Caratterizzazione: 10
/10
Attinenza
al tema: 9/10
Gradimento
personale: 8.5/10
Punti
bonus (Pacchetto + Prompt) : 12/16
Per
un totale di 62.5 punti.
Niente
da dire sulla grammatica e sul lessico. Lo stile è buono, ma
ho trovato
qualche errore di battitura. Inoltre lo trovo poco scorrevole nella
parte di Narcissa.L’
IC è perfetto, così come l’ attinenza
al tema.Il
gradimento è abbastanza alto; sebbene questa sia una bella
storia, non mi ha totalmente presa.Ho
tolto 1 punto ai prompt Tutto, Valori e Proibito e alla citazione del
pacchetto, che hai solamente inserito.Una
buona storia senza dubbio, anche se poco scorrevole
in certi punti e non del tutto entusiasmante.
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Finita! Vi è piaciuta? :D Certo, come faccina è
in netto contrasto, visto il tema della storia...
Come ho detto alle giudici, non sono d'accordo con il loro giudizio
perché non amo questa ultima flashfic. Non mi piace,
è troppo breve e bla bla bla bla... non mi piace molto.
La citazione era (l'ho inserita in questa terza flashfic) : "Sentiva il
terrore, il raccapriccio e il desiderio. Quelle sensazioni si agitavano
come anguille nella sua anima". Il pacchetto conteneva:
Bellatrix/Voldemort, Narcissa e il prompt "Bacchetta".
In ogni caso spero che la storia vi sia piaciuta ^^
Medusa
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