La mia migliore amica

di Honey to the poison
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** Avviso ***
Capitolo 16: *** Avviso due ***
Capitolo 17: *** 15 ***
Capitolo 18: *** 16 ***
Capitolo 19: *** 17 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


L’estate stava per terminare.

Avevamo viaggiato poco in quei mesi, almeno rispetto ai nostri standard.


Una volta, per i nostri diciotto anni ero riuscita a trascinarla perfino in Friuli Venezia Giulia.


perché mi hai convinto ad arrivare fin qui?” chiese falsamente scocciata abbandonando i suoi bagagli sul carrello dell’aeroporto, “mi piaceva il nome”, gli confessai guardando un aereo che partiva nella stessa direzione da cui eravamo appena arrivate.


Quest’anno invece avevamo dovuto accontentarci di una vacanza breve, trattenuta nelle poche settimane libere tra un esame e l’altro. Da quando avevamo iniziato l’università era più difficile avere tempo libero, perché le ore si perdevano di corsa tra una lezione e l’altra.

Sembravamo sempre in vacanza eppure perennemente impegnate.

Una cosa che sopportavo a stento, un ritmo cui non avrei retto.

Se lei non fosse stata con me.


Lori!”, la sua voce mi entrò nelle orecchie insieme alle grida stridule dei gabbiani. Ultimi giorni di sole per lei equivalevano a campeggio sulla spiaggia fino a un inevitabile esaurimento nervoso.

Il mio.

Che arrivava inderogabile ogni 24 ore di sabbia in posti impensati e sale cicatrizzato sulla pelle.


millecinquecentosessanta minuti” biascicai tornando con la mente accanto a lei.

stai battendo tutti i tuoi record” si limitò a commentare girandosi verso di me con gli occhiali dalle lenti scure appena abbassati sul naso.

Provai a rimodellare la mia espressione nella forma più indiscutibilmente seccata della storia riuscendo soltanto a farla ridere più forte, a gola spiegata contro il sole.

sei impossibile, forza, ancora un pomeriggio e potrai tornare la tuo stupido hotel” ridacchiò convinta.

quanto? Mi rifiuto di restare a friggere sotto questo stramaledetto solleone solo per te!” gli ringhia contro.

e poi guardami! Ho raggiunto il massimo della mia possibile abbronzatura! Voglio tornare all’ombra, io odio questi salubri raggi solari!”.

Vale rise, della mia perfetta imitazione di maga magò.

secondo me potresti diventare più scura … se solo lo volessi” si lasciò scappare avvicinando un braccio al mio per confrontarli.


La sua pelle aveva la tonalità dolce del caramello, mentre la mia arrivava appena al colore lieve della spiaggia intorno a noi.


ma certo! Cara epidermide, voglio diventare scura come la regina delle Hawaii qui a fianco, collabora ti prego!” esclamai particolarmente ironica al mio avambraccio.


Lei rise più forte di prima, stringendomi una mano.

Era calda, come la sabbia intorno a noi, come il primo mare a pochi passi dai teli stesi sulla spiaggia.


sei sempre la solita” sbuffò rassegnata alzandosi in piedi e costringendomi a fare lo stesso.

torniamo in albergo?” sospirai incredula mentre riprendevo equilibrio sulla lieve discesa verso la battigia.

si … purché tu mi prometta una cosa …” sussurrò con lo sguardo perso nell’orizzonte sfumato dell’oceano.

quello che vuoi” promisi stringendole la mano ancora tiepida nella mia.


quando mi mancherà il sole questo inverno tu mi ricorderai questo momento, perché non abbia più freddo, e l’estate non sembri poi così lontana”.


I suoi occhi lasciarono il mare e fissarono i miei, alzando gli occhiali per lasciarmi penetrare nel castano dorato delle sue iridi accese.

Le sorrisi, lasciandomi abbracciare per un breve momento, prima di prenderla in braccio, sorda alle sue proteste, alle grida di paura e i piccoli pugni sulla mia schiena.

Ridendo mentre dopo pochi passi lasciavo cadere entrambe nell’acqua bassa, tra gli schizzi delle sue gambe recalcitranti e le braccia allacciate al mio collo nella paura di affogare in mezzo metro di mare.


l’inverno è solo un’illusione Vale”.



C’è qualcosa di vagamente nostalgico nel tornare alle solite lezioni con i postumi della vacanza ancora addosso.

Come un obbligo scolastico ampiamente sottovalutato prima della la fine del liceo e riscoperto troppo tardi.

La sveglia presto, la colazione incartata nel sacchetto di un bar per la fretta di arrivare prima dell’appello.

La metro che passa troppo presto o troppo tardi.

A seconda che tu sia in ritardo o in anticipo.


Vale si appoggiò con uno strattone al mio braccio indolenzito, doveva aver dimenticato la frenata brusca tipica della prima fermata.

ricordami perché non prendiamo la macchina per andare in facoltà” borbottò contrariata alla mia spalla poggiandoci sopra la testa riccioluta.

La strinsi a me per tutto il tempo necessario affinché altri passeggeri scendessero e salissero sul vagone della metropolitana su cui stavamo viaggiando senza dividerci.

perché amiamo la nostra città e vogliamo risparmiarle la cappa di smog più spessa della storia” le sussurrai accarezzandole lievemente la nuca.

è solo perché ti secca spendere soldi in benzina” mi contraddì sbadigliandomi contro la maglietta leggera.

e sprecarla bloccata nel traffico” precisai certosina.


Una ragazza seduta davanti a noi mi guardò aggrottando appena le sopracciglia, i suoi occhi seguivano la mia mano che accarezzava lentamente il braccio di Vale.

Le rivolsi un’occhiata diffidente mentre tornavo a rivolgermi al nodo di capelli incastrati con qualche molletta di uno strano blu elettrico.

hey bella addormentata” le sussurrai ad un orecchio, “non crollare proprio ora, siamo quasi arrivate”.

Vale aprì un occhio per guardarmi realmente poco interessata.

siamo ancora in tempo, torniamo indietro e ricominciamo a dormire!” piagnucolò patetica.

Mi scostai una ciocca dal viso impedendomi di riderle .

Vale …” la rimproverai con il tono meno serio del mio repertorio.

va bene, va bene …” borbottò arrendendosi, “ma lasciami dormire fino alla prossima fermata ok?”.

Sorrisi ai suoi capelli ninnandola con un motivetto lento.



Lo?” la sua domanda bisbigliata mi distrasse dalla lezione.

Grazie alla mia mania per il caffè arrivammo tardi, costrette a sederci in cima alla gradinata pur di seguire qualche parola.

mmm …” bofonchiai concentrata mentre la sua penna pungolava il mio fianco dalla parte del tappo.

pensi che il professore sia gay?”.

Lasciai la frase appuntata a metà sul blocco stropicciato per guardarla, aveva lo sguardo concentrato sulla figura piuttosto sfocata dell’uomo oltre la cattedra che parlava lentamente dentro il microfono argentato.

perché lo vuoi sapere?” chiesi perplessa.

non so …” sussurrò piano per non farsi scoprire, “mi da questa impressione … è sempre così … gaio quando inizia a spiegare, e poi ha uno strano tono di voce … e vestiti troppo colorati!”.

La guardai ridacchiando, “quindi uno è gay perché non si veste di nero e parla un’ottava sopra la media?”.


Aggiunse una gomitata al pungolamento con la penna a sfera.


no, certo che no … però mi sembrano dettagli da prendere in considerazione” spiegò con susseggio allineando i fogli immacolati davanti a lei.


capisco” annuii delicatamente ricominciando a prendere appunti, “ma mi chiedo ancora perché tu voglia saperlo”.

Vale mi sorrise, mostrandomi le fossette sulle sue guance rotonde, “vorrei solo riconoscerli, così potrei farci amicizia”.

La guardai di sbieco completando un paragrafo, “sicura?”.

certo!” esclamò un po’ troppo forte stringendomi un braccio.

non ho mai avuto un amico gay”.


La penna mi cadde di mano mentre chiudevo gli occhi e respiravo profondamente.

Quando mi girai verso di lei stava completando per me il decalogo del professore con aria annoiata.

vuoi copiare?”.



glielo hai detto?”

cosa?” mormorai perplessa.

Frank mi guardò esasperato, alzando gli occhi al cielo.

che io sono un finocchio e che tu odi il rosa? cosa secondo te?” sbuffò cercando disperatamente un accendino alla sigaretta che teneva incastrata tra le labbra.

no, non gliel’ho detto, ma se vuoi appena usciamo la informo” lo tranquillizzai accendendo una piccola fiamma arancione davanti il suo viso.

Si concesse una lunga boccata di nicotina prima di rispondermi.

sei un’idiota” proclamò convinto, “e dovresti dirglielo … davvero” concluse buttando un po’ di cenere per terra.

Mi astenei dal ricordargli la presenza del posacenere al centro del tavolino dove eravamo poggiati.

si, mi sembra una buona idea andare dalla mia migliore amica e dirgli, ‘hey ciao, hai presente la nostra amicizia che dura da più di un decennio? In realtà non esiste, è solo che io sono cotta di te! Ah, ma non preoccuparti, non è che di solito mi piacciono le femmine, è una cosa solo per te tranquilla!’ ”.

Digrignai i denti alla faccia impassibile di Frank ancora occupato a tirare ossigeno cancerogeno dalla sua sigaretta.

una cosa del genere?” chiesi caustica.

si, una cosa del genere” mi rispose a muso duro.

Ma la sua mano cercò la mia dopo qualche secondo, coprendola con una carezza rassicurante.

devi dirglielo Lori, o le cose peggioreranno … pensaci, forse non reagirebbe così male, in fondo ti vuole bene davvero … magari ti vuole anche lei” cercò di consolarmi con tono affettuoso.

Lasciai scivolare la sua mano dalla mia in un gesto non troppo brusco.

no”, sospirai, “no, lei non mi vuole in quel senso …. e forse non la voglio neanche io, forse è solo un’ossessione perché passiamo troppo tempo insieme. Insomma, vivo più con lei che con la mia famiglia ormai” cerai di continuare con tono convincente.

Frank dondolò leggermente la testa in disaccordo.

sul serio, sarà solo uno sfogo adolescenziale”.

Il ragazzo davanti a me si lasciò andare ad un lungo sospiro, “guarda che non c’è nulla di male ad essere attratti da persone del tuo stesso sesso”.


Scoppiai a ridere, quando lui, il mio migliore amico, mi confidò di essere gay per prima cosa gli presentai un mio cugino dichiarato, nella speranza che si piacessero abbastanza da mettersi insieme.


sai cosa intendevo”, sbottò infastidito dalla mia risata, “il fatto è che tu devi renderti conto che non c’è nulla di male. Che puoi esserlo. Che puoi essere etero, gay, o bisex … o una delle infinite scelte che offre il piano sessuale del genere umano” commentò elencando le probabilità. Si fermò un attimo per guardarmi negli occhi, “perché tu vuoi rapporti sessuali solo con il genere umano vero?”.

Gli tirai un calcio tra le gambe del tavolino abbastanza forte da farlo guaire.

ok, il punto è; con quanti uomini sei stata nella tua vita?”.

questa è davvero una cosa che non ti riguarda minimamente …” cercai di fermarlo, “quanti Lori?”.

Mi mordicchiai una pellicina nella speranza di impietosirlo.

oh avanti, io lo so, come tu sai i miei, sto solo cercando di farti ammettere una cosa, collabora per l’amor di Dio!”.

uno” sbottai infastidita, “e lascia Dio al di fuori delle mie pratiche sessuali”.

Frank annuì leggermente, “ok uno, ed era ….”, lasciò un attimo di sospensione pur di farmi cedere.

l’ex fidanzato di Vale” completai per lui con voce atona.

Stavolta annuì con più vigore, “e le tue storie senza rapporti?” continuò mimando delle assurde virgolette in aria, “parliamo di quelle? Chi erano i soggetti del suo straordinario sexappeal?”

Frank dobbiamo proprio … ?”, cercai di tergiversare, “rispondi e non farmi perdere tempo piccola canaglia, non ho tutto il giorno per te”.

ok, ok, erano i suoi ex, o quelli con cui ci aveva provato, o quelli che le piacevano. Va bene così?” elencai inviperita.

hai dimenticato quelli che erano stranamente innamorati di lei” concluse serio.

Perse del tempo accendendosi un’altra sigaretta mentre ponderavo la simpatica idea di fuggire da quel tavolo e trovare un posto sicuro in cui nascondermi.


non ci sei ancora arrivata vero?” domandò osservandosi le unghie corte.

a cosa?” chiesi esasperata.

Frank poggiò stranamente la sigaretta in bilico sull’orlo del tavolo per guardarmi negli occhi.


tu ti fai loro perché non puoi farti lei. Tu ti loro perché non si facciano lei”.


I suoi occhi scuri mi scavarono dentro ancora un po’ prima di lasciarmi andare e recuperare la sua inutile sigaretta.


non è vero” boccheggiai sconvolta.

si che è vero, per questo stai di merda quando esci con uno di loro, per questo non gli dici mai niente. Cristo! Ti crede ancora vergine” ridacchiò divertito.

ti ho detto di non infilare Dio nelle mie pratiche sessuali” gli ringhiai contro.

va bene, il punto è ... Tu lo sai, anche se non vuoi ammetterlo lo sai. Quindi ti conviene alzare quel culo, andare da Vale e dirglielo …”.


dirmi che?” domandò una voce alle mie spalle.

Vale aspettava tranquilla a qualche passo da noi, evidentemente si era avvicinata sentendo il suo nome.

Mi venne vicina sedendosi sulle mie ginocchia, lo sguardo fisso e perplesso su Frank che mi guardava indulgente.

avanti, diglielo” mi incitò sorridente.


Anche io sorrisi, stringendo i fianchi di Vale appena più forte mentre la sistemavo meglio sulle gambe, come una bambola viva.


che lui è finocchio” ripetei candida, “e che io odio il rosa”.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Aveva lo stesso sorriso di migliaia di giorni passati insieme.
Neanche una sfumatura diversa nei suoi occhi caldi.
Nemmeno il piccolo indizio di qualcosa di nuovo tra le sue labbra.

Abbassò il plico di fogli cosparsi della mia grafia piccola e irregolare prima di dirmelo.

“io ti amo”.

Il cuore mi si fermò nell’arco di un battito di ciglia, quello che le serviva per schiarirsi lo sguardo e tendermi le braccia.
“davvero Lori ... Come ti è venuta in mente una storia così bella?”.
Era ammirazione quella nella sua voce.
Un residuo di affetto e tanta illusione.
Il mio organo peggiore ricominciò a muoversi con un cigolio terrificante dentro il petto.

Lisciò attentamente un angolo consumato di carta prima di chiedermelo.
“hai intenzione di pubblicarlo questa volta?”
Scossi la testa lentamente.
Vale sospirò rassegnata, “è un peccato … credo sia la cosa migliore che tu abbia mai scritto. Io pagherei non so quanto per essere capace di tirare fuori cose come questa da qui dentro” commentò picchiettandosi la tempia scoperta.
Mi sedetti vicino a lei sul mio letto fantasiosamente in ordine, con le coperte malamente tirate e bozzi di lenzuolo tra il cuscino stropicciato e le sue gambe.
“credo che la mia mente malata non c’entri nulla, le idee vengono da altrove” le sorrisi tirata, disposta a dimenticare, superare, ignorare parole che valevano molto più di una storia scritta in una notte insonne.
“da qui”, le sfiorai appena la maglietta sopra il seno sinistro.
Mi sorrise, prendendo di riflesso la mia mano e portandosela al viso, in una carezza lieve.
La sua guancia riempiva il mio palmo, fatta apposta per contenerla, la curva piena delle sue gote rosate sulla mia pelle.
“chissà di che colore è il tuo cuore Lori” domandò a se stessa sorridendomi, “chissà se qualcuno riuscirà mai a raggiungerlo”.

Mi alzai velocemente, recuperando una maglietta buttata per terra e cacciandola velocemente dentro l’armadio sempre aperto.

“dovresti andare, tra poco passano a prendermi”, la mia voce secca ai suoi occhi lucidi.
“Lori?”, “davvero, tra pochissimo, è meglio che tu vada”.
La sentii trattenere il respiro alle mie spalle.
“con chi esci?” domandò seria, il tono formale di una mezza richiesta, “con Frank … e altri” risposi distrattamente cercando ad occhi chiusi un paio di jeans sulla scaffa sbagliata.
“ti andrebbe … posso venire anch’io? Sai, adesso che lo so che è …” si fermò imbarazzata a chiedersi se potesse dirlo ad alta voce, “si insomma, adesso che so i suoi gusti magari potremo cominciare ad uscire insieme”, adesso la proposta era esplicita.
“un altro giorno magari”.
Il suo silenzio frustrato invadeva la stanza.

“ok … vado” mormorò poco convinta recuperandola borsa ai piedi del letto.

“aspetta”, le sue braccia incrociate presero un angolo duro impossibile da scalfire.
“prendila, è tua adesso”.

Il plico di carta spiegazzata era un misero dono tra le mie mani.
Ma era tutto ciò che potevo offrirle, l’unica cosa di me che, in quel momento, poteva accettare.

“è la copia originale” commentò guardandola, “non ne hai un altra …”.
“no” ammisi stringendomi nelle spalle, “così questa storia sarà l’unica in tutto l’universo. Solo per te”.
“è una dedica questa?” insinuò socchiudendo appena gli occhi in segno di sospetto.
Vedevo già le sue guance colorarsi di piacere oltre l’ostilità appena sciolta.
“esattamente” le sorrisi.
Il suo corpo si scaraventò contro il mio, con la velocità di una palla di gomma.
“grazie” squittì felice alle mie orecchie rubandomi i fogli dalle mani intorpidite, un bacio leggero sul mento, il posto più alto dove poteva arrivare in punta di piedi.



“non lo hai fatto vero?”
“ancora questa domanda Frank? Diventerai così monotono da smettere di frequentarti”, il suo sorriso indulgente mi distrasse abbastanza dalla mia birra per farmela rubare da Tony, bivaccato dall’altro lato del tavolo con il suo fidanzato tra le braccia come il pupazzo di un ventriloquo.

“cos’è che deve fare Frank? Convertirsi finalmente alla sponda più gaia del fiume?” biascicò contento passando la mia ex bottiglia al ragazzo appostato sulle sue gambe.
“assolutamente, o lo fa, o impazzirà” gongolò Frank chiamando con un cenno il cameriere dal fondo del locale.

Un locale squisitamente queer.
Scelto senza rimorso da tutti.
C’era qualcosa nel bancone rosa fosforescente che sembrava incantare tutti i miei amici, facendolo preferire a posti molto più interessanti.
Ma non così sgargianti.

“impazzirà comunque” gli ricordò Tony, “ce l’ha scritto in faccia che farà questa fine” concluse restituendomi la bottiglia vuota.
“grazie per l’incoraggiamento” sbottai depressa.
Frank rise passandomi un paio di piccoli bicchieri colmi del mio liquido trasparente preferito.
“è solo la verità. E detta da amici sinceri …” cominciò alzando uno dei bicchierini prima di portarselo alle labbra.
“da amici sinceramente gay che non vedono l’ora di farmi unire alla loro allegra compagnia …” ribattei bevendo anch’io un sorso bruciante.
“vogliamo solo che sposi la nostra causa!” sorrise Tony abbracciando più forte il suo ragazzo tanto da lasciarlo senza fiato.
“lo faccio già. E senza avvilupparmi alla cameriera” bisbigliai a Tony mentre Frank in bilico sulla sedia flirtava pesantemente con il ragazzo delle ordinazioni.

Il fidanzato del mio amico scosse la testa, invischiato anche lui in una conversazione senza storia nonostante la funzione approssimativa di cagnolino da compagnia.

“è per questo che sei così triste Lori?”



Sms Vale – non bere troppo, sai che ti fa male-
Sms Lori – troppo tardi, Frank mi ha già rubato le chiavi di casa. Finisco di distruggermi da lui per stanotte-
Sms Vale – ok amore ma domani mattina chiamami, vengo a prenderti io. Buonanotte sorellina-


“sorellina”

Il calore tossico di un altro bicchiere scivolò in gola.



“Vale io credo sia una buona idea …” la mia voce al telefono suonava sempre troppo seria di come fosse in realtà.
“dici davvero? Perché io sono sempre meno convinta” mi rispose distrattamente con rumori soffocati tra le braccia sicuramente piene.
Con ogni probabilità aveva svuotato un armadio per trovare qualcosa di adatto per la serata.

Sorrisi da sola alla sua contraddizione perenne.
“ma certo. Vai da tua cugina stasera, fate un bel pigiama party e domani mattina, appena ripresa dalla sbronza a base di imbarazzanti foto di famiglia, mi racconti quanto ti sei divertita”, le assicurai posando l’ennesimo pacchetto di biscotti nel carrello.
“o nella più atroce delle ipotesi mi chiami alle quattro del mattino e io ti vengo a riprendere dalla tua consanguinea pazza per ingozzarti di cornetti caldi”.

La sentii sghignazzare dall’altra parte della linea.
Era la sua vendetta non invitarmi ad unirmi a loro.
Per averla lasciata ancora una volta fuori da un giro che non avrebbe mai capito del tutto.

“non disturbarti, mi farò accompagnare dal suo ragazzo in caso “.
Deglutii a vuoto mentre lei pensava sicuramente altro.
“il suo ragazzo?” domandai flebile, “oh si!” ridacchiò lentamente, probabilmente si stava già truccando, “stasera c’è anche lui e il suo migliore amico … credo che Vanessa stia cercando di rifilarmi un fidanzato sai?”.
Il suo respiro lieve e concentrato di quando cercava di fare una linea dritta con l’elainer.
“credi?”, “ne sono sicura … ma dubito riuscirà a convincermi. Il suo ex era un idiota, e se non ha cambiato gusti il tipo che mi presenteranno stasera sarà come minimo inguardabile”.

Il pugno stretto della mano libera cominciava a dolere, le unghie sempre più affondate nel palmo.

“ah ah” risi a scatti controllati.
Nella solitudine del vialetto di un super market.
Nel vuoto infinito di una serata eterna.
“mi terrai aggiornata?” domandai trattenendo il fiato.

Dentro di me qualcosa tremava con il ricordo di una catastrofe imminente.

“certo amore” miagolò facendomi il verso, “e non preoccuparti, io amo solo te, gli altri non li guardo nemmeno”.
Rise di se stessa, della battuta inventata, del mio silenzio, che credeva scena muta al suo personale umorismo.
“divertiti Vale”, riuscii a mormorare prima di chiudere il telefono e poggiare la nuca contro un pilastro spoglio.

Il ritornello del 3x2 sembrava ridere di me.




La prima cosa che pensai l’indomani era che le occhiaie le stavano bene se accompagnate da un sorriso come quello che le illuminava il viso.
Era mattina.
Incredibilmente presto.
Mi aveva praticamente sbattuta fuori dal letto all’alba per incontrarci al mc  donald all’incrocio delle nostre case.
Non era un buon segno.
Mi invitava sempre li quando aveva qualcosa da raccontarmi.

Ma lei era felice.
Glielo leggevo in faccia che l’unico umore che poteva contenere quella mattina era di colore brillante.
Possibilmente effervescente.

Ci sedemmo su uno dei tavoli con divanetto che erano la mia ossessione, il sole lasciava una patina riflettente sul piano di plastica davanti a noi.
Mi lasciò prendere il posto migliore vicino il poggia braccio prima di sedersi accanto a me.
Non troppo vicina.

Con un’aria vagamente imbarazzata mentre posava la borsa e allentava il foulard di cotone del collo.

“prima che tu cominci il tuo rito di insulti sull’essere sparita ieri notte …”
“hai un succhiotto sul collo”
La mia voce atona sembrò scardinarla sul discorso reimpostato che doveva aver preparato mentre camminava fino al luogo dell’appuntamento.
“eh?”
“hai un enorme, vistoso e tra qualche minuto viola succhiotto sul collo” ripetei neutra.

Il rossore tipico delle sue guance quando dicevo la verità senza giri di parole la invase.
Ma stavolta non provavo piacere guardandola.
Qualcosa di assurdamente viscido e nauseante sembrava essersi fermato da qualche parte dentro la mia gola.

“Lori”, la sua voce era un richiamo mentre scivolava verso di me, gli occhi lucidi in preda al panico di essere rimproverata.
“Lori, non puoi capire quello che mi è successo … lui … stanotte … è stato tutto perfetto”, allungò una mano verso la mia, immobile sopra il tavolo, coprì le mie dita con le sue fissandomi intensamente.
“ti prego non dirmi che ho sbagliato”.

Chiusi gli occhi.

Mi vidi allontanare la sua mano dalla mia.
Alzarmi in piedi, raccogliere la mia sacca sgualcita buttata a terra per abitudine.
Uscire dal locale senza degnarla di un solo sguardo.

Aprii gli occhi.

Il suo sguardo su di me era ancora lucido e spaventato.
Il profumo scuro dei suoi capelli mi sfiorava ad una distanza impossibile.
La mia mano si mosse autonomamente per schiudersi al suo tocco, trovare il suo palmo e farlo aderire al mio in una presa apparentemente tranquilla.
Mentre avrei solo voluto strapparla a se stessa.
Sorrisi di una felicità apparente mentre lei, entusiasta annullava i pochi centimetri che ci dividevano per buttarsi su di me.
Con impeto e trilli gioiosi nella voce.
“è tutto a posto”, mormorai ai suoi capelli pressati contro le labbra.
“è molto più che a posto” rise al mio collo scostandosi di poco per guardarmi felice, “credo di essermi innamorata”



“lo hai appena conosciuto!” la rimbrottai un paio di caffè dopo.
Lei stava ancora terminando l’impossibile beverone alla fragola che prendeva tutte le volte che andavamo li.
“lo so!” ribatté non notando l’evidenza, “è questo lo rende ancora più straordinario!”.
Scossi la testa, rassegnata al mio destino di parlare solo a metà del suo cervello. Quello ad alto contenuto irrazionale.
“questo fa di te una qualsiasi sciocca adolescente infatuata, non la Giulietta del ventesimo secolo” la sgridai a bassa voce immergendomi di nuovo nella tazzina, “e credevo che tu fosse un po’ più razionale di così Vale. Ora io capisco che tu sia … eccitata da questa faccenda”, rimarcai ironica mentre controllava per l’ennesima volta il cellulare in una manciata di secondi.

Sembrò capire la mia allusione perché distolse gli occhi dallo schermo, lasciandolo però sul tavolo accanto a lei.

“ma credimi. Stai correndo troppo … perché non ti rilassi e … metti via quel cellulare tanto per cominciare?” domandai esasperata, la sua mano era tornata a premere i tasti nella speranza di un nuovo messaggio.

“scusa” sbottò vagamente immusonita, “è che sono in panico. Insomma, dopo quello che è successo dovrebbe come minimo chiamarmi subito … oppure potrebbe non farlo mai più. E allora …”.
Le sue labbra tramarono impercettibilmente.

Le presi il mento tra le dita in un gesto di incontrollato contenimento.
“nessuno è così pazzo da non chiamarti dopo averti conosciuta Vale”, le assicurai prima di potermi rendere conto di ciò che le avevo detto.

Un sorriso meno preoccupato le sfiorò il volto.

“in ogni caso” aggiunsi per darmi contegno, “suppongo sia il caso di chiederti cosa sia effettivamente successo stanotte visto che a quanto pare avrà conseguenze catastrofiche”.
Il suo sguardo tornò a farsi lucido mentre il viso le andava in fiamme.
“oh insomma”
“preferisci farmi un disegnino?” chiesi subdola.

Mi mollò un pizzicotto sulle braccia scoperte.
Risi mentre mi coprivo la parte offesa, “era solo un modo per renderti le cose più semplici” mi scusai.

La vidi tormentarsi le dita come prima di un’interrogazione, confusa eppure desiderosa di confidarsi.
Quante volte avevo visto quell’espressione sul suo viso.
Quante volte conoscevo già il suo segreto che conservavo gelosamente. Nella speranza che me lo raccontasse ugualmente.

“ecco io …”
“lo avete fatto?” gli chiesi seria.
Se era la peggiore delle ipotesi tanto valeva togliersi subito il pensiero.

Ti prego no.

“no!” strillò un po’ troppo forte coprendosi immediatamente la bocca con le mani.
Cercò di ricomporsi mentre ridacchiavo.
Il sollievo sui miei nervi tesi era tangibile.
“no, però … ecco, mi sono lasciata andare”.
Avvampò di nuovo e stavolta non risi, perché una parte di me voleva … doveva sapere cosa era successo la notte precedente.

“Lui … lui mi fissava da tutta la sera, non mi ha tolto gli occhi di dosso per tutto il tempo”, sentivo una nota fiera nel preambolo, “abbiamo bevuto un po’ … un po’ troppo. Abbiamo anche visto un film, almeno credo”.
Indecisa, confusa, si guarda intorno come ad assicurarsi di essersi svegliata davvero, di non essere ancora li tra le bottiglie vuote.
“poi … si è fatto tardi. Vanessa e il suo ragazzo sono andati a dormire nel letto di lei e io e lui … io e Mario”.

Il suo nome.
Accostato implicitamente al suo.
Un brivido mi scese lungo la schiena mentre il suo sorriso si faceva più dolce.

“ci siamo messi sui materassini da campeggio a terra”.
Respirò profondamente, i suoi occhi sempre più bassi sul ripiano.
“è stato … credo abbia fatto io il primo passo. Perché lui era li che … che mi guardava, nel buio … e io … io ho pensato che …”.

Balbettò furiosamente mentre il boccone viscido e amaro riprende consistenza in gola, in un ringhio secco che repressi a forza.

“beh, in ogni caso mi sono ritrovata sul suo stesso materassino. Ci siamo baciati”, sorrise a se stessa, “il bacio migliore della mia vita. Niente a che vedere con … tu sai chi”.

Una smorfia le arricciò le labbra.
Nella mia mente un vecchio gioco che l’aveva costretta a chiamare il suo ultimo ex come il cattivo di Harry Potter.
Quello stesso gioco che mi portò a fare sesso con lui.

“e comunque dai baci alle carezze … le sue mani ovunque, su di me … dentro me”.
Arrossisce per l’ultima volta sventolandosi con imbarazzo.
So che non aggiungerà altro.

“ti ha fatto male?” le chiedo nuovamente asettica.
Come una visita ginecologia.
Dovevo farne qualcosa di tutto il vuoto che ho dentro, qualsiasi cosa che fosse utile almeno.
Che la riguardasse.
Con un delicatezza che sicuramente non aveva avuto.
Lui che neanche si sarà accorto della sua verginità.

“sono un po’ indolenzita” ammise, “ma non fa così male” mi sorrise rassicurante, “ho solo un po’ di mal di testa. Sai, non ho dormito molto” si scusa stringendosi nelle spalle.

“vuoi che andiamo?” le chiesi recuperando la borsa e aspettando che, lentamente, si rimettesse in piedi.
Mi maledico.
Per non riuscire ad esternare neanche un po’ di quel blocco doloroso che spingeva da dentro il petto come una frana di marmo bianco.
Per essere così preoccupata per lei da non voler ammettere il mio dolore.
La mia preoccupazione.
Il mio terrore.

Si poggiò al mio braccio posando un bacio leggero sulla spalla.
“grazie” sussurrò vicina.
“per cosa?”
“per esserci” sorrise stringendomi più forte.
“sempre” risposi di riflesso, mentre il cellulare le vibrava in tasca e costringendola con un salto breve a controllare il messaggino.

I suoi occhi si illuminarono all’inverosimile.
Brillavano come stelle.

“vuole rivedermi!”

 

 

N.D.A.

Grazie a: nessuno, OverTheHill e aly5 per la fiducia.

e sopratutto a Rebs20. Davvero...

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Capitolo 3
*** 3 ***


Era perduta.

Il pensiero continuava rincorrersi nella mia testa. Rotolava da una parte all’altra della scatola cranica prima di andare a sbattere contro la fronte con un fracasso infernale di scontro solido.

Ero perduta.


In quei giorni respiravo il doppio del normale. Ogni volta che l’aria entrava nei miei polmoni vi rimaneva intrappolata a metà, con l’assurda conseguenza di trattenere il fiato una volta ancora, troppo presto, troppo di frequente.

Di quel passo sarei sicuramente morta di inedia.

O di crepacuore.

Visto come mi saltava in gola ogni volta che rispondevo al telefono, con la sua voce perennemente cinguettante. Come se per tutta la vita l’avessero tenuta in gabbia e adesso, aperta la porticina dorata potesse finalmente cantare felice.


Come poteva essere così diversa?

Perché io non l’avevo mai fatta sentire così per più di un paio d’ore?


Il cellulare squillò imperterrito per la terza volta nel giro della mattinata.

quelle rosse” borbottai senza neanche ascoltare il suo ciao soffocato.

oh …” si limitò a commentare trattenendo il fiato, “come facevi a saperlo?” domandò curiosa.

perché mezz’ora fa mi hai chiamato per chiedermi di che colore doveva essere la maglietta e tre quarti d’ora prima l’esatta tonalità di jeans … mi sembra logico che adesso tocchi alle scarpe” commentai incurante delle sue risate.

Dentro, il gelo pungente dell’indifferenza, cercava di guadagnare qualche centimetro.


forse dovrei mettere qualcosa con i tacchi, sai … è così alto” si lasciò scappare trasognata.

anche io sono alta”, mi lascai scappare sdegnata.

Vale perse qualche secondo a pensare un qualsiasi collegamento mentre correvo ai ripari, “voglio dire, anche io sono alta, eppure non hai mai avuto problemi ad appenderti al mio collo in svariate occasioni”.

Sembrò riflettere ancora mentre speravo non si insinuasse nel ragionamento.

mmm …”, ponderò.

Incrociai le dita dall’altro capo del telefono.

mmm, no, lui è più alto di te, avrò sicuramente più difficoltà d appendermi al suo collo”, sembrò recuperare il sorriso ebete e felice che la contraddistingueva in quei giorni prima di tornare all’argomento che le premeva di più.

Sospirai depressa.

e se non gli piacessi?” sbottò titubante.


Andrà sicuramente così. Ti rifiuterà e tu tornerai a casa in lacrime e con il cuore spezzato a causa di un qualsiasi idiota troppo alto che da te vuole solo una scopata.


come potresti non piacergli Vale? Sei bellissima anche in pigiama”, le ricordai fingendomi spensierata.

La sentii ridacchiare distratta, “con pan di stelle e gin?” mi ricordò complice.

che notte memorabile” rincalcai sogghignando insieme a lei.

I nostri ricordi più belli probabilmente erano di una notte troppo alcolica per essere conservata in maniera labile nelle nostre memorie.


io brindo a mille serate come questa!” strillai a voce troppo alta nella solitudine dell’ultimo piano del mio palazzo alle tre di notte, in una vacanza rubata agli esami.

shh!”, cercò di zittirmi Vale caracollando malamente su di me, il suo piccolo corpo mi fece perdere l’equilibrio e cademmo insieme sul piastrellato polveroso della terrazza in cima all’edificio.

Ridacchiò così convulsamente da buttare per terra quello che restava del limoncello rubato al carrellino degli alcolici nel salotto di casa mia.

nooo” biascicò infelice, i suoi occhioni lucidi e un po’ sfocati mi fissarono piagnucolosi, “e adesso come facciamo l’ultimo brindisi?”.

Sospirai, tirandola a sedere mentre io mi alzavo e barcollando rientravo nell’appartamento.

Quando uscii lei stava cantando la sigla di sailor moon ondeggiando appena nel suo pigiama con gli orsacchiotti viola.

ecco qui”, le passai la bottiglia senza curarmi della sua espressione dubbiosa, “ma è gin!” ribatté poco convinta, “troppo forte questa roba sorella, io ho bisogno di qualcosa di dolce” mi ricordò costringendomi a sedermi accanto a me.

I suoi occhi scuri e la pelle lucida di luna, la tenerezza delle spalle oltre la maglia morbida e larga del vestito da notte.

Lei era la dolcezza.

La mia notte di stelle di zucchero.

è per questo che ho portato i biscotti” le sussurrai misteriosa tirando fuori a dietro la schiena un pacco di pan di stelle.

Lei li guardò in un attimo di sconvolgimento prima di scoppiare a ridere, stringendomi forte.

nessuna è come te Lori”.


sei sempre bellissima” sussurrai al telefono mentre i ricordi prendevano uno spazio sfumato in cui eravamo solo noi.

La sentii assente oltre la cornetta, “Vale?”.

devo andare Lori” mi ricordò tutt’ad un tratto, come se anche lei si fosse appena risvegliata da un lungo sonno, “devo ancora truccarmi, e farmi i capelli .. sai, rendermi presentabile”.

hai tutto il tempo del mondo, resta ancora un po’ con me” la supplicai debole.

La sentii sospirare, “ho solo un’ora. Voglio essere perfetta … e poi, non si arriva in ritardo ad un primo appuntamento”.



continuo a non capire perché tu ti impegni tanto per qualcosa che a lui non tange minimante” sbuffai mentre la sua mano stringeva parte della mia manica per trascinarmi dentro l’ennesimo negozio di dischi.


smettila di usare parole complesse” mi rimbrottò distratta, “sono le nove del mattino, solo termini elementari grazie”.


Sbuffai infastidita, togliendomi una ciocca di capelli dal viso con la mano libera mentre, possessivamente, mi trascinava di nuovo tra gli scaffali dedicati alle compilation dalle copertine rosse.

è solo perché con lui sei costretta ad usare monosillabi vero? Scommetto che non è in grado di creare una frase con più di un tempo verbale nella forma presente” supposi saccente lanciando un’occhiata di desiderio all’altra parte del locale.

Quella con i gruppi rock anni 90.

Non diede segno di nervosismo mentre spulciava con precisione maniacale la lista di innumerevoli e zuccherose canzoncine romantiche che proponeva il disco.


sa parlare in italiano” mi infornò alla mia insinuazione piuttosto diretta.

anche mio cugino di sei anni” le ricordai, “eppure non è la prima persona che chiamerei per una discussione diplomatica”.

Fece finta di non sentirmi mentre si alzava sulla punta dei piedi per arrivare ad uno scaffale alto, nella speranza di recuperare un cd dalla copertina mostruosamente rosa con tramonto e gabbiani sullo sfondo.

sai cosa intendevo”, mi ricordò saggiando i centimetri mancanti all’oggetto dei suoi desideri.

Sospirai delusa, prendendole senza sforzo l’orribile cd e mettendoglielo tra le mani.

I suoi occhi attenti mi fissarono per qualche secondo prima di cedere alla tentazione di un sorriso.

perché fai così Lori? È solo un regalo”.

Mi strinsi nelle spalle rassegnata, “il terzo della settimana” le ricordai.

Sbuffò tornando ad immergersi nella lista delle canzoni, “erano sciocchezze. Questo è importante, domani sono quindici giorni” mi ricordò come se non fossi costantemente aggiornata ora per ora del tempo passato al loro primo incontro.

capirai”biascicai monotona, lei arricciò il naso senza degnarmi di un’occhiata.


La sentivo sempre più assente.

Nella sua piccola testa riccia c’era sempre lui.

O il cellulare che poteva squillare per mano sua.


C’erano le cose che poteva fare per rendere memorabile ogni nuovo momento insieme, e nient’altro.

Davvero nulla che mi riguardasse.


Non c’ero io.

Io ero solo il condimento sarcastico al suo estremo romanticismo.

Ero la persona da chiamare nei dubbi più inutili.

Quella che avvertiva quando non la contattava ogni di dieci minuti.


Non c’era più la nostra complicità e i giochi.

Né il chiamarmi perché era ad un passo da una crisi isterica alle otto di sera senza sapere cosa preparare per cena e la dispensa vuota.


O accettare con un sorriso i miei regali.

Trovare senza motivo i suoi nella cassetta delle lettere.

Una cosa tutta nostra che avveniva con una frequenza incredibile.

Che ci faceva ridere a fine mese per l’incredibile quantità di oggetti assurdi che ci popolavano le rispettive camere.

La dispersione totale delle paghette settimanali.

Tanto da ridurci a prometterci di non regalarci mai più qualcosa che non fosse costruito con le nostre mani.


I miei braccialetti in rame per il suo polso sottile.

I suoi disegni ironici con grandi cuori che incartavano tavolette di cioccolata.


Lo scambio del tutto disinteressato, spontaneo.

Il donarsi.


Lui che le aveva regalato solo una misera rosa fin ora.

Lei che sembrava volerlo comprare a forza di regali misteriosi cercati per tutta la città.


se tutte le coppie di mia conoscenza festeggiassero ogni quindici giorni il loro benedetto incontro giuro che metterei su un negozio di articoli per coppiette” ribattei caustica al vuoto.

Aspettò un paio di secondi prima di alzare il capo verso di me, e nei suoi occhi trovai solo le parole che avrebbe voluto sentire.

Nient’altro che l’unica cosa che l’avrebbe resa felice.

E che mi avrebbe distrutto il cuore.


prendi questa” le proposi calma, senza ironia nella voce.

Le mie mani stringevano un album quasi anonimo di un blu intenso, “almeno qui c’è Iris dei goo goo dols”.

La sua mano strinse leggermente la mia mentre prendeva il cd con un sorriso sicuro.

Lontano da tutte le sue ansie.



sei gelosa”.

Guardai Frank con quotidiano sarcasmo mentre imperterrita continuavo a sfogliare un libro preso a caso dallo scaffale come se fosse il mio preferito.

che incredibile e originalissima osservazione” gli risposi fintamente sconvolta, “credimi, oltre te e un qualsiasi passante di media intelligenza non ci sarebbe arrivato nessuno!”.

Il mio migliore amico sbuffò leggermente irritato, il corridoio della libreria dedicato al 900 era deserto in quel momento.

vorrei che non fossi così sarcastica a volte, lo sai?”.

Mi strinsi nelle spalle indifferente, “e io che credevo fosse la mia qualità migliore”.

Frank sbuffò teatralmente aggiustando un libro fuori dalle righe. La sua ossessione per l’ordine era il mio cruccio di sempre, e non solo perché il caos era il mio migliore amico.


e allora cosa ti aspetti che ti dica esattamente?” mi domandò svogliato.


Spostai di nuovo il libro appena allineato solo per il piacere di contraddirlo.


voglio che mi dici cosa fare Frank. Voglio che mi metti le mani sulle spalle mi guardi negli occhi e mi dici a chiare lettere quello che devo fare adesso”, abbassai lo sguardo, “perché io non lo so più”.

Sospirò tristemente, spostandosi davanti a me con un passo breve.

Mi poggiò delicatamente le mani sulle spalle, facendomi prima alzare il viso verso di lui e costringendomi a guardarlo negli occhi.

devi dimenticarla Lori”.

Il mio cuore si strinse in uno scatto spasmodico.

devi dimenticare. O lei, o ciò che provi per lei. Non hai scelta, non hai alibi. Trova la cosa più facile da fare, quella che ti farà meno male e falla. Perché è il tuo unico modo di vivere ancora dopo questa storia”.

Lo fissai per un attimo in silenzio, prima di divincolarmi dalla sua presa gentile con uno scatto delle spalle rigide.

no, non mi piace”.

Sbuffò infastidito mentre mi strattonava il braccio in un gesto secco, “non c’è un ‘ritenta sarai più fortunata’, io ti avevo detto che era il caso di dirglielo quando eri ancora in tempo. Prima di …”.

non dirlo” gli strillai contro.

non dirlo come se …” mi mancarono le parole liberandomi della sua presa, “come se non ci fosse soluzione. Come se non si potesse tornare indietro”.

Ritirò la mano offesa con insolita lentezza, guardandosi schivo intorno a noi.

ascoltami bene Lori, io ti dico solo le cose come stanno, adesso ha un ragazzo. Lo capisci? Un uomo. Ha scelto, quindi ha irrimediabilmente fatto il primo passo verso una preferenza definitiva”.


Lo guardai con odio.

Gli girai le spalle.

Qualcuno in fondo al corridoio dei fantasy osservava compiaciuto l’ultimo libro di una inutile sega vampiresca.

Nonostante tutto provai pietà per lui.


nulla è per sempre” ribattei fiera, “neanche la morte”. *


Lo sentii prendere fiato dietro di me, cercare le parole giuste mentre recuperavo il coraggio necessario per tornare a guardarlo.

Affrontare la realtà.

dovresti smetterla di guardare film così assurdi” mi sorrise aggiustandomi una ciocca di capelli in cima alla testa.


Con un respiro trattenuto mi buttai su di lui, trattenendo il suo corpo esile tra le braccia mentre mi poggiava il mento sulla spalla e mi stringeva forte.

Più del necessario.

Abbastanza da ricordarmi di essere li, con lui, tra miliardi di pagine stampate e storie con un finale felice.


non dirmi, te l’avevo detto” sussurrai alla sua felpa.

Lo sentii sorridere, con un soffio sul mio collo.

andrà tutto bene …” mi rassicurò dolcemente, “ … tutto bene”.

Respirai a fondo il suo profumo.




*Da: Parnassus,l'uomo che voleva ingannare il diavolo

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Capitolo 4
*** 4 ***


Un mese.

Trenta lunghissimi giorni.

 

Controllai di nuovo la data sul display.

 

Era davvero passato un mese.

 

Quella mattina mi aveva lasciato solo un messaggio, io, reduce di una sbronza colossale ero rimasta a letto più del dovuto, perdendomi la sua sveglia mattutina.

L’allegria che mi serviva per alzarmi fiduciosa del nuovo giorno.

 

“vado a casa sua. Mi ha invitato per tutto il giorno, i suoi sono fuori città a quanto pare … ti chiamo appena torno. Baci”.

 

Continuai a leggere il suo messaggio, una, due, tre volte.

Lo imparai a memoria, ancora stesa a pancia in giù, tra il cuscino messo di traverso e le lenzuola stropicciate.

Poi controllai il calendario sullo schermo del cellulare e ricominciai a fare i conti.

 

Un mese dal loro primo incontro.

 

Strinsi i denti costringendomi a non pensarci mentre la verità scavava sempre più a fondo dentro il cuore sigillato in una scatola troppo piccola.

L’avrebbero fatto.

Si sarebbe data a lui, per la prima volta.

Nulla sarebbe stato più lo stesso.

 

Il nodo alla gola si fece più stretto mentre tornavo a posare il cellulare sul comodino, cercando il buio soffocante delle coperte.

Il lenzuolo stretto intorno al corpo che da poco più di un anno non era più intatto.

 

Nei miei ultimi ricordi il ragazzo che mi aveva vista vergine per l’ultima volta conservava gli occhi bassi e il viso sfatto dall’incredulità.

 

L’aveva circuita per mesi con inutili bugie, di tutto pur di farla stare con lui.

Solo che il suo concetto di fedeltà stonava non poco con quello che aveva la mia migliore amica.

Per questo una volta scoperto che il suo ragazzo stava con metà del nostro corso di laurea l’aveva lasciato.

Con una scenata memorabile che gli era costata metà dei suoi appuntamenti di facoltà.

 

Chissà perché proprio lui mi aveva presa in simpatia.

Non abbastanza da provaci con me, ma fin troppo da raccontarmi cose di lui che non avrei mai dovuto sapere.

Come quelle che, in un modo decisamente contorto, avevo fatto scoprire a Vale, permettendogli di capire quale inutile merda aveva provato ad approfittare di lei.

 

Lui non l’aveva mai scoperto, credeva ancora che gli fossi amica.

Che, stranamente potessi capirlo.

Mentre il mio unico obiettivo era proteggere Vale dalle sue mani consumate, a costo di fornirgli altra carne fresca con cui stordirsi.

 

Non mi ero accorta che proteggendola gli stavo solo fornendo un modo per desiderarla.

Privandola alla sua vista aumentavo il suo desiderio.

Trovandogli distrazioni lo indirizzavo verso un’ossessione.

 

Così un mese dopo averla persa mi confidò di esserne innamorato.

Come mai lo era stato nella sua vita.

Come mai più sarebbe potuto accadere.

 

E se da un lato lei lo malediva, dall’altro lui la reclamava.

Lasciandomi in mezzo, coinvolta in una guerra in cui mi ero arruolata immediatamente, senza definire bene per chi lottare.

 

Ancora incattivita per tutte le volte in cui lei si era rifiutata di vedermi per incontrarlo, addolcita, persino lusingata, dalle telefonate di lui, che mi investivano del suo amore negato.

Lo stesso che sentivo di condividere, anche se ancora non potevo dargli nome.

 

Fin quando lui riprovò a contattarla, e, come da copione, lei lo mandò ferocemente verso un paese molto lontano.

 

Non so ricordare quanto tempo rimasi chiusa con lui nella sua stanza quel giorno, in ascolto dei suoi farfugliamenti senza senso. Sull’insondabile vuoto che gli scavava una voragine nel cuore.

Di tutte le lacrime che non avrebbe mai versato.

 

So solo, che in quell’attimo capii che non sarei mai stata così simile a qualcun altro come con lui.

 

Mi avvicinai a lui con una consapevolezza scura dentro di me.

Della condivisione di un amore che non avrebbe mai visto la luce del sole.

 

Spensi la lampadina solitaria del soffitto e, a tentoni, gli presi la mano, conducendolo a letto, chiedendogli di stendersi.

 

Non c’erano domande da parte sua, non un piccolo dubbio mentre qualcosa di oscuro ci stringeva a vicenda.

E la verità assoluta di essere soli ci invadeva.

 

Lo spogliai al buio.

Dimenticando al tatto i suoi muscoli, immaginando un’altra pelle.

Sentendo altri sapori mentre ne lambivo le labbra e cercavo anch’io uno straccio di nudità tra i miei peccati.

 

Lo sentii esitare un attimo prima di stringermi di rimando.

Sentendo solo carne e sangue tra le sue mani.

 

“l’ami?” gli chiesi trattenendo il respiro.

“prima non conoscevo l’amore” rispose contrito, cercando la posizione adatta ad entrarmi dentro.

Cercare sotto l’armatura lucida delle mie battaglie il punto estremo in cui ferirmi, e farsi del male.

Un modo come un altro per soffrire così tanto da ricordarsi di essere vivi.

E darsi speranza.

 

Il suo sudore era amaro sopra le mie lacrime, mentre perdevo tutto ciò che ero.

Nella speranza di non doverlo mai dare a nessun altro.

E non soffrire ancora così intensamente per un amore non consumato.

 

 

Nei miei ultimi ricordi lui è solo il mezzo con cui ho deciso che non sarei stata mai più con un uomo.

 

Anche se nessuno lo sa, neanche Frank, che crede ancora nelle fasi di passaggio come i bambini credono alla fata dei dentini.

 

Nessuno sa che il sangue versato sul letto della mia prima volta era solo quello del mio cuore che si chiedeva davvero per cosa valesse la pena battere.

 

Nei suoi ultimi ricordi lui è il mostro che io ho stranamente protetto dalla sua furia, ma che ho allontanato con perseveranza da un incantesimo potente.

Che l’ha cancellato dalle nostre vite in uno schiocco di dita.

Senza più la paura di incontrarlo anche solo per sbaglio nei corridoi sempre affollati della nostra facoltà.

 

Il mio unico peccato è come se non fosse mai esistito, mentre la sua gioia fioriva ancora.

Nel sentirmi di nuovo vicina, pronta a perdonarmi un allontanamento improvviso senza causa apparente.

 

 

Riaprii gli occhi, dovevo aver dormito molto.

O molto poco.

La testa ronzante mentre cercavo cautamente di non pensare.

Allungai il braccio fino al comodino recuperando il cellulare.

Un decina di messaggi, e non uno per mano sua.

 

Li cancellai tutti, senza guardarli.

Mi girai dall’altra parte del letto, chiudendo gli occhi.

 

Sognai.

Sognai il suo corpo minuto sul letto da campeggio di fronte al mio quando andavamo a dormire nella casa al mare dei miei.

Ha sempre dormito raggomitolata, con i pugni stretti al petto e le ginocchia piegate su se stessa.

Una posizione che mi faceva venire sempre voglia di alzarmi e stringerla a me, nella speranza che si sentisse sicura e protetta.

Che abbandonasse quell’aria corrucciata che aveva nel sonno e mi concedesse un sorriso.

 

Non lo feci mai.

 

Nelle infinite notti insieme non allungai mai la mano sulla sua fronte a controllare se fosse tiepida anche quando dormiva.

Lei era il mio sogno intoccabile, eppure vicino.

Quando mormorava parole insensate nella notte e io passavo intere fasi lunari a scriverle accanto, silenziosamente, sperando che non si svegliasse.

 

Sognai di una notte qualunque con lei, e mentre osservavo una stella lontana la sentii muoversi nel sonno, con un sospiro lungo, costringendomi a guardarla.

Il pigiama dalle bratelline sottili le era scivolato di molto sul petto rivelando la curva dolce del seno.

La conoscevo a memoria.

Avrei potuto parlare con minuzia di ogni parte di lei.

Eppure quel dettaglio mi stravolse l’anima.

E dentro di me mi chiesi perché non potessi semplicemente scivolarle accanto e accarezzarla leggermente mentre dormiva.

Nell’intuitiva certezza che non si sarebbe svegliata se avessi fatto piano.

 

Maledissi la luna per essere così beffardamente fredda nelle mie notti d’estate.

Mentre lei, che poteva essere mia, doveva restare inviolabile.

 

Non stavo più sognando.

Era un ricordo, troppo vivido, troppo impresso nella mente per poter essere ignorato.

 

Nessuno avrebbe dovuto avvicinarsi a quella pelle.

Saggiare la morbidezza delle braccia, la pelle liscia del ventre e la curva dei seni.

Nessuno avrebbe dovuto toglierle il calore insolito che le colorava le guance quando si alludeva al sesso.

L’infantile riserbo che aveva nelle piccole cose, la delicatezza delle parole inventate per non essere diretta.

Nessuno avrebbe dovuto intaccarla.

Nessuno.

 

Il cellulare accanto a me vibrò insistentemente.

Una chiamata.

Il sonno mi impastava la voce e annebbiava gli occhi.

Un dito schiacciò il tasto verde senza l’accortezza di leggere il nome impresso sullo schermo.

 

Ma la sua voce, il suo respiro di gioia, dicevano tutto.

“Lori … l’abbiamo fatto!”



Grazie a Nikkai che ha deciso di seguire questa storia.

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Capitolo 5
*** 5 ***


"quanto è grave?" domandò una voce metallica dal microfono del telefono.
Sentii la risposta di Frank grattarsi nella gola mentre controllava qualcosa vicino la mia testa.
Non potevo vederlo, il piumone mi avvolgeva come un bozzolo di un bruco che si ostina a rimanere crisalide.
"ci sono circa venticinque libri sul comodino, ed è due settimane che non esce di casa … vedi tu".
La voce, al telefono del mio migliore amico sembrò arrendersi sospirando stancamente.
Anche io ero stanca.
Che quella masnada di petulanti ragazzini che continuavo a considerare la mia seconda famiglia mi perseguitasse in quel modo.
Che contassero persino quanto libri avessi letto in reclusione per controllare quanto stessi cercando di estraniarmi dal mondo.

Mi tolsi una parte dei plaid che erano la mia unica fortezza contro il gelo che sentivo dentro e controllai cosa stesse combinando Frank alla mia povera stanza.
Sapevo di essere patetica, infagottata nella mia felpa della Duff di tre taglie più grandi, i capelli completamente privi di logica e sguardo socchiuso nella rabbia sonnacchiosa dell’intrusione.

Mi sorrise comprensivo, ma io preferii distogliere immediatamente lo sguardo dai suoi occhi nocciola.
Non potevo sopportare di vedere un’altra anima che non fosse quella di Vale.
Della sua voce ormai non mi restava che il ricordo.

C’era qualche messaggio, sempre più di rado, che riusciva a mandarmi a stento tra una maratona sessuale e l’altra con quell’idiota che sembrava averle ridotto la volontà ad un fragile pensiero.

Non mi sarei stupita se l’avesse persino legata al letto.

Disgustata dell’idea mi voltai sull’altro fianco, cercando di ovattare la presenza di Frank oltre le coperte.
Tirandone forse un po’ troppe oltre la mia testa.
Lo sentii trattenere il fiato sconvolto prima di rivolgersi secco al suo interlocutore.
"ti chiamo dopo".



"otto quaderni Lori!".
Strillava convulsamente da mezz’ora.
Continuai a chiudermi nel lenzuolo, quasi fosse una seconda pelle.

Lo sentii frugare ancora sotto il mio letto, il mio rifugio segreto.

"otto quaderni pieni" rincalcò petulante, "e quello cos’è? Non mi dirai che hai riletto la trilogia di quel visionario di Tolkien!".
Cercai di raggomitolarmi ancora di più, ma la determinazione di Frank vinse e mi ritrovai a terra, annodata insieme alle coperte mentre lui, con aria indignata indicava la pila di quaderni stropicciati che erano il mio personale canto del cigno.

Il mio fiume di parole su quel vuoto dentro che dovevo colmare prima di implodere.

"questa è autodistruzione!", continuò a pieni polmoni, e per un attimo sperai che mia madre dal piano di sotto venisse a salvarmi.
Una mera fantasia.
La mia genitrice oltre ad adorare Frank era perfettamente d’accordo con lui.
Aveva passato gli ultimi quattordici giorni a bisbigliarmi all’orecchio che nulla fosse così irrimediabile da ridurmi così.

"noi adesso usciamo!", strillo inviperito puntandomi il dito contro, "ti do cinque minuti per farti una doccia e vestirti" mi ordinò risoluto prima di voltarmi le spalle e piantonare la porta.
Lo vidi ripescare il suo cellulare dalla tasca dei jeans e trovare un numero tra le chiamate perse.

"Tony? … ci vediamo tra un’ora al black cat … sei ancora in contatto con Nere?".



Non so come riuscii a vestirmi, con quel pazzo isterico che mi ritrovavo come amico che mi sfilava abilmente dalle mani ogni cosa che avesse le maniche lunghe o permettesse alle gambe di essere coperte.
Mi agghindò con spirito leggero, legandomi personalmente catenine lunghe al collo, sopra il top scollato e gli short di jeans.
"Stivali" strillò contento mentre mi lasciava da sola a truccarmi, più per salvaguardare i miei poveri bulbi oculari che piangevano ancora al ricordo dell’ultima volta che aveva cercato di infilarmi lo spazzolino del mascara dove non avrebbe dovuto.

Dall’apatia ero passata alla rabbia.
Una rabbia secca e controllata.
Che non potevo sfogare con Frank, a cui non potevo dare forma in casa mia.
Tanto valeva affidarsi a quei pazzi dei miei mici e bruciare la città in una notte sola.
Finii di applicare il rossetto mentre Frank entrava in camera con i miei anfibi alti.
Fischiò ammirato.
"sei uno schianto tesoro".



Il locale non era neanche il solito, ma uno strano pub che si trasformava in discoteca in un’abside sul fondo.
In effetti ricordava vagamente la struttura di una chiesetta di campagna, con le sue piccole nicchie piene di divanetti e la navata occupata dal bancone del bar.

Una mano sottile dalle unghie troppo rosa per essere naturali si alzò sopra la folla indicandoci un tavolo.
Incastrati tra i pochi posti morbidi disponibili c’erano Tony e il suo ragazzo, un paio di ragazzi conosciuti in giro per la facoltà di lettere, e una ragazza.
Frank con una mossa strategica mi fece sedere immediatamente accanto a lei.

"Lori, lei è Nere" ci presentò allegramente Tony con un gesto disinvolto della mano.
Si, le unghie del mio amico erano decisamente rosa.
"Nere, questa è la mia Lori" rincalcò soddisfatto.
Con l’aria di chi ha appena combinato il matrimonio più facoltoso della storia.

La ragazza mi guardò negli occhi con un sorrisetto che mi irritò.

Era strana.

I suoi capelli rossi erano strani, e anche le sue iridi stranamente scure lo erano ancora di più.
Un insieme di stranezze che mi diede sui nervi.

"che razza di nome è Nere?".



I ragazzi mi guardarono mortificati.
La coppia di sconosciuti con una scusa non ben delineata scomparve immediatamente in pista, lasciandoci da soli al tavolo a tenergli le borse e i drink lasciati a metà.
Alla faccia della buona educazione.

"è un diminutivo", mi spiegò la ragazza senza curarsi dell’aria imbarazzata che invadeva il tavolo a fiotti.

Caldamente ignorata da tutti nella speranza di evitare la rissa.
Frank pensò bene di scusarsi allungando una mano sulla mia spalla e guardandola negli occhi, ma Nere lo bloccò sul nascere.
"mi chiamo Serenella, ma siccome il mio nome non è il massimo …" continuò giocherellando con la cannuccia del suo cocktail.

Risi acida del suo nome da fatina cicciona, in effetti era piuttosto in carne.
Non grassa ma tondeggiante, quasi morbida.
Senza però quell’aria di vago imbarazzo delle persone con qualche chilo di troppo, anzi, sembrò compiaciuta della mia occhiata su di lei e sulla scollatura vertiginosa che le mostrava l’inizio dei seni.

Cosa stava cercando di fare?
Sedurmi?

"ci credo, è un nome ridicolo" le assicurai rilassando la schiena contro i cuscini dietro di me.
I denti mi stridevano mentre le dita di Frank sul mio braccio si stringevano a cercare una spiegazione ad un attacco così diretto.
"sei sempre così sincera Lorena?" provò a chiedermi sbagliando clamorosamente.
Risi, del suo tentativo a vuoto, "solo quando mi presentano persone così improbabili che rifiutano persino il loro nome".
Sogghignò cautamente, scoprendo i denti in un barlume di consapevolezza.
"io non rinnego il mio nome Lorella" riprovò senza alcun successo, "tu piuttosto …".
Mi sporsi istintivamente verso di lei, vidi il mo sguardo deciso riflettersi nei suoi occhi.
"nessuno può dire il mo nome completo" la informai, "porta guai".
"come una maledizione?"
Le sorrisi digrignando i canini, "ho sangue egizio nella vene" *.
"sei maledettamente boriosa lo sai?" mi domandò con leggerezza abbandonando il suo bicchiere.

"ehm, ragazze" cercò di intromettersi Frank alzando i palmi tra di noi quasi a contenerci.

"almeno io ho motivo per darmi delle arie" le risposi a tono.

Tony cercò disperatamente di sviare il discorso tossicchiando tra se, ignorato da tutti.

"davvero? Non vedo l’ora di avere una dimostrazione pratica delle tue straordinarie capacità" mi sfidò con uno strano scintillio nello sguardo scuro.
"anche subito" concordai alzandomi in piedi di scatto.

Scoppiò in una risata, alzando il mento e chiudendo gli occhi, i capelli rossi le scivolarono lungo la schiena.

"andiamo Nefertiti, portami a ballare".

La mia mano scattò immediatamente verso la sua, costringendola ad alzarsi, mentre i miei amici rimanevano con la bocca spalancata a chiedersi cosa mi fosse preso.



L’ultima volta che avevo ballato su una pista da discoteca c’era un altro suono nella mia testa.
Altri colori, più calore.
Il profumo di fiori selvatici di Vale tra i suoi capelli danzanti, sulle piccole spalle che si scuotevano sotto l’influsso di una canzone dalla fama effimera.

Potevo stringerla per gioco allora.
Permettere alle mia mani di intrappolarle i fianchi e tirarla a me, lasciando solo occhiate assassine a chiunque cercasse di avvicinarsi a noi.
Due ragazze sole al centro della pista attirano sempre l’attenzione.
Lei rideva.
Era il nostro momento di assoluta liberà.
Potevo stringerla, e costringerla a ballare.
Potevo prenderle la mano e sfiorarle il volto davanti a tutti.
Potevo prendermi il lusso di guardare i ragazzi sbavanti accanto a noi e ridere di loro.
Nella tranquilla sicurezza che sarebbe rimasta con me fino all’ultima canzone.

Questa volta era diverso.
I capelli di Nere mi sfioravano appena la guancia quando girava su se stessa in una piroetta controllata.
Profumava vagamente di lampone, in perfetta concordanza con la sua chioma di rubino.
Il suo sguardo insinuante nel mio mentre cercavo, già pentita, di ritrovare gli altri in pista.

O che Frank e Tony, dopo shock venissero a prendermi con una scusa blanda.

Ma come sempre, nel momento del bisogno, qualcuno a salvarmi dai guai non era mai disponibile.
Nere agganciò i passanti della mia cintura con la punta delle dita facendo aderire i nostri corpi.
Sentii i muscoli contrarsi involontariamente mentre il suo bacino sfiorava il mio.

Le sue dita giocarono distrattamente con la fibbia dei miei jeans, quasi a fingere di aprirla.
"cosa stai cercando di fare?" la rimproverai dura, cercando di reprimere nella mia mente la scena di cosa sarebbe successo se lo avesse fatto davvero.
Il suo sguardo furbo indagò sulla piega dura delle mie labbra prima di sorridermi innocentemente.
Abbassando le mani dalla chiusura per scendere deliberatamente sulle mie gambe, dove la mia pelle scoperta si ritrovò inerme alla sua stretta.
Arrossii in modo talmente incontrollato che scoppiò a ridere.
Potevo sentire i cristalli della sua voce oltre i bassi della musica.

"paura mia egiziana?" mi sussurrò all’orecchio alzandosi sulla punta delle sue scarpe col tacco.
Cercai di negare mentre inspiegabilmente mi scostava i capelli dal collo per avere più pelle scoperta da sfiorare con le labbra mentre parlava, in modo del tutto casuale.
"non devi" mi rassicurò, le sue mani mi stringevano le spalle per mantenersi in equilibrio, mentre io restavo ferma in un circolo in movimento.
"non devi avere paura di me", continuò sottile, adesso la sua bocca stava davvero sfiorando il mio collo.
"né di te".



Mi trascinò in un angolo buio.
Come facesse un locale così affollato ad avere luoghi così vuoti non mi era concesso saperlo.
Costringendomi arretrare fino al muro, nell’oscurità appena trovata dopo i flash della pista c’era solo il verde di una luce di emergenza.
Il suo corpo si gettò sul mio, certo di essere sorretto, mentre mi chiedevo cose ne fosse della mia rabbia in quel momento.
Mi insinuò una mano tra i capelli, le sue dita che ne sceglievano una ciocca per arrotolarla intorno all’indice, obbligandomi a non distrarmi, a non lasciare i suoi occhi che ridevano divertiti.
Alzò il viso verso il mio puntando alle mie labbra, ma qualcosa la fermò ad un attimo prima del contatto, costringendola a domandare.
"cosa c’è?"
Respirai appena, quel tanto che mi permetteva il suo corpo contro il mio, i suoi seni in corrispondenza dei miei mi bloccavano il fiato, eppure non era per quello che sentivo una morsa stringermi il petto.
"non ho mai …", cercai di spiegarle mentre con la mano libera risaliva il mio profilo fino al collo, potevo sentire le unghie curate lasciarmi tracce indelebili sulla pelle.
"beh, direi che è il momento di provare allora" mi suggerii arrampicandosi ancora di più su di me.
Le sue mani si intrecciarono senza sforzo sulla mia nuca costringendomi a chinare il capo e trovare il suo viso.
Le sue labbra sulle mie erano morbide, più di quelle di qualsiasi altra persona che avessi mai sfiorato.

Allora è questo che si prova a baciare una donna.

Le dischiuse per lasciarmi la possibilità di entrare.
Scegliere se approfondire o restare in bilico.
Non mi accorsi di essere già andata oltre se non quando era ormai troppo tardi.
E il cuore batteva in ogni angolo di carne del mio corpo, facendomi sentire con molta più intensità qualsiasi carezza delle sue mani.

Non dovrebbe interessarmi, non è lei, è una ragazza.
Una ragazza.


Le dita di Nere scivolavano tra i miei capelli e il collo.
Dalla spalla al seno, mentre il corpo ormai autonomo faceva di tutto per essere serrato al suo.

A me non piacciono le ragazze. Io amo Vale solo perché è speciale, l’unica.
Io non sono …


Il bacio stava durando da troppo ormai, me ne accorsi dalla pressione dei bacini tra di loro, e il calore che ormai si incendiava da li alle guance.

Improvvisamente si scostò con fare languido, scendendo dalle punte delle scarpe e recuperando un’altezza artificiale contro di me.
Il suo viso si attardò un po’ troppo sul mio seno per guardarmi maliziosa.

"hai sangue greco nelle vene mia cara" **

 

 

 

*Si dice che il nome del faraone Tutankhamon porti sfortuna a chiunque lo pronunci per intero.
*Riferimento a Saffo ovviamente.

N.D.A.

questa storia doveva servire a complicarmi la vita. A farmi da specchio lucido, in cui guardare tutto quello che accadeva intorno a me senza lenti deformanti.

è stato tutto il contrario come sempre.

La storia ha preso vita, e non si accontenta di pagine. Mi ruba giorni interi, strappa le ore a morsi.

E trova strani personaggi da mettere sul mio cammino.

Inutile dire che mi spetta solo essere forte, continuare a vivere e cercare di raccontare.


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Capitolo 6
*** 6 ***


A 16 anni sei piccola e fragile.

A 16 anni hai paura di tutto, di tutti.

Fai finta di essere una roccia, fai finta che non ti importi di nulla, dal riciclaggio dei rifiuti organici alla bomba nucleare.

Ma in realtà ti commuovi per qualsiasi cosa, vai in panico ad ogni brutta notizia.

Fuori sei impassibile.

E a volte lo sei davvero.

Per il semplice fatto che hai così paura di guardare nello specchio e vedere realmente chi sei da fare finta che anche il resto del mondo non sia un tuo problema.


Non ti senti presa in considerazione, capita … amata.


Mia madre, che qualche libro sull’adolescenza doveva averlo letto, mentre preparavamo il pranzo mi faceva fare spesso un gioco.


ti amerei lo stesso, anche se …” cominciava lei.

Io ridevo, perché sapevo già che non ci sarebbero stati limiti al possibile.


ti amerei lo stesso, anche se continuassi a sporcare la cucina come un’orda di barbari tutti i giorni della tua vita” mi rimproverava lei mentre distruggevo un innocente cespo di lattuga nella previsione di un’insalata.


ti amerei lo stesso, anche se perdessi qualche occasione per rimproverarmi ogni tanto” le rispondevo al limite del sarcasmo mentre mi tirava qualche pomodoro dall’altra parte del tavolo.


è inutile che fai così signorinella, ti amerei lo stesso, anche se fossi la più acida delle creature sul pianeta”, mi rimbrottava cinguettando mentre cercava il condimento giusto per la pasta.


mamma”, soffiavo a fatica dopo qualche minuto.

mmh”, rispondeva a bocca piena mentre controllava la cottura degli spaghetti.

mi … mi ameresti davvero anche se …. Anche se …”, non riuscivo a terminare la frase.

Perché i motivi per cui poteva smettere di amarmi per me erano infiniti.

Colpe che tormentavano la mia crescita non ancora ultimata.


Lei mi sorrideva, poggiava il mestolo e mi veniva vicina.

ti amerei lo stesso, qualsiasi cosa tu possa fare nella vita, qualunque siano le tue scelte. Potresti picchiare, uccidere e rubare tutti i cuccioli di dalmata della città per farne una pelliccia”.

Mimavo una smorfia disgustata senza che ne prendesse atto.

e io ti amerei lo stesso”, sorrideva provando a darmi un buffetto sulla guancia.


Lo schivavo sempre abilmente, nel terrore del contatto fisico tipico di quell’età.

Lei si limitava ad alzare gli occhi al cielo mentre tornava alla pentola.


mi ameresti lo stesso, anche se cambiassi religione?”

sei già atea Lori, non credo tu possa fare di peggio” sbuffava rassegnata.

anche se mi dessi al paracadutismo?”

se lo fai chiamami voglio provarlo anch’io”.


Ridacchiava, come se per un attimo avessi dimenticato il suo terrore per l’altezza.


anche se mi facessi un tatuaggio di nascosto?”

a patto che non sia il nome di un fidanzato sulla natica” mi pregava fingendosi esasperata.


e se fosse una lei? … mi ameresti anche se fossi gay?” domandavo con leggerezza.

Un’ombra le passava sul viso prima di rispondermi seriamente.

purché ti faccia felice …” ammetteva ad occhi bassi, per poi rialzarli con una nuova risata il gola.

basta che sia più carina di Mariano, hai dei gusti davvero orridi in fatto di ragazzi tesoro”.



ti sei divertita ieri?” chiese mia madre allungandomi il barattolo della nutella.

Tornai dai miei ricordi per guardarla in viso, in cinque anni non era cambiata molto, ma di me, della sedicenne che ero, non era rimasto granché.

abbastanza, siamo andati in un disco-pub” risposi senza riflettere.

Lei accigliò vagamente le sopracciglia, “ma a te non piace ballare”.

Mi strinsi nelle spalle cercando di adocchiare il caffè.

di solito no, ma ieri mi sono divertita” le assicurai, omettendo la parte il cui avevo costretto Frank ad abbandonare il locale per riportarmi immediatamente a casa prima che Nere al bar finisse di ordinare la sua birra.

hmm …” si lasciò scappare perplessa con un cucchiaino di yogurt in bocca, “è bello fare nuove esperienze, così puoi capire se ti piacciono o meno, se vuoi rimanere delle tue convinzioni o se preferisci cambiare”.


Mi affogai con il caffè.

tutto ok Lori?”.

Cercai di recuperare fiato mentre la mattina prendeva una piega decisamente imprevista.

si … tutto ok”.



tu dici che …” borbottai a Frank mentre percorrevo ancora una volta il perimetro della mia stanza.


Lui, comodamente seduto sul mio letto fingeva di aggiustarsi le unghie con il mio set di manicure.

Una cosa che in casa sua non poteva fare liberamente.


io non dico niente Lori, tu piuttosto dovresti dirmi qualcosa. Potrei sapere per esempio perché ieri siamo vagamente fuggiti dal mio nuovo locale preferito dopo che tu e Nere siete sparite per un tempo incredibilmente lungo?”, mi sorrise indagatore.

Avrei voluto strozzarlo con la mia limetta gommata.

perché … perché non potevo rimanere li con lei dopo che ...” mi bloccai un attimo per controllare l’espressione del suo viso.

Era calmo, e piacevolmente interessato.

I miei pensieri violenti verso di lui aumentarono considerevolmente.


e poi … dovresti davvero spiegarmi perché hai deciso di presentarmela proprio ieri sera!”.


Sbuffò risentito mettendosi ancora più comodo, un cuscino dietro il collo mentre si stendeva.

farò finta di non capire che stai per addossarmi tutte le colpe di chissà quale giochetto riuscito male” annunciò sornione.

in ogni caso, l’ho chiamata perché mi serviva qualcuno che riuscisse a farti riprende dal penoso stato in cui ti sei rifugiata nelle ultime settimane … Nere è … non so perché ma riesce a fare venire i nervi a chiunque la incontri per la prima volta. E tu avevi un disperato bisogno di arrabbiati con qualcuno …”.


Lo guardai sbalordita, “tu hai invitato quella povera ragazza ad uscire con noi solo perché io potessi maltrattarla?”.

Frank mi sorrise luminoso, “assolutamente si”.


Sembrò vacillare lievemente al suono del mio ringhio basso.


oh insomma”, tentò di scusarsi, “sapevo che sarebbe finita così, tu che te la prendi con me solo perché so cosa sia meglio fare in certe situazioni!”.


Avanzai due passi verso di lui costringendolo a ripararsi dietro un cuscino preso a caso.


e comunque non mi sembra che la cosa ti sia dispiaciuta fin quando non siete andate a ballare … se è questo che avete fatto insieme” continuò nascondendo la testa e chiudendo gli occhi in attesa del mio attacco.


Ripresi fiato.

Non valeva la pena sacrificare il mio cuscino preferito.

Aveva ragione.


no in effetti” ammisi sedendomi per terra sul tappeto di lana davanti il letto.

solo che … tutto mi aspettavo di fare ieri sera tranne baciare una ragazza” confidai a capo basso.

Lo sentii scivolare vicino a me e inginocchiarsi al mio fianco, “eh” sospirò imbarazzato, “ti è piaciuto?”.

Alzai gli occhi al cielo rassegnata, “si, e il suo lucidalabbra sapeva di ciliegia *” lo presi in giro.

Scosse la testa rassegnato dalla mia assoluta mancanza di serietà.

dico davvero, perché se è così …”

se è così cosa? Dovrei cambiare il mio stato di preferenza sessuale su face book?” gli chiesi esasperata.

sarebbe un primo passo” concordò lui meditabondo.


Gli assestai uno spintone troppo debole per farlo vacillare anche solo di un poco.


non lo so” ammisi a testa bassa, “non so neanche perché l’ho fatto, io … continuavo a pensare a lei, io penso solo a lei Frank”.


Il mio migliore amico sospirò rassegnato, passandomi un dito sulla guancia, a mimare una lacrima che scendeva inesorabilmente dentro il mio cuore.


lo so” mi sussurrò comprensivo, “ma sono dell’idea che questa esperienza ti sia servita. A prescindere da Vale”.

Mi sentì rabbrividire al suo nome, abbastanza da interrompersi un secondo.

vedila come un’occasione per metterti in gioco, rispondere ai tuoi dubbi”.


io non so più chi sono” gli confidai di slancio afferrandogli la mano.

Me la strinse di rimando, sorridendomi.

essere sconosciuti a se stessi non è per forza negativo Lori” mi rassicurò, “perdere la voglia di capirsi lo è”.


Sorrisi al suo incredibile buonumore.

Alla perfetta sintonia di ogni istante.

Di come cercasse di capirmi da sempre, in qualsiasi sfumatura del mio umore.

Era per questo che eravamo amici, lui sapeva leggermi dentro ogni giorno.


Vale invece permetteva a me stessa di uscire alla luce del sole.

Senza vergognarmi di essere me stessa.


Scossi la testa nel cerchio stretto del paragone e Frank sembrò accorgersene, perché la sue stretta alla mia mano si ammorbidì leggermente.


saprai chi sei solo vivendo Lori”, mi ricordò quieto, “ogni giorno, ogni azione, determina ciò che si vuole e a cosa si prepara il nostro futuro. Devo solo lasciarti andare … perdere tutte le tue maschere prima di poter guardare il tuo volto nudo allo specchio”.

Gli sorrisi, poggiata alla sua spalla.


e tu? tu sai già chi sei?”.

Il suo ghigno nascosto di aprì in uno sfavillante sorriso.


io sono una bellissima principessa!”



*dal testo di Katy Perry –I kissed a girl-


Grazie a littlewhitedevil Nessie Gocciolina per essersi uniti a noi in questa storia.


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Capitolo 7
*** 7 ***


49 giorni.
Era un bel numero per il titolo di un film.

Peccato che la mia personale produzione stesse andando decisamente in malora.
Sentivo la bobina sgretolarsi ogni giro vuoto in più sulla cinepresa.
Gli attori infuriati sbuffare infelici.
Il regista mangiarsi le mani nello spreco di un altro giorno.

Ma a me non importava.
Senza lei non avrei consumato neanche un fotogramma.




"ciao"

Con uno scatto secco del ciack le riprese ricominciarono.
Senza avvertirmi in tempo per riprendere in mano il copione e tornare all’ultima scena.

Vale guardava sorridente il tappetino sulla soglia del mio appartamento senza fare caso a me.
Mi presi del tempo per osservarla, certa che il nuovo zerbino con le arance che salutavano l’avrebbe distratta qualche altro secondo.

Aveva i capelli lisci.
Qualcosa doveva averla convinta che i suoi boccoli non meritavano l’esistenza e la gioia di vivere che regalavano al suo piccolo viso.
Le ciocche castane le scivolavano sulle guance come nastri di seta, adesso troppo lunghi per stare tranquillamente in bilico sulle sue spalle.

Alzò finalmente lo sguardo su di me, arrossendo leggermente di un imbarazzo che non voleva mostrare.
Fingendosi tranquilla.
Mentre un’altra emozione restava nascosta in fondo ai suoi occhi nocciola.

Soddisfazione.

Avrei voluto ucciderlo.

"qual buon vento" riuscii a bofonchiare prima di cederle il posto per entrare in casa.
Controllò moderatamente l’ingresso prima di restare saldamente ancorata al mio zerbino.
"veramente, se non hai nulla da fare in casa, volevo invitarti ad uscire … puoi?".

Afferrai il giubbotto prima di accorgermi che calzavo ancora le pantofole.



"credo che questo possa essere definito come –il ritorno del figliol prodigo- ", riuscii a borbottare chiedendomi se potesse cogliere il rancore dietro il mio sarcasmo.
Stavamo camminando da venti minuti verso una meta sconosciuta e solo leggere nel suo passo che qualcosa di irrimediabile era cambiato le suo corpo aumentava la mia rabbia.

Mi fermò un gomito tra le dita costringendomi a restare in bilico sull’orlo di un marciapiede.
"mi dispiace" scandì lentamente.
Si passò una mano sulla fronte come a cercare un pensiero che le sfuggiva, e io notai un nuovo ombretto sulle sue palpebre.
Di un colore troppo acceso per starle bene.
Per essere la solita Vale.
Quella che sostituiva un intero beauty case con una matita per gli occhi.
Rendendo inutile il resto.

"davvero, è tutto come … non so spiegarlo".
Gonfiò le guance con una smorfia infantile, senza dire altro, incapace di trovare un altro modo per ricucire giorni interi in cui spariva del tutto.

"puoi perdonarmi?" chiese piano.

Guardai la sua nuova maglietta rosa, dei jeans che non le avevo mai visto addosso e che fasciavano in maniera quasi indecente il suo fondoschiena.
Strinsi i denti.

"perdonarti di essere sparita per giorni dopo aver incontrato l’uomo della tua vita senza neanche avere la vaga idea di presentarmelo e capire che tipo di persona sia?" ringhiai a denti stretti.

Sa sentii rabbrividire mentre cercava di non lasciarmi il braccio.

"perdonarti per continuare a tenermi all’oscuro di quello che ti succede, senza mai chiamarmi per avvertirmi di essere ancora viva, o magari anche solo interessarti a come sto io, a quello che mi succede mentre tu sei a fare maratone di sesso estremo con quel bell’imbusto?"

I suoi occhi si riempirono di lacrime.

"perdonarti esserti dimenticata di noi, di tutto quello che ci lega, del fatto che …"

Senza te non respiro.

Lo sguardo mi cadde sul suo polso.
Agganciato potevo notare l’ultimo braccialetto che avevo costruito apposta per lei.
Sospirai pesantemente.

"si", scandii lentamente ad occhi bassi.

Mi abbracciò forte.
Come mai prima di allora.
"mi dispiace Lori".


Continuammo a camminare, solo che adesso la zona che stavamo percorrendo aveva un ricordo.
Sapevo cosa trovarvi.
Ma non perché.

"Vale" mormorai a mezza voce, si strinse al mio braccio senza guardarmi in volto.
"perché stiamo girando da mezz’ora intorno al consultorio familiare?".
Si fermò con scatto secco costringendomi al alzarle il volto con due dita.
"ho un problema" mormorò a mezza voce.
"risolviamolo" le sorrisi accondiscendente.
Si mordicchiò un labbro indecisa, mentre una serie di possibilità si stagliavano nella mia mente.
Una meno piacevole dell’altra.

"sai … non ho ancora avuto il tempo di farmi prescrivere un anticoncezionale" mi sussurrò tenendo gli occhi bassi.
Sospirai al vuoto mentre mi chiedevo perché dovessi sapere anche questo.
"così per ora usiamo il preservativo" mi spiegò lanciando un’occhiata alla targa sul portoncino mezzo aperto.
Guardai anch’io.

Psicologo
Assistente sociale
Ginecologo


"solo che … quando lo facciamo più di un paio di volte di fila …"

Dio perché anche questo?

"non so come dirtelo … diventa tutto un po’ complicato … allora …".
Sospirai cercando di staccarla dal mio braccio.
Lo stava artigliando senza pietà.

"Vale, dimmelo e basta … per favore".
Sembrò ripensarci prima di unire una frase senza senso compiuto.
"hobisognodellapilloadelgiornodopo".
"eh?".
"il preservativo, si è rotto, e adesso ho bisogno della pillola … entro oggi pomeriggio o sarà un casino"

Era già un casino.

Ma lei non poteva saperlo.
C’era solo qualcosa da evitare a tutti i costi.
Perché era già toppo triste l’idea del sesso, senza per questo complicarle tutto il resto della sua vita.

Chiusi gli occhi un attimo, al pensiero di un’intera esistenza senza lei.
Costretta a fare da madre e moglie ad un uomo senza volto.

Lo odiai ancora di più.

"andiamo".
La trascinarmi dentro l’edificio senza aspettare il suo consenso.



La guardai di nascosto mentre scartava velocemente il blister di plastica bianco e ne liberava la pillola.

Forse un giorno diventerà madre.

La soppesò un attimo come a chiedersi se veramente una cosa così piccola avrebbe potuto proteggerla da un guaio così grande.

Ma non oggi.

Ingoiò la sua distrazione insieme ad un bicchiere d’acqua e sorrise rilassata.

Non oggi.



Sulla strada del ritorno i palazzi sembravano sparire, insieme alle case, le macchine, la gente.
Sentivo solo il suo respiro lieve accanto a me.
Il premere distratto dei tasti quando ogni cinque minuti esatti mandava un messaggio.
Per rasserenare l’ipocrita che non era li con lei.

Ma forse era giusto così.

In questi momenti della vita è difficile avere accanto il proprio fidanzato.

C’è bisogno di un’amica.

Io ero quell’amica.
Quella che consigliava e che resisteva al suo finaco nonostante le intemperie della vita.
Quella che c'èra, e che ci sarebbe sempre stata.
Quella che faticavo ad assere ogni secondo di più.

La constatazione mi fece abbastanza male da voltarmi verso Vale.
Camminava tranquilla, una mano in tasca e l’altra ferma sulla cinghia della borsa.
Ed era serena.
Felice.
Appagata.
Ma non per merito mio.

Inutile.

"allora, come vanno le cose …" domandai a vuoto, cercando di ricostruire i suoi silenzi.
"oh, tutto ok … sai tra poco facciamo due mesi …"
"Vale" la interruppi bruscamente.
Mi guardò sospetta da sotto le lunghe ciglia, "che c’è?".
"c’è la possibilità di parlare di qualcosa che riguardi strettamente il tuo ragazzo?".
Sbuffò risentita aggiustando meglio la tracolla, "cosa c’è? Ti da fastidio?".
Strinsi le labbra per non lasciarmi sfuggire un battuta velenosa.
"no, solo mi chiedevo cosa ne fosse del resto della tua vita. Sai, prima che arrivasse quello li avevi anche altre cose raccontarmi oltre a quanto fosse bello fare sesso".
"Lori!" strillo risentita.
La lasciai perdere, procedendo come se nulla fosse.

Un vago silenzio si insinuò tra di noi.

"tutto a posto, i miei stanno bene, nessuna catastrofe imminente o grandinata sul nostro raccolto di papaie sulla riva del Gange" commentò vagamente ironica, "adesso posso parlarti di lui?".
Annuii lentamente, fingendomi indifferente.
Concentrandomi solo sul suono della sua voce.

...

Quando finii di raccontarmi i vent’anni della sua vita ebbi conferma che avrei potuto fare a meno di lui nella mia esistenza.
E probabilmente anche lei.
Se mai avesse pensato lucidamente.

"e non ti ho detto la parte migliore" concluse guardandomi raggiante.
"basta che non abbia un fratello da presentarmi" sbottai stanca.
Fortunatamente avevamo raggiunto casa mia.
"abita nel palazzo di fronte al tuo" cinguettò felice indicandomi l’edificio di fronte.

Oltre al danno la beffa

"ottimo" le accordai caustica, "così quando finirai con lui potrai venire a trovare me".
Annuì convinta, cieca al mio sarcasmo.

"ci vediamo Vale", le accordai cercando di capire quanto tempo mi restava prima di cedere.
"prestissimo" mi confermò sorridente.
Le baciai la guancia.
Ma non aveva lo stesso sapore.



Erano passati solo due giorni, in fondo non poteva non ricordare.
Composi il numero di casa e aspettai i cinque squilli, rispose sua madre.

"ciao Alessandra, c’è Vale in casa?"
"Vale?" domandò perplessa, "è partita dieci minuti fa, dovrebbe già essere arrivata da te".

Non mi aveva avvisata.
Forse era una sorpresa.

"c’è un po’ di traffico in effetti, starà sicuramente cercando parcheggio" cercai di trattenerla mentre guardavo fuori dalla finestra.

Sotto il mio portone la sua macchina.
Scese di corsa aggiustandosi la gonna.
Non controllò nemmeno la mia finestra prima di voltarsi ed attraversare la strada.
Per entrare le portone del palazzo di fronte.

Non stava venendo da me.
Stava andando da lui.

"eccola infatti, sta scendendo adesso" scandii automaticamente alla cornetta.
Sentii un respiro tranquillo di madre scivolarmi nell’orecchio.
"ok, digli di tornare per pranzo per favore" mi chiese distratta prima di chiudere.

Il telefono muto nel pugno mentre un’altra macchina posteggiava accanto alla sua.

Il cellulare vibrò nella tasca ricordando un messaggio.

Coprimi, sono da Mario. Ti voglio bene.







Recuperai vestiti alla cieca, ficcandoli nello zaino con troppa forza.

"ti ricordi di quella mia amica che abita fuori città, Gabriella?" domandai a Frank rincorrendo le parole nella fretta di prendere tutto.

Mi osservò attentamente, alla ricerca di qualche indizio al mio richiamo improvviso.

"credo che accetterò un suo vecchio invito e andrò da lei questo fine settimana. Sai, per respirare un po’ d’aria pulita".

Annuì lentamente cercando di trattenere l’ombra di dissenso dei suoi occhi scuri.

Stava boicottando con la mia parte in fuga.
Gli fui grata per questo.

"si, credo che ti farà bene", mi sorrise tirato.
Il mio braccio circondò le sue spalle per stringerlo a me, in uno scatto involontario di panico.
Lo sentii sciogliere i muscoli del braccio per prendermi dolcemente la mano.
"solo … torna presto, ok Lori?".
Potevo sentire le nocche delle sue dita sul mio palmo contratto.
"non andrei da nessuna parte senza di te Frank"

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Capitolo 8
*** 8 ***


Scesi dal pullman senza nessuna particolare emozione.
Volevo lasciarmi contagiare dal paesaggio, che il cielo vagamente nuvoloso stabilisse il mio umore.
Eppure il sorriso luminoso di Gabriella appena toccai l’asfalto con le mie tennis consumate mi invase con un elisir di felicità.
"finalmente!" strillò alle mie orecchie appena fu più vicina.
Era così bassa che mi costrinsi a non prenderla in braccio per salutarla meglio.
Finiva sempre per procurarmi il mal di schiena stare vicino a lei.
Non riuscivo a credere che stesse da sette anni ormai con lo stesso ragazzo e i loro 90 centimetri di differenza.
Lui era un gigante.
"come sta Piero?" le domandai di riflesso non appena arrivate nel suo quartiere.
Una serie di villette poco pretenziose ma molto accoglienti.
"bene" mi sorrise cercando le chiavi in fondo alla sua borsa preferita, "sta con me, quindi bene".
Sorrisi di nascosto, lui non mi piaceva eccessivamente, ma era simpatico quando stava con lei.
E poi la rendeva felice.
Motivo indispensabile per farmelo sopportare nella sua vita.

"e tu?" chiese canzonaria, come se non sapesse ogni mio contatto con esseri di sesso opposto.
"al solito" mi limitai a risponderle entrando finalmente in casa.

I suoi mancavano sempre per il fine settimana, andavano a trovare qualche parente ad un paio di giorni di distanza, o facevano finta di farlo.
La verità era che si comportavano sempre come adolescenti in calore.
Piacevoli al pensiero, impossibili da guardare.
Gabriella sembrava aver preso da loro.

"ti rifiuti ancora di uscire con qualche bel ragazzo vero?", il mio sorriso approssimativo la convinse a desistere mostrandomi dove posare le mie cose, in una stanza per gli ospiti con due letti singoli.
Con un movimento elegante li unì in un solo colpo.
"così possiamo dormire insieme!" mi strillò abbracciandomi forte.
La strinsi di rimando.
Era adorabile quando voleva.
"ti ho portato una cosa" le confidai liberandomi per correre al mio zaino.

Saltellò giuliva appena si accorse che la vodka nella bottiglia era alla fragola.



"Yeaa!" urlò saltando a piedi uniti sul materasso.
Gocce di vodka saltavano fuori dal bicchiere spargendosi intorno come una pioggia benefica.
Risi senza curarmi di cadere a pancia in su tra i suoi movimenti scomposti.
Fin quando non mi cadde addosso con una mossa fluida e aggraziata.
Anche se il mio stomaco la pensò diversamente.
"sei un disastro Gabri, te lo sei buttato tutto addosso" la avvertii sghignazzando mentre il suo pigiama rosa diventava più rosa a causa della vodka.
Si strinse nelle spalle distrattamente, prima di togliersi il pezzo di sopra del suo vestito da notte lasciandosi ammirare in una canotta elasticizzata giallo canarino.
"Dio, che orribile accostamento di colori" mi lasciai scappare prima di accorgermi che con il riflesso quasi perlaceo della sua pelle in fondo neanche il giallo era un brutto colore.
"vorrei proprio vedere cos’hai tu di speciale per criticare tanto" trillò per fare scena cercando di togliermi la mia maglietta sformata dei Nirvana.
Finsi di scappare in giro per il materasso, ma le coperte arrotolate e la mezza bottiglia di vodka in corpo mi costrinsero a darmi presto per vinta.
Gridò la sua vittoria al cielo brandendo la maglia del mio pigiama mentre rimanevo placcata alle lenzuola nella mia anonima fascia nera che copriva solo il seno.
Giusto perché non mi fosse di impiccio durante la notte.

Gabriella ridacchiò divertita, mentre, ormai senza forze si metteva di fianco a me.
"un giorno mi spiegherai come tu riesca a sgominare la banda di maniaci che attenta alla tua purezza Lori", mi prese in giro buttando la mia povera maglietta fuori dal letto.
"non c’è nessuna orda di barbari alla mia porta Gabri" le assicurai cercando un lenzuolo con cui coprirmi.
Ma tutte le coperte sembravano essere troppo impegnate a giocare a nascondino per occuparsi di noi, perché non ne trovai.
In fondo l’alcol in corpo mi evitava di sentire freddo.
In fondo andava bene anche così.
Poggiata su un fianco a guardare Gabriella disegnarmi qualcosa di confuso sulla spalla.
Con i suoi occhi fissi nei miei, ridenti e lucidi per la sbornia.

"mi sembra improbabile" mi sussurrò, ma forse era solo il sonno.
La bocca impastata.
"perché?" le domandai di riflesso.
Sciolse una ciocca dei mie capelli da dietro l’orecchio destro e cominciò a rigirarla tra le dita come un nastro.
"perché sei molto carina", mi rispose affabile, risi senza motivo al complimento e lei sembrò prenderlo come un segno di scherno perché mi tirò la ciocca con un movimento rapido.
"dico davvero, sei molto carina. Sei così alta … e poi hai i capelli più belli che abbia mai visto. Sono così morbidi" mi assicurò passandoci una mano dentro.
Anche io sfiorai la sua chioma, mi piaceva di più ora che era bruna.
"e poi sono chiari, biondi, ma non troppo … come il miele" constatò soddisfatta mentre lisciava la ciocca pesa in prestito per rimetterla a posto.
Ridacchiai piano, senza sapere cosa aggiungere.
"mi piacciono i tuoi capelli" ribadì senza abbassare la mano dal mio collo.
Potevo sentirla premere calda contro la pelle e l’orecchio scoperto.

Ebbi un déjà vu .

Ma non poteva essere.
Lei era Gabriela, era mia amica da tempo interminabile.
Ed era fidanzata con Piero da una vita.

"mmh" bofonchiai a mezza voce, "magari te li presto".

Lei mi sorrise, in modo dolce, la sua mano passò alla spalla, e poi al seno.
Stringendolo possessivamente.

"potresti darmi qualcos’altro di tuo … non vuoi?" mi sorrise leggera.

Non poteva essere.

Non ebbi il tempo di pensare, una coperta, spuntata da chissà dove, ci avvolse entrambe oscurando il resto del mondo.
Rimaneva solo il suo corpo sul mio, così caldo da chiedermi se non mi sarei bruciata davvero per il resto dell’eternità mentre dimenticavo tutto ciò che non fosse il piacere che mi stava offrendo.



Il mattino seguente mi alzai per prima.
Ed ero triste, così triste che avrei voluto piangere tutte le lacrime che ancora restavano ingarbugliate nel mio cuore da mesi.
Volevo essere a casa e lasciarmi abbracciare da chi, ero sicura, mi volesse bene.
Frank, Tony … Vale.
Strinsi i denti cercando di non pensare a quel nome.
Al mio cellulare vuoto di lei.
Alla mia vita che andava avanti comunque, anche se ogni giorno maledivo tutti gli uomini sulla mia strada per esistere.
Ed avermela portata via.

Avrei voluto stringerla a me, ubriacarmi del suo profumo.
Dirle tutto, tutto quello che provavo, che sentivo per lei, che avevo sentito quella notte sulla mia pelle.
Avrei finito per spiegarle che con lei sarebbe stato sicuramente diverso.
Perché lei era diversa, l’unica.
L’unica con cui …

Lasciai morire il mio pensiero di morte naturale mentre un borbottio scuro mi avvisava che il caffè era pronto.
Riempii una tazzina e cercai di berlo.

Scottava.

Come la mia coscienza.
Come il corpo semi vestito di Gabriella sul mio la notte prima.
Come la voglia di sentire ancora i suoi seni tra le mani, sul palmo fresco.

In fondo non c’era nulla di male.
Avrebbe potuto funzionare, non avevo nulla da perdere.
E poi, mi avrebbe fatto stare bene.

Io non potevo essere felice.

Ma potevo almeno stare bene.

Riempii un’altra tazza di caffè e lo zuccherai, prima di tornare in camera da letto.



Stava rimboccando le coperte del letto.
Il suo letto.
L’altro era già a mezzo metro di distanza.
Un comodino li divideva.

Si accorse di me e del caffè, correndo a prenderlo lasciandomi solo un buffetto sulla guancia come ringraziamento.

Andai a sedermi sul letto sfatto silenziosamente.
Dentro, qualcosa di spigoloso cercava di rotolare via.

Delusione

"hey Lori, non mi aiuti?" domandò ironica raccattando un paio di vestiti a terra per metterli distrattamente su una sedia.
Preferii non risponderle mentre cercavo le parole adatte ad un confronto pacato, garbato e conciliante.

"cos’è successo stanotte?", domandai secca.
Il suo sorriso allegro sulle labbra sembrò gelare appena prima di sciogliersi ancora, più leggero di prima.
"tu cosa credi che sia successo?" mi chiese guardandosi attorno, prima di trovare la colpevole del reato.

Era ancora aperta, vagamente rosata e appiccicaticcia ai bordi.
Una bottiglia vuota.

"abbiamo bevuto" le confermai senza cedere di un passo.
Sembrò accorgersi della constatazione senza adduzione di colpa perché improvvisamente cercò di liberarsi del vetro lucido poggiandolo sbrigativamente sul comodino.

"esatto" mi assecondò cercando di farmi parlare.
Nella speranza che le mie parole risultassero così sbagliate, infondate, stupide, da non poter essere vere.

"cosa abbiamo fatto stanotte Gabri?" le chiesi cercando la verità.
Una qualsiasi a cui appellarmi.

"Dio, ci siamo solo strofinate un po’", mi ricordò concedendosi una risata.
Il mio sguardo cupo la fece desistere, tormentandosi vagamente la punta delle dita.
"non è nulla di grave" constatò pratica.

Il mio silenzio si dilungò tra di noi.

"abbiamo giocato" mi rispose lentamente.
Abbassai lo sguardo, consapevole che, se non l’avessi guardata negli occhi mi avrebbe detto la verità.
"per quello che mi riguarda era un po’ che i pensavo, sai … per provare nuove esperienze".
Una stretta all’altezza del cuore mi rubò tutto l’ossigeno in corpo, ma impedii al mio corpo di tremare.
"ma dopo questa notte ho capito che non è questo che voglio da te, la tua amicizia mi basta, e poi …"
Cercai il suo riflesso sulle mattonelle lucide del pavimento.
Le sue braccia si sciolsero dal petto per tornare a rilassarsi.
Avanzò qualche passo verso di me.
"io sto con Piero da così tanto tempo … sai che lo amo … tu mi capisci vero?".
Un tono supplichevole, incline a non sentirsi deluso.
Come un bambino che non deve dare dispiacere alla maestra.

Mi alzai lentamente.
Ricacciando indietro le lacrime.
Impedendo alle mie mani di artigliarsi a vicenda per non picchiarla.

Rivolsi il viso al suo.
Sulla mia bocca un sorriso comprensivo che nascondeva litri di veleno.
"capisco", le assicurai.



Preferii non spiegarle perché ripartivo immediatamente per la città.
Raccolsi le mie cose e uscii di casa senza fare commenti.
Lei non insistette neanche.




Il cielo era nuvoloso, qualche rombo lontano indicava pioggia.
Il muro a cui ero poggiata solido di mattoni rossi contro le mie nocche.

Un esperimento.
Un giocattolo.


Un sogno troppo vivido in una casa vuota.

Ecco cos’ero.
Fantasia.

La realtà erano le mie mani sbucciate di sangue rappreso quando smisi di prendere a pugni il muro.

E il botteghino delle partenze davanti a me ricordava ai gentili passeggeri che la prossima corsa sarebbe stata in serata.

Era primo pomeriggio.

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Capitolo 9
*** 9 ***



non vuoi restare per cena?” domandò mia madre davanti la porta di casa.

Frank strofinò compitamente un piede sullo zerbino.

mi piacerebbe, ma non credo sarebbe il caso …”.


Gli avevo raccontato tutto.

Con un tono estraneo a me stessa e gli occhi fissi sul pavimento.

Il mio migliore amico che mi stringeva senza che potessi ricambiare.

mi dispiace tanto” mormorava a più riprese, cercando di farmi sentire il suo affetto, mentre i minuti costruivano un’altra barriera tra me e il mondo.


invece si! Lei non mi parla Frank” riuscì a confessargli mia madre cercando di trattenerlo.


La guardai lanciarmi un’occhiata mentre restavo a capo chino seduta al tavolo della cucina.

Aveva paura.

Del mio mutismo sempre più accentuato.

Dei mille modi in cui stavo sfuggendo alla sua logica.

Aveva paura che stessi cadendo in depressione.

Nient’altro che un giocattolo rotto sotto il suo sguardo preoccupato.


trattata come l’ultimo dei gadget sessuali a disposizione in un sexy shop” ero riuscita a costatare amara nel mio sfogo.

Ma non c’era ironia, solo tristezza.

E la certezza di un finale troppo disilluso per quella storia.


si riprenderà Alba”, cercò di confortarla Frank, “ma non ora, e non con noi …”.

Mia madre cercò di indagare per trovare un altro nome in cui sperare, ma il mio migliore amico sembrò negarglielo mentre la stringeva in un saluto rapido.


è lei che vuole”.


.


Lori …”, alzai lo sguardo dal foglio che stavo inopportunamente maltrattando al posto di creare una scena nuova alla mia storia, e trovai i suoi occhi.


Il calore nocciola delle sue iridi mi invase come una ventata d’estate in pieno inverno.

Avrei voluto alzarmi per andarla a stringere.

Per concedermi ancora il privilegio di credere nel sole.

Ma il troppo veleno in corpo mi costrinse a restare seduta, mentre lei, timorosa, restava attaccata alla maniglia della porta.

Quasi a credere che l’avrei cacciata via.


Come avrei potuto?


ciao Vale”.

La mia voce aveva ancora quel tono gelido.

Il tagliente diamante della delusione che mi stava distruggendo la pelle dall’interno.

Costringendomi a ferire chiunque tentasse di consolarmi.

Stavo uccidendo il mio mondo.


Si decise ad entrare in camera mia, a piccoli passi, cercando fugacemente di controllare che tutto fosse a posto.

Se l’ordine sparso dei mie libri raggiungesse le solite altezze, quante penne fossero sparse sul pavimento insieme alle magliette appallottolate.

Chiedendosi, forse, cosa si fosse inceppato nel mio universo.


Lori, mi dispiace da morire se ultimamente … non sono stata molto presente nella tua vita”.


Dispiacere non era esattamente la parola che calzava meglio nella voragine buia che mi portavo nel petto.


ma ti giuro che non ho …”, le lanciai un’occhiata ferma che la convinse a desistere.


I suoi occhi mi sembrarono vagamente più lucidi, ma forse era solo il mio sguardo a non poterla più osservare tranquillamente.

Dopo la consapevolezza che non avrei mai più potuto distrarmi con vecchie abitudini.


in realtà ho decisamente perso il controllo”,ammise piano.


Qualcosa tremava nella sua voce.

Potevo sentirlo, come il battito di una falena che vola troppo vicino alla luce.


io … è la prima volta che mi sento così legata a qualcuno”.


Una corda a doppio taglio mi strinse il cuore più forte.


e non capisco più nulla. Il tempo … il tempo mi sfugge di mano in modo che neanche immagini, perdo il conto delle ore così spesso che sono finita in punizione tre volte nell’ultimo mese per non essere tornata a casa in tempo”.


Mi strinsi rassegnata nelle spalle, lasciando scivolare il capo verso il basso, in un gesto di abbandono.


i miei mi hanno detto che non può continuare così … dicono che sono un’illusa a comportarmi come se la mia vita ormai dipendesse da lui …”.


Ma è la verità.


ma è la verità Lori, è come se … se tutto quello che c’era prima non fosse più importante. Il mio futuro ha senso solo se lui è al mio fianco … tutto ciò che sono, che sarò è …”.


Si accorse delle mie lacrime prima di me.

Correndo ad asciugarle sulle mie guance prima che scivolassero verso il collo, cadendo sulle mani strette tra loro.

Nel vuoto ossessivo che sentivo scorrermi attorno.


Lori … Lori perché piangi? Cosa è successo?”.


Strinsi le labbra nel terrore di lasciarmi scappare anche un solo gemito.

Dovevo rimanere in silenzio.

La mia unica barriera dopo tante parole.


tua madre mi ha detto che non stai bene ma non riesce a capire il perché … io … posso fare qualcosa per te? Qualsiasi cosa sorellina, qualsiasi …”.


Le sue braccia mi strinsero con naturalezza, come se fossero sempre esistite solo per quello.

Per farmi sentire al sicuro.

Mentre altre lacrime andavano a bagnare la sua maglietta in un’angoscia vuota che prendeva ore intere senza lei.

Giorni di cui rimaneva solo il ricordo.


Quelli in cui sapevo chi ero.

Cosa facevo.

Dove volevo andare e con chi.


Lori …” mormorò soffocando il volto tra i miei capelli, il suo profumo ad intossicarmi l’anima, mentre avrei voluto cacciarla via.

Mentre la stringevo più forte.


Si sedette sulle mie gambe come migliaia di altre volte.

Ma il suo peso sulla mia carne mi ricordò il fine settimana, e la consapevolezza di non poterla toccare davvero mi supplicò di trovare altre lacrime.


Per poter accarezzare almeno con quelle la sua pelle.


andrà tutto bene”, mi consolò solleticandomi la nuca scoperta con la punta delle dita.

non ti lascerò più da sola, resterò con te, staremo insieme, andrà tutto bene vedrai …”.

La strinsi più forse singhiozzando, mentre la sentivo tramare nell’impotenza di vedermi così abbandonata a lei.


Io, che ero sempre stata quella forte, impassibile e dura.

Io che mi ero sempre fatta scudo contro il mondo per lei.

Io che crollavo, senza che lei potesse fare nulla per salvarmi.


Rimanemmo abbracciate per troppo tempo, fin quando non finii le lacrime, fin quando non smise di bisbigliarmi ricordi felici in cui eravamo insieme.

Una vita mano nella mano.


ricordi …” cominciava trovando un’altra storia da raccontare.

Annuivo senza costrizioni mentre riposavo il mio povero cuore così pressato contro il suo.


Ricordi.


Il tempo passava lento, lei ancora seduta in braccio a me, con il suo profumo di fiori a proteggermi.



Ricordi quando diventammo amiche?” domandò in un sussurrò appoggiata alla mia nuca.

Potevo sentirne il respiro lento tra i capelli.

eravamo alle medie, il primo anno, e tu eri arrivata in classe da pochi mesi perché ti eri appena trasferita dall’altra parte della città”.


Lo ricordavo bene.

Avevo cambiato casa e scuola.

Avevo cambiato famiglia.

Perché quella con cui ero cresciuta non andava più bene.


agli altri bambini non piacevi molto … eri così nervosa … furiosa … ora so il perché. Perché non parlavi, perché non volevi nessuno accanto a te in quel banco vuoto. Mi piacevi anche allora, burbera e silenziosa”.

Sorrise, annegata tra i miei ricordi amari.

perché si vedeva lontano un miglio che sotto quella scorza di pietra avevi abbastanza coraggio e forza per amare il mondo intero. Per essere una buona amica … una vera amica. Quella che a me mancava …”


Ricordai la sua compagna di banco di allora, una mela marcia in una cesta di frutta acerba.


volevo invitarti alla mia festa di compleanno ma … lei me lo impedì. Mi disse che avresti rovinato tutto. Che nessuno poteva sopportarti …”


Mi stinse più forte in una scusa vecchia di anni, per un torto che per me non esisteva più.


così non ti invitai. E quella sera stessa, alla mia festa, quella che si proclamava la mia migliore amica baciò il mio allora ragazzo. Così, davanti a tutti. Distruggendo ogni certezza. Ferendomi fino all’anima”.

La strinsi più forte mentre cercavo di ignorare quello che forse provò anche quella ragazza. E la sua personale vendetta per quella Vale, quella che ancora la non meritava.


e poi … il giorno dopo a scuola non potevo più sedermi vicino a lei. Così venni da te, e tu … tu non mi chiedesti nulla, ricordo quattro ore senza scambiare una parola … fin quando ti raccontati tutto. Senza preambolo, o interruzioni. In venti minuti ti raccontai la mia vita. Con dettagli che nessuno conosceva davvero di me. Mi ascoltasti in silenzio fino alla fine, fin quando non suonò la campanella della ricreazione. Allora ti alzasti, andasti da lui …”


Trattiene un attimo il fiato sul mio collo prima di ridacchiare bassa.


ricordo ancora i suoi ululati da castrazione sai?”


Anche le mie labbra si curvarono leggermente in un piccolo sorriso.


poi ti avvicinasti a lei per dirgli una cosa che non ho mai dimenticato”.


stai attenta a ciò che farai da oggi in poi inutile essere umano” bisbigliai con voce roca di pianto secco.

perché se provi di nuovo a ferire Vale giuro che non avrò pietà di te” sorrisi nella mia vena omicida di undici anni.


Vale ridacchiò stringendomi più forte.

nessuno aveva mia fatto qualcosa di così dolce nei miei confronti”.

Mi schiarii la voce, “era solo una manaccia di morte”.

ma era per me … capii che nessun altro poteva volermi più bene di te, perché avresti fatto davvero di tutto per proteggermi. Da quel momento ti ho sempre considerato la mia migliore amica Lori”.

Sospirò contro la mia spalla.

l’unica”.



Era buio ormai, l’aria fresca davanti la porta aperta mi assicurava che quella sera avrebbe piovuto.

Vale si sistemò meglio il giubbotto sulle spalle sorridendomi.

tornerò all’università” mi confidò alla fine.

per quanto?”.

Sorrise, nell’evidente successo di essere riuscita a farmi parlare.

tutto il tempo che servirà … devo ricominciare a studiare” borbottò pensierosa, “e poi così potremmo stare più tempo insieme” constatò felice allungando la mano per coprire la mia.

Provai a tendere le labbra in una smorfia che non sapesse di tristezza.

Lori …” mormorò al mio orecchio.

mmh …”

ti voglio bene”.

La strinsi più forte.

ok?” domandò timorosa.

ok”.


N.D.A.

Innanzitutto mi preme scusarmi per il ritardo nell'aggiornamento.

C'è da dire che non è colpa mia, ma di Vale. Che mi ha fatto perdere buona parte del fegato che l'alcol aveva risparmiato, con epiloghi che potrei dire tragici.

La verità è che Lori, e quindi io, ci teniamo troppo.

Inutile dirvi che come sempre le abbiamo perdonato tutto.

Bene, dopo aver addossato la colpa ai miei personaggi penso che sia indispensabile un ringraziamento particolare a

aly5 annALulu ArIa_MaX aya_85 Chastity_Black depre Gocciolina
littlewhitedevil Maharet Nikkai Rebs20
  S chan lucry94Nessie nessuno OverTheHill WickedCams

che seguono questa storia.

Grazie.

ps: risposte alle recensioni nei prossimi giorni.

Promesso


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Capitolo 10
*** 10 ***


"Dio che fame!", sbadigliò per quella che contai essere la ventesima volta in un ora.
Sorrisi, in fondo non era male come record, considerando che erano le due e non eravamo potute uscire da quell’aula dalle prime ore di lezione.
Scese le scale tirandomi per un braccio, come sua abitudine, nella speranza di raggiungere presto la mensa e trangugiare due bocconi appena prima di essere sazia.

Tanta scena per un appetito da cardellino.

"andiamo, o finirai per mangiarti le matricole" acconsentii allungando il passo e scendendo ormai di corsa i gradini di marmo lucido.
Rise a gola spiegata mentre superavamo un paio di studenti con una strettoia studiata.

La folla rumorosa intorno a noi parlottava di materie mai sentite, aprendosi come un movimentato mare di teste fino alle porte a vetri chiare di sole.
Sagome sospese nel riflesso lucido dell’ingresso.

Al centro, perfettamente immobile c’era un ragazzo dall’aria talmente spaesata da ricordarmi me stessa il mio primo giorno al nuovo liceo.
Dopo il trasferimento.
Senza Vale a tenermi la mano, come in quel momento, ancora incastrata nella folla intorno a noi, troppo bassa per non affidarsi alla mia direzione.

Il ragazzo si guardò intorno, cercando qualcosa tra gli universitari di ogni età che, barcollando, abbandonavano l’edificio.
Il pensiero che fosse molto attraente mi sfiorò, perché nei suoi zigomi alti e gli occhi dal taglio a mandorla c’era una bellezza tutta particolare.
Di quelle che si annidano nel dettaglio.

Quel tipo di bellezza che ti colpisce come un profumo troppo forte, lasciandoti imbarazzato a chiederti in quante prospettive potresti scoprire qualcosa di nuovo.

Il mio sguardo fisso su di lui lo incuriosì perché si concentrò sul mio viso, permettendomi di notare uno strano senso di conoscenza, dovevo averlo già visto da qualche parte, come di sfuggita, in un ambiente troppo familiare per dimenticarlo del tutto.

Era troppo alto.

Sciolse le braccia con aria rassegnata prima di lasciare il suo viso aprirsi in un sorriso astuto.
Ma nonostante fosse ancora voltato verso di me non ero io la causa della sua gioia.
La presa di Vale nella mia mano cessò all’istante mentre correva verso di lui.

La vidi saltargli letteralmente in braccio, superando parecchi centimetri di differenza.
Finché anche lui abbassò il viso verso la mia migliore amica per catturarle le labbra con un bacio.

La carezza delle loro labbra, prima d’impatto nel saluto improvviso, e poi lento, profondo.
Vivo.
In uno scambio di voglie e labbra bagnate che portavano a vicenda messaggi inutili a parole.

La vidi aggrapparsi a lui come la vita stessa, lo vidi sorreggerla con la delicatezza di un fiore appena reciso tra le sue mani troppo grandi.

Vidi loro amore, solo quello, tra decine di volti soli.

Vidi ciò che io non avrei mai avuto.



Capii di stare correndo da troppo tempo solo quando cominciò a mancarmi il fiato.
Il fianco doleva e gli occhi si erano appannati mentre registravano solo la punta delle mie scarpe che divoravano metri di asfalto grigio.
La cittadella universitaria si sviluppava in lunghezza, facendo perdere le sue tracce nella facoltà più lontana, il dipartimento di chimica.
Era quello il mio posto segreto.
Gli studenti di quella zona passavano più tempo del dovuto nelle aule laboratorio poste nei seminterrati, lasciando praticamente deserto il resto dell’edificio, i suoi giardini interni e un’inspiegabile vasca per i pesci rossi sempre piena.
Potevo vederla brillare di blu nell’immenso spiazzo bianco sotto il sole cocente.
Mi rannicchiai sotto una colonna di marmo abbandonata, stringendo la testa tra le gambe e le braccia, come una macchia in quella landa di luce candida.
Sarei voluta sparire della faccia della terra.
Diventare polvere sottile contro l’aria calda di quel giorno.

Esistere, anche solo per un secondo, incarnata in quel bacio.




Mi svegliai di soprassalto dal torpore in cui ero caduta senza accorgermene.
Il sole picchiava più forte sulle mie braccia scoperte e la nuca accaldata.
Mi sentii strana, improbabilmente stanca, incredibilmente vuota.
Come se il resto della mia vita passata fosse stato momentaneamente spostato verso angoli troppo bui per averne memoria.
C’ero solo io e la terrazza che brillava al sole, come un foglio bianco, immacolato e nuovo.

Un nuovo personaggio appena inventato.

Mi guardai intorno, un’altra figura s’intromise nel mio campo visivo, era piccola, rannicchiata malamente sulle sponde della piccola oasi blu.
Con passi cauti mi accorsi che erano solo pochi metri a dividerci e non un intero racconto come avevo immaginato.

Scossi il capo, il sole mi aveva dato decisamente alla testa.

Altrimenti non avrei potuto spiegarmi del perché, invece di raccogliere le mie cose ed andarmene, mi fossi avvicinata alla ragazza rannicchiata nella sua solitudine.
Come se fosse normale studiare da uno spazio troppo breve i lievi nodi dei suoi capelli scuri contro la schiena esile, le braccia magre introno alle gambe fasciate in jeans strappati e il sottile singhiozzo che le faceva sussultare le spalle come un tremore lontano.

"ragazzina perché piangi?"*

La testa castana si mosse con incredibile velocità verso di me, inchiodando i miei poveri occhi nelle sue iridi dorate.
Occhi, non nocciola, o lievemente verdi ma indiscutibilmente paglierini.
Rimasi perplessa ad osservare il suo sguardo da predatore notturno invaso da un’insolita ferocia senza muovermi.

"non stavo piangendo", sembrò rimproverarmi di rimando mentre, con un gesto del tutto contraddittorio, si scavava le guance con i palmi nella speranza di nascondere le tracce lucide sul suo volto.

Le sorrisi istintivamente, "certo".

Le sue labbra, si contrassero in una forma di rabbia verso se stessa, senza lasciarmi libera di arretrare .
Qualcosa nella forma del suo viso, nella curva del collo che si intravedeva appena dietro i lunghi capelli mi teneva ferma come una statua a farle ombra, mentre, ancora per terra, cercava di capire cosa volessi da lei.

"mi chiamo Lori", le proposi come una sorta di via di mezzo, tra il non farmi cacciare malamente e il prendermi un insulto gratuito.

Chi diavolo mi credevo di essere per infilarmi così nella sua solitudine?

La ragazza sembrò pensarla alla stessa maniera perché ancora più guardinga osservò la mia mano tendersi verso di lei in un saluto d’aiuto che soppesò con la serietà di un contratto vincolante.

inclinò vagamente il capo per osservarmi meglio uno zigomo prima di accettare la mia stretta, appendendosi stranamente al polso anziché sfiorarmi le dita.

Il suo corpo sottile si alzò, rivelando una ben scarsa altezza.
Mi arrivava praticamente al petto e chissà perché una parte del mio cervello lo ritenne incredibilmente tenero, perché sorrisi senza pensarci, costringendola a scrutarmi in modo ancora più intenso con i suoi occhi d’ambra.
La sua presa stretta sul mio polso con le unghie mangiate di uno smalto nero ormai graffiato.

"Martina!".

La proprietaria di quel nome mi lasciò come se scottassi, voltandosi appena per guardare la figura di un uomo che, dietro di noi, avanzava a passo veloce.
Solo quando ci raggiunse mi accorsi che era molto più giovane di quanto sembrasse.
La barba incolta e i capelli crespi gli conferivano un’aria adulta che intimoriva.

"lasciala in pace!", mi intimorì duro mentre recuperava la ragazza per le spalle costringendola ad andare via con lui.
"ma io …" provai ad intervenire mentre, sotto il tocco del gigante barbuto, la ragazza prendeva un’aria timida e remissiva di cui non l’avrei mai creduta capace.
Il ragazzo si girò verso di me, trattenendola dietro la sua schiena, quasi a proteggerla da qualsiasi pericolo incarnato nella mia persona.

"te lo ripeterò un’altra volta" sussurrò letale, "non avvicinarti a lei".

….

….

La voce di Vale al telefono aveva qualcosa di estremamente fastidioso quel pomeriggio.
"ti prego Lori …"
"non ho mai ceduto alle tue lusinghe" sbuffai indispettita, "non vedo perché dovrei cominciare adesso".
"perché mi vuoi bene", si premurò di ricordarmi la mia migliore amica con foga, "e perché ieri quando finalmente ho avuto l’occasione di presentarti Mario tu sei vagamente sparita … a proposito dove ti eri cacciata?"
Cercai nella mia mente una scusa che non comprendesse due grandi occhi ambrati.

"hem …"
"non importa", aggiunse dopo l’attimo della mia esitazione, "fatto sta che devi assolutamente uscire con me e il mio ragazzo più tardi".
"Dei Vale, non ne ho proprio voglia, davvero, state insieme da quanto ormai …"

Tre mesi


"e sono sopravvissuta benissimo senza … e poi davvero, mi sentirei di troppo, cosa vuoi che faccia? Il terzo incomodo?"
La sentii ridacchiare dall’altra parte del telefono.
"oh, se è questo il problema possiamo risolvere subito. Passiamo a prenderti alle quattro".

La mia peggiore maledizione si perse contro il rumore di una chiamata interrotta.



Vale camminava davanti a me, meno nella mano con Mario.
Li vedevo scambiarsi qualche occhiata di troppo prima di gettare uno sguardo verso di me.
E il tipo che si trascinava al mio fianco.
Sospirai risentita.
Il poveraccio capitato per caso in un’uscita a quattro aveva realmente l’aria di qualcuno invischiato nel più losco complotto della sua vita.
Potevo capirlo.

Sentii Mario schiarirsi la voce divertito.
"allora Lori … Vale mi ha raccontato molte cose su di te".
Cercai di formulare un sorriso pacato invece di una smorfia disgustata.
"spero non tutte vere. Sa che detesto dare un’immagine troppo sincera di me stessa".
Ridacchiò tra se mentre frenavo il sano istinto di strozzarlo.
"oh no, non credo … piuttosto mi ha detto che hai un carattere difficile, specialmente con gli uomini, è vero?".
L’istinto diventò pressante mentre arricciavo le labbra in un commento pungente.

Vale lo intuì immediatamente perchè si frappose tra me e lui con una battuta innocente.


"soltanto perché Lori sa che lei è il mio unico amore, nessuno riuscirà mai a conquistarla veramente" declamò teatrale.
Riuscii a strapparla alla presa di Mario per cingerle la vita avvicinandola a me.
Pur arrossendo non esitò a nascondere il volto nella piega del mio collo.

Mario provò a ridere, cercando un metodo poco vistoso per recuperare la sua ragazza.

La sentii borbottare contro la mia pelle.

"la mia ragazza", ridacchiò tra se, "e non sono disposta a cederla a nessuno … neanche un pezzettino", gongolò Vale lasciandomi un bacio sulla guancia prima di scivolare dalla mia presa.
Tornare tra le sue braccia.

"oh, io sono sicuro che prima o poi qualcuno la conquisterà" commentò Mario incastrando le sue mani sulla vita di Vale.
"per esempio, il mio amico qui … è molto interessante se si da la pena di farsi conoscere"
Il ragazzo si strinse nelle spalle arrossendo leggermente.
Era evidente che non volesse entrare nel discorso.
"oh … io … non sono niente di speciale" cercò di giustificarsi.
Gli rivolsi un’occhiata comprensiva mentre un moto di simpatia per i suoi confronti saliva spontaneo alle labbra.
"sono sicura che tu abbia più qualità di quanto il tuo amico qui riesca ad immaginare" .
Anthony si lasciò sfuggire un sorriso imbarazzato prima di guardare Mario negli occhi.
Sul volto del fidanzato un’ombra scura sembrò accentuarne i tratti.

"sembri sapere molte cose tu", sibilò irritato verso di me.
"non immagini quante" gli risposi a tono, "eppure sono sempre desiderosa di scoprire cose nuove".

Sorrisi apparentemente dolce mentre dentro tremavo di rabbia repressa.

"Mario", lo richiamai a voce alta, "perché non mi racconti di te? È per questo che sono stata chiamata no?".
Il suo sorriso parve vacillare indeciso.
"io … credevo …"
"anche io credevo in tante cose", gli sorrisi melliflua, "poi ho capito che era meglio smettere di fidarsi delle parole altrui e chiedere al diretto interessato. Allora, non vuoi parlarmi? forza, accetto si tutto; sport, arte, cucina, letteratura, depravazioni sessuali ..".
Balbettò qualcosa di incomprensibile.
Risi, acida e controllata mentre vedevo Vale arrossire di vergogna.
"non credevo di trovarti impreparato", aggiunsi subdola, "proviamo con un argomento a piacere".

"Lori!", mi richiamò Vale impotente.

"si?" mi scusai senza colpe, "cosa c’è?".
"smettila di fare … questo!".

La osservai rigida, le sue guance imporporate mi rendevano ancora più furiosa.

Come poteva importargli di uno così.

"non posso fare a meno di essere me stessa Vale", le ricordai sottovoce, "ma se è questo che ti da fastidio posso togliere immediatamente il disturbo".
Arretrai di un passo girandogli le spalle.
Un altro.
Un altro ancora.
"Lori!" la sentii chiamarmi dall’altra parte della strada.


Ma non corse verso di me.
Non cercò di fermarmi.
Camminai senza voltarmi fino a casa

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Capitolo 11
*** 11 ***



La musica intorno a me schiumava dalle casse troppo piccole per la potenza costretta.
Lasciando quel rumore di risacca calda a comprimerti le orecchie mentre troppa gente cercava di superare il vociare del gruppo vicino con idee ancora più liberali.
Sorrisi tra me, il popolo di lettere e filosofia della mia università sarebbe stato lo stesso per sempre.
Vecchie foto in bianco e nero invadevano i corridoi mangiati dai murales e potevo scorgervi una generazione passata di quelli che adesso erano padri di studenti di architettura ingegneria e medicina.

I giovani rampolli che ora si proclamavano filosofi e scrittori moderni erano i figli di operai che non erano riusciti a farcela nel 68 e che ora puntavano tutto su figli illuministi e vagamente bohemien.

La risata di Frank attirò la mia attenzione giusto per smettere di fissare due ragazze che, in preda all’euforia roteavano i lunghi capelli sulla voce soffocata di Bob Marley.

"è questa è la mia distrattissima amica Lori" strillò il mio migliore amico appendendosi al mio braccio, mi riscossi con un sorriso di circostanza prima di voltarmi verso le figure che Frank stava inutilmente cercando di presentarmi.
"piacere" mi lasciai scappare involontariamente rendendomi conto troppo tardi di stare osservando i contorni rigidi del viso di un ragazzo decisamente irritato.
La barba scarmigliata e rossiccia si fondeva con i capelli crespi.
Gli occhi scuri, duri d’impassibilità fissavano i miei oltre la montatura rigida dei suoi occhiali da vista.

Il ragazzo del giorno prima.

"lui è Carlo" cinguettò felice Frank sfiorandolo appena con il braccio, e lei è …"
Un bagliore dorato tra le ciocche scure dei capelli a coprire il viso.

"Martina" mi lasciai sfuggire a mezza voce.

Ma il ragazzo accanto a me sembrò non rendersene conto per il troppo cicaleccio intorno a noi.
"... Martina, è una mia compagna di corso, ma è talmente brava che sei laureerà in corso a fine anno" ammise con una smorfia irritata.
Lo innervosiva essere indietro con gli esami, anche se sapeva di non avere colpe.

"la conosco" bisbigliai nuovamente, ma solo Carlo sembrò rendersene conto, mentre Frank, presami per la vita cercava di sgusciare fuori dalla bolgia in cui si era trasformata inaspettatamente la festa.
Li vidi seguirci timorosi alle nostre spalle scambiandosi informazioni riservate in rapidi bisbigli.

La mano di Carlo possessivamente poggiata sulla sua spalla.



Finimmo in uno di quel pub insospettabilmente popolari del venerdì sera.
Frank accanto a me gongolava di qualcosa che continuava a sfuggirmi mentre Carlo e Martina dall’altro lato del tavolo restavano pressoché muti.
Lui inquietante.
Lei bellissima.

Mi diedi della stupida per non averlo notato prima, quel giorno, ma forse il troppo sole mi aveva realmente ridotto il cervello in una pappa inutilizzabile.
Altrimenti non avrei potuto spiegarmi perché non avessi notato subito la curva prepotentemente dolce della sua piccola bocca, o il nasino dritto e vagamente all’insù.

Nelle luci aranciate del locale gli occhi d’ambra antica, con ciglia corte e scure su un filo di matita sbavato che le dava un’aria vagamente grunge.

Mi accorsi di fissarla troppo spesso perché oltre la conversazione portata a forza da me e Frank c’era solo il ringhio basso di Carlo quando captavo la trasparenza chiara della pelle di Martina ogni volta che si spostava i capelli dal collo.

Era ridicolo che mi fissassi su un movimento così inutile.

Ero ridicola ad aspettare quel momento con la coda dell’occhio per quasi un’ora intera.



"mi spieghi perché siamo qui?" bisbigliai all’orecchio di Frank in un attimo di distrazione dei due.
"per conoscere gente nuova" mi sorrise seducente senza curarsi di abbassare troppo la voce.
"beh … la gente nuova non sembra particolarmente felice di conoscerci!" lo informai con un brusco movimento di avvicinamento della sua testa verso le mie labbra.
Mi lasciò fare accennando ad un sospiro, "tu non preoccuparti, a quello ci penso io … oh!" scatto con troppa enfasi così che anche gli occhi degli altri ragazzi si puntassero su di lui, "guarda Marti, c’è il prof di lingua spagnola, perché non andiamo a salutarlo?".
"è il mio relatore" si oppose debolmente la ragazza, ma Frank l’aveva già presa per mano nella speranza di farsi approvare un progetto dalla collega.

Carlo mi fissò con insensibile determinazione per cinque minuti esatti, aumentando alla mia scala del disagio un nuovo gradino che non credevo di conoscere mentre mi accendevo una sigaretta pronta a trincerarmi nella nicotina pur di non sembrare sul punto di darmela a gambe.

"chi sei tu?" sputò a denti stretti alla fine.
Sembrava le versione più terrificante del brucaliffo avvolto nel fumo della mia prima boccata che cacciò via con arroganza.

"un’incognita*" riuscii a rispondere troppo presa dalla mia fantasia per capire quanto fosse realmente in pericolo la mia intera esistenza da quel momento in poi.

"smettila di giocare" rispose allontanando via un’altra nuvola di fumo che aveva avuto la brillante idea di avvicinarsi a lui.
"e tu smettila di trattarmi come se stessi per attentare alla vita della tua ragazza!" sbottai all’improvviso.
Senza motivo.
Con un serio intento al suicidio probabilmente.

"non è la mia ragazza", rispose inaspettatamente calmo, come se il mio rancore lo avesse rasserenato.
Notai solo dopo una nota di rammarico, una perdita inevitabile.

Approfittai del silenzio per guardare verso Frank che cercava subdolamente di irretire il professore in libera uscita e Martina al suo fianco che, con gli occhi bassi, scriveva qualcosa sul suo cellulare.
Eppure non sembrava preoccupata.
Appena fuori dall’ombra di Carlo sembrava riprendere il contegno stoico ed impenetrabile del primo incontro.
La sua figura era esile, specialmente nella maglietta nera a maniche corte che le copriva il busto troppo magro.
Se non fosse stato per i capelli lunghi sarebbe sembrata un ragazzino dalle palle dolci e i polsi sottili.

Nuovamente mi accorsi di stare sorridendo senza un perché osservandola da lontano.

Un pugno sul tavolo mi riportò alla realtà e gli occhi scuri di Carlo ad assassinare i miei mi regalarono la verità più chiara di quanto avessi mai potuto sospettare.

"non è tua" bisbigliai automaticamente al suo volto inferocito.

Una smorfia amara gli prese le labbra accartocciandone la forma.
"lo so" ammise stringendo le dita contro il palmo.
"e lei? … lei lo sa?" mi precipitai a chiedere come se fosse mio diritto essere informata, senza nessun riguardo per lui.
Per lo sconosciuto che mi odiava, con un motivo che potevo comprendere adesso.

Prese qualche secondo inspirando aria calda, titubante se esprimere a parole quello che era già innegabile ai miei occhi.

Lo vidi cercare le parole giuste per poi cadere nel silenzio più cupo.
Conoscevo quel vuoto, la mancanza di una frase sola per dire tutto ciò che non era per lei.

Gli sorrisi tristemente, mentre sentivo a pelle un dolore conosciuto, la mia mano si protese da sola di qualche millimetro verso di lui, in un gesto che lo fece andare in bestia, mentre si alzava dal tavolo grattando con la sedia il pavimento di marmo.

"non metterti in testa che questo renda le cose più facili" sbraitò recuperando la sua giacca e anche quella di lei.
"più facili per chi?" riuscii a domandare confusa prima che si allontanasse.
"per te" mi accusò grave.
Rimase alla distanza di un passo per squadrarmi con odio profondo.
"renderò la tua vita un inferno se solo proverai ad avvicinarti a lei", assicurò con tono di minaccia.
Come già aveva indirettamente fatto solo pochi giorni prima.
Era una sfida.
La mia linea di partenza di una corsa folle per un premio che non avevo mai chiesto.
"sono già in contatto con Ade" lo informai affilando lo sguardo.
Tremò impercettibilmente.
"non ho nulla da perdere" aggiunsi con tono basso.

Lo vidi esitare un attimo prima di voltarmi la schiena, sentii solo il commento soffocato di Frank che perdeva il suo lasciapassare mentre Carlo portava via Martina dal locale affollato.




"quindi tu la conoscevi!" strillò Frank senza chiedere.

Mi tappai le orecchie con i palmi delle mani, il mio migliore amico doveva aver preso il brevetto per gli ultrasuoni, perché stava diventando abilissimo a rompermi i timpani ogni volta che qualcosa lo sorprendeva.

Gli sorrisi senza speranza.

"conoscere è una parola grossa Frank, diciamo che l’avevo già vista, ecco tutto".
Trattenne qualche commento mangiandosi le labbra.
"naturalmente anche in quell’occasione dobbiamo includere la … presentazione con il suo bodyguard" sbuffa indispettita.
Frank si lasciò scappare una risata.
"si, non la molla mai … povero ingenuo! Se crede che lei potrà mai …"
Lo interruppi con un gesto secco della mano.
"lo sa già" gli confidai a denti stretti, ogni volta che ripensavo alla nostra discussione al pub sentivo la sua storia sempre più simile alla mia.
Come se ne ricalcasse i contorni.
Non potevo biasimarlo, perché per anni avevo fatto il suo stesso gioco, in altre forme forse, ma con un unico obiettivo.
Proteggerla.
Sentirla mia anche solo un altro giorno.

"se lo sa perché si ostina? Non sarebbe un buon partito persino per una ragazza etero, figurarsi per una .."
Sgranai gli occhi sorpresa.

Una cosa era immaginare.
Sperare.
Tutt’al’altra avere la conferma dalle mezze rivelazioni del mio migliore amico.

"ops" si lasciò sfuggire.
"ne sei sicuro?" gli chiesi con fin troppa apprensione per qualcosa che poteva anche rivelarsi inutile.
Soprattutto perché neanche io ero ormai catalogabile in qualche modo.

"quanto ne sei sicura tu su te stessa" mi rinfacciò sibillino leggendomi dentro.

Cazzo.

"sei davvero un amico, lo sai Frank?" borbottai irritata.

"si tratta di umiltà" aggiunse pacifico osservando il cielo sopra noi, "chi sono io per definire l’orientamento sessuale di qualcuno?" domandò retorico.

"una assurda checca isterica?" risposi vaga.
Mi guardò falsamente offeso.
"una assura checca isterica petulante?" rimarcai ridacchiando bassa al suo teatrale sconvolgimento.

Mi mollò una spallata poco credibile mentre gli circondavo con un braccio.
Essere decisamente più alta rispetto alla media dava delle soddisfazioni a volte.
Gli schioccai un bacio alla tempia giusto per essere più convincente.

"basta così, troppo affetto mi fa male" ghignò avvolgendomi la vita con indolenza.

Camminammo come una coppia di fidanzatini non omologati per qualche altro minuto del parco pressoché deserto, fin quando non puntò gli occhi su un ragazzo che leggeva un libro steso sul prato.

Supino su una tovaglia sfogliava interessato quello che tradussi come il Don Chisciotte in lingua originale.

Frank ne aveva una copia identica dentro la borsa che sbatteva al mio fianco.

Lo zaino accanto al ragazzo, tra la sua bici e la siepe riportava una spilla con i colori allegri della bandiera della pace.
Ne avevano distribuite parecchie all’ultimo gay pride.

perfetto" sussurrai a Frank lasciandolo immediatamente andare nella paura che il ragazzo ci guardasse e interpretasse male la nostra amicizia.
Vidi il mio migliore amico barcollare un po’ sui suoi piedi, indeciso.
Abbassò gli occhi sul prato sotto invece di osservare l’assoluta meraviglia che il cielo gli aveva mandato.

"oh andiamo Frankie è maledettamente .... Che ci fai qui? Corri da lui!" gli sussurrai accennando ad una spintarella.
I suoi occhi guizzarono un secondo soltanto verso il ragazzo prima di tornare ad inchiodarsi per terra.
"Frank?" lo richiamai perplessa.
La sua mano strinse forte la mia prima di trascinarmi dall’altra parte del parco senza dare adito alle mie proteste.



Fissai il caffè davanti a me.
Non sembrava essere disposto a darmi delle risposte.

Guardai Frank oltre il tavolo che rigirava con astio il cellulare tra le sue mani.

Forse la tazza di caffè mi avrebbe risposto più volentieri.

"Frank" lo richiamai dolcemente.
Grugnì qualcosa di incomprensibile solo per farmi capire che ascoltava.
"lo … lo conoscevi? Cioè, hai già avuto qualcosa a che fare con quello li o …"
Mi lanciò un’occhiata accigliata prima di rispondermi a denti stretti.
"no, certo che no, perché …"
"perché pensavo che fosse un tuo … ex … visto il modo con in cui sei scappato. Insomma, non trovo altre ragioni, sembrava fantastico, assolutamente perfet …".

"cosa sai tu di cosa è perfetto per me?" chiese con troppa veemenza.

C’era del rancore tra le sue parole.

"Frankie …"

Si passò una mano sul viso cercando di lisciare i tratti adirati del suo volto e trovare la calma.
"è solo che … si insomma, non dare per scontato che abbia una lista di attributi che dovrebbe avere il mio uomo ideale" mi sorrise triste.

C’era qualcosa che non andava.

Frank aveva quella lista.
Per gioco o noia un giorno avevamo stilato le dieci cose che non potevano mancare la suo ipotetico ragazzo.
E il tipo al parco ne aveva almeno otto da quello che si poteva intuire in un corpo vestito.

Rimasi in silenzio, ad osservare il suo petto alzarsi ed abbassarsi con troppa foga, come se gli mancasse l’aria, e il volto impassibile.
Nel terrore che qualcuno se ne accorgesse davvero.

Frank era fatto così.
Poteva bruciare dentro, andare letteralmente in rovina, essere a pezzi.
E non darlo a vedere affatto.

In questo era simile a me.

Poteva portarsi le macerie di qualcosa di rotto dentro per molto tempo prima di fare anche solo intuire che qualcosa fosse andato storto, senza però dare la colpa a nessuno tranne che a se stesso.

In questo eravamo molto diversi.

"non c’è nulla di più pericoloso della perfezione" bisbigliò a se stesso.
"distrugge tutti i tuoi sogni e li fa diventare inutili pezzi di carta in fondo ad un cassetto. Come se non ti fosse costato nessuna fatica inventarli".
Allungai una mano sul tavolo per afferrare la sua, me la strinse con forza.
"è così sai? Non c’è scampo, tutto ciò che è ideale è solo nascosto da un imprevisto ai nostri occhi, e quando arriva … quando si avvicina a te, fa dei danni irrecuperabili. Perché prende le sembianze delle tue favole per trasformare il resto del racconto in tragedia".

Aspettai il suo silenzio, e il respiro calmo della confessione.
Tra noi era così, metafore ed incroci di parole.
Ma avevano senso.
Per noi due tutto doveva avere un senso.

"era così bello?" chiesi sottovoce guardando il tavolino tra di noi.
Lo sentii sorridere perso ei suoi ricordi.
"da fare male".

Sospirai, prendendo tempo, contando i secondi.

"non puoi permettere ad un fantasma di invadere ogni giorno della tua vita" gli ricordai, "per quanto estremamente affascinante è solo il personaggio di una storia che continua".
Chiuse gli occhi un secondo in un ricordo sbiadito forse.
"non è lui il mio spirito inqueto Lori", si giustificò tristemente, "sono io, quello che non ho fatto, quello che ho perso, perché non ero in grado … perché non ero pronto … lo specchio delle mie brame riflette solo il mio volto perché sono io il colpevole di aver ucciso il più bello del reame", commentò amaro.
"ed è qualcosa che difficilmente ci si perdona. Passerà, lo so, ma fino ad allora … il c’era una volta sarà la mia condizione naturale, temo, e il presente ...".

Lo guardai dolcemente mentre alzava gli occhi su di me.

"... sarà solo la storia che non mi sento di vivere".

La sua mano nella mia era tiepida e liscia.
Il mio affetto per lui sotto la pelle che scorreva sotto le dita leggere.

Potevo fargli forza e ricordargli che presto sarebbe passato prima o poi. O avrei potutto sgridarlo, e dirgli che era uno stupido a bruciare giorni e possibilità solo perchè qualcosa era andato storto.

oppure potevo essergli amica, come sempre, e volergli bene senza chedergli nulla, se non restargli accanto.

"giurerai di non amare mai più**" sorrisi a me stessa ricordandomi una vecchia frase, "ma il mai più in amore è solo un tempo più lungo".
Guardai i suoi occhi, anche se lucidi sorrideva.
"dovrai imparare ad amare molto più velocemente di così Lori", mi esortò dolcemente.
"anche tu", gli ricordai riconoscente.
"già …"

*Alice nel paese delle meraviglie

*Citazione di un poeta. ma non ricordo più chi fosse, ho cercato di googlarlo ma non ho trovato risultati soddisfacenti ... se qualcuno volesse segnalarmela gli sarei grata...

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Capitolo 12
*** 12 ***


Frank aveva delle potenti conoscenze con qualche strano mago.

Almeno era quello che mi passò per la testa vedendomelo comparire con eleganza quella sera con un seguito di eterogenei scapestrati che riconobbi come Tony, alcuni amici, un paio colleghi e un personaggio del tutto eterogeneo al mondo circostante.


Martina guardava in basso con le mani infilate a forza nei jeans strappati, l’aria meditabonda su un futuro omicidio.


beh, non vieni?” mi borbottò distrattamente superandomi insieme a tutti gli altri.

non … manca più nessuno?” domandai insicura continuando ad osservare l’angolo del palazzo più vicino.

solo i due leocorni” sorrise brevemente prima di tornare corrucciata, “no, dovremmo essere tutti, a meno che Frank non sia riuscito ad invitare qualcun altro al pub … allora, vieni?”.


Sorrisi, all’ombra che non oscurava le sue guance chiare nella notte, mentre i miei piedi si muovevano da soli al seguito delle sue impronte.



black cat” mormorò perplessa davanti l’insegna luminosa di un gatto accovacciato sulla scopa di una strega, “mi ricorda qualcosa …”.


Anche a me


probabilmente la tua vita passata come incantatrice dalle arti oscure” commentai incapace di dire qualsiasi cosa di sensato.

he?” domandò sovrappensiero.

no nulla” cercai di recuperare fingendo indifferenza.


Sembrò sorridere, ma le onde improvvise dei suoi capelli cadevano a tratti sul volto impedendomi di vederla chiaramente.

Avrei dovuto scostarglieli dal viso.


Trattenni le mani in tasca.


conosco una sola stregoneria che funzioni davvero …”sussurrò guardando lontano.

quale?”


mia egiziana!”.

Chiusi di occhi di scatto, cercando una qualsiasi possibilità su un milione che non fosse davvero la voce di quella ragazza ad avere interrotto il nostro primo scambio di opinioni.

o greca … giuro non ricordo più, a quale conclusione eravamo arrivate?”.

I suoi capelli rossi mi avvolsero con una fragranza di lampone mentre si stringeva a me in un saluto non richiesto.

ciao Nere” biascicai cercando con lo sguardo Frank e Tony che si incolpavano a vicenda con gesti di inequivocabile sorpresa.


La ragazza ancora stretta al mio corpo ruotò vagamente il capo per inquadrare Martina impassibile accanto a noi.


io ti conosco!” gongolò la rossa osservando gli occhi dorati della ragazza tentare una fuga silenziosa.

no, non credo …”

ma si!” continuò estasiata Nere senza divincolarsi dalle mie braccia che cercavano di allontanarla, “mi ricordo di te, sei venuta un paio di settimane fa con un tizio enorme che cercava disperatamente di non lasciarti sola neanche un secondo” gli sorrise ferina.


Martina straordinariamente arrossì.


peccato che il bagno è regno delle donne vero? … Certo che avresti almeno potuto lasciarmi il tuo numero visto come mi sei saltata addosso in cinque minuti di toilette”.


Nere rise senza risentimento mentre rimanevo imbambolata a fissarle entrambe senza sapere cosa dire.


ma questo avresti potuto farlo anche tu, non è vero Nefertiti?”.


Decisi che era veramente un buon momento per morire.

Ma almeno sarei passata a miglior vita con un gesto davvero altruista.


scommetto che sei stata tu a saltarle addosso” la sfidai fissando gli occhi scuri di Nere che non lasciavano i miei.

oh, e come fai ad esserne così sicura tesoro?” sussurrò avvicinando il mio viso al suo.

perché …” presi tempo mentre ormai le sue labbra erano a pochi centimetri dalle mie, “hai un’anima da adescatrice, balzi sulle tue prede senza curarti che lo vogliano o no …”

Le sue ciglia sfiorarono la mia guancia avvicinandosi ancora di più.

senza darti pensiero di aver preso il giusto slancio …”

Ormai respirava sulla mia pelle.

senza preoccuparti della possibilità di … cadere”.


La afferrai al volo per i polsi mentre facevo un passo indietro.

Evitò un incontro ravvicinato con il marciapiede per pochi centimetri, mentre qualcuno accanto a me sghignazzava.


sembra che questa sera tu abbia sbagliato preda, Nere” commentò in modo stramente dolce Martina assicurandola nuovamente in posizione eretta.


La rossa ci osservò con stupore scuotendo la testa per qualche secondo prima di scoppiare a ridere.


siete la coppia più strana che abbia mai conosciuto”.

non siamo una coppia” rispondemmo insieme, con una perfetta capacità di sincrono.


beh …” esclamò raggiante la rossa, “allora c’è ancora la possibilità di una cosa a tre no?”



Martina ordinava una birra scura al bancone accompagnata da Frank quando Toni si avvicinò abbastanza da farmi la domanda che aspettava da una sera.


ti piace?”.


Respirai a fondo prima di guardarlo con una buona dose di pazienza.

Stranamente non notai l’assoluta mancanza del suo toy boy al braccio, cosa che in altri momenti mi avrebbe allarmata, perché significava un’uscita di caccia.


abbastanza” borbottai a mezza voce gettando un’occhiata non troppo indiscreta alla schiena di Martina mentre si appoggiava al bancone per recuperare il suo bicchiere.

direi che è già un inizio” sorrise compiaciuto il mio amico brindando da solo a mio favore, “adesso dimmi … qual è il prossimo passo per conquistarla?”.

e che ne so!” sbuffai perplessa, “non ho un manuale di istruzioni, e poi è la prima volta che ci provo con una ragazza … e se dobbiamo dirla tutta non so neanche se sia …”

Tony mi fermò con uno sguardo eloquente.

tesoro, su questo non ci sono dubbi”.

e tu come fai a saperlo?” domandai incuriosita.

segreto professionale” mi informò giocando con la cannuccia del tuo cocktail, “e poi mi sa che non ti fissava tanto per colpa della tua maglietta … per quanto deliziosa” mi sorrise dolce.

Incrociai le braccia la petto arrossendo facendolo scoppiare in una risata.


hai davvero molto da imparare su questo tipo di cose” mi consolò con un buffetto sulla guancia, “ma non preoccuparti, non è difficile come sembra”.

Lo guardai piena di speranza mentre, poggiandosi le mani sui fianchi, fissava risoluto l’altro lato della stanza e un giovane ragazzo che ricambiava il suo sguardo.


osserva … voglio darti una dimostrazione pratica …”



come sarebbe a dire ci ha provato lui???

Il ragazzo davanti a noi aveva assunto un ciglio alquanto pericoloso costringendomi immediatamente a pormi davanti a Tony e i suoi occhioni da cucciolo che stavolta non lo avrebbero salvato.

Quel tipo era alto il doppio di lui.


è vero!” strillò isterico il mio amico dietro di me cercando di sorpassarmi e affrontare il fidanzato geloso che aveva inavvertitamente sfidato.

Cosa ne sapeva lui che il suo adorabile ragazzo aveva passato la serata flirtare con il mio amico dagli occhi blu?

Rimandai Tony nelle retrovie con un’occhiata intransigente.

ascolta …” suggerii al ragazzo davanti a me “non voglio scusare il mio amico ma … in questo momento siete tu e il tuo ragazzo ad avere problemi, quindi andate a discutere da qualche altra parte … d’altronde non l’ha nemmeno toccato …”.


Sentii un profondo respiro di bugia dietro di me.


Il ragazzo adirato scoccò un’occhiata al suo ragazzo e al mio amico con identico odio, poi si girò, con il braccio alzato in un colpo che non arrivò mai.

Riuscii ad afferrargli il braccio prima dello schiaffo contro il suo compagno mentre la chiusura della sua giacca mi graffiava involontariamente la mano.


Si girò verso di me sbalordito, incredulo che intervenissi nella sua personale zuffa, osservando la mia mano stretta intorno al suo polso e le lente gocce di sangue che mi scendevano dal palmo.


Ci mise poco a svenire sul pavimento lucido del pub.



Frank rideva da circa mezz’ora mentre Tony cercava di fare il possibile per fasciarmi la mano con un intero pacco di fazzolettini.


mi dispiace Lori, mi dispiace da morire …” continuò a balbettare isterico mentre il mio migliore amico seduto sul ciglio del marciapiede accanto la sua auto continuava a ridacchiare tenendosi la pancia.

Il resto della comitiva ci aveva lasciato tornare a casa ma Martina era ancora con noi.

Straordinariamente impassibile se non per il lieve sorriso sulle labbra.

Tentai di non guardarla troppo, e di salvare la mia mano da un soffocamento da cleenex.


non preoccuparti Tony” cercai di sorridergli mentre cercava altra carta con cui asciugare una minuscola ferita, “non mi fa male …”

se solo tu evitassi di fartene …” sbuffò Frank recuperando fiato, “sapevi che Tony non si sarebbe mai fatto scappare un bocconcino del genere … anche se accompagnato dal marito” commentò ironico.

non parlare di me come se non ti sentissi!”, lo rimbrottò Tony.

è la tua coscienza che non ci sente mio piccolo depravato”, sogghignò il mio migliora amico guardandolo, “se tu tentassi di tenere le tue adorabili manine lontane da ogni bel sedere che ti passa a fianco …”.

smettila di trattarmi come un maniaco del sesso!”

perché? Non lo sei più? Ti sei improvvisamente dato alla castità?”.


Vidi la bocca di Tony stringersi in una piega amara che prometteva battute velenose.

Frank non l’avrebbe sopportato.

Sarebbero partite parole pesanti e l’unico risultato sarebbe stata un’altra di quelle inutili pause nella loro amicizia che promettevano solo dolore ad entrambi.


buoni voi due” ringhiai ad alta voce.


Frank, tieni a bada quella lingua, non sono affari nostri se Tony è irresistibile”.

Tony mi ringraziò con un’occhiata adorante.

e tu” lo rimproverai puntandoli contro la mano fasciata, “piantala di trovarti ragazzi di una notte con fidanzati gelosi nel raggio di dieci metri … vorrei finire una serata senza prendere a pugni qualcuno ogni tanto, lo sai?”.


Abbassarono la testa colpevoli.


beh …” borbottò Frank interrompendo il silenzio gravoso con un colpo studiato di tosse, “direi che è il caso di andare a nanna … Lori … buonanotte”.

Si avvicinò per darmi un bacio sulla guancia mentre anche Tony si accomiatava seguendolo nervosamente.

Martina rimase a braccia incrociate e viso inespressivo ad accogliere il loro saluto.


tu non vai con loro?” domandai perplessa vedendola immobile accanto a me mentre i ragazzi tornavano in macchina.

non ne ho bisogno, abito a due isolati da qui” mi informò con un risolino divertito sulle labbra indicandomi la direzione da seguire con il mento.


La osservai affascinata, come aveva potuto nascondersi così bene a pochi passi da casa mia?


Resistette alla mia incredulità avvicinandosi a me, prendendomi senza scuse la mano ferita e svolgendo lentamente i fazzolettini usati per tamponare il graffio.

Aveva le mani piccole e leggere.

Fresche contro la mia pelle che bolliva mentre anche le guance andavano a fuoco.


conosco una sola stregoneria che funzioni davvero ….” sussurrò bassa, togliendo un altro strato bianco, come se non avessimo mai interrotto il discorso di svariate ore prima.

se provi a buttare una rana in una pentola di acqua bollente sai cosa succede?”, mi chiese liberandomi il dorso della mano.

La osservai perplessa nella sua domanda senza senso.

cambia colore?”

Rise, profondamente, risuonando come uno scoppio di campanelli argentati nella notte inoltrata che ci circondava.

salta via”, mi corresse appena ripresa, “sfiora l’acqua e fugge. Per questo le streghe quando dovevano preparare una pozione le mettevano nella pentola ancora fredda sul fuoco, lasciandola andare al calore senza che la rana se ne accorgesse … almeno fin quando non si ritrovava bollita”.


Continuai a guardarla senza capire nulla.

Ma bastavano le sue labbra sorprese in un sorriso, i suoi occhi dorati che sembravano brillare di luce propria tra i suoi capelli scomposti.


Bella.

Davvero, incredibilmente bella.

Anche se forse non lo era davvero.

Anzi, probabilmente era appena graziosa, ma a me andava bene così.

Con le sue spalle troppo magre e le nozioni più assurde che avessi mai sentito.


tu sei la rana", mi confidò con un sorriso infido sul volto liscio.


non … non credo di capire” indugiai esitante.

Osservai per un attimo la mia mano tra le sue, ne rivelava il palmo graffiato al chiarore della luna.

Il segno scuro della pelle interrotta si confondeva appena tra le linee della fortuna che indicavano lei*.


il calore improvviso ti fa saltare” mi spiegò scandendo le parole, come se fossi irrimediabilmente tarda e lei, con pazienza, cercasse di farsi capire.

nel pericolo, nell’attimo stesso in cui vieni sfiorata agisci, senza pensare alle conseguenze. Anche per battaglie che non sono le tue …”.


La guardai con gli occhi sgranati.


Perché lei lo sapeva?


Fece scorrere la punta delle sue dita contro le mie, come a cercare il dettaglio infinitamente ruvido delle mie impronte invisibili.


e … e questo è un male?”

Sorrise lievemente, circuendo la mia ferita come se si trattasse della porta da non valicare per evitare il vuoto.

E una risposta logica.

temo che ce ne accorgeremo solo quando sarà irrimediabilmente tardi” commentò laconica.

Il suo sguardo non aveva nulla di blando quanto le sue mani che non lasciavano la mia.

Nei suoi occhi che cercavano molto di più di quanto riuscissi realmente a comprendere.


Si separò dalla mia pelle con un passo indietro che odiai con forza, trattenendomi dall’inseguirla anche solo per pochi centimetri.


buonanotte Lori” mi augurò sorridendo lievemente mentre volgeva le spalle al mio stupore.


La sua sagoma si allontanò con indifferenza studiata.


buonanotte Martina” riuscii a sussurrare alla strada vuota di una notte troppo chiara per essere reale.


*le pieghe sul palmo della mano vengono anche dette “linee della fortuna” o “linee del destino”.

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Capitolo 13
*** 13 ***


Vale ricominciò ad armeggiare con i miei libri con uno sbuffo irritato mentre ciocche dei suoi capelli castani le scivolavano ostinatamente sul viso.

Indolente sul letto la lasciavo fare senza intervenire minimamente.

Spiandola appena dal cuscino che trattenevo sul volto.

 

“forse se mi spiegassi cosa ti serve potrei anche darti una mano lo sai?” le suggerii dopo averla sentita imprecare contro la mia raccolta di fiabe irlandesi di 500 pagine finita malamente contro il suo piede.

“non lo so neanche io!” si giustificò con la voce soffocata da migliaia di parole.

La lasciai arrancare ancora per qualche minuto contro uno scaffale troppo alto prima di andarle vicina a controllare lo stato di salute dei miei libri.

“mi stai distruggendo una biblioteca” commentai osservando con quanta impazienza scostava i miei classici russi da quelli latino americani.

“come se tu avessi un ordine preciso” sbuffò contrariata lasciando scivolare Herman Hesse contro un trattato di Freud.

Sigmund non ne sarebbe stato felice.

 

“hemm …”

“ho andiamo Lori, tu li tieni persino accatastati sotto il letto! Cosa vuoi che sia …” sembrò riflettere un attimo prima di buttarsi con una aggraziata caduta di stile sotto le coperte che sfioravano il pavimento e tirare fuori tutti  i volumi che riusciva a recuperare.

Osservai disperata metà delle mie tragedie greche prendere ancora più polvere del previsto.

La loro copertina azzurra si confondeva con quella leggermente turchese di una scrittrice francese relativamente giovane.

 

I libri sparsi sul pavimento avevano tutti qualcosa di vagamente celeste e un dubbio pesante mi strinse il petto.

 

“di cos’è che parla esattamente il libro che cerchi?” domandai timorosa di aver ragione.

“d’amore credo …”

Strinsi i denti.

“di sicuro è un libro di poesie …” aggiunse con la voce soffocata dal materasso sopra di lei.

 

Chiusi gli occhi sconfortata.

 

Perché proprio quello?

 

“ho almeno una ventina di libri sulle poesie d’amore” le ricordai con falsa noncuranza.

“almeno tre di autori inglesi … non erano i tuoi preferiti una volta? Sono sicura che …”

Uscì da sotto il letto con un leggero fiatone e quella che credevo una stilografica perduta per sempre nella sua mano destra.

Me la cedette senza esitazioni mentre cercava di ricordare altri dettagli.

“no, era spagnolo … forse argentino non so! * … ti prego Lori, l’ho letta per caso qualche settimana fa e non l’ho mai dimenticata … devo avere quella poesia … racconta così bene ciò che provo …”.

 

Rabbrividii in silenzio.

 

“sarebbe perfetto potergliela dedicare per il nostro prossimo mesiversario”.

 

Mi voltai, chiedendomi perché non avevo la possibilità di spegnere tutto in quel dannato secondo.

Perché l’unico modo per non fare niente fosse voltarmi a guardare la finestra alle mie spalle fingendomi pensierosa.

Vale si accostò alla mia schiena con lentezza, aderendo perfettamente con il suo piccolo corpo contro il mio, in quella leggera sinuosità che per me rasentava la perfezione.

 

“ti prego …” bisbigliò tra le mie scapole, le braccia che mi cingevano la vita con tranquillo abbandono.

 

Ti prego … mormorai a me stessa, per non cedere alla tentazione di un passo troppo breve.

 

Avrei potuto semplicemente girarmi.

Avrei potuto parlare.

Avrei potuto …

 

Mi staccai con dolcezza dalla sua presa per avanzare con decisione verso il comodino e trovare nel cassetto il libro sgualcito dei miei sogni più dolci.

Vale prese il libro e lo sfogliò con attenzione, cercando la pagina giusta mentre sorrideva lievemente, leggendo.

 

 

“Saprai che non t'amo e che t'amo
perché la vita è in due maniere,
la parola è un'ala del silenzio,
il fuoco ha una metà di freddo.

Io t'amo per cominciare ad amarti,
per ricominciare l'infinito,
per non cessare d'amarti mai:
per questo non t'amo ancora”

 

 

 

 

Sorrise ai miei occhi e io ai suoi, mentre continuavo una poesia troppo sentita per essere dimenticata.

 

“T'amo e non t'amo come se avessi
nelle mie mani le chiavi della gioia
e un incerto destino sventurato…” **


Il suono metallico di una nuova notifica dal portatile acceso sulla scrivania la distrasse entrambe mentre si avvicinava senza esitazione allo schermo per controllare cosa fosse successo al mio profilo di face book.

 

Martina ha condiviso un’immagine con te” recitò leggendo la nuova sigla.

Cercò di aprire il collegamento senza voltarsi a controllare il nervosismo con cui mi attraversai la stanza per andarle vicina.

“cosa … ?”

 

Sulla mia home c’era solo la figura di un ipnorospo ***  in movimento.

Trattenni a stento una risata isterica mentre Vale girava lievemente il viso verso il mio in una distanza troppo ravvicinata perché non potessi cogliere l’ombra di puro dubbio nei suoi occhi castani.

 

“chi è Martina?”

 

Finsi indifferenza in un click del mouse, mentre tornavo ad allontanarmi dal computer.

 

“una ragazza che ho conosciuto qualche giorno fa … collega di Frank” commentai vaga, sperando che le bastasse.

Che non chiedesse.

 Imperterrita tornò a premere tasti fino ad aprire il suo profilo.

Potevo vederla da lontano studiarne le foto con vivo interesse.

“sembra carina … anche se ha gli occhi strani … di che colore sono?”.

“castano chiaro?”

Vale ridacchiò, abbandonando la tastiera per venirmi vicina per sfiorarmi il mento con la mano e costringermi a guardarla.

Senza esitazioni.

“Lori” mi sussurrò convincente, “da quando in qua usi dei banalissimi aggettivi per degli occhi così particolari?”.

La guardai immobile, la sfumatura calda delle sue iridi a sciogliermi ogni volontà.

“se non sbaglio tu sei quella che un giorno d’estate ha definito i miei occhi … mmm … “

“ero ubriaca!” la interruppi prima che potesse anche solo ricordare chissà quale concessione poetica scappata in un momento che credevo sarebbe andato perso per sempre.

“già” mi sorrise civettuola, “ma sono sempre dell’idea che potresti trovare di meno banale per quella povera ragazza …”.

 

Sorrise allegra prima di alzarsi sulle punte e avvicinarsi pericolosamente al mio viso.

Potevo sentire il suo respiro sulle labbra.

 

“ … almeno per fare onore a quei bellissimi occhi verdi con cui scruti il mondo”, sussurrò accarezzandomi lieve una guancia prima di allontanarsi con un movimento fluido.

 

Mi lasciò un bacio sulla soglia della porta prima di andare via saltellando.

 

 

“Il mio amore ha due vite per amarti.
Per questo t'amo quando non t'amo
e per questo t'amo quando t'amo” *

 

“sai cosa ti ci vuole?”

Allungai un’occhiata sarcastica a Frank, indolentemente disteso sul prato di erba rada davanti la facoltà di economia.

Il più bel prato di tutta la cittadella universitaria.

Eravamo diventati abitudinari nello scroccarlo ai futuri banchieri della città, soprattutto se c’era di mezzo una coinvolgente e confusionaria assemblea studentesca come in quel momento.

Eravamo riusciti a ritagliarci il nostro metro quadro di pace in un oceano di studenti in rivolta, mentre gli raccontavo cosa fosse successo il giorno prima.

 

“un superalcolico?” domandai ironica cercando la mia bottiglietta di tè fresco dalla borsa.

Atteggiò le labbra in una smorfia saccente prima di rubarmi la bevanda con agilità.

“un diversivo” mi corresse, “qualcosa che ti porti fuori da tutti i tuoi inutili problemi e allucinanti elucubrazioni mentali … insomma, qualcosa per sfogarti come si deve” sorrise malizioso.

Finsi di non accorgermi della venatura oscena del suo discorso per recuperare il mio tè.

“lo giuro Frank, morirai in un volo pindarico uno di questi giorni se non cominci ad usare termini basici” lo presi in giro senza pietà mentre lui ridacchiava imperterrito.

“tutto a tempo debito …” sogghignò divertito mentre scrutava la folla con occhio vigile.

Sorrise, indicandomi con il mento Martina e Carlo, seduti a pochi metri di distanza impegnati in quello che sembrava un discorso acceso.

Ma forse era solo colpa delle voci concitate che invadevano l’aria.

 

“in ogni caso …” riprese come se tutto il resto oltre la nostra conversazione fosse superfluo, “vorrei sapere cosa succede tra te e Mart …”.

“nulla” lo fermai prima che potesse continuare, dire anche solo per intero quel nome.

Mi voltai a controllare la ragazza, adesso sembrava veramente agitata, a meno che i miei occhi non mi ingannassero davvero stava strattonando Carlo, con forza.

Lui le prese i pugni tra le sue mani molto più grandi e la fermò con un gesto secco.

Ringhiandogli qualcosa a bassa voce.

 

Per un attimo sembrò guardarmi mentre anche Martina voltava il suo profilo verso di me per osservarmi in secondi lunghi, mentre venivo inchiodata dai suoi occhi da animale ferito.

Prima che riuscisse a divincolarsi dalla presa del suo amico e alzarsi di scatto.

Allontanandosi in lunghe falcate.

 

Esitai poco prima di inseguirla.

La voce di Frank dietro di me aveva un tono di avvertimento.

 

 

La ritrovai dove ero certa fosse diretta, in quello spiazzo di sole bianco che era la terrazza di chimica.

Dove l’avevo vista la prima volta.

Dove bruciava ancora il ricordo.

“Martina …” chiamai a bassa voce la sua attenzione.

 

Sole, in un deserto bianco.

 

“vattene Lori”, non era una richiesta, ne una supplica.

Sentivo che era semplicemente quello che doveva dire, rientrava nello spazio in cui cercava di sentirsi protetta.

Senza esserlo realmente.

 

“cosa succede?”, le andai vicina, a passi brevi, avevo solo le sue spalle a segnare la differenza tra me e lei.

Tra ciò che non condividevamo.

La guance asciutte stavolta, e il labbro inferiore scarlatto, nel tentativo ossessivo di calmarsi a forza di morsi.

“hai litigato con Carlo …”

Rimase muta ad osservare un orizzonte invisibile.

“perché …”

“perché lui non vuole capire ciò che sono e ciò che voglio!”

Il suo urlo risuonò come un ruggito tra le pietre chiare.

“perché lui mi ama, e il suo amore mi fa male, mi ferisce, mi uccide. Perché so che non posso ricambiarlo, perché io … io non amerò mai un uomo … io non”.

 

“di questo non puoi essere certa”.

 

La voce di Carlo alle nostre spalle ci costrinse a voltarci, immediatamente la mano di Martina si unì alla mia.

Con uno scatto repentino di paura per il dolore immenso negli occhi del ragazzo.

“non puoi essere sicura di qualcosa che non hai mai provato”.

“tu!” gli strillò di rimando mentre stringeva forte le dita tra le mie, in una morsa.

“pensi solo a te stesso, credi davvero che il mondo smetterà di essere tondo un giorno solo perché per te è più comodo così?”.

Rise, ma senza allegria.

Stava tremando.

“io non cambierò Carlo, devi accettarlo”, chiuse un attimo gli occhi, prima di riaprirli senza una punta di cedimento.

“io non sono e non sarò mai legata a te per qualcosa di più dell’amicizia! E non è colpa tua … o mia …”, sembrò rallentare, abbassando il tono di molti gradi pericolosi.

“io sono così …”.

 

Carlo abbassò lo sguardo verso il pavimento sotto di lui per qualche secondo, come a raccogliersi in preghiera, radunare le energie.

“non è te che vuole”.

Il suo sguardo mi trapassava mentre mi parlava, una furia sconosciuta nel suo sguardo.

“Carlo …”

“sei il suo ultimo desiderio non lo sai? Non gliene importa niente di te, sei come ogni donna che incroci il suo sguardo, e che deve essere sua. Così è stato con quella sua vecchia amica …”.

Si decise a guardarla, un nuovo tono adesso nella sua voce.

“… ricordi? L’ho allontanata io per mano tua, anche se eri tu ad essere in torto. L’ho mandata via perché sapevo che le sue lacrime ti rendevano ancora più indecisa, quando avresti tranquillamente potuto scegliere me …” le rinfacciò.

 

Mi girai verso Martina, i suoi occhi sembravano vitrei sotto i raggi cocenti di una verità scomoda.

 

“credevi non lo sapessi?” domandò il ragazzo ironico, “ti ho osservata, ho visto come ti comporti con le femmine, come le guardi … come le tocchi … come ti fai portare via e come le rincorri quando sono loro ad allontanarsi. Come quando la rossa ha afferrato lei, quella sera che arrivammo tardi, invece di tornare da te, come l’ultima volta …”

 

Mi aveva visto ballare con Nere.

Ci aveva viste insieme.

Sciolsi la mia mano dalla sua.

 

“è per questo che adesso vuoi Lori non è vero? Perché è la tua ultima scommessa, un patto che hai stretto con quel gay di Frank … È questo che ti ha promesso quando l’altra sera ti ha costretto ad uscire senza me?”

 

Mi toccai la fronte con un movimento rigido, sentivo le mezze verità affollarsi in un nodo contratto nella mia testa.

 

“ … Ma è tutto inutile Martina … queste sono solo scorribande senza futuro, capricci. Perché sai che nessuno ti amerà mai più di me, nessuna ti interesserà abbastanza da trattenerti. E sarai sola fin quando non ti accorgerai che solo io …”.

 

“BASTA!”.

 

Il suo urlo spazzò un solco tra di noi.

Allontanandoci ancora di più.

 

La schiena di Martina tra me e Carlo, mentre mi indietreggiavo a piccoli passi.

Sempre di più.

 

Fino a sbattere contro il petto di Frank, le sue braccia a trattenermi per un solo momento mentre lo guardavo negli occhi e capivo che aveva ascoltato abbastanza per sentirsi colpevole.

 

Mi divincolai con un gesto secco.

 

“dove vai?”

La sua voce preoccupata troppo stridula nelle mie orecchie.

Chiusi gli occhi mentre imboccavo il sentiero per andare via da tutti loro.

“a prendere a pugni qualcuno”

 

 

 

*Il Poeta in questione è Pablo Neruda,che, per onor del vero è Cileno e che quindi scrive in spagnolo, sua è la poesia in corsivo dal titolo appunto “saprai che t’amo e che non t’amo”**

***rospo dai poteri ipnotici, personaggio della serie animata “futurama”

 

N.D.A.

È un periodo sfortunato per le recensioni, ma so che non poche persone leggono questa storia.

E questo mi basta.

Perché l’unica cosa che chiedono queste parole è di essere lette.

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Capitolo 14
*** 14 ***


Il mio gancio sinistro colpì l’aria con ferocia, mancando il caschetto scomposto del mio avversario di diversi centimetri.

Ben si ritirò quel tanto che bastava per rimandarmi nella mia zona del tappeto, con la promessa di calci pronti a buttarmi a terra.

Lo studiai per qualche secondo, mantenendo alta la guardia, per poi rischiare l’impossibile buttandomi, con più forza che tecnica, contro il suo sterno.

Vidi il lampo di un sorriso mentre mi aggirava lasciandomi un colpo di guantone dietro la nuca.

 

Finii per cadere in ginocchio dietro di lui.

 

“di nuovo!” ringhiai tra i denti mettendomi seduta.

“no, basta” decretò il mio amico togliendosi i guantoni rossi e aiutandomi ad alzarmi con una presa energica, “ti mancano le forze” mi ricordò osservando le mie gambe che tremavano per il troppo sforzo.

 

L’orologio alla parete segnava le sette di sera.

 

Erano almeno due ore che combattevamo in una piccola sala nella palestra dove Ben insegnava balli latino americani tre volte a settimana.

Il fatto che fosse anche istruttore di kick boxing era irrilevante per il proprietario.

 

Mi costrinsi e seguirlo dall’altra parte della stanza, dove il tappeto gommato faceva spazio alle assi lucide del pavimento in legno.

Porgendomi l’acqua in segno di pace mentre mi lasciavo svenire accanto a lui.

Il fiato corto e ogni muscolo dolorante.

Incluso il cervello.

 

“chi è?”, chiese dolcemente richiudendo la bottiglietta.

Trasalii, osservando i suoi occhi scuri sorridermi indulgente.

“chi è chi? Avevo solo bisogno di sfogarmi”, negai cercando di sciogliere un muscolo della coscia destra.

“c’è sempre una persona dietro i tuoi scatti di rabbia improvvisa Lori …. sono la causa di quegli occhi” si giustificò indicandomi il viso.

“tu non hai idea di che cosa diventino quando sei in preda alla furia” ridacchiò compiaciuto.

“io …” tentai di giustificarmi.

“è l’unico motivo per cui ti ho accontentato oggi, non farmene pentire”.

 

Respirò tranquillo, eseguendo anche lui un esercizio di torsione per rimettersi in sesto.

 

Pensai a qualcosa d’improbabile per qualche secondo, prima di arrendermi e guardarlo in viso, con il rischio di distrarmi.

Era sicuramente uno degli uomini più belli che avessi mai visto in tutta la mia vita.

 

Obiettivamente parlando.

 

“beh .. c’è questa persona …” cominciai titubante.

Poi in un flash si accavallarono il volto di Martina, sfumato e ricomposto nel viso di Vale.

Strinsi i pugni.

 

“è un casino”, ricordai a me stessa, “è un immenso, paradossale casino in cui non dovevo cacciarmi.

 Mi sfugge tutto, il mondo, le sue regole, quello che sono e ciò che voglio. Mi sento tradita e ingannata, per sino da me stessa …”

Ben mi osservò interessato.

“è uno schifo” conclusi cercando di distrarmi con le venature dell’asse sotto il mio piede nudo.

 

Sentii un mormorio che invadeva la sala, fino a diventare un suono invadente.

Il ragazzo troppo cresciuto accanto a me rideva a gola spiegata, inclinando il capo all’indietro.

Meditai sul sentirmi offesa mentre tornava a guardarmi ancora sghignazzante.

 

“Lori, hai appena definito la vita, cosa ti aspettavi di diverso?” mi domandò improvvisamente intenerito dal mio sguardo incredulo.

“pensavi davvero che fosse facile? O giusto? Dio, stai solo vivendo, e credimi, tutto questo è incluso nel contratto” aggiunse stringendomi una mano abbandonata accanto alla sua.

 

“tutto ciò che puoi fare e non mollare. Andare avanti … perdonarti … e affrontare ancora tutto quello che verrà, sperando di essere abbastanza forte per superarlo”, sorrise gentile.

 

Rimasi qualche secondo a pensare mentre anche lui rifletteva su qualcosa che doveva averli rallegrato la giornata.

 

“è colpa di Luca se sei così positivo, vero?” sospirai rassegnata mentre arrossiva involontariamente.

“direi più a causa sua” ci tenne a correggermi mentre tornava di una sfumatura normale.

 

Nominare il suo ragazzo all’improvviso lo faceva ancora agitare.

 

“e tu? di chi è la colpa stavolta? Per quale ragazza devo temere la sopravvivenza oggi?”.

 

Balbettai qualcosa di incoerente mentre mi prendeva il mento tra due dita costringendomi a guardalo.

“come fai a saperlo?”

“perché gli uomini non ti hanno mai dato problemi” rispose savio, “e poi sei l’unica persona sulla faccia della terra che dopo il mio coming out non mi ha detto ‘che peccato’ ”.

 “ma l’ho pensato!” ridacchiai ripensando a quel giorno.

“possibile” mormorò stringendosi nelle spalle, “ma dalla tua bocca è uscito qualcosa come ‘la prossima settimana c’è il gay pride, vuoi venire con me?’ ”.

 

Gli diedi un lieve spintone alzandomi in piedi.

“volevo solo essere gentile”

Accennò ad una linguaccia flettendosi sulle ginocchia per raggiungermi.

“raccontalo a qualcun altro” mi rimbrottò scombinandomi i capelli madidi di sudore.

 

Gli scostai le dita con gesto spontaneo mentre controllava le pieghe della sua tuta nera, strappandomi un sorriso.

 

Alto moro e tenebroso, con occhi dolci e viso pulito.

Che avesse avuto un passato da libertino lo avevo intuito ancora prima che me lo dicesse lui davanti una pinta di birra.

Una sequela di donne più o meno formose, prima di incontrare lui.

 

“come hai capito che era Luca quello che volevi davvero? Che desideravi.. beh, si insomma …” gli chiesi a fior di labbra, senza soppesare realmente le parole.

Sembrò rifletterci tamburellandosi il mento con due dita.

“ti ricordi il giorno della mia dichiarazione sconvolgente?” domandò sovrappensiero.

“ne parlavamo due secondi fa” gli ricordai ridacchiano.

“hai presente quello che ti ho detto?”

“ ‘ho conosciuto un ragazzo qualche mese fa, si chiama Luca è alto biondo bello’ …” recitai grata alla mia memoria, “bla bla bla … una serie di complimenti e baggianate che non ricordo …” gli sorrisi irriverente.

“si, ma dopo?” mi interruppe ridacchiando.

“ah si … hem … qualcosa del tipo … lo amo … ?”.

Ben si mise le mani sui fianchi, sfoggiando un sorriso che avrebbe fatto perdere la testa a mezzo mondo.

“esatto”.

“tutto qui?” domandai un po’ delusa.

“credo che sia piuttosto rilevante” constatò divertito, “vedi, la differenza è davvero tutta qui, un sacco di donne con cui annoiarmi e poi … beh … l’amore è tutta un’altra cosa”.

 

Ci spintonammo reciprocamente fino alla porta della sala, ma la sua mano scattò sul maniglione antipanico prima della mia, costringendomi a desistere un attimo ancora.

 

“qualsiasi cosa ti stia passando per quella testa bacata …” scandì lentamente, “non farla stasera. C’è la tregua dopo la lotta. Arma un piano e seguilo fino in fondo. A mente fredda e con coscienza”.

Lo guardai, sembrava di nuovo il maestro di Kick troppo giovane di cui mi ero infatuata qualche anno prima.

“ad ogni colpo ne consegue un altro. Ma solo il tempo scelto per inferirlo determina la sconfitta o la vittoria”, mi ricordò guardandomi negli occhi.

“chiaro?”

Gli sorrisi, sfiorandogli una guancia.

 

“cristallino signore”.

 

 

L’auto di Frank era parcheggiata a pochi metri dall’entrata del mio palazzo, ma non era lui ad assediare il portone con le mani in tasca e il muso duro.

 

“che ci fai qui?” domandai alla sagoma sottile di Martina mentre poggiavo il borsone della palestra sul selciato.

“dobbiamo parlare”.

“non rientrava nei miei piani per stasera” le risposi, mentre tentavo di capire come aggirarla per raggiungere la serratura.

Si scostò di diversi centimetri intuendo il mio sguardo.

“bene, allora cerca di includermi nel progetto, o perderai la tua puntata di dr House” replicò insistente.

 

L’espressione torva e le braccia incrociate sul petto.

 

“scusami, ma non dovrei essere io quella arrabbiata con te?” ribattei irritata.

“no”, negò risoluta, “tu te ne sei andata in mezzo ad una discussione di fondamentale importanza per la mia vita, senza neanche degnarti di sapere se me la sarei cavata contro quell’energumeno di Carlo”, mi ricordò apparentemente calma.

“quindi sono io quella arrabbiata tra noi due”.

 

Era davvero una tipa impossibile.

 

“ok … mi sembri tutta intera, quindi hai avuto la meglio”, un ricordo amaro mi riempì la bocca.

“hai tutto ciò che desideri … no?”.

Martina si irrigidì un attimo prima di sfidarmi di nuovo con i pugni stretti bene in vista.

“certo che no!” si lasciò scappare con un tono più alto, “Carlo non è l’unico che doveva sapere qualcosa oggi”.

“naturalmente! Oltre al tuo amico lesbofobico era anche il mio turno di scoprire che sono il tuo prossimo giocattolo in palio!”, gli strillai di rimando.

 

“sai, non credo neanche esita il termine …”, trattenne a stento una risata mentre mi ribeccava.

 

“non è importante!” continuai inviperita, “il punto è che non capisco cosa ti importa di me! insomma, sono settimane che mi spii di nascosto, ci sei ma non ti fai vedere, mi siedi accanto senza neanche parlarmi!”.

 

La sua espressone curiosa che non scemava un istante mentre mi lasciavo prendere dall’isterismo.

 

“l’unica cosa degna di nota che ho capito è che mi trovi attraente quanto una rana!”.

 

Scoppiò a ridere prima che potessi continuare la mia inutile arringa, mentre si tratteneva lo stomaco con una mano e avanzava l’altra verso di me.

Poggiandola sul mio braccio.

 

Mi sentii stanca.

Come se improvvisamente il mio corpo avesse deciso che per quella giornata, tra la fuga, la palestra e il ritrovarmi davanti l’unica persona che non ero in grado di affrontare, ne aveva avuto abbastanza e ora non restava che arrendersi.

 

Ridacchiava ancora quando, seguendo la presa, mi si avvicinò di più, compiendo un passo verso di me, lasciando il mio profilo fino al viso, per osservarmi con sguardo chiaro, incredibilmente sincero.

 

“sei bella persino quando ti arrabbi”.

 

Boccheggiai senza fiato mentre mi lasciava curiosare sull’angolo d’ombra dei suoi capelli sulla fronte, le guance appena rosate.

 

“mi chiedo in quale momento hai deciso di credere che io sia una persona aperta e capace di parlare dei propri sentimenti”, mi sfidò senza alzare i toni, “invece di arrenderti all’evidenza che sono un’ottusa, incapace di formulare anche solo lontanamente qualcosa di carino per fare capire a qualcuno che mi piace”.

 

Era decisamente la dichiarazione più improbabile della mia vita.

 

“Frank non c’entra nulla Lori” lo scusò con voce dolce, “lui ha solo visto più lontano di me, per questo mi ha invitato ad uscire con voi quando mi incrociò per caso al black cat quella sera in cui tornai per scusarmi con Nere … e la trovai aggrappata a te in un angolo del locale”.

 

Arrossii involontariamente mentre le sue labbra si aprivano in un sorriso comprensivo.

 

“sapevo che avrei potuto trovarla impegnata, non è in grado di restare inerme quella li”.

Il suo volto tornò serio, fissandomi con intensità d’ambra chiara.

“Frank voleva solo farmi conoscere il suo giro di amici, sapeva che se ero andata volutamente in quel pub era perché qualcosa in me stava cambiando. Lo sapeva anche Carlo, lo ha sempre saputo, nonostante tutto ciò che dice a se stesso sapeva che sarebbe finita così, che ero stanca di mezze verità, che isolarmi non sarebbe bastato più per dimenticare cosa volevo realmente”.

 

La capivo, ma evitai di dirglielo, imprigionata nella sua storia, così vicina alla mia.

 

“quella sera ti vidi per la prima volta, e non sapevo nulla di te, fin quando non scappasti via trascinandoti Frank, con l’aria colpevole e spaventata che avevo visto in me stessa subito dopo aver baciato Nere”, confessò pacata.

 

Non mi accorsi che si era avvicinata fino a toccarmi.

O che la sua mano stava lentamente sfiorando la mia in una richiesta silenziosa.

Gliela presi dolcemente.

Perché era la cosa giusta da fare.

                                      

“ti ho vista andare via con lui e ho capito che c’era davvero la possibilità di conoscerti, di avvicinarmi a te. Anche se probabilmente significava rinunciare ai miei compromessi senza una rete di sicurezza a tenermi. Perché l’ho capito subito che sei una pazza scatenata che manderà a puttane il mio mondo … ed è per questo che non volevo fare il primo passo”.

 

Sorrise nella confessione.

 

“anche se, lo puoi vedere da sola, sono caduta nella tana ancora prima di vedere il bianconiglio”. *

 

Respirai piano, prendendo qualche secondo, cercando di far quadrare tutto, mentre mi rendevo conto del suo profumo di gelsomino, e di quanto, da quando l’avevo conosciuta, avevo cercato quella fragranza nell’aria, senza neanche accorgermene.

 

“è tutto chiaro adesso?” domandò alzando il viso verso il mio, gli occhi chiari alla luce dei lampioni, la carezza del suo corpo sempre più vicino al mio.

“quasi”, la rassicurai sfiorandole una guancia.

Aggrottò le sopracciglia confusa, “cosa manca?” chiese perplessa.

“perché Frank è rimasto in macchina?”.

Rise, mentre alzava le braccia per cingermi il collo, in punta di piedi.

“perché ha paura di te”, mi ricordò.

Le mie mani circondarono la sua vita.

“e tu?” la sfidai sorridendole di rimando.

“io cosa?”.

“tu non hai paura di me?”

Non capii chi delle due annullò i centimetri di distanza.

“molta”, confessò sulla mia bocca, “ma spero sempre di fartene altrettanta”.

 

Assaporai le sue labbra come qualcosa cercato per lungo tempo, mentre quel pazzo del mio migliore amico suonava il clacson al ritmo di un motivetto allegro.

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Capitolo 15
*** Avviso ***


Avviso
Ai lettori che seguono apprezzano preferiscono e commentano questa storia.
A causa di un problema puramente tecnico (ho rotto il mio portatile) non sono in grado di aggiornare la storia prima del mese di agosto
. so che questo non è molto professionale ma sappiate che, in ogni caso non ho intenzione di abbandonare "la mia migliore amica". questa storia è molto importante per me e so, grazie ai vostri indelebili commenti, che anche qualcun altro crede in questi personaggi e nelle loro avventure.
spero di riuscire comunque, nonostante il tempo di stallo che ancora ci aspetta, di rendere gradevole il resto della storia e di terminarla degnamente.
vi chiedo solo un pò di pazienza ....
a presto
con gratitudine
Honey

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Capitolo 16
*** Avviso due ***


A coloro che sperano ancora
La storia "La mia migliore amica" non è stata abbandonata, vi sarà un continuo e un finale poichè ho già la traccia e i personaggi.
L'unica cosa che manca è un computer di fortuna dove trascrivere i capitoli e una connessione internet per aggiornare.
So di non essere più credibile ma cercherò comunque di postare il prima possibile.
A presto
Honey

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Capitolo 17
*** 15 ***


Si va avanti, a volte.

Grazie a te

 

Quando aprii gli occhi il soffitto mi parve incredibilmente lontano.

Una ciocca dei capelli di Martina mi solleticava le labbra, scivolando appena sulla guancia.

Il collo esposto al suo respiro lento mentre mi dormiva addosso, nello stretto spazio del divano.

Cercai lentamente di spostarmi, mentre mi accorgevo che non aveva smesso di abbracciarmi durante un sonnellino imprevisto.

Stavamo parlando, con la tv di sottofondo e una giornata di sole oltre le finestre di casa mia che non ci interessava molto.

Poi, ad un certo punto, aveva sbadigliato.

Con nonchalance.

Mentre mi mettevo comoda, quasi distesa.

Le parole erano diventate lente, sempre più rade.

Ma io avevo smesso di preoccuparmene perché probabilmente stavo già dormendo.

 

“Marti …” le bisbigliai schiarendomi la voce.

Si strinse contro di me nascondendosi contro la spalla, cocciuta di sonno.

Ridacchiai sommessamente mentre cercavo di capire come svegliarla senza che si chiudesse a riccio.

 

“Mamma?” domandò impastando le lettere in una sola parola, gli occhi chiusi.

Risi un po’ più forte, accarezzandole i capelli.

“no Martina non sono la mamma”

“non la mia idiota” biascicò aprendo leggermente uno sguardo di sfida dorata.

E sonnacchiosa.

“la tua”.

 

Cercai di ricordare nell’ordine confuso dei miei pensieri appena svegli cosa c’entrasse la mia genitrice in quel momento.

 

Non le avevo ancora fatte incontrare, nel vago timore che mi si leggesse in gesti nervosi che quella ragazza troppo magra non fosse solo una mia amica.

Erano rimaste separate pur nella stessa casa, con orari differenti di una routine che mi era amica mentre incastravo le loro vite nella mia.

Mentre prendevo del tempo inutile tra un bacio con Martina e le risate con mamma davanti un film leggero.

 

Tempo che cominciava a sommarsi in ogni giorno trascorso.

Di un mese che prendeva scadenze lunghe.

 

“tua madre Lori” mi ricordò Martina alzandosi su un gomito per guardarmi meglio nella mia espressione confusa, “torna da lavoro alle sette”.

Scossi il polso alla ricerca dell’orologio mentre sapevo già di essere irrimediabilmente in ritardo.

 

La porta scattò con precisione chirurgica mentre la ragazza accanto a me si metteva a sedere sul divano in un gesto di estrema difesa su una situazione decisamente ambigua.

Sentii il sospiro indeciso di mia madre mentre sostava nell’ingresso.

 

La sacca di Martina sicuramente abbandonata sotto i cappotti.

 

“Lori!” strillò sbattendo qualcosa sul mobile vicino la porta.

I passi secchi di mia madre mentre attraversava la casa per arrivare in salotto dove la attendevo con le braccia incrociate e l’aria colpevole.

 

“Lori!” mi sgridò di nuovo, “come hai potuto …”, mi guardò negli occhi e per un attimo sperai di essere abbastanza alta da nascondere Martina dietro di me

 

“Dei! Era la sola cosa che ti avevo chiesto e tu sei riuscita a deludermi” mi rimproverò affranta agitando una pianta bonsai tra le mani.

 

Non nascondermi qualcosa

 

“ti avevo detto di dare acqua alla pianta dell’ingresso!”

“come?”

 

Mia madre mi guardò come se fossi irrimediabilmente tarda.

“Ho detto” ripeté scandendo lentamente le parole, “che ti avevo gentilmente chiesto di dare acqua alle piante, soprattutto a questa … sai quanto ci tengo!”.

 

“mamma …”

“ma come devo fare con te?” sospirò passandosi una mano sulla fronte, “giuro che se vivessi con un neurone in più sulle nuvole ti dimenticheresti persino di respirare ogni tanto”.

 

La guardai sorridere a Martina che, inconsciamente, le rispose con un ghigno.

 

“ha un’eccezionale propensione per fare impazzire le persone, non è vero?” continuò mia madre per nulla disturbata dalla sua presenza mentre mi prendeva palesemente in giro.

“fino a livelli del tutto inesplorati” le rispose Martina senza lasciarla con lo sguardo.

Avanzò verso mia madre porgendole la mano.

"ragazza intelligente", si complimentò mamma nella presentazione, "io sono Alba, la madre di questa strana aliena".

La ragazza annuì compiacente, "Martina, amica dell'essere esasperante".

 

Le vidi sorridersi a vicenda mentre la giornata prendeva una piega del tutto inaspettata.

C'era da chiedersi se entro la serata sarebbero riuscite a inventarsi un piano per farmi fuori.

"Allora Martina" chiese mamma assaporando il nuovo nome, "ti fermi a cena?"

La ragazza al mio fianco alzò il cellulare in segno di scusa.

"mia madre mi sta già aspettando, e non credo mi perdonerà di essermi persa il suo speciale polpettone ripieno".

Strizzò un occhio con aria civettuola, "magari la prossima volta".

Mamma sorrise accordandole un cenno di assenso mentre i lunghi capelli scuri di Martina giravano in un fruscio sulle sue spalle magre.

"mi accompagni alla porta?" mi chiese avviandosi da sola verso l'ingresso.

Anuii inebetita mentre senza dire una parola la seguivo fino allo zerbino per poi tornare indietro in salotto.

La donna, seduta sul divano dove fino a pochi minuti prima stavo riposando con una ragazza a lei sconosciuta mi sorrise leggera.

 

"è carina .... mi piace!"

 

....

 

"non mi piace!" strillò Vale dall'altra parte della tenda.

Rimasi a guardare l'ombra dei suoi piedi fuori dal camerino con le braccia cariche di lingerie.

"e allora non prenderlo!" brontolai di rimando.

Erano troppi i minuti in cui stavo facendo da guardarobiere con una sfilza di signorine 'possoesserleutile' che mi spintonavano di qua e di la.

 

Senza parlare dell'incredibile quantità di pensieri poco casti che mi si stavano affollando in mente da quando eravamo entrate nel negozio di intimo.

Eppure avrei giurato a me stessa di essere davvero poco incline a fantasie così spudorate.

"da quando Mario mi ha detto che gli piace il pizzo io credo che ..."

Lasciai la voce di Vale ovattarsi tra le pieghe della stoffa mentre una specie di modella versione casalinga usciva dal camerino a fianco con incedere elegante, mi raggiunse per nulla intimidita con due reggiseni assolutamente indecenti tra le mani.

 

"secondo te qual è più sexy?"

 

Chi aveva deciso l'improvvisa morte dei preamboli?

"hem ..."

 

"quello rosa" decretò la testa di Vale appena spuntata dietro di me, incapace di trattenere un giudizio su qualsiasi capo di vestiario.

"dici che mi starebbe meglio?" domandò la ragazza non del tutto convinta.

"certo, e poi si intona con il colore dei tuoi occhi".

 

"quello blu" sentenziai prima di rendermene conto.

La finta modella si lasciò incuriosire, "sicura?"

"credimi, nessuno baderà al colore dei tuoi occhi con quello addosso".

 

Scoppiò a ridere prima di ringraziarmi con un gesto della mano e allontanarsi verso le casse.

Vale restò con lo sguardo perplesso e la chioma scombinata appena fuori la tenda del camerino.

"credo che ascolterà il tuo consiglio" bisbigliò sovrappensiero.

Sparì immediatamente dentro con un fruscio di seta e gancetti.

 

"entra a controllare!"

mi scossi dai miei pensieri di colpo.

"come scusa?"

"entra qui dentro e dammi un consiglio, non ne posso più di chiedermi quale sia il completo migliore"

"Vale, non mi sembra una buona ide ..." una mano piccola ma impaziente mi trascinò dentro per una manica.

 

"perché hai gli occhi chiusi?"

Strinsi le palpebre nascondendo le mani dietro la schiena.

E se ci fosse stata una corda nei paraggi l'avrai usata senza remore contro me stessa.

"la luce mi ferisce" tentai impacciata.

L'odore di fiori selvatici di Vale misto a quello sottile del raso impregnava lo stretto spazio tra noi due.

"si ma così dubito saprai darmi un consiglio" mi canzonò sfiorandomi un braccio.

Sperai non si accorgesse del mio tremore.

"dai Lori, abbi pietà e facciamola finita con questa storia!"

 

Strinsi più forte gli occhi, lasciandomi invadere la vista da piccole luci bianche.

 

In questa storia c'era la mia migliore amica con un completo intimo assolutamente trasparente oltre i miei occhi chiusi.

 

In questa storia c'era la ragazza che amavo a pochi passi da me, semi nuda e innocente, come lo era sempre.

 

In questa storia che non ero in grado di affrontare, c'era la tentazione di un passo definitivo.

 

"Lori?"

 

Una lacrima di disperazione mi annebbiava la vista mentre aprivo gli occhi e la guardavo.

Con un desiderio che lei non notò nemmeno aggiustandosi la spallina destra.

 

"sei bellissima Vale"

 

-

 

 

Il lenzuolo sembrava stringermi come una morsa, e la coperta, inappropriata per la stagione, pesava come piombo, senza per questo riuscire a scaldarmi.

"male ..." riuscii a tartagliare tra i denti che battevano di loro iniziativa.

Mamma si assicurò che la febbre fosse davvero alta come risultava dal termometro, la sua mano fresca era un balsamo sulla mia fronte, come quando ero piccola e credevo che potessi guarire solo con lei al mio fianco.

"il medico dice che quest'influenza è terribile, un paio di giorni con la temperatura alta e poi almeno una settimana per riprendersi del tutto ..."

Parlava a se stessa lo sapevo.

"mi dispiace da morire ma non posso rimandare ancora per molto, devo assolutamente andare in Francia a firmare la separazione con tuo padre".

Strinsi gli occhi, "lo so mamma".

Sospirò qualcosa che non riuscii a distinguere mentre entravo in uno stato di torpore a cui non potevo resistere.

"non posso lasciarti sola, ma la nonna non se la sente di venire fin qui ... forse potrei chiedere a Vale di trasferirsi qui un paio di giorni, giusto il tempo di rimetterti..."

"Martina"

Mamma trattenne il respiro spostandomi una ciocca di capelli dalla guancia, la pressione era tenera su di me.

"Lori ..."

"Martina" ripeterono le mie labbra senza controllo.

Mi diede un bacio triste prima di lasciarmi andare al sonno.

 

-

 

"Lori ..." sentii una vaga pressione al braccio con cui cingevo i fianchi di Vale per impedirle di andare via, oltre un bordo nero di cui non conoscevo lo spessore.

"Lori lasciami, mi fai male".

 

Aprii gli occhi, i capelli di Martina mi soffocavano mentre la sua schiena premeva contro il mio petto e le ossa del suo bacino fragili tra le mie mani troppo grandi chiedevano di essere liberati.

 

La lasciai andare immediatamente.

La ragazza accanto a me sospirò pesantemente, con una rassegnazione sviluppata in appena una settimana di convivenza.

Mia madre sarebbe stata via ancora per qualche settimana, la sua strategia legale per liberarsi di un matrimonio che nel cuore non esisteva più da anni con l'uomo che amavo più di tutti.

Quel padre che mi aveva lasciato insieme alla casa e una scatola rotta con alcuni dei suoi ricordi inutili in una mattina di Gennaio.

Troppo lontana per meritare dettagli.

 

Martina si girò lentamente per guardarmi negli occhi, aveva scure occhiaie di notti insonni dal troppo parlare.

Dormiva con il capo sul mio cuscino e le labbra ad un passo dalle mie.

Sentivo il suo corpo chiedermi di trattenerlo più a fondo delle carezze troppo veloci che la lasciavano con il respiro a metà e l'anima insoddisfatta.

Ma non potevo.

 

Non dopo che, notte dopo notte, trattenevo il corpo di Vale da un burrone che sentivo fragile sotto i miei piedi.

 

"Ancora quel sogno?"

 

Sospirai stanca.

 

"Vedrai che tua madre starà bene", mi sussurrò in una bugia che avevo inventato per rendere credibili i miei incubi.

"Devi solo rilassarti", mi sussurrò sfiorandomi leggera il petto, la sua mano sembrava conoscere bene la mia pelle.

Attaccai le sue labbra con tutta la delicatezza di cui ero capace, trattenendo il fiato per darle solo una tenera carezza.

La pillola di zucchero che consola dopo la medicina amara.

La sua bocca che accoglieva la mia senza scappare, chiedendo semmai il permesso di rimanere, trovare un angolo in cui riposare indisturbata.

Le lasciai il mento per il collo, la spalla per il seno.

Scendendo con le labbra mentre cercavo altro calore con le mani, adattandomi alle sue forme che avevo imparato a conoscere bene, in una meccanica che mi dava scosse dolci sotto i polpastrelli.

L'eco delle sue vibrazioni tramite i miei movimenti.

Sorrideva mentre il rumore impercettibile di un bussare cheto alla porta principale mi staccava da lei.

 

Chi avrebbe mai potuto ignorare il campanello elettrico al giorno d'oggi?

 

"Aspetta".

 

Dimenticando le pantofole a pochi centimetri di distanza infilai distrattamente le scarpe slacciate, raggiungendo l'ingresso di corsa.

 

Attraverso lo spioncino trovai delle spalle fragili e un viso sciolto dal pianto.

 

Lo scatto della maniglia la invitò ad entrare prima di riuscire a formulare le parole esatte di uno spavento troppo recente.

 

Le lacrime di Vale sul mio pigiama era la prova tangibile che fosse davvero li.

“Vale …”

Scostò il viso dal mio petto, quel tanto che servì per farmi intravedere la macchia nera sotto il suo occhio destro.

Lo zigomo deturpato di una goccia di sangue non del tutto rappreso, ancora fresco, appena intaccato dal vento.

“Lori … Lori no!”

Avevo già strappato la giacca all’appendi abiti accanto la porta prima di precipitarmi fuori di casa.

L’odore di Mario troppo forte tra i capelli di Vale l‘unica traccia che mi serviva per condannarlo a morte.

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Capitolo 18
*** 16 ***


15

 

Il primo pugno arrivò direttamente al naso, ma mi accorsi subito che avevo fatto centro solo grazie l’effetto sorpresa.

Le mie mani tremavano troppo per essere così precise.

 

“chi colpisce per primo colpisce due volte” recitava la voce calma di Ben nella mia testa.

Come quando provavo a temporeggiare dentro il quadrato d’allenamento.

 

Il sangue di Mario mi sporcava appena le nocche.

Provai ad insistere sulla parte offesa, ma stavolta mi fermò, anche perché ormai il fiato corto della mia corsa e l’avventatezza stavano prendendo il posto dell’adrenalina che scorreva ancora nel cuore.

“cosa cazzo stai facendo?” urlò, afferrandomi i pugni e tenendoli sospesi sopra la mia testa.

Ne approfittai dargli una testata sul mento che lo colpì in pieno, facendogli schioccare i denti tra loro, lasciandolo indietreggiare per trascinarmi in un’improbabile caduta sopra di lui.

 

Il suo corpo contro il mio rivelava l’intima sostanza dei suoi muscoli sottili contro le ossa troppo lunghe,il viso ancora stupito mentre  colpivo a pugni chiusi tutto ciò che restava immobile sotto di me per più di qualche secondo.

Sapevo che stava solo cercando di bloccarmi mentre trovava il modo di alzarsi e spingermi contro il muro, lasciando la mia testa libera di sbattere contro la parete, aprendo un solco.

Dentro le mie mani l’intonaco freddo del muro graffiava i palmi.

 

“Lasciami!” urlai da qualche parte troppo in basso alle sue orecchie mentre ancora più teso stirava le mie braccia verso l’alto in una presa ferrea.

“lasciami bastardo!”.

Le ginocchia cercavano invano di colpire il suo unico punto debole tra le gambe, mentre, pur di tenermi ferma, si faceva più stretto al mio seno.

 

“per lasciarti libera di picchiarmi? Chi ti credi di essere?”

 

Quello che tu non sarai mai

 

“perché te la prendi con me idiota? È Vale che ha fatto tutto questo casino. Non è colpa mia se è arrivata all’improvviso per arrabbiarsi di qualcosa che non ho neanche capito … quella donna è pazza, proprio come te!”

 

Il suo fiato corto contro una tempia.

 

“mi ha minacciato di chissà cosa prima di andarsene urlando. Ha sbattuto li, proprio contro quello spigolo mentre correva piangendo. Non ho provato neanche a fermarla, tanto sapevo che sarebbe tornata entro mezz’ora. Sono abituato ai suoi cambi di umore, ai sui isterismi, le chiamate alle tre di notte, i dettagli inutili sulla sua famiglia e sulla sua amichetta del cuore, che tratta come un gattino mentre è solo una pazza istintiva, che ama e odia con la stessa intensità …”.

 

Alzai lo sguardo mentre le gambe smettevano di correre alla ricerca di un calcio ben assestato.

Mario mi fissava con imperscrutabile intensità nei suoi occhi d’inchiostro.

Parlava di me.

 

“… che la protegge come una fidanzata gelosa, che mi scredita come l’ultimo degli uomini quasi fosse invidiosa di me … di qualcosa che io posso avere mentre a lei tocca accontentarsi delle briciole”.

 

Il suo sussurro sul mio viso stretto negli occhi chiusi.

Il ricordo doloroso di una notte buia in cui il ricordo di Vale era l’unico gemito tra il mio corpo e quello di un altro uomo.

Pressato come quello del fidanzato della mia migliore amica al mio.

 

Lo scansai di netto mentre sentivo la tensione sciogliere i nodi della sua gola in una risata.

Ma non la presa dai miei polsi.

 

“Dio … non credevo di avere ragione”.

 

Lo guardai con odio, infilando con vivida cattiveria le unghie nella carne per lasciarmi andare con un guaito offeso tra una risata e l’altra.

 

“non vedo l’ora di dirlo a Vale”

“non la vedrai mai più” digrignai tra i denti.

Assottigliò lo sguardo in una sfida balorda.

“tornerà” commentò serafico massaggiandosi leggermente le mani indolenzite dai miei graffi.

“lei mi ama”.

 

Gli voltai le spalle in direzione della porta, per evitare di sentire ancora la sua voce odiosa, per non farmi tentare dal sano desiderio di picchiarlo ancora.

 

“come non amerà mai te … stupida lesbica”.

 

-

Camminai a lungo tra le strade del mio quartiere senza il coraggio di tornare, anche se sapevo che Vale mi stava aspettando, che aveva bisogno di me.

Delle mie rassicurazioni.

Del mio affetto.

 

Aveva bisogno della sua pacata, dolce migliore amica.

Di una spalla tiepida su cui piangere.

Di un abbraccio.

 

Non di una bestia incazzata con il sangue secco del suo fidanzato sotto le unghie.

 

Sospirai ancora, salendo le scale a piedi, pigiando quasi con timore il campanello della mia stessa porta.

Aspettandomi ansia, dolore, paura.

Ma la porta si aprì, e trovai solo due occhi dorati a guardarmi con rabbia e una domanda che forse non aveva risposta.

 

-

“dove sei stata?”

Gli occhi di Martina cercarono i miei, ostinatamente bassi, irreprensibilmente colpevoli.

“Lori …”

“lei dov’è?” chiese una voce sconosciuta dal fondo della mia gola, sembrava il ringhio stanco di un animale ferito.

Troppo lontano da me per preoccuparmi davvero.

 

Martina si passò una mano tra i capelli arruffati, lasciandosi scoperta una guancia e i segni scuri di preoccupazione dentro i suoi occhi d’ambra.

Mi sentii in colpa.

Terribilmente, e senza scuse.

“dorme sul divano, credevo fosse svenuta invece si è solo addormentata mentre le preparavo un tè”.

Vale odiava il tè caldo.

Martina non sapeva neanche prepararlo

 

Ed improvvisamente le vidi, le due donne della mia vita, mai presentate, sconosciute agli atti dentro la mia casa, senza me a separarle, ogniuna con un segreto impossibile da dire.

Un crampo allo stomaco mi ricordò quanto stavo rischiando in quel momento, mentre Vale riposava e Martina sospirava delusa accanto a me.

Irriconoscibile, come in un sogno confuso.

“forse è meglio che vada …”

“si” le risposi senza tempo, con la sua frase ancora in bocca e un dolore vivido che le tirava i muscoli delle labbra.

 Mi accorsi tardi che lo sapeva già, che la sua borsa era poggiata e chiusa accanto la porta, in attesa delle mie parole.

Senza speranza.

Le bloccai un polso mentre cercava la maniglia, tirandola a me in un abbraccio rigido, nel suo corpo magro accostato al mio senza volerlo.

O forse troppo triste per accettarlo.

“torna domani Marti”, le sussurrai tra i capelli.

Con un braccio mi sfiorò la vita, per trattenermi o scansarmi, chissà.

“non hai bisogno di me”

“si invece … ti prego, torna”.

Restò qualche secondo a respirarmi addosso, trattenendosi, pensando forse.

La sua mano che saliva verso il mio collo era l’assenso che cercavo.

Mi guardò negli occhi prima di baciarmi con cautela, gli occhi chiusi mentre controllavo la dolcezza delle sue ciglia contro le guance rotonde.

 

“vai a lavarti adesso”, sussurrò aprendo la porta.

“puzzi di uomo”.

 

-

Vale respirava piano.

I piccoli pugni stretti come sempre sotto i mento e le tracce lisce delle lacrime intorno al viso.

Aprì gli occhi prima che potessi aggiustarle il plaid sulle spalle.

Fissò il mio viso prima di intercettare la mano che tentavo di tenere in tasca.

“cosa gli hai fatto?”.

“nulla”.

Una goccia di sangue colpevole attirò la sua attenzione.

Si alzò con fatica, prima del suo abituale equilibrio.

“Lori … ti prego dimmi che non l’hai picchiato …”.

Trattenni il respiro.

“ti scongiuro, per favore … non gli hai fatto del male vero?”.

Un pensiero mi passò sul viso, facendola inorridire, mentre si buttava contro di me.

In una foga che non aveva niente di reale, scuotendomi per le spalle, gridando.

“non devi toccarlo! Lui è mio! È solo mio, nessuno può ferirlo, nessuno può portarmelo via!”

La voce rotta mentre strattonava la mia maglietta con impeto e dolore.

Mentre percepivo le sue paure, e il motivo per cui probabilmente si era lasciata andare alla crisi.

La gelosia,

L’incertezza.

 

“lui è il mio ragazzo, solo mio solo mio!”.

Immobile mentre scandagliava la sua furia frustrata.

“Vale”

“come hai osato!”

“Vale …”

“lui è tutto per me, la mia vita … la mia intera esistenza”

“Vale!”

“io lo amo!”

“COSA NE SAI TU DELL’AMORE!”

 

Sussultò zittendosi.

I suoi occhi fissi nei miei, mentre mi accorgevo di averle stretto troppo forte le spalle tra le mani rigide dall’incertezza.

Il respiro corto di entrambe a pochi centimetri di distanza.

Il suo profumo dolorosamente sospeso tra di noi, come i suoi capelli vicino le mie dita, ad accarezzarmi la pelle.

Labbra socchiuse di incredulità, morbide di bacio, dolci di arrendevolezza.

 

Provai prepotente l’impulso di prenderla in quel modo.

Con quello sguardo pieno di domande e il corpo troppo stanco per reagire.

Potevo farlo.

Lei era li.

Per me.

Sola e distrutta.

 

Io avrei potuto cambiare il suo mondo.

Essere tutto ciò di cui avere bisogno.

 

Mi crollò addosso con stanchezza, rifugiandosi nel mio petto, stringendosi al mio cuore.

“aiutami” bisbigliò al mio seno, lasciandomi un brivido confuso sulla pelle.

La strinsi tra le braccia con la sensazione di saper fare solo quello e nient’altro.

Di aver fallito per tutte le altre cose nella mia intera esistenza.

“sono qui” la rassicurai a mezza voce.

“io non ti lascerò”.

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Capitolo 19
*** 17 ***


Mamma mi ricordava sempre che il mio naso, assolutamente inutile nel riconoscere o meno un cibo scaduto, era invece perfetto per scovare le bugie.

Lo diceva arrossendo appena, per quando l’anno prima aveva tentato di coprire delle rose arrivate per posta da un corteggiatore.

Lo ricordava con il volto pallido, con in segno duro delle mie parole quando aveva provato a giustificare la fuga di mio padre.

 

Le bugie hanno un odore dolciastro di zucchero sciolto per il mio naso.

Qualcosa che non posso non notare e che scovo con una facilità quasi allarmante.

 

Immagino sia normale per una bugiarda patologica come me.

 

L’aria in casa mia, in quei giorni, aveva esattamente quell’odore.

Impregnava le stanze, copriva l’odore dei pasti, si infilava nel letto.

Probabilmente perché ne ero pregna, fino all’ultima cellula del mio corpo.

 

“Lori?”

Mi voltai sorridendo.

Con Vale era sempre così, mi veniva da ridere anche prima di voltarmi.

E non solo perché ero sicura di vederle addosso il suo pigiama preferito, quello con le paperelle gialle.

“dio, ho una fame allucinante, perché non prepari da mangiare?”.

Arricciò il labbro inferiore a cucchiaino, nella speranza di intenerirmi

 

Sarebbe bastato ancora meno.

 

“certo, dammi un attimo”, mi tirai su dall’anglo di pavimento dove avevo buttato il contenuto di un paio di cassetti.

Nella speranza di creare un ordine approssimativo nel caos perfetto delle mie giornate.

Vale abitava a casa mia da meno di 24 ore e già ero nel panico di quando sarebbe andata via, piuttosto di preoccuparmi di come avrei fatto a tenere in piedi la situazione.

 

Aveva dormito con me nel letto grande, chiusa a riccio tranne per la mano destra, stretta alla maglietta del mio pigiama.

Ma senza sfiorarmi.

A me andava bene così.

Non avevo neanche fatto il mio solito incubo.

 

“il pranzo”, mi ricordò a voce bassa, per rispetto ai miei pensieri.

Le passai accanto trascinandola per un polso, tirandola in spalla come una bambola di pezza per percorrere a cavalluccio i pochi metri del corridoio fino alla cucina.

 

Con lei che rideva contro la mia schiena mentre toccava di sfuggita uno scaccia pensieri appeso alla porta per il gusto di sentirne il suono.

Piccoli pezzi di vetro contro conchiglie colorate.

 

Il rumore cattivo del campanello cambiò di poco i nostri giochi, mentre, sempre avvinghiata alle mie spalle mi avvicinavo di corsa alla porta, aprendola di scatto.

Il sorriso teso di Martina scomparve immediatamente sulla soglia.

 

 

Sistemai la pentola piena d’acqua sul fuoco  mentre Martina e Vale accomodate sugli sgabelli dietro la penisola aspettavano il pranzo.

“mi dispiace per ieri Martina …”, le labbra di Vale incespicarono su una scusa, “è stata una giornata strana e non ci siamo nemmeno presentate”.

Martina continuò ad osservarla in silenzio.

“ti immaginavo un po’ diversa ...” improvvisò Vale imbarazzata.

“tipo come?”, Martina giocava con il coltello lasciandolo sbattere contro il piatto, in un gesto nervoso che non le riconoscevo.

“un po’ più alta” arrischiò Vale, pentendosi immediatamente nel sospiro rassegnato.

 

“Lori ha l’abitudine di circondarsi di persona basse”, le ricordò indicandola col mento, “perché io sarei dovuta uscire dagli schemi?”

 

La loro altezza semplice che contrastava con le mie misure alterate.

 

“non saprei … non ci ha mai presentate, supponevo ci fosse qualcosa di speciale in te per farmi attendere tanto prima di conoscerti”.

 

Urtai la padella con forza contro la piastra del fornello senza girarmi.

Un avvertimento di che Martina riconobbe senza incertezze.

 

“credo sia stata semplice dimenticanza”.

 

Lasciai il sugo amalgamarsi al soffritto e al tonno sfumato con il vino bianco mentre tagliavo le olive nere in pezzi grossolani.

 

I gesti concentrati delle ragazze dietro di me producevano un rumore troppo lieve per essere reale, mentre, ostinatamente, prestavo tutta la mia attenzione ai fornelli.

 

Una mano troppo piccola si poggiò sul mio braccio.

I capelli di Martina scivolarono su di me con docilità, tentando di frenarmi.

 

“Vale … per favore getta la pasta in acqua tra due minuti esatti, devo fare vedere una cosa a Martina in camera mia ok?”

 

 

“perché non mi hai detto di lei?”

 

Lo sguardo di Martina era molto più quanto riuscissi a sopportare, fissai lo spigolo appuntito della porta accostata cercando di trovarlo interessante.

“prima o poi sarebbe successo” mormorai a labbra strette.

“certo! Come i terremoti le inondazioni e il pagamento delle tasse”

Osservai il suo ciuffo sollevarsi in uno sbuffo spazientito ed ironico.

“c’è poco da fare la spiritosa”, commentai fingendo fastidio.

 

C’era solo tenerezza davanti a me, come di una bambina confusa che spera di non perdere il proprio animale di peluche.

Immaginai di essere un conoglietto viola con gli occhi a bottone.

 

“non volevo fare una battuta, Lori”

La sua voce era triste.

Lo sguardo, basso e molto più scuro scivolava sul letto sfatto dietro di noi.

 

Le mie cuciture tirarono di più.

 

“è solo un’amica” ammisi a mezza bocca.

“lo sa?”

 

Un interrogativo a troppi punti.

 

Sapere di me e di te.

Della mia vita che scorre su due binari troppo vicini.

Che vengo a letto con te mentre sogno i suoi capelli sul cuscino.

 

“no, non lo sa”.

Si accorse della rudezza di quattro parole scarne.

Dell’insensibilità forse.

Del brandello di imbottitura che sfuggiva da un angolo scucito.

 

Si guardò intorno cercando un appiglio, scivolando tra i miei libri sgualciti, sui fogli scarabocchiati e le penne masticate.

Solo alla fine venne a cercare un sostegno nei miei occhi.

“e non voglio che lo sappia, per ora”.

 

Inghiottì silenziosamente il boccone amaro.

 

 

 

N.D.A.

Lo so che non aggiorno da un tempo decisamente irritante.

Ma tanno succedendo tante cose nella mia vita e Lei … Lei sa di Vale, forse senza rendersi conto realmente di quello che è lei per me.

Altrimenti ne avrebbe decisamente più paura.

Dio solo sa cosa ne pensa di tutta questa storia.

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