Ars Moriendi di Yuri_e_Momoka (/viewuser.php?uid=82965)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Impressione ***
Capitolo 2: *** II. Il Principe d'Orange ***
Capitolo 3: *** III. Chatterton ***
Capitolo 4: *** IV. Cleopatra ***
Capitolo 5: *** V. Marat ***
Capitolo 6: *** VI. L'impiccato ***
Capitolo 7: *** VII. Sole levante ***
Capitolo 1 *** I. Impressione ***
1 impressione
Titolo:
Ars Moriendi, Capitolo 1 - Impressione
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi:
Inghilterra (Arthur Kirkland), Francis (Francis Bonnefoy), America
(Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta
Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania
(Ludvig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski),
Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 2,614 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction
provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: 1. La fiction è ambientata a Graz (Austria) e dintorni, alla fine del 1800.
2. Saranno presenti molte descrizioni apparentemente inutili e noiose,
ma poiché ho cercato ad ispirarmi alla scrittura di Conan Doyle
e alla sua accuratezza dei dettagli, vi prego di leggere tutto,
poiché ogni descrizione ha uno scopo preciso.
3. Saranno spesso nominate delle opere d'arte non troppo conosciute. In
fondo ad ogni capitolo metterò un link al/ai dipinto/i
perchè ritengo importante ai fini della trama che abbiate
presente come sia.
Ars Moriendi
I.
Impressione
Arthur
non sapeva esattamente perché si trovasse lì, di fronte a quel quadro così
strano di un autore che non aveva mai sentito nominare. Non si intendeva
particolarmente di arte e ancor meno di quelle nuove tendenze che tra i
francesi si stavano diffondendo in fretta, ma che non stavano riscuotendo particolare
successo. Nonostante il suo parziale disinteresse per la pittura, si sorprese
di fronte all’azzardo di presentare quel quadro così innovativo in una mostra
che comprendeva dipinti di tutt’altro genere.
Lesse
il cartellino posto sotto alla cornice che esponeva il titolo di quel paesaggio
così astratto: La casa dell’impiccato. Indugiò
nuovamente sulla tela, ma nonostante il suo impregno non riuscì a trovarvi
nulla di interessante e di nuovo si ritrovò a chiedersi cosa ci facesse lì.
Cercò
la risposta nella sua tasca destra, toccando il biglietto stropicciato che lo
invitava a recarsi a Graz per una mostra speciale che aveva come tema la morte.
Quando aveva letto il nome degli organizzatori non si era stupito del fatto che
fossero due russi. Era un tema troppo macabro per un atelier austriaco.
Si
guardò intorno, gettando occhiate agli altri dipinti che aveva già visto e agli
altri invitati speciali che si muovevano lentamente lungo le pareti
dell’elegante salone. Erano in pochi, ma Arthur era sicuro che non fossero
ancora tutti. Un tipo dal volto corrucciato osservava un dipinto con ancor meno
interesse dell’inglese; alle sue spalle due uomini ascoltavano le spiegazioni
di un ragazzo che era senza dubbio il più entusiasta nella sala. Il suo tedesco
era fortemente corrotto da un accento particolare, e dalla sua carnagione più
scura Arthur pensò che dovesse essere spagnolo o italiano.
Gli altri due che lo
accompagnavano, quindi, erano tedeschi, ma il più interessante tra i due era
sicuramente quello coi capelli chiari. Quando si accorse delle occhiate che
Arthur gli stava lanciando, questi si voltò e gli rivolse un sorriso spavaldo.
L’inglese, colto in flagrante, lo salutò con un lieve cenno del capo. L’uomo
aveva gli occhi rossi: era un albino.
Tornò
al suo dipinto: si stava annoiando. In realtà era annoiato da tre settimane, da
quando non aveva più un lavoro, da quando le sue giornate erano ancora più
vuote, da quando…
“Ricordavo
che lord Kirkland fosse più anziano.” Arthur si voltò in direzione della voce.
Al suo fianco c’era un uomo occhialuto e vestito di blu che attendeva una sua
risposta con un sorriso che faceva pensare al servilismo, ma nei suoi occhi di
ghiaccio vi era un’evidente spavalderia.
“Difatti,
non sono lord Kirkland. Sono suo nipote. Mio zio mi ha mandato in sua vece
poiché non era in condizioni di viaggiare, oppure perché aveva da fare o perché
non nutre alcun interesse per l’arte. Scelga lei, non mi ha dato istruzioni al
riguardo.”
L’uomo
si abbandonò ad una breve risata di compiacimento. “Apprezzo ognuna di queste
scuse e non mi sento in dovere di rimproverare suo zio, dato che mi ha mandato
un giovane dall’umorismo così schietto. Proprio ciò che ci serve per la festa
di questa sera.”
“Festa?”
domandò Arthur per niente attratto dall’idea.
“Oh!
Mi perdoni, ho scordato di presentarmi. Lord Kirkland mi conosce di vista, ma
noi non ci siamo mai incontrati. Sono Roderich Edelstein, il promotore di
questa mostra.”
Arthur
strinse la mano tesa.
“Arthur
Kirkland.”
“Suo
zio non mi ha mai parlato di lei.”
“Non
rientro tra i suoi ereditieri preferiti.”
“Buon
per noi, sarà ben accolto qui a Graz.”
“Mi
parli della festa.” Arthur era perfettamente abituato ai ricami dialettici che
dilungavano ogni conversazione che si rispettasse, ma si trovava in un luogo
che non conosceva, in mezzo a quadri che non gli dicevano alcunché, a parlare
con uno sconosciuto che avrebbe potuto inginocchiarsi a leccargli i piedi o
liquidarlo con un insulto travestito da complimento. In poche parole, tutta la
sua scarsa socievolezza si era definitivamente tramutata in misantropia.
“Come
ben sa, a quest’inaugurazione sono stati invitate solo alcune personalità che
provengono da diversi paesi, pertanto questa sera terrò un ricevimento per voi
alla mia tenuta privata e vi offrirò ospitalità per la notte, senza che vi
scomodiate a cercare un altro alloggio. Tengo molto alla sua partecipazione, si
tratterà di un incontro culturale grazie al quale potrà fare la conoscenza di
coloro che hanno ideato questa mostra e discutere…”
Arthur
sentiva di essere pericolosamente vicino all’emicrania. Non aveva alcuna
intenzione di partecipare ad un mortifero incontro tra vecchi critici d’arte e
si ritrovò a maledire suo zio per avergli offerto l’opportunità di vedere l’Austria,
ma in quel momento il suo bisogno primario era fermare quell’ondata di parole
che lo stava investendo.
“Sarò
lieto di partecipare.”
“Fantastico”
commentò il signor Edelstein sistemandosi gli occhiali. “E ora mi perdoni, ma
devo andare ad accogliere gli altri ospiti. Tornerò da lei subito.”
Arthur
sperò vivamente che se ne dimenticasse. Dopo che l’uomo si fu allontanato, afferrò
al volo un bicchiere di champagne da un vassoio sorretto da un cameriere.
Si
allontanò di qualche passo, la sua vista era stata urtata abbastanza dai colori
dell’ultimo dipinto. Osservò pensieroso il liquido profumato nel calice. Non
era più abituato a certe delizie, durante l’ultimo periodo aveva visto soltanto
rhum scadente.
“Ben
arrivato, Mr. Jones.” La voce di Edelstein risuonò distintamente attraverso la
sala, ma fu una sola parola a far voltare Arthur all’improvviso.
“Grazie!”
“Sono
felice che sia riuscito a giungere sin qui, dev’essere stato un lungo viaggio.”
“Altroché,
ma ci sono abituato, in passato ho visitato molto l’Europa con mio padre.”
Doveva
trattarsi di uno scherzo. Arthur estrasse con foga il biglietto stampato su
carta gialla e lesse i nomi degli invitati. Eccolo lì, non c’era alcun dubbio: Mr. Alfred F. Jones.
Voleva
sbattere la testa da qualche parte. Perché non aveva letto prima la lista? Per
cosa era venuto fin lì? Per essere preso in giro di nuovo?
Guardò
verso la porta, osservò Alfred che si dilungava in racconti sui suoi viaggi che
non interessavano a nessuno. Non era cambiato, era il solito stupido infantile
di un tempo. Ovviamente non c’era modo di passare inosservati in quel salone
spoglio e bianco, infatti Alfred lo individuò subito. Arthur avrebbe voluto
voltarsi e andarsene, ma pensò al suo orgoglio e si impose di sostenere il suo
sguardo. Semplicemente strinse più forte il calice.
“Arthur?
Ma… sei tu?” Alfred cercò di metterlo a fuoco, poi andò a leggere la lista
degli invitati sistemandosi gli occhiali. Quando risollevò il viso sfoggiava
uno dei suoi soliti sorrisi solari.
“Sei
proprio tu! Non sapevo che fossi diventato lord!”
Ancora
un po’ e il fragile cristallo del bicchiere si sarebbe frantumato. “Non lo
sono.”
Che
brutta situazione, che assurda casualità. Avrebbe dovuto prestare più
attenzione, seguire il suo istinto e non partecipare a quella stupida mostra.
Alfred venne verso di lui con ampie falcate e con quell’espressione sfacciata
che ad Arthur fece ribollire il sangue.
“Non
pensavo proprio di poterti incontrare qui. Sai, non mi sono preoccupato di sapere
chi altri fosse presente, mi interessava solo divertirmi un po’ in Europa. Sai
come sono fatto!”
Arthur
strinse i denti. Gli avrebbe tirato lo champagne in faccia. Forse no… non
andava bene sprecare l’alcool. Senza rispondere svuotò il bicchiere in un unico
sorso, solo per frenare gli insulti che gli stavano pericolosamente risalendo
dallo stomaco.
Non
ricevendo risposta, Alfred si preoccupò. “Beh… dimmi, anche tu stasera…”
“Mr.
Jones! Sono così lieta di averla qui!” Si avvicinò una giovane donna in un
elegante abito verde, i morbidi capelli castani raccolti sulla nuca. Alfred si
riprese in fretta e le baciò la mano.
“Sono
Elizabeta Edelstein e sarei molto felice di passeggiare con lei in questo
salotto.”
“Il
piacere è tutto mio, milady!”
Si
allontanarono a braccetto e Arthur colse l’occasione per arraffare un altro calice
di champagne e berlo tutto d’un fiato. A quel punto avrebbe dovuto fermarsi,
sapeva fin troppo bene cosa succedeva dopo.
“Le vin sait revêtir le plus sordide bouge
d’un luxe miraculeux.”
Dalla
sua sinistra provenne un leggero profumo di colonia, ma Arthur non aveva nessun
desiderio di contatto con qualunque essere umano, figurarsi di uno che si
introduceva in francese.
“Mio
giovane amico, è questo dipinto che la turba?”
Arthur
alzò lo sguardo inconsapevolmente: non sapeva nemmeno di trovarsi di fronte a
un quadro. Raffigurava una donna seminuda accasciata su una sedia. Sembrava
dormire, ma visto il tema di quella raccolta era indubbiamente morta.
“Non
sono le cose impalpabili a turbarmi” rispose infine, rivolgendosi direttamente
alla tela.
“Trova
la morte impalpabile?”
“La
rappresentazione di essa lo è.”
“La
rappresentazione della morte è esattamente come la morte stessa! Un attimo
fugace e perenne allo stesso tempo, che imprigiona la vita in un tempo eterno.”
Arthur
volle scoprire chi si celava dietro quelle parole che ostentavano tanta
sagacia. L’uomo accanto a lui osservava il dipinto come se si fosse perso al
suo interno, con tanta ammirazione negli occhi blu. Non portava la giacca, se
ne andava in giro in gilet e con i polsini della camicia sbottonati. Il nodo
della cravatta attorno al colletto inamidato era disfatto.
“In
ogni caso sono in parte d’accordo con lei” proseguì il francese biondo. “Questo
quadro è incompleto, manca il punto di vista della protagonista. Cleopatra non
poteva avere un’espressione così tranquilla nella morte. Il suo cuore doveva
essere in preda allo struggimento dell’amore, del desiderio e della tristezza!”
Quanto
fervore per un semplice quadro. Arthur sospirò e rivolse nuovamente la sua
attenzione a Cleopatra, alla ricerca di ciò che il francese decantava, ma la
sua poca erudizione artistica gli fece abbandonare subito l’impresa.
“L’espressione
dei morti non ha nulla a che vedere con ciò che hanno trascorso in vita” disse
Arthur.
“Ha
visto molti morti?” domandò l’altro con sincero interesse, ma con una punta di
commiserazione che infastidì molto l’inglese.
“È così” rispose,
sostenendo caparbiamente il suo sguardo.
Il
francese infilò una mano nel taschino del completo ed estrasse un fazzoletto
bianco. Lo sbatté in aria un paio di volte e al suo posto apparve
improvvisamente una rosa rossa.
“Voilà. Quell’espressione afflitta non le
si addice proprio. Prenda questa e si faccia un giretto tra i dipinti.” Gli
mise in mano la rosa e gli assestò un lieve buffetto su una guancia. Arthur lo
guardò sconvolto.
“Mi
ha scambiato per un moccioso?!”
“Adulto,
bambino, che differenza fa? Le cose belle rimangono belle.” Gli prese la rosa
dalle mani e gliela appuntò sulla giacca.
“Anche
la maleducazione rimane maleducazione.”
“Oh,
ma quanto è formale! Faccio il mio mestiere, intrattenere la gente! E non
faccia quell’espressione offesa, se non abbassa le sopracciglia si
affaticherà.”
“Lei
è uno zotico.”
“No,
il mio nome è Francis.” L’altro ebbe la sfacciataggine di rispondergli così
mentre faceva un galante inchino.
“Francis
e basta?” chiese Arthur, sempre più infastidito dalla sua villania, ma se ne
pentì. Perché glielo domandava? Non gli interessava minimamente conoscere quel
personaggio.
“Un
artista non necessita di altro. Sono conosciuto tra il pubblico semplicemente
con questo nome. Lei invece…”
Arthur
si strappò la rosa dal petto e la gettò a terra. “Visto che i giochetti
infantili la divertono tanto, provi a indovinare.”
Francis
cambiò espressione come un bambino al quale hanno guastato un interessantissimo
svago. D’improvviso gli infilò la mano in tasca e, incurante delle lamentele di
Arthur, estrasse l’invito sgualcito e lesse i nomi. Rise in modo fastidioso,
come chi ha capito tutto. “Sicuramente lord Kirkland.”
Arthur
rimase indubbiamente sorpreso dalla sua abilità – o fortuna – ma celò ogni reazione
che potesse dare a Francis una qualunque soddisfazione. “Come può esserne così
sicuro?”
“Riconosco
un inglese anche tra una folla di scozzesi” rispose, infilandosi con noncuranza
l’invito non suo nel taschino sul petto. “E comunque sono abbastanza sicuro di
stare parlando inglese, in questo momento.”
“Potrei
essere chiunque in grado di parlare un ottimo inglese.” Non voleva dargliela
vinta.
“Ma
solo un vero servitore della Corona risulterebbe così fiero di se stesso.”
Arthur
si riprese l’invito senza complimenti. “Ebbene, si sbaglia. Non sono lord.”
“No
di certo, altrimenti se ne sarebbe già vantato da un pezzo” sussurrò Francis
tra i denti.
“Prego?!”
“Dicevo
che la trovo assolutamente adorabile!” mentì spudoratamente. “Passeggerebbe con
me?”
“Ovviamente
no.”
“Perfetto.
Ci vediamo stasera a cena.” Si congedò, lanciando dietro di sé una manciata di
coriandoli comparsi da chissà dove.
Arthur
si allontanò spazientito. Non aveva mai tollerato i prestigiatori.
Poiché
la località in cui si stavano dirigendo si trovava in montagna – come quasi
tutto il territorio dell’Impero, d’altronde – lungo i sentieri tortuosi si era
formata una fila di cinque carrozze che trasportavano tutti gli ospiti al
castello di Herberstein, il luogo di villeggiatura di herr Edelstein.
Mentre
procedevano, lenti e sballottati, Roderich gli parlò della storia del castello
– senza che nessuno glielo avesse chiesto. Arthur guardava per lo più il sole
tramontare dietro le cime aguzze, cercando di non incontrare lo sguardo di
Alfred. Sapeva che lo stava fissando e sapeva anche che lo stava facendo con
un’espressione preoccupata e interrogativa. Che stupido. L’inglese non poté
fare a meno di domandarsi per che cosa avesse sofferto per un anno intero. Per
le occhiate ingenue e stupite di un marmocchio viziato? Per le chiacchiere
interminabili e senza senso di un esibizionista? Per la spavalderia e la
semplicità di un americano esaltato?
Appoggiato
alla propria mano continuava a guardare fuori dal finestrino, oltre le tende.
Pensò che, all’inizio, erano state proprio quelle peculiarità ad attrarlo.
Il
castello era una costruzione risalente
al Medioevo, infatti possedeva quel fascino fiabesco che tutti si aspettavano
di ritrovare nelle foreste del nord Europa. Ad Arthur non dispiaceva affatto quell’architettura
regale, ma nulla poteva competere con il suo patriottico e nobile neogotico.
Il
candido edificio sembrava arrampicarsi sulle colline, non era del tutto
visibile a causa degli alberi che lo circondavano e alle sue spalle le montagne
parevano delle quinte teatrali, ma una sottile torre svettava al centro della
copertura scura.
Quando
le carrozze si furono fermate di fronte all’entrata, Arthur notò che poco più
in là la terra sembrava sparire: a lato del castello si apriva un precipizio e
un fiume scrosciava rumoroso tra le sue pendici.
Arthur
si ripromise di trattare un po’ meglio herr Edelstein. Se quello era il suo
luogo di villeggiatura allora le sue tasche dovevano straripare di banconote.
Entrando,
l’inglese notò che non erano presenti servitori ed espose la sua curiosità al
proprietario.
“La
servitù lavora in questo castello solo qualche mese all’anno” spiegò Roderich.
“Hanno approntato tutto il necessario per voi ospiti e si sono ritirati. Non mi
piace vederli a non far niente.”
Improvvisamente
Arthur capì come quell’uomo potesse permettersi tali sontuosità. Avrebbe dovuto
imparare un po’ di taccagneria da quell’austriaco.
Nonostante
l’inaspettata accoglienza dell’esterno, i padroni non avevano resistito al
fascino del barocco e avevano fatto decorare gli interni con le tappezzerie
dorate e le porcellane candide tipiche di quel gusto pomposo. Arthur si perse
subito in mezzo a quella vastità: nemmeno l’imponente castello di suo zio
poteva competere con quel lusso.
Vennero
invitati a prendere posto nelle camere già assegnate alla fine delle scale che
portavano al piano superiore. Una stanza a testa, per fortuna. Per un attimo
Arthur aveva temuto di doverla condividere con Alfred o con il francese…
“Bon
soir!”
Arthur
rabbrividì constatando che Francis stava uscendo proprio dalla camera di fianco
alla sua.
“Cosa
fa qui?” Domanda assolutamente retorica.
“Dormo
proprio di fianco a lei. Chissà cosa sarà mai saltato in testa ai padroni per
mettere un inglese e un francese così vicini. Probabilmente hanno passioni
gladiatorie.”
Arthur
trovava particolarmente irritante il modo in cui quell’uomo scherzava su tutto.
All’improvviso dal corridoio comparve anche Alfred, che lo salutò come se non
lo vedesse da dieci anni.
“Sono
di fianco a te, Arthur!”
Non
c’era niente per cui essere felici.
Continua
Eccoci qui con una nuova
storia! Non mi ero mai cimentata in un giallo, prima d'ora, ma adoro
Sherlock Holmes e Agatha Christie (e anche Kuroshitsuji, se qualcuno
coglie il riferimento XD) Questa fic sarà proprio un miscuglio
tra questi tre capolavori, noterete sicuramente molte somiglianze ma
spero non le considererte scopiazzature: ho cercato solo di prendere
ispirazione per creare una trama tutta mia.
In questo capitolo non vi
posterò i link ai dipinti poiché entrambi ricompariranno
nei prossimi capitoli con maggiore importanza. Ovviamente se volete
andare a cercaveli fate pure!
Vi annuncio che ci saranno
poi numerosi pairing, alcuni molto evidenti, altri sottintesi, altri un
po' ambigui... diciamo che i pairing prevalenti (o meglio, i più
evidenti) saranno GerIta e FrUk, ma troverete anche UsUk, PrUngary,
AusHun, BelaRus (sì, avete capito bene... viene prima Bela u.u),
PruBela (non so come si chiami questa coppia) e poi boh, se vorrete
vedercelo, anche un accenno di Germancest... dipende molto da come
gradite di più vedere questi pairing. In ogni caso sono molti, i
personaggi interagiscono tra loro, per questo all'inizio non ho dato
alcun avvertimento sui pairing... perchè c'è un po' di
tutto.
Come sempre ringrazio Momoka per il fedele betaggio e i consigli preziosi e vi aspetto al prossimo capitolo!!
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Capitolo 2 *** II. Il Principe d'Orange ***
2-principe d'oraange
Titolo:
Ars Moriendi, Capitolo 2 - Il Principe d'Orange
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi:
Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), America
(Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta
Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania
(Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski),
Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 4,076 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction
provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: 1. Ho deciso di
postarvi i link delle opere prima che leggiate il capitolo che le
riguarda, in modo che vi possiate trovare nella stessa situazione dei
personaggi che le hanno viste prima.
The death of the prince of Orange
II. Il Principe d’Orange
Non
si poteva dire che la cena fosse frugale: le portate furono sette e il cibo
ottimo, tuttavia anche nelle pietanze Arthur poté identificare un certo risparmio
ben celato. Durante il pasto furono completate tutte le presentazioni degli
ospiti. Arthur fu soddisfatto per essere riuscito a identificare molti di loro
già dal primo incontro all’atelier: dopotutto non aveva ancora perso il suo
fiuto per le investigazioni. Tuttavia si era dovuto adattare alla lingua locale
e, sebbene non fosse eccessivamente ferrato, riusciva a destreggiarsi bene.
I
due tedeschi erano fratelli e si chiamavano Beilschmidt, erano soci in affari
di herr Edelstein in un’attività che non era stata specificata da nessuno,
anzi, sembrava quasi che l’argomento fosse particolarmente spinoso. L’inglese
non aveva ben capito il ruolo dell’italiano in quella faccenda, ma aveva la
sensazione che il giovane Vargas si trovasse lì in veste di “accompagnatore”
del minore dei fratelli tedeschi. A fianco del padrone di casa, oltre alla
moglie Elizabeta, c’era il signore corrucciato che Arthur aveva visto a Graz:
il suo nome era Zwingli e, da quel che aveva lasciato trasparire, era un
conoscente della coppia Edelstein.
Francis
fu finalmente costretto a presentarsi in maniera completa e così Arthur scoprì
anche il suo cognome.
“Monsieur
Bonnefoy è il più noto prestigiatore francese conosciuto qui in Austria e,
poiché questa pratica va molto di moda ultimamente, non abbiamo saputo
resistere al fascino arcano” spiegò Elizabeta emozionata.
Per
Alfred non ci fu bisogno di presentazioni: conoscevano tutti il figlio del vice
presidente degli Stati Uniti.
E
poi c’erano i due russi, gli organizzatori della mostra. Attorno a loro
aleggiava un’aura spettrale, sul signor Braginski ma, soprattutto, sulla
signorina Natalia. In ogni caso salutarono educatamente con un impercettibile
cenno del capo e un sorriso che avrebbe potuto risvegliare i morti.
“Ed
ora veniamo a lei, lord Kirkland” disse Elizabeta sollevando il bicchiere di
vino.
“Sono
onorato delle vostre alte considerazioni, ma io non sono lord.” Era stufo di
doverlo ripetere a tutti coloro che incontrava e sperava che quella fosse
l’ultima volta in cui il suo orgoglio dovesse venire sotterrato.
“Mi
perdoni. Siccome non abbiamo ancora avuto il piacere di conoscerla, può dirci
di cosa si occupa?”
Per
qualche istante l’unico suono fu quello dei coltelli che tagliavano i filetti
sanguinolenti.
“Al
momento… mi occupo… di amministrare le società di mio zio.”
“Si
sta formando, insomma” volle sapere la donna con interesse.
“Diciamo
di sì.”
“Non
la facevo così giovane!”
Arthur
rinunciò a mangiare la carne. “Difatti.”
Finalmente
l’argomento cadde, ma l’inglese non riuscì a tirare un sospiro di sollievo a
causa di un nodo tra la gola e il cuore e per colpa delle continue occhiate compassionevoli
che Alfred non si preoccupava di nascondergli. Non sapeva quando fosse stata
l’ultima volta in cui era caduto così in basso. E poi perché lo fissava in quel
modo? Cosa sapeva più degli altri? L’ultima cosa che voleva, in quella
situazione già abbastanza imbarazzante, era che Alfred lo degradasse ancora di
più rivelando particolari su di lui – e su di loro – che dovevano restare a
tutti i costi privati.
Quando
la cena fu terminata ci si spostò nel salotto, o meglio, in uno dei salotti,
poiché Arthur era sicuro che ce ne fosse ben più d’uno. Gli invitati si
distribuirono sui bassi divanetti in stile impero, dalla sottile struttura e la
tappezzeria dorata, e su un paio di comode poltrone. Agli uomini fu offerto del
tabacco da pipa e dei bicchieri di cognac ed ebbe inizio il noioso momento
dello scambio di opinioni.
“Onorevoli
ospiti” iniziò herr Roderich, “perché non riferite agli organizzatori le vostre
opinioni in merito alla mostra?”
“Comincio
io” annunciò Francis posando il suo bicchiere sul tavolino. “Ho trovato la
scelta del tema molto interessante e appropriata per questi tempi, ma non
pensavo che il fascino europeo per l’aldilà fosse tanto diffuso anche in
Russia.”
Ivan
Braginski parlò per la prima volta con quel suo sorriso inintelligibile. “Non
credo che il vostro macabro interesse sia assimilabile al nostro, infatti.”
“E
allora? Qual è stata la motivazione di questa scelta?” continuò Francis.
“Credo
che l’origine sia molto più semplice: conosciamo i vostri interessi e li
abbiamo sfruttati a scopo economico.”
“Immagino
che anche questa sia una nobile motivazione” denotò Zwingli. Anche se
l’attenzione di Arthur si concentrava sullo svizzero già da tempo, non era
ancora riuscito ad interpretare il suo punto di vista. Sembrava la persona più
scontenta di trovarsi lì, tuttavia in più di un’occasione era apparsa sul suo
volto un’espressione di furbo compiacimento, non del tutto rassicurante. Anche
questa volta, il suo tono sembrò rivelare l’esatto opposto di ciò che stava
dicendo e Roderich espresse un’impercettibile approvazione.
La
signorina Natalia, invece, appariva del tutto disinteressata alla
conversazione, anche se Arthur aveva troppo esperienza per credere che non
stesse seguendo con attenzione ogni parola. Avvolta in un elegante e stretto
vestito viola di foggia europea, con i capelli chiari e raccolti che ricadevano
morbidamente su una spalla, osservava con diligenza il cognac nel proprio
bicchiere. Arthur immaginò con divertimento che sentisse la mancanza della
vodka.
“Io
ho apprezzato molto la drammaticità della Morte
di Chatterton” disse il giovane Vargas con la sua voce discreta. Nei suoi
occhi si leggeva una sincera passione. “Il modo in cui è stato dipinto, secondo
me, ha del superbo.” Si voltò estasiato verso Arthur. “Signor Kirkland, ad
essere sincero prima di oggi non conoscevo la triste storia di quel giovane
poeta. Trovo che il suo paese vanti la più ampia collezione di storie
drammatiche, è davvero affascinante.”
Arthur
stava per replicare educatamente, ma il francese lo precedette. “Ed è proprio
questo deprimente repertorio ad averli trasformati tutti in frigidi uomini
d’affari.”
“Monsieur
Bonnefoy!” lo riprese Vargas sconcertato, cercando di trattenere un’impudente
risata.
“Non
si preoccupi” lo rassicurò Arthur sorseggiando il cognac, “non è mai capitato
che le deboli provocazioni di un saltimbanco mi abbiano recato offesa.”
“Suvvia,
signori, smettiamola con questi battibecchi” pregò Elizabeta divertita. La
moglie di Edelstein si era cambiata d’abito e ora sfoggiava un candido vestito
di gusto austriaco tempestato di fiori di perle. Tra i capelli ne portava uno
identico, ma più grande, che le accendeva lo sguardo.
“Signor
Francis, ci organizzi una seduta spiritica per questa notte!” propose Alfred
emozionato. Che idea infantile. Arthur si distrasse immergendosi nel cognac, ma
sentì nuovamente su di sé il rovente e inquietante sguardo dell’albino, che gli
sorrideva complice.
“Lo
farei volentieri, ma non vorrei sottrarre preziose ore di sonno a qualche
ospite bisognoso.” Ovviamente il francese occhieggiò in direzione di Arthur.
L’inglese si sentiva stretto in mezzo ad una manica di idioti.
“Anche
a me piacerebbe tanto!” Vargas si unì al coro di suppliche.
“Calmati
un po’, Feliciano” gli intimò il tedesco biondo, Ludwig, mettendogli una mano
sulla spalla e facendolo tornare a sedere.
“Già,
smettiamola con questo entusiasmo infantile.” Gilbert l’albino parlò
esattamente con la stessa espressione subdola che aveva dall’inizio della
serata. “Io non credo nella magia, monsieur Bonnefoy.”
“È libero di credere in
quel che preferisce” replicò Francis senza scomporsi. “Ma le persone comuni
attribuiscono alla magia un significato così ristretto… La magia è
sovrannaturale, è illusione, inganno e abilità. La magia comprende troppi
elementi per poter essere compresa da tutti.”
“Devo
interpretarlo come un insulto?” Arthur pensò che sarebbe scoppiata presto una
lite, ma Gilbert non sembrava arrabbiato, piuttosto era divertito e attratto da
quel conflitto.
“Non
sono solito insultare nessuno, bensì sottolineare la realtà dei fatti.”
“Se
la magia è illusione, lei inganna la gente per far soldi, giusto?” Gilbert
continuava a provocare e Arthur voleva proprio vedere quanto Francis riuscisse
a reggere quel confronto.
“Io
produco magia perché la gente la richiede. Secondo il suo ragionamento la gente
desidera essere ingannata e chi sono io per negar loro questo piacere?”
Herr
Edelstein si schiarì la voce e Zwingli rise sotto i baffi.
“Ironico
che siate voi a ridere” disse Gilbert, cambiando espressione per la prima
volta.
“Herr
Beilschmidt, la prego…” iniziò Elizabeta, lasciando la frase a metà, e Arthur
ebbe come l’impressione di essersi perso la parte fondamentale di una
conversazione.
“Lascia
stare, Elizabeta” le intimò Roderich, ma la moglie non si fece mettere i piedi
in testa.
“Smettila
tu! Non è carino insultare gli ospiti.”
“Non
stiamo insultando nessuno, frau. Questo individuo ha tutte le capacità per
uscire da qualunque scomoda situazione” disse Vash Zwingli in tono
provocatorio. “Il problema, è che non lo fa.”
Feliciano
appariva preoccupato mentre Ludwig sussurrava qualcosa all’orecchio del
fratello.
“Finiscila
con queste assurde provocazioni, Zwingli. Non sei né abbastanza subdolo né
abbastanza intelligente per capire cosa sta succedendo.” Gilbert si era alzato
in piedi e stava puntando dritto verso lo svizzero. Questi non si fece
minacciare.
“Siamo
tutti stufi della vostra codardia, non dovreste permettervi di essere così
sfacciati.” Arthur notò che lo svizzero non si stava riferendo solo a Gilbert,
ma anche a Ludwig, il quale però mantenne la calma molto più del fratello.
“Uno
svizzero che parla a noi di codardia?!” L’albino diminuì ancora le distanze e
Arthur comprese che le cose sarebbero finite male. “So bene perché sei qui, e
il signor nobile non è certamente meno codardo di me” disse alzando la voce e
puntando il dito verso Roderich. “Perché non rivelate a tutti la messinscena
che avete organizzato?! Siete ridicoli, blutigen
darlehen!”
“Klicken Sie stille, Gilbert!” intervenne
Ludwig, trattenendo il fratello. Avevano iniziato a parlare velocemente e
Arthur non conosceva sufficientemente il tedesco per capire tutto ciò che si
dicevano.
Si
alzò in piedi anche Roderich. “Calmiamoci tutti! In ogni caso voi Beilschmidt
sapete bene cosa vi aspetta, dovete zurück
Mein Geld.”
“Herr
Edelstein” disse Ludwig frapponendosi tra loro, “le abbiamo già assicurato…”
“Fatti
da parte, Ludwig, sappiamo chi è il problema, qui” lo interruppe Zwingli
additando Gilbert.
“Gehen Sie zurück in die Schweiz, feigling.”
Arthur
non conosceva i modi per offendere in tedesco, ma il tono sprezzante utilizzato
dall’albino era inequivocabile. Vash, che era ancora seduto sul divanetto, fece
un movimento strano e improvviso: si girò di scatto e si piegò all’indietro,
poi si alzò in piedi, proprio davanti ai tedeschi, reggendo in mano qualcosa.
Elizabeta gridò, gli altri indietreggiarono, Feliciano, in un gesto di coraggio
inaspettato, si parò davanti a Ludwig. Zwingli teneva tra le mani un fucile e lo
puntava alla testa di Gilbert. Prima di vederlo coi proprio occhi, Arthur non
pensava che un albino potesse impallidire.
“Ora
avrà fine tutta questa faccenda.” Appena ebbe terminato la frase, Vash sparò.
Nel salotto il rimbombo fu assordante, Arthur si portò le mani alla testa per
placare il fischio e uno sprazzo di fuoco e scintille fuoriuscì dall’arma.
Osservò impotente la scena che seguì, ma ne restò sorpreso. Non fu Gilbert a
cadere, ma Zwingli, che toccò il pavimento prima ancora che l’eco dello sparo
si fosse estinta.
Nessuno
nella stanza poteva credere a ciò che era successo, qualcuno faticava ancora a
capire cosa fosse successo.
Dopo
alcuni istanti di immobilità, Ivan si chinò sullo svizzero per accertarsi delle
sue condizioni. Anche Arthur fece qualche passo avanti e vide che l’intero viso
di Vash era stato investito dall’esplosione del fucile. Le scintille avevano
innescato alcune deboli fiamme sulla giacca scura, che si stavano estinguendo
in fretta.
Elizabeta
corse da Gilbert, che non aveva ancora fatto un passo, per assicurarsi che non
fosse ferito. Ludwig portò lontano Feliciano. Gli altri uomini e Natalia si
avvicinarono finalmente al corpo.
“È terribile!” disse
Alfred ancora sconvolto.
“Che
diamine è successo?” chiese Francis esprimendo i dubbi di tutti.
Il
russo si rialzò. “È
morto.”
Alfred
fece per raccogliere il fucile, ma Arthur lo bloccò. “Non toccarlo! Non
sappiamo cosa gli sia successo, potrebbe essere ancora pericoloso.”
Roderich
si lasciò cadere di nuovo sul divano, si tolse gli occhiali e si coprì gli
occhi con una mano.
“Non
può essere stato un incidente.”
Tutti
lo guardarono aspettando qualche delucidazione.
“Cosa
intende insinuare?” chiese Ludwig, portandosi di fianco a Gilbert.
Elizabeta
aveva gli occhi lucidi, ma si sforzò di mantenere un solido controllo.
“Roderich, è presto per fare insinuazioni. Pensiamo a un luogo decoroso dove
portare il povero signor Zwingli.”
“Prima
di farlo dobbiamo prendere in seria considerazione le parole di herr Edelstein”
insistette Arthur. “Perché è così sicuro che non sia stato un incidente?”
“Perché…
lui si occupava sempre con estrema cura
di quel fucile, non avrebbe mai lasciato che si inceppasse o che si otturasse.”
“Intende
dire che girava sempre con il fucile?”
“Sì,
lo portava ovunque.”
“E
lei era l’unico a saperlo?”
Roderich
avvertì la leggera sfumatura accusatoria e alzò lo sguardo. “Chi è lei per
porre tutte queste domande?”
Arthur
fu colto alla sprovvista. Si era lasciato prendere dagli avvenimenti e non era
riuscito a restare indifferente. Senza sapere perché, lanciò una fugace
occhiata ad Alfred, il quale ricambiò, con quella solita, fastidiosa
espressione di pietà a cui non riusciva a dare un senso.
“A
Londra… sono un ispettore di Scotland Yard” rispose Arthur infine, per niente
sicuro di aver fatto la cosa giusta.
“Aveva
detto di occuparsi dell’azienda di suo zio.” L’inglese sentì per la prima volta
la voce profonda di Natalia.
“Solitamente
preferisco non parlare del mio lavoro” rispose Arthur in tutta fretta, cercando
di liquidare ogni altra domanda. “Se volete sentirvi sicuri, fidatevi del mio
metodo e collaborate a far luce sulla vicenda.”
“Wie bist du?” Ludwig si era
avvicinato al fratello, preoccupato. Gilbert non staccava gli occhi dal corpo
dello svizzero.
“Io…
vado un attimo a rinfrescarmi.” Si allontanò lentamente verso le scale di
marmo.
“Torniamo
a noi” proseguì Arthur. Non che si sentisse eccitato all’idea di avere un caso
per le mani, ma quel lungo periodo di inattività lo aveva lasciato abbattuto e
irascibile. In verità, quella era l’occasione perfetta per verificare se fosse
ancora in grado di fare il suo lavoro, dato che esso ormai era diventata l’unica
occupazione e l’unico scopo della sua vita. “Chi sapeva che Vash Zwingli si
portava sempre appresso un fucile?”
Roderich
sembrò rispondere di malavoglia. “Io, mia moglie e i fratelli Beilschmidt.”
In
quel momento Feliciano si fece timidamente avanti. “Lo sapevo anch’io. Ludwig
me ne aveva parlato.”
“Ci
sono comunque molte cose da chiarire: se il fucile è stato manomesso, quando è
successo? Dove e perché? E soprattutto, il momento della morte è stato
programmato o si è trattato di una casualità?”
“Zwingli
avrebbe potuto usare quel fucile in qualunque momento” disse Francis.
“Già”
concordò Elizabeta, “era un tipo alquanto… suscettibile.”
“Faceva
ricorso spesso a quell’arma?” volle sapere Arthur.
“Non
l’avevo mai visto usarla per davvero, ma senz’altro l’aveva impugnata in
diverse occasioni, quando si sentiva minacciato, offeso, arrabbiato.”
“Insomma,
era uno dal grilletto facile” sintetizzò Francis, ma Elizabeta lo difese.
“Ripeto
che non l’avevo mai visto sparare.”
“Forse
perché eri tu e ha pensato di risparmiare questo spettacolo a una donna.” La
voce di Roderich aveva un che di funereo.
“Vuoi
dire che l’hai visto uccidere qualcuno?!” Più che inorridita, Elizabeta
sembrava offesa dal fatto che il marito non gliene avesse mai parlato.
Herr
Edelstein indugiò qualche istante prima di rispondere. “Hai presente l’uomo che
è stato dissanguato? La notizia girava un paio di giorni fa sui giornali di
Graz.”
“L’avrebbe
ucciso Zwingli?”
“No,
un momento!” li interruppe Alfred. Arthur si stupì che fosse in grado di individuare
le discrepanze di quel discorso. “Ha dissanguato un uomo nonostante fosse un
fanatico dei fucili?”
“Voi
non conoscete tutta la storia” precisò Roderich. “Quell’uomo è stato ucciso da
Vash Zwingli durante un regolare duello eseguito con i fucili. È stato il successivo
dissanguamento a suscitare scalpore. Il corpo di quell’uomo è stato deturpato
da uno sconosciuto che si è introdotto all’obitorio e lo ha privato del
sangue.”
“Com’è
possibile dissanguare un cadavere?” chiese Natalia precedendo Arthur.
“Deve
avere usato qualche sistema, una pompa per esempio, ma se ne sta occupando la
polizia, non è qualcosa che ci riguarda” concluse Roderich.
Durante
gli istanti di silenzio che seguirono, gli sguardi di tutti andarono ad Arthur.
“Beh,
la seconda cosa da fare, dopo aver analizzato la scena del crimine, è indagare
sulla vita della vittima. Perciò propongo di guardare nella sua stanza.”
“Prima
portiamolo in un luogo sicuro, per favore” chiese Elizabeta, che evidentemente
non voleva più essere costretta a stare a contatto con un corpo senza vita.
“In
cantina andrà bene” propose il padrone.
“Sarebbe
il caso che il cadavere venisse conservato. La cantina è un luogo umido” spiegò
Arthur.
“Ci
sono ancora molte casse vuote che contenevano le provviste per questa sera.
Possiamo metterlo lì. Elizabeta, sarebbe d’aiuto se preparassi un po’ di tè per
gli ospiti.”
Lo
trasportarono al piano interrato con un telo. Nella cantina c’erano diverse
grandi casse in buono stato con ancora il coperchio. Il corpo fu messo dentro a
una di queste, avvolto nel lenzuolo, e il coperchio fu chiuso.
Si
recarono poi alla stanza dello svizzero, dove i bagagli non erano ancora stati
disfati, ma in ogni caso non c’era molto: una piccola valigia, due cappotti
posati sul letto e una valigetta. Arthur e Roderich si concentrarono su
quest’ultima, Francis e Alfred sul bagaglio più grande, i due russi
controllarono la stanza senza troppo entusiasmo.
“Cosa
stiamo cercando, esattamente?” domandò Francis mentre estraeva alcuni vestiti.
“Lo
scopriremo quando lo troveremo.”
All’interno
della valigetta si trovavano solo alcune carte, documenti bollati e foglietti.
Arthur non ci mise molto a dar loro un’unica destinazione. “Questi sono i
documenti di un notaio.”
Roderich
rispose senza distogliere lo sguardo dalla valigetta, come se le sue parole non
avessero molta importanza. “Difatti, era il mio notaio.”
Ad
Arthur non piaceva per niente che particolari di quel tipo gli venissero
nascosti, ma aveva compreso da tempo che tra quegli invitati c’erano fin troppi
segreti.
Continuarono
a rovistare tra quelle cartacce finché Roderich non estrasse qualcosa che lo
attirò particolarmente. Lesse con attenzione crescente e a mano a mano che
proseguiva il colorito abbandonava il suo volto. Strinse il foglio tra le dita.
Arthur avrebbe voluto toglierlo dalle mani per evitare che lo rovinasse, ma
l’austriaco si alzò in piedi, irrigidito.
“Dov’è
mia moglie?”
“A
preparare il tè, suppongo.”
Uscì
a grandi passi e gli altri rimasero a osservare lo stipite oltre il quale era
sparito senza sapere cosa fare. Furono gli strepiti che seguirono poco dopo a
convincerli a raggiungere la cucina.
“Con
tutti quelli che ti fanno la corte, proprio con lui?!” Roderich era furibondo.
Arthur non avrebbe mai immaginato che una persona scrupolosa come lui potesse
lasciarsi andare a certi sfoghi.
Quando
raggiunsero la cucina, assieme a Roderich e ad Elizabeta c’era anche Gilbert,
il quale non si vedeva ormai da tempo. I due si trovavano fin troppo vicini per
non suscitare sospetti. Roderich sventolava in aria il foglio che aveva trovato
da Zwingli.
“Da
quanto tempo?! Da quando stavi complottando con Zwingli per l’annullamento del
matrimonio? Prima?” L’austriaco gridava alla moglie senza remore. Gilbert
intervenne per difenderla.
“Non
se la prenda con una donna, Edelstein!”
Roderich
gli lanciò il pezzo di carta in faccia. “Tu sei un infame! Non ti sei fatto
scrupoli! Non eri soddisfatto di avermi derubato, hai anche voluto portarmi via
la moglie!”
Attirati
dalle grida, raggiunsero la cucina anche Ludwig e Feliciano.
Elizabeta
si avvicinò al marito prima che questi potesse passare dalle parole hai fatti.
“Roderich, smettila, non è stata colpa di nessuno…” Ma lui la spinse via.
“Taci!
Tu sei una sgualdrina, ma ora mi è tutto chiaro.” Puntò il dito verso Gilbert.
“Lui ha ucciso Zwingli! Tu sapevi che aveva il fucile, sapevi che avrebbe
reagito alle tue provocazioni e così hai sabotato la sua arma!”
Ludwig
afferrò il fratello per una spalla e sfidò apertamente l’austriaco. “Prima di
muovere accuse di questo calibro, dovrebbe pensarci due volte.”
“Ci
ho pensato, eccome! Ma sicuramente lui ci ha pensato molto più di me! E poi
cosa ci sarebbe di strano? È da un anno che vi
rifiutate di risarcirmi, e così avete pensato bene di prendere tempo eliminando
il notaio.”
Gilbert
si portò nuovamente davanti a Ludwig. “Che diavolo stai dicendo! Chi pensi che
sia così stupido da piazzarsi davanti a un fucile in mano a Zwingli?!”
Non
aveva tutti i torti.
“Non
cercare scuse inutili! So che ne saresti capace e ne avevi tutti i motivi. Ora
vorrei solo sapere se tutto questo l’hai progettato prima o dopo di adescare
mia moglie! Sei tu che l’hai convinta a firmare per l’annullamento, vero?”
“È proprio perché non
l’ho mai costretta a fare niente che Elizabeta ha scelto me.”
“Smettetela
di attaccarvi come bambini, parliamo civilmente!” intimò la donna a entrambi,
ma anche la sua forza d’animo non riuscì a smuovere i contendenti.
I
due gentiluomini avrebbero iniziato a picchiarsi se in mezzo a loro,
all’improvviso, non si fosse propagata un densa cortina di fumo bianco. I
presenti iniziarono a tossire.
“Che
sta accadendo adesso?”
“Bene
bene, è ora che ci calmiamo tutti.” Francis avanzò in mezzo al fumo e si diresse
verso i litiganti senza risentirne degli effetti. Ovviamente era stato lui a
provocare quel diversivo. “Ora facciamo come dice la signora e ricominciamo da
capo.”
“Li
ho sorpresi in atteggiamenti compromettenti” iniziò Roderich senza attendere
l’invito a parlare. “Si baciavano in cucina. Nella mia cucina!”
“Intende,
che li ha sorpresi adesso?”
“Proprio
così.”
“E
cos’è che l’ha spinta a precipitarsi così di corsa in cucina?” Francis stava
gestendo la conversazione in maniera esemplare. Arthur non dovette intervenire.
“Quello.”
Roderich indicò il foglio per terra e Francis lo raccolse. “Sono procedure per
l’annullamento del matrimonio. Lei stava complottando con Zwingli alle mie
spalle!”
Tutti
guardarono Elizabeta, la quale sostenne tutte le accuse. “È vero. Ma tutto questo
non ha niente a che vedere con la morte di Zwingli o con il risarcimento.”
“Che
risarcimento?” domandò Francis, stavolta rivolgendosi a Gilbert.
“Io…
e mio fratello avevamo stretto un accordo con Edelstein per l’avvio della
nostra azienda. Lui ci ha anticipato del denaro, ma l’attività non è stata
redditizia come pensavamo. Ora lui pretende la restituzione dell’anticipo, ma
quei soldi non ci sono ancora.”
Arthur
si rivolse a Ludwig, il quale sembrava l’interessato col maggior autocontrollo.
“È come ha detto?”
“È vero. Abbiamo firmato
un contratto, quindi siamo in dovere di risarcirlo, ma al momento è
impossibile. Herr Edelstein ci ha recentemente fatto pressione tramite il
notaio Zwingli.”
“È un mio diritto
pretendere la restituzione del mio denaro!” si difese Roderich.
“Come
mai lei ha accusato solo Gilbert?” chiese Francis, ignorando le lamentele.
“Perché
in questi anni ho avuto modo di conoscerlo fin troppo bene. Ludwig è in enorme
debito, ma solo Gilbert è stato così sfacciato da respingere le mie
sollecitazioni e rifiutarsi apertamente di pagare. Inoltre avete visto come ha
provocato Vash! Il suo è un carattere incontrollabile e irrispettoso, ed è il
solo che avrebbe potuto costringere Zwingli a sparare.”
Vista
la suscettibilità del notaio, Arthur non ne era del tutto convinto, tuttavia il
movente non faceva una piega.
“Signor
Beilschmidt” disse Arthur portandosi di fronte a Gilbert. “Al momento lei è uno
dei principali sospettati.”
“È uno scherzo?!”
“Cercheremo
di fare ulteriore chiarezza sulla vicenda, ma per il momento è meglio che lei
rimanga sotto chiave.”
Gilbert
rivolse ad ognuno occhiate allibite, ma nessuno si fece avanti in sua difesa.
“Mi volete rinchiudere solo per le accuse di questo individuo?!”
“È meglio per tutti!”
insistette Arthur.
L’albino
lanciò un’ultima occhiata speranzosa verso il fratello, il quale però accolse
la proposta. “Fai come ti dicono. Appena avremo dimostrato che non c’entri ti
lasceranno andare.”
“Rimarrà
nella sua stanza e avrà ogni comfort, ma la chiave la terremo noi.”
Gilbert
accettò finalmente il trattamento e smise di protestare.
“Ci
penso io.” A sorpresa di tutti fu Natalia a farsi avanti per accompagnare
Gilbert nella sua prigione provvisoria.
Alfred
sembrava dubbioso. “Signorina, è sicura di voler…” Venne interrotto da Ivan,
che gli afferrò saldamente il braccio. Il suo sguardo implorava di non
proseguire quella frase. “Uhm… bene, suppongo.”
Roderich
estrasse un mazzo di chiavi dall’interno della giacca e porse quella giusta a
Natalia. Mentre se ne andavano, Arthur ebbe la sgradevole sensazione che ci
fosse qualcosa di terribilmente sbagliato nella loro decisione, ma l’ingresso
di Feliciano lo distrasse dai suoi dubbi.
“Scusate,
ma è da un po’ che rifletto su una cosa, e credo sia opportuno riferirvela.” Fu
il silenzio a invitarlo a proseguire. “Io credo… anzi sono convinto che
l’omicidio del signor Zwingli sia lo stesso rappresentato nel quadro della
mostra.”
“Che
quadro intendi?” domandò Ludwig.
“Non
avete notato la somiglianza? Quella è La
morte del Principe d’Orange.”
Continua
Finalmente abbiamo un cadavere e da adesso ha inizio una serie di
interviste che chiamerò: "Quattro chiacchiere col morto".
Godetevele!
Y: Il signor Zwingli è il primo ospite della nostra rassegna
di interviste dall’oltretomba. Benvenuto!
V: Buongiorno.
Y: In realtà non ho molte domande da porle. Lei sa che è
stato inserito in questa storia solo perché serviva qualcuno da far morire in
modo insulso e di cui nessuno sentisse la mancanza?
V: Ne sono consapevole e non mi sembra molto carino farmelo
ricordare da una persona come lei. E lei sa che non arriverà a pronunciare la
prossima domanda? *carica fucile*
Y: Ne ho soltanto una, a dire il vero: potrebbe levarsi di
torno? La sua presenza mi infastidisce.
V: Cosa dovrei dire io? Poteva lasciarmi tranquillo a casa
invece che scomodarmi fin qui! Non tutti siamo dei nullafacenti come lei. Io ho
delle cose da fare, al contrario suo.
Y: E allora, di cosa si lamenta? Può togliere il disturbo in
fretta, il suo compito è concluso.
V: Ringrazi il cielo che non la uccido solo perché il mio
fucile è fuori uso, per colpa sua. Me ne vado volentieri. Che maleducazione…
arrivederci!
Y: Buona festa della donna, signor Zwingli!
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Capitolo 3 *** III. Chatterton ***
3-Chatterton
Titolo: Ars Moriendi, Capitolo 3 - Chatterton
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland),
Francia (Francis Bonnefoy), America (Alfred F. Jones), Austria (Roderich
Edelstein), Ungheria (Elizabeta Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt),
Germania (Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski),
Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark,
Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 4,266 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono
da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: The death of Chatterton
III. Chatterton
“Perché
non chiamiamo la polizia?”
“Non
è facile avventurarsi su per queste strade, specialmente di notte è molto
pericoloso. Per di più, forse non lo avete notato, ma ha appena smesso di
piovere. I sentieri sono fangosi, una carrozza non può percorrerli. È molto meglio attendere
fino a domattina.”
Roderich
aveva ragione quando sosteneva che chiamare la polizia fosse assolutamente
inutile: nessuno si sarebbe mosso prima dell’alba, e in ogni caso nessuno si
sarebbe affrettato per una morte che appariva come un semplice incidente.
Gli
ospiti erano raccolti tutti in salotto, in ansia, ad ascoltare il ticchettio
dell’orologio a pendolo che segnava mezzanotte passata. Alcuni di loro
chiacchieravano sottovoce, Ludwig e Feliciano sembravano coinvolti in un’accesa
conversazione che però conducevano in maniera molto discreta.
Arthur
non riusciva a togliersi dalla testa le parole dell’italiano riguardo alla
morte di Zwingli. Aveva fatto una notevole fatica a ricordare i dettagli del
dipinto da lui nominato, ma ora che ce l’aveva ben presente nella sua mente,
cercava di individuare tutti quei particolari che avevano portato Feliciano a
fare quell’affermazione azzardata. Sembrava prematuro pensare che si fosse
trattato di un omicidio, figurarsi ipotizzare che esso fosse stato programmato
nei minimi dettagli per poter rassomigliare a un dipinto visto il pomeriggio
prima. Poteva trattarsi semplicemente di una coincidenza.
Arthur
aveva accolto le richieste di Roderich per far rinchiudere il tedesco, in
questo modo si sarebbero tutti calmati, ma non aveva comunque nessuna prova
materiale che Gilbert fosse il colpevole.
In
ogni modo, anche se i timori di Feliciano si fossero rivelati fondati, come
poteva l’albino aver organizzato quell’omicidio basandosi su un dipinto appena
visto? Se davvero si era trattato di un caso di macabra imitazione, allora le
persone più imputabili erano i russi, che conoscevano in anticipo i quadri
esposti, e probabilmente anche Roderich.
Un’altra
ipotesi plausibile era che il colpevole non fosse nessuno di loro. Da quel che
aveva potuto capire, il notaio aveva un carattere non facile e aveva sicuramente
molti nemici che avrebbero potuto sabotare le sua arma in attesa che la usasse.
Poteva essere stato chiunque, anche un conoscente dell’uomo dissanguato che
voleva vendicarsi per l’esito del duello. Non c’erano abbastanza elementi per
poter trarre una conclusione ragionevole, tuttavia l’immagine della Morte del Principe d’Orange non ne
voleva saperne di dargli tregua.
“Dove
sta andando, Kirkland?” domandò Francis quando lo vide alzarsi dalla poltrona.
“Vado
a farmi un giro per schiarirmi le idee” rispose Arthur allontanandosi dal
salotto. Gli sguardi preoccupati dei presenti e le loro mille ipotesi
sussurrate lo distraevano.
Raggiunse
il grande atrio e salì le scale di marmo. Sulle pareti i dipinti di nobili
baffuti gli indicavano la strada da percorrere lungo il corridoio. Girando a
sinistra entrò nell’area riservata agli ospiti, lungo il corridoio tappezzato
di rosso mogano. I candelabri alle pareti erano accesi, ma non tutti. In quella
casa non era ancora stata installata l’elettricità.
Continuò
a camminare nella penombra, nella speranza che il silenzio lo aiutasse a
mettere ordine nei suoi pensieri. Ma non fu fortunato: dei rumori alle sue
spalle lo fecero fermare. Il fondo del corridoio risultava buio, non riuscì a
identificare di chi fossero i passi che si avvicinavano in fretta. Avvertendo
una leggera agitazione crescere in lui, Arthur scrutò il buio davanti a sé, ma
a causa della scarsa illuminazione la fine del corridoio non era visibile.
Studiò le porte ai due lati delle pareti: lì vicino c’era la sua stanza, ma non
era sicuro di riuscire a ricordare esattamente quale fosse. Intanto i passi
erano vicinissimi. Non aveva modo di fuggire, ma comunque si ripeté che non
aveva motivo di preoccuparsi. L’unica soluzione era quella di fronteggiare
chiunque fosse emerso dalla tenebre, perciò rimase fermo ad aspettare, sentendo
suo malgrado i battiti del cuore che acceleravano.
“Sei
lì Arthur?”
L’inglese
si abbandonò ad un sospiro di sollievo. “Per la miseria, Alfred, mi hai fatto
prendere un colpo.”
L’americano
si palesò sotto la luce dorata. “Ti ho spaventato?” domandò senza nascondere un
certo orgoglio.
“Non
fare l’idiota, certo che mi hai spaventato! Ti sembra il caso di pedinarmi in
un corridoio buio?”
“E
dire che sono sempre stato io quello fifone.”
Arthur
non aveva alcuna voglia di ricordare i loro momenti passati. “Cosa vuoi?”
“Sono
preoccupato.”
“Non
ce n’è motivo. Non credo alla storia dell’omicidio e comunque il tedesco è
rinchiuso” rispose Arthur burbero, infilando le mani in tasca.
“Non
mi riferivo a quello.” Quando Alfred si avvicinò ulteriormente, l’inglese notò
che era senza giacca e il gilet era sbottonato, mettendo in mostra solo la
sottile camicia bianca. Arthur si spaventò quando sentì il suo battito
accelerare di nuovo.
“Qualunque
cosa tu abbia da dirmi non mi interessa!” sbottò all’improvviso senza pensare a
controllare il volume della voce. Alfred fece un passo indietro come se si
trovasse di fronte ad un animale inferocito.
“Senti…
ma perché non ne parliamo? Sai, non riesco proprio a capire cosa sia successo
per farti arrabbiare così.”
Arthur
non poteva credere alle sue orecchie, non voleva crederci! Non poteva in alcun
modo pensare che quello stupido non avesse la benché minima idea di ciò che gli
aveva fatto.
Alfred
notò la sua furia crescente e si affrettò a giustificarsi. “Lo so che ti
arrabbi quando non capisco le cose, ma è importante che mi spieghi cosa ti è
successo.”
La
mano si mosse senza preavviso. Nel corridoio risuonò l’eco di uno schiaffo e
tutta la metà superiore del corpo di Alfred ruotò per assorbire l’impatto di
quel colpo terribile. Dopo soli pochi istanti, Arthur sentì le proprie dita
bruciare, mentre l’americano si voltava con occhi sconvolti e sorpresi, tenendosi
una mano sulla guancia infiammata.
“Vorresti
forse farmi credere che non ti sei accorto di avermi abbandonato? Di essertene
tornato in America senza dirmi nulla, dopo tutto quello che era successo?!
Cos’hai pensato quella mattina? Pensavi di andare a fare colazione e poi,
all’improvviso, hai deciso di salire su una nave? Sei davvero così stupido da
pensare che io ci creda?!”
Si
sentì improvvisamente bene ad avergli gridato contro tutte le parole su cui
rimuginava da quasi un anno, però sentiva che non era ancora abbastanza.
Alfred
non aveva ancora cambiato espressione. “Ma Arthur, cosa ti aspettavi? Non ero
venuto in Inghilterra per restarci, lo avevamo chiarito sin dall’inizio. Sono
venuto lì solo perché mio padre doveva venirci per affari e io volevo farmi una
vacanza.”
“Quindi
è questo che sono stato, per te? Una vacanza?”
Più
particolari venivano svelati e più Arthur si infuriava. Aveva sempre pensato
che quella discussione sarebbe stata da evitare. Per un anno aveva riflettuto
su ciò che gli avrebbe voluto dire, ma era anche vero che durante tutto quel tempo
non gli aveva mai scritto. Non voleva che si realizzasse ciò che temeva, ovvero
venire a sapere di essere stato solo un passatempo, un’avventura tra tante.
“Non
immaginavo che avrebbe potuto farti così male” tentò di scusarsi Alfred.
“Credevo che il fatto di aver chiarito la temporaneità del nostro rapporto non
avrebbe causato tutta questa sofferenza al momento del distacco.”
Perché
non ce la faceva? Perché aveva una mentalità così infantile e limitata? Fargli
notare tutte le sue stupidaggini non sarebbe servito. Arthur ingoiò tutti gli
insulti e le spiegazioni, sentendo una devastante tristezza avanzare.
Alfred,
approfittando della sua guardia bassa, gli si avvicinò, fino a sfiorarlo col
proprio corpo. “Io… ecco, ero convinto che non ti importasse più di me. Credevo
che il modo migliore per evitare inutili sofferenze fosse quello di andarmene e
basta. Però…”
Arthur
si ostinava a non rispondere. Non c’era alcun modo per fargli capire cosa aveva
causato, non esisteva una soluzione, ora ne era sicuro. Tutto ciò che poteva
fare per conservare una minima parte del suo orgoglio era trattenere le
lacrime.
“Mi
dispiace, Arthur. Pensavo fosse la cosa giusta per entrambi. Pensavo di
comportarmi da adulto, facendoti tornare alla tua vita.”
Alfred
osò ulteriormente, prendendogli il viso tra le mani e tentando di baciarlo.
Arthur realizzò che non poteva permettersi di cadere così in basso un attimo
prima di sentire le sue labbra sfiorarlo, e fu un bene, perché altrimenti non
sarebbe stato capace di respingerlo.
“Non
puoi… giocare con me” lo avvertì dopo averlo spinto lontano da sé.
Lesse
una grande tristezza negli occhi azzurri di Alfred, probabilmente la stessa che
l’inglese aveva mostrato poco prima. Forse adesso avrebbe compreso ciò che era
stato in grado di provocare, forse avrebbe capito quanto sconvolgimento può
portare lo sbriciolamento di un sogno. O forse no. Arthur aveva ormai inteso
che per Alfred la libertà contava più dell’amore.
L’americano
tentò comunque un ultimo approccio. “Tuo padre mi ha scritto. Mi ha detto che…”
Arthur
si era sbagliato: non era tristezza, quella racchiusa nel suo sguardo. Era
compassione, la stessa che gli rivolgeva dal momento in cui si erano rivisti.
Non poteva permettersi di toccare il fondo più di così.
“Insomma,
è vero che…”
“Stai
zitto!” gridò Arthur per coprire le sue parole. Ne aveva abbastanza, i giochi
erano conclusi. Improvvisamente si ricordò qual era la porta della sua stanza.
“Parliamone,
Arthur! Non dovresti abbandonare tutto quello per cui hai faticato!” Alfred lo
seguì fin sulla soglia, ma l’inglese gli chiuse la porta in faccia.
“Non
dire più una sola parola! Non hai il diritto di compatirmi, è stata solo colpa
tua!”
“Hai
frainteso le mie intenzioni.” La voce di Alfred lo raggiungeva perfettamente
anche attraverso la porta.
“Può
darsi, ma ora mi è tutto chiaro. Vattene.”
“Non
voglio che tu ti rovini così…”
“Va’
via!”
Ci
volle ancora un minuto buono, ma alla fine sentì i passi di Alfred che si
allontanavano lentamente lungo il corridoio.
Arthur
rimase immobile a fissare il pavimento lucido, avvertendo un grande malessere.
Non voleva la compassione di nessuno, né i consigli né i rimproveri,
specialmente di Alfred.
Sulla
parete alla sua sinistra, appoggiato al muro con il poggiatesta, stava il
letto, grande e scuro, in tinta con la stanza buia. L’unico chiarore derivava
dai raggi della luna che penetravano dalla grande finestra con le tende ancora
aperte. Alcuni mobili, un armadio e una cassapanca, ornavano le altre pareti e
da dietro la porta iniziava una lunga cassettiera che terminava contro il
camino. Proprio lì sopra Arthur individuò una bottiglia di vetro accanto a un
basso bicchiere. Stappò la bottiglia e avvicinò il naso all’apertura: era
brandy. L’inglese non rifiutava mai un goccetto offerto da qualcuno,
specialmente in momenti deprimenti come quello, così se ne versò un bicchiere
abbondante e andò a sedersi sul letto.
Cercò
di convincersi di non aver fatto una pessima figura di fronte ad Alfred e agli
altri invitati che sicuramente avevano sentito le sue grida isteriche
attraverso le stanze. Cercò di convincersi di aver fatto la cosa giusta,
respingendo l’americano. Se ne sarebbe dovuto liberare, prima o poi, e quello
era stato il momento propizio.
Mentre
sentiva il brandy bruciargli la gola e scaldargli il petto, pensò alla maniera
spudorata con cui Alfred aveva tentato a tutti i costi di attirare la sua
attenzione durante quel giorno, quando il vice presidente degli Stati Uniti era
venuto in visita a Scotland Yard. Era stato lui a insistere fino allo
sfinimento per andare a bere qualcosa insieme, perché gli mostrasse la città e
i luoghi dove ci si potesse divertire. Arthur l’aveva giudicato un ragazzino
viziato e non aveva mai cambiato idea sul suo conto. Tuttavia non poteva
nemmeno negare di essersi divertito, quella sera. Le idiozie dell’americano lo
avevano infastidito, ma poi lo avevano anche fatto ridere. Anche l’alcool aveva
avuto la sua parte, quella sera, ma comunque era stato in quel momento che tutto
era iniziato.
E
con l’alcool era anche tutto finito. Bevve altri due generosi sorsi e sentì la
testa diventare più leggera. Era stata una bottiglia di rhum a offrirgli un illusorio
conforto la mattina in cui si era svegliato e aveva capito che Alfred se n’era
andato. Nessun preavviso, nessun biglietto, assolutamente nulla. In quella casa
era rimasta solo la certezza di essere stato un effimero passatempo.
L’ebbrezza
aveva aiutato, all’inizio, poi era divenuto uno spiacevole inconveniente che
tentava di dimenticare ma in cui poi ricadeva sempre. La sensazione di nausea
che iniziava ad avvertire era qualcosa con cui conviveva ormai da mesi. La
ignorò e svuotò il bicchiere. Si sarebbe volentieri alzato a versarsene un
altro, ma sentiva già le gambe troppo deboli per fare qualsiasi movimento. Si
meravigliò della velocità con cui il brandy aveva fatto effetto, ma era da
alcuni giorni che non toccava alcun tipo di alcool e il suo organismo non era
più abituato a quelle tossine. Aveva tentato di separarsi una volta per tutte
dalla bottiglia, ma aveva fallito per l’ennesima volta.
Adesso
avrebbe aspettato qualche minuto, finché il suo corpo non avesse iniziato a
rispondere di nuovo, poi si sarebbe versato dell’altro brandy.
Sentì
la maniglia della porta abbassarsi e vide un debole spiraglio di luce penetrare
nella stanza. Se era Alfred, era fortunato che fosse così debole, altrimenti si
sarebbe ritrovato un bicchiere in faccia. Era incredibile quanto fosse
ostinato.
La
porta si aprì e, in controluce, Arthur distinse appena una figura che non si
sarebbe aspettato.
“Salut,
mon amie.”
L’inglese
non aveva né la voglia né la forza di stare ai giochetti di Francis, ma aveva
la mascella troppo appesantita per respingerlo verbalmente e si stupì di nuovo
della rapidità con cui l’alcool lo aveva steso. Probabilmente era un brandy
molto forte.
Il
francese lanciò un’occhiata alla bottiglia mezza vuota sul camino e poi al
bicchiere ancora in mano ad Arthur e sorrise maliziosamente. “Oh, ha già fatto
effetto?”
Arthur
sentiva la testa girare, ma era ancora abbastanza lucido da non lasciarsi
convincere dal comportamento dell’intruso. Che ci faceva nella sua camera? Era
stato mandato da Alfred? E poi, cos’era stata quell’occhiata alla bottiglia?
Francis
chiuse la porta con la propria schiena e girò la chiave nella serratura.
Arthur
avvertì una stanchezza incipiente prendere possesso delle sue membra e del suo
cervello, ma era diversa dalla sonnolenza data dall’alcool: era come se
qualcuno gli avesse tirato una botta in teste e lui cercasse in tutti i modi di
restare cosciente. In bocca sentì un sapore amaro che prima non aveva notato.
Francis
iniziò ad avanzare con tutta calma verso il letto. “Dal primo momento in cui ti
ho visto ho pensato che tu fossi un tipo da rhum, ma ero sicuro che ti saresti
accontentato anche del brandy.”
Arthur
si accorse di non riuscire nemmeno a indietreggiare di qualche centimetro.
“Le vin sait revêtir le plus sordide bouge
d’un luxe miraculeux.”
L’inglese
riconobbe le parole che Francis gli aveva rivolto quando si erano incontrati
per la prima volta, ma non capiva che senso avesse ripetergliele in quel
momento. Il francese si avvicinò sempre più, gli appoggiò una mano sul petto.
Bastò una lieve pressione per far cadere Arthur sul materasso, in lui non era
rimasto un solo briciolo di forza.
“Non
hai trovato interessante che Feliciano abbia notato la somiglianza
dell’omicidio con il quadro di Von Chlebowski? Quel ragazzino è intelligente, e
sicuramente ne sa di arte molto più di te.”
La
vista annebbiata permise ad Arthur di focalizzare meglio alcuni momenti del
giorno prima: la strana conversazione avuta con Francis a proposito della morte
immortalata. Nel frattempo il francese era salito sul materasso e si era
portato sopra ad Arthur.
“Tout cela ne vaut pas le poison qui découle
de tes yeux, de tes yeux verts.”
Nella
mano di Francis comparve improvvisamente un piccolo coltello. La lama si
avvicinò con lentezza estenuante al viso di Arthur che non poteva distogliere
lo sguardo dal compiaciuto Francis. Il coltello gli accarezzò i lineamenti, si
soffermò a lungo sul collo, poi sull’orecchio, infine salì verso i capelli.
Le poison… Il
veleno nel brandy stava per concludere il suo effetto, Arthur si sentiva
sprofondare verso l’oblio, ma era come se Francis cercasse di prolungare
quell’istante di esasperazione all’infinito. Il coltello tirò i capelli di
Arthur e il francese si mise in tasca la piccola ciocca tagliata.
“Perdonami.
Mi piace conservare un pezzetto delle mie prede, per ricordarmi di loro.”
La
tranquillità e la sicurezza che ostentava avevano un che di inquietante e
diabolico.
Arthur
avrebbe dovuto chiedere aiuto, provò con tutte le sue forze a parlare ma fu in
grado di produrre solo dei brevi suoni strozzati che chiunque avrebbe ignorato.
“Lacs où mon âme tremble et se voit à
l’enverse…”
Quando
la bocca di Francis si chiuse sul suo collo e poi sulla mascella, per poi
salire a torturargli le labbra Arthur capì che non poteva esserci epilogo
migliore per quella giornata. Era stato uno stupido, avrebbe dovuto prendere in
considerazione più seriamente l’ipotesi dell’omicidio. E ora lui sarebbe stato
la prossima vittima, ucciso così facilmente e in modo così vergognoso.
“Tout cela ne vaut pas le terrible prodige de
ta salive qui mord.”
Non
riuscì a reagire in alcun modo, poté solo restare immobile e subire, sentendo
l’oscurità avvolgerlo e assistendo al suo assassino che si divertiva a giocare
con i suoi ultimi momenti di vita.
“Qui plonge dans l’oubli mon âme sans remord,
et, charriant le vertige, la roule défaillante aux rives de la mort!”
Per
lo meno non fu doloroso. Non si accorse nemmeno di aver smesso di respirare.
Non
vedeva più nulla, le percezioni gli venivano trasmesse da un altro dei cinque
sensi che non aveva identificato. Sapeva che Francis lo stava baciando, sapeva
anche che gli aveva messo le mani dietro la testa. Sentì il bicchiere cadergli
di mano e rotolare sul pavimento, senza rompersi, accompagnato da un lembo
della coperta.
Gli
assalti di Francis alle sue labbra si interruppero di colpo. “Arthur? Ma
respiri?”
Ovviamente
lui non gli poteva rispondere, però si domandò cosa ci trovasse di strano.
D’altronde il suo piano era riuscito. O forse no, forse si aspettava che
andasse in modo diverso?
Francis
corse via lanciando un’imprecazione. Probabilmente era andato storto qualcosa.
Ad Arthur non importava granché, ma almeno sarebbe morto solo e in pace e non
con un francese attaccato addosso.
Seguirono
altri rumori, passi affrettati, persone che parlavano, venivano poste un sacco
di domande ma non si udiva nessuna risposta. Si sentì sollevare e poi del
liquido gli bagnò la bocca, il mento, il collo…
“Non
funziona.”
“Lo
costringa a bere!”
“È tardi.”
Delle
labbra familiari gli sigillarono la bocca e il liquido gli invase il petto col
suo bruciore.
“Mio
Dio… questa è La morte di Chatterton!”
Un
fastidioso brusio e una luce intensa lo strapparono dal precipizio oscuro in
cui era caduto.
“Guardate!”
“Grazie
a Dio.”
Una
fitta improvvisa gli attraversò la testa: sentiva di essere stato colpito da un
mattone. Attorno a lui c’erano molte persone e ciò non contribuì a farlo
sentire a proprio agio.
“Arthur!”
Delle braccia lo strinsero con troppa foga e l’inglese si sentì schiacciare.
“Meno male, non potevi morire senza che avessimo fatto pace, non me lo sarei
mai perdonato.”
“…staccati.”
Alfred
obbedì subito, aveva gli occhi lucidi e gli occhiali storti.
“Lei
è l’uomo più fortunato che conosca” disse Ludwig, ai piedi del letto.
Arthur
aveva in bocca un disgustoso sapore di alcool mischiato a qualcosa di amaro.
“Se
ti senti strano è perché sei un po’ ubriaco” gli spiegò Alfred, senza però
chiarire nulla.
“Ubriaco?”
Aveva bevuto solo un bicchiere.
“L’alcool
è il rimedio casalingo contro il cianuro, se assunto in tempo. Gliene abbiamo
fatto bere il più possibile. Ringrazi il cielo se è ancora tra noi” specificò
Roderich.
Arthur
faticava ancora a mettere assieme tutti i pezzi della vicenda.
“Se
proprio vogliamo essere precisi, sono stato io a farglielo bere.”
Si
guardò attorno alla ricerca dell’ultima persona che aveva visto e che aveva
appena parlato. Francis era seduto su una sedia accanto alla testata del letto,
ma Arthur si rese conto che le braccia gli erano state legate attorno allo
schienale e che aveva un’espressione decisamente offesa.
“Direi
che ormai non ci sono più dubbi: c’è un assassino tra noi che si sta divertendo
a prenderci in giro imitando i dipinti della mostra.” La voce di Natalia
provenne dall’ombra vicino alla porta.
“Al
momento nessuno si salva dalle accuse” proseguì Roderich, “ma monsieur Bonnefoy
è il più sospetto. Lei è l’ultimo che ha visto Kirkland. Si può sapere come ha
fatto a non rendersi conto che era stato avvelenato?”
Francis
si agitò sulla sedia. “Ve l’ho già detto: credevo fosse ubriaco!”
Arthur
si sforzò di ripensare ai suoi ultimi momenti di lucidità.
“Comunque,
prima di me, anche Jones era rimasto per qualche tempo da solo con lui.”
“E
li abbiamo sentiti chiaramente litigare” confermò Feliciano. “Anche se
parlavano inglese.”
“Nessuno
dei due.” Adesso Arthur era perfettamente sicuro di ciò che stava dicendo. Gli
altri si voltarono attendendo maggiori spiegazioni. “Jones non è mai entrato
nella mia stanza… e comunque, sono stato io ad arrabbiarmi. Mentre Bonnefoy non
si era accorto del veleno.” Approfittò della vicinanza per lanciargli
un’occhiata di freddo rimprovero. “Era troppo occupato a sedurmi per capire ciò
che stava succedendo. E quando se n’è accorto mi ha salvato in tempo.”
“Ve
l’avevo detto” esultò Francis, alzandosi dalla sedia. Le corde che lo
bloccavano scivolarono a terra come serpenti, lasciando tutti senza parole.
Francis si strinse nelle spalle. “Pensavate davvero di poter tenere legato un
prestigiatore?”
“È ancora presto per fare
accuse” disse Ludwig. “In ogni caso, sebbene sia d’accordo a pensare che si
tratti di eventi programmati, le modalità mi sembrano troppo casuali e
azzardate.”
“Qual
è il collegamento tra Zwingli e Arthur?” si intromise Alfred.
“Nessuno,
immagino” rispose Roderich. “Credo che il motivo sia più semplice: Kirkland ha
rivelato di essere un poliziotto e così è stato scelto come vittima successiva,
in modo da ostacolare le indagini.”
“Come
faceva l’assassino a prevedere che il signor Kirkland sarebbe entrato nella sua
stanza e avrebbe bevuto da quella bottiglia?”
Arthur
si sentiva a disagio ad essere preso in esame, specialmente riguardo ad un
argomento così delicato. Cercò un modo per sviare la conversazione, ma questa
volta Alfred lo precedette.
“Non
era difficile.” Puntava su Arthur uno sguardo di rimprovero e delusione. “Mi ha
scritto tuo padre…”
Ancora
quella storia? Voleva rivelarla di fronte a tutti?!
Arthur
si mise a sedere appoggiato al cuscino. “Non è il momento per queste cose” lo
ammonì in inglese, ma Alfred non gli diede retta e proseguì determinato.
“Tuo
padre mi ha detto che da mesi continui a bere, che non fai altro, e che per
questo…”
“Taci,
Alfred, non sono cose che ti riguardano!”
“E
per questo sei stato sospeso dalla polizia!”
Venire
giudicato da un gruppo di estranei e persino da Alfred rappresentava la peggior
umiliazione della sua vita. Persino quando si risvegliava dolorante dopo una
nottata trascorsa a bere da solo si sentiva meglio. Ora gli sguardi di tutti
erano mutati, quel vago rispetto che aveva ricevuto nell’aver rivelato la sua
autorità di ispettore si era trasformata in un istante. Ancora più degradante
era il fatto che Arthur fosse l’unico responsabile di quelle occhiate deluse.
Avrebbe tanto voluto che il materasso lo assorbisse.
Francis
si schiarì la voce per rompere l’imbarazzante silenzio. “Allora… Jones era in
grado di prevedere che avrebbe bevuto da quella bottiglia.”
“Credo
comunque che non fosse troppo difficile intuirlo” aggiunse Roderich.
“Arthur,
non pensare che me ne sia andato per farti soffrire, quindi smettila di farti
del male.” Ad Alfred non importava niente delle supposizioni e dei sospetti.
Stava sciorinando tutte le loro questioni private senza ritegno. Era
completamente impazzito! “Tornerò da te, se è questo che vuoi. Lascia perdere
l’alcool, sono certo che esistono molte altre soluzioni al tuo problema.”
Arthur
si rifiutò di rispondere. Non era mai stato umiliato tanto in vita sua, voleva
solo far finta che non stesse accadendo niente.
Per
merito di qualche intervento divino, Elizabeta distolse l’attenzione. “Quindi
il tentato omicidio scagiona Beilschmidt! Lui era chiuso in stanza quando il
signor Kirkland è stato avvelenato.”
“Potrebbe
anche aver messo il cianuro nel brandy ancor prima della morte di Zwingli” fece
notare Roderich. “In ogni caso abbiamo altre domande da fargli, sarà meglio
andargli a parlare.”
Arthur
intravide Natalia che sussurrava all’orecchio di Ivan, il quale poi disse:
“Sarebbe il caso di aspettare che il signor Kirkland si riprendesse, in modo
che potesse essere presente.”
“È vero. Si prenda il suo
tempo” disse Ludwig ad Arthur, poi uscì con Feliciano, seguito dai due russi.
“Ma
non ci faccia attendere troppo” aggiunse Roderich dirigendosi alla porta, “la
situazione sta prendendo una piega decisamente preoccupante.”
Quando
tutti furono usciti e la porta fu chiusa, Arthur si accorse di non essere solo:
Francis era ancora seduto accanto al letto. Dopo parecchi minuti di silenzio,
si schiarì la voce.
“Eh…
scusa per prima. Ero convinto che fossi stato ammaliato dal mio fascino e
invece stavi morendo. Ho sempre pensato che le due cose andassero a braccetto,
ma solo in senso metaforico.”
Riusciva
a ricavare ironia anche da una situazione disperata come quella, ma Arthur non
ci trovava niente di divertente. Pensandoci, avrebbe dovuto essere sollevato di
essere sopravvissuto per un soffio, ma dopo l’ultima conversazione con Alfred,
dopo la sua totale mortificazione, non riusciva a provare alcun sentimento
positivo.
Nonostante
la sonora lezione che aveva ricevuto, provava ancora il bisogno di fuggire da
quella situazione. Non aveva idea di come avrebbe affrontato Alfred, gli
ospiti, l’intero mondo da quel momento.
“Se
tu non fossi arrivato, sarebbe stato tutto più semplice.”
Era
inutile nascondere le lacrime, non poteva cadere più in basso di così.
Decise
di concludere in quella stanza la sua umiliazione e lasciarsela alle spalle,
poiché dubitava di avere la fortuna di essere avvelenato di nuovo.
Francis
rimase ad attenderlo in silenzio.
Continua
Che bello, stiamo procedendo, eh? Ci sono state parecchie
citazioni in francese. Io non so un'emerita mazza di questa lingua,
perciò quando devo tradurre delle frasi più complicate di
bon jour, mi affido alle
citazioni, specilamente quelle di Baudelaire. Stavo sfogliando le sue
poesie quando ne ho vista una che secondo me era fatta apposta per la
FrUk, perciò ve la riporto qui sotto con la traduzione.
Le poison
Le vin sait revêtir le plus sordide bouge
D’un luxe miraculeux,
Et fait surgir plus d'un portique fabuleux
Dans l'or de sa vapeur rouge,
Comme un soleil couchant dans un ciel nébuleux.
L'opium agrandit ce qui n'a pas de bornes,
Allonge l'illimité,
Approfondit le temps, creuse le volupté,
Et de plaisirs noirs et mornes,
Remplit l'âme au-delà de sa capacité.
Tout cela ne vaut pas le poison qui découle
De tes yeux, de tes yeux verts
Lacs où mon âme tremble et se voit à
l’enverse…
Mes songes viennent en foule
Pour se désaltérer à ces gouffres amers.
Tout cela ne vaut pas le terrible prodige
De
ta salive qui mord
Qui plonge dans l’oubli mon âme sans remords,
Et, charriant le vertige,
La roule défaillante aux rives de la mort!
Il veleno
La bettola più cupa sa rivestire il vino
d'un lusso da miracolo, e nell'oro
del suo rosso vapore
fa sorgere una fiaba di colonne,
come un tramonto acceso nella bruma.
L'oppio ingrandisce ciò che non ha fine,
l'illimitato estende,
il tempo fa più cavo, più profondo il piacere,
e di nere, di cupe voluttà
l'anima sa colmare a dismisura.
Ma più veleno stillano i tuoi occhi,
i tuoi verdi occhi,
laghi dove si specchia e capovolto
trema il mio cuore, amari abissi dove
a frotte si dissetano i miei sogni.
Più tremendo prodigio è la saliva
con cui m'intacchi l'anima e l'affondi
senza rimorsi nell'oblio, e languente
a filo di vertigine la spingi
alle rive dei morti.!
Quattro chiacchiere col morto
Yuri: Benvenuto al nostro incontro settimanale, signor Kirkland.
Arthur: Buonasera a tutti.
Y: Anche se non abbiamo avuto il piacere di vederla salire in cielo, ci è comunque andato molto vicino, dico bene?
A: Estremamente vicino, grazie a quella rana vinofila.
Y: Cosa la spinge ad affermare ciò dopo essere stato avvelenato facilmente a causa del suo alcolismo?
A:...Prossima domanda.
Y: Cosa mi dice dello stralcio di paradiso che ha potuto intravedere?
A: L'ho visto eccome. Spettacolare, assomigliava molto a Londra.
Y: Che genere di persone c'erano?
A: Un po' tutti. In paradiso i francesi sono lavacessi, i tedeschi
spazzacamini, gli italiani netturbini, gli svizzeri aiuto bidelli...
Y: Ottimo, abbiamo recepito il messaggio.
A: I russi barboni, gli americani insegnanti di educazione fisica...
Y: Si spenga, signor Kirkland!
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Capitolo 4 *** IV. Cleopatra ***
4-Cleopatra
Titolo: Ars Moriendi, Capitolo 4 - Cleopatra
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland),
Francia (Francis Bonnefoy), America (Alfred F. Jones), Austria (Roderich
Edelstein), Ungheria (Elizabeta Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt),
Germania (Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski),
Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark,
Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 4,268 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono
da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: Death
of Cleopatra
IV. Cleopatra
Gli
fu dato un bastone per reggersi, dato che Arthur non era ancora abbastanza
stabile da essere sicuro di non cadere dalle scale, né aveva intenzione di
appoggiarsi a nessuno. Si sentiva alquanto debilitato, ma non riusciva a capire
se si trattasse del veleno o della sbronza. In ogni caso non poteva perdere
altro tempo: prima avrebbe messo fine a quel mistero e prima se ne sarebbe
potuto tornare in Inghilterra.
La
camera in cui Beilschmidt era stato rinchiuso era l’ultima del lungo corridoio
lungo, subito prima della stretta scala che portava alla torre, la quale
ospitava le stanze di Ludwig e Feliciano. Elizabeta fu la prima ad arrivare, si
era fatta dare le chiavi da Roderich, il quale sembrava aver esaurito gran
parte della sua rabbia e desideroso di fare luce sugli ultimi inquietanti
eventi.
Arthur
era l’ultimo. Sapeva che Alfred gli lanciava frequenti occhiate preoccupate e
che Francis rallentava spesso e consapevolmente, ma non si fece aiutare.
La
chiave girò nella serratura e l’inglese vide Elizabeta sparire oltre la porta,
seguita da Ludwig. Arthur non aveva avuto tempo per pensare alle domande da
porre al tedesco, ma capì che non sarebbero state necessarie.
Un
lungo grido di donna costrinse tutti a precipitarsi nella camera. Quando Arthur
arrivò non poté credere a ciò che vide.
La
prima cosa che notò furono gli schizzi di sangue sulle pareti, sul pavimento e
persino sul soffitto. In mezzo alla stanza c’era una sedia, su di essa si
trovava l’albino. Le mani di Gilbert erano legate ai braccioli con dei lembi di
stoffa e lo stesso materiale gli era
stato usato per imbavagliarlo e bloccargli le caviglie.
Arthur
non ebbe bisogno dell’intervento di Feliciano per capire che ciò che stava
guardando era La morte di Cleopatra.
Elizabeta
non aveva ancora osato avvicinarsi, piangeva per terra consolata da Roderich.
Ludwig invece contemplava il corpo senza capacitarsi di ciò che aveva di
fronte. Quando allungò una mano per toccarlo, Arthur lo bloccò. “Fermo!
Aspetti.”
Gli
dispiaceva intervenire in un momento del genere, ma per lui l’indagine veniva
prima di tutto. Sul corpo non erano presenti ferite evidenti, perciò quella
quantità spropositata di sangue poteva provenire soltanto da un posto: i polsi
erano stati tagliati.
“Com’è
possibile che quella ferita abbia causato questi schizzi di sangue?!” domandò
Alfred scosso.
“È ovvio che se ne sia
occupato l’assassino” spiegare Arthur.
“Decisamente
un intervento di pessimo gusto” commentò Francis.
L’inglese
studiò con cura la stoffa con la quale era stato legato e imbavagliato, ma non
trovò nulla di rilevante. “Sleghiamolo” disse infine.
Francis
e Alfred fecero un passo avanti ma Ludwig li allontanò con un gesto della mano.
“Me ne occupo io.” Nemmeno Feliciano osò intervenire. Arthur tentò di decifrare
i pensieri dell’italiano: in quel momento nel suo sguardo vi era una luce che
mancava negli occhi freddi e spenti di Ludwig.
“Che
cosa orribile!” disse Elizabeta quando il corpo di Gilbert fu depositato a
terra. “Quale crudeltà può spingere un uomo a compiere tutto questo?”
“Questo
sangue… è davvero tutto suo?” domandò Alfred, guardandosi attorno.
Arthur
si chinò sul cadavere e osservò attentamente le ferite ai polsi. “Sono
profonde. Non tanto da incidere i tendini, suppongo, ma sufficienti per
dissanguare, se si ha a disposizione abbastanza tempo.” Cercò nuovamente di
estrapolare la logica di quegli schizzi, poi si rivolse a Ludwig con
discrezione.
“Sarebbe
il caso di spogliarlo.”
“Perché?”
“È chiaro che ci sta
sfuggendo qualcosa. Potremmo trovare qualche indizio.”
Ludwig
acconsentì tacitamente e iniziò a sbottonare il gilet e la camicia del
fratello, finché non rimase solo con la biancheria. Sul corpo non c’era alcuna
ferita e non trovarono nulla nemmeno sulla schiena.
“È
pallido per natura, per cui è difficile stabilire se si sia effettivamente privato
di tutto il sangue, ma poiché non c’è nessuna traccia di altri traumi, direi
che è stato davvero dissanguato. Se fosse stato avvelenato e poi ferito, il
sangue non sarebbe potuto uscire in questa quantità. D’altro canto, ha avuto a
disposizione molto tempo per dissanguarsi del tutto.” Provò rimorso guardando
Elizabeta che singhiozzava e Ludwig che non parlava. Nonostante fosse stata una
proposta di Roderich, era stato lui stesso a decretare l’imprigionamento di
Gilbert.
“A
giudicare dalla quantità di sangue perso, credo che sia stato aggredito poco
dopo essere stato rinchiuso qui.”
“Possibile
che non abbia lottato o che non abbia chiesto aiuto?!” domandò Alfred
incredulo. “Sicuramente ha impiegato molto tempo per morire.”
“Era
solo e lontano, molto probabilmente non siamo stati in grado di sentirlo. Ma
adesso, la vera domanda è un’altra: se la stanza era chiusa, com’è entrato
l’assassino?”
“Non
doveva necessariamente entrare una volta che la porta è stata chiusa” disse
Elizabeta alzandosi in piedi. “Non è vero, signorina Natalia?”
La
donna non si scompose. “Cosa intende insinuare?”
“Lei
è l’ultima che l’ha visto. È
stata lei ad accompagnarlo qui, perché mai si è proposta per quell’incarico?”
“Mi
sono offerta volontaria esattamente come avrebbe potuto fare chiunque di voi.
Che ragioni avrei avuto per uccidere herr Beilschmidt?”
“È esattamente quello che
vogliamo scoprire” rispose Arthur, il quale iniziava a sopportare a fatica
l’atteggiamento superficiale e distaccato dei russi. “Nel frattempo ci dica
perché l’ha voluto accompagnare, e questa volta sia sincera.”
Natalia
sostenne lo sguardo di Arthur, poi lanciò un’occhiata a Elizabeta. “Quell’uomo
mi interessava. Ho pensato che fosse la giusta opportunità per… farmi notare.”
Roderich
afferrò saldamente il polso della moglie prima che questa potesse
schiaffeggiare Natalia.
“Elizabeta,
manteniamo un minimo di civiltà.”
“Lei…
è senza ritegno.” La donna aveva i capelli scomposti e il volto arrossato,
tuttavia trasmetteva ancora una grande dignità.
“Ho
trovato qualcosa!” Alfred era inginocchiato per terra e guardava sotto alla
cassettiera con la guancia incollata al pavimento. Tese la mano, ma Arthur
sfilò il fazzoletto dal taschino di Francis e glielo porse in tempo.
“Usa
questo, non si tocca niente prima di averlo analizzato con cura.”
Alfred
utilizzò il fazzoletto e, quando si rialzò, teneva tra le dita un coltello
insanguinato. Era un coltello da caccia, sicuramente qualcosa che non si
trovava facilmente nella villa di un nobile. Arthur lo prese con delicatezza.
“E
questo di chi è?”
Non
si lasciò sfuggire l’occhiata fugace che Ivan lanciò alla sua compagna, né la
leggera sorpresa di quest’ultima.
“È suo, vero, signorina
Natalia?”
La
donna non era affatto una sprovveduta e comprese subito che mentire non sarebbe
servito a nulla. Invece, afferrò un lembo della sua lunga gonna e la sollevò fino
al ginocchio. Alfred sgranò gli occhi e Francis produsse un fischio di
approvazione.
“Fraulein,
la prego di mantenere un po’ di decenza” la rimproverò Roderich.
Senza
badare alle critiche, Natalia alzò la gonna fino a scoprire una cinghia stretta
alla coscia, che reggeva un fodero di pelle delle stesse dimensioni del
pugnale.
“In
Russia usiamo così” spiegò, lasciando scivolare nuovamente il tessuto.
“Così
è fin troppo facile” fu il commento di Francis, e Arthur si ritrovò d’accordo,
tuttavia le prove erano decisamente a sfavore di Natalia.
“La
spiegazione è molto semplice” iniziò la donna con molta sicurezza, “quando ho
accompagnato herr Beilschmidt, mi sono offerta di intrattenerlo. Deve avermi
sfilato il coltello in quel momento.” Rispose all’occhiata colma d’odio di
Elizabeta aggiungendo: “Il nobile tedesco non ha accolto le mie avance oltre
qualche carezza, di questo non deve dubitare.”
La
storia del coltello non convinceva del tutto Arthur, tuttavia se davvero
Natalia fosse stata l’artefice di quel macabro spettacolo non sarebbe potuta
tornare da loro così in fretta e senza alcuna macchia di sangue sull’abito.
“Invece
che soffermarci su questi particolari inconsistenti, perché non ci chiediamo
cosa ci faccia del cianuro nello studio di herr Edelstein?”
“Del
cosa?”
“Dove?”
“Basta
così.” Feliciano riuscì a zittire tutti con la sua voce cristallina. Teneva una
mano poggiata sulla spalla di Ludwig. “Occupiamoci di Gilbert, poi avremo tutto
il tempo per discutere.”
Fu
lui stesso ad aiutare il tedesco a trasportare il corpo in cantina, il quale
nel frattempo lo aveva rivestito.
Roderich
fece per seguirli, ma Arthur non poteva lasciare le cose in sospeso. “Torni
qui, herr Edelstein. Credo che a tutti farebbe piacere avere qualche
chiarimento a proposito della sua scorta di cianuro.”
Roderich
rispose mantenendo la sua altezzosità ma senza nascondere una palese offesa.
“Si tratta di questioni personali.”
“Già,
cosa c’è di più personale di un omicidio?” ironizzò Francis.
“Non
sia insolente” lo riprese Roderich. “Quel veleno non ha mai lasciato il mio
studio e non è mai stato usato da nessuno. Potete controllare, se volete.”
“Sappiamo
tutti che per avvelenare qualcuno è sufficiente una dose minima” ribatté
Francis, “e sappiamo anche che se Kirkland ora non si trova a volteggiare tra
gli angeli è perché quella dose era addirittura inferiore.”
“Perciò
non si può provare che il cianuro provenga dalla mia scorta” concluse Roderich
anticipando tutti.
“E
non si può neanche provare che non provenga
dalle sue scorte” puntualizzò Arthur.
“In
ogni caso non mi spiego quale motivo avrebbe potuto avere fraulein Natalia per
frugare nel mio studio.”
Natalia
si strinse nelle spalle. “Stavo solo facendo un giro di visita per il
castello.”
“Anche
troppo approfondito” notò Arthur.
“Va
bene, lo ammetto, ho ficcanasato un po’ ma non ho preso né spostato niente,
quindi non ho colpe.”
“Altroché
se le ha!” intervenne Elizabeta. “È
stata l’ultima a vedere Gilbert e il suo coltello insanguinato è stato trovato
chiuso in questa stanza!”
Natalia
la fronteggiò. Era decisamente più alta dell’austriaca. “E allora, cosa
intendete fare? Rinchiudere anche me sulla base di supposizioni? Herr
Beilschmidt è stato imprigionato perché aveva sia un movente che un’arma, io ho
solo un’arma, non avevo nessun motivo per volerlo morto.”
“Questo
non lo sappiamo” ripeté Arthur, “ad ogni modo è chiaro che nessuno deve stare
da solo: tutti coloro che si sono allontanati sono morti o ci sono andati vicino.”
“Quello
che penso” disse Natalia prendendo nuovamente la parola, “è che siamo tutti
stanchi e provati. Riposiamoci un po’.”
“Anch’io
mi farei una dormita” concordò Alfred, “però…”
Arthur
fece scorrere lo sguardo su coloro che erano rimasti nella stanza. “Va bene”
concesse infine, “ma prima faremo un’ultima cosa: voglio fare due chiacchiere
con ognuno di voi, in privato. Raduniamoci di sotto e chiudiamo a chiave questa
camera.”
Roderich
usò il suo mazzo di chiavi, l’unico che Arthur avesse visto in giro. Tuttavia
avrebbe dovuto indagare anche su quello. Andarono in un salottino arredato con
molti divani, dove il caminetto acceso aveva riscaldato l’ambiente. Da una
parte c’era un tavolino rotondo con qualche sedia e da ogni angolo pendevano
lunghe e ricche tende di velluto cremisi.
“Nessuno
si parli mentre ricevo ognuno di voi” raccomandò Arthur accomodandosi al
tavolino. Avrebbe dovuto condurre quell’interrogatorio molto prima, non voleva
che gli invitati potessero modificare o accordare ulteriormente le loro
versioni.
Il
primo che venne a sedersi di fronte a lui fu Roderich, accompagnato da una
sfacciataggine sempre crescente.
“Continuiamo
la nostra discussione a proposito del cianuro?” propose Arthur, che non aveva
alcuna intenzione di lasciarsi intimidire. Di fronte a lui poteva esserci
l’uomo che aveva tentato di ucciderlo.
“Non
ho niente da nascondere.”
“Allora
mi dica la verità. Che cosa voleva farci con quel veleno?”
Roderich
sostenne il suo sguardo per alcuni secondi e, d’un tratto, la sua sicurezza
sembrò vacillare. “Io… sapevo delle intenzioni di mia moglie.”
Arthur
cercò di capire. “Si spieghi.”
“Sapevo
che mia moglie si stava consultando segretamente col notaio per il divorzio.”
“E
sapeva anche che aveva una relazione con Beilschmidt?”
“Lo
sospettavo e basta.”
Arthur
incrociò le dita. “Ancora non mi ha detto lo scopo del veleno.”
Roderich
lo guardò come se volesse comunicargli la risposta col pensiero. Arthur si
augurò che i suoi sospetti fossero errati.
“Non
avrebbe avuto senso costringere mia moglie a restare, la conosco fin troppo
bene, non è una che si lascia dominare.”
“Aveva
intenzione di avvelenarla?”
“No.
Il cianuro… era per me.”
Arthur
non se lo sarebbe aspettato, certamente non da qualcuno con così tanta stima di sé. “Preferiva davvero
uccidere se stesso piuttosto che sua moglie o persino il suo amante?”
“Gliel’ho
detto, su Beilschmidt avevo solo dei sospetti, e comunque se fosse morto mia
moglie avrebbe indubbiamente sospettato di me e allora non ci avrebbe pensato
due volte a lasciarmi. Ho acquistato il veleno in un momento di debolezza, non
sapevo ancora se l’avrei usato o meno.”
“Non
sono convinto” ammise Arthur.
“Può
fare come vuole, questa è la mia verità.”
L’inglese
sospirò: quell’uomo lo irritava. “Mi dica invece come ha conosciuto i russi.”
“Sono
stati loro a contattarmi. Possiedo alcuni atelier, uno a Graz e due a Vienna e
mi faccio pubblicità. Mi hanno scritto chiedendomi di ospitare quella mostra
tematica e io ho accettato. Non c’è stato nessun altro tipo di rapporto.”
Arthur
aveva solo un’altra cosa da chiedere. “Quanti mazzi di chiavi esistono?”
“Se
si riferisce alle copie delle chiavi delle camere, ne esiste solo un altro, ma
è al sicuro nel mio studio.”
“Dopo
lo verificheremo.”
Riguardo
alla faccenda del debito dei fratelli aveva il presentimento di saperne anche
troppo, quindi lo lasciò andare.
Venne
Feliciano a sedersi con lui, sembrava fosse sul punto di piangere. Non sapeva
esattamente quali fossero le domande più giuste da fargli.
“Mi
spiace per Gilbert” iniziò per metterlo più a suo agio.
Feliciano
continuava a guardare in basso. “Anche a me dispiace molto. Ma non è per lui
che…” Arthur attese. “Ho deciso di lasciare Ludwig.”
L’inglese
si ricordò dell’accesa conversazione che avevano avuto un’ora prima. “Lui lo sa
già?”
“Gliel’ho
accennato e non gli ha fatto piacere. Però poi è successo… questo e… ora sarà
ancora più difficile.”
“E
il motivo?”
Feliciano
sollevò il viso e mostrò gli occhi arrossati senza vergogna. “Io sono solo un
accompagnatore. Non può trascorrere la sua vita con me.”
Arthur
non sapeva se voleva proseguire quella conversazione. Dopotutto quelle
informazioni avevano poco a che fare con gli omicidi, ma Feliciano sembrava
aver voglia di confidarsi.
“Lui
è sempre così severo e ordinato, ma in realtà è sensibile. Non so se avesse
provato pena per me o se avesse le stesse intenzioni di coloro che mi cercano,
ma mi ha tenuto con sé per molto tempo, pagandomi. Dopo qualche mese lui e suo
fratello hanno iniziato ad avere problemi economici, ma Ludwig ha continuato
comunque a offrirmi vitto e alloggio.”
“E
questo andava bene a Gilbert?”
“Non
lo so. Mi trattava bene, ma ho sempre avuto la sensazione di essere un peso per
lui. Non aveva tutti i torti.”
“Anche
se Gilbert non c’è più, vuole ancora lasciarlo?”
In
Feliciano sembrava in corso un terribile conflitto interiore. “Io… sono sicuro
che sia la cosa giusta da fare.”
Le
sue lacrime dicevano il contrario delle sue parole. L’italiano tornò ai
divanetti, ma si sedette lontano da Ludwig. Il successivo fu proprio lui.
Arthur si sentiva un po’ a disagio, dopo aver saputo i dettagli della sua
relazione.
“Dovrò
farle delle domande su suo fratello” lo mise in guardia Arthur il quale, dopo
le rivelazioni di Feliciano, non sapeva bene cosa aspettarsi da un tipo come
lui.
“Va
bene.”
“Lei
sapeva che aveva una relazione con la moglie di Edelstein?”
“Non
me l’ha mai detto, ma sì.”
“Li
ha sorpresi a fare qualcosa?”
“Niente
di particolare, ma conosco mio fratello e so bene come si comporta quando gli
interessa una donna.” Si accorse dell’errore e si corresse con impercettibile
imbarazzo. “Come si comportava…”
Arthur
non pensava che rivelargli che Roderich era a conoscenza della relazione fosse
una buona idea.
“Secondo
lei chi poteva volere la morte di Gilbert?”
Ludwig
rifletté con molta attenzione. “Sicuramente non aveva un carattere facile, e dico
con sicurezza che poteva avere molti nemici, ma non so proprio chi potesse
volerlo morto.”
“Cosa
ne pensa di Roderich? Sarebbe stato svantaggioso per lui eliminare suo
fratello?”
“A
livello economico sì, ma herr Edelstein non si fidava della sua parola, è
convinto che tra i due sia io quello responsabile.”
“Ed
è vero?”
“Sotto
certi punti di vista, sì.”
Perciò,
per quanto potesse risultare dannoso per Roderich uccidere Gilbert, non era da
escludere il fatto che se ne volesse liberare proprio per ottenere il suo
risarcimento basandosi sull’affidabilità di Ludwig.
“Vada
pure.”
Elizabeta
arrivò subito dopo. Non si era nemmeno accomodata quando disse: “È stata la russa.”
“Ah
sì? Allora posso anche smetterla con questi inutili colloqui.” Era Arthur a
fare supposizioni, non i sospettati.
La
donna incrociò le braccia, caparbia. “Come può dubitarne con le prove
schiaccianti che ci sono?”
“Proprio
per questo ho i miei dubbi. Ha guardato bene Natalia? Non commetterebbe mai un
errore così grossolano da lasciare l’arma del delitto in bella mostra. La
motivazione che ci ha fornito non è del tutto infondata.”
Elizabeta
si scaldò. “Intende insinuare che ha davvero sedotto Gilbert e che lui l’ha
assecondata?!”
“Lo
conosceva così bene da sapere che a Beilschmidt non potessero interessare altre
donne?” La domanda era volutamente provocatoria.
“Lo
conoscevo così bene da essere certa che quello fosse proprio un comportamento
da lui.” Non si aspettava una risposta del genere, e così schietta. “È proprio questo che mi
irrita.”
“Quando
è iniziata la relazione?”
“Circa
un anno fa. Ho conosciuto i fratelli Beilschmidt quando hanno firmato il
contratto con mio marito. Lei ha visto com’è fatto Roderich e ha anche capito
come sono fatta io. In quel periodo il nostro matrimonio andava peggio del
solito e così ho deciso di prendermi una pausa.”
Era
stata fin troppo sincera. Ad Arthur sembrava strano che le risultasse così
naturale confidare un tradimento.
“Sapeva
che suo marito era a conoscenza della sua relazione e dell’intenzione di
divorziare?”
Evidentemente
non lo sapeva. Elizabeta lo fissò allibita come aspettandosi uno scherzo, poi
realizzò la sua situazione.
“Io…
ovviamente sapevo che Roderich non avrebbe mai acconsentito al divorzio, perciò
mi sono incontrata segretamente con Zwingli per trovare dei cavilli che
sancissero l’annullamento. Però… non ho mai preso la decisione definitiva, si
trattava piuttosto di… una scappatoia nei momenti di crisi.”
“Perciò…
lei non era ancora convinta di voler lasciare Roderich.”
“Non
sono stupida, so bene che un’azione del genere mi avrebbe rovinata, ma mi
piaceva comunque poter valutare quella possibilità.” Il suo sguardo si addolcì
di tristezza. “Insomma… sognare un po’. Ogni ragazza dovrebbe poterlo fare.”
“Un
sogno pericoloso.”
Elizabeta
si asciugò di nascosto una lacrima e riprese il controllo. “Lei pensa che sia
stato mio marito?”
“Ancora
non lo so.”
“Bene”
disse alzandosi e lisciandosi la gonna. “Allora io vado.”
Arthur
decise di non trattenerla oltre. C’era poco tempo e voleva ascoltare
attentamente le parole dei russi. Inoltre anche lui agognava disperatamente a
qualche ora di sonno.
Fu
Ivan a sedersi di fronte a lui, senza parlare. Quell’uomo lo lasciava perplesso:
in alcuni momenti sembrava trovarsi a fare una rilassante passeggiata, in altri
appariva completamente in disparte e fuori posto. In quel momento il suo stato
d’animo era molto vicino al primo contesto, poiché se ne stava seduto
tranquillo con un vago sorriso.
Arthur
lo studiò per qualche minuto.
“Cosa
ne pensa di tutto questo?”
“Questo
cosa?” chiese lui ingenuamente.
“Gli
omicidi.”
“Beh…
decisamente creativi, direi.”
“Ha
qualche sospetto?”
“Non
saprei, non mi sono fatto alcuna idea.”
Arthur
iniziava ad irritarsi. “Come sono stati scelti i quadri della mostra?”
“Come
ho già detto a monsieur Bonnefoy, per puro scopo economico. Sapevamo che il
tema della morte avrebbe avuto successo qui.”
“E
perché avete deciso di organizzarla?”
“Ci
piace l’arte e piace anche a voi, perciò è stato semplice decidere.”
Arthur
si stava demoralizzando: non avrebbe concluso niente. Decise di adottare un
rimedio drastico.
“Signorina
Natalia, può raggiungerci?” disse alzando la voce.
La
donna venne a sedersi sulla sedia accanto a Ivan. Senza farsi notare, Arthur
spiò il russo e la sua reazione, in modo da confermare i suoi sospetti. Natalia
era sicurissima di sé, come sempre, mentre Ivan cambiò atteggiamento così
radicalmente da far pensare che si trattasse di un’altra persona.
“Mi
dica, signor Kirkland: perché crede che io non sia colpevole?”
Una
simile franchezza e fiducia in se stessa avrebbero costretto Arthur sulla
difensiva, e lui non poteva permetterlo.
“Ho
capito che lei non mi ritiene l’artefice dell’omicidio del tedesco, non era per
niente convinto. Proprio come per l’omicidio del signor Zwingli ha voluto
accontentare gli altri ospiti, ma lei cosa pensa veramente?”
“Penso
che lei, per quanto possa essere forte, non avrebbe potuto legare Gilbert tutta
sola. È difficile per un uomo
di corporatura normale, figurarsi per una donna che decide di legare un arto
alla volta. Certo, se avesse ricevuto un aiuto appropriato…” Osservò ancora
Ivan, il quale si era chiuso in se stesso, “ma lui è rimasto in cucina con noi,
quindi è da escludere.”
“Non
dimentichiamo il sangue” puntualizzò Natalia con arroganza.
“Già.
Un uomo, con un po’ di fortuna e attenzione, avrebbe potuto evitare di
sporcarsi, ma una donna, con un vestito come il suo, avrebbe sicuramente
riportato delle macchie su di sé.”
“Quindi,
perché stiamo qui?”
Arthur
avrebbe tanto voluto trovarsi di fronte Alfred o Francis, così avrebbe potuto
picchiarli senza ritegno.
“Se
fossi in voi mi preoccuperei: se non siete gli assassini allora potreste essere
le prossime vittime.”
L’umore
di Arthur non migliorò quando si trovò di fronte a Francis. Quell’individuo lo
spiazzava, non sapeva che domande fargli e, guardando il suo sorriso serafico e
sornione, gli passava del tutto la voglia di interrogarlo. Per questo motivo
rimase a fissarlo, le dita incrociate sotto il mento. Voleva cercare di entrare
nei suoi pensieri, ma non era comunque del tutto sicuro di voler osare tanto.
“Lo
so, sono affascinante, non puoi staccare gli occhi da me.”
“Non
puoi essere serio, per una volta?” lo rimproverò Arthur che in quel momento non
aveva modo di sopportare il suo sarcasmo.
“Non vuoi domandarmi niente? Per esempio, il
mio fiore preferito? Il cibo che preferisco?”
Arthur
sospirò esasperato. Aveva sonno ed era irritato.
“Trovo
eccitante essere oggetto del tuo interrogatorio.”
“Alfred!”
chiamò l’inglese spazientito. Voleva risparmiare tempo. L’altro arrivò di
corsa.
“Tocca
a me?”
“Vi
sentirò insieme.”
Alfred
si avvicinò al tavolo trascinando la sedia sul pavimento. “Davvero mi credi
responsabile di quegli omicidi?” domandò preoccupato.
“Al
momento non ti credo responsabile di una frase a senso compiuto, figuriamoci di
una serie di omicidi.”
“Sei
intrattabile…”
Francis
rise.
“Non
la prenderei così alla leggera” disse Arthur al francese. “All’inizio avevo
qualche piccolo sospetto su di te, ma l’imbarazzante approccio col quale hai
tentato di fare colpo su di me ti hanno scagionato completamente.”
Francis
sembrò capire che quello non era un complimento.
“Che
cosa avrebbe fatto?!” volle sapere Alfred.
“State
zitti, sono io che faccio le domande! Chi ti ha invitato qui e perché?”
L’americano
fece fatica a dimenticare la questione delle proposte indecenti di Francis, ma
tentò di concentrarsi. “Mi ha… contattato herr Edelstein in persona. Credo che
abbia conosciuto mio padre o che mi abbia visto da qualche parte… non so, non
tengo il conto delle persone che conosco in giro! In genere sono gli altri che
si ricordano e di me e mi contattano.”
“E
tu perché hai accettato?”
“Beh…
mi andava, mi piace viaggiare.”
“Pensi
che ci sia qualche nemico di tuo padre che potrebbe nuocergli?”
Quella
domanda lo spiazzò. “Che intendi?”
Arthur
cercò di semplificare la cosa. “C’è qualcuno che vorrebbe approfittare del
ruolo di tuo padre o che vorrebbe mettere a repentaglio la sua posizione?”
“E
questo cosa c’entra con me?”
“Semplice,
sei famoso. Potrebbe esserci la vaga possibilità che qualcuno stia creando la
giusta situazione per sequestrarti e chiedere un riscatto.”
Alfred
non aveva assolutamente valutato quell’ipotesi, ma dopo qualche istante di
sorpresa ritrovò subito l’ottimismo. “Beh, non sarà certo facile sequestrarmi,
da quando mio padre è stato nominato vice presidente sono già scampato a due
rapimenti, un attentato e quattro rapine.”
“Complimenti!”
si congratulò Francis.
“Tu,
invece?” Arthur si rivolse al francese.
“Ultimamente
mi sono esibito in Germania e in Austria e ho riscosso un discreto successo.
Immagino mi abbiano convocato perché sono un artista.”
“Sicuramente”
lo liquidò in fretta Arthur e si alzò in piedi. “Abbiamo concluso, possiamo
ritirarci per qualche ora nelle nostre stanze.”
“Non
le sembra troppo rischioso?” domandò Elizabeta diffidente.
“No
se ci divideremo in coppie. Ognuno sceglierà con chi stare, si dormirà a turno
mentre l’altro farà la guardia. Ci chiuderemo nelle stanze e così limiteremo il
rischio. Non è un bene sforzare troppo la mente e il fisico in un momento
delicato come questo.”
Infatti
Arthur sarebbe crollato sul pavimento a breve.
Gli
altri accettarono e le coppie furono formate, esattamente com’era prevedibile:
Ludwig con Feliciano, Roderich con Elizabeta e i due russi. Poiché erano
rimasti in numero dispari, ovviamente ad Arthur rimase l’unica opzione di
Francis e Alfred, ma nonostante non tollerasse la vicinanza di nessuno dei due,
erano anche le uniche persone di cui era certo di potersi fidare.
“Non
mi va di dormire nella tua stanza, Arthur. Ci sei quasi morto lì dentro!” si
lamentò Alfred mentre raccoglieva le sue cose.
“Proprio
per questo è più sicura delle vostre. È
poco probabile che l’assassino abbia piazzato una seconda trappola nella mia
camera.”
“Farai
tu il primo turno di guardia, va bene?” Francis non attese la risposta
dell’americano, si tolse la giacca e spostò le coperte. Arthur si era già
infilato al caldo, senza lasciare alcuna scelta ad Alfred.
“Ma
perché? Io ero uno di quelli che aveva proposto di dormire!”
Arthur
si tirò le coperte sopra la testa. “Io sono quasi morto.”
“E
io non l’ho abbandonato la mattina dopo la notte di fuoco” spiegò Francis
togliendosi le scarpe.
“Ma
insomma!”
“Avanti,
Alfred… fra un paio d’ore mi sveglierai” lo rabbonì Arthur.
Si
addormentò ancor prima che Francis si sdraiasse accanto a lui.
Continua
Se non si era ancora capito, aggiorno ogni domenica. Tuttavia non
garantirò per il prossimo capitolo, sono un po' in ritardo...
Gli indizi si affollano, chi accusate? *AceAttorneyPower*
Quattro chiacchiere col morto
Yuri: Benvenuto anche lei, signor Beilschmidt!
Gilbert: Buonasera a lei e buonasera a tutto il pubblico!
Y: La trovo bene, il suo candore è ancora più splendente oggi.
G: Grazie! Il meraviglioso me sta dando il suo meglio davanti a lei e davanti a tutte le giovani fanciulle qui presenti!
Y: Ora che è finito anche lei nell'albo dei defunti, come pensa che si senta suo fratello Ludwig?
G: Non trova che sia morto meravigliosamente bene? Il sangue dona perfettamente ai miei occhi rossi! Sono un figo!
Y: Sì, beh... e a Elizabeta non ci pensa? L'ha lasciata sola con quel marito isterico e frigido...
G: Che classe, ha notato che posa? Per non parlare dei miei capelli! Dice che troverò posto come attore in America?
Y: America? Sta facendo delle insinuazioni? Chi pensa sia stato a ucciderla in quel modo brutale?
G: Non lo so, ma perchè sprecare tempo a parlare degli altri
quando ha davanti ME? Avanti, lo so che vuole un autografo...
Y: ....Lei lo sa che è ancora in mutande, vero?
G: Guardi che è merito di questo ben di Dio se ha così
tante persone che leggono questo angolo inutile! E' arrivato il momento
di svelare l'arcano segreto sulle mie misure! *si toglie le mutande*
Y: Oh! Non avevo mai visto un uccello così!
Gilbird: Pio pio pio
G: Kesesese! All'altezza di quest'altro qui! *indica punto imprecisato
sotto la cintura* Modestamente, sono bello ovunque io! Meraviglioso!
Magnifico!
Y: Va bene, finiamola qui. Regista?! Qualcuno può fare qualcosa?
Si può sapere perchè ogni intervista deve terminare come
una puntata della Barbara D'Urso?
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Capitolo 5 *** V. Marat ***
5- Marat
Titolo:
Ars Moriendi, Capitolo 5 - Marat
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi:
Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), America
(Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta
Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania
(Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski),
Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 5,108 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction
provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: La mort de Marat
V. Marat
Arthur
protese una mano per scacciare ciò che lo stava infastidendo.
“Svegliati!”
Mai
e poi mai, avrebbe dormito per altri due giorni, non aveva alcuna intenzione di
lasciare il suo sonno, chiunque gli stesse parlando.
“Arthur!
Per l’amor del cielo, svegliati subito!”
“Sta’
zitto, Alfred…”
Due
mani salde lo scossero fermamente. “Dai, dai! Ti prego!”
Arthur
aprì gli occhi con enorme fatica ma era abbastanza adirato da rispondergli
malamente.
“Che
diamine c’è? È
impossibile che siano già passate due ore.”
Alfred
era più agitato del solito. “E invece sì, ma non è per questo che ti devi alzare
subito!”
Arthur
si appoggiò col gomito sul cuscino. “È
morto qualcun altro?” Inammissibile… possibile che non si riuscisse ad avere un
paio d’ore di pace.
“Non
lo so… può darsi. Io…” Alfred abbassò il tono della voce come se si
vergognasse. “Ho visto un fantasma nel corridoio.”
Arthur
spese qualche istante per decidere se mettersi a ridere o tornare a dormire.
“Te
lo giuro! Ho sentito un rumore e sono uscito a controllare e così l’ho visto!”
L’inglese
si ributtò sul cuscino. “I fantasmi non fanno rumore.”
“Cosa
ne sai, dei fantasmi? Svegliamo Francis, lui se ne intende di più.”
Quella
minaccia spinse Arthur a mettersi seduto sul materasso in tutta fretta. “Per la
miseria, assolutamente no! Finalmente se ne sta zitto. Vengo a vedere io.”
Aveva
sempre più l’impressione di essere diventato una balia. Con l’allegria di un
cadavere si infilò la giacca ormai sgualcita, dato che il fuoco nel caminetto
si era ridotto a qualche misera brace e la temperatura era calata, e uscì nel
corridoio seguito a ruota da Alfred. L’ambiente era in penombra come al solito,
per cui, a meno che il fantasma non gli fosse passato proprio davanti agli
occhi, chiunque avrebbe potuto sbagliarsi.
“Dov’era?”
“Là
in fondo.” Alfred indicò la fine del corridoio, sulla destra, dove si trovavano
le altre camere.
“E
che rumore ha fatto?”
“Non
so, assomigliava a quello di una porta… o di una serratura.”
Arthur
si spazientì. “Ti sembra che un fantasma potrebbe aver bisogno di usare una
porta?”
“Ma
era tutto bianco!” tentò di giustificarsi l’americano
“Sarà
stato qualcuno in camicia da notte, ci hai pensato?”
Alfred
ci pensò in quel momento. “Ah, sì, potrebbe.”
Arthur
era irritato, ma ormai era sveglio e il suo turno di guardia era iniziato. “Va’
a letto.”
“D’accordo.
Tu… dai comunque una controllatina ogni tanto.”
“Come
no.” L’inglese si strinse nella giacca, ma un rumore diverso da quello di una
serratura attirò la sua attenzione. Avanzò di qualche metro nel corridoio
seguendo il suono di una voce. Rallentò di fronte alla porta di una camera,
dall’interno proveniva una voce femminile.
Tornò
indietro di corsa e bloccò Alfred prima che potesse rientrare in camera, lo
prese per un braccio e lo trascinò fino alla porta.
“Arthur,
lasciami dormire!”
“Parla
sottovoce e traduci quello che dicono.”
Alfred
appoggiò controvoglia l’orecchio al legno lucido. “È russo” disse. Che
perspicace.
“È per questo che devi
tradurre, io non lo conosco, ma tu sì.”
Arthur
era certo che Ivan e Natalia gli nascondessero qualcosa di importante e quella
era l’occasione perfetta per scoprire qualcosa.
Alfred
rimase in ascolto per qualche minuto e quando Arthur gli mise fretta lui si
agitò e arrossì.
“Ma…
s-stanno…”
Dall’interno
provenne un grido soffocato e l’inglese iniziò a farsi delle idee.
“Che
fanno?”
“Ehm,
credo… che siano insieme… a letto.”
“Oh.”
Alfred
lo guardò imbarazzato, allontanandosi sempre più dalla porta come se potesse
morderlo, ma Arthur lo trattenne.
“Avanti,
è importante!”
“Ma
è da maniaci!”
“Abbassa
la voce! Stanno morendo delle persone e ti preoccupi di origliare qualcuno?”
Alfred
si zittì e tornò ad ascoltare, titubante. Anche Arthur si protese e in effetti
anche lui avvertì un lieve disagio. Comprese subito che il modo in cui quei due
si univano nel letto non era normale, proprio come il loro assurdo modo di
rapportarsi con gli altri.
Sentiva
che era Natalia a parlare, con la sua voce profonda, la quale risultava ancora
più sensuale mentre pronunciava le parole in russo. Ivan rispondeva ogni tanto,
non sembrava affatto contento.
“Ehm,
allora… credo si tratti di preliminari. Natalia gli chiede, no, gli ordina di
togliersi… cioè di spogliarsi.” Alfred era del tutto negato per quella cronaca.
Come poteva farsi tanti scrupoli proprio lui?
Arthur
cercava di interpretare le sue informazioni sconnesse ascoltando i vari suoni:
sentì il letto cigolare lievemente quando un corpo vi cadde sopra, una seconda
persona, più leggera vi salì sopra con più grazia.
“Dimmi che mi vuoi…”
Un
rumore sordo e secco, uno schiaffo.
“Di’ che mi sposerai.”
Una
lamentela e una supplica, ma nessuna risposta.
“Devi dirmi che sarò tua moglie per sempre.”
Un
altro schiaffo. Poi seguirono solo vocalizzi, gemiti e qualche parola isolata.
Alfred
non sapeva bene cosa fare. “Beh, ora stanno…”
“Sì,
l’ho capito.”
Nell’attesa
della conclusione finirono per sedersi a terra, appoggiati ai due lati della
porta.
“Certo
che quella donna è davvero spaventosa” rise Alfred.
“Abbassa
la voce.”
Poi
dei passi affrettati annunciarono l’arrivo di qualcuno dall’ombra. Entrambi si
alzarono in piedi di scatto, per evitare almeno di essere colti in flagrante.
“Bravi,
davvero. Abbandonarmi con la porta spalancata e con un assassino in libertà.”
Francis
comparve dall’oscurità, i capelli in disordine e un’espressione di totale
offesa.
“Zitto!”
gli intimò l’inglese.
“Che
diamine fate lì?”
Arthur
era terrorizzato dalla concreta possibilità che i due russi li scoprissero e
poiché Francis non sembrava intenzionato a dargli ascolto, gli tappò
semplicemente la bocca con le proprie mani e lo fece avvicinare alla porta.
Dopo
aver ascoltato ciò che stava accadendo nella stanza, e dopo aver realizzato,
Francis si rivolse agli altri due con falso sconcerto: “Ecco a cosa vi
dedicate! Siete dei maniaci, chi vi ha insegnato certe cose? Ma soprattutto,
perché non mi avete chiamato prima?”
Ancora
una parola e Arthur lo avrebbe strozzato per farlo tacere una volta per tutte.
“Fa’
silenzio, maledizione!”
“Hanno
ricominciato a parlare!” annunciò Alfred, che nel frattempo era rimasto ad
ascoltare. “Parlano… di Edelstein.”
Arthur
si avvicinò con discrezione, quello era il momento che aspettava.
“L’imperatore…”
“Quale
imperatore?” Le cose non quadravano.
“L’imperatore
d’Austria, Franz Joseph!”
Arthur
si incollò di nuovo alla porta. Cosa c’entrava l’imperatore austriaco in quella
faccenda? Cercò di carpire lui stesso qualche informazione in più, ma notò che
i toni della voce erano cambiati e si erano alzati.
“Hanno
parlato di alcune informazioni…” Prima che Alfred potesse terminare la
traduzione, Arthur afferrò lui e Francis e li trascinò lontano. Non fecero in
tempo a raggiungere la loro stanza, però: alle loro spalle una porta si aprì e
una voce femminile li costrinse a bloccarsi.
“Notte
agitata per tutti, vero?”
Arthur
capì di non poter fornire alcuna giustificazione per il loro comportamento, per
cui l’unica soluzione per mantenere credibilità era quella di non negare nulla.
Si
voltò verso Natalia. “È
così. Tuttavia c’è qualcuno meno preoccupato di altri che sa approfittare dei
momenti di intimità.”
Natalia
si strinse nella vestaglia candida. “Perché non ne approfittate anche voi?
Magari questa volta potremmo essere noi ad origliarvi.”
“Sarebbe
interessante” si intromise Francis.
La
donna si allontanò stizzita. “Dove sta andando?” la richiamò Alfred. “Non è
sicuro…”
“Vado
alla toilette. Intendete seguirmi anche lì?”
Se
fosse stato per Arthur, non avrebbe esitato un istante, ma la galanteria verso
una gentildonna era un dettame ancora più ferreo di un degno interrogatorio.
Ovviamente non potevano fare niente per fermarla, in quel momento.
“Alfred”
chiamò Arthur quando Natalia si fu congedata, “prendi Braginski e andiamo di
sotto.” Si avviò deciso verso le scale, con l’esigenza di terminare quella
nottata la più presto. Verso le donne esisteva un preciso codice di cortesia,
ma non aveva nessun problema a trascinarsi dietro un impostore uomo.
“Dove
dovrei venire?” domandò il russo in tono cantilenante.
“Verrà
a rendere conto dei suoi imbrogli davanti a tutti.”
“Ma
io non ho nulla da rivelare.”
Quella
sua arrogante maschera di innocenza non ebbe alcun effetto su Arthur, eccetto
quello di farlo arrabbiare ancora di più.
“La
porteremo giù con la forza, se necessario.”
“Non
ho intenzione di stare ai vostri giochi.”
“Non
farà che aggravare la sua posizione.”
Tutti
e tre si strinsero attorno a Ivan, il quale non replicò, forse rendendosi conto
della veridicità delle parole di Arthur. Alfred afferrò una giacca e gliela
mise sulle spalle – dato che portava solo i pantaloni – prima di prenderlo per
un braccio, mentre Francis faceva lo stesso.
Ivan
era più alto e più grosso di loro, se avesse deciso di ribellarsi molto
probabilmente avrebbe avuto la meglio su entrambi, ma sembrò aver deciso di
collaborare principalmente perché trovava la cosa divertente.
Scesero
le scale con Arthur in testa, il quale li scortò verso l’ultimo salotto dove
avevano condotto gli interrogatori. L’inglese era quasi certo di trovarci le
due coppie che con molta probabilità non avevano alcun interesse nel riposare.
Infatti, sui divanetti in fondo alla stanza, Ludwig e Feliciano sedevano a
debita distanza l’uno dall’altro, ed Elizabeta stava rannicchiata su un altro
sofà.
“Dov’è
herr Edelstein?” domandò Arthur, attirando l’attenzione dei tre che non si
aspettavano il loro arrivo.
“È andato a prendermi una
coperta” rispose Elizabeta, preoccupata ma soprattutto incuriosita.
“Avete
deciso di restare qui?” Arthur decise di prendere tempo finché non avesse visto
con i suoi occhi l’austriaco fare ritorno con la coperta.
“Sì”
rispose la donna, rivolgendosi a Ludwig e Feliciano. “Nessuno di noi aveva
voglia di dormire.”
“Si
è allontanato qualcuno durante questo tempo?”
“Nessuno.
Solo mio marito si è alzato qualche minuto fa, appunto per prendermi una
coperta.”
“Che
cosa sta succedendo?” domandò improvvisamente Ludwig, che sembrava non gradire
affatto ulteriori sorprese.
“C’è
stata una svolta inaspettata” spiegò Arthur. “Il signor Braginski e la sua
compagna hanno parecchie cose da spiegarci.”
Sentì
Ivan ridere sommessamente. “Nessuno di voi c’entra nulla in questa faccenda.
Non dovreste avere alcun interesse nei nostri affari.”
In
quel momento Roderich fu di ritorno. In mano reggeva una coperta pesante e si
era cambiato la giacca. L’austriaco notò le occhiate sospettose di Arthur e lo
precedette con le giustificazioni: “Questa giacca è più calda.”
L’inglese
lasciò perdere la questione, per il momento. Si rivolse a tutti. “Tra noi ci
sono due spie. Vi lascio immaginare di chi si tratti.”
Seguì
un generale scambio di sguardi e interrogativi mormorati.
“Spie?”
domandò Roderich. “Di che genere?”
“Questo
dovrebbero specificarcelo i diretti interessati. Li abbiamo sentiti parlare a
proposito di informazioni da chiedere o riguardo all’imperatore. Herr
Edelstein, sappiamo che lei è vicino alla corte, ha contatti con alcuni dei
ministri e addirittura con l’imperatore stesso. Lei si potrebbe rivelare
un’ottima via per raggiungere il regnante.”
Roderich
sembrò oltraggiato. “È
così che stanno le cose?” domandò direttamente a Ivan. “Volevate estorcermi
alcune informazioni sull’imperatore? Oppure usarmi per avvicinarvi a lui? E poi
cosa?”
Ivan
si strinse nelle spalle. “Alla Russia gli austriaci non sono mai andati a
genio.”
“Ed
è così che giustificate il vostro comportamento?”
Il
russo esibiva un’espressione si assoluta tranquillità. “Non ho nulla da
giustificare, servo solo il mio paese.”
“E
quindi l’intera mostra era una copertura?”
“E
cosa mi dice a proposito degli invitati?”
“E
la scelta dei dipinti a cosa è dovuta, allora?!”
Tutte
quelle domande non avrebbero portato a nulla: Ivan non aveva alcuna intenzione
di fornire delle risposte sensate e Arthur era certo che non avrebbe mai ceduto
alle pressioni dei suoi accusatori, almeno non finché si fosse trovato lontano
dalla sua compagna.
“Portiamo
qui la signorina Natalia e
interroghiamola a fondo” propose Arthur, ma senza ammettere repliche.
“Ma
si trova alla toilette, non possiamo trascinarla qui!” obiettò Alfred.
Suscitando
la sorpresa di tutti, Elizabeta si avviò da sola verso l’uscita del salone.
“Allora andrò io a prenderla, non esiste alcun divieto morale che mi impedisca
di fare irruzione in quel bagno!”
“Elizabeta…”
Roderich tentò di trattenerla con le parole, infine le afferrò i polsi. “Lascia
perdere. Fa’ che sia qualcun altro ad occuparsene.”
“E
invece no! Lasciami fare!”
L’austriaco
sarebbe riuscito a trattenerla solo se le si fosse seduto sopra. Elizabeta si
diresse con determinazione verso le scale dell’atrio e sparì. Arthur trovava
quella situazione assolutamente pericolosa.
“È sicuro lasciarla
andare da sola?” domandò Feliciano.
“Siamo
tutti qui. A meno che l’assassina non sia Natalia, cosa di cui per ora
dubitiamo, non corre pericoli” gli rispose Ludwig.
“Ma…
non mi riferivo a quello” continuò l’italiano occhieggiando verso Roderich. “La
signora Elizabeta non possiede una grande stima per Natalia.”
“Che
cosa state insinuando, voi?” volle sapere Roderich, irritato dal loro
bisbigliare. “Mia moglie non è un’assassina.”
“Non
la stavo accusando” si giustificò Feliciano. “Ma Elizabeta la ritiene
responsabile della morte di Gilbert, non credo sia il caso…”
“Queste
diffamazioni gratuite hanno oltrepassato il limite. Dovete smetterla di
accusare me e mia moglie degli omicidi!”
“Francis,
valle dietro” tagliò corto Arthur, che non voleva rischiare che si scatenasse
una rissa proprio in quel momento.
“Perché
mi fai sempre correre?”
“E
tu perché mi fai sempre ripetere?!”
Francis
se ne andò sbuffando, mentre l’inglese si chiedeva come mai l’attenzione degli
altri fosse stata distolta così facilmente dallo smascheramento di Ivan.
“Mi
è molto difficile chiedervelo” disse Arthur, “ma purtroppo dobbiamo collaborare
ancora una volta e decidere cosa farne di questa spia.” L’idea di doversi
mettere d’accordo con quel gruppo così eterogeneo lo faceva star male.
“Interroghiamolo”
propose Ludwig.
“Rinchiudiamolo”
si intromise Roderich.
“Posso
trattenerlo, non c’è nessun bisogno di rinchiuderlo” si vantò Alfred.
“La
prima opzione mi sembra l’unica plausibile.”
Arthur
sentì i passi di Francis che tornava. “C’è un problema.” La sua voce provenne
dalla stanza a fianco. Apparve qualche istante dopo trattenendo Elizabeta per
la spalle, davanti a sé. La donna aveva il vestito candido imbrattato di
sangue: la gonna, le maniche e soprattutto le mani gocciolavano liquido
vermiglio, era pallida e sconvolta.
Un
momento di silenzio esterrefatto e poi Roderich si precipitò dalla moglie.
“Cos’è successo? Chi ti ha ferita?”
“Il
sangue non è suo” spiegò Francis funereo. “Andate a vedere in bagno.”
Nessuno
sprecò altro tempo, corsero tutti su per le scale, anche se Arthur era
consapevole che affrettarsi fosse inutile. Intravide delle tracce di sangue già
davanti alla porta della toilette, all’interno, sul pavimento, scivolavano rivoli
di acqua rossa.
La
vasca da bagno era colma e straripava e al suo interno si trovava la Morte di Marat. Natalia giaceva al suo
interno, i lunghi capelli chiari celavano parzialmente il suo corpo nudo, ma
non la gola tagliata.
Arthur
non poteva crederci. Non sapeva nemmeno più come reagire di fronte a un
omicidio: ad ogni nuovo ritrovamento tutti i suoi sospetti si sbriciolavano in
illusioni. Era frustrato, stanco e terribilmente preoccupato, perché tutto ciò
che pianificava non andava per il verso giusto.
La
morte di Natalia rendeva del tutto inutili i suoi sforzi deduttivi: erano tutti
nel salone quando era successo! Tutti, meno Roderich ed Elizabeta.
Quest’ultima
non era entrata nel bagno, ma restava immobile sulla soglia, macabramente
abbigliata di sangue. Suo marito, distolto infine lo sguardo incatenato al
cadavere, le si parò davanti.
“Che
cosa hai fatto? Perché?!”
“Io
non ho fatto niente!” gridò Elizabeta, ma il suo coraggio e la sua
determinazione stavano velocemente cedendo il passo all’isteria. “Io… io…”
“Sei
coperta del suo sangue!”
“Non
l’ho uccisa… non l’ho uccisa! L’ho trovata così!” La donna fissò il corpo come
se non riuscisse ancora a credere a ciò che era accaduto. “Io non so perché… Ho
provato a fare qualcosa. Ho messo le braccia nella vasca, volevo tirarla fuori,
ma…”
“Ma
poi sono arrivato io” intervenne Francis a terminare la frase, “e non stava
affatto tentando di soccorrerla. Quando sono entrato era in piedi e immobile di
fronte alla vasca.”
Elizabeta
era agitata e sull’orlo delle lacrime. “Non ricordo… non so perché l’ho fatto,
ma non l’ho uccisa!”
Roderich
la prese per la spalle. “Hai rimosso il fatto di averla uccisa, Elizabeta.” La
donna guardava oltre il marito. “Ne discuteremo dopo, ora ti porto a cambiarti
l’abito.”
I
due coniugi uscirono mentre Ivan avanzava verso la vasca: Alfred aveva smesso
di badargli, preso com’era dal nuovo omicidio – e forse anche dal seno candido
di Natalia.
Arthur
non poteva sapere come avrebbe reagito Ivan di fronte al massacro della sua
compagna, ma mai avrebbe previsto un comportamento simile da uno come lui: ipnotizzato
dall’acqua tinta di rosso, si inginocchiò di fronte alla vasca. Fece scivolare
le dita sui capelli della donna, maldestramente, come se la stesse toccando per
la prima volta e non sapesse cosa fare. Gli occhi di Natalia erano freddi e
immobili, sembravano fissare Ivan con un duro sguardo di rimprovero. Poi, tra
le pareti lucide del bagno, con grande sorpresa di tutti, risuonò la risata del
russo, quella risata che racchiudeva allo stesso tempo divertimento e crudeltà.
“Otpustitje mjeja? Na samom djele?”
Se quella macabra conversazione poteva già essere impressionante,
Arthur fu ancora più confuso nel vedere delle lacrime scendere copiosamente
dagli occhi di Ivan, che tuttavia parevano piuttosto stillare pazzia.
“Otpustitje mjeja?! Niet, ja
vjorju…”
Arthur si rivolse all’americano. “Basta così. Alfred, portalo di
sotto, non ha ancora risposto alle nostre domande.”
Alfred appariva ancor meno contento di prima di fronte a quel
compito, ma afferrò comunque Ivan per un braccio e lo allontanò. Rimasero in
quattro a vegliare il cadavere.
“Com’è potuto succedere?” chiese Ludwig direttamente ad Arthur, i
suoi occhi glaciali erano colmi di risentimento e rabbia crescente. “In quanti
dovranno ancora morire prima che lei trovi la soluzione?”
L’inglese fu ferito sul vivo e non riuscì a formulare la sua
solita risposta pronta. Sapeva anche lui che qualcosa non andava, qualcosa di
fondamentale sfuggiva alla sua comprensione, o semplicemente i pezzi da unire
erano troppi per lui. Dov’erano finiti il suo intuito e il suo raziocinio? Che
cosa aspettava a risolvere il caso? La situazione gli stava sfuggendo di mano,
ma ovviamente non avrebbe mai ammesso nulla di tutto questo di fronte agli
altri.
“Ludwig…” lo chiamò Feliciano tentando di distoglierlo da quello
sfogo, “avanti, portiamola di sotto.”
Il tedesco non poté rispondere al ragazzo, così presero dei teli
da bagno con cui coprirono Natalia e la portarono via.
Arthur non aveva ancora aperto bocca. Era raro che gli capitasse
di non sapere cosa dire.
“Quante casse ci sono, ancora?” chiese Francis, poiché l’inglese
non si decideva a parlare.
“Come?”
“Quanti ancora possiamo permetterci che muoiano?”
Nessuno, pensò Arthur. Nessun altro poteva morire, si era già
messo in ridicolo abbastanza da quando era giunto lì. Si era vantato di essere
un ispettore di Scotland Yard, ma da quando l’aveva confessato aveva rischiato
di essere ucciso e non aveva saputo ancora fornire un filo logico all’intera
vicenda. Che la sua perspicacia si fosse tutta sciolta in alcool scadente?
L’unico modo per rimediare in
extremis a quel fallimento era rimboccarsi le maniche e trovare quel
maledetto assassino.
“Con cosa è stata uccisa Natalia, secondo te?” domandò Arthur con
ritrovato vigore, mentre già ispezionava ogni angolo del bagno.
“Un coltello?”
L’inglese si affacciò oltre il paravento posto nell’angolo,
seguendo delle minuscole tracce di sangue sul pavimento.
“Un rasoio, più precisamente.”
Si chinò e sollevò da terra un semplice rasoio da barba sporco di
sangue. “Anche questa volta non si è impegnato a nascondere l’arma” notò,
riferendosi al pugnale maldestramente celato sotto il mobile di Gilbert. Né
sulla lama né sul manico erano presenti incisioni o segni particolari, era un
semplice rasoio dato in dotazione agli ospiti del castello. Arthur lo avvolse
in un fazzoletto di tela e se lo mise in tasca.
“Ora bisogna capire come ha potuto l’assassino entrare qui.”
Francis si grattò la testa. “Sinceramente non trovo difficile che
una personalità come Natalia lasci la porta aperta mentre si fa il bagno.
Magari è stata proprio lei ad aprire all’assassino.”
“Tutto è possibile.”
Uscirono chiudendo la porta, ma invece che scendere e raggiungere
gli altri, Arthur si avventurò lungo il corridoio delle camere: voleva
ispezionare la zona che si spingeva più in profondità, poiché non aveva ancora
avuto l’opportunità di studiarla.
In fondo al corridoio c’era una piccola finestra piombata. Anche
senza aprirla si udiva chiaramente il rimbombo del torrente che scorreva sotto
di loro, in fondo al precipizio che affiancava quel lato del castello. Lì
terminavano le stanze degli ospiti e alla sua destra una piccola e tortuosa
scala, risalente alla prima edificazione del castello, portava alla torre dove
si trovavano le camere di Ludwig e Feliciano. Ciò che Arthur non aveva previsto
era la presenza di una seconda scaletta: si avvolgeva su se stessa e
sprofondava verso il basso, ma in fondo si intravedeva una luce dorata. Si
avventurò cautamente sui primi gradini, fin quando non capì che la scala
conduceva a quelli che erano gli ambienti della servitù.
“Fantastico” sentenziò cupamente. “E così ora sappiamo che
chiunque avrebbe potuto recarsi da Natalia senza imbattersi in noi tre che
scendevamo le scale.”
Già, Elizabeta aveva assicurato che nessuno si era allontanato dal
salotto, ma ovviamente non poteva fidarsi di lei. Di sicuro Ludwig e Feliciano
sapevano di quella scala, visto che ci erano già passati vicino per recarsi
nelle loro stanze, e poi i padroni di casa conoscevano indubbiamente ogni
passaggio. In realtà chiunque avrebbe potuto andare fino in fondo al corridoio
e notare i gradini, tutti eccetto lui che non si era preoccupato di ispezionare
prima il luogo. Non ne aveva motivo, all’inizio, e poi erano successe troppe
cose. Se solo non avesse litigato con Alfred, qualche ora prima, avrebbe
sicuramente camminato fino alla fine, anziché andarsi a rinchiudere in camera.
Appoggiò la fronte alla fredda pietra dello stretto passaggio. Ciò
che non riusciva a smettere di domandarsi, era cosa ancora gli fosse sfuggito.
“Anglais?” Francis
apparve dalla cima delle scale. “Torniamo dagli altri, non è il caso di
attardarci qui, altrimenti mi verrà voglia di importunarti nei ripostigli.”
Arthur lo seguì su per le scale, ma senza preavviso, Francis si
attardò davanti alla sua stanza.
“Aspettami un attimo, sistemo una cosa.” Si chiuse la porta alle
spalle, ma non fece troppa attenzione perché questa si riaprì, lasciando un
piccolo spiraglio. Ovviamente Arthur fece di tutto per spiare al suo interno:
ci mancava soltanto che colui di cui non sospettava iniziasse a comportarsi in
modo inspiegabile.
Vide Francis tirare fuori da sotto il letto una piccola valigetta
dalla forma strana, assomigliava a quelle rigide e alte che usavano i medici
per contenere le fiale fragili. Udì un lieve tintinnare di vetro quando Francis
sollevò il coperchio e iniziò a trafficare con quelle che sembravano piccole
ampolle. C’era anche molto altro in quella borsa, ma Arthur non vedeva e non
sapeva riconoscere che oggetti fossero. Sembrava l’attrezzatura di un chimico.
Francis richiuse la borsa e tornò velocemente alla porta, Arthur
si ritirò di scatto. Una volta fuori, il francese infilò una chiave nella
serratura e sigillò la stanza.
“Andiamo?” lo incalzò Francis, ma Arthur stava pensando a
qualcos’altro. Era stato fulminato da un’idea vergognosamente semplice.
“Hai chiuso a chiave?” chiese per avere conferma.
“Certo.”
“Maledizione.” Ora sapeva cosa gli era sfuggito, qualcosa di
elementare. Non sapeva se la sua scoperta avrebbe cambiato le sorti
dell’indagine, ma era comunque qualcosa di cui doveva accertarsi il prima
possibile.
Attraversò in fretta il corridoio, l’atrio, il primo salone e
giunse nel salotto piccolo dove tutti si erano nuovamente riuniti. Prima di
fiondarsi si fronte a Roderich, fece in tempo a vedere Alfred puntare una
pistola contro Ivan e si bloccò di colpo.
“Che diamine…?”
L’americano si voltò verso di lui, agitato e senza abbassare
l’arma. Aveva il labbro inferiore spaccato e una delle lenti incrinate. “Mi ha
aggredito! Mi ha tirato un pugno in piena faccia, non potevo permettergli di
fare i suoi comodi!”
“Da dove viene quella pistola?”
“Me l’ha data herr Edelstein…”
Arthur individuò l’austriaco seduto tranquillamente su un divano
con le braccia conserte. “Proprio lei cercavo. Abbia la gentilezza di chiarire
un mio dubbio.”
“Prego” lo invitò Roderich senza scomporsi.
“Se ogni stanza ha la propria chiave, perché mai ha offerto il suo
personale mazzo a Natalia per rinchiudere Gilbert?”
L’austriaco
aprì la bocca per rispondere, ma si bloccò. Lo guardò per qualche istante senza
parole, Arthur attese, tutti attesero.
“Ah…
La sua camera non aveva una chiave.”
“Questo
lo so, ma perché?”
Roderich
cercò la risposta sul pavimento. “Non avevo alcuna intenzione di permettere a
quel truffatore di chiudersi in stanza, magari con mia moglie! Volevo essere
sicuro di averlo sempre sotto controllo.”
“E
non pensa che se ne sarebbe accorto, a un certo punto?”
Nessuna
risposta.
“Non
capisce che la chiave mancante di quella stanza potrebbe essere nelle mani
dell’assassino? Dove l’ha nascosta?”
“Ho
dato disposizioni alla servitù perché se ne occupasse. Non so dove sia, ora,
bisognerà aspettare e chiederlo al personale.”
“Ah…
ma…” Elizabeta tentava di dire qualcosa da dietro le spalle del marito.
“Cara,
lascia perdere, per favore. Preferirei che ora pensassi a riposarti.”
“Ma
la chiave…”
“Va’
a sederti.”
Arthur
infranse la distanza di cortesia e si avvicinò ulteriormente a Roderich. “La
lasci parlare.”
“Gilbert
aveva la sua chiave.”
“Che
cosa?!” L’austriaco si voltò improvvisamente verso la moglie.
“Ho
trovato la chiave della sua stanza sopra la dispensa! Credevo ci fosse stato un
errore, così l’ho riportata nella stanza.”
“E
dove l’hai messa?”
“Mi
sembra… sul camino.”
Roderich
iniziò a camminare avanti e indietro turbato. “Praticamente servita su un
piatto all’assassino! A meno che Gilbert non l’avesse trovata… ma in ogni caso
chi l’ha presa? Non era infilata nella toppa al momento dell’omicidio,
altrimenti Natalia non sarebbe riuscita a chiudere la porta a chiave
dall’esterno.”
Elizabeta
costrinse Roderich a fermarsi afferrandolo per un braccio. “Perché non mi hai
detto niente?”
“Avrei
dovuto affidare a te la chiave della stanza del tuo amante?!”
La
donna era incredula, si ritirò offesa.
La
situazione non era migliorata come Arthur aveva sperato, tuttavia non poteva
lasciarsi sfuggire nulla ora che stava ottenendo sempre più risposte.
“Svuotate
le tasche. Tutti quanti.” Era praticamente impensabile che l’assassino si fosse
tenuto addosso la chiave, ma non si poteva dare nulla per scontato.
Ognuno
mise sul tavolo centrale ciò che teneva nelle tasche, Arthur compreso, ma della
chiave nessuna traccia.
“Deve
farlo anche lei, Ivan.”
Il
russo, del tutto incurante della pistola che aveva davanti alla fronte,
osservava divertito la scena.
“Avanti”
lo incitò Alfred, avvicinandosi a lui.
Ivan
non obbedì, ma rise. “È
così divertente assistere ai vostri inutili affanni.”
“Non
sarebbero inutili se tu collaborassi!” Alfred lo minacciò nuovamente
premendogli la canna della pistola in mezzo agli occhi. “Ma considera che per noi
risulterebbe molto più comodo perquisirti da morto.”
Con
un movimento improvviso, Ivan afferrò la pistola e quando Alfred cercò di
sottrarsi a quella presa, lui trattenne la canna ben puntata contro la propria
testa. “E allora, si può sapere cosa stai aspettando?”
“Non
faccia scherzi, Braginski!” lo ammonì Ludwig. La situazione stava velocemente
precipitando.
“Vi
sto solo aiutando! Se l’americano mi uccidesse qui, davanti a voi, il detective
riuscirebbe a risolvere almeno un omicidio.”
“Non
voglio altro sangue nella mia casa!” gridò Elizabeta.
Ivan
trovò quella frase estremamente divertente. “Come fa a dirlo proprio lei? Ha
appena sgozzato Natalia, ha ancora il suo sangue bollente sulle mani.”
“Non
ho ucciso nessuno!”
“Siete
tutti così disgustosamente falsi. La cosa più facile è incolpare me, perché
sono una spia, ma non riuscite nemmeno a scorgere cosa si cela dietro le
persone che vi sono più vicine.”
La
sua mano libera si avvicinò al collo di Alfred e iniziarono a sbottonargli i
bottoni sul colletto.
“Nessuno
è chi vuol fare credere, forse riuscirei a scoprire chi sei solo se ti
strappassi la pelle dal corpo.”
Per
quanto l’americano cercasse di sottrarsi al contatto, la presa sulla pistola e
sulle sua mani era così potente da impedirgli di indietreggiare. Ivan sembrava
non impiegare alcuno sforzo a trattenerlo e poteva far scorrere le sue dita sul
volto di Alfred senza disturbo.
“Braginski!”
Una
seconda pistola spuntò dal nulla e si piantò nella tempia del russo. Arthur la
reggeva con determinazione e freddezza, attirando finalmente su di sé
l’attenzione di Ivan.
“Ci
dica quello che vogliamo sentire e la lasceremo andare.”
“Questo
sì che è divertente…”
“Eravate
due spie russe, giusto?” La risata di Ivan diede ad Arthur la sua conferma.
“Avete sfruttato Edelstein per giungere all’imperatore?”
“Ero
sicuro che avreste detto qualcosa di giusto, prima o poi.”
“Qual
era il vostro scopo?”
Ivan
scrutò Alfred, valutò la sua reazione a ciò che stava accadendo, poi lasciò la
presa sulla pistola. L’americano ricominciò a respirare.
“Nulla
che avesse a che vedere con degli omicidi. Non per il momento, almeno. Si è
trattato unicamente di un’inaspettata e divertente coincidenza. Certo, un po’
meno divertente per Natalia…” Ricominciò a ridere crudelmente e parve non voler
più smettere.
Arthur
e Alfred finalmente si rilassarono e l’inglese abbassò anche la sua arma.
“Continua
a tenerlo d’occhio” raccomandò all’americano, nel frattempo si fece consegnare
da Roderich il mazzo copia di tutte le chiavi. “Voglio che rimaniate tutti qui
mentre verifico una cosa.”
Uscì
dal salotto senza preoccuparsi di ricevere segni di assenso. Appena fuori
riprese fiato. Per dei lunghissimi istanti aveva davvero provato paura. Aveva
avuto la visione di Alfred colpito da un proiettile della sua stessa pistola,
un Ivan impazzito che gli si avventava contro, un’altra tremenda carneficina.
Era riuscito ad evitarla.
Osservò
la propria pistola, quella che fino a quel momento aveva tenuto celata dietro
la schiena, legata alla cintura, triste ricordo di un passato onorevole. Aprì
il tamburo, vuoto. Era stato estremamente fortunato.
Nella
penombra si lasciò scivolare lungo il muro per riordinare i pensieri agitati,
ma due braccia spuntate dal nulla lo rimisero in piedi, facendolo trasalire.
“Sono
rimasto positivamente sorpreso da quell’atto di eroismo.” La voce sibilante di
Francis nell’orecchio gli provocò un brivido. Gli fu davanti e lo schiacciò
contro la parete.
Stavolta
non ci furono preliminari, né versi di Baudelaire: l’atmosfera si era già
surriscaldata a sufficienza. Un lungo bacio passionale fu quello che Arthur
sentì piovere sulle sua labbra e che lo fece sentire inaspettatamente bene. Non
era certo tipo da rifiutare un agognato sfogo che permettesse alla sua mente di
dissetarsi a una semplice fonte di sensualità. Poter chiudere gli occhi,
lasciarsi andare, respirare affannosamente erano tutte piacevoli distrazioni,
anche se i suoi obiettivi gli erano rimasti razionalmente scolpiti in testa.
Francis
approfittò subito di quella collaborazione e senza complimenti gli infilò le
mani nei pantaloni, ma Arthur aveva da chiarire qualcosa prima di andare oltre.
Gli afferrò saldamente i polsi, attese che Francis rinunciasse a insidiarsi
nella sua bocca e lo guardò dritto negli occhi, con un lieve sorriso, poiché sapeva
che la domanda che gli stava per fare lo avrebbe messo in difficoltà.
“Cosa
contengono quelle ampolle?”
Arthur
aveva ragione: la domanda lo sconvolse.
Continua
Alla fine non
ho ritardato così tanto! Quando ho iniziato a pubblicare ero
già avanti di tre capitoli, poi però mi sono impigrita..
e giuro che questo capitolo per me è stato molto difficile,
soprattutto perchè l'idea di far parlare Ivan mi terrorizzava,
ma ammetto che sono soddisfatta del risultato. Però non avete idea della miriade di soppi sensi legati alle pistole...... quello sì che è stato un problema....
Infine, vi avviso che mancano solo due capitoli alla fine,
perciò fate ora le vostre ipotesi o non ne avrete più il
tempo e io mi sto annoiando!
Alla prossima, si spera puntuale!
Quattro chiacchiere col morto
Yuri: ....è proprio obbligatorio intervistare lei?
Natalia: Me lo chiedo anch'io.
Y: Bene, ehm... ha ancora un po' di sangue... lì.
N: Chissà come mai.
Y: Però ammetto che non le sta male. Si abbina perfettamente al suo abito e alla sua anima infernale.
N: Già. Sa, è la stessa cosa che i lettori pensano di lei.
Y: Non ne dubito. Non la fa sentire bene essere la sorgente di ogni male?
N: Sì e scommetto che anche per lei è lo stesso, vero?
Y: E' lei che deve rispondere alle mie domande. Le ha fatto piacere essere tolta di torno in quel modo?
N: Io NON
volevo essere tolta di torno. Ora chi baderà al mio fratellone?
Chi mi garantirà che mi resterà fedele?!
Y: Desidera che tolga di mezzo anche lui? Sa, non mi costa nulla falciare qualche vista in più.
N: No, penso di
poter pazientare ancora per un po'. E' più divertente l'idea di
tormentarlo da fantasma per gli anni futuri.
Y: Tra l'altro ho ricevuto alcune richieste che riguardano una lussuriosa relazione tra Ivan e Alfred. E' d'accordo?
N: QUELLO
SPORCO AMERICANO NON DEVE NEMMENO PERMETTERSI DI TOCCARE IL MIO
FRATELLONE! LUI E' SOLO MIO, SOLO MIO, SOLO MIO, SOLO MIOOOOOOOOOOOOOO! *fugge*
Y: Aaah..... ho i brividi lo giuro.... che sensazione stupenda.
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Capitolo 6 *** VI. L'impiccato ***
6-Impiccato
Titolo:
Ars Moriendi, Capitolo 6 - L'impiccato
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi:
Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), America
(Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta
Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania
(Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski),
Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 6,880 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction
provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: 1. Questo capitolo è costruito da continui flashback, perciò tenete d'occhio le ore per capire cosa sta succedendo.
2. La casa dell'impiccato
VI. L’impiccato
Ore 5.10
Arthur
non sapeva trattenere la soddisfazione quando sapeva che finalmente le cose
sarebbero andate secondo i suoi piani. Sapeva chi avrebbe trovato oltre quella
porta, sapeva perché si trovasse lì e sapeva che si sarebbe trattato
dell’assassino.
Tenendo
la candela accesa di fronte a sé, aprì la porta della cantina. L’ambiente era
immerso nell’oscurità, ma lui portò all’interno una debole luce dorata che
bastò a rivelare l’individuo che vi era al suo interno.
Era
lì, proprio dove Arthur aveva previsto. Davanti alla cassa che conteneva il
corpo di Francis c’era…
Ore 4.16
Grazie
alle copie delle chiavi avute da Roderich e alla confusione provocata da Ivan,
Arthur aveva tutto il tempo per curiosare in giro. Il primo luogo dove si
diresse fu la camera di Gilbert: doveva controllare se, per un caso fortuito,
la chiave originale fosse ancora sul caminetto.
Trovò
la stanza ancora chiusa. L’interno era rimasto inviolato, la sedia era ancora
in mezzo alla stanza, le bende insanguinate erano a terra, gli schizzi
costellavano le pareti e il soffitto. L’aria era permeata del nauseante odore
del sangue vecchio.
Arthur
andò diretto al caminetto, guardò dappertutto, cercò anche sul tappeto, vicino
all’attizzatoio e tra i ciocchi di legno intonsi, ma della chiave nessuna
traccia. Era ovvio che l’avesse presa l’assassino.
Nonostante
il disagio, decise di trattenersi ancora un po’ per dare un’occhiata generale,
ora che aveva il tempo e la calma dalla sua parte. Studiò la disposizione degli
schizzi di sangue: del tutto casuale. Sicuramente non erano stati provocati
direttamente da Gilbert, anche perché se avesse avuto le mani libere avrebbe
reagito all’aggressione. Arthur non poteva fare a meno di chiedersi come avesse
fatto l’assassino a legare Gilbert senza che lui potesse difendersi. O
l’assassino era straordinariamente forte, o l’albino era stato stordito. Per
ora non aveva prove a sostegno di una delle due ipotesi.
Inoltre,
sussisteva ancora il problema del vestito sporco. Imbrattare i muri con il
sangue sarebbe forse stato possibile, ma far arrivare gli schizzi fino al
soffitto senza sporcarsi era impensabile. Inoltre, l’assassino avrebbe dovuto
usare un contenitore per raccogliere il sangue di Gilbert, ma in quella stanza
non vi era traccia di un recipiente o qualcosa di simile usato per quello
scopo.
Nessun
segno di lotta, il bagaglio era ancora intatto. In una camera così in ordine,
qualcosa nascosto in una piega della coperta attirò la sua attenzione. Era un
oggetto piccolo, brillante. Un bottone, o meglio, un gemello.
Arthur
lo prese delicatamente tra le dita. Era indubbiamente un gioiello lussuoso,
poteva appartenere a Gilbert, oppure…
Guardò
nuovamente il sangue sul soffitto e finalmente le cose parvero acquisire un
senso.
Uscì
dalla camera con il gemello in tasca e si diresse alla tappa successiva: lo
studio di Roderich. Nessuno si era ancora preoccupato di controllare se il
ritrovamento del cianuro da parte di Natalia fosse vero o no.
L’arredamento
era sobrio e classico e c’era molto ordine. Buon per lui. Cercò di pensare a
dove avesse potuto nascondere una fiala di veleno, ma in uno studio ordinario
come quello avrebbe potuto essere ovunque. Era chiaro che Roderich avesse dato
ad ogni oggetto una precisa disposizione. Arthur controllò prima di tutto nei
cassetti, ma non era molto fiducioso, anche perché nessuno di questi era stato
chiuso a chiave. Passò agli scaffali, ma nascondere una fiala lì sarebbe stato
rischioso, ci sarebbe voluto poco per romperla.
Si
concentrò sugli sportelli e sulle ante, finché non si imbatté in quello che
sembrava uno schedario. Quando provò ad aprirlo notò che era chiuso a chiave, e
ciò non fece che alimentare la sua curiosità. Nel mazzo a sua disposizione non
era presente la chiave dello schedario e non l’aveva trovata nemmeno frugando
dappertutto, quindi optò per la soluzione più semplice: forzò la serratura con
il tagliacarte finché questa non cedette.
All’interno
c’erano moltissimi documenti, tutti ordinati secondo le lettere dell’alfabeto,
stampate su delle cartelline che separavano i vari fogli. Guardò la lettera C e
la banalità del suo ragionamento lo sorprese. Trovare una fiala di cianuro
sotto la C sarebbe stato incredibilmente scontato, tuttavia chi era più
scontato di un maniaco dell’ordine?
Esitò
ancora un istante, pensando alla delusione e all’imbarazzo che avrebbe provato
se lì in mezzo non avesse trovato il contenitore, ma alla fine iniziò a cercare
sotto la C.
Spostò
tutti i fogli, guardò tra le pieghe della carta, controllò che non ci fosse un
doppio fondo, ma niente. Era stata un’idea stupida. Richiuse il lungo cassetto
pentendosi si averlo rotto per niente, quando si rese conto dell’errore.
Cianuro in tedesco si diceva zyanid…
Con
qualche timore spostò le carte raccolte attorno alla lettera Z e notò subito
che tra quei fogli c’era qualcosa che non c’entrava. Infatti, sul fondo del
cassetto, c’era una piccola fiala. La alzò e la osservò contro la luce della lampada
a olio che aveva portato con sé. All’interno della fiala c’era una polvere
bianca, ma il contenitore non era del tutto pieno. Attaccate internamente al
vetro intravide tracce biancastre che segnavano il limite originario della
sostanza. La dose mancante era ampiamente sufficiente per uccidere qualcuno.
Infilò
anche la boccetta nella tasca e tornò velocemente verso la porta, quando
uscendo notò qualcosa che svolazzava. Aveva fatto alzare qualcosa di leggero
con il suo spostamento d’aria, qualcosa che atterrò ondeggiando vicino ai suoi
piedi: era un banconota. Arthur non l’aveva mai vista, non era di nessun paese
che conoscesse. La raccolse e la esaminò, leggendovi dei caratteri in cirillico
su sfondo marrone chiaro. La stampa era recentissima, sul fondo c’era la data 1887.
La
banconota fu la terza e ultima prova che si infilò in tasca, poi tornò dagli
altri. Quando fece il suo ingresso nel salotto, trovò gli invitati vicini a
conversare. Quando lo notò, Roderich gli riferì.
“Poiché
abbiamo deciso di stare svegli ad attendere il mattino, ho pensato di portarvi
nella stanza del biliardo.”
Poteva
sembrare assurdo dedicarsi al biliardo in un momento come quello, ma ad Arthur
poco importava, ormai si era fatto un’idea ben chiara su chi fosse il
colpevole. Per riuscire a incriminarlo aveva bisogno di tempo per studiarlo.
“Cosa
facciamo con lui?” chiese riferendosi a Ivan.
“Credo
sia innocuo ora” rassicurò Alfred. “L’unica cosa che gli interessa è assistere
al prossimo omicidio e divertirsi di fronte ai nostri sforzi.”
Ivan
sedeva sul divano con aria serafica come se stesse assistendo a uno spettacolo
teatrale.
“In
ogni caso intendo restituirgli il pugno!”
“Non
essere infantile” lo redarguì Arthur.
Ore 4.33
La
stanza del biliardo era abbastanza piccola, ma ciò contribuiva a far sentire
tutti più al sicuro, avendo la possibilità di sorvegliarsi più da vicino.
Roderich entrò con una candela e andò ad accendere le lampade a olio appese ai
muri, le quali faticarono un po’ a illuminare l’ambiente, nonostante le piccole
dimensioni.
Il
tavolo da biliardo era al centro, lungo la parete erano disseminate sedie e
poltrone, in un angolo vi era un carrello con dei liquori, e poi una libreria e
qualche mobile in ombra.
Il
padrone di casa si azzardò a offrire dei cocktail, ma tutti rifiutarono
saggiamente, Arthur compreso.
Furono
Alfred e Feliciano a giocare per primi e l’italiano si rivelò essere
sorprendentemente abile. Ludwig osservava dalla poltrona, con aria assente.
Ivan, invece, era tutt’altro che disinteressato, mentre Elizabeta sedeva
schiacciata contro lo schienale e scrutava con ansia ogni angolo oscuro.
Arthur
si avvicinò a Roderich.
“Come
fa a mantenere un tale autocontrollo e un eccellente grado di ospitalità in una
situazione simile?”
L’austriaco
gli rispose con la sua tipica aria altezzosa. “Si tratta di un altro
interrogatorio?”
“Semplice
curiosità.”
“La
mia reputazione sta già venendo intaccata abbastanza da questi omicidi, non
intendo macchiarmi anche del titolo di persona poco ospitale.”
Arthur
incrociò le mani dietro la schiena, ostentando sicurezza. “Ho capito subito che
lei è un uomo rigoroso.”
“La
precisione o l’ordine sono ciò che ci avvicinano alla perfezione.”
“Già,
è proprio quello che ho pensato osservando il suo studio.”
Roderich
non sembrò affatto gradire quel complimento. “Noto con piacere che si è dato
all’esplorazione.”
“Deve
pur esserci qualcuno che cerca di far luce sulle morti, mentre lei è impegnato
nell’ospitalità.”
L’austriaco
sollevò il mento. “In ogni caso l’ordine denota anche l’assenza di segreti.”
“Vero.
Per questo ritengo che la mancanza di cura riveli ciò che si preferisce
celare.” Avvicinò la mano al collo di Roderich e accarezzò il colletto
inamidato. “Per esempio, se lei avesse prestato più attenzione al suo abito,
avrebbe notato che all’interno del suo colletto c’è una minuscola macchia di
sangue.”
Roderich
si portò immediatamente la mano al collo, ma non gli ci volle molto per
recuperare la sua maschera superba. “Che imperdonabile svista. Dev’essere
successo quando ho aiutato mia moglie a cambiarsi l’abito sporco. Oppure è
stato il sangue sul soffitto nella stanza dell’albino.”
“Mi
trova d’accordo.”
Quella
che apparve sul volto di Roderich era senza dubbio una profonda ira.
Arthur
si allontanò, proprio mentre Alfred chiedeva: “Signor Bonnefoy, non sarebbe il
momento che ci facesse un po’ divertire con uno dei suoi spettacoli?”
Francis
era sprofondato in una poltrona e poggiava stancamente il mento su una mano.
“Suonerebbe così strano se dicessi che non sono in vena?”
“A
dire il vero, sì” rispose Arthur. “Cos’hai?” gli domandò, vedendolo stranamente
pensieroso.
Francis
non sembrava avere molta voglia di rispondere, oppure non sapeva esattamente
cosa dire.
“Quando
una persona ha a che fare con la magia, i riti e le evocazioni come me, una
domanda che gli viene sempre posta è: hai mai predetto la tua morte? È una domanda stupida.”
Protese un braccio verso Arthur, che era in piedi di fianco a lui, e lo afferrò
per i fianchi. “Tuttavia devo ammettere che quando il momento è vicino, lo si
avverte. Non lo senti anche tu, nell’aria? È
come una pessima sensazione.”
“Non
sento niente eccetto le tue dita che mi serpeggiano addosso.”
Francis
lo guardò a lungo negli occhi, poi dal nulla disse: “Mi dai un bacio?”
Arthur
lo spinse più lontano. “Non ti do proprio niente!” Era oltraggiato. Se anche
gli era capitato di pensare vagamente ad un proseguimento di quella storia
oltre quella serata da incubo, sicuramente non voleva lanciarsi in effusioni
teatrali di fronte a tutti.
“Che
egoista.”
Francis
interruppe subito i suoi tentativi, accontentandosi di stringergli una mano.
“Si
può sapere cosa ti prende?” Si era insospettito perché il francese gli era
parso pensieroso, ma ora che aveva rinunciato così facilmente alle sue avances era preoccupato.
“Manca
pochissimo ormai.”
All’improvviso
si fece buio, le luci si spensero contemporaneamente e non si vide più nulla.
Arthur voleva indietreggiare verso la porta ma inciampò in un tappeto e perse
la presa su Francis. C’era molto rumore, le persone si alzavano e cercavano di
capire dove fosse il problema, cadevano gli oggetti e, per qualche inspiegabile
motivo, il fatto che non ci fosse più luce sembrava significare che nessuno
riuscisse più nemmeno a sentire: molti gridavano invece che parlare e ciò non
contribuiva a tenere lontano il panico.
Arthur
sentì Elizabeta camminare avanti e indietro senza sosta urlando al nulla. “Sei
qui, non è vero?! Non nasconderti e vieni fuori! Chi è il prossimo, sono io?!”
“Dove
sei, Feliciano?” chiamò Ludwig.
“Perché
non ti fai avanti e non vieni a prendermi?!”
Si
sentì il rumore di qualcosa che cadeva, dei cigolii sinistri che il buio
rendeva ancora più lugubri, specialmente se nell’aria aleggiava la risata di
Ivan.
“È magnificamente
divertente!”
“Arthur!”
Era la voce di Alfred. “Non ti muovere, vengo io!” Un attimo dopo sentì un
corpo cadere.
“Stai
fermo! Peggiori solo le cose. Dov’è Edelstein?!”
C’era
troppa confusione per capire cose stesse succedendo. Un attimo dopo comparve
dal nulla una luce a mezz’aria che illuminò solo il volto serio di Roderich.
“Sono
qui” rispose il padrone in tono grave. “Ho recuperato un fiammifero, ora
vediamo di calmarci. Elizabeta, smettila di gridare.”
La
luce si mosse e di colpo diventò più potente e stabile. Roderich aveva acceso
una candela.
“Facciamo
il punto della situazione. Qualcuno si è fatto male?”
“Io
sono caduto su qualcosa di duro…” si lamentò Alfred.
“Credo
sia il pavimento” svelò Arthur. “Ci siamo tutti?”
“Feliciano?”
chiamò nuovamente Ludwig.
“Sono
qui. Ho sentito… qualcosa di strano.”
“Alfred,
controlla Ivan.”
“Ci
sono, non temete, non mi perderei lo spettacolo per nulla al mondo!”
“Non
è questo che mi preoccupa. Francis?” Nessuna risposta. “Francis, non riesco a
credere che tu non abbia ancora provato a palparmi.”
Ci
fu ancora silenzio, incrinato da un urlo di Elizabeta che trafisse le orecchie
dell’inglese con la sua disperazione. Ad Arthur si raggelò il sangue quando la
donna cadde per terra e si coprì gli occhi con le mani.
“Che
è successo?!”
Non
si capiva se Elizabeta stesse piangendo o se fosse terrorizzata.
“Oh
mio Dio! È
lì! È lì!” Indicò l’angolo
più lontano, quello vicino alla libreria.
C’era
un’ombra, più nitida delle altre. Pendeva da una trave del soffitto, ondeggiava
appena.
Arthur
non riuscì a capire più niente. Alfred e Ludwig lo superarono di corsa.
“Possiamo
fare in tempo se lo tiriamo giù subito!”
“Non
c’è niente sotto! Com’è possibile che non ci sia una sedia?! Come ci è arrivato
lassù?”
“È l’impiccato” disse Feliciano con voce tremante.
Arthur
si guardò la mano: prima lo stava toccando… era lì!
“Dobbiamo
spostare una poltrona.”
Era
un oggetto pesante, ci vollero due uomini per spostarla e spingerla fin sotto a
Francis e sempre in due dovettero collaborare per riuscire di sganciare la
corda dalla trave, mentre la candela di Roderich illuminava i loro maldestri
tentavi a intermittenza. Sembrò volerci un’eternità, Arthur non si era ancora
mosso, d’un tratto non sapeva più cosa fare, e quando il corpo fu finalmente a
terra e tutti gli si raggrupparono attorno, ebbe l’irrefrenabile impulso di
allontanarli.
“F-Fermi
tutti, andate via, non toccate niente!”
Indietreggiarono.
Ora avrebbe dovuto semplicemente cercare di capire se fosse vivo… Aveva un
segno livido attorno al collo, poteva vederlo anche in quella penombra, come
riusciva anche a vedere che non respirava. Anche lui trattenne il respiro e
poggiò una mano sul suo petto, e attese a lungo. Era tutto così assurdo,
com’era possibile che un attimo prima gli stesse parlando e ora…
“Ah…
Arthur” Alfred tentò di attirare la sua attenzione, “dici che è ancora…”
L’inglese
stava ancora aspettando qualcosa che non sarebbe mai accaduto.
“No.”
“Aspetta,
fammi vedere…”
“No!”
Scacciò la mano tesa di Alfred. Era furioso, con se stesso e con tutti. Come
potevano restare così indifferenti? Come potevano essere così ipocriti? Alle
sue spalle, in mezzo a tutti, c’era l’assassino che osservava quello scempio
magari ostentando innocenza o magari anche dispiacere. E lui… come aveva potuto
lasciare che accadesse? Lui che aveva la soluzione in pugno…
Si
piegò sul corpo, si sentiva senza forze, senza speranza. Era a pochi centimetri
dal viso di Francis, immaginando di sentire il suo respiro sulla pelle.
“Mi
spiace, Arthur” tentò nuovamente Alfred, sfiorando la schiena di Arthur.
“Stai
fermo” gli intimò. “Non ti muovere.” Strinse tra le dita un lembo della giacca sul
petto del francese. “Non ci sono più casse.”
“Come?”
“Non
ci sono più casse. Lui è l’ultimo.” Avrebbe interrotto la catena di morti, ora
poteva farlo. Ma l’ultimo era stato proprio lui…
“È strano” intervenne
Roderich. “Questo dovrebbe essere La casa
dell’impiccato. Ma in quel quadro l’impiccato non si vede.”
“Appunto”
gli rispose Feliciano. “Noi non lo vedevamo, era sceso il buio.”
“Mh.
Un tocco decisamente originale.”
Arthur
insisteva a restare appoggiato al petto di Francis, non gli importavano più le
insinuazioni e i sotterfugi. La verità era che l’unico responsabile di quella
morte era lui. Non era stato abbastanza abile né abbastanza veloce a trovare il
colpevole, e quello era stato il prezzo da pagare.
“Sei
un idiota” gli sussurrò all’orecchio. Aveva fatto quella sceneggiata per cosa?
Se era davvero così sicuro di morire, perché non aveva fatto niente per
evitarlo?
“È ora di portarlo di
sotto” disse Ludwig.
“Alfred,
aiutami tu.” Arthur non voleva nessun altro, non voleva essere aiutato
dall’assassino.
“Un
attimo…” li trattenne Roderich ma l’inglese non accettò interruzioni.
“Stia
al suo posto, Edelstein! Non è il momento.”
Uscirono
senza prestare più attenzione ai commenti degli altri. Trasportare quel corpo
fino alla cantina fu più faticoso di come Arthur aveva immaginato, forse perché
aveva l’impressione di essere rallentato anche dal peso del senso di colpa, e
queste sensazione per lui era intollerabile.
La
cassa in cantina era davvero l’ultima rimasta, Francis ci stava appena.
Sembrava assurdo che avessero avuto a disposizione quei contenitori di fortuna
della forma giusta. Arthur richiuse in fretta il coperchio e uscì dalla stanza,
non aveva motivo di trattenersi lì.
“Perché
corri via?” gli domandò Alfred andandogli dietro. “Fermati un attimo…”
Arthur
continuò per la sua strada senza rallentare, allontanandosi il più possibile
dalla cantina e dai cadaveri, non fece caso alla direzione che prese. Si
ritrovò nel grande atrio, appena illuminato dalle candele e dai radi ricordi di
decorazione barocca.
Quando
si fermò, i passi di Alfred rimbombarono attraverso le alte pareti. L’americano
aveva il fiatone. “Avanti, lo sai che sono troppo muscoloso per correre.”
Attese
che Arthur rispondesse e che il fiato gli tornasse. Non avvenne nessuna delle
due cose. L’inglese gli voltava le spalle.
“La
morte del francese ti rende così triste? Non pensavo…”
Non
era mai stato particolarmente bravo come oratore, così passò ai fatti. Arthur
sentì le sue braccia cingergli le spalle.
“Non
avrai paura dell’assassino, vero? Non devi, credo di aver capito chi è. Appena
torneremo di là, lo costringerò a confessare.”
La
sua ingenuità era così patetica, ma allo stesso tempo così rassicurante. Forse
non era così egoista come Arthur aveva pensato, forse sbagliava solo l’ordine
di importanza che conferiva alle cose. Forse il suo modo di pensare era troppo
diverso da quello di un inglese. In ogni caso adesso Arthur aveva bisogno della
sua piena concentrazione. Si voltò e si assicurò di avere la sua attenzione.
“Ascolta
bene, Alfred.”
“Cosa?”
“Ora
mi aiuterai a fare qualcosa di importante. Non ti separare mai da me.”
Non
attese la sua risposta perché non c’era più tempo da perdere. Si avviò
nuovamente verso la sala del biliardo, con Alfred al seguito.
“Di
che si tratta? Cosa dobbiamo fare?”
“Devi
fare quello che faccio io.”
“Ma
non capis…”
Arthur
fece irruzione nella stanza ancora buia, rischiarata dalla candela di Roderich
che ormai si stava estinguendo.
“Ci
siamo tutti?” domandò entrando.
I
presenti furono chiaramente sorpresi nel vederlo così attivo dopo ciò che era
successo.
“Edelstein è andato a prendere l’olio per le lampade”
rispose Ludwig.
“Certo”
concordò Arthur. “Voglio che mi seguiate tutti.”
Usò
la candela per illuminare la strada verso la cantina. Camminò spedito seguito
dagli ospiti, alcuni dei quali gli domandarono il perché di quella scelta
immotivata.
Arthur
non si preoccupò di rispondere, avrebbero compreso tutto coi propri occhi.
Ore 5.10
Arthur
non sapeva trattenere la soddisfazione quando sapeva che finalmente le cose
sarebbero andate secondo i suoi piani. Sapeva chi avrebbe trovato oltre quella
porta, sapeva perché si trovasse lì e sapeva che si sarebbe trattato
dell’assassino.
Tenendo
la candela accesa di fronte a sé, aprì la porta della cantina. L’ambiente era
immerso nell’oscurità, ma lui portò all’interno una debole luce dorata che
bastò a rivelare l’individuo che vi era al suo interno.
Era
lì, proprio dove Arthur aveva previsto. Davanti alla cassa che conteneva il
corpo di Francis c’era Roderich.
“È qui che nasconde
l’olio per le lampade, herr Edelstein?”
L’austriaco
si voltò trasalendo, interrotto senza preavviso nel mezzo delle sue operazioni.
“Che
ci fai qui?” chiese Elizabeta insospettita.
“Ho
io le risposte, se lui non intende parlare.” Arthur si avvicinò a Roderich per
illuminarlo meglio, per rivelare la sua espressione sorpresa e tormentata.
“Herr
Edelstein, vuole che sia io a svelare gli omicidi che lei ha compiuto?”
“Quali
omicidi?!” Sebbene tentasse di indietreggiare, non aveva alcuna via di scampo.
“Eviterò
di rispondere a questa insulsa domanda, rispondendo invece a quella
intelligente di sua moglie. In realtà tutte le risposte sono estremamente
semplici, mancava solo qualcosa che le mettesse in luce. Partiamo dal
principio. La morte di Zwingli è chiaramente avvenuta a causa della
manomissione del fucile, manomissione che lei avrebbe tranquillamente potuto
operare in qualunque momento visto il livello di confidenza che avevate.”
“Non
ho mai fatto nulla del genere!” si difese Roderich, ma fu stupido pensare che
Arthur si sarebbe fermato ora che lo aveva in pugno.
“Zwingli
lo stava aiutando col problema dei fratelli Beilschmidt, ma quando ha scoperto
che stava anche collaborando con sua moglie per annullare il vostro matrimonio,
la prima questione ha perso importanza. Lei stesso mi ha detto che era a
conoscenza delle loro trame e anche che non avrebbe voluto uccidere sua moglie.
Per cui, l’unico modo che aveva per impedire la fine del matrimonio era quello
di eliminare il notaio che se ne stava occupando.”
Gli
occhi di Roderich erano ricolmi d’odio e disprezzo. “La avverto che se prosegue
con queste oltraggiose insinuazioni potrebbe pagarla a caro prezzo.”
“Passiamo
alla morte di Beilschmidt. Il movente è semplice, è stato Ludwig a farmelo
capire. Anche se Gilbert le doveva dei soldi, lei non si fidava dell’albino,
tutt’altro, pensava che sbarazzandosi di lui le trattative col fratello
sarebbero state più semplici. Ed è a questo punto che ha pensato bene di
sfruttare le qualità di uno dei vostri ospiti. Magari le qualità di una spia
russa, facilmente corruttibile e senza troppi scrupoli.”
Estrasse
dalla tasca la banconota. “Le ha offerto denaro per uccidere Beilschmidt, e lei
ha accettato.”
“Non
l’ho fatto!”
“Sì
invece. Questo è stato l’omicidio più complesso, ma ora le dirò come è andata.
La signorina Natalia non era certamente in grado di legare da sola Gilbert, ma
avrebbe potuto farlo se lei stesso lo avesse drogato nel momento in cui ci ha
offerto il cognac. Ha calcolato bene i tempi, una volta giunti in camera,
Natalia è riuscita a legarlo senza troppi problemi, dopodiché ha solo dovuto
tagliargli i polsi, ecco perché è tornata così presto.”
“Le
sue sono fantasie.”
“Non
le mie, al contrario. Deve aver avuto una bella fantasia per pensare di
imbrattare la stanza di sangue. L’avrà fatto per suscitare un po’ di panico, ma
ad ogni modo è stato un ingegnoso espediente. Mentre il sangue di Gilbert
veniva raccolto in qualche contenitore approntato da Natalia, lei è tornato in
quella stanza con la copia delle chiavi e si è divertito a tinteggiare le
pareti.”
“Ma…
ma lei stesso ha detto che sarebbe stato impossibile senza sporcarsi!” obiettò
Elizabeta.
Fu
allora che Arthur prese in mano il gemello. “È vero, ammetto di essere stato davvero
uno sprovveduto a non capirlo prima. Esisteva un modo semplicissimo per non
sporcarsi i vestiti, ovvero quello di non averlo affatto. Lei si è spogliato e
si è rivestito, questo è uno dei suoi gemelli che ha lasciato in quella stanza
al momento di rivestirsi. E questo spiega anche il sangue che ho trovato sul
suo colletto, era quello gocciolato dal soffitto.”
“Come
può provarlo?”
“Già,
si è cambiato la giacca per un valido motivo, ma ci arriveremo dopo. Apriamo
una piccola parentesi su di me, se non le dispiace. Abbiamo notato tutti che
l’avvelenamento è stato un tentativo alquanto maldestro, ma è stato
consapevole. Voleva sviare i sospetti, farli ricadere su chiunque, poiché in
realtà lei sapeva benissimo chi ero io. Sapeva che ero un ispettore perché
aveva parlato con mio zio, il quale non è assolutamente tipo da rifiutarsi di
sparlare a piacere di un suo parente. Quando mi ha visto alla mostra ha capito chi
ero, perciò ha preparato il brandy col veleno appena siamo arrivati qui. Voleva
fare in modo che smettessi di investigare, oppure, nel caso fossi
sopravvissuto, avrei dovuto indagare sulla falsa pista che lei stava preparando
e incolpare la persona sbagliata.”
Roderich
trasse un sospiro, poi si lasciò sfuggire una debole ristata. “Si sta mettendo
in ridicolo, signor Kirkland. I suoi sono vaneggiamenti senza fondamenta.”
“Torniamo
alla sua giacca” proseguì Arthur ignorandolo. “Questa è facile, herr Edelstein,
me l’ha servita su un piatto d’argento. Aveva promesso a Natalia una ricompensa
per l’omicidio di Gilbert, ma non aveva intenzione di dargliela. Non tutta,
almeno. Infatti c’erano delle banconote russe nel suo studio. Dato che ormai ci
aveva preso gusto, perché non uccidere anche lei? Con la scusa della coperta,
ha usato la scala di servizio che portava alle camere degli ospiti, è entrato
in bagno e ha sgozzato Natalia con il rasoio, poi è andato a cambiarsi la
giacca, che questa volta si era sporcata.”
Roderich
era tornato serio. “Non ha prove.”
“Oh,
certo che le ho.”
Fu
in quel momento che Arthur si ritrovò con una pistola puntata alla fronte.
Senza pensarci indietreggiò di un passo. Non aveva previsto un simile sviluppo.
Si rivolse ad Alfred scioccato.
“Gli
hai ridato la pistola?!”
“Io
non volevo, ma era sua! Cosa dovevo fare?” si difese l’americano.
“Roderich,
non fare stupidaggini!” lo avvertì Elizabeta.
“Vattene,
o sparerò anche a te! Non verrò incolpato di qualcosa che non ho fatto!”
“Rifletta
un attimo, Edelstein!” Arthur doveva trovare un compromesso per uscire da quella
situazione che era improvvisamente precipitata. “Se mi uccide allora si
condannerà con le proprie mani. Verrà incolpato ufficialmente, anche perché
quella pistola non possiede colpi sufficienti per ucciderci tutti.”
Purtroppo,
Roderich sembrava tutt’altro che preoccupato. “Non intendo uccidervi tutti,
solo lei, Kirkland.”
“Aggraverà
solo la sua posizione. Come si giustificherà?”
“Una
mente acuta e fantasiosa come la sua non ci arriva? Sono amico dei potenti, dei
ministri e dello stesso imperatore! A chi crede che daranno retta, quando
racconterò la mia versione?”
Roderich
caricò l’arma.
“Fermati
subito, lui ha ragione!” gridò Elizabeta.
Non
c’era alcuna soluzione, Arthur dovette ricorrere a un espediente disperato.
Estrasse velocemente la propria pistola e la puntò a sua volta contro Roderich.
Fortunatamente, nessuno di loro sapeva che quell’arma non aveva proiettili, ma
se l’intimidazione non avesse avuto successo, allora non aveva più nulla da
tentare. Cercò di mantenere un tono di voce fermo e deciso, nonostante
avvertisse il panico risalirgli lungo la spina dorsale.
“A
questo punto si trova davanti a una scelta, Edelstein. Vuole rischiare un
duello contro un poliziotto addestrato?”
Roderich
rise di nuovo con disprezzo. “Un poliziotto alcolizzato in astinenza e con la
mano tremante? Penso di poter correre il rischio.”
La
stanza era talmente piccola che il boato dello sparo fu assordante.
Ore 3.58
“Cosa
contengono quelle ampolle?”
La
domanda lo sconvolse.
“Non
ho il dovere di risponderti” ribatté Francis spiazzato.
“Piuttosto,
non ne hai il coraggio” lo provocò Arthur.
“Stupidaggini.
Ti sei divertito a farmi credere che i miei baci di prima ti piacessero, vero?
Sei senza cuore.”
Non
era vero, ad Arthur erano piaciuti sul serio. Ma come poteva il francese non
rendersi conto che in quel momento c’erano cose più importanti in ballo?
“Finiscila
di fare la primadonna e rispondimi, altrimenti andrò a scoprirlo per conto
mio.”
Francis
lo squadrò ancora per qualche istante, sperando che ci ripensasse, ma non fu così.
Tirò un sospiro esasperato dicendo: “Sei davvero un lord incontentabile e
viziato.”
“Non
sono un lord!” puntualizzò Arthur per l’ennesima volta. “E ora piantala di
temporeggiare e rispondi!”
“Sono
attrezzi scenici. Mi servono per i miei spettacoli” rispose Francis a braccia
conserte.
“Cioè…
sono i tuoi trucchi?”
“Attrezzi
scenici!”
“E
cosa ci facevano nella tua stanza?”
“Sono
un artista, viaggio, faccio spettacoli in tutta Europa! Cosa dovrei fare,
farmeli spedire ogni volta? È
ovvio che me li porti dietro, anche perché non sono cose che possono essere
viste da tutti.”
Il
ragionamento non faceva una piega. “E perché sei andato a controllarle di
nascosto?”
“Con
tutto quello che sta succedendo è ovvio che mi preoccupi dei miei tesori.”
“In
ogni caso non hai ancora risposto alla mia domanda iniziale. Cosa contengono le
ampolle?”
Francis
si arricciò una ciocca attorno al dito, cercando le parole. “Durante le mie
esibizioni mi è capitato di fare qualcosa come… riportare in vita qualcuno.”
Arthur
fu disorientato da quelle parole. “Cioè fai davvero credere alla gente di poter
resuscitare i morti?!”
“Più
o meno sì, ma non vado certo di casa in casa a fare il buon samaritano.”
L’inglese
non si capacitava comunque di quella faccia tosta. “Ma davvero pensi che le persone
credano a tutto questo?”
“Ci
credono, è per questo motivo che io sono famoso in tutta Europa e tu sei un ex
ispettore ubriacone.”
Arthur
fece scivolare le braccia lungo i fianchi, completamente spiazzato e rinunciò a
controbattere. “Bene, e allora?”
“Si
tratta… di una sostanza che induce morte apparente…”
“Quindi
è tutto un trucco.”
“Ovviamente
sì, credi davvero che io sia in grado di resuscitare i morti?” lo canzonò
Francis in modo estremamente irritante. Tuttavia quella scoperta faceva proprio
al caso di Arthur.
“Allora
approfitteremo delle tue arti ingannatorie…”
“Illusorie”
corresse Francis con convinzione.
“Sì…
per far uscire allo scoperto l’assassino.
“Hai
scoperto chi è?!”
“Ne
sono praticamente certo, ma sarai tu a smascherarlo definitivamente.”
“Oh.”
Francis riacquistò all’improvviso tutto il suo buonumore. “Cosa dovrei fare?”
“Devi
fingere di morire.”
“Nessun
problema, l’ho fatto un sacco di volte. Come lo preferisci? Veleno,
annegamento, colpo d’arma da fuoco, impiccagione, pene d’amore…”
“L’impiccagione
andrà benissimo, dobbiamo farlo sembrare uno degli omicidi del nostro assassino
seriale.”
Francis
assunse un’aria pensosa. “Posso simulare un’impiccagione molto facilmente, ho
anche l’attrezzatura che serve.”
“Ma
dovrai farlo alla presenza di tutti” puntualizzò Arthur, “perciò devi anche
fare in modo che non sembri un suicidio.”
“Facile,
basterà usare una carrucola nascosta, così potrò issarmi come se fossi stato
appeso da qualcun altro.”
“Poi
prenderai la tua sostanza speciale che ti farà sembrare morto” proseguì
l’inglese, ma Francis non sembrò d’accordo con quest’ultima istruzione.
“Non
posso farlo.”
“Perché?”
esclamò Arthur deluso, stava andando tutto così bene…
“Quella
sostanza ha un effetto abbastanza lungo e, sebbene io sia retto da un’imbracatura
che distribuisce il peso e fa sì che non mi impicchi, è comunque un
procedimento rischioso, devo essere cosciente nel caso andasse male qualcosa o rischio
di lasciarci la pelle per davvero.”
Non
ci voleva. Arthur cercò un piano alternativo.
“Non
c’è alcun problema, ho sempre inscenato morte apparenti senza l’aiuto del
filtro” lo rassicurò Francis.
“Ma
qui non siamo a teatro, gli altri noteranno che respiri.”
“Non
penso. Posso trattenere il respiro a lungo, per il resto del tempo tu dovrai
fare in modo che gli altri non possano avvicinarsi troppo.”
Arthur
non vedeva alcuna soluzione in quella proposta. “E come dovrei fare?
Minacciarli con una pistola scarica? Non sarebbe un comportamento normale.”
“Lo
sarebbe se tu ti dimostrassi addolorato per la mia improvvisa dipartita.”
L’inglese
non riuscì a cogliere immediatamente le implicazioni di quella frase. “Cioè…
cioè dovrei fingermi disperato per la tua morte e recitare la parte della
vedova?!”
Francis
risultò deluso. “Intendi dire che non ti dispereresti se morissi davvero?”
“Non
dire stupidaggini! Non potrei mai piangerti addosso e fare lo sdolcinato!”
Il
francese si portò una mano al petto. “Questo mi ferisce profondamente.”
Arthur
era infuriato e imbarazzato, tuttavia era costretto ad ammettere che quella di
Francis fosse l’unica soluzione plausibile.
“Bene…
allora… faremo così.”
Francis
riacquistò vivacità in un attimo. “Sarà magnifico, ricorderò questo momento per
sempre. Finalmente vedrò il tuo freddo cuore in scatola sciogliersi per me…”
Arthur
non voleva udire una parola di più, si avviò verso il piano di sopra senza
esitazioni.
“Dove
andiamo adesso?”
“A
svuotare un po’ di lampade a olio. Prepareremo la scena per il tuo spettacolo.”
4.52
“È l’impiccato” disse Feliciano con voce tremante.
“F-Fermi
tutti, andate via, non toccate niente!”
Indietreggiarono.
Ora avrebbe dovuto semplicemente cercare di capire se fosse vivo… Aveva un
segno livido attorno al collo, poteva vederlo anche in quella penombra, come
riusciva anche a vedere che non respirava. Anche lui trattenne il respiro e
poggiò una mano sul suo petto, e attese. Sentì il cuore battere tranquillamente
e comprese che era andato tutto secondo i piani.
“Ah…
Arthur” Alfred tentò di attirare la sua attenzione, “dici che è ancora…”
L’inglese
però non aveva a disposizione molto tempo, presto Francis avrebbe avuto bisogno
di respirare.
“No.”
“Aspetta,
fammi vedere…”
“No!”
Scacciò la mano tesa di Alfred. Era furioso, con se stesso e con tutti. Si
sentiva un perfetto idiota a recitare quella parte e posticipava il più
possibile il momento in cui avrebbe dovuto appoggiarsi al suo petto fingendo di
essere disperato. Che umiliazione.
Si
piegò sul corpo. Era a pochi centimetri dal viso di Francis, e dopo qualche
istante sentì il suo leggero respiro sulla pelle.
“Mi
spiace, Arthur” tentò nuovamente Alfred, sfiorando la schiena di Arthur.
L’inglese
non prestò attenzione alle parole confortanti dell’americano poiché si accorse
con immensa preoccupazione che una parte dell’imbracatura usata da Francis
sporgeva leggermente dalla giacca. Se ci fosse stata appena più luce l’avrebbe
già notata tutti, ma doveva fare qualcosa per nasconderla.
“Stai
fermo” intimò al francese. “Non ti muovere.” Strinse tra le dita un lembo della
giacca sul petto e nascose l’imbracatura. “Non ci sono più casse.”
“Come?”
“Non
ci sono più casse. Lui è l’ultimo.” Non sapeva esattamente cosa dire per
sembrare plateale, era semplicemente certo che mai e poi mai avrebbe finto di
piangere.
“È strano” intervenne
Roderich. “Questo dovrebbe essere La casa
dell’impiccato. Ma in quel quadro l’impiccato non si vede.”
Arthur
trattenne il respiro. Roderich aveva fatto esattamente l’osservazione che stava
aspettando.
“Appunto”
gli rispose Feliciano. “Noi non lo vedevamo, era sceso il buio.”
“Mh.
Un tocco decisamente originale.”
Arthur
insisteva a restare appoggiato al petto di Francis, doveva trovare il momento
giusto per andarsene, la recita aveva sortito il risultato sperato. Così
concentrato, sobbalzò quando sentì qualcosa sfiorarlo da dietro, poi comprese
con raccapriccio che Francis gli stava accarezzando il sedere.
“Sei
un idiota” gli sussurrò all’orecchio. Cercando di non farsi notare gli afferrò
saldamente la mano, sperando di fargli molto male.
Ore 5.27
Lo
sparo gli rimbombava ancora nelle orecchie, era rintronato, era caduto sulle
ginocchia, era come se una campana gli stesse suonando in testa.
“…I…or
Kirk…!”
Feliciano
gli urlava contro ma non riusciva a sentirlo distintamente.
“Si…or
Kirkla… Signor Kirkland! Sta perdendo sangue, sta bene?”
No
che non stava bene, ma non riusciva a capire dove l’avesse colpito, non sentiva
male da nessuna parte, eccetto alla testa. Si sfiorò la tempia con la mano e
quando la ritrasse la vide sporca di sangue. Una parte della sua visuale era
tinta di rosso, ma divenne velocemente di un nero profondo.
“L’ha
colpita vicino all’occhio, solo di striscio però!” spiegò Feliciano,
tamponandolo con un fazzoletto. “È
meglio se non lo sforza per un po’, è stato fortunato” disse legandogli il
fazzoletto attorno alla testa e sull’occhio.
“Maledizione.”
Arthur si alzò traballante. “Maledizione, volevi aspettare che mi ammazzasse?!”
Davanti
a lui Roderich era saldamente trattenuto dalle braccia di Francis, che stava
ancora seduto dentro la cassa.
“Si
era incastrato il coperchio!” si giustificò il francese.
“Dannazione…
legalo stretto” gli ordinò e andò personalmente a strappare la pistola di mano
a Roderich. “Le invierò la parcella del mio medico.”
“Che
cosa sta succedendo?!” chiese Elizabeta volgendo lo sguardo dal marito ad
Arthur a Francis che si era appena rivelato come un morto vivente.
“Era
tutta una farsa?” chiese Ludwig per niente contento.
“Esatto.
Se si fosse verificato un omicidio al di fuori dello schema di Edelstein,
sicuramente sarebbe andato a controllare, in quel caso avrei avuto la prova
definitiva che l’assassino era lui.”
“Non
è stato affatto divertente.”
“Ah
no? Io invece mi sono divertito un sacco prima che mi sparassero. Non è vero
Ivan?”
“Fenomenale!”
concordò il russo. “Ma devo confessare che me lo aspettavo, il riferimento
all’impiccato è stato rivelatorio. Avete scelto quel quadro perché l’impiccato
non si vede, non a causa del buio, ma perché non c’è proprio!”
“E
sarei io lo strumento del vostro divertimento?!” esclamò Roderich tentando di
liberarsi dalla stretta delle corde che Francis gli aveva avvolto attorno al
corpo. “Lasciatemi andare, chi siete per trattarmi così?”
Il
francese uscito dalla sua bara spinse Roderich verso la porta. “Andremo ad
aspettare l’alba in salotto, tutti insieme.”
Elizabeta
si avvicinò al marito con occhi umidi. “Che cosa hai fatto? Cosa ti è venuto in
mente? Che ne sarà di noi, adesso?”
Non
si recarono in salotto, bensì nella stanza della musica. La grande finestra di
quell’ambiente si affacciava a Est, così avrebbero potuto osservare il conforto
dell’alba. Per Arthur quella era stata la notte più lunga della sua vita,
qualcosa che avrebbe volentieri dimenticato, sebbene la sua soddisfazione per
il successo finale lo avrebbe spinto a decantare quell’avventura per molto
tempo.
“Avete
un telefono qui?” domandò ad Elizabeta.
“Sì,
lo trova vicino all’ingresso, sulla destra.”
“È ora di far venire la
polizia.”
La
donna si trovava in uno stato di profondo conflitto interiore. “Va bene”
acconsentì infine.
Arthur
andò a cercare il telefono. Era nel bel mezzo del suo momento di gloria, la
polizia non avrebbe dovuto far altro che venire e arrestare l’uomo che lui
aveva smascherato e catturato. Sicuramente questo gli sarebbe valsa la
riassunzione all’interno di Scotland Yard, non avrebbero più niente da ridire
sulle sua capacità investigative e deduttive e finalmente si sarebbe
riguadagnato il rispetto che meritava.
Trovò
l’apparecchio e si mise in contatto con la centrale del luogo. Nonostante il
suo tedesco non proprio perfetto, spiegò ciò che era accaduto nel dettaglio,
suscitando lo stupore di chi si trovava dall’altro lato della cornetta. Gli fu
detto che sarebbero stati mandati rinforzi entro un’ora e così riagganciò,
sentendo finalmente il suo ego rigonfiarsi.
Tornò
a sedersi nella sala della musica, dove erano disposte alcune sedie a formare
un’intima platea di fronte a un pianoforte a coda. Roderich era stato fatto
sedere allo sgabello davanti allo strumento, legato, in modo da essere
controllato facilmente.
“Tra
quanto saranno qui?” chiese Alfred.
“Un’ora
al massimo.”
Si
accorse di Francis che sgattaiolava fino alla sua sedia. “Quindi staremo a
guardare l’alba assieme, piccolo vedovo affranto.”
“Se
parlerai di questa storia all’infuori di queste mura, stai certo che ti
ritroverai impiccato per davvero” lo minacciò Arthur senza ottenere alcun
risultato.
“Non
puoi immaginare quanto fossi tenero in quei momenti di disperazione. E questa
benda ti conferisce un’espressione piratesca affascinante.”
“Finiscila
di dire fesserie.”
“Ludwig…”
All’improvviso udì Feliciano singhiozzare e alzarsi frettolosamente. “Non
voglio… non voglio più.” Il ragazzo piangeva copiosamente e corse fuori dalla
sala.
“Feliciano!
Non ti allontanare!” lo richiamò Ludwig, ma sapendo di non ottenere nulla gli
andò dietro.
“Ehi!
Avevamo stabilito di restare assieme, una buona volta!” li rimproverò Arthur
senza tanta grazia. Con tutto quello che era successo e tutta la fatica che
aveva fatto per mettere fine a quella storia da incubo, loro si sentivano così
liberi da andare a scorrazzare per il castello?
“Lascia
perdere, l’assassino è qui!” Francis lo costrinse a tornare seduto.
Ad
ogni modo Arthur non poteva fare a meno di chiedersi cosa avesse spinto
Feliciano a reagire in quel modo. Forse non aveva ancora confessato a Ludwig di
volerlo lasciare? Oppure c’era sotto qualcos’altro?
Un
paio di dita striscianti sulla sua coscia lo sottrassero con un brivido ai suoi
pensieri.
“Che
ne pensi di proseguire quest’affiatata relazione anche al di fuori
dell’Austria?” fu la proposta indecente di Francis.
“Che
ne pensi di finirla con questa storia?! Ti sembra il momento?”
“Certo
che è il momento: la bella principessa si è levata sana e salva dalla sua bara
e il prode principe ha catturato il malvagio signore del castello, quale altro
sarebbe il momento per il lieto fine?”
“State
zitti!” ordinò Alfred alzando la mano. “Cos’è questo rumore?”
Arthur
si concentrò e udì dei suoni ripetitivi e sordi… sembravano dei colpi, venivano
dall’alto.
“È una finestra che
sbatte?” propose Elizabeta. Fu un grido a farle da risposta, e immediatamente
dopo qualcosa cadde dal cielo, passò di fronte alla vetrata del salone a grande
velocità, una macchia scura sul cielo che si stava timidamente schiarendo, per
poi atterrare con un frastuono agghiacciante.
Si
alzarono tutti in piedi facendo cadere le sedie.
“Cos’era?!”
gridò Elizabeta.
“Non vorrei che la domanda giusta sia…
chi era” azzardò Francis mentre tutti
gli altri si stavano già precipitando fuori, compreso Roderich.
Dovettero uscire dall’entrata
principale e fare il giro del castello, schivando le grandi pozze d’acqua
create dalla pioggia e finendo più volte bloccati dal fango. Poi raggiunsero il
retro, dove il fiume scorreva a parecchi metri sotto di loro nel suo letto
oscuro. Lì si trovava la vetrata della sala e a poca distanza dal precipizio un
corpo minuto e scomposto spiccava tra le rocce.
“Ma… è…”
“È impossibile.”
“È Feliciano?!”
“È vivo?”
Alfred si avvicinò cautamente.
“C’è… tanto sangue e credo che quello sia…”
“Oh mio Dio…”
“Maledizione, ve l’avevo detto che
il colpevole non ero io!” si infuriò Roderich tentando di liberarsi dalle
corde. “Vargas è caduto dalla torre e lassù c’è Beilschmidt!”
“Correte su, bloccatelo!” ordinò
Arthur cercando di non farsi prendere dal panico ma ciò che era appena successo
era assurdo, inconcepibile… “Muoviamoci, non deve scappare!”
Si mossero come un sol uomo,
precipitandosi all’entrata, ma prima di correre via l’attenzione di Arthur fu
attratta da qualcosa che i primi raggi del sole fecero brillare.
A pochi metri dal corpo di
Feliciano c’erano dei frammenti di vetro. Guardò su, vide la finestra dalla
quale era precipitato il ragazzo, tuttavia non sembrava rotta e nessuno aveva
sentito rumore di vetri infranti.
Da dove provenivano quelle schegge?
Continua
Nonostante tutto sono riuscita a pubblicare anche questo capitolo.
Perdonate il ritardo, si sono accumulati vari esami da preparare anche
per la mia beta personale ed eravamo entrambe sommerse di roba.
Oltretutto è stato un capitolo difficilissimo, e immagino sia
stato lo stesso anche per voi. Tuttavia è stato soddisfacente.
Momoka mi ha confessato fin dall'inizio di sospettare di Feliciano e
io, fin dall'inizio, sapevo che si sarebbe spiaccicato sulle rocce. Amo
queste cose.
Il prossimo capitolo sarà ufficialmente l'ultimo, perciò,
vista la svolta inaspettate, vi invito a indovinare chi sarà
l'assassino. A chi vincerà faremo una fanart con tutto
ciò che desiderate (a sfondo hetaliano, ovvio).
Alla prossima!
Quattro chiacchiere col morto
Yuri: Bentrovati! Stasera abbiamo
un ospite inaspettato. Il signor Bonnefoy doveva essere presente ma all’ultimo
momento ha declinato l’invito, quindi eccoci qui con Feliciano.
Feliciano: Buonasera bella
signorina! Le darei un bacio di saluto se potessi ma il mio cervello
fuoriuscito non è la cosa più semplice da gestire!
Y: Capisco perfettamente. Ha fatto
un bel volo! Ci può spiegare cos’è successo? Nessuno l’ha capito.
F: Ahahaha si figuri cosa ho
capito! Ero troppo occupato ad ammirare la luna! Non trova che ricordi una
mozzarella?
Y: Vero! Ha fame? Ha lasciato sulle
rocce anche lo stomaco?
F: *controlla velocemente* No, per
fortuna ce l’ho ancora! E sì, ho un profondo buco nello stomaco! Ahahah, non
vedo l’ora di farmi un piatto di pasta con Gilbert e Vash! Con Natalia no, non
apprezzerebbe.
Y: Si ricordi che in paradiso i cuochi sono
francesi… desidera che le mandi su anche Francis?
F: No penso che Francis si
divertirebbe di più dov’è! E poi penso che Ludwig sarebbe geloso, anche se non
è più con me…
Y: Cos’è successo tra voi? Come mai
si è messo a piangere? Ha forse cotto troppo i wurstel?
F: No, pensi, ha detto che si è
stancato della mia pasta! Ma come può essere possibile? La mangiavamo soltanto
tre volte al giorno!
Y: Imperdonabile, posso capire perché
ha voluto lasciarlo… Ho un certo languorino, le andrebbe di mettere a cuocere
una lasagna?
F: Sììì! Volentieri! Non ho gli
ingredienti però… e non voglio chiederli a lei! Ho paura di cosa potrebbe
essere il “suo” ragù..
Y: Solo carne genuina appena
macellata!
F: Veee~ , quando mai si placherà la sua
sete di sangue! *fugge disperato in lacrime*
Y: ……. Amo il carpaccio.
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Capitolo 7 *** VII. Sole levante ***
7-Sole levante
Titolo: Ars Moriendi, Capitolo 7 - Sole levante
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland),
Francia (Francis Bonnefoy), America (Alfred F. Jones), Austria (Roderich
Edelstein), Ungheria (Elizabeta Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt),
Germania (Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski),
Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark,
Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 3,907 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono
da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: 1. In
questo capitolo verrà spiegato tutto, o almeno ci
proverò. Non è stato per nulla facile condensare tutto in
queste righe, per cui e avessi dimenticato qualcosa niente paura e
chiedetemi! C'è una spiegazione per ogni cosa, è solo che
potrei aver dimenticato di scriverla.
2. Poiché ogni mio
tragico finale deve essere accompagnato da una colonna sonora adatta,
questa volta vi lascio questo video Cherish.
Purtroppo quei robosi del Tubo hanno rimosso tutte le copie di questa
canzone da tutti i video che l'avevano, perciò io faccio
l'hacker e vi passo il video in Mediafire, perchè merita tanto.
Qui---> Mediafire
VII. Sole levante
Arthur
arrivò in cima alle scale praticamente assieme agli altri: ciò che aveva visto
lo aveva privato di tutte le sue certezze. Scalò la torre e si ritrovò in uno
stretto ambiente costipato di persone. In quel momento riconobbe anche il
rumore di colpi che avevano udito dal piano di sotto: era Ludwig che batteva
sulla porta in legno della stanza di Feliciano. Quindi era ancora fuori? Non
aveva spinto lui l’italiano dalla torre? Chi c’era lì dentro?
“Aprimi,
Feliciano!” gridava Ludwig picchiando sulla porta, ma Roderich lo spinse da
parte.
“È inutile chiamarlo,
sfondiamola.”
“Come
sarebbe che è inutile chiamarlo?!” volle sapere il tedesco, ma nessuno si fece
avanti per rispondere.
La
vecchia serratura cedette e ad un tratto furono tutti nella stanza. La finestra
era aperta, le tende svolazzavano al vento, non c’era alcuna traccia di una
qualsiasi presenza umana, eccetto una scarpa solitaria rimasta ai piedi della
finestra.
Ludwig
sembrò capire al volo, si affacciò verso il precipizio, guardò giù. Senza
sapere il perché, Arthur trattenne il respiro fin quando il tedesco non si
ritrasse, inginocchiandosi di fronte al davanzale, come se si fosse genuflesso
al cospetto di un altare. Perdere il fratello e l’amante in una notte,
l’inglese poteva immaginare come si sentisse, ma non c’era tempo da perdere e
infranse l’immobilità generale iniziando a ispezionare la camera.
Da
sotto il letto sporgeva una valigia aperta, i vestiti sembravano essere stati
messi dentro alla rinfusa e in tutta fretta. Eccetto quello, tutto sembrava
trovarsi al proprio posto.
Alfred
formulò un’ipotesi sottovoce. “Se Ludwig era chiuso fuori dalla stanza, allora
Feliciano… potrebbe essersi buttato? Piangeva…”
Non
fece in tempo a terminare la frase che il tedesco gli era già addosso con la
stessa espressione di chi sarebbe stato pronto a seppellirlo vivo.
“Vai
fino in fondo!” lo provocò. “Cosa stavi insinuando? Pensi che l’abbia ucciso
io?!” Lo afferrò dal colletto, a momenti lo avrebbe sollevato da terra e
scaraventato dalla finestra. “Per me ognuno di voi potrebbe essere l’artefice
di ciò! Cosa pensi che voglia farti, in questo momento? Riesci a immaginarlo?!”
Arthur
doveva fare qualcosa, non era il momento di distrarsi. “Beilschmidt, lei ha
ragione, ma si calmi, ha già preso abbastanza pugni per oggi!”
“Sono
in grado di difendermi da solo!” replicò Alfred e l’inglese ci ripensò: un
altro pugno gli avrebbe fatto bene.
“Ludwig
ha ragione: chi si suicida non grida e non perde le scarpe. È evidente che sia stato
spinto contro la sua volontà.”
Il
tedesco perse interesse per Alfred. “Feliciano mi ha preceduto qui e si è
chiuso a chiave. Io non ho fatto altro che bussare e chiamare, poi l’ho sentito
gridare e basta. Ora spiegatemi perché Edelstein è slegato e perché diamine
Feliciano si trova improvvisamente su quelle rocce!”
Arthur
fece un passo indietro per uscire dal raggio di un probabile pugno di Ludwig.
“Lo chiederemo all’assassino.”
“Quale
assassino?” chiese Roderich. “La porta era chiusa a chiave e qui non c’è! È fuggito, ma come
poteva uscire dalla finestra senza cadere?”
“Non
l’ha fatto.” Arthur si girò verso il vecchio armadio in legno che stava dritto
in un angolo. “Non è mai uscito.”
Tutti
si voltarono increduli verso le due ante che persistevano a rimanere immobili e
mute, come aspettando che queste prendessero vita. Ma Ludwig non perse tempo,
afferrò saldamente i pomelli e spalancò l’armadio.
L’interno
era in ombra, molti vestiti erano appesi male oppure, caduti, si erano adagiati
su quello che appariva come un corpo umano. Ludwig indietreggiò lentamente,
consentendo alla luce di illuminare i lineamenti di colui che si trovava semi
nascosto dai panni e che li guardava, inespressivo, dalle profondità dei suoi
occhi vermigli.
“T-Tu…”
Elizabeta allungò una mano tremante. “Come…?”
“Perché?”
sospirò piano Ludwig.
Lui
non rispose, con un passo elegante uscì dall’armadio, lasciandosi dietro una
scia di vestiti.
“Sono
già finiti i giochi?” domandò Gilbert con un sorriso tagliente sul volto cereo.
Nessuno
trovò le parole né il fiato per rispondere, neppure Arthur.
“Dalle
vostre espressioni deduco che nessuno di voi fosse arrivato a sospettare di
me.” Gilbert li sfidava apertamente con la sua sfacciataggine.
Ma
Roderich accettò la provocazione. “Io l’ho sempre saputo, l’ho sempre
sostenuto. Una persona come te non poteva essere altri che un infame
assassino.”
L’albino
accettò quell’insulto senza reagire, togliendosi una cravatta che gli si era
adagiata sulla spalla.
“Gilbert…”
Ludwig ritrovò la voce, “ora mi dirai cosa ci fai qui, e pretendo che la tua
spiegazione non abbia niente a che vedere con i morti che ci sono stati.”
“Rimarrai
deluso, fratellino. Anche se mi rammarico fortemente che tu non sappia cogliere
la magnificenza della mia opera d’arte. È
andato tutto alla perfezione e gli errori sono stati sfruttati a mio vantaggio.
Sarebbe finito tutto e voi non vi sareste accorti di nulla. Peccato per
Feliciano…”
Ludwig
scosse la testa incredulo.
“Mi
spiace davvero” confessò Gilbert. “Lui non era nei miei piani, è solo stato
sfortunato.”
“Spiegaci
tutto, Beilschmidt, o ti faremo parlare con la forza!” lo minacciò Roderich.
L’albino
sollevò le mani di fronte a sé. “Tranquilli, non ho intenzione di farmi
torturare. Vi spiegherò tutto, era già nelle mie intenzioni. D’altronde è stato
tutto talmente ben studiato che sarebbe un peccato non vantarmene.”
“Perché
l’ha fatto?” domandò Arthur per primo.
Gilbert
scoppiò a ridere. “Ma come perché? È
tutto talmente ovvio che sono davvero stupito che non ci abbiate pensato
subito! Per i soldi, no? Alla fine avete tutti sospettato di Edelstein… beh,
era proprio quello il mio scopo. Sarebbe caduto in rovina se nel suo bel
castello si fossero consumati tutti questi efferati omicidi, avrebbe finalmente
perso quella sua insopportabile sicurezza e quell’orgoglio da nobile che non
gli consentivano nemmeno di abbassare la sua regale testa verso noi comuni
mortali!”
Roderich
ascoltava a braccia conserte e gli occhi stretti in segno di disprezzo.
“E
tutto questo grazie a lei, caro ispettore” disse Gilbert, inchinandosi
platealmente davanti ad Arthur e facendo risuonare la parola ispettore come se fosse un insulto.
“Grazie alle sue brillanti conclusioni stavo per realizzare pienamente il mio
piano.”
Umiliato,
di nuovo. Arthur strinse i denti e non rispose alle provocazioni.
Infine,
fu a Francis che l’albino si rivolse. “Ma soprattutto, grazie a lei, signor
prestigiatore, e al suo filtro miracoloso.”
Francis
appariva incredulo e sorpreso. “Il mio filtro? L’ho controllato, le ampolle
c’erano tutte! Non lo lascerei mai incustodito. Ma soprattutto, come potevi
sapere che lo avevo con me? Nessuno lo sapeva.”
La
risposta di Gilbert fu breve, ma Francis comprese al volo: “Berlino.”
Gli
occhi del francese si illuminarono. “Oh… come ho fatto a dimenticarlo. Eri tu
quello che è venuto a farmi tutte quelle domande e a tempestarmi di critiche
dopo lo spettacolo!”
“Ma
in fin dei conti gliel’ho ricordato anche ieri sera, no? Non credo ai suoi
trucchetti, ma li trovo comunque utili. Dopo lo spettacolo sono venuto a farle
delle domande su quella donna che lei diceva di aver resuscitato e allora l’ho
visto, il suo filtro, e ho capito che era quello l’artefice del suo miracolo.
Sono bastate alcune brevi ricerche su di lei per scoprire che girava tutta
Europa e che presentava sempre gli stessi spettacoli. Era chiaro che si sarebbe
portato le sue pozioni anche qui, no?”
“Ma
le ampolle c’erano tutte” ripeté Francis iniziando a spazientirsi.
“È vero, ma se da ognuna
di quelle io prendessi qualche goccia, fino ad ottenerne la quantità
sufficiente, nessuno se ne accorgerebbe, vero? È stato un bel trucco, no?”
Elizabeta
si fece avanti verso Gilbert, quasi come se volesse abbracciarlo, in realtà
all’ultimo momento gli depositò sul viso un potente schiaffo.
“Mi
hai fatto credere di essere morto! Non ti importava niente di me?! E di tuo
fratello?”
Era
sul punto di sferrargliene un secondo, ma Gilbert le afferrò il polso
bloccandolo a mezz’aria. Improvvisamente Elizabeta parve ricordarsi che di
fronte a lei si trovava un pluriomicida e mostrò paura. L’albino le lasciò
bruscamente il braccio spingendola via.
“Di
te non avevo alcun motivo di preoccuparmi.”
“Cosa
intendi?” domandò Elizabeta tenendosi stretta il polso.
“Non
mi interessa quello che pensi, né quello che provi. Mi sei stata utile per
arrivare ai soldi di tuo marito e un divertente passatempo, ma niente di più.”
Elizabeta
non poteva credere a ciò che stava sentendo.
“Vuoi
sapere altro?” continuò Gilbert insensibile.
“Stai
zitto! Sarei stata capace di perdonare i tuoi omicidi, perché in fondo aveva i
tuoi motivi, ma questo… La tua è solo crudeltà!”
Gilbert
alzò leggermente il mento, come se ciò gli permettesse di fronteggiare meglio
le persone che lo accusavano. “Voi tutti credete che io sia crudele… ma nessuno
qui sa cosa sia davvero la crudeltà. Non
è vero, Ludwig? A te ne serviva una bella dose d’assaggio per uscire dal
tuo mondo di illusioni.”
“Non
spacciare i tuoi delitti per un favore fatto a me!” ribatté Ludwig.
Nel
frattempo Arthur fremeva. Nonostante la profonda umiliazione che stava
ricevendo, il suo desiderio di scoprire come Gilbert avesse potuto compiere
tutti quegli omicidi passando inosservato era irresistibile.
“Lei…
lei si ritiene responsabile di tutte le morti?” iniziò Arthur per indurlo a
parlare. “Davvero li ha uccisi tutti senza mai farsi vedere, riuscendo sempre a
far ricadere la colpa su qualcun altro?”
Gilbert
era impaziente di potersi vantare del suo successo. “Che proprio lei sia
incredulo mi delude, ma sicuramente un’impresa come la mia va spiegata a delle
menti semplici come le vostre. In realtà è bastato farvi credere che fossi
morto per mettermi al sicuro, anche se aveste pensato che sarei potuto essere
l’artefice di uno degli omicidi, avreste semplicemente pensato che il vero
assassino avesse cercato di incastrarmi. Già semplicemente con l’omicidio di
Zwingli l’unico a sospettare di me era stato Edelstein, ma nessuno gli aveva
creduto poiché l’avevo provocato baciando Elizabeta. Proprio come, poco prima,
avevo provocato Zwingli per spingerlo a usare il suo fucile. Chi avrebbe potuto
pensare che mi sarei messo proprio in mezzo alla sua linea di fuoco? Che atto
sconsiderato, non è vero? Tuttavia geniale. Eliminando il notaio avrei
eliminato anche il mio problema più urgente, quello del risarcimento. Ma non
era abbastanza.”
Fece
qualche passo verso Arthur. “Lei invece è stato una sorpresa. Non pensavo che
fosse un poliziotto, ma avrei potuto sfruttare le sua abilità a mio vantaggio.
Quella di andare a rinfrescarmi dopo aver rischiato di morire era una scusa
perfettamente plausibile per permettermi di andare ad avvelenare il suo
brandy.”
“E
se non l’avessi bevuto?”
Gilbert
rise. “E se il sole non sorgesse più? E se gli alberi crescessero a testa in
giù? Per favore, per tutta la sera si è aggrappato ai bicchieri di alcool come
se fossero il suo ossigeno, ovvio che l’avrebbe bevuto, prima o poi.”
Arthur
doveva smettere di spingere la gente a parlare del suo alcolismo.
“Ma
ha davvero previsto tutto ciò che sarebbe successo?” domandò Alfred incredulo.
“Assolutamente
no, mi sono limitato a prevedere le vostre azioni logiche e a sfruttare il caso
a mio vantaggio. Per esempio, non immaginavo che mi avreste imprigionato in
camera così presto, credevo che avreste pensato a un incidente, oppure che
avreste incolpato Edelstein! Tuttavia quello si è rivelato essere il momento
giusto per mettere in scena la mia morte. E Natalia… devo ringraziare anche lei
e la sua fame insaziabile che l’ha spinta a mostrarmi il suo coltello. Non si è
accorta di niente mentre glielo sfilavo dato che la stavo intrattenendo anche
da qualche altra parte.”
Elizabeta
si voltò dall’altra parte.
“Ovviamente
mi ero procurato un coltello per tagliarmi i polsi, ma usando il suo avrei
potuto confondervi di più.”
“Allora
si è tagliato davvero i polsi? Come ha potuto sopravvivere?” chiese ancora Alfred.
Gilbert
sollevò le braccia e mostrò a tutti i segni dei tagli.
“È sufficiente non andare
troppo a fondo e fasciare subito per fermare il sangue. A questo ci hanno
pensato le bende con cui mi sono legato alla sedia, e se ancora non vi fosse
chiaro ho usato i denti per stringere i nodi, non è difficile. Nel frattempo il
filtro ha fatto effetto. Natalia mi aveva chiuso dentro, è vero, ma ci avreste
pensato voi a farmi uscire e a portarmi in cantina. Ho anche nascosto la chiave
della camera in modo che poteste sospettare di tutti. In verità, ho gettato
anche quella dalla finestra.”
“Il
sangue… non era il tuo. Da dove veniva allora?” chiese Roderich.
Ma
Arthur aveva finalmente capito. Era così facile! Proveniva…
“…dal
cadavere dissanguato all’obitorio! Non è fenomenale?” si vantò Gilbert. “Avete
sempre avuto la soluzione sotto al naso ma nessuno di voi è riuscito a mettere
assieme tutti i pezzi. L’ho trasportato qui in vasi di vetro e l’ho usato per
sporcare le pareti e rendere tutto più deliziosamente inquietante. Poi i vasi
li ho…”
“…gettati
dalla finestra!” indovinò Arthur. “Erano quelli i frammenti di vetro che ho
trovato vicino a Feliciano.”
“Si merita un applauso per questo” lo derise
Gilbert. “In realtà speravo che finissero nel precipizio, ma devo aver
sbagliato la mira. Però ho avuto l’accortezza di lasciare in bella vista il
gemello di Edelstein. L’avete trovato? Gliel’ho rubato all’inizio della serata,
quando gli ho stretto la mano. A chi tocca ora? Ah, Natalia. Mi è dispiaciuto,
ma ho trovato particolarmente eccitante vederla dissanguare. Anche nella morte
quella donna ha conservato talmente tanta freddezza e nobiltà da affascinarmi.”
“Che
motivo aveva di uccidere anche lei?” volle sapere Arthur.
“Nessuno.
Ovviamente durante la notte non potevo rimanere sempre nello stesso posto, dato
che voi vi muovevate di continuo. Mi sono spostato di stanza in stanza…”
“Era
lui!” Alfred lo indicò all’improvviso. “Era lui il fantasma che ho visto in
corridoio! Era tutto bianco…”
“Oh
sì, mi è sembrato che ci fosse qualcuno, ma mi sono nascosto in bagno. Peccato
che Natalia sia entrata proprio lì. Non avevo molte alternative… Ciò che mi ha
davvero colpito è stato il fatto che non si sia sorpresa vedendomi. In ogni
caso una morte in più avrebbe solo gettato più fango su Edelstein.”
“E
a questo punto” si intromise quest’ultimo, “ci tengo a precisare che le
banconote russe ritrovate nel mio studio erano quelle con cui sono stato pagato
per l’affitto del mio atelier.”
“Cosa
sarebbe successo se non ti avessimo fermato?” chiese Ludwig al fratello. Anche
se era furioso, lasciava comunque trapelare un grande dolore. “Quanti ancora ne
avresti uccisi?”
“In
realtà ero venuto in questa stanza proprio per andarmene. Ero venuto a prendere
i soldi che avevi dato a Feliciano prima di venire qui, perché volevo tornare
in Germania e attendervi lì. Non mi sarei mai aspettato di vedere Feliciano
entrare di corsa. Mi sono nascosto nell’armadio, lui non mi ha visto. Piangeva
e so anche il perché.”
“Lo
sospettavo” ammise Ludwig amareggiato. “Sapevo che l’idea improvvisa di
lasciarmi non poteva provenire da lui.”
“Già.
Sono stato io a costringerlo.”
Ludwig
scosse la testa. “Perché hai fatto una cosa del genere?”
“E
me lo chiedi?” Gilbert si stava spazientendo di fronte alla cecità del
fratello. “Come avremmo potuto tirarci fuori dalla nostra situazione economica
se avessi continuato a pagarlo e a mantenerlo? Ho chiuso un occhio all’inizio,
perché vedevo che ti faceva felice, ma poi le cose hanno iniziato ad andare
male. Hai ricevuto una proposta di matrimonio dalla figlia di un ricchissimo
imprenditore… e l’hai rifiutata! Colpa di quell’italiano… Quando gli ho detto
che avrebbe dovuto andarsene lui ha capito, ha accettato tutto, per il nostro
bene. Era il minimo, dopo tutto quello che abbiamo fatto per lui. Ludwig, tu
hai sempre pensato di poter diventare una persona grande e potente grazie alle
tue forze e alla tua personalità, ma la vita non è così! La grandezza delle
persone nasce dalle loro azioni. Non volevo uccidere Feliciano, aveva accettato
di uscire dalle nostre vite. Quando è venuto qui piangeva, ha aperto la
finestra e ha guardato la luna a lungo. Poi, all’improvviso, ha preso la
valigia e si è messo a riempirla, voleva fuggire in fretta. Però ha aperto
l’armadio.”
Ludwig
era furioso.
“Devi
capire che era l’unica soluzione” insistette Gilbert. “Sapevo che tu eri fuori
dalla porta, ti sentivo bussare. Quando ha aperto l’armadio e mi ha visto gli
ho tappato la bocca. Lo ammetto, non è stato facile, mi guardava supplice. Ma
io l’ho spinto giù. Almeno non ha sofferto, non pensi? So che non vuoi
sentirtelo dire, ma te lo ripeterò. Tutto questo l’ho fatto per te, per uscire
da questa situazione senza fine, per impedire ad Edelstein di continuare a
importunarci fino all’ossessione, per garantirti un futuro!”
“Che
futuro potrei avere, adesso?” Ludwig aveva tutti i motivi per essere in
collera. “Mio fratello è un assassino! Che bisogno c’era di fare tutto questo?
Pensi che le cose andranno meglio ora che la nostra famiglia è distrutta?”
Per
un attimo sul volto di Gilbert passò un’ombra di dolore. Era ancora convinto di
essersi sacrificato per il fratello e sapeva che i suoi sforzi non sarebbero
stati celebrati. Ma lui sembrava preparato a questo.
“Non
temere” lo rassicurò, usando per la prima volta un tono gentile. “Lo sai che
non lascio mai le cose incompiute. Ho pensato a tutto.”
Lentamente
sollevò la mano stretta a pugno e la aprì, mostrandola direttamente a Ludwig.
Reggeva una piccola boccetta semi piena contenente una sostanza bianca.
“Cos’ha
intenzione di fare?!” gridarono tutti in coro, poiché la risposta era già
chiara.
“Uscire
di scena con stile, naturalmente.”
In
un solo, veloce gesto, si portò la boccetta alle labbra e bevve tutto il
contenuto, poi la fece cadere a terra, vuota.
Arthur
osservò il contenitore rotolare sul pavimento con lentezza estenuante, mentre
anche le sue ultime certezze, quelle sul veleno utilizzato da Roderich,
andavano in fumo.
“Si
può ancora fare qualcosa!” disse Alfred.
Gilbert
rise di nuovo. “Non pensate di potermi salvare. All’ispettore non ho dato che
una minima parte di questo veleno, perché tutto sommato mi andava bene che
sopravvivesse, ma qui ce n’era una dose sufficiente a uccidere cinque uomini!
Non potete fare… proprio niente…”
L’azione
del veleno fu davvero veloce. Arthur sapeva bene ciò che sarebbe successo di lì
a breve. Gilbert si trovava già con un ginocchio a terra. Quando non ebbe più
forze per reggersi, fu Ludwig a sostenerlo.
“Non
farlo, Gilbert… non farlo!” lo minacciò il tedesco, come se quell’ordine
potesse fare la differenza.
L’albino
rise ancora debolmente. “Ti faccio sempre arrabbiare. Ma è così che deve
andare. Non vorrai certo vedermi marcire in una cella, o peggio vedermi
impiccato in piazza, vero?”
Ludwig
ora gli reggeva la testa per permettergli di parlare. “Perché l’hai fatto?”
“Perché
il fratello più grande deve sempre prendersi cura del più piccolo. Questo… è il
modo in cui lo so fare…”
Arthur
e gli altri osservavano quella scena straziante senza poter muovere un dito.
Elizabeta piangeva silenziosamente, Ivan contemplava quel sacrificio con una
luce di ammirazione negli occhi, Arthur semplicemente si sentiva colpevole di
ogni cosa che era successa e si chiedeva come potesse Gilbert essere ancora in
grado di parlare.
“Ora
che ti guardo…” disse l’albino, nella sua voce si sentiva un’estrema fatica,
“però… mi sento un po’ in colpa. Perché sei così triste? Volevi forse…
seguirmi? Vorresti… stare con me… e Feliciano?”
Ludwig
non rispose. Era rivolto di spalle, Arthur non poteva vedere la sua
espressione. Non era sicuro di volerla conoscere.
“Tutto
ciò che… posso fare per te… è donarti il veleno… che mi rimane.”
Con
le sue ultime forze alzò leggermente la testa, chiudendo gli occhi sfiorò con
la propria lingua le labbra del fratello.
“Tutto…
per te.”
Dalla
piccola finestra aperta entrò il primo raggio di sole che poneva fine alla
notte e a quella vana tragedia.
***
Arthur
gettò sul tavolo il giornale aperto. Si era stufato delle notizie montate,
esagerate e camuffate: Un castello
dell’Austria infestato dai fantasmi; Cinque omicidi d’amore; Inspiegabili
suicidi a Graz; Ispettore londinese smaschera serial killer…
Non
si poteva pretendere di saper raccontare la verità su un caso talmente inspiegabile.
Alcune testate raccontavano persino di un conte arrestato per riti oscuri.
Arthur, invece, sapeva benissimo che Edelstein si era trasferito nella sua
villa di campagna con la moglie e che era tornato alla sua vita di prima, come
se niente fosse successo, tenendosi lontano dalle invasioni dei giornalisti.
Non
c’era niente da raccontare su quella storia, ognuno aveva cercato di
lasciarsela alle spalle come poteva, tornandosene da dove era venuto o, nel
caso di Alfred, andandosene a visitare luoghi ancora più lontani. Da quello che
sapeva Arthur, se n’era andato in Egitto, ma forse a quell’ora poteva essere
addirittura arrivato in Cina. Gli era arrivata una sua lettera con una foto
piegata dall’umidità direttamente dal Mar Rosso, con scritto tutto ciò che
aveva visto, fatto, mangiato, cose che ad Arthur non interessavano minimamente
ma che dimostravano che l’americano aveva imparato la lezione: trattarlo come
un amico, non come una prostituta.
L’ultima
volta che aveva visto Ludwig, alla stazione di Vienna, se ne stava tornando in
Germania. Arthur non aveva idea di cosa avrebbe fatto allora, sapeva solo che,
assieme alla sua valigia, aveva fatto caricare nella carrozza bagagli anche due
bare di legno.
Invece,
quando aveva saputo della sorte di Ivan, non aveva potuto fare a meno di
ridere. Era stato subito arrestato dalla polizia austriaca, ma c’era voluto
meno di un giorno perché, grazie a una misteriosa telefonata dalla Russia,
tornasse in libertà e fosse scortato fino a San Pietroburgo, e quando la polizia
aveva fatto rapporto sulle vittime di casa Edelstein, nel conteggio mancava
indubbiamente il cadavere di Natalia, del quale nessuno ebbe mai notizia.
Arthur
era a Londra e aveva intenzione di restarci per molto, molto tempo ora che
finalmente aveva riavuto il suo ruolo da ispettore, sebbene basato sulla poco
corretta certezza che fosse stato lui a smascherare il vero colpevole del
massacro alla villa. Certo, non si poteva nemmeno dire che avesse fatto un
cattivo lavoro, ma certamente aveva imparato a non dare per scontato nulla,
nemmeno i morti.
Riguardo
a Francis, infine, Arthur sapeva perfettamente dove si trovava: di fronte alla
sua porta di casa, in procinto di suonare il campanello. Negli ultimi tre giorni
si era sempre presentato alle 18 in punto con un mazzo di rose. Arthur non gli
aveva mai aperto, limitandosi a cacciarlo affacciato alla finestra.
Anche
quel giorno, quando sentì suonare il campanello, sbirciò oltre le tende,
notando con gioia che quella sera non portava con sé rose, cioccolatini o altri
generi di carinerie effeminate, quindi decise di concedergli almeno di mettere
un piede oltre la soglia.
“Sei
ridondante” lo accolse Arthur aprendo la porta che dava direttamente sulla via.
“Si
dice costante” puntualizzò Francis,
levandosi il cappello.
“Perché
stasera dovrei cambiare idea?”
“Perché
non dovresti farlo? Voglio solo risparmiarti un’altra serata a fare il gufo
rintanato e a mangiare orribili pietanze inglesi.”
Non
era un invito abbastanza allettante per Arthur, il francese avrebbe dovuto
impegnarsi di più. Richiuse la porta senza aggiungere altro, ma questa volta
Francis fu veloce e la bloccò con la punta del piede, spalancandola di nuovo.
Appoggiò
il proprio cappello sulla testa di Arthur, lo calcò finché non gli coprì gli
occhi e iniziò subito a fare i suoi comodi con la bocca dell’inglese. Il bacio
fu breve, ma estremamente convincente.
“Vieni
a cena, o no?” gli domandò ancora Francis.
Arthur
si ritrovò leggermente confuso dall’improvvisa ondata di viziosità. “Non ho
fame.”
“Perfetto,
passiamo subito al dessert.” E con una spinta del piede Francis richiuse la
porta alle sue spalle.
Fine
Ooooh, bene bene. "Finalmente" diranno tutti, "così
possiamo smetterla di aspettare che faccia i suoi comodi!". Davvero,
chiedo scusa per i ritardi, ma avete presente cosa significa per me
scrivere un finale lieto?? Non so neanche se risulta credibile o meno,
nella mia testolina marcia era già pronto un epilogo angst e
incasinato, ma mi sono trattenuta, per stavolta è stato meglio
così....
Quindi, che dire..... nessuno ha indovinato l'assassino, perciò niente fanart, peccato XD (Figurarsi...)
A questo punto non so più che dire, risponderò a
eventuali commenti e mi ripeto: se dovesse esserci qualcosa rimasto in
sospeso ditemelo che provvederò subito a spiegare, mi rendo
conto che non sia facile capacitarsi del labirinto che ho creato.
In ogni caso mi sono divertita un sacco, spero che mi ricapiti qualche altro giallo per le mani XD
Come avrete intuito, questa volta niente intervista e faccio un'ultima
precisazione, dato che ho ricevuto parecchi dubbi: Ludwig non è
morto! Non penso proprio che si possa morire per una leccatina al
veleno, e in ogni caso non sarebbe stato così stupido da
ingoiarlo... Ho solo inserito un po' di fanservice! In caso contrario,
Giulietta non avrebbe agonizzato con un pugnale nello stomaco, si
sarebbe accontentata del bacio di Romeo per volare all'altro mondo...
Adieu~!
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