Ars Moriendi

di Yuri_e_Momoka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Impressione ***
Capitolo 2: *** II. Il Principe d'Orange ***
Capitolo 3: *** III. Chatterton ***
Capitolo 4: *** IV. Cleopatra ***
Capitolo 5: *** V. Marat ***
Capitolo 6: *** VI. L'impiccato ***
Capitolo 7: *** VII. Sole levante ***



Capitolo 1
*** I. Impressione ***


1 impressione
Titolo: Ars Moriendi, Capitolo 1 - Impressione
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), Francis (Francis Bonnefoy), America (Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania (Ludvig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski), Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 2,614 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: 1. La fiction è ambientata a Graz (Austria) e dintorni, alla fine del 1800.
2. Saranno presenti molte descrizioni apparentemente inutili e noiose, ma poiché ho cercato ad ispirarmi alla scrittura di Conan Doyle e alla sua accuratezza dei dettagli, vi prego di leggere tutto, poiché ogni descrizione ha uno scopo preciso.
3. Saranno spesso nominate delle opere d'arte non troppo conosciute. In fondo ad ogni capitolo metterò un link al/ai dipinto/i perchè ritengo importante ai fini della trama che abbiate presente come sia.




Ars Moriendi


I.  Impressione

Arthur non sapeva esattamente perché si trovasse lì, di fronte a quel quadro così strano di un autore che non aveva mai sentito nominare. Non si intendeva particolarmente di arte e ancor meno di quelle nuove tendenze che tra i francesi si stavano diffondendo in fretta, ma che non stavano riscuotendo particolare successo. Nonostante il suo parziale disinteresse per la pittura, si sorprese di fronte all’azzardo di presentare quel quadro così innovativo in una mostra che comprendeva dipinti di tutt’altro genere.
Lesse il cartellino posto sotto alla cornice che esponeva il titolo di quel paesaggio così astratto: La casa dell’impiccato. Indugiò nuovamente sulla tela, ma nonostante il suo impregno non riuscì a trovarvi nulla di interessante e di nuovo si ritrovò a chiedersi cosa ci facesse lì.
Cercò la risposta nella sua tasca destra, toccando il biglietto stropicciato che lo invitava a recarsi a Graz per una mostra speciale che aveva come tema la morte. Quando aveva letto il nome degli organizzatori non si era stupito del fatto che fossero due russi. Era un tema troppo macabro per un atelier austriaco.
Si guardò intorno, gettando occhiate agli altri dipinti che aveva già visto e agli altri invitati speciali che si muovevano lentamente lungo le pareti dell’elegante salone. Erano in pochi, ma Arthur era sicuro che non fossero ancora tutti. Un tipo dal volto corrucciato osservava un dipinto con ancor meno interesse dell’inglese; alle sue spalle due uomini ascoltavano le spiegazioni di un ragazzo che era senza dubbio il più entusiasta nella sala. Il suo tedesco era fortemente corrotto da un accento particolare, e dalla sua carnagione più scura Arthur pensò che dovesse essere spagnolo o italiano.
Gli altri due che lo accompagnavano, quindi, erano tedeschi, ma il più interessante tra i due era sicuramente quello coi capelli chiari. Quando si accorse delle occhiate che Arthur gli stava lanciando, questi si voltò e gli rivolse un sorriso spavaldo. L’inglese, colto in flagrante, lo salutò con un lieve cenno del capo. L’uomo aveva gli occhi rossi: era un albino.

Tornò al suo dipinto: si stava annoiando. In realtà era annoiato da tre settimane, da quando non aveva più un lavoro, da quando le sue giornate erano ancora più vuote, da quando…
“Ricordavo che lord Kirkland fosse più anziano.” Arthur si voltò in direzione della voce. Al suo fianco c’era un uomo occhialuto e vestito di blu che attendeva una sua risposta con un sorriso che faceva pensare al servilismo, ma nei suoi occhi di ghiaccio vi era un’evidente spavalderia.
“Difatti, non sono lord Kirkland. Sono suo nipote. Mio zio mi ha mandato in sua vece poiché non era in condizioni di viaggiare, oppure perché aveva da fare o perché non nutre alcun interesse per l’arte. Scelga lei, non mi ha dato istruzioni al riguardo.”
L’uomo si abbandonò ad una breve risata di compiacimento. “Apprezzo ognuna di queste scuse e non mi sento in dovere di rimproverare suo zio, dato che mi ha mandato un giovane dall’umorismo così schietto. Proprio ciò che ci serve per la festa di questa sera.”
“Festa?” domandò Arthur per niente attratto dall’idea.
“Oh! Mi perdoni, ho scordato di presentarmi. Lord Kirkland mi conosce di vista, ma noi non ci siamo mai incontrati. Sono Roderich Edelstein, il promotore di questa mostra.”
Arthur strinse la mano tesa.
“Arthur Kirkland.”
“Suo zio non mi ha mai parlato di lei.”
“Non rientro tra i suoi ereditieri preferiti.”
“Buon per noi, sarà ben accolto qui a Graz.”
“Mi parli della festa.” Arthur era perfettamente abituato ai ricami dialettici che dilungavano ogni conversazione che si rispettasse, ma si trovava in un luogo che non conosceva, in mezzo a quadri che non gli dicevano alcunché, a parlare con uno sconosciuto che avrebbe potuto inginocchiarsi a leccargli i piedi o liquidarlo con un insulto travestito da complimento. In poche parole, tutta la sua scarsa socievolezza si era definitivamente tramutata in misantropia.
“Come ben sa, a quest’inaugurazione sono stati invitate solo alcune personalità che provengono da diversi paesi, pertanto questa sera terrò un ricevimento per voi alla mia tenuta privata e vi offrirò ospitalità per la notte, senza che vi scomodiate a cercare un altro alloggio. Tengo molto alla sua partecipazione, si tratterà di un incontro culturale grazie al quale potrà fare la conoscenza di coloro che hanno ideato questa mostra e discutere…”
Arthur sentiva di essere pericolosamente vicino all’emicrania. Non aveva alcuna intenzione di partecipare ad un mortifero incontro tra vecchi critici d’arte e si ritrovò a maledire suo zio per avergli offerto l’opportunità di vedere l’Austria, ma in quel momento il suo bisogno primario era fermare quell’ondata di parole che lo stava investendo.
“Sarò lieto di partecipare.”
“Fantastico” commentò il signor Edelstein sistemandosi gli occhiali. “E ora mi perdoni, ma devo andare ad accogliere gli altri ospiti. Tornerò da lei subito.”
Arthur sperò vivamente che se ne dimenticasse. Dopo che l’uomo si fu allontanato, afferrò al volo un bicchiere di champagne da un vassoio sorretto da un cameriere.
Si allontanò di qualche passo, la sua vista era stata urtata abbastanza dai colori dell’ultimo dipinto. Osservò pensieroso il liquido profumato nel calice. Non era più abituato a certe delizie, durante l’ultimo periodo aveva visto soltanto rhum scadente.
“Ben arrivato, Mr. Jones.” La voce di Edelstein risuonò distintamente attraverso la sala, ma fu una sola parola a far voltare Arthur all’improvviso.
“Grazie!”
“Sono felice che sia riuscito a giungere sin qui, dev’essere stato un lungo viaggio.”
“Altroché, ma ci sono abituato, in passato ho visitato molto l’Europa con mio padre.”
Doveva trattarsi di uno scherzo. Arthur estrasse con foga il biglietto stampato su carta gialla e lesse i nomi degli invitati. Eccolo lì, non c’era alcun dubbio: Mr. Alfred F. Jones.
Voleva sbattere la testa da qualche parte. Perché non aveva letto prima la lista? Per cosa era venuto fin lì? Per essere preso in giro di nuovo?
Guardò verso la porta, osservò Alfred che si dilungava in racconti sui suoi viaggi che non interessavano a nessuno. Non era cambiato, era il solito stupido infantile di un tempo. Ovviamente non c’era modo di passare inosservati in quel salone spoglio e bianco, infatti Alfred lo individuò subito. Arthur avrebbe voluto voltarsi e andarsene, ma pensò al suo orgoglio e si impose di sostenere il suo sguardo. Semplicemente strinse più forte il calice.
“Arthur? Ma… sei tu?” Alfred cercò di metterlo a fuoco, poi andò a leggere la lista degli invitati sistemandosi gli occhiali. Quando risollevò il viso sfoggiava uno dei suoi soliti sorrisi solari.
“Sei proprio tu! Non sapevo che fossi diventato lord!”
Ancora un po’ e il fragile cristallo del bicchiere si sarebbe frantumato. “Non lo sono.”
Che brutta situazione, che assurda casualità. Avrebbe dovuto prestare più attenzione, seguire il suo istinto e non partecipare a quella stupida mostra. Alfred venne verso di lui con ampie falcate e con quell’espressione sfacciata che ad Arthur fece ribollire il sangue.
“Non pensavo proprio di poterti incontrare qui. Sai, non mi sono preoccupato di sapere chi altri fosse presente, mi interessava solo divertirmi un po’ in Europa. Sai come sono fatto!”
Arthur strinse i denti. Gli avrebbe tirato lo champagne in faccia. Forse no… non andava bene sprecare l’alcool. Senza rispondere svuotò il bicchiere in un unico sorso, solo per frenare gli insulti che gli stavano pericolosamente risalendo dallo stomaco.
Non ricevendo risposta, Alfred si preoccupò. “Beh… dimmi, anche tu stasera…”
“Mr. Jones! Sono così lieta di averla qui!” Si avvicinò una giovane donna in un elegante abito verde, i morbidi capelli castani raccolti sulla nuca. Alfred si riprese in fretta e le baciò la mano.
“Sono Elizabeta Edelstein e sarei molto felice di passeggiare con lei in questo salotto.”
“Il piacere è tutto mio, milady!”
Si allontanarono a braccetto e Arthur colse l’occasione per arraffare un altro calice di champagne e berlo tutto d’un fiato. A quel punto avrebbe dovuto fermarsi, sapeva fin troppo bene cosa succedeva dopo.
Le vin sait revêtir le plus sordide bouge d’un luxe miraculeux.
Dalla sua sinistra provenne un leggero profumo di colonia, ma Arthur non aveva nessun desiderio di contatto con qualunque essere umano, figurarsi di uno che si introduceva in francese.
“Mio giovane amico, è questo dipinto che la turba?”
Arthur alzò lo sguardo inconsapevolmente: non sapeva nemmeno di trovarsi di fronte a un quadro. Raffigurava una donna seminuda accasciata su una sedia. Sembrava dormire, ma visto il tema di quella raccolta era indubbiamente morta.
“Non sono le cose impalpabili a turbarmi” rispose infine, rivolgendosi direttamente alla tela.
“Trova la morte impalpabile?”
“La rappresentazione di essa lo è.”
“La rappresentazione della morte è esattamente come la morte stessa! Un attimo fugace e perenne allo stesso tempo, che imprigiona la vita in un tempo eterno.”
Arthur volle scoprire chi si celava dietro quelle parole che ostentavano tanta sagacia. L’uomo accanto a lui osservava il dipinto come se si fosse perso al suo interno, con tanta ammirazione negli occhi blu. Non portava la giacca, se ne andava in giro in gilet e con i polsini della camicia sbottonati. Il nodo della cravatta attorno al colletto inamidato era disfatto.
“In ogni caso sono in parte d’accordo con lei” proseguì il francese biondo. “Questo quadro è incompleto, manca il punto di vista della protagonista. Cleopatra non poteva avere un’espressione così tranquilla nella morte. Il suo cuore doveva essere in preda allo struggimento dell’amore, del desiderio e della tristezza!”
Quanto fervore per un semplice quadro. Arthur sospirò e rivolse nuovamente la sua attenzione a Cleopatra, alla ricerca di ciò che il francese decantava, ma la sua poca erudizione artistica gli fece abbandonare subito l’impresa.
“L’espressione dei morti non ha nulla a che vedere con ciò che hanno trascorso in vita” disse Arthur.
“Ha visto molti morti?” domandò l’altro con sincero interesse, ma con una punta di commiserazione che infastidì molto l’inglese.
“È così” rispose, sostenendo caparbiamente il suo sguardo.
Il francese infilò una mano nel taschino del completo ed estrasse un fazzoletto bianco. Lo sbatté in aria un paio di volte e al suo posto apparve improvvisamente una rosa rossa.
Voilà. Quell’espressione afflitta non le si addice proprio. Prenda questa e si faccia un giretto tra i dipinti.” Gli mise in mano la rosa e gli assestò un lieve buffetto su una guancia. Arthur lo guardò sconvolto.
“Mi ha scambiato per un moccioso?!”
“Adulto, bambino, che differenza fa? Le cose belle rimangono belle.” Gli prese la rosa dalle mani e gliela appuntò sulla giacca.
“Anche la maleducazione rimane maleducazione.”
“Oh, ma quanto è formale! Faccio il mio mestiere, intrattenere la gente! E non faccia quell’espressione offesa, se non abbassa le sopracciglia si affaticherà.”
“Lei è uno zotico.”
“No, il mio nome è Francis.” L’altro ebbe la sfacciataggine di rispondergli così mentre faceva un galante inchino.
“Francis e basta?” chiese Arthur, sempre più infastidito dalla sua villania, ma se ne pentì. Perché glielo domandava? Non gli interessava minimamente conoscere quel personaggio.
“Un artista non necessita di altro. Sono conosciuto tra il pubblico semplicemente con questo nome. Lei invece…”
Arthur si strappò la rosa dal petto e la gettò a terra. “Visto che i giochetti infantili la divertono tanto, provi a indovinare.”
Francis cambiò espressione come un bambino al quale hanno guastato un interessantissimo svago. D’improvviso gli infilò la mano in tasca e, incurante delle lamentele di Arthur, estrasse l’invito sgualcito e lesse i nomi. Rise in modo fastidioso, come chi ha capito tutto. “Sicuramente lord Kirkland.”
Arthur rimase indubbiamente sorpreso dalla sua abilità – o fortuna – ma celò ogni reazione che potesse dare a Francis una qualunque soddisfazione. “Come può esserne così sicuro?”
“Riconosco un inglese anche tra una folla di scozzesi” rispose, infilandosi con noncuranza l’invito non suo nel taschino sul petto. “E comunque sono abbastanza sicuro di stare parlando inglese, in questo momento.”
“Potrei essere chiunque in grado di parlare un ottimo inglese.” Non voleva dargliela vinta.
“Ma solo un vero servitore della Corona risulterebbe così fiero di se stesso.”
Arthur si riprese l’invito senza complimenti. “Ebbene, si sbaglia. Non sono lord.”
“No di certo, altrimenti se ne sarebbe già vantato da un pezzo” sussurrò Francis tra i denti.
“Prego?!”
“Dicevo che la trovo assolutamente adorabile!” mentì spudoratamente. “Passeggerebbe con me?”
“Ovviamente no.”
“Perfetto. Ci vediamo stasera a cena.” Si congedò, lanciando dietro di sé una manciata di coriandoli comparsi da chissà dove.
Arthur si allontanò spazientito. Non aveva mai tollerato i prestigiatori.

Poiché la località in cui si stavano dirigendo si trovava in montagna – come quasi tutto il territorio dell’Impero, d’altronde – lungo i sentieri tortuosi si era formata una fila di cinque carrozze che trasportavano tutti gli ospiti al castello di Herberstein, il luogo di villeggiatura di herr Edelstein. Mentre procedevano, lenti e sballottati, Roderich gli parlò della storia del castello – senza che nessuno glielo avesse chiesto. Arthur guardava per lo più il sole tramontare dietro le cime aguzze, cercando di non incontrare lo sguardo di Alfred. Sapeva che lo stava fissando e sapeva anche che lo stava facendo con un’espressione preoccupata e interrogativa. Che stupido. L’inglese non poté fare a meno di domandarsi per che cosa avesse sofferto per un anno intero. Per le occhiate ingenue e stupite di un marmocchio viziato? Per le chiacchiere interminabili e senza senso di un esibizionista? Per la spavalderia e la semplicità di un americano esaltato?
Appoggiato alla propria mano continuava a guardare fuori dal finestrino, oltre le tende. Pensò che, all’inizio, erano state proprio quelle peculiarità ad attrarlo.
Il castello era una costruzione  risalente al Medioevo, infatti possedeva quel fascino fiabesco che tutti si aspettavano di ritrovare nelle foreste del nord Europa. Ad Arthur non dispiaceva affatto quell’architettura regale, ma nulla poteva competere con il suo patriottico e nobile neogotico.
Il candido edificio sembrava arrampicarsi sulle colline, non era del tutto visibile a causa degli alberi che lo circondavano e alle sue spalle le montagne parevano delle quinte teatrali, ma una sottile torre svettava al centro della copertura scura.
Quando le carrozze si furono fermate di fronte all’entrata, Arthur notò che poco più in là la terra sembrava sparire: a lato del castello si apriva un precipizio e un fiume scrosciava rumoroso tra le sue pendici.
Arthur si ripromise di trattare un po’ meglio herr Edelstein. Se quello era il suo luogo di villeggiatura allora le sue tasche dovevano straripare di banconote.
Entrando, l’inglese notò che non erano presenti servitori ed espose la sua curiosità al proprietario. “La servitù lavora in questo castello solo qualche mese all’anno” spiegò Roderich. “Hanno approntato tutto il necessario per voi ospiti e si sono ritirati. Non mi piace vederli a non far niente.” Improvvisamente Arthur capì come quell’uomo potesse permettersi tali sontuosità. Avrebbe dovuto imparare un po’ di taccagneria da quell’austriaco.
Nonostante l’inaspettata accoglienza dell’esterno, i padroni non avevano resistito al fascino del barocco e avevano fatto decorare gli interni con le tappezzerie dorate e le porcellane candide tipiche di quel gusto pomposo. Arthur si perse subito in mezzo a quella vastità: nemmeno l’imponente castello di suo zio poteva competere con quel lusso.
Vennero invitati a prendere posto nelle camere già assegnate alla fine delle scale che portavano al piano superiore. Una stanza a testa, per fortuna. Per un attimo Arthur aveva temuto di doverla condividere con Alfred o con il francese…
Bon soir!
Arthur rabbrividì constatando che Francis stava uscendo proprio dalla camera di fianco alla sua.
“Cosa fa qui?” Domanda assolutamente retorica.
“Dormo proprio di fianco a lei. Chissà cosa sarà mai saltato in testa ai padroni per mettere un inglese e un francese così vicini. Probabilmente hanno passioni gladiatorie.”
Arthur trovava particolarmente irritante il modo in cui quell’uomo scherzava su tutto.
All’improvviso dal corridoio comparve anche Alfred, che lo salutò come se non lo vedesse da dieci anni.

“Sono di fianco a te, Arthur!”
Non c’era niente per cui essere felici.



Continua




Eccoci qui con una nuova storia! Non mi ero mai cimentata in un giallo, prima d'ora, ma adoro Sherlock Holmes e Agatha Christie (e anche Kuroshitsuji, se qualcuno coglie il riferimento XD) Questa fic sarà proprio un miscuglio tra questi tre capolavori, noterete sicuramente molte somiglianze ma spero non le considererte scopiazzature: ho cercato solo di prendere ispirazione per creare una trama tutta mia.
In questo capitolo non vi posterò i link ai dipinti poiché entrambi ricompariranno nei prossimi capitoli con maggiore importanza. Ovviamente se volete andare a cercaveli fate pure!
Vi annuncio che ci saranno poi numerosi pairing, alcuni molto evidenti, altri sottintesi, altri un po' ambigui... diciamo che i pairing prevalenti (o meglio, i più evidenti) saranno GerIta e FrUk, ma troverete anche UsUk, PrUngary, AusHun, BelaRus (sì, avete capito bene... viene prima Bela u.u), PruBela (non so come si chiami questa coppia) e poi boh, se vorrete vedercelo, anche un accenno di Germancest... dipende molto da come gradite di più vedere questi pairing. In ogni caso sono molti, i personaggi interagiscono tra loro, per questo all'inizio non ho dato alcun avvertimento sui pairing... perchè c'è un po' di tutto.
Come sempre ringrazio Momoka per il fedele betaggio e i consigli preziosi e vi aspetto al prossimo capitolo!!

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Capitolo 2
*** II. Il Principe d'Orange ***


2-principe d'oraange Titolo: Ars Moriendi, Capitolo 2 - Il Principe d'Orange
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), America (Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania (Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski), Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 4,076 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: 1. Ho deciso di postarvi i link delle opere prima che leggiate il capitolo che le riguarda, in modo che vi possiate trovare nella stessa situazione dei personaggi che le hanno viste prima.
The death of the prince of Orange




II. Il Principe d’
Orange
 
Non si poteva dire che la cena fosse frugale: le portate furono sette e il cibo ottimo, tuttavia anche nelle pietanze Arthur poté identificare un certo risparmio ben celato. Durante il pasto furono completate tutte le presentazioni degli ospiti. Arthur fu soddisfatto per essere riuscito a identificare molti di loro già dal primo incontro all’atelier: dopotutto non aveva ancora perso il suo fiuto per le investigazioni. Tuttavia si era dovuto adattare alla lingua locale e, sebbene non fosse eccessivamente ferrato, riusciva a destreggiarsi bene.
I due tedeschi erano fratelli e si chiamavano Beilschmidt, erano soci in affari di herr Edelstein in un’attività che non era stata specificata da nessuno, anzi, sembrava quasi che l’argomento fosse particolarmente spinoso. L’inglese non aveva ben capito il ruolo dell’italiano in quella faccenda, ma aveva la sensazione che il giovane Vargas si trovasse lì in veste di “accompagnatore” del minore dei fratelli tedeschi. A fianco del padrone di casa, oltre alla moglie Elizabeta, c’era il signore corrucciato che Arthur aveva visto a Graz: il suo nome era Zwingli e, da quel che aveva lasciato trasparire, era un conoscente della coppia Edelstein.
Francis fu finalmente costretto a presentarsi in maniera completa e così Arthur scoprì anche il suo cognome.
“Monsieur Bonnefoy è il più noto prestigiatore francese conosciuto qui in Austria e, poiché questa pratica va molto di moda ultimamente, non abbiamo saputo resistere al fascino arcano” spiegò Elizabeta emozionata.
Per Alfred non ci fu bisogno di presentazioni: conoscevano tutti il figlio del vice presidente degli Stati Uniti.
E poi c’erano i due russi, gli organizzatori della mostra. Attorno a loro aleggiava un’aura spettrale, sul signor Braginski ma, soprattutto, sulla signorina Natalia. In ogni caso salutarono educatamente con un impercettibile cenno del capo e un sorriso che avrebbe potuto risvegliare i morti.
“Ed ora veniamo a lei, lord Kirkland” disse Elizabeta sollevando il bicchiere di vino.
“Sono onorato delle vostre alte considerazioni, ma io non sono lord.” Era stufo di doverlo ripetere a tutti coloro che incontrava e sperava che quella fosse l’ultima volta in cui il suo orgoglio dovesse venire sotterrato.
“Mi perdoni. Siccome non abbiamo ancora avuto il piacere di conoscerla, può dirci di cosa si occupa?”
Per qualche istante l’unico suono fu quello dei coltelli che tagliavano i filetti sanguinolenti.
“Al momento… mi occupo… di amministrare le società di mio zio.”
“Si sta formando, insomma” volle sapere la donna con interesse.
“Diciamo di sì.”
“Non la facevo così giovane!”
Arthur rinunciò a mangiare la carne. “Difatti.”
Finalmente l’argomento cadde, ma l’inglese non riuscì a tirare un sospiro di sollievo a causa di un nodo tra la gola e il cuore e per colpa delle continue occhiate compassionevoli che Alfred non si preoccupava di nascondergli. Non sapeva quando fosse stata l’ultima volta in cui era caduto così in basso. E poi perché lo fissava in quel modo? Cosa sapeva più degli altri? L’ultima cosa che voleva, in quella situazione già abbastanza imbarazzante, era che Alfred lo degradasse ancora di più rivelando particolari su di lui – e su di loro – che dovevano restare a tutti i costi privati.
Quando la cena fu terminata ci si spostò nel salotto, o meglio, in uno dei salotti, poiché Arthur era sicuro che ce ne fosse ben più d’uno. Gli invitati si distribuirono sui bassi divanetti in stile impero, dalla sottile struttura e la tappezzeria dorata, e su un paio di comode poltrone. Agli uomini fu offerto del tabacco da pipa e dei bicchieri di cognac ed ebbe inizio il noioso momento dello scambio di opinioni.
“Onorevoli ospiti” iniziò herr Roderich, “perché non riferite agli organizzatori le vostre opinioni in merito alla mostra?”
“Comincio io” annunciò Francis posando il suo bicchiere sul tavolino. “Ho trovato la scelta del tema molto interessante e appropriata per questi tempi, ma non pensavo che il fascino europeo per l’aldilà fosse tanto diffuso anche in Russia.”
Ivan Braginski parlò per la prima volta con quel suo sorriso inintelligibile. “Non credo che il vostro macabro interesse sia assimilabile al nostro, infatti.”
“E allora? Qual è stata la motivazione di questa scelta?” continuò Francis.
“Credo che l’origine sia molto più semplice: conosciamo i vostri interessi e li abbiamo sfruttati a scopo economico.”
“Immagino che anche questa sia una nobile motivazione” denotò Zwingli. Anche se l’attenzione di Arthur si concentrava sullo svizzero già da tempo, non era ancora riuscito ad interpretare il suo punto di vista. Sembrava la persona più scontenta di trovarsi lì, tuttavia in più di un’occasione era apparsa sul suo volto un’espressione di furbo compiacimento, non del tutto rassicurante. Anche questa volta, il suo tono sembrò rivelare l’esatto opposto di ciò che stava dicendo e Roderich espresse un’impercettibile approvazione.
La signorina Natalia, invece, appariva del tutto disinteressata alla conversazione, anche se Arthur aveva troppo esperienza per credere che non stesse seguendo con attenzione ogni parola. Avvolta in un elegante e stretto vestito viola di foggia europea, con i capelli chiari e raccolti che ricadevano morbidamente su una spalla, osservava con diligenza il cognac nel proprio bicchiere. Arthur immaginò con divertimento che sentisse la mancanza della vodka.
“Io ho apprezzato molto la drammaticità della Morte di Chatterton” disse il giovane Vargas con la sua voce discreta. Nei suoi occhi si leggeva una sincera passione. “Il modo in cui è stato dipinto, secondo me, ha del superbo.” Si voltò estasiato verso Arthur. “Signor Kirkland, ad essere sincero prima di oggi non conoscevo la triste storia di quel giovane poeta. Trovo che il suo paese vanti la più ampia collezione di storie drammatiche, è davvero affascinante.”
Arthur stava per replicare educatamente, ma il francese lo precedette. “Ed è proprio questo deprimente repertorio ad averli trasformati tutti in frigidi uomini d’affari.”
“Monsieur Bonnefoy!” lo riprese Vargas sconcertato, cercando di trattenere un’impudente risata.
“Non si preoccupi” lo rassicurò Arthur sorseggiando il cognac, “non è mai capitato che le deboli provocazioni di un saltimbanco mi abbiano recato offesa.”
“Suvvia, signori, smettiamola con questi battibecchi” pregò Elizabeta divertita. La moglie di Edelstein si era cambiata d’abito e ora sfoggiava un candido vestito di gusto austriaco tempestato di fiori di perle. Tra i capelli ne portava uno identico, ma più grande, che le accendeva lo sguardo.
“Signor Francis, ci organizzi una seduta spiritica per questa notte!” propose Alfred emozionato. Che idea infantile. Arthur si distrasse immergendosi nel cognac, ma sentì nuovamente su di sé il rovente e inquietante sguardo dell’albino, che gli sorrideva complice.
“Lo farei volentieri, ma non vorrei sottrarre preziose ore di sonno a qualche ospite bisognoso.” Ovviamente il francese occhieggiò in direzione di Arthur. L’inglese si sentiva stretto in mezzo ad una manica di idioti.
“Anche a me piacerebbe tanto!” Vargas si unì al coro di suppliche.
“Calmati un po’, Feliciano” gli intimò il tedesco biondo, Ludwig, mettendogli una mano sulla spalla e facendolo tornare a sedere.
“Già, smettiamola con questo entusiasmo infantile.” Gilbert l’albino parlò esattamente con la stessa espressione subdola che aveva dall’inizio della serata. “Io non credo nella magia, monsieur Bonnefoy.”
È libero di credere in quel che preferisce” replicò Francis senza scomporsi. “Ma le persone comuni attribuiscono alla magia un significato così ristretto… La magia è sovrannaturale, è illusione, inganno e abilità. La magia comprende troppi elementi per poter essere compresa da tutti.”
“Devo interpretarlo come un insulto?” Arthur pensò che sarebbe scoppiata presto una lite, ma Gilbert non sembrava arrabbiato, piuttosto era divertito e attratto da quel conflitto.
“Non sono solito insultare nessuno, bensì sottolineare la realtà dei fatti.”
“Se la magia è illusione, lei inganna la gente per far soldi, giusto?” Gilbert continuava a provocare e Arthur voleva proprio vedere quanto Francis riuscisse a reggere quel confronto.
“Io produco magia perché la gente la richiede. Secondo il suo ragionamento la gente desidera essere ingannata e chi sono io per negar loro questo piacere?”
Herr Edelstein si schiarì la voce e Zwingli rise sotto i baffi.
“Ironico che siate voi a ridere” disse Gilbert, cambiando espressione per la prima volta.
“Herr Beilschmidt, la prego…” iniziò Elizabeta, lasciando la frase a metà, e Arthur ebbe come l’impressione di essersi perso la parte fondamentale di una conversazione.
“Lascia stare, Elizabeta” le intimò Roderich, ma la moglie non si fece mettere i piedi in testa.
“Smettila tu! Non è carino insultare gli ospiti.”
“Non stiamo insultando nessuno, frau. Questo individuo ha tutte le capacità per uscire da qualunque scomoda situazione” disse Vash Zwingli in tono provocatorio. “Il problema, è che non lo fa.”
Feliciano appariva preoccupato mentre Ludwig sussurrava qualcosa all’orecchio del fratello.
“Finiscila con queste assurde provocazioni, Zwingli. Non sei né abbastanza subdolo né abbastanza intelligente per capire cosa sta succedendo.” Gilbert si era alzato in piedi e stava puntando dritto verso lo svizzero. Questi non si fece minacciare.
“Siamo tutti stufi della vostra codardia, non dovreste permettervi di essere così sfacciati.” Arthur notò che lo svizzero non si stava riferendo solo a Gilbert, ma anche a Ludwig, il quale però mantenne la calma molto più del fratello.
“Uno svizzero che parla a noi di codardia?!” L’albino diminuì ancora le distanze e Arthur comprese che le cose sarebbero finite male. “So bene perché sei qui, e il signor nobile non è certamente meno codardo di me” disse alzando la voce e puntando il dito verso Roderich. “Perché non rivelate a tutti la messinscena che avete organizzato?! Siete ridicoli, blutigen darlehen!
Klicken Sie stille, Gilbert!” intervenne Ludwig, trattenendo il fratello. Avevano iniziato a parlare velocemente e Arthur non conosceva sufficientemente il tedesco per capire tutto ciò che si dicevano.
Si alzò in piedi anche Roderich. “Calmiamoci tutti! In ogni caso voi Beilschmidt sapete bene cosa vi aspetta, dovete zurück Mein Geld.
“Herr Edelstein” disse Ludwig frapponendosi tra loro, “le abbiamo già assicurato…”
“Fatti da parte, Ludwig, sappiamo chi è il problema, qui” lo interruppe Zwingli additando Gilbert.
Gehen Sie zurück in die Schweiz, feigling.
Arthur non conosceva i modi per offendere in tedesco, ma il tono sprezzante utilizzato dall’albino era inequivocabile. Vash, che era ancora seduto sul divanetto, fece un movimento strano e improvviso: si girò di scatto e si piegò all’indietro, poi si alzò in piedi, proprio davanti ai tedeschi, reggendo in mano qualcosa. Elizabeta gridò, gli altri indietreggiarono, Feliciano, in un gesto di coraggio inaspettato, si parò davanti a Ludwig. Zwingli teneva tra le mani un fucile e lo puntava alla testa di Gilbert. Prima di vederlo coi proprio occhi, Arthur non pensava che un albino potesse impallidire.
“Ora avrà fine tutta questa faccenda.” Appena ebbe terminato la frase, Vash sparò. Nel salotto il rimbombo fu assordante, Arthur si portò le mani alla testa per placare il fischio e uno sprazzo di fuoco e scintille fuoriuscì dall’arma. Osservò impotente la scena che seguì, ma ne restò sorpreso. Non fu Gilbert a cadere, ma Zwingli, che toccò il pavimento prima ancora che l’eco dello sparo si fosse estinta.
Nessuno nella stanza poteva credere a ciò che era successo, qualcuno faticava ancora a capire cosa  fosse successo.
Dopo alcuni istanti di immobilità, Ivan si chinò sullo svizzero per accertarsi delle sue condizioni. Anche Arthur fece qualche passo avanti e vide che l’intero viso di Vash era stato investito dall’esplosione del fucile. Le scintille avevano innescato alcune deboli fiamme sulla giacca scura, che si stavano estinguendo in fretta.
Elizabeta corse da Gilbert, che non aveva ancora fatto un passo, per assicurarsi che non fosse ferito. Ludwig portò lontano Feliciano. Gli altri uomini e Natalia si avvicinarono finalmente al corpo.
È terribile!” disse Alfred ancora sconvolto.
“Che diamine è successo?” chiese Francis esprimendo i dubbi di tutti.
Il russo si rialzò. “È morto.”
Alfred fece per raccogliere il fucile, ma Arthur lo bloccò. “Non toccarlo! Non sappiamo cosa gli sia successo, potrebbe essere ancora pericoloso.”
Roderich si lasciò cadere di nuovo sul divano, si tolse gli occhiali e si coprì gli occhi con una mano.
“Non può essere stato un incidente.”
Tutti lo guardarono aspettando qualche delucidazione.
“Cosa intende insinuare?” chiese Ludwig, portandosi di fianco a Gilbert.
Elizabeta aveva gli occhi lucidi, ma si sforzò di mantenere un solido controllo. “Roderich, è presto per fare insinuazioni. Pensiamo a un luogo decoroso dove portare il povero signor Zwingli.”
“Prima di farlo dobbiamo prendere in seria considerazione le parole di herr Edelstein” insistette Arthur. “Perché è così sicuro che non sia stato un incidente?”
“Perché… lui si  occupava sempre con estrema cura di quel fucile, non avrebbe mai lasciato che si inceppasse o che si otturasse.”
“Intende dire che girava sempre con il fucile?”
“Sì, lo portava ovunque.”
“E lei era l’unico a saperlo?”
Roderich avvertì la leggera sfumatura accusatoria e alzò lo sguardo. “Chi è lei per porre tutte queste domande?”
Arthur fu colto alla sprovvista. Si era lasciato prendere dagli avvenimenti e non era riuscito a restare indifferente. Senza sapere perché, lanciò una fugace occhiata ad Alfred, il quale ricambiò, con quella solita, fastidiosa espressione di pietà a cui non riusciva a dare un senso.
“A Londra… sono un ispettore di Scotland Yard” rispose Arthur infine, per niente sicuro di aver fatto la cosa giusta.
“Aveva detto di occuparsi dell’azienda di suo zio.” L’inglese sentì per la prima volta la voce profonda di Natalia.
“Solitamente preferisco non parlare del mio lavoro” rispose Arthur in tutta fretta, cercando di liquidare ogni altra domanda. “Se volete sentirvi sicuri, fidatevi del mio metodo e collaborate a far luce sulla vicenda.”
Wie bist du?” Ludwig si era avvicinato al fratello, preoccupato. Gilbert non staccava gli occhi dal corpo dello svizzero.
“Io… vado un attimo a rinfrescarmi.” Si allontanò lentamente verso le scale di marmo.
“Torniamo a noi” proseguì Arthur. Non che si sentisse eccitato all’idea di avere un caso per le mani, ma quel lungo periodo di inattività lo aveva lasciato abbattuto e irascibile. In verità, quella era l’occasione perfetta per verificare se fosse ancora in grado di fare il suo lavoro, dato che esso ormai era diventata l’unica occupazione e l’unico scopo della sua vita. “Chi sapeva che Vash Zwingli si portava sempre appresso un fucile?”
Roderich sembrò rispondere di malavoglia. “Io, mia moglie e i fratelli Beilschmidt.”
In quel momento Feliciano si fece timidamente avanti. “Lo sapevo anch’io. Ludwig me ne aveva parlato.”
“Ci sono comunque molte cose da chiarire: se il fucile è stato manomesso, quando è successo? Dove e perché? E soprattutto, il momento della morte è stato programmato o si è trattato di una casualità?”
“Zwingli avrebbe potuto usare quel fucile in qualunque momento” disse Francis.
“Già” concordò Elizabeta, “era un tipo alquanto… suscettibile.”
“Faceva ricorso spesso a quell’arma?” volle sapere Arthur.
“Non l’avevo mai visto usarla per davvero, ma senz’altro l’aveva impugnata in diverse occasioni, quando si sentiva minacciato, offeso, arrabbiato.”
“Insomma, era uno dal grilletto facile” sintetizzò Francis, ma Elizabeta lo difese.
“Ripeto che non l’avevo mai visto sparare.”
“Forse perché eri tu e ha pensato di risparmiare questo spettacolo a una donna.” La voce di Roderich aveva un che di funereo.
“Vuoi dire che l’hai visto uccidere qualcuno?!” Più che inorridita, Elizabeta sembrava offesa dal fatto che il marito non gliene avesse mai parlato.
Herr Edelstein indugiò qualche istante prima di rispondere. “Hai presente l’uomo che è stato dissanguato? La notizia girava un paio di giorni fa sui giornali di Graz.”
“L’avrebbe ucciso Zwingli?”
“No, un momento!” li interruppe Alfred. Arthur si stupì che fosse in grado di individuare le discrepanze di quel discorso. “Ha dissanguato un uomo nonostante fosse un fanatico dei fucili?”
“Voi non conoscete tutta la storia” precisò Roderich. “Quell’uomo è stato ucciso da Vash Zwingli durante un regolare duello eseguito con i fucili. È stato il successivo dissanguamento a suscitare scalpore. Il corpo di quell’uomo è stato deturpato da uno sconosciuto che si è introdotto all’obitorio e lo ha privato del sangue.”
“Com’è possibile dissanguare un cadavere?” chiese Natalia precedendo Arthur.
“Deve avere usato qualche sistema, una pompa per esempio, ma se ne sta occupando la polizia, non è qualcosa che ci riguarda” concluse Roderich.
Durante gli istanti di silenzio che seguirono, gli sguardi di tutti andarono ad Arthur.
“Beh, la seconda cosa da fare, dopo aver analizzato la scena del crimine, è indagare sulla vita della vittima. Perciò propongo di guardare nella sua stanza.”
“Prima portiamolo in un luogo sicuro, per favore” chiese Elizabeta, che evidentemente non voleva più essere costretta a stare a contatto con un corpo senza vita.
“In cantina andrà bene” propose il padrone.
“Sarebbe il caso che il cadavere venisse conservato. La cantina è un luogo umido” spiegò Arthur.
“Ci sono ancora molte casse vuote che contenevano le provviste per questa sera. Possiamo metterlo lì. Elizabeta, sarebbe d’aiuto se preparassi un po’ di tè per gli ospiti.”
Lo trasportarono al piano interrato con un telo. Nella cantina c’erano diverse grandi casse in buono stato con ancora il coperchio. Il corpo fu messo dentro a una di queste, avvolto nel lenzuolo, e il coperchio fu chiuso.
Si recarono poi alla stanza dello svizzero, dove i bagagli non erano ancora stati disfati, ma in ogni caso non c’era molto: una piccola valigia, due cappotti posati sul letto e una valigetta. Arthur e Roderich si concentrarono su quest’ultima, Francis e Alfred sul bagaglio più grande, i due russi controllarono la stanza senza troppo entusiasmo.
“Cosa stiamo cercando, esattamente?” domandò Francis mentre estraeva alcuni vestiti.
“Lo scopriremo quando lo troveremo.”
All’interno della valigetta si trovavano solo alcune carte, documenti bollati e foglietti. Arthur non ci mise molto a dar loro un’unica destinazione. “Questi sono i documenti di un notaio.”
Roderich rispose senza distogliere lo sguardo dalla valigetta, come se le sue parole non avessero molta importanza. “Difatti, era il mio notaio.”
Ad Arthur non piaceva per niente che particolari di quel tipo gli venissero nascosti, ma aveva compreso da tempo che tra quegli invitati c’erano fin troppi segreti.
Continuarono a rovistare tra quelle cartacce finché Roderich non estrasse qualcosa che lo attirò particolarmente. Lesse con attenzione crescente e a mano a mano che proseguiva il colorito abbandonava il suo volto. Strinse il foglio tra le dita. Arthur avrebbe voluto toglierlo dalle mani per evitare che lo rovinasse, ma l’austriaco si alzò in piedi, irrigidito.
“Dov’è mia moglie?”
“A preparare il tè, suppongo.”
Uscì a grandi passi e gli altri rimasero a osservare lo stipite oltre il quale era sparito senza sapere cosa fare. Furono gli strepiti che seguirono poco dopo a convincerli a raggiungere la cucina.
“Con tutti quelli che ti fanno la corte, proprio con lui?!” Roderich era furibondo. Arthur non avrebbe mai immaginato che una persona scrupolosa come lui potesse lasciarsi andare a certi sfoghi.
Quando raggiunsero la cucina, assieme a Roderich e ad Elizabeta c’era anche Gilbert, il quale non si vedeva ormai da tempo. I due si trovavano fin troppo vicini per non suscitare sospetti. Roderich sventolava in aria il foglio che aveva trovato da Zwingli.
“Da quanto tempo?! Da quando stavi complottando con Zwingli per l’annullamento del matrimonio? Prima?” L’austriaco gridava alla moglie senza remore. Gilbert intervenne per difenderla.
“Non se la prenda con una donna, Edelstein!”
Roderich gli lanciò il pezzo di carta in faccia. “Tu sei un infame! Non ti sei fatto scrupoli! Non eri soddisfatto di avermi derubato, hai anche voluto portarmi via la moglie!”
Attirati dalle grida, raggiunsero la cucina anche Ludwig e Feliciano.
Elizabeta si avvicinò al marito prima che questi potesse passare dalle parole hai fatti. “Roderich, smettila, non è stata colpa di nessuno…” Ma lui la spinse via.
“Taci! Tu sei una sgualdrina, ma ora mi è tutto chiaro.” Puntò il dito verso Gilbert. “Lui ha ucciso Zwingli! Tu sapevi che aveva il fucile, sapevi che avrebbe reagito alle tue provocazioni e così hai sabotato la sua arma!”
Ludwig afferrò il fratello per una spalla e sfidò apertamente l’austriaco. “Prima di muovere accuse di questo calibro, dovrebbe pensarci due volte.”
“Ci ho pensato, eccome! Ma sicuramente lui ci ha pensato molto più di me! E poi cosa ci sarebbe di strano?      È da un anno che vi rifiutate di risarcirmi, e così avete pensato bene di prendere tempo eliminando il notaio.”
Gilbert si portò nuovamente davanti a Ludwig. “Che diavolo stai dicendo! Chi pensi che sia così stupido da piazzarsi davanti a un fucile in mano a Zwingli?!”
Non aveva tutti i torti.
“Non cercare scuse inutili! So che ne saresti capace e ne avevi tutti i motivi. Ora vorrei solo sapere se tutto questo l’hai progettato prima o dopo di adescare mia moglie! Sei tu che l’hai convinta a firmare per l’annullamento, vero?”
È proprio perché non l’ho mai costretta a fare niente che Elizabeta ha scelto me.”
“Smettetela di attaccarvi come bambini, parliamo civilmente!” intimò la donna a entrambi, ma anche la sua forza d’animo non riuscì a smuovere i contendenti.
I due gentiluomini avrebbero iniziato a picchiarsi se in mezzo a loro, all’improvviso, non si fosse propagata un densa cortina di fumo bianco. I presenti iniziarono a tossire.
“Che sta accadendo adesso?”
“Bene bene, è ora che ci calmiamo tutti.” Francis avanzò in mezzo al fumo e si diresse verso i litiganti senza risentirne degli effetti. Ovviamente era stato lui a provocare quel diversivo. “Ora facciamo come dice la signora e ricominciamo da capo.”
“Li ho sorpresi in atteggiamenti compromettenti” iniziò Roderich senza attendere l’invito a parlare. “Si baciavano in cucina. Nella mia cucina!”
“Intende, che li ha sorpresi adesso?”
“Proprio così.”
“E cos’è che l’ha spinta a precipitarsi così di corsa in cucina?” Francis stava gestendo la conversazione in maniera esemplare. Arthur non dovette intervenire.
“Quello.” Roderich indicò il foglio per terra e Francis lo raccolse. “Sono procedure per l’annullamento del matrimonio. Lei stava complottando con Zwingli alle mie spalle!”
Tutti guardarono Elizabeta, la quale sostenne tutte le accuse. “È vero. Ma tutto questo non ha niente a che vedere con la morte di Zwingli o con il risarcimento.”
“Che risarcimento?” domandò Francis, stavolta rivolgendosi a Gilbert.
“Io… e mio fratello avevamo stretto un accordo con Edelstein per l’avvio della nostra azienda. Lui ci ha anticipato del denaro, ma l’attività non è stata redditizia come pensavamo. Ora lui pretende la restituzione dell’anticipo, ma quei soldi non ci sono ancora.”
Arthur si rivolse a Ludwig, il quale sembrava l’interessato col maggior autocontrollo. “È come ha detto?”
È vero. Abbiamo firmato un contratto, quindi siamo in dovere di risarcirlo, ma al momento è impossibile. Herr Edelstein ci ha recentemente fatto pressione tramite il notaio Zwingli.”
È un mio diritto pretendere la restituzione del mio denaro!” si difese Roderich.
“Come mai lei ha accusato solo Gilbert?” chiese Francis, ignorando le lamentele.
“Perché in questi anni ho avuto modo di conoscerlo fin troppo bene. Ludwig è in enorme debito, ma solo Gilbert è stato così sfacciato da respingere le mie sollecitazioni e rifiutarsi apertamente di pagare. Inoltre avete visto come ha provocato Vash! Il suo è un carattere incontrollabile e irrispettoso, ed è il solo che avrebbe potuto costringere Zwingli a sparare.”
Vista la suscettibilità del notaio, Arthur non ne era del tutto convinto, tuttavia il movente non faceva una piega.
“Signor Beilschmidt” disse Arthur portandosi di fronte a Gilbert. “Al momento lei è uno dei principali sospettati.”
È uno scherzo?!”
“Cercheremo di fare ulteriore chiarezza sulla vicenda, ma per il momento è meglio che lei rimanga sotto chiave.”
Gilbert rivolse ad ognuno occhiate allibite, ma nessuno si fece avanti in sua difesa. “Mi volete rinchiudere solo per le accuse di questo individuo?!”
È meglio per tutti!” insistette Arthur.
L’albino lanciò un’ultima occhiata speranzosa verso il fratello, il quale però accolse la proposta. “Fai come ti dicono. Appena avremo dimostrato che non c’entri ti lasceranno andare.”
“Rimarrà nella sua stanza e avrà ogni comfort, ma la chiave la terremo noi.”
Gilbert accettò finalmente il trattamento e smise di protestare.
“Ci penso io.” A sorpresa di tutti fu Natalia a farsi avanti per accompagnare Gilbert nella sua prigione provvisoria.
Alfred sembrava dubbioso. “Signorina, è sicura di voler…” Venne interrotto da Ivan, che gli afferrò saldamente il braccio. Il suo sguardo implorava di non proseguire quella frase. “Uhm… bene, suppongo.”
Roderich estrasse un mazzo di chiavi dall’interno della giacca e porse quella giusta a Natalia. Mentre se ne andavano, Arthur ebbe la sgradevole sensazione che ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato nella loro decisione, ma l’ingresso di Feliciano lo distrasse dai suoi dubbi.
“Scusate, ma è da un po’ che rifletto su una cosa, e credo sia opportuno riferirvela.” Fu il silenzio a invitarlo a proseguire. “Io credo… anzi sono convinto che l’omicidio del signor Zwingli sia lo stesso rappresentato nel quadro della mostra.”
“Che quadro intendi?” domandò Ludwig.
“Non avete notato la somiglianza? Quella è La morte del Principe d’Orange.




Continua



Finalmente abbiamo un cadavere e da adesso ha inizio una serie di interviste che chiamerò: "Quattro chiacchiere col morto". Godetevele!

Y: Il signor Zwingli è il primo ospite della nostra rassegna di interviste dall’oltretomba. Benvenuto!
V: Buongiorno.
Y: In realtà non ho molte domande da porle. Lei sa che è stato inserito in questa storia solo perché serviva qualcuno da far morire in modo insulso e di cui nessuno sentisse la mancanza?
V: Ne sono consapevole e non mi sembra molto carino farmelo ricordare da una persona come lei. E lei sa che non arriverà a pronunciare la prossima domanda? *carica fucile*
Y: Ne ho soltanto una, a dire il vero: potrebbe levarsi di torno? La sua presenza mi infastidisce.
V: Cosa dovrei dire io? Poteva lasciarmi tranquillo a casa invece che scomodarmi fin qui! Non tutti siamo dei nullafacenti come lei. Io ho delle cose da fare, al contrario suo.
Y: E allora, di cosa si lamenta? Può togliere il disturbo in fretta, il suo compito è concluso.
V: Ringrazi il cielo che non la uccido solo perché il mio fucile è fuori uso, per colpa sua. Me ne vado volentieri. Che maleducazione… arrivederci!
Y: Buona festa della donna, signor Zwingli!

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Capitolo 3
*** III. Chatterton ***


3-Chatterton Titolo: Ars Moriendi, Capitolo 3 - Chatterton
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), America (Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania (Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski), Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole:  4,266 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: The death of Chatterton



III. Chatterton

 
“Perché non chiamiamo la polizia?”
“Non è facile avventurarsi su per queste strade, specialmente di notte è molto pericoloso. Per di più, forse non lo avete notato, ma ha appena smesso di piovere. I sentieri sono fangosi, una carrozza non può percorrerli. È molto meglio attendere fino a domattina.”
Roderich aveva ragione quando sosteneva che chiamare la polizia fosse assolutamente inutile: nessuno si sarebbe mosso prima dell’alba, e in ogni caso nessuno si sarebbe affrettato per una morte che appariva come un semplice incidente.
Gli ospiti erano raccolti tutti in salotto, in ansia, ad ascoltare il ticchettio dell’orologio a pendolo che segnava mezzanotte passata. Alcuni di loro chiacchieravano sottovoce, Ludwig e Feliciano sembravano coinvolti in un’accesa conversazione che però conducevano in maniera molto discreta.
Arthur non riusciva a togliersi dalla testa le parole dell’italiano riguardo alla morte di Zwingli. Aveva fatto una notevole fatica a ricordare i dettagli del dipinto da lui nominato, ma ora che ce l’aveva ben presente nella sua mente, cercava di individuare tutti quei particolari che avevano portato Feliciano a fare quell’affermazione azzardata. Sembrava prematuro pensare che si fosse trattato di un omicidio, figurarsi ipotizzare che esso fosse stato programmato nei minimi dettagli per poter rassomigliare a un dipinto visto il pomeriggio prima. Poteva trattarsi semplicemente di una coincidenza.
Arthur aveva accolto le richieste di Roderich per far rinchiudere il tedesco, in questo modo si sarebbero tutti calmati, ma non aveva comunque nessuna prova materiale che Gilbert fosse il colpevole.
In ogni modo, anche se i timori di Feliciano si fossero rivelati fondati, come poteva l’albino aver organizzato quell’omicidio basandosi su un dipinto appena visto? Se davvero si era trattato di un caso di macabra imitazione, allora le persone più imputabili erano i russi, che conoscevano in anticipo i quadri esposti, e probabilmente anche Roderich.
Un’altra ipotesi plausibile era che il colpevole non fosse nessuno di loro. Da quel che aveva potuto capire, il notaio aveva un carattere non facile e aveva sicuramente molti nemici che avrebbero potuto sabotare le sua arma in attesa che la usasse. Poteva essere stato chiunque, anche un conoscente dell’uomo dissanguato che voleva vendicarsi per l’esito del duello. Non c’erano abbastanza elementi per poter trarre una conclusione ragionevole, tuttavia l’immagine della Morte del Principe d’Orange non ne voleva saperne di dargli tregua.
“Dove sta andando, Kirkland?” domandò Francis quando lo vide alzarsi dalla poltrona.
“Vado a farmi un giro per schiarirmi le idee” rispose Arthur allontanandosi dal salotto. Gli sguardi preoccupati dei presenti e le loro mille ipotesi sussurrate lo distraevano.
Raggiunse il grande atrio e salì le scale di marmo. Sulle pareti i dipinti di nobili baffuti gli indicavano la strada da percorrere lungo il corridoio. Girando a sinistra entrò nell’area riservata agli ospiti, lungo il corridoio tappezzato di rosso mogano. I candelabri alle pareti erano accesi, ma non tutti. In quella casa non era ancora stata installata l’elettricità.
Continuò a camminare nella penombra, nella speranza che il silenzio lo aiutasse a mettere ordine nei suoi pensieri. Ma non fu fortunato: dei rumori alle sue spalle lo fecero fermare. Il fondo del corridoio risultava buio, non riuscì a identificare di chi fossero i passi che si avvicinavano in fretta. Avvertendo una leggera agitazione crescere in lui, Arthur scrutò il buio davanti a sé, ma a causa della scarsa illuminazione la fine del corridoio non era visibile. Studiò le porte ai due lati delle pareti: lì vicino c’era la sua stanza, ma non era sicuro di riuscire a ricordare esattamente quale fosse. Intanto i passi erano vicinissimi. Non aveva modo di fuggire, ma comunque si ripeté che non aveva motivo di preoccuparsi. L’unica soluzione era quella di fronteggiare chiunque fosse emerso dalla tenebre, perciò rimase fermo ad aspettare, sentendo suo malgrado i battiti del cuore che acceleravano.
“Sei lì Arthur?”
L’inglese si abbandonò ad un sospiro di sollievo. “Per la miseria, Alfred, mi hai fatto prendere un colpo.”
L’americano si palesò sotto la luce dorata. “Ti ho spaventato?” domandò senza nascondere un certo orgoglio.
“Non fare l’idiota, certo che mi hai spaventato! Ti sembra il caso di pedinarmi in un corridoio buio?”
“E dire che sono sempre stato io quello fifone.”
Arthur non aveva alcuna voglia di ricordare i loro momenti passati. “Cosa vuoi?”
“Sono preoccupato.”
“Non ce n’è motivo. Non credo alla storia dell’omicidio e comunque il tedesco è rinchiuso” rispose Arthur burbero, infilando le mani in tasca.
“Non mi riferivo a quello.” Quando Alfred si avvicinò ulteriormente, l’inglese notò che era senza giacca e il gilet era sbottonato, mettendo in mostra solo la sottile camicia bianca. Arthur si spaventò quando sentì il suo battito accelerare di nuovo.
“Qualunque cosa tu abbia da dirmi non mi interessa!” sbottò all’improvviso senza pensare a controllare il volume della voce. Alfred fece un passo indietro come se si trovasse di fronte ad un animale inferocito.
“Senti… ma perché non ne parliamo? Sai, non riesco proprio a capire cosa sia successo per farti arrabbiare così.”
Arthur non poteva credere alle sue orecchie, non voleva crederci! Non poteva in alcun modo pensare che quello stupido non avesse la benché minima idea di ciò che gli aveva fatto.
Alfred notò la sua furia crescente e si affrettò a giustificarsi. “Lo so che ti arrabbi quando non capisco le cose, ma è importante che mi spieghi cosa ti è successo.”
La mano si mosse senza preavviso. Nel corridoio risuonò l’eco di uno schiaffo e tutta la metà superiore del corpo di Alfred ruotò per assorbire l’impatto di quel colpo terribile. Dopo soli pochi istanti, Arthur sentì le proprie dita bruciare, mentre l’americano si voltava con occhi sconvolti e sorpresi, tenendosi una mano sulla guancia  infiammata.
“Vorresti forse farmi credere che non ti sei accorto di avermi abbandonato? Di essertene tornato in America senza dirmi nulla, dopo tutto quello che era successo?! Cos’hai pensato quella mattina? Pensavi di andare a fare colazione e poi, all’improvviso, hai deciso di salire su una nave? Sei davvero così stupido da pensare che io ci creda?!”
Si sentì improvvisamente bene ad avergli gridato contro tutte le parole su cui rimuginava da quasi un anno, però sentiva che non era ancora abbastanza.
Alfred non aveva ancora cambiato espressione. “Ma Arthur, cosa ti aspettavi? Non ero venuto in Inghilterra per restarci, lo avevamo chiarito sin dall’inizio. Sono venuto lì solo perché mio padre doveva venirci per affari e io volevo farmi una vacanza.”
“Quindi è questo che sono stato, per te? Una vacanza?”
Più particolari venivano svelati e più Arthur si infuriava. Aveva sempre pensato che quella discussione sarebbe stata da evitare. Per un anno aveva riflettuto su ciò che gli avrebbe voluto dire, ma era anche vero che durante tutto quel tempo non gli aveva mai scritto. Non voleva che si realizzasse ciò che temeva, ovvero venire a sapere di essere stato solo un passatempo, un’avventura tra tante.
“Non immaginavo che avrebbe potuto farti così male” tentò di scusarsi Alfred. “Credevo che il fatto di aver chiarito la temporaneità del nostro rapporto non avrebbe causato tutta questa sofferenza al momento del distacco.”
Perché non ce la faceva? Perché aveva una mentalità così infantile e limitata? Fargli notare tutte le sue stupidaggini non sarebbe servito. Arthur ingoiò tutti gli insulti e le spiegazioni, sentendo una devastante tristezza avanzare.
Alfred, approfittando della sua guardia bassa, gli si avvicinò, fino a sfiorarlo col proprio corpo. “Io… ecco, ero convinto che non ti importasse più di me. Credevo che il modo migliore per evitare inutili sofferenze fosse quello di andarmene e basta. Però…”
Arthur si ostinava a non rispondere. Non c’era alcun modo per fargli capire cosa aveva causato, non esisteva una soluzione, ora ne era sicuro. Tutto ciò che poteva fare per conservare una minima parte del suo orgoglio era trattenere le lacrime.
“Mi dispiace, Arthur. Pensavo fosse la cosa giusta per entrambi. Pensavo di comportarmi da adulto, facendoti tornare alla tua vita.”
Alfred osò ulteriormente, prendendogli il viso tra le mani e tentando di baciarlo. Arthur realizzò che non poteva permettersi di cadere così in basso un attimo prima di sentire le sue labbra sfiorarlo, e fu un bene, perché altrimenti non sarebbe stato capace di respingerlo.
“Non puoi… giocare con me” lo avvertì dopo averlo spinto lontano da sé.
Lesse una grande tristezza negli occhi azzurri di Alfred, probabilmente la stessa che l’inglese aveva mostrato poco prima. Forse adesso avrebbe compreso ciò che era stato in grado di provocare, forse avrebbe capito quanto sconvolgimento può portare lo sbriciolamento di un sogno. O forse no. Arthur aveva ormai inteso che per Alfred la libertà contava più dell’amore.
L’americano tentò comunque un ultimo approccio. “Tuo padre mi ha scritto. Mi ha detto che…”
Arthur si era sbagliato: non era tristezza, quella racchiusa nel suo sguardo. Era compassione, la stessa che gli rivolgeva dal momento in cui si erano rivisti. Non poteva permettersi di toccare il fondo più di così.
“Insomma, è vero che…”
“Stai zitto!” gridò Arthur per coprire le sue parole. Ne aveva abbastanza, i giochi erano conclusi. Improvvisamente si ricordò qual era la porta della sua stanza.
“Parliamone, Arthur! Non dovresti abbandonare tutto quello per cui hai faticato!” Alfred lo seguì fin sulla soglia, ma l’inglese gli chiuse la porta in faccia.
“Non dire più una sola parola! Non hai il diritto di compatirmi, è stata solo colpa tua!”
“Hai frainteso le mie intenzioni.” La voce di Alfred lo raggiungeva perfettamente anche attraverso la porta.
“Può darsi, ma ora mi è tutto chiaro. Vattene.”
“Non voglio che tu ti rovini così…”
“Va’ via!”
Ci volle ancora un minuto buono, ma alla fine sentì i passi di Alfred che si allontanavano lentamente lungo il corridoio.
Arthur rimase immobile a fissare il pavimento lucido, avvertendo un grande malessere. Non voleva la compassione di nessuno, né i consigli né i rimproveri, specialmente di Alfred.
Sulla parete alla sua sinistra, appoggiato al muro con il poggiatesta, stava il letto, grande e scuro, in tinta con la stanza buia. L’unico chiarore derivava dai raggi della luna che penetravano dalla grande finestra con le tende ancora aperte. Alcuni mobili, un armadio e una cassapanca, ornavano le altre pareti e da dietro la porta iniziava una lunga cassettiera che terminava contro il camino. Proprio lì sopra Arthur individuò una bottiglia di vetro accanto a un basso bicchiere. Stappò la bottiglia e avvicinò il naso all’apertura: era brandy. L’inglese non rifiutava mai un goccetto offerto da qualcuno, specialmente in momenti deprimenti come quello, così se ne versò un bicchiere abbondante e andò a sedersi sul letto.
Cercò di convincersi di non aver fatto una pessima figura di fronte ad Alfred e agli altri invitati che sicuramente avevano sentito le sue grida isteriche attraverso le stanze. Cercò di convincersi di aver fatto la cosa giusta, respingendo l’americano. Se ne sarebbe dovuto liberare, prima o poi, e quello era stato il momento propizio.
Mentre sentiva il brandy bruciargli la gola e scaldargli il petto, pensò alla maniera spudorata con cui Alfred aveva tentato a tutti i costi di attirare la sua attenzione durante quel giorno, quando il vice presidente degli Stati Uniti era venuto in visita a Scotland Yard. Era stato lui a insistere fino allo sfinimento per andare a bere qualcosa insieme, perché gli mostrasse la città e i luoghi dove ci si potesse divertire. Arthur l’aveva giudicato un ragazzino viziato e non aveva mai cambiato idea sul suo conto. Tuttavia non poteva nemmeno negare di essersi divertito, quella sera. Le idiozie dell’americano lo avevano infastidito, ma poi lo avevano anche fatto ridere. Anche l’alcool aveva avuto la sua parte, quella sera, ma comunque era stato in quel momento che tutto era iniziato.
E con l’alcool era anche tutto finito. Bevve altri due generosi sorsi e sentì la testa diventare più leggera. Era stata una bottiglia di rhum a offrirgli un illusorio conforto la mattina in cui si era svegliato e aveva capito che Alfred se n’era andato. Nessun preavviso, nessun biglietto, assolutamente nulla. In quella casa era rimasta solo la certezza di essere stato un effimero passatempo.
L’ebbrezza aveva aiutato, all’inizio, poi era divenuto uno spiacevole inconveniente che tentava di dimenticare ma in cui poi ricadeva sempre. La sensazione di nausea che iniziava ad avvertire era qualcosa con cui conviveva ormai da mesi. La ignorò e svuotò il bicchiere. Si sarebbe volentieri alzato a versarsene un altro, ma sentiva già le gambe troppo deboli per fare qualsiasi movimento. Si meravigliò della velocità con cui il brandy aveva fatto effetto, ma era da alcuni giorni che non toccava alcun tipo di alcool e il suo organismo non era più abituato a quelle tossine. Aveva tentato di separarsi una volta per tutte dalla bottiglia, ma aveva fallito per l’ennesima volta.
Adesso avrebbe aspettato qualche minuto, finché il suo corpo non avesse iniziato a rispondere di nuovo, poi si sarebbe versato dell’altro brandy.
Sentì la maniglia della porta abbassarsi e vide un debole spiraglio di luce penetrare nella stanza. Se era Alfred, era fortunato che fosse così debole, altrimenti si sarebbe ritrovato un bicchiere in faccia. Era incredibile quanto fosse ostinato.
La porta si aprì e, in controluce, Arthur distinse appena una figura che non si sarebbe aspettato.
Salut, mon amie.
L’inglese non aveva né la voglia né la forza di stare ai giochetti di Francis, ma aveva la mascella troppo appesantita per respingerlo verbalmente e si stupì di nuovo della rapidità con cui l’alcool lo aveva steso. Probabilmente era un brandy molto forte.
Il francese lanciò un’occhiata alla bottiglia mezza vuota sul camino e poi al bicchiere ancora in mano ad Arthur e sorrise maliziosamente. “Oh, ha già fatto effetto?”
Arthur sentiva la testa girare, ma era ancora abbastanza lucido da non lasciarsi convincere dal comportamento dell’intruso. Che ci faceva nella sua camera? Era stato mandato da Alfred? E poi, cos’era stata quell’occhiata alla bottiglia?
Francis chiuse la porta con la propria schiena e girò la chiave nella serratura.
Arthur avvertì una stanchezza incipiente prendere possesso delle sue membra e del suo cervello, ma era diversa dalla sonnolenza data dall’alcool: era come se qualcuno gli avesse tirato una botta in teste e lui cercasse in tutti i modi di restare cosciente. In bocca sentì un sapore amaro che prima non aveva notato.
Francis iniziò ad avanzare con tutta calma verso il letto. “Dal primo momento in cui ti ho visto ho pensato che tu fossi un tipo da rhum, ma ero sicuro che ti saresti accontentato anche del brandy.”
Arthur si accorse di non riuscire nemmeno a indietreggiare di qualche centimetro.
Le vin sait revêtir le plus sordide bouge d’un luxe miraculeux.
L’inglese riconobbe le parole che Francis gli aveva rivolto quando si erano incontrati per la prima volta, ma non capiva che senso avesse ripetergliele in quel momento. Il francese si avvicinò sempre più, gli appoggiò una mano sul petto. Bastò una lieve pressione per far cadere Arthur sul materasso, in lui non era rimasto un solo briciolo di forza.
“Non hai trovato interessante che Feliciano abbia notato la somiglianza dell’omicidio con il quadro di Von Chlebowski? Quel ragazzino è intelligente, e sicuramente ne sa di arte molto più di te.”
La vista annebbiata permise ad Arthur di focalizzare meglio alcuni momenti del giorno prima: la strana conversazione avuta con Francis a proposito della morte immortalata. Nel frattempo il francese era salito sul materasso e si era portato sopra ad Arthur.
Tout cela ne vaut pas le poison qui découle de tes yeux, de tes yeux verts.
Nella mano di Francis comparve improvvisamente un piccolo coltello. La lama si avvicinò con lentezza estenuante al viso di Arthur che non poteva distogliere lo sguardo dal compiaciuto Francis. Il coltello gli accarezzò i lineamenti, si soffermò a lungo sul collo, poi sull’orecchio, infine salì verso i capelli.
Le poison… Il veleno nel brandy stava per concludere il suo effetto, Arthur si sentiva sprofondare verso l’oblio, ma era come se Francis cercasse di prolungare quell’istante di esasperazione all’infinito. Il coltello tirò i capelli di Arthur e il francese si mise in tasca la piccola ciocca tagliata.
“Perdonami. Mi piace conservare un pezzetto delle mie prede, per ricordarmi di loro.”
La tranquillità e la sicurezza che ostentava avevano un che di inquietante e diabolico.
Arthur avrebbe dovuto chiedere aiuto, provò con tutte le sue forze a parlare ma fu in grado di produrre solo dei brevi suoni strozzati che chiunque avrebbe ignorato.
Lacs où mon âme tremble et se voit à l’enverse…
Quando la bocca di Francis si chiuse sul suo collo e poi sulla mascella, per poi salire a torturargli le labbra Arthur capì che non poteva esserci epilogo migliore per quella giornata. Era stato uno stupido, avrebbe dovuto prendere in considerazione più seriamente l’ipotesi dell’omicidio. E ora lui sarebbe stato la prossima vittima, ucciso così facilmente e in modo così vergognoso.
Tout cela ne vaut pas le terrible prodige de ta salive qui mord.
Non riuscì a reagire in alcun modo, poté solo restare immobile e subire, sentendo l’oscurità avvolgerlo e assistendo al suo assassino che si divertiva a giocare con i suoi ultimi momenti di vita.
Qui plonge dans l’oubli mon âme sans remord, et, charriant le vertige, la roule défaillante aux rives de la mort!
Per lo meno non fu doloroso. Non si accorse nemmeno di aver smesso di respirare.
Non vedeva più nulla, le percezioni gli venivano trasmesse da un altro dei cinque sensi che non aveva identificato. Sapeva che Francis lo stava baciando, sapeva anche che gli aveva messo le mani dietro la testa. Sentì il bicchiere cadergli di mano e rotolare sul pavimento, senza rompersi, accompagnato da un lembo della coperta.
Gli assalti di Francis alle sue labbra si interruppero di colpo. “Arthur? Ma respiri?”
Ovviamente lui non gli poteva rispondere, però si domandò cosa ci trovasse di strano. D’altronde il suo piano era riuscito. O forse no, forse si aspettava che andasse in modo diverso?
Francis corse via lanciando un’imprecazione. Probabilmente era andato storto qualcosa. Ad Arthur non importava granché, ma almeno sarebbe morto solo e in pace e non con un francese attaccato addosso.
Seguirono altri rumori, passi affrettati, persone che parlavano, venivano poste un sacco di domande ma non si udiva nessuna risposta. Si sentì sollevare e poi del liquido gli bagnò la bocca, il mento, il ­collo…
“Non funziona.”
“Lo costringa a bere!”
“È tardi.”
Delle labbra familiari gli sigillarono la bocca e il liquido gli invase il petto col suo bruciore.
“Mio Dio… questa è La morte di Chatterton!”
 
Un fastidioso brusio e una luce intensa lo strapparono dal precipizio oscuro in cui era caduto.
“Guardate!”
“Grazie a Dio.”
Una fitta improvvisa gli attraversò la testa: sentiva di essere stato colpito da un mattone. Attorno a lui c’erano molte persone e ciò non contribuì a farlo sentire a proprio agio.
“Arthur!” Delle braccia lo strinsero con troppa foga e l’inglese si sentì schiacciare. “Meno male, non potevi morire senza che avessimo fatto pace, non me lo sarei mai perdonato.”
“…staccati.”
Alfred obbedì subito, aveva gli occhi lucidi e gli occhiali storti.
“Lei è l’uomo più fortunato che conosca” disse Ludwig, ai piedi del letto.
Arthur aveva in bocca un disgustoso sapore di alcool mischiato a qualcosa di amaro.
“Se ti senti strano è perché sei un po’ ubriaco” gli spiegò Alfred, senza però chiarire nulla.
“Ubriaco?” Aveva bevuto solo un bicchiere.
“L’alcool è il rimedio casalingo contro il cianuro, se assunto in tempo. Gliene abbiamo fatto bere il più possibile. Ringrazi il cielo se è ancora tra noi” specificò Roderich.
Arthur faticava ancora a mettere assieme tutti i pezzi della vicenda.
“Se proprio vogliamo essere precisi, sono stato io a farglielo bere.”
Si guardò attorno alla ricerca dell’ultima persona che aveva visto e che aveva appena parlato. Francis era seduto su una sedia accanto alla testata del letto, ma Arthur si rese conto che le braccia gli erano state legate attorno allo schienale e che aveva un’espressione decisamente offesa.
“Direi che ormai non ci sono più dubbi: c’è un assassino tra noi che si sta divertendo a prenderci in giro imitando i dipinti della mostra.” La voce di Natalia provenne dall’ombra vicino alla porta.
“Al momento nessuno si salva dalle accuse” proseguì Roderich, “ma monsieur Bonnefoy è il più sospetto. Lei è l’ultimo che ha visto Kirkland. Si può sapere come ha fatto a non rendersi conto che era stato avvelenato?”
Francis si agitò sulla sedia. “Ve l’ho già detto: credevo fosse ubriaco!”
Arthur si sforzò di ripensare ai suoi ultimi momenti di lucidità.
“Comunque, prima di me, anche Jones era rimasto per qualche tempo da solo con lui.”
“E li abbiamo sentiti chiaramente litigare” confermò Feliciano. “Anche se parlavano inglese.”
“Nessuno dei due.” Adesso Arthur era perfettamente sicuro di ciò che stava dicendo. Gli altri si voltarono attendendo maggiori spiegazioni. “Jones non è mai entrato nella mia stanza… e comunque, sono stato io ad arrabbiarmi. Mentre Bonnefoy non si era accorto del veleno.” Approfittò della vicinanza per lanciargli un’occhiata di freddo rimprovero. “Era troppo occupato a sedurmi per capire ciò che stava succedendo. E quando se n’è accorto mi ha salvato in tempo.”
“Ve l’avevo detto” esultò Francis, alzandosi dalla sedia. Le corde che lo bloccavano scivolarono a terra come serpenti, lasciando tutti senza parole. Francis si strinse nelle spalle. “Pensavate davvero di poter tenere legato un prestigiatore?”
“È ancora presto per fare accuse” disse Ludwig. “In ogni caso, sebbene sia d’accordo a pensare che si tratti di eventi programmati, le modalità mi sembrano troppo casuali e azzardate.”
“Qual è il collegamento tra Zwingli e Arthur?” si intromise Alfred.
“Nessuno, immagino” rispose Roderich. “Credo che il motivo sia più semplice: Kirkland ha rivelato di essere un poliziotto e così è stato scelto come vittima successiva, in modo da ostacolare le indagini.”
“Come faceva l’assassino a prevedere che il signor Kirkland sarebbe entrato nella sua stanza e avrebbe bevuto da quella bottiglia?”
Arthur si sentiva a disagio ad essere preso in esame, specialmente riguardo ad un argomento così delicato. Cercò un modo per sviare la conversazione, ma questa volta Alfred lo precedette.
“Non era difficile.” Puntava su Arthur uno sguardo di rimprovero e delusione. “Mi ha scritto tuo padre…”
Ancora quella storia? Voleva rivelarla di fronte a tutti?!
Arthur si mise a sedere appoggiato al cuscino. “Non è il momento per queste cose” lo ammonì in inglese, ma Alfred non gli diede retta e proseguì determinato.
“Tuo padre mi ha detto che da mesi continui a bere, che non fai altro, e che per questo…”
“Taci, Alfred, non sono cose che ti riguardano!”
“E per questo sei stato sospeso dalla polizia!”
Venire giudicato da un gruppo di estranei e persino da Alfred rappresentava la peggior umiliazione della sua vita. Persino quando si risvegliava dolorante dopo una nottata trascorsa a bere da solo si sentiva meglio. Ora gli sguardi di tutti erano mutati, quel vago rispetto che aveva ricevuto nell’aver rivelato la sua autorità di ispettore si era trasformata in un istante. Ancora più degradante era il fatto che Arthur fosse l’unico responsabile di quelle occhiate deluse. Avrebbe tanto voluto che il materasso lo assorbisse.
Francis si schiarì la voce per rompere l’imbarazzante silenzio. “Allora… Jones era in grado di prevedere che avrebbe bevuto da quella bottiglia.”
“Credo comunque che non fosse troppo difficile intuirlo” aggiunse Roderich.
“Arthur, non pensare che me ne sia andato per farti soffrire, quindi smettila di farti del male.” Ad Alfred non importava niente delle supposizioni e dei sospetti. Stava sciorinando tutte le loro questioni private senza ritegno. Era completamente impazzito! “Tornerò da te, se è questo che vuoi. Lascia perdere l’alcool, sono certo che esistono molte altre soluzioni al tuo problema.”
Arthur si rifiutò di rispondere. Non era mai stato umiliato tanto in vita sua, voleva solo far finta che non stesse accadendo niente.
Per merito di qualche intervento divino, Elizabeta distolse l’attenzione. “Quindi il tentato omicidio scagiona Beilschmidt! Lui era chiuso in stanza quando il signor Kirkland è stato avvelenato.”
“Potrebbe anche aver messo il cianuro nel brandy ancor prima della morte di Zwingli” fece notare Roderich. “In ogni caso abbiamo altre domande da fargli, sarà meglio andargli a parlare.”
Arthur intravide Natalia che sussurrava all’orecchio di Ivan, il quale poi disse: “Sarebbe il caso di aspettare che il signor Kirkland si riprendesse, in modo che potesse essere presente.”
“È vero. Si prenda il suo tempo” disse Ludwig ad Arthur, poi uscì con Feliciano, seguito dai due russi.
“Ma non ci faccia attendere troppo” aggiunse Roderich dirigendosi alla porta, “la situazione sta prendendo una piega decisamente preoccupante.”
Quando tutti furono usciti e la porta fu chiusa, Arthur si accorse di non essere solo: Francis era ancora seduto accanto al letto. Dopo parecchi minuti di silenzio, si schiarì la voce.
“Eh… scusa per prima. Ero convinto che fossi stato ammaliato dal mio fascino e invece stavi morendo. Ho sempre pensato che le due cose andassero a braccetto, ma solo in senso metaforico.”
Riusciva a ricavare ironia anche da una situazione disperata come quella, ma Arthur non ci trovava niente di divertente. Pensandoci, avrebbe dovuto essere sollevato di essere sopravvissuto per un soffio, ma dopo l’ultima conversazione con Alfred, dopo la sua totale mortificazione, non riusciva a provare alcun sentimento positivo.
Nonostante la sonora lezione che aveva ricevuto, provava ancora il bisogno di fuggire da quella situazione. Non aveva idea di come avrebbe affrontato Alfred, gli ospiti, l’intero mondo da quel momento.
“Se tu non fossi arrivato, sarebbe stato tutto più semplice.”
Era inutile nascondere le lacrime, non poteva cadere più in basso di così.
Decise di concludere in quella stanza la sua umiliazione e lasciarsela alle spalle, poiché dubitava di avere la fortuna di essere avvelenato di nuovo.
Francis rimase ad attenderlo in silenzio.




Continua





Che bello, stiamo procedendo, eh? Ci sono state parecchie citazioni in francese. Io non so un'emerita mazza di questa lingua, perciò quando devo tradurre delle frasi più complicate di bon jour, mi affido alle citazioni, specilamente quelle di Baudelaire. Stavo sfogliando le sue poesie quando ne ho vista una che secondo me era fatta apposta per la FrUk, perciò ve la riporto qui sotto con la traduzione.

Le poison
Le vin sait revêtir le plus sordide bouge
D’un luxe miraculeux,
Et fait surgir plus d'un portique fabuleux
Dans l'or de sa vapeur rouge,
Comme un soleil couchant dans un ciel nébuleux.
L'opium agrandit ce qui n'a pas de bornes,
Allonge l'illimité,
Approfondit le temps, creuse le volupté,
Et de plaisirs noirs et mornes,
Remplit l'
âme au-delà de sa capacité.
Tout cela ne vaut pas le poison qui découle
De tes yeux, de tes yeux verts
Lacs où mon âme tremble et se voit à l’enverse…
Mes songes viennent en foule
Pour se désaltérer à ces gouffres amers.
Tout cela ne vaut pas le terrible prodige
De ta salive qui mord
Qui plonge dans l’oubli mon âme sans remords,
Et, charriant le vertige,
La roule défaillante aux rives de la mort!

Il veleno
La bettola più cupa sa rivestire il vino
d'un lusso da miracolo, e nell'oro
del suo rosso vapore
fa sorgere una fiaba di colonne,
come un tramonto acceso nella bruma.
L'oppio ingrandisce ciò che non ha fine,
l'illimitato estende,
il tempo fa più cavo, più profondo il piacere,
e di nere, di cupe voluttà
l'anima sa colmare a dismisura.
Ma più veleno stillano i tuoi occhi,
i tuoi verdi occhi,
laghi dove si specchia e capovolto
trema il mio cuore, amari abissi dove
a frotte si dissetano i miei sogni.
Più tremendo prodigio è la saliva
con cui m'intacchi l'anima e l'affondi
senza rimorsi nell'oblio, e languente
a filo di vertigine la spingi
alle rive dei morti.!





Quattro chiacchiere col morto


Yuri: Benvenuto al nostro incontro settimanale, signor Kirkland.
Arthur: Buonasera a tutti.
Y: Anche se non abbiamo avuto il piacere di vederla salire in cielo, ci è comunque andato molto vicino, dico bene?
A: Estremamente vicino, grazie a quella rana vinofila.
Y: Cosa la spinge ad affermare ciò dopo essere stato avvelenato facilmente a causa del suo alcolismo?
A:...Prossima domanda.
Y: Cosa mi dice dello stralcio di paradiso che ha potuto intravedere?
A: L'ho visto eccome. Spettacolare, assomigliava molto a Londra.
Y: Che genere di persone c'erano?
A: Un po' tutti. In paradiso i francesi sono lavacessi, i tedeschi spazzacamini, gli italiani netturbini, gli svizzeri aiuto bidelli...
Y: Ottimo, abbiamo recepito il messaggio.
A: I russi barboni, gli americani insegnanti di educazione fisica...
Y: Si spenga, signor Kirkland!

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Capitolo 4
*** IV. Cleopatra ***


4-Cleopatra Titolo: Ars Moriendi, Capitolo 4 - Cleopatra
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), America (Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania (Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski), Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 4,268 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: Death of Cleopatra


IV. Cleopatra


 
Gli fu dato un bastone per reggersi, dato che Arthur non era ancora abbastanza stabile da essere sicuro di non cadere dalle scale, né aveva intenzione di appoggiarsi a nessuno. Si sentiva alquanto debilitato, ma non riusciva a capire se si trattasse del veleno o della sbronza. In ogni caso non poteva perdere altro tempo: prima avrebbe messo fine a quel mistero e prima se ne sarebbe potuto tornare in Inghilterra.
La camera in cui Beilschmidt era stato rinchiuso era l’ultima del lungo corridoio lungo, subito prima della stretta scala che portava alla torre, la quale ospitava le stanze di Ludwig e Feliciano. Elizabeta fu la prima ad arrivare, si era fatta dare le chiavi da Roderich, il quale sembrava aver esaurito gran parte della sua rabbia e desideroso di fare luce sugli ultimi inquietanti eventi.
Arthur era l’ultimo. Sapeva che Alfred gli lanciava frequenti occhiate preoccupate e che Francis rallentava spesso e consapevolmente, ma non si fece aiutare.
La chiave girò nella serratura e l’inglese vide Elizabeta sparire oltre la porta, seguita da Ludwig. Arthur non aveva avuto tempo per pensare alle domande da porre al tedesco, ma capì che non sarebbero state necessarie.
Un lungo grido di donna costrinse tutti a precipitarsi nella camera. Quando Arthur arrivò non poté credere a ciò che vide.
La prima cosa che notò furono gli schizzi di sangue sulle pareti, sul pavimento e persino sul soffitto. In mezzo alla stanza c’era una sedia, su di essa si trovava l’albino. Le mani di Gilbert erano legate ai braccioli con dei lembi di stoffa  e lo stesso materiale gli era stato usato per imbavagliarlo e bloccargli le caviglie.
Arthur non ebbe bisogno dell’intervento di Feliciano per capire che ciò che stava guardando era La morte di Cleopatra.
Elizabeta non aveva ancora osato avvicinarsi, piangeva per terra consolata da Roderich. Ludwig invece contemplava il corpo senza capacitarsi di ciò che aveva di fronte. Quando allungò una mano per toccarlo, Arthur lo bloccò. “Fermo! Aspetti.”
Gli dispiaceva intervenire in un momento del genere, ma per lui l’indagine veniva prima di tutto. Sul corpo non erano presenti ferite evidenti, perciò quella quantità spropositata di sangue poteva provenire soltanto da un posto: i polsi erano stati tagliati.
“Com’è possibile che quella ferita abbia causato questi schizzi di sangue?!” domandò Alfred scosso.
“È ovvio che se ne sia occupato l’assassino” spiegare Arthur.
“Decisamente un intervento di pessimo gusto” commentò Francis.
L’inglese studiò con cura la stoffa con la quale era stato legato e imbavagliato, ma non trovò nulla di rilevante. “Sleghiamolo” disse infine.
Francis e Alfred fecero un passo avanti ma Ludwig li allontanò con un gesto della mano. “Me ne occupo io.” Nemmeno Feliciano osò intervenire. Arthur tentò di decifrare i pensieri dell’italiano: in quel momento nel suo sguardo vi era una luce che mancava negli occhi freddi e spenti di Ludwig.
“Che cosa orribile!” disse Elizabeta quando il corpo di Gilbert fu depositato a terra. “Quale crudeltà può spingere un uomo a compiere tutto questo?”
“Questo sangue… è davvero tutto suo?” domandò Alfred, guardandosi attorno.
Arthur si chinò sul cadavere e osservò attentamente le ferite ai polsi. “Sono profonde. Non tanto da incidere i tendini, suppongo, ma sufficienti per dissanguare, se si ha a disposizione abbastanza tempo.” Cercò nuovamente di estrapolare la logica di quegli schizzi, poi si rivolse a Ludwig con discrezione.
“Sarebbe il caso di spogliarlo.”
“Perché?”
“È chiaro che ci sta sfuggendo qualcosa. Potremmo trovare qualche indizio.”
Ludwig acconsentì tacitamente e iniziò a sbottonare il gilet e la camicia del fratello, finché non rimase solo con la biancheria. Sul corpo non c’era alcuna ferita e non trovarono nulla nemmeno sulla schiena.
 “È pallido per natura, per cui è difficile stabilire se si sia effettivamente privato di tutto il sangue, ma poiché non c’è nessuna traccia di altri traumi, direi che è stato davvero dissanguato. Se fosse stato avvelenato e poi ferito, il sangue non sarebbe potuto uscire in questa quantità. D’altro canto, ha avuto a disposizione molto tempo per dissanguarsi del tutto.” Provò rimorso guardando Elizabeta che singhiozzava e Ludwig che non parlava. Nonostante fosse stata una proposta di Roderich, era stato lui stesso a decretare l’imprigionamento di Gilbert.
“A giudicare dalla quantità di sangue perso, credo che sia stato aggredito poco dopo essere stato rinchiuso qui.”
“Possibile che non abbia lottato o che non abbia chiesto aiuto?!” domandò Alfred incredulo. “Sicuramente ha impiegato molto tempo per morire.”
“Era solo e lontano, molto probabilmente non siamo stati in grado di sentirlo. Ma adesso, la vera domanda è un’altra: se la stanza era chiusa, com’è entrato l’assassino?”
“Non doveva necessariamente entrare una volta che la porta è stata chiusa” disse Elizabeta alzandosi in piedi. “Non è vero, signorina Natalia?”
La donna non si scompose. “Cosa intende insinuare?”
“Lei è l’ultima che l’ha visto. È stata lei ad accompagnarlo qui, perché mai si è proposta per quell’incarico?”
“Mi sono offerta volontaria esattamente come avrebbe potuto fare chiunque di voi. Che ragioni avrei avuto per uccidere herr Beilschmidt?”
“È esattamente quello che vogliamo scoprire” rispose Arthur, il quale iniziava a sopportare a fatica l’atteggiamento superficiale e distaccato dei russi. “Nel frattempo ci dica perché l’ha voluto accompagnare, e questa volta sia sincera.”
Natalia sostenne lo sguardo di Arthur, poi lanciò un’occhiata a Elizabeta. “Quell’uomo mi interessava. Ho pensato che fosse la giusta opportunità per… farmi notare.”
Roderich afferrò saldamente il polso della moglie prima che questa potesse schiaffeggiare Natalia.
“Elizabeta, manteniamo un minimo di civiltà.”
“Lei… è senza ritegno.” La donna aveva i capelli scomposti e il volto arrossato, tuttavia trasmetteva ancora una grande dignità.
“Ho trovato qualcosa!” Alfred era inginocchiato per terra e guardava sotto alla cassettiera con la guancia incollata al pavimento. Tese la mano, ma Arthur sfilò il fazzoletto dal taschino di Francis e glielo porse in tempo.
“Usa questo, non si tocca niente prima di averlo analizzato con cura.”
Alfred utilizzò il fazzoletto e, quando si rialzò, teneva tra le dita un coltello insanguinato. Era un coltello da caccia, sicuramente qualcosa che non si trovava facilmente nella villa di un nobile. Arthur lo prese con delicatezza.
“E questo di chi è?”
Non si lasciò sfuggire l’occhiata fugace che Ivan lanciò alla sua compagna, né la leggera sorpresa di quest’ultima.
“È suo, vero, signorina Natalia?”
La donna non era affatto una sprovveduta e comprese subito che mentire non sarebbe servito a nulla. Invece, afferrò un lembo della sua lunga gonna e la sollevò fino al ginocchio. Alfred sgranò gli occhi e Francis produsse un fischio di approvazione.
“Fraulein, la prego di mantenere un po’ di decenza” la rimproverò Roderich.
Senza badare alle critiche, Natalia alzò la gonna fino a scoprire una cinghia stretta alla coscia, che reggeva un fodero di pelle delle stesse dimensioni del pugnale.
“In Russia usiamo così” spiegò, lasciando scivolare nuovamente il tessuto.
“Così è fin troppo facile” fu il commento di Francis, e Arthur si ritrovò d’accordo, tuttavia le prove erano decisamente a sfavore di Natalia.
“La spiegazione è molto semplice” iniziò la donna con molta sicurezza, “quando ho accompagnato herr Beilschmidt, mi sono offerta di intrattenerlo. Deve avermi sfilato il coltello in quel momento.” Rispose all’occhiata colma d’odio di Elizabeta aggiungendo: “Il nobile tedesco non ha accolto le mie avance oltre qualche carezza, di questo non deve dubitare.”
La storia del coltello non convinceva del tutto Arthur, tuttavia se davvero Natalia fosse stata l’artefice di quel macabro spettacolo non sarebbe potuta tornare da loro così in fretta e senza alcuna macchia di sangue sull’abito.
“Invece che soffermarci su questi particolari inconsistenti, perché non ci chiediamo cosa ci faccia del cianuro nello studio di herr Edelstein?”
“Del cosa?”
“Dove?”
“Basta così.” Feliciano riuscì a zittire tutti con la sua voce cristallina. Teneva una mano poggiata sulla spalla di Ludwig. “Occupiamoci di Gilbert, poi avremo tutto il tempo per discutere.”
Fu lui stesso ad aiutare il tedesco a trasportare il corpo in cantina, il quale nel frattempo lo aveva rivestito.
Roderich fece per seguirli, ma Arthur non poteva lasciare le cose in sospeso. “Torni qui, herr Edelstein. Credo che a tutti farebbe piacere avere qualche chiarimento a proposito della sua scorta di cianuro.”
Roderich rispose mantenendo la sua altezzosità ma senza nascondere una palese offesa. “Si tratta di questioni personali.”
“Già, cosa c’è di più personale di un omicidio?” ironizzò Francis.
“Non sia insolente” lo riprese Roderich. “Quel veleno non ha mai lasciato il mio studio e non è mai stato usato da nessuno. Potete controllare, se volete.”
“Sappiamo tutti che per avvelenare qualcuno è sufficiente una dose minima” ribatté Francis, “e sappiamo anche che se Kirkland ora non si trova a volteggiare tra gli angeli è perché quella dose era addirittura inferiore.”
“Perciò non si può provare che il cianuro provenga dalla mia scorta” concluse Roderich anticipando tutti.
“E non si può neanche provare che non provenga dalle sue scorte” puntualizzò Arthur.
“In ogni caso non mi spiego quale motivo avrebbe potuto avere fraulein Natalia per frugare nel mio studio.”
Natalia si strinse nelle spalle. “Stavo solo facendo un giro di visita per il castello.”
“Anche troppo approfondito” notò Arthur.
“Va bene, lo ammetto, ho ficcanasato un po’ ma non ho preso né spostato niente, quindi non ho colpe.”
“Altroché se le ha!” intervenne Elizabeta. “È stata l’ultima a vedere Gilbert e il suo coltello insanguinato è stato trovato chiuso in questa stanza!”
Natalia la fronteggiò. Era decisamente più alta dell’austriaca. “E allora, cosa intendete fare? Rinchiudere anche me sulla base di supposizioni? Herr Beilschmidt è stato imprigionato perché aveva sia un movente che un’arma, io ho solo un’arma, non avevo nessun motivo per volerlo morto.”
“Questo non lo sappiamo” ripeté Arthur, “ad ogni modo è chiaro che nessuno deve stare da solo: tutti coloro che si sono allontanati sono morti o ci sono  andati vicino.”
“Quello che penso” disse Natalia prendendo nuovamente la parola, “è che siamo tutti stanchi e provati. Riposiamoci un po’.”
“Anch’io mi farei una dormita” concordò Alfred, “però…”
Arthur fece scorrere lo sguardo su coloro che erano rimasti nella stanza. “Va bene” concesse infine, “ma prima faremo un’ultima cosa: voglio fare due chiacchiere con ognuno di voi, in privato. Raduniamoci di sotto e chiudiamo a chiave questa camera.”
Roderich usò il suo mazzo di chiavi, l’unico che Arthur avesse visto in giro. Tuttavia avrebbe dovuto indagare anche su quello. Andarono in un salottino arredato con molti divani, dove il caminetto acceso aveva riscaldato l’ambiente. Da una parte c’era un tavolino rotondo con qualche sedia e da ogni angolo pendevano lunghe e ricche tende di velluto cremisi.
“Nessuno si parli mentre ricevo ognuno di voi” raccomandò Arthur accomodandosi al tavolino. Avrebbe dovuto condurre quell’interrogatorio molto prima, non voleva che gli invitati potessero modificare o accordare ulteriormente le loro versioni.
Il primo che venne a sedersi di fronte a lui fu Roderich, accompagnato da una sfacciataggine sempre crescente.
“Continuiamo la nostra discussione a proposito del cianuro?” propose Arthur, che non aveva alcuna intenzione di lasciarsi intimidire. Di fronte a lui poteva esserci l’uomo che aveva tentato di ucciderlo.
“Non ho niente da nascondere.”
“Allora mi dica la verità. Che cosa voleva farci con quel veleno?”
Roderich sostenne il suo sguardo per alcuni secondi e, d’un tratto, la sua sicurezza sembrò vacillare. “Io… sapevo delle intenzioni di mia moglie.”
Arthur cercò di capire. “Si spieghi.”
“Sapevo che mia moglie si stava consultando segretamente col notaio per il divorzio.”
“E sapeva anche che aveva una relazione con Beilschmidt?”
“Lo sospettavo e basta.”
Arthur incrociò le dita. “Ancora non mi ha detto lo scopo del veleno.”
Roderich lo guardò come se volesse comunicargli la risposta col pensiero. Arthur si augurò che i suoi sospetti fossero errati.
“Non avrebbe avuto senso costringere mia moglie a restare, la conosco fin troppo bene, non è una che si lascia dominare.”
“Aveva intenzione di avvelenarla?”
“No. Il cianuro… era per me.”
Arthur non se lo sarebbe aspettato, certamente non da qualcuno con così  tanta stima di sé. “Preferiva davvero uccidere se stesso piuttosto che sua moglie o persino il suo amante?”
“Gliel’ho detto, su Beilschmidt avevo solo dei sospetti, e comunque se fosse morto mia moglie avrebbe indubbiamente sospettato di me e allora non ci avrebbe pensato due volte a lasciarmi. Ho acquistato il veleno in un momento di debolezza, non sapevo ancora se l’avrei usato  o meno.”
“Non sono convinto” ammise Arthur.
“Può fare come vuole, questa è la mia verità.”
L’inglese sospirò: quell’uomo lo irritava. “Mi dica invece come ha conosciuto i russi.”
“Sono stati loro a contattarmi. Possiedo alcuni atelier, uno a Graz e due a Vienna e mi faccio pubblicità. Mi hanno scritto chiedendomi di ospitare quella mostra tematica e io ho accettato. Non c’è stato nessun altro tipo di rapporto.”
Arthur aveva solo un’altra cosa da chiedere. “Quanti mazzi di chiavi esistono?”
“Se si riferisce alle copie delle chiavi delle camere, ne esiste solo un altro, ma è al sicuro nel mio studio.”
“Dopo lo verificheremo.”
Riguardo alla faccenda del debito dei fratelli aveva il presentimento di saperne anche troppo, quindi lo lasciò andare.
Venne Feliciano a sedersi con lui, sembrava fosse sul punto di piangere. Non sapeva esattamente quali fossero le domande più giuste da fargli.
“Mi spiace per Gilbert” iniziò per metterlo più a suo agio.
Feliciano continuava a guardare in basso. “Anche a me dispiace molto. Ma non è per lui che…” Arthur attese. “Ho deciso di lasciare Ludwig.”
L’inglese si ricordò dell’accesa conversazione che avevano avuto un’ora prima. “Lui lo sa già?”
“Gliel’ho accennato e non gli ha fatto piacere. Però poi è successo… questo e… ora sarà ancora più difficile.”
“E il motivo?”
Feliciano sollevò il viso e mostrò gli occhi arrossati senza vergogna. “Io sono solo un accompagnatore. Non può trascorrere la sua vita con me.”
Arthur non sapeva se voleva proseguire quella conversazione. Dopotutto quelle informazioni avevano poco a che fare con gli omicidi, ma Feliciano sembrava aver voglia di confidarsi.
“Lui è sempre così severo e ordinato, ma in realtà è sensibile. Non so se avesse provato pena per me o se avesse le stesse intenzioni di coloro che mi cercano, ma mi ha tenuto con sé per molto tempo, pagandomi. Dopo qualche mese lui e suo fratello hanno iniziato ad avere problemi economici, ma Ludwig ha continuato comunque a offrirmi vitto e alloggio.”
“E questo andava bene a Gilbert?”
“Non lo so. Mi trattava bene, ma ho sempre avuto la sensazione di essere un peso per lui. Non aveva tutti i torti.”
“Anche se Gilbert non c’è più, vuole ancora lasciarlo?”
In Feliciano sembrava in corso un terribile conflitto interiore. “Io… sono sicuro che sia la cosa giusta da fare.”
Le sue lacrime dicevano il contrario delle sue parole. L’italiano tornò ai divanetti, ma si sedette lontano da Ludwig. Il successivo fu proprio lui. Arthur si sentiva un po’ a disagio, dopo aver saputo i dettagli della sua relazione.
“Dovrò farle delle domande su suo fratello” lo mise in guardia Arthur il quale, dopo le rivelazioni di Feliciano, non sapeva bene cosa aspettarsi da un tipo come lui.
“Va bene.”
“Lei sapeva che aveva una relazione con la moglie di Edelstein?”
“Non me l’ha mai detto, ma sì.”
“Li ha sorpresi a fare qualcosa?”
“Niente di particolare, ma conosco mio fratello e so bene come si comporta quando gli interessa una donna.” Si accorse dell’errore e si corresse con impercettibile imbarazzo. “Come si comportava…”
Arthur non pensava che rivelargli che Roderich era a conoscenza della relazione fosse una buona idea.
“Secondo lei chi poteva volere la morte di Gilbert?”
Ludwig rifletté con molta attenzione. “Sicuramente non aveva un carattere facile, e dico con sicurezza che poteva avere molti nemici, ma non so proprio chi potesse volerlo morto.”
“Cosa ne pensa di Roderich? Sarebbe stato svantaggioso per lui eliminare suo fratello?”
“A livello economico sì, ma herr Edelstein non si fidava della sua parola, è convinto che tra i due sia io quello responsabile.”
“Ed è vero?”
“Sotto certi punti di vista, sì.”
Perciò, per quanto potesse risultare dannoso per Roderich uccidere Gilbert, non era da escludere il fatto che se ne volesse liberare proprio per ottenere il suo risarcimento basandosi sull’affidabilità di Ludwig.
“Vada pure.”
Elizabeta arrivò subito dopo. Non si era nemmeno accomodata quando disse: “È stata la russa.”
“Ah sì? Allora posso anche smetterla con questi inutili colloqui.” Era Arthur a fare supposizioni, non i sospettati.
La donna incrociò le braccia, caparbia. “Come può dubitarne con le prove schiaccianti che ci sono?”
“Proprio per questo ho i miei dubbi. Ha guardato bene Natalia? Non commetterebbe mai un errore così grossolano da lasciare l’arma del delitto in bella mostra. La motivazione che ci ha fornito non è del tutto infondata.”
Elizabeta si scaldò. “Intende insinuare che ha davvero sedotto Gilbert e che lui l’ha assecondata?!”
“Lo conosceva così bene da sapere che a Beilschmidt non potessero interessare altre donne?” La domanda era volutamente provocatoria.
“Lo conoscevo così bene da essere certa che quello fosse proprio un comportamento da lui.” Non si aspettava una risposta del genere, e così schietta. “È proprio questo che mi irrita.”
“Quando è iniziata la relazione?”
“Circa un anno fa. Ho conosciuto i fratelli Beilschmidt quando hanno firmato il contratto con mio marito. Lei ha visto com’è fatto Roderich e ha anche capito come sono fatta io. In quel periodo il nostro matrimonio andava peggio del solito e così ho deciso di prendermi una pausa.”
Era stata fin troppo sincera. Ad Arthur sembrava strano che le risultasse così naturale confidare un tradimento.
“Sapeva che suo marito era a conoscenza della sua relazione e dell’intenzione di divorziare?”
Evidentemente non lo sapeva. Elizabeta lo fissò allibita come aspettandosi uno scherzo, poi realizzò la sua situazione.
“Io… ovviamente sapevo che Roderich non avrebbe mai acconsentito al divorzio, perciò mi sono incontrata segretamente con Zwingli per trovare dei cavilli che sancissero l’annullamento. Però… non ho mai preso la decisione definitiva, si trattava piuttosto di… una scappatoia nei momenti di crisi.”
“Perciò… lei non era ancora convinta di voler lasciare Roderich.”
“Non sono stupida, so bene che un’azione del genere mi avrebbe rovinata, ma mi piaceva comunque poter valutare quella possibilità.” Il suo sguardo si addolcì di tristezza. “Insomma… sognare un po’. Ogni ragazza dovrebbe poterlo fare.”
“Un sogno pericoloso.”
Elizabeta si asciugò di nascosto una lacrima e riprese il controllo. “Lei pensa che sia stato mio marito?”
“Ancora non lo so.”
“Bene” disse alzandosi e lisciandosi la gonna. “Allora io vado.”
Arthur decise di non trattenerla oltre. C’era poco tempo e voleva ascoltare attentamente le parole dei russi. Inoltre anche lui agognava disperatamente a qualche ora di sonno.
Fu Ivan a sedersi di fronte a lui, senza parlare. Quell’uomo lo lasciava perplesso: in alcuni momenti sembrava trovarsi a fare una rilassante passeggiata, in altri appariva completamente in disparte e fuori posto. In quel momento il suo stato d’animo era molto vicino al primo contesto, poiché se ne stava seduto tranquillo con un vago sorriso.
Arthur lo studiò per qualche minuto.
“Cosa ne pensa di tutto questo?”
“Questo cosa?” chiese lui ingenuamente.
“Gli omicidi.”
“Beh… decisamente creativi, direi.”
“Ha qualche sospetto?”
“Non saprei, non mi sono fatto alcuna idea.”
Arthur iniziava ad irritarsi. “Come sono stati scelti i quadri della mostra?”
“Come ho già detto a monsieur Bonnefoy, per puro scopo economico. Sapevamo che il tema della morte avrebbe avuto successo qui.”
“E perché avete deciso di organizzarla?”
“Ci piace l’arte e piace anche a voi, perciò è stato semplice decidere.”
Arthur si stava demoralizzando: non avrebbe concluso niente. Decise di adottare un rimedio drastico.
“Signorina Natalia, può raggiungerci?” disse alzando la voce.
La donna venne a sedersi sulla sedia accanto a Ivan. Senza farsi notare, Arthur spiò il russo e la sua reazione, in modo da confermare i suoi sospetti. Natalia era sicurissima di sé, come sempre, mentre Ivan cambiò atteggiamento così radicalmente da far pensare che si trattasse di un’altra persona.
“Mi dica, signor Kirkland: perché crede che io non sia colpevole?”
Una simile franchezza e fiducia in se stessa avrebbero costretto Arthur sulla difensiva, e lui non poteva permetterlo.
“Ho capito che lei non mi ritiene l’artefice dell’omicidio del tedesco, non era per niente convinto. Proprio come per l’omicidio del signor Zwingli ha voluto accontentare gli altri ospiti, ma lei cosa pensa veramente?”
“Penso che lei, per quanto possa essere forte, non avrebbe potuto legare Gilbert tutta sola. È difficile per un uomo di corporatura normale, figurarsi per una donna che decide di legare un arto alla volta. Certo, se avesse ricevuto un aiuto appropriato…” Osservò ancora Ivan, il quale si era chiuso in se stesso, “ma lui è rimasto in cucina con noi, quindi è da escludere.”
“Non dimentichiamo il sangue” puntualizzò Natalia con arroganza.
“Già. Un uomo, con un po’ di fortuna e attenzione, avrebbe potuto evitare di sporcarsi, ma una donna, con un vestito come il suo, avrebbe sicuramente riportato delle macchie su di sé.”
“Quindi, perché stiamo qui?”
Arthur avrebbe tanto voluto trovarsi di fronte Alfred o Francis, così avrebbe potuto picchiarli senza ritegno.
“Se fossi in voi mi preoccuperei: se non siete gli assassini allora potreste essere le prossime vittime.”
L’umore di Arthur non migliorò quando si trovò di fronte a Francis. Quell’individuo lo spiazzava, non sapeva che domande fargli e, guardando il suo sorriso serafico e sornione, gli passava del tutto la voglia di interrogarlo. Per questo motivo rimase a fissarlo, le dita incrociate sotto il mento. Voleva cercare di entrare nei suoi pensieri, ma non era comunque del tutto sicuro di voler osare tanto.
“Lo so, sono affascinante, non puoi staccare gli occhi da me.”
“Non puoi essere serio, per una volta?” lo rimproverò Arthur che in quel momento non aveva modo di sopportare il suo sarcasmo.
 “Non vuoi domandarmi niente? Per esempio, il mio fiore preferito? Il cibo che preferisco?”
Arthur sospirò esasperato. Aveva sonno ed era irritato.
“Trovo eccitante essere oggetto del tuo interrogatorio.”
“Alfred!” chiamò l’inglese spazientito. Voleva risparmiare tempo. L’altro arrivò di corsa.
“Tocca a me?”
“Vi sentirò insieme.”
Alfred si avvicinò al tavolo trascinando la sedia sul pavimento. “Davvero mi credi responsabile di quegli omicidi?” domandò preoccupato.
“Al momento non ti credo responsabile di una frase a senso compiuto, figuriamoci di una serie di omicidi.”
“Sei intrattabile…”
Francis rise.
“Non la prenderei così alla leggera” disse Arthur al francese. “All’inizio avevo qualche piccolo sospetto su di te, ma l’imbarazzante approccio col quale hai tentato di fare colpo su di me ti hanno scagionato completamente.”
Francis sembrò capire che quello non era un complimento.
“Che cosa avrebbe fatto?!” volle sapere Alfred.
“State zitti, sono io che faccio le domande! Chi ti ha invitato qui e perché?”
L’americano fece fatica a dimenticare la questione delle proposte indecenti di Francis, ma tentò di concentrarsi. “Mi ha… contattato herr Edelstein in persona. Credo che abbia conosciuto mio padre o che mi abbia visto da qualche parte… non so, non tengo il conto delle persone che conosco in giro! In genere sono gli altri che si ricordano e di me e mi contattano.”
“E tu perché hai accettato?”
“Beh… mi andava, mi piace viaggiare.”
“Pensi che ci sia qualche nemico di tuo padre che potrebbe nuocergli?”
Quella domanda lo spiazzò. “Che intendi?”
Arthur cercò di semplificare la cosa. “C’è qualcuno che vorrebbe approfittare del ruolo di tuo padre o che vorrebbe mettere a repentaglio la sua posizione?”
“E questo cosa c’entra con me?”
“Semplice, sei famoso. Potrebbe esserci la vaga possibilità che qualcuno stia creando la giusta situazione per sequestrarti e chiedere un riscatto.”
Alfred non aveva assolutamente valutato quell’ipotesi, ma dopo qualche istante di sorpresa ritrovò subito l’ottimismo. “Beh, non sarà certo facile sequestrarmi, da quando mio padre è stato nominato vice presidente sono già scampato a due rapimenti, un attentato e quattro rapine.”
“Complimenti!” si congratulò Francis.
“Tu, invece?” Arthur si rivolse al francese.
“Ultimamente mi sono esibito in Germania e in Austria e ho riscosso un discreto successo. Immagino mi abbiano convocato perché sono un artista.”
“Sicuramente” lo liquidò in fretta Arthur e si alzò in piedi. “Abbiamo concluso, possiamo ritirarci per qualche ora nelle nostre stanze.”
“Non le sembra troppo rischioso?” domandò Elizabeta diffidente.
“No se ci divideremo in coppie. Ognuno sceglierà con chi stare, si dormirà a turno mentre l’altro farà la guardia. Ci chiuderemo nelle stanze e così limiteremo il rischio. Non è un bene sforzare troppo la mente e il fisico in un momento delicato come questo.”
Infatti Arthur sarebbe crollato sul pavimento a breve.
Gli altri accettarono e le coppie furono formate, esattamente com’era prevedibile: Ludwig con Feliciano, Roderich con Elizabeta e i due russi. Poiché erano rimasti in numero dispari, ovviamente ad Arthur rimase l’unica opzione di Francis e Alfred, ma nonostante non tollerasse la vicinanza di nessuno dei due, erano anche le uniche persone di cui era certo di potersi fidare.
“Non mi va di dormire nella tua stanza, Arthur. Ci sei quasi morto lì dentro!” si lamentò Alfred mentre raccoglieva le sue cose.
“Proprio per questo è più sicura delle vostre. È poco probabile che l’assassino abbia piazzato una seconda trappola nella mia camera.”
“Farai tu il primo turno di guardia, va bene?” Francis non attese la risposta dell’americano, si tolse la giacca e spostò le coperte. Arthur si era già infilato al caldo, senza lasciare alcuna scelta ad Alfred.
“Ma perché? Io ero uno di quelli che aveva proposto di dormire!”
Arthur si tirò le coperte sopra la testa. “Io sono quasi morto.”
“E io non l’ho abbandonato la mattina dopo la notte di fuoco” spiegò Francis togliendosi le scarpe.
“Ma insomma!”
“Avanti, Alfred… fra un paio d’ore mi sveglierai” lo rabbonì Arthur.
Si addormentò ancor prima che Francis si sdraiasse accanto a lui.




Continua




Se non si era ancora capito, aggiorno ogni domenica. Tuttavia non garantirò per il prossimo capitolo, sono un po' in ritardo... Gli indizi si affollano, chi accusate? *AceAttorneyPower*




Quattro chiacchiere col morto

Yuri: Benvenuto anche lei, signor Beilschmidt!
Gilbert: Buonasera a lei e buonasera a tutto il pubblico!
Y: La trovo bene, il suo candore è ancora più splendente oggi.
G: Grazie! Il meraviglioso me sta dando il suo meglio davanti a lei e davanti a tutte le giovani fanciulle qui presenti!
Y: Ora che è finito anche lei nell'albo dei defunti, come pensa che si senta suo fratello Ludwig?
G: Non trova che sia morto meravigliosamente bene? Il sangue dona perfettamente ai miei occhi rossi! Sono un figo!
Y: Sì, beh... e a Elizabeta non ci pensa? L'ha lasciata sola con quel marito isterico e frigido...
G: Che classe, ha notato che posa? Per non parlare dei miei capelli! Dice che troverò posto come attore in America?
Y: America? Sta facendo delle insinuazioni? Chi pensa sia stato a ucciderla in quel modo brutale?
G: Non lo so, ma perchè sprecare tempo a parlare degli altri quando ha davanti ME? Avanti, lo so che vuole un autografo...
Y: ....Lei lo sa che è ancora in mutande, vero?
G: Guardi che è merito di questo ben di Dio se ha così tante persone che leggono questo angolo inutile! E' arrivato il momento di svelare l'arcano segreto sulle mie misure! *si toglie le mutande*
Y: Oh! Non avevo mai visto un uccello così!
Gilbird: Pio pio pio
G: Kesesese! All'altezza di quest'altro qui! *indica punto imprecisato sotto la cintura* Modestamente, sono bello ovunque io! Meraviglioso! Magnifico!
Y: Va bene, finiamola qui. Regista?! Qualcuno può fare qualcosa? Si può sapere perchè ogni intervista deve terminare come una puntata della Barbara D'Urso?

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Capitolo 5
*** V. Marat ***


5- Marat Titolo: Ars Moriendi, Capitolo 5 - Marat
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), America (Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania (Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski), Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 5,108 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: La mort de Marat


V. Marat

 
Arthur protese una mano per scacciare ciò che lo stava infastidendo.
“Svegliati!”
Mai e poi mai, avrebbe dormito per altri due giorni, non aveva alcuna intenzione di lasciare il suo sonno, chiunque gli stesse parlando.
“Arthur! Per l’amor del cielo, svegliati subito!”
“Sta’ zitto, Alfred…”
Due mani salde lo scossero fermamente. “Dai, dai! Ti prego!”
Arthur aprì gli occhi con enorme fatica ma era abbastanza adirato da rispondergli malamente.
“Che diamine c’è? È impossibile che siano già passate due ore.”
Alfred era più agitato del solito. “E invece sì, ma non è per questo che ti devi alzare subito!”
Arthur si appoggiò col gomito sul cuscino. “È morto qualcun altro?” Inammissibile… possibile che non si riuscisse ad avere un paio d’ore di pace.
“Non lo so… può darsi. Io…” Alfred abbassò il tono della voce come se si vergognasse. “Ho visto un fantasma nel corridoio.”
Arthur spese qualche istante per decidere se mettersi a ridere o tornare a dormire.
“Te lo giuro! Ho sentito un rumore e sono uscito a controllare e così l’ho visto!”
L’inglese si ributtò sul cuscino. “I fantasmi non fanno rumore.”
“Cosa ne sai, dei fantasmi? Svegliamo Francis, lui se ne intende di più.”
Quella minaccia spinse Arthur a mettersi seduto sul materasso in tutta fretta. “Per la miseria, assolutamente no! Finalmente se ne sta zitto. Vengo a vedere io.”
Aveva sempre più l’impressione di essere diventato una balia. Con l’allegria di un cadavere si infilò la giacca ormai sgualcita, dato che il fuoco nel caminetto si era ridotto a qualche misera brace e la temperatura era calata, e uscì nel corridoio seguito a ruota da Alfred. L’ambiente era in penombra come al solito, per cui, a meno che il fantasma non gli fosse passato proprio davanti agli occhi, chiunque avrebbe potuto sbagliarsi.
“Dov’era?”
“Là in fondo.” Alfred indicò la fine del corridoio, sulla destra, dove si trovavano le altre camere.
“E che rumore ha fatto?”
“Non so, assomigliava a quello di una porta… o di una serratura.”
Arthur si spazientì. “Ti sembra che un fantasma potrebbe aver bisogno di usare una porta?”
“Ma era tutto bianco!” tentò di giustificarsi l’americano
“Sarà stato qualcuno in camicia da notte, ci hai pensato?”
Alfred ci pensò in quel momento. “Ah, sì, potrebbe.”
Arthur era irritato, ma ormai era sveglio e il suo turno di guardia era iniziato. “Va’ a letto.”
“D’accordo. Tu… dai comunque una controllatina ogni tanto.”
“Come no.” L’inglese si strinse nella giacca, ma un rumore diverso da quello di una serratura attirò la sua attenzione. Avanzò di qualche metro nel corridoio seguendo il suono di una voce. Rallentò di fronte alla porta di una camera, dall’interno proveniva una voce femminile.
Tornò indietro di corsa e bloccò Alfred prima che potesse rientrare in camera, lo prese per un braccio e lo trascinò fino alla porta.
“Arthur, lasciami dormire!”
“Parla sottovoce e traduci quello che dicono.”
Alfred appoggiò controvoglia l’orecchio al legno lucido. “È russo” disse. Che perspicace.
“È per questo che devi tradurre, io non lo conosco, ma tu sì.”
Arthur era certo che Ivan e Natalia gli nascondessero qualcosa di importante e quella era l’occasione perfetta per scoprire qualcosa.
Alfred rimase in ascolto per qualche minuto e quando Arthur gli mise fretta lui si agitò e arrossì.
“Ma… s-stanno…”
Dall’interno provenne un grido soffocato e l’inglese iniziò a farsi delle idee.
“Che fanno?”
“Ehm, credo… che siano insieme… a letto.”
“Oh.”
Alfred lo guardò imbarazzato, allontanandosi sempre più dalla porta come se potesse morderlo, ma Arthur lo trattenne.
“Avanti, è importante!”
“Ma è da maniaci!”
“Abbassa la voce! Stanno morendo delle persone e ti preoccupi di origliare qualcuno?”
Alfred si zittì e tornò ad ascoltare, titubante. Anche Arthur si protese e in effetti anche lui avvertì un lieve disagio. Comprese subito che il modo in cui quei due si univano nel letto non era normale, proprio come il loro assurdo modo di rapportarsi con gli altri.
Sentiva che era Natalia a parlare, con la sua voce profonda, la quale risultava ancora più sensuale mentre pronunciava le parole in russo. Ivan rispondeva ogni tanto, non sembrava affatto contento.
“Ehm, allora… credo si tratti di preliminari. Natalia gli chiede, no, gli ordina di togliersi… cioè di spogliarsi.” Alfred era del tutto negato per quella cronaca. Come poteva farsi tanti scrupoli proprio lui?
Arthur cercava di interpretare le sue informazioni sconnesse ascoltando i vari suoni: sentì il letto cigolare lievemente quando un corpo vi cadde sopra, una seconda persona, più leggera vi salì sopra con più grazia.
Dimmi che mi vuoi…
Un rumore sordo e secco, uno schiaffo.
Di’ che mi sposerai.
Una lamentela e una supplica, ma nessuna risposta.
Devi dirmi che sarò tua moglie per sempre.
Un altro schiaffo. Poi seguirono solo vocalizzi, gemiti e qualche parola isolata.
Alfred non sapeva bene cosa fare. “Beh, ora stanno…”
“Sì, l’ho capito.”
Nell’attesa della conclusione finirono per sedersi a terra, appoggiati ai due lati della porta.
“Certo che quella donna è davvero spaventosa” rise Alfred.
“Abbassa la voce.”
Poi dei passi affrettati annunciarono l’arrivo di qualcuno dall’ombra. Entrambi si alzarono in piedi di scatto, per evitare almeno di essere colti in flagrante.
“Bravi, davvero. Abbandonarmi con la porta spalancata e con un assassino in libertà.”
Francis comparve dall’oscurità, i capelli in disordine e un’espressione di totale offesa.
“Zitto!” gli intimò l’inglese.
“Che diamine fate lì?”
Arthur era terrorizzato dalla concreta possibilità che i due russi li scoprissero e poiché Francis non sembrava intenzionato a dargli ascolto, gli tappò semplicemente la bocca con le proprie mani e lo fece avvicinare alla porta.
Dopo aver ascoltato ciò che stava accadendo nella stanza, e dopo aver realizzato, Francis si rivolse agli altri due con falso sconcerto: “Ecco a cosa vi dedicate! Siete dei maniaci, chi vi ha insegnato certe cose? Ma soprattutto, perché non mi avete chiamato prima?”
Ancora una parola e Arthur lo avrebbe strozzato per farlo tacere una volta per tutte.
“Fa’ silenzio, maledizione!”
“Hanno ricominciato a parlare!” annunciò Alfred, che nel frattempo era rimasto ad ascoltare. “Parlano… di Edelstein.”
Arthur si avvicinò con discrezione, quello era il momento che aspettava.
“L’imperatore…”
“Quale imperatore?” Le cose non quadravano.
“L’imperatore d’Austria, Franz Joseph!”
Arthur si incollò di nuovo alla porta. Cosa c’entrava l’imperatore austriaco in quella faccenda? Cercò di carpire lui stesso qualche informazione in più, ma notò che i toni della voce erano cambiati e si erano alzati.
“Hanno parlato di alcune informazioni…” Prima che Alfred potesse terminare la traduzione, Arthur afferrò lui e Francis e li trascinò lontano. Non fecero in tempo a raggiungere la loro stanza, però: alle loro spalle una porta si aprì e una voce femminile li costrinse a bloccarsi.
“Notte agitata per tutti, vero?”
Arthur capì di non poter fornire alcuna giustificazione per il loro comportamento, per cui l’unica soluzione per mantenere credibilità era quella di non negare nulla.
Si voltò verso Natalia. “È così. Tuttavia c’è qualcuno meno preoccupato di altri che sa approfittare dei momenti di intimità.”
Natalia si strinse nella vestaglia candida. “Perché non ne approfittate anche voi? Magari questa volta potremmo essere noi ad origliarvi.”
“Sarebbe interessante” si intromise Francis.
La donna si allontanò stizzita. “Dove sta andando?” la richiamò Alfred. “Non è sicuro…”
“Vado alla toilette. Intendete seguirmi anche lì?”
Se fosse stato per Arthur, non avrebbe esitato un istante, ma la galanteria verso una gentildonna era un dettame ancora più ferreo di un degno interrogatorio. Ovviamente non potevano fare niente per fermarla, in quel momento.
“Alfred” chiamò Arthur quando Natalia si fu congedata, “prendi Braginski e andiamo di sotto.” Si avviò deciso verso le scale, con l’esigenza di terminare quella nottata la più presto. Verso le donne esisteva un preciso codice di cortesia, ma non aveva nessun problema a trascinarsi dietro un impostore uomo.
“Dove dovrei venire?” domandò il russo in tono cantilenante.
“Verrà a rendere conto dei suoi imbrogli davanti a tutti.”
“Ma io non ho nulla da rivelare.”
Quella sua arrogante maschera di innocenza non ebbe alcun effetto su Arthur, eccetto quello di farlo arrabbiare ancora di più.
“La porteremo giù con la forza, se necessario.”
“Non ho intenzione di stare ai vostri giochi.”
“Non farà che aggravare la sua posizione.”
Tutti e tre si strinsero attorno a Ivan, il quale non replicò, forse rendendosi conto della veridicità delle parole di Arthur. Alfred afferrò una giacca e gliela mise sulle spalle – dato che portava solo i pantaloni – prima di prenderlo per un braccio, mentre Francis faceva lo stesso.
Ivan era più alto e più grosso di loro, se avesse deciso di ribellarsi molto probabilmente avrebbe avuto la meglio su entrambi, ma sembrò aver deciso di collaborare principalmente perché trovava la cosa divertente.
Scesero le scale con Arthur in testa, il quale li scortò verso l’ultimo salotto dove avevano condotto gli interrogatori. L’inglese era quasi certo di trovarci le due coppie che con molta probabilità non avevano alcun interesse nel riposare. Infatti, sui divanetti in fondo alla stanza, Ludwig e Feliciano sedevano a debita distanza l’uno dall’altro, ed Elizabeta stava rannicchiata su un altro sofà.
“Dov’è herr Edelstein?” domandò Arthur, attirando l’attenzione dei tre che non si aspettavano il loro arrivo.
“È andato a prendermi una coperta” rispose Elizabeta, preoccupata ma soprattutto incuriosita.
“Avete deciso di restare qui?” Arthur decise di prendere tempo finché non avesse visto con i suoi occhi l’austriaco fare ritorno con la coperta.
“Sì” rispose la donna, rivolgendosi a Ludwig e Feliciano. “Nessuno di noi aveva voglia di dormire.”
“Si è allontanato qualcuno durante questo tempo?”
“Nessuno. Solo mio marito si è alzato qualche minuto fa, appunto per prendermi una coperta.”
“Che cosa sta succedendo?” domandò improvvisamente Ludwig, che sembrava non gradire affatto ulteriori sorprese.
“C’è stata una svolta inaspettata” spiegò Arthur. “Il signor Braginski e la sua compagna hanno parecchie cose da spiegarci.”
Sentì Ivan ridere sommessamente. “Nessuno di voi c’entra nulla in questa faccenda. Non dovreste avere alcun interesse nei nostri affari.”
In quel momento Roderich fu di ritorno. In mano reggeva una coperta pesante e si era cambiato la giacca. L’austriaco notò le occhiate sospettose di Arthur e lo precedette con le giustificazioni: “Questa giacca è più calda.”
L’inglese lasciò perdere la questione, per il momento. Si rivolse a tutti. “Tra noi ci sono due spie. Vi lascio immaginare di chi si tratti.”
Seguì un generale scambio di sguardi e interrogativi mormorati.
“Spie?” domandò Roderich. “Di che genere?”
“Questo dovrebbero specificarcelo i diretti interessati. Li abbiamo sentiti parlare a proposito di informazioni da chiedere o riguardo all’imperatore. Herr Edelstein, sappiamo che lei è vicino alla corte, ha contatti con alcuni dei ministri e addirittura con l’imperatore stesso. Lei si potrebbe rivelare un’ottima via per raggiungere il regnante.”
Roderich sembrò oltraggiato. “È così che stanno le cose?” domandò direttamente a Ivan. “Volevate estorcermi alcune informazioni sull’imperatore? Oppure usarmi per avvicinarvi a lui? E poi cosa?”
Ivan si strinse nelle spalle. “Alla Russia gli austriaci non sono mai andati a genio.”
“Ed è così che giustificate il vostro comportamento?”
Il russo esibiva un’espressione si assoluta tranquillità. “Non ho nulla da giustificare, servo solo il mio paese.”
“E quindi l’intera mostra era una copertura?”
“E cosa mi dice a proposito degli invitati?”
“E la scelta dei dipinti a cosa è dovuta, allora?!”
Tutte quelle domande non avrebbero portato a nulla: Ivan non aveva alcuna intenzione di fornire delle risposte sensate e Arthur era certo che non avrebbe mai ceduto alle pressioni dei suoi accusatori, almeno non finché si fosse trovato lontano dalla sua compagna.
“Portiamo qui la signorina Natalia e  interroghiamola a fondo” propose Arthur, ma senza ammettere repliche.
“Ma si trova alla toilette, non possiamo trascinarla qui!” obiettò Alfred.
Suscitando la sorpresa di tutti, Elizabeta si avviò da sola verso l’uscita del salone. “Allora andrò io a prenderla, non esiste alcun divieto morale che mi impedisca di fare irruzione in quel bagno!”
“Elizabeta…” Roderich tentò di trattenerla con le parole, infine le afferrò i polsi. “Lascia perdere. Fa’ che sia qualcun altro ad occuparsene.”
“E invece no! Lasciami fare!”
L’austriaco sarebbe riuscito a trattenerla solo se le si fosse seduto sopra. Elizabeta si diresse con determinazione verso le scale dell’atrio e sparì. Arthur trovava quella situazione assolutamente pericolosa.
“È sicuro lasciarla andare da sola?” domandò Feliciano.
“Siamo tutti qui. A meno che l’assassina non sia Natalia, cosa di cui per ora dubitiamo, non corre pericoli” gli rispose Ludwig.
“Ma… non mi riferivo a quello” continuò l’italiano occhieggiando verso Roderich. “La signora Elizabeta non possiede una grande stima per Natalia.”
“Che cosa state insinuando, voi?” volle sapere Roderich, irritato dal loro bisbigliare. “Mia moglie non è un’assassina.”
“Non la stavo accusando” si giustificò Feliciano. “Ma Elizabeta la ritiene responsabile della morte di Gilbert, non credo sia il caso…”
“Queste diffamazioni gratuite hanno oltrepassato il limite. Dovete smetterla di accusare me e mia moglie degli omicidi!”
“Francis, valle dietro” tagliò corto Arthur, che non voleva rischiare che si scatenasse una rissa proprio in quel momento.
“Perché mi fai sempre correre?”
“E tu perché mi fai sempre ripetere?!”
Francis se ne andò sbuffando, mentre l’inglese si chiedeva come mai l’attenzione degli altri fosse stata distolta così facilmente dallo smascheramento di Ivan.
“Mi è molto difficile chiedervelo” disse Arthur, “ma purtroppo dobbiamo collaborare ancora una volta e decidere cosa farne di questa spia.” L’idea di doversi mettere d’accordo con quel gruppo così eterogeneo lo faceva star male.
“Interroghiamolo” propose Ludwig.
“Rinchiudiamolo” si intromise Roderich.
“Posso trattenerlo, non c’è nessun bisogno di rinchiuderlo” si vantò Alfred.
“La prima opzione mi sembra l’unica plausibile.”
Arthur sentì i passi di Francis che tornava. “C’è un problema.” La sua voce provenne dalla stanza a fianco. Apparve qualche istante dopo trattenendo Elizabeta per la spalle, davanti a sé. La donna aveva il vestito candido imbrattato di sangue: la gonna, le maniche e soprattutto le mani gocciolavano liquido vermiglio, era pallida e sconvolta.
Un momento di silenzio esterrefatto e poi Roderich si precipitò dalla moglie. “Cos’è successo? Chi ti ha ferita?”
“Il sangue non è suo” spiegò Francis funereo. “Andate a vedere in bagno.”
Nessuno sprecò altro tempo, corsero tutti su per le scale, anche se Arthur era consapevole che affrettarsi fosse inutile. Intravide delle tracce di sangue già davanti alla porta della toilette, all’interno, sul pavimento, scivolavano rivoli di acqua rossa.
La vasca da bagno era colma e straripava e al suo interno si trovava la Morte di Marat. Natalia giaceva al suo interno, i lunghi capelli chiari celavano parzialmente il suo corpo nudo, ma non la gola tagliata.
Arthur non poteva crederci. Non sapeva nemmeno più come reagire di fronte a un omicidio: ad ogni nuovo ritrovamento tutti i suoi sospetti si sbriciolavano in illusioni. Era frustrato, stanco e terribilmente preoccupato, perché tutto ciò che pianificava non andava per il verso giusto.
La morte di Natalia rendeva del tutto inutili i suoi sforzi deduttivi: erano tutti nel salone quando era successo! Tutti, meno Roderich ed Elizabeta.
Quest’ultima non era entrata nel bagno, ma restava immobile sulla soglia, macabramente abbigliata di sangue. Suo marito, distolto infine lo sguardo incatenato al cadavere, le si parò davanti.
“Che cosa hai fatto? Perché?!”
“Io non ho fatto niente!” gridò Elizabeta, ma il suo coraggio e la sua determinazione stavano velocemente cedendo il passo all’isteria. “Io… io…”
“Sei coperta del suo sangue!”
“Non l’ho uccisa… non l’ho uccisa! L’ho trovata così!” La donna fissò il corpo come se non riuscisse ancora a credere a ciò che era accaduto. “Io non so perché… Ho provato a fare qualcosa. Ho messo le braccia nella vasca, volevo tirarla fuori, ma…”
“Ma poi sono arrivato io” intervenne Francis a terminare la frase, “e non stava affatto tentando di soccorrerla. Quando sono entrato era in piedi e immobile di fronte alla vasca.”
Elizabeta era agitata e sull’orlo delle lacrime. “Non ricordo… non so perché l’ho fatto, ma non l’ho uccisa!”
Roderich la prese per la spalle. “Hai rimosso il fatto di averla uccisa, Elizabeta.” La donna guardava oltre il marito. “Ne discuteremo dopo, ora ti porto a cambiarti l’abito.”
I due coniugi uscirono mentre Ivan avanzava verso la vasca: Alfred aveva smesso di badargli, preso com’era dal nuovo omicidio – e forse anche dal seno candido di Natalia.
Arthur non poteva sapere come avrebbe reagito Ivan di fronte al massacro della sua compagna, ma mai avrebbe previsto un comportamento simile da uno come lui: ipnotizzato dall’acqua tinta di rosso, si inginocchiò di fronte alla vasca. Fece scivolare le dita sui capelli della donna, maldestramente, come se la stesse toccando per la prima volta e non sapesse cosa fare. Gli occhi di Natalia erano freddi e immobili, sembravano fissare Ivan con un duro sguardo di rimprovero. Poi, tra le pareti lucide del bagno, con grande sorpresa di tutti, risuonò la risata del russo, quella risata che racchiudeva allo stesso tempo divertimento e crudeltà.
 Otpustitje mjeja? Na samom djele?
Se quella macabra conversazione poteva già essere impressionante, Arthur fu ancora più confuso nel vedere delle lacrime scendere copiosamente dagli occhi di Ivan, che tuttavia parevano piuttosto stillare pazzia.
Otpustitje mjeja?! Niet, ja vjorju…
Arthur si rivolse all’americano. “Basta così. Alfred, portalo di sotto, non ha ancora risposto alle nostre domande.”
Alfred appariva ancor meno contento di prima di fronte a quel compito, ma afferrò comunque Ivan per un braccio e lo allontanò. Rimasero in quattro a vegliare il cadavere.
“Com’è potuto succedere?” chiese Ludwig direttamente ad Arthur, i suoi occhi glaciali erano colmi di risentimento e rabbia crescente. “In quanti dovranno ancora morire prima che lei trovi la soluzione?”
L’inglese fu ferito sul vivo e non riuscì a formulare la sua solita risposta pronta. Sapeva anche lui che qualcosa non andava, qualcosa di fondamentale sfuggiva alla sua comprensione, o semplicemente i pezzi da unire erano troppi per lui. Dov’erano finiti il suo intuito e il suo raziocinio? Che cosa aspettava a risolvere il caso? La situazione gli stava sfuggendo di mano, ma ovviamente non avrebbe mai ammesso nulla di tutto questo di fronte agli altri.
“Ludwig…” lo chiamò Feliciano tentando di distoglierlo da quello sfogo, “avanti, portiamola di sotto.”
Il tedesco non poté rispondere al ragazzo, così presero dei teli da bagno con cui coprirono Natalia e la portarono via.
Arthur non aveva ancora aperto bocca. Era raro che gli capitasse di non sapere cosa dire.
“Quante casse ci sono, ancora?” chiese Francis, poiché l’inglese non si decideva a parlare.
“Come?”
“Quanti ancora possiamo permetterci che muoiano?”
Nessuno, pensò Arthur. Nessun altro poteva morire, si era già messo in ridicolo abbastanza da quando era giunto lì. Si era vantato di essere un ispettore di Scotland Yard, ma da quando l’aveva confessato aveva rischiato di essere ucciso e non aveva saputo ancora fornire un filo logico all’intera vicenda. Che la sua perspicacia si fosse tutta sciolta in alcool scadente?
L’unico modo per rimediare in extremis a quel fallimento era rimboccarsi le maniche e trovare quel maledetto assassino.
“Con cosa è stata uccisa Natalia, secondo te?” domandò Arthur con ritrovato vigore, mentre già ispezionava ogni angolo del bagno.
“Un coltello?”
L’inglese si affacciò oltre il paravento posto nell’angolo, seguendo delle minuscole tracce di sangue sul pavimento.
“Un rasoio, più precisamente.”
Si chinò e sollevò da terra un semplice rasoio da barba sporco di sangue. “Anche questa volta non si è impegnato a nascondere l’arma” notò, riferendosi al pugnale maldestramente celato sotto il mobile di Gilbert. Né sulla lama né sul manico erano presenti incisioni o segni particolari, era un semplice rasoio dato in dotazione agli ospiti del castello. Arthur lo avvolse in un fazzoletto di tela e se lo mise in tasca.
“Ora bisogna capire come ha potuto l’assassino entrare qui.”
Francis si grattò la testa. “Sinceramente non trovo difficile che una personalità come Natalia lasci la porta aperta mentre si fa il bagno. Magari è stata proprio lei ad aprire all’assassino.”
“Tutto è possibile.”
Uscirono chiudendo la porta, ma invece che scendere e raggiungere gli altri, Arthur si avventurò lungo il corridoio delle camere: voleva ispezionare la zona che si spingeva più in profondità, poiché non aveva ancora avuto l’opportunità di studiarla.
In fondo al corridoio c’era una piccola finestra piombata. Anche senza aprirla si udiva chiaramente il rimbombo del torrente che scorreva sotto di loro, in fondo al precipizio che affiancava quel lato del castello. Lì terminavano le stanze degli ospiti e alla sua destra una piccola e tortuosa scala, risalente alla prima edificazione del castello, portava alla torre dove si trovavano le camere di Ludwig e Feliciano. Ciò che Arthur non aveva previsto era la presenza di una seconda scaletta: si avvolgeva su se stessa e sprofondava verso il basso, ma in fondo si intravedeva una luce dorata. Si avventurò cautamente sui primi gradini, fin quando non capì che la scala conduceva a quelli che erano gli ambienti della servitù.
“Fantastico” sentenziò cupamente. “E così ora sappiamo che chiunque avrebbe potuto recarsi da Natalia senza imbattersi in noi tre che scendevamo le scale.”
Già, Elizabeta aveva assicurato che nessuno si era allontanato dal salotto, ma ovviamente non poteva fidarsi di lei. Di sicuro Ludwig e Feliciano sapevano di quella scala, visto che ci erano già passati vicino per recarsi nelle loro stanze, e poi i padroni di casa conoscevano indubbiamente ogni passaggio. In realtà chiunque avrebbe potuto andare fino in fondo al corridoio e notare i gradini, tutti eccetto lui che non si era preoccupato di ispezionare prima il luogo. Non ne aveva motivo, all’inizio, e poi erano successe troppe cose. Se solo non avesse litigato con Alfred, qualche ora prima, avrebbe sicuramente camminato fino alla fine, anziché andarsi a rinchiudere in camera.
Appoggiò la fronte alla fredda pietra dello stretto passaggio. Ciò che non riusciva a smettere di domandarsi, era cosa ancora gli fosse sfuggito.
Anglais?” Francis apparve dalla cima delle scale. “Torniamo dagli altri, non è il caso di attardarci qui, altrimenti mi verrà voglia di importunarti nei ripostigli.”
Arthur lo seguì su per le scale, ma senza preavviso, Francis si attardò davanti alla sua stanza.
“Aspettami un attimo, sistemo una cosa.” Si chiuse la porta alle spalle, ma non fece troppa attenzione perché questa si riaprì, lasciando un piccolo spiraglio. Ovviamente Arthur fece di tutto per spiare al suo interno: ci mancava soltanto che colui di cui non sospettava iniziasse a comportarsi in modo inspiegabile.
Vide Francis tirare fuori da sotto il letto una piccola valigetta dalla forma strana, assomigliava a quelle rigide e alte che usavano i medici per contenere le fiale fragili. Udì un lieve tintinnare di vetro quando Francis sollevò il coperchio e iniziò a trafficare con quelle che sembravano piccole ampolle. C’era anche molto altro in quella borsa, ma Arthur non vedeva e non sapeva riconoscere che oggetti fossero. Sembrava l’attrezzatura di un chimico.
Francis richiuse la borsa e tornò velocemente alla porta, Arthur si ritirò di scatto. Una volta fuori, il francese infilò una chiave nella serratura e sigillò la stanza.
“Andiamo?” lo incalzò Francis, ma Arthur stava pensando a qualcos’altro. Era stato fulminato da un’idea vergognosamente semplice.
“Hai chiuso a chiave?” chiese per avere conferma.
“Certo.”
“Maledizione.” Ora sapeva cosa gli era sfuggito, qualcosa di elementare. Non sapeva se la sua scoperta avrebbe cambiato le sorti dell’indagine, ma era comunque qualcosa di cui doveva accertarsi il prima possibile.
Attraversò in fretta il corridoio, l’atrio, il primo salone e giunse nel salotto piccolo dove tutti si erano nuovamente riuniti. Prima di fiondarsi si fronte a Roderich, fece in tempo a vedere Alfred puntare una pistola contro Ivan e si bloccò di colpo.
“Che diamine…?”
L’americano si voltò verso di lui, agitato e senza abbassare l’arma. Aveva il labbro inferiore spaccato e una delle lenti incrinate. “Mi ha aggredito! Mi ha tirato un pugno in piena faccia, non potevo permettergli di fare i suoi comodi!”
“Da dove viene quella pistola?”
“Me l’ha data herr Edelstein…”
Arthur individuò l’austriaco seduto tranquillamente su un divano con le braccia conserte. “Proprio lei cercavo. Abbia la gentilezza di chiarire un mio dubbio.”
“Prego” lo invitò Roderich senza scomporsi.
“Se ogni stanza ha la propria chiave, perché mai ha offerto il suo personale mazzo a Natalia per rinchiudere Gilbert?”
L’austriaco aprì la bocca per rispondere, ma si bloccò. Lo guardò per qualche istante senza parole, Arthur attese, tutti attesero.
“Ah… La sua camera non aveva una chiave.”
“Questo lo so, ma perché?”
Roderich cercò la risposta sul pavimento. “Non avevo alcuna intenzione di permettere a quel truffatore di chiudersi in stanza, magari con mia moglie! Volevo essere sicuro di averlo sempre sotto controllo.”
“E non pensa che se ne sarebbe accorto, a un certo punto?”
Nessuna risposta.
“Non capisce che la chiave mancante di quella stanza potrebbe essere nelle mani dell’assassino? Dove l’ha nascosta?”
“Ho dato disposizioni alla servitù perché se ne occupasse. Non so dove sia, ora, bisognerà aspettare e chiederlo al personale.”
“Ah… ma…” Elizabeta tentava di dire qualcosa da dietro le spalle del marito.
“Cara, lascia perdere, per favore. Preferirei che ora pensassi a riposarti.”
“Ma la chiave…”
“Va’ a sederti.”
Arthur infranse la distanza di cortesia e si avvicinò ulteriormente a Roderich. “La lasci parlare.”
“Gilbert aveva la sua chiave.”
“Che cosa?!” L’austriaco si voltò improvvisamente verso la moglie.
“Ho trovato la chiave della sua stanza sopra la dispensa! Credevo ci fosse stato un errore, così l’ho riportata nella stanza.”
“E dove l’hai messa?”
“Mi sembra… sul camino.”
Roderich iniziò a camminare avanti e indietro turbato. “Praticamente servita su un piatto all’assassino! A meno che Gilbert non l’avesse trovata… ma in ogni caso chi l’ha presa? Non era infilata nella toppa al momento dell’omicidio, altrimenti Natalia non sarebbe riuscita a chiudere la porta a chiave dall’esterno.”
Elizabeta costrinse Roderich a fermarsi afferrandolo per un braccio. “Perché non mi hai detto niente?”
“Avrei dovuto affidare a te la chiave della stanza del tuo amante?!”
La donna era incredula, si ritirò offesa.
La situazione non era migliorata come Arthur aveva sperato, tuttavia non poteva lasciarsi sfuggire nulla ora che stava ottenendo sempre più risposte.
“Svuotate le tasche. Tutti quanti.” Era praticamente impensabile che l’assassino si fosse tenuto addosso la chiave, ma non si poteva dare nulla per scontato.
Ognuno mise sul tavolo centrale ciò che teneva nelle tasche, Arthur compreso, ma della chiave nessuna traccia.
“Deve farlo anche lei, Ivan.”
Il russo, del tutto incurante della pistola che aveva davanti alla fronte, osservava divertito la scena.
“Avanti” lo incitò Alfred, avvicinandosi a lui.
Ivan non obbedì, ma rise. “È così divertente assistere ai vostri inutili affanni.”
“Non sarebbero inutili se tu collaborassi!” Alfred lo minacciò nuovamente premendogli la canna della pistola in mezzo agli occhi. “Ma considera che per noi risulterebbe molto più comodo perquisirti da morto.”
Con un movimento improvviso, Ivan afferrò la pistola e quando Alfred cercò di sottrarsi a quella presa, lui trattenne la canna ben puntata contro la propria testa. “E allora, si può sapere cosa stai aspettando?”
“Non faccia scherzi, Braginski!” lo ammonì Ludwig. La situazione stava velocemente precipitando.
“Vi sto solo aiutando! Se l’americano mi uccidesse qui, davanti a voi, il detective riuscirebbe a risolvere almeno un omicidio.”
“Non voglio altro sangue nella mia casa!” gridò Elizabeta.
Ivan trovò quella frase estremamente divertente. “Come fa a dirlo proprio lei? Ha appena sgozzato Natalia, ha ancora il suo sangue bollente sulle mani.”
“Non ho ucciso nessuno!”
“Siete tutti così disgustosamente falsi. La cosa più facile è incolpare me, perché sono una spia, ma non riuscite nemmeno a scorgere cosa si cela dietro le persone che vi sono più vicine.”
La sua mano libera si avvicinò al collo di Alfred e iniziarono a sbottonargli i bottoni sul colletto.
“Nessuno è chi vuol fare credere, forse riuscirei a scoprire chi sei solo se ti strappassi la pelle dal corpo.”
Per quanto l’americano cercasse di sottrarsi al contatto, la presa sulla pistola e sulle sua mani era così potente da impedirgli di indietreggiare. Ivan sembrava non impiegare alcuno sforzo a trattenerlo e poteva far scorrere le sue dita sul volto di Alfred senza disturbo.
“Braginski!”
Una seconda pistola spuntò dal nulla e si piantò nella tempia del russo. Arthur la reggeva con determinazione e freddezza, attirando finalmente su di sé l’attenzione di Ivan.
“Ci dica quello che vogliamo sentire e la lasceremo andare.”
“Questo sì che è divertente…”
“Eravate due spie russe, giusto?” La risata di Ivan diede ad Arthur la sua conferma. “Avete sfruttato Edelstein per giungere all’imperatore?”
“Ero sicuro che avreste detto qualcosa di giusto, prima o poi.”
“Qual era il vostro scopo?”
Ivan scrutò Alfred, valutò la sua reazione a ciò che stava accadendo, poi lasciò la presa sulla pistola. L’americano ricominciò a respirare.
“Nulla che avesse a che vedere con degli omicidi. Non per il momento, almeno. Si è trattato unicamente di un’inaspettata e divertente coincidenza. Certo, un po’ meno divertente per Natalia…” Ricominciò a ridere crudelmente e parve non voler più smettere.
Arthur e Alfred finalmente si rilassarono e l’inglese abbassò anche la sua arma.
“Continua a tenerlo d’occhio” raccomandò all’americano, nel frattempo si fece consegnare da Roderich il mazzo copia di tutte le chiavi. “Voglio che rimaniate tutti qui mentre verifico una cosa.”
Uscì dal salotto senza preoccuparsi di ricevere segni di assenso. Appena fuori riprese fiato. Per dei lunghissimi istanti aveva davvero provato paura. Aveva avuto la visione di Alfred colpito da un proiettile della sua stessa pistola, un Ivan impazzito che gli si avventava contro, un’altra tremenda carneficina. Era riuscito ad evitarla.
Osservò la propria pistola, quella che fino a quel momento aveva tenuto celata dietro la schiena, legata alla cintura, triste ricordo di un passato onorevole. Aprì il tamburo, vuoto. Era stato estremamente fortunato.
Nella penombra si lasciò scivolare lungo il muro per riordinare i pensieri agitati, ma due braccia spuntate dal nulla lo rimisero in piedi, facendolo trasalire.
“Sono rimasto positivamente sorpreso da quell’atto di eroismo.” La voce sibilante di Francis nell’orecchio gli provocò un brivido. Gli fu davanti e lo schiacciò contro la parete.
Stavolta non ci furono preliminari, né versi di Baudelaire: l’atmosfera si era già surriscaldata a sufficienza. Un lungo bacio passionale fu quello che Arthur sentì piovere sulle sua labbra e che lo fece sentire inaspettatamente bene. Non era certo tipo da rifiutare un agognato sfogo che permettesse alla sua mente di dissetarsi a una semplice fonte di sensualità. Poter chiudere gli occhi, lasciarsi andare, respirare affannosamente erano tutte piacevoli distrazioni, anche se i suoi obiettivi gli erano rimasti razionalmente scolpiti in testa.
Francis approfittò subito di quella collaborazione e senza complimenti gli infilò le mani nei pantaloni, ma Arthur aveva da chiarire qualcosa prima di andare oltre. Gli afferrò saldamente i polsi, attese che Francis rinunciasse a insidiarsi nella sua bocca e lo guardò dritto negli occhi, con un lieve sorriso, poiché sapeva che la domanda che gli stava per fare lo avrebbe messo in difficoltà.
“Cosa contengono quelle ampolle?”
Arthur aveva ragione: la domanda lo sconvolse.





Continua




Alla fine non ho ritardato così tanto! Quando ho iniziato a pubblicare ero già avanti di tre capitoli, poi però mi sono impigrita.. e giuro che questo capitolo per me è stato molto difficile, soprattutto perchè l'idea di far parlare Ivan mi terrorizzava, ma ammetto che sono soddisfatta del risultato. Però non avete idea della miriade di soppi sensi legati alle pistole...... quello sì che è stato un problema....
Infine, vi avviso che mancano solo due capitoli alla fine, perciò fate ora le vostre ipotesi o non ne avrete più il tempo e io mi sto annoiando!
Alla prossima, si spera puntuale!





Quattro chiacchiere col morto

Yuri: ....è proprio obbligatorio intervistare lei?
Natalia: Me lo chiedo anch'io.
Y: Bene, ehm... ha ancora un po' di sangue... lì.
N: Chissà come mai.
Y: Però ammetto che non le sta male. Si abbina perfettamente al suo abito e alla sua anima infernale.
N: Già. Sa, è la stessa cosa che i lettori pensano di lei.
Y: Non ne dubito. Non la fa sentire bene essere la sorgente di ogni male?
N: Sì e scommetto che anche per lei è lo stesso, vero?
Y: E' lei che deve rispondere alle mie domande. Le ha fatto piacere essere tolta di torno in quel modo?
N: Io NON volevo essere tolta di torno. Ora chi baderà al mio fratellone? Chi mi garantirà che mi resterà fedele?!
Y: Desidera che tolga di mezzo anche lui? Sa, non mi costa nulla falciare qualche vista in più.
N: No, penso di poter pazientare ancora per un po'. E' più divertente l'idea di tormentarlo da fantasma per gli anni futuri.
Y: Tra l'altro ho ricevuto alcune richieste che riguardano una lussuriosa relazione tra Ivan e Alfred. E' d'accordo?
N: QUELLO SPORCO AMERICANO NON DEVE NEMMENO PERMETTERSI DI TOCCARE IL MIO FRATELLONE! LUI E' SOLO MIO, SOLO MIO, SOLO MIO, SOLO MIOOOOOOOOOOOOOO! *fugge*
Y: Aaah..... ho i brividi lo giuro.... che sensazione stupenda.

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Capitolo 6
*** VI. L'impiccato ***


6-Impiccato Titolo: Ars Moriendi, Capitolo 6 - L'impiccato
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), America (Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania (Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski), Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole: 6,880 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: 1. Questo capitolo è costruito da continui flashback, perciò tenete d'occhio le ore per capire cosa sta succedendo.
2. La casa dell'impiccato


VI. L’impiccato

 
 
Ore 5.10
 
Arthur non sapeva trattenere la soddisfazione quando sapeva che finalmente le cose sarebbero andate secondo i suoi piani. Sapeva chi avrebbe trovato oltre quella porta, sapeva perché si trovasse lì e sapeva che si sarebbe trattato dell’assassino.
Tenendo la candela accesa di fronte a sé, aprì la porta della cantina. L’ambiente era immerso nell’oscurità, ma lui portò all’interno una debole luce dorata che bastò a rivelare l’individuo che vi era al suo interno.
Era lì, proprio dove Arthur aveva previsto. Davanti alla cassa che conteneva il corpo di Francis c’era…
 
 
Ore 4.16
 
Grazie alle copie delle chiavi avute da Roderich e alla confusione provocata da Ivan, Arthur aveva tutto il tempo per curiosare in giro. Il primo luogo dove si diresse fu la camera di Gilbert: doveva controllare se, per un caso fortuito, la chiave originale fosse ancora sul caminetto.
Trovò la stanza ancora chiusa. L’interno era rimasto inviolato, la sedia era ancora in mezzo alla stanza, le bende insanguinate erano a terra, gli schizzi costellavano le pareti e il soffitto. L’aria era permeata del nauseante odore del sangue vecchio.
Arthur andò diretto al caminetto, guardò dappertutto, cercò anche sul tappeto, vicino all’attizzatoio e tra i ciocchi di legno intonsi, ma della chiave nessuna traccia. Era ovvio che l’avesse presa l’assassino.
Nonostante il disagio, decise di trattenersi ancora un po’ per dare un’occhiata generale, ora che aveva il tempo e la calma dalla sua parte. Studiò la disposizione degli schizzi di sangue: del tutto casuale. Sicuramente non erano stati provocati direttamente da Gilbert, anche perché se avesse avuto le mani libere avrebbe reagito all’aggressione. Arthur non poteva fare a meno di chiedersi come avesse fatto l’assassino a legare Gilbert senza che lui potesse difendersi. O l’assassino era straordinariamente forte, o l’albino era stato stordito. Per ora non aveva prove a sostegno di una delle due ipotesi.
Inoltre, sussisteva ancora il problema del vestito sporco. Imbrattare i muri con il sangue sarebbe forse stato possibile, ma far arrivare gli schizzi fino al soffitto senza sporcarsi era impensabile. Inoltre, l’assassino avrebbe dovuto usare un contenitore per raccogliere il sangue di Gilbert, ma in quella stanza non vi era traccia di un recipiente o qualcosa di simile usato per quello scopo.
Nessun segno di lotta, il bagaglio era ancora intatto. In una camera così in ordine, qualcosa nascosto in una piega della coperta attirò la sua attenzione. Era un oggetto piccolo, brillante. Un bottone, o meglio, un gemello.
Arthur lo prese delicatamente tra le dita. Era indubbiamente un gioiello lussuoso, poteva appartenere a Gilbert, oppure…
Guardò nuovamente il sangue sul soffitto e finalmente le cose parvero acquisire un senso.
Uscì dalla camera con il gemello in tasca e si diresse alla tappa successiva: lo studio di Roderich. Nessuno si era ancora preoccupato di controllare se il ritrovamento del cianuro da parte di Natalia fosse vero o no.
L’arredamento era sobrio e classico e c’era molto ordine. Buon per lui. Cercò di pensare a dove avesse potuto nascondere una fiala di veleno, ma in uno studio ordinario come quello avrebbe potuto essere ovunque. Era chiaro che Roderich avesse dato ad ogni oggetto una precisa disposizione. Arthur controllò prima di tutto nei cassetti, ma non era molto fiducioso, anche perché nessuno di questi era stato chiuso a chiave. Passò agli scaffali, ma nascondere una fiala lì sarebbe stato rischioso, ci sarebbe voluto poco per romperla.
Si concentrò sugli sportelli e sulle ante, finché non si imbatté in quello che sembrava uno schedario. Quando provò ad aprirlo notò che era chiuso a chiave, e ciò non fece che alimentare la sua curiosità. Nel mazzo a sua disposizione non era presente la chiave dello schedario e non l’aveva trovata nemmeno frugando dappertutto, quindi optò per la soluzione più semplice: forzò la serratura con il tagliacarte finché questa non cedette.
All’interno c’erano moltissimi documenti, tutti ordinati secondo le lettere dell’alfabeto, stampate su delle cartelline che separavano i vari fogli. Guardò la lettera C e la banalità del suo ragionamento lo sorprese. Trovare una fiala di cianuro sotto la C sarebbe stato incredibilmente scontato, tuttavia chi era più scontato di un maniaco dell’ordine?
Esitò ancora un istante, pensando alla delusione e all’imbarazzo che avrebbe provato se lì in mezzo non avesse trovato il contenitore, ma alla fine iniziò a cercare sotto la C.
Spostò tutti i fogli, guardò tra le pieghe della carta, controllò che non ci fosse un doppio fondo, ma niente. Era stata un’idea stupida. Richiuse il lungo cassetto pentendosi si averlo rotto per niente, quando si rese conto dell’errore. Cianuro in tedesco si diceva zyanid…
Con qualche timore spostò le carte raccolte attorno alla lettera Z e notò subito che tra quei fogli c’era qualcosa che non c’entrava. Infatti, sul fondo del cassetto, c’era una piccola fiala. La alzò e la osservò contro la luce della lampada a olio che aveva portato con sé. All’interno della fiala c’era una polvere bianca, ma il contenitore non era del tutto pieno. Attaccate internamente al vetro intravide tracce biancastre che segnavano il limite originario della sostanza. La dose mancante era ampiamente sufficiente per uccidere qualcuno.
Infilò anche la boccetta nella tasca e tornò velocemente verso la porta, quando uscendo notò qualcosa che svolazzava. Aveva fatto alzare qualcosa di leggero con il suo spostamento d’aria, qualcosa che atterrò ondeggiando vicino ai suoi piedi: era un banconota. Arthur non l’aveva mai vista, non era di nessun paese che conoscesse. La raccolse e la esaminò, leggendovi dei caratteri in cirillico su sfondo marrone chiaro. La stampa era recentissima, sul fondo c’era la data 1887.
La banconota fu la terza e ultima prova che si infilò in tasca, poi tornò dagli altri. Quando fece il suo ingresso nel salotto, trovò gli invitati vicini a conversare. Quando lo notò, Roderich gli riferì.
“Poiché abbiamo deciso di stare svegli ad attendere il mattino, ho pensato di portarvi nella stanza del biliardo.”
Poteva sembrare assurdo dedicarsi al biliardo in un momento come quello, ma ad Arthur poco importava, ormai si era fatto un’idea ben chiara su chi fosse il colpevole. Per riuscire a incriminarlo aveva bisogno di tempo per studiarlo.
“Cosa facciamo con lui?” chiese riferendosi a Ivan.
“Credo sia innocuo ora” rassicurò Alfred. “L’unica cosa che gli interessa è assistere al prossimo omicidio e divertirsi di fronte ai nostri sforzi.”
Ivan sedeva sul divano con aria serafica come se stesse assistendo a uno spettacolo teatrale.
“In ogni caso intendo restituirgli il pugno!”
“Non essere infantile” lo redarguì Arthur.
 
 
Ore 4.33
 
La stanza del biliardo era abbastanza piccola, ma ciò contribuiva a far sentire tutti più al sicuro, avendo la possibilità di sorvegliarsi più da vicino. Roderich entrò con una candela e andò ad accendere le lampade a olio appese ai muri, le quali faticarono un po’ a illuminare l’ambiente, nonostante le piccole dimensioni.
Il tavolo da biliardo era al centro, lungo la parete erano disseminate sedie e poltrone, in un angolo vi era un carrello con dei liquori, e poi una libreria e qualche mobile in ombra.
Il padrone di casa si azzardò a offrire dei cocktail, ma tutti rifiutarono saggiamente, Arthur compreso.
Furono Alfred e Feliciano a giocare per primi e l’italiano si rivelò essere sorprendentemente abile. Ludwig osservava dalla poltrona, con aria assente. Ivan, invece, era tutt’altro che disinteressato, mentre Elizabeta sedeva schiacciata contro lo schienale e scrutava con ansia ogni angolo oscuro.
Arthur si avvicinò a Roderich.
“Come fa a mantenere un tale autocontrollo e un eccellente grado di ospitalità in una situazione simile?”
L’austriaco gli rispose con la sua tipica aria altezzosa. “Si tratta di un altro interrogatorio?”
“Semplice curiosità.”
“La mia reputazione sta già venendo intaccata abbastanza da questi omicidi, non intendo macchiarmi anche del titolo di persona poco ospitale.”
Arthur incrociò le mani dietro la schiena, ostentando sicurezza. “Ho capito subito che lei è un uomo rigoroso.”
“La precisione o l’ordine sono ciò che ci avvicinano alla perfezione.”
“Già, è proprio quello che ho pensato osservando il suo studio.”
Roderich non sembrò affatto gradire quel complimento. “Noto con piacere che si è dato all’esplorazione.”
“Deve pur esserci qualcuno che cerca di far luce sulle morti, mentre lei è impegnato nell’ospitalità.”
L’austriaco sollevò il mento. “In ogni caso l’ordine denota anche l’assenza di segreti.”
“Vero. Per questo ritengo che la mancanza di cura riveli ciò che si preferisce celare.” Avvicinò la mano al collo di Roderich e accarezzò il colletto inamidato. “Per esempio, se lei avesse prestato più attenzione al suo abito, avrebbe notato che all’interno del suo colletto c’è una minuscola macchia di sangue.”
Roderich si portò immediatamente la mano al collo, ma non gli ci volle molto per recuperare la sua maschera superba. “Che imperdonabile svista. Dev’essere successo quando ho aiutato mia moglie a cambiarsi l’abito sporco. Oppure è stato il sangue sul soffitto nella stanza dell’albino.”
“Mi trova d’accordo.”
Quella che apparve sul volto di Roderich era senza dubbio una profonda ira.
Arthur si allontanò, proprio mentre Alfred chiedeva: “Signor Bonnefoy, non sarebbe il momento che ci facesse un po’ divertire con uno dei suoi spettacoli?”
Francis era sprofondato in una poltrona e poggiava stancamente il mento su una mano. “Suonerebbe così strano se dicessi che non sono in vena?”
“A dire il vero, sì” rispose Arthur. “Cos’hai?” gli domandò, vedendolo stranamente pensieroso.
Francis non sembrava avere molta voglia di rispondere, oppure non sapeva esattamente cosa dire.
“Quando una persona ha a che fare con la magia, i riti e le evocazioni come me, una domanda che gli viene sempre posta è: hai mai predetto la tua morte? È una domanda stupida.” Protese un braccio verso Arthur, che era in piedi di fianco a lui, e lo afferrò per i fianchi. “Tuttavia devo ammettere che quando il momento è vicino, lo si avverte. Non lo senti anche tu, nell’aria? È come una pessima sensazione.”
“Non sento niente eccetto le tue dita che mi serpeggiano addosso.”
Francis lo guardò a lungo negli occhi, poi dal nulla disse: “Mi dai un bacio?”
Arthur lo spinse più lontano. “Non ti do proprio niente!” Era oltraggiato. Se anche gli era capitato di pensare vagamente ad un proseguimento di quella storia oltre quella serata da incubo, sicuramente non voleva lanciarsi in effusioni teatrali di fronte a tutti.
“Che egoista.”
Francis interruppe subito i suoi tentativi, accontentandosi di stringergli una mano.
“Si può sapere cosa ti prende?” Si era insospettito perché il francese gli era parso pensieroso, ma ora che aveva rinunciato così facilmente alle sue avances  era preoccupato.
“Manca pochissimo ormai.”
All’improvviso si fece buio, le luci si spensero contemporaneamente e non si vide più nulla. Arthur voleva indietreggiare verso la porta ma inciampò in un tappeto e perse la presa su Francis. C’era molto rumore, le persone si alzavano e cercavano di capire dove fosse il problema, cadevano gli oggetti e, per qualche inspiegabile motivo, il fatto che non ci fosse più luce sembrava significare che nessuno riuscisse più nemmeno a sentire: molti gridavano invece che parlare e ciò non contribuiva a tenere lontano il panico.
Arthur sentì Elizabeta camminare avanti e indietro senza sosta urlando al nulla. “Sei qui, non è vero?! Non nasconderti e vieni fuori! Chi è il prossimo, sono io?!”
“Dove sei, Feliciano?” chiamò Ludwig.
“Perché non ti fai avanti e non vieni a prendermi?!”
Si sentì il rumore di qualcosa che cadeva, dei cigolii sinistri che il buio rendeva ancora più lugubri, specialmente se nell’aria aleggiava la risata di Ivan.
“È magnificamente divertente!”
“Arthur!” Era la voce di Alfred. “Non ti muovere, vengo io!” Un attimo dopo sentì un corpo cadere.
“Stai fermo! Peggiori solo le cose. Dov’è Edelstein?!”
C’era troppa confusione per capire cose stesse succedendo. Un attimo dopo comparve dal nulla una luce a mezz’aria che illuminò solo il volto serio di Roderich.
“Sono qui” rispose il padrone in tono grave. “Ho recuperato un fiammifero, ora vediamo di calmarci. Elizabeta, smettila di gridare.”
La luce si mosse e di colpo diventò più potente e stabile. Roderich aveva acceso una candela.
“Facciamo il punto della situazione. Qualcuno si è fatto male?”
“Io sono caduto su qualcosa di duro…” si lamentò Alfred.
“Credo sia il pavimento” svelò Arthur. “Ci siamo tutti?”
“Feliciano?” chiamò nuovamente Ludwig.
“Sono qui. Ho sentito… qualcosa di strano.”
“Alfred, controlla Ivan.”
“Ci sono, non temete, non mi perderei lo spettacolo per nulla al mondo!”
“Non è questo che mi preoccupa. Francis?” Nessuna risposta. “Francis, non riesco a credere che tu non abbia ancora provato a palparmi.”
Ci fu ancora silenzio, incrinato da un urlo di Elizabeta che trafisse le orecchie dell’inglese con la sua disperazione. Ad Arthur si raggelò il sangue quando la donna cadde per terra e si coprì gli occhi con le mani.
“Che è successo?!”
Non si capiva se Elizabeta stesse piangendo o se fosse terrorizzata.
“Oh mio Dio! È lì! È lì!” Indicò l’angolo più lontano, quello vicino alla libreria.
C’era un’ombra, più nitida delle altre. Pendeva da una trave del soffitto, ondeggiava appena.
Arthur non riuscì a capire più niente. Alfred e Ludwig lo superarono di corsa.
“Possiamo fare in tempo se lo tiriamo giù subito!”
“Non c’è niente sotto! Com’è possibile che non ci sia una sedia?! Come ci è arrivato lassù?”
“È l’impiccato” disse Feliciano con voce tremante.
Arthur si guardò la mano: prima lo stava toccando… era lì!
“Dobbiamo spostare una poltrona.”
Era un oggetto pesante, ci vollero due uomini per spostarla e spingerla fin sotto a Francis e sempre in due dovettero collaborare per riuscire di sganciare la corda dalla trave, mentre la candela di Roderich illuminava i loro maldestri tentavi a intermittenza. Sembrò volerci un’eternità, Arthur non si era ancora mosso, d’un tratto non sapeva più cosa fare, e quando il corpo fu finalmente a terra e tutti gli si raggrupparono attorno, ebbe l’irrefrenabile impulso di allontanarli.
“F-Fermi tutti, andate via, non toccate niente!”
Indietreggiarono. Ora avrebbe dovuto semplicemente cercare di capire se fosse vivo… Aveva un segno livido attorno al collo, poteva vederlo anche in quella penombra, come riusciva anche a vedere che non respirava. Anche lui trattenne il respiro e poggiò una mano sul suo petto, e attese a lungo. Era tutto così assurdo, com’era possibile che un attimo prima gli stesse parlando e ora…
“Ah… Arthur” Alfred tentò di attirare la sua attenzione, “dici che è ancora…”
L’inglese stava ancora aspettando qualcosa che non sarebbe mai accaduto.
“No.”
“Aspetta, fammi vedere…”
“No!” Scacciò la mano tesa di Alfred. Era furioso, con se stesso e con tutti. Come potevano restare così indifferenti? Come potevano essere così ipocriti? Alle sue spalle, in mezzo a tutti, c’era l’assassino che osservava quello scempio magari ostentando innocenza o magari anche dispiacere. E lui… come aveva potuto lasciare che accadesse? Lui che aveva la soluzione in pugno…
Si piegò sul corpo, si sentiva senza forze, senza speranza. Era a pochi centimetri dal viso di Francis, immaginando di sentire il suo respiro sulla pelle.
“Mi spiace, Arthur” tentò nuovamente Alfred, sfiorando la schiena di Arthur.
“Stai fermo” gli intimò. “Non ti muovere.” Strinse tra le dita un lembo della giacca sul petto del francese. “Non ci sono più casse.”
“Come?”
“Non ci sono più casse. Lui è l’ultimo.” Avrebbe interrotto la catena di morti, ora poteva farlo. Ma l’ultimo era stato proprio lui…
“È strano” intervenne Roderich. “Questo dovrebbe essere La casa dell’impiccato. Ma in quel quadro l’impiccato non si vede.”
“Appunto” gli rispose Feliciano. “Noi non lo vedevamo, era sceso il buio.”
“Mh. Un tocco decisamente originale.”
Arthur insisteva a restare appoggiato al petto di Francis, non gli importavano più le insinuazioni e i sotterfugi. La verità era che l’unico responsabile di quella morte era lui. Non era stato abbastanza abile né abbastanza veloce a trovare il colpevole, e quello era stato il prezzo da pagare.
“Sei un idiota” gli sussurrò all’orecchio. Aveva fatto quella sceneggiata per cosa? Se era davvero così sicuro di morire, perché non aveva fatto niente per evitarlo?
“È ora di portarlo di sotto” disse Ludwig.
“Alfred, aiutami tu.” Arthur non voleva nessun altro, non voleva essere aiutato dall’assassino.
“Un attimo…” li trattenne Roderich ma l’inglese non accettò interruzioni.
“Stia al suo posto, Edelstein! Non è il momento.”
Uscirono senza prestare più attenzione ai commenti degli altri. Trasportare quel corpo fino alla cantina fu più faticoso di come Arthur aveva immaginato, forse perché aveva l’impressione di essere rallentato anche dal peso del senso di colpa, e queste sensazione per lui era intollerabile.
La cassa in cantina era davvero l’ultima rimasta, Francis ci stava appena. Sembrava assurdo che avessero avuto a disposizione quei contenitori di fortuna della forma giusta. Arthur richiuse in fretta il coperchio e uscì dalla stanza, non aveva motivo di trattenersi lì.
“Perché corri via?” gli domandò Alfred andandogli dietro. “Fermati un attimo…”
Arthur continuò per la sua strada senza rallentare, allontanandosi il più possibile dalla cantina e dai cadaveri, non fece caso alla direzione che prese. Si ritrovò nel grande atrio, appena illuminato dalle candele e dai radi ricordi di decorazione barocca.
Quando si fermò, i passi di Alfred rimbombarono attraverso le alte pareti. L’americano aveva il fiatone. “Avanti, lo sai che sono troppo muscoloso per correre.”
Attese che Arthur rispondesse e che il fiato gli tornasse. Non avvenne nessuna delle due cose. L’inglese gli voltava le spalle.
“La morte del francese ti rende così triste? Non pensavo…”
Non era mai stato particolarmente bravo come oratore, così passò ai fatti. Arthur sentì le sue braccia cingergli le spalle.
“Non avrai paura dell’assassino, vero? Non devi, credo di aver capito chi è. Appena torneremo di là, lo costringerò a confessare.”
La sua ingenuità era così patetica, ma allo stesso tempo così rassicurante. Forse non era così egoista come Arthur aveva pensato, forse sbagliava solo l’ordine di importanza che conferiva alle cose. Forse il suo modo di pensare era troppo diverso da quello di un inglese. In ogni caso adesso Arthur aveva bisogno della sua piena concentrazione. Si voltò e si assicurò di avere la sua attenzione.
“Ascolta bene, Alfred.”
“Cosa?”
“Ora mi aiuterai a fare qualcosa di importante. Non ti separare mai da me.”
Non attese la sua risposta perché non c’era più tempo da perdere. Si avviò nuovamente verso la sala del biliardo, con Alfred al seguito.
“Di che si tratta? Cosa dobbiamo fare?”
“Devi fare quello che faccio io.”
“Ma non capis…”
Arthur fece irruzione nella stanza ancora buia, rischiarata dalla candela di Roderich che ormai si stava estinguendo.
“Ci siamo tutti?” domandò entrando.
I presenti furono chiaramente sorpresi nel vederlo così attivo dopo ciò che era successo.
“Edelstein  è andato a prendere l’olio per le lampade” rispose Ludwig.
“Certo” concordò Arthur. “Voglio che mi seguiate tutti.”
Usò la candela per illuminare la strada verso la cantina. Camminò spedito seguito dagli ospiti, alcuni dei quali gli domandarono il perché di quella scelta immotivata.
Arthur non si preoccupò di rispondere, avrebbero compreso tutto coi propri occhi.
 
 
Ore 5.10
 
Arthur non sapeva trattenere la soddisfazione quando sapeva che finalmente le cose sarebbero andate secondo i suoi piani. Sapeva chi avrebbe trovato oltre quella porta, sapeva perché si trovasse lì e sapeva che si sarebbe trattato dell’assassino.
Tenendo la candela accesa di fronte a sé, aprì la porta della cantina. L’ambiente era immerso nell’oscurità, ma lui portò all’interno una debole luce dorata che bastò a rivelare l’individuo che vi era al suo interno.
Era lì, proprio dove Arthur aveva previsto. Davanti alla cassa che conteneva il corpo di Francis c’era Roderich.
“È qui che nasconde l’olio per le lampade, herr Edelstein?”
L’austriaco si voltò trasalendo, interrotto senza preavviso nel mezzo delle sue operazioni.
“Che ci fai qui?” chiese Elizabeta insospettita.
“Ho io le risposte, se lui non intende parlare.” Arthur si avvicinò a Roderich per illuminarlo meglio, per rivelare la sua espressione sorpresa e tormentata.
“Herr Edelstein, vuole che sia io a svelare gli omicidi che lei ha compiuto?”
“Quali omicidi?!” Sebbene tentasse di indietreggiare, non aveva alcuna via di scampo.
“Eviterò di rispondere a questa insulsa domanda, rispondendo invece a quella intelligente di sua moglie. In realtà tutte le risposte sono estremamente semplici, mancava solo qualcosa che le mettesse in luce. Partiamo dal principio. La morte di Zwingli è chiaramente avvenuta a causa della manomissione del fucile, manomissione che lei avrebbe tranquillamente potuto operare in qualunque momento visto il livello di confidenza che avevate.”
“Non ho mai fatto nulla del genere!” si difese Roderich, ma fu stupido pensare che Arthur si sarebbe fermato ora che lo aveva in pugno.
“Zwingli lo stava aiutando col problema dei fratelli Beilschmidt, ma quando ha scoperto che stava anche collaborando con sua moglie per annullare il vostro matrimonio, la prima questione ha perso importanza. Lei stesso mi ha detto che era a conoscenza delle loro trame e anche che non avrebbe voluto uccidere sua moglie. Per cui, l’unico modo che aveva per impedire la fine del matrimonio era quello di eliminare il notaio che se ne stava occupando.”
Gli occhi di Roderich erano ricolmi d’odio e disprezzo. “La avverto che se prosegue con queste oltraggiose insinuazioni potrebbe pagarla a caro prezzo.”
“Passiamo alla morte di Beilschmidt. Il movente è semplice, è stato Ludwig a farmelo capire. Anche se Gilbert le doveva dei soldi, lei non si fidava dell’albino, tutt’altro, pensava che sbarazzandosi di lui le trattative col fratello sarebbero state più semplici. Ed è a questo punto che ha pensato bene di sfruttare le qualità di uno dei vostri ospiti. Magari le qualità di una spia russa, facilmente corruttibile e senza troppi scrupoli.”
Estrasse dalla tasca la banconota. “Le ha offerto denaro per uccidere Beilschmidt, e lei ha accettato.”
“Non l’ho fatto!”
“Sì invece. Questo è stato l’omicidio più complesso, ma ora le dirò come è andata. La signorina Natalia non era certamente in grado di legare da sola Gilbert, ma avrebbe potuto farlo se lei stesso lo avesse drogato nel momento in cui ci ha offerto il cognac. Ha calcolato bene i tempi, una volta giunti in camera, Natalia è riuscita a legarlo senza troppi problemi, dopodiché ha solo dovuto tagliargli i polsi, ecco perché è tornata così presto.”
“Le sue sono fantasie.”
“Non le mie, al contrario. Deve aver avuto una bella fantasia per pensare di imbrattare la stanza di sangue. L’avrà fatto per suscitare un po’ di panico, ma ad ogni modo è stato un ingegnoso espediente. Mentre il sangue di Gilbert veniva raccolto in qualche contenitore approntato da Natalia, lei è tornato in quella stanza con la copia delle chiavi e si è divertito a tinteggiare le pareti.”
“Ma… ma lei stesso ha detto che sarebbe stato impossibile senza sporcarsi!” obiettò Elizabeta.
Fu allora che Arthur prese in mano il gemello. “È vero, ammetto di essere stato davvero uno sprovveduto a non capirlo prima. Esisteva un modo semplicissimo per non sporcarsi i vestiti, ovvero quello di non averlo affatto. Lei si è spogliato e si è rivestito, questo è uno dei suoi gemelli che ha lasciato in quella stanza al momento di rivestirsi. E questo spiega anche il sangue che ho trovato sul suo colletto, era quello gocciolato dal soffitto.”
“Come può provarlo?”
“Già, si è cambiato la giacca per un valido motivo, ma ci arriveremo dopo. Apriamo una piccola parentesi su di me, se non le dispiace. Abbiamo notato tutti che l’avvelenamento è stato un tentativo alquanto maldestro, ma è stato consapevole. Voleva sviare i sospetti, farli ricadere su chiunque, poiché in realtà lei sapeva benissimo chi ero io. Sapeva che ero un ispettore perché aveva parlato con mio zio, il quale non è assolutamente tipo da rifiutarsi di sparlare a piacere di un suo parente. Quando mi ha visto alla mostra ha capito chi ero, perciò ha preparato il brandy col veleno appena siamo arrivati qui. Voleva fare in modo che smettessi di investigare, oppure, nel caso fossi sopravvissuto, avrei dovuto indagare sulla falsa pista che lei stava preparando e incolpare la persona sbagliata.”
Roderich trasse un sospiro, poi si lasciò sfuggire una debole ristata. “Si sta mettendo in ridicolo, signor Kirkland. I suoi sono vaneggiamenti senza fondamenta.”
“Torniamo alla sua giacca” proseguì Arthur ignorandolo. “Questa è facile, herr Edelstein, me l’ha servita su un piatto d’argento. Aveva promesso a Natalia una ricompensa per l’omicidio di Gilbert, ma non aveva intenzione di dargliela. Non tutta, almeno. Infatti c’erano delle banconote russe nel suo studio. Dato che ormai ci aveva preso gusto, perché non uccidere anche lei? Con la scusa della coperta, ha usato la scala di servizio che portava alle camere degli ospiti, è entrato in bagno e ha sgozzato Natalia con il rasoio, poi è andato a cambiarsi la giacca, che questa volta si era sporcata.”
Roderich era tornato serio. “Non ha prove.”
“Oh, certo che le ho.”
Fu in quel momento che Arthur si ritrovò con una pistola puntata alla fronte. Senza pensarci indietreggiò di un passo. Non aveva previsto un simile sviluppo. Si rivolse ad Alfred scioccato.
“Gli hai ridato la pistola?!”
“Io non volevo, ma era sua! Cosa dovevo fare?” si difese l’americano.
“Roderich, non fare stupidaggini!” lo avvertì Elizabeta.
“Vattene, o sparerò anche a te! Non verrò incolpato di qualcosa che non ho fatto!”
“Rifletta un attimo, Edelstein!” Arthur doveva trovare un compromesso per uscire da quella situazione che era improvvisamente precipitata. “Se mi uccide allora si condannerà con le proprie mani. Verrà incolpato ufficialmente, anche perché quella pistola non possiede colpi sufficienti per ucciderci tutti.”
Purtroppo, Roderich sembrava tutt’altro che preoccupato. “Non intendo uccidervi tutti, solo lei, Kirkland.”
“Aggraverà solo la sua posizione. Come si giustificherà?”
“Una mente acuta e fantasiosa come la sua non ci arriva? Sono amico dei potenti, dei ministri e dello stesso imperatore! A chi crede che daranno retta, quando racconterò la mia versione?”
Roderich caricò l’arma.
“Fermati subito, lui ha ragione!” gridò Elizabeta.
Non c’era alcuna soluzione, Arthur dovette ricorrere a un espediente disperato. Estrasse velocemente la propria pistola e la puntò a sua volta contro Roderich. Fortunatamente, nessuno di loro sapeva che quell’arma non aveva proiettili, ma se l’intimidazione non avesse avuto successo, allora non aveva più nulla da tentare. Cercò di mantenere un tono di voce fermo e deciso, nonostante avvertisse il panico risalirgli lungo la spina dorsale.
“A questo punto si trova davanti a una scelta, Edelstein. Vuole rischiare un duello contro un poliziotto addestrato?”
Roderich rise di nuovo con disprezzo. “Un poliziotto alcolizzato in astinenza e con la mano tremante? Penso di poter correre il rischio.”
La stanza era talmente piccola che il boato dello sparo fu assordante.
 
 
Ore 3.58
 
“Cosa contengono quelle ampolle?”
La domanda lo sconvolse.
“Non ho il dovere di risponderti” ribatté Francis spiazzato.
“Piuttosto, non ne hai il coraggio” lo provocò Arthur.
“Stupidaggini. Ti sei divertito a farmi credere che i miei baci di prima ti piacessero, vero? Sei senza cuore.”
Non era vero, ad Arthur erano piaciuti sul serio. Ma come poteva il francese non rendersi conto che in quel momento c’erano cose più importanti in ballo?
“Finiscila di fare la primadonna e rispondimi, altrimenti andrò a scoprirlo per conto mio.”
Francis lo squadrò ancora per qualche istante, sperando che ci ripensasse, ma non fu così. Tirò un sospiro esasperato dicendo: “Sei davvero un lord incontentabile e viziato.”
“Non sono un lord!” puntualizzò Arthur per l’ennesima volta. “E ora piantala di temporeggiare e rispondi!”
“Sono attrezzi scenici. Mi servono per i miei spettacoli” rispose Francis a braccia conserte.
“Cioè… sono i tuoi trucchi?”
“Attrezzi scenici!”
“E cosa ci facevano nella tua stanza?”
“Sono un artista, viaggio, faccio spettacoli in tutta Europa! Cosa dovrei fare, farmeli spedire ogni volta? È ovvio che me li porti dietro, anche perché non sono cose che possono essere viste da tutti.”
Il ragionamento non faceva una piega. “E perché sei andato a controllarle di nascosto?”
“Con tutto quello che sta succedendo è ovvio che mi preoccupi dei miei tesori.”
“In ogni caso non hai ancora risposto alla mia domanda iniziale. Cosa contengono le ampolle?”
Francis si arricciò una ciocca attorno al dito, cercando le parole. “Durante le mie esibizioni mi è capitato di fare qualcosa come… riportare in vita qualcuno.”
Arthur fu disorientato da quelle parole. “Cioè fai davvero credere alla gente di poter resuscitare i morti?!”
“Più o meno sì, ma non vado certo di casa in casa a fare il buon samaritano.”
L’inglese non si capacitava comunque di quella faccia tosta. “Ma davvero pensi che le persone credano a tutto questo?”
“Ci credono, è per questo motivo che io sono famoso in tutta Europa e tu sei un ex ispettore ubriacone.”
Arthur fece scivolare le braccia lungo i fianchi, completamente spiazzato e rinunciò a controbattere. “Bene, e allora?”
“Si tratta… di una sostanza che induce morte apparente…”
“Quindi è tutto un trucco.”
“Ovviamente sì, credi davvero che io sia in grado di resuscitare i morti?” lo canzonò Francis in modo estremamente irritante. Tuttavia quella scoperta faceva proprio al caso di Arthur.
“Allora approfitteremo delle tue arti ingannatorie…”
“Illusorie” corresse Francis con convinzione.
“Sì… per far uscire allo scoperto l’assassino.
“Hai scoperto chi è?!”
“Ne sono praticamente certo, ma sarai tu a smascherarlo definitivamente.”
“Oh.” Francis riacquistò all’improvviso tutto il suo buonumore. “Cosa dovrei fare?”
“Devi fingere di morire.”
“Nessun problema, l’ho fatto un sacco di volte. Come lo preferisci? Veleno, annegamento, colpo d’arma da fuoco, impiccagione, pene d’amore…”
“L’impiccagione andrà benissimo, dobbiamo farlo sembrare uno degli omicidi del nostro assassino seriale.”
Francis assunse un’aria pensosa. “Posso simulare un’impiccagione molto facilmente, ho anche l’attrezzatura che serve.”
“Ma dovrai farlo alla presenza di tutti” puntualizzò Arthur, “perciò devi anche fare in modo che non sembri un suicidio.”
“Facile, basterà usare una carrucola nascosta, così potrò issarmi come se fossi stato appeso da qualcun altro.”
“Poi prenderai la tua sostanza speciale che ti farà sembrare morto” proseguì l’inglese, ma Francis non sembrò d’accordo con quest’ultima istruzione.
“Non posso farlo.”
“Perché?” esclamò Arthur deluso, stava andando tutto così bene…
“Quella sostanza ha un effetto abbastanza lungo e, sebbene io sia retto da un’imbracatura che distribuisce il peso e fa sì che non mi impicchi, è comunque un procedimento rischioso, devo essere cosciente nel caso andasse male qualcosa o rischio di lasciarci la pelle per davvero.”
Non ci voleva. Arthur cercò un piano alternativo.
“Non c’è alcun problema, ho sempre inscenato morte apparenti senza l’aiuto del filtro” lo rassicurò Francis.
“Ma qui non siamo a teatro, gli altri noteranno che respiri.”
“Non penso. Posso trattenere il respiro a lungo, per il resto del tempo tu dovrai fare in modo che gli altri non possano avvicinarsi troppo.”
Arthur non vedeva alcuna soluzione in quella proposta. “E come dovrei fare? Minacciarli con una pistola scarica? Non sarebbe un comportamento normale.”
“Lo sarebbe se tu ti dimostrassi addolorato per la mia improvvisa dipartita.”
L’inglese non riuscì a cogliere immediatamente le implicazioni di quella frase. “Cioè… cioè dovrei fingermi disperato per la tua morte e recitare la parte della vedova?!”
Francis risultò deluso. “Intendi dire che non ti dispereresti se morissi davvero?”
“Non dire stupidaggini! Non potrei mai piangerti addosso e fare lo sdolcinato!”
Il francese si portò una mano al petto. “Questo mi ferisce profondamente.”
Arthur era infuriato e imbarazzato, tuttavia era costretto ad ammettere che quella di Francis fosse l’unica soluzione plausibile.
“Bene… allora… faremo così.”
Francis riacquistò vivacità in un attimo. “Sarà magnifico, ricorderò questo momento per sempre. Finalmente vedrò il tuo freddo cuore in scatola sciogliersi per me…”
Arthur non voleva udire una parola di più, si avviò verso il piano di sopra senza esitazioni.
“Dove andiamo adesso?”
“A svuotare un po’ di lampade a olio. Prepareremo la scena per il tuo spettacolo.”
 
 
4.52
 
“È l’impiccato” disse Feliciano con voce tremante.
“F-Fermi tutti, andate via, non toccate niente!”
Indietreggiarono. Ora avrebbe dovuto semplicemente cercare di capire se fosse vivo… Aveva un segno livido attorno al collo, poteva vederlo anche in quella penombra, come riusciva anche a vedere che non respirava. Anche lui trattenne il respiro e poggiò una mano sul suo petto, e attese. Sentì il cuore battere tranquillamente e comprese che era andato tutto secondo i piani.
“Ah… Arthur” Alfred tentò di attirare la sua attenzione, “dici che è ancora…”
L’inglese però non aveva a disposizione molto tempo, presto Francis avrebbe avuto bisogno di respirare.
“No.”
“Aspetta, fammi vedere…”
“No!” Scacciò la mano tesa di Alfred. Era furioso, con se stesso e con tutti. Si sentiva un perfetto idiota a recitare quella parte e posticipava il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto appoggiarsi al suo petto fingendo di essere disperato. Che umiliazione.
Si piegò sul corpo. Era a pochi centimetri dal viso di Francis, e dopo qualche istante sentì il suo leggero respiro sulla pelle.
“Mi spiace, Arthur” tentò nuovamente Alfred, sfiorando la schiena di Arthur.
L’inglese non prestò attenzione alle parole confortanti dell’americano poiché si accorse con immensa preoccupazione che una parte dell’imbracatura usata da Francis sporgeva leggermente dalla giacca. Se ci fosse stata appena più luce l’avrebbe già notata tutti, ma doveva fare qualcosa per nasconderla.
“Stai fermo” intimò al francese. “Non ti muovere.” Strinse tra le dita un lembo della giacca sul petto e nascose l’imbracatura. “Non ci sono più casse.”
“Come?”
“Non ci sono più casse. Lui è l’ultimo.” Non sapeva esattamente cosa dire per sembrare plateale, era semplicemente certo che mai e poi mai avrebbe finto di piangere.
“È strano” intervenne Roderich. “Questo dovrebbe essere La casa dell’impiccato. Ma in quel quadro l’impiccato non si vede.”
Arthur trattenne il respiro. Roderich aveva fatto esattamente l’osservazione che stava aspettando.
“Appunto” gli rispose Feliciano. “Noi non lo vedevamo, era sceso il buio.”
“Mh. Un tocco decisamente originale.”
Arthur insisteva a restare appoggiato al petto di Francis, doveva trovare il momento giusto per andarsene, la recita aveva sortito il risultato sperato. Così concentrato, sobbalzò quando sentì qualcosa sfiorarlo da dietro, poi comprese con raccapriccio che Francis gli stava accarezzando il sedere.
“Sei un idiota” gli sussurrò all’orecchio. Cercando di non farsi notare gli afferrò saldamente la mano, sperando di fargli molto male.
 
 
Ore 5.27
 
Lo sparo gli rimbombava ancora nelle orecchie, era rintronato, era caduto sulle ginocchia, era come se una campana gli stesse suonando in testa.
“…I…or Kirk…!”
Feliciano gli urlava contro ma non riusciva a sentirlo distintamente.
“Si…or Kirkla… Signor Kirkland! Sta perdendo sangue, sta bene?”
No che non stava bene, ma non riusciva a capire dove l’avesse colpito, non sentiva male da nessuna parte, eccetto alla testa. Si sfiorò la tempia con la mano e quando la ritrasse la vide sporca di sangue. Una parte della sua visuale era tinta di rosso, ma divenne velocemente di un nero profondo.
“L’ha colpita vicino all’occhio, solo di striscio però!” spiegò Feliciano, tamponandolo con un fazzoletto. “È meglio se non lo sforza per un po’, è stato fortunato” disse legandogli il fazzoletto attorno alla testa e sull’occhio.
“Maledizione.” Arthur si alzò traballante. “Maledizione, volevi aspettare che mi ammazzasse?!”
Davanti a lui Roderich era saldamente trattenuto dalle braccia di Francis, che stava ancora seduto dentro la cassa.
“Si era incastrato il coperchio!” si giustificò il francese.
“Dannazione… legalo stretto” gli ordinò e andò personalmente a strappare la pistola di mano a Roderich. “Le invierò la parcella del mio medico.”
“Che cosa sta succedendo?!” chiese Elizabeta volgendo lo sguardo dal marito ad Arthur a Francis che si era appena rivelato come un morto vivente.
“Era tutta una farsa?” chiese Ludwig per niente contento.
“Esatto. Se si fosse verificato un omicidio al di fuori dello schema di Edelstein, sicuramente sarebbe andato a controllare, in quel caso avrei avuto la prova definitiva che l’assassino era lui.”
“Non è stato affatto divertente.”
“Ah no? Io invece mi sono divertito un sacco prima che mi sparassero. Non è vero Ivan?”
“Fenomenale!” concordò il russo. “Ma devo confessare che me lo aspettavo, il riferimento all’impiccato è stato rivelatorio. Avete scelto quel quadro perché l’impiccato non si vede, non a causa del buio, ma perché non c’è proprio!”
“E sarei io lo strumento del vostro divertimento?!” esclamò Roderich tentando di liberarsi dalla stretta delle corde che Francis gli aveva avvolto attorno al corpo. “Lasciatemi andare, chi siete per trattarmi così?”
Il francese uscito dalla sua bara spinse Roderich verso la porta. “Andremo ad aspettare l’alba in salotto, tutti insieme.”
Elizabeta si avvicinò al marito con occhi umidi. “Che cosa hai fatto? Cosa ti è venuto in mente? Che ne sarà di noi, adesso?”
Non si recarono in salotto, bensì nella stanza della musica. La grande finestra di quell’ambiente si affacciava a Est, così avrebbero potuto osservare il conforto dell’alba. Per Arthur quella era stata la notte più lunga della sua vita, qualcosa che avrebbe volentieri dimenticato, sebbene la sua soddisfazione per il successo finale lo avrebbe spinto a decantare quell’avventura per molto tempo.
“Avete un telefono qui?” domandò ad Elizabeta.
“Sì, lo trova vicino all’ingresso, sulla destra.”
“È ora di far venire la polizia.”
La donna si trovava in uno stato di profondo conflitto interiore. “Va bene” acconsentì infine.
Arthur andò a cercare il telefono. Era nel bel mezzo del suo momento di gloria, la polizia non avrebbe dovuto far altro che venire e arrestare l’uomo che lui aveva smascherato e catturato. Sicuramente questo gli sarebbe valsa la riassunzione all’interno di Scotland Yard, non avrebbero più niente da ridire sulle sua capacità investigative e deduttive e finalmente si sarebbe riguadagnato il rispetto che meritava.
Trovò l’apparecchio e si mise in contatto con la centrale del luogo. Nonostante il suo tedesco non proprio perfetto, spiegò ciò che era accaduto nel dettaglio, suscitando lo stupore di chi si trovava dall’altro lato della cornetta. Gli fu detto che sarebbero stati mandati rinforzi entro un’ora e così riagganciò, sentendo finalmente il suo ego rigonfiarsi.
Tornò a sedersi nella sala della musica, dove erano disposte alcune sedie a formare un’intima platea di fronte a un pianoforte a coda. Roderich era stato fatto sedere allo sgabello davanti allo strumento, legato, in modo da essere controllato facilmente.
“Tra quanto saranno qui?” chiese Alfred.
“Un’ora al massimo.”
Si accorse di Francis che sgattaiolava fino alla sua sedia. “Quindi staremo a guardare l’alba assieme, piccolo vedovo affranto.”
“Se parlerai di questa storia all’infuori di queste mura, stai certo che ti ritroverai impiccato per davvero” lo minacciò Arthur senza ottenere alcun risultato.
“Non puoi immaginare quanto fossi tenero in quei momenti di disperazione. E questa benda ti conferisce un’espressione piratesca affascinante.”
“Finiscila di dire fesserie.”
“Ludwig…” All’improvviso udì Feliciano singhiozzare e alzarsi frettolosamente. “Non voglio… non voglio più.” Il ragazzo piangeva copiosamente e corse fuori dalla sala.
“Feliciano! Non ti allontanare!” lo richiamò Ludwig, ma sapendo di non ottenere nulla gli andò dietro.
“Ehi! Avevamo stabilito di restare assieme, una buona volta!” li rimproverò Arthur senza tanta grazia. Con tutto quello che era successo e tutta la fatica che aveva fatto per mettere fine a quella storia da incubo, loro si sentivano così liberi da andare a scorrazzare per il castello?
“Lascia perdere, l’assassino è qui!” Francis lo costrinse a tornare seduto.
Ad ogni modo Arthur non poteva fare a meno di chiedersi cosa avesse spinto Feliciano a reagire in quel modo. Forse non aveva ancora confessato a Ludwig di volerlo lasciare? Oppure c’era sotto qualcos’altro?
Un paio di dita striscianti sulla sua coscia lo sottrassero con un brivido ai suoi pensieri.
“Che ne pensi di proseguire quest’affiatata relazione anche al di fuori dell’Austria?” fu la proposta indecente di Francis.
“Che ne pensi di finirla con questa storia?! Ti sembra il momento?”
“Certo che è il momento: la bella principessa si è levata sana e salva dalla sua bara e il prode principe ha catturato il malvagio signore del castello, quale altro sarebbe il momento per il lieto fine?”
“State zitti!” ordinò Alfred alzando la mano. “Cos’è questo rumore?”
Arthur si concentrò e udì dei suoni ripetitivi e sordi… sembravano dei colpi, venivano dall’alto.
“È una finestra che sbatte?” propose Elizabeta. Fu un grido a farle da risposta, e immediatamente dopo qualcosa cadde dal cielo, passò di fronte alla vetrata del salone a grande velocità, una macchia scura sul cielo che si stava timidamente schiarendo, per poi atterrare con un frastuono agghiacciante.
Si alzarono tutti in piedi facendo cadere le sedie.
“Cos’era?!” gridò Elizabeta.
“Non vorrei che la domanda giusta sia… chi era” azzardò Francis mentre tutti gli altri si stavano già precipitando fuori, compreso Roderich.
Dovettero uscire dall’entrata principale e fare il giro del castello, schivando le grandi pozze d’acqua create dalla pioggia e finendo più volte bloccati dal fango. Poi raggiunsero il retro, dove il fiume scorreva a parecchi metri sotto di loro nel suo letto oscuro. Lì si trovava la vetrata della sala e a poca distanza dal precipizio un corpo minuto e scomposto spiccava tra le rocce.
“Ma… è…”
“È impossibile.”
“È Feliciano?!”
“È vivo?”
Alfred si avvicinò cautamente. “C’è… tanto sangue e credo che quello sia…”
“Oh mio Dio…”
“Maledizione, ve l’avevo detto che il colpevole non ero io!” si infuriò Roderich tentando di liberarsi dalle corde. “Vargas è caduto dalla torre e lassù c’è Beilschmidt!”
“Correte su, bloccatelo!” ordinò Arthur cercando di non farsi prendere dal panico ma ciò che era appena successo era assurdo, inconcepibile… “Muoviamoci, non deve scappare!”
Si mossero come un sol uomo, precipitandosi all’entrata, ma prima di correre via l’attenzione di Arthur fu attratta da qualcosa che i primi raggi del sole fecero brillare.
A pochi metri dal corpo di Feliciano c’erano dei frammenti di vetro. Guardò su, vide la finestra dalla quale era precipitato il ragazzo, tuttavia non sembrava rotta e nessuno aveva sentito rumore di vetri infranti.
Da dove provenivano quelle schegge?




Continua





Nonostante tutto sono riuscita a pubblicare anche questo capitolo. Perdonate il ritardo, si sono accumulati vari esami da preparare anche per la mia beta personale ed eravamo entrambe sommerse di roba. Oltretutto è stato un capitolo difficilissimo, e immagino sia stato lo stesso anche per voi. Tuttavia è stato soddisfacente. Momoka mi ha confessato fin dall'inizio di sospettare di Feliciano e io, fin dall'inizio, sapevo che si sarebbe spiaccicato sulle rocce. Amo queste cose.
Il prossimo capitolo sarà ufficialmente l'ultimo, perciò, vista la svolta inaspettate, vi invito a indovinare chi sarà l'assassino. A chi vincerà faremo una fanart con tutto ciò che desiderate (a sfondo hetaliano, ovvio).
Alla prossima!



Quattro chiacchiere col morto
 
 
Yuri: Bentrovati! Stasera abbiamo un ospite inaspettato. Il signor Bonnefoy doveva essere presente ma all’ultimo momento ha declinato l’invito, quindi eccoci qui con Feliciano.
Feliciano: Buonasera bella signorina! Le darei un bacio di saluto se potessi ma il mio cervello fuoriuscito non è la cosa più semplice da gestire!
Y: Capisco perfettamente. Ha fatto un bel volo! Ci può spiegare cos’è successo? Nessuno l’ha capito.
F: Ahahaha si figuri cosa ho capito! Ero troppo occupato ad ammirare la luna! Non trova che ricordi una mozzarella?
Y: Vero! Ha fame? Ha lasciato sulle rocce anche lo stomaco?
F: *controlla velocemente* No, per fortuna ce l’ho ancora! E sì, ho un profondo buco nello stomaco! Ahahah, non vedo l’ora di farmi un piatto di pasta con Gilbert e Vash! Con Natalia no, non apprezzerebbe.
Y:  Si ricordi che in paradiso i cuochi sono francesi… desidera che le mandi su anche Francis?
F: No penso che Francis si divertirebbe di più dov’è! E poi penso che Ludwig sarebbe geloso, anche se non è più con me…
Y: Cos’è successo tra voi? Come mai si è messo a piangere? Ha forse cotto troppo i wurstel?
F: No, pensi, ha detto che si è stancato della mia pasta! Ma come può essere possibile? La mangiavamo soltanto tre volte al giorno!
Y: Imperdonabile, posso capire perché ha voluto lasciarlo… Ho un certo languorino, le andrebbe di mettere a cuocere una lasagna?
F: Sììì! Volentieri! Non ho gli ingredienti però… e non voglio chiederli a lei! Ho paura di cosa potrebbe essere il “suo” ragù..
Y: Solo carne genuina appena macellata!
F: Veee~ , quando mai si placherà la sua sete di sangue! *fugge disperato in lacrime*
Y: ……. Amo il carpaccio.

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Capitolo 7
*** VII. Sole levante ***


7-Sole levante Titolo: Ars Moriendi, Capitolo 7 - Sole levante
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), America (Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania (Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski), Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole:  3,907 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: 1. In questo capitolo verrà spiegato tutto, o almeno ci proverò. Non è stato per nulla facile condensare tutto in queste righe, per cui e avessi dimenticato qualcosa niente paura e chiedetemi! C'è una spiegazione per ogni cosa, è solo che potrei aver dimenticato di scriverla.
2. Poiché ogni mio tragico finale deve essere accompagnato da una colonna sonora adatta, questa volta vi lascio questo video Cherish. Purtroppo quei robosi del Tubo hanno rimosso tutte le copie di questa canzone da tutti i video che l'avevano, perciò io faccio l'hacker e vi passo il video in Mediafire, perchè merita tanto. Qui---> Mediafire


VII. Sole levante


 
Arthur arrivò in cima alle scale praticamente assieme agli altri: ciò che aveva visto lo aveva privato di tutte le sue certezze. Scalò la torre e si ritrovò in uno stretto ambiente costipato di persone. In quel momento riconobbe anche il rumore di colpi che avevano udito dal piano di sotto: era Ludwig che batteva sulla porta in legno della stanza di Feliciano. Quindi era ancora fuori? Non aveva spinto lui l’italiano dalla torre? Chi c’era lì dentro?
“Aprimi, Feliciano!” gridava Ludwig picchiando sulla porta, ma Roderich lo spinse da parte.
“È inutile chiamarlo, sfondiamola.”
“Come sarebbe che è inutile chiamarlo?!” volle sapere il tedesco, ma nessuno si fece avanti per rispondere.
La vecchia serratura cedette e ad un tratto furono tutti nella stanza. La finestra era aperta, le tende svolazzavano al vento, non c’era alcuna traccia di una qualsiasi presenza umana, eccetto una scarpa solitaria rimasta ai piedi della finestra.
Ludwig sembrò capire al volo, si affacciò verso il precipizio, guardò giù. Senza sapere il perché, Arthur trattenne il respiro fin quando il tedesco non si ritrasse, inginocchiandosi di fronte al davanzale, come se si fosse genuflesso al cospetto di un altare. Perdere il fratello e l’amante in una notte, l’inglese poteva immaginare come si sentisse, ma non c’era tempo da perdere e infranse l’immobilità generale iniziando a ispezionare la camera.
Da sotto il letto sporgeva una valigia aperta, i vestiti sembravano essere stati messi dentro alla rinfusa e in tutta fretta. Eccetto quello, tutto sembrava trovarsi al proprio posto.
Alfred formulò un’ipotesi sottovoce. “Se Ludwig era chiuso fuori dalla stanza, allora Feliciano… potrebbe essersi buttato? Piangeva…”
Non fece in tempo a terminare la frase che il tedesco gli era già addosso con la stessa espressione di chi sarebbe stato pronto a seppellirlo vivo.
“Vai fino in fondo!” lo provocò. “Cosa stavi insinuando? Pensi che l’abbia ucciso io?!” Lo afferrò dal colletto, a momenti lo avrebbe sollevato da terra e scaraventato dalla finestra. “Per me ognuno di voi potrebbe essere l’artefice di ciò! Cosa pensi che voglia farti, in questo momento? Riesci a immaginarlo?!”
Arthur doveva fare qualcosa, non era il momento di distrarsi. “Beilschmidt, lei ha ragione, ma si calmi, ha già preso abbastanza pugni per oggi!”
“Sono in grado di difendermi da solo!” replicò Alfred e l’inglese ci ripensò: un altro pugno gli avrebbe fatto bene.
“Ludwig ha ragione: chi si suicida non grida e non perde le scarpe. È evidente che sia stato spinto contro la sua volontà.”
Il tedesco perse interesse per Alfred. “Feliciano mi ha preceduto qui e si è chiuso a chiave. Io non ho fatto altro che bussare e chiamare, poi l’ho sentito gridare e basta. Ora spiegatemi perché Edelstein è slegato e perché diamine Feliciano si trova improvvisamente su quelle rocce!”
Arthur fece un passo indietro per uscire dal raggio di un probabile pugno di Ludwig. “Lo chiederemo all’assassino.”
“Quale assassino?” chiese Roderich. “La porta era chiusa a chiave e qui non c’è! È fuggito, ma come poteva uscire dalla finestra senza cadere?”
“Non l’ha fatto.” Arthur si girò verso il vecchio armadio in legno che stava dritto in un angolo. “Non è mai uscito.”
Tutti si voltarono increduli verso le due ante che persistevano a rimanere immobili e mute, come aspettando che queste prendessero vita. Ma Ludwig non perse tempo, afferrò saldamente i pomelli e spalancò l’armadio.
L’interno era in ombra, molti vestiti erano appesi male oppure, caduti, si erano adagiati su quello che appariva come un corpo umano. Ludwig indietreggiò lentamente, consentendo alla luce di illuminare i lineamenti di colui che si trovava semi nascosto dai panni e che li guardava, inespressivo, dalle profondità dei suoi occhi vermigli.
“T-Tu…” Elizabeta allungò una mano tremante. “Come…?”
“Perché?” sospirò piano Ludwig.
Lui non rispose, con un passo elegante uscì dall’armadio, lasciandosi dietro una scia di vestiti.
“Sono già finiti i giochi?” domandò Gilbert con un sorriso tagliente sul volto cereo.
Nessuno trovò le parole né il fiato per rispondere, neppure Arthur.
“Dalle vostre espressioni deduco che nessuno di voi fosse arrivato a sospettare di me.” Gilbert li sfidava apertamente con la sua sfacciataggine.
Ma Roderich accettò la provocazione. “Io l’ho sempre saputo, l’ho sempre sostenuto. Una persona come te non poteva essere altri che un infame assassino.”
L’albino accettò quell’insulto senza reagire, togliendosi una cravatta che gli si era adagiata sulla spalla.
“Gilbert…” Ludwig ritrovò la voce, “ora mi dirai cosa ci fai qui, e pretendo che la tua spiegazione non abbia niente a che vedere con i morti che ci sono stati.”
“Rimarrai deluso, fratellino. Anche se mi rammarico fortemente che tu non sappia cogliere la magnificenza della mia opera d’arte. È andato tutto alla perfezione e gli errori sono stati sfruttati a mio vantaggio. Sarebbe finito tutto e voi non vi sareste accorti di nulla. Peccato per Feliciano…”
Ludwig scosse la testa incredulo.
“Mi spiace davvero” confessò Gilbert. “Lui non era nei miei piani, è solo stato sfortunato.”
“Spiegaci tutto, Beilschmidt, o ti faremo parlare con la forza!” lo minacciò Roderich.
L’albino sollevò le mani di fronte a sé. “Tranquilli, non ho intenzione di farmi torturare. Vi spiegherò tutto, era già nelle mie intenzioni. D’altronde è stato tutto talmente ben studiato che sarebbe un peccato non vantarmene.”
“Perché l’ha fatto?” domandò Arthur per primo.
Gilbert scoppiò a ridere. “Ma come perché? È tutto talmente ovvio che sono davvero stupito che non ci abbiate pensato subito! Per i soldi, no? Alla fine avete tutti sospettato di Edelstein… beh, era proprio quello il mio scopo. Sarebbe caduto in rovina se nel suo bel castello si fossero consumati tutti questi efferati omicidi, avrebbe finalmente perso quella sua insopportabile sicurezza e quell’orgoglio da nobile che non gli consentivano nemmeno di abbassare la sua regale testa verso noi comuni mortali!”
Roderich ascoltava a braccia conserte e gli occhi stretti in segno di disprezzo.
“E tutto questo grazie a lei, caro ispettore” disse Gilbert, inchinandosi platealmente davanti ad Arthur e facendo risuonare la parola ispettore come se fosse un insulto. “Grazie alle sue brillanti conclusioni stavo per realizzare pienamente il mio piano.”
Umiliato, di nuovo. Arthur strinse i denti e non rispose alle provocazioni.
Infine, fu a Francis che l’albino si rivolse. “Ma soprattutto, grazie a lei, signor prestigiatore, e al suo filtro miracoloso.”
Francis appariva incredulo e sorpreso. “Il mio filtro? L’ho controllato, le ampolle c’erano tutte! Non lo lascerei mai incustodito. Ma soprattutto, come potevi sapere che lo avevo con me? Nessuno lo sapeva.”
La risposta di Gilbert fu breve, ma Francis comprese al volo: “Berlino.”
Gli occhi del francese si illuminarono. “Oh… come ho fatto a dimenticarlo. Eri tu quello che è venuto a farmi tutte quelle domande e a tempestarmi di critiche dopo lo spettacolo!”
“Ma in fin dei conti gliel’ho ricordato anche ieri sera, no? Non credo ai suoi trucchetti, ma li trovo comunque utili. Dopo lo spettacolo sono venuto a farle delle domande su quella donna che lei diceva di aver resuscitato e allora l’ho visto, il suo filtro, e ho capito che era quello l’artefice del suo miracolo. Sono bastate alcune brevi ricerche su di lei per scoprire che girava tutta Europa e che presentava sempre gli stessi spettacoli. Era chiaro che si sarebbe portato le sue pozioni anche qui, no?”
“Ma le ampolle c’erano tutte” ripeté Francis iniziando a spazientirsi.
“È vero, ma se da ognuna di quelle io prendessi qualche goccia, fino ad ottenerne la quantità sufficiente, nessuno se ne accorgerebbe, vero? È stato un bel trucco, no?”
Elizabeta si fece avanti verso Gilbert, quasi come se volesse abbracciarlo, in realtà all’ultimo momento gli depositò sul viso un potente schiaffo.
“Mi hai fatto credere di essere morto! Non ti importava niente di me?! E di tuo fratello?”
Era sul punto di sferrargliene un secondo, ma Gilbert le afferrò il polso bloccandolo a mezz’aria. Improvvisamente Elizabeta parve ricordarsi che di fronte a lei si trovava un pluriomicida e mostrò paura. L’albino le lasciò bruscamente il braccio spingendola via.
“Di te non avevo alcun motivo di preoccuparmi.”
“Cosa intendi?” domandò Elizabeta tenendosi stretta il polso.
“Non mi interessa quello che pensi, né quello che provi. Mi sei stata utile per arrivare ai soldi di tuo marito e un divertente passatempo, ma niente di più.”
Elizabeta non poteva credere a ciò che stava sentendo.
“Vuoi sapere altro?” continuò Gilbert insensibile.
“Stai zitto! Sarei stata capace di perdonare i tuoi omicidi, perché in fondo aveva i tuoi motivi, ma questo… La tua è solo crudeltà!”
Gilbert alzò leggermente il mento, come se ciò gli permettesse di fronteggiare meglio le persone che lo accusavano. “Voi tutti credete che io sia crudele… ma nessuno qui sa cosa sia davvero la crudeltà. Non  è vero, Ludwig? A te ne serviva una bella dose d’assaggio per uscire dal tuo mondo di illusioni.”
“Non spacciare i tuoi delitti per un favore fatto a me!” ribatté Ludwig.
Nel frattempo Arthur fremeva. Nonostante la profonda umiliazione che stava ricevendo, il suo desiderio di scoprire come Gilbert avesse potuto compiere tutti quegli omicidi passando inosservato era irresistibile.
“Lei… lei si ritiene responsabile di tutte le morti?” iniziò Arthur per indurlo a parlare. “Davvero li ha uccisi tutti senza mai farsi vedere, riuscendo sempre a far ricadere la colpa su qualcun altro?”
Gilbert era impaziente di potersi vantare del suo successo. “Che proprio lei sia incredulo mi delude, ma sicuramente un’impresa come la mia va spiegata a delle menti semplici come le vostre. In realtà è bastato farvi credere che fossi morto per mettermi al sicuro, anche se aveste pensato che sarei potuto essere l’artefice di uno degli omicidi, avreste semplicemente pensato che il vero assassino avesse cercato di incastrarmi. Già semplicemente con l’omicidio di Zwingli l’unico a sospettare di me era stato Edelstein, ma nessuno gli aveva creduto poiché l’avevo provocato baciando Elizabeta. Proprio come, poco prima, avevo provocato Zwingli per spingerlo a usare il suo fucile. Chi avrebbe potuto pensare che mi sarei messo proprio in mezzo alla sua linea di fuoco? Che atto sconsiderato, non è vero? Tuttavia geniale. Eliminando il notaio avrei eliminato anche il mio problema più urgente, quello del risarcimento. Ma non era abbastanza.”
Fece qualche passo verso Arthur. “Lei invece è stato una sorpresa. Non pensavo che fosse un poliziotto, ma avrei potuto sfruttare le sua abilità a mio vantaggio. Quella di andare a rinfrescarmi dopo aver rischiato di morire era una scusa perfettamente plausibile per permettermi di andare ad avvelenare il suo brandy.”
“E se non l’avessi bevuto?”
Gilbert rise. “E se il sole non sorgesse più? E se gli alberi crescessero a testa in giù? Per favore, per tutta la sera si è aggrappato ai bicchieri di alcool come se fossero il suo ossigeno, ovvio che l’avrebbe bevuto, prima o poi.”
Arthur doveva smettere di spingere la gente a parlare del suo alcolismo.
“Ma ha davvero previsto tutto ciò che sarebbe successo?” domandò Alfred incredulo.
“Assolutamente no, mi sono limitato a prevedere le vostre azioni logiche e a sfruttare il caso a mio vantaggio. Per esempio, non immaginavo che mi avreste imprigionato in camera così presto, credevo che avreste pensato a un incidente, oppure che avreste incolpato Edelstein! Tuttavia quello si è rivelato essere il momento giusto per mettere in scena la mia morte. E Natalia… devo ringraziare anche lei e la sua fame insaziabile che l’ha spinta a mostrarmi il suo coltello. Non si è accorta di niente mentre glielo sfilavo dato che la stavo intrattenendo anche da qualche altra parte.”
Elizabeta si voltò dall’altra parte.
“Ovviamente mi ero procurato un coltello per tagliarmi i polsi, ma usando il suo avrei potuto confondervi di più.”
“Allora si è tagliato davvero i polsi? Come ha potuto sopravvivere?” chiese ancora Alfred.
Gilbert sollevò le braccia e mostrò a tutti i segni dei tagli.
“È sufficiente non andare troppo a fondo e fasciare subito per fermare il sangue. A questo ci hanno pensato le bende con cui mi sono legato alla sedia, e se ancora non vi fosse chiaro ho usato i denti per stringere i nodi, non è difficile. Nel frattempo il filtro ha fatto effetto. Natalia mi aveva chiuso dentro, è vero, ma ci avreste pensato voi a farmi uscire e a portarmi in cantina. Ho anche nascosto la chiave della camera in modo che poteste sospettare di tutti. In verità, ho gettato anche quella dalla finestra.”
“Il sangue… non era il tuo. Da dove veniva allora?” chiese Roderich.
Ma Arthur aveva finalmente capito. Era così facile! Proveniva…
“…dal cadavere dissanguato all’obitorio! Non è fenomenale?” si vantò Gilbert. “Avete sempre avuto la soluzione sotto al naso ma nessuno di voi è riuscito a mettere assieme tutti i pezzi. L’ho trasportato qui in vasi di vetro e l’ho usato per sporcare le pareti e rendere tutto più deliziosamente inquietante. Poi i vasi li ho…”
“…gettati dalla finestra!” indovinò Arthur. “Erano quelli i frammenti di vetro che ho trovato vicino a Feliciano.”
“Si  merita un applauso per questo” lo derise Gilbert. “In realtà speravo che finissero nel precipizio, ma devo aver sbagliato la mira. Però ho avuto l’accortezza di lasciare in bella vista il gemello di Edelstein. L’avete trovato? Gliel’ho rubato all’inizio della serata, quando gli ho stretto la mano. A chi tocca ora? Ah, Natalia. Mi è dispiaciuto, ma ho trovato particolarmente eccitante vederla dissanguare. Anche nella morte quella donna ha conservato talmente tanta freddezza e nobiltà da affascinarmi.”
“Che motivo aveva di uccidere anche lei?” volle sapere Arthur.
“Nessuno. Ovviamente durante la notte non potevo rimanere sempre nello stesso posto, dato che voi vi muovevate di continuo. Mi sono spostato di stanza in stanza…”
“Era lui!” Alfred lo indicò all’improvviso. “Era lui il fantasma che ho visto in corridoio! Era tutto bianco…”
“Oh sì, mi è sembrato che ci fosse qualcuno, ma mi sono nascosto in bagno. Peccato che Natalia sia entrata proprio lì. Non avevo molte alternative… Ciò che mi ha davvero colpito è stato il fatto che non si sia sorpresa vedendomi. In ogni caso una morte in più avrebbe solo gettato più fango su Edelstein.”
“E a questo punto” si intromise quest’ultimo, “ci tengo a precisare che le banconote russe ritrovate nel mio studio erano quelle con cui sono stato pagato per l’affitto del mio atelier.”
“Cosa sarebbe successo se non ti avessimo fermato?” chiese Ludwig al fratello. Anche se era furioso, lasciava comunque trapelare un grande dolore. “Quanti ancora ne avresti uccisi?”
“In realtà ero venuto in questa stanza proprio per andarmene. Ero venuto a prendere i soldi che avevi dato a Feliciano prima di venire qui, perché volevo tornare in Germania e attendervi lì. Non mi sarei mai aspettato di vedere Feliciano entrare di corsa. Mi sono nascosto nell’armadio, lui non mi ha visto. Piangeva e so anche il perché.”
“Lo sospettavo” ammise Ludwig amareggiato. “Sapevo che l’idea improvvisa di lasciarmi non poteva provenire da lui.”
“Già. Sono stato io a costringerlo.”
Ludwig scosse la testa. “Perché hai fatto una cosa del genere?”
“E me lo chiedi?” Gilbert si stava spazientendo di fronte alla cecità del fratello. “Come avremmo potuto tirarci fuori dalla nostra situazione economica se avessi continuato a pagarlo e a mantenerlo? Ho chiuso un occhio all’inizio, perché vedevo che ti faceva felice, ma poi le cose hanno iniziato ad andare male. Hai ricevuto una proposta di matrimonio dalla figlia di un ricchissimo imprenditore… e l’hai rifiutata! Colpa di quell’italiano… Quando gli ho detto che avrebbe dovuto andarsene lui ha capito, ha accettato tutto, per il nostro bene. Era il minimo, dopo tutto quello che abbiamo fatto per lui. Ludwig, tu hai sempre pensato di poter diventare una persona grande e potente grazie alle tue forze e alla tua personalità, ma la vita non è così! La grandezza delle persone nasce dalle loro azioni. Non volevo uccidere Feliciano, aveva accettato di uscire dalle nostre vite. Quando è venuto qui piangeva, ha aperto la finestra e ha guardato la luna a lungo. Poi, all’improvviso, ha preso la valigia e si è messo a riempirla, voleva fuggire in fretta. Però ha aperto l’armadio.”
Ludwig era furioso.
“Devi capire che era l’unica soluzione” insistette Gilbert. “Sapevo che tu eri fuori dalla porta, ti sentivo bussare. Quando ha aperto l’armadio e mi ha visto gli ho tappato la bocca. Lo ammetto, non è stato facile, mi guardava supplice. Ma io l’ho spinto giù. Almeno non ha sofferto, non pensi? So che non vuoi sentirtelo dire, ma te lo ripeterò. Tutto questo l’ho fatto per te, per uscire da questa situazione senza fine, per impedire ad Edelstein di continuare a importunarci fino all’ossessione, per garantirti un futuro!”
“Che futuro potrei avere, adesso?” Ludwig aveva tutti i motivi per essere in collera. “Mio fratello è un assassino! Che bisogno c’era di fare tutto questo? Pensi che le cose andranno meglio ora che la nostra famiglia è distrutta?”
Per un attimo sul volto di Gilbert passò un’ombra di dolore. Era ancora convinto di essersi sacrificato per il fratello e sapeva che i suoi sforzi non sarebbero stati celebrati. Ma lui sembrava preparato a questo.
“Non temere” lo rassicurò, usando per la prima volta un tono gentile. “Lo sai che non lascio mai le cose incompiute. Ho pensato a tutto.”
Lentamente sollevò la mano stretta a pugno e la aprì, mostrandola direttamente a Ludwig. Reggeva una piccola boccetta semi piena contenente una sostanza bianca.
“Cos’ha intenzione di fare?!” gridarono tutti in coro, poiché la risposta era già chiara.
“Uscire di scena con stile, naturalmente.”
In un solo, veloce gesto, si portò la boccetta alle labbra e bevve tutto il contenuto, poi la fece cadere a terra, vuota.
Arthur osservò il contenitore rotolare sul pavimento con lentezza estenuante, mentre anche le sue ultime certezze, quelle sul veleno utilizzato da Roderich, andavano in fumo.
“Si può ancora fare qualcosa!” disse Alfred.
Gilbert rise di nuovo. “Non pensate di potermi salvare. All’ispettore non ho dato che una minima parte di questo veleno, perché tutto sommato mi andava bene che sopravvivesse, ma qui ce n’era una dose sufficiente a uccidere cinque uomini! Non potete fare… proprio niente…”
L’azione del veleno fu davvero veloce. Arthur sapeva bene ciò che sarebbe successo di lì a breve. Gilbert si trovava già con un ginocchio a terra. Quando non ebbe più forze per reggersi, fu Ludwig a sostenerlo.
“Non farlo, Gilbert… non farlo!” lo minacciò il tedesco, come se quell’ordine potesse fare la differenza.
L’albino rise ancora debolmente. “Ti faccio sempre arrabbiare. Ma è così che deve andare. Non vorrai certo vedermi marcire in una cella, o peggio vedermi impiccato in piazza, vero?”
Ludwig ora gli reggeva la testa per permettergli di parlare. “Perché l’hai fatto?”
“Perché il fratello più grande deve sempre prendersi cura del più piccolo. Questo… è il modo in cui lo so fare…”
Arthur e gli altri osservavano quella scena straziante senza poter muovere un dito. Elizabeta piangeva silenziosamente, Ivan contemplava quel sacrificio con una luce di ammirazione negli occhi, Arthur semplicemente si sentiva colpevole di ogni cosa che era successa e si chiedeva come potesse Gilbert essere ancora in grado di parlare.
“Ora che ti guardo…” disse l’albino, nella sua voce si sentiva un’estrema fatica, “però… mi sento un po’ in colpa. Perché sei così triste? Volevi forse… seguirmi? Vorresti… stare con me… e Feliciano?”
Ludwig non rispose. Era rivolto di spalle, Arthur non poteva vedere la sua espressione. Non era sicuro di volerla conoscere.
“Tutto ciò che… posso fare per te… è donarti il veleno… che mi rimane.”
Con le sue ultime forze alzò leggermente la testa, chiudendo gli occhi sfiorò con la propria lingua le labbra del fratello.
“Tutto… per te.”
Dalla piccola finestra aperta entrò il primo raggio di sole che poneva fine alla notte e a quella vana tragedia.
 
 
 
***
 
Arthur gettò sul tavolo il giornale aperto. Si era stufato delle notizie montate, esagerate e camuffate: Un castello dell’Austria infestato dai fantasmi; Cinque omicidi d’amore; Inspiegabili suicidi a Graz; Ispettore londinese smaschera serial killer
Non si poteva pretendere di saper raccontare la verità su un caso talmente inspiegabile. Alcune testate raccontavano persino di un conte arrestato per riti oscuri. Arthur, invece, sapeva benissimo che Edelstein si era trasferito nella sua villa di campagna con la moglie e che era tornato alla sua vita di prima, come se niente fosse successo, tenendosi lontano dalle invasioni dei giornalisti.
Non c’era niente da raccontare su quella storia, ognuno aveva cercato di lasciarsela alle spalle come poteva, tornandosene da dove era venuto o, nel caso di Alfred, andandosene a visitare luoghi ancora più lontani. Da quello che sapeva Arthur, se n’era andato in Egitto, ma forse a quell’ora poteva essere addirittura arrivato in Cina. Gli era arrivata una sua lettera con una foto piegata dall’umidità direttamente dal Mar Rosso, con scritto tutto ciò che aveva visto, fatto, mangiato, cose che ad Arthur non interessavano minimamente ma che dimostravano che l’americano aveva imparato la lezione: trattarlo come un amico, non come una prostituta.
L’ultima volta che aveva visto Ludwig, alla stazione di Vienna, se ne stava tornando in Germania. Arthur non aveva idea di cosa avrebbe fatto allora, sapeva solo che, assieme alla sua valigia, aveva fatto caricare nella carrozza bagagli anche due bare di legno.
Invece, quando aveva saputo della sorte di Ivan, non aveva potuto fare a meno di ridere. Era stato subito arrestato dalla polizia austriaca, ma c’era voluto meno di un giorno perché, grazie a una misteriosa telefonata dalla Russia, tornasse in libertà e fosse scortato fino a San Pietroburgo, e quando la polizia aveva fatto rapporto sulle vittime di casa Edelstein, nel conteggio mancava indubbiamente il cadavere di Natalia, del quale nessuno ebbe mai notizia.
Arthur era a Londra e aveva intenzione di restarci per molto, molto tempo ora che finalmente aveva riavuto il suo ruolo da ispettore, sebbene basato sulla poco corretta certezza che fosse stato lui a smascherare il vero colpevole del massacro alla villa. Certo, non si poteva nemmeno dire che avesse fatto un cattivo lavoro, ma certamente aveva imparato a non dare per scontato nulla, nemmeno i morti.
Riguardo a Francis, infine, Arthur sapeva perfettamente dove si trovava: di fronte alla sua porta di casa, in procinto di suonare il campanello. Negli ultimi tre giorni si era sempre presentato alle 18 in punto con un mazzo di rose. Arthur non gli aveva mai aperto, limitandosi a cacciarlo affacciato alla finestra.
Anche quel giorno, quando sentì suonare il campanello, sbirciò oltre le tende, notando con gioia che quella sera non portava con sé rose, cioccolatini o altri generi di carinerie effeminate, quindi decise di concedergli almeno di mettere un piede oltre la soglia.
“Sei ridondante” lo accolse Arthur aprendo la porta che dava direttamente sulla via.
“Si dice costante” puntualizzò Francis, levandosi il cappello.
“Perché stasera dovrei cambiare idea?”
“Perché non dovresti farlo? Voglio solo risparmiarti un’altra serata a fare il gufo rintanato e a mangiare orribili pietanze inglesi.”
Non era un invito abbastanza allettante per Arthur, il francese avrebbe dovuto impegnarsi di più. Richiuse la porta senza aggiungere altro, ma questa volta Francis fu veloce e la bloccò con la punta del piede, spalancandola di nuovo.
Appoggiò il proprio cappello sulla testa di Arthur, lo calcò finché non gli coprì gli occhi e iniziò subito a fare i suoi comodi con la bocca dell’inglese. Il bacio fu breve, ma estremamente convincente.
“Vieni a cena, o no?” gli domandò ancora Francis.
Arthur si ritrovò leggermente confuso dall’improvvisa ondata di viziosità. “Non ho fame.”
“Perfetto, passiamo subito al dessert.” E con una spinta del piede Francis richiuse la porta alle sue spalle.





Fine





Ooooh, bene bene. "Finalmente" diranno tutti, "così possiamo smetterla di aspettare che faccia i suoi comodi!". Davvero, chiedo scusa per i ritardi, ma avete presente cosa significa per me scrivere un finale lieto?? Non so neanche se risulta credibile o meno, nella mia testolina marcia era già pronto un epilogo angst e incasinato, ma mi sono trattenuta, per stavolta è stato meglio così....
Quindi, che dire..... nessuno ha indovinato l'assassino, perciò niente fanart, peccato XD (Figurarsi...)
A questo punto non so più che dire, risponderò a eventuali commenti e mi ripeto: se dovesse esserci qualcosa rimasto in sospeso ditemelo che provvederò subito a spiegare, mi rendo conto che non sia facile capacitarsi del labirinto che ho creato.
In ogni caso mi sono divertita un sacco, spero che mi ricapiti qualche altro giallo per le mani XD
Come avrete intuito, questa volta niente intervista e faccio un'ultima precisazione, dato che ho ricevuto parecchi dubbi: Ludwig non è morto! Non penso proprio che si possa morire per una leccatina al veleno, e in ogni caso non sarebbe stato così stupido da ingoiarlo... Ho solo inserito un po' di fanservice! In caso contrario, Giulietta non avrebbe agonizzato con un pugnale nello stomaco, si sarebbe accontentata del bacio di Romeo per volare all'altro mondo...
Adieu~!

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