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Altri Personaggi:
Hermione Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy, altri…
Avvertimenti:
Slash, Slash e ancora Slash
A.N.:
Non sapete da quanto tempo sogno di riuscire a scrivere questa storia, con
questo pairing un po’ speciale (per non dire bizzarro), ma che contiene il mio
personaggio preferito in assoluto: Tom Riddle. Perché quando non era ancora
Voldemort, chi era? Beh, la mia idea è un po’ questa qua.
Spero
esca fuori un buon lavoro, ho cercato di delineare i personaggi il più
possibile In Character, ma se trovate che ci sia qualcosa che non va, in
qualunque aspetto, non aspettate a dirmelo, anzi!
Ultimo
avviso, questa storia è SLASH, relazione tra ragazzo/ragazzo, yaoi, come
lo volete chiamare. Per cui, se ciò vi disturba questa fanfic non è per
voi.
Infine,
posso solo dirvi Buona Lettura! ^^
Capitolo 1.L’Alba del
Giorno Dopo
“Non
mi sarei mai voluto trovare nella condizione di dire questo Professoressa, ma
non so davvero cos’altro possiamo fare” sospirò stancamente Harry passandosi
nervosamente una mano nella sua chioma disordinata.
Minerva
McGranitt osservava con sguardo grave il giovane uomo seduto al tavolo sommerso
da innumerevoli carte, in quello che una volta ricopriva esclusivamente il
ruolo di ufficio del preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
La stanza infatti aveva subito diverse modifiche da quando, più di un anno prima,
il ritratto di Albus Silente era stato appeso sui suoi muri circolari: la
possente scrivania era scomparsa, lasciando posto a un ampio tavolo da lavoro
posto nell’esatto centro e non c’era più traccia dei delicati strumenti di
dubbia funzione che un tempo decoravano il luogo.
Al
loro posto diverse librerie ricolme di spessi tomi erano state aggiunte e ai
muri erano state appese diverse cartine della Gran Bretagna e del resto del
mondo, segnate in alcuni punti con diversi colori. I ritratti dei precedenti
presidi erano ancora allineati lungo le pareti e, come di consuetudine, la
maggior parte sembrava addormentata, benché mancasse del tutto l’atmosfera
pacifica che albergava un tempo. L’unica cosa che era rimasta nell’ufficio
dalla precedente gestione era un trespolo in oro posto di fianco alla finestra,
che nessuno aveva avuto né l’intenzione, né il coraggio di spostare.
Il
ragazzo seduto al tavolo si allungò per recuperare alcuni fogli sparpagliati
sul lato opposto, prima di immergersi nella loro ennesima rilettura con aria
rassegnata.
La
Preside sospirò e si portò di fronte alla finestra, sporgendosi lievemente per
osservare il paesaggio. Osservando distrattamente il parco ai piedi del
castello sarebbe sembrato che nulla fosse cambiato da qualche anno prima, ma ad
occhi attenti, come solo quelli che chi prende parte ad una guerra può
possedere, non sarebbe sfuggita la tendenza degli studenti a non allontanarsi
troppo dall’edificio a discapito dell’enorme distesa di verde, così come la
mancanza di passeggiatori solitari, sostituiti da gruppi compatti dall’aria
nervosa.
Hogwarts
dopo i tragici eventi che portarono alla morte di Albus Silente contro ogni
aspettativa aveva riaperto i cancelli per ammettere quei pochi studenti che i
genitori avevano ancora fiducia ad iscrivere. A Minerva rattristava tuttora
constatare la quasi totale mancanza dei ragazzi che a quest’ora avrebbero
terminato entro breve il loro settimo ed ultimo anno, tra chi aveva voluto dare
una mano più concreta e chi purtroppo si era unito alle schiere nemiche.
Si
voltò nuovamente verso uno dei più famosi rappresentanti di quel gruppo, che
era ancora intento a studiare complicati fogli di pergamene.
“Harry,
prenditi una pausa, sei qua da stamattina e per quanto tu possa affermare il contrario,
sono sicura che non ti sia ancora ripreso del tutto dalla missione di recupero
della spilla di Corvonero.”
Il
moretto lasciò ricadere le carte sul tavolo e si strofinò stancamente gli
occhi, sorridendo suo malgrado sentendo la nota di preoccupazione nella voce
della sua ex insegnante. Dietro alla facciata severa nessuno poteva dire che
Minerva McGranitt non tenesse ai suoi alunni.
A
dispetto delle sue intenzioni di tenere le informazioni sugli Horcrux
strettamente riservate, quando lui, Ron e Hermione si ritrovarono feriti e
fortemente indeboliti dopo essere riusciti a recuperare la tazza di Tassorosso,
ma senza ancora nessuna idea di come distruggere il pezzo d’anima che vi
risiedeva all’interno, si erano ritrovati costretti a rivolgersi alla figura
che più si avvicinava a ricoprire il ruolo di Silente. Senza il suo aiuto Harry
non riusciva ad immaginare come avrebbero fatto ad arrivare fin a quel punto,
con ciò che rimane di cinque dei sei Horcrux sparsi per il mondo custoditi in
uno degli studi segreti di Grimmauld Place.
Cinque
dei sei Horcrux.
Cinque,
ma non sei.
L’ultimo
infatti, nonostante le innumerevoli ricerche, non sembrava avere nessuna
intenzione di essere scovato e da quando Nagini era stata uccisa in una
battaglia tre mesi fa senza che si rivelasse essere nulla più che un comune
serpente, non avevano nemmeno più indizi su dove cercare.
Harry
alzò la testa per puntare i suoi occhi verdi sul ritratto del mago che fino
all’anno scorso aveva costituito per lui un mentore e che, da quando era stato
appeso alla parete, nessuno sapeva perché, non aveva pronunciato una sola
parola, ne tanto meno dato segno che si trattasse di un dipinto magico,
restando perfettamente immobile con gli occhi chiusi.
Sospirando
stancamente si alzò e prese il mantello dallo schienale della sedia per
sistemarselo sulle spalle. Come aveva deciso alla fine del suo sesto anno, non
era tornato a frequentare Hogwarts, anche se il tempo che passava nella scuola
quasi non era diminuito: da quando anche la preside era al corrente della loro
ricerca, era molto più comodo usare il suo ufficio per pianificare ogni cosa
che non la sede dell’Ordine, con il rischio di essere disturbati in ogni
momento da uno di membri.
“Se
non ci sono novità non penso che prima della prossima riunione dell’Ordine ci
vedremo, Professoressa” disse Harry con un sorriso stanco.
La
McGranitt annuì, aggiungendo poi con un debole sorriso: “Veda di essere
riposato al nostro prossimo incontro Signor Potter, o non finirò più di sentire
Poppy lamentarsi sul suo stato di salute. Come infermiera ha l’abitudine di
incolpare la disattenzione degli insegnanti e sappiamo tutti che ha sempre
avuto un debole per lei.”
Harry
rise, con un ultimo saluto uscì dall’ufficio e percorse i corridoi fino alla
biblioteca, non notando nemmeno gli sguardi d’ammirazione che gli venivano
rivolti dagli studenti, tanto era abituato ad essere additato durante tutta la
sua vita da Bambino Sopravvissuto. Non aiutava certo il fatto che la divisa da
combattimento da Auror non fosse particolarmente adatta per confondersi tra le
uniformi di Hogwarts.
Quando
era partito per la caccia agli Horcrux dopo il matrimonio di Bill e Fleur non
aveva preso in considerazione l’idea che la guerra non avrebbe certo aspettato
lui per scoppiare. Quando seppe, dopo qualche mese, che gran parte dell’ES si
era iscritta ad un corso speciale di addestramento, non riuscì più a sopportare
l’idea di lasciare i suoi amici combattere da soli in un campo di battaglia
mentre lui era chiuso in qualche biblioteca al sicuro a fare ricerche.
A
quel tempo avevano già distrutto due frammenti dell’anima di Voldemort e lui e
Ron decisero di iscriversi a loro volta lasciando per la durata dei sei mesi
previsti che fosse Hermione a portare avanti le ricerche, facendole promettere
che li avrebbe aspettati per qualunque missione pratica.
Il
Ministero prese la palla al balzo, cercando di sfruttare il più possibile
l’evento facendo sembrare che Harry stesse lavorando per loro. Arrivarono
addirittura a nominarlo Generale delle Forze Armate Giovanili, il gruppo che si
era iscritto all’addestramento e che ora era diventato un plotone a parte.
Inizialmente Harry era stato furioso e aveva perfino fatto irruzione
nell’ufficio di Scrimgeour per chiedere l’immediato ritiro del titolo, ma più
avanti dovette ricredersi. Ricordava ancora le parole di Ron quando gli si era
avvicinato dopo la loro prima vera battaglia, dove erano riusciti a respingere
l’attacco dei Mangiamorte.
“Amico,
sei stato davvero fantastico oggi e so che tanto non mi crederai, ma è merito
tuo se abbiamo vinto. No, lasciami finire: per quanto tu odi essere visto come
il salvatore del mondo magico, tutti si affidano a te ed anche noi, che
combattiamo al tuo fianco, non possiamo fare a meno di prendere da te la forza
e il coraggio. Perché guardiamo te e vediamo il nostro bagliore di speranza
Harry, perché sei tu la nostra speranza.”
Così
finito il corso Harry era tornato ad occuparsi degli Horcrux, ma rimanendo
sempre pronto a scendere in prima linea alla prima chiamata. Ron d’altro canto
affermava che la ricerca non era mai stata il suo forte e preferì restare a
svolgere le missioni per l’Ordine affidategli da Moody, in attesa che gli altri
componenti del Magico Trio scoprissero il nascondiglio del prossimo Horcrux.
Harry
entrò nella biblioteca con un cenno del capo in segno di saluto a Madama Pince,
per dirigersi verso gli ultimi tavoli di fianco alla sezione proibita, dove
aveva appuntamento con una certa riccia, che trovò come al solito immersa in
volumi più grandi di un dizionario bilingue.
“Qualche
novità?”
La
ragazza alzò la testa e, riconosciuto l’amico, gli rivolse un ampio sorriso.
“Harry!
Non ti avevo sentito arrivare. Com’è andata con la McGranitt?”
Mentre
Harry dava un breve resoconto dei progressi quasi nulli, Hermione si prese il
tempo per osservare l’amico che era cambiato così tanto senza che lei nemmeno
se ne accorgesse.
L’addestramento
aveva rimediato a quello che anni di maltrattamenti da parte dei Dursley
avevano causato, riempiendo con muscoli ben definiti ciò che prima era solo
pelle e ossa. La divisa in pelle di drago naturalmente non faceva che aiutare a
mettere in risalto tutto ciò, non che Harry se ne curasse particolarmente. I
capelli neri erano più spettinati del solito, segno di tutte le volte che vi
aveva passato le dita attraverso nervosamente e, sebbene non ne diminuissero la
lucentezza, si potevano vedere due ampie occhiaia contornare gli occhi verde
smeraldo.
“Harry,
Poppy ha ragione, dovresti riposare di più” disse la riccia guardandolo
critica.
Harry
alzò gli occhi al cielo con fare esasperato.
“Quando
la smetterete di ripetermelo? Penso che ci siano cose più serie di cui
preoccuparsi di quante ore dorma la notte. Piuttosto, cosa stavi guardando
prima che arrivassi?”
Hermione
si accorse del tentativo di evitare il discorso, ma per questa volta decise di
soprassedere, prendendo invece in mano il vecchio tomo che aveva di fronte e
girandolo in modo che anche Harry potesse vedere.
“Guarda
un po’ qua. Questo è uno degli annuari di Hogwarts, non sapevo nemmeno che
esistessero, a quanto pare era una tradizione che si è persa negli anni. Non so
neanche come lo abbia trovato, ma osserva bene questa pagina, dall’anno 1948.”
Harry
si sporse un po’ per vedere meglio la pagina ingiallita dal tempo: le
fotografie erano in bianco e nero e i volti pettinati secondo la moda
dell’epoca sembravano muoversi a scatti. Le divise avevano uno stile più
austero e lo stemma era leggermente più grande, ma non fu nessuno di questi
particolari ad attirare l’attenzione di Harry, poiché in alto a sinistra vi era
la foto di un ragazzo a lui fin troppo noto.
Il
bianco e nero accentuava ancora di più il contrasto tra la pelle pallida e i
capelli neri che ricadevano sulla fronte elegantemente pettinati. Portava la
cravatta perfettamente annodata e sulla divisa spiccava il serpente dello
stemma della sua Casa. Lo sguardo di Harry tornò a posarsi sugli occhi che, se
solo fosse stata una foto a colori, era certo avrebbero brillato di un bagliore
rossastro. Sotto l’immagine la didascalia recitava:
Tom Orvoloson Riddle
“È
Voldemort…” sussurrò.
“Già,
Voldemort quando aveva ancora sedici anni se i miei calcoli sono esatti. Fa
impressione vero? Ogni tanto mi dimentico che anche lui è stato un semplice
essere umano come tutti noi. Con la gente che si ostina ancora a chiamarlo
Tu-Sai-Chi poi…” tralasciò alzando gli occhi al cielo, “in ogni caso, non è per
questo che te l’ho mostrato, osserva bene la sua mano.”
Harry
ubbidì, non avendo nemmeno notato che Riddle aveva un gomito appoggiato al
bracciolo della sedia e faceva girare con aria annoiata la propria bacchetta
tra le dita. Strizzando un po’ gli occhi però, si notava un particolare
significativo, proprio sul dito medio.
“Indossa
già l’anello dei Gaunt” constatò Harry.
Hermione
annuì, “E da quello che mi hai raccontato delle tue lezioni con Silente, Tom
Riddle lo prese a Morfin nell’estate tra il quinto e sesto anno, per poi
chiedere informazioni a Lumacorno sugli Horcrux nel viaggio in treno per
arrivare ad Hogwarts” ora aveva cominciato a parlare con una nota d’eccitazione
nella voce,“è importante che tu ti
ricordi: quando hai visto Tom Riddle nella Camera dei Segreti, aveva
all’incirca sedici anni?
Harry
non riusciva a capire dove potesse andare a parare quel discorso, ma cercò di
fare mente locale su quell’episodio di quasi cinque anni fa.
“Si,
mi sembra di si all’incirca.”
Hermione
si alzò in piedi di scatto in un gesto che tratteneva a stento il suo
entusiasmo.
“Oh,
Harry! Forse allora… devo solo controllare, ma se fosse…” farfugliava mentre
metteva a posto i libri.
Harry
era sempre più confuso.
“Ehm,
Herm? Esattamente cosa hai capito?”
“Non
sono sicura… potrei anche non trovare nulla…fammi solo controllare…” finì di
impilare i libri e sistemarli nella borsa che si mise a tracolla di tutta
fretta.
“Ehi
Herm, aspetta!” le urlò l’amico ancora spaesato.
La
riccia si fermò ricordandosi di non essere sola e con un sorriso eccitato
esclamò: “Forse ci siamo Harry! Forse ci siamo! Devo solo vedere se la mia teoria
è esatta. Ci vediamo stasera al Quartier Generale, ti spiegherò tutto,
promesso!” E con questo scappò via dalla biblioteca lasciando un Harry attonito
con Madama Pince che lo guardava con rimprovero per tutto il baccano creato.
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Minerva McGranitt, Luna LoveGood, Draco Malfoy, altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora
Slash
A.N.: ringrazio di cuore Zafirya,
MORFEa e RowanMayFlower per aver lasciato il proprio commento (e
avermi dato tanto appoggio, grazie davvero!). Questo è il secondo capitolo e
spero vivamente che sia all’altezza (anche se purtroppo per Tom in persona
bisognerà aspettare ancora un po’), in ogni caso ho aspettato di aver scritto
una decina di capitoli prima di pubblicarla, così da evitare che gli
aggiornamenti (che sto tentando di fare ogni settimana) non debbano ritardare
troppo.
Beh,
ancora: Buona lettura! ^^
Capitolo 2.Memorie Ritrovate
“Mmh…
Molly, stasera hai davvero superato te stessa, queste sono le migliori polpette
che abbia mai mangiato. E detto da chi gusta la tua cucina da così tanti anni è
qualcosa!” esclamò il Sig. Weasley tra un boccone e l’altro.
La
tavola nella cucina di Grimmaul Place fu percorsa da mugugni di assenso mentre
tutti assaporavano i deliziosi piatti della matrona di casa Weasley, che per
l’Ordine era diventata come una mamma comune.
La
donna in questione si limitò a liquidare il complimento con un modesto ‘il
piacere è mio’ prima di rivolgersi al suo primogenito: “Charlie, mi fai il
favore di prendere altro succo di zucca? Credo ne sia rimasta ancora qualche
bottiglia in dispensa.”
Harry
si spostò leggermente per fare spazio a Charlie, masticando anche lui con
gusto. “Ron farà un salto dopo cena o Shackbolt ha intenzione di fargli finire
di nuovo tutta la burocrazia arretrata?” chiese poi con un ghigno divertito.
Tonks
ridacchiò piano, mentre Moody rispose con un grugnito “Quella volta se l’era
meritato, l’incosciente. Sparare schiantesimi alla cieca in quel modo… Auror
migliori hanno perso un pezzo di naso per cose del genere!”
“Oh,
suvvia Moody, ha solo diciassette anni. Sei mesi di addestramento difficilmente
trasformano un ragazzo in un veterano,” replicò Lupin pacato, “ma sono tempi
duri questi, ogni aiuto si dimostra indispensabile.”
Altri
versi d’assenso vennero seguiti da un lungo silenzio, finché il Sig. Weasley,
dopo aver inghiottito un altro boccone di polpette, si rivolse ad Harry: “In
ogni caso non credo che Ron ce la farà ad arrivare, da quello che mi ha detto
non avevano ancora finito il sopralluogo dell’ultimo attacco a Delvery.”
“Quel
ragazzo lavora troppo, ecco cos’è” disse la Sig. Weasley mentre serviva
l’insalata, “oh, ma quando arriva mi sente, il signorino. Fare così tardi a
diciassette anni, roba da matti!”
Qualcuno
al tavolo rabbrividì ringraziando il cielo di non essere nei panni di Ron in
quel momento.
“Harry, dov’è
Hermione? È tutto il giorno che
non la vedo. Si è di nuovo chiusa in biblioteca?” chiese Remus.
“No,
no, sono andato a chiamarla prima per la cena ed era nella sua stanza. Ha detto
di aver già mangiato, ma era ancora china sui libri, si.”
Molly
corrugò la fronte, “non può certo farle bene tutto ciò” borbottò.
“Molly,
cara, tu ti preoccupi troppo. Sono abbastanza grandi per poter pensare a loro
stessi.” rispose il Sig. Weasley.
La
cena continuò intervallata da chiacchiere varie e silenzi per godersi il cibo
squisito fino a che, quando ormai si era arrivati al caffè, una trafelata
Hermione fece il suo ingresso sulla porta chiamando a gran voce: “Harry!”
Il
moretto in questione si voltò con sguardo interrogativo.
“Vieni,
presto!” lo incitò ancora lei.
“Hermione
cara, sicura di non avere fame? Puoi mangiare qualcosa nel frattempo che Harry
finisce il suo caffè” le disse Molly con un sorriso bonario.
“No,
ma grazie Signora Weasley” rispose lei prima di tornare a guardare Harry con
un’aria impaziente, “Harry, ricordi quello di cui abbiamo parlato in
biblioteca? Ti dovrei mostrare una cosa al riguardo…”
Il
ragazzo sospirò e abbandonò il suo caffè su un tavolino per stare dietro alla
riccia e, dopo aver salutato tutti, la seguì su per le scale, fino alla sua
camera.
Entrando
si sedette sul letto, mentre l’amica si diresse verso la scrivania,
raccogliendo alcune carte e spostando grossi volumi, lasciando scoperto un
piccolo libricino che sembrava quasi insulso visto di fianco ai grandi tomi
rilegati in pelle che facevano bella mostra di se sulla scrivania. Malgrado
tutto ciò Harry si avvicinò sospettoso senza staccare gli occhi dall’oggetto e,
prendendolo cautamente in mano, lo studiò per qualche secondo, vedendo i suoi
peggiori timori avverarsi.
“Dio
mio Herm, ma questo… perché diavolo è ancora intatto? Pensavo di averlo
distrutto!” domandò con una nota rabbiosa nella voce, lasciando cadere il
diario sulla scrivania come se ne fosse stato scottato.
Hermione
si voltò ma non rispose subito, anzi, guardava Harry mordendosi leggermente il
labbro, come se avesse paura della reazione che avrebbero potuto causare le sue
prossime parole.
“Lo
hai distrutto, si, o almeno, hai distrutto l’Horcrux che conteneva. Ricordi
vero che cosa ne fu del diario?”
Harry
si sforzò un attimo di ricordare quello che era successo solo qualche anno
prima, ma che sembrava appartenere ad una vita precedente.
“L’ho
lanciato a Malfoy con il mio calzino in mano, perché liberasse Dobby. Ma
centra, come fai ad averlo tu ora? E perché non mi hai detto niente?”
La
ragazza sospirò. “Non è in mio possesso da molto, solo qualche mese… vedi,
quando Ron decise di rimanere tra gli Auror, beh, non avevo tante occasioni per
vederlo, quindi andavo a trovarlo ogni tanto. Un giorno siamo scesi nel
magazzino degli oggetti confiscati per…ehm, chiacchierare.” per qualche motivo
era diventata completamente rossa a queste parole. “Comunque, c’era un intero
reparto dedicato a ciò che fu rinvenuto nel Maniero dei Malfoy quando Lucius fu
sbattuto ad Azkaban. Immagina la mia sorpresa quando riconobbi tra il mucchio
il vecchio diario di Voldemort integro, senza una singola traccia del buco
causato dalla zanna del basilisco… beh, non potevo proprio lasciarlo lì.”
Harry
era rimasto ad ascoltare continuando a guardare il libricino in cagnesco.
“Herm, ma ti rendi conto, potrebbe avere chissà quali maledizioni! E tu lo hai
tenuto tutto questo tempo senza dirmi nulla!”
“L’ho
controllato, naturalmente! Non ho nessuna intenzione di correre rischi inutili,
non in tempi come questi. Credimi Harry, ora non è altro che un semplice
diario, nessuna traccia di magia è contenuta tra le sue pagine. Sembra che
Malfoy abbia tentato di restaurarlo e ci sia riuscito in gran parte anche se ci
sono ancora delle parti mancanti o completamente illeggibili. Comprensibile,
avendo avuto una zanna conficcata nel mezzo.”
Il
diario fu ripreso dalle mani del moro, che ne aprì la copertina trovandovi la
stessa semplice scritta di tanti anni prima: T. M. Riddle
“Non
mi piace, ma se ti è servito a scoprire qualcosa, tanto meglio. A cosa
servivano tutte quelle domande in biblioteca?”
A
Hermione si illuminarono gli occhi mentre si avvicinava e gli prendeva il
libricino dalle mani, aprendolo e sfogliandone le pagine che, Harry notò
sorpreso, non erano vuote ma riempite di fitte scritte in un’elegante
calligrafia.
“Quando
lo portai qui mi accorsi che tutte le scritte che la magia aveva tenute
nascoste erano apparse e non riuscii a trattenermi dal leggerlo. Ammetto che fa
uno strano effetto leggere i pensieri di Voldemort a sedici anni… comunque,
quello che volevo farti vedere è che verso la fine ci sono alcune pagine che
parlano degli Horcrux! Cioè, non li chiama per nome, penso per paura che
qualcuno lo potesse leggere, ma sono sicura che si riferisca a loro.”
Mentre
la riccia sfogliava febbrilmente le pagine alla ricerca di quella giusta, Harry
stava combattendo un’agguerrita battaglia interiore: una parte di lui voleva
solo bruciare quel diario e sotterrarne le ceneri il più profondamente
possibile, ma un’altra parte fremeva all’idea che ci potessero essere
informazioni utili alla scoperta dell’ultimo Horcrux. Una terza parte
stranamente, si sentiva leggermente a disagio nell’invadere in quel modo la
privacy di un’altra persona, anche se si trattava di Voldemort.
“Ti
ho chiesto se il ricordo di Riddle aveva sedici anni per essere sicura: come ho
detto non parla esplicitamente di Horcrux, li chiama solo “Frammenti”, ma se
questo diario è davvero quello del suo sesto anno è altamente probabile che
stesse solo usando un codice per evitare che occhi indiscreti potessero leggere
i suoi piani. In ogni caso, guarda, guarda qua! C’è un incantesimo per
localizzare gli Horcrux!” disse Hermione eccitata indicando una delle ultime
pagine.
Harry
fu subito al suo fianco osservando i fogli ingialliti del diario, dove si
leggeva in cima alla pagina Rintracciare Frammenti smarriti.
“Si,
so che metà della pagina è illeggibile, ma con un po’ di lavoro penso che io e
la McGranitt riusciremo a cavarne fuori qualcosa…” aggiunse in fretta la
riccia.
Il
moretto però stava leggendo esitante la procedura dell’incantesimo che sembrava
includere anche una pozione nel suo processo ed era già arrivato alla fine
quando si accorse di quello che aveva detto l’amica.
“Cosa
scusa? Cosa c’è di illeggibile?” chiese perplesso.
“Come
cosa c’è di illeggibile, metà della pagina è completamente rovinata, è solo un
susseguirsi di strane linee e onde, probabilmente a causa del veleno del
basilisco.”
Harry
tornò ad osservare la pagina senza vedere altro che la calligrafia nitida ed
elegante di prima. “Herm, ti sbagli, sotto c’è una semplice lista di
ingredienti e la procedura per preparare una pozione, che se posso dire sembra
anche dannatamente complicata.”
La
ragazza corrugò le sopraciglia. “Ma come...? Oh! Ma certo! Che stupida,
naturalmente! Non sono onde casuali, è Serpentese!” esclamò meravigliata.
Harry
sgranò gli occhi e passò due dita delicatamente sulla superficie ruvida della
pergamena, quasi come se quel gesto potesse rivelare i segni di cui l’amica
parlava, ma per quanto si sforzasse non riusciva a vedere nient’altro che
semplice parole. Eppure era lì, proprio davanti ai suoi occhi, quello che
poteva essere il miracolo che aveva rinunciato a sperare che arrivasse, la
soluzione al loro problema più grande. A stento riusciva a crederci.
“Devi
assolutamente trascrivere in inglese la procedura, così possiamo subito
portarlo domani alla McGranitt.” E con questo si misero al lavoro.
Dopo
poco meno di un’ora e qualche problema da parte Harry che ogni tanto nel
trascrivere passava al serpentese senza accorgersene, le istruzioni per il rito
erano state messe nero su bianco in un linguaggio noto anche al resto del
mondo. Hermione si era subito dedicata allo studio del complicato rituale,
mentre Harry si era sdraiato sul letto, sfogliando casualmente le pagine del
diario, sempre più curioso. Ogni tanto si fermava addirittura a leggere alcuni
brani.
17 Settembre 1947
Avery si è fatta mettere di nuovo in punizione per aver
attaccato due Tassorosso che tornavano dalla lezione di Divinazione. Deve
davvero smetterla di agire così d’impulso, nemmeno fosse una sbandata
Grifondoro. Non è così che si comporta un Serpeverde, non si abbasserebbe mai
ad attaccare due insulsi Tassorosso, o almeno se lo facesse, troverebbe anche
il modo di non farsi beccare. Appena torna ne sentirà quattro dal sottoscritto,
parola mia.
Nel
leggere questo Harry quasi scoppiò a ridere, pensando a cosa direbbe adesso Tom
Riddle vedendo persone come Malfoy che hanno passato la loro vita a Hogwarts
bullando chi gli pareva senza preoccuparsi certo dell’etichetta Serpeverde.
Decise di saltare un po’ di pagine e andare un po’ più avanti.
3 Gennaio 1948
Non lo sopporto più Silente! Non lo sopporto! Sempre convinto
di sapere tutto su tutti, sempre convinto di essere nel giusto, con quel suo
atteggiamento da buon samaritano. Da bravo, aiuta i tuoi cari Grifondoro: gli
unici per cui ne vale la pena, giusto? Gli altri non sono niente. “Silente è un
grande mago”, certo, come no! Beh ditemi, dov’è Silente quando ogni anno vengo
spedito in quell’inferno di orfanotrofio dove ho dovuto passare i primi undici
anni di vita? No, Silente sa solo guardarmi con diffidenza e compassione e io
non lascio che nessuno mi compatisca, non me, l’erede di Salazar Serpeverde!
Quegli occhi, in cui leggo le stesse emozioni che leggevo in quelli di mio
padre: anche lui è convinto che io sia un mostro ingrato che non vale niente,
un’anomalia del genere umano. Beh, gliela farò vedere, come l’ho fatta vedere a
mio padre: non aveva più nulla di tutto ciò nello sguardo quando era ad un
passo dalla mor-
Harry
chiuse il diario di scatto, scosso da ciò che aveva letto e combattuto tra la
rabbia di sentir parlare male di Silente e un’altra emozione che non riusciva
bene ad identificare. Voldemort a sedici anni parlava dell’omicidio di suo
padre quasi con soddisfazione ed era qualcosa che lo faceva letteralmente
rabbrividire. Lasciò il libricino sul letto e si stiracchiò: per quella sera di
emozioni ne aveva avute abbastanza.
“Penso
che andrò a letto Herm, domani andiamo dalla McGranitt subito dopo pranzo,
d’accordo?”
“Si,
si, d’accordo” fu la risposta sbrigativa che ricevette da un’Hermione ancora
intenta a studiare. Era già sulla porta quando la voce dell’amica lo fermò “Ah,
prendilo il diario, quello che potevo leggere, io l’ho già letto.”
Harry
rimase un attimo fermo incerto sul da farsi, ma alla fine si chinò e raccolse
l’oggetto in questione per poi dare la buona notte.
Mentre
camminava verso la sua stanza non riusciva a togliersi dalla mente le parole
lette nel diario.
dov’è Silente quando ogni anno vengo spedito in quell’inferno
di orfanotrofio dove ho dovuto passare i primi undici anni di vita?… anche lui
è convinto che io sia un mostro ingrato che non vale niente, un’anomalia del
genere umano…
Cosa poteva aver generato
un simile odio nei confronti del suo professore? Ma soprattutto… come mai
quelle parole sembravano raccontare una storia così simile alla sua stessa
vita?
Altri Personaggi: Hermione Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
A.N.: Azione? Beh, prossimo
capitolo, lo giuro XD. Mi scuso per il ritardo, ma martedì e mercoledì ero in
vacanza a prendere il sole, quindi non sono riuscita ad aggiornare ^^”.
L’estate sarà problematica, visto che starò per molto tempo senza un computer a
portata di mano, quindi non spaventatevi se i nuovi capitoli ci metteranno un
po’ a comparire, non è che la storia si è interrotta… sono io a Londra per tre
settimane:P
P.S.: le risposte alle
recensioni sono in fondo al capitolo.
Capitolo 3.Finestre sul Passato
“Che dice Professoressa, pensa che possa
funzionare?” chiese Harry speranzoso.
La McGranitt stava ancora studiando l’incantesimo
con la fronte leggermente corrugata ma, quando alzò la testa, i suoi occhi
avevano una scintilla animata nello sguardo: “Si, possiamo provare. Certo, un
incantesimo che con tutta probabilità è stato inventato dallo stesso Voldemort
comporta sicuramente dei rischi, ma è la nostra migliore possibilità di
successo.”
Hermione tirò un sospiro di sollievo,
stiracchiandosi piano sullo schienale della sedia.
“Professoressa, per la pozione dovremmo chiamare in
causa Lumacorno, ma come lo convinciamo ad aiutarci senza spiegarli a cosa
serve?”
“Non penso che sarà un problema se a chiederglielo
sarà il Bambino-Che-È-Sopravvissuto e quella che era la studentessa migliore
del suo corso” rispose Harry. Hermione sembrava indecisa se arrossire o essere
compiaciuta.
“D’accordo, d’accordo. Professoressa, vado a
parlare subito col professor Lumacorno, così possiamo metterci al lavoro
immediatamente. Harry, tu trova un posto comodo e riposati, Dio solo sa cosa
potrebbe succedere se ti avvicinassi al calderone.”
“Ehi!” esclamò Harry
indignato.
La McGranitt sorrise allo scambio di battute e
lasciò I suoi due ex-studenti liberi di andare.
Fuori dall’ufficio i due amici si separarono,
Hermione diretta verso i sotterranei ed Harry verso il settimo piano. Arrivato
davanti all’arazzo di Barnaba il Babbeo, il moretto camminò tre volte davanti
al muro di fronte e magicamente una porta comparve davanti ai suoi occhi. Girò
il pomello ed entrò, dando un’occhiata d’apprezzamento alla stanza.
‘Mhm,
niente male’ pensò osservandosi intorno. Aveva pensato ad un luogo accogliente
dove potersi rilassare e il risultato era una stanza molto simile alla Sala Comune
di Grifondoro: un divanetto e due poltrone erano sistemati intorno ad un camino
in cui scoppiettava allegro il fuoco, un tavolo da lavoro era posto al centro
della sala, con un vassoio di frutta per un eventuale spuntino e in fondo a
sinistra un letto a baldacchino esattamente uguale a quello del suo dormitorio
era adagiato contro la parete.
Harry optò per il divano davanti al fuoco e
sedendosi aprì la borsa, intenzionato a rivedere la cartina degli ultimi
attacchi da parte dei Mangiamorte. Non appena ebbe rovesciato il contenuto sul
tavolo però, a catturare la sua attenzione fu il diario di Tom Riddle, che
sinceramente non ricordava nemmeno di aver infilato nello zaino. Rimase ad
osservarlo per alcuni secondi prima di decidersi e raccoglierlo cautamente,
sdraiandosi a pancia in su e cominciando a sfogliarne le pagine come aveva
fatto la sera prima.
11 Ottobre 1947
Da quando Heidi Rosier e Rudolf Lestrange si sono
messi insieme non si riesce più a stare in Sala Comune senza farsi venire il
voltastomaco. Per l’amor del cielo, che si diano un contegno! Due purosangue
che si comportano in maniera così indecente sono una vergogna per la loro
stessa classe. Se fosse solo attrazione fisica potrei anche capire, ma quei due
passano le giornate a giurarsi amore eterno. Sciocchi, l’amore è un sentimento
senza alcun valore. L’amore è una debolezza, un virus che trasforma anche
l’uomo migliore in uno straccio senza volontà propria. Non vale la pena
rovinarsi per amore. Non vale la pena amare.
Per ilcomune senso del pudore e la salute di tutti i due piccioncini
dovrebbero capire che nessuno vuole assistere alle loro scenette.
Beh, a parte Black, lui continua a chiedere se può
unirsi a loro, ma quello è un caso senza speranza.
Harry non sapeva se ridere o meno. Il pensiero di
avere Voldemort così indispettito da una cosa così frivola come due compagni di
casa che pomiciavano in Sala Comune era esilarante. Quel ragazzo poi – da
quando aveva cominciato a pensarlo come ragazzo? – era davvero fissato con i
costumi e l’etichetta appropriati.
Il discorso sull’amore invece lo rattristava
leggermente e gli induceva un sentimento quasi di compassione per il futuro
Signore Oscuro. Una vita senza sapere né amare né che cosa vuol dire essere
amati doveva essere una vita davvero vuota. Non vale la pena amare. Cosa
sarebbe successo se solo Tom Riddle avesse avuto l’amore di una famiglia alle
spalle? Forse, solo forse, non sarebbe finito in questo modo.
Le ultime righe invece stavano seriamente facendo
scoppiare a ridere il moretto. Black? Possibile che si trattasse del padre di
Sirius? Rudolf Lestrange era sicuramente il padre del marito di Bellatrix.
Continua a chiedere se può unirsi a loro…era
semplicemente troppo ridicolo pensare a come il marito della strillante Signora
Black potesse essere stato un rampante adolescente in preda agli ormoni. Quello
che un po’ sconcertava Harry era come fosse possibile che Riddle fosse tanto
indignato di due compagni che limonano in pubblico e parlare con tono quasi
divertito di uno che vorrebbe organizzare una cosa a tre in Sala Comune. Che
lui e questo Black fossero amici? No, impossibile, Voldemort non ha mai avuto
amici.
Ancora ridacchiando un po’ Harry continuò a
sfogliare le pagine, fino a che una non catturò la sua attenzione.
22 Gennaio 1947
È strano, continuo ad avere l’impressione che ci
sia qualcosa che mi sfugge, come se avessi dimenticato qualcosa di importante.
Sono solo dei momenti, attimi che passano come sono venuti, ma non di meno
strani. L’altro giorno per esempio, non so come ma mi ritrovai al campo di
Quidditch durante gli allenamenti della squadra di Serpeverde. Beh, io ho
sempre detestato il Quidditch, un’enorme perdita di tempo a mio parere.
E poi davvero, non vedo dove sita il divertimento nel rincorrere palline e farsi
schiantare da bolidi: per questo non l’ho mai seguito. È stata legittima quindi
la mia sorpresa quando non solo riconobbi tutte le mosse e le azioni, ma trovai
addirittura piacevole seguirle! Non capisco come sia possibile, ma c’è
qualcosa di anomalo, ne sono certo. Inoltre quando il cercatore scese in
picchiata per rincorrere il boccino, per un attimo mi sembrò che la sua divisa
diventasse nera e oro al posto del solito verde, ma appena riguardai non vidi
proprio nulla di diverso…
Harry sinceramente non sapeva cosa pensare a queste
pagine, se non sentirsi leggermente offeso per gli insulti al suo amato sport.
Per il resto, che Voldemort stesse cominciando a diventare pazzo già a sedici
anni? Per quel che ne sapeva era anche possibile. Decise di passare ad un’altra
pagina, appena qualche giorno dopo.
28 Gennaio 1947
Ieri sera ho fatto di nuovo uno di quei sogni, ma
come sempre alla mattina non ricordavo quasi nulla, per cui non so esattamente
in cosa consistesse. So che c’è sempre qualcuno, qualcuno che conosco, ma non
ricordo chi sia, e non riuscire a ricordare nemmeno che aspetto abbia non
aiuta. Mi sembra di impazzire in questi giorni. Quando passo vicino ad alcune
parti del castello ho la sensazione di esserci già stato e aver fatto qualcosa
di preciso, ma so per certo che nulla di simile sia mai successo. In più Nagini
continua a chiedermi dove sia “quello Verde”, ma non ho la più pallida idea di
che cosa stia parlando, e quando le chiedo spiegazioni si rifiuta di dire una
parola.
Di quanto stesse andando fuori di testa Voldemort
ad Harry non gliene fregava nulla, però rimase sorpreso di sapere che già a
quell’età possedeva il suo fidato serpente. Chissà come doveva essere da
piccola Nagini. A proposito, ma quanti anni avrà avuto quell’animale? Dovevano
essere stati più di cinquanta, ma era normale che un serpente vivesse tanto a
lungo? Avrebbe dovuto controllare se per caso i serpenti magici fossero più
longevi di quelli normali. Per qualche motivo cominciava a pensare che non
sarebbe stato male comprarsene uno, in fondo non aveva nessun’altra occasione
per esercitarsi un po’ con il Serpentese.
Andò verso la seconda metà del diario, notando che
non vi erano più accenni a quegli strani episodi di pazzia.
14 Marzo 1948
Questa mattina mi sono svegliato con una ragazza
nel mio letto. Non so cosa lei si aspettasse, ma si è messa a piangere quando
l’ho sbattuta fuori. Idiota.
So di essere attraente e che gran parte della
scuola non vedrebbe l’ora di infilarsi nei miei pantaloni (ormai ho perso il conto
di tutte le volte che Black mi ha chiesto di andare a letto con lui) e qualcuno
viene anche accontentato ogni tanto, ma la storia finisce lì. Alden Principe,
il fratello di Eileen che è a Corvonero, dice di amarmi, lo dice da due anni
ormai, e continua a chiedermi perché io non gli creda.
Gli credo. Ma non riesco a capirlo. È vero,
disprezzo l’amore in tutte le sue forme, ma la verità è anche che non so cosa
significa.
‘Questo è decisamente triste’ pensò Harry finendo
di leggere. Sapeva di star quasi simpatizzando per Voldemort, ma non riusciva a
non provare compassione per lui. “Un potere a lui sconosciuto” così diceva la
profezia e Silente aveva detto che questo fantomatico potere fosse proprio
l’amore. Mai come prima Harry credette alle parole del suo vecchio preside.
Ancora una volta compariva il nome Black e di nuovo
in un contesto assai poco dignitoso. Soprattutto però a Harry scioccava il
fatto che il futuro Signor Black, un uomo (o ragazzo), avesse chiesto di
fare sesso a Tom Riddle. E Riddle non sembrava esserne minimamente turbato. Non
che Harry avesse qualcosa contro i gay, sia chiaro, però per qualche motivo
aveva sempre pensato a Voldemort come un bigotto, fanatico del sangue puro (da
bravo ipocrita) e di solito tutti i Purosangue sono fissati col dover mettere
al mondo un erede, cosa che due uomini non possono certo fare. O si? No, quella
era una linea di pensiero che non voleva minimamente sviluppare, il solo
concetto era decisamente sconcertante.
Si divertì però ad immaginarsi Malfoy con un
pancione enorme che si lamentava di quanto fosse ingrassato e di come gli
facessero male le caviglie. Harry scoppiò a ridere: ecco, quella sarebbe stata
una punizione adeguata per quel bastardo.
Tornando al diario, si soffermò sul nome Alden
Principe, che Riddle aveva detto essere fratello di Eileen. A quanto pareva
Eileen Principe, la madre di Piton, andava a scuola ai tempi di Tom Riddle. Al
pensiero dell’ odiato professore ad Harry cominciarono a tremare i pugni per la
rabbia. Quel sudicio traditore…
Dopo i funerali di Silente, Piton aveva contattato
nuovamente l’Ordine chiedendo un incontro. Non c’era bisogno di dire che se
Harry l’avesse rivisto anche solo per un istante l’avrebbe ucciso con le sue
stesse mani, ma con una riunione straordinaria si decise almeno di sentire cosa
avesse da dire. Quando arrivò aveva metà dei membri che lo tenevano a tiro di
bacchetta, ma con una faccia impassibile dichiarò di voler essere interrogato
sotto Veritaserum sulla morte di Silente. Harry al ricordo fremeva ancora di
rabbia: quel verme aveva anche avuto la faccia tosta di ripresentarsi parlando
di Silente. Se Remus non lo avesse trattenuto…
In ogni caso quando venne interrogato cominciò a
dire un sacco di cretinate su come era stato obbligato a fare un Voto
Infrangibile per proteggere Malfoy e per questo costretto ad uccidere Silente o
sarebbe morto. Molti obbiettarono che sarebbe dovuto morire piuttosto che
uccidere il Preside, ma Piton affermò di essere stato dello stesso identico
avviso, e che fu Silente stesso a chiedergli di ucciderlo se le cose fossero
andate male. A quel punto Harry dovette uscire dalla stanza per non saltare
addosso al suo ex professore e spaccargli letteralmente la faccia.
Quel che è peggio fu che l’Ordine credette a tutte
quelle stronzate e addirittura spedirono il verbale dell’interrogazione al
Ministero per far si che tutte le accuse su di lui fossero sollevate!
Naturalmente Harry diede di matto e ci volle l’aiuto combinato di Ron, Hermione
e Remus per calmarlo, quando già aveva distrutto tutte le finestre della cucina
in un’esplosione di magia accidentale.
Non gli importava niente se Remus sosteneva che non
si poteva mentire sotto Veritaserum, probabilmente Piton si era fatto dare un
antidoto da Voldemort o qualcosa di simile! Quel bastardo stava mentendo e
nessuno sembrava voler fare nulla. Era l’assassino di Silente per l’amor di
Dio! Ma niente, tutto quello che Harry sosteneva veniva accantonato come il
frutto del cattivo sangue che era sempre scorso tra lui e Piton e non c’era
altro da fare se non rassegnarsi.
Sospirando, il moretto cercò di darsi una calmata e
aprì di nuovo il diario, questa volta prendendo una delle ultime pagine, dove
vi erano scritte solo poche righe.
29 Maggio 1948
Tra meno di una settimana la scuola sarà finita.
Non voglio tornare all’orfanotrofio, non voglio metterci più piede in quel
posto. Ho scritto una lettera a Dippet per convincerlo a farmi rimanere ad
Hogwarts per l’estate. Voglio rimanere qui, questa è la mia casa, Hogwarts è la
mia casa. Mi ha convocato nel suo ufficio, spero che quest’anno la risposta
sarà diversa rispetto a tutti gli anni precedenti.
Quelle parole lasciarono Harry leggermente scosso.
Questo era esattamente quello che lui stesso aveva pensato più e più volte alla
fine di ogni anno, prima di dover essere spedito dai Dursley, e il fatto che i
suoi pensieri fossero così simili a quelli di Voldemort nella sua giovinezza lo
turbava non poco. Anche lui considerava Hogwarts casa sua e non aveva mai
provato alcun piacere nel tornare ogni anno dai Dursley, rendendolo forse
l’unico in tutta la scuola ad odiare le vacanze estive.
Si ritrovò a pensare a come doveva essere stata per
Riddle la vita in orfanotrofio. Come si viveva in un posto del genere? Era
possibile che la sua infanzia fosse stata tanto infelice, se non di più di,
quanto quella che Harry aveva passato insieme ai Dursley? Che fosse questo uno
dei motivi che fecero scaturire l’odio malsano di Voldemort in confronto ai
Babbani?
Harry scosse la testa: anche se fosse stato questo
il motivo, non giustificava nulla. Anche lui aveva avuto l’infanzia rovinata da
dei Babbani, eppure non era mai andato in giro ad ucciderli tutti per vendetta,
ne era diventato un altro Signore Oscuro per questo. Eppure…la verità è che
non so cosa significhi l’amore. Possibile che se Voldemort avesse
semplicemente vissuto in un modo diverso, ora non sarebbe il Signore
Oscuro?Se solo Voldemort – no, se solo
Tom Riddle avesse imparato ad amare, sarebbe mai diventato Voldemort?
Il ragazzo guardò il diario che teneva tra le mani.
Quand’è che Tom Riddle divenne Voldemort? Quando uccise suo padre? Quando aprì
la Camera dei Segreti? O forse ancora prima, già quando terrorizzava gli altri
bambini all’orfanotrofio. Harry questo non poteva saperlo, ma per la prima
volta mentre guardava quel libricino rilegato, lo pensò come il diario di Tom
Riddle e non di Lord Voldemort.
Venne riscosso dai suoi pensieri da un bussare alla
porta. Si alzò pensando a come avevano fatto a trovarlo dentro la Stanza delle
Necessità.
Quando aprì la porta però, fu sorpreso nel non
trovare nessuno davanti a sé e stava quasi per richiudere quando sentì qualcosa
tirargli esitante una gamba dei pantaloni. Abbassando lo sguardo Harry sorrise
vedendo un lungo naso a matita spuntare da sotto uno scolapasta indossato come
cappello.
“Dobby, che ci fai qui?” chiese.
L’elfo domestico sgranò gli occhi già comicamente
grandi.
“Dobby si scusa se Padron Harry stava riposando! Ma
Dobby è stato mandato a chiamare Padron Harry per la cena e Dobby è sempre
felice di vedere Padron Harry!” disse tutto d’un fiato saltellando frenetico.
Harry rimase un attimo spiazzato. Era già ora di
cena? Possibile che fosse rimasto così tanto tempo a leggere il diario?
“È tutto a posto Padron Harry? Dobby può fare qualcosa?”
chiese l’elfo guardandolo con apprensione.
“No, va tutto bene Dobby, non ti preoccupare.
Adesso scendo, grazie per avermi chiamato” gli rispose Harry con un sorriso.
Di tutta risposta l’elfo cominciò a saltellare e a
battere le mani eccitato.
“Oh, nessun problema padron Harry! Dobby è sempre
lieto di servire il grande Harry Potter!” e dopo un inchino esagerato sparì con
un piccolo “Pof!”
RISPOSTE:
Selvy: Tom, Tom, Tom, tutti lo
cercano e nessuno lo trova XD. Non preoccuparti, arriverà presto, ancora solo
un po’ di pazienza nel sopportare il mio lento ritmo di narrazione, ma ho
sempre paura di fare accadere le cose troppo in fretta ^^” (d’altronde con un
pairing così strano di cose da spiegare ce ne sono!)
MORFEa: Vero che sono due
personaggi con un sacco di punti in comune? E allo stesso tempo completi
opposti… beh, dimmi tu se non sono la coppia perfetta! :P
RowanMayFlower: Naturalmente
Tom cercherà di sfruttare Harry, ma nella mia storia gli ho aggiunto una buona
dose di curiosità che gli creerà un bel po’ di problemi. Non dimentichiamoci
poi che Harry avendo vissuto in guerra è cresciuto molto in fretta e non si
lascerà ingannare tanto facilmente!
Zafirya: Qualche altro
estratto dal diario pronto per lei! Non dico quanto è stato difficile cercar di
disegnare i pensieri di un personaggio tanto intricato ed ambiguo, ma spero che
il risultato ne sia valsa la pena (ridevo da sola immaginandomi Tom che
scriveva prima di andare a dormire XD). Inutile dire poi che sarà molto
importante ricordarsi questi piccoli passaggi in futuro!
Altri Personaggi: Hermione Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
A.N.: oh, finalmente si entra un po’ nel vivo della storia! Mi sto
accorgendo che la mia narrazione è una delle più lente esistenti, speriamo di
non star facendo morire tutti di noia XD E contare che l’ispirazione per questa
storia mi è venuta a partire da una scena che sarà… nel penultimo capitolo!
Capitolo 4.Piccole Speranze
Tre settimane dopo Harry e Hermione si trovavano
nuovamente nell’ufficio della McGranitt, il primo nervoso e impaziente e
l’altra con aria determinata, mentre teneva in mano una boccetta piena di un
liquido verde scuro. Il tavolo al centro dello studio era stato completamente
sgombrato, tranne che per una grossa cartina della Gran Bretagna.
“Signorina Granger, credo sia il momento di
iniziare.” Disse la professoressa rivolgendosi alla riccia.
Hermione annuì e avvicinandosi al tavolo stappò la
boccetta, la quale fumava lievemente di un vapore verdastro.
“Da come è descritta la procedura sembra molto
simile ad un incantesimo di Orientamento. Gli appunti nel diario dicono di intingere
la punta di una bacchetta nella pozione e pronunciare ‘invenio’,
dopodiché la bacchetta mostrerà la posizione dell’Horcrux. Purtroppo, dato che
Voldemort sicuramente conosceva il procedimento, avendolo inventato lui, non fa
nessun riferimento a come possa indicare uno di questi luoghi… voglio dire,
sicuramente funziona anche se l’Horcrux non è nella stanza in cui viene
pronunciato l’incantesimo.” spiegò Hermione aggiungendo l’ultima parte con una
nota infastidita nella voce, quasi che Tom Riddle avesse omesso informazioni
solo per fare un dispetto a lei, “Dovremo procedere a tentativi quindi: per ora
proviamo a vedere se funziona con una semplice cartina geograficadella Gran Bretagna.”
Gli altri due presenti nello studio annuirono,
lasciando che la ragazza procedesse. Quando stava per intingere la sua
bacchetta nella pozione però, ad Harry venne un’idea.
“Aspetta Herm, perché non usiamo la mia?” disse con
tono ragionevole, “In fondo la mia bacchetta e quella di Voldemort sono
gemelle, potrebbe non fare alcuna differenza, ma magari sarà più efficace.”
Hermione sembrava un po’ dubbiosa, ma in fondo
tentar non noceva. “D’accordo, come vuoi.” Rispose prendendo la bacchetta che
le veniva offerta.
“Non so cosa potrebbe succedere, non sappiamo
nemmeno se le istruzioni siano giuste, forse è meglio se vi allontanate un po’
dal tavolo.”
Harry voleva rispondere che se l’incantesimo non
era sicuro, nemmeno Hermione avrebbe dovuto correre un rischio simile, ma
dovette mordersi il labbro frustrato: non avevano scelta, era la loro unica
possibilità dopo mesi di ricerche.
Appena la punta della bacchetta entrò in contatto
con il liquido vischioso della pozione il lieve fumo verde che aleggiava sparì
e il contenuto brillò leggermente. La ragazza che teneva entrambi gli strumenti
in mano affondò la punta all’interno della boccetta, mescolando un po’ prima di
ritirarla fuori, rimanendo sorpresa insieme agli altri nel vedere come il
liquido che rimaneva attaccato intorno al legno non avesse più un colorito
verde ma completamente trasparente. Senza indugiare oltre, Hermione posò la
bacchetta sul tavolo e richiudendo la pozione si avvicinò alla cartina
geografica per vedere meglio.
“Invenio!”
I presenti nella stanza trattennero il fiato per
qualche secondo.
Niente.
Hermione guardò sospettosa la bacchetta e la mosse
leggermente verso la cartina.
“Invenio!”
Ancora nulla.
Harry non voleva arrendersi dopo così poco, ma non
poté fare a meno di sentire una punta di sconforto cominciare a farsi largo
dentro di se.
“È possibile che l’Horcrux non si trovi in Gran
Bretagna. Prova a puntare la bacchetta contro il planisfero.” Suggerì la
professoressa McGranitt.
Con una nuova aria di determinazione Hermione prese
il tavolo e lo avvicinò alla parete.
“Invenio!” ripeté per la terza volta e di
nuovo nulla accadde.
Harry si avvicinò agitato. “Herm, fammi provare,
forse dato che è la mia bacchetta…” ma lasciò la frase in sospeso, poiché
appena si fu accostato al tavolo la bacchetta cominciò a vibrare e a girare
vorticosamente, per poi bloccarsi di colpo.
Puntando direttamente Harry.
Il ragazzo era troppo sbigottito da non sentire
nemmeno Hermione inspirare scioccata portandosi una mano alla bocca, né notò lo
sguardo sbalordito della sua professoressa. Tutto quello che riusciva a vedere
era la punta della sua stessa bacchetta puntare su di lui.
“Oh mio dio… non è possibile, non può essere…”
sussurrava la riccia sottovoce, mentre la McGranitt si lasciava cadere su una
sedia, incapace di parlare.
“Harry, ci deve essere sicuramente un errore, non
può essere giusto… ricontrollerò, probabilmente qualcosa è sbagliato nella
pozione…” disse Hermione quando riprese la parola, avvicinandosi all’amico.
Harry istintivamente fece un passo indietro, ritirandosi al contatto e
distogliendo lo sguardo dalla bacchetta che, appena egli si era mosso, lo aveva
seguito continuando a puntare su di lui.
“Falla smettere.” Ordinò Harry con voce troppo
calma rispetto a quello che stava pensando dentro di se.
Hermione con voce tremante sussurrò “inventus”,
continuando a guardare l’amico per vedere la sua reazione.
Harry in quel momento sentiva di non riuscire a
pensare chiaramente. Parole vaganti continuavano a fluttuargli in testa:
Horcrux… io… Voldemort… non è possibile… io… anima…
Lui, lui era un Horcrux? Com’era possibile?
Quand’era successo? Ci doveva essere un errore, non era possibile, ma più ci
pensava, più cose che prima non avevano alcun senso ora si delineavano con
chiarezza davanti ai suoi occhi: la strana connessione che lo legava a
Voldemort non poteva essere solo per via della cicatrice, il suo parlare
serpentese poi gli era sempre sembrato strano che derivasse solo da una
trasmissione di poteri e durante il suo quinto anno, il modo in cui gli era
così facile trovarsi nella mente di Voldemort senza nemmeno volerlo…
Harry Potter era l’ultimo Horcrux.
Il moretto si girò verso Hermione: come poteva
starle anche solo vicino quando poteva rappresentare un pericolo così grande?
Doveva andarsene, allontanarsi il più possibile. Si sentiva improvvisamente
contaminato, sporco, come quando nel suo quinto anno era convinto di essere
posseduto da Voldemort.
Voldemort! Come avrebbe fatto ad uccidere
Voldemort?
“Ah, si,
era proprio quello che temevo.” Disse improvvisamente una voce dall’altro lato
della stanza.
Tutti si voltarono verso quel lato e ciò che videro
li lasciò a bocca aperta.
“Professor Silente!”
Il ritratto di Silente infatti non era più immobile
con gli occhi chiusi come ormai da più di un anno erano abituati a vederlo, ma
al contrario teneva ora le mani giunte in grembo e gli occhiali a mezzaluna non
riuscivano a nascondere il suo caratteristico luccichio degli occhi.
Harry, vedendo il suo vecchio preside, venne
investito da un’ondata di sollievo: se Silente era con lui, c’era ancora speranza.
Tuttavia questi pensieri gli fecero tornare in mente il motivo primario del
perché avesse bisogno d’aiuto.
Silente rivolse gli occhi verso quello che qualcuno
si azzardava a dire essere stato il suo alunno preferito “Harry, mio caro
ragazzo, siediti e non pensare di andare da nessuna parte.”
Il ragazzo, che aveva smesso molto tempo fa di
chiedersi come Silente riuscisse a sapere sempre tutto, si sedette rassegnato.
Hermione però non sembrava aver alcuna intenzione
di smettere di agitarsi. “Professore, com’è possibile? Pensavamo che il dipinto
fosse venuto male, che lei non potesse parlare!”
Da un lato si sentì un grugnito da parte del
ritratto di Phineas, ma Silente si limitò a sorridere bonario. “No, signorina
Granger, questo ritratto è perfettamente a posto e ricorda, io non me ne sarò
mai andato finché a Hogwarts ci sarà ancora qualcuno che crede in me.”
Hermione e la professoressa McGranitt si guardarono
perplesse, ma un piccolo sorrisino si delineò sul viso di Harry, ricordando le
parole di tanti anni fa.
“Albus, cosa intendevi nel dire che era quello che
temevi?” chiese la McGranitt con voce grave.
L’ex preside sospirò “Vuol dire, Minerva, che
sospettavo che Voldemort avesse potuto fare una cosa simile.”
A quelle parole scese un silenzio spesso, ma Harry
non credeva alle sue orecchie. “Lei sospettava che io fossi un Horcrux?” chiese
con una pericolosa inclinazione nella voce, rivolgendo uno sguardo gelido al
suo ex preside, “Due anni fa aveva detto di avermi detto tutto, che non ci
sarebbero stati più segreti, e ora invece mi viene a dire che sin dall’inizio
sapeva che avevo un pezzo di Voldemort dentro di me! Come ha potuto non
dirmelo!” urlò.
La professoressa McGranitt sembrava indecisa se
rimproverare il tono che Harry stava usando nei riguardi di Silente o rimanere
prudentemente nell’ombra, mentre Hermione era ben decisa a non intromettersi:
aveva imparato che la furia di Harry era qualcosa che nessuno avrebbe voluto
aver contro.
“Mio caro ragazzo, al contrario dell’opinione
comune, non sono onnisciente,” disse Silente con voce calma, anche se
improvvisamente sembrava più vecchio che mai, “non avevo intenzione di
caricarti di preoccupazioni basate su sospetti senza alcun fondamento.”
Harry chiuse gli occhi e si portò entrambe la mani
sul viso con un sospiro, cercando di calmarsi: era troppo stanco perfino per
arrabbiarsi.
Hermione decise di farsi avanti. “Professore, mi
scusi, ma ci sono un sacco di cose che non tornano: prima di tutto, quando
sarebbe successo? Quand’è che Tu-Sai-Chi avrebbe potuto fare di Harry un suo
Horcrux? E poi ha passato tutti questi anni a cercare di ucciderlo, ma perché
voler distruggere la propria anima?”
Il vecchio professore sorrise voltandosi verso la
ragazza. “Brillante come sempre signorina Granger,” la lodò facendola
arrossire, “ e le posso assicurare che ogni domanda avrà una sua risposta.
Ho cominciato a sospettare qualcosa durante il tuo
secondo anno Harry, quando venne a galla la tua abilità come Rettilofono. Vedi,
mai è esistita una connessione simile a quella portata dalla tua cicatrice, non
esistendo nessun altro sopravvissuto all’anatema mortale, per cui non potevo
sapere quale fosse la portata del suo potere. Quando si scoprì che potevi
parlare Serpentese ti dissi che era dovuto ad una trasmissione di poteri
avvenuta la fatidica notte della morte dei tuoi genitori ed era, sinceramente,
ciò che credevo anche io, anche se il dubbio si era insinuato nella mia mente.
Non avevo però né mezzi né prove per affermare altro.
Alla fine del Torneo Tremagli, quando tornasti dal
cimitero e raccontasti ciò che era accaduto alcune delle tue parole mi rimasero
impresse: dicesti che Voldemort aveva usato un rituale di sangue per
resuscitare e che aveva specificatamente chiesto il tuo sangue e non
quello di un nemico qualunque, come gli avevano suggerito i suoi fedeli
Mangiamorte. Perché proprio il tuo? Vendetta personale? Sicuramente cercare di
prenderti deve avere rallentato i suoi piani di parecchio, dovendo aspettare la
fine dell’anno, eppure lo fece lo stesso. È possibile che lo abbia fatto solo
per liberarsi della protezione di tua madre… ma forse non era l’unico motivo.
Poi durante il tuo quinto anno la vostra
connessione è cresciuta talmente tanto che tu stesso ti accorgesti che qualcosa
non stava andando come avrebbe dovuto: ricevevi sogni, provavi emozioni che non
erano le tue, per non parlare dell’improvviso odio verso di me che non riuscivi
a spiegarti. Quando al Ministero Voldemort prese possesso del tuo corpo, seppur
per pochi secondi, era chiaro che qualunque connessione aveste fosse ben più
profonda di quanto non sospettassi. Eppure pensai che non era molto strano in
fin dei conti che Voldemort fosse capace di possedere qualcuno, infondo l’aveva
già fatto in precedenza col professor Raptor. Forse semplicemente mi rifiutavo
di vedere la verità.
Infine, l’anno scorso nella grotta, trovai
estremamente strano che la barca che usammo per raggiungere l’isola dove si
trovava l’Horcrux non avesse protestato nel caricare due maghi, quando era
stata palesemente progettata per impedire una cosa del genere. Mi dissi che era
solo perché non eri legalmente adulto, eppure Harry, tu hai un potere enorme,
di gran lunga superiore alla media per la tua età. In ogni caso ero piuttosto
impegnato in quel momento e non c’era tempo per questi pensieri. Allora non
avevo nessuna prova per queste mie teorie, ma ora l’incantesimo non mente:
l’ultimo Horcrux sei tu, Harry.”
Harry aveva ascoltato tutto senza mai una volta
alzare il viso dalle proprie mani, ma sentito il preside fermarsi decise di
alzare lo sguardo. “Non ha ancora risposto alle domande di Hermione,
professore.” Fu l’unica cosa che disse.
Silente annuì, “Vero, e ho intenzione di rimediare
subito. Chiedeva quando sarebbe potuta succedere una cosa simile, signorina
Granger? Beh, la risposta è piuttosto ovvia, nella notte in cui tutto è
cominciato, Halloween di sedici anni fa. Quella notte Voldemort commise un
grandissimo errore di valutazione e in tutti questi anni mi sono chiesto il
perché di un atto così stupido, sapendo che la stupidità non è mai stata un
attributo di Voldemort.
Bisogna capire che una Profezia non è mai qualcosa
da prendere alla leggera e Tom ne è cosciente. Se essa indicava possibilmente
te come ‘l’unico col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore’, ladecisione di correre e cercare di ucciderti
non era per niente saggia. Solo ora è chiaro che Voldemort aveva un piano ben
più astuto in mente, aveva intenzione di renderti completamente innocuo
rendendoti uno dei suoi Horcrux.
Creare un Horcrux da una creatura cosciente è
possibile, ma molto rischioso, poiché non si è mai sicuri di avere il completo
controllo sopra di essa. Perciò dopo aver ucciso i tuoi genitori e fatto di te
un Horcrux, Harry, tentò di ovviare a questo problema nella maniera a lui più
comoda.”
Silente fissò intensamente i suoi occhi azzurri
nelle iridi verdi di Harry.
“Ti ricordi, vero, cos’è un Inferius?”
Harry spalancò gli occhi ed Hermione emise un
gemito orripilato, mentre la professoressa McGranitt, che fino a quel momento
era rimasta stranamente taciturna, si alzò di scatto dalla sedia su cui era
seduta.
“Ma era solo un bambino! Come si può anche solo
pensare di fare una cosa simile ad un neonato? È atroce, agghiacciante!”
Silente le rivolse uno sguardo triste: “hai ragione
Minerva, ma sappiamo tutti che nel cuore di Voldemort non c’è posto per la
compassione: ha rinunciato all’amore tantissimo tempo fa.”
A queste parole Harry non poté fare a meno di
ritornare col pensiero alle pagine del diario che aveva letto settimane addietro
e chiedersi quanto a fondo Silente avesse conosciuto Tom Riddle.
“Comunque, ritornando al discorso principale,
Voldemort voleva fare del piccolo Harry un Inferius, ma quando nel processo
dovette scagliare l’Avada Kedavra, come tutti sappiamo l’incantesimo si
rifletté contro di lui a causa della protezione che il sacrificio di Lily aveva
donato. Il resto è storia.”
Calò un lungo silenzio nell’ufficio mentre tutti
cercavano di venire a patti con tutte quelle nuove rivelazioni, ma tra tutti
Harry era il più afflitto: si sentiva come se improvvisamente non conoscesse
più se stesso, come se, se solo avesse chiuso gli occhi e si fosse concentrato,
avesse potuto sentire quel frammento d’anima alieno avvelenargli lentamente il
sangue. Finiva così tutta la storia? Non erano serviti a niente i mesi di
allenamento da Auror, non avrebbe mai potuto sconfiggere Voldemort, avevano già
perso. Tutti gli sforzi, tutte le fatiche, tutte le perdite, le morti… tutto
vano.
“P-professore, “ iniziò Hermione con voce tremolante,
“ma anche se Harry… se anche Harry – oh Dio – se anche si… sacrificasse per
uccidere Voldemort… non servirebbe, il suo spirito ci metterebbe pochissimo ad
impossessarsi di un corpo qualunque in attesa di resuscitare di nuovo, e una
volta tornato… beh, secondo la profezia Harry sarebbe l’unico con il potere di
sconfiggerlo, per cui non ci sarebbe nulla da fare….”
Silente spostò il suo sguardo grave su di lei con
esasperante pacatezza. “Si, hai dipinto uno dei possibili scenari.”
Harry non ci vide più. “Uno dei possibili scenari?!
E quali sarebbero gli altri? Voldemort finisce il suo piano e io divento un
mostro senza vita? Come fa ad essere così calmo? Mi sta dicendo che non c’è più
nulla da fare!” urlò.
Stranamente né Hermione né la McGranitt lo rimproverarono
per la mancanza di rispetto mostrata. Silente di rimando rimase imperturbato.
“Non ho mai detto che non ci sia più nulla da fare, ho solo raccontato i fatti.
Ho piena fiducia in te Harry: non disperare quando tutto è ancora da decidere.”
Harry scosse la testa, non avendo la forza di
ribattere al suo vecchio professore.
La professoressa McGranitt prese parola: “Albus, ci
deve essere qualcosa che possiamo fare, sicuramente puoi trovare un modo – ”,
ma si interruppe vedendo l’uomo scuotere il capo.
“Minerva, Minerva, troppo spesso durante la mia
vita le persone si sono dimenticate che anche io, come tutti gli altri, ero un
essere umano. Adesso, ad un anno dalla mia morte è bene che vi ricordiate che
non solo altro che un ritratto.” Disse con un sorriso triste.
Harry si sentiva improvvisamente esausto e dovette
appoggiarsi al tavolo mentre si passava stancamente una mano sul viso. Hermione
sembrò accorgersene e si morse il labbro ma restò zitta, non volendo peggiorare
la situazione facendogli da mamma. Non dovette preoccuparsi però, perché la
McGranitt scelse proprio quel momento per guardare l’orologio e constatare
l’ora tarda.
“Ragazzi, è stata sicuramente una serata spossante,
con tutto quello che è successo…” si fermò un attimo indecisa su cosa dire, poi
si rivolse ad Harry “sono convinta che una soluzione ci sia, so che la
situazione non sembra delle più rosee al momento e qualunque cosa possa dirti
difficilmente ti sarebbe di conforto, ma Silente ha ragione: non disperiamo
quando è ancora tutto da decidere. Ora, anche se dubito ci riuscirai, pensa
solo a dormire che domani ci aspetta una lunga giornata.”
Hermione, vedendo che l’amico non si era mosso, gli
si avvicinò e fu grata quando posandogli una mano intorno al braccio, quello
non si ritirò al tocco. “Harry andiamo, sembri morto in piedi, domani mattina
saremo di nuovo qui, non sarà cambiato nulla, tanto vale cercare di riposarsi
un po’, sicuramente ne hai bisogno. Ne abbiamo tutti bisogno.”
Il moro lasciò cadere le spalle in avanti sconfitto,
ma annuì rassegnato prima di lasciarsi condurre fuori dall’ufficio dall’amica,
sicuro che nonostante la stanchezza non sarebbe riuscito a chiudere occhio.
Una volta che la porta dell’ufficio si fu richiusa
alle spalle dei due ragazzi, la Preside si abbandonò nuovamente s’una sedia.
“Minerva, anche tu hai bisogno di un buon numero di
ore di sonno, rimanere a rimuginare con la mente poco lucida non ha mai portato
a grandi risultati.”
La McGranitt annuì. “Certo, hai ragione Albus, è
solo che… mio Dio, ancora stento a crederci, è così incredibile!” disse
scuotendo la testa, fermandosi però con aria pensosa. “Sai Albus, c’è anche
qualcos’altro…”
“Si?” chiese il ritratto.
“Non lo so, ma avrei pensato di trovarmi più
disperata in una situazione del genere, invece è come se sapessi che in fondo
c’è davvero una soluzione. Sento di avere la risposta sulla punta della
lingua…”
Silente sorrise bonario. “Sono sicuro che tu ce
l’abbia Minerva, sono sicuro che tu ce l’abbia.”
Ma allo sguardo interrogativo della professoressa,
il vecchio preside non diede alcuna risposta.
Altri Personaggi: Hermione Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
IMPORTANTE: l’estate arriva, la gente parte… e gli aggiornamenti? Eh si,
purtroppo nel periodo estivo (come avevo già avvertito) non avrò la possibilità
d fare granché. Dopo questo capitolo è probabile (non sicuro) che ne
arrivi un altro solo verso il 7 di luglio e poi fino al 26-27 luglio niente.
Infatti dall’8 al 26 sono a Londra, giusto in tempo per l’uscita di Harry
Potter and the Deathly Hollows, non vedo l’ora!
Spero che
continuerete a seguire questa storia anche dopo questo piccolo stallo!
A.N. e
risposte alle recensioni sono in fondo al capitolo
Harry si fermò ansimando e si tolse il sudore dalla
fronte con una mano, guardando la sfera che galleggiava immobile a mezz’aria a
qualche metro da lui. Era un utile congegno di addestramento che fungeva da
avversario, con colpi sia fisici che magici. Un piccolo regalo da parte di
Moody per far sì che continuasse ad allenarsi anche al di fuori del programma
per Auror, ed Harry aveva preso l’abitudine di tirarlo fuori ogni mattina verso
le sei per allenarsi. Quella mattina non faceva eccezione, ma essendo rimasto a
Hogwarts per la notte, ora si trovava in riva al lago al posto che in una delle
tante stanze di Grimmauld Place.
In più allenarsi gli distoglieva i pensieri da
tutto quello che era successo il giorno prima. In realtà Harry sentiva di aver
preso la notizia molto meglio di quanto non si sarebbe aspettato. L’intera
situazione gli ricordava alquanto il suo quinto anno nel quale, doveva
ammetterlo, il suo comportamento non era stato certo esemplare, per non parlare
degli sbalzi d’umore che aveva avuto neanche fosse stato una donna incinta.
Eppure allora era convinto che Voldemort in qualche modo lo stesse possedendo,
mentre adesso era tutta un’altra storia.
Era un Horcrux, d’accordo, ma non lo era diventato
ora, lo era stato per praticamente tutta la vita. L’averlo saputo solo
adesso non cambiava nulla: dopo il primo shock si era accorto che alla fine,
Horcrux o no, era ancora l’Harry di sempre. L’unico pensiero leggermente
inquietante era che il frammento dell’anima di Voldemort faceva parte
dell’Harry di sempre.
Stiracchiandosi la schiena, il ragazzo si mise di
nuovo in posizione di difesa, prima di rilasciare la sfera e riprendere
l’allenamento.
Appena rilasciata, la piccola sfera lanciò un
fascio rosso nella sua direzione, che Harry schivò saltando a sinistra, facendo
rimbalzare il colpo sull’erba. In risposte si abbassò per lanciare uno schiantesimo
che colpì un albero nelle vicinanze. Sentendo qualcosa arrivargli alle spalle,
rotolò di colpo da un lato, in tempo per vedere la sfera, che evidentemente lo
aveva aggirato, schizzare in avanti.
“Diffindo!” urlò vedendo un fascio di luce
bianca scagliarglisi contro, e i due incantesimi si scontrarono a mezz’aria
provocando una pioggia di scintille.
Con i sensi all’erta, sentì improvvisamente l’aura
di qualcuno avvicinarsi e in pochi secondi bloccò la sfera con un Pietrificus
Totalus ben piazzato, materializzò uno scudo magico davanti a sé con un
rapido movimento del polso, ed aveva già sulla punta della lingua uno
schiantesimo quando si girò e riconobbe la persona che gli era davanti.
“Ciao Harry” disse Ginny con un sorriso.
Lo scudo in un attimo scomparve, lasciando Harry
libero di alzarsi e pulirsi l’uniforme da tutti i fili d’erba che gli erano
rimasti attaccati ai pantaloni di pelle.
“Ah, ciao Ginny. Scusa
per prima, è che ho sentito qualcuno arrivarmi alle spalle…” ma Ginny scosse il
capo.
“Non preoccuparti, è stato stupido da parte mia
interromperti mentre ti alleni, ma è tanto che non ci sentiamo, non trovi?”
Harry la osservò studiandole l’espressione. Portava
i capelli rosso fuoco in una treccia morbida che teneva appoggiata su una spalla
e le lentiggini le risaltavano sul volto grazie alla leggera abbronzatura che
sicuramente i primi giorni di sole le avevano donato. Sorrideva ancora, ma
qualcosa negli occhi suggeriva a Harry che non era venuta solo per una
conversazione casuale. Si accorse che nella mano sinistra stringeva una copia
della Gazzettadel Profeta.
“Come facevi a sapere dove trovarmi?” chiese
curioso.
La rossa lo sorprese scoppiando a ridere. “Oh
Harry, capita piuttosto spesso che tu resti a Hogwarts per la notte ed hai
sempre la stessa routine. Sai,” aggiunse a bassa voce avvicinandosi, “ci sono
ragazze che non aspettano altro.” Ed indicò l’altra sponda del lago, dove in
effetti era seduto un gruppo di ragazzine che lo stavano osservando
ridacchiando e chiacchierando.
Harry arrossì furiosamente.
“Dai, ignorale. Almeno non devi sorbirti tutto il
giorno Romilda Vane che blatera in continuazione su come le hai promesso un
appuntamento appena il Ministro ti lascerà una giornata libera, perché ‘il
mio Harry è sempre così impegnato a salvare il mondo!’” le fece il verso
Ginny con una vocetta stridula.
“Che cosa?!” esclamò Harry orripilato, “Ma non è
vero!”
Ginny sbuffò. “Certo che non è vero, solo le sue
amiche oche le credono.” Disse sedendosi comodamente sull’erba e battendo una
mano sul terreno di fianco a lei, invitando Harry a fare lo stesso. Una volta
che il ragazzo le si fu accomodato di fianco, srotolò la sua copia della
Gazzetta e gliela passò.
“Hai visto la notizia di prima pagina di oggi? Se
devo essere sincera un po’ me l’aspettavo…”
Il ragazzo prese in mano il giornale osservando una
grande foto in bianco e nero del Malfoy Manor, per poi spostare l’attenzione
sulla testata.
Narcissa
Malfoy trovata senza vita.
Il
corpo rinvenuto nella stanza da letto aveva ancora in mano una boccetta di
veleno. I medimaghi sono certi: si è trattato di suicidio.
“Dopo la morte del figlio e con il marito ancora ad
Azkaban non mi stupisce che abbia voluto farla finita.” aggiunse la rossa.
Harry continuò a guardare la pagina mentre
rifletteva che si, anche per lui non veniva fuori come una sorpresa.
Dopo lo scagionamento di Piton, molti membri
dell’Ordine cercarono di rintracciare anche Malfoy, con l’intenzione di
esaudire le ultime volontà di Silente e offrirgli la protezione che il vecchio
preside gli aveva promesso la notte della sua morte. Purtroppo il ragazzo
sembrava assolutamente intento a sfuggire, secondo Piton per paura che le
minacce contro sua madre si avverassero.
Fattostà che verso gennaio venne trovato per la
prima volta dopo mesi: nell’Ufficio Misteri. Come avesse fatto ad entrare o
perché Voldemort lo avesse mandato lì non lo sapeva nessuno, ma anche quando fu
circondato da Auror non volle arrendersi e anzi, si ostinò a combattere. Nello
scontro una maledizione vagante lo colpì facendolo volare all’indietro e
catapultandolo direttamente oltre il Velo.
Harry trovò tristemente ironico che una delle
persone che aveva amato di più e una di quelle che aveva odiato di più avessero
condiviso la stessa fine.
“Mi stupisce che abbia aspettato tanto in realtà.”
Disse infine lasciando cadere il giornale sull’erba.
Scese il silenzio per alcuni minuti e la mente di
Harry stava andando a mille. Avrebbe dovuto dirle di quello che avevano
scoperto su di lui? Non l’avevano ancora detto nemmeno a Ron, ma glielo doveva,
a tutti e due, non li aveva mai lasciati nell’ombra su qualcosa di così
importante. Eppure era ancora presto, lui stesso aveva appena cominciato a
venire a patti con la cosa… E se Hermione glielo avesse già detto? Se fosse
questo il motivo per cui era venuta a parlare? E se adesso non voles –
“Sto con Dean”
Harry bloccò il flusso di pensieri e cercò di
rielaborare quelle semplici parole.
“Come scusa?”
Ginny lo guardò fisso negli occhi e ripeté
lentamente: “Sto con Dean ora.”
“Oh” fu l’unica risposta che riuscì a formulare.
Beh, tra tutte le cose, questa era quella che meno
si era aspettato. Pensandoci, gli sembravano passati anni luce da quando si
preoccupava ancora di ragazze e amori, quando la guerra non era ancora
scoppiata a pieno regime.
Appena lui e Ginny si erano lasciati, aveva passato
giorni a sperare che tutto fosse diverso per poter sentire ancora la ragazza al
suo fianco, per poterle passare ancora le mani tra i capelli come era solito
fare, ma poi le settimane passarono, con l’addestramento, la caccia agli
Horcrux, le battaglie… la guerra gli aveva portato via tutti i ricordi di una
vita normale, tutte le sensazioni di una vita normale.
“Sai, quel giorno, al funerale…” iniziò Ginny,
“quel giorno mi dissi che se ti avevo aspettato per cinque anni, ti avrei
aspettato anche fino alla fine di questo casino. Non ho pianto quando mi hai
lasciato, perché mi dissi che alla fine sarebbe andato tutto bene.”
Harry ascoltò senza parlare, osservandola sorridere
triste mentre guardava le increspature del lago.
“Ne ero davvero convinta sai? Ma ora…” si fermò un
attimo, raccogliendo i pensieri, “ci sono tanti ragazzi che non sono tornati a
scuola, e non solo perché i genitori non li volevano mandare. Ci sono ragazzi
che non sono tornati a scuola perché semplicemente non ci sono più.” Si voltò a
guardare Harry negli occhi, “Ho capito alla fine che non posso aspettarti,
perché non c’è più tempo. Le persone intorno a noi stanno morendo, e non
posso rimanere ad aspettare senza fare nulla fino a che non capiti a me o fino
a che… fino a che non capiti a te.” Finì con un filo di voce.
Harry sospirò e aprì la bocca per parlare, ma di
fianco a sé sentì un flebile “…mi dispiace” che lo interruppe. Le prese la mano
e con voce ferma disse:
“Ginny, ascoltami bene: tu per nulla, nulla al
mondo dovrai mai sentirti in colpa per me, sappiamo entrambi che basto io per
tutti e due con i sensi di colpa.” Tentò di scherzare e fu premiato con un
sorrisino da parte della rossa.
Sospirò ancora. “Ascolta, questa guerra… ci sta
togliendo tutto. È quello che vuole Voldemort: essere così impegnati a
sopravvivere da dimenticarsi di vivere. Io non posso fare a meno di esserci
dentro e non ho potuto impedire a Ron e Hermione di seguirmi, ma non riesco ad
immaginare la mia vita oltre questa guerra, ci sono altissime probabilità che
io non ne esca vivo. Aspetta, fammi finire” disse vedendo che la ragazza aveva
aperto la bocca per ribattere, “Ginny… so che sembra banale, ma voglio e anzi, pretendo
che tu sia felice, e so che con me non saresti mai potuta esserlo.” Disse
infine abbassando gli occhi.
La mano che teneva ancora nelle sue diede una
piccola stretta, facendogli alzare lo sguardo. Gli occhi azzurri di Ginny erano
lucidi, ma Harry sapeva che non avrebbe mai pianto.
“Va bene Harry, dovevo solo… parlartene credo”
disse.
“Si, capisco.”
Ora che sentivano non esserci più nulla che gravava
tra di loro, l’atmosfera era molto più leggera.
“Allora,” disse Harry con tono innocente, “com’è
che non ho mai sentito parlare Ron di questa tua relazione?”
Ginny arrossì, ma fu grata che Harry non sembrava
tenere rancori. “Oh beh, sai come la prende sempre lui… e poi ho sentito che
era in missione in Irlanda, non volevo dargli troppi pensieri, ecco.”
“Non vuoi che si metta in mezzo e rompa le scatole
quindi.” Ridacchiò il moro.
“Si, assolutamente!” rispose la ragazza ed entrambi
scoppiarono a ridere.
Chiacchierarono ancora per un po’ ed Harry si fece
raccontare la storia di come si fossero rimessi insieme lei e Dean, ogni tanto
chiedendosi se fosse normale raccontare queste cose al proprio ex.
“Quindi sei felice?” chiese Harry, “Con lui
intendo, sei felice?”
Ginny aspettò un po’ a rispondere ma poi rispose
semplicemente con un sorriso: “si.”
“Bene.” disse Harry, e sentiva di pensarlo davvero.
Hermione spostò lo sguardo dal polveroso tomo che
aveva davanti per scrivere qualche appunto s’un foglio di pergamena che teneva
lì vicino, strofinandosi distrattamente un occhio. Il Reparto Proibito era uno
dei luoghi più bui di tutta la biblioteca e gli strati di polvere accumulati
negli anni sui libri rendevano quasi insopportabile la permanenza in un luogo
del genere.
Hermione però aveva ben altro per la testa e
l’essere rimasta chiusa in quel reparto per l’intera mattinata non sembrava
aver avuto alcun effetto negativo su di lei: in fondo era il suo ambiente
naturale.
Riguardò il foglio di appunti in cui aveva
riassunto ore di ricerche. Era così vicina alla soluzione… aveva scoperto che,
seppur la situazione di Harry fosse un caso unico nel suo genere, legami tra
maghi che consistono nel condividere la propria anima non erano poi così rari e
anzi, piuttosto comuni nel Medioevo. Aveva trovato affascinante scoprire che il
rito nuziale originario nella comunità magica consisteva nel prendere i voti
matrimoniali letteralmente: finché morte non ci separi.
Al giorno d’oggi sembrava che riti così drastici
fossero passati d’uso, soprattutto visti i numerosi casi di tentata
separazione, che portavano alla morte di almeno una delle due parti. Ed era
proprio questo punto che Hermione aveva cercato di approfondire, un modo non
solo per liberarsi dell’Horcrux, ma anche di Voldemort contemporaneamente.
Purtroppo però, le informazioni erano molto vaghe, a quanto pareva anche nel
Medioevo era una pratica altamente illegale.
In teoria sembrava esistere un incantesimo capace
di separare le due anime unite, ma sembrava essere un tipo di magia molto
volubile, qualcosa che aveva a che fare con il motivo per il quale si voleva la
separazione…
Hermione si lasciò sfuggire un sospiro frustrato:
oltre tutto, tutte le fonti che aveva ricercato puntavano sullo stesso volume,
un certo Anima e Corpo: Condanne e Beatitudini dei Legami Magici, libro
che un tempo faceva parte della collezione del Reparto Proibito. Peccato
che quest’unica copia esistente sembrava essere andata persa in un incendio
avvenuto nel 1948. Ci mancava solo doverne ricercare qualche copia illegale sul
mercato nero del Mondo Magico.
Sbuffò un’ultima volta, mentre chiudeva anche
l’ultimo tomo che aveva portato al tavolo: sarebbe stato meglio andare a
riferire le sue ricerche a Harry e alla McGranitt.
“Quindi usando questo incantesimo, non solo mi
sbarazzerei dell’Horcrux, ma anche di Voldemort?” chiese Harry con una nota
speranzosa nella voce.
La McGranitt però aveva la fronte corrugata.
“Harry, per quanto questa previsione sia allettante, quel libro è
irrecuperabile: era uno dei più rari tomi che questa scuola abbia mai
posseduto, scritto a mano da adepti della scuola medievale; io stessa ero a
Hogwarts quando l’incendio ebbe luogo.”
Harry però non sembrava lasciarsi abbattere: “Ma è
un libro, sicuramente ce ne sono delle copie in circolazione!”
“Harry, anche se ci fossero non stiamo parlando di
un libro di favole: la maggior parte delle maledizioni contenute lì dentro
erano illegali già al suo tempo. Non dimentichiamo che era nella sezione
proibita per una ragione ben precisa.” Intervenne Hermione, “Gli unici posti
dove potresti avere la possibilità di trovarne una copia sono in Nocturne Alley
o nelle librerie di qualche fanatico collezionista, ma dopo tutto questo tempo
chi può saperlo…”
Harry però cominciava a sentire la rabbia montare.
“Hermione, mi sembra che ne vaga più che la pena di fare una piccola ricerca per
risolvere questa situazione! Comodo quando non sei tu quella che ha UN
PEZZO DI VOLDEMORT DENTRO DI SE’!”
Hermione indietreggiò con un’espressione ferita,
“Harry, io non… non era questo quello che intendevo… Volevo dire che ci sono
pochissime possibilità di trovarlo ed è meglio non darsi false speranze.”
“Hermione ha ragione, Harry, per quanto possa
essere la nostra soluzione, ciò che non vale la pena è che tu rischi la tua
vita per cercare quel manoscritto, del quale, per quanto ne sappiamo, potrebbe
non esiterne alcuna copia.” Ragionò la McGranitt.
Ma il ragazzo non era per niente convinto:
“sentite, non mi interessa il rischio che corro, se c’è anche una sola
possibilità di riuscita è indispensabile coglierla. Siamo in guerra e io sono
il dannatissimo Prescelto: penso che non rischiare sia abbastanza impossibile
per me. Per cui mi dispiace, ma non sono disposto a lasciarmi sfuggire
quest’opportunità.”
E detto questo si alzò di colpo, gli occhi verdi
accesi di determinazione, e uscì dall’ufficio ignorando gli “Harry!” di
Hermione.
All’interno della stanza cadde il silenzio mentre
gli occupanti rimanevano ad osservare la porta chiusa.
“Farà qualcosa di stupido, non è vero
Professoressa?”
La McGranitt sospirò. “Si, ma è Harry: se non
possiamo contare su di lui, non possiamo contare su nessun’altro.”
Diagon Alley aveva perso da tempo l’aria frenetica
ed entusiasta della via commerciale magica più florida di tutta la Gran
Bretagna: i pochi che ancora si aggiravano per i negozi si affrettavano ad entrare
nelle botteghe con aria nervosa, senza mai fermarsi a chiacchierare o salutare
gli altri passanti.
Un solo ragazzo sembrava camminare senza avere
alcuna intenzione di fare compere: aveva capelli spettinati di un ricco castano
quercia, comuni occhi nocciola e una statura leggermente più bassa di quella
del ragazzo medio. La sua andatura decisa però tradiva qualcosa di particolare,
e il passo militare con cui marciava sulla strada battuta lo distingueva dal
resto dei passanti.
Arrivato all’incrocio a lui ben noto, Harry si
passò una mano tra le finte ciocche castane, sentendo un po’ la mancanza della
sua solita matassa d’inchiostro. Si guardò intorno per essere certo di non
essere notato, prima di girare l’angolo e infilarsi in un vicolo buio. Il travestimento
era diventata un’abitudine necessaria di quei tempi, soprattutto se ti chiamavi
Harry Potter.
Soprattutto se ti chiamavi Harry Potter e stavi per
entrare a Nocturne Alley.
Il ragazzo si alzò il cappuccio del mantello e
cercò di confondersi più che poté tra le ombre di quel vicolo infame, sapendo
bene che ora che il mondo magico era in piena guerra, chiunque si avventurasse
in quella via era o estremamente stupido, o estremamente pericoloso, o
abbastanza potente da sbarazzarsi dei primi e non temere i secondi.
Harry personalmente si riteneva un po’ di tutti e
tre.
Lentamente l’insegna di Magie Sinister apparve
davanti ai suoi occhi e le varie reliquie esposte in vetrina prendevano forma
tra le ombre. Harry si fermò ad osservare l’esposizione del negozio che vide
come suo commesso Lord Voldemort in persona, trovando come sempre la
fila di teschi rimpiccioliti raccapricciante e alcuni articoli semplicemente
troppo inquietanti.
Salì il primo gradino dell’uscio ed era sul punto
di entrare quando con la coda dell’occhio scorse un bagliore chiaro dietro di
sé. Si voltò e non si riuscì a trattenere dallo sbarrare gli occhi.
“Luna?” sussurrò stupefatto.
L’inconfondibile ragazza dagli occhi sognanti si
trovava a qualche metro di distanza e sembrava completamente intenta ad
osservare una crepa sul muro di un vicolo cieco. Portava anche lei un mantello
sulle spalle, ma teneva il cappuccio abbassato e i capelli biondi producevano
un forte contrasto con le tinte buie della via. A tracolla portava una grande borsa
a sacco.
Harry non si era aspettato di incontrare nessuno
dei suoi vecchi compagni di scuola lì, men che meno Luna che doveva essere
nella stessa classe di Ginny in questo momento. Ripensandoci però doveva
ammettere che, tra tutti, Luna era l’unica per cui una cosa tanto strana non
avrebbe dovuto sorprenderlo più di tanto.
“Ehi Luna!” cercò di chiamarla senza alzare troppo
il tono, ma non ottenne risposta. Si avvicinò guardandosi intorno con
circospezione, assicurandosi che non ci fosse nessuno, e quando le arrivò di
fianco la ragazza si voltò.
“Harry.” disse semplicemente, con lo stesso tono
sognante che le aveva sempre sentito usare, riuscendo singolarmente a
riconoscerlo sotto il suo travestimento.
“Luna, cosa ci fai qui? Non dovresti essere a Hogwarts?
Nocturne Alley non è un posto in cui passare la giornata.” Le chiese Harry
sempre sussurrando, ma con tono severo.
Lei lo guardò per qualche secondo prima di dire:
“Avrei voluto aiutare papà con la ricerca del Biforo Baffuto in Tunisia, ma mi
hanno chiamata.”
Il ragazzo rimase un attimo confuso, prima di
ricordarsi che tra i ragazzi che non erano ritornati ad Hogwarts per quell’anno
c’era proprio anche Luna.
“Mi avevano detto che saresti stato qui, ho questi
per te.” Interruppe i suoi ragionamenti la ragazza, rovistando nella sua grande
borsa a sacco.
Harry però si concentrò sulle sue parole: “Ti hanno
detto che sarei stato qui? Chi?” chiese leggermente allarmato.
Luna smise di rovistare nella borsa ed alzò i
grandi occhi blu per guardarlo, ma non rispose. Invece, sollevò il braccio che
non era seppellito nel grande sacco e indicò il muro di fronte a lei. Harry si
voltò, ma l’unica cosa che si trovò davanti fu una piccola e sporca crepa tra i
mattoni.
Si passò di nuovo una mano tra i capelli, troppo
abituato alla ragazza per voler mettersi ad analizzare i suoi strani
comportamenti. Quando diresse nuovamente la sua attenzione sulla biondina però,
la trovò a porgergli un piccolo libricino e una scatoletta di legno.
“Luna, ma cosa…?” cercò di chiedere Harry, ma la
ragazza in questione si limitò a fissarlo con i suoi occhi vacui e tendergli
gli oggetti. Il moretto prese in mano il libro e la scatola, ancora piuttosto
confuso.
Osservò il primo, sfogliando le pagine e trovandole
tutte vuote eccetto la prima, piena di una scrittura fitta e minuta, a cui
sarebbe servita molta più luce di quella del vicolo per poterla decifrare; poi
passò alla scatola ed aprendola con una certa curiosità si trovo davanti, con
sua somma meraviglia, ad una piccola Giratempo d’oro.
“Tre giri stavolta non basteranno.”sentì la voce di
Luna dire, ma quando alzò la testa per chiederle spiegazioni, il vicolo era
deserto.
A.N.: Come
potevo creare una slash post 6° libro senza sistemare la faccenda Ginny? Non
potevo, semplice XD. È un ostacolo che ogni scrittore di slash ha dovuto
faticosamente superare dopo l’uscita del Principe Mezzo-Sangue, ma stranamente
non è un personaggio che odio.
In più, in questo
capitolo compare anche Luna, che è uno dei personaggi più affascinanti di Harry
Potter a mio parere. Ho cercato di renderla il più possibile verosimile, ma è
sempre difficile con lei…
Infine: “Tre
giri stavolta non basteranno.”… avete capito, vero, a cosa rimanda? ;)
P.S.: rullo di tamburi….
Tom arriva nel prossimo capitolo! Urrah! XD
RISPOSTE:
MORFEa: ah, non rivelo niente io! Ma sono convinta che
dopo questo cap hai capto pressa poco come andrà avanti;). La teoria dell’Horcrux poi, viene fuori
da estenuanti ore di discussioni e ipotesi tra amici sulla possibile fine e
devo dire che, anche se dubito con le ragioni che ho inserito io, non la trovo
poi così campata per aria. Non ci resta che aspettare il 21 luglio!
RowanMayFlower: infatti,
ci sono un sacco di cose che la Bowling non ha spiegato e che sono poco chiare…
beh, la mia versione l’ho data, anche se solo ai fini della mia stria XD
Zafirya: sorpresona? XD
Boh, quella dell’Horcrux è sempre stata una teoria che ho avuto (tra l’altro
condivisa in lunghissime discussioni tra amici). Per quanto riguarda la
reazione di Harry, dopo lo shock iniziale ho voluto che ragionasse in modo un
po’ più maturo del solito, anche perché se fosse stato a crogiolarsi nella sua
miseria, chissà quando si sarebbe vista un po’ di azione! :P
Michy90: Mi fa sempre
piacere trovare qualcuno che condivida le mie visioni sul fantastico
personaggio che è Tom (e nel prossimo capitolo finalmente lo si vedrà entrare
in scena). Inoltre sono contenta che ci sia qualcuno che nota tutti i
particolari: prima d iniziare questa storia ho passato mesi e mesi a
pianificare ogni cosa per non tralasciare nulla, ma ne è valsa la pena!
Altri Personaggi: Hermione Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 6.Piani
di Viaggio
Harry era tornato a Grimmaul Place da diverse ore,
chiudendosi immediatamente in camera sua senza parlare con nessuno, e aveva
passato la maggior parte del tempo ad osservare il libricino donatogli da Luna
che, da quando l’aveva scaraventato sul proprio letto appena arrivato, non era
stato spostato di un millimetro.
Non riusciva a capire nemmeno lui stesso perché non
l’avesse ancora aperto, lottando contro la vorace curiosità che lo aveva sempre
contraddistinto. Aveva questa sensazione nel fondo della mente, questo piccolo
brivido che gli scendeva giù per la schiena che lo avvertiva che qualcosa di grosso
sarebbe successo se avesse letto quell’unica pagina scritta.
Scosse la testa per l’ennesima volta diviso tra
curiosità e cautela: forse avrebbe fatto meglio a consegnare il tutto alla
McGranitt e anzi, poteva quasi sentire la voce di Hermione rimproverarlo per
non essere corso subito da loro. Eppure era stata Luna a consegnargli quei due
oggetti… sempre che di Luna davvero si fosse trattato.
‘Oh, al diavolo!’ pensò mentre afferrava il
libricino e lo apriva: non era stato smistato a Grifondoro per niente.
Scese dal letto e camminò fino alla sua scrivania,
dove accese la luce da tavolo e si sedette. La calligrafia era davvero
difficile da leggere, ma il titolo scritto in maiuscolo fu abbastanza per farlo
boccheggiare.
IL
VELO
Mistero
del Dipartimento Misteri
Harry si accomodò meglio e avvicinò il viso al
foglio di pergamena per poter leggere più facilmente. Divorò la pagina
avidamente, e ad ogni riga gli occhi gli si spalancavano sempre di più. Quando
ebbe finito si lasciò cadere pesantemente sullo schienale chiudendo il libro.
“Merlino…” sussurrò.
Quel che aveva letto era follia, pazzia pura.
C’erano così tante cose che potevano andare storte, anzi, non aveva la certezza
che nulla sarebbe andato per il verso giusto, non aveva idea di quello che
sarebbe potuto succedere. E se fosse stato tutto un piano di Voldemort? E se
quella non fosse stata Luna, ma uno dei Mangiamorte sotto Polisucco? Sarebbe
sicuramente morto.
‘Ma andando avanti così, morirò comunque’ pensò,
‘Voldemort non aspetterà all’infinito prima di attaccare per la battaglia
finale e se non avrò trovato quel libro non ci sarà nulla a fermarlo.’
Però fare ciò che aveva appena letto era un
completo salto nel buio, un rischio totale. Harry si guardò intorno, cercando
di distrarsi un attimo osservando le varie cose sparse per la sua camera: la
Firebolt appoggiata sotto la finestra, uno dei pochi ricordi che aveva di
Sirius, lo Spioscopio che Ron gli aveva regalato per il suo quattordicesimo
compleanno, che ora sarebbe stato più utile all’amico da qualche parte in
missione in Irlanda, una foto di gruppo scattata vicino al Lago, dove Lavanda e
Calì chiacchieravano amabilmente, Hermione studiava e Ginny rincorreva Seamus
per il prato.
Ora Lavanda si trovava all’obitorio del San Mungo,
uccisa nell’ultimo attacco a Diagon Alley, Calì e Seamus si allenavano con il
resto dell’ES, piccolo esercito sotto il suo comando, Hermione passava le
giornate a fare ricerche su strategie di guerra e Ginny era rimasta abbandonata
a Hogwarts.
Era vero, era un salto nel buio, ma il gioco valeva
la candela.
Harry tirò fuori in fretta il suo vecchio baule da
sotto il letto e ci infilò dentro tutto ciò che pensava gli sarebbe potuto
essere utile. Si svestì velocemente, togliendo la divisa da Auror che era
diventata per lui una seconda pelle e indossando l’uniforme di Hogwarts.
Rimpicciolì la Firebolt e mise anch’essa nel bagaglio, prima di avvicinarsi verso
la scrivania, intascare il libricino e nascondere la Giratempo sotto il
colletto dell’uniforme. Rimase incerto qualche secondo se mandare una nota ad
Hermione, ma decise di no: in fondo se fosse andato tutto bene nessuno si
sarebbe accorto di nulla. Se fosse andato male invece… beh, non voleva pensarci
nemmeno, doveva andare tutto bene.
Rimpicciolì il baule fino a farlo entrare nel palmo
della sua mano per poi mettere anch’esso in tasca ed uscire dalla camera. Scese
le scale per il piano terra ed entrò in cucina per prendere qualcosa da
mangiare e da bere, nel caso che ce ne fosse stato bisogno.
Quando ebbe tutto il necessario, uscì dalla porta
di casa e con un ultimo sguardo verso Grimmaul Place numero 12, si
Smaterializzò.
Il vecchio mago posto al bancone di sorveglianza
dell’Atrium del Ministero fece semplicemente un cenno ad Harry vedendolo
passare, non sprecandosi nel controllo della bacchetta, ne tanto meno in uno
d’identità.
‘Sarei potuto essere un Mangiamorte e a quest’ora
avrei già ucciso metà dei dipendenti del ministero’ pensò cinicamente Harry
notando la totale mancanza di cautela. Se Moody lo fosse venuto a sapere…
Entrò in uno degli ascensori dorati insieme ad un
altro gruppo di impiegati, perso nei suoi pensieri e totalmente focalizzato su
ciò che stava per fare.
Era così sovra pensiero da non essersi accorto che
una delle persone nell’ascensore lo stava chiamando da qualche tempo e solo
quando sentì una mano posarglisi sulla spalla si riscosse. Purtroppo con i
nervi a fior di pelle che si ritrovava e gli istinti che l’addestramento e il
campo di battaglia gli avevano fatto sviluppare, il povero malcapitato si
ritrovò sbattuto con forza di faccia contro il muro e con le braccia nella
stretta ferrea di Harry prima di poter aprir bocca.
“Ehi Harry! Che fai, sei impazzito?” gli giunse la
voce nervosa di Ernie Macmillan.
Riconosciuto l’amico, lo lasciò subito andare,
maledicendo la sua agitazione e preparandosi a scusarsi, notando di aver
lasciato il resto dell’ascensore piuttosto spaventato.
“Oddio, scusa Ernie, non volevo” disse aiutando
l’altro a risistemarsi i vestiti, “sai, istinti duri a morire, quando mi si
prende alle spalle…”
Ernie, da Tassorosso esemplare che era, sembrava
aver già perdonato tutto e anzi rispose ad Harry con la sua solita aria
bonaria. “Nulla di cui scusarti. Non vorrei niente di meno dal mio Generale!”
aggiunse con una strizzata d’occhio.
Harry rise, sentendo subito la tensione scivolare
di dosso: dopo tanto tempo passato a fare ricerche, cominciava a mancargli la
sua squadra, anche se non poteva ritenersi per niente dispiaciuto dall’assenza
di battaglie degli ultimi tempi. L’ultimo attacco aveva causato fin troppe
perdite.
“Allora, venuto a controllare come vanno gli
allenamenti? Posso assicurarti che Moody non lascia nessuno battere la fiacca.”
Gli chiese l’altro ragazzo.
“Ehm, no in realtà. Sono qui per altri… problemi”
gli rispose il moretto leggermente a disagio.
Ernie però si limitò a sventolare una mano: “ah,
non devi dirmelo per forza, gli affari di Harry Potter devono essere sempre Top
Secret. E quando non lo sono, solitamente finiamo tutti nei guai!” finì con una
risata.
Li interruppe la voce metallica dell’ascensore: “Secondo
Livello, Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, comprende l’Ufficio per
l’Uso Improprio delle Arti Magiche, il Quartier Generale degli Auror e i
Servizi Amministrativi Wizengamot”
“Oh, è il mio” disse Ernie voltandosi, “a presto
Harry, passa più spesso, d’accordo?”
“Sicuro” rispose Harry, chiedendosi mentalmente se ne
avrebbe avuto mai più la possibilità.
Pian piano che l’ascensore scendeva il cubicolo si
svuotava sempre di più, fino a che, arrivato all’ottavo livello, l’unica
compagnia del ragazzo erano due promemoria che svolazzavano in cerchio sopra la
sua testa.
“Ufficio Misteri” annunciò la voce
e non aggiunse altro.
Harry varcò i cancelli, grato di non trovare
nessuno, e si avviò verso il lungo corridoio in pietra. Arrivato davanti alla
porta scura che aveva tanto infestato i suoi sogni anni addietro ebbe un attimo
di esitazione, ma ormai non poteva più tirarsi indietro: sarebbe andato fino in
fondo.
Aprì la porta e si ritrovò nella stanza circolare
da dove tutte le altre parti dell’Ufficio Misteri si diramavano. Aspettò che la
stanza smettesse di girare, prima di guardarsi intorno osservando le decine di
diverse entrate.
Esasperato si concentrò attentamente sulla stanza
del Velo e dopo un deciso movimento del polso, sentì una porta alla sua destra
aprirsi e ci si fiondò all’interno.
Le rampe di gradini di pietra si aprivano davanti
ai suoi piedi e al centro, imponente quanto per lui terrificante, si stagliava
il famigerato Velo.
A quella vista Harry fu assalito da tante emozioni
insieme che per poco non rischiò di cadere in ginocchio. I ricordi che aveva tanto
cercato di sotterrare riaffiorarono davanti al Velo tanto odiato e se si
concentrava, poteva quasi rivedere quella figura sparire oltre il tessuto
fluttuante…
“Sirius…” sussurrò piano, avendo solo gli spessi
muri di pietra come spettatori.
Si riscosse dopo qualche secondo, cercando di
deglutire nonostante il groppo alla gola, e scese lentamente i gradini,
avvicinandosi alla piattaforma di roccia che supportava l’arco rovinato.
Salì sul piedistallo, trovandosi faccia a faccia
con il Velo, così vicino da poter sentire di nuovo quei deboli sussurri di voci
ignote. Si chiese sospirando perché quella stanza sembrava essere il fulcro di
tanti dei momenti più importanti della sua vita.
Harry tirò fuori dalla tasca il libricino che Luna
gli aveva consegnato e lesse per l’ultima volta le istruzioni contenute in
quell’unica pagina scritta prima di riporlo al suo posto. Si sfilò la Giratempo
dal collo e la strinse in mano, prima di gettarla violentemente attraverso la
stoffa.
“Hogwarts 1947!” urlò.
La pesante tenda nera cominciò a scuotersi come se
una raffica di vento si fosse sprigionata nella stanza, ed Harry, dopo un
ultimo profondo respiro, con un passo varcò l’arco e scomparve al di là del
Velo.
Dall’altro lato della stanza, una figura dai lunghi
capelli biondi era girata di schiena ad osservare una sporca crepa sul muro. Si
voltò puntando i suoi grandi occhi blu sul velo che stava pian piano tornando a
fluttuare etereo come il suo solito.
‘Silente aveva ragione’ pensò Luna divertita, ‘a
lavorare all’Ufficio Misteri non ci si annoia mai”.
Tom Riddle era comodamente sdraiato sull’erba al
confine della Foresta Proibita, con la schiena appoggiata al tronco di un
albero e il corpo rivolto verso il lago. Nonostante fosse metà Ottobre,
stranamente non stava ancora piovendo e ad ovviare al problema della bassa
temperatura era bastato un semplice incantesimo riscaldante.
Quel piccolo antro dove stava riposando al momento
era uno dei luoghi più riparati del parco di Hogwarts, dove il lago disegnava
una leggera curva lasciando che gli alberi coprissero al castello la visuale
della piccola radura. Contando il fatto che era pieno inverno, con tutta
probabilità nessuno si sarebbe mai avventurato così lontano dalla scuola ed era
proprio per questo motivo che il ragazzo in questione lo aveva scelto come
luogo di riposo, lontano da tutti e da tutte le loro scocciature.
‘Giuro che se rivedo Rudolf e Heidi intenti in atti
osceni nei sotterranei, pulire i bagni maschili per un mese sarà la pena più
leggera che gli possa capitare’ pensò Riddle, i suoi attraenti lineamenti
corrucciati in una smorfia infastidita al solo pensiero di quei due.
Il ragazzo dai capelli neri come la pece fece
scorrere una delle pallide ed eleganti dita sulla copertina del libro che
teneva in grembo quasi con affetto. Si poteva leggere a fini lettere argentate
stampate sul cuoio il titolo “Salazar Serpeverde: tra leggenda, pregiudizi e
realtà”.
Tra poco sarebbe dovuto ritornare al castello, lo
sapeva, ma in quel momento Tom non aveva davvero alcuna voglia di dover stare
in compagnia dei suoi compagni di Casa, tanto meno doverne tollerare gli
atteggiamenti immaturi. Peccato che per i propri scopi fosse necessaria la
presenza di altre persone. Lui sicuramente reputava di poter portare a termine
qualunque cosa nella maniera migliore, ma alla fine avere qualche pedina era
anche un bene: a qualcuno il lavoro sporco doveva pur farlo fare.
Si alzò da terra alzando le braccia per
stiracchiarsi, sempre tenendo il libro che aveva con se in mano, e cominciò ad
aggirare la barriera d’alberi che lo divideva dal resto del parco. Aveva appena
cominciato a scorgere le torri più alte del castello quando qualcosa lo indusse
a fermarsi. C’era un ché di insolito nell’aria, come un formicolio
nell’atmosfera, un’insolita agitazione della magia nello spazio circostante.
Inizialmente Tom aveva liquidato il vento che
improvvisamente si era alzato scuotendo le fronde degli alberi come un semplice
fenomeno stagionale, ma ora che aveva i sensi all’erta non sembrava più una cosa
tanto normale.
Il turbinio d’aria si stava alzando sempre più
forte, ma il ragazzo non riusciva a riconoscere con precisione né da che parte
provenisse, né da che parte fosse diretto.
Improvvisamente un sonoro thump catturò la
sua attenzione facendolo voltare di scatto a sinistra dove, a pochi metri da
lui, vide con sua immensa sorpresa una figura essere comparsa dal nulla,
distesa sgraziatamente sull’erba, come se fosse caduta a peso morto da un paio
di metri. Cosa che a giudicare dal tonfo che aveva sentito era più che
possibile, anche se inspiegabile.
Tom era piuttosto combattuto sul da farsi: da un
lato tutti gli istinti gli gridavano di allontanarsi dal possibile pericolo,
dall’altro la sua curiosità (caratteristica decisamente poco Serpeverde di cui
era sfortunatamente dotato) lo spingeva a controllare chi fosse quella persona
che era apparentemente apparsa dal nulla.
Si trovava davanti ad una figura del tutto
sconosciuta che si era materializzata improvvisamente dall’aria, in quello che
era sicuramente un fenomeno magico. Di certo non si era davvero Materializzato,
non ci si poteva Materializzare o Smaterializzare all’interno dei confini di
Hogwarts e non sembrava aver usato nemmeno una passaporta, vista la mancanza di
oggetti strani vicino al corpo, anche se da quella distanza non poteva esserne
sicuro.
Chi poteva essere? Strizzando gli occhi per
individuare più dettagli possibili, riconobbe con tutta probabilità la figura
essere quella di un maschio, vista la forma del corpo, anche se la statura era
leggermente piccola. Che fosse un ragazzino? Era possibile, ma le circostanze
della sua apparizione erano così bizzarre da far supporre che ci fosse qualcosa
di più serio in ballo.
Che fare, continuare verso il castello e andare a
chiedere l’assistenza di un professore, o indagare meglio sullo strano
individuo? E poi perché non si era ancora mosso? Che fosse svenuto? Morto
addirittura?
A dispetto del possibile pericolo, la curiosità
vinse ed estraendo la bacchetta, Tom cominciò cautamente ad avvicinarsi al
corpo passo dopo passo.
Arrivato ad appena qualche centimetro di distanza,
si mise ad osservare con attenzione: non era un ragazzino, ma un ragazzo di
forse un anno più giovane di lui, almeno a dirsi dalla mascella pronunciata e
la fisionomia del corpo. Aveva folti capelli neri sparpagliati a ciocche
disordinate sull’erba tutt’intorno, e la testa piegata da un lato nascondeva
gran parte dei lineamenti del viso. Non era di statura molto alta,
probabilmente di un buon dieci centimetri più basso di lui, ma non era per
niente mingherlino, anzi, anche attraverso l’uniforme di Hogwarts poteva
intravedere la robusta muscolatura…
Aspetta un attimo, uniforme di Hogwarts?
Si, il ragazzo indossava una delle famose divise
nere e, ora che ci faceva caso, aveva addirittura lo stemma della propria casa
appuntato sul petto: Grifondoro.
Eppure c’era qualcosa che non andava, prima di
tutto la stessa divisa: sembrava diversa, il taglio non era lo stesso ma molto
più informale e anzi, c’era addirittura una fila di bottoni che Tom era sicuro
non esistere neppure in quella estiva. Il tessuto era troppo leggero per essere
il corredo invernale e non riusciva a trovare nessun motivo ragionevole per
dover indossare vestiti fuori stagione. Lo stemma poi era più piccolo di quello
che doveva essere.
Inoltre Tom conosceva praticamente tutti i
Grifondoro del suo anno ed era sicuro che questo ragazzo non fosse tra di loro.
Anzi, era certo di non averlo mai visto all’interno della scuola e c’era
qualcosa in quella figura che, era certo, avrebbe catturato la sua attenzione.
Un’improvvisa raffica di vento lo fece rabbrividire
e sempre tenendo d’occhio lo sconosciuto, decise di provare a fargli riprendere
i sensi: infondo doveva star congelando.
“Ehi tu, sveglia.” gli disse, scuotendolo
leggermente dopo essersi accucciato al suo livello.
Il ragazzo si mosse lievemente da un lato mettendo
in mostra finalmente il viso, ma senza dare segni di svegliarsi.
‘Beh, almeno so che è vivo’ pensò Tom prima di
spostare l’attenzione sui suoi lineamenti. Rimase ad osservarlo per parecchio,
soffermandosi sugli occhi chiusi, seguendo la linea dritta del naso fino alla
bocca. Si, decisamente una figura così l’avrebbe notata, si disse. C’era
qualcosa di quello sconosciuto che catturava il suo interesse, qualcosa che lo
attirava verso di lui, ma non riusciva a capire cosa.
Stava per scuoterlo di nuovo quando qualcosa sulla
fronte del ragazzo attirò la sua attenzione. Seminascosta dalle ciocche nero
inchiostro c’era una piccola cicatrice a forma di saetta.
Tom avvicinò una mano per scacciare i ciuffi
ribelli e poterla osservare meglio, ma appena le sue dita vennero in contatto
con la vecchia ferita, una piccola scossa sembrò percorrere il ragazzo che aprì
gli occhi di scatto.
Verde scontrò nero.
Gli occhi smeraldo dello sconosciuto si posarono
subito su di lui velati di confusione, poi quasi a riconoscerlo – ma era
impossibile, giusto? – si spalancarono comicamente e il ragazzo, con
un’espressione simile al terrore, indietreggiò velocemente ancora a carponi,
inciampando sui suoi stessi vestiti.
Tom era rimasto piuttosto confuso dal suo
comportamento, ma non fece in tempo ad aprire bocca che con riflessi
impassibilmente veloci il ragazzo aveva tirato fuori la bacchetta, e Tom si
vide dirigere addosso uno schiantesimo prima ancora che potesse fare alcunché.
Poi non vide più nulla.
A.N.: Ed
è arrivato il nostro beniamino! Il momento che tutti aspettavano, all’alba del
6° capitolo finalmente è arrivato XD. Purtroppo però, come avevo anticipato,
questo è probabilmente l’ultimo aggiornamento fino al 26 o 27, ma forse (se
riesco a trovare un computer nella casa in cui starò a Londra) un modo per
aggiungere un capitolo lo trovo. Non prometto nulla però!
P.S: ringrazio di cuore Michy90
e nylon per aver lasciato un commento, anche se non ho molto tempo per
rispondere, sappiate che vi sono enormemente grata: sono le recensioni che
danno la forza di continuare a scrivere!
Altri Personaggi: Hermione
Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy, altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 7.Hogwarts
‘Ho schiantato Lord
Voldemort! Ho schiantato Lord Voldemort! Oh mio dio…’ fu l’unica che
Harry riuscì a pensare guardando il corpo accasciato a terra di Riddle, mentre
teneva ancora la bacchetta a mezz’aria.
Non si aspettava certo che
sarebbe iniziata così, anzi, se doveva essere sincero non aveva pensato granché
alle conseguenze sin dall’inizio. Non aveva nemmeno collegato la data del
viaggio con il giovane Voldemort, e dire che Hermione gli aveva mostrato
l’annuario appena qualche settimana prima!
Cercando una qualche
soluzione, Harry si guardò intorno, notando solo ora il paesaggio e
riconoscendo il lago di Hogwarts.
Hogwarts.
Ce l’aveva fatta! Era
ancora vivo e quello era indubbiamente il lago vicino al quale aveva passato
tanti pomeriggi.
Abbassò lo sguardo,
riportandolo sulla figura immobile ad appena un metro da lui: a giudicare da
chi aveva di fronte in quel momento, aveva anche azzeccato il periodo, era
davvero cinquant’anni nel passato.
Il significato della sua
situazione attuale lo colpì in pieno: quello che aveva davanti era Voldemort e
lui lo aveva appena attaccato. Non era rimasto nemmeno un attimo a riflettere,
aveva agito d’istinto, reagendo allo shock e alla paura. Ora però, con la mente
più lucida, Harry si sentì i pugni tremare e la mano stringere convulsamente la
bacchetta.
Quello era Voldemort,
lo stesso Voldemort che aveva ucciso i suoi genitori, lasciandolo per anni
nell’inferno di casa Dursley, lo stesso Voldemort che aveva cercato di
ucciderlo innumerevoli volte, mettendo in pericolo anche tutti i suoi amici, lo
stesso Voldemort a cui era da attribuire la colpa della morte di Cedric,
Sirius, Silente, Lavanda, Hanna Abbott, Dawlish, Micheal Corner. Ed ora lui lo
aveva lì, svenuto ai suoi piedi, e sarebbe bastato così poco per far sì che
nulla di tutto quello fosse mai successo…
No, si disse Harry
rilassando i muscoli e scuotendo vigorosamente la testa, era stato già
abbastanza stupido andare a disturbare la linea temporale – Dio solo sapeva
quali cambiamenti aveva già causato il suo solo essere arrivato – non poteva
permettersi una così grande intromissione. Se avesse ucciso lì sul momento Tom
Riddle, il mondo che conosceva sarebbe diventato completamente diverso, magari
cambiato in peggio (anche se dubitava potesse andare peggio di come stava
andando ora), oppure sparire completamente.
Il moretto tirò un lungo
sospiro. Beh, ora che aveva stabilito che non avrebbe ucciso seduta stante
l’altro ragazzo, qualcosa doveva pur fare al riguardo. Tra tutte le persone che
avrebbe potuto incontrare per prime, proprio Tom Riddle doveva capitare.
Harry si tirò su in piedi e
ripose la bacchetta in tasca mentre si avvicinava alla figura distesa. Assai
poco delicatamente prese Riddle per le braccia e cominciò a trascinarlo verso l’albero
più vicino.
‘Merlino quanto pesa’ pensò
Harry mentre lo tirava a fatica tra l’erba, non volendo ammettere che per
quanto la figura della sua nemesi fosse piuttosto snella, era probabilmente di
diversi centimetri più alta di lui.
Arrivato al costeggiare
degli alberi, posizionò il corpo seduto con la schiena contro un albero e lo
lasciò lì, con la testa a penzoloni e i vestiti stropicciati. Con un po’ di
fortuna, lo schiantesimo sarebbe stato abbastanza forte da fargli dimenticare
l’incontro e in caso contrario, beh, non aveva comunque intenzione di farsi
vedere molto in giro. Voltò le spalle al ragazzo dormiente e cominciò ad
incamminarsi verso la scuola.
Cosa avrebbe fatto ora? Non
aveva avuto il tempo di formarsi alcun piano prima di gettarsi a capofitto
nell’impresa, temendo che se si fosse fermato a riflettere, si sarebbe reso
conto di che pazzia stesse commettendo e ci avrebbe ripensato.
Per prima cosa non doveva
farsi vedere – ‘cosa che fin ad ora mi è riuscita spettacolarmente’, pensò
ironico – poi doveva concentrarsi sulla missione per cui era venuto lì sin dal
principio: trovare il dannatissimo libro sui legami magici.
Quando si cominciarono a
scorgere le prime guglie del castello, Harry pensò che forse sarebbe stato
meglio tirare fuori il suo Mantello dell’Invisibilità se avesse voluto evitare
scene simili a quella di prima. Una volta nascosto agli occhi di tutti,
continuò con passo deciso verso i portoni che conducevano alla Sala d’Ingresso:
aveva in mente il posto perfetto dove poter passare la sua permanenza
indisturbato.
Salì i gradini due a due e
solo dopo aver varcato le enormi porte di quercia cominciò a scorgere i primi
membri del corpo studentesco vagare distrattamente per la sala, la maggior
parte di quelli che passavano diretti verso la Sala Grande. Evidentemente era
ora di pranzo.
‘Meglio così’ pensò mentre
si avvicinava alle grandi scale che portavano ai piani superiori, ‘almeno non
dovrò preoccuparmi di schivare la folla nei corridoi’.
Arrivato al secondo piano,
prese uno dei tanti passaggi segreti che conosceva a memoria, subito dietro ad
un arazzo, che lo portò direttamente al settimo senza troppa fatica. Percorse
il corridoio deserto, osservandosi curiosamente intorno. Hogwarts era Hogwarts
in tutte le epoche, eppure era inevitabile per Harry, che aveva passato tanto
di quel tempo a girovagare di nascosto per i corridoi del castello, notare
anche le minime differenze, come quadri che non aveva mai visto prima o
armature fuori posto.
Girato l’angolo, un sorriso
gli comparve sul volto: per fortuna l’arazzo di Barnaba il Babbeo era dove
sarebbe sempre stato.
Camminò in fretta per tre
volte andando avanti e indietro davanti alla nuda parete, pensando per tutto il
tempo ad una semplice e confortevole stanza dove poter alloggiare. Al terzo
passaggio, la porta della Stanza delle Necessità si materializzò magicamente ed
Harry, senza alcun indugio, girò il pomello e l’aprì.
Davanti ai suoi occhi vi
era una stanza di medie proporzioni, dipinta in leggeri toni di blu e azzurro.
In uno degli angoli a sinistra un grande letto a baldacchino era posizionato
contro il muro, con di fianco il proprio comodino completo di abat-jour. Al
centro un piccolo tavolino basso circondato da un divanetto e una poltrona
erano radunati di fronte ad uno scoppiettante caminetto, mentre dall’altro
lato, verso l’ultima parete, vi era una scrivania di mogano già equipaggiata
con piume, pergamene e calamaio. Di fianco al letto infine si apriva un’altra
porta, probabilmente collegata al bagno.
Harry si richiuse la porta
alle spalle e vi installò un incantesimo d’allarme che lo avrebbe avvisato se
qualcuno avesse tentato di entrare senza il suo consenso. Si avvicinò al letto
e ne tastò la morbidezza molleggiandocisi per qualche secondo sopra, poi tirò
fuori dalla tasca il suo baule rimpicciolito e lo riportò a grandezza naturale,
sistemandolo ai piedi del letto come era solito fare nel suo amato dormitorio.
Ora che tutte le sue cose
erano sistemate, prese per un attimo in considerazione l’idea di fare un salto
da subito in biblioteca, ma un profondo sbadiglio gli fece realizzare quanto
davvero fosse esausto: nessuno poteva dire che i viaggi nel tempo non fossero
stancanti. Si limitò a togliersi le scarpe prima di buttarsi a peso morto sul
letto soffice.
“Ragazzi che giornata” sospirò. Si girò da un lato e gattonò
verso il suo baule nel quale, una volta aperto, rovistò per qualche secondo
prima di tirare fuori una piccola boccetta dal liquido blu: pozione soporifera.
Erano diversi mesi che ormai gli era diventato indispensabile assumerne una
dose prima di andare a dormire a causa dei terribili incubi che gli infestavano
il sonno. Senza la pozione creata apposta per assicurare un sonno senza sogni,
si sarebbe sicuramente svegliato urlando come un pazzo.
L’unico problema era che quel tipo di pozione dava
assuefazione. Poppy più di una volta di prenderla gli aveva proibito,
nonostante avesse sempre lasciato l’armadietto delle scorte aperto: sapeva in
fondo cosa voleva dire essere in guerra ed Harry preferiva essere dipendente
che insonne.
Stappò la boccetta e ne deglutì il contenuto in una volta sola.
Ebbe appena il tempo di infilarsi sotto le coperte prima di cadere in un sonno
profondo, dimenticandosi che fosse solo ora di pranzo.
Tom aprì gli occhi e la
prima cosa che notò fu il cielo molto più scuro di quanto non ricordasse. Provò
a spostarsi e una fitta alla schiena gli impedì i movimenti per qualche
secondo, irrigidito dalla postura scomoda nella quale aveva apparentemente
dormito per diverse ore. Come aveva fatto ad addormentarsi là fuori? Si chiese
stupito mentre riusciva a fatica ad alzarsi in piedi, stirando i muscoli
indolenziti. In realtà l’ultima cosa che ricordava era leggere il suo libro…
Si guardò intorno cercando
il prezioso oggetto, non trovandoselo in mano e neppure nei vicini dintorni
dell’albero a cui era appoggiato. Lasciando vagare lo sguardo verso il resto
della radura, finalmente scovò il libro a qualche metro di distanza, appoggiato
sull’erba.
“Ma che diavolo…?” sussurrò
mentre correva a raccoglierlo e ne controllava eventuali ammaccature.
Come aveva fatto a finire
così lontano se ricordava benissimo di averlo tenuto tra le mani, mentre lo
leggeva appoggiato all’albero?
Alzò lo sguardo ad
osservare il punto dove aveva trovato il libro e in effetti riconobbe, anche
nell’ombra che era scesa, l’esatto punto dove aveva passato il pomeriggio a
leggere: non era il libro ad essersi spostato, era stato lui.
Tom assottigliò gli occhi,
non gradendo per niente la svolta che aveva preso la giornata. Non era più
nemmeno sicuro di essersi addormentato a questo punto e, nel caso lo avesse
fatto, difficilmente avrebbe potuto spostarsi di dieci metri nel sonno. Cos’è
che non riusciva a ricordare?
Scrutò ancora con
attenzione ogni angolo della radura intorno a sé alla ricerca di indizi, finché
non lo vide, a poca distanza da lui: un punto preciso dove l’erba alta era
appiattita ed in alcuni punti strappata. Si avvicinò con cautela ed arrivato
proprio davanti al punto, si accucciò. Per qualche motivo provò un forte senso
di dejà-vu e sempre più incuriosito e sospettoso, spostò con una mano i fili
d’erba distrutti: sembrava proprio come se qualcuno fosse stato sdraiato su
quei ciuffi, come se ci si fosse poi rotolato, o…
Il ragazzo.
Il verde di quegli occhi.
Lo schiantesimo.
Il buio.
Flash di quel pomeriggio
tornarono a Tom con forza facendogli mozzare il respiro e massaggiarsi la tesa
dolorante. Ora ricordava: stava leggendo tranquillo, lamentandosi dei suoi
compagni di Casa quando quel ragazzo era comparso dal nulla, cadendo a
terra svenuto.
Tom tastò distrattamente
l’erba dove ora sapeva era stata sdraiata la figura misteriosa, quasi ad
accertarsi che fosse reale, perché era sicuro che se non ne avesse avuto
davanti le prove, avrebbe creduto tutto un sogno.
Ripassò nella mente tutti i
particolari di quella figura, dagli spettinatissimi capelli d’ebano alla divisa
bizzarra, fino a ricordarsi la strana cicatrice a forma di saetta che portava
sulla fronte, quella che, quando l’aveva toccata, aveva prodotto una scarica
elettrica attraverso tutto il corpo svenuto. Una cicatrice così non veniva da
una ferita normale, rifletté Tom, nel mondo magico le lesioni che non potevano
essere guarite magicamente erano davvero poche.
In ogni caso, ora che stava
rivivendo nella mente tutto l’episodio, non era la cicatrice la cosa che più lo
aveva turbato. Nulla al mondo gli avrebbe fatto dimenticare lo sguardo di
terrore in quei brillanti occhi smeraldo appena lo avevano riconosciuto.
Perché tanta paura? E
com’era possibile che lo avesse riconosciuto, mentre lui era sicuro di non
averlo mai visto prima? Vero, indossava una divisa di Hogwarts quindi
sicuramente aveva già visto Tom per i corridoi (soprattutto vista la fama che
aveva per tutta la scuola), però aveva lo stemma di Grifondoro e lui era sicuro
di conoscere tutti i Grifondoro del suo anno, almeno di vista. In più il modo
in cui era comparso, dal nulla completo…
No, decisamente c’era
qualcosa che non quadrava e Tom era fermamente deciso a scoprire cosa.
Si alzò in piedi in un
fluido movimento e cominciò a dirigersi verso la scuola a passo spedito,
continuando a pensare all’accaduto e in meno di dieci minuti era già alle porte
del castello.
Entrando nella Sala
d’Ingresso, la prima cosa che vide fu il folto gruppo di studenti che
chiacchieravano davanti alle porte che davano sulla Sala Grande, aspettando che
aprissero i battenti per andare a mangiare. Sentendo i crampi allo stomaco al
pensiero della cena, si ricordò solo in quel momento di aver saltato il pranzo.
“Ehi Tom! Dove eri finito?”
Una voce esclamò alle sue spalle e, voltandosi, Tom si trovò di fronte al suo
compagno di Casa e unica persona che poteva permettersi di rivolgersi a lui
così casualmente: Orion Black.
Orion aveva neri capelli
mossi che gli arrivano appena sopra le spalle, tagliati in modo da lasciare un
po’ di frangia coprirgli gli occhi grigio tempesta. Alle sue parole molti si
erano voltati e la maggior parte delle ragazze sembravano indecise su quale dei
due ragazzi restare a fissare: Black era il playboy ufficiale della scuola, con
il suo corpo da favola e il sorriso accattivante, ma a parità di bellezza, come
ripeteva sempre Giselle Malfoy, mancava del ‘carisma disarmante e fascino
misterioso del nostro Prefetto preferito’.
Tom assottigliò gli occhi e
fulminò l’altro ragazzo con uno sguardo gelido. “Cosa faccio nelle mie giornate
non è in nessun modo fatto tuo. Non mi sembra di aver fatto richiesta per un
cane da guardia.”
Orion per un attimo sembrò
ferito, ma in un attimo riprese il suo sorriso smagliante “Eddai Tom, non fare
sempre così, stavo solo cercando di fare l’amico.”
Tom si limitò a voltargli
le spalle “Non ho fatto richiesta neppure per quello.” Rispose, seguendo il
flusso di studenti che si riversavano in Sala Grande per prendere posto ai
tavoli, ora che le porte erano state aperte.
Se l’altro lo stava
seguendo, Tom non se ne curò, occupato a scrutare uno per uno i volti dei
ragazzi seduti al tavolo di Grifondoro. Per ora non aveva ancora visto da
nessuna parte lo sconosciuto del suo strano incontro, ma ancora molti dovevano
scendere per la cena, soprattutto contando la scarsa puntualità della casa dei
Leoni.
L’erede di Serpeverde prese
il suo solito posto al centro del tavolo con le spalle al muro, in modo da
avere di fronte l’intera sala. Alla sua sinistra si sedette Orion mentre alla
sua destra una ragazza dai capelli castani e il viso pallido che reggeva uno
spesso libro di pozioni con una mano e la forchetta con l’altra. Davanti a lui,
erano seduti un ragazzo e una ragazza dai lineamenti quasi identici: capelli
biondi, pelle nivea e tratti aristocratici che gridavano ‘Purosangue’ da ogni
parte. Giselle Malfoy e suo fratello maggiore Abraxas stavano chiacchierando
compostamente mentre mangiavano e sorseggiavano vino dai loro calici d’oro.
Qualche posto più in là una
rossa stava imboccando il proprio ragazzo suscitando gli sguardi schifati dei
loro compagni di Casa che vi sedevano di fronte, Marcus Mulciber e Caleb
Dolohov.
“Ehi Giselle, hai mica
visto Madlene? È tutto il giorno che la cerco” chiese Orion rivolgendosi alla
biondina che era indaffarata a legare i capelli del fratello in un codino
basso.
“Oh, ho sentito che è in
infermeria, Heidi l’ha sentita insultare Rudo e le ha lanciato una brutta
Fattura Orcovolante,” rispose lanciando uno sguardo esasperato alla coppietta
qualche posto più in là, “e a proposito, sarà meglio fare qualcosa prima che
Marcus e Caleb vomitino, i due piccioncini fanno venire la nausea – Abrax, stai
fermo, se no ti farà ancora più male – comunque io non c’ero in quel momento,
stavo provando il nuovo rubinetto della vasca dei Prefetti, quello con le bolle
rosa, ma Eileen ha visto tutto, vero Eileen?” finì tutto d’un fiato. La ragazza
col libro di pozioni alzò lo sguardo, ma si limitò a rispondere con un cenno
affermativo.
“Ecco fatto!” continuò
Giselle finendo di fare il fiocco al nastro di raso nero tra i capelli del
fratello, che la stava intanto fulminando con lo sguardo, senza però perdere
mai la postura impeccabile. “In ogni caso, perché ti serviva Madlene, Orion?”
“Oh niente, ci dovevamo
vedere stasera, ma poco male, troverò qualcun altro.” E detto questo si alzò
leggermente sulla panca e si sporse in avanti “Ehi Connor!” urlò verso il
tavolo dei Corvonero, facendo voltare un biondino, “Stasera, nove e mezza alla
statua della Strega Orba, ci sei?” chiese con un occhiolino e un sorrisino
sensuale. Quando l’altro ragazzo fece un cenno affermativo, Orion tornò
allegramente a mangiare.
“Seriamente Orion, non puoi
proprio fare a meno di farti qualunque cosa abbia un buco?” disse Marcus
Mulchiber, che nel frattempo era scappato da Rudolf e Heidi e si era seduto di
fianco a Giselle.
“Tsk, Tsk, tutta invidia la
tua, solo perché non riesci a trovare una ragazza decente da portare a letto
non vuol dire che io debba trattenermi. Hai provato dall’altra sponda? Potresti
avere più fortuna.” Rispose il ragazzo ridacchiando all’espressione schifata di
Marcus.
“Black, forse ti stai
dimenticando che siamo a tavola e un comportamento del genere non è
degno di quello di un Purosangue come te.” intervenne Abraxas con tono gelido
ma calmo, “Tom, per favore, digli qualcosa tu, sei l’unico che riesce a farlo
stare zitto.”
Ma Tom aveva ascoltato
appena le conversazioni dei suoi compagni, non che gli sarebbero interessate in
ogni caso, intento com’era a scrutare il tavolo rosso oro. Ormai erano scesi
tutti a mangiare, ma per quanto si sforzasse di aguzzare la vista, il
misterioso ragazzo di quel pomeriggio non si vedeva da nessuna parte.
“Ehi Tom, ci sei? Sei
ancora più taciturno del solito, il ché la dice lunga.” Chiese Orion
poggiandogli una mano sul braccio.
Tom si voltò di scatto,
fissando la mano sul suo braccio fino a che l’altro non la ritirò. Si alzò in
piedi, attirando l’attenzione del tavolo.
“Io mi ritiro in camera, il
primo che mi disturba, raggiunge Madlene Avery in infermeria.” E detto questo
si allontanò dal tavolo e uscì dalla sala a passo spedito.
Orion guardò il ragazzo
andarsene ed aggrottò la fronte “Ma che gli è preso? Prima sparisce per tutto
il pomeriggio, ora questo…”
Nessuno rispose: le azioni
del Re di Serpeverde non si discutevano.
Intanto Tom si era diretto
verso i sotterranei, formandosi nella mente teorie su teorie sul misterioso
moretto, una meno probabile dell’altra. Arrivato davanti al muro che celava
l’entrata della Sala Comune di Serpeverde disse la parola d’ordine in un
sussurro frustrato, entrando prima ancora che la porta di pietra scorrevole si
fosse del tutto aperta. Il fuoco del camino scoppiettava allegro benché la sala
comune fosse vuota, essendo tutti gli studenti a cena.
Tom si fermò indeciso se
sedersi sui divanetti di velluto verde di fronte al fuoco o salire direttamente
in camera, ma alla fine decise per quest’ultima: non sarebbe davvero riuscito a
sopportare le chiacchiere inutili dei suoi compagni di Casa quando sarebbero
tornati dalla Sala Grande.
Salì quei pochi gradini che
portavano al dormitorio maschile ed entrò nelle sue stanze personali di
Prefetto, chiudendosi la porta alle spalle e applicandovi un incantesimo
Imperturbabile, insieme ad un Colloportus. Rimettendo la bacchetta in tasca, si
diresse verso il letto e vi ci si buttò a pancia in su, incrociando le braccia
dietro la testa.
Continuava a rivedere nella
mente la scena di quel pomeriggio, cercando di imprimersi nella memoria quanti
più particolari poteva. Dopo qualche minuto, si ritrovò a soffocare uno
sbadiglio: non era tardi, eppure si sentiva davvero stanco nonostante fosse
rimasto svenuto per parecchie ore.
Quello schiantesimo… era
stato estremamente potente, soprattutto se si contava che diversi maghi a
quell’età non sanno nemmeno usarlo uno schiantesimo. Inoltre era stato
velocissimo a lanciare l’incantesimo e i riflessi con cui aveva tirato fuori la
bacchetta erano impressionanti, difficilmente uno studente normale avrebbe
potuto possedere una preparazione del genere. Saper agire rapidamente in una
situazione di pericolo non era qualcosa che si poteva imparare dai libri, ma
solo dall’esperienza.
Tom sospirò un’ultima volta mentre le
palpebre gli si facevano pesanti e si voltò da un lato, aspettando di cadere
nelle braccia di Morfeo. Quello che non sapeva era che ciò che stava
disperatamente cercando era addormentato solo sette piani più in alto.
A.N.:
Tornata da Londra! E come era prevedibile, mi sono sciroppata tutto d’un fiato
The Deathly Hollows. Voglio precisare che questa storia NON terrà
assolutamente conto del 7 libro, visto che è già stata pensata dall’inizio alla
fine, e NON ci saranno spoiler di alcun genere.
Detto
questo, torniamo alla storia: come avrete letto dalle reazioni, non sarà certo
subito rose e amore tra i due, sarebbe semplicemente ridicolo. Inoltre ho
cominciato ad introdurre i compagni di scuola di Tom e ne salterà fuori anche
qualcun’altro nel corso della storia… So che molta gente non vede di buon
occhio i personaggi inventati (io in primis quando leggo una storia ^^”), ma in
qualche modo spero che non li vediate sotto quest’ottica, primo perché sono
indispensabili (qualcuno la deve pur frequentare quella scuola) e secondo
perché nella stragrande maggioranza hanno un collegamento con i personaggi a
noi tutti noti (Malfoy, Orion Black, Dolohov, Avery, Eileen Principe…).Se per caso vi sarà difficile ricordare
tutti i nomi, basta dirlo e se volete posterò l’elenco dei nuovi personaggi.
Dio
che A.N. lunga! Vabbeh, ancora una cosa sola: non so davvero quando avrò di
nuovo a disposizione un computer per aggiornare, forse il 6, forse non so…
quindi vi prego di avere pazienza per questa estate!
RISPOSTE:
Selene_90:
sono contenta che ti sia piaciuto e pensando alle Harry/Tom, è un peccato che
ce ne siano così poche in giro…
lake:
spero che continuerai a leggere ^^. Dici che il 6 era il più bello? Mm, non so,
di sicuro mi sono divertita a scrivere i pensieri di Tom!
Zafyria:
già, finalmente è arrivato! Credimi, mi immaginavo così bene la scena dello
schiantesimo, mi sono divertita da pazzi a scriverla (di sicuro più d Tom ad
essere schiantato XD). Luna poi la trovavo semplicemente perfetta all’Ufficio
Misteri!
gokychan:
cercherò di fare del mio meglio, ma come ho già detto è difficile in vacanza
avere un computer a portata di mano…
Michy90: W il Tom Riddle Fan Club! XD
Condivido pienamente i tuoi sentimenti verso questo fantastico personaggio (e
arrossisco profondamente ai complimenti ^^”). Mi chiedo spesso come mai nel
mondo dello slash dove si trova praticamente di tutto, siano così poche le
TRxHP confronto alle HPxDM o HPxSP, è davvero un peccato…
P.S.:
Deathly Hallows letto, finito e riletto, ma non voglio dare giudizi né spoiler,
quindi terrò la bocca chiusa :).
kristin:
ehehe, lo schiantesimo l’ho trovato la reazione più verosimile che Harry
potesse avere alla fine. Di Orion poi se ne vedrà dell’altro, stanne certa!
Selvy:
un altro membro del Tom Riddle Fan Club, dovrò cominciare a fare le targhette
XD
Infine
ringrazio di cuore anche tutti quelli che leggono e seguono anche se non
lasciano un commento (bruttissima abitudine che troppo spesso ho anch’io ^^”)!
Altri Personaggi: Hermione
Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy, altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 8.Scontri
“Fanculo!” esclamò Harry
esasperato chiudendo l’ennesimo libro davanti a sé con un tonfo sordo.
Era passata più di una
settimana dal suo arrivo e la prima cosa che si era messo a fare era cercare il
maledetto libro Anima e Corpo: Condanne e Beatitudini dei Legami Magici,
e purtroppo le difficoltà si erano fatte vedere sin dall’inizio.
In principio aveva pensato
che sarebbe stato un compito facile, infondo bastava usare il suo solito
travestimento che aveva usato anche per andare in Nocturne Alley e fare finta
di essere uno studente qualsiasi. Poi si era ricordato quello che la McGranitt
aveva detto, cioè che il libro si trovava nella Sezione Proibita: anche usando
il Mantello dell’Invisibilità di sicuro la bibliotecaria si sarebbe accorta della
porta per il Reparto Proibito che si apriva, o per lo meno dei libri che
sembravano uscire dagli scaffali da soli e galleggiare a mezz’aria.
Si era ridotto quindi a
sgattaiolare di notte con il Mantello ed usare le ore di buio per cercare tra
gli innumerevoli tomi del Reparto Proibito, metodo che non solo lo privava di
essenziali ore di sonno che non sempre riusciva a recuperare durante il giorno,
ma che lo lasciava annoiato a morte per tutto il resto delle giornate,
costretto com’era a rimanere chiuso nella Stanza delle Necessità.
Gli unici momenti di sfogo
erano quando, ritornato dalla Biblioteca verso le prime ore del mattino, si
recava come faceva nel suo tempo al lago per il suo addestramento mattutino,
che però invece di lasciarlo ristorato come di consueto, dopo ore passate sui
libri, non sorbiva altro effetto che renderlo più esausto che mai.
Inoltre era passata ormai
più di una settimana e di quel libro non sembrava esserci alcuna traccia.
Sfinito, Harry si massaggiò
gli occhi stancamente e si alzò in piedi, avvicinandosi ad uno scaffale e
tirando fuori un altro libro, sperando di trovarvi le informazioni giuste. Si
sedette al tavolo e l’aprì, ma per quanto provasse non riusciva a concentrarsi
sulle parole che leggeva.
Aveva pensato diverse volte
all’incontro con Tom Riddle, inizialmente con rabbia e frustrazione per aver
avuto il suo nemico numero uno tra le mani e non aver potuto fare nulla, poi
però si era rassegnato a non trastullarsi con l’idea di giocare col destino e,
con non poco orrore, aveva cominciato a provare anche una leggera curiosità. Si
ricordava bene il diario di Riddle che Hermione gli aveva consegnato, cavolo,
lo aveva anche portato con se nel baule, ma quando aveva passato le serate a
leggerlo, per lui era sempre stata tutta una cosa astratta, come se fosse stato
un romanzo. Ora non poteva fare a meno di collegare quelle parole ad una
persona reale, in carne ed ossa e trovarsi davvero curioso di sapere che cosa
aveva trasformato Tom Riddle in Lord Voldemort.
Doveva però per prima cosa
trovare quel dannato libro sui legami magici e solo dopo avrebbe potuto passare
il tempo rimanente facendo quello che voleva, anche se di questo andazzo non
gliene sarebbe rimasto molto. Certo, sarebbe stato molto più facile se fosse
stato uno studente, così gli sarebbe bastata una scusa qualsiasi per farsi dare
un permesso speciale da un professore per ritirare il libro dalla Sezione
Proibita, ma cosa avrebbe potuto dire al Preside?
“Mi scusi Professor Dippet,
vede, sono uno studente di Hogwarts che dovrebbe fare il settimo anno, ma non
ho nessun certificato per provarlo, anzi a dirla tutta non ho nemmeno un
documento d’identità. Che dice, va sempre bene Grifondoro o devo essere
Smistato di nuovo?”
Anche nella sua testa
sembrava ridicolo.
Dirgli tutta la verità? No,
meglio di no, visto soprattutto che quello che aveva fatto era sicuramente
illegale e con tutta probabilità o avrebbero cercato di rispedirlo nel futuro
il prima possibile o lo avrebbero sbattuto ad Azkaban il prima possibile, Prescelto
o no.
Con un sospiro tirò fuori
la bacchetta e lanciò un “Tempus”: erano già le tre e mezza del mattino
e per tutta la settimana non aveva fatto altro che andare a letto alle quattro
e svegliarsi due ore dopo per l’allenamento mattutino.
Incrociò le braccia sul
libro che aveva di fronte e vi poggiò la testa: in quel momento gli sembrava il
cuscino migliore che avesse mai avuto. C’erano ancora parecchie ore prima che
il resto della scuola si svegliasse e fortunatamente la biblioteca apriva
un’ora dopo l’inizio delle lezioni.
Sentiva le palpebre pesanti
e la testa come se fosse stata circondata di ovatta.
‘Chiudo gli occhi solo un
secondo, solo un secondo…”
Tom
stava camminando per i corridoi con un’espressione estremamente irritata in
volto, tenendo con una mano la sua borsa, visibilmente rotta.
Mancavano
solo cinque minuti all’inizio della prima ora e il Prefetto di Serpeverde si
era ritrovato costretto a dover tornare al suo dormitorio per cambiare borsa.
Tutto questo, nemmeno serviva dirlo, era colpa di Black.
Tom
non riusciva davvero a capire Orion e i suoi tentativi di dimostrarsi tanto un
buon amico, un comportamento non solo decisamente poco Serpeverde, ma che nel
novanta percento dei casi finiva col creare disastri. Uno si aspettava che dopo
cinque anni lo avesse capito da solo.
Era
passata più di una settimana dall’incidente del Lago e del ragazzo sconosciuto
ancora nessuna traccia. Si era spinto addirittura a chiedere un po’ in giro,
sempre senza dare sospetti, e aveva preso l’abitudine di scrutare attentamente
il tavolo rosso-oro ai pasti. Più ci pensava, più trovava dettagli che
infittivano l’enigma di quell’incontro, che aveva cominciato ad essere il
pensiero fisso delle sue giornate.
Gli
era capitato più di una volta di fermare svariati ragazzi per i corridoi solo
perché avevano gli stessi capelli, o la stessa statura, ma oltre a diverse
occhiate perplesse non aveva raggiunto altri risultati. Cominciava ad essere
sempre più sicuro che il moretto non fosse un vero studente, nonostante il
leone sullo stemma della sua divisa.
Persino
i suoi compagni di Casa si erano accorti del suo insolito comportamento e
Black, avendo notato la sua strana fissazione per i Grifondoro, si era anche
azzardato a chiedergli quale fosse stata la fortunata Grifoncina che gli aveva
rubato il cuore, cosa che gli era costata puntualmente un pomeriggio in
Infermeria.
Era
stato proprio per farsi perdonare per quell’uscita infelice che il Playboy di
Hogwarts aveva deciso di voler a tutti i costi portare a Tom la borsa sulla
strada per Divinazione.
Orion
purtroppo non aveva tenuto conto della congenita gelosia e possessività che Tom
aveva per le sue cose, caratteristiche che trasformarono il suo gentile
tentativo di disponibilità in una vera e propria battaglia di tira e molla, con
la borsa sfortunatamente al centro. Non ci si doveva stupire quindi, quando le
cuciture della tracolla saltarono e l’oggetto conteso cadde rovinosamente a
terra, sparpagliando il proprio contenuto sul pavimento di pietra. Come se non
bastasse una delle boccette d’inchiostro si era rotta nell’urto ed aveva
macchiato ovunque.
Tom
non era nemmeno voluto restare a sentire le scuse del compagno, aveva raccolto
le sue cose e marciato verso le scale, diretto al suo dormitorio dove
fortunatamente teneva un’altra borsa.
‘Fortuna
che ho messo tutti i miei compiti sotto un incantesimo imperturbabile’ pensò il
ragazzo tirando fuori dalla borsa un fascio di fogli da cui l’inchiostro
versato sembrava scivolare via come avrebbe fatto sulla plastica.
Il
Serpeverde era tanto impegnato a controllare i danni alle sue proprietà, da non
accorgersi che, arrivato ad un incrocio con un altro corridoio, dalla sua
destra qualcuno schizzò a tutta velocità verso la sua direzione e non poté fare
nulla per evitare lo scontro.
Caddero
a terra entrambi con un severo tonfo e Tom vide per la seconda volta la sua
amata borsa venire catapultata in aria e sbattuta contro il pavimento. Si alzò
dopo i pochi secondi necessari a riassettarsi, pronto a minacciare con una
brutta fattura chiunque fosse stato l’idiota che gli era venuto addosso.
Quando
alzò gli occhi però, le parole gli morirono in gola.
Harry
si svegliò di colpo con un urlo, con ancora le immagini dell’incubo vivide
nella sua mente. Prese qualche profondo respiro, inspirando ed espirando
lentamente fino a che il battito del cuore non fu tornato alla sua normale
frequenza.
Che
cos’era successo? Perché non aveva preso la sua dose di pozione soporifera? Si
guardò intorno, cercando di scacciare dalla mente la visione del corpo di
Lavanda che si contorceva sotto gli effetti della maledizione Cruciatus.
Per
prima cosa capì dai forti crampi che tutti i muscoli del suo corpo sembravano
avere che non poteva decisamente essere nel suo letto, poi, quando cominciò a
prendere coscienza dei suoi dintorni, realizzò di non essere nemmeno nella
Stanza delle Necessità.
Polverosi
tomi incrociavano dappertutto il suo sguardo e improvvisamente i ricordi della
sera precedente gli riaffiorarono nella mente: si era addormentato in biblioteca.
“Merda!”
esclamò alzandosi di scatto dalla sedia.
Controllò
l’ora sul grande orologio a pendolo vicino allo scaffale più alto e notò con
suo grande orrore che erano già le otto passate, per cui le lezioni dovevano
essere già iniziate e il castello pieno di studenti. Per di più, da un momento
all’altro poteva arrivare la bibliotecaria ad aprire e lo avrebbe scoperto di
sicuro…
‘Non
ho nemmeno il Mantello con me’ pensò disperato mentre chiudeva e riponeva nei
propri posti tutti i libri che aveva tolto dagli scaffali la notte prima.
Finito
di mettere in ordine, aprì lentamente la porta della Sezione Proibita e sbirciò
attraverso l’uscio per controllare che non ci fosse nessuno. Appurata l’assenza
di anima viva, si richiuse la porta alle spalle bisbigliando un Colloportus
senza nemmeno tirar fuori la bacchetta.
Fortunatamente
indossava sempre la sua divisa di Hogwarts sopra l’uniforme in pelle di drago e
con un po’ di fortuna i ritardatari che erano ancora in giro per i corridoi non
avrebbero fatto domande, pensando che fosse un altro studente qualunque che
correva per andare a lezione.
Uscendo
dalla biblioteca notò con suo grande sollievo che il corridoio sembrava vuoto,
ma c’era ancora qualche piano che lo separava dalla sua camera e purtroppo in quella
parte del castello non c’erano passaggi segreti utili per portarlo più
velocemente a destinazione.
Salì
le scale a due a due, ma già dopo qualche minuto di corsa per i corridoi si
decise a rallentare il passo, vedendo che sembrava davvero che tutti gli
studenti si trovassero all’interno delle aule. Continuò dunque a camminare con
molta più calma, assaporando per la prima volta da più di una settimana
l’atmosfera unica del castello. Non era la stessa cosa visto di notte di
sfuggita, correndo tra la biblioteca e la Stanza delle Necessità.
Passando
davanti alla porta di un’aula del quinto piano, rimase piacevolmente sorpreso
nel sentire la voce del professor Ruf parlare con lo stesso tono piatto e
monotono che aveva sempre avuto. Chissà se in questi anni era già un fantasma o
era ancora vivo.
Stava
per mettere piede su di un’altra rampa di scale, quando da dietro le spalle
sentì un flebile miagolio. Si voltò di scatto e vide, a pochi metri da lui, un
gatto che lo fissava attento: era ritto sulle quattro zampe e il pelo, che
probabilmente sarebbe dovuto essere bianco, era arruffato a ciuffi disordinati.
Gli occhi gialli, affilati in due strisce verticali, erano fissi in quelli di
Harry.
Harry
aveva già visto quel gatto diverse volte nel corso degli ultimi giorni: il
gatto del custode. Aveva pensato che la fissazione che Gazza aveva per Mrs.
Purr fosse una sua personale malattia e invece a quanto pareva insieme al posto
di custode, veniva il gatto.
Gli
occhietti gialli seguirono ogni mossa di Harry mentre saliva lentamente un
altro gradino. Non sapeva come, ma ogni volta che lo aveva incontrato, con
Mantello dell’Invisibilità o senza, il dannato felino sembrava sempre sapere
che lui non fosse davvero studente. Si guardò intorno per vedere se l’uomo che avrebbe
dovuto accompagnare sempre il gatto fosse nelle vicinanze ma, anche se non vide
nessuno, non volle tirare troppo la corda della sua fortuna e partì per una
folle corsa per i corridoi.
Peccato
che arrivato al sesto piano non riuscì a vedere, se non quando era ormai troppo
tardi, il ragazzo che stava sbucando da dietro l’angolo. Lo scontro fu
inevitabile, ma Harry riuscì nella caduta ad atterrare sulle quattro zampe,
come gli avevano insegnato nell’addestramento.
Rischiò
però di cadere di nuovo dalla sorpresa quando, alzando gli occhi, vide chi era
l’altra persona.
“Tu…”
sussurrò Tom nel vedere il volto dell’unica persona che aveva abitato i suoi
pensieri nell’ultima settimana. Era indubbiamente il ragazzo misterioso: stessi
arruffatissimi capelli neri come la pece, stessi occhi impassibilmente verdi,
stessa divisa dal taglio insolito e, notò con un certo interesse, stessa
posizione da combattimento.
Vide
l’espressione sorpresa del moretto svanire, lasciando posto ad un’aria
guardinga mentre si sollevava in piedi. ‘Ed ecco che ancora sembra mi
riconosca’ pensò Tom, ‘eppure io prima di qualche giorno fa non l’avevo mai
visto. Da dove viene tanta diffidenza, tanta paura?’
Nessuno
dei due stava parlando, erano entrambi fermi, in piedi, che si studiavano
silenziosamente. Anche se il suo viso era diventato impassibile, Tom riusciva a
leggere fin troppo bene gli occhi smeraldo del ragazzo di fronte, che
sembravano rispecchiargli l’anima. Sospetto, paura, rabbia, ostilità e…
curiosità?
Il
Serpeverde fu il primo a rompere il contatto visivo, distratto da una dei
calamai usciti dalla sua borsa, che era rotolato fino ai suoi piedi. Si chinò
per raccoglierlo, ma si bloccò quando vide che anche questo suo semplice
movimento aveva portato immediatamente l’altro a sfoderare la bacchetta, che
ora si trovava puntata direttamente contro di lui. Tom assottigliò gli occhi:
non gli piacevano per niente le minacce, ma non aveva dimenticato di che
riflessi era munito quel ragazzo.
“Posso
sapere, di grazia, perché ho una bacchetta puntata al petto?” decise
infine di rompere il silenzio, come minimo perché il pensiero di trovarsi a
raggio di maledizione non lo allettava parecchio.
Di
risposta l’altro lo guardò come se avesse detto qualcosa di immensamente
stupido.
“Sei
Tom Riddle” rispose, con una voce molto più profonda di quanto Tom non gli
avrebbe attribuito, “c’è davvero bisogno di un motivo per puntarti una
bacchetta contro?”
Beh,
ora almeno sapeva che i suoi sospetti erano fondati: sapeva decisamente più
cose quel ragazzo su di Tom che non Tom su di lui.
“Sembri
conoscermi bene,” continuò il Prefetto cauto, “posso sapere come, visto che non
mi sembra ci siamo mai presentati?”
Per
qualche motivo la domanda lo sembrò divertire.
“Oh
beh, a me sembra di conoscerti da una vita” fu la criptica risposta. Tom
naturalmente non riuscì a ricavarne un significato che avesse un minimo di
senso, ma non perse la pazienza: i misteri erano sempre stati le sue passioni.
“Perché
non sei a lezione?” gli chiese improvvisamente il ragazzo.
Tom
spostò lo sguardo sulla sua borsa ancora per terra e stette per qualche secondo
a ponderare se dirgli la verità o meno. Quando tornò a fissare quegli occhi di
giada però, vide per un attimo la curiosità sovrastare le altre emozioni e
decise che forse poteva essere usata come unica breccia.
“Dovrei
essere a Divinazione, stavo tornando al dormitorio perché mi si è rotta la
borsa.”
Lo
sguardo dell’altro vagò verso l’oggetto sul pavimento, senza però muovere per
un solo istante la bacchetta dalla sua posizione.
“Tu
invece, perché non sei a lezione?”
Lo
sconosciuto sembrò sinceramente stupito dalla domanda e, per la seconda volta
in dieci minuti, lo fissò come se avesse detto la cavolata del secolo.
Onestamente, era qualcosa che cominciava a dare un po’ sui nervi a Tom.
“Non
avrai davvero pensato che fossi uno studente?” chiese, più sorpreso che altro.
“No,
in effetti avevo i miei dubbi, ciò non toglie che indossi una divisa di
Grifondoro. Nessun particolare motivo? Tra l’altro se doveva essere un
travestimento è fatto anche piuttosto male, il taglio è completamente diverso.”
Chiese Tom alzando un sopraciglio.
“Perché,
cosa c’è di male in Grifondoro?” ribatté l’altro con tono leggermente irritato.
Tom
roteò gli occhi al cielo. “C’è anche solo bisogno di chiederlo?”
“C’è
bisogno di rispondere?”
“Sai
rispondere con qualcosa che non sia una domanda?”
“No,
tu?”
Tom
cominciava ad innervosirsi sul serio per tutte quelle risposte inconsistenti e
tentò di cambiar tattica.
“Visto
che conosci il mio nome, mi sembra semplicemente legittimo che anch’io conosca
il tuo.” Disse incrociando le braccia al petto stizzito.
L’altro
ragazzo non rispose subito, ma si potevano quasi vedere i meccanismi del suo
cervello girare per soppesare la risposta.
“Harry”
rispose dopo qualche secondo mordendosi un labbro, come se non fosse sicuro di
stare facendo la cosa giusta.
‘Harry.’
pensò Tom rigirandosi la parola sulla lingua, tastandone il suono. Era un nome
piuttosto comune e probabilmente di origine babbana, ma c’era un solo modo per
saperlo.
“Harry
e basta?” chiese, il suo sopraciglio sempre ben sollevato.
Purtroppo
la domanda sembrò suscitare l’effetto opposto a quello desiderato, perché il
moretto assunse nuovamente un’espressione sospettosa e ostile.
“Harry
è già tanto, ritieniti fortunato”
Ma
come osava…
“Cos’è,
sei uno sporco mezzosangue che se ne vergogna tanto da non voler nemmeno
pronunciare il suo cognome ad alta voce?” lo schernì Tom con un ghigno cattivo
stampato in volto.
Non
lo vide nemmeno muoversi, ma in un lampo il ragazzo gli si era lanciato addosso
e lo aveva sbattuto violentemente contro il muro del corridoio, tenendolo fermo
in una presa ferrea con un braccio, mentre con l’altro gli puntava la bacchetta
alla gola. Gli occhi smeraldo erano diventati incandescenti di rabbia e Tom
poteva sentire ogni suo muscolo tremare improvvisamente di furia. Non avrebbe
mai pensato di suscitare una simile reazione, né tanto meno che quel ragazzo
tanto più basso di lui potesse possedere tanta forza, sia fisica che magica:
quasi si tastava la magia che stava emanando intorno a sé.
“Non
– ti – azzardare” ringhiò ogni parola, ed erano così vicini che i loro nasi
quasi si sfioravano. Posizione che, aggiunta alla bacchetta, al braccio che
quasi lo soffocava e al respiro dell’altro che gli danzava sul collo, non
lasciava a Tom il tempo di pensare lucidamente.
Trovandola
essere l’unica cosa da fare, in qualche modo riuscì a recuperare dalla tasca la
propria bacchetta e lanciare al suo assalitore un Expelliarmus non verbale
che lo scaraventò dall’altro lato del corridoio, lanciando la sua bacchetta a
qualche metro di distanza.
Tom
ebbe appena il tempo di riprendere fiato che già il ragazzo dagli occhi verdi
era rotolato da un lato, aveva recuperato la propria bacchetta e innalzato uno
scudo intorno a sé.
‘È
davvero potente,’ pensò Tom osservandone i movimenti, ‘e anche un vero
Grifondoro.’ aggiunse vedendo che oltre a materializzare lo scudo, non aveva
dato altro segno di voler attaccare.
Si
ricompose e cercò di mostrarsi come se non fosse successo nulla. “Non ti
conviene iniziare un combattimento qui, nei corridoi” gli disse stirandosi la
camicia stropicciata e risistemando la cravatta verde-argento.
L’altro
non si mosse, né abbassò lo scudo.
“E
nemmeno io ho intenzione di farmi beccare, sono un Prefetto e ho una
reputazione da mantenere.” Continuò Tom, incoraggiandolo a modo suo a
rilassarsi. Davvero sarebbe stato più avventato del più stupido Grifondoro a
ingaggiare un duello con un avversario di cui sapeva così poco.
Finalmente,
dopo un’altra occhiata sospettosa e un momento di esitazione, il ragazzo
abbassò lo scudo e fece un passo avanti. Aveva appena aperto bocca, quando il
suono della campanella di fine ora risuonò per tutto l’edificio, annunciando il
cambio delle lezioni. I rumori delle sedie che si spostavano all’interno delle
aule crebbero sempre di più, come lo sguardo di panico negli occhi verdi.
Prima
che Tom potesse fermarlo, Harry era partito in una corsa frenetica.
“No,
aspetta!” gli urlò dietro il Serpeverde, ma senza risultati, e quando voltò a
sua volta l’angolo vide con sua somma delusione che dell’altro non vi era più
traccia.
“Maledizione”
sussurrò tra sé ritornando a raccogliere la borsa, mentre la massa di studenti
cominciava a riversarsi per il corridoio.
Inspiegabilmente
però, nonostante la riscomparsa dello pseudo Grifondoro, Tom si sentiva
stranamente soddisfatto,e più
rilassato di quanto non gli capitava da giorni. Aveva un nome ora: Harry.
“Ehi
Tom!”
Si
voltò e vide Orion scendere le scale e raggiungerlo di corsa. “Dov’eri finito,
perché non sei più tornato? Ho detto alla Carroll che ti eri sentito poco
bene.” Si avvicinò e, notando il leggero sorrisino sulle labbra del compagno di
casa, aggiunse: “Non ti sei sentito davvero male, vero?”
Il
sorrisino di Tom si allargò.
“Oh
no, mai stato meglio.”
A.N.:
Ce l’ho fatta ad aggiornare
anche stavolta! Un capitolo tutto Harry e Tom! E forse purtroppo sarà anche
l’ultimo prima di settembre (mi sento un po’ ripetitiva =_=).
Comunque,
visto che vado di fretta taglierò corto e passerò alle recensioni.
RISPOSTE:
Selvy:
ehehehe, imparerà ad amarlo ;)
gokychan:
oddio, grazie, sto diventando peperone XD
lake:
Orion sembra un pazzo furioso? Si, devo dire che hai ragione, ma è un personaggio
che mi fa continuamente morire dalle risate anche quando lo scrivo XD
kristin:
allora, per te ecco qua la lista (di quelli visti fin ora almeno)
Orion Black
Giselle Malfoy
Abraxas Malfoy (fratello
maggiore di Giselle)
Eileen Principe
Marcus Mulciber
Caleb Doholov
Heidi Rosier & Rudolf
Lestrange (la coppietta)
Madlene Avery (anche se non si è
vista davvero)
Michy90:
spero ti piaccia questa nuova interazione tutta Harry e Tom allora ^^! A
proposito del 7 libro… si, mi è piaciuto, anche se 5° e 3° rimarranno sempre i
miei preferiti. Ho trovato però alcune scene un po’ troppo spettacolarizzate
forse, come se la Bowling stesse un po’ pensando ai film mentre lo scriveva…
Altri Personaggi: Hermione Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 9.Spiragli di un Accordo
“Tom, mi vuoi dire
cos’hai in questi giorni?” chiese Orion buttandosi su uno dei divanetti verdi
posti davanti al fuoco, nella Sala Comune di Serpeverde.
Il ragazzo indirizzato
non rispose, né staccò gli occhi dal blocco appunti che teneva in mano, sul
quale era intento a tratteggiare qualcosa a matita. Orion aveva esitato qualche
minuto prima di parlargli, rimanendo ad osservarlo: nel vederlo così
focalizzato sul proprio lavoro, qualunque esso fosse, con le sopracciglia lievemente
aggrottate per la concentrazione e il riflesso delle fiamme che gli danzava
negli occhi scuri, avrebbe voluto avere con sé una macchina fotografica, solo
per potersi vantare con qualcuno di aver potuto osservare una creatura tanto
mozzafiato.
Peccato che la bellezza
del suo aspetto esteriore non rispecchiasse quello interiore. Orion voleva bene
a Tom, davvero, e cercava in tutti i modi di dimostrarsi un buon amico, anche
sapendo bene che non sarebbe mai stato capace di superare le impenetrabili
barriere che egli aveva costruito intorno a sé. Però non era così ingenuo da
mentire a se stesso: Tom non era una brava persona.
Lo guardò far fluttuare
la matita sul foglio, creando tratti e curve che dalla sua posizione non
riusciva a vedere e che, per esperienza, non era sicuro di voler sapere cosa
stessero formando. Non era così insolito vedere il Prefetto disegnare, ma i
frutti di quell’attività avevano sempre lasciato Orion leggermente a disagio:
era innegabile che avesse del talento, ma i soggetti…
Il primo che gli aveva
mai visto fare era stata una bellissima riproduzione dello stemma di
Serpeverde, con il serpente attorcigliato languidamente alla S capitale, i
denti leggermente affondati nella lettera. In molti ne erano rimasti colpiti,
tanto che era diventata una moda averne una copia stampata sulle copertine di
quaderni e diari, in perfetto orgoglio Serpeverde.
Vedendo quanto fosse
bravo a disegnare Tom, Orion era stato il primo ad incoraggiarlo, ma se ne era
pentito quasi subito vedendo i suoi capolavori seguenti: erano pezzi d’arte
cupi che spesso sfioravano il macabro. Ce n’era uno che raffigurava un enorme
serpente intento a divorare un corpo martoriato, di cui si vedevano solo i
resti che pendevano dalle fauci affilate. Un altro era il chiaro-scuro della
statua mortuaria di un angelo che aveva perso un’ala, con solo un albero scarno
e qualche lapide minore a tenergli compagnia.
Infine c’era quello che
Orion detestava di più, quello che ogni volta che guardava gli faceva venire la
pelle d’oca su tutto il corpo: era il disegno di una semplice stanza piuttosto
spoglia, con solo un letto perfettamente fatto e un armadio. In uno degli
angoli però, rannicchiato in posizione fetale, c’era un bambino dai capelli
scuri che si abbracciava le ginocchia. L’unico suo compagno sembrava essere un
piccolo serpentello attorcigliatogli ad un braccio.
Orion amava tanto quanto
odiava quei disegni, da un lato perché erano indubbiamente stupendi e
costituivano l’unico scorcio sull’animo di Tom, dall’altro perché mostravano
esattamente quanto fosse distorta e tormentata quell’anima.
Il ragazzo sospirò e
decise di nutrire la sua vena masochista e sbirciare il disegno in corso di
realizzazione per vedere quale fosse quella volta il soggetto. Si poteva quindi
immaginare la sua sorpresa quando, portandosi alle spalle del compagno di Casa,
vide prendere forma sulla pergamena un semplice volto.
Niente sangue,
carneficine, solitudine o disperazione, solo un semplice volto. Era un ragazzo
con dei capelli scuri molto spettinati, con ciocche che venivano sparate un po’
da tutte le parti, alcune delle quali che cadevano sulla fronte semicoprendo un
singolare segno a forma di saetta. La linea della mascella era ben pronunciata
e gli occhi un po’ grandi avrebbero dato all’insieme un’espressione d’innocenza
se non fosse stato per lo sguardo duro che sembravano rivolgere al disegnatore.
Non vi erano tratti
singoli che si potevano definire belli, ma nell’insieme creavano un
qualcosa di estremamente attraente. Anche i capelli che sembravano non aver
visto un pettine da molti anni, più che di una mancanza di cura davano
l’impressione che qualcuno ci avesse passato più volte le dita attraverso
appassionatamente.
Ma perché Tom avrebbe
dovuto disegnare qualcuno così, a caso? Che stesse iniziando una storia a
fumetti? Il solo pensiero era ridicolo. Solo dopo aver staccato gli occhi dal
viso disegnato Orion si accorse che sul fondo della pagina vi erano scritte
diverse note:
Harry
Altezza: massimo 1,70m
Capelli: neri
Occhi: verdi
Grifondoro?
“Non riuscirò mai a far
venir bene gli occhi” disse improvvisamente Tom mentre ricalcava con
accuratezza l’iride, “il bianco e nero non gli rende giustizia.”
Orion sgranò gli occhi
sorpreso: aveva davvero detto quello che aveva sentito? Chiunque fosse, questo
ragazzo era dunque una persona reale e, contando che da quando lo conosceva non
aveva mai sentito Tom indirizzare un complimento a nessuno, doveva essere anche
qualcunopiuttosto interessante.
Solo in quel momento
prese coscienza dell’ultima parola sul fondo pagina: Grifondoro. In
quegli ultimi giorni, quando Tom aveva cominciato a sperimentare gli stessi
sbalzi d’umore di una donna incinta, non aveva forse sviluppato una strana
fissazione con i Grifondoro? Era stato così palese nei suoi comportamenti che
diversi altri Serpeverde se ne erano accorti, cosa che non era mai stata tipica
di Tom. Possibile che fosse stato tutto per…
“Uhuhu, vedo che il
nostro Prefetto preferito si è preso una cotta per qualcuno” gli disse con un
sorrisetto da chi la sapeva lunga. La matita dell’altro ragazzo si fermò, ma
lui non si voltò e per un attimo Orion dovette dare ragione a tutti quelli che
affermavano che quando trattava con Tom doveva essere guidato da un vero e
proprio istinto suicida.
“Dimmi Black,” esordì Tom
con voce gelida, “ti è piaciuto così tanto il tuo ultimo soggiorno in
Infermeria da avere l’improvviso desiderio di prolungare l’esperienza?”
“Suvvia Tom, era solo
un’ipotesi” rispose lui sulla difensiva, cominciando a temere per la sua
salute. “Non vuoi proprio dire al vecchio Orion chi sia questo affascinante
giovane? Non penso di averlo visto in giro e credimi, se lo avessi visto ci
avrei fatto un pensierino.”
Alle sue parole Tom si
irrigidì visibilmente e lui dovette trattenere il ghigno che minacciava di
salirgli sulle labbra. ‘Colpito in pieno, eh?’
“Ti posso assicurare che
l’intera faccenda non ti riguarda minimamente” rispose il Prefetto, non
riuscendo a togliere del tutto l’irritazione dalla sua voce.
Orion, più curioso che
mai, si sporse per vedere meglio i tratti del ragazzo che aveva catturato tanto
l’attenzione di Tom. Ora che lo osservava bene però, un po’ gli sembrava
familiare…
“Ehi, ma io questo qui
l’ho già visto!” esclamò ricordandosi.
La matita che il
Serpeverde teneva in mano cadde a terra.
“Come scusa?”
“Ma si,” continuò Orion
noncurante dell’insolita reazione di Tom, “non so se sia uno studente, perché
per i corridoi sinceramente non l’ho mai visto, ma ogni mattina verso le sei è
sempre vicino al lago a fare esercizi o a correre.”
Tom si era chinato e
aveva ripreso in mano la matita, ma era ovvio che fosse completamente
focalizzato su quello che gli si stava raccontando.
“Una volta sono rimasto
ad osservarlo quando aveva appena finito di correre intorno al lago e si stava
togliendo la maglietta sudata. Oh, dovevi vedere che musco–”
“E che stavi facendo” lo
interruppe Tom prima che potesse finire la frase, “in giro alle sei del
mattino?”
“Oh beh, devo sempre
tornare al mio letto prima di colazione, no?” rispose Black facendo l’occhiolino
e tornando a sedersi sul divanetto in modo da poter guardare l’altro in faccia.
Il moretto sembrava profondamente assorto nei suoi pensieri, ma un piccolo
sorrisino gli si stava formando sulle labbra.
Si voltò per la prima
volta verso di lui. “Orion, che ore sono?”
“Ehm, le undici e venti,
perché?”
“Oh niente, niente”
rispose Tom senza abbandonare il suo piccolo ghigno, “penso che me ne andrò a
letto.” E detto questo chiuse il blocco degli appunti e si alzò. Si stava già
dirigendo verso la sua stanza quando si rivolse per l’ultima volta all’altro
ragazzo. “Grazie per l’informazione comunque, non me ne dimenticherò” aggiunse
prima di sparire per le scale.
Orion si lasciò andare ad
un lungo sospiro, facendo cadere pesantemente la testa tra le mani. Non me
ne dimenticherò: una frase del genere detta da Tom avrebbe fatto saltare di
gioia molte persone, pregustando la ricompensa che sarebbe sicuramente
arrivata, ma a lui appesantivano soltanto il cuore. Non era quello che voleva,
non doveva essere così. Possibile che per Tom fossero così estranei i concetti
di amicizia, di altruismo? Doveva sempre essere una cosa per un'altra, ogni
piccola azione con il proprio valore?
Tom era una persona piena
di capacità e possedeva una grande influenza sull’intero corpo studentesco, ma
la sua vita era così vuota sul piano affettivo che Orion personalmente
era sicuro che non avrebbe fatto cambio con lui per tutto l’oro della Gringott.
Non aveva nessuna intenzione di vedere l’amico rovinarsi sprofondando sempre di
più nell’oscurità come stava facendo, ma sapeva benissimo di non poter fare
nulla.
Osservò assorto il punto
dove poco prima Tom stava disegnando quello strano ragazzo. Era davvero
possibile che qualcuno fosse riuscito a scalfire, o addirittura ad oltrepassare
la corazza di ferro che il gelido Serpeverde aveva costruito intorno a sé?
Quella corazza con cui si era dovuto scontrare fin dal primo giorno, quando
erano ancora solo dei bambini. Se le sue congetture fossero state esatte…non aveva mai visto il compagno di Casa
tanto preso su di una persona.
‘Beh,’ pensò, ‘chiunque
tu sia, Harry, farai meglio a non torcere nemmeno un capello a Tom. Potresti
essere la sua ultima speranza.’
‘Ancora uno.’ Pensò Harry
continuando a correre lungo la riva del lago, lasciando che il freddo vento
mattutino gli scompigliasse i capelli. Tutt’intorno le alte fronde degli alberi
schermavano l’intera zona dalla fioca luce dell’alba invernale e le acque calme
dello specchio d’acqua rilucevano, nell’ombra, di uno scuro color petrolio.
Il ragazzo teneva un
ritmo sostenuto, sebbene il fiato corto e i lunghi segni scuri che portava
sotto gli occhi mostravano quanto realmente fosse esausto: ormai la sua routine
si era consolidata e sfortunatamente sembrava comprendere appena tre o quattro
ore di sonno. Si sentiva ogni giorno più debilitato dalla mancanza di riposo,
ma era lì per una missione, non per una vacanza, e non avrebbe permesso a nulla
di fargli rinunciare al suo allenamento. Vigilanza Costante era ancora il suo
motto.
Si fermò arrivato alla
radura da dove aveva cominciato i suoi quindici giri e, appoggiatosi ad un
albero, riprese lentamente fiato. ‘Vigilanza costante, certo.’ pensò ironico,
‘A chi voglio darla a bere se quasi non mi reggo più in piedi?’. Sapeva bene
che se avesse continuato così sarebbe finito a ricommettere l’errore di qualche
giorno fa, addormentandosi in biblioteca, ma cosa poteva fare? Aveva bisogno
delle ore della notte per ricercare. Se solo avesse potuto essere uno studente…
Avrebbe sicuramente evitato altri incidenti, cosa alquanto gradita, visto
com’era finito l’ultima volta.
Dirigendosi verso il
centro della radura, Harry si sdraiò per terra per cominciare la serie di
addominali. Aveva rivissuto diverse volte l’incontro/scontro con Riddle nella
mente ed ogni volta era arrivato a conclusioni diverse. All’inizio si era dato
del perfetto idiota per non essere subito volato via invece di rimanere a
chiacchierare amichevolmente con il sedicenne Signore Oscuro, non riuscendo a
vincere la sua dannata curiosità Grifondoro. Poi però aveva cominciato ad
analizzare più attentamente l’intero episodio ed era rimasto scioccato quando
si fu accorto che Tom Riddle non sembrava tenere nessun comportamento ostile
nei suoi confronti.
Era così strano per lui
il pensiero di Lord Voldemort che non lo voleva morto che Harry, sebbene
conscio del fatto che a sedici anni non c’era modo che potesse nemmeno sapere
chi lui fosse, non poteva fare a meno di tenere sempre la bacchetta sfoderata.
Si era sentito così stupido per avere attaccato l’altro ragazzo in un impeto di
rabbia, solo perché aveva usato la parola Mezzosangue. Per quanta rabbia avesse
provato in quel momento, ogni tanto Harry riusciva a spaventarsi da solo: e se
la prossima volta non fosse riuscito a contenersi? Sapeva di essere abbastanza
forte da poter fare seriamente del male…
‘Oh, ma smettila, è di
Voldemort che stiamo parlando!’ pensò arrabbiato con i suoi stessi pensieri,
‘Si merita tutto il male che gli possa capitare.’
Eppure l’espressione di
completa sorpresa sul suo bel volto lo aveva lasciato con più confusione di
quanta non dovrebbe essere normale provare.
Con uno sbuffo finì
l’ultima a serie di addominali e si stava per girare a pancia in giù per
iniziare le flessioni quando con la coda dell’occhio vide qualcosa che lo fece
immediatamente balzare in piedi. Là, appoggiato casualmente al tronco di un
albero con le braccia incrociate vi era proprio il soggetto dei suoi pensieri,
Tom Riddle, che lo osservava attentamente.
Istintivamente la mano di
Harry schizzò alla tasca posteriore dove teneva la bacchetta, prima di
bloccarsi con un grande sforzo di volontà. ‘Calmati Harry, finché non fa
nessuna mossa non costituisce alcun pericolo.’
“Non è un po’ presto per
fare ginnastica? Contando che hai tutto il giorno libero dalle lezioni, non è
certo il tempo che deve mancarti.” Disse il Serpeverde con voce impassibile.
Curiosamente Harry si
ritrovò a confrontare il suo atteggiamento con quello di Malfoy. Sebbene una
frase così se la sarebbe aspettata da entrambe le parti, Malfoy l’avrebbe
sicuramente detta con il suo classico ghigno strafottente in faccia, con
l’unico scopo di farlo arrabbiare. Riddle sembrava molto più calcolato, come se
volesse studiare la sua reazione per cogliere più informazioni possibili.
“Come sapevi che ero
qui?” chiese Harry evitando la provocazione.
Un sorrisetto si delineò
sul volto dell’altro. “Me l’ha riferito un uccellino.” Disse mentre si staccava
dall’albero e faceva qualche passo in avanti.
Harry sospirò quasi
impercettibilmente. Aveva passato l’ultima ora ad allenarsi dopo aver dormito
poco meno di quattro ore: davvero era troppo stanco per i giochetti.
“Che cosa vuoi Riddle?”
chiese infine fissando attentamente l’altro.
“Voglio sapere chi sei.”
Rispose lui schietto ed Harry si stupì di un approccio tanto poco Serpeverde.
“Voglio sapere da dove vieni,” continuò avanzando verso il Grifondoro, “perché
non ti ho mai visto prima e perché sembri sapere così tante cose su di me. E
sono intenzionato a scoprirlo, perché odio i segreti tanto quanto amo i
misteri.”
Ora i due ragazzi erano
abbastanza vicini che Harry era costretto a piegare un po’ la testa verso
l’alto per guardare l’altro negli occhi. Voleva sapere chi era? Beh, questo era
qualcosa che sicuramente non poteva dirgli.
Improvvisamente un piano
gli si formulò nella mente. Forse era folle, forse non avrebbe funzionato e
forse stava sottovalutando la curiosità di Riddle, ma se fosse andato in porto
sarebbe stata la sua occasione.
“Ho una proposta.” disse
quindi Harry dopo qualche secondo di silenzio e fu grato di vedere un bagliore
di interesse negli occhi dell’altro. “Vuoi sapere chi sono? Mi dispiace ma non
te lo posso dire. Però se come hai detto tu sei così intenzionato a saperlo,
non posso certo impedirti di tentare di scoprirlo.”
Riddle assottigliò
leggermente gli occhi, cercando di capire dove sarebbe andato a parare il
discorso. Harry cercò di assumere la posa più arrogante che trovò, sperando che
l’altro non si accorgesse del bluff.
“Ma quante probabilità
hai di scoprirlo? Ci siamo incontrati per puro caso una volta e non credere che
continuerò ad allenarmi qui sapendo che ormai sei a conoscenza del luogo.”
Harry si avvicinò di un altro passo, in modo da poter guardare Riddle
direttamente negli occhi. “Con ogni probabilità, non mi vedresti mai più in
tutta la tua vita.”
Lo sguardo di Tom era
diventato gelido e nei suoi occhi si era accesa una scintilla rosso rubino. “E
quale sarebbe quindi la proposta?”
Harry sorrise, lieto di
aver attirato il Serpeverde proprio dove lo voleva. “Voglio aiutarti
nell’impresa, voglio iscrivermi ad Hogwarts, come studente.”
Tom lasciò solo per un
secondo che un lampo di sorpresa gli attraversasse il volto. “E quale sarebbe
il mio ruolo in tutto questo?” chiese sospettoso.
Harry distolse un attimo
lo sguardo dagli occhi scuri e si fissò per qualche secondo le mani. “So che
nonostante tu non abbia una prestigiosa famiglia alle spalle, hai molti contatti
nella scuola.” Disse e rialzò lo sguardo sul viso di Riddle. “Io non ho
documenti e non accetterebbero mai un ragazzo che arriva a trimestre già
iniziato che non è nemmeno iscritto all’anagrafe.”
“Vorresti che ti
procurassi documenti e certificati falsi?” chiese leggermente stupito il
Prefetto. “E tutto questo solo per aiutarmi a scoprire chi sei?” chiese alzando
un sopracciglio.
“Oh no, certo che non è
solo per questo. Ho i miei motivi.”
“Però io non ho alcuna
garanzia. Difficilmente mi sarebbe d’aiuto se tanto finiresti in Grifondoro,
non riuscirei nemmeno ad avvicinarmi.”
Harry sospirò e ringraziò
il cielo che nessuno dei suoi amici potesse vederlo in quel momento, perché
sicuramente sarebbe venuto loro un infarto per le parole che stava per
pronunciare: “Lo so, è per questo che mi farò smistare a Serpeverde.”
Tom gli lanciò un’occhiata
esasperata. “Non si può decidere in che Casa essere smistati, ci si mette solo
un cappel –”
“So come funziona lo
Smistamento grazie. Ti assicuro solo che sarò a Serpeverde. Fidati di me.”
Tom si ammutolì e per un
attimo qualcosa di indecifrabile gli passò attraverso gli occhi ed Harry si
chiese che cosa avesse detto di tanto strano. Eppure in quei secondi di
silenzio le parole “fidati di me” rimasero come sospese nell’aria tra di loro.
“Quarantotto ore.” La
voce del Serpeverde lo distolse dai suoi pensieri.
“Quarantotto ore?”
“Dammi quarantotto ore per pensarci, dopodomani ti
darò una risposta. Immagino non ci sia bisogno di dirti dove.” E detto questo
si voltò e cominciò ad allontanarsi dalla radura.
A.N.: Tornata!
Mi dispiace per la lunga attesa, ma avevo avvertito che non avrei avuto una
connessione a internet disponibile per un bel po’ di tempo.
Comunque ho delle buone
notizie per voi che sono cattive notizie per me: questa storia sta diventando
un poema omerico. La trama è già tutta stata decisa, revisionata, abbozzata
nero su bianco e approvata fino alla fine, ma quando ho provato a fare uno
schema dei capitoli… Merlino mi salvi! Ne ho contati 23 ed ero appena a metà
della storia e come se non bastasse quando ho iniziato a scriverli per intero,
quello che avevo previsto dovesse stare in un capitolo è uscito fuori in 3=_=.
Vabbeh, spero solo che
l’inizio della scuola non mi rallenti nello scrivere…
P.S.: più avanti anche i capitoli si allungano,
tornando a revisionare questo per postarlo mi sono scioccata di quanto corto
fosse o_o.
RISPOSTE:
Michy90: aaah, lo sai che le tue recensioni mi
lasciano sempre un enorme sorriso stampato in faccia? Ne sono infinitamente
grata, davvero, perché tutti i complimenti fanno sempre piacere, ma se c’è qualcuno
che prende tempo a commentare ed analizzare un po’ il capitolo… beh, è manna
dal cielo per uno scrittore!
Comunque,
tornando alla storia: rapporto problematico? Altroché, ci vorrà un bel po’
prima che quei due si sbroglino, d’altronde con la testa bacata di Harry e la
congenita insensibilità di Tom, è uno spasso scrivere come si sviluppa la loro
storia XD.
A
proposito del carattere di Harry, come lo si vede in questa fanic non è l’Harry
che è uscito dal Principe Mezzosangue, ma un Harry che ha passato quasi un anno
sul campo di battaglia, per di più dovendo comandare di persona i suoi stessi
amici. Ha dovuto per forza di cose imparare a controllare l’impulsività, che in
passato gli ha causato innumerevoli guai, tra cui la morte di Sirius (per la
quale non ho mai perdonato né lui, né la Rowling=_=).
Tom invece, è perfetto così com’è XD. No vabbeh,
scherzo (nemmeno troppo però :P) più avanti si vedranno altri lati del suo
carattere e anche qualche scena comica non mancherà;).
Resha91: Beh, penso di aver risposto alla tua
domanda, no? :P Piano, piano si vedranno sempre più spesso, sta tranquilla.
gokychan: XDDDDDDDD. Grazie mille per i complimenti
e come vedi alla fine sono riuscita ad aggiornare, ora i nuovi capitoli
torneranno ad arrivare con la solita frequenza, continua a seguire!
Ginny W: Sono contenta che ti piaccia, mi dispiace
di averti dovuto far aspettar tanto prima di questo nuovo capitolo, spero che
tu stia seguendo ancora! ^^”
Altri Personaggi: Hermione Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 10.Colloquio Notturno
“Malfoy, ho un favore da
chiederti” disse Tom appena vide l’aristocratico biondino attraversare la Sala
Comune. Abraxas si fermò e fece un cenno ai suoi amici di avviarsi verso cena
da soli, mentre si avvicinava al Prefetto.
“Che tipo di favore
esattamente?” chiese con tono neutrale, guardandosi però intorno per
assicurarsi che non ci fosse nessuno nei paraggi. Non che ce ne fosse bisogno:
quando Tom Riddle voleva parlare in privato con qualcuno, la massa sembrava
fare in fretta a disperdersi.
“C’è una persona,”
rispose il moretto, guardandosi apparentemente annoiato le unghie di una mano,
“che vorrebbe entrare in questa scuola. Purtroppo manca dei necessari…
requisiti: documenti, per essere più specifici.”
Malfoy alzò un sopracciglio.
“Ah si? E chi sarebbe questa persona?”
Tom fissò duramente gli
occhi topazio dell’altro. “È una persona che mi interessa avere in questa
scuola, non ti basta?” chiese, ma non era davvero una domanda.
Abraxas assottigliò gli
occhi, ma vedendo l’espressione di sfida sul volto del moro decise che a quanto
pareva sarebbe dovuto bastargli. Aveva rapporti abbastanza buoni con Riddle, ma
non aveva mai perdonato il fatto che il ragazzo che teneva in pugno così tanti
professori e studenti nella scuola fosse un lurido Mezzosangue.
“Tra tre giorni ci sarà
uno dei weekend di Hogsmade e so che conosci alcune persone che saprebbero
risolvere questo mio problema.” Continuò Tom quando il biondino non rispose.
Ma l’altro non sembrava
pronto a sottomettersi così facilmente: erano Serpeverde dopo tutto.
“E dimmi, quale sarebbe
il mio profitto in tutto questo?”
Riddle riprese l’aria
annoiata di prima. “Malfoy, ti ho chiesto un favore. Non è dei profitti
che dovresti preoccuparti, ma delle conseguenze.”
Il biondo si fece avanti
intimidatorio. “Mi stai forse minacciando, Riddle? Non so se te lo sei
dimenticato, ma sono un Malfoy e sai,” aggiunse con un ghigno, “non tutti sono
abbastanza potenti o purosangue per potersi permettere di farlo.”
In meno di un secondo Tom
gli era alla distanza di un soffio e Abraxas avrebbe giurato che i suoi occhi
stessero lampeggiando di rosso. “Ascoltami bene Malfoy” sibilò il
Prefetto scandendogli ogni parola sotto il naso, “a casa tua potrai anche
ripararti il culo dietro le spalle della tua altezzosa famiglia del cazzo, ma
qui siamo ad Hogwarts.” Gli afferrò il mento tra il pollice e l’indice. “E a
Hogwarts comando io, intesi?”
Malfoy tremava dalla
rabbia, ma non era così stupido da tentare qualcosa di avventato, conoscendo
chi aveva di fronte.
“E poi,”continuò Tom con
un ghigno, avvicinandosi fino a sussurrargli nell’orecchio, “conosco qualche
piccolo aneddoto su Halloween che la tua fantastica famiglia sarebbe entusiasta
di venire a sapere.”
Abraxas si irrigidì. “Non
so di cosa tu stia parlando Riddle:”
Il ghigno del moro si
allargò. “Oh, io penso proprio di si invece. Hai presente Margareth Rowell?
Sai, quando è stesa su un letto, la lingua le si scioglie completamente.”
Sussurrò. “Anche per parlare.” Aggiunse con una risatina prima di fare un passo
indietro.
Lo sguardo di Malfoy era
omicida, ma non c’era nulla che potesse fare. “Cosa vuoi che faccia
esattamente?”
Riddle prese
immediatamente un atteggiamento professionale. “Non ho tutte le informazioni in
questo momento, ma posso averle per il giorno dell’uscita di Hogsmade. Tu fa
solo sì di poter incontrare qualcuno che può procurarmi quello che cerco.”
“Sai che avere per le
mani documenti falsi è altamente illegale? Se ti scoprono, non riusciresti a
tirarti fuori dai guai tanto facilmente.” Lo ammonì il biondino.
“Se sono fatti bene, non
c’è motivo di preoccuparsi. E se saranno minimamente sotto il livello di
perfezione, ti riterrò direttamente responsabile, Abraxas.”
Malfoy studiò
attentamente il Prefetto. “Riddle, parliamoci chiaro, tu davvero non hai
nessuno alle spalle che possa toglierti dai guai, potresti perdere tutto.
Sicuro che per chiunque sia, ne valga la pena?”
Il moretto distolse lo
sguardo, per la prima volta leggermente turbato. Abraxas aveva ragione, stava
rischiando grosso, tutto per cosa? Harry, ecco per cosa. Qualcuno che
nemmeno sapeva chi fosse, di cui certamente ancora non si fidava per niente. Ma
davvero se lo sarebbe mai perdonato se avesse lasciato la faccenda andare, se
non fosse mai arrivato fino a fondo?
“Ne vale la pena, Malfoy,
e questo deve bastare. A tutti e due.”
Harry si trovava disteso
a pancia in su, con l’erba che gli solleticava il volto e lo sguardo perso
nella volta celeste. Non che ci fosse molto da guardare essendo inverno, e
anzi, era una notte piuttosto nuvolosa, con solo poche flebili stelle che
riuscivano a far arrivare la loro luce attraverso le nubi. Sedici per la
precisione: inutile dire che Harry era lì da un bel po’ di tempo.
Ora che c’era la
possibilità di tornare ad essere uno studente a Hogwarts, si era molto più
rilassato per quanto riguardava la sua ricerca, non essendoci più bisogno di
sfruttare al massimo le poche ore disponibili, se tanto da lì a qualche giorno
sarebbe potuto liberamente entrare in biblioteca con la luce del sole. Ora che
ci pensava, mentre il vento gli accarezzava la pelle e il profumo dell’erba gli
riempiva le narici, non si era sentito tanto rilassato da moltissimo tempo,
anche da prima di essere arrivato nel 1947.
Si portò una mano alla
fronte a sfiorarsi la cicatrice: nel suo tempo, da quando la guerra era
scoppiata a pieno regime, non aveva fatto altro che bruciare ventiquattro ore
al giorno, causandogli un bel po’ di dolore quando Voldemort si sentiva
particolarmente attivo. Eppure da quando era arrivato lì, nonostante la
ravvicinata presenza di Tom Riddle, aveva smesso di procurargli il minimo
fastidio e anzi, si era davvero accorto quanto male nell’ultimo anno gli avesse
fatto solo quando aveva cessato così improvvisamente. A parte che nei suoi
incubi, dove il dolore sembrava più legato ai ricordi che alla mente di
Voldemort, sembrava che la vecchia ferita fosse andata in vacanza.
Che ora che tecnicamente
la persona che gliel’aveva procurata non esisteva ancora, si fosse come spenta?
Eppure in realtà non aveva proprio smesso di inviare segnali: ogni volta che
aveva avuto un incontro con Riddle, aveva notato che la sua cicatrice aveva
reagito alla presenza del Serpeverde, solo che al posto del dolore c’era
qualcosa di diverso, più come un formicolio. Non era qualcosa di fastidioso,
doveva solo farci l’abitudine.
E davvero avrebbe fatto
meglio ad abituarcisi, visto che aveva intenzione di passare il suo soggiorno
nel passato in stretto contatto con il piccolo Voldemort. Serpeverde… ma
come gli era venuto in mente?
Per quanto l’idea gli
facesse venire i brividi, più ci pensava più trovava dei validi vantaggi ad una
situazione del genere: non solo avrebbe avuto tutto il tempo necessario per le
sue ricerche, ma in più aveva l’occasione di osservare da vicino il suo nemico
giurato numero uno, potendone così studiare punti forti e debolezze. Qualunque
cosa sarebbe potuta essere decisiva per la loro vittoria.
Harry osservò una nuvola
scoprire lentamente un sottile spicchio di luna. E poi… c’era un altro motivo.
Gli costava tantissimo ammetterlo, ma Tom Riddle lo… affascinava. C’era
qualcosa nella sua persona che non si poteva semplicemente ignorare, era una di
quelle persone che lasciavano il segno in chiunque le incontrasse. Voleva
conoscere, vedere di persona il rinomato fascino con cui legava intorno a fili
sottili tutte le persone intorno a lui e le rigirava a suo piacimento.
Quali erano infondo i
rischi? Certo, poteva finire a scoprire la sua vera identità, visto come era
detto essere uno dei ragazzi più brillanti che avessero mai messo piede a
Hogwarts, ma anche in quel caso, Harry dopo tre mesi sarebbe tornato comunque
nel suo tempo e un semplice incantesimo di memoria avrebbe posto fine ad ogni
problema. Già ora non aveva intenzione di lasciare gli anni ’40 senza aver
cancellato i ricordi del loro incontro: non poteva certo avere un Voldemort che
si ricordava di averlo conosciuto nella sua gioventù.
“Tempus” sussurrò
Harry e l’ora gli apparve magicamente davanti. Erano passate da poco le undici e
mezza, il che voleva dire che tra poco più di sei ore avrebbe avuto una
risposta dal Serpeverde.
“Credevo ci fossimo messi
d’accordo per domani mattina. Così impaziente di vedermi?” lo apostrofò una
voce da dietro le spalle. Harry si voltò di scatto mettendosi già accucciato
con la bacchetta in mano, e rimase sbigottito quando vide Tom Riddle alzare gli
occhi al cielo.
Tom Riddle aveva davvero
alzato gli occhi al cielo.
“Oh per l’amor del cielo,
metti via quella bacchetta,” continuò il moretto con tono semi esasperato e
semi canzonatorio, “non mordo mica, sai.”
Ma Harry lo stava
osservando guardingo come se temesse proprio quello, benché rimise la bacchetta
in tasca e tornò a sedersi rigidamente sull’erba. Guardò Tom avvicinarsi
disinvolto e rimase a fissarlo come un pesce lesso con occhi sbarrati quando lo
vide accucciarsi al suo fianco e sdraiarsi comodamente sull’erba, con le
braccia incrociate dietro la testa e l’espressione calma di chi non aveva una
sola preoccupazione al mondo.
Sapeva che non si sarebbe
dovuto sentire tanto sbalordito, ma semplicemente non si era aspettato un gesto
cosi, così… umano da Tom Riddle. Era lì, il suo nemico giurato, la
creatura di pura malvagità che aveva distrutto tante vite intorno a lui, lì
sdraiato sull’erba a godersi la brezza notturna e il cielo invernale. E forse
per la prima volta, osservando il ragazzo scostarsi un paio di ciocche
cadutegli sul viso a causa del vento, Harry si accorse che no, quello che aveva
davanti nonera Voldemort: era solo Tom.
Vide i capelli neri che
avevano perso la loro perfetta forma tra i fili d’erba, il viso allungato, gli
occhi scuri, il naso dritto, la bocca disegnata ad arte e più giù, il collo
sottile che si perdeva al di sotto del colletto della camicia e il corpo snello
e scattante che si muoveva appena per cercare la posizione più comoda. Vide
tutto questo e in tutto questo vide solo un ragazzo.
Harry rilassò le spalle e
si lasciò cadere all’indietro sul prato di fianco alla sua nemesi, nella sua
posizione precedente. Dovette solo combattere il sorrisino che gli rischiava di
spuntare all’espressione sorpresa che notò sul volto del ragazzo di fianco a
lui quando si girò a guardarlo.
Si fissarono negli occhi
a lungo, entrambi non del tutto sicuri di quale improvviso cambiamento si fosse
verificato tra i due, ma certi che si trattasse di un passo avanti. E senza
capire esattamente cosa fosse successo, Tom si limitò ad annuire in segno di
riconoscimento verso quell’inaspettata accettazione ed Harry vide
improvvisamente, come per magia, quanto l’attitudine calma sfoggiata dal
Serpeverde fino a poco prima non fosse altro che una maschera: perché solo ora
i suoi occhi persero il velo gelido che li aveva accompagnati, la fronte si
distese, i muscoli delle spalle si rilassarono e la postura assunse una forma
più riposata.
Dov’era il mostro ora?
Nella mente di Harry stava lasciando il posto ad un ragazzo dalle mille
sfaccettature, un ragazzo dal passato difficile e dal futuro orribile, un
ragazzo che si stava godendo il cielo sopra la testa e il vento sulla pelle, un
ragazzo che…
‘È davvero bello.’
Avvampò quando si accorse
di quello che aveva appena pensato e voltò il viso dall’altra parte sperando
che Tom non avesse notato nulla. Ma che diavolo andava a pensare? Ok accettare
il fatto che Riddle non fosse ancora diventato Voldemort, ma da lì a passare ai
complimenti ce n’era di strada. Bello, tsk, andiamo…
Però lo è davvero,
disse una vocina dentro di lui quando Harry si ritrovò di nuovo ad osservare i
lineamenti perfetti di quel volto. Silente stesso non aveva detto che Riddle
era famoso per affascinare le persone anche con il suo bell’aspetto? Beh, non
c’era nulla di male nel voler studiare attentamente le armi del proprio
avversario, no?
Quando vide una delle
fini sopracciglia arcuarsi interrogativa si accorse di non aver smesso per un
attimo di fissare l’altro ragazzo, che ora lo stava guardando piuttosto
curiosamente. Harry si sentì avvampare di nuovo: ‘Non riuscirò più a guardarlo
negli occhi senza arrossire.’ Pensò.
“Hai freddo?” chiese
improvvisamente Tom rompendo il silenzio.
“Cosa? Freddo? No, sto
bene.” Rispose Harry ancora leggermente imbarazzato. “Perché?”
“No, niente,” disse
l’altro tornando a guardare il cielo, “mi era sembrato fossi diventato un po’
rosso.”
“Ehm, no, non è niente,
tutto a posto.” Si schiarì maldestramente la voce, “Comunque, è vero che
dovevamo vederci domani, ma già che siamo qui, tanto vale iniziare le danze,
non trovi?”
“Danze? Ma di che stai
parlando?” chiese confuso il Serpeverde.
Harry lo guardò come se
fosse diventato improvvisamente scemo: era cresciuto in un orfanotrofio
babbano, sicuramente conosceva le loro espressioni. Che la lingua fosse tanto
cambiata in cinquant’anni?
“Lascia stare, è un
detto, vuol dire mettersi al lavoro.” Spiegò Harry, senza accorgersi dello
sguardo sospettoso che gli venne lanciato.
“D’accordo,” disse allora
Tom rotolando sullo stomaco e tirando fuori la bacchetta, “Dopodomani c’è
un’uscita ad Hogsmade dove ho organizzato un incontro con qualcuno che può
procurarci i tuoi ‘nuovi’ documenti.” Con un colpetto di bacchetta,
materializzò pergamena, piuma e calamaio, poi si voltò nuovamente verso Harry,
che lo aveva osservato curioso fino ad ora.
“Mi serviranno comunque
dei dati da poter utilizzare: nome, cognome, data e luogo di nascita,
residenza, scuole frequentate, eccetera. Quindi,” continuò succhiando
leggermente la punta della piuma, in un gesto che ricordava molto Rita Skeeter,
“pronto per qualche domanda?”
Harry era rimasto
piuttosto spiazzato. Come aveva fatto a non pensarci? Era logico che per dei
documenti, per quanto falsi potessero essere, sarebbero serviti dei dati. Dati
che lui non poteva certo fornire. Trattenne l’impulso di lasciarsi andare ad un
lungo sospiro rassegnato: avrebbe dovuto inventare un sacco di balle.
“Ok, spara.”
“Eh? Sparo cosa?”
“Oh, per l’amor del
cielo, vuol dire vai avanti.”
Ad Harry non piacque per
niente il ghigno che si stava formando sulle labbra di Riddle.
“Nome?”
“Lo sai già, Harry.”
“Grazie, ma servirebbe
anche il cognome. Ed Harry è davvero il tuo vero nome? Sono sorpreso.”
L’occhiataccia che gli
venne indirizzata avrebbe normalmente turbato la maggior parte delle persone,
soprattutto quando il mittente era Harry Potter, ma Tom Riddle non era
decisamente la maggior parte delle persone.
“Beh? Cognome?”
“Ehm, si, cognome…
Evans!”
Un sottile sopracciglio
si alzò dubbioso.
“Evans, eh? Non è un
cognome molto comune nel Mondo Magico.” Rifletté ad alta voce Tom, prima di
assottigliare gli occhi pericolosamente, “Sei davvero un mezzosangue allora.”
L’espressione di Harry
diventò glaciale. “Mi sembrava di essere stato chiaro l’ultima volta” ringhiò,
“non pronunciare mai quella parola in mia presenza. E comunque senti un
po’ chi parla, Riddle.”
“E con questo cosa
vorresti insinuare?” domandò Tom con tono sempre più gelido.
“Cos’è, hai detto a tutti
i tuoi ‘amici’ serpeverde che eri un purosangue?” gli rise in faccia Harry.
Tom si era tirato
leggermente a sedere, dimenticando pergamena e piuma sull’erba. “Per tua
informazione il mio status sociale non è un segreto ma mi chiedo come tu,
invece, possa esserne a conoscenza.” Rispose pronunciando ogni parola come un
sibilo.
Non ottenne risposta e i
due continuarono a fissarsi in cagnesco senza dire nulla, fino a quando Harry
non voltò la testa in direzione del lago, pensando che di questo passo non
avrebbero combinato davvero niente. E in più il fastidio alla cicatrice, che
aveva cominciato a bruciare fastidiosamente, stava diventando insopportabile.
“Non lo sono, comunque.”
“Cosa?”
“Di famiglia babbana”
spiegò l’ex Grifondoro. “Mia madre lo era, ma mio padre era un purosangue.”
Riddle non sembrava molto
convinto. “Evans non è un cognome da purosangue.”
“Infatti era il cognome
di mia madre.”
“Era?”
Harry si irrigidì, lo sguardo
ancora puntato sulle acque del lago, ma la mente molto più lontana. Si stava
lasciando scappare troppe informazioni e il solo pensiero di discutere la morte
dei suoi genitori con il loro assassino rischiava di fargli montare nuovamente
la rabbia che stava cercando di tenere sotto controllo con molti sforzi.
“Si, era. Anzi, erano:
sono morti entrambi quando avevo un anno.”
Tom rimase in silenzio ad
osservare il ragazzo che aveva di fronte, l’astio e il sospetto svaniti dal suo
viso a quella rivelazione.
“Posso chiedere –?”
“No”, lo interruppe secco
Harry, “non puoi. Non mi sembra che siano informazioni utili per i miei
documenti.”
Anche se normalmente non
avrebbe lasciato a nessuno di rivolgersi a lui in quel modo, questa volta il
Serpeverde si limitò ad annuire.
“Allora andiamo avanti.
Dovrai spiegare in qualche modo come mai non sei andato ad Hogwarts, perché se
non mi sbaglio, hai l’accento inglese.”
Riddle stava ponendo
tutte le domande con aria distaccata, ma Harry sapeva che intanto era attento
ad ogni particolare di ogni singola risposta, nel tentativo di scoprire chi
realmente fosse. Non che c’era molto pericolo – l’idea di viaggiatore del tempo
non era proprio la prima che saltava in mente – ma doveva comunque stare molto
attento.
“Sono vissuto con i miei
zii nel Surrey fino a quando avevo dieci anni, poi ci siamo trasferiti in
Australia. Anche dopo tanti anni laggiù, l’accento inglese non è mai sparito
del tutto.” Spiegò, “Data di nascita? 31 luglio 19… ehm… 31, 1931.”
Tom lo fissò, come a
cercare di distinguere quanto c’era di vero e quanto di inventato, ma non disse
nulla e si limitò a scrivere ciò che gli era stato detto.
“Presumo tu non abbia un
certificato di attestazione della scuola che hai seguito in… cos’è che hai
detto? Ah, si, Australia.”
No, non gli piaceva per
niente il ghigno sulle labbra di Riddle.
“No, non ho nessun
certificato perché non ho mai frequentato nessuna scuola. Venivo seguito a casa
da insegnanti privati.”
Tom scribacchiò anche
questo sulla pergamena, prima di rivolgersi nuovamente all’altro. “Allora mi sa
che sarai costretto a fare gli esami del G.U.F.O. per sapere che corsi puoi
seguire.”
Harry rimase un attimo
confuso. “G.U.F.O.? Ma
non si fanno alla fine del quinto anno? Servono solo per il sest… aspetta un
attimo, in che anno sei tu?”
Harry si sentì piuttosto
insultato. ‘Passa i primi undici anni della tua vita in uno sgabuzzino del
sottoscala e poi vediamo un po’ chi è quello più piccolo per la sua età.’
“Ho diciassette anni
compiuti, grazie tante. Ho pure preso la licenza di Materializzazione!”
Tom alzò un sopracciglio
scettico. “Scusa, ma se sei nato nel ’31, come fai ad avere diciassette anni?”
‘Merda, ho sbagliato
la data!’
“Ah, ho detto ’31?
Intendevo ’30, devo aver sbagliato a fare i conti.”
Il sopracciglio si alzò
ancora di più. “I conti? Per sapere in che anno sei nato conti a ritroso gli
anni?”
‘Merda!!’
“Ehm si, sai, non ho una
buona memoria.” Anche alle orecchie di Harry suonava davvero patetica come
scusa.
“Si, certo.” Rispose Tom,
con l’aria di non credere ad una sola parola. “In ogni caso che vuoi fare?
Sesto o settimo?”
Harry ci pensò su: se
fosse andato nel sesto, c’erano molti più rischi che Riddle scoprisse qualcosa,
ma se avesse fatto il settimo, voleva dire che si sarebbe dovuto anche
preoccupare delle lezioni e non aveva decisamente tempo per quelle.
“Sesto,” rispose quindi,
“non sarà certo difficile dopo averlo già fatto.”
“Non avevi detto di aver
avuto lezioni private?”
‘Ma perché non so
starmene zitto?’
“Si, si, certo, ma i
programmi non sono così diversi, no? E poi comunque dipenderà dai G.U.F.O.,
come hai detto.”
“Se lo dici tu…” rispose
Tom con un’altra occhiata sospettosa, prima di scrivere anche l’ultima
informazione.
“E comunque per soli tre
mesi riuscirò a cavarmela.” Aggiunse Harry.
Il serpeverde alzò di
scatto la testa. “Cosa? Perché tre mesi?”
“Resterò solo tre mesi.”
Spiegò il Grifondoro. “Anzi, ormai due mesi e mezzo circa.”
“Non me l’avevi detto:”
ribatté tagliente Riddle.
“Non me l’avevi chiesto.”
Rispose Harry, sorpreso da quanto quell’informazione sembrava turbare l’altro
ragazzo.
Tom sembrava perso nei
suoi pensieri, ma dopo poco alzò di nuovo lo sguardo. “Beh, vuol dire che dovrò
fare solo un po’ più in fretta, no?” Disse semplicemente, scrollando le spalle.
“Più in fretta?” chiese
Harry confuso.
Il Serpeverde si esibì in
un sorrisetto divertito. “Beh, se rimarrai qua solo due mesi e mezzo, non ho
molto tempo, non ti pare?”
Harry, che stava capendo
sempre di meno, aggrottò le sopraciglia, ma prima che potesse chiedere ‘Tempo
per cosa?’, una forte e carica risata gli fece spalancare gli occhi. Tom Riddle
era lì di fianco a lui, semisdraiato sull’erba, ancora tenendo penna e
pergamena in mano e stava ridendo.
I denti perfetti facevano
capolino nel loro candore tra le labbra distese, gli zigomi sollevati nella
risata, facevano sì che gli occhi lucidi si socchiudessero leggermente, mentre
un leggero rossore si spargeva sulle gote, illuminando il viso solitamente
pallido. Il suono poi non era nulla di simile alla bassa risata da tenore di
Ron, o a quella aperta di Hermione, o alle risatine stridule e squillanti di
Lavanda e Calì: era un suono ricco e vivace, ed Harry non riusciva a credere
che tutto questo potesse provenire da Tom Riddle. Sembrava una persona
completamente diversa.
“Scusa” disse il ragazzo
riprendendo fiato, “è che, avevi una faccia così buffa.” Spiegò, un lieve
sorriso non ancora spento sul viso mentre tornava ad osservare il foglio
davanti a sé.
“Penso che così possa
bastare.” Disse infine ripiegando la pergamena e facendo sparire piuma e
calamaio. Harry dovette scuotere la testa un paio di volte per schiarirsi i
pensieri. Ma che gli prendeva? Si chiedeva, mentre Riddle si alzava da terra e
si spazzolava noncurante i vestiti per togliere i fili d’erba.
“Ci rivediamo stesso
posto e stessa ora quando avrò tutto pronto” aggiunse Tom prima fermarsi a
guardare l’altro con uno sguardo che Harry non riuscì bene a decifrare. “O
magari anche prima.”
Ma prima che il Grifondoro potesse chiedere spiegazioni
sull’ultima parte, il Prefetto si era già incamminato verso il castello.
A.N.: aaah,
la bellezza degli aggiornamenti puntuali! XD Non ho nulla di particolare da
dire, a parte che ho aggiornato il mio profilo (creato sarebbe la parola
migliore, visto che non ce n’era uno =_=).
La storia continua… bla
bla bla… Harry e Tom si sono incontrati di nuovo… bla bla bla… ma l’avete
letto, no? Quindi che parlo a fare? XD
Aspetto solo i vostri
commenti! ^^
RISPOSTE:
Zafirya: eheh, se ne
vedranno delle belle con quei due a stretto contatto, stanne certa! Poi per
quanto riguarda Orion, è un personaggio che ho potuto sfruttare perché sappiamo
molto sulla madre di Sirius da quell’orribile ritratto, ma sul padre? Ho voluto
credere che forse c’era un incentivo in più che spinse Sirius a voltare le
spalle alla propria famiglia… che non fossero tutti davvero dalla parte del
male?
tom13: grazie, spero di
sapermelo tenere:P
Ginny W: ne sono felice,
spero ti sia piaciuto anche questo cap!
kagchan: grazie mille!^^
Come vedi ora sono tornata ad aggiornare come prima, quindi non temere!
Michy90: e io sono
contenta di aver reso contenta qualcuno XD Ora finalmente le riflessioni uno
sull’altro danno i primi frutti e Tom ha trovato la scusa migliore per spillare
informazioni XD Mi è piaciuto tingere un po’ di contrasto tra il modo in cui
Tom tratta alcune persone (vedi Abraxas) e come tratta Harry e… beh, si vedrà
più avanti ;). Ti è piaciuta la parte sui disegni? Devo dire che ero un po’
dubbiosa, all’inizio mi sembrava un po’ come una di quegli inutili particolari
che creano solo dell’OOC nei personaggi, ma era un buon modo per introdurre
Harry a Orion, quindi…
E ci conto che ci sarai a
recensire! ;)
Selene_90: Ma figurati!
Non preoccuparti, sapessi quante cose da recensire manco io! XD
Beh, Tom non sarà
purosangue, ma i metodi li trova comunque: è un Serpeverde dopo tutto ;). Harry
alcune caratteristiche delle serpi le ha sempre avute, ma non in pochi si
accorgeranno che ha le caratteristiche di entrambe le case!
gokychan: eheh, creiamo
un esercito di Tom/Harry e invadiamo il mondo della fandom! Bwhuhwuhuauhahaha! No,
sul serio: più siamo, meglio è! ;)
Altri Personaggi: Hermione Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e
ancora Slash
Capitolo 11.Benvenuto a Serpeverde
“Ah, tu devi essere il
Sig. Evans, giusto?”
Harry si voltò,
sentendosi chiamare con il suo pseudonimo, e si trovò faccia a faccia con un
vecchio uomo quasi del tutto calvo, dall’aria piuttosto fragile e raggrinzita.
Con i suoi occhi falsamente nocciola, il ragazzo osservò attentamente l’anziano
mago: le rughe sulle mani e sul viso testimoniavano un’età molto avanzata, ma i
vestiti che indossava, insieme al portamento sicuro, facevano sospettare che ci
fosse molto di più al di là delle apparenze. Quell’uomo infatti non era per
niente ignoto ad Harry, che lo aveva visto per la prima volta a soli dodici
anni, in uno sfumato ricordo.
“Si Professor Dippet, Harry Evans.” Si
presentò con un leggero inchino del capo. “È un piacere conoscerla.”
“Oh, non c’è alcun
bisogno di tante formalità.” Rispose il Preside con una risata, ma si poteva
sentir trasparire dal tono di voce una punta di compiacenza.
‘Se è così semplice
fargli una buona impressione, non c’è da stupirsi che Riddle lo abbia ingannato
tanto facilmente.’ Pensò Harry mentre, senza mostrarlo, scrutava con occhio
critico l’anziano di fronte a lui.
“Se vuoi seguirmi, da
questa parte, potremmo parlare liberamente nel mio ufficio di tutto ciò che
riguarda la tua situazione.” Continuò Dippet indicando con una mano il
corridoio che, Harry istintivamente sapeva, conduceva all’ufficio del Preside.
Sfoggiando il sorriso
migliore che riuscì a trovare, il ragazzo rispose: “Con piacere.”
Mentre seguiva
silenziosamente il professore, Harry non riusciva a non paragonare lui e
Silente, l’ unico preside (se non si voleva contare la McGranitt) con cui
poteva fare un confronto. Almeno a primo impatto, non c’erano dubbi su quale
dei due Harry reputasse essere un mago migliore: Dippet mancava dell’aura
impressionante che Silene sembrava emanare costantemente, né aveva quell’aria
di antica saggezza che dava subito la sensazione di essere in buone mani.
Oltretutto, se aveva
avuto un personaggio come Tom Riddle sotto il naso e non aveva mai sospettato
di nulla, doveva mancare di alcuni requisiti sostanziali. In effetti solo
Silente era sempre stato sospettoso nei confronti del giovane Voldemort…
Silente!
Ad Harry si era come
acceso un lampeggiante allarme in testa. Come aveva potuto dimenticarsene?
Silente era qui in questo tempo, vivo e vegeto! Avrebbe potuto chiedergli
consigli, avrebbe potuto scaricare le sue preoccupazioni, avrebbe potuto
sciogliere le miriadi di dubbi che aveva…
‘No, frena Harry, ti sei
già dimenticato che quello che hai fatto, non è propriamente legale?’ una
vocina nella sua testa gli sussurrò, facendogli scoppiare quel palloncino di
sollievo che gli si era gonfiato in petto.
Era vero, chissà quali
conseguenze ci sarebbero state nello svelare la sua vera identità. E se Silente
avesse ritenuto tutto una follia e avesse voluto trovare un modo per rispedirlo
immediatamente a casa? Tutti i suoi sforzi sarebbero stati vani.
Però se nel futuro il
ritratto di Silente non lo aveva fermato, o per lo meno ammonito, doveva aver
reputato ciò che Harry avrebbe fatto la cosa più giusta. O forse semplicemente
non si era mai fatto scoprire e in realtà il preside non aveva idea di ciò che
era stato sul punto di fare.
Il rumore della statua
del gargoyle che si spostava distrasse il ragazzo dai suoi pensieri. Scosse la
testa per liberarsi la mente in vista dell’interrogatorio che sarebbe
certamente seguito: pensare alla linea temporale assicurava sempre un gran mal
di testa.
Salì i gradini che
portavano all’ufficio lentamente, ripetendosi nella mente tutte le informazioni
che Riddle gli aveva fornito sulla sua presunta vita: i suoi genitori dovevano
essere morti in un incidente d’auto quando aveva solo un anno, lasciandolo a
vivere con i suoi zii nel Surrey fino all’età di 10 anni, quando i pericoli
della guerra contro Grindelwald erano diventati ormai troppo grandi,
costringendoli a trasferirsi in Australia. Essendo stato sconfitto da Silente
ormai da due anni, non c’era più motivo di ignorare il desiderio dei genitori
defunti di iscriverlo a Hogwarts.
“Prego, accomodati.” Lo
invitò a sedere il Professor Dippet appena furono entrati nell’ufficio.
Harry si sistemò
comodamente sulla poltrona di fronte alla scrivania, mentre osservava
l’arredamento. Non dovette nemmeno sforzarsi di fingere curiosità o sorpresa,
visto che in effetti l’ufficio così com’era non l’aveva mai visto: non c’erano
strani strumenti argentei sugli scaffali e sul tavolo, non si poteva scorgere
il luccichio del pensatoio di Silente tra le ante socchiuse dell’armadio e l’angolo
che avrebbe ospitato il trespolo di Fanny era, curiosamente, occupato da un
mini bar.
Spostò nuovamente
l’attenzione verso il Preside, che in quel momento aveva raccolto diversi
fogli, che Harry immaginò fossero i suoi documenti, e aveva cominciato a sfogliarli
attentamente. Si passò una mano tra i finti capelli castani e si preparò per il
colloquio.
“Devo dire di essere
rimasto piuttosto sorpreso di ricevere quel gufo dai tuoi zii,” incominciò
Dippet una volta lasciate cadere le pergamene sul tavolo, “non capita spesso di
vagliare una richiesta di iscrizione per il sesto anno, tanto meno a metà del
primo trimestre.”
Harry annuì. “Immagino,
signore.”
“Come mai solo ora?”
chiese il professore, guardando attentamente il ragazzo.
“Se intende perché solo
ora per il sesto anno, è stato per la guerra signore: i miei zii non si
fidavano a tornare in Europa fino a che il pericolo di Grindelwald non fosse
passato.” Spiegò Harry, pregando con tutto se stesso di aver assunto un tono
credibile, “Per quanto riguarda il trimestre, mi dispiace davvero, ma ci sono
stati dei problemi con il cambio di residenza. Dovrebbero comunque avere
spiegato tutto i miei zii nella lettera che le hanno mandato, signore.”
Il vecchio annuì un paio
di volte. “Si, si, era tutto spiegato, ma volevo essere sicuro che per te non
costituisse un peso. Spero che siate riusciti a risolvere qualunque problema
burocratico, ma per quanto riguarda la guerra…”
Harry si fece molto più
interessato. “Che cosa, signore?”
“Beh, non si può mai
essere sicuri che il pericolo sia passato. Le visite ad Hogsmade sono state
riabilitate solo quest’anno sebbene Grindelwald sia ormai morto da un paio di
anni, ma con i continui attacchi degli Zefiri non si può mai sapere.”
“Zefiri?” chiese Harry
prima di potersi trattenere.
Il preside lo squadrò
qualche secondo, prima di chiedere con tono deliberatamente calmo: “non sa chi
siano gli Zefiri, Sig. Evans?”
Il ragazzo si accorse di
aver appena fatto, con tutta probabilità, un errore davvero stupido, ma cercò
di rimediare meglio che poté.
“Mi dispiace doverlo
ammettere, ma la vita in Australia è piuttosto isolata e le notizie sulla
guerra sono sempre state scarse e approssimative.”
Tirò mentalmente un
sospiro di sollievo quando vide Dippet annuire con aria grave. “Certo, capisco.
D’altronde non è una colpa non volersi immischiare in guerre che non ci
riguardano.” Disse con quello che doveva essere un tono saggio. “Gli Zefiri
sono i seguaci di Grindelwald, coloro che lo hanno seguito, acclamato e
riverito durante il suo regno del terrore. Purtroppo non tutti sono stati
ancora consegnati nelle mani della giustizia e anche ora che il Signore Oscuro
è morto, non sembrano volersi dare pace.”
Harry sentì un fremito
percorrerlo a quelle parole. Zefiri? Sembravano essere l’esatto equivalente dei
Mangiamorte: altri nemici, altre battaglie, altre morti. E quell’oppressione,
quel senso del dovere che, assieme al senso di colpa, lo aveva sempre
accompagnato nel futuro, si fece risentire come un macigno.
No, questa non è la tua guerra,
si disse, non sta a te combattere queste battaglie… non sta
a te caricarti il peso di queste morti.
“… vero Harry?”
Sentirsi chiamare lo
risvegliò dalle sue meditazioni e vide che il preside lo stava guardando
aspettando chiaramente la risposta ad una domanda.
“Mi scusi, può ripetere
per favore? Devo essermi perso un attimo nei miei pensieri…”
Il vecchio si limitò a
sorridergli indulgente. “Dicevo che mi sembra sia tutto in ordine, ma manca
ancora un piccolo particolare: chiedevo se eri a conoscenza della suddivisione
tra Case qui ad Hogwarts.”
Harry annuì sorridendo,
trovandosi per la prima volta su terreno sicuro: “Oh si signore, i miei zii mi
hanno spiegato le cose più importanti.”
“Bene, bene, allora
saprai che è necessario che tu sia smistato in una delle quattro Case.
Tradizionalmente lo smistamento viene effettuato la sera del primo giorno di
scuola in Sala Grande, ma non essendo inizio anno, ne tanto meno tu uno del
primo anno puoi scegliere: preferisci essere smistato qui in privato o questa
sera durante la cena?”
Il ragazzo ci pensò su
qualche secondo, ma non gli ci volle molto per prendere una decisione: anche
con il suo travestimento, meno attenzione attirava verso di sé, meglio era.
“Preferirei qui in
privato signore.”
“Nessun problema
giovanotto,” replicò Dippet alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso uno degli
armadi, “immagino che tutti quegli occhi puntati addosso non farebbero piacere
a nessuno, vero?” ridacchiò.
‘Non sa quanto’ si
rispose Harry cercando di forzare un sorriso sulle labbra.
Il preside tirò fuori un
basso treppiede di legno su cui era appoggiato un logoro cappello da mago,
pieno di pezze e rattoppi. Il sorriso del ragazzo divenne sincero: ecco
qualcosa che non sarebbe mai cambiato.
“Non so cosa ti hanno
raccontato i tuoi zii, ma per essere smistato basterà che indossi questo
cappello. I ragazzi più grandi hanno la brutta abitudine di spaventare i nuovi
arrivati con storie orribili…” spiegò Dippet con un’altra risatina.
Harry si avvicinò,
sollevò il Cappello Parlante dallo sgabello e, sedendosi, lo indossò, notando
che stavolta non gli cadeva tanto sugli occhi come era successo sette anni
prima. Non dovette aspettare molto prima di sentire nella mente la vocetta
conosciuta .
‘Interessante sarebbe
a dir poco un eufemismo, sig. Potter. D’altronde non capita tutti i giorni di
dover smistare un sesto anno che tra l’altro, ho già smistato.’
Harry rise tra sé e sé.
‘Non penso che capitino spesso nemmeno viaggiatori del tempo. Posso fidarmi che
terrai il segreto?’
‘Io? Sono solo un
vecchio cappello: smisto ragazzi, non mi occupo d’altro. Ma passiamo ai fatti,
vediamo un po’… beh ragazzo mio, vedo che la tua strada è già ben segnata, ma…
Grifondoro? Ti sei sicuramente trovato bene a quanto pare, ma avrei detto più –’
‘Serpeverde?’ suggerì
Harry conoscendo già la risposta.
‘Si, si, decisamente,
avresti fatto grandi cose a Serpeverde. Allora, dove ti metto?’
Harry sospirò rassegnato.
‘Per questa volta, ho bisogno di seguire il tuo primo consiglio.’
‘Si, si, vedo… Tom Riddle eh? Mente brillante
già ad undici anni, quel ragazzo. Peccato che sia destinato ad una fine simile.
Ma ricorda Harry, i giudizi lasciamoli a conti fatti: non si nasce ciò che si
diventa.’
L’ex-Grifondoro stava per
chiedere spiegazioni, ma venne interrotto dalla voce squillante del Cappello
che annunciò altisonante: “SERPEVERDE!”
Si sfilò il cappello dal
capo alzandosi dallo sgabello e osservò attentamente la reazione di Dippet
all’annuncio della Casa. Rimase sorpreso quando non notò nessun tipo di
sospetto nella sua espressione: che la brutta reputazione di Serpeverde fosse
dovuta in gran parte a Voldemort?
“Perfetto, perfetto! Vedo
che non c’è stato nessun problema. Serpeverde, uhm? Oh…” il vecchio assunse
improvvisamente un’aria pensosa, “mmh, sarà meglio chiamare un Capocasa. Sai, i
sotterranei hanno sempre avuto un problema di spazio e ho paura che i dormitori
siano piuttosto pieni…” spiegò, ma subito tornò un sorriso rassicurante. “Sono
sicuro che troveremo una soluzione ad ogni modo. Tibby!”
Con un leggero ‘pop’ un
elfo domestico apparve nell’ufficio, prostrandosi in un profondo inchino
all’insegna del preside. “Il Signore ha chiamato?”
“Tibby, vai a chiamare la
signorina Alice Travers, è richiesta la sua presenza nel mio ufficio.” Ordinò, ed
Harry notò anche qui la differenza tra come Silente si era sempre rivolto agli
elfi domestici e il tono autoritario usato da Dippet.
L’elfa però sembrava più
che contenta che gli fosse stato assegnato un qualsiasi incarico e con un altro
profondo inchino, sparì in un leggero ‘pop’.
Il preside tornò a
sedersi dietro alla scrivania. “Mentre aspettiamo l’arrivo della Capocasa, ci
sono ancora un paio di faccende da sbrigare. Sei stato seguito da un insegnante
privato per tutta la tua carriera scolastica, vero?”
Harry annuì. “Si,
signore.”
“Qui ad Hogwarts gli
studenti sono soliti tenere un esame alla fine del quinto anno, chiamato
G.U.F.O.. È un esame molto importante, perché determina il futuro percorso di
studi dei ragazzi, percorso che delimiterà anche il campo lavorativo una volta
preso il diploma. Mi dispiace informarti che senza aver preso i G.U.F.O. non
sapremmo in quali corsi ammetterti.” Spiegò l’anziano professore.
“Capisco, signore.”
Rispose Harry. Non era particolarmente preoccupato dall’esame, in fondo lo
aveva già fatto una volta e gran parte degli incantesimi, pozioni e concetti
che sarebbero stati testati li conosceva ormai a memoria.
“Ti verranno date due
settimane di tempo per prepararti, poi inizieranno i test. So che è
relativamente poco come preavviso, ma visto che il trimestre è già iniziato da
due mesi, non vogliamo rischiare di lasciarti troppo indietro col programma
rispetto agli altri.”
“Farò del mio meglio,
signore.”
Il vecchio annuì
soddisfatto. “Bene, bene, proprio lo spirito giusto, sono sicuro che ti
troverai splendidamente qui ad Hogwarts. In ogni caso non ti devi preoccupare,
il programma non dovrebbe essere troppo diverso da quello che hai segui –”
Le sue parole vennero
interrotte da un leggero bussare alla porta.
“Oh, deve essere arrivata
la Capocasa. Avanti!”
Harry si voltò con una
certa curiosità alla prospettiva di conoscere la prima compagna di Casa che
avrebbe incontrato da quando era arrivato nel passato, ma quando la porta si
aprì, vide con grande stupore e non poco fastidio che chi era entrato non era
affatto la Capocasa, né tanto meno una ragazza: era di nuovo Tom Riddle.
“Tom? Cosa ci fai qui?”
chiese sorpreso anche il Preside.
Il ragazzo, appena
richiusa la porta alle spalle, aveva puntato gli occhi su di Harry con
un’espressione tra l’incuriosito e il confuso, ma riportò l’attenzione a Dippet
quando venne indirizzato.
“Aveva chiamato per il
Capocasa, ma Travers è in Infermeria e Malfoy sta svolgendo un compito di
pozioni. Mi sono offerto di venire al loro posto, ma se non sono abbastanza
competente per qualunque sia questo compito, posso tornare a chiamare Malfoy,
se ce n’è bisogno.” Disse, riuscendo a mostrarsi abbastanza modesto da togliere
qualunque sospetto e abbastanza sicuro di sé potersi assicurare l’incarico.
Harry personalmente non
credeva ad una sola parola di tutto quello che aveva detto il Serpeverde e
anzi, era convinto che avesse architettato in qualche maniera il modo di
trovarsi personalmente nell’ufficio. Dippet però sembrò illuminarsi alla presenza
di quello che credeva essere uno degli studenti più brillanti che Hogwarts
avesse mai avuto.
“Oh, no, no Tom, nessun
bisogno di disturbare il Capocasa, sono convinto che tu sia più che adatto per
questo lavoro.” Gli rispose con un sorriso. “Vieni, avanti, vieni. Vedi,
abbiamo straordinariamente un nuovo studente che frequenterà proprio il tuo
anno: Harry Evans. Harry, questo è il Prefetto Serpeverde, Tom Riddle.”
Harry vide un bagliore di
comprensione guizzare negli occhi di Tom quando venne annunciato il suo nome e
dovette trattenere un sorrisetto soddisfatto al pensiero di esser riuscito ad
ingannare persino lui con il suo travestimento.
L’altro ragazzo, però,
sembrò riprendersi in fretta ed allungò una mano in direzione di Harry con un
piccolo sorriso, che solo da vicino si sarebbe riconosciuto per il ghigno che
era.
“Benvenuto a Serpeverde,
Evans.”
Harry strinse la mano,
lanciandogli uno sguardo di fuoco approfittando di avere le spalle voltate dal
Preside. In risposta il ghigno di Tom si fece solo più largo.
Il vecchio, rimasto
ignaro dello scambio avvenuto tra i ragazzi, continuò: “Tom, che tu sappia, il
dormitorio del sesto anno ha ancora un posto libero?”
A quella domanda,
l’espressione di Tom assunse un’aria apparentemente pensosa, ma dai suoi occhi
Harry riusciva non solo a riconoscere la maschera, ma a scorgere una punta di
soddisfazione che non prometteva nulla di buono.
“No, mi dispiace signore.
Si sarebbe dovuto liberare un posto essendomi io trasferito nella mia nuova
stanza da Prefetto, ma con Lestrange che non ha passato gli esami di fine anno,
sono di nuovo in quattro i maschi del sesto anno.” Lanciò per un secondo uno
sguardo divertito ad Harry prima di continuare. “Il dormitorio femminile è più
spazioso, ma non so quanto quella possa essere una soluzione adeguata,
signore.”
Il Preside rise, non
notando l’occhiata omicida che il nuovo studente indirizzò al suo Prefetto
preferito. “Oh no, non credo proprio che andrà bene. Vediamo… non abbiamo altre
stanze? Non vorrei dover assegnare Harry al dormitorio di un altro anno…”
Tom scosse la testa. “No
signore, tutte le altre stanze sono occupate dai Capocasa e dai Prefetti.”
Dippet si massaggiò il
mento pensieroso, prima di spostare lo sguardo su Riddle e osservarlo
attentamente come se stesse ponderando qualcosa. Harry intanto stava
cominciando ad inquietarsi, avendo un vago sospetto di quello che il preside
stesse pensando.
“Tom, pensi che in una
delle stanze da Prefetto possano stare comodi due letti?”
Solo osservando molto da
vicino si poteva vedere lo sforzo che stava facendo il Serpeverde per
trattenere un ghigno soddisfatto.
“Beh, si, signore. Sono
molto grandi per gli standard dei sotterranei.”
“Tom, sarò costretto a
chiederti un grande favore. So quanto tieni alla tua privacy, ma potresti
ospitare il sig. Evans nelle tue stanze? Almeno fino a che non si sarà trovata
una soluzione alternativa.”
“Se non c’è altro
sistema, farò quello che è meglio fare, signore.” Rispose perfettamente educato
Riddle, mentre Harry lo malediceva mentalmente in tutti i modi che conosceva:
aveva sicuramente architettato tutto il bastardo.
“Perfetto allora, anche
questo è sistemato. A meno che Harry, tu non abbia qualche obbiezione.”
Il ragazzo aprì la bocca
per ribattere che si, in effetti qualche obbiezione ce l’aveva, ma si ritrovò a
doverla richiudere. Cosa poteva dire? Per quel che ne sapeva il Preside, quella
era la prima volta che vedeva Tom, non aveva alcun motivo per non voler
condividere una stanza con lui.
“No, signore, nessuna
obbiezione.” Rispose a denti stretti.
“Perfetto, perfetto.
Allora non voglio trattenervi più del dovuto. Harry, nella lettera c’era
scritto che tutte le tue cose ti sarebbero state inviate via gufo in giornata,
quindi aspettane l’arrivo. Tom, accompagna pure il sig. Evans al dormitorio e
mostragli la sua nuova stanza, farò aggiungere tutto il necessario
immediatamente.”
Con un ultimo saluto,
entrambi i ragazzi si ritrovarono a scendere le scale verso il corridoio.
Appena oltrepassato il gargoyle, Harry si voltò versò il compagno di Casa.
“Avevi previsto tutto,
non è vero?” sospirò rassegnato.
Tom alzò un sopracciglio.
“Io ho solo seguito le direttive del Preside. Non mi pare di aver costretto
nessuno, ma è curioso il fatto che tu mi reputi capace di una cosa simile.”
“Se lo faccio è perché lo
sei, e comunque avresti potuto rifiutare.” Continuò Harry mentre si
incamminavano verso i piani inferiori.
Il Prefetto scrollò le
spalle. “A caval donato non si guarda in bocca.” Rispose, voltandosi ad
osservare meglio l’altro ragazzo. “Bel travestimento comunque, per un attimo
non ti avevo riconosciuto. Trasfigurazione umana si studia al settimo anno se
non sbaglio…”
“No, niente di tanto
complicato, è solo un’illusione: un piccolo trucco da Metamorfomagus che ho
imparato.” Buttò lì Harry, sorridendo leggermente ricordando i consigli di
Tonks.
Tom lo osservò ancora per
qualche secondo, prima di annuire a se stesso. “Bene, perché sarebbe un vero
peccato dover nascondere sempre i tuoi occhi, mi piacciono molto di più al naturale.”
Harry per poco non cadde
rovinosamente a terra. “C-Come scusa?”
L’altro Serpeverde sembrò
piuttosto divertito dalla reazione provocata e ripeté lentamente: “Ho detto che
sarebbe un peccato dover sempre nascondere due occhi come i tuoi, hanno un colore
davvero unico.”
Nonostante non sapesse
ancora se prendere il commento come un complimento o come una presa in giro,
Harry si sentì comunque arrossire fino alla punta dei capelli. Fortunatamente
per lui erano ormai arrivati davanti al muro che conduceva alla Sala Comune di
Serpeverde e ogni conversazione cessò.
“Verba volant” disse il
Prefetto, e il muro scivolò per rivelare l’entrata del famoso covo delle Serpi.
A.N.: Eccoci
di nuovo qua con un altro capitolo. Mi scuso per la limitata presenza di Tom,
ma mica può essere ovunque XD. Ora che finalmente Harry è uno studente poi,
aspettatevi qualche nuova entrata tra i personaggi [e non è detto che siano
tutti nuovi ;)]
La scuola è iniziata da
meno di una settimana e sono già distrutta, non so come sopravvivrò per tutto
l’anno =_=. Comunque, spero che non avrò troppo da fare per continuare a
scrivere, ma anche in caso di blocco ho abbastanza capitoli già scritti per
avere tutto il tempo di farmelo passare! ^^
RISPOSTE:
Ginny W: Eh già, la
storia comincia ad andare avanti e avere un senso XD. E gli aggiornamenti sono
normalmente uno alla settimana, quindi al prossimo venerdì!
Kagchan: Grazie mille! E
Tom che ride, beh, non lo fa mica per tutti, ma Harry è un caso speciale ;)!
Selene_90: Tom stile Signora
in Giallo, solo meno vecchio e molto più figo XD Comunque si, era ora che Harry
si svegliasse, ma sappiamo tutti fino a che punto può essere ingenuo quando si
tratta di amori. Poi non volevo fare una fanfic che fosse solo concentrata su
Harry e Tom, ma che avesse anche una trama con un po’ di spessore, per questo
la loro storia sembra così lenta… ma ti posso assicurare che arriverà da
qualche parte!
Gokychan: So che ti
lamenterai che c’è troppo poco Tom in questo chap (lo penso anch’io XD), ma ti
assicuro che se ne vedrà un po’ di più nel prossimo, insieme ad un piccolo
scorcio di ciò che pensa a proposito di un certo ragazzo dagli occhi verdi… ma
non aggiungo altro! :P
Altri Personaggi: Hermione Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 12.La Stanza del Prefetto
Harry si guardò intorno
con circospezione, osservando le mille tonalità di verde che spiccavano nella
grande sala. Fece vagare lo sguardo dai divanetti di velluto ai tappeti
ricamati, fino ai tavolini di vetro dalle pregiate rifiniture di giada, poi ai
vari mobili in mogano scuro appoggiati alle pareti. Anche le torce appese ai
muri sembravano riflettere sulla pietra una luce smeraldina.
Si ricordava bene l’unica
volta che era entrato nella Sala Comune di Serpeverde, quando lui e Ron si
erano travestiti da Tiger e Goyle per estrapolare informazioni a Malfoy. Quella
volta però, impegnato com’era nella sceneggiata, non era riuscito ad osservare
bene l’ambiente e l’unica cosa che gli era rimasta impressa era stata l’aria
umida e cupa dei sotterranei; ora invece doveva ammettere che, sebbene
l’illuminazione non fosse la migliore, la temperatura era perfetta e l’ordine e
la raffinatezza dell’arredamento donavano alla Sala un’eleganza con cui la
caotica Torre di Grifondoro non avrebbe mai potuto competere.
Pensando al caos che di
solito regnava sovrano nella Sala Comune rosso-oro, Harry notò per la prima
volta che quella di Serpeverde, invece, sembrava completamente deserta.
“Sono tutti a lezione o
nei propri dormitori,” disse Tom intuendo i pensieri del ragazzo, “ma prima di
pranzo si riempirà di sicuro.”
Harry fece qualche passo
in avanti, poggiando una mano sui fini intagli che percorrevano il bordo di uno
dei tavoli. “È tutto così… ordinato.”
Tom scrollò le spalle.
“Teniamo molto alla pulizia. Prima di parlare però, dovresti vederla nel
periodo esami. Quando ci sono in gioco i voti, la Foresta Proibita ci fa un
baffo al confronto.” Aggiunse ridendo.
Harry sorrise: Tom Riddle
aveva un contorto senso dell’umorismo.
Attraversarono la sala
fino ad una porta in legno situata in fondo a destra, dove si poteva leggere,
incisa sopra una placchetta d’argento, l’inscrizione: Prefetto – Tom O.
Riddle.
“Ok, queste sono le mie
stanze, quelle che d’ora in poi saranno anche le tue.” Cominciò Tom girandosi
con le spalla alla porta chiusa, tenendo il pomello fermo in una mano. “Regola
numero uno: non si mangia in camera da letto, c’è sempre il salottino se
proprio devi.”
Il moretto sgranò gli
occhi: salottino? Ma quanto era grande l’alloggio del Prefetto?
“Numero due: visto che
sembri essere abituato a svegliarti all’alba per fare non-so-che giù al lago,
se scopro che hai finito l’acqua calda, finisci a dormire sul tappeto.”
Harry rise, annuendo in
segno d’assenso. Tom lo guardò un attimo sorpreso da quel gesto, ma infine si
abbandonò ad un lieve sorriso, che poi scomparve immediatamente com’era venuto.
“Numero tre: vietato
portare qua ragazze e/o ragazzi. Se proprio devi fare qualcosa, che sia lontano
dai miei occhi e dalle mie orecchie. Orion ci ha provato una volta e le
conseguenze non sono state piacevoli.”
“Orion?” chiese curioso
Harry.
“Orion Black, la mia
spina nel fianco personale. Lo vedrai sicuramente ronzare attorno prima o poi e
anzi, sono sorpreso che non sia già qua ad imporre la sua inopportuna
presenza.” Rispose, ma il bagliore divertito che gli danzava negli occhi
suggeriva ad Harry che in realtà tutte quelle cose non le pensasse davvero.
“Comunque per finire,
beh, non è tanto una regola quanto un consiglio: se ci tieni alla privacy
chiuditi in camera, perché Orion e Giselle hanno la pessima abitudine di
comparire qua quando pare e piace loro, facendo come se fossero a casa
propria.”
Orion, Giselle, e poi?
Non aveva tenuto in considerazione il fatto che avrebbe conosciuto e dovuto
convivere con tanti altri ragazzi oltre che a Tom.
“Bene, ora che è tutto
chiaro, sarà meglio entrare.” E detto questo, il Prefetto aprì la porta ed
entrò.
Harry trattenne il
respiro. Sebbene non avesse mai avuto l’occasione di vederla, era sicuro che
nemmeno la stanza del Caposcuola di Grifondoro fosse tanto grande. La stanza
dove erano entrati era davvero un piccolo salotto, con tanto di divanetti e
tavolino, e una scrivania nell’angolo in fondo a sinistra. Sulla parete destra
invece c’era un’altra porta, che conduceva probabilmente alla camera da letto.
“Caspita, hanno fatto in
fretta,” disse Tom indicando uno dei divani dove era appoggiata un’uniforme
nera, “qui c’è già la tua divisa e l’orario delle lezioni.” Aggiunse
raccogliendo un foglietto di pergamena dal tavolino.
Harry si avvicinò ad
osservare il suo nuovo corredo, facendo un’espressione leggermente schifata
vedendo lo stemma di Serpeverde appuntato all’altezza del cuore: non ci si
sarebbe mai abituato. In più aveva un altro problema: nella lettera che aveva
scritto, facendo finta di essere suo zio, aveva detto che tutte le sue cose gli
sarebbero state spedite in giornata, ma in realtà aveva svuotato la Stanza
delle Necessità prima del colloquio col Preside e il suo baule era in quel momento
rimpicciolito nella sua tasca. Come fare in modo di tirarlo fuori senza che
l’altro Serpeverde se ne accorgesse?
Tom stava ancora
studiando il suo orario ed Harry, curioso, si avvicinò. Essendo però il
Prefetto girato di schiena e lui dieci buoni centimetri più basso, per poterlo
vedere dovette sporgersi al di là della spalla dell’altro, con il mento quasi
appoggiato nell’incavo del suo collo.
“Qualcosa non va con le
mie lezioni?” chiese, incuriosito da un così lungo scrutinio.
Tom si irrigidì di colpo
e si voltò di scatto, facendo quasi un salto all’indietro, un’espressione
illeggibile sul volto. Harry di rimando lo guardò confuso: ma che aveva fatto?
“Scusa, cosa hai detto?”
gli chiese il Prefetto con la voce stranamente incrinata.
“Ehm, no, niente.
Chiedevo solo se era tutto a posto col mio orario.”
Tom lo guardò un attimo
stranito. “Orar…?” poi abbassò lo sguardo verso il foglietto di pergamena che
ancora stringeva tra le dita. “Oh, l’orario certo. Cioè, no, non c’è nulla che
non va.” Rispose in fretta porgendoglielo.
Harry allungò la mano per
afferrarlo circospetto: Riddle si stava comportando in modo decisamente strano
rispetto al solito.
Lo vide ricomporsi in
pochi secondi e un attimo dopo si stava di nuovo rivolgendo a lui con la solita
espressione distaccata. “Io vado a farmi una doccia prima che diventi ora di
pranzo, tu cambiati pure qui e non uscire per nessun motivo fino a che non sono
di ritorno, intesi?”
Il moretto semplicemente
annuì di risposta mentre osservava, ancora leggermente confuso, il Prefetto
attraversare la stanza a grandi passi prima di chiudersi dietro le spalle la
porta della camera da letto.
Passandosi una mano tra i
capelli, Harry decise di lasciar perdere il suo nuovo compagno di stanza per il
momento, visto che gli si era appena presentata l’occasione per tirar fuori le
sue cose. Prese dalla tasca il baule rimpicciolito e si portò di fianco alla
scrivania prima di posarlo a terra e lanciargli un “Engorgio!”.
Dopo aver controllato che
tutti gli incantesimi serranti fossero al loro posto (non sarebbe stato
piacevole se qualcuno avesse trovato il suo libro di Storia della Magia con una
cinquantina di anni di storia in più), tornò dalla sua nuova divisa. Come
sempre indossava sotto i vestiti la pettorina in pelle di drago che faceva
parte della divisa da Auror ed era piuttosto reclutante a togliersela: in un
ambiente sconosciuto rinunciare alla costante protezione lo faceva sentire
vulnerabile.
‘Datti una svegliata
Harry,’ si disse, ‘non ci sono Mangiamorte in giro per la scuola, sei ad
Hogwarts in tempo di pace!’
Scuotendo la testa si
sbottonò la camicia e la ripiegò sulla spalliera del divano, prima di attaccare
i vari lacci che tenevano allacciata la pettorina. Quando ebbe finito, se la
sfilò rimanendo a torso nudo, e fece appena in tempo a rimpicciolirla e
mettersela nella tasca dei pantaloni, quando la porta dell’entrata si spalancò.
“Ehi Tom, com’è che non
c’eri a Difesa? Non sai che ti sei perso, Heidi aveva appena finito di
raccoglie le sue– oh… tu non sei Tom.” Disse lo sconosciuto.
Harry si voltò, ma ogni
parola gli morì in gola una volta visto in faccia il ragazzo che era entrato.
“Sirius…”
Tom si chiuse la porta
alle spalle con un lieve ‘click’ e vi appoggiò contro la schiena con un
sospiro. Che cosa gli stava succedendo? Che gli era preso prima?
Il piano che si era
formulato nella mente era semplice: quel ragazzo, chiunque fosse e qualunque
fossero i segreti che portava con sé, era estremamente potente. Era riuscito a
capirlo fin dal primo incontro, quando – e la cosa gli bruciava ancora un po’ –
era riuscito a schiantarlo senza troppe difficoltà. Era indispensabile che
riuscisse a farne un alleato, nonostante l’inspiegabile rancore che sembrava
serbare nei suoi confronti.
Si, doveva assolutamente
trovare il modo di avvicinarlo, fare in modo che si fidasse e infine sfruttarlo
nel modo più appropriato. E con un potere del genere, di modi ce n’erano a
volontà. Doveva stare attento però perché, se conoscenza significava potere,
tutti i segreti che quel ragazzo teneva potevano rivelarsi un ostacolo
difficile da sormontare. Come si tiene in pugno una persona di cui non si sa
nulla? Non poteva nemmeno usare la sua identità falsa come ricatto, tanto tra
poco più di due mesi sarebbe partito…
Una strana stretta allo
stomaco lo colpì a quel pensiero e, infastidito, si diresse verso il suo
baldacchino, notando per la prima volta il secondo letto sistemato sotto la
finestra. Perché gli dava tanto fastidio il pensiero che se ne sarebbe andato?
“Perché due mesi e mezzo
sono troppo pochi per poter mettere in atto il mio piano, ecco perché.” Si
disse ad alta voce, portandosi di fronte al suo grande specchio a parete e
osservandosi.
“Bugiardo,” gli rispose
il suo riflesso, la cui voce stranamente somigliava molto a quella di Black, “e
l’esserne stato ossessionato per più di una settimana dove lo metti? L’effetto
che ti fa guardarlo dritto in quegli occhi smeraldo? Il ritratto che ne hai
fatto?”
“Era solo perché volevo
scoprire chi fosse!” ribatté, senza nemmeno preoccuparsi del fatto che stesse
litigando con uno specchio.
“Certo, certo, ed è per
questo che sentirlo così vicino, sentire il suo fiato danzarti sul collo ti ha
fatto andare in black out il cervello poco fa, vero?”
“Quello… quello non
centra niente! E poi anche se fosse? D’accordo, ammetto di essere un minimo
attratto da quel ragazzo, non è la prima volta che succede, non vedo il grande
avvenimento.”
Il tono del riflesso si
fece triste tutto d’un tratto. “Sempre spaventato dai propri sentimenti, vero
Tom?”
Il Serpeverde si irrigidì
e l’espressione divenne di pietra. “Sentimenti?” disse improvvisamente
risoluto, “No, io non ho sentimenti, le uniche emozioni che provo sono rabbia,
odio, rancore” e dolore, aggiunse tra sé, “Harry Evans non è altro che l’ultimo
strumento da sfruttare, l’ultimo giocattolino con cui trastullarmi.
Nient’altro.”
Lo specchio non rispose,
limitandosi a riflettere la sua immagine. Ossessionato? Forse, lo ammetteva.
Perché a trovare irresistibile era il potere che quel ragazzo emanava, un
potere che in fatto di unicità era così simile al suo, così simile…
“… erano: sono morti
entrambi quando avevo un anno.” Un orfano, anche lui.
Così simile…
Riportò lo sguardo verso
il suo riflesso e incontrò i suoi stessi occhi, occhi che solitamente erano
tanto freddi e decisi e che ora invece ospitavano una punta di dubbio nelle
iridi color pece. Strinse i pugni voltandosi verso il nuovo letto comparso
nella sua stanza. Era stata una decisione avventata quella di far sistemare
Harry nella sua stanza. E se avesse cominciato ad impicciarsi troppo? Sembrava
già inspiegabilmente sapere così tante cose sul suo conto…
Tom spalancò gli occhi
mentre un orribile dubbio gli si formava in mente: sapeva forse anche della sua
ricerca? Del luogo che stava disperatamente cercando da mesi? E se avesse
cercato di intralciarlo?
No, Harry Evans non
doveva essere che una pedina da tenere a disposizione, non avrebbe mai permesso
che si mettesse in mezzo tra lui e i suoi piani.
Si voltò con decisione e,
dimentico della doccia, si diresse alla porta per provare a se stesso la
veridicità delle convinzioni che aveva appena raggiunto.
Convinzioni che, una
volta aperta la porta, volarono fuori dalla finestra, rimpiazzate da un’ondata
di rabbia e gelosia che lo investì allo scenario che gli si parò davanti.
Orion osservò il ragazzo
che gli era di fronte: no, decisamente non era Tom e anzi, non era nessuna
delle persone che conosceva. Aveva folti capelli castano quercia che andavano
da tutte le parti e occhi nocciola chiaro, quasi ambrati. Per non parlare dei
pettorali scolpiti e degli addominali definiti che si potevano vedere muoversi
sottopelle ad ogni movimento, sotto la dorata abbronzatura.
Si leccò le labbra
lasciando vagare lo sguardo su tutto il petto nudo dello sconosciuto, pensando
a diverse cose – nessuna delle quali particolarmente caste – che gli sarebbe
piaciuto fare su quegli addominali. Prima di saltargli addosso però, avrebbe
fatto meglio a scoprire chi fosse, o per lo meno che ci facesse nella stanza
del Prefetto.
‘E magari,’ aggiunse tra
sé, ‘perché mi sta guardando come se fossi un fantasma appena resuscitato.’
Infatti il ragazzo lo stava guardando fisso con l’espressione più sorpresa,
triste e incredula che Orion avesse mai visto. Sussurrò qualcosa, un nome
forse, ma lui non riuscì a sentire esattamente quale.
“Ehi, ragazzo, sicuro di
sentirti bene? Sei un po’ pallido…” tentò, ma senza ottenere alcuna risposta se
non lo sguardo perennemente fisso degli occhi nocciola.
Ora che gli stava
osservando il viso però, gli sembrava di notare una certa famigliarità… l’aveva
già vista da qualche parte quella faccia, ma non riusciva a ricordarsi dove. In
più c’era qualcosa che non andava nel suo aspetto: non sapeva esattamente cosa,
ma c’era come qualcosa di storto, di sbagliato nei tratti del suo volto.
L’altro intanto non aveva
ancora spiccicato parola e Orion cominciava un po’ a preoccuparsi.
“Ehm, ero venuto a
cercare Tom, il Prefetto. Sai, il proprietario di queste stanze…” spiegò
gesticolando intorno per indicare la sala. Lo sconosciuto però sembrava ancora
perso nei suoi pensieri, costringendo il Serpeverde ad un’altra tattica.
“Non so esattamente chi
tu sia,” iniziò cercando di sfoggiare il sorriso più rassicurante del suo
repertorio, “ma nemmeno io mi sono presentato, che maleducato: sono Orion
Black, piacere.” Aggiunse porgendo una mano all’altro.
Finalmente il ragazzo
sembrò scendere da qualunque pianeta la sua testa fosse finita e con due passi
raggiunse Orion per stingergli la mano, non abbandonando ancora lo sguardo
leggermente incredulo che il Serpeverde non riusciva a capire. Vicino com’era
adesso inoltre, Black constatò di essere quasi più alto dell’altro dell’intera
testa.
“Ehm, piacere, io… io
sono uno studente nuovo, sesto anno… ehm, scusa per.. per prima sai, è che non
conosco ancora molta gente… eheh” disse il ragazzo arrossendo leggermente e
passandosi una mano tra i capelli con fare nervoso.
Quando arrossiva così era
davvero adorabile!
“Nessun problema,
figurati! Sesto anno, eh? Ti avrei detto più giovane, ma forse solo perché hai
un’aria tanto tenera.” Rispose Orion facendogli l’occhiolino e godendosi il
furioso rossore che era salito sulle guance dell’altro a quelle parole.
“Avrei dovuto
aspettarmelo però,” continuò il Serpeverde con un piccolo ghigno scherzoso, “a
quindici anni non si hanno muscoli del genere.”
L’altro ragazzo spalancò
comicamente gli occhi, prima di abbassare la testa e constatare il suo stato di
semi-nudità che sembrava aver dimenticato. Con un verso shockato cercò di
allungarsi verso uno dei divanetti dove era adagiata una divisa, ma senza
riuscirci, dato che Orion lo prese per un braccio trattenendolo esattamente
dov’era.
“Eddai, cos’è tutta
questa timidezza, non hai davvero nulla di cui vergognarti, credimi.” Gli sussurrò
all’orecchio.
Se non altro servì solo
ad accrescere il panico del ragazzo, che con una straordinaria forza che Orion
non gli avrebbe mai attribuito a vederlo, si liberò dalla presa e fece uno
scatto verso il divano. Prima che potesse raccogliere l’uniforme però, il
Serpeverde lo aveva raggiunto e, spingendolo contro il divano, gli aveva
imprigionato la testa tra le sue due braccia, appoggiando i palmi delle mani
allo schienale.
“Ehi, ma di cosa hai
paura, non mordo mica sai? Oh almeno, a meno che tu non me lo chieda.” Gli
sussurrò lascivo, passandosi la lingua sulle labbra.
Era così intento ad
osservare la sua preda da non sentire la porta della camera aprirsi, ma non
poté ignorare la voce furibonda che gli ringhiò contro dall’uscio.
“Levagli – subito – le
mani – di dosso – Black!”
Orion si voltò,
trovandosi davanti la visione di Tom Riddle fermo sull’uscio della camera che
stringeva convulsamente il pomello della porta, con un’espressione furiosa che
gli aveva visto poche volte sul viso e gli occhi che avrebbe giurato stessero
brillando di un rosso acceso. Istintivamente si allontanò dal divano,
accorgendosi nel mentre che il ragazzo sotto di se si era portato una mano alla
fronte con un sibilo di dolore.
Il Prefetto si staccò
dall’uscio e con passi calcolati attraversò la stanza.
“Dimmi, Black,
esattamente, che cosa avevi intenzione di fare?”
Orion deglutì
rumorosamente, poi però, ricomponendosi un attimo, rispose: “Mi stavo
semplicemente presentando al nuovo studente, non mi sembra ci sia nulla di
male.”
Tom lo fulminò con lo
sguardo. “Da quando presentarsi vuol dire strappare di dosso i vestiti alla
gente?”
“Ehi, non ho strappato di
dosso un bel niente io, era già a torso nudo quando sono entrato, ha fatto
tutto da solo!” ribatté l’altro.
Il Prefetto ghignò. “Un
bel cambiamento dalla tua solita routine immagino.”
I due Serpeverde rimasero
a fissarsi in cagnesco, finché Harry, ancora per metà stordito dal dolore
lancinante alla sua cicatrice, non si decise ad intervenire.
“Eddai, tutti e due, non
è successo niente. Tom, invece di litigare, perché non mi presenti?” tentò di
riappacificare.
L’indirizzato lo ignorò
completamente, preferendo cercare di uccidere con lo sguardo il compagno di
Casa.
“D’accordo, fa niente.”
Sospirò Harry, decidendo di cambiare tattica. “Orion, giusto?” si rivolse
all’altro Serpeverde, che interruppe la battaglia di sguardi, “Piacere, io sono
Harry Evans.”
Qualcosa scattò nella
mente di Orion. Harry Evans, Harry
Evans, Harry… ma certo! Ora ricordava dove l’aveva visto! Era il
ragazzo del ritratto che aveva fatto Tom! Eppure… era leggermente diverso, i
capelli avrebbero dovuto essere neri e gli occhi, Tom non aveva scritto che
erano verdi? Forse era questo che sembrava stonare nel suo aspetto… ma perché
nascondere i suoi veri tratti fisionomici?
Qualunque risposta avesse
in previsione, venne interrotta dall’aprirsi della porta della sala. Una
ragazza dai voluminosi capelli biondi, lineamenti raffinati e portamento
elegante entrò con disinvoltura nella stanza, noncurante degli altri tre
ragazzi presenti. Quando però i suoi occhi blu cobalto si posarono su Harry,
una scintilla sembrò accenderlesi nello sguardo.
“E questo giovanotto chi
sarebbe?” chiese avvicinandosi.
“Sono un nuovo studente,
devo fare il sesto anno. Harry
Evans, piacere.” Rispose Harry.
“Oh, piacere mio, Giselle
Malfoy. Sesto anno hai detto? Sembri così piccolo! Saranno le gote rosse che
danno l’impressione sbagliata.” Aggiunse arruffandogli i capelli e lasciandolo
di stucco. “Un altro studente nuovo, è già il secondo quest’anno, anche se
l’altro se l’è preso mio fratello. Ma cosa fai senza una maglietta addosso? È
inverno, non fa poi così caldo. Ah, ho capito, non dire altro, Orion ha già
tentato di molestarti, vero? Non farci caso, ti ci abituerai presto, fa così
con tutti il nostro playboy!”
Harry la guardava con
occhi stralunati: possibile che non avesse preso fiato nemmeno una volta?
“Ehi, non sono così
maniaco!” protestò Orion con aria indignata, ma un’occhiataccia da parte di Tom
lo zittì. “Comunque Giselle ha ragione Harry, non preoccuparti che non alzerò
neppure un dito su di te d’ora in poi.” Aggiunse guardando di sottecchi il
Prefetto che gli stava a fianco. “È tutto tuo, Tom.” Gli sussurrò all’orecchio
in modo che fosse l’unico a poter sentire.
L’altro Serpeverde di
risposta sbuffò e non diede altro segno di riconoscimento.
“In ogni caso ragazzi,”
continuò Giselle, “sono venuta qui perché tu” indicò Orion, “hai gli
allenamenti di Quidditch e stanno aspettando tutti te, e tu” indicò Tom, “hai
bisogno di trovare una buona scusa da dare al Professor Donill sul perché non
eri a Difesa, ti vuole nel suo ufficio. Quanto a te Harry, ti consiglio di
metterti qualcosa addosso, prima che questi signori ti mangino con gli occhi.”
Harry arrossì nuovamente
e lanciò un’occhiata a Tom di sottecchi, ma il Prefetto aveva voltato la testa
dall’altro lato. Prese finalmente la propria divisa dalla poltrona e se la
infilò con facilità, per poi girarsi verso gli altri occupanti della stanza:
Tom era ancora ostinatamente voltato da un’altra parte, Orion guardava Tom
ridendo sotto i baffi e Giselle si osservava attentamente la manicure.
Fu il Prefetto a rompere
il silenzio. “Io andrò dal Professor Donill, il cielo non voglia che trovi
altri pretesti per togliere punti a Serpeverde. Harry,” disse poi rivolgendosi
al ragazzo, “resta con Giselle.” E detto questo girò i tacchi e uscì
chiudendosi la porta alle spalle.
“Beh, a me non resta che
dirigermi al campo allora.” Disse Orion stiracchiandosi come un gatto. “Giselle,
tu che fai, resti a vedere gli allenamenti?”
“Naturalmente, Madlene e
Heidi mi aspettano già sugli spalti.” Rispose lei arricciando una sua ciocca su
una delle dita affusolate.
“Ehi Harry,” gli si
rivolse il Serpeverde, “ti piace il Quidditch?”
Il primo vero sorriso da
quando era arrivato nel passato si aprì sul viso dell’ex-Grifondoro.
“Ma certo che adoro il
Quidditch! Giocavo come Cercatore nella… nelle partite con gli amici.” Rispose,
ricordandosi che in teoria non aveva mai frequentato una scuola.
Il suo sorriso venne
rispecchiato sul volto di Orion e mai come in quel momento quel ragazzo
sembrava la copia carbone di Sirius.
“Perfetto, allora vieni con noi che ti faccio
conoscere la squadra. Sai, sono convinto che anche quest’anno vinceremo la
coppa, pensa che l’altroieri…” continuò il ragazzo sempre più lanciato in una
lunga discussione sul Quidditch, mentre tutti e due entravano nuovamente in
Sala Comune, con una bionda leggermente annoiata alle calcagna.
A.N.:
Secondo voi è più bello Tom confuso o Tom arrabbiato? :P Nah, niente da fare,
mi piacerà sempre qualunque cosa faccia XD.
Ma bando alle ciance,
sono un po’ di fretta, quindi non ho tempo di rispondere alle recensioni, ma
sappiate che vi ringrazio di cuore per tutto il vostro appoggio, siete
veramente indispensabili e leggere i vostri commenti mi illumina sempre la
giornata! Grazie mille!
P.S.: ho modificato leggermente il riassunto della storia, perchè quello che avevo messo all'inizio non mi piaceva granchè, ma non è cambiato praticamente nulla, era solo per informarvi ^^
Altri Personaggi:HermioneGranger,
Minerva McGranitt, Luna Lovegood,
DracoMalfoy, altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 13.A Proposito di Quidditch
“Sicuro di non essere gay?”
Harry sospirò ed alzò gli occhi al cielo. “Si, Orion, per l’ennesima volta: no, non sono gay.”
“D’accordo, d’accordo.” Rispose il ragazzo, mentre
stava seduto a cavalcioni sulla sua scopa, che galleggiava
a mezz’aria di fronte agli spalti.
Harry, insieme ai suoi due nuovi compagni di Casa,
era infine sceso a vedere gli allenamenti della squadra. Mentre Orion, che giocava come Cacciatore, era andato negli
spogliatoi a cambiarsi, Giselle lo aveva trascinato
sugli spalti dell’ala destra per raggiungere le sue due amiche: MadleneAvery e HeidiRosier.
Harry si voltò ad osservare il gruppetto di ragazze
che chiacchieravano e ridevano insieme. Heidi aveva
capelli rossi piuttosto corti, portati in un caschetto
in stile un po’ retrò. Il nasino a punta e le guance rosee le davano un’aria
innocente che veniva dissipata dallo sguardo furbesco
che si accendeva ogni tanto nei suoi occhi ambrati. Sempre che non stesse
guardando l’attuale portiere della squadra, un certo RudolfLestrange, perché in quel caso qualunque espressione
avesse, si scioglieva in quella che si poteva definire solo come pura
adorazione. Da quel che Harry aveva capito, quei due erano la coppia più
mielosa di tutta Hogwarts.
Madlene invece era di tutta altra
pasta. I folti capelli color cioccolato le ricadeva sulle spalle in soffici
onde, facendo sì che alcune ciocche si insinuassero provocanti nella scollatura
della camicetta, lasciata strategicamente aperta dei primi tre bottoni. I tratti
del viso erano accentuati da una buona dose di trucco pesante e, seppure non si
potesse negare che fosse estremamente bella, mancava del tutto della
raffinatezza di Giselle. Ogni tanto mentre
gesticolava, accavallava e scavallava le gambe,
facendo notare il bordo del reggicalze appena nascosto dalla gonna della
divisa, inspiegabilmente più corta dello standard.
C’era qualcosa in quella ragazza che non piaceva
affatto ad Harry, fosse stato per lo sguardo malizioso
e la risata falsa, o l’attitudine a guardare il resto del mondo dall’alto in
basso. Persone come quelle avevano dato a Serpeverde
la sua famosa e ingrata fama.
“Ma vuoi dirmi che non ci hai mai fatto neppure un
pensierino?” lo distolse dai suoi pensieri la voce di Black.
In quel momento il ragazzo, che in teoria doveva
essere al centro del campo ad allenarsi con gli altri, aveva deciso che
lasciare solo Harry con un branco di ragazze non fosse il modo migliore per
dare il benvenuto al nuovo studente. Per cui si era avvicinato, ancora in sella
alla scopa, per fare un po’ di compagnia al nuovo venuto.
Harry gliene sarebbe stato pure grato, se non fosse
per il fatto che già dopo cinque minuti si era ritrovato a chiedersi se gli
argomenti di conversazione del Cacciatore non fossero più ‘da ragazze’ di quelli del gruppetto a pochi metri da loro.
“No, non ci ho mai fatto nemmeno un pensierino,
perché avrei dovuto?” chiese Harry leggermente esasperato,
dopo la ventesima volta che tornavano a discutere le sue preferenze sessuali.
“Beh, se non ci hai mai pensato non puoi ancora
sapere con certezza se ti potrebbero piacere o no anche i ragazzi. Ti escludi
un sacco di possibilità in questo modo, credimi.” Gli
rispose Orion facendogli l’occhiolino. “Davvero non
hai mai guardato un ragazzo trovandolo attraente?”
Harry aprì la bocca per rispondere che
assolutamente no, non gli era mai capitato, ma poi si bloccò. L’immagine di
quella sera di qualche giorno prima gli tornò alla mente, e il viso di Tom gli si delineò davanti agli occhi. Non aveva forse
pensato esattamente quello, vedendo il Serpeverde
sorridere? Scosse la testa. No, una cosa era ammettere l’oggettiva bellezza di
qualcuno, un’altra era trovare quel qualcuno attraente.
Non vide mai il ghigno vittorioso di Black al suo
indugio.
“Ascolta, mi sono sempre piaciute ragazze” rispose
infine, “non mi sembra difficile capire che sono etero!
Sono sempre stato bene con loro,” fece una piccola
pausa, pensando al fiasco con Cho, “ok, magari solo con una, l’altra è stata un vero disastro,
ma non vuol dire che non mi piaceva!”
Orion sgranò gli occhi. “Sei
stato con solo due ragazze? In tutta la tua vita?” chiese incredulo.
Harry si sentì leggermente offeso. “Avevo altre
cose a cui pensare!” ribatté arrossendo. “Perché, tu
invece con quante ragaz… persone sei stato,
scusa?”
Il Serpeverde lanciò un
fischio e alzò gli occhi al cielo. “Oh, e chi lo sa? Ho perso il conto dopo la
prima ventina!” rispose ridendo.
Harry però si fece serio. “Beh, io non sono così,
non credo nella botta e via. Se vuoi davvero una persona, non puoi volerla per
una sola notte. E se ami una persona, è inconcepibile il solo pensiero
di lasciartela sfuggire dopo solo qualche ora.”
Orion lo osservò per qualche
secondo, rivolgendogli un improvviso sorriso dolce. “Ci credi davvero, non è
così? Ad amare qualcuno intendo.”
Harry annuì. Come poteva non credere nell’amore, se
era grazie a quello che era vivo?
“Penso che tutti, anche inconsciamente, ci credano.
Guarda te stesso per esempio, anche se non hai una storia fissa da… da sempre
immagino” scherzò, beccandosi un leggero pugno sulla spalla, “pensa alla tua
famiglia, o anche agli amici. Non è possibile non trovare qualcuno da amare,
tra tutte le persone che si conoscono.”
Orion si voltò ad osservare gli
altri giocatori, l’espressione improvvisamente seria, velata di leggera
tristezza. “Spero che tu abbia ragione.”sospirò, ed Harry capì subito a chi stava pensando.
Rimasero in silenzio per qualche altro secondo, poi
il Cacciatore si spostò di fianco ad Harry e tese un
braccio verso il campo, dove gli altri membri della squadra svolazzavano da una
parte all’altra.
“Vedi quello lì? Il biondino?” disse, indicando un
ragazzo che volava un po’ più in alto degli altri, mentre faceva vagare lo
sguardo da una parte all’altra del campo, evidentemente alla ricerca del
boccino. “Dimmi cosa ne pensi.”
“Ancora? Ma non ti arrendi mai?” disse Harry
alzando gli occhi al cielo e sospirando esasperato.
“Eddai, solo cosa ne
pensi, obbiettivamente.” Rispose l’altro.
Harry lo guardò in tralice sospettoso, ma si
rassegnò a spostare lo sguardo verso il Cercatore in questione. Era piuttosto
lontano, quindi non si riuscivano a scorgere i piccoli particolari, ma nel
complesso ci si poteva fare un’idea abbastanza precisa. Proprio in quel momento
inoltre, il ragazzo si buttò in picchiata d’improvviso e, arrivato ad una
decina di metri dal terreno, virò a sinistra col braccio teso in avanti. Con
uno slancio finale allungò la mano e la chiuse intorno al boccino, sorridendo
entusiasta nel guardare il suo piccolo trofeo, mentre gli altri giocatori gli
si avvicinavano per dargli pacche sulla spalla di congratulazioni.
“Beh, obbiettivamente non si può dire che
sia brutto, e come corporatura, sebbene sia un Cercatore, non è smilzo e
mingherlino, anzi, anche da qua si vede che è abbastanza atletico.” Iniziò Harry, ignorando gli sghignazzi del ragazzo di
fianco a sé. “Poi ha dei bei capelli, si vede da come si muovono al vento che
sono puliti. E un bel sorriso, non c’è dubbio.”
Orion annuì, ancora divertito. “Mh, mh, tutto questo obbiettivamente.” Allo sguardo omicida che gli venne
rivolto decise di smetterla con le prese in giro. “Ok,
ok, ora vediamo… cosa ne pensi di Madlene?”
Harry si voltò verso la ragazza. “È molto carina,
ma mette troppo trucco.” Fece scorrere gli occhi verso
il basso, “E gonne troppo corte.”
Orion annuì pensoso, “Gonne
troppo corte, uhm? Nient’altro? Che mi dici dei capelli?”
“Ehm, sono lunghi? E marroni.”
Orion alzò un sopracciglio, ma
non commentò. “E il seno?”
Harry osservò, un po’ imbarazzato, l’abbondante
scollatura della moretta. Ma come facevano a non cadere in avanti certe
ragazze? Ginny gli era piaciuta così com’era ed aveva
nemmeno la metà del volume di Madlene.
“Ingombranti penso.” Rispose infine, ancora intento
a comparare le due ragazze nella mente.
Orion sgranò gli occhi e scoppiò
a ridere, tanto che rischiò di cadere dalla scopa.
“Ingombranti! Merlino Harry, devi essere la prima
persona al mondo a descrivere le tette di Madleneingombranti!”
“Beh, dai, guarda anche tu! Pensi che staresti
comodo con quelle due cose su di te?” ribatté Harry, ormai rosso fino alla
punta dei capelli.
L’altro ghignò malizioso e rispose: “Ah, su di me
non saprei, ma ti assicuro che sotto di me comode lo sono eccome.
Provare per credere!”
Stavolta a beccarsi un pugno sulla spalla fu Orion, mentre continuava a ridacchiare. “Maniaco.” Gli
sussurrò Harry, nonostante ridesse anche lui.
“A parte gli scherzi, devo presumere che la tua ex
non avesse l’equipaggiamento di Madlene…” continuò il
Cacciatore e, vedendo l’altro scuotere la testa, aggiunse “Parlami un po’ di
lei.”
“Vuoi che ti parli di Ginny?”
rispose sorpreso Harry.
“Ginny eh? Sta per
Ginevra o Virginia?” chiese Orion appoggiando un
gomito sul manico di scopa e la testa sulla mano, con fare interessato.
“Ehm…” in verità non se l’era mai chiesto, “non lo
so con certezza, tutti l’han
sempre chiamata Ginny, penso che sia proprio il nome
intero.” Rispose Harry pensoso.
“E quindi? Alta, bassa, magra, grassa…” insistette
il Serpeverde.
“Beh, non è molto alta e sicuramente non è grassa,
ma non devi farti ingannare dalle apparenze, ha un caratterino…” iniziò Harry,
sorridendo ai ricordi, “È sempre solare e vivace, ma se si mette in testa di
fare qualcosa, non c’è verso di farla desistere. Credimi, non sarebbe piacevole
trovarsi davanti alla sua bacchetta quando ha sulla
punta della lingua una maledizione Orcovolante. Non
si fa mai mettere i piedi in testa da nessuno e anche quando –”
“Si, si, ok, ho capito.
Ma fisicamente?” lo interruppe Orion con un gesto
spazientito della mano.
Harry lo guardò perplesso. “Te l’ho detto, è bassina e piuttosto magra. E ha i capelli rosso fuoco, come
tutta la sua famiglia del resto.”
L’altro scosse la testa. “Vabbeh,
lasciamo perdere, sei un caso perso.” Ma prima che
Harry potesse ribattere aggiunse: “E vi siete lasciati perché tu venivi a
studiare qui adHogwarts?”
L’ex-Grifondoro si
irrigidì. ‘No, non per quello. Perché se fosse morta
non me lo sarei mai perdonato.’ Pensò, ma dopo qualche secondo, ricordandosi
che Orion aspettava ancora una risposta, si riprese.
“Si, in un certo senso.”rispose
in tono piatto. Poi, con aria molto più allegra
aggiunse, “Ma siamo rimasti ottimi amici, e l’ultima volta che l’ho vista si
era rimessa con un suo ex, un altro mio amico tra l’altro, e sono felice per
entrambi.”
“Meglio così.” Rispose Orion,
prima di voltarsi e guardare gli spalti, ora vuoti. “Diamine, Giselle deve essere tornata in dormitorio con le altre… Ti
dispiace tanto se ti lascio qui da solo?” chiese, con una nota preoccupata nella
voce.
“Ma figurati, va benissimo. Credo che riuscirò a
non mettermi nei pasticci qui, solo,” si guardò
intorno, “in mezzo al nulla.” Lo rassicurò ironicamente Harry, ma l’altro
sembrava ancora inquieto e setacciava il campo con lo sguardo alla ricerca di
qualcuno che conoscesse.
“Merda, se Tom viene a sapere che ti ho lasciato qua solo mi sbrana.” Sussurrò tra sé e sé il Cacciatore, ma non così basso da
non farsi sentire dall’altro, che sbuffò.
“Non credo che gli intereressi più di tanto la
salvaguardia dell’ultimo arrivato” rispose Harry, ignorando la vocetta nella sua mente che aggiunse ‘E di chi è la colpa?’
Ma Orion aveva spostato
lo sguardo su di lui, e con un sorriso sornione aveva risposto: “Oh, ci tiene
più di quanto tu non pensi.”
Harry lo guardò confuso, ma l’altro non aggiunse
spiegazioni al suo sguardo interrogativo. Anzi, il Cacciatore non stava nemmeno
più guardando Harry, ma il lato opposto del campo da Quidditch,
con occhi sbarrati e bocca spalancata dalla sorpresa.
“Tom?!” esclamò quello, stupefatto.
Harry spostò lo sguardo nella stessa direzione di
quello del moretto e vide che, in effetti, TomRiddle stava salendo con passo spedito le scalette che
portavano agli spalti, ogni tanto fermandosi e guardandosi intorno, come se
stesse cercando qualcosa.
“Ehm, scusa Orion, ma
perché sei tanto stupito? Che c’è di strano?” chiese
il ragazzo seduto.
“No, no, niente. Cioè, si… è che credo di non aver
mai visto Tom qui al campo da Quidditch,
se non ad un paio di partite nei primi anni.” Rispose,
continuando a tenere gli occhi incollati al suo compagno di Casa, “Sai, non è
esattamente un fan di questo sport, anzi, lo reputa un’enorme perdita di tempo.
È solo strano vederlo qui, ecco tutto…”
Harry annuì pensoso: non aveva forse letto qualcosa
di simile in una delle poche entrate che aveva letto nel vecchio diario di Tom? Osservando la figura lontana del Serpeverde,
che continuava a scrutare il campo da Quidditch,
aggiunse:
“Sembra che stia cercando qualcosa…”
Orion si tirò una manata in fronte.
“Ma certo, che stupido…” ridacchiò, prima di sistemarsi meglio sulla scopa e
sventolare le braccia in aria, gridando: “Tom! Ehi Tom! Quaggiù!”
Il Serpeverde fermo sugli
scalini si voltò sentendosi chiamare e, una volta individuati
i due compagni di Casa, affrettò il passo nella loro direzione. Più si
avvicinava, più Harry poteva notare l’espressione irritata sul suo bel volto.
Una volta che il Prefetto li ebbe raggiunti, Orion
non perse tempo a svolazzargli davanti, con un grosso sorriso.
“Tom! Qual buon vento ti
porta fin quassù, nell’umile dimora dei fanatici del Quidditch?”
Di risposta il Serpeverde
indirizzato non gli rivolse altro che uno sguardo gelido, prima di spostare
l’attenzione verso il ragazzo ancora seduto sugli spalti.
“Non ti avevo forse detto di rimanere con Giselle?” lo apostrofò acido Tom,
incatenando gli occhi scuri ai finti nocciola dell’altro.
Harry, non capendo il motivo dell’irritazione del
compagno, aprì la bocca per rispondere, piuttosto indignato, che Giselle era appena andata via e che in ogni caso non aveva
certo bisogno di una baby-sitter, maOrion lo batté sul tempo.
“EddaiTom, cosa hai paura che gli faccia?” chiese il Cacciatore
portandosi nuovamente al fianco di Harry e stringendo languidamente le braccia
intorno al petto di quest’ultimo, che sorpreso cercò
di protestare inutilmente. “Ti assicuro,” continuò
imperterrito il moretto, con un ghigno sornione, “nulla che anche lui non
voglia. Ti da forse fastidio?”
Tom era rimasto a guardare con
espressione indecifrabile, avendo riconosciuto il povero tentativo di Orion per quello che era. Non poté fare niente
però per la piccola vena che gli stava pulsando ritmicamente su una
tempia, né per le dita che si contraevano in pugni nelle tasche della divisa.
Un fischio sonoro ruppe la tensione e fece voltare
il terzetto verso l’altro lato del campo, dove una delle giocatrici che
volavano a mezz’aria si stava sbracciando nella loro direzione, con un
fischietto in bocca e un’espressione poco amichevole sul viso. Approfittando della
distrazione, Harry riuscì a liberarsi dalla stretta di Orion
e ad alzarsi in piedi, mentre il Cacciatore, avendo recuperato il suo sorriso
giovale, si librò di un metro in aria.
“Oops, scusate
ma mi sa che devo riprendere l’allenamento. Grazie mille per la
chiacchierata Harry. Tom, ci vediamo a cena suppongo.” E detto questo sfrecciò verso il centro del campo, mentre
i due ragazzi rimasti sugli spalti si divertirono brevemente nel vederlo farsi
sgridare dal Capitano. Quando l’allenamento riprese il suo normale corso, Harry
si sentì prendere da un braccio.
“Su, forza, torniamo in Sala Comune.” Disse Tom voltandosi per scendere.
“Ehi no, aspetta! Io voglio finire di vedere
l’allenamento!” ribatté Harry cercando di liberarsi dalla presa ferrea.
Tom lo guardò per un attimo,
prima di gemere e alzare gli occhi al cielo. “Non dirmi che sei anche tu un
fanatico di questo… sport.” Disse, sibilando
l’ultima parola come se fosse stata una bestemmia.
Harry si liberò il braccio con uno strattone. “Si, si da il caso che mi piaccia molto il Quidditch
e anzi, ero solito giocare come Cercatore.”
“Perfetto, come se non ce ne fossero già abbastanza
nel nostro anno.” Borbottò il Prefetto. “Beh, io non
ho intenzione di perdere altro tempo.” Ribatté
seccato.
“Vai allora,” rispose
semplicemente Harry, risedendosi noncurante sugli spalti, “nessuno te lo
impedisce.”
Tom lo guardò sorpreso e
indignato. “Cos-? No, aspetta… ma io non…” non
trovando le parole per esprimere il suo sdegno, si limitò a guardarlo male.
“Non voglio guardare il Quidditch!”
Ma Harry non lo ascoltava, o per lo meno faceva
finta di non farlo, e teneva gli occhi puntati sulle azioni di gioco, ignorando
il compagno di Casa.
Dopo qualche secondo, Tom
alzò le braccia al cielo. “E va bene, va bene!” disse, sedendosi di fianco
all’altro ragazzo, incrociando le braccia.
Harry finalmente si voltò. “Visto? Non era tanto
difficile.” Gli disse con un sorriso, ma senza
ottenere risposta. Osservò attentamente il Prefetto seduto di fianco a sé:
fronte corrugata, braccia incrociate, labbra assottigliate… Oddio, non stava
per caso…
“Non ci posso credere!” esclamò Harry divertito,
“stai tenendo il broncio!” e scoppiò a ridere.
“Cosa? Non è vero!” si difese Tom,
ma l’altro non lo ascoltava, e continuava a ridere, tenendosi la pancia con un
braccio.
“Mai, mai nella mia vita” riuscì a dire, tra una
risata e l’altra, “avrei pensato di poter vedere TomRiddle tenere il broncio!”
Il Prefetto si alzò in piedi. “D’accordo, basta. Me
ne ritorno in dormitorio.” E fece per andarsene, ma Harry gli afferrò un lembo
della divisa, fermandolo.
“Eddai, stavo solo
scherzando” gli disse, asciugandosi le lacrime dagli occhi, “Torna qua.”
“Non amo le persone che ridono di me.” Sibilò tra i
denti Tom, ma non tentò di liberare i vestiti dalla
presa dell’altro.
“Scusa, davvero, non volevo offenderti.” Si scusò
Harry, tirando leggermente la divisa del Prefetto. “Torna giù, ho anche
qualcosa da chiederti.”
Tom lo fissò per qualche
secondo, come a soppesare la sincerità di quelle parole, poi ,
con un sospiro, si risedette di fianco al compagno di Casa, che gli elargì un
ampio sorriso.
“Sentiamo, cos’è che devi chiedermi?”
“Hai detto che ci sono un sacco di appassionati nel
nostro anno, chi è che è in squadra?” chiese Harry indicando i giocatori che
svolazzavano in aria, “So già di Orion e RudolfLestrange, ma gli altri?”
“Del nostro anno in più c’è solo CalebDolohov, il Cercatore.” Rispose Tom indicando il
biondino di cui Orion aveva voluto sapere prima il
parere di Harry. “Il Capitano e Cacciatore invece, è la ragazza col fischietto,
Dorea Black.”
“Black?” chiese Harry sorpreso.
“Si, è una cugina di Orion.
Frequenta l’ultimo anno, ma sua sorella, Justine, è nel sesto con noi, è l’altro Prefetto.” Spiegò l’altro paziente, ritornando poi ai giocatori. “I due
Battitori sono uno del quarto e uno del quinto anno, mentre l’ultimo
Cacciatore, la ragazza coi capelli ricci, è nello stesso anno di Dorea, Isabella Roockwood.”
Harry osservò ad una ad una tutte
le piccole figure svolazzanti, attribuendo ora alla maggior parte un nome.
Vedendo le scope sfrecciare e il vento scompigliare i capelli, una forte
malinconia lo prese, stringendogli lo stomaco. Gli mancava così tanto volare…
Da quanto tempo era che non saliva sulla sua Firebolt?
Troppo per i suoi gusti, ma qui non poteva nemmeno tirarla fuori, troppo era il
rischio di suscitare domande indiscrete.
“Quanto darei per poter tornare in aria…” sussurrò
senza nemmeno accorgersene.
“Perché hai smesso?” gli chiese Tom,
avendolo sentito.
Harry soppesò per qualche secondo la domanda.
“Avevo… cose più importanti a cui pensare.” Disse
infine, “Ma è una delle cose che mi mancano di più al mondo.”
Tom riportò lo sguardo verso
il resto dei giocatori. “Non ho mai capito l’attrattiva di questo sport,” disse infine con tono scettico, “sono solo sette persone
che rincorrono palle di diversa grandezza.”
“C’è molto di più di questo!” ribatté Harry
indignato, “È la sensazione di salire in aria, l’adrenalina della competizione,
sentire l’aria sfrecciarti di fianco e doversi concentrare solo sul proprio
obbiettivo… e poi è anche un gioco di strategia sai? Guarda i Cacciatori, vedi
come sono schierati?” disse al Serpeverde puntando un
dito in direzione del campo, “Quella si chiama Formazione Testa di Falco. E
vedi i Battitori come dividono l’attenzione tra i Cacciatori e il Cercatore?
Mai lasciare il Cercatore scoperto, nemmeno se tutta la squadra avversaria si
lanciasse sui propri anelli.”
Tom sembrava ascoltare attento mentre osservava i giocatori cambiare posizione ed
assumere forme diverse, ma la sua espressione rimaneva impassibile. “Più che
formazioni e strategie mi sembra che stiano organizzando un balletto.” Esordì infine.
Harry scoppiò a ridere tanto da essere costretto a
tenersi una mano sulla pancia. “Sei davvero un caso senza speranze Tom.” Riuscì a dire tra una risata
e l’altra.
Questa volta, riconoscendo l’innocenza delle parole
dell’altro, il Serpeverde non si offese e, forse
semplicemente a causa della risata contagiosa del compagno, si ritrovò a sorridere
a sua volta malgrado tutte le sue riserve.
A.N.:Non
preoccupatevi, non dovrete ricordarvi tutti i nomi che sono saltati fuori nella
squadra! Anzi, probabilmente oltre a quelli che erano già stati presentati in
passato soltanto Bustine Black potrebbe avere qualche rilevanza…
Poi seriamente, ma la Rowling ha una qualche
idea di come si comporta un tipico diciassettenne? Perché se in tutta la sua
vita Harry ha avuto solo una storiella e mezzo (che dai libri sembra comunque
non aver portato a nulla =_=) o è davvero un imbranato, o è gay e non lo sa XD.
Parlando di cose più tecniche, sto cercando di
rivedere un paio tra i capitoli che ho già scritto (ma che non ho ancora
pubblicato) per velocizzare un po’ le cose: i nostri due ragazzi la stanno tirando
un po’ troppo per le lunghe, che ne dite? Non so, credo che, benché lo faccia
per dare una più ampia visione dell’ambiente di Hogwarts,
stia dando troppo spazio ad altri personaggi (che posso assicurare hanno un
loro ruolo nella storia, seppur marginale) e questo porta ad uno sviluppo
troppo lento della storia tra Harry e Tom… non so,
visto che la storia è già progettata non dovrebbe essere troppo importante, ma
voglio sapere che ne pensate: in fondo scrivo anche per voi! ;)
RISPOSTE:
Ginny W: a quanto pare Tom ha davvero un problema con la gelosia
:P. E, anche a proposito della scena dello specchio, tra i due sembra
che il primo a svegliarsi sia proprio lui… quanto tempo ci vorrà ad Harry? :P
Selene_90: non preoccuparti, aggiorno ogni
settimana, sempre al Venerdì. Se c’è qualche
cambiamento avviso prima o, nel caso che non lo faccia, devo essere in ospedale
e allora non è colpa mia XD.
Kagchan: Orion
non smetterà mai di molestare il nostro protagonista a quanto sembra XD E Tom, beh, almeno lui di qualcosa si sta accorgendo, mentre
Harry… beh, ce la faranno a trovarsi prima o poi, assicuro! XD
KIA: grazie mille per tutti i complimenti, e certo
che sono contenta di aver una nuova ammiratrice! (Anche
se ammetto che il concetto di avere delle ammiratrici mi suona ancora un po’
strano ^^”). Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo e aspetto i tuoi
commenti!
Altri Personaggi:HermioneGranger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, DracoMalfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e
ancora Slash
Capitolo
14.Serpeverde e Corvonero
Harry era nervoso. Non sarebbe dovuta essere una
novità in teoria: aver vissuto gli ultimi tre anni in guerra, i quattro
precedenti cercando annualmente di non farsi ammazzare, essere stato
catapultato cinquanta anni nel passato trovandosi a convivere con la vera
ragione di tutte le sue sventure… beh, non si potevano definire esperienze
rilassanti. Eppure, nonostante tutto, nessuna di quelle ragioni costituivano in
quel momento il motivo del nervosismo di Harry.
No, quello di Harry era qualcosa di molto più
banale e terrificante allo stesso momento: il primo giorno di scuola.
‘Sei a Hogwarts,’
si ripeteva mentre stava fisso a guardare le porte che si aprivano sulla Sala
Grande, ‘di che ti preoccupi?’
Ma questa non era la sua Hogwarts,
non erano i suoi compagni di scuola quelli che in quel momento erano
felicemente seduti ai tavoli mangiando e chiacchierando, non erano i suoi i
professori che osservavano il corpo studentesco dall’alto del loro tavolo,
forse pensando alla lezione del giorno.
Ecco, le lezioni erano forse l’unica cosa che Harry
poteva considerare la sua via di fuga. Fino a che non fosse stato testato per i
G.U.F.O. avrebbe seguito solo quelle obbligatorie,
come in un orario del primo e del secondo anno, più quelle meno impegnative,
così da poter utilizzare – in teoria – le ore buche per ripassare in vista
dell’esame imminente. Esame che era sicuro di poter passare senza nemmeno dover
aprire un libro, per cui era libero di usare le ore a
disposizione per le sue ricerche in biblioteca.
Un gruppetto di Tassorosso
gli passò davanti lanciandogli occhiate curiose. In effetti
uno studente mai visto che rimaneva fisso come un baccalà di fronte alle porte
della Sala Grande doveva pur suscitare l’interesse di qualcuno.
“Harry!” sentì qualcuno chiamarlo alle spalle.
Il ragazzo si voltò in direzione della voce e vide,
a qualche metro di distanza, Tom salire le scale che
conducevano ai sotterranei e dirigersi verso di lui.
“’Giorno, Tom.” Rispose
Harry con un piccolo cenno del capo.
Il Serpeverde, una volta
raggiunto
il compagno di Casa, lo squadrò da cima a fondo, in una specie di radiografia a
raggi X con gli occhi.
“Hai i polsini della camicia slacciati, stai
pestando uno dei lacci delle tue scarpe e…” inclinò leggermente la testa da un
lato, “dov’è la tua cravatta?” finì, puntando gli occhi neri in quelli finto
nocciola dell’altro.
Harry sgranò gli occhi. “Come scusa?”
Tom sospirò, “Ho detto che hai i polsini –”
“No, ho sentito quello che hai detto,” lo bloccò Harry tra l’imbarazzato e lo stupefatto, “ma
non ho capito esattamente a cosa devo questo terzo grado, chi sei, mia zia?”
Ma Tom non sembrava
essere minimamente turbato dalle parole dell’altro e anzi, si era già attivato
ad attaccare uno dei polsini slacciati prima che il proprietario avesse tempo
di protestare.
“Fortuna che sei rimasto
fermo come un idiota davanti alle porte fino ad ora, o immagino che disastro se
non fossi arrivato in tempo.” Continuò il Prefetto come se nulla fosse, finendo
di allacciare anche l’altro polsino. “E ringrazia,”
aggiunse frugando nella borsa, “che tengo sempre una cravatta di scorta.” E
tirò fuori uno dei nastri verde-argento, avvicinandosi
al compagno per passarglielo intorno al collo.
“Ehi, aspetta, fermo, fermo!” lo interruppe Harry
prendendogli i polsi, “Ma che stai facendo, sei
impazzito? Chi se ne frega se non ho la cravatta o se i miei polsini sono
slacciati!”
Tom fissò le mani che gli
stringevano i polsi e Harry, dopo aver immediatamente mollato la presa, avrebbe
potuto giurare che quello sguardo gli avesse bruciato le dita. Una volta che
ebbe i polsi liberi, il Serpeverde tornò a cercare di allacciare la cravatta al
compagno, inchiodandolo al posto con uno sguardo gelido.
“Ascoltami bene, non lo sto facendo per un mio personale
feticismo per l’ordine, bensì ti vorrei far notare che sei uno studente nuovo,
porti un cognome da mezzosangue,” alzò gli occhi al
cielo all’occhiataccia di Harry, “d’accordo, un cognome babbano,”
si corresse stringendo però il nodo della cravatta decisamente più del
necessario, “e ti stai per sedere al tavolo di Serpeverde: credimi, hai bisogno
ti tutto l’aiuto possibile.”
“Ma dai, stai solo esagerando,”
ribatté Harry mentre tentava di allentare la cravatta per poter tornare a
respirare normalmente, “siamo in una scuola, non è mica l’inquisizione
spagnola.”
“Ma questi capelli non ci stanno mai a posto?”
chiese esasperato Tom ignorando completamente il
compagno e cercando, con sommo orrore di Harry, di appiattirgli la chioma
passandoci in mezzo le dita.
L’ex Grifondoro fece
quasi un salto all’indietro quando un brivido gli
percorse tutto il corpo sotto l’effetto di quelle dita affusolate.
Il Prefetto, però, doveva aver interpretato male la
reazione dell’altro, perché lasciò andare i capelli di Harry e si limitò a
guardarlo con sguardo impassibile.
“Senti,” riprese dopo
qualche secondo, “forse conosci a perfezione la planimetria di questa scuola e
tutti i suoi usi e costumi, ma posso assicurarti che non hai idea di
come funzionino le cose a Serpeverde e…” voltò la testa da un lato, per un
attimo sembrò incerto su come continuare, “Solo, stammi vicino, ok?” riprese, tornando a guardarlo negli occhi, “C’è un
motivo se veniamo soprannominati Serpi.” Finì girando i tacchi ed oltrepassando
le porte della Sala Grande.
Il caratteristico vociare della colazione cresceva
sempre di più mano a mano che Harry si avvicinava alla porta e quando, con una
leggera corsetta, si affrettò a raggiungere Tom, venne avvolto dai suoni tipici della Sala Grande: risa,
chiacchiere, tintinnio di posate e cibo che viene versato. Mentre i due
oltrepassavano i vari tavoli per raggiungere quello di Serpeverde situato in
fondo alla sala, Harry si accorse che non pochi studenti, soprattutto tra
quelli che sedevano verso l’entrata, avevano già notato la sua presenza.
“Ehi, chi è quello là?”
“Quello chi?”
“Guarda, è insieme a TomRiddle!”
“Cosa? Non l’ho mai visto”
“Ehi, avete visto quel tipo? Cammina fianco a
fianco con Riddle!”
Harry, pur abituato da una vita di sguardi e additazioni, non poté fare a meno di sentirsi leggermente a
disagio.
“Sembri essere piuttosto famoso,”
disse al compagno di Casa, “tutti mi stanno guardando come se fossi un alieno
solo perché ti sto camminando di fianco.”
Tom rise, e Harry si trovò
nuovamente affascinato da quanto potesse suonare viva la sua risata. “Famoso?
Popolare al limite e bada bene, non sempre per belle ragioni. E comunque,
difficilmente sono stato visto in compagnia di qualcun altro che non fosseOrion o, al limite, Alden.”
Alden? Dove l’aveva già sentito?
“Ehi Tom! Aspettami!”
giunse una voce dall’entrata. I due si voltarono per vedere un Orion trafelato che correva verso di loro e Harry, vedendo
lo stato in cui era la camicia dell’altro Serpeverde, pensava che al confronto
lui, anche senza cravatta e con polsini slacciati, sarebbe sembrato un
galantuomo.
“Tom, com’è che sei
schizzato via? Non è meglio se aspettavamo che Harry si svegliasse? Come fa a
trovare la strada per – oh…” si bloccò notando per la prima volta l’ex Grifondoro di fianco al Prefetto. “Ma sei già qua! E io che
mi preoccupavo.” Esclamò sorridendo allegramente,
scompigliando i capelli di Harry con una mano, sotto le lamentele del
proprietario e un sopracciglio alzato di Tom.
“Si, si, sono già qua, smettila.” Protestò Harry,
sorridendo suo malgrado all’allegria contagiosa del compagno di Casa che tanto
gli ricordava il suo Padrino. Non notò, intanto, il brusio sempre più crescente
del resto del corpo studentesco attorno a sé che, avendo notato anche Orion riconoscere lo strano nuovo venuto, era sempre più
curioso di scoprirne l’identità.
Così i tre, finalmente, raggiunsero il loro tavolo
sotto diversi sguardi attenti: Tom si sedette al suo
solito posto al centro del tavolo, con le spalle al muro e il resto della sala davanti
a sé e Harry, sotto espresso gesto d’invito di Tom,
gli si sedette di fianco, alla sua destra. Orion,
invece, fece per sedersi accanto a Harry, quando il Prefetto si schiarì
rumorosamente la gola, bloccandolo.
“Black, che ne dici di sederti al tuo
posto?” chiese con voce incurante ma dall’inclinazione ferrea, senza nemmeno
staccare gli occhi dal bicchiere di succo di zucca che si stava versando in
tranquillità.
Orion non perse il sorriso, che
anzi, trasformò in un ghigno sornione. “Agli ordini capo!” disse sedendosi alla
sinistra di Tom, “Non sia mai che mi avvicini troppo al cuccioletto.” Aggiunse, ed Harry sperò
per lui di aver capito male, o gli avrebbe dato subito una dimostrazione di
quanto fosse un cuccioletto.
Scuotendo leggermente la testa in direzione del
compagno di Casa, Harry alzò gli occhi dalla tazza che aveva di fronte e
desiderò immediatamente di non averlo mai fatto: ogni singolo paio di occhi del
tavolo di Serpeverde era puntato unicamente su di lui.
Il nervosismo che lo aveva fatto esitare davanti
alle porte lo attanagliò nuovamente e lo costrinse ad inchiodare gli occhi sul
suo piatto per sfuggire a tutta quella attenzione. Arrischiò un’occhiata in
tralice a Tom, ma quello stava placidamente
zuccherando il suo caffè, senza apparentemente
curarsi di dove fosse diretto l’interesse del resto
del tavolo. Non potendo ignorare la fame, Harry si risolse a cominciare ad
imburrare del pane tostato, non avendo il coraggio di chiedere a qualcuno di
passargli i cereali.
“Ragazzi che silenzio, com’è che siamo tutti così taciturni oggi?” chiese Orion
ignaro di tutto.
“Forse ci stiamo tutti chiedendo, Black,” rispose una voce strascicata, “perché c’è un ragazzo mai
visto prima seduto al nostro tavolo, con indosso una nostra divisa.”
Harry si decise finalmente di alzare gli occhi per
incontrare quelli blu mare di quello che poteva essere la copia di LuciusMalfoy a diciassette anni.
“Oh, giusto.” Esclamò Orion
dandosi una pacca sulla fronte, “E pensare che, visto che Giselle
ne era già al corrente, credevo che ormai lo sapesse già tutta la scuola!
Allora, lui è –”
“Harry Evans, nuovo
studente, sesto anno.” Lo interruppe Tom, passando finalmente in rassegna
tutto il tavolo. Molti occhi, soprattutto tra quelli appartenenti agli
anni più piccoli, spostarono immediatamente lo sguardo altrove, ma altri
rimasero a scrutare il nuovo arrivato con curiosità.
“Ehi, non eri tu quello che ieri guardava gli
allenamenti?” chiese un biondino seduto qualche posto più in là, che Harry
riconobbe come CalebDoholov,
il Cercatore della squadra. Prima che potesse
rispondere però, Madlene, seduta di fianco a Malfoy, aveva già ribattuto.
“Si, era rimasto sugli spalti a chiacchierare con Orion. Sesto anno?” lo squadrò dall’alto in basso con aria
di sufficienza, “Avrei detto quarto.”
Ma prima che Harry potesse ribattere, quello che
era inconfondibilmente un Malfoy aveva già preso la
parola. “Allora, Evans…” esordì, e a Harry non
piacque per niente il modo in cui aveva enfatizzato il suo cognome, “a cosa
dobbiamo quest’iscrizione tanto tardiva?”
“Evans?” si intromise Rudolf senza lasciare al ragazzo il tempo di rispondere,
“Non mi sembra di averlo mai sentito, sei un purosangue?”
Harry non riusciva a venir fuori con una risposta decente sotto tutte quelle domande e quelli
sguardi inquisitori. “No, io… ecco non…”
“Oh poverino…” interruppe il suo balbettio Madlene, con una falsa vocetta
che ricordava molto le provocazioni di BellatrixLestrange, “temo che lo stiamo mettendo in soggezione.”
Il moretto a quel punto stava stringendo
spasmodicamente la propria forchetta in una mano, tanto da fargli diventare le
nocche bianche. Stava cercando in tutti i modi di riprendere la calma e
rilassare i nervi a fior di pelle ma proprio in quel momento sentì qualcuno,
arrivatogli alle spalle, prendergli un braccio con una mano: chiunque fosse,
aveva scelto il momento sbagliato.
Alcuni giurarono di non averlo nemmeno visto
muoversi, fattostà che in meno di tre secondi Harry
si era girato, aveva preso lo sconosciuto per le braccia, lo aveva atterrato
faccia a terra, tenendolo fermo stando acavalcioni sul suo corpo, e gli aveva puntato la bacchetta
alla gola.
Un silenzio innaturale per lo standard della Sala
Grande scese sul tavolo di Serpeverde, rotto improvvisamente da un’esclamazione
irata: “Ehi! Ma che cazzo fai, sei impazzito?!”
Harry, risvegliato dalla voce dello sventurato
ragazzo che teneva ancora schiacciato a terra, si affrettò a tirarsi in piedi e
liberare il ragazzo dalla morsa ferrea, farfugliando scuse a raffica.
“Oddio, scusa, non volevo… davvero, non… non so
cosa mi è preso, io–”
“Si, chi se ne frega. Dacci un taglio ora e
smettila di balbettare.” Rispose il
ragazzo acido, una volta tornato su due piedi. “Delle tue scuse non me
ne faccio niente.”Aggiunse mentre
si spolverava la divisa che, Harry notò, portava lo stemma di Corvonero. Si
fermò qualche secondo ad osservarlo: aveva un viso asciutto, piuttosto
allungato, con occhi verde acqua e capelli castani ed era molto alto, come al solito molto più di lui.
Venne riscosso dai suoi pensieri
da una fragorosa risata. Riconoscendo la voce, si voltò stupito per osservare Tom che, girato da un lato probabilmente per lo
spettacolino di poco prima, aveva poggiato il suo caffè
ed era scoppiato a ridere.
“Beh Harry,” disse guardando
il ragazzo, “penso che tu abbia superato il terzo grado.”
Solo allora il moretto alzò gli occhi sul resto del
tavolo per incontrare le espressioni stupite e calcolatrici del resto della
Casa di Serpeverde. Alla prima categoria appartenevano soprattutto gli anni più
giovani, rimasti impressionati dai suoi riflessi, mentre i più grandi, tra cui
quelli che gli avevano rivolto la parola, lo stavano studiando attentamente,
come a soppesarlo.
“Alden, devi scusare
Harry, è il suo primo giorno e deve sentirsi un po’ sotto pressione.” Sentì Tom indirizzare il ragazzo
di Corvonero. “Avevi bisogno di qualcosa?”
‘Quel ragazzo si chiama Alden?’ pensava intanto l’ex Grifone, ‘Ma dove l’ho già
sentito?’
“Nulla di importante,”
rispose il Corvonero, e Harry notò come il viso gli si era addolcito nel
parlare con il Prefetto, “ero solo venuto per ridare questo a mia sorella.”
Aggiunse porgendo un libro ad una ragazza pallida seduta poco lontano che
Harry, con un balzo, riconobbe immediatamente.
‘Ma certo! Alden
Principe, il fratello della madre di Piton! C’era
scritto qualcosa a suo proposito sul diario di Tom,
ma non ricordo cosa…’
Un grugnito fece voltare il Corvonero, per
incontrare gli occhi assottigliati di Orion in uno
sguardo provocatorio. I lineamenti di Alden si
indurirono nuovamente.
“Problemi, Black?” lo apostrofò gelido.
“Nessuno che ti debba interessare, Principe.” Rispose con lo stesso tono Orion,
tono che Harry non gli aveva ancora mai sentito usare, “Ma se sei venuto solo
per restituire un libro, te ne puoi anche andare ora.”
“Non puoi certo darmi ordini,”
ribatté l’altro, “ma se proprio vuoi saperlo, dovevo scambiare due parole da
solo con Tom.” Aggiunse guardando il Prefetto, come
per chiedere il permesso.
Ma Orion interruppe di
nuovo ringhiando tra i denti. “Tom deve accompagnare
Harry alla lezione della prima ora.”
Alden lanciò un’occhiata di
fuoco all’ex Grifondoro che era rimasto ancora in
piedi, prima di rivolgersi nuovamente al Serpeverde. “Beh, puoi accompagnarlo
benissimo tu, non vedo perché proprio Tomdebba farlo.”
Un ghigno strafottente si dipinse sul volto del
ragazzo seduto. “Cosa c’è, geloso per caso?”
Per un attimo Harry temette che il Corvonero gli
avrebbe tirato un pugno, ma prima che potesse ribattere, Tom
intervenne.
“Basta così, tutti e due.” Disse in tono repentorio. “Alden, dovevo giusto
passare dalla Sala Comune a prendere un tema che ho dimenticato, se mi accompagni puoi dirmi quello che vuoi. Evans
è abbastanza grande per cavarsela da solo.” E detto
questo si alzò, raccolse la sua tracolla e si diresse verso l’uscita con Alden al seguito, senza aver guardato Harry nemmeno una
volta.
Il ragazzo, rimasto ancora in piedi, guardò la
schiena del Prefetto allontanarsi e sentì, inspiegabilmente, una punta di
rammarico. Dopo aver passato dieci minuti fuori dalle
porte della Sala Grande a – poteva azzardarsi a dirlo? – preoccuparsi per lui
per l’imminente inquisizione degli altri Serpeverde, lo aveva lasciato così,
senza nemmeno rivolgergli uno sguardo.
“Allora, pronto per andare?” gli giunse la voce
nuovamente allegra di Orion.
Annuendo, raccolse la propria borsa e si diresse
verso l’uscita fianco a fianco dell’altro Serpeverde, seguendo la massa di
studenti che si stava incamminando verso le prime classi della giornata.
“Orion, posso chiederti
una cosa?” disse curioso Harry, “Come mai odi tanto
quel Corvonero?”
“Chi, Alden dici? Mah,
odio è una parola un po’ forte… diciamo che lo disprezzo profondamente.” Rispose con una scrollata di spalle. “È il fratello minore
di Eileen, l’unico motivo per cui
non gli ho ancora spaccato la faccia, e sono ormai due anni che ronza intorno a
noi Serpeverde, non certo per sua sorella.” Qui lanciò un’occhiata in tralice a
Harry, “Va dietro a Tom dall’alba dei tempi, ma negli
ultimi due anni gli si è appiccicato addosso come una cozza, me lo ritrovo
ovunque e non capisco perché Tom gli dia tanta
corda!”
Harry osservò un attimo il compagno di Casa. “Orion, non è che per caso tu… insomma, a proposito di Tom…” disse, non riuscendo a trovare bene le parole per non
essere troppo schietto.
“Eh? Vuoi dire se io…?” Orion
scoppiò a ridere. “No, no, non mi piace Tom, te lo
assicuro. Oddio, non so quanto pagherei per avere quel corpo a quattro zampe
sul mio letto,” disse ridendo e facendo arrossire
furiosamente Harry con quelle parole, “ma per il resto lo vedo solo come un
amico. È che Alden è troppo pedante e possessivo. E
poi io non ci credo.” Aggiunse infine.
“Non credi a cosa?” chiese l’altro confuso.
“Che lo ami davvero.” Rispose semplicemente il
Serpeverde. “Farebbe qualsiasi cosa per lui, gli dà sempre ragione, segue ogni
suo passo, ma quello non è amore, è un’ossessione.”
Poi abbassò la voce ad un sussurro, tanto che Harry lo sentì appena. “Se lo
amasse davvero gli farebbe capire che sta sbagliando tutto.”
Seguì un breve silenzio mentre
salivano una rampa di scale quando, chiedendosi dove stessero andando, Harry
domandò:
“Cos’abbiamo alla prima ora?”
“Difesa Contro le Arti Oscure con i Corvonero.” Rispose prontamente Orion,
causando un sorriso rincuorato sul volto di Harry: almeno per la prima ora era
sicuro di andare bene.
“Come mai quel sorriso?” chiese l’amico notando la
contentezza di Harry.
“No, sono solo sollevato, Difesa
è la mia materia preferita.” Rispose.
“E lo credo bene, visto quello che hai fatto a
colazione!” esclamò il Serpeverde, “Mai visti riflessi del genere, ma dove hai
imparato ad atterrare gli avversari? Non che mi lamenti,
si trattava di Alden in fin dei conti.”
Harry rise, ma fu salvato dal dover rispondere alla
spinosa domanda, visto che ormai erano arrivati davanti alla porta aperta
dell’aula, già invasa dalle chiacchiere degli studenti in
attesa dell’arrivo del Professore.
I due ragazzi entrarono e subito Orion si sentì chiamare da un lato della classe, dove Caleb e Rudolf stavano
apparentemente discutendo su alcune tattiche di Quidditch.
Dopo aver detto ad Harry di scegliersi un posto che lo
avrebbe raggiunto più tardi, Orion si unì al
gruppetto per parlare della prossima partita, lasciando il compagno di Casa ad
osservare l’aula.
Era arredata con uno stile abbastanza austero, ma ad Harry, che dopo aver passato notti intere nell’ufficio
della Umbridge aveva sviluppato un odio profondo per
i colori pastello, non dispiaceva affatto. Alle pareti erano appesi diversi
fogli di pergamena elencanti diverse maledizioni e controincantesimi,
mentre di fianco alla lavagna erano sistemati contro il muro diversi scaffali
stracolmi di libri. Sulla scrivania facevano bella mostra diversi oggetti
insoliti che Harry riconobbe come detector oscuri.
Seguendo il consiglio di Orion,
cominciò a cercarsi un posto libero. La maggior parte delle ultime file era già
occupata, nonostante la maggior parte dei ragazzi stessero ancora girando per
la classe, dato che il Professore non era ancora arrivato. Pensò che infondo per le prime lezioni – dato che in realtà senza G.U.F.O. non era ancora ammesso legittimamente ai corsi –
sarebbe stato meglio essere seduti in prima fila. Stava per sistemare la borsa
sul banco più vicino a sé quando notò che al primo
banco, staccata da tutti, sedeva sola una ragazzina.
Non sapeva bene perché, ma qualcosa gli suggeriva
che non stesse aspettando nessuno a sederlesi di
fianco, forse per il gruppetto di ragazze che stavano chiacchierando
allegramente ad appena due banchi di distanza, senza degnarla nemmeno di uno
sguardo. Era intenta a scarabocchiare con aria annoiata sulla pergamena che
aveva appoggiata al banco, ogni tanto guardando fuori dalla
finestra o verso la porta. Harry decise di avvicinarsi e, una
volta arrivato al banco di fianco, vi appoggiò la borsa.
“Scusa, è libero?” chiese per attirare l’attenzione
della ragazza.
Quella si voltò e Harry poté osservarla bene:
sembrava molto più piccola di una del sesto anno, con un viso tondo da bambina
e le guance rosee, attorniate da una folta chioma di fitti boccoletti
castano scuro. Un’espressione sorpresa le attraversò gli occhi castani e il suo
sguardo vagò per qualche secondo sul viso di Harry, prima di spostarsi sullo
stemma di Serpeverde appuntato sulla sua divisa. Harry notò che la ragazza
indossava un cravattino blu e bronzo e, vista la sua aria guardinga, intuì i
suoi pensieri e cercò di sorridere nel modo più incoraggiante e sincero che
poté.
“Preoccupata perché sono un Serpeverde? Stai
tranquilla, non sono velenoso.” Cercò di metterla a
suo agio.
La ragazza non perse del tutto lo sguardo
sospettoso, ma sorrise suo malgrado.
“Allora, posso sedermi?” ripeté Harry.
“Si, si, non è occupato da nessuno.” Rispose lei
con una vocina flebile.
Harry si sistemò, aprì la borsa ed estrasse il
libro di Difesa che gli era stato fornito dal Professor Dippet
insieme alla divisa e al resto dell’occorrente scolastico.
“Chi sei?” gli arrivò di nuovo il fievole tono
della sua compagna di banco. Quando Harry si girò, la ragazza abbassò lo
sguardo e arrossì. “Intendevo… non ti ho mai visto prima…”
Di gente timida Harry ne aveva vista, ma nemmeno
Neville al primo anno era tanto insicuro.
“Ma no, sono io che non mi sono presentato: Harry Evans, nuovo studente.” Rispose
lui tendendole la mano.
Lei, con un piccolo sorriso, gliela strinse.
“Meredith Donill.”
“Piacere di conoscerti Meredith.” Sorrise Harry,
“Anche perché, se devo essere sincero, non conosco ancora molte persone e non
tutte quelle che ho conosciuto oggi sono state molto piacevoli.” Aggiunse schioccando un’occhiataccia in particolare a Madlene, seduta a gambe accavallate sopra un banco.
Meredith seguì il suo sguardo e scoppiò in una
risatina. “No, immagino di no. Ne so qualcosa di
quelle Serpi.”
“Oh, ma non sono tutti così.” Aggiunse Harry
osservando Orion che incantava una Cioccorana e la spediva dritta nella scollatura di Madlene. “Orion è fantastico e Giselle è simpatica una volta che riesci a sopportare la
sua parlantina. Anche Caleb sembra un tipo ok.”
Meredith squadrò il resto della classe. “Non lo so,
non che li conosca. So solo che la reputazione di alcuni è leggenda ormai.”
“Immagino quella di Tom.”
Borbottò Harry, ma la ragazza al suo fianco lo sentì comunque.
“Parli di TomRiddle?” chiese lei, cominciando a giocare con la sua piuma
d’aquila, “Al contrario, su di lui ci sono versioni contrastanti: c’è chi dice
che sia un mostro, c’è chi dice che sia un genio, che a chi non gli importa
nulla, basta che accetti un appuntamento.” Ridacchiò e
un’altra volta Harry venne ricordato di quanto Tom fosse desiderato come ragazzo. “Non ci vuole molto a
capire che non è proprio una brava persona, ma io personalmente lo ammiro
molto: è uno studente davvero brillante.”
Il ragazzo rimase un attimo ad osservare le piccole
dita di Meredith far girare la piuma e notò quanto le sue mani fossero tanto più minute rispetto alle sue.
“Sai, sembri più piccola di
sedici anni.” Disse Harry senza pensare, maledicendosi per la sua mancanza di tatto quando vide la ragazza arrossire fino alla punta di
capelli e nascondere le mani sotto il banco.
“Cioè, non che ci sia nulla di male, anzi, lo
dicono sempre anche a me, è solo che –”
“Ma no, figurati.” Lo interruppe lei, sorridendo
appena al goffo tentativo di riparare di Harry. “Hai ragione, infatti ho quattordici anni.”
“Eh, come? Ma questa è la classe del sesto anno…”
ribatté confuso il moretto, grattandosi la testa con una mano.
Meredith sembrò arrossire ancora di più. “Si, ma
io… ho fatto degli esami e sono passata un po’ avanti…”
Harry sgranò gli occhi. “Due anni? Alla faccia del ‘un po’ avanti’!” esclamò, ma la
ragazza sembrava sempre più imbarazzata, “Allora ho fatto bene a sedermi di
fianco a te! Ma ti avverto che avrai concorrenza, Difesa è la mia materia
preferita.” Cercò di scherzare, e fu premiato da un
timido sorriso.
In quel momento, vide con la coda dell’occhio Tom entrare in classe e si girò completamente verso
Meredith, dandogli le spalle. Per qualche motivo che non riusciva bene a capire
lui stesso, non aveva nessuna voglia di parlare con il Serpeverde dopo quello che era successo a colazione. Vide dal riflesso della
finestra Tom trovare Orion
e chiedergli qualcosa. L’altro Serpeverde si guardò un po’ intorno poi,
fissando in direzione di Harry, indicò il banco suo e di Meredith. Vide Tomavvicinarsi ma fortunatamente,
proprio in quel momento, il Professore entrò in aula e tutti accorsero a
prendere il proprio posto.
Il Professore di Difesa Contro le Arti Oscure era
un uomo alto e abbastanza giovane, probabilmente sui quaranta. Appena entrò in
classe calò in fretta il silenzio in modo pericolosamente simile alle lezioni
di Piton. In effetti aveva
un’aria piuttosto austera e i lineamenti duri, ma i capelli color sabbia e le
guance un po’ scarnite ricordavano a Harry il suo vecchio amico Remus. Mancava però della veste rattoppata, in questo caso
rimpiazzata da una costosa tunica blu oltremare.
L’uomo si avvicinò alla cattedra e posò la sua
valigetta di pelle dove, grazie alla vicinanza del primo banco, Harry riuscì a
leggere le scritte incise sulla targhetta: HectorL.Donill.
“Donill…?” Si voltò verso
Meredith. “Siete per caso parenti, tu e il Professore?” Chiese incuriosito.
Il rossore sulle guance della ragazza si ravvivò
nuovamente. “Ehm, si.” Disse lei, giocherellando con i
lacci della sua divisa. “È mio padre.”
Harry, scioccato, voltò la testa ora per guardare
Meredith ora il Prof, prima di lasciarsi andare ad una risatina e tirare fuori
la sua penna dalla borsa.
Come prima ora di lezione, si prospettava di certo
interessante.
A.N.: Ragazzi, mi dispiace di non avere il tempo di
rispondere alle recensioni, ma sono terribilmente di fretta!
Un
paio di cose su questo capitolo: i due Corvonero presentati saranno importante
per la storia in seguito, quindi teneteli d’occhio (e dovrebbero essere anche
gli ultimi personaggi nuovi che compariranno, salvo imprevisti). E non odiate
troppo Alden… anzi no, fatelo, non lo sopporto
nemmeno io! XD
Altri Personaggi:HermioneGranger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, DracoMalfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e
ancora Slash
Capitolo 15.Patroni
“Prima di iniziare la lezione, ho un annuncio da
fare.” Esordì il Professor Donill
dopo aver aspettato che ci fosse l’assoluto silenzio
nell’aula. “C’è un nuovo studente che sta frequentando il sesto anno a
Serpeverde: Harry Evans. Prego, Signor Evans, si alzi e si mostri alla classe.” Disse invitando il ragazzo con una mano ad alzarsi in
piedi.
Harry, leggermente a disagio, spostò la sedia
indietro e si alzò, diventando immediatamente il centro dell’attenzione della
classe per quella che gli sembrò essere un’eternità, prima che il Professore
gli facesse segno di sedere.
“Il Signor Evans però, essendo arrivato soltanto
pochi giorni fa, non è ancora stato testato per i G.U.F.O., quindi tecnicamente non frequenterà ancora questo corso.”
Si rivolse direttamente a Harry. “Seguirai la lezione e potrai prendere
appunti, ma non sarai tenuto a partecipare attivamente.”
Lo disse con un tono che suggeriva che non gli piacesse affatto avere studenti
non autorizzati nella sua classe.
“Si, signore.” Rispose semplicemente Harry annuendo
col capo.
Il Professore lo squadrò per qualche istante con i
suoi occhi scuri, prima di rivolgersi nuovamente alla classe. “Riprenderemo la
lezione da dove l’abbiamo lasciata l’ultima volta. Qualcuno può gentilmente
rinfrescare a tutti la memoria? Signorina Rosier?”
Heidi abbassò la mano e recitò.
“Abbiamo parlato dei Patronus, di come sono l’unica
difesa contro i Dissenatori e altre pericolose
creature magiche come i Letifold.”
“Esatto, cinque punti a
Serpeverde.” Assegnò Donill. “Ora, parliamo delle
altre funzioni che un Patronus può avere, alcune le
potrete trovare solo usando l’immaginazione. Si, Signor Barton?”
“Si può, con il giusto incantesimo, far riferire al
proprio Patronus un messaggio o, semplicemente
dandogli alcune istruzioni, fare in modo che faccia da guida ad un'altra
persona.” Rispose un ragazzo di Corvonero.
“Anche questo è esatto, dieci punti a Corvonero. Si signor Mulchiber?” disse
indirizzando Marcus, che aveva teso il braccio in
aria.
“Signore, ma come si possono dare delle istruzioni
ad un Patronus? Non sono esseri viventi e di solito
spariscono dopo poco.” Domandò il Serpeverde.
Il Professore osservò il resto della classe, tra
cui alcuni Corvonero che discutevano già la risposta alla domanda.
“Cinque punti in meno a Corvonero per chiacchiere
inutili: se avete delle domande o delle teorie, potete esporle a tutta la
classe.” Disse, fulminando con lo sguardo i due
studenti. “Qualcuno sa rispondere alla domanda del compagno? No? Molto bene.” Cominciò a passeggiare avanti e indietro davanti alla
cattedra mentre spiegava. “Allora, prima di tutto iPatronus, come ha detto Mulchiber,
non sono esseri viventi, ma esseri formati dai ricordi più felici di ogni
persona.
Come è possibile, quindi, che capiscano delle
istruzioni? Non hanno una coscienza propria. Non sono esseri senzienti,
ma esseri tangibili che vengono evocati – badate bene, evocati, non
creati – al momento del bisogno. I Patronus esistono
all’interno di ogni mago, a dispetto del fatto che vengano
evocati o no. Un mago può non imparare mai
l’incantesimo per evocarlo, ma questo non significa che egli non abbia un Patronus, semplicemente che non lo può richiamare.”
Gli unici suoni presenti nell’aula erano quelli
delle penne che scrivevano sulle pergamene per prendere appunti e i passi del
Professore.
“Ora, per quanto riguarda la durata
dell’evocazione, c’è un pregiudizio molto comune in circolazione: il pensare
che il Patronus resti corporeo tanto a lungo quanto
più era felice il ricordo che lo ha evocato. La realtà è ben diversa. È vero
che più il ricordo è felice, meglio riesce l’evocazione, ma una
volta evocato, un Patronus dura per tutta la
durata del bisogno che, anche inconsciamente, è dettata dal mago. Quello, o a seconda della potenza magica del mago in questione.”
Una ragazza di Corvonero alzò la mano e Donill le diede la parola. “Professore, da cosa dipende la
forma che un Patronus assume?”
“La forma è soggettiva, dipende da chi lo evoca ed
è diversa di mago in mago. Un Patronus è sempre un
animale o, in casi più rari, una creatura magica e sebbene è normale che
esistano due persone con la stessa specie di Patronus,
gli esemplari singoli non saranno mai uguali. È inoltre possibile che un Patronus cambi forma, a seguito di un forte trauma o altri
avvenimenti significativi nella vita del mago.”
Rudolf alzò la mano. “In quali
campi lavorativi è obbligatorio o consigliato imparare l’ExpectoPatronum?”
“Legittima domanda.” Rispose Donill,
smettendo di andare avanti e indietro e appoggiandosi alla cattedra. “Imparare
ad evocare un Patronus è consigliato a tutti per ovvi
motivi di sicurezza, ma non tutti ci riescono. Per gli Auror
è obbligatorio e anche chi sceglie le branche legali del Ministero della Magia
dovrebbe esserne capace. Poi, ovviamente, per chiunque abbia intenzione di
lavorare ad Azkaban – si, signorina Grey, c’è chi sceglie di lavorare ad Azkaban
– o finisce in quel dipartimento in ogni caso.”
Rispose allo sconcerto di una ragazza seduta qualche fila più indietro di Harry
il quale, doveva ammettere, aveva pensato la stessa cosa.
“In ogni caso,” continuò
il Professor Donill, “non è qualcosa di cui vi
dobbiate preoccupare ora, visto che rientra solo nei corsi avanzati del settimo
anno, facoltativi per chiunque non intenda perseguire una delle carriere prima
elencate.”
Diversi lamentele si levarono dagli alunni:
“Quindi niente pratica?” o “Uffa, io volevo una dimostrazione!”
Il Professore ghignò leggermente nel sentire le
proteste della classe. “Se volete una dimostrazione – visto che gli alunni
siete voi – rivolgo la domanda a tutti: c’è qualcuno in questa classe capace di
evocare un Patronus?”
Sbuffi e “Non è giusto…” riempirono l’aula, ma Harry non ascoltava nessuno. Beh, lui sapeva
evocare un Patronus, maDonill era stato chiaro nel
fargli capire che non voleva che intervenisse. Guardò le espressioni deluse dei
suoi compagni di classe. In fondo, aveva rivolto la domanda a tutti…
Alzò la mano.
Il Professore, nel vedere il braccio alzato di
Harry, sollevò un sopraciglio. “Signor Evans, mi era sembrato di averle detto
che non era tenuto a partecipare attivamente alla lezione. Se ha una
domanda, può pormela alla fine dell’ora.”
Harry arrossì leggermente, ma non si diede pervinto. “No, signore, non è una domanda. È che lei ha
chiesto chi sapeva evocare un Patronus…”
Donill lo osservò attentamente,
puntando gli occhi scuri in quelli falso nocciola dell’altro. “Mi vuole dire,
Signor Evans, che lei è in grado di evocare un Patronus?”
Harry poteva sentire tutti gli sguardi della classe
sulla sua nuca, ma annuì e rispose: “Si, signore.”
Mormorii e commenti cominciarono a levarsi dagli
altri studenti, maDonill li
zittì tutti con un’occhiata. “Un Patronus corporeo,
signor Evans?” all’assenso del ragazzo, aggiunse “E che forma assume?”
Dopo qualche secondo di pausa, in cui i mormorii
della classe ritornarono in vita, Donill si portò di
fianco alla cattedra e sventolò una mano in direzione dello spazio vuoto di
fronte a sé. “Allora prego, signor Evans, la classe è tutta sua.”
Harry, leggermente a disagio sotto gli sguardi di
tutti e pensando che se non doveva dare nell’occhio, ci stava davvero riuscendo
da schifo, si alzò dal proprio banco e camminò di fronte alla classe. Arrivato
davanti alla cattedra, estrasse la bacchetta e chiuse gli occhi, cercando di
isolarsi dai tanti commenti che i suoi compagni si stavano sussurrando tra di loro.
‘Un ricordo felice, un ricordo
felice…’ si ripeteva tra sé e sé mentre raccoglieva la concentrazione. Poi lo
trovò: dopo il primo raid dei Mangiamorte che avevano
respinto, quando lui e la sua squadra si erano guardati intorno, un po’ stupiti
di essere tutti interi, un po’ increduli di esserci davvero riusciti. E aver
potuto abbracciare tutti ancora lì, tra le macerie della loro vittoria,
saltando dalla gioia per avercela fatta e ringraziando il cielo di essere tutti
vivi.
Sorridendo, Harry spalancò gli occhi ed esclamò: “ExpectoPatronum!”
Una nuvola argentea esplose dalla punta della sua
bacchetta, prendendo rapidamente forma del famigliare cervo dalle maestose
corna. Ramoso, sotto gli sguardi meravigliati della classe, cavalcò fino alla
porta e tornò indietro, iniziando a trottare in mezzo ai banchi.
Si fermò di fianco a Meredith, scostandole una mano
con un piccolo cenno del muso e facendola sorridere intenerita. Arrivò fino al
posto di Orion, trotterellando intorno al suo banco con aria allegra. Poi però,
arrivato dall’altro lato dell’aula, improvvisamente si bloccò.
Harry vide Ramoso abbassare la testa e mettere
minacciosamente in mostra le grandi corna, puntare gli zoccoli per terra e
scalciare nervoso con le zampe di dietro, sbuffando dalle narici. Il ragazzo
non capiva perché improvvisamente si fosse messo in posizione di carica e
sembrasse intenzionato a portare a termine il suo attacco, finché non vide chi
il cervo aveva davanti: Tom.
“Ramoso, no!” urlò Harry appena capì il perché del
suo comportamento.
Il cervo, voltando il muso verso il suo padrone, lo
vide scuotere la testa e abbandonò il suo assalto, continuando a trottare verso
il fondo dell’aula, lasciando un Prefetto leggermente confuso e Orion che
esclamava, con finta voce mielosa “Che tenero, ha anche un nome!”. stupefacente
“Signor Evans,” interruppe
il Professor Donill, “se per piacere può far finire
questo teatrino…”
Harry arrossì “Ma certo, signore. Ramoso!” chiamò
nuovamente il Patronus, “Vieni qui.”
Il cervo saltellò un’ultima volta in mezzo ai
banchi prima di tornare al passo e raggiungere il padrone che aveva alzato una
mano per accarezzargli il muso, proprio come aveva fatto quella prima volta in
riva al lago, quando aveva salvato Sirius da un
centinaio di Dissennatori. Pensare al padrino gli
faceva ancora stringere un nodo alla gola, ma guardando gli occhi argentei del
cervo, straordinariamente umani, non poté fare a meno di pensare:
‘Mi perdonerai mai per averlo
ucciso, papà?’
Per quanto ne sapeva Harry, i Patronus
non potevano leggere nei pensieri del proprio mago, ma
Ramoso sembrava in qualche modo aver capito comunque perché, alzando il muso,
diede un’ultima leccata alla mano del suo padrone prima di svanire in una
nuvola d’argento.
In quel preciso momento la campanella suonò e il
Professor Donill dovette alzare parecchio la voce per
sovrastare il rumore delle sedie che si spostavano e delle chiacchiere che si
levavano per poter farsi sentire nel dare i compiti.
Harry tornò al proprio banco per raccogliere le sue
cose e lì incontrò l’espressione meravigliata di Meredith.
“Un Patronus! Sai
evocare un Patronus!” esclamò euforica, messa per un
attimo la timidezza da parte. “Oh, come sono invidiosa, ho sempre desiderato
riuscirci anch’io, ma tutto quello che veniva fuori era un’informe nube
argentea…” aggiunse abbassando gli occhi.
Harry le sorrise. “Se vuoi posso insegnartelo.” Disse, e vedendola alzare la testa con aria speranzosa aggiunse “Quando ero a casa l’ho insegnato a diversi amici,
non è così difficile come sembra.”
“Davvero lo faresti?” chiese lei, con una nota di
preghiera nella voce.
“Certo, perché no?” rispose il ragazzo. Poi,
pensandoci un po’ su aggiunse “Ma magari dopo i miei G.U.F.O., quando avrò un po’ più di tempo.”
“Va benissimo! Benissimo!” rispose lei esaltata,
saltellando in maniera che a Harry ricordava un po’ Dobby quando gli veniva dato
un nuovo incarico. Lui sorrise divertito d’aver suscitato tanta euforia, ma
rimase di stucco quando, evidentemente presa
dall’entusiasmo, la ragazza lo strinse in un abbraccio improvviso.
Quasi immediatamente però, Meredith sembrò
risvegliarsi, perché lo lasciò andare di scatto arrossendo fino alla punta dei
capelli e biascicando scuse a raffica.
“Oddio, scusa… non volevo… cioè, non…”
ma non trovando le parole si risolse ad abbassare la testa e nascondere
gli occhi dietro i suoi boccoli. “Chissà cosa penserai, mi conosci da un’ora e
ti sono praticamente saltata addosso…”
Harry rise, sventolando una mano in segno di
diniego. “Ma figurati, lo prendo come un gesto di gratitudine.”
Prima che Meredith potesse
rispondere, il ragazzo sentì una voce alle proprie spalle.
“Harry, Harry, ti fai mettere le mani addosso da lei ma non da me?” disse Orion con finta voce addolorata,
tenendosi una mano sul cuore, “Mi ferisci.”
Harry gli tirò una spintarella, mezzo divertito e
mezzo imbarazzato. “Ma smettila, che se tu mi mettessi le mani addosso
mi ritroverei senza pantaloni in meno di cinque secondi.”
Orion scoppiò a ridere, prima di fare l’occhiolino.
“Vero. Almeno però, abbi le cortesia di presentarmi
questa fanciulla che, stranamente, mi sembra proprio di non conoscere.” Disse
spostando Harry da un lato e portandosi di fronte a Meredith.
Harry roteò gli occhi al cielo. “Orion, MeredithDonill. Meredith, Orion Black.”
Orion raccolse la mano della ragazza e ci diede un
piccolo bacio sopra. “Incantato.” Disse con un sorriso, facendo arrossire
furiosamente la poverina. “Donill hai detto? Ma non
è…? Ah, so chi sei!” esclamò improvvisamente. “Sei la bimba prodigio che ha
saltato due anni di seguito! La figlia del professor Donill!”
“Professore che ti sta guardando piuttosto male,
visto il modo in cui stai importunando sua figlia.” Lo
interruppe Harry divertito.
Orion impallidì di colpo e si voltò di scatto, ma
il Professor Donill era voltato di schiena, intento a
discutere con uno studente di Corvonero, senza aver dato alcun segno di essersi
accorto dei due ragazzi che parlavano con la figlia.
Black si voltò di nuovo verso Harry che, assieme a
Meredith, stava facendo di tutto per trattenere le risate. “Questa me la paghi
Evans.” Disse, ma il suo tono non conteneva in realtà
nessuna minaccia. “Comunque, ero venuto perché Tom voleva…” si voltò ma, non trovando nessuno, si grattò la testa. “Ehi, ma
dov’è finito? Era qui fino ad un secondo fa!”
Harry e Meredith si scambiarono uno sguardo.
“Orion, sei venuto da solo, non c’era Tom con te.”
Ma il Serpeverde si era girato ed aveva esclamato:
“Ehi Giselle! Hai mica visto
dov’è andato Tom?”
La bionda, in piedi a qualche banco di distanza che
sistemava i libri, ci pensò un attimo su, prima di parlare. “Uhm, Tom? Ah si! È
uscito solo poco tempo fa, ed anche piuttosto di fretta. Se fossi in te lo
lascerei un po’ stare, non sembrava essere particolarmente di buon umore, anzi,
continuava a borbottare qualcosa sottovoce, uhm… qualcosa come “Stupido edan” o “Stupido etans” qualunque
cosa voglia dire. Anzi,” aggiunse guardando Harry,
“probabilmente era “Stupido Evans”, non gli hai fatto niente tesoro, vero? Non
vorrei doverti dire addio ad appena una settimana dal tuo arrivo.”
Harry spalancò gli occhi con aria sorpresa. “No che
non gli ho fatto niente! Vero Orion?”
Ma l’altro Serpeverde stava scuotendo la testa con
un piccolo sorrisetto. “Quel ragazzo è davvero senza speranza.” Poi, senza dare
altre spiegazioni, si rivolse nuovamente ai due. “Allora, andiamo? Meredith,
cos’hai tu adesso?”
“Aritmanzia.” Rispose lei
con la ritrovata vocina flebile, evidentemente non ancora del tutto a suo agio
con il secondo Serpeverde conosciuto nel giro di un’ora.
“Al quarto piano se non sbaglio. Harry, noi abbiamo
Storia della Magia: visto che è sulla strada, che ne dici di accompagnare la
nostra nuova amica alla sua prossima classe?”
Harry avrebbe naturalmente accettato con entusiasmo, ma Orion non gli diede nemmeno il tempo di fare
quello, che già aveva esclamato: “Perfetto! Ragazza, permettimi di portarti la
borsa, libri troppo pesanti per spalle così giovani.”
Prese la tracolla di Meredith e se la mise su una spalla, avviandosi verso la
porta, “Aritmanzia? Anch’io seguo quel corso, ma c’è
un passaggio dell’equazione di Cassandra che non riesco bene a capire, tu ne
sai qualcosa?”
Mentre Orion esponeva il suo problema alla
Corvonero la quale, una volta entrati nell’argomento
scuola, era molto più sicura di sé e sciolta nel parlare, ad Harry tornò in
mente il Prefetto.
“Ehi Orion, ma Tom?”
Il ragazzo di risposta si limitò ad un ghigno
sornione. “Oh, quando se la sentirà ritornerà coi piedi per terra da solo, non
ti preoccupare.” Disse uscendo nel corridoio e
lasciando un Harry confuso ad affrettarsi per raggiungerlo.
Pochi minuti prima…
La campanella era appena suonata, e Harry era fermo
in mezzo alla classe, con una mano ancora alzata da dove aveva accarezzato il
muso del suo Patronus.
Orion si alzò dalla sedia stiracchiandosi,
osservando il compagno di Casa raggiungere il proprio banco. Si voltò a sinistra e, una volta individuato il banco di Tom, si
diresse verso di lui. Il Prefetto aveva le sopracciglia aggrottate e un’aria
pensierosa stampata in volto.
“Stai pensando all’ultimo exploit di Harry?” chiese
per attirare l’attenzione una volta che si fu avvicinato. “Sono rimasto di
stucco anch’io. Evocare un Patronus… e chi l’avrebbe
mai detto?” disse. Poi, pensando al comportamento del cervo, rimuginò ad alta
voce: “Però hai visto che stano? Mi è sembrato quasi che ti volesse attaccare,
chissà perché.”
“Già, chissà perché…” sussurrò il Prefetto, unico
segno che diede di aver udito il compagno di Casa.
“Comunque non ha importanza.” Continuò Orion
imperterrito, “Dai, andiamo da lui, così ti puoi scusare.”
Tom, ancora soprappensiero, si alzò e borbottò un distratto
“Si, certo.” Poi, assimilando le parole dell’altro, si
fermò di colpo. “Cosa?! Scusarmi? E di ché?”
Orion roteò gli occhi, ma spiegò con tono
accondiscendente. “Scusarti con Harry per averlo mollato lì da solo stamattina
a colazione. Tutto per seguire il caro Alden.” Aggiunse, pronunciando il nome del ragazzo come se fosse
stato qualcosa di particolarmente disgustoso.
Tom assottigliò gli occhi. “Tu sei di parte quando si tratta di Alden e
comunque Evans non ha bisogno di una balia, se la sa cavare benissimo da solo.”
“Tu dì pure quello che vuoi, ma io credo che Harry
se la sia presa.” Ribatté Orion.
Tom si voltò verso il ragazzo in questione, che
stava chiacchierando con una ragazzina sedutagli di fianco. “E come fai a
dirlo?”
Orion ghignò tra sé e sé, avendo suscitato la
reazione prevista. “Beh, non ti ha nemmeno salutato quando
sei entrato in classe…”
“Ma che dici, non mi ha neanche visto
entrare in classe.” Ribatté il Prefetto, senza però
smettere mai di osservare Harry.
“Se lo dici tu…” rispose Black, prendendo poi per
un braccio il Prefetto, facendolo voltare nuovamente verso di lui. “Dai, che se
la sia presa o no, non è stato un comportamento carino da parte tua, quello di
stamattina, quindi ora andiamo.”
Ma quando si girarono nuovamente entrambi, videro
che Harry sembrava piuttosto occupato, stretto in un caloroso abbraccio dalla
sua compagna di banco. Orion rise e con tono malizioso disse:
“Sai Tom, forse in fin dei conti avevi ragione tu:
non ha per niente bisogno di una balia.” E si incamminò per raggiungere il
ragazzo.
Per cui non vide mai Tom assottigliare lo sguardo, fare dietro front
e uscire in fretta dalla classe, borbottando tutto il tempo sottovoce “Stupido
Evans!”.
Harry passò in rassegna gli alti scaffali della
Biblioteca di Hogwarts, sotto lo sguardo guardingo della Bibliotecaria,
insospettita dal fatto di non averlo mai visto entrare prima.
La giornata per Harry era continuata piuttosto
normalmente: dopo aver accompagnato Meredith ad Artmanzia,
lui e Orion si erano avviati verso Storia della Magia. Lì Harry aveva scoperto
che l’effetto soporifero delle lezioni del Professor Ruf
si faceva sentire benissimo anche all’epoca in cui il professore era vivo e
vegeto, per cui aveva passato l’ora a fare ghirigori
sulla sua pergamena annoiato, rispondere ai bigliettini di Orion ed osservare
Tom che, seduto dall’altro lato dell’aula, si dondolava sulla sedia noncurante,
avendo incantato la propria penna affinché prendesse appunti da sola.
Harry si era domandato più volte come mai dalla
mattina il Prefetto non gli avesse ancora rivolto la parola, ma ancora di più
si domandava come mai il fatto lo disturbasse tanto. In teoria, più gli stava
lontano, meglio era… no?
Il ragazzo scosse la testa
confuso e decise di addentrarsi un po’ di più nei meandri degli
scaffali, stanco di avere lo sguardo inquisitore della bibliotecaria attaccato
alla nuca.
In quel momento Harry aveva una delle ore buche che
avrebbe dovuto utilizzare per studiare per i G.U.F.O., così come quella dopo pranzo e, anche se sapeva bene di
non poter entrare nel Reparto Proibito, aveva deciso comunque di fare un salto
in Biblioteca. In fondo a parte cercare Anima e Corpo: Condanne e
Beatitudini del Legami Magici, non aveva ancora
speso un attimo a ricercare l’incantesimo contenuto nel libro, affidandosi
solamente al resoconto di Hermione alla quale, nella
fretta, non aveva nemmeno chiesto accurati dettagli.
Si stava incamminando verso il giusto reparto
quando qualcosa di spigoloso ed estremamente pesante gli cadde in testa,
facendogli vedere le stelle.
“Ahia! Che male…” esclamò massaggiandosi la testa e
guardando per terra, dove giaceva il grosso libro che lo aveva appena colpito.
“Oh scusa, mi dispiace!” arrivò una voce dall’alto.
Harry sollevò lo sguardo e vide, arrampicata s’una
delle scale per raggiungere i ripiani più alti, una ragazza rivolgergli uno
sguardo dispiaciuto scendere i pioli per tornare a terra. Pian piano che
scendeva ed Harry riusciva a vederla meglio, trovava
che aveva un ché di famigliare: capelli scuri raccolti in una stretta crocchia
dietro il capo, occhiali dalla montatura squadrata, labbra sottili…
‘Oh mio Dio,’ pensò il ragazzo
dopo averla riconosciuta, ‘è la
McGranitt!’
“Scusami davvero, non volevo, ma mi è scivolato di
mano.” Disse la Grifondoro una volta arrivata a terra.
Harry, risvegliato dallo shock alle sue parole, si
affrettò a raccogliere il libro da terra. “Fa niente, non l’hai fatto apposta.
Ecco.” Rispose, tendendole il tomo con una mano. Lei lo
prese e, osservandolo per qualche secondo con aria critica, disse:
“Sei il nuovo studente, vero?”
Harry la guardò sorpreso. “Come hai fatto a
indovinarlo?”
Lei di tutta risposta sbuffò, avvicinandosi ad uno
dei tavoli per posarvi il resto dei volumi che teneva tra le braccia. “Un normale
Serpeverde non si sarebbe sprecato ad accettare le mie scuse e raccogliermi il
libro.”
Harry si grattò la testa con fare imbarazzato.
“Forse hai ragione.” Rispose semplicemente, senza
sapere cosa dire.
Minerva lo osservò per qualche altro secondo, prima
di sedersi al tavolo, tenendo comunque la sedia scostata verso di lui. “Sai, ho
sentito parlare di te.”
Harry rise, sorprendendola un po’. “Questo è il mio
primo giorno e già corrono voci sul mio conto?”
La ragazza abbozzò un sorriso, “Quando mai non
corrono voci, qui a Hogwarts?” poi allungò una mano, “Minerva McGranitt.”
Harry sorrise e si avvicinò per stringerle la mano
e presentarsi. “Harry Evans, piacere di conoscerti.”
“Allora Harry,” incominciò
la sua futura professoressa finite le presentazioni, “visto che è il tuo primo
giorno, cosa ci fai qua in Biblioteca? Non ti avranno già dato compiti spero.”
Ecco, quella era già una domanda piuttosto spinosa
ed Harry, indeciso su come rispondere, si morse un labbro. Osservando la
ragazza di fronte a sé però, pensò che se fosse stato
attento sarebbe anche potuta essere d’aiuto.
“Ehm vedi, forse potresti aiutarmi a proposito.”disse con tono spaesato da
novellino, “Prima di trasferirmi qua stavo seguendo un progetto con uno dei
miei professori, sui legami magici.” Fu contento di vedere un luccichio
d’interesse accendersi negli occhi dell’altra. “Ho dovuto lasciare il lavoro a
metà e un po’ mi dispiace, per cui cercavo qualche
libro a proposito ma sai, è così grande questo posto.” Disse guardandosi intorno
e fingendosi meravigliato.
Minerva sembrava essersela bevuta – ‘E poi si chiedono tutti perché sono a Serpeverde’
– e battendosi un dito sul mento con aria pensierosa, rispose: “Legami magici…
si, mi sembra di aver letto qualcosa in proposito. Guarda, girato questo
scaffale, sulla destra dovrebbe esserci un reparto che ne parla.” Gli disse indicando il percorso, “Se poi vuoi, puoi venire
su questo tavolo, non mi disturba.” Aggiunse.
Harry la ringraziò e si avviò verso lo scaffale
indicatogli. In effetti Minerva aveva ragione: c’era
un bel po’ di materiale utile benché, ovviamente, non ci fosse il libro che
tanto stava cercando. Raccolse altri tre o quattro volumi, prima di ritornare
al tavolo dove la giovane McGranitt era già immersa
nei propri tomi. Nel totale silenzio, interrotto solo dal fruscio delle pagine,
i due ragazzi incominciarono a studiare.
Doveva essere passata più di un’ora
quando Harry, indolenzito dalla postura rigida, si stiracchiò sullo
schienale, catturando l’attenzione della ragazza di fronte a sé. Quella guardò
l’ora e, tirata fuori la bacchetta, materializzò un vassoio pieno di sandwich e
due bicchieri d’acqua.
Al sopracciglio alzato di Harry rispose: “Il pranzo
è già iniziato. Di solito quando io sono immersa nelle ricerche, di rado scendo
in Sala Grande per i pasti. Però se vuoi puoi anche andare, nessuno te lo
vieta.”
Harry scosse la testa e allungò una mano verso uno
dei sandwich. “No, anzi, ti ringrazio.”
Le lo guardò al di sopra del calice d’acqua. “È
proprio vero, sei diverso dagli altri Serpeverde.”
Harry sorrise. “Lo prendo come un complimento,
detto da un Grifondoro.” Disse, aggiudicandosi
un sorriso dalla sua compagna di studi.
Dopo aver finito i sandwich, curioso, il ragazzo
chiese: “Tu invece? Su cosa stai lavorando?”
Si stupì un po’ di vedere un lieve rossore salirle
sulle guance. “Io? Oh beh nulla, solo qualche libro che mi interessava a
proposito degli Animagi…”
Harry dovette trattenere la risata che gli venne
spontanea pensando al gatto-McGranitt. “In che anno sei?” chiese invece.
“Quinto.” Rispose lei.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia. “Ma gli Animagi non sono programma del quinto anno.”
Minerva cominciò a giocherellare con una delle
pagine del libro davanti a lei, leggermente a disagio. “No, lo so, è solo che…”
si fermò improvvisamente, guardando Harry sospettosa, “Aspetta un attimo, come
fai a sapere che non sono nel programma?”
Harry deglutì, cercando la prima scusa che gli
passò per la mente. “Ehm, me lo deve aver detto Tom una volta…”
Se non di soddisfarla, la risposta sortì almeno
l’effetto di distrarla. “Tom Riddle intendi? Lo conosci?” chiese
curiosa.
Il ragazzo annuì. “Si, visto che non c’era posto da
nessun’altra parte, divido la stanza di Prefetto con
lui. Diciamo che riusciamo ad andare d’accordo.”
Aggiunse con una bozza di sorriso.
La McGranitt alzò le sopracciglia.
“Davvero? Non l’avrei mai detto…”
“Credimi, nemmeno io.” Rispose Harry criptico, ma
lei non chiese spiegazioni e anzi, fece svanire il vassoio e cominciò a
raccattare i suoi libri.
“Beh, mi sa che io devo andare, Babbanologia
mi aspetta.” Disse mettendo un paio di tomi nella sua
borsa. “Tu cos’hai adesso?”
“Io un’altra ora buca, penso che resterò qui ancora
un po’.” Rispose lui.
Minerva, dopo aver sistemato tutto, si rivolse un’ultima
volta al ragazzo seduto. “Allora, ci si vede in giro Harry. È stato…
interessante fare la tua conoscenza.”
Harry sorrise. “Altrettanto,
Minerva.” Rispose e rimase a guardare la sua futura professoressa
allontanarsi e sparire dietro gli scaffali.
A.N.: Ah, teoria della magia, mi ha sempre affascinato
(anche se non esiste XD)!
E
Tom sospetta, e Tom sospetta, trallalerotrallallà! XD
Vabbeh, vediamo di scrivere
qualcosa di sensato: per esempio che c’era un motivo se la McGranitt
era scritta tra i personaggi. Questa storia è piena zeppa di comparse, alcune
delle quali non svolgeranno un ruolo significativo ma
spunteranno ogni tanto, altre appariranno una sola volta ma saranno la chiave
di alcuni eventi. Per cui, anche se sono noiosi, dateci un occhio ;).
P.S.: questa è una Tom/Harry, è
nata Tom/Harry e morirà (eh si, prima o poi finirà) Tom/Harry ;).
RISPOSTE:
MORFEa: ehilà, era tanto che non
ti si vedeva! Grazie mille come sempre, e come ho già scritto nel Post Scriptum Tom e Harry sono fatti per stare insieme, lo
vedono tutti (tranne la Row… =_=), ma per quanto riguarda quale
rapporto ci sia tra Alden e Tom… beh, che leggerà
saprà :P.
Kagchan: eheh,
piano piano spuntano un sacco di indizi per il nostro
Tom e di certo lui stupido non lo è… ;)
KIA: eh, lo sapevo che Alden
avrebbe suscitato reazioni simili, ma quoto ciò che ho
detto nel Post Scriptum! ^^
StellaMars: un’altra abbonata al Tom
Riddle Fan Club allora! ^^ Dovremmo cominciare a distribuire tessere
d’iscrizione XD. Sono contenta che la storia ti piaccia e spero che continuerai
a seguire!
Altri Personaggi:HermioneGranger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, DracoMalfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e
ancora Slash
Capitolo
16.In Camera
Harry era in camera, comodamente sdraiato sul suo
letto a leggere uno dei libri che aveva preso in prestito dalla biblioteca,
quando una lancinante fitta di dolore alla cicatrice lo costrinse a rizzarsi
seduto, portandosi una mano alla fronte con un sibilo di dolore.
Che cosa stava poteva essere successo a Tom tale da
provocare tanta rabbia? Forse era meglio se fosse
andato a cercarlo…
Non fece in tempo a girare le gambe per scendere
dal letto, però, che con un sonoro slam!la
porta si spalancò, mostrando un irato Tom Riddle sull’uscio.
“Dove diavolo eri!” sibilò il Prefetto
indirizzando il compagno di Casa, un bagliore rosso rubino che gli danzava
negli occhi.
“Tom, ma cosa…?” biascicò Harry tirandosi su a
sedere, stringendo ancora con una mano il libro e con l’altra massaggiandosi la
fronte, cercando di calmare il bruciore alla cicatrice che, con il suo
travestimento, non era visibile a occhio nudo.
Il Serpeverde fece un passo avanti e sbatté
violentemente la porta alle proprie spalle, prima di avvicinarsi a grandi
falcate verso l’altro ragazzo e fermarsi a mezzo metro dal letto, troneggiando
sopra l’ex Grifondoro.
“Cosa? Cosa, chiedi? Ho passato l’intera fottutissima giornata a cercarti, ecco cosa! Sei scomparso
dopo Storia della Magia, a pranzo non c’eri, dopo pranzo eri introvabile e ora
non ti presenti neanche a cena! Ecco cosa!” sbraitò tutto d’un fiato il
Prefetto, gli occhi accesi che passavano dal nero al rosso, ed ogni volta che
brillavano mandavano una nuova scarica di dolore alla cicatrice dell’altro.
Harry cercò di ignorare il dolore e di concentrarsi
sulla conversazione. “Tom, ti scongiuro calmati.” Lo
pregò, guardando nel frattempo l’orologio: in effetti
la cena era iniziata da un pezzo e lui, completamente preso dal suo libro, non
si era minimamente accorto del tempo che scorreva. “Mi dispiace per la cena,
stavo leggendo e ho perso il senso dell’ora…” disse, ma a
quanto pare non era abbastanza per calmare il suo compagno di stanza.
“La cena è l’ultima cosa! Voglio sapere dove sei
stato tutto il giorno!” Ribatté Tom
Dolore alla cicatrice o no, con che diritto Riddle
pretendeva di sapere dove passava il tempo Harry? Lui non doveva certo render
conto a nessuno, meno che meno a Tom Riddle. Harry si alzò in piedi, lasciando
il libro sul letto, così da fronteggiare Tom (quasi) alla stessa altezza.
“E perché mai sarei tenuto a dirti cosa faccio nelle mie giornate?” chiese provocatorio.
Gli occhi di Tom arsero di nuova furia e il nero venne divorato dal rosso. “Non ci provare neanche Evans.”
Rispose in un basso e minaccioso sibilo. “Sono stato io a procurarti i
falsi documenti, sono stato io a cederti una stanza dove dormire e
sempre io ti ho presentato agli altri Serpeverde: se fai qualche cazzata sono io a doverne rispondere davanti a tutta
la Casa. Sei sotto la mia responsabilità!”
Harry lo guardò con occhi spalancati. “Ma che
diavolo…? Cosa sono io, il tuo animaletto domestico? Non sono sotto la
responsabilità di nessuno se non di me stesso, figuriamoci di te poi!
Non sono una tua proprietà!” gli urlò di risposta, ma l’ennesima ondata di
dolore alla testa lo costrinse a sedersi di nuovo sul letto tenendosi la fronte
con una mano, tanto che aggiunse: “Sono stato in biblioteca cazzo!
Solo in biblioteca, contento? Ora però, per l’amor del
cielo, calmati!” ‘O la testa mi esplode.’ Pensò
tra sé.
Tom non rispose e, purché non avesse per niente
l’aria di essersi calmato e stesse stringendo ancora i
pugni convulsamente, i suoi occhi erano tornati del loro color onice. Vide
Harry tirare un sospiro di sollievo, tenendosi la fronte con una mano.
“Che cos’hai?” chiese in tono piatto.
“Mal di testa.” Mentì prontamente Harry, “E tu che
urli non aiuta certo le cose.” Aggiunse massaggiandosi
il punto dove sarebbe stata in mostra la famosa saetta.
Tom strinse i pugni un’ultima volta, poi fece
dietro front verso il centro della stanza, facendo qualche passo nervoso verso
la finestra, prima di fermarsi e tornare indietro. Assomigliava vagamente ad un
animale in gabbia in quel momento. Harry lo osservò incuriosito abbassare la
testa e lasciare alcune ciocche di capelli a coprirgli gli occhi. Si era appena
voltato per poggiare il libro sul comodino quando
sentì l’altro parlare.
“Credevo te ne fossi andato.”
Harry alzò nuovamente lo sguardo. “Come scusa?”
Tom voltò la testa in direzione della finestra,
evitando il suo sguardo. “Credevo fossi ritornato da dove sei venuto, qualunque
posto sia.”
Harry sgranò gli occhi, capendo almeno in parte
cosa fosse passato in testa al moretto. “Tom, no…
avevo detto che sarei andato via tra tre mesi, no? Perché hai pensato che fossi
partito?” chiese, e c’era qualcosa di non ben definito che gli scaldava il
petto al pensiero che l’altro ragazzo si fosse preoccupato tanto.
Il Serpeverde sospirò e si sedette sul proprio
letto. “Non lo so, ho visto che non c’eri e…” scosse la testa, “Non lo so, non
so niente: non so chi sei, non so da dove vieni, non so perché sei qui, non
so…” ‘non so perché sono andato in panico quando non
ti ho trovato.’ Pensò, ma non lo disse, alzando invece gli occhi e puntandoli
in quelli dell’altro. “Chi sei, Harry?”
La domanda fece mancare il respiro al ragazzo, che
non riusciva a staccare gli occhi da quelli nero inchiostro del Prefetto, che
mai come ora gli erano sembrati tanto espressivi. Ed era forse anche per questo
che gli stava facendo così male dovergli rispondere così:
“Tom, lo sai che non posso dirtelo…”
Ma il Serpeverde sbuffò. “No Harry, non lo so, non
lo so perché non mi puoi dirmelo.” Disse con una nota amara nella voce.
Rimasero in silenzio per quella che ad Harry sembrò un’eternità, ma che in realtà dovevano
essere stati solo un paio di minuti. Non aveva mai pensato che i suoi segreti
sarebbero stati un tale peso per l’altro ragazzo. Certo, era stato Tom stesso a
dirgli sin dall’inizio che voleva scoprire chi fosse, ma poi l’argomento non
era più saltato fuori e Harry non ci aveva dato più peso. Ormai era diventato
tanto normale recitare il ruolo che aveva costruito, che non trovava più strano
inventare particolari della sua presunta vita, ma…
Stava mentendo a tutti.
Questo pensiero colpì Harry come un fulmine a ciel sereno. Stava mentendo a tutti sul suo passato, sul
suo aspetto, sul suo futuro. Sapeva che avrebbe dovuto nascondere la sua
identità, sapeva che non avrebbe potuto raccontare a nessuno la sua storia, ma
non gli era mai pesata la cosa, perché non aveva mai pensato di farsi degli
amici.
Amici… si, in quei pochi giorni si era affezionato così
tanto ad Orion e alla sua giovialità, aveva trovato tanto divertenti le
chiacchiere inutili di Giselle, e anche Meredith, la
timida ragazzina di Corvonero che aveva subito trovato simpatica e sveglia e
poi… Tom
Tom, il ragazzo irraggiungibile, dalla personalità
tanto complessa ed oscura. Un’oscurità che terrorizzava ed ammaliava allo
stesso tempo, che ti chiamava, ti invitava ad avvicinarti solo per poterti
schiacciare dagli enormi muri di ghiaccio che il ragazzo aveva eretto intorno
alla sua anima.
Ma Harry sapeva cosa Tom sarebbe diventato e quell’oscurità era niente in confronto, quel ghiaccio
indissolubile era niente confronto al vuoto e alla distruzione che avrebbero
preso il suo posto. Per questo voleva vedere oltre quei muri, perché era
l’unico che avrebbe potuto vedere la differenza tra Voldemort e Tom Riddle, una
differenza in cui ormai credeva ciecamente. Avrebbe fatto di tutto per
salvarlo, se solo avesse potuto… ma non poteva.
E Tom, l’ultima persona al mondo che sarebbe dovuta
venire a conoscenza dei suoi segreti, era quella per la quale ad Harry pesava di più nascondere la verità. Perché?
Perché era così speciale?
Improvvisamente, Tom si alzò in piedi e,
apparentemente ripresa la sua facciata impenetrabile, disse:
“Se hai saltato il pranzo devi essere affamato, ma
ormai in Sala Grande sarà rimasto ben poco, meglio farti portare la cena qua da
un elfo.”
Ora che ci faceva pensare, Harry cominciava a
sentire i morsi della fame. “Si, grazie, mettere qualcosa sotto i denti non
sarebbe una cattiva idea. Ah, comunque non ho saltato il pranzo, in biblioteca
ho conosciuto una ragazza che era al tavolo con me e ha materializzato dei
sandwich da mangiare.”
Tom alzò un sopracciglio. “E chi sarebbe questa
ragazza?” chiese, con un’inclinazione nella voce che Harry non riuscì bene a
decifrare.
“Dovresti conoscerla anche tu: Minerva McGranitt, è una dei Prefetti di Grifondoro.” Rispose, vedendo un lampo di riconoscimento negli occhi
dell’altro.
“Si, l’ho vista alle
riunioni dei Prefetti.” Disse l’altro. Poi, con un sopracciglio alzato, aggiunse “Ma guarda, è solo il primo giorno e già fai
conquiste: stamattina quella Corvonero, poi la McGranitt…”
Harry arrossì fino alla punta dei capelli. “Ma no
Tom, che dici! Meredith non… Io… ohuf.” Fu tutto ciò che riuscì a cavar fuori in
risposta a quella provocazione.
Il Serpeverde ghignò, ma non diede altro segno di
voler continuare l’argomento, tornando alla cena. “Conosci per caso il nome di
qualche Elfo Domestico?” chiese all’altro, “Non ne ho mai chiamato uno.”
Harry ci pensò un attimo su. Gli era immediatamente
venuto spontaneo di chiamare Dobby, o al limite Kreacher, ma dubitava che fossero anche solo nati in quel
tempo. Si ricordò però, improvvisamente, dell’elfa che il Preside aveva chiamato durante il colloquio nel
suo ufficio, il primo giorno.
“Tibby!” chiamò ad alta
voce Harry, e due secondi dopo la piccola creatura apparve davanti in un
piccolo “Pof”, prostrandosi immediatamente in un
profondo inchino.
“I Signorini desiderano qualcosa? Tibby provvede subito.” Disse con
la tipica vocetta stridula.
Prima che Harry potesse aprir
bocca, Tom aveva già preso la parola. “Si elfa,
portaci un piatto –”
“Tom!” lo interruppe Harry, inorridito dal modo in
cui si stava rivolgendo a Tibby, la quale però sembrava non aver fatto una piega nel sentire le
dure parole del Prefetto. Tom si girò verso Harry e sembrava completamente
preso di sorpresa dall’occhiataccia di rimprovero che gli veniva
indirizzata.
Harry si voltò verso l’alfa, con un sorriso
incoraggiante. “Tibby, potresti, per favore, portarci
qualcosa da mangiare? Sbadato come sono, mi sono dimenticato di scendere per
cena.”
Tibby sgranò gli occhi e fece un
salto in aria. “Ma certo! Tibby torna subito col
cibo, Signore! Non si preoccupi Signore!” e sparì in un altro “Pof”.
Harry tornò a guardare male il compagno di stanza.
“Ti sembra quello il modo di rivolgersi a qualcuno? ‘Elfa’…
come se fosse un essere inferiore.”
Tom sgranò gli occhi e sollevò le sopracciglia. “È
un elfo domestico, è un essere inferiore!”
Harry si alzò in piedi, non riuscendosi
a spiegare del tutto la rabbia che stava provando. Dobby lo aveva aiutato innumerevoli volte, si era rivelato
un amico sempre fedele e disponibile. Sentire qualcuno che lo sminuiva solo per
idiotici pregiudizi lo stava facendo andare in
bestia.
“Anche gli elfi domestici hanno dei sentimenti e
non è giusto trattarli peggio di uno zerbino! Meritano come tutti di essere
rispettati!” ribatté stringendo i pugni ai lati del corpo.
Il Serpeverde alzò le mani al cielo con aria
esasperata. “Ma che –? Che diavolo ci fai tu a Serpeverde? Mi sembra di
parlare con un Tassorosso! ‘Hanno
anche loro dei sentimenti e non è giusto trattarli male’ ma per favore…” gli fece il verso
Tom, prima di puntare gli occhi neri direttamente in quelli nocciola di Harry.
“Non esiste nessun giusto o sbagliato, esiste –”
“Solo il potere e quelli troppo deboli per
ottenerlo?” ringhiò Harry interrompendolo.
Tom fece un passo indietro, spiazzato. “Come… come
fai a…?” cercò di formulare, lasciando trasparire la confusione, la sorpresa e
il sospetto sul suo volto.
Ma Harry scosse la testa
sconsolato. “Stai sbagliando tutto, Tom.” Disse, con una nota di
profonda tristezza nella voce. “Stai sbagliando davvero tutto.”
Perché un attimo prima fai
qualcosa che mai riuscirei a veder Voldemort fare, e un attimo dopo parli
esattamente come lui? Un secondo prima sei un normale ragazzo di sedici anni, e
quello dopo sei l’ombra di un mostro? Mi volto e i tuoi occhi sono pozze
d’inchiostro, mi volto e sono diventati rosso sangue?
Tu chiedi a me chi sono, Tom, ma…
Chi sei tu, invece?
Chi sei, Tom?
Vennero entrambi risvegliati dal “Pof” che annunciava il ritorno di Tibby.
La piccola elfa stava portando sulla testa un’enorme vassoio pieno di cibo, quello che Harry avrebbe
giurato fossero almeno tre portate. Se il ragazzo non si fosse affrettato ad
afferrarlo, era sicuro che avrebbe spiaccicato completamente Tibby quando
quella tentò di prostrarsi nell’ennesimo inchino, mentre ancora teneva il
piatto con le sue braccine esili.
“Desidera ancora qualcosa, Signore? Tibby sarà felicissima di servire!” squittì l’elfa euforica.
Harry sorrise, ma scosse la testa. “No, non ti
preoccupare Tibby, ma grazie mille per il cibo: sono sicuro che sarà ottimo.”
Tibby cominciò a saltellare di
qua e di là. “Oh, il Signorino non deve ringraziare, Tibby
ha fatto solo il suo dovere! Il Signorino non esiti a chiamare se ha bisogno di
qualcosa!” e detto questo sparì con il solito ‘Pof’.
Harry portò il vassoio sul letto senza preoccuparsi
minimamente delle macchie che avrebbe potuto lasciare sul copriletto, si
sistemò comodamente contro la spalliera e, piatto sulle gambe, cominciò a
mangiare. Uno strano formicolio alla cicatrice gli fece nuovamente portare una
mano alla fronte, girandosi curioso verso il suo compagno di stanza, che lo
stava osservando attentamente, un’espressione indecifrabile sul volto. La
vecchia ferita non gli stava facendo male, ma avrebbe dato qualsiasi
cosa per sapere cosa stesse pensando il moretto in quel momento.
“Puoi tornare com’eri prima?” arrivò la domanda
inaspettata.
Harry corrugò le sopracciglia, non del tutto sicuro
di averlo capito. “Come scusa?” chiese, e fu curioso di vedere l’altro mordersi
un labbro nell’unico sintomo di indecisione che gli aveva mai visto avere.
Stranamente, il suo sguardo non riusciva a distogliersi dai denti banchi che
torturavano quel labbro perfetto.
“Si, senza questa… questa
maschera.” Continuò Tom, indicando vagamente nella sua direzione. Vedendo Harry
adocchiare la porta preoccupato, aggiunse “Stai
tranquillo che non verrà nessuno, nemmeno Orion osa entrare nella camera,
fortunatamente si limita al salottino.”
Harry lo osservò un attimo, non riuscendo a capire
il motivo di quella strana richiesta. Ma se quello che aveva detto era vero,
che male c’era infondo? Chiuse gli occhi e si concentrò nel rimuovere
l’illusione. Come se qualcuno gli avesse rotto un uovo in testa, Harry sentì la
magia scivolargli di dosso, partendo dalla testa fino a scorrere giù alla punta
delle scarpe.
Quando il ragazzo seduto sul letto aprì gli occhi,
Tom si scontrò nuovamente con le brillanti pozze color
AvadaKedavra che lo
avevano incantato dalla prima volta che le aveva viste. Erano la sfumatura di
verde più vivida che avesse mai visto, erano verde
speranza e insieme il verde della maledizione mortale, erano il verde della
natura, della vita ed insieme il verde che ci si sarebbe potuti aspettare dal
veleno più letale.
“Ti ho già detto, vero, quanto mi piacciono i tuoi
occhi?” disse senza pensare, avvicinandosi, “I tuoi veri occhi intendo.”
Harry trattenne il respiro. Non riusciva a
decifrare quello sguardo negli occhi di Tom – nemmeno ora che si stava facendo
così vicino – ma, per quanto a disagio, non riusciva
nemmeno a sentirsi minacciato.
Gli sarebbe solo piaciuto sapere che cosa diavolo
stava succedendo, e perché ad ogni passo che l’altro faceva, la cicatrice gli
formicolava così insistentemente.
Quando il Serpeverde fu davanti al letto, si
abbassò al livello dell’altro ragazzo ed Harry non riuscì a fare nulla se non
guardare con occhi spalancati una delle pallide dita affusolate scostargli una
ciocca nera dagli occhi, in un gesto lento, quasi guidato da qualche forza
esterna. Inspirò sorpreso, invece, quando le dita sfiorarono accidentalmente la
famosa saetta, ed un improvviso fiotto di calore esplose dalla sua fronte e gli percorse tutto il corpo, lasciandolo boccheggiante per
la sensazione piacevolmente sublime.
Era come se ogni nervo del corpo gli si fosse
improvvisamente acceso, e in un’onda di piacere partita dalla cicatrice, un’avvolgente calore gli invase il resto del corpo,
facendogli mancare il respiro. Nella sua mente annebbiata riuscì solo a
chiedersi furtivamente che cosa stesse succedendo e a
sperare che Tom non si fosse accorto di nulla.
La reazione di Harry però, per quanto minima in
confronto alle sensazioni che stava provando, sembrò risvegliare il Prefetto da
quella strana trance in cui era caduto e ritirò la mano di scatto, voltandosi
poi leggermente confuso. Mentre Harry riprendeva fiato, Tom percorse i pochi
passi che lo separavano dal suo letto e vi si sedette, osservandosi la mano in
questione come se potesse contenere tutte le risposte ai mille dubbi che gli
affollavano la mente, tanti quanti non ne aveva mai avuti.
Harry abbassò gli occhi sul vassoio di cibo ormai
dimenticato, un turbinio di pensieri ed emozioni che gli vorticavano dentro,
mentre quel piacevole calore ancora gli pizzicava alla punta delle dita. Dio,
non ci stava capendo più niente…
Si portò per l’ennesima volta una mano alla fronte,
massaggiandosi la vecchia ferita che continuava tutt’ora
a sorprenderlo. Quando però sentì lo sguardo dell’altro ragazzo puntato su di
sé e si voltò per fronteggiarlo, capì immediatamente l’errore che aveva
commesso: vide gli occhi neri seguire il suo braccio e puntarsi sulla cicatrice
in mezzo alla fronte, prima di assottigliarsi curiosi.
“Come ti sei procurato quella ferita?” arrivò la
scontata domanda.
Harry sospirò e spostò il vassoio che aveva sulle
ginocchia sul tavolino di fianco al letto, prima di stendersi tra le coperte,
voltando la testa verso Tom, ben conscio della cicatrice che spiccava
fieramente sulla sua fronte.
“La notte che i miei genitori sono morti, quando
avevo un anno. È lì che me la sono fatta.” Rispose, sentendosi estremamente
stanco d’improvviso. Vide Tom irrigidirsi, ma in fondo alla mente sapeva che
non gli sarebbe bastata come risposta.
“Avevi detto che i tuoi genitori erano morti in un
incidente d’auto, ma quella è una cicatrice da maledizione, ne sono certo. Se
così non fosse, sarebbe già guarita.” Continuò il
Serpeverde e, sebbene Harry non amasse per niente la piega che stava prendendo
la discussione, sapeva che prima o poi si sarebbe ritrovato di fronte a domande
del genere. Stranamente, non trovava più così terribile il pensiero di parlare
dei suoi genitori a Tom, forse perché infondo se c’era qualcuno che avrebbe
potuto capirlo, sarebbe potuto essere solo un orfano
come lui.
“Non… loro non sono morti in un incidente d’auto.” Sospirò infine strizzando gli occhi, rivivendo per un
attimo le grida di sua madre e il fascio di luce verde che tante volte aveva
rivisto nei suoi incubi. “Sono stati assassinati.”
Avendo gli occhi chiusi, non vide l’altro ragazzo
spalancare i propri, per poi abbassare la testa guardandosi le mani.
“Tom, io non voglio mentirti,”
il Prefetto sentì Harry continuare dalla sua posizione, sdraiato sul letto, “ma
se voglio rimanere sincero, ci sono delle risposte che non posso darti.”
Il Serpeverde tornò ad osservare quegli occhi
impossibilmente verdi, che in quel momento sembrava che lo stessero pregando di
capire, semplicemente capire, qualunque cosa ci fosse da comprendere.
Era uno sguardo che gli stava chiedendo qualcosa che nessuno prima d’ora aveva
osato chiedergli: fiducia.
Sospirò, non rassegnato – quello non lo sarebbe
stato mai – ma disposto a lasciare le spiegazioni ad un altro momento. Un unico
cenno di assenso con la testa bastò per far rilassare visibilmente la figura
del ragazzo sdraiato. Tom lo vide sospirare piano e massaggiarsi nuovamente il
punto dove era in bella mostra la sua cicatrice. ‘Aspetterò
per le risposte che cerco, ma non pensare che abbia rinunciato anche solo per
un attimo.’
“Che cosssa ti turba
tanto, Tom?” arrivò un sibilo dall’altro lato della stanza.
Mentre Tom sorrideva appena, riconoscendo la voce
del suo fidato famiglio, Harry spalancò gli occhi di scatto tirandosi su
seduto. Voltando la testa verso dove gli sembrava fosse provenuto il sibilo –
cercando di non farsi notare troppo visto che non sarebbe
dovuto essere capace di comprenderlo – vide appoggiato contro la parete opposta
un grande terraio che non aveva ancora mai notato, ma
nel quale, ora che ci faceva caso, riusciva a vedere benissimo il grosso pitone
arrotolato ad un ramo, con la testa che usciva fuori dal vetro privo di
coperchio, la lingua biforcuta che serpeggiava tra le fauci chiuse.
“Nulla di cui preoccuparsi, Nagini,” rispose in Serpentese Tom, “ma non ti ho ancora
presentato il mio nuovo compagno di stanza.” Si voltò verso Harry,
attribuendo lo shock dipinto sul suo volto al fatto di averlo sentito parlare
Serpentese.
“Harry, ti ho mai detto che sono un Rettilofono?” ghignò leggermente, mentre si alzava e
raggiungeva il terraio dove risiedeva Nagini. Allungò
un braccio verso il serpente, che non perse tempo ad attorcigliare le sue spire
intorno al suo padrone. Con pitone appresso, attraversò la stanza dirigendosi
verso Harry e, una volta arrivatogli davanti, disse con tono divertito “Nagini,
questo è Harry. Harry, lei è Nagini.”
L’ex Grifondoro era ammutolito, non solo per lo
shock di ritrovarsi davanti al serpente che in più di una battaglia aveva
tentato di ucciderlo, ma anche perché non era sicuro di saper mantenere le sue
parole in inglese, con un serpente davanti.
“Non preoccuparti Harry, non è velenosa e non ti
farà nulla.” Cercò di rassicurarlo Tom, non conoscendo
i veri motivi della riluttanza dell’altro. Poi si rivolse nuovamente al
serpente: “Allora Nagini, cosa ne pensi?”
Una delle pupille verticali del rettile si voltò
verso il ragazzo sul letto. “Mi piacciono issuoi occhi, cosssì verdi…”
Tom ridacchiò. “Ho pensato la stessa cosa. È
davvero bello, non è vero?”
Harry sgranò gli occhi e voltò la testa da un lato
per nascondere il furioso rossore che gli era salito alle gote nel sentire quell’inaspettato complimento. Doveva far di tutto per non
far capire che stava comprendendo le loro parole, ma non riusciva ad ignorare
quel qualcosa simile al calore dell’incidente di poco prima che gli si era creato nello stomaco a quelle parole.
“È vero, ma c’è qualcosss’altro…
sssento il tuo sstessso
odore ssu di lui, come mai?”
Tom osservò nuovamente il ragazzo di fronte a sé
pensieroso, con un’improvvisa scintilla calcolatrice negli occhi. “Non
saprei dirti, Nagini.”
Harry si irrigidì ulteriormente. Cosa voleva dire
che aveva il suo stesso odore? Che…? No, non era possibile… Che Nagini
riuscisse a fiutare il legame che c’era tra loro due, il frammento dell’anima
di Tom che risiedeva dentro di lui? In effetti sapeva
benissimo che Nagini non era un serpente qualunque, ma che potesse arrivare a
tanto…
“Ma il tuo amico non ssasssalutare?” chiese improvvisamente Nagini,
facendo saettare la lingua biforcuta dalle fauci chiuse, in segno di
irritazione. Harry a quelle parole – o sibili – impallidì.
‘No, no, no! Non farmi
parlare, ti prego, non farmi aprir bocca!’ pensò nel panico.
Tom aggrottò le sopracciglia e lanciò un’occhiata
inquisitrice al ragazzo. “Nagini ha ragione Harry, è maleducazione non
salutare.” Disse, ma vedendo la reticenza dell’altro
aggiunse, “Ti ho detto che non è pericolosa, o per lo
meno, non per te.”
Ma Harry non sapeva cosa fare: non poteva rischiare
di parlare in Serpentese di fronte a Tom, ma se non avesse fatto qualcosa
subito, il Serpeverde si sarebbe di sicuro insospettito e avrebbe potuto capire
tutto comunque…
Prese un profondo respiro e si volse verso il
grosso serpente, evitando di guardarlo negli occhi e tenendo lo sguardo fisso
appena sopra il muso dell’animale, sperando che sarebbe bastato per mantenere
le sue parole in Inglese e che Tom non si accorgesse di nulla.
“P-piacere di conossc-scerti, Nagini.” Riuscì a balbettare, con appena appena una nota sibilante nella voce.
Tom annuì soddisfatto. “Visto? Non era poi così
difficile.” Disse, senza essersi apparentemente
accorto di nulla. Poi, vedendo il colorito pallido dell’altro aggiunse, “Non mi
dirai che hai paura dei serpenti?”
Harry, che aveva appena tirato un sospiro di
sollievo per averla fatta franca, scosse la testa in segno di diniego. Si
ritrovò però a deglutire piuttosto rumorosamente quando notò, tornando a
guardare per un attimo il pitone davanti a sé, che gli occhi del rettile erano
puntati su di lui in quello che, Harry avrebbe potuto giurare, era uno sguardo
di curioso interesse.
Come mai aveva l’impressione che Nagini sapesse?
“Ssai Tom,” sibilò lentamente il serpente, “pensso
che ssia proprio un tipo interesssante,
il ssignor Verde…”
Tom lanciò un’altra occhiata ad
Harry, il quale non aveva staccato gli occhi dal pitone. “E per quale
motivo?”
Nagini fece uno strano verso, che Harry interpretò
come il corrispondente rettile di una risatina, continuando a fissare il
ragazzo con le sue pupille sottili. “Oh, nesssun
motivo particolare.”
Prima che il Prefetto potesse
stare troppo a riflettere sulle parole del suo famiglio, Harry si era alzato in
piedi passandosi nervosamente una mano tra i capelli. Sotto lo sguardo
inquisitore di Tom, biascicò in fretta uno “Scusa un attimo…” prima di fondarsi
in bagno con passo affrettato e chiudersi dentro a chiave, lasciando un Tom
decisamente confuso a guardare la porta dietro alla quale era appena sparito il
suo compagno di stanza.
Harry, dentro il bagno, appoggiò con un sospiro la
fronte alla porta, tenendo ancora una mano aggrappata alla maniglia. Era andato
così vicino a farsi scoprire… A dividere una camera con Tom si sarebbe
dovuto aspettare situazioni del genere, ma ciò non diminuiva il senso di panico
che aveva provato per un attimo davanti a Nagini.
Si guardò la mano sinistra, quella che non era
chiusa intorno alla maniglia, e si lasciò andare ad una piccola risatina isterica quando la vide tremare contro il legno della porta.
Dio, stava addirittura tremando…
Decise che sarebbe stato meglio darsi una bella
rinfrescata e, voltandosi, diede per la prima volta uno sguardo all’interno del
bagno. Era un po’ come se lo sarebbe immaginato, vista
la grandezza del resto dei quartieri del Prefetto: il colore predominante era
il bianco, mentre ogni guarnizione in metallo luccicava dell’argento lucidato.
Le piastrelle del pavimento erano ornate di ricche decorazioni in verde giada,
mentre sulle mattonelle delle pareti si alternavano serpeggianti
arabeschi smeraldo e raffinate rifiniture argentate.
Guardandosi intorno, il ragazzo lasciò scivolare lo
sguardo dalla spaziosa vasca da bagno posta sotto la finestra al vano doccia che occupava l’angolo opposto alla porta, poi
al grande specchio sopra il lavandino e alla toilette di porcellana bianca.
Harry si avvicinò al lavandino ed osservò
leggermente divertito i due serpentelli dipinti sulle manopole dell’acqua calda
e dell’acqua fredda, per non parlare dello stemma di Serpeverde cucito sugli
asciugamani appesi agli appositi ganci sulla parete: certo che l’orgoglio della
Casa verde-argento sconfinava nell’ossessione.
Aprì il rubinetto dell’acqua fredda e si gettò sul
viso una spruzzata d’acqua gelida, guardando attraverso lo specchio i rivoli
che gli scendevano sul collo e le goccioline che cadevano dai ciuffi neri
bagnati.
Lo colpì improvvisamente un’onda di stanchezza, di
un torpore che non aveva mai provato: si sentiva le membra pesanti e il respiro
fiacco, come se qualcosa lo stesse d’un tratto opprimendo dall’interno. Non
avrebbe voluto altro che cedere al sonno, sprofondare in quell’oscurità
tanto amata e avvolgente, quella che teneva lontana tutti gli incubi che altrimenti
lo avrebbero tormentato senza dargli pace.
Gli sarebbe bastato stappare una piccola boccetta,
lasciare il liquido denso scendergli in gola e poi arrendersi al buio del
sonno…
Harry spalancò gli occhi di scatto. Con una punta
di angoscia sollevò la mano sinistra all’altezza degli occhi, osservando il
tremito delle dita con tutto un nuovo significato. Non era stato lo shock di
vedere Nagini, non era stata la paura di essere scoperto…
Era la dipendenza dalla pozione soporifera che
cominciava a fare effetto.
“Merda.” Sussurrò Harry
stringendo il bordo del lavandino finché le nocche non gli furono diventate
bianche. Aveva un’improvvisa voglia di tirare un pugno allo specchio, tutto per
non dover più vedere i piccoli spasmi che gli stavano percorrendo le mani.
Dannazione, sapeva che il Distillato della Morte
Vivente dava assuefazione, sapeva che con l’uso quotidiano che ne faceva
sarebbe sicuramente finito a sentirne gli effetti. Ed erano appena cosa, le
dieci e mezza? Le undici? E già lui era in astinenza…
Chiuse rabbiosamente il rubinetto, strattonando
violentemente uno degli asciugamani dai ganci.
Era l’ennesimo problema in più che si aggiungeva
alla sua lunghissima lista. Ma cosa poteva fare? L’alternativa era… no, non
voleva nemmeno pensarci. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di non doversi
confrontare con i propri incubi. Scenari raccapriccianti della devastazione
delle battaglie, le grida dei suoi amici che invocavano aiuto e Anna Habbot che urlava sotto gli effetti della maledizione Cruciatus, Micheal Corner a cui veniva risucchiata l’anima da un Dissennatore, Lavanda
Brown che veniva fatta a pezzi da Greyback,
e poi Cedric che si accasciava a terra in un lampo di
luce verde e Sirius che cadeva oltre il Velo…
Scosse la testa cercando di allontanare quelle
immagini che, più gli si affollavano nella mente, più richiamavano dentro di
lui quel desiderio di oblio e oscurità contro cui
invece avrebbe dovuto combattere più che poteva, sapendo che alla fine sarebbe
dovuto in ogni caso soccombere.
Dopo essersi passato l’asciugamano sul viso, lo
riagganciò al suo posto prima di dirigersi di nuovo
verso la porta. Strinse la mano tremante alla maniglia facendo un profondo
respiro, poi aprì.
Tornando nella camera da letto, fu sorpreso di
vedere che Tom era tornato sul suo letto, sdraiato con le spalle contro la
spalliera a leggere un libro in tutta tranquillità. Nagini era di nuovo dentro
il suo terraio, la testa nascosta tra le spire
attorcigliate al suo ramo e nessun segno di attività.
Il ragazzo si richiuse la porta dl bagno alle
spalle, attirando l’attenzione di Tom con il click della maniglia. Il Prefetto
lo osservò per qualche secondo con i suoi occhi neri, poi semplicemente chiese:
“Tutto bene, Harry?”
L’indirizzato deglutì una volta, prima di esibire
un sorriso teso. “Io? Benissimo, perché non dovrei?”
rispose con una risatina, mentre torturava nervosamente la manica della divisa
con le dita. Quando abbassò lo sguardo e vide le sue mani tremanti bene in
vista, si affrettò a nasconderle nelle tasche.
Tom alzò un sopracciglio adocchiando per un attimo
quel gesto inconsueto, ma non disse nulla. “Stai andando a dormire?” chiese
vedendo l’altro tirar fuori dal suo baule il pigiama.
“Sono solo le undici.”
“Ehm… è stata una giornata pesante.” Farfugliò mentre si cambiava velocemente con gesti nervosi,
cercando di tenere le mani occupate per nascondere il tremito e di avere un
pretesto per non guardare in faccia il Serpeverde.
Una volta che fu vestito per la notte, con la scusa
di riporre la divisa nel baule, rovistò un attimo per prendere il Distillato,
che fece scivolare nella tasca del pigiama con nonchalance. Aprì poi le tende
del letto a baldacchino e, senza voltarsi, diede la buonanotte al suo compagno
di stanza, prima di sparire dietro la pesante tela verde scuro, ben conscio
dello sguardo degli occhi d’onice che sentiva puntato sulla sua nuca.
Appena le tende del letto di fianco si furono
chiuse, Tom posò il libro che stava tenendo in mano sul comodino: i suoi
pensieri non potevano essere più lontani dalla lettura in quel momento.
Che cosa voleva dire l’improvvisa dipartita del
ragazzo? Se pensava di comportarsi in quella maniera e non destare sospetti,
era davvero un ingenuo. Ma per quanto si sforzasse,
Tom non riusciva ad inquadrare bene la causa dello strano e improvviso
comportamento. Centrava qualcosa Nagini forse? Era spaventato dai serpenti?
Scioccato dal fatto che lui fosse un Rettilofono? No,
in qualche modo non sembrava quella la risposta giusta…
Nel far vagare gli occhi verso il letto che
nascondeva il motivo delle sue elucubrazioni, un piccolo particolare catturò
l’attenzione del Prefetto: sul comodino di fianco al baldacchino, era
appoggiato il libro che Harry era intento a leggere quando
lui era entrato in camera.
Incuriosito, si alzò dal letto e si avvicinò al
basso tavolino cercando di fare il meno rumore possibile, ma dal letto
dell’altro non giunse alcun segno di averlo sentito. Con cautela raccolse in
mano il libro rilegato, leggendo il titolo sul dorso.
Magie dell’Anima e il Loro Uso Attraverso i Secoli.
Tom assottigliò gli occhi, riponendo il libro al
suo posto e fissando le pesanti tende di velluto.
‘Scoprirò tutto, Harry.’ Pensò,
‘Prima o poi, scoprirò tutto quanto.’
A.N.: Siete arrivati tutti interi alla fine? Merlino quant’era lungo! 5.300 sudatissime
parole (scusate, ma passando le mie giornate su FanFiction.net
sono stata contagiata dalla fissa per il conteggio parole ^^”) e anche il
prossimo è più o meno della stessa lunghezza.
Povero
Harry comunque, gliene invento una dopo l’altra, ma è tutto necessario. E
finalmente si è vista qualche scena interessante per quanto riguarda un po’ di
Tom/Harry, anche se sembrano incapaci di non litigare come cane e gatto! ;)
D’altro,
posso solo chiedervi di commentare, che sia un “che palle ‘sta storia, quando
arriva lo slash?!” o un
semplice “aggiorna presto!”
Ringrazio
tutti quelli che recensiscono, tutti quelli che leggono e tutti quelli che
hanno aggiunto la storia ai preferiti, a venerdì prossimo!
RISPOSTE:
GinnyW: in effetti Harry non è mai passato
inosservato, checché lui desideri XD. Spero davvero che questo capitolo di solo
Harry e Tom abbia riscattato quelli precedenti e posso dirti che nei prossimi
daranno meno spazio a personaggi secondari!
StellaMars: avevi ragione, la storia tra i due è andata
avanti! Sono felice che ti sia piaciuta l’entrata della McGranitt,
hai capito l’idea che volevo dare di lei e anche se non coprirà un gran ruolo
in questa storia era un personaggio che non potevo fare a meno di introdurre. Ora
però sarà bene che mi focalizzi sui due protagonisti, o prima o poi voi lettori
mi falcerete XD.
KIA:
grazie per aver aggiunto la fic ai tuoi preferiti! E
per risponderti: le emozioni di Tom non sono facili da leggere (e le descrivo
apposta così sibilline), ma ti posso dire che era
sicuramente preoccupato che Harry ce l’avesse con lui!
Kagchan: ti posso assicurare che la lunghezza di questa fic sta spaventando la sua stessa autrice! E le Lemon? Diciamo solo che ne avevo già un paio in mente quando non avevo ancora cominciato nemmeno il primo
capitolo ;)
Zafirya: ma figurati, non voglio pensare io a tutte le fica cui non recensisco x
pigrizia XD. Comunque si, Alden è fatto apposta per
essere odiato e ricoprirà il ruolo adatto a tempo debito. Tom geloso? Noooo, ma dove! XD È una persona possessiva, si sa. :P
Altri Personaggi:HermioneGranger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, DracoMalfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e
ancora Slash
Capitolo 17.Tradito
I tavoli erano già accesi di chiacchiere e risate
quando Harry entrò in Sala Grande per la colazione. Aveva i capelli ancora
leggermente bagnati dalla doccia che si era fatto poco prima e l’aria
rifocillata e attiva che aveva sempre quando tornava
da uno dei suoi allenamenti. Si diresse con sicurezza verso il tavolo di
Serpeverde, avendo ormai smesso di confondersi e dirigersi verso quello di
Grifondoro come gli era capitato nei primi giorni.
“Ehi Harry! Finalmente ti si vede, eri di nuovo a
correre?” gli arrivò per prima la voce di Orion, appena si fu avvicinato.
Alle parole di Black anche Tom, sedutogli di
fronte, si voltò, annuendo una volta in segno di saluto e mormorando
semplicemente “Buongiorno Harry” per poi ritornare al suo caffè.
“Si, ero giù al Lago.” Rispose il ragazzo,
continuando però a guardare il Prefetto. Sembrava che il
litigio del giorno prima non fosse mai successo, ma con la capacità di
Tom di mascherare le proprie emozioni, non si poteva mai sapere se fosse
arrabbiato o no.
Quando però il Serpeverde si spostò leggermente a
sinistra, in modo da lasciare uno spazio abbastanza largo sulla panca tra lui
ed Eileen, Harry tirò un sospiro di sollievo che non
sapeva nemmeno di aver trattenuto e gli si sedette di fianco, accettando grato
l’invito. Non si era nemmeno reso conto fino a quel momento quanto lo avesse
turbato il pensiero che Tom ce l’avesse avuta ancora
con lui.
Orion squadrò con occhi lascivi il ragazzo mentre si sedeva. “Mmm,
allenandoti ogni giorno devi essere davvero in gran forma… Tutti quei muscoli,
sarebbero perfetti per– Ahia! Tom, ma perché l’hai
fatto?” gemette il Serpeverde massaggiandosi uno stinco da sotto il tavolo,
probabilmente in seguito ad un doloroso calcio, “Quidditch.
Sarebbero perfetti per il Quidditch.” Finì lanciando un’occhiata torva al Prefetto.
Tom non alzò nemmeno gli occhi dalla sua copia
della Gazzetta del Profeta, limitandosi ad un piccolo ghigno tra sé e sé.
“Ehi, Orion non ha poi tutti i torti.” Si intromise
Caleb masticando di gusto un toast alla marmellata,
“Non avevi detto che giocavi prima di venire qua?”
Harry deglutì, cercando di prendere tempo
versandosi una tazza di latte. “Si, ma niente di spettacolare… e poi giocavo
come Cercatore e ci sei già te in squadra, Caleb: non voglio rubare il posto a nessuno.” Tentò di
spiegare. La sua Firebolt avrebbe suscitato troppe
domande e a giocare con una delle scope di quel tempo non si sarebbe mai
sentito a proprio agio.
“Beh, peccato.” Si limitò a ribattere il biondino,
forse non volendo approfondire il discorso visto che si metteva a rischio la
sua posizione nella squadra.
Intanto, mentre tirava il secondo sospiro di
sollievo della mattinata, Harry alzò lo sguardo verso gli altri tavoli, non
riuscendo ancora ad abituarsi a vedere davanti a sé quello di Corvonero al
posto della massa giallo-nera dei Tassorosso. Molti
di loro avevano davvero un libro aperto di fianco alla propria tazza di tè, una
cosa che Harry aveva sempre pensato essere solo uno stereotipo.
Facendo vagare distrattamente gli occhi però, una
figura alla fine del tavolo attirò la sua attenzione: era Meredith, la
ragazzina che aveva conosciuto in classe il giorno prima, seduta separata dagli
altri da almeno un paio di posti, completamente sola. Teneva la testa
abbassata, probabilmente per leggere anche lei un libro che teneva sulle
proprie ginocchia, e di tanto in tanto dava un morso ad un toast triangolare.
Harry aggrottò le sopracciglia: cosa ci faceva
seduta al capo più lontano del tavolo? Ora che si ricordava, anche a lezione si
era avvicinato giusto perché l’aveva vista sola e in disparte, seduta in prima
fila mentre gli altri chiacchieravano amabilmente tra amici.
“Scusa un secondo…” bofonchiò ad Orion, che aveva
cominciato un discorso di cui non aveva ascoltato una sola parola, e si alzò
diretto verso il tavolo di Corvonero.
Arrivato davanti al suo obbiettivo, si sedette con
noncuranza nel posto di fronte alla ragazza, ignorando completamente i bisbigli
che si stavano alzando nel vedere un Serpeverde sedersi al tavolo di un’altra
Casa.
“Ehilà Meredith, che leggi di bello?” chiese
allegramente per attirare l’attenzione dell’altra.
La ragazza alzò la testa di scatto e un’espressione
sorpresa le si disegnò sul volto vedendo Harry, subito
seguita dal suo caratteristico rossore sulle gote.
“Oh, io… cioè, ciao Harry…” balbettò con voce
flebile, ma al sorriso incoraggiante di Harry continuò, “Leggevo questo libro,” Rispose tirando su sul tavolo uno spesso volume dall’aria
consunta, “è sui Patronus, molto interessante. Poi visto
che… cioè, avevi detto che me lo avresti insegnato…” arrossì ancora di più,
“volevo portarmi un po’ avanti…”
“Oh, ma si, certo. Fai benissimo, anzi!” rispose il
ragazzo sorpreso. In realtà si era completamente dimenticato di quella promessa
e già stava cominciando a sentirsi in colpa.
Meredith abbassò gli occhi, ma si lasciò ad un
timido sorriso. Poi, con uno sguardo leggermente più curioso – che le toglieva anche un po’ di quell’aria
da bambina addosso – disse:
“Ehm, Harry? Non che non ti voglia… anzi, il contrario, ma ehm… perché sei qui? Cioè,”
aggiunse all’occhiata interrogativa dell’altro, “questo non è il tuo tavolo, te
ne sei accorto?”
Il ragazzo scrollò le spalle. “Ha importanza?”
chiese, iniziando a mangiare, “Non c’è nessuna regola che vieta di sedersi ai
tavoli delle altre case.” Masticò rumorosamente i suoi
cereali con aria pensosa, “Oh beh, forse c’è, o se no
ci sarebbe di sicuro più macello, ma finché non do fastidio a nessuno non vedo
cosa ci sia di male.”
Sebbene i Corvonero fossero famosi per seguire le
regole a puntino, Meredith non fece altro che soppesare per un attimo le parole
del compagno, prima di tornare ad addentare il suo
toast.
“Piuttosto,” continuò
Harry, “come mai sei seduta qui tutta da sola?”
La ragazza abbassò subito lo sguardo, ma più che
un’espressione imbarazzata, quella che le attraversò il volto sembrava un misto
tra tristezza e amarezza. “Io… non ho molti amici. Non c’è molta gente che mi
trovi simpatica, ecco.”
Harry assottigliò gli occhi e osservò il resto del
tavolo di Corvonero: come sempre molti ripassavano, le ragazze ridacchiavano e
qualcuno gli lanciava occhiate sospette, ma nessuno sembrava particolarmente
curioso o preoccupato che il Serpeverde stesse
parlando con una loro amica o compagna di classe.
“Meredith,” iniziò
riportando l’attenzione sulla ragazza davanti a sé, “qual è il vero
problema?”le chiese con voce calma ma
ferma.
Finalmente la Corvonero alzò gli occhi e, Harry fu
sorpreso nel notare, non vi era ombra di insicurezza sul suo volto e le
emozioni erano stampate in modo chiaro e deciso nei suoi occhi.
“Forse Serpeverde è la Casa degli ambiziosi,” rispose, “ma a Corvonero uno dei tratti più distintivi è
sempre stata la competitività. A nessuno piace dover riconoscere che può
esserci qualcuno migliore di lui, ed ogni pretesto è buono da usare come scusa.”
Harry aggrottò le sopraciglia, confuso. Che cosa
voleva dire con quello? Non c’era alcun motivo per cui
la competitività avrebbe dovuto impedirle di farsi degli amici… Spalancò gli
occhi quando la risposta lo colpì.
“È perché hai saltato due anni…” sussurrò e vide
Meredith annuire mesta. Lanciò un’occhiataccia al resto del tavolo e notò con
soddisfazione che molti si girarono per evitare il suo sguardo. “Ma non ha
senso, i tuoi compagni degli anni passati… dovrebbero essere felici per te, non
possono incolparti per essere più intelligente!” esclamò alla fine.
Meredith scosse la testa. “Ma nessuno ammetterà mai
che io sia più brava di loro, sarò sempre solo la figlia del Professore che se
ne approfitta per avere i privilegi che vuole. Potrei scoprire la cura all’AvadaKedavra e non sarà mai
comunque merito mio, ma del fatto che sono la figlia del Professor Donill.”
Harry sentì la rabbia montargli in corpo. Non era
giusto, non era per niente giusto.
Chi erano quelli per giudicare senza sapere, spinti solo dalla gelosia? Era
come al tempo del Torneo Tremagli, quando Ron gli aveva voltato le spalle perché aveva pensato che
fosse stato lui a mettere il proprio nome nel Calice. Si ricordava ancora come
era stato orribile quel periodo, quando tutti lo credevano uno in cerca di
attenzioni e fama e non capivano che avrebbe dato tutto per poter rimanere
nell’ombra, come un ragazzo normale.
Alzò gli occhi con sguardo deciso. “Hai finito di
mangiare?” le chiese improvvisamente. Alla sorpresa risposta affermativa,
continuò “Bene, che cos’hai adesso?”
La ragazza sembrava sempre più disorientata. “Ehm, Erbologia, perché?”
Harry si alzò ed aggirò il fondo del tavolo per pararlesi davanti. “Perché,” rispose
con la punta di un sorriso prendendole la borsa da terra, “io non ho bisogno
che i miei amici siano più stupidi di me per volergli bene.” Disse mettendosi
la borsa della ragazza a tracolla, mentre lei lo guardava con occhi sgranati, “Per cui, Meredith, ora ti accompagno in classe.”
La Corvonero lasciò che la sorpresa le si dipinse sul volto solo per qualche altro istante,
prima di illuminarsi in un vero sorriso e annuire. Non servivano sempre le
parole per esprimere la gratitudine.
Mentre la Sala Grande si riempiva di mormorii nel
vedere un Serpeverde e un Corvonero alzarsi dal tavolo insieme, c’era almeno
una persona che sembrava propensa a fare più che limitarsi a spettegolare.
“Harry!”
L’indirizzato si voltò quando
era ormai alle porte della Sala e vide Tom alzarsi dal tavolo e dirigersi con
passo svelto verso di loro.
“Tom, cosa c’è? Vuoi venire con noi?” chiese sinceramente disponibile il ragazzo, una volta che il
Prefetto li ebbe raggiunti.
L’altro Serpeverde non rispose subito, forse
leggermente spiazzato da quell’invito, ma si riprese
in fretta. “Dove stai andando?” chiese, assottigliando gli occhi in direzione
di Meredith, “E soprattutto con chi?”
“Sto accompagnando Meredith ad Erbologia…
oh, vero, che idiota: Tom, questa è Meredith Donill.
Meredith, sono sicura che tu già lo conosca, ma lui è Tom Ridde.” Presentò i suoi due compagni.
Tom non perse lo sguardo gelido e continuò a
squadrare la ragazza con diffidenza. Harry non capiva da dove venisse tutta quell’avversione, ma
quando si voltò verso Meredith, dovette trattenersi dallo sventolargli una mano
davanti alla faccia. La ragazza aveva gli occhi spalancati e stava guardando
Tom come se stesse vedendo una specie di superstar. Ogni tanto si dimenticava
quanto fosse ammirato il Prefetto da quelle parti.
“Ehm, Mere…” gli sussurrò, tirandole una gomitata
per svegliarla. Al colpo del gomito di Harry la Corvonero sembrò riprendersi e,
subito dopo essersi resa conto del suo comportamento, arrossì furiosamente ed
abbassò la testa mortificata.
“Harry,” riprese Tom come
nulla fosse, “mi spieghi perché stai accompagnando questa Corvonero a lezione?”
“Perché è una mia amica.” Gli rispose l’altro
lanciandogli un’occhiata di ammonimento, “E in ogni caso le serre sono sulla
strada per Cura delle Creature Magiche, no? Quindi, vieni anche tu o vuoi
restare qui ad aspettare Orion?” chiese di nuovo.
Tom non rispose, limitandosi ad incrociare le
braccia al petto. Lanciò un breve sguardo al tavolo di Serpeverde, dove Orion
si stava esibendo nell’imitazione del tricheco con un paio di grissini e voltò
la testa con aria disgustata.
Harry a quanto pare però,
non aveva così tanta voglia di aspettare, per cui prese a braccetto uno
sbigottito Tom e con un “Ho deciso io, vieni con noi.” lo
trascinò fuori dalla Sala Grande, di fianco ad una Corvonero divertita e agli
sguardi di tutti gli altri studenti, che mormoravano stupefatti tra di loro su
quello strano nuovo studente.
“A che stai pensando?” chiese Harry, mentre lui e
Tom attraversavano tranquillamente il parco di Hogwarts.
Avevano appena lasciato Meredith alla
Serra numero 3 ed ora si stavano incamminando verso il limitare della
Foresta Proibita, dove si doveva svolgere la lezione di Cura delle Creature
Magiche.
Il Serpeverde alzò lo sguardo verso l’alto e mise
le mani in tasca con noncuranza, senza rispondere. Poi, in fine, si voltò verso
Harry.
“A te.” Disse con l’accenno di un ghigno.
Senza capirne il motivo, Harry si ritrovò ad
arrossire a quella semplice risposta. E ad arrabbiarsi con se stesso per il
fatto di essere arrossito e arrossire ancora di più per la figura imbarazzante
che di sicuro stava facendo. Quando però rialzò gli occhi verso Tom, vide che
il ragazzo stava semplicemente continuando a ghignare.
“Stai ancora cercando di scoprire la mia identità?”
chiese infine, riprendendosi.
“Si” rispose prontamente il Prefetto, “… e no.” Aggiunse poi, allargando il suo ghigno.
Harry aggrottò le sopraciglia. Che intendeva con
quello? Che stesse pian piano rinunciando nell’intento? Non era da Tom…
Strano, da
quando lo conosci così bene da pensare di poter prevedere i suoi modi di fare?
Ignorando la fastidiosa vocina nella
sua testa, chiese confuso “Che cosa vuoi dire?”
Il Serpeverde gli lanciò un’occhiata divertita e
Harry dovette ammettere che non trovava più tanto
strano vedere il ragazzo esprimere dei sentimenti positivi, vederlo ridere
tanto quanto odiare. In quelle poche settimane che aveva condiviso con lui si
era accorto quanto fosse davvero
anche un ragazzo normale.
Solo molto,
molto di più.
“Voglio ancora sapere chi sei,”
arrivò la risposta di Tom, “ma non solo cognome, provenienza o motivazioni.”
Si fermò, ed Harry si trovò a fermarsi a sua volta
sotto la sola forza dello sguardo dell’altro. Gli occhi neri così aperti non li
aveva mai visti.
“Sei… una persona interessante, Harry.” continuò il moretto, “Io conosco tutti in questa scuola – o
per lo meno, tutti quelli che contano – e so esattamente ciò che ciascuno di
loro vuole.”
Riprese a camminare, alzando gli occhi verso il
cielo, in un atteggiamento che della sua solita freddezza non aveva nulla.
“Tutti vogliono qualcosa, è la legge più vecchia
del mondo. Di te però, Harry… non so cosa vuoi.” Disse
con un sospiro, mostrando quanto ci avesse riflettuto
sopra. “Tu sei venuto qua, non so da dove, non so come e non so perché, ma sei
venuto qua e hai accettato di lasciarti avvicinare, di lasciarti conoscere
appena te l’ho chiesto.” Lanciò un’occhiata
all’ex-Grifone, “E non hai chiesto niente in cambio.”
Harry trattenne un mezzo respiro. “Ma non è vero,
tu mi hai dato i documenti per poter frequentare la scuola, senza quellinon–”
Ma Tom lo interruppe con un verso spazientito.
“Quei documenti servivano tanto a te quanto a me.
Sei stato proprio tu a dirmi che non ti avrei più rivisto se non fossi entrato ad Hogwarts come studente. Non si può certo dire che ti
abbia ripagato solo con quello.”
Harry lasciò andare un lungo sospiro. Avrebbe
potuto raggirare la domanda, avrebbe potuto inventare una scusa, avrebbe potuto
semplicemente dire che non poteva rispondere, ma era così stanco di tutti quei
giochi, di tutte quelle bugie. Voleva che tutto fosse semplice per una volta,
che potesse essere amico di Tom senza che il suo passato o il suo futuro si
mettessero in mezzo.
‘Ma non potrà mai essere semplice,
non quando lui è Tom Riddle e io sono Harry Potter.’ Pensò con amarezza.
Ma questo era il presente: lui si chiamava Harry
Evans e l’altro… l’altro era semplicemente Tom. Era vero, sarebbe diventato
Voldemort in un futuro ora lontano, ma per questo doveva forse buttare via
questa unica, irripetibile occasione di conoscere una persona tanto speciale?
Il fatto che sarebbe diventato un mostro, non rendeva ancora più urgente il
bisogno di conoscere ora, in quelle troppo brevi
settimane, ciò che sarebbe andato irrimediabilmente perso?
‘Non mi fido di Voldemort, non
mi fido di ciò che Tom diventerà, ma ora…’
Ora mi fido
di Tom.
“E se ti dicessi che non voglio nulla in cambio?”
Il Serpeverde assunse un’aria scettica. “Tutti
vogliono qualcosa in cambio. Do ut des: è la prima
cosa che imparano i bambini dopo camminare e parlare.”
‘Io invece ho imparato a
friggere uova e pancetta per i Dursley, vedi un po’
te.’ Pensò Harry alzando mentalmente gli occhi al cielo.
“Beh, forse invece ci sono delle persone che sanno
dare senza aver bisogno ricevere. Che sono disposte a fare questo sacrificio… anzi, non lo vedono nemmeno come un sacrificio,
ma sono contente di farlo.”
“Direi che sono dei folli, degli illusi.” Rispose
prontamente l’altro.
Harry si fermò e fissò negli occhi il ragazzo di
fianco a se, con un’espressione pacata ma decisa sul suo volto. “Allora sono un
folle e sono un illuso, perché ti sto proprio offrendo la mia amicizia senza
chiederti nulla in cambio.”
Tom gli rivolse uno sguardo sorpreso e sui suoi
occhi si poteva quasi scorgere una parola continuare a vorticare in superficie:
amicizia.
Harry, intuendo i pensieri dell’altro, aggiunse.
“Lo sai che Orion è un tuo amico.”
“Io non–”
“No,” lo interruppe, “non
ho detto che tu ed Orion siete amici,
ho detto che Orion è un tuo amico. C’è differenza: lo è e lo sarà, che tu lo voglia o meno.” Guardò gli occhi neri tentare di negare
quelle parole, ma infine accettarne tacitamente l’evidenza. “Ed è quello che
voglio essere io, è quello che sarò
anch’io. Vuoi che ti chieda per forza qualcosa? Bene, chiedo che tu mi permetta
di esserlo.”
Tom rimase a guardarlo per qualche secondo, senza
che si potesse individuare alcun’emozione precisa sul
suo viso, da quante erano ad attraversargli lo sguardo. Poi cosse la testa.
“Come tu possa essere a Serpeverde, non smetterò
mai di domandarmelo.” Disse, e un piccolo sorriso gli
si delineò agli angoli della bocca.
Un enorme sorriso si aprì sul volto di Harry e un
sorprendente calore gli si accese nel petto. Non riusciva a capire perché si
sentisse tanto felice da quella risposta, ma sentiva semplicemente che non
poteva che essere stata quella giusta.
Quand’è che era passato
dal volerlo uccidere al non volersene separare? Da quando Tom era diventato
così importante? Ma soprattutto…
Da quando non gliene fregava più niente, fintanto
che gli era vicino?
“Devo ricordarti che mi ci ha messo il Cappello,
proprio come a te.” Ribatté ridendo, mentre
riprendevano a camminare verso la Foresta.
“Resta il fatto che ti comporti come un Grifondoro.”
“Ehi! Non c’è nulla di male in Grifondoro!”
Tom alzò un sopracciglio. “Immagino tu non voglia
dirmi come mai ti offendi tanto nel sentir qualcuno insultare i Grifondoro,
giusto?”
Ma nemmeno le domande inquisitorie di Tom potevano
togliergli il buon umore. “Nada.” Rispose con un ghigno.
Poi, lanciando un ultimo sorrisetto al Serpeverde,
urlò “A chi arriva primo!” e partì in una corsa improvvisata verso il gruppo
appena visibile della classe che aspettava l’inizio della lezione.
“Grifondoro…” borbottò appena Tom, prima di
lanciarsi all’inseguimento.
Orion si guardò intorno, alla ricerca degli unici
due Serpeverde che non erano ancora presenti all’appello. Fortuna che il Prof
era in ritardo, o sarebbe stata la prima volta che la loro Casa perdeva dei
punti per colpa di Tom. Si guardò intorno, osservando la classe: Cura delle
Creature Magiche era con i Grifondoro, ma dopo i G.U.F.O.
non erano più così tanti gli studenti che frequentavano quella classe.
Risate e rumore di passi in corsa lo fecero voltare
in direzione del castello. ‘Finalmente!’ pensò
irritato vedendo Harry e Tom arrivare, ma tutta l’irritazione scivolò via non
appena si trovò ad osservare meglio il paio.
Harry si era appena fermato da quella che sembrava
essere stata una folle corsa, con il fiatone e le guance arrossate dallo
sforzo, e Tom gli era subito dietro – Tom!
Quello sempre composto in qualunque cosa facesse – rallentando ora che l’altro
si era fermato. E stavano ridendo, entrambi! Gli occhi nocciola di Harry brillavano
e il volto era aperto in una chiara risata, le ultime tracce di euforia per la
corsa ancora visibili, mentre Tom…
Dio, Tom…
Stava sorridendo. No anzi, ridendo, senza alcuna traccia di ghigno. Mostrava una perfetta fila
di denti bianchi e due piccole fossette, che Orion non sapeva nemmeno esistessero, gli si erano delineate ai lati della bocca,
mentre negli occhi neri non si riusciva più a scorgere traccia della sua
maschera di freddezza.
Era semplicemente stupendo.
Vide il Prefetto fermarsi di fianco al compagno una
volta che lo ebbe raggiunto ed Harry aggrapparsi al suo braccio per riprendere
fiato. E Tom lo lasciò fare! Anzi, gli raccolse la borsa che gli era caduta per
terra e se la caricò su una spalla, continuando a chiacchierare. E pensare che
Orion non era mai riuscito a dargli di più di una pacca sulla spalla…
Scosse la testa da quei pensieri e si concentrò sui
due che si facevano sempre più vicini, tanto che poteva cominciare a sentire
cosa si stavano dicendo.
“…sto! Non sei poi così in forma, eh Tom? Vedi cosa
succede a disdegnare il Quidditch!” sentì Harry
scherzare e tirargli un leggero pugno su una spalla.
“Primo, sei partito in anticipo, e secondo, ero
appena di un metro dietro di te.” Rispose Tom senza
scomporsi, con un’espressione divertita sul volto. “E dubito che il Quidditch centri qualcosa, quando si parla del pazzo che si
sveglia ogni mattina alle sei per correre intorno al lago.”
L’ex-Grifondoro gli lanciò un’occhiataccia. “Questo
era un colpo basso. Non c’è nulla di male nel volersi tenere allenati!”
Quello che fece Tom a quel punto lasciò Orion
letteralmente a bocca aperta, perché il prefetto si fermò, squadrando da cima a
fondo Harry con un piccolo ghigno stampato in faccia e disse: “Hai ragione, non
c’è davvero nulla di male.”
Poi si voltò, non vedendo quindi il rossore che si
era steso sulle guance dell’altro ragazzo, particolare che invece ad Orion non
era per niente sfuggito. Decise che era ora di riportare i due piccioncini con i piedi per terra.
“Ehi, voi due! Alla buon ora!”
urlò in direzione dei due ragazzi.
Come previsto Harry si affrettò ad avvicinarsi e
salutarlo, mentre Tom rialzava un buon numero delle sue difese, ricostruendo la
sua raffinata maschera gelida.
“Scusa, ma abbiamo accompagnato Meredith ad Erbologia.” Rispose subito Harry,
“Il Professore si è arrabbiato?”
“No, in realtà non è ancora qua
ma –” stava rispondendo Orion, ma la voce di una ragazza nel gruppo lo
interruppe.
“Ragazzi! Scamandro ha
detto di raggiungerlo tutti dietro la capanna del Guardacaccia!” urlò alla
classe e tutti si affrettarono a raccogliere le proprie borse ed incamminarsi.
“Cos’avrà preparato questa volta quel pazzo…”
borbottò Tom, mentre seguivano gli altri compagni di classe verso la capanna.
Quando raggiunsero finalmente il retro della
piccola abitazione, Harry vide per la prima volta il professore di Cura delle
Creature Magiche: era un ometto basso e mingherlino, con una zazzera di capelli
rosso scuro e vivaci occhi neri. Pian piano che gli studenti si avvicinavano sembrava animarsi sempre di più, facendo
dardeggiare lo sguardo da un volto all’altro. Ad Harry
ricordava vagamente un elfo o un folletto.
Solo quando tutti si furono raggruppati e il Prof
ebbe fatto un passo avanti per venire incontro agli alunni Harry notò la decina
di casse stese sull’erba alle spalle del professore.
“Benvenuti, benvenuti ragazzi!” indirizzò la classe
l’uomo, con una voce meno acuta di quanto Harry non si fosse
aspettato.
I ragazzi risposero con un mormorio di “Buongiorno.”ma la maggior parte dei bisbigli
riguardavano le casse a qualche metro da loro. E Harry avrebbe giurato di aver
sentito pure qualcuno lamentarsi della mancanza di luce, ma non riusciva
davvero a capire cosa volesse dire vista la giornata mediamente limpida.
“Oggi ho pensato di portarvi qualcosa di speciale e
vi chiedo quindi di fare attenzione se volete evitare spiacevoli incidenti.” E detto questo si voltò e si accucciò davanti ad una delle
casse, alla quale tolse il coperchio e infilò le mani dentro.
“Oh, luce ffinalmente!” disse una voce di cui Harry non riuscì a
capire la provenienza, fino a quando il Prof non si
voltò, tenendo attorcigliato al braccio un lungo serpente a tre teste.
Era di un arancione grigiastro a strisce nere e le
tre teste ondeggiavano fuori sincro facendo saettare in avanti le rosse lingue
biforcute. Quella di sinistra si guardava intorno curiosa,
studiando l’ambiente e le persone intorno a lei, quella al centro era ferma
immobile, con gli occhietti aperti in un’espressione sognante, mentre quella di
destra sibilava irata, scoprendo le lunghe zanne.
“Questo, come alcuni di voi hanno già capito, è un Runespoor.” Cominciò il professore
accarezzando leggermente la testa centrale, “Chi sa dirmi qual è l’unica testa
velenosa?”
Mentre un ragazzo di Grifondoro rispondeva, Harry
ascoltava divertito le minacce di morte della testa di destra e pensò che anche
senza saperlo non ci sarebbe voluto un genio per capire quale delle tre sarebbe
stato meglio evitare. Distratto nel sentire tutti i
sibili provenire dalle casse, seguì appena la spiegazione – qualcosa a
proposito di due teste che si coalizzavano per staccare a morsi l’altra – e
solo quando il Prof ebbe riposto il Runespoor nella
propria cassa tornò a prestare attenzione.
“Allora ragazzi, ho soltanto sette esemplari qua
con me e voi siete in undici: formate quattro coppie e i tre restanti
prenderanno un Runespoor ciascuno. Quando va sarete
sistemati, mettetevi in fila qua davanti che vi darò il vostro serpente.” Dette direttive il Prof, prima di tornare alle sue casse.
Fruscii di gente che si spostava e mormorii si
propagarono per qualche secondo, mentre tutti cercavano di trovare un compagno.
“Beh, Harry, visto che il Tom qua presente se la sa
cavare benissimo da solo con i serpenti, direi di lasciargli a lui l’esemplare
solitario.” Disse Orion rivolgendosi al ragazzo, “Fai
coppia con me, allora?”
Ma Harry stupì entrambi i due amici scuotendo la
testa. “No, grazie. Preferirei anch’io tenerne uno per me.”
Rispose con un piccolo sorrisetto, “Anch’io non me la cavo male.”
Tom assottigliò gli occhi: “Non mi sembravi troppo
a tuo agio quando ti ho presentato Nagini. Anzi, ti
avrei quasi detto spaventato.”
L’ex-Grifondoro voltò la testa dall’altra parte:
beh, con Nagini era stato diverso, erano stati solo lui e Tom, mentre ora c’era
un sacco di altra gente, e se si fosse trovato a parlare in Serpentese
l’avrebbero tutti sentito come un sibilo proveniente dai serpenti. Se avesse
parlato a bassa voce, nemmeno Tom si sarebbe accorto della differenza.
“No, ero solo molto stanco quella
sera,” cercò una scusa Harry, “non sono certo i serpenti a farmi paura.”
Il Prefetto non abbandonò l’aria sospettosa, ma
scrollò le spalle e si avviò verso la coda, mentre Orion si appaiava ad Eileen. Aspettarono il loro turno in fila, fino a ché,
arrivato a circa metà, il Professore non si fermò.
“Oh, due degli esemplari hanno ancora la testa
destra… C’è per caso qualche volontario? È l’unica ad avere zanne avvelenate, e
il suo morso è estremamente pericoloso, quindi va trattata con estrema cautela.
Se nessuno se la sente, li lascerò nelle casse e formeremo un gruppo da tre.” Spiegò, osservando attentamente la classe, “Qualcuno si
offre?”
Tom e Harry alzarono in contemporanea le mani.
“Io.”
Per qualche motivo, allo sguardo shockato che gli
rivolse il Serpeverde, Harry si sentì particolarmente compiaciuto, forse solo
per essere riuscito a rompere nuovamente la maschera che il Prefetto aveva
prontamente indossato non appena avevano raggiunto gli altri.
Ritornò coi piedi per terra
quando l’altro ragazzo gli prese il braccio in una stretta dolorosa.
“Quegli animali sono davvero pericolosi se non sai
come trattarli.” Sibilò tra i denti Tom, inchiodandolo
con uno sguardo gelido, “Se lo stai facendo solo per far vedere che non hai
paura, smettila immediatamente. Rischi davvero di farti male.”
Tra l’irritazione per l’inutile ammonimento e un
piacevole calore al pensiero che il Prefetto si preoccupasse
per lui, Harry rimase senza risposta, ma liberò il braccio dalla presa
dell’altro.
“Non sono un bambino e tu non sei mia madre.” Gli rispose Harry acido, ma poi addolcì lo sguardo e con
la mano con cui aveva strattonato il braccio di Tom per liberarsi strinse
brevemente quella dell’altro. “So quello che faccio, fidati di me.” Disse, prima di avvicinarsi al professore senza aspettare
una risposta.
Quando il Runespoor gli venne posato sulle mani, non perse tempo ad attorcigliarglisi ad un braccio, mentre Harry trovava un
posto leggermente in disparte dove portare a termine la lezione. Il compito non
era particolarmente difficile: avevano una pila di topi morti e dovevano
nutrire il serpente facendo in modo che tutte le teste ricevessero la stessa
quantità di cibo, dovendo impedire le liti tra le tre bocche.
Vedendo che Tom era temporaneamente occupato a
parlare con il professore, Harry indirizzò il serpente che aveva al braccio.
“Ascoltate
bene: vedete questo sacco di topi? È tutto per voi, a patto che stiate buoni e non litighiate.” Guardò la testa di
destra che aveva ancora le zanne in bella mostra, “E non mordiate.”
“Un umano che
parla la nossstra lingua?” rispose la testa di
sinistra, quella pratica, “Sse ci darai davvero
tutti quei topi, vedremo di non morderti, ma sstai
attento a mantenere la tua parola.”
Harry annuì, non fidandosi a rispondere ora che Tom
era tornato nel gruppo, sedendosi non proprio vicino ma ancora abbastanza da
essere a raggio di udito. Cominciò col prendere il primo topo e lasciarlo
pendere dalla coda di fronte alla testa di destra – prima quella era occupata,
meglio era – e la guardò affascinato aprire le mandibole snodabili ed ingoiarlo
in un sol boccone. Ne raccattò un altro e lo diede a quella di sinistra, i cui sibili impazienti lo stavano innervosendo. Quando però
sventolò il terzo topo di fronte alla testa centrale, quella non diede alcun
cenno di vita.
Harry poggiò il topo a terra e la osservò
attentamente. Non stava dormendo – gli occhi aperti escludevano quella possibilità – ma aveva un’aria leggermente incantata, come
se stesse sognando ad occhi aperti. Il Prof non aveva per caso detto che quella
centrale era la testa sognatrice? Beh, in qualche modo doveva risvegliarla da
quel torpore. Gli schioccò un paio di volta le dita davanti al muso, proprio
come avrebbe fatto con un essere umano.
Senza alcun preavviso, la testa si risvegliò e
affondò le zanne nella sua mano.
“Ahia! Ma
perché l’hai fatto?!” esclamò arrabbiato.
Impallidì quando si rese conto di quello
che aveva appena fatto.
Chiuse gli occhi, mentre il panico gli attanagliava
le viscere. Non sentì nemmeno la testa sognatrice sibilare “Scusa, stavo sognando un coniglio succulento.”, mentre
cercava in tutti i modi di non perdere la calma.
Probabilmente nessuno l’aveva visto parlare, ma
sapeva, sapeva, che c’era almeno una
persona che aveva sicuramente capito.
Lentamente, voltò la testa verso dove sapeva essere
seduto Tom. Per quanto avesse potuto avere un’idea della possibile reazione del
Prefetto, nulla lo preparò per lo sguardo scioccato, incredulo e tradito che si leggeva negli occhi nero
inchiostro.
A.N.:O_O <----- questa è stata
pressappoco la mia reazione dopo aver visto quante recensioni aveva ricevuto
l’ultimo capitolo. Ragazzi vi adoro! Siete il pane delle mie giornate!
Il
cap 16 aveva suscitato qualche domanda, alle quali cercherò di rispondere al meglio nelle risp
alle recensioni. Ho visto inoltre che molti si aspettavano che Harry rispondesse a
Nagini, ma per l’effetto giusto serviva qualcosa di più drammatico, non
trovate? ;). A proposito di questo capitolo… Harry è nei guai, neh? :P
RISPOSTE:
Selene_90: spero ti sia piaciuto anche questo e
come vedi Tom si avvicina alla verità ogni giorno di più!
Kagchan: eheh,
spero che non dovrete aspettare troppo per le Lemon,
ma si vedrà (non sono ancora insieme in effetti =_=).
Nagini in ogni caso è un essere mooolto intelligente,
di più non dico ;).
Bluking: diamine, sono onorata di
averti iniziato a questa coppia! Spero che continuerai a seguire e ti
appassionerai sempre di più: credimi, sono davvero un amore Harry e Tom insieme
XD.
MORFEa: non preoccuparti! Sono
contenta che tu recensisca in ogni caso. Grazie davvero per i complimenti,
finisco sempre per arrossire davanti allo schermo ^^”! Ora ci troveremo davanti
un bello scontro, chissà che verità salteranno fuori…. ;)
GinnyW: beh, non ci è riuscito
troppo bene, no? XD Spero davvero che ti sia piaciuto anche questo cap!
Zafirya: sono contenta ti sia
piaciuto e si, i due cominciano ad essere sempre più vicini (si vede anche in
questo cap prima del casino con il Serpentese).
Vediamo cosa farà adesso Tom! ^^
Zia Voldy: sono sempre
contenta che ci sia sempre più gente a cui questa fic piace. Per rispondere alle tue domande: 1) Eh, lo so
che sarebbe stato un bello sviluppo, ma come vedi mi serviva il colpo di scena
di questo capitolo. 2) Qui non sono sicura se stai chiedendo perché Harry ha un
aspetto diverso o perché si è tolto l’illusione davanti a Tom. In ogni caso
spiego: Harry è sotto un incantesimo che modifica il suo aspetto, dandogli
capelli castani e occhi nocciola, che porta sempre su di sé per evitare che nel
futuro qualcuno si ricordi di lui col proprio aspetto. Tom, però, conosce già
il suo vero aspetto, per cui non c’era alcun motivo
per rifiutare la sua richiesta. Spero di aver risposto bene ^^ Continua a
seguire!
Gokychan: XDDDDD sindromedi Sherlock Holmes! Ora speriamo non diventi il
Mastino di Baskerville nella sua furia semmai!
KIA: grazie per la recensione! In ogni caso
aggiorno ogni venerdì, né prima, né dopo. Nel caso debba saltare un
aggiornamento, lo farò sapere in anticipo così da non creare troppi problemi ^^
Miss pink 87: la Lemon arriverà, stanne certa, ma ci sarà ancora qualche
capitolo: ora non stanno nemmeno davvero insieme XD
Cesarina89: sono contenta che ti sia piaciuta e
spero che continuerai a seguire!
RowanMayFlower: grazie mille! E come
vedi, puntuale come ogni venerdì (anche se ad un oriario
leggermente più tardo ^^”)
Pristina: grazie mille per i complimenti! A
proposito di Tom: la sua personalità è molto complessa (è per questo che lo
amiamo ;) ) e la presenza di Harry di sicuro lo sta
sconvolgendo un po’. Sicuramente ora non sarà felice dopo gli ultimi risvolti,
ma vedremo la sua reazione nel prossimo cap!
Altri Personaggi:HermioneGranger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, DracoMalfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 18.Punti di Vista
Il tempo sembrava essersi fermato in quei brevi
istanti i cui i loro occhi rimasero incatenati, e sebbene Harry avrebbe fatto
di tutto per poter distogliere lo sguardo, non ci riuscì in nessun modo. Sul
volto di Tom si rincorrevano sorpresa, shock e
incredulità, ma non era quello ciò che stava distruggendo Harry, ciò che gli
stava togliendo l’aria dai polmoni. No, tutte quelle emozioni se le sarebbe
aspettate.
Era lo sguardo ferito
che gli stava rivolgendo.
Harry, con uno sforzo enorme, riuscì a strizzare
gli occhi. Poteva quasi tradurre in parole tutto ciò che quello sguardo gli
stava silenziosamente trasmettendo.
Come hai
potuto tenermelo nascosto?
Come hai
potuto non dirmelo?
E lui sapeva
che non aveva potuto fare altrimenti, che non ci sarebbe stato modo di far
sapere a Tom che era un Rettilofono senza dover
rispondere a domande scomode, ma questo non gli impediva di pensare che
qualunque reazione il Serpeverde avrebbe avuto, lui se la sarebbe meritata in
pieno.
Tom non si
fidava di nessuno, non lasciava nessuno avvicinarsi, poi sono arrivato io ad
offrirgli la mia amicizia, a spingerlo ad aprirsi, a dargli una speranza.
E ora ho
tradito la sua fiducia.
Riaprì gli occhi in quel momento e vide Tom ancora
lì, con lo sguardo fisso su di lui. Si accorse vagamente che la ferita alla sua
mano aveva cominciato a sanguinare, ma in quel momento non gliene sarebbe potuto fregare di meno perché, piano piano, una nuova emozione si stava facendo strada nello
sguardo del Prefetto, sovrastando tutte le altre.
Rabbia.
Harry si alzò in piedi di scatto, attirando
l’attenzione di molti dei presenti, Professore compreso.
“Professore, sono stato morso! Non è avvelenata, ma
vorrei far vedere la ferita in Infermeria.” Esclamò, e
quasi senza aspettare il consenso dell’insegnante, ignorando i mormorii
preoccupati di alcuni, si lanciò in una folle corsa in direzione del castello.
Mi odia, mi
odia, mi odia.
Continuavano a vorticargli in testa quelle
parole come un mantra, ed ogni volta che le ripeteva,
era come se qualcosa di appuntito e affilato gli si stesse conficcando nel
petto.
In men che non si dica si trovò davanti alle grandi porte della Sala
d’Ingresso, a salire i gradini che lo avrebbero portato nell’atrio della
scuola. Una volta entrato, si diresse istintivamente
verso i sotterranei, con l’assurda idea di chiudersi camera e rimanerci per
tutto il tempo necessario a formulare un piano.
Poi si ricordò che camera sua era prima di tutto camera di Tom.
Tom…
Cos’avrebbe fatto il Prefetto adesso?
Avrebbe preteso delle spiegazioni sicuramente. Harry si trovò sorpreso nel
trovarsi non tanto a pensare a come avrebbe potuto nascondere al meglio la
verità…
…ma a quanto fosse disposto a rivelargli.
Si lasciò cadere contro una parete dei
sotterranei, scivolando lentamente verso il terreno e chiudendo gli occhi. Dio,
era cambiato così tanto da quando era arrivato nel
passato…
La verità era che non voleva mentire a Tom, non voleva. Lì, dove nessuno lo additava
come Il-Bambino-Che-È-Sopravvissuto,
dove nessuno si aspettava che salvasse il mondo, dove nessuno faceva caso alla
cicatrice sulla sua fronte, almeno lì, voleva avere una possibilità di sapere
cosa volesse dire sentirsi libero dalle responsabilità.
Si, aveva una missione, ma per l’amor del
cielo, era solo cercare un libro! Nessuna battaglia, nessun Horcrux,
nessuna pressione: solo due mesi a disposizione per ricercare in biblioteca e
vivere la vita di un normale diciassettenne.
Confronto a ciò che doveva passare nel
presente era una favoletta. Senza dimenticarsi di
Tom.
Che tipo di legame aveva con il Serpeverde?
I contorni del loro rapporto erano diventati così sfuocati che Harry non
riusciva più a delinearli. Gli aveva offerto la sua amicizia e Tom l’aveva accettata… ma poteva dire che fosse la stessa cosa con Ron o Hermione? No, decisamente no. E non solo per gli ovvi motivi, quali il futuro di Tom
e il fatto che lo conoscesse da meno di un mese.
No, era qualcos’altro. Non era come con Ron, con cui poteva quasi palpare la profonda fiducia che
scorreva tra di loro, quel senso di sicurezza nel sapere che sarebbe sempre
stato al suo fianco, che si sarebbe sempre offerto come appoggio, qualunque
cosa accadesse. Non era nemmeno come con Hermione,
alla quale bastava uno sguardo per capire quando aveva
un problema e di cosa avesse esattamente bisogno, sempre disponibile a
risolvere qualunque situazione. E poi Ron aveva un
temperamento infiammabile, era diretto e sincero, in pieno stile Grifondoro, e Hermione, pur avendo un po’ più di tatto di Ron, era anche lei schietta, fermamente convinta che i
problemi dovessero essere affrontati di petto.
Con Tom era tutta un’altra cosa. C’era un’intensità in ogni loro azione nei
confronti l’uno dell’altro che non era paragonabile a niente che Harry avesse
mai sperimentato prima. Quel gioco pericoloso che stavano portando avanti,
fatto di dubbi, segreti e supposizioni era qualcosa di elettrizzante, di vivo, e li stava legando in modi che il
ragazzo non riusciva più a comprendere del tutto.
E proprio ora aveva dovuto rovinare tutto.
Il pensiero di doversi fronteggiare con Tom
gli faceva venire i brividi. Che cosa gli avrebbe detto?
E se gli
dicessi la verità, tutta la verità?
Il pensiero, seppur non del tutto nuovo, lo
colse comunque di sorpresa. No, non poteva farlo, avrebbe rischiato troppo.
Eppure…
Eppure aveva già deciso che avrebbe
cancellato i ricordi di Tom al momento in cui se ne sarebbe dovuto andare.
C’era… non esattamente un incantesimo, ma un modo per far sì che il Serpeverde non si ricordasse di lui, senza
dover subire gli effetti di un Oblivion. Era un trucchetto di Legilimanzia – pratica che Harry aveva scoperto riuscirgli
molto meglio dell’Occlumanzia, sebbene non amasse
nessuna delle due – che consisteva nell’entrare nella mente di qualcuno e scegliere
con cura i ricordi da cancellare, rimuovendone solo delle parti.
In questo modo la persona non avrebbe avuto
un intero vuoto di memoria del quale si sarebbe potuta insospettire, ma tanti
piccolissimi buchi che la mente avrebbe colmato da sola tralasciandoli come non
importanti, proprio come una persona normale non riesce a ricordare ogni
singola cosa fatta o avvenuta in un giorno.
Ma se questo era quello che aveva intenzione
di fare con Tom, che motivo aveva di continuare a nascondere la verità? Non
poteva raccontare tutto e vivere a pieno quell’amicizia
a cui inspiegabilmente teneva così tanto?
Inaspettatamente, la risposta gli arrivò al
ricordo di quel fiotto di calore che il giorno prima gli era esploso dalla
fronte, al leggero tocco di Tom. Era semplice come risposta, e con una risata
amara Harry si chiese perché non ci aveva pensato subito dall’inizio.
Perché
sarebbe diventato insopportabile doverlo lasciare, alla fine.
Si fece scappare una risatina isterica,
mentre chiudeva gli occhi e si chiedeva perché non poteva esserci una sola, fottutissima cosa semplice
nella sua vita. Era così stanco, che gli veniva quasi voglia di dormire…
Un piccolo allarme gli si accese in testa a
quella stanchezza improvvisa e gli fece spalancare gli occhi. Per la prima
volta da quando era rientrato riportò l’attenzione sulla sua ferita che – ora
vedeva – non aveva smesso di sanguinare e dalla quale, lentamente ma
costantemente, il sangue aveva continuato ad uscire, formando una piccola pozza
al suo fianco.
Maledicendosi sotto voce, Harry si alzò in
piedi, lottando contro il giramento di testa. Ci mancava solo che morisse
dissanguato perché perso nei suoi pensieri: si stava già sentendo più
affaticato e sapeva che quando le sue risorse fisiche si fossero esaurite, avrebbe
automaticamente cominciato a consumare quelle magiche, cosa
che avrebbe probabilmente portato alla scomparsa dell’illusione del suo
travestimento.
Osservò attentamente i quattro piccoli fori
provocati dal morso del serpente: aveva imparato un po’ di magia curativa
durante il suo addestramento, ma consisteva per lo più nel guarire ossa rotte o
lacerazioni, le ferite che era più probabile venissero
inflitte in un combattimento. Di morsi di creature magiche non ne sapeva
davvero niente. Sarebbe stato meglio recarsi seriamente in Infermeria per
farselo curare.
Si staccò dalla parete e risalì la scala che
usciva dai Sotterranei, stringendosi la mano al petto. Arrivato nella Sala
d’Ingresso, si stava dirigendo verso la rampa che lo avrebbe portato ai piani
superiori, quando con la coda dell’occhio vide qualcosa che lo fece bloccare
sul posto. Voltò la testa verso le porte dell’ingresso e quello che vide non
gli piacque affatto.
Caleb e Orion erano in piedi
sull’uscio, chiacchierando allegramente, quando avrebbero dovuto essere ancora
a Cura delle Creature Magiche. Harry spostò lo sguardo verso il grande orologio
a pendolo appoggiato alla parete sinistra ed imprecò sottovoce: l’ora era già
finita.
Con uno scatto si precipitò su per le scale,
salendo i gradini due a due. Diamine, dov’era Tom allora? Non era tornato al
dormitorio di Serpeverde, o lo avrebbe sicuramente visto passare, ma non era
neppure lì con Orion e Caleb. Che fosse rimasto a
parlare col Professore? Ne dubitava, non dopo quello
che aveva fatto Harry… la cosa più probabile era che lo stesse cercando.
Doveva trovare il modo di raggiungere
l’Infermeria senza farsi trovare. Sapeva che non avrebbe potuto evitare l’altro
ragazzo a lungo, ma per lo meno voleva rimandare il confronto finché non si fosse
fatto guarire la ferita alla mano.
C’era un passaggio segreto che lo avrebbe
portato in quei paraggi, ma si trovava in un corridoio per lo
più inutilizzato, nella parte est del secondo piano. Oltrepassò porte e arazzi,
cercando di evitare gli studenti che uscivano dalle aule per avviarsi verso
l’ora successiva. Pian piano che proseguiva, la strada si faceva sempre più deserta, segno che si stava avvicinando. Ecco, girato
l’angolo, era proprio dietro quell’armatu–
Una fitta alla cicatrice lo fece bloccare di
colpo, portandosi la mano sana alla fronte con un sibilo di dolore. Lentamente
alzò la testa, sapendo già che cosa – o meglio chi – avrebbe visto davanti a
sé.
E infatti a qualche
metro di distanza, appoggiato al muro del corridoio, vi era Tom, con le braccia
incrociate al petto e lo sguardo gelido puntato su di Harry.
“Tom…” sussurrò appena la fitta acuta fu
passata, lasciando solo un doloroso ma più debole pulsare.
Il ragazzo non disse nulla, ma assottigliò
lo sguardo. Quegli occhi… se c’era qualcosa che stava facendo male ad Harry, molto più della cicatrice e della ferita alla
mano, era vedere lo sguardo glaciale che gli stava rivolgendo, su un viso
totalmente privo di emozioni, inespressivo. E pensare che era appena riuscito
ad abbattere quei muri…
“Harry.”
Sibilò Tom, e questa volta l’ex Grifondoro riuscì immediatamente a distinguere
in che lingua avesse parlato.
Distolse lo sguardo e voltò la testa da un
lato, non volendo rispondere.
“Cos’è,
non dici niente ora?” continuò l’altro sempre in un basso e minaccioso
sussurro, “Eppure sappiamo benissimo
entrambi che mi puoi capire alla perfezione.”
Aggiunse avvicinandosi lentamente, come un grande felino che puntava la sua
preda.
“Tom, ascolta, non–”
Ma non finì nemmeno la frase, perché con appena
due falcate il Serpeverde gli era arrivato davanti e lo aveva afferrato per la
veste, spingendolo contro il muro del corridoio.
“No Harry! Forse non ci siamo capiti: io ti sto parlando in Serpentese e
tu mi rispondi in Serpentese, visto che è proprio quello il motivo per cui stiamo chiacchierando
in questo momento.” Gli sibilò ad un centimetro dal viso,
ma Harry strizzò gli occhi e non disse nulla, il dolore alla cicatrice e
un pizzico di paura a riempirgli i sensi.
“Rispondi!” gli urlò contro Tom schiacciandolo ancora di più contro
il muro.
“Va bene, va bene!” si arrese alla fine Harry, lottando contro il
panico che gli stava affiorando in gola, “Ti
rispondo.”
Un sorriso che di piacevole
non aveva assolutamente nulla si allargò sul volto del Serpeverde,
trasformandogli il viso in una smorfia cattiva.
“Ecco, ora va meglio. Adesso Harry, però, voglio che mi rispondi una
volta per tutte: perché sei qui?” gli sussurrò ad un orecchio, “Sei dalla parte di quella pazza e malata
famiglia? Sei venuto ad uccidermi, per caso?”
Harry spalancò gli occhi sorpreso. Ma che diavolo stava dicendo? Famiglia
malata? Ucciderlo?
“Rispondi!”
gli urlò contro Tom per la seconda volta.
Ma Harry non aveva la più pallida idea di
che cosa stesse parlando e soprattutto non voleva aprire gli occhi e vedere due
iridi rosso rubino contraccambiargli lo sguardo. Per cui stette fermo immobile,
cercando di ignorare il dolore lancinante alla cicatrice e la paura di vedere
Tom trasformato in quel modo, sentire la sua voce sibilare maligna, come aveva
già sentito innumerevoli volte negli scontri con Voldemort.
Quando però sentì i pugni che gli
stringevano i vestiti schiacciargli pericolosamente la gola, si decise a
balbettare:
“T-Tom…
ti prego… n-non so di che parli…”
“Non
mentirmi!” rispose irato Tom, “Esiste
solo una linea di discendenti di Salzar Serpeverde e io ne sono l’unico erede. O almeno così
credevo, prima di sentirti poco fa.”
Discendenti? Salazar
Serpeverde? Ma cosa c’entravano in quel momen… No,
non avrà davvero pensato che io fossi…?
“Quindi
dimmi cosa hai intenzione di fare: chi ti ha mandato? Sei venuto fin qui per
estirpare l’unica macchia mezzosangue nella linea dei Gaunt?
E dire che ci avevo anche creduto a tutte le idiozie babbanofile
che sparavi, mentre in tutto questo tempo stavi solo pensando a come uccidere
il lurido Mezzosangue che infanga il nome di Serpeverde. Non è forse così?”
“No!” urlò Harry, che raccogliendo le forze
riuscì a spingere via il Serpeverde, “No, Tom, non è così! Io non sono un
discendente di Serpeverde! Non abbiamo alcun legame di sangue noi due!” disse
con voce supplicante, cercando disperatamente di far capire l’altro ragazzo.
Ma Tom non sembrava voler sentire ragioni. “Sei un Rettilofono!
Come puoi continuare a mentire in questo modo anche in faccia alla realtà dei
fatti!” rispose tagliente in Serpentese, gli occhi rosso
ardente stretti in due fessure.
Harry scosse la testa
frenetico. No, Tom doveva credergli, non poteva pensare che fosse venuto
lì per ucciderlo, non poteva… non poteva odiarlo.
Ma cosa avrebbe detto?
“No Tom, non è vero! Cioè, io… io sono un Rettilofono è vero ma… ma non sono nato così! Cioè…”
cercava in tutti i modi di trovare le parole e non era importante se fosse
finito a rivelargli qualcosa, era essenziale solo che Tom gli credesse, “È
un’abilità che ho acquisito dopo che… dopo che…” dopo che mi hai dato un pezzo della tua anima, pensò, ma non lo
disse, limitandosi a scuotere nuovamente la testa.
Tom non disse nulla, ma dallo sguardo in
quegli occhi rossi si vedeva benissimo che non si sarebbe accontentato di così
poco.
“Credimi Tom, ti prego, ti scongiuro…”
continuò Harry con voce supplichevole, alzando gli occhi sul volto dell’altro,
“Io, ucciderti? Come potrei…? Non potrei mai, credimi… credimi, ti prego…”
Il Serpeverde ancora restò fermo, ma Harry, attraverso occhi appannati – e che cos’era
che gli stava tanto offuscando la vista? – riuscì a scorgere piano piano le iridi tornare del loro colore naturale, nero pece.
Poi Tom tirò fuori la bacchetta, e Harry temette
il peggio.
“Medeor.” Sibilò il ragazzo.
Un intenso pizzicore alla mano sinistra gli
fece ritornare l’attenzione verso la ferita dimenticata che, sotto ai suoi
occhi, si cicatrizzò in pochi secondi. Voltò nuovamente la testa verso il
Prefetto, uno sguardo sorpreso e speranzoso insieme negli occhi.
Ma l’espressione di Tom era indecifrabile.
“Forse non stai mentendo, forse non sei qui per uccidermi. Ma non basta.” Disse
con voce piatta, “Ti credo, Harry, ma è tutto ciò che avrai da me, d’ora in
poi.”
E detto quello, si voltò e si incamminò
verso la fine del corridoio, sparendo dietro un angolo senza voltarsi nemmeno
una volta.
Harry rimase lì stringendosi la mano guarita
al petto, con la vista offuscata e le ultime parole dell’altro ragazzo a
rimbombargli in testa.
Sentì qualcosa di caldo e bagnato cadergli
sulla mano e quando abbassò la testa per guardare, vide una piccola goccia che
gli scivolava giù dal palmo.
Ma non poteva essere una lacrima.
Era da troppo tempo che non ne versava una.
Meredith si trovava in Biblioteca, seduta al suo
tavolo di studio preferito. Era una postazione che aveva scoperto all’inizio
dell’anno scorso, quando era stata ammessa ai corsi di due anni più avanti: un
grande scaffale la nascondeva dalla vista della bibliotecaria, ma lasciava
libera la visuale sulla porta d’entrata. Visto che la Biblioteca era il posto
dove passava più tempo – e lo sapevano benissimo anche i suoi compagni di Casa
– le era stato sempre molto utile poter vedere per tempo le persone che entravano,
così da poter evitare eventuali scocciatori.
Quando l’aveva scelto
però, non aveva mai pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe visto
Tom Riddle oltrepassare la soglia a grandi passi, con l’espressione più
terribile che gli avesse mai visto sul volto.
La ragazza lo vide dirigersi a passo spedito verso
l’area est della Biblioteca, quella contenente il reparto di Storia della Magia
e, senza pensarci troppo, raccolse i suoi libri e lo seguì silenziosamente. Il
Serpeverde era andato dritto verso gli scaffali di Storia delle Arti Oscure,
fermandosi per qualche secondo davanti al reparto di Genealogia.
La Corvonero osservò con un certo timore
l’espressione sul suo viso: non lo aveva mai visto con uno sguardo tanto
gelido, o meglio, forse solo qualche volta quando lo aveva incontrato per i
corridoi, ma non da un bel po’ di tempo, almeno non da quando Harry Evans aveva
fatto la sua comparsa ad Hogwarts.
Harry.
Meredith non era stupida – non per niente era a
Corvonero – e aveva notato, come molti altri nella scuola, il cambiamento
improvviso nel comportamento del Prefetto di Serpeverde. Forse sarebbe sembrato
strano visto che non ci aveva mai parlato, ma Tom Riddle era praticamente
famoso ad Hogwarts e in tanti non lo perdevano di
vista nemmeno un secondo, sapendo bene quale peso avesse nelle politiche della
scuola.
Meredith era brava ad osservare, e si era sempre
trovata affascinata dalla figura del Serpeverde: studente modello, bello e
affascinante, carismatico con i professori ma distante da tutti, apparentemente
senza amici se non si voleva contare Black e Principe che gli ronzavano intorno
continuamente, senza però suscitare un gran riguardo da parte del ragazzo.
Per cui quando Tom aveva iniziato a cambiare in
modo così drastico i suoi modi di fare, quasi tutti si erano messi
immediatamente all’erta, piuttosto confusi da quell’improvvisa
trasformazione. E qualcuno era anche riuscito a notare la persona intorno alla
quale sembrava essere incentrato tutto: Harry Evans.
Adesso, osservando Tom, Meredith era giunta
all’unica conclusione ovvia per una mente logica: qualunque cosa fosse successa
al Serpeverde, di sicuro centrava in qualche modo con Harry.
Intanto il Prefetto si era seduto ad un tavolo con
un paio di libri al seguito, dei quali stava voltando le pagine con movimenti
rigidi della mano. La ragazza prese coraggio – un coraggio dettato solo dal
fatto di averci già parlato quella mattina, prima di Erbologia
– e si avvicinò al tavolo.
Quando appoggiò i propri libri davanti al ragazzo,
quello alzò gli occhi e per un attimo, appena il suo sguardo incontrò il volto
di Meredith, un lampo di sorpresa gli attraversò le iridi nere, prima che
qualunque emozione tornasse ad essere chiusa a chiave dietro la sua maschera.
“Tom.” Lo salutò lei, maledicendo internamente la
sua goffaggine quando sentì la voce flebile con cui
gli era uscito il nome dell’altro. Ma non poteva farci nulla: nonostante Harry
li avesse avvicinati, per lei parlare con Tom Riddle era ancora come parlare
con una specie di Vip, qualcuno fatto per essere ammirato da lontano ma
impossibile da avvicinare.
Il ragazzo le lanciò uno sguardo calcolatore e in
qualche modo sospettoso. “Meredith.” Rispose infine, e la Corvonero ne
approfittò per sederglisi di fronte.
Tom alzò un sopracciglio. “Per caso i tutti gli
altri tavoli sono stati occupati? Non mi sembrava così affollata la Biblioteca.”
Meredith arrossì ed abbassò lo sguardo a disagio.
Ma cosa le era venuto in mente di piombare lì in quel modo? Ci aveva parlato
per appena dieci minuti quella mattina e già si stava rivolgendo a lui con così
tanta confidenza. E se non fosse stato per Harry non ne avrebbe mai avuto il
coraggio.
Ma era assolutamente certa che l’umore nero del
Serpeverde poteva essere ricollegato solo a Harry e se
gli era successo qualcosa, aveva il diritto di saperlo.
“No, io… volevo sapere… se era successo qualcosa a
Harry, tutto qua.” Rispose impacciata.
Avrebbe potuto giurare che la temperatura fosse
calata di almeno dieci gradi a seguito delle sue parole. Sicuramente lo sguardo
che le stava lanciando Tom le stava facendo venire i brividi, anche se non
erano brividi di freddo.
“E perché mai” sibilò il Prefetto, “dovrebbe
essergli successo qualcosa?”
Meredith deglutì. “Non-non
lo so, io…” balbettò un attimo. Poi, ricomponendosi,
riprese con più decisione, “Senti, io… sono solo brava ad osservare, ecco
tutto. Ti ho visto così e… voglio solo sapere se Harry sta bene, nient’altro.” Finì, cercando di sostenere lo sguardo dell’altro.
Tom la guardò per qualche altro secondo, poi la
sorprese con un verso di scherno. “Mpf, puoi stare
tranquilla allora, non è successo assolutamente niente a lui.”
L’enfasi sulle ultime due parole la lasciò un po’
spiazzata. Se Harry stava bene, cos’era che aveva tanto disturbato il Prefetto?
Da come ne aveva parlato sembrava quasi che avessero…
litigato. Ma su cosa? Meredith osservò i libri che il Serpeverde aveva sparso
sul tavolo: riuscì a leggere solo alcuni titoli, ma furono sufficienti per
farsi un’idea di ciò che stesse ricercando.
“Come mai stai facendo ricerche sul Serpentese?
Pensavo che proprio tu tra tutti… cioè, non è che tu
ne abbia bisogno…” chiese timidamente.
Lo sguardo sospettoso di Tom fu prevedibile:
giravano molte voci sul suo conto, prima tra tutte proprio quella che fosse
capace di parlare la lingua dei serpenti. Non era mai stato confermato, ma
Meredith aveva avuto la fortuna, un giorno, di assistere al Prefetto parlare
con una vipera ai margini della Foresta Proibita, mentre stava tornando da Cura
delle Creature Magiche.
“Parlavi seriamente,”
disse Tom, “quando dicevi che sei brava ad osservare.” Alzò un sopracciglio,
“Come fai a sapere che sono un Rettilofono?”
Meredith scrollò le spalle, cercando di mostrarsi
noncurante. “Lo dicono tutti in giro.” Rispose.
Il sopracciglio non si abbassò, “Non hai risposto
alla mia domanda.”
La ragazza abbassò lo sguardo e arrossì, “Io… ti ho
sentito, una volta. Non volevo spiare ma – cioè, non
sapevo che eri tu, ho sentito dei sibili ed ero curiosa…” spiegò, torcendosi
nervosamente le mani.
Per un po’ non sentì nulla, poi un fruscio di
pagine le fece alzare nuovamente la testa: Tom era tornato a volgere la sua
completa attenzione ai libri e sembrava essersi deciso ad ignorarla.Ma lei non aveva ancora saputo cosa era
successo tra lui e Harry.
“Quindi,” incominciò,
cercando un appiglio per cavargli fuori ciò che voleva sentire, “come mai sei
qui in Biblioteca, a fare ricerche sul Serpentese, tutto solo?”
Il Prefetto sollevò la testa dal tomo che aveva
davanti e alzò nuovamente un sopracciglio, guardandola come se avesse appena
detto qualcosa di estremamente stupido.
“E chi altri dovrei portarmi appresso? Sono l’unico
Rettilofono di tutta la Gran Bretagna.” Disse con tono irritato. Poi un’ombra gli oscurò il volto,
e con voce molto più bassa – tanto che Meredith quasi
non riuscì a sentirlo – mormorò tra se: “O almeno, così credevo.”
Qualcosa si accese nella mente della Corvonero a quell’ultimo sussurro, ma il collegamento che sentiva
essere tanto vicino ancora le sfuggiva.
“No, certo. Solo… di solito sei sempre con Black, Alden… o Harry.” Rispose lei con
leggerezza, osservando attentamente la reazione dell’altro.
E come previsto, all’ultimo nome le spalle del
Serpeverde si irrigidirono e Meredith trattenne un sorriso soddisfatto: come
pensava, in quella storia Harry c’era dentro fino al collo.
“No, Black e Evans non li vedo da Cura delle
Creature Magiche.” Rispose Tom con voce gelida.
Era vero, si era dimenticata che avevano avuto Cura
delle Creature Magiche loro, e dire che l’avevano anche accompagnata ad Erbologia sulla strada. Qualunque litigio avesse avuto luogo, doveva essere successo tra il momento in
cui l’avevano lasciata e la fine della lezione, perché quando erano con lei di
sicuro erano ancora in ottimi rapporti.
Diamine, sentiva la risposta alla distanza di un
soffio. Che cosa era potuto succedere in quell’ora?
Cura delle Creature Magiche… mmh, lei l’aveva avuta
proprio due giorni prima: cos’è che avevano trattato? Ippogrifi? No, quelli erano stati la settimana scorsa. Runespoor? Si! Era stata la lezione sui Runespoor.
Ma questo come l’aiutava?
E improvvisamente, come un grande pezzo di puzzle
senza il quale la figura non avrebbe preso alcun significato, anche l’ultimo
tassello trovò posto.
Serpentese. Genealogie. Harry. Runespoor.
O almeno,
così credevo.
Trattenne un respiro scioccata.
“Harry è un Rettilofono?!”
esclamò senza sapersi trattenere.
L’espressione di puro sgomento sul volto di Tom fu
impagabile, probabilmente un momento unico nella storia.
“Cos…? Ma come…? Come diavolo fai a saperlo?!” le chiese scioccato.
Meredith scrollò le spalle. “Ho fatto due più due.” Rispose semplicemente, ma in realtà stava internamente
gioendo per la conclusione raggiunta. Se c’era una sola cosa al mondo su cui
sapeva di poter contare, era il suo intelletto.
Rimanevano comunque più domande che risposte. “Ma
com’è possibile? L’ultima linea di Rettilofoni
esistenti nel Regno Unito è risalibile solo a Salazar
Serpeverde!”
Il Prefetto non rispose, si limitò ad osservarla
con uno sguardo calcolatore. Dopo qualche secondo – nel quale Meredith si trovò
ad arrossire sotto quello sguardo penetrante – il volto di Tom si distese in
un’espressione più rilassata e la ragazza seppe di aver appena passato una
qualche sorta di test.
“Immagino sia questo il motivo per
cui sei a Corvonero.” Asserì. Poi indicò i libri aperti sul tavolo, “E
per risponderti, era proprio quello su cui stavo ricercando.”
Meredith annuì in direzione dei libri, poi,
mordendosi leggermente un labbro, si tuffò nella questione più spinosa di tutta
la faccenda, sapendo che parlare di questo con Tom Riddle era come camminare
sopra un lago ghiacciato quando ormai il caldo della primavera era già alle
porte.
“Immagino che tu l’abbia scoperto per sbaglio e che
non sia stato Harry a dirtelo di sua spontanea volontà.”
L’espressione di Tom a quelle parole si tramutò
nuovamente in quella che aveva avuto quando aveva
varcato le soglie della Biblioteca. Meredith lo vide serrare la mascella e
stringere il pugno che teneva su uno dei volumi aperti, lo sguardo glaciale
puntato su un punto imprecisato del tavolo, evidentemente ricordando un qualche
accaduto.
“Avrebbe dovuto dirmelo,”
sibilò con rabbia, e la Corvonero non era nemmeno più sicura che stesse
parlando a lei, “avevo il diritto di saperlo.”
La ragazza tornò a torturarsi il labbro, ponderando
bene le parole da dire. “Io… sono sicura che Harry abbia sbagliato a tacerti
una cosa simile, ma –” rabbrividì allo sguardo che le lanciò Tom a quel ‘ma’, “– ma ho osservato Harry in quel poco tempo che ho
passato con lui e sono sicura che tu hai avuto molte più occasioni di me di
averlo vicino… beh, non si può certo dire che sia un ragazzo normale, no?”
Tom rimase zitto per qualche secondo e Meredith gli
fu grata che stesse davvero soppesando la domanda e non liquidandola nella
rabbia del momento. Non ci volle molto, comunque, perché rispondesse:
“No, non è un ragazzo normale. Ma questo non lo
autorizza a mentirmi o a lasciarmi all’oscuro di cose che sarebbero un mio diritto sapere.”
Disse, sempre nel suo basso e irato sibilo. Anche se non l’avesse sentito con
le proprie orecchie quel giorno, non le ci sarebbe voluto molto per crederlo un
Rettilofono.
“Forse hai ragione, ma hai pensato al motivo per cui non te lo ha detto?” ribatté lei con voce calma.
Il Prefetto le lanciò un’occhiata irritata. “Che
domanda idiota, certo che ci ho pensato.”
“Allora dovrai ammettere che forse… forse non dipende da lui.” Finì Meredith tornando a mordersi il labbro
inferiore, sperando che il ragazzo riuscisse a vedere il suo punto di vista.
Tom aggrottò per un secondo le sopracciglia. “Che
cosa intendi dire?”
La Corvonero cominciò a sentire un po’ di
impazienza: possibile che Riddle, uno degli studenti più brillanti della
scuola, non ci fosse arrivato?
“Andiamo, l’hai visto! È sempre gentile con tutti e
sembra tanto piccolo e indifeso, ma tanti hanno già capito che mettersi contro
di lui sarebbe una pessima mossa. Sa evocare un Patronus!
Mi ha detto che la sua materia preferita era Difesa, ma non basta a spiegare il
suo potere. Cosa può mai aver suscitato il bisogno
di imparare l’ExpectoPatronum?
E quello che ha fatto ad Alden il primo giorno? Non
l’ha dimenticato nessuno, me compresa: non sono nemmeno riuscita a vederlomuoversi
quando lo ha atterrato. Dimmi, quale normale ragazzo di sedici anni sa
fare cose del genere?” Esclamò tutto d’un fiato.
Tom aveva un’aria pensierosa sul volto, ma ancora
un’espressione perplessa. “E dove vorresti andare a parare con questo?”
“Sto cercando di dire” rispose Meredith con un
sospiro, “che Harry è stato evidentemente addestrato per combattere.”
Il Prefetto sgranò gli occhi, ma l’espressione
sorpresa fu presto sostituita dalla calma tipica di qualcuno che aveva appena
realizzato qualcosa di molto ovvio. Aprì bocca per parlare e stava per rispondere quando il suono della campanella risuonò tra i
muri.
Meredith, che aveva Incantesimi, cominciò a
raccattare i libri dal tavolo, senza però abbandonare il discorso. “Non è
piacevole da pensare, ma sono sicura che il Serpentese sia solo uno di tanti
segreti che quel ragazzo sta nascondendo.” Disse
alzandosi, mentre si sistemava la borsa su una spalla. “E stando così le cose,” aggiunse guardando il Serpeverde negli occhi,
“personalmente non sono sicura di volerli sapere.”
E detto quello, si voltò e si incamminò verso
l’uscita, felice di aver avuto l’occasione di parlare faccia a faccia con Tom
Riddle e sperando di aver lasciato il Prefetto più bendisposto nei confronti di
Harry.
Almeno un pochino.
Orion stava scendendo una rampa di scale,
grattandosi la testa con una mano con aria perplessa. Non aveva ben capito cosa
fosse successo, solo che Harry era stato morso ed era corso in Infermeria. Ma
lui era appena passato dall’Infermeria proprio per sapere se stava bene e l’Infermiera
lo aveva cortesemente informato che nessun Harry Evans si era mai presentato.
Che avesse voluto passare dai
Sotterranei prima di farsi curare la mano? Ma a quest’ora
sarebbe dovuto essere già arrivato. O magari aveva
incontrato Tom per strada e ci aveva pensato lui; quel ragazzo ne sapeva una
più del diavolo, sicuramente guarire un piccolo morso non sarebbe stato un
problema.
Eppure anche Tom si era comportato in un modo
strano a lezione. L’espressione che aveva avuto sul viso… era come se avesse visto
un fantasma. All’inizio Orion aveva pensato che si fosse solo preoccupato per
Harry, ma qualcosa non quadrava.
Stava oltrepassando l’ennesima armatura, quando
un’ombra attirò la sua attenzione. C’era l’entrata ad un angusto corridoio
proprio alla sua sinistra e avrebbe giurato di aver visto qualcosa muoversi tra
la penombra delle torce. Curioso, decise di avvicinarsi.
Più avanzava, più in effetti
una figura si delineava nel cono di luce che una delle fiaccole appese al muro
rifletteva sulla pietra del corridoio: era sicuramente uno studente vista la
divisa e, benché ne vedesse solo il profilo, riuscì a distinguere una chioma
disordinata di capelli nero inchiostro e la strana posa che teneva, con una
mano stretta al petto.
Arrivato ad un paio di metri di distanza, cominciò
a pensare che ci dovesse essere qualcosa che non andava, perché il ragazzo non
solo non lo aveva sentito, ma era rimasto tutto il tempo immobile, con anche la
testa voltata sempre nella stessa direzione.
“Ehi ragazzo, tutto bene?” chiese leggermente
preoccupato, cercando di attirare l’attenzione dell’altro.
Quando il ragazzo si voltò, però, Orion non riuscì
a credere ai propri occhi: era Harry.
Ma non era l’Harry che aveva conosciuto in quei
giorni, con capelli castano chiaro e occhi nocciola, ma l’Harry di quando non
sapeva ancora che si chiamasse Harry, quello che aveva visto per la prima volta
correre intorno al lago all’alba, quello del disegno di Tom.
Questo Harry aveva i capelli più neri del carbone e
due occhi… Dio, Tom aveva avuto ragione a dire che il bianco e il nero non gli
rendevano giustizia. Un verde del genere non aveva parole per poter essere
descritto.
Ma c’era qualcosa di estremamente storto, perché
quegli occhi impossibilmente verdi, in quel momento, erano ricolmi di lacrime
non ancora versate e solo un’unica, solitaria scia bagnata si era fatta strada
sulla guancia sinistra.
“Orion…” sentì la voce spezzata del ragazzo
sussurrare, ma il suo sguardo era rimasto vacante, tanto che il Serpeverde
avrebbe pensato di non essere nemmeno stato visto, se non lo avesse sentito
pronunciare il suo nome.
“Oh mio Dio, Harry!” gli si precipitò di fianco,
“Che ti è successo?”
Ma il moretto non rispose, restando a fissare
invece la mano che si stringeva al petto. Orion gli si piazzò davanti,
prendendolo per le spalle.
“Ehi, Harry, mi senti?” gli chiese con una nota di
panico nella voce, aspettando finché l’altro non ebbe alzato il viso, “Voglio
che tu mi dica cosa ti è successo. Per caso il morso era velenoso? Non siamo
lontani dall’Infermeria…”
Harry però scosse la testa. “No… Tom…” mormorò, ma
sembrò incapace di continuare.
Un’ondata di panico investì Orion. “Tom? Che
c’entra Tom? Gli è forse successo qualcosa?” cominciò a chiedere spaventato.
Non riusciva a capire cosa avesse potuto provocare una reazione del genere in
Harry: le lacrime, lo sguardo perso, l’espressione leggermente scioccata… che
fosse davvero successo qualcosa al Prefetto?
Finalmente, però, il moretto sembrò riprendersi
leggermente, perché sollevò le mani e le posò sulle braccia di Orion, ancora
tese a stringergli le spalle con le mani. Poi alzò nuovamente il viso e il
Serpeverde si trovò ad annegare in due pozze piangenti di giada.
“Tom… lui ha detto… ha detto…” incominciò con voce
spezzata, mentre nuove lacrime gli si formavano ai bordi delle palpebre e
scendevano in rivoli silenziosi sulle sue guance, “ha detto che non vuole avere più niente a che fare con me.”
Orion spalancò gli occhi, non potendo credere a
quelle parole. Ma al primo singhiozzo che scosse il
corpo del ragazzo davanti a sé, corse a stringerlo in un abbraccio
rassicurante, unica fonte di conforto che poteva fornire al momento, visto che
le parole lo avevano lasciato.
Tom aveva detto una cosa del genere? Quando? E
perché? A Harry poi… no, non poteva crederci. Cosa era successo? Aveva queste e
molte altre domande in testa, ma sapeva che non era quello il momento per
porle, non con un Harry scosso dai singhiozzi che piangeva tra le sue braccia.
“Sshh, Harry, non
piangere dai.” Gli ripeteva con tono rassicurante.
E mentre cercava di tranquillizzarlo, soltanto un
pensiero gli passò per la mente, oltre alle parole di conforto:
‘Tom, qualunque cosa tu abbia
fatto, hai combinato davvero un bel casino.’
A.N.: vi ringrazio sempre per le
tantissime recensioni che mi state lasciando, vi adoro! E per questo mi riesce
ancora più difficile annunciarvi una brutta notizia: venerdì prossimo non potrò
postare il capitolo 19.
Mi dispiace davvero, ma giuro che non è colpa mia!
Problemi con il computer che ho dovuto portare a riparare, tanto che il
capitolo di oggi è uscito solo perché ce l’avevo
miracolosamente salvato su una chiavetta. Da quel che mi dicono non dovrebbe venir perso nessuno dei miei dati, ma non potrò rivederlo
prima di lunedì prossimo =_=
Mi scuso ancora, tenete duro!
RISPOSTE:
GinnyW: diciamo che per ragioni
diverse nessuno dei due ha davvero torto, ma – e si vedrà bene nel prossimo
capitolo – hanno entrambi la loro parte di colpa nel modo di pensare.
cesarina89: grazie! ^^ Purtroppo come
avrai letto nell’AN, sono costretta a saltare una
settimana, mi dispiace un sacco T_T
nixy: se devo essere sincera un
po’ mi dispiace per loro: appena Harry era riuscito a farsi strada tra le
barriere di Tom, devo fargli succedere ‘ste cose qui.
Che cattiva che sono XD. Cmq, a proposito del
Distillato, è un particolare che avrà un certo peso soprattutto più avanti
nella storia. Ora immagino siano tutti concentrati sul litigio di quei due XD
Zia Voldy: forse non è
stata molto lunga, ma di sicuro di impatto! :P
MORFEa: XDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDD
Si, gliene faccio passare di tutti i colori XD Ma si
sa quel che si dice, anche dei rapporti: ciò che non uccide, rafforza!
Bisognerà solo vedere fino a che punto la testardaggine di certi due ragazzi
arriva ;)
kagchan: eh si, la reazione di Tom
non è stata piacevole. Per la Lemon posso solo dirvi:
abbiate pazienza! Ci sono ancora alcuni punti chiave da sbloccare (che non sono
lontani, ma non possono essere saltati). Tutto arriverà a tempo debito ^^. Mi
dispiace tantissimo per l’inconveniente di settimana prossima, davvero, spero
che non causi troppi problemi!
Bluking: si, Harry è davvero una
persona ingenua, in tutti gli aspetti! (Scarico su di
lui la colpa del fatto che non sia già con Toma darci
dentro come conigli XD)
KIA: come ho già detto nell’AN, mi dispiace un
sacco di non poter aggiornare settimana prossima! Spero che la lunghezza extra
di questo cap sia abbastanza per
tenere i lettori buoni fino al prossimo XD
tom13: oddio grazie! Mi fai
arrossire ^^”
StellaMars: e un bel po’ di problemi
li sta avendo infatti, ma vedremo come si risolverà la
cosa. Abbi pazienza per la prossima settimana, io intanto cercherò un modo per
farmi perdonare ^^
RowanMayFlower: sono contenta ti sia
piaciuto tanto! Per le fanfic guarda, la mancanza di
immagini di questa coppia sul web è una vera piaga, io stessa sono riuscita a
raccattarne appena una decina di decenti. Ho soltanto alcuni link a pagine di deviantart
salvati, le altre le ho solo sul computer:
(L’ultimo è ispirato alla fanfic “ChasingShadows” di E. Larson, una ficmoooolto complessa che si può
trovare solo in inglese su FF.net. In ogni caso nella
gallery dell’autore ce ne sono delle altre.)
Piano piano i singhiozzi di Harry si spensero definitivamente
Titolo:CrossedTimes
Autore:Lien
Capitoli: 19/?
Rating: R (ma conta di arrivare a
NC-17)
Pairing: Tom/Harry
Altri
Personaggi:HermioneGranger,
Minerva McGranitt, Luna Lovegood,
DracoMalfoy, altri…
Avvertimenti:Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 19.Quattro Giorni
Piano piano i singhiozzi
di Harry si spensero definitivamente. Il moretto sentì Orion muoversi,
districando dolcemente le braccia dalla presa con cui lo stava tenendo,
cercando di allontanarsi il minimo indispensabile per riuscire a guardarlo in
faccia.
Ora che si era calmato, Harry sentì l’imbarazzo e
la vergogna investirlo nel vedere il modo in cui era scoppiato
a piangere nelle braccia dell’altro, ma non era riuscito a trattenersi: per un
attimo era stato come riavere Sirius davanti, sempre
pronto ad aiutarlo e a rassicurarlo nel momento del bisogno.
“Harry,” sentì Orion
sussurrare, “io non so cosa sia successo e so che non ti andrà di parlarne, ma
conosco Tom. Credimi Harry, lui non ti odia, non penso che ci riuscirebbe
nemmeno se ci provasse.” Disse con una risatina.
Ma l’altro ragazzo scosse la
testa. “N-no Orion… tu non c’eri, l-lui… lui ha detto…” ma la voce gli si spezzò di nuovo e non riuscì a
continuare.
“Shh, non ne devi parlare
per forza.” Insistette rassicurante il Serpeverde.
Ma Harry sentiva che aveva bisogno di parlare. Tutti i segreti che
gli erano pesati sull’animo nell’ultima settimana, quei segreti che lo
costringevano a mentire, quei segreti che avevano spinto Tom ad andare via, che
avevano spinto Tom ad odiarlo… non credeva di riuscire a sopportarli ancora a lungo, non
dopo quello che era appena successo. Aveva bisogno ora di qualcuno con cui
confidarsi, almeno in parte.
“No, i-io… ho fatto una cosa stupida…” incominciò a
spiegare Harry, “non – non avrei dovuto parlare, m-mi
sarei dovuto trattenere e lui… lui ha pensato…! Ma io
n-non potrei mai! Come ha fatto a pensarlo…? E poi,
poi –”
“Scusa Harry,” lo
interruppe Orion, “ma quel che dici non ha alcun senso.”
Il moretto prese un profondo respiro e alzò la testa
per guardare l’altro negli occhi. Ormai Tom l’aveva scoperto, non c’era alcun
motivo di tacere la cosa anche a l’altro. “Sono un Rettilofono, Orion.”
Vide l’altro ragazzo spalancare gli
occhi sorpreso e sussurrare. “ Un Rettilofono?
Nel senso che parli ai serpenti come Tom?”
All’assenso di Harry, si aprì in un ghigno
ammirato. “Cavolo! I miei amici hanno tutti dei superpoteri! Ma
perchè Tom dovrebbe essersi arrabbiato? Sarebbe dovuto
essere contento che… Oh, aspetta,” si bloccò, rabbuiandosi, “non gliel’hai
rivelato tu, vero?”
L’ex Grifone scosse la testa. “No, l’ha scoperto
oggi a Cura delle Creature Magiche, c’erano i Runespoor
e io… non mi sono accorto e ho parlato al mio, ma lui ha sentito e…” ma si
fermò nel suo farfugliare vedendo l’espressione sul volto dell’altro.
“Non ci posso credere! Si è davvero incazzato perché non gliel’hai
detto! Come se avesse il diritto di sapere tutto quello che fai! Che… idiota. Che egoista, arrogante, prepotente, insensi
–”
“No!” lo interruppe Harry, “No
Orion, non capisci! Lui… lui ha ragione, credeva
che fossi un discendente di Serpeverde, credeva che fossi qui per ucciderlo,
perché non è un Purosangue…” abbassò la testa per nascondere gli occhi
ritornati lucidi.
Passarono alcuni secondi di
silenzio, poi sentì due dita afferrargli il mento e spingerlo delicatamente verso
l’alto. Due occhi grigi lo stavano guardando intensamente, cercando di
trasmettergli qualcosa che non riusciva ancora a capire.
“Harry, ascolta,” iniziò
il Serpeverde con voce calma, “Tom ha passato tutta la vita a guardarsi le
spalle, a sospettare di tutto e tutti, ma non
ha ragione. Sta rasentando la follia! Tu,
un discendente di Serpeverde? Ma siamo seri! Non ho
mai conosciuto un Serpeverde meno Serpeverde di te! E
la storia del Purosangue? Fa ridere solo a pensarci, con tutte le volte che ti
ho visto guardare male qualcuno perché diceva la parola ‘mezzosangue’. No, non
è per quello che si è arrabbiato, è perché è odia non essere in controllo di
tutto. E tu, Harry, sei assolutamente imprevedibile.
Ma deve capirlo da solo che le persone
non sono qualcosa che può controllare, non sono solo dei burattini.”
Harry si lasciò andare ad un lungo sospiro,
soppesando le parole del compagno di Casa. E se Orion
avesse avuto ragione? E se non fosse stata colpa sua
infondo, ma di Tom? Che cosa aveva fatto lui di
sbagliato? Mentirgli? Ma non gli aveva nemmeno mentito, aveva solo omesso il
suo passato, e ne era stato anche costretto: Dio solo
sapeva che per lui sarebbe stato molto più facile raccontare tutta la verità.
Ma non aveva potuto
raccontare tutto, avrebbe rischiato di creare un paradosso temporale
irrimediabile, avrebbe rischiato di cambiare il passato e modificare o
addirittura cancellare il futuro. Chi gli assicurava che sarebbe bastata una
perdita di memoria a portare tutto a posto, se si fosse lasciato scappare
troppe informazioni?
No, Tom non aveva il
diritto di chiedergli piena onestà, quando lui per primo non la offriva. Gli aveva mai parlato lui
di aver ucciso suo padre? Della sua ricerca della Camera dei
Segreti? Dell’acronimo di Voldemort? No, non aveva alcun diritto di chiedere
tanto ad Harry. Aveva torto.
E allora perché faceva comunque
così tanto male?
Harry sospirò di nuovo. “E
ora che facciamo?” chiese.
Orion sorrise, forse
riconoscendo il processo mentale a cui era passato attraverso l’altro. “Ora, torniamo in
dormitorio. Non preoccuparti, tu dormirai nel mio letto; non ci penso nemmeno a
rimandarti in camera col signorotto, finché non sarà tornato coi
piedi per terra.”
Il moretto sgranò gli occhi. “Ehm, Orion… non che
non ti sia grato, ma dividere un letto mi sembra un po’ eccessivo…” disse
arrossendo fino alla punta dei capelli.
Il Serpeverde scoppiò a ridere e ne
approfittò per tirarsi su in piedi e porgere una mano a Harry perché
facesse lo stesso. “Ma no Harry, il mio letto non è stato praticamente
mai usato dall’inizio dell’anno: sono solito rimanere a dormire in camera delle
mie conquiste.” Rispose facendo l’occhiolino.
Harry alzò gli occhi al cielo, ma si ritrovò a
sorridere suo malgrado. Al pensiero del Prefetto, però, tornò a rabbuiarsi. “E Tom?”
Una strana luce si accese negli occhi di Orion. “Tom si ravvedrà da solo, soprattutto dopo averne
sentite quattro dal sottoscritto.” Disse scrocchiandosi le nocche in modo poco invitante.
Harry si affrettò a togliergli dalla testa strane
idee. “No, Orion, aspetta, promettimi che non gli farai niente. Se vuoi
parlagli, urlagli addosso, tutto quello che vuoi, ma non fargli male.”
Il Serpeverde sospirò lasciando cadere le braccia
ai lati del corpo, ma annuì. “Va bene, ma se oltrepasserà il limite non
risponderò delle mie azioni.”
Harry, annuì a sua volta,
pensando che quello fosse, probabilmente, il massimo che si sarebbe potuto
aspettare.
Stava per incamminarsi verso la fine del corridoio, quando l’altro lo fermò per
un braccio.
“Ehm, non sono sicuro, ma
credo sia meglio che torni ad indossare quella tua strana illusione, prima di
farti vedere in pubblico.”
L’ex Grifondoro sgranò gli occhi e si portò una
mano ai capelli, tentando di far arrivare i ciuffi nel suo campo visivo per
vederne il colore. Osservò nel panico un capello che gli rimase in mano nel
tentativo, riconoscendone il colore: nero inchiostro. Spostò lo sguardo
scioccato verso Orion, che era rimasto lì davanti a ghignare leggermente,
mentre lui si concentrava il più velocemente possibile per ripristinare
l’incantesimo.
Un’altra risata gli fece riaprire gli occhi, quando
i suoi occhi e capelli furono ritornati del loro
colore finto. “Harry, molla quello sguardo da coniglio spaurito, non lo dirò a
nessuno. Non che sia una novità poi per me, lo sapevo
già da quasi un mese.”
Se possibile, gli occhi di
Harry si allargarono ancora di più. “Lo sapevi? Come facevi a saperlo?”
L’altro scrollò le spalle. “Ti ho visto una mattina mentre correvi intorno al Lago, prima che ti
iscrivessi.” Rispose semplicemente.
Harry lo guardò guardingo. “E
non t’importa il perché io nasconda il mio aspetto?”
Orion gli sorrise. “A me? E perché dovrebbe? Non so perché ti sei iscritto, né la tua
storia, ma che importanza ha? Ciò che conta è che se qui.”
Harry sentì il primo vero sorriso spuntargli in
viso dal litigio con Tom. Orion non credeva probabilmente ad una sola parola
della sua storia e non gliene fregava niente.
Magari fosse potuto essere
tutto così semplice anche con Tom…
Tom si svegliò di colpo, tirandosi su a sedere. Non
sapeva esattamente cosa lo avesse svegliato e non si ricordava nemmeno cosa stesse sognando prima di svegliarsi. Si passò
stancamente una mano sulla faccia nel tentativo di liberarsi degli ultimi
strascichi del sonno, prima di spostare le coperte che
gli si erano arricciate in grembo in modo da poter sedersi a bordo letto.
Afferrando il bordo delle
tende del baldacchino, spalancò le cortine con un gesto deciso, lasciando che
la luce del giorno illuminasse il materasso. Il suo sguardo fu
immediatamente catturato dal letto situato ad appena un paio di metri dal
proprio.
Vuoto.
Sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Erano
passati quattro giorni dal suo litigio con Harry, quattro giorni da quando si erano rivolti la parola per l’ultima volta,
quattro giorni da quando avevano condiviso la stessa stanza.
Quattro giorni da quando Orion si era catapultato
in Sala Comune furioso e gli aveva tirato un pugno dritto in faccia.
Tom portò una mano a massaggiarsi lo zigomo
sinistro, lasciandosi scappare un sibilo di dolore al contatto: poteva anche
aver coperto immediatamente il livido, ma il dolore non sarebbe andato via fino
a che non fosse guarito. Per qualche motivo non aveva alcun desiderio di
guarirlo con la magia.
Potevano anche essere trascorsi solo quattro
giorni, ma al Prefetto sembrava che fosse passata un’eternità, benché il
litigio con Harry e il successivo scontro con Orion li ricordava come se fosse
stato ieri.
Ricordava con precisione Orion che gli si gettava
addosso come un toro imbufalito, ricordava come gli
aveva urlato contro che se avesse mai fatto piangere Harry un’altra volta lo
avrebbe ucciso con le sue stesse mani. Ricordava la sua sorpresa, ricordava di non aver capito e di non aver creduto alle
parole del compagno di Casa, ricordava di avergli sibilato di starsene zitto e
lontano da affari che non gli riguardavano.
Ricordava, poi, di aver visto Harry precipitarsi
nella Sala Comune ed aver raggiunto Orion, parlandogli
di una qualche promessa che gli aveva fatto e cercando di allontanarlo da lui,
sempre evitando il suo sguardo. Ricordava di non aver prestato la minima
attenzione a ciò che Orion gli aveva risposto, perché rimasto per un attimo
scioccato nel vedere gli occhi gonfi, il naso rosso e le scie bagnate sulle
guance dell’altro ragazzo.
Ricordava di aver pensato, per almeno un istante,
quale diavolo di motivo aveva potuto giustificare l’aver causato tanto dolore in quegli occhi finto nocciola. Poi, però, ricordava la
rabbia montargli nel petto: che diritto aveva Harry di piangere, quando era a
lui, Tom, che era stato fatto il torto?
E se Orion non avesse scelto proprio quel istante per trascinare via Harry, urlandogli che da
quel momento in poi il ragazzo avrebbe dormito nel dormitorio maschile, Tom
avrebbe sicuramente detto qualcosa di cui si sarebbe poi pentito.
Si, questo lo ricordava benissimo, benché fossero
quattro giorni ormai che non vedeva Harry se non in classe.
Quattro giorni che Harry non dormiva nel suo letto.
Tom si alzò in piedi, dirigendosi verso l’armadio
per tirare fuori la divisa e vestirsi, mentre pensava agli ultimi quattro
giorni. Nella sua vita si era sempre considerato, con orgoglio, al di sopra delle emozioni: più di tutto, stimava la sua
capacità di rimanere freddo e distaccato di fronte a qualunque situazione,
condizione indispensabile per fare l’analisi oggettiva di un problema. Era il
suo punto di forza, il suo cavallo di battaglia.
Ed era bastato un ragazzo a
far cadere tutto a pezzi.
Si era fatto sopraffare dalla rabbia, da una furia
che lo aveva accecato, facendolo saltare a conclusioni affrettate, conclusioni che, ora a mente lucida vedeva, non avevano
alcun fondamento razionale. E ancora, in ogni caso, non riusciva a trovare su
quale delle sue azioni porre il torto, perché quando i sentimenti sono
coinvolti la colpa si può dare a tutto come a nulla.
Come avrebbe potuto ragionare razionalmente in un
momento come quello?
Il dolore che aveva sentito al petto nello scoprire
Harry un Rettilofono, nel sapere che per tutto il
tempo gli aveva taciuto un particolare così importante, che gli aveva quindi
mentito, forse tramando chissà cosa alle sue spalle, era il tipo di dolore che
lo aveva spinto a rinunciare ai sentimenti, molto tempo addietro.
Era un dolore che riconosceva bene, che derivava da
qualcosa di molto, molto pericoloso, da un errore fatale che si era promesso
tante volte di non commettere e nel quale invece era cascato come un idiota:
aveva lasciato che qualcuno si avvicinasse troppo, aveva abbassato per un
attimo le sue difese e fatto entrare qualcuno, addirittura iniziando ad offrire
la propria fiducia in maniera così sconsiderata. E
questo era il risultato.
‘Sei stato un folle, Tom, ad
aver creduto nel prossimo, anche solo per un attimo.’ Pensò, ‘Anche se quel
prossimo era Harry…’.
“Ti sto
proprio offrendo la mia amicizia senza chiederti nulla in cambio.”
Quanto era stato stupido e
ingenuo a non accorgersi immediatamente del baratro in cui stava mettendo
volontariamente piede, della trappola in cui stava inconsciamente cadendo. Harry era stato lì, in
maniera apparentemente semplice, ad offrirgli qualcosa che non aveva avuto la
possibilità di scorgere da anni, praticamente da
sempre… Ma davvero poteva dirsi colpevole per non aver resistito davanti a
qualcosa di tanto straordinario?
E diamine se Harry non era
straordinario: il modo in cui si era lentamente infiltrato sotto la sua pelle,
come lo aveva attratto, il mistero che lo avvolgeva, quegli occhi, la sua
vitalità, quel corpo… Dio se non l’avevano ammaliato.
E anche dopo aver voltato le spalle al ragazzo
quattro giorni prima, dopo essersi detto che il
capitolo Harry Evans era ormai un capitolo chiuso per lui, che non voleva aver
più niente a che fare con lui, si ritrovava a sentire un buco dove prima
abitavano tutte le emozioni che la vicinanza dell’altro ragazzo aveva fatto
germogliare a sua insaputa.
Visto che non si può sentire la mancanza di
qualcosa se non la si è mai provata, la difesa migliore
era sempre stata non provare niente sin dall’inizio.
Ora, purtroppo, era troppo tardi. E adesso che quel qualcosa era scomparso, quei quattro
giorni in cui era tornato alla sua vita di sempre, la vita che conduceva prima
dell’arrivo di un certo moretto, non erano mai sembrati tanto piatti.
Vuoti.
Annodandosi con cura la cravatta, si diresse verso
la porta, lanciando un’ultima occhiata al letto fatto del suo ex compagno di
stanza. Con un sospiro entrò in Sala Comune, facendo appena un cenno di saluto
ai presenti che lo salutavano con entusiasmo, sperando in una qualunque forma
di riconoscimento da parte del Prefetto.
Si, vuoti era la parola
giusta. Mai avrebbe pensato che avrebbe fatto una tale differenza la mancanza
del chiasso e dell’esuberanza di Orion o del carisma e
del mistero che circondavano Harry. Nonostante da
quando i due avevano preso ad evitarlo Alden fosse
stato più presente che mai e molti fossero tornati a leccargli spudoratamente i
piedi, le giornate semplicemente non erano più le stesse.
Erano state un susseguirsi di eventi
insignificanti, benché in realtà non fossero mancate delle azioni importanti,
quali il rassettamento della sua posizione nella scala gerarchica di Hogwarts.
Era incredibilequanto
avesse trascurato le politiche della scuola in quell’ultimo mese, a quanti
alleati non aveva più parlato, quanti nemici aveva mancato di tenere d’occhio,
a come avesse messo da parte la sua ricerca della Camera dei Segreti e tutti i
suoi piani per il futuro.
Il mese appena trascorso, dal fatidico primo
incontro con Harry nella radura dietro al Lago, sembrava fosse stato parte di
un sogno, da quanto lo aveva allontanato dalla realtà.
Ora però, si era svegliato.
E ciò che lo turbava, era che una parte di lui desiderava ardentemente tornare a dormire.
Sentì una risata amara crescergli nel petto:
ironico che tra tutti, quelli che gli impedivano di cadere nella tentazione di
fare qualcosa di avventato – come andare a parlare con
Harry per chiarire tutto – fossero proprio Orion e Harry stesso. Di Black ormai si sarebbe stupito se gli avesse mai più rivolto
la parola e Harry non lo vedeva mai se non durante le lezioni, nemmeno durante
i pasti. Solo Meredith lo salutava ancora quando lo
incontrava per i corridoi.
“Sto cercando di dire che Harry è stato evidentemente addestrato per
combattere.”
Le parole della ragazza di quel giorno in
biblioteca gli continuavano a tornare in mente e, sempre più spesso,
accompagnate da altri pensieri indesiderati quanto quello. Per quanto non
volesse ammettere la verità dietro a quelle parole, non poteva chiudere gli
occhi all’evidenza che avevano portato a galla.
Come aveva fatto a non vederlo prima? Si era
lasciato ingannare da quell’apparente spontaneità di Harry, quella sua
ingenuità, quel suo modo di essere felice per il
semplice fatto di essere vivo, mentre in realtà avrebbe dovuto mettere insieme
tutti i pezzi: il formidabile schiantesimo che gli
aveva lanciato la prima volta che lo aveva visto, i loro successivi incontri
fatti di posizioni da combattimento, guardia alta e bacchetta in mano, il modo
in cui aveva atterrato Alden, il suo saper evocare un
Patronus…
Harry era una perfetta macchina da guerra.
E questo lo metteva di fronte a tantissime altre
riflessioni, prima tra tutte la scelta di parole che
aveva utilizzato Meredith che, avrebbe giurato, non era stata per niente
casuale: non aveva detto “Harry è evidentemente allenato per combattere”, aveva detto “è stato addestrato”.
Che… che Harry fosse stato
solo una vittima delle circostanze? Ma circostanze
manovrate da chi? E per che cosa? La guerra era finita
da più di due anni, Grindelwald era stato sconfitto,
perché qualcuno avrebbe dovuto addestrare un diciassettenne a combattere? Sicuro, Harry era particolarmente
potente, ma vi erano tantissimi Auror freschi di
battaglia pronti ad offrire i propri servizi, non c’era alcun bisogno di
sfruttare un ragazzo.
Perché come poteva Harry, che lo
sgridava se usava la parola mezzosangue, che cercava di rappacificare i
conflitti e i litigi, che si rifiutava di rispondere alle provocazioni che i
Corvonero gli lanciavano se lo vedevano camminare insieme a Meredith, essersi
allenato a combattere se non in qualche modo contro la sua volontà?
Ed ogni volta, a questo pensiero, qualcosa di
feroce gli si svegliava nel petto, qualcosa che lo spingeva a pensare che se fosse venuto a sapere che qualcuno si era anche solo
azzardato a torcere un capello ad Harry, costui non avrebbe più rivisto la luce
del giorno.
Tom poteva dire di aver voltato pagina quanto
voleva, ma allora non poteva spiegarsi perché aveva passato le ultime due notti
a leggere tomi su tomi a proposito di Serpentese,
Serpeverde, Genealogie e Arti Oscure in generale, cercando un qualunque indizio
sul perché Harry fosse un Rettilofono.
Perché ciò che aveva detto
quattro giorni prima era vero: per quanto avesse tradito la sua fiducia, era
convinto che Harry fosse sincero. Diceva di non essere nato con l’abilità di
parlare con i serpenti, ma si era bloccato prima di poter dire come l’aveva
acquisita. Perché si era bloccato? Cosa
lo aveva trattenuto dal continuare? Era un altro dei suoi segreti?
“Sto cercando
di dire che Harry è stato evidentemente addestrato per
combattere.”
Era sembrato così disperato nel voler far credere
la sua innocenza a Tom, che in effetti l’unico motivo
per cui non l’avrebbe detto, sarebbe stato se non avesse potuto…
Il rancore, la rabbia e, forse, anche un po’ la
delusione erano ancora tutti lì, eppure Tom stava quasi disperatamente cercando
un motivo per giustificare il tradimento di Harry, per scagionare ai suoi occhi
il ragazzo, per dimostrare che infondo non era stata colpa sua.
Non era decisamente un
comportamento da lui, ma quando si trattava di Harry nulla sembrava più seguire
le regole.
Uscito dalla Sala Comune attraversò i sotterranei,
pensando se anche quel giorno Harry avrebbe saltato la colazione e lui avrebbe
passato tutto il tempo in Sala Grande a ricevere occhiatacce da Orion. Salite
le scale che lo portavano alla Sala d’Ingresso, si stava dirigendo verso le
porte della mensa quando fu certo di sentire qualcuno
sussurrare il nome “Harry”.
Si fermò, indietreggiando silenziosamente dietro
una colonna, mentre faceva vagare lo sguardo verso l’ingresso dove non molti –
a quell’ora tanto mattiniera – si erano fermati a chiacchierare, se non di
passaggio per andare a colazione. Infatti solo due
persone erano ferme a parlare sottovoce di fianco a un’armatura, due persone
che Tom conosceva bene: Meredith e Orion; che a quanto pareva stavano parlando
di Harry.
Sussurrò un incantesimo di Disillusione e, una
volta che la spiacevole sensazione di avere un uovo rotto sulla testa fu
scomparsa, si avvicinò cercando di non fare alcun rumore, fino a che non fu
abbastanza vicino da poter udire cosa si stavano dicendo.
“-erto che mi preoccupo!” aveva appena esclamato
Orion gesticolando animatamente con le braccia.
Meredith si stava mordendo un labbro in un gesto
nervoso. “E tutto questo è venuto fuori solo in questi
giorni? Non l’aveva mai fatto prima?”
Il ragazzo le lanciò uno sguardo
esasperati. “Meredith, passa tutto il tempo libero chiuso in Biblioteca!
Non si presenta ai pasti e quando glielo faccio notare dice di essersene
semplicemente dimenticato, dimenticato! Di mangiare! Per non parlare della notte, che è
quello che mi preoccupa di più: va a dormire prestissimo, alle
dieci e mezza massimo! Il primo giorno poi aveva un’aria esausta, ma
pensavo fosse perché si era alzato presto per allenarsi giù al Lago, invece sono già due giorni che fa quasi tardi a lezione perché non
riesce a svegliarsi. Come fa qualcuno a dormire così tante ore e sembrare
sempre così stanco?”
“Ma hai provato a
parlargliene?”
“Ah, come se mi ascoltasse! Riesce sempre a sviare
il discorso in qualche modo, o a liquidarmi con tre parole. È una porta
blindata quel ragazzo, non gli si cava fuori nulla di bocca.”
Rispose il Serpeverde con tono irritato.
Tom osservò la ragazzina soppesare per un attimo le
parole dell’altro, poi ciò che disse lasciò di stucco persino lui:
“Penso che dovremmo dirlo a Tom.”
Dopo un paio di secondi di shock arrivò la puntuale
risposta.
“Cosa?!”
“Eddai, cerca di capire: tra di noi lui è quello che conosce Harry meglio di tutti e,
tra l’altro, anche il possibile motivo di questo suo comportamento. Ha dormito
nella stessa stanza con lui da quando è arrivato a
Hogwarts e da quel che mi hai detto non lo ha voluto lasciare solo nemmeno per
un istante! Se c’è qualcuno che può avere le idee chiare sul perché Harry si
stia comportando in questo modo, è lui.”
Ma Orion non sembrava così
d’accordo. “Mere, lo sappiamo già il perché, Tom è il perché! È dal giorno del loro litigio che tutto è
iniziato!”
“No, è dal giorno del litigio che tu lo vedi.” Ribatté la Corvonero, “Forse invece questa stanchezza è
l’indizio di un qualche malanno di cui i sintomi si sono verificati da molto prima ma non ce ne siamo accorti. Tom, d’altro canto,
avrebbe sicuramente notato qualcosa.”
“Basterebbe fargli fare
una visita in Infermeria allora!”
“L’hai detto tu che si rifiuta di farsi vedere
dall’Infermiera.”
“Beh, portiamocelo di peso!” esclamò Orion
esasperato.
“Shh!” lo ammonì la
ragazza, vedendo una coppia di Tassorosso girarsi
verso di loro. “Ora Harry dov’è?” chiese infine.
Orion sospirò. “In Biblioteca, come al solito. Mi ha detto che per una
volta che si era svegliato in orario, voleva approfittarne per un ripasso.”
“Ok, allora faremo così:
prima che inizino le lezio…”
Ma a Tom non interessava
cos’altro aveva da dire la Corvonero, aveva già sentito abbastanza.
Quattro giorni, pensò mentre
marciava verso le scale, erano stati anche troppi.
Harry si strofinò stancamente gli occhi, cercando
di mettere bene a fuoco i minuscoli caratteri del libro che aveva aperto
davanti a sé. La Biblioteca a quell’ora era completamente deserta, salvo per
l’austera figura della bibliotecaria che ogni tanto si affacciava da uno degli
scaffali per controllarlo.
Sospirò, passandosi le dita tra le ciocche castane:
si sentiva a pezzi. Mai aveva provato tanta stanchezza, e sì che aveva vissuto
in condizioni ben peggiori durante la guerra; ma quel tipo di stanchezza non
aveva nulla a che fare con la sua condizione fisica e lui lo sapeva bene. No, purtroppo derivava dalla sua ormai radicata dipendenza da
pozioni soporifere, che avevano cominciato a far sentire il loro peso.
Ecco che cosa intendeva Madama Chips quando parlava di effetti collaterali.
Diamine, era stato sicuro di avere molto più tempo
a disposizione prima di soffrirne le conseguenze, ma con tutta probabilità ad
accelerare il processo doveva essere stato lo stress degli ultimi giorni. Dopo
tutto il casino successo con T-
No, non doveva pensarci.
Perché non c’era davvero nulla a
cui pensare, giusto?
Lui era andato nel passato con una missione e sarebbe tornato due mesi più tardi avendo trovato ciò che
era venuto a cercare. Questo era l’importante. Questo e basta.
Il fatto di aver conosciuto tante persone speciali,
di essersi fatto degli amici… era irrilevante, superfluo. Non aveva nessuna importanza.
Nessuna.
Harry gemette affondando la testa tra le mani quando l’immagine del viso perfetto di Tom gli tornò
alla mente per l’ennesima volta. Dio, perché era così difficile toglierselo dai pensieri?
Lui aveva una missione, un compito cruciale, e
doveva concentrarsi su quello, doveva. Non aiutava certo la cicatrice che cominciava a
formicolargli ad intervalli regolari – come stava facendo in quel momento – e a
nulla sembravano servire le sue esortazioni, a nulla sembrava servire ripetersi
che era stato meglio così, che sapeva quale sarebbe stato il futuro di Tom e
che non si sarebbe dovuto aspettare così tanto, benché
lo avesse scoperto una persona tanto meravigliosa dietro a tutte le sue difese…
Ecco, ci era cascato di
nuovo.
Con un altro sospiro riportò l’attenzione al libro
aperto sul tavolo, tentando di focalizzare nuovamente i pensieri sul suo
problema più urgente. Fortunatamente aveva trovato qualcosa che lo avrebbe
potuto aiutare: da ciò che aveva letto sembrava che l’aconito in polvere – uno
degli ingredienti principali del Distillato della
Morte Vivente – sciolto in un infuso di belladonna sopprimesse temporaneamente
le conseguenze del sopruso della pozione. L’unica pecca era che avrebbe dovuto
assumerlo solo dopo che ogni residuo del distillato fosse stato assorbito dal
suo organismo e quindi uscito dal sistema circolatorio: ci sarebbero volute un
minimo di ventiquattr’ore, cioè
almeno un’intera notte di incubi.
Rabbrividì al solo pensiero, ma sapeva che era
necessario.
Il formicolio alla cicatrice aumentò
improvvisamente d’intensità, riportando inesorabilmente i suoi pensieri verso
Tom. Chissà cosa stava facendo ora il Prefetto? Doveva essere concentrato
intensamente su qualcosa per procurargli una reazione simile, chissà dov’era…
Il sesto senso di Harry si accese di colpo,
captando una distinta aura alle sue spalle, benché non fosse stato prodotto
alcun rumore. Chiedendosi perplessamente chi mai
avrebbe avuto interesse a restarsene fermo ad
osservarlo, si girò sulla sedia per scoprirlo.
Riuscì anche a chiedersi, attraverso la sorpresa,
come poteva essere stato tanto stupido da non aver fatto l’immediato
collegamento con la sua cicatrice. Ma anche quel pensiero si perse in fretta
nel turbinio di emozioni che gli stavano gonfiando il
petto mentre osservava il ragazzo fermo di fronte a lui.
Tom era appoggiato ad uno degli scaffali, con le
braccia conserte e un’espressione indecifrabile sul volto impassibile. Da
quanto tempo fosse stato lì a guardare, Harry non
poteva saperlo, ma non gli sembrava davvero il momento di irritarsi per quello.
Si guardarono per lunghissimi istanti e nessuno dei due sembrava aver
intenzione di fare altro.
‘Ti prego, dì qualcosa.
Qualunque cosa…’ pensava Harry disperatamente, tutta la sua intenzione di
dimenticare l’altro ragazzo già gettata al vento.
Tom fece vagare brevemente lo
sguardo sulla sua figura, poi parlò:
“Evans.”
Fu come se un macigno fosse caduto nello stomaco di
Harry. Era di nuovo Evans adesso, eh? Ma certo, che stupido ad essersi lasciato trasportare dalle
speranze, probabilmente il Serpeverde era passato di lì per caso, senza nemmeno
pensare a lui. Forse non aveva pensato a lui nemmeno una volta negli ultimi
quattro giorni.
Aprì bocca per rispondere
con un atono ‘Riddle’, ma osservando ancora il ragazzo di fronte a sé, cambiò idea. Forse adesso era
tornato ad essere Evans per il Serpeverde, ma di sicuro l’altro ragazzo aveva
smesso di essere Riddle ai suoi occhi tanto tempo
prima.
“Tom.”
Il Prefetto, con grande
soddisfazione di Harry, voltò la testa da un lato evitando il suo sguardo,
rivolgendosi verso uno dei tavoli più lontani. Per qualche secondo calò
nuovamente il silenzio, poi, quasi troppo piano perché Harry potesse sentirlo,
Tom sussurrò qualcosa:
“Harry…”
Fu lui questa volta a dover spostare lo sguardo,
perché quel tono di voce, quegli occhi… che cosa
voleva Tom da lui? Perché era lì? Perché
Harry non riusciva a spegnere quella piccola scintilla di speranza che gli si
era accesa in petto nel sentire di nuovo il suo nome pronunciato da quelle
labbra perfette?
Dio, voleva che tutto ritornasse come prima. Voleva
rivedere il sorriso dell’altro aprirsi e illuminargli il volto, voleva vedere i
suoi occhi accendersi ancora e ancora e sciogliere il ghiaccio in cui erano
normalmente intrappolati, voleva sentire di nuovo la sua energica risata.
Sentiva, irrazionalmente, che avrebbe fatto qualunque cosa per riavere tutto
quello ancora una volta vicino.
Non sapeva come avrebbe fatto a spiegare il suo
essere un Rettilofono, o se l’altro ragazzo si
sarebbe mai accontentato di una qualunque spiegazione, ma doveva fare qualcosa.
Le parole gli uscirono di bocca prima che potesse
fermarle.
“Tom ti prego, ascoltami,
io non –!”
Ma il Serpeverde alzò una
mano, zittendolo efficacemente.
“Non sono venuto qui per
parlare di quello.” Disse con un’espressione che Harry non riuscì bene a
decifrare.
L’ex Grifondoro tentò di nascondere la sua sorpresa
e la sua confusione. Non voleva parlare di quello che
era successo? Ma allora perché lo aveva cercato? Forse
era davvero passato per caso dalla Biblioteca e in realtà lui
non centrava niente. Sentì lo stomaco affondargli, ma prima che potesse
continuare quella linea di pensiero, sentì lo sguardo di Tom nuovamente su di
lui,e, quando alzò gli occhi, lo trovò ad osservarlo
attentamente.
“Hai un aspetto orribile.” Dichiarò
improvvisamente, e qualcosa di indefinito gli
attraversò lo sguardo che, notò Harry, aveva perso granché della sua freddezza.
Il Prefetto si staccò dallo scaffale e fece due
passi in avanti, fermandosi ad un paio di metri da Harry, sotto lo sguardo
attento dell’altro ragazzo che seguiva ogni suo movimento.
“Ho sentito Orion e Meredith parlare stamattina,
prima di colazione.” Iniziò, continuando a guardare
l’altro negli occhi, “Parlavano di te.”
Harry poteva solo fissare di risposta il
Serpeverde, chiedendosi dove stesse andando a parare il suo discorso.
“Dicono che non stai
mangiando.”
Harry, completamente preso alla sprovvista, si
ritrovò automaticamente a difendersi, come ormai aveva già fatto innumerevoli
volte con gli altri due amici.
“Non è vero che non mangio, ogni tanto –”
“Dicono che vai a letto
presto e ti svegli comunque tardi.” Lo interruppe di nuovo Tom.
Harry abbassò gli occhi. “È solo perché questa
settimana –”
“Dicono che te ne stai
chiuso tutto il tempo in Biblioteca.”
“E cosa c’è di male nel
voler –”
“Dicono che per quanto tu
dorma sei sempre esausto e hai un’aria distrutta.”
“Orion esagera sempre, non sono così
tanto –”
“E ora che ti vedo, devo dar loro ragione.” Continuò imperterrito il Prefetto, “Hai un aspetto
orribile.”
Harry, già esasperato da quattro giorni di prediche
da parte di Orion, rispose aggressivamente sulla
difensiva: “Ne parli come se te ne preoccupassi!”
Immediatamente, vedendo lo sguardo di Tom, si pentì
di quelle parole. Ma perché doveva sempre essere così
stupido? Tom era venuto lì a parlargli e forse, forse c’era una minima possibilità che non lo odiasse,
e lui doveva rovinare tutto in quel modo! Perso ancora nel darsi dell’idiota,
quasi si perse le parole che l’altro sussurrò.
“Mi sono
preoccupato.”
Harry alzò la testa di scatto, incontrando quelle
iridi color pece delle quali, finalmente, riuscì a dare
un nome all’emozione che vi albergava: preoccupazione.
Tom…Tom si era preoccupato. Per quanto avessero litigato, per quanto non avessero ancora risolto
nulla, per quanto avessero ancora un sacco di motivi per non rivolgersi la
parola, appena aveva sentito che Harry non stava bene era subito corso a
cercarlo. Qualunque fosse stato il motivo del litigio,
l’incolumità di Harry era stata più importante.
Un groppo alla gola impediva a Harry di parlare ma,
anche se avesse potuto, non credeva che sarebbe riuscito a trovare le parole
per esprimere il sollievo che stava
provando in quel momento. Infatti l’unico, irrazionale
impulso che aveva in quel momento era di gettarsi addosso all’altro ragazzo e
stringerlo, e poter toccare con mano la prova che fosse davvero venuto lì, per
lui.
E fu esattamente quello che
fece.
Non si accorse nemmeno di aver annullato la
distanza che li separava fino a che non sentì l’impatto con il petto di Tom, e
la stoffa della divisa che veniva stretta nei suoi
pugni serrati all’altezza della schiena del ragazzo. Aveva
affondato il viso nell’incavo del collo dell’altro, riuscendo così a
sentirne per la prima volta il profumo: sapeva di cannella, e di autunno, e di
qualcosa che era unicamente Tom.
Solamente quando ebbe sentito il Prefetto
irrigidirsi dalla sorpresa di quell’improvviso
abbraccio fu che, spalancando gli occhi di scatto, realizzò ciò che aveva
appena fatto.
‘Oddio, ma che diavolo sto
facendo?!’ pensò nel panico, cercando immediatamente di allontanarsi dal
Serpeverde.
Ma un braccio lo bloccò,
scivolando a circondargli la vita, e un altro salì ad afferrargli una spalla e
a stringerlo ancora di più contro il corpo caldo che aveva davanti. Trattenendo
il respiro, sentì Tom abbassare leggermente la testa e affondare il viso nei
suoi capelli arruffati, strofinando leggermente il naso tra i ciuffi prima di
appoggiarvi una guancia con un sospiro.
Harry si lasciò finalmente andare al calore di
quelle braccia, abbandonando la testa sulla spalla di Tom e godendosi quello
strano sfarfallio che gli era esploso nello stomaco.
E forse non avevano risolto
niente, ma lì, stretti in quel modo, Harry sentiva come se ogni cosa fosse
andata magicamente a posto.
Lì, stretto tra le braccia di Tom, ogni cosa era al
suo posto.
Una figura si staccò dall’ombra degli scaffali
della Biblioteca, con i pugni serrati e le narici dilatate dalla rabbia.
Come osava?
Come osava quel ragazzino anche solo toccare Tom?Il suo
Tom?
Alden si diresse a passo di
marcia verso l’uscita della Biblioteca, fumando di gelosia. Lui erano anni, anni,
che era sempre stato di fianco al Prefetto e ora chi si credeva di essere quel
moscerino per comportarsi da padrone, quando era l’ultimo arrivato?
Ah, ma di certo lui non si sarebbe fatto da parte
tanto facilmente, anzi. No, avrebbe fatto molto di più che rendergli la vita
difficile.
Gli avrebbe fatto pagare caro l’aver toccato
qualcosa che era suo e soltanto suo.
A.N.: Tornata! Buone notizie per me perché il computer non ha perso nessuno dei
suoi dati e buone notizie per voi perché il capitolo è finalmente arrivato XD.
Grazie a tutti per aver avuto pazienza e per le vostre magnifiche recensioni!
Il prossimo capitolo sarà on line venerdì prossimo
(non questo) e da quel momento in poi gli aggiornamenti dovrebbero riprendere
il loro corso normale.
Ho anche un paio di cose da dirvi: a quanto pare siete tutti affamati di Lemon
(XD) ma come ho già detto dovrete avere pazienza. Se
leggete ogni capitolo sperando che finalmente quei due si saltino addosso non
riuscirete a gustarvi appieno la storia. Posso solo dirvi
che non è ancora il momento e che, quando arriverà, vi accorgerete da soli
della piega che la storia avrà preso.
A proposito di questo, mi sono arrivate delle
richieste di non alzare il rating a NC-17 (o rosso) perché renderebbe la fic inaccessibili ai minorenni
(o per lo meno ai pochi che hanno dichiarato la loro vera età :P). Purtroppo
ragazzi, non posso farlo: se postassi le Lemon lasciando
il rating attuale andrei chiaramente contro il
regolamento e se togliessi le scene spinte dalla storia… non sarebbe la stessa
storia. Per essere completa deve avere tutti i pezzi.
E comunque non sarebbe giusto nei confronti di chi può
e vuole leggere le Lemon.
Quindi, come ha suggerito Cristina, quando il rating verrà alzato
chiunque non possa più leggere mi può contattare e chiedere di inviargli i
capitoli per e-mail separatamente.
RISPOSTE: (visto il numero di recensione che ho
ricevuto – e non so dirvi quanto mi avete fatto felice! – risponderò solo a chi
mi ha posto delle domande o a chi ho qualcosa di effettivo
da dire, per non occupare troppo spazio e rubarlo alla storia ^^)
KIA: spero che il capitolo sia stato lungo
abbastanza, per la storia dell’NC-17, ho già risposto
nell’AN ^^
BloodyMoon: O_O
<------- questa è stata la prima reazione nel
vedere la lunghezza della tua recensione! XD Hai tutta la mia profonda
gratitudine per aver speso un po’ del tuo tempo a lasciarmi un commento più che
degno di questo nome, mi hai illuminato la giornata! :D
Tra l’altro hai ragione nel dire che abbiamo le stesse opinioni su un sacco di
aspetti, perché anch’io ho un debole per Harry in crisi XD. Non so quanto tu sia brava con l’inglese, ma hai mai letto Serendipity di Macvanaly su
FF.net? È fantastica (centra con Harry in crisi, non è uscita fuori dal nulla
XD).
A proposito della scena della biblioteca, in effetti non avevo pensato a quanto doveva essere stato
frustrante per chi non sapeva come sarebbe continuata avere un’interruzione
simile proprio sul più bello ^^” Cercherò di darci un occhio in futuro. Grazie
mille ancora per la stupenda recensione, a venerdì prossimo!
StellaMars: evvai
con le tessere d’iscrizione XD. No, a parte gli scherzi, ti devo dare ragione
sul fatto che Meredith ha fatto un po’ un salto nelle sue conclusioni, ma ho
cercato di mostrare il suo ragionamento nel modo più verosimile possibile. Poi
se non ci sono riuscita… cercherò di fare meglio la prossima volta ^^”. Avrei
voluto farle raccogliere indizi nel tempo, ma davvero si sarebbe allungata
troppo la storia e non ce la facevo più nemmeno io a
non arrivare mai ad una svolta XD. Sono felice che tutto
sommato ti sia piaciuto, spero che ti piaccia anche quello nuovo!
MistressLay:
oddio, oddio, oddio, oddio, oddio! Respira,
Lien, respira! Aaaaah
non ci posso credere! Tu, TU che recensisci la mia fic?! Non hai idea di che tuffo al cuore mi hai fatto prendere!
Tu sei una leggenda! La tua “Raggi di Speranza” è stata la fic
che mi ha iniziato a questa coppia favolosa (quindi puoi anche dire che è un po’ merito tuo se esiste CrossedTimes :P)! Mi sento realizzata adesso, in pace con il
mondo XD. Infinite grazie per tutti i complimenti, che non sai quanto valgano
per me. E non preoccuparti di recensire o no, pensa solo a riposarti, a
scrivere e a continuare i tuoi capolavori XD (Sono io quella imperdonabile
che sbava sulle tue fic e non ha mai lasciato una
recensione =_=. Chiedo umilmente perdono anche se non
basta). Spero di non deludere le tue aspettative e che
continuerai a leggere!
Nixy: oddio quante domande XD
Allora, con odine: no, i Gaunt
non hanno mai provato ad ucciderlo (se ricordi il 6° libro lui ha già fatto
imprigionare Morfin, l’ultimo della famiglia), ma
vedendo che Harry parla il Serpentese, l’unica
spiegazione che aveva trovato era che fosse un lontano parente di cui non
sapeva nulla. Naturalmente non è proprio una deduzione brillante, e come spiega
in questo capitolo, se n’è accorto pure lui con il senno di poi. Harry poi aveva
ripreso il suo aspetto normale perché, come aveva spiegato, se avesse perso
troppo sangue e si fosse affaticato il suo corpo avrebbe
cominciato a consumare la sua forza magica per sostenersi, per prima
cosa “mangiando via” la magia dell’illusione. Non viene
mai detto il momento in cui l’illusione sparisce, ma Harry da solo non se ne
sarebbe accorto e Tom non stava certo pensando a quello in quel momento ^^. Se hai altri dubbi non esitare a chiedere, è la parte che
preferisco discutere della fic con i lettori! A
venerdì prossimo!
RowanMayFlower: sul pentirsi delle sue
parole, ci avevi quasi azzeccato ;). E sei anche la
prima a tirar fuori il futuro matrimonio di Orion! Ma
credevi davvero che non ci avevo già pensato? :P Tutto è calcolato, e si scoprirà anche questo particolare
(molto) più avanti. A proposito di ChasingShadows, con complessa intendevo di più come trama che non come inglese, ma se hai cominciato a leggere
te ne sarai accorta da sola ^^. Spero ti sia piaciuto anche questo cap, ci si vede venerdì!
Cristina: come avrai letto
dall’AN, ti quoto in pieno ^^.
Altri
Personaggi:HermioneGranger,
Minerva McGranitt, Luna Lovegood,
DracoMalfoy, altri…
Avvertimenti:Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 20.Epiphanies
Harry si stava torcendo le mani con fare nervoso,
lanciando occhiate in tralice al profilo del ragazzo sedutogli di fianco. Era
strano non riuscire a vedere il proprio fiato condensarsi in una nuvoletta
bianca, visto il freddo che faceva, ma un incantesimo di Tom aveva creato una
specie di bolla riscaldata intorno a loro cosicché né il gelo, né il vento che
si abbatteva sulla Torre Nord li potesse raggiungere.
Una volta usciti dalla biblioteca avevano
percorso in silenzio i corridoi della scuola, fino a quando i loro passi non li
avevano portati in cima ad una delle torri. Quando il Prefetto aveva aperto la
porta che li avrebbe condotti alla terrazza, Harry sapeva che il tempo per la
discussione che tanto temeva era arrivato.
Ora si trovavano entrambi seduti per terra con la
schiena appoggiata al parapetto di pietra, uno di fianco all’altro con le
spalle che si sfioravano appena.
Tom risistemò le gambe, avvicinandosi leggermente e
finendo col fare aderire i loro corpi dalla spalla al bacino. Harry si sentì le
guance avvampare, non sapendo nemmeno bene il perché: era solo che… diamine,
dopo aver passato quattro giorni senza nemmeno parlargli, si stava così bene di
nuovo in compagnia di Tom… La sua sola presenza lo stava scaldando molto più dell’incantesimo
che li circondava, gli faceva venire voglia di avvicinarsi ancora un po’…
Scosse la testa domandandosi da dove diavolo fossero venuti fuori quei pensieri, perdendosi così il
sospiro che si lasciò sfuggire Tom. Per quel motivo fu preso alla sprovvista
quando l’altro ragazzo parlò:
“Com’è possibile che tu sia un Rettilofono,” cominciò dopo aver preso un bel respiro, “non puoi proprio dirmelo, vero?”
Harry sentì distintamente i battiti del suo cuore accelerare mentre scuoteva lentamente la testa in senso di
diniego. Cercava di capire che cosa il Serpeverde stesse pensando, ma
l’espressione contemplativa che aveva sul volto non riusciva
a dirgli granché, a parte che il moretto doveva essere immerso nei suoi
pensieri.
Harry non voleva, per nessun motivo, che le cose
tornassero ad essere come erano state in quegli ultimi quattro giorni, non
sarebbe riuscito a sopportarlo. E questo era quello che lo spaventava di più,
perché sentiva che, pur di evitarlo, qualunque cosa Tom gli avesse chiesto lui
gli avrebbe detto tutto. Tutto.
“Va bene.” Disse improvvisamente Tom.
Harry ci mise qualche secondo ad assimilare le
parole del compagno e quando lo fece, non fu del tutto sicuro di aver capito
bene.
“Co-come scusa?”
Tom sospirò di nuovo, voltandosi poi verso di lui e
fissandolo dritto negli occhi. “Ho detto va bene. Anche se non me lo dici, fa
niente.”
Harry era rimasto di sasso. Com’era possibile? Dopo
tutte le volte che aveva tentato di scoprire la verità, ora improvvisamente non
voleva più sapere nulla?
“Io non… non capisco” fu l’unica cosa che riuscì a
dire, mentre fissava gli occhi carbone dell’altro.
“Harry…” cominciò Tom, “Questo non vuol dire che
non voglia più sapere la verità, anzi spero… spero che un giorno tu me la
vorrai dire spontaneamente. Ma come sono passati gli ultimi quattro giorni…”
scosse la testa con un sorriso amaro sulle labbra, “Continui a ripetere che tra
due mesi te ne andrai e sprecare il tempo in questo modo… non ne vale la pena.”
Harry ascoltava rapito quelle parole uscire dalle
labbra del ragazzo, non riuscendo bene a crederci.
“Quando ti ho sentito parlare Serpentese” continuò
il Prefetto, “è stato un po’ come la goccia che fa traboccare il vaso: mi ha
ricordato quante cose non sapessi sul tuo conto, cose che sembravano sempre
riguardarmi in un modo o nell’altro… ho realizzato, in un attimo, quanto fosse
pericolosa questa cosa. Eri una debolezza, la mia unica debolezza fino a quel momento. Ho pensato che avrei dovuto
subito allontanarti, che non era accettabile il rischio che stavo correndo.”
Prese un profondo respiro, come se quello che stava
dicendo gli stesse costando uno sforzo enorme.
“Non ci sono riuscito.”
Harry si guardò distrattamente le mani intrecciate,
mentre pensava a quello che gli aveva appena detto Tom. C’erano così tante cose
che avrebbe voluto rispondere e così poche parole che trovava per esprimerle
che, alla fine, riuscì a dire solo la più insulsa.
“Per non esserci riuscito, mi sembra che tu abbia
fatto un buon lavoro.”
Il Serpeverde ridacchiò piano, ma ce n’era davvero
poca di allegria in quella risata. “Tra i periodi peggiori che abbia mai
passato.” Aggiunse sotto voce, irrigidendosi subito
dopo, come a pentirsi delle parole appena pronunciate.
Harry lo guardò stupito, poi, sorridendo appena, rispose.
“Ne ho passati di peggiori, ma di sicuro rientra tra i primi venti.”
L’altro non si rilassò subito, ma quando si voltò,
l’ombra di uno dei suoi migliori sorrisi gli era apparsa sulle labbra. Era
bello, si disse Harry, tornare a vedere il ghiaccio sciogliersi da quegli occhi
nero onice.
“Grazie.” Disse improvvisamente Harry, senza sapere
esattamente per che cosa stesse ringraziando, “Grazie.”
Tom lo guardò intensamente per un attimo, poi annuì
semplicemente.
“Spero davvero,” continuò,
“che un giorno mi racconterai la tua storia.”
Harry si morse un labbro. “Sarà difficile.”
Il Prefetto sospirò, ma non sembrava per niente
sorpreso da quella risposta. Dopo qualche secondo di silenzio però, si voltò
inchiodando Harry con uno dei suoi sguardi più intensi.
“Promettimi una cosa però.” Disse, “Promettimi che
se ti troverai in pericolo, mi darai tutte le informazioni possibili perché
possa aiutarti.”
L’ex Grifondoro era rimasto completamente
spiazzato. Da cosa veniva fuori quella strana richiesta? Come mai parlava di
pericolo? Voleva chiedergli spiegazioni, ma osservando lo sguardo che gli stava
rivolgendo, cambiò idea.
“I-io… ci proverò Tom.”
Rispose infine, sperando che sarebbe bastato.
Il Serpeverde, comunque, sembrò soddisfatto, perché
annuì una volta e si alzò in piedi, sistemandosi la divisa per poi tendere una
mano ad Harry che era ancora seduto.
“Torniamo dagli altri?” chiese con l’accenno di un
sorriso.
L’altro annuì e afferrò la mano tesa, sorridendo a
sua volta. “Cosa pensi che farà Orion quando ci vedrà
entrare in Sala Comune insieme?”
“Spero non mi tiri un altro pugno.” Rispose in tono
piatto Tom.
“Ti ha fatto parecchio male, non è vero?”
“Male, quel colpetto? Figurati, come se Black
sapesse fare a pugni.”
“Bugiardo.”
“Senti chi parla.”
“Ehi!” ribatté indignato Harry, scoppiando poi a ridere mentre il Serpeverde apriva la porta che li avrebbe
ricondotti dentro il castello.
Se si accorse che Tom non gli aveva ancora lasciato
la mano, di certo non protestò.
Harry ridacchiò tra sé e sé ricordandosi
l’espressione sbigottita sul volto di Orion quando lui e Tom erano entrati in
Sala Comune chiacchierando amabilmente. Fortuna che la sorpresa era durata
poco, rimpiazzata immediatamente da un sorriso e una pacca sulla spalla. Ebbe
anche la faccia tosta di rimproverarli per averci messo così tanto tempo a fare
pace, prima di uscire per andar a riferire la buona notizia anche a Meredith.
In quel momento Tom era ad Antiche Rune, mentre
Orion era a Divinazione; lui si stava godendo una delle sue tante ore buche.
Si stiracchiò pigramente mentre
percorreva un corridoio solitario, dirigendosi verso le Serre. Aveva bisogno di
raccogliere qualche bacca di Belladonna per il suo infuso, mentre l’Aconito
l’avrebbe dovuto rubare dalla scorta di ingredienti durante una delle lezioni
di Pozioni. Sicuramente senza Piton in giro sarebbe
stato molto più facile.
Doveva ammettere che l’aver fatto pace con Tom lo aveva tirato su parecchio, ma sapeva che era con tutta
probabilità un effetto passeggero, provocato dal suo stato d’animo più che
euforico.
Ripensando ai fatti di quella mattina, quasi non si
accorse del rumore di passi che avevano cominciato ad echeggiare dal corridoio
che aveva appena percorso, ma quando i suoi istinti lo
misero all’erta, fece appena in tempo a voltarsi che un ragazzo apparve da
dietro l’angolo che lui aveva appena svoltato.
C’era un nonsoché di teso
in quella figura che gli suggeriva ci fosse qualcosa che non andava. Lontano
com’era però, riusciva solo a vederne l’altezza
slanciata. Fu solo quando il ragazzo si avvicinò a
grandi passi che Harry riuscì a riconoscerlo: era quel ragazzo di Corvonero… Alden? Si, Alden Principe!
Alden si fermò ad un paio di
metri di distanza, con un’espressione fredda in volto. Harry, il cui istinto gli
stava gridando di stare all’erta, mosse piano piano la mano fino a che non fu a portata di
bacchetta, osservando intanto l’altro ragazzo per capire dove lui tenesse la
propria.
E benché fosse assolutamente pronto per ingaggiare
un duello, venne completamente preso alla sprovvista
quando l’altro, con un ghigno, gli si scagliò addosso colpendolo violentemente
in faccia.
Harry cadde per terra portandosi le mani al naso,
con tutta probabilità rotto, dal quale era cominciato ad uscire copiosamente il
sangue. Prima che potesse aggiustarlo però, il
Corvonero lo bloccò per terra approfittando della distrazione.
“Ascoltami bene novellino.” Gli sputò in faccia quando gli ebbe afferrato entrambe le mani per farlo
stare fermo, “Tu non devi nemmeno pensare
di avvicinarti a Tom, intesi? Perché vedi, non devi farti grandi illusioni, Tom
sembra tanto interessato a te solo perché sei una novità, l’ultimo arrivato. Ma
tu in realtà non sai assolutamente niente di lui.”
Harry, che aveva ricevuto minacce ben peggiori
nella sua vita, non aveva alcuna intenzione di dare retta ad un quindicenne in
crisi di gelosia e anzi, la voglia matta di sputargli in faccia il sangue che
dal naso gli era colato in bocca stava diventando sempre più irresistibile. Il
ragazzo purtroppo non sembrava aver finito.
“Se ti vedo toccare Tom anche solo un’altra volta,
questo naso rotto sarà il minimo che ti farò.”sibilò, prima di deformare il viso in un altro ghigno, “E in
ogni caso è tutta fatica sprecata la tua, lo sanno tutti che a letto ci porta solo
i migliori.”
Questo, decise Harry, era abbastanza. Principe
poteva anche essere molto più alto di lui, ma Harry aveva due anni di muscoli
in più su cui contare, senza parlare del suo addestramento. Con un colpo di
reni sollevò le gambe e scalciò l’altro ragazzo lontano, saltando a cuccia e
alzandosi in piedi, osservando guardingo il Corvonero che si tirava su a sua
volta.
“E fammi indovinare un po’,”
rispose Harry assottigliando gli occhi, “tu credi di essere tra i migliori?”
Il ghigno dell’altro non si spense per nulla, se
non altro si allargò.
“Oh, ma io sono
stato tra i migliori.” Rispose, ridendo all’espressione di Harry.
Poi, mentre Harry era rimasto a occhi sbarrati, si
avvicinò nuovamente, “Ricordati quello che ti ho detto, che davvero non vorrei essere costretto ad usare metodi più brutali. Ci si
vede in giro, Evans.” Finì voltandosi di spalle e percorrendo nuovamente il
corridoio, sparendo infine dietro l’angolo.
Harry, che era rimasto fermo immobile scordandosi
anche del suo naso rotto, si chiese vagamente perché tutto il sangue sembrava
gli si fosse ghiacciato in corpo.
“E stai un po’ fermo!”
“Ma così mi fai male!” esclamò Harry
mentre Meredith borbottava, tentando per l’ennesima volta di
avvicinargli un batuffolo di cotone al naso tumefatto.
“Se tu non ti rifiutassi di farti vedere
dall’Infermiera, ora non saresti qua a soffrire.” Gli
rispose la ragazza con un sospiro, “Davvero, non capisco questa tua avversione
per l’Infermeria, a quest’ora saresti di già
perfettamente a posto!”
Si, e se mi facesse un check-up completo e
scoprisse una cicatrice da AvadaKedavra,
una da zanna di Basilisco, una da pugnale per rituali di sangue, che ho dovuto
far ricrescere le ossa del mio braccio, senza contare l’assuefazione da
Distillato della Morte Vivente, immagino come sarei perfettamente a posto!
“Non mi sono mai piaciuti gli ospedali.” Rispose
imbronciato, guardando ostilmente il batuffolo imbevuto di pozione guaritrice.
Erano nella parte più nascosta della biblioteca,
quella più lontana dall’entrata e dalla postazione della Bibliotecaria. Harry,
sapendo di non poter farsi vedere dall’Infermiera, aveva cercato quale classe avessero i Corvonero del sesto anno in quell’ora e aveva
aspettato fuori dall’aula che Meredith uscisse: se c’era qualcuno che avrebbe
saputo aiutarlo, era lei.
“Dovresti dirlo a Tom, sai?” disse la ragazza mentre ripuliva delle ultime incrostazioni di sangue
il volto di Harry.
“E perché mai?”
Meredith alzò gli occhi al cielo. “Perché
sicuramente farebbe in modo che un episodio del genere non si ripeta.”
Ma in quel momento l’ultima cosa che Harry aveva
intenzione di fare era parlare di Alden a Tom.
Erano andati a letto insieme. Tom si era portato a
letto Alden. Quei due avevano fatto sesso.
Tom, Alden, letto, sesso.
Da quando il Corvonero gli aveva rivelato quel
piccolo particolare, il pensiero non aveva smesso di vorticargli in testa. E
non si era mai sentito il cuore affondargli tanto nello stomaco.
Quando poteva essere successo? L’anno precedente?
Prima che lui fosse arrivato? La settimana prima? Ieri? E poi che cosa voleva
dire, stavano insieme per caso? Forse Alden aveva
tutto il diritto di essere geloso… ma poi geloso di cosa? Tra lui e Tom non
c’era assolutamente nulla… giusto? E poi no, non gli sembrava che quei due
stessero insieme, o almeno Tom non aveva mai dato segno di essere in una
relazione con il Corvonero.
E se non stessero insieme, ma andassero
semplicemente a letto insieme? Sesso senza legami, né scrupoli. Era
indubbiamente molto Serpeverde.
Harry sospirò sentendo lo stomaco contorcersi al
solo pensiero, e dovette rilassare le dita delle mani che gli si erano
costrette in due pugni.
Che cos’era, poi, che lo infastidiva tanto? Se Tom
si portava a letto metà della scuola, non dovevano essere fatti suoi. A lui non
importava niente, davvero.
Davvero?
“Così dovrebbe andare, non guarirà storto e non
farà infezione, ma il dolore beh, quello te lo dovrai tenere se ti ostini a
rifiutare una visita in Infermeria.” Gli comunicò
Meredith distogliendolo dai suoi pensieri, mentre faceva sparire il cotone
sporco con un colpo di bacchetta.
“Al dolore sono abituato,”
rispose Harry, non vedendo l’occhiata che le sue parole produssero, “ma grazie
mille lo stesso. Cosa fai tu adesso?”
“Ho giusto dieci minuti per tornare in Dormitorio prima di Storia della Magia.” Rispose lei
raccogliendo la sua roba, mentre entrambi uscivano dalla Biblioteca sotto lo
sguardo sospettoso della Bibliotecaria.
“Va beh, ci si vede a pranzo allora!” si salutarono
alla fine del corridoio, prima che Harry prendesse una rampa di scale verso il
piano terra. L’incontro con Principe non gli aveva permesso di procurarsi la
belladonna dalle serre dopotutto.
L’attenzione di nuovo concentrata sulle parole del
Corvonero, Harry tornò a pensare a Tom, e una domanda che fino ad allora non
gli era mai passata per la mente, adesso gli si presentò davanti a tutti gli
altri pensieri.
Tom era gay?
Per quel che ne sapeva Harry, per andare a letto
con una persona dello stesso sesso bisognava come minimo avere certe
inclinazioni. Cambiava forse qualcosa? Lui personalmente non aveva mai avuto
problemi con quel genere di cose, non era certo omofobo.
Eppure anche solo immaginarsi Tom e Principe
stretti insieme, che si baciavano, si toccavano, magari in quella stessa camera
dove attualmente dormiva ogni notte… al solo pensiero gli si rivoltava e
annodava lo stomaco.
Che avesse qualche problema con gli omosessuali e
non l’avesse mai saputo? Eppure tutte le volte che aveva sentito Orion parlare
di una delle sue scappatelle con uno degli innumerevoli ragazzi che si era
portato a letto, non gli aveva fatto alcun effetto, se non imbarazzarlo
immensamente per la particolarità dei dettagli.
Forse, non è
il fatto che Tom sia gay ma che sia stato con
qualcun’altro.
Una vocina sussurrò nella mente di Harry, ma lui scosse la testa quasi a
volersene liberare. Non aveva alcun senso, almeno non se prima non avesse risposto alla domanda più grande:
Quali erano i suoi sentimenti nei confronti di Tom?
‘È un amico.’ Si rispose immediatamente,
‘nonostante i litigi e le incomprensioni, alla fine è diventato un caro amico.’
Si, un amico
che ti è mancato da morire per soli quattro giorni che non gli parlavi, un
amico del quale ti fermi incessantemente ad ammirare la bellezza e la perfezione,
un amico tra le cui braccia ti sei gettato alla prima occasione, un amico del
quale il solo pensarlo con qualcun altro ti provoca una scarica di gelosia –
‘Gelosia?’ si ritrovò a chiedersi
sorpreso con se stesso. Era di quello che si trattava, gelosia? No, non era
possibile.
Era vero, era stato malissimo
quando avevano litigato e il sollievo di aver fatto pace forse l’aveva spinto a farsi prendere
dall’entusiasmo. Ma un abbraccio cosa significava?
Niente Harry,
solo una stretta al profumo di cannella.
E si, aveva notato più di
una volta l’aspetto fisico e i lineamenti del Prefetto, il corpo asciutto e
modellato, i capelli lucenti, il naso dritto,gli occhi scuri, la bocca perfetta…
Harry si bloccò e sgranò leggermente gli occhi.
No, non era possibile, non intendeva certo in quel senso… vero? Scosse la testa per
l’ennesima volta, non riuscendo a dare un senso ai propri stessi pensieri,
mentre guardandosi intorno per la prima volta si accorse di essere praticamente
arrivato all’entrata del castello. Appena oltrepassò gli enormi battenti di
quercia, il gelido vento invernale lo investì in pieno, facendogli rimpiangere
di non aver pensato a portarsi il mantello.
Cominciò a dirigersi verso le serre scacciando via
ogni pensiero e concentrandosi sul ricordare in quale delle serre venisse tenuta la belladonna. Se la memoria non lo ingannava sarebbe dovuta essere la numero due…
“Harry? Sei tu?”
L’ex Grifondoro alzò lo sguardo per vedere chi lo avesse chiamato e fu così che notò il gruppo di studenti allontanarsi
proprio dalle serre per la fine della lezione di Erbologia.
Gli bastò uno sguardo per individuare la voce femminile che lo aveva
indirizzato: dopo cinquant’anni, di quella crocchia
di capelli stretta in testa sarebbe cambiato solo il colore.
“Ciao Minerva.” Rispose una volta che la Grifondoro
gli si fu avvicinata, “Tutto bene?”
“Io? Certo che va tutto be– Oh mio Dio, che ti sei fatto al naso?” esclamò lei
osservando il retto nasale del ragazzo ancora decisamente gonfio.
“Oh, questo?” ridacchiò evasivo Harry portandosi
una mano al viso, “Non è nulla, un piccolo incidente…”
La ragazza alzò un sopracciglio. “E non sei ancora
andato in Infermeria?”
“Ehm, no. Sai, ho una
terribile fobia degli ospedali, e –” ma venne
fortunatamente interrotto delle voci dei compagni di classe di Minerva ormai
arrivati all’entrata.
“Minnie, andiamo! Arriveremo in ritardo!”
“Andate pure voi!” rispose loro lei, “Arrivo tra un
attimo!” e rivolgendosi nuovamente ad Harry tirò fuori
la bacchetta.
Per un attimo il ragazzo si irrigidì, ma dopo un
breve “Episkey”
sentì immediatamente la pressione al naso alleviarsi e il dolore scomparire.
“Grazie mille.”
“Di niente, figurati.” rispose
lei rimettendo la bacchetta in tasca e sistemandosi meglio la borsa,
“Piuttosto, cosa fai qua fuori con questo freddo?”
“Oh, io? Beh…” Harry si grattò la testa cercando
una scusa qualunque, “ero uscito per prendere un po’ d’aria e guardarmi un po’
in giro… non ho ancora avuto il tempo per visitare tutto il parco da quando sono arrivato qui, è enorme!”
Minerva gli lanciò una chiara occhiata scettica
“Naturalmente.” Disse, e anche dal tono di voce si
poteva capire che non aveva creduto ad una sola parola. Rimase poi a fissare
intensamente il ragazzo con occhi severi, tanto che Harry si sentì come se
fosse tornato nella sua vecchia aula di Trasfigurazione.
“Quali sono i rapporti tra te e Riddle?” chiese
improvvisamente.
“Come scusa?” ribatté Harry completamente colto
alla sprovvista, deglutendo a fatica.
Lei lo fissò ancora qualche secondo, prima di
parlare di nuovo. “Sei un Serpeverde anomalo, lo sai?”
“Me lo dicesti anche in Biblioteca.” Rispose lui
ancora teso per le parole di prima.
“Già,” concordò Minerva,
“e ti dissi anche quanto mi sembrava strano che tu e Riddle poteste andare d’accordo.
In realtà, come Riddle potesse andare d’accordo con
chiunque…”
Harry aggrottò le sopraciglia. “Tom non è così
terribile, non capisco perché tutti continuino a dipingerlo come un mostro.”
Se pensano
che sia un mostro adesso, è perché non hanno idea di cosa diventerà di qui a
qualche anno…
La ragazza fece quasi un sorrisetto. “È proprio di
questo che sto parlando! Senti, io sono una Grifondoro e normalmente non mi
interesso di ‘politiche sociali’ all’interno della
scuola, soprattutto non quelle dei Serpeverde. Non mi è mai piaciuto il modo in
cui dividono il mondo tra alleati e nemici… Ma questo non è importante ora,
quello che sto cercando di dire è che pure io, che non mi interesso di queste
cose, ho notato dei…” sembrò incerta un attimo, “cambiamenti.”
“Cambiamenti?” chiese il ragazzo ancora perplesso,
“E in che cosa?”
La Grifondoro si morse un labbro
indecisa, poi iniziò. “Il giorno che ci siamo conosciuti, in Biblioteca,
quello stesso pomeriggio avevo una riunione di Prefetti e naturalmente c’era
anche Riddle. Ma per tutta la durata dell’incontro rimase sulle
sue, distratto, sembrava avesse la testa da tutt’altra
parte, e credimi se ti dico che se c’è invece qualcuno interessato alle
politiche della scuola, quello è lui.”
“Ancora non capisco cosa centri io in tutto questo.” Le disse Harry, ascoltandola con attenzione.
Con sua sorpresa la vide arrossire leggermente.
“Vedi, finita la riunione… oh, ho aspettato che se ne fossero andati tutti e l’ho seguito, ecco.”
“Come scusa?” chiese l’altro ridendo divertito. Oh
Dio, l’immagine della McGranitt che pedinava di
soppiatto Voldemort era una delle cose più inverosimili che avesse
mai sentito.
Il leggero velo purpureo sulle guance della ragazza
si intensifico vistosamente. “Lo so che non erano fatti miei, ma era
semplicemente così anomalo vederlo distratto mentre si parlava dell’andamento della scuola, che
non ho potuto resistere!”
Harry continuò a sghignazzare, chiedendosi
però quale strana reputazione non avesse Tom, se il solo vederlo
soprappensiero aveva causato tanto sconcerto.
“Appena fuori dalla porta
è arrivato quell’altro ragazzo, quello coi capelli neri, che va un po’ con tut… ehm, Black credo che si chiami…” aggiunse in fretta
l’ultimo pezzo per coprire la gaffe, “Comunque, appena Riddle lo vide, beh…
chiese di te.”
Harry alzò entrambe le sopracciglia. “Di me?”
“Si. Certo, non collegai subito che l’Harry di cui
stava parlando fossi tu, ma la prima cosa che gli
disse fu chiedergli se sapeva dove eri finito. Quando l’altro gli rispose che non
ti vedeva da pranzo, Riddle sembrò, sembrò…” rimase a corto di parole per un
secondo, “sembra impossibile, ma sembrò preoccupato.”
Il ragazzo continuò a tenere le sopracciglia
alzate, ma stavolta guardandola confuso. “Ehm, tutto qui?”
Lei lo fissò come se gli fosse appena cresciuta
un’altra testa. “Tutto qui? Harry, tu
non puoi vedere la differenza, ma fidati se ti dico che quel tutto qui è davvero tanto! Tom Riddle
non si distrae dal raccogliere utili informazioni, Tom Riddle non mostra
emozioni e soprattutto Tom Riddle non si preoccupa per un altro essere umano!”
Harry ascoltò quelle parole
sorpreso e turbato allo stesso tempo: perché il Tom che tutti gli
descrivevano non combaciava con quello che conosceva lui?
“No, ti sbagli, Tom non è davvero così, è diverso.”
Ma la McGranitt scosse la
testa. “No Harry, sei tu che lo vedi
diverso perché è da quando sei arrivato tu che è cambiato. Dopo quel pomeriggio
mi sono incuriosita e ho cominciato ad osservarvi in Sala Grande, ai pasti.
Merlino, non ti lasciava solo un secondo, nemmeno con lo sguardo. Solo negli
ultimi giorni non vi ho visto insieme, ma da quel che ho sentito in giro – e
credimi, di pettegolezzi ce ne sono a valanghe – so di certo che non sono fatti
miei. Una sola domanda quindi mi sorge spontanea: quali sono i rapporti tra te
e Riddle?”
Harry abbassò lo sguardo pensieroso e confuso,
riflettendo sulle parole della ragazza. Non si era forse posto la stessa domanda solo pochi minuti prima? Si era chiesto
quali erano esattamente i suoi sentimenti nei confronti di Tom e non era
nemmeno riuscito a trovare una risposta. Ora, con quello che Minerva gli aveva
detto, un’altra domanda affiorava: i propri confusi sentimenti a parte…
… che cos’era lui
per Tom?
“Siamo amici.” Si decise a dire infine, continuando
a guardare verso il basso, “Più di così, non me lo saprei dire nemmeno io.”
La Grifondoro lo osservò per qualche secondo, poi sospirò. “Beh, quello che ti
volevo dire te l’ho detto. Sarà meglio che vada ora, se non voglio fare troppo
tardi.” Disse, mentre Harry annuiva ancora pensieroso.
“Ci vedremo ancora in giro, spero.”
E con un cenno della mano
si congedò incamminandosi verso il castello, lasciando Harry ancora assorto mentre, dimenticata la Belladonna, fece anche lui
dietro front per tornare in dormitorio.
“Tom? Ci sei?” domandò Harry al vuoto entrando in
camera. Non aveva trovato il Prefetto in Sala Comune e nemmeno nel salottino
delle loro stanze.
Non ricevette alcuna risposta, benché le torce
appese ai muri della stanza vuota fossero accese. Con un sospiro si diresse
verso il suo letto, togliendosi le scarpe e buttandosi a peso morto sopra il
piumino verde smeraldo. Era praticamente finito col saltarsi anche quelle poche
ore di lezione che avrebbe avuto nella mattinata, eppure si sentiva già stanco,
con tutto quello che aveva avuto da pensare, anche senza gli effetti latenti
della sua corrente assuefazione.
Sospirò, tirandosi sui gomiti. Avrebbe fatto meglio
a ricontrollare il testo dove era descritto l’infuso e contare bene quanto tempo
gli sarebbe servito per prepararlo. Si alzò in piedi e aggirò il letto per
arrivare al suo baule e fu solo allora, quando passò davanti alla porta del
bagno, che sentì il rumore attutito di acqua scrosciante.
‘Allora Tom c’è’ pensò, ‘deve aver
voluto fare una doccia prima di pranzo.’
Scrollando le spalle, si apprestò a togliere tutti
i complicati incantesimi applicati alla serratura del suo baule, prima di
prendere il libro e tornare a sdraiarsi sul letto.
Ecco, proprio lì diceva che all’infuso sarebbe servita solo una notte di riposo, ma una piccola
nota avvisava che l’aconito doveva essere raccolto una volta fiorito, che
accadeva solo nel giorno successivo alla luna nuova. Probabilmente quello
essiccato nella scorta della scuola non sarebbe andato bene…
Sentì il rumore dell’acqua cessare dalla stanza
attigua, ma non ci badò più di tanto.
La prossima luna nuova tra quanti giorni sarebbe
stata? Era sicuro di aver letto da qualche parte un incantesimo per sapere
immediatamente il calendario lunare, ma non riusciva a ricordarsi le parole
esatte… vabbeh, Tom di sicuro lo sapeva,
gliel’avrebbe chiesto appena fosse uscito dal bagno.
Proprio in quel momento, infatti, Harry sentì la
porta del bagno aprirsi.
“Ehi Tom, tu sai mica come fa l’incan…” ma le parole gli
morirono immediatamente in gola e gli occhi gli si spalancarono comicamente appena
alzò lo sguardo dal suo libro.
Una piccola nuvola di vapore era entrata nella
stanza appena la porta era stata aperta e con lei Tom aveva fatto
tranquillamente il suo ingresso nella camera…
… vestito solo di un asciugamano legato in vita.
La pelle di alabastro bagnata rifletteva la luce
delle torce appese alle pareti, luccicando attraverso le mille goccioline non
ancora evaporate. I muscoli delle braccia e delle spalle potevano benissimo
vedersi flettere mentre con un altro asciugamano il
Prefetto si strofinava i capelli bagnati e agli occhi saltava immediatamente il
contrasto tra la bianca pelle del petto ampio e il rosa scuro dei tondi
capezzoli al centro dei pettorali.
Harry registrò vagamente che Tom doveva avergli
detto qualcosa, ma non riusciva a staccare di dosso gli occhi da una piccola
goccia che in quel momento stava scivolando lungo il collo pallido, fermandosi
per un attimo lungo la clavicola per poi scendere sullo sterno e attraversare
il petto del Serpeverde, arrivando agli addominali scolpiti, aggirando
l’ombelico e sparendo in un rivolo più giù, oltre la linea dell’asciugamano…
Harry sentì una vampata di calore salirgli alle
guance, mentre una molto più intensa si stava
concentrando molto più in basso, intanto che la vista di ogni muscolo di quel
corpo perfetto flettersi al minimo movimento gli correva dritta al sangue.
“…ntesimo per che cosa
Harry?”
Il ragazzo deglutì a fatica, la bocca diventatagli
completamente secca. Riuscì ad alzare gli occhi quel che bastava per osservare
ipnotizzato anche le gote tinte di rosso dell’altro a causa del caldo e i
capelli nero inchiostro ancora umidi e disordinati che gli ricadevano a ciocche
sulla fronte.
“C-cosa?” fu l’unica cosa
che riuscì a far uscire con voce strozzata.
Nemmeno si accorse che Tom si era fermato ad
osservarlo, né dello scintillio che si accese negli occhi scuri del Prefetto.
Con un piccolo ghigno il Serpeverde cominciò ad
avvicinarsi a passi lenti ed Harry poteva solo guardarlo avanzare
mentre sentiva il suo cuore accelerare i battiti e il bisogno di uscire
immediatamente da quella stanza si faceva impellente.
Quando Tom fu arrivato davanti al letto dell’altro,
si piegò quel tanto che bastava per trovarsi faccia a faccia con Harry,
ignorando le gocce d’acqua che cadevano sul copriletto. Allargò ancora di più
il suo ghigno mentre osservava l’espressione
dell’altro ragazzo, si avvicinò un altro po’ e sussurrò piano al suo orecchio.
“Il bagno è libero.”
Senza farselo ripetere due volte, Harry scattò in
piedi e corse verso il bagno, chiudendosi rumorosamente la porta alle spalle in
tempo solo per sentire la risatina del Prefetto provenire dalla camera.
Appoggiò pesantemente la schiena alla porta,
scivolando poi lentamente verso il basso chiudendo gli occhi. Il caldo residuo
della doccia era quasi insopportabile ma Harry non ci
badò più di tanto, intento com’era a obbligare il suo cuore a rallentare i
battiti.
Quando riaprì gli occhi, fu solo per lasciarsi
cadere la testa tra le mani, mentre prendeva coscienza che in mezzo alle gambe,
i pantaloni gli erano diventati improvvisamente stretti.
Ora, sono sicura che tutti quelli che non hanno
visto il mio profilo abbiano una immensa voglia di
uccidermi e con tutte le ragioni. Purtroppo per gli assetati di sangue, la mia
assenza è dovuta a motivi che sono andati oltre il mio
potere, ergo, ho sofferto quanto (se non più) di voi.
Se volete sapere cosa è successo e il mio lungo calvario andate sul mio profilo dove è scritto
stile romanzo a puntate XD. Per il resto, un GRAZIE INFINITO a chi non ha perso
le speranze e ha continuato a controllare se per caso questa sciagurata di
autrice aveva aggiornato ^^”.
Un GRAZIE INFINITO + 1 inoltre a tutti quelli
che hanno recensito, siete fantastici!
P.S.: ormai che è già sera e io
non ho studiato nulla per cercare di postare questo capitolo il prima
possibile, perdonatemi quest’ultima colpa di non aver
risposte alle recensioni, ma vi prometto che se c’erano delle domande saranno
sommate a quelle del prossimo capitolo e risposte in modo adeguato.
Harry voltò per l’ennesima volta la testa verso il foglio d’appunti che
teneva immacolato sul banco, mentre sentiva il puntuale rossore salirgli sulle
guance
Titolo:CrossedTimes
Autore:Lien
Capitoli: 21/?
Rating: R (ma conta di arrivare a
NC-17)
Pairing: Tom/Harry
Altri
Personaggi:HermioneGranger,
Minerva McGranitt, Luna Lovegood,
DracoMalfoy, altri…
Avvertimenti:Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 21.Tra Bolidi e Boccini
Harry voltò per l’ennesima volta la testa verso il
foglio d’appunti che teneva immacolato sul banco, mentre sentiva un puntuale
rossore salirgli sulle guance. Se si fosse
concentrato, era sicuro che avrebbe potuto ancora scorgere con la coda
dell’occhio il ghigno soddisfatto di Tom, seduto a due banchi di distanza.
Era tutto il pomeriggio che andava avanti in quel
modo: Harry, che non aveva altro chiodo fisso se non ciò che era successo prima
di pranzo e ciò che comportava, si ritrovava senza nemmeno farlo apposta a
perdersi nei suoi pensieri mentre osservava Tom, fino a chéquest’ultimo non si fosse accorto dello sguardo
puntato su di lui e, con uno dei suoi ghigni migliori, avesse aspettato che
l’altro si rendesse conto di essere stato scoperto.
Purtroppo per tutte le
buone intenzioni di Harry, erano a Storia della Magia, la materia peggiore se
si aveva bisogno di distrarre la mente dai propri pensieri. Tra l’altro anche se si
fosse trattato di Difesa contro le Arti Oscure, non era sicuro che sarebbe
riuscito a dimenticare gli avvenimenti della mattinata.
E come avrebbe potuto? Se pensava di essere stato in una situazione complicata prima,
figurarsi adesso. Harry trattenne l’impulso di gemere disperato e
sbattere ripetutamente la testa conto il banco, mentre
ripensava al casino in cui si trovava.
Beh, i fatti parlavano chiaro e da quella mattina
una cosa era sicuramente certa:
Era attratto da Tom. Fisicamente attratto da Tom.
Lui, Harry James Potter,
alias Harry Evans, meglio conosciuto come Il Bambino che è Sopravvissuto o Il
Prescelto, era attratto da Tom Orvoloson Riddle,
meglio conosciuto come Lord Voldemort, futuro assassino dei suoi genitori, più
potente Mago Oscuro degli ultimi cinquant’anni, colui che era la fonte di tutti i suoi problemi, che era la
causa di milioni di morti, che era il motivo per cui si ritrovava cinquant’anni nel passato, che era… che era…
Bello da mozzare il fiato.
I muscoli scolpiti come quelli di una scultura
greca, le spalle larghe ma proporzionate s’una figura
snella e atletica, la pelle diafana e lo sguardo magnetico, tutto contornato da
quelle labbra tentatrici stirate in un ghigno strafottente, che faceva venir
voglia di poterglielo cancellare dal volto con un bac…
E Harry voltò in fretta la testa verso il suo
foglio di appunti, perché di nuovo era tornato a fantasticare sul corpo del suo peggior
nemico, di nuovo il suo sguardo era
involontariamente andato a cercare la figura del Serpeverde e, naturalmente, di nuovo Tom se n’era accorto e gli
stava rivolgendo uno dei suoi ghigni migliori.
“Harry, tutto bene?” la voce di Orion,
seduto nel banco alla sua sinistra, gli arrivò a distoglierlo dall’imbarazzo.
“Si, certo.” mugugnò
indistintamente.
Era tutto così confuso
e complicato… Se era attratto da
Tom voleva dire che era gay, giusto? Ma lui non poteva essere gay, era stato con Ginny, per Dio! E gli erano sempre
piaciute le ragazze: c’era stata Cho, poi Ginny e… mmh… beh, c’erano state Cho e Ginny!
Ma Tom non è sempre stato un
caso a parte?
Una vocina gli sussurrò nella mente.
Harry aggrottò le sopracciglia. Se
ci pensava bene in effetti, i primi aggettivi che aveva pensato vedendo il
Serpeverde nel pensatoio di Silente erano sempre stati “bello” o “attraente”…
ma cosa significava quindi, che era bisessuale? “Tom-sessuale”?
Anche nella sua testa suonava
particolarmente stupido.
Harry sospirò, passandosi una mano tra i capelli e
arruffandoseli ancora di più.
Lui non era fatto per queste
cose, non aveva mai avuto il tempo per pensare alle ragazze – o ai ragazzi
a questo punto. La sua vita era sempre stata cercar di sopravvivere fino all’anno successivo, salvando il mondo nel mentre se fosse
stato necessario. La guerra poi, aveva cancellato tutto quello che
caratterizzava una vita normale, e se prima non si era mai interessato all’amore, una volta scoppiato a pieno regime il conflitto
non ci sarebbe riuscito nemmeno se avesse voluto.
A cosa serviva essere l’Auror
migliore in circolazione, se poi non era nemmeno capace di affrontare una
semplice… cotta?
A cosa serviva non aver nemmeno bisogno della
bacchetta per lanciare incantesimi, se poi si trovava completamente perso quando guardare un ragazzo quasi nudo gli faceva
venire l’erezione del secolo?
Ciò di cui aveva bisogno era qualcuno con cui
parlare, che avrebbe potuto dirgli cosa fare in una situazione del genere, per
lui completamente nuova.
Voltò la testa verso sinistra, trovandosi ad
osservare Orion che con uno sbadiglio si dondolava sulle gambe posteriori della
sedia, mentre la piuma che aveva incantato perché prendesse appunti da sola
stava furiosamente scribacchiando sul suo foglio di pergamena. Lanciòuno sguardo
divertito ad una ragazza di Tassorosso seduta dietro
al moretto che lo stava guardando con occhi languidi, sospirando sognante di
tanto in tanto.
Forse avrebbe potuto parlarne con Orion, di sicuro
non era l’esperienza che mancava a quel ragazzo… Ma
immediatamente decise che non sarebbe stata una buona idea: non ce l’avrebbe
mai fatta a confidarsi, era semplicemente troppo imbarazzante. E poi il Serpeverde gli avrebbe sicuramente consigliato di
farsi avanti, ma lui non aveva idea del suo passato, di chi era – o sarebbe
diventato – Tom, della loro storia trascorsa, della loro connessione, del fatto
che lui se ne sarebbe dovuto andare via da lì a due mesi…
No, non ci voleva nemmeno pensare. La sola idea
della sua partenza gli faceva attorcigliare lo stomaco su se stesso: mai due
mesi gli erano sembrati un periodo di tempo tanto
corto.
Trattenendo l’ennesimo sospiro rassegnato, passò
distrattamente in rassegna l’intera classe con lo sguardo, prima di soffermarsi
sulle finestre che davano sul parco.
Doveva assolutamente trovare qualcosa che lo distraesse, qualcosa che gli desse una piccola tregua da
quel turbinio di pensieri ed emozioni che lo stavano assillando. E pensare che era venuto nel passato pensando che sarebbe
riuscito ad alleviare un po’ di stress, non dovendo pensare alla guerra; ora
avrebbe dato qualunque cosa per potersi rilassare con una semplice partita di
scacchi conto Ron…
Oddio, Ron e Hermione… Che cosa penserebbero loro se sapessero che gli
piaceva Tom Riddle?
No ecco, così proprio non andava: doveva
assolutamente smettere di pensarci o sarebbe di sicuro impazzito. Tornò a
focalizzare l’attenzione verso il paesaggio fuori dalla
finestra: era una così bella giornata, una delle rare giornate invernali a
cielo limpido, anche se il modo in cui le fronde degli alberi della Foresta
Proibita si piegavano e scuotevano suggeriva la presenza di un vento invernale
non poco notevole.
L’attenzione di Harry, però, venne
attratta dagli stendardi colorati che venivano sbatacchiati dalle forti folate:
anche se l’angolatura della finestra ne copriva la gran parte della mole, il
ragazzo avrebbe riconosciuto ovunque i dettagli del suo amato campo da Quidditch. Palle volanti e giocatori in aria non se ne
vedevano, probabilmente perché gli allenamenti sarebbero
cominciati solo nel tardo pomeriggio, lasciando al momento il campo
completamente sgombro.
Bastarono appena un paio di secondi di riflessione,
prima che ad Harry si dipingesse un largo sorriso in
volto. Si guardò l’orologio: mancavano appena dieci minuti alla fine della
lezione.
Perfetto.
*** *** ***
L’ex Grifondoro si guardò velocemente intorno per
essere certo che non ci fosse nessuno nei paraggi,
prima di sgusciare all’interno degli spogliatoi di Serpeverde. Il suo primo
impulso era stato quello di dirigersi dritto verso quelli di Grifondoro, per un
attimo anche ponderando se per questa sola volta non avesse potuto accondiscendere
alla nostalgia: in qualche modo ad entrare negli spogliatoi di Serpeverde gli
sembrava quasi di barare, ma poi se qualcuno lo avesse visto avrebbe suscitato
troppe domande.
Una volta che fu entrato – e che ebbe constatato
che lo spogliatoio era esattamente uguale a quello della sua vecchia casa –
Harry posò la borsa che si era portato in spalla fin dal dormitorio sulla
panca, aprendola velocemente.
Fu quasi con una certa reverenza che tirò fuori la
sua vecchia divisa da Quidditch rossa e oro, con la
spilla di capitano ancora ben lucida appuntata al petto. Soltanto sentire
l’odore del cuoio lo faceva tornare con la mente ai discorsi d’incitamento pre-partita, all’attesa di scendere in campo, alle pacche
sulle spalle dei propri compagni di squadra, all’adrenalina…
Lasciò la divisa appoggiata sulla panca e infilò
nuovamente le mani nella borsa, tirando fuori con un sorriso orgoglioso anche
la sua fidata Firebolt, che aveva
rimpicciolito per poter farla entrare nella sacca. A guardarla così, non
più lunga di mezzo metro, sembrava quasi una di quelle
scope giocattolo per bambini.
Dopo averla portata a dimensioni normali con un
gesto della mano, l’appoggiò al muro mentre si
spogliava per mettersi in tenuta da Quidditch.
In teoria, prima di partire, aveva deciso di
portarsi dietro la Firebolt solo per le emergenze,
visto che una scopa del genere – con un’accelerazione da 0 a 250 km orari in 10
secondi – non sarebbe mai passata inosservata e non avrebbe mancato di
suscitare parecchie domande. Ma la sua coscienza non
aveva nulla su cui protestare.
Questa, Harry, la considerava in tutto e per tutto un’emergenza.
Indossata la divisa, scrollò appena gli arti per
riassettarne l’elasticità, prima di infilare per l’ultima volta la mano nella
sua borsa e cacciare fuori uno dei regali migliori che Ron
gli avesse mai fatto: un boccino d’allenamento.
Era in tutto e per tutto uguale ad uno vero, dalle
piccole alucce alla caratteristica elusività, ma in
più era dotato di un incantesimo di appello
incorporato, di modo che con una semplice parola si sarebbe fiondato
da solo direttamente in mano ad Harry: molto utile se fosse cominciato a fare
buio e non lo si avesse ancora acchiappato.
Con un’eccitazione che non sentiva da tanto tempo,
Harry afferrò la sua Firebolt con una mano mentre con l’altra teneva stretto il boccino che già
aveva cominciato a dispiegare le proprie ali, ed era già praticamente alla
porta quando si bloccò.
Abbassò la testa e si osservò per qualche secondo,
prima di sospirare alla sua stessa idiozia: cosa avrebbe risposto se qualcuno
gli avesse chiesto come diavolo era entrato in possesso di una divisa di
Grifondoro?
No, in rosso e oro non poteva certo andare in giro.
Ma nemmeno in verde e argento, non era mica entrato
nella squadra. Blu e giallo erano fuori questione per
lo stesso motivo. Mmh… e avesse cambiato solo due
colori? Bianco e rosso? Nah, troppo pagliaccio.
Forse…
Chiuse gli occhi e si concentrò sulla
trasfigurazione per qualche istante e quando li riaprì, fu per vedersi
rivestito come un guanto in nero e oro. Si osservò ancora qualche secondo, non
troppo convinto: non era esattamente quello che avrebbe chiamato buon gusto, ma
d’altronde non gliene poteva fregare di meno. L’importante, in quel momento,
era tornare a volare.
Non riuscendo a trattenere un sorriso enorme, si
precipitò finalmente fuori dallo spogliatoio, verso la
distesa verde del suo amato campo da Quidditch. Senza
perdere altro tempo, si portò a cavalcioni della propria scopa e con un’unica,
piccola spinta, si librò nell’aria.
Era come se fosse tornato nel suo ambiente
naturale: l’aria che gli soffiava indietro i capelli, il vento che gli sferzava
le guance, mentre saliva sempre più su e una bolla di euforia
gli si gonfiava nel petto. Arrivò fino a che gli anelli non sembrarono che sei
spilli appuntati al terreno; da lì, fermatosi in stallo sospeso letteralmente a
mezz’aria, guardando giù e tutt’intorno
il campo, gli sembrava di essere l’unico uomo sulla terra e al tempo
stesso non si era mai sentito meno solo.
Rimase solo qualche secondo ancora immobile e poi
dritto con un ghigno in accelerazione verso il lato opposto, sempre di più,
fino a che non cominciarono a venirgli le lacrime agli occhi e non poteva
sentire la velocità stessa rimbombargli nelle orecchie, fino a che non rivolse
la punta del manico verso il basso e si lanciò in una picchiata vertiginosa.
Si lasciò cadere per una ventina di metri,
fermandosi infine ad altezza anelli ed esibendosi in un paio di slalom tra i
pali. Un paio di capovolte, qualche giro del campo, su, giù, frenata, impennata
e ancora piroette intorno agli spalti, passando sotto a
stendardi e schivando bandiere. Ogni pensiero, come previsto, incentrato
solo sull’adrenalina che gli pompava il cuore.
Si fermò sospeso a metà campo e, stendendo il
braccio sinistro di fronte a sé, chiuse gli occhi e aprì il pugno. Appena due secondi di fruscio d’ali e poi ogni traccia del
boccino era già scomparsa, ma Harry non si mosse ancora, mentre contava
mentalmente fino a trenta, inconsciamente seguendo il ritmo delle sue
pulsazioni.
Al 29 scattò in avanti.
Fece un intero giro del campo lasciando saettare lo
sguardo in ogni direzione alla ricerca del minimo scintillio dorato. Salì di
qualche altro metro, concentrandosi nel percepire anche il più flebile fruscio di ali tra i fischi del vento.
Erano passati solo pochi minuti
quando un bagliore dorato attirò Harry con la coda dell’occhio. Virò a
sinistra e lo vide lì giù, il boccino, che svolazzava intorno all’anello
inferiore.
Con un sorriso euforico si buttò giù in picchiata
all’inseguimento. Il boccino, quasi a sentire di essere tallonato, in un
fruscio d’ali virò bruscamente verso destra, costringendo Harry ad una forzata
inversione a U che però non riuscì a farlo desistere.
Non staccava di dosso gli occhi dalla minuta pallina d’oro che sferzava l’aria
a pochi metri di distanza, facendogli compiere arrischiate capovolte e
picchiate vertiginose.
In realtà metà di quelle stravaganti manovre
avrebbe anche potuto evitarle, ma diavolo, ne aveva
fisicamente bisogno per bruciare l’adrenalina che gli scorreva nelle arterie.
Abbassò il corpo il più possibile contro il manico della Firebolt
per diminuire l’attrito dell’aria mentre s’infilava
tra le transenne sotto gli spalti, guadagnando sempre più terreno sullo scintillio
d’oro.
Fu un attimo però, il
momento in cui ritornò sul campo aperto e la luce improvvisa del sole quasi lo
accecò. Scrollò velocemente la testa, subito aguzzando la vista per essere
sicuro di non aver lasciato sfuggire la sua preda, e
per un secondo, vedendo solamente il verde del prato, fu sicuro di averlo
perso.
Poi loriscovò,
che volava a scheggia rasoterra all’erba e gli si precipitò alle calcagna.
Spingendo la Firebolt ai suoi limiti, centimetro dopo
centimetro si avvicinò sempre di più al boccino, tanto che, ad ormai meno di un
metro, iniziò ad allungar la mano sicuro di poter
stringere da lì a qualche secondo quelle alette svolazzanti.
Ebbe come unico avvertimento un fischio portato dal
vento prima che i suoi istinti – di giocatore di Quidditch
o di Auror – lo portarono a
buttarsi a sinistra ed evitare il Bolide che gli fece il pelo.
Boccino momentaneamente dimenticato, guardò con occhi spalancati la palla grigia che faceva
dietrofront e tornava a puntare contro di lui, mentre oniricamente
si chiedeva se per caso Dobby non lo avesse seguito
nel passato.
Inclinò il manico verso l’alto e ripartì, stavolta
inseguito e non inseguitore. ‘Ma chi diavolo è
l’idiota che ha lasciato un Bolide a zonzo?’ pensava mentre faceva una capriola
per cercar di seminarlo, cosciente che, essendo lui l’unico giocatore in campo,
ci sarebbero volute molto più che un paio di acrobazie.
Cercando una soluzione, si fiondò nuovamente sotto gli spalti, sperando che le
transenne avrebbero rallentato il Bolide e gli avrebbero fatto guadagnare
terreno.
Dovette però riconoscere che non fosse stata poi una così geniale idea nel
momento in cui sentì il fracasso del legno che si infrangeva,
e schegge grosse quanto paletti cominciarono a volare ovunque, alcune
conficcandosi pericolosamente vicino a lui.
Proprio quando virò per tornare all’aperto però, si vide sbucare da sopra una transenna un
secondo Bolide che gli si dirigeva dritto addosso a tutta velocità. Sbarrando
gli occhi, abbassò immediatamente la testa contro il manico e sentì la palla
sfiorargli i capelli sulla nuca, mentre subito il clangore delle due palle
animate che si scontravano lo fece sobbalzare.
Sbucò all’aperto e fu felice di constatare che solo
uno dei due Bolidi lo seguì a ruota. Formandosi in fretta un piano in mente, si innalzò verso il cielo tallonato dall’altra palla,
incurante delle lacrime che gli si formavano a bordo degli occhi a causa del
vento. Arrivato ad un’altezza adeguata, fece appena un piccolo giro in modo che
il Bolide fosse al suo livello. Poi si buttò in picchiata.
‘L’hai fatto in tantissime
partite, ce la puoi fare anche adesso.’ Si diceva mentre vedeva il suolo
avvicinarsi ad una velocità vertiginosa. Più cadeva, più sentiva il controllo
della scopa scivolargli via e pregò tutte le divinità a lui conosciute perché
non finisse come porridge sul terreno del campo.
Arrivato ad un paio di metri dal suolo, con uno
sforzo immane tirò il manico verso l’alto e si trovò a schizzare in avanti, con
i piedi che strusciavano contro l’erba finemente tagliata
mentre sentiva con soddisfazione il tonfo del Bolide che affondava
invece nel terreno in una buca di almeno un metro di profondità.
Il cuore gli batteva a mille e il sangue gli
rimbombava nelle tempie mentre si sollevava nuovamente
in cielo con una capovolta e un sorriso euforico e un po’ folle stampato in
faccia.
Decise che sarebbe stato meglio richiamare il boccino prima che il bolide fosse riuscito a liberarsi,
quando voltando la testa all’indietro lo vide svolazzare quasi tranquillamente
al di sopra degli anelli. Un ghigno si sostituì al sorriso di prima: certo,
avrebbe potuto benissimo richiamarlo, ma che gusto c’era in quel modo?
Accelerò verso la sua preda, che puntualmente
schizzò via cercando di sfuggire. Harry però non l’avrebbe lasciato andare per
nulla al mondo, e seguendolo in un volo ad appena un metro dal suolo gli si
avvicinò sempre di più. Arrivato abbastanza vicino, staccò la mano destra dal
manico della scopa e l’allungò verso il boccino dorato, le dita che sfioravano
appena le alucce frenetiche.
Con un guizzo, il boccino schizzò improvvisamente a
sinistra e Harry, senza nemmeno provare a girare, staccò anche l’altra mano
dalla scopa e si lanciò addosso alla pallina d’oro, agguantandola nel volo e
cadendo perterra
di schiena, la scopa ancora agganciata tra le gambe.
L’impatto per un attimo gli svuotò il fiato dai
polmoni, ma il terreno era fortunatamente abbastanza morbido e l’altezza da cui
era caduto così poca che oltre alla botta iniziale non
sembrò aver riportato altri danni.
Rimase sdraiato così, supino a terra, col fiatone e
le pulsazioni a mille, prima di alzare lentamente la mano che teneva stretta il
boccino davanti agli occhi e osservare le ali della pallina che ancora
sbattevano frenetiche tra le sue dita. Scoppiò allora in una risata carica di euforia, tornando a volgere lo sguardo al cielo blu
cobalto del pomeriggio invernale che andava a imbrunire.
Fu solo così che vide all’ultimo momento il secondo
Bolide di cui si era dimenticato volare a razzo verso di lui. Avendo lasciato
la bacchetta in spogliatoio, non ci pensò due volte prima di allungare il
braccio libero e urlare:
“Protego!”
Una barriera azzurrina si diramò come una cupola
attorno a lui, in tempo per ricevere l’impatto del Bolide. Ansimando anche per lo
spavento, Harry si alzò lentamente in piedi e disattivò con una parola il
boccino, che lasciò cadere per terra mentre osservava
il Bolide che a più riprese cozzava contro il suo scudo.
Sempre tenendo il Protego attivo, con un gesto
dell’altra mano scagliò un Immobilusalla
palla, facendola arrestare di colpo a mezz’aria.
Fece passare qualche secondo in cui rimase immobile
pure lui, aspettando che il numero delle sue pulsazioni frenetiche diminuisse,
prima di lasciare il Protego
con un sospiro e avvicinarsi al Bolide per prenderlo sotto braccio così
immobilizzato.
‘Cavolo, non avrei mai immaginato
che si sarebbe finito in questo modo un semplice allenamento solitario.’ Pensò
ancora elettrizzato, non riuscendo suo malgrado a levarsi un enorme sorriso dalla
faccia.
Quando si voltò, tuttavia, ci pensarono le sette
persone vestite in tenuta da Quidditch
verde-argento che lo stavano guardando a bocca aperta a fargli svanire il
sorriso.
*** *** ***
Orion si sbottonò la camicia ridendo ad una battuta
che aveva appena fatto Caleb, mentre il vociare dello
spogliatoio accresceva tra il trambusto di una manciata
di persone che si cambiavano per iniziare l’allenamento.
Tirò fuori dalla sua sacca
la divisa da Quidditch verde-argento e pensò che,
sotto sotto, non aveva poi tutta questa voglia di
allenarsi, nonostante il tempo splendido. No, avrebbe di gran
lunga preferito rimanere in Sala Comune ad osservare due ragazzi di sua
conoscenza lanciarsi occhiatine indiscrete di soppiatto.
Era sicuro, al cento per cento, che fosse successo qualcosa tra Harry e Tom di cui lui non era
ancora venuto a conoscenza, perché se no non si spiegava come mai il primo
avesse assunto un colorito rosso permanente sulle guance e l’altro un
soddisfatto ghigno permanente sulle labbra.
Non sapeva spiegarlo bene nemmeno lui, ma c’era una
tale alchimia tra i due che era impossibile non
percepirla: qualunque cosa Harry stesse facendo, non mancava mai di cercare con
lo sguardo Tom, non lo perdeva mai di vista; per Tom poi, quel ragazzo poteva
essere ciò di cui aveva esattamente bisogno, l’ancora di salvezza che Orion
aveva ormai rinunciato a sperare che arrivasse.
Dovevano solo aprire gli occhi, e qualcosa gli diceva che avevano già fatto il primo passo.
Beh, ne avrebbe parlato
con Meredith finiti gli allenamenti. Già, perché all’insaputa dei due piccioncini, lui e la piccola Corvonero avevano
formato una specie di alleanza, entrambi con in mente il preciso scopo di fare
qualunque cosa affinché quei due potessero finire insieme. Per ora naturalmente
non avrebbero interferito (e d’altronde sembrava non ce ne fosse nemmeno bisogno),
ma se le cose fossero andate troppo per le lunghe, avrebbero trovato il modo d’intervenire.
Finì di vestirsi e fece giusto in tempo ad
infilarsi l’ultimo guanto quando sulla porta comparve
la figura del loro Capitano –nonché sua
cugina – Dorea Black, a rimproverarli con aria
impaziente.
“Allora? Siete pronti o no?” li indirizzò
assolutamente noncurante di essere entrata in uno spogliatoio maschile dove
alcuni ragazzi erano ancora mezzi nudi. D’altronde essere capitano della
squadra richiedeva una certa tempra.
“Arriviamo, arriviamo.” Le
rispose Rudolf mentre si finiva di allacciare gli stivali. “Stacanovista.”
Sussurrò poi sottovoce, lanciando un’occhiataccia alla ragazza.
“Vuoi che ti porti la cassa?” si rivolse Caleb, che era già vestito, al
Capitano che teneva tra le braccia la cassa contenente le palle da Quidditch, “Non deve essere leggera. Su, da qua.” E senza
ascoltare le proteste della ragazza gli prese il bauletto e si avviò fuori dallo spogliatoio.
“Ehi, non sono fatta di porcellana! Non ho bisogno di alcun aiuto!” gli urlò dietro lei, nonostante il lieve
imporporarsi delle sue gote.
Orion e Rudolf si
lanciarono un’occhiata e alzarono gli occhi al cielo contemporaneamente.
Vennero però distratti tutti dalla voce
di Caleb che urlava da fuori. “Ehi ragazzi! C’è
qualcuno in campo!”
Dorea corrugò la fronte. “Giuro
che se sono ancora i Grifondoro lo vado a segnalare al preside, il giovedì è il
nostro turno d’allenamento!”
Si precipitarono tutti fuori – chi con buone e chi
con cattive intenzioni – per vedere chi stesse
occupando il campo da loro prenotato.
La sorpresa – seguita a ruota dalla meraviglia –
nel vedere quell’unico giocatore sfrecciare per aria, si poteva ben
rispecchiare nell’espressione di tutti i sette giocatori
Quella persona – chiunque fosse
– sembrava muoversi tutt’uno con il vento, ad una
velocità che rasentava l’inverosimile, troppo anche per l’ultimo modello di
scopa appena uscito, la Stellasfreccia. Capriole, picchiate, cambi di direzione, inversioni, tutto senza
mai perdere il controllo della velocità.
“Ma chi diavolo è?”
sussurrò Isabella Roockwood, esprimendo ad alta voce
la domanda che tutti si stavano ponendo nella mente.
E in effetti il ragazzo
non indossava la divisa di nessuna delle quattro case, ma una completamente
nera, almeno da quello che si riusciva a vedere da fondo campo. Purtroppo la
distanza e la velocità con cui stava volando rendeva
praticamente impossibile riconoscerne i tratti fisionomici.
“Aspetta un attimo, ma quello è un boccino!”
esclamò Caleb improvvisamente, l’unico – essendo lui
stesso Cercatore – in grado di scovare l’elusiva pallina dorata.
Ora che era stato fatto notare, anche gli altri
poterono vedere il boccino cercare di volar via, tallonato a soli pochi metri
di distanza dal ragazzo misterioso. Improvvisamente la pallina scheggiò via
sotto gli spalti, col Cercatore alle calcagna.
“Me è ammattito?! Si
ammazzerà là sotto!” Esclamò uno dei due Battitori, mentre
tutti si guardavano intorno cercando di indovinare dove – e se – sarebbe
risalito.
Quando Orion lo vide risbucare da sotto gli spalti di Corvonero sulla destra,
tirò un sospiro di sollievo: sarebbe stato proprio un peccato sprecare un
talento simile.
“Ehi Dorea, aspetta… ma
che stai facendo?” si sentì la voce di Caleb
reclamare. Orion si voltò, in tempo per vedere il Capitano accucciarsi davanti
al baule delle palle, aprirlo e sganciare uno dei due Bolidi.
“Ma sei impazzita!?” gli
urlò Rudolf correndo a bloccarle i polsi, “Che
diavolo stai facendo, vuoi forse ammazzarlo?!”
“Voglio solo vedere come se la cava, tutto qui!”
ribatté lei con un determinato ardore negli occhi, cercando di liberarsi le
mani dalla stretta dell’altro.
“Ehi, guardate!” indicò di nuovo verso il cielo
Isabella e tutti spostarono l’attenzione nuovamente sul ragazzo in aria che
faceva una capriola nel tentativo di seminare il Bolide e si buttava nuovamente
sotto gli spalti.
Tutti impegnati a sussultare ai rumori del legno
che si infrangeva provenienti dai sotto-spalti,
nessuno si accorse di Dorea che, approfittando della
distrazione, aveva liberato anche il secondo Bolide. Appena Orion vide la
seconda palla librarsi in aria e sparire anch’essa sotto gli spalti, si rivolse
anche lui al Capitano.
“Ma che cazzo fai! Lo vuoi
vedere morto?!” le urlò contro, ma venne nuovamente
distratto dal fragore di metallo che cozzava contro metallo provenire dagli
spalti.
Dopo qualche secondo videro
il Cercatore sbucare nuovamente fuori, con una sola delle palle grigie alle
calcagna. Osservarono il ragazzo fare un giro del campo, prima di cominciare a
salire sempre più su, fino ad un altezza di almeno
cinquanta metri.
Poi, sotto gli occhi sbarrati della squadra, si
lanciò verso il basso.
La velocità era impressionante e tutti potevano
solo guardare con orrore il ragazzo avvicinarsi sempre di più al suolo.
“Non ce la farà mai a frenare, si schianterà!” urlò
Isabella.
All’ultimo secondo però,
videro il Cercatore sollevare il manico verso l’alto e partire a razzo in
avanti, mentre il Bolide si schiantava nel terreno e affondava tra la terra. Con occhi ancora
spalancati, Orion lo vide fare una capovolta di vittoria e poi ripartire
nuovamente alla ricerca del boccino.
“Non ci posso credere,”
sussurrò Caleb, “ce l’ha fatta davvero…”
Intanto il ragazzo volava ad un metro da terra
sempre rincorrendo il boccino e aveva appena allungato un braccio, quando la
pallina cambiò improvvisamente direzione. Invece di girare si lanciò con
l’altra mano, acchiappando la piccola sfera e cadendo di schiena sull’erba.
Orion si apprestava a correre a centro campo per
raggiungere quel giocatore sconosciuto e scoprire finalmente chi fosse, quando
vide il secondo Bolide sbucare da un lato e scagliarsi sul ragazzo.
“Attento!” urlò, sapendo però che non avrebbe mai
potuto sentirlo da così lontano.
Il ragazzo in ogni caso si accorse da solo del
pericolo e fu quando lo vide scagliare il Protego con una
sola mano, che Orion riconobbe immediatamente chi fosse.
“Harry?!” esclamò, non
potendo credere ai propri occhi.
“Cosa?” chiese Rudolf,
mentre come gli altri continuava a guardare il ragazzo
alzarsi in piedi e immobilizzare il Bolide senza bacchetta.
“Harry, quello è Harry!” ripeté Orion, “Harry
Evans, il nuovo studente.”
“Quel ragazzo è con noi a Serpeverde?” chiese
incredula il Capitano, “E nessuno sapeva che era un mostro nel volare?!”
‘No, non lo sapevo nemmeno
io.’ pensò Orion mentre vedeva l’amico girarsi e irrigidirsi una volta che si
fu accorto della loro presenza.
Con un’espressione risoluta in volto, il Serpeverde
si incamminò per raggiungere il ragazzo a centro
campo, con tutta l’intenzione di esigere un paio di spiegazioni.
*** *** ***
“Ragazzi, ho detto che vi
avrei potuto aiutare con gli allenamenti, ma non ho davvero il tempo per
entrare nella squadra!” ripeté per l’ennesima volta Harry, cercando in
qualunque modo di tirarsi fuori dal casino in cui si era cacciato.
Erano tutti negli spogliatoi, l’allenamento essendo
appena finito, e Harry aveva dovuto passare le ultime due ore a rispondere a
miriadi di domande e a dover rifiutare – in parte a malincuore – le continue
proposte di farlo entrare in squadra.
“Ce l’avete già un
Cercatore!” disse spazientito all’ennesima protesta del Capitano, indicando Caleb, l’unico forse a non essere poi così dispiaciuto che
Harry non volesse accettare.
“Si, sembrate esservi tutti dimenticati di me.” Borbottò il biondino, “Volete che
vi ricordi chi è che vi ha fatto vincere conto Tassorosso
due mesi fa?”
“Oh ma taci.” Ribatté Dorea,
“Sai benissimo che con il talento di Evans non
potresti mai competere.”
Caleb di risposta borbottò
qualcos’altro di incomprensibile, ma voltò le spalle e
continuò a cambiarsi. Harry invece si passò una mano tra i capelli
mentre piegava con cura la sua divisa, sperando che le domande fossero
finite.
Magari.
“Cazzo quanto è bella!”
stava esclamando Rudolf osservando la Firebolt come se fosse stata una statua di Michelangelo,
“Hai detto che è un prototipo, mh? Sai per caso
quanto verrebbe a costare farne spedire sette dall’Australia?”
Harry affondò la testa tra le mani soffocando un
gemito.
“No, no, non sono in commercio.” Si affrettò a
rispondere una volta alzata la testa, “Mi è stata regalata e… ehm…cioè, mio zio le costruisce! Cioè,
non è che ha costruito questo modello ma… un suo amico, si, conosce l’inventore
e gliene ha presa una.”
“Che culo…”
continuò l’altro adocchiandola sognante, “A quanto hai detto che arriva?”
“250
km/h, ma ora sarà meglio che la metto via.” Gli rispose strappandogliela quasi dalle mani e
rimettendola nella borsa. Con un sospiro finì di allacciarsi la divisa, notando
con sollievo che Orion aveva finito di prepararsi.
Ora che rivedeva l’amico, i pensieri di quel
pomeriggio gli ritornarono in mente e, mordendosi per qualche secondo il labbro
indeciso, infine prese una decisione.
“Ehi, Orion.” Lo chiamò attirando la sua
attenzione.
“Si, Harry?”
Il ragazzo si avvicinò. “Mi chiedevo se potessi
parlarti qualche minuto.”
Orion lo guardò un po’ sorpreso, ma rispose subito:
“Certo, fammi prendere le mie cose che torniamo in Sala Comune.”
“No, aspetta!” lo fermò l’altro, volendo proprio
evitare di andare ovunque potessero incontrare Tom. “Volevo parlarti ora,
lontano da… è una cosa un po’ privata insomma…”
Il Serpeverde sollevò le sopraciglia un po’
perplesso, ma acconsentì. “Oh, va bene. Allora ti va di fare un giro sugli
spalti? Poi torniamo a prendere la roba.”
Harry annuì e, infilando le mani in tasca, seguì
l’amico fuori all’aria aperta, già quasi del tutto buia per via del precoce
tramonto invernale.
La strada fino agli spalti la percorsero
in silenzio, poi, una volta seduti, Orion si rivolse ad Harry.
“Allora, cos’è che volevi dirmi?”
Harry si torse le mani per qualche secondo, non
sapendo bene come cominciare. “Orion tu… hai mai avuto delle storie serie? Cioè, qualcosa che non fosse solo una botta e via?”
Il Serpeverde sembrò sorpreso dalla domanda, ma
rispose comunque: “Oh beh, certo che ne ho avute.”
“E ti è mai capitato… ti è
mai capitato di incontrare la persona sbagliata, qualcuno a cui sai non ti dovresti mai avvicinare, ma
che non puoi fare a meno di… di…”
“Volere?” finì Orion.
Harry annuì, senza guardare l’altro in faccia.
L’altro ragazzo sospirò. “Stai
parlando di Tom, non è vero?”
Harry si voltò di scatto, aprendo immediatamente la
bocca per negare, ma poi la richiuse e, tornando a
guardarsi le mani, annuì mesto.
Orion sorrise. “Harry, non c’è niente di male nel
sentirsi attratti da Tom, anzi, mi preoccuperei se non lo fossi. Quel ragazzo è
un sogno erotico che cammina.” Ridacchiò, vedendo
l’altro ragazzo arrossire furiosamente. “Perché ti
sembra tanto sbagliato?” aggiunse poi tornando serio.
“No, non intendo sbagliato perché è un ragazzo, è
sbagliato perché…” ma si fermò, aggrottando le sopraciglia, “No, aspetta un
momento, è sbagliato anche per quello, a me non piacciono i ragazzi!” esclamò
infine, come se se lo fosse appena ricordato.
Orion alzò un sopraciglio divertito. “Ma davvero? Aspetta, aspetta, com’è
che avevi definito le tette di Madlene? Ah già: ingombranti. Sicuro, etero
al cento per cento.”
Il rossore sulle guance di Harry tornò a tutta
forza. “M-ma che centra questo! EGinny dove la metti? Io ho avuto solo delle ragazze!”
“E da quel che mi ricordo
è un plurale un po’ stringato o sbaglio? Due non conta proprio come ciò che chiamerei esperienza…” rispose serafico il Serpeverde, “E
quando ti ho chiesto di parlarmi di questa Ginny? ‘Èbassina e magra’…
ma che risposta è? Né un commento sul suo culo,
sulle sue labbra, se porta la quarta, cavolo, nemmeno se era bella o brutta!”
Harry cominciò a scaldarsi. “E
allora? Questo vuole solo dire che guardo oltre la
taglia di reggiseno!”
L’altro alzò le mani in segno di pace. “Ehi,
calmino, non volevo offenderti. Sto solo dicendo che
se ti metti con una persona per ciò che è oltre il suo aspetto fisico, che sia
un ragazzo o una ragazza non fa troppa differenza, no? E comunque
dalla domanda che mi hai fatto prima, devo presumere che qui l’aspetto fisico
non sia poi un problema.” Ghignò, lanciando uno sguardo sornione all’altro,
“Spara, cos’è successo?”
Harry affondò la testa tra le mani con un lamento.
“Ero in camera a leggere un libro quando è uscito dal
bagno,” disse parlando attraverso le dita, “indossando solo un asciugamano legato in vita.”
Orion fischiò, “Oh mamma, avrei voluto esserci.” Ma all’occhiata omicida che gli venne
rivolta, si affrettò ad aggiungere “Per vedere la tua reazione naturalmente!”
si esibì in un altro ghigno canzonatorio, “Perché, geloso forse?”
“Eh?! Geloso io? Ma non
dire cazzat-“ ma si bloccò e spalancò gli occhi, “Oh
mio Dio, si! Non ci posso credere, sono davvero
geloso! Oh mamma…” gemette per l’ennesima volta.
Orion scoppiò a ridere, circondando con un braccio
le spalle dell’altro in una stretta amichevole. “Eddai,
non essere così melodrammatico. Ti piace Tom, e allora? Non sei certo né il
primo né l’unico, dove sta la catastrofe esattamente?”
“E lo chiedi anche!”
ribatté Harry, “Stiamo parlando di Tom Riddle! Possibile che tra tutte le
persone che ci sono sulla faccia della Terra, proprio
l’unico che non sa nemmeno cosa voglia dire amare dovevo andare a scegliere?”
“A chi non sa qualcosa,”
rispose Orion con un sorriso mesto, “basta insegnarglielo. Non potresti essere
tu a insegnarlo a Tom?”
Ma Harry scuoteva la testa.
“Non posso…” non posso rischiare di
cambiare il futuro… “E poi chi mi dice che lui
ricambi? Farei solo la figura dell’idiota.”
Orion sbuffò divertito. “Oh, di quello non mi
preoccuperei di certo.”Ma
all’occhiata interrogativa dell’altro non approfondì. “Senti,
vuoi un consiglio su come comportarti? Io ti dico: prendi l’iniziativa,
agisci! È una cosa che potresti rimpiangere tutta la vita di non aver fatto: un
giorno ti sveglierai e – puf! Tempo scaduto.
Un’occasione andata persa. E se posso dirtelo, cazzo che
occasione, Tom Riddle non è certo il primo che capita!”
Harry sorrise suo malgrado, mentre
rifletteva sulle parole sul compagno. Aveva ragione Orion, di tempo non ne aveva poi così tanto a disposizione, due mesi su per giù.
Ma cosa avrebbe dovuto fare, provarci con Tom? La sola
idea gli sembrava ridicola, se non altamente
imbarazzante.
Una cosa però, almeno gli era chiara adesso:
Si, gli piaceva Tom Riddle.
E non c’era niente di male.
Anzi, proprio come aveva detto Orion – ed Harry era
pienamente d’accordo con lui – se si pensava a quel corpo sarebbe stato strano
il contrario.
“Harry, non che non voglia restare a parlare ancora
un po’, ma il resto della squadra sta cominciando a tornare al castello, non
vorrei che chiudessero tutto lasciando la nostra roba dentro.”
Gli disse Orion indicando con la testa gli spogliatoi.
“Si, sarà meglio andare.” Annuì l’altro ragazzo,
prima di aggiungere “Comunque grazie. Non so ancora
cosa farò, ma mi ha fatto bene parlarne con qualcuno almeno.”
Orion sorrise ed annuì semplicemente, mentre tutti e due si avviavano verso gli spogliatoi.
Quando Orion entrò per primo,
vide che erano rimasti soltanto Rudolf, uno dei
battitori e Isabella, che mentre chiudevano le sacche o piegavano i vestiti,
chiacchieravano animatamente con…
“Tom? Che ci fai qui?”
chiese stupito Orion.
Il Prefetto si girò, assottigliando gli occhi. “Ero
venuto a cercare te e Harry, visto che eravate entrambi spariti nel nulla, ma
mi sono fermato ad ascoltare una storia curiosa che mi stava raccontando Rudolf.”Disse
con una nota di finta dolcezza, “Coinvolge Harry, un boccino e due
Bolidi assassini. Tu ne sai niente?” finì in un
sibilo.
Orion deglutì. “Andiamo, assassini è un po’ esagerato… Te lo può dire pure Harry che non si
è fatto niente, vero Harr – Harry?” domandò al vuoto
constatando, una volta che si fu voltato, che il ragazzo era svanito nel nulla.
“Allora, Black?” continuò
Tom incrociando le braccia al petto.
E Orion, mentre pensava che in qualche modo questa Harry gliel’avrebbe pagata, osservando lo sguardo
controllatamene furioso dell’altro Serpeverde non poté fare a meno di pensare:
‘‘Non ricambia’’
un corno, Harry.
A.N.: Ragazzi che fatica! Scusate il ritardo ignobile,
ma sto ancora risistemando un paio di cose e ho avuto qualche problema nel
trovare il tempo di scrivere.
Questo
tra l’altro è il capitolo più lungo mai scritto fino ad ora (per farmi
perdonare, anche se non succede granché ^^”) e il numero di pagine a cui stanno arrivando comincia quasi a preoccuparmi… Infatti avevo
una mezza idea di tagliarlo al punto in cui Harry scopre di essere stato
osservato, e aggiungere il resto al 22, ma visto come siete stati pazienti ho
deciso di lasciarlo così lungo com’era.
In
ogni caso, Tom si vede relativamente poco, ma – ormai dovreste conoscermi – se
in un capitolo il nostro caro Prefetto compare poco, potete essere sicuri che
in quello successivo avrà un ruolo in primo piano ;).
So
che avevo promesso di rispondere alle recensioni alla
fine di questo cap, ma credetemi se vi dico che non
ne ho davvero il tempo adesso! Chiedo umilmente perdono!
Altri
Personaggi:HermioneGranger,
Minerva McGranitt, Luna Lovegood,
DracoMalfoy, altri…
Avvertimenti:Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo
22.Nodi al Pettine
Harry aveva afferrato i bordi del tavolo di
Serpeverde e li stava stringendo con così tanta forza da farsi diventare le
nocche bianche, ma non gli importava. Tutto pur di riuscire a mantenere un
briciolo di autocontrollo e cercare di smetterla di arrossire come un idiota.
Arrischiò un’altra occhiata al tavolo della
colazione, giusto in tempo per vedere la lingua di Tom pulirsi delicatamente il
labbro inferiore da un – inesistente,
Harry ne era sicuro – residuo di mousse al cioccolato. Il ragazzo strizzò
nuovamente gli occhi, tornando ad abbassare la testa sulla sua tazza di
cereali.
Lo stava facendo apposta, ne era sicuro. Dio santo,
esistevano i tovaglioli per pulirsi le dita, non c’era alcun bisogno di leccarle una ad una!
E anche a cena, il giorno prima,
era stata la stessa storia. Anzi, facciamo da quando
era tornato dal campo da Quidditch: per tutto il
tempo, ogni volta che aveva guardato il Serpeverde, lo aveva trovato sempre in
azioni e gesti dal significato più che ambiguo.
Ciò che lo stava facendo impazzire era non riuscire
a capire se era Tom ad essere volutamente provocante, o se era forse lui che
leggeva anche nei gesti più semplici un significato molto
meno pulito.
Però se ci pensava, era fin troppo lascivo il modo
in cui Tom si era sdraiato sul divano della Sala Comune la sera prima; o quando
si era stiracchiato come un gatto prima di andare a
dormire, scoprendo svariati centimetri della pelle diafana del suo addome
scolpito; o come quella mattina Harry fosse uscito dal bagno nell’esatto istante in cui l’altro si stava
togliendo la camicia del pigiama…
O il modo in cui adesso si stava allentando il nodo
della cravatta adducendo come scusa quella mattina – a Novembre! – facesse fin troppo caldo in
Sala Grande.
In poche parole Harry non aveva più il coraggio di
guardarlo negli occhi.
Forse anche perché, provocazioni o no, l’unica cosa
che aveva in testa negli ultimi giorni era prendere quel ragazzo per il
colletto, trascinarlo nella prima classe vuota e divorare quelle labbra
sfrontate finché non gli fosse mancato il fiato.
Prendi
l’iniziativa,
gli aveva suggerito Orion, ma come avrebbe fatto se
non riusciva nemmeno a guardarlo senza vedere mille situazioni compromettenti
in ogni sua mossa?
E poi lo preoccupavano un po’ tutte queste
allusioni… e se fossero state davvero tutte volute?
Poteva voler dire… poteva voler dire che Tom sapeva! Che lo stesse prendendo in
giro, perché aveva scoperto della sua… infatuazione?
Oddio, che imbarazzo che sarebbe stato…
E a proposito di imbarazzo, se non si fosse dato un
contegno in fretta, si sarebbe notato qualcosa di molto più evidente del
rossore sulle guance.
Si voltò deciso a intavolare una qualunque
conversazione almeno con Orion, sedutogli di fianco, ma appena lo vide dovette
trattenersi dallo svegliarlo con due schiaffi. Infatti
non solo il Serpeverde non gli poteva essere di aiuto, ma il motivo era
addirittura da ricollegare al suo guardare imbambolato Tom che mangiava un
grappolo d’uva nel modo – a detta di Harry – più osceno possibile. Delle due
cose non sapeva quale gli desse più fastidio.
Decidendo che quello era davvero troppo, Harry si
alzò in piedi con uno scatto, biascicò una mezza scusa qualunque e raccolse la
sua borsa, uscendo poi di fretta dalla Sala.
Orion osservò Harry allontanarsi dalla Sala Grande, e non appena fu scomparso oltre le porte, si rivolse al Prefetto.
“Sai Tom, ci sono modi meno osceni per fare quello
che stai facendo.”
Il ragazzo, grappolo d’uva dimenticato nel piatto,
si asciugò con aria indifferente le mani sul tovagliolo. “Non so di cosa tu stia parlando Black.”
Orion ghignò. “Suvvia, sono fin troppo palesi le
tue intenzioni e credimi, non ho nulla in contrario. Magari se scegliessi un
metodo che non… come posso dire… disturbi
così tante altre persone…”
Tom osservò il resto del tavolo intorno a sé con un
sopracciglio alzato, notando diversi sguardi rivolti verso di lui, alcuni
addirittura accompagnati da occhi appannati e bocche semiaperte. Scrollò le
spalle, mostrando chiaramente quanto poco gliene importasse
se il resto della sua casa gli stesse sbavando letteralmente dietro. Si alzò
con la sua solita eleganza e raccolse la sua borsa, noncurante degli sguardi
che lo seguivano mentre si allontanava dal tavolo, con
Orion al seguito.
Appena furono fuori dalla Sala,
Orion fermò il Prefetto per un braccio.
“Tom, parlando seriamente, che intenzioni hai?
Harry forse è così ingenuo da avere dei dubbi su cosa tu stia
cercando di fare, ma di certo non inganni me.”
L’altro Serpeverde strattonò il braccio liberandosi
dalla presa, fulminando con una delle sue occhiate gelide.
“Mi sembrava di averti sentito dire che non avevi
nulla in contrario.”
“Vero, e anzi,” aggiunse
Orion guardando l’altro negli occhi “penso che sia la cosa migliore che possa
capitare a tutti e due. Questo però non mi impedisce di criticare i tuoi
metodi. La mia domanda è semplice: che intenzioni hai?”
Tom aprì la bocca per rispondere, ma una breve
occhiata alla massa di studenti che si stava riversando fuori
dalla Sala Grande lo bloccò. Prese Orion per una manica e lo trascinò
nella prima aula vuota che incontrarono. Una volta entrati,
il Prefetto lasciò il braccio all’altro e si appoggiò con fare noncurante ad
uno dei banchi, mentre Orion rimase in piedi di fianco alla cattedra, con le
braccia incrociate.
“Allora?”
Tom sbuffò. “Non capisco davvero cosa vuoi sentirti
dire. Prima dici che le mie azioni sono fin troppo palesi, poi vieni a chiedere
spiegaz-“
“Oh, smettila di girarci intorno!” lo interruppe
Orion guadagnandosi un’occhiataccia, “Cosa voglio
sentirmi dire? Che Harry non è solo un giocattolo per te, che non lo userai
solo per gettarlo via una volta che ti sarai stancato!”
La postura di Tom si irrigidì visibilmente a quelle
parole: si potevano vedere le mani stringere il bordo del banco con forza,
mentre la sua voce uscì come un sibilo tra i denti stretti.
Nonostante tutto evitò lo sguardo dell’altro mentre rispondeva “E chi ha mai parlato di gettare
via?”
Orion sospirò, sciogliendo le braccia
dall’intreccio ed avvicinandosi al compagno di Casa.
“E allora cosa stai aspettando, Tom?” chiese con un
tono molto più dolce, “Che Harry si metta a pregarti?
A strisciare ai tuoi piedi? Lo vedi benissimo anche te che non gli sei per
niente indifferente…”
E mentre osservava quel testardo di un Prefetto
continuare a fissare fuori dalla finestra, piano piano notò anche qualcosa cambiare. Seppure non lo stesse
guardando in faccia, anche dalla sua posizione Orion poté scorgere una luce che
non aveva nulla a che fare con il pallido sole che splendeva all’esterno
riflettersi nelle iridi color inchiostro.
“Io so esattamente come si fa a portarsi a letto
una persona,” sussurrò Tom con voce atona, “ma da lì
in poi…”
Orion lo vide abbassare la testa e rimase indeciso,
in stallo tra il rimanere ad ammirare quell’attimo di ciò che il Prefetto
avrebbe sicuramente chiamato ‘debolezza’ e il trovare le parole giuste per
aiutare l’amico che si era dimostrato molto meno sicuro di quanto non volesse
apparire.
“Harry però lo sa.” Disse infine, “Se solo gli
parlassi, gli lasciassi capire che-“
“Che cosa? Che cosa esattamente, Black? Su quale
assurdo sogno romantico ti stai arrampicando?”sbottò l’altro improvvisamente,
interrompendolo, “Stai parlando di amore,
forse? Perché se è così ti dimentichi chi hai di fronte!” lo schernì, gli occhi
nuovamente duri che lo sfidavano a controbattere.
Orion alzò le braccia al cielo in un gesto
esasperato, “E allora provami che non è così! Dimmi chiaro e tondo che non te
ne frega niente di Harry, che non hai problemi a dimenticarti di lui come se
nulla fosse!” gli rispose a tono e, non ricevendo risposta se non la rabbia e
il rifiuto negli occhi neri, continuò con voce mesta “Ma
non puoi farlo, vero? Non puoi mentire a te stesso fino a questo punto.”
Orion avrebbe giurato di aver visto per un attimo
gli occhi di Tom brillare di una scintilla rossastra, prima che in uno scatto
furioso il Prefetto si staccasse dal banco ed avanzasse verso di lui. Per
qualche orribile secondo temette che gli si sarebbe scagliato addosso, ma poi
il Serpeverde si limitò a voltarsi e marciare fuori dall’aula
sbattendosi la porta alle spalle.
Rimasto solo nella classe deserta, Orion sospirò,
passandosi una mano tra i capelli. Sarebbe dovuto
essere arrabbiato con la cocciutaggine di Tom, esasperato dal suo
comportamento, ma l’unica cosa che riusciva a sentire era una profonda
tristezza.
Che cosa c’è nell’idea di essere umani che ti fa tanto schifo, Tom?
Scuotendo la testa, uscì anche lui dall’aula per
riversarsi nel fiume di studenti che tornavano ai dormitori prima di iniziare
le lezioni.
Preso com’era dai suoi pensieri, non si accorse
della voce che continuava a chiamarlo e quasi andò a sbattere contro la piccola
Corvonero che inutilmente stava cercando di attirare la sua attenzione da
qualche tempo.
“Orion! Ma sei sordo o cosa?” lo apostrofò irritata
la ragazza, una volta che gli si fu piazzata proprio davanti.
Il Serpeverde alzò la testa
sorpreso. “Ah, Meredith. Scusa, ero un po’ soprappensiero.” Rispose distrattamente.
Meredith alzò gli occhi al cielo. “Non l’avevo
notato.” Borbottò, prima di affiancarlo e camminare
con lui per il corridoio. “Allora? Che cos’era esattamente quel teatrino, a
colazione?”
“Parli di Tom?” chiese l’altro sapendo già la
risposta, “Si diverte a giocare al gatto e al topo, mi sembra ovvio.” Rispose con una nota di irritazione.
Se la ragazza si accorse del suo tono, non lo diede
a vedere. “E Harry?”
“Mi stupisco che non sia già finito in infermeria
per un collasso nervoso. Se Tom continua di questo passo lo farà impazzire.” Rispose Orion sospirando.
Meredith si fermò. “Vuoi dire che Harry
finalmente…? Pensavo ci sarebbe voluto molto più tempo!” esclamò con un
sorriso.
Orion non poté non lasciarsi sfuggire un piccolo ghigno. “Beh, lo pensavo anch’io all’inizio, ma cavolo, vivono insieme ventiquattrore su
ventiquattro, era impossibile che qualcosa non succedesse!”
“E tu come fai a saperlo?” domandò la ragazza quasi
saltellando, “Harry ti ha detto qualcosa? Dai, parla!”
Il Serpeverde sorrise all’euforia della ragazza. “Ah,
ho promesso di non dire nulla! Ma se proprio insisti…” aggiunse, vedendo
l’occhiataccia che gli veniva indirizzata, “diciamo
solo che Harry ha avuto la sua piccola rivelazione.”
“Ah! Lo sapevo!” poi però,
vedendo l’espressione di Orion, aggiunse con una nota interrogativa nella voce
“Ma qual è il problema dunque? Perché quel muso lungo?”
Il ragazzo sospirò di nuovo, una cosa che
cominciava a trovarsi a fare un po’ troppo spesso. “È Tom, lui… credo che abbia paura.”
Meredith gli rivolse uno sguardo sorpreso. “
Paura?”
Ma l’altro ignorò la domanda. “È da
quando Harry è arrivato che Tom non fa altro che ossessionarci sopra.
Anche solo il fatto di aver voluto condividere le sue stanze… ti giuro che se
me l’avesse raccontato qualcuno non ci avrei mai creduto! Allora cosa c’è che non va?” si chiese, praticamente pensando ad alta voce
La ragazza gli lanciò uno sguardo confuso. “Non ho
ancora capito bene di cosa tu stia parlando, ma se
posso dire la mia, anche io che nemmeno li conoscevo potevo vedere gli sguardi
che si lanciavano – e che si lanciano tutt’ora.”
“È come un’alchimia, una specie di affinità
elettiva. E la riescono a sentire tutti quanti intorno a loro!”
“Hai presente quanto è protettivo Tom nei confronti
di Harry? Possessivo lo definirei.” Ridacchio la Corvonero.
Orion fischiò. “Eccome, non fa avvicinare nemmeno me! Se mai qualcuno osasse torcere
un capello a quel ragazzo, non voglio nemmeno immaginare che fine farebbe!”
esclamò ridendo.
A quelle parole però la ragazza smise di ridere.
“Ehm…si, eh eh, immagino…”
balbettò evitando lo sguardo dell’altro.
Orion la osservò confuso. “Mere?”
“Si? Cosa?” chiese lei con aria falsamente
sprovveduta.
“Dici che Tom non andrebbe su
tutte le furie?” chiese perplesso.
“Oh, nonono, anzi,
sarebbe sicuramente una belva! Cioè, si, nel senso, si arrabbierebbe sicuro, ma
sai una cosa? Tanto nessuno farebbe mai del male a Harry, giusto? Che ne
paliamo a fare! Inutile parlare di qualcos-“
“Meredith, stai blaterando.”
“Io blatero? Guarda che stavo
solo dimostrando che è un discorso inutile, senza sens-“
“C’è qualcosa che vorresti dirmi, per caso?”
“Adesso perché vai a pensare che ti stia
nascondendo qualcosa! Se ti dico che nessuno ha mai fatto del male a Harry,
perché non dovresti credermi? Cioè, dico –“
“Meredith…”
“Oh, ti prego, Harry mi ha detto di non dirlo a
nessuno, non farmi dire niente!” supplicò la ragazza torcendosi le mani.
Orion però non sembrava aver alcuna intenzione di
lasciar correre la faccenda. “Harry? Ti ha fatto promettere di tenere un segreto?
Lo sa che non c’è niente che non possa dire anche a me o a Tom…”
Poi, ricollegando improvvisamente il discorso di
prima, si bloccò in mezzo al corridoio, prendendo per le spalle la Corvonero.
“Meredith, qualcuno ha fatto del male a Harry?”
La ragazza si stava torturando il labbro inferiore.
“Oh, ho promesso che non avrei detto nulla…”
“Ma scherzi? E se venisse
attaccato di nuovo?” continuò serio Orion, “Qualcuno deve saperlo se Harry
viene perseguitato, qualcuno che possa fare qualcosa!”
Meredith però rimaneva indecisa, non volendo
tradire la fiducia dell’amico. “Prometti di non dirlo a nessuno, specialmente a Tom?”
Il ragazzo sembrò voler obbiettare, ma poi si
rassegnò e annuì.
“Immagino allora che Harry non ti abbia raccontato”
rispose infine la Corvonero, “di quandoAlden gli ha rotto il naso.”
Guardando l’espressione che assunse Orion a quelle
parole, Meredith capì immediatamente che non era stata una buona idea: il viso
normalmente calmo e solare del ragazzo si era irrigidito, la mascella serrata e
le narici dilatate. Le stava anche stringendo le spalle con più forza di quanta non ne fosse necessaria, e la Corvonero si trattenne
dallo scrollarsi, sapendo che con tutta probabilità l’altro nemmeno se ne
rendeva conto.
“Adesso vado e lo ammazzo.” Dichiarò lui a denti
stretti, lasciandole le spalle e voltandosi.
Meredith però lo afferrò all’ultimo. “No!” esclamò
cercando di trattenerlo, “Fermati Orion, non puoi andarlo a cercare, io non ti
avrei dovuto dire niente! Non pensi a cosa dirà Harry? O a cosa farà Tom?”
A quelle ultime parole il ragazzo si fermò, ma il
ghigno quasi sadico che gli aprì il volto non fu per niente rassicurante. “Hai
ragione, perfettamente ragione.” Rispose lui
continuando a sorridere, “Lo vado a dire a Tom così lui va e lo ammazza!” esclamò trionfante tentando nuovamente di
camminare via.
“No, fermo!” ribatté la ragazza puntando i piedi a
terra per riuscire a fermarlo. “Cosa ti avevo detto? Mi hai promesso che non
l’avresti detto a nessuno, specialmente
a Tom!”
“Beh, se le circostanze lo richiedono una promessa
può essere infranta!” rispose lui incrociando le braccia
ostinato ma, con sollievo di Meredith, fermandosi.
“Se lo dici a Tom, Harry saprà che per forza devo
avertelo detto io, e si arrabbierà con me, e invece sarebbe tutta colpa tua!”
Il ragazzo a quello alzò un sopracciglio. “Scusa,
ma se lui ti aveva detto di non dirlo a nessuno, la colpa di aver spifferato
tutto è solo tua.”
Meredith lo guardò con occhi sgranati. “Cosa? Ma sei tu che l’hai voluto sapere!
Per il bene di Harry hai detto!”
Orion scrollò le spalle. “Infatti
era quello che volevo. Ma non ho mai detto che fosse anchegiusto.”
“Tu-tu…! Smettila di fare il… fare il…” agitò
vagamente le braccia nella sua direzione, “Serpeverde!”
Il ragazzo la guardò per un attimo indeciso se
dover sentirsi offeso o divertito, poi, dopo qualche secondo, sospirò e sciolse
le braccia. “Senti, non voglio che Harry si arrabbi con te, ma Tom lo deve sapere. Potrebbe essere la volta
buona che apre gli occhi e si accorge di che feccia sia quel Principe!”
Ma Meredith sembrò infervorarsi ancora di più a
quelle parole. “Ah, ora è chiaro! Non lo stai facendo per proteggere Harry, è
solo perché ce l’hai a morte con Alden!”
“No, non è…” ma si
interruppe, e dopo un altro sospiro riprese “Ascolta, non posso negare che
vedere quel verme ricevere ciò che si merita non mi darà un’enorme
soddisfazione, ma questo è anche per
Harry. Principe è ossessionato da Tom, è pazzo! Pensi che se Harry non dirà nulla a Tom lui lo lascerà stare per gratitudine? Ma
per favore! Tom deve saperlo, è
l’unico che può fare qualcosa.”
Meredith si morse il labbro inferiore, soppesando
le parole dell’altro. “Ma non possiamo trovare un modo per far sì che sia Harry
a dirglielo?”
Orion aggrottò le sopracciglia. “Non so Mere… se
quel ragazzo ha in testa una cosa, è difficile fargli cambiare idea…”
pensieroso, si guardò intorno come sperando che l’ambiente circostante potesse
fargli venire qualche idea.
Improvvisamente il suo sguardo si bloccò in un
punto preciso e un largo ghigno gli si dipinse in volto. “Forse ho trovato.”
Meredith lo guardò perplessa, poi volse gli occhi
nella stessa direzione dell’altro, notando GiselleMalfoy e il gruppo di amiche serpeverde parlottare e
ridacchiare a poca distanza.
Sgranò gli occhi prima di voltarsi e prendere
l’altro per le braccia. “Ma sei impazzito?! Vuoi che l’intera scuola lo venga a sapere?”
Ma il ragazzo non smise di sorridere. “Non lo vedi?
È perfetto! Harry non sarà mai in grado di capire chi è che ha fatto partire la
notizia, per quel che ne sa qualcuno potrebbe essere stato presente. Fidati,
entro sera sarà già storia antica, ma chi doveva sentire avrà sentito di
sicuro.”
La Corvonero non era per niente d’accordo, ma anche
dopo qualche secondo di indecisione, non riusciva a vedere altra via d’uscita.
Annuì.
“Fantastico!” rispose quasi euforico Orion, “Allora
tu va pure a lezione – se devo fare una cosa fatta bene, servirà un po’ di
tempo. Ci vediamo a pranzo allora!” la salutò infine, dirigendosi verso il gruppetto
di ragazze.
Meredith sospirò guardandolo allontanarsi e, mentre
si sistemava meglio la tracolla s’una spalla, non riuscì a trattenersi dal
borbottare sotto voce un esasperato “Serpeverdi…”
****
Tom scese le scale del dormitorio sistemando alcuni
libri nella sua borsa, prima di doversi dirigere a lezione. Lanciando uno
sguardo al resto della Sala Comune, assottigliò gli occhi notando che di nuovo non c’era alcuna traccia di
Harry in giro. Ormai aveva cominciato ad abituarsi alle improvvise sparizioni
del ragazzo – spesso in Biblioteca – ma negli ultimi
giorni aveva avuto la netta impressione che l’altro lo stesse volutamente
evitando.
E in effetti non poteva
dargli tutti i torti.
Sospirò sentendo le parole di Orion risuonargli in
testa. Black aveva probabilmente ragione, tentare Harry in quel modo non
avrebbe portato da nessuna parte: Harry non era un ragazzo da una botta e via,
era logico che scappasse invece di correre incontro alla possibilità che i
gesti del Prefetto gli stavano tanto palesemente proponendo.
Per certi versi Tom ne era quasi sollevato.
Sapeva di essere attraente, di avere il fascino
giusto, un corpo perfetto. Lo aveva sfruttato innumerevoli volte nelle più
svariate occasioni, e aveva quindi la prova che non era certo quello a fermare
Harry. No, era probabilmente qualcosa che aveva a che fare con l’alone di
mistero che circondava il ragazzo, uno dei tanti segreti che ilnovizio Serpeverde
non era disposto a rivelare.
E anche solo il fatto che Tom fosse disposto a
soprassedere a tutti quei segreti era indice di quanto stesse impazzendo.
Impazzendo, almeno, gli sembrava la parola adatta.
Quella che era iniziata come curiosità verso un
giovane sbucato fuori dal nulla, era presto degenerata
in qualcosa a cui il Prefetto non voleva dare nemmeno un nome. Ripensando a
tutto quello che era successo da quando l’aveva
conosciuto, Tom si rendeva conto di come si fosse creato da solo la sua stessa
trappola: più aveva indagato, più aveva scoperto nuovi piccoli misteri che lo
avevano spronato a scavare più a fondo, ad avvicinasi un po’ di più, come una
falena attratta da una fiamma.
Si sa, però, che a giocar col fuoco ci si scotta.
Lui, adesso, stava bruciando.
Quella che era iniziata come una sfida a se stesso
e una gara tra chi riusciva a scoprire di più e chi a nascondere più a lungo,
confronto a ciò che era diventato ora non era altro che un pallido ricordo.
Era diventato un fottutissimobisogno.
Bisogno di rivedere quelle iridi di un verde senza
fondo, bisogno di non perdere di vista la finta chioma castana tra le mille
altre teste di studenti, bisogno di sentirne il respiro nel letto accanto al
proprio, bisogno di saperlo solo ed esclusivamente suo.
E poteva mostrarsi noncurante tutte le volte che
Orion circondava con un braccio la vita di Harry per farlo ingelosire, ma la
verità era che mentre i pugni serrati venivano
appositamente nascosti nelle tasche, una maledizione era sempre già pronta
sulla punta della lingua.
Si, forse Black aveva ragione, forse si stava
comportando in modo infantile, ma quel bisogno si
stava facendo sempre più consumante.
Bisogno di sfiorare e toccare con le proprie dita,
bisogno di baciare e leccare ogni centimetro di pelle, bisogno di riconoscere i
sospiri e i gemiti tra il fruscio delle lenzuola, bisogno di vedere quegli
occhi appannati di piacere, magari con la stessa identica espressione che gli
aveva visto in volto quella volta che era uscito dal bagno…
Non era riuscito a rimanere freddo, non era
riuscito a non fare nulla, e seppure il suo comportamento era
stato infantile, senza almeno quelle piccole soddisfazioni di vedere Harry
arrossire, balbettare, girare la testa imbarazzato e frustrato non sarebbe
rimasto sano.
E d’altronde quello che aveva detto ad Orion era
vero: di esperienza se si parlava di sesso ne aveva, e se si fosse voluto
portare a letto Harry in un modo o nell’altro ci sarebbe già riuscito.
Era il timore che non sarebbe stato abbastanza che lo aveva fatto fermare
alle piccole provocazioni, il terrore che una volta provato,
non solo non ne sarebbe rimasto saziato, ma anzi ancora più assuefatto di
prima.
Perché alcune sensazioni che quel ragazzo gli
suscitava erano semplicemente troppo
perché un assaggio potesse essere abbastanza. La possessività
e addirittura – si sentiva disgustato da se stesso anche solo a pensarlo – la protettività con
cui non poteva fare a meno di trattare Harry era disarmante.
“Ah Tom, finalmente ti ho trovato!” una voce lo
distolse improvvisamente dalle sue riflessioni. Alzando lo sguardo, vide Dorea Black, capitano della squadra di Quidditch,
nonché cugina di Orion, attraversare la Sala Comune e venirgli incontro facendo
svolazzare alcuni fogli che teneva in mano.
“Si?” chiese vagamente incuriosito Tom. Non aveva
mai avuto stretti rapporti con quella ragazza, visto che il suo unico rilievo
sociale era dato dal Quidditch, da lui sempre
reputato un’enorme perdita di tempo.
“Ho bisogno che mi firmi questi moduli e che li
porti da Lumacorno.” Rispose
lei una volta che si fu avvicinata.
Tom aggrottò le sopracciglia. Di qualunque pratica
si trattasse, era strano che dovesse occuparsene un Prefetto, solitamente era
compito dei Caposcuola dover firmare le autorizzazioni
come rappresentanti. Prese in mano i fogli e gli diede una superficiale
occhiata, leggendo velocemente.
Ah.
“Come vedi sono i moduli per autorizzare Harry a
farci da allenatore. Mi serve solo la firma di un Caposcuola
o Prefetto prima di portarlo dal Capocasa…”
Tom l’ascoltò distrattamente, sapendo già quello
che gli stava dicendo. Arrivato al terzo foglio però, alzò lo sguardo
sollevando un sopracciglio.
“Questa credo che sia
finita qui per sbaglio, visto che un’iscrizione come Cercatore di scorta, ad
Harry che non ha nessuna intenzione di diventarlo, non serve proprio a niente.”
La ragazza intrecciò nervosamente le dita,
sbuffando. “Oh suvvia Riddle, tu non hai visto come vola quel ragazzo, è un
portento! Non vuoi anche tu che Serpeverde vinca la
Coppa quest’anno?”
Tom rimase impassibile. “Non ce nulla che mi
importi di meno.” Rispose serafico, ma prima che
l’altra avesse il tempo di ribattere, aggiunse “E in ogni caso è già tanto che
firmi per quest’assurda storia dell’allenatore.”
Il viso della ragazza cominciò a prendere un
colorito arrabbiato. “Visto di chi si trattava ho pensato che fosse meglio
farlo vedere a te, ma sappi che sarei potuta anche
andare dal Caposcuola o dall’altro Prefetto!” ribatté lei con foga, “Cos’è,
ancora per quella storia dei Bolidi? Nessuno è mai morto giocando a Quidditch!”
Tom le lanciò uno sguardo gelido. “Primo, senza
l’autorizzazione del diretto interessato – Harry in questo caso – puoi andare
anche dal Preside e nemmeno lui potrebbe farci nulla. Secondo, l’ultima cosa
che ho sentito a proposito di Harry e del Quidditch
era proprio che si stava quasi per spaccare l’osso del collo.”
Ma invece dell’espressione furiosa e frustrata che
si sarebbe aspettato sarebbe comparsa sul volto della Black, il Prefetto rimase
sorpreso nel vedere l’occhiata di sufficienza che gli fu indirizzata.
“Certo che sei proprio un ipocrita Riddle.” Gli sputò contro la ragazza, “Finché si tratta
di qualcosa di cui non te ne frega niente come il Quidditch
fai tanto la mamma protettiva, se invece sono i tuoi stessi cari protetti ad oltrepassare il limite
chiudi un occhio come se niente fosse.”
“Che cosa
hai detto?” sibilò Tom guardandola con un misto di sbigottimento, furia e
confusione. La Serpeverde poteva essere anche un anno più grande di lui, ma per
prendersi certe libertà doveva avere proprio un bel fegato – o essere
immensamente stupida. E poi di che diavolo stava parlando?
Lei lo osservò per qualche secondo, poi un ghigno
soddisfatto le si dipinse in viso. “Non ci posso
credere, non lo sai?” chiese lei tra
il divertito e il sorpreso. “ E dire che ormai la scuola intera ne parla… devi essere
proprio fuori dal giro.”
Il Prefetto serrò la mascella. “Di che stai
parlando?”
“Non ti è arrivata la notizia dell’ultima bravata
di Principe?” disse lei ora sinceramente stupita e, capendo dalla confusione
dell’altro che era evidentemente quello il caso, leggermente impaurita di dover
essere lei la messaggera di una tale notizia.
Vedendo l’espressione del Prefetto però, si
affrettò a parlare. “Ehm, non ho capito bene quanto tempo fa, ma sembra che Alden… beh, si sa che non gli è mai andato giù il fatto che
tu sembri frequentare molto il nuovo arrivato e da quel che ho sentito ci dev’essere stato un piccolo scontro. Un bel gancio destro a
quanto pare, e Evans si è ritrovato il setto nasale in frantumi. Se devo essere
sincera non mi stupisce per niente, mi chiedo solo come mai sia saltato fuori
solo ades- ehi aspetta! Dove vai? Non mi hai ancora
firmato i moduli!”
Ma il ragazzo si era già chiuso l’entrata della
Sala Comune alle spalle e fu solo perché si fu voltato
tanto in fretta che la Serpeverde non fece in tempo a vedere le iridi color
carbone accendersi completamente di rosso rubino.
****
Ci volle un bel po’ di tempo prima che Harry si accorgesse dello strano comportamento di alcuni dei suoi
compagni di classe. Abituato com’era ad essere sempre stato il centro dei
pettegolezzi, fu probabilmente solo perché in quell’ultimo mese non erano mai
stati rivolti a lui che notò quando i mormorii
incominciarono.
Per i corridoi, gruppetti di studenti lo guardavano
e bisbigliavano tra loro, altri smettevano immediatamente di parlare appena si fosse avvicinato e altri ancora gli lanciavano sguardi
comprensivi. Mancavano solo le risatine e si sarebbe quasi sentito a casa.
Inizialmente aveva liquidato la cosa come una sua
impressione: infondo non aveva fatto nulla di straordinario per meritare tanta
attenzione. L’unica cosa che gli veniva in mente era il Quidditch,
ma non poteva davvero essere così
importante… Più passava il tempo e più occhiate
riceveva, però, più cominciava a preoccuparsi: attirare attenzione su di sé era
l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
Inoltre Orion sembrava essere scomparso nel nulla,
e così anche Tom. Beh, in realtà per Tom era lui che lo stava evitando come la peste, ma dato che solitamente se lo ritrovava davanti
ovunque andasse in ogni caso, anche la sua assenza gli pareva piuttosto
insolita. Visto che la cicatrice non aveva smesso di formicolargli un secondo da quando aveva finito il pranzo poi…
Ogni suo dubbio, comunque, fu spazzato via nel
momento in cui, mentre si avviava alla sua seconda ora del pomeriggio, gli
venne incontro un ragazzo che era sicuro di non conoscere affatto.
“Ehm, si?” chiese Harry una volta che il ragazzo
gli si fu piantato davanti.
L’altro si schiarì brevemente la voce ed Harry,
nell’osservarlo, notò lo stemma dell’aquila appuntato al petto della divisa.
“Sono PhilipDalton, Prefetto di Corvonero e beh…” si passò una mano
dietro al collo, a disagio, “volevo chiederti scusa a
nome della Casa per quello che è successo.” Disse, a quanto
pare dando per scontato che il Serpeverde sapesse di cosa stesse
parlando.
Harry, naturalmente, era completamente all'oscuro.
“Sappiamo che non gli stai troppo simpatico e si,
forse non ragiona proprio lucidamente se si tratta di certi argomenti, ma
credimi, non è poi una cattiva persona!” continuò il Prefetto, non riconoscendo
lo sguardo perplesso del suo interlocutore, “Però prenderti a pugni è stato
decisamente esagerato, perfino per Alden.”
Harry si immobilizzò di colpo.
“C-cosa hai detto,
scusa?”
Il Corvonero lo guardò. “Ehm, quale parte?”
L’altro non gli diede retta. “Tu come fai a
saperlo?” gli chiese, non riuscendo a nascondere il tono agitato della voce.
“Oh, io l’ho saputo da JeremyHopkin, a cui credo l’abbia
detto Livio Cohen, che ha sentito Ester e Sandy Lockfly parlarne perché Hanna
Wool aveva…” ma si interruppe vedendo lo sguardo orripilato di Harry aumentare
ad ogni nome. “Beh, è stato un giro un po’ largo, ma non mi stupisce visto che
ne parla quasi tutta la scuola.”
“Tutta la
scuola?” Harry chiese con voce strozzata.
Il Corvonero finalmente notò l’agitazione
dell’altro. “Ehm, quasi tutta?”
offrì.
Ma la mente del Serpeverde non lo stava nemmeno più
ascoltando, occupata a collegare tutti gli strani avvenimenti della giornata. I
bisbigli, il formicolio alla cicatrice, la sparizione di Orion…
Tom.
Senza fermarsi a dare spiegazioni ed ignorando i
richiami, Harry fece immediatamente dietrofront e partì di corsa per il
corridoio, facendo lo slalom tra gli studenti che uscivano dalle classi. Non
sapeva esattamente cosa aveva intenzione di fare, sapeva solo che aveva bisogno
di trovare Tom prima che… prima che potesse succedere qualsiasi cosa.
Arrivato davanti alla classe di Storia della Magia
– l’ora che dovevano avere in quel momento – si piazzò davanti all’entrata,
passando in rassegna tutti i ragazzi già seduti
all’interno in attesa del Professore.
Di Tom nessuna traccia.
Imprecando sottovoce, si fiondò
nuovamente nel corridoio, stavolta diretto verso i Sotterranei: l’unica cosa
che in quel momento poteva aiutarlo a trovare il Serpeverde era chiusa dentro
il suo baule.
****
Tom Orvoloson Riddle.
Harry continuava a ricontrollare la Mappa ogni
pochi secondi mentre correva verso uno dei corridoi
del quinto piano, esattamente dove la vecchia pergamena stava indicando essere
la posizione del Serpeverde. Ma non era il fatto che dal secondo piano – dove
si trovava lui – al quinto ci fosse ancora un bel po’ di strada da fare che lo
stava facendo correre. No, era il nome dipinto esattamente davanti a quello del
Prefetto.
AldenTimothy
Principe.
Battendo tre volte la bacchetta sopra un arazzo, il
ragazzo aprì uno dei tanti passaggi segreti che grazie a quella splendida
invenzione dei Malandrini aveva ormai imparato a memoria: lo avrebbe portato
dritto al quarto piano e, con un po’ di fortuna, forse sarebbe arrivato prima
di…
Prima di cosa?
Per un attimo Harry si immaginò se stesso entrare
come una furia in un aula in disuso solo per trovare
Tom e Alden impegnati a prendere un thé e chiacchierare del tempo.
Poi, pensando che l’adrenalina
gli stesse evidentemente dando alla testa, svuotò la mente da altri
pensieri e si concentrò a salire le scale di pietra il più velocemente
possibile. Una volta sbucato fuori da dietro
un’armatura, si diresse verso la rampa che lo avrebbe portato un piano più in
alto.
Arrivato al quinto piano, percorse tutto il
corridoio col fiatone, ed aveva raggiunto l’angolo quando
una voce – per lui inconfondibile – lo bloccò quasi sul posto.
“Incarceramus!”
Un attimo solo rimase ancora immobile, prima che le
implicazioni di quella parola venissero assorbite dal
suo cervello e lo smossero dalla sua posizione, facendogli voltare l’angolo con
uno scatto.
Davanti a lui Alden era
appeso al muro con le braccia aperte ai lati del corpo, funi invisibili ad
impedirgli di muoversi, mentre con un’espressione supplicante mormorava parole
a raffica.
Di fronte al Corvonero invece, Tom Riddle era ritto
in piedi, con una mano serrata a pugno di fianco al proprio corpo e l’altra
tesa verso il ragazzo al muro, bacchetta ben stretta nella sua presa. Quando
Harry lo vide aprire la bocca, decise che non aveva alcuna intenzione di
scoprire quale incantesimo avrebbero pronunciato quelle labbra.
“Expelliarmus!”
urlò.
Non aspettandoselo, la presa sulla bacchetta di Tom
si allentò quasi senza proteste, lasciandogli compiere un ampio arco nell’aria
prima di finire nella mano tesa dell’intruso. Ma la sorpresa durò poco.
Quando Harry vide il Serpeverde voltarsi per
scoprire chi avesse osato interromperlo, una fitta lancinante alla cicatrice lo
costrinse a piegarsi in due per terra e portarsi una mano alla fronte.
E mentre tentava di contrastare il dolore – un
ginocchio a terra e un braccio a sorreggerlo contro il muro – alzò gli occhi
sul viso di Tom, incontrando le iridi rosso sangue dell’altro.
Per la prima volta da quando era arrivato nel
passato, poté sentire chiaramente il sapore della paura affiorargli in bocca.
A.N.:ok, metà di voi a questo
punto mi vorrà uccidere e l’altra metà sta solo aspettando di leggere le
risposte alle recensioni per farlo. È vero, non ho scuse per questo ritardo. O
per lo meno ce le avrei, ma dubito fortemente che vi
interessino ^^”.
Posso
solo promettervi che il prossimo non ci metterà così tanto.
Passando
a cose più allegre, ho un paio di novità da comunicare: ho creato un blog su msn space dove potrete
vedere (in un angolino in alto a destra) l’avanzamento
delle mie fic, cioè a che punto sono con il nuovo
capitolo, completo di word count. Così potete
controllare che non batta la fiacca :P
È
importante soprattutto perché posterò le risposte alle recensioni lì, così da
non dover occupare spazio inutile alla fine dei capitoli. (i
commenti a quel post saranno però disabilitati, o non capirò più niente se
dovrò rispondere metà a chi recensisce sul blog e
metà a chi lo fa qua).
Ci
sentiamo al prossimo cap, sperando che arrivi molto
più in fretta di quanto non abbia fatto questo.
Altri Personaggi:HermioneGranger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, DracoMalfoy, altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 23.Potere e Non
Potere
Tom poteva sentire un ghigno distorto affiorargli
sulle labbra, mentre ascoltava avido le suppliche del ragazzo incatenato al
muro. Lo osservava distaccato e vagamente divertito, dall’espressione
implorante negli occhi verde acqua al principio di pianto che si poteva vedere
ancorato alle ciglia, sul punto di cadere e scorrere sulle guance.
Tom era furioso. Oh si, era indiscutibilmente furioso. Ma
la sua non era una rabbia che si manifestava in scatti d’ira, pugni alzati e facce
rosse. No, la sua era un veleno gelido: scorreva
lento, ma arrivava sempre a colpire la sua vittima infine. In quel momento
aveva precisamente in mente quello che avrebbe soddisfatto la sua rabbia, e ne avrebbe amato ogni singolo
secondo.
Il ghigno si allargò. Si sentiva… libero: il ragazzo davanti a lui era
completamente alla sua mercé, incapace di muovere un
solo muscolo fino a che Tom non glielo avesse permesso, costretto all’unica
possibilità di piangere e supplicare.
Quello era ciò che Tom era nato per fare.
Quello era potere.
Lo poteva sentire scorrergli lentamente nelle vene
come una colata di dolcissimo miele, lasciandogli un formicolio lungo ogni
arto, dalla punta dei capelli ai polpastrelli. La bacchetta che stringeva tra
le dita stava fremendo per essere
utilizzata.
Quanto tempo era che non si sentiva così? Troppo, maledizione… ma non aveva nemmeno importanza, non
quando era lì, bacchetta in mano e vittima appositamente immobilizzata ai suoi
piedi.
Una piccola vocina nel retro della sua mente, però,
era qualche tempo che stava provando insistentemente a dirgli qualcosa: ma perché vuoi tanto fare del male ad Alden? Per vendetta, certo, ma… beh, il motivo
particolare non riusciva più a ricordarselo bene, ma non aveva poi così tanta
importanza. Si sentiva inebriato, sensazioni travolgenti di supremazia e potere
si rincorrevano per tutto il suo corpo e non riusciva a pensare a nulla di più
importante.
Scrollò mentalmente le spalle, tornando ad
ascoltare quasi rapito i lamenti e le preghiere del Corvonero. Mmh, per cominciare cosa avrebbe usato? Una fattura? No,
troppo poco teatrale. Direttamente un Cruciatus? Mmh, le urla avrebbero
attirato troppa attenzione…
La vocina di prima tornò a di
farsi sentire, più veemente di prima: questo suo comportamento non era normale, aveva cercato quel ragazzo per
un preciso motivo, certamente non pacifico ma di sicuro importante. Che senso aveva torturarlo senza nemmeno tenere il conto del
perché?
Infastidito Tom, ricacciò quella piccola coscienza
– e da quando poi se n’era creata una?
– nel fondo della mente, tornando a concentrarsi
sull’incantesimo che avrebbe avuto il piacere di usare per primo. Gli
occhi scarlatti scintillarono di una luce crudele.
Ah si, questo
è perfetto…
Avendo già le parole sulla punta della lingua, alzò
la bacchetta sul ragazzo immobilizzato, per un attimo gustandosi l’espressione
disperata che si riflesse sul volto dell’altro.
E fu proprio in quel momento
che se la sentì volare via dalle mani all’urlo di un “Expelliarmus!”
Per un attimo Tom rimase immobile, ma dallo sguardo
di rinnovata paura che gli stava rivolgendo Principe poteva immaginare come la
sua espressione dovesse essere niente meno che
terrificante.
Con movimenti lenti, studiati, fece un passo
indietro e, finalmente, si voltò a vedere chi aveva osato interromperlo.
Harry.
Il ragazzo era a pochi metri di distanza, la
propria bacchetta sguainata in una mano e quella di Tom fermamente stretta
nell’altra, le gambe divaricate e leggermente piegate in posizione di difesa.
E uno sguardo come
implorante sul volto, tanto che gli sembrava quasi di sentire le parole che
stava cercando di comunicargli: “Ti
prego, non farlo”. Sebbene il Corvonero
immobilizzato al muro avesse già espresso ad alta voce parecchie preghiere di
quel genere, non poteva esserci nulla di più diametralmente opposto tra le due
suppliche.
La vocina che tanto aveva cercato di farsi sentire
negli ultimi minuti lanciò un grido – osava
ammetterlo? - sollevato: Harry!
Harry. Era per Harry che era andato a cercare Alden, era per Harry che lo aveva incatenato al muro, era
per Harry che voleva fargliela pagare tanto. Lo stava facendo per Harry. Per
Harry.
Come tutto quello che faceva da un mese a quella
parte.
Le dita delle mani di Tom si strinsero in due pugni
ai lati del corpo. Tutto faceva
sempre capo ad Harry: da quando lo aveva incontrato
ogni sua giornata iniziava pensando a Harry,
ogni sua azione teneva sempre in conto di Harry,
sempre Harry HarryHarry
Anche una cosa così semplice,
così banalecome vendicarsi su uno
dei tanti studenti della scuola, una cosa che aveva già fatto innumerevoli
volte, doveva essere per forza
incentrata su Harry.
Chi mai, quindi, avrebbe tentato di fermarlo se non
Harry?
Perché anche a fermarlo era sempre Harry.
Rabbia – bollente, consumante rabbia – gli ribollì nello
stomaco, salendogli velocemente nel petto, gonfiandogli i polmoni e
infiammandogli il cuore.
Con uno sguardo gelido tornò a fissare la figura in
piedi a qualche metro di distanza, registrando appena il fatto che il ragazzo
fosse improvvisamente caduto in ginocchio portandosi una mano alla fronte con
una smorfia di dolore.
Così era ridotto Tom Riddle? Dov’erano
finiti tutti i suoi piani, i suoi progetti? Come aveva potuto un semplice
ragazzino fermare l’erede di Serpeverde?
Tutte le sue ambizioni… perché gli suonavano così lontane ora, come se fosse stato tantissimo tempo che non ci
pensava più? Il suo sogno più grande, quello di abbandonare il disgustoso nome
babbano che si ritrovava e ricomparire al Mondo Magico sotto le spoglie del più
potente mago che avesse mai messo piede sulla terra, con un nome di cui la
gente avrebbe avuto il terrore solo a nominare, un anagramma così perfetto che
faceva quasi pensare fosse opera del destino…
Quell’assaggio di potere per il quale aveva appena
avuto il tempo di gustare, prima che Evans fosse venuto a
interromperlo, gli aveva ricordato quali fossero i suoi veri obbiettivi.
E un insulso ragazzetto non
ne faceva parte.
“Accio bacchetta!”
Per la seconda volta nel giro di qualche minuto, la
bacchetta di Tom compì un ampio arco e sfrecciò nel palmo aperto del
Serpeverde.
Tom osservò con occhi assottigliati Harry alzarsi
nuovamente in piedi, lasciando l’appoggio del muro e riuscendo a rimanere
stabile, nonostante il lieve tremore alle gambe. Per la prima volta non gliene
fregava niente di sapere il motivo di tanto sforzo.
Harry, a quanto pareva invece, era assolutamente
convinto che ci fosse bisogno di chiarire qualcosa.
“Tom, ascolt–”
“Reducto!”
Evidentemente preso alla
sprovvista, l’altro ragazzo fece appena in tempo a rotolare da un lato per non
farsi prendere in pieno dall’incantesimo. Tom lo vide issarsi in ginocchio e
alzare la testa verso di lui, uno sguardo incredulo e vagamente impaurito
dipinto a chiare lettere sul volto.
“Tom! Che cosa stai face–”
“Confringo!”
Questa volta, grazie agli istinti probabilmente
messi all’erta dall’ultimo attacco, uno scudo magico si materializzò
immediatamente di fronte a Harry, facendo rimbalzare la maledizione contro il
muro sinistro del corridoio, facendo sfrecciare frammenti di pietra ovunque.
I loro occhi si incontrarono
per un interminabile istante, rosso cremisi contro nocciola fasullo.
Poi scattarono all’unisono.
“Impedimenta!”
“Lacero!”
Tom deviò con facilità l’attacco dell’altro e vide
Harry schivare il suo perché – al contrario di quel patetico incantesimo del
quarto anno – la sua maledizione non poteva essere respinta da alcuno scudo. In
pochissimi istanti però, il ragazzo era di nuovo pronto in posizione di difesa.
“Petrificustotalus!”
“Deprimo!”
urlò lui di risposta, bloccando con un Protegonon
verbale l’incanto della pastoia. Tom vide l’altro ragazzo materializzare uno
scudo dal colore rossastro che non aveva mai visto prima con un semplice
movimento del polso, e dovette ricordarsi di quanto fosse
davvero potente il suo avversario. Era piuttosto facile dimenticare, con l’aria
riservata che mostrava tutti i giorni, che il ragazzo avrebbe potuto fare
concorrenza ad un Auror.
Ma allora perché stava usando
solo incantesimi innocui?
“Incendio!”
la voce di Harry lo distolse da quell’attimo di distrazione che gli costò caro.
Un lembo della divisa del Prefetto andò in fiamme, e nel tempo che ci volle per
pronunciare l’incantesimo per spegnerla, l’altro ragazzo si era
già mosso.
“Stupeficium!”
Tom riuscì all’ultimo momento a deviare
l’incantesimo, facendolo schiantare contro il muro, involontariamente ad appena
qualche centimetro dal viso di Alden,
facendogli cadere in faccia una pioggia di detriti. Fu con immenso piacere che
il Serpeverde osservò l’espressione inorridita di Harry al lamento di dolore del ragazzo incatenato: la sua prossima mossa era fin troppo
ovvia…
E infatti Harry indirizzò
immediatamente la bacchetta contro Principe: “Protego!” urlò, e uno scudo azzurrino avvolse completamente il ragazzo.
Quell’azione però, l’aveva appena lasciato
completamente scoperto.
Tom non perse tempo, puntò la bacchetta verso i
frammenti di pietra che giacevano per terra a causa dei loro incantesimi e
gridò: “Oppungo!”
Le pietre levitarono e sfrecciarono in direzione di
Harry che, preso alla sprovvista, dovette accucciarsi
per schivare i primi proiettili. Ma altri ne arrivavano
e il ragazzo fu costretto a rotolare da un lato e nascondersi dietro
un’armatura.
Fu a quel punto che Tom si mosse: si lanciò in
avanti, trovando l’angolazione giusta per non avere
l’armatura davanti al suo bersaglio e puntò la bacchetta:
“Diffindo!”
Vide il getto di luce rossa lampeggiare verso Harry
e gli occhi del giovane spalancarsi per una frazione di secondo prima che si decidesse a spostarsi.
Ma non abbastanza
velocemente.
Un sibilo di dolore si fece
strada tra i denti del ragazzo, mentre si portava una mano alla spalla colpita
dove, nel punto in cui la maledizione aveva lacerato la manica della divisa, si
poteva vedere un profondo taglio cominciare a sanguinare abbondantemente.
A quella vista Tom scoppiò
a ridere.
Una risata malsana, senza
alcuna spiegazione se non la gioia perversa di essere riuscito a ferire il
proprio avversario.
Una risata che anche alle sue orecchie stonava in maniera orrenda, ma che il
petto non riusciva a frenare in alcun modo.
Un altro sibilo di dolore lo riportò a guardare il
ragazzo davanti a sé, che ora si era lasciato la spalla per tenersi la fronte
con una mano, dove cominciava ad intravedersi la forma di una cicatrice a
saetta. Tom osservò l’illusione che sapeva coprire sempre il vero aspetto di
Harry svanire lentamente, scoprendo al suo posto una zazzera di capelli nero
inchiostro.
Se l’illusione stava svanendo, voleva dire che le riserve del ragazzo stavano lentamente venendo
meno. Il ché voleva dire che Tom stava vincendo, era
solo una questione di tempo ormai.
Con somma delusione del Prefetto però, Harry si
rizzò un’altra volta in piedi e, senza alcuna esitazione,
sguainò nuovamente la bacchetta. “Confundo!”
Tom dovette rotolare da un lato per schivare
l’attacco, maledicendo la sua distrazione. Stava anche velocemente perdendo la
pazienza: per uno che sapeva lanciare solo incantesimi del quinto anno in giù, il
suo avversario stava durando fin troppo sotto i suoi colpi.
Il Serpeverde vide un’altra sua maledizione
rimbalzare sullo scudo dell’altro, mentre pensava ad un modo per finire in
fretta il combattimento: davvero, aveva cose più importanti da fare. Primo fra tutte un certo Principe ancora incatenato, pronto a
ricevere qualunque tortura.
Fu preso di sorpresa però, quando vide Harry
lanciarsi in avanti con uno scatto. Per un attimo fu sicuro che avesse
intenzione di ingaggiare un corpo a corpo, ma quando lo
vide alzare la bacchetta, ormai si era accorto troppo tardi della finta.
“Repello!”
L’incantesimo colpì Tom in pieno petto,
scaraventandolo contro il muro in fondo al corridoio. L’impatto con la dura
parete di pietra gli tolse tutto il fiato dai polmoni, lasciandolo per un paio
di secondi a boccheggiare sul pavimento.
Quando si riprese però, fu
con una nuova ondata di furia che fissò le sue iridi vermiglie sulla figura del
suo avversario.
Adesso basta.
Non si rese nemmeno conto che l’altro ragazzo si
era accasciato nuovamente a terra tenendosi la testa tra le mani, cercando di
soffocare i gemiti di dolore. Il Serpeverde si alzò nuovamente in piedi,
ignorando le fitte alla schiena, e si avvicinò con fredda risoluzione alla
figura del suo compagno di stanza.
Furono occhi scarlatti e voce gelida a pronunciare
l’incantesimo seguente.
“Imperio.”
Per Harry ci fu appena in tempo di alzare la testa
in un singulto sorpreso, che la maledizione senza perdono lo colpì.
Sul volto di Tom si aprì un ghigno soddisfatto:
quella era la fine dei giochi, ora non avrebbe dovuto fare altro che dare un
semplice comando e l’altro ragazzo avrebbe fatto qualunq…
Tom… che cosa
hai fatto?
Per la prima volta la vocina nella sua testa aveva
usato un tono di voce bassissimo, ma Tom non l’aveva
mai sentita tanto chiaramente.
E vedere quegli occhi di un verde tanto acceso
velati e appannati, come se tutta la vitalità, l’energia, la vita, gli fosse stata strappata via, lo
colpì più forte di qualunque schiantesimo.
Fece un passo indietro e fu come aprire gli occhi
dopo un lungo sogno. Dio santo, cosa stava facendo? Cosa
aveva fatto? Era… non riusciva nemmeno a spiegarselo, cosa gli era preso?
Quando aveva saputo che Alden aveva osato attaccare Harry era andato su tutte le
furie, lo aveva subito cercato e scovato, lo aveva portato in quel corridoio
deserto con un pretesto idiota, l’aveva immobilizzato e poi… poi…
Poi si era lasciato inebriare da quella sensazione
di potere, avere il controllo completo della situazione e un altro essere umano senza alcuna difesa totalmente in suo dominio, essere
libero di farci tutto quello che avesse voluto. Un brivido
gli percorse la schiena al ricordo di quelle sensazioni, ma se fosse
stato uno di piacere o di disgusto non era più in grado di definirlo.
Come aveva potuto dimenticare persino il motivo
dietro a quello che stava facendo? E anche quella sua risata, una risata da
folle, che aveva lo inorridito già dal momento in cui
gli era uscita dal petto… che cosa gli era successo?
Quando era arrivato Harry…
Harry!
Tornò a guardare con occhi orripilati il profondo
squarcio sulla spalla del ragazzo, da cui il sangue stava ancora scendendo a inzuppare la divisa, arrivando fino alla mano in due
rigagnoli rossi e gocciolando per terra dalla punta delle dita.
Sono stato io… Sono stato io a
causargli quella ferita…
Sono io ad
averlo messo sotto Imperius.
Checosa aveva fatto?
Una risata accennata lo riportò alla realtà. Si
voltò alla ricerca del suono, verso il muro dove Alden
era ancora immobilizzato, ma l’unica cosa che poteva vedere sul suo volto era
un’espressione di shock, paura e un rivolo di sangue che gli scendeva da una
tempia. Sicuramente, non stava ridendo.
Tom voltò lentamente la testa verso la figura
ancora accucciata di Harry da dove – ora lo vedeva – proveniva la risata.
Il ragazzo aveva la testa abbassata, lo sguardo
celato dietro ciuffi di capelli color inchiostro, e le sue spalle venivano scosse da quel quieto eccesso di risa che piano piano si stava facendo sempre più forte.
Una risata senza la minima ombra di
allegria, una risata vuota, con una nota appena accennata di sconforto
e… tristezza.
Tom fece appena in tempo a chiedersi come fosse
possibile che Harry si potesse muovere anche sotto Imperio, quando
improvvisamente la testa dell’altro si alzò.
Gli occhi smeraldo si fissarono
direttamente nei suoi, inchiodandolo sul posto: per la prima volta, gli occhi
che aveva tanto amato erano più gelidi dei suoi.
“Questo non avresti dovuto
farlo… Voldemort.”
*** *** ***
Harry si fiondò dietro
un’armatura alla sua sinistra, cercando di schivare la pioggia di proiettili
che gli venivano scagliati addosso. Appiattito al
muro, si concesse un secondo per riprendere fiato: tra il tintinnio di roccia
contro metallo e il battito frenetico del suo cuore non sapeva cos’era che gli
rimbombava più nelle orecchie.
Dio,
come erano finiti a quel punto? Tom… Tom lo stava
attaccando! Cosa…? Come era successo?
E perché ne sei tanto sorpreso poi? Una vocina gli sussurrò, È Tom Riddle, avresti
dovuto tenerla in conto come possibilità, no?
Ed aveva perfettamente ragione,
ma Harry dovette ammettere che non c’era cosa che si sarebbe aspettato
meno di quella: solo ora si rendeva conto di quanto avesse davvero diviso Tom
Riddle da Voldemort.
Invece adesso quegli occhi…
Il dolore alla cicatrice era ancora lancinante, un
continuo promemoria di ciò che stava accadendo. Era tantissimo tempo che non
sperimentava quella familiare tortura, tanto che da quando era arrivato, si era
talmente abituato alla pace del passato da dimenticarsi quanto la sua cicatrice
potesse bruciare.
Distratto dai suoi pensieri, non notò Tom cambiare
posizione fino a che non vide il fascio di luce rossa della maledizione puntare
dritto verso di lui. Sgranò gli occhi sorpreso, prima
che l’istinto scattò e lo portò a rotolare da un lato.
Un secondo troppo tardi.
Soffocò l’urlo che minacciò di uscirgli dalla gola quando sentì la maledizione lacerargli la carne del
braccio, lasciandosi andare solo ad un sibilo di dolore. Si portò una mano alla
spalla, sentendo il sangue uscire dal profondo taglio e sgorgare attraverso le
sue dita, imbrattando la manica strappata della divisa.
Stranamente, il primo pensiero che gli venne alla
mente fu cosa avrebbe detto Moody se l’avesse visto in quel momento: se fosse stata una vera
battaglia e quell’incantesimo un AvadaKedavra, sarebbe già morto.
Come aveva fatto a rammollirsi tanto?
No, è che da
Tom non te lo saresti mai aspettato. Non avresti mai pensato che ti avrebbe
ferito veramente.
Per quanto assurde quelle parole gli suonavano, si
accorse che erano la pura verità: non aveva alcun senso, ma
Harry realizzò di essere arrivato a dare talmente tanta fiducia a quel ragazzo,
da non credere che Tom l’avrebbe mai ferito volontariamente.
Una risata improvvisa lo distolse dai suoi
pensieri. Un suono che gli fece correre brividi lungo la
schiena e gli ghiacciò le ossa, prima che il dolore alla cicatrice
raddoppiasse d’intensità, sovrastando qualunque altra sensazione.
Harry cadde in ginocchio, lasciandosi la spalla per
tenersi la testa tra le mani, pregando che il bruciore si spegnesse e
quell’orribile risata svanisse.
Tom non era in sé e lui doveva fare qualunque cosa
per fermarlo, per impedirgli di compiere una sciocchezza e farlo tornare
normale. Ma come fare senza rischiare di ferirlo? Fino
ad ora Harry aveva usato solo incantesimi fondamentalmente innocui, con
pochissimi risultati.
Ma l’idea di quegli occhi
rossi non tornare mai più al loro profondissimo nero, l’idea di perderlo a
quella follia che sarebbe stata sempre presente da lì a cinquant’anni…
Harry si rizzò nuovamente in piedi nonostante il
dolore e, puntando nuovamente la bacchetta verso Tom, tornò a contrattaccare.
“Confundo!”
L’altro ragazzo, probabilmente preso alla
sprovvista, fu costretto a rotolare da un lato per evitare l’incantesimo. Fu
subito pronto a scagliare un’altra maledizione, che Harry riuscì facilmente a
bloccare in tempo.
I movimenti dell’altro avevano cominciato a farsi
meno studiati e più immediati, tanto più il Prefetto andava a corto di
pazienza. Vedendo una possibile breccia in questo, Harry
cercò un diversivo, lanciandosi a testa bassa verso il ragazzo come se lo
avesse voluto caricare di peso.
Vide gli occhi di Tom
spalancarsi sorpresi, prima che, finta riuscita, la maledizione di Harry
scaraventasse
il Serpeverde contro il muro opposto del corridoio, facendogli colpire la dura
pietra con un tonfo sordo.
Fu con una punta di preoccupazione che il ragazzo
vide il Prefetto accasciarsi per terra, cercando di far tornare in funzione i
polmoni. Quando però Tom si fu ripreso, furono due furiose iridi scarlatte a incatenargli lo sguardo, lampeggiando di rabbia.
La sua cicatrice tornò ad infiammarsi, più
straziante di prima. Harry cadde nuovamente in ginocchio, non riuscendo a
trattenere un gemito mentre si teneva la testa tra le
mani. Nel dolore, riuscì a registrare i movimenti di Tom, che
si era alzato e gli si stava avvicinando a passi lenti. Avrebbe dovuto
alzarsi, muoversi, cercare di difendersi, ma gli spasimi di dolore provenienti
dalla fronte erano tutto quello che il suo cervello
riusciva a concepire.
Vide attraverso le dita delle sue mani Tom fermarsi
ad appena due passi di distanza e sollevare la bacchetta.
Quando lo sentì pronunciare l’incantesimo, però,
non fu dolore ma shock a impedirgli di muoversi.
“Imperio.”
La sensazione di vuotò lo
colpì, e tutto svanì – letteralmente – per incanto: niente più dolore alla
spalla, niente più dolore alla cicatrice, niente più stanchezza, niente più
preoccupazione, nulla.
E per qualche secondo Harry si abbandonò al più
totale sollievo del non dover più
sentire tutti i nervi delsuo corpo in fiamme. Non avrebbe voluto fare altro che
abbandonarsi a quella sensazione di vuoto che gli avrebbe tolto dalle spalle
qualunque problema.
In quel momento, avrebbe dato qualunque cosa per
non essere in grado di scrollarsi di dosso l’Imperio come se fosse acqua.
Con un ultimo sospiro, si concentrò sulle sue vere
sensazioni e in pochi secondi sentì la maledizione scivolargli via dalla pelle.
E tutto quanto ritornò.
Ancora in ginocchio, si lasciò cadere la testa in
avanti, qualche ciocca nera a coprirgli lo sguardo.
Tom lo aveva colpito con la maledizione Imperio. Una maledizione senza perdono.
Come una pioggia gelata, Harry capì improvvisamente
che non era più questione di impedire a Tom di commettere la sciocchezza di
vendicarsi su Alden. Quello che aveva davanti non era
più Tom: adesso, si trattava di proteggere un innocente da Voldemort.
E per quello scopo, Harry
era stato addestrato da una tutta una vita.
Il verso che si sentì affiorare dalla gola
assomigliava talmente tanto ad un singhiozzo, che per un attimo fu convinto di
esser sul punto di scoppiare in lacrime. Ma invece del
pianto fu una risata vuota e disperata a fuoriuscire dal suo petto, rimbombando
tra le pareti del corridoio. Alzando gli occhi sulla figura in piedi di fronte
a sé, non si accorse nemmeno che il dolore alla cicatrice era completamente
svanito.
L’unica cosa che vedeva, ora, era un nemico.
“Questo non avresti dovuto
farlo… Voldemort.”
L’ultima cosa che registrò, prima che il corridoio venisse illuminato dalle luci degli incantesimi, fu lo
sguardo shockato di Tom.
Un lampo di luce blu e il Prefetto si ritrovò nuovamente scaraventato contro la parete. Accusando per due volte di fila il colpo nello stesso punto, ci
mise un po’ a tirarsi su in ginocchio, posizione dalla quale dovette
immediatamente rotolare di lato per evitare altre due maledizioni. Uno
dei due fiotti di luce rossa, una volta colpito il
pavimento, cominciò a corrodere la pietra come un acido, lasciando una piccola
fossa a testimone.
Se Harry notò lo sguardo
orripilato che gli lanciò Tom, non vi dette peso.
Non c’era alcun pensiero nella sua testa se non
quello del combattimento, e poteva solo immaginare come dovesse sembrare la sua
espressione dall’esterno. Come una statua greca: impassibile
e fredda nella sua potenza.
Tom intanto era riuscito ad alzarsi e, puntando la
bacchetta contro alcuni dei detriti lasciati per terra
dalle loro esplosioni, aveva trasfigurato i pezzi di pietra in un muro eretto
come protezione, frapposto tra lui e Harry.
Harry però non si scompose: un’occhiata, un
movimento della mano, e la parete andò subito in mille pezzi, facendo schizzare
frammenti di granito ovunque. L’espediente del muro aveva però dato a Tom il
tempo necessario per prepararsi: appena la parete si fu sgretolata, già aveva
puntato la bacchetta.
“Impedimenta!”
Distrattamente, mentre bloccava anche quell’ultima
mossa, Harry notò come le parti sembravano essersi invertite, Tom ad usare
incantesimi innocenti e lui a contrattaccare. E forse
quella scintilla di preghiera, negli occhi dell’altro, poteva anche essere
stata autentica, ma non era a fidarsi di Voldemort che era stato addestrato.
Con un movimento lento e calcolato alzò la
bacchetta e un getto di luce bianca scaturì dalla punta
diretto verso l’altro, tagliando nel Protego del ragazzo come un
coltello nel burro tiepido. Tom fece in tempo a sgranare gli occhi e cercare di
togliersi dalla traiettoria prima che l’incantesimo arrivasse
a destinazione e gli avvolgesse l’intero braccio sinistro.
Harry osservò il Serpeverde stringersi l’arto
appena colpito, ricordando – al sibilo di dolore dell’altro – quale fosse l’esatto effetto di quella particolare fattura:
centinaia di spilli che perforano la carne, che si sarebbe creduto arrivassero
fino all’osso, se non fosse che la pelle rimaneva assolutamente immacolata.
Una comoda maledizione che il Ministero aveva
accuratamente evitato di catalogare tra le Arti Oscure, giusto perché – se la Cruciatus era illegale – durante gli interrogatori avevano
bisogno di un qualche mezzo per far parlare gli imputati.
Non c’era tempo però di farsi scrupoli in
battaglia: l’obbiettivo era di rendere il nemico inerme il più in fretta e il
più efficacemente possibile, e quell’incantesimo era
solito funzionare bene per tutte e due le necessità, soprattutto perché
qualunque parte del corpo dell’avversario fosse stata colpita, sarebbe stata
resa inutilizzabile.
Purtroppo il braccio centrato non era quello con
cui Tom usava la bacchetta, e Harry non poteva permettersi di correre rischi.
Mentre l’altro ancora
cercava di ignorare il dolore e ricomporsi, Harry tornò nuovamente all’attacco
e, cominciando a camminare verso il ragazzo, urlò: “Repello!”
Per la terza volta la forza dell’incantesimo scaraventò Tom contro il muro, ma al contrario delle volte
precedenti il Prefetto non si rialzò in piedi. Harry lo vide accasciarsi per
terra dopo l’impatto, la schiena appoggiata alla pietra come se fosse stata
l’unica cosa a tenerlo eretto e il petto che si alzava e abbassava con sforzo,
come se l’ossigeno che vi entrava non fosse stato mai abbastanza.
Accertatosi che il
Serpeverde non si sarebbe mosso tanto in fretta, Harry percorse la distanza che
lo separava dall’altro ragazzo a passo deciso, oltrepassando Alden ancora ancorato al muro e ignorando i suoi lamenti. Arrivato ad un passo di
distanza si fermò: il respiro di Tom era ritornato normale, sebbene non stesse
dando alcun segno di volersi rialzare; teneva la testa voltata da un lato, il
braccio sinistro giaceva accasciato accanto al suo fianco, mentre quello destro
– sebbene anch’esso inerte – stringeva ancora la bacchetta nella mano.
Finché ci fosse stato anche il
minimo rischio di un attacco, Harry non poteva lasciare andare il proprio
avversario: regole standard da primo livello per Auror.
Guardò la figura a terra davanti a sé e sollevò la
bacchetta. Un semplice schiantesimo a quel punto sarebbe bastato, non serviva nulla di più complicato.
Fu quando aveva già le prime sillabe
sulla punta della lingua che Tom alzò la testa, e un flebile sussurrò risuonò
nel corridoio.
“Harry…”
Harry si fermò, l’incanto morto in gola, mentre lo
sguardo si posava sugli occhi dell’altro. Benché una parte di
lui lo stesse incitando a finirla in fretta e a schiantare il nemico una
buona volta per tutte, un’altra aveva riconosciuto quel tono di voce e fissava
il viso del ragazzo con un’intensità frenetica, per cercare una minima prova in
quelle iridi rosse che –
– che non erano più rosse.
Verde e nero si incontrarono,
e con loro la realtà tornò a farsi sentire in tutto il suo peso.
Tom.
Fu un sollievo amaro che quella parola sussurrata
nella mente di Harry portò: sollievo nel tornare a vedere il Prefetto in sé e
una schiacciante disperazione che gli bloccava l’aria nei polmoni nel dover
ammettere che nell’essere che gli aveva lanciato una maledizione senza perdono
c’era qualcosa del suo Tom.
Qualcosa a metà tra un gemito e un sospiro si fece strada tra le sue labbra, impossibile da trattenere.
Tom aprì nuovamente la bocca per parlare, ma la richiuse
di scatto quando vide la bacchetta di Harry sollevarsi per l’ennesima volta
contro di lui.
Ma sebbene fosse il Prefetto
quello a terra, tra i due non era lui il più stanco di combattere.
“Finite Incantatum.”
Tom si portò una mano al braccio
sinistro, ora completamente sollevato dalla sensazione di essere
infilzato da centinaia di spilli. Aprì la bocca, non ne uscì nulla, la richiuse.
La tentazione di Harry era quella di lasciarsi
cadere sulle ginocchia, abbandonare la bacchetta, allungare le braccia,
prendere tra le mani il viso di Tom, guardarlo in quelle torbide iridi nere e sussurrare…
E adesso cosa facciamo, Tom?
E l’avrebbe fatto, se solo
non fosse stato così spaventato dalla risposta.
Si voltò invece, e cominciò a camminare verso il
punto dove Alden era ancora immobilizzato alla
parete; in un batter d’occhio ripeté l’ultimo incantesimo e il Corvonero cadde
a terra con un tonfo, non più sostenuto dalle corde invisibili.
Concentrò tutta la sua attenzione su di lui,
osservandolo tirarsi su a gattoni e poi seduto
massaggiandosi i polsi, perché qualunque cosa era meglio che pensare ad un
altro ragazzo, seduto in una posizione del tutto simile, ad appena qualche
metro di distanza. Ma se si era aspettato clemenza o – che Dio volesse –
addirittura riconoscenza da parte di
Principe, rimase decisamente deluso.
“Tu…” lo sentì sussurrare dalla sua posizione, e
non c’era modo di scambiare quell’emozione con nient’altro che rabbia, “chi
diavolo sei?!” esclamò, alzando il viso per poter
guardare dritto in faccia Harry. “Chi…? Chi
diavolo sei per poter entrare così nelle nostre vite?!”
finì con l’urlare, mentre si alzava in piedi appoggiandosi al muro, “Arrivi dal
nulla e sconvolgi qualunque cosa! E nessuno sa né da
dove vieni, né perché sei venuto qua! Néchi diavolo sei!”
Harry poteva solo guardarlo, la mente vuota o
troppo piena, non ancora venuta a patti con tutto quello che era accaduto
nell’ultima ora.
“Perché hai voluto
rovinare tutto? Cosa… cosa vuoi da noi?” continuò
abbandonando il tono rabbioso, sostituendolo con qualcosa di gran lunga
peggiore, “Vorrei solo che mi lasciassi in pace… Vorrei solo che ci lasciassi in pace…”
Guardando il suo viso, dove le deboli ciglia non
erano riuscite, infine, a trattenere del tutto le lacrime, Harry capì esattamente perché anche dopo tutto quello che gli
aveva fatto, dopo il pugno e le minacce, non era mai riuscito realmente ad
odiare Alden Principe: era solo un ragazzo
innamorato.
Glielo si leggeva negli occhi, nel tono della voce,
nei pugni stretti ai fianchi. Glielo si leggeva nella postura delle spalle, nel
modo in cui si era girato per poter tenere d’occhio sia lui che
Tom, nel modo in cui i suoi occhi continuavano a saettare verso il Prefetto,
nonostante lui non stesse facendo niente.
Glielo avevano detto, gliel’aveva detto Orion,
gliel’aveva detto praticamente lo stesso Alden, ma era una cosa completamente diversa vederlo lì,
con i propri occhi.
E chi era lui per mettersi
in mezzo? Principe… Principe aveva ragione, non aveva
alcun diritto di sottrargli qualcosa di così prezioso. Amore: era esattamente
ciò di cui Tom aveva bisogno, ciò che avrebbe potuto salvarlo, e Alden era disposto a donarglielo incondizionatamente.
Voleva davvero rovinare tutto? Doveva farsi da parte, doveva
fare come gli aveva detto il Corvonero, lasciarli in pace, doveva–
“Non posso.”
Alden alzò la testa verso di lui
e Harry rispose allo sguardo sgranando gli occhi, sorpreso dalle parole uscite
da sole dalla sua stessa bocca, completamente opposte a ciò che stava pensando.
E le mani gli tremavano, perché Dio, non c’era nulla di più verodi quelle
parole.
Si voltò verso Tom, ancora seduto contro il muro,
il cui sguardo non lo aveva mai lasciato e si trovò a ripetere:
“Non posso.”, questa volta quasi in un sussurro.
Non poteva. Non gli serviva nemmeno guardare Tom
per rendersene conto, lo sapeva anche inconsciamente, se lo sentiva in ogni
arteria, in ogni organo, in ogni respiro. Non gli
serviva guardare Tom per saperlo, ma ora che i suoi occhi erano ancorati alla sua figura gli era impossibile convincersi del contrario.
Non avrebbe mai potuto farsi da parte, non avrebbe
mai potuto allontanarsi da Tom, non avrebbe mai potuto lasciare –
Il ragazzo di cui si era innamorato.
Un respiro gli si smorzò in gola. Il ragazzo di cui si era innamorato… Non
staccò gli occhi da quel viso, così bello anche in quel
momento che era ricoperto di polvere e un rivolo di sangue gli colava da una
tempia. Non staccò gli occhi da quegli occhi,
così neri adesso in confronto al vermiglio che avevano
indossato pochi minuti prima, che aveva visto impassibili, ridenti, furiosi,
preoccupati…
E diavolo, doveva essere
stato proprio stupido ad averlo
afferrato solo ora, ora che era tutto un casino, ora che non sapeva più cosa
fare. Ma almeno aveva capito, adesso. E
non poteva più tornare indietro.
Con un verso strano, a metà tra una risata e un
singhiozzo, gli ritornarono alle labbra le stesse parole:
“Non posso.”
Con le mani ferme, adesso non più tremanti, si girò
verso Alden, che lo fissava spaesato e furioso. “Mi
dispiace.”gli disse, con
sguardo ammorbidito, di qualcuno che aveva realizzato di condividere la stessa
dolce tortura.
Poi girò su se stesso e iniziò a correre.
A.N.:ok, sono pronta per la
gogna pubblica adesso. Si, non c’è alcuna scusa per il ritardo mostruoso. No,
non ho alcuna intenzione di abbandonare la fic.
Mi
dispiace davvero, davvero, se vi ho fatto un po’ penare. Sorry.
Vabbeh, tornando a parlare del contenuto, non avevo davvero idea di
quanto fosse faticoso scrivere una scena d’azione: non
sei mai sicuro che sia venuta fuori nel modo giusto, vorresti descrivere tutto
nel modo più perfetto, ma non puoi soffermarti nelle descrizioni o spezzeresti
il ritmo veloce necessario. Frustrante.
A
parte questi problemi tecnici, la Svolta – come avevo già
detto – è prossima. E all’alba del 24° capitolo sarebbe anche l’ora XD
Le
risposte alle recensioni saranno, come al solito, sul
mio blog. Appena le posterò.
Altri Personaggi:HermioneGranger,
Minerva McGranitt, Luna Lovegood,
DracoMalfoy, altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo
24.Capire
Harry corse, corse e corse. Un corridoio dopo
l’altro, una rampa dopo l’altra, non si fermò neanche quando
gli altri studenti iniziarono a fuoriuscire dalle aule e a riempire di
chiacchiere l’aria. Continuò a correre quando la borsa
gli cadde per terra nella foga, continuò correre quando voltando un angolo andò
a sbattere contro un primino, continuò a correre
quando le persone a cui passava di fianco vedevano la sua ferita sanguinante e
cercavano di chiedergli se andasse tutto bene.
Non poteva fermarsi. Se si fosse
fermato avrebbe dovuto pensare
e se fosse rimasto a pensare non era
sicuro che le gambe lo avrebbero più retto.
Continuò a correre e correre,
e sapeva anche che in realtà non stava correndo… stava scappando.
Non avrebbe saputo dire dopo quanto, ma ad un certo
punto i corridoi ritornarono ad essere deserti e tutti
i ragazzi tornati nuovamente nelle classi per l’ora di lezione successiva.
Nessuno più in giro, e Harry sentì finalmente le proprie gambe rallentare il
passo, tentare ancora qualche falcata traballante sotto il peso del corpo
stanco e dei polmoni in fiamme. Si fermò infine, la schiena ricurva per
facilitare l’entrata d’aria ad ogni respiro ansante.
Rimase più di qualche minuto a riprendere fiato, prima di alzare la testa e guardare effettivamente
dove le sue stesse gambe lo avessero portato. Riconobbe quasi immediatamente l’entrata
della Biblioteca, ma se fosse arrivato lì
inconsciamente o per puro caso non ne aveva idea.
Sperando vivamente che la bibliotecaria fosse
indaffarata nell’angolo più remoto – non voleva
nemmeno pensare a cosa gli avrebbe fatto se l’avesse visto gocciolare sangue vicino ai suoi prezioso libri –
entrò con passo barcollante.
Non ebbe il tempo di trovare un reparto troppo
appartato prima che le forze gli mancassero e lo costrinsero ad abbandonarsi
contro lo scaffale più vicino. Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo,
lottando contro i milioni di puntini luminosi che minacciavano di oscurargli la
vista.
Il dolore alla spalla stava cominciando a diventare
insopportabile, ora che tutta l’adrenalina gli era scivolata via dal corpo.
Voltò la testa verso il braccio, e trattenne un’imprecazione nel vedere la
macchia scura di sangue che impregnava quasi tutta la manica: doveva
assolutamente fare qualcosa.
Riuscendo in qualche modo a slacciarsi i bottoni
della veste con una sola mano, si scrollò di dosso la divisa: il rosso del
sangue quasi non si era notato sul nero della veste, ma in contrasto con il
bianco della camicia che indossava sotto faceva molta più impressione. Harry
guardò frustrato la seconda fila di bottoni che avrebbe dovuto sbottonare senza
l’aiuto del braccio sinistro e provò una certa soddisfazione
quando con troppa forza finì per strapparne uno o due.
Digrignando leggermente i denti per il dolore,
separò con delicatezza la stoffa impregnata dalla pelle del braccio, scoprendo
la ferita.
Eugh… non era un bello
spettacolo.
Il taglio era profondo, fortunatamente non fino
all’osso, ma abbastanza da essere stato fortunato che non si fosse
reciso alcun tendine o nervo. Il sangue che si era rappreso aveva
fermato parzialmente il flusso, ma i bordi della ferita erano di un rosso
acceso e sicuramente avrebbero fatto infezione se non
avesse fatto qualcosa. Se fosse stato in un ospedale babbano
gli avrebbero sicuramente messo dei punti.
Teoricamente aveva imparato a guarire ferite
simili, ma aveva avuto poche occasioni per mettere in pratica gli insegnamenti
e in ogni caso era ben lontano dall’essere un medimago.
Stavolta forse gli sarebbe davvero toccato andare in Infermeria…
No, non poteva. Troppe domande e nessuna risposta,
sia per le nuove che le vecchie ferite. E se qualunque particolare fosse trapelato si sarebbe
ritrovato in un mare di guai. No, si sarebbe dovuto accontentare di rimarginare
alla bene e meglio il taglio e lasciare che guarisse
alla babbana.
Tirando fuori dalla tasca
la bacchetta, puntò la punta verso la spalla e mormorò l’unico incantesimo che
conosceva adatto a lacerazioni del genere. Sotto i suoi occhi vide il sangue rappreso scomparire e i bordi unirsi, ma non
fu abbastanza bravo da riuscire a rendere la guarigione indolore o completa: adesso
al posto del profondo taglio di prima vi era una rossa linea irregolare incisa nella
pelle, arrossata anch’essa attorno ai contorni della ferita. Avrebbe
fatto male ancora per qualche giorno, qualche settimana forse, ma non
poteva farci niente per quello, aveva scelto il male minore.
Tirò nuovamente su la manica della camicia, non
preoccupandosi di pulirla dal sangue con un incantesimo, e gettò la testa
all’indietro con un sospiro e gli occhi chiusi.
Cosa fare adesso?
La domanda del secolo… avrebbe fatto qualunque cosa
per poter rispondere. Dio, quel che era successo era surreale: aveva lottato a
sangue contro Tom, e subito dopo
aveva capito… aveva capito…
Se n’era innamorato.
Dio, se n’era davvero innamorato.
Tom era stato un nemico, poi solo una presenza
ostile, poi un amico, poi… Harry aveva davvero
creduto che fosse stata solo attrazione fisica, ma se
solo fosse rimasto a pensare un attimo più attentamente avrebbe visto quanto poco
senso avesse avuto crederlo. Come si può essere attratti da una persona a cui
si vuole già bene come un amico, e non esserci nent’altro?
Forse… forse era la parola amico
a non andare bene. In effetti, poteva dire di aver provato gli stessi
sentimenti verso Ron, o anche Orion?
Era stato così bravo a mentire a sé
stesso…
Adesso che l’aveva capito, cosa avrebbe fatto con
Tom? Dio, se solo l’altro ragazzo l’avesse sospettato…
Harry sgranò gli occhi. E se Tom lo sospettasse di già? Se lo sapesse già? Che tutte quelle provocazioni
lascive fossero state davvero rivolte specificatamente a lui? Che diavolo avrebbe fatto allora…? Non poteva scappare, non
ora che aveva la libreria a sua disposizione, ora che stava facendo qualche
progresso con le ricerche e di sicuro non dopo quello
che era appena successo.
Ripensando al duello, Harry dovette trattenere
l’impulso di prendersi la testa tra le mani. Aveva avuto paura. Aveva avuto una
paura fottuta:
il bruciore straziante alla cicatrice, il panico del dover schivare gli
incantesimi lanciati da una mano amica, la furia che aveva visto riflessa negli occhi rosso rubino di Tom…
Era andato così
vicino a perderlo – così vicino – che
il pensiero gli strozzava ancora il respiro in gola.
No, non se ne sarebbe andato. Avrebbe dovuto, alla
fine, ma fino a quel momento avrebbe passato ogni minuto del tempo che aveva a
disposizione ad assicurarsi che Tom non si trasformasse nel mostro che era
destinato a diventare. Finché gli fosse rimasto al fianco, non avrebbe mai
accettato di perderlo alla follia di Voldemort.
Ci era già andato così vicino…
Ripensando allo scontro, però, una cosa lo fece
fermare a riflettere: tutto quello che era successo, era tutto partito quando Tom era andato a cercare Alden.
Harry aggrottò le sopracciglia. Esattamente perché
Tom si era infuriato tanto con il Corvonero? Era successo sicuramente dopo
che era venuto a sapere della storia del pugno, ma… non aveva senso che avesse fatto tutto quello per… lui…
… o si?
Poteva essere che… poteva
anche solo sperare che –
“…chi mi dice che lui ricambi? Farei solo la figura dell’idiota.”
“Oh, di
quello non mi preoccuperei di certo.”
Sentì improvvisamente i suoi battiti accelerare nel
petto. Non aveva nemmeno riflettuto sulle parole che Orion gli aveva detto appena qualche giorno addietro, ma se ci
ripensava, alla luce del comportamento di Tom degli ultimi giorni… potevano
davvero significare –
E se anche Tom ricambiasse,
tu cosa vorresti fare? Abbandonarlo dopo due mesi?
Il pensiero colpì Harry come una pioggia gelata. Era
vero, lui se ne sarebbe andato via alla fine, l’avrebbe
abbandonato. E il fatto che se tutto fosse andato secondo i piani il
Prefetto non avrebbe ricordato nemmeno di averlo mai visto non
cambiava il torto che gli avrebbe fatto. Tom non era una persona qualunque,
aveva già abbastanza problemi a fidarsi delle persone che l’ultima cosa di cui aveva bisogno era un altro abbandono.
Per lui ci voleva qualcuno che fosse
disposto a stargli sempre vicino, qualcuno che lo amasse, qualcuno che non
sarebbe sparito nel nulla, che non sarebbe stato costretto ad ucciderlo, in un
futuro non troppo lontano.
Tutto quello che Harry non era e che invece era… Alden.
Un flash dalla sua immaginazione, due corpi su un
letto, baci, lenzuola, spinte, sudore, e poi Harry
scosse la testa frenetico per togliersi di mente il pensiero di Tom con il
Corvonero, che gli aveva già fatto stringere i pugni fino a fargli quasi uscire
sangue.
Però non poteva negarlo, quei
due avevano già condiviso ciò che Harry non si azzardava a sognare e, cosa più
importante, Alden amava Tom come un disperato e non
lo avrebbe mai lasciato solo.
Il solo pensiero gli fece risalire la bile in
bocca, ma non era forse quella la cosa migliore per Tom? Con una persona che ci
ama al proprio fianco, non è possibile per tutti guarire?
Dio, che egoista che era, perché non voleva, non voleva e se
lo sentiva in ogni cellula del corpo che avrebbe preferito fare qualsiasi cosa
pur di non pensare a Tom con qualcun altro. Ma se davvero amava
Tom, allora si sarebbe dovuto fare da parte, avrebbe dovut–
Un rumore improvviso gli fece voltare la testa di
scatto e staccare la schiena dallo scaffale. A quell’ora non era strano che la
biblioteca fosse frequentata, e lui non era andato proprio a cercare l’antro
più appartato, ma non serviva fare tutto quel casino per consultare un libro.
Rumore di passi veloci, probabilmente a qualche
fila di scaffali di distanza, lo sorpassarono e si persero dell’eco della
biblioteca. Harry prese con una mano lo schienale della sedia più vicina e con
l’altra fece leva s’una mensola per tirarsi su in
piedi, ancora leggermente barcollante. Fece in tempo ad appoggiarsi contro uno
scaffale e a reindossare la veste della divisa quando
il rumore di passi in corsa tornò a farsi vicino.
Con un profondo respiro, sospettando già di chi si trattasse – se c’era da fidarsi del formicolio alla
cicatrice – Harry fu pronto, con sguardo inflessibilmente puntato verso
l’apertura tra gli scaffali, quando Tom svoltò e gli si parò davanti.
Il Serpeverde aveva il fiatone e si stava
appoggiando con una mano ad uno dei ripiani per regolare il respiro: doveva essersi fatto l’intera scuola di corsa nel cercarlo.
Aveva ancora i vestiti strappati in alcuni punti e sporchi
di polvere, per non parlare del sangue incrostato sul lato sinistro del viso,
dove era colato dalla ferita alla tempia.
E agli occhi di Harry era
ancora la creatura più bella che fosse mai esistita.
Tom continuava a fissarlo senza dire nulla, anche
lui spostando gli occhi su vari particolari della figura dell’altro che – Harry
stesso sapeva – non dovevano sembrare meno malridotti di quelli del Prefetto.
Deglutendo, fu Harry a fare la prima mossa. “Alden?”
Gli occhi di Tom tornarono a focalizzarsi su quelli
dell’altro ragazzo e fece un passo avanti, giusto per avere la protezione delle
alte file di libri.
“A lui ho già provveduto.” Rispose, ma vedendo gli
occhi di Harry sgranarsi shockati dovette accorgersi di come quelle parole fossero suonate, perché si affrettò ad aggiungere, “No, non
in quel –” sospirò, “Gli ho detto di tornare in dormitorio e gli ho chiesto di
non raccontare a nessuno quello che è successo. Vedrai che non lo farà.”
Harry non si mosse. “Non era di quello che mi
preoccupavo.”
“Lo so.” Rispose il Serpeverde voltando la testa da
un lato, evitando lo sguardo fisso dell’altro. “Sta bene, in ogni caso.”
Harry abbassò la testa, lasciando che i ciuffi nero
inchiostro della frangia gli adombrassero il viso.
Perché gli aveva detto di tornare
in dormitorio? Perché non era rimasto con lui? Alden lo amava, lo amava. Possibile che Tom non capisse quanto fosse preziosa una cosa simile?
Non sarebbe dovuto essere
lì con lui, in quel momento, sarebbe dovuto rimanere con Alden,
con chi lo amava, con chi non lo avrebbe abbandonato da lì a qualche mese, con
chi avrebbe potuto fargli vedere un’altra strada. Con chi avrebbe potuto
insegnargli ad amare.
Harry non si stupì nel vedere i suoi pugni tremare,
ma nonostante ogni pensiero fosse come una nuova morsa al petto, avrebbe fatto quello che era meglio per Tom.
“Perché lo hai lasciato andare?” disse ancora a
capo chino, cercando di ignorare quanto suonasse rauca
la sua voce.
Tom non rispose, ma d’altronde Harry non si era aspettato una risposta.
“Alden ti ama.” Continuò.
“Lo so.”
“E allora che diavolo ci fai ancora qui?” ribatté
Harry alzando di scatto la testa e incatenando lo sguardo con
quello nero pece dell’altro, “Dovresti essere con lui, Tom. Ti ama: come fai a non vedere quanto è
importante?” chiese, ed era quasi un sorriso triste quello che gli si era
dipinto in volto. “Forse non lo sai, Tom, ma amare… è
la cosa più meravigliosa che ti possa capitare a questo mondo. Vivere senza
significa avere la ragione sbagliata per svegliarsi alla
mattina.”
Tom lo guardava e ancora non diceva niente, ma il
suo sguardo era ben lontano dall’essere quello freddo e impassibile, anche se
le emozioni di cui era colmo l’altro non riusciva a riconoscerle.
“Devi stare con chi ti ama, sempre.” Continuò
Harry, “E l’hai ammesso tu stesso che Alden rientra
perfettamente tra queste persone.” Abbassò nuovamente
la testa, perché sotto quello sguardo si sentiva sempre nudo ed era sicuro che
la sua espressione avrebbe tradito i suoi sentimenti.
“Che diavolo stai facendo qui allora? Va da lui!” gli urlò infine.
Passarono alcuni istanti di
silenzio, poi sentì il fruscio di stoffa e Tom muoversi. Ancora qualche secondo di
nulla, ma il ragazzo non aveva il coraggio di alzare gli occhi: lo aveva
ascoltato davvero? Se n’era andato?
“Harry, guardami.”
Il ragazzo alzò la testa di scatto, più per la
sorpresa di sentire la voce dell’altro tanto vicina che per le sue parole: Tom
era adesso a solo qualche passo di distanza, il nero dei suoi occhi quasi vivo sotto la luce soffusa della
Biblioteca e lo sguardo che gli faceva formicolare incessantemente la
cicatrice.
“Ti sei mai chiesto perché, tra tutti gli sciocchi
spasimanti che mi ronzano intorno, lascio che si avvicini solo Principe?”
chiese, quasi a bassa voce.
Harry se l’era chiesto, più di una volta.
Soprattutto dopo aver scoperto fino a che punto si fosse
spinta la relazione fra i due, aveva passato più di una sera a fissare
il soffitto del letto a baldacchino chiedendosi quali fossero i sentimenti di
Tom verso il Corvonero.
“Fu il primo a dirmi che
mi amava.” Riprese il Prefetto, scuotendo l’altro dai suoi pensieri. Harry lo
guardò, ma nulla era cambiato nell’espressione del
Serpeverde a quell’affermazione. “Successe due anni fa. Fu probabilmente solo il
primo ad avere il coraggio di dirmelo, ma fu il primo in ogni caso.”
Fece un altro passo avanti e ricominciò a parlare,
stavolta fissando uno degli scaffali alla sua destra. “Amore… Dio quanto ho odiato questa parola
– anzi, non è odio, è disgusto. Gli
innamorati sono degli illusi che si comportano in modo semplicemente folle, e Aldenne è il perfetto esempio. Fa compiere azioni immonde, procura disgrazie: è per amore
che Principe ti ha rotto il naso, è per amore che mia madr
–” si bloccò di colpo stringendo i pugni, prima di prendere un profondo
respiro.
“Ma ero curioso.” Riprese,
“Non l’avrei mai ammesso, ma hai ragione tu: l’amore è un sentimento che mi è
sempre stato alieno. Ed era ciò di cui quell’idiota di
Silente continuava a blaterare, la sua arma migliore: non è forse la miglior
tattica quella di conoscere le armi del nemico?” finì con una risatina
irrisoria.
Harry, concentrato com’era su Tom non fece nemmeno
caso all’insulto rivolto al suo amato preside. “E hai
scoperto qualcosa infine? Hai imparato niente?” chiese.
Tom tornò a guardarlo, e il suo sguardo sembrava
così carico che Harry si sentiva un idiota per non riuscire a capire che cosa stesse
cercando di trasmettergli.
“No, non ho imparato niente da Alden.”
Harry sospirò. “E allora
cosa è cambiato?”
Un passo, e il ragazzo si accorse improvvisamente
di quanto vicino fosse il Serpeverde: se solo Tom avesse allungato un braccio
avrebbe sicuramente toccato lo scaffale a cui Harry aveva appoggiato la
schiena. Poteva vedere benissimo ogni centimetro della pelle diafana del suo
viso, ogni curva delle labbra, ogni singola ciglia e
la linea appena visibile che divideva il nero dell’iride con il nero ancora più
profondo della pupilla.
“Ora,” rispose Tom, il cui
respiro arrivava a solleticare il viso dell’altro, “credo di non averne più
bisogno.”
Harry lo fissò, confuso, intento nel cercar di non
far cadere lo sguardo sulle labbra a così poca distanza, ma poi quelle parole
si fecero finalmente strada nel suo cervello e gli
occhi gli si spalancarono. Riuscì a riconoscere, in quel momento, il fuoco
negli occhi dell’altro che fino ad allora non era
riuscito a capire.
“Tom…” cercò di parlare, sorpendendosi
di quanto la sua voce suonasse sospirata, ma la temperatura sembrava essersi
improvvisamente alzata ed ogni singola fibra del suo organismo era
dolorosamente consapevole di quanto fossevicino il corpo di Tom.
Una delle braccia del Serpeverde fece esattamente
quello che Harry aveva prima pensato, andandosi a piazzare a pochi centimetri
dalla sua testa, quasi chiudendolo tra lui e lo scaffale. Harry deglutì, non
riuscendo a distogliere lo sguardo da quello dell’altro, mentre sentiva tutto il
sangue affluirgli dalla testa verso il basso e la cicatrice pulsargli in
fronte.
“Tom, non hai idea di quanti motivi ci siano per cui questa
sarebbe una cattiva idea.” Riuscì a dire infine, deglutendo più di una volta
per non inciampare ad ogni parola.
Il volto di Tom si abbassò fino a toccarlo,
andandogli a sfiorare la mascella con il naso. “E quale sarebbe, sentiamo, la
cosa giusta da fare?” gli sussurrò in un orecchio, mandandogli brividi lungo tutta la schiena.
“L-la cosa giusta?”
ripeté Harry balbettando, perché era come se improvvisamente la testa gli si fosse
riempita di ovatta.
“Mmh, mmh.”
Annuì l’altro, allontanandosi quello che bastava per poter tornare a guardarlo
negli occhi.
Harry scosse la testa per snebbiare i pensieri, poggiando
entrambe le mani sul petto dell’altro per tenere le distanze, ma più che di
separarlo, l’effetto fu quello di accendergli il desiderio di sentire com’era
toccarlo senza tutti quegli strati di vestiti.
“Sarebbe che tu ti allontanassi e tornassi da Alden e – e… te l’ho già detto, no? Come fai
a non vedere che occasion–”
“E tu,” lo interruppe Tom
posandogli l’altra mano s’un fianco, zittendolo efficacemente, “come fai a non
vedere che tra te e lui, quello che voglio sei tu?”
Un verso strozzato, a metà tra un gemito e un
mugolio uscì dalla bocca di Harry, e le sue mani non poterono fare a meno di
stringere in due pugni la divisa sul petto di Tom,
così caldo, così vicino.
Non avrebbe saputo dire chi avesse tirato a sé chi,
ma in un attimo stava stringendo la veste dell’altro contro il proprio petto e
una mano di Tom era salita ad accarezzargli la nuca,
inclinandogli la testa leggermente all’indietro quanto bastava per poter
arrivare a lui, e nel momento in cui Harry sentì le labbra di Tom sulle
proprie, qualcosa dentro di lui si spezzò.
Si spinse contro il corpo dell’altro, lasciando
andare i suoi abiti per poter affondare le mani nei suoi capelli, mentre la
lingua di Tom scivolava tra le sue labbra semiaperte, assaggiando, esplorando,
divorando, svuotando completamente la mente di Harry se non per le sensazioni
di quelle morbide labbra che si muovevano sulle proprie, di quella lingua che
accarezzava la sua.
Sentì l’altro braccio di Tom circondargli la vita e
una volta posata la mano sulla sua anca le ditalo strinsero in una morsa possessiva,
mandando in fiamme la pelle di Harry sotto i vestiti, tanto da fargli scappare
un gemito subito soffocato tra le loro labbra.
Afferrò i capelli ancora sporchi di terra e polvere
del Serpeverde, strattonando in un modo che doveva aver sicuramente fatto male ma di cui nessuno si lamentò, e alimentò il bacio di
tutte le emozioni che si erano rincorse senza tregua nelle ultime due ore, in
uno sfogo di tutta l’impotenza di fronte a quel desiderio che aveva tentato di
reprimere tanto faticosamente nei giorni passati.
Le mani di Tom si stavano muovendo, sulla sua
schiena, sui suoi fianchi, sul suo collo, quasi strattonandogli i vestiti e
Harry non riusciva a fare nulla se non gemere, e nella frenesia avevano
entrambi completamente dimenticato di respirare perché ormai a corto di ossigeno si dovettero staccare ansimando, col cuore a
mille e il sapore metallico di sangue in bocca, ancora vicini, ancora
aggrappati l’un l’altro.
Harry, boccheggiando, cercando di ridare un filo ai
propri pensieri, guardò Tom che aveva ancora gli occhi socchiusi, ad un soffio dal
suo viso, mentre riprendeva fiato, le labbra bagnate e le guance così
inconsuetamente arrossate.
E poi alzò anche lui gli occhi, e nel momento in
cui i loro sguardi si incontrarono la cicatrice esplose.
Una scarica di piacere gli
percorse tutto il corpo, correndogli lungo la spina dorsale, facendogli
arricciare le dita e arcuare la schiena, mentre un calore incontenibile si
diffondeva ovunque. Lasciò andare la testa all’indietro, sussurrando uno
strozzato “Oh Dio…” e abbandonandosi nella presa di Tom visto che i suoi
muscoli sembravano essersi sciolti come burro.
Si sentiva in fiamme, ogni punto di contatto con il
corpo dell’altro un fuoco insopportabilmente caldo ma sempre non ancora abbastanza
vicino. Brividi di piacere gli
percorrevano ogni nervo, partendo dalla fronte pulsante fino
ad arrivare all’inguine costretto nei pantaloni della divisa.
Si rese distrattamente conto che stavano
indietreggiando, lui sempre sostenuto dalle braccia forti di Tom, fino a quando non sentì lo spigolo di uno dei tavoli della
Biblioteca premergli contro la schiena e la sensazione di essere sollevato.
Cercò di snebbiarsi i sensi, come assuefatti dal piacere che gli stava ancora
facendo formicolare la pelle, almeno quanto bastava per rendersi conto di
essere finito seduto sul tavolo, con le braccia attorno al collo di Tom e il
suo viso finalmente all’altezza giusta.
Attraverso le palpebre semichiuse poteva vedere dritto negli occhi neri dell’altro, che
avrebbe giurato sembravano bruciare.
Si leccò le labbra, improvvisamente asciutte e lo sguardo di Tom venne come
calamitato sulla sua bocca, prima che facesse un verso strano, a metà tra un sibilo
e un ringhio, e si avventasse sul suo collo leccando e
mordendo, lasciando una scia di baci bagnati ovunque si posasse la sua bocca. Harry
fece cadere la testa all’indietro con un gemito sospirato, poggiando le mani
sul tavolo dietro di sé per non cadere.
Dio, non stava capendo più niente e le mani di Tom
non aiutavano, tirandogli fuori la camicia dai pantaloni e intrufolandosi
sotto, con foga, quasi distrattamente, passando dall’accarezzargli gli
addominali ad afferrargli una spalla e…
… e Harry si fece scappare un sibilo di dolore quando le dita dell’altro si strinsero sopra la
ferita da poco rimarginata, causandogli una fitta abbastanza acuta da
sovrastare l’annebbiamento della sua mente.
Tom s’immobilizzò. Lentamente, si allontanò dal
collo dell’altro per poterlo guardare in faccia, uno sguardo solo per metà interrogativo
e per l’altra tormentato, come se in fondo avesse già
saputo la risposta. Con movimenti calmi, misurati, lasciò la presa sulla spalla
dell’altro e prese tra le dita la veste della divisa
del ragazzo, sfilandogliela lentamente.
Un mugolio d’angoscia lasciò le labbra del
Serpeverde, e Harry non aveva bisogno di girarsi per sapere che
cosa stesse guardando, per sapere che sotto la veste nera della divisa
c’era il rosso sangue, vivo, acceso, contro il bianco della camicia e lo
squarcio nella stoffa che lasciava intravedere la linea a zigzag di una ferita maldestramente ricucita insieme,
ancora arrossata.
Con la mente lucida, riportata alla realtà dal
verso tormentato di Tom, Harry lasciò l’appoggio del tavolo per tirarsi
propriamente a sedere, afferrò le braccia dell’altro e sospirò.
“Tom… Tom, non è così–”
“Sono stato io…” lo interruppe il Serpeverde, senza
dare alcun segno di averlo nemmeno sentito parlare, gli occhi puntati sulla sua
spalla.
Harry si affrettò a tirarsi su nuovamente la veste
per coprire tutto quel rosso e finalmente la testa di Tom scatto
verso il suo viso, guardandolo negli occhi con un fervore completamente diverso
da quello di pochi istanti prima, ma di intensità identica.
“Harry…” disse, sollevando le braccia e prendendo
il viso dell’altro tra le mani, strofinando appena un pollice contro una delle guance, “Harry, Harry... ascoltami ti prego, guardami:
ti prometto che una cosa del genere non succederà mai, mai più; che ingoierò la mia stessa bacchetta prima di ferirti e
che il primo che ti torcerà un capello sarà morto prima di poter chiedere
scusa. Te lo giuro.”
E Harry si lasciò sfuggire una
risata tra le labbra, strozzata, soffocata, felice e disperata, perché per una
volta c’era determinazione e sincerità nello sguardo di Tom e quella era una
promessa che era così destinato ad
infrangere… anche se adesso non poteva saperlo.
Non potendo dire niente, non potendo
affermare né rifiutare, si sporse in avanti e catturò nuovamente le labbra
dell’altro, questa volta con calma, assaporando, quasi confortando. E le mani di Tom lasciarono il suo viso e scesero ad
abbracciargli la vita, tirandolo verso di sé finché non fu di nuovo con i piedi
sul pavimento, in piedi contro il suo petto, baciandolo lentamente.
Era completamente diverso dai baci di prima, da
quella foga quasi irreale: questi erano movimenti studiati, sentiti, tanto che
nonostante la cicatrice stesse ancora formicolando
piacevolmente, solo in quel momento Harry realizzò che sì, stava – davvero, finalmente, non ci credo –
baciando Tom e che Dio, quanta poca
importanza aveva qualunque pensiero su Alden quando
le labbra dell’altro si muovevano sulle sue esattamente come stavano facendo le
proprie.
Sospirò e allacciò le braccia dietro al collo di
Tom, avvicinandosi fino a far aderire il proprio corpo perfettamente a quello
dell’altro, volendo godersi appieno quei momenti di beatitudine prima che la
stanchezza tornasse a farsi sentire, prima che –
“Tom?!”
I due ragazzi si staccarono di scatto, voltandosi
sorpresi verso l’apertura tra gli scaffali che dava
sul resto della Biblioteca, da dove era provenuta la voce.
A qualche metro di distanza da loro c’era Meredith,
con gli occhi sbarrati e un gruppo di libri ai piedi, probabilmente lasciati
cadere dalla sorpresa.
Harry si sentì arrossire fino alla punta dei
capelli, e si affrettò ad allontanarsi il più possibile da Tom. O almeno tentò
di farlo, visto che non fece in tempo a fare un passo
che un braccio dell’altro ragazzo lo afferrò immediatamente per trattenerlo lì,
stretto a lui.
Quel gesto almeno sembrò risvegliare la Corvonero
dal suo stupore: aprì e chiuse un paio di volte la bocca, ma non ne uscì alcun suono
Fu Tom a sbloccare la situazione. “Qualche
problema, Donill?”
E per la prima volta, Harry
vide Meredith lanciare a qualcuno uno sguardo furioso, diretto però unicamente
a Tom, come se lui non esistesse. “Problema?
Chi – chi diavolo… Che cosa stai facendo?! Sei
impazzito?!”
Il Serpeverde si limitò ad alzare le sopraciglia, ma Harry rimase di stucco, completamente
spiazzato dalla reazione dell’amica, e anche un pochino ferito. Perché sembrava tanto contrariata? Che
trovasse una cosa del genere disgustosa? Non l’aveva presa per una persona
intollerante, visto che sopportava tutti i discorsi di Orion,
ma la sua espressione…
“Meredith, aspetta, non trovi –”
“E tu chiudi il becco,
nessuno ti ha interpellato!” lo interruppe di colpo lei, rivolgendogli per la
prima volta la sua attenzione.
Il ragazzo si zittì, lanciandole uno sguardo
sbigottito e scambiando un’occhiata spiazzata e perplessa con Tom, che però più
che confuso, ora sembrava cominciare ad arrabbiarsi.
“Non so con quale autorità stai giudicando quello
che facciamo della nostra vita privata e non c’è nulla che mi potrebbe
importare meno della tua opinione,” le disse in un
sibilo, “ma se gli parli un’altra volta con quel tono ti ritroverai dalla parte
sbagliata della mia bacchetta, Donill.”
“Non è la mia opinione quella importante!”
ribatté Meredith, “Ma non hai pensato a Harry? A come si sentirebbe? Non era
lui quello che volevi?!”
I due ragazzi si fermarono a fissarla, oltre che
confusi – almeno Harry – anche con un briciolo di preoccupazione: ma che
diavolo stava dicendo?
“Dopo tutto quello che è
successo, tutto il tempo che avete passato assieme, adesso te la fai col primo
che capita?! In Biblioteca per giunta, con tutte le ore che Harry passa qua
dentro! E se ti avesse visto? Non hai nemmeno un
briciolo di considerazione? E pensare –”
E mentre la ragazza continuava a
urlare contro Tom, Harry venne preso improvvisamente da un dubbio e si passò
immediatamente una mano tra i capelli, staccandone uno e portandoselo davanti
agli occhi.
Nero.
“Meredith!” la interruppe a metà
sfuriata lui, “Io sono Harry!”
“Non ti avevo forse detto di chiudere–
Cosa?” si bloccò confusa.
Il ragazzo si districò dalle braccia di Tom –
impresa non proprio facile, data la reticenza del Serpeverde a lasciarlo andare
– e si avvicinò alla ragazza fino a che non fu a qualche passo di distanza e
non vide gli occhi di lei sgranarsi in segno di
riconoscimento.
“Harry? Ma… sei tu?”
chiese esitante.
Il ragazzo annuì con un sorriso, mentre vedeva Meredith
assottigliare gli occhi per guardarlo meglio.
“Ma che diamine hai fatto
ai capelli?”
Il sorriso gli svanì dal volto. “Ehrm…” cominciò, senza saper bene cosa dire. Che scusa avrebbe inventato questa volta? Si voltò verso Tom
per cercare un po’ d’aiuto, ma lo trovò appoggiato con noncuranza ad uno
scaffale, con le braccia incrociate e un piccolo ghigno – sadico, a detta di
Harry – sul volto.
“Su Harry, perché non glielo dici? Non è una tua
amica?”
“Dirmi cosa? Harry, che sta
succedendo?” chiese la ragazza, alternando lo sguardo da uno all’altro.
‘Grazie mille Tom.” Pensò lui, lanciando
un’occhiataccia al Serpeverde che prometteva vendetta. Gli bastava abbassare la
guardia un secondo e subito il Prefetto ne approfittava
per estorcergli qualche informazione in più. Tornò a guardare Meredith,
passandosi una mano tra i capelli con fare nervoso, indeciso sul da farsi.
Alla fine sospirò.
“D’accordo, d’accordo. Ma
non parliamone qui, potrebbe passare chiunque.”
Rispose Harry, guardandosi intorno, “E sarà meglio chiamare anche Orion, tanto
vale farlo una sola volta per tutte.”
Meredith, però, sembrò semplicemente più confusa. “Ma di che stai parlando…? Che c’entra
Orion?”
Il ragazzo si morse un labbro, cercando di trovare
le parole giuste. “No, è che… non sono stato del tutto sincero con te, o con
Orion, e ho avuto le mie buone ragioni, credimi, ma… almeno questo ve lo devo, suppongo.” Sospirò di nuovo, “Tu va
a chiamare Orion, e ci vediamo tra un quarto d’ora al settimo piano, davanti
all’arazzo di Barnaba il Babbeo, d’accordo?”
Ancora un po’ incerta la ragazza annuì. “D’accordo.” Rispose. Poi, la testa le scattò improvvisamente da un lato,
in direzione di Tom, poi di nuovo su Harry, posando lo sguardo stupito ora su
uno, ora sull’altro, collegando solo in quel momento
quale situazione avesse interrotto. Arrossì completamente, raggiungendo un
colorito che avrebbe fatto pandan con la Sala Comune
di Grifondoro, e sembrò farsi piccola piccola,
mentre si sporgeva oltre Harry per potersi rivolgere anche a Tom, ancora
appoggiato allo scaffale.
“Ehm… scusate per… per prima,”
cominciò, riprendendo la sua caratteristica voce flebile, “Non volevo attaccarvi
così, è che pensavo che… si insomma…” lanciò un’altra occhiata ai ragazzi e
arrossì ancora più di prima, “VadoachiamareOrion!”
finì tutto d’un fiato prima di voltarsi e uscire di corsa dalla Biblioteca.
Harry scoppiò a ridere, scuotendo la testa di
fronte al comportamento della ragazza. Si voltò poi, e Tom era ancora lì, a
braccia incrociate contro la libreria, che lo fissava senza alcuna
espressione in volto.
L’interruzione di Meredith aveva come spezzato quel
momento, quell’atmosfera irreale, e li aveva fatti tornare coi
piedi per terra. Quello che era successo… Harry si era fatto trasportare dalle
proprie emozioni, troppe, troppo forti, troppo in fretta, tutte insieme; ma ora
la mente era lucida, nonostante la stanchezza e la spossatezza. Quella era la
realtà e tutto aveva un altro peso.
Guardò Tom, ma il ragazzo si limitava ad osservarlo
impassibile, senza alcuna indicazione che avesse
intenzione di fare qualcosa, nonostante Harry sapesse che era solo una maschera
quella che portava in volto, e non c’era bisogno del formicolio alla cicatrice
per confermarlo.
Prese un bel respiro e cominciò ad avvicinarsi. Il
Serpeverde non reagì, non si mosse nemmeno di un centimetro, nemmeno
quando ormai l’altro gli fu proprio davanti, continuando a fissarlo
imperturbabile. Avrebbe dovuto esserci una regola, da qualche parte, per quanto
uno sguardo fosse autorizzato a farti sentire nudo.
Harry aprì la bocca per parlare, ma sinceramente
non gli veniva in mente niente di giusto da dire. Quindi la
richiuse, fece un altro passo in avanti si lasciò appoggiare contro il
corpo dell’altro, cingendogli la vita e appoggiando la fronte su una delle sue
spalle.
Un secondo, e poi sentì le braccia di Tom
avvolgerlo e ricambiare l’abbraccio, e il volto piegarsi leggermente in avanti
per toccargli la testa con il naso. Calore, profumo di
shampoo e il viso di Tom affondato tra i suoi capelli.
Quella era la realtà, e Harry poteva farci davvero
poco.
“Pensavi che mi sarei rimangiato ogni cosa?” chiese
con una nota canzonatoria nella voce.
Le braccia dell’altro si strinsero leggermente, e
un piccolo sbuffo gli sollevò una ciocca sulla testa. “Tutti quei discorsi su Alden certo non rassicuravano. Sei abbastanza testardo che
non mi stupirei se ora ti girassi e te ne andassi,
probabilmente pensando di farlo per il mio bene.”
Harry rise, ancora appoggiato alla spalla
dell’altro. “Francamente, non so se ne sarei capace anche se
lo volessi, non dopo…” ma lasciò la frase in sospeso, non sapendo bene come
finire.
Tom lo allontanò gentilmente, slegandolo
dall’abbraccio. Con una mano gli prese il mento, gli sollevò la testa e lo
baciò di nuovo, per qualche secondo, prima di tornare a guardarlo.
“Dopo questo?” chiese, il
suo ghigno strafottente di nuovo stampato in faccia.
E Harry, mentre attirava nuovamente Tom a sé, calcolò in fretta
che dovevano avere almeno dieci minuti buoni, prima di dover raggiungere gli
altri.
N.A.: ehm… hello… mmh, si…. Ok, d’accordo, ho
spiegato un paio di cose sul mio blog, dove metterò anche
le risposte alle recensioni al più presto. Vorrei davvero fare un bel commentino su questo capitolo (di cui ci sono scene che amo
come scene che odio a morte) perché, come avete visto, è piuttosto importante
^^. Purtroppo mi mancano completamente le forze, e ho un altro milione di cose
da fare prima che la giornata finisca, quindi forse metterò qualcosa insieme
alle risposte, speriamo.
Mi
scuso anche qua per l’ignobile ritardo, e prego come voi che il prossimo arrivi
molto prima!
Ah,
e… mi uccidete se vi chiedo di lasciare comunque un
commentino? ^^”
Altri Personaggi:HermioneGranger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, DracoMalfoy, altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e
ancora Slash
Capitolo 25.Futuro su Mezze Verrità
“In poche parole, non sei davvero uno studente.”
“No.”
“E non sei neanche mai stato in Australia.”
Sospiro. “No.”
“E Evans non è nemmeno il tuo vero cognome.”
Mani nei capelli. “No.”
“E non puoi dirci né da dove vieni né come ti
chiami realmente.”
Harry si spettinò i capelli con una mano, mentre
sospirava per l’ennesima volta. Guardò ora Meredith, ora Orion, entrambi seduti
di fronte a lui su due comode poltrone, lei zitta e
pensierosa, lui a braccia incrociate e inquisitorio.
“Sentite ragazzi, credetemi se vi dico che se solo
potessi vi racconterei ogni cosa, ma non
posso. Sto già rischiando tantissimo nel dirvi così poco…” si fermò,
mordendosi un labbro. Voltò la testa verso la sua destra, dove seduto sul
divanetto di fianco a lui stava Tom, ma il ragazzo si stava inespressivamente
osservando le dita di una mano.
Orion seguì lo sguardo di Harry e anche la sua
attenzione si spostò sul Prefetto. “E tu Tom non dici niente? Immagino sapessi già tutto…”
Il ragazzo si limitò a rivolgergli uno sguardo
condiscendente. “So poco più di quello che vi ha appena raccontato, ma certo da
un bel po’ di tempo: chi credi che glieli abbia procurati dei documenti falsi,
la Fata Turchina?”
Orion, inaspettatamente, assunse un’espressione confusa.
“Certo che no, non è morta negli anni venti? E poi che centra?”
Harry e Tom si scambiarono un’occhiata in tralice,
ma tornarono in fretta a rivolgere la loro attenzione agli altri due compagni,
prima che potessero notare le espressioni divertite sui loro volti.
Meredith, che fino a quel momento era rimasta in
silenzio, parlò per la prima volta: “È per non rivelare la tua identità che hai
scelto un cognome babbano allora?”
“No, in realtà in un certo senso Evans è anche il
mio cognome, era quello di mia madre infondo.”
“Questa cosa non ha senso,”
Ribatté nuovamente Orion, “com’è possibile che non possiamo neanche sapere come
ti chiami?”
“Dai, Orion, se ha detto che non può dircelo, non
potrà davvero…” intervenne con voce flebile Meredith cercando di calmare
l’amico.
“Ma nemmeno il suo nome! Cos’ha paura che succeda,
che lo cerchiamo sull’elenco della Metropolvere e gli
facciamo gli scherzi via camino?”
“Forse non ti è venuto in mente, Black” si
intromise Tom derisorio, “che se usa un nome falso, sotto mentite spoglie, per
un certo periodo di tempo, è chiaramente in incognito. Se volete proprio
saperlo, da come la vedo io assomiglia tanto ad una–
”
“– missione…” finì la frase Meredith in un soffio.
E Harry, che aveva seguito lo scambio di battute
sentendo una vena di panico cominciare a salirgli in gola, si trovò
improvvisamente con tre paia di occhi focalizzati completamente su di lui, i
loro sguardi percorrere la sua intera figura fino al minimo dettaglio.
Fu Orion a rivolgerglisi
per primo, con espressione metà tra il sorpreso e il meravigliato.
“Sei un soldato.”
Harry sbarrò gli occhi. “Oh no, nononono,
non cominciate nemmeno. Niente speculazioni, niente tiri ad indovinare, niente
discussioni: quello che potevo dirvi ve l’ho detto, dimenticate qualunque altra
cosa.”si affrettò a mettere
le cose in chiaro il ragazzo, “Per l’amor del cielo, non provate a indovinare.”
Di tutta risposta, Orion alzò semplicemente un
sopracciglio, “Che ti aspettavi scusa, che avremmo accettato questa mezza spiegazione
senza fare domande?”
“Ma sei stato tu per primo a dirmi che non
importava quale fosse la mia storia, o perché nascondessi il mio aspetto! Che
l’unica cosa che conta è che io sia qui!” ribatté
ricordando le vecchie parole dell’amico.
Il Serpeverde si passò una mano tra i capelli. “Si,
è vero, ma – per Merlino – stavo pensando a qualcosa di molto più semplice, non
che tu fossi una specie di… agente segreto o cosa.”
Poi, prima che Harry potesse rispondere, si girò di scatto verso Tom. “Ehi,
aspetta un secondo, cosa vorresti dire con ‘per un certo periodo di tempo’?”
Tom si limitò ad alzare le sopracciglia e guardare
Harry, invitandolo a rispondere. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo in
direzione del Prefetto, ormai capendo che se stava cercando un po’ di appoggio,
non l’avrebbe trovato nel suo… ragazzo?
“Beh?” arrivò spazientita la voce di Orion.
Scosse la testa, cercando di concentrarsi e non
pensare a cos’era successo non tanto tempo prima in
Biblioteca. Rigirandosi nella mante la domanda di
Orion, alla ricerca di una possibile via d’uscita, si mordicchiò il labbro
inferiore: quella era sicuramente la parte più difficile da dire e non c’era
modo che i due amici la potessero prendere bene.
“Quello che Tom voleva dire è che… l’anno prossimo
non sarò più a Hogwarts.” Strizzò gli occhi, “Anzi,
parto tra due mesi.”
Se qualcuno pensava che
soltanto nei fumetti le persone rimanessero a bocca aperta, si sarebbe
ricreduto nel vedere l’espressione di Orion. Ed Harry rimase sorpreso
quando a scattare in piedi fu Meredith, approfittando della temporanea
impossibilità a parlare coerentemente del compagno.
“Due mesi? Te ne andrai tra due mesi?!”
Harry sospirò. “Si.”
La Corvonero sembrò per un attimo entrare nello
stesso stato di Orion, ma in pochi secondi il viso le si
arrossò, e lui dovette ricordarsi che quelle poche volte che la ragazza
cominciava ad alzare la voce, perdeva completamente ogni velo di timidezza.
“Tu – tu…! Non te ne puoiandare! Non puoi!”
“Mere, cerca di capire, non dipende da me –”
Ma la ragazza non si lasciava placare così
facilmente “No, cerca di capire tu invece!” ribatté infervorata, “Hai solo una vaga idea di come fossero
le giornate prima che arrivasti, almeno per me? Cosa vuol dire svegliarsi solo
per seguire le lezioni, fare i compiti e tornare a dormire? Non avere nessuno
con cui parlare, scherzare, non avere nessun amico?”
Harry non rispose, perché non c’era una risposta
che avrebbe potuto consolarla, almeno non senza dover contenere per forza una
bugia. Poté solo continuare ad ascoltarla, guardando con una stretta al cuore i
suoi occhi farsi lucidi.
“E poi sei arrivato tu e finalmente c’era qualcuno!
E ho conosciuto anche Orion, e Tom, e i miei compagni di Casa non mi fanno più
nulla perché improvvisamente non sono più così piccola, o così sola e
impotente…” sbatté gli occhi, forse per ricacciare indietro le lacrime, “Adesso
mi vuoi dire che era solo una piccola pausa, che tempo due mesi tornerà tutto
come prima. Che ci lascerai di nuovo soli…”
“Meredith, io non…” Harry deglutì, “Se fosse per
me… credimi, le cose andrebbero in un altro modo. Ma non dipende da me! Non
posso fare nulla!” cercò di ribattere. Era la verità, non c’era dubbio, ma
sapeva anche bene che non aiutava a rendere le cose migliori, e anche alle sue
stesse orecchie quelle parole non sembravano che deboli scuse.
Cercò un altro appiglio. “E poi non sarai sola, ci
sarà sempre Orion! E sì, anche Tom…” si voltò verso l’altro seduto sulla
poltrona, “Dai, diglielo anche tu!”
Ma Orion non stava nemmeno guardando Harry, era
invece voltato verso Tom.
“E tu non dici nulla? Lo lasci andare così,
semplicemente?”
Harry si irrigidì, perché improvvisamente la
temperatura dentro la stanza sembrava essersi abbassata vertiginosamente, e
aveva il brutto presentimento che quelle parole non avrebbero portato a nulla
di buono.
“Orion…” cercò di ammonire il ragazzo, sperando
vivamente che la conversazione non stesse prendendo la
piega che temeva. Lanciò un’occhiata a Tom, sedutogli di fianco, non
sorprendendosi nel trovarlo impassibile come sempre.
L’altro Serpeverde non gli diede retta e continuò
ad indirizzare il Prefetto. “E io che pensavo ci tenessi, almeno un minimo, e
invece era solo un altro dei tuoi giochetti, un passatempo.”
“Basta Orion, dacci un taglio!” gli sibilò Harry,
notando con un po’ di apprensione che la mano che Tom stava tenendo appoggiata
sul divano di fianco a lui si era stretta in un pugno e aveva cominciato a
tremare.
“Avanti Tom, allora deve essere un sollievo il
pensiero che tra due mesi partirà. Che per tutto il resto della tua vita non lo
rivedrai mai, maipi–”
Sbam!
Tom era in piedi, i palmi aperti contro il tavolino
di vetro che aveva colpito con tanta forza che era un miracolo non fosse andato
in frantumi. Testa bassa, abbastanza da coprirgli l’espressione in volto, ma
non c’era alcun bisogno di guardarlo in faccia per capire il suo stato d’animo.
Ci fu qualche secondo di silenzio, dove tutti erano rimasti troppo sorpresi per
potersi muovere, prima che Tom rizzasse la schiena, girasse su se stesso e si
precipitasse fuori dalla Stanza delle Necessità,
sbattendosi la porta alle spalle.
“Tom!” lo chiamò invano Harry, alzandosi a sua
volta. Senza nemmeno guardare in faccia gli altri due compagni corse fuori dalla stanza, ignorando la voce di Meredith che lo
chiamava.
Appena si chiuse la porta alle spalle – che sparì
come se non ci fosse mai stata – si fermò dopo appena un passo, voltando la
testa da un lato e dall’altro alla ricerca del ragazzo. Lo trovò subito, appena
alla fine del corridoio, con la schiena rivolta verso di lui e il viso verso il
muro, i pugni chiusi ai lati del corpo, come se fosse stato nel mezzo di una
corsa e si fosse imposto da solo di fermarsi, bloccandosi in stallo lì, davanti
alla parete.
In pochi secondi Harry gli era già di fianco.
“Tom…”
Nessuna risposta. Harry gli prese una manica e la
tirò piano, ma il braccio dell’altro rimase rigido e immobile, e il ragazzo non
si voltò nemmeno a guardarlo.
Prendendo un profondo respiro continuò: “Lo so che
tutto quello che ha detto Orion era solo per farti reagire, so che…” si fermò,
lanciando un’occhiata ai lineamenti impassibili dell’altro, “so che non lo
pensa davvero. So che tu non lo
pensi.”
Un tremito delle palpebre fu l’unica risposta che
ricevette, e ad Harry stava crescendo una voglia
enorme di prendere per un braccio il Serpeverde e scaraventarlo contro il muro,
giusto per estorcere – per una volta
– una qualunque emozione da quella fredda corazza che erano le sue espressioni.
Per riuscirci ci sarebbe riuscito, la forza certo non gli mancava.
Ma, sapeva, non sarebbe servito a nulla, ed erano
successe troppe cose in troppo poco tempo, ed era ancora così stanco, fisicamente, emotivamente, non
lo sapeva più neppure lui.
Tom pensava forse che non gliene fregasse niente?
Credeva che quella situazione fosse anche solo un briciolo
meno dolorosa per lui di quanto non lo fosse per gli altri?
Non si era lasciato nemmeno il tempo di pensarci,
in quale casino si era andato a cacciare, e l’aveva fatto per puro spirito di
conservazione, perché chi sapeva a quale conclusione sarebbe arrivato se si
fosse fermato a ragionare?
E Tom si comportava come se lui, Harry, lo stesse
facendo apposta a voler a tutti i costi abbandonarlo, come se non si sentisse
il sangue ghiacciare nelle vene ogni volta che pensava alla sua partenza… al
doverlo lasciare… al doverlo uccidere…
E Harry era così convinto che il cuore gli battesse
tanto forte da farsi sentire da tutta Hogwarts quando
Tom gli era vicino, che gli era sembrato ovvio che anche l’altro ragazzo lo
sentisse fermarsi improvvisamente ogni volta che la sua partenza veniva
nominata.
Alzò gli occhi sul viso di Tom – sul viso perfetto di Tom – e si trovò stanco
anche di sapere che c’era qualcosa
dietro ai suoi baci, e di non poterglielo mai vedere riflesso negli occhi.
“Tom, ti prego…” sospirò, quanto più vicino ad una
supplica sarebbe mai andato.
Doveva esserci stato davvero qualcosa nel suo tono
voce, perché il Prefetto alzò lo sguardo verso il soffitto e rilassò le mani,
mettendole nelle tasche dei pantaloni.
“’Quasi due mesi’ è un
po’ vago come periodo.” Disse infine, “Quanto tempo ti
resta, di preciso? Quando dovresti
partire?” aggiunse voltandosi finalmente a guardare Harry in faccia.
L’altro si fermò un attimo sbattendo gli occhi spiazzato, non tanto perché fosse una domanda
inaspettata, ma perché seppure ne avesse un’idea vaga, aveva sempre – anche
solo inconsciamente – rimandato il pensiero di contare i giorni ad un altro
momento.
“Non lo so di preciso…” e si sarebbe voluto
picchiare da solo, perché cosa avrebbe fatto se il tempo fosse finito senza che
lui se ne fosse accorto, e l’incantesimo l’avesse rispedito nel presente senza
che lui avesse trovato il libro? “Ricordi che giorno era, la prima volta che ci
siamo incontrati?” chiese a Tom.
Lo sguardo del Serpeverde si fece distratto, come
se stesse rivivendo nella mente quel ricordo. “Era il diciotto Ottobre.” Disse infine, e Harry fu contento di vedere che non era
riuscito a nascondere del tutto un piccolo sorrisetto che gli era spuntato
sulle labbra al pensiero di come era finito il loro primo incontro. Quello schiantesimo – Harry ne era sicuro – non gli era mai stato
perdonato.
Avrebbe voluto rimanere a pensare ai
ricordi dei giorni passati – molto meno dolorosi dei pensieri di quelli futuri
– ma la domanda del Prefetto non aveva ancora ricevuto una risposta.
Tom si voltò completamente verso di lui, sorriso
completamente scomparso, rimpiazzato da qualcosa che non era impassibilità, ma
nemmeno rabbia. “Quindi è così, sei deciso ad andartene.”
Tom che – coglione che sei!
“Ma perché nessuno riesce a capirlo?” esclamò Harry
alzando le braccia al cielo, “Non –
dipende – da – me - !” sibilò, “E tu mi guardi come… come se fosse colpa
mia, come se volessi andarmene! Come diavolo puoi solo pensare che io voglia
lasciarti? Dio, se fosse per me io – io –”
“Tu cosa?” rispose Tom, e l’altro registrò
vagamente come fosse strano che tra i due quello calmo
sembrasse il Serpeverde, “Cosa faresti, se fosse per te? Non te ne andresti?”
La risposta automatica Si!gli rimbombò per con veemenza nel
cervello, e aveva già aperto la bocca per rispondere quando, implacabili, le
immagini dei volti di Ron, Hermione,
Ginny, Remus e tutta la sua
squadra gli vennero prepotenti alla mente. Serrò la bocca di scatto e strinse i
pugni, mentre un’onda di sensi di colpa lo sommergeva.
Se ci fosse stato un modo per raggirare il Velo e
farlo rimanere nel passato, lo avrebbe mai sfruttato? Avrebbe abbandonato tutti
i suoi amici al loro destino? Tutte le persone che credevano in lui, l’intero Mondo Magico?
Avrebbe rischiato di cambiare completamente il
corso del tempo? Sarebbe stato disposto a rimanere nel passato, sapendo di
poter compromettere la stessa nascita
di tutte le persone che conosceva?
Dentro di sé sapeva già la risposta, la sentiva
chiara e forte. Sapeva che nonostante ciò che Tom significava per lui, c’erano
cose che avrebbero sempre preso il primo posto tra le sue priorità. Anche se
lui non lo voleva, anche se non erano più importanti. Era la storia della sua
vita.
Ma guardando negli occhi Tom, in quel momento, e
vederlo così bello, così potente, così brillante… e sapere che nel momento in
cui lui, Harry, se ne fosse andato, lo avrebbe condannato a diventare un mostro... quelli erano sensi di colpa
più atroci di qualunque altri.
Perché era lui ora l’unica speranza di Tom: non
Orion, non Alden, ma lui. Era l’unico che avrebbe potuto mostrargli un’altra strada,
fargli capire quanto si stava perdendo, insegnarli poco a poco quanto era
diverso il sapore della vita con qualcuno al proprio fianco.
E invece quando sarebbe partito, Tom avrebbe
dimenticato tutto, si sarebbe trasformato col tempo nella creatura peggiore che
avesse mai camminato sulla faccia del pianeta.
Cosa faresti,
se fosse per te?
Le parole gli uscirono dalla bocca prima che potesse controllarle.
“Ti porterei via con me.”
Vide gli occhi di Tom allargarsi per un attimo sorpresi e dovette trattenersi dal tapparsi la
bocca con una mano, allarmato ora dal sorrisino che si stava delineando sulla
bocca del Serpeverde, troppo felice per essere definito un ghigno e troppo –
troppo Tom per poter essere chiamato
un sorriso.
“Sarà quello che farò allora, verrò via con te.” Disse il Prefetto, scrollando le spalle come se non si
trattasse di nulla di difficile, ma senza mai abbandonare il suo strano
sorriso.
Harry, invece, si stava allarmando non poco. “No,
no, Tom, aspetta, tu non – non ti posso portare con me! Era solo… non volevo
dire quel –”
“Vuoi dire che non mi vuoi?”
“Ma certo che ti voglio, idiota, quello che volevo
dir… oh, lo stai facendo apposta, vero? Dai ascoltami, io sono serio! Non puo –” ma venne interrotto da un
paio di labbra sulle proprie, veloci, in un piccolo bacio a stampo che ebbe giusto
l’effetto di zittirlo momentaneamente.
“Ma che fai Tom!” protestò Harry
quando un braccio gli circondò la vita, e un altro bacio a stampo gli
venne recapitato sulle labbra. Sbattendo gli occhi, una volta che il Serpeverde
si fu di nuovo allontanato, Harry aggrottò le sopraciglia, cercando di
divincolarsi dalla presa.
“Dai, Tom, è un discorso serio, dobbiamo parlarne
con calm–” bacio di nuovo, “– e smettila dai–” bacio ancora, e questa volta Harry si lasciò sfuggire
una mezza risatina, perché era semplicemente così
assurdo e infantile il comportamento del Serpeverde, in una situazione come
quella.
Però quella volta le labbra di Tom non si
allontanarono subito, anzi si aprirono e un brivido scese lungo la schiena di Harry quando sentì la lingua calda dell’altro chiedere il
permesso di entrare, bagnandogli le labbra. Con un sospiro a metà esasperato e
a metà avido, il ragazzo si sciolse nel bacio, lasciandosi scappare un gemito quando sentì i movimenti di Tom farsi più passionali,
cercando un appiglio nel far scorrere le mani prima sulle spalle, poi lungo il
collo e infine tra i capelli del Serpeverde.
Non poteva resistergli. Non poteva resistergli in
alcun modo e non gliene fregava niente.
Quando Harry sentì che di lì a poco le cose
sarebbero degenerate nel mezzo del corridoio, si separò ansimando. Nonostante
non avesse dimenticato la discussione, non provò più a parlare, accontentandosi
di sfoggiare un pigro e contento sorriso sulle labbra tra le guance arrossate e
il fiatone, mentre i loro nasi erano ancora abbastanza vicini da toccarsi.
Primo perché era sicuro che se avesse aperto bocca
sarebbero uscite fuori le parole sbagliate – qualcosa più vicino
aDio, seguimi
in capo al mondo che non Mi dispiace,
non puoi venire con me. Secondo – motivo più serio – perché qualunque cosa
Tom avesse cercato di fare, non vi era davvero un modo per aggirare il Velo, e
quando il momento sarebbe arrivato, avrebbe risucchiato Harry, e solo Harry, nuovamente nel presente.
“Piaciuto lo spettacolo?” sentì la voce di Tom
chiedere sarcastico.
Alzò la testa perplesso,
tornando a concentrarsi sul presente, ma vide subito che il Prefetto non si
stava rivolgendo a lui, ma aveva il volto girato verso il resto del corridoio.
Infatti dall’altro lato del
corridoio Orion e Meredith erano fermi appena fuori dalla Stanza delle
Necessità e li stavano fissando, uno con occhi sbarrati ed espressione
visibilmente sorpresa, l’altra con un piccolo sorriso e le guance imporporate
di imbarazzo.
Sinceramente, pensò Harry, quella scena cominciava ad essere ripetitiva.
“Ehm… noi eravamo venuti a cercarvi…” cominciò
Meredith, ancora decisamente imbarazzata, se il suo colorito diceva qualcosa,
“…perché Orion,”
e qua il suo tono non aveva nulla di timido, “ deve delle scuse a qualcuno, non è vero?”
Il Serpeverde venne spinto
in avanti, così risvegliato dallo stupore, e con un sorrisetto impacciato si
grattò la testa. “Si, ecco… io non…” fece un’altro passo
verso di loro, ma si fermò subito, voltandosi verso la Stanza delle Necessità.
“Non è che potreste tornare qua? Non è proprio comodo parlare da un capo
all’altro del corridoio…”
Harry sospirò e si districò dalla presa del
Prefetto. “Dai, andiamo. Ci sono un sacco di cose di cui dobbiamo ancora
parlare.”
Tom non sembrava troppo propenso a muoversi, ma
bastò che Harry gli prendesse una mano, intrecciasse le proprie dita con le sue
e lo tirasse dolcemente per il braccio, che con uno sbuffo il Serpeverde
cominciò a seguirlo, e in due raggiunsero gli altri.
Una volta che furono nuovamente tutti e quattro
nella Stanza delle Necessità ripresero i propri posti, Orion e Meredith nelle
poltrone e Tom e Harry sul divano, anche se stavolta gli ultimi due ne
occupavano solo poco più di metà, avendo un braccio di Tom afferrato la vita
dell’altro e trascinato il ragazzo il più vicino possibile al suo fianco.
Orion si schiarì la gola. “Quindi… state insieme?”
“Problemi, Black?” ribatté immediatamente Tom, con
una nota minacciosa nella voce.
“Tom…” lo ammonì bonariamente Harry, sapendo che in
realtà non aveva alcuna cattiva intenzione contro l’amico.
Ma Orion sollevò un lato della bocca in un mezzo
sorriso. “Nessuno, nessuno… solo, volevo sapere se Harry è ufficialmente fuori dalla piazza.”
Passò qualche secondo di silenzio, in cui tutti
aspettavano la risposta di Tom che sembrava non voler arrivare. Dopo un po’,
vedendo che nessuno si muoveva ad andare avanti, Harry si decise a riprendere
in mano le redini del discorso e interrompere l’infantile battaglia di sguardi
tra i due Serpeverde. Aveva appena aperto la bocca, però, quando finalmente Tom
parlò:
“Lo tocchi una sola volta e sei morto, Black.”
“Tom!” si voltò indignato Harry verso il Prefetto,
ma dall’altro lato del tavolino Orion scoppiò a ridere.
“Lascia stare Harry, è esattamente la risposta che
volevo sentire.” Disse ancora ridendo il Serpeverde,
mentre Tom si limitava a stringere la presa sul suo ragazzo e Harry a scuotere la testa rassegnato davanti al comportamento dei due.
In tutto quello, Meredith si schiarì piano la gola.
“Ehm, non che non sia contenta per voi e tutto, ma possiamo tornare
all’argomento principale?”
Harry annuì. “Dove eravamo rimasti?”
“A te che te ne vai tra
due mesi.” Rispose piatto Orion.
“Oh, giusto…”
“E a qualcuno
che deve delle scuse, vero Orion?” intervenne Meredith lanciando
un’occhiata al ragazzo in questione.
“Ehm, già…” Orion si passò una tra i capelli, prima
di indirizzare gli altri due ragazzi, “Sentite, non dicevo sul
serio prima, quando ho detto… vabbeh, lo
sapete quello che ho detto. Insomma, mi dispiace. Da quello che ho vistopoi, è evidente che tu ci tieni a Harry.”
Aggiunse con un sorrisetto guardando Tom, poi tornò serio, “Tra
di voi tutto a posto? Non vorrei aver causato qualche screzio…”
Fu Tom a rispondere. “Tutto a posto.” Poi,
sollevando un angolo della bocca in un ghigno, aggiunse. “Io partirò con lui.”
Un attimo di silenzio, poi:
“Davvero?”
“Puoi farlo?”
“Tom!”
Il Prefetto si voltò verso Harry, che in quel
momento stava tentando di spostargli il braccio per potersi girare del tutto
verso di lui.
“Tom, ti ho detto che non puoi venire con me!” ribatté una volta che ebbe rinunciato a
smuovere il Serpeverde. “Sto dicendo sul serio, non c’è alcuna possibilità: non– puoi – seguirmi–!”
“D’accordo, come vuoi tu.” Fu la semplice risposta
dell’altro, ma il tono noncurante con cui erano state pronunciate e il solito,
compiaciuto ghigno stampato in faccia, facevano di quelle parole le più false che Harry avesse mai sentito.
Guardando con la coda dell’occhio agli altri due
occupanti della stanza, che li stavano osservando attentamente, Harry decise
che sarebbe stato meglio continuare quella conversazione in privato. Lanciò
un’occhiata a Tom con il chiaro significato di Non è finita qui e tornò a rivolgersi verso Meredith e Orion,
inconsciamente risistemandosi intorno alla vita il braccio del Prefetto.
“Lasciamo stare… stavamo dicendo?”
Orion fece rimbalzare per un attimo lo sguardo tra
Harry e Tom, poi, evidentemente decidendo fosse meglio non immischiarsi in una
discussione tra amanti, scosse la testa e riprese il discorso:
“Harry, io e Meredith abbiamo parlato un po’ mentre voi eravate… fuori… e beh,” assottigliò gli
occhi, “non pensare per un secondo che tu sia perdonato ma… volevamo chiederti
una cosa: per questa tua ‘missione segreta’,” disse
accentuando le parole disegnando un paio di virgolette in aria con le dita,
ignorando le proteste di Harry su come la sua non fosse per niente una
missione, “hai detto che hai tempo due mesi e poi te ne andrai, giusto?”
Al segno affermativo di Harry continuò, “E se non facessi in tempo a fare… qualunque cosa tu debba fare, cosa
succederebbe?”
Il ragazzo scrollò le spalle. “Non farebbe alcuna
differenza, dovrei partire comunque.”
Sorprendentemente, Orion si limitò ad annuire. “E
se finissi prima?”
Harry gli lanciò un occhiata
inquisitoria, cercando di capire dove volesse andare a parare. “Uguale,
dovrei andarmene tra due mesi in ogni caso. Come cercavo di dirvi, non dipende da me.”
Rispose, enfatizzando le ultime parole.
“Bene!” esclamò Orion con un sorriso, “Quindi
perché non ti fai aiutare?”
Harry sbatté un paio di volte le palpebre. “Come
scusa?”
“Ma si,” insistette il
Serpeverde, “se tanto non possiamo fare nulla perché tu non parta, e se il
giorno della tua partenza non dipende dal successo o meno di questa ‘missione segreta’, l’unica cosa che possiamo fare è
aiutarti. Prima ci leviamo dalle scatole questa ‘missione segreta’,
più tempo avrai da spendere con noi senza preoccupazioni, o sbaglio?”
Harry era rimasto spiazzato. Non gli era passato
per la testa nemmeno per un minuto la possibilità di chiedere aiuto, e sebbene
solo qualche ora prima gli sarebbe sembrata un’idea assurda, non riusciva a
trovare un’immediata obbiezione al discorso di Orion. Quali rischi correva?
Potevano scoprire qualcosa del futuro, aiutandolo a cercare il libro? Ma non
sapevano nemmeno che lui veniva dal futuro… e se avessero
chiesto spiegazioni, beh, lui ufficialmente non poteva dire niente,
giusto?
E poi era vero che le ore che passava in Biblioteca
erano tutti minuti rubati al tempo che avrebbe potuto spendere insieme a Orion,
a Meredith… a Tom…
“Non so Orion…” rispose ancora leggermente
titubante, “quello che dici ha senso, però…”
“Andiamo, non sarà certo qualcosa di spericolato e
impossibile che solo chi ha avuto un addestramento da Auror
può portare a termine!” ribatté il ragazzo. Poi si fermò e lanciò un’occhiata
ansiosa a Harry, “… non è qualcosa di spericolato e impossibile che solo chi ha
avuto un addestramento da Auror può portare a
termine, vero?”
Il ragazzo rise. “No, no, non preoccuparti. Anzi, è
piuttosto noioso in realtà.”
“Di che si tratta?” chiese Meredith.
Harry si morse un labbro ancora per qualche secondo
indeciso, poi sospirò. “Sto cercando una cosa.”
Tom, che fino ad allora non aveva parlato, si voltò
interessato. “Qui a Hogwarts?”
Harry annuì.
“Avanti, dai, di che si tratta?” lo incitò Orion.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, poi,
finalmente, rispose.
“Un libro.”
Per qualche secondo nessuno parlò, poi:
“Un libro?”
“Un libro?!”
Perfino Tom alzò un sopracciglio a metà tra il
sorpreso e lo scettico.
Harry guardò i compagni con espressione spiazzata,
colto alla sprovvista dalle loro reazioni. “Si. C’è qualcosa che non va?”
Orion si grattò la testa. “Beh, no, presumo di no. Solo… boh, mi aspettavo
qualcosa di diverso.” Rispose con una risatina
imbarazzata.
“Ecco perché passi così tanto tempo in Biblioteca…”
mormorò Meredith, come se le si fosse appena svelato
un grande mistero, “E io che ero convinta ti impegnassi tantissimo negli studi.”
Il sopracciglio di Tom non si era ancora abbassato.
“E quale sarebbe, sentiamo, questo fantomatico libro? E poi perché cercarlo
qui?”
“Sono sicuro che sia qui,”
rispose lui con un sospiro, “almeno in questo an–posto,
in questo posto.” Si salvò all’ultimo,
cercando di ignorare il modo in cui il Prefetto aveva assottigliato gli occhi
nel sentire il suo lapsus, “Comunque il titolo èAnima e Corpo: Condanne e Beatitudini dei
Legami Magici.”
“Il titolo?
Ma se hai il titolo qual è il problema? Vai dalla bibliotecaria e chiedi.” Intervenne Orion.
Ma Harry scosse la testa, mentre registrava
distrattamente Tom spostarsi e scioglierlo dalla presa del suo braccio, “Non è
così semplice: prima di tutto è nel Reparto Proibito, e non posso certo
presentarmi alla bibliotecaria senza un permesso firmato da un professore.”
Il Serpeverde sollevò entrambe le sopracciglia.
“Reparto Proibito? E a che diavolo ti serve un libro del genere? No, vabeh, lascia stare,” disse quando
vide Harry aprir bocca per ribattere, “ho capito l’antifona ‘non posso dirvelo’” gli fece il verso.
“Anima e
Corpo: Condanne e Beatitudini dei Legami Magici…” sussurrò Meredith
pensierosa, mentre Harry fulminava Orion con lo sguardo, “Non l’ho mai sentito,
ma è anche vero che non ho mai fatto ricerche nel
Reparto Proibito.” Si rivolse ad Harry, “Anche quei
libri però dovrebbero essere catalogati nei registri, hai provato a guardare lì
in quale scaffale si trova?”
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli in un
gesto nervoso, sentendo riaffiorare la frustrazione che lo accompagnava sempre quando si trattava della sua ricerca. “È lì che le cose cominciano ad essere strane: ho controllato i registri, ma non c’è
nella posizione che lì è segnata. L’unico indizio che ho è che qualcuno l’ha
preso in prestito più di due mesi fa e stranamente il nome non è segnato. Come al solito la data di restituzione è per quindici giorni dopo
e sebbene non c’è traccia di alcun richiamo per un ritardo, non c’è neppure una
conferma di restituzione… il che in realtà potrebbe voler dire qualunque cosa.”
Finì di spiegare con voce esasperata.
Vide la Corvonero aggrottare le sopracciglia. “È
strano che ci sia un buco del genere nei registri; conosco la bibliotecaria ed
è davvero scrupolosa nel suo lavoro…”
“Beh, tutti possono sbagliare una volta, la sfiga è
che doveva capitare proprio su questo.” Ribatté Orion
con una scrollata di spalle. Poi si rivolse di nuovo a Harry, “E quindi cosa stai facendo adesso?”
Il ragazzo sbuffò. “Sto continuando a cercarlo
nella Sezione Proibita, sperando che sia stato rimesso fuori posto per sbaglio.
Poi sai come sono i libri in quegli scaffali, sono così vecchi che molti non
anno nemmeno il titolo scritto in copertina… forse c’è e non l’ho ancora
trovato…”
Il Serpeverde lo guardò con aria scettica. “E se
fosse stato messo per sbaglio nel resto
della Biblioteca? Non puoi andare a sfogliare ogni singolo libro!”
Harry gli lanciò un’occhiata irritata, “Tu hai
un’idea migliore per caso?” ribatté.
Orion non rispose, evidentemente dandogli ragione,
e per qualche secondo nessuno parlò, tutti presi dai loro pensieri
mentre cercavano di trovare una via d’uscita. Fu solo in quel momento di
quiete che Harry notò che Tom era rimasto in silenzio per tutta la discussione.
“Tom?” lo chiamò piano, rendendosi conto per la
prima volta che il Prefetto si era allontanato da lui fino all’altro lato del
divano e stava fissando il fuoco scoppiettante nel camino, con espressione
assorta.
Sentendosi chiamare si voltò, ed Harry aveva
cominciato a capire abbastanza del ragazzo per sapere che l’espressione che
aveva in volto non aveva nulla di rilassato.
“Hai detto che se anche non trovi questo libro,
dovrai partire comunque.” Disse poi, rivolgendosi
direttamente a lui. Al cenno affermativo di Harry continuò, “È così poco importante
quindi? Puoi farne a meno tanto facilmente?”
E quella era la sua preoccupazione maggiore, tra
tutte – si poteva contare su Tom nel trovare sempre la principale debolezza – e
gli riportava alla mente uno dei piani più pericolosi e sconsiderati che aveva
mai pensato di poter mettere in atto, anche più di quello di essere andato cinquant’anni nel passato:
Farlo di nuovo.
Perché no? Se – nell’ipotesi peggiore – fosse stato costretto a tornare nel presente a mani vuote,
cosa gli impediva di rifare la stessa identica cosa, prendere una giratempo, lanciarla nel velo e dire anno esatto e luogo
dove sarebbe voluto arrivare?
La parte assennata di Harry – quella che suonava
sospettosamente come la voce di Hermione – gli faceva
notare ogni volta che ci pensava che un viaggio nel tempo non era esattamente
come un viaggio in aereo, che era stato fin troppo
fortunato a non essersi dissolto nel nulla nel mezzo della dimensione
spazio-temporale e che prima che fosse stato capace di trovare un’altra giratempoHermione avrebbe avuto
il tempo di spellarlo vivo per averlo
fatto già una sola volta.
E nonostante tutti questi vincoli, non era mai
nessuno di quelli a fargli abortire il piano e sotterrare il pensiero, ma…
Tom non
ricorderà nemmeno di avermi mai incontrato.
Era una doccia gelida il pensiero, e davvero non
gli serviva pensarci sopra per sapere che non sarebbe mai riuscito a vivere
dentro Hogwarts, seppure di nascosto, sapendo che Tom era lì a qualche metro di
distanza, mangiando, studiando, dormendo, il tutto senza essere nemmeno
consapevole della sua esistenza.
Perché come poteva finire altrimenti? Se il Velo lo
avesse riportato nell’esatto punto e momento del suo primo arrivo, avrebbe
incontrato un Tom che lo vedeva per la prima volta; e se anche lo avesse
straordinariamente riportato appena poco dopo il momento della sua partenza,
Harry sapeva ciò che sarebbe stato costretto a fare prima di ritornare nel
presente: cancellare i ricordi del loro incontro, perché non poteva rischiare
di fallire e cambiare così drasticamente il futuro.
Ma come era Tom a fargli scartare la possibilità,
era sempre lui a tenere una piccola fiammella di speranza viva, perché – se
fosse riuscito a trovare un modo per non dover cancellare la memoria a Tom e
preservare il futuro? Se il Velo avesse potuto portarlo nel momento esatto?
Tre mesi in più con Tom. Tre mesi. Dio, avrebbe dato un occhio anche solo per un giorno in
più…
Si morse un labbro, guardando l’espressione atona
del Prefetto mentre lo fissava. “No, quel libro mi serve
assolutamente.” Disse infine cauto, “Non ne sono sicuro… ma
è possibile che io ritorni, per altri tre mesi intendo, nel caso non lo
trovassi… ma non è certo!” Si affrettò ad aggiungere, più per sé stesso che non
per Tom.
Gli occhi del Prefetto brillarono per un istante di
una luce strana, poi semplicemente annuì e si avvicinò di nuovo, riprendendo la
sua posizione di prima, intrufolando un braccio dietro alla schiena di Harry
per stringerlo al suo fianco in una presa che il ragazzo cominciava a trovare un
po’ troppo possessiva, nonostante il
sospiro contento che gli sfuggì dalle labbra al contatto con il calore
dell’altro.
Lanciò un’occhiata a Orion e Meredith per vedere
come avevano preso la notizia di un suo possibile ritorno, ma li trovo a
parlottare tra loro. Dovevano aver pensato che la loro fosse
una conversazione tra ‘fidanzati’ e aver loro lasciato un po’ di privacy.
‘Beh, meglio così,’ pensò Harry
tra sé, ‘meglio parlarne tra due mesi che dar loro adesso false speranze…”
Si schiarì la gola per catturare la loro
attenzione. “Quindi… mi aiuterete a trovarlo?”
“Certo! Cosa stiamo parlando a fare da un’ora
sennò?” rispose Orion entusiasta, “Dobbiamo solo metterci d’accordo per il
quando. Che ne dite di mercoledì pomeriggio?”
“Dopodomani? Perché non domani?” ribatté Tom con
voce annoiata. Harry si girò per guardarlo negli occhi: sembrava
improvvisamente disinteressato, come se l’argomento lo riguardasse appena.
Nonostante fosse sicuro che il Prefetto stesse
sentendo chiaramente il suo sguardo inquisitorio, visto che non riceveva alcuna
risposta, tornò a concentrarsi sulla discussione, mettendo da parte per un
secondo momento le domande.
“Domani ho gli allenamenti di Quidditch,
stessa cosa venerdì.” Rispose Orion scrollando la
testa.
“Ma mercoledì io e Tom abbiamo il Lumaclub, non possiamo saltarlo…” ribatté Meredith. Harry
rimase un attimo sorpreso nel sentire che anche la ragazza era entrata nel club
di Lumacorno ma, conoscendo il professore, era praticamente impossibile
che non si fosse interessato nell’unica studentessa che era stata capace di
saltare due anni di scuola.
Orion si grattò il mento pensieroso. “Giovedì?
Qualcuno ha qualche impegno?”
Harry alzò spalle. “Io sono sempre libero.” Rispose
con voce stanca. Dio, non vedeva l’ora di poter tornare in camera per farsi la
doccia più lunga della sua vita.
Intanto anche gli altri scossero la testa.
“Perfetto! Allora siamo d’accordo.” Disse Orion
allegro battendo le mani sui braccioli della poltrona. Poi, guardando dritto in
faccia a Tom e Harry, aggiunse: “Ora, forse, potete finalmente dirci come mai
siete ricoperti da capo a piedi di polvere, avete i vestiti ridotti in quel
modo e… è sangue quello che hai sulla
faccia Tom?”
I due ragazzi in questione si scambiarono
un’occhiata, poi Harry lasciò cadere all’indietro la testa sulla spalla di Tom
con un gemito sofferente, pregando che al Prefetto venisse un improvviso,
irrefrenabile impulso di parlare a macchinetta per i prossimi dieci minuti.
Lui aveva raggiunto la quota massima di mezze verità
da raccontare, per quel giorno.
A.N.: sono di fretta (quando
mai non lo sono?) e la decisione di pubblicare il capitolo così è dell’ultimo
momento, quindi meglio che mi sbrighi prima che cambi idea XD.
Se qualcuno legge il mio blog,
saprà qual è stato il problema, e che quindi dovete aspettarvi un bizzarro
aggiornamento 25.5 tra qualche giorno ^^
È davvero l’unica soluzione a cui
sono riuscita ad arrivare, ma non credo che ci sia nulla di cui lamentarsi :P
Ditemi cosa ne pensate di questo, se avete qualche
domanda o c’è qualcosa che non vi torna chiedete pure!
P.S.: risposte alle recensioni
come al solito sul blog (vedere profilo). Ma credo
che le metterò nella mattina di domani o nella tarda notte oggi. ^^”
Altri
Personaggi:
Hermione Granger,
Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy, altri…
Avvertimenti:
Slash, Slash
e ancora Slash
Capitolo
26. Sconosciuto
Harry
uscì dal bagno strofinandosi i capelli bagnati con un
asciugamano,
lasciandosi sfuggire un sospiro soddisfatto alla sensazione del
pigiama pulito sulla pelle. Il sangue appiccicava i vestiti addosso
come nient’altro al mondo.
Appena
messo piede in camera sollevò lo sguardo e, vedendo il letto
di Tom
vuoto, si guardò intorno alla ricerca del Prefetto. Lo
trovò
davanti al terrario di Nagini che sibilava qualcosa in serpentese,
mentre faceva dondolare per la coda quello che sembrava essere un
grosso topo morto. Il serpente, però, se ne stava
raggomitolato
dalla parte opposta della teca di vetro e rispondeva in brevi sibili
stizziti.
Incuriosito
dalla nota esasperata nella voce di Tom, Harry si avvicinò
per
sentire meglio.
“Non
la mangio quella roba Tom, è cosssì…
morta.”
sibilò Nagini girando la testa dal lato opposto.
Il
Prefetto si lasciò andare ad un lungo sospiro sofferto.
“Nagini,
‘quella cosa’ è un topo, un topo.
I serpenti mangiano i topi.”
“I
ssserpenti caccianoi topi.”
Tom
lasciò cadere il topo nel terrario e incrociò le
braccia al petto.
“Lo
sai benissimo che
non ti posso lasciare libera di andare a caccia, e sai anche di chi
è
la colpa.”
“Non
sso di cosssa tu sstia parlando.”
rispose lei con
tono indifferente.
“Nagini,
ti sei intrufolata nella Sala Comune di Tassorosso.”
“Mi
ero persssa.”
“Per
trevolte?”
Harry
si lasciò scappare una risata, non riuscendo più
a trattenersi. Gli
altri due girarono entrambi la testa verso di lui e, sebbene Nagini
non avesse sopracciglia da sollevare, Harry era sicuro che le
espressioni di serpente e padrone combaciassero alla perfezione.
“Oh,
no, non badate a me. Continuate pure.”
disse loro
cercando di ricacciare indietro il sorriso divertito.
Il
volto di Tom si dipinse per un attimo di un’espressione
sorpresa,
ma subito dopo scosse la testa e si voltò di nuovo verso il
terrario.
“Che
c’è?”
chiese Harry, istintivamente mantenendo
il Serpentese.
“Niente,
niente. Solo, non sono abituato ad avere qualcun altro che mi capisce
quando parlo con Nagini.”
rispose il Prefetto con
un sorrisetto.
Il
serpente in questione aveva sollevato la testa oltre il bordo del
vetro – abbastanza da far dedurre che, essendo il terrario
senza
coperchio, non c’era davvero niente se non ubbidienza al suo
proprietario a fermarla nel caso volesse uscire – e si stava
allungando verso Tom.
“Allora
lo hai ssscoperto, finalmente.”
disse in un
sibilo divertito.
Tom
le rivolse un’occhiataccia. “E
questa è un’altra cosa di cui dobbiamo parlare,
perché non mi hai
mai detto niente anche se sapevi che Harry era un rettilofono.”
Nagini
ritornò alla sua posizione raggomitolata. “Sse
quello Verde voleva tenere il sssegreto, perchè sssarebbero
dovuti
esssere affari miei?”
Il
ragazzo borbottò qualcosa che somigliava molto a “Ti
vizio troppo…”,
mentre Harry guardava il
serpente con sguardo interrogativo. “Quello
Verde…?”
sussurrò perplesso.
Tom
si girò del tutto verso Harry, appoggiandosi al tavolo che
sosteneva
il terrario e incrociando le braccia con disinvoltura.
“È da
quando te l’ho presentata che ti chiama così. Le
piacciono i tuoi
occhi.” rispose. Poi un angolo della bocca gli si
sollevò in un
ghigno accattivante. “E non la biasimo.” aggiunse,
staccandosi
dal tavolo con una piccola spinta e avvicinandosi passo dopo passo a
lui.
Harry
lo guardò avvicinarsi, maledicendo quanto quel sorriso
seducente gli
stesse dirottando i pensieri in un'unica direzione. Ancora non
riusciva a capacitarsi di essere autorizzato a toccarlo, a
baciarlo... non riusciva a capacitarsi che Tom volesse toccare lui,
che tra tutti si accontentasse di sprecare baci sulla sua
bocca, di far passare il tocco delle sue mani sul suo
corpo...
Si
accorse di aver inconsciamente fatto un paio di passi in direzione
del Serpeverde, ma prima che, impacciato, potesse tornare indietro,
Tom lo aveva già afferrato e tirato a sé,
facendolo capitolare in
avanti tra le sue braccia.
Il
Prefetto gli circondò la vita con un braccio per sorreggere
il suo
peso, mentre l’altra mano andava a giocare con i capelli
della sua
nuca. Abbassando lentamente il viso, gli sussurrò piano ad
un
orecchio: “Dì qualcos’altro in
Serpentese.”
Il
respiro del ragazzo sul suo collo fece scendere un brivido lungo la
schiena di Harry, mentre si ritrovava a socchiudere gli occhi sotto
l’effetto rilassante di quelle dita tra i capelli. Lottando
contro
le palpebre pesanti, tornò a guardare fisso nelle iridi nere
di Tom
e, mentre un suo braccio andava ad allacciarsi dietro al collo del
Prefetto, un solo pensiero gli attraversò la mente.
“Baciami.”
E
Tom lo fece, catturandogli le labbra con movimenti lenti e sensuali,
accarezzandole con la lingua finché Harry non
aprì la bocca e lo
lasciò entrare. Rispose al bacio entusiasta, spingendosi in
avanti
contro il Serpeverde, cercando quanto più contatto poteva
col corpo
dell’altro.
Indietreggiarono
senza mai separarsi, e sarebbero sicuramente caduti sul letto di Tom
se Harry, sentendo il bordo del materasso battergli contro il retro
delle ginocchia, non si fosse aggrappato con una mano ad uno dei pali
in legno che sostenevano il baldacchino. A quel gesto Tom fece un
passo indietro, lasciandogli le labbra con un ultimo piccolo morso, e
sorridendo fece scorrere una mano lungo il braccio di Harry fino a
staccargli dolcemente le dita dalla presa che avevano sul legno, per
intrecciarle con le proprie in un gesto inaspettatamente dolce.
Un
po’ troppo
dolce.
Francamente,
Harry avrebbe dovuto saperlo da tempo che dolcee Tom
erano due parole che non si sarebbero mai trovate naturalmente in una
stessa frase.
Vide
infatti, in pochi istanti, il sorriso dell’altro trasformarsi
in un
piccolo ghigno, ma quando capì quali fossero le sue
intenzioni era
già stato spinto all'indietro e in due erano ruzzolati sul
letto.
Quando ebbero finito di rotolare, Harry si lasciò scappare
una
risata soffocata per metà dai cuscini e per metà
dal corpo del
Serpeverde.
“Tom,
non per distruggere tutte le tue illusioni, ma non sei esattamente un
peso piuma...” riuscì a borbottare oltre la spalla
dell’altro,
che gli si era spalmato addosso a pelle d'orso.
Il
Prefetto si issò sui gomiti dando un po’ di
respiro al ragazzo
sdraiato sotto di lui. “C’è per caso
qualcosa ti cui ti vuoi
lamentare?” chiese con una finta nota d’offesa,
smascherata dal
ghigno divertito che gli si allargava sul volto.
Harry
avrebbe continuato a ribattere assecondando la vena giocosa
dell'altro ragazzo, ma con il viso di Tom così vicino non
c’era
nulla che lo distraesse dai suoi lineamenti scolpiti, dagli occhi di
un nero quasi innaturale, che rimanevano impenetrabili anche quando
la sua bocca – dalle labbra fini, di un rosa pallido
– era
piegata all’insù in un sorrisetto provocatorio.
Scosse
la testa in risposta, trattenendo un sorriso, sconsolatamente
rassegnato al fatto che qualunque altra replica sarebbe stata poco
meno che un’eresia.
Tom
assunse un’espressione leggermente sorpresa, quasi non si
fosse
aspettato una resa tanto veloce, ma la risposta doveva averlo
comunque soddisfatto, perché in una frazione di secondo era
tornato
a ghignare e, intrecciando le dita di una mano tra le ciocche nere di
Harry, si abbassò fino a posare le proprie labbra di nuovo
sulle
sue.
Non
approfondì il bacio, gli prese invece il labbro inferiore
tra i
denti, mordicchiando appena, prima di passarvi sopra la lingua come
una carezza. Harry si chiese come faceva a trasformare un bacio a
labbra appena socchiuse in uno dei più sensuali che avesse
mai
sperimentato.
“Harry...”
lo sentì sospirare mentre si separava dalle sue labbra per
lasciargli una scia di baci bollenti dalla mascella alla spalla,
“Ti
voglio.”
Harry
si lasciò sfuggire un gemito, e sapeva che avrebbe dovuto
fermarlo,
che erano entrambi distrutti, che lui aveva ancora troppi dubbi, ma
c’era da chiedersi se prima di lui qualcuno era mai riuscito
a dire
di no a Tom Riddle dopo aver sentito una frase del genere. O se
qualcuno era mai riuscito a dire di no a Tom Riddle punto.
Lo
lasciò slacciare i primi due bottoni del suo pigiama per
poter avere
migliore accesso al suo collo, dove cominciò a mordere e
succhiare
la pelle sottile, obbligando Harry a serrare la mascella per non
gemere, mentre sollevava il mento suo malgrado per incitarlo a
continuare.
In
pochi secondi però, un altro tipo di gemito
rischiò di scivolargli
tra le labbra, perché le mani di Tom stavano scendendo lungo
il suo
corpo e una delle due si faceva pericolosamente vicina alla sua
spalla. Trattenne il respiro quando gli sfiorò la ferita,
restando
il più fermo possibile per non tradire alcun segno di
dolore. Tom,
però, doveva essersi accorto della sua postura
improvvisamente
rigida, perché con un ultimo bacio sotto la mascella,
sollevò il
viso per guardarlo negli occhi.
“Che
c’è?” chiese il Serpeverde.
La
vista del suo viso arrossato, dei capelli arruffati e delle sue
labbra bagnate fecero momentaneamente dimenticare ad Harry qualunque
dolore, tanto che per un attimo si trovò a chiedersi la
stessa cosa.
Ma,
forse solo per incitarlo a rispondere, Tom scelse quel momento per
stringergli la spalla una seconda volta, scegliendo il posto peggiore
dove afferrarlo.
“Niente.”
si affrettò Harry a rispondere, maledicendosi da solo
sentendo
quanto affannata la sua voce gli era uscita.
Lo
sguardo che Tom gli rivolse, infatti, gli fece capire che non se
l’era bevuta nemmeno per un secondo.
“Harry...”
ribatté, con una nota d’avvertimento nella voce.
E
strinse di nuovo.
Non
aspettandoselo, questa volta Harry non riuscì a trattenere
un
sussulto alla fitta di dolore che gli percorse il braccio. Non
c’era
verso che Tom non se ne fosse accorto e, sentendosi quasi in colpa,
come un bambino colto con le mani nel barattolo della marmellata,
alzò gli occhi per incontrare quelli del Prefetto.
Per
un attimo i lineamenti del viso dell’altro si erano contratti
in
un’espressione perplessa, poi ogni emozione sembrò
scomparirgli
dal volto in un lampo e si affrettò a staccare la mano che
poggiava
sulla sua spalla, come se si fosse scottato.
Due
secondi dopo si era precipitato fuori dal letto.
“Tom,
aspetta!” cercò di chiamarlo Harry, sollevandosi
sui gomiti,
“Davvero, non fa così male.
Per chi mi hai preso, una
ragazzina? Mi hai semplicemente preso alla sprovvis–
woah!”
esclamò quando, inaspettatamente, il Serpeverde lo
strattonò per un
braccio facendolo capitolare giù dal letto e contro il suo
petto.
Harry
gli avrebbe chiesto, anche piuttosto irritato, che diavolo stava
pensando di fare, se lo sguardo furioso del Prefetto non gli avesse
fatto morire qualsiasi parola in gola.
“Tu
– infermeria – adesso!”
gli sibilò ad una manciata di centimetri dal volto.
Ma
Harry si strattonò fuori dalla presa, ponendo qualche passo
di
distanza tra lui e il Serpeverde. “Sto bene, non è
niente.”
rispose con voce decisa, “Non ho bisogno di andare in
Infermeria.”
“Non
so per quale idiota tu mi abbia preso, Evans,”
ribatté Tom
sibilando ogni parola nonostante stesse parlando in inglese,
“ma
sussultare ogni volta che qualcuno ti sfiora la spalla, dalle mie
parti non significa ‘niente’.”
Harry
distolse lo sguardo sapendo che non c’era modo di negare, ma
una
cosa era certa: non si sarebbe fatto vedere la ferita e Tom non
poteva fare nulla per costringerlo.
“Non
andrò in Infermeria.” ripeté con voce
calma, ma abbastanza ferma
da far capire che non ammetteva repliche.
Tom
serrò la mascella, stringendo i pugni ai lati del corpo come
se
stesse trattenendo l’impulso di lanciarsi addosso ad Harry, e
non
nel senso che gli sarebbe piaciuto.
“Ti
stai comportando in maniera totalmente sconsiderata,” disse
con un
tono basso che urlava pericolo, “Non c’è
bisogno di fare lo
stoico. Che orgoglio c’è nel non farsi curare? Sei
un Serpeverde,
per Salazar! Dov’è il tuo spirito di
conservazione?”
“Non
ho detto che non voglio farmi curare, non sono masochista, grazie
tante.” ribatté Harry irritato, “Ma non
posso andare in
Infermeria, davvero non posso.”
Per
un attimo Tom lo guardò con un espressione che diceva
chiaramente
che, se proprio Harry voleva dire cose che non avevano alcun senso,
poteva risparmiarsele in sua presenza e non fargli perdere tempo. Poi
però gli occhi gli si sgranarono mentre un altro pensiero
gli
attraversava la mente, e si ritrovò a rivolgere al compagno
uno
sguardo indeciso tra l’incredulo e l’esasperato.
“Non
ci credo, è un altro dei tuoi segreti.”
sussurrò, guardandolo
fisso negli occhi mentre scuoteva leggermente la testa, come se fosse
stato troppo attonito per fare altro. Immediatamente dopo
però lo
sguardo gli si indurì, e si fece di nuovo vicino a Harry in
pochi
passi, assottigliando gli occhi.
“Sta
diventando un po’ troppo comoda questa scusa, non trovi anche
tu?
C’è qualcosa che non vuoi dire e puf!,
basta accennare al fatto che ha a che fare con la tua missione super
top secret e nessuno è più autorizzato a fare
domande. Dimmi, con
quante balle l’hai già fatta franca usando questo
simpatico
stratagemma?”
Harry
lo fissò indignato. “Questa è bella, tu
che mi fai una
predica sul mentire!” replicò infiammandosi,
spintonandolo via di
qualche passo, “E questo ignorando che gran cazzata
è quella che
hai appena sparato! Dio, non posso credere che sei tu a dirmi una
cosa del genere, quando lo sai benissimo quanto mi pesa dover sempre
stare attento a quello che dico.” ribatté
stringendosi i capelli
in una mano, guardando con rabbia la posa arrogante
dell’altro. “Ma
vogliamo davvero parlare di sincerità, Tom? Vogliamo parlare
di
tutte le cose che tu
mi stai nascondendo?”
Il
Serpeverde gli rivolse uno sguardo di sufficienza, sollevando appena
le spalle. “Come se tu non sapessi già
praticamente tutto su di
me, qualcos’altro a cui non hai mai dato una spiegazione.
Esattamente come stai facendo adesso, con questa tua nuova,
irrazionale intolleranza alle più semplici cure.”
Il volto gli si
distorse in una smorfia di scherno, “Di cosa si tratta questa
volta? È il tuo nuovo allenamento su campo, sopportare ogni
danno
subìto in silenzio?”
“No,
ho una terribile paura degli aghi.” gli rispose sarcastico
Harry.
Ogni
traccia di sorriso derisorio sparì dal volto del Prefetto,
rimpiazzata da rabbia. “Non fare il furbo con me, adesso, non
ci
provare neanche.” gli sibilò, “Sono
stufo marcio di doverti
correre dietro senza mai sapere nulla. Non so nemmeno il tuo vero
nome, per Dio! Ma l’ho sempre fatto e continuo a farlo,
quindi mi
fai il favore di tenerti per te almeno il sarcasmo!”
Harry
serrò la mascella, “Beh, se ti irritiamo tanto,
allora abbandona
me e i miei segreti a soffrire in silenzio! Perché mai te ne
dovrebbe fregare qualcosa?”
“Sai
cosa ti dico? Bene! Forse hai ragione! Forse questo è tutto
tempo
perso, e tu non ne vali la–” Ma si
fermò, anche se entrambi
sapevano benissimo come avrebbe finito la frase, ed Harry si stava
già promettendo nella mente che se l’avesse
terminata avrebbe
dovuto sudare per farsi perdonare.
Si
fissarono con il respiro affannato, entrambi tesi di rabbia come due
corde di violino, e Harry si chiese come avevano fatto a passare
dallo stringersi tra le braccia allo sputarsi contro veleno. Qualcosa
gli diceva che, con molta probabilità, quella sarebbe
diventata la
loro routine quotidiana.
Ma
poi Tom fece un gesto frustrato con la mano, espirando tutta
l’aria
che aveva nei polmoni.
“Farà
una cicatrice.” disse a denti stretti, guardando da qualche
parte
alla sua sinistra, “Avrai una nuova cicatrice sul tuo corpo e
sarò
stato io a procurartela.”
Per
un attimo Harry rimase quasi confuso. ‘Ce l’ho
già una cicatrice
che mi hai procurato tu,' pensò, ‘ed è
la più importante.’ Ma
quello Tom non poteva saperlo, e non stava proprio lì
l’origine di
tutti i loro problemi?
Prima
che potesse fermarlo, uno sbuffo gli uscì dalle labbra,
facendo
voltare di scatto anche Tom. “Era solo quello di cui ti
preoccupavi?” chiese Harry, mentre si arrotolava la manica
del
braccio incriminato fino al gomito.
Quando
ebbe finito distese e mostrò l'avambraccio a Tom, sul quale
faceva
bella mostra il segno biancastro e contorto che gli aveva lasciato la
zanna di Basilisco giù nella Camera dei Segreti.
“Questa me la
sono fatta quando avevo dodici anni. Questa,”
continuò, tirando
giù la camicia del pigiama dall'altra spalla per scoprire la
cicatrice procuratagli da Codaliscia nel cimitero, “quando ne
avevo
quattordici. Questa è di meno di un anno fa
invece.” disse,
abbassando il colletto e voltando il collo per mostrare una linea che
gli andava da sotto il mento alla clavicola, un regalino lasciatogli
da Bellatrix quando aveva tentato di tagliargli la gola di netto.
Tom
guardava tutti i punti indicatigli da Harry con un'espressione
combattuta, in cui si riconosceva però una morbosa
curiosità. Quasi
che, nonostante non gli piacesse per niente quello che Harry gli
stava raccontando, non poteva fare a meno di ascoltare, disperato per
qualunque dettaglio sulla vita dell'altro.
“Se
anche questa ferita mi lasciasse un segno,”
continuò Harry
imperterrito, “come vedi ne ho tanti altri, non sarebbe il
primo e
non c'è verso che sarà l'ultimo.”
Sospirò poi, rimettendosi a
posto il pigiama. “Uno in più o uno in meno, che
differenza vuoi
che faccia?”
Tom
percorse la distanza che li separava in un lampo, e prima che Harry
potesse rendersene conto era stretto di nuovo contro il suo petto.
“Ma perché devi dire cose così
platealmente stupide?” gli
mormorò tra i capelli, mentre lui soffocava sul suo collo
uno sbuffo
per il movimento improvviso. “Odio sentirti parlare
così. Quante
volte sei stato ferito? Quante battaglie hai combattuto?” Tom
abbassò la voce fino a quasi sussurrare, “Dove hai
imparato a
combattere così?”
Harry
sapeva che l’altro non si aspettava una risposta, ma il fatto
di
sapere che non avrebbe potuto rispondergli in ogni caso non faceva
nulla per smorzare la frustrazione che provava. Aveva il desiderio
quasi irrefrenabile di mandare al diavolo tutto e tutti e potersi
godere due mesi di una felicità che gli era stata negata da
sempre.
Aveva ragione Tom, quante battaglie aveva combattuto oramai? Quante
ancora ne avrebbe dovute combattere per poter riposare in pace? Non
si era forse meritato una pausa?
E
nonostante tutto quello, udì la sua voce rispondere con un
finto
tono ingenuo, “Beh, non è un bene che sappia
difendermi?”
Sentì
Tom stringergli un braccio per fargli capire che non ci era cascato.
“Non mi piace pensare che ti sia trovato in una situazione in
cui
sei stato costretto ad usare tanta abilità.”
ribatté.
Harry
sospirò e non rispose, non c’era nulla che avrebbe
potuto dire.
Aveva ancora la testa poggiata sul petto del Serpeverde, e sebbene
cominciava a rendersi conto di quanto possessivo il ragazzo fosse,
doveva ammettere che sentire il calore dell’altro
avvolgerlo...
poter chiudere gli occhi e affondare la testa nell'incavo del suo
collo... in quel momento non gli dispiaceva affatto...
“Ehi,
non ti addormentare addosso a me.” lo scrollò
d’improvviso Tom.
“Uhm?”
rispose Harry sollevando la testa, sbattendo lentamente le palpebre.
Il
Prefetto roteò gli occhi al cielo. “Vai a dormire
Harry, ti stai
reggendo a mala pena in piedi.” gli disse, sciogliendolo
dalla
presa delle sue braccia.
L’altro
scosse la testa per liberarsi dal sonno, “Mmh, ma non
è nemmeno
ora di cena...” protestò debolmente, trascinandosi
comunque verso
il proprio letto.
Una
volta sedutosi sul copriletto, gli bastò
un’occhiata
all’espressione di Tom per capire che non aveva per niente
gettato
la spugna a proposito della sua spalla.
“Se
domani mattina quella ferita dà anche il minimo segno
d’infezione,”
lo avvertì quello mortalmente serio, “ti schianto
e ti ci porto di
peso in Infermeria.”
Harry
annuì, perché tanto non sarebbe mai successo, sia
che si fosse
infettata che no. Non l’avrebbe mai permesso. Con un ultimo
cenno
al Serpeverde, improvvisamente troppo stanco per fare altro ora che
sentiva il materasso morbido sotto di sé, si distese sotto
le
coperte e chiuse le tende.
Si
ricordò appena di mormorare un incantesimo silenziatore
prima di
cadere in un sonno profondo che sapeva più di esaurimento
che di
voglia di dormire.
****
**** ****
Orion
soffiò sulla superficie del suo tè bollente per
raffreddarlo,
mentre con la coda dell'occhio vedeva Meredith aggiungere due
cucchiaini di zucchero al proprio. Erano tornati nella Stanza delle
Necessità una volta finita la cena, sentendo che c'erano
ancora
tantissime cose di cui parlare e da chiarire. Avrebbero trascinato
con loro anche Harry e Tom, ma i due non si erano fatti vedere per
nessuna delle lezioni successive alla loro chiacchierata.
“Secondo
te stanno bene? ” disse Meredith, piegando le gambe sulla
poltrona
e sistemandosi in ginocchio, “Intendo Tom e Harry... Voglio
dire,
hanno saltato anche la cena, chissà cos'hanno fatto tutto
questo
tempo...”
Orion,
che aveva appena fatto il primo cauto
sorso di tè, rischiò di risputarlo fuori in modo
molto poco
dignitoso.
“Uhm,
Meredith, sono sicuro di non volerlo sapere. E che tu sia troppo
giovane per saperlo.” rispose, vedendola colorarsi come un
papavero
non appena ebbe capito a cosa stesse alludendo. Sghignazzando alla
reazione della ragazza, tra sé e sé dovette
però rimangiarsi
quelle parole: se era onesto, doveva ammettere che avrebbe pagato per
essere presente. Ma quello a Meredith era meglio non dirlo.
La
Corvonero bevve un lungo sorso di tè per darsi il tempo di
tornare
al suo colorito normale, poi riprese “Intendevo dire, sai,
dopo la
litigata che hanno fatto... spero solo che tra di loro vada tutto
bene, ecco.” Giocherellò per qualche secondo con
il cucchiaino,
“Non posso ancora credere che Harry se ne
andrà...” sospirò
infine tenendo gli occhi bassi, lo sguardo sconsolato posato sulla
tazzina.
Orion
annuì mestamente, pensieroso. Anche lui, appena Harry aveva
comunicato loro la notizia, era rimasto completamente spiazzato. Poi
però, diversamente da Meredith, aveva lasciato che fosse la
rabbia,
e non la tristezza, a prendere il posto dello sgomento: come poteva
fare una cosa simile a tutti loro? Come poteva fare una cosa simile a
Tom?
Era
su quest'ultimo infatti che si era sfogato: vederlo così
calmo e
indifferente, mentre Harry comunicava loro tranquillamente che
sarebbe sparito dalle loro vite da lì a due mesi, lo aveva
irritato
in maniera insopportabile. Possibile che si fosse sbagliato sui
sentimenti che Tom provava per l'altro ragazzo?
Proprio
perché gli era impossibile accettare una conclusione simile
lo aveva
provocato, ma da quello a cui aveva assistito poco dopo nel
corridoio, non era della validità dei sentimenti che
legavano i due
che doveva preoccuparsi.
Ma
allora perché Harry voleva partire?
“Meredith,”
indirizzò Orion la ragazza, “tu a quanto credi di
tutta questa
faccenda?”
La
Corvonero lo guardò e poggiò lentamente la tazza
di tè sul
tavolino. “Pensi che Harry ci stia mentendo?” una
nota sorpresa
nella voce, ma non incredula.
“Non
dico mentire di per sé,” rispose lui cauto,
“ma ha evitato
accuratamente di spiegare molte cose. L'ha ammesso lui stesso che ci
sono cose che non può dirci, no? Ma comunque non mi riferivo
a
quello.” continuò rapido vedendo Meredith pronta a
ribattere,
“Intendevo tutta questa storia della missione segreta, della
pazza
ricerca per un libro... Voglio dire, parliamoci seriamente, un libro?
Tutto questo polverone per un semplicissimo libro? E la partenza
improvvisa, tra solo due mesi?” Si rigirò la
tazzina tra le mani
pensieroso, “Forse è solo che non ne sappiamo
abbastanza, ma ci
sono una marea di cose che non hanno senso in questa storia.”
Meredith
fissava il tavolino, soppesando quelle parole. “Harry ci ha
detto
che non dipende da lui, che è costretto ad
andarsene.”
“Già,
ma costretto da chi?”
“Sei
stato tu il primo a dargli del soldato,” ribatté a
quello la
ragazza, “se è davvero così
riceverà degli ordini da qualcuno,
chiunque sia il suo... superiore...
lo obbligherà ad andare via.” ipotizzò,
“Certo che deve essere
una questione terribilmente importante, o Harry una persona
estremamente leale, perché arrivi a -”
“-
lasciare qui Tom.” le finì la frase Orion,
“Già, è quello che
ho pensato anch'io. Capisci perché dico che non ha senso?
Può un
libro essere così importante?” Finì in
un sorso il resto del suo
tè e poggiò la tazza vuota sul tavolo.
“In ogni caso lo dicevo
più per provocarlo che per altro, 'soldato'.”
Meredith
restò qualche secondo in silenzio. “Si, in effetti
non c'è alcun
modo che lo sia davvero.”
L'altro
aggrottò la fronte. “Che intendi dire?”
“Beh,”
iniziò la ragazza, “Harry ha ammesso di non essere
nemmeno mai
stato in Australia, e visto il suo accento inglese non può
che
essere nato in Inghilterra. Le uniche forze armate della Gran
Bretagna sono gli Auror e gli Indicibili: è vero che il
Dipartimento
Misteri ha il lasciapassare del Ministero su molte cose, ma Harry ha
solo sedici anni, è comunque troppo giovane per essere
arruolato
come soldato.” spiegò, finendo anche lei la sua
tazza di tè. “E
non penso che lavorerebbe mai per un gruppo terroristico, non
è
proprio il tipo.”
Orion
sbatté le palpebre un paio di volte, guardandola sorpreso.
“Hai
ragione, non ci avevo pensato. Cavolo, è davvero vero che
sei
sveglia.” Allo sguardo quasi ferito che la ragazza gli
lanciò si
affrettò a spiegare, “No, intendevo, lo sapevo che
sei
intelligente e – voglio dire, so di tutte le voci che corrono
sul
tuo conto, che hai slittato di due anni solo perché sei
figlia di...
si, insomma, lo sai...” Si schiarì la gola,
“Ovvio che non ci
credevo, però sai... uno resta sempre un po' sorpreso...
no?”
Meredith
abbassò lo sguardo sul lembo della gonna che si stava
rigirando tra
le dita. “Capisco.” disse dopo qualche secondo, con
un sorriso un
po' triste. “No, sul serio,” continuò
vedendo che Orion aveva
aperto la bocca per ribattere, “è normale che il
dubbio ci sia, un
caso come il mio sarà capitato quante volte prima d'ora,
tre?
Quattro?” poi abbassò la voce in un sussurro,
tanto che Orion fu
sicuro che la ragazza non intendeva farsi sentire. “Alcune
volte il
dubbio l'ho avuto anch'io...”
Orion
si schiarì la gola a disagio: come per ogni Serpeverde,
anche per
lui consolare non era un punto forte, soprattutto se ad insultare era
stato lui stesso.
“Si,
insomma... non volevo offenderti...” Aspettò che
la ragazza
annuisse per accettare le sue scuse, prima di andare avanti.
“Hai
perfettamente ragione, comunque.” continuò quindi,
facendo un po'
finta che gli ultimi due minuti non fossero mai esistiti, “Ma
allora chi c'è dietro a Harry? Perché anche se
stesse...
'agendo'... da solo, ci sono altre cose che non quadrano.”
“Tipo?”
“Beh,”
rispose subito lui, grato che Meredith si fosse riconcentrata su
Harry e non sulla sua gaffe, “per prima cosa, se come hai
detto tu
è inglese, com'è riuscito ad evitare di venire ad
Hogwarts prima di
quest'anno? È vero che non ha smentito di essere stato
seguito da
insegnanti privati, e infondo non è poi così
raro, ma ci sono molti
controlli su queste cose da parte del Ministero: i tutori certificati
sono pochi, e solo famiglie purosangue particolarmente ricche possono
permetterseli.”
Meredith
lo ascoltava attenta, con aria pensierosa. “Ma potrebbe
essersi
anche iscritto ad un'altra scuola, Durmstrang o qualunque
altra.”
Il
ragazzo ci pensò su un attimo, ma poi scosse la testa
“Sarebbe
stato molto più facile per lui fare una richiesta di
trasferimento,
invece di inventarsi tutto di sana pianta.”
“E
non potrebbe provenire da una famiglia babbana ed essere comunque
ricco?” continuò lei.
“Se
fosse così, i soldi potrebbero anche non essergli mancati,
ma i
contatti giusti si.” ribatté Orion, “Li
hai mai visti dei
babbani a Diagon Alley? Una volta ne ho incontrata una famiglia da
Bolidi
e Boccinie cavolo,
stavano cercando di
spazzare il pavimento con una Stellasfreccia.” disse roteando
gli
occhi al cielo, “Come vuoi che li possano trovare degli
insegnanti
privati? E poi perché mai dei babbani non vorrebbero mandare
i figli
a Hogwarts?”
La
ragazza, però, aggrottò le sopracciglia.
“Se venisse davvero da
una famiglia purosangue, non avrebbe avuto bisogno di Tom per farsi
fare dei documenti falsi.”
“Beh,
non tutti i purosangue sono così influenti. Guarda i Dalton,
per
esempio.”
“Ci
ha detto che Evans è il cognome di sua madre,
giusto?” continuò
non convinta Meredith. “Però non è un
cognome purosangue...”
Orion
si passò una mano tra i capelli, sbuffando. “No,
non penso
proprio. Però anche quello è strano: un
purosangue che sposa una
babbana? Sarebbe uno scandalo troppo succulento per passare
inosservato e io li conosco tutti i circoli purosangue inglesi
–
sono imparentato con metà di loro – ma di una cosa
del genere, o
di Harry, non ho mai nemmeno sentito parlare.”
“Quindi
non è né di origini babbane, né
purosangue, né metà e metà?”
riassumé lei con aria scettica, “Inglese ma che
non ha mai
frequentato Hogwarts?”
“E
se invece l'avesse frequentata Hogwarts?” domandò
improvvisamente
Orion. Allo sguardo perplesso che gli venne rivolto elaborò
“Voglio
dire, magari è arrivato qui come tutti noi e poi ha cambiato
scuola,
chessò, l'anno scorso, o due anni fa. Non è che
conosciamo tutti
gli studenti della scuola personalmente. E se avesse vissuto tutta la
sua vita qui, anche se poi si fosse trasferito a Beauxbatons
l'accento inglese gli sarebbe rimasto.” Si grattò
la punta del
naso con aria pensierosa. “Certo, perché sarebbe
tornato, in
incognito, non si spiega...”
Meredith
sembrava tutto tranne che convinta. “Mi sembra una teoria un
po'
azzardata. È vero che non conosciamo tutti gli studenti, ma
tu e Tom
almeno tutti i Serpeverde si. Dovrebbe essere stato a Grifondoro o a
Tassorosso, ma non credo che sia possibile farsi smistare in due case
diverse.” ribatté. “Eppure qualche
connessione con Hogwarts ce
l'ha...” aggiunse pensierosa.
Orion
aggrottò la fronte, “Che intendi dire?”
“Si,
per forza, se no perché nascondersi sotto mentite
spoglie?”
rispose la ragazza “Se è costretto a camuffarsi
vuol dire che
qualcuno, qui a Hogwarts, è in grado di riconoscerlo.
Però sia io,
che te, che Tom abbiamo visto il suo vero aspetto e – almeno
io –
posso dire di non averlo mai visto prima.” Poi aggiunse,
quasi in
un sussurro “Anche se ora che ci penso ha un ché
di familiare...”
Rimasero
in silenzio qualche secondo, tutti e due presi nelle loro congetture.
“Mhpf,
tutto questo mi sta facendo venire il mal di testa.” disse
infine
Orion posando i gomiti sulle ginocchia e massaggiandosi le tempie con
le dita.
Anche
Meredith sospirò, comandando alla stanza di far sparire le
tazze
vuote. “È come se fosse comparso dal
nulla.” disse infine,
mentre si risistemava sulla poltrona. “Però non
voglio che
sparisca così com'è venuto...”
sussurrò poi con una smorfia
addolorata.
“Io
di quello non mi preoccuperei tanto.” rispose Orion dopo un
paio di
secondi di silenzio, “Se c'è una cosa di cui sono
certo, è che
Tom non lo lascerà mai andare via.”
La
ragazza gli lanciò un'occhiata. “Non stai
sottovalutando un po'
Harry?” ribatté, “Capisco che Tom non
voglia lasciar partire
Harry, probabilmente molto più noi. Ma se Harry è
deciso ad
andarsene non sono così sicura che Riddle possa riuscire a
fermarlo.”
Orion,
però, si passò una mano tra i capelli,
“Non è questione di
sottovalutarlo o no, so bene che non abbiamo ancora visto tutto
quello di cui Harry è capace. Voglio solo dire che conosco
Tom, e
che lui se ne renda conto o no... lui...” sospirò,
cercando le
parole “Hai visto quanto è possessivo,
giusto?”
Quando
vide Meredith annuire, continuò “Questo
è il suo modo di
relazionarsi con le persone, come con gli oggetti: quelli che gli
servono, usa, quelli che vuole, tiene. Vuole Harry”
sottolineò, “e
per come la vede lui, adesso Harry è suo. Per tenerselo per
sé farà
di tutto, e quando dico di tutto, intendo cose che a noi non
verrebbero mai in mente.”
Meredith
lo fissò con occhi un po' sgranati, “Ma di certo
nulla che
potrebbe fare del male ad Harry, vero?”
“Per
impedirgli di andarsene?” chiese retoricamente l'altro,
“Non ne
sarei così sicuro.”
La
Corvonero non disse altro, cercando di assorbire e forse
razionalizzare quelle parole, ma Orion scosse la testa. Ogni tanto,
aveva l'impressione che ci fossero cose che solo un Serpeverde
avrebbe potuto capire.
“Abbiamo
ancora due mesi.” ruppe lui il silenzio, “Non
è molto, ma ora
che possiamo aiutare Harry con la sua ricerca abbiamo moltissime
possibilità in più di scoprire chi sia, che cosa
debba davvero fare
e, se Merlino vuole, impedirgli di partire.”
Meredith
lo guardò sorpresa “Ma non ti eri offerto di
aiutarlo... beh, per
aiutarlo? Adesso lo vuoi ostacolare?”
“E
perché mai avrei voluto aiutarlo ad andarsene?” le
rispose il
ragazzo lanciandole uno sguardo incredulo, “Passa
un'enormità del
suo tempo in biblioteca, era l'occasione ideale per scoprirne di
più.
Senza contare che se dobbiamo aiutarlo a cercare quel libro, ci
dovrà
dare qualche informazione anche su che tipo di libro sia, o
l'argomento generale come minimo. Il che ci farà capire
meglio cosa
comporta la sua 'missione'.”
si lasciò appoggiare all'indietro sullo schienale della
poltrona,
un'espressione compiaciuta in volto, “Due piccioni con una
fava.”
All'espressione
incredula, indignata, ma un po' divertita che la Corvonero aveva in
volto, Orion roteò gli occhi al cielo “Ehi, vedi
per caso un tasso
sul mio stemma? Ti sembra che il mio cravattino sia
rosso-oro?” le
ribatté indicando le varie parti della sua divisa,
“Davvero, non
vedo cos'hai da stupirti tanto, solo Tom può avere il
patentino da
stronzo?”
“No!
Certo che no, certo che anche tu puoi -” ma si
bloccò, aggrottando
le sopracciglia “No, aspetta un momento, lo dici come se
mentire e
ingannare fossero una cosa buona!” ribatté, ancora
più indignata
di prima.
Orion
scoppiò a ridere “Ah, cara, dolce, ingenua
Meredith!” cantilenò
con una finta espressione accondiscendente, “Sei fortunata ad
aver
trovato dei valenti Serpeverde come noi, capaci di mostrarti come
gira davvero questo sporco mondo. Con una mente come la tua,
chissà
quanta gente sarebbe pronta ad approfittarsi di te!” fece un
drammatico sospiro, tagliando la protesta già pronta sulla
bocca
dell'altra, “Cosa faresti senza la nostra
protezione?”
La
ragazza incrociò le braccia al petto, ma un sorriso le stava
già
tirando su gli angoli della bocca “Per qualche motivo ho
difficoltà
a credere che Harry condivida questa tua cinica visione.”
Orion
si soffiò via una ciocca dagli occhi con uno sbuffo,
“Si, beh, c'è
un'anomalia in ogni sistema. Il nostro Harry è semplicemente
l'eccezione che conferma la regola.”
Meredith
lo guardò scettica, ma non commentò altro
sull'argomento. “Tornando
in tema di ricerche, dobbiamo cominciare a pensare a come organizzare
i rientri in dormitorio. So che non si dovrebbe, ma Tom non potrebbe
usare la scusa che è un Prefetto per riaccompagnare almeno
me? Non
si sa mai...”
Il
ragazzo non rispose, fissandola perplesso. “...eh?”
“Il
rientro in dormitorio.” ripeté lei, un po'
più lentamente.
“Quando avremo finito con le ricerche. Non vorrai certo
dormire in
Biblioteca.” L'espressione di lui non cambiò, e la
ragazza
sospirò. “Orion, ti sarai reso conto anche tu che
per esplorare il
Reparto Proibito senza un permesso firmato dobbiamo entrare dopol'orario di
chiusura.” spiegò
infine.
“Oh.”
fu tutta la risposta che ricevette mentre il Serpeverde sembrava
pensarci su un attimo. “Aspetta, ma allora come facciamo
a...”
“Superare
gli allarmi di Madama Benton?” continuò Meredith,
“Non lo so, ma
Harry riesce a farlo da un mese ormai, credo ci basterà
seguire
lui.”
Orion
aggrottò la fronte. “È vero,
chissà come ha fatto ogni volta...”
Un'espressione preoccupata gli attraversò lo sguardo,
“E quanto
poco dorme! Come diavolo faceva ad uscire dalla biblioteca,
cambiarsi, scendere giù al Lago per allenarsi e trovare il
tempo per
dormire nel mezzo?”
“Beh,
ci doveva essere un motivo se lo vedevamo sempre così
stanco,
soprattutto negli ultimi giorni.” gli rispose lei, con aria
pensierosa.
Il
Serpeverde però non sembrava convinto, “Dici che
era quello il
motivo?”
Meredith
aprì la bocca per rispondere, ma il tentativo di parlare si
trasformò presto in un enorme sbadiglio. Orion si
girò per guardare
il grande orologio a pendolo appoggiato alla parete alle sue spalle e
imprecò a bassa voce.
“Mere,
abbiamo fatto tardissimo, manca meno di mezzora al
coprifuoco.”
esclamò, mentre già si alzava dalla poltrona e
scrollava le gambe
impigrite dalla posizione seduta.
Si
alzò anche Meredith, soffocando un altro sbadiglio, e si
diressero
insieme verso la porta. Uscirono in silenzio nel corridoio deserto,
guardandosi intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno in giro:
nonostante non fossero ancora oltre l'orario limite, la loro presenza
fuori dai dormitori tardi com'era avrebbe suscitato domande a cui
volevano evitare di rispondere.
“Vuoi
che ti accompagni fino alla torre?” chiese Orion alla
ragazza, una
volta che furono arrivati davanti alle scale.
Lei
si lasciò sfuggire un sorriso “Posso sempre
sbagliarmi ma, come
hai sottolineato prima, il tuo cravattino non è
rosso-oro.”
scherzò, “Non preoccuparti, siamo al settimo
piano, non ho molta
strada da fare.”
“D'accordo.”
rispose lui annuendo, “Allora ci si vede domani mattina a
colazione.”
“Si,
a domani.”
Dopo
averla salutata, Orion cominciò la lunga discesa verso i
sotterranei, rassegnato al fatto che non sarebbe mai arrivato a
destinazione in tempo per il coprifuoco. Con tutte le volte che era
sgattaiolato fuori dal letto di una qualche conquista nel mezzo della
notte per ritornare al dormitorio ed era stato beccato, si stupiva
che Serpeverde avesse ancora tanti punti. Fortuna che ogni volta che
aveva incontrato un professore particolarmente odioso, intenzionato a
non fargliela passare liscia, c'era sempre stato Tom a tirarlo fuori
dai guai. Anche se ogni volta gli diceva che sarebbe stata l'ultima
volta e che in futuro si sarebbe dovuto arrangiare da solo.
Si
fermò un secondo in mezzo ad un corridoio del terzo piano,
preso dai
suoi pensieri. Dopo aver passato praticamente l'intera serata a
congetturare sul conto di Harry, il pensiero di Tom gli suscitava
altri interrogativi.
Cosa
ne pensava Tom di tutta quella storia?
Aveva
provato a capirlo, sì, quando si erano trovati a parlare
tutti
insieme, ma tra tutte le domande e rivelazioni non era riuscito a
scucirgli un gran ché. Di una sola cosa era sicuro, quello
che aveva
detto anche a Meredith: Tom non avrebbe mai lasciato andare via
Harry, e non sarebbe stato l'erede di Salazar Serpeverde se non
avesse avuto già almeno l'idea di un piano.
Orion
aveva, però, un certo timore di cosa il Prefetto sarebbe
arrivato a
fare per assicurarsi che Harry non gli scivolasse tra le dita.
Perché
la mossa sbagliata non solo non avrebbe avuto l'effetto desiderato
–
quello di far restare il ragazzo – ma avrebbe rischiato di
alienarlo anche prima del momento della sua partenza. Era chiaro che
ci fossero cose che Harry, sebbene fosse un Serpeverde, non era
disposto a perdonare.
Nonostante
la serietà di quelle elucubrazioni, Orion non
poté non lasciarsi
sfuggire un ghigno: era strano pensare che in tutta la scuola,
inclusi il Preside e professori nazionalmente riconosciuti, a mettere
finalmente un qualche guinzaglio a Tom Riddle era stato un ragazzo
della loro età. L'unica altra persona che aveva mai avuto
una
qualche influenza sul Serpeverde era stata Albus Silente.
Arrivato
nella Sala d'Ingresso, Orion prese l'entrata ai sotterranei, mentre i
suoi pensieri si rivolgevano al professore di Trasfigurazione. Aveva
sempre avuto delle difficoltà a comprendere il rapporto tra
Tom e il
professor Silente. Di sicuro quell'ultimo non pensava al Serpeverde
come lo studente modello che tutti gli altri vedevano in Tom, ma la
totale mancanza di fiducia che Silente gli dimostrava aveva sempre
lasciato Orion piuttosto spiazzato.
Era
vero che il modo in cui Tom si presentava ai professori, l'immagine
carismatica del ragazzo affidabile e volenteroso, era solo una
maschera che il Prefetto sapeva ben manipolare per i propri scopi ma,
beh, era un po' ingiusto non dargli il riconoscimento dovuto: se un
professore gli chiedeva di fare qualcosa, Tom era capace di rigirarla
perché accomodasse i suoi bisogni, dando suggerimenti o
apportando
un paio di modifiche, ma la portava sempre a termine. Infondo, quale
miglior metodo di manipolare, se non far fare agli altri quello che
si vuole, facendo loro credere di fare quello che lorovogliono?
Non
era certo, inoltre, l'unico studente a far buon viso a cattivo gioco.
Che ci fosse qualcosa che Silente sapeva, sul conto di Tom, che Orion
ignorava?
Gli
balzò alla mente l'immagine di Baltus Avery, il fratello
maggiore di
Madeleine, un Serpeverde dell'ultimo anno. Era uno dei più
affiatati
della corte di Tom. Come lo erano Abraham Davies, Cloelia Sommer,
Joshua
Fisher, Nero Eldridge, Valerie Cowden...
Non
poté trattenere la smorfia disgustata che gli comparve sul
volto:
si, ok, c'erano delle cose che lui volutamente faceva finta di non
vedere. Tra quelle, sicuramente, c'erano le inquietanti riunioni che
Tom ogni tanto teneva alla fine di un qualche Lumaclub con tutti
quelli che Orion, alle volte, non poteva impedirsi di classificare
come seguaci. Che fossero quelli i motivi dell'antipatia del
professor Silente?
E
chissà cos'avrebbe detto, quando sarebbe venuto a sapere di
Tom e
Harry.
Arrivato
alla fine del buio corridoio che portava al dormitorio, Orion si
accorse di essersi perso così tanto nei propri pensieri da
non
essersi accorto di aver superato da un bel po' l'entrata alla Sala
Comune. Ridendo te sé e sé della sua distrazione,
si voltò e fece
marcia indietro, scuotendo la testa lentamente.
Aveva
appena fatto un paio di passi, però, quando dall'angolo
opposto
sbucò fuori una figura, correndo a tutta velocità.
Sorpreso,
Orion fece appena in tempo ad esclamare un “Ehi! Dove stai
andando?” che l'altro ragazzo lo aveva già
superato senza nemmeno
voltarsi, e il Serpeverde non poté fare altro che rimanere
fermo ad
osservarne la testa bionda scomparire dietro un altro angolo.
Perplesso,
Orion rimase qualche secondo nel mezzo del corridoio, grattandosi la
testa.
Lo
sapeva, quel ragazzo, che da quella parte ci si addentrava sempre di
più nei sotterranei? E che diavolo ci faceva a quell'ora
laggiù?
Già durante il giorno i sotterranei venivano evitati da
tutti meno
che i Serpeverde, figuriamoci di notte.
'No,
aspetta, io l'ho già visto quel ragazzo.' pensò
Orion sforzandosi
di ricordare. Certo, veloce come stava correndo quello, non aveva
avuto il tempo di guardarlo nemmeno in faccia, ma qualcuno gli stava
venendo in mente.
Non
era forse quel ragazzo nuovo, quello di cui Malfoy si lamentava
sempre? Com'è che si chiamava... Boldock? Baddock? Il nome
proprio
non riusciva a ricordarlo.
Forse
non sapeva davvero dove stava andando: l'anno scolastico era iniziato
da soli tre mesi e ad imparare la planimetria di Hogwarts non
bastavano nemmeno sette anni. Che si fosse perso?
Per
un attimo prese in considerazione l'idea di andarlo a cercare, ma poi
scrollò le spalle e continuò in direzione del
dormitorio: non erano
affari suoi, e il peggio che poteva capitare a quel ragazzo era farsi
prendere da un Prefetto o da Lumacorno, entrambi i quali gli
avrebbero fatto al massimo una ramanzina.
Tornando
sui suoi passi, arrivò finalmente al muro che celava
l'entrata alla
Sala Comune e, con ormai in mente solo il suo letto morbido e caldo,
sussurrò la parola d'ordine ed entrò.
Qui,
com'è la funzione della Author's Note, devo fare un paio di
precisazioni a proposito della storia. Per prima cosa, non so se
qualcuno se lo ricorda, ma Harry non ha sedici anni, ne ha
diciassette e ha deciso di ripetere il 6° anno per non doversi
preoccupare troppo di studiare e per tenere d'occhio Tom. Questo
però
lo sa soltanto Tom ed è per quello che Meredith e Orion
continuano a
dire che Harry ne ha sedici.
Seconda
cosa, molti di voi si sono chiesti perché Harry non ha
ancora
incontrato Lumacorno, Silente e Hagrid. Ci sono motivi per tutti e
tre (piuttosto banali, non aspettatevi cose sensazionali) e verranno
accennati più avanti nella storia. So che la parte in cui
Orion sta
pensando a Silente crea un po' di confusione ma Orion (essendo un
personaggio) su alcune cose ne sa più del lettore, e mentre
parla
con sé stesso non spiega per filo e per segno cose che
già sa.
Con
questo, se mi verranno in mente altre cose da far notare, le
metterò
sul mio LJ
Ora
vado a rispondere alla recensioni, che troverete nel solito posto.
Altri Personaggi: Hermione Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy, altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
MiniA.N.: dedico il capitolo a Sumire76, che non ha mai perso la speranza e ha dimostrato una tenacia ineguagliabile nel lasciarmi promemoria (sei un tesoro!), e a Lal23, che proprio ieri compiva gli anni! Auguri! Considera questo il mio regalo di compleanno :)
Capitolo 27. Studio in Rosso e Verde
Tom aprì gli occhi un paio di istanti prima che l'incantesimo-sveglia cominciasse a suonare. Rimase ad ascoltare per qualche secondo l'insopportabile driiin proveniente dalla sua bacchetta, prima di tirarsi su a sedere, lasciando che le lenzuola gli scivolassero giù ad arrotolarsi sul ventre. Fece terminare l'incantesimo afferrando la bacchetta e sussurrando un secco “Finite”, prima di girarsi e poggiare i piedi per terra, trascinando con sé parte delle lenzuola attorcigliate come un drappo bianco intorno alle gambe.
Erano le sette. Tra due ore sarebbero iniziate le lezioni, quelle di un martedì qualunque per tutti gli altri studenti della scuola. Con tutto quello che era successo il giorno prima, era strano per Tom pensare che si sarebbe alzato, avrebbe fatto una doccia e sarebbe sceso a colazione, dove si sarebbe unito agli altri Serpeverde per i quali nulla era cambiato. Perché qualcosa per lui era cambiato.
Aveva Harry.
Gli angoli della bocca gli si sollevarono con una lentezza quasi sensuale, finché un ghigno non si delineò pienamente sul suo volto.
Aveva Harry, oh, se aveva Harry...
Dopo settimane, poteva finalmente fare tutto quello che aveva desiderato fare probabilmente sin dal primo istante in cui aveva intrecciato lo sguardo con quelle splendide iridi verdi. Poteva toccarlo, accarezzarlo, baciarlo. Poteva passare le dita tra le ciocche ribelli dipinte di castano e sapere di essere l'unico a poterle toccare anche quando si rivelavano nero inchiostro. Poteva afferrargli la vita con un braccio per stringerlo al suo fianco nei corridoi, e fulminare con gli occhi chiunque si fosse azzardato a guardarlo nel modo sbagliato. Poteva prendergli il mento tra due dita e sollevargli il viso fino a catturargli le labbra in un bacio che l'avrebbe lasciato boccheggiante. Poteva lasciar che le sue mani sfiorassero ogni centimetro di pelle che il ragazzo nascondeva sotto la larga divisa, tastassero i muscoli scolpiti della schiena, delle spalle, del petto, dello stomaco, e poi più giù...
Una scintilla di eccitazione gli si accese nel basso ventre e Tom scosse la testa per chiarirsi la mente da quei pensieri i quali, lungi dall'essergli in ogni qual modo sgraditi, non facevano nulla per aiutare la sua già naturale erezione mattutina.
Si alzò finalmente in piedi, concedendosi qualche secondo per stiracchiarsi prima di dirigersi verso il bagno, vestito solo di un paio di boxer. Non era come era solito andare a dormire, preferendo indossare un pigiama intero soprattutto in inverno; nonostante gli incantesimi riscaldanti, l'umidità riusciva ad infiltrarsi da ogni crepa tra le pietre dei sotterranei. Quella era, però, un'abitudine che aveva perso quando si era accorto esattamente di quale effetto aveva su Harry il suo girare per la stanza seminudo: anche ora che non ne aveva più bisogno, Tom non poté che ricordare con un ghigno come fosse più che valsa la pena di sopportare un paio di brividi di freddo per vedere Harry deglutire, balbettare e voltare la testa dall'altro lato in evidente imbarazzo ogni sera al momento di coricarsi.
Lanciò uno sguardo distratto allo specchio prima di voltarsi verso la doccia, sfilandosi con un gesto fluido anche l'ultimo capo di vestiario che lo copriva ed entrando sotto il getto caldo, senza nemmeno preoccuparsi di chiudere la porta, tanto abituato com'era a svegliarsi da solo in una stanza vuota. Harry, infatti, non aveva mai perso la dissennata abitudine di alzarsi ad un orario improponibile per andare a far jogging intorno al Lago.
Le labbra di Tom s'incresparono in un sorrisino lievemente più sincero del suo solito ghigno, mentre pensava a tutte le stranezze che rendevano Harry semplicemente Harry.
Era perfetto, nient'altro che perfetto: era tutto quello che Tom avrebbe potuto desiderare se mai avesse pensato di voler qualcuno al proprio fianco. Era potente, audace, carismatico. Non si lasciava intimidire come tutti gli altri, anzi, gli teneva testa, ogni volta alzando il mento in segno di sfida per poterlo guardare dritto negli occhi, senza paura. Testardo, sì, ma più per fede e determinata convinzione nei suoi ideali che per egoismo o ignoranza.
E poi Tom non poteva fare a meno di stupirsi ogni volta che pensava a quante cose avevano in comune Harry e lui, nonostante sembrassero avere caratteri diametralmente opposti. Entrambi custodivano gelosamente i propri segreti e, benché l'alone di segretezza che circondava l'altro ragazzo fosse una continua fonte di frustrazione, Tom doveva ammettere che si trattava di una vera boccata d'aria fresca in confronto alla noiosa moltitudine di tutti gli altri studenti.
Entrambi avevano un potenziale straordinario. Tom non aveva remore nell'ammettere che, dal suo punto di vista, lui e Harry erano su un gradino nettamente superiore rispetto al resto della popolazione studentesca di Hogwarts.
Infine, entrambi erano orfani sin dalla più tenera età.
Sempre che non ti abbia mentito anche su quello.
Tom appoggiò le palme delle mani contro le piastrelle del muro di fronte a sé, abbassando la testa per lasciare che l'acqua gli scivolasse sul collo e rilassasse le spalle tese. Gli era impossibile evitare quel tipo di pensieri, nonostante si sforzasse in tutti i modi di offrire a Harry almeno il beneficio del dubbio. Come un tarlo, scavavano nel suo cervello cibandosi dei dubbi, della sfiducia e della diffidenza che non era mai riuscito a lasciare chiusi dietro la porta di un freddo orfanotrofio.
Ma aveva fatto una scelta, quel pomeriggio sulla Torre Nord, quando aveva capito che se il prezzo da pagare per conoscere tutti i segreti dell'altro ragazzo era dover rinunciare a lui, allora non ne valeva per niente la pena. Aveva sempre l'impressione che così com'era venuto infatti – così, fuori dal nulla – Harry potesse benissimo scomparirgli da sotto il naso, senza preavviso.
Le labbra di Tom si arricciarono in una smorfia. Certo, non era facile, soprattutto quando accadevano cose come quelle del giorno prima. Non poter fare nemmeno una domanda... richiedeva un livello di fiducia quale mai si sarebbe immaginato disposto a donare, e Tom, con la fiducia, aveva sempre avuto qualche problema.
Inoltre, Tom non era assolutamente nella posizione di potersi permettere errori di valutazione. Troppi segreti, troppe invidie, troppi nemici... Harry era un rischio enorme, forse il più alto che avesse mai corso dopo l'omicidio di suo padre. Era il suo unico punto debole, ma se non poteva eliminarlo cos'altro poteva fare?
Proteggerlo.
Il Serpeverde si fermò un attimo a quel pensiero, così chiaro e limpido nella sua semplicità. Chiuse in fretta l'acqua ed uscì dalla doccia, afferrando un asciugamano da legare in vita mentre si dirigeva verso lo specchio.
Aveva senso, no? Aveva sempre pensato che il modo migliore di difendersi era non lasciare nemmeno una breccia aperta al nemico, ma se una debolezza non poteva fare a meno di averla – e rinunciare a Harry era fuori questione – l'unica cosa che gli rimaneva da fare era proteggerla con ogni mezzo.
Anche da me stesso?
Poggiò le mani sui bordi laterali del lavandino e fissò la sua immagine riflessa, mentre per un attimo le immagini del loro duello gli scorsero davanti agli occhi come un flash, e un gemito gli sfuggì appena dalle labbra.
Quello che aveva fatto... anche dopo essersi preso l'intera sera per pensarci, dopo che l'altro ragazzo si era finalmente addormentato, ancora non riusciva a dare una spiegazione razionale al suo comportamento, a capire cosa lo avesse spinto ad attaccare Harry con così tanto odio. Era successo soltanto il giorno prima, ma se provava a ricordare i suoi pensieri di quel momento, tutto gli sembrava nebuloso e confuso, come se fosse accaduto anni addietro.
Continuò a guardare lo specchio, osservando le gocce d'acqua scendere dalle ciocche ancora bagnate e scorrergli lungo il collo. Impossibile, mentre si fissava gli occhi neri, non ripensare alle folli grida e dissennati discorsi di Morfin. Che fosse possibile che...? Non aveva mai preso in seria considerazione la possibilità che parte di quella follia, riprodottasi come un cancro di generazione in generazione, gli fosse stata trasmessa e gli potesse scorrere nelle vene. Forse sarebbe stato meglio se avesse fatto qualche ricerca in più prima di incastrare suo zio e mandarlo a marcire ad Azkaban, e togliere dalla circolazione suo padre.
Non che non se lo fossero meritati.
Il suo riflesso gli rispose con un ghigno sinistro, mentre un bagliore rosso gli attraversava le iridi color inchiostro. Ah, la soddisfazione di vedere la vita svanire dagli occhi di quella feccia babbana che aveva osato abbandonare lui e sua madre! Quell'insulso, patetico verme, che una volta saputa l'origine magica di Merope, invece di ringraziare ogni divinità conosciuta per aver ricevuto l'onore di contribuire alla nascita dell'erede di Serpeverde, aveva avuto il coraggio di metterla alla porta, condannandola a morte quasi certa. Nessun tribunale avrebbe soddisfatto il bruciante desiderio di far pagare quell'affronto, e nessuno avrebbe tolto a Tom il piacere di quella vendetta.
E così, in effetti, era stato.
Con un ultimo sorriso soddisfatto, Tom lasciò andare il lavandino e lo specchio, afferrò un altro asciugamano per asciugarsi i capelli e, mentre si strofinava le ciocche nere, tornò in camera per vestirsi.
In quel momento aveva cose migliori a cui pensare che il suo albero genealogico; per esempio cos'avrebbe fatto a Harry se fosse riuscito ad intercettarlo prima della colazione, quando sarebbe tornato dal Lago. Si concesse qualche minuto per fantasticare su diversi possibili scenari mentre tirava fuori la divisa e si vestiva, fissando le tende chiuse del letto del ragazzo, sovrappensiero. Forse valeva la pena saltare le lezioni per quel giorno, anche solo per darsi un po' di tempo per riprendersi dagli ultimi avvenimenti; prendersi una giornata libera, solo lui e Harry, tutto il tempo nelle loro stanze...
Scosse la testa per liberarsi dalla tentazione: nessuno avrebbe osato dir loro nulla, ma una loro assenza avrebbe potuto far sorgere domande scomode. Qualcuno doveva sicuramente aver sentito i rumori del duello o, nonostante tutti gli sforzi di Tom per farlo tornare al suo pristino stato, aver notato i danni causati al corridoio. Se non volevano essere ricollegati a quello che era successo il giorno precedente avrebbero fatto meglio a tenersi lontani da ogni sospetto.
Spostò l'attenzione dal letto di Harry alla sua borsa, ponderando se lasciarla lì per poi tornare a riprenderla dopo colazione, o portarsela direttamente in Sala Grande. Con una scrollata di spalle, decise infine per lasciarla ai piedi del comodino e diede un ultimo sguardo alla stanza mentre apriva la porta per uscire.
E lì si bloccò, con la mano che aveva tirato fuori la bacchetta per spegnere le torce ferma a mezz'aria e la sensazione vaga che qualcosa fosse fuori posto.
Aggrottò le sopracciglia. Ora che stava dando un’occhiata generale alla camera, sembrava ci fosse qualcosa di insolito, anche se non riusciva bene ad inquadrare cosa. Passò in rassegna la stanza con gli occhi, spostando lo sguardo dalla porta chiusa del bagno agli asciugamani appoggiati alla cassettiera, al terrario dove Nagini dormiva raggomitolata, alle tende chiuse del letto di Harry –
...tende chiuse?
Tom sollevò entrambe le sopracciglia e tornò cautamente sui suoi passi, aggirando il proprio letto per fermarsi davanti ai tendaggi di velluto verde scuro di quello dell'altro. Non una volta, in tutto il tempo che Harry aveva dormito in quella stanza, Tom si era svegliato vedendo il baldacchino chiuso. Anzi, si era trovato più volte infastidito dal letto sfatto e dalle lenzuola attorcigliate che il ragazzo lasciava puntualmente in disordine ogni volta che usciva per allenarsi.
Per quanto sarebbe stato bello pensare che fosse stato semplicemente il frutto di una rinnovata scoperta dell'ordine da parte di Harry, l'ipotesi suonava dubbiosa persino alle sue orecchie mentali. Soppresse una smorfia al pensiero, mentre con una mano scostava dolcemente le tende.
Quello che trovò al di là del velluto, infatti, non fu un letto rifatto, ma la testa nera di Harry affondata nel cuscino.
Tom aprì del tutto le tende, osservando sorpreso il ragazzo ancora addormentato. Cosa ci faceva lì, ancora perso nei suoi sogni? Non aveva fatto alcun cenno, la sera prima, al fatto di voler rimanere a letto fino a tardi...
Il Serpeverde si sedette lentamente a bordo del letto, guardando il ritmico alzarsi e abbassarsi delle coperte smeraldo ad ogni respiro di Harry, il piumino attorcigliato attorno al suo corpo come se ci si fosse rotolato dentro più e più volte nel corso della notte.
Senza nemmeno pensarci, poggiò una mano sulla testata di legno per reggersi, mentre l'altra andava a scostare dalla fronte del ragazzo un paio di ciocche nere le quali – si accorse ora che le stava toccando – erano leggermente bagnate di sudore.
Nel momento in cui la mano di Tom lo toccò, Harry si mosse nel sonno, rigirandosi di schiena e mostrando il volto allo sguardo del Serpeverde. Tom corrugò la fronte: Harry aveva un aspetto orribile, persino peggiore della sera precedente. Invece di giovargli, il riposo sembrava averlo sfiancato ancora di più: il volto era pallido e creava un contrasto inquietante con le lunghe e scure occhiaia che gli adombravano il viso, i capelli gli si erano appiccicati per il sudore al collo e alla fronte, sulla quale spiccava nel centro la cicatrice a forma di saetta, tinta di un rosso arrabbiato.
In un lampo, la conversazione che aveva origliato tra Orion e Meredith più di una settimana addietro tornò alla mente del Prefetto. Non avevano forse detto che Harry aveva cominciato a mangiare molto meno, che andava a dormire distrutto ma si svegliava appena in tempo per andare a lezione, sempre più esausto, vittima di una stanchezza continua? A quel tempo, se non ricordava male, Orion aveva attribuito la colpa di tutto al litigio che c'era appena stato tra di loro, eppure…
Tom cercò di ricordare se negli ultimi giorni il comportamento di Harry avesse mostrato uno qualunque di quei sintomi, ma alla mattina avevano orari talmente diversi, e Harry riusciva ad essere talmente elusivo alle volte, che il Serpeverde non riuscì a ricordare una sola volta in cui avesse incontrato l'altro ragazzo prima di colazione o delle lezioni. Possibile che fosse già successo che Harry rimanesse in stanza a dormire, nascosto dal baldacchino, senza che lui se ne accorgesse?
Irritato, non del tutto sicuro se con Harry per averlo tenuto all'oscuro di qualcos'altro, o se con se stesso per non essersi accorto che ci fosse qualcosa che non andava, Tom si spostò più avanti sul letto, deciso a scrollare il ragazzo dal sonno e chiedere magari qualche risposta. Tuttavia un particolare attirò la sua attenzione, facendolo bloccare nuovamente: le coperte, quando si muovevano, non facevano alcun rumore.
Un incantesimo silenziatore?
Tom passò una mano sul copriletto per essere sicuro, ma nessun fruscio accompagnò il movimento. Perché mettere un incantesimo silenziatore intorno al letto? Il Prefetto scartò immediatamente l'ipotesi più ovvia, che Harry russasse o parlasse nel sonno: era sicuro che i primi giorni in cui si era trasferito in quelle stanze Harry non fosse solito nemmeno chiudere le tende, e più di una volta Tom era rimasto a leggere fino a tardi ascoltando il suono del suo lento respirare.
Da quanto tempo, quindi, andava avanti quella storia? E perché? Cosa c'era che non andava, che non gli stava dicendo?
Magari è semplicemente stremato da quello che tu gli hai fatto passare ieri, una voce, subdola, gli suggerì sibilante nella mente.
Di nuovo, come era accaduto prima in bagno, sentì una strana morsa serrargli le viscere. Non riusciva a capire da cosa derivasse, ma più osservava i segni di stanchezza sul volto di Harry, più qualcosa sembrava mozzargli il fiato al pensiero di esserne stato la causa.
Quella vena protettiva che si era sviluppata lentamente nell'animo di Tom nei confronti di quel ragazzo, quella che lo aveva spinto a promettere a se stesso che se qualcuno si fosse anche solo azzardato a toccarlo avrebbe dovuto sperimentare sulla propria pelle di cos'era esattamente capace Tom Riddle, ora gli si stava rivoltando contro. La rabbia e l'istinto di punire chiunque avesse fatto del male a quella gemma che ora dormiva innocentemente nel letto non aveva altri bersagli se non se stesso, ed era una sensazione orribile, come se... come se...
Come se mi sentissi in colpa.
Tom deglutì. Non c'erano altre spiegazioni, no? Era stato lui a ferirlo, era lui il responsabile di aver fatto soffrire Harry in quel momento, e di conseguenza ora si sentiva in colpa. Corrugò la fronte, a disagio: era una sensazione che non gli piaceva per niente. Poteva ricordare anche solo una volta in cui si era sentito in quel modo? Lo stesso orrore che aveva provato nel vedere la camicia di Harry intrisa di sangue sapendo di essere stato lui a–
La ferita.
Giusto, se ne era quasi dimenticato. Riportò l'attenzione al ragazzo addormentato, cercando di ignorare il senso di colpa che ancora gli attanagliava lo stomaco. Forse gli conveniva, vista la reazione che aveva avuto l'altro al solo menzionare l'Infermeria, controllarla adesso che Harry stava ancora dormendo invece di svegliarlo e dover lottare contro tutte le sue proteste.
Si risistemò sul copriletto per aver più facile accesso alla spalla del ragazzo, e lentamente abbassò le coperte fino a scoprirgli il braccio. Harry poteva aver pure sopportato chissà quali e quante altre ferite nella sua vita, quel taglio poteva anche non essere nulla per lui, ma Tom aveva bisogno di sapere che stesse bene, che quello che gli aveva fatto non gli avesse arrecato gravi o permanenti danni.
Tirò fuori la bacchetta dalla tasca e annullò l'incantesimo silenziatore, poi, cercando di fare il più piano possibile, scostò il collo del pigiama mezzo sbottonato di Harry fino al gomito, ignorando – dopo forse solo un secondo di distrazione – la parte di petto nudo che veniva scoperta. Harry fece uno strano verso e voltò la testa dall'altro lato, ma non si svegliò.
Tom osservò la linea zigzagante che percorreva metà braccio del ragazzo, dalla fine della clavicola al gomito. Era irregolare e arrossata, ma solo sul contorno, evidentemente non abbastanza da far supporre una seria infezione. Vi passò sopra una volta sola i polpastrelli in un tocco leggero, poi, con una smorfia contrariata, risistemò il pigiama al suo proprio posto, ben consapevole del fatto che non sarebbe mai riuscito a convincere Harry a farsi visitare in Infermeria.
Stava ponderando se riallacciare i bottoni o no quando Harry si mosse di nuovo, stavolta aggiungendo un piccolo mugugno, e lentamente aprì gli occhi. Tom lo osservò sbattere le palpebre, non ancora del tutto cosciente. Quando si accorse della presenza del ragazzo, però, un sorriso languido e assonnato gli comparve in volto.
“Ehi...” sussurrò Harry, tirandosi su sui gomiti. Il pigiama mezzo sbottonato gli scivolò giù dalla spalla, ma lui sembrò non farci caso; le palpebre a mezz'asta gli adombravano gli occhi rendendo l'iride di un verde più scuro e denso e, davvero, Tom non ebbe altra scelta che reggersi con una mano alla testata e abbassarsi fino a baciarlo.
Harry rispose immediatamente con un sospiro soddisfatto, che si tramutò in un basso gemito quando sentì Tom arrampicarsi sul letto e sistemare una gamba fra le sue, sdraiandosi sopra di lui. Liberò una delle braccia dalle lenzuola per poter affondare la mano tra i capelli del Serpeverde e attirarlo a sé ancora di più, cosa che Tom assecondò più che volentieri. Per qualche infervorato secondo, il Prefetto si concentrò solo sulla bocca calda del ragazzo ancora assonnato, accarezzandogli la lingua con la propria, per poi tirarsi indietro con un piccolo morso al labbro inferiore, interrompendo il bacio.
Harry fece in tempo ad emettere un mugugno perplesso quando sentì le labbra dell'altro posarsi sotto la mascella e la testa gli scattò all'indietro con un gemito. Tom si prese un istante per ammirare la gola esposta del ragazzo, prima di continuare a lasciare baci lungo il suo collo, ghignando nel sentire il sospiro strozzato che scappò all'altro quando fece passare la lingua nell'incavo tra gola e petto.
“Mmh... non sto ancora dormendo, vero?” sussurrò Harry con voce ancora roca dal sonno, portando una mano ad intrecciare le dita tra le ciocche nere di Tom.
Nonostante la scossa di eccitazione che gli andò dritta all'inguine al suono rauco di quella voce, Tom arrestò la sua discesa lungo la clavicola e sollevò la testa per fissare l'altro negli occhi. Un piccolo ghigno gli si delineò sul volto, “Dipende. Se ti dicessi che stai ancora sognando, saresti disposto a ignorare che sono le otto e mezza e sei ancora in pigiama?”
Harry sgranò gli occhi. “Cosa?!”
Si tirò su di scatto, rischiando di buttare giù dal letto Tom che, fortunatamente, riuscì a mantenere l'equilibrio e scendere dal letto con la dignità intatta, mentre Harry inciampava tra le lenzuola nella fretta. Coi piedi finalmente per terra si fiondò verso il suo baule e afferrò velocemente i vari pezzi dell'uniforme, borbottando imprecazioni.
Il Prefetto, dopo essersi accuratamente stirato e sistemato l'uniforme, si limitò ad osservare i tentativi frenetici dell'altro ragazzo di vestirsi appoggiato ad uni dei pali del baldacchino, guardando con soddisfazione i segni rossi che stavano affiorando alla base del collo di Harry, rammaricandosi del fatto che la cravatta li avrebbe coperti.
'Oh, ma c'è tempo.' pensò, 'Prima o poi l'intera scuola saprà che nessuno si deve azzardare a toccarlo. Sanno bene già adesso che tutto ciò che è mio è off-limits.'
Soddisfatto a quel pensiero, tornò a prestare attenzione al presente. “Dopo colazione, per la cronaca, ho una riunione dei Prefetti, perciò non sarò a Trasfigurazione.” comunicò ad alta voce mentre Harry si precipitava in bagno, senza preoccuparsi di chiudere la porta, “Fatti accompagnare da Orion.”
Anche se non poteva vederlo, sospettava che Harry stesse roteando gli occhi al cielo. “Non ho bisogno di una balia, Tom.” arrivò la pronta risposta dal bagno, “Sono perfettamente capace di arrivare all'aula di – ehi, hai visto? Non si è infettata!”
Fu il turno di Tom di alzare gli occhi al cielo. “Si, ho visto.”
Harry uscì dal bagno che ancora si stava annodando il cravattino, ma in pochi secondi riuscì a finire di vestirsi, massaggiandosi la spalla solo qualche istante con una smorfia. La maschera sul volto di Tom dovette aver lasciato trapelare qualcosa di quella – ormai l'aveva accettata – strana sensazione di rimorso, perché subito dopo essersi voltavo verso il Prefetto, Harry lasciò cadere giù la mano.
“Ehi,” disse piano, avvicinandosi fino a trovarsi di fronte al Serpeverde, “lo sai che non ti ritengo responsabile, vero?”
Tom distolse lo sguardo, fissando qualcosa sulla sinistra. “Non c'era nessun altro a parte noi. E non te la sei certo fatta da solo.”
Ma Harry alzò le spalle. “In un litigio la colpa è sempre da dividere in due.”
Il Prefetto tornò a guardarlo e fece per rispondere che tra persone normali, quando si litiga non si finisce con l'avere bisogno di una pozione rimpolpasangue, ma si fermò. Sapevano entrambi che la colpa era di una sola persona, ma Harry stava osservando la sua divisa con quello sguardo distante che ogni tanto lo prendeva, come se stesse ripensando a vicende lontane e sgradevoli.
Decise invece di passargli una mano tra i capelli, e fu premiato con un sorriso.
“Andiamo, o faremo tardi.” fu tutto quello che aggiunse.
Harry annuì, ma invece di allontanarsi per uscire poggiò una mano dietro al collo del Serpeverde e lo attirò a sé per un altro breve bacio.
“Non posso ancora credere di poterlo fare ogni volta che voglio.” sospirò, poggiando la testa sulla spalla di Tom, mentre la mano del Prefetto gli carezzava pigramente la nuca.
Approfittando del fatto che l'altro non lo potesse vedere, Tom si lasciò sfuggire un sorriso. Poi, stringendolo a sé un ultima volta, lo allontanò quel che bastava per guardarlo. Con una mano gli incorniciò il viso, facendo scorrere il pollice lungo i segni viola delle occhiaie. Ora che era sveglio si notavano molto meno i segni di stanchezza sul suo viso, ma Tom non aveva intenzione di dimenticarsene: anche se non avevano tempo in quel momento per quella discussione, avrebbe ottenuto delle risposte, prima o poi.
“Forza, o rischiamo di saltare la colazione.”
***
Per Harry era difficile, mentre percorreva insieme a Tom il corridoio che portava alla Sala d'Ingresso, nascondere l'enorme, ebete sorriso che gli stava stirando gli angoli della bocca. Come gli stava tornando impossibile evitare di camminare così vicino al Prefetto da sfiorargli il braccio o le dita della mano ogni tanto, o scontrargli la spalla in piccoli rimbalzi.
Se a Tom quel comportamento stesse dando fastidio, non stava dicendo nulla per scoraggiarlo. Anche se, ora che erano tornati in mezzo al resto della popolazione studentesca, sarebbe stato difficile distinguere sul suo volto qualunque emozione che non fosse stata una calma e un po' altezzosa serietà.
In effetti non avevano avuto occasione, rimuginò Harry, di parlare di come si sarebbero comportati di fronte al resto della scuola. Avrebbero fatto finta di niente, lasciando che gli altri si facessero una propria opinione da soli? Sarebbe servito un qualche gesto simbolico? Forse Tom non voleva che si sapesse in giro. Anzi, probabilmente era proprio così, visto quanto sembrava tenere alla propria privacy. Non che ad Harry avrebbe dato molto fastidio, tenere tutto nascosto. Se c'era qualcosa in cui era bravo era mantenere un segreto, e forse meno persone gli prestavano attenzione, più facile sarebbe stato per tutti dimenticarsi della sua esistenza una volta che se ne sarebbe andato.
Una familiare morsa allo stomaco lo prese a quell'idea e fu grato quando Tom interruppe il suo flusso di pensieri.
“Presumo che questo pomeriggio sarai insieme ad Orion agli allenamenti di Quidditch.”
Harry notò con una punta di divertimento che Tom era riuscito di nuovo a dire Quiddich nel modo in cui Malfoy diceva mezzosangue. “Se mi chiedono di andare, certo.” rispose, “Anche se ho qualche dubbio che se ne ricordino ancora.”
Tom sbuffò, mezzo irritato e mezzo derisorio. “Se ne ricordano, su questo non ho dubbi. Se utilizzassero anche solo la metà della dedizione che hanno per quello sport ai loro –”
Ma venne interrotto da qualcuno che lo chiamava dal fondo del corridoio, vicino all'entrata della Sala d'Ingresso. Appoggiati alla base dell'arco di marmo vi erano due ragazzi, entrambi Serpeverde, che Harry aveva visto un paio di volte in Sala Comune, ma a cui non aveva mai prestato particolare attenzione.
Tom si fermò, ancora a diversi metri di distanza dai due, e l'espressione calcolata che assunse il suo viso era una che Harry non vedeva dal tempo del loro secondo incontro. Prima che potesse dire nulla, però, il Prefetto si era voltato verso di lui.
“Vai pure avanti,” disse, poggiandogli una mano sul braccio, “io ti raggiungo tra qualche minuto.”
Harry lanciò un'occhiata ai due ragazzi, indeciso, ma l'intento nelle parole di Tom era abbastanza chiaro e sarebbe suonato assurdo insistere per restare.
“Ok.” rispose, trattenendosi dallo squadrare i due, “ti aspetto al tavolo.” e si allontanò verso la Sala Grande mentre l'altro si fermava a parlare, riuscendo solo a sentire la voce di Tom dire “Avery, Davies...” mentre lasciava la Sala d'Ingresso.
Quelli, decisamente, non erano semplici amici. Il concetto di amicizia era tristemente estraneo a Tom, e c'era voluta tutta la buona volontà sua e di Orion assieme per convincerlo che i vantaggi di lasciarsi avvicinare battevano il rischio di rimanerne feriti. E quella era senza dubbio una conoscenza che risaliva a ben prima del suo arrivo nel 1947.
Arrivato ormai in Sala Grande Harry lanciò un'ultima occhiata alle proprie spalle, ma i tre Serpeverde sembravano semplicemente essere coinvolti in una fitta conversazione. Anzi, a parlare in quel momento era solo Tom, mentre gli altri due ascoltavano e annuivano.
Scuotendo la testa, riprese a camminare, non riuscendo però a sopprimere il brutto presentimento che quel semplice incontro gli aveva suscitato. Non pretendeva certo di conoscere tutta la vita di Tom dopo poco più di un mese – nonostante, in fondo, sapesse molte più cose sul suo conto di quante il Serpeverde ne avesse mai confidate a nessuno – eppure sapeva già dai pochi ricordi che Silente gli aveva mostrato della vita di Tom che, ad eccezione di Orion, le sue frequentazioni erano raramente prive di secondi fini. Era impossibile, per quanto si sforzasse, non lasciare che una punta di sospetto gli infiltrasse la mente.
Harry era così immerso nei suoi pensieri – e quando si trattava di Tom stava cominciando a capitare un po' troppo spesso – da non prestare nemmeno attenzione a dove stesse andando, e solo una volta arrivato davanti al tavolo si accorse che le sue gambe l'avevano automaticamente portato dalla parte dei Grifondoro. Alcuni dei quali si erano ovviamente accorti della sua presenza, lì in piedi al capo del tavolo, e lo stavano fissando chi con curiosità – evidentemente molti di loro non l'avevano ancora mai visto girare per la scuola – e chi con palese sospetto e astio: un Grifondoro, dopo tutto, non aveva bisogno di presentazioni per classificare un Serpeverde come persona non grata.
Harry deglutì, perché per quanto fosse abituato alle occhiate e all'attenzione del Mondo Magico, non era mai riuscito a trovarsi a suo agio con troppi occhi puntati addosso e la sua presenza stava attirando l'interesse anche degli altri tavoli. Stava giusto pensando che prima girava i tacchi e tornava al tavolo di Serpeverde, meno avrebbe fatto la figura dell'idiota, quando tra tutte le teste sedute una crocchia di capelli castani in particolare attirò la sua attenzione e, senza pensarci troppo, invece di allontanarsi si diresse verso il centro del tavolo.
“Ciao, Minerva.”
La ragazza si voltò. “Harry!” esclamò sorpresa vedendolo, “Che ci fai qui?”
“Ehrm...” Harry si sistemò meglio la borsa sulla spalla, imbarazzato: improvvisamente 'Volevo solo salutarti e sapere come andava.' suonava un po' più stupido e inutile di quando l'aveva pensato.
Minerva, fortunatamente, gli venne incontro prima che potesse dire nulla di insensato. “Come va il naso?”
“Il naso?” chiese confuso, prima di ricordarsi che l'ultima volta che si erano visti Alden gli aveva appena mollato un pugno in faccia. “Oh, si, giusto, il naso... tutto bene, tutto bene. Non ci sono stati altri... ehm,” cercò di ricordare che scusa le avesse propinato al tempo, “incidenti?”
La Grifondoro assunse un'espressione divertita. “Lo stai chiedendo a me?”
“...no?”
Minerva scoppiò a ridere, ed anche Harry abbozzò un sorriso, sentendo l'imbarazzo sciogliersi di fronte alla cordialità della ragazza.
“Sai, non ti ho più visto in Biblioteca.” continuò lei una volta che si fu ripresa, “Hai già finito quel tuo progetto?”
“Oh, no, è che ora che ho fatto i G.U.F.O. non ho più così tante ore libere. Ma sul tardo pomeriggio ci sono spesso, sarà che ci andiamo in giorni diversi.”
Prima che lei potesse rispondere, il ragazzo sedutole a fianco – un giovane dal viso tondo e i capelli biondo scuro – si schiarì la gola con fare eloquente. Solo in quel momento Harry si accorse che se prima aveva attirato non pochi sguardi, ora aveva l'attenzione del tavolo intero.
Minerva si voltò verso il suo compagno. “Che c'è, Joseph?” chiese assottigliando le labbra, in un'espressione così tipica della McGranitt da far provare ad Harry una fitta di nostalgia.
“Beh,” cominciò il ragazzo guardando intorno al tavolo, “parlo a nome di tutti se chiedo chi è il tuo nuovo amico?”
Dagli sguardi curiosi che venivano indirizzati ad Harry, sembrava di sì.
Minerva roteò gli occhi al cielo. “Dio, come sei teatrale. Si chiama Harry Evans, è un nuovo studente arrivato quest'anno, e visto che si trova qua davanti potevi anche chiederglielo te.”
Harry fece un passo avanti, porgendo la mano al ragazzo con un sorriso. “Piacere.”
'Joseph' fece scorrere lo sguardo dalla sua mano tesa allo stemma verde-argento sulla sua divisa e per un attimo sembrò non avere alcuna intenzione di muoversi, ma una nemmeno troppo nascosta gomitata da parte di Minerva lo portò a stringere finalmente la mano, sebbene guardando in cagnesco la compagna.
“Joseph Prewett. Grifondoro.” sottolineò, ma Harry era troppo distratto dal nome per farci caso.
Prewett...?
“Ehi, ti ho visto in giro!” esclamò una ragazzina, parlando attorno ad una fetta di pane tostato, “Sei quello che gira sempre con Riddle e Black.”
“Riddle? Tom Riddle?” chiese un'altra ragazza, seduta affianco alla prima.
Prima che Harry potesse rispondere, un generale gemito esasperato percorse i Grifondoro e più di un paio rotearono gli occhi al cielo.
“Ti prego, Penelope, non cominciare!” supplicò Joseph.
Harry lanciò uno sguardo interrogativo alla McGranitt, che con aria rassegnata disse: “Diciamo che Penelope ha una malsana ossessione per Riddle, e siamo tutti piuttosto stanchi di sentirla tesserne le lodi.”
“Non è un'ossessione!” cercò di difendersi la ragazza, arrossendo furiosamente.
“Oh, hai ragione Penelope,” s'intromise Joseph, “quello che Minnie voleva dire è che hai una malsana cotta per Tom Riddle.”
“Non lo ascoltare, Pen.” cercò di consolarla la compagna sedutale affianco, “Fai prima a contare chi non ha una cotta per Tom Riddle.”
Ora anche Harry, insieme alla povera Penelope, cominciava a sentirsi a disagio per la piega che il discorso stava prendendo.
“È un Serpeverde!” esclamò Joseph, per poi doversi piegare in due con un “Ouch!” quando fu raggiunto da un'altra gomitata di Minerva.
Harry sorrise, un po' imbarazzato. “Bisogna imparare ad apprezzarlo, ma non è terribile come sembra.” disse, cercando di difendere Tom.
“Si beh, detto da un altro Serpever- Ahia! Minnie, la vuoi smettere?”
“Io la smetto quando tu la pianti di essere così cafone, Prewett. Tom Riddle è uno studente modello, Serpeverde o no: è sempre educato e cortese, non litiga mai per i corridoi ed ha, bisogna ammetterlo, un'intelligenza fuori dal comune.” rispose la ragazza con tono severo, “E non chiamarmi Minnie.”
Il Grifondoro si stava ancora massaggiando il fianco. “Beh, io non mi fido lo stesso, i suoi sorrisi mi fanno venire i brividi. E poi non hai sentito cos'ha detto Carl? La migliore amica di sua sorella è a Serpeverde, e dice che in Sala Comune si comporta come un tiranno! Dice che i primini sono terrorizzati. E inoltre –”
Ma venne interrotto dalla ragazza seduta al fianco di Penelope: “Si, si, certo, e la cugina dell'amico del vicino di mio nonno dice che sono la direttrice di Radio Strega Network. Ma ti senti quando parli? Se dobbiamo sorbirci un'altra volta la solfa 'Tom Riddle è il male incarnato' ti metto del pus di bubotubero nel cuscino.” esclamò esasperata, “Sei così fissato nei tuoi pregiudizi da non voler ammettere che hai torto nemmeno di fronte alla realtà dei fatti.”
Harry alzò le sopracciglia sorpreso a quelle parole, non riuscendo bene a credere a quello che stava sentendo.
Le orecchie di Joseph, intanto, si erano fatte paonazze. “Ma non capisci? Questo è esattamente quello che vuol far credere a tutti, vi sta ingannando!” ma dalle numerose occhiate al cielo era chiaro che nessuno lo stesse prendendo sul serio. Si voltò verso la McGranitt, “Minnie forza, diglielo anche tu!”
Harry osservò incuriosito la ragazza. Dalle loro precedenti conversazioni era chiaro che non avesse un'opinione eccellente del Prefetto di Serpeverde o che, come minimo, mantenesse alcune riserve nei suoi confronti. Ma quello che stava risultando ancora più chiaro era – e Harry ne era così sorpreso da fare fatica a credere ai suoi occhi – come quella non fosse l'opinione comune. E se persino al tavolo di Grifondoro Tom godeva di una certa stima, figurarsi nelle altre Case.
Dio mio, ha già la scuola intera che pende dalle sue labbra.
“Ammetto di non fidarmi di lui,” rispose Minerva assottigliando le labbra, “però non hai alcuna prova per sostenere quello che dici. E per l'amor del cielo, non voglio ripeterlo mille volte: smettila di chiamarmi Minnie!”
Joseph sembrava ancora contrariato, ma la risposta dell'altra doveva averlo pacificato un po'. “Le troverò le prove, prima o poi...” borbottò. Poi, illuminandosi all'improvviso, lanciò un sorriso sornione all'altra, “E perché mai dovrei smettere, Minnie? Rub ti chiama sempre così!”
“Si, beh, Rubeus ha, forse sorprendentemente, maniere migliori delle tue.”
Joseph stava borbottando qualcosa di risposta, ma Harry aveva smesso di ascoltare.
Rubeus. Rubeus Hagrid.
Qual era la probabilità che ci fossero due Rubeus, ad Hogwarts, in quegli anni? No, doveva trattarsi sicuramente di Hagrid... E lui prima di quel momento non aveva nemmeno pensato alla possibilità di vederlo, nonostante il suo passato fosse così legato a quello di Tom Riddle.
In fretta, fece scorrere lo sguardo lungo il tavolo di Grifondoro e, prevedibilmente, non gli ci volle molto prima di scorgere la massiccia figura del suo grosso amico seduto una decina di posti più in là. Le prime emozioni che lo colpirono furono sorpresa e curiosità, perché anche se la sua stazza lo rendeva inconfondibile, senza barba e capelli lunghi Hagrid era quasi irriconoscibile. Ma una volta che la sorpresa iniziale si fu dissolta, una fitta di nostalgia e affetto gli invase il petto, al pensiero di quanto fosse in debito con quell'uomo per tutto l'appoggio e l'affetto che gli aveva dato, quando stava ancora facendo i suoi primi, esitanti passi nel mondo magico.
La tentazione di andare lì e presentarsi, tendendo la mano al suo vecchio amico con un sorriso incoraggiante era enorme, ma come avrebbe motivato quell'improvvisa affabilità? Dal loro punto di vista, anche senza alcun pregiudizio, sarebbe stato un comportamento più che sospetto da parte di un Serpeverde. Forse la cosa migliore da fare, se proprio voleva conoscere Hagrid, era continuare a frequentare Minerva nella speranza di potersi avvicinare ad altri Grifondoro... ma in che anno era Hagrid?
Cercò di scavare nella memoria le poche informazioni che aveva su quegli anni. Hagrid era stato espulso quand'era al terzo anno e –
– e improvvisamente ad Harry venne in mente la conseguenza più importante del fatto che Hagrid fosse ad Hogwarts.
La Camera dei Segreti non era ancora stata aperta.
Tom non l'aveva ancora trovata, nonostante sapesse già da tempo di essere l'erede di Serpeverde. Ma quand'è che era stata aperta? Il diario di Tom conteneva sicuramente l'intera vicenda, o non sarebbe mai potuto servire a riaprirla cinquant'anni più tardi, e Harry aveva rivisto con i propri occhi quello – o almeno parte di quello – che era successo a Hagrid, quando era stato risucchiato nel diario dallo spirito del sedicenne Serpeverde.
Sedicenne. Sesto anno.
Quell'anno.
Dio santo, quello stesso anno la Camera dei Segreti sarebbe stata aperta. E Harry era lì, consapevole di tutto ma senza poter fare nulla per prevenirlo. Nonostante sapesse bene di non avere alcuna responsabilità, gli tornava difficile non sentirsi in un certo senso complice delle orribili cose che sarebbero successe. Hagrid sarebbe stato espulso, Mirtilla Malcontenta sarebbe morta, e Tom –
Tom avrebbe perso un pezzo della sua anima.
Perché Harry se lo ricordava ancora come se ce l'avesse avuto davanti lo spirito di Tom, in piedi di fianco al corpo esanime di Ginny, che faceva roteare pigramente la sua bacchetta tra le dita affusolate di una mano mentre gli regalava un ghigno crudele e soddisfatto. Se lo ricordava bene perché era identico al Tom che aveva imparato ad adorare nell'ultimo mese, lo stesso di cui poteva ancora sentire il sapore in bocca dall'ultimo bacio.
Era chiaro che Tom aveva creato il suo primo Horcrux alla fine del sesto anno, o per lo meno dopo aver aperto la Camera dei Segreti. Cristo, aveva mutilato la sua stessa anima a sedici anni.
Una strana sensazione di disgusto lo assalì all'idea, mista al più inspiegabile istinto protettivo nei confronti dell'anima del ragazzo di cui si era innamorato, che non aveva bisogno di essere protetta da nessuno se non dal suo stesso possessore. Dio, come si poteva essere capaci anche solo di pensare a farla, una cosa del genere?
Ma forse più urgente era la domanda: possibile che Tom non avesse ancora iniziato a cercarla, la Camera dei Segreti?
“–ai ascoltando? Harry, ci sei?”
Il ragazzo si riscosse dai suoi pensieri e, voltandosi, vide Minerva e il resto dei Grifondoro intenti a guardarlo, evidentemente aspettando una risposta.
“Scusa, mi sono un attimo incantato.” si scusò Harry con un sorriso imbarazzato, “Dicevi?”
La McGranitt lo squadrò qualche secondo da sopra gli occhiali squadrati, “Mi stavo chiedendo quando ti avrei trovato di nuovo in Biblioteca. Questo venerdì ci sarai?”
Harry ci pensò un secondo su, “Questo venerdì? Si, perché no?” rispose, poi però si bloccò: “Ah no, aspetta! Questo venerdì ho gli allenamenti di Quidditch...”
“Quidditch!?” esclamò improvvisamente un'altra voce, facendo voltare entrambi i ragazzi. A parlare era stata la stessa ragazza che aveva cercato di consolare la povera Penelope poco prima. “Sei nella squadra di Serpeverde?” continuò a chiedere, assottigliando sospettosa gli occhi.
Harry rimase qualche secondo interdetto, guardandola sorpreso. “Erm, no, non proprio. La squadra era già al completo, ma visto che giocavo da Cercatore prima di trasferirmi mi hanno chiesto di partecipare agli allenamenti...”
La ragazza lo squadrò per un attimo, e sembrava sul punto di chiedere qualcos'altro quando fu interrotta da qualcuno che chiamava il nome di Harry.
L'ex-Grifondoro fece appena in tempo a voltarsi e vedere che a chiamarlo era stato Orion, prima di ritrovarsi strattonato dal braccio che il Serpeverde gli aveva allacciato intorno al collo.
“Ecco dove ti eri cacciato!” esclamò con un sorriso a trentadue denti, “Cominciavo a preoccuparmi, sai?”
“Ehi, Orion.” lo salutò Harry, cercando di districarsi dalla presa senza farsi notare, “Tom è già arrivato?” chiese, allungando il collo per riuscire a vedere il tavolo di Serpeverde.
“Tom? No, no, anzi,” rispose il ragazzo, “pensavo fosse insieme a te. Dove l'hai mollato?”
“Si è solo fermato a parlare nella Sala d'Ingresso con due tizi...” rispose Harry, riuscendo finalmente a sgusciare sotto il braccio dell'altro.
Orion lo guardò un secondo pensieroso, ma poi – come accorgendosi che avevano degli spettatori – riprese il suo sorriso e si rivolse verso i Grifondoro. “Beh, ho visto che avete fatto conoscenza col nostro ultimo acquisto! Uno zuccherino il nostro Harry, vero?”
Mentre Harry gli lanciava uno sguardo orripilato, i Grifondoro lo guardarono come se avesse appena insultato un ippogrifo. Il ché, ovviamente, non era abbastanza per fermare Orion.
“Minerva!” continuò lui, “È sempre un piacere vederti quando non stai pattugliando i corridoi.”
La McGranitt annuì con un gesto secco, ma Harry riconobbe l'espressione con cui stava guardando Orion dalle tante volte in cui la professoressa si sarebbe trovata a dover trattare con i gemelli Weasley: un misto di irritazione, esasperazione e divertita benevolenza.
“Black,” rispose, “sono un po' di notti che non ho più il piacere di togliere punti a Serpeverde per violazione del coprifuoco. Hai cambiato percorsi, o hai imparato a rimanere con le tue conquiste fino al mattino?”
Qualche risatina si levò dal tavolo rosso e oro, ma Orion sembrò non prendersela. “Ouch, mi ferisci.” ribatté melodrammatico.
Minerva, saggiamente, decise di non incoraggiarlo e si rivolse nuovamente a Harry, “Se non venerdì, dimmi tu quando ti trovo.”
“Settimana prossima, promesso.” rispose Harry, scusandosi con un sorriso, “Ti mando un gufo appena sono sicuro di avere un pomeriggio libero. Ho solo un sacco di cose in ballo, in questi giorni.” aggiunse poi, passandosi una mano tra i capelli.
“D'accordo.” rispose lei annuendo, nonostante l'espressione dubbiosa sul volto.
Orion si schiarì la gola in quel momento, attirando l'attenzione di entrambi, “Beh, è stato un piacere, ma se non vi dispiace, cari compagni rossi e oro, Harry e il sottoscritto devono ancora fare colazione.” Si rivolse poi verso il resto del tavolo, passando in rassegna alcuni dei commensali, “Julius! Il nuovo taglio di capelli ti sta una favola, e Anthea! Ce l'ho ancora io il tuo cravattino sai? Passa dai sotterranei quando hai un minuto – o anche di più.”
La ragazza in questione sembrò cercare di sprofondare sotto il tavolo mentre riceveva occhiate incredule dalle sue compagne.
“Penelope,” continuò Orion imperturbato, “Tom manda i più sentiti saluti e – oh – Joseph,” si rivolse al ragazzo con un ghigno lascivo, “una tua parola e la Torre di Astronomia è prenotata – sai quanto amo le lentiggini in un uomo.”
“Per Merlino, Black, sei disgustoso.” ribatté Joseph schifato, tentando di allontanarsi fisicamente finquanto il tavolo glielo permetteva.
Orion di tutta risposta gli fece l'occhiolino e, allacciando nuovamente un braccio intorno a Harry, si allontanò salutando un'ultima volta con la mano, trascinando il compagno con sé. L'ultima cosa che Harry riuscì a sentire mentre se ne andavano fu solo una ragazza sussurrare “Cazzo, ma com'è che tutti i fighi sono finiti a Serpeverde?” ad una sua amica.
“Sai, non credo che fosse particolarmente interessato.” commentò Harry con una nota divertita nella voce.
“Chi, Prewett? Bene, perché non lo toccherei nemmeno per tutto l'oro della Gringott, che in ogni caso lui certo non possiede.” rispose serafico Orion, allargando il ghigno.
Harry scosse la testa, divertito. Per un attimo si sorprese nell'accorgersi di non aver minimamente sentito l'impulso di rimproverare Orion per quelle frecciatine: infondo non erano poi così diverse da quelle che era solito lanciare Malfoy, in una delle tante volte in cui aveva preso in giro lui o Ron.
Eppure, più tempo passava insieme ai Serpeverde, più si abituava ai loro complicati modi di fare. E se c'era una cosa che aveva capito in quel periodo, era che si poteva intuire ben poco del vero carattere di un Serpeverde da quello che diceva o dal modo in cui si comportava. Qualche volta infatti, quando si fermava ad ascoltare i suoi compagni di Casa parlare in Sala Comune, gli sembrava sempre che si stesse svolgendo un'altra conversazione in parallelo, i contenuti della quale non riusciva mai ad afferrare: ogni parola pareva avere quattro diversi livelli di significato ed ogni gesto un secondo fine.
Come facevano a tenere il filo di una discussione senza dare di matto, Harry non ne aveva la più pallida idea. Non che la sua vita a Grifondoro fosse stata particolarmente priva di stress, ma per lo meno non aveva mai dovuto vivere ogni giorno guardandosi dai propri compagni di Casa, o tenendo il conto di quante persone gli dovevano un favore e quanti ne doveva lui ad altri.
Eppure bastava osservare per un pomeriggio Tom per capire che per lui, come per altri, questi piccoli intrighi non costituivano affatto un peso e anzi, sembrava addirittura trarne un vero e proprio godimento. E sebbene a Harry non piacesse affatto quel lato di Tom – troppo facile era sostituire quell'immagine con quella di Voldemort che sibilava ai suoi Mangiamorte – ogni tanto non poteva che rimanere affascinato nell'osservare il Prefetto parlare con studenti e professori, osservare la facilità con cui rigirava i discorsi, manipolava le loro aspettative e giocava con le loro emozioni.
Chissà che, se si fosse lasciato smistare a Serpeverde, non sarebbe venuto naturale anche a lui districarsi così facilmente tra quei giochi di potere...
“Da quando hai tutti questi amici a Grifondoro?” chiese Orion, distogliendolo dai suoi pensieri.
Erano ormai arrivati al loro tavolo e Harry fece un cenno di saluto a Caleb Doholov e Dorea Black prima di sedersi al suo solito posto, lasciando di fianco a sé lo spazio vuoto per Tom.
“Solo Minerva: ci siamo conosciuti una volta in biblioteca e da allora la incontro ogni tanto per i corridoi.” rispose, cominciando intanto a servirsi un'abbondante porzione di porridge.
Orion mugugnò in segno di assenso, la bocca occupata a masticare una fetta di pane tostato. Dopo aver deglutito tornò a rivolgersi a lui, “Ti ho visto parlare con il capitano della squadra di Grifondoro, però. Non le avrai detto niente, mi auguro.”
“Chi, scusa?” chiese distratto Harry, mentre si portava una tazza di tè alle labbra.
“Catherine Potter, il capitano di Grifondoro.”
Per poco Harry non si rovesciò l'intera tazza di tè bollente addosso.
“P-Potter?”
Orion si girò per guardarlo meglio, posando il pane sul piatto. “Si, Catherine Potter. Del sesto anno.” Gli poggiò una mano sulla spalla, lanciandogli uno sguardo preoccupato, “Harry, tutto bene?”
Il ragazzo si affrettò ad annuire, cercando di mascherare il suo stato d'animo con una risatina nervosa e non riuscendoci per niente. Si voltò verso il tavolo di Grifondoro, ricercando con lo sguardo la ragazza in questione. La osservò con attenzione per la prima volta ma, onestamente, a parte il colore scuro dei capelli non vi era alcuna visibile somiglianza né con lui, né con James. E d'altronde cosa si aspettava, a distanza di generazioni? Non tutti i parenti si assomigliavano, bastava guardare a sua madre e sua zia...
“Ehi, guarda che scherzavo,” riprese Orion, cercando di attirare la sua attenzione, “anche se le hai parlato di qualche strategia non fa niente, non lo sapevi –”
Harry riportò lo sguardo su di lui, affrettandosi a scuotere la testa, “No, non preoccuparti; sei arrivato prima che potessimo scambiare più di due parole. Non sapevo nemmeno il suo nome.”
“Come mai questa improvvisa... passione… per le altre Case, Evans?” interruppe la voce di Madeleine, seduta di fronte a loro, “Posso capire l'interesse per quella bambina di Corvonero – Donill, giusto? – ma i Grifondoro? Qualcuno potrebbe cominciare a pensare che non ti trovi bene qui tra noi Serpeverde.” concluse, lanciandogli un'occhiata maliziosamente provocatoria da sopra il calice d'argento che teneva in mano.
Harry assottigliò gli occhi. “L'appartenenza ad una Casa non impedisce di conoscere persone di Case diverse.”
La ragazza alzò un sopracciglio, “Non sei d'accordo con la divisione in Case?” chiese con aria sorpresa, “Preferiresti che ci mettessero tutti insieme?”
Harry aprì e chiuse la bocca un paio di volte, “No, non ho detto questo.” rispose infine, a denti stretti, “Penso solo che questa divisione non debba essere un ostacolo, tutto qui.”
“Devi ammettere che Madeleine non ha tutti i torti, però.” s'intromise Marcus Mulchiber, “Sei qui da quanto, tre settimane? E la sera ti avremo visto in Sala Comune si e no quattro volte.”
Prima che Harry potesse ribattere, anche Rudolf si sentì in dovere di di dare il proprio contributo: “Si dice che i legami che si stringono ad Hogwarts ci accompagnino per il resto della vita; la lealtà alla propria Casa dovrebbe venire subito dopo quella alla famiglia.” Il ragazzo fissò Harry attentamente, “Ma, forse, non sei familiare con questo tipo di valori a casa, Evans?”
Sia Madeleine che Heidi Rosier, sedutale accanto, riuscirono malamente a mascherare una risatina di scherno.
Harry guardò sorpreso i suoi compagni seduti al tavolo, non capendo l'improvviso interesse e animosità nei suoi confronti. Gli sembrava impossibile che ce l'avessero realmente con lui perché si sentivano trascurati, era al limite del ridicolo.
Proprio in quel momento, infatti, Orion alzò gli occhi al cielo, mentre si allungava per prendere la marmellata. “Posso assicurare di persona che Harry passa le serate in camera sua insieme a me o a Tom, e non nella Sala Comune di un'altra Casa a complottare dietro alle spalle di Serpeverde.” disse, spalmandosi per bene una fetta di pane, “Se volete così tanto la sua compagnia, perché non lo dite a Tom? Oh, ma tu guarda, proprio ora non c'è! Che coincidenza!”
E Harry, incredulo, arrivò finalmente a capire il motivo per cui sembravano essersi tutti così improvvisamente impegnati a metterlo sotto i ferri: l'assenza di Tom. Evidentemente lo consideravano sotto la protezione del Prefetto e, ora che non c'era, era come se si fosse aperta la stagione di caccia.
Ma perché in quella Casa non potevano tutti vivere la propria vita come ogni comune cristiano e farsi meno problemi? Evidentemente c'era di mezzo per l'ennesima volta qualche strana dinamica Serpeverde che a lui, come al solito, sfuggiva totalmente.
Quello, comunque, non voleva dire che sarebbe stato loro così facile mettergli i piedi in testa, e se credevano che avesse avuto bisogno della protezione di alcuno per cavarsela avevano decisamente sbagliato persona.
“Beh, io sono comunque convinto che il progetto iniziale della divisione in Case fosse di far integrare gli alunni del primo anno e non dividerli, mettendo insieme ragazzini con caratteristiche in comune.” cominciò, fissando l'attenzione su Madeleine, “Lasciarsi inquadrare in uno schema così rigido per i sei anni che seguono mi sembra una scelta idiota: pensate davvero che se venissimo ri-smistati adesso saremmo tutti spediti nelle stesse Case? Volete dirmi che nessuno di voi è cambiato da quando aveva undici anni?”
I Serpeverde continuarono ad osservarlo attentamente senza rispondere, e lui continuò, “Non è poi così difficile pensare che un Grifondoro arrivi a capire quanto è importante studiare e diventi più diligente di un Corvonero, o che un Tassorosso maturi e trovi in se stesso il coraggio di un Grifondoro. E poi parliamoci chiaro, una volta usciti da Hogwarts le persone non vanno certo più in giro con lo stemma della propria Casa appuntato al petto: uno o due anni dopo il diploma, in quale Casa siamo stati conterà ben poco, e sfido chiunque a indovinare sempre quella di chi avrete di fronte, una volta fuori da qui.”
“Un interessante punto di vista.”
Harry si voltò di scatto, sorpreso di sentire la voce di Tom provenire da dietro le sue spalle, non avendolo assolutamente visto arrivare.
Il ragazzo era arrivato con la solita grazia felina, silenzioso, e Harry trovò per un secondo sconcertante il fatto che, nonostante avesse passato mesi ad allenarsi proprio su questo genere di cose, non si sarebbe accorto della presenza di Tom se non avesse parlato, sebbene si trovasse in piedi giusto tra lui e Orion. Non voleva pensare a cosa avrebbe detto Malocchio se l'avesse visto.
Tom, intanto, aveva poggiato una mano sulla spalla di Harry e, con un lieve sorrisino compiacente, allargato l'altra in direzione del tavolo, facendo focalizzare l'attenzione su di sé in pochi gesti.
“Eppure, Harry, devi ammettere che il sistema delle Case non è solo l'aspetto più caratteristico di Hogwarts, ma è ciò che ne costituisce il fondamento e ne dà un'identità. Esso, infatti, apporta due elementi essenziali per ottenere buone prestazioni dagli studenti: spirito di competitività e senso di appartenenza.” cominciò con tono di voce ben impostato, a metà tra il benevolente e l'irrisorio. Per un attimo, sembrò un professore in procinto d'impartire un'importante lezione di vita a degli studenti che sapeva essere troppo piccoli per capirla.
“Il primo è sufficientemente chiaro come possa funzionare – è, dopotutto, considerato una qualità essenziale per raggiungere risultati ottimali in ogni campo, dall'economia allo sport. Uno studente poco stimolato non avrebbe alcun incentivo a dare il meglio di sé: senza la spinta data dalla competizione tra Case e il sistema dei punti, gli insegnanti sarebbero costretti a trovare continuamente nuovi modi per rendere più coinvolgente il programma scolastico al fine di evitare che gli studenti diventino svogliati. Il secondo, invece, non solo fa appello all'orgoglio di far parte di una determinata Casa – la quale diventa a tutti gli effetti una seconda famiglia durante i sette anni di frequentazione – per incentivare gli studenti a guadagnare punti per vincere la Coppa delle Case, ma si appoggia a forse l'unico strumento efficace per tenere a bada un'orda di adolescenti: il loro desiderio di essere accettati.”
Harry non aveva idea di cosa avesse spinto il Prefetto ad iniziare quella specie di arringa, ma era abbastanza sveglio da capire che non fosse certo per rispondere a lui. E pur sapendo che nascosto sotto le belle parole c'era sicuramente un obbiettivo nascosto, per Merlino, non poteva fare a meno di continuare ad ascoltarlo.
“Quale migliore deterrente se non la paura di essere esclusi dal gruppo dei propri compagni?” continuò il Prefetto, “Se anche a uno studente non interessasse minimamente la Coppa, ci penserebbe due volte a combinare qualcosa che costerebbe cinquanta punti alla sua Casa se sapesse che avrebbe da fare i conti con la rabbia dei propri compagni. Questo toglie ai Professori il tediante compito di inventarsi adeguate punizioni: perché mai fare tanta fatica, quando i ragazzi stessi sono generalmente più creativi e crudeli di quanto loro non riuscirebbero mai ad essere?”
Tom aveva la completa attenzione del gruppo, e anche Harry – che sapeva di non essere un esperto in fatto di retorica – riusciva ad apprezzare la particolare verve del ragazzo. Certo, sarebbe riuscito ad apprezzarla meglio se Tom non avesse spostato la mano dalla spalla di Harry alla sua nuca a metà discorso, cominciando a tracciare con le dita piccoli cerchi sulla pelle del collo, facendogli scendere brividi lungo tutta la schiena.
“Ma torniamo al punto principale – il perché della divisione in Case – e guardiamo le cose dal punto di vista dei Fondatori per un secondo: non è un caso che la fondazione di Hogwarts avvenga nel momento in cui il Mondo Magico comincia a stabilizzarsi nelle forme in cui lo conosciamo oggi. Vi era un impellente bisogno di formare i maghi e le streghe che avrebbero guidato la nostra nascente società, ed erano diversi i ruoli che necessitavano di essere coperti. Pensate per un secondo alle caratteristiche richieste dai Fondatori: per Grifondoro, ad esempio, erano coraggio, lealtà, intraprendenza e una certa dose di impulsività – combattenti, insomma. Perfetti per farne dei cavalieri o, in tempi di guerre medievali, una buona scorta di carne da macello pronta a sacrificarsi per un grande e nobile ideale.”
Qui Tom si fermò un attimo, dando il tempo agli sghignazzi di spegnersi.
“Non è difficile trovare determinati ruoli sociali che corrispondano alle caratteristiche delle restanti Case, che vanno ben al di là di semplici differenze di personalità. Ovviamente, dal medioevo ad oggi di cose ne sono cambiate, e le esigenze della nostra comunità – per non parlare del mercato del lavoro – sono mutate con gli anni, lasciando molta più libertà ai singoli individui di decidere sul proprio futuro. Eppure le Case esistono ancora, e ci dividono ad undici anni con lo stesso metodo che usavano i Fondatori. Se esse non sono, in fondo, che l'insieme degli studenti che le compongono, una domanda resta sempre attuale.” Fece una pausa ad effetto, in vista della conclusione, “Quanto siamo noi a darne le caratteristiche, e quanto sono loro ad influenzare le nostre personalità?”
Il silenzio che aveva accompagnato il discorso ci mise un po' a riempirsi nuovamente dei suoni della colazione.
“Diavolo Riddle, era per caso un'orazione quella?” esclamò Caleb, “Erano anni che non ti sentivo farne una!”
Harry si guardò intorno, osservando gli studenti più giovani commentare tra loro con sussurri eccitati e alcuni di quelli più grandi fare un cenno con la testa in direzione di Tom, come in segno di riconoscimento. E Harry si accorse che in tutto il discorso di Tom, il Prefetto non aveva mai davvero ribattuto né a lui, né a Rudolf. Ora che ci pensava, gli tornava difficile capire a quale delle due posizioni si appoggiasse la tesi di Tom.
Anzi, qual era stata, esattamente, la sua tesi?
“Già, a cosa dobbiamo tutto questo zelo?” domandò Abraxas fissando Tom, alzando un sopracciglio sottile, “Non avrai certo paura che Evans ti rubi il posto sul trono, vero?”
Era chiaro che parole così sfacciate non sarebbero state perdonate a qualcuno meno influente di un Malfoy, ma Tom non sembrò scomporsi, rivolgendogli un sorriso quasi zuccherino.
“Oh, certo che no, non ho nulla di cui preoccuparmi in quel frangente.” replicò, per poi voltarsi verso di lui, “Non è vero, Harry?”
E prima che Harry potesse rispondere, due dita sottili gli avevano afferrato dolcemente il mento per sollevargli la testa da un lato: così, senza alcun avvertimento, Tom si chinò e lo baciò di fronte a tutta la scuola.
A.N.: ehm, non ho granché da dire, onestamente. So che molti di voi mi davano per dispersa, ma l'Author's Note non è il luogo né per le scuse, né per le risposte ai commenti, e sarà ora che inizi ad usare le nuove funzioni di EFP che rendono possibile rispondere ad ogni recensione. (Sono cambiate un sacco di cose dall'ultima volta che ho postato un capitolo su EFP! Mi sento molto Old School XD)
Per chi ancora non lo sapesse, per sapere se sto ancora scrivendo e/ a che punto sono con il nuovo capitolo, sul mio LJ (http://lien-cinnamon.livejournal.com/) c'è un word count sulla destra. È l'unica cosa che viene aggiornata regolarmente, a quanto pare.
Grazie mille a tutti per le recensioni e le e-mail. Anche se non rispondo quasi mai le leggo tutte, e sono molte volte quello che mi sprona a continuare questa storia. Grazie, sul serio.