Shade Garden & Sky

di My Pride
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sotto un cielo nero e vuoto ***
Capitolo 2: *** Cadere a pezzi ***
Capitolo 3: *** Le labbra non raccontano ***



Capitolo 1
*** Sotto un cielo nero e vuoto ***


Shade Garden & Sky_1 Titolo della Storia: Shade Garden & Sky
Nome Autore su EFP e sul forum: My Pride
Fandom: Inuyasha

Personaggi Presenti: Un po’ tutti
Pairing: Accenni Miroku/Sango, Inuyasha/Kagome e Miroku/Inuyasha
Tipologia: Log fic [ Non più di tre capitoli ]
Genere: Generale, Malinconico, Vagamente Introspettivo, What if?
Rating: Verde / Giallo
Avvertimenti: Forse vagamente nonsense, Vagamente Hurt/Comfort, Velatamente Shounen ai, Probabile Missing Moment fasullo dei capitoli presenti alla fine del volume sessanta e all’inizio del sessantuno
Nota: Prequel della one-shot Until our wisdom is exhausted
Parole scelte: Bacio, Solitudine, Morte, Luna
Ambientazione presente: Tempio / Montagna
Frase inserita: N°2 “Quando gli esseri umani hanno qualcosa da proteggere, la loro forza si moltiplica a dismisura! Ti batterò grazie al mio sangue umano!”
Breve introduzione: «Feh! Avevo bisogno di starmene da solo».
«Tu hai sempre bisogno di startene da solo», replicai sarcastico, alzando finemente un sopracciglio prima di avvicinarmi maggiormente e sedermi con fare tranquillo accanto a lui, abbandonando lo shakujo al mio fianco.
Lui mi degnò appena di un’occhiata, ritrovandosi a sbuffare per l’ennesima volta e alzare poi lo sguardo verso il cielo nero. «Non cominciare, Miroku», mi freddò. «Non è serata».


INUYASHA © 1997Rumiko Takahashi/Shogagukan. All Rights Reserved.



SHADE GARDEN & SKY  [1] 
 
Sono cresciuto per esser così capace
di sorridere anche attraverso il dolore più grande.
 
01. CHAPTER ONE
UNDER A BLACK AND EMPLY SKY
 

    I miei passi risuonavano sinistramente sulle assi di legno che componevano il pavimento del tempio del Maestro, donandomi una bizzarra sensazione di calma benché l’atmosfera non lo fosse per niente. Nonostante la quiete che vigeva nel tempio, difatti, sembrava quasi che da un momento all’altro potesse succedere qualcosa. Cosa fosse ancora non riuscivo a capirlo, ma non mi sentivo affatto spaventato come avrei dovuto.
    Venni richiamato ben presto da dei rumori che sembravano provenire al di fuori del tempio, proprio nel cortile dinanzi alle scale che conducevano all’entrata principale. Mi accigliai ma, affrettandomi, attraversai l’ala est dell’edificio per raggiungerlo il più in fretta possibile, sentendo, mano a mano che mi avvicinavo, i rumori affievolirsi. Era come se qualcuno avesse cominciato a suonare il Koto
[2] e poi, prima della nota più alta dello strumento, si fosse bruscamente interrotto, lasciando basito l’ascoltatore.
    Il terrore si impossessò di me proprio in quel momento, poiché cominciai a comparare quello stesso improvviso ed assurdo silenzio ad un momento ben preciso della mia vita: l’attimo in cui, da bambino, vidi mio padre morire, risucchiato dal vortice della sua mano destra. Automaticamente guardai la mia, chiudendola a pugno per stringere poi nel palmo il rosario che la sigillava. La quiete prima della tempesta. Era questa l’ansia che, finalmente, cominciò a dilatarsi in tutto il mio essere, scorrendo nelle vene insieme al mio sangue.
    L’agitazione crebbe non appena cominciai ad udire il suono del vento provenire da quella mano stessa, e, scalpicciando sul legno a piedi nudi, corsi; corsi con tutta la forza che avevo in corpo, sentendo quello sforzo mozzarmi il respiro ancor prima di giungere alla sala principale del tempio. Ovunque mi guardassi, non vedevo altro che porte di carta e pareti di legno, come se nell’edificio fosse ormai scomparsa ogni via d’uscita. Fortunatamente, però, più avanzavo, più la strada sembrava spianarsi, sebbene l’ingresso che mi avrebbe condotto in prossimità delle scale del tempio fosse ancora lontano.
    Una trave del soffitto cadde, quasi rischiando di ferirmi, rompendo il pavimento e conficcandosi in esso, rivelando lo scheletro di legno ormai marcio di cui era composto. Alzai automaticamente lo sguardo per evitare altre sorprese, sentendo il suono del vento sibilare sempre più forte ad ogni minuto che passava. Mancava poco. Molto poco.
    A fatica, riuscii a trovare finalmente quel tanto agognato ingresso, venendo investito dalla luce lunare che, dopo tutto quel tempo passato nella semioscurità, sembrò quasi riuscire a ferirmi gli occhi come un piccolo sole. Brillava alta nel cielo sgombro di nuvole con un’intensità inaudita, tingendo i dintorni e bagnandomi il volto con la sua luce. L’erba alta che costeggiava il tempio sembrava d’argento, accecante quasi quanto la luna stessa, e a causa di tutta quella luminosità le ombre sembravano pressoché inesistenti.
    Mi guardai intorno, quasi aspettandomi di vedere qualcosa, avanzando piano mentre gli occhi mi cadevano sulle tegole del tetto del tempio, la maggior parte delle quali si erano rotte ed erano cadute sul ballatoio di legno sottostante. Senza che me ne accorgessi mi ritrovai ad osservare dall’alto la tomba di mio padre, sentendomi ben presto richiamato da delle voci familiari. Voltandomi, sgranai gli occhi, facendo loro cenno di non avvicinarsi. Sembrarono però non capirmi, poiché il primo a farlo fu proprio Inuyasha. Avrei voluto gridargli di non muoversi, di non fare un altro passo se non voleva rischiare che risucchiassi anche lui nel mio vortice, ma quando aprii la bocca per farlo, dalle mie labbra non uscì alcun suono.
    Fu a quel punto che aprii di scatto gli occhi e soffocai un grido nel profondo della mia gola, sentendo il cuore battere all’impazzata contro le pareti del mio petto. Drizzandomi a sedere abbassai lo sguardo per osservare la mia mano destra e la ferita provocatami dall’aura di Naraku, senza riuscire ancora a respirare con regolarità.
    Un sogno. Era stato soltanto uno stupido e maledettissimo sogno. Sempre lo stesso incubo quasi ogni notte, dannazione.
    Traendo un profondo respiro cercai di calmarmi, facendo vagare gli occhi in quel piccolo spazio sgombro da alberi in cui ci eravamo accampati per quella notte. Kagome, Sango e Shippo dormivano ancora placidamente, e persino la piccola Kirara se ne stava tranquillamente acciambellata vicino alla sua padrona. C’era soltanto una persona che mancava all’appello, e quell’ansia che avevo provato prima che mi svegliassi tornò prepotentemente a farmi visita. Ma scossi violentemente il capo, non volendo dar peso ad essa. Era stato soltanto un sogno, mi ripetevo, e non dovevo dunque temere le conseguenze. I miei compagni erano tutti lì. Erano tutti al sicuro.
    Decisi di alzarmi il più silenziosamente possibile, gettando uno sguardo al piccolo falò che scoppiettava allegramente al centro di quell’accampamento provvisorio. Non dovetti nemmeno ravvivarlo, poiché ci aveva già pensato Inuyasha prima di sparire chissà dove. Proprio la notte ideale per farlo, ironizzai, alzando gli occhi verso le fronde sopra di noi per sbirciare attraverso la cappa di fogliame ed osservare così il cielo nero.
    Cosa mi aspettassi di vedere non lo seppi neanche io, poiché la luna, che nel mio sogno era apparsa così vivida e reale, un cerchio perfetto dall’alone argentato che si stagliava contro la coltre celeste, in quel momento non c’era. Si vedeva soltanto quell’enorme manto d’ebano nascosto a tratti dalle cime degli alberi, una coltre scura sulla quale brillava una vaga trapunta di stelle.
    Allora perché non facevo altro che pensare a quell’incubo, forse persino più delle sere addietro? Non seppi darmi una risposta e nemmeno la cercai, afferrando semplicemente il mio shakujo [3] per allontanarmi poi di soppiatto da lì, alla ricerca di Inuyasha. Sentii giusto un piccolo miagolio e mi voltai appena, vedendo Kirara che, ancora un po’ assonnata, mi fissava. Mi portai l’indice della mancina alle labbra per farle cenno di non far rumore, e lei, dopo aver dato vita ad un altro miagolio ed aver quasi rischiato che Sango, sentendola, si svegliasse, si accoccolò nuovamente contro di lei, coprendosi un po’ il musetto con le sue due code.
    Sospirai sollevato e ripresi il mio cammino, inoltrandomi nel fitto sottobosco in cui, solo di tanto in tanto, si udiva il basso richiamo di qualche rapace notturno. Mi ritrovai ben presto a girovagare senza meta, non sapendo dove quello sciocco si fosse cacciato. Sapevo che non avrei dovuto lasciare le ragazze da sole per andare a cercarlo, questo era certo, ma quella notte il più vulnerabile di tutti era proprio lui.
    La Divina Kagome poteva contare sulle sue frecce e sulla sua energia spirituale, Sango sul suo fedele Hiraikotsu - ormai rimesso a nuovo dal vecchio Yakuro Dokusen - e sul supporto di Kirara, e anche Shippo, bene o male, sapeva cavarsela da solo. Quello stupido hanyou, invece, era quasi del tutto inoffensivo in serate come quella. E battere degli youkai a suon di pugni non era l’ideale. Rammentavo sì quel giorno in cui aveva combattuto in forma umana contro Tokajin, il falso eremita, ma ricordavo ancor più la sgradevole sensazione e l’opprimente senso d’abbandono che tutti noi avevamo provato nel crederlo morto con lui. E io non volevo che ricapitasse una cosa del genere.
    Aumentai dunque il passo, stando attento a dove mettevo i piedi onde evitare di inciampare in qualche radice nascosta sotto il terreno. Nonostante non fosse una serata fredda, il mio respiro si condensava in piccole nuvolette di vapore, e l’unico suono che cominciai ad udire, mano a mano che avanzavo, fu soltanto il mio ansimare a fatica a causa della fitta vegetazione e lo scalpiccio dei miei sandali sulle poche foglie morte che ricoprivano il terreno. Incespicavo quasi in continuazione e avanzavo troppo lentamente, mentre sentivo lo strisciare dei primi rettili che fuoriuscivano dalle loro tane nonostante l’alba ancora lontana.
    Mi ritrovai ben presto su uno stretto sentiero irto di piante, probabilmente percorso da ben pochi uomini fino a quel momento, che si inerpicava zigzagando fra quelle immense file di alberi che avevano cominciato a farsi fortunatamente più rade. Le loro cortecce erano del tutto ricoperte di muschio, e le radici erano contorte e nodose, nascondiglio perfetto per piccoli animali.
    Cespugli e rovi crescevano sul lato nord di quel piccolo boschetto, impedendomi il cammino e facendo sì che le maniche della mia kesa [4] si impigliassero nei rami sporgenti, ma capii di essere sulla buona strada proprio quando vidi un pezzo di stoffa del kariginu [5] di Inuyasha. Difatti non lo trovai molto distante da lì, seduto sull’erba ai limitari di quel boschetto, con lo sguardo perso nel vuoto. Il debole vento che si levava di tanto in tanto gli gonfiava le vesti e gli scompigliava dolcemente i lunghi capelli neri, facendoglieli a volte ricadere davanti al viso senza che lui se ne curasse molto. Sembrava assorto in chissà quali pensieri, come ogni qual volta diventava umano o come quando si ritrovava a pensare alla defunta Kikyo. La sua Kikyo.
    Indugiai un po’, ma forse fu al pensiero che anche in quel momento stesse ricordando lei a farmi indietreggiare del tutto, quasi avessi cambiato idea e volessi lasciarlo solo a riflettere.
    «So che sei lì, monaco», si fece però udire lui e, sussultando un po’, fu con le mani alzate che uscii da dietro a quei cespugli, facendo tintinnare di poco gli anelli del bastone quando lo mossi.
    «Accidenti, anche senza quel tuo terribile fiuto sei riuscito a scoprirmi», provai a ridacchiare con fare scherzoso, abbozzando persino un sorriso - che in quel momento reputai io stesso fin troppo falso - nonostante Inuyasha mi stesse dando la schiena. «Per quante volte ti si ripeta che quando sei umano non devi allontanarti da noi, tu fai sempre l’esatto opposto».
    A quel mio dire, lui sbuffò, agitando persino una mano in risposta. «Feh! Avevo bisogno di starmene da solo».
    «Tu hai sempre bisogno di startene da solo», replicai sarcastico, alzando finemente un sopracciglio prima di avvicinarmi maggiormente e sedermi con fare tranquillo accanto a lui, abbandonando lo shakujo al mio fianco.
    Lui mi degnò appena di un’occhiata, ritrovandosi a sbuffare per l’ennesima volta e alzare poi lo sguardo verso il cielo nero. «Non cominciare, Miroku», mi freddò. «Non è serata».
    Gli scoccai un’altra rapida occhiata, decidendo infine di non ribattere e di tacere semplicemente. Se conoscevo abbastanza bene Inuyasha, alla fin fine avrebbe aperto bocca lui. Restammo quindi entrambi in silenzio a fissare la volta celeste sopra di noi, senza cercare in nessun modo di intavolare un discorso ma concentrandoci soltanto ognuno sui propri pensieri. E io di riflettere ne avevo davvero bisogno.
    Non più di pochi mesi addietro, prima che accorciassi ancor più la mia vita risucchiando l’aura velenosa di Naraku, avevo praticamente chiesto a Sango di partorire i miei figli e di passare con me il resto della sua vita. Avrebbe dovuto essere una lieta notizia, un avvenimento che avrebbe dovuto portare gioia nei cuori di entrambi, ma io, sebbene sentissi di amarla, di amarla davvero, sembravo quasi non essere soddisfatto. Era come se qualcosa, o per meglio dire qualcuno, frenasse quella felicità che avrei dovuto provare.
    Che uomo spregevole che ero. Ferire in questo modo i sentimenti sinceri di Sango senza che lei se ne rendesse conto. Probabilmente perché, in fondo in fondo, conoscevo fin troppo bene la causa di quella che era diventata per me una sorta d’indecisione. Il problema era che non volevo ammetterlo a me stesso né tanto meno illudermi. Questo qualcuno aveva ancora un piede in due staffe senza che mi ci mettessi anch’io a confonderlo di più. 
    «Avremmo dovuto rimetterci già in viaggio», si fece sentire d’un tratto la voce di Inuyasha, interrompendo quel sottile silenzio che era regnato fino a quel momento e disfacendo al tempo stesso il filo dei miei pensieri.
    Scossi di poco il capo per riprendermi, sospirando. «Ci rimetteremo in viaggio domattina, non appena potrai muoverti liberamente», ribattei, quasi stupendomi del perché continuassi a stupirmi dei suoi rozzi modi di fare. «Girare a vuoto non ci è comunque d’aiuto».
    «Ma nemmeno starcene fermi lo è», volle aver ragione come un bambino capriccioso. «Mentre noi siamo qui a girarci i pollici, Naraku potrebbe trovare il modo di completare la sfera!»
    A quel suo dire allungai una mano per prendere il mio bastone, picchiettandoglielo subito dopo con poco garbo sulla testa. «Non essere stupido», replicai, senza curarmi delle lamentele che quello scemo di lasciò sfuggire. «Se avesse potuto, l’avrebbe già fatto da un pezzo», sospirai ancora, aggrottando di poco le sopracciglia prima di assestare un altro colpo, venendo stavolta allontanato da lui che, com’era prevedibile, mi inveì contro. Ma io non vi diedi peso, continuando «Anch’io sono impaziente quanto te, Inuyasha, ma dobbiamo restare calmi e ragionare». E se lo dicevo io, un uomo la cui vita era praticamente appesa ad un filo, voleva significare molto. Però Inuyasha ai ritrovò a sbuffare e ad alzarsi in piedi, poggiando una mano sull’elsa della sua Tessaiga.
    Abbassò poi lo sguardo verso di me, fissandomi attentamente con quei suoi occhi non più dorati ma marroni. «Tipico», sbottò. «Sempre a prendervela comoda, voi umani».
    Nonostante tutto, riuscì a strapparmi un sorriso. «Abbiamo ritmi diversi dai tuoi», ci tenni a ricordargli sebbene lo sapesse, alzandomi poi a mia volta. «Ci converrebbe tornare dalle ragazze, piuttosto», soggiunsi, sistemandomi qualche piega della kesa prima di scoccare un’occhiata ad Inuyasha e sorreggere meglio il mio shakujo. «Abbiamo bisogno anche noi di riposo».
    «Tu ne hai bisogno, forse», ci tenne ad avere l’ultima parola, precedendomi in quella fitta boscaglia subito dopo ed imprecando quando le maniche dell’abito cominciarono ad impigliarsi nei rovi. Io lanciai un ultimo sguardo a quella volta scura che ci sovrastava, reprimendo dentro di me qualsiasi pensiero o sentimento.
    La nottata sarebbe stata ancora lunga e popolata da incubi, ne ero certo.





[1] Titolo ispirato ad un’antologia di doujinshi chiamata per l’appunto “Shade garden and sky”, alla quale hanno collaborato molte doujika.
 
[2] Strumento musicale tradizionale giapponese appartenente alla famiglia della cetra, derivato dal Guzheng cinese.
Il corpo dello strumento è costituito da una cassa armonica, lunga circa due metri e larga tra i 24 ed i 25 cm, costruita, in genere, con legname di Paulownia (Kiri in giapponese).
Su di essa corrono tredici corde di uguale diametro ed aventi stessa tensione, ognuna delle quali poggia su di un ponticello mobile.
Il koto viene paragonato al corpo di un drago cinese disteso. Per tale motivo le diverse parti di cui esso è formato assumono dei nomi che ricordano quelle del mitico animale.

 
[3] Bastone sacro che portano i monaci buddisti, caratterizzato da degli anelli sulla sommità. Viene utilizzato soprattutto nelle preghiere o, in mani più esperte, come arma offensiva o di difesa.
Il numero di anelli è determinato dalla condizione del suo possessore, sebbene la maggior parte degli shakujo siano costituiti da sei anelli.

 
[4] Il tipico abito scuro indossato dai monaci buddisti, dal sanscrito “Kashaya”, che significa “Colore opaco”.
Viene drappeggiata sotto un braccio e fissata alla spalla opposta. Si pensa che la kesa sia stata modellata in riferimento ad un indumento che il Buddha si cucì da solo utilizzando brandelli di stoffa utilizzati per coprire i cadaveri.


[5] E’ la veste tradizionale indossata dai Kannushi, ovvero i sacerdoti shinto, durante le feste. 



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Capitolo 2
*** Cadere a pezzi ***


Shade Garden & Sky_2
SHADE GARDEN & SKY
 
Sono cresciuto per esser così capace
di sorridere anche attraverso il dolore più grande.
 
02. CHAPTER TWO
FALLIN’ APART

 
    Il sole si levava alto nel cielo, irradiando con la sua luce il paesaggio circostante. Dal fianco della montagna che stavamo discendendo, si riuscivano a scorgere a valle i campi di riso che luccicavano sotto di essa, e le sagome distanti dei contadini che aravano la terra.
    Per ridiscendere a valle, fummo costretti a passare nuovamente per i boschi, evitando alla bell’e meglio la vegetazione ivi presente. Fu però tutt’altro che facile, poiché le vesti di tutti noi, proprio com’era capitato sere addietro a me e Inuyasha, si impigliavano nei giovani rami dei cespugli e ci toccava dunque fermarci a districarle. Più volte dovemmo ritornare sui nostri passi, proprio a causa di quelle stesse piante. Spesso, forse anche troppo, il sottobosco era così fitto da creare una sorta di barriera naturale, impedendoci di avanzare spediti come avremmo voluto.
    Ormai erano passate ore, e della civiltà ancora nessun segno. Gettando di tanto in tanto qualche occhiata dietro di me, così da controllare dove fossero le ragazze e Shippo, tornavo poi a guardare avanti solo per vedere Inuyasha, forse più nervoso di tutti noi come suo solito, farsi strada ad artigli spianati. Io mi limitavo semplicemente a scostare qualche ramo quando m’impediva il cammino, avanzando forse un po’ troppo a rilento per i suoi gusti. Il cinguettio fra la cappa di fogliame sopra di noi rendeva quella nostra avanzata piuttosto tranquilla, e tutto sommato, nonostante gli arbusti che ci sbarravano il cammino, il luogo in cui ci trovavamo era molto calmo. Non avevamo nemmeno visto l’ombra d’un demone, per il momento, e la cosa, per quanto strana, ci stava bene così. Io avrei potuto aiutare ben poco, se fosse servito. Nonostante avessi preso la medicina di Yakuro Dokusen, quella avrebbe solo fatto in modo che io non sentissi più il dolore e la sofferenza procuratami dal risucchiare l’aura velenosa di qualche spettro. Se l’avevo bevuta, però, era solo per non rischiare che Sango si sacrificasse ancora per me. Sebbene da un po’ di tempo i miei pensieri fossero confusi, probabilmente proprio a causa di quel destino che mi ero ritrovando a fronteggiare e che, in cuor mio, forse non volevo accettare, non potevo permettere che lei mettesse in gioco la sua vita per salvarmi. Non me lo sarei mai perdonato.
    Scossi la testa per allontanare ancora una volta quei pensieri, cercando di concentrarmi unicamente sulla sensazione di benessere che era capace di conferirmi il tocco della vegetazione circostante. Le spine dei rovi, bagnate dalla rugiada mattutina, mi inumidivano i polpastrelli delle dita con cui le toccavo e mi ferivano, procurandomi piccoli taglietti dai quali fuoriusciva qualche stilla di sangue. Forse era proprio per quel motivo che Inuyasha si voltava di tanto in tanto a guardarmi, rallentando poi il passo quando vedeva le ragazze indietro, alle quali mi affiancavo rapidamente per non lasciarle sole.
    Giungemmo ben presto nei pressi di un laghetto, venendo assordati dal gracidio che si levava da esso. Le acque erano limpide e il sole, che luccicava sulla sua superficie, faceva risplendere quello specchio donando al restante paesaggio un’aria rilassante e benefica, accentuata probabilmente anche dal profumo dei pochi fiori che erano riusciti a sbocciare non molto lontani dalle sue rive. Un uccello planò d’improvviso a pelo d’acqua e immerse immediatamente il capo piumato sotto la superficie, riaffiorando subito dopo con il suo pranzo nel becco. A quella vista sorrisi come un idiota, afferrando saldamente lo shakujo per riprendere il mio cammino, giacché mi ero fermato senza rendermene conto. Dovetti affrettare di poco il passo per raggiungere gli altri restando comunque indietro per guardar loro le spalle. Per quanto piacevole fosse, quella quiete era tutto fuorché normale.
    «Che ne direste se ci fermassimo un po’?» si fece udire la voce di Kagome, e io, che avevo cominciato a guardare con sospetto i dintorni e persino le canne del laghetto che si muovevano di tanto in tanto, stornai nuovamente lo sguardo verso di loro.
    Vidi Inuyasha scoccarle un’occhiata ma, nonostante le sopracciglia stranamente aggrottate da quella che sembrava preoccupazione, era palese che quella sosta l’avrebbe innervosito. «Sei stanca, Kagome?» le domandò in risposta, ed ero certo che Shippo l’avrebbe attaccato con una delle sue solite uscite se non stesse sonnecchiando fra le braccia di Kagome stessa.
    «Abbastanza», dovette ammettere, e fu a quel punto che mi avvicinai, facendo tintinnare gli anelli del bastone. Qualcosa, nella voce di Inuyasha, mi aveva stranamente scosso. «Secondo il mio parere, dovremmo almeno provare a ridiscendere a valle e cercare il villaggio più vicino», asserii, richiamando su di me la loro attenzione. «Il posto appare tranquillo, certo, ma restare fino al tramonto non mi sembra l’ideale».
    «Credo che il Maestro abbia ragione», concordò Sango, abbassando lo sguardo sulla sua gattina, accoccolata sulla sua spalla. «Anche Kirara sembra agitata».
    A quel punto, forse convinto dalle nostre parole, Inuyasha tornò a guardare Kagome e le diede poi la schiena, chinandosi in modo che potesse aggrapparsi. «Ti porterò sulle spalle», le disse semplicemente, afferrandola meglio lui stesso quando lei si sistemò.
    Riprendemmo così il nostro cammino, affrettando maggiormente il passo quando ci fu permesso dalla vegetazione del bosco. Io e Sango salimmo in groppa a Kirara, mentre Inuyasha ci precedette insieme a Kagome. A causa della velocità con cui procedevamo anche Shippo si era svegliato, e da dove mi trovavo potevo benissimo vedere che si era aggrappato alla spalla di Kagome per evitare di cadere.
    Ci volle mezza giornata prima che riuscissimo a scendere dalla montagna, ritrovandoci nei pressi dei campi di riso che avevamo visto dall’alto. Appariva tutto tranquillo, ma, esattamente come avevo sospettato, quella quiete durò poco: alcuni abitanti del villaggio, avendoci forse adocchiati in lontananza, stavano avanzando trafelati nella nostra direzione. Perché mi sembrava una scena già vista e rivista, quella?
    «Qual gioia che siate qui, onorevole monaco!» esclamò un uomo basso e tarchiato non appena ci raggiunse, accompagnato da un giovane che presupposi fosse suo figlio a causa della somiglianza tra di loro.
    Ben comprendendo cosa stessero per chiedermi feci per aprire la bocca, ma vidi appena di sfuggita Inuyasha alzare lo sguardo al cielo, sentendolo sbuffare subito dopo. «Non abbiamo tempo da perdere con simili sciocchezze, Miroku», asserì nervoso, capendo a sua volta dove ci avrebbe portati quella discussione.
    Io mi affiancai a lui di soppiatto e guardai di sfuggita il capo villaggio, che si stava frattanto torcendo le mani, tornando ben presto ad adocchiare lui. «Aiutare il prossimo non ha mai fatto male a nessuno, Inuyasha», gli sussurrai, coprendomi di poco la bocca con il dorso d’una mano come per camuffare il movimento delle mie labbra. «E poi in questo modo avremo anche un tetto sopra la testa, almeno per stanotte».
    Sollevò appena un sopracciglio. «Avrei dovuto immaginare che c’era sotto qualcosa».
    «Se Buddha ci ha portati fin qui un motivo ci sarà, non credi?» ironizzai, e senza attendere una sua possibile replica mi riavvicinai all’uomo, facendo tintinnare gli anelli del mio bastone. «Qual è il problema?» domandai, come se fosse la prima volta che mi ritrovavo in situazioni del genere.
    L’uomo spostò il suo sguardo dapprima su Inuyasha - che di certo non ispirava granché fiducia con il suo sguardo truce - e poi sulle ragazze e il piccolo Shippo, ritornando ben presto a guardare me. Fece per aprire la bocca, ma alzai di poco la destra per interromperlo.
    «Non dica niente, signor capo villaggio», cominciai, avvicinandomi maggiormente io stesso mentre facevo tintinnare gli anelli dello shakujo come se ce ne fosse un reale bisogno. «Posso ben immaginare quale problema affligga voi e il vostro villaggio», mi sembrava quasi di sentire gli sguardi scettici dei miei compagni trapassarmi la schiena, però non ci feci caso e continuai. «Mi occuperò io di tutto, non tema», ripresi, sorridendogli nel più affabile dei modi. «Non chiediamo molto. Ci basta solo un giaciglio, qualcosa da mangiare, qualche ragaz...» non riuscii a terminare la frase che venni colpito come al solito dall’Hiraikotsu di Sango. «Un pasto caldo e un posto per la notte ci basteranno», rettificai immediatamente, sentendo su di me l’aria minacciosa della mia futura moglie e anche il dolore alla testa provocato dal colpo.
    Anche se l’espressione del capo villaggio mutò, divenendo probabilmente meno sicura di quanto non apparisse prima delle mie parole, ci guidò frettolosamente all’interno del paesino, e risalimmo con lui la stradina sterrata e circondata da erbacce che portava verso la sua abitazione, posta in sommità di una piccola collinetta per aver in quel modo maggior controllo sui dintorni.
    Sebbene al principio avessi creduto che si trattasse solo di superstizione, giacché non avevo avvertito niente fino a quel momento, dovetti ricredermi non appena sentii una leggera aura maligna al di sopra di quell’abitazione. Mi avvicinai dunque in gran fretta ai battenti della recinzione che proteggeva la casa, infilando una mano al di sotto della kesa per estrarre alcuni fuda
 [1] sotto lo sguardo dei miei compagni e del capo villaggio. Ne applicai due sul legno e recitai una preghiera sottovoce, sentendo lo spirito agitarsi e fremere con vigore, per nulla intenzionato a lasciare quel luogo. Ma con un po’ di insistenza lo spirito uscì con un ruggito, rivelandosi semplicemente un cane di montagna. Volò via nello stupore generale, portandosi dietro la sua aura maligna.
    Mi voltai dunque verso il capo villaggio, sorridendogli nel più affabile dei modi. «Da questo momento in poi non ci saranno più problemi», lo rassicurai, e lui mi venne in contro per ringraziarmi.
    «Non so proprio come avremmo fatto senza di lei, onorevole monaco», mi disse. «Avevamo ormai perso ogni speranza».
    «Il merito non è mio, signor capo villaggio, ma del buon Buddha che ha guidato fin qui i miei passi», ribattei candidamente, e per uno strano motivo che non compresi, dopo essermi congedato da quell’uomo - che ci aveva frattanto invitati a seguirlo - e suo figlio, sentii su di me nuovi sguardi scettici. Adocchiai appena i miei compagni, trovandoli tutti e quattro con un sopracciglio sollevato e le braccia incrociate al petto. Persino Kirara sembrava rispecchiare le loro stesse espressioni.
    «Ma guarda, allora anche questa volta c’era davvero».
    «E io che credevo che lo dicesse solo per scroccare un pasto caldo».
    «Chi l’avrebbe mai detto».
    «Ehi...» li richiamai, interrompendo quei loro botta e risposta con un pizzico di nervosismo. Quanta fiducia che dimostravano avere in me. «Non sono sempre un truffatore, ragazzi, mi conoscete bene».
    Fu Sango a sbuffare ilare, guardandomi di sottecchi. «E’ proprio perché ti conosciamo bene che abbiamo imparato a diffidare, Maestro», sembrò ironizzare, caricandosi meglio la sua arma sulle spalle prima di seguire gli altri, che avevano deciso di andare avanti senza aspettarci.
    Io la raggiunsi svelto, accostandomi a lei. «Sei sempre così crudele con me, mia dolce Sango», mi lagnai falsamente, provando poi ad allungare distratto una mano verso il suo sedere. Lei però scostò l’Hiraikotsu in modo che le nascondesse il fondoschiena, impedendo così al mio palmo di raggiungere il suo obiettivo.
    «Non attacca», mi freddò, e dovetti purtroppo arrendermi all’evidenza. Neanche questa volta avrei avuto un assaggio di ciò che desideravo. Forse l’unico lato positivo di tutta quella faccenda era stato l’aver trovato un tetto sopra la testa per quella notte, chi poteva dirlo
.





[1] Più comunemente detti o-fuda o talvolta chiamati shinpu, sono dei talismani di origine buddhista che divennero molto comuni anche nello shintoismo.
Sono realizzati scrivendo il nome di un Kami, di un tempio o di un rappresentante del Kami su un pezzo di carta, legno, stoffa o metallo.



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Capitolo 3
*** Le labbra non raccontano ***


Shade Garden & Sky_3
SHADE GARDEN & SKY
 
Sono cresciuto per esser così capace
di sorridere anche attraverso il dolore più grande.
 
03. CHAPTER THREE
AND NO LIPS ARE TOLD
 
    La notte era ormai calata, e io mi trovavo fuori in giardino a godermi la frescura di quella bella serata mentre udivo i richiami lontani di qualche rapace.
    Il padrone di casa, poche ore addietro, mi aveva offerto del sakè, e adesso, seduto sul ballatoio di legno che affacciava proprio sul guardino interno, mi apprestavo a consumarlo in silenzio, perso nei miei più disparati pensieri.
    «Ehi», si fece però sentire la voce di Inuyasha, ovattata nel silenzio della notte. «Stavolta sei tu che hai bisogno di solitudine?»
    Mi lasciai sfuggire un piccolo sbuffo ilare e mi voltai verso di lui, sollevando appena un angolo della bocca in un mezzo sorriso. «A quanto pare», mormorai, alzando una mano per mostrargli poi il bicchierino di sakè che reggevo. «Ti unisci a me?» gli domandai, vedendolo scuotere il capo e prender poi posto accanto a me su quel ballatoio di legno, esattamente come avevo fatto io sere addietro su quello spiazzo d’erba in cui c’eravamo ritrovati. «E’ proprio una gran bella serata, non trovi?» cominciai, intavolando con lui un discorso pressoché inutile. Sapevo difatti troppo bene quanto Inuyasha trovasse futili argomentazioni come quella, e ancor più quanto odiasse chiacchierare quando in realtà non ce n’era bisogno.
    Lui, però, fu capace di sorprendermi, volgendo lo sguardo dorato al cielo notturno. «Già, proprio una bella serata», ripeté, e mi ritrovai a fissarlo in viso con fare interdetto. Era realmente Inuyasha quello seduto al mio fianco, o mi ero forse addormentato e quello era semplicemente un sogno?
    «C’è qualcosa che ti turba, per caso?» domandai svelto, approfittando forse del fatto che sembrasse più loquace di quel che mi sarei mai aspettato. Aveva lo sguardo mesto e stanco, esattamente come chi si era ormai rassegnato alla sconfitta. Ma Inuyasha non era così, e io non riuscivo a vederlo in quello stato.
    Si limitò a scrollare di poco le spalle, senza portare su di me i suoi occhi ambrati. «Stavo pensando a Kagome», ammise, e io sentii una strana fitta al petto prima che lui continuasse. «Ne abbiamo parlato e, anche se le ho chiesto di restare al sicuro nella sua epoca, lei sembra intenzionata a continuare a viaggiare con noi».
    Era preoccupato per lei, gli si leggeva chiaramente in viso. Ed era più che normale. Il suo amore per Kagome era conosciuto da molti, persino suo fratello Sesshomaru se n’era immediatamente accorto. Solo lui, sebbene lo dimostrasse, sembrava quasi che faticasse ad ammetterlo. Trassi un lungo sospiro come per farmi coraggio, bevendo subito dopo un altro piccolo sorso di sakè. «Comprendo benissimo ciò che provi, Inuyasha», mi sentii in dovere di rassicurarlo, quasi fosse dovuto. «Preferisci saperla lontana piuttosto che in pericolo, e questo è un comportamento umano. Lei ha però deciso di voler restare al tuo fianco, ed è giusto che tu la capisca e rispetti questa sua decisione».
    «Io non voglio che rischi la vita», ribatté, e io alzai appena una mano come per zittirlo.
    «Posso capirti», gli dissi comprensivo. «Io stesso ho bevuto il veleno medicina di Yakuro Dokusen per non mettere più in pericolo Sango, ma non posso impedirle di combattere», feci una lunga pausa, quasi volessi attendere che Inuyasha comprendesse ciò che volevo realmente dirgli, con lo sguardo rivolto al cielo stellato. «Vogliono restarci accanto e combattere al nostro fianco», ripresi. «Ciò che dobbiamo fare è proteggerle per quanto ci sia concesso, senza impedir loro di seguire la strada dettata dal cuore».
    Forse quelle mie parole servirono realmente a qualcosa, poiché con la coda dell’occhio vidi Inuyasha alzarsi. «Non riguarda soltanto loro, Miroku», asserì infine, guardandomi di sottecchi con quello sguardo ferino. «Io ho qualcosa e qualcuno da proteggere, certo, e sono disposto a tutto per far sì che la mia forza basti... ma quel qualcuno da proteggere non è solo Kagome».
    Fu a quel punto che mi voltai a guardarlo del tutto, cercando una qualsiasi spiegazione nei suoi lineamenti e nell’espressione che aveva assunto il suo viso. Che cosa aveva voluto intendere con quelle parole? Che si fosse forse accorto di qualcosa? Oppure ero stato io, inconsciamente, a mostrare nei miei gesti più di quanto avessi dovuto?
    Avrei voluto domandarglielo, ma le parole sembrarono restare ferme in gola. Non riuscivo ad aprir bocca, limitandomi soltanto a fissalo con attenzione negli occhi. E lui non cercò di distogliere lo sguardo, anzi, sembrò quasi sfidarmi a farlo per primo. Io però non cedetti, abbandonando il bicchierino di sakè prima d’alzarmi in piedi a mia volta e fronteggiarlo alla sua stessa altezza.
    Ci squadrammo negli occhi per attimi che parvero interminabili, finché a rompere il silenzio non fu il salto d’una carpa nel laghetto lì vicino e il suono del bambù subito dopo. Ci ridestammo entrambi, allontanandoci di scatto senza sapere realmente quando ci fossimo avvicinati così tanto.
    «Combatterò con tutte le forze a mia disposizione», si fece sentire infine la voce di Inuyasha, che tornò a guardarmi in quel chiarore creato dal lieve alone della mezza luna e dalle fiaccole appese alla parete dietro di lui. «Non farò rischiare inutilmente la vita a nessuno di voi. Specialmente a te, Miroku», asserì, serio e risoluto. «Quindi non aprire più il vortice fino a quel momento».
    Per quanto quella sua premura mi facesse sorridere, sospirai. «Lo faccio per Sango, Inuyasha. Mi sembrava di avertelo già detto».
    «E io non voglio che tu lo faccia per lei», rimbeccò, avvicinandosi a me così velocemente che quasi non mi resi conto dei suoi passi sulle assi di legno del ballatoio. «Credi forse che sarebbe felice di sapere che vuoi morire avvelenato solo per salvarla?» mi domandò duramente, assottigliando gli occhi e afferrandomi il polso destro. I grani del rosario frusciarono contro la stoffa che mi nascondeva la mano, ma nessuno di noi due parve farci caso. «La tua morte la farebbe soltanto soffrire. Faresti soffrire lei, la futura madre dei tuoi figli, e anche Kagome e Shippo», mi lasciò con la stessa foga con cui mi aveva agguantato, stringendo quella stessa mano a pugno per abbandonarla poi lungo un fianco. «E faresti soffrire anche me».
    Quel suo discorso, mio malgrado, mi lasciò interdetto. L’avevo visto così disperato soltanto quando la venerabile Kikyo era morta fra le sue braccia. Sembrava davvero che la prospettiva di perdere uno di noi lo straziasse, e io non riuscivo a vederlo così angustiato. Fu dunque senza riflettere che mi avvicinai a lui, poggiandogli una mano su una spalla nel vano tentativo di confortarlo.
    Gli attimi che seguirono furono così rapidi e sfocati che non ce ne capacitammo, ma il nostro avvicinarsi fu tale che sentimmo il respiro dell’altro ad una spanna dal viso, un alito caldo e piacevole come la brezza estiva. Timide ed insicure, poi, le labbra di Inuyasha cercarono le mie, e potei avvertirne la consistenza non appena le poggiò contro di esse. Fu soltanto un leggero sfiorarsi, certo, ma in quel bacio potei avvertire tutta la preoccupazione e il sentimento che Inuyasha portava rinchiuso nel suo cuore. E la cosa, forse, mi stupì. Cosa ci avesse spinti a quel gesto probabilmente non l’avremmo capito nemmeno noi, giacché eravamo sicuri che quell’amore, se tale esso fosse, non sarebbe potuto sbocciare come avremmo realmente voluto. Non era così che sarebbero dovute andare le cose. Io dovevo rendere felice Sango; aveva sofferto troppo per meritarsi un tradimento anche da parte mia. Inuyasha aveva invece Kagome a cui badare, ed anche lei, a causa della continua indecisione di quest’ultimo, aveva subito troppe ripercussioni. Ma solo per quella notte, con le stelle come nostre uniche testimoni, potevamo almeno godere di quella piccola ed effimera utopia?
    Senza ragionare, forse proprio a causa di quei miei disparati pensieri, mi sporsi io stesso verso di lui, rendendo quel bacio più passionale di quanto non avessimo voluto al principio. Inuyasha aprì di poco le labbra quando sentì la mia lingua premere insistente contro di esse, esplorando il suo palato non appena mi fu concesso. Avvertii un lieve bruciare quando sfiorai inavvertitamente una zanna con la punta, ricercando ben presto la sua lingua per intrecciarla con la sua.
    Durò poco più di quanto credessi. Troppo presi dalla foga del momento, e dunque poco intenti a riflettere sulle nostre azioni o sui nostri gesti, avevamo consumato in fretta l’ossigeno, tanto che, quando ci separammo, ansimammo come se avessimo corso fino a quel momento. Un rivolo di saliva pendeva dalle labbra di Inuyasha, e lui se lo leccò via mentre mi guardava, allungando poi una mano verso di me per sfiorarmi un angolo della bocca.
    Non capii cosa stesse facendo finché  non sentii il suo polpastrello sfiorarmi il labbro inferiore e il suo artiglio solleticarmi dolcemente la zona più sensibile della bocca, e fremetti senza poterne fare a meno. Forse avvertì quel mio brivido - dovuto probabilmente all’eccitazione del momento -, poiché allontanò le dita e fece uno scatto all’indietro, come se fosse stato morso da un serpente.
    In quel lasso di tempo che mi parve infinito non fiatammo, limitandoci solo a tenerci a debita distanza e a fissare ognuno gli occhi dell’altro, ponendoci forse le stesse domande. Cosa ci era preso, così all’improvviso? Perché l’avevamo fatto? E, soprattutto, come mai sentivamo l’irrefrenabile voglia di farlo ancora? Quesiti che avrebbero fatto meglio a restare senza risposta, lo sapevamo entrambi.
    «Le ragazze non dovranno mai saperlo», riuscii finalmente a dire, sebbene alle mie orecchie la mia stessa voce suonasse incrinata e, forse, persino vagamente isterica. Eppure mi era piaciuto. Facevo male ad ammetterlo, probabilmente, ma era così.
    Annuendo, Inuyasha decise di fare un altro piccolo passo indietro, come per riportare le giuste distanze fra di noi. «Sono d’accordo», fu l’unica cosa razionale che articolò, dandomi infine le spalle. Anche lui, come me, appariva nervoso. «Torniamo dentro», soggiunse, e se non l’avessi conosciuto bene, avrei detto che si era imbarazzato. E come dargli torto? Lo ero anch’io. Con la mia fama di libertino sulle spalle, mai avrei pensato di baciare un uomo. O di innamorarmi di uno di loro, per giunta. Eppure era successo.
    Mi ritrovai dunque a convenire troppo rapidamente per apparire credibile, ma sembrava che in quel momento non importasse né a me né tanto meno a lui. Lasciammo solo lì il sakè e ce ne tornammo in casa, forse sperando che quella notte passasse in fretta e si portasse via ciò che era accaduto fra noi. Peccato che com’era prevedibile non accadde, ma quando ci rimettemmo in cammino tentammo di camuffare il tutto sotto i nostri soliti modi di fare: lui litigando con Shippo per motivi futili, venendo immediatamente richiamato da Kagome, e io, beh... io carezzando dolcemente il fondoschiena di Sango, beccandomi uno schiaffo per averlo fatto in un momento poco opportuno. 
    Mai come in quel momento, però, mi ritrovai a pensare che quello schiaffo stavolta me l’ero meritato davvero. Forse un’innocente scappatella con una donna me l’avrebbe perdonata, dopo avermi riempito di botte. Ma chissà come avrebbero reagito lei e Kagome se, malauguratamente, fossero venute a conoscenza di ciò che era accaduto la sera addietro fra me e Inuyasha. E forse fu nel pensare nello stesso istante l’identica cosa che noi due ci gettammo uno sguardo eloquente, affrettandoci subito dopo a guardare altrove e a gettarci quel momento alle spalle, abbandonando il villaggio che ne era stato il segreto testimone.
    Avremmo tenuto quel ricordo dentro di noi, senza condividerlo con il mondo. Sarebbe stata una piccola illusione, un fiore che sarebbe rimasto sopito fino a che non sarebbe giunto il momento di sbocciare, fosse anche esso solo durato la falsa eternità d’un attimo.
 
 
 
«Inuyasha, Miroku...»
«Che cosa vuoi, Shippo?»
«Cosa stavate facendo l’altra sera vicino al laghetto?»






_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Questa storia è stata scritta per il contest Quando l'amore può vincere anche un destino avverso indetto da Lady Kid1412, e si è classificata Terza. Non dirò che questa è la prima long fiction che scrivo su questo fandom, visto che già chissà quanti anni or soro buttai giù due o tre one-shot su Inuyasha e persino qualche long che chissà dove è andata a finire. Ma proprio perché sono stata lontana dal fandom per così tanto tempo, non mi ritengo affatto soddisfatta del mio operato.
Probabilmente avrei voluto fare qualcosa di più, non ne sono sicura, ma fatto sta che è stato abbastanza divertente riprendere in mano i personaggi di Inuyasha e piazzarli in un’ambientazione da me ideata.
Ammetto che al principio avrebbe dovuto essere una one-shot ambientata durante la saga dei sette, dato che ho sempre adorato quei mercenari, e che avrei voluto fare qualche accenno Inuyasha/Jakotsu, ma alla fin fine è venuta fuori una cosa del genere, guidata da chissà cosa, o forse più probabilmente al fatto che la mia coppia preferita, aimè, è parecchio sottovalutata nel fandom qui su EFP e persino un po’ ovunque.
Un’altra cosa che ci tengo a dire, poi, è che il titolo della storia è ispirato ad un’antologia di doujinshi chiamata per l’appunto “Shade garden and sky”, alla quale hanno collaborato molte doujika.
So anche bene che la storia, alla fin fine, non arriva praticamente da nessuna parte, ma avevo voglia di fare un Missing Moment e una What if in cui, nella mia contorta visione di questo manga/anime, si può benissimo vedere quanto io sia attaccata ai due personaggi maschili della serie.
Non ha nemmeno un lieto fine, lo so, e forse è proprio per questo che ho inserito quelle frasi in corsivo come bonus: per spezzare un po’ la malinconia con una semplice domanda del piccolo Shippo.
Spero che in qualche modo sia piaciuta. ♥


TERZA CLASSIFICATA 


GIUDIZIO
Premetto che ho letto anche la tua fan fiction che mi avevi consigliato e mi è piaciuta molto.
Quest’ultima storia è davvero ben scritta e, infatti, ho voluto premiare con il massimo dei punti la caratterizzazione dei personaggi e la descrizione dell’ambiente. Si vede che questo fandom ti piace parecchio, infatti, riesci a descriverlo alla perfezione e così facendo trasmetti al lettore tutte le emozioni che il personaggio sta vivendo in quel momento, ed è anche per questo che l’ho apprezzata molto. Il punteggio si è abbassato per i punti bonus che, alcune volte, sono stati presi alla leggera, ma non prendertela male per la tua posizione, il punteggio che hai ottenuto è comunque molto buono e sono sicura che, se ci fossero stati più partecipanti, avresti mantenuto una buona posizione in classifica.

Punteggio: 84/100


Alla prossima ♥
_My Pride_


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