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IL MIO DOVERE La notte del tradimento.
Il generale
vuole punire la figlia ribelle con le sue stesse mani. Ma
Andrè
prende in mano il suo destino, cogliendo l’occasione, e la
storia
cambia. Nel bene, nel male, da questo momento dell’anime, che
sfrutto come punto di partenza, cambia tutto; cambiano anche quei fatti
che avrei voluto lasciare, perché basilari, anche per quei
personaggi che sarebbero stati bene dove stavano, ma che non volevo
perdere per strada. Ho pensato alla frase
conclusiva di
Alain nell’anime: Oscar ed Andrè erano stati
felici
perché non avevano visto gli orrori della rivoluzione.
Quindi,
se non fossero morti, come avrebbero affrontato quegli orrori? Nuovi luoghi, nuovi
personaggi, un
nuovo destino. Perché il destino è anche il
risultato
delle scelte compiute e Andrè ed Oscar hanno scelto
diversamente.
Capitolo 1
“..ora
andrò via insieme ad Oscar” “
E magari vorresti sposarla…” “
Si!” “Pazzi!
la differenza non si cancellerebbe mai!”
Poche battute veloci,
impensabili fino ad un attimo prima, tra loro. - Non posso perdonarvi.
– Fu la conclusione del Generale. - Me ne dispiaccio, ma
rimarrà
un problema solo vostro, signore! – Fu la risposta che
Andrè sentiva lui meritasse. Nessuna replica. Non se
l’aspettava. La sua rabbia era evidente.
- Andrè, io
… Fu quasi meno di un
bisbiglio.
L’energia, la decisione, anche l’arroganza,
Andrè
poteva dirlo, della Oscar che lui conosceva, trasformata in un soffio
d’aria, debole come quello di un morente. La prese per la manica e
la tirò mentre arretrava con la pistola puntata su di lui. “Spero
tu sappia che non potrei mai sparargli! Spero
tu sappia che il mio è solo un bluff, imparato guardando
Alain e gli altri giocare a carte ogni sera! Spero
tu sappia che, nel bene e nel male, è un padre anche per
me!”
Non la prese per mano. “Non
voglio distrarmi al contatto con la tua pelle”. Uscirono cautamente
dalla porta, senza mai volgere le spalle a lui, il nemico. Appena fuori,
Andrè la spinse via e chiuse velocemente il battente. Il generale si
scagliò contro la porta e cercò
d’aprirla, “…
sono più forte io, signore.” Si sfilò
velocemente la cinta e la usò per legare insieme le due
maniglie. Jarjaies gridava di
aprire. La nonna piangeva. Lei era muta immobile.
Completamente passiva. - Mettiti abiti civili!
– gridò Andrè al di sopra delle urla e
delle spallate sul legno. “Non
te l’ ho chiesto: te l’ ho ordinato, senza nemmeno
guardarti.” Si
inginocchiò davanti alla
nonna, seduta sul pavimento, appoggiata alla parete. Le prese il viso
tra le mani e cercò di calmarla. - Ti prego! Ti prego,
nonna …
Ho bisogno di te! Non devi aprirgli almeno finché non ci
saremo
allontanati. Meglio domattina. Ti prego, lo farai per me? Lo farai per
me, nonna? Marron annuì
singhiozzando. Fuori, il temporale
esplose come l’ira del generale. Andrè corse
nella sua camera.
Senza rallentare scivolò, sulle ginocchia, sul
pavimento
di marmo, fino ai piedi del cassettone. Sul pavimento troppo lucido,
come quella sua vita da finto aristocratico in quella casa. “Hai
mangiato il loro cibo, André! Hai bevuto il loro vino, ti
sei
innamorato di una di loro … E adesso? Adesso cominci a
pagare!
Prima o poi, doveva finire.” Strappò con
forza
l’ultimo cassetto dalla sua sede, si infilò con il
braccio, in fondo, e frugò in quel vano libero che restava
tra
il retro dei cassetti e la parete del mobile, dove le cameriere e la
nonna di sicuro non arrivano. I suoi risparmi. La loro
sola possibilità. La testa di
Andrè correva veloce. Analizzava il più possibile
le loro opzioni che non erano tante. “Un
aristocratico traditore ed un servo. Che fare? “ Prese una sacca dalla
cassapanca. Ci infilò vestiti e tutto ciò che gli
poteva servire. Si tolse quasi
strappandola l’uniforme e si cambiò. Uscì dalla
stanza con ancora la camicia aperta e si fiondò in quella di
Oscar. - …ma,
come…? non ti
sei ancora cambiata! – esclamò fuori di
sé mentre
il generale continuava a gridare. Lei lo stava fissando,
immobile, appoggiata al suo piano. “Non
mi sono neanche sognato di chiederlo se vuoi fuggire … con
me. ” Si rese conto che prima,
là
dentro, le aveva indirettamente proposto di sposarlo. Anzi, aveva fatto
qualcosa di orribile: l’aveva dato per scontato in una
discussione tra uomini, come se lei non fosse parte in causa. - Oscar, ti prego .. Ti
giuro che ne parleremo. - mormorò - Ma non puoi restare qui.
Nessuno di noi due può. Lei annuì e
cominciò a spogliarsi, piano da principio, poi sempre
più velocemente. “
…vado! “ Andrè corse
per il corridoio con la sacca, giù per le scale, quasi
volando. Irrompendo in cucina
trovò la nonna, ripresasi quel tanto che bastava, che stava
preparando dei viveri per entrambi. Trovò
l’istante
necessario per stamparle in fronte un energico bacio di ringraziamento
e andò velocemente nella biblioteca, all’armadio
delle
armi. “Prendo
la
chiave dal cassetto nascosto della scrivania di tuo padre. Questa casa
non ha segreti per me! Due di tutto: fucile, pistola, pugnale. E
munizioni.” Uscì
nell’atrio ed uno
strano silenzio lo mise in allarme. Il sangue cominciò a
picchiargli nelle tempie per la tensione. “Tuo padre non grida
più! “ Mollò tutto
li e si lanciò di nuovo su per le scale, con il cuore in
gola. La vide lì,
davanti alla porta chiusa, con lo sguardo fisso. “Sei tentata di
aprirgli”, pensò allarmato. Ma poi
udì la sua voce. “Per
questo lui non grida più: gli stai dicendo addio. Stai
tornando in te.”
***
“ Non ti
perdonerò mai, Oscar, mai! “ aveva
detto e ripetuto quella sera. Oscar sfiorò
la porta dello studio con la mano. Esitante, poi la ritrasse, la
serrò a pugno. Gli occhi le si
riempiono di lacrime e li chiuse, chinando il capo. -
Padre …Perdonatemi per i dispiaceri che vi ho dato. Il generale si
zittì
improvvisamente. Sorpreso di sentire quella figlia così
caparbia, così simile a lui, chiedere scusa per qualcosa
che,
nonostante gli ultimi avvenimenti, sapeva non essere colpa sua. Rimase sorpreso anche di
sé, che bastasse quella frase per metterlo alle strette. Si lasciò
scivolare lungo la
porta, fino al pavimento; e nel farlo percorse con la mente gli errori,
i capricci, le prepotenze di una vita su di lei. -
Non importa
… - ammise a sé stesso – Vivi! vivi la
tua vita
Oscar, come il cuore ti suggerisce. Anche quelle erano scuse. -
Il mio cuore
è con Andrè, padre. E’ con i miei
soldati, con i
miei amici… - disse piano la figlia. Andrè le
arrivò accanto silenzioso, riservato come sempre. Le
raccolse la sacca e scesero senza altre parole. Suo padre non gridava
più.
Passando dalla cucina
trovarono Nanny con una borsa di viveri pronta e tracimante. Piangeva in silenzio. Li abbracciò. Prima Andrè,
poi Oscar, poi tutti e due insieme. Poi, sempre senza un
fiato, li cacciò via. Non c’era
tempo per altre parole.
Il temporale si era
trasformato in
uno spaventoso acquazzone. Solo il tragitto per arrivare alle scuderie
e già erano fradici. Andrè la
guardò prendersi la sella e preparare César. Muta. Non una sola
parola, non uno sguardo a lui. Gesti secchi, precisi, privi di
qualsiasi emozione. “Ma almeno, si sta
muovendo!”, pensò l’uomo. Caricarono anche delle
coperte; e poi … via, senza guardarsi indietro, diretti a
Parigi.
Andrè si
stupiva di come la
sua mente fosse organizzata, come se quella fosse una fuga programmata
negli anni e non qualcosa di completamente improvvisato, obbligato da
una catena di eventi. “Ma, forse,
è così …. “,
pensò, “Forse
sono anni che aspetto un’occasione come questa.
L’occasione
di fuggire via, ma non da lei: con lei! “
***
Era notte fonda quando
arrivarono in città. Fino a una decina di
anni prima, ci sarebbe stato movimento anche a quell’ora
tarda. Feste, festicciole e
festaioli, ma
ormai, c’era ben poco da festeggiare in Francia, dopo un
decennio
di raccolti andati a male e debiti per guerre. Andrè
smontò da cavallo ed indirizzò Oscar in un vicolo
vicino. Le visite notturne a
casa di un
rivoluzionario non dovevano essere una rarità, ma meglio era
farsi vedere il meno possibile. Andrè si
guardò intorno
ed accertatosi di essere solo nella strada, si chinò a
prendere
del ghiaietto e lo lanciò ad una delle finestre di Bernard e
Rosalie. Non era il caso di svegliare il quartiere chiamando o battendo
ad un uscio. Ci volle qualche
tentativo. Evidentemente, questo
tipo di rivoluzionario non aveva il sonno molto leggero. Finalmente Bernard
s’affacciò alla finestra. Era chiaramente stato
buttato
giù dal letto. Andrè si fece riconoscere
mettendosi sotto
ad un lampione acceso, l’unico dell’intera via. L’altro gli
fece cenno
“un minuto” e poco dopo Andrè
sentì
armeggiare col catenaccio alla porta del pianterreno. -
Ci serve un posto sicuro. Dobbiamo nascondere i cavalli e noi
stessi. – gli disse piano. Bernard non ebbe dubbi
che il plurale fosse riferito ad Oscar. Gli fece cenno di
seguirlo fuori, lungo la via. Andrè fece lo stesso gesto ad
Oscar. Li condusse ad una
stalla vuota
lì vicino, un luogo sicuro, dove nascosero i cavalli da
sguardi
indiscreti. Sempre senza una parola, tornarono poi sui loro passi e si
accomodarono da Bernard per parlare, finalmente. Rosalie, capelli in
disordine e
sguardo assonnato, si era infilata una vestaglia e, lampada in mano, li
aspettava in cima alle scale. -
Che è successo? – domandò
Bernard, ultimo ad entrare nel modesto appartamento. -
E’ complicato … - esordì
Andrè. -
Allora
sarà meglio se parti dal principio . – disse
l’ex
Cavaliere Nero con tono severo e si sedette, facendogli cenno di
imitarlo.
Oscar, senza una parola,
andò
alla finestra, stando attenta di rimanere al riparo delle tende,
fissando il buio più per addestramento al pericolo, ormai
radicato in lei, che per il timore concreto di un nemico
nell’ombra. Sapeva che i veri guai, sarebbero arrivati il
mattino
seguente. Non un saluto, non un
cenno, neppure
a Rosalie, che continuava a fissarla preoccupata, con gli occhi che si
inumidivano man mano che il racconto di Andrè proseguiva. La sua testa era
altrove, mentre Andrè riassumeva la loro situazione.
***
Lo guardava riflesso nel
vetro della
finestra; guardava lui, l’amico che credeva di conoscere da
una
vita; lui, l’uomo forte, coraggioso, generoso che era
diventato
mentre lei era … dove? E, mentre
Andrè spiegava, mentalmente rivide tutto quanto accaduto.
Lo studio di suo padre,
la lama
pronta a colpire, cancellando così la sua esistenza e con
quella
gli errori, veri o presunti, di entrambi i Jarjaies. Andrè le si
era piazzato davanti e le aveva fatto scudo. Lei era riuscita a
vedere sopra la
sua spalla, l’espressione feroce di suo padre mentre lo
sfidava
come nessun servo e pochi nobili si sarebbero arrischiati. Riusciva ancora a
sentire la sua
voce, indicibilmente calma, indicibilmente sicura. Spezzoni di
discussione erano giunti alle sue orecchie, mentre lei si era sentita
come su di una giostra. Lui aveva detto che
l’amava… La voleva sposare? Sì!… “Pazzi!
la differenza non si cancellerebbe mai!” “Che
significa?…” “Non
posso perdonarvi!…”
Poi l’aveva
tirata per la manica, l’aveva spinta verso l’uscita. Lei era riuscita a
balbettare
“Andrè, io …” sentendosi
un’imbecille,
ma non era riuscita a dire altro; non sapeva che dire, non ne aveva la
forza. Andrè aveva
preso in mano la situazione e nessuno poteva fermarlo. Le aveva ordinato cosa
fare ed Oscar
non si era neppure posta il dubbio se obbedirgli o meno. Ma, giunta
nella sua camera, si era fermata accanto al piano. La luce era debole,
però riusciva a vedere il suo riflesso nella cera nera,
perfettamente lucida. “Il
riflesso di una fuggiasca!” Per obbligo, certo, ma
si era
domandata se, sotto sotto, non avesse mai desiderato, anche
inconsciamente, una situazione come quella. Dove non restavano che
poche scelte, poche strade che normalmente mai avrebbe scelto di
percorrere, per … paura.
Sì, paura! Di cambiare, di diventare qualcuno diverso da
quel
che era convinta di essere e di voler essere. Poche scelte, poche
strade e lui che decideva per lei. Quel
“lui” si era
affacciato alla porta, mezzo svestito, ed aveva gridato qualcosa che le
era parso di non capire, frastornata com’era. Ma il suo sguardo si era
subito addolcito. “Sei
preoccupato per me... “ Aveva parlato. “E
come sempre hai ragione, Andrè …” Così aveva
annuito,
cominciando a spogliarsi. Si era cambiata velocemente ed aveva riempito
la sacca da viaggio senza la precisione da militare che normalmente
caratterizzava ogni suo gesto. Era uscita nel
corridoio. Suo padre gridava ancora. Per un attimo era stata
tentata di
aprire quella porta. Poi si era arresa a sé stessa, a quella
verità che non poteva più essere ignorata. E
aveva
chiesto perdono. Perdono per il passato e per il futuro imminente. Perché aveva
deciso. Deciso di essere una persona diversa.
***
Ormai Rosalie era un
fiume di
lacrime: i Jarjaies rischiavano di perdere tutto per la presa di
posizione di Oscar, che avrebbe pagato per prima. -
Potete
nascondervi nella stalla, per un paio di notti, ma poi dovrete
andarvene, rifugiarvi nelle campagne. E’ troppo pericoloso
restare a Parigi. Troppi soldati. - disse Bernard. Improvvisamente, Oscar
se ne uscì con una domanda. -
Cosa facciamo con Alain e gli altri? “Già
vero. Noi siamo nei guai, ma loro, tra due giorni, saranno morti se non
facciamo qualcosa.” -
Tu cosa suggerisci? Chiese Bernard. -
Pensavo che tu potessi far intervenire la folla. Si spiegò nei
dettagli. Si trattava solo di "suggerire" la direzione agli eventi. Bernard
annuì. Era deciso. -
Faremo così. -
Funzionerà? – esitò
Andrè. -
Deve funzionare. – gli rispose quella Oscar che
conosceva bene.
-
Ora sarà
meglio andare a dormire. – concluse Bernard, –
Domani
sarà una giornata impegnativa. Rosalie
guardò il marito
intensamente, in modo interrogativo, come a cercare di ricordargli
qualcosa che pareva aver dimenticato. Bernard ricambiò lo
sguardo con uno altrettanto intenso, ma completamente perso. Rosalie
sbuffò. -
Bernard ha
scordato la buona educazione e di cavalleresco ormai non gli
è
rimasta neppure la maschera. – disse ridendo. –
Madamigella
Oscar, il nostro letto è ben misera comodità, ma
se
volete, è vostro. Lei si volse e le
sorrise appena. -
La stalla andrà benissimo, Rosalie. Non
è la prima volta che dormo sulla paglia. Andrè
sorrise. “Tempi lontani,
Oscar…” (1)
***
Andrè
richiuse il battente del
portone e lo fissò col gancio dall’interno. La
guardò arrampicarsi su per la scala a pioli reggendo la
lampada,
fino al soppalco pieno di paglia; si muoveva leggera come un felino, ma
stancamente gettò la sacca a terra. Lei aveva parlato solo
lo stretto indispensabile. Era rimasto sorpreso,
piacevolmente
sorpreso, quando aveva rifiutato l’offerta di Rosalie, di
dormire
in casa. Ma non gli aveva ancora rivolto la parola direttamente. Andrè avrebbe
voluto udire la sua voce, ma al tempo stesso temeva quel che avrebbe
potuto dirgli. “Ti
sto portando via alla tua vita, Oscar…Lo so
….”
Andrè la
raggiunse sul soppalco. Lei insisteva a non
guardarlo. Ciascuno prese la
propria coperta e le stesero sulla paglia. Non lontani, non vicini. L’uomo si
accorse che nella fretta aveva sbagliato ad allacciarsi la camicia. Scosse il capo,
sorridendo della sua
goffaggine e cominciò a slacciarla per rimediare. Ma lo fece
volgendole le spalle in quello che doveva essere un segno di riguardo
nei suoi confronti. La sentì
muoversi e coricarsi. Quando si girò vide che gli voltava la
schiena. “…
Mi odi? …” Sospirò
appena, rassegnato. Quando Oscar chiudeva le
comunicazioni, era come sua nonna: non c’era niente da fare!
Era
molto femminile quando era arrabbiata, già. Realizzò in
quel momento che non avevano cenato. Si chinò a
raccogliere la sacca dei viveri. Sedette sulla coperta e
cominciò a frugarci dentro. -
Vuoi mangiare qualcosa? -
No. – gli rispose, glaciale. -
Va bene … - mormorò, inspirando prima
di replicare. Addentò piano
la mela, cercando di gustarsela e farla durare. Poi,
quand’ebbe finito,
tirò il torsolo giù ai cavalli che se lo
contesero. Vinse
César, di prepotenza. “Tale e quale la
padrona”, pensò sorridendo. La guardò
ancora. Non si muoveva. Forse stava già dormendo. “Pazienza…” Abbassò la
luce della lampada e si sdraiò. “Meglio
provare a dormire…”
Ma troppi erano i
pensieri, le responsabilità che improvvisamente gli erano
cadute addosso. Fu allora che la
sentì.
***
Andrè non le
parlava. Continuava a sbirciarla,
ma non diceva nulla. D’altronde
anche lei era stata una tomba. Lo aveva visto guardarsi
la camicia, che aveva allacciato male, e girarsi per sistemarla. “…Sei in
imbarazzo? Beh… Scusa!”,
pensò stizzita, ricordando tutte le volte che lo aveva visto
mezzo nudo durante la loro lunga convivenza. “Meglio
mettersi a dormire, allora! “ Ma non capiva
perché si sentiva così seccata. L’aveva
sentito armeggiare coi viveri. “No”,
gli aveva risposto, acida. “…non
ho fame!” Le aveva detto ancora
“va bene”. Stava diventando
monotono con quella sua accondiscendenza. Lo aveva sentito
ridacchiare, chissà perché, poi aveva abbassato
la luce.
E era stato allora che
aveva sentito arrivare la malinconia per quel che aveva lasciato. Ma era cosa stupida,
perché tutto quel di cui aveva bisogno era lì con
lei. Così
capì che doveva farlo. Senza altre esitazioni,
lo raggiunse sulla sua coperta e lo abbracciò stretto, di
spalle. -
Oscar… - sussultò lui leggermente. -
Shhh, non parlare! – ordinò. “…
Non parliamo, ti prego. Lasciami piangere. Adesso sono io in
imbarazzo.” Una mano sui suoi
capelli, l’altra sul suo petto. Andrè la
sentì
nascondere il viso tra le sue ciocche ed avvertì qualcosa di
caldo scivolargli sul collo. Lacrime. Lei gli
annusò la pelle, inspirando profondamente. “…
Voglio solo sentire il tuo respiro ed il battito del tuo cuore. Lo
sai che questo è un “sì”? Spero
tu lo sappia! Spero
tu sappia che anch’io ti amo. Ma
non riesco a dirlo perché… Tu
sei uomo, André. Sei uomo già da tanto di quel
tempo. Io,
ora, sono solo una ragazzina spaventata. E tu sei tutto quel di cui ho
bisogno per ritrovare il mio coraggio. Restiamo
così…Non parlare …” -
Oscar… -
Shhh … – lo zittì ancora. -
Va bene. – mormorò. Mise la mano sulla sua
mano e restarono così. “.. Così
riesco a dormire ”, pensò
Andrè.
Per la prima volta,
Andrè dormì sereno come quando era bambino ed
Oscar gli si accoccolava accanto. Stanco, ma felice come
dopo un intero pomeriggio trascorso a giocare con lei. Quando si
svegliò, per
un attimo provò terrore, non trovandola accanto a
sé. Ma non era andata lontano. La sentì di sotto,
parlottare e ridacchiare con César. Andò carponi
all’orlo
del soppalco. Era là, accanto al pozzo che c’era
nella
stalla; si era tirata su un secchio d’acqua e si stava
lavando.
Gli dava le spalle, senza camicia, senza fasce. César la
importunava dandole musate sulla schiena, candida e perfetta, e
“brucando” leggermente i suoi capelli. “… Vecchio
porco di un cavallo!”,
pensò Andrè sorridendo, con un pizzico di invidia.
*** continua
(1) mi riferisco a
quando da bambini
Andrè si addormentava dove capitava, come disse Oscar
nell’anime, in compagnia di Oscar come visto nel film (bleah!
Il
film…)
Cauti cauti, giunsero a
casa di Bernard mentre i primi assonnati viandanti riempivano le
strade.
La porta in strada era
solo accostata: probabilmente qualcuno degli inquilini era
già uscito per recarsi al lavoro.
Sulle scale incrociarono
Rosalie,
agitatissima perché, come ogni mattina doveva recarsi al
lavoro
al mercato, ma era in ritardo avendo fatto le ore piccole in loro
compagnia.
Si raccomandò: la colazione era pronta. Aveva
lasciato latte, pane e formaggio e di “no grazie”
non ne
voleva proprio sentire. Quindi si scusò e corse fuori.
Di sopra, Bernard era
già
all’opera. Carta, penna e calamaio sul tavolo e mani nei
capelli,
concentrato per cercare l’ispirazione ad un discorso che
potesse
incendiare gli animi e smuovere le montagne. Possibilmente, salvando
qualche collo.
-
E se i
soldati della Guardia dovessero sparare? – le chiese pochi
minuti
più tardi, mentre onoravano la colazione.
-
Non lo faranno perché chiederai la liberazione dei
loro compagni.
-
Neanche dietro ordine diretto del superiore?
-
A lui
penserò io. – garantì Oscar - Tu
occupati del
discorso e di organizzare l’assembramento.
-
Mi serviranno un paio d’ore…
-
Bene. Intanto io ho una commissione da fare … ed
André viene con me.
Erano usciti con qualche
istante di
pausa tra loro, per non dare nell’occhio, ma ora camminavano
affiancati, meno attenti all’etichetta che gli avrebbe
imposto di
stare almeno un passo dietro lei.
-
Dove andiamo? – si decise a chiederle.
-
In banca – rispose seria.
Andrè si
bloccò.
-
Ma è dall’altra parte … -
disse perplesso, indicando la direzione contraria.
-
Quella è la banca di famiglia – gli
rispose.
Poi, notando che non la
seguiva, si fermò e si volse verso di lui, sospirando,
rassegnata fisicamente oltre che mentalmente al pensiero di dovergli
ormai fornire spiegazioni su tutto quel che intendeva fare.
-
Ho cominciato a
deviare una parte della mia rendita e del mio compenso da ufficiale,
già da qualche tempo. – gli spiegò
stringata.
Riprese la strada, come
se non ci fosse altro da dire; e dopo un attimo dovuto alla sorpresa,
lui la raggiunse con passi veloci.
Così,
neppure Oscar si fidava
di suo padre.
Così, pure Oscar aveva qualche volta pensato a
tutelarsi … forse anche a fuggire.
Le lanciò
qualche occhiata mentre lei non rallentava il passo.
Sapeva che la sua testa
era sempre in
movimento, sotto quei ricci biondi, ma non era mai arrivato ad
immaginare che avesse dei segreti di questo genere con lui.
Non poté
evitare di domandarsi se, in questi programmi, lui fosse mai stato
incluso.
Un usciere in livrea,
aprì loro la porta.
L’atrio era
già zeppo di
uomini d’affari, commercianti, notabili. Si volsero a
guardarli
incuriositi. Andrè si sentì suo malgrado
intimidito.
Gran parte di quelle
persone non erano
aristocratici, appartenevano al Terzo Stato, quella borghesia
arricchita dal commercio ed istruita, ma bloccata nel limbo che
impediva di compiere un passo in più, bloccata dai privilegi
feudali di cui solo l’aristocrazia godeva.
Teoricamente, legalmente,
erano come lui, eppure …
Abbassò lo
sguardo: neppure a
Versailles si era mai sentito così … in basso.
Un impiegato venne loro
incontro, inchinandosi avendo riconosciuto il cliente.
-
Oh, monsieur Jarjaies … Che piacere rivedervi! In
che posso esservi utile?
Sì
esibì in un inchino servile, ma non rigido e scenografico
come era la regola a Versailles.
Oscar chiese di poter
conferire in
privato e quello le indicò un ufficio, dove lei
entrò per
prima.
Quando Andrè cercò di seguirla, quello
esitò un attimo a cedergli il passo.
-
Oh, ma che
sbadato! – esclamò Oscar, – Ho scordato
di
presentarvi il mio socio in affari … Il signor Grandier.
Andrè
cercò di
nascondere la sorpresa, mentre l’impiegato
s’affrettava a
rimediare cedendogli il passo con un sorriso tirato.
Oscar si
accomodò su una delle
poltroncine poste dinnanzi alla lussuosa scrivania ed Andrè
capì di doverla imitare.
Era vero che aveva sempre
goduto di privilegi normalmente negati a quelli come lui, servi.
Aveva mangiato e bevuto
in abbondanza alla stessa tavola di quella che, non poteva negarlo, per
tutti era la sua padrona.
Aveva goduto di una
istruzione superiore, che perfino la stragrande maggioranza dei nobili
ignorava.
Conosceva
l’arte della guerra e quella della raffinatezza.
Nonostante i richiami di
sua nonna,
non si era mai veramente sentito inferiore. Oscar non glielo aveva mai
permesso e, a dir la verità, neppure il generale.
Eppure … era
la prima volta che si accomodava accanto a lei, come se tra loro non ci
fossero differenze. Socio, l’aveva
chiamato.
-
Ditemi
tutto, signore… - la invitò
l’impiegato,
accomodandosi a sua volta dietro la scrivania.
-
Vedete, il signor
Grandier ed io, abbiamo in corso un affare oltremanica e
dovrò
assentarmi per un tempo indefinito, ma non certo breve. Mi domandavo se
fosse possibile trasferire i miei fondi tramite i vostri canali.
Sapete, portare tutto in tasca … non è
consigliabile al
giorno d’oggi.
-
Oh, certo,
assolutamente sconsigliabile … - mormorò quello
deluso
avendo capito che il cliente stava chiudendo il conto e… non
era
il primo in quei giorni.
Ma era il suo lavoro,
quindi afferrò carta e penna.
-
Sapete già dove inviare i vostri fondi?
-
Playmouth. Alla banca Foster. Se non sbaglio è un
vostro corrispondente …
-
Oh, sì abbiamo continui scambi. Potrete avere i
vostri fondi a disposizione in pochi giorni.
-
Vorrei anche prelevare una modesta cifra per il viaggio.
-
Ovviamente … - le porse carta e penna. –
Se volete indicarmi l’ammontare …
Andrè
sbirciò mentre
Oscar indicava la cifra “modesta” e non
poté evitare
di toccare la sacchetta contenete tutti i suoi risparmi che portava
alla cintura, nascosta sotto il gilet. “Per fortuna,
… siamo soci”, pensò
scrutando l’aria sicura della donna.
***
Oscar, appollaiata su un
muricciolo
dal quale riusciva a dominare la piazzetta, si atteggiava a monello,
giocherellando con un coltello su un legnetto. Un cappello di paglia
calato appena sulla fronte, per riparala dal sole e dagli occhi
indiscreti, la giacca modesta solo aperta, incurante del caldo di
mezzogiorno.
Non c’era che
dire: Bernard ci sapeva fare con le parole.
Un abile oratore: chiaro,
pacato, non
ricercato nei termini in modo da risultare comprensibile anche ai meno
istruiti, ma chiaramente, non ignorante. Infondeva sicurezza, fiducia,
con una voce avvolgente e suadente.
“Beh,
spiegabilissimo come avesse conquistato Rosalie…Un uomo
fortunato, fortunato di cuore e … ahimè,
fortunato con la
spada.”
Lanciò uno
sguardo sofferto ad
Andrè, immagine della calma fatta essere umano, che
mimetizzato
ai bordi esterni del gruppo di ascoltatori, con la giacca abbandonata
sulla spalla e le braccia conserte, si fingeva più che mai
interessato ad un discorso che in realtà aveva
già
sentito fino alla fine.
Sospirò.
Lei non sarebbe stata
capace di
passare oltre al danno. Il suo sangue bollente avrebbe gridato vendetta
se si fosse trovata al posto di Andrè, quella notte. Eppure,
lui
non pareva avere problemi con Bernard. Era stato un duello leale; un
caso di pura sfortuna e non portava rancore al suo feritore .
Andrè era
UOMO, dove questo termine significava quanto di più alto
potesse esistere, appena appena sotto Dio.
Uomo più di
chiunque conoscesse.
Più di quanto
immaginasse fosse possibile.
Più di quanto
lei stessa avrebbe potuto desiderare di diventare.
Forse stava un tantino
esagerando, ma era quel che provava per lui.
Si accorse di avere il
battito accelerato, pensandolo, mentre lo accarezzava con lo sguardo.
Per la prima volta, dopo
tanto tempo,
da quando erano bambini, aveva dormito stretta a quell’uomo.
E si
era svegliata finalmente riposata.
Ora, non poteva negare
che, da quella
drammatica notte in cui un André che non conosceva, si era
ribellato alla di lei arroganza … Ecco, …
sì, da quella notte lo aveva pensato. Fisicamente, pensato.
Dapprima furente, oltraggiata, spaventata.
Poi aveva cercato di
capirlo, perdonarlo e dimenticare.
Ma il suo inconscio le
era nemico.
C’erano state
notti in cui non riusciva a prendere sonno: pensava a lui, combattuta,
irritata.
Poi, dopo Saint Antoine,
di inconsapevole non c’era stato più nulla, in
quei pensieri notturni.
Sogni caldi e torbidi,
dei quali si vergognava appena sorgeva il sole.
Non riusciva a fare i conti con sé stessa, con quella parte
femminile che non voleva saperne di ritornarsene nell’angolo
dove
era sempre stata relegata. Con quella parte che lo voleva
disperatamente, ma che non sapeva come fare ad avvicinarlo.
Sospirò
ancora, promettendosi di pensarci più tardi e tornando con
lo sguardo su Bernard.
Aveva cominciato da
neanche dieci
minuti ad arringare e già un nutrito gruppo di persone se ne
stava ai piedi del palco improvvisato, un paio di casse, una sopra
l’altra, e pendeva dalle sue labbra.
-
Questi soldati non
sono nostri nemici! Sono figli del popolo! Sono uomini che si sono
arruolati per non morire di fame! Dobbiamo andare tutti alla prigione
dell’Abbazia e chiedere la loro scarcerazione!
La folla
cominciò ad agitarsi, botte e risposte; dubbi, incitazioni.
“Incanalare gli
eventi”, proprio come aveva detto Oscar. E
certamente, Bernard sapeva come fare.
Da una strada laterale
apparve un
drappello di soldati a cavallo della Guardia Francese. I
“suoi” soldati. Comandati nientemeno che dal
colonnello
D’Agout.
Esattamente quel che lei
sperava.
L’uomo in
uniforme,
analizzò velocemente la situazione; con pochi cenni decisi,
indirizzò i soldati verso i punti che permettevano di
controllare gli accessi alla piazza.
Quel che avrebbe fatto
lei.
Sentì lo
sguardo di
Andrè su di sé ed annuì. Mentre lui si
dirigeva
verso Bernard, tra la folla che cominciava ad innervosirsi per la
presenza dei soldati, lei balzò giù dal
muricciolo e si
avvicinò al suo secondo, ormai ex- secondo; con indifferenza
si
affiancò al cavaliere, intento a studiare la situazione, che
le
gettò uno sguardo vedendola avvicinarglisi.
Alzò gli occhi
su di lui,
sollevando con un dito la falda del cappello e gli sorrise,
ammaliatrice come mai si era resa conto di essere.
-
Gran bella giornata, vero, colonnello? –
esclamò lei.
Lui annuì,
dopo un istante di sorpresa. Avrebbe dovuto arrestarla, ma Oscar
sembrava certa che non lo avrebbe fatto.
A scanso di problemi,
l’uomo posò la mano sull’elsa della
sciabola. Non sapeva cosa
aspettarsi da lei.
-
Un sole come questo, mette tutti di buon umore, solitamente
…Vero?
Annuì ancora.
-
E quando le
persone sono di buon umore, diventa più difficile che
rispondano
“no”. – Sospirò con
indifferenza. – Si
tratta di porre le questioni nella dovuta maniera … Sarebbe
davvero bello se tutti potessero far serenamente ritorno alle loro
famiglie, alla fine di una giornata come questa,
già…
D’Agout la
fissò ancora
un istante, poi scosse il capo, arrendendosi all’ordine
camuffato
da cortese conversazione. Levò la mano dall’elsa e
con
entrambe afferrò le redini.
-
Uomini! – gridò – Con me!
Lentamente, come erano
arrivati, i soldati lasciarono la piazza.
La paura nella folla
scemò
quanto bastava perché Bernard potesse riattizzare i loro
animi.
Ed il fiume cominciò a scorrere verso la prigione
dell’Abbazia.
Andrè
l’affiancò mentre camminavano in corteo, a passo
sostenuto.
-
Pensi che il
colonnello abbia capito? – disse quasi gridando per farsi
udire
in mezzo alla folla scalmanata, certo che comunque nessuno avrebbe
compreso quel che diceva.
-
Ha sicuramente
capito… - sottolineò lei di rimando,
avvicinandosi al suo
orecchio - Il problema è se vorrà farlo. Ma se ho
imparato qualcosa di lui, è che pur essendo Realista
convinto, i
suoi uomini vengono prima di tutto, specie se accusati ingiustamente. E
poi … - sorrise maliziosa – quell’uomo
non sa dirmi
di no! – concluse ammiccando.
Davanti alla
prigione
c’era già una folla non indifferente ad aspettare
il loro
gruppo; persone già impegnate a loro volta a richiedere la
liberazione dei soldati.
Le due ore erano servite
a Bernard per accordarsi con altri “sobillatori
professionisti”.
Oscar sapeva che,
poiché la
storia è storia, nelle proteste spontanee, il più
delle
volte c’era ben poco di spontaneo.
Da che
l’umanità aveva
memoria, le folle venivano invitate da gerarchie di burattinai, che si
occupano di lanciare il primo sasso nello stagno.
Il resto veniva da
sé, fino a sfuggire al controllo, di tanto in tanto.
Ma Oscar era certa che
questo non sarebbe stato uno di quei casi.
D’Agout era una
buona persona, un bravo soldato, un valente ufficiale. Non avrebbe
permesso che quel sasso causasse morti.
Un drappello di soldati
era già
lì, ma si tenevano chiaramente in disparte; ufficialmente,
adempivano al loro dovere di sorveglianza e, in necessità,
di
repressione; ufficiosamente, attendevano l’ordine di
riportare i
loro compagni in caserma, da uomini liberi.
Oscar ed André
si sistemarono in un angolo, per evitare di essere riconosciuti.
Ora si trattava solo di
attendere che i corrieri, il mezzo di comunicazione più
veloce, svolgessero il loro compito; ovvero, galoppare velocemente da
Parigi a Versailles e viceversa.
Quando alcune ore dopo,
D’Agout comparve nella piazza, compresero d’esserci
riusciti.
Giri di ordini scritti
con la prigione, scambi di
convenevoli tra un comando e l’altro e, accompagnati da
acclamazioni, i soldati lasciarono la prigione mentre la sera calava.
D’Agout li
attese ai cancelli.
-
Dico solo che non
dovete ringraziare me. – esordì e Alain
capì che
intendeva. – Andate a festeggiare come vi pare, ma
all’alba
vi rivoglio tutti in caserma. Sono stato chiaro?
Alain annuì e
lo ringraziò accennando soltanto, come suo solito, il saluto
militare.
I festeggiamenti si
trasferirono nelle
locande, tranne per Alain che aveva visto due persone vagamente
familiari fargli cenni da un vicolo.
Col suo solito
atteggiamento burlesco,
riuscì a sganciarsi dalla festosa comitiva e,
mezz’ora
dopo era già a casa di Bernard, con Oscar che lo presentava
agli
amici e Rosalie che faceva gli onori di casa, imbandendo tavola per
quanto poteva, cosa che Alain gradì notevolmente.
Alain fece onore alla
cuoca mangiando con grande appetito, mentre raccontava e ricamava con
fantasia quei due giorni di galera.
Poi toccò ad
André
riassumere la situazione sua e di Oscar, la ribellione
all’ordine
ricevuto, sorvolando su tutta la faccenda personale.
- E va bene, capisco la
situazione del
comandante … Ma perché tu? Tu che hai fatto, per
essere
nei guai? – insisté Alain, già arrivato
a far
scarpetta col sugo del bollito e patate, anche se definirlo soltanto
“sugo bollito di patate”, sarebbe stato
più indicato
vista l’esigua presenza di carne.
-
Senti …Ti
basti sapere che non possiamo tornare in caserma e, ormai, credo
neppure restare in Francia…
Alain notò che
André
aveva lanciato uno sguardo veloce ad Oscar che mangiava a piccoli
bocconi, fingendosi disinteressata al resoconto.
-
Mhmmm…
Sì sì, non ti scaldare… Ascoltate voi,
ora:
domattina dovrò ripresentarmi in caserma…
Allungherò per voi le orecchie, cercherò di
capire che
decisioni hanno preso le alte zucche su di voi, va bene? Sì?
Fantastico!
Non specificò
a nessuno di loro i suoi progetti riguardo il rientro nella Guardia
Francese.
“Troppo
prematuro…”
Rosalie si
avvicinò ad Alain e
prese il piatto vuoto, ma il gigante glielo trattenne, iniziando un
piccolo duello, un "tira tu che tiro anch’io", guardandola
con lo
sguardo che una volta André aveva descritto ad Oscar come lo
sguardo da “soffice cucciolo orfano sotto la pioggia battente
di
una fredda serata autunnale”. In poche parole, lo sguardo che
utilizzava con le ragazze della locanda quando non poteva pagare le
affettuosità che quelle mettevano in vendita. E di solito
aveva
fortuna.
-
…Ne
… ne vuoi ancora? – buttò lì
Rosalie, non
avvezza a giochetti e sguardi di quel genere.
Beh,
tranne quando Bernard aveva qualcosa da farsi perdonare…
-
Se non ti è
di disturbo, cara … – mormorò Alain
lasciando la
presa sul piatto e facendole l'occhiolino.
Rosalie sorrise stranita
ed andò a riempire nuovamente la fondina.
“Ma
che soggetto! … Chiedere? No?… Ma pensa
tu…”
***
“Alain…
Alain … hurrà…
hurrà !
La camerata quasi tremava
per le acclamazioni urlate a gran voce.
-
Ehhh! Piantatela con questo chiasso!
-
Viva Alain!
-
Hurrà per Alain!
-
Ben tornato, Alain…
-
Sì sì! Grazie!… Va bene, va
benee!
-
Ci sei mancato, Alain … - piagnucolò
uno dei camerati, abbracciandolo stretto alla vita.
-
Ehi, … ho
capito! Ma i passaggi prendili con tua sorella, chiaro! –
tuonò, spingendolo via. – Ma che vi prende? Se vi
sorprendesse il comandante …
-
Lei non c’è più.
-
Come? – si finse ignorante.
- Affondata, cannonata, annientata … Pouff!
– disse
uno degli uomini, imitando coi gesti una esplosione - Non sappiamo
neanche che ne è stato di lei!
- Anche Andrè è
scomparso…
-
Pensavamo li avessero rinchiusi con voi…
-
Per me, l’ hanno già fucilata!
-
Bouillé
è più nervoso di un gatto in un
canile…
Capacissimo d’averlo fatto personalmente!
-
Non ha mai potuto sopportarla …
-
Tu che dici Alain?
-
Dico che non mi piace per niente… -
mormorò.
Le notizie si rincorsero
tutta la
mattina. Si fece vivo perfino Bouillé in persona; si
rinchiuse
con D’Agout nell’ufficio di Oscar. Dal cortile lo
udirono
alzare la voce. Poi se ne andò seguito dalla sua scorta.
All’ora del
rancio, il
colonnello fece loro un’improvvisata. Comunicò
ufficialmente ai suoi uomini che era stato nominato comandante al posto
di Jarjayes. Non una parola sul suo destino.
Quando Alain
sentì il campanile vicino rintoccare le tre, decise.
Per lui non aveva
più senso
restare lì e quello era stato solo un’idea,
diventò
una decisione irrevocabile.
Bussò
all’ufficio che oramai era di D’Agout.
Per
l’ufficiale, quella visita non fu una sorpresa.
-
Sento che non ho
più scopo a prestar servizio nei soldati della Guardia.
Specie
dopo esser finito in gattabuia. Poi non ho più nessuno a
Parigi
…Io …vorrei andarmene. – disse Alain
dopo i
necessari preamboli.
Il colonnello non
parlava, si limitava a fissarlo inespressivamente, grugnendo ogni tanto
per indicare che lo stava seguendo.
-
Va bene, Alain.
– disse afferrando la penna dal calamaio – Non
voglio
obbligarti a restare. Un soldato demotivato è peggio di un
soldato in meno.
Compilò e
firmò il congedo, soffiò
sull’inchiostro fresco e gli consegnò il documento.
-
Mostrala ai
cancelli quando te ne vai, dopo aver riconsegnato l’uniforme,
e
conservala in caso di controlli.
-
Sissignore! – esclamò Alain scattando
sull’attenti.
- Da
questo momento non
sei più un soldato, non sei tenuto al saluto militare!
–
lo rimproverò e gli fece cenno d’andare.
-
Ah, Alain
…- lo richiamò quando fu alla porta
– Quando
vedrai quella certa persona … portale i miei saluti ed i
miei
auguri. –
Alain annuì
sorpreso e si richiuse la porta alle spalle.
Lo chiamava
“testa di legno” e proprio non se lo meritava.
Varcò per
l’ultima volta
i cancelli della caserma, indossando gli abiti consunti con cui era
arrivato, più come souvenir, il berretto
d’ordinanza, che
aveva sfilato al responsabile dei magazzini, dopo averlo ufficialmente
reso.
Ma non si
allontanò di molto.
Svoltò l’angolo delle mura, sapendo che lo sfigato
della
compagnia si era offerto per la ronda fino a mezzanotte.
-
Lasalle… Ehi, Lasalle –
chiamò alzando lo sguardo alla sommità del
muraglione.
-
Chi va là?
-
E non gridare! Sono io!
-
Alain? Vuoi farti sparare addosso?
-
Ahh … non
rompere, moccioso! Dovresti essere sbronzo per centrarmi! Volevo sapere
se sai di qualche novità sul comandante; qualcosa arrivato
mentre ero da "testa di legno".
-
Intendi dire il fatto che il re l’ha esiliata?
-
Cosa?
-
Eh, si! Graziata,
ma esiliata. La sua famiglia non avrà conseguenze, ma lei
non
è più persona gradita in Francia. Le alte sfere
militari
non vedono di buon occhio gli aristocratici traditori, in questo
momento. In tanti sono tentati dalle diserzioni. Ora sono tutti agitati
per il fatto che è sparita. Anche Andrè
è sparito.
Ma tu lo sai dove sono, vero?
Alain non rispose, perso
a rimuginare sulle conseguenze che quella notizia avrebbe avuto.
“Questo
non piacerà ad Oscar. “
Era certo che lei sarebbe
voluta
restare, ma se la prendevano, la galera era assicurata e magari
qualcuno avrebbe voluto fare di lei un esempio per i disertori di tutto
l’esercito.
“Neppure
il re potrebbe salvarti, in quel caso. André
insisterà per portarti via. “
Ne era sicuro.
-
Così, davvero te ne vai?
La voce lo
riportò al presente.
Alain si strinse nelle
spalle.
-
Magari ci si vede alla locanda, eh?
Il gigante
grugnì poco convinto mentre la sua testa pensava ad altro.
-
Ehi, Lasalle!
-
Che c’è?
-
Tirami giù il tuo fucile. Mi serve.
-
Stai dando i numeri?
-
Eddai… Tu sei abituato a perderlo!
Gerard gli fece un segno
col dito medio.
“Era
un no?”
Sorrise al ragazzo
lentigginoso.
-
Ci si vede in giro, moccioso!
Dopo che Lasalle lo ebbe
salutato
rubando il suo modo beffardo di toccarsi la visiera, Alain
s’incamminò rendendosi veramente conto di non
avere
più una casa, nessun legame. “Noi restiamo da
Bernard fino a domani”, gli aveva detto
André.
Ed era lì che
stava andando: dalla sua seconda famiglia, André ed Oscar.
Chissà
cosa stavano tramando?…
L’amico gli
aveva solo detto “Oscar ha dei progetti”.
Chissà
cosa aveva in mente il comandante?
Sapeva che
André aveva sempre
avuto un debole per l’America: quel paese dove, sembrava
strano a
dirlo, ufficialmente non esisteva aristocrazia.
Gliene aveva parlato
durante le notti di ronda e le libere uscite.
Da quando quel tizio, lo
svedese, che
ogni tanto nominava con una leggera smorfia, un misto di rispetto ed
odio, era tornato da quei posti e gliene aveva parlato, aveva
cominciato a pensarci seriamente. Parlava di cavalli, gli sarebbe
piaciuto allevarli.
Ma era un passo lungo,
troppo lungo
per uno che aveva ancora legami: non avrebbe mai lasciato la sua
adorata nonna per andare così lontano.
E Oscar? Era francese
fino al midollo, quella donna, ma non poteva restare.
Lei incarnava quando di
più
odiato ci potesse esser in quel momento in Francia: odiata dagli
aristocratici perché colpevole di tradimento verso la
monarchia;
odiata dal popolo, perché era e restava
un’aristocratica.
Cominciò a
pensare che, quei due potevano essere dei gran pasticcioni, ora che
erano alla macchia.
Lei indicibilmente
testarda e lui incredibilmente ansioso.
Forse avrebbe fatto bene
a star loro appresso...
***
Era stata Oscar a
sorprenderli, quando lui raccontò tutto.
-
Allora partiamo!
– decise lei – Restare in Francia non ha senso. Se
le cose
cambieranno, potremo ritornare. Si vedrà.
Per cambiare,
Andrè le diede ragione, ma con reale, profondo entusiasmo.
Fu lì che
Alain propose la sua aggregazione.
-
Perché no!
-
Non pensarci nemmeno!
Furono le simultanee
risposte di getto dei due amici.
Si guardarono. Oscar,
accigliata. André, sorpreso
-
Io dico che per me sta bene. – ribadì
Oscar, allo sguardo disperato di André.
-
Ma, Oscar…
-
Cercano due fuggitivi, non tre… - lo interruppe.
Alain annuì in
segno di rispetto per una decisione ponderata, logica…
-
Ma, Oscar …
-
E’ deciso! Alain viene con noi! – lo
troncò.
-
Sentito a-m-i-c-o? La signora ha deciso! – lo
sbeffeggiò Alain.
Andrè
cercò il sostegno di Bernard, che però si strinse
nelle spalle.
-
Benvenuto nel mio mondo! – mormorò
alludendo alla moglie.
Partenza?
All’alba.
Direzione? Porto di Le
Havre.
Destinazione? Inghilterra.
Bernard
dovette di peso staccare una
piangente Rosalie da Oscar, mente questa giurava che le avrebbe scritto
e si faceva promettere che avrebbero informato Nanny, ma con cautela.
Quindi, si avviarono, ancora con le stelle a guidarli.
***
Di locande, nemmeno
l’ombra.
La strada era sicuramente
quella
giusta, ma si trovano praticamente sperduti nella campagna francese.
Solo terra e terra fino all’orizzonte.
Per questo nessuno
obiettò quando, vicino ad un cascinale abbandonato, Alain
disse “Basta, mi fermo qui!”
Accesero un fuoco,
mangiarono un po’ di pane e formaggio e qualche mela.
Diedero fondo alla
fiaschetta del
cognac, passandosela a turno, mentre Alain si esibiva nel repertorio
completo delle sue imbecillità che, fino a quel momento,
Oscar
aveva avuto la fortuna di non dover subire, quindi si misero a dormire.
Oscar si sentiva in un
certo senso
sollevata dalla presenza di Alain che impediva qualunque
intimità con Andrè; quel “ne
parleremo” che
lui aveva sussurrato la notte della fuga e che continuavano a rinviare.
“Parlare?
Di che?”
Di
che lo sapeva bene. Era il come …
"maledizione! "
Nessun libro di
strategia militare l’aveva preparata a questo!
“Come
avvicinarsi al nemico senza farsi notare?… Come mettere alle
strette il nemico in poche mosse? “
Qualunque proiezione
mentale di tattica la faceva sentire idiota, quando cercava di
adattarla alla loro situazione.
Più idiota di
quel ballo cui aveva partecipato per sedurre Fersen.
Ridacchiò tra
sé …
“Sedurre…
Come no!…”
C’era mancato
poco che s’ammazzasse, inciampando in quella maledetta
sottana!
Ma si
trattava di Andrè, accidenti! Avevano sempre parlato di
tutto, loro! Quasi di tutto…
Poi, soprattutto negli ultimi anni le loro chiacchierate erano
diminuite, di quantità, ma soprattutto di
sincerità, fino
a scomparire quasi dopo quella famosa notte.
A quel pensiero si
carezzò le labbra… Eppure, come poteva essere
difficile
dirgli: ti amo, ti desidero … ti voglio… Era vero,
senz’ombra di dubbio. Dopo quella notte a Saint Antoine,
aveva
aperto gli occhi. "Quindi?"
Non sarebbe tornata
indietro, non
voleva nemmeno tornare indietro, ma … accidenti
com’era
difficile razionalizzare tutto questo. "Ecco!" …
L’aveva detto a sé stessa: razionalizzare.
Avrebbe
dovuto spegnere il suo cervello confuso e lasciarsi andare, invece!
Due sere prima lo aveva
fatto… In fondo, abbracciarlo era stata la cosa
più bella e naturale…
“Naturale?
… oh, accidenti!”
La natura la chiamava! “Noo “,
pensò, non aveva voglia d’alzarsi… Era
così stanca!
“Oh,
maledizione!”
Si rassegnò a
tirarsi su e cercò di farlo il più
silenziosamente possibile.
Uscì piano dal
confine di
quelle quattro mura diroccate e si incamminò verso il
boschetto
poco distante, cercando di non ammazzarsi al buio.
-
Oscar!
“Accidenti!”
Non era stata abbastanza
silenziosa! Lo ignorò.
Andrè la
raggiunse ed allungò una mano sul suo braccio.
Oscar si sottrasse,
troppo bruscamente, forse.
-
Scusami …- disse prontamente lui.
-
Di che?
Andrè non ne
era completamente
sicuro, ma sentiva di doversi comunque scusare e che quel “di
che?” sapeva tanto di trabocchetto.
L’attimo di
esitazione venne colto da Oscar per attaccare.
-
In fin dei conti, - disse – ti sei solo comportato
come mio padre!
-
Cosa?…
- Una
donna resta
una donna, no Andrè? Come lui, tu pure non hai tenuto conto
di
quel che potevo volere io! Ti sei immischiato e hai deciso per me: tu
hai voluto portarmi via, tu volevi sposarmi, tu non volevi vedermi
morire… Caspita, Andrè, per la prima volta
davvero ho
capito che tu sei un vero
uomo! Conta solo quel che tu vuoi!
Quasi si sorprese della
sua stessa cattiveria, decisamente ingiustificata visto che lui le
aveva salvato la vita. "Ecco…"
Andrè cominciava a sentire un pelo di terrore
invaderlo.
Aveva scoperchiato il
vaso e tutto il peggio stava per colpirlo!
-
Proprio come il
signor generale, Andrè! – continuò,
ormai lanciata,
volgendosi però verso il bosco, non volendo farsi distrarre
dal
suo sguardo - Figlio quando lo rendo orgoglioso, figlia quando secondo
lui, sbaglio! E tu? Quando ti fa comodo, sono il tuo amico
d’infanzia, poi divento una fragile donzella bisognosa
d’esser salvata e S-P-O-S-A-T-A!
-
Ora non vorrei sottolineare l’ovvio, ma…
-
Sottolinea sottolinea, Andrè … - lo
sfidò.
-
Non ti trovavi in una bella situazione!
Si voltò di
scatto verso di
lui, avvicinandosi e facendolo arretrare, intimidendolo col suo
cipiglio; lo stesso che aveva già a cinque anni e che lo
terrorizzava.
-
Ti è mai
saltato in testa, una volta, che magari non volevo vivere? Hai mai
pensato che per come sono cresciuta, per come sono io, avrei anche
potuto condividere quel che stava per fare mio padre? Hai mai pensato,
una volta, a quella che sono davvero e non a quella che vuoi scoparti!
-
Stai dando i
numeri … - mormorò sorpreso ed innervosito anche
dalla
novità di quel “scoparti”.
-
Ma davvero tu
pensi che, in tutti questi anni, non mi sia mai accorta di quel che
provi per me? Pensi davvero che fossi così cieca! Ma non
posso
farci niente se …
-
Stai cercando di
dire che mi ami? – la interruppe André che aveva
ritrovato
il coraggio e si stava davvero alterando.
La parola
“ami” la bloccò. E toccò a
lui avanzare ed a lei arretrare.
-
Stai davvero
cercando di dare la colpa al fatto che tu sei nobile ed io no? Stai
davvero cercando di dirmi che sapevi che ti amavo, ma non potevi
ricambiare perché sono un servo? Perché allora
sono io a
chiedere: ma davvero credi la Oscar che conosciamo si sarebbe fatta
fermare dai divieti? Da una vita ti vedo disobbedire a tuo padre,
beffarti alle sue spalle, ed infrangere tutto quel che può
essere infranto! Testarda, arrogante, prepotente, irragionevole,
presuntuosa …
-
Hai finito?
-
No, che non ho
finito! E’ vero, ho sbagliato! – esclamò
spalancando
le braccia come in segno di resa - Ho deciso per te! Ti ho trattato da
“donna” come può fare il più
stupido degli
uomini ottusi! E’ vero! Sono uno stupido! Lo stupido che da
una
vita ti sta appresso, ma sono quel che sono; giusto o sbagliato, questo
sono io! Io!
– sottolineò puntandosi un dito al petto - Lo
stupido che ti ama! … E poi tu hai solo paura!
Lo colpì
violenta in pieno
petto con entrambe le mani, per allontanarlo perché,
fisicamente
ed emotivamente, si era fatto troppo vicino. E lo mandò
gambe
all’aria.
-
Vaffanculo, Andrè! – e si
allontanò con passo veloce nel buio del bosco.
Andrè si
tirò su seduto sull’erba, senza fiato.
Ecco, era certo ormai:
comandare i soldati della guardia l’aveva resa davvero una
troglodita.
“Ma
che razza di termini!”
Con tutta la sua
educazione, avrebbe potuto almeno dirlo in latino o in greco
…
“Sarebbe
stato più fine!”
Sentì dei
passi alle sue spalle ed una risatina sommessa.
-
…ma voi? …
-
Non ti riguarda Alain! – lo troncò
Andrè.
-
Certo certo … E’ un no, il tuo! Giuro
che non vi capisco, voi due! Io al tuo posto …
-
… saresti morto da tanto tempo! –
sospirò l’amico alzando lo sguardo al cielo.
-
Oh, può darsi, ma sarei morto contento!
Si mise le mani in tasca
ridacchiando.
-
La bionda che vuoi
“scoparti”
ti ha appenda mandato a “
‘fanculo” …Neanche tu ti
trovi in una bella
situazione, amico mio! (1)
E si allontanò
ridendo sempre più forte.
*** CONTINUA
1) la lite: non ho la più pallida idea di che termini
usassero all'epoca, ma certamente qualcosa di "equivalente" per le
parole di Oscar, c'è sempre stato : ) Ok, lo so... Sono un
pò OOC durante la lite, ma ... insomma ...
quando la natura "chiama", è normale diventare nervosi!
Volevo ringraziare tutte
le lettrici, oltre a tutte coloro che seguono i miei "vaneggiamenti"
scritti trovandoci perfino qualcosa di positivo al punto di commentare
o aggiungere alle "seguite/da ricordare/preferite".
Scoprire altre persone "malate" per la storia di Lady Oscar
è stata la cosa più bella accaduta quest'anno. Grazie, davvero, e
auguri per il 2011 !!!
Arrivarono a
Le Havre nel pomeriggio inoltrato, sotto un sole cocente, esausti come
mai in vita loro. Era una
città davvero molto grande e molto attiva. André
propose di dirigersi direttamente nella zona del porto,
perché voleva togliersi subito il pensiero del trasporto per
l’Inghilterra, conscio che sarebbe fisicamente crollato di
lì a poco. Inoltre,
Alain non si tratteneva dal fare commenti a tutte le ragazze che
incrociavano ed André, lo sapeva, accidenti se lo sapeva,
come sarebbe finita con lui… A fare a botte con qualche uomo
geloso! Poi gli sarebbe pure toccato difenderlo! “No,
grazie!…” Il porto era
immenso. Non riuscivano neppure a contare quante navi stavano
ormeggiate, per non dire di quelle che si trovavano alla fonda
più al largo. C’era
una puzza incredibile di pesce ed uno schiamazzo mai sentito neppure a
Parigi, ma era divertente. Lì,
la povertà non era così evidente, ma la miseria
umana, sì; era un luogo di grande passaggio, con parecchio
lavoro e parecchio denaro in circolazione. E dove gira denaro, arrivano
i disperati.
Oscar
sembrava molto curiosa e neppure troppo infastidita da tutto quel
chiasso e quel movimento. Mentre Alain,
purtroppo, sembrava un ragazzino nella valle delle bambole! Come spiegare …
Lì era pieno di pupe per marinai! -
Ma perché non mi sono arruolato in marina, eh?
– esclamò, non riuscendo a tenere a freno la
lingua e voltandosi sulla sella per seguire i fianchi ondeggianti di
una bella donna che non tentava nulla per passare inosservata. André
neanche gli rispose, per non spronarlo in
quell’atteggiamento. Oscar non
poté fare a meno di sorridere nel vederlo così
nervoso. Ma lo capiva: non stavano facendo una gita di piacere! Una
condanna all'esilio non permetteva certo indugi. André
non voleva dare nell’occhio, perché non sapevano
se era stato emesso qualche provvedimento di fermo nei confronti di lei
o, addirittura, di arresto per lui, il servo ribelle! André
notò l’ufficio portuale ed entrò a
chiedere informazioni sulle navi in partenza per
l’Inghilterra. Uscì
con aria delusa. L’addetto gli aveva riferito che erano tutte
al completo. In quei primi giorni di luglio, chissà
perché, si riempivano molto velocemente di aristocratici
desiderosi di una vacanza oltre confine, aveva detto cinicamente. -
Proposte? – chiese il moro ai compagni di viaggio,
mentre si appoggiava al suo cavallo, con poco entusiasmo di rimettersi
in sella. -
Io direi di andare a farci un goccio in quella locanda, per
cominciare, che ho la gola secca … - disse Alain,
sistemandosi il berretto ed avviandosi senza attendere le loro
adesioni, scalciando secco i fianchi del suo animale. -
Certo che se parlassi un po’ meno … -
commentò André sbuffando. Oscar sorrise
ancora.
Lasciarono i
cavalli legati vicino all’ingresso ed André diede
dei soldi ad un ragazzino, scalzo, lercio, ma dallo sguardo vispo,
perché glieli tenesse d’occhio. Dentro,
naturalmente, era una vera bettola e scorse Oscar storcere il naso per
la prima volta da quando erano arrivati; ma non potevano permettersi
qualcosa di diverso e neppure dovevano farsi notare. In posti come
quello, erano abituati a veder passare di tutto: non avrebbero badato a
loro. Alain chiese
subito da bere; André anche da mangiare e si sedettero ad un
tavolo. -
In viaggio, signori? – chiese l’oste
portando i boccali di birra. -
D’affari, sì. – rispose
André cercando di restare sul vago. -
Inghilterra? -
Se riusciamo a trovare una nave … L’uomo
li scrutò e non poté non notare lo strano
assortimento umano. Oscar,
ostinata nel suo silenzio, teneva lo sguardo basso, e stava
già mangiando la sua zuppa di pesce, buona a dir la
verità. -
Eh, - sospirò il tipo – ultimamente non
è facile trovare posto senza prenotazione.
C’è questa strana ondata di nobili con la voglia
di partire … - rise – Come topi a bordo
di una nave che affonda, è un esempio calzante! Ma voi
… -
No, no, commercianti di cavalli –
s’affrettò André. -
Umh … ,sì, ho notato il vostro
purosangue lì fuori … - mormorò il
locandiere, riferendosi a César, poco convinto di quelle
parole. -
Sentite, non so se vi può interessare, ma
… ci sarebbe una alternativa alle rotte dirette. Certo, vi
costerebbe di più, soprattutto se volete portare anche i
cavalli … -
Dite, vi ascolto … -
La vedete quella nave là? – disse
indicando fuori della finestra una grossa tre alberi. Tutti e tre
seguirono dove puntava il dito. -
E’ la Mylene, è diretta in Spagna. Ma il
comandante mi ha detto che deve fare una deviazione a Plymouth per
caricare altra merce. Potrebbe darvi un passaggio, se non avete
problemi col porto di sbarco… Certo, ci sarà poco
spazio perché è proprio stracarica, ma se vi
accontentate … "Che fortuna ...Plymouth!" -
Beh, grazie … Sì, certo, siamo
interessati. -
Bene! Più tardi il capitano dovrebbe passare di
qua, sapete … è un cliente affezionato.
– e strizzò l’occhio indicando alcune
ragazze vistose e succinte che poltrivano in un angolo appartato. -
Possiamo capirlo! – ridacchiò Alain. -
Grazie, signore, grazie davvero. – disse
André guardando ancora storto l’amico.
Puntualissimo,
il lupo di mare si presentò un’oretta
più tardi. L’oste
lo acchiappò per una manica prima che potesse distrarsi con
le signore, lo condusse al loro tavolo e fece le presentazioni. Il
capitanò, un tipo massiccio e probabilmente meno vecchio di
quel che dimostrava, li squadrò per bene. Capì
che erano di ceto sociale diverso tra loro, perché
César, lì fuori, dava veramente
nell’occhio ed Oscar non riusciva a nascondere
quell’aura di fredda superiorità neppure
standosene zitta ed in disparte. Così
cercò di alzare il prezzo, soprattutto facendo leva sulla
loro volontà di portare i cavalli, che avrebbero occupato
troppo spazio. D’altronde, André aveva visto Oscar
carezzare il muso di César poco prima, quando avevano
portato biada ed acqua ai loro animali: non poteva chiederle di
rinunciare anche a lui. Dopo una
trattativa veloce, ma estenuante, André concluse al meglio
possibile, cavalli compresi, ma loro avrebbero dovuto accontentarsi del
ponte di coperta. Un sacrificio sopportabile, visto che era estate e la
traversata non troppo lunga. Portò
la mano al suo portamonete, ma Oscar gli porse il proprio per pagare. -
Tieni tutto tu.- gli disse. Aveva sempre
tenuto lui il denaro di Oscar: era normale per un nobile non sporcarsi
le mani col vile contante, ma ora quel gesto assumeva un significato
diverso. Si chiedeva quanto fosse seria Oscar quando lo aveva chiamato
socio. E anche cosa implicasse essere “soci”.
A quel punto
non restava che andare a dormire. La partenza era fissata da
lì a due giorni, con l’alta marea serale. Oscar era
visibilmente esausta e l’idea di pernottare in un quel posto,
che già stava diventando molto chiassoso, non
l’allettava per nulla. Alain invece,
si trovava nel suo elemento. Un pesce
nell’acqua, un fagiolo nel baccello, un … - Ma non
è possibile! Alain! …- esclamò
l’amico, spalancando indignato l’unico occhio
rimastogli. L’altro
borbottò parole quasi incomprensibili, mentre divorava le
labbra di una fanciulla mezza svestita, stringendole saldamente il
posteriore nelle sue manone; disse qualcosa riguardo la permanenza in
prigione, che faceva pesare come fossero stati anni; e riguardo il
viaggio, che li avrebbe tenuti lontani dalla Francia e che, quindi,
quella era l’ultima occasione per assaggiare … André
lo fulminò e Alain si fermò in tempo, prima che
Oscar potesse afferrare quella sconcezza rimasta nell’aria. -
…francese … - aggiunse però ghignando,
con la tipa appesa al suo collo. André,
ormai pentito d’esserselo portato appresso, chiese due
stanze, una per Oscar, che sembrava diventare sempre più
nervosa in quel postaccio. Ma,
inaspettatamente, lei gli sfiorò la mano e, finalmente,
parlò. Piano, sottovoce al suo orecchio. -
Resta con me …. André
ne fu sorpreso, specie dopo la lite della sera prima. Quel tono non
era un ordine, non era un invito …. Ma rispose
nel solito modo degli ultimi giorni. -
Va bene …. Sì
… Le sue risposte stavano diventando ripetitive. Però
lei non aveva voglia di conversare e lui non era certamente
intenzionato a scatenare di nuovo una reazione come quella della notte
precedente.
Aprì
la porta con la chiave che l’oste gli aveva consegnato e si
scostò per far entrare Oscar per prima. Due passi e
lei si bloccò. Definire
quella stanza squallida, sarebbe stato un complimento. -
Scusa … - mormorò lui, che non riusciva
a richiudere l’anta, con lei lì bloccata nel mezzo. -
Oh… certo!… Scusa tu. – disse
facendosi più avanti. Una
poltroncina, un cassettone con posate una bacinella ed una brocca
sbeccata; ed un letto che non s’avvicinava minimamente alle
dimensioni del suo giaciglio faraonico a palazzo. Un letto
piccolo da dividere in due. -
Un po’ diverso da Versailles, eh? –
esclamò ironico André, ma se ne pentì
subito, non vedendola ridere. -
Beh, io … io vado a controllare che i cavalli
siano a posto per la notte. – s’affrettò
a dire – Se nel frattempo vuoi darti una rinfrescata
… - propose indicando i poco aristocratici articoli da
toeletta. Nell’uscire
le fece cenno di chiudere a chiave e scomparve. Sulle scale
incrociò Alain che saliva a ritroso, allacciato labbra con
labbra alla bella mora con la quale aveva trascorso il dopo cena e con
la quale pareva avviato ad impiegare la notte. -
Attento… - borbottò André
schivandolo per un pelo. -
Scusa, amico … Sono un po’ distratto.
– ghignò quello. -
Vedo … -
Buonanotte anche a voi, eh! – disse strizzandogli
l’occhio. André
sbuffò. Chissà perché aveva qualche
riserva riguardo la “buonanotte” che lo attendeva.
Controllò
i loro cavalli. Stavano bene, tutto a posto, tutto tranquillo. Tutto
tranquillo tranne lui. Gli erano
bastati pochi minuti per andare e tornare dalle stalle, ma continuava a
temporeggiare fuori della locanda. Avanti ed
indietro come un animale inquieto. Alzò
lo sguardo alla finestra della loro stanza: dietro la persiana chiusa,
poteva intravedere la sagoma di Oscar muoversi; poteva supporre cosa
stesse facendo e non gli faceva bene sciogliere la fantasia. Quando
non vide più l’ombra, si rassegnò a
rientrare. Passò
davanti alla camera di Alain, adiacente la loro, dove il gigante stava
evidentemente giocando con la sua nuova amica a giudicare dagli
strilli, dai mobili urtati e lui che ridacchiava “non mi scappi!”. Bussò
alla porta, dopo un istante di esitazione ed un respiro profondo. Sentì
Oscar arrivare in pochi passi, col rumore sordo di piedi scalzi sul
legno; gli aprì e tornò indietro. Quando fu
entrato, lei era già di spalle, seduta sul bordo del letto. -
Ti ho avanzato un poco d’acqua. – gli
disse apparentemente tranquilla, come se trovarsi lì fosse
una situazione più che normale. Guardò
la brocca. -
Sì, grazie . Immerse le
mani nella bacinella e si portò un po’
d’acqua sul viso, sul collo, ma di refrigerio proprio non ne
arrivava. Forse perché continuava a guardarla, riflessa
nello specchio che gli stava davanti e … gli veniva caldo. Troppo caldo. Lei stava
dando gli ultimi colpi di spazzola ai capelli leggermente bagnati.
Indifferente. La vide
alzarsi, sbirciare sotto il copriletto, storcere il naso e rimetterlo a
posto. Rassegnata, senza fare storie, si sdraiò sopra le
coperte. Si era tolta scarpe e calze, tenendo addosso camicia e
pantaloni. In una serata
soffocante come quella, lui di norma, si sarebbe spogliato
integralmente per mettersi a letto. Cosa che, ovviamente, non poteva
fare. “Ne parleremo”,
aveva promesso. “Sì,
certo…”, ma gli sarebbero servite
alcune secchiate d’acqua fredda prima di poter affrontare
l’argomento. -
Buonanotte, Andrè – augurò
lei, distendendosi sullo scricchiolante giaciglio. “Sì, certo
…”, si disse ancora, rivolto al
proprio riflesso.
Era passata
più di un’ora da quando si erano coricati. Il piano
terra della locanda era quanto mai animato.
Il livello di alcool aveva già causato le prime, rumorose,
violente risse. Ma il peggio
erano i loro vicini di stanza, passati dai “giochi”
preliminari alla vera lotta tra le lenzuola. Alain si
stava proprio divertendo. Loro due un
po’ di meno, perché in quella stanza si sentiva
tutto, ma proprio tutto e per André stava diventando un
problema averla così vicina con quel sottofondo sonoro.
Lanciò uno sguardo veloce ad Oscar che, sdraiata accanto a
lui, si era girata su di un fianco e gli voltava le spalle; se ne stava
lì, tranquilla, come niente fosse, per nulla turbata dal
caos. -
Vedi di darti una calmata! – gridò lui
ad Alain. Ma era come
parlare al muro sottilissimo che divideva le loro stanze. Allora
acchiappò un suo stivale e lo lanciò addosso alla
parete, iroso. “Che stronzo!
Bell’amico!” , pensò
André lasciandosi ricadere sdraiato sul letto, “Mi viene da pensare che tu lo
stia facendo apposta!” Gli venne da
piangere … Lanciò ancora uno sguardo ad Oscar. “Ma tu sei di
ghiaccio? Nulla ti smuove? Ma come fai!” Prese i due
lati del cuscino e se li premette sulle orecchie, inutilmente.
***
“Hai solo
paura!”, le aveva gridato e come sempre aveva
ragione. Doveva solo
… arrendersi. Arrendersi
all’evidenza, alla verità.
Arrendersi a quell’uomo che riusciva a vederle attraverso
l’anima, ma che una sola cosa forse ancora non aveva capito:
quanto lei lo desiderasse. Forse lo
credeva, sicuramente lo sperava. Ma non ne era certo.
E anche lui aveva paura. Paura che
potesse cominciare tutto … per finire in niente. E non ce
l’avrebbe fatta. Non stavolta, se gli avesse detto ancora
“non voglio più vederti”. Lo amava? Sì. Lo voleva? Sì. Ma …che accade dopo
che l’eroe porta via lei su di un cavallo bianco, verso il
tramonto? Quali sarebbero stati i loro
ruoli in questa storia? La società
era quel che era. Le donne erano quel che erano. Sarebbe mai riuscita ad essere
donna come veniva richiesto alla fine del ‘700? Questo
pensava Oscar fissando le persiane che cominciavano a lasciar filtrare
la luce dell’alba.
Alain e la
sua amica si erano finalmente zittiti. Nella loro
stanza era precipitato il silenzio. Così
riusciva a sentire il suo respiro. Era sveglio,
come lei. Nessuno dei
due era riuscito a chiudere occhio se non nelle poche pause che
“il disgraziato” aveva concesso a loro ed alla sua
compagna. La polvere
sospesa nella stanza, scintillava ai primi raggi che si insinuavano. Fuori si
sentivano i gabbiani stridere ed il frangersi delle onde sul molo e
contro le fiancate delle navi. Profumo di
salsedine e brezza mattutina. Con un grande
sforzo riuscì ad immaginare di trovarsi nella villa in
Normandia, ignorando il puzzo delle cucine sottostanti la finestra. E poi
c’era quel calore che le saliva alle guance e più
cercava di reprimerlo… Arrabbiata!
Si sentiva arrabbiata, come quando da ragazzi le prendeva quel crampo
allo stomaco, gli si avventava contro e… “Maledizione!” Si
girò di scatto, saltando sul pagliericcio, e lo
fissò nella penombra. Lui sembrava
quasi spaventato mentre la guardava in silenzio, sorpreso da quella
mossa improvvisa. Stava
cominciando a respirare pesante mentre si fissavano. Proprio come lei Andrè
reggeva a fatica quegli occhi su di lui … -
Oscar…- mormorò inumidendo le labbra. -
Shsss! – lo zittì perentoria. E pareva
furente. Oscar lo
stava fissando e, in quegli occhi, per la prima volta lui aveva
riconosciuto lo stesso desiderio che da sempre cercava di nascondere
nei propri. Stava per accadere! Per la
prima volta André avrebbe avuto un buon motivo per
non alzarsi dal letto, perché lei non era in
un’altra stanza, distante col corpo e con la mente; ma
lì con lui e … lo stava guardando come una donna
guarda l’uomo che vuole. Ridicolmente,
pensò che non sarebbe dovuto accadere lì, in
quella topaia lercia, su quei pagliericci puzzolenti, su quelle
lenzuola lavate alla bene meglio … Avrebbe
voluto che accadesse nel suo letto di piume, fra lenzuola di seta, col
profumo dei petali di rosa tutt’intorno perché era
quello che lei meritava: il meglio della vita. … “Ma
…” Lei gli si
fece vicina. Afferrò la sua camicia e la tirò. La
sfilò dai pantaloni con decisione. -
Oscar …. -
Shss! “Voglio togliertela,
André. Voglio toglierti tutti i vestiti. Subito.” Ripeteva
Oscar nella sua testa, senza riuscire a dirlo a parole. Ma
sarebbero state solo … chiacchiere! E non voleva
più perder tempo! E nemmeno André. Lui
l’afferrò per la nuca e la baciò. “Finalmente!” Un bacio
violento. Reciprocamente violento. Anche il loro
primo vero bacio lo avrebbe voluto diverso, ma non ci riusciva! “Oh, signore
…Non sono così pazzo da dirti di no!” Anni persi a
fantasticare su romanticherie stampate, sdolcinate tenerezze, delicate
poesie … “Ed ora? “ Ora
bruciavano come aquiloni di carta velina colpiti da un fulmine estivo! Freneticamente
rozzi, impazienti … Sì, anche teneri nella
reciproca ignoranza dei loro corpi, finora solo immaginati. Non riusciva
a controllarsi e nemmeno lei! Assetati, affamati. .. Oscar
ricambiò la foga con lo stesso impeto che impiegava
nell’addestramento delle truppe, mentre la mano riusciva ad
infilarsi sotto la camicia ad accarezzargli il ventre. Nel farlo,
sfiorò il cavallo dei pantaloni. Un gemito tra le loro
labbra … -
Oh, no … Non tocc …. –
balbettò André. Il maschio
che era, era decisamente vivo, sveglio ed arrogante. L’afferrò,
la ribaltò come un fuscello, continuando a baciarla, e le fu
sopra. Ma stavolta
Oscar non ebbe paura… “ Se non fosse per
questi ingombranti vestiti, sarei già dentro di te. E non va
bene … non va bene. Calmati! … - si
disse André.…-
E’ solo la prima volta di tante. Non c’è
fretta. E’ solo l’inizio… “ Si
sollevò sulle braccia a guardarla fisso in quegli occhi blu,
scintillanti come ghiaccio, mentre i loro corpi in contatto ardevano. Oscar tirava
respiri profondi e non riusciva a stare ferma sotto di lui; muoveva
piano le gambe contro le sue, divaricandole in un abbraccio
inequivocabile; ansiosa, nervosa, alzò le mani sul suo viso,
premendo forte, ma trattenuta allo stesso tempo, scivolando a cingergli
il collo per attirarlo sulle sue labbra, mentre il ghiaccio degli occhi
si scioglieva in lacrime di dolorosa attesa alla resistenza che lui
opponeva. André
sorrise al pensiero di quella sofferenza: per tutta la vita, Oscar
aveva solo dovuto ordinare per ottenere. Ora, quegli
occhi blu, lo stavano supplicando. Cedette piano
alla pressione, arrivando a sfiorarle la bocca, mentre a lei sfuggiva
un sospiro di sollievo; sospiro che divenne gemito di protesta, quando
il bacio non arrivò. Le labbra di
André si spostarono all’altezza dei suoi occhi e,
inaspettatamente, Oscar dovette abbassare le palpebre per ricevere il
bacio che mai avrebbe sospettato così travolgente. Un lamentoso
e prolungato “no”
di sorpresa, si trasformò in un gemito di piacere, che
riempì André di quel tipico orgoglio di un uomo
che sa di aver conquistato la sua donna. -
E’ solo l’inizio… - le
bisbigliò all’orecchio – Calmati
… - e, mentre una mano cominciava a spogliarla piano, si
riappropriò delle sue labbra morbide ed addomesticate. -
… Solo l’inizio di noi… -
ripeté.
***
-
Uhwao! Che nottata! Avete dormito bene? – chiese,
sfrontato, Alain stiracchiandosi su una sedia e sbattendo i piedi su di
un tavolo del salone al pianterreno della locanda. Oscar sorrise
appena, decisa a mantenere un contegno; ma si sentiva troppo bene,
troppo leggera, quella mattina, ormai vicina al mezzodì, per
rispondergli a tono. André
invece, lo fulminò con lo sguardo. Di nuovo! “Finirà col
diventare cieco del tutto se gli tocca di continuo lanciargli
occhiatacce.”, pensò divertita. Ma Alain,
delle occhiatacce se ne fregava. Tutto quel
riprenderlo lo faceva solo godere come un bimbo monello. Allora Oscar
pensò di spiazzarlo. Senza
preavviso di alcun genere, si avvicinò al birbante
d’oro, si chinò fino alla sua guancia e gli
rifilò un bacio, più una carezza sul capo. Toccò
ad André ridere per l’espressione
dell’amico. -
Sono confuso … - mormorò Alain. -
Ecco! Bravo! Continua ad esserlo! –
esclamò André divertito mentre, con un gesto
esplicito di possesso, infilava un braccio tra di loro e li allontanava. Mentre i due
si dirigevano al bancone per ordinare qualcosa da mangiare, fingendo
che tra loro non fosse accaduto quello che André attendeva
da una vita e che Oscar non si sarebbe mai perdonata d’aver
rinviato così a lungo, l’amica chiassosa e
prosperosa di Alain, si riappropriò di lui, cingendogli le
spalle e porgendogli una brioche. -
Avevi davvero ragione tu. - gli disse all’orecchio. -
Già, piccola …Avevano solo bisogno di
una spintarella al momento giusto.
Due giorni ed
una lunga, impegnativa, quasi insonne notte dopo, venne la sera della
partenza. L’amica
di Alain, volle accompagnarlo all’imbarco dove attirarono
fischi e commenti amoreggiando spudoratamente sul molo. Ci volle un
po’ per caricare i cavalli, specialmente César del
quale si dovette occupare Oscar in prima persona poiché era
molto nervoso. Poi,
finalmente, levarono l’ancora. Era
già buio e l’aria era decisamente freddina, ma
almeno c’era una bella luna. Si
sistemarono in mezzo ad alcuni sacchi di cereali, sul ponte, sotto
l’albero di mezzana, un po’ riparati dal vento e
dagli occhi dei marinai indaffarati, che fortunatamente non avevano
indugiato lo sguardo su Oscar. Poi
l’andirivieni diminuì ed André
poté finalmente stringerla a sé. -
A che pensi? – chiese lei, accoccolata sulla sua
spalla, strofinando piano il naso sulla sua barba appena accennata. -
Alla nonna. – disse con triste sincerità. -
Quando ci saremo sistemati, le faremo sapere dove ci
troviamo. Potremmo chiederle di raggiungerci! -
E’ pericoloso … Se tuo padre … Gli
posò due dita sulle labbra. -
Shssss … Non pensare a lui, adesso. Troveremo un
modo, vedrai. -
Oscar, io … Lei
trovò un modo più convincente per zittirlo. E piaceva
anche a lui, quel nuovo modo che implicava un contatto non violento.
Anche troppo piacevole, vista la situazione potenzialmente imbarazzante. La
staccò da sé e riprese fiato, sorridendo. -
Meglio darsi una calmata … tesoro… Gli
tirò un pizzicotto per quel “tesoro”. André
sorrise e la strinse più forte. Restarono
lì, zitti, ad ascoltare il rumore delle onde, lo
scricchiolare del legno, lo sbattere delle vele, del sartiame
… Scrutando la faccia curiosa ed abbagliante della luna. -
Davvero non volevi più vivere? – le
chiese all’improvviso. Stavano
ricominciavano a parlare, parlare davvero.. -
Volere?… - mormorò lei - Di sicuro una
parte di me, condivideva quel pensiero:” il tradimento si paga con la
morte!” …Quante volte mi sono state
ripetute frasi di questo genere …– ammise, mentre
con due dita gli tormentava il bottone del gilet, - Ma ero
già morta, perché non era vita non poterti avere
accanto liberamente… André, solo quando siamo insieme
sento di vivere! – André
la guardò e, con due dita sotto il mento, la spinse a fare
altrettanto. Non aveva
avuto esitazioni a dirglielo, nessun tremito, nessuna incertezza.
Nessun “André,
io…” Poi
improvvisamente, lui si portò una mano alla bocca. -
Che c’è? Le fece cenno
di spostarsi e, velocemente, senza un solo fiato, corse alla fiancata a
vomitare. Oscar
sospirò rassegnata: forse il romanticismo non era nel loro
destino. Dall’altro
lato di un barile, udì Alain ridacchiare. -
Ma tu non ti senti mai di troppo, Alain? – gli
chiese. -
Assolutamente no, comandante … -
Ti do il permesso di non chiamarmi più
così, non è neppure il caso, Alain. -
Come vuoi, … “tesoro”.
– E si rimise a
dormire col cappello sugli occhi ed un sorriso gigante impresso sul
viso.
Nel pomeriggio seguente
riuscirono ad attraccare a Plymouth.
André fu il
primo a guadagnare la terraferma, giacché non ne poteva
proprio più, avendo rimesso per tutta la notte.
-
Eh, il mio lupo di mare!… - scherzò
Alain dandogli una manata sulla spalla che gli fece quasi perdere
l’equilibrio.
I cavalli scesero senza
capricci lungo la passerella, felici per la riottenuta
libertà.
Oscar chiese qualche
indicazione sulla strada da prendere per la banca Foster, quella cui
aveva indirizzato i suoi fondi, mentre Alain si sforzava si sillabare
il nome, ovviamente inglese, di una trattoria di fronte a loro; ed
André rimetteva ancora un po’ al solo pensiero di
inghiottire un boccone.
Man mano che si
allontanavano dal porto e dal puzzo di pesce e salsedine, il colorito
di André andò migliorando.
Arrivati che furono alla
banca, stava già decisamente meglio ed Oscar si
lasciò accompagnare dentro, abbastanza certa che non
avrebbero fatto figuracce. Naturalmente, a tale scopo, Alain venne
lasciato fuori a tener d’occhio le loro cavalcature.
Riuscirono a percorrere
solo pochi passi nell’atrio quando, una voce tonante,
esclamò in perfetto francese (1):
-
Non riesco a credere ai miei occhi! E’ forse il
colonnello Oscar François De Jarjaies quello che mi fa
l’onore di una visita?
Oscar si volse sorridente
verso il corpulento tizio, sotto la quarantina, che per la stazza
ricordava più un lottatore professionista che un topo di
banca.
-
Ebbene sì, mio caro amico! Visto che le vostre
visite a Parigi si fanno attendere, mi sono decisa a farvi visita nella
vostra cara Inghilterra!
-
Caro Jarjaies … Come potete rinfacciarmi la
mancanza dalla Francia?… Siamo stati in guerra, o voi
soldatini di Versailles non ne sapete niente ?… Amico? Soldatini?!
André pensò che Oscar lo avrebbe strangolato!
Invece si strinsero con
forza la mano e l’omone, rafforzò la stretta
posandole l’altra mano su un avambraccio.
-
Noto uno sguardo perplesso nel vostro amico … -
disse quello sentendosi osservato.
-
André, ti presento Lord Thomas Foster, affermato banchiere,
buongustaio, grande intenditore di vini francesi e … pessimo
spadaccino! – disse ridendo la donna.
L’uomo la
guardò torvo.
-
Più che grande intenditore di vini, mi definirei
… gran bevitore, e per quanto riguarda
l’abilità col fioretto, temo dovrò
convivere a vita con la lezione che mi impartiste quel giorno a
Versailles, mia cara!
Notò che
André era sempre più perso dal tono estremamente
confidenziale.
-
Vi racconterò a cena di come questo soldatino ebbe
ragione di me, se vorrete farmi l’onore di essere miei
ospiti. – disse il banchiere.
-
Accettiamo con piacere. –
assicurò Oscar - Ma prima dobbiamo cercare un albergo e
… no, non daremo fastidio alla vostra famiglia, non tentate
neppure di propormelo! – lo fermò prima che li
invitasse a restare nella sua casa. – Volevo informarvi che a
giorni vi verranno trasferite delle somme da Parigi, quindi
avrò bisogno di un conto presso di voi.
L’uomo si
rabbuiò.
-
Va davvero così male in Francia? –
chiese.
-
Avremo tempo per parlare, di questo e di tante cose. Ho
intenzione di fermarmi per un po’.
-
Oh! … Allora, non riceverò
più la vostra bottiglia di brandy di Arras per Natale?
Oscar rise, scotendo il
capo.
Alain non si
risentì quando Oscar chiarì, senza mezzi termini,
di non avere intenzione di portarlo a cena dai Foster.
Anzi, riuscì a
ribattere che avrebbe approfittato della serata di libertà
per imparare le basi della “lingua inglese”.
Oscar, che cominciava a
capire i doppi sensi delle sue frasi, si raccomandò
… , anzi, gli intimò di non mettersi nei guai!
La guerra in America era
finita da tempo, ma le ferite erano ancora aperte. Francesi ed Inglesi
non potevano essere definiti popoli in armonia tra loro. Per tanti,
loro erano ancora “il nemico”. Avevano contribuito
a far perdere le colonie, a far perdere una guerra. Per mano francese,
mogli erano diventate vedove, genitori avevano pianto i figli. Il
risentimento poteva essere capito.
-
Me ne starò buono buono in camera mia …
A fare i compiti!
-
Lascia stare … - mormorò Oscar ad
André, vedendolo pronto alla lite – Ogni volta che
lo riprendi, lo fai contento!
***
-
… All’improvviso, vedo questo ufficiale
biondo, tutto perfettino, troppo perfettino perfino per un
francese…, metter mano all’elsa e dire
“Se siete convinto di questo, non vedo alternativa!
Battetevi!” ed io penso: ma che ho detto di così
drammatico! Questi francesi sono pazzi! Prendersela così per
una storia morta e sepolta come la guerra dei 7 anni!
-
Mi avevate definita “zuccherino
francese”! – esclamò Oscar,
apparentemente pronta a battersi di nuovo.
- Io
mi riferivo allo zucchero delle vostre Antille che stracciava il nostro
commercio di cannella! (2) Come potevo immaginare che foste una donna e
l’avevate presa sul personale!
André rideva a
crepapelle immaginandosi la scena. Quindici anni prima era accaduto ed
Oscar non gliene aveva mai fatto parola.
-
In definitiva, dovetti battermi con lei ed ovviamente ebbe la
meglio in un batter di ciglia … Quando ci calmammo,
riuscimmo a chiarirci e la cosa finì sullo scherzo davanti
ad una bottiglia di brandy ….
-
… di Arras! – terminò
André che cominciava ad annodare i fili di quella strana
amicizia.
-
Già! E da allora me ne invia una ogni Natale!
Oscar alzò il
calice.
-
Allo zucchero … - propose il brindisi.
-
… ed alla cannella! – terminò
lo strano banchiere.
André bevve e
la guardò sorridendo. Cominciò a pensare che,
nonostante tutto, forse davvero non sapeva tante cose di lei. Ma ormai
era certo che lei gli avrebbe consentito di colmare quelle lacune.
-
Così, volete mettervi in affari in Inghilterra
…. – disse Foster passando ad un discorso meno
frivolo.
-
Contenete la vostra fantasia, amico mio. I denari che stanno per
arrivarvi tra le mani, non sono certo un patrimonio! Ma pensavo che
potessimo impegnarci nell’allevamento di cavalli, visto che
entrambi abbiamo una certa esperienza. – confidò
Oscar. Quel progetto di André ormai era diventato anche suo.
-
Certo che il settore richiede tempo, prima di diventare
redditizio…
-
Non abbiamo grandi aspettative. – disse
André – Vogliamo soltanto vivere
tranquilli…
Oscar lo
guardò teneramente, condividendo pienamente quanto detto da
lui. E lo sguardo non sfuggì al loro ospite.
-
A dir la verità stavo pensando ad un mio cliente e
buon amico… Ha delle terre, qui nell’alta
Cornovaglia (3), che non riesce a gestire da solo… Ha anche
tre figli pestiferi che necessitano di un educatore di carattere.
Sareste entrambi adatti a dargli una mano … E’
un militare a riposo ed una gran brava persona … E
non detesta i francesi! – rise della precisazione, anche se
non era una cosa irrilevante. – So che è a
Plymouth con tutta la famiglia, ospite dei suoceri. Se volete, posso
parlargli…
André
guardò Oscar che non aveva ancora distolto gli occhi da lui,
incantata di ammirazione.
-
Tu che dici? – chiese Oscar.
-
Dico che per me, va bene… - mormorò
lui, perso nei suoi occhi, conscio di aver detto “va
bene” per l’ennesima volta.
-
Amen! – esclamò Foster, come un parroco
al termine di un matrimonio.
Mentre la carrozza messa
a loro disposizione da Foster li riaccompagnava all’albergo,
André non smetteva di guardarla e ridere.
-
Non mi hai mai detto niente di questo tizio ….
-
Ogni donna ha i suoi segreti …- civettò Oscar,
che cominciava ad entrare nel ruolo femminile quanto bastava per
provocarlo.
-
Devo esserne geloso? – chiese, ma sapeva
già la risposta; voleva solo giocare un po’ con
lei.
-
Santiddio …. No! E poi era anche sposato
all’epoca. La moglie è morta due anni fa, nel
tentativo di partorire il quinto figlio.
-
Mi dispiace…
-
Me la presentò a Versailles. Erano lì
in viaggio di nozze. Era molto simpatica, solare ….
Restarono un attimo in
silenzio, col solo rumore delle ruote e degli zoccoli sul selciato ad
accompagnarli.
-
Tu ci credi?
-
A cosa?
-
A noi. – disse André.
Oscar lo
fissò, uno di quegli sguardi da togliere il respiro ai quali
lui non si sarebbe mai abituato.
-
Io sono pronta a seguirti. Dovunque. Comunque.
André si
sentì sciogliere a quella dichiarazione di cieca
fedeltà ed avvertì la necessità di
sdrammatizzare il momento.
-
Oh … zuccherino! – ridacchiò.
-
André! … - ringhiò lei senza
più scherzare.
***
-
Non preoccupatevi per me! – esclamò
sarcastico Alain, più lagnoso di una moglie trascurata e di
un bambino capriccioso messi insieme, quando il pomeriggio seguente, li
vide uscire di nuovo senza di lui – Io me ne starò
tranquillo nella mia cameretta!
-
Non piagnucolare! – lo sgridò
André, finendo di mettersi la giacca ed aggiustarsi davanti
allo specchio polsini e cravatta.
-
Solo perché mi lasciate da solo in mezzo a un
sacco di stranieri!
André
sbuffò: come al solito, l’amico risvoltava le cose
secondo il suo punto di vista.
-
Torniamo presto… - promise uscendo.
-
Sì, papà… e dai un bacio a
mamma da parte mia! – lo canzonò l’altro.
Il capitano di marina
Scott Baker non aveva assolutamente l’aria di un
aristocratico.
Fu la prima cosa che
André pensò di lui.
Anzi, nessuno della sua
famiglia ricordava lontanamente l’aristocrazia cui era
abituato.
Tanto per cominciare,
nessuno usava profumo a litri, e la cosa era positiva;
d’altra parte, nessuno puzzava come la Senna
d’estate, che era ancor più positivo.
La moglie era una donna
allegra ed alla mano; caratterialmente, alla prima impressione, gli
ricordò sua nonna e ciò gli fece provar pena per
il marito.
I figli? Selvaggi! Non
potevano esser definiti in altro modo. Di cinque, sette e nove anni
anni. Femmina, la più grande.
Immaginò che
il generale, se avesse trascorso del tempo con loro, avrebbe potuto
baciare, come ad un santo, i piedi della figlia per reazione.
Tutta la famiglia portava
folti capelli rossi. Dal rosso-biondo del capofamiglia, al rosso quasi
castano della moglie. Pelle chiara, gote accese, lentiggini
… Tutti magri ed allampanati, tranne la madre, piccola e non
esile … Ed anche lì, gli ricordò Nanny.
Quando arrivarono,
sebbene attesi, trovarono il capitano mentre subiva
l’arrembaggio di tre pirati, sul tappeto del salotto.
-
Scott! Scott sono arrivati Lord Foster ed i suoi ospiti!
– gridò la moglie per farsi udire tra gli
schiamazzi. – Bambini! Lasciate stare vostro padre!
Ma quelli lo lasciarono
solo dopo averlo affondato, cosa che avvenne in pochi istanti.
Con agilità,
risorse dai fondali ed esibendo un sorriso perfetto oltre che cordiale,
porse loro il benvenuto.
-
Il vecchio Foster mi raccontava dei vostri obbiettivi
… - esordì quando si furono accomodati e la
moglie fu riuscita a rinchiudere le belve in cucina utilizzando una
torta come esca.
Il banchiere
inarcò un sopracciglio a quel “vecchio”,
ma venne distratto dalla padrona di casa che stava per servire dello
sherry.
-
Che fai, Virginia? Lascia perdere l’acqua e passa
all’artiglieria pesante! Non siamo mica mammolette, qui!
La rossa capì
al volo ed afferrò lo scotch.
-
A noi ha accennato al fatto che state cercando un istitutore
e qualcuno che vi aiuti con le proprietà… - disse
Oscar.
Il capitano
alzò il bicchiere in un muto brindisi, ora che tutti avevano
il proprio "veleno".
-
Sì, come avete potuto vedere, ho qualche
difficoltà a gestire la ciurma. Non fraintendetemi, sono
bambini buoni ed intelligenti, ma forse a causa delle mie lunghe
assenze per mare, non riesco ad esercitare su di loro la
severità che sarebbe necessaria. Quindi, non riesco ad
istruirli adeguatamente. Mia moglie, non può fare tutto da
sola.
-
Beh, io posso insegnare matematica, musica, geografia,
biologia, oltre a latino, greco, qualcosa d’italiano ed
ovviamente il francese. – disse in corretto inglese - Potrei
anche addestrarli all’uso di tutti i tipi di armi bianche e
da fuoco. La storia, però, la lascerei a voi,
perché rischierei di essere troppo filo-francese!
– rise conscia di godere di un bagaglio assolutamente non da
poco.
I coniugi lasciarono
trasparire dalle loro espressioni quanto fossero colpiti.
-
E voi, André?
-
Che dire… - cominciò in inglese solo un
po’ meno corretto - Che capisco di matematica, musica,
geografia, biologia, oltre a latino, greco, qualcosa
d’italiano ed ovviamente il francese? Che utilizzo armi
bianche di ogni tipo, oltre a quelle da fuoco ?… -
tutti, tranne Oscar, risero pensando che scherzasse –
Capitano, - disse seriamente – ho due mani ed una schiena
forte, ma come contadino ho molto da imparare.
Visibilmente colpito
dalla franchezza, il capitano guardò la moglie che sorrise
in un tacito assenso.
-
Non possiamo pagare molto, … ma … Ecco,
ho un cottage, in parte da ristrutturare, non lontano da casa nostra.
Potremmo ospitarvi da noi finché non riuscirete a sistemarlo
e poi, concedervelo in uso gratuito per avviare la vostra
attività, con una certa quantità di terra. Non
è un granché per le coltivazioni, ma sarebbe un
buon pascolo, se intendete occuparvi di cavalli. E magari un giorno,
potreste riscattarlo ad un prezzo di favore.
A tutti sembrò
un affare fatto.
Dopo circa
un’ora, André ed il capitano si occuparono di
reggere Foster fino alla carrozza. L’artiglieria
pesante aveva colpito …
-
Date ascolto ad un banchiere … - biascicava
– I soldi! I soldi fanno girare il mondo!
-
E tu ne giri un bel po’…, neh?
– lo canzonò il capitano.
Virginia ed Oscar
guardavano il tutto abbastanza perplesse, stando ferme
sull’uscio.
-
Dite un po’, Thomas …- esordì
Virginia incrociando le braccia –
Quand’è che vi risposerete?
-
Quando rischierò la galera se non lo faccio!
– rispose quello prontamente.
-
Era una santa donna … - aggiunse la moglie del
capitano, scotendo il capo.
-
Sì … - ammise lui tristemente,
arrampicandosi sulla predella – Sì, lo era
… Ed ora è in cielo…
Oscar restò
zitta per tutto il tragitto, seduta accanto ad André.
Guardava Foster addormentato di fronte a loro e pensava a quanto fosse
ancora distrutto dalla perdita della moglie.
Pensò a
sé, alla sua tosse, che non voleva andar via. Sembrava
essersi un po’ calmata, forse perché
André la teneva così stretta, la notte,
così calda e rilassata, così sicura fra le sue
braccia.
Lo guardò,
triste.
-
Cosa c’è? – chiese lui
preoccupato da quello strano sguardo.
Oscar non rispose, ma
posò il capo sulla sua spalla e gli prese una mano tra le
sue. André si accontentò di quella strana replica.
Lei alzò
ancora lo sguardo sull’amico di fronte a lei.
Domani, gli avrebbe
chiesto di poter essere visitata dal suo medico di fiducia.
Se era tisi, doveva
saperlo.
Se era tisi, doveva
guarire.
Perché,
cascasse il mondo, non poteva permettere che André patisse
quel che stava patendo Thomas.
-
Sì sì, all’ultimo ci siamo
ricordati di avvertire che tu saresti venuto con noi! –
diceva André poco più tardi, durante la cena,
all’amico.
-
Cominciavo a pensare d’esser venuto qui per niente
…
-
Ricordatelo quando la schiena inizierà a farti
male per il troppo lavoro! – rise André.
-
E … a quando la partenza? – chiese
Alain, ignorandolo.
- Dobbiamo
aspettare che arrivi il mio denaro, poi formalizzeremo con un contratto
di scambio prestazioni, contro alloggio ed un modesto salario.
Questione di pochi giorni.
Andarono a dormire molto
tardi, perché Alain aveva voglia di chiacchierare.
Ma nonostante
l’ora tarda, la giornata lunga e stancante, Oscar lo
cercò nel letto, per prima, con un’urgenza, una
tensione che lo fecero preoccupare.
-
Sono qui, sono qui… - le bisbigliò
all’orecchio entrando in lei, sentendola gemere e rilassarsi
mentre lo accoglieva.
Ma Oscar non aveva paura
che André potesse lasciarla. Era il contrario e non sapeva
come dirglielo; non sapeva neppure se fosse il caso di dirglielo.
Oscar andò dal
medico, senza farlo sapere ad André, con la scusa di dover
firmar carte alla banca.
Il medico
confermò quanto lei temeva, ma non la diede per spacciata.
Vita sana, regolare, niente stress, fu quanto le consigliò.
L’umidità dell’Inghilterra non era certo
un toccasana, ma almeno la costa della Cornovaglia godeva di un clima
abbastanza mite.
Oscar ne uscì
piuttosto rinfrancata e quando André, che aveva passato quel
paio d’ore a bighellonare per la città con Alain,
la rivide, non notò più quel velo di tristezza
sul suo volto.
Venne il giorno in cui
dovettero riunirsi da un notaio. I fondi di Oscar erano giunti a
Foster.
Scott aveva aiutato
André con l’ordine del materiale per la
ristrutturazione del cottage, fornendogli disegni, indicazioni sullo
stato dell’edificio, promettendogli pure assistenza sul
campo. Il carico sarebbe partito subito dopo di loro.
-
Capitano, permettetemi di pagare le spese di
ristrutturazione. – insisté Oscar.
- Accetto
solo perché sono finanziariamente in brutte acque, al
momento. Ma pretendo che tutto quanto venga scrupolosamente dettagliato
nel nostro contratto e considerato quale acconto nel caso di un vostro
acquisto della proprietà. Inoltre esigo … - e
sorrise – Sì, esigo che mi chiamiate Scott, o mi
vedrò costretto a chiamarvi Colonnello!
Oscar ricambiò
il sorriso e suggellarono quella bozza d’accordo con una
forte stretta di mano.
André avrebbe
assistito Scott nella gestione dei suoi affari, della fattoria, delle
altre proprietà; Oscar si sarebbe occupata
dell’educazione dei tre bambini. In cambio Scott, oltre ad
una modesta retribuzione, concedeva loro l’uso del cottage,
delle pertinenze e di un certo quantitativo di terra da destinarsi a
pascolo per l’attività che intendevano avviare.
Nel pomeriggio,
l’anziano notaio, un ometto piccolo, insignificante e dalla
testa lucida come una palla da biliardo, registrò tutto
quanto in triplice copia.
-
Prego, signori! – li invitò –
Vogliate apporre le vostre firme sui documenti. Sì, esatto,
proprio lì accanto alla data: 14 luglio 1789. (4)
Mentre siglavano
l’accordo, non sapevano ancora che la Francia stava voltando
pagina.
Proprio come loro.
-
Continua
1)
La lingua che parlano: poiché aristocratici, ho
supposto che le basi del francese e dell’ inglese facessero
parte della loro educazione, su entrambe le sponde della Manica.
André compreso perché ha sempre studiato con
Oscar. Per Alain, più che a lontani ricordi della sua
decaduta nobiltà, mi aggrappo alla sua faccia tosta e alle
sue ambizioni di “cuccatore” che sicuramente lo
hanno spronato ad attaccar bottone con le dame in chissà
quante lingue. Comunque, si arrangeranno in franco-inglese,
ma non mi sembrava il caso di ripetere ad ogni riga: in francese/in
inglese.
2)
fu una guerra commerciale, zucchero contro cannella
3)
Plymouth si trova nella contea del Devon, ma è
confinante con la Cornovaglia. Per chi volesse farsi un giro
utilizzando l’omino giallo, porterò i nostri
giovani proprio qui,:
http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=cornovaglia&sll=50.322669,-5.019579&sspn=1.522194,3.521118&g=cornovaglia&ie=UTF8&hq=&hnear=Cornovaglia,+Regno+Unito&ll=50.347978,-4.257367&spn=0,0.043774&t=h&z=15&layer=c&cbll=50.347978,-4.257367&panoid=XMcrqEOxP0fclvZN3tw9Iw&cbp=12,249.5,,0,5
4)
Ebbene sì: non si trovano sotto la Bastiglia. Era
un punto fondamentale nella storia originale, ma ormai il racconto
è oltremanica e non esistevano ancora voli low
cost per farli tornare in tempo.
PS – Ero molto
ritrosa a pubblicare questa storia che sto ancora ritoccando qua e
là, la mia prima storia “lunga”. Quindi,
tengo a precisare che, se vi piace, dovete ringraziare Baby80 che
avendola letta in anteprima, in una sola notte, mi ha strillata a
sufficienza per farmi trovare il coraggio necessario per postare. Anche
se “uhau” e “bellissima” non
sono critiche costruttive, eh eh : ) e quindi di pecche ce ne saranno
eccome!
Erano arrivati nel tardo
pomeriggio
alla loro destinazione, una proprietà nell'alta Cornovaglia,
non
distante dalla cittadina di St. John.
La casa, Baker Manor, era così diversa da palazzo
Jarjayes.
Signorile, ma non
sfarzosa. Prevalevano
i toni scuri del mogano invece del candore dei marmi, degli stucchi,
dei toni pastello di tessuti e tappezzerie. Ciò forse per
via
delle tradizioni marinare della famiglia. Pezzi di quella
storia
spuntavano ovunque: sestanti, carte nautiche e perfino una polena nello
studio! Ed i ritratti degli antenati in uniforme della marina non
lasciavano dubbi.
Le stanze non erano così alte come quelle cui erano
abituati,
specie al piano superiore. I soffitti non avevano volte affrescate, ma
cassettoni intagliati che rendevano gli ambienti più cupi,
ma al
tempo stesso più intimi, specie in quelle giornate in cui il
brutto tempo si faceva sentire.
Fuori, la pietra grigia
della
Cornovaglia la faceva da padrona, su tutti i muri della casa,
interrotta da edera rampicante, verdissima in quella piena estate, ma
che tra due mesi avrebbe ceduto ai colori dell’autunno. Il
giardino, nel pieno della fioritura, era semplice e curato secondo lo
stile che aveva già catturato Maria Antonietta, detto
appunto
all’inglese, e che Sua Mestà aveva adottato per la
sua
vita informale al Piccolo Trianon.
Fecero conoscenza con la
bizzarra famiglia al servizio del capitano; da “una vita”
al loro servizio, precisò Scott come in sua difesa, come se
si
trattasse di una scomoda eredità, impossibile da rifiutare:
i
Woodpecker.
Basil, il capofamiglia,
esile ed alto
come una canna al vento, che come una canna, veniva spinto qua e
là da Bess, la moglie più che grassoccia,
energica quanto
lui era passivo, immagine della più assoluta mancanza di
finezza
e tirannia famigliare, che era perennemente accigliata e scontrosa.
Bess aveva una specie di
tic per il quale
pareva fosse sempre intenta a ruminare qualcosa. O forse aveva davvero
sempre qualcosa in bocca. Chiudeva il trittico il figliolo adolescente,
Jack, essenza dei lati peggiori di entrambi i suoi genitori, dotato di
un’energia pari a quella di un bradipo.
Alain non poté
trattenere, tra
il resto, il commento sul naso lungo ed appuntito comune a tutti i
membri della
famiglia, alludendo al cognome azzeccato. (1)
E nessuno dei suoi amici
si azzardò a contraddire.
Tutti e tre capirono
subito che vivere lì, con quella famiglia, non sarebbe stata
una vacanza.
Le mattine in quella
casa, sembravano
l’adunata in un campo militare! La quiete di Palazzo Jarjaies
ormai era solo un sogno.
Le tre piccole belve si
scatenavano appena scese dai letti,
Bess cominciava
immediatamente a
strillarli e Virginia teneva entrambe le mani premute sulle tempie
martellanti già a colazione.
La prima mattina, quasi
ebbero un
colpo quando il silenzio venne improvvisamente interrotto.
André
saltò seduto sul letto, trascinando con sé Oscar,
addormentata sul suo petto.
Il pavimento della casa
tremava come in preda ad un terremoto per i ragazzi che correvano su e
giù strillando.
A nulla servivano
richiami e scapaccioni.
Al confronto delle
maniere di Bess, le mestolate di Nanny parevano una passeggiata, ma non
sortivano lo stesso effetto.
Nanny era sempre stata
naturalmente
dotata coi bambini scapestrati. Il comando era il suo mestiere e lo
praticava con precisione e determinazione, ottenendo ottimi risultati.
Era poi una persona piena di qualità, sinceramente
affettuosa e,
forse, i piccoli queste cose le avvertivano.
Bess era quanto di
più distante
da Nanny. Non che Bess fosse cattiva, questo no; era solo,
semplicemente, assolutamente negata; irritabile ed irritante.
Fatta colazione, Scott
con Virginia li
portò tutti a vedere il cottage, organizzando pure un pranzo
al
sacco per poter mostrare loro la zona con la calma necessaria.
Alain aiutò la
rossa a smontare dal cavallo che aveva condotto piuttosto abilmente
montando alla amazzone.
-
Che gentile, signor … Non ricordo il vostro nome!
-
Alain De Soisson, è il mio nome.
-
Nome aristocratico?
-
Tempo fa,
sì, quando potevo definirmi di sangue blu. Poi, svaniti i
denari, mutò anche il colore nelle mie vene, milady. Oramai
sono
solo un poveraccio come tanti.
-
Svanite pure le tue buone maniere coi denari, dillo pure
– lo rimbeccò André.
- Oh,
su,
André! Il vostro amico è stato così
gentile !
– cinguettò Virginia aggrappandosi al braccio che
il
gigante le offriva.
-
Sì…Gentile… -
ironizzò il moro, ben
conscio della filosofia di Alain nei confronti del gentil sesso. “Ogni lasciata,
è persa!”, era solito ripetergli, e “L’importante
è seminare bene, elargire complimenti a tutte, senza
distinzioni, perché non sai mai quale donna te la
darà!”
-
Ecco, come vedete,
il grosso del lavoro riguarderà proprio la stalla, della
quale
sono rimaste solo le mura. Per la casa, sarà più
che
altro questione di olio di gomito. – annunciò
ottimisticamente Scott, indicando con il braccio teso i due edifici.
Oscar osservò
perplessa il
tutto. André invece pareva avere già una visione
più vicina a quella di Scott. D’altronde il sogno
era suo,
lei ci si era solo aggregata.
-
Venite, venite, ve lo mostro dentro, Oscar! – disse
Virginia tirandola per un braccio.
Il cottage probabilmente
non occupava più spazio della sua camera da letto a palazzo
Jarjayes.
Una volta,
nell’intimità,
Andrè lo avrebbe definito ridacchiando il loro nido
d’amore, per via delle dimensioni adatte a due uccellini.
… Pareti in calce bianca, piani di lavoro in ardesia grigia
come
il tetto, tagliata a spacco, pavimento di quercia.
Niente di sofisticato o
elegante. Le
imposte erano di fattura severa e robuste, lontanissime dalle
splendide, ampie, luminose vetrate francesi.
Ma sarebbe stata la loro
casa.
André si era
già
programmato mentalmente i lavori da eseguire e riusciva chiaramente a
visualizzare il risultato che avrebbe ottenuto. Oscar guardava tutto in
silenzio, perplessa, lei abituata a vivere e a pensare in grande.
-
Un po’
piccola … - mormorò prendendo a passi le misure
della
camera da letto, quando Virginia ebbe trascinato fuori il marito per
farsi aiutare coi cesti da pic-nic.
-
Basta prendere un
letto piccolo ... – le bisbigliò
all’orecchio,
cingendole la vita da dietro.
Oscar sorrise.
-
Però non
lamentarti se ti troverai a dormire sul tappeto. – lo
avvisò, sciogliendosi dall’abbraccio, fingendosi
la solita
dura – Non ho intenzione di rattrappirmi in un angolo per
farti
stare comodo, Grandier!
-
Proprio qua!
… - esclamò lui indicando, a braccia allargate,
lo spazio
davanti al camino – Due belle, comode, grandi poltrone, dove
addormentarci davanti al fuoco, quando saremo vecchi!
Oscar si sentì
intenerire a
quell’immagine, perché per lei André
non sarebbe
mai invecchiato. Anche ora, mentre quell’uomo bellissimo, che
ora
lei sapeva anche così forte, virile e sensuale, parlava a
ruota
libera e raccontava la sua visione nei dettagli, il suo sguardo sul
loro futuro, lei continuava a vedere il bambino dai grandi occhi verdi
che aveva portato il sorriso nella sua vita.
***
Il gallo aveva
già cantato.
Oscar ed Andrè, entrambi stesi a pancia all’aria
sul loro
letto, aspettavano rassegnati che il quotidiano caos iniziasse in quel
secondo giorno alla villa; il loro primo giorno di lavoro..
-
Quando
arriverà il materiale? – chiese atona lei fissando
le
greche dei cassettoni sul soffitto.
- Due
giorni al massimo,
poi comincerò subito a lavorare al cottage. –
promise lui,
condividendone il pensiero, con lo sguardo fisso sulle medesime,
ipnotiche greche.
Si girò su di
un fianco,
improvvisamente, al destarsi del suo corpo; si alzò su di un
gomito e cominciò a fissarla nella penombra.
Oscar sentì su
di lei quello
sguardo che aveva già imparato a riconoscere.
André la
guardava sorridendo birbante mentre la sua mano si insinuava sotto la
sua camicia da notte in una inequivocabile richiesta.
- Faremo tardi
a colazione
– gli disse mentre le carezze si facevano intime,
lì dove
già diventava densa come il miele.
- Saltiamola.
– concluse
sbrigativo, cominciando a baciarle il collo. – E’
di te che
ho fame! – aggiunse con voce arrochita
dall’eccitazione,
scostandole il decolté per aggredire delicatamente il seno
con
baci affamati ed umidi.
Si alzò
seduto, perdendo un
istante per sfilarsi la propria camicia dal capo e gettarla senza
riguardi, lontano; lasciando che lo sguardo di lei corresse compiaciuto
sulla sua muscolatura perfetta; poi tornò su di lei e
riprese a
divorarla, carezzarla, leccarla.
Oscar lo
lasciò fare un
po’, godendosi le sensazioni crescenti; quindi lo
scostò
delicatamente, per alzarsi seduta e sfilarsi a sua volta la sottile
camicia che lasciò cadere a terra, con sensuale lentezza,
sorridendogli maliziosa e sfrontata.
Tornò a
sdraiarsi e lo attirò su di sé, incapace di
contrastare i suoi convincenti argomenti.
Argomenti che lui
trattava con passione, decisione, perizia.
Tutta la dedizione e
l’impegno che caratterizzavano da sempre ogni cosa cui si
dedicava, li riversava su di lei, ora.
Le mani, forti e delicate
allo stesso
tempo, percorrevano la sua pelle, non tralasciando un solo angolo;
carezzavano con logica, ordine e qualche sorpresa di tanto in tanto,
giusto per spiazzarla, facendola magari ridere nervosa per qualcosa di
troppo audace o semplicemente … perfetto.
André
scivolò tra le
cosce che si divaricavano piano al suo avanzare, seguendo il percorso
istintivo che lo guidava a “casa”, la millenaria
danza
animale riguardo la quale poeti di ogni epoca elargivano versi, cantori
intonavamo melodie ed amanti sprecavano parole.
Ma loro non
avevano bisogno di tutto ciò.
Ad André
bastavano i sospiri da
lei emessi, le sue dita tra i capelli, le sue unghie che, al principio
delicate, gli incidevano la pelle, la sua voglia senza vergogna, la sua
fantasia erotica oltre quanto previsto dalla sua educazione, oltre
quanto sognato da André in una vita di pensieri
inconfessabili .
Ad Oscar era sufficiente
sentire le
sue mani calde strette sui fianchi, più eccitanti di quanto
avesse mai immaginato nei sogni fatti su di lui, che scendevano piano
lungo le gambe, dall’esterno, e risalivano
all’interno;
bastavano quelle sue carezze dove mai aveva sospettato di volersi
sentire carezzare; i suoi baci roventi su quella infinità di
punti sensibili che mai avrebbe creduto così ricettivi da
farla
sussultare, singhiozzare, gemere e … impazzire.
Oh,
sì, André la faceva impazzire!
Si domandò per
quanto sarebbe
stato capace di mantenere quella frequenza che, dalla prima mattina al
porto, era rimasta piacevolmente sostenuta. Un ritmo al quale non aveva
fatto fatica ad abituarsi; un vizio al quale non sarebbe più
stata in grado di rinunciare.
Il
suo insaziabile André!
Il
suo fantastico André!
Il
suo André…
André
…
Bess bussò
malamente alla loro porta, strillando “colazione”.
-
Veniamo subito!
– gridò Oscar, picchiando rabbiosa un pugno sul
materasso,
strappandogli una risatina per quella battuta involontaria, mentre lui
spingeva piano, esasperandola volutamente. “Francesi!”
borbottò l’invidiosa serva con un tono
sufficientemente alto per poter essere udito da loro. “Inglesi!”
borbottò di rimando Oscar, poco prima che André
la
distraesse catturando nuovamente la sua bocca, riportando la mente dove
già stava il corpo: lì con lui.
Si interruppe
un istante per guardarla, poggiare la fronte alla sua, baciarle la
punta del naso.
-
“Veniamo subito”… Da dove ti
è saltata fuori questa?
-
E’ ora di colazione! Abbiamo poco tempo.
-
Mi stai forse
dicendo di sbrigarmi? – scrutò meglio nel suo
sguardo
– Non posso crederci… Tu non stai scherzando! Tu
…
Oh, signore!
Rotolò via da
lei, al suo fianco, fissando il soffitto ad occhi sgranati e mani nei
capelli.
-
Cosa c’è!? Cos’ ho detto!?
-
Non posso crederci. Stai facendo l’uomo anche a
letto! –esclamò.
-
Ma cosa dici!?
-
Sì, stai cercando di comandarmi anche ora.
-
Tu vaneggi!
-
No, no! Lo riconosco il tuo sguardo di comando. Anche al
porto, hai preso tu l’iniziativa!
-
Non mi pare di averti dato ordini e neppure di essermi
lamentata. – replicò alzandosi seduta.
-
Non ne hai bisogno, tu …
-
Io cosa?… - mormorò avvicinandosi al
suo volto, solleticandolo coi lunghi capelli.
-
Tu…
- Io?
… -
incalzò, trascinando i capelli sul suo petto che si
sollevava
con respiri sempre più profondi; cominciò a
baciarlo sul
ventre, carezzandogli piano i fianchi.
-
Oscar…
-
Sì, André… -
-
Oscar …Oh,
al diavolo! Comandami quanto ti pare! – esclamò
trascinandola su di sé.
***
I ragazzi picchiavano le
posate nel piatto ed i due più grandi si insultavano
beatamente, davanti ai genitori impotenti.
Oscar ed André
si accomodarono
a tavola, l’uno di fronte all’altra, rilassati ed
apparentemente incuranti del chiasso, mentre Virginia si scusava per il
caos e Scott rimetteva a forza a sedere le pesti.
Oscar sorrise alla
padrona di casa,
scambiando invece uno sguardo infuocato con Bess, che stava
sgraziatamente servendola di uova e pancetta.
La serva girò
attorno al
tavolo, per servire André ed Alain, con uno sguardo e dei
modi
decisamente più addolciti, specie nei confronti di Alain.
-
Hai visto? – bisbigliò Alain.
-
Visto cosa? – chiese André distratto,
prendendo del pane.
Alain fece cenno con la
testa verso Bess che continuava a guardarlo sorridendo.
-
La tizia fa la gattamorta con me, mi ha dato più
pancetta…
-
La tizia ha un nome.
-
Preferisco non ricordarmelo. Sarebbe già una
confidenza eccessiva. E’ pure sposata.
André rise
ironico.
-
E da quando è un problema per te?
L’omone si
strinse nelle spalle.
-
Sono cambiato. Proprio ora.
-
Mangia e per una volta, stai zitto!
-
Il carro col
vostro materiale è già arrivato! -
annunciò Scott
a sorpresa, ora che era finalmente riuscito a tranquillizzare la prole
- André, se vi va di avere un aiuto, domani potrei
riservarmi la
giornata intera! –.
-
Sarebbe fantastico, signore!
-
Ho già
detto di chiamarmi Scott, André. Lavoreremo gomito a gomito,
niente formalità tra noi.
André annui
sorridendo.
In una luminosa sala del
pianterreno, Oscar si preparava ad impartire la sua prima lezione.
In piedi, davanti alla
sua scrivania,
squadrò i tre monelli con lentezza, attingendo al suo
sguardo
più glaciale per creare la giusta atmosfera.
-
Per evitare
fraintendimenti in futuro, vi avviso che tratterò il vostro
fondoschiena come Bess tratta i materassi –
minacciò Oscar
ed i bambini la guardarono indecisi sul fatto che li stesse prendendo
in giro o meno.
-
No, credo che lady Oscar (2) stia dicendo sul
serio… – mormorò il mezzano.
La sorella
concordò. Il
piccolo, infilò il pollice in bocca, succhiandolo
forsennatamente per la tensione causata dal dover esprimere un parere.
-
Non scherzo mai,
giovanotto! – assicurò lei, levando dalla bocca
del
più piccolo il succhiotto improvvisato. – Posso
con
certezza affermare che abbiamo un serio problema di disciplina qui, e
sarà la prima cosa su cui lavoreremo.
André si
affacciò alla
porta. Nelle mani teneva una mela ed un coltellino. Si
appoggiò
allo stipite e cominciò a tagliarne fettine, mangiando in
silenzio, godendosi curioso l’immagine di lei al lavoro con
le
sue nuove piccole reclute.
-
Avete spade di
legno? – chiese lei dopo averlo sbirciato, forzandosi per non
ricambiare il suo sorriso e mantenere il cipiglio. –
Sì?
Bene! Allora cominceremo con la scherma. Tutti in cortile! –
ordinò.
-
Anch’ io ? – chiese la bimba sorpresa.
Oscar la
guardò malamente.
-
Mi sa di sì … –
commentò il fratello.
Il piccolo
tornò a succhiarsi
il pollice, percependo nuovamente il terrore per quello
sguardo
tagliente del nuovo istitutore.
André si
avvicinò a lui
e sostituì il succhiotto improprio con una fetta di mela,
dandogli un buffetto sulla guancia.
Oscar lo
guardò impicciarsi, indispettita ed intenerita ad un tempo.
Sorrise monella, pensando
che se voleva intromettersi nella sua lezione, lo avrebbe accontentato.
-
Il signor Grandier
ed io, vi forniremo esempi pratici! – esclamò,
–
Sempre se hai un po’ di tempo… - aggiunse.
André
ricambiò lo sguardo birichino e, masticando la mela, la
omaggiò con un leggero inchino.
-
E’ ridicolo!
– sbottò la ragazzina mentre Oscar le sollevava le
gonne
con un nodo, per permetterle di muoversi più liberamente.
-
Mademoiselle!
… Cosa è ridicolo lo decido io e se te ne esci
ancora con
un commento a sproposito, ti metto anche in punizione. –
minacciò con efficacia riscontrabile sulle loro espressioni.
-
Allora, ragazzi … Ora vi daremo esempi delle mosse
base. Fate attenzione.
Si pose in guardia verso
André invitandolo a fare altrettanto.
Lui gettò il
torsolo della mela lontano e la accontentò.
Dopo i primi movimenti
lenti per
consentire ai bimbi di seguire, cominciarono a lasciarsi prendere la
mano, soprattutto André e finirono col duellare come da loro
abitudine. Lontana abitudine, perché dopo la loro lite di
quella
famosa notte, non c’erano più stati momenti
così.
-
Hai solo voglia di
giocare… - lo rimproverò bisbigliando quando i
loro visi
si trovarono vicini, incorniciati dalle lame incrociate.
-
Ci stiamo allenando, Oscar …
-
Ci stiamo impigrendo …- contestò lei.
-
Ma se facciamo pratica nel corpo a corpo ogni
notte… - sussurrò malizioso, urtandola.
-
Spiritoso …
Poco lontano, Virginia e
Bess stendevano i panni al sole.
La moglie del capitano
seguiva con finta indifferenza la lezione all’aperto della
donna che vestiva da uomo.
-
Io la trovo assurda. – borbottò Bess
all’indirizzo di Oscar.
-
Io lo trovo
fantastica e, per fortuna, non sei tu a decidere. Stendi meglio quella
camicia! – la rimproverò seccamente la padrona,
facendo
valere la propria autorità.
La serva si strinse nelle
spalle, riprendendo a ruminare qualunque cosa avesse o no tra i denti.
Verso le undici, Virginia
uscì
dalla cucina con un vassoio, portando uno spuntino. Si
avvicinò
ad Oscar ed ai ragazzi, abbastanza stravolti dalla loro prima mattinata
di educazione “alla Jarjaies”.
André, Alain e
Scott se ne erano andati al cottage per cominciare i lavori.
-
Gradite un po’ di tè, Oscar?
-
Sì,
volentieri Milady. Bambini, in libertà! –
ordinò,
quindi si accomodò su invito della padrona di casa al tavolo
in
pietra del giardino.
-
Virginia, solo
Virginia, ve ne prego. Passo le mie giornate con il borbottio di Bess
nelle orecchie, la mia unica compagnia femminile, ed è
terrificante. Non pretendo la vostra amicizia, ma spero che
un
giorno mi considererete tale.
-
Posso farvi una domanda, Virginia?
-
Prego.
-
Non mi siete
sembrata meravigliata al nostro primo incontro. Voglio dire, so di non
essere … comune, per certi aspetti del mio essere e
…
-
E’ stato il
nostro primo incontro, vero, ma sinceramente, vi conoscevo
già
da tempo. Tramite Foster. Sono anni che lui e sua moglie prima di ..
– scacciò con una smorfia i ricordi dolorosi -
Beh, loro
hanno sempre parlato di voi, Oscar. Thomas, poi, non faceva che
ripeterci storie e aneddoti sulla cara amica francese, la donna che
veste, beve e fa a botte come un uomo, diceva. Lui vi ammira molto ed
anche la povera Julia vi ricordava sempre con affetto. Se mia figlia
assorbirà da voi, non potrò che esserne felice.
Rise notando i suoi bimbi
che, alle
spalle della loro istitutrice, si lasciavano cadere sdraiati
nell’erba, senza riuscire a muovere i muscoli.
-
Complimenti! Siete
riuscita ad atterrarli in neanche mezza giornata. Di solito, sono loro
che atterrano me, a sera.
-
Anni di pratica
con mio padre. – spiegò Oscar con un mezzo
sorriso, prima
di dedicarsi al tè.
Virginia era
evidentemente curiosa, ma
era pure educata e non osò indagare oltre. Anche se di
domande
ne aveva più di una, lì, a ronzarle in testa.
Bevvero con calma,
parlando del giardino, del tempo.
-
Pensavo, Oscar ... poiché la truppa pare
resterà fuori gioco ancora per
un po’, se non vi andasse di portare al cottage lo spuntino
che ho
preparato per gli uomini?
-
Certamente! Mi va proprio una rilassante cavalcata.
César trottava
baldanzoso ed
armonioso, tanto che non pareva un cavallo di più di venti
anni.
Forse la sua ottima forma era dovuta, oltre che ai buoni geni, anche al
costante allenamento cui era sempre stato sottoposto.
André non
aveva mai permesso
che poltrisse in stalla, neppure dopo aver lasciato palazzo Jarjaies
per la miserevole baracca della Guardia Francese, si era disinteressato
di quel cavallo che era emotivamente tanto di Oscar quanto suo.
Lo stallone bianco era
veramente un campione ed André contava su di lui per il loro
futuro.
Li intravide da lontano.
Due sagome a cavalcioni di un trave che sormontava le due mura della
stalla.
La terza sagoma era a
terra ed Oscar riusciva a sentire le sue lamentele fin da dove
si trovava,
perfino col rumore degli zoccoli e del vento.
-
No, Alain, partiamo dal centro a mettere i travetti.
-
Certo… certo, faccio come ordinate, signori! Era
solo la mia opinione.
-
Ho portato il pranzo! – annunciò Oscar.
-
Si mangia! – esclamò Alain lasciando
cadere a terra il trave con un tonfo sordo.
Gli altri due si
rassegnarono ad interrompere, alla fine non poi così
dispiaciuti.
Nello scendere lungo il
muro portante, accadde però ciò che doveva
accadere.
Un piede in fallo e
André scivolò malamente, urtando il muro col
fianco e cadendo a terra.
-
André! – esclamò Oscar,
accorrendo.
-
Santo cielo, André! Dite qualcosa!
-
Ehi, amico, sei con noi?
-
Ci sono,ci sono… Mi sono distratto. –
borbottò lui.
-
Eh, le bionde fanno questo effetto!
André non
replicò alla battuta ed Alain trovò la cosa
preoccupante.
-
Sei sicuro di star bene ? Quante sono? –
chiese Alain mostrandogli offensivamente il dito medio.
-
Vai all’inferno, Alain…
-
Sta bene! Dottor Soisson garantisce che il paziente
è sanissimo!
Oscar lo aiutò
a tirarsi su, dolorante e zoppicante.
-
Cos’è accaduto?
-
Ma niente, Oscar, che vuoi sia successo… Ho messo
male un piede…
-
Dimmi André, tu ci vedi bene?
-
Ma sì, certo … - mentì con
poca convinzione.
-
Beh, in ogni caso, lì non risalite con la botta
che avete preso! – disse Scott.
-
Non c’è problema. Lo sostituisco io.
-
Ma … Oscar!
-
Lo sai che ho un buon equilibrio! Che ci vuole!
Detto fatto, si
issò sulla parte più bassa, imitata da Scott al
lato opposto.
Alain guardò
ammirato Oscar che
si arrampicava sul muro diroccato della stalla e, con attenzione ma
senza incertezze, camminava in equilibrio sul trave centrale, fino al
punto dove prima stava André.
-
La tua Oscar è uno spettacolo … -
mormorò estasiato.
André lo
guardò sbieco:
la sua vista traditrice era ancora offuscata, ma non aveva bisogno di
vederla coi suoi occhi quell’espressione, per cominciare a
ribollire.
-
Leva quel ghigno
dalla faccia, o potrei decidere di farti pagare il
“biglietto” – disse mostrandogli il pugno.
-
Tranquillo, amico!
… Sto solo ammirando un’opera d’arte!
– disse
ridendo. E si mosse per passare ad Oscar ed al capitano che
l’aveva raggiunta, seduti cavalcioni sul trave del colmo, i
pali
da collocare come trama ed ordito per il tetto.
André si
rassegnò a
starsene buono, cominciando a frugare nel cesto del pranzo, seduto
sull’erba, mentre lei svolgeva il lavoro che sarebbe toccato
a
lui.
Forse era il caso di
parlare con qualcuno del suo occhio, parlare seriamente.
Il pensiero di diventare
un uomo
inutile ora che la vita aveva preso la piega desiderata, gli stava
diventando ancor più intollerabile.
***
I lavori erano andati
avanti veloci,
aiutati dalle belle giornate e dall’entusiasmo. Tra sette,
dieci
giorni al massimo, non sarebbe stato tutto perfettamente finito, ma
almeno abitabile.
Avevano posato il tetto
in paglia
della stalla: leggero, impermeabile, isolante dal freddo e di facile
sostituzione in caso di bisogno. Ormai era quasi tutto pronto per
ricevere i pensionanti a quattro zampe
Scott sentì lo
sguardo posarsi sulle sue spalle, mentre finiva di raccogliere gli
attrezzi.
-
So cosa state per chiedermi.
-
Quindi sapete già cosa rispondermi? –
scherzò André.
-
Una volta al mese,
a Saint John passa un medico che potrebbe dare una controllata al
vostro occhio. Non avete nulla da perdere. Ho avuto compagni
d’arme con il vostro medesimo problema e non hanno perso
completamente la vista. Non avete mai incontrato uno specialista?
-
Mi era stato consigliato dal mio medico, ma … non
ne ho avuto il tempo.
- Non
preoccupatevi.
Potrebbe non essere così grave. E comunque,
l’incertezza
non vi aiuta. Vi accompagnerò io stesso, André.
-
Grazie. Grazie di tutto, Scott.
Il capitano gli si
avvicinò e, con un largo sorriso, posò una mano
sulla sua spalla.
-
Io ringrazio voi
ed Oscar. Da quando il colonnello si occupa dei miei figli, mi sembra
di esser tornato alla vita!
Risero, cominciando ad
avviarsi a piedi verso Baker Manor.
***
-
Ho un certo
appetito… - se ne uscì Alain mentre con
André si
rinfrescava al lavatoio vicino alle scuderie dei Baker dove avevano
finito di accudire le bestie.
-
Tra un ora si cena.
-
L’altro appetito.
-
Oh…
-
Penso andrò
giù al villaggio, alla locanda dei pescatori a guardarmi un
po’ in giro…
-
Alain...
- Lo
so, lo
so… Non devo fare a botte! Non aspettatemi per cena e, se
sarò fortunato, ci vedremo a colazione. –
esclamò
strizzando un occhio.
Dopo pochi minuti,
André lo guardò
allontanarsi a cavallo, augurandosi che, almeno per quella sera, Alain
sarebbe riuscito a trattenersi dall’alzare troppo il gomito,
con
tutto ciò che normalmente seguiva. Quindi si
avviò verso
la villa per cambiarsi e mettersi in ordine perché era
sabato e lo aspettava
una serata di “quasi fine lavori”.
-
Alain non
sarà dei nostri!- annunciò entrando nel salone
dove
già lo attendeva Oscar coi padroni di casa.
-
Non si sente bene? – si preoccupò
Virginia.
-
Esattamente l’opposto, temo… -
E non ci fu bisogno di
altre spiegazioni. Ormai il soggetto era stato inquadrato e catalogato.
La cena fu veramente
rilassante e pure
silenziosa, mancando tutti i “bambini”, compresi
quelli
piccoli che ora andavano a letto presto, sorvegliati dalla loro
inflessibile istitutrice.
Virginia aveva attaccato
con domande
sulla moda francese per signora e André, vero esperto se
paragonato ad Oscar, la stava accontentando con tutto quanto gli veniva
in mente. Le assurde, ma anche divertenti eccentricità della
corte di Versailles avevano finito con l’animare la serata,
portando i loro ospiti all’ilarità quasi scatenata
quando,
poco prima di dare l’assalto alla torta di mirtilli, udirono
sbattere l’uscio e dei passi di corsa.
Tutti si agitarono udendo
Alain gridare “comandante”.
Il gigante
entrò tutto trafelato. Nella mano stringeva un giornale.
-
Comandante … - disse ancora.
Oscar capì che
si trattava di qualcosa dannatamente serio se la chiamava
così.
Si alzò da
tavola.
-
Comandante … - ripeté Alain e con le
lacrime agli occhi le porse il foglio.
Oscar cominciò
a camminare per la stanza, mentre lo leggeva e piano si
portò la mano alla bocca, poi alla fronte.
-
Che c’è? Cosa dice? Che è
successo? – chiese André alzandosi anche lui.
Alain si era seduto a
tavola e si stringeva il capo con entrambe le mani.
-
La Bastiglia
…. – mormorò Oscar, incredula
– La Bastiglia
è caduta. Undici giorni fa. A Parigi
c’è stata una
rivolta…
-
No, - rettificò Alain – è
iniziata la rivoluzione.
Si misero a leggere tutti
insieme le notizie ancora incerte e frammentarie.
Dicevano che a guidare la
rivolta
c’erano anche dei soldati della Guardia Francese. Che
c’erano stati parecchi caduti tra gli assedianti. Che era
stata una strage. Che i
sette prigionieri per reati comuni erano stati liberati…
- Carta e
penna!… - chiese Oscar. – Dobbiamo scrivere a
Bernard.
***
Oscar guardava il mare
nervoso di quel
giorno d’agosto zeppo di nubi, seduta su una roccia messa
lì dal caso; una specie di palco riservato per
quell’opera
magistrale, spettacolare, messa in scena
dall’onnipotente
ogni giorno.
Guardava il mare,
l’orizzonte, e guardava André impegnato ad
accudire i loro cavalli, poco più in là.
Le dispiaceva di non
esser stata laggiù, alla Bastiglia, coi suoi uomini. Ma non
si sentiva una vigliacca, per questo.
No. Sapeva di essere
esattamente dov’era giusto che fosse: con lui.
Stava con lui dopo una
attesa interminabile. André meritava un poco di
serenità.
Qualunque cosa avesse
risposto Bernard, il suo posto era lì.
Di certo, la Francia le
sarebbe sempre mancata e soprattutto ora che le cose stavano per
cambiare.
Di sicuro le sarebbe
mancata Nanny,Arras,
perfino la
sua famiglia al completo.
Perfino la scintillante
Versailles e la vivace Parigi.
“Quindi?
“
Quale
era il lato positivo dell’Inghilterra?
Guardò
André che liberava i loro cavalli e la nuova fattrice.
“La prima di
tante”, aveva detto lui.
Cominciarono a correre,
tra loro, senza allontanarsi.
André li
seguiva con lo sguardo, perso nei loro movimenti così vivi,
così liberi.
“Il
lato
positivo? E’ questo tempo uggioso, che non mi fa vergognare
della
voglia che ho di trattenerti sotto le coperte.
Di
cercare il calore delle tue braccia durante la giornata, di cercare il
tuo corpo ogni notte.
Ti
piace questo lavoro. Finalmente sei te stesso.
Anche
l’occhio sembra migliorare. Quell’occhio che
sì, un
giorno si spegnerà, ma non così presto come
temevi.
E
pure la mia maledetta tosse comincia a darmi tregua.”
Pensò fossero
lati
sufficientemente positivi, mentre André si avvicinava
sorridendo, con quell’aria un po’ distinta
conferitagli
dagli occhiali, e veniva a sedersi accanto a lei, per ammirare in
silenzio quello spettacolo esclusivo, mentre la luce calava su quel
primo giorno a casa loro.
- continua
1) Woodpecker=picchio
2) mi sono sempre
domandata
perché titolare la storia (anche il film)
“Lady”
visto che parla di una francese in Francia… boh! Comunque
qui
"lady" ci sta bene.
Quel sabato sera, Alain parlava eccitato dell’abolizione dei
diritti feudali, della fresca “Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino” (1) e ripeteva anche un
po’ troppo che gli sarebbe piaciuto essere stato presente a
quel
momento storico, con un entusiasmo che dava da pensare; ciò
nonostante il dolore provato nello scoprire fra i caduti del 14 luglio,
diversi amici della Guardia Francese.
Ora sembrava proprio che il Re credesse nel compromesso e si era anche
appuntato la coccarda simbolo dei cambiamenti, diceva Alain: il rosso
ed il blu della città di Parigi, insieme al bianco della
monarchia.
Foster lo ascoltava interessato. Era arrivato al mattino portandosi
appresso la posta ricevuta, i giornali delle ultime settimane e le
indiscrezioni che correvano nei pub.
Sebbene aristocratico e monarchico convinto, non vedeva che del bene
nel passaggio ad una monarchia costituzionale, come già era
successo in Inghilterra. La corda dell’assolutismo era troppo
tesa e, con una certa saggezza, riconosceva che sarebbe stato
più salutare per il fragile Luigi, allentare un
po’ la
presa ed andare incontro alla borghesia.
Sì, sembrava che le cose stessero davvero cambiando in
Francia,
anche se un po’ troppo velocemente e troppo violentemente.
Scott aveva partecipato poco alla discussione. Pareva in ansia per
altri pensieri e continuava a lanciare occhiate alternate alla moglie e
ad André.
- André, vi dispiace seguirmi
un attimo nello
studio? Ho dei documenti che vorrei mostrarvi! – disse Scott
all’improvviso, cogliendo una pausa nella conversazione, a
fine
cena.
- Sì, certo.
Entrati che furono nella stanza, il capitano chiuse la porta alle loro
spalle.
- I documenti sono un pretesto, vero?
- Volevo parlarvi di una faccenda
delicata e spero la prenderete con spirito.
André gli fece cenno di proseguire. Ma Scott pareva esitare,
in
imbarazzo. Prese dalla scrivania la scatola dei sigari, ne
levò
uno e o invitò a fare altrettanto.
André, pur non essendo un appassionato fumatore,
pensò
non fosse il caso di rifiutare. Accettò il sigaro che gli
veniva
offerto e lasciò che Scott glielo accendesse.
Dopo un paio di tirate che contribuirono a rilassarli, André
parlo.
- Devo preoccuparmi?
- No, André, è solo
… una
sciocchezza, vi assicuro. Una cosa talmente ridicola che … -
cominciò a passeggiare nervosamente – Vi assicuro
che per
me non è un problema, ma … mia moglie!
André, mia
moglie mi dà il tormento, per questa faccenda! E vi assicuro
che
pare così piccola, indifesa e…, ma
quando vuole
essere opprimente, lo sa Dio se ci riesce bene!
André trattenne un sorriso. Sì, un’idea
ce
l’aveva, visto che da subito quella donna gli aveva ricordato
Nanny.
- Quale sarebbe la
“sciocchezza” che disturba Virginia?
- Non siete sposati! Ecco, l’ho
detto! Continua
a domandarsi perché non siete ancora sposati. Vi prego, non
offendetevi, porgo questa domanda solo perché obbligato, ma,
insomma, vivete da marito e moglie, è chiaro che amate Oscar
e,
ora che non ci sono più ostacoli… Insomma
…
Scusate … - disse ancora, affranto.
André tirò un leggero sbuffo di fumo, sorpreso ed
un po’ spiazzato.
- A dir la verità, ecco
…
Gliel’ho chiesto, ma … non mi ha mai risposto.
–
disse.
- Quante volte glielo avete chiesto, se
posso?
André spalancò gli occhi in una muta, esplicita
risposta.
- Una volta? Una volta sola! –
esclamò
incredulo Scott. – Per tutti i …
André,
volete farmi credere che le avete fatto una sola proposta e vi
aspettate che lei vi risponda!?
André pareva sempre più disorientato.
- Mio buon André…
Posso chiamarvi
così, sì? André, non potete essere
davvero
così… così ingenuo da credere che lei
non stia
aspettando qualche altra mossa da parte vostra! –
andò
alla vetrinetta dei liquori e, sigaro in bocca, ne trasse la bottiglia
dello scotch con due bicchieri, che riempì senza chiedergli
se
ne volesse, e glielo offrì, deciso, come se la situazione
richiedesse necessariamente del coraggio liquido.
- No, voi Oscar non
la …
- Conoscete? Credetemi: è una
donna! Non la
conoscerete mai, se non dopo il matrimonio e, sinceramente, credo che
pure in punto di morte riescano ancora ad avere segreti per noi
… Me lo dicevano i parenti, me lo dicevano gli amici ed io
non
avevo dato peso alla cosa, ma… avevano ragione! –
lo
spinse giù, seduto su una poltrona. – Ora
spiegatemi come
avete presentato la proposta!
André lo guardò sbiancando appena.
- Beh, a dir la verità, non
è stata una
vera proposta … Io, l’ho dato per scontato
… - e
spiegò brevemente quanto accaduto nella notte della fuga.
- Vi parlo col cuore in mano,
André. Se non
farete chiaro nel vostro animo, prendendo una decisione, aspettatevi
tempeste in arrivo. Bronci, scrollate di spalle e mal di testa
improvvisi… Credetemi, André: ho visto come Oscar
vi
guarda. Lei vi ama. E presto o tardi, vorrà di
più da voi.
Due colpi leggeri alla porta li fecero scuotere.
La voce di Virginia li avvisava che il dolce era servito, quindi si
alzarono ed in silenzio tornarono ai loro posti in sala da pranzo.
André si accomodò accanto ad Oscar, leggermente
turbato e la guardò.
Rideva, la sua Oscar, alle battute di Foster e di Virginia.
Scherzava, la sua Oscar, rispondendo alle frecciate di Alain, e
mangiava piano la torta, a piccoli bocconi.
Insolitamente delicata e bella come mai, era Oscar.
Sì, non gli era mai parsa tanto bella come in quel
momento, la sua Oscar.
La sua Oscar, in realtà non ufficialmente sua. Era un vigliacco!
Perché non le aveva parlato chiaramente, direttamente, dopo
quella notte?
Si era contentato di quel che lei gli aveva offerto.
Lei aveva fatto il primo passo, lui aveva solo risposto. “Perché
non ci riesci ad essere uomo fino in fondo con lei?”,
si disse.
Oscar si sentì osservata.
- Non mangi la torta? E’
deliziosa… - gli disse, notando lo sguardo perso su di lei.
André chinò il capo. Un impercettibile sorriso
spuntò sulle sue labbra, insieme alla consapevolezza ed al
coraggio.
Armeggiò nella tasca interna della giacca e ne trasse un
cerchiolino d’oro che da un po’ stava nascosto
lì. Forse da un
po’ troppo.
Tutti smisero di ridere mentre, in silenzio, lui si voltava sulla sedia
verso Oscar e traeva un respiro lunghissimo, come se stesse per
immergersi in acque profonde.
Oscar spalancò gli occhi per la sorpresa, mentre Virginia
esalava un appena percettibile “Ohhh…”
nel silenzio totale.
Lei depose le posate ai bordi del piatto, deglutendo; si
pulì le
labbra col tovagliolo che posò accanto al bicchiere e
lentamente
si volse verso di lui.
André non aveva distolto un istante lo sguardo dal suo viso.
Quando i loro occhi furono allineati, sollevò il prezioso
cerchietto tra loro.
- Questo oggetto è la sola
cosa che rimane, a
parte me, del legame tra i miei genitori, del loro impegno ad una vita
insieme, del sentimento che ha portato alla mia nascita. Non ho
null’altro di loro: niente ritratti, niente medaglie, nessun
albero genealogico secolare, niente averi… Detto questo
…
- fece una pausa, mentre lentamente si faceva scivolare dalla sedia,
portandosi in ginocchio davanti a lei, sedendosi sui talloni. Prese la
sua mano sinistra ed avvicinò la fedina.
- Detto questo … -
ripeté, mentre
Virginia estraeva un fazzoletto dall’incavo dei seni e lo
mordicchiava senza trattenere le lacrime – domando a te,
Oscar
François De Jarjaies, Contessa di Arras, Colonnello di Sua
Maestà Luigi XVI, Cavaliere dell’Ordine di San
Luigi (2) e
… spero di non aver dimenticato niente, perché
non voglio
ci siano dubbi riguardo a chi sto facendo questa proposta …,
-
bisbigliò con un sorriso – A te, amore
della mia
intera vita, vuoi sposarmi?
Oscar annuì impercettibilmente, prima ancora che lui avesse
terminato.
Tutti i commensali si sporsero in avanti.
- Pensaci bene, Oscar, perché
non
permetterò mai a nessuno di toglierti questo anello. Fosse
anche
Luigi XVI in persona… - mormorò.
- Sì – disse piano
e, girandosi verso
gli altri che si sporgevano sempre più per ascoltare,
ripeté con tono più alto: –
Sì, gli ho
detto di sì!
Un coro di acclamazioni si levò mentre André le
infilava
l’anello all’anulare, a quel dito collegato
direttamente al
suo cuore (3) e, afferratala per la cravatta, la trascinava
giù
dalla sedia, dritta sulle sue labbra in un bacio forse anche troppo
audace per il momento.
Scott non poté trattenere un indelicato “Ah, però!”
di commento, ricevendo una gomitata dalla moglie, mentre Foster si
preoccupava di colmare i calici per i brindisi.
Alain corse verso l’amico, che si rialzava con Oscar ancora
stretta a lui.
Lo agguantò per le spalle, li separò malamente ed
abbracciò André, scompigliandogli i capelli.
- Stupido romantico! -
borbottò.
Quindi si volse verso l’amica e, con insolita eleganza, le
fece un baciamano.
***
Oscar aveva assistito, sempre di malavoglia, a tutti i matrimoni delle
sue sorelle. Ma dovette convenire che assistere
all’agitazione
dei preparativi e viverli, erano cose ben diverse.
Le settimane seguenti furono … terrificanti!
Virginia non la smetteva di parlare, organizzare, studiare quelle
nozze, nemmeno fossero state le sue.
Quando Oscar si lasciò sfuggire, a voce alta, il pensiero
“E’
solo un matrimonio…”, la vide
inorridire come una pia donna davanti alla peggior bestemmia.
Oscar aveva poi cercato di ricomporre dicendo che era sempre stato suo
desiderio, sottolineando “sempre”
come se ci pensasse davvero da quando aveva quattro anni, sposarsi in
una piccola chiesa, con una semplice cerimonia.
Virginia si lasciò ingannare dall’apparente
romanticismo
di quelle parole ed espose il primo problema: un edificio cattolico ed
un prete. Si sa,
l’Inghilterra non era cattolica!
Ma immediatamente lo risolse, ricordandosi che a Plymouth, porto di
mare, terra di migranti, c’era una chiesetta ancora
consacrata,
con un vecchio parroco, forse non ancora abbastanza decrepito da
riuscire a sposarli con tutti i comandamenti necessari.
- Posso domandarvi… -
tentennò un
giorno Virginia, mentre Oscar l’aiutava a riordinare i giochi
dei
bambini.
- Dite!
- André …
- Sì?
- Vi conoscete da tanto, vero?
- Da sempre.
- E… mai …?
- Intendete, se sapevo dei suoi
sentimenti per me?
Virginia annuì.
- Non volevo sapere. Perché
sarebbe stato
tutto … difficile. Ho preferito avere poco, piuttosto che
perdere ogni cosa. Lui era questo per me: tutto. Lo è sempre
stato, non ho memoria di un giorno senza lui. E so che lo
sarà
sempre.
Raccolse una piccola giacca abbandonata su una poltrona e
cominciò a levar pelucchi inesistenti, persa nei pensieri,
trovando il coraggio di parlare per la prima volta di certe cose.
- Sarebbe stato impossibile vivere
insieme senza far
soffrire moltissime persone. La mia famiglia sarebbe stata bollata e
derisa. Mia madre e le mie sorelle, rifiutate dalla società,
come appestate. Personalmente, avrei potuto infischiarmene, ma non
potevo far questo a loro. La considerazione sociale, per un
aristocratico, è basilare, come ben sapete. Soprattutto fra
le
serpi di Versailles. Avrei spezzato il cuore a mio padre, avrebbe
potuto perdere i suoi incarichi …
- Ma, Oscar… vostro padre
ha…
- Ha fatto quel che toccava ad un uomo
del suo rango.
E non riesco a volergliene. Le cose stavano così. Sarebbe
stato
troppo rischioso seguire il cuore. E ad André non ho mai
detto
niente.
Sorrise prima di continuare.
- Così, invece, le Loro
Maestà hanno
deciso per me! Alla fine è stato un bene che non mi abbiano
lasciato scelta.
Il silenzio calò su quella amara considerazione.
- Ora che abbiamo un prete ed una chiesa,
dobbiamo
pensare al vostro vestito. – disse improvvisamente Virginia,
abbandonando l’argomento.
- No! No, non se ne parla! Ad
André non
interessano questi dettagli. Non mi metterò in pompa magna,
bardata a festa con ridicoli veli, merletti, fiori … No! No,
questa non sono io. E poi, lui mi vuole così come sono.
- Su questo potrei obiettare
… -
ridacchiò l’amica - Gli uomini sono bravissimi a
nascondere la verità. Dicono che non gli importa se hai
messo
ciccia, se hai il petto floscio, se sei stravolta dai figli, se hai il
mal di testa … Poi li scopri a far gli occhi dolci alla
giovane
e perfetta moglie del vicino…
Notò lo sguardo dubbioso di Oscar su di lei.
- Naturalmente, non sto parlando di
me… - negò con decisione, forse troppa.
Oscar annuì comprensiva.
- Scusate la mia curiosità,
Oscar ma …Avete mai indossato un abito femminile?
Lei si bloccò, indecisa se mentire spudoratamente o
ammettere
quell’unica debolezza e subire le conseguenze. Chiuse gli
occhi,
sbuffando ed arrossendo a quel ricordo.
- Una volta …
- Davvero! E com’era?
- Lui? “Ops…
“
- Il vestito! –
esclamò, consapevole
della grossa gaffe – Com’era il
vestito!… Oh, ecco
… - si strinse nelle spalle, cercando di farsi passare per
disinteressata. – In broccato di seta, bianco, ricami azzurro
e
argento…
Virginia annuiva e la scrutava.
- E lui? Ecco, era al muro! Oscar
proprio non ci sapeva fare nel gioco del pettegolezzo.
Cercò qualche termine che potesse descrivere brevemente
Fersen,
in modo da porre fine velocemente all’interrogatorio.
- Disinteressato. – disse.
E la mente pensò a quella sera, ma non a Fersen.
Riaffiorarono
le immagini della sala, le luci, la musica… Pensò
a
quell’ abito frusciante, leggero e pesante ad un tempo, ai
ricami
che ricordava fin troppo nei dettagli per essere qualcosa che non la
interessava. Pensò ai lacci stretti, al corsetto che le
impediva
di respirare. Immaginò mani non sue, mani maschili, intente
a
slacciare quei lacci, a far scorrere la seta lungo il suo corpo, nella
penombra e nel silenzio di una camera da letto; ricordò la
sensazione provata per quel corsetto che si apriva liberando i seni
… E pensò, perché aveva deciso di
riservare tutto
questo a Fersen, mentre ora lo rifiutava ad André?
Forse André davvero non faceva caso a queste cose, anche se,
a
ben pensare gli sguardi che ogni tanto gli aveva visto lanciare in giro
durante i ricevimenti e le battute bisbigliate e ridacchiate con Alain
e gli altri soldati, lasciavano intendere il contrario. Ma lei?
davvero voleva rinunciare a quel rito di seduzione?
- Va bene! – si arrese
all’improvviso
– Vada per il vestito, ma solo ad una condizione …
Deve
essere bellissimo! E soprattutto, …complicato…
*** continua
1) “Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino” (26 agosto 1789)
2) ordine di San Luigi è
l’onorificenza
a forma di croce che Oscar portava sempre sull’uniforme, come
il
vero Jarjayes
3) una volta si credeva così
Il capitolo 6 , “dolciastro”,
l’ho diviso
perché stava diventando davvero troppo lungo a furia di
ritocchi. Non è una bella divisione, ma era la meno peggio.
La
seconda parte sarà più lunga.
.
Plymouth era il solito fermento. Chiassosa e vivace come la ricordavano.
Avevano preso accordi per lettera con il parroco, prenotato due stanze
alla locanda.
Virginia, che non poteva essere presente insieme a Scott alla
cerimonia, aveva strappato loro la promessa che, la vigilia delle nozze
non l’avrebbero trascorsa nello stesso letto.
Quindi André si era rassegnato a dividere la stanza col
logorroico testimone di nozze.
- Grazie al cielo è
l’ultima volta che
divido una stanza con te! – esclamò il moro
spazientito.
Ma si pentì d’averlo detto.
Alain aveva preso una combattuta decisione, che non era stata
esattamente una sorpresa per loro. “Voglio
tornare in Francia”, aveva detto una sera a
cena.
Si erano aspettati un simile annuncio da lui, visto il suo continuo
parlare della Rivoluzione in corso.
Erano preoccupati che gli potesse accadere del male, visti i continui
fatti di violenza che si verificavano nel loro Paese. Ma un
po’
lo invidiavano: lui avrebbe rivisto Parigi.
Così, mentre organizzavano il matrimonio, Alain aveva
prenotato un passaggio in nave per Le Havre.
Sarebbe partito la sera dell’indomani, dopo aver visto i suoi
amici legarsi per sempre con un atto formale e pubblico. Il vero schiaffo alla
loro disuguaglianza di rango!
Alain, più eccitato dello sposo, non aveva dato peso alle
parole appena pronunciate da André.
- Ci pensi? Domani a quest’ora
sarai un uomo
sposato in procinto d'affrontare la sua prima notte di nozze!
- Alain, non è la mia prima
notte con lei …
- Ahh, no, è diversa!
E’ la prima
da uomo col guinzaglio! Se non hai capito questo, non hai ancora capito
niente di donne.
- Ho come l’impressione che
vorrai delucidarmi in merito… - mormorò
l’amico.
- A che pro? Ormai è certo:
sei un caso
disperato! Ma la bionda è la cosa migliore che ti potesse
capitare… Voglio dire, se devi essere schiavizzato, chi
meglio
di lei per farlo?
- La tua approvazione mi è di
grande conforto … - borbottò André con
voce stanca.
- Figurati, è un piacere!
E andò avanti a blaterare non accorgendosi che
André si
era già addormentato, esattamente come faceva ai tempi della
loro convivenza in caserma.
Nella stanza accanto, Oscar aveva scartato l’involto datole
da
Virginia, contenente il suo abito da sposa confezionato da una sarta di
Saint Paul.
Era bello, niente da dire. Non era bianco. Anche su questo Virginia era
stata intransigente. Era un po’
ferrea su certi argomenti…
Carezzò il broccato avorio, lucido ed opaco, chiaro e scuro,
proprio come era stata la sua vita; come le due metà di
sé: quella maschile voluta dal padre e, nonostante tutto,
quella
femminile, lì, sotto pelle, relegata nel profondo, ma viva e
fremente.
Sfiorò i ricami dorati, i leggerissimi merletti, i
numerosissimi laccetti di seta, la fila quasi interminabile di piccoli
bottoni. Sul velo erano state appuntate rose in tinta, con foglioline
dorate, tutto molto delicato.
Quel pomeriggio si era recata da sola a ritirare un acquisto fatto per
lei da Virginia,
via posta, in
un rinomato negozio di abbigliamento per signora e … ora
guardava perplessa quegli indumenti, arrossendo un poco.
Aveva preso accordi con la cameriera della locanda per farsi aiutare il
mattino seguente ad indossare tutte quelle cose.
Scostò le scatole ed i pacchi nel lato di letto dove la
notte seguente avrebbe trovato posto André.
Si lasciò cadere sulla trapunta fissando il tessuto scadente
del baldacchino, ma senza vederlo. “Madame
Grandier…”
Era stato naturale alla fine dirgli di sì.
Pensò che sua madre ne sarebbe, tutto sommato, stata
comunque contenta.
Sposare anche se un “servo”, significava che il
generale
aveva fallito, che la sua follia si era rivelata in tutta la sua
assurdità, che la natura era quella, che Oscar ci si era
… adeguata. “Adeguata…Madame
Grandier … Per sempre … “
Mai più duelli, mai più comandi, … mai
più privilegi.
Solo una donna, una moglie, … l’ombra di un uomo. “Per
sempre”, ripeté ancora nella sua
testa. “Che parola
… definitiva.”
Allungò una mano sulla parte vuota del letto.
Chiuse gli occhi.
Sospirò. “ Per sempre
… Con André!”
Sorrise.
***
- Polly! Polly! – strillava il
proprietario dell’albergo
- Scusate, milady … Non posso
proprio restare ad aiutarvi! –
- No! No, aspetta! – si oppose
Oscar tentando
di trattenerla. Ma la ragazza era già scappata fuori. “Accidenti! Ed
ora? “
Non le era garbata questa cosa di doversi fare aiutare, ma era una
scelta forzata. Quel tipo di abiti non erano creati per essere
indossati con le proprie mani, come non dovevano essere levati in
solitudine. (1)
Guardò i regali di Virginia che aveva già
indossato:
sottoveste, calze, giarrettiere e … le culottes…
A sentir Virginia e la padrona del negozio, erano la cosa
più
osé del momento. Non era stato un problema indossarle anche
se
erano fastidiose e pizzicavano dappertutto.
Erano decisamente trasparenti e impalpabili, una fragilissima versione
dei pantaloni che indossava da una vita.
Si passò le mani addosso e sorrise soddisfatta mentre
immaginava quelle di André sullo stesso percorso.
Le calze: bianche con delle giarrettiere a fili d’oro. Aveva
posato il piede sulla poltroncina mentre le indossava e fermava la
giarrettiera con un fiocco al nastro, poi era rimasta a rimirarsi la
gamba nello specchio.
Che le stavano proprio bene, poteva dirselo da sola. Va bene, doveva
ammetterlo … Come uomo era stata perfetta, ma come donna
… era da invidia!
Certo un po’, tanto anche, continua a sentirsi ridicola nel
ruolo, ma … si trattava di André. Ed ora?
Quel che poteva fare da sola, lo aveva fatto.
Si era acconciata i capelli ed era abbastanza soddisfatta. “Culottes,
calze, giarrettiere e sottoveste, … tutto a posto.
Ma il corsetto e l’abito? “
Da sola non ce l’avrebbe mai fatta.
Aveva provato ad indossare il rigido busto, ma neppure una
contorsionista circense sarebbe riuscita ad infilare i lacci per bene e
tirarli come andavano tirati sulla schiena.
Qualcuno bussò alla sua porta.
- Chi è? – chiese
esasperata dai vani tentativi.
- Il testimone che viene a vedere a che
punto
è la sposa più bella d’Inghilterra
… e anche
di Francia!
- Alain, non farmi perdere tempo!
– intimò.
- Qualche problema?
- Non che tu possa risolvere…
- borbottò.
- Sicura? Posso entrare?
- No! No che non puoi, accidenti!
- Cosa?! Non sei ancora vestita!
– intuì e spalancò la porta senza
attendere il permesso.
- Ma porc ... Alain!
Oscar afferrò al volo la veste da camera, poggiandosela
davanti, ma nascondendo poco comunque.
- Fuori. Subito! –
sibilò.
Ma Alain, lungi dal farsi spaventare dal suo ex comandante in
sottoveste, chiuse la porta alle sue spalle.
- La situazione mi sembra drammatica,
capo.
- Lo sarà di più
quando ti avrò staccato un arto! – gli
ringhiò.
Sbuffò esasperato.
- André è
già giù ad aspettare. Fammi vedere cosa posso
fare…
- Ma non pensarci nemmeno!
- Andiamo… Ho sempre aiutato
io mia sorella!
Non sto scherzando, posso aiutarti. Allora? Orgoglio o matrimonio?
– disse mimando con le mani i due piatti di una immaginaria
bilancia. Maledizione alle domande
stupide!
- Ma non guardarmi!
- Certo certo
…Userò il tatto per
guidarmi! – disse scanzonato, agitando le dita come minaccia.
Oscar sbuffò rassegnata e si voltò dandogli le
spalle.
Lanciò la veste da camera sul letto e riprese il corsetto,
tenendolo con una mano sul ventre, il dietro slacciato.
Lui si mise subito all’opera e davvero sapeva cosa fare.
Infilava
con perizia i lacci nelle asole, senza sbagliare e tirando tutto con
delicata precisione.
Pian piano il corsetto si stringeva sopra la leggera e, in quel
momento, lì con lui, troppo trasparente sottoveste;
l’armatura rigida spingeva i suoi seni verso
l’alto,
sensuali e sfrontati.
- Non dovresti vedermi così,
tu. –
mormorò Oscar, in imbarazzo sentendo i suoi polpastrelli
sfiorarle la schiena, ma abbastanza tranquilla, nonostante i leggeri
brividi involontari dovuti al suo tocco.
- Sto tenendo gli occhi chiusi
… – mentì lui, intento a non sbagliare
asola.
- Sì, certo…
- Aiutavo sempre Diane … -
sussurrò con
un pelo di tristezza che però spazzò subito dalla
mente e
dalla voce - Ma …a parte lei, non sei comunque la prima
donna
che aiuto a vestirsi. – esclamò deciso - Anche se,
ad
esser sincero, sono più abile nelle …svestizioni
!… - ridacchiò non volendo perdere la reputazione
di
monello.
- Alain, non è il
caso!… - lo riprese severa.
- Paura? – chiese dando una
strattonata che la
fece vacillare tanto da doversi tenere al baldacchino del letto.
- Ma che dici! – rispose con
troppa veemenza e poco fiato.
Lui ghignò.
- Beh, un po’. –
ammise allora - Non so che fare … Non sono stata cresciuta
per fare la
moglie.
Sto per fare un salto nel buio! Se lo deludessi…
- Non accadrà mai. Lo so io e
lo sai tu. Lui ti ama come sei, anzi, proprio per quella che sei.
- Sì…
finché cucinava sua nonna …
Risero.
- Beh, magari dovrai compensare
impegnandoti
sull’altro fronte matrimoniale… -
commentò
malizioso, un po’ troppo vicino al suo orecchio, tirando
più forte i lacci in vita.
- Alain…- lo
rimproverò.
- A me basterebbe.
- Sì … ti
credo…
- Voilà!… -
esclamò legando le due estremità - Ora la gonna
ed il corpetto!
E si voltò per consentirle di indossare velocemente la
gonna, in
modo poco formale, per non badare troppo ai movimenti imbarazzanti che
portavano i capezzoli a spuntare appena dal corsetto e dalla sottoveste.
- Fatto! – lo avvisò
lei.
Alain cominciò ad allacciare bottoncini e stringer legacci
anche su quella nube di broccato avorio e fili dorati.
- Uno un po’ meno complicato
non c’era?
Finirà con lo strappartelo di dosso … –
commentò attento a non sbagliare occhiello.
Oscar sorrise immaginando una variante più piacevole di
qualcosa già vissuto.
La lasciò sola a darsi gli ultimi ritocchi e scese per
avvisare André che poteva precederli in chiesa.
- Ormai, ci siamo! E non si torna
indietro! – aveva esclamato spingendolo fuori dalla locanda.
Alain rientrò nella camera di Oscar e restò senza
fiato, guardandola sistemarsi il velo davanti allo specchio.
- Cosa c’è?
– gli chiese vedendolo commosso.
L’ultima volta che Alain aveva visto un abito da sposa era
addosso al cadavere di Diane.
Vedere Oscar così luminosa, gli spazzò finalmente
via quel ricordo orribile.
- Sei bellissima … -mormorò
incredibilmente serio e sincero. – Andiamo?
C’è un
uomo molto nervoso che ti attende ad un altare.
Le porse la mano nella quale lei posò la sua guantata.
***
Entrare in chiesa le fece uno strano effetto.
Era sempre stata guardata in malo modo, per quel suo
“vizio” di vestire da uomo, anche se lei era sempre
stata
convinta che fosse più un problema per i rappresentanti
ecclesiastici più che per Dio.
Probabilmente avrebbero tuonato contro di lei anche per quelle culottes
in mussola di seta, leggerissime, degne davvero di donne dai facili
costumi. Prima le erano sembrate solo fastidiose, lì fra le
cosce, come mai avevano fatto i pantaloni, ma ora camminando verso il
suo sorridente André, nel suo
“complicato” abito da
sposa, si sentiva sempre meno soldato e sempre più donna.
Sorrise pensando a come poter confessare quella sensazione, alla
prossima volta in un confessionale… Forse con quel prete
lì davanti a lei, che era stato fin troppo comprensivo: si
era
presentata in abiti maschili, si era raccontata dall’inizio
alla
fine ed ora non la stava guardando male mentre percorreva la navata al
braccio di Alain.
Quel matrimonio non sarebbe stato un contratto tra due famiglie, tra
due patrimoni.
Stava prendendo André, lui, non i suoi averi, non un titolo:
lui, solo lui per la vita.
E gli giurava, con qualche segreta riserva, l’obbedienza
richiesta ad una moglie nei confronti del marito.
Rinunciava al nome dei Jarjaies affinché André
potesse darle il suo.
Rinunciava al nome di suo padre, per prendere quello di un marito.
Anche questo era una donna.
Da quel momento, qualcuno avrebbe potuto vederla solo come
“moglie di”, invece di un ufficiale, una
persona… Un
uomo.
Ma per Oscar quello non era comunque solo un matrimonio: era una
nascita, un battesimo, una nuova vita.
Pubblicamente, forse, una vita più in ombra, ma sarebbe
stato tutto più vero.
***
Tornando alla locanda per pranzare e brindare, Alain sorrise
accorgendosi che André carezzava la schiena di Oscar con
aria
pensosa. Stava davvero contando
mentalmente i bottoncini?
L’oste li aspettava per servir loro il pranzo che avevano
prenotato e, come previsto, Alain alzò il gomito; ai
brindisi,
da principio sensati ed accalorati, ricchi di ogni augurio possibile ed
affettuose raccomandazioni, seguirono quelli infarciti della sua solita
impertinenza.
Nessuno dei due sposi riusciva però a rimproverarlo.
André ragionava su quanto potevano essere
“false” le
sbronze di Alain. Aveva già pensato che in realtà
l’amico approfittasse della tolleranza normalmente riservata
agli
ubriachi, per poter dire fino in fondo ciò che pensava,
senza
pagarne appieno le conseguenze. Quanto gli sarebbe
mancato quell’uomo invadente ed irriverente!
I due freschi sposi si guardavano ridendo, scotendo il capo e
André, beh, lui con la mano sinistra continuava a tormentare
i
bottoncini ed i laccetti sul dorso della sua bellissima
moglie, tra un boccone e l’altro.
- Ai miei amici! –
gridò Alain alzandosi
in piedi e rovesciando la sedia. – Ad André, il
più
testardo, incosciente dei romantici! A Oscar, il soldato più
bello ch’io abbia mai visto e… beh, che per un
po’
mi ha fatto dubitare delle mie tendenze … eh eh…
A voi,
che la vostra vita insieme possa essere piacevole come il sole di
primavera, dolce come… - e si bloccò a
metà della
frase, inarcando un sopracciglio mentre cercava un paragone adatto,
inutilmente - …Che possa essere tranquilla come un
…
E si bloccò di nuovo!
- Ahh! Al diavolo! L’importante
è che le vostre notti siano continui fuochi d'artificio,
ragazzi!
Si allungò verso André, posandogli con forza una
mano
sulla spalla ed ondeggiando pericolosamente verso di lui come un albero
scosso dalla tempesta, arrivando a toccare con la fronte la sua.
André lo sorresse evitando che gli cadesse addosso.
- E, detto tra noi … La bionda
sa come
attizzarti, credimi! Non hai idea di quanto ti invidio, amico
…– borbottò facendogli
l’occhiolino.
André perplesso si volse verso Oscar che, si strinse nelle
spalle fingendo ignoranza e sorseggiò il suo vino con
ostentata
indifferenza, maledicendosi per aver concesso ad Alain di aiutarla
quella mattina.
Il gigante si rizzò di colpo e di colpo si sedette sulla
seggiola che l’oste, ormai avvezzo a simili avventori, si era
precipitato a raccogliere per infilarla sotto il suo deretano in caduta
libera.
- A voi! – brindò
ancora, con tono triste – Vi voglio bene, ragazzi!
Venne l’ora del commiato e, dopo essersi sincerati che Alain
stesse tornando in sé e che non avrebbe rischiato di fare la
traversata a nuoto, cadendo fuori bordo, si avviarono verso il porto,
passeggiando con calma e chiacchierando.
In vista della nave, una evidente malinconia li colse.
- Beh, ragazzi, a questo punto credo di
dovervi salutare. – disse Alain.
- Quando arrivi, scrivi! –
raccomandò
André che dall’uscita della locanda, non aveva
smesso di
cingere la vita di Oscar per un solo istante.
- Tranquilli, sarà la prima
cosa che
farò. Cavolo, ragazzi… Non so che dire!
E’ stato
bello questo periodo con voi! Ma sono certo che ci rivedremo, prima o
poi.
- Ci sarà sempre un posto per
te a casa nostra, Alain. – garantì Oscar.
L’omaccione sorrise, più commosso di quanto
volesse far credere.
All’improvviso, super eccitato, prese la testa di
André tra le mani
- Stupido pazzo innamorato… Ce
l‘ hai fatta! Ce l’ hai fatta! –
gridò ridendo.
E prima che qualcuno potesse prevedere le sue intenzioni e fermarlo,
acchiappò la sposa per la vita e le stampò di
prepotenza
sulle labbra un bacio assolutamente non casto.
- Ehi!!!
- Ahh!… piantala di lagnarti,
André! Se io fossi un re, potrei pretendere il “diritto di prima notte”
(2), quindi datti una calmata! La vita ti sorride! –
esclamò liberandola con uno scatto che la fece vacillare.
- Alain De Soisson ha terminato il suo
compito di
“cupido” e toglie il disturbo! –
esclamò
levandosi il berretto e flettendosi in un inchino incredibilmente
armonioso. – Madame, è stato un piacere condurvi a
questo
passo e … abbiate cura del mio buon amico!
–
specificò strizzandole l’occhio.
Oscar fece una riverenza sentita, il suo primo vero inchino in abiti
femminili, sorridendogli.
Alain scoppiò a ridere e, agitando la mano scoordinatamente,
in
uno dei suoi caratteristici gesti di saluto, si avviò verso
la
nave, cantando una canzone in francese davvero scandalosa, perfino per
lui.
Poco lontano un ragazzo con dei giornali tra le mani, strillava le
ultime notizie, tra le quali quelle provenienti dalla Francia. “6 ottobre
1789: la famiglia
reale obbligata a lasciare per sempre Versailles, portata a forza a
Parigi al Palazzo delle Tuileries.”
***
24 dicembre 1789
La timida nevicata del mattino pareva essersi trasformata in qualcosa
di più deciso e preoccupante. Oscar stava davvero
cominciando
cedere all’ansia. Il giorno prima, André aveva
insistito
per andare a St. John accampando motivi che sapevano tanto di scuse e
non era ancora tornato. Era la vigilia di Natale e rischiava di essere
la prima vigilia senza André. Certo, si augurava che fosse
al
riparo da qualche parte e non in mezzo a quel tempo da lupi. Ma
augurarselo non la faceva stare tranquilla.
Sentì bussare e si alzò di scatto, in allarme.
- Sono André!
Allora uscì di corsa da sotto le coperte, senza mettersi
niente
addosso sopra la camicia, scalza, saltando da un tappeto
all’altro per evitare il pavimento freddo.
Aprì i catenacci e lui entrò portandosi dentro
l’inverno.
Scappò verso il letto e ci saltò sopra, mezza
congelata, afferrando la coperta e avvolgendovisi.
- Ciao anche a te, Oscar! –
esclamò lui tra l’indispettito e il divertito.
- Mi stavo congelando. –
ribatté in propria difesa.
- Sì, fa un pelo fresco
… Lo so perché sono ore che vado a spasso nella
tempesta!
Esclamò André togliendosi il mantello zuppo di
neve e sedendosi davanti al fuoco per sfilarsi gli stivali fradici.
- Il fuoco si sta spegnendo, non te ne
eri accorta?
- Fa …
- … troppo freddo! Lo so.
– la
bloccò lui, ridendo e gettando altra legna nel fuoco.
–
Non cambierai mai su certe cose. E comunque …
anch’io sono
contento di vederti, cara! anche tu mi sei mancata tanto, cara
…
Oscar sorrise per il suo tono ironico e si reinfilò sotto le
trapunte.
Lui si tolse i pantaloni zuppi e gelati e la camicia. Quindi, nudo e
tremante la raggiunse.
- Cosa credi di fare? … - lo
minacciò vedendolo farsi appresso.
- Scaldarmi! –
ridacchiò lui facendolesi vicino.
- Non provarci nemmeno a toccarmi con le
manacce gelide!
- La tua preoccupazione mi commuove!
–
esclamò lui saltandole addosso e baciandola sul collo,
infilando
le mani sotto le sue ascelle calde e le gambe tra le sue gambe.
- Ahh… non…Te la
farò pagare, André!
Cominciò a ridere ogni volta che lui la toccava.
E restarono lì abbracciati ad ascoltare il crepitare delle
fiamme ed il soffiare del vento; mentre André si riscaldava
col
suo corpo caldo, accogliente ed il suo sangue ricominciava a circolare
a dovere.
Poi, si udirono i rintocchi del campanile del villaggio: la mezzanotte.
- Buon compleanno … - le
augurò lui.
Il suo primo compleanno lontano da palazzo Jarjayes.
Il loro primo Natale come coppia.
- … e Buon Natale a te -
ricambiò lei volgendo il viso verso di lui.
Si baciarono.
Dopo un attimo, lui la frenò.
- Visto che siamo svegli,…
posso già darti il mio regalo.
Si sfilò dall’abbraccio ed uscì dal
letto.
Oscar lo seguì con lo sguardo, mentre andava alla bisaccia
che aveva deposto insieme agli abiti zuppi.
Ne estrasse un involto e glielo porse.
Oscar guardò il regalo, esitante mentre si rizzava seduta.
- Cosa c’è?
- … Io non ti ho preso nulla
…
Mormorò, triste di vergogna.
- E’ per il tuo compleanno, non
per Natale! Dai, apri! - la incitò.
Oscar prese il piccolo pacco.
Cominciò a scartarlo piano.
Era un piccolo cofanetto di ceramica, con disegnate delle rose di tanti
colori. Bellissimo!
- Aprilo! … - la
spronò Andrè, forse più eccitato di
lei.
Oscar sollevò delicatamente il coperchio. Musica!
- Un carillon! … è
bellissimo, Andrè! – esclamò incredula.
- Un pianoforte, non possiamo ancora
permettercelo!
Si giustificò sorridendo, sebbene non ci fosse
alcunché per giustificarsi.
Oscar depose l’oggetto in grembo e si coprì il
viso con le mani.
- Ehi ehi ehi! … Che succede
al mio colonnello!
Disse lui inginocchiandosi al bordo del letto, cercando di guardarla in
viso.
- Non ti ho preso nessun regalo … -
mormorò ancora lei.
André rise.
- Senti, … io ho
già un’idea del regalo che vorrei... –
disse prendendole una mano.
Toccò ad Oscar ridere.
- Non è un regalo, quella cosa
che hai ogni giorno – obiettò maliziosa.
- Sempre a pensare a
“quello”! – la riprese lui –
Dai, alzati!
Disse tirandola.
- Cosa?
La trascinò fuori dalle coperte, in piedi, lì sul
tappeto.
- Voglio fare una cosa che insieme non
abbiamo mai fatto …
Oscar rimase perplessa.
Prima di quella mattina al porto, pensava fosse una sola la
“cosa” che restasse loro da sperimentare.
Rivide mentalmente ogni singola marachella, ogni stupida pensata che
avevano escogitato e messa in opera nella loro lunga convivenza e
… non riusciva a trovare niente di non provato.
Lui prese il carillon, lo chiuse e lo caricò.
Lei capì nel momento stesso in cui lui disse:
- Balla con me!
Era vero. Entrambi avevano preso lezioni di danza, ma avevano ballato
solo con l’insegnante o con Nanny, mai tra di loro!
… Beh, lei aveva ballato
anche con …, ma era storia vecchia.
Commossa, gli porse la mano, un po’ imbarazzata, prese il
lembo
della sua camicia e lo sollevò appena, accennando ad una
riverenza.
André la tirò a sé, contro di
sé,
passandole una mano in vita. Si chinò verso il suo orecchio.
- Ma non come ballano i nobili
– sussurrò – Balla con me, come ballano
gli amanti!
La strinse contro il suo corpo nudo. Cominciò a muovere
qualche
passo e lei, fissandolo nel nero della pupilla, iniziò a
seguirlo.
Giravano piano su sé stessi, con la luce delle fiamme che si
rifletteva negli sguardi lucidi, alternativamente, di lui, di lei.
André la scostò piano da sé. La fece
girare su
sé stessa, una lenta giravolta, sfiorandole i fianchi tutto
il
tempo, increspando la leggera camicia di cotone.
La riattirò a sé, di spalle, contro il suo petto,
carezzandole appena il ventre attraverso il cotone, baciandole il
collo, leggero, delicato, caldo.
Facendole il solletico, facendola ridere. (3)
Ancora una giravolta.
Ancora di fronte.
Le lasciò la mano solo per portare entrambe le sue sulle
spalle
e scostarle la camicia, sciogliere i lacci, passare il palmo sui seni
sodi che mai più sarebbero stati imprigionati in
mortificanti
fasce.
Le mani corsero lungo la schiena, giù, fin sotto
l’orlo
dell’ indumento, depositandosi sulla pelle nuda delle natiche.
L’attirò a sé, contro il suo bacino,
mentre le
fronti si toccavano e sulle labbra si scambiavano respiri pesanti.
Con un sorriso birbante, la spinse via da sé, scivolando poi
con
le mani lungo le braccia, trascinando in quel gesto la camicia che le
ricadde lungo il corpo, fino alla vita.
Le prese entrambe le mani… Ancora una giravolta!
Oscar non riuscì ad evitare quel pensiero, quella gelosia
che la
prese, pensando a quei balli da taverna che lui aveva imparato
chissà dove, chissà quando e, soprattutto,
chissà
con chi. Solo in quel momento, si scoprì gelosa delle
esperienze
che André aveva sicuramente avuto.
Sapeva d’amarlo, davvero lo sapeva.
Ma in quel momento capì, prese coscienza che davvero lui era
quello giusto, il solo. Lui!
Che loro due insieme, non erano un caso.
Che quell’uomo bellissimo e meraviglioso, quando Dio o il
fato,
avessero deciso, le avrebbe tenuto la mano in punto di morte.
E questo perché, Dio od il fato, avrebbero dovuto
concederglielo: morire per prima, perché senza di lui non
sarebbe stata vita.
Capì in quel momento le parole pronunciate quella notte
d’estate dal suo André. “Se mi uccidete
dopo…”
Lui ci era arrivato prima a quella specie di egoismo.
Adesso anche lei.
Come una illuminazione abbagliante, aveva scoperto che
l’amore faceva male, ma non poteva più farne a
meno! Gira gira …
E, improvvisamente, la trattenne lì, prigioniera delle sue
stesse braccia che, incrociate sotto il seno, fungevano da corsetto,
sollevandoglielo in direzione delle fiamme che giocavano con toni
arancio sui suoi capezzoli.
Le baciò la guancia.
- Non credo tu ti renda realmente conto
di quanto sei
bella…- mormorò al suo orecchio, guardandola
riflessa
nello specchio sovrastante il camino.
E fu allora, vedendo loro due insieme in quello che pareva un quadro,
un ritratto, che Oscar ebbe il coraggio che finora le era mancato; la
consapevolezza per comprendere davvero quelle due parole che ancora mai
gli aveva detto, era penetrata nel profondo della sua anima.
- André… io…
Le lasciò le mani e, con una carezza, le portò
via la camicia dai fianchi.
Un calcio di Oscar e fu via anche dalle caviglie.
E disse finalmente ciò che non erano solo parole.
- Io ti amo, André…
Tentò di girarsi per baciarlo, ma lui la
immobilizzò
nell’abbraccio, sorridendo, tenendola stretta, dondolandosi
con
lei finché il suo corpo lo informò di non poter
più pazientare e dovette condurla al letto.
Mentre la musica del carillon cominciava a rallentare, loro prendevano
velocità per quello che avrebbero ricordato poi come il
Natale
più bello della loro vita.
*** continua
1) In questo periodo, il pannier che
teneva gli abiti
larghi sui fianchi, era già passato di moda; si usavano gli
abiti all’inglese che avevano più pieghe sul
dietro e sui
fianchi per far volume e spesso erano allacciati davanti. Ma a me
serviva una allacciatura dietro e poi … è giusto
che
André fatichi un po’ quando arriverà
sera.
2) Ius primae noctis. Diritto alla prima
notte. Non
va spiegato, no? Sarebbe quel particolare "diritto" che un signore o un
re poteva arrogarsi; ovvero quello di trascorrere la prima notte di
nozze con la sposa dei plebei. Alain ce lo avrebbe davvero fatto il
pensierino, se solo avesse potuto!!!
3) ok, lo so: tutta la scena fa un
po’
“Dirthy Dancing”, ma non sono riuscita a
modificarla. Per
non dire che Macchia Argentata ha raccontato un Natale con regalo e
ballo, decisamente più elegante del mio, nel suo
“Il
braccialetto”. Scusa, Macchia!!! Giuro che non ti ho copiata!
Questa è stata la prima scena, insieme al finale, che ho
scritto
di questo mio racconto: anche volendo, non potevo più
tagliarla,
perché è quella del
“chiarimento” nella testa
di Oscar.
Una gentile lettrice
(che mi
strozzerà per il “gentile”, eh eh), mi
ha
giustamente fatto notare una grossa “imprecisione”
nel
capitolo precedente. Senza addolcirmi la
pillola, mi dico … ma che figura da ignoranteee che ho
fatto! “L’Inghilterra
era
protestante”? No, con Enrico VIII era diventata Anglicana.
Siccome a me tutte queste storie di scismi e sfumature fanno venire il
mal di testa, ho tagliato la testa al toro ed ho modificato la frase
in: “Si sa, l’Inghilterra non era
cattolica”. Ora siete ufficialmente
avvisate: non provate ad imparare la storia da me!!! Grazie, Pry! Ti direi
“baci e abbracci”, ma so che non sei il tipo e mi
sa, neppure io! Ciao!
I chiarimenti sono
chiariti? Spero di
sì…Adesso ho bisogno di pastiglie per calare il
glucosio
e poi, dal prossimo capitolo arriveranno i colpi di scena…
Almeno, ci proverò. Se vi state domandando:
“Ma, come? E la prima notte di nozze?” C’era poco da
dire, hanno fatto quel che fanno tutti (o quasi): erano stanchi e si
sono addormentati. : )
Magari un giorno tirerò fuori una one-shot sulla prima
notte, vedremo… Grazie a tutte!
Mancava da quasi un
mese! André era via
da casa da quasi un mese! “Scott e la
sua maledetta spalla! Scott e le sue maledette costole! Per colpa di un
gioco cretino, poi!”
“Questo accade
quando gli uomini si comportano da bambini”!,
aveva borbottato quando André le aveva raccontato semiserio
come Scott si era fatto male: spalla lussata e costole incrinate.
Proprio quando c’erano da rinnovare i contratti di affitto
delle sue proprietà più a sud! E, ovviamente, gli
aveva chiesto di sostituirlo, perché non poteva certo far
tutte quelle miglia conciato a quel modo!
“Ridursi
così per … per … Oh, signore! Per fare
sesso con sua moglie! 40 anni, 3 figli e lui cadeva dal letto
perché preso da smanie come un ragazzino… Da
pazzi!” (1)
La verità però non era tanto
l’indignazione che Oscar aveva finto, ma il fatto che le
toccava rimanere senza André per un po’, proprio a
fine inverno, con la giumenta gravida del primo puledro di
César e… “Va bene,
senza André. Punto!”, aveva ammesso
con sé stessa.
Sbuffò infastidita, nervosa, sistemando la cucina. “Eh, Oscar,
come cambia la vita quando devi arrangiarti da sola in tutto! Quando nessuno lava,
stira, cucina per te. Quando sei stanca e devi
scaldarti da sola l’acqua per lavarti, caricare il camino, la
stufa, pelar le patate.”
Piegò lo strofinaccio e si poggiò al tavolo.
Per non dire che ultimamente le veniva da piangere per niente. Si
sentiva stanca, irascibile e… beh, non voleva pensarci!
Sapeva solo che desiderava tanto un po’ di coccole, una
cioccolata, dei biscotti appena sfornati… Accidenti, tutto questo
aveva pure un nome: Nanny! Le mancava Nanny, con i
suoi manicaretti e le sue attenzioni!
Svuotò nel secchio, la teglia coi carboncini ancora caldi,
ennesimo tentativo fallito di cuocere dei muffin.
La fiamma nel caminetto in camera era ancora viva.
Oscar spense l’ultima candela e si infilò nel
letto. Si rimboccò piano le coperte programmando mentalmente
e con rassegnazione le cose da fare l’indomani. Sì,
c’era Jack ad aiutarla, ma la mancanza di André si
sentiva.
Sospirò e chiuse gli occhi per dormire.
Aveva tanto di quel sonno ultimamente, che avrebbe volentieri
interpretato una di quelle principesse delle fiabe, quelle che si
addormentano ed aspettano il bacio del principe per risvegliarsi. Sciocca, vero?
Allungò una mano sotto il cuscino di André e ci
trovò la sua camicia per la notte.
Se la tirò vicino. Quanto le mancava! Ancora due giorni di
lontananza, secondo il programma che aveva stabilito prima di partire:
un’eternità!
Aveva ricevuto lettere da Rosalie e da Alain.
Pareva che le cose si stessero stabilizzando in Francia.
L’entusiasmo era tanto, com’era giusto che fosse,
quando si è all’inizio di una avventura.
Certo accadevano cose davvero brutte: scontri, massacri…
La tensione coi Paesi europei era alta, la fame pure e
l’Assemblea litigava costantemente su tutto. Ma si guardava al
futuro. Almeno questo era quello che si ripetevano i suoi amici.
Alain si era arruolato nella Guardia Nazionale con
responsabilità di comando.
Gli ufficiali scarseggiavano, visto che solitamente quei posti erano
riservati ad aristocratici e che molti avevano, per volere o per forza,
abbandonato il servizio.
Il gigante aveva molto da fare e quel che gli costava più
fatica era doversi trattenere dal menare le mani, visti i suoi gradi. Ora era un uomo con
delle responsabilità!
Sarebbero forse potuti rientrare, pensava Oscar. Rivederli
tutti… Aiutarli a costruire la
nuova Francia…
Certo, per lei l’esilio non era stato cancellato.
Il Re era ancora sul trono e c’erano cose più
importanti cui l’Assemblea doveva dedicarsi che la
riabilitazione di una aristocratica fuggita all’estero col
suo “servo ribelle”.
Ma era sicura che, se lo avesse chiesto esplicitamente a Bernard, lui
avrebbe trovato il modo di farle ottenere il perdono Reale e consentire
loro il rientro nel Paese. Ma avrebbero dovuto
lasciare tutto.
E André stava così bene lì, lontano
dall’agitazione che invece avrebbe scatenato
l’adrenalina di lei. Ma sì,
perché tornare? Stavano così bene in Cornovaglia.
Pace e serenità.
Sospirò chiudendo bene gli occhi, intenzionata a rilassarsi
e cedere a Morfeo.
Quando …
Spalancò nuovamente gli occhi nella penombra lasciata dal
caminetto acceso.
Le era sembrato di sentire un rumore . “No, niente.
“
Probabilmente era stato Jack, che dormiva nella stanzetta degli
attrezzi prima occupata da Alain, pensò dopo aver teso
l’orecchio.
Richiuse gli occhi.
Sentì un nitrito. Un nitrito nervoso.
Riaprì gli occhi.
Stavolta non era stata un’idea. I cavalli erano agitati.
Seduta sul letto, sfilò le gambe da sotto la trapunta e si
alzò. Qualcosa non andava.
- Jack, sei tu? –
gridò. Ma mentre attendeva la risposta, che non arrivava,
stava già allungando la mano sulla giacca, posata sulla
cassapanca ai piedi del letto. La indossò sopra la camicia
da notte. Si diresse alla porta tendendo l’orecchio e in
quell’istante, quella si spalancò per un violento
calcio.
Travolta dall’uscio, rovinò a terra, in mezzo alle
due poltrone antistanti il camino che separava il salotto dalla camera
da letto.
Una figura si stagliava contro la notte, nella sua mano scintillava una
spada.
- Bene, il ragazzo non era solo!
– esclamò.
- Jack… Che gli hai fatto?!
- Preoccupati per cosa faremo a te, madame –
ghignò lo sconosciuto, cogliendo il suo accento francese.
Oscar arretrò strisciando verso il camino. “Faremo”…
Quindi non era solo. Lei sì.
- Il tuo uomo ti ha lasciata sola
soletta, madame?–
esclamò quello notando abiti maschili appesi
all’ingresso. – Pessima cosa. Io Non lascerei un
bocconcino come te tutta indifesa. – sibilò
lascivamente - Aristocratica in fuga, suppongo…
Oscar riuscì ad alzarsi e a prendere la spada appesa accanto
al caminetto. Non era il caso di fare
la gentile con un signorile fioretto.
- La gattina vuole tirare fuori gli
artigli! – ironizzò non temendo più di
tanto l’arma nelle sue mani.
Ad Oscar sfuggì un sorriso nonostante la situazione. “Gattina?
Aspetta di sentire come faccio le fusa”,
pensò.
Ma inaspettatamente, l’uomo non si fece avanti, anzi,
arretrò per uscire.
L’obiettivo principale pareva aver prevalso sul desiderio
palese nei suoi occhi, almeno per il momento.
Il grido di César la spaventò.
- Che state facendo al mio cavallo!
– urlò.
- Ce li prendiamo, madame…
Tutti. - replicò allontanandosi veloce verso la stalla. Contrabbandieri, ecco
cos’erano! Banditi vigliacchi che
saccheggiavano indistintamente coste inglesi e francesi. Non poteva permetterlo!
Quei cavalli erano il loro futuro!
Uscì di corsa, mossa che il bandito non si
aspettava, e lo aggredì alle spalle, cadendo nel fango
addosso a lui.
Si rialzò velocemente, spada stretta ed in guardia.
Altri due complici stavano portando fuori le giumente e tentavano di
fare lo stesso con César.
Lo stallone bianco non era intenzionato a far portar via né
sé stesso, né la sua
“famiglia”.
Si impennava, scalciava forsennatamente in difesa soprattutto della
giumenta gravida ed il pirata che lo strattonava non aveva potuto fare
a meno di lasciare le redini, sconfitto.
Disgraziatamente l’uomo aveva pure lasciato cadere la lampada
ad olio appena fuori della scuderia ed un sentiero di fuoco, piccolo ma
pericoloso, stava correndo veloce verso il fieno ammucchiato nel
portico.
- Nooo! – gridò
Oscar correndo in quella direzione.
- Dove credi di andare! –
esclamò l’altro rialzatosi, afferrandola per i
capelli solo pochi metri dopo, sbattendola nuovamente a terra con una
spinta alle spalle.
Le fiamme ormai erano alte.
Le cavalle ingovernabili.
Oscar cercava di rialzarsi scivolando scalza sul fango freddo,
disarmata dalla caduta, mentre il bandito, ormai senza più
voglia di far battute le si avvicinava e l’intenzione di non
accontentarsi di un furto era ormai evidente da come la guardava.
Improvvisamente, accanto a lei picchiarono gli zoccoli di
César. Pareva un demonio bianco
accorso in sua difesa. (2)
Gli occhi inferociti, sembravano due tizzoni per le fiamme che si
riflettevano nel nero lucido della cornea.
Il cavallo la sfiorò, mentre si impennava, allontanando da
lei l’uomo armato, dandole il tempo di alzarsi, raccattare la
sua arma e correre dalle giumente con la sciabola sguainata.
I due delinquenti, menarono qualche fendente, ma la rabbia cieca di
Oscar unita alle zoccolate delle cavalle li convinsero a gettare la
spugna. Il fuoco crepitante concedeva loro poco tempo prima che al
villaggio si accorgessero di quei bagliori innaturali; vigliaccamente
ed opportunamente si diedero alla fuga.
Alle sue spalle, César non sembrava volersi quietare e
neppure il bandito.
Agitava la spada davanti a sé, mentre il cavallo nitriva e
si impennava come una furia infernale.
Una zoccolata colpì l’uomo ad un braccio e, nel
medesimo istante, l’urlo faceva capire che la botta aveva
spezzato un osso.
Poi un altro colpo, un altro ancora.
L’uomo cadde a terra, mentre l’animale non pareva
provare pietà e si avventava di nuovo contro di lui,
determinato a farla finita. Oscar, troppo distante,
si accorse della lama che era già tardi.
Il luccichio dell’acciaio scomparve mentre quella affondava
nel costato di César.
Il grido dell’animale lacerò l’aria,
nonostante il rumore crepitante delle fiamme; e l’urlo venne
immediatamente seguito da quello dell’uomo che si vide
crollare addosso la massa candida ed imponente, dalla quale venne
ucciso all’istante.
Il cavallo agonizzante rotolò su un fianco, con la lama
inesorabilmente calcata nel torace e tacque.
Oscar si avvicinò di corsa, incredula.
Neppure badò al corpo dell’uomo.
Gli occhi avevano lacrime solo per César.
Lacrime che cominciavano a mescolarsi alla pioggia torrenziale che era
ripresa a scendere.
Si inginocchiò accanto al suo amico, compagno di una vita.
Ripeteva “no”,
piano, mentre gli occhi tranquilli di lui la guardavano senza
più la furia di poco prima.
Lo accarezzò piano fra le due perle nere, con una mano,
lungo il collo conl’altra, sentendo la vena pulsante battere
sempre più lentamente, con sempre minor
regolarità, fino a fermarsi del tutto.
Fu così che la trovarono quelli di Baker Manor e del
villaggio di pescatori, tutti accorsi appena avvistate le fiamme da
lontano.
Abbracciata stretta al suo César, il suo magnifico
César, tremante e disperata come una bambina.
Quel cavallo era stato il primo essere vivente legato sia a lei che ad
André.
Lui lo aveva addestrato ed accudito.
Lei ci aveva passato la vita, giorno dopo giorno, avventura dopo
avventura.
Mentre la piccola folla si occupava di spegnere l’incendio,
in parte aiutata dalla pioggia violenta, Virginia si chinò
alle spalle di Oscar. Passandole le mani sotto le braccia, la
tirò su quasi di peso, in rispettoso silenzio, con quella
delicata ma determinata energia che nascondeva dietro la solo apparente
fragilità.
Oscar non oppose resistenza neppure quando Virginia la cedette
all’abbraccio di Bess che si occupò di avvolgerla
in una coperta e di accompagnarla al carro con cui era arrivata e dove
Basil, aveva già provveduto a caricare il povero Jack ancora
semi tramortito, che sarebbe stato nominato in seguito, “Jack
dalla testa dura”.
Virginia guardò il marito osservare cupamente la magnifica
bestia morta.
Sapeva che non potevano permettersi di sprecarne la carne.
- Non farti vedere la lei. – disse soltanto prima di voltarsi
e raggiungere Bess.
***
André galoppava verso Baker Manor, pretendendo quasi
l’impossibile dal suo animale che era già
più che stremato.
Era arrivato al cottage che albeggiava ed il sorriso al pensiero di
farle una sorpresa, tornando prima di quando previsto, aveva cominciato
a scomparire già odorando da lontano il fumo.
Scorgere le ceneri della stalla che ancora spandevano intorno il loro
acre puzzo, gli aveva fatto provare un terrore così intenso
da sentire distintamente il cuore restringersi ed inaridirsi nel petto.
Basil lo aveva visto e si era sbracciato per attirare la sua attenzione.
Solo su poche parole del breve racconto dell’uomo si era
focalizzata la sua attenzione: banditi…
César … Oscar … Baker Manor.
E non aveva perso un istante.
Entrò in volata nel cortile e frenò bruscamente
la povera bestia, scendendone ancor prima che si arrestasse
completamente, lasciandola libera.
Irruppe nell’ingresso gridando il nome di lei ed una mano
forte, spuntata alle sue spalle, lo trattenne per il braccio.
- Calmatevi! Calmatevi, André!
Sta bene ! non è nulla di grave…
- Ma Basil ha detto che…
dottore… - dovette fermarsi, per smettere di ingoiare aria e
balbettare incomprensibilmente.
- Solo per precauzione, André,
ma non è ferita! Ha solo preso tanto freddo e …
- E’ di sopra? – lo
interruppe André continuando a respirare a fatica ed
indicando risoluto le scale.
Scott annuì, arreso alla sua determinazione, e lo
lasciò andare.
André salì i gradini tre a tre e si
lanciò verso la camera che era già stata loro,
travolgendo Bess nel corridoio.
Oscar, semiseduta, affondata nei cuscini e nella trapunta, stava
già protendendo le braccia verso la porta, piangendo avendo
udito la sua agitazione. André cadde fra le sue braccia,
stringendola convulsamente.
- Sto bene, sto bene! –
ripeteva Oscar trovandolo così allarmato.
- Fatti vedere! Cosa … - disse
scostandola e stringendola per le spalle.
- Niente, niente! Qualche livido, due
sbucciature… Sto bene! – gli assicurò
carezzandogli il volto.
Ma le labbra iniziarono a tremarle.
- César …
- Lo so, lo so…
- Mi dispiace, André
… Lui mi ha …Adesso cosa…?
L’abbracciò stretta.
- Adesso niente… Non
preoccuparti. Tu stai bene. Questo è quel che mi importa. Ed
importava anche a César. Il resto si aggiusterà.
- Ma la giumenta…?
- Sta bene. Basil ha detto che il
puledrino pare non aver subito danni. Il figlio di César sta
bene, Oscar.
La sciolse dall’abbraccio, si stava calmando. Le prese il
viso tra le mani e posò la fronte su quella di lei.
- Sarà senz’altro un
bellissimo puledrino, vedrai… Certo, - sospirò
tristemente – dopo di questo, ci vorrà parecchio
tempo prima di avere un altro cucciolo a casa nostra …
- No… - esalò piano
Oscar.
André si scostò per guardarla negli occhi, non
capendo a cosa si riferisse.
- Un altro è già in
viaggio … - chiarì lei sorridendo, mentre la mano
che si posava sul ventre non lasciava dubbi.
Lo sguardo dell’uomo si illuminò di tutte le
sfumature dello stupore e della gioia.
La strinse a sé e pianse, carezzandole la schiena.
- Ma …
- E’ il mio regalo dello scorso
Natale per te … - gli rispose, sorridendo – Ma
dovrai aspettare settembre per vederlo…
***
Andrè si fermò alla villa, non volendo rinunciare
a dormire con lei, abbracciati.
Lei si era appisolata e svegliata più volte e lui era sempre
lì, vigile, attento.
Nonostante fosse stanchissimo, non riusciva a dormire.
- Hai già pensato ad un nome,
tu che hai saputo tutto in anteprima? – chiese strofinando il
naso nei suoi capelli, senza smettere di carezzarle il grembo. In effetti ci aveva
pensato eccome tra una nausea e una spaventosa voglia di
muffin.
Aveva pensato a nomi che le erano sempre piaciuti… Nomi che
però ricordavano donne ed uomini che aveva conosciuto: per
esempio, Joseph, Thomas, Axel…
Ad Oscar suonò il campanello d’allarme femminile
che la metteva in guardia e che stava imparando ad ascoltare. “Mai sollevare
dubbi in tuo marito!”, diceva il tintinnio.
- No! – si limitò
quindi a mentire lei.
- Sai, pensavo a come siamo stati accolti
in questa terra. La terra di Lancillotto e Ginevra, di Tristano e
Isotta, di Robin e Marian… Grandi storie d’amore,
tristi ma passionali. Un po’ come la nostra, con la
differenza che noi saremo felici per sempre. Pensavo, se omaggiassimo
questa terra dando alla nostra creatura un romantico nome inglese? Una
Ginevra che ti somigliasse sarebbe incantevole… -
bisbigliò.
Oscar sorrise.
- Stai già cercando di
sostituirmi con un'altra donna?
- Mai. Ma trovo intrigante pensarti
gelosa…
- Già … Non sai
quante volte ti ho immaginato tradirmi con Bess!
Si rizzò a guardarla in viso, nella penombra del camino che
aveva alimentato continuamente affinché non sentisse freddo.
- Non fai ridere!
- Un po’ sì, dai
…
Scosse il capo.
- Comunque, abbiamo tanto tempo per
pensare al nome… - concluse sdraiandosi nuovamente alle sue
spalle e chiudendo gli occhi, sognante. – Vedrai.. Quello che
ci aspetta sarà un periodo stupendo. –
mormorò accarezzandole il fianco senza secondi fini.
Povero
André… Non aveva idea di quando si stesse
sbagliando!
***
I sei mesi seguenti furono … allucinanti!
Oscar alternava momenti di bizzarra affettuosità nei suoi
confronti, ad altri in cui lui aveva davvero rischiato grosso, senza
neppure capirne il motivo.
C’erano giorni in cui “lo
voleva”, altri in cui pareva “volerlo morto”…
Se era vero che, con una donna in gravidanza, occorreva armarsi di
pazienza, con Oscar sarebbe stato opportuno armarsi di una “armatura”.
Il fatto di dover indossare necessariamente abiti femminili la rendeva
estremamente irritabile.
Il peggio poi arrivò quando le venne “consigliato”
di non cavalcare ed il medico restò quasi vittima di uno dei
suoi sbalzi d’umore, particolarmente violento in quella
occasione.
André doveva misurare parole e gesti e, per un
po’, gli sembrò di esser tornato
l’attendente strofinaccio costretto a chinare il capo e
ripetere “sissignore”.
Specie quando le dimensioni divennero per lei quasi invalidanti e la
vita che era stata sempre abituata a condurre, diventò un
sogno proibito.
Per le ultime settimane di gravidanza, Virginia la invitò ad
abitare con loro alla villa, dove avrebbe potuto avere cura di lei e
consigliarla.
André, impegnato a ricostruire la stalla, ampliare i recinti
e occuparsi dei campi oltre che degli animali, poté solo
sospirare di sollievo appena Oscar accettò. Non credeva avrebbe mai
potuto pensarlo, ma … stare separati un po’ non
poteva che far bene ad entrambi.
Mentre Virginia sferruzzava in sua vece copertine e cuffiette, Oscar
ovviamente allergica a tutto ciò, cercava di ignorare ogni
retroscena disgustoso e terrorizzante dei tre parti
dell’amica, raccontatole con disinvolta noncuranza dalla
stessa; cercava di distrarsi con la lettura e con le passeggiate, ma
non poteva non pensare che essere Comandante della Guardia Reale, le
aveva dato certo di meno da pensare di quella gravidanza.
A fine luglio, la loro cavalla aveva partorito nelle stalle dei Baker,
un magnifico puledrino bianco. Un maschio, per fortuna, che sembrava
proprio degno figlio di César.
Assistere al travaglio della bestia, la agitò.
Non pensava che qualcosa di così naturale avrebbe mai potuto
spaventarla, in fondo, da soldato ne aveva passate di tutti i colori. Eppure…
Tra non molto sarebbe toccato a lei e si domandava se sarebbe riuscita
a mantenere almeno il contegno, visto che già adesso il suo
corpo andava spesso per i fatti suoi mettendola in imbarazzo.
Virginia ci scherzava e minimizzava, ma André la guardava
strano.
In certi momenti sembrava che neppure la riconoscesse. Stava cambiando
così tanto?
***
Una mela saettante quasi la colpì in pieno.
Solo per puro caso il frutto andò a sbattere contro la porta
opposta a quella da dove era uscito volando e Virginia
sussultò.
Anche a lei era capitato di essere parecchio nervosa durante la
gravidanza; ma mai quanto Oscar!
Inoltre ormai mancava poco e questi scatti avrebbero dovuto diminuire.
La perenne gentilezza di André, poi sembrava quasi ottenere
l’effetto contrario.
- Basta mele! – stava gridando
Oscar – Ti ho detto che non voglio assolutamente
più vedere mele! Tanto meno mele cotte!
- Va bene, ma non arrabbiarti! Al bambino
non fa bene se ti arrabbi così…
- Bada, André…
Ancora una parola e quello che ti lancerò dopo
farà sicuramente più male di una mela…
- lo minacciò.
- Volevo solo essere gen-ti-le!
– disse scandendo bene l’ultima parola, termine che
a quanto pareva lei non conosceva più.
Ma… lo aveva mai conosciuto?
- Tu sei sempre gen-ti-le! Sei troppo
gen-ti-le! Mi innervosisce la tua gen-ti-lez-za!
Scott, richiamato dall’ennesima sfuriata tra i Grandier, si
era avvicinato alle spalle della moglie e lei gli aveva fatto cenno di
tacere.
Avevano imparato a starsene in disparte.
- Vorrei che tu capissi bene questo
dettaglio, André! La sola cosa che mi farebbe piacere ora
sarebbe non-essere-
incinta! Vorrei che finisse tutto! Subito! Ora!
E in quel preciso istante, sbiancò.
Ammutolita, si poggiò al tavolo con una mano.
André, preoccupato, si fece avanti.
- Oscar…
I coniugi Baker si affacciarono, turbati dall’improvviso
silenzio.
Lo sguardo terrorizzato di Oscar si piantò in quello di
Virginia che le si era avvicinata e che le poneva una silenziosa
domanda. Fu tutto chiaro!
Virginia si voltò verso i due uomini e li guardò
entrambi.
- Fuori! – ordinò.
Scott lo tirò per un braccio, mentre Oscar lanciava un urlo
che mai André avrebbe pensato di poter sentire da lei.
- No non voglio venir via. –
disse puntando i piedi.
- Credetemi, mi ringrazierete!
– disse l’altro un po’ terrorizzato - Tra
un po’ comincerà a maledirvi per averla messa in
questa situazione e non la vedrete più allo stesso modo, la
vostra dolce Oscar. Meglio uscire ed aspettare che le signore se la
sbrighino tra di loro, che ci tirino pure ingiurie che non meritiamo
neanche di sentire, ma meglio stare alla larga. Quel che potevate fare
… lo avete già fatto, Andrè! Nove mesi
fa!
Ma André non aveva bisogno di venir maledetto: lo fece da
sé ogni urlo di Oscar.
- Oh, mio dio che ho fatto! – si lamentava nel salotto del
pianterreno, mentre Bess correva su e giù, con lenzuola e
brocche d’acqua. Ma grazie al cielo, il
travaglio non fu lungo!
Il piccolo Grandier aveva tanta voglia di venire al mondo, quanta sua
madre ne aveva di porre fine alla gravidanza e rimettersi i pantaloni!
E le benedette endorfine svolsero il loro compito prima suo marito
potesse avvicinarla.
Bess, prima di uscire dalla stanza con il fagotto delle lenzuola e
degli gli indumenti sporchi che aveva radunato, si avvicinò
ad Oscar, ancora ansimante e concentrata, con gli occhi socchiusi per
placare il dolore delle contrazioni.
Le tirò per bene le lenzuola, rimboccandogliele piano;
restò un attimo a guardarla e, inaspettatamente,
passò il dorso della mano sulla sua fronte, in una carezza
sorprendentemente delicata per quella rude donnona che era; cosa che
spinse Oscar a guardarla per verificare se fosse davvero lei.
La serva sorrise e diede un paio di piccole pacche alla sua guancia,
quindi raccolse la biancheria da lavare e se ne andò.
Virginia si avvicinò col bimbo ad André, appena
entrato con un viso pallido pallido.
Timidamente lui cercò di prenderlo, incerto sul da farsi.
Virginia lo corresse subito e senza più timori, egli strinse
a sé il piccolo Grandier.
Oscar sorrideva vedendolo impacciato, nonostante tutto.
Si era convinta che lui sarebbe stato perfetto, a differenza di lei,
nel ruolo di genitore e vederlo esitare, beh, le sembrò solo
umano.
- Allora? – chiese sorridendo,
iniziando a rilassarsi un po’ – Non dici niente di
tuo figlio?
André in piedi a fianco del letto fissava il bimbo
tra le sue braccia, poi alzava lo sguardo su di lei e sorrideva.
- Quanto è piccolo…
- mormorò.
- Se fosse uscito da te, non diresti
così…
- Sei stata bravissima, sai? Eh,
già, gioiellino di Natale… La tua mamma
è un campione in ogni cosa che fa!
Oscar lo vide corrucciarsi, osservando il figlio.
- Umh…
- Cosa c’è?
– si preoccupò.
- Niente …
- Non dire “niente”
con quella faccia! – esclamò secca.
- No, è che …
ecco… Ha così pochi capelli… Non
sembra nostro figlio! A dirla tutta, mi ricorda il notaio di Plymouth,
ricordi…
Oscar istintivamente si raddrizzò contro i cuscini, mentre
le sopracciglia si increspavano pericolosamente.
- Scusa? – sibilò
piano.
Lui seppe subito di aver detto qualcosa che non avrebbe dovuto.
Ma non cercò di giustificarsi e discolparsi: aveva capito in
quei mesi che la tattica migliore era il silenzio.
Scomparire, se non dalla vista, almeno dalle sue orecchie. Muto. Zitto. Defilato.
- Stai paragonando nostro figlio a
quell’ometto pelato ed insignificante!?
Virginia entrata in quel momento con un piatto di minestra,
percepì il brivido di André e si
lanciò al salvataggio.
- Bene bene… Ecco un bel pasto
caldo e leggero per la nostra novella mamma. – disse gioviale
posando il piatto sul comodino -Voi André, datemi il
frugoletto che deve mangiare anche lui e scendete in cucina che la
tavola aspetta solo voi.
Gli prese il bimbo.
- Su, andate! –
ordinò lasciandogli intendere che non avrebbe avuto altre
vie di fuga.
L’uomo non se lo fece ripetere.
Lei andò a sedersi sul bordo del letto.
- Mangiate prima che si freddi! Poi
…ci concentreremo su questo giovanotto! –
esclamò toccando con un dito la punta del piccolo naso.
– Avete poi deciso per il nome? No, a furia di rinviare
la decisione, il pargolo era solo un Grandier non meglio identificato!
André si era addormentato nella poltrona accanto al letto,
quasi stremato quanto lei.
Oscar prese appunto mentale di porgergli solenni scuse per averlo quasi
sbranato a quella sua battuta sul notaio. Povero caro…
Sfilò le gambe da sotto le coperte e posò i piedi
a terra e un po’ esitante si tirò su.
Ci mise troppa energia nel farlo, perché ora era
più leggera e barcollò un po’.
Ma riacquistò subito l’equilibrio.
Avvertì delle fitte. Il suo corpo stava cercando di
riprendere forma, aveva ancora contrazioni. “Presto
tornerò quella di prima”, si diceva.
Passo dopo passo tenendosi al letto, arrivò alla culla e
guardò il suo piccolo dormire.
Quello strano essere.
Non riusciva a credere fosse davvero suo. Suo e di
André.
Lo guardò.
Effettivamente definirlo bello era qualcosa di oggettivamente ardito,
ma … era stupendo, sì.
Allungò la mano e lo sfiorò piano, con solo un
dito e sorrise.
Si capiva già che sarebbe stato scuro di capelli, nonostante
la poca peluria in testa.
- Un bel moretto come il tuo papà, eh? Forse so come voglio
chiamarti, piccola sorpresa natalizia: perché tu sarai
inglese, ma cercherò di far trovare posto nel tuo cuoricino
anche per la Francia. Tuo padre aveva ragione: omaggiare questa terra
è un obbligo ed un piacere. Tristan, sì, Tristan
è un bel nome: lui visse sia qui che in Francia. Magari, un
giorno ci torneremo tutti, piccolo. … Quindi …
Tristan Noel Grandier…(4)
***
Dopo tre settimane, Oscar aveva deciso che fosse ora di tornare a casa,
al cottage. In fin dei conti stava bene e non voleva gravare sulla
già troppo indaffarata Virginia.
Le aveva giurato e stragiurato che non avrebbe fatto movimenti strani o
sforzi esagerati, e che l’avrebbe fatta chiamare al minimo
accenno di problema.
La accontentò facendo giurare e stragiurare anche
André che non le avrebbe permesso di fare stupidaggini. “E’
il tuo primo figlio” continuava a
ripeterle Virginia e questa frase la terrorizzava, implicando la
possibilità di un futuro allargamento della famiglia . “Troppo presto
per angosciarsi su altri eventuali figli”,
pensò visto che non sapeva ancora come prendere in braccio
quel “cosetto”.
Così aveva cercato di tornare alla normalità, ma
normale era un termine che le sue giornate non avrebbero contemplato
per molto tempo.
Oscar notò il suo sguardo fisso, mentre gli serviva la cena.
- Cosa c’è? Che
guardi? – lo sfidò seccata.
André ricomincio a mangiare, sorridendo, ma levando lo
sguardo dai seni abbondanti dovuti alla gravidanza, pronti ad esplodere
dalla camicia maschile diventata stretta, che doveva tener fuori dei
pantaloni che non riusciva ancora ad allacciare a dovere.
Sbatté il piatto sulla tavola e piantò le mani
sui fianchi.
- Ti faccio percaso ridere?
Ma non era una domanda.
Lo guardò in viso ma André, veloce, scosse la
testa, con la bocca piena impossibilitata quindi a dire stupidaggini.
- Pensi sia divertente per me trovarmi
conciata così? – e si indicò il petto.
Lui scosse ancora il capo con energia, cercando di non sorridere e
nemmeno di strozzarsi coi bocconi eccessivi che lo facevano somigliare
ad un criceto.
Dall’altra stanza arrivo improvviso uno strillo acuto.
- Ecco, lo hai svegliato! Contento?
André che continuava a riempirsi la bocca, indicò
sé stesso, perplesso.
- Sì, tu! E adesso goditelo
tuo figlio! Io non ne posso più!
Ed uscì sbattendo la porta.
André con rassegnazione ma senza perdere il sorriso, si
alzò e raggiunse la culla.
Prese il bimbo, cominciò a ninnarlo vezzeggiarlo e
fargli boccacce nel tentativo di calmarlo.
- Piccolo mio, qui devi darmi una mano
che mammina è un tantino nervosa… Ebbe una illuminazione:
forse era meglio nascondere i fioretti e le sciabole,
già…
Oscar guardava il mare così diverso da quello che
l’aveva vista crescere in Normandia, così scuro,
violento, arrabbiato, con le alte onde che frustavano la scogliera ai
due lati della baia.
Quel rumore incessante che non dava pace, non dava tregua.
Era certamente affascinante quello spettacolo, ma le mancava la quiete
del suo bel palazzo bianco sulla spiaggia immensa, il silenzio dei suoi
vigneti ad Arras che proprio in quel periodo veniva interrotto dalla
vendemmia, il chiacchiericcio delle fontane di palazzo Jarjaies. Suoi?
Ormai, anche se non fosse stata una esiliata, di suo non
v’era più nulla in Francia.
Era sicuramente tutto stato requisito, saccheggiato se non smantellato.
Tutto per nutrire l’apparato statale, ma molto meno i suoi
cittadini.
Era fortunata ad essere lì, lontana dalle tribolazioni, dai
cambiamenti vorticosi e spesso distruttivi. Dalla rabbia e dalle
ingiustizie, dalla miseria che, come le piaghe d’Egitto,
continuavano a percorrere il suo paese, colpendo sempre qualcuno, un
poco meno distintamente da prima, ma sempre pesantemente.
La gran parte dei poveri era rimasta povera e i lupi si ingrassavano.
Era cambiato tutto, in un certo senso niente. Cambi di poltrone ma non
di risultati, a giudicare dagli utlimi mesi.
Era fortunata in tutto, poteva godersi la pace della democrazia
inglese, di quella rivoluzione quasi indolore che, come aveva scritto
Voltaire aveva portato gli inglesi ad essere “il solo popolo sulla
terra che è stato capace di porre dei limiti al potere dei
re e di contrapporsi a essi; e che, con una serie di lotte,
è riuscito alla fine a stabilire quella saggezza di governo
per cui il principe abbia tutte le possibilità di agire bene
e allo stesso tempo sia impedito di agire male; e dove i nobili sono
grandi senza essere insolenti; e dove il popolo partecipa al governo
senza confusione". (3)
Ma ogni tanto veniva assalita da questa nostalgia fasulla, dallo stavo
meglio quando stavo peggio, che la avviluppava come un serpente e le
mancava il respiro.
Era grata di ricevere ogni tanto notizie, oltre che dai giornali che
Foster le faceva avere, sia inglesi che francesi, quelle dirette di
prima mano delle lettere di Rosalie e Alain, che mantenendo il contatto
epistolare con una espatriata, rifiutata prima dalla corona ed ora
anche dalla rivoluzione, rischiavano non poco.
Purtroppo Rosalie non poteva più farle sapere nulla dei suoi
familiari dal novembre del 1789.
Sapeva che palazzo Jarjayes era stato abbandonato dopo il trasferimento
dei Reali alle Tuileries; che tutti si erano messi in salvo, ma dove
fossero coloro che restavano suoi familiari, genitori e sorelle, dove
fosse Nanny, non lo sapeva più.
- Scusami … – disse
sentendolo arrivare alle sue spalle.
Se ne stava seduta sulla solita grossa roccia e piangeva a dirotto.
André le posò uno scialle sulle spalle.
- Pensavo che se ti avessi abbracciata mi
avresti ucciso, ma uno scialle …
Oscar sorrise e gli carezzò la mano, posata sulla sua spalla.
- Non so che mi prende. Dicono che
è normale dopo un parto, ma … Accidenti non
è normale odiarti così tanto!
E rise dell’assurdità.
- Oscar, ti ho aspettata 20
anni… Che vuoi che sia qualche … mese?
– disse mentre nella testa si augurava solo settimane.
Il solito paziente e comprensivo André. Ansioso per lei, ma
nel contempo fiducioso che presto sarebbe tornata la sua Oscar di
sempre.
Lei avrebbe tanto voluto Nanny lì con loro.
Aveva paura di sbagliare, su tutto. Di bambini non sapeva quasi niente,
e nemmeno aveva voluto mai interessarsene.
Ma ora che era accaduto l’impossibile, cioè che
era madre e moglie, avrebbe tanto desiderato essere rimasta ad
ascoltare quei disgustosi pettegolezzi delle dame, delle cameriere,
delle donne che avevano vissuto la loro vita intorno a lei, chiusa
nella sua bolla, separata dai problemi femminili.
Ora che aveva la responsabilità di una piccola vita, aveva
il terrore di commettere qualcosa di irrimediabile.
Virginia era un pozzo di consigli preziosi, ma non era certo Nanny.
Restava un certo riserbo a parlare di certe cose con lei,
più netto di quel che sapeva sarebbe stato con la sua balia.
Si alzò ed abbracciò André, per la
prima volta dopo il parto. Un vero abbraccio.
Si sentiva ancora scombussolata là dentro nel ventre,
stranita ed incredula per quel che era accaduto al suo corpo e per quel
che continuava ad accadere.
Ma lui era André, il suo André dei miracoli,
colui che le aveva dato la vista, da cieca che era stata, che
l’aveva resa donna, da uomo che era destinata ad essere; che
con pazienza immensa la sopportava da una vita.
E le mancava, lui.
Udirono vagiti tanto potenti per un essere così piccolo,
provenire dalla porta aperta del cottage.
- Ha preso da te! – disse
subito lei, dopo un lamento soffocato sul suo torace caldo.
- No no, da te! –
ricambiò l’accusa ridendo.
- Ma se è sputato te da
piccolo! – obiettò Oscar, mentre abbracciati,
cominciavano senza troppa fretta ad avviarsi a casa.
- E questa convinzione da dove arriva?
Non mi hai mai visto da piccolo! Nemmeno eri nata quando ero
così piccolo, io.
- Nanny diceva che eri un mostriciattolo
irritante…
- Ah … Così diceva
la mia nonnina! Ho come l’impressione che invece abbia preso
proprio da Nanny …
- … o da mio padre …
Si guardarono un po’ spaventati dal possibile mescolamento di
quei due caratteri ed ebbero i brividi.
- Beh, l’importante
è che abbia smesso di somigliare al notaio … -
mormorò André.
***
1) Non pensate sia uno scherzo: un
conoscente mio, due costole rotte cadendo dal letto causa manovra
troppo impetuosa e schivata della moglie : ) … E i letti
all’epoca erano belli alti!
2) Scusate… Ho quella che
chiamo “sindrome dell’equino eroico” e
poi la morte di César nell’anime mi aveva
stravolta.
3) Citazione raccattata in internet che
prendo per buona perché mi fa comodo. Citerei la fonte
precisa se solo me la ricordassi!
4) Volevo un nome doppio. Noel,
è per ricordare la notte del “fattaccio”
e Tristan è un debito che ho con Baby80, che ha rinunciato
al nome del suo futuro primogenito per evitare che il piccolo Grandier
continuasse a chiamarsi come l’ho chiamato fino
all’ultimo momento, ovvero “XXX”.
Siccome, la cosa sarebbe suonata un pelino “hard”,
ringrazio caldamente Baby per l’idea!!! Grazieee
Ce
que j'ai vus, ce que je vois (Ciò
che ho
visto, ciò che vedo) Je
me dois de l'écrire (ho il dovere di scriverlo) Et
de vous prévenir (e
di avvertirvi) Le
pire est à venir (Il
peggio deve ancora avvenire)
Ce
que j'ai vus, ce que je vois (Ciò
che ho
visto, ciò che vedo) Ressemble
à un naufrage (assomiglia
ad un
naufragio) Un
immense carnage (una
immensa carneficina) En
voici les images (eccovi
le immagini )
Ce
que j'ai vus, ce que je vois (Ciò
che ho
visto, ciò che vedo) Est
un peuples orphelin (è
un popolo orfano) Qui
cherche son chemin (che
cerca il suo cammino) La
tête entre les mains (la testa tra le mani)
Malheur,
Douleur, Malheur, Horreur, Malheur (disgrazia, dolore,
disgrazia, orrore, disgrazia) Comment
retrouver le bonheur (Come
ritrovare la felicità) (1)
Settembre 1793
L’estate
era trascorsa tranquilla, nonostante l’Inghilterra fosse in
guerra con la Francia già da febbraio. Contro ogni
aspettativa, Scott era stato richiamato in servizio, tra le lacrime di
Virginia. André
si era offerto di curare la famiglia dell’amico ed i suoi
possedimenti, assistito da Foster, sempre più indaffarato
per via del grande movimento di denaro causato dal conflitto. La diffidenza
verso loro, “i
francesi”, era alta; fortunatamente
André era ormai conosciuto e rispettato da tutti coloro in
affari con Scott, ma il pericolo di qualche esaltato nazionalista
persisteva.
Il sole
ancora caldo, invadeva la casa. Le porte e le
finestre erano tutte spalancate per godere fino all’ultimo di
quegli strascichi d’estate. Oscar era
relativamente serena. Da qualche
giorno, Scott era tornato per una breve licenza, mentre la sua nave
veniva riparata al porto di Plymouth. Così
lei ed André, libero dal fare le veci del capitano negli
affari, potevano trascorrere qualche giorno di nuovo al cottage, da
soli. Solo loro e Tristan che tra poco avrebbe compiuto tre anni.
Sul tavolo
della cucina giacevano i giornali più recenti portati dal
capitano. La giovane
Sarah glieli aveva consegnati pochi minuti prima, utilizzando quella
commissione come scusa per una cavalcata e, dopo aver afferrato e
coraggiosamente assaggiato un muffin bruciacchiato, ma meno peggio di
tanti altri, era fuggita come il vento saltando gli steccati dei
puledri. Cavalcava sicura, anche troppo, e leggera proprio come quella
cascata di boccoli ramati che neppure il nastro riusciva a contenere;
incurante delle gonne al vento, incurante di quanto fosse inopportuno per una
damigella. Non era
più la petulante bimba che Oscar aveva conosciuto: aveva 13
anni compiuti e lo splendore di donna in cui sarebbe
sbocciata tra non molto era già evidente. A parte
ciò, era quella tra i tre ragazzi, che più aveva
assimilato da Oscar. La sua
istitutrice la guardò saltare l’ostacolo,
spaventando il povero Jack e scosse la testa sorridendo con orgoglio
malcelato… Le
ricordava tanto uno scherzo simile fatto da lei ad André
tanto tempo prima.
Era stato un
anno veramente difficile, l’ultimo, in fatto di avvenimenti
per la Francia. L’angoscia
era cominciata alla notizia del 10 agosto del 1792: la strage alle
Tuileries ed il conseguente incarceramento della famiglia reale al
Tempio. La speranza
che la rivoluzione traslasse in una monarchia costituzionale o, almeno,
nell’esilio dei reali, era crollata. Il
riconoscimento da parte di Oscar degli ideali rivoluzionari, la
necessità di cambiamenti, non avevano comunque permesso che
lei odiasse a tal punto Maria Antonietta o lo stesso Re. Non poteva
non ricordare sorridendo il giovane, timido delfino che durante una
battuta di caccia le aveva confidato cosa provava per la vitale,
esuberante consorte; e neppure poteva scordare le giornate trascorse
con la spumeggiante Antonietta. Poteva dimenticare che madre
meravigliosa fosse stata per i suoi bambini? Poteva dimenticare il
dolore provato da entrambe per la morte di Joseph? Oscar ed
André avevano seguito le notizie frammentarie che arrivavano
con una certa angoscia per Nanny, per la madre e le sorelle di Oscar. Perché
no, anche per il generale…
Le lettere di
Rosalie e di Alain non erano più arrivate. Sapevano che
il gigante era entrato nella guardia Nazionale tramite Bernard, che era
ormai un ufficiale e che l’aria generale non era affatto
buona. Il sospetto pesava su tutti loro, anche se “figli del popolo”,
quindi la corrispondenza con dei rifugiati era pericolosa. Anche se
Oscar restava una esiliata, invisa alla monarchia, era pur sempre una
aristocratica, figlia di Jarjaies, il realista fedelissimo.
E nella Francia dei sospetti, questo era più che sufficiente.
Il
21 gennaio di quell’anno, Luigi XVI, il re coetaneo di
André, timido e curioso di meccanica e scienza, era stato
ghigliottinato.
Se ne era andato augurandosi che a suo figlio non toccasse mai di
diventar Re.
Aveva pagato con la morte la sua indecisione, nonché gli
errori e gli abusi commessi da re ben peggiori di lui.. “Dopo di me, il
diluvio!” aveva predetto Luigi XV, godendo e
sperperando, incurante della pesante eredità che avrebbe
lasciato al giovane ed impreparato nipote. E poi….
Poi la guerra. L’ultima
notizia era stata quella del trasferimento della regina alla
Conciergerie, il due di agosto. La cosa aveva
rattristato Oscar enormemente, ma … Nulla più. La sua vita,
grazie ad André, era tutt’altro. Versailles, Parigi, la
Francia… Era tutto così lontano, ormai.
***
Quel giorno,
Oscar stava litigando come al solito con i suoi compiti in cucina. Non poteva e
nemmeno voleva sottrarsi a quelle incombenze; cercava di ripetersi che
faceva quel che faceva non perché era una donna ed in quanto
tale, le toccavano, ma solo perché il suo André
proprio tutto, da solo, non poteva fare. Sapeva che
lui non avrebbe smesso di canzonarla fino all’ultimo giorno
della loro vita, per questa sua incapacità naturale, ma di
lei ammirava il suo impegno costante, tra una frecciata e
l’altra. Quando il
piatto le sgusciò di mano mentre lo asciugava ed
andò a frantumarsi sul piano di lavoro in pietra,
tirò una mezza bestemmia e si ripromise di non maneggiare
più porcellane se non su piani in legno o, meglio ancora, su
cuscini! Si
rassegnò a raccogliere i cocci caduti a terra e, intonando
quanto era imbranata sotto forma di canzone, diede uno sguardo fuori,
attraverso la porta finestra, dove il suo bimbo giocava
sull’erba. E le prese un colpo. Un uomo, un
cavaliere, era chino vicino a Tristan e ci chiacchierava a versetti
come si può fare coi bimbi di
quell’età.
Il bambino, fiducioso, gli aveva appena passato un cavallino di legno
intagliato dal suo papà e gli sorrideva. L’istinto
e le passate brutte esperienze, la indussero a scorrere la mano
sull’elsa della sciabola, poggiata sul ripiano. Uscì
ed avvicinandosi in silenzio, il cuore cominciò a batterle
forte, ma non per paura di un pericolo sconosciuto. I gesti, la
figura e quando fu a pochi metri, anche la voce … No, non poteva essere lui! - Sono
contento di trovarti in così buona salute,
Oscar – disse l’uomo alzando lo sguardo su di lei,
con quegli occhi così chiari, e togliendosi il cappello. Era
l’ultima persona che pensava si sarebbe trovata un giorno
fuori casa. - Padre!
…. Jarjaies
sorrise. L’attimo
seguente sembrò eterno, di un disagio senza fine. Nessuno
avrebbe saputo dire come sarebbe continuato, se una voce conosciuta e
veramente irritata non fosse arrivata a spezzare l’imbarazzo. - Maledette
buche inglesi! Una strada decente che possa
accompagnare in carrozza una povera vecchia, no? Barbari inglesi! Come
si fa a non fargli guerra! André
sbucò in quel mentre dal retro avendo sentito delle voci. - Oscar, ma
che… Si
gelò riconoscendo il suocero. Rimase
interdetto un secondo, preoccupato, in allarme, ma si riprese subito
scorgendo l’altra figura che arrancava sul pendio sassoso,
dove la carrozza, che era arrivata dalla strada costiera, non
poteva salire ed era rimasta ad attendere un po’
più a valle. Ed il suo
sguardo si illuminò. -
Nonna?… Nonna! Nonna nonna! Le corse
incontro, ignorando tutto e tutti. La sollevò per la vita,
stringendola come fosse stata una paffuta bambola di pezza. - Mettimi
giù … disgraziato! –
esclamò Marron Glacé, col suo solito tono
autoritario, ma gli occhi pieni di lacrime. André
obbedì, però strinse il suo viso tra le mani e le
schioccò un bacio violento su una guancia, piangendo a sua
volta. -
Sì, sì! Anch’io sono contenta
di vederti, piccolo. Ma … sei tutto pelle ed ossa! E che
novità sono questi occhiali? Vorrai mica somigliare ad un
notaio, uhm? Beh, almeno hai ancora tutti i capelli… -
Nonna!…. – esclamò sgomento. Si sorrisero:
gli anni di lontananza si annullarono in un istante. Nanny si
volse verso Oscar e, muta, spalancò le braccia. Lei
lasciò cadere a terra la spada e corse a piangere sul petto
della sua Nanny, realizzando solo in quel momento quanto le fosse
davvero mancata.
André
guardò Jarjaies, rimasto in silenzio. - Signore
… - salutò con fredda
educazione. Jarjaies gli
si avvicinò, con passo deciso ed incredibilmente agile per
un uomo della sua età. Forse anche
un po’ minaccioso ed André si irrigidì.
Rimase quindi sorpreso dall’energico inatteso abbraccio che
seguì. - Sono
contento anch’io di rivederti,
André, anche se tu non mi crederai! –
esclamò, ottimista, lasciandolo con energia pari a quella
utilizzata per l’abbraccio, facendolo vacillare.
In quel
mentre il piccolo Tristan Noel, travolto da tutto quel vociare,
cominciò a piangere, attirando su di sé
l’attenzione generale. Oscar corse a
prenderlo in braccio, con Nanny appresso che aveva già
cominciato a far versetti e, contemporaneamente, a borbottare cose del
tipo “Non si
frigna, giovanotto!” Jarjaies tese
le mani. - Posso
abbracciare mio nipote? Oscar
esitò un attimo, guardando André, cercando il suo
muto consenso: in fin dei conti, era suo figlio. Il marito
annuì piano ed Oscar tese il bimbo ad un generale, rilassato
e socievole, che faticava a riconoscere come il suo austero genitore.
Nanny si
diresse con passo marziale verso il cottage ed Oscar, con terrore,
realizzò cosa l’aspettava. - Ma che
accidenti ci fate in questa cucina! – la
sentì esclamare appena varcata la soglia. – Per
fortuna, Nanny è qui! André
scoppiò a ridere vedendo la faccia di Oscar sbiancare; e
come lui fece il generale. Ma la moglie lo
fulminò all’istante: mica c’era da
ridere!
Nel giro di
un’ora, la cucina aveva già cambiato aspetto sotto
l’organizzazione o lo strofinaccio della governante e tutti
avevano bevuto tè gustando i biscotti secchi portati da
Marron. Il cocchiere
se ne era andato dopo aver trasportato al cottage tutti i bagagli,
segno che almeno Nanny sarebbe rimasta un bel po’ con loro,
volenti o nolenti. Il generale
spiegò che era venuto a conoscenza di dove abitavano da una
più che riluttante Nanny, ma aveva sempre saputo che stavano
bene, sin dalla prima visita “segreta” di Rosalie a
palazzo Jarjaies. Sua madre,
Madame, era rimasta a lungo a Parigi, disse, su richiesta della Regina,
nonostante il costante pericolo. Le sue
sorelle, con le loro famiglie, erano tutte in salvo
all’estero, in Italia, e presto le avrebbero scritto. Nessuno parlava veramente. Solo chiacchiere di cortesia
attorno ad un tavolo. Poi,
d’un tratto, il generale guardò Nanny, uno sguardo
d’intesa. - Mi mostri
il resto della casa, piccolo ?… - disse
lei al nipote. André
intuì che il generale volesse parlare ad Oscar in privato e,
come aveva fatto lei prima, chiese con uno sguardo il suo consenso, che
arrivò sotto forma di un tranquillo sorriso. - Va bene,
nonna, ma non voglio sentire critiche! –
esclamò, mantenendo il tono cordiale che s’era
instaurato. - Tu
prenderai tutto quel che ti meriti, giovanotto! Ceffoni compresi, se
sarà il caso. Non credere di poter fare il gradasso con tua
nonna solo perché ora sei padre! … Dovrai farmene
almeno altri due di nipoti, prima di potermi dire cosa posso o non
posso fare! Uscirono
dalla cucina mentre lei borbottava ancora.
- Ti trovo
davvero bene … - esordì il
generale, che non aveva smesso di studiarla. - Per essere
una reietta? – ribatté senza
rinunciare al tono acido e senza guardarlo. "Che carattere, accidenti!" - Suvvia
Oscar … - la rimproverò
bonariamente – Hai fatto di testa tua e hai avuto ragione.
Sono felice di come sono andate le cose, lo sono davvero. Ma vuoi farmi
credere di non sapere perché le loro Maestà ti
hanno esiliata? Hanno cercato di salvare la tua vita, la mia carriera,
la nostra famiglia, i nostri beni ed il buon nome del casato! -
Sì, lo so… Sono stata soltanto la
vittima sacrificale! – ringhiò ironica. - Avevi
disobbedito ad un ordine diretto del Re. Non potevano
ignorare la cosa, soprattutto in quel momento. E lo sai. - Potevano
darmi ragione! – esclamò Oscar
picchiando un pugno sul tavolo, più per delusione che per
vera rabbia. - Potevano smentire Bouillè, che con la sua
rigidità non ha fatto che danni! Jarjaies
sospirò, annuendo tristemente. Come? Suo padre le stava dando
ragione? Ancora?! - Ripensando
a come andarono certe faccende negli anni seguenti
… - Quali
faccende? - Cosa sai
della fuga di Varennes? - Che
fallì … - disse lei alzando le
spalle, come se solo il risultato contasse. - Grazie
proprio a Bouillè ed alla sua
rigidità. Sapevi che era stata organizzata da Fersen? Oscar
sentì il cuore rallentare a quel nome, che da tanto non
udiva pronunciare e scosse il capo, perché non lo sapeva e
… perché non riusciva a credere alla sua reazione. "Ridicola! Sei ridicola!" - Fersen
aveva cercato di organizzare le cose in modo che il
viaggio passasse inosservato. Aveva proposto più carrozze
piccole, poco lussuose, un certo tragitto e nessuna scorta militare. Ma
la Regina non voleva separare la famiglia, il tragitto non stava bene
al Re, che pensava di poter essere riconosciuto a Reims e
Bouillè voleva assolutamente una scorta. Il Re scelse un
altro tragitto, altrettanto pericoloso, ma Bouillè fece quel
che tu, mia amata e ribelle figlia, - e lo disse con un sorriso
affettuoso, - non avresti fatto: obbedì. Fersen dovette
adeguarsi al volere di tutti. Ordinò una berlina tramite una
delle sue tante amiche, una nobile franco-russa, così
nessuno avrebbe fatto domande. Voluminosa, ma neanche troppo
appariscente e lui l’avrebbe guidata di persona. Vestiti con
abiti da viaggio sobri ed il piccolo Charles, che indossava un abito da
bimba, giunsero alla prima tappa. Lì, Fersen li
lasciò, per ordine di Sua Maestà e di
Bouillè. E poi furono una serie di sfortune, che ritardi su
ritardi, li portarono all’appuntamento fissato quando
l’uomo di Bouillè, inesperto ed impaziente, con la
scorta militare se ne era già andato. Qualcuno li riconobbe,
lì fermi ad aspettare il generale e … beh, ormai
è storia. Il fratello di Sua Maestà,
seguì il consiglio di Fersen e partì da solo a
cavallo. Sua moglie partì con una dama. Sono entrambi in
salvo. -
Perché mi raccontate ciò? Non credo sia
solo conversazione. - Sono in
missione per conto della Regina. Ecco! Doveva aspettarselo da suo
padre che non era solo la voglia di rivederla ad averlo condotto
lì. Stupida! Per lui, il dovere prima di tutto! Jarjayes
posò sul tavolo due buste: una di carta pregiata, una misera. - Una
è di Fersen. – disse –
Sono stato da poco in Svezia a consegnargli le ultime parole di Sua
Maestà. L’altra è della Regina. Come
immaginerai, non ci sono più speranze di salvarla. Oscar
allungò la mano sulle due buste. Senza
esitare, prese quella della Regina che arrivava direttamente dalla
Conciergerie. Una busta anonima. - Voi siete a
conoscenza del contenuto? - chiese al padre. L’uomo
annuì. -
E’ stata Rosalie a darmela. Da quando la Regina è
alla Conciergerie, è lei ad occuparsene. Mi ha cercato e
contattato su espressa richiesta di Sua Maestà. Oscar
cominciò a leggere in silenzio la pagina e
sbiancò. Alzò
gli occhi sul genitore. - Se te lo
avessi proposto io, non solo non mi avresti creduto… Non
saresti stata neppure ad ascoltare … -
s’affrettò a dire lui.
***
Oscar
collocò suo padre nelle stalle per la notte, su sua
richiesta. “Un soldato, si adatta
a tutto”, diceva. Ed era vero.
Il generale era sempre stato una roccia sotto questo aspetto:
pretendeva, sì, ma era il primo a dare sul lato “sacrifici”.
Quando
rientrò, la lettera dello Svedese era ancora lì,
chiusa nella lussuosa busta col simbolo di famiglia, sul tavolo della
cucina. Si sentiva
chiamare da quel pezzo di carta e, più lo ignorava,
più si scopriva curiosa. E ciò la faceva
arrabbiare oltre misura! Alla fine,
spazientita, si arrese a quel desiderio.
Pensava
però che suo padre le aveva già raccontato tutto.
Cosa poteva esserci di
più in quella busta? Cosa poteva aver scritto lo
Svedese che potesse convincerla, quando i fatti, gli orrori descritti,
la richiesta esplicita di Sua Maestà, non ci erano ancora
riusciti?
Non era una
lunga lettera.
"Mia carissima amica, una volta mi diceste che ci sono
due tipi d’amore: quello che da’ la
felicità completa e quello che porta ad una lenta e triste
agonia. Sono davvero felice che voi
abbiate incontrato il primo genere. Come vostro padre vi
avrà sicuramente spiegato, ormai sono quasi arreso al fatto
di non poter più fare nulla per la donna che amo e che
amerò in eterno, ma se voi potete esaudire la Sua ultima
richiesta, ve ne sarò per sempre immensamente grato. Axel"
Posò
stancamente la mano sul tavolo, senza però riuscire a
depositarvi il foglio di carta.
Quella volta,
Oscar aveva pregato perché lui potesse provare la
felicità completa. Non
immaginava neppure che il suo amore di una vita per Maria Antonietta,
lo avrebbe portato a tanta sofferenza. Vent’anni
di sofferenza ed andava sempre peggio… Lo
immaginò chiaramente nella mente: bellissimo come sempre;
perfetto, come sempre; nel suo palazzo vuoto, nella sua casa fredda,
nel suo letto troppo grande. Solo. Si
alzò e spense la lampada. Suo padre non
aveva tentato di imporle nulla. Non aveva
fatto ricorso al solito “tu
devi!”, cosa che aveva caratterizzato gran parte
della sua vita; non le aveva ricordato giuramenti, doveri filiali,
altri “cavilli”
veri, presunti o inventati allo scopo. Aveva solo
seminato il dubbio ed aspettava che questo germinasse. Suo padre la conosceva
più di quanto avesse mai supposto.
In
sala, su una delle due grandi poltrone poste dinnanzi al caminetto,
vide la sua vita. Sentì il cuore invaso
da calore: doveva essere quello il sintomo della felicità. André
si era addormentato con il loro bambino, abbracciato a lui, stretto
intorno al suo collo. Si sedette
sul bracciolo, carezzò il ciuffo scuro di capelli che
nascondeva l’occhio morto e si lasciò scivolare
giù, sulla sua gamba, attirando il capo sul suo petto. André
si destò appena e nel dormiveglia, la strinse a
sé. I suoi due uomini… Pensò
a Maria Antonietta: aveva perso due figli di malattia; il
marito sotto la ghigliottina; la sua migliore amica era stata uccisa,
stuprata, fatta a pezzi ed il resti le erano stati portati,
in trionfo, sotto i suoi occhi… La famiglia
austriaca l’aveva abbandonata al suo destino
perché non era più utile. Fersen,
l’uomo che l’amava da vent’anni, aveva
percorso l’Europa intera in cerca d’aiuto; aveva
combattuto sui campi di battaglia, si era rovinato anche economicamente
per salvarla, ma non poteva più nemmeno avvicinarsi a lei,
ed ora … Ora l’avevano separata
dal suo bimbo. Glielo
avevano portato via con la forza, rinchiuso solo in una cella buia,
vittima di ingiurie, pestaggi e violenze psicologiche. Cosa avrebbe
fatto lei, se le avessero impedito di avere André accanto e
rinchiuso e torturato suo figlio? Non c’era tanto da
esitare nella risposta.
***
Si
svegliò di colpo quando lui tirò le tende e la
luce l’accecò. - Che
significa? – esclamò furioso
tirandole le lettere addosso, quelle che lei aveva distrattamente
lasciato in cucina. -
André… - mormorò lei
assonnata. -
E’ per questo che tuo padre è qui? -
André … - Come
può Fersen chiederti questo? Come
può tuo padre?! -
André… - si tirò su seduta. - E tu sei
pronta ad accorrere, vero? -
André … - No!
– gridò - Non ci riguardano
più! I loro guai non sono più affare nostro!
Uscì
sbattendo la porta, che però non si chiuse per il colpo
violento e rimbalzò indietro. Quasi
travolse la nonna, svegliata di soprassalto da quelle urla, in piedi
dietro al loro uscio. Le due donne
si guardarono ed Oscar scosse il capo alla muta domanda di Nanny,
mentre suo figlio cominciava a strillare. Si
alzò, mentre Marron si offriva di occuparsi del piccolo ed
andò a cercarlo. Il sole era
già caldo perché avevano dormito più
del solito. Lui era
là, fuori, in piedi sulla spiaggia. A braccia
conserte, fissava l’orizzonte, dietro alla cui foschia si
nascondeva la sua terra natale. Aveva pensato
che non fossero più problemi loro. Ma era un inganno. Erano solo
avvolti dalla nebbia, ma i guai erano là, insieme alle
persone che conoscevano, che lottavano, soffrivano e morivano su
entrambi i fronti. Lontano,
nella nebbiolina, si intravedevano le vele di una nave che lasciava la
Manica. Le onde si
infrangevano, lo schiaffeggiavano, gli lambivano i polpacci,
infradiciando i pantaloni, e pian piano scavavano una buca sotto le
piante dei piedi, dove lui affondava. Ecco, il loro passato era
tornato ad avvolgerli e li trasportava giù in una palude di
ricordi, dubbi ed incubi. Sentì
la fronte di lei posarsi sulla sua schiena nuda, e le sue braccia, che
lo cingevano forte in vita.
Sospirò.
Sciolse le
braccia serrate e posò le mani sulle sue. - Hai
già deciso, vero? – disse con voce
calma. Lei lo
strinse di più. Era un
“sì”. -
Porterò la nonna e Tristan da Scott.
Saranno più al sicuro. - Non
è necessario che venga anche tu… -
mormorò Oscar. Lui sorrise,
perché si aspettava quella obiezione. - No,
verrò con te. Come sempre. E’ una
vita che vengo con te in ogni occasione. Non posso lasciarti sola, non
adesso, non … per questo. Lo fece
voltare a guardarla. Sembrava
così piccola, lì, scalza, con la camicia da notte
bianca che si gonfiava per il vento, poi aderiva alle sue forme, alle
sue gambe bagnate. La strinse,
sorridendo. Non riusciva
a restare arrabbiato con lei, nemmeno cinque minuti. - Sai
perché lo voglio fare, vero? –
mormorò Oscar – Non per “lui”
e non per mio padre… Ma se non vuoi, rinuncio. Davvero!
Riguarda anche te, sia se la missione dovesse aver successo, sia se
dovesse fallire…La nostra vita non sarà
più la stessa, André… Lui
sospirò, infilando le dita fra suoi capelli ribelli, umidi
di salsedine. - Le
novità non sono sempre negative… E
poi, ora che so, dovrei litigare con la mia coscienza se non agissi. Oscar si
strinse a lui, posando il viso sul suo petto. Guardò
la sabbia ai loro piedi: l’alta marea si ritirava, le onde si
allontanavano da loro. Avevano smesso di affondare.
***
- continua, per due capitoli
almeno : )
1 ) Canzone dello spettacolo
teatrale "Dracula": dovrebbe darvi un'idea del "clima" dei prossimi
capitoli. Testo della
canzone “Quello che ho visto”:
http://lyricstranslate.com/en/ce-que-je-vois-what-i-see.html-0 Video della
canzone dallo spettacolo teatrale “Dracula”:
http://www.youtube.com/watch?v=YCONcTvQZRY&feature=related (all’inizio,
è recitato e l’audio è un po’
...così)
*** Scusate!!! Ritardo terrificante!
Non sarò veloce ad aggiornare neppure il prossimo
… Periodaccio! E non ho neppure ancora risposto
alle recensioni!!! Sono … orribile!!!
Due cose però le
spiego:
LA CARNE DI CESAR. Ho notato che nel capitolo
precedente la faccenda della “carne” vi ha un
po’ turbati… Scusate! Non voleva essere
crudeltà verso César, che mai avrebbe fatto
quella fine per scelta di nessuno di loro. E’ che in quel
periodo, qualcosa di diverso sarebbe stato impensabile. Ricordate la battuta di Rosalie
nell’episodio del Cavaliere Nero, quando portò la
“minestra” fatta di ossa ad Oscar? Il clima era
quello lì… Carestia. La
“delicatezza” di Virginia e Scott sta nel non farlo
davanti a Oscar che da vera aristocratica avrebbe detto sdegnosa
“Io non mangio il mio cavallo!”; e sarei stata
d’accordo con lei!!! Ma per loro non era proprio
possibile…
ALAIN Alain? Davvero lo rivolete? : )
… Non posso anticipare niente… Certo che ha
lasciato un bel vuoto, eh? Un vuoto “gigantesco”,
direi … Ma la storia sta cambiando e anche Alain potrebbe
essere un po’ diverso ….
Ok ok… non dico
più niente! Spero non mi ucciderete!!! Grazie!!!
Il viaggio di ritorno in
Francia non iniziò certo come una passeggiata.
A differenza della loro
traversata
all’andata, avvenuta in piena estate, con
l’ottimismo di
chi sa che, per quanti guai incontrerà, sta iniziando a
vivere
un amore, lasciandosi alle spalle una situazione ormai insopportabile,
quel viaggio fu quanto di più cupo potessero immaginarsi.
La nave era uno dei tanti
velieri di
briganti che in periodo di guerra venivano promossi a fedeli servitori
di Sua Maestà britannica.
Si occupavano di
contrabbando: cose o persone poco importava.
Di certo, il cliente non
aveva mai
ragione a bordo di quei vascelli. La parola sbagliata poteva costare un
gelido tuffo in mare.
La nebbia li accolse
all’imbarco a Plymouth e li accompagnò per tutta
la navigazione.
Una fortuna quella, vista
la
possibilità di incrociare navi che, fossero inglesi o
francesi,
sicuramente non avrebbero chiesto loro le credenziali prima di
cannonarli.
Jarjayes fu
l’unico a dormire profondamente quella notte.
Si sistemò
nella sua amaca come
fosse il più regale dei giacigli, calò il
tricorno sul
viso, incrociò le braccia e dopo aver augurato loro la
buonanotte, non senza un benevolo tono ironico, si abbandonò
al
sonno.
Oscar ed André
si rassegnarono
a trascorrere quel viaggio nel modo più tranquillo
possibile, ma
affiancati nelle loro rispettive amache, non facevano che fissare il
buio, nel silenzio disturbato solo dai loro respiri e dallo
scricchiolare del legname.
Stavano attraversando un
tratto di
mare molto battuto, in piena guerra, su una nave i cui marinai pareva
fossero stati prelevati direttamente da una prigione.
E
andavano incontro a cosa?
André la
sentì sospirare
ansiosa. Allungò la mano verso di lei, fino a trovare la sua
e
se la portò sul petto.
Oscar ricambiò
la stretta e,
tranquillizzata dal battere di quel cuore, necessario alla sua vita
quanto il proprio, si addormentò quasi subito.
Lui restò
sveglio, incerto se
quel peso allo stomaco fosse lo stesso mal di mare patito anni prima, o
solo più che giustificata paura.
Sapeva che in ogni caso,
non avrebbe
potuto rimettere nulla: il pensiero del suocero che russava tranquillo
a poco più di un metro da lui, gli chiudeva la bocca dello
stomaco.
Il giorno seguente,
dovettero sbarcare
tramite una scialuppa e, dietro invito poco cortese dei marinai e di
una pistola, gettarsi in acqua prima di toccare la spiaggia.
La manovra li costrinse
ad inzupparsi
dalla vita in giù, tenendo le loro sacche e le armi
sollevate
sopra le teste, e costò loro quasi un assideramento.
Oscar si
lasciò andare, carponi sulla spiaggia ed alzò lo
sguardo al panorama desolato tutt’attorno.
Scogliere chiare,
spiaggia sottile, molto diversa da quelle sterminate della
Normandia…
-
Siamo
all’altezza di Amien. – spiegò il
generale con tono
sbrigativo, prima che potessero chiedere. – Potremo essere a
Parigi domani nel pomeriggio se non incontreremo intoppi lungo la
strada e non perderemo tempo.
Detto ciò, si
avviò senza attenderli.
La donna alzò
lo sguardo su
André, che in piedi di fronte a lei, riprendeva fiato.
Scossero
entrambi il capo e si rassegnarono a seguire il generale, dubitando se
sapesse quel che faceva.
Ma Jarjayes sapeva
esattamente come
muoversi, non era sprovveduto e pareva esser preparato a quel bagno
fuori stagione e a chissà cos’altro.
Viveva a quel modo da
quattro anni ormai.
Soldi alla mano, conosceva esattamente chi poteva contattare, dove
potersi fermare.
Aveva nascosto vestiti di
ricambio
alla moda dei sanculotti presso una casa di pescatori, che presero il
denaro evidentemente già pattuito e permisero loro di
cambiarsi.
Ma non persero tempo, non
più
di quanto necessario: nel portico attendevano tre cavalli
già
sellati e partirono al galoppo.
Lungo la strada, Jarjayes
si
fermò ad una cappella votiva posta in mezzo ad un bivio
nella
campagna deserta. Un veloce segno della croce alla Madonnina, quindi
girò sul retro della minuscola costruzione a smuovere un
paio di
mattoni traballanti fra tanti.
Era così:
fondi, per lo
più procurati da Fersen, stavano celati in posti impensabili
come quello, insieme a falsi ma accurati documenti di
identità.
La filiera di realisti
fedeli, forniva loro rifugi e cavalcature fresche.
Ogni città o
paese che dovevano attraversare era dominato dallo spettro della
ghigliottina.
E vederla non era come
averne letto o sentito parlare.
Galoppavano come se
niente altro
contasse se non la destinazione, mentre immagini di orrore, terrore,
disgrazia, dolore, scorrevano al loro fianco come rifiuti
sull’acqua di un fiume.
Nessuno osava commentare,
ma
nonostante il coraggio cui attingevano con ansia sempre più
crescente, non poterono evitare brividi lungo la spina dorsale.
Scansando quanto
possibile le strade più battute e le ore più
trafficate, lanciarono i cavalli senza riguardo.
Durante le brevi soste in
cui
riposavano a turno, senza accendere fuochi, André non
avvicinava
Oscar; né Oscar, André.
Il gelo, la desolazione,
la paura sui visi della gente, li bloccavano.
Una corrente fredda
percorreva le loro
vene e si sentivano come se mai più la felicità
sarebbe
potuta tornare in quei luoghi.
Pareva che la Francia
avesse terrore della sua stessa ombra.
Ed era una sensazione
orrenda.
A gennaio era stata
istituita la leva militare obbligatoria.
Braccianti, contadini,
artigiani,
persone qualunque, venivano arruolati a forza, per rimpolpare le file
dell’esercito prima costituito da professionisti, lasciando
così le campagne sprovviste di forza lavoro.
Niente altro che donne,
bambini, vecchi per le strade, accompagnati da miseria ed angoscia
crescente.
Arrivarono a Parigi che
si faceva
buio, ma quella che sarebbe stata ricordata come la “Ville
Lumiére” sembrava uno spettro.
Il generale li costrinse
ad un largo
giro attorno alle mura, verso sud fino ad un ingresso per la
città scelto evidentemente non a caso.
Al posto di blocco, un
soldato li fermò per il normale controllo.
Prese i loro documenti,
ma ancor prima che potesse esaminarli, venne raggiunto da un superiore.
Il soldato
scattò sull’attenti e non esitò a
consegnare i tre lasciapassare quando quello li reclamò.
Il nuovo arrivato
osservò con calma le loro generalità.
-
Scopo della vostra
visita? – chiese con noncuranza a Jarjayes, dando una
occhiata
fugace ai suoi accompagnatori.
-
Siamo commercianti. Di liquori e vini
L’ufficiale non
mosse un muscolo.
-
Che mi dite del
bordeaux di quest’anno? Pare che non sia stata una buona
annata
… - chiese con distaccata cortesia, tornando con lo sguardo
sui
tre preziosi pezzi di carta che sembrava studiare minuziosamente.
-
Ahimè,
cittadino, avete udito bene… Credo che di peggio ci sia
stata
solo l’annata del 1348 (1)
A quella frase,
l’ufficiale
ripiegò le carte di identificazione, non senza aver inserito
un
foglietto in quella del generale.
-
Buona permanenza, cittadini. – augurò
rendendo al più anziano i tre lasciapassare.
-
Buona serata a Voi. – ricambiò il
generale.
Quando si furono
allontanati, Jarjayes lesse il messaggio.
Ora sapeva dove andare.
***
Jarjayes, nel
più totale
silenzio, li guidò per un cimitero, tra i più
vecchi di
Parigi, circostante una chiesa in abbandono. Una chiesa che, secoli
prima si trovava probabilmente in periferia, prima che la
città
le crescesse intorno.
Nel 1785, a Parigi era
iniziata una
operazione mai tentata: quella di svuotare i cimiteri da tutti gli
“occupanti” per ragioni sanitarie, traslocando i
cadaveri
dalle fosse comuni in cimiteri periferici, in ossari collocati nelle
vecchie cave dove puzzo, liquami e malattie che ne derivavano potessero
risultare meno pericolosi.
Ma quel cimitero era
talmente vecchio, talmente piccolo, che non aveva dovuto essere
smantellato.
Così i suoi
“segreti” erano rimasti tali.
Entrarono in una cappella.
Ad un cenno del generale,
André
lo aiutò a spostare una lapide, meno pesante di quanto
sembrasse
a prima vista, poiché dotata di un meccanismo che ne
permetteva
lo scivolamento laterale.
Sicuro dei suoi gesti,
Jarjayes
entrò al buio, di due passi; pochi istanti dopo, una candela
permetteva loro di vedere dove camminare.
In silenzio, con una
notevole
curiosità, lo seguirono per le catacombe di Parigi, dopo che
André ebbe richiuso il passaggio.
Entrambi avevano sentito
parlare di questi posti sotterranei, ma mai vi si erano avventurati.
Parigi era costruita su
immense cave
di pietra servite per costruire palazzi e monumenti ed il sottosuolo
era un dedalo di gallerie e caverne artificiali. Una parte di
questi luoghi era stata adibita ad ossari, per i corpi esumati dai
cimiteri, ma l’estensione era tale da nascondere ancora
luoghi
sconosciuti ai più.
Le entrate alle catacombe
venivano
sorvegliate dai rivoluzionari per evitare che aristocratici potessero
nascondere sé stessi od i loro beni, ma a quel vecchio
cimitero
nessuno aveva fatto caso.
Sfiorando radici
insinuatesi tra le
pietre delle pareti, levando ragnatele, ponendo attenzione a non
scivolare sulla pietra umida, percorsero il cunicolo discendente, come
avviati alle viscere infernali.
Ma ormai si erano resi
conto che l’inferno stava sopra, tra la gente.
Dopo parecchi minuti,
scorsero una luce appena più viva in fondo al cunicolo.
Qualcuno li attendeva in
una stanza a volta, alta, di pietra e mattoni.
Acqua gocciolava dalle
pareti, come in
una vera caverna; muschio e muffe proliferavano sui laterizi porosi e
negli spazi tra questi.
L’umidità
era opprimente più del freddo.
Quella debole luce
proveniva da un
candelabro posato al centro di un tavolo costituito da una semplice
asse di legno, posata su due muretti improvvisati, e da un braciere,
unica fonte di calore, attorno al quale stavano delle brande.
Si trattava evidentemente
di un
rifugio ove restare per più di qualche ora, anche se la sola
idea di “vivere” lì era angosciante.
Seduto su uno di questi
giacigli, un’ombra indistinta si riscaldava.
-
E’ andato
tutto bene? – chiese, la voce della sagoma scura prima di
voltarsi e diventare persona ai loro occhi.
Lo fece senza timore:
sapeva del loro arrivo, già dalla loro entrata in
città.
“Quella
voce…”
Oscar lo riconobbe
subito, ancor prima di incrociare il suo sguardo ed il respiro si
gelò per la sorpresa.
I capelli gli arrivavano
appena alle
spalle, un poco ingrigiti; il viso era più magro ed affilato
di
come lo ricordava, ma gli occhi puntati su di lei, solo su di lei,
sembravano ancor più vivi e splendidi ora che non
c’era
una capigliatura perfetta a distrarre la vista.
Era sempre un
bell’uomo, ma più invecchiato di quel che avrebbe
dovuto.
Gli ultimi cinque anni
non dovevano essere stati facili per lui.
Gli si leggeva addosso il
peso di quella guerra, alla quale lei era scampata grazie
all’esilio.
Tutto quel che possedeva,
era
evidente, lo portava con sé. Vestiva alla maniera
sanculotta,
con tanto di coccarda sul bavero della consunta, sporca giacca.
-
Bentornata in Francia, comandante! – disse
Girodelle alzandosi.
Fece un cenno di saluto
ad André, un secco chinare il capo al rivale vincitore.
Loro, muti, ricambiarono
il saluto, troppo sorpresi per dire qualsiasi cosa.
-
Non devo fare le
presentazioni, vero, cara figlia… - disse ironico Jarjayes.
– Victor è il nostro asso nella manica! Dopo il
mio
fallimento di far fuggire sua Maestà, lo scorso marzo, lui
è riuscito ad infiltrarsi tra il personale che si occupa dei
prigionieri, sia al Tempio che alla Conciergerie. Un vero campione
dell’inganno! Vero, ragazzo! – esclamò
passandogli
un braccio sulle spalle come avrebbe fatto un padre orgoglioso.
Oscar ed André
inarcarono le sopracciglia.
Il
generale era davvero … entusiasta.
-
Prima che magari
vi domandiate la mia mansione nelle prigioni, vi tolgo il
pensiero… - disse Girodelle con un sorriso tirato
– Ho
preso il posto del precedente lanternaio. Il mio compito è
accendere torce e candele. E di svuotare pitali.
Nessuno osò
ridere.
-
Cos’è successo al vecchio lanternaio?
– chiese André.
-
Ha avuto un
incidente … - rispose prontamente Girodelle, fattosi serio.
– E’ caduto nella Senna… -
precisò.
-
Già,
… ma con la gola tagliata! – esclamò
Jarjayes
dandogli una energica pacca di conforto sulla schiena. – Non
guardateci così. Facciamo solo il necessario. Non te ne devi
vergognare, ragazzo… “Ancora quel
"ragazzo"!”, pensò Oscar.
Quella alleanza tra suo
padre e
Girodelle, le sembrava così strana. Eppure, a ben
riflettere, al
generale era sempre piaciuto Girodelle.
-
Non perdiamo altro tempo. Sedete qui, mangiamo un tozzo di
pane e Victor ci aggiornerà.
In effetti, da quando
Jarjayes era partito ad agosto per la Svezia e poi per
l’Inghilterra, erano accadute parecchie cose.
Ai primi di settembre,
Hébert
aveva preteso, senza mezzi termini, la testa dell’austriaca,
specificando che altrimenti, gliela avrebbe staccata di persona.
Il 3 settembre, la
principessa di
Lamballe, rifiutatasi di accusare la sua migliore amica, era stata
squartata e parti del suo corpo esposte sotto la prigione per mostrarle
a Maria Antonietta.
Era iniziato
“il terrore”.
Il piccolo Charles era
stato sottratto
alla famiglia già il 3 luglio ed affidato ad un ciabattino
analfabeta, Antoine Simon, incaricato della sua
“educazione”.
L’educazione,
per l’uomo,
consisteva in un vero e proprio lavaggio del cervello, allo scopo di
preparare il piccolo a testimoniare contro la madre. Lezioni di
parolacce e canzoni oscene; veniva fatto ubriacare e
usato come giullare, come divertimento per le guardie.
Quando per la prima
volta, aveva utilizzato il termine “puttana”
riguardo sua madre, il Simon lo aveva premiato.
Il 6 ottobre, davanti al
tribunale, Charles aveva accusato la madre di avergli usato
“violenza”.
Le accuse contro Maria
Antonietta di complotto contro la Repubblica erano pronte.
Le
“aggravanti” avevano la voce e l’aspetto
di un innocente.
Il processo poteva
cominciare. Il verdetto, era già deciso.
Oscar ed André
ascoltarono il racconto dettagliato di Girodelle, esterrefatti,
disgustati.
Sembrava che a lui,
invece, nulla facesse più effetto.
-
Quindi … Il
nostro piano. Primo: la Conciergerie. Sua Maestà vuole
assolutamente vedervi. E’ stata categorica. Il processo
comincerà fra due giorni, il 14. Siete arrivati appena in
tempo.
Porterò un messaggio a Rosalie e lei, domani, si
darà
malata. Voi Oscar, prenderete il suo posto: domani sera entrerete con
me in quella prigione.
-
Ma… e Rosalie? – si preoccupò
Oscar.
-
Lei non
rischierà, non temete. Sarò io a proporvi come
sostituta.
Non la metteremo in pericolo accostando il suo nome al nostro.
Sembrerà tutto casuale.
Victor li
lasciò poco dopo: doveva recarsi al lavoro.
Stranamente, prese alcune
bottiglie di
vino da una cassa in un angolo, prima di allontanarsi, ma non gli
chiesero spiegazioni e lui non ne fornì di sua iniziativa.
Jarjayes si era
addormentato su una delle brande. “Un soldato si adatta
a tutto”, ricordò Oscar.
-
Chissà
… Forse non sono mai stata un vero soldato… -
borbottò sedendosi accanto ad André che finiva di
bere il
suo boccale di vino.
-
Come?
Oscar sbuffò
indicando il genitore.
-
Uomini della sua
tempra, ce ne sono pochi… Non contare c’io
avrò la
stessa energia alla sua età! –
bofonchiò di rimando.
-
Chissà come sta Tristan? –
mormorò fissando i carboni nel braciere.
-
Sta sicuramente
bene. C’è la nonna con lui. – la
rincuorò
prima di bere un altro sorso.
Sentì che lo
fissava.
Lo stesso sguardo di
quando lo
rimproverava per aver dimenticato qualcosa di importante o se entrava
in casa con gli stivali infangati.
-
Dai! …
E’ troppo piccolo perché possa già
prenderlo a
mestolate! – scherzò.
-
Non dovevamo
partire… - disse lei tornando con lo sguardo al fuoco.
–
Avevi ragione tu: i loro problemi non sono più un problema
nostro!
Lui fece per parlare, ma
Oscar lo interruppe.
-
No… Che dico! Non potevo ignorare una simile
richiesta …
-
Perché non
provi a dormire un po’? – tentò
André,
sorridendo per quel suo tormentato monologo.
-
Non me la sento di dormire. Fa così freddo
qui… - e si strinse nelle braccia.
André
posò la tazza di metallo e le prese le mani.
-
Dai qua!… Vediamo se riesco a migliorare la tua
temperatura. Meglio?
Oscar lo fissava mentre
portava le mani alla bocca e soffiava per scaldarle, strofinandole tra
le sue.
-
Mi manchi. – disse con tono carezzevole.
-
Oscar… - la rimproverò sorridendo,
senza guardarla.
Ma avrebbe dovuto saperlo
che su di lei i rimproveri avevano un effetto contrario.
Da sempre.
Si sporse verso di lui e
lo baciò come un affamato addenta il pane.
Prese il suo capo fra le
mani e lo costrinse ad assecondarla.
Non che André
ne avesse bisogno per ricambiare, ma non gli pareva esattamente il
momento indicato.
Eppure anche a lui
mancava.
Soprattutto desiderava
scacciare quel
pesante, innegabile malessere che li aveva avvolti fin dalla loro
partenza, solo cinque giorni prima. Perciò la
ricambiò
con desiderio, assaporando quelle labbra che da un settimana neppure
riusciva a sfiorare.
Quando, però,
sentì le
mani di lei scivolargli sui fianchi, sfilargli la camicia ed insinuarsi
ad artigliargli la pelle, ebbe un attimo di lucidità.
-
Piano! Piano, Oscar! Non siamo sotto un cielo stellato e non
siamo neppure soli…
-
Dorme… - bisbigliò lei contro il suo
collo, non intenzionata a cedere alla ragione.
Era
sempre stata impavida!
-
Os …Ohhss
… Quasi preferivo quando sfogavi la tensione coi
duelli…
- balbettò André, occhi chiusi, intento a non
permettere
risvegli imbarazzanti al suo corpo; le mani sulle braccia di lei, ma
poco intenzionato a fermarla davvero. - Non
possiamo…
Oscar lo
guardò sorridendo soddisfatta per averlo messo in imbarazzo.
Una
versione differente dei dispetti che gli faceva da bambina.
Si strinse a lui con
affetto, concedendogli tregua.
-
C’è una cosa che mi
preoccupa… - mormorò.
-
Una sola? – replicò lui, riprendendo a
respirare normalmente, stringendola a sua volta.
“Già…Una?”
-
Potremmo imbatterci in Alain, là fuori.
André le
carezzò la schiena, intenzionato a tranquillizzarla come da
sempre faceva.
-
Non credo. –
mentì - Parigi è grande ed i compiti della
Guardia
Nazionale non sono limitati al controllo del centro città.
Ci
basterà evitare i posti che lui frequentava un tempo. E
poi… - alzò gli occhi sulla volta immersa nelle
tenebre
– non credo vedremo molto la luce del sole. Forse lui non
è neppure più in città…
-
… Forse non è più neppure
vivo… - aggiunse lei, dando voce ai comuni timori.
Lui la strinse
più forte.
- continua
1)
Nel 1348 ci fu la
Peste Nera in Francia, che in tutta Europa uccise un terzo della
popolazione. Ho pensato che, per un aristocratico, fosse un paragone
calzante in quanto a momento drammatico.
Capitolo dimezzato
perché l’originale era troppo lungo.
Forse un po’
troppo pieno di dati storici, ma spero non sia dispiaciuto.
Vi aspettavate Girodelle? no? Missione "monarchica", anche se
preferisco
considerarla una missione "pietosa", come poteva mancare il Vik!!! Io
AMO
il Victor!
Se volete cominciare a lanciar sassi, ok... ma perfavore, cominciate
con sassi piccoli... : )
Girodelle tornò da loro il pomeriggio seguente con un grosso
sacco che gettò su una delle brande.
- Vi ho portato del cibo e tutto quello
che ci servirà stasera. – disse.
Oscar ed André alzarono lo sguardo dalle mappe di Parigi e
della Francia che stavano esaminando col generale.
Jarjayes aveva spiegato loro il piano già studiato e
definito da Victor. Mancavano solo alcuni dettagli per i quali
aspettavano un chiarimento nel giro di poche ore. Ma era tutto
organizzato, fino all’uscita dal Paese.
Victor porse ad Oscar un lasciapassare diverso da quello maschile che
aveva utilizzato per entrare in città
- Marie Bonnet…Che significa?
– esclamò.
Come risposta, Girodelle estrasse abiti femminili dal sacco e glieli
porse.
- Volete scherzare? –
sibilò Oscar.
- Sarete Marie, la sostituta di Rosalie.
– replicò composto e deciso - E’ il solo
modo per farvi entrare nella cella di Sua Maestà.
Oscar esitò un istante, ribollendo indignata, fissando il
suo sguardo adirato in quello dell’ex vice, tanto calmo lui,
quanto lei sembrava invece sul punto di esplodere.
Mai, nella sua vita,
aveva indossato abiti femminili in una missione! Neppure quando glielo
aveva ordinato il Generale. Neppure quando le
sarebbe tornato comodo. “Ma per questi
poveri innocenti, lo faccio…”, si
disse.
- Va bene …
Infilerò l’abito sopra i miei. – disse
posando lo sguardo sugli scialbi indumenti ed allungando una mano per
prenderli.
- No! Niente pantaloni sotto le gonne!
– esclamò severo Girodelle, senza lasciare la
presa sugli stracci – E niente armi! Devono trovare solo una
donna, quando vi perquisiranno. – aggiunse con la freddezza
di un ordine.
- Non mi piace per niente!– si
intromise André, sfidandolo con lo sguardo, mentre i due
reggevano l’abito quasi fossero impegnati in un tiro alla
fune.
Il tono con cui il conte aveva accennato alla perquisizione, non gli
era garbato.
Non gli garbava neppure il modo in cui dettava le regole. Per non dire del modo in
cui guardava sua moglie…
Girodelle mollò con un gesto secco quella specie di contatto
con Oscar e gli si parò di fronte, ricambiando la sfida.
- Vi piacerebbe vederla incontrare la
ghigliottina, Grandier? – sibilò - Per un paio di
culottes? O meglio ancora… Vorreste vederle fare la fine
della principessa di Lamballe? Perché se la scoprono, questo
le accadrà di sicuro…
- Basta! Smettetela! –
s’intromise Oscar frapponendosi tra loro, posando le mani sui
loro toraci gonfi ed imbufaliti ed allontanandoli l’uno
dall’altro. – Girodelle ha ragione! Devo solo
parlare a Sua Maestà. Lui si occuperà del resto.
Sai che posso cavarmela… – mormorò
posando entrambe le mani sul petto di André, delicatamente,
guardandolo in modo rassicurante.
- È per quello che dovesse
metterti le mani addosso, che mi preoccupo. –
cercò di scherzare il marito.
Girodelle li studiò un istante e riconobbe nello sguardo
d’André lo stesso che avrebbe avuto lui al suo
posto.
Volse gli occhi altrove e sbuffò irritato.
- Ossignoresantissimo! … E va
bene – disse .
Il generale si riscaldava accanto al braciere, lasciando i “giovani”
a sbrigarsela, e sorrise appena quando udì Girodelle
imprecare.
Victor prese uno stiletto dalla sua cintura.
- Lo metteremo nel cesto, per sicurezza. Da usare solo in caso estremo.
– specificò – Dobbiamo ricordarci che i
nostri veri obiettivi si trovano al Tempio. Se ci facciamo beccare qui,
salta tutto.
***
Partendo dai cunicoli delle catacombe erano poi entrati nelle fogne,
avvicinandosi il più possibile alla loro destinazione.
Oscar non poteva far altro che seguire Girodelle, domandandosi come
facesse a distinguere un tunnel dall’altro e immaginando che,
solo una svolta sbagliata avrebbe potuto farli diventare oggetto di
studio per qualche speleologo del futuro.
- Ci siamo quasi. – disse piano Victor, fermandosi ad un
crocevia per guardarsi intorno, facendo il punto della situazione.
Oscar stava per prendere un’uscita dalla quale filtrava un
pallido chiarore.
Lui la trattenne per un braccio.
- Non di lì… -
bisbigliò – Quella è sorvegliata!
La sua abilità nel conquistare le confidenze delle guardie,
gli aveva permesso di mappare con una sufficiente precisione i luoghi
più o meno presidiati di strade, prigioni, ingressi alle
catacombe ed alle fogne.
Si allontanarono in un percorso laterale, infinitamente buio.
L’uomo la precedeva con la lampada, tenendola alta davanti a
sé.
Erano accompagnati solo dal gocciolare delle volte, lo scorrere del
canale e lo squittio dei topi.
Ad un certo punto non poterono evitare l’acqua sporca che
correva come un insano torrente.
Girodelle sì bagnò un poco gli stivali, nello
scavalcare il punto più ampio.
Oscar stava per sollevare la maledetta gonna ed imitarlo, ma Victor
glielo impedì.
Posò la lampada e, afferratala con decisione per la vita,
incurante della sua debole obiezione, la sollevò oltre il
rivolo e la depositò all’asciutto.
- E’ troppo fredda per
bagnarsi… - disse come per giustificarsi di quella che non
era solo una cortesia, ma una accortezza logica visto che lei non
portava stivali ma scarpe da donna, misere e consunte.
Senza altre parole, senza incrociare il suo sguardo indagatore, riprese
la lampada e si incamminò. “L’efficiente
Girodelle di sempre”, pensò Oscar, ma
c’era qualcosa di strano nel suo modo di guardarla. O forse era lei
più aperta a notare certe sfumature.
Arrivarono ad un altro incrocio.
Lui abbassò la luce e gliela passò,
prima di chinarsi verso una grata dalla quale entrava aria gelida.
Diede un paio di colpi e l’inferriata, solo poggiata, si
mosse.
Oscar spense completamente la luce, abbandonò la lampada sul
pavimento e, a tastoni si infilò nel corridoio
più basso, seguita dall’uomo, che perse qualche
istante a riposizionare la griglia.
Non dovette percorrere molto nel buio che la luna piena
guidò i suoi passi.
Uscire finalmente all’aperto sotto quel ponte, il Pont Neuf,
nonostante il freddo, fu un sollievo. Finalmente aria!
Stavano facendo un giro largo per arrivare alla loro destinazione
motivato dalla doppia vita di Victor, che tutte le sere si recava al
lavoro facendosi notare sullo stesso tragitto, abituando i sorveglianti
alla sua costante, monotona presenza.
Purtroppo, ora il percorso sarebbe stato tutto all’aperto con
tutti i rischi connessi.
Traversando il ponte, la vide alla sua destra.
La Conciergerie. L’anticamera della ghigliottina.
Pareva così dannatamente bella, lì, illuminata da
un esagerare di torce, specchiata nella Senna in quella sera
freddissima di luna piena.
Così bella fuori, così orrida dentro.
Palazzi di Re, diventati prigioni di Re. O, forse, lo erano sempre
stati…
Forse questo erano le regge: niente altro che prigioni, più
o meno dorate.
Era tutto molto silenzioso. Molte case erano abbandonate. La paura
aveva corpo a Parigi, non era qualcosa di astratto.
Oscar non riusciva a riconoscere la città che aveva
lasciato: disperata,
rumorosa ma … viva!
Parigi ora sembrava un fantasma.
In quelle ore serali, il terrore gelava le persone più
dell’inverno ormai in arrivo.
Poche ombre, indistinte come fantasmi, li incrociarono e non li
degnarono della minima attenzione.
Vide Girodelle fermarsi, controllare intorno a sé con
circospezione; andò ad armeggiare in un angolo nascosto
all’altro lato del ponte e ne tirò fuori un
piccolo carretto. Uno degli attrezzi del suo nuovo mestiere.
Man mano che si avvicinavano alla costruzione medievale, Oscar
osservava la prigione some mai aveva fatto prima, stagliarsi oltre le
casupole costruite ai lati del ponte dei cambiavalute (1) mentre la
percorreva con Girodelle che si trainava il suo carretto.
Victor si fermò qualche metro prima della fine del ponte e
si guardò intorno un istante.
- Attendiamo che passi la ronda. Io ho
documenti validi, collaudati, ma per voi potrebbero chiedere verifiche
e non possiamo permettercelo. Mettiamoci qui, siamo abbastanza
riparati. – disse indicando un rientro fra le ultime case.
Oscar lo seguì nella direzione indicata. Girodelle
lasciò il carretto e si sedette su di un muricciolo,
invitandola a fare altrettanto.
- Meglio metterci comodi
nell’attesa.- mormorò.
Oscar, sempre in silenzio, lo accontentò.
Accompagnò il dietro della gonna, nel sedersi, come ormai le
veniva naturale le poche volte che indossava abiti femminili, e se ne
restò lì, col cesto ai piedi, guardandosi
distrattamente intorno, come d’altronde faceva anche lui.
- Vi devo la vita. – disse
Victor all’improvviso, senza guardarla, interrompendo
l’imbarazzo.
- Come? – chiese esitante
volgendosi verso di lui.
- Quel giorno, quando mi avete impedito
di fare irruzione nella sala dell’Assemblea…
- Non capisco … - finse Oscar,
ma si interruppe quando lui si volse ed incrociò, col suo,
quello sguardo profondo che la invitava a non tergiversare.
Non era più di moda perdere tempo in chiacchiere nella
Francia governata da “madama ghigliottina”.
- Il re mi sospese
dall’incarico a tempo indeterminato per quel che non avevo
fatto. Insomma … per aver disobbedito. Una sorta di esilio
camuffato, un riguardo alla mia famiglia. Un vero …
“favore”… E non lo dico con ironia. Se
non mi aveste voi impedito quel giorno, di costringermi a rispettare
quell’ordine di cui non andavo fiero, non so che sarebbe
stato di me… Lo sapete bene, il comandante della Guardia
Reale, non può nutrire certi … dubbi. –
disse lui - Così lascia Versailles, lasciai Parigi e mi
ritirai in campagna. E non fui là quel giorno…
- Intendete …?
- Ottobre, sì, quando andarono
a … - rise per il termine che stava per utilizzare
– “prelevare” le Loro Maestà.
Oscar lo guardava perplessa.
- Se fossi stato al comando, sarei morto
… Nessuno vi ha raccontato che è accaduto alla
Guardia Reale?
Oscar scosse il capo.
- Sembrava che si fosse tutto calmato. I
reali ed anche Lafayette andarono a dormire. Ma all’alba, un
numeroso gruppo di scalmanati fece irruzione nella reggia con
l’intenzione di uccidere la regina. La Guardia Reale
cercò di frenarli sullo scalone … prima.., in
ultimo nel salottino antistante l’appartamento di Sua
Maestà dandole appena il tempo di fuggire verso
l’appartamento del re. In due caddero… Ma
è una descrizione riduttiva … Vennero trucidati.
Varicorurt … Deshuttes (2)… morti.
…
Oscar deglutì riconoscendo in quei nomi, i suoi soldati di
una vita.
- Sì, lo so, … succede ai soldati, ma, giuro, mai
avrei pensato che così tanto sangue … -
portò una mano alla fronte – Il salotto della
regina, lo vidi a dicembre e … era rimasto solo quello, solo
il loro sangue rappreso sul pavimento e sulla tappezzeria. –
la guardò sorridendo, per scacciare quell’immagine
– Per fortuna, intervenne la Guardia Nazionale di Lafayette a
dar loro manforte. Che strana alleanza di soldati, fu… O
sarebbe finita peggio. Sarebbe finita come alle Tuileries. –
restò un attimo in silenzio - Avete fatto la scelta giusta,
Oscar …
- Non ho scelto io l’esilio, ma
i sovrani! – sbottò con rabbia.
- Intendevo …
l’altra scelta . - mormorò.
- Oh … - chinò il
capo, guardandosi la fede al dito – E voi? Non …
- Le mie notti continuano ad essere
fredde e solitarie, ma non me ne rammarico più di tanto. Con
voi ho scommesso ed ho perduto … Così
è la vita, Oscar... Tutto quel che possiedo ora,
è quel che vi sta davanti: i miei beni sono stati
confiscati, vivo randagio e braccato, col terrore che un gesto, una
parola troppo … raffinati , mi indico come un aristocratico
e che madama Ghigliottina faccia con me, quel che ha fatto con troppi
miei amici e conoscenti. Ringrazio solo di esser riuscito a portare in
salvo i miei familiari e … che mio padre sia morto prima di
veder cadere nel terrore la Francia.
Videro arrivare la pattuglia di ronda e si azzittirono. Appena quelli
svoltarono l’angolo, loro si fecero avanti, poiché
non rimaneva molto tempo.
All’improvviso, spuntarono delle altre guardie. Non potevano
tornare indietro. Le fece cenno di appiattirsi al muro, ma continuavano
ad essere troppo visibili, e …lui la strinse al muro e la
baciò d’impeto.
Un gendarme fischiò e lanciò qualche commento
pepato, per non dir volgare, al loro indirizzo, ma li lasciarono in
pace.
Alla fine, gli innamorati nascosti nei portoni, venivano tollerati e un
po’ della loro leggerezza invidiata anche in quei tempi
angosciosi. Ah! L’amour!
Girodelle le liberò le labbra, ma solo quelle, appena si
furono allontanati.
- Mi perdonate? – chiese
immediatamente.
Oscar esitò un istante a rispondere, prima di riaversi da
quella sensazione di piacevole stordimento che, una donna sposata e
innamorata, forse non avrebbe dovuto provare.
- Mi dovete già la vita, non
sfidate la fortuna, Girodelle!… - ringhiò
puntandogli un dito in pieno petto, come se fosse un’arma.
Lui sorrise. Il suo
comandante era tornato!
***
Prima d’entrare, Girodelle prese del tabacco da masticare e
se lo passò sui denti, annerendoli, quindi raccolse del
fango, anche se dall’odore sembrava qualcosa di peggio e si
sporcò i capelli ed il viso.
- Se non puzzo come una latrina
… non sarei alla moda – le spiegò.
Rise, ma senza allegria.
Oscar pensò a quanto doveva costare all’uomo
raffinato e pulito che ricordava, vivere a quel modo e
percepì chiaramente un peso doloroso al cuore.
Le guardie all’ingresso, controllarono i documenti di Oscar e
salutarono cordialmente Girodelle, che loro conoscevano come Jean
Montout e che era palesemente di casa.
Jean spiegò loro che la sua amica quella sera sostituiva la
cittadina Chatelet e non gli fecero storie.
Richard, il carceriere, una brava persona, controllò i
documenti di Oscar, senza porsi troppe domande, e li fece entrare.
Il vero problema era l’ignorante davanti la cella.
- Allora, come vanno le cose? –
gli chiese Girodelle.
- Tutto tranquillo, ma chi è
la biondina?
- Questo “bijou”?
E’ Marie, sostituisce Rosalie
- Che ha? E’ malata,
“madame”? – disse mostrando astio verso
Rosalie, che evidentemente era troppo a posto e il cui marito era
troppo ben introdotto all’Assemblea per incontrare i suoi
gusti.
- Cose femminili, ufficialmente.
Ufficiosamente credo che il marito l’abbia un po’
gonfiata, se mi capisci…
- Già questi parlamentari,
tutti perfettini…
- Loro sì che sanno come
trattare le signore!
Oscar non poté non ammirare le doti da commediante di
Girodelle: interpretava quanto di più distante dalla sua
personalità con notevole immedesimazione e, certamente,
conosceva esattamente il punto debole del nemico.
- E tu bellezza, sei sposata? –
le si rivolse l’abominevole essere.
- Sì. –
ringhiò Oscar scansando sdegnosamente la mano che si
avvicinava al suo viso
- Vieni qui che ti devo perquisire,
bella! - esclamò il sorvegliante afferrandola e
strattonandola con violenza contro di lui.
Girodelle s’affrettò ad intervenire per impedire
una delle reazioni violente che ricordava bene del suo comandante e
l’abbracciò lui, vigorosamente, allontanandola
dalla guardia municipale.
- Tranquillo che l’ho
già fatto io! – disse stringendola, tastandola
come a mimare una perquisizione approfondita e ridendo –
Tutti i giorni la perquisisco, vero piccola! – aggiunse
attirandola a sé.
Oscar non riusciva a nascondere il suo disappunto, ma si tratteneva.
- Ed al marito sta bene?-
ghignò quello.
- La povera bijoux qui
è davvero sfortunata! Pensa che, dalla campagna, col marito,
è venuta qui per conoscere la vera rivoluzione ed il
disgraziato già il primo giorno è finito sotto un
carro. Hanno dovuto amputargli entrambe le gambe,
già… Così, siccome sono di buon cuore,
- rise sonoramente lasciando intendere l’esatto contrario, -
li ospito a casa mia e le trovo qualche lavoretto, perché
lui, poveraccio, ormai è solo un peso. Quando ho saputo che
Rosalie non stava bene, ho proposto lei, che ha sempre desiderato
conoscere la cagna austriaca. Ha detto che poi mi
ringrazierà alla grande, vero piccola?- disse stringendola
al fianco ed aggredendo il suo decolté con un bacio lascivo.
- Sai, è un po’ timida, ma sa diventare una vera
furia, se capisci… - e gli strizzò
l’occhio.
- Come fa uno con un mestiere come il tuo
ad avere certe fortune … - borbottò
l’idiota con palese invidia.
Victor frugò nel cesto di Oscar e tirò fuori una
bottiglia di brandy, mentre spostava lo stiletto nella tasca del suo
grembiule, ora che il rischio perquisizione era passato.
- Ho le mie risorse. Non hai idea a
lavorare nelle fogne cosa salta fuori. Questi nobili hanno nascosto di
tutto! Ecco un pensierino per il mio amico : un brandy fantastico!
– disse indicando la scritta sull’etichetta.
- Sai leggere?- si meravigliò
il comunardo.
- Solo quel che serve. Prima dovevo dare
la metà di quel che rimediavo ad un passacarte solo per
capire cosa trovavo. Ora sono indipendente! Guarda, riconosci il
marchio? No? “Proprietà
Jarjayes”, il bastardo realista! Roba di prima
scelta! Di questo non riuscirai più a farne a meno!
- E tu guadagnerai vendendomelo, eh?
– rimbrottò quello.
Victor lanciò uno sguardo ad Oscar, una muta intesa.
- Vai a fare quel che devi, piccola,
intanto che prendo una meritata pausa col mio amico e non metterci
troppo che l’austriaca non è degna di riguardi.
Le diede una energica pacca sul sedere, sghignazzando, ma il suo
sguardo non rideva affatto, mentre l’aguzzino apriva la
bottiglia e cominciava a tracannarla.
Oscar posò la mano sul chiavistello della porta, la cella
della prigioniera n. 280 ed entrò.
Appena oltre l’uscio aspettavano due guardie.
La Regina non veniva mai lasciata sola.
Sentì Girodelle alle sue spalle che gridava ai soldati di
raggiungerli. Era davvero bravo a
recitar la parte del “compagnone di sbronze”
- Venite a bere anche voi, cittadini!
–
I soldati lo riconobbero nel suo ruolo di lanternaio e si fidarono.
Così Oscar rimase sola nella buia stanza di fredda pietra e
mattoni. Sola con un’ombra che vide avanzare malferma verso
di lei.
Da principio non la riconobbe.
Non riuscì a vedere nella donna che si trovò
dinnanzi, la ragazzina, la giovine che tutta Europa aveva ammirato. Che
lei stessa aveva trovato bellissima nella sua ingenuità e
onesta leggerezza.
Avevano la stessa età, ma Maria Antonietta sembrava una
vecchia: i capelli non avevano nulla di quel colore per il quale la Du
Barry l’aveva chiamata “la petite rouge”,
la piccola rossa; erano completamente bianchi e radi.
Era incredibilmente pallida, ma non il pallore decantato dai poeti, non
il bianco liscio del marmo, non il chiarore luminoso della
luna…
E non solo per colpa della clausura. Era il colore di una persona
malata. Gravemente malata.
Il corpo era gonfio, senza più armonia di forme; al tempo
stesso si capiva che stava deperendo per via del viso incavato, degli
occhi infossati.
Non aveva ancora 38 anni, ma ne dimostrava 70.
Si avvicinò piano a lei, zoppicando, vestita a lutto, quasi
un fantasma nel buio dell’umida cella rischiarata solo da un
braciere.
Le sorrise e solo allora Oscar la vide com’era stata.
E le si inumidirono gli occhi.
Si era detta che non lo faceva per lei, si era detta che aveva a cuore
solo i due innocenti, che il regno comporta privilegi ed oneri, cose di
cui Maria Antonietta avrebbe comunque dovuto render conto al Paese.
- Non riesco a crederci …
Siete proprio voi?
- Non abbiamo molto tempo,
Maestà!
- Lasciatevi guardare, solo un attimo
…- le prese le mani, se le portò unite alla
guancia. - Ringrazio Dio per aver esaudito la mia preghiera…
- mormorò. – Vi è stato spiegato? So
che vi chiedo davvero molto, Oscar, e che non merito favori da voi,
ma…
Fuori si sentiva l’aguzzino ghignare e Girodelle cantava, a
voce alta, così non le avrebbero sentite.
Oscar cercò di non farsi distrarre, il tempo era davvero poco
- Sì! Sì,
Maestà, ma …Parlerò liberamente,
Maestà! Sapete che non lo alleverò come nobile?
Sapete che non farò nulla per fargli riavere il trono del
padre? Voglio che vi sia chiaro, Maestà, perché,
francamente … non condivido la strada presa dalla
rivoluzione, ma gli ideali, sì. Lo sa Dio che non avrei mai
voluto che vi accadesse tutto quel che avete patito, … quel
che vi aspetta, e che vorrei portarvi via di qui. … Ma a
questo punto siete finita anche per le vostre scelte troppo
intransigenti.
- Apprezzo come sempre la vostra
franchezza, Oscar e vorrei che mi crediate quando ribadisco quanto
annunciatovi nella missiva: mi basta che Charles sia vivo! Vivo ed al
sicuro con voi! Non ho chiesto la vostra presenza qui, per farvi
salvare la monarchia! Non ho chiesto la vostra presenza per farvi
salvare mio figlio… Ho chiesto a vostro padre di condurvi
qui, perché voglio vedere nei vostri occhi la risposta:
alleverete il mio bambino, Oscar? Avrete cura di lui come una madre? La
monarchia? Il trono? Oscar… Inutile oramai recriminare,
cavillare, anche pentirsi … Ormai, tutto è
storia, anche la mia imminente morte fisica perché la regina
che conoscevate è morta da tanto … Quella che vi
parla, che vi supplica, è solo una madre, che non
può lasciare questo mondo con il pianto straziante
del suo bambino nelle orecchie. Voi dovete salvarlo, Oscar, non
perché ve lo chiedo, non perché lo dovete, ma
perché è giusto!
Le mise in mano una rosa bianca, fatta con della stoffa cenciosa.
- L’ultimo dono che vi posso
offrire, e che stavolta spero non rifiuterete, mia cara.
Gli occhi di Oscar si inumidirono.
E poté fare solo una cosa. Non perché le
veniva chiesto, non perché lo doveva, ma perché
lo sentiva giusto.
Piano, fletté un ginocchio e si inchinò. L’ultimo suo
inchino all’ultima regina di Francia.
Prese la rosa dalla mano di Maria Antonietta e baciò le dita
ossute.
L’amica posò l’altra mano sul suo capo,
in una carezza, ed arricciò teneramente fra le dita una
ciocca dorata che spuntava da sotto la cuffietta.
- Non ve l’ho mai detto, amica
mia, … ma avete sempre avuto dei meravigliosi
capelli… - mormorò piangendo.
- Bijoux, maledizione! –
tuonò la voce di Girodelle – Non hai ancora
finito?!
Entrò veloce nella cella mentre ancora gridava e le fece un
cenno veloce.
Gli altri lo seguivano: non
c’era più tempo!
Oscar capì al volo la situazione.
Si rialzò di scatto e, afferrate le lenzuola dal cesto, le
lanciò addosso alla Regina, proprio mentre le guardie
entravano.
- Cambiatele da sola le tue lenzuola,
maledetta austriaca! – cominciò a strillare,
stringendo nel pugno chiuso la rosa.
Girodelle colse l’occasione. L’afferrò
per la vita, sollevandola di peso, mentre Oscar inveiva a male parole e
scalciava come a voler malmenare la prigioniera.
- Per tutti i demoni
dell’inferno! – esclamò il carceriere
– La tua biondina è davvero una gatta furiosa!
Portatela via, che non ho certo bisogno di grattacapi!
E lui lo fece mentre Oscar rabbiosa continuava a gridare
“maledetta”.
Nessuno si sorprese delle lacrime delle due donne, che si fissarono
fino all’ultimo istante; le scambiarono per plausibili
manifestazioni di rabbia e paura.
Ma in realtà erano disperate quelle di Oscar, di sollievo
quelle di Antoniette.
- continua
1) Ai tempi, il Pont au Change era
costruito con case su entrambi i lati, quindi la vista era diversa da
quella di oggi.
2) Sono i nomi delle guardie reali che
vennero decapitate.
Ho un dubbio... Si è capito cosa chiedeva la Regina nella
lettera inviata ad Oscar?…
Non si limitava a chiedere la liberazione di suo figlio, cosa alla
quale avrebbe potuto pensare Jarjayes da solo. Non chiedeva che
salvassero la monarchia, no. Antonietta voleva affidare Charles alla
persona in cui aveva più fiducia, anzi… alla
donna in cui aveva fiducia! Chiede che sia lei la nuova madre di
Charles. Per questo Oscar aveva detto ad André che la loro
vita sarebbe cambiata.
Jarjayes avrebbe potuto liberarlo, portarlo a Torino dove si era
rifugiata la Corte e un domani, Charles avrebbe potuto accampare
diritti sul trono. Ma non è questo il desiderio di Sua
Maestà.
Il generale obbedisce e Girodelle lo aiuta … per i suoi
buoni motivi. : )
Oscar si
fermò sulla
soglia del vano contiguo la grande sala sotterranea a guardarlo,
illuminato com’era solo da una torcia e da un primitivo
focolare
nella nuda terra, che scaldava ben poco. Vent’anni
di immagini
quotidiane le passarono nella mente, fino a quella sera in cui lui si
era presentato a chiedere la sua mano. Lo
ricordò sicuro,
sereno, come un viaggiatore stanco, errante da tanto, che finalmente
vede, alla fine del sentiero, apparire la sua destinazione. Quel luogo
che cerca da una vita. Quel sito ove
potrà finalmente riposare. Lei.
Ma Oscar
aveva riso di quella proposta. Aveva riso di
lui. Aveva trovato
offensivo anche solo immaginarsi “con lui”.
Aveva pensato
a quanto ridicolo
sarebbe stato per lei sottostare ogni giorno, ogni notte, a colui che
le era stato sottoposto, subordinato per una vita, volontariamente, in
un modo che André, seppure servo, non aveva mai fatto. Le era parso
assurdo il desiderio di Girodelle di sposarla. Ma ora che
André le aveva aperto il cuore, vedeva più
chiaramente le anime attorno a sé. E sapeva che,
questo ed altro, un uomo profondamente innamorato avrebbe fatto. Girodelle l’aveva
amata davvero. Sebbene non
avesse avuto modo di
conoscerla nel quotidiano, al di là del poco che lei
lasciava
trasparire sul luogo di lavoro, era riuscito a capire molto di lei.
Più di quanto Oscar permettesse perfino a sé
stessa di
vedere. Era stato coraggioso con quella
proposta di matrimonio. Era stato incosciente. Ed aveva gettato tutto al
diavolo per lei, quel giorno sotto la pioggia. Secoli di onore, valore,
dignità… Si sentì addolorata
per lui. Si sentì colpevole.
Girodelle,
chino sulle
ginocchia, proteso su una tinozza di metallo, si era lavato quel che
poteva con l’acqua appena poco meno che gelida che filtrava
in
quegli anfratti sotterranei, arrivando a formare anche piccole cascate;
ed ora, ancora a torso nudo, cercava di sciacquarsi i capelli
insaponati. I suoi meravigliosi capelli,
erano sempre stati il suo debole… Ad occhi
chiusi, allungava la
mano in cerca della brocca, tastando a caso il pavimento verso i
tizzoni che tenevano in caldo il recipiente. Oscar si
avvicinò e gliela sottrasse mentre lui arrivava a sfiorarla. -
Lasciate che vi aiuti. – disse sedendosi su uno
sgabello accanto a lui. L’uomo
non obiettò a quella insolita profferta. Oscar
lasciò scorrere
piano sui capelli quell’acqua solo intiepidita, facendo
sì
che portasse via la schiuma del sapone, aiutandosi con una mano,
scivolando piano sul suo capo.
-
Come avete
fatto ad incontrare mio padre? – chiese, indugiando
con le
dita fra le ciocche scivolose e morbide . Una
curiosità apparentemente di poco conto, che nessuno le aveva
ancora chiarito. Lui si volse
e la guardò
un istante, con quelle iridi nocciola, spruzzate di salvia e muschio,
lucide, brillanti e tristi ogni qualvolta si posavano su di lei; poi
tornò a fissare, celati nell’acqua sporca della
tinozza, i
suoi ricordi dolorosi. -
Quando andai
a Versailles, quella volta a dicembre, lungo la strada del ritorno mi
fermai a casa vostra. Ovviamente, il palazzo era abbandonato ed era
già stato saccheggiato. Mi fermai lì per la notte
e, per
puro caso, al mattino trovai vostro padre che aveva pensato bene fosse
un posto sicuro ove nascondersi. Oramai, nessuno sarebbe venuto
lì: non c’era più nulla da razziare.
Oscar
annuì, prendendo
per buona la stringata spiegazione, incrociando di nuovo il suo sguardo
intimidito, che lui rapidamente distolse. “Lo sguardo di chi ha
segreti”, pensò. Non le aveva detto tutto. - Tenete!
– disse passandogli un panno, per asciugare i capelli. Victor lo
prese senza osare sfiorarle la mano. Era molto
diverso dallo spavaldo che si era permesso di baciarla, carezzarla e
palpeggiarla in ogni dove solo poche ore prima.
Si
asciugò piano,
rivolgendole ancora un sguardo mesto, ma più diretto del
precedente, ricambiato da uno altrettanto diretto.
No, non le disse che quella
notte aveva dormito nella camera della donna che amava ancora, in quel
che restava del suo letto. Non
confessò d’aver fatto l’amore col
fantasma del suo
ricordo, stringendo a sé quella giubba rossa, sopravissuta
al
saccheggio nel fondo di un armadio in pezzi. Non
ammise d’aver pianto come un bambino, sognando il calore del
suo
abbraccio, in quella notte mai così fredda e solitaria della
sua
vita.
-
Victor, non
ho mai pensato alle conseguenze che voi … A cosa…
Non
avrei mai voluto che … - cercò di spiegare. -
Non datevi pena.
Ho solo fatto quel che sentivo di dover fare. Come vi dissi quel
giorno, non ero orgoglioso del compito che mi era stato affidato e
voi… Voi mi avete solo dato un motivo in più per
non
compiere quel che avrebbe dovuto essere il mio dovere.
Gli occhi di
lei corsero sul suo dorso dove cicatrici di una fustigazione si erano
malamente rimarginate. Carezze riservate ad un
ufficiale ribelle in una prigione militare. “Più alto
il grado, più severa la pena…” (1) -
Perché continuate ad aiutare la corona, Girodelle,
dopo che … - si interruppe. Victor si
poggiò sui talloni, stringendo la salvietta tra le mani,
fissando il nulla. Quanto se lo era domandato
quando ancora le ferite della carne e dell’orgoglio
bruciavano? -
E voi,
Oscar? – chiese di rimando, puntando inaspettatamente lo
sguardo
in quello di lei. Ma non attese la risposta, che sapeva stava celata
nel suo cuore. – La verità è
che siamo
soldati, siamo aristocratici … e siamo brave persone. Per
quanto
male ci sia stato fatto, per quanto ci abbiano deluso, dentro di noi
sentiamo di aver mancato ad un dovere. Il nostro dovere, sebbene
sbagliato fosse ciò che ci veniva chiesto. E’ un
condizionamento del quale non possiamo liberarci. E poi …,
come
vi ho detto, ho visto troppi amici perire ingiustamente, mentre gli
approfittatori di allora, persone come il Duca
D’Orléans,
hanno continuato ad approfittare. E non odio Sua Maestà a
tal
punto da aiutare i suoi carnefici. La monarchia finirà, ma
non
nel sangue di un innocente. Vi fate carico di una grande
responsabilità, Oscar… - disse rivolgendole uno
tono
ammirato e preoccupato ad un tempo. -
Victor… -
Oscar
… - La voce bassa di André che la chiamava,
interruppe
l’istante perso nel tempo, nei se, nei forse, in
ciò che
mai sarebbe stato. Un momento travolto da quella accozzaglia
di
domande senza risposta ed emozioni taciute che tali sarebbero rimaste.
- Tuo padre vuole mostrarti le piante del Tempio che ha ottenuto.
– disse piano, guardandoli entrambi dalla volta
d’ingresso
alla stanza. -
Arrivo, André.
Alla debole
luce di una sola
candela, il generale dispiegò sul tavolaccio delle piantine
schizzate a mano libera, con indicate le ultime modifiche apportate
alla prigione. -
Ecco,
guardate! Come avevamo previsto, l’unica via
d’accesso
rimane quella principale. L’unica finestra è stata
sigillata, povero ragazzo… Neanche aria fresca gli arriva!
Terzo
piano, Maria Teresa e sua zia. Secondo piano, Charles e …
sì, gli ultimi lavori edili avevano lo scopo di murarlo
vivo.
(2) – Indicò con un dito il tracciato
che definiva
l’orrenda parete. -
Terribile
… - mormorò Oscar - Che male
può far loro un
bambino di otto anni ?… -
Sì,
terribile, ma suppongo tu ricordi Machiavelli, “Il
principe”. Cosa insegna la storia? Cosa deve fare un
principe, un
dittatore, per mantenere il potere? -
Uccidere i
nemici. Tutti e a un tratto. Nessuno deve sopravvivere
affinché
nessuno possa un giorno vendicarsi. – mormorò la
figlia,
tornando alle lezioni di strategia di tanti anni prima. -
Tanto crudele
quanto logico, Oscar. Ora Charles è Luigi XVII, legittimo
erede
al trono di Francia che un giorno potrebbe rivendicare il suo posto.
Non possono lasciarlo vivere. Il lato positivo di questa crudeltà, per noi è
che i Reali sono stati privati di domestici e la sorveglianza
è stata ridotta al minimo.
Girodelle
portò vicino a loro quattro delle casse che stavano
nell’altra stanza e le aprì. -
Abbiamo da
lavorare, ora. – disse prendendo una delle bottiglie di
brandy e
porgendola ad André. -
E sarebbe? - Non
crederete
che sia bastato il mio fascino a conquistare le guardie delle
prigioni!?… - replicò ironico Victor. –
I liquori
che fornisco loro non sono “più buoni”
degli altri,
ma semplicemente hanno un … chiamiamolo
“valore
aggiunto”. Ed
aprì una bottiglia diversa. André
ne riconobbe immediatamente il contenuto dall’odore
dolciastro dovuto alle spezie. Aveva una
forzata, personale esperienza con quella “robaccia”,
che risaliva ai tempi del suo incidente col Cavaliere Nero. Aveva
compreso allora, che gli
effetti di quella sostanza, all’inizio piacevoli, potevano
diventare devastanti a lungo andare. -
Laudano? Avete aggiunto laudano al vino ed al brandy che gli
regalate?! -
Non possono
più fare a meno dei miei doni!… - rise Victor
–
All’inizio non lo aggiungevo a tutto. –
spiegò
stappando la prima bottiglia di liquore, vuotando un sorso in un
boccale e sostituendo quella quantità con la droga.
– E
non ne mettevo tanto. Poi ho incrementato il numero di bottiglie
adulterate, creando in loro una leggera dipendenza. Tutti volevano il
nettare degli dei che avevo trovato nascosto nelle fogne … E
tutti attendevano il mio arrivo alle prigioni come se fossi il loro
miglior amico. E non c’era domanda alla quale non
rispondessero.
E domani… - ghignò – Domani faremo
sì che la
nottata sia indimenticabile per loro!
Venne il
tardo pomeriggio dell’indomani e, con esso, il momento di
agire. Le casse di
doni erano pronte. I
sigilli di ceralacca erano stati ripristinati, con tanto di marchio dei
Jarjayes impresso a caldo utilizzando l’anello del generale. Casse in
spalla, erano usciti
sotto il Pont Neuf, sfruttando lo stesso percorso seguito da Victor ed
Oscar la sera precedente. Ma il tragitto allo scoperto questa volta
sarebbe stato più lungo e più rischioso:
più di un
miglio all'aperto li separava dalla prigione del Tempio. André
aveva indossato i
cenci sanculotti a qualche modo… In fondo, si diceva, doveva
apparire quanto di più lontano da un aristocratico
perfezionista. -
Venite qua… - disse Girodelle vedendolo scomposto.
Si trovavano già sotto le mura della cittadella medievale. André
obbedì, senza capire cosa non andasse in lui. Victor prese
a sistemargli la cravatta sulla camicia, la giacca, la sciarpa di lana. -
Vedete,
André, ho imparato tante cose negli ultimi anni ed una di
queste
è che nessun vero povero vuol mai sembrare tale…
Ecco!
Ora sembrate un vero … disgraziato. Povero e sporco,
sì… Ma dignitoso! Gli diede una
stretta al braccio, come incoraggiamento. -
Ora voi mi
aspetterete qui. – disse - Vado avanti per controllare chi
è di guardia e spero proprio che di turno ci sia gente non
troppo sveglia. Stando alle voci che corrono, tutti si aspettano un
tentativo in extremis di salvare la regina, quindi il grosso dei
controlli dovrebbe essere alla Conciegerie. Speriamo in
bene… -
sospirò.
Detto
ciò, si allontanò. André
si rassegnò
ad aspettare nell’ombra, guardandosi intorno ansioso, ma per
strada non c’era nessuno. Il solo
rumore era quello gorgogliante di un lavatoio pubblico. Nessun altro
suono,
finché non udì una risata ed un vociare, una
volgarità, un insulto indirizzato alla sorella di
qualcuno… Soldati! Ed era tardi
per trovare un nascondiglio. La coppia di
uomini in uniforme lo vide. -
Chi va là? – gli intimò uno
dei due puntandogli contro il moschetto. André
chinò il capo, calcando meglio il vecchio cappello sul viso.
Ora toccava a lui recitare, ma aveva il sospetto che la sua bravura non
avrebbe potuto competere con quella dimostrata da Girodelle. -
Solamente un semplice addetto alle prigioni, …
cittadino sergente! Mormorò
umilmente,
ricordandosi dell’avvertimento impartitogli da Girodelle e
forzando l’abitudine di una vita intera trascorsa a ripetere
quella parola, chinando il capo: … "signore". “Mai!
Mai chiamare qualcuno “signore”! Nella Francia
della
rivoluzione, niente più signori, solo
“cittadino” e
“cittadina”!”, si era
raccomandato Victor
mentre spiegava loro come riconoscere i gradi dei nuovi gendarmi, la
Guardia Nazionale, casomai ci si fossero imbattuti. -
Davvero? Mostrami i tuoi documenti! –
intimò uno dei soldati. -
Dio, che puzza! –
esclamò l’altro quando André
allungò una
mano per porger loro un pezzo di carta – Porc…
E’
indubbiamente uno di quei topi di fogna. Lascialo passare! -
Abbiamo il compito
di controllare e anche se questo tizio è stomachevole,
dobbiamo
farlo! – lo rimproverò il compagno. -
Uhm …
Albert Fournier… - storse il naso. -
Che c’è? – domandò il compare. -
Non so… La firma dell’addetto non mi pare
… originale… -
Fai vedere? Mentre i due
uomini si
consultavano e alternavano lo sguardo ora sul documento, ora sulla sua
persona, André cominciò a temere il peggio. La loro
esitazione non era nulla di buono. “Stai calmo”,
ripeteva nella sua testa, guardandosi intorno in cerca di una via di
fuga, in cerca di una “illuminazione”…
Sperava in un
diversivo, ma non si vedeva nessuno. Cominciò
a pregare che
Dio guardasse giù o che almeno gli facesse trovare qualcosa
di
grosso da usare come arma, visto che aveva solo un coltello. Ma
evidentemente Dio aveva in testa altro e di grosso spuntò
solo un’ombra a cavallo da dietro l’angolo. -
Che succede?
– chiese con tono pacato, ma inflessibile,
l’ufficiale col
cappello sugli occhi ed il mantello allacciato stretto contro il gelo
di quella notte. Gli uomini
scattarono sull’attenti. -
Controllo di generalità durante una normale ronda,
capitano! L’ufficiale
si
avvicinò al passo; con calma allungò una mano al
soldato
e, senza necessità di una sola parola, si fece passare i
documenti. Il muso del
cavallo, a pochi
centimetri dal viso di André alitava nervosamente contro di
lui,
ma l’uomo non osava alzare lo sguardo, non azzardava a
muovere un
solo muscolo. “E’
finita”, riusciva solo a pensare. “Addio Oscar, addio
Tristan… “ Gli parve di
sentire sul collo un alito ghiacciato come la lama di una ghigliottina
in rapida discesa. -
Uhm …
- mormorò l’ufficiale, schiarendosi la voce
arrochita dopo
un leggero colpo di tosse – A me sembrano regolari
… -
Veramente,
cittadino capitano, – azzardò
l’arrivista esaltato
– la firma del cittadino Chauvin mi pare incerta… -
Uhm ... Ma
no… - insisté il superiore, tollerante -
Avrà
firmato di mattina presto, dopo aver fatto baldoria tutta notte. Ormai
lo conosciamo! … Se non sbaglio, poi, tu non sai reggere
neppure
il tuo “attrezzo”
quando esci dalla locanda, vero Pichon... Cerchiamo di non pretendere
troppo dal cittadino Chauvin, che è solo uno scribacchino
obbligato a rilasciare centinaia di permessi al giorno. Lasciate andare
questo disgraziato, che ha sicuramente una moglie ed una famiglia che
lo attendono, e continuate la ronda senza perdervi in sciocchezze. -
Sì,
capitano! – esclamarono scattando sull’attenti; uno
inghiottendo il rospo, con sguardo vendicativo verso il superiore. L’ufficiale
allungò
il documento ad André e questo lo prese forzandosi a non
mostrare quanto la mano gli tremasse. L’ufficiale
scalciò
il cavallo e proseguì tranquillo per la sua strada, mentre i
soldati erano già scomparsi in una traversa.
Non poteva restare
lì! Doveva spostarsi o avrebbe suscitato sospetti! Accidenti
a Girodelle! Dove si era cacciato? Si
guardò intorno… “Ecco, in quel vicolo!
“ Da
lì avrebbe potuto
tener d’occhio l’ingresso del Tempio, ma senza
stare in
bella vista come un bersaglio facile ed invitante. Ci si
infilò velocemente
col carretto, ma mentre il cuore riprendeva un battito regolare, si
sentì afferrare per un braccio con una tale forza che gli si
sarebbe potuto staccare.
L’aggressore lo sbatté al muro talmente forte che
gli
parve di sentire scricchiolare la schiena e dovette chiudere gli occhi
per il dolore, mentre il cappello gli scivolava piano sul volto e
cadeva a terra come una non più utile maschera.
-
E adesso dimmi … - sibilò la voce
dell’ufficiale - Che cazzo
ci fai qui, André? Senza quel
tipico termine da camerata, non lo avrebbe riconosciuto. Aprì
gli occhi. -
Alain?! -
Alain, sì! E smettila di guardarmi come se fossi
la tua fidanzatina! Lo prese per
il bavero e lo tirò su, perché pareva quasi che
stesse scivolando lungo il muro . -
Non starai
dalla parte dei realisti, vero? Maledizione,
André… Qui
ci si divora l’un con l’altro già tra di
noi!
L’unica cosa che ci unisce ormai è la lotta ai
monarchici.
Sei qui con lei? Per lei? Se vi prendono siete fottuti! -
Non
chiedermi nulla, Alain, per la nostra amicizia, non chiedermi
nulla… Non ho cambiato le mie idee che non sono diverse da
quelle di Oscar ma, come tempo fa dissi a Bernard, poco importa
ciò che credo : il mio dovere è un altro. -
Ti farai
uccidere… Te lo dissi già una volta e lo
riconfermo a
maggior ragione, André: ti farai ammazzare per lei!
Un ombra
comparve all’improvviso, di scintillante solo il pugnale
nella mano, diretto alla schiena di Alain. -
No! –
esclamò André mentre fulmineamente spingeva di
lato
l’amico e bloccava il polso dell’aggressore. Girodelle si
liberò con un violento strattone, ponendosi in guardia come
d’altronde stava facendo il gigante. -
Grandier, maledizione, stai gettando tutto il mio lavoro
nella Senna! – sibilò. -
Guarda guarda chi
si rivede … Il fidanzato damerino della tua
Oscar!… -
ridacchiò il vecchio Alain, passando il coltello da una mano
all’altra. – Però sembri meno in tiro di
quel giorno
che venisti a farle visita in caserma… - lo
schernì. -
Grandier… Non possiamo lasciarlo vivo…
- disse
quasi come una preghiera Girodelle, lanciandogli uno sguardo tra il
minaccioso ed il supplichevole, senza perdere di vista Alain. -
No. –
si limitò a rispondere André con fermezza,
cominciando a
frapporsi in mezzo ai due. -
Ci tradirà … -
No, non Alain. Vattene! – intimò
all’amico. -
Se ci
reincontremo, dovrò far fuoco, André
…Non posso
mostrare esitazioni… - lo avvisò
l’ufficiale. -
Cercheremo di non incontrarci, allora. -
State attenti all’osso del collo… e non
è un modo di dire. André
lo ringraziò con un cenno. Alain lo ricambiò e
scomparve nel buio. -
Avete
compromesso tutta l’operazione, André! –
lo
accusò Girodelle, rinfoderando il pugnale. -
Lui non dirà nulla! -
E’ un bravo soldato? -
Sì, il migliore ma… -
E allora lo farà! Farà il suo dovere! -
No …
– mormorò André fissandolo –
Non dirà
niente e, dovete credermi, non ho dubbi. -
Perché mai dovrebbe tradire la rivoluzione!? André
sospirò, strinse i pugni. Gli sarebbe
piaciuto poter dire “per
lealtà verso un amico”,
ma sebbene fosse certo di questa qualità in Alain, decise di
dire altro, quella parte di verità che preferiva ignorare;
lo
fece con l’intento di metter le carte in tavola, sebbene
significasse ammettere di conoscere i sentimenti di Alain e di
Girodelle. Disse quelle
parole con fatica. -
Forse per lo stesso motivo per cui voi avete tradito il
vostro Re. Girodelle si
rizzò di colpo, colpito da quella parola che, per istinto,
lo offendeva. Fu come un
pugno allo stomaco ricevuto da André che si era finalmente
levato la maschera. Ora non c’era
più bisogno di fingersi reciprocamente tolleranti. Rivalità, solo questo
era il sentimento tra di loro.
“Traditore
…”, pensò. Non era mai riuscito a
riconoscersi in quel termine. Eppure era così. Tecnicamente,
nei fatti, quello era diventato disobbedendo in quel giorno di pioggia.
Anche se
aveva avuto bisogno di una spinta da parte di lei per riuscirci. Poco
importava cosa facesse per redimersi, perché nella testa,
nel cuore, mai si sarebbe pentito di quella scelta. Era mancato
al suo dovere: aveva
ascoltato la sua coscienza, aveva ascoltato lei e quel che il suo cuore
martellante di uomo onesto gli ripeteva: “non puoi sparare su uomini
disarmati, non puoi sparare a lei”. Inutile
ingannarsi: non aveva
seguito Jarjayes nelle sue imprese per lealtà alla corona,
ma
per tenere un contatto con lei. Per quella assurda speranza di
poterla un giorno rivedere. E André lo aveva
capito.
Si guardarono
in silenzio, ponderando, per un istante, se fosse il caso di prendersi
reciprocamente per il collo. André
era tranquillo: non
aveva necessità di battersi per l’amore di lei,
che era e
sarebbe stata sempre e solo sua. -
E allora non
perdiamo tempo… - concluse Girodelle ponendo fine a quel
duello
di sguardi - Come ha detto il vostro … “amico”,
se ci prendono siamo fottuti! E si
voltò, prendendo il
carretto con le bevande adulterate, borbottando sommessamente e
desiderando di poter maledire il giorno in cui aveva conosciuto Oscar
François De Jarjayes, conscio però in cuor suo
che mai
sarebbe potuto accadere.
***
Jean Montout
entrò nel complesso del Tempio accompagnato dal suo collega
Albert Fournier. Jean veniva
come ogni sera per accendere lanterne, cambiare candele e svuotare
pitali. Quello era il
suo lavoro. Un lavoro che
nessuno sarebbe stato felice di fare. Ma Jean non
se ne dispiaceva. Egli passava
accanto ai potenti
della rivoluzione come un fantasma e conquistava la peggiore feccia,
lasciando intendere di essere uno di loro. Li corrompeva
con adulazione e con doni, ridendo alle loro battute e rincarando in
goliardia. Lavorare
nelle fogne gli permetteva di arrotondare lo stipendio con un
po’ di mercato nero. Era bravo
negli affari e sapeva
riconoscere l’importanza di mantenere ottimi rapporti col
personale delle carceri, in un periodo come quello in cui la
possibilità di finire in una prigione era qualcosa da
mettere
seriamente in conto. Ma quella
sera era particolarmente contento, Jean. Già,
quel giorno era
importante: era cominciato il processo alla vedova Capeto e
già
si sapeva come sarebbe finito. Quindi, era il caso di
festeggiare! Da bravo
cittadino aveva deciso di dividere il suo ultimo ritrovamento con le
guardie ed i commissari del Tempio. Il suo amico
Fournier lo
aiutò a portare a termine in fretta i suoi compiti e a
distribuire quell’ottimo brandy trovato nascosto sottoterra. Questo
pensavano di Jean Montout
i comunardi mentre si preparavano al turno di notte e salutavano i due
lanternai che uscivano dal recinto del Tempio. Ma quel turno
per molti di loro avrebbe rappresentato niente altro che le ultime ore
di vita.
-
Ed ora?
– mormorò André mentre si allontanavano
dopo aver
terminato il loro lavoro, notando che qualche bottiglia era
già
stata aperta. -
Ora ci
troviamo un posto tranquillo fino al momento di incontrarci con Oscar
ed il generale. Ce ne stiamo buoni come un ragno che aspetta
pazientemente che la mosca tiri la ragnatela e lo avvisi che
è
ora di far festa.
*** - continua
1)
Ho un dubbio su questa frase... Non è che l'ho "rubacchiata"
a
qualcuno? Ho la sensazione di averla già letta, ma ...boh!
Se la
riconoscete come vostra, fatemelo sapere!
2) in realtà, Louis Charles fu murato nella sua cella dopo
la
morte della madre, quando ormai era inutile, e lì lasciato a
soffrire fino alla sua morte l’8 giugno 1795. Mi sono presa
una
“grossa licenza” anticipando i tempi e riducendo di
molto
la sorveglianza, come in effetti avvenne dopo che venne dimenticato in
quella prigione.
Salve a tutti! Questo nelle intenzioni avrebbe dovuto essere
l'ultimo capitolo perché ero convinta d'aver poco da
aggiungere
... E invece no! Era diventato lunghissimo e ho dovuto spezzarlo.
Quindi dovrete portare pazienza fino al capitolo 13, che
dovrebbe
davvero essere l'ultimo, sperando che non porti jella alla storia (e
alla sottoscritta!)
Come potete vedere, André vede bene i mosconi che ronzano
attorno alla sua Oscar, ma non teme rivali.
E finalmente è arrivato Alain... Da lassù hanno
mandato "qualcosa di grosso" in aiuto di André!
Spero che la storia continui a piacere e vi ringrazio!
Ciaooo!
Oscar, come
da programma, li raggiunse che era quasi l’una.
Vestita di
scuro era
sgattaiolata da un angolo all’altro, riparandosi dalla luna
che,
sebbene non piena ed oscurata da provvidenziali nubi, aumentava il
rischio ad ogni passo.
Si
acquattò accanto a loro, nascosti dietro il muro di un
giardino in abbandono, in silenziosa e rassegnata attesa.
- Il
generale? – bisbigliò Victor.
- Al suo
posto, secondo i piani. Le guardie?
- Decisamente
ridotte
di numero e svogliate. La sorveglianza, come avevamo previsto,
è
stata concentrata alla Conciergerie. I prigionieri sono stati privati
di domestici ed i commissari al piano terra sono dimezzati: quattro.
Mezz’ora fa… cantavano già... Direi che
ormai
saranno intontiti al punto giusto. Possiamo procedere. Tra poco la
ronda oltrepasserà l’angolo del perimetro e
ripasseranno
davanti al cancello solo tra un ora. Non avremo un minuto di
più.
I compari
annuirono e per un istante solo gli sbuffi dei loro respiri contro il
freddo testimoniarono la loro presenza.
Quando il
campanile più
vicino batté un singolo colpo spettrale, Girodelle si sporse
a
controllare e scorse il drappello della ronda scomparire dietro
l’angolo.
Si rivolse
loro con un secco cenno del capo e per primo uscì allo
scoperto.
Oscar si
alzò, pronta a
sua volta a tuffarsi nella via, ma André
l’afferrò
per un polso e la trattenne.
Alzò
lo sguardo nel suo. Uno di quei suoi sguardi
che raccontavano tutto.
Non
c’era bisogno lo spiegasse a parole, sapeva cosa voleva
ricordarle.
Lei
allungò la mano a carezzargli il viso, tranquillizzandolo.
Sì, certo, ricordava
la promessa che gli aveva fatto.
Ne avevano
parlato la notte
prima, quando non riuscivano a prendere sonno e si erano stretti nella
stessa branda, là sottoterra, dove rischiavano di finire per
sempre..
Sapevano di
rischiare la vita. Lo sapevano fin dall’inizio,
ma…
Ora avevano
una loro
vita, vera, piena in un mondo che nulla aveva a che fare con
quell’incubo.
E il rischio,
compreso con la ragione, era apparso improvvisamente inaccettabile al
loro cuore.
“Se dovessi
trovarmi
in difficoltà, mi lascerai indietro”, aveva
detto André e non le aveva permesso di parlare se non per
prometterglielo. “Lo stesso
vale per
te”, aveva poi affermato Oscar con la stessa
perentorietà.
“No, a te non
accadrà nulla. Non lo permetterò”
Oscar aveva
sorriso per quella arroganza tutta maschile che per anni aveva cercato
di imitare.
Ma non aveva
obiettato. Si era
limitata a nascondere il viso contro la sua spalla, trovando sollievo
all’umidità opprimente di quella caverna.
E, come poche volte aveva fatto
in vita sua, si era messa a pregare per tutti loro.
***
L’uomo
avanzò
deciso sotto le torce dell’ingresso. Il viso illuminato da
queste
era quello di Montout, il lanternaio che li conosceva tutti, nome e
cognome, ma il passo era decisamente diverso e se la guardia lo avesse
notato, il suo destino avrebbe potuto essere diverso.
-
Ehilà! – esclamò Girodelle
affacciandosi con
fare spavaldo al portone del recinto, mentre alzava la mano in un gesto
di saluto, tenendo la destra dietro di sé.
-
Ehilà! – rispose gioviale la guardia che
in un
attimo si trovò la mano sinistra di Victor stretta sulla
bocca
ad impedirgli l’urlo di sorpresa e quello immediatamente
successivo di dolore per quel pugnale che gli stava affondando nel
ventre con decisione.
Un altro
colpo feroce, profondo, ed il malcapitato emise un ultimo rantolo, con
lo sguardo ancora sorpreso su Girodelle.
“Tutti, a un tratto.
Senza pietà. Questa è una guerra e siamo solo
soldati con un dovere da compiere”
L’altra
guardia si mosse
verso Victor, ma André arrivatole alle spalle, avvolse un
braccio attorno alla gola e strinse, facendo perdere i sensi
all’uomo che seguì nel lento accasciarsi al suolo.
Nel mezzo di
loro, Oscar si
mosse felinamente, come quella di un tempo, come se non fossero
trascorsi anni dalla sua ultima azione.
Avanzò
dritta, decisa,
fioretto saldo in mano, occhi puntati sulla sua vittima predestinata,
un uomo confuso, ma abbastanza sveglio da poter provare terrore quando
la punta della lama si piantò sulla gola.
- Chiavi,
cappello e giacca… - ordinò
lei, chiara e pacata.
La guardia,
intontita
dall’oppio, posò la mano sull’anello
delle chiavi ed
allungò il braccio dritto davanti a sé, pensando
a che
demone infernale fosse quella creatura di nero vestita, con
quell’alone abbagliante, d’oro e di luna, e quei
due gelidi
occhi.
Sì, un angelo caduto!
Solo quello poteva essere e pregò che non fosse
lì per lui…
André
prese il mazzo. Si
fece indicare fra le tante quella per aprire il primo cancello, da un
uomo sempre più inebetito, che non riusciva a distogliere lo
sguardo terrorizzato da Oscar, mentre sfilava tremante la giacca
dell’uniforme che André infilava velocemente.
Lei, aiutata
dalla decisa spinta
sulla lama, lo guidò oltre l’inferriata aperta da
André, mandandolo a sbattere contro la porta della guardiola
interna ed obbligandolo subito ad acquattarsi in basso come lei,
tenendolo per la camicia e poggiando il ferro freddo e tagliente alla
sua guancia .
L’addetto
al secondo
cancello, che poteva essere aperto solo dall’interno, si
affacciò allo spioncino udendo quel tonfo sordo, ma vide
solo
André, con un cappello storto, una casacca mal messa, col
viso
nascosto dietro ad una bottiglia vuota che agitava sul naso del compare
al di là delle sbarre.
- Viva la
rivoluzione!… - biascicò André in
perfetto stile
ubriaco fradicio e si chinò fingendo un conato di vomito
proprio
sull’ingresso.
-
Maledizione… no! – esclamò il
collega. E si
affrettò ad aprire, preoccupato da cosa sarebbe potuto
accadere
alla sua testa se una delle tante ispezioni a sorpresa fosse capitata
in quel momento.
Appena aperta
la porta si
trovò ai piedi Oscar e la guardia ammutolita, ma prima che
potesse superare la sorpresa e reagire a cosa stava accadendo, un
destro di André lo aveva già mandato al tappeto.
Oscar spinse
il suo ostaggio
stralunato in uno sgabuzzino, obbligandolo a portarsi dietro il corpo
del secondo guardiano steso da André che, impossessatosi del
secondo anello di chiavi, aveva cominciato a provarle, una dopo
l’altra nella toppa della seconda inferriata.
Victor, che
aveva appena finito
di trascinare lì i corpi delle due guardie del cancello,
quella
svenuta e quella cadavere, lì stipò
nell’angusto
loculo, ma solo dopo aver recuperato altre due giubbe e
cappelli,
ed aver legato ed imbavagliato l’unico ancora cosciente,
chiuse
la porta e spinse il chiavistello.
Il cigolare
di una inferriata li informò che André aveva
già trovato la chiave giusta.
Ora che tutti
avevano un
improvvisata uniforme addosso, dovevano solo attraversare il cortile a
passo svelto, ma senza farsi notare dalle ronde sulle mura del castello.
Un gruppetto
di guardie semi
assonnate attorno ad un fuoco, poco distanti dal piccolo ingresso alla
torre, non fecero caso a loro e le bottiglie vuote ai loro piedi
lasciavano ben capire perché.
I tre si
appiattirono contro le mura del palazzo, celati nell’ombra a
riprender fiato.
André
infilò una
chiave nel portoncino medievale e girò piano, spostandosi
velocemente per consentire a Girodelle di aprire d’un colpo
la
porta.
Alle sue
spalle Oscar
avanzò infilzando il primo dei due commissari di guardia,
malauguratamente per lui, di turno al pian terreno.
E poi, via,
verso le scale a chiocciola della torre dove li aspettavano ben sette
posti di guardia.
Al primo
ammezzato trovavano un giovane soldato, forse il più
diligente e ancora sveglio incontrato fino a quel momento.
Ma
l’attimo di indecisione davanti alle uniformi dei colleghi e
l’evidente inesperienza, gli costò la vita.
Avvenne tutto
in modo stranamente silenzioso: un solo colpo alla gola inferto da
Girodelle e molto, molto sangue.
Il solo
rumore fu quello della spada che scivolò di mano al defunto,
riecheggiando metallicamente sui gradini.
Restarono in
allarme per un istante, ma nessuna reazione, nessun altro rumore si
udì, quindi ripresero a salire.
Si fermarono
accanto alla porta
aperta che dava nella sala delle guardie al primo piano, dalla quale
non giungevano rumori, se non il tranquillo russare di coloro che non
erano in servizio.
Cautamente,
Girodelle si sporse
per accostarla e André provò qualche chiave di
quelle
sottratte al primo commissario, mentre Oscar proteggeva loro le spalle.
Chiusa la
porta, si permisero un
leggero sospiro di sollievo, ora che il grosso degli armati
all’interno del palazzo era impossibilitato a nuocere.
Almeno, lo
era temporaneamente.
Purtroppo, la
guardia del secondo ammezzato stava scendendo insospettita dai rumori
di poco prima.
Fine dell’effetto
sorpresa…
Lo
sguardo che
scambiò con Oscar, levò i dubbi al soldato, il
quale non
cascò nel loro improvvisato travestimento.
- Intrusi
nella torre! – gridò quello nell’istante
stesso che
la lama si incrociava con quella di Oscar.
Victor e
André si
lanciarono verso il secondo piano, per intercettare le guardie
rimanenti ed ingaggiar duello, mentre Oscar, un colpo dopo
l’altro stava già mettendo in
difficoltà il suo
avversario.
Nonostante tutto, era un piacere
scoprire di non aver perso … la mano!
Un fendente
finale e via, su al
secondo piano, dove il rumore di spade era inconfondibile ed un
cadavere giaceva già sugli ultimi scalini prima del
pianerottolo.
Quando li
raggiunse, Girodelle
la guardò sollevato, quindi reagì con rinnovato
vigore
all’assalto del suo corpulento avversario, stroncandolo.
Lei
passò a dar man forte
ad André, alle prese con una guardia ed il secondo
commissario,
quello che deteneva le chiavi delle celle.
Girodelle
salì la rampa
verso il terzo piano, lasciandoli a vedersela con le guardie del
secondo. Lo udirono incrociare le lame con l’ultimo dei
soldati
di guardia e poco dopo il cadavere di quello rotolò
giù
per la scala.
André,
affondata la lama
nel petto del suo avversario, il secondo commissario, si
inginocchiò a frugargli nelle tasche, mentre Oscar finiva di
vedersela con l’altro, tanto agguerrito quanto rozzo. I suoi
riflessi erano lenti per via dell’oppio, ma la forza dei
fendenti
era comunque notevole. A lame incrociate e visi vicini tanto da
sentirne l’alito pestilenziale, lo spinse con un colpo
così deciso che quello perse l’equilibrio e,
inciampando
nel cadavere dell’altro, rovinò giù per
la scala.
Udì
il secco schiocco di un cranio che si frantumava contro lo spigolo del
gradino. “Decisamente
sfortunato…”, pensò.
Udì
André
bestemmiare pesantemente, mentre passava le chiavi della cella del
terzo piano a Girodelle, il quale spariva nuovamente sulle scale, senza
indagare oltre il motivo dell’esclamazione del moro.
-
Maledizione…
- Cosa
c’è? – chiese lei.
- Non trovo
la
chiave della botola… - borbottò continuando a
frugare
nelle tasche del cadavere - Ha le chiavi delle due porte, ma non quella
della stanza murata! – esclamò.
Udirono
l’orologio di un campanile battere i colpi del terzo quarto.
- Non
possiamo perder altro tempo… Alle due arriva
il cambio della guardia. André…
Aprirono la
prima porta, in ferro, ed entrarono nell’appartamento buio e
deserto che era stato del Re.
Quindi
aprirono la seconda, in
legno e si impietrirono. Sul fondo della stanza si vedeva chiaramente
il muro edificato in quei giorni.
Una piccola
porticina chiusa a
chiave era l’unico accesso alla stanza, oltre alla sportello
traverso il quale venivano passate le vivande.
Mentre
André si chinava
ad esaminare i cardini e la serratura della porticina, Oscar si
affacciò allo spioncino di vetro, rinforzato dalle sbarre e
guardò attraverso.
Dall’altra
parte solo il buio totale.
Posò
le mani sulla parete
per guardare meglio e avvertì l’umidità
sotto i
polpastrelli dovuta all’intonaco steso da pochi giorni.
-
André…
- Niente da
fare, Oscar – borbottò lui – I cardini
sono
protetti. Senza chiave, questa non si può aprire.
- Il muro
è ancora fresco… - aggiunse lei.
Lui si
alzò ed andò a posare la mano accanto a quella
della moglie.
- E allora?
– chiese sospettando cosa stava per
dirgli.
-
Allora?… Lo buttiamo giù!
-
Oscar…- mormorò dubbioso.
- Solo quel
che serve! – insistette - Sono magra,
basteranno pochi mattoni…
- E va bene,
proviamo! – si arrese conscio che lei
non avrebbe ceduto.
Si
guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse
risultare utile.
-
Maestà… Maestà, mi
sentite?… -
cominciò a chiamare lei, picchiando sul vetro, temendo il
peggio
non vedendo niente al di là di quello.
Sì
udì uno
schianto, provenire dall’anticamera, di qualcosa che veniva
fracassato contro la parete e dei calci.
André
tornò portandosi appresso la gamba massiccia di un tavolo e
cominciò a colpire i mattoni.
- Ma che
succede? Non avete ancora fatto! – esclamò
Girodelle che
arrivava dal piano superiore con le donne che in quei pochi minuti si
erano cambiate indossando gli abiti maschili che aveva portato per loro
nella sua bisaccia.
- Abbiamo
dovuto cambiare piano. – spiegò Oscar prendendo
un’altra lampada ad olio dall’anticamera
dell’appartamento.
Girodelle si
inginocchiò
per aiutare André a levare i mattoni che cominciavano a
cadere,
usando i coltelli per scalzarli.
Fare tutto
quel rumore era stato
un grosso rischio, per via delle guardie intontite e addormentate che
avevano rinchiuso al primo piano, ma soprattutto per quelle di ronda
all’esterno.
Ma non c’era stata
alternativa.
Maria Teresa
e la zia si
stringevano l’un l’altra, con lo sguardo fisso ai
tre,
lanciando occhiate allarmate alle loro spalle, ma nessun rumore faceva
temere l’arrivo di altre guardie su per quella scala.
Non ancora.
Oscar si
inginocchiò tra
i due uomini, spinse la lampada al di là del muro e, con
cautela
si infilò nel varco.
Posò
le mani sul
pavimento, spostando un paio di mattoni e dei calcinacci, e fece forza
per portare i fianchi oltre la parete.
Piano,
riuscì a rizzarsi ed alzò la luce davanti a
sé.
Pensò
che mai aveva visto un buio così pesto.
Pensò
che lì, in quelle tenebre infernali, c’era lui, il
Delfino: un bambino di otto anni.
-
Maestà! – chiamò.
Non un respiro.
-
Altezza?…
Non un alito.
Illuminò
il centro della stanza e vide qualcosa di piccolo e raggomitolato su un
materasso buttato sul pavimento.
-
Charles?… - mormorò avvicinandosi.
Gli
illuminò il volto, pallido quanto quello della morte stessa.
Aveva gli occhi aperti, ma non reagiva alla luce.
- Oh, mio Dio
… Charles, cosa ti hanno fatto!?
… - mormorò carezzandogli il capo.
- Il tempo
stringe, rischiamo di saltare l’appuntamento col generale!
– ringhiò la voce impaziente di Girodelle.
-
Andrà
tutto bene!… Stiamo uscendo. – rispose Oscar
dall’altro lato del muro. - Dovete venire con me,
Charles…
- bisbigliò al piccolo, prendendolo tra le braccia e
sollevandolo.
- Fai in
fretta… Passami il bambino! –
disse André chinandosi a guardare dentro.
Oscar lo
infilò nel varco per i piedi, tenendogli sollevati da terra
il capo e le spalle.
André
lo prese per le gambe e tirò delicatamente fino ad estrarlo.
Girodelle lo
sollevò e lo
portò alla sorella ed alla zia, che faticavano a
riconoscerlo,
poiché non lo vedevano da mesi.
Oscar
infilò le braccia
nel varco ed André la tirò piano, rendendo
l’uscita
decisamente più agevole di quanto fosse stato
l’entrare.
Quindi, senza
altre esitazioni, si lanciarono per le scale, precedendo Girodelle col
bimbo al collo e le due donne.
Ripercorsero
il tragitto dell’andata, ma stavolta di corsa.
Una delle
guardie ancora
assonnate accampate nel cortile, ma meno confusa delle altre, venne
colta da un dubbio vedendoli passare a passo lesto.
- Ehi, voi!
– gridò.
Non la
degnarono di uno sguardo.
- Ehi!
– gridò ancora.
Ma ormai
erano già ai cancelli.
I campanili
battevano le due: la ronda stava già arrivando.
Corsero per
la piazza senza pensare a mimetizzarsi.
Oramai solo
la velocità poteva porli in salvo.
Svoltarono in
una strada e sentirono ai cancelli la guardia che cercava di attirare
l’attenzione del drappello di soldati.
Dovevano
percorrere più
di un miglio per raggiungere il luogo dell’appuntamento ed
Oscar
cominciò a dubitare nella riuscita dell’operazione.
Le due donne
non camminavano da tanto ed incespicavano spesso.
Girodelle le
passò
Charles e si occupò di sorreggere Madame Elisabette, mentre
André assisteva Maria Teresa.
Alle loro
spalle il vociare si
era trasformato in colpi di fucile ed una campana, suonata
all’impazzata, dava l’allarme.
Tra poco le
strade si sarebbero riempite di soldati armati ed illuminate a giorno.
No, le cose stavano andando
niente affatto bene.
Si
appiattirono contro un muro, respirando affannosamente e piegandosi in
due per i crampi alla milza.
- Non manca
molto – constatò Victor
– Possiamo farcela. – disse fissandoli.
- Dobbiamo
farcela… - rincarò Oscar, sollevando e
sistemandosi
meglio un inerme Charles sulla spalla.
- E
allora… non perdiamo tempo in ciance! – li
rimproverò André, rituffandosi per la via con
Maria
Teresa.
Ormai poche
centinaia di metri li separavano dalla loro destinazione: il Lungosenna
era lì.
Corsero ad
una delle scalinate
che portavano sulla passeggiata del lungofiume, la scesero di corsa e
si infilarono sotto il ponte appena in tempo. Sul viale del livello
superiore si sentivano correre uomini, un gran vociare.
Ora, come
aveva previsto il
generale, visto che la fuga era stata scoperta, le porte della
città sarebbero state chiuse, impedendo a chiunque di
entrare o
di uscire.
Si guardarono
nel buio, coi loro respiri affannosi coperti dal frastuono
dell’acqua che lambiva i piloni del ponte.
Non potevano farcela…
Questione di
minuti, forse solo istanti e qualcuno sarebbe sceso a
controllare…
- Forse
no… - bisbigliò Girodelle, con un sospiro
ottimista,
replicando al silenzioso dubbio di tutti, indicando la grossa ombra che
discendeva la corrente ignorata da tutti.
Era una
chiatta per il trasporto
di sabbia e ghiaia. Una delle tante che percorrevano la Senna nel senso
della corrente, lente, silenziose, buie, ignorate …
La videro
accostare, strusciando appena contro l’argine.
Un uomo ritto
in piedi accanto al manovratore, nero come tutto il resto, stava
facendo loro dei cenni. Era il generale.
Bene, era giunto il momento di
giocarsi il tutto per tutto!
Girodelle
spinse una esitante
madame Elisabette verso il bordo del marciapiede e cominciarono a
camminare veloci, cercando di tenere la velocità della
chiatta.
Il generale
allungò le
mani, arrivando a sfiorare quelle della donna e mentre
l’afferrava per le braccia, Victor la prendeva per la vita e
la
spingeva oltre il bordo, dando forza al suo salto.
André,
subito dietro di loro, fece la stessa cosa con Maria Teresa che
atterrava con un capitombolo sulla barca.
Girodelle
saltò a sua volta e si volse per prendere Charles dalle
braccia di Oscar.
Fece appena
in tempo ad afferrarlo che il sibilo di un proiettile li
sfiorò.
E fu panico
perché oramai erano sprovvisti di riparo.
Il fragore
dello sparo passò in secondo piano rispetto alle grida del
soldato.
- Allarme!
Allarme! Sono qui! – gridava dalla cima della scalinata,
mentre
si affannava per ricaricare e cominciava a scendere gli scalini.
André
spinse Oscar verso la chiatta.
- Tu vai! Io
resto e li distraggo! – esclamò, afferrando la
spada,
preparandosi ad affrontare l’impossibile.
- Se resti
tu, resto anch’io! –
esclamò Oscar, facendo lo stesso.
- Non erano
questi gli accordi! – ringhiò nervosamente
André,
mentre la distanza tra loro e la guardia diminuiva.
La chiatta
prendeva velocità.
Il soldato
era riuscito a
ricaricare e stava alzando l’arma su di loro quando,
un’ombra alle sue spalle calò il moschetto secondo
un
utilizzo improprio, ma efficace, sul cranio del malcapitato, che
rovinò privo di sensi.
D’altronde, Alain era
sempre stato tipo di maniere spicce e modi impropri.
Il gigante
sollevò il
soldato e lo tuffò al di là del muricciolo, dove
avrebbe
riposato sull’erba sottostante.
Beh, …sempre se fosse
riuscito a risvegliarsi dopo quella botta!
- Mai
sottovalutare la potenza di una bella
legnata…- gli sentirono dire.
Poi, mentre
la luce della luna
affacciatasi tra le nubi, lo rischiarò per un istante,
sorrise
loro e li salutò col suo solito irriverente e sgangherato
gesto
militare, sillabando un silenzioso “au revoir”.
Quindi
risalì la scalinata di corsa.
Oscar e
André si misero a
correre lungo il percorso della chiatta e, quando furono abbastanza
sicuri, si lanciarono in un salto, atterrando dolorosamente sul ponte.
Mentre
raggiungevano gli altri nascosti sotto un telone, udirono Alain gridare
“Di
là, di là! … Sono andati di
là!”
Era così! Ora avevano
un altro debito verso Alain Soisson!
E sorrisero
fra sé,
immaginando che non sarebbe passato molto che il gigante si sarebbe
presentato alla loro porta, pretendendo giustamente di veder saldato
fino all’ultimo centesimo il loro debito di riconoscenza.
Erano
assolutamente certi di questo.
Gli sarebbe costato parecchio in
vino e in bistecche, ma quel grosso amico valeva davvero tutto
l’oro del mondo!
***
La confusione
creata da Alain fece sì che nessuno si accorgesse del modo
da loro utilizzato per uscire da Parigi.
Sfruttarono
la via fluviale per
alcune miglia al di fuori della città, quindi accostarono in
un
ansa, contro il molo di una cava di ghiaia.
Jarjayes
saldò il manovratore e li guidò dove un complice
li attendeva con cavalcature fresche, viveri, denaro.
Ora le loro
strade si sarebbero separate.
Il generale,
con Victor e le donne, avrebbe puntato a nord, verso il Belgio.
Oscar e
André, col
piccolo Charles, avrebbero dovuto deviare ad ovest, verso la Manica, ed
avrebbero percorso una via che conoscevano bene.
- Non
fidatevi
di nessuno. – si raccomandò il generale, mentre
loro
gettavano le uniformi e indossavano indumenti meno appariscenti.
Consegnò un lasciapassare nelle mani di Oscar.
-
E’ quello per Charles. –
spiegò – Lo cercheranno. Lo cercheranno tanto.
- Lo
so… - mormorò Oscar, consapevole che lei ed
André
avrebbero dovuto guardarsi le spalle per il resto della vita.
André
stava finendo di
preparare i loro cavalli. Charles non era in grado di reggersi
autonomamente in sella, quindi lo avrebbero tenuto a turno, lui ed
Oscar.
Jarjayes gli
si avvicinò. Si guardarono un istante, imbarazzati.
- Questo non
è un addio, André. – esordì
il generale - Ci
rivedremo. Ne sono certo. Volevo che tu sapessi…
André,
se fossi stato nobile, ecco, sarei stato il primo a caldeggiare la
vostra unione. Sapevo che avresti potuto renderla felice e …
Beh, tu l’hai resa felice, André.
- Grazie,
signore … - mormorò il genero, sollevato da
quelle parole
che mettevano una pietra sopra a quella notte di temporale in cui lo
aveva minacciato con una pistola.
- Dentro di
me, ho sempre saputo che tu l’avresti fatto. Fin dal tuo
primo
giorno a palazzo, quando la guardasti come la più stupenda
delle
meraviglie. Sono contento per voi e spero non ti accada nulla di male,
figliolo. Lo spero davvero…
Si volse a
guardare la figlia che era stata a sentire.
Allungò
due dita sulla sua guancia e con le nocche
l’accarezzò, asciugando le sue lacrime di
commozione.
- Sono sempre
stato orgoglioso di te. Sempre!
La trasse
contro il suo petto e le baciò la fronte.
- So che non
vi serve e che è un po’ in ritardo, ma
… –
prese le loro mani e, secondo la tradizione, le
unì,
tenendole tra le sue - Avete la mia benedizione, figli miei...
Girodelle
stava aiutando Madame Elisabette e Maria Teresa a montare a cavallo.
-
E’ tardi! – ricordò loro con
tono brusco.
André
gli si
avvicinò. Lo fissò un istante negli occhi, quindi
gli
porse la mano, che Victor accettò di stringere.
- Sapete di
essere un uomo dannatamente fortunato? – disse piano il
conte,
trattenendogli la mano nel saluto, energicamente, con rabbia velata.
- Me lo
ripeto
ogni mattina, quando mi sveglio con lei tra le braccia. –
mormorò come piccola rivincita – Ma è
una fortuna
che mi sono conquistato.
Girodelle
strinse ancora la mano e la lasciò di colpo, annuendo.
Sì,
maledizione, lo sapeva!
Ed era la
sola cosa che gli rendeva tollerabile vederla con lui.
Oscar li
guardò in quella
esibizione maschile, orgogliosa di André, della sua
compostezza,
ma rattristata per Girodelle.
Aveva passato
giornate intere, anni interi con quell’uomo, ma non lo aveva
mai conosciuto davvero.
Neppure
durante il loro
fidanzamento, neppure durante quell’unico bacio nel parco,
solo
sfiorato, mai assaporato a fondo, ma neppure mai dimenticato. (1)
Mai aveva
conosciuto lui,
l’uomo destinato ad essere il suo, se André non
avesse
fatto parte della sua vita, della realtà.
Se
André non fosse stato da sempre nel suo cuore.
Forse solo
quell’ultimo
loro incontro sotto la pioggia, davanti alla sala
dell’assemblea
… Forse solo allora aveva percepito la grandezza
d’animo
di colui che aveva saputo rinunciare, del soldato innamorato che aveva
accettato l’umiliazione della resa con rassegnata
intelligenza.
Così
gli si
avvicinò, scambiando prima uno sguardo con André,
che
intuì e non cercò di fermarla, sicuro di lei e di
sé stesso, di loro e del sentimento che da sempre li univa.
Oscar
posò una mano sul braccio di Victor; l’altra al
centro del torace, sul suo cuore.
Si guardarono
solo un istante.
Un istante che per Girodelle sarebbe durato tutta la vita e lei se ne
rendeva conto, anche mentre si allungava a sfiorargli la guancia con un
bacio leggero, appena all’angolo della bocca. Bacio che per
un
lungo istante, lui osò inseguire e catturare di nuovo, a
pieno,
dolcemente, disperatamente, stringendola a sé, incurante di
tutto ciò che li circondava.
- Il mio
augurio affinché le vostre notti diventino calde e serene,
Victor… - bisbigliò sulle sue labbra, scivolando
via da
lui con un’ultima carezza.
Poi raggiunse
André e si allontanò con lui senza più
voltarsi.
Come una barca senza
più legami che lascia la riva…. Oscar
saliva a cavallo e dava addio al suo passato.
***
Il piccolo
Charles pareva assente, come se non ricordasse altro che il buio e la
sofferenza di quella prigionia.
“So che
vivrà.”
Era chiaro
dentro di lei mentre
lo stringeva al petto per ripararlo dal gelo, su quella piccola barca
diretta la largo, mentre suo marito stringeva entrambi sotto il suo
mantello caldo.
In compagnia
di due marinai
inglesi che li avevano prelevati con quella scialuppa, avevano lasciato
la spiaggia della Normandia, proprio quella prospiciente quello che era
stato il rifugio di tanti bei momenti di lei ed André
fanciulli,
un luogo ora ridotto a poche rovine in cenere.
“Saliremo su una nave
inglese che ci aspetta nella nebbia.
Una
piccola, agile fregata al comando di Scott, che si mette a rischio per
aiutare i suoi amici in una missione ufficialmente inesistente.
Il
veliero ci aspetta nel buio di quest’alba invernale del 16
ottobre 1793, nel più assoluto silenzio, in acque
territoriali
francesi.
Sento lo sciabordare contro il
fasciame in legno. Sono vicini.
Ma potremo dire di essere in
salvo, solo quando saremo a Baker Manor.
Il difficile, per me, arriva
adesso…
Cosa dirò a questa
creatura dei suoi veri genitori, quando sarà cresciuto?
Quando i ricordi affioreranno?
Racconterò tutto?Le
mancanze, la sfortuna, il dolore, l’orrore…
Dovrò
dirgli di un re ed una regina colpevoli di essere l’ultimo
anello
di una odiosa catena? L’anello forse più debole,
ma non
certo il più pesante…
Alzo gli occhi su
André ed il suo sguardo intenso perso nel mio mi fa capire
cosa farò.
Spiegherò a Charles
l’importanza delle scelte.
Una scelta di André,
mi cambiò la vita.
Una mia scelta ora ha cambiato
quella di Charles.
Perché
il destino è anche il risultato di ciò che
decidiamo e
della capacità che abbiamo di assumerci la
responsabilità
che ogni decisione implica.
Ma, in
realtà, cosa
ha bisogno di sapere un bambino dei suoi genitori?”
Guardò
il piccolo stretto a lei, gli carezzò il capo.
“Gli dirò
che sua madre era una donna allegra, che amava cantare, apprezzava la
vita ed adorava i suoi bambini.
Che siamo state buone amiche;
che ci siamo perse, ma ritrovate in tempo.
Che suo padre era un uomo buono
col cuore di un fabbro.
Che gli voleva tanto, ma
talmente tanto bene che avrebbe ceduto un regno per saperlo sano e
salvo.
Non importano le colpe vere o
presunte dei genitori: un bambino non dovrebbe mai pagare a questo modo.
E’ questa
l’uguaglianza? La fraternità in cui ho creduto?
E’ questa la
libertà?
Le cose importanti? Il mio
dovere?
Ho
avuto doveri di figlia e di figlio; di ufficiale e di aristocratico; di
cittadina e di straniera; di sorella, amica, compagna; di moglie e di
madre.
Ma quale è il primo
dovere, fra tutti?”