Il mio dovere

di crissi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


IL MIO DOVERE cap. 1
 

IL MIO DOVERE
La notte del tradimento. Il generale vuole punire la figlia ribelle con le sue stesse mani. Ma Andrè prende in mano il suo destino, cogliendo l’occasione, e la storia cambia. Nel bene, nel male, da questo momento dell’anime, che sfrutto come punto di partenza, cambia tutto; cambiano anche quei fatti che avrei voluto lasciare, perché basilari, anche per quei personaggi che sarebbero stati bene dove stavano, ma che non volevo perdere per strada.
Ho pensato alla frase conclusiva di Alain nell’anime: Oscar ed Andrè erano stati felici perché non avevano visto gli orrori della rivoluzione. Quindi, se non fossero morti, come avrebbero affrontato quegli orrori?
Nuovi luoghi, nuovi personaggi, un nuovo destino. Perché il destino è anche il risultato delle scelte compiute e Andrè ed Oscar hanno scelto diversamente.


Capitolo 1


 “..ora andrò via insieme ad Oscar”
“ E magari vorresti sposarla…”
“ Si!”
“Pazzi! la differenza non si cancellerebbe mai!”

Poche battute veloci, impensabili fino ad un attimo prima, tra loro.
- Non posso perdonarvi. – Fu la conclusione del Generale.
- Me ne dispiaccio, ma rimarrà un problema solo vostro, signore! – Fu la risposta che Andrè sentiva lui meritasse.
Nessuna replica. Non se l’aspettava. La sua rabbia era evidente.

- Andrè, io …
Fu quasi meno di un bisbiglio. L’energia, la decisione, anche l’arroganza, Andrè poteva dirlo, della Oscar che lui conosceva, trasformata in un soffio d’aria, debole come quello di un morente.
La prese per la manica e la tirò mentre arretrava con la pistola puntata su di lui.
“Spero tu sappia che non potrei mai sparargli!
Spero tu sappia che il mio è solo un bluff, imparato guardando Alain e gli altri giocare a carte ogni sera!
Spero tu sappia che, nel bene e nel male, è un padre anche per me!”

Non la prese per mano.
“Non voglio distrarmi al contatto con la tua pelle”.
Uscirono cautamente dalla porta, senza mai volgere le spalle a lui, il nemico.
Appena fuori, Andrè la spinse via e chiuse velocemente il battente.
Il generale si scagliò contro la porta e cercò d’aprirla,
“… sono più forte io, signore.”
Si sfilò velocemente la cinta e la usò per legare insieme le due maniglie.
Jarjaies gridava di aprire.
La nonna piangeva.
Lei era muta immobile. Completamente passiva.
- Mettiti abiti civili! – gridò Andrè al di sopra delle urla e delle spallate sul legno.
“Non te l’ ho chiesto: te l’ ho ordinato, senza nemmeno guardarti.”
Si inginocchiò davanti alla nonna, seduta sul pavimento, appoggiata alla parete. Le prese il viso tra le mani e cercò di calmarla.
- Ti prego! Ti prego, nonna … Ho bisogno di te! Non devi aprirgli almeno finché non ci saremo allontanati. Meglio domattina. Ti prego, lo farai per me? Lo farai per me, nonna?
Marron annuì singhiozzando.
Fuori, il temporale esplose come l’ira del generale.
Andrè corse nella sua camera. Senza rallentare scivolò, sulle ginocchia,  sul pavimento di marmo, fino ai piedi del cassettone. Sul pavimento troppo lucido, come quella sua vita da finto aristocratico in quella  casa.
“Hai mangiato il loro cibo, André! Hai bevuto il loro vino, ti sei innamorato di una di loro … E adesso? Adesso cominci a pagare! Prima o poi, doveva finire.”
Strappò con forza l’ultimo cassetto dalla sua sede, si infilò con il braccio, in fondo, e frugò in quel vano libero che restava tra il retro dei cassetti e la parete del mobile, dove le cameriere e la nonna di sicuro non arrivano.
I suoi risparmi. La loro sola possibilità.
La testa di Andrè correva veloce. Analizzava il più possibile le loro opzioni che non erano tante.
“Un aristocratico traditore ed un servo. Che fare? “
Prese una sacca dalla cassapanca. Ci infilò vestiti e tutto ciò che gli poteva servire.
Si tolse quasi strappandola l’uniforme e si cambiò.
Uscì dalla stanza con ancora la camicia aperta e si fiondò in quella di Oscar.
- …ma, come…? non ti sei ancora cambiata! – esclamò fuori di sé mentre il generale continuava a gridare.
Lei lo stava fissando, immobile,  appoggiata al suo piano.
“Non mi sono neanche sognato di chiederlo se vuoi fuggire … con me. ”
Si rese conto che prima, là dentro, le aveva indirettamente proposto di sposarlo. Anzi, aveva fatto qualcosa di orribile: l’aveva dato per scontato in una discussione tra uomini, come se lei non fosse parte in causa.
- Oscar, ti prego .. Ti giuro che ne parleremo. - mormorò - Ma non puoi restare qui. Nessuno di noi due può.
Lei annuì e cominciò a spogliarsi, piano da principio, poi sempre più velocemente.
“ …vado! “
Andrè corse per il corridoio con la sacca, giù per le scale, quasi volando.
Irrompendo in cucina trovò la nonna, ripresasi quel tanto che bastava, che stava preparando dei viveri per entrambi.
Trovò l’istante necessario per stamparle in fronte un energico bacio di ringraziamento e andò velocemente nella biblioteca, all’armadio delle armi.
“Prendo la chiave dal cassetto nascosto della scrivania di tuo padre. Questa casa non ha segreti per me! Due di tutto: fucile, pistola, pugnale. E munizioni.”
Uscì nell’atrio ed uno strano silenzio lo mise in allarme. Il sangue cominciò a picchiargli nelle tempie per la tensione.
 “Tuo padre non grida più! “
Mollò tutto li e si lanciò di nuovo su per le scale, con il cuore in gola.
La vide lì, davanti alla porta chiusa, con lo sguardo fisso.
“Sei tentata di aprirgli”, pensò allarmato. Ma poi udì la sua voce.
“Per questo lui non grida più: gli stai dicendo addio. Stai tornando in te.”

***

“ Non ti perdonerò mai, Oscar, mai! “ aveva detto e ripetuto quella sera.
Oscar sfiorò la porta dello studio con la mano. Esitante, poi la ritrasse, la serrò a pugno.
Gli occhi le si riempiono di lacrime e li chiuse, chinando il capo.
-    Padre …Perdonatemi per i dispiaceri che vi ho dato.
Il generale si zittì improvvisamente. Sorpreso di sentire quella figlia così caparbia, così simile a lui, chiedere scusa per qualcosa che, nonostante gli ultimi avvenimenti, sapeva non essere colpa sua.
Rimase sorpreso anche di sé, che bastasse quella frase per metterlo alle strette.
Si lasciò scivolare lungo la porta, fino al pavimento; e nel farlo percorse con la mente gli errori, i capricci, le prepotenze di una vita su di lei.
-    Non importa … - ammise a sé stesso – Vivi! vivi la tua vita Oscar, come il cuore ti suggerisce.
Anche quelle erano scuse.
-    Il mio cuore è con Andrè, padre. E’ con i miei soldati, con i miei amici… - disse piano la figlia.
Andrè le arrivò accanto silenzioso, riservato come sempre. Le raccolse la sacca e scesero senza altre parole.
Suo padre non gridava più.

Passando dalla cucina trovarono Nanny con una borsa di viveri pronta e tracimante.
Piangeva in silenzio.
Li abbracciò.
Prima Andrè, poi Oscar, poi tutti e due insieme.
Poi, sempre senza un fiato, li cacciò via.
Non c’era tempo per altre parole.

Il temporale si era trasformato in uno spaventoso acquazzone. Solo il tragitto per arrivare alle scuderie e già erano fradici.
Andrè la guardò prendersi la sella e preparare César.
Muta. Non una sola parola, non uno sguardo a lui. Gesti secchi, precisi, privi di qualsiasi emozione.
“Ma almeno, si sta muovendo!”, pensò l’uomo.
Caricarono anche delle coperte; e poi … via, senza guardarsi indietro, diretti a Parigi.

Andrè si stupiva di come la sua mente fosse organizzata, come se quella fosse una fuga programmata negli anni e non qualcosa di completamente improvvisato, obbligato da una catena di eventi.
“Ma, forse, è così …. “, pensò, “Forse sono anni che aspetto un’occasione come questa. L’occasione di fuggire via, ma non da lei: con lei! “


***

Era notte fonda quando arrivarono in città.
Fino a una decina di anni prima, ci sarebbe stato movimento anche a quell’ora tarda.
Feste, festicciole e festaioli, ma ormai, c’era ben poco da festeggiare in Francia, dopo un decennio di raccolti andati a male e debiti per guerre.
Andrè smontò da cavallo ed indirizzò Oscar in un vicolo vicino.
Le visite notturne a casa di un rivoluzionario non dovevano essere una rarità, ma meglio era farsi vedere il meno possibile.
Andrè si guardò intorno ed accertatosi di essere solo nella strada, si chinò a prendere del ghiaietto e lo lanciò ad una delle finestre di Bernard e Rosalie. Non era il caso di svegliare il quartiere chiamando o battendo ad un uscio.
Ci volle qualche tentativo.
Evidentemente, questo tipo di rivoluzionario non aveva il sonno molto leggero.
Finalmente Bernard s’affacciò alla finestra. Era chiaramente stato buttato giù dal letto. Andrè si fece riconoscere mettendosi sotto ad un lampione acceso, l’unico dell’intera via.
L’altro gli fece cenno “un  minuto” e poco dopo Andrè sentì armeggiare col catenaccio alla porta del pianterreno.
-    Ci serve un posto sicuro. Dobbiamo nascondere i cavalli e noi stessi. – gli disse piano.
Bernard non ebbe dubbi che il plurale fosse riferito ad Oscar.
Gli fece cenno di seguirlo fuori, lungo la via. Andrè fece lo stesso gesto ad Oscar.
Li condusse ad una stalla vuota lì vicino, un luogo sicuro, dove nascosero i cavalli da sguardi indiscreti. Sempre senza una parola, tornarono poi sui loro passi e si accomodarono da Bernard per parlare, finalmente.
Rosalie, capelli in disordine e sguardo assonnato, si era infilata una vestaglia e, lampada in mano, li aspettava in cima alle scale.
-    Che è successo? – domandò Bernard, ultimo ad entrare nel modesto appartamento.
-    E’ complicato … - esordì Andrè.
-    Allora sarà meglio se parti dal principio . – disse l’ex Cavaliere Nero con tono severo e si sedette, facendogli cenno di imitarlo.

Oscar, senza una parola, andò alla finestra, stando attenta di rimanere al riparo delle tende, fissando il buio più per addestramento al pericolo, ormai radicato in lei, che per il timore concreto di un nemico nell’ombra. Sapeva che i veri guai, sarebbero arrivati il mattino seguente.
Non un saluto, non un cenno, neppure a Rosalie, che continuava a fissarla preoccupata, con gli occhi che si inumidivano man mano che il racconto di Andrè proseguiva.
La sua testa era altrove, mentre Andrè riassumeva la loro situazione.

***

Lo guardava riflesso nel vetro della finestra; guardava lui, l’amico che credeva di conoscere da una vita; lui, l’uomo forte, coraggioso, generoso che era diventato mentre lei era … dove?
E, mentre Andrè spiegava, mentalmente rivide tutto quanto accaduto.

Lo studio di suo padre, la lama pronta a colpire, cancellando così la sua esistenza e con quella gli errori, veri o presunti, di entrambi i Jarjaies.
Andrè le si era piazzato davanti e le aveva fatto scudo.
Lei era riuscita a vedere sopra la sua spalla, l’espressione feroce di suo padre mentre lo sfidava come nessun servo e pochi nobili si sarebbero arrischiati.
Riusciva ancora a sentire la sua voce, indicibilmente calma, indicibilmente sicura. Spezzoni di discussione erano giunti alle sue orecchie, mentre lei si era sentita come su di una giostra.
Lui aveva detto che l’amava…
La voleva sposare?
Sì!…
“Pazzi! la differenza non si cancellerebbe mai!”
“Che significa?…”
“Non posso perdonarvi!…”

Poi l’aveva tirata per la manica, l’aveva spinta verso l’uscita.
Lei era riuscita a balbettare “Andrè, io …” sentendosi un’imbecille, ma non era riuscita a dire altro; non sapeva che dire, non ne aveva la forza.
Andrè aveva preso in mano la situazione e nessuno poteva fermarlo.
Le aveva ordinato cosa fare ed Oscar non si era neppure posta il dubbio se obbedirgli o meno. Ma, giunta nella sua camera, si era fermata accanto al piano. La luce era debole, però riusciva a vedere il suo riflesso nella cera nera, perfettamente lucida.
“Il riflesso di una fuggiasca!”
Per obbligo, certo, ma si era domandata se, sotto sotto, non avesse mai desiderato, anche inconsciamente, una situazione come quella. Dove non restavano che poche scelte, poche strade che normalmente mai avrebbe scelto di percorrere, per … paura.
Sì, paura! Di cambiare, di diventare qualcuno diverso da quel che era convinta di essere e di voler essere. Poche scelte, poche strade e lui che decideva per lei.

Quel “lui” si era affacciato alla porta, mezzo svestito, ed aveva gridato qualcosa che le era parso di non capire, frastornata com’era.
Ma il suo sguardo si era subito addolcito.
“Sei preoccupato per me... “
Aveva parlato.
“E come sempre hai ragione, Andrè …”
Così aveva annuito, cominciando a spogliarsi. Si era cambiata velocemente ed aveva riempito la sacca da viaggio senza la precisione da militare che normalmente caratterizzava ogni suo gesto.
Era uscita nel corridoio. Suo padre gridava ancora.
Per un attimo era stata tentata di aprire quella porta. Poi si era arresa a sé stessa, a quella verità che non poteva più essere ignorata. E aveva chiesto perdono. Perdono per il passato e per il futuro imminente.
Perché aveva deciso. Deciso di essere una persona diversa.

***

Ormai Rosalie era un fiume di lacrime: i Jarjaies rischiavano di perdere tutto per la presa di posizione di Oscar, che avrebbe pagato per prima.
-    Potete nascondervi nella stalla, per un paio di notti, ma poi dovrete andarvene, rifugiarvi nelle campagne. E’ troppo pericoloso restare a Parigi. Troppi soldati. - disse Bernard.
Improvvisamente, Oscar se ne uscì con una domanda.
-    Cosa facciamo con Alain e gli altri?
“Già vero. Noi siamo nei guai, ma loro, tra due giorni, saranno morti se non facciamo qualcosa.”
-    Tu cosa suggerisci?
Chiese Bernard.
-    Pensavo che tu potessi far intervenire la folla.
Si spiegò nei dettagli. Si trattava solo di "suggerire" la direzione agli eventi.
Bernard annuì. Era deciso.
-    Faremo così.
-    Funzionerà? – esitò Andrè.
-    Deve funzionare. – gli rispose quella Oscar che conosceva bene.

-    Ora sarà meglio andare a dormire. – concluse Bernard, – Domani sarà una giornata impegnativa.
Rosalie guardò il marito intensamente, in modo interrogativo, come a cercare di ricordargli qualcosa che pareva aver dimenticato. Bernard ricambiò lo sguardo con uno altrettanto intenso, ma completamente perso.
Rosalie sbuffò.
-    Bernard ha scordato la buona educazione e di cavalleresco ormai non gli è rimasta neppure la maschera. – disse ridendo. – Madamigella Oscar, il nostro letto è ben misera comodità, ma se volete, è vostro.
Lei si volse e le sorrise appena.
-    La stalla andrà benissimo, Rosalie. Non è la prima volta che dormo sulla paglia.
Andrè sorrise.
“Tempi lontani, Oscar…”  (1)

***

Andrè richiuse il battente del portone e lo fissò col gancio dall’interno. La guardò arrampicarsi su per la scala a pioli reggendo la lampada, fino al soppalco pieno di paglia; si muoveva leggera come un felino, ma stancamente gettò la sacca a terra.
Lei aveva parlato solo lo stretto indispensabile.
Era rimasto sorpreso, piacevolmente sorpreso, quando aveva rifiutato l’offerta di Rosalie, di dormire in casa. Ma non gli aveva ancora rivolto la parola direttamente.
Andrè avrebbe voluto udire la sua voce, ma al tempo stesso temeva quel che avrebbe potuto dirgli.
“Ti sto portando via alla tua vita, Oscar…Lo so ….”

Andrè la raggiunse sul soppalco.
Lei insisteva a non guardarlo.
Ciascuno prese la propria coperta e le stesero sulla paglia.
Non lontani, non vicini.
L’uomo si accorse che nella fretta aveva sbagliato ad allacciarsi la camicia.
Scosse il capo, sorridendo della sua goffaggine e cominciò a slacciarla per rimediare. Ma lo fece volgendole le spalle in quello che doveva essere un segno di riguardo nei suoi confronti.
La sentì muoversi e coricarsi. Quando si girò vide che gli voltava la schiena.
“… Mi odi? …”
Sospirò appena, rassegnato.
Quando Oscar chiudeva le comunicazioni, era come sua nonna: non c’era niente da fare! Era molto femminile quando era arrabbiata, già.
Realizzò in quel momento che non avevano cenato.
Si chinò a raccogliere la sacca dei viveri. Sedette sulla coperta e cominciò a frugarci dentro.
-    Vuoi mangiare qualcosa?
-    No. – gli rispose, glaciale.
-    Va bene … - mormorò, inspirando prima di replicare.
Addentò piano la mela, cercando di gustarsela e farla durare.
Poi, quand’ebbe finito, tirò il torsolo giù ai cavalli che se lo contesero. Vinse César, di prepotenza.
“Tale e quale la padrona”, pensò sorridendo.
La guardò ancora. Non si muoveva. Forse stava già dormendo.
“Pazienza…”
Abbassò la luce della lampada e si sdraiò.
“Meglio provare a dormire…”

Ma troppi erano i pensieri, le responsabilità che improvvisamente gli erano cadute addosso.
Fu allora che la sentì.

***

Andrè non le parlava.
Continuava a sbirciarla, ma non diceva nulla.
D’altronde anche lei era stata una tomba.
Lo aveva visto guardarsi la camicia, che aveva allacciato male, e girarsi per sistemarla.
“…Sei in imbarazzo? Beh… Scusa!”, pensò stizzita, ricordando tutte le volte che lo aveva visto mezzo nudo durante la loro lunga convivenza.
“Meglio mettersi a dormire, allora! “
Ma non capiva perché si sentiva così seccata.
L’aveva sentito armeggiare coi viveri.
“No”, gli aveva risposto, acida.
“…non ho fame!”
Le aveva detto ancora “va bene”.
Stava diventando monotono con quella sua accondiscendenza.
Lo aveva sentito ridacchiare, chissà perché, poi aveva abbassato la luce.

E era stato allora che aveva sentito arrivare la malinconia per quel che aveva lasciato.
Ma era cosa stupida, perché tutto quel di cui aveva bisogno era lì con lei.
Così capì che doveva farlo.
Senza altre esitazioni, lo raggiunse sulla sua coperta e lo abbracciò stretto, di spalle.
-    Oscar… - sussultò lui leggermente.
-    Shhh, non parlare! – ordinò.
“… Non parliamo, ti prego. Lasciami piangere. Adesso sono io in imbarazzo.”
Una mano sui suoi capelli, l’altra sul suo petto.
Andrè la sentì nascondere il viso tra le sue ciocche ed avvertì qualcosa di caldo scivolargli sul collo. Lacrime.
Lei gli annusò la pelle, inspirando profondamente.
“… Voglio solo sentire il tuo respiro ed il battito del tuo cuore.
Lo sai che questo è un “sì”?
Spero tu lo sappia!
Spero tu sappia che anch’io ti amo.
Ma non riesco a dirlo perché…
Tu sei uomo, André. Sei uomo già da tanto di quel tempo.
Io, ora, sono solo una ragazzina spaventata. E tu sei tutto quel di cui ho bisogno per ritrovare il mio coraggio.
Restiamo così…Non parlare …”
-    Oscar…
-    Shhh … – lo zittì ancora.
-    Va bene. – mormorò.
Mise la mano sulla sua mano e restarono così.
“.. Così riesco a dormire ”, pensò Andrè.



Per la prima volta, Andrè dormì sereno come quando era bambino ed Oscar gli si accoccolava accanto.
Stanco, ma felice come dopo un intero pomeriggio trascorso a giocare con lei.
Quando si svegliò, per un  attimo provò terrore, non trovandola accanto a sé. Ma non era andata lontano. La sentì di sotto, parlottare e ridacchiare con César.
Andò carponi all’orlo del soppalco. Era là, accanto al pozzo che c’era nella stalla; si era tirata su un secchio d’acqua e si stava lavando. Gli dava le spalle, senza camicia, senza fasce. César la importunava dandole musate sulla schiena, candida e perfetta, e “brucando” leggermente i suoi capelli.
“… Vecchio porco di un cavallo!”,  pensò Andrè sorridendo, con un pizzico di invidia.

*** continua

(1) mi riferisco a quando da bambini Andrè si addormentava dove capitava, come disse Oscar nell’anime, in compagnia di Oscar come visto nel film (bleah! Il film…)


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


IL MIO DOVERE cap. 2



Capitolo 2




Cauti cauti, giunsero a casa di Bernard mentre i primi assonnati viandanti riempivano le strade.
La porta in strada era solo accostata: probabilmente qualcuno degli inquilini era già uscito per recarsi al lavoro.
Sulle scale incrociarono Rosalie, agitatissima perché, come ogni mattina doveva recarsi al lavoro al mercato, ma era in ritardo avendo fatto le ore piccole in loro compagnia.
Si raccomandò: la colazione era pronta. Aveva lasciato latte, pane e formaggio e di “no grazie” non ne voleva proprio sentire. Quindi si scusò e corse fuori.

Di sopra, Bernard era già all’opera. Carta, penna e calamaio sul tavolo e mani nei capelli, concentrato per cercare l’ispirazione ad un discorso che potesse incendiare gli animi e smuovere le montagne. Possibilmente, salvando qualche collo.

-    E se i soldati della Guardia dovessero sparare? – le chiese pochi minuti più tardi, mentre onoravano la colazione.
-    Non lo faranno perché chiederai la liberazione dei loro compagni.
-    Neanche dietro ordine diretto del superiore?
-    A lui penserò io. – garantì Oscar - Tu occupati del discorso e di organizzare l’assembramento.
-    Mi serviranno un paio d’ore…
-    Bene. Intanto io ho una commissione da fare … ed André viene con me.


Erano usciti con qualche istante di pausa tra loro, per non dare nell’occhio, ma ora camminavano affiancati, meno attenti all’etichetta che gli avrebbe imposto di stare almeno un passo dietro lei.
-    Dove andiamo? – si decise a chiederle.
-    In banca – rispose seria.
Andrè si bloccò.
-    Ma è dall’altra parte … - disse perplesso, indicando la direzione contraria.
-    Quella è la banca di famiglia – gli rispose.
Poi, notando che non la seguiva, si fermò e si volse verso di lui, sospirando, rassegnata fisicamente oltre che mentalmente al pensiero di dovergli ormai fornire spiegazioni su tutto quel che intendeva fare.
-    Ho cominciato a deviare una parte della mia rendita e del mio compenso da ufficiale, già da qualche tempo. – gli spiegò stringata.
Riprese la strada, come se non ci fosse altro da dire; e dopo un attimo dovuto alla sorpresa, lui la raggiunse con passi veloci.
Così, neppure Oscar si fidava di suo padre.
Così, pure Oscar aveva qualche volta pensato a tutelarsi … forse anche a fuggire.

Le lanciò qualche occhiata mentre lei non rallentava il passo.
Sapeva che la sua testa era sempre in movimento, sotto quei ricci biondi, ma non era mai arrivato ad immaginare che avesse dei segreti di questo genere con lui.
Non poté evitare di domandarsi se, in questi programmi, lui fosse mai stato incluso.

Un usciere in livrea, aprì loro la porta.
L’atrio era già zeppo di uomini d’affari, commercianti, notabili. Si volsero a guardarli incuriositi. Andrè si sentì suo malgrado intimidito.
Gran parte di quelle persone non erano aristocratici, appartenevano al Terzo Stato, quella borghesia arricchita dal commercio ed istruita, ma bloccata nel limbo che impediva di compiere un passo in più, bloccata dai privilegi feudali di cui solo l’aristocrazia godeva.
Teoricamente, legalmente, erano come lui, eppure …
Abbassò lo sguardo: neppure a Versailles si era mai sentito così … in basso.
Un impiegato venne loro incontro, inchinandosi avendo riconosciuto il cliente.
-    Oh, monsieur Jarjaies … Che piacere rivedervi! In che posso esservi utile?
Sì esibì in un inchino servile, ma non rigido e scenografico come era la regola a Versailles.
Oscar chiese di poter conferire in privato e quello le indicò un ufficio, dove lei entrò per prima.
Quando Andrè cercò di seguirla, quello esitò un attimo a cedergli il passo.

-    Oh, ma che sbadato! – esclamò Oscar, – Ho scordato di presentarvi il mio socio in affari … Il signor Grandier.
Andrè cercò di nascondere la sorpresa, mentre l’impiegato s’affrettava a rimediare cedendogli il passo con un sorriso tirato.
Oscar si accomodò su una delle poltroncine poste dinnanzi alla lussuosa scrivania ed Andrè capì di doverla imitare.
Era vero che aveva sempre goduto di privilegi normalmente negati a quelli come lui, servi.
Aveva mangiato e bevuto in abbondanza alla stessa tavola di quella che, non poteva negarlo, per tutti era la sua padrona.
Aveva goduto di una istruzione superiore, che perfino la stragrande maggioranza dei nobili ignorava.
Conosceva l’arte della guerra e quella della raffinatezza.
Nonostante i richiami di sua nonna, non si era mai veramente sentito inferiore. Oscar non glielo aveva mai permesso e, a dir la verità, neppure il generale.
Eppure … era la prima volta che si accomodava accanto a lei, come se tra loro non ci fossero differenze.
Socio, l’aveva chiamato.

-    Ditemi tutto, signore… - la invitò l’impiegato, accomodandosi a sua volta dietro la scrivania.
-    Vedete, il signor Grandier ed io, abbiamo in corso un affare oltremanica e dovrò assentarmi per un tempo indefinito, ma non certo breve. Mi domandavo se fosse possibile trasferire i miei fondi tramite i vostri canali. Sapete, portare tutto in tasca … non è consigliabile al giorno d’oggi.
-    Oh, certo, assolutamente sconsigliabile … - mormorò quello deluso avendo capito che il cliente stava chiudendo il conto e… non era il primo in quei giorni.
Ma era il suo lavoro, quindi afferrò carta e penna.
-    Sapete già dove inviare i vostri fondi?
-    Playmouth. Alla banca Foster. Se non sbaglio è un vostro corrispondente …
-    Oh, sì abbiamo continui scambi. Potrete avere i vostri fondi a disposizione in pochi giorni.
-    Vorrei anche prelevare una modesta cifra per il viaggio.
-    Ovviamente … - le porse carta e penna. – Se volete indicarmi l’ammontare …
Andrè sbirciò mentre Oscar indicava la cifra “modesta” e non poté evitare di toccare la sacchetta contenete tutti i suoi risparmi che portava alla cintura, nascosta sotto il gilet.
“Per fortuna, … siamo soci”, pensò scrutando l’aria sicura della donna.

***

Oscar, appollaiata su un muricciolo dal quale riusciva a dominare la piazzetta, si atteggiava a monello, giocherellando con un coltello su un legnetto. Un cappello di paglia calato appena sulla fronte, per riparala dal sole e dagli occhi indiscreti, la giacca modesta solo aperta, incurante del caldo di mezzogiorno.
Non c’era che dire: Bernard ci sapeva fare con le parole.
Un abile oratore: chiaro, pacato, non ricercato nei termini in modo da risultare comprensibile anche ai meno istruiti, ma chiaramente, non ignorante. Infondeva sicurezza, fiducia, con una voce avvolgente e suadente.
“Beh, spiegabilissimo come avesse conquistato Rosalie…Un uomo fortunato, fortunato di cuore e … ahimè, fortunato con la spada.”

Lanciò uno sguardo sofferto ad Andrè, immagine della calma fatta essere umano, che mimetizzato ai bordi esterni del gruppo di ascoltatori, con la giacca abbandonata sulla spalla e le braccia conserte, si fingeva più che mai interessato ad un discorso che in realtà aveva già sentito fino alla fine.
Sospirò.
Lei non sarebbe stata capace di passare oltre al danno. Il suo sangue bollente avrebbe gridato vendetta se si fosse trovata al posto di Andrè, quella notte. Eppure, lui non pareva avere problemi con Bernard. Era stato un duello leale; un caso di pura sfortuna e non portava rancore al suo feritore .
Andrè era UOMO, dove questo termine significava quanto di più alto potesse esistere, appena appena sotto Dio.
Uomo più di chiunque conoscesse.
Più di quanto immaginasse fosse possibile.
Più di quanto lei stessa avrebbe potuto desiderare di diventare.
Forse stava un tantino esagerando, ma era quel che provava per lui.
Si accorse di avere il battito accelerato, pensandolo, mentre lo accarezzava con lo sguardo.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, da quando erano bambini, aveva dormito stretta a quell’uomo. E si era svegliata finalmente riposata.
Ora, non poteva negare che, da quella drammatica notte in cui un André che non conosceva, si era ribellato alla di lei arroganza …
Ecco, … sì, da quella notte lo aveva pensato. Fisicamente, pensato.
Dapprima furente, oltraggiata, spaventata.

Poi aveva cercato di capirlo, perdonarlo e dimenticare.
Ma il suo inconscio le era nemico.
C’erano state notti in cui non riusciva a prendere sonno: pensava a lui, combattuta, irritata.
Poi, dopo Saint Antoine, di inconsapevole non c’era stato più nulla, in quei pensieri notturni.
Sogni caldi e torbidi, dei quali si vergognava appena sorgeva il sole.
Non riusciva a fare i conti con sé stessa, con quella parte femminile che non voleva saperne di ritornarsene nell’angolo dove era sempre stata relegata. Con quella parte che lo voleva disperatamente, ma che non sapeva come fare ad avvicinarlo.


Sospirò ancora, promettendosi di pensarci più tardi e tornando con lo sguardo su Bernard.
Aveva cominciato da neanche dieci minuti ad arringare e già un nutrito gruppo di persone se ne stava ai piedi del palco improvvisato, un paio di casse, una sopra l’altra, e pendeva dalle sue labbra.
-    Questi soldati non sono nostri nemici! Sono figli del popolo! Sono uomini che si sono arruolati per non morire di fame! Dobbiamo andare tutti alla prigione dell’Abbazia e chiedere la loro scarcerazione!
La folla cominciò ad agitarsi, botte e risposte; dubbi, incitazioni.
“Incanalare gli eventi”, proprio come aveva detto Oscar.  E certamente, Bernard sapeva come fare.
Da una strada laterale apparve un drappello di soldati a cavallo della Guardia Francese. I “suoi” soldati. Comandati nientemeno che dal colonnello D’Agout.
Esattamente quel che lei sperava.
L’uomo in uniforme, analizzò velocemente la situazione; con pochi cenni decisi, indirizzò i soldati verso i punti che permettevano di controllare gli accessi alla piazza.
Quel che avrebbe fatto lei.
Sentì lo sguardo di Andrè su di sé ed annuì. Mentre lui si dirigeva verso Bernard, tra la folla che cominciava ad innervosirsi per la presenza dei soldati, lei balzò giù dal muricciolo e si avvicinò al suo secondo, ormai ex- secondo; con indifferenza si affiancò al cavaliere, intento a studiare la situazione, che le gettò uno sguardo vedendola avvicinarglisi.
Alzò gli occhi su di lui, sollevando con un dito la falda del cappello e gli sorrise, ammaliatrice come mai si era resa conto di essere.
-    Gran bella giornata, vero, colonnello? – esclamò lei.
Lui annuì, dopo un istante di sorpresa. Avrebbe dovuto arrestarla, ma Oscar sembrava certa che non lo avrebbe fatto.
A scanso di problemi, l’uomo posò la mano sull’elsa della sciabola.
Non sapeva cosa aspettarsi da lei.

-    Un sole come questo, mette tutti di buon umore, solitamente …Vero?
Annuì ancora.
-    E quando le persone sono di buon umore, diventa più difficile che rispondano “no”. – Sospirò con indifferenza. – Si tratta di porre le questioni nella dovuta maniera … Sarebbe davvero bello se tutti potessero far serenamente ritorno alle loro famiglie, alla fine di una giornata come questa, già…
D’Agout la fissò ancora un istante, poi scosse il capo, arrendendosi all’ordine camuffato da cortese conversazione. Levò la mano dall’elsa e con entrambe afferrò le redini.
-    Uomini! – gridò – Con me!
Lentamente, come erano arrivati, i soldati lasciarono la piazza.  
La paura nella folla scemò quanto bastava perché Bernard potesse riattizzare i loro animi. Ed il fiume cominciò a scorrere verso la prigione dell’Abbazia.



Andrè l’affiancò mentre camminavano in corteo, a passo sostenuto.
-    Pensi che il colonnello abbia capito? – disse quasi gridando per farsi udire in mezzo alla folla scalmanata, certo che comunque nessuno avrebbe compreso quel che diceva.
-    Ha sicuramente capito… - sottolineò lei di rimando, avvicinandosi al suo orecchio - Il problema è se vorrà farlo. Ma se ho imparato qualcosa di lui, è che pur essendo Realista convinto, i suoi uomini vengono prima di tutto, specie se accusati ingiustamente. E poi … - sorrise maliziosa – quell’uomo non sa dirmi di no! – concluse ammiccando.

Davanti alla prigione c’era già una folla non indifferente ad aspettare il loro gruppo; persone già impegnate a loro volta a richiedere la liberazione dei soldati.
Le due ore erano servite a Bernard per accordarsi con altri “sobillatori professionisti”.
Oscar sapeva che, poiché la storia è storia, nelle proteste spontanee, il più delle volte c’era ben poco di spontaneo.
Da che l’umanità aveva memoria, le folle venivano invitate da gerarchie di burattinai, che si occupano di lanciare il primo sasso nello stagno.
Il resto veniva da sé, fino a sfuggire al controllo, di tanto in tanto.
Ma Oscar era certa che questo non sarebbe stato uno di quei casi.
D’Agout era una buona persona, un bravo soldato, un valente ufficiale. Non avrebbe permesso che quel sasso causasse morti.
Un drappello di soldati era già lì, ma si tenevano chiaramente in disparte; ufficialmente, adempivano al loro dovere di sorveglianza e, in necessità, di repressione; ufficiosamente, attendevano l’ordine di riportare i loro compagni in caserma, da uomini liberi.
Oscar ed André si sistemarono in un angolo, per evitare di essere riconosciuti.
Ora si trattava solo di attendere che i corrieri, il mezzo di comunicazione più veloce, svolgessero il loro compito; ovvero, galoppare velocemente da Parigi a Versailles e viceversa.
Quando alcune ore dopo, D’Agout comparve nella piazza, compresero d’esserci riusciti.
Giri di ordini scritti con la prigione, scambi di convenevoli tra un comando e l’altro e, accompagnati da acclamazioni, i soldati lasciarono la prigione mentre la sera calava.
D’Agout li attese ai cancelli.
-    Dico solo che non dovete ringraziare me. – esordì e Alain capì che intendeva. – Andate a festeggiare come vi pare, ma all’alba vi rivoglio tutti in caserma. Sono stato chiaro?
Alain annuì e lo ringraziò accennando soltanto, come suo solito, il saluto militare.
I festeggiamenti si trasferirono nelle locande, tranne per Alain che aveva visto due persone vagamente familiari fargli cenni da un vicolo.
Col suo solito atteggiamento burlesco, riuscì a sganciarsi dalla festosa comitiva e, mezz’ora dopo era già a casa di Bernard, con Oscar che lo presentava agli amici e Rosalie che faceva gli onori di casa, imbandendo tavola per quanto poteva, cosa che Alain gradì notevolmente.

Alain fece onore alla cuoca mangiando con grande appetito, mentre raccontava e ricamava con fantasia quei due giorni di galera.
Poi toccò ad André riassumere la situazione sua e di Oscar, la ribellione all’ordine ricevuto, sorvolando su tutta la faccenda personale.
- E va bene, capisco la situazione del comandante … Ma perché tu? Tu che hai fatto, per essere nei guai? – insisté Alain, già arrivato a far scarpetta col sugo del bollito e patate, anche se definirlo soltanto “sugo bollito di patate”, sarebbe stato più indicato vista l’esigua presenza di carne.
-    Senti …Ti basti sapere che non possiamo tornare in caserma e, ormai, credo neppure restare in Francia…
Alain notò che André aveva lanciato uno sguardo veloce ad Oscar che mangiava a piccoli bocconi, fingendosi disinteressata al resoconto.
-    Mhmmm… Sì sì, non ti scaldare… Ascoltate voi, ora: domattina dovrò ripresentarmi in caserma… Allungherò per voi le orecchie, cercherò di capire che decisioni hanno preso le alte zucche su di voi, va bene? Sì? Fantastico!
Non specificò a nessuno di loro i suoi progetti riguardo il rientro nella Guardia Francese.
“Troppo prematuro…”
Rosalie si avvicinò ad Alain e prese il piatto vuoto, ma il gigante glielo trattenne, iniziando un piccolo duello, un "tira tu che tiro anch’io", guardandola con lo sguardo che una volta André aveva descritto ad Oscar come lo sguardo da “soffice cucciolo orfano sotto la pioggia battente di una fredda serata autunnale”. In poche parole, lo sguardo che utilizzava con le ragazze della locanda quando non poteva pagare le affettuosità che quelle mettevano in vendita. E di solito aveva fortuna.
-    …Ne … ne vuoi ancora? – buttò lì Rosalie, non avvezza a giochetti e sguardi di quel genere.
Beh, tranne quando Bernard aveva qualcosa da farsi perdonare…
-    Se non ti è di disturbo, cara … – mormorò Alain lasciando la presa sul piatto e facendole l'occhiolino.
Rosalie sorrise stranita ed andò a riempire nuovamente la fondina.
“Ma che soggetto! … Chiedere? No?… Ma pensa tu…”

***

“Alain… Alain … hurrà… hurrà !
La camerata quasi tremava per le acclamazioni urlate a gran voce.
-    Ehhh! Piantatela con questo chiasso!
-    Viva Alain!
-    Hurrà per Alain!
-    Ben tornato, Alain…
-    Sì sì! Grazie!… Va bene, va benee!
-    Ci sei mancato, Alain … - piagnucolò uno dei camerati, abbracciandolo stretto alla vita.
-    Ehi, … ho capito! Ma i passaggi prendili con tua sorella, chiaro! – tuonò, spingendolo via. – Ma che vi prende? Se vi sorprendesse il comandante …
-    Lei non c’è più.
-    Come? – si finse ignorante.
-   Affondata, cannonata, annientata … Pouff! – disse uno degli uomini, imitando coi gesti una esplosione - Non sappiamo neanche che ne è stato di lei!

-    Anche Andrè è scomparso…

-    Pensavamo li avessero rinchiusi con voi…
-    Per me, l’ hanno già fucilata!
-    Bouillé è più nervoso di un gatto in un canile… Capacissimo d’averlo fatto personalmente!
-    Non ha mai potuto sopportarla …
-    Tu che dici Alain?
-    Dico che non mi piace per niente… - mormorò.

Le notizie si rincorsero tutta la mattina. Si fece vivo perfino Bouillé in persona; si rinchiuse con D’Agout nell’ufficio di Oscar. Dal cortile lo udirono alzare la voce. Poi se ne andò seguito dalla sua scorta.
All’ora del rancio, il colonnello fece loro un’improvvisata. Comunicò ufficialmente ai suoi uomini che era stato nominato comandante al posto di Jarjayes. Non una parola sul suo destino.
Quando Alain sentì il campanile vicino rintoccare le tre, decise.
Per lui non aveva più senso restare lì e quello era stato solo un’idea, diventò una decisione irrevocabile.
Bussò all’ufficio che oramai era di D’Agout.
Per l’ufficiale, quella visita non fu una sorpresa.
-    Sento che non ho più scopo a prestar servizio nei soldati della Guardia. Specie dopo esser finito in gattabuia. Poi non ho più nessuno a Parigi …Io …vorrei andarmene. – disse Alain dopo i necessari preamboli.
Il colonnello non parlava, si limitava a fissarlo inespressivamente, grugnendo ogni tanto per indicare che lo stava seguendo.
-    Va bene, Alain. – disse afferrando la penna dal calamaio – Non voglio obbligarti a restare. Un soldato demotivato è peggio di un soldato in meno.
Compilò e firmò il congedo, soffiò sull’inchiostro fresco e gli consegnò il documento.
-    Mostrala ai cancelli quando te ne vai, dopo aver riconsegnato l’uniforme, e conservala in caso di controlli.
-    Sissignore! – esclamò Alain scattando sull’attenti.
-   Da questo momento non sei più un soldato, non sei tenuto al saluto militare! – lo rimproverò e gli fece cenno d’andare.
-    Ah, Alain …-  lo richiamò quando fu alla porta – Quando vedrai quella certa persona … portale i miei saluti ed i miei auguri. –
Alain annuì sorpreso e si richiuse la porta alle spalle.
Lo chiamava “testa di legno” e proprio non se lo meritava.


Varcò per l’ultima volta i cancelli della caserma, indossando gli abiti consunti con cui era arrivato, più come souvenir, il berretto d’ordinanza, che aveva sfilato al responsabile dei magazzini, dopo averlo ufficialmente reso.
Ma non si allontanò di molto. Svoltò l’angolo delle mura, sapendo che lo sfigato della compagnia si era offerto per la ronda fino a mezzanotte.

-    Lasalle… Ehi, Lasalle – chiamò alzando lo sguardo alla sommità del muraglione.
-    Chi va là?
-    E non gridare! Sono io!
-    Alain? Vuoi farti sparare addosso?
-    Ahh … non rompere, moccioso! Dovresti essere sbronzo per centrarmi! Volevo sapere se sai di qualche novità sul comandante; qualcosa arrivato mentre ero da "testa di legno".
-    Intendi dire il fatto che il re l’ha esiliata?
-    Cosa?
-    Eh, si! Graziata, ma esiliata. La sua famiglia non avrà conseguenze, ma lei non è più persona gradita in Francia. Le alte sfere militari non vedono di buon occhio gli aristocratici traditori, in questo momento. In tanti sono tentati dalle diserzioni. Ora sono tutti agitati per il fatto che è sparita. Anche Andrè è sparito. Ma tu lo sai dove sono, vero?
Alain non rispose, perso a rimuginare sulle conseguenze che quella notizia avrebbe avuto.
“Questo non piacerà ad Oscar. “
Era certo che lei sarebbe voluta restare, ma se la prendevano, la galera era assicurata e magari qualcuno avrebbe voluto fare di lei un esempio per i disertori di tutto l’esercito.
“Neppure il re potrebbe salvarti, in quel caso. André insisterà per portarti via. “
Ne era sicuro.
-    Così, davvero te ne vai?
La voce lo riportò al presente.
Alain si strinse nelle spalle.
-    Magari ci si vede alla locanda, eh?
Il gigante grugnì poco convinto mentre la sua testa pensava ad altro.
-    Ehi, Lasalle!
-    Che c’è?
-    Tirami giù il tuo fucile. Mi serve.
-    Stai dando i numeri?
-    Eddai… Tu sei abituato a perderlo!
Gerard gli fece un segno col dito medio.
“Era un no?”
Sorrise al ragazzo lentigginoso.
-    Ci si vede in giro, moccioso!
   

Dopo che Lasalle lo ebbe salutato rubando il suo modo beffardo di toccarsi la visiera, Alain s’incamminò rendendosi veramente conto di non avere più una casa, nessun legame.
“Noi restiamo da Bernard fino a domani”, gli aveva detto André.
Ed era lì che stava andando: dalla sua seconda famiglia, André ed Oscar.
Chissà cosa stavano tramando?…
L’amico gli aveva solo detto “Oscar ha dei progetti”.
Chissà cosa aveva in mente il comandante?

Sapeva che André aveva sempre avuto un debole per l’America: quel paese dove, sembrava strano a dirlo, ufficialmente non esisteva aristocrazia.
Gliene aveva parlato durante le notti di ronda e le libere uscite.
Da quando quel tizio, lo svedese, che ogni tanto nominava con una leggera smorfia, un misto di rispetto ed odio, era tornato da quei posti e gliene aveva parlato, aveva cominciato a pensarci seriamente. Parlava di cavalli, gli sarebbe piaciuto allevarli.
Ma era un passo lungo, troppo lungo per uno che aveva ancora legami: non avrebbe mai lasciato la sua adorata nonna per andare così lontano.
E Oscar? Era francese fino al midollo, quella donna, ma non poteva restare.
Lei incarnava quando di più odiato ci potesse esser in quel momento in Francia: odiata dagli aristocratici perché colpevole di tradimento verso la monarchia; odiata dal popolo, perché era e restava un’aristocratica.
Cominciò a pensare che, quei due potevano essere dei gran pasticcioni, ora che erano alla macchia.
Lei indicibilmente testarda e lui incredibilmente ansioso.
Forse avrebbe fatto bene a star loro appresso...

***

Era stata Oscar a sorprenderli, quando lui raccontò tutto.
-    Allora partiamo! – decise lei – Restare in Francia non ha senso. Se le cose cambieranno, potremo ritornare. Si vedrà.
Per cambiare, Andrè le diede ragione, ma con reale, profondo entusiasmo.
Fu lì che Alain propose la sua aggregazione.
-    Perché no!
-    Non pensarci nemmeno!
Furono le simultanee risposte di getto dei due amici.
Si guardarono. Oscar, accigliata. André, sorpreso
-    Io dico che per me sta bene. – ribadì Oscar, allo sguardo disperato di André.
-    Ma, Oscar…
-    Cercano due fuggitivi, non tre… - lo interruppe.
Alain annuì in segno di rispetto per una decisione ponderata, logica…
-    Ma, Oscar …
-    E’ deciso! Alain viene con noi! – lo troncò.
-    Sentito a-m-i-c-o? La signora ha deciso! – lo sbeffeggiò Alain.
Andrè cercò il sostegno di Bernard, che però si strinse nelle spalle.
-    Benvenuto nel mio mondo! – mormorò alludendo alla moglie.

Partenza? All’alba.
Direzione? Porto di Le Havre.
Destinazione? Inghilterra.

Bernard dovette di peso staccare una piangente Rosalie da Oscar, mente questa giurava che le avrebbe scritto e si faceva promettere che avrebbero informato Nanny, ma con cautela.
Quindi, si avviarono, ancora con le stelle a guidarli.

***

Di locande, nemmeno l’ombra.
La strada era sicuramente quella giusta, ma si trovano praticamente sperduti nella campagna francese. Solo terra e terra fino all’orizzonte.
Per questo nessuno obiettò quando, vicino ad un cascinale abbandonato, Alain disse “Basta, mi fermo qui!”
Accesero un fuoco, mangiarono un po’ di pane e formaggio e qualche mela.
Diedero fondo alla fiaschetta del cognac, passandosela a turno, mentre Alain si esibiva nel repertorio completo delle sue imbecillità che, fino a quel momento, Oscar aveva avuto la fortuna di non dover subire, quindi si misero a dormire.

Oscar si sentiva in un certo senso sollevata dalla presenza di Alain che impediva qualunque intimità con Andrè; quel “ne parleremo” che lui aveva sussurrato la notte della fuga e che continuavano a rinviare.
“Parlare? Di che?”
Di che lo sapeva bene.
Era il come … "maledizione! "
Nessun libro  di strategia militare l’aveva preparata a questo!
“Come avvicinarsi al nemico senza farsi notare?… Come mettere alle strette il nemico in poche mosse? “
Qualunque proiezione mentale di tattica la faceva sentire idiota, quando cercava di adattarla alla loro situazione.
Più idiota di quel ballo cui aveva partecipato per sedurre Fersen.
Ridacchiò tra sé …
“Sedurre… Come no!…”
C’era mancato poco che s’ammazzasse, inciampando in quella maledetta sottana!
Ma si trattava di Andrè, accidenti! Avevano sempre parlato di tutto, loro!
Quasi di tutto…
Poi, soprattutto negli ultimi anni le loro chiacchierate erano diminuite, di quantità, ma soprattutto di sincerità, fino a scomparire quasi dopo quella famosa notte.

A quel pensiero si carezzò le labbra…
Eppure, come poteva essere difficile dirgli: ti amo, ti desidero … ti voglio…
Era vero, senz’ombra di dubbio. Dopo quella notte a Saint Antoine, aveva aperto gli occhi.
"Quindi?"

Non sarebbe tornata indietro, non voleva nemmeno tornare indietro, ma … accidenti com’era difficile razionalizzare tutto questo.
"Ecco!" … L’aveva detto a sé stessa: razionalizzare.
Avrebbe dovuto spegnere il suo cervello confuso e lasciarsi andare, invece!
Due sere prima lo aveva fatto… In fondo, abbracciarlo era stata la cosa più bella e naturale…
“Naturale? … oh, accidenti!”
La natura la chiamava!
“Noo “, pensò, non aveva voglia d’alzarsi… Era così stanca!
“Oh, maledizione!”
Si rassegnò a tirarsi su e cercò di farlo il più silenziosamente possibile.
Uscì piano dal confine di quelle quattro mura diroccate e si incamminò verso il boschetto poco distante, cercando di non ammazzarsi al buio.
-    Oscar!
“Accidenti!”
Non era stata abbastanza silenziosa! Lo ignorò.
Andrè la raggiunse ed allungò una mano sul suo braccio.
Oscar si sottrasse, troppo bruscamente, forse.

-    Scusami …- disse prontamente lui.
-    Di che?
Andrè non ne era completamente sicuro, ma sentiva di doversi comunque scusare e che quel “di che?” sapeva tanto di trabocchetto.
L’attimo di esitazione venne colto da Oscar per attaccare.
-    In fin dei conti, - disse – ti sei solo comportato come mio padre!
-    Cosa?…
-   Una donna resta una donna, no Andrè? Come lui, tu pure non hai tenuto conto di quel che potevo volere io! Ti sei immischiato e hai deciso per me: tu hai voluto portarmi via, tu volevi sposarmi, tu non volevi vedermi morire… Caspita, Andrè, per la prima volta davvero ho capito che tu sei un  vero uomo! Conta solo quel che tu vuoi!
Quasi si sorprese della sua stessa cattiveria, decisamente ingiustificata visto che lui le aveva salvato la vita.  
"Ecco…"
 Andrè cominciava a sentire un pelo di terrore invaderlo.
Aveva scoperchiato il vaso e tutto il peggio stava per colpirlo!

-    Proprio come il signor generale, Andrè! – continuò, ormai lanciata, volgendosi però verso il bosco, non volendo farsi distrarre dal suo sguardo - Figlio quando lo rendo orgoglioso, figlia quando secondo lui, sbaglio! E tu? Quando ti fa comodo, sono il tuo amico d’infanzia, poi divento una fragile donzella bisognosa d’esser salvata e S-P-O-S-A-T-A!
-    Ora non vorrei sottolineare l’ovvio, ma…
-    Sottolinea sottolinea, Andrè … - lo sfidò.
-    Non ti trovavi in una bella situazione!
Si voltò di scatto verso di lui, avvicinandosi e facendolo arretrare, intimidendolo col suo cipiglio; lo stesso che aveva già a cinque anni e che lo terrorizzava.
-    Ti è mai saltato in testa, una volta, che magari non volevo vivere? Hai mai pensato che per come sono cresciuta, per come sono io, avrei anche potuto condividere quel che stava per fare mio padre? Hai mai pensato, una volta, a quella che sono davvero e non a quella che vuoi scoparti!
-    Stai dando i numeri … - mormorò sorpreso ed innervosito anche dalla novità di quel “scoparti”.
-    Ma davvero tu pensi che, in tutti questi anni, non mi sia mai accorta di quel che provi per me? Pensi davvero che fossi così cieca! Ma non posso farci niente se …
-    Stai cercando di dire che mi ami? – la interruppe André che aveva ritrovato il coraggio e si stava davvero alterando.
La parola “ami” la bloccò. E toccò a lui avanzare ed a lei arretrare.
-    Stai davvero cercando di dare la colpa al fatto che tu sei nobile ed io no? Stai davvero cercando di dirmi che sapevi che ti amavo, ma non potevi ricambiare perché sono un servo? Perché allora sono io a chiedere: ma davvero credi la Oscar che conosciamo si sarebbe fatta fermare dai divieti? Da una vita ti vedo disobbedire a tuo padre, beffarti alle sue spalle, ed infrangere tutto quel che può essere infranto! Testarda, arrogante, prepotente, irragionevole, presuntuosa …
-    Hai finito?
-    No, che non ho finito! E’ vero, ho sbagliato! – esclamò spalancando le braccia come in segno di resa - Ho deciso per te! Ti ho trattato da “donna” come può fare il più stupido degli uomini ottusi! E’ vero! Sono uno stupido! Lo stupido che da una vita ti sta appresso, ma sono quel che sono; giusto o sbagliato, questo sono io! Io! – sottolineò puntandosi un dito al petto - Lo stupido che ti ama! … E poi tu hai solo paura!
Lo colpì violenta in pieno petto con entrambe le mani, per allontanarlo perché, fisicamente ed emotivamente, si era fatto troppo vicino. E lo mandò gambe all’aria.
-    Vaffanculo, Andrè! – e si allontanò con passo veloce nel buio del bosco.
Andrè si tirò su seduto sull’erba, senza fiato.
Ecco, era certo ormai: comandare i soldati della guardia l’aveva resa davvero una troglodita.
“Ma che razza di termini!”
Con tutta la sua educazione, avrebbe potuto almeno dirlo in latino o in greco … 
“Sarebbe stato più fine!”
Sentì dei passi alle sue spalle ed una risatina sommessa.
-    …ma voi? …
-    Non ti riguarda Alain! – lo troncò Andrè.
-    Certo certo … E’ un no, il tuo! Giuro che non vi capisco, voi due! Io al tuo posto …
-    … saresti morto da tanto tempo! – sospirò l’amico alzando lo sguardo al cielo.
-    Oh, può darsi, ma sarei morto contento!
Si mise le mani in tasca ridacchiando.
-    La bionda che vuoi “scoparti” ti ha appenda mandato a “ ‘fanculo” …Neanche tu ti trovi in una bella situazione, amico mio! (1)
E si allontanò ridendo sempre più forte.


*** CONTINUA

1) la lite: non ho la più pallida idea di che termini usassero all'epoca, ma certamente qualcosa di "equivalente" per le parole di Oscar, c'è sempre stato : ) Ok, lo so... Sono un pò OOC durante la lite, ma ... insomma ... quando la natura "chiama", è normale diventare nervosi!

Volevo ringraziare tutte le lettrici, oltre a tutte coloro che seguono i miei "vaneggiamenti" scritti trovandoci perfino qualcosa di positivo al punto di commentare o aggiungere alle "seguite/da ricordare/preferite".
Scoprire altre persone "malate" per la storia di Lady Oscar è stata la cosa più bella accaduta quest'anno.

Grazie, davvero, e auguri per il 2011 !!!


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


IL MIO DOVERE cap. 3
Capitolo 3




Arrivarono a Le Havre nel pomeriggio inoltrato, sotto un sole cocente, esausti come mai in vita loro.
Era una città davvero molto grande e molto attiva.
André propose di dirigersi direttamente nella zona del porto, perché voleva togliersi subito il pensiero del trasporto per l’Inghilterra, conscio che sarebbe fisicamente crollato di lì a poco.
Inoltre, Alain non si tratteneva dal fare commenti a tutte le ragazze che incrociavano ed André, lo sapeva, accidenti se lo sapeva, come sarebbe finita con lui…
A fare a botte con qualche uomo geloso! Poi gli sarebbe pure toccato difenderlo!
“No, grazie!…”
Il porto era immenso. Non riuscivano neppure a contare quante navi stavano ormeggiate, per non dire di quelle che si trovavano alla fonda più al largo.
C’era una puzza incredibile di pesce ed uno schiamazzo mai sentito neppure a Parigi, ma era divertente.
Lì, la povertà non era così evidente, ma la miseria umana, sì; era un luogo di grande passaggio, con parecchio lavoro e parecchio denaro in circolazione. E dove gira denaro, arrivano i disperati.

Oscar sembrava molto curiosa e neppure troppo infastidita da tutto quel chiasso e quel movimento.
Mentre Alain, purtroppo, sembrava un ragazzino nella valle delle bambole!
Come spiegare … Lì era pieno di pupe per marinai!
-    Ma perché non mi sono arruolato in marina, eh? – esclamò, non riuscendo a tenere a freno la lingua e voltandosi sulla sella per seguire i fianchi ondeggianti di una bella donna che non tentava nulla per passare inosservata.
André neanche gli rispose, per non spronarlo in quell’atteggiamento.
Oscar non poté fare a meno di sorridere nel vederlo così nervoso. Ma lo capiva: non stavano facendo una gita di piacere! Una condanna all'esilio non permetteva certo indugi.
André non voleva dare nell’occhio, perché non sapevano se era stato emesso qualche provvedimento di fermo nei confronti di lei o, addirittura, di arresto per lui, il servo ribelle!
André notò l’ufficio portuale ed entrò a chiedere informazioni sulle navi in partenza per l’Inghilterra.
Uscì con aria delusa. L’addetto gli aveva riferito che erano tutte al completo. In quei primi giorni di luglio, chissà perché, si riempivano molto velocemente di aristocratici desiderosi di una vacanza oltre confine, aveva detto cinicamente.
-    Proposte? – chiese il moro ai compagni di viaggio, mentre si appoggiava al suo cavallo, con poco entusiasmo di rimettersi in sella.
-    Io direi di andare a farci un goccio in quella locanda, per cominciare, che ho la gola secca … - disse Alain, sistemandosi il berretto ed avviandosi senza attendere le loro adesioni, scalciando secco i fianchi del suo animale.
-    Certo che se parlassi un po’ meno … - commentò André sbuffando.
Oscar sorrise ancora.

Lasciarono i cavalli legati vicino all’ingresso ed André diede dei soldi ad un ragazzino, scalzo, lercio, ma dallo sguardo vispo, perché glieli tenesse d’occhio.
Dentro, naturalmente, era una vera bettola e scorse Oscar storcere il naso per la prima volta da quando erano arrivati; ma non potevano permettersi qualcosa di diverso e neppure dovevano farsi notare. In posti come quello, erano abituati a veder passare di tutto: non avrebbero badato a loro.
Alain chiese subito da bere; André anche da mangiare e si sedettero ad un tavolo.
-    In viaggio, signori? – chiese l’oste portando i boccali di birra.
-    D’affari, sì. – rispose André cercando di restare sul vago.
-    Inghilterra?
-    Se riusciamo a trovare una nave …
L’uomo li scrutò e non poté non notare lo strano assortimento umano.
Oscar, ostinata nel suo silenzio, teneva lo sguardo basso, e stava già mangiando la sua zuppa di pesce, buona a dir la verità.
-    Eh, - sospirò il tipo – ultimamente non è facile trovare posto senza prenotazione. C’è questa strana ondata di nobili con la voglia di partire … - rise –  Come topi a bordo di una nave che affonda, è un esempio calzante! Ma voi …
-    No, no, commercianti di cavalli – s’affrettò André.
-    Umh … ,sì, ho notato il vostro purosangue lì fuori … - mormorò il locandiere, riferendosi a César, poco convinto di quelle parole.
-    Sentite, non so se vi può interessare, ma … ci sarebbe una alternativa alle rotte dirette. Certo, vi costerebbe di più, soprattutto se volete portare anche i cavalli …
-    Dite, vi ascolto …
-    La vedete quella nave là? – disse indicando fuori della finestra una grossa tre alberi.
Tutti e tre seguirono dove puntava il dito.
-    E’ la Mylene, è diretta in Spagna. Ma il comandante mi ha detto che deve fare una deviazione a Plymouth per caricare altra merce. Potrebbe darvi un passaggio, se non avete problemi col porto di sbarco… Certo, ci sarà poco spazio perché è proprio stracarica, ma se vi accontentate …
"Che fortuna ...Plymouth!"
-    Beh, grazie … Sì, certo, siamo interessati.
-    Bene! Più tardi il capitano dovrebbe passare di qua, sapete … è un cliente affezionato. – e strizzò l’occhio indicando alcune ragazze vistose e succinte che poltrivano in un angolo appartato.
-    Possiamo capirlo! – ridacchiò Alain.
-    Grazie, signore, grazie davvero. – disse André guardando ancora storto l’amico.

Puntualissimo, il lupo di mare si presentò un’oretta più tardi.
L’oste lo acchiappò per una manica prima che potesse distrarsi con le signore, lo condusse al loro tavolo e fece le presentazioni.
Il capitanò, un tipo massiccio e probabilmente meno vecchio di quel che dimostrava, li squadrò per bene. Capì che erano di ceto sociale diverso tra loro, perché César, lì fuori, dava veramente nell’occhio ed Oscar non riusciva a nascondere quell’aura di fredda superiorità neppure standosene zitta ed in disparte.
Così cercò di alzare il prezzo, soprattutto facendo leva sulla loro volontà di portare i cavalli, che avrebbero occupato troppo spazio. D’altronde, André aveva visto Oscar carezzare il muso di César poco prima, quando avevano portato biada ed acqua ai loro animali: non poteva chiederle di rinunciare anche a lui.
Dopo una trattativa veloce, ma estenuante, André concluse al meglio possibile, cavalli compresi, ma loro avrebbero dovuto accontentarsi del ponte di coperta. Un sacrificio sopportabile, visto che era estate e la traversata non troppo lunga.
Portò la mano al suo portamonete, ma Oscar gli porse il proprio per pagare.
-    Tieni tutto tu.- gli disse.
Aveva sempre tenuto lui il denaro di Oscar: era normale per un nobile non sporcarsi le mani col vile contante, ma ora quel gesto assumeva un significato diverso. Si chiedeva quanto fosse seria Oscar quando lo aveva chiamato socio. E anche cosa implicasse essere “soci”.

A quel punto non restava che andare a dormire. La partenza era fissata da lì a due giorni, con l’alta marea serale.
Oscar era visibilmente esausta e l’idea di pernottare in un quel posto, che già stava diventando molto chiassoso, non l’allettava per nulla.
Alain invece, si trovava nel suo elemento.
Un pesce nell’acqua, un fagiolo nel baccello, un …
- Ma non è possibile! Alain! …- esclamò l’amico, spalancando indignato l’unico occhio rimastogli.
L’altro borbottò parole quasi incomprensibili, mentre divorava le labbra di una fanciulla mezza svestita, stringendole saldamente il posteriore nelle sue manone; disse qualcosa riguardo la permanenza in prigione, che faceva pesare come fossero stati anni; e riguardo il viaggio, che li avrebbe tenuti lontani dalla Francia e che, quindi, quella era l’ultima occasione per assaggiare …
André lo fulminò e Alain si fermò in tempo, prima che Oscar potesse afferrare quella sconcezza rimasta nell’aria.
- …francese … - aggiunse però ghignando, con la tipa appesa al suo collo.
André, ormai pentito d’esserselo portato appresso, chiese due stanze, una per Oscar, che sembrava diventare sempre più nervosa in quel postaccio.
Ma, inaspettatamente, lei gli sfiorò la mano e, finalmente, parlò. Piano, sottovoce al suo orecchio.
-    Resta con me ….
André ne fu sorpreso, specie dopo la lite della sera prima.
Quel tono non era un ordine, non era un invito ….
Ma rispose nel solito modo degli ultimi giorni.
-    Va bene ….
Sì … Le sue risposte stavano diventando ripetitive.
Però lei non aveva voglia di conversare e lui non era certamente intenzionato a scatenare di nuovo una reazione come quella della notte precedente.


Aprì la porta con la chiave che l’oste gli aveva consegnato e si scostò per far entrare Oscar per prima.
Due passi e lei si bloccò.
Definire quella stanza squallida, sarebbe stato un complimento.
-    Scusa … - mormorò lui, che non riusciva a richiudere l’anta, con lei lì bloccata nel mezzo.
-    Oh… certo!… Scusa tu. – disse facendosi più avanti.
Una poltroncina, un cassettone con posate una bacinella ed una brocca sbeccata; ed un letto che non s’avvicinava minimamente alle dimensioni del suo giaciglio faraonico a palazzo.
Un letto piccolo da dividere in due.
-    Un po’ diverso da Versailles, eh? – esclamò ironico André, ma se ne pentì subito, non vedendola ridere.
-    Beh, io … io vado a controllare che i cavalli siano a posto per la notte. – s’affrettò a dire – Se nel frattempo vuoi darti una rinfrescata … - propose indicando i poco aristocratici articoli da toeletta.
Nell’uscire le fece cenno di chiudere a chiave e scomparve.
Sulle scale incrociò Alain che saliva a ritroso, allacciato labbra con labbra alla bella mora con la quale aveva trascorso il dopo cena e con la quale pareva avviato ad impiegare la notte.
-    Attento… - borbottò André schivandolo per un pelo.
-    Scusa, amico … Sono un po’ distratto. – ghignò quello.
-    Vedo …
-    Buonanotte anche a voi, eh! – disse strizzandogli l’occhio.
André sbuffò. Chissà perché aveva qualche riserva riguardo la “buonanotte” che lo attendeva.

Controllò i loro cavalli. Stavano bene, tutto a posto, tutto tranquillo.
Tutto tranquillo tranne lui.
Gli erano bastati pochi minuti per andare e tornare dalle stalle, ma continuava a temporeggiare fuori della locanda.
Avanti ed indietro come un animale inquieto.
Alzò lo sguardo alla finestra della loro stanza: dietro la persiana chiusa, poteva intravedere la sagoma di Oscar muoversi; poteva supporre cosa stesse facendo e non gli faceva bene sciogliere la fantasia.
Quando  non vide più l’ombra, si rassegnò a rientrare.
Passò davanti alla camera di Alain, adiacente la loro, dove il gigante stava evidentemente giocando con la sua nuova amica a giudicare dagli strilli, dai mobili urtati e lui che ridacchiava “non mi scappi!”.
Bussò alla porta, dopo un istante di esitazione ed un respiro profondo.
Sentì Oscar arrivare in pochi passi, col rumore sordo di piedi scalzi sul legno; gli aprì e tornò indietro.
Quando fu entrato, lei era già di spalle, seduta sul bordo del letto.
-    Ti ho avanzato un poco d’acqua. – gli disse apparentemente tranquilla, come se trovarsi lì fosse una situazione più che normale.
Guardò la brocca.
-    Sì, grazie .
Immerse le mani nella bacinella e si portò un po’ d’acqua sul viso, sul collo, ma di refrigerio proprio non ne arrivava. Forse perché continuava a guardarla, riflessa nello specchio che gli stava davanti e … gli veniva caldo.
Troppo caldo.
Lei stava dando gli ultimi colpi di spazzola ai capelli leggermente bagnati. Indifferente.
La vide alzarsi, sbirciare sotto il copriletto, storcere il naso e rimetterlo a posto. Rassegnata, senza fare storie, si sdraiò sopra le coperte. Si era tolta scarpe e calze, tenendo addosso camicia e pantaloni.
In una serata soffocante come quella, lui di norma, si sarebbe spogliato integralmente per mettersi a letto. Cosa che, ovviamente, non poteva fare.
“Ne parleremo”, aveva promesso.
“Sì, certo…”, ma gli sarebbero servite alcune secchiate d’acqua fredda prima di poter affrontare l’argomento.
-    Buonanotte, Andrè – augurò lei, distendendosi sullo scricchiolante giaciglio.
“Sì, certo …”, si disse ancora, rivolto al proprio riflesso.



Era passata più di un’ora da quando si erano coricati.
Il piano terra della locanda era quanto mai animato.
Il livello di alcool aveva già causato le prime, rumorose, violente risse.

Ma il peggio erano i loro vicini di stanza, passati dai “giochi” preliminari alla vera lotta tra le lenzuola.
Alain si stava proprio divertendo.
Loro due un po’ di meno, perché in quella stanza si sentiva tutto, ma proprio tutto e per André stava diventando un problema averla così vicina con quel sottofondo sonoro.
Lanciò uno sguardo veloce ad Oscar che, sdraiata accanto a lui, si era girata su di un fianco e gli voltava le spalle; se ne stava lì, tranquilla, come niente fosse, per nulla turbata dal caos.

-    Vedi di darti una calmata! – gridò lui ad Alain.
Ma era come parlare al muro sottilissimo che divideva le loro stanze.
Allora acchiappò un suo stivale e lo lanciò addosso alla parete, iroso.
“Che stronzo! Bell’amico!” , pensò André lasciandosi ricadere sdraiato sul letto, “Mi viene da pensare che tu lo stia facendo apposta!”
Gli venne da piangere … Lanciò ancora uno sguardo ad Oscar.
“Ma tu sei di ghiaccio? Nulla ti smuove? Ma come fai!”
Prese i due lati del cuscino e se li premette sulle orecchie, inutilmente.

***

“Hai solo paura!”, le aveva gridato e come sempre aveva ragione.
Doveva solo … arrendersi.
Arrendersi all’evidenza, alla verità.
Arrendersi a quell’uomo che riusciva a vederle attraverso l’anima, ma che una sola cosa forse ancora non aveva capito: quanto lei lo desiderasse.

Forse lo credeva, sicuramente lo sperava. Ma non ne era certo.
E anche lui aveva paura.

Paura che potesse cominciare tutto … per finire in niente. E non ce l’avrebbe fatta. Non stavolta, se gli avesse detto ancora “non voglio più vederti”.
Lo amava? Sì.
Lo voleva? Sì.
Ma …che accade dopo che l’eroe porta via lei su di un cavallo bianco, verso il tramonto?
Quali sarebbero stati i loro ruoli in questa storia?
 La società era quel che era. Le donne erano quel che erano.
Sarebbe mai riuscita ad essere donna come veniva richiesto alla fine del ‘700?
Questo pensava Oscar fissando le persiane che cominciavano a lasciar filtrare la luce dell’alba.


Alain e la sua amica si erano finalmente zittiti.
Nella loro stanza era precipitato il silenzio.
Così riusciva a sentire il suo respiro.
Era sveglio, come lei.
Nessuno dei due era riuscito a chiudere occhio se non nelle poche pause che “il disgraziato” aveva concesso a loro ed alla sua compagna.
La polvere sospesa nella stanza, scintillava ai primi raggi che si insinuavano.
Fuori si sentivano i gabbiani stridere ed il frangersi delle onde sul molo e contro le fiancate delle navi.
Profumo di salsedine e brezza mattutina.
Con un grande sforzo riuscì ad immaginare di trovarsi nella villa in Normandia, ignorando il puzzo delle cucine sottostanti la finestra.
E poi c’era quel calore che le saliva alle guance e più cercava di reprimerlo…
Arrabbiata!
Si sentiva arrabbiata, come quando da ragazzi le prendeva quel crampo allo stomaco, gli si avventava contro e…

“Maledizione!”
Si girò di scatto, saltando sul pagliericcio, e lo fissò nella penombra.
Lui sembrava quasi spaventato mentre la guardava in silenzio, sorpreso da quella mossa improvvisa.
Stava cominciando a respirare pesante mentre si fissavano.
Proprio come lei
Andrè reggeva a fatica quegli occhi su di lui …
-    Oscar…- mormorò inumidendo le labbra.
-    Shsss! – lo zittì perentoria. E pareva furente.
Oscar lo stava fissando e, in quegli occhi, per la prima volta lui aveva riconosciuto lo stesso desiderio che da sempre cercava di nascondere nei propri.
Stava per accadere!
Per la prima  volta André avrebbe avuto un buon motivo per non alzarsi dal letto, perché lei non era in un’altra stanza, distante col corpo e con la mente; ma lì con lui e … lo stava guardando come una donna guarda l’uomo che vuole.
Ridicolmente, pensò che non sarebbe dovuto accadere lì, in quella topaia lercia, su quei pagliericci puzzolenti, su quelle lenzuola lavate alla bene meglio …
Avrebbe voluto che accadesse nel suo letto di piume, fra lenzuola di seta, col profumo dei petali di rosa tutt’intorno perché era quello che lei meritava: il meglio della vita. …
“Ma …”
Lei gli si fece vicina. Afferrò la sua camicia e la tirò. La sfilò dai pantaloni con decisione.
-    Oscar ….
-    Shss!
“Voglio togliertela, André. Voglio toglierti tutti i vestiti. Subito.”
Ripeteva Oscar nella sua testa, senza riuscire a dirlo a  parole. Ma sarebbero state solo … chiacchiere! E non voleva più perder tempo!
E nemmeno André.
Lui l’afferrò per la nuca e la baciò.
“Finalmente!”
Un bacio violento. Reciprocamente violento.
Anche il loro primo vero bacio lo avrebbe voluto diverso, ma non ci riusciva!
“Oh, signore …Non sono così pazzo da dirti di no!”
Anni persi a fantasticare su romanticherie stampate, sdolcinate tenerezze, delicate poesie …
“Ed ora? “
Ora bruciavano come aquiloni di carta velina colpiti da un fulmine estivo!
Freneticamente rozzi, impazienti … Sì, anche teneri nella reciproca ignoranza dei loro corpi, finora solo immaginati.
Non riusciva a controllarsi e nemmeno lei!
Assetati, affamati. ..
Oscar ricambiò la foga con lo stesso impeto che impiegava nell’addestramento delle truppe, mentre la mano riusciva ad infilarsi sotto la camicia ad accarezzargli il ventre. Nel farlo, sfiorò il cavallo dei pantaloni. Un gemito tra le loro labbra …
-    Oh, no … Non tocc …. – balbettò André.
Il maschio che era, era decisamente vivo, sveglio ed arrogante.
L’afferrò, la ribaltò come un fuscello, continuando a baciarla, e le fu sopra.
Ma stavolta Oscar non ebbe paura…
“ Se non fosse per questi ingombranti vestiti, sarei già dentro di te. E non va bene … non va bene. Calmati! … - si disse André.…- E’ solo la prima volta di tante. Non c’è fretta. E’ solo l’inizio… “
Si sollevò sulle braccia a guardarla fisso in quegli occhi blu, scintillanti come ghiaccio, mentre i loro corpi in contatto ardevano.
Oscar tirava respiri profondi e non riusciva a stare ferma sotto di lui; muoveva piano le gambe contro le sue, divaricandole in un abbraccio inequivocabile; ansiosa, nervosa, alzò le mani sul suo viso, premendo forte, ma trattenuta allo stesso tempo, scivolando a cingergli il collo per attirarlo sulle sue labbra, mentre il ghiaccio degli occhi si scioglieva in lacrime di dolorosa attesa alla resistenza che lui opponeva.
André sorrise al pensiero di quella sofferenza: per tutta la vita, Oscar aveva solo dovuto ordinare per ottenere.
Ora, quegli occhi blu, lo stavano supplicando.
Cedette piano alla pressione, arrivando a sfiorarle la bocca, mentre a lei sfuggiva un sospiro di sollievo; sospiro che divenne gemito di protesta, quando il bacio non arrivò.
Le labbra di André si spostarono all’altezza dei suoi occhi e, inaspettatamente, Oscar dovette abbassare le palpebre per ricevere il bacio che mai avrebbe sospettato così travolgente.
Un lamentoso e prolungato “no” di sorpresa, si trasformò in un gemito di piacere, che riempì André di quel tipico orgoglio di un uomo che sa di aver conquistato la sua donna.
-    E’ solo l’inizio… - le bisbigliò all’orecchio – Calmati … - e, mentre una mano cominciava a spogliarla piano, si riappropriò delle sue labbra morbide ed addomesticate.
-    … Solo l’inizio di noi… - ripeté.

***

-    Uhwao! Che nottata! Avete dormito bene? – chiese, sfrontato, Alain stiracchiandosi su una sedia e sbattendo i piedi su di un tavolo del salone al pianterreno della locanda.
Oscar sorrise appena, decisa a mantenere un contegno; ma si sentiva troppo bene, troppo leggera, quella mattina, ormai vicina al mezzodì, per rispondergli a tono.
André invece, lo fulminò con lo sguardo. Di nuovo!
“Finirà col diventare cieco del tutto se gli tocca di continuo lanciargli occhiatacce.”, pensò divertita.
Ma Alain, delle occhiatacce se ne fregava.
Tutto quel riprenderlo lo faceva solo godere come un bimbo monello.
Allora Oscar pensò di spiazzarlo.
Senza preavviso di alcun genere, si avvicinò al birbante d’oro, si chinò fino alla sua guancia e gli rifilò un bacio, più una carezza sul capo.
Toccò ad André ridere per l’espressione dell’amico.
-    Sono confuso … - mormorò Alain.
-    Ecco! Bravo! Continua ad esserlo! – esclamò André divertito mentre, con un gesto esplicito di possesso, infilava un braccio tra di loro e li allontanava.
Mentre i due si dirigevano al bancone per ordinare qualcosa da mangiare, fingendo che tra loro non fosse accaduto quello che André attendeva da una vita e che Oscar non si sarebbe mai perdonata d’aver rinviato così a lungo, l’amica chiassosa e prosperosa di Alain, si riappropriò di lui, cingendogli le spalle e porgendogli una brioche.
-    Avevi davvero ragione tu. - gli disse all’orecchio.
-    Già, piccola …Avevano solo bisogno di una spintarella al momento giusto.


Due giorni ed una lunga, impegnativa, quasi insonne notte dopo, venne la sera della partenza.
L’amica di Alain, volle accompagnarlo all’imbarco dove attirarono fischi e commenti amoreggiando spudoratamente sul molo.
Ci volle un po’ per caricare i cavalli, specialmente César del quale si dovette occupare Oscar in prima persona poiché era molto nervoso.
Poi, finalmente, levarono l’ancora.
Era già buio e l’aria era decisamente freddina, ma almeno c’era una bella luna.
Si sistemarono in mezzo ad alcuni sacchi di cereali, sul ponte, sotto l’albero di mezzana, un po’ riparati dal vento e dagli occhi dei marinai indaffarati, che fortunatamente non avevano indugiato lo sguardo su Oscar.
Poi l’andirivieni diminuì ed André poté finalmente stringerla a sé.
-    A che pensi? – chiese lei, accoccolata sulla sua spalla, strofinando piano il naso sulla sua barba appena accennata.
-    Alla nonna. – disse con triste sincerità.
-    Quando ci saremo sistemati, le faremo sapere dove ci troviamo. Potremmo chiederle di raggiungerci!
-    E’ pericoloso … Se tuo padre …
Gli posò due dita sulle labbra.
-    Shssss … Non pensare a lui, adesso. Troveremo un modo, vedrai.
-    Oscar, io …
Lei trovò un modo più convincente per zittirlo.
E piaceva anche a lui, quel nuovo modo che implicava un contatto non violento. Anche troppo piacevole, vista la situazione potenzialmente imbarazzante.
La staccò da sé e riprese fiato, sorridendo.
-    Meglio darsi una calmata … tesoro
Gli tirò un pizzicotto per quel “tesoro”.
André sorrise e la strinse più forte.
Restarono lì, zitti, ad ascoltare il rumore delle onde, lo scricchiolare del legno, lo sbattere delle vele, del sartiame … Scrutando la faccia curiosa ed abbagliante della luna.
-    Davvero non volevi più vivere? – le chiese all’improvviso.
Stavano ricominciavano a parlare, parlare davvero..
-    Volere?… - mormorò lei - Di sicuro una parte di me, condivideva quel pensiero:” il tradimento si paga con la morte!” …Quante volte mi sono state ripetute frasi di questo genere …– ammise, mentre con due dita gli tormentava il bottone del gilet, - Ma ero già morta, perché non era vita non poterti avere accanto liberamente… André, solo quando siamo insieme sento di vivere! –
André la guardò e, con due dita sotto il mento, la spinse a fare altrettanto.
Non aveva avuto esitazioni a dirglielo, nessun tremito, nessuna incertezza. Nessun “André, io…
Poi improvvisamente, lui si portò una mano alla bocca.
-    Che c’è?
Le fece cenno di spostarsi e, velocemente, senza un solo fiato, corse alla fiancata a vomitare.
Oscar sospirò rassegnata: forse il romanticismo non era nel loro destino.
Dall’altro lato di un barile, udì Alain ridacchiare.
-    Ma tu non ti senti mai di troppo, Alain? – gli chiese.
-    Assolutamente no, comandante …
-    Ti do il permesso di non chiamarmi più così, non è neppure il caso, Alain.
-    Come vuoi, … “tesoro”. –
E si rimise a dormire col cappello sugli occhi ed un sorriso gigante impresso sul viso.


- continua


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


IL MIO DOVERE cap. 4
Capitolo 4



Nel pomeriggio seguente riuscirono ad attraccare a Plymouth.
André fu il primo a guadagnare la terraferma, giacché non ne poteva proprio più, avendo rimesso per tutta la notte.
-    Eh, il mio lupo di mare!… - scherzò Alain dandogli una manata sulla spalla che gli fece quasi perdere l’equilibrio.
I cavalli scesero senza capricci lungo la passerella, felici per la riottenuta libertà.
Oscar chiese qualche indicazione sulla strada da prendere per la banca Foster, quella cui aveva indirizzato i suoi fondi, mentre Alain si sforzava si sillabare il nome, ovviamente inglese, di una trattoria di fronte a loro; ed André rimetteva ancora un po’ al solo pensiero di inghiottire un boccone.
Man mano che si allontanavano dal porto e dal puzzo di pesce e salsedine, il colorito di André andò migliorando.
Arrivati che furono alla banca, stava già decisamente meglio ed Oscar si lasciò accompagnare dentro, abbastanza certa che non avrebbero fatto figuracce. Naturalmente, a tale scopo, Alain venne lasciato fuori a tener d’occhio le loro cavalcature.

Riuscirono a percorrere solo pochi passi nell’atrio quando, una voce tonante, esclamò in perfetto francese (1):
-    Non riesco a credere ai miei occhi! E’ forse il colonnello Oscar François De Jarjaies quello che mi fa l’onore di una visita?
Oscar si volse sorridente verso il corpulento tizio, sotto la quarantina, che per la stazza ricordava più un lottatore professionista che un topo di banca.
-    Ebbene sì, mio caro amico! Visto che le vostre visite a Parigi si fanno attendere, mi sono decisa a farvi visita nella vostra cara Inghilterra!
-    Caro Jarjaies … Come potete rinfacciarmi la mancanza dalla Francia?… Siamo stati in guerra, o voi soldatini di Versailles non ne sapete niente ?…
Amico? Soldatini?!
André pensò che Oscar lo avrebbe strangolato!

Invece si strinsero con forza la mano e l’omone, rafforzò la stretta posandole l’altra mano su un avambraccio.
-    Noto uno sguardo perplesso nel vostro amico … - disse quello sentendosi osservato.
-   André, ti presento Lord Thomas Foster, affermato banchiere, buongustaio, grande intenditore di vini francesi e … pessimo spadaccino! – disse ridendo la donna.
L’uomo la guardò torvo.
-    Più che grande intenditore di vini, mi definirei … gran bevitore, e per quanto riguarda l’abilità col fioretto, temo dovrò convivere a vita con la lezione che mi impartiste quel giorno a Versailles, mia cara!
Notò che André era sempre più perso dal tono estremamente confidenziale.
-    Vi racconterò a cena di come questo soldatino ebbe ragione di me, se vorrete farmi l’onore di essere miei ospiti. – disse il banchiere.
-    Accettiamo con piacere.  – assicurò Oscar - Ma prima dobbiamo cercare un albergo e … no, non daremo fastidio alla vostra famiglia, non tentate neppure di propormelo! – lo fermò prima che li invitasse a restare nella sua casa. – Volevo informarvi che a giorni vi verranno trasferite delle somme da Parigi, quindi avrò bisogno di un conto presso di voi.
L’uomo si rabbuiò.
-    Va davvero così male in Francia? – chiese.
-    Avremo tempo per parlare, di questo e di tante cose. Ho intenzione di fermarmi per un po’.
-    Oh! … Allora, non riceverò più la vostra bottiglia di brandy di Arras per Natale?
Oscar rise, scotendo il capo.

Alain non si risentì quando Oscar chiarì, senza mezzi termini, di non avere intenzione di portarlo a cena dai Foster.
Anzi, riuscì a ribattere che avrebbe approfittato della serata di libertà per imparare le basi della “lingua inglese”.
Oscar, che cominciava a capire i doppi sensi delle sue frasi, si raccomandò … , anzi, gli intimò di non mettersi nei guai!
La guerra in America era finita da tempo, ma le ferite erano ancora aperte. Francesi ed Inglesi non potevano essere definiti popoli in armonia tra loro. Per tanti, loro erano ancora “il nemico”. Avevano contribuito a far perdere le colonie, a far perdere una guerra. Per mano francese, mogli erano diventate vedove, genitori avevano pianto i figli. Il risentimento poteva essere capito.
-    Me ne starò buono buono in camera mia … A fare i compiti!
-    Lascia stare … - mormorò Oscar ad André, vedendolo pronto alla lite – Ogni volta che lo riprendi, lo fai contento!

***

-    … All’improvviso, vedo questo ufficiale biondo, tutto perfettino, troppo perfettino perfino per un francese…, metter mano all’elsa e dire “Se siete convinto di questo, non vedo alternativa! Battetevi!” ed io penso: ma che ho detto di così drammatico! Questi francesi sono pazzi! Prendersela così per una storia morta e sepolta come la guerra dei 7 anni!
-    Mi avevate definita “zuccherino francese”! – esclamò Oscar, apparentemente pronta a battersi di nuovo.
-  Io mi riferivo allo zucchero delle vostre Antille che stracciava il nostro commercio di cannella! (2) Come potevo immaginare che foste una donna e l’avevate presa sul personale!
André rideva a crepapelle immaginandosi la scena. Quindici anni prima era accaduto ed Oscar non gliene aveva mai fatto parola.
-    In definitiva, dovetti battermi con lei ed ovviamente ebbe la meglio in un batter di ciglia … Quando ci calmammo, riuscimmo a chiarirci e la cosa finì sullo scherzo davanti ad una bottiglia di brandy ….
-    … di Arras! – terminò André che cominciava ad annodare i fili di quella strana amicizia.
-    Già! E da allora me ne invia una ogni Natale!
Oscar alzò il calice.
-    Allo zucchero … - propose il brindisi.
-    … ed alla cannella! – terminò lo strano banchiere.
André bevve e la guardò sorridendo. Cominciò a pensare che, nonostante tutto, forse davvero non sapeva tante cose di lei. Ma ormai era certo che lei gli avrebbe consentito di colmare quelle lacune.
-    Così, volete mettervi in affari in Inghilterra …. – disse Foster passando ad un discorso meno frivolo.
-   Contenete la vostra fantasia, amico mio. I denari che stanno per arrivarvi tra le mani, non sono certo un patrimonio! Ma pensavo che potessimo impegnarci nell’allevamento di cavalli, visto che entrambi abbiamo una certa esperienza. – confidò Oscar. Quel progetto di André ormai era diventato anche suo.
-    Certo che il settore richiede tempo, prima di diventare redditizio…
-    Non abbiamo grandi aspettative. – disse André – Vogliamo soltanto vivere tranquilli…
Oscar lo guardò teneramente, condividendo pienamente quanto detto da lui. E lo sguardo non sfuggì al loro ospite.
-    A dir la verità stavo pensando ad un mio cliente e buon amico… Ha delle terre, qui nell’alta Cornovaglia (3), che non riesce a gestire da solo… Ha anche tre figli pestiferi che necessitano di un educatore di carattere. Sareste entrambi adatti a dargli una mano … E’ un  militare a riposo ed una gran brava persona … E non detesta i francesi! – rise della precisazione, anche se non era una cosa irrilevante. – So che è a Plymouth con tutta la famiglia, ospite dei suoceri. Se volete, posso parlargli…
André guardò Oscar che non aveva ancora distolto gli occhi da lui, incantata di ammirazione.
-    Tu che dici? – chiese Oscar.
-    Dico che per me, va bene… - mormorò lui, perso nei suoi occhi, conscio di aver detto “va bene” per l’ennesima volta.
-    Amen! – esclamò Foster, come un parroco al termine di un matrimonio.




Mentre la carrozza messa a loro disposizione da Foster li riaccompagnava all’albergo, André non smetteva di guardarla e ridere.
-    Non mi hai mai detto niente di questo tizio ….
-   Ogni donna ha i suoi segreti …- civettò Oscar, che cominciava ad entrare nel ruolo femminile quanto bastava per provocarlo.
-    Devo esserne geloso? – chiese, ma sapeva già la risposta; voleva solo giocare un po’ con lei.
-    Santiddio …. No! E poi era anche sposato all’epoca. La moglie è morta due anni fa, nel tentativo di partorire il quinto figlio.
-    Mi dispiace…
-    Me la presentò a Versailles. Erano lì in viaggio di nozze. Era molto simpatica, solare ….
Restarono un attimo in silenzio, col solo rumore delle ruote e degli zoccoli sul selciato ad accompagnarli.
-    Tu ci credi?
-    A cosa?
-    A noi. – disse André.
Oscar lo fissò, uno di quegli sguardi da togliere il respiro ai quali lui non si sarebbe mai abituato.
-    Io sono pronta a seguirti. Dovunque. Comunque.
André si sentì sciogliere a quella dichiarazione di cieca fedeltà ed avvertì la necessità di sdrammatizzare il momento.
-    Oh … zuccherino! – ridacchiò.
-    André! … - ringhiò lei senza più scherzare.


***

-    Non preoccupatevi per me! – esclamò sarcastico Alain, più lagnoso di una moglie trascurata e di un bambino capriccioso messi insieme, quando il pomeriggio seguente, li vide uscire di nuovo senza di lui – Io me ne starò tranquillo nella mia cameretta!
-    Non piagnucolare! – lo sgridò André, finendo di mettersi la giacca ed aggiustarsi davanti allo specchio polsini e cravatta.
-    Solo perché mi lasciate da solo in mezzo a un sacco di stranieri!
André sbuffò: come al solito, l’amico risvoltava le cose secondo il suo punto di vista.
-    Torniamo presto… - promise uscendo.
-    Sì, papà… e dai un bacio a mamma da parte mia! – lo canzonò l’altro.





Il capitano di marina Scott Baker non aveva assolutamente l’aria di un aristocratico.
Fu la prima cosa che André pensò di lui.
Anzi, nessuno della sua famiglia ricordava lontanamente l’aristocrazia cui era abituato.
Tanto per cominciare, nessuno usava profumo a litri, e la cosa era positiva; d’altra parte, nessuno puzzava come la Senna d’estate, che era ancor più positivo.
La moglie era una donna allegra ed alla mano; caratterialmente, alla prima impressione, gli ricordò sua nonna e ciò gli fece provar pena per il marito.
I figli? Selvaggi! Non potevano esser definiti in altro modo. Di cinque, sette e nove anni anni. Femmina, la più grande.
Immaginò che il generale, se avesse trascorso del tempo con loro, avrebbe potuto baciare, come ad un santo, i piedi della figlia per reazione.
Tutta la famiglia portava folti capelli rossi. Dal rosso-biondo del capofamiglia, al rosso quasi castano della moglie. Pelle chiara, gote accese, lentiggini … Tutti magri ed allampanati, tranne la madre, piccola e non esile … Ed anche lì, gli ricordò Nanny.
Quando arrivarono, sebbene attesi, trovarono il capitano mentre subiva l’arrembaggio di tre pirati, sul tappeto del salotto.
-    Scott! Scott sono arrivati Lord Foster ed i suoi ospiti! – gridò la moglie per farsi udire tra gli schiamazzi. – Bambini! Lasciate stare vostro padre!
Ma quelli lo lasciarono solo dopo averlo affondato, cosa che avvenne in pochi istanti.
Con agilità, risorse dai fondali ed esibendo un sorriso perfetto oltre che cordiale, porse loro il benvenuto.
-    Il vecchio Foster mi raccontava dei vostri obbiettivi … - esordì quando si furono accomodati e la moglie fu riuscita a rinchiudere le belve in cucina utilizzando una torta come esca.
Il banchiere inarcò un sopracciglio a quel “vecchio”, ma venne distratto dalla padrona di casa che stava per servire dello sherry.
-    Che fai, Virginia? Lascia perdere l’acqua e passa all’artiglieria pesante! Non siamo mica mammolette, qui!
La rossa capì al volo ed afferrò lo scotch.
-    A noi ha accennato al fatto che state cercando un istitutore e qualcuno che vi aiuti con le proprietà… - disse Oscar.
Il capitano alzò il bicchiere in un muto brindisi, ora che tutti avevano il proprio "veleno".
-    Sì, come avete potuto vedere, ho qualche difficoltà a gestire la ciurma. Non fraintendetemi, sono bambini buoni ed intelligenti, ma forse a causa delle mie lunghe assenze per mare, non riesco ad esercitare su di loro la severità che sarebbe necessaria. Quindi, non riesco ad istruirli adeguatamente. Mia moglie, non può fare tutto da sola.
-    Beh, io posso insegnare matematica, musica, geografia, biologia, oltre a latino, greco, qualcosa d’italiano ed ovviamente il francese. – disse in corretto inglese - Potrei anche addestrarli all’uso di tutti i tipi di armi bianche e da fuoco. La storia, però,  la lascerei a voi, perché rischierei di essere troppo filo-francese! – rise conscia di godere di un bagaglio assolutamente non da poco.
I coniugi lasciarono trasparire dalle loro espressioni quanto fossero colpiti.
-    E voi, André?
-    Che dire… - cominciò in inglese solo un po’ meno corretto - Che capisco di matematica, musica, geografia, biologia, oltre a latino, greco, qualcosa d’italiano ed ovviamente il francese? Che utilizzo armi bianche di ogni tipo, oltre a quelle da fuoco ?…  - tutti, tranne Oscar, risero pensando che scherzasse – Capitano, - disse seriamente – ho due mani ed una schiena forte, ma come contadino ho molto da imparare.
Visibilmente colpito dalla franchezza, il capitano guardò la moglie che sorrise in un tacito assenso.
-    Non possiamo pagare molto, … ma … Ecco, ho un cottage, in parte da ristrutturare, non lontano da casa nostra. Potremmo ospitarvi da noi finché non riuscirete a sistemarlo e poi, concedervelo in uso gratuito per avviare la vostra attività, con una certa quantità di terra. Non è un granché per le coltivazioni, ma sarebbe un buon pascolo, se intendete occuparvi di cavalli. E magari un giorno, potreste riscattarlo ad un prezzo di favore.
A tutti sembrò un affare fatto.
Dopo circa un’ora, André ed il capitano si occuparono di reggere Foster fino alla carrozza.  L’artiglieria pesante aveva colpito …
-    Date ascolto ad un banchiere … - biascicava – I soldi! I soldi fanno girare il mondo!
-    E tu ne giri un bel po’…, neh? – lo canzonò il capitano.
Virginia ed Oscar guardavano il tutto abbastanza perplesse, stando ferme sull’uscio.
-    Dite un po’, Thomas …- esordì Virginia incrociando le braccia – Quand’è che vi risposerete?
-    Quando rischierò la galera se non lo faccio! – rispose quello prontamente.
-    Era una santa donna … - aggiunse la moglie del capitano, scotendo il capo.
-    Sì … - ammise lui tristemente, arrampicandosi sulla predella – Sì, lo era … Ed ora è in cielo…

Oscar restò zitta per tutto il tragitto, seduta accanto ad André. Guardava Foster addormentato di fronte a loro e pensava a quanto fosse ancora distrutto dalla perdita della moglie.
Pensò a sé, alla sua tosse, che non voleva andar via. Sembrava essersi un po’ calmata, forse perché André la teneva così stretta, la notte, così calda e rilassata, così sicura fra le sue braccia.
Lo guardò, triste.
-    Cosa c’è? – chiese lui preoccupato da quello strano sguardo.
Oscar non rispose, ma posò il capo sulla sua spalla e gli prese una mano tra le sue. André si accontentò di quella strana replica.
Lei alzò ancora lo sguardo sull’amico di fronte a lei.
Domani, gli avrebbe chiesto di poter essere visitata dal suo medico di fiducia.
Se era tisi, doveva saperlo.
Se era tisi, doveva guarire.
Perché, cascasse il mondo, non poteva permettere che André patisse quel che stava patendo Thomas.





-    Sì sì, all’ultimo ci siamo ricordati di avvertire che tu saresti venuto con noi! – diceva André poco più tardi, durante la cena, all’amico.
-    Cominciavo a pensare d’esser venuto qui per niente …
-    Ricordatelo quando la schiena inizierà a farti male per il troppo lavoro! – rise André.
-    E … a quando la partenza? – chiese Alain, ignorandolo.
-  Dobbiamo aspettare che arrivi il mio denaro, poi formalizzeremo con un contratto di scambio prestazioni, contro alloggio ed un modesto salario. Questione di pochi giorni.
Andarono a dormire molto tardi, perché Alain aveva voglia di chiacchierare.
Ma nonostante l’ora tarda, la giornata lunga e stancante, Oscar lo cercò nel letto, per prima, con un’urgenza, una tensione che lo fecero preoccupare.
-    Sono qui, sono qui… - le bisbigliò all’orecchio entrando in lei, sentendola gemere e rilassarsi mentre lo accoglieva.
Ma Oscar non aveva paura che André potesse lasciarla. Era il contrario e non sapeva come dirglielo; non sapeva neppure se fosse il caso di dirglielo.
 


Oscar andò dal medico, senza farlo sapere ad André, con la scusa di dover firmar carte alla banca.
Il medico confermò quanto lei temeva, ma non la diede per spacciata. Vita sana, regolare, niente stress, fu quanto le consigliò. L’umidità dell’Inghilterra non era certo un toccasana, ma almeno la costa della Cornovaglia godeva di un clima abbastanza mite.
Oscar ne uscì piuttosto rinfrancata e quando André, che aveva passato quel paio d’ore a bighellonare per la città con Alain, la rivide, non notò più quel velo di tristezza sul suo volto.


Venne il giorno in cui dovettero riunirsi da un notaio. I fondi di Oscar erano giunti a Foster.

Scott aveva aiutato André con l’ordine del materiale per la ristrutturazione del cottage, fornendogli disegni, indicazioni sullo stato dell’edificio, promettendogli pure assistenza sul campo. Il carico sarebbe partito subito dopo di loro.
-    Capitano, permettetemi di pagare le spese di ristrutturazione. – insisté Oscar.
-  Accetto solo perché sono finanziariamente in brutte acque, al momento. Ma pretendo che tutto quanto venga scrupolosamente dettagliato nel nostro contratto e considerato quale acconto nel caso di un vostro acquisto della proprietà. Inoltre esigo … - e sorrise – Sì, esigo che mi chiamiate Scott, o mi vedrò costretto a chiamarvi Colonnello!
Oscar ricambiò il sorriso e suggellarono quella bozza d’accordo con una forte stretta di mano.
André avrebbe assistito Scott nella gestione dei suoi affari, della fattoria, delle altre proprietà; Oscar si sarebbe occupata dell’educazione dei tre bambini. In cambio Scott, oltre ad una modesta retribuzione, concedeva loro l’uso del cottage, delle pertinenze e di un certo quantitativo di terra da destinarsi a pascolo per l’attività che intendevano avviare.
Nel pomeriggio, l’anziano notaio, un ometto piccolo, insignificante e dalla testa lucida come una palla da biliardo, registrò tutto quanto in triplice copia.
-    Prego, signori! – li invitò – Vogliate apporre le vostre firme sui documenti. Sì, esatto, proprio lì accanto alla data: 14 luglio 1789. (4)

Mentre siglavano l’accordo, non sapevano ancora che la Francia stava voltando pagina.
Proprio come loro.


-    Continua


1)    La lingua che parlano: poiché aristocratici, ho supposto che le basi del francese e dell’ inglese facessero parte della loro educazione, su entrambe le sponde della Manica. André compreso perché ha sempre studiato con Oscar. Per Alain, più che a lontani ricordi della sua decaduta nobiltà, mi aggrappo alla sua faccia tosta e alle sue ambizioni di “cuccatore” che sicuramente lo hanno spronato ad attaccar bottone con le dame in chissà quante lingue.  Comunque, si arrangeranno in franco-inglese, ma non mi sembrava il caso di ripetere ad ogni riga: in francese/in inglese.
2)    fu una guerra commerciale, zucchero contro cannella
3)    Plymouth si trova nella contea del Devon, ma è confinante con la Cornovaglia. Per chi volesse farsi un giro utilizzando l’omino giallo, porterò i nostri giovani proprio qui,: http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=cornovaglia&sll=50.322669,-5.019579&sspn=1.522194,3.521118&g=cornovaglia&ie=UTF8&hq=&hnear=Cornovaglia,+Regno+Unito&ll=50.347978,-4.257367&spn=0,0.043774&t=h&z=15&layer=c&cbll=50.347978,-4.257367&panoid=XMcrqEOxP0fclvZN3tw9Iw&cbp=12,249.5,,0,5
4)    Ebbene sì: non si trovano sotto la Bastiglia. Era un punto fondamentale nella storia originale, ma ormai il racconto è oltremanica e  non esistevano ancora voli low cost per farli tornare in tempo.

PS – Ero molto ritrosa a pubblicare questa storia che sto ancora ritoccando qua e là, la mia prima storia “lunga”. Quindi, tengo a precisare che, se vi piace, dovete ringraziare Baby80 che avendola letta in anteprima, in una sola notte, mi ha strillata a sufficienza per farmi trovare il coraggio necessario per postare. Anche se “uhau” e “bellissima” non sono critiche costruttive, eh eh : ) e quindi di pecche ce ne saranno eccome!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


IL MIO DOVERE cap. 5
Capitolo 5



Erano arrivati nel tardo pomeriggio alla loro destinazione, una proprietà nell'alta Cornovaglia, non distante dalla cittadina di St. John.
La casa,  Baker Manor, era così diversa da palazzo Jarjayes.

Signorile, ma non sfarzosa. Prevalevano i toni scuri del mogano invece del candore dei marmi, degli stucchi, dei toni pastello di tessuti e tappezzerie. Ciò forse per via delle tradizioni marinare della famiglia. Pezzi di quella storia spuntavano ovunque: sestanti, carte nautiche e perfino una polena nello studio! Ed i ritratti degli antenati in uniforme della marina non lasciavano dubbi.
Le stanze non erano così alte come quelle cui erano abituati, specie al piano superiore. I soffitti non avevano volte affrescate, ma cassettoni intagliati che rendevano gli ambienti più cupi, ma al tempo stesso più intimi, specie in quelle giornate in cui il brutto tempo si faceva sentire.

Fuori, la pietra grigia della Cornovaglia la faceva da padrona, su tutti i muri della casa, interrotta da edera rampicante, verdissima in quella piena estate, ma che tra due mesi avrebbe ceduto ai colori dell’autunno. Il giardino, nel pieno della fioritura, era semplice e curato secondo lo stile che aveva già catturato Maria Antonietta, detto appunto all’inglese, e che Sua Mestà aveva adottato per la sua vita informale al Piccolo Trianon.


Fecero conoscenza con la bizzarra famiglia al servizio del capitano; da “una vita” al loro servizio, precisò Scott come in sua difesa, come se si trattasse di una scomoda eredità, impossibile da rifiutare: i Woodpecker.
Basil, il capofamiglia, esile ed alto come una canna al vento, che come una canna, veniva spinto qua e là da Bess, la moglie più che grassoccia, energica quanto lui era passivo, immagine della più assoluta mancanza di finezza e tirannia famigliare, che era perennemente accigliata e scontrosa.
Bess aveva una specie di tic per il quale pareva fosse sempre intenta a ruminare qualcosa. O forse aveva davvero sempre qualcosa in bocca. Chiudeva il trittico il figliolo adolescente, Jack, essenza dei lati peggiori di entrambi i suoi genitori, dotato di un’energia pari a quella di un bradipo.
Alain non poté trattenere, tra il resto, il commento sul naso lungo ed appuntito comune a tutti i membri della famiglia, alludendo al cognome azzeccato. (1)
E nessuno dei suoi amici si azzardò a contraddire.


Tutti e tre capirono subito che vivere lì, con quella famiglia, non sarebbe stata una vacanza.
Le mattine in quella casa, sembravano l’adunata in un campo militare! La quiete di Palazzo Jarjaies ormai era solo un sogno.
Le tre piccole belve si scatenavano appena scese dai letti,
Bess cominciava immediatamente a strillarli e Virginia teneva entrambe le mani premute sulle tempie martellanti già a colazione.
La prima mattina, quasi ebbero un colpo quando il silenzio venne improvvisamente interrotto.
André saltò seduto sul letto, trascinando con sé Oscar, addormentata sul suo petto.

Il pavimento della casa tremava come in preda ad un terremoto per i ragazzi che correvano su e giù strillando.
A nulla servivano richiami e scapaccioni.
Al confronto delle maniere di Bess, le mestolate di Nanny parevano una passeggiata, ma non sortivano lo stesso effetto.
Nanny era sempre stata naturalmente dotata coi bambini scapestrati. Il comando era il suo mestiere e lo praticava con precisione e determinazione, ottenendo ottimi risultati. Era poi una persona piena di qualità, sinceramente affettuosa e, forse, i piccoli queste cose le avvertivano.
Bess era quanto di più distante da Nanny. Non che Bess fosse cattiva, questo no; era solo, semplicemente, assolutamente negata; irritabile ed irritante.


Fatta colazione, Scott con Virginia li portò tutti a vedere il cottage, organizzando pure un pranzo al sacco per poter mostrare loro la zona con la calma necessaria.
Alain aiutò la rossa a smontare dal cavallo che aveva condotto piuttosto abilmente montando alla amazzone.
-    Che gentile, signor … Non ricordo il vostro nome!
-    Alain De Soisson, è il mio nome.
-    Nome aristocratico?
-   Tempo fa, sì, quando potevo definirmi di sangue blu. Poi, svaniti i denari, mutò anche il colore nelle mie vene, milady. Oramai sono solo un poveraccio come tanti.
-    Svanite pure le tue buone maniere coi denari, dillo pure – lo rimbeccò André.
-   Oh, su, André! Il vostro amico è stato così gentile ! – cinguettò Virginia aggrappandosi al braccio che il gigante le offriva.
-    Sì…Gentile… - ironizzò il moro, ben conscio della filosofia di Alain nei confronti del gentil sesso.
“Ogni lasciata, è persa!”, era solito ripetergli, e “L’importante è seminare bene, elargire complimenti a tutte, senza distinzioni, perché non sai mai quale donna te la darà!”

-    Ecco, come vedete, il grosso del lavoro riguarderà proprio la stalla, della quale sono rimaste solo le mura. Per la casa, sarà più che altro questione di olio di gomito. – annunciò ottimisticamente Scott, indicando con il braccio teso i due edifici.
Oscar osservò perplessa il tutto. André invece pareva avere già una visione più vicina a quella di Scott. D’altronde il sogno era suo, lei ci si era solo aggregata.
-    Venite, venite, ve lo mostro dentro, Oscar! – disse Virginia tirandola per un braccio.

Il cottage probabilmente non occupava più spazio della sua camera da letto a palazzo Jarjayes.
Una volta, nell’intimità, Andrè lo avrebbe definito ridacchiando il loro nido d’amore, per via delle dimensioni adatte a due uccellini. … Pareti in calce bianca, piani di lavoro in ardesia grigia come il tetto, tagliata a spacco, pavimento di quercia.
Niente di sofisticato o elegante. Le imposte erano di fattura severa e robuste, lontanissime dalle splendide, ampie, luminose vetrate francesi.
Ma sarebbe stata la loro casa.
André si era già programmato mentalmente i lavori da eseguire e riusciva chiaramente a visualizzare il risultato che avrebbe ottenuto. Oscar guardava tutto in silenzio, perplessa, lei abituata a vivere e a pensare in grande.
-    Un po’ piccola … - mormorò prendendo a passi le misure della camera da letto, quando Virginia ebbe trascinato fuori il marito per farsi aiutare coi cesti da pic-nic.
-    Basta prendere un letto piccolo ... – le bisbigliò all’orecchio, cingendole la vita da dietro.
Oscar sorrise.
-    Però non lamentarti se ti troverai a dormire sul tappeto. – lo avvisò, sciogliendosi dall’abbraccio, fingendosi la solita dura – Non ho intenzione di rattrappirmi in un angolo per farti stare comodo, Grandier!
-    Proprio qua! … - esclamò lui indicando, a braccia allargate, lo spazio davanti al camino – Due belle, comode, grandi poltrone, dove addormentarci davanti al fuoco, quando saremo vecchi!
Oscar si sentì intenerire a quell’immagine, perché per lei André non sarebbe mai invecchiato. Anche ora, mentre quell’uomo bellissimo, che ora lei sapeva anche così forte, virile e sensuale, parlava a ruota libera e raccontava la sua visione nei dettagli, il suo sguardo sul loro futuro, lei continuava a vedere il bambino dai grandi occhi verdi che aveva portato il sorriso nella sua vita.

***

Il gallo aveva già cantato.
Oscar ed Andrè, entrambi stesi a pancia all’aria sul loro letto, aspettavano rassegnati che il quotidiano caos iniziasse in quel secondo giorno alla villa; il loro primo giorno di lavoro..

-    Quando arriverà il materiale? – chiese atona lei fissando le greche dei cassettoni sul soffitto.
-   Due giorni al massimo, poi comincerò subito a lavorare al cottage. – promise lui, condividendone il pensiero, con lo sguardo fisso sulle medesime, ipnotiche greche.
Si girò su di un fianco, improvvisamente, al destarsi del suo corpo; si alzò su di un gomito e cominciò a fissarla nella penombra.
Oscar sentì su di lei quello sguardo che aveva già imparato a riconoscere. André la guardava sorridendo birbante mentre la sua mano si insinuava sotto la sua camicia da notte in una inequivocabile richiesta.
-  Faremo tardi a colazione – gli disse mentre le carezze si facevano intime, lì dove già diventava densa come il miele.
-  Saltiamola. – concluse sbrigativo, cominciando a baciarle il collo. – E’ di te che ho fame! – aggiunse con voce arrochita dall’eccitazione, scostandole il decolté per aggredire delicatamente il seno con baci affamati ed umidi.
Si alzò seduto, perdendo un istante per sfilarsi la propria camicia dal capo e gettarla senza riguardi, lontano; lasciando che lo sguardo di lei corresse compiaciuto sulla sua muscolatura perfetta; poi tornò su di lei e riprese a divorarla, carezzarla, leccarla.
Oscar lo lasciò fare un po’, godendosi le sensazioni crescenti; quindi lo scostò delicatamente, per alzarsi seduta e sfilarsi a sua volta la sottile camicia che lasciò cadere a terra, con sensuale lentezza, sorridendogli maliziosa e sfrontata.
Tornò a sdraiarsi e lo attirò su di sé, incapace di contrastare i suoi convincenti argomenti.
Argomenti che lui trattava con passione, decisione, perizia.
Tutta la dedizione e l’impegno che caratterizzavano da sempre ogni cosa cui si dedicava, li riversava su di lei, ora.
Le mani, forti e delicate allo stesso tempo, percorrevano la sua pelle, non tralasciando un solo angolo; carezzavano con logica, ordine e qualche sorpresa di tanto in tanto, giusto per spiazzarla, facendola magari ridere nervosa per qualcosa di troppo audace o semplicemente … perfetto.
André scivolò tra le cosce che si divaricavano piano al suo avanzare, seguendo il percorso istintivo che lo guidava a “casa”, la millenaria danza animale riguardo la quale poeti di ogni epoca elargivano versi, cantori intonavamo melodie ed amanti sprecavano parole.
Ma loro non avevano  bisogno di tutto ciò.
Ad André bastavano i sospiri da lei emessi, le sue dita tra i capelli, le sue unghie che, al principio delicate, gli incidevano la pelle, la sua voglia senza vergogna, la sua fantasia erotica oltre quanto previsto dalla sua educazione, oltre quanto sognato da André in una vita di pensieri inconfessabili .
Ad Oscar era sufficiente sentire le sue mani calde strette sui fianchi, più eccitanti di quanto avesse mai immaginato nei sogni fatti su di lui, che scendevano piano lungo le gambe, dall’esterno, e risalivano all’interno; bastavano quelle sue carezze dove mai aveva sospettato di volersi sentire carezzare; i suoi baci roventi su quella infinità di punti sensibili che mai avrebbe creduto così ricettivi da farla sussultare, singhiozzare, gemere e … impazzire.
Oh, sì, André la faceva impazzire!
Si domandò per quanto sarebbe stato capace di mantenere quella frequenza che, dalla prima mattina al porto, era rimasta piacevolmente sostenuta. Un ritmo al quale non aveva fatto fatica ad abituarsi; un vizio al quale non sarebbe più stata in grado di rinunciare.
Il suo insaziabile André!
Il suo fantastico André!
Il suo André…
André …
Bess bussò malamente alla loro porta, strillando “colazione”.
-    Veniamo subito! – gridò Oscar, picchiando rabbiosa un pugno sul materasso, strappandogli una risatina per quella battuta involontaria, mentre lui spingeva piano, esasperandola volutamente.
“Francesi!” borbottò l’invidiosa serva con un tono sufficientemente alto per poter essere udito da loro.
“Inglesi!” borbottò di rimando Oscar, poco prima che André la distraesse catturando nuovamente la sua bocca, riportando la mente dove già stava il corpo: lì con lui.
Si interruppe  un istante per guardarla, poggiare la fronte alla sua, baciarle la punta del naso.
-    “Veniamo subito”… Da dove ti è saltata fuori questa?
-    E’ ora di colazione! Abbiamo poco tempo.
-    Mi stai forse dicendo di sbrigarmi? – scrutò meglio nel suo sguardo – Non posso crederci… Tu non stai scherzando! Tu … Oh, signore!
Rotolò via da lei, al suo fianco, fissando il soffitto ad occhi sgranati e mani nei capelli.
-    Cosa c’è!? Cos’ ho detto!?
-    Non posso crederci. Stai facendo l’uomo anche a letto! –esclamò.
-    Ma cosa dici!?
-    Sì, stai cercando di comandarmi anche ora.
-    Tu vaneggi!
-    No, no! Lo riconosco il tuo sguardo di comando. Anche al porto, hai preso tu l’iniziativa!
-    Non mi pare di averti dato ordini e neppure di essermi lamentata. – replicò alzandosi seduta.
-    Non ne hai bisogno, tu …
-    Io cosa?… - mormorò avvicinandosi al suo volto, solleticandolo coi lunghi capelli.
-    Tu…
-   Io? … - incalzò, trascinando i capelli sul suo petto che si sollevava con respiri sempre più profondi; cominciò a baciarlo sul ventre, carezzandogli piano i fianchi.
-    Oscar…
-    Sì, André… -
-    Oscar …Oh, al diavolo! Comandami quanto ti pare! – esclamò trascinandola su di sé.

***

I ragazzi picchiavano le posate nel piatto ed i due più grandi si insultavano beatamente, davanti ai genitori impotenti.
Oscar ed André si accomodarono a tavola, l’uno di fronte all’altra, rilassati ed apparentemente incuranti del chiasso, mentre Virginia si scusava per il caos e Scott rimetteva a forza a sedere le pesti.
Oscar sorrise alla padrona di casa, scambiando invece uno sguardo infuocato con Bess, che stava sgraziatamente servendola di uova e pancetta.
La serva girò attorno al tavolo, per servire André ed Alain, con uno sguardo e dei modi decisamente più addolciti, specie nei confronti di Alain.
-    Hai visto? – bisbigliò Alain.
-    Visto cosa? – chiese André distratto, prendendo del pane.
Alain fece cenno con la testa verso Bess che continuava a guardarlo sorridendo.
-    La tizia fa la gattamorta con me, mi ha dato più pancetta…
-    La tizia ha un nome.
-    Preferisco non ricordarmelo. Sarebbe già una confidenza eccessiva. E’ pure sposata.
André rise ironico.
-    E da quando è un problema per te?
L’omone si strinse nelle spalle.
-    Sono cambiato. Proprio ora.
-    Mangia e per una volta, stai zitto!
-    Il carro col vostro materiale è già arrivato! - annunciò Scott a sorpresa, ora che era finalmente riuscito a tranquillizzare la prole - André, se vi va di avere un aiuto, domani potrei riservarmi la giornata intera! –.
-    Sarebbe fantastico, signore!
-    Ho già detto di chiamarmi Scott, André. Lavoreremo gomito a gomito, niente formalità tra noi.
André annui sorridendo.


In una luminosa sala del pianterreno, Oscar si preparava ad impartire la sua prima lezione.
In piedi, davanti alla sua scrivania, squadrò i tre monelli con lentezza, attingendo al suo sguardo più glaciale per creare la giusta atmosfera.
-    Per evitare fraintendimenti in futuro, vi avviso che tratterò il vostro fondoschiena come Bess tratta i materassi – minacciò Oscar ed i bambini la guardarono indecisi sul fatto che li stesse prendendo in giro o meno.
-    No, credo che lady Oscar (2) stia dicendo sul serio… – mormorò il mezzano.
La sorella concordò. Il piccolo, infilò il pollice in bocca, succhiandolo forsennatamente per la tensione causata dal dover esprimere un parere.
-    Non scherzo mai, giovanotto! – assicurò lei, levando dalla bocca del più piccolo il succhiotto improvvisato. – Posso con certezza affermare che abbiamo un serio problema di disciplina qui, e sarà la prima cosa su cui lavoreremo.
André si affacciò alla porta. Nelle mani teneva una mela ed un coltellino. Si appoggiò allo stipite e cominciò a tagliarne fettine, mangiando in silenzio, godendosi curioso l’immagine di lei al lavoro con le sue nuove piccole reclute.
-    Avete spade di legno? – chiese lei dopo averlo sbirciato, forzandosi per non ricambiare il suo sorriso e mantenere il cipiglio. – Sì? Bene! Allora cominceremo con la scherma. Tutti in cortile! – ordinò.
-    Anch’ io ? – chiese la bimba sorpresa.
Oscar la guardò malamente.
-    Mi sa di sì … – commentò il fratello.
Il piccolo tornò a succhiarsi il pollice,  percependo nuovamente il terrore per quello sguardo tagliente del nuovo istitutore.
André si avvicinò a lui e sostituì il succhiotto improprio con una fetta di mela, dandogli un buffetto sulla guancia.
Oscar lo guardò impicciarsi, indispettita ed intenerita ad un tempo.
Sorrise monella, pensando che se voleva intromettersi nella sua lezione, lo avrebbe accontentato.
-    Il signor Grandier ed io, vi forniremo esempi pratici! – esclamò, – Sempre se hai un po’ di tempo… - aggiunse.
André ricambiò lo sguardo birichino e, masticando la mela, la omaggiò con un leggero inchino.



-    E’ ridicolo! – sbottò la ragazzina mentre Oscar le sollevava le gonne con un nodo, per permetterle di muoversi più liberamente.
-    Mademoiselle! … Cosa è ridicolo lo decido io e se te ne esci ancora con un commento a sproposito, ti metto anche in punizione. – minacciò con efficacia riscontrabile sulle loro espressioni.
-    Allora, ragazzi … Ora vi daremo esempi delle mosse base. Fate attenzione.
Si pose in guardia verso André invitandolo a fare altrettanto.
Lui gettò il torsolo della mela lontano e la accontentò.
Dopo i primi movimenti lenti per consentire ai bimbi di seguire, cominciarono a lasciarsi prendere la mano, soprattutto André e finirono col duellare come da loro abitudine. Lontana abitudine, perché dopo la loro lite di quella famosa notte, non c’erano più stati momenti così.
-    Hai solo voglia di giocare… - lo rimproverò bisbigliando quando i loro visi si trovarono vicini, incorniciati dalle lame incrociate.
-    Ci stiamo allenando, Oscar …
-    Ci stiamo impigrendo …- contestò lei.
-    Ma se facciamo pratica nel corpo a corpo ogni notte… - sussurrò malizioso, urtandola.
-    Spiritoso …

Poco lontano, Virginia e Bess stendevano i panni al sole.
La moglie del capitano seguiva con finta indifferenza la lezione all’aperto della donna che vestiva da uomo.
-    Io la trovo assurda. – borbottò Bess all’indirizzo di Oscar.
-    Io lo trovo fantastica e, per fortuna, non sei tu a decidere. Stendi meglio quella camicia! – la rimproverò seccamente la padrona, facendo valere la propria autorità.
La serva si strinse nelle spalle, riprendendo a ruminare qualunque cosa avesse o no tra i denti.

Verso le undici, Virginia uscì dalla cucina con un vassoio, portando uno spuntino. Si avvicinò ad Oscar ed ai ragazzi, abbastanza stravolti dalla loro prima mattinata di educazione “alla Jarjaies”.
André, Alain e Scott se ne erano andati al cottage per cominciare i lavori.

-    Gradite un po’ di tè, Oscar?
-    Sì, volentieri Milady. Bambini, in libertà! – ordinò, quindi si accomodò su invito della padrona di casa al tavolo in pietra del giardino.
-    Virginia, solo Virginia, ve ne prego. Passo le mie giornate con il borbottio di Bess nelle orecchie, la mia unica compagnia femminile, ed è terrificante. Non pretendo la vostra amicizia,  ma spero che un giorno mi considererete tale.
-    Posso farvi una domanda, Virginia?
-    Prego.
-    Non mi siete sembrata meravigliata al nostro primo incontro. Voglio dire, so di non essere … comune, per certi aspetti del mio essere e …
-    E’ stato il nostro primo incontro, vero, ma sinceramente, vi conoscevo già da tempo. Tramite Foster. Sono anni che lui e sua moglie prima di .. – scacciò con una smorfia i ricordi dolorosi - Beh, loro hanno sempre parlato di voi, Oscar. Thomas, poi, non faceva che ripeterci storie e aneddoti sulla cara amica francese, la donna che veste, beve e fa a botte come un uomo, diceva. Lui vi ammira molto ed anche la povera Julia vi ricordava sempre con affetto. Se mia figlia assorbirà da voi, non potrò che esserne felice.
Rise notando i suoi bimbi che, alle spalle della loro istitutrice, si lasciavano cadere sdraiati nell’erba, senza riuscire a muovere i muscoli.
-    Complimenti! Siete riuscita ad atterrarli in neanche mezza giornata. Di solito, sono loro che atterrano me, a sera.
-    Anni di pratica con mio padre. – spiegò Oscar con un mezzo sorriso, prima di dedicarsi al tè.
Virginia era evidentemente curiosa, ma era pure educata e non osò indagare oltre. Anche se di domande ne aveva più di una, lì, a ronzarle in testa.
Bevvero con calma, parlando del giardino, del tempo.
-    Pensavo, Oscar ... poiché la truppa pare resterà fuori gioco ancora per un po’, se non vi andasse di portare al cottage lo spuntino che ho preparato per gli uomini?
-    Certamente! Mi va proprio una rilassante cavalcata.

César trottava baldanzoso ed armonioso, tanto che non pareva un cavallo di più di venti anni. Forse la sua ottima forma era dovuta, oltre che ai buoni geni, anche al costante allenamento cui era sempre stato sottoposto.
André non aveva mai permesso che poltrisse in stalla, neppure dopo aver lasciato palazzo Jarjaies per la miserevole baracca della Guardia Francese, si era disinteressato di quel cavallo che era emotivamente tanto di Oscar quanto suo.
Lo stallone bianco era veramente un campione ed André contava su di lui per il loro futuro.

Li intravide da lontano. Due sagome a cavalcioni di un trave che sormontava le due mura della stalla.
La terza sagoma era a terra ed Oscar riusciva a sentire le sue lamentele fin da dove si trovava, perfino col rumore degli zoccoli e del vento.
-    No, Alain, partiamo dal centro a mettere i travetti.
-    Certo… certo, faccio come ordinate, signori! Era solo la mia opinione.
-    Ho portato il pranzo! – annunciò Oscar.
-    Si mangia! – esclamò Alain lasciando cadere a terra il trave con un tonfo sordo.
Gli altri due si rassegnarono ad interrompere, alla fine non poi così dispiaciuti.
Nello scendere lungo il muro portante, accadde però ciò che doveva accadere.
Un piede in fallo e André scivolò malamente, urtando il muro col fianco e cadendo a terra.
-    André! – esclamò Oscar, accorrendo.
-    Santo cielo, André! Dite qualcosa!
-    Ehi, amico, sei con noi?
-    Ci sono,ci sono… Mi sono distratto. – borbottò lui.
-    Eh, le bionde fanno questo effetto!
André non replicò alla battuta ed Alain trovò la cosa preoccupante.
-    Sei sicuro di star bene ? Quante sono? – chiese Alain mostrandogli offensivamente il dito medio.
-    Vai all’inferno, Alain…
-    Sta bene! Dottor Soisson garantisce che il paziente è sanissimo!
Oscar lo aiutò a tirarsi su, dolorante e zoppicante.
-    Cos’è accaduto?
-    Ma niente, Oscar, che vuoi sia successo… Ho messo male un piede…
-    Dimmi André, tu ci vedi bene?
-    Ma sì, certo … - mentì con poca convinzione.
-    Beh, in ogni caso, lì non risalite con la botta che avete preso! – disse Scott.
-    Non c’è problema. Lo sostituisco io.
-    Ma … Oscar!
-    Lo sai che ho un buon equilibrio! Che ci vuole!
Detto fatto, si issò sulla parte più bassa, imitata da Scott al lato opposto.
Alain guardò ammirato Oscar che si arrampicava sul muro diroccato della stalla e, con attenzione ma senza incertezze, camminava in equilibrio sul trave centrale, fino al punto dove prima stava André.
-    La tua Oscar è uno spettacolo … - mormorò estasiato.
André lo guardò sbieco: la sua vista traditrice era ancora offuscata, ma non aveva bisogno di vederla coi suoi occhi quell’espressione, per cominciare a ribollire.
-    Leva quel ghigno dalla faccia, o potrei decidere di farti pagare il “biglietto” – disse mostrandogli il pugno.
-   Tranquillo, amico! … Sto solo ammirando un’opera d’arte! – disse ridendo. E si mosse per passare ad Oscar ed al capitano che l’aveva raggiunta, seduti cavalcioni sul trave del colmo, i pali da collocare come trama ed ordito per il tetto.

André si rassegnò a starsene buono, cominciando a frugare nel cesto del pranzo, seduto sull’erba, mentre lei svolgeva il lavoro che sarebbe toccato a lui.
Forse era il caso di parlare con qualcuno del suo occhio, parlare seriamente.
Il pensiero di diventare un uomo inutile ora che la vita aveva preso la piega desiderata, gli stava diventando ancor più intollerabile.


***

I lavori erano andati avanti veloci, aiutati dalle belle giornate e dall’entusiasmo. Tra sette, dieci giorni al massimo, non sarebbe stato tutto perfettamente finito, ma almeno abitabile.
Avevano posato il tetto in paglia della stalla: leggero, impermeabile, isolante dal freddo e di facile sostituzione in caso di bisogno. Ormai era quasi tutto pronto per ricevere i pensionanti a quattro zampe
Scott sentì lo sguardo posarsi sulle sue spalle, mentre finiva di raccogliere gli attrezzi.
-    So cosa state per chiedermi.
-    Quindi sapete già cosa rispondermi? – scherzò André.
-    Una volta al mese, a Saint John passa un medico che potrebbe dare una controllata al vostro occhio. Non avete nulla da perdere. Ho avuto compagni d’arme con il vostro medesimo problema e non hanno perso completamente la vista. Non avete mai incontrato uno specialista?
-    Mi era stato consigliato dal mio medico, ma … non ne ho avuto il tempo.
-  Non preoccupatevi. Potrebbe non essere così grave. E comunque, l’incertezza non vi aiuta. Vi accompagnerò io stesso, André.
-    Grazie. Grazie di tutto, Scott.
Il capitano gli si avvicinò e, con un largo sorriso, posò una mano sulla sua spalla.
-    Io ringrazio voi ed Oscar. Da quando il colonnello si occupa dei miei figli, mi sembra di esser tornato alla vita!
Risero, cominciando ad avviarsi a piedi verso Baker Manor.

***

-    Ho un certo appetito… - se ne uscì Alain mentre con André si rinfrescava al lavatoio vicino alle scuderie dei Baker dove avevano finito di accudire le bestie.
-    Tra un ora si cena.
-    L’altro appetito.
-    Oh…
-    Penso andrò giù al villaggio, alla locanda dei pescatori a guardarmi un po’ in giro…
-    Alain...
-  Lo so, lo so… Non devo fare a botte! Non aspettatemi per cena e, se sarò fortunato, ci vedremo a colazione. – esclamò strizzando un occhio.

Dopo pochi minuti, André lo guardò allontanarsi a cavallo, augurandosi che, almeno per quella sera, Alain sarebbe riuscito a trattenersi dall’alzare troppo il gomito, con tutto ciò che normalmente seguiva. Quindi si avviò verso la villa per cambiarsi e mettersi in ordine perché era sabato e lo aspettava una serata di “quasi fine lavori”.

-    Alain non sarà dei nostri!- annunciò entrando nel salone dove già lo attendeva Oscar coi padroni di casa.
-    Non si sente bene? – si preoccupò Virginia.
-    Esattamente l’opposto, temo… -
E non ci fu bisogno di altre spiegazioni. Ormai il soggetto era stato inquadrato e catalogato.

La cena fu veramente rilassante e pure silenziosa, mancando tutti i “bambini”, compresi quelli piccoli che ora andavano a letto presto, sorvegliati dalla loro inflessibile istitutrice.
Virginia aveva attaccato con domande sulla moda francese per signora e André, vero esperto se paragonato ad Oscar, la stava accontentando con tutto quanto gli veniva in mente. Le assurde, ma anche divertenti eccentricità della corte di Versailles avevano finito con l’animare la serata, portando i loro ospiti all’ilarità quasi scatenata quando, poco prima di dare l’assalto alla torta di mirtilli, udirono sbattere l’uscio e dei passi di corsa.
Tutti si agitarono udendo Alain gridare “comandante”.
Il gigante entrò tutto trafelato. Nella mano stringeva un giornale.
-    Comandante … - disse ancora.
Oscar capì che si trattava di qualcosa dannatamente serio se la chiamava così.
Si alzò da tavola.
-    Comandante … - ripeté Alain e con le lacrime agli occhi le porse il foglio.
Oscar cominciò a camminare per la stanza, mentre lo leggeva e piano si portò la mano alla bocca, poi alla fronte.
-    Che c’è? Cosa dice? Che è successo? – chiese André alzandosi anche lui.
Alain si era seduto a tavola e si stringeva il capo con entrambe le mani.
-    La Bastiglia …. – mormorò Oscar, incredula – La Bastiglia è caduta. Undici giorni fa. A Parigi c’è stata una rivolta…
-    No, - rettificò Alain – è iniziata la rivoluzione.
Si misero a leggere tutti insieme le notizie ancora incerte e frammentarie.
Dicevano che a guidare la rivolta c’erano anche dei soldati della Guardia Francese. Che c’erano stati parecchi caduti tra gli assedianti. Che era stata una strage. Che i sette prigionieri per reati comuni erano stati liberati…
- Carta e penna!… - chiese Oscar. – Dobbiamo scrivere a Bernard.


***

Oscar guardava il mare nervoso di quel giorno d’agosto zeppo di nubi, seduta su una roccia messa lì dal caso; una specie di palco riservato per quell’opera magistrale, spettacolare,  messa in scena dall’onnipotente ogni giorno.
Guardava il mare, l’orizzonte, e guardava André impegnato ad accudire i loro cavalli, poco più in là.
Le dispiaceva di non esser stata laggiù, alla Bastiglia, coi suoi uomini. Ma non si sentiva una vigliacca, per questo.
No. Sapeva di essere esattamente dov’era giusto che fosse: con lui.
Stava con lui dopo una attesa interminabile. André meritava un poco di serenità.
Qualunque cosa avesse risposto Bernard, il suo posto era lì.
Di certo, la Francia le sarebbe sempre mancata e soprattutto ora che le cose stavano per cambiare.
Di sicuro le sarebbe mancata Nanny,Arras, perfino la sua famiglia al completo.
Perfino la scintillante Versailles e la vivace Parigi.
“Quindi? “
Quale era il lato positivo dell’Inghilterra?
Guardò André che liberava i loro cavalli e la nuova fattrice. “La prima di tante”, aveva detto lui.
Cominciarono a correre, tra loro, senza allontanarsi.
André li seguiva con lo sguardo, perso nei loro movimenti così vivi, così liberi.
“Il lato positivo? E’ questo tempo uggioso, che non mi fa vergognare della voglia che ho di trattenerti sotto le coperte.
Di cercare il calore delle tue braccia durante la giornata, di cercare il tuo corpo ogni notte.
Ti piace questo lavoro. Finalmente sei te stesso.
Anche l’occhio sembra migliorare. Quell’occhio che sì, un giorno si spegnerà, ma non così presto come temevi.
E pure la mia maledetta tosse comincia a darmi tregua.”

Pensò fossero lati sufficientemente positivi, mentre André si avvicinava sorridendo, con quell’aria un po’ distinta conferitagli dagli occhiali, e veniva a sedersi accanto a lei, per ammirare in silenzio quello spettacolo esclusivo, mentre la luce calava su quel primo giorno a casa loro.


- continua


1) Woodpecker=picchio
2) mi sono sempre domandata perché titolare la storia (anche il film) “Lady” visto che parla di una francese in Francia… boh! Comunque qui "lady" ci sta bene.





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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


IL MIO DOVERE cap. 6
IL MIO DOVERE Cap. 6


settembre 1789

Quel sabato sera, Alain parlava eccitato dell’abolizione dei diritti feudali, della fresca “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” (1) e ripeteva anche un po’ troppo che gli sarebbe piaciuto essere stato presente a quel momento storico, con un entusiasmo che dava da pensare; ciò nonostante il dolore provato nello scoprire fra i caduti del 14 luglio, diversi amici della Guardia Francese.
Ora sembrava proprio che il Re credesse nel compromesso e si era anche appuntato la coccarda simbolo dei cambiamenti, diceva Alain: il rosso ed il blu della città di Parigi, insieme al bianco della monarchia.
Foster lo ascoltava interessato. Era arrivato al mattino portandosi appresso la posta ricevuta, i giornali delle ultime settimane e le indiscrezioni che correvano nei pub.
Sebbene aristocratico e monarchico convinto, non vedeva che del bene nel passaggio ad una monarchia costituzionale, come già era successo in Inghilterra. La corda dell’assolutismo era troppo tesa e, con una certa saggezza, riconosceva che sarebbe stato più salutare per il fragile Luigi, allentare un po’ la presa ed andare incontro alla borghesia.
Sì, sembrava che le cose stessero davvero cambiando in Francia, anche se un po’ troppo velocemente e troppo violentemente.
Scott aveva partecipato poco alla discussione. Pareva in ansia per altri pensieri e continuava a lanciare occhiate alternate alla moglie e ad André.
-    André, vi dispiace seguirmi un attimo nello studio? Ho dei documenti che vorrei mostrarvi! – disse Scott all’improvviso, cogliendo una pausa nella conversazione, a fine cena.
-    Sì, certo.
Entrati che furono nella stanza, il capitano chiuse la porta alle loro spalle.
-    I documenti sono un pretesto, vero?
-    Volevo parlarvi di una faccenda delicata e spero la prenderete con spirito.
André gli fece cenno di proseguire. Ma Scott pareva esitare, in imbarazzo. Prese dalla scrivania la scatola dei sigari, ne levò uno e o invitò a fare altrettanto.
André, pur non essendo un appassionato fumatore, pensò non fosse il caso di rifiutare. Accettò il sigaro che gli veniva offerto e lasciò che Scott glielo accendesse.
Dopo un paio di tirate che contribuirono a rilassarli, André parlo.
-    Devo preoccuparmi?
-    No, André, è solo … una sciocchezza, vi assicuro. Una cosa talmente ridicola che … - cominciò a passeggiare nervosamente – Vi assicuro che per me non è un problema, ma … mia moglie! André, mia moglie mi dà il tormento, per questa faccenda! E vi assicuro che pare così piccola, indifesa e…,  ma quando vuole essere opprimente, lo sa Dio se ci riesce bene!
André trattenne un sorriso. Sì, un’idea ce l’aveva, visto che da subito quella donna gli aveva ricordato Nanny.
-    Quale sarebbe la “sciocchezza” che disturba Virginia?
-    Non siete sposati! Ecco, l’ho detto! Continua a domandarsi perché non siete ancora sposati. Vi prego, non offendetevi, porgo questa domanda solo perché obbligato, ma, insomma, vivete da marito e moglie, è chiaro che amate Oscar e, ora che non ci sono più ostacoli… Insomma … Scusate … - disse ancora, affranto.
André tirò un leggero sbuffo di fumo, sorpreso ed un po’ spiazzato.
-    A dir la verità, ecco … Gliel’ho chiesto, ma … non mi ha mai risposto. – disse.
-    Quante volte glielo avete chiesto, se posso?
André spalancò gli occhi in una muta, esplicita risposta.
-     Una volta? Una volta sola! – esclamò incredulo Scott. – Per tutti i … André,  volete farmi credere che le avete fatto una sola proposta e vi aspettate che lei vi risponda!?
André pareva sempre più disorientato.
-    Mio buon André… Posso chiamarvi così, sì? André, non potete essere davvero così… così ingenuo da credere che lei non stia aspettando qualche altra mossa da parte vostra! – andò alla vetrinetta dei liquori e, sigaro in bocca, ne trasse la bottiglia dello scotch con due bicchieri, che riempì senza chiedergli se ne volesse, e glielo offrì, deciso, come se la situazione richiedesse necessariamente del coraggio liquido.
-    No,  voi Oscar  non la …
-    Conoscete? Credetemi: è una donna! Non la conoscerete mai, se non dopo il matrimonio e, sinceramente, credo che pure in punto di morte riescano ancora ad avere segreti per noi … Me lo dicevano i parenti, me lo dicevano gli amici ed io non avevo dato peso alla cosa, ma… avevano ragione! – lo spinse giù, seduto su una poltrona. – Ora spiegatemi come avete presentato la proposta!
André lo guardò sbiancando appena.
-    Beh, a dir la verità, non è stata una vera proposta … Io, l’ho dato per scontato … - e spiegò brevemente quanto accaduto nella notte della fuga.
-    Vi parlo col cuore in mano, André. Se non farete chiaro nel vostro animo, prendendo una decisione, aspettatevi tempeste in arrivo. Bronci, scrollate di spalle e mal di testa improvvisi… Credetemi, André: ho visto come Oscar vi guarda. Lei vi ama. E presto o tardi, vorrà di più da voi.

Due colpi leggeri alla porta li fecero scuotere.
La voce di Virginia li avvisava che il dolce era servito, quindi si alzarono ed in silenzio tornarono ai loro posti in sala da pranzo.

André si accomodò accanto ad Oscar, leggermente turbato e la guardò.
Rideva, la sua Oscar, alle battute di Foster e di Virginia.
Scherzava, la sua Oscar, rispondendo alle frecciate di Alain, e mangiava piano la torta, a piccoli bocconi.
Insolitamente delicata e bella come mai, era Oscar.
Sì, non gli  era mai parsa tanto bella come in quel momento, la sua Oscar.
La sua Oscar, in realtà non ufficialmente sua.
Era un vigliacco!
Perché non le aveva parlato chiaramente, direttamente, dopo quella notte?
Si era contentato di quel che lei gli aveva offerto.
Lei aveva fatto il primo passo, lui aveva solo risposto.
“Perché non ci riesci ad essere uomo fino in fondo con lei?”, si disse.
Oscar si sentì osservata.
-    Non mangi la torta? E’ deliziosa… - gli disse, notando lo sguardo perso su di lei.

André chinò il capo. Un impercettibile sorriso spuntò sulle sue labbra, insieme alla consapevolezza ed al coraggio.
Armeggiò nella tasca interna della giacca e ne trasse un cerchiolino d’oro che da un po’ stava nascosto lì.
Forse da un po’ troppo.
Tutti smisero di ridere mentre, in silenzio, lui si voltava sulla sedia verso Oscar e traeva un respiro lunghissimo, come se stesse per immergersi in acque profonde.
Oscar spalancò gli occhi per la sorpresa, mentre Virginia esalava un appena percettibile “Ohhh…” nel silenzio totale.
Lei depose le posate ai bordi del piatto, deglutendo; si pulì le labbra col tovagliolo che posò accanto al bicchiere e lentamente si volse verso di lui.
André non aveva distolto un istante lo sguardo dal suo viso. Quando i loro occhi furono allineati, sollevò il prezioso cerchietto tra loro.
-    Questo oggetto è la sola cosa che rimane, a parte me, del legame tra i miei genitori, del loro impegno ad una vita insieme, del sentimento che ha portato alla mia nascita. Non ho null’altro di loro: niente ritratti, niente medaglie, nessun albero genealogico secolare, niente averi… Detto questo … - fece una pausa, mentre lentamente si faceva scivolare dalla sedia, portandosi in ginocchio davanti a lei, sedendosi sui talloni. Prese la sua mano sinistra ed avvicinò la fedina.
-    Detto questo … - ripeté, mentre Virginia estraeva un fazzoletto dall’incavo dei seni e lo mordicchiava senza trattenere le lacrime – domando a te, Oscar François De Jarjaies, Contessa di Arras, Colonnello di Sua Maestà Luigi XVI, Cavaliere dell’Ordine di San Luigi (2) e … spero di non aver dimenticato niente, perché non voglio ci siano dubbi riguardo a chi sto facendo questa proposta …, - bisbigliò con un sorriso – A te, amore della  mia intera vita, vuoi sposarmi?
Oscar annuì impercettibilmente, prima ancora che lui avesse terminato.
Tutti i commensali si sporsero in avanti.
-    Pensaci bene, Oscar, perché non permetterò mai a nessuno di toglierti questo anello. Fosse anche Luigi XVI in persona… - mormorò.
-    Sì – disse piano e, girandosi verso gli altri che si sporgevano sempre più per ascoltare, ripeté con tono più alto:  – Sì, gli ho detto di sì!

Un coro di acclamazioni si levò mentre André le infilava l’anello all’anulare, a quel dito collegato direttamente al suo cuore (3) e, afferratala per la cravatta, la trascinava giù dalla sedia, dritta sulle sue labbra in un bacio forse anche troppo audace per il momento.
Scott non poté trattenere un indelicato “Ah, però!” di commento, ricevendo una gomitata dalla moglie, mentre Foster si preoccupava di colmare i calici per i brindisi.
Alain corse verso l’amico, che si rialzava con Oscar ancora stretta a lui.
Lo agguantò per le spalle, li separò malamente ed abbracciò André, scompigliandogli i capelli.
-    Stupido romantico! - borbottò.
Quindi si volse verso l’amica e, con insolita eleganza, le fece un baciamano.

***

Oscar aveva assistito, sempre di malavoglia, a tutti i matrimoni delle sue sorelle. Ma dovette convenire che assistere all’agitazione dei preparativi e viverli, erano cose ben diverse.

Le settimane seguenti furono … terrificanti!
Virginia non la smetteva di parlare, organizzare, studiare quelle nozze, nemmeno fossero state le sue.
Quando Oscar si lasciò sfuggire, a voce alta, il pensiero “E’ solo un matrimonio…”, la vide inorridire come una pia donna davanti alla peggior bestemmia.
Oscar aveva poi cercato di ricomporre dicendo che era sempre stato suo desiderio, sottolineando “sempre” come se ci pensasse davvero da quando aveva quattro anni, sposarsi in una piccola chiesa, con una semplice cerimonia.
Virginia si lasciò ingannare dall’apparente romanticismo di quelle parole ed espose il primo problema: un edificio cattolico ed un prete.
Si sa, l’Inghilterra non era cattolica!
Ma immediatamente lo risolse, ricordandosi che a Plymouth, porto di mare, terra di migranti, c’era una chiesetta ancora consacrata, con un vecchio parroco, forse non ancora abbastanza decrepito da riuscire a sposarli con tutti i comandamenti necessari.

-    Posso domandarvi… - tentennò un giorno Virginia, mentre Oscar l’aiutava a riordinare i giochi dei bambini.
-    Dite!
-    André …
-    Sì?
-    Vi conoscete da tanto, vero?
-    Da sempre.
-    E… mai …?
-    Intendete, se sapevo dei suoi sentimenti per me?
Virginia annuì.
-    Non volevo sapere. Perché sarebbe stato tutto … difficile. Ho preferito avere poco, piuttosto che perdere ogni cosa. Lui era questo per me: tutto. Lo è sempre stato, non ho memoria di un giorno senza lui. E so che lo sarà sempre.
Raccolse una piccola giacca abbandonata su una poltrona e cominciò a levar pelucchi inesistenti, persa nei pensieri, trovando il coraggio di parlare per la prima volta di certe cose.
-    Sarebbe stato impossibile vivere insieme senza far soffrire moltissime persone. La mia famiglia sarebbe stata bollata e derisa. Mia madre e le mie sorelle, rifiutate dalla società, come appestate. Personalmente, avrei potuto infischiarmene, ma non potevo far questo a loro. La considerazione sociale, per un aristocratico, è basilare, come ben sapete. Soprattutto fra le serpi di Versailles. Avrei spezzato il cuore a mio padre, avrebbe potuto perdere i suoi incarichi …
-    Ma, Oscar… vostro padre ha…
-    Ha fatto quel che toccava ad un uomo del suo rango. E non riesco a volergliene. Le cose stavano così. Sarebbe stato troppo rischioso seguire il cuore. E ad André non ho mai detto niente.
Sorrise prima di continuare.
-    Così, invece, le Loro Maestà hanno deciso per me! Alla fine è stato un bene che non mi abbiano lasciato scelta.
Il silenzio calò su quella amara considerazione.
-    Ora che abbiamo un prete ed una chiesa, dobbiamo pensare al vostro vestito. – disse improvvisamente Virginia, abbandonando l’argomento.
-    No! No, non se ne parla! Ad André non interessano questi dettagli. Non mi metterò in pompa magna, bardata a festa con ridicoli veli, merletti, fiori … No! No, questa non sono io. E poi, lui mi vuole così come sono.
-    Su questo potrei obiettare …  - ridacchiò l’amica - Gli uomini sono bravissimi a nascondere la verità. Dicono che non gli importa se hai messo ciccia, se hai il petto floscio, se sei stravolta dai figli, se hai il mal di testa … Poi li scopri a far gli occhi dolci alla giovane e perfetta moglie del vicino…
Notò lo sguardo dubbioso di Oscar su di lei.
-    Naturalmente, non sto parlando di me… - negò con decisione, forse troppa.
Oscar annuì comprensiva.
-    Scusate la mia curiosità, Oscar ma …Avete mai indossato un abito femminile?
Lei si bloccò, indecisa se mentire spudoratamente o ammettere quell’unica debolezza e subire le conseguenze. Chiuse gli occhi, sbuffando ed arrossendo a quel ricordo.
-    Una volta …
-    Davvero! E com’era?
-    Lui?
“Ops… “
-    Il vestito! – esclamò, consapevole della grossa gaffe – Com’era il vestito!… Oh, ecco … - si strinse nelle spalle, cercando di farsi passare per disinteressata. – In broccato di seta, bianco, ricami azzurro e argento…
Virginia annuiva e la scrutava.
-    E lui?
Ecco, era al muro! Oscar proprio non ci sapeva fare nel gioco del pettegolezzo.
Cercò qualche termine che potesse descrivere brevemente Fersen, in modo da porre fine velocemente all’interrogatorio.
-    Disinteressato. – disse.
E la mente pensò a quella sera, ma non a Fersen. Riaffiorarono le immagini della sala, le luci, la musica… Pensò a quell’ abito frusciante, leggero e pesante ad un tempo, ai ricami che ricordava fin troppo nei dettagli per essere qualcosa che non la interessava. Pensò ai lacci stretti, al corsetto che le impediva di respirare. Immaginò mani non sue, mani maschili, intente a slacciare quei lacci, a far scorrere la seta lungo il suo corpo, nella penombra e nel silenzio di una camera da letto; ricordò la sensazione provata per quel corsetto che si apriva liberando i seni … E pensò, perché aveva deciso di riservare tutto questo a Fersen, mentre ora lo rifiutava ad André?
Forse André davvero non faceva caso a queste cose, anche se, a ben pensare gli sguardi che ogni tanto gli aveva visto lanciare in giro durante i ricevimenti e le battute bisbigliate e ridacchiate con Alain e gli altri soldati, lasciavano intendere il contrario.
Ma lei? davvero voleva rinunciare a quel rito di seduzione?
-    Va bene! – si arrese all’improvviso – Vada per il vestito, ma solo ad una condizione … Deve essere bellissimo! E soprattutto, …complicato…



*** continua


1)    “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” (26 agosto 1789)
2)    ordine di San Luigi è l’onorificenza a forma di croce che Oscar portava sempre sull’uniforme, come il vero Jarjayes
3)    una volta si credeva così


Il capitolo 6 ,  “dolciastro”, l’ho diviso perché stava diventando davvero troppo lungo a furia di ritocchi. Non è una bella divisione, ma era la meno peggio. La seconda parte sarà più lunga.
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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


IL MIO DOVERE cap. 7 IL MIO DOVERE - Capitolo 7



9 ottobre 1789, venerdì

Plymouth era il solito fermento. Chiassosa e vivace come la ricordavano.
Avevano preso accordi per lettera con il parroco, prenotato due stanze alla locanda.
Virginia, che non poteva essere presente insieme a Scott alla cerimonia, aveva strappato loro la promessa che, la vigilia delle nozze non l’avrebbero trascorsa nello stesso letto.
Quindi André si era rassegnato a dividere la stanza col logorroico testimone di nozze.

- Grazie al cielo è l’ultima volta che divido una stanza con te! – esclamò il moro spazientito.
Ma si pentì d’averlo detto.
Alain aveva preso una combattuta decisione, che non era stata esattamente una sorpresa per loro.
“Voglio tornare in Francia”, aveva detto una sera a cena.
Si erano aspettati un simile annuncio da lui, visto il suo continuo parlare della Rivoluzione in corso.
Erano preoccupati che gli potesse accadere del male, visti i continui fatti di violenza che si verificavano nel loro Paese. Ma un po’ lo invidiavano: lui avrebbe rivisto Parigi.
Così, mentre organizzavano il matrimonio, Alain aveva prenotato un passaggio in nave per Le Havre.
Sarebbe partito la sera dell’indomani, dopo aver visto i suoi amici legarsi per sempre con un atto formale e pubblico.
Il vero schiaffo alla loro disuguaglianza di rango!
Alain, più eccitato dello sposo, non aveva dato peso alle parole appena pronunciate da André.
- Ci pensi? Domani a quest’ora sarai un uomo sposato in procinto d'affrontare la sua prima notte di nozze!
- Alain, non è la mia prima notte con lei …
- Ahh, no, è diversa! E’ la prima da uomo col guinzaglio! Se non hai capito questo, non hai ancora capito niente di donne.
- Ho come l’impressione che vorrai delucidarmi in merito… - mormorò l’amico.
- A che pro? Ormai è certo: sei un caso disperato! Ma la bionda è la cosa migliore che ti potesse capitare… Voglio dire, se devi essere schiavizzato, chi meglio di lei per farlo?
- La tua approvazione mi è di grande conforto … - borbottò André con voce stanca.
- Figurati, è un piacere!
E andò avanti a blaterare non accorgendosi che André si era già addormentato, esattamente come faceva ai tempi della loro convivenza in caserma.

Nella stanza accanto, Oscar aveva scartato l’involto datole da Virginia, contenente il suo abito da sposa confezionato da una sarta di Saint Paul.
Era bello, niente da dire. Non era bianco. Anche su questo Virginia era stata intransigente.
Era un po’ ferrea su certi argomenti…
Carezzò il broccato avorio, lucido ed opaco, chiaro e scuro, proprio come era stata la sua vita; come le due metà di sé: quella maschile voluta dal padre e, nonostante tutto, quella femminile, lì, sotto pelle, relegata nel profondo, ma viva e fremente.
Sfiorò i ricami dorati, i leggerissimi merletti, i numerosissimi laccetti di seta, la fila quasi interminabile di piccoli bottoni. Sul velo erano state appuntate rose in tinta, con foglioline dorate, tutto molto delicato.
Quel pomeriggio si era recata da sola a ritirare un acquisto fatto per lei da Virginia
, via posta, in un rinomato negozio di abbigliamento per signora e … ora guardava perplessa quegli indumenti, arrossendo un poco.
Aveva preso accordi con la cameriera della locanda per farsi aiutare il mattino seguente ad indossare tutte quelle cose.
Scostò le scatole ed i pacchi nel lato di letto dove la notte seguente avrebbe trovato posto André.
Si lasciò cadere sulla trapunta fissando il tessuto scadente del baldacchino, ma senza vederlo.
“Madame Grandier…”
Era stato naturale alla fine dirgli di sì.
Pensò che sua madre ne sarebbe, tutto sommato, stata comunque contenta.
Sposare anche se un “servo”, significava che il generale aveva fallito, che la sua follia si era rivelata in tutta la sua assurdità, che la natura era quella, che Oscar ci si era … adeguata.
“Adeguata…Madame Grandier … Per sempre … “
Mai più duelli, mai più comandi, … mai più privilegi.
Solo una donna, una moglie, … l’ombra di un uomo.
“Per sempre”, ripeté ancora nella sua testa.
“Che parola … definitiva.”
Allungò una mano sulla parte vuota del letto.
Chiuse gli occhi.
Sospirò.
“ Per sempre … Con André!”
Sorrise.

***

- Polly! Polly! – strillava il proprietario dell’albergo
- Scusate, milady … Non posso proprio restare ad aiutarvi! –
- No! No, aspetta! – si oppose Oscar tentando di trattenerla. Ma la ragazza era già scappata fuori.
“Accidenti! Ed ora? “
Non le era garbata questa cosa di doversi fare aiutare, ma era una scelta forzata. Quel tipo di abiti non erano creati per essere indossati con le proprie mani, come non dovevano essere levati in solitudine. (1)
Guardò i regali di Virginia che aveva già indossato: sottoveste, calze, giarrettiere e … le culottes…
A sentir Virginia e la padrona del negozio, erano la cosa più osé del momento. Non era stato un problema indossarle anche se erano fastidiose e pizzicavano dappertutto.
Erano decisamente trasparenti e impalpabili, una fragilissima versione dei pantaloni che indossava da una vita.
Si passò le mani addosso e sorrise soddisfatta mentre immaginava quelle di André sullo stesso percorso.
Le calze: bianche con delle giarrettiere a fili d’oro. Aveva posato il piede sulla poltroncina mentre le indossava e fermava la giarrettiera con un fiocco al nastro, poi era rimasta a rimirarsi la gamba nello specchio.
Che le stavano proprio bene, poteva dirselo da sola.
Va bene, doveva ammetterlo … Come uomo era stata perfetta, ma come donna … era da invidia!
Certo un po’, tanto anche, continua a sentirsi ridicola nel ruolo, ma … si trattava di André.
Ed ora?
Quel che poteva fare da sola, lo aveva fatto.
Si era acconciata i capelli ed era abbastanza soddisfatta.
“Culottes, calze, giarrettiere e sottoveste, … tutto a posto. Ma il corsetto e l’abito? “
Da sola non ce l’avrebbe mai fatta.
Aveva provato ad indossare il rigido busto, ma neppure una contorsionista circense sarebbe riuscita ad infilare i lacci per bene e tirarli come andavano tirati sulla schiena.
Qualcuno bussò alla sua porta.
- Chi è? – chiese esasperata dai vani tentativi.
- Il testimone che viene a vedere a che punto è la sposa più bella d’Inghilterra … e anche di Francia!
- Alain, non farmi perdere tempo! – intimò.
- Qualche problema?
- Non che tu possa risolvere… - borbottò.
- Sicura? Posso entrare?
- No! No che non puoi, accidenti!
- Cosa?! Non sei ancora vestita! – intuì e spalancò la porta senza attendere il permesso.
- Ma porc ... Alain!
Oscar afferrò al volo la veste da camera, poggiandosela davanti, ma nascondendo poco comunque.
- Fuori. Subito! – sibilò.
Ma Alain, lungi dal farsi spaventare dal suo ex comandante in sottoveste, chiuse la porta alle sue spalle.
- La situazione mi sembra drammatica, capo.
- Lo sarà di più quando ti avrò staccato un arto! – gli ringhiò.
Sbuffò esasperato.
- André è già giù ad aspettare. Fammi vedere cosa posso fare…
- Ma non pensarci nemmeno!
- Andiamo… Ho sempre aiutato io mia sorella! Non sto scherzando, posso aiutarti. Allora? Orgoglio o matrimonio? – disse mimando con le mani i due piatti di una immaginaria bilancia.
Maledizione alle domande stupide!
- Ma non guardarmi!
- Certo certo …Userò il tatto per guidarmi! – disse scanzonato, agitando le dita come minaccia.
Oscar sbuffò rassegnata e si voltò dandogli le spalle. Lanciò la veste da camera sul letto e riprese il corsetto, tenendolo con una mano sul ventre, il dietro slacciato.
Lui si mise subito all’opera e davvero sapeva cosa fare. Infilava con perizia i lacci nelle asole, senza sbagliare e tirando tutto con delicata precisione.
Pian piano il corsetto si stringeva sopra la leggera e, in quel momento, lì con lui, troppo trasparente sottoveste; l’armatura rigida spingeva i suoi seni verso l’alto, sensuali e sfrontati.
- Non dovresti vedermi così, tu. – mormorò Oscar, in imbarazzo sentendo i suoi polpastrelli sfiorarle la schiena, ma abbastanza tranquilla, nonostante i leggeri brividi involontari dovuti al suo tocco.
- Sto tenendo gli occhi chiusi … – mentì lui, intento a non sbagliare asola.
- Sì, certo…
- Aiutavo sempre Diane … - sussurrò con un pelo di tristezza che però spazzò subito dalla mente e dalla voce - Ma …a parte lei, non sei comunque la prima donna che aiuto a vestirsi. – esclamò deciso - Anche se, ad esser sincero, sono più abile nelle …svestizioni !… - ridacchiò non volendo perdere la reputazione di monello.
- Alain, non è il caso!… - lo riprese severa.
- Paura? – chiese dando una strattonata che la fece vacillare tanto da doversi tenere al baldacchino del letto.
- Ma che dici! – rispose con troppa veemenza e poco fiato.
Lui ghignò.
- Beh, un po’. – ammise allora - Non so che fare … Non sono stata cresciuta per fare la moglie. Sto per fare un salto nel buio! Se lo deludessi…

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- Non accadrà mai. Lo so io e lo sai tu. Lui ti ama come sei, anzi, proprio per quella che sei.
- Sì… finché cucinava sua nonna …
Risero.
- Beh, magari dovrai compensare impegnandoti sull’altro fronte matrimoniale… - commentò malizioso, un po’ troppo vicino al suo orecchio, tirando più forte i lacci in vita.
- Alain…- lo rimproverò.
- A me basterebbe.
- Sì … ti credo…
- Voilà!… - esclamò legando le due estremità - Ora la gonna ed il corpetto!
E si voltò per consentirle di indossare velocemente la gonna, in modo poco formale, per non badare troppo ai movimenti imbarazzanti che portavano i capezzoli a spuntare appena dal corsetto e dalla sottoveste.
- Fatto! – lo avvisò lei.
Alain cominciò ad allacciare bottoncini e stringer legacci anche su quella nube di broccato avorio e fili dorati.
- Uno un po’ meno complicato non c’era? Finirà con lo strappartelo di dosso … – commentò attento a non sbagliare occhiello.
Oscar sorrise immaginando una variante più piacevole di qualcosa già vissuto.

La lasciò sola a darsi gli ultimi ritocchi e scese per avvisare André che poteva precederli in chiesa.
- Ormai, ci siamo! E non si torna indietro! – aveva esclamato spingendolo fuori dalla locanda.

Alain rientrò nella camera di Oscar e restò senza fiato, guardandola sistemarsi il velo davanti allo specchio.
- Cosa c’è? – gli chiese vedendolo commosso.
L’ultima volta che Alain aveva visto un abito da sposa era addosso al cadavere di Diane.
Vedere Oscar così luminosa, gli spazzò finalmente via quel ricordo orribile.

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- Sei bellissima … -mormorò incredibilmente serio e sincero. – Andiamo? C’è un uomo molto nervoso che ti attende ad un altare.
Le porse la mano nella quale lei posò la sua guantata.

***

Entrare in chiesa le fece uno strano effetto.
Era sempre stata guardata in malo modo, per quel suo “vizio” di vestire da uomo, anche se lei era sempre stata convinta che fosse più un problema per i rappresentanti ecclesiastici più che per Dio.
Probabilmente avrebbero tuonato contro di lei anche per quelle culottes in mussola di seta, leggerissime, degne davvero di donne dai facili costumi. Prima le erano sembrate solo fastidiose, lì fra le cosce, come mai avevano fatto i pantaloni, ma ora camminando verso il suo sorridente André, nel suo “complicato” abito da sposa, si sentiva sempre meno soldato e sempre più donna.
Sorrise pensando a come poter confessare quella sensazione, alla prossima volta in un confessionale… Forse con quel prete lì davanti a lei, che era stato fin troppo comprensivo: si era presentata in abiti maschili, si era raccontata dall’inizio alla fine ed ora non la stava guardando male mentre percorreva la navata al braccio di Alain.
Quel matrimonio non sarebbe stato un contratto tra due famiglie, tra due patrimoni.
Stava prendendo André, lui, non i suoi averi, non un titolo: lui, solo lui per la vita.
E gli giurava, con qualche segreta riserva, l’obbedienza richiesta ad una moglie nei confronti del marito.
Rinunciava al nome dei Jarjaies affinché André potesse darle il suo.
Rinunciava al nome di suo padre, per prendere quello di un marito.
Anche questo era una donna.
Da quel momento, qualcuno avrebbe potuto vederla solo come “moglie di”, invece di un ufficiale, una persona… Un uomo.
Ma per Oscar quello non era comunque solo un matrimonio: era una nascita, un battesimo, una nuova vita.
Pubblicamente, forse, una vita più in ombra, ma sarebbe stato tutto più vero.


***

Tornando alla locanda per pranzare e brindare, Alain sorrise accorgendosi che André carezzava la schiena di Oscar con aria pensosa.
Stava davvero contando mentalmente i bottoncini?
L’oste li aspettava per servir loro il pranzo che avevano prenotato e, come previsto, Alain alzò il gomito; ai brindisi, da principio sensati ed accalorati, ricchi di ogni augurio possibile ed affettuose raccomandazioni, seguirono quelli infarciti della sua solita impertinenza.
Nessuno dei due sposi riusciva però a rimproverarlo.
André ragionava su quanto potevano essere “false” le sbronze di Alain. Aveva già pensato che in realtà l’amico approfittasse della tolleranza normalmente riservata agli ubriachi, per poter dire fino in fondo ciò che pensava, senza pagarne appieno le conseguenze.
Quanto gli sarebbe mancato quell’uomo invadente ed irriverente!
I due freschi sposi si guardavano ridendo, scotendo il capo e André, beh, lui con la mano sinistra continuava a tormentare i bottoncini ed i laccetti sul dorso della sua bellissima moglie, tra un boccone e l’altro.
- Ai miei amici! – gridò Alain alzandosi in piedi e rovesciando la sedia. – Ad André, il più testardo, incosciente dei romantici! A Oscar, il soldato più bello ch’io abbia mai visto e… beh, che per un po’ mi ha fatto dubitare delle mie tendenze … eh eh… A voi, che la vostra vita insieme possa essere piacevole come il sole di primavera, dolce come… - e si bloccò a metà della frase, inarcando un sopracciglio mentre cercava un paragone adatto, inutilmente - …Che possa essere tranquilla come un …
E si bloccò di nuovo!
- Ahh! Al diavolo! L’importante è che le vostre notti siano continui fuochi d'artificio, ragazzi!
Si allungò verso André, posandogli con forza una mano sulla spalla ed ondeggiando pericolosamente verso di lui come un albero scosso dalla tempesta, arrivando a toccare con la fronte la sua.
André lo sorresse evitando che gli cadesse addosso.
- E, detto tra noi … La bionda sa come attizzarti, credimi! Non hai idea di quanto ti invidio, amico …– borbottò facendogli l’occhiolino.
André perplesso si volse verso Oscar che, si strinse nelle spalle fingendo ignoranza e sorseggiò il suo vino con ostentata indifferenza, maledicendosi per aver concesso ad Alain di aiutarla quella mattina.
Il gigante si rizzò di colpo e di colpo si sedette sulla seggiola che l’oste, ormai avvezzo a simili avventori, si era precipitato a raccogliere per infilarla sotto il suo deretano in caduta libera.
- A voi! – brindò ancora, con tono triste – Vi voglio bene, ragazzi!

Venne l’ora del commiato e, dopo essersi sincerati che Alain stesse tornando in sé e che non avrebbe rischiato di fare la traversata a nuoto, cadendo fuori bordo, si avviarono verso il porto, passeggiando con calma e chiacchierando.
In vista della nave, una evidente malinconia li colse.
- Beh, ragazzi, a questo punto credo di dovervi salutare. – disse Alain.
- Quando arrivi, scrivi! – raccomandò André che dall’uscita della locanda, non aveva smesso di cingere la vita di Oscar per un solo istante.
- Tranquilli, sarà la prima cosa che farò. Cavolo, ragazzi… Non so che dire! E’ stato bello questo periodo con voi! Ma sono certo che ci rivedremo, prima o poi.
- Ci sarà sempre un posto per te a casa nostra, Alain. – garantì Oscar.
L’omaccione sorrise, più commosso di quanto volesse far credere.
All’improvviso, super eccitato, prese la testa di André tra le mani
- Stupido pazzo innamorato… Ce l‘ hai fatta! Ce l’ hai fatta! – gridò ridendo.
E prima che qualcuno potesse prevedere le sue intenzioni e fermarlo, acchiappò la sposa per la vita e le stampò di prepotenza sulle labbra un bacio assolutamente non casto.
- Ehi!!!
- Ahh!… piantala di lagnarti, André! Se io fossi un re, potrei pretendere il “diritto di prima notte” (2), quindi datti una calmata! La vita ti sorride! – esclamò liberandola con uno scatto che la fece vacillare.
- Alain De Soisson ha terminato il suo compito di “cupido” e toglie il disturbo! – esclamò levandosi il berretto e flettendosi in un inchino incredibilmente armonioso. – Madame, è stato un piacere condurvi a questo passo e … abbiate cura del mio buon amico! – specificò strizzandole l’occhio.
Oscar fece una riverenza sentita, il suo primo vero inchino in abiti femminili, sorridendogli.
Alain scoppiò a ridere e, agitando la mano scoordinatamente, in uno dei suoi caratteristici gesti di saluto, si avviò verso la nave, cantando una canzone in francese davvero scandalosa, perfino per lui.
Poco lontano un ragazzo con dei giornali tra le mani, strillava le ultime notizie, tra le quali quelle provenienti dalla Francia.
“6 ottobre 1789: la famiglia reale obbligata a lasciare per sempre Versailles, portata a forza a Parigi al Palazzo delle Tuileries.”


***

24 dicembre 1789

La timida nevicata del mattino pareva essersi trasformata in qualcosa di più deciso e preoccupante. Oscar stava davvero cominciando cedere all’ansia. Il giorno prima, André aveva insistito per andare a St. John accampando motivi che sapevano tanto di scuse e non era ancora tornato. Era la vigilia di Natale e rischiava di essere la prima vigilia senza André. Certo, si augurava che fosse al riparo da qualche parte e non in mezzo a quel tempo da lupi. Ma augurarselo non la faceva stare tranquilla.

Sentì bussare e si alzò di scatto, in allarme.
- Sono André!
Allora uscì di corsa da sotto le coperte, senza mettersi niente addosso sopra la camicia, scalza, saltando da un tappeto all’altro per evitare il pavimento freddo.
Aprì i catenacci e lui entrò portandosi dentro l’inverno.
Scappò verso il letto e ci saltò sopra, mezza congelata, afferrando la coperta e avvolgendovisi.
- Ciao anche a te, Oscar! – esclamò lui tra l’indispettito e il divertito.
- Mi stavo congelando. – ribatté in propria difesa.
- Sì, fa un pelo fresco … Lo so perché sono ore che vado a spasso nella tempesta!
Esclamò André togliendosi il mantello zuppo di neve e sedendosi davanti al fuoco per sfilarsi gli stivali fradici.
- Il fuoco si sta spegnendo, non te ne eri accorta?
- Fa …
- … troppo freddo! Lo so. – la bloccò lui, ridendo e gettando altra legna nel fuoco. – Non cambierai mai su certe cose. E comunque … anch’io sono contento di vederti, cara! anche tu mi sei mancata tanto, cara …
Oscar sorrise per il suo tono ironico e si reinfilò sotto le trapunte.
Lui si tolse i pantaloni zuppi e gelati e la camicia. Quindi, nudo e tremante la raggiunse.
- Cosa credi di fare? … - lo minacciò vedendolo farsi appresso.
- Scaldarmi! – ridacchiò lui facendolesi vicino.
- Non provarci nemmeno a toccarmi con le manacce gelide!
- La tua preoccupazione mi commuove! – esclamò lui saltandole addosso e baciandola sul collo, infilando le mani sotto le sue ascelle calde e le gambe tra le sue gambe.
- Ahh… non…Te la farò pagare, André!
Cominciò a ridere ogni volta che lui la toccava.

E restarono lì abbracciati ad ascoltare il crepitare delle fiamme ed il soffiare del vento; mentre André si riscaldava col suo corpo caldo, accogliente ed il suo sangue ricominciava a circolare a dovere.
Poi, si udirono i rintocchi del campanile del villaggio: la mezzanotte.
- Buon compleanno … - le augurò lui.
Il suo primo compleanno lontano da palazzo Jarjayes.
Il loro primo Natale come coppia.
- … e Buon Natale a te - ricambiò lei volgendo il viso verso di lui.
Si baciarono.
Dopo un attimo, lui la frenò.
- Visto che siamo svegli,… posso già darti il mio regalo.
Si sfilò dall’abbraccio ed uscì dal letto.
Oscar lo seguì con lo sguardo, mentre andava alla bisaccia che aveva deposto insieme agli abiti zuppi.
Ne estrasse un involto e glielo porse.
Oscar guardò il regalo, esitante mentre si rizzava seduta.
- Cosa c’è?
- … Io non ti ho preso nulla …
Mormorò, triste di vergogna.
- E’ per il tuo compleanno, non per Natale! Dai, apri! - la incitò.
Oscar prese il piccolo pacco.
Cominciò a scartarlo piano.
Era un piccolo cofanetto di ceramica, con disegnate delle rose di tanti colori. Bellissimo!
- Aprilo! … - la spronò Andrè, forse più eccitato di lei.
Oscar sollevò delicatamente il coperchio.
Musica!
- Un carillon! … è bellissimo, Andrè! – esclamò incredula.
- Un pianoforte, non possiamo ancora permettercelo!
Si giustificò sorridendo, sebbene non ci fosse alcunché per giustificarsi.
Oscar depose l’oggetto in grembo e si coprì il viso con le mani.
- Ehi ehi ehi! … Che succede al mio colonnello!
Disse lui inginocchiandosi al bordo del letto, cercando di guardarla in viso.
- Non ti ho preso nessun regalo … - mormorò ancora lei.
André rise.
- Senti, … io ho già un’idea del regalo che vorrei... – disse prendendole una mano.
Toccò ad Oscar ridere.
- Non è un regalo, quella cosa che hai ogni giorno – obiettò maliziosa.
- Sempre a pensare a “quello”! – la riprese lui – Dai, alzati!
Disse tirandola.
- Cosa?
La trascinò fuori dalle coperte, in piedi, lì sul tappeto.
- Voglio fare una cosa che insieme non abbiamo mai fatto …
Oscar rimase perplessa.
Prima di quella mattina al porto, pensava fosse una sola la “cosa” che restasse loro da sperimentare.
Rivide mentalmente ogni singola marachella, ogni stupida pensata che avevano escogitato e messa in opera nella loro lunga convivenza e … non riusciva a trovare niente di non provato.
Lui prese il carillon, lo chiuse e lo caricò.
Lei capì nel momento stesso in cui lui disse:
- Balla con me!
Era vero. Entrambi avevano preso lezioni di danza, ma avevano ballato solo con l’insegnante o con Nanny, mai tra di loro! …
Beh, lei aveva ballato anche con …, ma era storia vecchia.
Commossa, gli porse la mano, un po’ imbarazzata, prese il lembo della sua camicia e lo sollevò appena, accennando ad una riverenza.
André la tirò a sé, contro di sé, passandole una mano in vita. Si chinò verso il suo orecchio.
- Ma non come ballano i nobili – sussurrò – Balla con me, come ballano gli amanti!
La strinse contro il suo corpo nudo. Cominciò a muovere qualche passo e lei, fissandolo nel nero della pupilla, iniziò a seguirlo.
Giravano piano su sé stessi, con la luce delle fiamme che si rifletteva negli sguardi lucidi, alternativamente, di lui, di lei.
André la scostò piano da sé. La fece girare su sé stessa, una lenta giravolta, sfiorandole i fianchi tutto il tempo, increspando la leggera camicia di cotone.
La riattirò a sé, di spalle, contro il suo petto, carezzandole appena il ventre attraverso il cotone, baciandole il collo, leggero, delicato, caldo.


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Facendole il solletico, facendola ridere. (3)
Ancora una giravolta.
Ancora di fronte.
Le lasciò la mano solo per portare entrambe le sue sulle spalle e scostarle la camicia, sciogliere i lacci, passare il palmo sui seni sodi che mai più sarebbero stati imprigionati in mortificanti fasce.
Le mani corsero lungo la schiena, giù, fin sotto l’orlo dell’ indumento, depositandosi sulla pelle nuda delle natiche.
L’attirò a sé, contro il suo bacino, mentre le fronti si toccavano e sulle labbra si scambiavano respiri pesanti.
Con un sorriso birbante, la spinse via da sé, scivolando poi con le mani lungo le braccia, trascinando in quel gesto la camicia che le ricadde lungo il corpo, fino alla vita.
Le prese entrambe le mani… Ancora una giravolta!
Oscar non riuscì ad evitare quel pensiero, quella gelosia che la prese, pensando a quei balli da taverna che lui aveva imparato chissà dove, chissà quando e, soprattutto, chissà con chi. Solo in quel momento, si scoprì gelosa delle esperienze che André aveva sicuramente avuto.
Sapeva d’amarlo, davvero lo sapeva.
Ma in quel momento capì, prese coscienza che davvero lui era quello giusto, il solo.
Lui!
Che loro due insieme, non erano un caso.
Che quell’uomo bellissimo e meraviglioso, quando Dio o il fato, avessero deciso, le avrebbe tenuto la mano in punto di morte.
E questo perché, Dio od il fato, avrebbero dovuto concederglielo: morire per prima, perché senza di lui non sarebbe stata vita.
Capì in quel momento le parole pronunciate quella notte d’estate dal suo André. “Se mi uccidete dopo…”
Lui ci era arrivato prima a quella specie di egoismo.
Adesso anche lei.
Come una illuminazione abbagliante, aveva scoperto che l’amore faceva male, ma non poteva più farne a meno!
Gira gira …
E, improvvisamente, la trattenne lì, prigioniera delle sue stesse braccia che, incrociate sotto il seno, fungevano da corsetto, sollevandoglielo in direzione delle fiamme che giocavano con toni arancio sui suoi capezzoli.
Le baciò la guancia.
- Non credo tu ti renda realmente conto di quanto sei bella…- mormorò al suo orecchio, guardandola riflessa nello specchio sovrastante il camino.
E fu allora, vedendo loro due insieme in quello che pareva un quadro, un ritratto, che Oscar ebbe il coraggio che finora le era mancato; la consapevolezza per comprendere davvero quelle due parole che ancora mai gli aveva detto, era penetrata nel profondo della sua anima.
- André… io…
Le lasciò le mani e, con una carezza, le portò via la camicia dai fianchi.
Un calcio di Oscar e fu via anche dalle caviglie.
E disse finalmente ciò che non erano solo parole.
- Io ti amo, André…
Tentò di girarsi per baciarlo, ma lui la immobilizzò nell’abbraccio, sorridendo, tenendola stretta, dondolandosi con lei finché il suo corpo lo informò di non poter più pazientare e dovette condurla al letto.
Mentre la musica del carillon cominciava a rallentare, loro prendevano velocità per quello che avrebbero ricordato poi come il Natale più bello della loro vita.

*** continua


1) In questo periodo, il pannier che teneva gli abiti larghi sui fianchi, era già passato di moda; si usavano gli abiti all’inglese che avevano più pieghe sul dietro e sui fianchi per far volume e spesso erano allacciati davanti. Ma a me serviva una allacciatura dietro e poi … è giusto che André fatichi un po’ quando arriverà sera.
2) Ius primae noctis. Diritto alla prima notte. Non va spiegato, no? Sarebbe quel particolare "diritto" che un signore o un re poteva arrogarsi; ovvero quello di trascorrere la prima notte di nozze con la sposa dei plebei. Alain ce lo avrebbe davvero fatto il pensierino, se solo avesse potuto!!!
3) ok, lo so: tutta la scena fa un po’ “Dirthy Dancing”, ma non sono riuscita a modificarla. Per non dire che Macchia Argentata ha raccontato un Natale con regalo e ballo, decisamente più elegante del mio, nel suo “Il braccialetto”. Scusa, Macchia!!! Giuro che non ti ho copiata! Questa è stata la prima scena, insieme al finale, che ho scritto di questo mio racconto: anche volendo, non potevo più tagliarla, perché è quella del “chiarimento” nella testa di Oscar.

Una gentile lettrice (che mi strozzerà per il “gentile”, eh eh), mi ha giustamente fatto notare una grossa “imprecisione” nel capitolo precedente.
Senza addolcirmi la pillola, mi dico … ma che figura da ignoranteee che ho fatto!
“L’Inghilterra era protestante”? No, con Enrico VIII era diventata Anglicana. Siccome a me tutte queste storie di scismi e sfumature fanno venire il mal di testa, ho tagliato la testa al toro ed ho modificato la frase in: “Si sa, l’Inghilterra non era cattolica”.
Ora siete ufficialmente avvisate: non provate ad imparare la storia da me!!!
Grazie, Pry! Ti direi “baci e abbracci”, ma so che non sei il tipo e mi sa, neppure io! Ciao!




I chiarimenti sono chiariti? Spero di sì…Adesso ho bisogno di pastiglie per calare il glucosio e poi, dal prossimo capitolo arriveranno i colpi di scena… Almeno, ci proverò.
Se vi state domandando: “Ma, come? E la prima notte di nozze?”
C’era poco da dire, hanno fatto quel che fanno tutti (o quasi): erano stanchi e si sono addormentati. : )
Magari un giorno tirerò fuori una one-shot sulla prima notte, vedremo…

Grazie a tutte!


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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


IL MIO DOVERE cap. 8
IL MIO DOVERE cap 8





Marzo 1790

Mancava da quasi un mese!
André era via da casa da quasi un mese!
“Scott e la sua maledetta spalla! Scott e le sue maledette costole! Per colpa di un gioco cretino, poi!”

“Questo accade quando gli uomini si comportano da bambini”!, aveva borbottato quando André le aveva raccontato semiserio come Scott si era fatto male: spalla lussata e costole incrinate.
Proprio quando c’erano da rinnovare i contratti di affitto delle sue proprietà più a sud! E, ovviamente, gli aveva chiesto di sostituirlo, perché non poteva certo far tutte quelle miglia conciato a quel modo!

“Ridursi così per … per … Oh, signore! Per fare sesso con sua moglie!  40 anni, 3 figli e lui cadeva dal letto perché preso da smanie come un ragazzino… Da pazzi!” (1)

La verità però non era tanto l’indignazione che Oscar aveva finto, ma il fatto che le toccava rimanere senza André per un po’, proprio a fine inverno, con la giumenta gravida del primo puledro di César e…
“Va bene, senza André. Punto!”, aveva ammesso con sé stessa.
Sbuffò infastidita, nervosa, sistemando la cucina.
“Eh, Oscar, come cambia la vita quando devi arrangiarti da sola in tutto!
Quando nessuno lava, stira, cucina per te.
Quando sei stanca e devi scaldarti da sola l’acqua per lavarti, caricare il camino, la stufa, pelar le patate.”
Piegò lo strofinaccio e si poggiò al tavolo.
Per non dire che ultimamente le veniva da piangere per niente. Si sentiva stanca, irascibile e… beh, non voleva pensarci!
Sapeva solo che desiderava tanto un po’ di coccole, una cioccolata, dei biscotti appena sfornati…
Accidenti, tutto questo aveva pure un nome: Nanny!
Le mancava Nanny, con i suoi manicaretti e le sue attenzioni!
Svuotò nel secchio, la teglia coi carboncini ancora caldi, ennesimo tentativo fallito di cuocere dei muffin.

La fiamma nel caminetto in camera era ancora viva.
Oscar spense l’ultima candela e si infilò nel letto. Si rimboccò piano le coperte programmando mentalmente e con rassegnazione le cose da fare l’indomani.
Sì, c’era Jack ad aiutarla, ma la mancanza di André si sentiva.
Sospirò e chiuse gli occhi per dormire.
Aveva tanto di quel sonno ultimamente, che avrebbe volentieri interpretato una di quelle principesse delle fiabe, quelle che si addormentano ed aspettano il bacio del principe per risvegliarsi.
Sciocca, vero?
Allungò una mano sotto il cuscino di André e ci trovò la sua camicia per la notte.
Se la tirò vicino.
Quanto le mancava!
Ancora due giorni di lontananza, secondo il programma che aveva stabilito prima di partire: un’eternità!

Aveva ricevuto lettere da Rosalie e da Alain.
Pareva che le cose si stessero stabilizzando in Francia.
L’entusiasmo era tanto, com’era giusto che fosse, quando si è all’inizio di una avventura.
Certo accadevano cose davvero brutte: scontri, massacri…
La tensione coi Paesi europei era alta, la fame pure e l’Assemblea litigava costantemente su tutto.
Ma si guardava al futuro. Almeno questo era quello che si ripetevano i suoi amici.

Alain si era arruolato nella Guardia Nazionale con responsabilità di comando.
Gli ufficiali scarseggiavano, visto che solitamente quei posti erano riservati ad aristocratici e che molti avevano, per volere o per forza, abbandonato il servizio.
Il gigante aveva molto da fare e quel che gli costava più fatica era doversi trattenere dal menare le mani, visti i suoi gradi.
Ora era un uomo con delle responsabilità!
Sarebbero forse potuti rientrare, pensava Oscar.
Rivederli tutti…
Aiutarli a costruire la nuova Francia…
Certo, per lei l’esilio non era stato cancellato.
Il Re era ancora sul trono e c’erano cose più importanti cui l’Assemblea doveva dedicarsi che la riabilitazione di una aristocratica fuggita all’estero col suo “servo ribelle”.
Ma era sicura che, se lo avesse chiesto esplicitamente a Bernard, lui avrebbe trovato il modo di farle ottenere il perdono Reale e consentire loro il rientro nel Paese.
Ma avrebbero dovuto lasciare tutto.
E André stava così bene lì, lontano dall’agitazione che invece avrebbe scatenato l’adrenalina di lei.
Ma sì, perché tornare? Stavano così bene in Cornovaglia. Pace e serenità.
Sospirò chiudendo bene gli occhi, intenzionata a rilassarsi e cedere a Morfeo.
Quando …
Spalancò nuovamente gli occhi nella penombra lasciata dal caminetto acceso.
Le era sembrato di sentire un rumore .
“No, niente. “
Probabilmente era stato Jack, che dormiva nella stanzetta degli attrezzi prima occupata da Alain, pensò dopo aver teso l’orecchio.
Richiuse gli occhi.
Sentì un nitrito. Un nitrito nervoso.
Riaprì gli occhi.
Stavolta non era stata un’idea. I cavalli erano agitati.
Seduta sul letto, sfilò le gambe da sotto la trapunta e si alzò.
Qualcosa non andava.
-    Jack, sei tu? – gridò. Ma mentre attendeva la risposta, che non arrivava, stava già allungando la mano sulla giacca, posata sulla cassapanca ai piedi del letto. La indossò sopra la camicia da notte. Si diresse alla porta tendendo l’orecchio e in quell’istante, quella si spalancò per un violento calcio.
Travolta dall’uscio, rovinò a terra, in mezzo alle due poltrone antistanti il camino che separava il salotto dalla camera da letto.
Una figura si stagliava contro la notte, nella sua mano scintillava una spada.
-    Bene, il ragazzo non era solo! – esclamò.
-    Jack… Che gli hai fatto?!
-    Preoccupati per cosa faremo a te, madame – ghignò lo sconosciuto, cogliendo il suo accento francese.
Oscar arretrò strisciando verso il camino.
“Faremo”… Quindi non era solo.
Lei sì.
-    Il tuo uomo ti ha lasciata sola soletta, madame?– esclamò quello notando abiti maschili appesi all’ingresso. – Pessima cosa. Io Non lascerei un bocconcino come te tutta indifesa. – sibilò lascivamente - Aristocratica in fuga, suppongo…
Oscar riuscì ad alzarsi e a prendere la spada appesa accanto al caminetto.
Non era il caso di fare la gentile con un signorile fioretto.
-    La gattina vuole tirare fuori gli artigli! – ironizzò non temendo più di tanto l’arma nelle sue mani.
Ad Oscar sfuggì un sorriso nonostante la situazione.
“Gattina? Aspetta di sentire come faccio le fusa”, pensò.
Ma inaspettatamente, l’uomo non si fece avanti, anzi, arretrò per uscire.
L’obiettivo principale pareva aver prevalso sul desiderio palese nei suoi occhi, almeno per il momento.
Il grido di César la spaventò.
-    Che state facendo al mio cavallo! – urlò.
-    Ce li prendiamo, madame… Tutti. - replicò allontanandosi veloce verso la stalla.
Contrabbandieri, ecco cos’erano!
Banditi vigliacchi che saccheggiavano indistintamente coste inglesi e francesi.
Non poteva permetterlo! Quei cavalli erano il loro futuro!

Uscì di corsa, mossa che il bandito non si aspettava, e lo aggredì alle spalle, cadendo nel fango addosso a lui.
Si rialzò velocemente, spada stretta ed in guardia.
Altri due complici stavano portando fuori le giumente e tentavano di fare lo stesso con César.
Lo stallone bianco non era intenzionato a far portar via né sé stesso, né la sua “famiglia”.
Si impennava, scalciava forsennatamente in difesa soprattutto della giumenta gravida ed il pirata che lo strattonava non aveva potuto fare a meno di lasciare le redini, sconfitto.
Disgraziatamente l’uomo aveva pure lasciato cadere la lampada ad olio appena fuori della scuderia ed un sentiero di fuoco, piccolo ma pericoloso, stava correndo veloce verso il fieno ammucchiato nel portico.
-    Nooo! – gridò Oscar correndo in quella direzione.
-    Dove credi di andare! – esclamò l’altro rialzatosi, afferrandola per i capelli solo pochi metri dopo, sbattendola nuovamente a terra con una spinta alle spalle.
Le fiamme ormai erano alte.
Le cavalle ingovernabili.
Oscar cercava di rialzarsi scivolando scalza sul fango freddo, disarmata dalla caduta, mentre il bandito, ormai senza più voglia di far battute le si avvicinava e l’intenzione di non accontentarsi di un furto era ormai evidente da come la guardava.
Improvvisamente, accanto a lei picchiarono gli zoccoli di César.
Pareva un demonio bianco accorso in sua difesa. (2)
Gli occhi inferociti, sembravano due tizzoni per le fiamme che si riflettevano nel nero lucido della cornea.
Il cavallo la sfiorò, mentre si impennava, allontanando da lei l’uomo armato, dandole il tempo di alzarsi, raccattare la sua arma e correre dalle giumente con la sciabola sguainata.
I due delinquenti, menarono qualche fendente, ma la rabbia cieca di Oscar unita alle zoccolate delle cavalle li convinsero a gettare la spugna. Il fuoco crepitante concedeva loro poco tempo prima che al villaggio si accorgessero di quei bagliori innaturali; vigliaccamente ed opportunamente si diedero alla fuga.
Alle sue spalle, César non sembrava volersi quietare e neppure il bandito.
Agitava la spada davanti a sé, mentre il cavallo nitriva e si impennava come una furia infernale.
Una zoccolata colpì l’uomo ad un braccio e, nel medesimo istante, l’urlo faceva capire che la botta aveva spezzato un osso.
Poi un altro colpo, un altro ancora.
L’uomo cadde a terra, mentre l’animale non pareva provare pietà e si avventava di nuovo contro di lui, determinato a farla finita.
Oscar, troppo distante, si accorse della lama che era già tardi.
Il luccichio dell’acciaio scomparve mentre quella affondava nel costato di César.
Il grido dell’animale lacerò l’aria, nonostante il rumore crepitante delle fiamme; e l’urlo venne immediatamente seguito da quello dell’uomo che si vide crollare addosso la massa candida ed imponente, dalla quale venne ucciso all’istante.
Il cavallo agonizzante rotolò su un fianco, con la lama inesorabilmente calcata nel torace e tacque.

Oscar si avvicinò di corsa, incredula.
Neppure badò al corpo dell’uomo.
Gli occhi avevano lacrime solo per César.
Lacrime che cominciavano a mescolarsi alla pioggia torrenziale che era ripresa a scendere.
Si inginocchiò accanto al suo amico, compagno di una vita.
Ripeteva “no”, piano, mentre gli occhi tranquilli di lui la guardavano senza più la furia di poco prima.
Lo accarezzò piano fra le due perle nere, con una mano, lungo il collo conl’altra, sentendo la vena pulsante battere sempre più lentamente, con sempre minor regolarità, fino a fermarsi del tutto.

Fu così che la trovarono quelli di Baker Manor e del villaggio di pescatori, tutti accorsi appena avvistate le fiamme da lontano.
Abbracciata stretta al suo César, il suo magnifico César, tremante e disperata come una bambina.
Quel cavallo era stato il primo essere vivente legato sia a lei che ad André.
Lui lo aveva addestrato ed accudito.
Lei ci aveva passato la vita, giorno dopo giorno, avventura dopo avventura.

Mentre la piccola folla si occupava di spegnere l’incendio, in parte aiutata dalla pioggia violenta, Virginia si chinò alle spalle di Oscar. Passandole le mani sotto le braccia, la tirò su quasi di peso, in rispettoso silenzio, con quella delicata ma determinata energia che nascondeva dietro la solo apparente fragilità.
Oscar non oppose resistenza neppure quando Virginia la cedette all’abbraccio di Bess che si occupò di avvolgerla in una coperta e di accompagnarla al carro con cui era arrivata e dove Basil, aveva già provveduto a caricare il povero Jack ancora semi tramortito, che sarebbe stato nominato in seguito, “Jack dalla testa dura”.
Virginia guardò il marito osservare cupamente la magnifica bestia morta.
Sapeva che non potevano permettersi di sprecarne la carne.
- Non farti vedere la lei. – disse soltanto prima di voltarsi e raggiungere Bess.

***

André galoppava verso Baker Manor, pretendendo quasi l’impossibile dal suo animale che era già più che stremato.
Era arrivato al cottage che albeggiava ed il sorriso al pensiero di farle una sorpresa, tornando prima di quando previsto, aveva cominciato a scomparire già odorando da lontano il fumo.
Scorgere le ceneri della stalla che ancora spandevano intorno il loro acre puzzo, gli aveva fatto provare un terrore così intenso da sentire distintamente il cuore restringersi ed inaridirsi nel petto.
Basil lo aveva visto e si era sbracciato per attirare la sua attenzione.
Solo su poche parole del breve racconto dell’uomo si era focalizzata la sua attenzione: banditi… César … Oscar … Baker Manor.
E non aveva perso un istante.

Entrò in volata nel cortile e frenò bruscamente la povera bestia, scendendone ancor prima che si arrestasse completamente, lasciandola libera.
Irruppe nell’ingresso gridando il nome di lei ed una mano forte, spuntata alle sue spalle, lo trattenne per il braccio.
-    Calmatevi! Calmatevi, André! Sta bene ! non è nulla di grave…
-    Ma Basil ha detto che… dottore… - dovette fermarsi, per smettere di ingoiare aria e balbettare incomprensibilmente.
-    Solo per precauzione, André, ma non è ferita! Ha solo preso tanto freddo e …
-    E’ di sopra? – lo interruppe André continuando a respirare a fatica ed indicando risoluto le scale.

Scott annuì, arreso alla sua determinazione, e lo lasciò andare.
André salì i gradini tre a tre e si lanciò verso la camera che era già stata loro, travolgendo Bess nel corridoio.

Oscar, semiseduta, affondata nei cuscini e nella trapunta, stava già protendendo le braccia verso la porta, piangendo avendo udito la sua agitazione. André cadde fra le sue braccia, stringendola convulsamente.
-    Sto bene, sto bene! – ripeteva Oscar trovandolo così allarmato.
-    Fatti vedere! Cosa … - disse scostandola e stringendola per le spalle.
-    Niente, niente! Qualche livido, due sbucciature… Sto bene! – gli assicurò carezzandogli  il volto.
Ma le labbra iniziarono a tremarle.
-    César …
-    Lo so, lo so…
-    Mi dispiace, André … Lui mi ha  …Adesso cosa…?
L’abbracciò stretta.
-    Adesso niente… Non preoccuparti. Tu stai bene. Questo è quel che mi importa. Ed importava anche a César. Il resto si aggiusterà.
-    Ma la giumenta…?
-    Sta bene. Basil ha detto che il puledrino pare non aver subito danni. Il figlio di César sta bene, Oscar.
La sciolse dall’abbraccio, si stava calmando. Le prese il viso tra le mani e posò la fronte su quella di lei.
-    Sarà senz’altro un bellissimo puledrino, vedrai… Certo, - sospirò tristemente – dopo di questo, ci vorrà parecchio tempo prima di avere un altro cucciolo a casa nostra …
-    No… - esalò piano Oscar.
André si scostò per guardarla negli occhi, non capendo a cosa si riferisse.
-    Un altro è già in viaggio … - chiarì lei sorridendo, mentre la mano che si posava sul ventre non lasciava dubbi.

Lo sguardo dell’uomo si illuminò di tutte le sfumature dello stupore e della gioia.
La strinse a sé e pianse, carezzandole la schiena.
-    Ma …
-    E’ il mio regalo dello scorso Natale per te … - gli rispose, sorridendo – Ma dovrai aspettare settembre per vederlo…

***

Andrè si fermò alla villa, non volendo rinunciare a dormire  con lei, abbracciati.
Lei si era appisolata e svegliata più volte e lui era sempre lì, vigile, attento.
Nonostante fosse stanchissimo, non riusciva a dormire.
-    Hai già pensato ad un nome, tu che hai saputo tutto in anteprima? – chiese strofinando il naso nei suoi capelli, senza smettere di carezzarle il grembo.
In effetti ci aveva pensato eccome tra una nausea e una spaventosa voglia di  muffin.
Aveva pensato a nomi che le erano sempre piaciuti… Nomi che però ricordavano donne ed uomini che aveva conosciuto: per esempio, Joseph, Thomas, Axel…
Ad Oscar suonò il campanello d’allarme femminile che la metteva in guardia e che stava imparando ad ascoltare.
“Mai sollevare dubbi in tuo marito!”, diceva il tintinnio.
-    No! – si limitò quindi a mentire lei.
-    Sai, pensavo a come siamo stati accolti in questa terra. La terra di Lancillotto e Ginevra, di Tristano e Isotta, di Robin e Marian… Grandi storie d’amore, tristi ma passionali. Un po’ come la nostra, con la differenza che noi saremo felici per sempre. Pensavo, se omaggiassimo questa terra dando alla nostra creatura un romantico nome inglese? Una Ginevra che ti somigliasse sarebbe incantevole… - bisbigliò.
Oscar sorrise.
-    Stai già cercando di sostituirmi con un'altra donna?
-    Mai. Ma trovo intrigante pensarti gelosa…
-    Già … Non sai quante volte ti ho immaginato tradirmi con Bess!
Si rizzò a guardarla in viso, nella penombra del camino che aveva alimentato continuamente affinché non sentisse freddo.
-    Non fai ridere!
-    Un po’ sì, dai …
Scosse il capo.
-    Comunque, abbiamo tanto tempo per pensare al nome… - concluse sdraiandosi nuovamente alle sue spalle e chiudendo gli occhi, sognante. – Vedrai.. Quello che ci aspetta sarà un periodo stupendo. – mormorò accarezzandole il fianco senza secondi fini.

Povero André… Non aveva idea di quando si stesse sbagliando!


***



I sei mesi seguenti furono … allucinanti!
Oscar alternava momenti di bizzarra affettuosità nei suoi confronti, ad altri in cui lui aveva davvero rischiato grosso, senza neppure capirne il motivo.
C’erano giorni in cui “lo voleva”, altri in cui pareva “volerlo morto”…
Se era vero che, con una donna in gravidanza, occorreva armarsi di pazienza, con Oscar sarebbe stato opportuno armarsi di una “armatura”.
Il fatto di dover indossare necessariamente abiti femminili la rendeva estremamente irritabile.
Il peggio poi arrivò quando le venne “consigliato” di non cavalcare ed il medico restò quasi vittima di uno dei suoi sbalzi d’umore, particolarmente violento in quella occasione.
André doveva misurare parole e gesti e, per un po’, gli sembrò di esser tornato l’attendente strofinaccio costretto a chinare il capo e ripetere “sissignore”.
Specie quando le dimensioni divennero per lei quasi invalidanti e la vita che era stata sempre abituata a condurre, diventò un sogno proibito.
Per le ultime settimane di gravidanza, Virginia la invitò ad abitare con loro alla villa, dove avrebbe potuto avere cura di lei e consigliarla.
André, impegnato a ricostruire la stalla, ampliare i recinti e occuparsi dei campi oltre che degli animali, poté solo sospirare di sollievo appena Oscar accettò.
Non credeva avrebbe mai potuto pensarlo, ma … stare separati un po’ non poteva che far bene ad entrambi.

Mentre Virginia sferruzzava in sua vece copertine e cuffiette, Oscar ovviamente allergica a tutto ciò, cercava di ignorare ogni retroscena disgustoso e terrorizzante dei tre parti dell’amica, raccontatole con disinvolta noncuranza dalla stessa; cercava di distrarsi con la lettura e con le passeggiate, ma non poteva non pensare che essere Comandante della Guardia Reale, le aveva dato certo di meno da pensare di quella gravidanza.
A fine luglio, la loro cavalla aveva partorito nelle stalle dei Baker, un magnifico puledrino bianco. Un maschio, per fortuna, che sembrava proprio degno figlio di César.
Assistere al travaglio della bestia, la agitò.
Non pensava che qualcosa di così naturale avrebbe mai potuto spaventarla, in fondo, da soldato ne aveva passate di tutti i colori.
Eppure…
Tra non molto sarebbe toccato a lei e si domandava se sarebbe riuscita a mantenere almeno il contegno, visto che già adesso il suo corpo andava spesso per i fatti suoi mettendola in imbarazzo.
Virginia ci scherzava e minimizzava, ma André la guardava strano.
In certi momenti sembrava che neppure la riconoscesse.
Stava cambiando così tanto?


***


Una mela saettante quasi la colpì in pieno.
Solo per puro caso il frutto andò a sbattere contro la porta opposta a quella da dove era uscito volando e Virginia sussultò.
Anche a lei era capitato di essere parecchio nervosa durante la gravidanza; ma mai quanto Oscar!
Inoltre ormai mancava poco e questi scatti avrebbero dovuto diminuire.
La perenne gentilezza di André, poi sembrava quasi ottenere l’effetto contrario.
-    Basta mele! – stava gridando Oscar – Ti ho detto che non voglio assolutamente più vedere mele! Tanto meno mele cotte!
-    Va bene, ma non arrabbiarti! Al bambino non fa bene se ti arrabbi così…
-    Bada, André… Ancora una parola e quello che ti lancerò dopo farà sicuramente più male di una mela… - lo minacciò.
-    Volevo solo essere gen-ti-le! – disse scandendo bene l’ultima parola, termine che a quanto pareva lei non conosceva più.
Ma… lo aveva mai conosciuto?
-    Tu sei sempre gen-ti-le! Sei troppo gen-ti-le! Mi innervosisce la tua gen-ti-lez-za!
Scott, richiamato dall’ennesima sfuriata tra i Grandier, si era avvicinato alle spalle della moglie e lei gli aveva fatto cenno di tacere.
Avevano imparato a starsene in disparte.
-    Vorrei che tu capissi bene questo dettaglio, André! La sola cosa che mi farebbe piacere ora sarebbe non-essere- incinta! Vorrei che  finisse tutto! Subito! Ora!

E in quel preciso istante, sbiancò.
Ammutolita, si poggiò al tavolo con una mano.
André, preoccupato, si fece avanti.
-    Oscar…
I coniugi Baker si affacciarono, turbati dall’improvviso silenzio.
Lo sguardo terrorizzato di Oscar si piantò in quello di Virginia che le si era avvicinata e che le poneva una silenziosa domanda.
Fu tutto chiaro!

Virginia si voltò verso i due uomini e li guardò entrambi.
- Fuori! – ordinò.
Scott lo tirò per un braccio, mentre Oscar lanciava un urlo che mai André avrebbe pensato di poter sentire da lei.
-    No non voglio venir via. – disse puntando i piedi.
-    Credetemi, mi ringrazierete! – disse l’altro un po’ terrorizzato - Tra un po’ comincerà a maledirvi per averla messa in questa situazione e non la vedrete più allo stesso modo, la vostra dolce Oscar. Meglio uscire ed aspettare che le signore se la sbrighino tra di loro, che ci tirino pure ingiurie che non meritiamo neanche di sentire, ma meglio stare alla larga. Quel che potevate fare … lo avete già fatto, Andrè! Nove mesi fa!

Ma André non aveva bisogno di venir maledetto: lo fece da sé ogni urlo di Oscar.
- Oh, mio dio che ho fatto! – si lamentava nel salotto del pianterreno, mentre Bess correva su e giù, con lenzuola e brocche d’acqua.
Ma grazie al cielo, il travaglio non fu lungo!
Il piccolo Grandier aveva tanta voglia di venire al mondo, quanta sua madre ne aveva di porre fine alla gravidanza e rimettersi i pantaloni!
E le benedette endorfine svolsero il loro compito prima suo marito potesse avvicinarla.

Bess, prima di uscire dalla stanza con il fagotto delle lenzuola e degli gli indumenti sporchi che aveva radunato, si avvicinò ad Oscar, ancora ansimante e concentrata, con gli occhi socchiusi per placare il dolore delle contrazioni.
Le tirò per bene le lenzuola, rimboccandogliele piano; restò un attimo a guardarla e, inaspettatamente, passò il dorso della mano sulla sua fronte, in una carezza sorprendentemente delicata per quella rude donnona che era; cosa che spinse Oscar a guardarla per verificare se fosse davvero lei.
La serva sorrise e diede un paio di piccole pacche alla sua guancia, quindi raccolse la biancheria da lavare e se ne andò.

Virginia si avvicinò col bimbo ad André, appena entrato con un viso pallido pallido.
Timidamente lui cercò di prenderlo, incerto sul da farsi. Virginia lo corresse subito e senza più timori, egli strinse a sé il piccolo Grandier.
Oscar sorrideva vedendolo impacciato, nonostante tutto.
Si era convinta che lui sarebbe stato perfetto, a differenza di lei, nel ruolo di genitore e vederlo esitare, beh, le sembrò solo umano.
-    Allora? – chiese sorridendo, iniziando a rilassarsi un po’ – Non dici niente di tuo figlio?
André in piedi  a fianco del letto fissava il bimbo tra le sue braccia, poi alzava lo sguardo su di lei e sorrideva.
-    Quanto è piccolo… - mormorò.
-    Se fosse uscito da te, non diresti così…
-    Sei stata bravissima, sai? Eh, già, gioiellino di Natale… La tua mamma è un campione in ogni cosa che fa!
Oscar lo vide corrucciarsi, osservando il figlio.
-    Umh…
-    Cosa c’è? – si preoccupò.
-    Niente …
-    Non dire “niente” con quella faccia! – esclamò secca.
-    No, è che … ecco… Ha così pochi capelli… Non sembra nostro figlio! A dirla tutta, mi ricorda il notaio di Plymouth, ricordi…
Oscar istintivamente si raddrizzò contro i cuscini, mentre le sopracciglia si increspavano pericolosamente.
-    Scusa? – sibilò piano.
Lui seppe subito di aver detto qualcosa che non avrebbe dovuto.
Ma non cercò di giustificarsi e discolparsi: aveva capito in quei mesi che la tattica migliore era il silenzio.
Scomparire, se non dalla vista, almeno dalle sue orecchie.
Muto. Zitto. Defilato.
-    Stai paragonando nostro figlio a quell’ometto pelato ed insignificante!?
Virginia entrata in quel momento con un piatto di minestra, percepì il brivido di André e si lanciò al salvataggio.
-    Bene bene… Ecco un bel pasto caldo e leggero per la nostra novella mamma. – disse gioviale posando il piatto sul comodino -Voi André, datemi il frugoletto che deve mangiare anche lui e scendete in cucina che la tavola aspetta solo voi.
Gli prese il bimbo.
-    Su, andate! – ordinò lasciandogli intendere che non avrebbe avuto altre vie di fuga.
L’uomo non se lo fece ripetere.

Lei andò a sedersi sul bordo del letto.
-    Mangiate prima che si freddi! Poi …ci concentreremo su questo giovanotto! – esclamò toccando con un dito la punta del piccolo naso. – Avete poi deciso per il nome?
No, a furia di rinviare la decisione, il pargolo era solo un Grandier non meglio identificato!



André si era addormentato nella poltrona accanto al letto, quasi stremato quanto lei.
Oscar prese appunto mentale di porgergli solenni scuse per averlo quasi sbranato a quella sua battuta sul notaio.
Povero caro…
Sfilò le gambe da sotto le coperte e posò i piedi a terra e un po’ esitante si tirò su.
Ci mise troppa energia nel farlo, perché ora era più leggera e barcollò un po’.
Ma riacquistò subito l’equilibrio.
Avvertì delle fitte. Il suo corpo stava cercando di riprendere forma, aveva ancora contrazioni.
“Presto tornerò quella di prima”, si diceva.
Passo dopo passo tenendosi al letto, arrivò alla culla e guardò il suo piccolo dormire.
Quello strano essere.
Non riusciva a credere fosse davvero suo.
Suo e di André.
Lo guardò.
Effettivamente definirlo bello era qualcosa di oggettivamente ardito, ma … era stupendo, sì.
Allungò la mano e lo sfiorò piano, con solo un dito e sorrise.
Si capiva già che sarebbe stato scuro di capelli, nonostante la poca peluria in testa.
- Un bel moretto come il tuo papà, eh? Forse so come voglio chiamarti, piccola sorpresa natalizia: perché tu sarai inglese, ma cercherò di far trovare posto nel tuo cuoricino anche per la Francia. Tuo padre aveva ragione: omaggiare questa terra è un obbligo ed un piacere. Tristan, sì, Tristan è un bel nome: lui visse sia qui che in Francia. Magari, un giorno ci torneremo tutti, piccolo. … Quindi … Tristan Noel Grandier…(4)


***



Dopo tre settimane, Oscar aveva deciso che fosse ora di tornare a casa, al cottage. In fin dei conti stava bene e non voleva gravare sulla già troppo indaffarata Virginia.
Le aveva giurato e stragiurato che non avrebbe fatto movimenti strani o sforzi esagerati, e che l’avrebbe fatta chiamare al minimo accenno di problema.
La accontentò facendo giurare e stragiurare anche André che non le avrebbe permesso di fare stupidaggini.
“E’ il tuo  primo figlio” continuava a ripeterle Virginia e questa frase la terrorizzava, implicando la possibilità di un futuro allargamento della famiglia .
“Troppo presto per angosciarsi su altri eventuali figli”, pensò visto che non sapeva ancora come prendere in braccio quel “cosetto”.
Così aveva cercato di tornare alla normalità, ma normale era un termine che le sue giornate non avrebbero contemplato per molto tempo.

Oscar notò il suo sguardo fisso, mentre gli serviva la cena.
-    Cosa c’è? Che guardi? – lo sfidò seccata.
André ricomincio a mangiare, sorridendo, ma levando lo sguardo dai seni abbondanti dovuti alla gravidanza, pronti ad esplodere dalla camicia maschile diventata stretta, che doveva tener fuori dei pantaloni che non riusciva ancora ad allacciare a dovere.
Sbatté il piatto sulla tavola e piantò le mani sui fianchi.
-    Ti faccio percaso ridere?
Ma  non era una domanda.
Lo guardò in viso ma André, veloce, scosse la testa, con la bocca piena impossibilitata quindi a dire stupidaggini.
-    Pensi sia divertente per me trovarmi conciata così? – e si indicò il petto.
Lui scosse ancora il capo con energia, cercando di non sorridere e nemmeno di strozzarsi coi bocconi eccessivi che lo facevano somigliare ad un criceto.
Dall’altra stanza arrivo improvviso uno strillo acuto.
-    Ecco, lo hai svegliato! Contento?
André che continuava a riempirsi la bocca, indicò sé stesso, perplesso.
-    Sì, tu! E adesso goditelo tuo figlio! Io non ne posso più!
Ed uscì sbattendo la porta.
André con rassegnazione ma senza perdere il sorriso, si alzò e raggiunse la culla.
Prese il bimbo, cominciò a ninnarlo  vezzeggiarlo e fargli boccacce nel tentativo di calmarlo.
-    Piccolo mio, qui devi darmi una mano che mammina è un tantino nervosa…
Ebbe una illuminazione: forse era meglio nascondere i fioretti e le sciabole, già…


Oscar guardava il mare così diverso da quello che l’aveva vista crescere in Normandia, così scuro, violento, arrabbiato, con le alte onde che frustavano la scogliera ai due lati della baia.
Quel rumore incessante che non dava pace, non dava tregua.
Era certamente affascinante quello spettacolo, ma le mancava la quiete del suo bel palazzo bianco sulla spiaggia immensa, il silenzio dei suoi vigneti ad Arras che proprio in quel periodo veniva interrotto dalla vendemmia, il chiacchiericcio delle fontane di palazzo Jarjaies.
Suoi?
Ormai, anche se non fosse stata una esiliata, di suo non v’era più nulla in Francia.
Era sicuramente tutto stato requisito, saccheggiato se non smantellato.
Tutto per nutrire l’apparato statale, ma molto meno i suoi cittadini.
Era fortunata ad essere lì, lontana dalle tribolazioni, dai cambiamenti vorticosi e spesso distruttivi. Dalla rabbia e dalle ingiustizie, dalla miseria che, come le piaghe d’Egitto, continuavano a percorrere il suo paese, colpendo sempre qualcuno, un poco meno distintamente da prima, ma sempre pesantemente.
La gran parte dei poveri era rimasta povera e i lupi si ingrassavano.
Era cambiato tutto, in un certo senso niente. Cambi di poltrone ma non di risultati, a giudicare dagli utlimi mesi.

Era fortunata in tutto, poteva godersi la pace della democrazia inglese, di quella rivoluzione quasi indolore che, come aveva scritto Voltaire aveva portato gli inglesi ad essere “il solo popolo sulla terra che è stato capace di porre dei limiti al potere dei re e di contrapporsi a essi; e che, con una serie di lotte, è riuscito alla fine a stabilire quella saggezza di governo per cui il principe abbia tutte le possibilità di agire bene e allo stesso tempo sia impedito di agire male; e dove i nobili sono grandi senza essere insolenti; e dove il popolo partecipa al governo senza confusione". (3)

Ma ogni tanto veniva assalita da questa nostalgia fasulla, dallo stavo meglio quando stavo peggio, che la avviluppava come un serpente e le mancava il respiro.
Era grata di ricevere ogni tanto notizie, oltre che dai giornali che Foster le faceva avere, sia inglesi che francesi, quelle dirette di prima mano delle lettere di Rosalie e Alain, che mantenendo il contatto epistolare con una espatriata, rifiutata prima dalla corona ed ora anche dalla rivoluzione, rischiavano non poco.
Purtroppo Rosalie non poteva più farle sapere nulla dei suoi familiari dal novembre del 1789.
Sapeva che palazzo Jarjayes era stato abbandonato dopo il trasferimento dei Reali alle Tuileries; che tutti si erano messi in salvo, ma dove fossero coloro che restavano suoi familiari, genitori e sorelle, dove fosse Nanny, non lo sapeva più.
-    Scusami … – disse sentendolo arrivare alle sue spalle.
Se ne stava seduta sulla solita grossa roccia e piangeva a dirotto.
André le posò uno scialle sulle spalle.
-    Pensavo che se ti avessi abbracciata mi avresti ucciso, ma uno scialle …
Oscar sorrise e gli carezzò la mano, posata sulla sua spalla.
-    Non so che mi prende. Dicono che è normale dopo un parto, ma … Accidenti non è normale odiarti così tanto!
E rise dell’assurdità.
-    Oscar, ti ho aspettata 20 anni… Che vuoi che sia qualche …  mese? – disse mentre nella testa si augurava solo settimane.
Il solito paziente e comprensivo André. Ansioso per lei, ma nel contempo fiducioso che presto sarebbe tornata la sua Oscar di sempre.

Lei avrebbe tanto voluto Nanny lì con loro.
Aveva paura di sbagliare, su tutto. Di bambini non sapeva quasi niente, e nemmeno aveva voluto mai interessarsene.
Ma ora che era accaduto l’impossibile, cioè che era madre e moglie, avrebbe tanto desiderato essere rimasta ad ascoltare quei disgustosi pettegolezzi delle dame, delle cameriere, delle donne che avevano vissuto la loro vita intorno a lei, chiusa nella sua bolla, separata dai problemi femminili.
Ora che aveva la responsabilità di una piccola vita, aveva il terrore di commettere qualcosa di irrimediabile.
Virginia era un pozzo di consigli preziosi, ma non era certo Nanny. Restava un certo riserbo a parlare di certe cose con lei, più netto di quel che sapeva sarebbe stato con la sua balia.
Si alzò ed abbracciò André, per la prima volta dopo il parto. Un vero abbraccio.
Si sentiva ancora scombussolata là dentro nel ventre, stranita ed incredula per quel che era accaduto al suo corpo e per quel che continuava ad accadere.
Ma lui era André, il suo André dei miracoli, colui che le aveva dato la vista, da cieca che era stata, che l’aveva resa donna, da uomo che era destinata ad essere; che con pazienza immensa la sopportava da una vita.
E le mancava, lui.
Udirono vagiti tanto potenti per un essere così piccolo, provenire dalla porta aperta del cottage.
-    Ha preso da te! – disse subito lei, dopo un lamento soffocato sul suo torace caldo.
-    No no, da te! – ricambiò l’accusa ridendo.
-    Ma se è sputato te da piccolo! – obiettò Oscar, mentre abbracciati, cominciavano senza troppa fretta ad avviarsi a casa.
-    E questa convinzione da dove arriva? Non mi hai mai visto da piccolo! Nemmeno eri nata quando ero così piccolo, io.
-    Nanny diceva che eri un mostriciattolo irritante…
-    Ah … Così diceva la mia nonnina! Ho come l’impressione che invece abbia preso proprio da Nanny …
-    … o da mio padre …
Si guardarono un po’ spaventati dal possibile mescolamento di quei due caratteri ed ebbero i brividi.
-    Beh, l’importante è che abbia smesso di somigliare al notaio … - mormorò André.


***
1)    Non pensate sia uno scherzo: un conoscente mio, due costole rotte cadendo dal letto causa manovra troppo impetuosa e schivata della moglie : ) … E i letti all’epoca erano belli alti!
2)    Scusate… Ho quella che chiamo “sindrome dell’equino eroico” e poi la morte di César nell’anime mi aveva stravolta.
3)    Citazione raccattata in internet che prendo per buona perché mi fa comodo. Citerei la fonte precisa se solo me la ricordassi!
4)    Volevo un nome doppio. Noel, è per ricordare la notte del “fattaccio” e Tristan è un debito che ho con Baby80, che ha rinunciato al nome del suo futuro primogenito per evitare che il piccolo Grandier continuasse a chiamarsi come l’ho chiamato fino all’ultimo momento, ovvero “XXX”. Siccome, la cosa sarebbe suonata un pelino “hard”, ringrazio caldamente Baby per l’idea!!! Grazieee

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


IL MIO DOVERE cap. 9

IL MIO DOVERE cap. 9


Ce que j'ai vus, ce que je vois (Ciò che ho visto, ciò che vedo)
Je me dois de l'écrire (ho il dovere di scriverlo)
Et de vous prévenir (e di avvertirvi)
Le pire est à venir (Il peggio deve ancora avvenire)

Ce que j'ai vus, ce que je vois (Ciò che ho visto, ciò che vedo)
Ressemble à un naufrage (assomiglia ad un naufragio)
Un immense carnage (una immensa carneficina)
En voici les images (eccovi le immagini )


Ce que j'ai vus, ce que je vois (Ciò che ho visto, ciò che vedo)
Est un peuples orphelin (è un popolo orfano)
Qui cherche son chemin (che cerca il suo cammino)
La tête entre les mains (la testa tra le mani)

Malheur, Douleur, Malheur, Horreur, Malheur (disgrazia, dolore, disgrazia, orrore, disgrazia)
Comment retrouver le bonheur (Come ritrovare la felicità)
(1)




Settembre 1793

L’estate era trascorsa tranquilla, nonostante l’Inghilterra fosse in guerra con la Francia già da febbraio.
Contro ogni aspettativa, Scott era stato richiamato in servizio, tra le lacrime di Virginia.
André si era offerto di curare la famiglia dell’amico ed i suoi possedimenti, assistito da Foster, sempre più indaffarato per via del grande movimento di denaro causato dal conflitto.
La diffidenza verso loro, “i francesi”, era alta; fortunatamente André era ormai conosciuto e rispettato da tutti coloro in affari con Scott, ma il pericolo di qualche esaltato nazionalista persisteva.

Il sole ancora caldo, invadeva la casa.
Le porte e le finestre erano tutte spalancate per godere fino all’ultimo di quegli strascichi d’estate.
Oscar era relativamente serena.
Da qualche giorno, Scott era tornato per una breve licenza, mentre la sua nave veniva riparata al porto di Plymouth.
Così lei ed André, libero dal fare le veci del capitano negli affari, potevano trascorrere qualche giorno di nuovo al cottage, da soli. Solo loro e Tristan che tra poco avrebbe compiuto tre anni.

Sul tavolo della cucina giacevano i giornali più recenti portati dal capitano.
La giovane Sarah glieli aveva consegnati pochi minuti prima, utilizzando quella commissione come scusa per una cavalcata e, dopo aver afferrato e coraggiosamente assaggiato un muffin bruciacchiato, ma meno peggio di tanti altri, era fuggita come il vento saltando gli steccati dei puledri. Cavalcava sicura, anche troppo, e leggera proprio come quella cascata di boccoli ramati che neppure il nastro riusciva a contenere; incurante delle gonne al vento, incurante di quanto fosse inopportuno per una damigella.
Non era più la petulante bimba che Oscar aveva conosciuto: aveva 13 anni compiuti e lo splendore di donna in cui sarebbe sbocciata tra non molto era già evidente. A parte ciò, era quella tra i tre ragazzi, che più aveva assimilato da Oscar.
La sua istitutrice la guardò saltare l’ostacolo, spaventando il povero Jack e scosse la testa sorridendo con orgoglio malcelato…
Le ricordava tanto uno scherzo simile fatto da lei ad André tanto tempo prima.

Era stato un anno veramente difficile, l’ultimo, in fatto di avvenimenti per la Francia.
L’angoscia era cominciata alla notizia del 10 agosto del 1792: la strage alle Tuileries ed il conseguente incarceramento della famiglia reale al Tempio.
La speranza che la rivoluzione traslasse in una monarchia costituzionale o, almeno, nell’esilio dei reali, era crollata.
Il riconoscimento da parte di Oscar degli ideali rivoluzionari, la necessità di cambiamenti, non avevano comunque permesso che lei odiasse a tal punto Maria Antonietta o lo stesso Re.
Non poteva non ricordare sorridendo il giovane, timido delfino che durante una battuta di caccia le aveva confidato cosa provava per la vitale, esuberante consorte; e neppure poteva scordare le giornate trascorse con la spumeggiante Antonietta.
Poteva dimenticare che madre meravigliosa fosse stata per i suoi bambini? Poteva dimenticare il dolore provato da entrambe per la morte di Joseph?
Oscar ed André avevano seguito le notizie frammentarie che arrivavano con una certa angoscia per Nanny, per la madre e le sorelle di Oscar.
Perché no, anche per il generale…

Le lettere di Rosalie e di Alain non erano più arrivate.
Sapevano che il gigante era entrato nella guardia Nazionale tramite Bernard, che era ormai un ufficiale e che l’aria generale non era affatto buona. Il sospetto pesava su tutti loro, anche se “figli del popolo”, quindi la corrispondenza con dei rifugiati era pericolosa.
Anche se Oscar restava una esiliata, invisa alla monarchia, era pur sempre una aristocratica, figlia di Jarjaies, il realista fedelissimo.
E nella Francia dei sospetti, questo era più che sufficiente.

Il 21 gennaio di quell’anno, Luigi XVI, il re coetaneo di André, timido e curioso di meccanica e scienza, era stato ghigliottinato.
Se ne era andato augurandosi che a suo figlio non toccasse mai di diventar Re.
Aveva pagato con la morte la sua indecisione, nonché gli errori e gli abusi commessi da re ben peggiori di lui..

“Dopo di me, il diluvio!” aveva predetto Luigi XV, godendo e sperperando, incurante della pesante eredità che avrebbe lasciato al giovane ed impreparato nipote.
E poi….
Poi la guerra.

L’ultima notizia era stata quella del trasferimento della regina alla Conciergerie, il due di agosto.
La cosa aveva rattristato Oscar enormemente, ma … Nulla più.
La sua vita, grazie ad André, era tutt’altro.
Versailles, Parigi, la Francia… Era tutto così lontano, ormai.

***

Quel giorno, Oscar stava litigando come al solito con i suoi compiti in cucina.
Non poteva e nemmeno voleva sottrarsi a quelle incombenze; cercava di ripetersi che faceva quel che faceva non perché era una donna ed in quanto tale, le toccavano, ma solo perché il suo André proprio tutto, da solo, non poteva fare.
Sapeva che lui non avrebbe smesso di canzonarla fino all’ultimo giorno della loro vita, per questa sua incapacità naturale, ma di lei ammirava il suo impegno costante, tra una frecciata e l’altra.
Quando il piatto le sgusciò di mano mentre lo asciugava ed andò a frantumarsi sul piano di lavoro in pietra, tirò una mezza bestemmia e si ripromise di non maneggiare più porcellane se non su piani in legno o, meglio ancora, su cuscini!
Si rassegnò a raccogliere i cocci caduti a terra e, intonando quanto era imbranata sotto forma di canzone, diede uno sguardo fuori, attraverso la porta finestra, dove il suo bimbo giocava sull’erba.
E le prese un colpo.
Un uomo, un cavaliere, era chino vicino a Tristan e ci chiacchierava a versetti come si può fare coi bimbi di quell’età.
Il bambino, fiducioso, gli aveva appena passato un cavallino di legno intagliato dal suo papà e gli sorrideva.

L’istinto e le passate brutte esperienze, la indussero a scorrere la mano sull’elsa della sciabola, poggiata sul ripiano.
Uscì ed avvicinandosi in silenzio, il cuore cominciò a batterle forte, ma non per paura di un pericolo sconosciuto.
I gesti, la figura e quando fu a pochi metri, anche la voce …
No, non poteva essere lui!
- Sono contento di trovarti in così buona salute, Oscar – disse l’uomo alzando lo sguardo su di lei, con quegli occhi così chiari, e togliendosi il cappello.
Era l’ultima persona che pensava si sarebbe trovata un giorno fuori casa.
- Padre! ….
Jarjaies sorrise.
L’attimo seguente sembrò eterno, di un disagio senza fine.
Nessuno avrebbe saputo dire come sarebbe continuato, se una voce conosciuta e veramente irritata non fosse arrivata a spezzare l’imbarazzo.
- Maledette buche inglesi! Una strada decente che possa accompagnare in carrozza una povera vecchia, no? Barbari inglesi! Come si fa a non fargli guerra!
André sbucò in quel mentre dal retro avendo sentito delle voci.
- Oscar, ma che…
Si gelò riconoscendo il suocero.
Rimase interdetto un secondo, preoccupato, in allarme, ma si riprese subito scorgendo l’altra figura che arrancava sul pendio sassoso, dove la carrozza, che era arrivata dalla strada costiera, non poteva salire ed era rimasta ad attendere un po’ più a valle.
Ed il suo sguardo si illuminò.
- Nonna?… Nonna! Nonna nonna!
Le corse incontro, ignorando tutto e tutti. La sollevò per la vita, stringendola come fosse stata una paffuta bambola di pezza.
- Mettimi giù … disgraziato! – esclamò Marron Glacé, col suo solito tono autoritario, ma gli occhi pieni di lacrime.
André obbedì, però strinse il suo viso tra le mani e le schioccò un bacio violento su una guancia, piangendo a sua volta.
- Sì, sì! Anch’io sono contenta di vederti, piccolo. Ma … sei tutto pelle ed ossa! E che novità sono questi occhiali? Vorrai mica somigliare ad un notaio, uhm? Beh, almeno hai ancora tutti i capelli…
- Nonna!…. – esclamò sgomento.
Si sorrisero: gli anni di lontananza si annullarono in un istante.
Nanny si volse verso Oscar e, muta, spalancò le braccia.
Lei lasciò cadere a terra la spada e corse a piangere sul petto della sua Nanny, realizzando solo in quel momento quanto le fosse davvero mancata.

André guardò Jarjaies, rimasto in silenzio.
- Signore … - salutò con fredda educazione.
Jarjaies gli si avvicinò, con passo deciso ed incredibilmente agile per un uomo della sua età.
Forse anche un po’ minaccioso ed André si irrigidì.
Rimase quindi sorpreso dall’energico inatteso abbraccio che seguì.

- Sono contento anch’io di rivederti, André, anche se tu non mi crederai! – esclamò, ottimista, lasciandolo con energia pari a quella utilizzata per l’abbraccio, facendolo vacillare.

In quel mentre il piccolo Tristan Noel, travolto da tutto quel vociare, cominciò a piangere, attirando su di sé l’attenzione generale.
Oscar corse a prenderlo in braccio, con Nanny appresso che aveva già cominciato a far versetti e, contemporaneamente, a borbottare cose del tipo “Non si frigna, giovanotto!”
Jarjaies tese le mani.
- Posso abbracciare mio nipote?
Oscar esitò un attimo, guardando André, cercando il suo muto consenso: in fin dei conti, era suo figlio.
Il marito annuì piano ed Oscar tese il bimbo ad un generale, rilassato e socievole, che faticava a riconoscere come il suo austero genitore.

Nanny si diresse con passo marziale verso il cottage ed Oscar, con terrore, realizzò cosa l’aspettava.
- Ma che accidenti ci fate in questa cucina! – la sentì esclamare appena varcata la soglia. – Per fortuna, Nanny è qui!
André scoppiò a ridere vedendo la faccia di Oscar sbiancare; e come lui fece il generale.
Ma la moglie lo fulminò all’istante: mica c’era da ridere!

Nel giro di un’ora, la cucina aveva già cambiato aspetto sotto l’organizzazione o lo strofinaccio della governante e tutti avevano bevuto tè gustando i biscotti secchi portati da Marron.
Il cocchiere se ne era andato dopo aver trasportato al cottage tutti i bagagli, segno che almeno Nanny sarebbe rimasta un bel po’ con loro, volenti o nolenti.
Il generale spiegò che era venuto a conoscenza di dove abitavano da una più che riluttante Nanny, ma aveva sempre saputo che stavano bene, sin dalla prima visita “segreta” di Rosalie a palazzo Jarjaies.
Sua madre, Madame, era rimasta a lungo a Parigi, disse, su richiesta della Regina, nonostante il costante pericolo.
Le sue sorelle, con le loro famiglie, erano tutte in salvo all’estero, in Italia, e presto le avrebbero scritto.
Nessuno parlava veramente.
Solo chiacchiere di cortesia attorno ad un tavolo.
Poi, d’un tratto, il generale guardò Nanny, uno sguardo d’intesa.
- Mi mostri il resto della casa, piccolo ?… - disse lei al nipote.
André intuì che il generale volesse parlare ad Oscar in privato e, come aveva fatto lei prima, chiese con uno sguardo il suo consenso, che arrivò sotto forma di un tranquillo sorriso.
- Va bene, nonna, ma non voglio sentire critiche! – esclamò, mantenendo il tono cordiale che s’era instaurato.
- Tu prenderai tutto quel che ti meriti, giovanotto! Ceffoni compresi, se sarà il caso. Non credere di poter fare il gradasso con tua nonna solo perché ora sei padre! … Dovrai farmene almeno altri due di nipoti, prima di potermi dire cosa posso o non posso fare!
Uscirono dalla cucina mentre lei borbottava ancora.

- Ti trovo davvero bene … - esordì il generale, che non aveva smesso di studiarla.
- Per essere una reietta? – ribatté senza rinunciare al tono acido e senza guardarlo.
"Che carattere, accidenti!"
- Suvvia Oscar … - la rimproverò bonariamente – Hai fatto di testa tua e hai avuto ragione. Sono felice di come sono andate le cose, lo sono davvero. Ma vuoi farmi credere di non sapere perché le loro Maestà ti hanno esiliata? Hanno cercato di salvare la tua vita, la mia carriera, la nostra famiglia, i nostri beni ed il buon nome del casato!
- Sì, lo so… Sono stata soltanto la vittima sacrificale! – ringhiò ironica.
- Avevi disobbedito ad un ordine diretto del Re. Non potevano ignorare la cosa, soprattutto in quel momento. E lo sai.
- Potevano darmi ragione! – esclamò Oscar picchiando un pugno sul tavolo, più per delusione che per vera rabbia. - Potevano smentire Bouillè, che con la sua rigidità non ha fatto che danni!
Jarjaies sospirò, annuendo tristemente.
Come? Suo padre le stava dando ragione? Ancora?!
- Ripensando a come andarono certe faccende negli anni seguenti …
- Quali faccende?
- Cosa sai della fuga di Varennes?
- Che fallì … - disse lei alzando le spalle, come se solo il risultato contasse.
- Grazie proprio a Bouillè ed alla sua rigidità. Sapevi che era stata organizzata da Fersen?
Oscar sentì il cuore rallentare a quel nome, che da tanto non udiva pronunciare e scosse il capo, perché non lo sapeva e … perché non riusciva a credere alla sua reazione.
"Ridicola! Sei ridicola!"
- Fersen aveva cercato di organizzare le cose in modo che il viaggio passasse inosservato. Aveva proposto più carrozze piccole, poco lussuose, un certo tragitto e nessuna scorta militare. Ma la Regina non voleva separare la famiglia, il tragitto non stava bene al Re, che pensava di poter essere riconosciuto a Reims e Bouillè voleva assolutamente una scorta. Il Re scelse un altro tragitto, altrettanto pericoloso, ma Bouillè fece quel che tu, mia amata e ribelle figlia, - e lo disse con un sorriso affettuoso, - non avresti fatto: obbedì. Fersen dovette adeguarsi al volere di tutti. Ordinò una berlina tramite una delle sue tante amiche, una nobile franco-russa, così nessuno avrebbe fatto domande. Voluminosa, ma neanche troppo appariscente e lui l’avrebbe guidata di persona. Vestiti con abiti da viaggio sobri ed il piccolo Charles, che indossava un abito da bimba, giunsero alla prima tappa. Lì, Fersen li lasciò, per ordine di Sua Maestà e di Bouillè. E poi furono una serie di sfortune, che ritardi su ritardi, li portarono all’appuntamento fissato quando l’uomo di Bouillè, inesperto ed impaziente, con la scorta militare se ne era già andato. Qualcuno li riconobbe, lì fermi ad aspettare il generale e … beh, ormai è storia. Il fratello di Sua Maestà, seguì il consiglio di Fersen e partì da solo a cavallo. Sua moglie partì con una dama. Sono entrambi in salvo.
- Perché mi raccontate ciò? Non credo sia solo conversazione.
- Sono in missione per conto della Regina.
Ecco! Doveva aspettarselo da suo padre che non era solo la voglia di rivederla ad averlo condotto lì. Stupida! Per lui, il dovere prima di tutto!
Jarjayes posò sul tavolo due buste: una di carta pregiata, una misera.
- Una è di Fersen. – disse – Sono stato da poco in Svezia a consegnargli le ultime parole di Sua Maestà. L’altra è della Regina. Come immaginerai, non ci sono più speranze di salvarla.
Oscar allungò la mano sulle due buste.
Senza esitare, prese quella della Regina che arrivava direttamente dalla Conciergerie. Una busta anonima.
- Voi siete a conoscenza del contenuto? - chiese al padre.
L’uomo annuì.
- E’ stata Rosalie a darmela. Da quando la Regina è alla Conciergerie, è lei ad occuparsene. Mi ha cercato e contattato su espressa richiesta di Sua Maestà.
Oscar cominciò a leggere in silenzio la pagina e sbiancò.
Alzò gli occhi sul genitore.
- Se te lo avessi proposto io, non solo non mi avresti creduto… Non saresti stata neppure ad ascoltare … - s’affrettò a dire lui.


***

Oscar collocò suo padre nelle stalle per la notte, su sua richiesta.
“Un soldato, si adatta a tutto”, diceva.
Ed era vero. Il generale era sempre stato una roccia sotto questo aspetto: pretendeva, sì, ma era il primo a dare sul lato “sacrifici”.
Quando rientrò, la lettera dello Svedese era ancora lì, chiusa nella lussuosa busta col simbolo di famiglia, sul tavolo della cucina.
Si sentiva chiamare da quel pezzo di carta e, più lo ignorava, più si scopriva curiosa.
E ciò la faceva arrabbiare oltre misura!
Alla fine, spazientita, si arrese a quel desiderio.

Pensava però che suo padre le aveva già raccontato tutto.
Cosa poteva esserci di più in quella busta?
Cosa poteva aver scritto lo Svedese che potesse convincerla, quando i fatti, gli orrori descritti, la richiesta esplicita di Sua Maestà, non ci erano ancora riusciti?

Non era una lunga lettera.

"Mia carissima amica,
una volta mi diceste che ci sono due tipi d’amore: quello che da’ la felicità completa e quello che porta ad una lenta e triste agonia.
Sono davvero felice che voi abbiate incontrato il primo genere.
Come vostro padre vi avrà sicuramente spiegato, ormai sono quasi arreso al fatto di non poter più fare nulla per la donna che amo e che amerò in eterno, ma se voi potete esaudire la Sua ultima richiesta, ve ne sarò per sempre immensamente grato.
Axel"

Posò stancamente la mano sul tavolo, senza però riuscire a depositarvi il foglio di carta.

Quella volta, Oscar aveva pregato perché lui potesse provare la felicità completa.
Non immaginava neppure che il suo amore di una vita per Maria Antonietta, lo avrebbe portato a tanta sofferenza.
Vent’anni di sofferenza ed andava sempre peggio…
Lo immaginò chiaramente nella mente: bellissimo come sempre; perfetto, come sempre; nel suo palazzo vuoto, nella sua casa fredda, nel suo letto troppo grande.
Solo.
Si alzò e spense la lampada.
Suo padre non aveva tentato di imporle nulla.
Non aveva fatto ricorso al solito “tu devi!”, cosa che aveva caratterizzato gran parte della sua vita; non le aveva ricordato giuramenti, doveri filiali, altri “cavilli” veri, presunti o inventati allo scopo.
Aveva solo seminato il dubbio ed aspettava che questo germinasse.
Suo padre la conosceva più di quanto avesse mai supposto.

In sala, su una delle due grandi poltrone poste dinnanzi al caminetto, vide la sua vita.
Sentì il cuore invaso da calore: doveva essere quello il sintomo della felicità.
André si era addormentato con il loro bambino, abbracciato a lui, stretto intorno al suo collo.
Si sedette sul bracciolo, carezzò il ciuffo scuro di capelli che nascondeva l’occhio morto e si lasciò scivolare giù, sulla sua gamba, attirando il capo sul suo petto.
André si destò appena e nel dormiveglia, la strinse a sé.
I suoi due uomini…
Pensò a Maria Antonietta: aveva perso due figli di malattia; il marito sotto la ghigliottina; la sua migliore amica era stata uccisa, stuprata, fatta a pezzi ed il resti le erano stati portati, in trionfo, sotto i suoi occhi…
La famiglia austriaca l’aveva abbandonata al suo destino perché non era più utile.
Fersen, l’uomo che l’amava da vent’anni, aveva percorso l’Europa intera in cerca d’aiuto; aveva combattuto sui campi di battaglia, si era rovinato anche economicamente per salvarla, ma non poteva più nemmeno avvicinarsi a lei, ed ora …
Ora l’avevano separata dal suo bimbo.
Glielo avevano portato via con la forza, rinchiuso solo in una cella buia, vittima di ingiurie, pestaggi e violenze psicologiche.
Cosa avrebbe fatto lei, se le avessero impedito di avere André accanto e rinchiuso e torturato suo figlio?
Non c’era tanto da esitare nella risposta.

***

Si svegliò di colpo quando lui tirò le tende e la luce l’accecò.
- Che significa? – esclamò furioso tirandole le lettere addosso, quelle che lei aveva distrattamente lasciato in cucina.
- André… - mormorò lei assonnata.
- E’ per questo che tuo padre è qui?
- André …
- Come può Fersen chiederti questo? Come può tuo padre?!
- André… - si tirò su seduta.
- E tu sei pronta ad accorrere, vero?
- André …
- No! – gridò - Non ci riguardano più! I loro guai non sono più affare nostro!

Uscì sbattendo la porta, che però non si chiuse per il colpo violento e rimbalzò indietro.
Quasi travolse la nonna, svegliata di soprassalto da quelle urla, in piedi dietro al loro uscio.
Le due donne si guardarono ed Oscar scosse il capo alla muta domanda di Nanny, mentre suo figlio cominciava a strillare.
Si alzò, mentre Marron si offriva di occuparsi del piccolo ed andò a cercarlo.
Il sole era già caldo perché avevano dormito più del solito.
Lui era là, fuori, in piedi sulla spiaggia.
A braccia conserte, fissava l’orizzonte, dietro alla cui foschia si nascondeva la sua terra natale.
Aveva pensato che non fossero più problemi loro.
Ma era un inganno.
Erano solo avvolti dalla nebbia, ma i guai erano là, insieme alle persone che conoscevano, che lottavano, soffrivano e morivano su entrambi i fronti.
Lontano, nella nebbiolina, si intravedevano le vele di una nave che lasciava la Manica.
Le onde si infrangevano, lo schiaffeggiavano, gli lambivano i polpacci, infradiciando i pantaloni, e pian piano scavavano una buca sotto le piante dei piedi, dove lui affondava.
Ecco, il loro passato era tornato ad avvolgerli e li trasportava giù in una palude di ricordi, dubbi ed incubi.
Sentì la fronte di lei posarsi sulla sua schiena nuda, e le sue braccia, che lo cingevano forte in vita.

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Sospirò.

Sciolse le braccia serrate e posò le mani sulle sue.
- Hai già deciso, vero? – disse con voce calma.
Lei lo strinse di più.
Era un “sì”.
- Porterò la nonna e Tristan da Scott. Saranno più al sicuro.
- Non è necessario che venga anche tu… - mormorò Oscar.
Lui sorrise, perché si aspettava quella obiezione.
- No, verrò con te. Come sempre. E’ una vita che vengo con te in ogni occasione. Non posso lasciarti sola, non adesso, non … per questo.
Lo fece voltare a guardarla.
Sembrava così piccola, lì, scalza, con la camicia da notte bianca che si gonfiava per il vento, poi aderiva alle sue forme, alle sue gambe bagnate.
La strinse, sorridendo.
Non riusciva a restare arrabbiato con lei, nemmeno cinque minuti.
- Sai perché lo voglio fare, vero? – mormorò Oscar – Non per “lui” e non per mio padre… Ma se non vuoi, rinuncio. Davvero! Riguarda anche te, sia se la missione dovesse aver successo, sia se dovesse fallire…La nostra vita non sarà più la stessa, André…
Lui sospirò, infilando le dita fra suoi capelli ribelli, umidi di salsedine.
- Le novità non sono sempre negative… E poi, ora che so, dovrei litigare con la mia coscienza se non agissi.
Oscar si strinse a lui, posando il viso sul suo petto.
Guardò la sabbia ai loro piedi: l’alta marea si ritirava, le onde si allontanavano da loro. Avevano smesso di affondare.

***

- continua, per due capitoli almeno : )


1 ) Canzone dello spettacolo teatrale "Dracula": dovrebbe darvi un'idea del "clima" dei prossimi capitoli.
Testo della canzone “Quello che ho visto”: http://lyricstranslate.com/en/ce-que-je-vois-what-i-see.html-0
Video della canzone dallo spettacolo teatrale “Dracula”: http://www.youtube.com/watch?v=YCONcTvQZRY&feature=related
(all’inizio, è recitato e l’audio è un po’ ...così)

***
Scusate!!! Ritardo terrificante! Non sarò veloce ad aggiornare neppure il prossimo … Periodaccio!
E non ho neppure ancora risposto alle recensioni!!!
Sono … orribile!!!

Due cose però le spiego:

LA CARNE DI CESAR.
Ho notato che nel capitolo precedente la faccenda della “carne” vi ha un po’ turbati…
Scusate! Non voleva essere crudeltà verso César, che mai avrebbe fatto quella fine per scelta di nessuno di loro. E’ che in quel periodo, qualcosa di diverso sarebbe stato impensabile.
Ricordate la battuta di Rosalie nell’episodio del Cavaliere Nero, quando portò la “minestra” fatta di ossa ad Oscar? Il clima era quello lì… Carestia.
La “delicatezza” di Virginia e Scott sta nel non farlo davanti a Oscar che da vera aristocratica avrebbe detto sdegnosa “Io non mangio il mio cavallo!”; e sarei stata d’accordo con lei!!!
Ma per loro non era proprio possibile…

ALAIN
Alain? Davvero lo rivolete? : ) … Non posso anticipare niente… Certo che ha lasciato un bel vuoto, eh? Un vuoto “gigantesco”, direi … Ma la storia sta cambiando e anche Alain potrebbe essere un po’ diverso ….

Ok ok… non dico più niente! Spero non mi ucciderete!!!
Grazie!!!

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


IL MIO DOVERE cap. 10




IL MIO DOVERE – CAP. 10


Il viaggio di ritorno in Francia non iniziò certo come una passeggiata.
A differenza della loro traversata all’andata, avvenuta in piena estate, con l’ottimismo di chi sa che, per quanti guai incontrerà, sta iniziando a vivere un amore, lasciandosi alle spalle una situazione ormai insopportabile, quel viaggio fu quanto di più cupo potessero immaginarsi.
La nave era uno dei tanti velieri di briganti che in periodo di guerra venivano promossi a fedeli servitori di Sua Maestà britannica.  
Si occupavano di contrabbando: cose o persone poco importava.
Di certo, il cliente non aveva mai ragione a bordo di quei vascelli. La parola sbagliata poteva costare un gelido tuffo in mare.

La nebbia li accolse all’imbarco a Plymouth e li accompagnò per tutta la navigazione.
Una fortuna quella, vista la possibilità di incrociare navi che, fossero inglesi o francesi, sicuramente non avrebbero chiesto loro le credenziali prima di cannonarli.

Jarjayes fu l’unico a dormire profondamente quella notte.
Si sistemò nella sua amaca come fosse il più regale dei giacigli, calò il tricorno sul viso, incrociò le braccia e dopo aver augurato loro la buonanotte, non senza un benevolo tono ironico, si abbandonò al sonno.
Oscar ed André si rassegnarono a trascorrere quel viaggio nel modo più tranquillo possibile, ma affiancati nelle loro rispettive amache, non facevano che fissare il buio, nel silenzio disturbato solo dai loro respiri e dallo scricchiolare del legname.
Stavano attraversando un tratto di mare molto battuto, in piena guerra, su una nave i cui marinai pareva fossero stati prelevati direttamente da una prigione.
E andavano incontro a cosa?
André la sentì sospirare ansiosa. Allungò la mano verso di lei, fino a trovare la sua e se la portò sul petto.
Oscar ricambiò la stretta e, tranquillizzata dal battere di quel cuore, necessario alla sua vita quanto il proprio, si addormentò quasi subito.
Lui restò sveglio, incerto se quel peso allo stomaco fosse lo stesso mal di mare patito anni prima, o solo più che giustificata paura.
Sapeva che in ogni caso, non avrebbe potuto rimettere nulla: il pensiero del suocero che russava tranquillo a poco più di un metro da lui, gli chiudeva la bocca dello stomaco.

Il giorno seguente, dovettero sbarcare tramite una scialuppa e, dietro invito poco cortese dei marinai e di una pistola, gettarsi in acqua prima di toccare la spiaggia.
La manovra li costrinse ad inzupparsi dalla vita in giù, tenendo le loro sacche e le armi sollevate sopra le teste, e costò loro quasi un assideramento.
Oscar si lasciò andare, carponi sulla spiaggia ed alzò lo sguardo al panorama desolato tutt’attorno.
Scogliere chiare, spiaggia sottile, molto diversa da quelle sterminate della Normandia…
-    Siamo all’altezza di Amien. – spiegò il generale con tono sbrigativo, prima che potessero chiedere. – Potremo essere a Parigi domani nel pomeriggio se non incontreremo intoppi lungo la strada e non perderemo tempo.
Detto ciò, si avviò senza attenderli.
La donna alzò lo sguardo su André, che in piedi di fronte a lei, riprendeva fiato. Scossero entrambi il capo e si rassegnarono a seguire il generale, dubitando se sapesse quel che faceva.
Ma Jarjayes sapeva esattamente come muoversi, non era sprovveduto e pareva esser preparato a quel bagno fuori stagione e a chissà cos’altro.
Viveva a quel modo da quattro anni ormai.
Soldi alla mano, conosceva esattamente chi poteva contattare, dove potersi fermare.

Aveva nascosto vestiti di ricambio alla moda dei sanculotti presso una casa di pescatori, che presero il denaro evidentemente già pattuito e permisero loro di cambiarsi.
Ma non persero tempo, non più di quanto necessario: nel portico attendevano tre cavalli già sellati e partirono al galoppo.
Lungo la strada, Jarjayes si fermò ad una cappella votiva posta in mezzo ad un bivio nella campagna deserta. Un veloce segno della croce alla Madonnina, quindi girò sul retro della minuscola costruzione a smuovere un paio di mattoni traballanti fra tanti.
Era così: fondi, per lo più procurati da Fersen, stavano celati in posti impensabili come quello,  insieme a falsi ma accurati documenti di identità.
La filiera di realisti fedeli, forniva loro rifugi e cavalcature fresche.
Ogni città o paese che dovevano attraversare era dominato dallo spettro della ghigliottina.
E vederla non era come averne letto o sentito parlare.

Galoppavano come se niente altro contasse se non la destinazione, mentre immagini di orrore, terrore, disgrazia, dolore, scorrevano al loro fianco come rifiuti sull’acqua di un fiume.
Nessuno osava commentare, ma nonostante il coraggio cui attingevano con ansia sempre più crescente, non poterono evitare brividi lungo la spina dorsale.
Scansando quanto possibile le strade più battute e le ore più trafficate, lanciarono i cavalli senza riguardo.
Durante le brevi soste in cui riposavano a turno, senza accendere fuochi, André non avvicinava Oscar; né Oscar, André.
Il gelo, la desolazione, la paura sui visi della gente, li bloccavano.
Una corrente fredda percorreva le loro vene e si sentivano come se mai più la felicità sarebbe potuta tornare in quei luoghi.
Pareva che la Francia avesse terrore della sua stessa ombra.
Ed era una sensazione orrenda.
A gennaio era stata istituita la leva militare obbligatoria.
Braccianti, contadini, artigiani, persone qualunque, venivano arruolati a forza, per rimpolpare le file dell’esercito prima costituito da professionisti, lasciando così le campagne sprovviste di forza lavoro.
Niente altro che donne, bambini, vecchi per le strade, accompagnati da miseria ed angoscia crescente.

Arrivarono a Parigi che si faceva buio, ma quella che sarebbe stata ricordata come la “Ville Lumiére” sembrava uno spettro.
Il generale li costrinse ad un largo giro attorno alle mura, verso sud fino ad un ingresso per la città scelto evidentemente non a caso.
Al posto di blocco, un soldato li fermò per il normale controllo.
Prese i loro documenti, ma ancor prima che potesse esaminarli, venne raggiunto da un superiore.
Il soldato scattò sull’attenti e non esitò a consegnare i tre lasciapassare quando quello li reclamò.
Il nuovo arrivato osservò con calma le loro generalità.
-    Scopo della vostra visita? – chiese con noncuranza a Jarjayes, dando una occhiata fugace ai suoi accompagnatori.
-    Siamo commercianti. Di liquori e vini
L’ufficiale non mosse un muscolo.
-    Che mi dite del bordeaux di quest’anno? Pare che non sia stata una buona annata … - chiese con distaccata cortesia, tornando con lo sguardo sui tre preziosi pezzi di carta che sembrava studiare minuziosamente.
-    Ahimè, cittadino, avete udito bene… Credo che di peggio ci sia stata solo l’annata del 1348 (1)
A quella frase, l’ufficiale ripiegò le carte di identificazione, non senza aver inserito un foglietto in quella del generale.
-    Buona permanenza, cittadini. – augurò rendendo al più anziano i tre lasciapassare.
-    Buona serata a Voi. – ricambiò il generale.

Quando si furono allontanati, Jarjayes lesse il messaggio.
Ora sapeva dove andare.

***

Jarjayes, nel più totale silenzio, li guidò per un cimitero, tra i più vecchi di Parigi, circostante una chiesa in abbandono. Una chiesa che, secoli prima si trovava probabilmente in periferia, prima che la città le crescesse intorno.

Nel 1785, a Parigi era iniziata una operazione mai tentata: quella di svuotare i cimiteri da tutti gli “occupanti” per ragioni sanitarie, traslocando i cadaveri dalle fosse comuni in cimiteri periferici, in ossari collocati nelle vecchie cave dove puzzo, liquami e malattie che ne derivavano potessero risultare meno pericolosi.
Ma quel cimitero era talmente vecchio, talmente piccolo, che non aveva dovuto essere smantellato.
Così i suoi “segreti” erano rimasti tali.
Entrarono in una cappella.
Ad un cenno del generale, André lo aiutò a spostare una lapide, meno pesante di quanto sembrasse a prima vista, poiché dotata di un meccanismo che ne permetteva lo scivolamento laterale.
Sicuro dei suoi gesti, Jarjayes entrò al buio, di due passi; pochi istanti dopo, una candela permetteva loro di vedere dove camminare.
In silenzio, con una notevole curiosità, lo seguirono per le catacombe di Parigi, dopo che André ebbe richiuso il passaggio.
Entrambi avevano sentito parlare di questi posti sotterranei, ma mai vi si erano avventurati.
Parigi era costruita su immense cave di pietra servite per costruire palazzi e monumenti ed il sottosuolo era un dedalo di gallerie e caverne artificiali.  Una parte di questi luoghi era stata adibita ad ossari, per i corpi esumati dai cimiteri, ma l’estensione era tale da nascondere ancora luoghi sconosciuti ai più.
Le entrate alle catacombe venivano sorvegliate dai rivoluzionari per evitare che aristocratici potessero nascondere sé stessi od i loro beni, ma a quel vecchio cimitero nessuno aveva fatto caso.

Sfiorando radici insinuatesi tra le pietre delle pareti, levando ragnatele, ponendo attenzione a non scivolare sulla pietra umida, percorsero il cunicolo discendente, come avviati alle viscere infernali.
Ma ormai si erano resi conto che l’inferno stava sopra, tra la gente.

Dopo parecchi minuti, scorsero una luce appena più viva in fondo al cunicolo.
Qualcuno li attendeva in una stanza a volta, alta, di pietra e mattoni.
Acqua gocciolava dalle pareti, come in una vera caverna; muschio e muffe proliferavano sui laterizi porosi e negli spazi tra questi.
L’umidità era opprimente più del freddo.
Quella debole luce proveniva da un candelabro posato al centro di un tavolo costituito da una semplice asse di legno, posata su due muretti improvvisati, e da un braciere, unica fonte di calore, attorno al quale stavano delle brande.
Si trattava evidentemente di un rifugio ove restare per più di qualche ora, anche se la sola idea di “vivere” lì era angosciante.

Seduto su uno di questi giacigli, un’ombra indistinta si riscaldava.
-    E’ andato tutto bene? – chiese, la voce della sagoma scura prima di voltarsi e diventare persona ai loro occhi.
Lo fece senza timore: sapeva del loro arrivo, già dalla loro entrata in città.
“Quella voce…”
Oscar lo riconobbe subito, ancor prima di incrociare il suo sguardo ed il respiro si gelò per la sorpresa.

I capelli gli arrivavano appena alle spalle, un poco ingrigiti; il viso era più magro ed affilato di come lo ricordava, ma gli occhi puntati su di lei, solo su di lei, sembravano ancor più vivi e splendidi ora che non c’era una capigliatura perfetta a distrarre la vista.
Era sempre un bell’uomo, ma più invecchiato di quel che avrebbe dovuto.
Gli ultimi cinque anni non dovevano essere stati facili per lui.
Gli si leggeva addosso il peso di quella guerra, alla quale lei era scampata grazie all’esilio.
Tutto quel che possedeva, era evidente, lo portava con sé. Vestiva alla maniera sanculotta, con tanto di coccarda sul bavero della consunta, sporca giacca.



-    Bentornata in Francia, comandante! – disse Girodelle alzandosi.
Fece un cenno di saluto ad André, un secco chinare il capo al rivale vincitore.
Loro, muti, ricambiarono il saluto, troppo sorpresi per dire qualsiasi cosa.
-    Non devo fare le presentazioni, vero, cara figlia… - disse ironico Jarjayes. – Victor è il nostro asso nella manica! Dopo il mio fallimento di far fuggire sua Maestà, lo scorso marzo, lui è riuscito ad infiltrarsi tra il personale che si occupa dei prigionieri, sia al Tempio che alla Conciergerie. Un vero campione dell’inganno! Vero, ragazzo! – esclamò passandogli un braccio sulle spalle come avrebbe fatto un padre orgoglioso.
Oscar ed André inarcarono le sopracciglia.
Il generale era davvero … entusiasta.
-    Prima che magari vi domandiate la mia mansione nelle prigioni, vi tolgo il pensiero… - disse Girodelle con un sorriso tirato – Ho preso il posto del precedente lanternaio. Il mio compito è accendere torce e candele. E di svuotare pitali.
Nessuno osò ridere.
-    Cos’è successo al vecchio lanternaio? – chiese André.
-    Ha avuto un incidente … - rispose prontamente Girodelle, fattosi serio. – E’ caduto nella Senna… - precisò.
-   Già, … ma con la gola tagliata! – esclamò Jarjayes dandogli una energica pacca di conforto sulla schiena. – Non guardateci così. Facciamo solo il necessario. Non te ne devi vergognare, ragazzo…
“Ancora quel "ragazzo"!”, pensò Oscar.
Quella alleanza tra suo padre e Girodelle, le sembrava così strana. Eppure, a ben riflettere, al generale era sempre piaciuto Girodelle.
-    Non perdiamo altro tempo. Sedete qui, mangiamo un tozzo di pane e Victor ci aggiornerà.

In effetti, da quando Jarjayes era partito ad agosto per la Svezia e poi per l’Inghilterra, erano accadute parecchie cose.
Ai primi di settembre, Hébert aveva preteso, senza mezzi termini, la testa dell’austriaca, specificando che altrimenti, gliela avrebbe staccata di persona.
Il 3 settembre, la principessa di Lamballe, rifiutatasi di accusare la sua migliore amica, era stata squartata e parti del suo corpo esposte sotto la prigione per mostrarle a Maria Antonietta.
Era iniziato “il terrore”.
Il piccolo Charles era stato sottratto alla famiglia già il 3 luglio ed affidato ad un ciabattino analfabeta, Antoine Simon, incaricato della sua “educazione”.
L’educazione, per l’uomo, consisteva in un vero e proprio lavaggio del cervello, allo scopo di preparare il piccolo a testimoniare contro la madre. Lezioni di parolacce e canzoni oscene; veniva fatto ubriacare e usato come giullare, come divertimento per le guardie.
Quando per la prima volta, aveva utilizzato il termine “puttana” riguardo sua madre, il Simon lo aveva premiato.
Il 6 ottobre, davanti al tribunale, Charles aveva accusato la madre di avergli usato “violenza”.

Le accuse contro Maria Antonietta di complotto contro la Repubblica erano pronte.
Le “aggravanti” avevano la voce e l’aspetto di un innocente.
Il processo poteva cominciare. Il verdetto, era già deciso.
Oscar ed André ascoltarono il racconto dettagliato di Girodelle, esterrefatti, disgustati.
Sembrava che a lui, invece, nulla facesse più effetto.

-    Quindi … Il nostro piano. Primo: la Conciergerie. Sua Maestà vuole assolutamente vedervi. E’ stata categorica. Il processo comincerà fra due giorni, il 14. Siete arrivati appena in tempo. Porterò un messaggio a Rosalie e lei, domani, si darà malata. Voi Oscar, prenderete il suo posto: domani sera entrerete con me in quella prigione.
-    Ma… e Rosalie? – si preoccupò Oscar.
-    Lei non rischierà, non temete. Sarò io a proporvi come sostituta. Non la metteremo in pericolo accostando il suo nome al nostro. Sembrerà tutto casuale.

Victor li lasciò poco dopo: doveva recarsi al lavoro.
Stranamente, prese alcune bottiglie di vino da una cassa in un angolo, prima di allontanarsi, ma non gli chiesero spiegazioni e lui non ne fornì di sua iniziativa.
Jarjayes si era addormentato su una delle brande.
“Un soldato si adatta a tutto”, ricordò Oscar.
-    Chissà … Forse non sono mai stata un vero soldato… - borbottò sedendosi accanto ad André che finiva di bere il suo boccale di vino.
-    Come?
Oscar sbuffò indicando il genitore.
-    Uomini della sua tempra, ce ne sono pochi… Non contare c’io avrò la stessa energia alla sua età! – bofonchiò di rimando.
-    Chissà come sta Tristan? – mormorò fissando i carboni nel braciere.
-    Sta sicuramente bene. C’è la nonna con lui. – la rincuorò prima di bere un altro sorso.
Sentì che lo fissava.
Lo stesso sguardo di quando lo rimproverava per aver dimenticato qualcosa di importante o se entrava in casa con gli stivali infangati.
-    Dai! … E’ troppo piccolo perché possa già prenderlo a mestolate! – scherzò.
-    Non dovevamo partire… - disse lei tornando con lo sguardo al fuoco. – Avevi ragione tu: i loro problemi non sono più un problema nostro!
Lui fece per parlare, ma Oscar lo interruppe.
-    No… Che dico! Non potevo ignorare una simile richiesta …
-    Perché non provi a dormire un po’? – tentò André, sorridendo per quel suo tormentato monologo.
-    Non me la sento di dormire. Fa così freddo qui… - e si strinse nelle braccia.
André posò la tazza di metallo e le prese le mani.
-    Dai qua!… Vediamo se riesco a migliorare la tua temperatura. Meglio?
Oscar lo fissava mentre portava le mani alla bocca e soffiava per scaldarle, strofinandole tra le sue.
-    Mi manchi. – disse con tono carezzevole.
-    Oscar… - la rimproverò sorridendo, senza guardarla.
Ma avrebbe dovuto saperlo che su di lei i rimproveri avevano un effetto contrario.
Da sempre.

Si sporse verso di lui e lo baciò come un affamato addenta il pane.
Prese il suo capo fra le mani e lo costrinse ad assecondarla.
Non che André ne avesse bisogno per ricambiare, ma non gli pareva esattamente il momento indicato.
Eppure anche a lui mancava.
Soprattutto desiderava scacciare quel pesante, innegabile malessere che li aveva avvolti fin dalla loro partenza, solo cinque giorni prima. Perciò la ricambiò con desiderio, assaporando quelle labbra che da un settimana neppure riusciva a sfiorare.
Quando, però, sentì le mani di lei scivolargli sui fianchi, sfilargli la camicia ed insinuarsi ad artigliargli la pelle, ebbe un attimo di lucidità.
-    Piano! Piano, Oscar! Non siamo sotto un cielo stellato e non siamo neppure soli…
-    Dorme… - bisbigliò lei contro il suo collo, non intenzionata a cedere alla ragione.
Era sempre stata impavida!
-    Os …Ohhss … Quasi preferivo quando sfogavi la tensione coi duelli… - balbettò André, occhi chiusi, intento a non permettere risvegli imbarazzanti al suo corpo; le mani sulle braccia di lei, ma poco intenzionato a fermarla davvero. -  Non possiamo…
Oscar lo guardò sorridendo soddisfatta per averlo messo in imbarazzo.
Una versione differente dei dispetti che gli faceva da bambina.
Si strinse a lui con affetto, concedendogli tregua.
-    C’è una cosa che mi preoccupa… - mormorò.
-    Una sola? – replicò lui, riprendendo a respirare normalmente, stringendola a sua volta.
“Già…Una?”
-    Potremmo imbatterci in Alain, là fuori.
André le carezzò la schiena, intenzionato a tranquillizzarla come da sempre faceva.
-    Non credo. – mentì - Parigi è grande ed i compiti della Guardia Nazionale non sono limitati al controllo del centro città. Ci basterà evitare i posti che lui frequentava un tempo. E poi… - alzò gli occhi sulla volta immersa nelle tenebre – non credo vedremo molto la luce del sole. Forse lui non è neppure più in città…
-    … Forse non è più neppure vivo… - aggiunse lei, dando voce ai comuni timori.
Lui la strinse più forte.



- continua



1)    Nel 1348 ci fu la Peste Nera in Francia, che in tutta Europa uccise un terzo della popolazione. Ho pensato che, per un aristocratico, fosse un paragone calzante in quanto a momento drammatico.


Capitolo dimezzato perché l’originale era troppo lungo.
Forse un po’ troppo pieno di dati storici, ma spero non sia dispiaciuto.
Vi aspettavate Girodelle? no? Missione "monarchica", anche se preferisco considerarla una missione "pietosa", come poteva mancare il Vik!!! Io AMO il Victor!
Se volete cominciare a lanciar sassi, ok... ma perfavore, cominciate con sassi piccoli... : )


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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


IL MIO DOVERE cap. 11




IL MIO DOVERE – CAP. 11




Girodelle tornò da loro il pomeriggio seguente con un grosso sacco che gettò su una delle brande.
-    Vi ho portato del cibo e tutto quello che ci servirà stasera. – disse.
Oscar ed André alzarono lo sguardo dalle mappe di Parigi e della Francia che stavano esaminando col generale.
Jarjayes aveva spiegato loro il piano già studiato e definito da Victor. Mancavano solo alcuni dettagli per i quali aspettavano un chiarimento nel giro di poche ore. Ma era tutto organizzato, fino all’uscita dal Paese.

Victor porse ad Oscar un lasciapassare diverso da quello maschile che aveva utilizzato per entrare in città
-    Marie Bonnet…Che significa? – esclamò.
Come risposta, Girodelle estrasse abiti femminili dal sacco e glieli porse.
-    Volete scherzare? – sibilò Oscar.
-    Sarete Marie, la sostituta di Rosalie. – replicò composto e deciso - E’ il solo modo per farvi entrare nella cella di Sua Maestà.
Oscar esitò un istante, ribollendo indignata, fissando il suo sguardo adirato in quello dell’ex vice, tanto calmo lui, quanto lei sembrava invece sul punto di esplodere.

Mai, nella sua vita, aveva indossato abiti femminili in una missione!
Neppure quando glielo aveva ordinato il Generale.
Neppure quando le sarebbe tornato comodo.
“Ma per questi poveri innocenti, lo faccio…”, si disse.
-    Va bene … Infilerò l’abito sopra i miei. – disse posando lo sguardo sugli scialbi indumenti ed allungando una mano per prenderli.
-    No! Niente pantaloni sotto le gonne! – esclamò severo Girodelle, senza lasciare la presa sugli stracci – E niente armi! Devono trovare solo una donna, quando vi perquisiranno. – aggiunse con la freddezza di un ordine.
-    Non mi piace per niente!– si intromise André, sfidandolo con lo sguardo, mentre i due reggevano l’abito quasi fossero impegnati in un tiro alla fune.
Il tono con cui il conte aveva accennato alla perquisizione, non gli era garbato.
Non gli garbava neppure il modo in cui dettava le regole.
Per non dire del modo in cui guardava sua moglie…

Girodelle mollò con un gesto secco quella specie di contatto con Oscar e gli si parò di fronte, ricambiando la sfida.
-    Vi piacerebbe vederla incontrare la ghigliottina, Grandier? – sibilò - Per un paio di culottes? O meglio ancora… Vorreste vederle fare la fine della principessa di Lamballe? Perché se la scoprono, questo le accadrà di sicuro…
-    Basta! Smettetela! – s’intromise Oscar frapponendosi tra loro, posando le mani sui loro toraci gonfi ed imbufaliti ed allontanandoli l’uno dall’altro. – Girodelle ha ragione! Devo solo parlare a Sua Maestà. Lui si occuperà del resto. Sai che posso cavarmela… – mormorò posando entrambe le mani sul petto di André, delicatamente, guardandolo in modo rassicurante.
-    È per quello che dovesse metterti le mani addosso, che mi preoccupo. – cercò di scherzare il marito.
Girodelle li studiò un istante e riconobbe nello sguardo d’André lo stesso che avrebbe avuto lui al suo posto.
Volse gli occhi altrove e sbuffò irritato.
-    Ossignoresantissimo! … E va bene – disse .
Il generale si riscaldava accanto al braciere, lasciando i “giovani” a sbrigarsela, e sorrise appena quando udì Girodelle imprecare.
Victor prese uno stiletto dalla sua cintura.
- Lo metteremo nel cesto, per sicurezza. Da usare solo in caso estremo. – specificò – Dobbiamo ricordarci che i nostri veri obiettivi si trovano al Tempio. Se ci facciamo beccare qui, salta tutto.

***

Partendo dai cunicoli delle catacombe erano poi entrati nelle fogne, avvicinandosi il più possibile alla loro destinazione.
Oscar non poteva far altro che seguire Girodelle, domandandosi come facesse a distinguere un tunnel dall’altro e immaginando che, solo una svolta sbagliata avrebbe potuto farli diventare oggetto di studio per qualche speleologo del futuro.
- Ci siamo quasi. – disse piano Victor, fermandosi ad un crocevia per guardarsi intorno, facendo il punto della situazione.
Oscar stava per prendere un’uscita dalla quale filtrava un pallido chiarore.
Lui la trattenne per un braccio.
-    Non di lì… - bisbigliò – Quella è sorvegliata!
La sua abilità nel conquistare le confidenze delle guardie, gli aveva permesso di mappare con una sufficiente precisione i luoghi più o meno presidiati di strade, prigioni, ingressi alle catacombe ed alle fogne.


Si allontanarono in un percorso laterale, infinitamente buio. L’uomo la precedeva con la lampada, tenendola alta davanti a sé.
Erano accompagnati solo dal gocciolare delle volte, lo scorrere del canale e lo squittio dei topi.
Ad un certo punto non poterono evitare l’acqua sporca che correva come un insano torrente.
Girodelle sì bagnò un poco gli stivali, nello scavalcare il punto più ampio.
Oscar stava per sollevare la maledetta gonna ed imitarlo, ma Victor glielo impedì.
Posò la lampada e, afferratala con decisione per la vita, incurante della sua debole obiezione, la sollevò oltre il rivolo e  la depositò all’asciutto.
-    E’ troppo fredda per bagnarsi… - disse come per giustificarsi di quella che non era solo una cortesia, ma una accortezza logica visto che lei non portava stivali ma scarpe da donna, misere e consunte.
Senza altre parole, senza incrociare il suo sguardo indagatore, riprese la lampada e si incamminò.
“L’efficiente Girodelle di sempre”, pensò Oscar, ma c’era qualcosa di strano nel suo modo di guardarla.
O forse era lei più aperta a notare certe sfumature.
Arrivarono ad un altro incrocio.
Lui abbassò la luce  e gliela passò, prima di chinarsi verso una grata dalla quale entrava aria gelida.
Diede un paio di colpi e l’inferriata, solo poggiata, si mosse.
Oscar spense completamente la luce, abbandonò la lampada sul pavimento e, a tastoni si infilò nel corridoio più basso, seguita dall’uomo, che perse qualche istante a riposizionare la griglia.

Non dovette percorrere molto nel buio che la luna piena guidò i suoi passi.
Uscire finalmente all’aperto sotto quel ponte, il Pont Neuf, nonostante il freddo, fu un sollievo.
Finalmente aria!
Stavano facendo un giro largo per arrivare alla loro destinazione motivato dalla doppia vita di Victor, che tutte le sere si recava al lavoro facendosi notare sullo stesso tragitto, abituando i sorveglianti alla sua costante, monotona presenza.
Purtroppo, ora il percorso sarebbe stato tutto all’aperto con tutti i rischi connessi.

Traversando il ponte, la vide alla sua destra.
La Conciergerie. L’anticamera della ghigliottina.
Pareva così dannatamente bella, lì, illuminata da un esagerare di torce, specchiata nella Senna in quella sera freddissima di luna piena.
Così bella fuori, così orrida dentro.
Palazzi di Re, diventati prigioni di Re. O, forse, lo erano sempre stati…
Forse questo erano le regge: niente altro che prigioni, più o meno dorate.
Era tutto molto silenzioso. Molte case erano abbandonate. La paura aveva corpo a Parigi, non era qualcosa di astratto.
Oscar non riusciva a riconoscere la città che aveva lasciato: disperata, rumorosa ma … viva!
Parigi ora sembrava un fantasma.
In quelle ore serali, il terrore gelava le persone più dell’inverno ormai in arrivo.
Poche ombre, indistinte come fantasmi, li incrociarono e non li degnarono della minima attenzione.

Vide Girodelle fermarsi, controllare intorno a sé con circospezione; andò ad armeggiare in un angolo nascosto all’altro lato del ponte e ne tirò fuori un piccolo carretto. Uno degli attrezzi del suo nuovo mestiere.
Man mano che si avvicinavano alla costruzione medievale, Oscar osservava la prigione some mai aveva fatto prima, stagliarsi oltre le casupole costruite ai lati del ponte dei cambiavalute (1) mentre la percorreva con Girodelle che si trainava il suo carretto.


Victor si fermò qualche metro prima della fine del ponte e si guardò intorno un istante.
-    Attendiamo che passi la ronda. Io ho documenti validi, collaudati, ma per voi potrebbero chiedere verifiche e non possiamo permettercelo. Mettiamoci qui, siamo abbastanza riparati. – disse indicando un rientro fra le ultime case.
Oscar lo seguì nella direzione indicata. Girodelle lasciò il carretto e si sedette su di un muricciolo, invitandola a fare altrettanto.
-    Meglio metterci comodi nell’attesa.- mormorò.
Oscar, sempre in silenzio, lo accontentò. Accompagnò il dietro della gonna, nel sedersi, come ormai le veniva naturale le poche volte che indossava abiti femminili, e se ne restò lì, col cesto ai piedi, guardandosi distrattamente intorno, come d’altronde faceva anche lui.
-    Vi devo la vita. – disse Victor all’improvviso, senza guardarla, interrompendo l’imbarazzo.
-    Come? – chiese esitante volgendosi verso di lui.
-    Quel giorno, quando mi avete impedito di fare irruzione nella sala dell’Assemblea…
-    Non capisco … - finse Oscar, ma si interruppe quando lui si volse ed incrociò, col suo, quello sguardo profondo che la invitava a non tergiversare.
Non era più di moda perdere tempo in chiacchiere nella Francia governata da “madama ghigliottina”.
-    Il re mi sospese dall’incarico a tempo indeterminato per quel che non avevo fatto. Insomma … per aver disobbedito. Una sorta di esilio camuffato, un riguardo alla mia famiglia. Un vero … “favore”… E non lo dico con ironia. Se non mi aveste voi impedito quel giorno, di costringermi a rispettare quell’ordine di cui non andavo fiero, non so che sarebbe stato di me… Lo sapete bene, il comandante della Guardia Reale, non può nutrire certi … dubbi. – disse lui - Così lascia Versailles, lasciai Parigi e mi ritirai in campagna. E non fui là quel giorno…
-    Intendete …?
-    Ottobre, sì, quando andarono a … - rise per il termine che stava per utilizzare – “prelevare” le Loro Maestà.
Oscar lo guardava perplessa.
-    Se fossi stato al comando, sarei morto … Nessuno vi ha raccontato che è accaduto alla Guardia Reale?
Oscar scosse il capo.
-    Sembrava che si fosse tutto calmato. I reali ed anche Lafayette andarono a dormire. Ma all’alba, un numeroso gruppo di scalmanati fece irruzione nella reggia con l’intenzione di uccidere la regina. La Guardia Reale cercò di frenarli sullo scalone … prima.., in ultimo nel salottino antistante l’appartamento di Sua Maestà dandole appena il tempo di fuggire verso l’appartamento del re. In due caddero… Ma è una descrizione riduttiva … Vennero trucidati. Varicorurt … Deshuttes (2)…  morti. …
Oscar deglutì riconoscendo in quei nomi, i suoi soldati di una vita.
- Sì, lo so, … succede ai soldati, ma, giuro, mai avrei pensato che così tanto sangue … - portò una mano alla fronte – Il salotto della regina, lo vidi a dicembre e … era rimasto solo quello, solo il loro sangue rappreso sul pavimento e sulla tappezzeria. – la guardò sorridendo, per scacciare quell’immagine – Per fortuna, intervenne la Guardia Nazionale di Lafayette a dar loro manforte. Che strana alleanza di soldati, fu… O sarebbe finita peggio. Sarebbe finita come alle Tuileries. – restò un attimo in silenzio - Avete fatto la scelta giusta, Oscar …
-    Non ho scelto io l’esilio, ma i sovrani! – sbottò con rabbia.
-    Intendevo … l’altra scelta . -  mormorò.
-    Oh … - chinò il capo, guardandosi la fede al dito – E voi? Non …
-    Le mie notti continuano ad essere fredde e solitarie, ma non me ne rammarico più di tanto. Con voi ho scommesso ed ho perduto … Così è la vita, Oscar... Tutto quel che possiedo ora, è quel che vi sta davanti: i miei beni sono stati confiscati, vivo randagio e braccato, col terrore che un gesto, una parola troppo … raffinati , mi indico come un aristocratico e che madama Ghigliottina faccia con me, quel che ha fatto con troppi miei amici e conoscenti. Ringrazio solo di esser riuscito a portare in salvo i miei familiari e … che mio padre sia morto prima di veder cadere nel terrore la Francia.
Videro arrivare la pattuglia di ronda e si azzittirono. Appena quelli svoltarono l’angolo, loro si fecero avanti, poiché non rimaneva molto tempo.
All’improvviso, spuntarono delle altre guardie. Non potevano tornare indietro. Le fece cenno di appiattirsi al muro, ma continuavano ad essere troppo visibili, e …lui la strinse al muro e la baciò d’impeto.
Un gendarme fischiò e lanciò qualche commento pepato, per non dir volgare, al loro indirizzo, ma li lasciarono in pace.
Alla fine, gli innamorati nascosti nei portoni, venivano tollerati e un po’ della loro leggerezza invidiata anche in quei tempi angosciosi.
Ah! L’amour!
Girodelle le liberò le labbra, ma solo quelle, appena si furono allontanati.
-    Mi perdonate? – chiese immediatamente.
Oscar esitò un istante a rispondere, prima di riaversi da quella sensazione di piacevole stordimento che, una donna sposata e innamorata, forse non avrebbe dovuto provare.
-    Mi dovete già la vita, non sfidate la fortuna, Girodelle!… - ringhiò puntandogli un dito in pieno petto, come se fosse un’arma.
Lui sorrise. Il suo comandante era tornato!


***


Prima d’entrare, Girodelle prese del tabacco da masticare e se lo passò sui denti, annerendoli, quindi raccolse del fango, anche se dall’odore sembrava qualcosa di peggio e si sporcò i capelli ed il viso.
-    Se non puzzo come una latrina … non sarei alla moda – le spiegò.
Rise, ma senza allegria.
Oscar pensò a quanto doveva costare all’uomo raffinato e pulito che ricordava, vivere a quel modo e percepì chiaramente un peso doloroso al cuore.
Le guardie all’ingresso, controllarono i documenti di Oscar e salutarono cordialmente Girodelle, che loro conoscevano come Jean Montout e che era palesemente di casa.
Jean spiegò loro che la sua amica quella sera sostituiva la cittadina Chatelet e non gli fecero storie.
Richard, il carceriere, una brava persona, controllò i documenti di Oscar, senza porsi troppe domande, e li fece entrare.

Il vero problema era l’ignorante davanti la cella.
-    Allora, come vanno le cose? – gli chiese Girodelle.
-    Tutto tranquillo, ma chi è la biondina?
-    Questo “bijou”? E’ Marie, sostituisce Rosalie
-    Che ha? E’ malata, “madame”? – disse mostrando astio verso Rosalie, che evidentemente era troppo a posto e il cui marito era troppo ben introdotto all’Assemblea per incontrare i suoi gusti.
-    Cose femminili, ufficialmente. Ufficiosamente credo che il marito l’abbia un po’ gonfiata, se mi capisci…
-    Già questi parlamentari, tutti perfettini…
-    Loro sì che sanno come trattare le signore!
Oscar non poté non ammirare le doti da commediante di Girodelle: interpretava quanto di più distante dalla sua personalità con notevole immedesimazione e, certamente, conosceva esattamente il punto debole del nemico.
-    E tu bellezza, sei sposata? – le si rivolse l’abominevole essere.
-    Sì.  – ringhiò Oscar scansando sdegnosamente la mano che si avvicinava al suo viso
-    Vieni qui che ti devo perquisire, bella! - esclamò il sorvegliante afferrandola e strattonandola con violenza contro di lui.
Girodelle s’affrettò ad intervenire per impedire una delle reazioni violente che ricordava bene del suo comandante e l’abbracciò lui, vigorosamente, allontanandola dalla guardia municipale.
-    Tranquillo che l’ho già fatto io! – disse stringendola, tastandola come a mimare una perquisizione approfondita e ridendo – Tutti i giorni la perquisisco, vero piccola! – aggiunse attirandola a sé.
Oscar non riusciva a nascondere il suo disappunto, ma si tratteneva.
-    Ed al marito sta bene?- ghignò quello.
-    La povera bijoux qui è davvero sfortunata! Pensa che, dalla campagna, col marito, è venuta qui per conoscere la vera rivoluzione ed il disgraziato già il primo giorno è finito sotto un carro. Hanno dovuto amputargli entrambe le gambe, già… Così, siccome sono di buon cuore, - rise sonoramente lasciando intendere l’esatto contrario, - li ospito a casa mia e le trovo qualche lavoretto, perché lui, poveraccio, ormai è solo un peso. Quando ho saputo che Rosalie non stava bene, ho proposto lei, che ha sempre desiderato conoscere la cagna austriaca. Ha detto che poi mi ringrazierà alla grande, vero piccola?- disse stringendola al fianco ed aggredendo il suo decolté con un bacio lascivo. - Sai, è un po’ timida, ma sa diventare una vera furia, se capisci… - e gli strizzò l’occhio.
-    Come fa uno con un mestiere come il tuo ad avere certe fortune … - borbottò l’idiota con palese invidia.
Victor frugò nel cesto di Oscar e tirò fuori una bottiglia di brandy, mentre spostava lo stiletto nella tasca del suo grembiule, ora che il rischio perquisizione era passato.
-    Ho le mie risorse. Non hai idea a lavorare nelle fogne cosa salta fuori. Questi nobili hanno nascosto di tutto! Ecco un pensierino per il mio amico : un brandy fantastico! – disse indicando la scritta sull’etichetta.
-    Sai leggere?- si meravigliò il comunardo.
-    Solo quel che serve. Prima dovevo dare la metà di quel che rimediavo ad un passacarte solo per capire cosa trovavo. Ora sono indipendente! Guarda, riconosci il marchio? No? “Proprietà Jarjayes”, il bastardo realista! Roba di prima scelta! Di questo non riuscirai più a farne a meno!
-    E tu guadagnerai vendendomelo, eh? – rimbrottò quello.
Victor lanciò uno sguardo ad Oscar, una muta intesa.
-    Vai a fare quel che devi, piccola, intanto che prendo una meritata pausa col mio amico e non metterci troppo che l’austriaca non è degna di riguardi.
Le diede una energica pacca sul sedere, sghignazzando, ma il suo sguardo non rideva affatto, mentre l’aguzzino apriva la bottiglia e cominciava a tracannarla.
Oscar posò la mano sul chiavistello della porta, la cella della prigioniera n. 280 ed entrò.
Appena oltre l’uscio aspettavano due guardie.
La Regina non veniva mai lasciata sola.
Sentì Girodelle alle sue spalle che gridava ai soldati di raggiungerli.
Era davvero bravo a recitar la parte del “compagnone di sbronze”
-    Venite a bere anche voi, cittadini! –
I soldati lo riconobbero nel suo ruolo di lanternaio e si fidarono.
Così Oscar rimase sola nella buia stanza di fredda pietra e mattoni. Sola con un’ombra che vide avanzare malferma verso di lei.


Da principio non la riconobbe.
Non riuscì a vedere nella donna che si trovò dinnanzi, la ragazzina, la giovine che tutta Europa aveva ammirato. Che lei stessa aveva trovato bellissima nella sua ingenuità e onesta leggerezza.
Avevano la stessa età, ma Maria Antonietta sembrava una vecchia: i capelli non avevano nulla di quel colore per il quale la Du Barry l’aveva chiamata “la petite rouge”, la piccola rossa; erano completamente bianchi e radi.
Era incredibilmente pallida, ma non il pallore decantato dai poeti, non il bianco liscio del marmo, non il chiarore luminoso della luna…
E non solo per colpa della clausura. Era il colore di una persona malata. Gravemente malata.
Il corpo era gonfio, senza più armonia di forme; al tempo stesso si capiva che stava deperendo per via del viso incavato, degli occhi infossati.
Non aveva ancora 38 anni, ma ne dimostrava 70.
Si avvicinò piano a lei, zoppicando, vestita a lutto, quasi un fantasma nel buio dell’umida cella rischiarata solo da un braciere.
Le sorrise e solo allora Oscar la vide com’era stata.
E le si inumidirono gli occhi.
Si era detta che non lo faceva per lei, si era detta che aveva a cuore solo i due innocenti, che il regno comporta privilegi ed oneri, cose di cui Maria Antonietta avrebbe comunque dovuto render conto al Paese.

-    Non riesco a crederci … Siete proprio voi?
-    Non abbiamo molto tempo, Maestà!
-    Lasciatevi guardare, solo un attimo …- le prese le mani, se le portò unite alla guancia. - Ringrazio Dio per aver esaudito la mia preghiera… - mormorò. – Vi è stato spiegato? So che vi chiedo davvero molto, Oscar, e che non merito favori da voi, ma…
Fuori si sentiva l’aguzzino ghignare e Girodelle cantava, a voce alta, così non le avrebbero sentite.
Oscar cercò di non farsi distrarre, il tempo era davvero poco


-    Sì! Sì, Maestà, ma …Parlerò liberamente, Maestà! Sapete che non lo alleverò come nobile? Sapete che non farò nulla per fargli riavere il trono del padre? Voglio che vi sia chiaro, Maestà, perché, francamente … non condivido la strada presa dalla rivoluzione, ma gli ideali, sì. Lo sa Dio che non avrei mai voluto che vi accadesse tutto quel che avete patito, … quel che vi aspetta, e che vorrei portarvi via di qui. … Ma a questo punto siete finita anche per le vostre scelte troppo intransigenti.
-    Apprezzo come sempre la vostra franchezza, Oscar e vorrei che mi crediate quando ribadisco quanto annunciatovi nella missiva: mi basta che Charles sia vivo! Vivo ed al sicuro con voi! Non ho chiesto la vostra presenza qui, per farvi salvare la monarchia! Non ho chiesto la vostra presenza per farvi salvare mio figlio… Ho chiesto a vostro padre di condurvi qui, perché voglio vedere nei vostri occhi la risposta: alleverete il mio bambino, Oscar? Avrete cura di lui come una madre? La monarchia? Il trono? Oscar… Inutile oramai recriminare, cavillare, anche pentirsi … Ormai, tutto è storia, anche la mia imminente morte fisica perché la regina che conoscevate è morta da tanto … Quella che vi parla, che vi supplica, è solo una madre, che non può lasciare questo mondo con  il pianto straziante del suo bambino nelle orecchie. Voi dovete salvarlo, Oscar, non perché ve lo chiedo, non perché lo dovete, ma perché è giusto!
Le mise in mano una rosa bianca, fatta con della stoffa cenciosa.
-    L’ultimo dono che vi posso offrire, e che stavolta spero non rifiuterete, mia cara.

Gli occhi di Oscar si inumidirono.
E poté fare solo una cosa.
Non perché le veniva chiesto, non perché lo doveva, ma perché lo sentiva giusto.
Piano, fletté un ginocchio e si inchinò.
L’ultimo suo inchino all’ultima regina di Francia.
Prese la rosa dalla mano di Maria Antonietta e baciò le dita ossute.
L’amica posò l’altra mano sul suo capo, in una carezza, ed arricciò teneramente fra le dita una ciocca dorata che spuntava da sotto la cuffietta.
-    Non ve l’ho mai detto, amica mia, … ma avete sempre avuto dei meravigliosi capelli… - mormorò piangendo.
-    Bijoux, maledizione! – tuonò la voce di Girodelle – Non hai ancora finito?!
Entrò veloce nella cella mentre ancora gridava e le fece un cenno veloce.
Gli altri lo seguivano: non c’era più tempo!
Oscar capì al volo la situazione.
Si rialzò di scatto e, afferrate le lenzuola dal cesto, le lanciò addosso alla Regina, proprio mentre le guardie entravano.
-    Cambiatele da sola le tue lenzuola, maledetta austriaca! – cominciò a strillare, stringendo nel pugno chiuso la rosa.
Girodelle colse l’occasione. L’afferrò per la vita, sollevandola di peso, mentre Oscar inveiva a male parole e scalciava come a voler malmenare la prigioniera.
-    Per tutti  i demoni dell’inferno! – esclamò il carceriere – La tua biondina è davvero una gatta furiosa! Portatela via, che non ho certo bisogno di grattacapi!
E lui lo fece mentre Oscar rabbiosa continuava a gridare “maledetta”.
Nessuno si sorprese delle lacrime delle due donne, che si fissarono fino all’ultimo istante; le scambiarono per plausibili manifestazioni di rabbia e paura.
Ma in realtà erano disperate quelle di Oscar, di sollievo quelle di Antoniette.

- continua



1)    Ai tempi, il Pont au Change era costruito con case su entrambi i lati, quindi la vista era diversa da quella di oggi.
2)    Sono i nomi delle guardie reali che vennero decapitate.



Ho un dubbio... Si è capito cosa chiedeva la Regina nella lettera inviata ad Oscar?…
Non si limitava a chiedere la liberazione di suo figlio, cosa alla quale avrebbe potuto pensare Jarjayes da solo. Non chiedeva che salvassero la monarchia, no. Antonietta voleva affidare Charles alla persona in cui aveva più fiducia, anzi… alla donna in cui aveva fiducia! Chiede che sia lei la nuova madre di Charles. Per questo Oscar aveva detto ad André che la loro vita sarebbe cambiata.
Jarjayes avrebbe potuto liberarlo, portarlo a Torino dove si era rifugiata la Corte e un domani, Charles avrebbe potuto accampare diritti sul trono. Ma non è questo il desiderio di Sua Maestà.
Il generale obbedisce e Girodelle lo aiuta … per i suoi buoni motivi. : )

Ancora niente sassi?
Ciao!

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


IL MIO DOVERE cap. 12
IL MIO DOVERE cap. 12



Oscar si fermò sulla soglia del vano contiguo la grande sala sotterranea a guardarlo, illuminato com’era solo da una torcia e da un primitivo focolare nella nuda terra, che scaldava ben poco.
Vent’anni di immagini quotidiane le passarono nella mente, fino a quella sera in cui lui si era presentato a chiedere la sua mano.
Lo ricordò sicuro, sereno, come un viaggiatore stanco, errante da tanto, che finalmente vede, alla fine del sentiero, apparire la sua destinazione.
Quel luogo che cerca da una vita.
Quel sito ove potrà finalmente riposare.
Lei.


Ma Oscar aveva riso di quella proposta.
Aveva riso di lui.
Aveva trovato offensivo anche solo immaginarsi “con lui”.
Aveva pensato a quanto ridicolo sarebbe stato per lei sottostare ogni giorno, ogni notte, a colui che le era stato sottoposto, subordinato per una vita, volontariamente, in un modo che André, seppure servo, non aveva mai fatto.
Le era parso assurdo il desiderio di Girodelle di sposarla.
Ma ora che André le aveva aperto il cuore, vedeva più chiaramente le anime attorno a sé.
E sapeva che, questo ed altro, un uomo profondamente innamorato avrebbe fatto.
Girodelle l’aveva amata davvero.
Sebbene non avesse avuto modo di conoscerla nel quotidiano, al di là del poco che lei lasciava trasparire sul luogo di lavoro, era riuscito a capire molto di lei. Più di quanto Oscar permettesse perfino a sé stessa di vedere.
Era stato coraggioso con quella proposta di matrimonio.
Era stato incosciente.
Ed aveva gettato tutto al diavolo per lei, quel giorno sotto la pioggia.
Secoli di onore, valore, dignità…
Si sentì addolorata per lui.
Si sentì colpevole.

Girodelle, chino sulle ginocchia, proteso su una tinozza di metallo, si era lavato quel che poteva con l’acqua appena poco meno che gelida che filtrava in quegli anfratti sotterranei, arrivando a formare anche piccole cascate; ed ora, ancora a torso nudo, cercava di sciacquarsi i capelli insaponati.
I suoi meravigliosi capelli, erano sempre stati il suo debole…
Ad occhi chiusi, allungava la mano in cerca della brocca, tastando a caso il pavimento verso i tizzoni che tenevano in caldo il recipiente.
Oscar si avvicinò e gliela sottrasse mentre lui arrivava a sfiorarla.
-    Lasciate che vi aiuti. – disse sedendosi su uno sgabello accanto a lui.
L’uomo non obiettò a quella insolita profferta.
Oscar lasciò scorrere piano sui capelli quell’acqua solo intiepidita, facendo sì che portasse via la schiuma del sapone, aiutandosi con una mano, scivolando piano sul suo capo.

-    Come avete fatto ad incontrare mio padre? – chiese,  indugiando con le dita fra le ciocche scivolose e morbide .
Una curiosità apparentemente di poco conto, che nessuno le aveva ancora chiarito.
Lui si volse e la guardò un istante, con quelle iridi nocciola, spruzzate di salvia e muschio, lucide, brillanti e tristi ogni qualvolta si posavano su di lei; poi tornò a fissare, celati nell’acqua sporca della tinozza, i suoi ricordi dolorosi.
-    Quando andai a Versailles, quella volta a dicembre, lungo la strada del ritorno mi fermai a casa vostra. Ovviamente, il palazzo era abbandonato ed era già stato saccheggiato. Mi fermai lì per la notte e, per puro caso, al mattino trovai vostro padre che aveva pensato bene fosse un posto sicuro ove nascondersi. Oramai, nessuno sarebbe venuto lì: non c’era più nulla da razziare.

Oscar annuì, prendendo per buona la stringata spiegazione, incrociando di nuovo il suo sguardo intimidito, che lui rapidamente distolse.
“Lo sguardo di chi ha segreti”, pensò.
Non le aveva detto tutto.
- Tenete! – disse passandogli un panno, per asciugare i capelli.
Victor lo prese senza osare sfiorarle la mano.
Era molto diverso dallo spavaldo che si era permesso di baciarla, carezzarla e palpeggiarla in ogni dove solo poche ore prima.

Si asciugò piano, rivolgendole ancora un sguardo mesto, ma più diretto del precedente, ricambiato da uno altrettanto diretto.

No, non le disse che quella notte aveva dormito nella camera della donna che amava ancora, in quel che restava del suo letto.
Non confessò d’aver fatto l’amore col fantasma del suo ricordo, stringendo a sé quella giubba rossa, sopravissuta al saccheggio nel fondo di un armadio in pezzi.
Non ammise d’aver pianto come un bambino, sognando il calore del suo abbraccio, in quella notte mai così fredda e solitaria della sua vita.

-    Victor, non ho mai pensato alle conseguenze che voi … A cosa… Non avrei mai voluto che … - cercò di spiegare.
-   Non datevi pena. Ho solo fatto quel che sentivo di dover fare. Come vi dissi quel giorno, non ero orgoglioso del compito che mi era stato affidato e voi… Voi mi avete solo dato un motivo in più per non compiere quel che avrebbe dovuto essere il mio dovere.

Gli occhi di lei corsero sul suo dorso dove cicatrici di una fustigazione si erano malamente rimarginate.
Carezze riservate ad un ufficiale ribelle in una prigione militare.
“Più alto il grado, più severa la pena…” (1)
-    Perché continuate ad aiutare la corona, Girodelle, dopo che … - si interruppe.
Victor si poggiò sui talloni, stringendo la salvietta tra le mani, fissando il nulla.
Quanto se lo era domandato quando ancora le ferite della carne e dell’orgoglio bruciavano?
-    E voi, Oscar? – chiese di rimando, puntando inaspettatamente lo sguardo in quello di lei. Ma non attese la risposta, che sapeva stava celata nel suo cuore.  – La verità è che siamo soldati, siamo aristocratici … e siamo brave persone. Per quanto male ci sia stato fatto, per quanto ci abbiano deluso, dentro di noi sentiamo di aver mancato ad un dovere. Il nostro dovere, sebbene sbagliato fosse ciò che ci veniva chiesto. E’ un condizionamento del quale non possiamo liberarci. E poi …, come vi ho detto, ho visto troppi amici perire ingiustamente, mentre gli approfittatori di allora, persone come il Duca D’Orléans, hanno continuato ad approfittare. E non odio Sua Maestà a tal punto da aiutare i suoi carnefici. La monarchia finirà, ma non nel sangue di un innocente. Vi fate carico di una grande responsabilità, Oscar… - disse rivolgendole uno tono ammirato e preoccupato ad un tempo.
-    Victor…
-    Oscar … - La voce bassa di André che la chiamava, interruppe l’istante perso nel tempo, nei se, nei forse, in ciò che mai sarebbe stato. Un  momento travolto da quella accozzaglia di domande senza risposta ed emozioni taciute che tali sarebbero rimaste. - Tuo padre vuole mostrarti le piante del Tempio che ha ottenuto. – disse piano, guardandoli entrambi dalla volta d’ingresso alla stanza.
-    Arrivo, André.


Alla debole luce di una sola candela, il generale dispiegò sul tavolaccio delle piantine schizzate a mano libera, con indicate le ultime modifiche apportate alla prigione.
-    Ecco, guardate! Come avevamo previsto, l’unica via d’accesso rimane quella principale. L’unica finestra è stata sigillata, povero ragazzo… Neanche aria fresca gli arriva! Terzo piano, Maria Teresa e sua zia. Secondo piano, Charles e … sì, gli ultimi lavori edili avevano lo scopo di murarlo vivo. (2) – Indicò con un dito  il tracciato che definiva l’orrenda parete.
-    Terribile … - mormorò Oscar -  Che male può far loro un bambino di otto anni ?…
-    Sì, terribile, ma suppongo tu ricordi Machiavelli, “Il principe”. Cosa insegna la storia? Cosa deve fare un principe, un dittatore, per mantenere il potere?
-    Uccidere i nemici. Tutti e a un tratto. Nessuno deve sopravvivere affinché nessuno possa un giorno vendicarsi. – mormorò la figlia, tornando alle lezioni di strategia di tanti anni prima.
-   Tanto crudele quanto logico, Oscar. Ora Charles è Luigi XVII, legittimo erede al trono di Francia che un giorno potrebbe rivendicare il suo posto. Non possono lasciarlo vivere. Il lato positivo di questa crudeltà, per noi è che i Reali sono stati privati di domestici e la sorveglianza è stata ridotta al minimo.


Girodelle portò vicino a loro quattro delle casse che stavano nell’altra stanza e le aprì.
-    Abbiamo da lavorare, ora. – disse prendendo una delle bottiglie di brandy e porgendola ad André.
-    E sarebbe?
-   Non crederete che sia bastato il mio fascino a conquistare le guardie delle prigioni!?… - replicò ironico Victor. – I liquori che fornisco loro non sono “più buoni” degli altri, ma semplicemente hanno un … chiamiamolo  “valore aggiunto”.
Ed aprì una bottiglia diversa.
André ne riconobbe immediatamente il contenuto dall’odore dolciastro dovuto alle spezie.
Aveva una forzata, personale esperienza con quella “robaccia”, che risaliva ai tempi del suo incidente col Cavaliere Nero.
Aveva compreso allora, che gli effetti di quella sostanza, all’inizio piacevoli, potevano diventare devastanti a lungo andare.
-    Laudano? Avete aggiunto laudano al vino ed al brandy che gli regalate?!
-    Non possono più fare a meno dei miei doni!… - rise Victor – All’inizio non lo aggiungevo a tutto. – spiegò stappando la prima bottiglia di liquore, vuotando un sorso in un boccale e sostituendo quella quantità con la droga. – E non ne mettevo tanto. Poi ho incrementato il numero di bottiglie adulterate, creando in loro una leggera dipendenza. Tutti volevano il nettare degli dei che avevo trovato nascosto nelle fogne … E tutti attendevano il mio arrivo alle prigioni come se fossi il loro miglior amico. E non c’era domanda alla quale non rispondessero. E domani… - ghignò – Domani faremo sì che la nottata sia indimenticabile per loro!


Venne il tardo pomeriggio dell’indomani e, con esso, il momento di agire.
Le casse di doni erano pronte. I sigilli di ceralacca erano stati ripristinati, con tanto di marchio dei Jarjayes impresso a caldo utilizzando l’anello del generale.
Casse in spalla, erano usciti sotto il Pont Neuf, sfruttando lo stesso percorso seguito da Victor ed Oscar la sera precedente. Ma il tragitto allo scoperto questa volta sarebbe stato più lungo e più rischioso: più di un miglio all'aperto li separava dalla prigione del Tempio.
André aveva indossato i cenci sanculotti a qualche modo… In fondo, si diceva, doveva apparire quanto di più lontano da un aristocratico perfezionista.
-    Venite qua… - disse Girodelle vedendolo scomposto.
Si trovavano già sotto le mura della cittadella medievale.

André obbedì, senza capire cosa non andasse in lui.
Victor prese a sistemargli la cravatta sulla camicia, la giacca, la sciarpa di lana.
-    Vedete, André, ho imparato tante cose negli ultimi anni ed una di queste è che nessun vero povero vuol mai sembrare tale… Ecco! Ora sembrate un vero … disgraziato. Povero e sporco, sì… Ma dignitoso!
Gli diede una stretta al braccio, come incoraggiamento.
-    Ora voi mi aspetterete qui. – disse - Vado avanti per controllare chi è di guardia e spero proprio che di turno ci sia gente non troppo sveglia. Stando alle voci che corrono, tutti si aspettano un tentativo in extremis di salvare la regina, quindi il grosso dei controlli dovrebbe essere alla Conciegerie. Speriamo in bene… - sospirò.

Detto ciò, si allontanò.
André si rassegnò ad aspettare nell’ombra, guardandosi intorno ansioso, ma per strada non c’era nessuno.
Il solo rumore era quello gorgogliante di un lavatoio pubblico.
Nessun altro suono, finché non udì una risata ed un vociare, una volgarità, un insulto indirizzato alla sorella di qualcuno…
Soldati!
Ed era tardi per trovare un nascondiglio.
La coppia di uomini in uniforme lo vide.
-    Chi va là? – gli intimò uno dei due puntandogli contro il moschetto.
André chinò il capo, calcando meglio il vecchio cappello sul viso.
Ora toccava a lui recitare, ma aveva il sospetto che la sua bravura non avrebbe potuto competere con quella dimostrata da Girodelle.

-    Solamente un semplice addetto alle prigioni, … cittadino sergente!
Mormorò umilmente, ricordandosi dell’avvertimento impartitogli da Girodelle e forzando l’abitudine di una vita intera trascorsa a ripetere quella parola, chinando il capo: … "signore".
“Mai! Mai chiamare qualcuno “signore”! Nella Francia della rivoluzione, niente più signori, solo “cittadino” e “cittadina”!”, si era raccomandato Victor mentre spiegava loro come riconoscere i gradi dei nuovi gendarmi, la Guardia Nazionale, casomai ci si fossero imbattuti.
-    Davvero? Mostrami i tuoi documenti! – intimò uno dei soldati.
-  Dio, che puzza! – esclamò l’altro quando André allungò una mano per porger loro un pezzo di carta – Porc… E’ indubbiamente uno di quei topi di fogna. Lascialo passare!
-   Abbiamo il compito di controllare e anche se questo tizio è stomachevole, dobbiamo farlo! – lo rimproverò il compagno. -   Uhm … Albert Fournier… - storse il naso.
-   Che c’è? – domandò il compare.
-   Non so… La firma dell’addetto non mi pare … originale…
-   Fai vedere?
Mentre i due uomini si consultavano e alternavano lo sguardo ora sul documento, ora sulla sua persona, André cominciò a temere il peggio.
La loro esitazione non era nulla di buono.
“Stai calmo”, ripeteva nella sua testa, guardandosi intorno in cerca di una via di fuga, in cerca di una “illuminazione”…
Sperava in un diversivo, ma non si vedeva nessuno.
Cominciò a pregare che Dio guardasse giù o che almeno gli facesse trovare qualcosa di grosso da usare come arma, visto che aveva solo un coltello.
Ma evidentemente Dio aveva in testa altro e di grosso spuntò solo un’ombra a cavallo da dietro l’angolo.
-    Che succede? – chiese con tono pacato, ma inflessibile, l’ufficiale col cappello sugli occhi ed il mantello allacciato stretto contro il gelo di quella notte.
Gli uomini scattarono sull’attenti.
-    Controllo di generalità durante una normale ronda, capitano!
L’ufficiale si avvicinò al passo; con calma allungò una mano al soldato e, senza necessità di una sola parola, si fece passare i documenti.
Il muso del cavallo, a pochi centimetri dal viso di André alitava nervosamente contro di lui, ma l’uomo non osava alzare lo sguardo, non azzardava a muovere un solo muscolo.
“E’ finita”, riusciva solo a pensare.
“Addio Oscar, addio Tristan… “
Gli parve di sentire sul collo un alito ghiacciato come la lama di una ghigliottina in rapida discesa.
-    Uhm … - mormorò l’ufficiale, schiarendosi la voce arrochita dopo un leggero colpo di tosse – A me sembrano regolari …
-   Veramente, cittadino capitano, – azzardò l’arrivista esaltato – la firma del cittadino Chauvin mi pare incerta…
-  Uhm ...  Ma no… - insisté il superiore, tollerante - Avrà firmato di mattina presto, dopo aver fatto baldoria tutta notte. Ormai lo conosciamo! … Se non sbaglio, poi, tu non sai reggere neppure il tuo “attrezzo” quando esci dalla locanda, vero Pichon... Cerchiamo di non pretendere troppo dal cittadino Chauvin, che è solo uno scribacchino obbligato a rilasciare centinaia di permessi al giorno. Lasciate andare questo disgraziato, che ha sicuramente una moglie ed una famiglia che lo attendono, e continuate la ronda senza perdervi in sciocchezze.
-    Sì, capitano! – esclamarono scattando sull’attenti; uno inghiottendo il rospo, con sguardo vendicativo verso il superiore.
L’ufficiale allungò il documento ad André e questo lo prese forzandosi a non mostrare quanto la mano gli tremasse.
L’ufficiale scalciò il cavallo e proseguì tranquillo per la sua strada, mentre i soldati erano già scomparsi in una traversa.

Non poteva restare lì! Doveva spostarsi o avrebbe suscitato sospetti! Accidenti a Girodelle! Dove si era cacciato?
Si guardò intorno…
“Ecco, in quel vicolo! “
Da lì avrebbe potuto tener d’occhio l’ingresso del Tempio, ma senza stare in bella vista come un bersaglio facile ed invitante.
Ci si infilò velocemente col carretto, ma mentre il cuore riprendeva un battito regolare, si sentì afferrare per un braccio con una tale forza che gli si sarebbe potuto staccare.
L’aggressore lo sbatté al muro talmente forte che gli parve di sentire scricchiolare la schiena e dovette chiudere gli occhi per il dolore, mentre il cappello gli scivolava piano sul volto e cadeva a terra come una non più utile maschera.


-    E adesso dimmi … - sibilò la voce dell’ufficiale - Che cazzo ci fai qui, André?
Senza quel tipico termine da camerata, non lo avrebbe riconosciuto.
Aprì gli occhi.
-    Alain?!
-    Alain, sì! E smettila di guardarmi come se fossi la tua fidanzatina!
Lo prese per il bavero e lo tirò su, perché pareva quasi che stesse scivolando lungo il muro .
-    Non starai dalla parte dei realisti, vero? Maledizione, André… Qui ci si divora l’un con l’altro già tra di noi! L’unica cosa che ci unisce ormai è la lotta ai monarchici. Sei qui con lei? Per lei? Se vi prendono siete fottuti!
-    Non chiedermi nulla, Alain, per la nostra amicizia, non chiedermi nulla… Non ho cambiato le mie idee che non sono diverse da quelle di Oscar ma, come tempo fa dissi a Bernard, poco importa ciò che credo : il mio dovere è un altro.
-    Ti farai uccidere… Te lo dissi già una volta e lo riconfermo a maggior ragione, André: ti farai ammazzare per lei!


Un ombra comparve all’improvviso, di scintillante solo il pugnale nella mano, diretto alla schiena di Alain.
-    No! – esclamò André mentre fulmineamente spingeva di lato l’amico e bloccava il polso dell’aggressore.
Girodelle si liberò con un violento strattone, ponendosi in guardia come d’altronde stava facendo il gigante.
-    Grandier, maledizione, stai gettando tutto il mio lavoro nella Senna! – sibilò.
-   Guarda guarda chi si rivede … Il fidanzato damerino della tua Oscar!… - ridacchiò il vecchio Alain, passando il coltello da una mano all’altra. – Però sembri meno in tiro di quel giorno che venisti a farle visita in caserma… - lo schernì.
-    Grandier… Non possiamo lasciarlo vivo… - disse quasi come una preghiera Girodelle, lanciandogli uno sguardo tra il minaccioso ed il supplichevole, senza perdere di vista Alain.
-    No. – si limitò a rispondere André con fermezza, cominciando a frapporsi in mezzo ai due.
-    Ci tradirà …
-    No, non Alain. Vattene! – intimò all’amico.
-    Se ci reincontremo, dovrò far fuoco, André …Non posso mostrare esitazioni… - lo avvisò l’ufficiale.
-    Cercheremo di non incontrarci, allora.
-    State attenti all’osso del collo… e non è un modo di dire.
André lo ringraziò con un cenno. Alain lo ricambiò e scomparve nel buio.
-    Avete compromesso tutta l’operazione, André! – lo accusò Girodelle, rinfoderando il pugnale.
-    Lui non dirà nulla!
-    E’ un bravo soldato?
-    Sì, il migliore ma…
-    E allora lo farà! Farà il suo dovere!
-    No … – mormorò André fissandolo – Non dirà niente e, dovete credermi, non ho dubbi.
-    Perché mai dovrebbe tradire la rivoluzione!?
André sospirò, strinse i pugni.
Gli sarebbe piaciuto poter dire “per lealtà verso un amico”, ma sebbene fosse certo di questa qualità in Alain, decise di dire altro, quella parte di verità che preferiva ignorare; lo fece con l’intento di metter le carte in tavola, sebbene significasse ammettere di conoscere i sentimenti di Alain e di Girodelle.
Disse quelle parole con fatica.
-    Forse per lo stesso motivo per cui voi avete tradito il vostro Re.
Girodelle si rizzò di colpo, colpito da quella parola che, per istinto, lo offendeva.
Fu come un pugno allo stomaco ricevuto da André che si era finalmente levato la maschera.
Ora non c’era più bisogno di fingersi reciprocamente tolleranti.
Rivalità, solo questo era il sentimento tra di loro.

“Traditore …”, pensò.
Non era mai riuscito a riconoscersi in quel termine.
Eppure era così.
Tecnicamente, nei fatti, quello era diventato disobbedendo in quel giorno di pioggia.
Anche se aveva avuto bisogno di una spinta da parte di lei per riuscirci.
Poco importava cosa facesse per redimersi, perché nella testa, nel cuore, mai si sarebbe pentito di quella scelta.
Era mancato al suo dovere: aveva ascoltato la sua coscienza, aveva ascoltato lei e quel che il suo cuore martellante di uomo onesto gli ripeteva: “non puoi sparare su uomini disarmati, non puoi sparare a lei”.
Inutile ingannarsi: non aveva seguito Jarjayes nelle sue imprese per lealtà alla corona, ma per tenere un contatto con lei. Per quella assurda speranza di poterla un giorno rivedere.
E André lo aveva capito.

Si guardarono in silenzio, ponderando, per un istante, se fosse il caso di prendersi reciprocamente per il collo.
André era tranquillo: non aveva necessità di battersi per l’amore di lei, che era e sarebbe stata sempre e solo sua.
-    E allora non perdiamo tempo… - concluse Girodelle ponendo fine a quel duello di sguardi - Come ha detto il vostro … “amico”, se ci prendono siamo fottuti!
E si voltò, prendendo il carretto con le bevande adulterate, borbottando sommessamente e desiderando di poter maledire il giorno in cui aveva conosciuto Oscar François De Jarjayes, conscio però in cuor suo che mai sarebbe potuto accadere.

***

Jean Montout entrò nel complesso del Tempio accompagnato dal suo collega Albert Fournier.
Jean veniva come ogni sera per accendere lanterne, cambiare candele e svuotare pitali.
Quello era il suo lavoro.
Un lavoro che nessuno sarebbe stato felice di fare.
Ma Jean non se ne dispiaceva.
Egli passava accanto ai potenti della rivoluzione come un fantasma e conquistava la peggiore feccia, lasciando intendere di essere uno di loro.
Li corrompeva con adulazione e con doni, ridendo alle loro battute e rincarando in goliardia.
Lavorare nelle fogne gli permetteva di arrotondare lo stipendio con un po’ di mercato nero.
Era bravo negli affari e sapeva riconoscere l’importanza di mantenere ottimi rapporti col personale delle carceri, in un periodo come quello in cui la possibilità di finire in una prigione era qualcosa da mettere seriamente in conto.
Ma quella sera era particolarmente contento, Jean.
Già, quel giorno era importante: era cominciato il processo alla vedova Capeto e già si sapeva come sarebbe finito.
Quindi, era il caso di festeggiare!
Da bravo cittadino aveva deciso di dividere il suo ultimo ritrovamento con le guardie ed i commissari del Tempio.
Il suo amico Fournier lo aiutò a portare a termine in fretta i suoi compiti e a distribuire quell’ottimo brandy trovato nascosto sottoterra.
Questo pensavano di Jean Montout i comunardi mentre si preparavano al turno di notte e salutavano i due lanternai che uscivano dal recinto del Tempio.
Ma quel turno per molti di loro avrebbe rappresentato niente altro che le ultime ore di vita.


-    Ed ora? – mormorò André mentre si allontanavano dopo aver terminato il loro lavoro, notando che qualche bottiglia era già stata aperta.
-    Ora ci troviamo un posto tranquillo fino al momento di incontrarci con Oscar ed il generale. Ce ne stiamo buoni come un ragno che aspetta pazientemente che la mosca tiri la ragnatela e lo avvisi che è ora di far festa.

***
- continua

1) Ho un dubbio su questa frase... Non è che l'ho "rubacchiata" a qualcuno? Ho la sensazione di averla già letta, ma ...boh! Se la riconoscete come vostra, fatemelo sapere!

2) in realtà, Louis Charles fu murato nella sua cella dopo la morte della madre, quando ormai era inutile, e lì lasciato a soffrire fino alla sua morte l’8 giugno 1795. Mi sono presa una “grossa licenza” anticipando i tempi e riducendo di molto la sorveglianza, come in effetti avvenne dopo che venne dimenticato in quella prigione.



Salve a tutti! Questo nelle intenzioni avrebbe dovuto essere l'ultimo capitolo perché ero convinta d'aver poco da aggiungere ... E invece no! Era diventato lunghissimo e ho dovuto spezzarlo.
Quindi dovrete portare pazienza fino al capitolo 13, che dovrebbe davvero essere l'ultimo, sperando che non porti jella alla storia (e alla sottoscritta!)
Come potete vedere, André vede bene i mosconi che ronzano attorno alla sua Oscar, ma non teme rivali.
E finalmente è arrivato Alain... Da lassù hanno mandato "qualcosa di grosso" in aiuto di André!
Spero che la storia continui a piacere e vi ringrazio!
Ciaooo!

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


IL MIO DOVERE cap. 13


IL MIO DOVERE Cap. 13

Oscar, come da programma, li raggiunse che era quasi l’una.
Vestita di scuro era sgattaiolata da un angolo all’altro, riparandosi dalla luna che, sebbene non piena ed oscurata da provvidenziali nubi, aumentava il rischio ad ogni passo.
Si acquattò accanto a loro, nascosti dietro il muro di un giardino in abbandono, in silenziosa e rassegnata attesa.

- Il generale? – bisbigliò Victor.
- Al suo posto, secondo i piani. Le guardie?
- Decisamente ridotte di numero e svogliate. La sorveglianza, come avevamo previsto, è stata concentrata alla Conciergerie. I prigionieri sono stati privati di domestici ed i commissari al piano terra sono dimezzati: quattro. Mezz’ora fa… cantavano già... Direi che ormai saranno intontiti al punto giusto. Possiamo procedere. Tra poco la ronda oltrepasserà l’angolo del perimetro e ripasseranno davanti al cancello solo tra un ora. Non avremo un minuto di più.

I compari annuirono e per un istante solo gli sbuffi dei loro respiri contro il freddo testimoniarono la loro presenza.
Quando il campanile più vicino batté un singolo colpo spettrale, Girodelle si sporse a controllare e scorse il drappello della ronda scomparire dietro l’angolo.
Si rivolse loro con un secco cenno del capo e per primo uscì allo scoperto.
Oscar si alzò, pronta a sua volta a tuffarsi nella via, ma André l’afferrò per un polso e la trattenne.
Alzò lo sguardo nel suo.
Uno di quei suoi sguardi che raccontavano tutto.
Non c’era bisogno lo spiegasse a parole, sapeva cosa voleva ricordarle.
Lei allungò la mano a carezzargli il viso, tranquillizzandolo.
Sì, certo, ricordava la promessa che gli aveva fatto.
Ne avevano parlato la notte prima, quando non riuscivano a prendere sonno e si erano stretti nella stessa branda, là sottoterra, dove rischiavano di finire per sempre..
Sapevano di rischiare la vita. Lo sapevano fin dall’inizio, ma…
Ora avevano una loro vita, vera, piena in un mondo che nulla aveva a che fare con quell’incubo.
E il rischio, compreso con la ragione, era apparso improvvisamente inaccettabile al loro cuore.

“Se dovessi trovarmi in difficoltà, mi lascerai indietro”, aveva detto André e non le aveva permesso di parlare se non per prometterglielo.
“Lo stesso vale per te”, aveva poi affermato Oscar con la stessa perentorietà.
“No, a te non accadrà nulla. Non lo permetterò”
Oscar aveva sorriso per quella arroganza tutta maschile che per anni aveva cercato di imitare.
Ma non aveva obiettato. Si era limitata a nascondere il viso contro la sua spalla, trovando sollievo all’umidità opprimente di quella caverna.
E, come poche volte aveva fatto in vita sua, si era messa a pregare per tutti loro.

***

L’uomo avanzò deciso sotto le torce dell’ingresso. Il viso illuminato da queste era quello di Montout, il lanternaio che li conosceva tutti, nome e cognome, ma il passo era decisamente diverso e se la guardia lo avesse notato, il suo destino avrebbe potuto essere diverso.
- Ehilà! – esclamò Girodelle affacciandosi con fare spavaldo al portone del recinto, mentre alzava la mano in un gesto di saluto, tenendo la destra dietro di sé.
- Ehilà! – rispose gioviale la guardia che in un attimo si trovò la mano sinistra di Victor stretta sulla bocca ad impedirgli l’urlo di sorpresa e quello immediatamente successivo di dolore per quel pugnale che gli stava affondando nel ventre con decisione.
Un altro colpo feroce, profondo, ed il malcapitato emise un ultimo rantolo, con lo sguardo ancora sorpreso su Girodelle.
“Tutti, a un tratto. Senza pietà. Questa è una guerra e siamo solo soldati con un dovere da compiere”

L’altra guardia si mosse verso Victor, ma André arrivatole alle spalle, avvolse un braccio attorno alla gola e strinse, facendo perdere i sensi all’uomo che seguì nel lento accasciarsi al suolo.
Nel mezzo di loro, Oscar si mosse felinamente, come quella di un tempo, come se non fossero trascorsi anni dalla sua ultima azione.
Avanzò dritta, decisa, fioretto saldo in mano, occhi puntati sulla sua vittima predestinata, un uomo confuso, ma abbastanza sveglio da poter provare terrore quando la punta della lama si piantò sulla gola.
- Chiavi, cappello e giacca… - ordinò lei, chiara e pacata.
La guardia, intontita dall’oppio, posò la mano sull’anello delle chiavi ed allungò il braccio dritto davanti a sé, pensando a che demone infernale fosse quella creatura di nero vestita, con quell’alone abbagliante, d’oro e di luna, e quei due gelidi occhi.

Sì, un angelo caduto! Solo quello poteva essere e pregò che non fosse lì per lui…

André prese il mazzo. Si fece indicare fra le tante quella per aprire il primo cancello, da un uomo sempre più inebetito, che non riusciva a distogliere lo sguardo terrorizzato da Oscar, mentre sfilava tremante la giacca dell’uniforme che André infilava velocemente.
Lei, aiutata dalla decisa spinta sulla lama, lo guidò oltre l’inferriata aperta da André, mandandolo a sbattere contro la porta della guardiola interna ed obbligandolo subito ad acquattarsi in basso come lei, tenendolo per la camicia e poggiando il ferro freddo e tagliente alla sua guancia .
L’addetto al secondo cancello, che poteva essere aperto solo dall’interno, si affacciò allo spioncino udendo quel tonfo sordo, ma vide solo André, con un cappello storto, una casacca mal messa, col viso nascosto dietro ad una bottiglia vuota che agitava sul naso del compare al di là delle sbarre.
- Viva la rivoluzione!… - biascicò André in perfetto stile ubriaco fradicio e si chinò fingendo un conato di vomito proprio sull’ingresso.
- Maledizione… no! – esclamò il collega. E si affrettò ad aprire, preoccupato da cosa sarebbe potuto accadere alla sua testa se una delle tante ispezioni a sorpresa fosse capitata in quel momento.
Appena aperta la porta si trovò ai piedi Oscar e la guardia ammutolita, ma prima che potesse superare la sorpresa e reagire a cosa stava accadendo, un destro di André lo aveva già mandato al tappeto.
Oscar spinse il suo ostaggio stralunato in uno sgabuzzino, obbligandolo a portarsi dietro il corpo del secondo guardiano steso da André che, impossessatosi del secondo anello di chiavi, aveva cominciato a provarle, una dopo l’altra nella toppa della seconda inferriata.

Victor, che aveva appena finito di trascinare lì i corpi delle due guardie del cancello, quella svenuta e quella cadavere, lì stipò nell’angusto loculo, ma solo dopo aver recuperato altre due giubbe e cappelli, ed aver legato ed imbavagliato l’unico ancora cosciente, chiuse la porta e spinse il chiavistello.
Il cigolare di una inferriata li informò che André aveva già trovato la chiave giusta.
Ora che tutti avevano un improvvisata uniforme addosso, dovevano solo attraversare il cortile a passo svelto, ma senza farsi notare dalle ronde sulle mura del castello.
Un gruppetto di guardie semi assonnate attorno ad un fuoco, poco distanti dal piccolo ingresso alla torre, non fecero caso a loro e le bottiglie vuote ai loro piedi lasciavano ben capire perché.
I tre si appiattirono contro le mura del palazzo, celati nell’ombra a riprender fiato.
André infilò una chiave nel portoncino medievale e girò piano, spostandosi velocemente per consentire a Girodelle di aprire d’un colpo la porta.
Alle sue spalle Oscar avanzò infilzando il primo dei due commissari di guardia, malauguratamente per lui, di turno al pian terreno.
E poi, via, verso le scale a chiocciola della torre dove li aspettavano ben sette posti di guardia.
Al primo ammezzato trovavano un giovane soldato, forse il più diligente e ancora sveglio incontrato fino a quel momento.
Ma l’attimo di indecisione davanti alle uniformi dei colleghi e l’evidente inesperienza, gli costò la vita.
Avvenne tutto in modo stranamente silenzioso: un solo colpo alla gola inferto da Girodelle e molto, molto sangue.
Il solo rumore fu quello della spada che scivolò di mano al defunto, riecheggiando metallicamente sui gradini.
Restarono in allarme per un istante, ma nessuna reazione, nessun altro rumore si udì, quindi ripresero a salire.
Si fermarono accanto alla porta aperta che dava nella sala delle guardie al primo piano, dalla quale non giungevano rumori, se non il tranquillo russare di coloro che non erano in servizio.
Cautamente, Girodelle si sporse per accostarla e André provò qualche chiave di quelle sottratte al primo commissario, mentre Oscar proteggeva loro le spalle.
Chiusa la porta, si permisero un leggero sospiro di sollievo, ora che il grosso degli armati all’interno del palazzo era impossibilitato a nuocere. Almeno, lo era temporaneamente.
Purtroppo, la guardia del secondo ammezzato stava scendendo insospettita dai rumori di poco prima.
Fine dell’effetto sorpresa…
Lo sguardo che scambiò con Oscar, levò i dubbi al soldato, il quale non cascò nel loro improvvisato travestimento.
- Intrusi nella torre! – gridò quello nell’istante stesso che la lama si incrociava con quella di Oscar.
Victor e André si lanciarono verso il secondo piano, per intercettare le guardie rimanenti ed ingaggiar duello, mentre Oscar, un colpo dopo l’altro stava già mettendo in difficoltà il suo avversario.
Nonostante tutto, era un piacere scoprire di non aver perso … la mano!

Un fendente finale e via, su al secondo piano, dove il rumore di spade era inconfondibile ed un cadavere giaceva già sugli ultimi scalini prima del pianerottolo.
Quando li raggiunse, Girodelle la guardò sollevato, quindi reagì con rinnovato vigore all’assalto del suo corpulento avversario, stroncandolo.
Lei passò a dar man forte ad André, alle prese con una guardia ed il secondo commissario, quello che deteneva le chiavi delle celle.
Girodelle salì la rampa verso il terzo piano, lasciandoli a vedersela con le guardie del secondo. Lo udirono incrociare le lame con l’ultimo dei soldati di guardia e poco dopo il cadavere di quello rotolò giù per la scala.

André, affondata la lama nel petto del suo avversario, il secondo commissario, si inginocchiò a frugargli nelle tasche, mentre Oscar finiva di vedersela con l’altro, tanto agguerrito quanto rozzo. I suoi riflessi erano lenti per via dell’oppio, ma la forza dei fendenti era comunque notevole. A lame incrociate e visi vicini tanto da sentirne l’alito pestilenziale, lo spinse con un colpo così deciso che quello perse l’equilibrio e, inciampando nel cadavere dell’altro, rovinò giù per la scala.
Udì il secco schiocco di un cranio che si frantumava contro lo spigolo del gradino.
“Decisamente sfortunato…”, pensò.

Udì André bestemmiare pesantemente, mentre passava le chiavi della cella del terzo piano a Girodelle, il quale spariva nuovamente sulle scale, senza indagare oltre il motivo dell’esclamazione del moro.
- Maledizione…
- Cosa c’è? – chiese lei.
- Non trovo la chiave della botola… - borbottò continuando a frugare nelle tasche del cadavere - Ha le chiavi delle due porte, ma non quella della stanza murata! – esclamò.
Udirono l’orologio di un campanile battere i colpi del terzo quarto.
- Non possiamo perder altro tempo… Alle due arriva il cambio della guardia. André…
Aprirono la prima porta, in ferro, ed entrarono nell’appartamento buio e deserto che era stato del Re.
Quindi aprirono la seconda, in legno e si impietrirono. Sul fondo della stanza si vedeva chiaramente il muro edificato in quei giorni.
Una piccola porticina chiusa a chiave era l’unico accesso alla stanza, oltre alla sportello traverso il quale venivano passate le vivande.
Mentre André si chinava ad esaminare i cardini e la serratura della porticina, Oscar si affacciò allo spioncino di vetro, rinforzato dalle sbarre e guardò attraverso.
Dall’altra parte solo il buio totale.
Posò le mani sulla parete per guardare meglio e avvertì l’umidità sotto i polpastrelli dovuta all’intonaco steso da pochi giorni.
- André…
- Niente da fare, Oscar – borbottò lui – I cardini sono protetti. Senza chiave, questa non si può aprire.
- Il muro è ancora fresco… - aggiunse lei.
Lui si alzò ed andò a posare la mano accanto a quella della moglie.
- E allora? – chiese sospettando cosa stava per dirgli.
- Allora?… Lo buttiamo giù!
- Oscar…- mormorò dubbioso.
- Solo quel che serve! – insistette - Sono magra, basteranno pochi mattoni…
- E va bene, proviamo! – si arrese conscio che lei non avrebbe ceduto.
Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse risultare utile.
- Maestà… Maestà, mi sentite?… - cominciò a chiamare lei, picchiando sul vetro, temendo il peggio non vedendo niente al di là di quello.
Sì udì uno schianto, provenire dall’anticamera, di qualcosa che veniva fracassato contro la parete e dei calci.
André tornò portandosi appresso la gamba massiccia di un tavolo e cominciò a colpire i mattoni.

- Ma che succede? Non avete ancora fatto! – esclamò Girodelle che arrivava dal piano superiore con le donne che in quei pochi minuti si erano cambiate indossando gli abiti maschili che aveva portato per loro nella sua bisaccia.
- Abbiamo dovuto cambiare piano. – spiegò Oscar prendendo un’altra lampada ad olio dall’anticamera dell’appartamento.
Girodelle si inginocchiò per aiutare André a levare i mattoni che cominciavano a cadere, usando i coltelli per scalzarli.

Fare tutto quel rumore era stato un grosso rischio, per via delle guardie intontite e addormentate che avevano rinchiuso al primo piano, ma soprattutto per quelle di ronda all’esterno.
Ma non c’era stata alternativa.

Maria Teresa e la zia si stringevano l’un l’altra, con lo sguardo fisso ai tre, lanciando occhiate allarmate alle loro spalle, ma nessun rumore faceva temere l’arrivo di altre guardie su per quella scala.
Non ancora.

Oscar si inginocchiò tra i due uomini, spinse la lampada al di là del muro e, con cautela si infilò nel varco.
Posò le mani sul pavimento, spostando un paio di mattoni e dei calcinacci, e fece forza per portare i fianchi oltre la parete.
Piano, riuscì a rizzarsi ed alzò la luce davanti a sé.
Pensò che mai aveva visto un buio così pesto.
Pensò che lì, in quelle tenebre infernali, c’era lui, il Delfino: un bambino di otto anni.
- Maestà! – chiamò.
Non un respiro.
- Altezza?…
Non un alito.
Illuminò il centro della stanza e vide qualcosa di piccolo e raggomitolato su un materasso buttato sul pavimento.
- Charles?… - mormorò avvicinandosi.
Gli illuminò il volto, pallido quanto quello della morte stessa. Aveva gli occhi aperti, ma non reagiva alla luce.
- Oh, mio Dio … Charles, cosa ti hanno fatto!? … - mormorò carezzandogli il capo.
- Il tempo stringe, rischiamo di saltare l’appuntamento col generale! – ringhiò la voce impaziente di Girodelle.
- Andrà tutto bene!… Stiamo uscendo. – rispose Oscar dall’altro lato del muro. - Dovete venire con me, Charles… - bisbigliò al piccolo, prendendolo tra le braccia e sollevandolo.
- Fai in fretta… Passami il bambino! – disse André chinandosi a guardare dentro.
Oscar lo infilò nel varco per i piedi, tenendogli sollevati da terra il capo e le spalle.
André lo prese per le gambe e tirò delicatamente fino ad estrarlo.
Girodelle lo sollevò e lo portò alla sorella ed alla zia, che faticavano a riconoscerlo, poiché non lo vedevano da mesi.
Oscar infilò le braccia nel varco ed André la tirò piano, rendendo l’uscita decisamente più agevole di quanto fosse stato l’entrare.
Quindi, senza altre esitazioni, si lanciarono per le scale, precedendo Girodelle col bimbo al collo e le due donne.

Ripercorsero il tragitto dell’andata, ma stavolta di corsa.
Una delle guardie ancora assonnate accampate nel cortile, ma meno confusa delle altre, venne colta da un dubbio vedendoli passare a passo lesto.
- Ehi, voi! – gridò.
Non la degnarono di uno sguardo.
- Ehi! – gridò ancora.
Ma ormai erano già ai cancelli.
I campanili battevano le due: la ronda stava già arrivando.
Corsero per la piazza senza pensare a mimetizzarsi.
Oramai solo la velocità poteva porli in salvo.
Svoltarono in una strada e sentirono ai cancelli la guardia che cercava di attirare l’attenzione del drappello di soldati.
Dovevano percorrere più di un miglio per raggiungere il luogo dell’appuntamento ed Oscar cominciò a dubitare nella riuscita dell’operazione.

Le due donne non camminavano da tanto ed incespicavano spesso.
Girodelle le passò Charles e si occupò di sorreggere Madame Elisabette, mentre André assisteva Maria Teresa.
Alle loro spalle il vociare si era trasformato in colpi di fucile ed una campana, suonata all’impazzata, dava l’allarme.
Tra poco le strade si sarebbero riempite di soldati armati ed illuminate a giorno.
No, le cose stavano andando niente affatto bene.

Si appiattirono contro un muro, respirando affannosamente e piegandosi in due per i crampi alla milza.
- Non manca molto – constatò Victor – Possiamo farcela. – disse fissandoli.
- Dobbiamo farcela… - rincarò Oscar, sollevando e sistemandosi meglio un inerme Charles sulla spalla.
- E allora… non perdiamo tempo in ciance! – li rimproverò André, rituffandosi per la via con Maria Teresa.

Ormai poche centinaia di metri li separavano dalla loro destinazione: il Lungosenna era lì.
Corsero ad una delle scalinate che portavano sulla passeggiata del lungofiume, la scesero di corsa e si infilarono sotto il ponte appena in tempo. Sul viale del livello superiore si sentivano correre uomini, un gran vociare.
Ora, come aveva previsto il generale, visto che la fuga era stata scoperta, le porte della città sarebbero state chiuse, impedendo a chiunque di entrare o di uscire.
Si guardarono nel buio, coi loro respiri affannosi coperti dal frastuono dell’acqua che lambiva i piloni del ponte.
Non potevano farcela…
Questione di minuti, forse solo istanti e qualcuno sarebbe sceso a controllare…
- Forse no… - bisbigliò Girodelle, con un sospiro ottimista, replicando al silenzioso dubbio di tutti, indicando la grossa ombra che discendeva la corrente ignorata da tutti.

Era una chiatta per il trasporto di sabbia e ghiaia. Una delle tante che percorrevano la Senna nel senso della corrente, lente, silenziose, buie, ignorate …
La videro accostare, strusciando appena contro l’argine.
Un uomo ritto in piedi accanto al manovratore, nero come tutto il resto, stava facendo loro dei cenni. Era il generale.
Bene, era giunto il momento di giocarsi il tutto per tutto!
Girodelle spinse una esitante madame Elisabette verso il bordo del marciapiede e cominciarono a camminare veloci, cercando di tenere la velocità della chiatta.
Il generale allungò le mani, arrivando a sfiorare quelle della donna e mentre l’afferrava per le braccia, Victor la prendeva per la vita e la spingeva oltre il bordo, dando forza al suo salto.
André, subito dietro di loro, fece la stessa cosa con Maria Teresa che atterrava con un capitombolo sulla barca.
Girodelle saltò a sua volta e si volse per prendere Charles dalle braccia di Oscar.
Fece appena in tempo ad afferrarlo che il sibilo di un proiettile li sfiorò.
E fu panico perché oramai erano sprovvisti di riparo.
Il fragore dello sparo passò in secondo piano rispetto alle grida del soldato.
- Allarme! Allarme! Sono qui! – gridava dalla cima della scalinata, mentre si affannava per ricaricare e cominciava a scendere gli scalini.
André spinse Oscar verso la chiatta.
- Tu vai! Io resto e li distraggo! – esclamò, afferrando la spada, preparandosi ad affrontare l’impossibile.
- Se resti tu, resto anch’io! – esclamò Oscar, facendo lo stesso.
- Non erano questi gli accordi! – ringhiò nervosamente André, mentre la distanza tra loro e la guardia diminuiva.
La chiatta prendeva velocità.
Il soldato era riuscito a ricaricare e stava alzando l’arma su di loro quando, un’ombra alle sue spalle calò il moschetto secondo un utilizzo improprio, ma efficace, sul cranio del malcapitato, che rovinò privo di sensi.

D’altronde, Alain era sempre stato tipo di maniere spicce e modi impropri.

Il gigante sollevò il soldato e lo tuffò al di là del muricciolo, dove avrebbe riposato sull’erba sottostante.
Beh, …sempre se fosse riuscito a risvegliarsi dopo quella botta!

- Mai sottovalutare la potenza di una bella legnata…- gli sentirono dire.
Poi, mentre la luce della luna affacciatasi tra le nubi, lo rischiarò per un istante, sorrise loro e li salutò col suo solito irriverente e sgangherato gesto militare, sillabando un silenzioso “au revoir”.
Quindi risalì la scalinata di corsa.
Oscar e André si misero a correre lungo il percorso della chiatta e, quando furono abbastanza sicuri, si lanciarono in un salto, atterrando dolorosamente sul ponte.
Mentre raggiungevano gli altri nascosti sotto un telone, udirono Alain gridare “Di là, di là! … Sono andati di là!

Era così! Ora avevano un altro debito verso Alain Soisson!
E sorrisero fra sé, immaginando che non sarebbe passato molto che il gigante si sarebbe presentato alla loro porta, pretendendo giustamente di veder saldato fino all’ultimo centesimo il loro debito di riconoscenza.
Erano assolutamente certi di questo.
Gli sarebbe costato parecchio in vino e in bistecche, ma quel grosso amico valeva davvero tutto l’oro del mondo!

***

La confusione creata da Alain fece sì che nessuno si accorgesse del modo da loro utilizzato per uscire da Parigi.
Sfruttarono la via fluviale per alcune miglia al di fuori della città, quindi accostarono in un ansa, contro il molo di una cava di ghiaia.
Jarjayes saldò il manovratore e li guidò dove un complice li attendeva con cavalcature fresche, viveri, denaro.
Ora le loro strade si sarebbero separate.
Il generale, con Victor e le donne, avrebbe puntato a nord, verso il Belgio.
Oscar e André, col piccolo Charles, avrebbero dovuto deviare ad ovest, verso la Manica, ed avrebbero percorso una via che conoscevano bene.
- Non fidatevi di nessuno. – si raccomandò il generale, mentre loro gettavano le uniformi e indossavano indumenti meno appariscenti. Consegnò un lasciapassare nelle mani di Oscar.
- E’ quello per Charles. – spiegò – Lo cercheranno. Lo cercheranno tanto.
- Lo so… - mormorò Oscar, consapevole che lei ed André avrebbero dovuto guardarsi le spalle per il resto della vita.

André stava finendo di preparare i loro cavalli. Charles non era in grado di reggersi autonomamente in sella, quindi lo avrebbero tenuto a turno, lui ed Oscar.
Jarjayes gli si avvicinò. Si guardarono un istante, imbarazzati.
- Questo non è un addio, André. – esordì il generale - Ci rivedremo. Ne sono certo. Volevo che tu sapessi… André, se fossi stato nobile, ecco, sarei stato il primo a caldeggiare la vostra unione. Sapevo che avresti potuto renderla felice e … Beh, tu l’hai resa felice, André.
- Grazie, signore … - mormorò il genero, sollevato da quelle parole che mettevano una pietra sopra a quella notte di temporale in cui lo aveva minacciato con una pistola.
- Dentro di me, ho sempre saputo che tu l’avresti fatto. Fin dal tuo primo giorno a palazzo, quando la guardasti come la più stupenda delle meraviglie. Sono contento per voi e spero non ti accada nulla di male, figliolo. Lo spero davvero…
Si volse a guardare la figlia che era stata a sentire.
Allungò due dita sulla sua guancia e con le nocche l’accarezzò, asciugando le sue lacrime di commozione.
- Sono sempre stato orgoglioso di te. Sempre!
La trasse contro il suo petto e le baciò la fronte.
- So che non vi serve e che è un po’ in ritardo, ma … – prese le loro mani e, secondo la tradizione, le unì, tenendole tra le sue - Avete la mia benedizione, figli miei...

Girodelle stava aiutando Madame Elisabette e Maria Teresa a montare a cavallo.
- E’ tardi! – ricordò loro con tono brusco.
André gli si avvicinò. Lo fissò un istante negli occhi, quindi gli porse la mano, che Victor accettò di stringere.
- Sapete di essere un uomo dannatamente fortunato? – disse piano il conte, trattenendogli la mano nel saluto, energicamente, con rabbia velata.
- Me lo ripeto ogni mattina, quando mi sveglio con lei tra le braccia. – mormorò come piccola rivincita – Ma è una fortuna che mi sono conquistato.
Girodelle strinse ancora la mano e la lasciò di colpo, annuendo.
Sì, maledizione, lo sapeva!
Ed era la sola cosa che gli rendeva tollerabile vederla con lui.
Oscar li guardò in quella esibizione maschile, orgogliosa di André, della sua compostezza, ma rattristata per Girodelle.
Aveva passato giornate intere, anni interi con quell’uomo, ma non lo aveva mai conosciuto davvero.
Neppure durante il loro fidanzamento, neppure durante quell’unico bacio nel parco, solo sfiorato, mai assaporato a fondo, ma neppure mai dimenticato. (1)
Mai aveva conosciuto lui, l’uomo destinato ad essere il suo, se André non avesse fatto parte della sua vita, della realtà.
Se André non fosse stato da sempre nel suo cuore.
Forse solo quell’ultimo loro incontro sotto la pioggia, davanti alla sala dell’assemblea … Forse solo allora aveva percepito la grandezza d’animo di colui che aveva saputo rinunciare, del soldato innamorato che aveva accettato l’umiliazione della resa con rassegnata intelligenza.
Così gli si avvicinò, scambiando prima uno sguardo con André, che intuì e non cercò di fermarla, sicuro di lei e di sé stesso, di loro e del sentimento che da sempre li univa.
Oscar posò una mano sul braccio di Victor; l’altra al centro del torace, sul suo cuore.
Si guardarono solo un istante. Un istante che per Girodelle sarebbe durato tutta la vita e lei se ne rendeva conto, anche mentre si allungava a sfiorargli la guancia con un bacio leggero, appena all’angolo della bocca. Bacio che per un lungo istante, lui osò inseguire e catturare di nuovo, a pieno, dolcemente, disperatamente, stringendola a sé, incurante di tutto ciò che li circondava.
- Il mio augurio affinché le vostre notti diventino calde e serene, Victor… - bisbigliò sulle sue labbra, scivolando via da lui con un’ultima carezza.

Poi raggiunse André e si allontanò con lui senza più voltarsi.
Come una barca senza più legami che lascia la riva…. Oscar saliva a cavallo e dava addio al suo passato.


***

Il piccolo Charles pareva assente, come se non ricordasse altro che il buio e la sofferenza di quella prigionia.
“So che vivrà.”
Era chiaro dentro di lei mentre lo stringeva al petto per ripararlo dal gelo, su quella piccola barca diretta la largo, mentre suo marito stringeva entrambi sotto il suo mantello caldo.
In compagnia di due marinai inglesi che li avevano prelevati con quella scialuppa, avevano lasciato la spiaggia della Normandia, proprio quella prospiciente quello che era stato il rifugio di tanti bei momenti di lei ed André fanciulli, un luogo ora ridotto a poche rovine in cenere.

“Saliremo su una nave inglese che ci aspetta nella nebbia.
Una piccola, agile fregata al comando di Scott, che si mette a rischio per aiutare i suoi amici in una missione ufficialmente inesistente.
Il veliero ci aspetta nel buio di quest’alba invernale del 16 ottobre 1793, nel più assoluto silenzio, in acque territoriali francesi.
Sento lo sciabordare contro il fasciame in legno. Sono vicini.
Ma potremo dire di essere in salvo, solo quando saremo a Baker Manor.
Il difficile, per me, arriva adesso…
Cosa dirò a questa creatura dei suoi veri genitori, quando sarà cresciuto?
Quando i ricordi affioreranno?
Racconterò tutto?Le mancanze, la sfortuna, il dolore, l’orrore…
Dovrò dirgli di un re ed una regina colpevoli di essere l’ultimo anello di una odiosa catena? L’anello forse più debole, ma non certo il più pesante…

Alzo gli occhi su André ed il suo sguardo intenso perso nel mio mi fa capire cosa farò.


Spiegherò a Charles l’importanza delle scelte.
Una scelta di André, mi cambiò la vita.
Una mia scelta ora ha cambiato quella di Charles.
Perché il destino è anche il risultato di ciò che decidiamo e della capacità che abbiamo di assumerci la responsabilità che ogni decisione implica.

Ma, in realtà, cosa ha bisogno di sapere un bambino dei suoi genitori?

Guardò il piccolo stretto a lei, gli carezzò il capo.

“Gli dirò che sua madre era una donna allegra, che amava cantare, apprezzava la vita ed adorava i suoi bambini.
Che siamo state buone amiche; che ci siamo perse, ma ritrovate in tempo.
Che suo padre era un uomo buono col cuore di un fabbro.
Che gli voleva tanto, ma talmente tanto bene che avrebbe ceduto un regno per saperlo sano e salvo.
Non importano le colpe vere o presunte dei genitori: un bambino non dovrebbe mai pagare a questo modo.
E’ questa l’uguaglianza? La fraternità in cui ho creduto?
E’ questa la libertà?
Le cose importanti? Il mio dovere?
Ho avuto doveri di figlia e di figlio; di ufficiale e di aristocratico; di cittadina e di straniera; di sorella, amica, compagna; di moglie e di madre.
Ma quale è il primo dovere, fra tutti?”

Guardò ancora André.


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Gli sorrise.
Lui le prese la mano, intrecciando le loro dita, una dopo l’altra, inseparabili, indissolubili, come le loro vite e le loro anime.

“Sei Tu.
Io.
Il nostro bambino che ci aspetta al di là del mare, in quel Paese così vicino e così lontano dall’inferno che è diventata la mia Francia.
Ed ora questo orfano al quale abbiamo reso la libertà, che tratteremo da figlio, nell’eguaglianza e nella fraternità.
Alla fine, André, solo questo conta.
Noi. “


- fine … fine … Nel bene, nel male … fine… : ) …




1) il bacio cui mi riferisco è quello del manga e, non lo nascondo, non mi sarebbe dispiaciuto vederlo anche nell’anime.


Allora… Anche questo capitolo si è un po’ allungato, ma non così tanto, quindi non l’ho tagliato.
Una parte del piano di fuga, coincide con quello vero, a marzo, del vero Jarjayes che aveva corrotto delle guardie e voleva addormentare i sorveglianti con “narcotico” e tabacco, travestire le donne e poi fuggire in Inghilterra, passando dalla Normandia.
Beh, poiché non ho trovato notizie su narcotici dell’epoca (non c’era neppure l’anestesia…) a parte il laudano, ho preferito ficcarlo nelle bottiglie del famigerato brandy di Arras al quale mi sono affezionata con “Tutto può cambiare”.
E poi “affumicare” tutte le guardie mi pareva strano… Anche perché erano spesso ubriache, quindi non doveva essere il fumo il loro vizio preferito!
La fuga fallì perché non riuscirono a procurarsi passaporti falsi, le vie di accesso alla città erano chiuse e, soprattutto, la Regina rifiutò l’altra possibilità: fuggire da sola, senza i figli.
Sinceramente, non credo avrebbero potuto farcela … Dopo la morte di Maria Antonietta, le guardie diminuirono, ma prima erano: otto commissari, sette posti di guardia lungo la scala, quaranta soldati al primo piano e, secondo le contrastanti notizie che ho raccattato, 200, forse 500 soldati stanziati nella cittadella medioevale. Mah… Forse ho debordato nella fantascienza con questo capitolo!!!
Di sicuro, Charles morì nella cella del tempio e l’esame del DNA sul cuore pietrificato ha dimostrato che è il suo.

Il finale non è qualcosa di nuovo: salvare quel bambino tutti lo hanno sperato; perfino “La stella della Senna” finiva così e l’ho scoperto per caso facendo ricerche per questa storia (non lo avevo mai guardato perché lo consideravo una “brutta copia” di Lady Oscar), ma ho portato avanti lo stesso il racconto perché c’era un'altra cosa che desideravo fare: chiarire cosa era stato di Girodelle.
Una volta, in una recensione a “Tutto può cambiare” che cito, Leia345 mi scrisse questo: “Mitico Girodel:..;troppo disprezzato, troppo sottovalutato, in realtà lui è sinceramente innamorato di Oscar ed è l'unico che vede in André un rivale veramente pericoloso (tanto che nel manga quasi gli propone una cosa a tre). Alla fine Fersen ha la regina, André per una notte ha Oscar, ma lui? Lui niente.”
Ecco, scusa se ti cito, cara Leia, ma questa storia è anche un po’ “colpa” tua, che con quel “lui niente” mi ha fatto venire un magoneeee… e ci ho pensato sù! : )

E infine, tengo a precisare che senza Baby80 che si è impegnata a fustigarmi costantemente, su questa storia io starei ancora a dormirci sopra! E che senza il suo contributo, Tristan continuerebbe a chiamarsi “xxx” e che nessuno lo avrebbe pensato in quella fredda caverna, perché, cito Baby, "quel povero bambino è orfano di madre, padre e autrice". Insomma, era il mio ultimo pensiero, poverino! Coi bambini non ci so proprio fare!

Ora vi ringrazio per aver letto e sopportato e … Ciaoooo!!!







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