Thistles and Roses di SakiJune (/viewuser.php?uid=25189)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gli strambi figli della pace. ***
Capitolo 2: *** La famiglia perfetta e l'amore di Rhelemon Hir. ***
Capitolo 3: *** Sir Bors svela i suoi piani. ***
Capitolo 4: *** La spia di Sir Lancelot. ***
Capitolo 5: *** L'anello magico, istruzioni per l'uso. ***
Capitolo 6: *** Addio a Camelot ***
Capitolo 7: *** Lucan e Aline. ***
Capitolo 8: *** Garanwyn stringe un patto. ***
Capitolo 9: *** Ancora veleno ***
Capitolo 10: *** Una corda spezzata. ***
Capitolo 11: *** Varcare la soglia. ***
Capitolo 12: *** Faccia a faccia con la Serpe. (parte 1) ***
Capitolo 13: *** Faccia a faccia con la Serpe (parte 2) ***
Capitolo 14: *** Fili aggrovigliati ***
Capitolo 15: *** Il segreto di Aline. ***
Capitolo 16: *** Un caldo, intenso amore. ***
Capitolo 17: *** Conn ap Griflet, duca di Lindsey. ***
Capitolo 18: *** Una nuova canzone. ***
Capitolo 19: *** Disperatamente vivi. ***
Capitolo 20: *** Senza guardarsi indietro ***
Capitolo 1 *** Gli strambi figli della pace. ***
THISTLES AND ROSES
Capitolo Uno - Gli strambi figli della
pace.
Sir Bors, primogenito del clan de Ganis e genitore suo malgrado,
richiamò il giovane con impazienza.
- Insomma, Elyan, dobbiamo far aspettare Sir Lancelot? Cosa fate lì
imbambolato?
- Nulla, padre, ho visto una fanciulla... - rispose l'altro, con fare
sognante.
Più tardi, comprese di non aver usato la parola giusta. Quel pomeriggio
di
primavera, alla vigilia della propria investitura, non aveva visto una fanciulla, l'aveva guardata. E lei aveva guardato lui.
Bors capì dove voleva andare a parare e lo precedette: - E dunque?
Anch'io ne ho viste molte in vita mia.
Elyan tacque. Sapeva quanto suo padre fosse insofferente al
romanticismo. Da lui aveva ereditato i capelli folti e
biondi e la
tendenza a stringere poche, ma solide amicizie. Di sua madre Claire,
figlia di Brandegoris, aveva il fascino un poco orientale e il
carattere non sempre condiscendente. Era d'animo pacifico, ma curioso e
testardo. Nato da un magico inganno, benché credesse in Dio non poteva
proclamarsi contrario alla vecchia religione: sarebbe stato come
ripudiare se stesso.
Lo seguì, voltandosi indietro non meno di quattro volte nel frattempo e
rischiando di inciampare prima in un cespuglio, poi in un cane.
- E fate attenzione, avete forse preso l'abitudine di zoppicare dal
vostro... come si chiama... buffo paggetto?
Elyan strinse i pugni. Fino ad allora non aveva mai, mai permesso a
chicchessia di
denigrare il suo amico Garanwyn. Ma non poteva ribellarsi a suo padre,
mostrargli ingratitudine proprio ora! Lui, nipote illegittimo del
misconosciuto sovrano di Estangore, sarebbe diventato cavaliere della
Tavola Rotonda... tutto questo in un tempo così breve che non aveva
ancora
avuto occasione di provare nostalgia, o rimpianto, o... confusione. No,
non si sarebbe dimostrato ostile a tanta generosità, e avrebbe fatto di
tutto per meritare l'onore che gli si concedeva. Ma doveva ancora
orientarsi, capire. E non sarebbe stato facile se si fosse lasciato
trasportare in chissà quali fantasie dai begli occhi di una giovinetta
appena incontrata.
Eneuawc
dei Coritani di Lindsey - così si chiamava l'oggetto del suo desiderio
- era piccola di statura, come le donne del Nord, e aggraziata come una
damina francese. Sembrava non stancarsi mai di sorridere, specialmente
mentre conversava con il ragazzo che teneva per mano. Che fossero
sposati, Elyan non l'aveva creduto nemmeno per un istante; sembravano
avere la sua stessa età. Dovevano
essere parenti, anche se non potevano somigliarsi di meno. Lui, il
ragazzo che l'accompagnava, era tutt'altro che piccolo e aggraziato.
Era di statura media e piuttosto muscoloso, ma aveva il volto sghembo e
affilato di un folletto. Aveva begli occhi scuri e vivaci ma ahimé, era
chiaro che nessuna fanciulla l'avrebbe mai degnato di uno sguardo.
Seppe più tardi che erano gemelli. Erano figli di un alto ufficiale di
corte, a quanto sembrava, nonché parenti di re Arthur per parte di
madre. Amren, questo il
nome del giovane, si era presentato senza troppe formalità, ed per
Elyan era così forte
la gioia di avere trovato un amico, che aveva deciso di rimandare un
eventuale approccio galante con sua sorella. Discorrendo, scoprirono di
essere entrambi destinati a ricevere l'investitura lo stesso giorno, di
lì a una settimana.
E venne la notte, la più lunga nella vita degli uomini del loro tempo.
Elyan pregava meccanicamente, e tuttavia non era insincero; mille
pensieri
trovavano ora la via per affollargli la mente. L'indomani avrebbe
giurato fedeltà a re Arthur Pendragon, e avrebbe conquistato un posto
ambito alla sua corte; si sarebbe dovuto adattare alla mentalità di suo
padre e non procurargli noie o dispiaceri... ma come, se persino un
accenno alla bellezza femminile scatenava la sua irritazione? Doveva
diventare cavaliere oppure monaco di clausura?
Poi c'erano i suoi coetanei, di cui in principio aveva istintivamente
cercato la
compagnia: credeva davvero che Amren di Lindsey fosse la regola e non
l'eccezione. Ma gli altri giovani incontrati sino a quel
momento erano dei grossi palloni gonfiati, nientemeno.
Ispidi attaccabrighe, capaci solo di snocciolare i
nomi dei loro illustri parenti e di menare le mani. E dire che alcuni
di loro di spade, ancora,
non ne portavano, ma già si credevano cavalieri fatti e finiti. C'era
Melehan, scortato dal fratello minore (ma più alto e grosso), che aveva
preso subito a canzonare Garanwyn e annunciare ad entrambi che
"con lui non c'era da scherzare, il re era suo nonno". E poi c'erano i
figli di Sir Gawain e il resto della cricca di Lothian, interessati
principalmente a raccontarsi storielle sconce e strillare canzonacce.
Aveva già compreso che Camelot era un luogo sconcertante dove vivere:
una
contraddizione continua, dove convivevano purezza e volgarità, passione
e
indifferenza, gloria e decadenza.
In quella stessa condizione, Amren era invece perfettamente sereno.
Anche lui pregava, ma soppesando ogni parola con meraviglia e
gratitudine. Nemmeno lui era particolarmente devoto, no, ma sapeva dare
ad ogni cosa il giusto valore. Non era ansioso né si sentiva in dovere
di compiacere qualcuno, perché era già sicuro e onorato della fiducia
di coloro che amava. E di chi non lo amava, non voleva e non aveva
bisogno di curarsi. Teneva in nessuno o poco conto l'aspetto esteriore,
sia nelle persone che negli oggetti. Si può osservare che se uno così
poco estetico si fosse dichiarato un esteta, sarebbe risultato
ridicolo, e ve lo concedo - ma passiamo oltre, perché nulla era
ridicolo in lui. Fin qui ho lasciato intendere una certa bruttezza,
eppure
non bisogna pensare ch'egli fosse sgradevole.
Era soltanto privo del fascino irresistibile di cui tanti cavalieri
traboccavano fino ad incendiare i cuori di legittime spose e fidanzate
altrui, e troppo giovane per crucciarsene. Non si turbava che per le
ingiustizie e le meschinità. Veder maltrattare un cane, un servo o un
bambino era per lui angoscioso e ben più di una volta aveva
rimproverato i suoi cugini per certi comportamenti balordi, senza
nessun risultato, com'è naturale. Essi lo trattavano come un chierico
in visita, pur sapendo che un giorno avrebbe perso la pazienza.
C'era il virgulto di un sentimento in quel cuore limpido? Una
fogliolina in boccio, di un colore ancora inespresso? Non posso ancora
rivelarlo, perché nemmeno lui ne parlò a se stesso in quelle ore, non
durante la preghiera - so che una curiosità viva si era impadronita di
lui in quei giorni... e non era cosa da trascrivere per i posteri o
narrare di corte in corte.
Guardando i propri figli inginocchiati davanti al re, mentre
pronunciavano il loro giuramento, Bors e Bedivere sorridevano. Ma non
confondete, ecco, questi due sorrisi, badate. L'uno significava
dominio, orgoglio, sollievo; l'altro tenerezza, partecipazione, amore.
"Guarda, Signore, il frutto del mio peccato Ti servirà" ragionava Bors
parlando a Dio, e un balsamo scese sui suoi sensi di colpa; ma Bedivere
pensava soltanto "Questo è il mio ragazzo" e si commosse come un uomo
sa fare. Nessuno dei presenti alla cerimonia, pur conoscendoli bene,
avrebbe potuto notare questa differenza, perché gli occhi di entrambi
erano velati di lacrime, e apparivano egualmente emozionati. Ma la
differenza era pur grande, non credete?
L'amicizia tra i due giovani non si era
dimostrata un miraggio, era anzi cresciuta in confidenza e stima; Elyan
non
era ancora riuscito a parlare ad Amren dei suoi sentimenti per la bella
Eneuawc, ma
aveva introdotto il suo fidato Garanwyn nelle grazie di lei, che doveva
necessariamente
provare pietà
e tenerezza per la sua condizione. L'idea riuscì, ma non per i motivi
ch'egli credeva - e questo non potè che aumentare l'ammirazione che
Elyan provava per lei. Eneuawc, infatti, non era incline a commiserare
i suoi simili, ma ad apprezzare le loro qualità; ella amava suonare
l'arpa sopra
ogni cosa, e fu questo a suscitarle simpatia per quel ragazzo.
Elyan
avrebbe senza dubbio
barattato la propria bellezza per avere in cambio una famiglia unita e
affettuosa come quella di Amren. Lo invidiava, in questo, senza però
portargli
risentimenti di sorta; lo considerava un compagno ideale, da cui
attingere la saggezza necessaria a sopportare i periodi d'umor nero e
l'inflessibilità del padre che talvolta troppo gli pesava - a questo
proposito è inutile
precisare che quando Bors partì per la Cerca del Graal, non sentì la
sua mancanza...
Anche Garanwyn, in maniera opposta ad
Elyan, non soddisfaceva i desideri del padre, il rude ed
impietoso Sir Kay. Stanco di sentirsi chiamare con epiteti come
"femminuccia" e "nullità", aveva
l'intenzione di lasciare nuovamente quell'ambiente ostile. Ma la
fedeltà ad Elyan e la quieta
gentilezza di Amren lo frenavano nei suoi intenti, incatenandolo senza
che riuscisse ad ammetterlo.
Gli altri due sapevano che con tutta probabilità non gli sarebbe mai
stato permesso di ricevere l'investitura, eppure lo
incoraggiavano lo stesso ad allenarsi. - Mio padre ha aiutato re Arthur
a sconfiggere il gigante di Mont-Saint-Michel con una mano sola - gli
ricordava Amren, orgoglioso. E sempre Garanwyn replicava: - Invece il
mio si è fatto sconfiggere da Sir Gareth che era alto la metà di lui...
- e a quel punto tutti e tre scoppiavano a ridere, perché la scena
doveva essere stata divertente davvero.
- E che dire di mio zio Sagramore? Non era forse tra i migliori,
nonostante la sua malattia? - faceva spallucce Elyan.
- Tutti abbiamo le nostre debolezze, ma non devono impedirci di credere
in noi stessi - concludeva Amren. Garanwyn sorrideva con gratitudine, e
le sue guance pallide si coloravano un poco.
- Lincoln. No, non è un posto grande come Camelot, niente a che vedere,
ma era nostro.
- Eneuawc sfiorava le corde pensosa, mentre condivideva con Garanwyn i
suoi ricordi d'infanzia. - Non erano tutti nervosi come qui. Mi manca
quella tranquillità... E d'estate andavamo a Grainthorpe, sulla costa.
Fa
freddino là, ma mia madre deve per forza passare qualche mese all'anno
al mare, altrimenti sta male.
- Quindi vi piacerebbe tornare a casa?
Eneuawc negò decisamente. - Non esiste casa senza una famiglia. Credevo
di essere felice, però mi mancava mio padre. Ora siamo di nuovo tutti
insieme, e non m'incomoda più di tanto essere circondata di tanti
sciocchi.
Era un'occasione perfetta per spingere in quella direzione. - Il mio
signore... Sir Elyan, intendo... considerate anche lui uno sciocco?
- Certo che no! Amren non gli vorrebbe bene se lo fosse. Non posso fare
a meno di amare ciò che i miei cari amano, e questo non per dovere, al
contrario! Avete mai pensato, per esempio... che non è un caso se si
nasce in una famiglia e non in un'altra?
Era un terreno poco gradevole per lui, e rispose con franchezza. - No,
anzi, credo piuttosto il contrario.
- Mi dispiace, non avevo intenzione...
Gli chiese di parlarle della sua vita, così come lei aveva fatto con
lui, e fu accontentata.
- Io sono nato qui a Camelot. Penso di aver deluso molto mio padre per
via della mia gamba, e insomma... non posso dargli torto. Quando avevo
nove anni, re Brandegoris capitò qui per non so quale affare e lo
convinse a prendermi come paggio. Ero spaventato, ma non lo diedi a
vedere. E poi, in qualunque posto fossi finito, non poteva essere
peggiore di questo...
- Forse vostro padre aveva capito che qui non avreste avuto un futuro,
che in un'altra corte vi sareste sentito utile.
- Forse - ammise Garanwyn. - Ma non attribuitegli una lungimiranza che
non rientra tra le sue doti.
Andò avanti a raccontare. Cresciuto quindi a fianco di Elyan, aveva
condiviso con lui le
lezioni e persino i rudimenti della spada, nonostante il suo difetto
fisico. Aveva manifestato prestissimo il suo talento per la musica ed
il canto;
andava d'accordo con tutti e suscitava tenerezza tra le dame. Ma con il
tempo il re aveva iniziato a trovare delizioso il suo parlare
schietto
nonché le sue canzoni, e sempre lo voleva accanto a sé, incoraggiandolo
a rispondergli per le rime e divertendosi un mondo.
- Mi stava ammaestrando per farmi diventare buffone di corte.
Non avrebbe potuto rifiutare, se proprio allora Sir Bors non fosse
giunto a reclamare suo figlio; in quel frangente Elyan aveva insistito
per
portare l'amico con sé a Camelot e il nonno, che mai gli aveva negato
un desiderio, aveva acconsentito.
Kay non era stato entusiasta di rivedere quel figlio tanto inutile ai
suoi
occhi, ma i due si ignoravano cordialmente, e
tanto bastava. Un altro dei crucci di Garanwyn era la
sorella maggiore, chiamata in
segreto la Dea. E non certo perché fosse divinamente leggiadra, anzi,
ma perché somigliava ad una statua dell'isola di Avalon: possente,
dalla voce di tuono, Celemon comandava a bacchetta chiunque. Persino
Sir Kay la temeva un poco e si chiedeva perché non fosse nata maschio e
viceversa...
- A volte dice: "Sì signore, ho un maschio di nome Celemon e una
figliola di nome Garanwyn...". E poi bestemmia, ma non è cosa
che voi possiate sentire, madamigella Eneuawc.
- Fa così ridere? Vi piace che vostro padre vi consideri un buono a
nulla?
- No, però è buffo che mia sorella sembri un uomo in tutto e per tutto.
Riprendete a suonare, prego: mi sembra un motivo adatto per una nuova
canzone.
Il
cardo ha spine e tu non l'accarezzi
segui il profumo di una rosa
rossa
ma poi si spegne quella vita
breve
e sai che amor non è colore e
luce
l'amore vive anche se lo
disprezzi.
--
Questa storia non è altro che un seguito/versione alternativa di Fly
Little Wagtail. Per ora non è necessario averla letta per godere
questa fic, ma più avanti le due vicende potrebbero "fondersi" in
qualche modo. Potete comunque trovare un agevole riassunto della storia
precedente *qui*
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Capitolo 2 *** La famiglia perfetta e l'amore di Rhelemon Hir. ***
@Ila: Ti scongiuuuuro! Ama Garanwyn, amalo immensamente, ma
lascia perdere Celemon! È bruuuuutta e c'è un altro buon motivo perché
tu non ti affezioni a lei! XD Ti consiglio di munirti di insulina prima
di affrontare questo capitolo perché la parola che inizia per A è
ripetuta almeno dieci volte.
Capitolo Due - La famiglia perfetta e
l'amore di Rhelemon
Hir.
Anche io pungo, se non te
ne accorgi!
dice la rosa alla mano ingrata.
Così hai perduto entrambi, e sanguina
non le tue dita, ma il tuo cuore.
Quanto hai da imparare sull'amore!
Garanwyn era generalmente considerato innocuo dai genitori delle belle
fanciulle in età da marito. Sir Bedivere non faceva eccezione, e
perciò permetteva che la figlia si esercitasse all'arpa in sua
compagnia.
Non restavano mai soli, naturalmente; e poi Eneuawc non sembrava
pensare ancora a certe cose...
- Ha giusto la stessa età che avevo quando vi sposai - gli ricordava la
moglie. - E sapete che pensavo a voi già da tempo.
- Con questo cosa volete insinuare, donna? - In famiglia, per lui era
assolutamente impossibile assumere un contegno serio. Per quanto
aggrottasse la fronte, pareva che una risata dovesse sbocciare da un
momento all'altro.
- Oh, via, non sarà con il figlio di Sir Kay. Conosco la mia donnina.
La moglie di Bedivere era Clarissant, figlia di Lot di Orkney. Era più
bella, in età matura, di quanto fosse stata da giovinetta; colta e
intelligente come poche altre dame, non somigliava a nessuno dei suoi
numerosi parenti. Forse qualche piccolo vezzo la accomunava a Sir
Gareth - un lieve tremito nell'angolo della bocca, quando si
emozionava, o il tenere la testa inclinata mentre ascoltava un discorso
- ma ciò si poteva facilmente attribuire alla loro infanzia trascorsa
insieme piuttosto che al legame di sangue. In effetti Gareth era stato
per lungo tempo il centro della sua vita e l'unico che tenesse davvero
alla sua serenità. Dopo la tragica morte della madre e una breve ma
sgradevole parentesi in quel di Gore, era andata a vivere con lui e la
moglie Lyonors. Poi gli eventi avevano ricordato al maggiore dei
fratelli, il famosissimo e indaffarato Sir Gawain, che era venuto il
momento di cercarle un marito... e si era trovata sposa all'unico uomo
che avesse mai desiderato da quando era bambina.
Erano un quadretto inusuale per quei tempi e quei luoghi, ma
suscitavano più invidia che dicerie. Innanzitutto, era stato davvero un
matrimonio d'amore, nonostante la differenza d'età. I figli erano stati
allevati in casa invece di venire sbattuti all'altro capo della
Britannia per servire emeriti sconosciuti. Sir Bedivere si era occupato
personalmente di istruire Amren nelle faccende d'armi, e mai gli era
passato
per la mente di fare altrimenti. Nei limiti del rispetto reciproco, non
c'era nulla che non potesse essere detto tra loro, e in un clima di
tanta spontaneità non era inusuale che Eneuawc accogliesse suo padre
saltandogli al collo anziché salutarlo con un compito inchino.
Mai si chiedeva a quale futuro l'avrebbe destinata; era fiduciosa
ch'egli sapesse quanto era giusto per lei. E in fondo, perché
affannarsi a pensare al futuro, quando la felicità presente sembrava
dover durare per sempre?
Diversa era la situazione per la sfortunata Celemon. Come
figlia del
siniscalco aveva dei privilegi non indifferenti, tra cui sedere a
tavola con gli uomini - per cui veniva spesso scambiata, tra l'altro.
Non era stata educata in alcun modo, se non a dare ordini nelle cucine
ed ispezionare il lavoro degli stallieri. Nessuno se la sarebbe presa
in moglie, questo era sicuro, e in quanto a diventare monaca, ecco, Kay
avrebbe preferito ucciderla con le sue mani.
Finì male, e non avrebbe potuto che finire così. Non avrebbe potuto
scherzare e dispensare schiaffi ancora a lungo, tra le risate sguaiate
e il sudore pungente di corpi vicini al suo. Capì che quando si
succhiava le dita unte di salsa quelli ridevano più forte. Poi ne capì
il perché, e smise di farlo. Nel frattempo un biondino aveva preso
l'abitudine di occhieggiare il suo seno. Sapeva che se l'avesse detto a
suo padre...
- Fammi posto, tu.
Ma no, non era il caso di spargere sangue di principi e duchi: si
scannavano già abbastanza l'uno con l'altro.
- Ho detto spostati!
- Mi pareva di aver sentito "Potete
spostarvi, prego?". Non siete più tra i vostri boschi, Gingalain.
Ahi.
Il biondo Lovell di Orkney aveva adesso tutt'altra storia tra le
mani che fissare le ragazze, belle o brutte che fossero. Si era
ritrovato a testa in giù contro la parete, e l'altro si era messo a
sedere pesantemente esaminando il piatto toccatogli in eredità. Aveva
rivolto un'ultima occhiata al malcapitato sorridendo truce: - Grazie,
fratellino, non c'è di che.
Era il Bellissimo Sconosciuto, Gingalain delle Fate, e finì male,
perché non può finire bene quando un uomo ama una donna e ne ha sposata
un'altra. Non se tu sei una terza.
L'acqua del pozzo era fredda nel buio. Anche il vento era
freddo, e avrebbe avuto le mani screpolate, ma doveva pur lavarsi.
- Rhelemon Hir. - La sua voce
era fastidiosa quasi quanto il frinire dei grilli, e odorava di vino.
Ma era così bello.
- Dovete chiamarmi così?
- Mio fratello vi guardava in modo indecente. Vorrete perdonarlo, spero.
Lei alzò le spalle con rabbia. - Non me ne curo. C'è ben poco da
guardare, dopotutto.
- È un branco di sciocchi, non pensate? Credono di essere già uomini, e
non hanno visto nulla del mondo.
Era incredibile come le avesse letto nel pensiero. Avrebbe potuto
continuare sullo stesso tono e mostrarglisi amica, ma preferì ferirlo
dove bruciava di più: - So che vi sposerete presto con la regina del
Galles. Congratulazioni.
- Congratulazioni un corno! - Gingalain sputò a terra. - Anche voi! Che
ne sapete? Spettegolate tutto il giorno con le serve, e giocate a fare
la dura, e non siete né una dama, né un ragazzo, ditemi cosa potete
capire!
- Capisco che soffrite. Tanto vale ammetterlo.
Lui guardò le sue mani robuste posate sui fianchi, le sopracciglia
spesse e vicine tra loro, il seno imbarazzante. Erano alti
uguali.
- Non sono niente, è vero. - Celemon allargò le braccia. - Non sono
niente e non so niente, ma questa sera soffro come voi.
Gingalain non sembrò intendere. Lasciò che i grilli parlassero al posto
suo, e per quella sera non ci fu altro.
Ma finì male lo stesso, perché giunse la vigilia di quel giorno che lui
odiava, e fu di nuovo sera e i grilli cantarono di nuovo, e si disse
che sì, soffrivano tutti e due, e dopo faceva un po' meno freddo.
Vuoi cogliermi, o mano insolente
Come si coglie la pratolina?
E vedrai che arrossisco anch'io
tra i petali sciupati di lacrime,
uno per uno, sanguinano d'amore.
Garanwyn era davvero innocuo
per la sua virtù ed Eneuawc lo scoprì un giorno che raccoglieva fiori
vicino al torrente, e dopo che ebbe visto e udito rimase a pensarci
sopra.
Li aveva visti parlare fitto fitto nell'erba, accarezzarsi i capelli e
tenersi per mano.
No, non la trovava una cosa sbagliata, anche se chiunque altro avrebbe
pensato che lo fosse.
Fu con animo più sereno, quindi, che affrontò l'argomento con il
fratello. Gli parlò come era abituata a fare, con franchezza e
intimità, e fu con altrettanta sincerità ch'egli le rispose.
-
Forse lo amo, sorella. Non voglio separarmi da lui, ma nemmeno desidero
forzarlo a cose di cui... potrebbe pentirsi, o vergognarsi. Certo, mi
domando perché non
sono nato come gli altri... perché non sono come Elyan, o come i figli
di
Sir Mordred.
- Se foste come Melehan, vi odierei cordialmente - affermò lei senza
esitazioni. - E se foste come Elyan...
Anche lei l'aveva guardato,
ricordiamolo.
- Non vorrei avervi come fratello, in quel caso - concluse, mordendosi
poi le labbra e chinando lo sguardo. - Vi voglio bene così come siete,
e
non m'importa se amate un ragazzo anziché una fanciulla. Solo, mi rendo
conto che i vostri sentimenti vi porteranno a soffrire.
Erano ben ingenui! Amren non si preoccupava di commettere peccato, ma
prendeva appena le misure necessarie a non far scoppiare uno scandalo.
Forse aveva letto troppi libri scritti in un'epoca lontana, quando tra
amicizia e amore non esistevano confini tracciati in modo netto. Se
fosse stato per il vescovo, quegli scritti sarebbero finiti in fondo al
lago o nel fuoco già da tempo, ma in ogni caso non tutti leggevano tra
le righe ciò che ad Amren sembrava invece chiarissimo. Achille e
Patroclo, per esempio... e ancora no, non era il modello d'amore che si
adattava a loro...
Non erano soltanto entrambi uomini - e vi par poco? - ma pur essendo
entrambi di nobili origini, la loro condizione era assai diversa ed era
poco probabile che potesse mutare; vivevano in un ambiente che
allontana senz'appello la
debolezza e la diversità.
Anche lui era diverso,
non lo dimenticava, ma debole... no, non lo era
mai stato. Si sentiva come un'arma ancora calda di fucina, ferro
temprato che non ha bisogno di ornamenti, un figlio del suo tempo
nonostante tutto. Ma Garanwyn, nonostante l'ironia che sapeva
dimostrare, avrebbe dovuto sempre soffrire quell'atmosfera ostile! Era
un angelo da proteggere, e l'avrebbe protetto... anche da
se stesso. Oh, sì, lo amava. Dove gli altri
vedevano due gambe storte e un corpo gracile, lui
ammirava le labbra carnose e tremanti, e le ciglia dalle ombre
lunghissime, e la smorfia di concentrazione quando ricordava le parole
di una canzone. Aveva l'andatura di un cerbiatto appena nato, e lo
stesso chiaro bisogno d'amore - quell'amore che sentiva di
potergli donare all'infinito.
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Capitolo 3 *** Sir Bors svela i suoi piani. ***
Sì, esatto... Lady Juliana è la stessa di Quest for Camelot. E se vi
ricordate il film saprete che Bors non l'avrà vinta XD
Sir Bors svela i suoi piani.
Era davvero raro trovare Clarissant o i gemelli di cattivo
umore;
persino la pioggia veniva salutata da Eneuawc come un'occasione per
restare tranquilla a suonare anziché andare a passeggio con certe
"vecchie vanitose" che adulavano la regina e poi le sparlavano dietro.
Lady Laurel era una di queste ed era l'unica tra le ziette che dimostrasse
per intero la sua età.
Ma i giorni neri c'erano ed era semplicissimo capirlo. "È
il sangue delle Orcadi, brutto
affare" ridacchiava Lucan, quando la cognata gli si presentava davanti
con
quegli strani segni intorno agli occhi, ma per lei era più probabile
che si trattasse del sangue di Avalon. Ella soffriva di una strana
forma di incubi, forse più simili a visioni, che continuavano ad
angosciarla per tutta la giornata successiva al risveglio. Talvolta
erano nitidi, altre volte confusi, ma sempre verosimili.
Temeva che quei sogni fossero in
realtà visioni di un futuro... o un passato...
(o qualcosa che non era mai accaduto)
Qualche esempio potrà forse chiarire il suo tormento.
Il genero di re Uriens, Sir Colgrevance di Gore, era uno dei cavalieri
più noiosi al mondo. Non aveva mai nulla di interessante da dire e
risultava attraente soltanto a sua moglie.
Ma in quegli incubi Clarissant si ritrovava sposata proprio a lui, e
felicemente a quanto pare.
Poi c'era la storia dei "mercanti delle vele rosse": gente di Norvegia
che, quando era bambina, arrivava a Orkney su grandi e curiose navi.
Ora, di notte, li rivedeva come sanguinari nemici. E a volte era come
se non avesse i suoi occhi soltanto, ma quelli di due donne: e il nome
dell'altra era Branwen. Credeva, allora, di sdoppiarsi; era una
sensazione spiacevole... ma l'anima di Branwen era di gran lunga più
pura della sua, e capiva che in quel tempo futuro o passato o al di là
del mondo quella era la sua parte migliore. Lei era orgogliosa, piena
di preconcetti e rancori, mentre Branwen non si vergognava del suo
amore... ed era l'amore di entrambe, se lei si fosse mai decisa ad
ammetterlo...
E poi tutto tornava normale, i sogni restavano sogni e la realtà
era
quella che vivevano, luminosa, piena di promesse mantenute. Arrivava a
lusingarla il pensiero - giunto da dove? - di aver potuto scegliere.
Non si pensi che la situazione di Sir Gingalain fosse dell'altro mondo.
Siamo abituati a pensare che a quell'epoca fossero solo le donne a
sottomettersi al volere dei loro padri quando si trattava di nozze, ma
parliamo dei tempi floridi. Quando un regno iniziava a declinare, e ciò
avveniva di solito in tempo di pace - anche i giovani venivano spinti
al matrimonio con emerite e spesso vecchie sconosciute. Non erano
guerrieri forgiati da mille imprese, ma ragazzini venuti su all'ombra
di tanta gloria, quando non c'era più bisogno di dimostrare la propria
lealtà o il proprio coraggio. Quando se ne aveva l'occasione, ormai? I
Sassoni erano stati ricacciati ad est, i draghi erano quasi scomparsi
dalle montagne e i mostri dai laghi paludosi, a nessun signorotto di
provincia sarebbe più saltato in mente di rapire una bella damina,
perché le belle damine erano tutte parenti di illustri cavalieri o di
più agguerrite fanciulle... sir Ironside ne aveva fatto le spese non
moltissimo tempo prima. Tutto ciò che ci si aspettava dal rampollo di
un membro del Consiglio è che imparasse a maneggiare la spada e si
mettesse al servizio del regno, casomai succedesse qualcosa. E che
sposasse una donna influente per rafforzare i possedimenti al nord, a
ovest o nel Continente.
Dunque, anche Sir Bors aveva dei piani per Elyan, e altrettanto
incuranti delle sue inclinazioni sentimentali. Il fatto che il figlio
si fosse innamorato lo spinse ad affrettare l'incontro con la futura
sposa, peraltro.
-
Voi forse pensate ancora a quella fanciulla meravigliosa, bionda e con
gli occhi azzurri, di cui mi parlaste prima che partissi...
- Ha i capelli rossi, padre, e gli occhi verdi. - puntualizzò Elyan,
pensando al ballo durante il quale si era finalmente dichiarato ad
Eneuawc.
- Taisez-vous! Non è a una
donna di questa corte che siete destinato.
Sposerete Lady Juliana di Francia, e visto che avete già altro per la
testa, sarà meglio partire subito prima di sapervi compromesso!
Elyan ne fu sconvolto. Cercò di pensare velocemente: che cosa al mondo
avrebbe potuto far cambiare idea al genitore? A che cosa teneva più che
alle sue terre?
- Ma padre, Eneuawc mi ama. Ne avrà già parlato con la sua famiglia, e
sono sicuro che non desiderate avere dissapori con Sir Bedivere...
Bors diventò scarlatto e il suo contegno di solito pacato si trasformò
in un confuso terrore. - Vi siete... impegnato... e non avevate nessun
diritto ad impegnarvi! Si tratta quindi della figlia di Bedivere e di
quella strega? Mai, mai permetterò al mio sangue di unirsi al loro!
Capisco come vi abbia affascinato, sono delle
grandi esperte, quelle...
Si frenò prima di rivelare dettagli poco edificanti sulla nascita di
Sir Mordred, ma nel frattempo Elyan era inorridito alla scoperta che
suo padre disprezzava la maggior parte delle dame di Camelot.
- Considero lady Clarissant una persona squisita, e poco m'importa
della sua religione. Il Dio dei cieli e la Dea della terra si sono
uniti per dare alla luce il nostro regno, e siamo tutti loro figli.
- Tu sei mio figlio, e se
pronuncerai ancora queste oscene bestemmie davanti a me, ti farò
pentire di essere nato! Ma io so chi ti ha messo in testa queste
baggianate, è quel carciofo malriuscito con cui ti accompagni. In ogni
caso, partiremo subito.
Lo lasciò solo per chiamare il fratello Lionel (che a
quarant'anni passati era ancora scapolo, eppure non aveva fatto nessun
voto di castità) perché si occupasse dei preparativi, poi per scrupolo
spiegò la situazione a re Arthur, tralasciando di
riferirgli a chi
Elyan aveva
fatto quel tantino di promesse - forse anche al re importava più delle
terre sul Continente che di una ragazzina delusa, ma non avrebbe
permesso che si desse un dispiacere a Sir Bedivere e men che meno a
Clarissant, che era - insieme a Gawain e Gareth, naturalmente -
una delle poche cose che a quella sciagurata di sua sorella fossero
venute bene.
Elyan fece l'unica cosa in suo potere, e cioè andare a cercare
Amren. Sapeva che si sarebbe infuriato, ed era giusto così, ma doveva
almeno provare a spiegargli come stavano le cose.
Non era un vigliacco! Non voleva abbandonarla, perché mai avrebbe
dovuto? Era innamorato, e
da poco aveva la certezza che lei lo ricambiava... non l'avrebbero
giudicato così pazzo da cambiare idea!
E allora perché si sentiva in colpa lo stesso?
- Te lo dico io perché. Sei stato imprudente e hai rovinato tutto prima
ancora di cominciare. Non credevo che le cose stessero a questo
punto... avrei dovuto capire, dovevi parlarmene prima!
- Lo so, e ti chiedo perdono.
- No, non a me, accidenti! Non sarò io a sentirmi umiliato e
respinto, e non sarò nemmeno io ad impugnare le armi contro tutti
voi... perché mio padre ne sarebbe capace per un affronto simile.
Elyan, te lo dirò una volta soltanto, per il bene che ti voglio: se
andrai fino in fondo, se sposerai quella donna, non tornare mai più in
Britannia!
- Non dipende da me, Amren, nemmeno questo - rispose Elyan con un filo
di voce. Non osava sostenere il suo sguardo, non avrebbe sopportato di
leggere il disprezzo negli occhi dell'amico. - Promettimi che le
parlerai, e le dirai che è lei che amo.
Amren le parlò, e le ripeté ogni singola parola, più e più volte, ma
non gli parve che a Eneuawc fosse di conforto lì per lì. Né tali
rassicurazioni
poterono sbollire la rabbia di Clarissant, a cui mancavano alcune
nozioni fondamentali della vita. Non avendo praticamente mai conosciuto
suo padre, non conosceva la sottomissione; le era stato dato per marito
proprio l'uomo che voleva e che non aveva mai trattato lei o i
loro figli come una sua proprietà o come esseri inferiori. Si
meravigliava, adesso, che Elyan non avesse scelto di liberarsi dalle
grinfie di Sir Bors e far parte della loro famiglia... e se non l'aveva
fatto non amava abbastanza Eneuawc, questa era la sua conclusione.
Sir Bedivere era invece, più che adirato, profondamente triste. Forse
Amren aveva ragione nel credere che avesse una voglia pazzesca di
impugnare la spada e fare a pezzi l'intero clan di Ganis, ma ciò non
significava che l'avrebbe fatto. Ne ebbe l'occasione più tardi, quando
la tragedia e il disonore si abbatterono sulla
corte in ondate successive, come la tempesta che prima strappa le vele,
poi l'albero e infine fa inabissare la nave.
Or si rovescia il mondo,
il sole sorge ad occidente.
Gira troppo in fretta
e più non ci riscalda.
Ruggine e noia,
questa vita è niente.
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Capitolo 4 *** La spia di Sir Lancelot. ***
"Veramente, vivo in tempi bui!" scriveva Brecht, e mi sembra una
citazione perfettamente calzante con la situazione dei nostri
protagonisti...
L'ispirazione è tornata e così il buonumore, nonostante il caldo. Ma
scrivo sempre per le bianche scogliere.
La spia di Sir Lancelot.
Celemon fu tra coloro che prepararono il rogo destinato alla regina. E
chi meglio di lei avrebbe potuto farlo? Suo padre era rimasto turbato
al solo pensiero, ma lei l'aveva rimbeccato, come suo solito,
spedendolo a dormire: - Io faccio il mio dovere e voi il vostro.
Kay alzò la candela illuminando per l'ultima volta il viso di sua
figlia. Grugnì, scuotendo la testa, e si allontanò lasciandola al buio.
Non ci sarebbero più stati sguardi maliziosi, né amichevoli risse per
un posto a tavola; nessun altro uomo l'avrebbe avuta, nemmeno per pietà
e disperazione come aveva fatto Gingalain. Oh. Ripensare a lui faceva
così male, e provò orrore quando capì che non v'era proprio differenza,
che anche se non fosse morto per mano di Sir Lancelot apparteneva ormai
ad un'altra, e prima a un'altra ancora, quella Pucelle che forse
l'aveva ormai dimenticato...
Il suo desiderio di morire era attenuato dalla voglia ancora più forte
di veder bruciare viva la regina, perché in fondo l'aveva sempre
odiata, con i
suoi capelli biondi e quelle caviglie sottili, sottili.
Odiava lei, e odiava Sir Gawain che non aveva versato una lacrima per
la morte dei suoi figli, e Garanwyn, sì, lui più di tutti.
Ora, seppure senza saperlo- Celemon ed Eneuawc avevano una stessa
imbarazzante situazione ad accomunarle; entrambe avevano amato un uomo
destinato ad un'altra. Ma se la figlia di Bedivere versava le sue
lacrime con dignità per il forzato abbandono di Elyan, Rhelemon Hir si
rendeva conto che non gliene rimaneva nemmeno un briciolo, di dignità -
Lei che per anni aveva riso alle battute degli uomini senza conoscerne
il significato
E non aveva mai avuto rispetto per nessuno, eppure lo esigeva dagli
altri
E non aveva mai detto una parola per difendere suo fratello dai cretini
di turno
E non aveva mai ammesso che le sue canzoni la emozionavano, che
sembravano parlare anche di lei.
Piange, viola di freddo,
e il vento si è calmato,
ma non può aprire i petali
non più, non più,
rosso di vergogna, smetterà mai di
tremare?
Eneuawc era stata coccolata e rincuorata da tutta la famiglia, e alla
fine Sir Lucan era riuscito a strapparle un sorriso - di questo Amren
si risentì alquanto, ma non lo fece notare - dichiarando che nelle
terre di Bors era considerato peccato stringersi la mano, che l'uva da
quelle parti diventava aceto direttamente, e infervorandosi
nell'inventare altre allegre calunnie senza capo
né coda.
Ma Celemon non conosceva le coccole.
Non ne aveva mai ricevute e non sapeva come darle, né a chi. Immaginò
la reazione di suo padre se poco prima l'avesse abbracciato, così, di
punto in bianco.
Sarebbe stato imbarazzante e patetico.
Nessuno si era mai avvicinato alla sua culla agitando un fiore davanti
a lei per farla ridere. Nessuno le aveva detto che doveva voler bene al
suo fratellino anche se con la sua nascita aveva perduto la madre.
Uscì
in cortile e si sfilò l'anello dal dito. Aveva creduto che non fosse
prezioso, per la sua foggia sconosciuta e soprattutto per l'informalità
del contesto in cui l'aveva ricevuto. Sir Gingalain l'aveva dato a
lei per dispetto, perché non l'avesse la sua futura sposa, e le aveva
detto certe parole che non avevano alcun valore fuori da quel contesto
assurdo:
- Sposerei voi più volentieri, almeno non mi annoierei. E credereste in
me, e potrei essere me stesso. Siamo uguali, noi due.
Era l'anello di sua madre, dama Ragnell Somer Joure, la prima moglie di
Sir Gawain. E ora Celemon, la ragazza più sgraziata e indisponente di
Camelot, lo riscaldava tra le mani quasi potesse far rivivere l'uomo
che gliel'aveva donato. Stupida. Stupida due volte. Aveva letto le
iniziali all'interno fantasticando che G e R potessero significare
qualcos'altro. Lui non la chiamava forse Rhelemon Hir?
Per la prima volta aveva trovato quel soprannome più che accettabile.
Le sembrò, per la prima volta (eppure l'aveva
indosso da molti giorni), di sentire una strana forza irradiarsi
dall'anello, fino ad avvolgerle la mano di un calore intenso... si
spaventò e lo gettò via, allontanandosi dal portone per non rischiare
di rivederlo alla luce delle torce e cambiare idea.
Ma non c'era alcun pericolo - nessuna magia era ormai in grado di
trattenerla.
Aveva riflettuto prima di decidere che cosa fare. Perché tante e tante
altre
prima di lei si erano uccise per amore: ad
Iseult, la regina di Cornovaglia, si era spezzato il cuore quando Sir
Tristan era morto; e poi quella dama che aveva perso la testa per Sir
Lancelot ed era arrivata in barca, aveva avuto un funerale
strepitoso... ma il punto era che si trattava in entrambi i casi di
bellissime donne. Che cosa avrebbero detto del suo corpo quando
l'avrebbero
trovata? Non certo che erano rimasti petali di rose sulle sue guance, o
che
il suo pallore pareva di luna, non che la morte l'aveva sfiorata con
una piuma o aveva strappato l'anima ma non l'innocenza. Ma poteva
sopportarlo, e poi il suo gesto non avrebbe suscitato tanto clamore in
mezzo ai grandi festeggiamenti
dell'indomani.
Si
legò le mani e tirò la corda con i denti; poi, seduta sull'orlo del
pozzo,
chiuse gli occhi e cercò di ricordare il volto di Sir Gingalain. Dal
buio della sua mente apparve soltanto la risata di suo padre ubriaco, e
allora rise anche lei, e la notte era quasi finita quando si diede la
spinta e piombò con malagrazia nell'acqua.
Non fu scoperta che dopo il massacro, quando l'odiata Ginevra era ormai
salva e in viaggio per Joyous Gard.
Non c'era un'anima nelle scuderie, perché non erano previste partenze
immediate.
Notoriamente i cavalli non hanno anima, e gli unici esseri umani
nascosti lì dentro avevano appena gettato via la propria in nome di un
sentimento.
Si erano ripromessi più volte che avrebbero mantenuto la loro relazione
su un piano platonico - e se avessero letto soltanto Platone, forse ci
sarebbero riusciti. Ma abbiamo già stabilito che i loro modelli erano
altri, e le ultime vicende li avevano avvicinati talmente...
- Vorrei capire a chi appartengo. - Era un dubbio lecito. Nessuno lo
reclamava, nessuno gli avrebbe chiesto di fare alcunché. Non
apparteneva a suo padre, che non si era mai curato di lui, non aveva
seguito Elyan in Francia e nessun vincolo lo legava a re Arthur né a
chicchessia. Si era sentito libero per la prima volta, e questo l'aveva
spaventato - vi stupisce che avesse cercato, tra le braccia di Amren,
la sicurezza che gli mancava?
La paglia sparsa sul pavimento di terra battuta non ne migliorava la
comodità. Amren si tirò su, accarezzandolo con lo sguardo intenerito: -
Vorrei dirti che sei mio, ma non sarebbe giusto. Sei mio adesso, questo posso giurarlo.
Garanwyn lo attirò di nuovo a sé, sudato e infreddolito com'era:
Mai questa neve si scioglierà?
L'unico sorriso sghembo
è quello della luna.
Tu sei la mia luna stanotte.
Cantava al suo orecchio, avvinghiato a lui con le braccia magre, ed
ebbe un bacio ad ogni verso, e altri come premio alla fine. Era notte
fonda, la notte dell'attesa.
- Esiste un posto solo per noi, a questo mondo? Voglio dire, non per
una notte. Per una vita.
- Non in questa vita -
rispose Amren, ripensando ai suoi sogni.
Proprio come la madre, egli sopportava la compagnia di persistenti e
tragiche visioni, un groviglio di accadimenti che, ripensandoci a mente
lucida, riusciva a riunire in un'unica immagine: l'urlo di sangue del
mare. Ne aveva parlato con lei e sembrava coincidere tutto. Lo
imbarazzava il particolare che in quei sogni lui non fosse suo figlio,
ma di
(Branwen)
un'altra donna più giovane.
E il pensiero delle vele rosse all'orizzonte che fanno rizzare i
capelli e stringere la spada in pugno...
Ma adesso c'era questa, di
vita, e questa spada, da
portare in un'occasione infame come l'esecuzione della regina.
Non voleva esserci. Non voleva avallare una decisione tanto crudele.
Ora che conosceva il peccato, non riusciva più a condannare Sir
Lancelot per il suo tradimento né pensare che la regina meritasse una
tale fine...
- Sei fortunato, Garanwyn.
- Eh-oh? - L'altro si sciolse dall'abbraccio per guardarlo negli occhi.
- Sì, avrei potuto non incontrarti mai.
- Non è questo. Sei l'unica persona davvero libera in questo
inferno, puoi ancora diventare quello che vuoi. - Finirono di
rivestirsi a vicenda, come in una cerimonia silenziosa.
- Ma io non posso essere come te! Non posso correre, né combattere. -
protestò Garanwyn dopo un poco.
Amren scosse la testa. Non era riuscito a farsi capire... - Tanto
meglio, perché tu non vuoi
diventare come me! Non vuoi essere come
Elyan, e tantomeno come tuo padre! Sei speciale... no, non c'entra
quello che ti manca, è quello che gli altri non hanno e tu hai...
- Ascoltalo, ti verrà utile. - La voce, troppo familiare per indurli in
allarme, non mancò tuttavia di sbalordirli.
Una figura uscì dall'ombra e si piazzò di fronte ai due giovani. Si
tolse il mantello scuro e sfilò la propria arma dal fodero quindi,
lentamente, la posò davanti a sé. Elyan de Ganis, cugino in secondo
grado di Sir Lancelot, sulla lista nera di re Arthur, affidava la sua
vita a coloro che fino a poche settimane prima erano stati i suoi più
cari amici.
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Capitolo 5 *** L'anello magico, istruzioni per l'uso. ***
@Ila: No, fortunatamente nel cartone animato Bors non
compare, fiuuu!! Era un modo per spoilerarti quello che comunque
leggerai più sotto. Cioè, chi
se la sposa. *ma perchééé devo combinare sempre questi crossover
pasticciati?*
Anche a me Celemon piace, perché è uguale a me. Ma dovevo scegliere tra
fare morire lei o un altro personaggio, e... ho optato per tutti e due
*HAHA! stile Nelson Muntz*
Ma... come? La tua AMATA Ginevra? E da quando? *rotola* Comunque sappi
che mi sono commossa quando ho visto le notifiche delle recensioni
apparire una dopo l'altra, io non merito tanto!! *fusa micionesche*
Capitolo cinque - L'anello magico, istruzioni per l'uso.
- Mi avevi proibito di tornare, Amren, e credimi se ti dico che avrei
voluto farne a meno. Tocca a te. Puoi farmi arrestare, qui, adesso,
oppure ascoltarmi.
Garanwyn si morse il labbro. Sentiva che presto gli sarebbe stato
chiesto di scegliere, ma non era la scelta in sé che lo turbava: aveva
già deciso, e non aveva timore di dirlo. Ma voleva ancora bene ad
Elyan, e se Amren avesse deciso di denunciarlo...
- Come sei riuscito ad entrare? È zeppo di guardie ovunque. - Amren
sembrava preoccupato, ma non furioso. Stava ancora soppesando i rischi
che tutti e tre correvano in quel momento, ma poi il dispetto e il
pudore lo colsero: - Cos'hai visto? Quanto
sei riuscito a vedere?
Elyan rispose che sapeva da tempo dei rapporti tra loro, e che non
aveva nulla da dire a proposito; lo sguardo fermo rivelava la sua
sincerità. Questo atteggiamento li rassicurò in un certo modo.
- Non voglio nascondervi nulla. Sir Lancelot mi ha inviato a
raccogliere informazioni sulle intenzioni del re nei confronti della
regina Ginevra. Sono riuscito a scoprire che all'alba verrà eseguita la
sentenza, o meglio... così è stabilito.
- Perché... lui lo impedirà?
- Se mi lascerete andare, gli dirò ciò che gli necessita sapere per
giungere qui e condurla in salvo, sì, è questo il suo proposito.
Amren era combattuto. Ecco cosa significava ciò che aveva appena detto
a Garanwyn: essere liberi è un dono raro. Permettere che Sir Lancelot
entrasse a Camelot e liberasse la regina era un tradimento grave. La
tribù dei Coritani era stata fedele a re Ambrosius, ad Uther Pendragon
e ora a suo figlio Arthur. Suo nonno, Corneus, era morto in battaglia
contro l'offensiva dei re del Nord. Suo padre aveva affiancato re
Arthur in ogni singola guerra, in ogni decisione, popolare o impopolare
che fosse. E lui stava per spezzare un patto antichissimo, saldo e
sacro - per che cosa? Per la vita di una donna infedele? Per un amico
altrettanto inaffidabile, che aveva rotto il fidanzamento con sua
sorella?
No. Amren non lo denunciò per un'altra e più semplice ragione: sapeva
che Garanwyn non gliel'avrebbe perdonato. E tanto gli bastò. Annuì,
senza sorridere.
Elyan si inginocchiò per ringraziarlo, ma lui ne ebbe orrore. - Queste
smancerie riservale ai tuoi amici oltre lo stretto o a tua moglie, non
a me.
- Ma devo dirti... non c'è stato nessun matrimonio, è andato tutto a
monte! - bisbigliò Elyan, felice di poter rivelare quel dettaglio che
poteva, doveva fargli piacere. - Non ho tradito Eneuawc, e se già l'hai
rassicurata sul mio amore, ora le dirai che sono ancora suo, che quando
potremo tornare senza vergogna io la sposerò...
Garanwyn era al settimo cielo. - Le parlerò io. - Attese, con un
fremito nel cuore.
E la domanda arrivò, perché Elyan non poteva esimersi dal metterlo di
fronte a quella scelta, se partire con lui per Joyous Gard oppure
restare a Camelot.
Gli rispose con voce sottile ma ferma: - Se non ti
reco offesa, desidero restare.
Il figlio di Bors disse che la sua decisione non alterava minimamente
la sua stima per lui e anzi, per usare le sue parole, "quella
temerarietà lo inorgogliva"; gli ricordò comunque che in caso di
pericolo avrebbe trovato un rifugio sicuro ad Estangore perché,
conoscendolo, era sicuro che Brandegoris si sarebbe mantenuto estraneo
alla contesa.
Così si separarono, Amren ed Elyan, ancora nemici ma legati da una
speranza di riconciliazione. Ah! Quelle
naïveté!
Due righe su ciò che era accaduto
in Francia, poiché non si deve pensare che Elyan mentisse a riguardo.
La signora era bella, senza dubbio, schietta e gentile. Aveva
accolto Bors,
Lionel, Ector ed Elyan con una gran festa, i cibi più squisiti e la
musica più allegra. Aveva detto che tutto considerato, forse, insomma
non si
aspettava che il futuro sposo fosse così giovane, e tra un ballo e
l'altro aveva chiesto ad Elyan se avesse già una fanciulla nel cuore.
- Lady Juliana, siete sempre così franca? - aveva risposto il
ragazzo, imbarazzato.
- E voi, siete così devoto a vostro padre da sposare una persona
che
non amate, sapendo che sarete infelice per il resto della vostra vita?
Elyan non avrebbe potuto rispondere in nessun modo senza ferire i
suoi
sentimenti o adularla - ed entrambe le cose non le avrebbero fatto
piacere; finalmente aveva capito che doveva essere sincero di rimando,
e aveva confessato: - Sì, rispetto le decisioni di mio padre e no, non
credo che voi
possiate in alcun modo rendermi infelice, signora...
- E non credete che potrei essere io a soffrirne? - aveva
replicato Lady Juliana.
Non lo stava guardando negli occhi e voltandosi Elyan scoprì il
perché.
Era in corso un corteggiamento che nulla lasciava
all'immaginazione.
Suo zio Lionel, che giocava a dadi con Ector, aveva già perso un
piccolo patrimonio; affermare che fosse distratto
dalla bellezza della signora del castello era un termine troppo vago
per rendere l'idea. Ne era letteralmente stregato, e quando Elyan era
tornato a
guardare in volto la sua promessa si era reso conto che il sentimento
era
reciproco.
In breve, Sir Bors non fu soddisfatto della piega che
avevano preso gli eventi, ma non aveva potuto opporsi a lungo alle
nozze di suo
fratello: in questo modo i suoi progetti non erano andati
affatto a monte, ma anzi si erano conclusi nel modo più felice. E già
Elyan
pregustava il momento in cui avrebbe potuto sciogliere l'equivoco e
presentarsi al cospetto di madamigella Eneuawc a testa alta, o forse
strisciando ai suoi piedi, che importava? Bastava che lo perdonasse!
Ma proprio al loro ritorno si era scatenato il putiferio, perché
per una
volta che Bors aveva dispensato un saggio consiglio - ed era veramente
raro, si badi bene - Sir Lancelot non
l'aveva voluto ascoltare.
Ma non indugerò su eventi già narrati altrove. Avevamo lasciato i
nostri giovani cavalieri, l'uno che
sgusciava a fare rapporto a Sir Lancelot, mentre l'altro...
Sarebbe riuscito a dormire almeno per una mezz'ora? Amren ne dubitava.
Ma anche restar fuori a prendere freddo non aveva molto senso. Che cosa
aveva senso, dopotutto? La sua famiglia. Il corpo di Garanwyn stretto
al suo, la sua voce, i suoi capelli. E l'augurio che tutti gli equivoci
si sarebbero risolti, che non sarebbe stato versato altro sangue... era
chiedere troppo?
Udì
un tonfo e un agitarsi d'acqua dall'altro lato del cortile, in un
punto che non riusciva a vedere. Forse un gatto o un altro animale era
caduto nel pozzo. Riusciva a immaginarlo: le zampette che si
dibattevano, i tentativi di restare a galla, poi l'immobilità assoluta,
la pace. La morte era così semplice. Crudele, ma semplice. È lei che ci
sceglie, non ci chiede a che cosa rinunciare...
Un luccichio catturò la sua attenzione. C'era qualcosa a terra, vicino
all'ingresso, così si chinò a raccoglierlo. Aggrottò la fronte: era un
anello, forse d'argento; ne sentì sprigionare la magia e ciò non lo
stupì. Non si chiese di chi fosse, né se poteva fargli del male. Quando
fu nella sua stanza, stringendolo nel pugno, espresse un desiderio
semplice ed ingenuo: non essere costretto ad assistere all'esecuzione.
Se fosse stato più previdente e compassionevole, avrebbe ricordato che
qualcun altro meritava questa grazia più di lui.
Scivolò in un sonno innaturale, una sensazione di vertigine intensa, e
presto fu colto da una febbre altissima. Si chiese perché il mare dei
suoi sogni fosse rosso fuoco, questa volta, e perché la sete non si
spegnesse... nuove immagini vorticavano nella sua mente sino a farlo
urlare: quel gatto annegato, che ora aveva un volto di donna, figure
grottesche, strapiombi, campi di battaglia, scaffali colmi di libri che
riempivano pareti smisurate - poi tornava il fuoco e riduceva tutto in
cenere - e città deserte dalle strade lastricate di scheletri, e barili
colmi di sangue, e unicorni braccati da arcieri dal volto di demone...
poi fu buio, e una mano ruvida si posò sulla sua fronte. Qualcuno
l'aveva sollevato dal pavimento e si ritrovò sul letto, incapace di
muovere un solo muscolo. Gli tolsero le scarpe, sentì una coperta
posarsi su di lui e provò ad aprire le palpebre, che sembravano pesare
come macigni. Balbettò: - Acqua... - e svenne di nuovo.
Di nuovo le visioni, di nuovo l'angoscia rutilante sull'acqua: ma poi
la luce si fece neutra, sentì una spugna bagnargli il viso,
rinfrescargli le labbra e prese a succhiarla avidamente.
- Bene, stai già meglio... che cos'hai in mano? Amren, che cos'è
questo? Mio Dio, lo so cos'è! Chi te l'ha dato?
Forse sarebbe riuscito a rispondere, se il frastuono proveniente
dall'esterno non avesse fatto scattare in piedi il suo soccorritore;
udì i suoi passi pesanti allontanarsi. Gli aveva preso l'anello, ma
questa era l'ultima delle sue preoccupazioni.
Trascorse l'intera giornata nel dormiveglia, mentre la febbre scendeva
e solo un lieve languore gli intorpidiva ancora le membra; verso sera,
quando tornò completamente in sé, si stupì di essere stato abbandonato
a se stesso per così lungo tempo. Con cautela si alzò, si avviò alle
cucine e chiese da mangiare: c'era solo una vecchia cuoca, che gli mise
davanti della carne e del pane. Amren mangiò con appetito poi,
sentendosi in forze, pensò di uscire a prendere una boccata d'aria: ma
le urla che provenivano dalla Sala lo fecero affrettare in quella
direzione.
La scena era pietosa, insopportabile alla vista e quasi grottesca,
tanto più che i protagonisti non erano fragili creature ma uomini forti
e potenti.
Qualcosa di terribile doveva essere accaduto, perché i volti del re e
dei suoi ufficiali erano trasfigurati da un dolore folle: suo zio
Gawain, più di tutti, sembrava aver perso il senno. Al contrario Sir
Mordred esibiva un certo contegno, ma era una curiosa eccezione in quel
trambusto; nondimeno suo padre gli andò incontro facendogli cenno di
seguirlo fuori dalla stanza.
Alla fioca luce del corridoio si accorse che aveva gli occhi rossi di
pianto, e sentì il suo braccio stringerlo così forte da fargli male.
Chiuse gli occhi e chiese cosa fosse accaduto ma, quando Sir Bedivere
lo accontentò, si rese conto che avrebbe preferito non sapere.
- Dovrei essere adirato con te perché ti sei sottratto al tuo dovere,
ma so e sento che non me ne importa nulla. Se tua madre avesse perso
anche te... oh ragazzo mio, va' da lei! Ha bisogno di tutto il conforto
possibile, ed io non posso allontanarmi...
- Non accusarlo di un torto che non merita, fratello. - Sir Lucan li
aveva raggiunti. - Era ammalato la scorsa notte, e posso giurare
davanti a Dio che non era in condizioni di muovere un passo; in quanto
al dovere, fossero stati tutti disertori oggi! Ma vivi!
Bedivere non osò contraddirlo, rinunciando a quelle occhiate di finta
collera che spesso gli riservava.
- Dunque eravate voi, zio... che dire, grazie di avermi prestato
soccorso. - boccheggiò Amren, ricordando all'improvviso tutto quanto
era accaduto: l'incontro d'amore con Garanwyn, l'arrivo di Elyan, quel
compromesso che ora si rivelava un vero e proprio tradimento...
Lucan fece una smorfia che significava "Ne parleremo in un'altra
occasione" riferendosi probabilmente all'anello, e non si accorse che
il volto del nipote aveva cambiato colore.
- Amren, ti prego, va' da tua madre. Dille che vorrei essere con lei in
questo terribile momento - ripeté Bedivere con sollecitudine.
Il giovane obbedì, sentendosi addosso - come un pesante mantello di
tenebre - la sua parte di colpa per quella tragedia.
Dea, le tue statue crollano.
Terra, le tue montagne tremano.
Cielo, i tuoi figli piangono.
Tutto è ormai spezzato e perso,
galleggiano i relitti di un tempo
concluso.
Dopo aver vagato a lungo per il castello, stordito ed in
pena, Garanwyn trovò il padre profondamente addormentato con la testa
sul tavolo. Una
brocca vuota e un mestolo macchiato di vino gli fecero capire che non
si sarebbe svegliato tanto presto. Rimase a guardarlo, trasognato. Non
l'aveva mai visto così indifeso e umano.
E
poi Sir Lucan si affacciò nella stanza:
- L'ha presa bene, credimi. E per tutto il resto lo coprirò io.
Ho le spalle larghe, dicono.
Si schiarì la voce, non sapendo bene come trattare con lui. Non era
diverso dai suoi nipoti, in fondo, pensò. Tranne per il fatto che non
era fortunato come loro.
- Mi dispiace per tua sorella.
- Non era buona con me - Garanwyn fece spallucce, irritato, ma si sentì
subito in colpa.
- Non era nemmeno cattiva. E neanche lui. - continuò accennando a Kay.
- Credimi, un giorno si renderà conto che ti vuole bene. Gliene
concederai l'occasione?
- Sì - rispose incerto, provando il desiderio di abbracciare quell'uomo.
- Il mondo va a rovescio. Siete voi che dovete insegnarci a vivere e ad
amare... siete voi.
Garanwyn lo guardò negli occhi, quegli occhi neri che non avevano mai
fatto palpitare il cuore di una dama, la barba che incorniciava un viso
comune e un poco rude.
- Siete gentile, signore.
Lucan sorrise e scivolò via senza far rumore. Era il suo mestiere,
dopotutto, essere trasparente. Gentile, già, simpatico, certo,
infaticabile, senza dubbio, ma trasparente.
A chi importava della sua felicità? Non a lei.
E ancora no, non le avrebbe attribuito un totale disinteresse; lei gli
voleva bene a modo suo, nei limiti del decoro. D'altra parte, se mai si
fosse comportata altrimenti, non si sarebbe forse sciupata
quell'immagine sublime che aveva di lei? Eppure quella notte aveva
avuto la tentazione di usare l'anello per soddisfare il proprio
desiderio! Di distruggere tutto ciò che aveva! Dio, se Sir Lancelot non
fosse arrivato come una furia provocando la strage e distogliendolo da
quei pensieri, avrebbe chiesto di averla...
La sua unica amica! Colei che chiamava sorella, che si fidava di lui
ciecamente, che rideva alle sue trovate e non sapeva cosa si agitava
nel suo animo! Che poi, chi sa quando l'avrebbe più vista sorridere,
dopo quanto era accaduto...
Aveva visto per la prima volta l'anello magico il giorno
delle nozze di Gawain con dama Ragnell. Sapeva del suo potere discreto
ma efficace, dei suoi rischi e dell'assoluta casualità con cui esaudiva
il desiderio sincero di chi lo possedeva e credeva nella sua forza. Un
desiderio e uno soltanto. Tutto questo era riuscito ad estorcere tempo
prima a
Sir Gromer in una serata di bevute.
Sapeva anche che Gawain ignorava le sue proprietà, ma vi era tanto
affezionato che non l'avrebbe mai donato ad altri che al figlio
maggiore, in occasione delle sue nozze... dunque perché non era nel
Galles, al dito della legittima moglie del povero Sir Gingalain? Perché
il destino l'affidava ora al peggiore degli uomini?
- Sono un miserabile, turpe, infame traditore. - Si batteva
il petto, la vergogna che saliva a disgustarlo di se stesso, e capì
d'un tratto cosa voleva veramente. Stringendo in mano quell'oggetto
malefico, formulò la sua richiesta.
Io,
Sir Lucan di Lindsey, maggiordomo di Camelot,
non voglio sopravvivere alle tre persone che più amo.
Il mio re,
mio fratello,
e la sua signora, colei per cui soffro, il cui nome non merito di
pronunciare.
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Capitolo 6 *** Addio a Camelot ***
Oddio, mi sa che è troppo corto. Terribilmente corto, ma mi sembrava
compiuto in sé. I veri nemici cominciano a scalpitare di malvagità e
come al solito non riesco a resistere alle convenzioni: cattivi da una
parte e buoni dall'altra XD Non sono per niente convinta delle
"ragioni" di Melehan, ma ormai l'ho impostata così -.- *depression*
Capitolo sei - Addio a Camelot
Il fiume scorre in diagonale tra le colline di gesso, a nord, e le
miniere di argilla nella parte meridionale di Lindsey. Attraversa la
capitale per poi dirigersi verso il mare, e sfocia in un maestoso
estuario non lontano dal luogo dove re Arthur combatté la prima volta
contro i Sassoni. Lady Clarissant era tornata a contemplare quel
paesaggio incantevole dal castello di Lincoln, ma senza più traccia d'incanto nello sguardo. E quanto al contemplare, temo sia una personale
trovata poetica; non aveva tempo per affacciarsi o guardarsi attorno.
Sir Bedivere era il signore di quelle terre, come primogenito del duca
Corneus, ma le responsabilità di cui era investito presso la corte di
Camelot gli avevano reso impossibile governare in prima persona. Lo
stesso valeva per Lucan, legato a doppio filo alle necessità del re;
perciò fino ad allora era stato Sir Griflet a occuparsi di tutto. Oh,
l'aveva conosciuto bene durante tutti quegli anni, e sapeva che mai
l'invidia l'aveva sfiorato; amava i suoi cugini ed era felice che
fossero tanto benvoluti dal re... e amava Lindsey, i suoi altopiani e
le sue distese verdi, le spiagge che da Grainthorpe corrono giù fino al
golfo. L'abbondanza dell'ultimo raccolto, di cui stavano per gustare i
frutti, era stata anche il suo estremo, inconsapevole dono.
No, lei non era stata l'unica a soffrire, eppure non si era curata che
del proprio dolore!
Aveva dimenticato che non è la morte, ma il disamore a distruggere. E
finché c'era amore bisognava vivere.
Era il momento di asciugarsi le lacrime e rimboccarsi le maniche. Se ci
sarebbe stata una guerra, al re suo zio occorrevano uomini e risorse, e
Lindsey avrebbe dato tutto ciò che poteva.
Amren era tornato dall'assedio di Joyous Gard (che stava per cambiare
nuovamente nome) con l'orrore negli occhi. Benché non fosse stato
costretto a scontrarsi direttamente con Elyan, l'aveva pur visto
combattere tra le schiere di Sir Lancelot e l'emozione che gli si
agitava in corpo era alquanto ambivalente.
"Tu, che mi eri amico, che ho
risparmiato e protetto in virtù del mio sentimento per Garanwyn"
aveva pensato freneticamente nella mischia "hai causato con le tue azioni una strage
senza limiti, per cui la mia famiglia è ora in lutto stretto. E voglio
pensare che la vita della regina meritasse un tale sacrificio, ma non
vi credo appieno, e una furia mi spinge a svergognarti e battermi con
te, non molto diversa da quella che prova il mio nobile zio Sir Gawain.
Non lo farò se mi sarà possibile, ma è ciò che provo e non posso
negarlo."
In verità, la rabbia nei confronti di Elyan era nulla rispetto a quella
che provava per se stesso, per aver permesso che tutto ciò accadesse e
non averne pagato il prezzo. Avrebbe desiderato morire per espiare la
colpa di aver usato l'anello, ma non era accaduto; anzi si era battuto
con valore e ciò non era passato inosservato agli occhi di re Arthur.
- Vostro figlio è un degno e forte guerriero, Sir Bedivere, potete
andarne orgoglioso - aveva dichiarato solennemente. E suo padre aveva
risposto: - Non avevo dubbi in proposito, ma sono lieto che abbia
potuto dimostrare i suoi meriti al vostro servizio.
Quel senso di vergogna si ingigantì a udire parole così scontate e
vuote. S'immaginò cosa sarebbe successo se in quel momento avesse
urlato: "Ebbene, potrei combattere mille battaglie, ma questo non
laverà mai la mia colpa, poiché ho lasciato fuggire una spia e mi sono
sottratto al destino che meritavo". Ma a quale scopo? Era da egoisti
cercare una punizione, perché in questo modo avrebbe ferito tutti
coloro che lo amavano.
Perciò si era rassegnato a tacere, ed era rientrato in quella città
opprimente, in quella reggia un tempo splendida che ora echeggiava di
morte e abbandono.
Avevano perso così tanto. Pensava a Lovell, così spensierato, malizioso
e sempre in cerca di facili sottane, e gli veniva un groppo alla gola;
e a Sir Griflet, che non avrebbe mai più rivisto Lindsey. Ma
soprattutto pensava a Sir Gareth e al dolore di sua madre.
Eppure c'era ancora qualcosa di bello a Camelot, e da lui era tornato.
Garanwyn, il suo piccolo tesoro, la sua gioia.
S'intreccia ai nostri steli la
gramigna,
e invano tu vorresti liberarmi,
'ché più ci provi, peggio
s'aggroviglia.
Attendere che secchi forse è saggio,
ma forse non sfioriamo noi
altrettanto?
Com'erano diventate tristi e complicate le sue canzoni! E come
echeggiava il suono della sua arpa nelle stanze vuote, come stridevano
i sorrisi contro quei pugni allo stomaco che ti ricordavano "No, non
c'è nulla per cui gioire"! Eppure ci si poteva ancora amare. C'era
ancora un filo di fiducia da respirare in quell'atmosfera - mentre
ancora credevano che la bolla papale avesse sistemato tutto.
Ad esempio, il rapporto tra Garanwyn e Kay era leggermente cambiato.
Se prima fingevano di non conoscersi, ora li trovava in un
atteggiamento piuttosto amichevole; tenendo conto che per i canoni di
Sir Kay una sequela di male parole era l'apice delle manifestazioni
d'affetto. Era fin troppo chiaro che la morte di Celemon l'aveva
colpito profondamente facendogli riconsiderare alcune priorità della
sua vita. Si stava rendendo conto pian piano che Garanwyn non l'avrebbe
mai odiato nonostante i suoi errori, e questa constatazione gli
procurava un timido piacere fino ad allora sconosciuto. Inoltre non
stava proprio ringiovanendo, e si sa, anche certi uomini di pietra
inteneriscono con l'età.
Pensare ad un avvicinamento tra quei due lo rinfrancava, ma era pur
triste il motivo di quel sollievo. Sapeva infatti che un giorno avrebbe
dovuto lasciarlo per sempre, di non essere destinato ad un'infruttuosa
vita di corte ma ai brevi e fulgidi giorni dei guerrieri; sempre la
notte lo visitavano immagini di fredde pianure dell'Est brulicanti di
eserciti, dove un sole smorto luccicava sulle spade e sulle armature, e
la brina ingentiliva il colore rugginoso delle asce abbandonate dai
vinti.
Eppure no! Non era stata questa la sua prima battaglia! Non era questo
che aveva vissuto sotto le mura di Joyous Gard! Non la dovuta
riconquista dei territori dei suoi avi, non la risposta fiera a crudeli
invasori - solo il rigurgito di un rancore profondo, che non si sarebbe
forse mai sanato né assopito. E tuttavia una metà del suo sangue era
sangue di Orkney, e non l'avrebbe tradito. Così non versò una lacrima
quando vide sfilare il lungo corteo di Sir Lancelot che
riportava la regina a Camelot, e fu solo con un lieve sussulto che
scorse Elyan tra i cavalieri vestiti di verde. Non gli importava più.
Se c'era qualcosa al mondo in grado di alterare sul serio i battiti del
suo cuore, era la voce di Garanwyn che cantava per lui, i suoi baci, il
suo rossore, e davvero nient'altro contava in quei momenti.
- E voi, cosa ne pensate? Siete d'accordo con Gawain? Credete sia
doveroso intraprendere questa guerra?
Bedivere non fu sorpreso a quella domanda, eppure esitò a rispondere.
Gli occhi del re lo scrutavano, e sulle prime non capì che non esisteva
una risposta giusta e neppure una sbagliata. Arthur Pendragon si
affidava totalmente, in quel momento, ai suoi pochi uomini rimasti.
Non era uno sciocco, non lui. Era nato "al di qua dello stretto",
amava la sua terra. Aveva troppe cicatrici sulla pelle e nell'anima
perché potesse dimenticare a quale prezzo i loro padri avevano
conquistato l'indipendenza della Britannia, e quanto fragile fosse
l'equilibrio della pace con i Sassoni. Ma ugualmente non fece obiezioni.
- Sire, voi desiderate il mio consiglio, e forse mi credete imparziale.
Ebbene, vi sbagliate. Sapete che vi seguirò, perché così comanda il mio
cuore.
E il re credette che questa fosse la più bella dichiarazione di fedeltà
che gli fosse capitato di udire da uno dei suoi cavalieri, e certo più
sincera di quelle di Sir Lancelot in tutti quegli anni... certo, era
pur vero, ma prima che ad Arthur, Bedivere era fedele alla sua sposa.
Troppo alte erano state le grida che Clarissant aveva alzato al cielo,
e mai troppo stretta aveva potuto tenerla a sé in quei giorni di
incubo. Forse ora ella era più serena, occupata in mille incombenze e
responsabilità, ma di certo soffriva ancora. Molte cose sono state
dette riguardo alla guerra tra gli uomini di Arthur e quelli di
Lancelot, ma una certezza posso azzardarla: se il sangue di Sir Gareth
non fosse stato versato, Lancelot avrebbe potuto tradire mille volte la
fiducia del re, e uccidere altre mille infide creature come Agravaine,
senza che nessuno alzasse un dito contro di lui.
- Ho dunque la piena disponibilità dei vostri soldati?
- Ma naturalmente, mio signore... mi servirà solo il tempo per radunare
i reggimenti...
- Partite immediatamente per Lindsey, allora. Vi scriverò per
comunicarvi quando potremo salpare.
Se torneremo, era sottinteso. Bedivere si inchinò, colmo di
gratitudine: poter riabbracciare sua moglie era più di quanto sperasse.
- E porterete vostro figlio con voi, naturalmente.
Amren tentò di nascondere il suo turbamento. Si inginocchiò a sua volta
mormorando - Con permesso, sire - e al gesto stanco di Arthur uscì a
passo svelto.
Quel viaggio era una sorpresa, e benché anche lui fosse felice di
rivedere sua madre ed Eneuawc (forse per l'ultima volta, ricordò
rabbrividendo), era altrettanto contrariato di dover lasciare Garanwyn
prima del previsto.
Lo trovò vicino al torrente, in uno dei loro luoghi segreti. Se ne
stava rannicchiato, cosicché non poteva vederlo in viso; aveva con sé
un piccolo flauto e ogni tanto vi soffiava dentro, ma solo per emettere
lunghe, malinconiche note solitarie. Non l'aveva udito arrivare.
- Garanwyn.
Non si mosse, soltanto ripose lo strumento tra le pieghe della veste.
- Mio padre ed io dobbiamo andare a Lindsey. Non potevo partire
senza... dirtelo... - Esitò, la fronte aggrottata, e si avvicinò a
posargli una mano sulla spalla: lo sentì sussultare e quando gli prese
il viso tra le mani, vide che era coperto di lividi.
- Non-non è niente. È successo altre volte e succederà ancora.
Amren scoprì i denti in una smorfia paurosa. - No. Non succederà mai
più, te lo giuro. - Corse via, ma Garanwyn lo raggiunse incespicando da
far pietà e si aggrappò a lui supplicando: - Non devi batterti con lui!
È il figlio del principe, la ragione sarà sempre sua... non fa niente,
davvero! E visto che te ne andrai di nuovo, dovrò abituarmi a non avere
nessuno che mi difenda! Dovrò imparare a fare da solo, ebbene, ci
riuscirò!
Piansero insieme, stringendosi forte, e quasi il piccolo non sentì il
richiamo delle ossa doloranti. Un bacio disperato e intenso li unì
ancora una volta, ed in quel sapore non riuscivano a fingere che non
fosse un addio. Infine Amren fece appello alla rabbia e alla volontà, e
posando le labbra sui suoi occhi, sussurrò in fretta il meglio che
trovò fra le parole d'uso. Questa volta Garanwyn non fece nulla per
fermarlo. Restò sulla riva a guardare la propria ombra.
- Sir Melehan! Fatemi il piacere di guardarmi!
- Cugino, se sei impazzito sfogati con qualcun altro. - rispose quella
faccia da schiaffi con sufficienza. - Faresti meglio a prepararti...
- Vi sto sfidando, se non avete compreso. E nego ogni nostra parentela
da questo giorno.
Il clangore delle spade richiamò il Consiglio all'esterno; volti
pallidi sgranarono gli occhi davanti a quel duello così poco opportuno.
Era davvero inaudito, in quel frangente! Il re apparve contrariato,
quasi furioso per quel pericoloso contrattempo, e scoccò uno sguardo di
disapprovazione verso Mordred - che a sua volta fissò Bedivere come se
volesse incenerirlo. Questi si riscosse dalla sorpresa ma non sapeva
come comportarsi; avrebbe prima voluto conoscere le ragioni di quello
scontro. Sir Lucan, dal canto suo, sembrava lì lì per scoppiare a
ridere ed applaudire.
Melehan era svelto e abile con le armi, ma non aveva la forza fisica di
Amren. E, più di tutto, non aveva la sua volontà di combattere. Suo
padre gli aveva raccomandato più volte di mantenere un basso profilo,
ma lui e Melou se n'erano bellamente infischiati con le loro prepotenze
a destra e a manca: questo era il risultato, e ora rischiava grosso.
Non poteva abbandonare il campo, poiché sarebbe stato giudicato un
vigliacco, ma se avesse vinto... oh, andiamo, doveva innanzitutto
evitare di finire tagliuzzato! Contrattaccò, compensando con la
velocità all'irruenza del suo aggressore. Iniziò a prenderci gusto,
perché diciamola tutta, quella faccia da carciofo gli era sempre
sembrato ridicolo. Odioso. Patetico. Ma ahimé, terribilmente forte...
per un certo tempo riuscì a tenergli testa, ma in seguito si ritrovò
soltanto a difendersi.
Finalmente Arthur comandò ai due giovani di interrompere immediatamente
la contesa.
- Trovo ignobile che in un momento così grave e importante troviate il
tempo per accanirvi l'uno contro l'altro. Sir Amren, partite il prima
possibile e non comparitemi davanti fino alla partenza per il
Continente; Sir Melehan, vi affido alla clemenza di vostro padre e vi
diffido dal presentarvi in Consiglio finché non vi manderò a chiamare.
Ma prima, per la vostra anima, ditemi per quale futile ragione stavate
lottando!
Melehan rimase in silenzio, lo sguardo basso e truce: la clemenza di Mordred era ben nota a
lui e Melou sin dalla più tenera infanzia.
- Nobile sire, sono stato io a sfidare mio cugino - dichiarò Amren
quando ebbe ripreso fiato. - Egli ha percosso crudelmente il figlio di
Sir Kay, che è un mio buon amico nonché il più raffinato cantore in
questa corte, e non è stata la prima volta. Quale onore gli può mai
portare, dal momento che egli non può difendersi a causa della sua
infermità? Lo trovo un insulto ai principi della cavalleria e ad ogni
legge umana e divina, e ho ritenuto intollerabile un comportamento
tanto vile.
- Sta bene: se le cose stanno così, Sir Melehan è senza dubbio in
torto. Ma non spettava a voi sfidarlo, bensì al padre del ragazzo, e
mai comunque senza il mio permesso.
Sir Kay guardava da un'altra parte, irritato di sentirsi chiamato in
causa.
- Ma egli non se ne cura! Guardate, non gli importa niente! - Il groppo
che gli era salito alla gola gli impedì di continuare, e fu un bene,
perché il re non tollerò oltre quel linguaggio e gli intimò nuovamente
di prepararsi alla partenza.
Ho già accennato al fatto che Sir Mordred si fosse tanto adoperato con
i suoi figli perché non suscitassero scandalo o attenzione a corte; a
voi, che conoscete quali intenzioni egli avesse, non sfuggirà il
significato di tali raccomandazioni. Non voleva in alcun modo
dispiacere ad Arthur prima di avere l'occasione di impossessarsi del
trono, e ogni parola o azione andava ponderata, poiché un passo falso
l'avrebbe messo presto in cattiva luce più di quanto già lo fosse.
Potete dunque immaginare la sua ira, dal momento in cui venne a
conoscenza delle infamie che il suo primogenito commetteva alla luce
del sole. Lo rimproverò di volerlo portare di proposito alla rovina, e
arrivò a schiaffeggiarlo, giurando che non lo considerava più suo
figlio.
Melehan non disse nulla a propria discolpa.
Si massaggiò la guancia, con l'odio nel cuore. No, non odiava suo
padre, non ne era capace. E non gli importava più nulla dello zoppetto
canterino. Lui odiava Amren. Si augurò che Sir Lancelot lo uccidesse, e
poi non gli bastò ancora, voleva ucciderlo lui stesso. Come, non lo sapeva ancora, e a quel proposito non lo preoccupava eccessivamente l'essere stato quasi sconfitto poco prima. Doveva morire per sua mano, in un modo o nell'altro... magari proprio sotto gli occhi di Sir Bedivere, ah! L'ebbrezza di quei pensieri lo consolava un poco
dell'umiliazione subita, e vi dedicò tutto il tempo finché rimase in
disgrazia presso i suoi parenti. Coltivò quel progetto così bene che
nei sogni lo vedeva già sbocciare, rosso come le carni che avrebbe
strappato.
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Capitolo 7 *** Lucan e Aline. ***
La
mia pigrizia peggiora di giorno in giorno, in modo inversamente
proporzionale alla mia ispirazione. Io so già cosa deve succedere, solo
non riesco a farlo succedere, non trovo motivazioni per scriverlo, mi
sembra ormai trito e ritrito... proprio perché me lo sono passato per
la testa centinaia di volte. Voi che colpa avete? Nessuna, ma tant'è.
Ila: mi chiedi se l'amore di Garanwyn avrà un lieto fine, ma ti
dispiace per Melehan. Come vedi non posso accontentarti in entrambe le
cose ;) Chi è che diceva: "Ne resterà soltanto uno"?
Grazie per i complimenti, ma per quanto ne so il mio punto
debole sono proprio le descrizioni, tendo a scrivere sceneggiature
invece di storie XD Sono contenta che le ore passate a studiare la
morfologia dell'Inghilterra orientale siano servite!!
A chi interessa, ho iniziato una nuova raccolta di drabblesssss.
- Davvero, non capisco perché non l'abbiate portato con voi.
Eneuawc avanzava a passettini impazienti giù per il lievissimo pendio
che portava al mare. L'abito le impediva di correre come avrebbe
voluto, ma rimediò saltando sulle spalle di Amren e lasciandosi
portare. In un allegro gioco, si girò più volte indietro per scorgere
il castello di Grainthorpe che si allontanava dalla loro vista,
fingendo che fossero completamente soli.
Non sapeva ancora nulla della guerra imminente. Era bellissima e pura,
così la vedeva il fratello alla luce del pomeriggio. Ancora innocente,
ancora fiduciosa nella vita. Forse... forse non aveva davvero amato
Elyan. Non era amore di una donna, il suo, ma quello di una ragazzina
lusingata dal corteggiamento e dall'atmosfera di quel loro primo ballo.
Non sentiva la sua mancanza come lui sentiva quella di Garanwyn...
- Perché? - Come entrambi
sentivano quella di Garanwyn, si corresse.
- Nostro padre non l'avrebbe mai permesso. E c'è stata una certa...
disputa. Ma che, non vi basto io?
Eneuawc si strinse più forte a lui: - Cosa dite? Sono tanto felice! È
solo che vorrei avere anche lui qui... vorrei sentirlo cantare e-
Saltò giù. - Ma io dico sciocchezze, vi faccio del male. Durerà molto,
questa licenza? Almeno sino alla festa del raccolto?
Amren non capiva come si potesse ferire intenzionalmente una creatura
come lei, eppure era ciò che stava per fare. - Siamo qui per radunare
gli uomini. Per questo nostro padre è rimasto a Lincoln... ma volevo
stare un po' con voi.
- Siete di nuovo in guerra? Il re non ha perdonato Sir Lancelot?
- E voi, l'avete perdonato? - domandò a sua volta il fratello, amaro.
Lei chinò la testa e si accoccolò sulla sabbia. - La stirpe di Orkney è
stata sterminata... per questo non biasimo nostro zio Gawain, ma
davvero, credevo
fosse tutto finito.
- Lo conoscete. Non si
fermerà. E se re Arthur lo segue, chi siamo noi per restare a guardare?
- Il suo aspetto arruffato rendeva quella frase retorica ancora meno
convincente.
Eneuawc posò la testa sulla sua spalla e se ne stette in silenzio per
un
po'. Sentì la paura crescerle dentro fino a farle spuntare le lacrime.
- Dovete... fare molta attenzione... se vi succedesse qualcosa, non...
- Se mi succedesse qualcosa, significherà che ho svolto il mio dovere,
nulla di più.
Era irritante come gli uomini parlavano della morte. Come se fosse naturale.
A meno che non si venisse uccisi in modo disonorevole, in quel caso si
scatenavano battaglie e ripicche a non finire. Non riusciva a capirlo,
ma dopotutto era una fanciulla e ragionava come tale. Sapeva, ad
esempio, che Elyan alla fine non
si era sposato. Ci sarebbe stata ancora una speranza per loro, una
volta tornata la pace?
Sì, l'unico pensiero che riusciva a distoglierla dalla paura di perdere
suo fratello era proprio il ricordo di Elyan. Sì che l'aveva amato, sì
che era un sentimento reale, e non un gioco di bimba. L'angoscia
si trasformò in rabbia.
- Se ne avrete l'occasione, alzerete le armi contro di lui. Solo perché
è figlio di Sir Bors. Solo perché è stato costretto ad abbandonarmi.
Non ricordate che siete stati amici, non ricordate più niente. Non
v'importa di me... credete di volere il mio bene e così distruggete
tutto!
- Non sapete di cosa parlate! - replicò lui. - Ho provato a difenderlo
finché ho potuto, ma questo mi ha condotto a disprezzare anche me
stesso. Non avete il diritto di parlarmi in questo modo. - Le prese la
testa tra le mani, con delicatezza ma anche con decisione: - Toglietevi
dalla mente Elyan de Ganis, o dovrò farlo io... e farà male, tanto male.
In quel momento Eneuawc ebbe l'impressione di avere un estraneo accanto
a sé. Ne fu terrorizzata, e il respiro le si inceppò in gola; avrebbe
voluto ritrovare un barlume di tenerezza in quello sguardo duro per
rassicurarsi che fosse ancora lo stesso ragazzo cresciuto insieme a
lei, con cui divideva il sangue ed i pensieri da tutta una vita.
- Come potreste mai farmi smettere di amarlo? - Per quanto tremasse
dentro, non staccò gli occhi da lui. Senza rendersene conto aveva
risposto alla sua sfida, e ne pagò le conseguenze.
Era proprio così - faceva male, tanto male, mentre quelle parole
continuarono ad echeggiare dagli scogli di quella riva agli alberi del
parco, e poi nella sua stanza dove non riusciva a prendere sonno.
È
stato lui a infiltrarsi a Camelot.
L'ho lasciato svolgere la sua
missione, perché credevo che nessuno si sarebbe fatto male.
L'ho fatto per voi, l'ho fatto
per Garanwyn.
E per questo ora sono un
traditore, più di lui. Ma non potete amarlo, non più...
- Davvero, non posso più amarlo - si convinse lei, chiudendo gli occhi
sul buio della disillusione.
Le truppe erano pronte a partire, ma ancora non era arrivata nessuna
lettera da parte del re; perciò per qualche tempo l'intera famiglia fu
riunita nella residenza di Lincoln. Bedivere notò subito come la moglie
fosse alquanto rasserenata rispetto all'ultimo loro incontro, ma forse
fingeva. Sembrava intenta al suo dovere e meno spontanea di come la
conosceva: che la tragedia l'avesse svuotata di ogni sentimento, no,
non poteva crederlo! Solo in seguito ella riuscì a trasmettergli le sue
preoccupazioni, complice uno dei sogni che avevano ricominciato a
tormentarla.
Erano a letto insieme, e si era svegliata di soprassalto gridando il
suo nome - era stata una delle scene peggiori, l'ultima... quel cortile... quella finestra, e le
urla... e lui, soltanto più un corpo insanguinato... lui che non era
mai stato suo!
Una volta tornata alla realtà, era stato più semplice confidarsi e
aprirsi.
- Era la cosa peggiore... non solo avervi perso, ma non avervi mai
avuto.
- E pensate che per me non sia lo stesso? Se penso ad una vita senza di
voi, mi pare impossibile. Sapere che eravate qui ad aspettarmi,
dovunque mi trovassi, è sempre stato lo sprone di ogni mia piccola e
grande impresa. Prima... quand'ero più giovane, intendo, credevo ad una
serie di valori e di certezze che ora non hanno più
senso... non dopo ciò che è accaduto e che accadrà. A Badon Hill
desideravo la gloria e la sicurezza del regno, mi esaltavo nella mia
veste di guerriero e amico del re, ma ora lui stesso sembra aver
dimenticato con quanta fatica abbiamo costruito la nostra patria, e
sapete? Non m'importa più. Non partiamo per conquistare, no, non io...
è per amore. Seguirei Gawain all'inferno per farvi piacere.
A queste parole, Clarissant ricacciò indietro le lacrime e lo fissò
spaventata. - Non è per me che lo fate. No, non ditemi una cosa così
orribile!
Era di moda dedicare ogni battaglia alla propria amata, ma Bedivere
avrebbe dovuto ricordare che la figlia di Morgause non era una donna
convenzionale.
- Per amore, dite... ricordate... la prima volta che ci incontrammo?
Ero una bambina confusa il cui mondo stava crollando. Avevo visto mio
fratello Gaheris ripulire la spada con cui aveva ucciso nostra madre, e
foste voi il mio solo confidente. Conservaste quel segreto finché vi fu
possibile, ma poi mi salvaste la vita rivelandolo al momento giusto.
Ricordate... il nostro primo colloquio dopo il fidanzamento?
Continuavate a ripetere di avere commesso un grosso azzardo a chiedere
la mia mano così a bruciapelo, e che non vi sareste offeso se avessi
cambiato idea, che avreste parlato a Gawain sistemando le cose...
- E mi avete risposto che non desideravate nessun altro uomo, che
ricambiavate il mio amore e le incomprensioni del passato erano
dimenticate per sempre. Siamo stati così fortunati, sì, credo che lo
siamo davvero.
- Per questo... davvero volete sfidare il fato? È bastata una parola di
Gawain per convincere mio zio, ma sarebbe bastata un'altra vostra
parola per dissuaderlo. Si fida di voi. Ma io dico sciocchezze, e non
devo impicciarmi delle vostre decisioni; solo, e ci ho messo molto per
capirlo, questa guerra non è ciò
che Gareth avrebbe voluto.
Un tremito aveva accompagnato quell'ultima frase. Nessuno ormai
pronunciava quel nome senza un sacro terrore di sciuparlo, come se si
accostasse all'altare di un dio temuto.
- Non è un addio - dichiarò Bedivere, come ultima risorsa. - Tornerò,
come sempre.
Strinse i pugni e tacque, inventandosi un sorriso.
Mostrarsi forte davanti a lui era la più bella
manifestazione d'amore che aveva imparato.
Anch'io lo sento... altrimenti
non avrei cuore di lasciarvi andare.
Venne il giorno della partenza, il giorno in
cui il riserbo ricopre
appena la disperazione, e i pensieri precorrono la tragedia facendo sì
che il cuore non esploda quando diventerà realtà.
- Vi voglio bene, madre, e fate attenzione alle finestre - fu il saluto
di Amren, che siglò una certezza. Entrambi ormai sapevano che i loro
sogni erano ricordi di un'altra esistenza, e per quanto ciò la
spaventasse, era diventato un segreto condiviso e perciò più
accettabile.
Le loro vite si erano incrociate già una volta, sebbene allora il
legame di parentela che li univa fosse più debole; in questo presente
lei era sia Clarissant che Branwen, e aveva avuto il meglio di
entrambe. Non osava guardare più in là, immaginare innumerevoli altre
esperienze e ritorni, ma per un poco gustò quella sensazione di
eternità.
Si sarebbero ritrovati sempre e comunque, tutti insieme, ancora e
ancora,,, ma fu lo stesso difficile sciogliersi dall'abbraccio di
Bedivere, e
trattenersi dal gridare "Non andate!", nonostante in principio fosse
stata proprio
lei, con le sue lacrime, a convincerlo che quella guerra fosse
indispensabile.
- Vendicheremo l'onore del re, la dignità di nostra figlia, e il sangue
dei vostri cari versato da Sir Lancelot. È una promessa.
Sarebbe cambiato qualcosa, a ripetere che aveva cambiato
idea, che si rendeva conto di quanto tutto questo fosse inutile, che
non credeva davvero nella malafede di Sir Elyan e che la vendetta non
riporta indietro i morti? No, ovviamente no, era troppo tardi. Ne
avrebbe desiderate altre, di promesse: eppure non sarebbero bastate,
sarebbero state solo parole che nulla possono strappare al destino.
I cavalieri di re Arthur non furono accolti in Francia con un sorriso
di benvenuto, né con ringhiante ostilità: soltanto con immensa
preoccupazione. Sir Lancelot era restio a fare una qualunque mossa, e
men che meno si sarebbe avventurato fuori da Benwick; ma la sicurezza
delle sue terre gli premeva comunque. Si consultò con i suoi
fedelissimi, che si risolsero ad inviare un paio di persone fidate a
trattare con gli invasori, pregando che servisse a qualcosa.
Figuratevi! Sir Gawain che si fa intenerire da un nano e da una
donzelletta nemmeno troppo graziosa! Tanto valeva credere che un giorno
i carri non avrebbero avuto bisogno di cavalli per tirarli!
Ma andiamo con ordine, perché l'ergastolano Malory non ha si è mai
preso la briga di raccontare come si chiamasse tale donzella e quale fu
la sua sorte dopo l'infruttuosa missione, e ho intenzione di colmare
qualche lacuna a proposito.
Aline, questo il suo nome, era la dama di compagnia di Lady Juliana,
ora sposa felice di Sir Lionel e in attesa di un figlio. Era rimasta
dapprima abbagliata dalla bellezza di Elyan, ma si era messa da tempo
il cuore in pace ed era diventata sua amica senza risentimenti di
sorta. Il modo in cui il giovane cavaliere parlava della sua amata
Eneuawc (quando Sir Bors non era nei paraggi, s'intende) non le
accendeva invidia o dispetto, ma piuttosto simpatia e desiderio di
conoscerla. Per questo, quando fu scelta per avventurarsi fuori dalle
mura, Elyan la pregò di chiedere di lei, qualora avesse trovato
un'anima aperta al dialogo.
- Se non mi uccideranno, lo farò.
- Non temete, Aline. Sono stati miei compagni, fino a ben poco tempo
fa... li conosco - la rassicurò lui. -
Credevo
di conoscerli. In ogni caso, non vi farebbero mai del male: il re sarà
gentile, ma se conosco Gawain, potrebbe forse ridervi in faccia.
Aline, che era nata nobile ma cresciuta serva, non era donna da
offendersi facilmente, perciò partì con il cuore più leggero.
- Venite da parte di Sir Lancelot, bella damigella? - Quella voce la
fece sobbalzare, intontita com'era dal viaggio e dal sole, e quando
voltandosi vide un cavaliere robusto e barbuto, alquanto volgare di
aspetto, un poco si prese paura.
Ma quando lui sorrise, la prima impressione si dissolse nel nulla.
Vergognandosi di averlo giudicato troppo severamente, gli rispose con
cortesia: - Sì, signore, per parlare con il re. Sir Lancelot e i suoi
alleati non desiderano la guerra e sperano nella benevolenza del nobile
Arthur Pendragon.
- Ahimé, dite bene, il mio re è l'uomo più nobile del mondo, e sarebbe
ben disposto alla pace! Ma suo nipote ha una grande influenza su di
lui, e non gli permetterà di perdonare quanto è accaduto. Mi auguro che
le vostre parole riescano a fare breccia nel cuore gelido di Gawain; in
caso contrario prevedo sciagure per voi come per noi.
- Io... non capisco, credevo davvero che voi tutti ci odiaste. Perché
allora sareste qui?
- Ognuno di noi ha una ragione. Non siamo pecore guidate dal bastone di
un pastore, ma uomini feriti nell'orgoglio... e negli affetti. Vogliamo
bene a Sir Lancelot e gli siamo debitori, persino, a causa delle belle
imprese da lui compiute negli anni e che hanno dato lustro al regno di
Britannia. No, io non posso dire di odiarlo, ma se penso a quanto
abbiamo perso...
- Conosco tutto quanto è accaduto, non avete bisogno di soffrire
ripetendo - precisò Aline, vedendo il suo volto contrarsi in una
smorfia di rimpianto. - Io... vi comprendo, Sir... - Gli rivolse una
muta domanda.
- Sir Lucan di Lindsey, al vostro servizio, - rispose prontamente il
cavaliere, con un profondo inchino che la commosse.
- Io sono Aline. Sir Lucan, io vi comprendo, ma prego anche di capire
la nostra posizione. La mia signora, la moglie di Sir Lionel, aspetta
un bambino. Ha forse colpa, quella creatura, per il sangue versato a
miglia e miglia da qui?
Lui assentì, gli occhi lucidi che cercavano di sfuggire allo sguardo
della ragazza. Gli piaceva, non poteva negarlo. Era completamente
diversa da sua cognata, e forse proprio per questo la sua presenza
non lo turbava dolorosamente, ma inteneriva il suo spirito: così poteva
paragonarsi l'odore di violette al più sensuale profumo d'Oriente.
E dire... e dire che era stato sul punto di mandare tutto all'aria...
di usare l'anello per soddisfare il proprio istinto! Ringraziava il
Cielo di averlo fermato in tempo, di avergli impedito di distruggere
quanto gli era caro. Eccola, la ricompensa.
La vide entrare nel padiglione, le guance rosse e un piglio deciso, e
fu fiero di lei - com'era strano! Strano provare un sentimento così
vivo per una donna appena conosciuta... fu come tornare giovane.
Ripensò ancora alla sua dea, alla donna che aveva ammirato e desiderato
in silenzio per venti lunghi anni: e si sentì tremare, ma non d'amore.
Soltanto di sollievo. Come se fosse giunto al termine del suo viaggio,
come se qualsiasi cosa gli fosse accaduta, da quel momento in poi,
avrebbe avuto un altro sapore. Si sentiva un uomo libero, per la prima
volta da molto, molto tempo.
E quando Aline uscì, sconfitta e inorridita dalle parole pesanti e
aspre di Gawain (e sì ch'era stata avvertita!), fu al suo fianco per
consolarla e asciugarle le
lacrime.
- Vi accompagnerò fino a Benwick, se non mi scaccerete.
Il nano borbottò qualcosa, ma bastò un'occhiata per farlo desistere da
ulteriori commenti.
Così Sir Lucan cavalcò al fianco di Aline fino alla città, e molte
furono le cose che si dissero, anche se non è necessario riportarle
tutte. Ma ad un certo punto, poiché lei aveva ormai capito di poter
riporre tutta la sua fiducia in quell'uomo, gli parlò dei tormenti di
Elyan e del suo amore per madamigella Eneuawc.
- Voi la conoscete? Sapete se sta bene?
Un poco rattristato, ma sincero, Lucan le rispose: - Sarebbe ben strano
se non la conoscessi, siccome è figlia di mio fratello. E posso capire
che Sir Elyan la ami ancora, poiché è davvero una fanciulla bella e
virtuosa; ma dal momento che questa guerra è ormai inevitabile, non
farebbe meglio a dimenticarsi di lei?
Aline chinò la testa, confusa.
- Per quello che può servire, ditegli che gode di ottima salute, e vive
con sua madre a Lindsey. Vi dirò: avete fatto bene a chiederlo a me,
perché se vi foste rivolta a quel cavaliere laggiù, si sarebbe davvero
irritato.
Non si erano allontanati molto dall'accampamento, e la strada in quel
punto attraversava una foresta; là un giovane stava massacrando con la
spada un povero albero inerme.
- Ehilà! Se avevi voglia di allenarti, potevi chiamarmi, - lo apostrofò
Lucan con viva simpatia. L'altro si fermò e sorrise di rimando.
- Buongiorno, zio. I miei omaggi, damigella.
Per la seconda volta Aline pensò di trovarsi davanti l'uomo più brutto
di questa terra (in vita sua aveva conosciuto ben pochi uomini, questo
è da dire). Era bruno e con grandi occhi neri, al pari del suo
accompagnatore, ma qui si esauriva la loro somiglianza. I suoi capelli
erano corti e ispidi, il naso sottile, e nel volto scarno la mascella
era fuori di posto, così che le labbra parevano sospese in una
smorfia. Tutto ciò creava un gran contrasto con il corpo muscoloso,
tanto da sembrare un qualche strano animale leggendario.
- Novità? - domandò quello, abbassando l'arma.
- Nulla di piacevole, temo... Gawain non molla.
- Ebbene, combatteremo - fece spallucce. - Siamo qui per questo,
nevvero?
Aline distolse lo sguardo da lui, non per il suo aspetto ma per
l'assurda leggerezza con cui parlava della guerra.
- Amren, credevo che nemmeno tu approvassi tutto questo. A Joyous Gard
sembravi alquanto provato.
- Ebbene, ho cambiato idea. E potreste evitare di usare aggettivi come
"provato" per definirmi davanti ad una donna?
Lucan ridacchiò, ma era una risata amara. Accennò ad Aline e al nano di
proseguire, e scambiò ancora qualche parola con il nipote prima di
raggiungerla.
- Capirete che, se aveste parlato di Sir Elyan davanti a lui, avremmo
fatto tutti e due la fine di quell'albero. Non sono sicuro di cosa sia
successo tra loro, ma non credo che si tratti soltanto di Eneuawc. C'è
di mezzo anche un certo Garanwyn.
- Sir Elyan mi ha parlato anche di lui - annuì Aline, contenta di
cambiare discorso. - Dice che è un vero poeta e un amico prezioso, e
canta come un angelo.
- Gli angeli cantano, davvero? - Lucan sembrava di nuovo di buonumore.
Questa frase, però, invece di divertirla la fece arrossire. - Sì, è una
personcina a modo. Credo che se Amren dovesse scegliere tra lui e tutti
noi, voglio dire la sua famiglia, avremmo la peggio. È come... beh, può
sembrare buffo... come se ne fosse innamorato.
Aline non aveva mai sentito parlare di due uomini che si innamorano, ma
forse in Britannia era tutto diverso.
- Vorrei farvi conoscere la mia terra - s'infervorò lui ad un tratto,
come se parlare dei sentimenti altrui avesse sciolto le sue remore -
Vorrei farvi vedere il mare dalla torre più alta di Grainthorpe, non è
come qui... non si vede la riva, sembra infinito. Se fossi più giovane,
potrei sognare di... - Si bloccò. Le stava mancando di rispetto, era
ridicolo.
Ma lei non mostrava di essere sdegnata. Si mordeva le labbra, sempre
più rossa in volto, e sorrideva.
- Continuate, vi prego. - balbettò. Si erano fermati.
Gli occhi di Lucan ebbero un guizzo di speranza. Smontò da cavallo e
l'aiutò a scendere a sua volta poi, con il nano che li guardava
inequivocabilmente di storto, si inginocchiò ai suoi piedi.
- Siete ciò che cercavo senza nemmeno saperlo. Mi avete chiesto perché
sono qui, e solo ora posso rispondervi davvero: dovevo incontrarvi. -
Lei non aveva smesso di sorridere, così continuò: - Che sia Gawain ad
uccidere Sir Lancelot, o viceversa, non m'importa più. Quest'odio dovrà
finire... ed allora io verrò da voi... non più come un nemico, non di
nascosto, ma a testa alta, e chiederò la vostra mano. È una promessa.
Finché sarò in vita, nessuno potrà impedirmi di tornare da voi.
Non le chiese un pegno d'amore; fu lui a farle un dono. Non
l'indovinate? Le affidò il simbolo della sua più grande tentazione, che
aveva sconfitto e trasformato nel supremo sacrificio: l'anello di dama
Ragnell. Attese di scoprire se anche lei sentiva la magia infusa in
esso, ma non fu così e ne fu sollevato.
La strada fu troppo breve da allora in poi. Quando in lontananza
apparvero le torri del castello di Benwick, fu inevitabile separarsi -
e solo allora poterono guardare a quell'incontro per ciò che era.
Una benedizione giunta forse troppo
tardi, pensò Lucan con amarezza, mentre tornava all'accampamento.
Ed Aline, quella sera, sul suo cuscino intrecciò semplici pensieri con
una risatina gaia che spezzò il buio.
Mi ama. C'è qualcuno che mi ama.
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Capitolo 8 *** Garanwyn stringe un patto. ***
Con questo chap ho seriamente esaurito il materiale già
abbozzato. Questa è la cattiva notizia.
Quella buona è che ho un'idea nuova. No, non ho rinunciato a segare un
personaggio principale XD
Prima di iniziare, vorrei ricordarvi che nulla è come sembra. Insomma,
non prendete troppo sul serio quello che accade. Cioè... avete capito.
Ila: anche se non hai detto niente, SO che ti mancava il piccolo uke cantore ;) Il
tuo silenzio è eloquente.
Sir Mordred aveva scelto il momento sbagliato per annunciare la morte
di suo padre.
Kay aveva fonti ben più affidabili, per quanto a senso unico, e sapeva
bene che non vi era nulla di vero. Se tale notizia fosse arrivata
qualche settimana dopo, avrebbe potuto crederci, e forse non gli
sarebbe salito nessun sospetto sulle intenzioni del principe. Così come
stavano le cose, capì tutto.
Ma a sua volta scelse gli interlocutori sbagliati per discutere la
questione.
Quando comprese il suo errore, fu colto dal panico. Non c'era più
un'anima di cui si potesse fidare; era in pericolo, ma non era a se
stesso che pensava... non poteva stare a guardare mentre quel traditore
si impadroniva della Britannia intera, mentre re Arthur era vivo e
lontano! Ma chi, chi poteva aiutarlo?
Avrebbero cercato di liquidarlo, porca miseria, e doveva, doveva
avvisare Arthur in qualche modo! Per fortuna l'assedio alla Torre di
Londra aveva distratto Sir Mordred dal fare la conta ai suoi
sostenitori a corte; ma c'erano i suoi figli a presidiare Camelot ed
erano gli esseri più sgradevoli ad essere mai stati ordinati cavalieri.
Gli
venne in mente Rowan, un nano che Sir Melou aveva più volte picchiato
senza motivo, e lo
istruì perché facesse giungere le gravi notizie al di là del mare.
Quando questi fu partito, si sentì un poco sollevato... ma
non era finita: occorrevano soldati, molti soldati... già, da dove?
Sembravano avere tutti una gran fretta di onorare il nuovo sovrano,
venivano da ogni parte a confermare il proprio appoggio...
O forse...
No, cosa andava a pensare?
Eppure, perché no?
- Padre, mi avete fatto chiamare? - Garanwyn era davanti a lui, magro e
sciancato come sempre, con la sua zazzera riccia e le manine delicate.
Ma era là, ed era una persona sincera, ed era suo figlio. Valeva la pena tentare.
-
Ascoltami: so che re Brandegoris pende dalle tue labbra e farebbe
qualsiasi cosa per riaverti ad Estangore. Ebbene, ci andrai. Gli
chiederai rinforzi per le truppe di re Arthur... finora si è mostrato
imparziale, ma credo sia ora che decida da che parte stare.
Garanwyn lo guardò come se fosse impazzito, ma quando il padre gli
assicurò che in realtà Arthur Pendragon era vivo e vegeto, mise da
parte l'incredulità e si preoccupò di un altro aspetto della questione:
- Ma perché mai il mio signore dovrebbe inviare i suoi soldati contro
Sir Lancelot? Per quanto non sia nemico di re Arthur, non farebbe mai
un tale sgarbo ai parenti di Sir Elyan!
Gli aveva risposto con gentilezza, ma non era una nota di spavalderia
quella che aveva sentito? E chiamava ancora Brandegoris "il mio
signore", ah!
- O figlio ingenuo, una donna è morta urlando per metterti al mondo, ma
io ti ucciderò in silenzio. Se fossi in grado di ragionare come sai
cantare, ebbene- Ma perché spreco fiato? La guerra contro i francesi è
finita, o lo sarà presto. C'è di peggio. - Abbassò la voce:
- Tutto quanto è successo, dall'incoronazione alla
proposta di matrimonio, è una gran montatura. Il re si
trova ancora in Francia, e il trono è stato usurpato ingiustamente...
- Si accorse che il figlio lo stava ascoltando a bocca aperta, e perse
la pazienza: - Ti spiegherò più tardi, ora vai a prepararti. Volevi
diventare qualcuno, giusto? Forse hai in mano il destino della
Britannia, ragazzo, perciò smettila di fissarmi come se stessi parlando
in sassone e fila!
Garanwyn esitò. Possibile che suo padre credesse in lui? Che
lo considerasse degno di una missione importante?
- Mi dispiace di non essere come gli altri. Di non essere come... come
ci si aspetta. Ma non vi deluderò, padre.
Era
uno sguardo di apprezzamento quello che brillava negli occhi di Sir
Kay? O forse lo stava soltanto gonfiando come la rana della favola? -
Oh, lo so bene. Vali
più di tutta quella marmaglia messa insieme... vivi e morti,
buoni e cattivi... francesi, gallesi, saraceni. Sono tutti uguali. Solo
Sir Gareth era diverso, era una perla nel letame, eppure non riuscivo a
capirlo. Ho una certa predisposizione a non riconoscere il valore di
chi mi sta intorno. Ma sto imparando. Ci vuole pazienza con me.
Dio, sembrava parlare sul serio.
Garanwyn
ondeggiò fino alle cucine con uno strano sorriso sulle labbra, riempì
un fagotto di cibo e rubò un coltello ad ogni buon conto. In quanto
allo scegliere un cavallo e sellarlo, dovette aspettare per non
attirare l'attenzione di certi scudieri impiccioni.
Era quasi buio quando rientrò, ma non gli riuscì di trovare Sir Kay da
nessuna parte. Fino al giorno prima avrebbe concluso che si fosse
ubriacato e fosse finito a letto con qualcuna delle donnacce che da
qualche tempo si aggiravano per il castello, ma non era possibile dopo
quanto si erano detti. Suo padre era un uomo rude, sprezzante e con
numerose debolezze, ma estremamente ligio al dovere in caso di
necessità. E c'erano ancora un mucchio di cose da chiarire sulla
missione da svolgere. Sentì l'ansia afferrargli lo stomaco; per la
prima volta si sentiva non soltanto fra estranei, ma circondato da
nemici... da ogni angolo sembravano accendersi occhi, lingue schioccare
di soddisfazione. Una mano gli afferrò la veste all'altezza della
spalla:
- Venite, presto, vi scongiuro! - Garanwyn sussultò a quel tocco e a
quel bisbiglio. Era padre Ambrose, il vecchio chierico che officiava la
messa nella cappella reale. Sembrava seriamente spaventato ma, per
quanto lo riguardava, poteva essere una trappola.
Si risolse a seguirlo, tastandosi per cercare il coltello e
maledicendosi quando si rese conto di averlo lasciato con le altre cose
sul cavallo legato là fuori. Si sarebbe preso a pugni da solo, ma
ormai...
Il cuore gli tremò quando, scesi i rozzi gradini di un seminterrato,
vide proprio ciò che temeva. Suo padre giaceva a terra, in una pozza di
vomito, rosso in volto e grondante di sudore.
- Io non credevo si potesse giungere a tanta crudeltà - farfugliava il
religioso, affranto. - L'esilio del vescovo Baldwin avrebbe dovuto
farmi capire...
Non era solo crudeltà, era l'atrocità più folle! Era già abbastanza
vile pugnalare a tradimento un uomo, ma avvelenarlo? Un serpente, sì,
solo una bestia immonda ne sarebbe stato capace!
- Dio, no, come avete potuto permetterlo? - singhiozzò Garanwyn
inginocchiandoglisi accanto. A modo suo, l'aveva sopravvalutato.
Sir Kay gli artigliò il braccio: - Non lasciare che sia tutto
inutile... vai, scappa, fai quello che ti ho detto!
Gli sembrava inconcepibile lasciarlo lì a morire, eppure una parte di
lui capiva che doveva obbedire.
- Sapete certo come aiutarlo, non è vero? Dev'esserci un modo, non
deve...
Padre Ambrose aprì la bocca per parlare, ma si fece bianco in volto
quando scorse un'ombra in cima alle scale. Garanwyn si voltò in tempo
per veder scendere Sir Melehan, ghignante e soddisfatto, in improbabili
abiti da cerimonia.
- Che terribile disgrazia. Il re mio padre - sottolineò Melehan
gongolando visibilmente - ha sempre affermato che bere troppo fa male
alla salute. Che peccato doverci privare dei preziosi servigi
di un tale valoroso!
Quel sarcasmo trasformò la paura di Garanwyn in una collera
incontenibile.
- Assassino! Schifoso assassino!
- Anche voi delirate, dunque. Andiamo, tornate alle vostre canzonette e
attendete il ritorno del vostro sgraziato protettore. Lo aspetto
anch'io, sapete, desidero una rivincita più di ogni altra cosa. E
comunque, non vorrete
sprecar lacrime per un uomo che si è sbarazzato di voi quand'eravate
bambino, che non vi ha mai amato neppure un briciolo?
- Bugiardo - rantolò Kay. - Garanwyn, non ascoltarlo...
Il ragazzo si slanciò contro il figlio di Mordred a testa bassa,
tempestandogli il ventre di pugni. Senza scomporsi, Melehan gli afferrò
il collo e strinse. Rideva, guardandolo dibattersi, ma presto un dolore
acuto gli fece mollare la presa.
- Corri, Garanwyn! - Kay, seppure con la vista
già
offuscata dal veleno, era riuscito ad afferrargli una caviglia e a
mordere con tutte le sue forze. Melehan era finito a terra, ma si era
rialzato subito e lo colpì con un calcio tale da fargli sfuggire un
gemito roco e rimanere immobile.
Garanwyn comprese che doveva andare, che era l'ultima occasione di
salvezza per sé e e forse per il futuro del regno. Indietreggiò
tossendo e incespicò nei gradini, ma riuscì a rialzarsi prima che
Melehan si avventasse su di lui...
- Mio caro principe, perché tutto questo? - si intromise il chierico
con aria candida. - Perché accanirvi con un povero storpio indifeso?
Lasciate ch'io impartisca gli ultimi sacramenti al signor siniscalco, e
occupatevi dei vostri più nobili uffici.
Ora, vi è un particolare che riguarda Sir Melehan di cui non siete a
conoscenza. Anche un essere tanto spietato e abietto aveva una
debolezza, acquisita per aver vissuto con la madre nei suoi primi
anni di vita: era superstizioso oltre ogni immaginazione. Non pregava,
non si confessava spontaneamente, ma non avrebbe mai osato rifiutare
apertamente di presenziare alla Messa quando richiesto. Se si fosse
trovato a Londinium al posto di suo padre Mordred, quando il vescovo
Baldwin cercava di dissuaderlo dal molestare la regina, non l'avrebbe
mai minacciato a quel modo. Commetteva le azioni più orribili con
perversa gioia, ma aveva un timore reverenziale degli uomini di Chiesa
e dei simboli sacri.
Perciò in quel frangente, convintosi che Sir Kay fosse ormai spacciato,
si allontanò per badare in effetti ai suoi affari, poiché alcune
delegazioni di regni alleati erano giunte in visita.
In quel trambusto, fra cavalli e carri e un gran numero di persone,
Garanwyn uscì indenne dalla città. Galoppava come se avesse i diavoli
alle calcagna, ma non c'era nulla e nessuno dietro di lui.
Falciati insieme, il cardo e la rosa,
non han profumo né sapore.
Bruciano insieme, colmando l'aria
di torbide nuvole scure.
- Che Iddio protegga il cammino di vostro figlio, signore.
Sir Kay mosse appena le palpebre e mormorò, cancellando una vita
di bestemmie: - Amen.
Il viaggio fu lungo e faticoso. Da principio lo shock gli permise di
non sentire la fame e la stanchezza, ma quando le provviste si
esaurirono ed ebbe finito di piangere il destino di suo padre, si
accorse di essere sfinito. Non osava scendere da cavallo, perché temeva
che questo fuggisse; così costrinse la povera bestia a procedere,
sebbene lentamente, tutta la notte. Dopo un tempo interminabile giunse
a destinazione. Riconosciuto, al castello fu sfamato e fatto riposare,
ma si sentì ancora peggio - come in trappola. Quella che un tempo
chiamava casa si era
trasformata in una gabbia, dove avrebbe dovuto cantare per l'altrui
diletto. Peggio ancora, nessuno sapeva che si trovava lì... Amren non lo sapeva e avrebbe
potuto non rivederlo mai più.
Strinse i denti e ricordò a quale prezzo suo padre si era inimicato gli
usurpatori del trono. Doveva fare il suo dovere, prima di piangersi
addosso.
- Sono Garanwyn Hir
- declamò quando fu al cospetto del re
di Estangore - e sono un danzatore d'Oriente, una mente brillante,
faccio
vibrare le corde più intime della bella gioventù di Britannia! Vi
racconterò, mio sire, come il più amato cavaliere della corte di Arthur
Pendragon sia riuscito a spaccare in due il Consiglio! Ma forse questa
storia vi è già nota, tutto il mondo ormai ne parla, persino il Papa si
è scomodato per risolvere la bega... o forse vi devo parlare delle
tenere damigelle conosciute laggiù, dalla carnagione di pesca e l'alito
di viole? Ma sono sciocchezze, mio amato signore, voi lo sapete. Perché
io stesso sembravo una donnina, a confronto dei ragazzi di Camelot. Non
pensate anche voi ch'io abbia dei languidi occhi?
Era passato da un'espressione grave ad una compita, e poi aveva
accennato ad un goffo balletto, concludendo con uno sfarfallio di
ciglia. Era perfetto in quel ruolo che era stato così recalcitrante a
ricoprire, e Brandegoris batté le mani deliziato, ridendo e tossendo.
- Mio caro, caro ragazzo! Perché non sei rimasto con me già allora,
invece di lasciarmi solo a coprirmi di polvere in questa topaia di
castello? Elyan ha seguito la sua strada e lo
comprendo, ma tu, scricciolo! Cosa mai potevi fare nel mondo!
Potevo amare, pensava
Garanwyn, amare qualcuno che mi
guarda come nessun altro, che mi accarezza e mi bacia e mi fa sentire
bene, tanto, tanto.
Brandegoris incalzò, entusiasta: - Ma raccontate! Mio nipote ha
trovato moglie, ha compiuto grandi imprese? - Faceva compassione
quell'uomo, così sorridente, ma invecchiato e fragile... e non poteva
dirgli la verità, nemmeno usando le parole più buffe:
Ma certo, vi dirò, il ragazzino
biondo che facevate saltare sulle ginocchia è diventato una spia. La
sua
prima missione è stata provvidenziale per salvare la vita della regina
Ginevra... e permettere all'idolatrato Lancelot di scoperchiare una
dozzina di crani. Se non è già sposato, lo sarà presto... credo
che nella bella Francia ci sia parecchio da scegliere in quanto a
fauna. Solo che
non gli permetteranno mai di scegliere, naturalmente.
No, non poteva raccontargli nulla di tutto ciò, né ironizzare su altri
che su se stesso. Sarebbe potuto essere un periodo felice; aveva
ritrovato l'affetto di chi non l'aveva dimenticato: i maestri d'arpa da
cui aveva appreso l'arte, e le prodighe cuoche, e gli stallieri
loquaci. Il patto fra lui e il re era stato chiaro e semplice - sarebbe
rimasto al suo fianco allietando le sue giornate, e in cambio egli
avrebbe inviato il suo intero esercito in aiuto di Arthur per
fronteggiare qualsiasi evenienza. Era stato possibile perché
Brandegoris non poteva immaginare quanti
stessero appoggiando Mordred,
né della sua alleanza con i Sassoni. Se l'avesse saputo, non avrebbe
azzardato tanto - la sua garbata e tenera follia di vecchio non era
giunta a quel punto.
Grande è la tua bellezza, ma non puoi
volare.
In tutto e per tutto sei simile a me.
T'amano le farfalle intorno, e t'amo
io,
ma spine e non ali abbiamo avuto in
dono.
Crediamo di fuggire, ma è illusione,
ché nello stesso prato sarà il
risveglio.
Poteva essere un periodo felice e sarebbe bastato davvero poco,
una sciocchezza: cancellare dalla mente quei brevi anni a Camelot,
fingere di non essere mai partito al fianco di Elyan e di non aver mai
provato sentimenti per quella persona indimenticabile che era Sir Amren
di Lindsey. Di non aver mai fatto l'amore con lui tra l'erba alta in
riva al fiume, né di avergli aperto il cuore inventando le parole
quando non ne esistevano di così grandi da esprimere il suo amore. Di
aver descritto quella storia così intensa e difficile in mille canzoni
che parlavano di fiori e spine e lacrime. Doveva lasciarsi tutto alle
spalle e sentirsi grato di essere ancora vivo. Non doveva essere
impossibile... un sorso di vino prima di andare a dormire avrebbe
scacciato i brutti sogni
(Scappa, corri, vai via)
e non avrebbe avuto proprio il tempo di pensare, perché a tutte le ore
Brandegoris lo voleva accanto a sé.
- E ci sono tutte quelle dame, piene di rughe a furia di sorridere
quando non ne hanno voglia, che a quarant'anni ripetono di sentirsi
come sposine fresche, e immagino sia perché non hanno mai consumato il
matrimonio... sapete com'è, correndo tutto il giorno dietro alle
bestiacce latranti e alle visioni sacre, i cavalieri si sono
dimenticati come usare un certo profano arnese... e loro, poverette, a
incensare la regina, ché farebbero di tutto per lei, anche rinchiudersi
in una torre in sua compagnia.
- Questa l'ho sentita anch'io. Sir Mordred avrebbe voluto sposare la
regina, ma...
- Lo VEDETE! Non racconto fandonie, signore!
Il suo cuore batteva veloce come quello di un uccellino, e lui parlava,
parlava e gesticolava, copriva con la voce i ricordi per non sentire
quel dolore insopportabile. Sì, sarebbe riuscito a dimenticare... in un
centinaio di anni, forse. Gli incubi tornarono. E come la rosa si
risveglia ogni giorno nello stesso prato, quando ha creduto di trovarsi
in cielo, lui si ritrovava in un luogo tanto estraneo al cuore quanto
familiare agli occhi, perché da nessuna parte si sarebbe più sentito a
casa sua, se Amren non poteva raggiungerlo.
Io ti amo.
Ti amo.
Amo...
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Capitolo 9 *** Ancora veleno ***
Aveva avuto un'altra occasione, doveva ben ammetterlo. Ma buon sangue
non mente, e l'aveva deluso un'altra volta.
Re Arthur aveva lasciato il trono in mano a Mordred, ed egli l'aveva
tradito; allo stesso modo Melehan, investito della medesima
responsabilità, aveva agito in modo impulsivo senza nemmeno impedire la
fuga di notizie. Se il nuovo sovrano di Camelot aveva intenzione di
riprenderlo tra le sue grazie, questa appariva ora una possibilità
alquanto remota. Ma certo, avvelenare Sir Kay era stata un'idea con i
controfiocchi! E invece di mandare qualcuno a riprendere i messaggeri
che senza dubbio
erano stati
inviati ad avvertire l'esercito sul continente, se n'era rimasto ad
intrattenere gli ospiti e le donnine allegre! Terzo errore: invece di
sincerarsi di aver concluso il lavoro, aveva lasciato la sua vittima in
compagnia di un chierico che a proposito di antidoti doveva saperne un
bel po'. Nulla da fare, nemmeno
Melou aveva osato difenderlo, visto che aveva contribuito al disastro
generale e temeva di venire diseredato a sua volta.
In pochi giorni, comunque, Mordred era riuscito a organizzare le truppe
alleate e a scendere fino allo stretto: credeva di poter respingere
facilmente i cavalieri già stremati dalle scaramucce in terra di
Francia.
- Vedete? Lui mi disprezza, ma non sono io il suo maggior problema.
Feroce, gli occhi lucidi di follia e le guance gocciolanti di sudore,
Melehan si esaltava nelle sue personali imprese trascinando con sé un
branco di brigantelli scovati chissà dove, bruciando capanne,
trucidando bestiame e strappando all'innocenza le prime roselline della
stagione.
- Di grattacapi ne avrà anche senza di me! Eccome! Lo voglio vedere!
E quando seppero che da vedere ci sarebbe stato davvero molto, si erano
diretti a loro volta a sud, seguendo le battaglie da non troppo vicino.
Le sue stravaganze erano già sulla bocca dei suoi compagni; quando una
contadinella atterrita, a cui avevano già strappato i vestiti, si era
messa a pregare gridando "Signore, salvami"... lui, che non aveva mai
pietà per nessuno, che solitamente gioiva delle urla strazianti e
dell'odore di carne bruciata, ecco, quella volta l'aveva lasciata a se
stessa ordinando agli altri di risalire sugli arcioni e rimettersi in
cammino. Certo, non osavano contraddirlo, ma che occhiate si erano
lanciati! E che risatine avevano brillato dietro le sue spalle! Ma non
era più in grado di curarsi di cosa pensassero di lui, con la voce di
(sua madre)
quella donna a ripetergli le cantilene dell'infanzia, notte dopo notte,
ed il volto deforme del suo nemico a sfidarlo nei sogni fino a colmarlo
d'ira bollente.
In realtà, Amren aveva da pensare a ben altro che a lui. Finché era
durato l'assedio vero e proprio, c'erano stati pensieri di guerra; e
durante la convalescenza di Gawain, pensieri d'amore. C'erano state
lunghe conversazioni con suo padre, chiusi in una tenda ad aspettare
l'alba,
-
Tua madre mi ha raccontato che come lei ricordi... quell'altra vita. Le
isole.
- Solo la battaglia. L'orrore.
- Quello che è accaduto, quello che per voi è stato reale... non si
deve ripetere per forza.
- Lo so, padre. Ma mi fa male. Lei... non era mia madre, allora. Si
chiamava Branwen, mia madre.
- Sì, mi ha detto anche questo.
- Era piccola. Con la carnagione pallida. Anche lei vi amava.
- Sarà questa l'immortalità? Tornare a vivere con le persone che
abbiamo amato? Dio è così misericordioso!
e silenzi altrettanto eloquenti, che profumavano di timida speranza.
Aveva finito col credere, come tutti
loro del resto, che la questione si sarebbe infine risolta tra quei due
soltanto, e che sarebbero tornati tutti a casa più o meno interi. Non
faceva i salti di gioia al pensiero che suo zio Gawain, già ridotto
molto male, avrebbe finito con il soccombere ai colpi di Sir Lancelot,
ma capiva che continuare a vivere di rabbia e dolore non avrebbe avuto
senso. Perdere uno per uno i propri cari, facendosene ogni volta una
ragione, era un'esperienza al di là di ciò che riusciva a concepire.
Eppure quell'altra volta lo
aveva provato lui stesso. Quell'altra
volta a Hrossey.
Ero diventato re, Orkney mi
apparteneva, ma ero rimasto solo.
Mio padre era rimasto ucciso negli
scontri, la regina si era suicidata
(Fate attenzione alle finestre, madre)
e gli altri non avevano tardato a
seguirli nella tomba, schiantati dal cordoglio. Non avevo più un
esercito degno di questo nome, eppure non mi ero arreso.
Avevo chiesto aiuto a mio cugino, il re del Galles. Erano giunti
cinquecento boscaioli del Cumberland, forse non avvezzi alla vita da
soldato ma abili a maneggiare asce, poteva contarci. Avevamo passato il
mare cogliendo di sorpresa i nemici nella sua tana, distruggendo i loro
villaggi così come essi avevano ridotto le isole a ferite aperte sulle
acque. E quando tutta quella terra era stata mia, dai ghiacci perenni
ai confini del regno sassone, così come ai tempi del mio avo Thorfinn,
di nuovo mi ero guardato intorno e avevo compreso l'inutilità di tutto
ciò.
No, non doveva ripetersi qualcosa del genere.
Nulla
si ripeterà.
Così fu. Tra le mura umide del castello di Dover non ci fu più spazio
per la speranza o il ricordo, e vita e morte si dischiusero nuove e
fragranti ai loro occhi.
Non era soltanto il funerale di un uomo, ma la chiusura di un capitolo
della loro Storia. Anche il rancore verso Sir Lancelot e i suoi alleati
s'era attutito fin quasi a sparire. Il nemico da combattere non era più
un estraneo; la serpe, il re, se l'era allevata in seno, era sangue suo!
E almeno a Barham Down, per un poco, seppero di nuovo che cos'era
importante e cos'era urgente - combattere, combattere per la patria e
per il trono del grande Arthur Pendragon. Fu una battaglia vera,
quella, e l'ultima a cui Amren fu consentito partecipare in quella vita.
Dopo, ci furono le trattative, i paroloni, i tira e molla finché non
sembrò di nuovo scongiurata la possibilità di nuovi scontri. Bedivere
sapeva come parlare a Mordred, fingendo che nulla fosse successo, come
se si fosse trattata di un'allegra schermaglia familiare. Lucan, a sua
volta, cercava di guardare in faccia il traditore il meno possibile per
non lasciar trapelare il dispetto, ma era pur contento di avere una
possibilità di portare a casa la pelle, considerati gli ultimi sviluppi
della sua vita sentimentale.
Una volta che i duchi di Lindsey furono tornati a Salisbury con le
buone notizie, il re scelse quattordici tra i nobili di più alto rango
che si prepararono all'incontro decisivo, in cui l'accordo sarebbe
stato siglato ufficialmente. Era la migliore prospettiva a cui si
potesse giungere, a seguito di vicende tanto travagliate e dolorose,
eppure qualcuno era scontento.
- Sono pur vostro cugino! Non vi ho sempre dimostrato la mia fedeltà?
Volete gettare in pasto ai lupi le mie terre, come se mio padre non
fosse morto per difenderle, come se io non avessi un posto alla vostra
Tavola e nella vostra famiglia!
Qualcuno sogghignò e ci furono varie gomitate e strizzate d'occhi.
Nessuno prendeva mai sul serio Sir Costantine di Cornovaglia. Sarebbe
stato un membro influente del Consiglio, se qualche volta si fosse
degnato di presentarsi alle riunioni. Era un cavaliere valoroso e
cortese, ma il suo restare in disparte, a badare agli affari suoi -
dote molto rara, e ahimé fraintendibile - l'aveva reso lo zimbello
delle lingue affilate di Camelot. L'avevano soprannominato "Il Grande
Assente", e persino quando c'era stata una ridefinizione nei confini
tra il suo ducato e il Devon (parliamo di una decina d'anni prima, in
tempi gagliardi) il re aveva fatto una battuta di spirito
sull'eventualità di "andare direttamente a portargli corde e paletti
per delimitare le terre acquisite, visto che non si degna di
ringraziarmi del favore".
Insomma, a tutti sembrava che l'accordo fosse dignitoso, in quanto il
Kent era da tempo un covo di Sassoni rabbiosi. E la Cornovaglia,
appunto, si poteva ben sacrificare, se non altro per fare un dispetto a
Constantine.
- Voi avrete molto più di prima, quando tornerò sul trono. E sarete il
mio erede, non certo Mordred, è chiaro. È una promessa solenne -
rispose Arthur, quando l'atmosfera riuscì a tornare seria. - Ma ora
dobbiamo raggiungere un compromesso, fargli credere...
- Non gli basterà! Ha i Sassoni dalla sua parte! Lascerà passare un po'
di tempo, e poi attaccherà insieme da est e da ovest, ci chiuderà in
una morsa... siamo decimati, non avremmo scampo se gli lasciassimo
terreno ora! Ma come non vedete? Dite che un giorno sarò re, ma re di
che cosa? Preferisco di gran lunga rimanere ciò che sono, conservare
ciò che ho, e aiutarvi oggi. Ma se preferite agire da vigliacco, fatelo
pure. Io non firmerò nessun accordo, tornerò con i miei soldati in
Cornovaglia dove ci accingeremo a difenderla da chiunque voglia
invaderla, anche se avrà il vostro vile permesso.
Erano parole fiere, che in altre occasioni Arthur avrebbe punito con la
spada, ma dentro di sé sapeva che il cugino, da parte sua, aveva
ragione. Non fece più nulla per trattenerlo, e quella sera stessa
Sir Constantine e i suoi uomini partirono verso ovest.
Non erano ancora cessate le chiacchiere prima ironiche, poi via via più
preoccupate, che si era udito uno scalpiccìo di cavalli in arrivo, ed
erano truppe fresche, che portavano i colori di Estangore. Dunque il
vecchio Brandegoris aveva infine preso posizione, e a loro favore!
Arthur provò un enorme senso di gratitudine, e anche se contava di
evitare ulteriori scontri, gli faceva comunque piacere ricevere un
aiuto concreto dopo essere stato abbandonato persino dai parenti più
stretti.
Amren se ne stava in disparte, ascoltando distrattamente la
discussione, come se si fosse trovato in un'altra stanza. Un ufficiale
tra i nuovi arrivati gli si avvicinò, ma anche dopo che si fu
presentato e l'ebbe informato che doveva consegnargli una lettera,
credette che avesse sbagliato persona. Dopotutto, non conosceva nessuno
ad Estangore. Sir Elyan, a cui non pensava più da tempo, era in
Francia, e non aveva mai avuto il piacere di incontrare re
Brandegoris.
- Ma voi siete Sir Amren di Lindsey, mi dicono... il figlio di Sir
Bedivere e della splendida Lady Clarissant di Orkney, che ho avuto
l'onore di incontrare dieci anni fa a Gore. - insistette l'uomo,
lusinghiero.
- In persona, certo. - Si alzò per stringergli la mano e prese il
rotolo che, notò, non presentava alcun sigillo. Non era dunque una
missiva ufficiale.
- Vedete, per noi è stata una sorpresa venir spediti qui, credevamo
davvero di essere fuori dal conflitto. Nondimeno siamo felici di
aiutare re Arthur in questa delicata situazione, e desideriamo che
tutto si concluda per il meglio...
- Tutto questo l'avete già spiegato al re e a mio padre - tagliò corto
Amren, confuso.
- Perdonate! Mi dilungo troppo. Ciò che volevo dire è che, a convincere
il mio sovrano, non sono stati i vostri disperati appelli ma il gioco
d'un buffone. Diciamolo chiaramente: è decrepito, è un gran
sentimentale, e non si potrebbe dire che bene di lui, se non che si
rende ridicolo. Non ha occhi che per quel ragazzino... e-
Amren capì che per dare un taglio alle chiacchiere irrefrenabili
dell'ufficiale non doveva fare altro che andarsi a sedere un po' più
vicino agli altri. Con la lettera sulle ginocchia, di nascosto la aprì
e ne sbirciò il contenuto.
Inspirò bruscamente, sobbalzando un poco, e un paio di teste si
voltarono senza che se ne accorgesse. Avrebbe riconosciuto quella
calligrafia tra mille, ma se avesse ancora avuto dubbi, la firma li
avrebbe dissipati...
- Di che si tratta? Fa' leggere!
Non era la prima volta che suo padre si adirava con lui. Dopo il duello
con Melehan, mentre viaggiavano verso Lindsey, egli l'aveva redarguito
con dure parole e non aveva nemmeno potuto giustificarsi. Persino Sir
Lancelot aveva potuto addurre scuse migliori per le sue azioni, a
pensarci bene, perché la regina era pur sempre una donna. Era rimasto
in silenzio e la sfuriata si era conclusa lì.
Ma non era mai, mai, mai accaduto - e aveva fatto di tutto perché mai
accadesse - che Bedivere avesse dei sospetti sulla sua lealtà. Ne fu
come annientato, ancor più che quelle righe potevano contenere davvero qualcosa di compromettente,
anche se in un senso in cui la guerra non c'entrava nulla.
Arthur si era allarmato, ma quando Bedivere ebbe scorso la lettera e un
sorriso era comparso sul suo volto, si rasserenò.
- Avete nulla in contrario, Sir Amren, a condividere con noi la vostra
corrispondenza privata?
Il giovane fece segno di no, sudando freddo.
Mio amatissimo amico,
ti scrivo dal castello di Estangore,
e ti invio questa mia per mezzo del nobile Sir Brian.
Se stai leggendo, significa che tutto
si è concluso nel migliore dei modi. Se ti hanno convinto che ho avuto
chissà quali meriti per l'arrivo delle truppe tra voi, non crederci. Io
sono una piccola cosa. È stato mio padre ad accorgersi dell'inganno di
Sir Mordred, e per questo è-
Arthur non si accorse che il volto di Bedivere, dapprima divertito, si
rabbuiava, e nemmeno che aveva saltato a pié pari un paio di righe.
... e per il resto rendo merito alla
generosità di re Brandegoris, che mi ha riaccolto alla sua corte con
immutato affetto.
Spero che torni la pace fra voi e i
cavalieri di Francia, e che potremo entrambi riabbracciare Sir Elyan.
Parlo a nome del re suo nonno, ma credo che ciò si estenda anche a
madamigella Eneuawc, se me lo permetti.
A quel punto Bedivere improvvisò una finta collera, che scatenò il
buonumore del re:
- Che io finisca infilzato, se darò mia figlia in sposa al rampollo di
Sir Bors! Ero stato chiaro su questo punto, mi sembra! - Lucan ghignava
alle sue spalle e Amren sospirò di sollievo.
- E perché no? Ci sono uomini peggiori al mondo, sapete. Come quelli
che stiamo andando ad incontrare. Finita?
Sento sempre più forte la tua
mancanza e credimi, non è più soltanto un soprannome di scherno,
il tuo devotissimo
Garanwyn Hir
- Ha! Gli è rimasto appiccicato addosso! Buon per lui. - concluse
Arthur. - Ha stoffa, quel
ragazzo, e ora capisco il perché di tanto fervore nel difenderlo. Temo
che dovrò soprassedere alle sue mancanze fisiche e concedergli
l'investitura, se torneremo sani e salvi a corte. Sempre che a
Brandegoris non dispiaccia troppo separarsi di nuovo da lui.
Gli ufficiali di Estangore si scambiarono un'occhiata imbarazzata e
preferirono rimanere in silenzio.
- E Kay è sempre la solita volpe! Non solo ha mandato ad avvertirci, ma
ha cercato alleati già prima che Mordred radunasse le sue armate!
Bedivere guardava il volto finalmente ottimista del suo re e pianse in
segreto per ciò che aveva appreso, e che per nulla al mondo poteva
rivelargli prima dell'incontro.
- Me la ridarete?
Il padre lo guardò con un misto di tenerezza e senso di colpa. Si
mantenne però prudente:
- Più tardi, Amren. Capirai perché.
Lui sospirò. Non gli era sfuggita l'esitazione che aveva avuto durante
la lettura e questa poteva significare solo due cose: o Garanwyn si era
lasciato sfuggire una qualche frase troppo amorosa (il che non era
probabile, visto che Bedivere ora non sembrava in collera con lui)
oppure raccontava di avvenimenti che egli
(o il re, o entrambi)
non doveva conoscere.
Ma andiamo, non era più un bambino!
- Sì. Mi dispiace averti fatto credere di aver dubitato... in realtà
sapevo che non vi poteva essere nulla di compromettente in quella
lettera. Mi fido di te come di me stesso. Ma devo essere imparziale
agli occhi del re e degli altri. Sei un mio pari, con i vantaggi e le
responsabilità che questo comporta.
- Allora datemela, ve ne prego.
- Ciò di cui verrai a conoscenza non pregiudicherà la tua condotta
durante l'incontro?
Amren giurò. Non avrebbe
distrutto gli sforzi che suo padre e suo zio avevano compiuto
nell'intavolare le trattative. Avrebbe rispettato la volontà di Arthur
di attendere l'arrivo di Sir Lancelot prima di ogni cosa. Dopotutto, se
Garanwyn stava bene, cos'altro avrebbe potuto sconvolgerlo fino a
fargli perdere il controllo?
Quando aveva sentito odore di tregua tra i due eserciti,
Melehan
aveva avuto una reazione simile a quella di Sir Constantine. Suo padre
era una donnicciola, nientemeno! Si accontentava di un... niente! Ah,
ma ci avrebbe pensato lui a movimentare la situazione.
Il suo piano prese forma durante quelle notti inquiete, le ultime
in cui riuscì ancora a formulare pensieri coerenti. La sospensione
delle ostilità l'aveva contrariato, ma in qualche modo serviva al suo
scopo.
Perché lui- cosa voleva veramente? La gloria di suo padre, o la sua
rovina? La sua fiducia, o il suo odio? La pace, o la guerra? Tutto
questo insieme, voleva! Imitarlo alla perfezione e allo stesso tempo
deluderlo ancor più profondamente, la sua sconfitta e nel contempo
quella del vecchio, il potere di distruggere e distruggersi come
meritava
(Dio non vuole)
doveva provarci, tornare sui suoi passi
(Dio non dimentica)
e quando sarebbe stato di nuovo dentro al cerchio, avrebbe lanciato la
rete a costo di restarci intrappolato.
Ah! Averli tutti in una mano, e schiacciare, schiacciare... spremerli
come uva.
Aveva l'arma perfetta. E l'occasione perfetta. Non una vera ragione, ma
era forse importante?
Lo so io cos'è importante. Il dolore,
le urla, la carne viva. Le voci che si placano.
Così quella mattina Mordred se lo trovò davanti come se quasi
niente fosse successo. Chiedeva scusa, e con un certo garbo, anche.
Voleva restare al suo fianco e seguire il suo destino, comunque si
fossero concluse le trattative. Aveva mollato i suoi compagni di strada
e si era persino ripulito nel tragitto per raggiungerlo, tanto che
sembrava di nuovo un ragazzo ammodo. Insomma, il bel bimbo di mamma
Guinevak.
A Mordred non faceva alcuna differenza perdonarlo oppure no. Gli
premeva che non creasse ulteriori scompigli, quindi tra scacciarlo
un'altra volta e tenerselo stretto per controllare i suoi ghiribizzi,
scelse la seconda opzione. Se avesse rigato dritto, la faccenda era
chiusa, altrimenti... aveva pur sempre un altro figlio.
A sua discolpa occorre precisare che non sapeva niente delle stragi,
degli stupri e degli altri divertimenti che il suo primogenito si era
concesso.
Quando gli toccò decidere se portarlo con sé all'incontro, nicchiò un
poco. Era rischioso, ma lo era altrettanto lasciarlo con i soldati e
permettere che promuovesse una rivolta o peggio (anche una tale
prospettiva gli risultava già parecchio fastidiosa). Perciò ora
immaginateli, trenta fiori di nobiltà all'ombra di un padiglione
montato appositamente in cima alla collina, a sorseggiare vino e
masticare parole come legno, temendo e aspettandosi una mossa falsa.
Eccoli, gli ingenui. Il caro nonnino, che sudava e cercava di imputarlo
al caldo di inizio estate; Sir Bedivere, soddisfatto della brillante
missione portata a termine, e Lucan, quel gran bifolco travestito da
cerimoniere, che fingeva di cercare una mosca caduta nella coppa. E poi
lui, l'incubo degli incubi, Amren di Lindsey.
(Ma quest'ultimo non aveva affatto un'espressione ingenua. Lo fissava
con odio, e non era la rabbia di quando l'aveva sfidato per aver
aggredito Garanwyn... era odio puro, forte almeno quanto il suo)
E quando Mordred invitò tutti, sorridendo ad Arthur con cautela: -
Cavalieri, scambiatevi un segno di pace - Ecco. L'occasione.
Fecero entrambi due passi avanti. Melehan guardò dritto davanti a sé,
lasciando scivolare lentamente lo stiletto dalla manica. Amren si voltò
a guardare suo padre per l'ultima volta, cercando il coraggio che gli
impedisse di slanciarsi contro quell'assassino infame.
Hai
ucciso Sir Kay. Gliel'hai strappato via nel più atroce dei modi.
Garanwyn non ha più una famiglia, ed è colpa tua... non posso credere
che tu l'abbia fatto solo per far soffrire me, non posso...
Lo trovò, quel coraggio; e tese la mano, trattenendo la nausea ed il
disgusto. Melehan l'afferrò senza staccare lo sguardo dal suo poi, con
un ghigno estasiato, spinse la sottile lama, squarciandogli il palmo.
Amren non gridò. Mosse la testa in un moto di sorpresa e sciolse la
stretta. Lo stiletto cadde a terra senza far rumore.
Aprì le dita e guardò il sangue che scorreva sul braccio, sempre più
copioso, e sentì il bruciore farsi insistente, infuocato, e risalire
fino alla spalla in una morsa paralizzante. Capì solo allora che, a
distanza di quasi un anno, Melehan aveva vinto il duello - barando,
perché era l'unico modo in cui raggiungeva i suoi fini, ma aveva
vinto...
- Tagliala via - sussurrò il cugino tra i denti - Forse riesci a
cavartela. Dopotutto era il tuo desiderio, somigliare a tuo padre in
tutto e per tutto, non è così?
Gli occhi gli si riempirono di lacrime e pregò che non accadesse, pregò
di non diventare un martire, di non essere la causa della rottura della
tregua, perché aveva pur giurato... non doveva deludere nessuno.
Devo
restare in piedi, fingere di star bene finché non sarà tutto concluso e-
Il fuoco ardeva ovunque, ormai, e non scorgeva più che ombre. La gola
gli si chiuse e sentì che le gambe perdevano forza.
Non
vendicatemi... non sono poi così importante...
Sentiva la voce di suo padre, adesso, gridare il suo nome; Melehan
rideva, rideva come un ossesso, e ad un tratto doveva aver provato a
fuggire, perché sentì il rumore di una spada estratta dal fodero.
- Serpe! Serpe assassina!
NO!
Non per me...
Ricordò quella notte in cui aveva barattato l'onore per l'amore; e
provò ad illudersi che anche questa fosse una piccola, innocente magia,
un sogno doloroso da cui ci si poteva ancora svegliare. Ricordò la voce
di Garanwyn,
Volano i petali nel vento,
non è più primavera-
e rimase ad ascoltare il proprio cuore che batteva all'impazzata, come
se dovesse staccarglisi dal petto, mentre il fuoco diventava ghiaccio
ed esplodeva il frastuono dei soldati.
Perdono.
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Capitolo 10 *** Una corda spezzata. ***
Qualcuno potrebbe chiedersi perché questo figlio di...
cuoca compaia soltanto adesso. È vero, ci sono state altre occasioni di
presentarlo, ma la ragione è semplicemente che... prima non esisteva. È
spuntato fuori così. Il nome Conn è fregato dalle Nebbie, era un nipotino di Uriens
se ben ricordo. Ci sono parecchi passaggi che necessiterebbero di note
a parte, ma sono troppo stanca per rileggere.
Ho ficcato troppa religione tra le righe.
E troppe scene stile Desperate Housewives (L'infanzia di Amren è
copiata spudoratamente dall'episodio "E se..." della sesta stagione).
Quattro giorni dopo l'incidente, Garanwyn aveva un prurito terribile.
La fasciatura era troppo
stretta, ma lui sopportava in silenzio: già una volta la moglie del
siniscalco (che lo conosceva da quando aveva nove anni, e aveva vaghe
pretese materne) l'aveva scoperto ad allentarla e gli aveva strillato
nelle orecchie fino a rintronarlo, perciò ora se ne stava buono a
guardare il maestro che finalmente si accingeva ad aggiustare la corda
dell'arpa.
- Come tu sia riuscito a farla saltare, poi, non lo so. Sono robuste,
queste, mica
roba da fanciulline - grugnì il vecchio, alludendo al non proprio
aitante fisico del ragazzo. Poteva ben permettersi di scherzare, lui,
che gli aveva insegnato l'arte; e d'altronde Garanwyn lo permetteva a
quasi tutti. Non era mai stato un musone e l'autoironia era forse la
sua dote
più spiccata. E poi perché mai prendersela per una battuta, quando a
Camelot aveva subito ben altre umiliazioni e altri tormenti? - Era un
regalo di pace del re d'Irlanda. Se non ti fossi fatto male, il re ti
avrebbe dato una sculacciata, altro che consolarti!
- Sono desolato. Si è rotta all'improvviso ed è quasi passata da parte
a parte... credo di essere svenuto quando ho sentito dolore e ho visto
il sangue. Mi sembrava...
No, non poteva dire cosa gli era sembrato di vedere. Dove aveva creduto
di essere. Cosa credeva fosse successo quel giorno maledetto.
Semplicemente lo allontanava da sé, quel pensiero, perché il suo cuore
non poteva contenere, senza andare in frantumi, un'immagine tanto
atroce. E tuttavia non aveva dimenticato del tutto quella sensazione
che l'aveva attraversato quando la corda si era spezzata, o le parole
della canzone -
Calpestati in eterno
noi fragili fiori
svanisce il profumo e la speranza
ed era stato così, era davvero così, ogni speranza di rivedere il suo
amato era crollata di colpo. Ma la certezza venne più tardi, in groppa
ai messaggeri venuti dal sud per annunciare la perdita dell'intero
esercito nella battaglia di Camlann. Lo seppe in quel modo, e non
v'erano unguenti che potessero sanare una ferita del genere.
Non v'era più nessuno da attendere, né in quel castello né altrove.
Nessuno sarebbe tornato.
Re Arthur
Pendragon, il più grande dei sovrani, e che tuttavia non era mai stato
chiamato a servire,
Sir Lucan, colui che con poche sagge parole l'aveva
spinto ad amare suo padre,
Sir Brian, il forte e scanzonato capitano
dell'esercito di Estangore...
ed implicitamente lui,
di cui non aveva più il coraggio di pronunciare il nome nemmeno nei
sogni.
Non immaginava perché e per mano di chi era accaduto, ma ormai
sapeva come e quando. Sapeva che era stata una lama sottilissima a
spegnere quegli occhi adorati ed un cuore spietato a guidarla, e
avrebbe voluto guardare in faccia la bestia che gli aveva portato via
l'unico bene della sua vita, ma era impotente quanto un cavallo
sgarrettato.
Brandegoris avrebbe potuto, ad ogni buon conto, rimproverargli il
massacro dei suoi uomini,
ma non lo fece mai. Era stata una decisione soltanto sua. Era
rassegnato ad
essere rimasto, nei fatti, l'ultimo della sua stirpe, e che il regno di
Estangore non
significava più nulla; se ne era reso conto il giorno in cui Sir Bors
gli aveva portato via Elyan, imponendogli un nome ed un'eredità
differenti. Non gli faceva più effetto guardare il mondo crollare, non
più di quanto fosse indispettito nel sentirsi morire a poco a poco.
Aveva usato quanto restava del suo potere per legare a sé Garanwyn, e
sperò che gli sarebbe rimasto accanto fino alla fine. Così avvenne: ed
egli lo ripagò, negli ultimi istanti, chiamando una Forza più grande a
vegliare su di lui.
Come tutti i cavalieri di questo mondo, Sir Bedivere aveva avuto, nel
tempo, un certo numero di scudieri al suo servizio. Quando era tornato
a Lindsey
per radunare i soldati da condurre in Francia ne era
sguarnito, così aveva deciso di portare con sé un ragazzino della sua
famiglia, che forse era un po' troppo giovane, ma di cui si fidava
ciecamente. Si chiamava Conn, ed era un figlio bastardo di Sir Griflet;
ed
era una creaturina risoluta e curiosa quanto basta a superare in fretta
la nostalgia di casa. Che poi, sarebbe stato arduo soffrire a lungo la
mancanza delle sorellastre, che non perdevano occasione per
strapazzarlo e ridere di lui.
Così aveva trattenuto il fiato alla vista delle schiere di soldati
pronte a salire su navi che gli parevano immense; aveva conosciuto
soldati e cavalieri e servi e prostitute e aveva fatto amicizia con gli
altri scudieri. Ascoltava tutto, notava tutto e ne faceva tesoro, senza
chiedere né attirare attenzioni. In questo modo, i mesi dell'assedio e
le battaglie a cui aveva assistito avevano maturato il suo animo quasi
senza che se ne avvedesse lui stesso, né gli altri. Soprattutto perché
fu costretto a vedere e udire più di quanto avrebbe voluto. Ah, la
morte, sempre la morte, e il tradimento, e l'agonia! Così era il mondo
lontano dalle rassicuranti mura del castello di Lincoln - mai prima
aveva compreso quanto là fosse al sicuro, e non prigioniero come
credeva - e non gli piaceva, non gli piaceva affatto...
Ora, Conn attendeva paziente che il suo signore si risolvesse
a partire. Non aveva alcun dubbio che, prima o poi, l'avrebbe guardato
negli occhi e riconosciuto; che nonostante la sofferenza, la
disperazione, lo smarrimento si sarebbero diretti insieme verso casa.
Ne era sicuro perché sapeva quanto amasse sua moglie e sua figlia,
ch'erano tutto ciò che gli restava al mondo. Ma non accadde. Quando Sir
Bedivere distolse finalmente gli
occhi dall'orizzonte dov'era scomparsa la barca, non gli rivolse la
parola. Non diede segno di volerlo portare con sé, e tantomeno - questo
lo fece rabbrividire - prese la strada di Lindsey, ma scomparve
galoppando nel folto degli alberi. Il ragazzino corse per un buon
tratto addentrandosi nella foresta, chiamandolo, ma presto la debolezza
si fece sentire e non riuscì a proseguire. Si addormentò sotto un
albero e fu per caso se nessuna belva lo aggredì durante la notte. Al
risveglio, però, grato di essere ancora vivo e deciso a rimanerlo
ancora per molto tempo, tornò sui suoi passi fin quasi alla Piana, e lì
s'imbatté in un buon numero di soldati, sani e ben nutriti, guidati da
un cavaliere che si lamentava ad alta voce.
- Ahimé, perdono, mio sovrano! Quando vi abbandonai, non credevo di
lasciarvi a questo destino! Sono stato egoista, e nulla potrà ridarmi
l'onore; avrei fatto meglio a perdere la mia terra, e non il mio re! -
Il cavaliere ripeteva queste parole con accenti sinceri e accorati,
battendosi il petto e sospirando. Ma quando s'avvide che il ragazzino
lo guardava, s'arrestò e gli chiese come si chiamasse.
- Il mio nome è Conn, e sono lo scudiero di Sir Bedivere, che la
misericordia di Dio
ha preservato in vita in questa catastrofe, ma che non ha voluto
portarmi con sé dovunque si sia diretto...
- E dove si è diretto, sai dirmelo? - chiese gentilmente il cavaliere.
Conn indicò la foresta e la strada che l'attraversava.
- Quella è la via per Glastonbury, ragazzo, e se il nobile duca è
giunto al monastero, egli è al sicuro. Ah! Uno soltanto dei miei eroici
pari di Britannia è scampato a questa tragedia, e tutto il resto è
andato in pezzi! - Riprese a lamentarsi, e avrebbe continuato ancora a
lungo se Conn non gli avesse rivolto il seguente discorso:
- Signore, so chi siete, e quale fu la decisione che ora rimpiangete:
non v'è modo di tornare indietro. Ma siete pur qui, Sir Constantine, e
potete aiutare me!
L'ardire del giovane risvegliò l'orgoglio nel cuore del figlio di
Cador, che lo invitò a proseguire.
- Devo in qualsiasi modo raggiungere Sir Bedivere, per sapere se è
davvero al monastero di Glastonbury, e quanto gravi sono le sue ferite;
e forse anche voi desiderate parlargli, dimostrargli che non
intendevate abbandonare re Arthur!
Non c'era nessuno motivo perché Sir Constantine dovesse sentirsi
sollevato solo perché uno scudiero dimostrava di non giudicare
severamente le sue azioni, eppure sentì quelle parole come un balsamo
sulla sua coscienza.
- Ti accompagnerò senza indugi. - E si volse verso i suoi uomini per
impartire gli ordini: essi dovevano fare piazza pulita degli
sciacalli che senz'alcun rispetto derubavano i cadaveri, ed attendere
Sir Lancelot che sarebbe certo giunto di lì a poco con i suoi compagni.
Ma alzando lo sguardo, notò il padiglione ancora intatto sulla collina.
- È dunque lassù che s'incontrarono il re ed il traditore? Che cosa non
funzionò? Cosa accadde davvero?
Conn sospirò e non rispose. Sir Constantine lo fece salire in sella,
spronò il cavallo e
raggiunse la cima dell'altura. Si guardò intorno, senza notare nulla di
strano, ma il ragazzino gli indicò un punto. Era una zona priva di erba
per un buon tratto e una croce era conficcata nel terreno.
- È iniziato tutto qui, vedete. La serpe! La serpe assassina!
Il cavaliere smontò e si avvicinò al tumulo. - Vi riferite a Sir
Mordred? Che cos'è accaduto davvero?
- ripeté.
Dal padiglione spuntò una figuretta colma d'acidità e dispetto. Era
Rowan, il nano che Kay aveva mandato ad avvisare re Arthur del
tradimento di suo figlio e che aveva seguito l'esercito fino ad allora.
Gli si piazzò davanti a gambe larghe, apostrofandolo: -
Tornate ora, con comodo, nevvero? Vi dirò, il principe sapeva di non
poter vincere, era davvero disposto a trattare. Ma il piccolo parla
bene, sono state quelle due
serpi! Quei suoi ragazzacci, ah! Sono ancora da qualche parte in
Britannia, a seminare morte...
Sir Constantine lo fissava sbalordito. - Chi... cosa?
- Parlo di Sir Melehan, il folle, e di suo fratello Melou, il gigante,
che l'ha
aiutato a fuggire arrivando a minacciare suo padre con la spada.
- Accennò alla
tomba improvvisata. - Ancora una volta, la morte di un solo cavaliere
ha portato la
tragedia su questa terra!
Egli si fece raccontare ogni cosa di cui il nano fosse a
conoscenza, e più di una volta durante il racconto crollò in ginocchio
singhiozzando. La vergogna che provava verso se stesso era immensa, ma
l'odio per i due figli di Mordred cresceva ad ogni nuovo dettaglio
dell'accaduto e ben presto superò ogni altro sentimento.
- Vendicherò vostro cugino, Conn. Vendicherò il mio re, e tutti i
cavalieri che giacciono sulla piana di
Camlann! Nessuno dirà mai più che Constantine di Cornovaglia è un
vigliacco,
poiché d'ora in poi agirò con coraggio!
Rowan parve soddisfatto e i due si diressero a Glastonbury
senz'attardarsi oltre.
Trovarono Sir Bedivere non già al monastero, ma nell'eremo dove il
vescovo di Canterbury si era rifugiato in seguito alle minacce del
traditore Mordred. Il sant'uomo, che si chiamava Baldwin, li convinse
che ulteriori emozioni avrebbero ostacolato la guarigione del duca.
Quest'ultimo appariva assai provato, non soltanto dalle gravi ferite;
giaceva su un lettuccio, e nel delirio sembrava pregare.
- Al di là delle vostre assidue cure e della protezione divina, vi è
una sola persona che possa aiutarlo a tornare in sé - disse Conn al
vescovo.
- Non esiste nulla al di fuori della volontà di Dio - replicò Baldwin,
ma il suo contegno solenne non intimorì il ragazzino.
- Avete ragione: perciò, se piacerà al Signore, arriverò a Lindsey sano
e salvo e potrò informare Lady Clarissant. - Si congedò poi dal
cavaliere: - Arrivederci, Sir Constantine, pregate anche voi perché io
possa giungere a destinazione.
- Arrivederci, caro ragazzo - sorrise l'erede di Camelot. - E manterrò
la mia promessa, dovessi impiegarci mille anni: troverò Sir Melehan e
lo ucciderò!
Ma il destino decise poi diversamente.
Immaginate una madre che perda
tragicamente un figlio nel fiore degli
anni; forse credete che in un'altra epoca il dolore fosse meno vivo,
più sopportabile, ma queste sono soltanto supposizioni storiche. Si
dice che un tempo i maschi nascessero per diventar soldati e le femmine
per andare spose, e con questo? Avete forse mai scrutato in fondo allo
sguardo gelido di una donna spartana, mentre porge lo scudo ad un suo
caro recitando la formula di rito?
La cuoca del castello di Lincoln, Maryel, era una donna florida e
ridanciana, con un debole per i vedovi inconsolabili. Da giovane aveva
tentato di accalappiare il capitano delle guardie, che però le aveva
riso in faccia; delusa, si era gettata a capofitto nel lavoro, in
particolar modo sui dolci. In questo modo aveva inconsapevolmente preso
per la gola Sir Griflet - il quale, con due bimbe straviziate a carico,
credeva già conclusa la sua vita sentimentale. La passione, se non
l'amore,
era sbocciata, e presto era giunto il piccolo Conn a scorrazzare per
cortili e giardini ficcando il naso dappertutto.
Ora tutti la invidiavano giù al villaggio, perché proprio Conn era
stato
l'unico a tornare da Camlann; e rimproveravano in segreto la bella
castellana, in quanto "non era da nobili versare tante lacrime". Maryel
li rimetteva al proprio posto, ricordando che la padrona aveva ben
ragione di piangere il suo figliolo: si poteva ben dire che lei e Sir
Bedivere l'avevano messo al mondo due volte.
Quando, poco più di vent'anni prima, erano nati i gemelli, c'erano
state complicazioni durante il parto. Lady Clarissant aveva sofferto le
pene dell'inferno e si disperava per la sorte sua e dei piccoli. La
bimba era poi venuta fuori piena di energie, le guance colorite e un
ciuffo di capelli rossi, strillando a pieni polmoni. Il maschietto, che
invece respirava a fatica, era caduto preda di violente convulsioni che
si erano ripetute periodicamente nei suoi primi anni di vita.
Ed erano stati anni ben tristi, durante i quali Eneuawc era stata un
poco lasciata da parte. Per sé aveva l'affetto un po' ruvido della sua
nutrice e, più avanti, i giochi con le cugine e la passione per la
musica. Davvero Clarissant non aveva attenzioni e cure che per Amren,
il suo cucciolo così sfortunato. Le crisi, ormai un ricordo, avevano
però lasciato un marchio atroce su quella creaturina dagli occhi
nerissimi. Parlava a stento e gironzolava tutto il tempo intorno alle
gonne di sua
madre, e questa situazione durò per un lungo periodo. Ma un giorno Sir
Bedivere, tornato dopo molti mesi al castello, considerò il da farsi.
Non fu semplice, e sicuramente non poco doloroso, ma la sua fermezza
ebbe la meglio sulle ansietà della moglie.
- Ebbene, ha più avuto di quegli attacchi? - aveva chiesto. Alla
risposta negativa, si era chinato a parlare con il bambino.
- Ciao, Amren. Ti ricordi di me?
Se l'era ritrovato appeso al collo, la guancia premuta contro la sua,
un corpicino tiepido e indifeso che gli fece spuntare le lacrime. Ma
aveva stretto le labbra: - Ebbene? Mi offendi, se non ti rivolgi a me
con rispetto.
Amren si era voltato verso sua madre ed ella aveva annuito, arrossendo,
conscia che le cose dovevano cambiare.
- Da' il benvenuto a tuo padre come merita.
Un farfugliare incomprensibile fu tutto ciò che il piccolo riuscì a
tirar fuori, ma Bedivere parve soddisfatto. Più tardi, dopo aver
ricevuto ben altri - assordanti - festeggiamenti da Eneuawc e dalle
viziatissime figlie di Griflet (Conn non era ancora nato), era rimasto
solo con Clarissant.
- Voi sapete quanto vi amo, mia signora, - aveva iniziato a dire - e
nulla di ciò che potrà accadere cambierà mai questo sentimento. Ma fino
ad ora ho atteso e nulla è mutato. Nostro figlio è in perfetta salute,
ora, eppure vi ostinate a trattarlo come se fosse un fragile filo
d'erba. Egli è il mio erede, il futuro duca di Lindsey, e un giorno
desidero presentarlo a vostro zio con l'orgoglio che si addice ai
membri della nostra famiglia. Mi aiuterete? Oppure debbo portarlo con
me da subito, lontano da voi e dalle inutili moine della nostra gente?
Nonostante la terribile minaccia, Bedivere non fu capace di mostrarsi
severo fino in fondo e finì per rassicurarla, ma quelle parole avevano
sortito effetto; Clarissant aveva compreso ch'egli voleva, e a ragione,
che i suoi figli crescessero nel migliore nei modi, anche al prezzo di
grandi sacrifici. Comprese anche che essere madre non significava
soltanto dare e ricevere amore, ma soffrire e causare un poco di
sofferenza per un bene più grande.
Da allora, quando aveva bisogno di qualcosa, Amren aveva dovuto
sforzarsi di chiederlo ad alta voce, spesso impiegando un paio di
minuti per farsi capire. A quindici anni la sua voce era stentorea, il
suo portamento fiero, e sebbene sapesse di non essere il giovane più
bello di Lindsey, era conscio della propria forza e delle proprie
potenzialità. Di lì a poco, tutta la famiglia si sarebbe trasferita a
Camelot...
Ed eccoci tornati al mio dilemma.
Da quando ho iniziato a raccontare questa storia (storie, in verità),
più volte ho accennato al dolore che troppo spesso ha incrociato il
cammino di Lady Clarissant, ma alle mie capacità esiste un limite ed ho
il terrore di oltrepassarlo.
Mi trovo davvero senza parole, la
mia penna stride
sul foglio e si rifiuta di mettere a nudo la sua anima squarciata dal
nero di una tale perdita. Posso percepire il gelo dei muri di pietra
colpiti dalle sue mani, seguire di stanza in stanza i cani intimoriti
dal contegno insolito della padrona, udire i bisbigli pietosi della
servitù e inumidirmi la punta delle dita con le lacrime strofinate sui
grembiuli. Ma non
posso, non posso dirvi di più.
Sono in grado però di voltare pagina e rivelarvi cosa accadde
quando le tenebre lasciarono spazio ad un barlume di ragione; quando
cioè, resasi conto che esisteva ancora qualcuno che aveva bisogno di
lei, ella decise di continuare a vivere.
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Capitolo 11 *** Varcare la soglia. ***
Sono abbastanza soddisfatta. Ho rimurginato l'ultima scena
di questo capitolo per molti mesi, vagando per strada con le cuffiette
dell'mp3 nelle orecchie, ma finalmente me la sono lasciata alle spalle.
Ci sono immagini che non mi convincono (per esempio Clarissant che si
butta contro la porta e quasi casca dentro, stile Buster Keaton, oppure
le foglie che cadono d'estate, anche se mia madre mi assicura che
esistono alberi con più "cambi" durante l'anno) ma va bene così e non
riesco a fare di meglio :P
...
Ma sono megalomane a far parlare Dio?
Saki
Conn era seduto in un angolo della cucina con una tazza
di minestra tra
le mani. Ancora non riusciva a credere di essere a casa. Mai quella
stanza calda e satura di odori, il regno di sua madre, gli era sembrata
un paradiso in terra come ora. E Maryel era lì a guardarlo, pulendosi
le mani con uno straccio dopo aver riattizzato il fuoco, con una
lucente gratitudine negli occhi bruni circondati da rughe sottili.
La tenda si scostò e lui deglutì quando alzò gli occhi sulla donna che
ora gli stava davanti, su quel viso pallido e sciupato dalle lacrime, e
che tuttavia non aveva perso nulla della propria fierezza.
- Signora...
- Lady Clarissant!
La videro chinare la testa di lato, in quel gesto che le era usuale e
che esprimeva un misto di riservatezza e indecisione, ma poi ella si
risolse a chiedere alla cuoca di lasciarla sola con il ragazzo.
Maryel obbedì con un certo stupore, scambiando con il figlio un fugace
sguardo di preoccupazione. Avrebbe voluto raccomandargli di evitare i
dettagli sulle vicende di Camlann, ma forse non ce n'era affatto
bisogno; Conn non era uno stupido. Ed era cresciuto, tanto, troppo.
- So che avresti voluto parlarmi non appena sei arrivato. Ma non ne
avevo la forza. Poi ho capito. Tutto quello che ricordo non succederà,
e se non lo ricordo si può ripetere. Io ricordavo Colgrevance, Branwen,
Orkney. Ed è andato tutto in un altro modo... perciò... sono felice che
tu sia qui.
Lui non comprendeva quelle parole, ma non mostrò di compatirla o,
peggio, farle pensare di
crederla pazza. Posò la ciotola sul tavolo, mentre Lady Clarissant gli
passava una mano tra i capelli e continuò con voce trasognata: - Gli...
somigli... di più.
Conn chiuse gli occhi, colto da vertigine. Quand'era bambino era solo
una questione di colori, ma negli ultimi tempi aveva dovuto
ammettere a se stesso che stava diventando sempre più simile a suo
cugino.
E se prima lo considerava motivo d'orgoglio e speranza, ora ciò gli
trasmetteva solo tristezza. Perché lui non era Amren, non lo sarebbe
mai stato e non avrebbe potuto né voluto sostituirlo.
- Andrà tutto in un altro modo... anche dopo. Deve funzionare così, per
forza. Non so cosa ci aspetta, ma sono certa che riavrò mio marito. Ora
devi dirmi tutto.
Egli fu molto attento a misurare le parole, a non andare oltre. Ma lei
voleva sapere di più, di più.
- Non avrebbe comunque potuto viaggiare, le ferite si sarebbero
riaperte. Non potrebbe essere più al sicuro di dov'è... anche se...
- Riflettendoci, c'erano sì dettagli inutilmente crudeli, ma anche
informazioni crudelmente utili. - È così fragile, ora. Non deve credere
di essere rimasto solo... potrebbe chiudere la sua mente fino a
dimenticare quel ch'è più importante. Non lo permetterete, vero,
signora?
No, non lo permetterò. Per tutti
questi anni, per quanto fossimo lontani, sapevo che sarebbe tornato da
me non appena possibile, che mi pensava così come io pensavo a lui.
Sapevo che dovunque fosse, agiva con lucidità, onore e coraggio. Ma
chiunque può perdersi... anche l'uomo più forte al mondo. Ora spetta a
me aiutarlo, prenderlo per mano e riportarlo a casa.
- Partiremo domattina - fu la risposta.
Conn era ancora spossato, ma in fondo non vedeva l'ora di accompagnarla
a Glastonbury. Fu quindi molto più che sorpreso quando seppe che la
signora non aveva nessuna intenzione di portarlo con sé. Aveva per lui
ben altri progetti.
- Cosa sei diventato, tu?
- No, non è possibile. Ci crederò quando lo vedrò scritto su una
pergamena. Farai andare tutto in rovina, altroché!
Le sorelle erano sbalordite dalla notizia, anzi, addirittura
orripilate. Alla morte di Sir Griflet si erano sentite abbandonate,
naturalmente; avevano superato l'età delle nozze da qualche anno e si
domandavano cosa sarebbe stato del loro futuro, ma finché Lady
Clarissant aveva tenuto le redini del castello per loro non era
cambiato quasi nulla. Ora, invece, erano sotto il controllo di un
marmocchietto
bastardo.
- La signora non può averti nominato amministratore di Lindsey. Sei
il figlio della cuoca... sei... niente!
Conn non era meno sorpreso e spaventato della sua nuova condizione, ma
capiva che doveva mostrarsi sicuro di sé. - Ascoltate, per favore. Non
ho intenzione di sbandierare nessun titolo o inseguire sogni di potere.
Mentre voi passavate le giornate allo specchio o a raccogliere fiori,
io osservavo nostro padre mentre svolgeva il suo lavoro. Sì, sono il
figlio della cuoca, perciò sarà proprio alla servitù che
chiederò consiglio in ogni mio passo, a quelle persone che voi
sbeffeggiate. Ma sono anche vostro fratello, e desidero
rispetto. Non lo pretendo: lo desidero e farò in modo di meritarlo.
Le due fanciulle si guardarono, stringendo le labbra con dispetto.
-
Sir Bedivere tornerà, ne sono certo. È lui il nostro signore. Facciamo
del nostro meglio e rendiamolo fiero del nostro operato. - A
questo esse non ebbero nulla da obiettare e si ritirarono, forse a
meditare sulle nuove responsabilità che attendevano tutti loro, più
probabilmente a lamentarsi della
situazione incresciosa.
Sospirò. Era sopravvissuto a Camlann, poteva ben tener testa a
quelle
due donzelle viziate. Sorrise brevemente allo specchio del salone, e
scandì il proprio nome nella mente con inusuale orgoglio.
Sir Bors si tormentava la barba ripensando ai mesi trascorsi, ai duelli
in cui era stato sconfitto, alle volte in cui aveva sfiorato la morte.
Ma più di tutto lo indispettiva l'inutilità di tanti avvenimenti di
fronte al presente così squallido e deserto. No, si corresse, non c'era
il deserto. C'erano ancora nemici e soprattutto c'era Lancelot che
vagava disperato in cerca di espiazione, forse, più probabilmente in
cerca della regina.
- Non siamo nulla, senza di lui - aveva dichiarato Lionel, ignorando la
stessa volontà di Lancelot che restassero a Dover: - Questo
esercito... sono solo uomini. Lui
è la nostra guida, per lui abbiamo
sacrificato ogni cosa e con gioia lo faremmo ancora. Devo trovarlo ad
ogni costo.
"Sacrificio per modo di dire,
fratellino, perché siete più felice tra le braccia di Lady Juliana di
quanto lo foste mai stato qui in Britannia al servizio di re Arthur"
aveva pensato Bors, ma aveva tenuto quegli inutili ragionamenti per sé
e non
gli aveva impedito di partire per Londra. Era stato un terribile errore
di
cui ora si pentiva amaramente.
Ma venne facilmente distratto dalle sue gravi considerazioni quando si
accorse che Elyan era immerso in un'analoga pozza di pensieri profondi
ed inquieti.
- Mi pare di sentirti ruminare. Smettila.
- Penso a Lady Juliana, padre. Il bambino nascerà presto e non so con
quale cuore dovremo dirglielo. - rispose Elyan, i folti capelli biondi
gettati all'indietro mostrando gli occhi appesantiti da molte notti insonni.
- Ebbene, se davvero avessi pensato a lei quando ti avevo comandato di
sposarla, ora non sarebbe vedova! - replicò Bors. - Sempre e solo le
donne! La maledizione di ogni buon cristiano! Oh, dimenticavo, tu hai
una religione tutta tua. Come se si potesse sfuggire a Dio. Sei uno
stolto. Finirai all'inferno, come tua madre...
Si interruppe, conscio di aver oltrepassato il limite.
Claire di Estangore era un argomento tabù nel clan de Ganis, com'è
ovvio. Ma ben più strano, anche Brandegoris era sempre stato restìo a
parlare della
figlia. Non era tristezza o rabbia a disegnarsi sul suo volto grinzoso,
quando Elyan gli chiedeva di lei, ma piuttosto rispetto, cautela. Ma
non vi era anche una punta di orgoglio? E perché era sempre più
convinto che non fosse affatto morta?
In quell'istante Elyan aveva sentito un filo spezzarsi dentro di sé.
Il filo che l'aveva legato a suo padre dal momento in cui era giunto ad
Estangore rivendicando il suo diritto a prenderlo con sé, quel legame
così forzato e fragile ed incerto e che tuttavia non aveva mai
trascurato di
rispettare. Per lui aveva rotto il fidanzamento con l'unica fanciulla
che avesse mai amato. Per lui, non per Sir Lancelot né per la regina,
aveva accettato di infiltrarsi a Camelot mettendo in pericolo l'onore
dei suoi migliori amici. Per lui aveva combattuto a Joyous Gard - con
il terrore di trovarsi a faccia a faccia con Amren, tra l'altro, cosa
che non era successa per pura e semplice fortuna. E l'aveva vegliato
quando sembrava davvero che stesse per morire, entrambe le volte in cui
si era
scontrato direttamente con Sir Gawain e aveva avuto la peggio.
E come era stata ripagata la sua devozione?
Con ironia.
Con scherno.
Con allusioni.
Quasi come se fosse lui il traditore, non Sir Mordred. Allora capì.
"Per lui non c'è differenza tra
Mordred, figlio di un incesto, e me, figlio della magia. Qualunque cosa
io faccia per ottenere la sua approvazione, lui la considera una goccia
nel mare della vergogna che la mia nascita ha rappresentato."
Fu un sollievo, davvero, si sentiva meglio... nonostante le tragedie
passate e presenti, nonostante le incognite, era sereno. Sir Bors era
suo padre, ma non il suo padrone; non aveva più alcun diritto sulla sua
vita, sulle sue scelte. Lui non era davvero un de Ganis, non lo sarebbe
mai stato. Si era sentito un estraneo in terra di Francia e solo
l'amicizia di Lady Juliana e madamigella Aline gli avevano reso
sopportabile quel soggiorno. Ora, tornato in Britannia, aveva ormai
un'unica destinazione, una sola ragione per vivere, un solo nome sulle
labbra.
-
Eneuawc...
Nonostante i suoi ottimi propositi di ritrovarla e dichiararle amore
eterno, Elyan de Ganis era l'ultimo pensiero di Eneuawc.
La fanciulla si stava specchiando in un secchio colmo d'acqua fresca,
nel cortile
del convento di Glastonbury. Era spettinata, con il viso segnato e la
pelle arrossata dal
sole.
Avrebbe dovuto chiedere ospitalità, ma si era limitata a domandare da
bere. Stava seriamente prendendo in considerazione, mentre la
stanchezza del viaggio iniziava a farsi
sentire, di seguire la madre - per quanto ella le avesse raccomandato
il contrario - in cerca dell'eremo del vescovo. Voleva rivedere suo
padre più di quanto desiderasse un comodo letto o un piatto di cibo.
Quei sogni a cui già da qualche anno aveva iniziato ad abbandonarsi,
sogni d'amore e d'indipendenza (come se queste due parole avessero un
senso, una vicina all'altra!), le sembravano davvero molto stupidi ora;
come aveva potuto pensare di affidare la propria vita ad un estraneo?
Non esisteva nulla al mondo più sacro e sicuro della famiglia, di
quelle persone con cui hai condiviso ogni respiro ad iniziare dal
primo. E quando sei certa, certissima, che chi ti sta intorno non vuole
che il tuo bene, cos'altro puoi desiderare? Come mai puoi sopportare di
perderli uno ad uno?
Ringraziò le monache e tornò in strada, sotto quel sole
inverosimilmente bruciante. Il mare non era lontano, lo sapeva, ma non
era Grainthorpe. Non ci sarebbero più stati giorni felici sulla
spiaggia. E nemmeno i falò giganteschi alla festa del raccolto, la
musica che non finiva mai e la testa che girava per il troppo
volteggiare. Oh! In quei giorni c'erano tutti
i suoi uomini, a contendersi una danza con lei. Nessuno tra i cavalieri
di Lindsey era mai a Camelot in quel periodo dell'anno, e Sir Kay
poteva brontolare finché voleva, ma quella era una licenza intoccabile
che il re avrebbe concesso ad ogni costo. Perché loro erano una
famiglia vera.
Chi
siamo noi per restare a guardare?
Nelle
terre di Sir Bors l'uva diventa direttamente aceto.
Tornerò,
come sempre.
Le girava la testa davvero e sentiva un calore come di
fuoco, ma era
ormai fuori dai ricordi.
Faceva caldo, tanto caldo che l'aria aveva cominciato a tremare - era
possibile?
Poteva formare quelle onde davanti
a lei, ma rimanere ferma alle sue spalle?
E perché ora, laggiù, vedeva una caverna dove poco prima era sicura ci
fossero soltanto alberi, e perché sembrava più in basso di dove stava?
Allungò un braccio e sentì la pelle formicolare. Lo ritrasse,
spaventata, e la sensazione scomparve. Ma ci provò di nuovo... e
ancora... e poi il vento si alzò sul serio, l'avvolse come un mantello,
spingendola delicatamente a terra e facendola rotolare per una discesa
d'erba soffice.
Restò a guardare il cielo, stupefatta. Era un altro cielo.
L'aria era più fresca. I lievi rumori delle fronde e del mare e i versi
degli animali, era tutto diverso.
Lentamente si alzò a sedere e si accorse di essere vicina
all'imboccatura della caverna che aveva visto in lontananza. D'istinto
guardò in alto, a cercare la strada, ma sembrava essere scomparsa nel
nulla. Al suo posto, la collinetta da cui era appena ruzzolata giù
appariva sormontata da una sorta di tempio, un cerchio di alte pietre
con qualcosa al centro che non riusciva ad identificare. L'odore del
mare era decisamente più intenso.
In quel momento capì dove si trovava, e la paura scomparve.
- Sono ad Avalon - balbettò, emozionata. Aveva sentito parlare
innumerevoli volte dell'isola sacra dove donne del suo stesso sangue
pregavano la Dea Madre per la salvezza della Britannia, esattamente
come i vescovi nelle cattedrali invocavano il Dio cristiano. Ma mai
aveva pensato, né forse nemmeno desiderato, di potervi mettere piede.
Sua madre si era sempre mantenuta a rispettosa distanza dalla
religione; ed era rispettosa perché moglie di un cavaliere cristiano,
distante perché entrambi i culti presupponevano la rinuncia ad una
parte di sé, cosa che mai una dama così fiera avrebbe accettato. Così
Eneuawc non aveva mai sognato di diventare sacerdotessa della Dea, così
come non si immaginava badessa - suo padre le aveva sempre detto che i
suoi capelli erano troppo vivi per lasciarli appiattire dietro un velo,
e questo pensiero era uno dei motivi per cui poco prima non era rimasta
nel cortile del convento che lo stretto necessario per dissetarsi.
Temeva che l'avrebbero attirata all'interno e rinchiusa per sempre.
Come Clarissant, lei era nata per amare. Si somigliavano così poco,
madre e figlia, fisicamente. Nere le chiome della donna, rosse quelle
della fanciulla; alta e forte l'una, minuta e delicata l'altra. Ma
nell'anima di entrambe albergava lo stesso cuore fedele al primo
virgulto di sentimento - che spesso fatica a farsi strada tra le
erbacce del dispetto e del riserbo, ma attende acqua e nutrimento senza
nemmeno contemplare la possibilità di una resa.
Se ne rese conto proprio allora: quando, in piedi di fronte alla
caverna, sbirciò dentro e vide il cavaliere addormentato.
Clarissant sbucò tra gli alberi, sporca d'erba e con le vesti strappate
dai rami, il volto graffiato e gli occhi lucidi, affannata. La
preoccupazione per aver lasciato Eneuawc alla porta del convento, senza
nessuno a proteggerla, era dimenticata. Né sentiva il bruciore a mani e
ginocchia, ferite per essere inciampata più volte durante la corsa nel
bosco.
Nella radura spiccava una semplice costruzione in pietra, senza
finestre visibili. Pochi passi più in là, una tomba adorna di fiori e
foglie cadute, e una figura china su di essa, grigia e perfettamente
immobile.
Il paradosso.
Quella lapide era più vivace, nei suoi colori di fine estate, dell'uomo
che vi era appoggiato come una cosa morta.
Fu presa da un capogiro che le fece socchiudere gli occhi, ma non era
il caldo né la fatica a farla sentire debole e inerme. Solo, il suo
cuore aveva riconosciuto ciò che cercava, colui da cui dipendeva
interamente.
Lo vide rianimarsi un poco e spazzar via con la mano le foglie ancora
verdi
dalla pietra. Era un gesto delicato e triste, del tutto estraneo al suo
carattere, alla sua persona. Ne fu così sconvolta che in principio non
riuscì a muovere quei pochi passi che li separavano. Nemmeno riuscì ad
aprire la bocca per chiamare il suo nome. Pochi attimi che permisero al
vescovo Baldwin di intromettersi nella scena, schiudendo l'uscio e
interrogando la donna con lo sguardo. Lei lo fissò a sua volta,
ed egli rispose accostando l'indice alle labbra. Poi si avvicinò alla
figura grigia e scarna e l'aiutò a sollevarsi, lasciando che si
appoggiasse a lui nel percorrere il tragitto fino alla porta
dell'eremo. Clarissant era come paralizzata lì sulla soglia del bosco,
ancora incapace di raggiungerli e farsi riconoscere. Solo nel momento
in cui quella porta inghiottì i due uomini, qualcosa scattò in lei e si
slanciò a battervi contro, fin quasi a cadere in
avanti quando essa venne nuovamente aperta.
- Chi siete, signora? Perché turbate la pace di questo luogo?
- Io... sono... la duchessa di Lindsey - dichiarò Clarissant con un
sospiro. Sbirciò dall'apertura, ma una tenda divideva la stanza
a metà. L'eremita la squadrò con severità.
- Siete qui per rendere omaggio alla tomba del nostro amato re Arthur
Pendragon? - chiese con finta cortesia.
- Naturalmente, pregherò con voi per l'anima del nostro compianto
sovrano, ma prima di ogni cosa, lasciatemi vedere Sir Bedivere. Lui è
mio marito, il mio signore, il mio amore, il mio bene.
Egli si oppose con decisione. Spiegò le condizioni fisiche e spirituali
in cui il duca gli si era presentato e come non si fosse risparmiato
nel prodigargli le cure più assidue. Parlò di misericordia divina e
redenzione dei peccati, della colpa insita nell'essere umano e della
necessità di rinunciare ad ogni legame terreno per raggiungere la pace.
Cercò di convincerla che l'unico modo in cui Bedivere poteva
raggiungere la piena guarigione fosse di affidarsi totalmente a
Dio, lontano da "diaboliche tentazioni".
- Vedete in me il diavolo, dunque? - Il volto di Clarissant
s'accese di disappunto. Non riusciva a capacitarsi di essere trattata
in quel modo. - È vero che i miei genitori non erano cristiani, e che
porto in me il sangue di Avalon. Vi vedo impallidire, vi fa così paura
questo nome? - Baldwin aveva effettivamente sfiorato la piccola croce
di legno che portava al collo, in un gesto istintivo. - Ma in me non
può esserci il Male. Mai ho osato pronunciare una parola di bestemmia,
sacrilegio, o semplice ingratitudine. Io... ricordo... foste voi a
celebrare il nostro matrimonio, vescovo Baldwin.
Con quale diritto ora attribuite sacralità ad un voto pronunciato per
disperazione, e vorreste cancellarmi dalla sua vita?
- Voi? - Il sant'uomo la scrutò attentamente, e la sua barba tremò. -
Voi siete Lady Clarissant di Orkney, la sua prima moglie?
- La sua unica moglie - disse lei, ed egli ammise che non aveva una
risposta, e si ritirò pregando.
Quella notte fece un sogno.
Una luce di tuono -
una voce splendente -
lo fecero crollare in ginocchio.
"Baldwin, inchinati al mio volere. Non ti è concesso decidere
del
futuro dei tuoi fratelli su questa terra. Quell'uomo ha ancora una
lunga strada da percorrere nel mondo, e una stirpe regale a cui dare
inizio. È questa la mia volontà. Lascialo andare, sarai ricompensato
dalla mia benevolenza."
|
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Capitolo 12 *** Faccia a faccia con la Serpe. (parte 1) ***
Te l'avevo promesso entro Natale, piccola mia, e sono
riuscita a mantenere fede alla promessa.
Non sono riuscita a revisionarlo come avrei voluto, ci saranno
ripetizioni ed errori, ma credo che la storia in se stessa sia più
importante della forma. Spero, inoltre, che il mio modo di intendere la
magia ti suoni decente.
Ti adoro, patatina. Questo è il mio regalo per te: ho fatto fuori Brandegoris ho
fatto riapparire Melehan e i suoi scagnozzi e gli ho attribuito un
altro motivo (ne ha tanti altri, credo, e spero di farli venir fuori in
seguito) per odiare ed uccidere. Perché si sa che la follia cerca
sempre nuovi nemici, invece di combattere se stessa.
La scena, come puoi immaginare, non è conclusa e ci sarà una seconda
parte del capitolo. L'anno prossimo, però :)
Auguri
sinceri di Buon Natale/Buon Solstizio, Felice Anno Nuovo e di giorni
splendidi a tutti coloro che leggono (le bianche scogliere di Dover e
sogliole annesse, per esempio!)
Si
svegliò d'improvviso e lei era lì, con la sua nuvola di capelli rossi,
come uscita dal sogno. Eppure no,
nel sogno sorrideva. La realtà si mostrava molto più prosaica. Era
fuori dalla grotta, e lo guardava. Doveva aver già constatato che era
impossibile entrare. La magia della sua carceriera aveva creato una
sorta di muro invisibile che né lui né altri potevano oltrepassare.
- Eneuawc...
- Elyan? Siete proprio voi?
La voce di lei gli giungeva distorta dall'esterno.
- Una donna... credo fosse una sacerdotessa... mi ha colto di sorpresa
e mi ha rinchiuso qui. Non so cosa voglia da me, ma sembrava conoscermi.
La fanciulla indietreggiò. Aveva creduto di non dover più
affrontare i suoi sentimenti per
lui, di aver superato il dolore e il dispetto di quell'abbandono così
come l'attrazione che li legava. Ed ora eccolo di nuovo nella sua vita,
in una situazione insolita e misteriosa. Elyan de Ganis era
prigioniero, inerme, beffato dalla sorte.
- Buon per voi, se qualcuno qui vi conosce, perché io
non vi conosco affatto - si sorprese a rispondere, implacabile. Si
voltò con per risalire sulla collina e cercare il passaggio per tornare
a Glastonbury.
- Eneuawc, vi prego, non andate via! Dovete parlare con lei, solo
voi potete convincerla a lasciarmi libero! Mi ha detto che sareste
arrivata. Non riuscivo a crederlo, non potevo sperare tanto, ma era la
verità. Non so perché quella donna stia giocando con le nostre vite, ma
vi prego... ditele di lasciarmi andare!
"Non andate via"? Come aveva il coraggio di chiederglielo? Come pensava
di poter pretendere aiuto da lei, dopo aver rotto il loro fidanzamento?
E poi non vedeva nessuno lì intorno. La sera scendeva lenta, allungando
le ombre che si interrompevano bruscamente all'ingresso della caverna.
Elyan stava al di là di quel muro di ghiaccio
(per quanto si potesse parlare di ghiaccio in quella stagione)
ed era giusto così, era meglio così... non meritava niente!
Si tappò le orecchie per non sentire le suppliche del giovane e stava
per lasciarselo alle spalle, reprimendo con tutte le sue forze la
fiammella che era tornata a bruciare nel suo cuore, quando si sentì
chiamare da un'altra voce. Una voce femminile, altera, solenne, che
echeggiava tra albero ed albero, tra nuvola e nuvola, come se anche il
cielo avesse un coperchio su cui i suoni potevano rimbalzare.
- Eneuawc, figlia di Clarissant, figlia di Morgause, figlia di Igraine,
figlia di Avalon... credi di poter fuggire da te stessa?
Lei si fermò. Sentirsi identificare con i nomi delle donne del suo
sangue, scanditi come un canto da tempo dimenticato, non poteva
lasciarla indifferente. Sì sentì grande, e piccola, e parte di quel
mondo, nel bene e nel male. Quindi tornò sui suoi passi: tremando, alzò
lo sguardo sulla donna.
Era alta e vestiva una tunica scura e un cappuccio che le nascondeva
parte del volto. Il suo sorriso era freddo, ma non veramente ostile.
Astuto, sicuramente, e saggio, di una saggezza diversa dai canoni che
le avevano insegnato.
- Davvero non vuoi vendicarti di quest'uomo, piccola Eneuawc? - le
disse, ma ora il suo tono era più intimo ed umano. - Egli è nelle tue
mani, ora. Tu puoi decidere il suo destino.
Vendicarsi? Perché arrivare a tanto? Se proprio avrebbe desiderato
vendicarsi di qualcuno, avrebbe scelto chi aveva stroncato la vita di
suo fratello,
(la metà di se stessa)
chiunque fosse, di quell'essere no, non avrebbe avuto pietà. Ma
vendicarsi di Elyan? Non l'aveva già fatto, rifiutandosi apertamente di
intercedere per lui? Tanto le bastava e non di più.
- No, signora - rispose.
Sentendo ciò, Elyan iniziò a sperare, ma fu presto disilluso:
- Posso ucciderlo davanti ai tuoi occhi. Ti ha abbandonata, è stato un
traditore e uno spergiuro. E una spia, ricorda.
Non c'era bisogno che le venisse rammentato. Il racconto di Amren sulla
notte che aveva preceduto il salvataggio della regina aveva lasciato
una traccia indelebile in lei. Elyan de Ganis aveva avuto un ruolo non
indifferente nel piano di Sir Lancelot.
E quanto avevano perso a causa loro! Quanto! Come s'era offuscato il
sole sulla terra di Lindsey, con la morte di Sir Griflet! E come s'era
accesa, implacabile, la follia di suo zio Gawain... perché Gareth era
davvero il migliore di tutti loro...
- Sì. Ricordo. E mi fa... tanto... male.
La fiammella oscillò, ma non si spense.
- Allora sappi che basterà una tua parola. Una parola dalle tue labbra
e metterò fine alla sua vita.
Elyan gridò, sconvolto: - Mi avete mentito! Non è questo che avevate
promesso!
La sacerdotessa lo fulminò con lo sguardo. - Taci. - E rivolgendosi
nuovamente ad Eneuawc, continuò: - Naturalmente, se pensi di riuscire a
perdonarlo, sempre una tua parola può renderlo libero. Ma non esistono
mezze misure. Non ti è concesso di essere indifferente nei suoi
confronti. Amore, oppure odio; libertà, o morte.
Eneuawc non si era mai trovata di fronte ad un dilemma anche
lontanamente simile. Per un lungo istante non sentì più di avere Elyan
in suo potere, ma di essere ella stessa in balìa di quella donna;
in cuor suo la chiamò strega e demonio. Combatté quella che
credeva un'ingiustizia, l'obbligo di scegliere. Si chiese
perché proprio lei, perché proprio lui, come potesse
essere tanto importante, per la sacerdotessa, che lei si esprimesse.
Forse era un gioco, per lei? Ad Avalon ci si annoiava al punto di
provar piacere ad intromettersi nella vita altrui?
- Tu hai già deciso, mia cara. Parla. Ora.
Strinse gli occhi, le mani a coprire il viso, e un diverso ricordo
l'attraversò.
Ballava, ed era felice, e questa
volta non era la luce di
un falò che vedeva, ma tante torce ad illuminare a giorno un'enorme
stanza.
Non era a Lindsey, e gli occhi che ridevano, fissi nei suoi,
non erano quelli di Amren, né di suo padre, né di un qualsiasi uomo
della sua famiglia.
Erano gli occhi di Elyan, chiari come il mattino, colmi d'amore.
"È tanto tempo che vi guardo, e ad
ogni incontro mi piacete di più. Lasciatemi una speranza, madamigella,
o sarò perduto"
La sala da ballo di Camelot, la sua dichiarazione, quando tutto era
perfetto e splendente. Era sincero, allora... lo sapeva e lo sentiva.
Come poteva essere cambiato tutto così in fretta? Come avevano potuto
permetterlo?
Io non potrei mai donare il mio cuore
ad una persona ignobile. Perciò, o non l'ho mai amato, o lui è sempre
stato degno della mia fiducia, e ho commesso un errore a non cercare di
comprendere le sue scelte...
Sì, aveva giurato ad Amren, sulla spiaggia di Grainthorpe, di scacciare
Elyan dai suoi pensieri una volta per tutte. Ma la vita aveva preso di
nuovo una strada diversa, e poi perché mantenere una promessa assurda,
quando...
Elyan l'aveva abbandonata una volta, è vero, ma era tornato. Appena in
tempo per farsi rinchiudere in un antro magico, d'accordo, e troppo
tardi per salvare il regno, ma era là, davanti a lei.
Amren invece li aveva lasciati davvero. Non voleva sapere come, non le
importava, era solo arrabbiata, e non con chi l'aveva ucciso, no! Con
lui, che era stato egoista, che non aveva pensato a loro...
Né a me, né a nostra madre, né al
vostro Garanwyn, non avete pensato a nessuno di noi! Vi odio! Sì, è voi
che odio, fratello, e non vi perdonerò mai! Maiiiiii!
Piangeva, e senza che se ne accorgesse la donna le aveva preso le mani,
domandandole di nuovo che cosa volesse veramente.
- Lasciatelo andare... lasciatelo vivere.
- Ho udito, piccola Eneuawc. È la tua volontà, perciò è anche la mia. -
Ella aprì le braccia e si udì come un tintinnare di monetine che cadono
a terra. Il muro invisibile era scomparso, come Elyan poté constatare
quando si fu riavuto dallo stordimento che il sollievo aveva portato
con sé. Uscì all'aria aperta e dopo un lungo respiro, ancora un poco
incredulo, si inginocchiò ai piedi della sua amata.
- La vostra misericordia è immensa, ed io sono il più fortunato degli
uomini, nonché il più immeritevole. Vi amo, non ho mai smesso un
momento di amarvi e mai smetterò. Credetemi, e accettate le mie scuse
insieme con la mia vita, che non ha mai smesso di appartenervi.
La sacerdotessa rise. - Ebbene, non sbagliavo su di te, fanciulla. Ha
ragione, è davvero molto fortunato. - Il cappuccio le era scivolato
via, e guardava Elyan con uno strano brillìo negli occhi azzurri.
Eneuawc si sentì presa in giro: - E se... avessi scelto di... - La sua
voce si affievolì, impedendole di andare avanti.
- Sì, signora, mi avreste ucciso davvero? - rincarò la dose il giovane.
- Che cos'avevate in mente? Chi siete e cosa volete da noi?
Ella rise ancora, più forte, ma sembrava anche tremendamente commossa.
Lacrime tremavano sulle sue ciglia: - No, certo che no. Come avrei
potuto far del male al mio bambino?
Chi era.
Claire di Estangore, l'unica figlia di re Brandegoris, che dalla
nascita era stata consacrata alla Dea, e da essa destinata a concepire
un figlio con il più puro dei cavalieri di Francia.
Che cosa voleva.
La felicità di Elyan, nient'altro. Che era già stata scritta, e aveva
bisogno solo di un piccolo aiuto prima di rivelarsi in tutto il suo
splendore - e che avrebbe avviluppato, riscaldandole, altre vite reduci
da troppa sofferenza, in un mondo completamente nuovo.
La luce del tramonto deponeva toni aranciati sulla pietra rotonda al
centro del tempio, e sui volti dipingeva ombre dello stesso colore.
Eneuawc stava un poco in disparte, immersa in mille dubbi; nemmeno la
rinnovata sicurezza dei propri sentimenti poteva confortarla, né la
vicinanza di Elyan - c'era ancora senso di colpa in lei, troppi
fantasmi, e l'interrogativo più grande...
- Abbandona le tue preoccupazioni, bambina. Tua madre ha molte risorse,
e vincerà. - L'espressione di Claire era di quella serenità che rasenta
la pace totale, le sue dita intrecciate a quelle del figlio ritrovato,
iridi speculari e tanto da raccontarsi. Ma nonostante la fanciulla
ormai vedesse in lei una divinità, capì ben presto che era ben lontana
dall'essere onnipotente.
Accadde allora. Claire allontanò Elyan da sé, con un gesto così
repentino da spaventare entrambi. Si artigliò la testa, lanciando un
grido di dolore. I suoi occhi vedevano qualcos'altro.
PADRE! NO, NO! CHE COSA VI HA
FATTO?
Ascoltava una voce che giungeva da chissà quale luogo, perdeva colore e
avvampava, mentre veniva investita di un'immensa responsabilità. E
sapeva di non poter riuscire da sola.
- Aiutatemi! Devo salvare il ragazzo!
Né lei né Elyan capirono cosa stesse accadendo, ma ugualmente la
fanciulla si avvicinò. Claire scattò ad afferrarla e la forzò a
poggiare i palmi sulla pietra. Le coprì le mani con le sue, premendo
forte, ed Eneuawc vide a sua volta.
Gridò. Faceva male davvero.
- Devi aiutarmi. Puoi. In te c'è una forza più
grande della mia, sentila...
La sentì. Non era facile accettare che fosse parte di sé. Ma doveva agire.
I loro pensieri si toccarono, si fusero, furono una cosa sola.
NON OSARE TOCCARLO, ASSASSINO!
Elyan unì le sue mani alle loro. Anche lui vide, e inorridì; una rabbia
animale lo pervase da capo a piedi. Sotto di loro la terra tremava, la
pietra si era fatta rovente. La sua volontà si protese a lasciarsi
ghermire, e si unì al vorticare della forza, ma sembrava ormai troppo
tardi.
NO! GARANWYN! NO!
Ci
sono fiori
oltre le montagne.
Ma il loro profumo
non arriva fin qui.
- No, no, ragazzo, più allegria! C'è gente giovane stasera, non
avranno voglia di sentire i lamenti di un bue squartato!
Gente giovane? Gentaglia,
piuttosto. Era opinione di Garanwyn che non esistesse più un solo vero
cavaliere in Britannia, e che Brandegoris si circondasse di autentica
feccia, visto che nella sua crescente follia aveva aperto le
porte
del castello a chiunque e faceva sedere alla sua stessa tavola orribili
scarti della
società. Ma si guardava bene dal protestare. Più che altro, gli
importava poco di quella banda di disertori. Finora non era mai stato
maltrattato e qualche battutina nei suoi confronti riusciva almeno a
distrarlo dal suo tormento.
Qualcuno gli aveva dato in mano una coppa di vino e, assetato,
l'aveva vuotato - salve poi pentirsene, perché non aveva mangiato nulla
per tutto il giorno, impegnato a cercare di comporre qualcosa di "più
allegro". Ma forse era meglio così, con la mente annebbiata riusciva a
sopportare il chiasso della sala, i rutti, le risa sguaiate. E
persino i propri pensieri.
Perché viveva?
Cercava di non chiederselo, o di soffermarsi su questo il meno
possibile.
Forse trascinarsi da un giorno all'altro è come suonare, come
rincorrere note che, anche se non formano una vera melodia, portano con
sé una vibrazione che riscalda un poco.
Ed era tutto così tiepido, ora. Aveva sonno. Le palpebre gli si
chiudevano e la testa gli girava forte.
- Bevi ancora un po', ragazzino.
Se avessero saputo la sua vera età, si sarebbero stupiti. Ma a chi
importava?
Una mano ruvida gli accarezzò una guancia, mentre inghiottiva a
forza il liquido. Non era una sensazione piacevole e tentò di alzarsi,
ma quelli gli stavano attorno.
- Peccato che sia un maschietto. Guarda che riccioli.
Il sudore. L'alito. Quei ghigni eccitati. Lo schifo, lo schifo, lo
schifo.
Ecco cosa conteneva la visione, e perché era apparsa a Claire.
Brandegoris aveva protestato, inorridito dalla violenza che si stava
per mettere in atto. Per lui Garanwyn era sacro, era una creatura
angelica, divina. Ne aveva fatto il suo fantoccino per deliziare il
proprio cuore, non certo voglie ormai evaporate da tempo. E per qualche
ingenuo momento credette di poter vietare a quegli uomini, che aveva
accolto come amici e che ora si dimostravano carogne della peggior
specie, di far del male al ragazzo. Era il re o no? Aveva ancora un
brandello di autorità o no?
Non l'aveva più e lo scoprì a sue spese. Il suo mondo, già in
decadenza, si era ristretto oltre ogni immaginazione. Non poté
difendere nemmeno il fragile corpo che conteneva le braci del suo animo.
Il grido d'allarme morì nella gola
della prima guardia. La seconda
arrivò fino al portone, ma un'ascia si conficcò nella sua testa e vi
rimase appeso. Nell'atrio, i passi pesanti dei nuovi arrivati si
lasciarono dietro il corpo grassoccio di una donna e il mugolare di un
cane che si trascinava appresso le budella nel tentativo di seguirli.
Nella sala alcuni erano già mezzi addormentati, altri si
ostinavano a
raccontar facezie, ingigantendole mentre sgranocchiavano gli ultimi
resti di un pasto selvaggio. Sorrisero ebeti all'arrivo dei compagni,
che si guardarono intorno prima di ringuainare le armi grondanti sangue.
- Avete fatto il giro lungo.
- Puoi dirlo forte. Qui cos'abbiamo?
- Il vecchio non vuole che ci divertiamo con il fringuellino.
Chissà da quanto lo teneva in gabbia, ah, ah!
- Uh-oh. Maleducati. - A storcere il naso era stato il meno
repellente del gruppo, dai tratti piuttosto nobili nonostante l'aria
scarmigliata ed il rosso-bruno che imbrattava i suoi vestiti. Ma lo
sguardo, ecco, quello era al di là dell'apparenza... guizzava folle,
s'accendeva e spegneva secondo un criterio stabilito da leggi oscure. -
Lo avete ringraziato? Begli ingrati! Dimmi, maestà, i miei amici ti hanno
ringraziato?
Brandegoris era stato preso a calci e pugni, e boccheggiava sul
pavimento, tentando invano di rialzarsi.
L'altro non ritenne necessario attendere una risposta, serbandosi
il divertimento per dopo, e scostò in malomodo il gruppetto che si
preparava ad abusare del ragazzo. Quando lo vide, i vestiti strappati,
le guance scarlatte e gli occhi dilatati dal terrore, lo strappò dalle
grinfie degli ultimi due che lo tenevano fermo.
- Ci conosciamo bene, noi due, non è vero? E chi l'avrebbe detto?
Lo zoppetto canterino, la fanciullina di Camelot... ora capisco perché
mio padre ha perso la battaglia. Sei stato tu a chiamare i rinforzi,
piccolo scherzo della natura.
Si sentì gelare dentro. La paura di essere stuprato era stata una
cosa da nulla, in confronto.
Aveva davanti Melehan, figlio di Mordred, l'assassino di suo padre.
- Ehi, lasciacelo ancora un po', guastafeste!
Melehan estrasse il pugnale e lo puntò alla gola del compagno. -
Filate. - La sua espressione indemoniata non lasciò spazio ad
esitazioni. Il gruppo si disperse per le stanze del castello, in cerca
di gioielli e denaro e quant'altro.
- Siamo soli, adesso. Ancora mi sembra incredibile, io e te, di
nuovo. Mi sembri sciupato. Hai voglia di ritrovare il tuo grande amore,
penso. - Gli afferrò una ciocca di capelli e la tranciò con la lama,
ridacchiando. - Io però non ho fretta.
Melehan, figlio di Mordred, era
anche l'assassino di Amren... doveva averlo sempre saputo dentro di
sé...
Brandegoris si era trascinato fino a loro, le guance rigate di
lacrime e sangue, e afferrò la tunica di Melehan in un disperato
tentativo di farlo desistere da quel gioco perverso. - Lasciatelo
stare... uccidete me, se vi piace...
Melehan si girò, brandendo il pugnale e affondandolo nella gola
del vecchio. Gorgogliando, questi rovesciò gli occhi all'indietro,
mentre la sua mente urlava quel grido disperato che si udì fino ad
Avalon:
"FIGLIA, FIGLIA MIA, SALVALO! È
LA MIA ULTIMA VOLONTÀ!"
- Mio signore! Mio signore, non
abbandonatemi! - singhiozzò Garanwyn, ritrovando in un istante la voce
e la lucidità. Raccolse ogni briciolo della sua forza, e approfittò
della distrazione del suo aguzzino per sfuggire alla sua presa. Rotolò
di lato, finendo contro il corpo ormai esanime di Brandegoris. Non
poteva fare nulla per lui, ma poteva ancora salvarsi. Fuggire
nuovamente, questa volta senza una meta.
Perché? Perché tutti coloro che
mi amano fanno questa fine? Che significato ho a questo mondo?
Lo sguardo gli cadde sull'elsa della spada del re. Non era nessuno
per appropriarsene, eppure fu quello che fece. Era pesante e ricadde su
un lato mentre l'estraeva dal fodero, ma riuscì a sostenerne il peso e
a mettersi in piedi. Barcollando, e sostenendosi con la gamba buona,
scattò verso la porta: Melehan fece lo stesso, eccitato e divertito
dalla caccia appena iniziata.
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Capitolo 13 *** Faccia a faccia con la Serpe (parte 2) ***
Ci è voluto più tempo di quanto pensassi, ma sono felice di aver
concluso anche questo capitolo. Mi soddisfa e spero che troverete in
queste scene ciò che volevo trasmettere.
Nel caso che non fosse chiaro, la madre di Melehan era la sorella della
regina Ginevra.
E sì, ero stufa di non far fare mai niente a Elyan. Ok, lui rappresenta
il bello inutile, ma fino ad un certo punto XD Ehm, chi indovina quale
sarà l'oggetto magico da recuperare?
Le torce del corridoio erano spente. Strappate dai muri, in verità. E
trovarsi finalmente nell'atrio un poco più illuminato, ad un passo
dalla salvezza, non fu affatto un sollievo: inciampò e si ritrovò
davanti all'orrore. La moglie del siniscalco di Estangore, la donna
che, in tutta la sua vita, più si era
avvicinata alla figura di una madre, che gli aveva guarito le ginocchia
sbucciate e le punture d'ape a buffetti sulle guance e brontolii
affettuosi, stava adesso immersa nel proprio sangue, con la faccia
divisa a metà da un colpo di spada. Garanwyn emise un gemito, uno solo,
prima di rialzarsi e traballare verso il portone. Ma Melehan l'aveva
raggiunto, coprendo l'uscita a braccia tese. Il ghigno non si era
ancora dissolto, come se gli fosse stato dipinto, o scolpito nei
lineamenti. Garanwyn voltò direzione e scomparve nelle tenebre di un
altro corridoio, senza voltarsi a guardare se l'altro avesse
ricominciato a inseguirlo: non ve n'era bisogno, perché udiva i passi e
le grida di scherno avvicinarsi sempre di più.
Sapeva dove stava andando, per fortuna, ma quello che non poteva
prevedere era se sarebbe riuscito a raggiungere l'uscita dalla parte
delle cucine prima che Melehan lo raggiungesse. E sapeva dov'erano i
gradini, ma la spada era pesante e lo sbilanciò facendolo ruzzolare.
Sbatté il viso contro le pietre del pavimento. Gli colava sangue dalla
fronte e dal naso, e la caduta l'aveva stordito quel tanto che bastava
per impedirgli di rimettersi in piedi in tempo utile. E doveva essere
grato di non essersi infilzato da solo con la lama, quella sì che
sarebbe stata una bella scena per il suo nemico.
Ma perché non gli era già addosso?
Perché se ne stava in cima alla scala, senza più ridere?
Almeno in principio, Melehan non aveva nessuna fretta di
raggiungerlo. Come gli succedeva
sempre quando andava a caccia, inseguire la preda lo divertiva molto
più che catturarla. Era stato così anche quando aveva deciso di
uccidere il figlio di Sir Bedivere, per un capriccio orgoglioso che si
era radicato via via nella sua mente fino a diventare lo scopo della
sua esistenza. Quella sensazione era incommensurabile; ciò che precede
l'apice del piacere fisico e lo supera in aspettativa. Ma ad un certo
punto si era
fatto impaziente, ed allora erano ricominciati allucinazioni e ricordi.
Sei nel giusto, figliolo. Qualsiasi
cosa tu faccia, sei mio, non suo.
Sbagli comunque, stai
fermo e taci.
Dio non perdona e non dimentica. Tuo
padre dovrà renderGli conto delle sue azioni.
Non c'è nulla e nessuno
che possa giudicarmi. Se vincerò, avrò avuto ragione.
Quale delle due voci era più forte dentro di lui? Quella di Guinevak o
quella di Mordred? Entrambi erano morti, l'una di angosce e
maltrattamenti, l'altro d'una lancia nel petto. Ma dentro di lui
avevano volontà proprie e più che mai forti, che lottavano per dominare
la sua mente.
I pregiudizi verso i sentimenti altrui.
La chiusura verso i sentimenti in generale.
L'incapacità di perdonare.
Il desiderio di essere perdonato.
Il terrore del giudizio divino.
Il terrore del giudizio di suo padre.
Il desiderio che suo padre fosse sconfitto e umiliato.
La sensazione d'inutilità estrema e convulsa, il cercare, nelle
creature più deboli o diverse, vittime che appagassero la sua coscienza
distorta.
Ma non era distorta anche la sua visuale del mondo? Era forse per
questo che le pareti, ora, mentre correva parevano allontanarsi? E il
soffitto raggiungere il cielo? E gli angoli schiacciarsi e dilatarsi?
Correva sul soffice nulla, e adesso su pietre infuocate, e adesso nel
fango verdastro, e poi ancora tra le fronde spinose di improbabili
arbusti, ed era tutto assolutamente plausibile. Lo accettava così come
non aveva mai trovato nulla di strano nella nenia che lo cullava ogni
notte. Cosa importava se il castello di Estangore si era trasformato in
qualcos'altro? Qualunque cosa avesse a patire ora, tenere quel
fringuellino in pugno, sentire le ossa della sua gola scricchiolare
sotto le dita, ah, sarebbe stata una ricompensa senza pari. Perciò
andava avanti, avanti, avanti.
E dopo?
Non ci sarebbe stato un dopo, comunque. Non se esisteva un ordine
nell'universo.
Tornarono i muri, le dorature, i pavimenti e le porte. Ma ancora non
erano a misura d'uomo, ancora sentiva i propri passi affondare in una
materia che non era terrena.
Come avrete compreso, era la magia di Avalon ad alterare così
stranamente le sue percezioni. Claire aveva il potere di creare le
illusioni, ma non sarebbe riuscita a mantenerle a lungo, né a renderle
credibili al pari della realtà, senza l'aiuto di Eneuawc. La parentela,
per quanto detestata, tra la fanciulla e l'assassino tenne aperto il
contatto tra i due mondi, penetrando in profondità nella mente di
quest'ultimo. Elyan, infine, aggiunse la forza di volontà che solo dal
suo cuore poteva scaturire: il desiderio di salvare a tutti i costi
l'amico della sua infanzia.
Melehan si fermò sull'orlo dell'abisso. Garanwyn era là in fondo, che
lo sfidava a raggiungerlo,
(in fondo a quei tre gradini di pietra, sanguinante e stupefatto)
ed era una cosa deforme da schiacciare, schiacciare, schiacciare. Tutto
il mondo era deforme e inutile...
Nella sua testa rimbombava una marcia di soldati. Schiere e schiere
stavano per circondarlo. Li indovinava, li sentiva stringerglisi
attorno, ma quando si voltò la scena era cambiata ancora-
Mille candele accese. La calda luce misericordiosa. Era in una cappella
dall'altare immenso, e una croce d'oro e rubini, ma soprattutto luce,
luce da respirare. Avanzò istupidito verso la donna china in preghiera
davanti all'altare. Anche lei era d'oro. Le chiome bionde risplendevano
di vita, le mani giunte erano candide e delicate. In silenzio lo
chiamava, lo invitava ad inginocchiarsi accanto a lei. Per Melehan fu
come tornare bambino - le sorrise trasognato, strinse quelle mani belle
e odorose di fiori e se le portò alle labbra.
- Non voltare le spalle al Signore, bambino mio - lo ammonì lei. - La
sua voce pareva giungere dalle profondità di caverne infestate di
spettri. Guinevak, figlia di Leodegrance, smise di brillare e mostrò il
suo vero volto, quello del terrore. Si spense davanti ai suoi occhi
così come le era successo in vita, trascinando nella fede gli ultimi
resti della sua capacità di amare, prima che Mordred la distruggesse
completamente. I capelli persero lucentezza fino a rassomigliare a
ragnatele, il volto si fece grigiastro e incavato, le mani che baciava
erano quelle di uno scheletro. Sussultò, cadendo all'indietro. Aveva
visto in quella faccia ben più che la sembianza di sua madre; tutti
coloro che lui, Melou e suo padre avevano ucciso, violentato o anche
solo insultato - erano tutti là, lo avevano fissato nel medesimo
istante!
Ma ora non c'era più nessuno. Di qualunque stregoneria si trattasse,
era finita.
Anche la stanza si era spenta, rivelandosi nel grigiore per ciò che era
davvero: un luogo sconsacrato, abbandonato da molto tempo. Solo un
segno sul muro rivelava che un tempo vi era stato appeso un crocefisso,
e la polvere copriva ogni cosa. L'odore di muffa penetrava nei polmoni,
scuoteva lo stomaco in una morsa viscida.
Ed era solo.
Forse.
I cavalieri di Cornovaglia non si trovarono di fronte a un bello
spettacolo. Ma un paio di dozzine di morti non erano nulla in confronto
allo scempio di Camlann, a ben guardare; e anche se avessero avuto
qualche titubanza, non potevano comunque disobbedire agli ordini.
Trovarono alcuni di quei balordi mentre caricavano i cavalli di monete,
gemme e coppe preziose; altri nell'armeria, altri ancora a ronfare in
qualche angolo, dopo aver vomitato le ultime porzioni del banchetto.
Finirono tutti in catene, mentre Sir Constantine malediceva se stesso
per essere arrivato troppo tardi.
- Non avete nulla da rimproverarvi, signore - gli dissero - È già molto
aver seguito le loro tracce in tempo per acciuffarli...
- In tempo? Non ha già fatto troppo, quell'essere diabolico? E perché
non l'avete trovato? Non m'interessa dei pesci piccoli, io voglio lui!
Trovate Sir Melehan!
Ma il destino volle che, prima che potesse fare o dire altro, uno dei
prigionieri si decidesse a parlare.
- L'abbiamo lasciato con il fringuellino. Il ragazzo, quello che
cantava.
Diceva che avevano un conto in sospeso, forse una bega dei tempi di
Camelot. Noi volevamo solo divertirci...
I tempi di Camelot, quasi si
trattasse di una leggenda dimenticata, pensò Constantine con un
brivido.
- Farai meglio a dirmi dov'è adesso. - Afferrò l'uomo per i capelli
unti e gli alitò in faccia: - Se non mi porti da Sir Melehan, ti farò
pentire di aver deciso di seguirlo per monti e valli - e il suo
cipiglio era un piccolo assaggio del re che sarebbe diventato. Quello
si spaventò, ma per davvero non sapeva di più.
- Avete trovato un ragazzino? - chiese Constantine ai suoi uomini,
imbarazzato dalla sua stessa domanda; ma no, non c'erano persone
giovani tra i cadaveri ritrovati fino ad allora. Era una corte in
disfacimento, una corte di vecchi.
Poi una porta cigolò.
"Perché ha smesso di inseguirmi?" si era chiesto Garanwyn, quando
Melehan aveva smesso di fissarlo dall'alto di quei tre gradini
(dalla soglia dell'abisso)
e aveva seguito una visione dall'altro lato del corridoio.
- Perché è pazzo - mormorò a se stesso, convinto ma non soddisfatto.
Malvagio o folle, cosa vi era di diverso? Che le sue azioni facessero
parte di un astuto piano o scaturissero dall'insensatezza assoluta,
faceva forse differenza? Provare compassione avrebbe riportato in vita
suo padre o... o Amren?
"Che venga. Che venga a farmi fuori, adesso. Non scapperò più."
Aveva sulle labbra il calore e il sapore del sangue che gli colava dal
naso, e forse anche dalla fronte. Sapore di ferro. Ed era di ferro
anche quella spada, e sapeva usarla quanto bastava per morire con
dignità, non come un pulcino annegato in mezza spanna d'acqua.
"Non scapperò più... io... combatterò."
Ma i ruoli si erano ormai invertiti, e mentre la sua determinazione
cresceva la furia del suo nemico si era trasformata in un vivo terrore.
La visione di Lady Guinevak era sparita, ed era giunto il turno di Sir
Mordred.
Sentiva la sua presenza dietro di sé, e quando si voltava c'era solo il
buio. E bisbigliava, con una voce amara di delusione, ma poi tornava il
silenzio. Quando finì per convincersi che si trattava semplicemente di
un'altra allucinazione, qualcosa gli artigliò la nuca tirandolo
all'indietro. Spalancò la bocca, mentre la mano gli correva al
pugnale... e si fermava.
Non andrai da lei in Paradiso. E nemmeno ti
conviene raggiungermi
all'Inferno. Resta vivo finché riesci, perché non puoi immaginare come
ti accoglierò.
Quella minaccia gli causò uno scoppio d'ilarità, e tanto forte da non
accorgersi quando la stretta si dissolse. Si sentì rinascere; la
lotta con suo padre non era finita, dopotutto, e c'era un solo modo per
continuarla.
Il suo spirito di
contraddizione lo spingeva verso la morte, quindi - ma era pur sempre
un vile. E poi non riusciva a pensare al suicidio là, dove si trovava:
poiché la luce era tornata. La croce dorata era di nuovo al suo posto e
così l'altare splendente. Solo, dalla porta aperta entrava la nebbia,
come fumo soffocante, come tenebra grigia. Voleva chiuderla, perché la
luce non si sporcasse... ma da quella nebbia vide emergere una figura.
- Hai smesso di inseguirmi, assassino? Qualcosa di più interessante ha
catturato la tua attenzione?
Era una domanda retorica, quella di Garanwyn, perché non c'era davvero
nulla di interessante in quella stanza, solo polvere e panche di legno
ammuffite.
Melehan guardò la spada che l'altro reggeva tra le mani. - Non qui -
disse, - Non è proprio possibile...
- Forse che tu hai concesso a mio padre di stabilire il momento e il
luogo? Forse che l'hai concesso ad... Amren? Lurido diavolo, sarà qui,
sarà ORA! - Il viso sporco di sangue e lacrime, gli occhi chiari fissi
nei suoi, brandiva l'arma come questa non avesse più peso. - Basta!
Basta! Basta!
Colpì una volta, due, dieci. Melehan arretrò contro il muro. Gli ultimi
affondi erano andati talmente in profondità da scalfire la pietra.
- Sei maledetto - boccheggiò il ferito. Un fiotto di sangue gli sgorgò
dalla bocca, e altro ancora gli andava inzuppando gli abiti e la cotta
di maglia. - Non capisci? Hai profanato un luogo sacro.
Garanwyn non vedeva ciò che lui vedeva, ovviamente:
- La sua vita era sacra per
me. Vigliacco! Lui ti sfidò lealmente, ma tu sapevi di non poterlo
battere...
- Era troppo presto. Mio padre doveva avere ancora... fiducia... dovevo
distruggerlo! Sorprenderlo! Essere degno ai suoi occhi e poi
colpirlo... alle spalle.
Garanwyn non gli chiese nulla. Non gli importava delle sue beghe
familiari. A dirla tutta, non sentiva nemmeno la necessità impellente
di finirlo. Esitò, stupefatto delle sensazioni che la vista di
quell'agonia gli suscitava. Sensazioni intense: e non tutte sgradevoli.
- Sei maledetto comunque: concludi... quel che hai cominciato - implorò
Melehan. - Sarai tu a seguire mio padre all'inferno... dopotutto...
- Finirò quel che tu hai
cominciato - rispose Garanwyn.
- No! - gridò una voce. - Tocca a me! Spostati, ragazzo, ho giurato di
ucciderlo e non fallirò!
La stanza si era riempita di soldati, e colui che aveva parlato pareva
il più nobile di tutti loro. Ma Garanwyn non si scostò per lasciarlo
passare, e per l'ultima volta trafisse il suo nemico con la spada di re
Brandegoris. Poi, come se di colpo ne sentisse di nuovo la pesantezza,
e la più lacerante stanchezza nelle membra, l'abbandonò a terra e
scivolò in ginocchio.
L'uomo dal nobile aspetto ordinò ai soldati di seppellire il cadavere
insieme agli altri trovati nel castello, ma non prima di avergli
strappato tutti gli oggetti che portava indosso e che lo
identificavano. Sembrava avere la ferma intenzione di prendersi il
merito della sconfitta di Sir Melehan, ma di ciò Garanwyn non
desiderava preoccuparsi. Solo, quando gli vide estrarre il pugnale
dalla cintura del morto, sussurrò: - Fate attenzione, potrebbe essere
avvelenato...
Fu questa frase, insieme alla consapevolezza che la promessa fatta al
giovane Conn era piccola cosa rispetto al rancore che quel ragazzo
doveva aver provato per il figlio di Mordred, a fargli considerare
l'accaduto
sotto la giusta luce: si era comportato da irresponsabile, abbandonando
re Arthur; e per questo non aveva meritato nemmeno l'onore di
vendicarlo.
Garanwyn si abbandonò tra le sue braccia come un bambino, e Constantine
non lo respinse. Per un istante si era smarrito, aveva creduto di poter
allontanare da sé la responsabilità che, come ultimo parente in vita
del re, gli sarebbero piombate sul capo, ma ora si rendeva conto che
c'era ancora speranza per la Britannia, una tenue ma invitante
speranza. Strinse a sé
quel corpo scosso dai singhiozzi, senza badare al sangue che lo
imbrattava. Percepì l'angoscia di quell'innocenza perduta per sempre e
formulò un nuovo giuramento, certo questa volta di mantenerlo.
"Sarai il primo cavaliere del mio regno, piccolo eroe".
I suoi occhi si posarono sul segno a forma di croce impresso nel muro.
Iniziò a pregare.
- Oh madre, madre, come vi potrò mai ringraziare?
Elyan si era esaltato fin troppo nel partecipare alla magia che aveva
salvato Garanwyn. Pur tornato alla realtà, aveva dimenticato che tutto
ha un prezzo, ed che era così in quel mondo come nel suo.
L'aveva dimenticato perché quando ci si sente liberi non si pensa che
non esiste libertà senza appartenenza; non esiste amore senza rispetto;
e ciò che si chiede alle divinità va restituito, a volte con gli
interessi.
- Segui il tuo destino, senza
dubitare né esitare. Ti sembrerà che il fiato ti manchi, perché ciò che
ti attende è più grande di quanto un uomo comune possa concepire, ma tu
non sarai un uomo comune.
Elyan ascoltò. Vi erano tre imprese nel suo futuro, ed erano cosa
diversa dall'uccidere un drago o affrontare un esercito nemico, ma
ugualmente gli sembrarono ardue e dolorose da affrontare. Perché si
trattava di prendere la sua volontà, i suoi desideri più urgenti, e
scagliarli lontano da sé. Aveva creduto di essere diventato adulto il
giorno della sua
investitura, ma si era sbagliato di grosso. Nessuno diventava uomo a
Camelot. Era il mondo a crescere i cavalieri, a temprarli, a far
conoscere loro i propri limiti e superarli. Era adesso, il momento di crescere - ma
quanto male faceva!
-
Innanzitutto devi tornare da Sir Bors, e concedergli il tuo rispetto.
Questo ti porterà a rivedere una persona che ti sei lasciato indietro,
e a compiere la tua seconda missione: riportare qui un oggetto di
grande potere, ch'ella custodisce. Non è stato forgiato per dimorare
fuori dalla Britannia, e la sua lontananza indebolisce... l'equilibrio
delle cose.
- Troverò ciò che volete, ma no, non potete chiedermi di rappacificarmi
con mio padre, a
che servirebbe? Se sono tanto importante come dite, perché dovrei
curarmi di lui? Mi ha sempre e solo usato. Mi ha sempre disprezzato,
perché disprezzava voi.
Claire corrugò la fronte: - Elyan! Credi forse ch'io l'abbia scelto
per caso, o per il suo bell'aspetto, o per capriccio? La Dea mi ha
mandata da lui. Lui doveva generarti, e nessun altro. L'unione della
stirpe di Avalon con il sangue reale di Francia...
Non sono un errore. Non lo sono mai
stato.
Elyan abbozzò un sorriso, che era solo una pallida immagine delle
emozioni che provava, e la madre lo ricambiò, ma subito tornò seria
e riprese a parlare. - La terza cosa sarà ancora meno facile, ma so
che sarai abbastanza forte da comprenderla e da saper attendere.
- Attendere? Che dovrei attendere?
- Ebbene, hai intenzione di sposare Eneuawc, non è vero?
Lui assentì, con un brillìo negli occhi, lanciando uno sguardo verso la
fanciulla che dormiva poco distante.
- Ma, spero, ti rendi conto ch'ella appartiene ancora ai suoi genitori,
e non potrai farlo senza il loro consenso.
- Ma ciò non è solo difficile, è impossibile! No, non capite... -
abbassò la voce. - Non mi perdoneranno mai! Una volta sono stato
costretto ad abbandonarla, e già da allora non vogliono più sentir
parlare di me; ma ciò che è accaduto a Camelot, il ruolo che ho avuto
nel tragico salvataggio della regina... oh, io non la merito! Non la
merito affatto!
- Questo è il passato. Non v'è differenza, nel compiersi
del destino, tra agire in modo stolto
e cimentarsi in buone azioni che poi andranno sprecate. La regina
Ginevra è stata infedele, ma non in quanto adultera; il suo tradimento
è stato non scegliere l'Amore. Se fosse stata costante nel suo
sentimento per Sir Lancelot, se non avesse lasciato che il senso di
colpa lo soffocasse fino a trasformarlo nello spettro di un sentimento,
sì, tutte le guerre del mondo avrebbero avuto giustificazione! Perciò
non fare il suo errore, Elyan. Non chiudere il tuo cuore e prendi ciò
che è tuo, ma al tempo e nel modo in cui sarà pronto per essere colto.
Elyan rimase colpito da quel punto di vista così differente dalla
morale comune. Stava scoprendo molte sfumature di se stesso quella
notte, nelle parole di quella donna misteriosa e quasi irreale - tanto
che aveva l'istinto di allungare il braccio e toccarla, per assicurarsi
che non fosse un sogno. Sì, avrebbe fatto tutto ciò che gli
chiedeva. Si fidava di lei: meravigliosamente ella era sua madre, e
sotto la luna di Avalon, quella luce magica che rendeva possibile anche
l'impossibile, questo bastava.
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Capitolo 14 *** Fili aggrovigliati ***
E, boh, a volte mi sfido ad usare il tempo presente.
Grazie di esistere. Sì, tu.
Arrivano! Arrivano! Signore santo, Ti ringrazio... sono
arrivati!
Alla disperata ricerca di uno straccio per ripulirsi le
mani sporche d'inchiostro, Conn rischia di inciampare in più
d'uno sgabello. I conti vanno rifatti, ci si è messo d'impegno
ma non quadra nulla. Come ha fatto suo padre a svolgere tutto quel
lavoro per tanti anni e senza mai commettere errori?
Naturalmente
non gli passa nemmeno per la testa che di sbagli ne commettiamo
tutti, e che nessuno si accorgerà mai se in un villaggio due o
tre persone non hanno pagato le tasse o se qualche contadino si è
messo da parte più del consentito. Che ci volete fare? Ha
appena compiuto i quindici anni, e senza nemmeno accorgersene,
impegnato com'è. Non ha tempo per guardarsi in uno specchio
più di quanto ne abbia avuto occasione in guerra. Non sa
quanto le sue spalle si siano allargate, perché ci pensa sua
madre ad aggiustargli, nottetempo, gli abiti; né si cura della
barba che gli va spuntando, seppur morbida e rada. Quando una delle sue
sorelle glielo
fa notare per scherno, il suo primo pensiero è che, al suo
ritorno, Lady Clarissant non avrà più motivo di
rattristarsi della sua rassomiglianza con Amren, e se la lascia
crescere.
Non avrebbe ragione di preoccuparsi di non essere
all'altezza dei suoi compiti, poiché non v'è gente
meschina o approfittatrice a Lindsey. Sir Griflet si è sempre
saputo far amare e rispettare allo stesso tempo, e per fortuna anche
le virtù dei padri ricadono sui figli. In questo caso sui
figli maschi, in quanto le due giovani possiedono ben pochi
pregi.
Bene. Ha svolto al meglio che poteva le incombenze
affidategli e ora può tornare ad essere ciò che è
davvero, il bastardello di casa: e non ammetterebbe mai di provarne
dispiacere. Si strofina le mani alla bell'e meglio, scende di corsa
le scale ed esce nella corte interna, dove due servi stanno già
aprendo il portone. Ancora un po' abbagliato dal sole, gli pare di
vedere una nuvola rossa a cavallo, ma qualche istante dopo gli è
chiaro che si tratta di madamigella Eneuawc.
- Conn... - Fa per
aiutarla a smontare, ma ella lo respinge. - Fai preparare un bagno
caldo e un pranzo leggero. Le stanze di mio padre sono in ordine,
spero.
- N-naturalmente, vi attendevamo. - Non si offende per il
contegno frettoloso della cugina, comprende la situazione; nemmeno si
aspettava dimostrazioni d'affetto o ringraziamenti. Non è mai
stato una persona egoista e non comincerà ad esserlo proprio
ora. Si rallegra, invece, quando vede arrivare il carro e questa
volta gli occupanti gli lasciano dare una mano.
L'ultima
volta che
ha visto Sir Bedivere, cioè quando ha visitato l'eremo insieme
a Constantine di Cornovaglia, ha letto nei suoi occhi lo smarrimento
e il dolore di un animo schiantato. Ma ora può constatare come
quella disperazione abbia lasciato i segni anche sul fisico. Le
cicatrici della battaglia non sono che bazzecole, davvero, rispetto
al resto: il digiuno prolungato l'ha smagrito all'inverosimile, e i
capelli che ricordava brizzolati sono diventati bianchi come il cielo
d'inverno. Ciò che lo colpisce maggiormente, però, è
l'espressione di inconsapevolezza quasi assoluta. Invano cerca di
farsi riconoscere, e Lady Clarissant - quella bella, forte donna che
è riuscita a riportare a casa il suo amato, ma è consapevole ch'egli ha
lasciato su quel campo di battaglia molto più di uno scudo spezzato -
scuote la testa.
Di nuovo, Conn capisce che solo lei può aiutare il marito a
ritornare alla vita.
Carezze.
Lunghe, disperate carezze.
Baci che sfiorano la
pelle con la paura di sentirla dura e gelida come roccia.
Afferra
la sua mano e se la tiene sul seno, a riscaldarla; poi la costringe a
ripassarle il viso come un libro dimenticato.
Ma no, non ha
dimenticato: al contrario, ricorda troppo, e dentro di lui qualcosa
urla senza tregua.
- Glastonbury si era fatta... come dire? Affollata. - Eneuawc
parla
di quando si era riunita ai suoi genitori, e aveva
incontrato i cavalieri di Francia decisi a vivere in penitenza. - Mia
madre guardava Sir Lancelot con certi occhi... e
anch'io, s'intende. Ma pare sinceramente pentito, non ha senso
continuare ad odiare.
Gli occhi di Conn luccicano. Non è ancora pronto per sentir parlare
dell'assassino di suo padre in termini benevoli, ma finge di
comprendere e accettare tutto. - Certo, vostra madre è molto saggia. -
Sorride. Da qualche parte dovrà pur cominciare.
- Anche la tua; so che si è dovuta accollare molte responsabilità in
queste settimane ed entrambi siete stati davvero preziosi - risponde la
cugina, ricambiando il sorriso. Gli sembra cambiata, sebbene non sappia
dire come; c'è un'energia nuova nel suo sguardo di giovane donna, che
trascende ogni difficoltà o dispiacere.
Certamente non se ne stupirebbe tanto, se sapesse tutto ciò che le è
accaduto sull'isola di Avalon - come ha sentito la magia che scorre
nelle sue vene prendere forma e giungere
lontano, come ha ritrovato Elyan e i suoi sentimenti per lui, come ha
compreso il
suo ruolo nel dipanarsi degli eventi. Nessuna sorpresa, davvero, se
sembra un'altra persona.
Si può però immaginare che presto perderà quell'aura luminosa. Si era
illusa che rivedere Lindsey avrebbe giovato a suo padre, ma non riesce
a intravedere alcun miglioramento. Inizierà a struggersi per lui,
piangendo quel suo silenzio che lo annega come un'alta marea perenne -
poiché è l'unico uomo ch'ella ami più di Elyan.
Di
Elyan, comunque, alla fine lei parla, con divertita speranza e un
pizzico di giocosa disapprovazione. - Credeva che sarei fuggita con lui
e ci saremmo sposati di nascosto! Come mi conosce poco!
- Quale superbia sfoggia questo vostro fidanzato! Come ha osato
proporvelo?
- Forse gli ho dimostrato fin troppo quanto ancora tenga a lui -
ammette Eneuawc - e pensa che abbiamo perso troppo tempo. Non sono più
così giovane, in effetti; ma credo ancora che dobbiamo fare le cose per
bene. Sua madre gli ha affidato una missione, e quando l'avrà portata a
termine, tornerà a chiedere la mia mano.
Si aspetta che Conn le risponda "Ebbene, sono curioso di conoscerlo" ma
ciò non avviene. Sarebbe ben strano, riflette poi, in quanto Elyan è
pur sempre parente di Sir Lancelot...
- D'altra parte, se non dovesse tornare affatto... - sospira - sono a
casa, e ho ancora una famiglia.
Spade di legno, bastoni, vecchie
armature di cuoio.
Guardate
com'è levigata questa impugnatura. E questa. Com'è
tutto consunto e logoro. Generazioni di uomini si sono allenati con
questi attrezzi. Sole o pioggia, per anni, fino al giorno in cui un
tocco sulla spalla e una formula antica li proclamavano degni di
possedere armi autenticamente letali e diventare leggenda. Ma un uomo
diventa leggenda solo dopo una morte atroce.
Corneus. Cardol.
Griflet. Amren. Lucan.
Ognuno di loro con un "perché?"
sulle labbra, un guizzo di sorpresa negli occhi, un rimpianto
strozzato nell'ultimo respiro.
Per Bedivere questa stanza racchiude
tutte le speranze della sua
famiglia. Speranze coltivate con passione ed orgoglio, ma soprattutto
con amore, e spezzate una dopo l'altra.
Qui trascorre di
nascosto le notti, si culla nell'odore di polvere e nostalgia; mentre
le sue ferite fisiche guariscono del tutto, quelle dell'anima si
riaprono e vanno in suppurazione. Accoccolato sulla terra battuta,
tossisce fuori i ricordi,
abbracciandosi le ginocchia come un bimbo non ancora
nato.
Qui
l'immagine di suo padre è scolpita nell'età
più vigorosa, quando era il suo unico eroe. E Griflet riappare
nelle vesti del giovanotto dinoccolato e ansioso di fare a pezzi i
Sassoni per dimostrare di non essere soltanto un mediocre "frutto
del ramo cadetto". In quel delirio, che non segue lo scorrere del tempo
ma il pulsare delle emozioni, Lucan e Amren sono come una persona sola,
un
brillìo incantato di pupille nere che pende dalle sue parole,
sopracciglia concentrate nel seguire le istruzioni mentre mani ancora
morbide e infantili stringono il legno.
"Diventerò forte come voi?"
"Anche
di più, ne sono sicuro..."
"Cosa vuol
dire tradimento?"
"Quando qualcuno di cui ti fidi
ti fa del male"
"Io non farò mai del male.
Voglio proteggere tutti."
"Siete pronti. Il
giorno è arrivato. Sarò fiero di voi,
sempre."
Clarissant si sveglia perché
sente freddo. O ha sognato di sentirlo, che è la stessa cosa:
o forse è peggio. Perché il caminetto si è spento da poco, le
braci luccicano ancora, e nella camera aleggia un tepore
rassicurante. Perciò quel brivido... deve trattarsi di un
presentimento. Si riveste con il cuore che accelera man mano
che i pensieri si accumulano a formare una sfera di timore pulsante
nella mente. I suoi passi si affrettano lievi a raggiungere le
stanze di suo marito, altrettanto tiepide ed accoglienti. Ma il letto è
vuoto, il silenzio incombe anche là. La paura diventa
panico. Corre per i corridoi, senza più curarsi di disturbare
gli altri occupanti del castello, anzi gridando e scuotendoli dal
sonno di proposito.
Si
setaccia ogni angolo, si interrogano le
guardie. Il signore non può essersi allontanato, è
ancora nel castello. Clarissant non sa che pensare, ordina di
controllare anche nei luoghi più impensabili: e finalmente un
servo nota una luce provenire da un locale adiacente all'armeria.
Clarissant non ha più bisogno di nessuno, sa che quella luce è la sua
meta, il filo che li lega si è solo un poco aggrovigliato, ma è
riuscita a ritrovarlo. Come quando è partita per Glastonbury, come farà
in mille altre vite, lo ha ritrovato. Eccolo, infine, la crisi è
rientrata, la notte è ancora lunga, è il momento di sciogliere la
lingua e condividere anche l'indicibile.
- Per quanto gravi fossero le mie ferite, e prolungati i miei
digiuni, in breve capii che non avrebbero strappato l'anima da questo
corpo, e ne piansi. Raddoppiai le penitenze, ma non mi sentii
purificato né seppi espiare la mia colpa con autentica abnegazione.
Poiché questo dolore era ed è tanto grande da oltrepassare persino
l'amor di Dio! E i miei peccati resteranno impuniti sino al Suo
Giudizio... e vivo, come se mai meritassi questa pace...
- Ma di quali peccati parlate? Cos'avreste fatto di così
imperdonabile? Io non vi crederò mai capace di azioni malvagie: oso
affermare di conoscervi.
Egli è certo del contrario; ha più volte indugiato di fronte al
comando di disfarsi di Excalibur, e si considera un traditore, un avido
e un presuntuoso. È ossessionato dall'idea che il suo re abbia
compreso, in punto di morte, come non potesse fidarsi di lui in alcun
modo, e di essere davvero solo, alla fine, solo nella sua terra, la sua
autorità, la sua dignità insudiciate dai nemici e dagli amici insieme...
Clarissant gli prende il viso tra le mani, con dolce fermezza:
- No!
Non vi ascolterò! Non era l'avidità a spingervi. Speravate che un
giorno qualcuno potesse impugnarla con lo stesso pieno diritto. E
perché non voi? Davvero credete che sia la nobiltà del sangue l'unica
ragione per cui un uomo sale al trono, ed un altro lavora i campi? Amor
mio, è il destino. La vita lo decide, e potete chiamarla Dio, puoi
chiamarla Dea o Sole o con qualche oscuro nome. Fa lo stesso. Non
datevi colpe inesistenti.
- Io... non sono stato capace di riportarlo indietro...
Non parla più di Arthur, adesso; le sue parole traboccano di
rimpianto per il figlio perduto. Sembra stupito che Clarissant non gli
rimproveri di essere sopravvissuto, e invece rinnovi ad ogni istante la
sua promessa con gli sguardi, con le parole, con ogni mezzo possibile.
In fondo, è solo per ripagarla di tanta devozione che ha deciso di dar
voce a tutti i pensieri finora inespressi.
Ma non sarà oggi che rivelerà cos'è davvero accaduto su quella collina
a seguito del gesto infame di Melehan.
Mordred non voleva combattere quel
giorno. Sapeva di non poter vincere, non senza perdere l'intero
esercito... E
come s'avvide del folle assassinio, si lanciò contro Melehan per
strangolarlo con le mani nude. Melou, allarmato, tentò di dividerli, ma
nel farlo, d'istinto, sguainò la spada...
Ci sarà tempo anche per i discorsi ufficiali, per ristabilire
verità e colpe alla presenza dell'erede dei Pendragon
(il Grande Assente delle barzellette di corte)
ed accordargli, forse, una sprezzante ed ipocrita fiducia.
Ma
non ora, non qui. Non è più il maresciallo del regno, il prudente e
raffinato stratega, il consigliere dalla mente salda. Ha già dato al
sogno della nazione quanto basta per distruggere un uomo più forte di
lui. Non gli si può più chiedere nulla, davvero.
- E dire che credevo di sapere cosa significasse perdere una parte di
me
stesso. Non era più come a Badon Hill, non stavamo difendendo
le nostre case, la nostra terra. Si trattava di pensare in grande,
vostro zio sapeva di poter osare: l'Europa doveva essere nostra. Così
sconfiggemmo l'esercito romano, e ognuno di noi ebbe per ricompensa
quel pezzetto di mondo. Il mio si chiamava Neustria, una lingua di
terra affacciata sullo Stretto. Un nome, solo un
nome che nemmeno so pronunciare... Come tutti, ero pronto a morire in
battaglia, ma non a restare invalido. Eppure imparai, mi reinventai,
trovai un
espediente per imbracciare lo scudo e non lasciar pensare a nessuno
che sarebbe stato poco leale sfidarmi ad un torneo. Ma una donna non
è come uno scudo, ci vogliono due mani per tenerla
stretta...
- Eppure mi avete amato.
Non è una domanda. Non c'è rocca più salda del loro legame, non c'è
fede consolatrice che regga il paragone.
- Vi amo ancora - azzarda lui, mentre il carico di anni e di dolore
torna, beffardo, a punzecchiarlo, a farlo sentire ridicolo.
Lei
strofina la testa contro il suo petto, incredibilmente tiepida e reale,
gli accarezza i fianchi. La torcia crepita, sta per spegnersi. - Mi
tenete.
- Vi tengo... - E la tiene davvero, mentre il buio li avvolge,
stringendola a sé e balbettando il suo nome, che sembra rischiarare
tutto e non solo per il suo significato... comprende che c'è
ancora qualcosa per cui vivere e non è più una bestemmia pensarlo, metà
di quella gioia continua a risplendere.
Qualcuno ancora lo chiama padre.
Qualcuno ancora lo chiama signore.
Qualcuno ancora lo chiama amore.
Si cercano, nel profondo di quelle tenebre, e si ritrovano. Le loro
lacrime si sfiorano. In ogni senso e in ogni modo, sono di nuovo
davvero insieme.
Fino a pochi istanti prima aveva avuto sopra di sé il cielo
eternamente blu di Avalon, ma a Glastonbury pioveva. Si tirò il
mantello sul capo, anche se ormai era completamente inzuppato, e corse
sulla strada verso il monastero. Il pensiero di approfittare
dell'ospitalità dei monaci non lo metteva del tutto a suo agio, dopo
quanto aveva vissuto sull'isola, ma gli sembrò una prospettiva meno
ingrata rispetto al
morire miseramente di polmonite, considerate le belle speranze che
nutriva per il proprio futuro. Sir Bors si trovava là, così come Sir
Lancelot - tornato a mani vuote da quella fuga d'amore - e pochi altri
nobili di Francia; comprese che non era sua intenzione vendicare Lionel
combattendo contro le truppe ribelli che stavano riducendo Londra allo
stremo, ma se ne sarebbe rimasto per un po' a pregare e aspettare
chissà quale dono dal Cielo. Aveva rispedito i soldati sul Continente e
vestito l'abito di penitenza insieme al cugino.
Nonostante queste sue scelte lo indispettissero, fu difficile sostenere
il suo sguardo, specialmente quando si accorse ch'egli era pronto a
ritrattare le parole dure che gli aveva rivolto. Era stato ingiusto nei
suoi confronti, non aveva mostrato misericordia:
- Ho pregato di poterti rivedere, di poterti chiedere perdono. Non hai
nessuna colpa, in fondo, se tua madre è una strega; e non smetto di
sperare che un giorno la Vera Fede riesca a trovare la strada del tuo
cuore...
No, no, no! Strinse i denti, ripetendo a se stesso di ignorare i limiti
del genitore. Non gli avrebbe detto di avere conosciuto sua madre e di
aver praticato la magia, naturalmente: avrebbe peggiorato la
situazione, e non voleva istigarlo ad ulteriori prediche o peggio
procurargli un serio malore.
Non scelgo, come voi, di rinchiudermi
tra preghiere e lamenti, voglio affrontare la vita.
Guardandosi attorno, però, mentre gli veniva servito un pasto caldo e i
suoi vestiti si asciugavano accanto al focolare, gli fu più facile
comprendere la sua scelta di restare accanto a Sir Lancelot in quel
difficile frangente, e il desiderio di pace, di approvazione da parte
di un'Entità onnipotente a cui affidare la propria esistenza. Forse che
lui stesso non aveva accettato di salvare Garanwyn per mezzo di un
incantesimo? Quale differenza c'era tra magia e miracolo, in fondo? No,
non disprezzava la Fede autentica, la coerenza, la coscienza; tutto
questo aveva valore per lui: erano il bigottismo e l'ipocrisia che
aveva sempre disprezzato, ciò che ci separa dal mondo anziché aprirci
ad esso. Ora scopriva che persino un bigotto ipocrita ha dei
sentimenti, per quanto distorti e incomprensibili.
- Così sia, padre, vi ringrazio. - Non sorrise, non si inchinò.
Restarono in silenzio per un poco, ascoltando il crepitare delle fiamme
e la pioggia che continuava a cadere. Poi Sir Bors ruppe il silenzio:
- Sono preoccupato per Lady Juliana, le tristi notizie devono averla
già raggiunta. Sarei così sollevato se tornassi a controllare come sta
la nostra gente.
Elyan ebbe un sussulto. Era dunque in quella direzione che sua madre
aveva inteso spingerlo: l'oggetto che doveva recuperare si trovava in
Francia, forse proprio a Benwick. Doveva lasciarsi guidare da quella
traccia, accettare ogni suggerimento del destino.
- Partirò non appena possibile, non dubitate. Sono in ansia anch'io, lo
sapete bene.
Quello strappo fra loro non si era ricucito, in realtà. All'alba del
giorno dopo, sgombra di nuvole, non gli si strinse il cuore nel
salutarlo. Si affrettò a raggiungere la costa, dove salì su una nave e
sbarcò a Benwick.
La situazione nei villaggi gli parve, se non preoccupante, un poco allo
sbando. Non c'era un signore a governare e la popolazione se ne
approfittava decisamente. Al castello, tutti parevano sconsolati e
l'accolsero con sguardi speranzosi ma spenti.
Non poté essere totalmente sincero, poiché se avesse detto loro che Sir
Lancelot non sarebbe tornato, il malcontento sarebbe cresciuto a
dismisura e la rivolta sarebbe stata inevitabile. Così temporeggiò e
chiese di ciò che gli premeva davvero.
- Lady Juliana è morta di parto - gli risposero. - Figurarsi, è una
femmina, che spreco assurdo.
Spreco.
La vita era diventata uno spreco, la civiltà un lusso a cui era facile
disabituarsi.
Con gli occhi lucidi vagò per i corridoi finché, dalle stanze dove
aveva abitato la famiglia di suo zio, udì un lieve pianto e una nenia.
Conosceva quella voce.
- Aline! - gridò, spalancando la porta.
Due donne erano sedute accanto al focolare. Una, rubizza e in carne,
con un bimbetto di poco più di un anno aggrappato alle vesti, teneva al
collo un inequivocabile fagotto; l'altra, che aveva sussultato al suo
ingresso, si illuminò quando lo riconobbe e gli corse incontro.
- Siete tornato, siete qui, oh Elyan! - Gli si era gettata tra le
braccia, che lui aveva teso ad accoglierla. Gli sembrò dimagrita, più
fragile, e quando ella alzò il viso a guardarlo, notò i pesanti segni
sotto gli occhi e il pallore di lunghe notti insonni. - Vostro padre è
con voi? Sir Lancelot?
Elyan scosse la testa, convinto di darle una delusione, ma Aline parve
rassicurata da quella risposta. - Stanno combattendo, non è vero? Ci è
stato detto che gli alleati di Sir Mordred tengono ancora in pugno
Londra... ma allora perché i soldati sono tornati? Si è già concluso
tutto? Li avete sconfitti?
D'improvviso non riusciva più a guardarla in volto senza provare
vergogna... - Posso sedermi?
L'altra donna (la nutrice della piccola, probabilmente) ridacchiò. - Di
questo passo non si addormenterà mai. Vado di là.
- Sì, Armelle - la liquidò Aline, ma Elyan allungò la mano verso la
creatura per accarezzarla. Armelle, indisponente, lo guardò di storto e
filò via. Lui sospirò, non potendo più rimandare la verità, e si lasciò
cadere su una sedia.
- Il cugino di re Arthur, Constantine di Cornovaglia, sta mettendo
insieme un esercito. Mio zio sarà vendicato, non dubitate, ma... -
Arrossì. - Sir Lancelot è stato rifiutato dalla regina Ginevra e ha
rinunciato al mondo, e mio padre per ora l'ha seguito in monastero.
Aline si morse le labbra. Gli sembrò, se possibile, ancora più stanca,
più sfiduciata:
- Così, non ci sarà davvero più nessuno a governare Benwick? Lasceremo
che i contadini occupino il castello? Ho paura, Elyan. Ho paura per la
bambina. - Scoppiò a piangere. - La mia povera signora! Dovevate
vederla, quando gliel'hanno detto... è stato allora che ha deciso di
lasciarsi morire... l'amava così tanto!
Elyan sapeva che le lacrime di Aline non erano solo per Lady Juliana,
ma non gli avrebbe mai parlato del proprio dolore, non di sua
iniziativa, come se si ritenesse indegna di possedere dei sentimenti.
- Forse... voi? Resterete?
Di nuovo, distolse lo sguardo. Quante volte ancora l'avrebbe delusa? -
No, amica mia, non sono qui per questo. - Ella si accigliò, fece per
scostarsi, d'istinto Elyan le afferrò una mano...
E la sentì.
L'energia.
La magia.
Quando riaprì le dita, vide che Aline portava un anello. Non poteva
essere altrimenti, era ciò che sua madre gli aveva ordinato di cercare.
Lo percepiva chiaramente: era puro potere, gli trasmetteva una promessa
invitante.
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Capitolo 15 *** Il segreto di Aline. ***
Una precisazione: Armelle sono io. Le figure becere sono la mia
specialità '-.-
I
duchi di Francia reagirono in diversi modi e con diversi stati d'animo
quando seppero che Elyan si era lavato le mani del destino di Benwick e
della Francia tutta. Né Bors né Ector sarebbero forse mai tornati e per
qualcuno fu un grave colpo, per altri un'occasione da cogliere al volo.
Forse a Sir Palomedes e a suo fratello, che governavano le regioni
meridionali, importò poco, ma Sir Dinas aveva più di una ragione per
adocchiare le terre oltre la foresta di Broceliande. Mandò i suoi
uomini a sedare la rivolta che era nel frattempo scoppiata in seno al
popolo e si installò "temporaneamente" nel castello di Lancelot.
Scoprì in seguito che avrebbe fatto molto meglio a restarsene buono
buono ad Anjou, aspettando ancora qualche tempo prima di trarre
conclusioni e appropriarsi di ciò che non era suo, ma per ora lo
lasceremo godersi le sue conquiste.
- E c'è una porta o un ponte o un arco o qualcosa per entrare? Se è
un'isola, ci si dovrebbe andare in barca.
Armelle, oltre ad essere scura e paffuta, aveva una mentalità molto
pratica e la sua presenza riusciva a
distrarre Elyan dai suoi gravi pensieri. Forse troppo, alle volte, come
in quel caso: la risatina che gli sfuggì fu abbastanza inopportuna.
- Solo chi ha imparato a padroneggiare la magia può arrivare ad Avalon
in barca, credo - spiegò. - E non so se riusciremo a trovare un
passaggio per andare dall'altra parte. Spero che mia madre senta la mia
presenza.
- Non so come siate riuscito a convincermi - borbottò Aline, che teneva
in braccio la bimba addormentata. - Vi ho seguito perché non sarei
potuta restare a Benwick un giorno di più, ma non cederò. Dovrete
uccidermi, o tagliarmi il dito, e in entrambi i casi... - La neonata,
percependo la tensione, si svegliò e si mise a strillare come un'aquila.
Elyan sospirò. Si stava comportando da egoista, ma non poteva agire
diversamente: riportare in Britannia quell'anello era stata una delle
condizioni poste da sua madre perché potesse conoscere il suo futuro. E
siccome ella si rifiutava a tutti i costi di cederglielo, era stato
costretto a portarla con sé.
- Shhh... shhh... fai la nanna...
- Ma che nanna volete che faccia, con questo sole! - le fece il verso
Armelle. Aline la fulminò con lo sguardo. C'era una strana intesa tra
loro, una complicità più colpevole che amichevole, che metteva paura.
Ma non poteva soffermarsi su di loro, adesso, doveva...
La piccola gridò più forte.
Elyan sentì la terra tremare, il tempo confondersi. Le due donne non
parvero accorgersi di nulla, finché da una macchia d'alberi non videro
spuntare una sagoma scura, e si avvicinarono al cavaliere perché le
proteggesse. Ma quando egli s'avvide di chi si trattava, le rassicurò e
corse incontro alla figura per lui ormai non più misteriosa.
- Madre! Sapevate ch'ero arrivato!
- Su questo ti sbagli, Elyan. Ho sentito che il potere dell'anello era
vicino, e l'ho raggiunto. Ma sono più che mai felice di vederti! - Così
dicendo, Claire l'abbracciò.
Aline non aveva mai sentito alcunché di magico nel pegno del
suo amato, se non la forza dell'amore stesso. Dal primo istante in cui
l'aveva avuto al dito, si era ripromessa di non toglierlo mai più. Non
le importava degli equilibri di Avalon. Voleva trattenere a sé tutto
ciò che le ricordava lui, quei brevi momenti trascorsi insieme, e
nessuno doveva osare portarglieli via! Perciò guardò alla nuova
arrivata con ostilità, tentò di passare inosservata.
Temendo che accadesse qualcosa di spiacevole, Elyan si pose tra lei e
la madre: -
La mia amica, madamigella Aline, non intende separarsi dall'anello. Ha
per lei un valore che nulla ha a che fare con il suo potere, ed io
rispetto la sua decisione.
Claire si avvicinò a lei, la guardò in viso e poi fissò la bambina.
Questa si acquietò all'istante. Aline ne fu spaventata, avrebbe voluto
scappare o sprofondare...
- Non avere paura, non sarò io a rivelare il tuo segreto - bisbigliò la
sacerdotessa. Le prese la mano, quella che non indossava l'anello,
suggellando la pace.
- Per me non ha importanza, Elyan - si rivolse poi al figlio - Finché
questa fanciulla dimorerà in Britannia, può custodirlo forse a maggior
diritto.
Il giovane lanciò ad Aline uno sguardo preoccupato, ma ella abbozzò un
inchino; il pallore era svanito dalle sue guance e le rughe dalla sua
fronte.
- Non ho nessuna intenzione di tornare a Benwick - dichiarò.
E non ne aveva davvero intenzione:
non era rimasto nulla e nessuno, oltre lo Stretto appena
oltrepassato, a cui rendere conto, o di cui provare nostalgia. Ma c'era
anche dell'altro: le parole di Claire l'avevano resa libera. Le avevano
aperto una strada inaspettata, che non aveva nemmeno sperato di poter
percorrere. Sapeva che Elyan si sarebbe adirato e forse l'avrebbe
detestata, e per questo doveva tenere il segreto il più a lungo
possibile... ma era la scelta giusta. Come lui avrebbe lottato per
convincere Sir Bedivere a concedergli Eneuawc in sposa, lei avrebbe
rivelato una verità un poco scomoda, sperando e pregando che venisse
accolta con gioia e non con disprezzo.
E dunque, il momento stava arrivando: rimaneva quell'ultima missione,
la più ardua, quella da cui dipendeva la felicità di tutti loro.
Londinium era libera.
L'esercito di Melou, ridotto a pochi soldati tremanti e feriti, si
arrese. Il secondogenito di Mordred, tanto alto quanto orgoglioso,
preferì uccidersi piuttosto che dichiararsi vinto; così Costantine
perse un'altra occasione di vendetta. La delusione fu così cocente che
offuscò i festeggiamenti per la vittoria.
- Signore. Il popolo vi acclama Conte di Londinium, Duca di Logres e Re
di Britannia.
- Sta bene - sospirò, amareggiato e involontariamente comico.
- La reggia che fu di Ambrosius...
- Sciocchezze. Ciò che ho da fare, ho da farlo a Camelot.
Il giovane ammutolì. Lo stomaco gli si aggrovigliava al pensiero di
tornarci, non poteva farci nulla. Il braccio del suo nuovo signore gli
circondò le spalle, un poco irrobustitesi negli ultimi mesi. La
gratitudine gli si affacciò agli occhi in un luccichio commosso.
- Sarà tutto diverso, per te. Non hai più nulla da temere.
Era già diverso, era un altro
mondo, un'altra esistenza; vivere la guerra in prima persona l'aveva
trasformato completamente. E non era timore il suo - soltanto vuoto.
Camelot, senza Amren.
Senza Eneuawc.
Senza Elyan.
Senza...
Risalì in sella e regalò a re Constantine un mezzo sorriso. Lo meritava
davvero, e gli doveva così tanto.
Constantine rilesse la risposta alla sua lettera. Aggrottò la fronte,
dubbioso di aver capito male. Ma stava lì, nero su bianco: l'unica
notizia che avrebbe reso il ragazzo davvero felice. Un miracolo,
semplicemente, qualcosa che mai si sarebbe aspettato...
Quella nuova rivelazione lo rinfrancò. Non aveva mantenuto le sue
promesse, era stato
calcolatore ed egoista, ma Iddio sembrava concedergli un'altra
possibilità di rendere felice qualcuno. Non ancora completamente
conscio di avere ormai l'intera patria sulle spalle, preferiva pensare
alle piccole cose, come fanno i bambini. Una battaglia alla volta, una
decisione alla volta... un sorriso alla volta.
- Partiamo subito - Appariva rasserenato, con
una luce addirittura divertita nello sguardo. - Sono stanco di usare la
spada per infilzare, ho voglia di appoggiarla su qualcuno.
Garanwyn arrossì violentemente. Almeno in questo non era cambiato; e
Constantine si sentì colmare di una tenerezza paragonabile soltanto a
quella del
loro primo incontro.
Non sarò io a rivelare il tuo segreto.
Il coraggio cominciava a mancarle, man mano che si allontanavano dalla
costa, i cavalli lanciati sulle pianure di Logres. L'abbandonò quasi
del tutto quando, giunta la notte, il sonno tardò ad arrivare e i
ricordi, le incertezze, i timori presero il sopravvento. No, non
sarebbe stata Claire a smascherarla, ma prima o poi avrebbe dovuto
ammetterlo lei stessa. Avrebbe voluto
farlo. Stringendo a sé la neonata, cullandola sotto le stelle, Aline
sentì più forte il desiderio di piangere. Elyan
non sospettava nulla, e questo le rendeva più difficile il peso della
menzogna. Riprese a canticchiare sottovoce, chiedendo al Cielo cosa ne
sarebbe stato di lei quando ogni cosa sarebbe stata svelata.
All'alba ripresero il cammino. Elyan si faceva sempre più inquieto,
carico di sentimenti contrastanti. Era impaziente di rivedere la sua
Eneuawc, ma aveva soggezione di Sir Bedivere più di qualsiasi altra
persona al mondo.
- Ma non avreste potuto sposarvi e basta? Tutte queste complicazioni,
voi signori! - borbottò Armelle quando il cavaliere prese a raccontare
le sue pene d'amore. - Voi, invece, non ci avete pensato mica due volte
con-
Si tappò la bocca con entrambe le mani, virando al viola.
Aline si girò per somministrarle uno schiaffo, ma in quel momento
Elyan, ignaro, le invitò a osservare il paesaggio. - Questo è il fiume
Glein. Oltre le colline dovremmo seguire il corso dell'Humber, che ci
porterà direttamente a Lincoln. Mie dame, siamo giunti nelle terre dei
Coritani. Che Dio me la mandi buona... e la Dea pure - concluse a
mezza voce.
Aline strinse le labbra. Guardò la nutrice con risentimento e questa
allargò le braccia in gesto di scusa, mentre il figlioletto si
stringeva a lei un po' timoroso. Le ostilità sembrarono accantonate.
- Vi amerò per sempre.
- E io... io... vi amerò fino alla
fine.
Lincoln.
Il castello in cui lui era
nato. In cui lei avrebbe
potuto-
- Davvero, non volevo tradirvi...
- Tieni quella lingua a freno, stupida! - sillabò Aline tra i denti, ma
il figlio di Armelle, spaventato e arrabbiato, le somministrò un morso
sul braccio che quasi la fece cadere da cavallo insieme alla
creaturina. Elyan, distolto finalmente dalle proprie fantasticherie,
accorse e la sostenne. - Volete spiegarmi che cosa succede?
Le due donne tacquero, per una volta concordi. Il bimbo si mise a
piangere e la neonata lo imitò all'istante.
Il modo in cui Aline la consolava e la teneva in braccio avrebbe dovuto
fargli capire molte cose. Ma evidentemente non era tempo che capisse e
la fece salire accanto a
lui, ancora tremante per lo spavento preso, rimandando le richieste di
spiegazioni ad un luogo più confortevole. Doveva andare tutto per il
meglio, non c'era tempo per i litigi. Lui
doveva avere Eneuawc e riconquistare la fiducia della sua famiglia, e
non c'era nient'altro di più importante.
- Non credevo di far male. Vostra figlia mi ha parlato molto di lui, e
sono certo che la sua fiducia nei suoi confronti è ben riposta, che
abbia le migliori intenzioni-
- E l'avete fatto entrare? Senza prima avvisarmi? - Sapeva in partenza
che quel gesto l'avrebbe contrariata e non si era sbagliato. Ma ne
sarebbe valsa la pena, alla fine.
- Non avevo modo di avvertirvi senza che vostro marito ne venisse a
conoscenza, e non volevo turbarlo. Ci sono due donne e due bambini
piccoli con lui. Sembravano affamati e stanchi per il viaggio...
L'espressione di Clarissant cambiò: pur sospettosa, parve farsi più
accondiscendente. - Conn, ti voglio molto bene e lo sai, ma in questo
momento ho voglia di sculacciarti. Va bene, va bene, me ne occuperò io.
Dove sono stati alloggiati?
"I problemi hanno ripreso ad arrivare
uno alla volta," sospirò. "Sempre
meglio che tutti insieme." E toccava a lei, come sempre.
Due bambini piccoli? Si stava portando tutta la famiglia appresso? Ma
no. Non
avrebbe osato, non aveva senso. E per quanto ne sapeva il suo
matrimonio era andato a monte. Era stata furiosa con lui quando aveva
abbandonato Eneuawc, non poteva negarlo, ma nemmeno gli aveva mai
augurato del male. Capiva che era stato Sir Bors ad allontanarlo, ad
imporgli la sua volontà, e la guerra aveva fatto il resto... Era
decisa: se davvero era giunto a Lincoln con intenzioni pure, l'avrebbe
ascoltato.
Conn la precedette, affannato e felice, e annunciò: - Sir Elyan, la
signora duchessa è giunta ad incontrarvi...
Elyan aveva provato un'istintiva simpatia per quel ragazzino sveglio,
aveva subito capito di aver trovato un alleato. L'aveva messo un poco
in imbarazzo, per la verità, quando se l'era trovato di fronte ad
accoglierlo, ma Conn era ormai abituato a quegli sguardi. Sapeva che il
figlio di Bors era stato il miglior amico di Amren, a Camelot. Ma anche
la damigella, che pure aveva detto di venire da Benwick, era arrossita
e le sue mani avevano iniziato a tremare. Era quasi graziosa, così
turbata: le aveva sorriso chiedendole il nome.
- Aline, mi chiamo Aline, signore
- Quell'appellativo aveva mandato il
ragazzo in visibilio. Era stato gentile persino con la scontrosa
Armelle, vezzeggiando il suo pargoletto e trattandola come una dama, e
in meno di un'ora li aveva provvisti di tutte le comodità possibili.
Ora Aline, Armelle e i bambini dormivano nella camera accanto. Elyan,
incapace di restare
fermo, era rimasto a passeggiare avanti e indietro davanti al focolare;
il pensiero che Eneuawc fosse nello stesso castello e non potesse
incontrarla lo faceva impazzire.
- Ora? Qui? Io-
Clarissant apparve, più bella e severa di quanto ricordasse, i capelli
raccolti senza frivolezza, nobile nel senso più puro del termine. Elyan
si inginocchiò fino a sfiorarle l'orlo della veste:
- Signora...
- Sir Elyan de Ganis, ci si rivede.
Voglia di strappare quel nome,
gettarlo a terra e calpestarlo.
La ragione che ti trattiene e ti ricorda che non è rinnegando il
tuo
casato che recupererai l'onore, ma anzi ricoprendolo di gloria con le
tue proprie azioni.
- Tanto... - La voce gli si spezzò - Misericordiosa... volermi
ricevere.
Ella si commosse, non indugiò oltre. - Siate uomo e parlate guardandomi
in faccia, cavaliere. Non è me che dovete convincere, sapete.
Elyan si rialzò, colmo di gratitudine: - Ebbene lo so! E non v'è nulla
che non farei perché vostro marito mi consideri degno. L'impresa più
ardua, la montagna più alta, la sfida suprema... tutto per il suo
perdono.
- E per la mano di nostra figlia.
- Sì, duchessa. Non lo nego, l'amore mi spinge dove il coraggio non sa
ancora di poter osare.
- Riposatevi - sorrise Clarissant. - E non tormentatevi più del
necessario. Eneuawc ha pianto molte lacrime a causa vostra, ma credo
che voi ne abbiate versate altrettante. Per quel che mi riguarda, ogni
debito è ripagato, ogni incomprensione dissolta. Ma vi ripeto, parlo
esclusivamente a mio nome, che ahimé non conta nulla.
- Signora-
- Dite bene: sono una donna e non spetta a me la decisione, ma farò
quanto è in mio potere per aiutarvi.
Aline percepì prima di tutto la comodità del letto in cui si trovava.
Era una sensazione deliziosa. Le lenzuola lisce sotto le dita, il
profumo di bucato. La morbidezza dei guanciali. Sospirò di contentezza
e stava per scivolare nuovamente nel sonno, quando udì parlare nella
stanza di fianco. Era la voce di Sir Elyan, concitata e deferente, e
poi un'altra, a dir poco regale... musicale.
Possibile che si trattasse della duchessa? Non poté più trattenere la
curiosità e si levò dal letto, attenta a non svegliare Armelle e il
bambino. Trovò, preparati appositamente per lei, abiti e accessori per
capelli. Non toccò nemmeno questi ultimi, timorosa di mostrarsi troppo
vanesia: non era una damigella in attesa di marito. Non vi era più
nulla da attendere, non in vita, i giuramenti erano già stati espressi,
le parole ed i baci scambiati, la carne strappata alla carne da un
addio appena velato di inutile speranza.
Vedova, formulò la sua mente,
e come sempre sentì che quella parola aveva un suono aspro.
Vedova, come Armelle, come la povera Lady Juliana, che però avevano
avuto miglior fortuna - l'una di detestare il vecchio soldato a cui era
stata maritata, l'altra di non sopravvivere al suo sposo.
Doveva avere coraggio, lo sapeva, se lo ripeteva ogni giorno da quando
Claire aveva suggellato la sua appartenenza a quella nuova patria.
Avrebbe deluso Elyan, rischiando di perdere per sempre la sua amicizia,
senza peraltro sapere se sarebbe stata accettata da...
Un gorgoglio spezzò i suoi pensieri, ed ella si chinò sulla culla. Due
occhi nerissimi la catturarono, mentre la manina della neonata si
chiudeva su una ciocca dei suoi capelli, strappandole un sorriso.
- Quando ti vedranno, tesoro, non potranno avere dubbi.
La prese in braccio e scivolò fuori dalla camera, solo per scoprire che
non vi era più nessuno. Ma non chiamò Armelle per mandarla a cercare
qualcuno, e nemmeno si sedette ad aspettare. Non era più tempo di
indugiare, né il suo animo poteva sopportare di vivere ancora nella
menzogna.
Quindi s'inoltrò per il castello, certa di trovare in poco tempo la
strada. Mera illusione! Esso aveva subito numerosi ampliamenti dalla
morte di Corneus. Sir Griflet aveva avuto carta bianca da Bedivere su
molte cose, e una di queste era proprio la scelta di architetti dal
gusto esotico, che non si erano curati di mantenere uniformità alla
costruzione. Un'ala, quella per gli ospiti, era di gusto romano,
accogliente ma spartana. Le camere dei bambini erano vagamente
orientali, mentre l'ala dei famigli (tra cui proprio le stanze dove ora
vivevano le due figlie di Griflet) aveva un che di turco. Soltanto i
saloni principali conservavano l'atmosfera di quando il maniero era
stato costruito, al tempo di re Ambrosius. In quel dedalo di corridoi,
inevitabilmente Aline si perse.
Era tutto così diverso dal castello di Benwick, pensò. Là vi era una
ricercatezza che talvolta le era parsa soffocante. Nulla era lasciato
al caso, e nulla pareva essere stato creato per esseri umani; non vi
era calore, non era possibile sentirvisi a proprio agio. Qui è diverso,
concluse. Anche gli ambienti più lussuosi avevano un'impronta vissuta,
emanava dalle porte socchiuse una tranquillità figlia di onesti affetti.
Si fermò, appartandosi dietro ad una statua, quando udì dei passi che
salivano una scala, accompagnati da uno sbuffare e un brontolare in una
sorta di dialetto a lei sconosciuto.
- Ah, povera cara, bisogna aspettare! - Finalmente i borbottii si erano
fatti intelligibili, ma nel frattempo i passi si erano avvicinati ed
era più facile che venisse scoperta. - Lui deve capire! Non posso
continuare così... - L'altra voce, che al contrario era dolce ed educata, apparteneva ad una persona più
giovane.
Ma poi, perché doveva nascondersi? Non era giunta da clandestina né
aveva cattive intenzioni. Recava un messaggio di gioia e non di
ostilità, e se ostilità avrebbe ricevuto, non ne aveva colpa. Si mostrò
alle due donne che, conversando tanto animatamente, erano ormai
arrivate vicino a lei.
"Coraggio,
fiorellino mio... è ora, è giusto, perché... questa è la tua casa"
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Capitolo 16 *** Un caldo, intenso amore. ***
Da che pubblicai lo scorso capitolo, è successo di tutto e niente.
Malinconia, non portarmi via, ispirami e basta.
Grazie a Deirdre, Ailinon, Stray e Ila (bentornata!) che tengono vivo
questo fandom e mi fanno sognare. Anche se di sogni pur sempre si
tratta, e a volte di illusioni.
Quella sala, che era stata testimone di gloria indiscussa,
recava sul pavimento i segni della Tavola, distrutta prima nella
persona dei suoi illustri occupanti e poi fisicamente, a colpi d'ascia,
riducendola a ciocchi buoni per il fuoco gettati poi in un angolo. I
nomi degli eroi incisi sul
legno, già quasi illeggibili, erano stati raschiati via.
(forse da Mordred. Più probabilmente, da Melehan)
E quand'anche fosse stata ancora intatta, d'altronde, essa non avrebbe
significato nulla, non sarebbe più stata un simbolo di unità ma un
relitto che emanava sconfitta. Legno, solo legno da bruciare.
Garanwyn si inginocchiò. Sentì la spada del re sfiorargli la spalla e
le lacrime affacciarglisi agli occhi. Ma sapeva che dal Cielo i suoi
cari perduti gioivano; e pregò di renderli sempre orgogliosi.
- Garanwyn, figlio di Kay, giurate voi fedeltà a me, re Constantine di
Britannia, in nome di Dio e della Patria?
- Lo giuro - rispose il giovane con voce ferma e commossa.
- Dunque vi nomino cavaliere di Britannia. Sir Garanwyn, alzatevi.
Si udì qualcuno battere le mani con entusiasmo e ridere di gioia,
dietro di loro, ma Garanwyn non osò voltare le spalle al re. Solo
quando quest'ultimo, con un moto delle sopracciglia, lo invitò a farlo,
si mise in piedi e
guardò chi lo stesse acclamando con tanto fervore.
Il suo cuore perse un battito. Non era possibile vedere ciò che vedeva
davanti a sé, doveva trattarsi di un'allucinazione.
Era invecchiato, dimagrito, i suoi capelli si erano fatti spenti e
radi, ed era chiaro che non
avrebbe mai recuperato del tutto la salute. Come avrebbe appreso più
tardi, la sua vista era offuscata
e il cuore debole. Ma era vivo, e sorrideva, sorrideva a lui.
Altri, intorno, si sgomitavano, godendosi la scena, leggendo
quell'emozione irrefrenabile nel loro sguardo.
- Non... cosa... voi! Voi siete...
La presenza di padre Ambrose, anch'egli visibilmente
commosso e con l'aria di chi la sa lunga sull'argomento, gli fece
capire di aver tratto la conclusione errata, a suo tempo. E lui era
così felice di essersi sbagliato, oh quanto!
- Padre, oh, padre! Non riesco a credere... Dio, grazie, Dio...
Più di vent'anni di parole non dette si fecero largo in quello stupore
per concretizzarsi in un abbraccio indescrivibile.
- Ragazzo, ragazzo mio. - Kay gli accarezzò i capelli, spingendo ancor
più la testa del figlio contro il suo petto. - Sir... Garanwyn. - Rise,
gli occhi venati di rosso e il respiro affannoso, cercando nel contempo
lo sguardo soddisfatto del re.
Constantine non era Arthur, non sarebbe mai stato come lui. Era un
supremo inetto e un gran vigliacco, senza dubbio indegno di occupare il
trono. Ma gli aveva riportato ciò che aveva di più prezioso al mondo...
e anche solo per questo gli doveva gratitudine. Esattamente come ne
doveva a padre Ambrose, che per salvargli la vita aveva usato il male
contro il male: un fungo letale il cui potere contrastava quello del
veleno usato da Melehan, un'ultima risorsa che nessun altro si sarebbe
mai arrischiato a somministrare.
Kay non era diventato un santo e non aveva perso del tutto la sua vena
acida, ma c'era rimasto davvero troppo poco su cui ironizzare. Troppo
poco, quello spiraglio di vita, per sputarci sopra. Troppo bello,
quell'istante, per rovinarlo.
- Puoi perdonarmi? - bisbigliò all'orecchio di suo figlio.
- Non c'è nulla da perdonare, padre, vi voglio bene - rispose Garanwyn,
rammentando come Sir Lucan gli avesse predetto che un giorno sarebbero
stati così vicini. Ma quanto tempo era passato! Quanto e chi avevano dovuto perdere, per
arrivarvi!
Ricordò quanto Kay avesse amato Celemon, e nonostante tutto il
disprezzo che la sorella gli aveva sempre riservato, desiderò ch'ella
fosse ancora in vita. Ne avrebbero parlato, ne era certo, una volta
soli. Avevano tante, tante cose da raccontarsi... equivoci da chiarire,
vuoti da riempire, rassicurazioni reciproche.
Che cos'avrebbe avuto, a conti fatti, da rimproverargli? Gli aveva
permesso di crescere in un ambiente migliore di quello. Gli anni
trascorsi ad Estangore con Elyan erano stati sereni, e non si era mai
sentito discriminato o umiliato. Sembrava quasi che suo padre avesse
voluto proteggerlo dalla realtà di Camelot il più a lungo possibile.
Era così? Aveva davvero cercato soltanto il meglio per lui? Glielo
chiese, e ricevette le risposte di cui aveva bisogno da sempre. Trovò
anche più di ciò che
avesse mai osato desiderare.
- Quant'è carina! Un amore...
Le cucine non erano, come in altri castelli, un luogo riservato alla
servitù. I signori non disdegnavano di ficcarvi allegramente il naso, e
a volte di piluccare qualcosa tra un pasto e l'altro. Conn, infatti,
era stato concepito durante una di queste improvvisate.
In quel momento Eneuawc non aveva fame, però. Era rimasta in silenzio e
si torceva le mani, mentre Maryel subissava la piccola di mille moine.
- Avrei voluto tanto una femminuccia, sapete signora? Siete fortunata!
Mio figlio è un gran bravo ragazzo, ma non c'è paragone...
Aline non disse nulla. La sua mente era altrove, anche se non le era
dispiaciuto affatto conoscere finalmente la ragazza amata da Sir Elyan.
- Però una cosa non ve la invidio: non poter allattare dev'essere
terribile. E fa male, vero? Dove se ne andrà mai tutto il latte, se non
c'è quella boccuccia a succhiarlo via?
Eneuawc cambiò colore, era abituata alla schiettezza di Maryel ma il
suo riserbo di vergine si ribellava a quel genere di discorsi. Per
Aline fu peggio. Certo che era stato doloroso! Come non mai, e non solo
fisicamente! Vedere Armelle che allattava la sua bambina la faceva ogni
volta sentire vittima della peggiore delle ingiustizie. Scoppiò in
lacrime:
- Si vede così tanto? Ma non potevo dirlo, non potevo lasciare che si
sapesse! A Benwick non avrebbero accettato la figlia di un nemico. E se
avessero saputo del matrimonio...
La duchessina si alzò e si avvicinò alla giovane. Guardò intensamente
la neonata. - Chi era vostro marito? Un cavaliere dei nostri?
Aline non poteva negare, ma tentò di prendere tempo: - Debbo parlare
con vostro padre, al più presto; è lui che deve conoscere la verità
prima d'ogni altro. E spero che Sir Elyan mi perdoni di avergli
mentito, dicendogli che la bimba era sua cugina! - Sospirò: - Oh, se
sapeste quanto egli vi ama! Sempre mi parlò di voi, con struggimento e
tuttavia sempre con la speranza nel cuore di riavervi. E siete più
bella di quanto immaginassi - concluse con voce trasognata.
Eneuawc non cedette alle lusinghe: - Signora, non voglio scavalcare
l'autorità di mio padre, ma devo saperlo ora. Quegli occhi... non sono
sangue di Francia, ma nemmeno di Logres...
- Su questo non ci sono dubbi, somiglia a vostro fratello appena nato,
che Dio l'abbia in gloria! - Maryel era stata di nuovo poco delicata,
ma questa volta Eneuawc non ebbe da ridire,
anche se le labbra le tremarono. Non era possibile pensare in quella
direzione; aveva pur conosciuto i gusti sentimentali di Amren. E mai,
mai avrebbe potuto credere che suo padre fosse capace di tradire,
perciò-
- E va bene! Ma non crediate che, solo perché sono meno nobile di voi,
abbia commesso peccato. Lui mi sposò, e mi disse che quando la guerra
sarebbe finita mi avrebbe portato con sé, per mostrarmi l'alba dalla
torre di Grainthorpe...
Eneuawc ascoltava, con
meraviglia e commozione.
Fuori dalla porta, anche qualcun altro ascoltava. Ridacchiando, si
complimentava con se stesso per il proprio intuito. Ma l'ilarità
scomparve presto, sostituita da un singolare calore in mezzo al petto.
Erano le fiaccole del corridoio a procurarglielo? Certamente no. Ma
poteva davvero essere soltanto la voce della damigella francese che
filtrava dalla stanza?
Era ben strano... una bella novità, proprio, perché fino a quel momento
credeva che le fanciulle non gli sarebbero mai interessate.
Si strofinò il viso, maledicendo per l'ennesima volta quella parodia di
barbetta stentata e ridicola che si era ostinato a lasciarsi crescere -
e a ragione, ora lo sapeva, ma non era abbastanza.
- Conn, cosa stai facendo?
Il cipiglio di Maryel, che sapeva trasformarsi dalla più ciarliera
delle donne alla più severa delle madri, lo inchiodò sul posto
facendogli balbettare qualche sciocchezza.
- Sei tutto rosso. E poi da quando te ne stai a origliare? Non sta
bene, sai. Piuttosto, visto che ascolti dappertutto, Sir Elyan è ancora
a colloquio con il duca?
Dietro di lei, Eneuawc e Aline lo fissavano mettendolo sempre più in
imbarazzo. Specialmente Aline. Che non era tutta questa bellezza,
doveva ammetterlo. E allora perché...
- Sì, madre, sono in Sala e non accennano ad uscirne. Mi domando-
- Tu non farti domande, non immischiarti e vivrai a lungo. - Conn
sospirò, prendendolo come un buon augurio invece che un rimprovero. No,
non era bella, ma la sua presenza lo rendeva nervoso. Il culmine parve
giungere quando ella gli rivolse la parola:
- Signore, potreste accompagnarmi là? C'è qualcosa di cui entrambi
devono essere a conoscenza al più presto.
Per la seconda volta, quell'appellativo gli suonò stridente e
altisonante e di nuovo non replicò, anzi ritrovò le buone maniere e le
sorrise invitandola a seguirlo. Eneuawc si mise in mezzo bloccando loro
la strada: - Aline... comunque vada, benvenute in famiglia.
- T-waa! - rispose per lei la bambina.
Ad Elyan non era stato concesso di mettersi a sedere. Ad alcuni può
sembrare che stare in piedi faccia sentire più importanti, troneggiando
dall'alto nell'esporre le proprie ragioni. Ma non è sempre così. Il
giovane si sentiva tremendamente in imbarazzo davanti al duca, e
avrebbe preferito poter abbassare gli occhi senza incontrare i suoi.
Ah! Quegli occhi fieri e cupi insieme, del colore dell'erba alla sera,
che la sua amata aveva ereditato! La forza che il suo incedere, come il
suo sostare, avevano sempre trasmesso a chiunque...
anche se di quel sole abbagliante un
tempo chiamato - con un misto di ammirazione e timore - Bedwyr
Bedrydant, era rimasto solo un tramonto che stringe gelosamente a sé i
suoi ultimi raggi.
Di questo era spaventato Elyan, di pretendere l'impossibile, perché
avesse o meno ottenuto ciò che desiderava, avrebbe causato dolore.
Avrebbe sofferto Eneuawc, se non gli fosse stata concessa; ma
sarebbe morto di dolore Sir Bedivere nell'acconsentire.
Lei è un raggio di sole, e io voglio
portargliela via.
- No, signore, - parlò, anche un poco a se stesso, poiché non si era
preparato un vero discorso, ma ragionava cercando di esprimersi
al meglio - non vi chiederei mai di separarvi da lei. Credo ch'ella
smetterebbe di amarmi, se osassi pretendere ciò. In tutta sincerità,
non avrei nessun luogo dove condurla: ho rinunciato ad ogni diritto
sulle proprietà che pure mi spetterebbero in Francia, e persino al
regno di Estangore, che re Constantine ha reclamato per aver liberato
il castello da...
- Dunque giungete qui senza più titoli, né nome? - lo interruppe
Bedivere, a cui poco e nulla importava delle imprese del Grande
Assente. Non aveva ancora deciso se e in che misura formalizzare la sua
fedeltà al nuovo sovrano, e non sentiva di appartenergli nemmeno un
briciolo rispetto a quanto aveva amato Arthur.
- Ho un nome di battesimo, signore, ed è Elyan. E ne ho uno nel cuore,
il più bello, il più puro, quello che sceglieste quando deste vita alla
creatura che amo.
- Mia moglie le diede la vita, e con grandi sofferenze. E fu lei a
scegliere quel nome, perciò non incensatemi oltre. Dunque siete qui per
dirmi che non avete nulla da offrire a mia figlia se non il vostro
ritardatario pentimento?
- Disponete di me - rispose Elyan umilmente. - Ma non commettete
l'errore di vedere in me solo il nipote di Sir Lancelot, 'ché mi
fareste un torto! Mai offesi il nobile Gawain, nemmeno con il pensiero,
e credetemi se vi dico che avrei desiderato vincesse il duello!
- Tacete, queste sono bestemmie! - replicò Bedivere seccamente. - Avete
un bel coraggio a nominare Gawain. Credete che non sappia, dannata
spia? Ah, ora vi riconosco, vigliacco. Portategli una sedia, non vorrei
che si rompesse la testa e sporcasse il pavimento!
Il giovane sembrava infatti sul punto di svenire. Non gli era mai
passato per la mente che Amren potesse avergli raccontato della sua
missione per conto di Sir Lancelot... non v'era da stupirsi se il duca
lo odiava ancora più di quanto si aspettasse!
- Conn è stato molto gentile con voi, non è vero? Vi ha accolto con
tutti i riguardi, immagino. Sì? Bene, credete che vi avrebbe riservato
questa simpatia se sapesse che siete responsabile della morte di suo
padre?
Elyan si lasciò cadere sulla sedia che un servo gli aveva avvicinato,
mentre la vergogna saliva nel suo animo fino ad un livello
intollerabile: - Io non... potevo... immaginare...
- E mia moglie, che vi concede la sua indulgenza, che mi ha implorato
di ricevervi, di darvi una possibilità... oh, quale beffa! Vi
strapperebbe il cuore, se le dicessi che avete le mani sporche del
sangue di Sir Gareth!
Mai Elyan s'era sentito più abietto, più indegno... eppure ancora non
desistette. Non si prostrò dinanzi a lui, poiché aveva già compreso
quanto a Lincoln simili gesti fossero privi di significato, ma restò a
testa china, ricevendo ogni frase tagliente come una singola stilettata.
Mille volte Bedivere aveva immaginato di rivolgergli quelle parole.
Come padre ferito nell'orgoglio, come guerriero senza più un
comandante, come uomo quasi perduto e a stento ritrovatosi, sentiva il
bisogno di far del male
a sua volta.
Ma non aveva fatto i conti con il proprio cuore, che seppur logorato e
tradito sapeva ancora riconoscere l'innocenza e la buona fede. Sì,
aveva giurato che mai gli avrebbe concesso Eneuawc in moglie: ma quella
era un'altra vita, un'altra epoca, quello era un altro se stesso.
- Cosa mi portate in cambio? - insistette. - Quale prezzo siete
disposto a pagare?
- Qualsiasi cosa, signore - gemette Elyan, senza alzare il capo. -
Tutto, tranne la mia vita, ma solo perché so ch'ella non desidera
perdermi.
- Guardatemi, Sir Elyan! - Bedivere gli afferrò il mento,
costringendolo ad affrontare il suo sguardo: - Potrei mai,
coscientemente, volere il male di mia figlia? O le lacrime della mia
sposa? Se le feci soffrire, lasciandole ad attendermi per un tempo che
nemmeno ricordo o voglio ricordare, fu perché ero pazzo... pazzo di
dolore. Ma ora sono qui, e vivo per la loro felicità. Non dirò mai a
Clarissant chi fu la spia di Lancelot, ma non per farvi un favore,
capite? Capite bene la differenza?
Elyan annuì. Era estasiato dalla saggezza di quelle parole, che gli
spalancavano le porte della gioia più squisita, ma fu dolceamaro il
verdetto:
- E sia! Prendetela, se l'amate. Prosciugatemi. Straziatemi. Dio! Chi
potrà ridarmi il mio sangue?
- Non lo so, non lo so, non lo so... mi dispiace... signore, mio
signore, non ve ne farò pentire nemmeno un istante!
La domanda di Bedivere era stata puramente retorica, dettata dal dolore
e
dalla frustrazione. E davvero Elyan non avrebbe mai potuto immaginare
che, in qualche modo, stava per donargli ciò che chiedeva. Lo rassicurò
più e più volte che si considerava creta nelle sue mani, e che sarebbe
salito sulla luna per fargli piacere. Non aveva
ancora finito di congedarsi, incredulo di tanta fortuna, ringraziando
mentalmente la madre per averlo spronato a conquistarsi la felicità con
le sue forze, quando udirono dei passi nel corridoio e la porta si
aprì. Lo stesso servitore che aveva fatto sedere Elyan quando aveva
compreso di essere stato smascherato, veniva ora ad annunciare una
visita urgente. Bisbigliò qualche parola all'orecchio del duca e questi
gli ordinò di far entrare immediatamente la persona in questione.
- Aline!
Bedivere si alzò, tremando come se avesse visto un fantasma:
- Che cosa mai vedo? Siete proprio voi? Elyan, la vostra era una bugia;
vi chiesi se portavate con voi ricchezze e doni, e rispondeste di no!
Questi balbettò che si trattava solo di una damigella della corte di
Benwick, ma il duca non gli badò, andando incontro alla fanciulla che
era rimasta sulla soglia con il suo fagottino in braccio.
- Benvenuta a Lindsey, sorella. È dunque avvenuto il miracolo? Oh
guardate, guardate! - Allungò la mano verso la piccola e la sfiorò
d'una carezza lieve, a cui rispose un suono divertito. - Sapevo che ci
avreste fatto del bene dal primo istante in cui vi vidi, quando
giungeste al nostro accampamento per implorare la pace. Ma questa
gioia, mai l'avrei immaginata!
Elyan taceva, cercando di capire cosa stesse accadendo.
Aline gli aveva nascosto qualcosa di molto, molto importante, questo
era certo; qualcosa di cui Sir Bedivere era al corrente e lui ignorava
del tutto.
O forse... un collegamento c'era...
Sapeva dei sentimenti che, tornata dalla missione, la sua amica aveva
lasciato crescere dentro di sé. Ma aveva
(ingenuamente)
creduto che non ci fossero più stati incontri tra lei e Sir Lucan. Il
periodo dell'assedio era stato doloroso e l'aveva distolto da qualsiasi
altro pensiero: suo padre era rimasto settimane tra la vita e la morte
in seguito al duello con Gawain. Non l'aveva vista spesso... e in
effetti tutto sarebbe potuto accadere in quel periodo...
In ogni caso l'aveva ingannato, non aveva avuto abbastanza fiducia in
lui, ma lui stesso non era stato in grado di intuire che qualcosa era
cambiato. Quel che gli bruciava era l'aver creduto che la bambina fosse
davvero figlia di suo zio Lionel. Che fosse rimasto qualcosa di lui e
Lady Juliana, in quella creatura. Loro non avevano avuto nessuna colpa
in quelle orribili vicende, eppure erano morti... ricordò quel primo
ballo con la dama francese, quando era rassegnato a doverla sposare...
e poi aveva visto i suoi occhi brillare d'amore per Lionel... e il
sollievo, la speranza di poter tornare da Eneuawc senza ferire
nessuno... quanto tempo da allora, quanto odio, quanto orrore!
Era infinita tristezza la sua, adesso, non rabbia. Vedere Sir Bedivere
così felice
aveva impedito al dispetto di salirgli alle labbra, e quando incrociò
lo sguardo di Aline le fece capire in silenzio che tutto era perdonato
e dimenticato.
Una quieta armonia aveva invaso la stanza, trasformando il compromesso
in felicità e gratitudine, come se un soffio d'aria avesse smosso da
terra i cocci di un vaso infranto per ricomporli magicamente. Il tempo
aveva preso a scorrere con un ritmo più lento. Quell'amore caldo e
intenso che gli traboccava dall'anima, Bedivere l'aveva già
sperimentato solo
una volta in vita sua: quando erano nati i gemelli.
E solo un'altra volta ancora l'avrebbe provato in futuro.
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Capitolo 17 *** Conn ap Griflet, duca di Lindsey. ***
E poi è così, si ritrova il filo e si torna ad aggiornare.
Grazie a Ila, che me lo scrive blu su bianco tra gechi e polpi di
peluche.
Grazie a Deirdre che aspetta da troppo, o forse ha già smesso di
aspettare! Ecco il nome della bimba di Lucan e anche quello del
moccioso di Armelle. "Haliesin" somiglia a "Taliesin", ma invece di
"tal" (ciglio) c'è "hal" (sale). È un'immagine (il sale che splende)
che mi ricorda gli scogli con la bassa marea :)
E grazie a Caillean. Sempre.
Aline aveva seri problemi di pronuncia con i nomi gaelici. Si riferiva
a Sir Bedivere con Monsieur le duc
Bedoier, il che andava benissimo, e chiamava Eneuawc Mademoiselle Anfeu,
il che faceva quantomeno sorridere. Nonostante questa sua lieve e
divertente debolezza, quando il cognato le aveva chiesto come si
chiamasse la piccola, ella gli aveva risposto: - Come vostra madre, se
vi
sarà gradito. - Si sarebbe potuto trattare di Gwencwyllygcundrië, e
quest'eventualità la fece stare un poco sulle spine: ma il nome della
defunta duchessa era Cailleagh e lei aveva sospirato di sollievo.
Era stato bello vivere tutti insieme. Sembrava tornato lo splendore dei
tempi andati; non che Conn potesse ricordare un granché di quei tempi
andati. Ma era durato davvero troppo poco.
L'aria di mare faceva bene ai bambini e questo lo sapevano anche i
sassi, ma non era per questo che Aline era stata così entusiasta di
recarsi a Grainthorpe (Conn credeva che fosse perché sapeva
pronunciarlo abbastanza bene). Quel luogo, che in realtà sarebbe potuto
consistere di un tetro
strapiombo sull'acqua e di un altrettanto lugubre e umido maniero
abbarbicato sulla cima di detto strapiombo, le era già caro per averne
sentito il nome dalle labbra del suo amato.
Che poi, si era chiesta, perché vi era stato tanto affezionato? Era
nato a
Lindsey, e aveva vissuto la maggior parte della sua vita a Camelot,
giusto? Sapeva così poco... frammenti, frasi spezzate tra un bacio e
l'altro, tra una carezza e l'altra... prima di dirsi addio.
E di tutto quel tentare di raccontare, quel nome era riuscito a
rimanerle così impresso.
Come se avesse voluto consegnarle un messaggio, come se la stesse
guidando,
tenendola per mano, a scoprire ciò che avrebbe potuto essere.
Nessun precipizio. Solo un declivio che scendeva dolce, verdissimo,
fino alla spiaggia di
sabbia fine, e poi il mare scuro, mosso, quasi arrabbiato: le ricordava
lui.
Il suo aspetto così severo e cupo, spaventosamente virile, simile ad
una statua di Nettuno, ma capace di sciogliere ogni timore con quel
sorriso che sbocciava inaspettato e disarmante. Come quello di un
bambino... come quello della loro
bambina.
- Guarda, Cailleagh... il mare.
- Hal. Haliesin.
Il bimbo si voltò, i capelli sporchi di sabbia e sudore, e sorrise
mostrando i dentini candidi che contrastavano con la pelle scura. Disse
qualcosa indicando l'acqua agitata e tornò a guardare Conn, che si era
seduto
accanto a lui con un sorriso se possibile più largo e fiducioso,
aprendo le braccia. Hal gli pizzicò le guance così forte da fargli
male, ma lui tenne duro. Respirò il suo odore e si chiese quando una
simile benedizione avrebbe potuto toccarlo. Doveva attendere, perché il
tempo sistema le cose - questo gli ricordava ogni volta sua madre - ma
a volte sembrava tanto difficile far finta che tutto andasse bene, che
quella vita a metà gli bastasse.
Quel giorno compiva diciotto anni.
Conn ap Griflet, duca di Lindsey, marito di Lady Aline, e cavaliere di
re Constantine, suo malgrado.
- Lascia in pace il signor duca, Hal. Vedi di comportarti bene o ti
arriva una ripassata!
Per nulla timoroso delle minacce materne, Haliesin si nascose ancor più
tra le braccia di Conn. - No! Non vengo!
- Non mi dà nessun fastidio, Armelle. Torna pure al castello, noi
uomini stiamo bene così.
La donna sospirò, dando un'ultima occhiata ai due prima di
incamminarsi. Sembrava proprio vero. Tutte le cose belle sembrano vere
in una giornata di sole.
Sembrava vero che Aline prima o poi avrebbe accettato di consumare quel
matrimonio che Sir Bedivere aveva voluto far celebrare a tutti i costi,
prima della grande partenza.
Che quella famiglia messa insieme con un pugno di chiodi arrugginiti
avrebbe resistito al tempo ed alle incomprensioni, almeno finché quella
marea di dolore si fosse abbassata - allora qualcosa di più saldo li
avrebbe
uniti davvero...
Tutto era cominciato con la notizia che Sir Dinas aveva iniziato a
spadroneggiare non solo sulle terre di Sir Lancelot, ma anche sulle
zone circostanti, mettendo a repentaglio la sovranità di coloro che un
tempo erano stati suoi compagni. A suo tempo Lancelot aveva spartito
abbastanza equamente i territori francesi, basandosi sul merito e sulle
capacità dei suoi alleati; ma ora Dinas aveva messo in piedi un
esercito temibile, al punto che persino Sir Palamede, che regnava sulla
lontanissima Provenza, iniziava a preoccuparsi di venir spodestato.
Senza parlare di Gahalantine, che era in poco tempo diventato duro e
guardingo come i montanari della terra a lui assegnata, l'Alvernia.
A maggior ragione, essendo il ducato di Neustria molto più vicino ed
indifeso, quando i messaggeri erano giunti a Lindsey per chiedere
soccorso Bedivere si era chiuso in una stanza con Elyan e altri pochi
uomini fidati, in modo da elaborare una strategia per rafforzare le
difese e respingere le truppe di Sir Dinas nel caso si fosse
avventurato nella "direzione sbagliata". Ricorderete come il duca non
desse molta importanza ai propri possedimenti oltre lo Stretto: erano
niente più di un sanguinoso bottino di guerra, ai suoi occhi, ma
vederseli soffiare dal più arrogante e avido degli uomini era troppo
anche per lui. La cenere sopita si rivelò brace ardente, e con
disappunto di dame e damigelle del castello le nozze furono rimandate.
Non v'erano uomini addestrati a sufficienza per formare un vero e
proprio esercito, ma questo insignificante particolare servì come
incentivo per far visita al finora trascurato re Constantine. Questi fu
sorpreso e abbastanza contento della visita dei due cavalieri, e
nonostante avesse in mente ben altre strategie belliche (verso i
Sassoni, in particolare, che a loro volta si stavano spingendo un po'
oltre i confini) concesse loro un certo numero di uomini.
La visita a Camelot - poiché la reggia di Londinium restava là, rimessa
a nuovo, splendente e inutilizzata - era stata per entrambi difficile e
non priva di amarezza. La gioia di riabbracciare Kay e Garanwyn fu
offuscata, per Bedivere, dallo sciame di ricordi che quelle mura gli
fecero rivivere, e per Elyan dal confuso senso di colpa che provava
ripensando all'ultima volta che vi era stato.
Ma vi trovarono anche una nuova ragione per combattere. Garanwyn non
era cresciuto solo in età e destrezza nel maneggiare la spada, c'era
qualcosa di nuovo in lui a cui Elyan non osava dare un nome. Qualcosa
che gli faceva persino un po' paura. Quel suo paggetto timido e
spiritoso, suo compagno di giochi e di studi, era diventato un
cavaliere e soprattutto un uomo, con quella briciola di follia negli
occhi che pochi avrebbero saputo interpretare. Lui, che al tempio di
Avalon l'aveva visto uccidere Melehan, sapeva di cosa si trattava.
- Ecco come stanno le cose, Elyan. - Sembrava che i ruoli si
fossero invertiti: in fondo Garanwyn era diventato una personalità più
importante di quanto lo fosse lui ora. Presto però si accorse che il
tono fiero con cui gli stava rivolgendo la parola non era dettato dalla
superiorità, ma dall'urgenza del piano che aveva in mente. - So che al
re non interessa della Britannia Minore. In effetti la situazione al
confine con il Kent è quasi tragica e potrebbe scoppiare un'altra
guerra, ma... partirò con voi. - Gli occhi gli splendevano come
fiaccole. - Vorrei che mio padre riavesse ciò che a suo tempo ha
conquistato, la regione di Anjou. Tuo zio l'affidò a Sir Dinas quando
arrivaste in Francia dopo l'esilio, ma egli ha dimostrato di non
meritare nulla.
Elyan fu commosso da tanta dedizione. Aveva sempre sperato che Garanwyn
costruisse un rapporto con Sir Kay, ma ciò superava ogni immaginazione.
- So che non vivrà a lungo. Non mi faccio illusioni su questo, e voglio
fargli questo dono adesso.
Ripeto, non conta cos'abbia in mente il re o cosa vogliate ottenere tu
e Sir
Bedivere, Dio sa che non vorrei mai fargli un torto, ma desidero che
sia chiaro...
- Chiaro come il sole che splende il cielo, Sir Garanwyn di Camelot -
dichiarò una voce alle loro spalle.
Garanwyn guardò in viso il padre del suo primo, grande amore. Si
vergognò un poco della propria irruenza e si chiese se non l'avesse
offeso.
- Non chiedo di meglio - continuò Bedivere. - Conosco la verità,
nonostante l'accordo che avete stretto con il re; Elyan mi ha
raccontato quanto è accaduto ad Estangore.
Il giovane si voltò verso l'amico, colmo di stupore e confusione. -
Come...? Non
doveva saperlo nessuno. Il popolo ha bisogno di un Sovrano Vendicatore,
non di un generale burocrate. Finché si crede che sia stato lui...
- E lo si crederà, lo si crederà. Le voci della presunta maledizione
sono giunte fino al mercato di Lincoln, dove tra uno scampolo di seta e
una cesta di cipolle si sussurra che un fulmine colpirà il sovrano in
capo ad un anno.
Ecco di che si trattava: alcuni soldati di Constantine, distorcendo i
fatti, avevano sparso la voce che Sir Melehan era stato ucciso ai piedi
di un crocifisso. Non era trapelato nulla, però, su colui che aveva
materialmente compiuto l'esecuzione.
- Dovrei credere che colpirà me,
se fossi superstizioso... - Garanwyn tentò di scherzarci su, ma gli
tremava la voce.
Ormai le parole migliori gli venivano fuori dalla
spada, e una volta giunti sul Continente seppe ben dimostrarlo. Come
scappò a gambe levate quel malaccorto usurpatore! E come fu colto
di sorpresa Elyan, quando scoprì che suo padre aveva abbandonato le
vesti monacali per correre a rivendicare la propria parte!
Ma la vera
sorpresa, la
rivelazione, non giunse che qualche giorno dopo la vittoria. Messi
definitivamente da parte i rancori di quell'altra guerra, persino Sir
Ector aveva ringraziato Bedivere, e si iniziavano a ridefinire
possedimenti e confini, quando a Benwick erano giunti strani individui.
I loro preziosi abiti di foggia orientale erano ridotti a stracci, e
sembravano alquanto stanchi e sfiduciati. Raccontarono di aver
viaggiato rimbalzando dalla Britannia alla Francia più volte, seguendo
le informazioni sempre più contraddittorie ricevute per via.
Rifocillati e consolati che furono, il loro portavoce prese la parola:
- Veniamo dalla corte dell'imperatore di Costantinopoli, e cerchiamo il
suo legittimo erede al trono.
Sir Bors parve strozzarsi con un nocciolo di pesca, ma quando si fu
ripreso prese da parte Elyan e gli rivelò, con un certo disgusto nella
voce, tutto ciò che sapeva sulle origini della famiglia di sua madre.
La figlia dell'imperatore aveva sposato il re d'Ungheria, da cui aveva
avuto un figlio: Sir Sagramore. Rimasta vedova, era stata chiesta in
moglie da re Brandegoris; in Britannia si era convertita al culto della
Dea e aveva fatto voto di donarLe la sua prima figlia femmina. Dopo la
sua
morte, Brandegoris aveva rispettato le sue volontà: la piccola Claire
era cresciuta ad Avalon, istruita a compiere un destino più grande di
lei.
Elyan si sentiva bruciare la fronte, solo al centro di una spirale di
sguardi.
Gli sguardi di quegli stranieri, che vedevano in lui il futuro
imperatore.
Gli sguardi dei suoi parenti, a metà tra la curiosità e l'invidia.
Ma più di tutto, gli occhi di Sir Bedivere, che tentavano di calcolare
una perdita infinita. Quale abisso presentiva, alla luce di quella
notizia?
Tra i roseti spogli del giardino di Benwick il giovane tentò di
rassicurarlo, per quanto la confusione gli permetteva.
- Come mai potete credere che rinuncerei a vostra figlia? Che per me un
trono sia più importante dell'amore della mia vita? Il mio regno è il
cuore di Eneuawc, e nulla, se non la sua stessa volontà, potrebbe
allontanarmi da lei. Mi basta una vostra parola e rimanderò in patria
questa gente, poiché ho già tutto ciò che desidero.
Le cose non erano così semplici, in realtà, ed Elyan non credeva sul
serio a
quello che stava dicendo. Sapere di appartenere ad una così nobile
stirpe lo inorgogliva, non per la prospettiva del potere - il solo
guardare una mappa dei territori dell'impero gli faceva venire le
vertigini - ma perché la sua esistenza acquisiva un nuovo significato,
un senso più grande proprio come sua madre gli aveva rivelato
mantenendo però il riserbo sulla natura di quel destino.
Ma nemmeno Bedivere era uno sciocco, né intendeva impedirgli alcunché:
- Il mio dolore non ha nulla a che vedere con la sfiducia, ormai. È
ovvio che non potete rifiutarvi. Ma
persino a un condannato a morte si concede un ultimo desiderio...
- Non separarvi da lei - lo precedette Elyan, trasognato. Il motivo di
quella preoccupazione gli era chiaro come quel sole d'inverno, adesso,
ma come risolvere quel dilemma? Come evitare di creare sofferenza?
Rimandare la partenza di mesi o anni non era possibile, spiegarono i
messaggeri. I dignitari di corte stavano già tessendo le loro trame
ambiziose, e più tempo passava più era probabile che uno di loro
venisse designato erede, in barba alla linea di sangue. E, come
puntualizzò il duca, non sarebbe stato gradevole sentirsi l'unico
ostacolo.
No, la soluzione andava trovata altrove.
Il quadretto attuale era frutto proprio di quella soluzione. Sir
Bedivere aveva nominato Conn suo successore e gli aveva imposto di
sposare Aline, prevedendo che un giorno avrebbero imparato ad essere
felici insieme. Troppo ottimismo, davvero. Dopodiché, conclusi i
festeggiamenti per le doppie nozze, tutta la famiglia era partita per
l'Oriente lasciando il nipote con una marea di dubbi e responsabilità,
una moglie che gli si era negata sin dalla prima notte e una figlia
adottiva che per ironia della sorte gli somigliava sempre di più.
- Bell'affare, vero Hal? - borbottò Conn lanciando un sassolino
nell'acqua, mentre l'aria frizzante gli strappava un brivido. Doveva
essere già ora di pranzo. Prese sulle spalle il bimbo, che rise di
gioia, e si avviò a sua volta sulla strada per il castello.
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Capitolo 18 *** Una nuova canzone. ***
Sono
passati sei mesi? Eh, va beh. Guardate, non rileggo neanche, così vi
ripago dell'attesa con il divertimento che proverete a trovare
erroracci qua e là.
Più vado avanti, più mi convinco che, nonostante il suo aspetto fisico,
Garanwyn non sia AFFATTO uke.
La
delusione è un'amara compagna, e ancor più quando avevamo riposto ogni
nostra speranza in colui che ci ha deluso. In futuro, ripensando a
quella situazione, riusciremo a giustificare le sue azioni, e persino a
comprendere che eravamo stati noi ad illuderci, ma al tempo presente ci
sentiamo incapaci di dare ancora fiducia a qualcuno.
Aline si era sentita presa in giro e usata da Sir Bedivere. Aveva
veramente creduto ch'egli non avrebbe mai rinunciato a veder crescere
Cailleagh, che la considerasse più una figlia che una nipote, che -
questa era stata un'esagerazione della sua fantasia, doveva ammetterlo
- per lui fosse più importante del resto della sua famiglia. Se persino
Sir Bors aveva rinunciato alla vita monastica per strappare Benwick
dalle mani avide di Sir Dinas, perché mai il duca aveva lasciato
Lindsey, la terra dei suoi avi, ad un ragazzino come Conn?
Ma soprattutto perché l'aveva obbligata a diventare la moglie di quel ragazzino?
Eppure, quando era giunta a Lincoln aveva provato un'istintiva simpatia
per Conn. La sua gentilezza, il suo sorriso ottimista (e non
neghiamolo, i suoi occhi così simili a quelli di Lucan) l'avevano
conquistata. Se fosse passato più tempo, è possibile che sarebbe giunta
ad innamorarsi di lui; ma il matrimonio forzato aveva trasformato quei
sentimenti in boccio in dispetto e rifiuto.
In quanto a lui... avete senza dubbio un'idea abbastanza chiara dei
sentimenti che in
quegli anni avevano albergato nel cuore del giovane duca di Lindsey.
Egli s'era infatuato di Aline, ed era stato felice quando gli era stata
data in moglie, ma si era anche impegnato a comprenderla e ad
aspettarla tutto il tempo necessario. Aveva insomma lasciato che il
tempo ricucisse le ferite, piuttosto che causarne di nuove.
Nella sua ingenuità aveva creduto che il dolore fosse come la sabbia di
una clessidra, che scende poco a poco fino ad esaurirsi; non sapeva
invece che una donna tiene volentieri quella clessidra tra le mani e la
scuote perché non resti mai vuota. Aline non avrebbe mai ammesso, anche
quando il sole aveva iniziato a fare capolino tra le nuvole, che il suo
cuore avesse ricominciato a battere: le sarebbe sembrato un tradimento.
Continuava a dirsi che doveva restare fedele al ricordo di Lucan, che
non avrebbe mai
consumato quel nuovo matrimonio: ma non c'era purezza nei suoi sogni
inquieti,
e l'uomo di quei sogni non aveva
ormai più un volto.
Conn non avrebbe potuto comportarsi più saggiamente con lei. La
coinvolgeva nelle mille faccende quotidiane del ducato, le affidava
responsabilità e la faceva sentire importante in ogni momento. Insieme,
essi crescevano, acquisivano saggezza, sapevano capirsi e prendere
decisioni importanti. E più Aline si distraeva dal suo dolore, più egli
ne gioiva, tentando di scalzare una pietra da quel muro ch'ella aveva
eretto intorno a sé, sempre però attento a non oltrepassare il limite.
Il giovane era affettuoso con Cailleagh, ma senza pretese, poiché
comprendeva che sua moglie se ne sarebbe potuta
risentire. D'altro canto, Aline cercava di non intromettersi
nell'intesa tutta particolare tra lui e il piccolo Haliesin.
Maryel li compativa e benediceva entrambi. Avrebbe desiderato per suo
figlio un amore più semplice, una donna tenera e senza ombre, ma
sentiva che dopotutto Aline era quella
giusta e che con il tempo qualcosa sarebbe cambiato.
Al contrario, Armelle era inquieta e non ne faceva mistero. Smaniava
letteralmente dall'urgenza che il duca e sua moglie avessero
un bambino per
conto loro. Non sopportava le attenzioni di Conn per Haliesin: non ne
era soltanto preoccupata, ma contrariata al massimo grado. Temeva che
suo figlio gli si affezionasse troppo, che lo considerasse come un
padre e magari, in futuro, sviluppasse il desiderio di diventare suo
erede. Sarebbe stata una follia, una tragedia forse... gli eventi di
Camelot, e anche quelli di Benwick, insegnavano.
Così, ad un certo punto, prese a tenerselo stretto dovunque andasse,
causandogli un gran
dispiacere - ma ella credeva che questo ne avrebbe evitato uno più
grande a tutti loro.
Questi erano pressappoco gli strani e fragili equilibri tra gli
abitanti del castello, che sembravano destinati - se non a restare
immutati - a modificarsi molto lentamente. Ma giunse qualcosa di nuovo
a cambiare il risultato di dadi già lanciati.
Anche Conn si era sentito tirare in un'altra dimensione, in una
visione che l'avviluppava in una ragnatela dolce e invitante.
La
creatura nei suoi sogni aveva molto più che un volto, e molto meno
che un nome.
Cominciò una notte, una di quelle notti di velluto stellato che
profumano di fiori e sospiri, solo che Conn era al chiuso e non vedeva
né stelle né cielo; inoltre se ne stava sdraiato sulla paglia, nella
stalla del suo cavallo preferito, e potete ben capire come l'odore non
fosse precisamente di fiori.
In quel momento pensava a mille piccole faccende, nessuna delle quali
riguardava Aline, e si addormentò senza avvedersene. Lo stalliere,
abituato alle stranezze del giovane padrone, si accoccolò poco distante
e sprofondò nel sonno a sua volta.
Sembrava la più graziosa e dolce fanciulla che avesse mai visto, quella
che gli veniva incontro cavalcando. Tutto in lei era desiderabile,
perfetto. Occhi, capelli, labbra, non c'era nulla che non gli piacesse.
Eppure... eppure... la sua espressione non era quella di una vergine,
né di una maliarda. Era il cipiglio severo e amareggiato di un
cavaliere suo pari.
Quell'inverno era stato inspiegabilmente rigido. Pareva che l'armonia
avesse abbandonato Camelot, che persino la natura avesse iniziato a
rifiutarsi di concedere la propria indulgenza più a lungo. Il clima in
Britannia non sarebbe stato mai più come un tempo. La pioggia aveva
preso ad accompagnarsi stretta ad ogni stagione, e lentamente sparivano
creature che sino ad allora avevano abitato i boschi e i cieli di
Logres.
Come un demone sarcasticamente pietoso, quell'inverno, mentre il vento
sibilava attraverso le feritoie malchiuse con il suono di serpenti
attirati dal latte, si era portato via ciò che restava della famiglia
di Garanwyn - in un modo così plateale da far invidia alla più tragica
delle tragedie greche.
L'avevano trovato accanto al pozzo dove Celemon si era affogata insieme
al suo segreto, come un vecchio cane che si rintana nel bosco per
sfuggire agli sguardi pietosi, la brina ad imbiancare le braci spente
dei suoi capelli. Non si sapeva come fosse riuscito ad arrivare in
cortile, considerato che si trovava a letto da alcuni mesi; né come ne
avesse trovato le forze, né come nessuno dei servi se ne fosse accorto.
Ma si può immaginare che un suo ordine fosse vangelo ai loro occhi ben
più di quanto lo fosse la parola di re Constantine, perciò le domande
si persero tra lo sgomento e la rassegnazione.
E Garanwyn, ormai diventato l'ombra del re, il primo e il più feroce
dei suoi cavalieri, ritornò bambino per un poco, a piangere le sue
lacrime di figlio, ripromettendosi che sarebbero state davvero le
ultime. Amren stesso avrebbe faticato a riconoscere il suo tenero e
fragile amante; Eneuawc non avrebbe osato rivolgere la parola all'amico
e confidente di un tempo. La sua presenza non suscitava più sguardi
derisori o compassionevoli, ma soggezione e una vaga invidia tra i suoi
pari.
Lo ritroviamo quindi ad occhi socchiusi, davanti ad una tomba che reca
incise le parole Cai ap Ector.
Si lascia sfuggire una frase, che insieme al fiato gelido si dissolve
apparentemente inascoltata:
- Non sono riuscito a trattenervi ancora...
Un braccio robusto circonda le sue spalle, inducendolo gentilmente a
voltarsi. - Davvero avresti desiderato vederlo soffrire più a lungo?
Forse non aveva vissuto abbastanza?
Nessun padre vive abbastanza, avrebbe voluto rispondere Garanwyn, ma
non volle mostrarsi più debole di quanto già non sembrasse agli occhi
del re. - Avete ragione. - Sospirò e i due s'incamminarono insieme
verso il castello. - Dovete comunicarmi qualcosa d'importante, non è
vero?
Constantine sospirò. - Questa volta non potremo più evitare lo scontro.
Tutti i porti di Logres sono presidiati, ma i Sassoni riusciranno a
trovare un'altra strada.
- Da est?
- Non certo dalla Cornovaglia! - scattò il sovrano. - Non si
avvicineranno allo stretto. Certo che arriveranno da est, e troveranno
un fiorente ducato di agricoltori, pastori e nessun soldato! Sir
Bedivere ha affidato le sue terre ad un poppante. Un bamboccino con cui
però ho un piccolo debito in sospeso: gli promisi che avrei ucciso Sir
Melehan con le mie mani, ma qualcuno
- e qui fissò Garanwyn con finta severità - mi ha preceduto... ora, se
gli ordinassi di radunare un esercito, avrebbe tutte le ragioni per
rifiutarsi. Non ascolterebbe un messaggero qualsiasi, ma tu...
- Rifiutarsi? I nemici potrebbero sbarcare sotto la sua finestra e lui
resterebbe a guardare! - ribattè Garanwyn, esterrefatto. - Partirò
immediatamente.
Conn non riusciva ancora a capacitarsi di come la fanciulla apparsa nei
suoi
sogni si fosse rivelata un cavaliere giunto da Camelot per costringerlo
a scendere in guerra. Lui proprio non aveva che uomini
mandare, senza togliere braccia all'agricoltura: opzione, questa, che
gli sembrava un'idiozia. Ma non poteva
sottovalutare l'offensiva dei Sassoni, né sopravvalutare l'esercito di
Logres. C'era persino il rischio che, essendo i porti a nord e ad ovest
del Kent controllati e presidiati, ai nemici venisse in mente di
sbarcare davvero da quelle
parti.
- Posso capirvi, Sir Garanwyn. Anch'io persi mio padre quand'ero molto
giovane.
- Quand'eravate... ah, ah! Perché ora cosa siete? No, non capite, non
capirete mai. Avete versato le vostre lacrime, d'accordo, ma su una
notizia giunta da lontano...Voi non sapete cosa significhi vederlo
spegnersi come un tizzone consumato... e poi rendersi conto che ogni
giorno, ogni parola, ogni suo respiro sono stati un regalo del destino!
Non
aveva avuto obiezioni. E aveva già predisposto l'addestramento di un
certo numero di giovani delle campagne, proprio ciò che si era
ripromesso di non fare. Lentamente il fascino inconsapevole di Garanwyn
lo stava plasmando. Lui non poteva saperlo, ma la canzone che il
cavaliere intonò per la prima volta nella sala grande, accompagnata dal
crepitio del fuoco,
Tu sei cresciuta come un fiore in
primavera,
non hai dovuto lottare contro il gelo.
Da vergine a regina, non è stato
senza nuvole,
ma nessuna mano ti ha spezzata.
Noi, i cardi e le rose, sentiamo
gridare
la pelle graffiata dal nostro stesso
amore
era la prima a scaturire dalle sue labbra dopo tanto tempo. La voce si
era dispiegata dapprima incerta e arrochita, poi via via più
squillante, mentre lo guardava negli occhi; le dita sfioravano le corde
di quell'arpa appartenuta alla defunta duchessa Cailleagh, moglie di
Corneus.
Quei versi erano un omaggio a madamigella Eneuawc, ora imperatrice
d'Oriente e di certo, ormai, lontana anche con il pensiero dal passato
in cui essi ancora indugiavano.
Conn sorrise ammirato, quasi soggiogato. Aveva ascoltato con
gratitudine quel perfetto, incantevole ritratto dell'amata cugina, ma
non poteva riconoscere in sé la rabbia ed il rimpianto delle ultime
parole della strofa:
- Che cosa intendete per "i cardi e le rose"? Non conosco questa
metafora.
Garanwyn sbirciò di sottecchi il duca di Lindsey, a sincerarsi che
fosse realmente interessato alla sua poetica e non stesse solo cercando
di blandirlo in quanto emissario del re, ma si rese conto che
difficilmente Conn sarebbe stato in grado di recitare una parte. Si
rigirò quel pensiero nella mente come una trovata buffa, un guizzo
ironico che, accompagnandosi alla ballata appena conclusa, inaugurava
la sua lenta ripresa dal recente lutto. Sì, quel ragazzo era una
creatura senza malizia, come nemmeno lui era stato durante i suoi anni
ad Estangore. Forse non era un guerriero, né aveva mai dimostrato atti
di coraggio, ma la malafede era da escludere.
- Una rosa è bella, ma fragile. Il fiore del cardo è insignificante, ma
resistente al freddo. Entrambi hanno spine che li difendono dai nemici
e nel contempo allontanano chiunque si avvicini.
- Dunque voi siete una rosa. Chi avete graffiato? Quanti cuori avete
spezzato?
Sul punto di ricordare a Conn che si stava prendendo un po' troppe
libertà con domande del genere, tuttavia Garanwyn dichiarò con
fierezza: - Mai! Non sono mai stato amato senza ricambiare con tutto me
stesso.
- Dunque siete voi a portare quei graffi. - Così parlando, sul filo di
una sfida alquanto sciocca e alquanto rischiosa, Conn si sentiva ebbro.
Il vino di Neustria, di cui aveva consumato una quantità abbondante ma
che il suo ospite aveva cortesemente rifiutato, ne era una delle
ragioni, ma non l'unica.
- Non riesco a capirvi. Siete tanto giovane, quanti anni avete?
Diciassette? Diciotto? Siete già sposato, siete sopravvissuto a Camlann
ma non sapete nulla sul come difendere la vostra stessa terra, e in tre
giorni, dacché sono qui, non mi avete mai chiesto come mai uno storpio
abbia potuto ricevere l'investitura!
Conn lo fissò. - Sono deluso, Sir Garanwyn. Anch'io non riesco a
capirvi, ora: perché mostrare tanto vittimismo? Avevo semplicemente
dato per scontato che la vostra fosse una ferita di guerra...
- Una ferita di guerra? Davvero? - Garanwyn si alzò, trasudando
sarcasmo, i riflessi del fuoco che tingevano i suoi capelli di nuove
sfumature. - D'accordo, siete un giovane senza preconcetti. Ma non
posso aggiungere "senza malizia". Sono forse una bella fanciulla, che
mi guardate a quel modo?
Conn arrossì, colto in flagrante. Secondo la sua limitata esperienza,
l'attrazione tra due uomini era un affare da consumarsi nel retro di
una taverna, tra odori immondi e spasmi dolorosi. Era la prima volta
che, provandola, l'associava a qualcosa di tanto... delicato.
- Non desidero mancarvi di rispetto...
L'altro scosse la testa, divertito dalla timidezza di Conn che in un
gioco di ruoli gli restituiva la sua stessa immagine, in un tempo
diverso. Allungò la mano a toccarlo appena sotto la spalla, quasi
volesse assicurarsi che il suo cuore continuasse a battere.
- Non scusatevi. È vero, sono più vecchio di voi. Ma chi sono per
giudicarvi sul vostro modo di governare? Sono qui per un'emergenza, per
guidarvi in un frangente difficile che riguarda l'intera isola... non
per svilirvi o farvi sentire inferiore. In realtà ho capito che
eravate degno del vostro titolo dal momento in cui vi ho guardato negli
occhi, e trovo inutile continuare a mostrarmi come ciò che non sono...
Vi debbo io delle scuse, semmai.
Conn gli sorrise, rassicurato e insieme infiacchito da quelle parole.
Se gli era passato per la mente di essere ubriaco, ora ne aveva la
smentita: quell'allusione ai suoi occhi era giunta da monito. Non
sarebbe mai stato amato per quel che era, non totalmente... lui era
solo una pallida imitazione dei suoi più nobili e leggendari parenti. I
suoi non erano gli occhi di Conn, ma di Corneus, di Lucan, di Amren...
E in quel momento indovinò il motivo di tanto interesse. Ricordò i toni
entusiasti con cui Eneuawc aveva sempre parlato di lui, e di come ogni
volta non riuscisse ad evitare di sorridere al fratello, mentre
raccontava. E comprese perché avesse richiesto in maniera esplicita in
quali camere alloggiare, sebbene fosse chiaro che non aveva mai messo
piede in quel castello.
Fece per scostarsi, in un impeto d'orgoglio e frustrazione, quando si
accorse che Garanwyn era impallidito d'improvviso, irrigidendosi;
qualcuno era entrato nella sala.
- Perdonate, avrei dovuto farmi
annunciare, o quanto meno bussare... non vi disturberò oltre. Vi auguro
la buona notte.
Con un inchino, come la più umile delle serve, la duchessa di Lindsey
scomparve così com'era venuta, lasciando il marito stupefatto ed il suo
ospite in un confuso imbarazzo.
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Capitolo 19 *** Disperatamente vivi. ***
È di nuovo troppo corto? Uffa, non ho voglia di pensarci.
Non ho voglia nemmeno di pensare a come finirla, a dirla tutta.
Bon.
E non dite "povera Armelle" perché se l'è cercata u.u
Aline aveva continuato a comportarsi da moglie gentile e
castellana impeccabile, ma dentro di sé era tutta sospiri e rimpianti.
Proprio quando aveva aperto gli occhi... quando finalmente si era
accorta di amarlo... era arrivato quel cavaliere, il luogotenente di re
Constantine. Aveva compreso che sì, come Lucan le
aveva ipotizzato durante il loro primo incontro, due uomini possono
innamorarsi l'uno dell'altro; e che Sir Garanwyn aveva un
debole per i Coritani. In quel
senso, puntualizzò a se stessa per spargere ancora un poco di sale
sulla ferita. E come dargli torto? Conn era un uomo meraviglioso - lo
era diventato davvero, in quegli anni, mentre lei rimaneva aggrappata
al passato. Non aveva mai trovato alcuna affinità tra lui e il
mutilatore di alberi che aveva incontrato nel bosco a Benwick... e
sperava che nemmeno Sir Garanwyn si fosse infatuato di lui solo per
questa presunta somiglianza. Ma non si sentiva di dare consigli ad
alcuno; non ne aveva il diritto, non erano cose che la riguardassero,
ormai. Aveva deciso: si sarebbe
ritirata di buon grado con Armelle e i bambini a Grainthorpe, come
sempre nella bella stagione, anche se questa non era ancora giunta. Il
modo in cui Conn si muoveva disinvolto tra le mura di Lincoln in
compagnia del suo nuovo amico
la metteva a disagio: aveva preferito di
gran lunga il ragazzo che la corteggiava timidamente. Eppure aveva
respinto quel ragazzo, ed ora si ritrovava sposata ad un uomo che dalla
semplice rassegnazione era passato ad amare qualcun altro.
A
Conn era sembrato per un istante di scorgere un'ombra di dispiacere
sul suo volto, quando quella famosa sera li aveva trovati in un
atteggiamento un poco fraintendibile;
ma già troppe volte si era illuso di aver fatto breccia nel
suo cuore e troppe volte aveva dovuto inghiottire quell'illusione. Ora
non poteva occuparsi dell'occasionale gelosia di sua moglie: tra le
mura del castello v'era adesso una creatura che desiderava con tutte le
forze conoscere e capire fino in fondo, senza timore di distruggere un
animo fragile.
Perché Garanwyn era la squisita fusione di tutto ciò che ammirava in un
uomo e bramava in una donna.
L'odore pungente degli arazzi alle pareti, un miscuglio di spezie e
polvere, aveva vanificato i tentativi di Garanwyn di prendere sonno,
almeno quasi quanto le impressioni della serata appena trascorsa. Si
era lasciato andare. Non sarebbe più dovuto succedere, se voleva
portare a termine la missione per conto del re aveva bisogno di tutta
la lucidità possibile. Si trattava di strappare ragazzini e vecchi alle
loro case e addestrarli per una guerra già persa in partenza - perché
no, non si faceva illusioni. O forse gli piaceva pensare così, si
crogiolava bene in quell'idea: combattere senza una vera speranza.
Fingere di voler proteggere la patria quando sai che è solo un luogo,
perché le uniche persone che ami e ti hanno amato sono morte o lontane
quanto le stelle.
Conn ap Griflet, però, era più che mai vivo. Aveva sentito il suo cuore
pulsare, le sue guance arrossire.
Ed era vicino. La sua voce gli era divenuta familiare, la sua natura
sincera si era svelata sotto l'occhio dell'intuito. Non avrebbe dovuto
permettere a se stesso di instaurare tanta confidenza, ma era stato
inevitabile.
La Britannia era solo un luogo, ripetè a se stesso, sbirciando nel
corridoio a destra e a sinistra. L'odore speziato rimase ancora un poco
nelle sue narici, poi fu sostituito da quello della resina delle torce.
Quando non hai più nulla da perdere, è ovvio che combatti lo stesso, ma
le ragioni sono diverse da prima: c'è la vendetta, l'orgoglio, la
rabbia. Ma non stai proteggendo nessuno, tantomeno te stesso. Anzi,
vorresti gettarti contro il nemico così come ci si lascia cadere da una
scogliera... per annientarti.
Contò le porte, si chiese quale tra tutte conducesse a quella
stanza, quante volte Amren avesse camminato su quelle pietre e quante
delle sue parole, delle sue risa, avessero echeggiato tra quelle mura.
Lo immaginò bambino, che balbettava le prime parole in braccio ad una
balia, e poi ragazzetto, immerso nella lettura di testi antichi, forse
storie di battaglie che accompagnava inconsapevolmente con il
tamburellare le dita sul tavolo, o amicizie tra gli eroi di un tempo
che suggerivano un legame ancor più esclusivo e profondo, che lo
facevano arrossire e guardarsi intorno come se ci fosse qualcosa di
segreto nascosto in quei versi, qualcosa che solo lui potesse
interpretare e desiderare per sé. E ancora, lo immaginò in procinto di
lasciare quel castello per trasferirsi a Camelot, dove si sarebbero
incontrati...
Abbassò lo sguardo, percependo quell'ondata di dolore come una reazione
inevitabile ma troppo familiare per farlo sentire totalmente devastato.
Un'ombra sul pavimento attirò la sua attenzione, ma il suo istinto
allenato da anni di battaglie (e, prima ancora, di agguati da parte di
Melehan e compagnia) non l'associò ad una presenza ostile.
- Signor duca, non vorrete presentarvi alle reclute con le occhiaie,
domattina?
Era
incredibile come si sentisse a proprio agio in sua presenza. Gli
sembrava di conoscerlo da molto tempo, di aver condiviso con lui
qualcosa che non era rimasto nella memoria, ma sulla pelle. Qualche ora
prima, l'atmosfera del salone l'aveva soggiogato, facendolo
quasi cedere... alla luce di quelle torce poteva accadere qualcosa di
peggio, perché Lady Aline non li avrebbe interrotti questa volta.
Ma lui non desiderava... Non doveva
desiderarlo.
Era un guizzo di sensualità, come un pulsare color arancio di
braci credute spente. Un sapore quasi dimenticato che torna a farsi
sentire in bocca. Una musica che risuona tra i pensieri così forte da-
- Temo di aver bevuto troppo. Sono un pessimo padrone di casa, temo.
- Re Constantine mi aveva avvisato - sospirò Garanwyn. - Siete un
sentimentale e lo disprezzate. Ma non siete un traditore, ed egli ha
fiducia in voi quanta ne ha in me. - Gli dispiacque non poter vedere
per intero la reazione del suo interlocutore, ancora nascosto nella
penombra.
- Non disprezzo il nostro sovrano - precisò Conn, lo stomaco sottosopra
e la dignità in stato di allerta.
- Vi ha deluso, e sa di non poter pretendere da voi più di quanto non
vorrete concedergli spontaneamente. Questo
mi ha confessato, ed è tutto ciò che sono riuscito a sapere, ma...
vorrei conoscere la vostra versione.
Conn gli si mostrò alla luce di una torcia, rassegnato ad occupare
anche con lui il ruolo che il destino gli aveva assegnato. Perché era
questo che gli altri volevano da lui: una versione
più giovane di mariti e amanti perduti, a beneficio dei cuori infranti
di Britannia. Ma Sir Garanwyn sembrava apprezzarla davvero, questa
versione, a differenza di Aline.
- Ve lo racconterei volentieri, ma è una storia che già conoscete. Ciò
che accadde tra voi e Sir Melehan nel castello di re Brandegoris... ha
involontariamente reso nulla la promessa che mi fece a Camlann.
- Temevo si trattasse di qualcosa del genere. Così, ho qualcosa da
farmi perdonare. - Garanwyn aveva
abbassato un poco la testa senza però distogliere lo sguardo, assumendo
involontariamente quell'espressione di cagnolino sgridato dal padrone:
un miscuglio di sottomissione e timida sfida a cui Conn non poteva
restare indifferente. Ciò che non si aspettava, però, era una reazione
violenta:
- Guardatemi bene. Trovate qualche differenza, per l'amor di Dio...
trovate qualcosa per cui prendere me e non un fantasma...
L'espressione di Garanwyn cambiò, si fece seria e disperata. Aprì la
bocca in cerca di parole adatte a rassicurarlo, ma non ne ebbe il
tempo. Conn gli prese la testa tra le mani e lo baciò. - Non c'è nulla
da perdonare. Solo voi avevate il diritto di vendicarlo, l'ho sempre
saputo. Solo... non...
Garanwyn ricambiò il bacio, e capì che le paure di Conn non avevano
fondamento. Era una sensazione del tutto nuova. - No. Lo so. Siete voi,
Conn ap Griflet. - L'altro sorrise, e lo spinse con gentilezza verso
una porta che aprì e varcò senza mollare la presa. Questa volta fu
Garanwyn a tentare di divincolarsi. - Non... questa stanza non è...
- Mi credete così insensibile, davvero? - protestò Conn, ma presto le
sue labbra si piegarono in un ghigno infantile e beffardo. - Qui il
vostro amico Elyan trascorse la prima notte di nozze con mia cugina. Vi
offro nientemeno che il letto della nostra amata coppia imperiale.
Garanwyn rise nel buio; nemmeno le sue
paure avevano fondamento.
Sentirono che l'emozione presente era sincera e desiderata da entrambi,
e vi si abbandonarono come alla corrente di un fiume ormai arrivato
alla foce.
- Tu non ti muovi di qui. Finisco di tirar dentro i panni e poi vieni
giù con me.
Haliesin, con tutta l'indignazione dei suoi quattro anni, guardò sua
madre di storto e si prese un mezzo scappellotto. Seduto in cima alle
ripide scale della torre di legno, architettava piani di fuga che
metteva ogni volta da parte e rielaborava con maggiore fantasia. Voleva
uscire di lì, andare a vedere i soldati che si esercitavano, ma
soprattutto girare intorno a Conn, ascoltare cosa si dicevano lui e
l'alto ufficiale di Camelot, che poi tanto alto non era e zoppicava
pure. Era impensabile restare chiuso lì a far nulla quando c'era tutto
un mondo fuori da quella torre marcia e puzzolente, quando l'aria era
fresca e il sole filtrava dalle assi del tetto come a sfidarlo.
Armelle, le braccia cariche di lenzuola, intuì la rabbia che provava e,
invece di distrarlo, puntualizzò la sua posizione:
- Cerca di capire bene questo: lui non è tuo padre... non
metterti in testa di essere importante solo perché ti fa due moine!
Haliesin sentì il volto e le mani bruciare. Gridò: - Vi odio! - e
scattò giù per i gradini pericolanti.
Fu una decisione che avrebbe rimpianto per tutta la vita; quegli
istanti tremendi sarebbero rimasti come un marchio d'infamia nella sua
mente sconvolta.
Voleva solo correre da Conn, farsi rassicurare che quelle di sua madre
erano bugie, che gli voleva bene davvero, che non era solo il figlio di
una serva per lui, che...
- Torna qui subito, Hal, te ne farò pentire!
Armelle si sporse per afferrarlo e inciampò, ruzzolando pesantemente
fino in fondo alla scala con un grido spezzato. Haliesin venne travolto
e finì in un groviglio di lenzuola che attutirono la sua caduta.
Nulla trattenne lui dal
continuare a urlare, fissando il corpo immobile della madre con occhi
che non erano già più quelli di un bambino.
Nulla poté far cessare quell'assordante pianto senza lacrime. Non vi
riuscirono né Maryel, né Aline - tantomeno le sorelle di Conn, distolte
dal telaio e dalla loro eterna apatia; per le due donnette non si
trattava di una tragedia, solo di un fastidioso contrattempo.
- Voi... siete sposato? - Le sopracciglia di Conn erano così sollevate
da rendere i suoi occhi ancora più tondi.
- Ma naturalmente, - rispose tranquillo Garanwyn, ordinando con un
gesto secco alle reclute di rompere le righe - vi pare che la mia
stirpe dovesse restare senza eredi? Sono il signore di Anjou, ho
riconquistato le terre sul continente in nome di mio padre - continuò,
soffocando la commozione - e intendo lasciarle ai miei figli.
Conn ricordava la guerra contro Sir Dinas, ma non si era mai curato del
ducato di Neustria se non quando gli arrivava il vino novello dal
continente.
- Anche voi... - continuò il luogotenente, cercando di apparire sereno.
- Non ho rapporti con mia moglie, come vi ho già spiegato, - replicò
seccamente Conn. - perciò non credo di averla tradita in alcun modo.
Lei ama il ricordo di qualcuno che non potrà tornare. - Si morse le
labbra, improvvisamente consapevole che le parole appena pronunciate
potevano sembrare rivolte a lui. - Perdonatemi.
Garanwyn scosse la testa, rassicurandolo in silenzio. Si erano
allontanati dal campo abbastanza da poter conversare senza noie, ma non
tanto da potersi concedere atteggiamenti troppo amichevoli.
- Non avete lottato abbastanza - dichiarò, scandendo le sillabe in modo
che Conn non potesse fraintendere. La reazione dell'altro fu immediata:
sul suo volto comparse un'espressione indispettita ed era palese che
avesse bisogno di un chiarimento.
"Non ho lottato? Per Aline? Cosa ne può mai sapere, lui, di come ho
affrontato il suo rifiuto? E in definitiva, che cosa gli importa?
Perché dovrebbe desiderare un avvicinamento tra me e mia moglie quando
io e lui..."
Ma quella schermaglia d'amore avrebbe dovuto aspettare. Giunse
loro la notizia di quanto era accaduto al castello; Conn era
visibilmente fuori di sé dallo sgomento. Non rallentò il passo finché
non ebbe tra le braccia il corpicino tremante di Haliesin, coperto di
lividi ma disperatamente vivo.
- Hai soltanto me, adesso - mormorò con le lacrime agli occhi, mentre
una calda sensazione si faceva avanti nel suo animo. Sir Bedivere
avrebbe potuto spiegargli di che cosa si trattava. - Sei... mio.
Quando si dice l'ironia della sorte. Armelle aveva dato la vita per il
suo obiettivo: tenere Hal lontano dal duca... eppure morendo aveva
apposto il sigillo che li consacrava, indissolubilmente, padre e figlio.
Le navi da guerra dei Sassoni, nel frattempo, erano già salpate.
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Capitolo 20 *** Senza guardarsi indietro ***
Prima o poi dovrò affrontare la realtà, dovremo farlo tutti e due, era il pensiero che gli martellava nelle tempie in una solida armonia con gli zoccoli del cavallo al galoppo e i battiti dei due cuori vicini. Stringeva Hal, avvolto in una coperta, il visino seminascosto nell’incavo del suo collo. Se l’avesse stretto appena più forte, gli avrebbe fatto male. Appena meno forte, sarebbe potuto scivolare a terra, sconvolto com’era.
Pioveva sulla sabbia già bagnata dalla precedente marea. Le impronte degli zoccoli si riempivano di pioggia dietro di loro, ma Conn ap Griflet non si guardava indietro.
La realtà erano i soldati ormai addestrati e pronti a morire per difendere il regno dai Sassoni. La realtà che il bambino portava con sé e Conn non conosceva era che pure Armelle era morta per difendere tutto ciò che possedeva: suo figlio. Per difenderlo da lui, dai quelli che considerava i capricci di nobile infatuato da una passeggera idea di paternità. Se l’avesse saputo, ah! forse avrebbe potuto convincerla che le sue erano idee bislacche. Le avrebbe donato una fattoria, l’avrebbe assecondata, non rivedendo mai più il piccolo Haliesin.
L’avrebbe fatto? Davvero?
Si accorse che le piccole braccia stavano lentamente ricambiando la sua stretta. Sempre più veloce, il cavallo galoppava sulla striscia di sabbia e li portava lontano dal dolore.
Né Garanwyn, né Aline erano realmente l’amore nella sua vita, ormai ne era certo. Li amava e ne era riamato, ma c’erano dighe tra loro che impedivano ai sentimenti di fluire e saltare vivaci come sulle pietre di un torrente.
Era stanco di essere la seconda scelta, questa era la verità. Non era Sir Lucan, non era Sir Amren. Era Conn ap Griflet, un cavaliere, un duca, un uomo d’armi e adesso un padre.
Se fosse caduto per mano dei Sassoni, le cronache non avrebbero riportato le sue passioni carnali per il messaggero del re, né le fantasie romantiche da nido d’amore dedicate alla moglie e alla piccola Cailleagh.
Re Constantine non si fidava affatto delle sue capacità, nevvero? Gli avrebbe dimostrato che si sbagliava. L’orgoglio, quello sì, gli scorreva dentro senza freno, e non vedeva l’ora di mettersi alla prova contro il nemico… Al fianco di Garanwyn. Pensando ad Aline. Sognando il futuro di Haliesin e Cailleagh. Ma più di ogni altra cosa, salvando Lindsey e la Britannia.
Una donna si pettina i capelli che tendono ormai al grigio. Ogni colpo di pettine è un caro ricordo della bambina che è stata: la figlia di re Lot, la sorella dei più grandi cavalieri di Orkney, la moglie di Colgrevance… la moglie di Bedivere. La zia… e la madre di Amren.
La duchessa davanti allo specchio si pettina nella sua stanza, nella reggia della capitale del regno d’Oriente… E la leggenda si confonde, si snoda e si districa e s’ingarbuglia e di nuovo si scioglie. |
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