The Evil Slayers' Guide to the Heavenly di Doralice (/viewuser.php?uid=4528)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitoo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Note
Questa
fanfic farà arrabbiare un po' persone per il solo fatto che esiste,
dato che ho 9 long-fic ancora in lavorazione che prometto sempre di
aggiornare. Ma vi capita mai di essere sature e non poterne più
delle stesse idee? Ecco, io sono in quell'impasse lì, che non sai
come spezzare. E così ho pensato che cimentarmi in altri fandom
potesse essermi utile a rinfrescarmi la testolina. Quindi – e qui
mi rivolgo ai quattro gatti che mi seguono – vi prego, non
prendetevela: è anche per voi che lo faccio. Davvero!
L'idea
di scrivere qualcosa su TVD è nata sin dalla visione delle prime
puntate, ma nel concreto non sapevo bene cosa scrivere, anche perché
è già stato scritto praticamente tutto e le idee nuove sono
difficili da tirare fuori. Poi le ultime puntate sono state una
delusione e, paradossalmente, mi si sono aperte le cateratte della
fantasia e ho concepito questa storia. Il titolo è un tributo a The Hitchhiker's Guide to the Galaxy di Douglas N. Adams e la trama, anche se toccherà argomenti seri, è stata ideata per essere semi-comica. L'obbiettivo principale è
quello di vedere Damon Salvatore messo alle strette da qualcuno che non può fare fuori come di solito fa con i suoi “problemi”, ma il mio scopo è anche quello di prende per il culo i cliché dei
telefilm fantasy, che saranno citati in abbondanza (sia i cliché che
i telefilm, intendo).
Dei
due personaggi originali che introdurrò, quello di Pas è ispirato
in buona parte a Romo Lampkin, un personaggio di Battlestar Galactica
che io adoro e che potete vedere in questo
video qui (è quello con gli occhiali da sole). Il secondo personaggio vi
dirò che faccia ha nel prossimo capitolo.
Per
esigenze narrative la storia sarà raccontata da più punti di vista.
Siccome
ormai per me è una tradizione, ogni capitolo avrà un link ad una
canzone.
Mannagia
che papiro! Basta così, ho detto tutto... buona lettura!
Capitolo
1
~
Dove
si frega un angelo e si ritrovano vecchie compagnie
Luogo:
Seconda sfera Angelica, Coro delle Dominazioni, Asse delle Procure
Tempo:
XLII era del piano divino
– Cosa
dovrei fare io?! –
– Hai
capito benissimo. –
– No,
no, no... non se ne parla proprio! –
– È
un ordine dall'alto. –
– Non
m'interessa! Ci sono i Custodi per queste cazzate! –
– Modera
i termini o ti rispedisco a smistare anime. –
– Ok,
senti, non puoi affidarmi... che ne so? I fratelli Winchester? –
– … –
– No,
eh? Le sorelle Halliwell...? –
– Fai
meno la spiritosa. –
– Non
sto scherzando! Io coi Salvatore non ci voglio avere niente a che
fare! –
– Forse
non ti è chiara la situazione: dopo la tua ultima bravata, lassù
sono un po' alterati. –
– Sì,
be', sono loro che mi hanno voluta qui. Chi gli ha chiesto niente? –
– Come
ti hanno presa ti possono rispedire al mittente. –
– Ah-ah!
Bella questa! Sì, proprio carina! Quasi quasi ci stavo...
cascando... –
– ...
–
– Non
era una battuta, eh? –
– No.
–
– Quando
comincio? –
~~~
Luogo:
Mystic Falls, Virginia, USA
Tempo:
14 maggio 2010, ore 7:22
– Buongiorno.
–
Elena
sussultò tra le braccia di Stefan. Si rigirò nel letto e si guardò
attorno confusa: era da sola.
– Stefan?
– fece con una punta d'ansia.
– Dovresti
rispondere alla tua donna. –
Si
voltò verso il punto da cui proveniva la voce strozzata: il suo
ragazzo stava tenendo contro il muro un uomo.
– Chi
sei? – lo sentì ringhiare.
– Ah,
andiamo Salvatore, non sono passati neanche trent'anni... – si
lamentò l'uomo.
Elena
si avvolse nella coperta, si alzò dal letto cauta e si mosse verso
la porta.
S'immobilizzò
appena sentì l'intruso dire: – Accidenti, è identica a lei.
–
Osservò
la scena atterrita: un altro tirapiedi degli Antichi? Ma non
dormivano mai?
– Oh,
cos'è, una rimpatriata? –
Elena
trasalì e si voltò verso Damon: come al solito le era sbucato alle
spalle silenzioso come un gatto.
– Chi
è? – gli chiese.
Lui
alzò le sopracciglia e la superò: – Uno che mi deve un sacco di
soldi. –
– Sei
venuto a saldare, Pas? – fece avvicinandosi ai due.
A
sentire quel nome, Stefan mollò immediatamente la presa sul collo
dell'intruso.
– Pascal?
– lo sentì sussurrare stupito.
– Eh...
– sospirò l'uomo accasciandosi contro il muro.
Damon
gli tese la mano e lo aiutò ad alzarsi, solo per sbatterlo
nuovamente contro il muro.
– Dove
sono i miei soldi? – cantilenò seccato – Dall'83 si sono
accumulati un po' d'interessi. –
– È
sempre un piacere, Damon. – sghignazzò lui.
Un
rumore sordo e il vampiro dovette deviare dalla traiettoria di un
paletto. Stefan scattò in avanti per separarli e il fratello si
allontanò con uno sbuffo.
– Qualcuno
mi vuole spiegare? – intervenne Elena, stringendosi in un angolo.
Tre
paia di occhi si piantarono su di lei. O meglio, due paia di occhi e
un paio di occhiali da sole.
– Sul
serio, ragazzi. – disse il nuovo arrivato abbassando gli occhiali
sul naso – Dove l'avete pescata? –
– Non
credo che siano affari... –
– Pas,
lei è... –
– Un
delizioso rimpiazzo. –
I
due fratelli ammutolirono e si lanciarono un'occhiataccia. Elena
guardò Damon con la sua migliore smorfia di disgusto.
– Ah!
– l'uomo batté le mani – Quanto mi mancavano le vostre zuffe! –
La
ragazza fece un passo indietro quando lo vide avvicinarsi.
– Pascal
Serrault. –
Sorriso
sghembo e mano tesa. Doveva ricambiare? Elena guardò con diffidenza
l'uomo senza età che le stava davanti e scambiò una breve occhiata
con Stefan. Il vampiro annuì e capì che poteva stare tranquilla.
– Elena
Gilbert. –
L'uomo
inclinò la testa di lato e la osservò incuriosito, per quel che
poteva vedere attraverso le lenti scure.
– Quei
Gilbert? I fondatori di Mystic Falls? –
– La
mia fu una delle famiglie fondatrici, sì. – aggiunse, un po'
spaesata da tutto quell'interesse.
– Be',
tecnicamente è una Gilbert, ma suo padre è lo zio e sua
madre... lascia stare, è peggio di Beautiful. – disse Damon,
guadagnandosi la seconda occhiata omicida della giornata – Che c'è?
È vero! –
– Ma
i Gilbert non sono di origine bulgara. – commentò Pascal –
Insomma, la sua somiglianza con Katerina è... –
– Ehi!
Io sono qui. – sbottò Elena irritata – Potreste evitare di
parlare come se non ci fossi? E vi sarei grata se la piantaste di
ripetere che assomiglio a lei. –
Detto
questo, diede un'ultima, feroce occhiata ai presenti, e uscì dalla
stanza con cipiglio offeso.
Calò
il silenzio. I passi di Elena scemarono lungo le scale e i tre la
sentirono entrare nel vasto soggiorno, afferrare il suo cellulare e
digitare un numero.
– Allora.
– Pas si voltò verso i due vampiri – Che ci fa il doppelgänger
di Petrova nel maniero dei Salvatore? –
– Non
girarci intorno. – disse Stefan serio – Dicci perché sei qui,
per favore. –
Damon
si sbracò sul letto: – Sì, Pas, per favore. –
~~~
Luogo:
Seconda sfera Angelica, Coro delle Potestà, Asse della Storia
Tempo:
XLII era del piano divino
– Non
posso credere che abbiano scelto te. –
– Lasciamo
stare, va. –
– No,
davvero... hai tutta la mia comprensione. –
– Grazie.
–
– Dunque,
immagino che ti serva tutta la loro vita. –
– Tutta.
Dal primo vagito ad oggi. –
– Di...?
Quanti ne hai? –
– Ho
qui la lista. –
– Uhm...
Alaric Salzman, Caroline Forbes, Tyler Lokwood... Bonnie Bennett?
Conosci già la sua famiglia. –
– Non
sono aggiornata, un ripasso mi farebbe bene. –
– Ok...
ma Petrova e il suo doppelgänger? Anche loro? –
– Tsè!
Secondo te perché mi mandano lì? –
– Ma
la conoscono tutti quella storia, dai! Trevor l'ha raccontata a mezzo
Inferno. Povero stupido... –
– Siete
dei fottuti manipolatori, lo sai? Almeno da morto potevate dirgli la
verità, che cavolo! –
– Un'anima
dannata innamorata è una palla, un'anima dannata incazzata
può diventare una vera rottura. –
– ...
–
– Non
guardarmi così: le regole sono regole. –
– Sempre
saputo che era tutta una puttanata quella sull'amore. –
– Se
ti sentisse Shemaniel... –
– Quel
cretino lo sa perfettamente cosa penso di lui e della sua “virtù”.
–
– Adesso
capisco tante cose. –
~~~
Luogo:
Mystic Falls, Virginia, USA
Tempo:
14 maggio 2010, ore 8:41
– Piuttosto
mi faccio arrostire al sole. –
Stefan
alzò gli occhi al cielo all'ennesima dimostrazione diplomatica del
fratello.
Elena
era andata a lezione e questo lo confortava: era meglio se quel
discorso non lo facevano davanti a lei. In un momento del genere ci
mancava solo che si mettessero in mezzo personaggi come Pas.
– Dovremmo
per lo meno stare a sentire quello che hanno da proporci. – suggerì
cauto, mentre offriva da bere all'ospite.
– Te
lo dico io cos'hanno da proporci. – Damon lampeggiò uno sguardo
minaccioso verso Pas – Un paletto nel cuore a fine missione. –
– Mi
spiace deluderti, ma la dipartita dei fratelli Salvatore, per quanto
sia allettante, non è in cima alla lista delle nostre priorità. –
replicò l'uomo, sorseggiando il suo whisky.
– Senza
offesa, eh. – aggiunse rivolto a Stefan.
Lui
sorrise appena, alzando il bicchiere nella sua direzione.
– Il
fatto è che, sai, l'avere un ammazza-vampiri prezzolato dalla Chiesa
in mezzo ai piedi... ho come una strana sensazione, non so proprio
perché... aspetta, forse... oh! – schioccò le dita e finse
un'espressione illuminata – Già, io sono un vampiro! –
– Volete
salvare il culo alla vostra principessa, sì o no? – insisté Pas
versandosi dell'altro whisky.
Stefan
si affrettò a rispondere: – Certo che... –
– Siamo
in grado di gestire la situazione. – lo interruppe Damon con aria
pericolosamente tranquilla – Grazie. –
– Quindi
immagino che il rapimento di Elena da parte di Trevor, giusto dopo
che era scampata ad un incantesimo che stava per farla fuori, sia
classificabile come “banale incidente”. –
La
sala si fece pesantemente silenziosa. Stefan abbassò lo sguardo e
Damon si scolò il suo whisky con espressione infuriata.
– Al
momento abbiamo tutto sotto controllo. – spiegò Stefan in tono
calmo – Stiamo elaborando un piano e... –
Pas
strozzò una risatina.
– Scusa...
– tossì – scusa... è che davvero, Steve, non hai mai saputo
mentire. –
– Ma
parlatemi del piano, sì. – aggiunse con una smorfia di
compatimento – Se si può chiamare “piano” fidarsi dei Elijah e
aspettare pacificamente che arrivi Klaus. Per non parlare di quel
cretino di John Gilbert e del branco di sacchi di pulci. Quelli come
volete gestirli? –
Damon
strinse gli occhi: – Sei ben informato. –
Stefan
gli lanciò un'occhiata preoccupata: si stava irritando.
– Nessuno
si fida di Elijah, né di John. – spiegò deciso – E la questione
dei licantropi per ora è sistemata. –
Pas
ripeté tra sé “per ora” in un tono che a giudicare dalla
smorfia di Damon dovette aumentare ulteriormente la sua irritazione.
– Quanto
a Klaus, concorderai sul fatto che adesso non possiamo fare molto. –
continuò Stefan – Se si farà vivo per tentare di prendere Elena,
noi lo affronteremo e lo fermeremo. –
Pas
si portò le mani al petto: – Oh, ma quanta nobiltà! –
– Non
sapete con chi avete a che fare. – aggiunse improvvisamente serio.
– Un
Antico. – intervenne Damon stancamente – Sì, abbiamo studiato:
il più antico degli Antichi, il pezzo grosso, il grande capo, il più
fico di tutti... bla bla bla. Be', c'è sempre il modo di fare fuori
il boss finale, no? –
Pas
sogghignò: – O di finire in game over. –
Damon
guardò il fratello e scosse la testa con aria incredula.
Stefan
sorrise a Pas: – Ci stai sottovalutando. –
– Mi
fa piacere che siate così positivi! – esclamò gesticolando
allegramente – Davvero, è questo lo spirito giusto. Peccato che
siate destinati a crepare miseramente. –
Damon
schioccò la lingua: – Lo accompagni tu alla porta o gli stacco la
testa io? –
Stefan
fece un cenno all'ospite e si avviarono all'ingresso.
– Ci
parlo io. –
– Sì,
e come sempre sarà tempo perso. – gli diede una pacca sulla spalla
– Grazie comunque Steve. Nel caso mi trovi da Salzman. –
Stefan
lo guardo sorpreso: – Alaric sa di te? –
– Chi
credi che gli abbia insegnato tutte quelle cosette? – replicò lui,
spingendo gli occhiali sul naso e uscendo all'aperto.
La
porta si richiuse alle spalle dell'uomo e Stefan vi si appoggiò
contro, scotendo la testa con aria affranta. Il discorso di Pas non
l'aveva convinto, ma sapeva che avrebbe potuto essere un alleato
prezioso e non voleva lasciare intentata alcuna strada – non quando
si trattava di Elena. Adesso lo aspettava una lunga, estenuante
conversazione con quel muro di gomma di suo fratello.
Lo
stai facendo per Elena... lo stai facendo per la donna che ami...
– si ripeté
per farsi
coraggio.
–
Levati dalla faccia
quell'aria drammatica e richiamalo. –
Stefan
alzò lo sguardo verso Damon e lo osservò con palese perplessità.
–
Si tratta di Elena.
– sbuffò prima di girare i tacchi e scomparire nella cantina.
Quella
piega era decisamente nuova. E come succedeva sempre quando Damon
faceva qualcosa di apparentemente inspiegabile, Stefan si ritrovò a
chiedersi con una certa apprensione cosa mai stesse tramando.
~~~
Luogo:
Seconda sfera angelica, Coro delle Virtù, Asse della Materia
Tempo:
XLII era del piano divino
– Oh,
chi si rivede! Era da un po' che non passavi da queste parti. –
– ...
–
– Cos'è
quel broncio? –
– Quanto
ci godi a vedermi in crisi? –
– Mi
stai attribuendo sentimenti che non posso provare, tesoro. –
– Seh...
come se non vi conoscessi... –
– Così
mi ferisci! –
– Saltiamo
i convenevoli e datemi questo corpo. –
– Sei
fortunata, siamo riusciti a recuperare quello originale. –
– Ma
non mi dire. –
– Sei
tu che hai rotto tanto l'ultima volta. –
– Già,
be', era solo uno sfizio. –
– Bugiarda!
Dillo che ti ci sei affezionata. –
– Lo
saresti anche tu se fosse il corpo con cui sei nato, ma tanto... –
– Tanto
non posso capire... sì, sì, già sentita. –
– Fidati:
essere stati umani una volta, ti segna. –
– Questo
spiega molte cose. –
– ...
–
– Che
c'è? –
– Hai
parlato con Rezahel? –
– ...
–
– Ridi,
ridi... non vedo l'ora lasciare questo covo di pettegoli, Cristo! –
– Ehi!
–
– Ops...
–
~~~
Luogo:
Mystic Falls, Virginia, USA
Tempo:
14 maggio 2010, ore 15:12
– Quindi
tu sei una specie di mezzo vampiro? –
Pas
sorrise ad una Caroline particolarmente curiosa.
– Diciamo
di sì, chéri. –
Lei
alzò le sopracciglia e rise, sinceramente compiaciuta da
quell'appellativo carino.
– È
per questo che porti gli occhiali da sole? – indagò Jeremy tutto
interessato – Puoi sopportare la luce, ma ti dà fastidio? –
Pas
annuì, scatenando una valanga di domande da parte del ragazzo.
– Mi
ricorda qualcuno. – disse d'un tratto, scambiando un'occhiata
divertita con Alaric.
– Da
quanto vi conoscete? – chiese Bonnie.
– È
stato il mio professore di storia al liceo. – fece l'uomo gioviale
– Certo, allora non immaginavo che fosse un dampiro e che cacciasse
creature oscure per hobby. –
Caroline
trattenne una risata: – Avrei voluto vedere la tua faccia quando
l'hai scoperto! –
– Oh,
da qualche parte dovrei avere una foto. – scherzò Pas.
– Ci
siamo tutti? –
Si
voltarono verso Stefan con un “sì” generale.
Elena
uscì dal coro: – No. Dov'è Damon? –
Stefan
fece un sorrisetto: – Nessuno arriva dopo la regina. –
La
voce di Damon arrivò dal piano superiore: – Lascia le battute al
fratello dotato di humor. –
– Benvenuti
alla prima riunione del Comitato per la Salvaguardia dei
Doppelgänger. – continuò sprezzante, mentre scendeva le scale –
Pensa al futuro, adotta anche tu un doppelgänger. –
– Salva
la doppelgänger, salva il mondo. – scherzò Jeremy.
Elena
lo ammonì: – Tu guardi troppa tv. –
– Ehi,
ho 15 anni. – si difese.
– Appunto,
che ci fa qui? – intervenne Damon.
– Non
cominciare, tu, ne abbiamo già parlato. – replicò Elena.
I
due presero a battibeccare, sotto lo sguardo esasperato di Stefan.
– È
sempre così? – chiese Pas, osservando la scena con interesse.
– Oh,
no. – fece Alaric – Oggi li hai trovati di buonumore. –
– Affascinante.
–
Caroline
rise ancora, il che visti gli ultimi eventi della sua vita era un
toccasana. Quell'uomo era divertente: le importava poco che avesse
300 anni e di mestiere ammazzasse quelli come lei. E poi, chiunque
fosse amico di Stefan e volesse aiutare Elena, ai suoi occhi aveva
già guadagnato mille punti.
Un
lieve movimento attirò la sua attenzione. Bonnie si era voltata
verso l'ingresso e fissava la porta.
– Ehi,
– la chiamò piano – tutto ok? –
La
strega annuì lentamente.
– Sta
arrivando qualcuno. – sussurrò, gli occhi incollati alla porta
come se dovesse esplodere da un momento all'altro.
Non
era la prima volta che la sua amica andava in trance e aveva un
presentimento. E di solito non comportava niente di buono. La scosse
delicatamente per farla tornare in sé: Bonnie batté le ciglia un
paio di volte e ripeté a voce alta quello che aveva detto, attirando
l'attenzione degli altri.
Il
silenzio che si era improvvisamente creato venne spezzato dal sonoro
scampanellio della porta. Tutti gli umani presenti trasalirono.
– Oh,
sì! La streghetta è promossa. – saltò su Pas, dando un buffetto
alla ragazza.
Caroline
seguì attenta lo scambio di sguardi tra Bonnie e i fratelli
Salvatore: sembrava che non ci fosse niente di cui preoccuparsi, ma
per buon conto Stefan si avvicinò ad Elena e fece un cenno col capo
a Damon.
– Da
quando sono stato degradato a maggiordomo? – borbottò lui
allargando le braccia.
Ma
si stava comunque avviando all'ingresso. Quando c'era di mezzo Elena,
i fratelli Salvatore diventavano dei cuccioli servizievoli. Fino a
qualche tempo fa Caroline ne era stata invidiosa, ma adesso guardava
la sua amica con compatimento. Essere oggetto di contesa di due
vampiri? No, grazie. Non l'avrebbe augurato a nessuno.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Note
Grazie
a tutte per le recensioni! In
un fandom così esteso non me ne aspettavo già quattro al primo
capitolo, quindi mi ritengo soddisfatta!
Questa
fanfic è praticamente tutta ideata, devo solo metterla per iscritto
e, strano a dirsi, i capitoli più difficili saranno i prossimi due,
quindi mi scuso in anticipo se ci metterò un po' a pubblicarli.
Intanto
eccovi il secondo capitolo e la mia Nora.
In
questa foto mi piace una sacco perché mi ricorda l'iconografia degli
angeli leonardeschi, col dito puntato verso il cielo. Ok, chiusa
parentesi pseudo-artistica...
Buona
lettura!
Capitolo
2
~
Dove
si scoprono (mica tutte) le carte
Arrivare
lì, suonare il campanello e aspettare pazientemente. Non era così
difficile, dai. Eppure ci aveva messo un po' a decidersi e, così
come lei aveva percepito la strega, la strega doveva aver percepito
lei. Fantastico: adesso avrebbe ottenuto un'indesiderata entrata ad
effetto.
Sentì
i passi di qualcuno provenire dall'interno del maniero e il cuore
prese a batterle furiosamente. Si portò una mano al petto: strana
sensazione sentire di nuovo quel tum-tum dopo 105 anni.
Fa
che sia umano, fa che sia umano...
– pregava con ansia
crescente.
Non
era esattamente pronta per affrontare di nuovo dei vampiri. Gli altri
l'avrebbero presa per il culo in eterno, ma – che diamine! – la
sua virtù non era il coraggio. Proprio no.
La
serratura scattò, la porta si aprì e sull'ingresso
di stagliò la figura di
Damon Salvatore. Strinse le
labbra e alzò gli occhi al cielo, in un muto
insulto ai suoi superiori:
la
faccenda
non stava
iniziando
bene. Per niente.
~~~
La
ragazzina davanti a Damon avrà avuto sì e no l'età
di Jeremy. La studiò per un
attimo con aria perplessa: zazzera
di corti capelli rossi,
grandi occhi
nocciola, una valanga di lentiggini e l'aria di chi si era ritrovata
lì chissà come.
Che fosse stata soggiogata?
– Ehr...
Damon Salvatore? –
Damon
si produsse in una delle sue pittoresche espressioni da cinema muto
che riuscivano a condensare un intero discorso in una smorfia e
mezza. In questo caso: “Certo che sono Damon Salvatore, non si
vede? Chi sei tu, piuttosto? E spero per te che abbia un
valido motivo per aver abusato della mia attenzione”.
La
ragazzina annuì ed esitò,
come se stesse cercando le parole. La già
poca pazienza di Damon iniziò
ad affievolirsi.
– Posso
parlare con Stefan? –
Il
vampiro strinse la mascella, reprimendo
la solita, fastidiosissima sensazione di essere il fratello sfigato.
– È
in riunione, prenda un appuntamento.
– ribatté seccato,
facendo per chiudere la porta.
– È
importante, si tratta di Klaus.
–
Questa
poi...
Damon
spalancò la porta e l'afferrò per un braccio, la trascinò dentro e richiuse la porta. Il tutto in due secondi netti.
– Stai
giocando col fuoco ragazzina.
–
Per
reazione lei si strinse nelle spalle e si rannicchiò contro il muro
dell'ingresso, tentando di sfuggirli.
– Oh...
ehi, non arrabbiarti, ho solo bisogno...
–
– Io
ho bisogno che tu mi
dica che diavolo vuoi. – la interruppe.
– Ma
se potessi parlare con tuo fratello...
–
– La
gioventù d'oggi... – sospirò nervoso –
E chi ti ha detto di darmi
del “tu”? Diosanto,
sei solo una bambina! –
– Ah...
non volevo... mi dispiace signore.
Mi scusi. –
balbettò lei trattenendo una
risatina – Sì... potrei vedere il signor Salvatore, adesso?
L'altro Salvatore.
Suo fratello. –
Damon si chiese di cosa si fosse fatta quella sciroccata di Bonnie per prevedere l'arrivo di quell'inutile essere petulante. Stava considerando come levarsela di torno sbrigativamente, ma prima doveva per lo meno
scoprire chi era e come faceva a sapere di Klaus. Doveva
soggiogarla e farsi dire tutto. Dopo
ci avrebbe banchettato.
– Adesso
io te faremo una chiacchierata. –
– Ah,
– alzò un dito con l'aria
dubbiosa – non
credo che... –
– Nora?!
–
Damon
si voltò: Pas li stava guardando esterrefatto. Si era persino tolto
gli occhiali da sole.
– Pascal?
– disse lei con
una vocetta
stupita.
Li
guardò a turno senza capire. Poi lei si divincolò dalla sua stretta
e corse incontro al dampiro.
– Brutto
figlio di puttana! –
esclamò
saltandogli al collo.
Damon
osservò la scena che seguì con
crescente confusione. Stava
per soggiogare e nutrirsi di una ragazzina rompicoglioni che
probabilmente sapeva troppo, e un attimo dopo il suo pasto si
scambiava amichevoli pacche sulle spalle con il suo (poco
gradito)
ospite.
– Cosa
ci fai qui, uccellino? –
– Cosa
ci fai tu qui?
– ribatté lei –
Non eri appresso a Constantine? –
– Quel paranoico di John? Per carità! L'ho
mollato mesi fa. –
– Gavriel
non lo sopporta! –
– E
figurati io! Ora mi
hanno assegnato ai Salvatore.
–
– Ma
va?! Anche a me!
–
– Che
sta succedendo? –
intervenne Stefan.
Tutti
gli altri stavano facendo capannello attorno
a loro, incuriositi dal
casino. Damon
si fece affianco al fratello,
con le
braccia incrociate e l'umore che
virava al nero.
– Succede
che Pas se la fa con le ragazzine.
–
– Questa
ragazzina ha
125 anni. – lo
rimbeccò lui, circondandole
le spalle.
– È
comunque una mocciosa in confronto a te.
– sogghignò il vampiro.
Qualcuno
lì mentiva.
O
Pas stava barando sull'età o
la ragazzina sapeva nascondere bene la sua natura, perché
il suo odore era inconfondibilmente umano.
Caroline
lo risvegliò dalle sue elucubrazioni con un sarcastico:
"Da che pulpito". Damon
le lanciò un'occhiata di sufficienza.
– Pas,
vorresti presentarci la tua amica? –
lo invitò Stefan.
– Posso?
– la
ragazza annuì e lui si schiarì la voce –
Bene. Vi presento Eleonora
Lath...
Luati...
non ho mai capito come diavolo di pronuncia! –
– Lautnitha.
– gli venne in soccorso
– E
non hai ancora sentito l'altro
nome! –
– Ma
potete chiamarla Nora.
Giusto?
– aggiunse Pas
allegramente.
Si
scambiarono un'occhiata
comica, borbottando “sì,
meglio”.
– Ed
è...? – chiese
Stefan.
– Un
angelo. –
Tutti
si voltarono verso Bonnie, che
osservava la nuova arrivata con occhi spiritati.
Damon
fece una smorfia che palesava
quanto la ritenesse
fuori di testa.
– Non
esistono gli angeli. – scandì come se parlasse a degli idioti.
– Fino
a un paio di settimane fa non esistevano neanche i licantropi.
– gli fece notare Alaric.
A
vedere l'atteggiamento degli altri, Damon aveva già capito di avere
tutti contro. Presentarsi a degli sconosciuti come un emissario
divino e ricevere fiducia immediata: doveva segnarselo.
– E
dove sono le ali? – chiese
sarcastico.
– Le
ho lasciate nel cassetto del comodino.
– intervenne Nora con
aria sfrontata.
Damon
piantò gli occhi su di
lei. Entrava
in casa facendosi annunciare dalla
strega ed era amica di Pas:
erano elementi sufficienti per indurlo
a fanculizzarla.
– Hai
detto che sai qualcosa
di Klaus. Parla e poi
sparisci. –
– Era
una balla. – ammise
lei facendo spallucce
– Mi
serviva una scusa per entrare.
–
Pas
si finse scandalizzato: –
Non si dicono le bugie!
–
Damon
non era dell'umore. Per la
precisione, si era veramente
rotto le palle,
come disse al fratello.
– La
riunione è finita, andate in
pace. – annunciò
prima di sparire.
~~~
Nora
ringraziò Elena per il the che le stava porgendo e si rivolse a
Stefan.
– Tuo
fratello è esattamente come lo immaginavo. –
Il
vampiro non seppe cosa rispondere, per cui si limitò ad
esprimere tutta la sua costernazione per il comportamento di Damon
attraverso una delle molteplici
parafrasi di scuse
che aveva collaudato in 145 anni.
Ricevuta
la sua tazza di the, Bonnie
si fece coraggio
e sedette
accanto a Nora.
Era
inesplicabilmente incantata da quella ragazza. E anche se sapeva –
sentiva – che era
quello che era, non riusciva proprio
a capacitarsene.
Jeremy
diede voce ai suoi dubbi: –
Come puoi essere un angelo?
–
Nora
aprì la bocca
per rispondere.
– Attenta,
– l'ammonì Pas –
quello non ti molla più!
–
– Ero
umana prima. – spiegò
Nora, guardando il ragazzo
divertita.
– Prima
di cosa? – chiese
Caroline.
– Prima
del sacrificio. –
Bonnie
si rese conto di aver parlato solo perché adesso la stavano
guardando tutti. Di nuovo.
Detestava quando facevano
così.
– Per
chi ti sei sacrificata? –
le chiese Elena.
Nora
si strinse nelle spalle e
lanciò un'occhiata a Pas, a
disagio.
– È
una lunga storia. – disse
sorseggiando il suo the –
Comunque... lassù è
piaciuta molto e così,
ta-dan!
Ecco a voi
la Virtù del Sacrificio. –
Lo
diceva come se niente fosse, ma Bonnie sentiva provenire da lei un
insieme di sensazioni contrastanti. Ed era qualcosa che aveva
l'impressione di aver già sentito.
– Come
faccio a sentirti così bene?
– le chiese confusa –
Di solito devo toccare la
gente per percepire certe cose.
–
– Tu
sei una strega e io un angelo incarnato: non è che ci s'incontri
tanto spesso! –
– Dimentichi
la parte interessante: Nora
era amica
di Corinne
Bennett – aggiunse Pas –
Una tua antenata, Bonnie.
–
La
ragazza girò lo sguardo
dall'una all'altro, incredula: –
Mi prendete in giro? Anche
tu eri una strega? –
– Apprendista
strega. – precisò cauta
– Mia madre ed io siamo
scappate dall'Europa nel
1889. Corinne
ci ha accolte e per un po' siamo riuscite a vivere tranquille da
queste parti.
–
Dunque
la sua trisavola
aveva aiutato delle streghe in fuga e una di queste era diventata un
angelo in circostanze
misteriose. Se
solo ci fosse stata la nonna per raccontarle tutta
quella storia incredibile!
– Da
cosa scappavate? – chiese
Alaric.
– Da
chi. –
precisò lei con riluttanza
– Avevamo
pestato i piedi a un
paio di Antichi.
–
– Oh,
– Elena fece una piccola
smorfia – benvenuta
nel club. –
Nora
la osservò attentamente: –
Accidenti, sei davvero...
–
– Uguale
a lei, sì, lo so.
– mugugnò
rabbuiandosi.
– No,
– scosse la testa e rise –
no, tu sei completamente
diversa! La tua aura è così
limpida e... –
– Tu
riesci a vedere l'aura delle persone?
– intervenne Jeremy.
Nora
agitò una mano:
– Lo
sanno fare tutti gli angeli, ce l'abbiamo di default.
–
– Che
altro sai fare? – le
chiese interessato.
– Ci
risiamo... – borbottò
Pas.
Nora
ridacchiò divertita.
– Non
molto: in forma umana le mie capacità sono limitate. E la mia
missione è solo quella di proteggervi. –
– Ma
avrai qualche potere
fuori dal comune, no? –
insisté.
– Tuo
fratello è sempre così ficcanaso? –
chiese ad Elena, che si
limitò a guardarla con
un'espressione di muta scusa.
– Posso
creare barriere protettive,
guarire
le ferite inferte da creature oscure, amplificare
le potenzialità... –
contò sulle dita –
cose
così, insomma.
–
– Tutto
a beneficio degli esseri umani, ovviamente.
– precisò guardando
Stefan.
– Avevo
immaginato che noi anime perdute fossimo escluse dal privilegio.
– commento ironico.
Nora
scrollò le spalle:
– Le
regole non le faccio io.
–
– E
quando sei
in forma angelica cosa puoi fare? –
chiese ancora Jeremy.
Nora
posò la tazza vuota e
sospirò: –
Un sacco di cose noiose. –
– Del
tipo? –
– Del
tipo essere in più luoghi contemporaneamente...
–
– Hai
il dono dell'ubiquità?! –
saltò su Caroline –
Che cosa fica!
–
– Altroché
se è fico! –
esclamò Pas,
scambiando un'occhiata
d'intesa con Nora – Ma preferisci il teletrasporto, no? –
– Oh, sì! Per
non parlare della telecinesi e dei... zin!
– portò
le mani davanti agli occhi e agitò le dita
– Raggi
laser dagli occhi! –
Bonnie
li guardò scettica: se
pensavo che si bevesse quelle idiozie avrebbero dovuto metterci più
impegno. Gli
altri ci misero un po' a capire che li stavano prendendo per il culo.
– Puoi
entrare Damon. – disse
Stefan in tono canzonatorio.
Il
vampiro fece il suo ingresso nella sala, le mani ficcate
in tasca e
l'aria sfrontata
di chi cerca
di camuffare di esser
stato beccato in pieno. Caroline e Jeremy trattennero
una risata, Alaric alzò gli
occhi al cielo. Lo scambio di
occhiate tra i Salvatore fu
alquanto eloquente.
– Sono
il maggiore, – si
difese portandosi una mano al petto –
devo controllare chi mi porta
in casa quello scapestrato di mio fratello.
–
– Sopratutto
se si beve la storiella dell'angelo caduto in volo. –
aggiunse squadrando Nora.
Bonnie
ebbe l'istinto di friggergli i neuroni, ma venne trattenuta Elena.
Pas ebbe la bontà d'interrompere il momento di tensione.
– Allora!
– si batté le mani sulle
cosce – Vogliamo
parlare di cose serie? –
~~~
Alaric
si fece rapidamente
due conti: in quella sala c'erano tre vampiri, una doppelgänger che
era la chiave vivente per la libertà delle peggiori creature oscure,
una strega, un angelo
incarnato,
un dampiro che faceva il Van Helsing per la Chiesa e due umani
resi immortali da degli
anelli incantati.
Gli
X-Men ci fanno una pippa!
– Partiamo
da un
presupposto semplice. –
iniziò Pas – Klaus verrà
qui a reclamare Elena, noi
dobbiamo fermarlo: semplice,
lineare.
–
– Perché
vi sta tanto a cuore questa faccenda?
– intervenne Damon –
Voglio dire... scomodare
persino un angelo.
–
Non
era difficile intuire che Damon fosse ancora scettico a riguardo. E
non è che Alaric invece si fosse convinto del tutto.
Nora
sospirò e
si rivolse al dampiro: –
Glielo spieghi tu?
–
– Qua
non si tratta solo di proteggere la damigella in pericolo. Tu
sei adorabile
Elena, davvero, – Pas
giunse la mani e guardò la
ragazza con dolcezza
– ma
la questione è un pochino più seria e coinvolge il mondo intero e
una buona parte delle sfere infernali. –
– Spiegati.
– lo invitò Stefan.
– Avete
idea di cosa accadrebbe
se Klaus riuscisse a spezzare la Maledizione del Sole e dalla Luna? –
continuò Pas – Provate a pensarci: vampiri ovunque,
non più costretti a limitare i
loro appetiti dal tramonto
all'alba, pronti a farsi uno spuntino a qualsiasi ora del giorno.
–
Elena
si strinse a
Stefan, sconvolta.
– Mi
sa che ci servirà più verbena.
– commentò Alaric per
allentare la tensione.
– Al
ritmo con cui verrebbe vampirizzata
la gente, non riusciremmo a
contenerli nemmeno se convertissimo l'intera
agricoltura mondiale in
verbena e se deforestassimo l'Amazzonia per procurarci paletti. –
ribatté Pas secco
– L'umanità si
estinguerebbe nel giro di due generazioni. –
Tutti
i presenti lo guardarono allibiti.
– Non
dirmi che avete fatto davvero
delle proiezioni simili? –
fece Nora vagamente stranita.
– Perché,
voi non avete calcolato quante anime vi toccherebbe smistare?
– replicò
lui.
– Ah,
non lo so. – la
ragazza alzò le mani – Io
quei brainstorming li pacco sempre.
–
– E
cosa si aspettano che facciamo?
– intervenne Caroline
accigliata – Non
siamo dei professionisti, siamo
solo un gruppo di freak. –
– È
per questo che hanno mandato noi. –
disse Pas indicando
sé e Nora –
Insieme abbiamo qualche
possibilità di farcela contro
le forze del
Male.
–
– Sì,
la Justice League... ma per favore!
– sbottò Damon –
Io mi chiamo fuori. –
– Per
me è una figata! –
dichiarò Jeremy.
– Aspetta
di trovarti davanti ad un
Antico. – commentò
Stefan serio.
Elena tagliò corto: – Lui
non si troverà davanti a nessun Antico.
Nessuno di noi combatterà. –
Damon
le rivolse una smorfia: –
Per carità,
non ricomincerai
con la menata del
sacrificio?
–
– Temo
che combattere sarà inevitabile.
– fece notare Pas.
– No.
– intervenne Alaric, che aveva ascoltato anche troppe idiozie –
Possiamo trovare un'altra
soluzione, un modo per tenerli a bada finché non capiamo come
renderli inoffensivi. –
Pas
e Nora si guardarono: la ragazza arricciò le labbra e alzò le
sopracciglia in segno di
assenso.
– D'accordo.
– fece Pas conciliante –
Ma non abbiamo molto tempo,
dovremo tutti prenderci un
po' di ferie. –
Gli altri annuirono. Alaric pensò che era ora di sfruttare la vecchia
scusa dell'anno sabbatico e sparire dalla scuola per
qualche tempo.
– Sarebbe
anche il momento di decidere
se ci
state o meno.
– Nora li guardò uno ad
uno – Chiunque non se la sente, molli adesso. –
Nessuno
proferì parola. Lentamente gli sguardi si
puntarono tutti su Damon.
– Cosa?
– sospirò
teatralmente – Vi
ho già detto come la penso e...
–
Elena
lo afferrò per un braccio e lo guardò seria: –
Damon, ci servi anche tu. È
importante. –
– ...e
se mi lasci finire di parlare.
– la fulminò –
Secondo me è una stronzata,
ma facciamolo, sì... giochiamo ai supereroi.
–
Alaric aveva un gran brutto presentimento. E sapeva esattamente il perché.
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Note
Woah! Non mi aspettavo
di riuscire ad aggiornare così in fretta!
Uhm...
mi
sono accorta di non aver scritto in che momento è ambientata la
fanfic... comunque, se non si fosse già capito, tiene conto degli
eventi accaduti fino alla 2x13.
Non
avete idea di quanto mi faccia piacere che Nora vi stia simpatica! Ho
il sacro terrore di cadere nella trappola delle Mary Sue e vedere che
vi piace mi conferma che la mia Nora è una “a posto”! NB
io
ADORO Bryce Dallas Howard:
è
senza tette... proprio come me! *o*
Enjoy the song: è un
chiaro tributo a gente come Damon! ;)
Capitolo
3
~
Dove
si mettono un po' di paletti
(figurativamente, eh)
La
stoffa consunta si srotolò, aprendosi sotto gli occhi dei quattro
uomini. Damon afferrò il pugnale e lo maneggiò con nonchalance.
Pas
si sfilò gli occhiali da sole con un “Parbleu!”. Erano
letteralmente secoli che non vedeva un oggetto simile: la fattura che
aveva incantato quel pugnale non era più rintracciabile e la polvere
della Quercia Bianca era rara al pari del primo volume di Spiderman.
I pochi che custodivano quell'arma erano tutti catalogati nei
registri demonologi della Chiesa. Sapeva che uno di quei privilegiati
era stato Johnathan Gilbert, ma dopo la sua morte l'arma era stata
data per dispersa. Certo, se avessero immaginato che era finita nelle
mani di quell'imbecille di John, avrebbero provveduto da un pezzo a
destinarla a gente più meritevole.
– Secondo
John, con questo
si può uccidere un Antico.
– spiegò Alaric,
osservando l'arma con
scetticismo.
– Mi
sa che John ha dimenticato una parte.
– commentò Pas.
Quando
spiegò esattamente il suo
funzionamento, Damon si
produsse in una sfilza di imprecazioni in tutte le lingue che
conosceva, più qualcuna inventata lì sul momento. Conoscendo quella
testa calda, non vedeva l'ora d'infilzare Elijah:
il
piccolo effetto collaterale dell'arma
gli rovinava la festa.
Stefan
si portò una mano al viso, stringendo la base del naso. Adesso
sarebbe stato divertente osservare i patetici tentativi di fermare il
fratello dal tentativo di uccidere John.
~~~
– Dove
starai? –
Nora
emerse dagli scaffali con una
pila di tomi polverosi e si
sedette per terra vicino a loro. Jeremy
era andato con lei ed Elena a casa Gilbert,
per recuperare i vecchi diari
di Johnathan:
forse potevano ancora fornire informazioni preziose.
– Alaric
mi ha offerto un letto. –
li informò mentre prendeva a
sfogliare le pagine
ingiallite.
Elena
le lanciò un'occhiata allarmata: –
A Jenna verrà un colpo.
–
– Oh,
ti prego!
– alzò gli occhi al cielo
– Dimostro
15 anni, diremo che sono la
figlia di Pas o
qualcosa del genere. Sono
più preoccupata per tuo zi... tuo padre...? Sì,
insomma, per John.
–
– Non
è certo un problema.
– commentò Elena
afferrando un diario e soffiando via la polvere –
È solo... un po'...
–
– Ossessivo?
– suggerì Jeremy alzando
gli occhi da un diario.
– Cretino.
– affermò Nora
con un risatina sarcastica –
E del tipo più pericoloso.
Va tenuto d'occhio come
i bambini.
–
La
risata di Jeremy si strozzò sul
nascere quando sentì la voce
di suo zio.
– Chi
va tenuto d'occhio? –
Elena
trasalì
e nascose goffamente
il diario che stava leggendo, scambiando un'occhiata colpevole con il
fratello.
John
pescò uno dei quaderni dalla scatola.
– I
diari di nonno Johnathan. –
mormorò sfogliandolo distrattamente e rimettendolo poi al suo posto
– Non
credo che siano una lettura adatta a dei ragazzini. E tu saresti...?
–
– Be',
sai, io
non credo che le
nostre letture siano affari
tuoi. – intervenne
Jeremy mettendosi in piedi e fronteggiandolo.
Come
sempre, Elena l'avrebbe
rimproverato come se avesse
ancora cinque anni. Come
sempre, gli avrebbe remato contro per il solo fatto di essersi voluto
coinvolgere. Ma Jeremy era
stufo di essere il cucciolo
di casa, stufo di prendere ordini da persone che pretendevano di
sapere cos'era
il meglio per lui
e invece gli stavano rovinando la vita, stufo di ascoltare senza mai
agire.
John
lo fissava con malcelato astio.
– Tutto
della vostra vita è affar mio. Lo
è
finché siete sotto la mia tutela.
– ribatté
con aria strafottente
– In
ogni caso questi diari sono miei. Non
gradisco che vengano letti da sconosciuti.
–
La
sua attenzione tornò all'ospite. Nora
posò il diario che stava
leggendo e saltò su
tendendogli
la mano.
– Piacere,
Nora. – si
presentò.
John
non ricambiò la stretta: il
modo in cui la squadrò
avrebbe irritato chiunque.
Nora si limitò a sorridere,
in paziente attesa di una sua
risposta. Jeremy si disse che
quella ragazza doveva essere
un angelo a tutti gli effetti, perché
solo
una creatura celestiale non avrebbe reagito a John sputandogli
in faccia. La
sola presenza di quell'uomo era capace di
scatenare istinti omicidi in un santo.
– Bene,
Nora. – commentò
lui
con supponenza –
Preferirei che Jeremy portasse le sue amichette a giocare fuori. –
Il
sorriso della ragazza si trasformò in una risata allegra.
– “Amichetta”
lo dici a tua sorella.
– disse in tono soave
– Sono una Virtù. E non
fare il
finta di non capire,
John. –
Il
volto di John divenne esangue. Elena osservava la scena con gli occhi
larghi come piattini.
– Se
oltre ai diari avessi ereditato anche il cervello di Johnathan,
capirei le tue pretese, ma
sei solo
un piccolo idiota che sa troppe cose. –
Jeremy
si ficcò un pugno in bocca per non ridere: John
era semplicemente
pietrificato.
Nora
gli diede un'amichevole pacca
sul braccio: – Mettiti
da parte, potresti farti la
bua.
–
Dopodiché
tornò a sedersi per terra e
riprese
a leggere il diario che aveva abbandonato. Un
secondo dopo, John si era
volatilizzato giù per le
scale.
~~~
– Ciao
Johnny caro.
–
A
giudicare dal suo pallore, quella doveva essere una brutta giornata
per il buon, vecchio
Gilbert.
Stranamente, a Damon non poteva fregargliene un cazzo.
– Ma
che bel terzetto. – ebbe il
coraggio di biascicare,
chiudendosi la porta alle spalle. –
Tu e tuoi amici non siete
graditi in casa mia, Salvatore.
–
– Siete
tutti così accoglienti
in Virginia? – commentò
Pas sarcastico.
Alaric
annuì: – Ce
ne facciamo un vanto. –
– Dove
vai di bello, John? – gli
chiese Damon con un tono un
po' troppo cordiale.
L'uomo
sogghignò: – Ho
l'impressione che non siano affari tuoi.
–
– Riproviamo.
– sospirò il vampiro.
Una
frazione di secondo dopo John era appeso
contro il muro.
– Vorresti
farmi la cortesia di dirmi dove stai andando?
– ripeté pazientemente.
Pas
si lamentò alle sue spalle: –
Ma perché devi essere sempre
così violento? –
Damon
alzò gli occhi al cielo.
– Io
ci ho provato a chiederglielo con le buone.
– si giustificò –
Allora?
–
Alaric
sentì il bisogno di fargli notare che “È
pieno di verbena”.
– Guarda
che lo so. – sbuffò
irritato.
– Ma
posso sempre fargli un sacco male. –
aggiunse aprendosi in un sorriso perfido e tendendo la mano ad Alaric
– Dammi
l'anello. –
– Non
credo che sia una buona idea.
– azzardò Pas mentre
infilava l'anello al dito di
John.
– Voglio
solo divertirmi un po'. –
protestò con voce
piagnucolosa –
Lasciatemi
fare una buona volta! –
Lo
prendevano per scemo? Perché nessuno si fidava mai della sua
capacità di giudizio?
Perché
sei giusto un tantino impulsivo.
Esci
dalla mia testa, stupida pennuta. Lo sapevo che non ci si può fidare
di te.
Non
sono nella tua testa. E lascia perdere il discorso sulla fiducia, che
non mi va di umiliarti...
Damon
imprecò. Mollò la presa su John, guardandosi intorno irritato.
– Pensateci
voi. –
Entrò
in casa e, fermo sulla soglia, osservò l'ambiente accigliato, come
se il mobilio gli avesse fatto qualche torto.
Piccola
Freud, che cazzo ne sai di me? Esci. Dalla. Mia. Testa.
Aspetta...
come fai a scandire le parole nel pensiero? Io non ci riesco mai!
Salì
le scale e giunse al piano superiore, seguendo il flusso di pensieri.
La
vuoi smettere?! Mi irritano non poco li telepati.
Non
leggo nel pensiero. E se anche potessi farlo, la tua testa sarebbe di
una noia mortale.
La
trovò nella stanza di Elena, con i fratelli Gilbert, circondati da
una montagna di diari polverosi.
– Piantala!
–
La
sua voce spezzò
improvvisamente
il
silenzio della stanza. I due ragazzi sobbalzarono e lo guardarono
malissimo. Damon batté
le palpebre confuso, rendendosi
conto solo in quel momento di aver parlato a voce alta.
Nora
si accigliò: – Tu
hai qualche problema, lo sai?
–
– Non
sono io quello che fruga nella testa degli altri.
– commentò disgustato
– Cosa sei, il Professor
X? –
La
vide lanciare via il diario che stava leggendo e alzarsi in piedi.
– Era
un dialogo tra entità.
– fece
con un'irritante aria di superiorità
– Non posso controllarlo. –
Damon
agitò appena una mano: – E
a me cosa me ne frega? Non
farlo mai più. –
– Altrimenti?
–
Strinse
gli occhi e si chinò su di lei: –
Quant'è vero Iddio, ti
spenno. –
– Oh,
ma che paura! – fece
quella sfrontata,
alzando il mento.
Lo
aggirò e uscì dalla stanza, cantilendando di nuovo “Non posso
controllarlo”.
– Impara.
– le urlò dietro.
Era
rimasto nella
stanza con Elena
e Jeremy, che lo osservavano con diffidenza. La stessa diffidenza che
di solito si riserva
ad un animale molto strano o ad una
persona
un po' scema.
Damon
scosse la testa e tornò
di sotto, dove ritrovò
Alaric e Pas. E il caro John, ovviamente: affossato in una poltrona,
al
momento messo sotto torchio dal
dampiro.
Si
sedette di fronte lui. Lo stupido battibecco con il tacchino gli
aveva fatto dimenticare per un attimo
il truculento proposito con cui si era recato a casa Gilbert. L'odio
e il disgusto per quell'omuncolo riemersero prepotenti, e assieme a
loro tornò immediatamente qualcosa di molto seccante.
Che
ti ha fatto quel poveretto?
Damon
la fulminò con lo sguardo.
Poveretto
'sto cazzo. E ti ho detto di smetterla.
Che
ti piaccia o meno, io. Non. Posso. Controllarlo. Uh? Ci sono
riuscita!
Ma
che...?!
Lo
vedi che è come un dialogo? Mi piglia tutte le volte che qualcuno
vuole fare una stronzata.
Io
non voglio fare nessuna stronzata.
Gesù,
non poteva credere di essersi impantanato in una cosa così assurda.
E si stava anche giustificando!
Tu
vuoi torturare John!
Non
vedo la parte classificabile come “stronzata”.
Ti
devo mettere i sottotitoli? Vuoi fare fuori il padre biologico della
donna che ami!
Damon
batté le palpebre e sorrise amabilmente.
– Ti
sei appena fregata. –
Nora
fece una buffa smorfia.
– Come
puoi sapere cosa provo per lei se non mi leggi nel pensiero?
– si indicò la testa e la
fissò con aria folle, inconsapevole degli sguardi allucinati che
gli rivolgevano i presenti.
– Telepate.
– sussurrò trionfante.
– Non
ne ero sicura fino ad ora. –
ammise
lei pensierosa
– Grazie
per avermene dato conferma. –
Damon
strinse la mascella e si afflosciò sul divano.
Passò lo sguardo sui presenti con aria scornata.
– Nora.
– fece
Pas con il tono di un maestro che riprende un'alunna.
Lei
alzò le mani e le fece ricadere lungo i fianchi, sbuffando.
–
Cosa?! –
– Smettila
di tormentarlo. – l'ammonì
serio.
– Non
è colpa mia! Ha
cominciato lui! – protestò
indicandolo.
– Smettila
lo stesso. – ribadì
Pas in tono fermo.
– Ma...!
–
Uno
sguardo severo e la ragazza ammutolì. Mise il broncio e si lasciò
cadere sul divano, nel punto più lontano da Damon.
~~~
Quando
Stefan aveva detto loro che
li avrebbe raggiunti più tardi, aveva avuto una strana sensazione.
Era come una voce interiore che gli diceva: “e se poi te ne
penti?”. Ebbene, Stefan se n'era pentito.
Al
suo arrivo a casa Gilbert, infatti, trovò una scena bizzarra: Pas
chiacchierava amabilmente con un John poco propenso al dialogo,
mentre suo fratello, che aveva messo su un muso non indifferente, scambiava
occhiatacce con Nora in silenzio assoluto.
–
Mi sono perso qualcosa?
– chiese alla sua ragazza.
Elena
appariva visibilmente sollevata di rivederlo.
–
Ti racconto più tardi. –
gli disse a mezzabocca – Hai portato tutto? –
Stefan
annuì.
–
Prendo la mia roba e
possiamo andare. – aggiunse, scomparendo al piano di sopra.
–
Avete una gita in
programma? –
Pas
aveva mollato John nelle mani di Alaric e sembrava molto interessato
al borsone che aveva appresso. Stefan si ficcò le mani in tasca e si
strinse nelle spalle: aveva una strana sensazione.
–
Passiamo il weekend
nella casa sul lago dei Gilbert. –
Calò
un pesante silenzio. Alaric e John avevano smesso di parlare e si
erano voltati a guardarlo. Persino Nora e Damon sembravano aver
catalizzato l'attenzione su di lui.
Il
dampiro abbassò gli occhiali da sole e lo fissò incredulo.
–
Mi prendi per il culo?
Qui si cerca di salvare il mondo e voi andate a fare i piccioncini? –
Stefan
aprì la bocca per spiegarsi, ma non riuscì a trovare niente di
sensato da dire, così la richiuse e abbassò la testa rassegnato.
–
Nella casa sul lago!
Perché non mettete anche un'insegna luminosa? – alzò le mani a
simulare la scritta – “KILL ME”. –
Elena
spuntò dalle scale e si fermò a metà della rampa. Lui le fece un cenno negativo e lei emise un flebile, piagnucoloso "no", trafiggendolo con occhi accusatori. Stefan
si sentì colpevole dei peggiori crimini
contro l'umanità. Con un'imprecazione, Elena lasciò cadere le borse
a terra e ci sedette sopra.
–
Pas, – tentò Stefan
in modo diplomatico – abbiamo bisogno di staccare. Elena ne ha
viste troppe ultimamente. –
–
Oh, ma che dolci! – li
canzonò – Scordatevelo. –
–
Venite con noi. –
I
due si voltarono verso Elena. Era impossibile non notare lo sguardo
speranzoso con cui li occhieggiava.
Damon
parve aver ritrovato l'allegria, perché se ne uscì con un
inopportuno: – Be', sarà meno romantico del previsto, ma... –
Molto
inopportuno. Così inopportuno che Pas intercettò l'espressione
incupita di Stefan e gli venne in soccorso.
–
No. Noi due dobbiamo
finire con John. Vero, John? – disse rivolto all'uomo – Ci vanno
Alaric e Nora con loro. –
Elena fece spallucce e annuì. Stefan tirò un lungo
sospiro di sollievo.
–
Tutti d'accordo? –
batté le mani e si guardò intorno – Bene! Buona caccia, che Dio
vi assista, in bocca al lupo eccetera. –
~~~
Katherine
scorse velocemente il suo mezzo millennio di vita e considerò che,
no, non si era mai trovata in una situazione più imbarazzante. Erano
secoli che non lo incontrava e trovava che fosse alquanto ingiusto
che si rivedessero proprio quando lei era in quelle deprecabili
condizioni.
–
Pascal. Ti trovo bene. –
Il
dampiro si tolse gli occhiali da sole e la osservò con compassione,
appoggiato all'architrave della cripta.
–
Non posso dire
altrettanto, cheri. –
Detestava
quando faceva così. Quella sua assurda boria... come se essere un
mercenario della Chiesa equivalesse automaticamente ad assurgere ad
un gradino superiore. Era più divertente quando lavorava in proprio
e cacciava per passione. Certo, restava un misero mezzosangue, ma
Katherine aveva sempre pensato che Pascal avesse il "suo perché" – e
a suo tempo Pascal aveva pensato altrettanto di lei.
–
Ma... – schioccò la
lingua e adocchiò gli altri alle sue spalle – questa non è una
visita di cortesia, dico bene? –
–
Dici bene. –
Spinse verso di lei una borsa. Katherine poteva sentire l'odore del
sangue fresco attraverso la tela e la plastica della sacche: la gola
divampò. Lanciò un'occhiata diffidente ai presenti, ma non è che
potesse permettersi di fare troppo la sostenuta, non dopo settimane
di digiuno.
Pochi
minuti dopo aveva fatto fuori quasi tutto il contenuto della borsa.
Lasciò cadere la sacca di emoglobina che aveva appena prosciugato e
si pulì le labbra con il dorso della mano.
–
Dunque, a cosa devo
questa rimpatriata? –
Damon
spinse avanti John: – Diglielo. –
Non
serviva che dicesse niente: Katherine lo guardò con disprezzo e si
chiese come avesse potuto pensare davvero di poter contare su di lui.
–
Siete qui per farmi il
processo? – ridacchiò – Non avete cose più importanti di cui
occuparvi? –
Pascal
si mise a passeggiare su e giù, una mano a grattarsi il mento.
Katherine strinse gli occhi: conosceva i suoi modi. Al momento le
stava dicendo che aveva il coltello dalla parte del manico e questo
non prometteva niente di buono – non con Pascal.
–
Supponi che Elijah venga
a sapere del vostro piano. – cominciò lui.
Katherine
dovette fare un notevole sforzo per non far trapelare il terrore che
l'aveva presa appena pronunciato quel nome. Eppure se l'era
aspettato.
–
Uhm... fammi pensare. Se
fossi al posto suo cosa mi farebbe più comodo, conservarmi viva per
consegnarmi a Klaus o vendicare un ipotetico torto mai subito? –
–
Mi fa piacere notare che
non sei cambiata per niente. – se ne uscì Pascal con un sorrisetto
strafottente – Sempre così ottimista. –
Bene.
A Katherine, invece, non faceva per niente piacere notare che anche
lui non era cambiato. Pascal era il solito: non lo si poteva fregare
così facilmente. Lui non era un Damon qualsiasi.
–
Vieni al punto. –
sospirò guardandolo storto – Che cosa volete? –
–
Che la finiate con
questo spettacolino. – intervenne Damon – Tutti e tre. –
Katherine
alzò le sopracciglia, stupita. Tutto qui? Si aspettava, come minimo,
che chiedessero – anzi pretendessero – il loro aiuto per
il piano sgangherato che sicuramente stavano cercando di tirare su
per contrastare Klaus. Non che le dispiacesse stare
fuori da quella stupida guerra, beninteso, ma c'era da ammetterlo: tralasciando l'ormai inutile John,
lei ed Isobel non erano da buttare via.
–
Se proprio devo. –
–
Devi. –
Alzò
gli occhi su Damon, divertita. Era così carino vederlo fare
la parte del dannato, del cattivo.
–
Non abbiamo tempo per i
vostri giochetti. –
Katherine
scrollò le spalle non noncuranza: – C'è altro? –
–
Sì. – Pascal si fece
vicino – Gradiremmo che condividessi con noi tutto quello che sai
su Klaus e gli Antichi. –
Sì,
come no. E magari anche mangiare un'insalata di verbena.
–
Oh, – Katherine si
portò una mano ai capelli e si ritrasse nelle spalle – mi
dispiace, io... non ho una buona memoria per queste... –
Qualunque
cosa fosse, le stava trapanando il cervello con mille aghi
arroventati. Si piegò a terra con un urlo strozzato.
–
Basta così. –
Il
dolore scemò, lasciandola stordita e ansante sul nudo pavimento. Si
strinse a sé con un rantolo, sentendo colare le lacrime. Pascal si
chinò su di lei e le scostò i capelli dal volto, quasi con
tenerezza.
Adesso
– solo adesso – quella puttanella della Bennet aveva avuto il
coraggio di uscire allo scoperto. La guardò con odio. Il sangue
affluì al viso e con uno scatto sfoderò i denti.
–
Buona! – l'ammonì
Pascal allontanandosi.
Stavano
tutti a distanza di sicurezza, ma nessuno aveva l'aria di volersene
andare da lì. Maledetti... sarebbe stata quella la loro tecnica?
Torturarla fino ad ottenere ciò che volevano sapere?
–
Possiamo stare qui anche
tutta la notte, tesoro. –
Katherine
scambiò un'occhiata con Pascal e comprese che le sue peggiori
ipotesi si stavano avverando. Ebbene, la grandezza sta anche
nell'accettare i propri limiti – o almeno così dicono.
–
D'accordo. – sibilò.
Disse
loro tutto. Qualsiasi cosa avesse a che fare con gli Antichi, tutte le
sue esperienze in merito: non tralasciò nulla. Scavò nel proprio
passato e tirò fuori ogni cosa. E si accorse che in un certo senso
era liberatorio, quasi catartico.
Quegli
stolti forse l'avevano anche avuta vinta, ma tanto erano destinati ad
una morte atroce nonappena fossero incappati in Klaus. La
consapevolezza di ciò era sufficiente a rendere più dolce quel
momento umiliante.
–
Bene. – fece Pascal con aria
soddisfatta – Direi che per oggi può bastare. –
Katherine
soffiò via l'aria con esasperazione: – Vi ho detto tutto. –
–
Lo spero per te. –
aggiunse.
Con
occhi attenti lo osservò trascinare verso di lei un'altra borsa,
simile alla prima.
–
Il bastone e la carota.
– commentò sarcastica – Immagino di doverti dire grazie. –
Pascal
le fece l'occhiolino: – Oh, grazie a te. –
Katherine
alzò gli occhi al cielo: eppure era un tipo sveglio, come faceva
anche solo a ipotizzare di avere una qualche possibilità
contro Klaus?
–
Allora siete davvero
convinti. – trattenne una risata – Non posso crederci... vi
farete ammazzare, lo sapete, vero? –
Damon
sogghignò: – Ci hanno potenziati, cosa credi? –
A
Katherine non sfuggì lo sguardo allarmato che Pascal scoccò verso
di lui. Guardò John: se sapeva qualcosa, era il momento giusto per
dirla.
–
Un angelo. – fece in
tempo a dire, prima di venire trascinato via dagli altri.
Quando
vide Pascal stringere la mascella, il bel volto di Katherine si aprì
in un sorriso compiaciuto.
–
Ed Elijah lo sa che c'è
sangue divino in città? – buttò lì mentre uscivano dalla cripta.
Pascal
s'irrigidì, Damon aguzzò le orecchie, tutti gli altri si lanciarono
occhiate confuse. Esattamente l'effetto che sperava di ottenere.
Il
dampiro non disse niente, ovviamente: avrebbe solo peggiorato la
situazione. Ma per il momento era più che sufficiente. Adesso non
doveva fare altro che aspettare sulla sponda del fiume: i cadaveri dei suoi nemici
sarebbero passati presto.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Note
Raga'...
una recensione UNA mi avete lasciato (grazie kannuki... tu sai).
Cioè. Io non elemosino mai, ma capirete che è un po' deprimente. Se
non vi piace ditelo, eh, mi basta solo sapere a grandi linee cosa ne
pensate, non pretendo una mega-recensione.
PS:
Sono basita e costernata dalle ultime puntate, tant'è che mi sono
rifiutata di vedere la fine della stagione. Sappiate che
questa fanfic non prenderà minimamente in considerazione la
favoletta dei 7 fratelli, ma continuerà sulla linea della
Maledizione del Sole e della Luna. Come ha detto una mia amica: le
atmosfere fanno un po' troppo Lost, secondo me questi non
sanno quello che fanno. E aggiungo *SIGH*!
Vabbè,
bando alle depressioni... eccovi il quarto capitolo... buona lettura!
:)
Capitolo
4
~
Dove
si fa baruffa per un diario
–
Cioè, non puoi
capire! Questa roba spacca di brutto! –
Le
sopracciglia di Stefan schizzarono verso l'attaccatura dei capelli.
Caroline
osservò Nora con palese preoccupazione: – Ti sei fumata qualcosa?
–
–
Ehi, sto cercando
di adattarmi al ventunesimo secolo! – si difese lei, scollando per
un attimo lo sguardo dallo schermo della Xbox.
–
La gente non parla
così dagli anni ottanta. – le fece notare Jeremy.
E
approfittando della sua distrazione le piazzò una combo micidiale.
La squillante imprecazione che scaturì dall'angelo fece fischiare le
sensibili orecchie dei vampiri presenti.
Nora
mollò il controller sul divano e ribatté stizzita: – Ma se non
eri nemmeno nato negli anni '80! –
Stefan,
semplicemente, non sapeva se essere divertito o perplesso. La carezza
di Elena lo distolse dalla contemplazione di quella scena ai limiti
dell'assurdo.
–
Sei preoccupato. –
Non
era una domanda, era proprio una constatazione.
Stefan
rimirò i suoi lineamenti morbidi: Elena era l'allegoria
dell'altruismo. Poteva contare sulle dita le volte che era stata
egoista e, se ci pensava bene, le avrebbe anche trovato una nobile
giustificazione. Non poteva rimpiangere troppo il fatto che questa
sua caratteristica la mettesse costantemente in pericolo, perché se
non fosse stata così irrimediabilmente pura non l'avrebbe amata.
Cioè, non l'avrebbe amata davvero, di quel sentimento
totalizzante e senza ragione che mai aveva provato prima.
Quando
la guardava Stefan poteva vedere come fosse identica a Katherine,
eppure non avrebbe potuto trovare al mondo una creatura tanto diversa
da lei: adorava notare questo ogni volta.
Diciamo
che lo adorava un po' troppo.
Stefan
lo poteva constatare spesso e questa era una di quelle volte.
Quelle volte in cui il suo sguardo scivolava dagli occhi scuri alle
labbra morbide e lì si fermava, famelico.
Ed
Elena, be', lei le conosceva bene quelle volte. Abbassò le
ciglia e sorrise.
~~~
Jeremy
sbadigliò rumorosamente, dando il via ad una catena di sbadigli
senza fine. Caroline di alzò di colpo e prese ad errare nervosamente
per il soggiorno, con le braccia incrociate sul petto.
–
Non posso credere
di essere finita a fare il cane da guardia a quei due. – mugugnò
seccata.
–
È venerdì sera! –
sbottò, quando vide che nessuno le dava retta.
Alaric
l'adocchiò stancamente: – Avevi di meglio da fare? –
Domanda
retorica. Eppure sì, ne avrebbe avute eccome di cose migliori da
fare. Sistemare le cose con Matt, per esempio – ormai era diventata
una priorità. E non sarebbe stata una cattiva idea anche decidersi a
chiudere definitivamente la questione-Tyler.
–
Be', – Nora si
batté le mani sulle cosce e balzò su, strofinandosi gli occhi –
allora facciamo qualcosa, no? Idee per ammazzare il tempo? –
Per
un momento restarono tutti immobili e zitti, guardandosi a turno.
–
Ehi, piano, uno
alla volta! – ironizzò.
–
Potremmo cercare
altre informazioni sui diari. – propose con poca convinzione
Jeremy, indicando con il pollice lo scatolone pieno che si erano
portati via da casa Gilbert.
Oh,
no... – pensò Caroline –
non di nuovo quei dannati diari!
Emise
un rantolo piagnucoloso: – Ancora?! –
–
Li abbiamo
setacciati, non c'è niente che non sappiamo già. – constatò
Alaric.
Caroline
gli fece un cenno di ringraziamento.
–
Potrebbe esserci
sfuggito qualcosa. – suggerì Nora stringendosi nelle spalle.
E
con orrore di tutti i presenti, agguantò un paio di volumi e tornò
a stravaccarsi sul divano. Mestamente, ognuno di loro la imitò.
Venti
minuti dopo, Jeremy russava sonoramente, con la testa reclinata sul
bracciolo. Caroline, col mento poggiato sulla mano, faceva solo finta
di leggere gli assurdi scarabocchi di Johnathan Gilbert. Nora stessa
sembrava più interessata alle ragnatele del soffitto che al diario
che aveva riverso sul petto.
Solo
Alaric pareva ancora immerso nella lettura, per quanto i frequenti
sbadigli palesassero la sua noia. D'un tratto si alzò e andò a
frugare nello scatolone – Caroline davvero non capiva con quale
coraggio continuasse spontaneamente quella tortura.
–
Qualcuno di voi ha
il diario che va dall'estate del 1864 alla primavera del 1865? –
Risuonando
improvvisa nel silenzio assoluto della stanza, la sua voce risvegliò
di colpo Jeremy. Il suo scatto spaventò Nora, alla quale cadde il
diario a terra. Caroline ridacchiò a quel teatrino e poi controllò
sul dorso del diario che aveva in mano: era del 1866.
–
Niente da fare. –
borbottò.
Anche
i diari di Nora e Jeremy risalivano ad altre date.
–
Avete lasciato dei
diari a casa? – chiese Alaric.
Jeremy
scosse la testa: – Quelli che vedi sono tutti quelli che abbiamo
trovato. –
–
Allora ne manca
qualcuno. –
Caroline
si strinse nelle spalle.
–
Forse Johnathan non
scriveva sempre tutto
quello che gli succedeva. – ipotizzò speranzosa.
–
O forse contenevano
delle informazioni preziose... – suggerì Nora.
–
E ha preferito
nasconderli? – concluse la voce di Stefan dalle scale.
Era
lì con Elena, scendevano dal piano di sopra con le braccia ricolme di
diari. Caroline si convinse di essere appena finita in un incubo.
~~~
–
Ma voi non...? –
azzardò Nora indicando verso il piano di sopra.
Elena
arrossì e Stefan tossì nervosamente.
Era
abbastanza chiaro, in realtà, che non avessero combinato niente in
quelle ore. Caroline sarebbe diventata di tutti i colori per
l'imbarazzo di sentire certi rumori grazie al suo udito da
vampira. E Nora stessa aveva capito che non dovevano aver passato
delle ore allegre: Stefan era imperscrutabile come sempre, ma era
impossibile non accorgersi degli occhi gonfi di Elena. Aveva tirato
fuori quella stupida battuta nella speranza di allentare la tensione.
–
C'è uno stanzino
segreto di sopra. – li informò Stefan.
–
Ti piacerà,
Alaric. – aggiunse rivolto all'uomo, che lo guardò interessato –
Non abbiamo trovato solo libri là dentro. –
Alaric
non se lo fece ripetere due volte: andò di sopra, seguito a ruota da
un curiosissimo Jeremy.
–
Quindi... –
sospirò Caroline, afferrando uno dei diari appena scoperti – avete
letto qualcosa d'interessante? –
–
Diciamo di sì. –
fece Elena, ficcandosi le mani nelle tasche e adocchiando Stefan in
modo strano.
Nora
aprì e sfogliò qua e là i diari sparsi sul tavolo: – Qualcosa di
utile? –
–
Sì e no. – disse
Stefan – Abbiamo trovato la storia della polvere della Quercia
Bianca e del pugnale. Pensiamo che possano esserci altre informazioni
utili su come... comportarsi... con un Antico. –
Scambiò
un'occhiata significativa con Nora.
–
Ehi, non avete
idea della roba da urlo c'è lì! – proruppe Jeremy scendendo
di corsa dalle scale.
Alaric
faceva capolino dietro di lui, rigirandosi tra le mani un aggeggio
dall'aria abbastanza letale.
Nora
ridacchiò: – E poi sono io che parlo come negli anni ottanta! –
Le
ore seguenti, nonostante la stanchezza generale e lo strano umore di
Elena e Stefan, furono assai più proficue delle precedenti. Mentre
Alaric insegnava a Jeremy un po' di tattiche utili con tutti quei
gingilli, gli altri si buttarono nella lettura dei diari appena
scoperti. E non ci volle molto per capire il motivo per cui erano
stati nascosti con tanta cura.
Nora
valutò che quella doveva essere la riserva di informazioni più
preziosa alla quale potevano attingere. Le era bastato un diario e
mezzo per farsi un quadro generico ma abbastanza chiaro delle
possibilità che avevano di sconfiggere Klaus. E poco dopo Elena
trovò quella che sarebbe stata considerata da tutti
un'informazione-chiave.
Non
furono solo i due vampiri a sentirle trattenere il respiro quando
trovò l'incantesimo per distruggere la Pietra di Luna.
–
Questo dobbiamo
farlo vedere a Bonnie! – esclamò Caroline eccitata.
Stefan
lesse attentamente e annuì.
–
Ma serve il potere
congiunto di tre streghe. – notò – E dopo la faccenda dei Martin
non è pensabile fidarsi di nessuno. –
Nora
rifletté un momento: non aveva mai fatto niente del genere, ma
sapeva che poteva. Non sapeva fino a che punto poteva spingersi e non
era sicura di volerlo testare proprio su Bonnie, ma era comunque una
possibilità. E poi non è che avessero molta altra scelta!
–
Posso pensarci io.
– azzardò.
Stefan
la osservò incuriosito. Ma prima che potesse chiederle qualcosa,
Jeremy spuntò da sopra il divano.
–
Ehi, cervelloni,
non state dimenticando un dettaglio? Non ce l'abbiamo la Pietra di
Luna. –
–
Quello non sarà un
problema. – annunciò Alaric, maneggiando un paletto.
Elena
lo squadrò con aria preoccupata: – Non starai pensando di uccidere
Elijah. –
Nora
lo vide scambiare con Stefan uno sguardo che la diceva lunga.
–
Dite che è troppo
tardi per un invito a cena? –
~~~
Elena
si rifiutò di ascoltare i piani folli che il suo ragazzo e il suo
professore di storia stavano cercando di architettare per fare fuori
un vampiro superpotente e portargli via una pietra che avrebbe
salvato il mondo. Quello sembrava più uno
di quei colpi di testa avrebbe potuto fare Damon – e comunque era contraria a certi metodi – ma sapeva di non
avere la minima possibilità di farli ragionare. Per cui,
semplicemente, decise di ignorarli e si immerse nuovamente nella
lettura dei diari.
–
Oh! –
L'urletto
di Caroline catalizzò l'attenzione di tutti. Da che si aveva memoria
nessuno l'aveva sentita così eccitata per qualcosa contenuto in uno
dei diari – anzi, per qualsiasi cosa contenuta in un qualsiasi
testo scritto.
–
Porca zozza! –
ripeté con voce strozzata, sfogliando e risfogliando febbrilmente le
pagine che aveva appena letto.
Elena
si avvicinò preoccupata: – Caroline, cosa...? –
–
Qui ci sei tu!
– esclamò indicando prima la pagina e poi Nora.
Tutti
affluirono attorno a Caroline per poter leggere. Tutti tranne Nora,
che li fissava da lontano, immobile e pallida.
Il
breve guazzabuglio che seguì risultò poco chiaro agli occhi degli
umani presenti. Per lo meno, Elena non ci aveva capito nulla. E dalle
le occhiate che scambiò con Jeremy e Alaric, intuì di non essere la
sola.
L'unica
cosa chiara era che adesso il diario incriminato si trovava nelle
mani di Nora e i due vampiri la guardavano costernati. Stefan saettò
gli occhi dall'una all'altra.
–
Caroline, – disse
in tono pericolosamente calmo – cosa c'era scritto? –
La
vampira aprì la bocca, ma Nora la zittì.
–
Qualsiasi
cosa tu abbia letto, dimenticala. – l'ammonì, stringendosi il
diario al petto.
Sembrava
davvero spaventata. Elena non riusciva ad immaginare cosa potesse
esserci di così preoccupante per un angelo in un diario del suo
trisavolo.
Caroline
tentò di protestare: – Ma io ho solo... –
–
Non hai capito. –
la interruppe mortalmente seria.
Le
sue dita si contrassero sulla copertina fino a sbiancare.
–
Tu non hai letto
niente. – scandì.
Ci
fu un pesante momento di silenzio ed Elena temette il peggio. Stefan
sembrava teso: era sicura che da un momento all'altro sarebbe
scattato.
Poi
sia lui che Caroline si voltarono accigliati verso la porta, e poco
dopo un fracasso immane attirò l'attenzione di tutti. La porta si
aprì con uno schianto e davanti a loro si dispiegò una scena ai
confini con la realtà.
Tyler
Lockwood rotolò sullo zerbino dell'ingresso, spinto di malagrazia da
un poco gentile Damon. Alle sue spalle c'era Pas, che fece il suo
ingresso rimettendosi apposto gli occhiali e spazzolandosi i vestiti.
E dietro di loro, sulla strada buia, si poteva scorgere Bonnie: il
profilo immobile illuminato dalle deboli luci della veranda, stava
fissando qualcosa ai suoi piedi. Elena ci mise un po' a mettere a
fuoco le sagome di un paio di uomini – licantropi? – che
rantolavano a terra, in preda a sconosciuti dolori.
Jeremy
e Alaric corsero fuori per capire che stava succedendo.
–
Devo rimanere ancora per molto qui? –
La
voce di Damon li risvegliò da quello stato di stupore generale. Come
la maggior parte dei presenti, Elena lo fissò sgomenta. Poi si rese conto che aspettava il suo invito per poter entrare e, di malavoglia, glielo diede.
–
Cosa ci fa lui qui?
– disse Stefan.
Tyler
tentò di rialzarsi, ma Damon lo scaraventò nuovamente a terra con
un calcio. Elena era sicura di aver visto un movimento da parte di
Caroline.
–
Non crederete
quello che stavano... –
–
Dopo. – lo
interruppe Stefan.
Stava
adocchiando Nora: era corsa disperatamente verso Pas e si era messa a
confabulare con lui. Elena non fu in grado di sentire molto tra le
imprecazioni di Damon, che insultava il fratello per avergli chiesto
delle cose che poi non voleva sentire. Ma non passò inosservato a
nessuno il sonoro “Merde!” di Pas.
~~~
Pas
lesse e rilesse le parole vergate più di cento anni prima sulla
pagina ingiallita, cercando di convincersi – pregando – che non
fosse vero.
–
Chi altri l'ha
letto? – chiese a Nora.
–
Caroline. –
Il
dampiro imprecò ancora: – Bene, adesso dovrò ucciderla. –
Caroline,
che aveva ceduto ad ogni pudore ed era andata a soccorrere Tyler
sotto lo sguardo disgustato di Damon, aveva alzato su di loro
un'espressione attonita.
–
Che?! – Nora
l'afferrò per un braccio – Non fare cazzate! L'abbiamo già
gestita... possiamo inventarci una balla... –
Pas
la fulminò con lo sguardo: – Non parla di quello. È
peggio. –
–
Peggio? – Nora
fissò confusa il diario, ancora nelle mani di Pas – Cosa c'è di
peggio di quello? –
–
Angeli e sangue. –
disse tra i denti – Ecco cosa. –
–
Merde! –
esclamò anche lei.
–
Se poteste
spiegarci la situazione ve ne saremmo grati. – intervenne Stefan.
–
È molto semplice,
mon ami. – iniziò
Pas col suo fare da teatrante.
–
La qui presente
signorina Caroline Forbes ha letto qualcosa che non doveva leggere. –
spiegò, riaprendo il diario, sfogliandolo e trovando la pagina
giusta – Per cui adesso dobbiamo porre rimedio. –
E
senza tante cerimonie la strappò dal diario, suscitando le proteste
di Elena.
–
Quel diario
appartiene a me! – esclamò indignata facendosi avanti.
–
Ma certo, mia cara,
ma certo. – fece lui consegnando il diario a lei e porgendo il
foglio strappata a Nora.
Lei
sapeva cosa fare: un attimo dopo, infatti, la pagina si stava
accartocciando su sé stessa, divorata dalle fiamme, tra le mani
dell'angelo.
–
Oh-oh! – esclamò
Damon battendo le mani –
Anche i fuori d'artificio! –
Pas
lasciò a Nora l'incombenza di tirare fuori una spiegazione per i
fratelli Salvatore. Il suo compito, adesso, era rimediare al danno.
Un danno che aveva le fattezze di una deliziosa – e pericolosissima
– fanciulla dai boccoli biondi, che in quel momento gli stava
soffiando contro con i denti sfoderati.
–
Sssh... buona... –
tentò di ammansirla.
Ma
Caroline non era della stessa opinione. Scattò in avanti per
morderlo e, quando lui al schivò, tentò di scappare oltre la
finestra che dava sul pontile. Pas la placcò senza difficoltà e
finirono entrambi oltre, rotolando nella macchia di luce che la
finestra proiettava sulle assi di legno.
–
Ho trecento anni di
esperienza, chéri. – l'avvertì mentre lei gli si
divincolava tra le braccia – Se volessi farti fuori l'avrei già
fat... ehi! –
Era
riuscita a morderlo. E non mollava la presa! Quella era una cosa che
non andava affatto bene.
Percepì
i canini farsi strada dolorosamente attraverso le ossa e le gengive.
Assaporò il gusto del suo stesso sangue e questo bastò a dargli la
spinta finale. Con la mano libera afferrò Caroline per il mento,
scostandole bruscamente la testa, e le affondò i denti nella pelle
candida del collo. La ragazza uggiolò spaventata e si quietò
subito: evidentemente non si aspettava quella mossa.
Pas
bevve appena qualche goccia di quel suo sangue aspro e la lasciò
subito andare. Non era come con gli umani, ma si conosceva abbastanza
bene. Sapeva che era sempre meglio fermarsi prima.
Per
un lungo momento rimasero per terra, ansanti e confusi. Caroline
pareva terrorizzata, ma non tentò di fuggire ancora. Pas si pulì la
bocca col dorso della mano e si alzò sulle ginocchia.
Poggiò
la schiena alla parete e sospirò: – Non voglio farti male. –
Cercava
di mantenere un tono dolce, di ricacciare indietro la bestia che
aveva momentaneamente risvegliato. Ma non era per niente facile –
non lo era mai – e con l'età stava peggiorando.
Si
tolse gli occhiali da sole e si stropicciò gli occhi. Un po' perché
aveva davvero mal di testa – il solito effetto collaterale – e un
po' perché un gesto di debolezza da parte del nemico sortiva sempre
un certo abbassamento della guardia. Ecco, infatti, il respiro di
Caroline che si faceva lentamente più calmo.
–
Ho davvero bisogno
di sapere quanto hai letto. – le disse onestamente.
–
E per favore,
chéri... – aggiunse vedendole un guizzo di panico negli
occhi – per favore, dimmi la verità. –
Caroline
si scostò una ciocca di capelli dal viso sporco di sangue e si
umettò le labbra.
–
Parlava... di
angeli. – la vide accigliarsi nello sforzo di ricordare – E di
sangue... il sangue di un angelo, che serviva per un... incantesimo?
Boh... non ho letto tutto. –
Le
tremavano le labbra, di nuovo in preda al panico.
–
Davvero... –
balbettava – non lo so, ho letto “angelo” e ho pensato a lei e
non credevo che fosse così importante... voglio dire... –
–
Va tutto bene. –
Pas si alzò e si avvicinò piano a lei, ripetendo quelle parole in
tono rassicurante.
Caroline
si lasciò prendere per le braccia e rimettere in piedi,
piagnucolando un debole “Mi credi?”.
–
Ma certo. –
Pas
era abbastanza navigato da riconoscere una menzogna anche in un
vampiro. E Caroline Forbes non era minimamente in grado di mentire.
Aveva letto qualcosa? Sì, ma fortunatamente aveva capito poco e quel
poco non le interessava. Non era il tipo a cui potesse
interessare.
La
ricondusse dentro casa e l'affidò ad una perplessa Elena. Mentre le
due scomparivano al piano di sopra sotto gli occhi attenti dei
fratelli Salvatore, Pas intercettò lo sguardo di Nora, e non gli ci
volle molto per capire che lei pensava la stessa cosa.
Forse
Caroline non era quel tipo di vampiro, ma là dentro ce n'era
almeno uno che avrebbe potuto esserlo. Anzi, che lo era sicuramente.
Il problema adesso era: come fermare un Damon Salvatore che stava
intuendo qualcosa che assolutamente non avrebbe dovuto intuire?
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo
5
~
Dove
tanto per cambiare certa gente fa di testa sua
Damon
non poteva leggere nella mente. Questa era l'unica cosa che in quel
momento atterriva completamente Caroline. Aveva capito di essere nata
sotto una cattiva stella dal momento in cui i fratelli Salvatore
l'avevano coinvolta in quella stupida guerra, ma adesso era troppo.
Adesso lei aveva saputo qualcosa che non doveva sapere – anche se
non ci aveva capito assolutamente nulla – e questo qualcosa faceva
gola a Damon. L'aveva capito nonappena aveva rimesso piede nella
stanza e lui l'aveva guardata: si era sentita come prima, quando era
solo umana, quando l'aveva soggiogata. Un oggetto utile.
Ma
Caroline era stata morsa già troppe volte da lui. Davvero troppe.
Si
sfregò una mano sul collo, rincagnandosi nelle spalle. Pas le lanciò
un'occhiata che non seppe decifrare. Vergogna? Le sue iridi rosse
lasciavano trasparire ben poco, solo quello che lui voleva. Sarebbe
stato inopportuno da parte sua dirgli che non era per il suo morso
che stava male? Si era esposta anche troppo.
Sospirò
e abbassò gli occhi. Non c'era niente da fare. E se Damon voleva
scoprire quello che sapeva, ci sarebbe riuscito e basta. Aveva la
sensazione che sarebbe sempre andata così, che sarebbe stata
l'eterna vittima sacrificale di quei giochi tra vampiri.
Fu
in quel momento che Alaric le chiese se aveva bisogno di un passaggio
a casa. Caroline ci mise un po' a mettere a fuoco quello che le stava
dicendo. E dopo balbettò qualcosa di incomprensibile, perché
semplicemente non sapeva che cosa fare. Non voleva allontanarsi dai
suoi amici, ma non voleva nemmeno stare nei paraggi di Damon. E
Tyler? Chi si sarebbe occupato di lui?
Aveva
una gran voglia di ficcarsi nel proprio letto, abbracciare il suo
cuscino e dormire in pace.
–
Riaccompagno
Jeremy. – le stava dicendo.
–
Mi fermo anch'io. –
aggiunse – A casa Gilbert, intendo. –
Caroline
lo guardò basita. Non capiva per quale motivo quell'informazione
avrebbe dovuto interessarle: preferiva non sapere che lui e Jenna
avrebbero passato la notte insieme. C'erano fin troppe coppiette
felici in quella stanza.
Poi
notò lo scambio di sguardi con Pas.
–
Il letto di Elena
sarà libero. – le fece notare Alaric.
Caroline
era un po' lenta e aveva la tendenza a credere che nessuno si
preoccupasse per lei, ma non era scema. Capì che Damon non avrebbe
rischiato in casa Gilbert – non con altre tre persone presenti –
e d'improvviso l'idea di passare la notte fuori non le sembrò più
così terribile.
Annuì
timidamente, quasi temesse che troppo entusiasmo avrebbe cancellato
quella favolosa scappatoia. Prese il borsone con le sue cose e seguì
gli altri fuori dalla casa. Poi si ricordò...
I
piedi saldamente puntati sull'ingresso, si voltò rigidamente e
guardò dentro. Tyler sedeva per terra, rannicchiato, ignorato da
tutti. Un incomprensibile miscuglio di soddisfazione e tristezza la
attanagliò.
–
Starà bene,
chérie. –
Caroline
non trasalì. Aveva già percepito che si era avvicinato a lei e
comunque era sicura che per un vampiro sarebbe stato indecoroso
trasalire come un comune mortale. Però in quel momento ci sarebbe
stato a pennello.
–
Di' un po', ma
leggi nel pensiero? – gli chiese, vagamente impacciata.
–
No. – Pas sorrise
appena – E me ne faccio un vanto. –
Ecco,
non capì bene il perché, ma in quel momento avrebbe tanto voluto
dargli un bacio. Un innocente, sciocco bacetto sulla guancia. Una
cosa talmente puerile che si tolse l'dea dalla mente prima che
potesse metterla stupidamente in atto.
Il
problema era che Pas sembrava di diverso avviso. Perché inclinò la
testa e si batté un dito sulla guancia, restando in attesa.
Per
la seconda volta nella serata, Caroline avrebbe voluto trasalire. Si
guardò intorno imbarazzata, ma nessuno prestava loro attenzione. Era
fregata!
Gli
diede un bacio a velocità vampiresca, ma così veloce che un essere
umano l'avrebbe percepito al massimo come uno spiffero. Peccato che
lui fosse un dampiro.
Fuggì
via senza guardarlo, come la goffa adolescente che era stata. E per
quanto il suo cuore non battesse e nelle sue vene il sangue non
scorresse, fu certa di sentire le guance andare in fiamme. Caroline
era sicura che tutto questo comportamento fosse del tutto
inappropriato per un vampiro, ma si disse anche che era proprio stufa
di recitare la parte della brava vampira.
~~~
A
che gioco stavano giocando, era ormai chiaro. Damon si chiese se Pas
non stesse perdendo colpi. Insomma, mandare via Caroline con tanto di
scorta al seguito...
Grazie
per conferma.
Adesso
aveva la certezza che il contenuto di quella pagina era molto
interessante e che secondo loro sarebbe stato meglio che lui non
sapesse niente. Il problema era un altro: non potendo estorcere le
informazioni che desiderava da Caroline, in che altro modo avrebbe
potuto ottenerle?
Andò
per esclusione: le uniche persone presenti che sapevano qualcosa di
quella faccenda erano Pas e Nora. La pennuta aveva iniziato a
manifestare una stanchezza tutt'altro che angelica e se n'era andata
con gli altri. Dal suo vecchio compare di poker non avrebbe ottenuta
nulla.
Pensa,
Damon, pensa...
Osservò, senza
vederli davvero, i frammenti anneriti della pagina incriminata, che giacevano nel portacenenere sul tavolino davanti a lui. Un
rumore sordo attirò la sua attenzione: Bonnie aveva chiuso con poca
grazia un diario e ne aveva preso un altro, sfogliandolo
distrattamente.
Damon sogghignò
tra sé.
– Ehi, Bennett. –
Bonnie sospirò con
aria sostenuta e disse un annoiato “Cosa?” senza nemmeno degnarlo
di uno sguardo.
– Vediamo che sai
fare. –
Damon si stiracchiò
come un gatto e si preparò al trucchetto di magia. Ingredienti: un
pagina a caso da un vecchio, inutile diario, un accendino, una strega
troppo sicura di sé per pensare di poter cascare in una trappola. Il
resto l'avrebbe fatto la leggendaria dialettica di Damon Salvatore,
indiscusso genio del male.
~~~
– Ma quante
visite stasera. Sa l'avessi saputo avrei preparato del the. –
Katherine sapeva
perfettamente che l'ironia non funzionava con Elijah, ma non poteva
esimersi dal fare la parte di sé stessa. Non quando la propria vita
dipendeva da quanto bene avrebbe recitato la sua parte. E infatti
Elijah non aveva risposto – prevedibile. Si era limitato a “non
guardarla” come sempre, come se fosse una creatura troppo
insignificante per meritarsi la sua attenzione. Peccato che Katherine
si ricordava bene che lui non l'aveva sempre guardata così. Oh, no.
– A cosa devo
l'onore? – gli chiese.
Elijah guardò
John. Katherine l'aveva mandato a chiamarlo e per una volta
quell'imbecille aveva fatto il suo dovere.
– Sostiene che
hai qualcosa da dirmi. –
Katherine schioccò
la lingua: – In effetti sì. Ma non sono certa che potrebbe
interessarti. –
Elijah era veloce.
Molto. Ma quella mossa era talmente ovvia... Katherine si
allontanò di scatto, nascondendosi nel buio della cripta, ascoltando
i passi di lui che riecheggiavano tra le volte di pietra.
– Non essere
sciocca, sento il tuo odore. –
– Non essere
timido, sento che vuoi giocare. –
E d'improvviso
Katherine si trovò catapultata indietro nel tempo. Era il secolo
scorso, no, quello prima, no, era molto prima... era tutta la sua
vita. Klaus non si scomodava dal suo rifugio, sguinzagliava sempre i
suoi servi per cercarla. Elijah era il più fidato. Ed era il più
bravo, anche, ma questo Klaus non lo sapeva. Non avrebbe mai saputo
che Elijah la trovava sempre, che la braccava e la minacciava, ma non
la catturava. Mai. Faceva in modo che fosse costantemente sotto
tensione, terrorizzata, perennemente in fuga, priva di qualsiasi
speranza di pace. Le era sempre addosso, avrebbe potuto prenderla e
condurla da Klaus in qualsiasi momento, ma non lo faceva mai.
Quella notte, in
quella piccola, umida cripta, Elijah e Katherine riesumarono i vecchi
tempi. Era solo una un pallida imitazione di ciò che avevano vissuto
in quegli ultimi secoli, ma alla fine furono entrambi stremati,
eccitati e colmi di adrenalina, come accadeva solo dopo un
inseguimento intercontinentale.
– Vedo che ti
sono mancata. – ansimò contro la pietra fredda.
Elijah ce la stava
tenendo premuta contro. Non la toccava che non una mano e Katherine,
per quanto non potesse vederlo, se lo immaginava perfettamente.
Elegante come sempre nel suo completo di sartoria, nemmeno uno
capello fuori posto, e una considerevole distanza tra i loro corpi.
Come se, una volta raggiuntala, finalmente, fosse lui ad avere timore
di lei.
– Taci. O dimmi
quello che devi. –
Quale torto dovesse
avergli fatto, Katherine poteva immaginarlo, ma preferiva seppellire
quell'idea in un angolo remoto. Un tempo, Elijah era stata una delle
rare persone che nella sua lunga vita le aveva dato ciò di cui aveva
bisogno: accettarla per ciò che era. Il che riconduceva
inevitabilmente al motivo del torto. Oh, be', Katherine era sempre
stata una maestra nel farsi del male da sola.
– Se proprio vuoi
saperlo, soggiogami. –
Ed era recidiva.
– Ricordati che
me l'hai chiesto tu. –
La voce di Elijah,
mentre la girava tenendola per le spalle, era pacata, fredda e
distante come sempre. Eppure Katherine per la prima volta ebbe
davvero paura di lui. Non di Klaus, né di ciò che che poteva farle
Elijah come Antico, bensì di Elijah come persona.
– Non ho mai
chiesto di essere la vostra dannata Chiave. – sibilò, sentendosi
terribilmente patetica.
– È un po' tardi
per le giustificazioni. – commento lui alzando un sopracciglio –
Guardami. –
Mentre alzava lo
sguardo su di lui, Katherine pensò che ci si era cacciata da sola in
quella situazione e che da sola ne sarebbe uscita. E l'avrebbe fatto
a testa alta, come ogni volta.
Elijah la osservò
per un interminabile momento. Poi, quando parve abbastanza
soddisfatto del terrore che le stava incutendo, parlò.
– Non lo farò.
Ma mi dirai tutto lo stesso. –
Katherine nemmeno
tentò di nascondere il patetico sospiro di sollievo. E subito si
mise a parlare, come se non avesse aspettato altro. Riempì di parole le ombre della cripta, raccontandogli di Pas, dell'angelo,
dello stupido piano che sicuramente stavano progettando.
– Se Damon non è
stupido, vorrà fare quello che vuoi fare tu. – commentò
distrattamente.
Elijah inclinò
appena la testa: – E cosa vorrei fare io? –
Katherine gelò. Le
era sembrato ovvio, ma dietro la solita freddezza di quelle parole,
percepì tutto lo scherno per la sua presunzione.
– Sappiamo tutti
e due che qualsiasi metodo per uccidere Klaus è fallibile. –
replicò, gonfiandosi in tutta la sua (al momento poca) autostima.
– E presumi che
invece quello non lo sia. – concluse lui.
Katherine strinse
gli occhi: – Lo è? Come potrebbe esserlo? –
Elijah non rispose.
Le voltò le spalle e si avviò verso l'uscita della cripta.
Katherine gli corse dietro, andando a sbattere contro la “barriera”
che lui stesso le aveva imposto.
– Dimmi che
questa informazione è inutile e sarà una menzogna! – gli urlò
inferocita – E lo sapremo entrambi! –
– Mi è utile. –
ammise candidamente – Ma non nel modo in cui credi tu. –
Katherine di
rabbuiò: non le andava a genio quando non capiva ciò che gli altri
avevano in mente. In particolare quando gli altri avevano tutto quel
potere su di lei.
– Ah, Katerina. –
Gli occhi nei suoi
e poi ecco, la solita, invincibile inerzia che la prendeva. Una
marionetta tenuta su dal potere di Elijah.
Aveva
detto che non l'avrebbe fatto...
Era solo questo il
suo pensiero. Tempo dopo Katherine avrebbe compreso che quello che
stava per succedere era il momento più intimo mai verificatosi tra
di loro. Ma avrebbe dovuto attraversare un oceano di odio per
arrivare a quella verità.
– Da questo
momento non avrai altro pensiero che questo: sapevi che ti amavo, ma
non mi hai chiesto aiuto, e non sapremo mai come sarebbe andata se
l'avessi fatto. –
L'urlo era
agghiacciante e scaturì senza alcun preavviso, si moltiplicò per le
pareti del cripta e la gettò nel terrore più nero. Ci vollero ore
perché Katherine capisse che era lei ad urlare.
~~~
La
gente parla di quello che non ha. Il problema con Damon era che non
parlava con nessuno e, se non si poteva leggergli nel pensiero, non
si capiva cosa voleva veramente. E, no, a dispetto delle sue
paranoie, Nora non aveva capacità telepatiche.
E
quindi cosa voleva Damon Salvatore?
Voleva
Elena? Probabile. Ma la amava troppo per tramare ai danni della sua
felicità.
Voleva
vendicarsi della Pierce? Sicuramente. Ma non sembrava una sua
priorità, al momento.
Voleva
liberarsi degli Antichi? Be', che novità! Questo lo volevano tutti:
era una gatta da pelare che ormai aveva varcato confini di Mystic
Falls.
Ma
Damon Salvatore, in quanto individuo dotato di pensieri, desideri,
sogni eccetera... il Damon che più si avvicinava ad un essere umano,
quel Damon lì... che cosa voleva davvero?
Nora
dubitava fortemente che lui stesso lo sapesse. Sembrava congelato in
una lotta interiore tra il desiderio di autodistruzione e di rivalsa
contro il mondo intero, e la necessità di essere accettato – di
accettarsi – per ciò che era. Insomma, era incastrato in
un'eterna adolescenza. Il che faceva di lui un uomo come tanti altri.
Oh,
per carità, meglio l'immaturità di Damon che la caparbietà di
Stefan. Se qualcuno avesse chiesto a Nora chi dei due fratelli
Salvatore le faceva più paura, senza dubbio avrebbe detto il minore.
Damon,
nella sua disperata ricerca di sé stesso, era “prevedibilmente
imprevedibile”: sapevi che stava costantemente complottando
qualcosa – qualcosa di incredibilmente stupido e dettato dalla sua
proverbiale impulsività, e che sicuramente alla fine si sarebbe
rivelato inutile e dannoso. Il guaio di Stefan, invece, era che lui
rifletteva, pianificava, non
faceva mai niente di azzardato: le sue decisioni erano supportate da
una tale sicurezza interiore che nessuno avrebbe potuto fermarlo
veramente.
Damon
era iperattivo e avventato, e cambiava continuamente idea, Stefan era
granitico e inamovibile. Le azioni di Damon erano discontinue, perché
poteva essere fermato in qualsiasi momento, attratto com'era da ogni
minima possibilità di uscire dal suo gorgo di personale afflizione.
Le azioni di Stefan potevano essere fermate solo con un paletto.
Nora
l'aveva percepita più volte quella sua implacabilità, e si augurava
di non doversi mai mettere a confronto con lui. Non che ne avesse
paura – non c'era paragone tra loro – ma Nora era consapevole del
fatto che Stefan non si sarebbe fermato davanti a niente pur di
ottenere ciò che voleva. Questa
era forse l'unica vera caratteristica che lo accomunava ad
Elena. E a Katherine.
Ma qualcosa le diceva che Stefan si era innamorato della doppelgänger
per ben altri motivi.
Nora
batté
le palpebre
e strizzò gli occhi mentre chiudeva l'acqua. Plic-plic
facevano
le gocce
che scivolavano dalle dita e andavano a cadere sulle mattonelle.
Soffiò
via l'aria con stizza e agguantò un asciugamano: si era rovinata la
sua prima doccia pensando.
Uscendo
dal box
uscì anche da quelle
riflessioni.
Lo
specchio era appannato: ci
disegnò
un faccia
che faceva la
lingua.
Si
alzò
in
punta
di
piedi
e
fece
combaciare
la
smorfia
con
la
sua
immagine
riflessa.
Così
andava
meglio.
Fare
qualche puttanata ogni tanto... fare come se fossi umana...
Si
appoggiò
al lavandino,
strofinando
i
capelli
con l'asciugamano. Ne
riemerse con
la testa
arruffata
e di
nuovo impegolata in fastidiose meditazioni.
Una
volta non era così. Lassù,
come entità angelica, non faceva tutta quella fatica a pensare. Le
cose si dispiegavano chiare e lineari
davanti a lei, prima ancora che si ponesse le domande.
Doveva scoprire
cosa stava tramando Damon e doveva farlo prima che ne facesse una
delle sue. La domanda era: doveva informare dei suoi dubbi anche gli
altri? A parte Pas, ovviamente. Era sicura di poter gestire la
situazione anche da sola, ma forse per prudenza sarebbe stato meglio
dirlo ad Alaric – se si fidava Pas, poteva farlo anche lei. Stefan
no: quello era capace di uccidere il fratello se avesse anche solo
sospettato che poteva essere un pericolo indiretto per Elena.
Nora
sospirò tra sé. E la stanza divenne immediatamente più piccola e
soffocante. Per ottenere una missione come quella aveva atteso per un
tempo che
sarebbe stato incalcolabile dalla mente umana. Era preparata, aveva
alle spalle miglia di missioni. Allora cosa diavolo era quella
stanchezza che l'aveva presa, all'improvviso, nel soggiorno della
casa sul lago. Non era passato nemmeno un giorno e già si stava
arrendendo?
Maledetti
vampiri...
Tra uno sbadiglio e
l'altro, Nora maledisse più volte quella stirpe di dannati
succhiasangue, origine di tutti i suoi mali dacché era nata. Spense
la luce e uscì dal bagno, muovendosi impacciata tra le stanza buie.
Alaric era stato gentile ad accettare di ospitarla, ma non conosceva
quell'ambiente. A dire il vero, non conosceva nessun ambiente: era un
centinaio di anni che non aveva un corpo materiale con il quale
occupare dello spazio in quel piano dimensionale. Doveva imparare
daccapo a muoversi come un essere umano e ciò comportava una certa
quantità di spigoli presi sui gomiti, di anche sbattute sugli
stipiti e di piedi che inciampavano in scalini e tappeti. Un flipper
vivente, praticamente.
Nonostante tutto,
Nora riuscì a guadagnare la camera da letto. Si lasciò cadere sul
letto, muovendo meccanicamente braccia e gambe come... un angelo. Le
venne da ridere, ma era troppo stanca, quindi emise solo un singulto
indistinto.
– Sulla neve
viene meglio. –
Si puntellò sui
gomiti e osservò perplessa la figura che stava in piedi, vicino alla
finestra, con la schiena appoggiata al muro e le braccia incrociate
sul petto. Damon Salvatore.
Nora fece ricadere
la testa sul letto, sbuffando sonoramente.
– Sto cercando di
dormire. – piagnucolò, agguantando un cuscino e stringendosi a
chiocciola.
Damon si staccò dalla
parete e si sedette sul bordo del letto.
– Non sei piatta
come sembrava. – commentò.
Nora soffocò uno
sbadiglio: – Avevo sedici anni quando sono morta, mica dodici. –
Nemmeno
un po' di imbarazzo. Peccato, avrebbe dato più pathos alla scena.
Se
speri che mi mi metta a strillare come in un romanzetto, stai fresco.
Lassù si gira con l'anima in bella vista, sai quanto mi fa
effetto che mi vedi nuda?
Non
è questo l'effetto su cui conto.
Alla fine ci era
arrivata, ma ormai era troppo tardi. Dopo si sarebbe giustificata
scioccamente dicendosi che era stanca e stressata, ma la verità era
che una Virtù Angelica Incarnata non poteva permettersi certi
errori, in nessun caso, e men che meno in una situazione delicata
come quella. Ma questo, e tante altre belle cose, se le sarebbe dette
dopo. In quel momento doveva ancora realizzare com'era possibile che
i denti di Damon fossero affondati nel suo collo.
|
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Capitolo 6 *** Capitoo 6 ***
Note
Questo capitolo vi
farà venire strane idee, già lo so... e non so se incoraggiarle o
meno. Be', non vi dico altro: meglio che traiate da sole le vostre
conclusioni e che magari me le facciate sapere in una recensione.
Buona lettura!
Capitolo
6
~
Dove
Damon fa onore al suo nome di battesimo
Per
prima cosa sentì il bruciore. La pelle sfrigolava e gli occhi –
Cristo! – manco poteva aprirli. Si tastò la mano: l'anello era al
suo posto. Che cazzo succedeva?!
Ci
volle un'immane forza di volontà solo per rigirarsi. L'erba era
ancora umida della rugiada notturna, ma non gli dava alcun sollievo.
Era cieco e dolorante e affamato, e il mondo roteava attorno a lui.
Decisamente, non era il risveglio migliore della sua non-vita.
L'ultimo
ricordo? Ah, ecco, lo schianto. Quello prima?
Sangue.
Non
che fosse una novità. O lo era? Cos'era quel sapore? Si leccò le
labbra e come un lampo tornarono, tutti insieme, i ricordi della
notte prima. La casa sul lago, la pagina del diario, il trucco con
cui aveva fregato Bonnie... l'appartamento di Alaric, Nora, il letto,
i denti che affondano. Ghiaccio liquido nella gola. La sensazione di
soffocare, ma l'impossibilità di fermarsi. E poi lo schianto.
Trovò
la forza di alzarsi. E ricadde giù come un sacco di patate,
lamentandosi confusamente. La testa pulsava. C'era troppa luce. Aveva
fame.
Non
riusciva a formulare pensieri più complessi di quelli. Aveva creduto
che niente potesse essere peggio del periodo di transizione da umano
a vampiro.
Cazzate.
Quando
aveva avuto quella bella idea? Non è che si fosse pentito – lui
non si pentiva mai di niente, se ne faceva un punto d'orgoglio. Ma
diciamo che se l'avessero avvertito prima, ci avrebbe pensato un po'
su. Avrebbe pianificato. E adesso non sarebbe riverso sull'aiuola del
condominio, contando i neuroni sani e chiedendosi cosa mangiare.
Sì,
perché aveva una gran fame. Ma non
di sangue. Fu
quella,
più
di
ogni
altra
cosa,
a dargli
la
spinta
iniziale.
~~~
Quando
Pas l'aveva trovata, Nora era praticamente in agonia. Adesso rimpiangeva
che si fosse ristabilita. Il bagno di luce era stato anche troppo
efficace.
– Come
sarebbe “è sparito”? –
Era
incredibile quanto riuscisse ad apparire minacciosa nonostante inveisse
contro di loro da un letto, seppellita tra le pieghe scozzesi di un
plaid, con i capelli in tutte le direzioni e il visetto più pallido
che mai.
– Sarebbe
che non lo troviamo. – ribadì stancamente.
– Questo
l'avevo capito. – sbottò,
ergendosi fra le coperte in tutta la sua (al momento scarsa) maestà
angelica – Voglio sapere com'è possibile! –
– Non
è la prima volta che lo fa. –
intervenne Stefan, che assieme a Bonnie era l'unico ammesso a quella
riunione – Se non vuole farsi trovare, cercarlo è tempo
perso. –
– No
che non lo è! –
Pas
sentì una fitta di emicrania trapassargli la tempia. E
improvvisamente comprese in quale spirito si pianificasse e mettesse
in atto l'omicidio del proprio capoufficio.
Stefan,
com'era nella sua natura accomodante, tentò di ragionare: –
Manteniamo la calma, non c'è bisogno di essere... –
– Fatalisti?
– lo interruppe lei, stroncando il
suo debole tentativo – Oh, ti prego, so di cosa
parlo. Pas, spiegaglielo tu! –
– Ho
già detto troppo. –
– Mi
stai dicendo che dovremmo lasciarlo scorrazzare?! –
Aveva
una punta d'isteria nella voce.
– Bene,
– allargò le braccia, esasperato – come facciamo? Se hai in
tasca un rivelatore di vampiri mutanti, ti prego, passami il sito
dove l'hai comprato, mi sarebbe utile. –
– Guarda
che non c'è niente da scherzare! – lo rimproverò in tono
petulante.
Si
stava alzando dal letto, incurante delle sue condizioni. E non
pensava alla sua salute, quanto alla palese crisi isterica cui stava
per dare il via, nonché al pigiama di flanella color salmone che
indossava: elementi che la rendevano ben poco credibile ai loro
occhi.
– Scusate.
– ecco che Stefan ci provava di nuovo – Potreste spiegarmi di
nuovo tutta questa faccenda? –
Pas
gli lanciò l'occhiata più contrariata del suo repertorio. Ma prima
che potesse obiettare, Nora partì a razzo, parlando senza quasi
prendere fiato, come faceva sempre quando era nervosa.
– Il
mio sangue è una fottutissima droga. Se un vampiro la assume... bam!
Gli vengono i superpoteri. Se prosciuga un angelo... ciao ciao...
altro che superpoteri, quello diventa un demone! Il sangue di un
angelo è il passaporto per l'Inferno. –
Pas
non l'aveva massa esattamente in questi termini, ma doveva ammettere
che era una riassunto calzante. Semplicistico, forse, ma sicuramente
efficace. E magari un tantino ad effetto, a giudicare dalle
espressioni atterrite di Stefan e Bonnie.
– Sì,
lo so, è assurdo. Non chiedetemi chi ha fatto queste regole del
cazzo. – Nora si era infilata un paio di ciabatte a forma i
coniglietto e aveva preso a camminare nervosamente in cerchio,
tormentandosi una ciocca di capelli – Dovevo aspettarmelo! Avrei
dovuto piantargli un paletto ieri notte... anzi, no, appena l'ho
visto... sì... via il dente, via il dolore... –
A quel punto, Pas
ebbe definitivamente la misura del crollo di Nora. Si era persino
dimenticata che un angelo-guida, tecnicamente, non può
uccidere coloro che la sua missione richiede di proteggere. Era
insopportabile, va bene, ma vederla così lo fece sentire in colpa.
Occhieggiò
Bonnie: la sua mortificazione poteva tagliarsi a fette. Ma chi aveva
la responsabilità di quella disgraziata faccenda era una sola
persona, e rispondeva al nome di Pascal Serrault. Un momento di
distrazione, una stupida debolezza... ed ecco che tutto iniziava a
vacillare. Questa volta non gliel'avrebbero perdonata – non se
la sarebbe perdonata.
– D'accordo,
ma non è riuscito a bere tutto il tuo sangue. – stava dicendo
Stefan.
– Grazie
per la puntualizzazione, mister Ovvio. – sbottò Nora,
interrompendo la sua marcia circolare.
Un
silenzio imbarazzato calò sulla stanza, mentre lei balbettava delle
scuse.
– Sei
stanca. E debole. – troncò Pas, accigliato – Riposati,
riprendiamo più tardi. –
– No!
– s'impuntò mentre Bonnie la riconduceva a letto – Checcazzo,
no! Come faccio a riposare?! –
– Non
è l'unico demone a spasso. – cantilenò.
– Andiamo,
Pas! Ho capito, vuoi ridimensionale il problema per tranquillizzarci.
Grazie. Adesso guardiamo i fatti, per favore? –
Senso
di colpa o meno, Pas si sentì impietrire. Sciocca testarda. Un paio
di ali e si credeva di poterlo guardare dall'alto in basso. Come se
non avesse duecento anni più di lei, come se a suo tempo non avesse
salvato il culo a lei e a sua madre.
La
ignorò.
– Damon
non è ancora un demone. – disse rivoltò agli altri – Né lo
diventerà, se riusciremo a tenerlo lontano dal suo collo ancora per
qualche tempo. –
– Allora
qual'è il problema? – chiese Bonnie timidamente.
– La
parte sulla droga e i superpoteri. – sbuffò Nora dal letto.
– Quindi,
se ho capito bene, abbiamo un Damon dopato a piede libero. –
riassunse Stefan, con voce sgomenta e la fronte increspata da mille
rughe di preoccupazione – E cosa potrebbe combinare? –
– È
tuo fratello. – sospirò Pas – Dai sfogo all'immaginazione. –
~~~
Contrasse
le dita nel vuoto, cercando di adattarsi a quella nuova forma.
Gli
era bastato incrociare una persona per strada e l'istinto aveva avuto
il sopravvento. Se n'era nutrito avidamente, senza frenarsi, senza
fermarsi a pensare, respirare. Aveva finito prima ancora di rendersi
conto di ciò che stava facendo. Ma la fame s'era appena smorzata.
Troppo
veloce...
Eppure
era stato sufficiente. Ora che aveva scoperto quel sapore, ora che
l'aveva gustato... nulla era paragonabile.
Diede
una vaga occhiata al corpo, riverso scompostamente affianco a lui.
Doveva trovarne un altro. Si alzò, spazzolandosi distrattamente i
vestiti, e si allontanò. Mentre camminava per le strade fredde e
vuote delle sei del mattino, pensava che aveva appena trovato il lato
pratico della faccenda: non si sarebbe più imbrattato di sangue.
Qualcosa
dentro di lui stridette e si ruppe a quel pensiero. Ma era troppo
lontana. Non faceva nemmeno male.
~~~
Vai
a capire come si fosse trovata lì. Elena ormai era abituata a
perdersi nelle immensità labirintiche del maniero Salvatore, e non
si faceva più prendere dal panico come una volta. Certo, era
difficile capire come avesse fatto a raggiungere quell'ala
dell'edificio, quando sapeva bene come raggiungere la cucina. Ma
muoversi al buio fa brutti scherzi. Tutto per uno spuntino di
mezzanotte. Avrebbe dovuto svegliare Stefan.
Si
fermò sull'ingresso di un lungo corridoio e tastò la parete alla
ricerca di un interruttore. Lo trovò, ma quello fece “click” a
vuoto un paio di volte e non successe nulla. Si rassegnò a vagare
nel buio.
Avanzò
a tentoni, tenendo un braccio teso a toccare il muro. Sotto i suoi
piedi, il legno del pavimento scricchiolava, liscio e polveroso.
Polverosa era anche la l'aria che respirava, ed umida, con un sentore
di muffa e vecchiume.
Elena
capì che quella parte del maniero non era stata visitata per molti
decenni. Sperava di trovare una finestra: se non altro aprendola e
guardando fuori avrebbe potuto orientarsi. Ma la sua mano continuò a
toccare una compatta parete.
Era
quasi rassegnata a chiedere aiuto. Le sarebbe bastato un grido:
Stefan sarebbe stato al suo fianco prima ancora di chiudere la bocca.
Non sapeva cosa la tratteneva. Forse la infastidiva l'idea di essere
“tratta in salvo” per l'ennesima volta.
O
forse era solo curiosità. Cosa c'era in quel corridoio buio? Dove
portava?
Tanto
buio non lo era, adesso che ci badava. C'era una sottile lama di luce
che filtrava da sotto una porta, sulla destra, alla fine del
corridoio. Elena avanzò cautamente, attratta come una falena dalla
fiamma. Come poteva esserci qualcuno in quella parte disabitata? O
forse alla fine aveva girato in tondo ed era tornata da dove era
partita?
Elena
si trovò davanti alla porta chiusa e la fissò. Doveva esserci
acceso un caminetto là dentro, perché la luce si muoveva, danzava
sulle dita nude dei suoi piedi. Se c'era un fuoco c'erano anche delle
persone. Elena era sicura di aver sentito delle voci soffocate. Chi
c'era? Doveva bussare ed entrare?
Per
un momento esitò. Sarebbe stato meglio chiamare Stefan. Fece un
passo indietro e voltò appena il capo. Niente, alle sue spalle c'era
solo il corridoio buio e vuoto. Non sapeva se questo la confortava o
la metteva ancora più a disagio.
Quando
tornò a guardare la porta, vide che in realtà era accostata. Le
sembrava di ricordare che un attimo prima fosse chiusa, ma poteva
sbagliarsi.
Restò
immobile ancora per un momento. Tergiversava. Elena non era mai stata
una ficcanaso e di quei tempi era meglio non lanciarsi in esplorazioni
da soli, di notte, in luogo sconosciuto. Ma cosa avrebbe potuto
accederle di male in quella casa?
E
poi, adesso, quelle voci erano inconfondibili. C'era qualcuno
là dentro. Alzò una mano e bussò piano. Nessuna risposta. Bussò
ancora, un po' più forte. Chiunque fosse, non la sentì nemmeno
stavolta. Elena decise che aveva temporeggiato anche troppo: spinse
delicatamente la porta e sbirciò dentro.
La
prima impressione, dopo lo shock iniziale e l'inevitabile imbarazzo,
fu semplicemente di trovarsi nel posto sbagliato al momento
sbagliato. E stava per abbandonare quella stanza, se non fosse che la
scena che si dispiegava davanti ai suoi occhi, oltre ad essere un
concentrato di lussuria allo stato puro, aveva una nota stonata.
Katherine
non poteva essere lì.
~~~
È
lei?
Sì.
Non
sapeva dire quando la voce avesse iniziato a parlargli. Probabilmente
avrebbe dovuto trovare la cosa inquietante, ma non gli importava.
Da
quanto vai avanti?
Ho
appena cominciato.
La
sua pelle stava iniziando a sudare. Inclinò appena la testa e
osservò con blanda curiosità le goccioline che le imperlavano la
gola. Lui poteva sentire ben altro. Poteva percepire ogni sfumatura
di ciò che stava provando. Era inebriante.
È
un'opera rozza, ma non è male per essere la prima.
Grazie.
Pensi che debba calcare la mano?
Oh,
no. Così è perfetto.
Avrebbe
ceduto. Alla fine, lo avrebbe implorato. E sarebbe stata la sua
vittoria. Su tutti: su Stefan, su Katherine, su Elena... e su sé
stesso.
Elena Gilbert che
capitolava per mano di Damon Salvatore. Oh, che gusto dolce aveva
la vittoria.
~~~
Avrebbe
potuto dipingerla, quella scena, talmente era vivida. Solo che colori
come quelli non esistevano. Come riprodurre i riflessi del fuoco
sulle spalle contratte di Damon? Come rendere la morbida voluttà
delle ciocche di Katherine sparse sul cuscino? Era tutto troppo
perfetto.
Quando
si accorse che la stavano osservando, era troppo tardi. Elena fece un
piccolo, patetico tentativo di nascondersi nell'ombra del corridoio.
I due si scambiarono un'occhiata d'intesa.
Fu
Damon ad alzarsi dal letto. Era nudo e non pareva essere dispiaciuto
della situazione. Mentre le veniva incontro, Elena trovò molto
interessante la struttura della mensola sopra il letto e decise che
era meglio concentrarsi su di essa.
Non
la toccò, né le parlò. Le fece solo un cenno e attese
pazientemente. Elena provò ad ignorarlo, ma la sua presenza davanti
a lei era abbastanza ingombrante. E quell'odore che si portava
addosso... le faceva tornare in mente quello che aveva appena visto.
L'immaginazione fece il resto: non era difficile sostituire Katherine
e ritrovarsi protagonista della scena a cui aveva appena assistito.
Damon
le tese la mano. E fu come se tutta l'aria le venisse risucchiata via
dai polmoni. La volontà di Elena non ebbe più alcuna importanza.
~~~
Stai
indugiando.
Sì.
Gli piaceva sentire la debole reticenza di Elena sgretolarsi
lentamente, pezzettino dopo pezzettino, lasciandola impietosamente
esposta. Così tante volte era stato lui quello esposto, e adesso che
le parti si erano invertite avrebbe dovuto accelerare lo stillicidio?
No,
grazie. In quel momento non aveva alcuna fretta. Si stava
godendo quell'inaudito, prodigioso senso di vittoria. Era quasi
meglio del nuovo sapore.
Quasi...
A
Damon sarebbe bastato quello: aveva raggiunto il suo scopo primario.
Ma lui non era Damon. Il suono di quel nome, ormai, gli faceva
ribrezzo.
Finiscila.
Voglio
che soffra.
Soffrirà
le pene dell'inferno.
Inferno?
Era a ben altro che mirava.
Non
parlo di dannazione.
Nemmeno
io. È solo il principio.
Ancora
una volta, prestò ascolto e seguì il consiglio.
~~~
Quando
l'aveva afferrata? Quando gli aveva permesso di morderla e poi
baciarla e farle sentire sulla lingua quel mostruoso, irresistibile
sapore che erano i loro fluidi mescolati assieme? E quando le sue
stesse mani avevano assecondato quelle di Damon, invece che
respingerlo?
Se
Elena avesse avuto una volontà, avrebbe gridato. Era peggio che
essere soggiogata, peggio che essere rapita, peggio di qualsiasi cosa
avesse mai sperimentato dacché era invischiata con i vampiri.
Ogni
suo movimento era dettato da un insopprimibile bisogno di possedere
ed essere posseduta da Damon. Ma lei non voleva questo. Non
l'aveva mai voluto e mai l'avrebbe. E provava un immenso disgusto per
sé stessa ed un odio primordiale per il vampiro dal quale non
riusciva a separarsi.
Ma
il nodo di tutto, ciò che la stava facendo impazzire, era come
potessero coesistere questi sentimenti dentro di lei.
E
infine ci fu la presa di coscienza. Se non poteva evitarlo, forse era
ciò che voleva. Forse era ciò che meritava.
La
debolezza arrivò lentamente: una marea decrescente, che ad ogni
ondata si portava via un po' di vita. Si accasciò tra le braccia di
Damon, inerme eppure vigile, impotente davanti ai suoi stessi
desideri. Annichilita, si lasciò prosciugare. Era un po' come essere
morsa, ma senza dolore. C'era solo tanta rassegnazione.
Elena
schiuse le labbra e con l'ultimo respiro sussurrò quello che voleva
sentirsi dire.
~~~
Più
che una supplica era un'ammissione. Non sapeva spiegarsi perché, ma
questo gli diede un retrogusto che non gli piacque. Per niente. E
questo ruppe ogni protezione.
Che
intenzioni hai?
Non
lo vedi?
Questo è solo il principio...
No.
Questa è la fine.
~~~
Le
bastò varcare la soglia per sentire quella presenza. E per la seconda volta in
ventiquattr'ore, Nora si trovò costretta ad espandere la sua aura. Ma
stavolta non c'era l'adrenalina a darle l'energia necessaria.
Quando
si ritrovò Pas che incombeva sopra di lei, dandole schiaffetti
sulle guance, Nora capì di essere svenuta. Il dampiro sanguinava da
tutti gli orifizi del viso.
–
Cazzo! – imprecò
– Lo sai che devi sloggiare quando lo faccio! –
Pas
rispose al suo rimprovero sputando un grumo di sangue sulle
mattonelle. Si aiutarono a vicenda ad alzarsi in piedi, per poi
ricadere a terra senza alcuna dignità.
–
Ok, contiamo i
danni. – biasciò lui.
Nora
aveva la sensazione che la sua testa stesse per aprirsi in due come
una zucca.
Si
strofinò gli occhi: – Stefan? –
Il
vampiro fece subito capolino dalla porta. Il suo sguardo la diceva
lunga sullo spettacolo penoso che dovevano rappresentare.
–
Sto bene. – lo
sentì dire, mentre passava lo sguardo sulla stanza.
Aveva
l'aria di chi in realtà non stava affatto bene.
–
Elena? – continuò
ad elencare.
Stefan
si avvicinò a lei ad una velocità senza precedenti nemmeno tra i
vampiri. La prese tra le braccia come se maneggiasse un fragile
bambola di ceramica e la scrutò con uno sguardo che strappava il
cuore dal petto. Nora poté percepire la sua aura gonfiarsi del senso
di disperazione e del desiderio di protezione nei confronti di Elena.
– È
viva. – mormorò, il volto di pietra e gli occhi celati dalle
sopracciglia mortalmente aggrondate.
Prima
di intervenire, gli avevano raccomandato di non fare niente. Non
avrebbe dovuto toccare né Damon né, tantomeno, lei. Pas e Nora
avevano presagito cosa stava succedendo in quella stanza, e gli
avevano detto che la cosa migliore che avrebbe potuto fare era starsene
lontano lì, ma ovviamente Stefan aveva insistito. Voleva vedere.
–
Damon? –
Era
stato Pas a parlare. E l'aura di Stefan era virata pericolosamente
verso sfumature di furia e violenza inaudite. Probabilmente – anzi,
sicuramente – non era il momento migliore per nominare il maggiore
dei fratelli Salvatore. Ma cosa dovevano fare, ignorarlo?
Stefan
stava per trucidarlo e nessuno dei presenti avrebbe avuto la forza per
impedirglielo. Nora deglutì a vuoto e decise di fingere.
–
Ha bisogno di luce.
– disse indicando Elena – E acqua santa. Molta. –
Stefan
non allontanò lo sguardo fosco dal fratello – pareva non averla
nemmeno sentita. Ma un attimo dopo prese in braccio Elena e, senza
dire una parola, la portò di sotto.
–
Da quando in qua i
postumi di un incubus si curano come le possessioni? –
Nora
scoccò un'occhiataccia a Pas.
–
Taci e aiutami. –
gli sibilò.
Alla
fine riuscirono ad alzarsi dal nudo pavimento.
Per
un lungo momento, osservarono la sagoma inerme senza proferire
parole.
–
Cosa ne facciamo? –
gli chiese, pur conoscendo già perfettamente la risposta.
Pas
estrasse un paletto da una delle molteplici tasche nascoste del suo
pastrano viola.
–
Intendi, a parte
ucciderlo? –
Lo
bloccò afferrandogli il polso.
–
Sai che dobbiamo
farlo. – l'ammonì serio.
–
Non è più una
minaccia. – ribatté – Possiamo gestirlo. –
–
Oh, sì. –
convenne Pas, senza scostare di un millimetro il braccio – E come
la mettiamo con gli altri? –
Nora
sapeva che sarebbe stato difficile – per non dire impossibile.
Anche sorvolando sul palese fatto che lasciarlo in vita fosse
deontologicamente sbagliato, c'era da giustificare il cambiamento di
Damon agli occhi del resto del gruppo.
Ma
valeva la pena provarci.
–
Ucciderlo sarà
come un'ammissione. – gli fece notare – Elijah verrebbe a sapere
cosa sono. –
Pas
non cedette, ma il suo braccio si fece meno teso contro il palmo di
Nora.
–
Ti pare così
idiota da voler tentare la stessa cosa? – obbiettò, accennando con
la testa a Damon, che giaceva ai loro piedi ancora privo di sensi.
Nora
inarcò le sopracciglia: – E cosa mi dici di Klaus? –
Le
labbra di Pas si contassero e mentre abbassava il braccio aveva
l'aria sconfitta. Era stato anche troppo facile convincerlo. Ma non
era stato deciso nemmeno all'inizio: dopotutto, Damon Salvatore era
suo amico di vecchia data. La reticenza di Pas era solo senso di
colpa. Ma quello sarebbe guarito.
Gli
posò una mano sulla spalla: – Vai da Stefan. Sarà perso come un
bambino. –
Non
la guardò mentre rimetteva a posto il paletto e si sistemava i
vestiti con gesti che apparivano fluidi e annoiati.
–
Sei diventata
brava, mon petit. – sospirò in tono mesto – Anche troppo. –
Si
scambiarono un sorriso triste. Pas era sempre stato abile a
nascondere il disagio. Così abile, che quando Nora l'aveva rivisto
per la prima volta dopo quarant'anni, con una morte alle spalle e un
paio di ali in più, era rimasta scioccata dalle infinite insicurezze
che emanava. Perché, sì, anche gli angeli si stupiscono.
Quando
uscì dalla stanza e si trovò sola con Damon – o meglio, con il
corpo esanime di quello che era un incrocio tra Damon e una specie di
incubus – Nora si sentì pervadere dallo sconforto. Scivolò
affianco a lui e posò la schiena contro il letto. Lo stesso letto
dove poco prima stava per essere consumato il fattaccio. Se Stefan
avesse potuto immaginare cosa stava per fare davvero alla sua
donna, non ci sarebbe stato alcun modo per ingannarlo: Damon sarebbe
morto.
–
L'hai davvero
combinata grossa. – si lamentò nel vuoto.
E
non seppe dirsi se si stava rivolgendo a Damon o a sé stessa.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo
7
~
Dove
a mali estremi, estremi rimedi
– Ben
svegliato. –
Damon
ci impiegò un po' a ricordare di chi era quella voce. Quando riuscì
a mettere a fuoco la situazione, capì di essere nella merda.
E,
a proposito di merda, c'era da notare che i risvegli di quel tenore,
ultimamente, erano un po' troppo frequenti nella sua vita. E anche le
amnesie momentanee. Che cazzo aveva combinato stavolta?
Era
riverso sul pavimento umido dello scantinato del maniero. Gli
dolevano gli occhi e le orecchie, e aveva la nausea. E c'era uno
stramaledetto angelo appollaiato sul suo petto.
– Potresti
togliermi di dosso il tuo dolce peso? – biascicò.
– Uhm...
– Nora fece finta di pensarci su – No, non credo. –
Si
sforzò di sogghignare: – Guarda che così mi eccito. –
– Guarda
che così mi fai arrossire. – gli fece il verso in tono petulante.
Avrebbe
voluto scaraventarla sul soffitto. Avrebbe: condizionale.
Perché al momento non riusciva nemmeno a muovere un dito.
– Cosa
mi stai facendo? –
– Io
niente. – scrollò le spalle – Bonnie si è data da fare. Adesso
nessun demone può sfoggiare i suoi mirabolanti poteri cosmici qua
dentro. –
– Oh...
– rise di una risata stridente e soffocata – come siete carini a
pensare a me! –
– Ci
stai molto a cuore, Damon. –
La
risata aumentò fino a trasformarsi in un attacco di tosse convulsa.
– Non
sto scherzando. – le sentì dire – Nessuna creatura
soprannaturale può entrare qui, e quindi nemmeno Stefan. –
Il
nome di suo fratello gli fece tornare in mente un altro nome.
Elena.
Una
mano viscida gli serrò il cuore, mozzandogli il fiato, facendogli
tremare ogni muscolo.
– È
un po' tardi per sentirsi in colpa. –
Damon
la fulminò. Niente sarebbe accaduto se lei non fosse arrivata tra
loro. La rabbia montò dentro di lui e, assieme ad essa, la voce
tornò, confusa e sibilante, come se provenisse da una radio mal
sintonizzata. Ma il messaggio arrivò chiaro e forte.
Si
mosse con una rapidità tale che si stupì di sé stesso. Un istante
e la sua mano era chiusa attorno alla gola dell'angelo. La paura
negli occhi di lei lo informava che non si aspettava niente del
genere. Ma durò poco.
Nora
digrignò qualcosa come: “Io non credo proprio...” e gli premette
una mano sul torace. Una colata di lava gli incendiò la pelle,
straziandolo attraverso i muscoli e giungendo fino alle ossa.
Damon
urlò con quanto fiato aveva. Lasciò la presa e si dibatté sul
pavimento, squassato dal dolore.
– Ti
basta? –
Non
le rispose, ma lei dovette ritenere sufficiente quel trattamento.
Tolse la mano e si alzò da lui. Il dolore cessò lentamente e Damon
boccheggiò, respirando a pieni polmoni quell'aria umida e pregna
del puzzo di carne bruciata. Si tastò il torace: la ferita stava
guarendo, ma senza troppa fretta.
– Che
testa dura che sei! – sbottò Nora.
– Ehi,
sto sperimentando. – protestò lui, rotolando su un fianco e
mettendosi goffamente a sedere – Non tarpare le ali alla mia
creatività. –
– Allora
divertiti. – la vide allontanarsi verso l'uscita e aprire la
pesante porta di legno – Ma evita di rompermi le palle. –
– Perché
non mi hai ucciso? –
Damon
si rese conto di aver parlato solo quando lei si fermò sulla soglia
e si voltò a guardarlo. Lo osservava con un misto di stupore e
contrarietà.
– Perché
non posso. – disse semplicemente.
Poi
si chiuse la porta alle spalle, con un fastidioso sferragliare di
chiavistelli, e Damon restò solo con sé stesso.
~~~
– Per
quanto ancora dobbiamo lasciarlo là dentro? –
Ogni
minuto che passava, Bonnie era sempre più tesa. Non sapeva spiegarsi
il motivo, ma sentiva che c'era qualcosa che non quadrava nel piano
che avevano elaborato per fermare Damon.
– Ne
abbiamo già parlato. – sospirò Pas, sfogliando distrattamente uno
dei tanti libri antichi presenti nella biblioteca dei Salvatore.
Sorseggiò
il suo whisky e aggiunse: – Fino a che Nora non sentirà svanire la
sua aura demoniaca. –
In
quel momento l'angelo fece ritorno dai sotterranei e si sedette
stancamente sul divano del salone.
– Abbiamo
un problema. – le annunciò.
Pas
alzò gli occhi al cielo: – Non darle ascolto. Si sente in colpa,
sta cercando di strafare. –
Beccata!
– Io
non...! – Bonnie si morse il labbro e abbassò la testa, vergognosa
– Ok, mi sento in colpa. Ma non sto cercando di strafare. –
Il
dampiro scambiò un'occhiata con l'angelo.
– Cosa
succede, Bonnie? – le chiese Nora, conciliante.
Con
la sensazione che non sarebbe mai stata presa sul serio, le illustrò
i suoi sospetti.
– Damon
non è solo. – affermò, cercando di apparire più sicura di quanto
in realtà non fosse – Ho sentito una presenza ed era simile alla
tua, anche se non così potente. E poi... era... –
Non
trovava le parole per descrivere le sensazioni che aveva provato nel
percepirla.
– Mortalmente
attraente? – suggerì Pas, mentre continuava a leggere il libro.
Bonnie
batté le palpebre, confusa. Come faceva ad esprimere così bene ciò
che nemmeno lei riusciva a descrivere?
– Sì,
ma sentivo che c'era qualcosa di... sbagliato. –
Nora
le batté una mano sulla coscia: – Sei fortunata ad essere una
strega, lo sai? –
Scosse
la testa, senza capire.
– Quello
che hai percepito è un demone. – le spiegò – Un demone vero,
non come quello sfigato a metà strada che abbiamo in cantina. –
– Sta
perseguitando Damon. – realizzò in quel momento Bonnie.
Nora
annuì: – L'ho percepito anche prima. Le nostre precauzioni lo
tengono lontano da lui, ma questo non gli impedisce di...
“chiamarlo”, diciamo così. –
– Ma
che cosa vuole da lui? –
Pas
chiuse il libro di scatto, facendola trasalire.
– Sei
preoccupata per Damon Salvatore? – le chiese senza mezzi termini.
Strano
a dirsi, ma era così, e lo ammise con un flebile “sì”.
– Sei
preoccupata per un vampiro talmente egoista e antisociale che, pur di
rivalersi su un mondo dove non vuole trovare posto, ha cercato di
diventare un demone e ha quasi ucciso la tua migliore amica, mandando
contemporaneamente a monte i piani per fermare l'avanzata di Klaus? –
Riassunto
spietato, ma perfetto, della situazione. Colta da un certo orgoglio,
che non sapeva bene da dove provenisse, il “sì” che Bonnie
pronunciò stavolta fu scandito con voce alta e sicura. Seguì un
lungo momento di silenzio teso.
– Be',
saresti un ottimo angelo, allora. – concluse lui d'un tratto.
Il
suo tono era sincero e il suo sguardo, che la scrutava da sopra gli
occhiali da sole abbassati, era diventato benevolo.
Se
possibile, Bonnie era ancora più confusa di prima. Guardò Nora per
chiederle muto soccorso, trovandola sorridente e soddisfatta.
– Per
quanto tu disprezzi ciò che è Damon, hai pietà della sua anima.
Non tutti ne sarebbero capaci. –
Solo
in quel momento Bonnie si rese conto che era di questo che stavano
parlando. La presenza che aveva percepito, il demone, era lì per
trascinare Damon all'inferno.
– Che
cosa gli succederà se cederà? –
– Questo
l'hai già capito da sola. – le fece notare Pas.
Era
vero, ma voleva sentire una conferma, e possibilmente nei dettagli.
Sui grimori c'era scritto qualcosa a proposito dei demoni, qualcosa
sufficiente a combatterli o imprigionarli, creare delle barriere come
quella che le avevano chiesto eccetera. Ma non era abbastanza: per
capire con cosa avevano a che fare, aveva bisogno di informazioni di
prima mano.
– Diventerebbe
definitivamente un demone. – le spiegò Nora.
– Ma
per farlo ha bisogno di bere il sangue di un angelo fino ad uccidere
la sua forma umana, giusto? – obbiettò, ripassando mentalmente ciò
che aveva sentito nella riunione del giorno prima.
– Quello
è solo uno dei metodi. Dando un'assaggiata al suo sangue –
intervenne Pas indicando Nora – la sua anima è diventata una
possibile preda. Può essere concupita dai demoni e quindi diventare
essa stessa malvagia. –
– Ma
io credevo... – Bonnie boccheggiò, stupita – insomma, i vampiri
sono creature malvagie! La loro anima non è già perduta? –
– È
solo una leggenda metropolitana. – Nora agitò una mano come a
scacciare una mosca fastidiosa – Chiediti solo questo: i vampiri
sono dotati del libero arbitrio? –
La
risposta era talmente ovvia che Bonnie non la pronunciò nemmeno. Sì,
certo che i vampiri erano dotati del libero arbitrio. Lo dimostrava
ogni giorno Stefan, con il suo amore per Elena e il suo rifiuto
secolare di uccidere per nutrirsi.
– In
questo momento Damon è in bilico fra i due piani, quello umano e
quello infernale. – concluse Pas.
Un'improvvisa
tristezza la prese. Difficile spiegare il perché, ma provava
un'immensa pietà per Damon, trascinato verso un destino avverso
dalle sue stesse azioni, dettate per il puro desiderio di trovare un
ruolo in quella realtà che lo rifiutava. Per la prima volta,
considerò il vampiro da un punto di vista umano e capì che se
qualcuno avesse mai preso in considerazione il fatto che aveva solo
bisogno di essere accettato per ciò che era, be', forse adesso non
starebbe rischiando la salvezza dell'anima. Era un concetto banale e scontato, ma
proprio per questo sapeva che era anche vero.
– Cosa
possiamo fare per aiutarlo? –
– Niente.
– ammise Nora, con una punta di sconforto – Abbiamo già fatto
tutto il possibile, adesso dobbiamo solo aspettare. È una battaglia
che deve vincere da solo. –
~~~
Dormiva
in posizione fetale, le mani strette ad artigliare il cuscino, i
lunghi capelli aperti a ventaglio dietro di lei. Stefan l'aveva vista
tante – troppe – volte dormire così. E stavolta era peggio di
ogni altra, perché nemmeno la sua presenza era sufficiente.
I
“ti amo” non sarebbero bastati e tantomeno i “si sistemerà
tutto”. Il fatto era che non bastava più l'amore – non quel concetto di amore al quale
si erano sempre aggrappati, anche nei momenti più disperati.
Stefan
non si era mai sentito così inutile. La sensazione di essere di
troppo era così palpabile, che stare nello stesso letto lo metteva a
disagio, anche se lei dormiva profondamente. Elena era un'anima
debole e ferita, chiusa in guscio impenetrabile, una corazza
indistruttibile. Tra di loro non c'era mi stato un tale abisso, così
buio e freddo e incolmabile.
La
sentì emettere un piccolo singulto e muoversi piano, stringendosi
ancor più saldamente al cuscino. Era tormentata anche nel sonno.
Stefan azzardò una carezza, passò le dita tra i capelli,
avvicinandosi cauto. Probabilmente era una goccia nel mare, ma quel
gesto per lo meno era di conforto a lui.
È
viva, ma non vive.
In
quella stanza, in quella notte, Damon aveva rotto qualcosa dentro di
lei. Stefan dominò a stento la rabbia. Poi una voce, molto simile a
quella Bonnie, gli fece notare che se lui non fosse entrato nella
vita di Elena, tutto questo non sarebbe mai accaduto. Era solo colpa
sua.
Damon
l'aveva forse spezzata dentro, Stefan le aveva distrutto l'intera
vita.
~~~
La
donna era appollaiata su un alto scaffale di legno, nuda, una gamba
che dondolava a penzoloni nel vuoto e l'altra piegata sotto. La
penombra della cantina smorzava i suoi tratti: era bruna, con la
carnagione olivastra e gli occhi verdi dal taglio a mandorla, orlati
di lunghe ciglia. A Damon ricordava Katherine o Elena... o entrambe.
Ma c'erano anche dei tratti di Lexi sul suo volto.
Capì
cosa era ancor prima che parlasse, ma in seguito non ricordò
cosa gli disse per la prima volta. Forse pronunciò solo il suo nome,
forse no.
– Tu
non puoi essere qui. – si sentì dire, ricordando vagamene le
parole dell'angelo.
Una
piccola ombra si formò sul suo bel volto: stava sorridendo di
quell'affermazione.
– Ho
molti modi per penetrare le difese altrui. –
Adesso
la voce era più nitida che mai, poteva avvertirne ogni sfumatura.
Somigliava vagamente a quella di Rose. Era strascicata, come se le
parole rotolassero fuori dalla sua bocca solo dopo esser state
lavorate per bene e ridotte in poltiglia dai denti, dalla lingua e
infine dalle labbra.
– Come
ti chiami? –
Non
poteva venirgli in mente una domanda più stupida. Il fatto è che in
quel momento non era esattamente col cervello che stava ragionando.
– Voi
esseri umani... – sospirò lei, lasciandosi scivolare giù con un
movimento fluido – sempre così fissati con i nomi. –
Avanzò
lentamente verso di lui. Ogni passo era uno sciogliersi di curve ed
angoli che si perdevano nelle ombre della stanza – nelle ombre
della mente di Damon. Camminava come se fosse padrona dell'intero
ambiente, come se conoscesse a memoria il pavimento sotto i suoi
piedi e le pareti attorno e il soffitto sopra e l'aria che li
avvolgeva.
Lo
osservò dall'alto, la testa appena inclinata di lato, una ciocca di
onde scure che s'infrangeva sulla spalla e andava ad incorniciare la
curva di un seno.
– Il
mio nome non ha importanza. –
– Per
me sì. –
Ne
aveva bisogno. Doveva poter catalogare ciò che aveva davanti. Se
avesse potuto darle un nome, era sicuro avrebbe smesso di sentirsene
una vittima impotente.
– Mi
hanno dato molti nomi. – sussurrò accovacciandosi, le labbra
morbide e succose increspate in un sorriso che non raggiungeva gli
occhi.
Era
agghiacciante. E bellissima.
– E
molti volti. – aggiunse, come se gli leggesse nel pensiero.
– E
chi sei diventata per me? – riuscì a chiederle.
Questo
secondo sorriso si estese anche agli occhi. Fu ancora più terribile.
– Questa
è una domanda interessante. – si avvicinò, lenta e sensuale e
pericolosa come una pantera, e si accomodò a cavalcioni su di lui.
Santo
Iddio... ha il profumo di mia madre!
– D'altra
parte, sei sempre stato così... – gli leccò le labbra, in un
gesto che sembrava non finire mai – promettente. –
Prima
di lasciarsi andare definitivamente tra i suoi artigli, Damon ebbe il
tempo di indugiare su una presuntuosa constatazione: in meno di un
ora, aveva avuto le attenzioni di un angelo e di un demone. Mica male
per essere solo il fratello sfigato di Stefan Salvatore.
Poi
fu solo l'oblio.
~~~
Lo
sferragliare della porta non li aveva affatto distratti, e tantomeno
il suo educato schiarirsi la gola. Da un certo punto di vista,
sarebbe stato interessante per Pas stare a vedere il seguito, ma a
causa dell'incantesimo di Bonnie non poteva restare a lungo lì
dentro.
– Perdonate
l'intrusione. – si annunciò.
Damon
emise un verso lamentoso quando la demone interruppe il paziente
lavoro che stava operando su di lui. Lei alzò la testa bionda verso il
dampiro e lo guardò come se si aspettasse la sua presenza lì.
Pas
tentò di restare impassibile, ma non era affatto semplice. In
trecento anni di vita non aveva mai visto una creatura così
pericolosamente bella, eppure aveva avuto la rara opportunità
d'incontrare alcune succubi.
– Pascal
Serrault. – si presentò cordiale – Con chi ho l'onore di
parlare? –
La
demone si sollevò in piedi, mostrandosi in tutta la sua splendida e
terribile nudità.
– Tu
sai chi sono. –
Gli
si avvicinò piano e gli girò intorno, studiandolo con calma, senza
toccarlo.
Si
chiese come dovesse apparire a Damon. Per lui, era diventata piccola
e sottile, tutta occhi, con la pelle ambrata e corti capelli biondi.
Gli ricordava Samara, la sua prima donna... e Katherine, ma non la
versione più recente, bensì quella di una volta, quella con cui
aveva condiviso il letto e il nome per qualche decennio. E poi,
ovviamente, il solito dettaglio, il particolare indefinibile che la
riconduceva a sua madre – al poco che ricordava di lei, morta
quando Pas aveva quattro anni. Era il marchio di fabbrica di tutte le
succubi.
Erano
creature dai poteri eccezionali: avevano la capacità di mostrarsi
alla vittima modellando il proprio aspetto in base ai desideri che
percepivano. E infatti Pas non si era stupito di ciò che aveva
davanti. Questa, sostanzialmente, somigliava a tutte le succubi che
aveva incontrato. Eccettuati gli occhi. Prima erano sempre stati
neri, dunque non era difficile accorgersi del cambiamento.
– Come
fai ad essere qua dentro? – le chiese interessato.
– E
sai anche questo. – gli si fermò davanti e lo fissò attentamente.
Pas
dovette fare appello a tutta la sua dignità per non distogliere lo
sguardo.
– Perché
non mi chiedi qualcosa che vuoi sapere davvero? – lo invitò,
battendo piano le palpebre e sorridendo amabilmente.
– Oh,
già. – soggiunse fingendo di ricordare – Sai anche quello.
–
Pas
riprese a respirare solo quando si allontanò da lui. Il peggio,
l'arma micidiale sfoderata dalle succubi, era proprio il loro odore.
Nel suo caso, era sempre lo stesso: era l'odore della prima donna che
aveva morso. Pas c'era cascato una volta, non sarebbe successo mai
più.
– Dicci
cosa vuoi e poi sparisci, Pas. –
Dicci?
Guardò
Damon accigliato. Se stava già parlando al plurale, era arrivato
tardi.
– Pura
curiosità. – spiegò semplicemente – Tolgo subito il disturbo. –
Aveva
avuto le conferme che cercava. E comunque il suo tempo stava
scadendo: già sudava freddo e cominciava a sentirsi soffocare.
– Pascal
Serrault. –
Il
richiamo era come una cantilena. Si fermò sulla soglia e voltò
appena il capo, in attesa.
– Dì
pure alla tua amica cosa sono. – consentì con voce soffice – Non
cambierà niente. –
~~~
– Ma
che stronza! –
– Calmati.
– sospirò Pas.
Nora
non aveva alcuna intenzione di calmarsi. Poteva anche sorvolare sulle
sanguisughe imbecilli come Damon, ma che adesso dovesse anche farsi
insultare da una qualsiasi succube di primo pelo... eh, no! Neanche
per sogno!
– Gliela
faccio vedere io a quella lì! – annunciò, dirigendosi a grandi
passi verso le scale che portavano scantinato.
Pas
l'afferrò per il braccio: – Non credo che sia una buona idea. –
– Sono
una fottutissima Virtù Angelica! – protestò divincolandosi –
Lasciami, voglio darle una lezione! –
– Non
è una succube qualsiasi. – scandì Pas lentamente, continuando a
trattenerla.
La
trattava come se fosse una bambina deficiente. Detestava quando
faceva così. A dire il vero, detestava anche sé stessa, per quella
sua reazione così infantile. Ma era colpa sua se il morso di Damon
l'aveva indebolita a tal punto da cedere a quei riprovevoli
sentimenti terreni?
Stava
per mandare tutti affanculo, quando Bonnie intervenne.
– Scusate,
– annunciò timida – credo di aver capito che cos'è. –
Nora
la guardò esterrefatta.
– E
tu che ne sai creature demoniache? – sbottò Pas in tono contrariato.
– Ehm...
i grimori. – sbatté sul tavolo del salone un vecchio tomo.
I
due stabilirono una muta tregua per andare a sentire cosa aveva da
dire. Nora dubitava fortemente che una strega di diciassette anni
potesse saperne di più di un ammazza-vampiri professionista e di
un angelo incarnato messi insieme, ma le avevano insegnato che non
c'erano limiti alle vie del Signore.
– Secondo
quello c'è scritto qui, esiste un solo demone in grado di aggirare
una barriera come quella. – disse aprendo il grimorio e sfogliando
freneticamente – Ecco! –
Batté
il dito su una pagina e Nora si chinò a leggere.
Lamia.
Tutto
tornava. Non era mai stata granché attenta lassù
durante i corsi dove spiegavano quelle cose, ma mentre leggeva
qualcosa le tornò in mente.
– Mon
dieu!
Come ho fatto a non pensarci?! – proruppe Pas.
– Cheppale!
– sbuffò Nora – Questo cambia tutto. –
Bonnie
chiuse i grimorio e li occhieggiò con aria preoccupata.
– Che
cosa facciamo? –
Pas
si abbassò gli occhiali da sole e fissò Nora.
– Pensi
quello che penso io? – disse seriamente.
Lei
annuì: – Ci servono delle manette. –
– E
un incantesimo per renderle infrangibili. – suggerì Pas.
Bonnie
li guardava con occhi larghi come piattini. Nora respirò
profondamente e si apprestò ad illustrarle quello sgangherato piano.
E ad elaborare assieme a loro anche una valida scusa per giustificare
quell'azzardo davanti al resto del gruppo.
~~~
Era
sveglia, e lui lo sapeva – lo sapeva sempre. Fingere era così
inutile, eppure non poteva farne a meno. E comunque quel giochetto
dava loro una scappatoia. Perché è abbastanza imbarazzante quando
si sta nella stessa stanza con la persona che ami, senza avere il
coraggio di parlarsi, senza avere il coraggio nemmeno di guardarsi.
Elena aveva
la straziante certezza che non ne avrebbe mai più avuto il coraggio.
Il
modo in cui la toccava, quelle carezze prudenti e delicate, la
facevano stare ancora peggio. L'ultima cosa che voleva, in quel
momento, era il conforto di Stefan. Si sentiva un mostro e i mostri
non meritano nulla del genere.
– Dimmi
che non mi vuoi qui e me ne andrò. –
Una
lama gelida le trafisse il petto, spezzandole il respiro. Strinse gli
occhi e calde lacrime colarono, andando a bagnare il cuscino. Non
sopportava la sua presenza più di quanto non avrebbe sopportato la
sua assenza.
Sentì
la mano di Stefan abbandonare i suoi capelli. Per reazione l'afferrò
e la strinse contro il suo viso.
– Perdonami.
–
Patetica.
Semplicemente patetica. Era tutto qui quello aveva da dirgli?
Stefan
l'abbracciò ancora per un momento, depositandole un lieve bacio sui
capelli. Poi l'aria si mosse e il peso sul letto svanì.
Perdonami.
~~~
Cristo!
Nessuno gli avrebbe creduto quando l'avrebbe raccontato. Quell'essere
faceva apparire Katherine come una pudica verginella. E Damon sarà
anche stato un mezzo demone, ma aveva dei limiti insomma.
– Una
volta ero un'entità angelica, lo sai? –
Faceva
così. Nelle brevi tregue tra una scopata e l'altra, gli raccontata
qualcosa.
– Io
portavo la vita. – spiegò con voce ispirata – Ero la scintilla
che accendeva la passione e generava una nuova creatura. –
Un
sospiro. La mano di lei che indugiava tra i suoi capelli. Damon si
chiese se fosse normale essere ancora
eccitato.
– Mi
piaceva il mio lavoro. Lo facevo con amore. Qualcuno cominciò a dire
che era anche troppo.
– ridacchiò – Come se ci fosse un limite di decenza per l'amore.
Oh, be'... il Paradiso è sempre stato un covo di malelingue. –
Le
dita scesero sul viso, seguirono il contorno delle sopracciglia,
scivolarono lungo il naso e raggiunsero le labbra. No, decisamente
non era normale.
– Dissero
che volevo imitare Dio. Dissero che non meritavo più la Sua luce. Io
che l'avevo sempre servito così bene... – emise un respiro tremulo
e lo strinse a sé, carne contro carne – Mi tolsero le ali. –
Damon
sentì le sue dita separargli le labbra e frugare, cercare i canini,
premere. Il sapore aspro del suo sangue investì la lingua e la gola,
dandogli la sferzata definitiva.
– E
adesso? – le afferrò la mano e leccò via l'ultimo residuo di
sangue – Cosa sei adesso? –
La
portò sotto di sé e la prese per i fianchi.
– Adesso
la vita la succhio. Fino al midollo. – ribaltò la posizione e lo
cavalcò – Adesso è la morte che porto. –
– Brava,
fammi vedere come fai. –
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Note
Innanzitutto,
grazie a tutte coloro che mi seguono e che recensiscono ad ogni
aggiornamento! :)
Prima
di lasciarvi al capitolo, vorrei chiarire due
cosine.
Dai vostri commenti
mi sono resa conto che è poco chiaro cos'è successo nel capitolo 6,
ma conto di rimediare alla lacuna prossimamente.
Infine...
non so come la prederete, ma per evitare delusioni future mi tocca
dirvelo: in questa fanfiction non ci sarà mai niente tra Elena e
Damon. Perdonate la schiettezza, ma aldilà di ciò che è successo
alla fine della seconda stagione, per me il Delena è improponibile.
Ovviamente è una questione di punti di vista e di gusti personali,
per cui non giudico affatto il Delena in sé, né chi lo sostiene.
Non sono nemmeno “schierata”, non mi ritengo una Stelena, ma
preferisco basarmi su questa coppia e immaginare Damon con
qualcun'altra (chiunque, ma non
Elena).
E questo è
quanto... buona lettura!
Capitolo
8
~
Dove
si assiste ad uno scontro che nemmeno Rocky Balboa VS Ivan Drago
Fu
solo la voce disperata di Stefan che convinse Caroline. Sì, perché,
anche se non avrebbe mai ammesso che le scocciava, non era affatto
contenta che per l'ennesima volta tutti i suoi programmi saltassero
per andare in soccorso ad Elena.
La
mia migliore amica... è la mia migliore amica... e ha bisogno di me.
Caroline
si ripeté questo mantra per tutto il tempo che ci volle a percorrere
la strada da casa Forbes a casa Gilbert. Un tratto breve in auto, ma
sufficiente per chiamare Matt ed annullare l'appuntamento da lei
stessa proposto, e anche per autocompatirsi un po'. Si sentiva da
schifo.
Poi
arrivò a destinazione e ad aprirle fu Stefan, che l'accolse con quell'insostenibile
aria da cucciolo ferito che solo lui era in grado di sfoderare. E
Caroline si ritrovò improvvisamente privata di ogni più piccolo
rancore.
Il
colpo di grazia, infine, arrivò con la vista di Elena, raggomitolata
nel suo letto, sveglia ma con l'aria assente. Pur di non vederla in
quello stato, Caroline avrebbe voluto prenderla per le spalle e
scuoterla, urlarle contro, ma aveva paura anche solo di incrociare
quel suo sguardo privo di vita.
Deglutì
a vuoto e chiese con un filo di voce: – Chi le ha fatto questo?–
– Ho
soggiogato il medico di famiglia perché dicesse a Jenna che si
tratta di un'intossicazione alimentare. –
Caroline
ebbe una sensazione orrenda.
Guardò
accigliata il vampiro: – Stefan, non mi hai risposto. –
– Non
posso restare. – disse secco, voltandole le spalle – Ti prego,
stalle vicino. –
Caroline
sarà anche stata una sciocca ingenua, ma se c'era una cosa che aveva
imparato, era leggere bene Stefan Salvatore. Lo bloccò e cercò i
suoi occhi: il suo sguardo faceva sanguinare. Non seppe se averne
timore o pietà.
– Non
posso restare. – scandì, quasi ringhiando.
– Che
posso fare io che tu non abbia già fatto?! –
– Essere
un'altra persona. –
Questa
era tosta.
– Stefan!
– gli urlò dietro mentre si allontanava giù per le scale – Devi
dirmi chi è stato! –
La
guardò dal pianerottolo, gli occhi dilatati e la mascella serrata.
Forse, se qualcuno li avesse visti in quel momento, così belli e
affranti, avrebbe potuto scambiarli per una coppia alla Romeo e
Giulietta.
Poi
il suo nome si stagliò tra di loro, così netto che parve
schiacciarli entrambi.
Damon.
Caroline
percepì il proprio volto sfigurarsi e i canini scattare fuori. Un
attimo dopo aveva coperto la rampa di scale e soffiava, trattenuta
per le spalle da Stefan.
– No...
–
La
stretta si trasformò in un abbraccio, ma la rabbia di Caroline non
scemò, divenne solo disperazione. Perché non poteva dilaniare Damon
Salvatore pezzo per pezzo e darlo in pasto ai corvi?
– Sssh...
calmati. – continuava a ripeterle Stefan – Ti prego, calmati. –
– Perché?!
– sibilò tra le lacrime – Anche tu vuoi ucciderlo! –
– Non
era in sé. – pronunciò meccanicamente.
Era
talmente palese la sua frustrazione, che Caroline sapeva che le
sarebbe bastata una parola – una sola, insignificante parola –
per far crollare ogni reticenza in lui.
– Caroline.
–
Sentì
le mani di Stefan prenderle il viso.
– Caroline.
–
Le
cercò gli occhi.
– Caroline,
ucciderlo non sarà di alcun aiuto ad Elena. –
Era
vero. Oh, se era vero. Ma sarebbe stato assai utile a lei.
– Come
sei saggio. – ironizzò, tra un singulto e l'altro.
Le
labbra di Stefan si piegarono in una specie di sorriso.
– Me
lo dicono in molti. –
Restarono
abbracciati ancora per un momento, ognuno perso nei suoi pensieri.
Poi Stefan se ne andò e Caroline restò sola nel pianerottolo.
Guardò verso l'alto: poteva sentire il respiro lento e regolare di
Elena: si era addormentata. Chiuse gli occhi, lasciando scivolare giù
le ultime lacrime e respirò profondamente, cercando di calmarsi.
È
la mia migliore amica.
Era
la sua migliore amica, pensava mentre saliva le scale, e qualsiasi
cosa fosse successa lei l'avrebbe scoperto, e l'avrebbe fatta pagare
cara a Damon.
~~~
Ciò
che accolse Alaric e Jeremy una volta varcata la soglia del maniero,
fu lo sguardo tetro di Pas e un silenzio che non prometteva niente di
buono.
Alaric
avanzò perplesso, seguendo il suo ex professore di storia. Giunti al
salone, sentì Jeremy scoppiare a ridere alle sue spalle. E non ci
voleva molto a capire che la fonte di tanta ilarità era la scena
improponibile che avevano davanti.
C'era
il solito divano e sul divano due figure. Una era Nora: accovacciata
con il portatile sulle ginocchia, mugugnò verso di loro qualcosa di
incomprensibile, che avrebbe dovuto suonare come un saluto. L'altra
era Damon: stravaccato con noncuranza all'altro capo del divano, si
sforzò appena di manifestare che si era accorto della loro presenza,
facendo una smorfia e muovendo il braccio.
Il
gesto annoiato del vampiro provocò un tintinnio metallico: tra i due
si snodava la lunga catena alle cui estremità erano chiuse un paio
di manette.
– È
uno scherzo? –
Era
troppo assurdo per essere vero. Batté più volte le palpebre,
indeciso se ritenerla un'allucinazione o uno scherzo ben congegnato.
– Niente
battute, grazie. – disse Nora, senza scollare gli occhi dallo
schermo – La situazione fa già schifo così com'è. –
– Dov'è
che ho visto...? Cazzo! L e Kira! – Jeremy schioccò le dita
e sfilò il cellulare dai jeans – Questa devo twittarla! –
Mentre
Pas gli requisiva il cellulare seduta stante, Alaric fu colto da
un'illuminazione. I suoi studenti prestavano più attenzione ai manga
che alle sue lezioni: nell'armadio del suo ufficio s'era accumulata
una considerevole quantità di volumi e ormai s'era fatto una cultura
in merito.
Ma,
aldilà degli accostamenti nipponici, Alaric non ci stava capendo proprio un accidenti.
– Ok,
potreste spiegarmi? –
~~~
La
versione ufficiale era una mezza verità e, come tale, suscettibile
di errori. Ma meglio dire qualcosa che non dire niente.
Così,
dissero loro che “Damon s'è fatto prendere dalla curiosità e ha
provato ad assaggiare Nora. Non poteva saperlo, ma il sangue degli
angeli da qualche effetto collaterale. Ha dato di matto e ha
aggredito Elena”. Punto.
Obiettivamente
quella storiella faceva acqua da tutte la parti, e inoltre a Pas non
piaceva affatto mentire ad Alaric. Ma non si poteva fare altrimenti:
c'erano già troppe persone che sapevano cose che non avrebbero
dovuto sapere. E poi si sperava che quella cazzata avrebbe funzionato
da deterrente per eventuali altre iniziative di quel genere.
Quanto
a Damon, non era stato difficile zittirlo.
– Se
parli, ti scateniamo contro Stefan. –
Scornato,
lui aveva sfoderato le zanne e gli aveva soffiato contro. Ma nella
situazione in cui si trovava, aveva poco da protestare.
~~~
La
voce era di nuovo lontana, relegata in un angolo della sua
mente. Era stata scacciata, assieme alla sua demoniaca proprietaria,
nel momento in cui quello stramaledetto angelo era tornato a
tormentarlo. Gli mancavano le sue “attenzioni”. Ma sopratutto si
sentiva più debole senza di lei, come se non avesse alcuna ragione
per agire, come se tutti quei poteri che aveva acquisito, ormai,
avessero perso la loro importanza.
Il
cerchio metallico delle manette non era stretto, ma gli bruciava la
pelle del polso. Aveva provato a forzarlo, ovviamente. E, altrettanto
ovviamente, non aveva ottenuto nulla.
E
poi, vabbè, c'era la fastidiosa, costante presenza della pennuta.
Era una piaga vivente.
E
non solo perché si trovava costretto ad ignorare la voce e a
lottare contro il violento impulso a morderla ancora. Non solo perché
si portava addosso quell'odore disgustosamente puro, che gli bruciava le
narici e i polmoni ogni volta che lo annusava, e che allo stesso
tempo, da quando l'aveva morsa per la prima volta, lo allettava come
non mai. Non solo perché non poteva azzardare alcuna rivalsa per
timore che quella stronzetta lo marchiasse di nuovo come un vitello –
il punto del petto dove la sua mano l'aveva ustionato il giorno prima
era guarito, ma aveva lasciato una cicatrice a forma di palmo che non
gli donava granché.
No,
non erano solo questi i motivi.
Il
problema principale era quell'aria saputella che si portava sempre
appresso, quel costante sfottò che aveva nello sguardo, quel tono
marcatamente arrogante con cui lo apostrofava ogni volta. Aldilà di
tutti i catastrofici casini e della situazione di merda in cui si era
cacciato, in quel momento il problema principale per Damon Salvatore,
era di dover condividere lo stesso spazio vitale con Eleonora
Lautnitha, Virtù Angelica del Sacrificio e insopportabile
rompicoglioni.
Stravaccato
sul divano, del tutto impotente e a dir poco annoiato, con l'umore
che si stava pesantemente rannuvolando, Damon iniziò a covare
propositi di vendetta. Limitati, s'intende, data la totale
impossibilità di squartare vivi i responsabili di quella situazione.
Ma c'erano molti modi per infastidire i suoi aguzzini e Damon poteva
affermare, non senza un certo orgoglio, che li conosceva tutti.
Per l'occasione, ne avrebbe anche inventato qualcuno sul momento.
Loro non si meritavano quel pregevole sforzo, ma dopotutto doveva
ammazzare in qualche modo il tempo.
Fu
proprio elaborando la sua patetica vendetta che Damon si rese conto
come, in mezzo alla sfiga, fosse dotato di un microscopico vantaggio.
Nora non era più in grado di infilarsi nella sua testa come faceva
prima. Non sapeva dire se fosse merito dei superpoteri demoniaci che
aveva acquisito o colpa della momentanea debolezza dell'angelo – o
forse entrambe le cose –, e sinceramente non gliene poteva fregare
di meno. Era un passo avanti a lei.
Adesso
non fai più l'onnisciente, eh? Non puoi più frugarmi in testa...
vero, stronzetta?
Quella
sì che era un'inaspettata quanto gradevole opportunità.
– Facciamo
un gioco. –
Nessuno
gli prestò attenzione. Prevedibile: l'avevano etichettato come una
specie di idiota, il matto del villaggio.
Gliel'avrebbe
fatto vedere lui cos'era capace di fare il matto del villaggio.
Diede
uno strattone alla catena: – Sarebbe educato rispondere. –
Nora
alzò gli occhi al cielo, sibilando un'imprecazione.
– Non
ho tempo per i tuoi giochini. –
Con
un sonoro sospiro riprese a ticchettare velocemente sul computer, le labbra strette e le sopracciglia aggrondate, l'aria di chi è
stato interrotto durante un passaggio fondamentale del suo
altrettanto fondamentale lavoro.
Damon
sogghignò. E diede un altro strattone.
– Facciamo
un gioco. – ripeté, con il tono più indisponente del suo
repertorio.
Vide
la mascella di Nora serrarsi e le narici fremere.
– Ti
ho detto che non ho tempo. – scandì, tirando a sua volta la
catena, come per sottolineare il concetto.
Damon
alzò le mani e sfoderò un'espressione innocente, cui lei rispose
con un'occhiata seccata.
Lasciò
che si rimettesse al lavoro e poi attese con calma il momento giusto.
Quando percepì che si stava rilassando e stava tornando a
concentrarsi sul suo lavoro, diede l'ennesimo strattone alla catena.
Così forte e inaspettato, che per poco a Nora non cadde il portatile
dalle ginocchia.
Con
una mano che teneva fermamente il pc e l'altra puntata sul divano per
tenersi in equilibrio, gli scoccò uno sguardo furente. Damon
intrecciò le dita in grembo e le sorrise amabilmente.
– Ma
io voglio fare un gioco. –
Anche
questa volta non ricevette risposta. Ma il silenzio era molto diverso
da quello di prima. Nessuno dei presenti, adesso, lo ignorava.
– E
io ti ho detto – disse con voce lenta e (troppo) calma – che non
ho tempo. –
Damon
soffocò un risata. Poteva vederle lampeggiare in fronte: Sono un
angelo, sono un angelo, sono un angelo... Dio, dammi la forza di non
ucciderlo!
– Ma
io – avvolse un giro di catena attorno alla mano – voglio fare –
l'afferrò con entrambe le mani e la tese – un gioco. –
Nel
salone non si sentiva volare una mosca. Era sicuro che, alle sue
spalle, Pas gli stava preparando un gavettone di acqua santa e Bonnie
stava per friggergli i neuroni.
Nora
schioccò la lingua e gli rivolse un sorrisetto che cercava di
nascondere senza successo la sua tensione.
– Mi
è sembrato di capire che vuoi fare un gioco. –
Damon
alzò le sopracciglia e sogghignò: – Che intuito impareggiabile! –
Nell'attimo
che seguì, ebbe appena il tempo di vedere un ben poco ortodosso
lampo malefico negli occhi dell'angelo. Dopodiché, un violento
strattone lo scaraventò oltre il divano, sopra un esterrefatto
Alaric, fino a farlo schiantare contro l'antica, mastodontica
libreria di rovere.
Seppellito
da una pioggia di libri e schegge di legno, Damon ne riemerse tutto
grigio per la polvere e l'incazzatura. Imprecò, starnutì e imprecò
di nuovo.
– Vuoi
giocare? – Nora gli si piazzò davanti e lo guardò dall'alto, con
le mani sui fianchi e l'aria a dir poco bellicosa – Bene,
giochiamo. –
~~~
Pas
si coprì il volto con il palmo della mano, gemendo sconsolato.
– Lo
sai quanti anni ha questo? – stava ringhiando Damon, sventolando
davanti a Nora un tomo dall'aria assai vetusta.
– Non
ne ho idea, – lo lanciò via e si strinse nelle spalle, poi sfoderò
le zanne – ma è maleducato rovinare le cose altrui! –
L'assordante
rumore di vetri infranti che seguì, lo informò che i due avevano
deciso di proseguire la tenzone fuori dal maniero.
– Hai
intenzione di lasciarli fare? – sentì dire ad Alaric.
Pas
sospirò e guardò a turno i volti tesi dei presenti.
– Abbiamo
altro a cui pensare che alle loro scaramucce. –
Un
lunghissimo scricchiolio, seguito da un terribile schianto e un
fragoroso fruscio, echeggiò dal giardino. Qualcuno doveva essere
stato lanciato contro un albero e la cosa non doveva essere stata per
niente piacevole – sopratutto per l'albero.
Gli
altri lo fissarono di nuovo: se possibile erano ancora più
allarmati.
– Per
favore, facciamo solo... – si alzò dalla poltrona, agitando le
mani – finta che non esistano. –
S'incamminò
verso lidi più tranquilli, seguito dagli altri. Avevano una missione
da portare a termine, o se n'erano tutti dimenticati? Una
stramaledetta missione suicida per salvare quel cazzo di mondo da una
fine orribile.
– Alaric.
–
Non
si era voltato, aveva continuato a camminare, ma se conosceva bene il
suo ex alunno, quel richiamo perentorio doveva averlo fatto
impallidire.
– È
sempre in programma quella cena col delitto? –
L'uomo
lo affiancò e lui gli lanciò un'occhiata da sopra le lenti scure
degli occhiali da sole. Le labbra di Alaric si piegarono in un
sorriso.
– Comincio
a mandare gli inviti? – gli chiese.
– Prima
che si freddi la portata principale, possibilmente. –
~~~
Attorno
a loro l'aria si era fatta rovente, dai rami spezzati dell'albero
cominciarono a partire scintille. Nora ci impiegò un po' a capire
che era colpa sua. E questo era male – molto male.
Sto
perdendo il controllo.
Un
angelo fuori fase poteva essere pericoloso quanto un cretino come
Damon.
– Ti scaldi troppo! – la canzonò – È solo un gioco! –
Nora
sentì i capelli rizzarsi sulla nuca.
No,
no... merda... no!
Esplose
prima ancora che potesse pensare di farlo, scaraventando Damon e sé
stessa cinquanta metri più in là. Lui si schiantò sul prato per
primo, Nora rovinò a un paio di metri di distanza, e rotolarono
insieme, aggrovigliandosi con la catena.
Dopo
innumerevoli e vani tentativi di districarsi, legati schiena contro
schiena come due salsicce, Nora capì di aver fatto la cazzata del
secolo.
– Fanculo!
– sbottò dandogli una gomitata.
– Ahio!
–
E
aveva anche il coraggio di lamentarsi! Nora gliene diede una raffica.
– Piantala!
– le ruggì.
Lo
ignorò. Almeno fino a quando non sentì diffondersi un preoccupante
calore. Con terrore vide il metallo della catena diventare
incandescente, bruciando i vestiti e ustionando la carne. Smise di
sgomitare, ma solo per lasciarsi andare ad una crisi isterica.
– Ma
che genio! – strillò divincolandosi – Ti rendi conto della
stronzata che stai facendo?! –
– Disse
quella che mi ha scaraventato per terra! –
– Ehi,
tu mi hai lanciata contro l'albero! –
– Dopo
che tu mi hai trascinato fuori passando per la vetrata! E
prima ancora mi ha schiantato contro la libreria! –
– Mi hai provocata, coglione! –
– Se
non avessi avuto la brillante idea di incate... –
– BASTA!
– urlò, satura di dolore ed esasperazione – Basta, fallo
smett...! –
La
frase restò a metà, perché il movimento repentino che la sbalzò
all'indietro le mozzò il fiato. E adesso dove diavolo la stava
portando? Non fece in tempo a preoccuparsi troppo, perché poco dopo
non poteva più respirare, immersa com'era in tutta quell'acqua.
Riemersero
dal lago subito, miracolosamente sciolti dal groviglio della catena,
che adesso giaceva spenta e fumante sull'erba umida. Fradicia fino al
midollo, Nora sputò tanta di quell'acqua che c'era da stupirsi che
il lago ne contenesse ancora.
Mentre
riversava la sua malconcia anatomia sull'erba, sentì il cretino
biasciare qualcosa.
– Che
hai detto? –
Non
sapeva per quale motivo le importasse. Forse voleva solo avere
l'ultima parola.
– Ho
detto... hai visto che ci siamo divertiti? – annaspò – E tu che
non volevi giocare... –
Nora
strizzò gli occhi: la vista iniziava ad appannarsi. Nonostante
tutto, prima di perdere i sensi trovò la forza di mandarlo a fanculo
e di dargli un ultimo, dispettoso calcio.
~~~
Stefan aveva la
sensazione di essere finito in un gran brutto telefilm. Uno di quelli
in cui al protagonista ne capitano di tutti i colori e nessuno si
rende conto di quanto nell'insieme risulti tutto grottesco. Anzi, ci
sono pure le risate registrate in sottofondo.
Ecco, in quel
momento Stefan si sentiva il protagonista.
Lasciata la sua
fidanzata nelle mani di qualcuno che sperava avrebbe fatto
meno danni di lui, aveva creduto di poter trovare a casa propria un
ambiente dove riflettere con calma, magari confidarsi con Pas o
Alaric e cercare consiglio. Non poteva immaginare che in sua assenza,
quell'austero maniero così ricco di storia si fosse trasformato in
una scuola elementare.
C'erano Pas e
Alaric che, effettivamente, tiravano un po' su la media dell'età, con il loro
fiacco tentativo di pianificare (da soli) l'uccisione di Elaijah.
Peccato che nel frattempo il suo amato fratellone si stesse
accapigliando con quella che avrebbe dovuto essere la loro giuda
celeste, ma che al momento sembrava essere presa da un'allarmante
regressione spirituale. E infine, vabbè... Jeremy e Bonnie che
pomiciavano in un angolino nascosto del sottoscala.
– Cos'è successo
qui? –
Si pentì di aver
fatto quella domanda nel momento stesso in cui la pronunciava.
Pas lo guardò da
sopra gli occhiali: – Vuoi la storia completa o preferisci un
riassunto? –
– Lascia stare. –
scrollò le spalle e andò a servirsi del whisky – Ditemi solo
per quale motivo quei due sembrano appena usciti da una palude. –
Accennò a Damon e
Nora, che si stavano trascinando su per le scale, spintonandosi e
insultandosi, lordando di fango e foglie marce tutto ciò che avevano
intorno.
– Perché sono
appena usciti da una palude. – lo informò Alaric stancamente.
Stefan decise
subitaneamente che non voleva sapere di più.
– Immagino che
non ci saranno di alcun aiuto. – si limitò a commentare.
– Nora non
ci sarà di alcun aiuto. – precisò Pas – Quanto a Damon, sarà
un miracolo se riusciremo a non fargli mandare tutto a puttane. –
– Leviamoceli
dalle palle. –
I due ammutolirono.
– Che c'è? –
sbottò irritato – Mio fratello non è il solo in grado di
esprimersi in maniera volgare. –
Fece finta di non
notare l'occhiata perplessa che si scambiarono.
– Come sta? –
Non badò a chi gli
aveva fatto la domanda. In quel momento pensare ad Elena gli faceva
solo venire voglia di sbranare Damon. E in mancanza di lui, sarebbe
andato benissimo chiunque altro.
– È con
Caroline. – rispose secco, ingollando una sorsata di whisky.
Fortunatamente si
guardarono bene dal replicare qualcosa.
Dal piano di sopra
giunsero dei tonfi e la voce concitata di Nora che insultava Damon.
Stefan serrò gli occhi e strinse la mascella. Meglio cambiare
discorso – meglio farlo subito.
Accennò con la
testa alla custodia del pugnale, che giaceva sul tavolo davanti a
loro.
– Volete farlo
davvero? –
– Non mi sembri
convinto. – notò Pas.
– Non lo sono. –
ammise.
Se anche fossero
riusciti ad uccidere Elijah, questo non garantiva che Klaus non
sarebbe arrivato a Mystic Falls. Dalle loro espressioni, capì che
anche loro non erano del tutto sicuri di quel piano.
– Avete già
mandato gli inviti? – chiese loro.
Alaric annuì: –
A cosa stai pensando? –
– Penso che
potrebbe essere una cena proficua, se sapremo come sfruttarla. –
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Capitolo
9
~
Dove,
come si suol dire, le cose precipitano (e senza l'ausilio della forza
di gravità)
– Esci.
–
Damon
sputò un'altra boccata di sangue nel lavandino e la guardò nel
riflesso dello specchio.
– Scusa?
–
Nora
si era liberata dei vestiti strappati e lerci di fango, restando in
slip e reggiseno. Non aveva il minimo gusto in fatto di lingerie.
– Esci
di qui. – ripeté, scoccandogli un'occhiataccia – Devo lavarmi. –
Si
voltò e si appoggiò indolente al piano di marmo. Incuriosito, la
osservò mentre svuotava un flacone di bagnoschiuma nella vasca e la
riempiva d'acqua calda.
– Dov'è
finita la tua angelica indifferenza? – l'apostrofò.
– Te
la sei succhiata via tu, imbecille! – commentò lei tra i denti.
Quell'ammissione,
così, sapeva tanto da crisi.
– Temo
che dovrai superare i tuoi nuovi pudori. – la informò, alzando il
polso a cui era ammanettato e agitando appena la catena.
Un
lampo di panico attraversò il suo sguardo. Poi la vide annuire
seccamente. Gli diede le spalle e si tolse gli ultimi indumenti con
gesti pratici e veloci. Lo striptease più deprimente cui Damon
avesse mai assistito.
Mentre
s'infilava goffamente nella vasca, lo sguardo di Damon fu catalizzato
dal collo. C'era ancora, rosso e invitante, il segno del passaggio
dei suoi denti. In due giorni non si era ancora rimarginato del
tutto.
Realizzò
di avere la gola secca e d'improvviso, sotto il profumo
fastidiosamente dolciastro del sapone, gli tornò alle narici
l'odore di lei. Un formicolio gli si diffuse in tutto il corpo.
Considerò
brevemente che aveva il fisico appena pubescente di una ragazzina e
lui non aveva i gusti alla Nabokov. Ma la fame... be'... era fame.
~~~
– Ciao!
–
Caroline
gli sorrise e Pas, semplicemente, smise di respirare. Maledetto il
momento in cui aveva accettato quell'incarico.
– Bonnie
è qui? – si chinò per sbirciare all'interno – Non risponde al
cellulare. –
Il
suo movimento lo fece arretrare istintivamente. Tentò di camuffare
facendole spazio per entrare, ma lei dovette notare il suo impaccio,
perché lo guardò per un momento con aria perplessa.
Trecento
anni di onorato servizio buttati nel cesso per un paio di occhioni
azzurri.
– Elena?
– chiese sfoggiando un'aria sicura che nemmeno lontanamente aveva.
– È
con Jenna. – le sentì dire.
Aveva
una voce indecifrabile.
– Voglio
organizzare un pigiama party, l'aiuterà a tirarsi su! – riprese
poi, tornando d'un tratto al tono allegro di prima – Ma mi serve
assolutamente Bonnie! –
Sempre
assicurandosi di non respirare il suo odore, Pas lasciò che lei gli
si affiancasse. Sembrava un'incantevole, graziosissima bomba sul
punto di esplodere.
– Correggimi
se sbaglio, ma ho l'impressione che più che un pigiama party con le
amiche, vorresti avere cinque minuti con Damon Salvatore. –
commentò.
Caroline
non fece neppure finta, ma mantenne inalterato il suo delizioso
musetto quando ammise che, sì, quella prospettiva non le sarebbe
dispiaciuta affatto.
– Ma
Stefan, lo sia com'è fatto, secondo lui il suo decesso non
aiuterebbe Elena. – cantilenò, alzando gli occhi al cielo con aria
rassegnata – Per cui... –
– Ti
tocca ripiegare sul pigiama party. – concluse lui divertito.
Pas
aveva già inquadrato Caroline la sera della casa sul lago, ma adesso
stava ricevendo alcune conferme. Un po' gli ricordava Lexi. Solo che
Lexi, quando l'aveva conosciuta, aveva già un paio di secoli alle
spalle che le avevano dato la capacità di capire come riconoscere
chi era degno della sua preoccupazione e – sopratutto – chi non
lo era. Caroline appariva senza difese: Pas era sicuro che avrebbe
ceduto a qualsiasi richiesta di aiuto, annullandosi completamente per
gli altri, nella speranza di dare l'immagine di sé che credeva che
tutti si aspettassero.
– E
sarebbe davvero meglio avere Bonnie con noi, – stava dicendo –
perché Elena non è molto collaborativa! –
Pas
sorrise tra sé e la condusse al sottoscala: – L'ultima volta che
l'ho vista era con Jeremy. –
Infatti
eccoli lì, praticamente nella stessa situazione in cui li aveva
lasciati un'ora prima. Alla loro vista, Caroline si pietrificò.
– E
qui abbiamo una riproduzione vivente del Bacio di Rodin. –
illustrò con un gesto teatrale della mano – Se ti riesce di
scollarli, hai tutta la mia ammirazione. –
Lei
pestò il piede ed emise un buffo suono a metà strada tra un lamento
e un ringhio. E poi si dileguò. Pas fu colto da un'inspiegabile
curiosità.
Le
andò dietro: – Sembri quasi invidiosa. –
– Che?
– saltò su.
Scosse
la testa facendo saltellare i riccioli biondi sulle spalle, e disse
un numero impreciso di “no”, con l'aria di chi avrebbe tanto
voluto urlare un unico, enorme “SÌ”.
– Insomma,
è comprensibile, no? Se fossi nella stessa situazione, anch'io
m'imbucherei col mio ragazzo... certo, sempre se un ragazzo ce
l'avessi... ma ipoteticamente parlando, chi non farebbe così?
Giusto? –
Straparlava.
E senza che lui le avesse nemmeno chiesto delle spiegazioni. Si
fermarono nel salone, dimentichi di Bonnie e di chiunque altro. Pas
la scrutò attentamente, divertito e allo stesso tempo vagamente
teso.
– Tu
no? – aggiunse lei d'un tratto.
Si
strinse nelle spalle: – Non saprei, non ho mai avuto un ragazzo.
–
– Ma
una ragazza sì. No? Voglio dire, hai la tua età, ma non sei affatto
male e... – Caroline s'interruppe di colpo, chiudendo gli occhi e
arricciando il naso.
– Era
una battuta, vero? – aggiunse in un sussurro imbarazzato.
Era
adorabile. Pas si chinò appena verso di lei e la guardò da sopra
gli occhiali, con le sopracciglia alzate e un risata trattenuta a
stento. Era sempre una bomba in procinto di esplodere, ma stavolta
non c'entrava alcun proposito di vendetta. Costringersi a non
respirare il suo odore era un compito che si faceva sempre più
difficile.
– Dove
eravamo? –
– Alla
parte in cui mi dicevi che nonostante l'età... –
– Bonnie!
– lo interruppe nervosamente – Mi serve Bonnie! –
E
sgattaiolò via ancora una volta. Pas la seguì senza fretta.
~~~
Che
non avesse più la facoltà di percepire le cazzate che aveva in
testa, non faceva di Nora una sprovveduta. Era un Damon Salvatore
dopato che sentiva le voci, quello con cui si era ammanettata.
Abbassare la guardia di nuovo non era neanche lontanamente
contemplato.
– Fammi
indovinare, – gli disse quando lo sentì avvicinarsi – hai un
certo languorino. –
– Potrebbe
essere veloce e indolore. – le suggerì, poggiando le mani sui bordi
della vasca e guardandola dall'alto.
Nora
reclinò la testa all'indietro e lo osservò: aveva già il volto
sfigurato. Stava perdendo il controllo di sé stesso e nemmeno se ne
rendeva conto. Ormai non era sufficiente la sua presenza per
combattere con la sua aura la presenza della Lamia, serviva una
tattica più drastica.
– Non
lo è mai. – lo corresse.
– Sembri
saperne qualcosa. – suggerì interessato.
No,
quella era una faccenda che non aveva alcuna intenzione di mettere
sul piatto.
Sviò
il discorso: – Ti ho respinto due volte, pensi di avere maggiore
fortuna la terza? –
– Sono
stato troppo frettoloso, lo ammetto. – girò attorno alla vasca –
Dopotutto non ci conoscevamo nemmeno... ma ormai è la terza volta
che usciamo insieme. –
Se
era ancora capace di fare quelle battute di pessimo gusto, forse
c'era ancora qualcosa di salvabile.
– Damon,
– sospirò – te lo confesso: non ho molta voglia di farmi stuprare
e dissanguare da te. –
Lui
mise il broncio: – Non hai alcuna fiducia nelle mie capacità! –
Lo
ignorò.
– Quindi
credo – uscì dalla vasca, pregando di avere almeno un paio di
secondi ancora – che dovrò declinare la tua... –
Ovviamente
le sue preghiere erano andate a vuoto. Ultimamente ci doveva essere
un problema nelle comunicazioni tra lei e i suoi superiori.
– Lo
sai, sono curioso. –
L'aveva
semplicemente issata e scaraventata al muro, usando la catena per
impedirle di muoversi. Scalciò a vuoto, rendendosi conto di essere
in una posizione che riduceva di molto le sue possibilità di
contrattacco. Diciamo pure che le riduceva ad una sola.
– Molto
curioso. – stava continuando – Vorrei sapere di più sulla tua
storia. –
Strinse
la presa, ma senza farle male. Voleva solo assicurarsi che non
potesse muovere le braccia.
– È
lunga e risale ad un secolo fa... – annaspò lei – ti
annoieresti, fidati. –
– Eppure
– avvicinò il viso al suo – mi piacerebbe tanto sentirla.
–
Una
Virtù Angelica, indebolita o meno, era immune a certe cazzate, e
Damon doveva averlo intuito. Ma si vede che la fame gli aveva dato
alla testa se pensava davvero di poterla soggiogare.
– Damon,
non ti conviene. – provò ad avvertirlo – Lo dico per il tuo
bene. –
Forse
era meglio se espandeva la sua aura adesso che aveva ancora il
controllo di sé stessa, ma si sentiva troppo debole, temeva che non
avrebbe avuto l'effetto voluto.
Ignorando
completamente le sue parole, le afferrò il mento e la scrutò.
– Quale
terribile segreto nasconde questa testolina aureolata? –
Nora
si concentrò. Forse non era abbastanza forte per un'espansione
dell'aura come si deve, ma lo era ancora per chiudersi. Il suo corpo materiale ne avrebbe risentito, ma per lo meno gli avrebbe impedito di arrivare dove non doveva.
Era un vecchio trucco che aveva imparato lassù dai veterani della
Guerra, anche se allora non credeva che le sarebbe mai potuto essere
utile.
– Ah,
no... così non va bene. – sussurrò contrariato – Dopo tutte le
mie attenzioni, ancora non hai fiducia in me? –
Nora non seppe dire come aveva fatto a non prevederlo, ma accadde. Le
infilò una mano tra le cosce, mandando definitivamente a puttane ogni
proposito di chiudersi. I trucchetti da incubus fecero il resto.
Un
flashback della sua vita da umana si riversò tra di loro. Era
decisamente brutto e montato male, e sicuramente era stato gonfiato
da un secolo di risentimento, ma ebbe l'effetto peggiore.
Pianse.
– Oh,
bambina. – la canzonò – Zio Damon è qui, non avere paura. –
Non
si era accorto dell'immane cazzata che aveva fatto. Almeno finché le
lacrime, scivolando, raggiunsero la sua mano, ustionandola.
Damon
soffiò e la ritrasse immediatamente, allontanandosi da lei. Senza
più il suo sostegno, Nora crollò a terra, sul pavimento umido. Non
riusciva a smettere di piangere e ormai i poteri di Damon le aveva
aperto la mente e il fluire dei ricordi la stava sopraffacendo.
Scosse
la testa e alzò gli occhi a cielo, chiedendo perdono per quello che
stava per fare. Se non altro, dopo non avrebbero più avuto nessuno
Damon-incubus da gestire.
~~~
Caroline
sgranò gli occhi: – Se n'è andata? Come, se n'è andata? –
– Diceva
che Elena aveva bisogno di lei. – Jeremy si strinse nelle spalle –
Che tu non potevi fare tutto da sola. –
– Ah.
–
Era
andata fin lì, si era resa ridicola davanti ad un dampiro fico di
trecento anni e non aveva ottenuto nulla.
– Bene. –
si schiarì la voce e assunse automaticamente il suo solito
atteggiamento condiscendente – È meglio se le raggiungo. –
Sorrise
ai due e si avviò all'ingresso. Pas la stava accompagnando e l'idea
di averlo alle spalle la mise a disagio, era come se non sapesse più
mettere un piede davanti all'altro. Ma fu distratta dai rumori che
provenivano dal piano superiore.
Alzò
la testa e aguzzò le orecchie: – Che succede di sopra? –
– Lunga
storia. – accennò Pas, accigliato.
Caroline
restò lì, imbambolata. Ebbe la sensazione di aver aver dimenticato
qualcosa d'importante.
Oh,
già...
Avrebbe
preferito non ricordarsene, ma ormai...
– Pas?
–
La
guardò interrogativo. Si rese conto che era la prima volta che lo
chiamava per nome, ma non volle fermarsi a pensarci.
– Che
ne avete fatto di Tyler? –
Non
aveva avuto più sue notizie dal giorno del morso. E anche a quello –
sopratutto quello – era meglio non pensare troppo.
– L'abbiamo
lasciato andare. –
Il
modo in cui glielo disse l'allarmò.
– Se
n'è andato, Caroline. – le spiegò, come se avesse intuito la sua
agitazione – Con il suo branco. –
– Oh.
–
Lui
se n'era andato e lei a quella notizia non trovava niente di meglio
che replicare un con un patetico “oh”?
Strinse
le labbra e abbassò gli occhi. Stefan le aveva insegnato come
smorzare le emozioni, ma non ne aveva mai avuto il coraggio: temeva
di trasformarsi in un mostro. Temeva che gli altri la
vedessero come un mostro.
Così
Caroline prese un lungo respiro e provò, semplicemente, a nascondere
anche quell'ennesimo dolore che l'aveva trafitta. E come sempre ci
riuscì – aveva un talento naturale per recitare. L'espressione con
cui alzò di nuovo gli occhi su Pas era la sua solita, quella con cui
si guardava allo specchio ogni mattina, prima di uscire ad affrontare
una nuova giornata. Caroline era tornata la dolce bambolina di
sempre.
– Grazie.
– gli disse con un sorriso, cercando di ignorare il tremendo
presentimento che lui avesse notato la sua bella maschera.
Aprì
la porta e uscì nell'aria fresca, strizzando gli occhi alla luce
vivida.
– Caroline?
–
Si
voltò appena verso di lui, a disagio.
– Divertiti
stasera. E non combinare niente. –
Divertiti.
Non divertitevi. Era di lei che stava parlando. Si stava
preoccupando?
Caroline
non volle pensare troppo alle implicazioni – non in quel momento. E
come faceva sempre quando qualcosa la innervosiva, cercò di
buttarla sul ridere.
– Tranquillo,
papà, non c'è pericolo. –
– Mon
dieu! – rise lui, poggiandosi allo stipite – L'ultima cosa
che voglio da te è che mi consideri una figura paterna! –
Ok,
forse in realtà era il momento giusto pensare alle implicazioni. E
ad un sacco di altre belle cose.
– Perché,
quali altre cose vuoi da me? – si sentì dire.
Si
morse il labbro. Stava provando a flirtare
con
lui?! Perché in quelle situazioni non rifletteva prima di aprire
bocca? Era come se le mancasse un filtro tra ciò che pensava e ciò
che diceva.
Ecco,
si stava trattenendo dal riderle in faccia. Doveva apparirgli
ridicola.
– Le
tue amiche ti stanno aspettando. –
Caroline
non smise di sorridere mentre annuiva e accennava un saluto. Avrebbe
voluto correre via e nascondere la testa sotto la sabbia, ma si
costrinse ad una dignitosa ritirata, come si conviene alle signorine
per bene.
– Chérie.
–
Con
un mezzo infarto in corso, Caroline si fermò e lo guardò, in
attesa.
– Mi
considero un esperto in relazioni fallimentari. Sono qui se hai
voglia di parlare. –
La
sua espressione non era mutata, ma le disse “parlare” come se
intendesse ben altro. E dopo quel loro breve scambio di battute,
Caroline era già suscettibile di reazioni inconsulte. Biascicò un
timido “ok” e scappò via.
~~~
A
posteriori, Stefan poté dirsi che aveva capito che c'era qualcosa
che non andava già prima. Ma non voleva vedere suo fratello per
timore di quello che gli avrebbe potuto fare, per cui ignorò il
presentimento e continuò a pianificare assieme ad Alaric e a Pas.
Poi
lo schianto e le pareti del maniero che tremavano. Il suo stomaco si
contrasse in una fitta di nausea. Quando si rialzò dal pavimento,
vide che anche Pas non era esattamente in forma. E dallo sguardo che
si scambiarono, capì che stava pensando la stessa cosa.
Alaric
li guardava senza capire e Jeremy sopraggiunse blaterando qualcosa
sulla rarità dei terremoti in Virginia.
Stefan
li ignorò e si precipitò di sopra.
Aveva
visto abbastanza telefilm da sapere che quando si raggiunge il luogo
del delitto non bisogna inquinare le prove. Ma in quella stanza
c'erano un angelo e un mezzo demone, come doveva comportarsi?
Quando
arrivò al bagno, capì che non c'era un modo per
comportarsi. Si tappò il naso per non respirare l'odore del sangue e
osservò la scena orripilato. Come c'era finito in una pellicola di
Tarantino?
Damon
giaceva in una pozza di sangue annacquato. Nora era rannicchiata a
terra, dalla parte opposta della stanza. La catena era spezzata.
C'erano
acqua e sangue ovunque, gocciolavano dalle pareti, inondavano il
pavimento, sporcavano i mobili. Degli schizzi avevano raggiunto
persino il soffitto. Il vapore nell'aria, col suo sentore di sapone,
rendeva il tutto più paradossale che mai.
Alle
sue spalle, Pas fischiò.
Gli
batté sulla spalla: – Vai via, ci penso io qui. –
Stefan
uscì da quella stanza con enorme sollievo.
– Fossi
in voi non entrerei. – avvertì gli altri, e si precipitò fuori a
prendere una boccata d'aria.
Un'ora
dopo, Pas tornò di sotto.
– Dimmi
che non ha tentato di fare quello che penso. –
Il
dampiro non rispose, ma si servì un doppio whisky e lo bevve tutto
d'un fiato. Stefan non aveva mai visto il suo vecchio amico così
incazzato: sentiva il suo cuore pompare ad una velocità
impressionante. Non conosceva molto del suo passato, ma aveva capito
che la storia di Nora era legata a doppio filo con la sua. Aveva
avuto più volte la sensazione che Pas la ritenesse una sua protetta.
– Come
sta? –
– È
un angelo. – rispose secco – Se la caverà. –
Nessuno
dei due si era curato di Alaric e Jeremy. Quando il primo si fece
coraggio e chiese delle spiegazioni, Pas gli lanciò un'occhiata
mortalmente seria e semplicemente se ne andò, lasciando a Stefan
l'incombenza di spiegare ogni cosa. Come al solito, i compiti più
allegri se li beccava lui.
~~~
Era
da tanto che non gli capitava, ma quella notte Damon sognò qualcosa.
Uno di quei sogni talmente vividi e realistici che, paradossalmente,
palesano la loro natura onirica.
Katherine
era lì, davanti a lui. Bellissima e crudele e irraggiungibile,
com'era sempre stata. Indossava una maschera e sorrideva, come a
scusarsi del fatto che la sua esistenza stava occupando tutta la sua
vita.
Poi
fece un sospiro e si tolse la maschera. Con quella svanirono i
riccioli e il sorriso, e apparve Elena. Altrettanto bella e crudele.
E ancora più irraggiungibile, con quegli occhi da cerbiatta e la
fulgida purezza di cui si ammantava. Le gote arrossate e le labbra
schiuse, abbassò lo sguardo con pudore. E quando lo rialzò, ogni
cosa s'infranse.
Era
di nuovo Katherine. Senza riccioli, ma con gli occhi da cerbiatta.
Sguardo ambiguo e pudico sorriso. Fulgida corazza di crudeltà dietro
cui si nascondeva la più vera delle falsità.
Damon
si svegliò di soprassalto nel suo letto. Terzo risveglio di merda:
ormai era una consuetudine cui si stava abituando.
Ci
mise un po' a riprendere il controllo di sé, a realizzare che era
stato solo un sogno – un incubo. Buffo: in quel momento era lui il
portatore di incubi.
O
forse no?
Damon
si concentrò, ma nessuna voce gli venne in soccorso degli anfratti
della sua mente. La demone era scomparsa. E mettendosi a sedere sul
letto, si accorse che quella strana fame aveva ceduto il posto alla
solita, vecchia sete. Stranamente, non gli mancava. Si sentiva
come... a casa.
C'era
però qualcosa che stonava nell'insieme.
– Vuoi
sapere un fatto curioso, mon
ami? –
Damon
si volse verso la fonte della voce. Pas era seduto scompostamente su
una delle poltrone della sua stanza e non c'era bisogno di notare la
bottiglia che aveva in mano per capire che era ubriaco. Il lato
negativo – o positivo? – dell'essere un dampiro, era che la
giusta quantità di alcol faceva un certo effetto.
– Non
mi è mai piaciuto uccidere in sé. – posò il mento sulla
mano in un gesto stanco – Insomma, l'ho sempre fatto per lavoro. –
Pausa.
Damon aveva imparato a sue spese cosa significavano le pause di Pas.
– Poi
un giorno qualcuno fece del male a Teresa. – si strinse la base del
naso tra due dita – Oh, non ti ho mai parlato di lei, vero? –
Damon
non mosse un muscolo. Non era idiota, aveva capito dove voleva andare a parare con quella sua bella favoletta. Stava solo cercando
di capire quando avrebbe attaccato.
– Era
la madre di Nora. – gli spiegò in tono tranquillo, come se stesse
raccontando un fatterello qualsiasi.
– Era
una strega e l'hanno ammazzata. – disse velocemente, come a
liquidare quella parte – Storia lunga. Il punto è... –
Bevve
una sorsata dalla bottiglia e si pulì la bocca col dorso delle mano.
– Il
punto è – riprese – che fu una vera soddisfazione impalare
quelli che la uccisero. Mi capisci? –
Damon
capiva anche troppo bene.
Lo
seguì attentamente con lo sguardo mentre si alzava dalla poltrona e
andava verso la porta.
– Non
ti ammazzo ora per riguardo alla nostra lunga amicizia. – lo
avvertì – Guardati le spalle, mon ami. –
Damon
si rilassò solo quando sentì i suoi passi svanire lungo le scale.
Poi si lasciò andare sul letto, strofinando la faccia.
Si
guardò i palmi delle mani come se non li riconoscesse. Ciò che
aveva fatto da mezzo demone erano dei vaghi ricordi che appartenevano
a qualcun altro. Provò a spegnere l'interruttore delle emozioni, ma
non accadde nulla. Succede, quando si va in cortocircuito.
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Capitolo
10
~
Dove...
indovina chi viene a cena?
Mentre
bussavano alla porta di casa Gilbert, Nora si chiese ancora una volta
come avesse fatto a farsi convincere. L'ultima cosa di cui aveva
bisogno in quel momento era un dannato pigiama party. Ma Pas era
stato tanto inamovibile quanto irritante e, pur di fargli smettere
quel fastidioso cipiglio paterno, si era costretta ad accettare.
– Oh,
ciao! Voi dovete essere gli ospiti di Ric. –
Nora
salutò con un cenno la giovane donna che aveva aperto loro. Pensò
che Alaric aveva proprio buongusto in fatto di compagnia femminile:
Jenna era così carina e soffice, e quel vestito bordeaux faceva
risaltare la sua pelle ambrata e i suoi occhi verdi. E poi non c'era bisogno di vedere la sua aura per notare quanto fosse buona.
Li
fece accomodare e prese a girovagare per l'ingresso, con un grazioso
rumore di tacchi. Era visibilmente nervosa, mentre prendeva la
borsetta e l'appoggiava subito dopo, si sistemava i capelli allo
specchio, controllava l'ora. Doveva essere un bel pezzo che Alaric
non la portava fuori, se era così tesa per una banale cena fra
amici.
– Avete
visto Ric? – chiese d'un tratto, stirando con le mani le pieghe del
vestito – Come al solito è in ritardo. –
– Credevo
fosse venuto a prenderti. – disse Pas.
Lei
alzò le sopracciglia e sorrise.
– Eh,
– fece in tono ironico – lo credevo anch'io. –
– Vuoi
un passaggio? –
Jenna
parve colta di sorpresa. Lo occhieggiò per un momento, indecisa. Poi
annuì. Si guardò per l'ennesima volta allo specchio, togliendosi
dalla tempia un'invisibile ciuffo di capelli, e si voltò di nuovo
verso di loro con un sorriso teso sulle labbra.
– Bene.
– sospirò – Fate le brave stasera, ok? –
Mentre
lei usciva nel patio, Pas lasciò a terra il borsone e restò in
attesa.
Nora
schioccò la lingua: – Cosa? –
Lui
inclinò la testa di lato e aprì le braccia.
– Oh,
ti prego! – sbottò dandogli una spinta.
Pas
l'agguantò e la stritolò in un abbraccio soffocante.
– Dobbiamo
recitare bene la parte, figliola. – la prese in giro.
– Ma
fammi il piacere! – si lamentò, divincolandosi e infine riuscendo
a liberarsi della sua stretta ferrea.
Si
levò dalla faccia i capelli scompigliati e tirò le maniche della
maglia fino a coprire le nocche. Era una Virtù Angelica, possibile
che nessuno le portasse un minimo di rispetto?!
Tirò
su col naso e incrociò le braccia al petto, assumendo un'aria
altera. A giudicare da come Pas si tratteneva dal ridere, non doveva
sortire l'effetto desiderato.
– Parfeite!
Continua così e nessuno si renderà conto che non sei un'adolescente
problematica. –
E
prima che potesse in qualche modo protestare, le aveva già stampato
un bacio in fronte e se n'era andato via, chiudendosi la porta alle
spalle e lasciandola da sola nell'ingresso.
– Ragazzine.
– lo sentì commentare con Jenna.
Nora
sbuffò tra sé. Si sentiva sempre più stretta in quel corpo di
adolescente. Se solo avesse avuto la licenza... avrebbe fatto vedere
loro cos'era capace di fare!
Si
guardò un po' intorno. Dal piano di sopra provenivano rumori di
chiacchiere e risate. Non era proprio in vena e calcolò che, se
faceva attenzione, poteva sgattaiolare via prima che si accorgessero
della sua presenza. Afferrò il borsone e...
– Sei
arrivata! –
La
voce squillante di Caroline infranse ogni sua speranza.
– Ma
dove vai? – corse giù per le scale e le prese il borsone dalle
mani – Siamo di sopra! –
Nora
si costrinse a sorridere e la seguì, pregando che per lo meno ci
fossero superalcolici.
~~~
– Organizzate
una cena e non m'invitate? –
Stefan
non rispose. S'impose di concentrarsi sulle verdure che stava
affettando sul tagliere, ignorando la presenza del fratello. La
facciatosta di Damon era impareggiabile, questo era risaputo in tutti
e cinque i continenti, e chi meglio di lui poteva confermarlo? Ma
doveva riconoscergli che aveva l'infallibile capacità di
sorprenderlo tutte le volte.
– È
terribile. – dichiarò dopo essersi servito un bloodymary – Te
l'ho sempre detto che esageri col tabasco. –
Stefan
posò il coltello e si asciugò le mani con uno straccio. Provava una
calma innaturale, che era certo non sarebbe durata ancora a lungo. Si
appoggiò sul ripiano e guardò fisso davanti a sé.
– Allora
perché ogni volta lo assaggi? – chiese con voce atona, privo del minimo interesse reale per ciò che avrebbe risposto.
Damon
sgranocchiò un gambo di sedano con fare pensoso.
– Perché
sei il mio amato fratellino e ho la speranza che i miei insegnamenti
possano migliorarti. –
La
sua pazienza era finita, e Damon se accorse a sue spese.
– Uh,
siamo nervosetti! Fase premestruale? – lo canzonò quando lo sbatté al muro
sfoderando le zanne.
Il
lato più irritante di Damon era quello: il modo con cui si ostinava
a non prenderlo mai sul serio. Era facile per Stefan perdere il
controllo con lui, tanto quanto lo era mantenerlo nella sua vita di
tutti i giorni.
– Non
farò il tuo gioco. – gli ringhiò in faccia.
Perché
Stefan non era un santo, sapeva farsi prendere dalla furia e aveva
anche una bella fetta di motivazioni, ma se c'era una cosa che aveva
imparato dopo un secolo e mezzo, era quanto fosse dannoso assecondare
gli slanci autodistruttivi del fratello. Per quanto l'idea fosse più
allettante che mai, non era propriamente il momento giusto. Che
marcisse nel suo stesso senso di colpa.
Qualcuno
suonò alla porta e Stefan colse l'occasione per lasciarlo andare.
– Interrotti
dal campanello! – Damon sgranò gli occhi – Che situazione da
commedia romantica! –
Stefan
riprese il coltello in mano e dedicò ad un'innocente melanzana le
attenzioni che gli ispirava il fratello.
~~~
– Tre...
due... uno... –
Elena
leccò il sale, mandò giù lo shot di tequila e addentò il limone.
Sbatté il bicchierino sul pavimento, strizzando gli occhi e
soffiando via l'aria.
– Altro
giro! – annunciò garrula Caroline, riempiendo di nuovo i
bicchierini.
– Non
vale! – tossì Bonnie – A te non fa effetto! –
Elena
si unì alla sua protesta indicando Nora: – E nemmeno a lei! –
– Dovremmo
porre delle regole. – biascicò la strega – Dosi doppie... –
– E
perché non triple?! – suggerì.
– Triple!
Dosi triple per vampiri e angeli e... – Bonnie brandì il dito
contro di loro – e tuuutta la gente soprannaturale che c'è in
questa stanza, ecco! –
Si
batté una mano sulla coscia e scambiò un'occhiata solidale con lei.
– Io
ci sto! – dichiarò Caroline.
Preparò
altri due shot per sé e per Nora, che non sembrò avere niente da
ridire visto che ne ingollò uno nonappena glielo mise in mano.
– Così!
– esultò Caroline – Prendete esempio, su! –
Elena
prese in mano il suo bicchierino, mormorando qualcosa come “Oddio...
sono ubriaca”.
Bonnie
le passò un braccio sulle spalle: – Oh, sì, cara mia... –
Aveva
la testa leggera e il suo mondo era sfocato. Dopo il quarto shot aveva
iniziato a sentirsi meno da schifo e non aveva intenzione di smettere
– non per quella sera – per cui mandò giù anche quello senza pensarci due volte.
– Ma
la volete sapere... – singhiozzò Nora pulendosi la bocca – la
volete sapere una cosa buffa? Penso
che sono... sapete?... sulla buona strada anch'io... sì! –
Annuì
e scoppiò a ridere, rotolando tra le coperte. Le altre la seguirono
a ruota e persino Elena non riuscì a trattenersi e si lasciò andare
a quel solletico che sentiva al diaframma. Era bello potersi
dimenticare di tutti quei dannati problemi e passare un serata quasi
normale, da ragazzine sceme, seguendo solo quello spirito senza senso
che ti spinge a dire cazzate e a ridere per niente.
Pochi
minuti – o un'infinità di tempo? – dopo, senza più la forza per
tenersi seduta e con le guance che le facevano male, Elena sentì la
risata scemare, lasciando il posto ad una sacrosanta ondata di
endorfine. La stanza si fece silenziosa.
– Perché
non facciamo un gioco? –
Caroline
e i suoi giochi alcolici non erano mai una buona idea, ma Elena non
aveva né la forza né la voglia di opporsi.
~~~
– Dove
diavolo è Ric? –
Pas
inarcò le sopracciglia ed evitò di rispondergli. Anzi, diciamo che
evitò proprio di considerare la presenza di Damon, benché avesse
aperto loro la porta, e si fece da parte galantemente per far entrare
Jenna.
– Non
è già qui? – fece lei con voce nervosa – Arriverà in ritardo.
–
Damon
parve accorgersi solo in quel momento della donna. Gli lanciò
un'occhiata tra l'interrogativo e l'irritato, cui Pas rispose
stringendosi nelle spalle. Jenna si allontanò verso il salone e lui
lo prese per un braccio.
– Se
le succede qualcosa, dovrò beccarmi l'ennesimo piagnisteo della
nipote. – gli disse tra i denti.
Adesso
non era più “Elena”, era “la nipote”. Pas arricciò
le labbra nel trattenere una risata di scherno: era sempre piacevole
osservare le fasi di crisi di Damon.
– Ma
Elijah ha detto che non avrebbe alzato un dito contro le persone a
cui tiene. – gli fece notare con voce innocente e stupita –
Gliel'ha ha promesso. –
Damon
lo lasciò andare con una smorfia: – Da quando ti fidi delle
promesse degli Antichi? –
Pas
sogghignò e lo guardò da sopra gli occhiali.
– Da
quando abbiamo un pugnale speciale come piano B. –
~~~
Caroline
mandò giù l'ennesimo shot e si schiarì la gola come se avesse
appena bevuto un bicchiere d'acqua. Elena la vide poi chinarsi verso
di loro e scrutarle con aria complice.
– Qual
è... – s'interruppe per ridacchiare.
Elena
le si avvicinò assieme alle altre.
– Qual
è – proseguì a voce più bassa – il vostro segreto più
segretissimo? –
Nella
stanza si diffuse un'ondata di risolini.
– Comincio
io! – esclamò Bonnie.
Tre
paia di occhi lucidi la osservarono con interesse.
– L'estate
scorsa ho usato un incantesimo d'amore per ammaliare il giardiniere
di mio padre. – disse tutto d'un fiato, tappandosi poi la bocca con
entrambe le mani.
Caroline
la guardava con tanto d'occhi: – E ha funzionato? –
– Oh-oh!
– fece lei con aria maliziosa – Altroché! –
Elena
le lanciò il cuscino, esclamando “lurida!”. Si scatenò subito
una lotta di cuscini.
– Tocca
a me! – disse Nora d'un tratto.
Elena
si tolse i capelli dalla faccia accaldata e la guardò incuriosita:
cosa mai poteva nascondere un angelo?
– Non
sono vergine. – sospirò, come se avesse aspettato da una vita di poterlo dire –
E non nel senso che sono di un altro segno zodiacale... –
La
mascella di Caroline cadde, donandole in un'espressione che aveva ben
poco d'intelligente. Bonnie pensò bene d'imitarla. Ed Elena si rese conto
che dovevano sembrare tre imbecilli, perché anche lei non aveva
trovato niente di meglio da fare che boccheggiare come un pesce.
– Ma
fate le porcate anche lassù?! – se ne venne fuori Caroline.
– Macchè!
– Nora la spintonò – È successo quando ero umana! –
Un
coro di “oooh” si diffuse e nessun'altra commentò. Elena era
ancora più curiosa, ma non osò chiedere niente.
– Caroline!
– fece Bonnie.
– Cosa?
–
– Non
hai ancora detto la tua! – la rimproverò.
Elena
concordò e subito tutte insieme la subissarono di domande.
Lei
alzò le mani e annuì con aria condiscendente: – Ok, ok... va
bene! –
– Sono
virtualmente incapace di avere una relazione normale. – dichiarò.
Nessun
risolino si sollevò stavolta. Più che la confidenza-gioco di una
ragazza alle sue amiche, sembrava la confessione di una donna
esaurita al suo psicanalista.
– Nella
mia prima storia ero l'oggetto sessuale di un vampiro. – iniziò ad
elencare.
Damon.
– pensò Elena rabbuiandosi.
– Dopo...
– fece battendosi un dito sul mento, pensosa – Ah, sì! Dopo, mi sono quasi mangiata
il mio ragazzo. Penso che sia fisiologico, ma comunque non è
stato... uhm... una buona mossa per la nostra relazione, ecco! –
Una
strana nostalgia prese Elena mentre ripensava a Matt: il suo primo ed
unico ragazzo umano.
– E
nel frattepo, – proseguì Caroline – il mio migliore amico barra “baci bene anche se sei un
licantropo”, mi ha piantata in asso. –
Caroline
si servì un altro shot e lo ingollò.
– Due
volte. – precisò con voce lapidaria.
Elena
fissava mestamente il vuoto, senza capire se la tristezza e la pietà
che provava erano rivolte alla sua amica o a sé stessa – o ad
entrambe. Il silenzio che seguì fu interrotto da un singhiozzo. Alzò
lo sguardo su Caroline: piangeva a dirotto.
Bonnie
la prese tra le braccia e la cullò, mormorando quelle frasi senza
senso che si dicono ai propri animali domestici quando nessuno ci
sente e ai bambini piccoli che si sono fatti la bua.
– Credo
di aver bisogno di una nuova prospettiva di vita... – la sentì
gemere, seppellita nell'abbraccio di Bonnie – o forse solo di una
dormita. Sì, probabilmente solo di una dormita. –
Elena
afferrò un cuscino e vi si strinse, cercando di arginare la valanga
di pensieri che la stava seppellendo il cervello. Si rannicchiò sul
letto, sfregandosi gli occhi con fare stanco. Anche lei aveva bisogno
di una dormita. E di una nuova prospettiva di vita, decisamente.
~~~
Elijah
si rigirò tra le dita la Pietra di Luna sotto gli occhi attenti dei
presenti. E quando parlò, il silenzio che aleggiava sulla tavolata
si fece concreto.
– Un
piano azzardato. Direi inapplicabile. –
E,
al contrario di quanto sicuramente stavano pensando tutti, ci aveva
pensato per un lungo momento, prendendolo seriamente in
considerazione.
– Non
ti fidi delle nostre capacità. – commentò Serrault –
Comprensibile. –
Elijah
posò la pietra sul tavolo, davanti a lui, e intrecciò le dita.
– Sì.
– ammise – Ma non è questo il punto. –
Gli
altri restarono in attesa.
– Non
c'è modo di uccidere Klaus senza che esso sia indebolito. – spiegò
– Per questo motivo il rituale deve avere luogo. –
Il
minore dei Salvatore scambiò un'occhiata con il dampiro.
– Abbiamo
un asso nella manica. – rivelò infine, come aveva previsto.
Chinò
appena la testa, lasciandosi sfuggire l'ombra di un sorriso.
– Già.
Il vostro angelo. – ammiccò.
Altro
scambio di sguardi, questa volta confusi.
Elijah
mosse una mano: – Mystic Fall è una piccola città, le voci
corrono. –
Il
maggiore dei Salvatore alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.
– E
le donne parlano sempre troppo! – disse con aria tragicomica.
– Sono
in ritardo? –
Si
voltarono verso l'ingresso della sala da pranzo, dove due figure si
stagliavano sotto l'architrave. Jenna tornava dalla cucina, dove era
andata a prendere delle altre tartine, con un vassoio e un altro
ospite: affianco a lei, Alaric Salzman le cingeva la vita con un
braccio.
– Guardate
chi ci ha fatto l'onore della sua presenza! – esclamò la donna
posando il vassoio sul tavolo e prendendo il proprio posto.
Salzman
si sedette tra Serrault e lei, esattamente all'altro capo del tavolo,
difronte ad Elijah.
– Cosa
mi sono perso? –
–
Mhm... abbiamo
finito il vino. – disse d'un tratto Serrault, bevendo l'ultima
sorsata dal suo bicchiere – Jenna, s'il vous
plaît, vuoi accompagnarmi per scegliere? Non ho molta
dimestichezza con i rossi... –
– Ma...
– obbiettò lei vagamente stupita – credevo che voi francesi
aveste gusto in fatto di vini. –
– Oh,
au contraire, mia cara! – le prese la mano facendola alzare
e la condusse fuori dalla stanza – Lascia che ti racconti... –
Lei gettò
alla sue spalle un'ultima occhiata tra il divertito e l'imbarazzato,
e si allontanò sottobraccio al dampiro.
– Dove
eravamo? – fece il minore dei Salvatore.
Come
suo fratello, non si era reso conto di niente. Né lo sguardo vacuo
di Jenna, né l'aria tutt'altro che da insegnante di storia che aveva
Salzman. E l'unico che, grazie alla sua esperienza, sarebbe stato in
grado accorgersene, si era appena dileguato per tenere le innocenti
orecchie della donna lontane da quei discorsi.
Elijah
scambiò un'occhiata con il nuovo arrivato. Klaus, all'interno del
suo involucro umano, accennò un impercettibile sorriso e alzò
appena il bicchiere verso di lui.
~~~
Quando
si svegliò si sentì smarrita. Era buio e freddo e non capiva dove
si trovava. Poi i suoi sensi uscirono dall'intorpidimento e iniziò a
sentire la nausea e la testa pesante. Tutti i ricordi della sera
prima si affacciarono nella sua testa, mescolandosi e fondendosi in
un bizzarro groviglio di sensazioni contrastanti.
Elena
si rigirò nel letto e guardò la sveglia sul comodino: le quattro
passate. Decise che aveva bisogno di una rinfrescata, perché tanto
se sperava di riaddormentarsi in quello stato stava fresca.
Sgusciò
fuori dal letto avvolta in un plaid e, stando attenta a non
calpestare nessuna, si avviò al bagno. La luce le ferì gli occhi,
ma mai quanto la sua faccia pallida e sbattuta le ferì l'orgoglio.
Strinse le labbra e, mentre si sciacquava il viso, fece il solenne
proponimento di darsi una sistemata l'indomani mattina, uscire da
quell'apatica fase di autocompatimento. Perché nessun Damon al
mondo valeva tutta quella tragedia.
Quando
tornò nella stanza, con la luce alle spalle che illuminava il
pavimento, notò che mancava qualcuno all'appello. Un'altra che non
riusciva a dormire come lei?
Andò
di sotto a controllare e trovò Nora in cucina. Appollaiata su una
delle alte sedie, si era preparata un the e lo stava bevendo, tutta
sola, nella stanza semibuia.
– Ciao.
– la salutò sedendosi a sua volta.
Lei
mandò giù una sorsata e le sorrise.
– Ciao.
– rispose – Niente sonno? –
Elena
annuì, stringendosi nel plaid. Nora parve notare il suo gesto e,
senza chiederle niente, si alzò, prese una tazza e le versò del the
dalla teiera ancora fumante. Vedendosela davanti, Elena si rese conto di
averne una gran voglia.
– Grazie.
– mormorò con un sorriso.
Prese
la tazza tra le mani: era piacevolmente calda. Per un po' restarono
così, senza parlare, ognuna presa dal proprio the e dai propri
pensieri. Nonostante il silenzio, nonostante la conoscesse appena,
Elena in quel momento sentiva una strana affinità con lei.
– Tu
non hai detto la tua. –
Si
rese conto che lei aveva parlato solo quando, alzando gli occhi, vide
che Nora la stava a sua volta guardando. Non era curiosità quella
che leggeva nei suoi grandi occhi nocciola, ed Elena non seppe dirsi
se questo la metteva a disagio o meno.
– Scusa.
– aggiunse in fretta – Non dovrei... sono affari tuoi. Quello
era solo un gioco da serata alcolica. –
– Sono
attratta da Damon. –
Le
uscì così, senza nemmeno pensarci. Le dita si contrassero sulla
tazza. Elena si costrinse a fissare il liquido ambrato.
– Non
penso che tu sia la prima. – la sentì obiettare.
Elena
serrò gli occhi e sospirò.
– Lui
mi ha costretta... –
– Non
sei obbligata a dirmelo. – la interruppe con voce ferma – C'ero, ho visto
cosa ti stava facendo. –
Non
aveva capito. Lei doveva dirlo.
– Lui
mi ha costretta – proseguì ostinatamente, trovando infine il
coraggio di guardarla – ad ammetterlo. –
Seguì
un lungo silenzio. Nessuna delle due toccò più il proprio the.
– Sai
come funziona un incubus? – le chiese d'un tratto, con aria seria.
Elena
scosse la testa. Nora annuì tra sé, come se avesse previsto quella
risposta. E poi le raccontò ogni cosa: della pagina del diario, della
cazzata di Damon di succhiarle il sangue, della sua natura in bilico
tra vampiro e demone.
– Gli
incubi sono demoni antichissimi. – le spiegò – Quella originaria fu Lamia
e quando i primi uomini misero piede su questa terra, arrivarono gli
incubi e le succubi. –
Elena
l'ascoltava, rapita. Stava iniziando a capire dove voleva andare a
parere: conoscere le proprie paure aiuta a smitizzarle e quindi ad
affrontarle.
– È
una lunga storia... – liquidò lei agitando una mano – il punto è
che gli incubi funzionano così, cioè fanno quello che ti ha fatto
lui. Ti scavano dentro, trovano la tua perversione più nascosta e la
tirano fuori, la gonfiano a dismisura, inducendoti a lasciarti andare
ad essa. –
Ad
Elena parve di rivivere ciò che le era successo la notte prima e
rabbrividì.
– È
tutta una questione mentale, ovviamente. – precisò Nora indicandosi la testa – Voglio
dire, non si è mai visto un incubus o una succubus giacere
fisicamente con qualcuno. Ma quello non è importante per
loro, perché ciò di cui si nutrono... sì, il loro cibo, proprio...
è l'energia sessuale. Mi capisci? –
Elena
annuì, interdetta. Non era sicura di comprendere appieno tutto
quello che le stava dicendo, era una cosa decisamente più grande di
lei, ma credeva di aveva colto il succo del discorso.
– Possono
farlo fino ad ucciderti. Ed è questa cosa più
terribile! – aggiunse concitata – Anche se per migliaia di anni la Chiesa ha posto l'accento
sulla faccenda delle perversioni... ma quella è una cazzata!
Insomma, stiamo parlando di demoni, creature soprannaturali in
grado di indurre visioni e sensazioni che un essere umano, non solo
non può combattere, ma non può nemmeno sopportare! –
Sì,
Elena aveva decisamente colto il succo. Le sorrise e annuì.
– Grazie.
–
Le
era sinceramente grata per il suo sforzo.
Nora
la occhieggiò timidamente da sopra la sua tazza: – Non c'è di
che. –
– Ma
quand'è che si finisce di stare male? – si sentì dire.
L'angelo
distolse lo sguardo.
– Mai.
– ammise, scrollando le spalle – Col tempo si affievolirà e
potrai tornare serena, ma qualcosa ti resterà sempre dentro. –
– Ma,
Elena, tu devi smettere di alimentarlo. Il senso di colpa, intendo. –
la esortò – Perché non è stata colpa tua! È la storia
più vecchia del mondo: ad una ragazza succede... qualcosa di
brutto... e la colpa di chi è? Sua! Cazzo, è assurdo! –
– È
dannatamente difficile. – scosse la testa – Io... non sopporto di
essere stata così debole, di aver ceduto. Non lo sopporto! –
– Ti
capisco, tesoro. Davvero. – Nora allungò una mano a stringerle la sua –
Ma, sai che c'è? Ti stai giudicando e questo non va bene.
La gente non dovrebbe essere giudicata dalle proprie debolezze, ma da
come le affronta. –
Elena
si chiese come la stesse affrontato. C'era il rifiuto, certo, era
palpabile. Ma c'era anche dell'altro: la voglia di andare avanti, di
guardare oltre, lasciarsi alle spalle ciò che la stava distruggendo.
Quella stessa spinta che poco prima, davanti allo specchio de bagno,
le aveva fatto nascere il solenne proposito di uscire da quel gorgo.
Strinse
a sua volta la mano di Nora, che non l'aveva mai abbandonata. Adesso
le era più grata che mai. Avrebbe voluto poterle essere altrettanto
utile. E forse poteva: magari aveva voglia anche lei di confidarsi,
di aprirsi con qualcuno che potesse capirla. Elena percepiva, ancora
più forte di prima, quella strana affinità. Non sapeva a cosa fosse
dovuta esattamente, ma poteva immaginare che fosse qualcosa di simile
a ciò che lei stessa aveva vissuto.
Provò
a prenderla alla larga.
– Tu
come l'hai affrontata la tua debolezza? – le chiese cauta.
Nora
abbassò lo sguardo e sorrise senza felicità, come se si fosse
aspettata quella domanda. Poi bevve un sorso di the e tornò a
guardarla.
– Non
l'ho mai fatto. –
~~~
Sarebbe
stato inutile cercare di non riportare il discorso sui binari
precedenti. Oltretutto, se Klaus era venuto a conoscenza di quell'incontro, era molto
probabile che avesse più informazioni di quante si potesse immaginare.
Elijah
si arrovellò su come agire in quella situazione paradossale. Poi
prese la sua decisione. E non poteva che essere quella, perché
Elijah era un uomo d'onore.
Lo
guardò con espressione imperscrutabile: – Possiamo parlare in privato? –
Klaus
finse uno stupore che non aveva, scambiò persino con i Salvatore
delle occhiate perplesse molto realistiche, e poi lo seguì nel
salone.
Si
osservarono per un lungo momento, in silenzio. Non avevano bisogno di
parlare: dopo millenni l'uno affianco all'altro, bastavano pochi
sguardi per capirsi. Elijah dovette ammettere con sé stesso che la
persona che meglio lo conosceva era proprio lui.
– Fratello.
–
Quella
parola ebbe l'effetto di infrange la stasi e di dare ad Elijah il
metro di quanto Klaus si sarebbe spinto oltre. Perché, per quanto
sussurrata, nella sala da pranzo avevano certamente udito quella parola.
Gli
si avvicinò con aria innocua: – Credo che tu abbia qualcosa che
mi appartiene. –
Era
in un corpo umano, valutò Elijah. Virtualmente immortale per via
dell'anello magico che portava, ma pur sempre umano. Avrebbe potuto
ucciderlo in un istante, risolvendo momentaneamente il problema.
Oppure...
Si
sfilò di tasca la Pietra di Luna e la soppesò appena. Klaus tese la
mano e aspettò in tutta tranquillità.
– Vedo
che sai ancora riconoscere quando fare cosa giusta. – fece
soddisfatto, mentre gli porgeva la pietra.
Fu
in quel momento che i fratelli Salvatore decisero di mettere in atto
il loro inutile intervento. Perché un attimo dopo lo stregone di
Klaus irruppe nel maniero, mandandoli fuorigioco. Elijah osservò la
scena senza commentare, poi tornò a guardare suo fratello.
Lui
scosse appena la testa e sospirò: – Non avrei voluto arrivare a
questo. –
– Eppure
mi sembra nel tuo stile. – commentò alzando le sopracciglia.
Klaus
dondolò la testa e si strinse nelle spalle.
– Fratello...
– mormorò di nuovo, quasi con affetto.
Gli afferrò la nuca e posò la fronte contro la sua. Elijah
ci provò a prepararsi, ma come si fa a prepararsi a qualcosa che non
si è mai provato? Lui era l'ultimo, anche se sapeva – aveva sempre
saputo – che sarebbe stata solo questione di tempo.
Klaus
lo strinse a sé con fare comprensivo: – Accetto le tue scuse. –
Il
pugnale lo trafisse nel suo abbraccio. Il dolore fu bruciante e, per
un attimo infinito, il cuore parve implodere. Poi fu il nulla.
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Capitolo
11
~
Dove c'è posta per te
Alle
quattro facce sbattute attorno al tavolo di casa Gilbert, se ne
aggiunse una quinta in condizioni non migliori. Jenna si sedette
pesantemente, emettendo un lamento confuso.
Si
portò una mano alla fronte: – Non più l'età per certe cose... –
– Seratina
impegnativa? – commentò Elena con un mezzo sorriso.
– C'eravate
anche voi. – mugugnò – Almeno credo... ma quanti shot mi sono
fatta?! Non ricordo un accidenti! –
Le
ragazze si scambiarono un'occhiata perplessa.
Caroline
si accigliò: – Ma tu non... –
Seguendo
un brutto presentimento, Elena le diede una gomitata prima che
potesse concludere la frase.
– Mhm...
sì, caffè. – biasciava Jenna, allungando famelica una mano verso
la tazza fumante che le stava porgendo Bonnie.
Elena
guardò Nora mimando con le labbra “Cos'è successo?”. Lei si
strinse nelle spalle e scosse la testa, con una smorfia allarmata in
volto.
Conclusero
la colazione in un'atmosfera tesa e silenziosa, che nemmeno sembrava
scalfire l'inconsapevole Jenna. Quando lei finì il suo caffè e
disse che andava a farsi una doccia, le ragazze aspettarono col fiato
sospeso che svanisse al piano superiore, poi scoppiarono tutte
insieme a parlare.
– Momento,
momento, momento! – le quietò Bonnie – Facciano il punto. Ieri
c'era quella cena dai Salvatore e anche lei era invitata, giusto? –
Le
altre tre annuirono.
– È
andata via con Pas, li ho visti dalla finestra. – aggiunse
Caroline.
Elena
si rabbuiò: – È successo qualcosa al maniero. L'hanno soggiogata
per farle dimenticare tutto. –
– Mi
sa che i nostri ometti hanno combinato qualcosa. – commentò Nora
alzandosi – Andiamo a dare loro una strigliata. –
Bonnie
annuì: – Va bene, fatemi solo fare un salto a casa mia. –
– Scusate,
ma è meglio che anch'io mi faccia viva a casa. – Caroline scosse
la testa – Sono giorni che mia madre non mi vede! –
– Ok,
signorine, ci troviamo al maniero alle ore undici e zero zero. –
fece Elena con cipiglio militaresco.
Le
ragazze risero e si diedero il cinque, poi si divisero.
Non
potevano immaginare che quella sarebbe stata l'ultima loro risata
tutte insieme.
~~~
Ancora
non riusciva a credere di essere libera, di poter rivedere il sole
fuori da quelle mura fetide. Ma sopratutto: era viva. Qualcuno aveva
messo fuori dai giochi Elijah, e quel qualcuno non poteva che essere
Klaus. Eppure non era venuto a prenderla. Se non sapeva di lei, aveva
ancora qualche speranza di concludere il suo piano.
E
poi, ecco la sorpresa: come la ciliegina sulla torta. Certo, sperando
che non fosse avvelenata.
Katherine
strinse gli occhi: – E io cosa dovrei farne? –
Jonas
scrollò le spalle.
– Quello
che ti pare. – disse con noncuranza – Elijah non ci ha detto
niente riguardo il suo destino. –
– È
morto. – insisté lei con sospetto – Tua figlia è libera. Perché
continuate a sottostare ai suoi ordini? –
– Sai
anche tu che un Antico non si uccide. – ribatté lui seriamente.
Appariva
rassegnato. Ma Katherine non era mai stata la tipa che si rassegna.
Si rigirò tra le dita la boccetta, per poi nasconderla in una tasca
interna del giubbotto.
Lui
le voltò le spalle: – Addio Katherine. –
– Jonas.
– lo richiamò.
Lo
stregone si fermò e la guardò, in attesa.
– Dov'è
Luka? – gli chiese, fintamente disinteressata – Volevo salutarlo.
–
Lui
ammiccò con aria di sufficienza: – Anche lui ha una consegna da
fare. –
Katherine
sospirò seccamente: immaginava che l'unico modo per capirci qualcosa
di tutto quel casino, fosse andare a verificare di persona. E aveva
il mezzo sospetto che le risposte che cercava le avrebbe trovate a
casa dei Salvatore.
~~~
A
parte che era già in ritardo, ma poi il primo istinto quando sentì
Luka alla porta, fu quello d'ignorarlo. O di lanciargli una fattura
molto potente e molto poco in linea con la Rede. O ancora – e
quella sembrava proprio un'opzione interessante – di chiamare
Jeremy e dirgli che sotto casa sua c'era il tizio con cui flirtava
quando avevano iniziato a frequentarsi, e godersi la conseguente
scazzottata.
Poi
la parte meno bellicosa prevalse e Bonnie decise che poteva
concedergli di parlare con lei. Dopo, avrebbe deciso se e come
disintegrarlo.
Certo
non poteva immaginare quale fosse lo scopo della sua visita. E quando
Luka glielo disse e le mostrò il sacchetto di panno nero in cui era
celato, Bonnie per poco non ci rimase secca.
– Vorrai
scherzare?! – proruppe arretrando di un passo.
– Così
ci è stato detto di fare nel caso gli fosse successo qualcosa, e
così stiamo facendo. – disse in tono risoluto – Elijah è un
uomo di parola: è meglio non irritarlo, fidati. –
Era
dannatamente deciso. Bonnie non credeva che avrebbe potuto spuntarla,
ma ci provò lo stesso.
– Ma
se mi hai appena detto... –
– Non
è morto. – la interruppe – E tu lo sai. –
– Ma
conosco il modo di uccidere un Antico: l'ho trovato sui grimori. –
aggiunse concitata.
Luka
annuì: – Lo sappiamo. È per questo che Elaijah ci ha detto di
consegnarli a voi. –
Presa
in contropiede, Bonnie boccheggiò, senza trovare niente da
ribattere.
– Come...?
Consegnare cosa? A chi? –
– Lo
saprai presto. – concluse sibillino – Stammi bene, Bonnie. –
Le
mollò in mano il sacchetto e uscì di casa. E lei restò per un luno
momento immobile, senza fiato, tenendo lo sguardo fisso su di esso.
– Luka!
– lo richiamò, inseguendolo sul patio – Andiamo, non posso farlo
da sola! –
– Certo
che puoi. – la liquidò, senza nemmeno voltarsi.
Bonnie
pestò le mani sul parapetto e si sporse vero di lui.
– Non
potete lasciarmi questa responsabilità e lavarvene le mani così! –
protestò.
Stavolta
Luka si fermò e si girò a guardarla.
– Oh,
sì che possiamo. – le disse con un'espressione che non ammetteva
repliche – Non vogliamo più avere niente a che fare con questa
storia. E ti consiglio di non cercarci, Bonnie. Mai. –
Pietrificata
da quelle ultime parole, schiacciata dalla responsabilità che
portava quell'anonimo sacchetto, Bonnie restò a fissare il punto del
giardino dal quale lui si era mosso per andarsene via. Un'eternità
dopo, si risvegliò da quel torpore.
“Accetta
il tuo destino o subiscilo, a te la scelta.” soleva dirle la nonna.
Bonnie
aveva già fatto la sua scelta a suo tempo e non aveva intenzione di
tornare indietro. Strinse il sacchetto in pugno: al maniero la
stavano aspettando.
~~~
– Cioè,
fatemi capire. – Nora si portò una mano al volto e strinse tra due
dita la base del naso – Una
sera vi lasciamo da soli... una... e voi riuscite a farvi
fregare l'ultima copia al mondo dell'unica arma in grado di uccidere
un Antico? –
Silenzio.
Com'era nella sua natura, Stefan si sentì come se la colpa di tutta
quella faccenda ricadesse interamente sulle sue spalle.
– Oh,
e dimenticavo... adesso Klaus ha la Pietra di Luna. – continuò lei
battendo le mani con aria sarcastica – Ma complimenti! –
– Stando
ad Elijah, non doveva farsi vivo così presto. – ribatté Pas, in
un patetico tentativo di perorare la loro causa – E sopratutto non
doveva esporsi così. –
– Esporsi?
– intervenne Damon – E me non sembra che si sia esposto:
s'è parato il culo prendendo in prestito il corpo di Alaric. E senza
nemmeno chiedergli il permesso! –
– Si
può sapere che avevate in testa? – sbottò Elena – Poteva
uccidervi tutti. Poteva andarci di mezzo Jenna! –
Lui
alzò gli occhi al cielo.
– Rassicura
il tuo tenero cuore, zietta è al sicuro adesso. – cantilenò con
voce melodrammatica.
Elena
lo ignorò. Stefan semplicemente gli lanciò un'occhiata che valeva
molte parole. Lei era off-limits: non doveva nemmeno pensare
di azzardarsi a rivolgerle la parola.
– Non
certo grazie a te. – commentò Jeremy seccamente, rivolto a Damon –
Adesso cosa facciamo? –
– Niente.
– sospirò Pas con aria depressa – Siamo punto e a capo: sappiamo
come uccidere un Antico e come distruggere la Pietra di Luna, ma non
abbiamo i mezzi per fare né l'una né l'altra cosa. –
Quella
sentenza parve schiantare ogni loro speranza.
Si
sentì qualcuno che dall'ingresso, cui Stefan dava le spalle, si
schiariva la gola. Vide gli occhi dilatati di Damon che fissavano un
punto alle sue spalle, e capì immediatamente chi doveva essere.
– Ciao,
Katherine. – salutò freddamente, ancor prima di voltarsi.
~~~
Indossato
l'accappatoio, Caroline finì di tamponarsi i capelli con
l'asciugamano e aprì le tende della finestra di camera sua, beandosi
del calore dei raggi del sole.
Ricordava
poco della notte prima, ma quel poco le bastava per farla sprofondare
in un baratro di vergogna. La sua autostima aveva iniziato ad
abbassarsi nel momento in cui era stata vampirizzata e attualmente
era ai livelli minimi storici. Il che era proprio paradossale,
considerato tutto il fascino vampiresco che adesso l'ammantava.
Si
vestì e si truccò allo specchio della sua toeletta, con gli stessi
gesti che l'avevano accompagnata da umana. Si era rifiutata di
cambiare quelle abitudini, ma qualcosa nel profondo le diceva che il
fatto stesso che le avesse ritualizzate in quel modo, doveva
significare che le servivano per aggrapparsi a qualcosa che non c'era
più.
La
sua umanità se n'era andata quella mattina di sei mesi prima, nella
stanza dell'ospedale, per mano di Katherine. O forse era iniziato
prima? Molto prima: quando Damon l'aveva soggiogata e morsa. Quello
non aveva fatto di lei una vampira, non ancora, ma l'aveva introdotta
in quel mondo dal quale -già allora se lo sentiva – non sarebbe
più uscita, facendole morire dentro una parte della sua umanità.
Com'era accaduto ad Elena, com'era accaduto a Bonnie e a Jeremy e
persino a Jenna, per quanto non ne fosse consapevole.
Caroline
ci pensava poco a quelle cose – o almeno si sforzava. Tutto ciò
che aveva a che fare con la sua trasformazione la metteva a disagio.
L'unica nota positiva della faccenda, era stato Stefan. Lui l'aveva
guidata, l'aveva aiutata a comprendere la propria natura, le aveva
mostrato come dominarla. Prima ancora che le sue amiche, colui che si
era dimostrato umano con lei era stato un vampiro.
Caroline
terminò il suo lavoro certosino e si sporse all'indietro, rimirando
il risultato. Era bellissima. Un bellissimo mostro che faceva finta
di essere umano. Perfettamente in linea con i saggi insegnamenti di
Stefan.
Si
spruzzò un po' di profumo e rimise a posto le sue cose. Quello di
riordinare, come anche stirare i panni, era una delle poche faccende
di casa che non le pesava. Si sentiva soddisfatta ogni volta che
trovava la collocazione adatta per una cosa, così come le piaceva
appiattire le pieghe della stoffa sotto la pressione del ferro
bollente. Caroline amava l'ordine, i numeri senza virgola, le frasi
con il punto, gli schemi esatti e i servizi di piatti coordinati. Era
sempre stata una maniaca del controllo e da quando era stata
vampirizzata questa caratteristica s'era acuita fino a diventare
esasperante.
Mentre
scendeva per le scale, rifletté che, forse, se non le fosse capitato
di essere trasformata quando era solo un'adolescente insicura, si
sarebbe risparmiata quel lato seccante della faccenda.
Baciò
la guancia a sua madre, che già in divisa si stava preparando una
spartana colazione. Aveva quel suo sguardo lontano. Gettò
un'occhiata all'ora: decise che il tempo per un'altra colazione ce
l'aveva, per cui prese un toast e lo addentò con finto gusto.
Caroline
era una maniaca del controllo e aveva un problema a
rapportarsi con sua madre.
– Attacchi
tardi, oggi. – notò, mentre masticava controvoglia.
Liz
scrollò le spalle.
– È
sabato. – si limitò a dire.
Per
poi aggiungere, come se niente fosse: – Ieri sera è passato il tuo
amico, gli ho detto che forse ti trovava oggi. –
Caroline
per poco non si strozzò col boccone.
– Mhm...
– si aiutò ad inghiottire con un sorso di caffè bollente –
Tyler? –
Aveva
gli occhi lucidi per la lingua ustionata, ma sua madre le scambiò
per un altro genere di lacrime.
– Tesoro.
– disse con sguardo tra il preoccupato e il comprensivo.
E
non riuscì ad aggiungere altro. Liz era sempre stata poco propensa a
quel genere di discorsi. Era solo un equivoco, ma era così bello
vederla preoccupata per lei, che Caroline non ebbe cuore di
infrangere quel momento.
Sfoderò
il suo broncio più tragico e le si gettò tra le braccia
piagnucolando un “Oh, mamma!”. Dopo un momento di smarrimento,
Liz parve ricordarsi come si abbraccia una figlia e ricambiò la
stretta, dandole pacchette consolatorie sulle spalle.
Caroline
Forbes era una maniaca del controllo e aveva un problema a
rapportarsi con sua madre e sentiva un costante bisogno di
ricevere dimostrazioni di affetto.
~~~
Era
un pezzo che Pas non aveva occasione di respirare una coltre di
disagio così pesante.
– Bien,
– sospirò, stufo di quel silenzio alla “Mezzogiorno di fuoco”
– abbiamo appurato che siamo tutti imbarazzati da questa spiacevole
situazione. Possiamo passare oltre, s'il vous plaît? –
Scambiò
un'occhiata con Stefan, che si prese l'onore e l'onere di iniziare a
trattare con la loro nuova ospite.
– Chi
ci dice che quello funzioni? – le chiese indicando la boccetta che
aveva posato sul tavolo in mezzo a loro – Chi ci dice che non sia
uno dei tuoi trucchi? –
Katherine
non parve minimamente scalfita dalle sue parole. Accavallò le gambe
e bevve un sorso del whisky che si era servita.
– Perché
lo voglio vedere morto? – suggerì in tono ironico.
Risposta
calzane, ma non sufficiente. Esistevano poche persone al mondo in
grado di recitare com'era capace di fare la Pierce. E Pas l'aveva
imparato a sue spese.
– Supponiamo
che sia vero: come facciamo a sapere se funziona? – intervenne Nora
con aria scettica – Non abbiamo un Antico a portata di mano su cui
testarlo prima del rituale. –
– In
tal caso dovrete rischiare. – fece Katherine scrollando le spalle.
Stefan
aveva l'aria dubbiosa: – E come dovremmo farglielo bere? –
– Ci
sono! – Damon schioccò le dita e finse un'espressione illuminata –
Possiamo sempre andare lì e dirgli “ehi, Klaus, scusa amico, puoi
bere questa roba che Katherine spaccia come sangue del licantropo
originario e farci sapere se ti ammazza?”. Mhm? Che ne dite? –
Venne
ovviamente ignorato.
– Non
credo che vada bevuto. – obiettò Pas, occhieggiando Katherine.
– Non
guardate me. – si schernì lei con aria annoiata – Me l'hanno
messo in mano con un “arrangiati”. La vostra strega ha tutti quei
grimori... chiede a lei, no? –
– A
proposito, dov'è Bonnie? – fece Jeremy.
Solo
in quel momento si accorsero che all'appello mancava proprio la
strega. E anche Caroline.
– Lei
e Caroline dovevano passare a casa loro. – spiegò Nora –
Dovrebbero essere qui... adesso. –
– Scusate
il ritardo! –
Pas
lanciò una breve occhiata alle nuove arrivate, cercando di non
soffermarsi troppo su Caroline.
La
ragazza si sedette accanto ad Elena: – Cosa ci siamo perse? –
Nora
squadrò Bonnie con un sopracciglio alzato.
– Cosa
ci siamo persi noi, piuttosto. – ribatté con aria
interessata.
Tutti
gli occhi si puntarono sulla strega. Bonnie si fece piccola piccola,
incassandosi nelle spalle. Nascondeva qualcosa nella borsa: era
palese dal modo in cui vi teneva entrambe le mani artigliate.
– Ci
devi dire qualcosa? – le chiese Stefan perplesso.
Lei
strinse le labbra e annuì. Poi, con gesti attenti, come se
maneggiasse qualcosa di molto fragile, aprì la borsa e ne tirò
fuori un sacchetto di panno nero. Lo aprì e, sotto gli occhi
esterrefatti dei presenti, ne estrasse la Pietra di Luna.
La
posò sul tavolo davanti a loro, vicino alla boccetta dal contenuto
sospetto che aveva portato Katherine. Pas notò lo sguardo che si
scambiarono lei due. E anche il modo in cui la vampira stava
occhieggiato la Pietra – non gli piacque per niente.
– Credo
che sarebbe meglio per tutti se ci diceste esattamente come siete
venute in possesso di questi oggetti. – dichiarò, mantenendo la
voce in un moderato tono di minaccia.
Katherine
lanciò un'ultima, breve occhiata a Bonnie, e poi disse solo “I
Martin”.
– Oh-oh!
La trama s'infittisce! – fece Damon sarcastico – Chiamatemi
quando c'è qualcosa d'interessante. –
Pas
vide Nora fissarlo in cagnesco, gli occhi ridotti a fessure e il
mento contratto come quando stava covando una bella incazzatura.
– Damon,
possiamo scambiare due parole? – gli chiese sfoggiando un sorriso
amabile quanto falso.
Il
vampiro sogghignò. Le fece un inchino teatrale e la seguì fuori
della stanza. Pas li osservò allontanarsi con una punta di
preoccupazione.
– Vuoi
che li tenga d'occhio? –
Che
gli si fosse avvicinata se n'era accorto da un po'. Che avesse capito
la situazione, era tutto un altro paio di maniche.
– Grazie,
cherie. – sorrise appena, fingendo una tranquillità che non
aveva – Credo che se la caverà. –
Lei
distolse lo sguardo con un cipiglietto adorabilmente imbarazzato.
– Non
me la dai a bere. – disse alzando le sopracciglia.
– Oh,
ma davvero?–
– È
troppo giovane per te. –
Katherine.
Se
le avesse dato della stronza come gli veniva da fare in quel momento,
sarebbe apparso come una specie di checca isterica? Probabilmente sì,
per cui si limitò ad ignorarla.
– Ci
casca sempre. – aggiunse in tono leggero, rivolta a Caroline –
Poi viene a piangere da me. –
Be',
ma questa gliela stava servendo su un piatto d'argento. Come faceva a
trattenersi?
– Un
ruolo che ti addice, mon cher, non trovi? – commentò,
squadrandola da sopra le lenti scure – Quello del rimpiazzo, dico.
–
L'espressione
di Katherine fu impagabile: sembrava che avesse appena inghiottito un
limone. Pas scambiò un'occhiata complice con Caroline, che si
tratteneva dal ridere. Poi si disse che, per quanto lo allettasse
molto la prospettiva di continuare su quella linea – flirtare senza
alcun ritegno con Caroline e trovare modi forbiti per insultare
Katherine –, c'erano cose più importanti a cui rivolgersi.
~~~
– A
cosa devo questo richiamo in presidenza? –
Nora
non sapeva da dove cominciare. Cioè, in realtà lo sapeva bene:
c'era da picchiarlo. Tanto e forte. 'Ché a quanto sembrava Damon non
comprendeva nessun altro linguaggio. Solo che in quanto Virtù
Angelica non sarebbe stato del tutto corretto, ecco. Forse la cosa
migliore era essere schietti e andare subito al sodo.
– Mi
sono un po' rotta le palle. – ammise semplicemente.
Lo
disse così, fuori dai denti, guardandolo dritto in faccia.
– Che
linguaggio scurrile! – l'ammonì con aria di biasimo – Non
v'insegnano le buone maniere lassù? –
Nora
chiuse brevemente gli occhi e prese un lungo respiro.
– Per
un momento potresti uscire dal ruolo di Damon Salvatore e seguire
quello che... –
– Ruolo?
– la interruppe.
Aveva
un'espressione vagamente seria: forse c'era una speranza.
– Oh,
andiamo, sai perfettamente che intendo. – ribatté seccata.
– Sono
Damon Salvatore e sono il vampiro più incompreso sulla faccia della
terra. – lo scimmiottò – Per cui mi nascondo dietro un carattere
irritante, che è l'unico modo che ho per attirare l'attenzione degli
altri. –
Il
disappunto di Damon era palpabile, ma com'era prevedibile lo mascherò
alla perfezione.
– Carino!
– sogghignò – Ma... posso? Ci sarebbe giusto un dettaglio da
aggiustare... credo che sia l'accento, sai? Non è abbastanza del
southwest, capisci? –
Nora
batté più volte le palpebre e scosse la testa, incredula. Giunse le
mani e se le porto alla fronte, in una muta preghiera.
– Ti
ho appena chiesto di uscire da questo cazzo di ruolo. – scandì
davanti a lui – E tu lo stai facendo ancora! –
Damon
si portò una mano al petto e spalancò la bocca, simulando sorpresa.
– Ma
non mi dire! Aspetta, non sarà che... ma certo! Sai, credo... –
enunciò, sgranando gli occhi e battendosi la fronte – di essere
fatto così! –
Pronunciò
le ultime parole con estrema cura, guardandola dritta negli occhi.
Nora ricambiò lo sguardo senza battere ciglio.
– Sai
che c'è? A volte faresti meglio ad essere un po' meno te stesso. –
sibilò.
– Non
sei la prima a dirmelo, – commentò portandosi una mano mento e
fingendo di riflettere – dici che dovrei farmi delle domande? –
– Buona
idea: forse riusciresti a capire come sei arrivato a farti odiare
dalla donna che ami. –
D'improvviso,
l'aura di Damon virò verso sentimenti inaspettati. Nora comprese di
averlo ferito più di quanto si aspettasse, e – cosa ancora
peggiore – che lei lo sapeva. L'aveva fatto
intenzionalmente: l'aveva colpito nel suo punto debole, come lui
aveva fatto con lei. Quando si dice “occhio per occhio”. Non
molto angelico, come comportamento.
– Sicché.
– fece lui dopo un lungo momento di silenzio – Adesso siamo pari?
–
La
stava guardando e stavolta Nora trovò molto più difficile
ricambiare lo sguardo. Aprì la bocca, ma non trovò niente che
valesse la pena dire, così semplicemente annuì, sentendosi
abbastanza idiota.
Damon
le voltò le spalle e si avviò al salone. Nora si prese un momento
per meditare su quanto il suo ruolo continuasse a starle
sempre più stretto. Tirò giù qualche imprecazione a riguardo, e
poi lo seguì.
– Comunque
come imitazione faceva davvero pena. – lo sentì commentare – E
quella cosa dell'accento, segnatela, ci devi lavorare. –
Nora
lo guardò accigliata, senza sapere se doveva ridere, piangere o
prenderlo a schiaffi. Ma la sua aura era immutata e si sentì
nuovamente un verme, per cui decise di stare al gioco.
– Hai
appena capito che con me puoi fare lo stronzo quanto vuoi e la cosa
ti esalta, giusto? – sentenziò.
Lui
sorrise malefico: – Dio, è così divertente essere me! –
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Note
Capitolo
un po' più lungo del solito... sperando che ne valga la pena! Su,
su, con i commenti, che il piatto piange! :P
Buona
lettura! :)
Capitolo
12
~
Dove
ci s'ingegna per ammazzare il tempo
– Riassumendo
le puntate precedenti. –
Damon
finì con una sorsata il suo whisky.
– Klaus
indossa un Alaric-abito, arriva qui, ha una commovente reunion con
l'amato fratellino... ebbene sì, – annuì gravemente davanti agli
sguardi sconvolti delle ragazze – sono fratelli! Santo
cielo, che colpo di scena! Dicevo... –
Si
servì dell'altro whisky e riprese: – Il tappeto fa la conoscenza
del plasma di Elijah, poi lo stregone ci frigge il cervello e la
serata si conclude in bianco. Ma non è finita qui! –
Roteò
con enfasi la mano che stringeva il bicchiere e attese un momento in
silenzio per creare suspense. Un'ennesima ruga di disappunto si fece
strada sulla fronte di Stefan: stava per prenderlo a calci.
– I
Martin, presi da ignoti scrupoli, decidono di tradire il fu Elijah e
consegnano la Pietra di Luna a Bonnie Bennet e il sangue del
licantropo originale a Katherine Pierce. – annunciò, indicando
prima l'una e poi l'altra come se presentasse gli ospiti di un talk
show.
– Ma
se la vera Pietra di Luna è in nostro possesso, allora cos'è
quella che si è portato via Klaus? E quello dentro la misteriosa
boccetta, sarà veramente il sangue del licantropo originale? –
concluse in tono drammatico – Ma sopratutto, riusciranno i nostri
eroi a salvare la situazione entro la prossima luna piena? –
Mancava,
appunto, solo un giorno al plenilunio. E secondo il suo lungimirante
fratello, quello di cui avevano bisogno innanzitutto era sapere se
quella roba nella boccetta rifilata da Katherine funzionava. Consegnò a
Bonnie la boccetta, chiedendole di rintracciare il licantropo originale. Elena e Caroline
si offrirono di andare con lei per affrontare la montagna di grimori.
Damon
borbottò un commento sarcastico sul resuscitare licantropi leggendari sepolti
da millenni invece che occuparsi della distruzione delle pietra, ma venne ignorato.
– A
quello penseremo più tardi. – fece Nora – Devo potenziare Bonnie
perché l'incantesimo funzioni, e non siamo ancora pronte. –
Come
se ci volesse chissà cosa: era un angelo. Era in grado di
tenere lontano un demone, aveva quasi ammazzato lui... e adesso
faceva la modesta?
– Be',
datevi una mossa, allora. Distrutta la pietra, risolto il problema. –
riassunse sbrigativamente, con l'aria di chi parla a degli idioti.
Se
erano nella merda fino al collo, era colpa di tutto quel bla bla bla.
Avessero agito fin dall'inizio, invece di perdersi tra chiacchiere e
grimori, le cose starebbero ben diversamente.
– Una
cosa alla volta. – Pas e la sua insopportabile posa da vecchio
saggio – La pazienza è la virtù dei forti. –
– Perché
la pazienza è una virtù? – si lamentò seccato – Perché “darsi
una cazzo di mossa” non può essere una virtù? –
– Vuoi
darti una mossa? – Katherine lo guardò con sufficienza – Corri. –
– Uhm...
fammi pensare... scappare per l'eternità da un Antico a cui ho
distrutto il diabolico piano di conquista del mondo? – Damon sgranò
gli occhi e le rivolse un sorriso – Che prospettiva allettante! –
La
vampira schioccò la lingua: – Come pensi che sia sopravvissuta per
cinque secoli? –
Si
chinò verso di lei: – Prova a riascoltarti e capirai perché
preferisco il mio metodo. –
Damon
Salvatore non era fatto per sopravvivere.
Katherine era così, e Stefan non era da meno. Ma non lui. Lui non
gradiva le fiacche vie di mezzo.
– Fate
come credete. – Katherine si alzò, stringendosi nelle spalle con
noncuranza – Io non voglio essere qui quando Klaus scoprirà che
gli avete rovinato la festa. –
Salutò
con un cenno della mano e, dopo aver lanciato un'occhiata – la
solita occhiata – a Stefan, scomparve verso l'ingresso.
Stufo
di aspettare e con un certo appetito, Damon si diresse allo
scantinato.
– E
mentre le ragazze fanno il lavoro sporco, noi maschietti che si fa?
Ci giriamo i pollici? –
– Ehi,
io sono ancora qui! –
Si
fermò e si sporse dalla porta, guardando Nora con un sopracciglio
scetticamente alzato.
– Tu
sei un angelo. – disse in tono ovvio – Gli angeli non hanno
sesso. –
Lei
inclinò la testa di lato con fare lezioso e lo mandò dolcemente
affanculo. Sarebbe stato sufficiente quello, ma preferì aggiungere
il dito medio, rovinando l'effetto generale.
Damon
sogghignò e scosse la testa: – Non ce la fai ad impressionarmi,
bimba. –
Stava
per andare a farsi una bevuta, quando fu attirato da alcuni rumori
molesti. Là fuori, qualcuno si stava menando.
~~~
Nel
cortile del maniero, le ragazze stavano montando sull'auto di
Caroline. Dall'espressione tesa e dalle pulsazioni furiose, la
vampira intuì che qualcosa non quadrava in Bonnie.
– Tesoro,
che succede? – le chiese preoccupata – Se è per
quell'incantesimo, sono sicura che con l'aiuto di Nora... –
Ma
s'interruppe, colpita da una specie di presentimento. Spinse Elena
dentro l'auto e ce la chiuse dentro.
– Giù!
– gridò a Bonnie.
Katherine
le balzò addosso soffiando. Caroline cadde all'indietro con la
vampira su di sé, e reagì istintivamente facendo scattare in fuori
i denti.
– Togliti
di mezzo, bambolina. – le intimò, adocchiando Bonnie dietro di
loro – Potresti farti la bua. –
– Regola
numero uno: – ringhiò – non toccarmi le amiche! –
Katherine
evidentemente non si aspettava quel contrattacco, perché Caroline
trovò facile scalciarla all'indietro.
La
vampira si rialzò agilmente, e con una smorfietta si mise a
cianciare qualcosa come “Mi hai sgualcito il vestito!”. Poi
sfoderò nuovamente le zanne e si preparò ad attaccarle ancora. Non
durò molto: crollò subito a terra rantolando di dolore.
Caroline
si voltò verso Bonnie: – Grazie, cara. –
– Grazie
a te. – rispose, senza distogliere lo sguardo micidiale da
Katherine.
– Ehi,
niente sangue nel cortile. Chi sporca pulisce, chiaro? –
Caroline
si voltò verso l'ingresso del maniero: Damon le osservava con
espressione contrariata.
– Non
è aria, Damon. – lo avvertì mentre gli voltava le spalle e
tornava in auto – Ho appena steso la tua ex, vedi di non farmi
incazzare. –
Mentre
metteva in moto, lanciò un'occhiata interrogativa a Bonnie. La
strega fermò la tortura cui stava sottoponendo Katherine e aprì la
portiera, sedendosi al lato del passeggero.
– Quando
avremo annullato l'incantesimo e sarà solo un sasso inservibile,
voglio farci un ciondolo e
regalarglielo. – fece con aria maligna.
Caroline
rise con lei. Il silenzio di Elena le fece voltare verso il sedile
posteriore. Il suo sguardo vagava fuori dal finestrino senza vedere
nulla.
– Tutto
ok? – le chiese Bonnie dolcemente.
Elena
si riscosse e incassò la testa nelle spalle, annuendo debolmente.
Caroline notò Damon che le occhieggiava ancora dall'ingresso del
maniero. Scambiò un'occhiata con Bonnie.
– Vuoi
che diamo una sfrigolata anche a lui? – propose in tono
accattivante.
Elena
accennò un sorriso e scosse la testa.
Caroline
mise in moto e fece manovra per uscire dal cortile. Dallo specchietto
retrovisore adocchiò nuovamente Damon. Sarebbe arrivato il momento
di dare anche a lui una lezione.
~~~
Le
dita di Alaric accarezzarono il coperchio della bara di radica. Portò
le dita davanti agli occhi e le mosse, osservandole con curiosità.
Era così strano quel corpo. Così... umano.
– In
città c'è un licantropo. –
Klaus
voltò appena la testa verso Maddox.
– Mhm...
vedi di portarmelo vivo, stavolta. –
Lo
stregone annuì in silenzio.
– Non
hai bisogno di chissà quali ricerche per trovare un vampiro, vero? –
considerò.
Maddox
annuì una seconda volta e se andò, chiudendosi la porta alle
spalle.
Klaus
chiuse gli occhi e posò le mani sulla bara.
– Oh,
fratello mio. – mormorò con enfasi – Se solo potessi assistere a
tutto questo. –
~~~
– Ciao!
–
Elena
si sporse all'interno dell'ingresso e restò un momento in ascolto,
la mano ancora sullo stipite. Con un sospiro di sollievo, richiuse
lentamente la porta ed entrò. Jeremy doveva essere ancora al
maniero, Jenna era probabilmente con le sue amiche.
Mentre
saliva la scale, si sentì un po' in colpa per essere così sollevata
dal non doverli incontrare. Ma che poteva farci? Aveva già esaurito
la forza di volontà tra la riunione generale del mattino e la frenetica
ricerca tra i grimori del pomeriggio. Si era ripromessa di reagire e
l'aveva fatto: come primo giorno aveva dato anche troppo. Adesso
voleva solo seppellirsi tra le coperte e staccare il cervello.
Dormire, sì – possibilmente fino all'indomani.
Lasciò
la borsa sulla sedia di camera sua, si legò i capelli in una coda
malfatta e aprì l'anta dell'armadio per cercare un pigiama pulito.
Quando la richiuse e se lo trovò di fianco, per poco non cacciò un
urlo per lo spavento.
– Scusa.
–
Elena
si portò una mano alla fronte e, non prima di avergli scoccato
un'occhiata furente, gli voltò le spalle.
– Cosa
ci fai qui, Damon? –
Non
seppe esattamente dove stava andando, almeno finché non si ritrovò
esattamente alla parte opposta della stanza.
– Volevo
chiederti scusa. – fece lui, col tono di chi propone una pizza a
cena.
Elena
alzò le sopracciglia, incredula.
– Bene.
L'hai appena fatto. – scrollò la testa, come se bastasse quel
gesto per scacciare quella visita indesiderata – Ciao, Damon. –
Lui
assunse un'espressione perplessa: – Quello era per lo spavento. –
Elena
chiuse gli occhi e si portò le mani al viso, strofinando piano. Se
stava cercando il suo perdono, cascava male: non era ancora pronta.
Forse non lo sarebbe stata mai. Il problema, adesso, era come uscire
da quella situazione. Come al solito si sentiva impotente.
Quando
riaprì gli occhi e vide che era avanzato di qualche passo,
istintivamente arretrò, andando a scontrare la schiena contro il
muro. Damon
abbassò la testa, accigliato, e fece un passo indietro.
– Scusa.
–
– Questa
è quella ufficiale? – gli chiese nervosamente.
Annuì
con un secco “sì”. Emanava un senso di colpa da tagliarsi a
fette. Ma prima che Elena potesse dire qualsiasi cosa, era già
svanito oltre la finestra.
Elena
tornò a respirare regolarmente. Tremando, riprese il pigiama
abbandonato e, cercando di non pensare a nulla, si spogliò dei
vestiti e lo indossò.
Continua
a non pensare. – si diceva.
Ma
quella doveva essere la serata delle visite a sorpresa, perché si
stava infilando nel letto, quando una figura inconfondibile si
stagliò nel vano della finestra. Be', almeno lui non entrava senza
permesso.
Però...
cazzo. Un conto era vederlo in ambiente neutro, in mezzo agli altri.
Il perché sentisse più disagio con lui che con Damon, era così
palese che sembravano stagliarsi tra di loro a lettere cubitali.
Si
osservarono in silenzio per un lungo momento. Elena pietrificata
nella posizione in cui l'aveva colta, con una mano a sollevare le
coperte e un ginocchio sul letto. Stefan aggrappato come un
gargouille all'architrave della finestra.
Elena
ringraziava l'ora tarda: il buio la risparmiava dai suoi occhi. Poi
si ricordò di avere un cuore che pulsava, un cuore che in quel
momento stava facendo un gran fracasso. Allora perse un battito e poi
riprese, ancora più precipitoso.
La
sua mano non stringeva più le coperte e adesso era in piedi, in
attesa di chissà cosa. Che quel muro di ghiaccio tra di loro si
rompesse, forse. Ignorando la sua tensione, Stefan sembrò decidere
che quello era un segnale positivo ed entrò nella stanza.
Due
sciocchi manichini, rigidi nelle reciproche paure.
– Perdonami.
–
Elena
batté piano le palpebre, assimilando lentamente quello che le aveva
detto.
– Per
non esserci stato, perdonami. –
Si
sentiva in colpa per non esser stato lì a proteggerla. Tipico di
Stefan. Ma l'unica cosa a cui Elena riusciva a pensare, in quel
momento, era il paradosso che aveva portato due persone a scusarsi
con lei, quando invece era lei che si sarebbe dovuta scusare con
loro.
Rise.
Quella situazione era così assurda che non si poteva fare altro. Il
riso si trasformò presto in un pianto dirotto, isterico. L'abbraccio
di Stefan l'avvolse e immediatamente riconobbe quel calore che le
trasmetteva sempre: sembrava passata una vita dall'ultima volta che
l'aveva provato. Il senso di colpa di Elena, mentre gli inzuppava la
maglia e gli bagnava il viso, non se ne andò, ma capì che con quel
calore sarebbe riuscita ad attenuarlo.
~~~
Perché
diavolo sei qui? Sei solo una vecchia ciabatta, cosa credi che possa
volere da te? Un conto è flirtare, ben altro è... insomma, mica
vorrai provarci davvero? Saresti patetico! Pensa come ti guarderà
quando le proporrai...
Il
monologo interiore di Pas venne interrotto dal rumore del
chiavistello. Caroline era lì davanti a lui e il suo cervello andò
semplicemente in bianco.
– Chérie.
– la salutò.
– Ciao.
–
Sembrava
accompagnato da tre puntini di sospensione e da un punto
interrogativo, quel “ciao”. Tratteneva quel sorrisetto che hanno
le donne quando sanno.
Nonostante
l'impressione di fare la figura di un adolescente insicuro, non si
tolse gli occhiali da sole, benché ormai il sole fosse tramontato.
– Sei
libera stasera? Questa potrebbe essere l'ultima occasione che ho per
uscire con te. –
Oh,
ma che finezza! Quale eleganza!
– si rimproverò.
Certamente
avrebbe ricordato a lungo un invito così galante.
Ma
Caroline parve essere immune a qualsiasi considerazione di quel tipo.
Batté graziosamente la palpebre e si aprì in un sorriso che era
tutto un programma.
– Il
tempo di cambiarmi e... –
Prima
che si disperdesse l'ultimo barlume di follia, Pas l'afferrò per una
mano e la trascinò fuori.
– Non
c'è tempo, chérie. – le disse in tono cospiratorio – E
poi sei bellissima così. –
Lei
passò dallo stupore al turbamento, e infine si stabilizzò
sull'eccitazione. Pas poteva sentirgliela trapelare da ogni singola
cellula, attraverso la pelle.
~~~
La
testa le pulsava fastidiosamente e qualcosa le diceva che un the o
qualsiasi altro rimedio terreno non avrebbe migliorato granché la
situazione, vista la natura soprannaturale della causa. Ma Nora era
affezionata ai vecchi metodi, e così era andata a casa di Alaric a
farsi una tazza di qualcosa di caldo – qualsiasi cosa.
Beveva il suo intruglio accucciata nel divano, avvolta in un plaid
quattro volte più grande di lei, riflettendo sul fatto che
effettivamente infondere a Bonnie il potere di tre streghe appena un
giorno prima del plenilunio, non era stata un'abile mossa. Adesso era
semplicemente svuotata di ogni energia. Forse l'indomani a quell'ora
avrebbe ripreso le forze. No, non "forse": doveva aver ripreso le forze,
se voleva che il loro piano andasse a buon fine.
– Ti
conviene correggerlo. –
Ennò,
cazzo!
Nora
serrò gli occhi e prese un profondo respiro. L'ultima cosa di cui
aveva bisogno in quel momento, era la presenza molesta di Damon
Salvatore.
– Ciao,
Damon. – borbottò ignorandolo – Addio, Damon. –
– Ma
come siete tutte accoglienti stasera! – ironizzò.
Nora
fece uno sforzo immane, ma decise che una guardata all'aura gliela
doveva. Ce l'aveva praticamente sotto i piedi. Strinse le labbra e si
chiese per quale oscuro motivo fosse diventata la spalla su cui
piangere per il vampiro più problematico sulla faccia della terra.
– Quell'armadio.
– indicò con un cenno, vedendolo vagare per la stanza fiutando
l'aria.
Damon
aprì un'anta e ci frugò dentro, tirandone fuori un bourbon.
– Four
Roses. – commentò con una smorfia – Bah... –
Lei
scrollò le spalle: – È alcol. Di che ti lamenti? –
Damon
la squadrò con sdegno, mentre si sedeva accanto a lei e si serviva
un bicchiere.
– Per
favore. – scandì in tono di sufficienza – Io non t'insegno come
suonare l'arpa, tu non m'insegni quali bourbon apprezzare. –
Nora
alzò gli occhi cielo: – Touché. –
Avvicinò
la tazza e toccò il suo bicchiere in un brindisi. Poi ognuno tornò
a rinchiudersi nel proprio mondo.
– La
sai la vera storia? – fece lui dopo un po'.
Nora
si risvegliò da quella specie di catalessi in cui era crollata e lo
guardò interrogativa. Damon mosse appena la bottiglia, tenendola con
due dita.
– Il
Four Roses. La sai la storia? –
Lei
scosse la testa. Non era molto interessata, a dire la verità, ma in
quel momento era anche virtualmente incapace di reagire a qualsiasi
stimolo.
– C'era
una volta Paul Jones Jr. Un vero pallone gonfiato. – iniziò
a raccontare – Fidati: l'ho conosciuto. Be', tirò fuori questa
panzana colossale, no? Una storia strappalacrime che lui s'era
innamorato follemente di una bellezza del sud... –
Soffocò
una risata: – Come se nel sud ci fossero state delle bellezze all'epoca!
Uhm... comunque. Lui si dichiarò a questa bellezza,
le chiese si sposarlo, no? Proprio come si faceva una volta. –
– E
lei gli disse... senti questa, eh... gli disse – si schiarì la
gola e imitò una leziosa vocetta femminile – “se deciderò di
accettare la tua proposta, andrò al ballo con un bouquet di rose”.
–
Le
lanciò un'occhiata significativa.
– Ovviamente
andò al ballo con un bouquet di rose. Quattro rose rosse. – disse agitando stancamente
la mano – E così chiamò il suo bourbon Four Roses. Fine. Titoli
di coda. –
Nora
scosse la testa. Non aveva intenzione di sforzarsi di capire i deliri
di un vampiro mezzo sbronzo.
– E
la morale di tutto questo è...? –
– Ti
innamori e finisci col seppellire i tuoi rancori nell'alcol. –
riassunse lui, come se fosse la cosa più ovvia.
Nora
dovette trattenere una risatina di disperazione.
– Ma
dai, non puoi scadermi nel banale in questo modo! –
– Io
sono banale. – ribatté Damon con aria seria – E prevedibile.
Quello originale è Stefan. Per questo tutte lo vogliono. –
Nora
fu colta da un'illuminazione: – Sei andato da lei. –
Il
vampiro le rivolse un'espressione che simulava stupore.
– Be',
certo! Come potevo farmi sfuggire un'altra fantastica occasione di
farmi del male?! – fece sarcastico.
– Le
hai fatto le tue scuse e lei te le ha rimandate al mittente. –
commentò.
Senza
volerlo, si stava facendo coinvolgere. Il solito, dannato effetto
collaterale: non puoi essere un angelo e ignorare qualcuno che
soffre. Anche se questo qualcuno è un vampiro particolarmente
stronzo e recidivo, e tu sei mortalmente stanca per colpa degli
straordinari sul lavoro.
– In
realtà le scuse le accettate. – stava dicendo lui, versandosi un
altro bicchiere di bourbon – Almeno credo. –
Nora
lo afferrò per il polso e gli prese il bicchiere, suscitando un
lamentoso “ehi!” di protesta.
– Basta
così. – l'ammonì.
– Lo
sapevi che ti avrebbe fatto male. Perché sei andato lo stesso da
lei? – gli chiese senza mezzi termini.
Damon
scrollò le spalle: – Perché l'odio è tutto ciò che mi resta,
penso. –
Quello
che le stava dicendo non era niente di nuovo: il fatto sconvolgente
era che glielo stava dicendo. Altro che aura e puttanate di
questo genere. S'era appena strappato il cuore dal petto e
gliel'aveva messo lì, in bella mostra.
– È
strano, vero? – considerò, parlando più a sé stesso che a lei –
Come sia sottile la linea tra l'amore e l'odio. –
– Non
è la prima volta che ti succede. – obbiettò, cercando di capire
esattamente quali meccanismi erano entrati in gioco.
– Con
Katherine era diverso. – scrollò le spalle – Lei è
diversa. Pensavo seriamente che mi avesse amato. Elena... –
Il
solo pronunciare il suo nome era uno sforzo per lui. Nora si
rannicchiò ancora di più nel suo posto, combattuta tra l'istinto di
consolarlo in qualche modo e l'impulso di fuga che le suscitavano
tutti i vampiri – in particolare lui. Rimase semplicemente lì, a
vederlo soffrire, sentendosi inutile.
– Ho
sempre saputo che per lei esiste solo Stefan. Non mi sono mai illuso.
– si strinse nelle spalle – L'ho messa su un piedistallo e da lì
credevo che non si sarebbe mai smossa. Era comodo. –
Nora
trattenne il fiato, in attesa. Non parlò: quel monologo serviva più
a lui che a lei, decisamente. Certo, assistervi era qualcosa di
eccezionale.
– Quando
è crollato tutto, l'ho odiata. –
Bam!
– Non
puoi odiarla per sempre. – si azzardò a dire.
– Per
ora non riesco a... – Damon strinse gli occhi e scosse la testa –
Non posso ridimensionarla. Fa troppo male. –
– È
il lato seccante del frugare nella testa altrui. – commentò.
Il
vampiro si voltò a guardarla, un sopracciglio alzato e l'espressione
contrariata. Per un momento Nora temette di aver detto troppo.
– Devo
scrivermelo da qualche parte. – si limitò a dire – A proposito,
scusa per quella faccenda. –
Nora
boccheggiò. Le stava chiedendo scusa?
– Sì,
sai... il morso e poi quella roba del bagno. – precisò, vagamente
imbarazzato.
Imbarazzato?!
– Mi
stai chiedendo scusa? – riuscì a dire, sentendosi parecchio
idiota.
– Prendere
o lasciare. Non credo che ricapiterà. – dichiarò, afferrando il
bicchiere che lei aveva allontanato prima.
Nora
glielo strappò dalle mani e versò metà del contenuto nella tazza
semivuota del the. Ne ingollò una sorsata e chiuse gli occhi,
sentendo il fuoco dell'alcol bruciarle le viscere e poi risalire,
arrivando alla testa.
– Guarda
che ti fa male. Una ragazza in crescita come te... – la rimproverò,
togliendole di mano il bicchiere e finendone il contenuto con una
sola sorsata.
– Non
sono in crescita. – ribatté lei con un singhiozzo – Non lo sono
da un secolo. –
Si
strofinò gli occhi. Stava per crollare.
– Quanti
anni avevi? –
Non
glielo stava chiedendo veramente.
– Quindici.
– si sentì rispondere.
– No.
Quanti anni avevi quando... –
Nora
sospirò, trattenendosi a stento dal picchiarlo.
– Ho
capito cosa intendi. – rispose seccamente – E ne avevo quindici,
ok? Te l'ho già detto. –
– No,
non hai capito. – ribatté in tono cantilenante – Quando ve ne
siete andate dall'Europa. –
Nora
strizzò gli occhi, cercando di ricordare.
– Tredici.
– disse infine, mentre le ultime immagini che si era impressa prima
di lasciare i luoghi dove era cresciuta le tornavano in mente –
Avevo tredici anni. –
Che
incredibile capacità che ha la memoria. Tutti i ricordi che credeva
sepolti erano adesso vividi e luminosi nella sua testa, come e se li
stesse vivendo esattamente in quel momento.
– Che
stai facendo? –
– Taci
e goditi il momento. – borbottò lui – Non capita spesso che
faccia certi regali. –
Che
stronzo. Faceva una cosa carina e non voleva nemmeno che glielo si
riconoscesse.
Nora
sguazzò in quella visione della sua terra natale, beandosi di tutta
la sacrosanta nostalgia che si portava appresso. Non sentiva più il
pulsare della testa, né lo stordimento dell'alcol. Non sentiva
nemmeno la solita, pesante responsabilità che le grava sull'angelico
capo. Era tornata ad essere una ragazzina. Apprendista strega, in
perenne fuga con una madre che si portava addosso una fastidiosa
maledizione, ma pur sempre una ragazzina. Niente vampiri
all'orizzonte, né altre preoccupazioni di origine soprannaturale.
– Carino
qui. – commentò lui vago.
Camminava
con le mani ficcate in tasca nel cortile di quella che era stata casa
sua.
– Sì.
– Nora passò una mano sulle mura di pietra a secco.
Era
una casa minuscola e non molto comoda, gelida in inverno e caldissima
in estate. Ma ci aveva vissuto gli anni più sereni della sua vita.
– Grazie.
–
La
risposta di lui fu grugnito.
Quando
Nora riemerse dalla visione, si accorse che stava piangendo. Si
asciugò la faccia con un lembo del plaid e vi si avvolse più che
poté. Che figura di merda! Fortunatamente, Damon si astenne dal
commentare.
– È
assurdo! – singhiozzò – Ho un secolo e rotti, sono una cavolo di
Virtù Angelica... –
– E
hai i dotti lacrimali. – sbuffò lui – E allora? –
– Non
è quello! – sbottò.
Ci
mancavano solo le sue battute idiote.
– Avevo
solo quindici anni, cazzo! Non ho vissuto, non ho fatto in tempo a fare
niente! – piagnucolò, abbandonando qualsiasi dignità
davanti al cumulo di rimpianti che nemmeno credeva di avere.
– Non
mi hanno mai baciata! – gemette – Sai che significa per una
ragazzina vittoriana?! –
L'espressione
di Damon era impagabile, ma Nora era troppo impegnata a piangersi
addosso – e a vergognarsi di questo – per rendersene conto. Non
poteva credere di aver detto tutte quelle cose davanti a lui.
Seppellì la faccia nelle ginocchia, vergognosa.
– A
quello si può rimediare. –
Rialzò
il capo, sicura di aver sentito male.
– Ci
stai provando con me? – gli chiese lentamente, per essere sicura
che comprendesse esattamente la situazione.
Lui
alzò le sopracciglia e roteò gli occhi, come a farle notare che
l'appartamento era vuoto.
– Non
senti questo fremito nell'aria? – insinuò – Qualcuno sta facendo
sesso stanotte. –
Nora
non seppe dirsi il perché, ma l'assurdità e l'imbarazzo di quella
situazione la trassero dal gorgo di rimpianto dove stava affogando.
– L'hai
detto tu che gli angeli non hanno sesso. – obiettò ironica,
trattenendosi dal ridere.
Damon
annuì, con aria pensosa.
– E
l'ho confutato. – replicò – Due volte. –
Nora
strinse gli occhi, incenerendolo in un perfetto sguardo della morte.
Lui alzò le mani in segno di resa. Lei sospirò, lasciandosi andare
ad una risatina liberatoria.
– Ce
n'è ancora di bourbon? – gli chiese, adocchiando la bottiglia –
Mi ha fatto passare il mal di testa... –
Certo,
come se fosse stato quello. Come se non sapessero entrambi cos'era
stato a far passare tutto, quella sera.
– Conosci
la storia del Four Roses? –
Nora
si strozzò con il bourbon e, tossendo come una matta, gli lanciò un
cuscino.
~~~
– Vacci
piano, chérie... –
La
risata di Pas si disperse tra i timpani e una zona del cervello che
Caroline non sapeva nemmeno di avere. Quella roba era fortissima,
cazzo, meglio dell'alcol!
– Come
facevi... a sapere...? – fece un ampio gesto con la mano.
– Sono
della Chiesa. – fece lui in tono allusivo.
Quando
l'aveva invitata ad uscire, non si era certo aspettata di finire in
una specie di rifugio antiatomico dimenticato da Dio. Secondo Pas,
posti come quello erano sparsi ovunque nel mondo, ma pochissime
persone ne conoscevano l'esistenza e ancora meno sapevano dove erano
collocati. Di solito venivano creati dalle comunità di vampiri in
momenti di pericolo imminente, per avere sempre un luogo sicuro dove
rifugiarsi anche per decenni. Quello doveva avere almeno un paio di
secoli: il sangue che vi era stato stoccato, mescolato a sostanze
anticoagulanti, si era come raffinato.
Erano
lì da ore – francamente, Caroline aveva perso il conto del tempo –
sbracati su un divano muffito, che stappavano e assaggiavano una
bottiglia dopo l'altra, commentando i gusti come sommelier navigati.
– Aspetta,
– Caroline si sporse verso la serie di bottiglie aperte –
voglio... quello! Mi è piaciuto, quello. –
Pas
prese la bottiglia che aveva indicato e gliela avvicinò, per poi
allontanarla dalla sua presa.
– Non
esagerare. – l'ammonì con espressione contrariata.
Caroline
non era lucida, ma quel tono basso era fin troppo allusivo. Le diceva
di non considerarlo come una figura paterna e poi le parlava così?
Era poco onesto da parte sua!
– Mi
porti qui e pretendi che faccia la brava? – mise su il broncio –
Non è giusto! –
– Oh,
no! – Pas soffocò una risata – Non ho detto che devi fare la
brava, ho detto che non devi esagerare. –
La
fissò: – C'è una bella differenza. –
Gli occhiali da sole non servivano in quel bunker scuro. Aveva
gli occhi d'un rosso che ricordava il sangue che le stava negando.
Caroline sentì un brivido ed ebbe qualche difficoltà ad attribuirlo
al suo sguardo o alla sbronza. Ma se riusciva a fare qualche
distinguo, be', non era ancora pronta.
– L'hai
detto tu. – si mise carponi e avanzò senza ritegno su di lui –
Magari domani tiriamo le cuoia... –
Allungò
una mano verso la bottiglia, consapevole del fatto che la lancetta
del desiderio si stava spostando dal sangue, andando inesorabilmente
a toccare tasti sopiti da molto – troppo tempo.
Quando
ormai gli era addosso, Pas reagì al suo assalto porgendole
l'agognata bottiglia. Stupita e confusa, Caroline la prese. Guardò
prima lei e poi lui, battendo freneticamente le ciglia. Si rese
conto del fatto che gli era a cavalcioni. E che la stava osservando
curioso, una mano sullo schienale del divano e l'altra sulla sua
coscia, con una naturalezza tale che sembravano essere fatti a posta
per stare così.
Pareva
che le dicesse “e adesso?”.
Già,
– pensò con un groppo in gola e una bottiglia scomoda tra le mani –
e adesso?
Quando
capì che lui non avrebbe mosso un dito, Caroline si fece coraggio e
decise di fare la donna moderna. Una vampira moderna ubriaca di
sangue fermentato e cronicamente insicura, per la precisione. Per cui
la bottiglia finì la sua vita in uno schianto di vetri rossi contro
il muro alle sue spalle.
Lui
era un dampiro con trecento anni di esperienza sulle spalle, ma lei
era una giovane vampira affamata. La velocità con cui si avventò sulle sue
labbra lo colse di sorpresa.
Ma
non ebbe modo di bearsi a lungo di quella piccola vittoria. Con un
presa salda sui capelli, Pas le aveva piegato la testa di lato,
staccandosela di dosso. L'aveva guardata un solo istante, con il viso
congestionato e le zanne già sfoderate, poi le aveva affondato i
denti nel collo senza tanti complimenti. La carne si lacerò con un
rumore umido e il sangue colò in dense gocce, scivolando tra le
scapole e nell'incavo tra i seni.
Caroline
gli si aggrappò alle spalle, scossa da un fremito di piacere che si
irradiò dal morso in tutto il corpo, fino al ventre. Sentì il
sangue che affluiva al viso e i canini che premevano contro le
gengive. E prima che potesse rendersene conto, lo stava a sua volta
mordendo.
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Note
Siamo
alla frutta, eh... credo che manchi solo un capitolo, o la massimo
due, adesso vedrò.
E
lasciatemelo un commentino, dai! Non mi piace per niente elemosinare
per i commenti, ma insomma, vedo che la leggete, addirittura la
seguite, ma non commentate mai... vorrei scrivere un sequel dopo
questa, ma la scarsità di commenti non mi è di grande stimolo. Su,
vi sfido a farmi rivalutare l'idea!
Capitolo
13
~
Dove
occhio per occhio
Il
corpo di Tyler era bollente sotto il suo. Caroline stava sudando.
Batté le palpebre nell'oscurità e si rigirò, sciogliendosi con una
certa fatica dal suo abbraccio soffocante.
Portò
una mano alla testa: le girava. E aveva fame e si sentiva indolenzita
un po' dappertutto. Ovvio risultato dei bagordi della notte prima.
Si
voltò ad occhieggiare Tyler. Un senso di colpa lancinante le mozzò
il fiato, mentre ricostruiva nel dettaglio com'era arrivata a finire
a letto con lui.
Con
nausea crescente rivisse ogni cosa. A partire dal momento umiliante
in cui Pas l'aveva staccata da sé e, con quel suo fare paterno, le
aveva detto che era meglio se la riaccompagnava a casa. Erano
praticamente mezzi nudi, si stavano divorando a vicenda e Caroline
non avrebbe opposto la minima resistenza ad un'approfondita
conoscenza biblica... e un attimo dopo era seduta sul sedile del
passeggero della sua auto, in un silenzio tombale che stillava
imbarazzo.
L'aveva
lasciata sulla soglia di casa, stando ben attento a mantenere una
certa distanza tra di loro. E si erano salutati così, cercando
d'ignorare lo stato pietoso in cui versavano i vestiti e le macchie
di sangue e il generale arruffamento. Una scenetta patetica.
Una
volta sola, Caroline si era trovata investita dalla classica
sensazione di idiozia che prende in conseguenza di un plateale ad
inaspettato rifiuto. Poi aveva dovuto affrontare l'orribile
presentimento che l'avesse scaricata perché la riteneva malata.
Una viziosa.
Non
ce la faceva a stare di fianco a Tyler mentre ripensava a quei
momenti. Si alzò dal letto e indossò la prima cosa che le capitò
sottomano, andando a rifugiarsi in bagno. Lo specchio era crudele:
sotto la luce impietosa delle lampadine, le rimandava un'immagine si
sé insopportabile. Nemmeno il riflesso automatico di sorridersi la
salvò. Desiderava romperlo, quello specchio.
Non
l'aveva fermato. Non solo l'aveva a sua volta morso, ma non era
riuscita a fermare quel fremito. Se Pas si azzardava a fermasi, lei
lo afferrava per i capelli e gli premeva la testa sul collo. Pensava,
sconvolta dalla vergogna di sé, che non aveva mai provato niente del
genere.
Il
fatto era che le aveva sempre fatto ribrezzo doversi nutrire di
sangue: quell'istinto animalesco e incontrollabile che la portava ad
attaccare e succhiare come una lurida bestia. E odiava quando la
mordevano: da quando l'aveva fatto Damon, non lo sopportava.
Poi
era arrivato quel tizio lì, quella specie di mezzo vampiro bohemien,
con l'accento europeo e un dubbio gusto in fatto di abbinamenti di
colore, i suoi “chérie” e quello sguardo che sembrava
dire che in trecento anni non gli era mai capitata una come lei. Con
Pas era stato diverso – lo era stato da quella volta alla casa sul
lago. E per quanto avesse cercato di fare come se niente niente fosse
e di comportarsi come al solito, in realtà, dal momento in cui lui
aveva affondato di nuovo i canini su di lei, Caroline non aveva più
potuto ignorare quello che le faceva provare.
Si
strofinò una mano sul collo, sentendo un vampa diffondersi in corpo.
E quello la riportò al motivo per cui Tyler adesso dormiva nel suo
letto.
Da
sola nella casa vuota, con Liz che faceva il turno di notte, Caroline
non aveva avuto nemmeno il tempo di metabolizzare il dramma che aveva
appena vissuto. Un lieve bussare alla porta e, senza nemmeno pensare
che erano le tre di notte, aveva aperto automaticamente. Dall'altra
parte c'era un pallidissimo Tyler. Lui aveva abbozzato un saluto, lei
aveva ricambiato appena e si erano stabilizzati in un lungo momento
di silenzio. Poi Tyler aveva provato a parlare, probabilmente per
scusarsi – chissà, Caroline non l'avrebbe mai saputo. E ci sarebbe
anche riuscito, forse, se non fosse capitato nella serata sbagliata.
O
giusta? Be', dipendeva dai punti di vista. Fattostà che Caroline
semplicemente l'aveva aggredito, verbalmente e fisicamente e in
qualsiasi altro modo concepibile. Gli aveva scaricato addosso tutta la frustrazione emotiva che provava. E Tyler non era fatto di legno: lei
sarà anche stata una signorina, ma lui non era rimasto a farsi
menare impassibile.
Nel
giro di un paio di minuti la lotta si era trasformata in reciproca
aggressione sessuale – Caroline non era sicura che si potesse
verificare una cosa del genere, ma rendeva bene l'idea. Era stato
veloce e mostruosamente intenso, solo come poteva esserlo tra una
vampira e un licantropo intrisi di infelicità e rabbia.
Era
stato bello. Ma era stato niente più che una scopata.
Caroline
si portò le mani ai capelli. Come avrebbe fatto a spiegarlo a Tyler?
Era venuto a cercarla con quell'aria sperduta e fiduciosa. Non era
una donna navigata, ma ne sapeva abbastanza per arrivare a capire
cosa provava per lei.
È innamorato di me.
Quelle
quattro, stupide paroline le riecheggiarono in testa, facendola sentire mortalmente
in colpa. Caroline era sempre stata la vittima di certi giochi, non
credeva che un giorno le parti si sarebbero invertite. Adesso c'era
un ragazzo nel suo letto – un ragazzo adorabile ed unico, un amico, il suo più caro amico –, convinto che lei avesse fatto sesso con lui
perché lo voleva. Quando la persona che voleva l'aveva rifiutata.
Tyler
era stato un ripiego. Quando finalmente lo ammise con sé stessa,
sentì qualcosa mutare irrimediabilmente dentro di lei. La solita,
dolce Caroline non sarebbe più esistita.
Addio
Caroline. Benvenuta Caroline.
~~~
Di
malavoglia, ma all'alba Stefan aveva dovuto dare un bacio ad
un'assonnata Elena e abbandonare la sua stanza. Quello era il
giorno. Doveva vedere gli altri per pianificare gli ultimi dettagli.
Ma
erano tutti introvabili e l'unico che infine era riuscito a
rintracciare era Pas. Russava su una delle poltrone del salone del
maniero, con una bottiglia di whisky semivuota riversa sul pavimento
di fianco a lui. Stefan riuscì a svegliarlo con una tazza di caffè
nero e a trascinarlo in bagno per costringerlo a farsi una doccia
fredda.
Damon
era tra i desaparecidos, e non è che importasse molto. Ma Nora era
indispensabile e speravano di trovarla a casa di Alaric: dopotutto
era sua ospite, anche se lui al momento era incastrato in faccende
che esulavano dalla sua volontà – per così dire. Pas fu
particolarmente taciturno mentre guidava, ma non ci badò più di
tanto: ricordava bene i suoi sbalzi d'umore.
Stefan
ormai avrebbe dovuto farci il callo a certe sorprese: era una
settimana che si ritrovava davanti a scene paradossali. Ma arrivati
lì, riuscì comunque a stupirsi ancora una volta.
–
Secondo te dobbiamo
svegliarli? –
Pas
gli lanciò un'occhiata ironica: – Io non voglio perdermi le loro
facce. –
Stefan
concordava pienamente.
–
Ma sarebbe
interessante osservare la loro reazione senza che sappiano della nostra presenza. –
considerò, incrociando la braccia e guardandoli con curiosità.
–
Sei un bastardo. –
dichiarò Pas.
Stefan
gli rispose con un sorrisetto. Sì, quando voleva anche lui poteva
essere davvero bastardo.
~~~
Dannata
mosca. Non aveva niente di meglio da fare che ronzarle intorno?!
Crepa!
Lo
schiaffo andò a vuoto, ovviamente. Adesso aveva una guancia che
bruciava, oltre agli occhi e allo stomaco. Un risveglio veramente
delizioso.
E
poi chi gliel'aveva fatto fare di passare la notte sul divano? Aveva
il collo e le spalle irrigiditi, e non sentiva più tutta la parte
sinistra del corpo.
Tentò
di muoversi da quella posizione scomoda, ma non ci riuscì: c'era un
peso che le premeva sulla vita, bloccandola. Con uno sforzo notevole,
vista la catalessi in cui versava metà del suo corpo, riuscì a
rigirarsi.
Damon
le dormiva addosso.
Damon
mi dorme addosso. – si ripeté, stentando a mettere a fuoco la
situazione.
Agghiacciata,
Nora lo guardò per un lunghissimo momento, battendo freneticamente
le palpebre. Quando infine assimilò la visione, d'istinto provò ad
allontanarsi, ma incastrata com'era tra lui e la spalliera del
divano, non è che le vie di fuga fossero molte. Anzi, il suo
movimento parve solo peggiorare la situazione: nel sonno Damon
l'agguantò e la strinse in una morsa peggiore di prima.
Nora
sudò freddo. Il cuore le batteva nella gola, rischiando di
soffocarla. L'ultima volta che si era trovata così vicina ad un vampiro,
non era finita un cazzo bene per lei.
Schiacciata
dal terrore, restò immobile, pregando stupidamente in un miracolo
che la facesse uscire da quella situazione. La paura le offuscava la
mente, impedendole di ricordare i momenti vissuti la sera prima.
Riemersero gradualmente, scatenati dall'odore di alcol che impregnava
entrambi.
Allora
un bizzarro sollievo le arrivò a ondate. Era Damon, era un
vampiro... ma non era nella merda come pensava. Cioè, non più di
tanto. Quando le tornò alla mente la visione che le aveva regalato,
trovò persino la forza di rilassarsi. E di godersi il suo abbraccio.
Si
crogiolò in quel modo finché il sonno di Damon si tramutò in
dormiveglia. Poi, senza capire perché, iniziò a preoccuparsi. Lo
osservò cauta, percependo la sua aura passare dalla placida
imperturbabilità del sonno alle sensazioni del risveglio. Vi lesse
il fastidio per la posizione scomoda in cui aveva dormito e
l'insofferenza verso i postumi della sbronza. C'era una certa
rassegnazione di fondo: si vede che era abituato a risvegli di quel
tenore.
Poi
da fisiche le sensazioni divennero più profonde. Vide l'aura
riempirsi dei ricordi e infine stabilizzarsi nella solita
frustrazione screziata di rabbia che lo caratterizzava. Bene, era del
tutto sveglio adesso. Nora stava pensando questo, quando sentì
un'increspatura. Damon si mosse piano, scostandosi quel tanto che
bastava per guardarla.
Cazzo!
Era sveglio e anche lei e lui lo sapeva che era sveglia,
insomma, non poteva non saperlo!
Nora
aveva le braccia piegate contro il petto e sentì il proprio respiro
accelerare sulle dita. Semplicemente, realizzò che non si era mai
trovata in una situazione simile e non aveva la più pallida idea di
come comportarsi. Non aveva il coraggio di parlare, e tantomeno di
alzare la testa e guardarlo.
Era
fregata. Una Virtù Angelica fregata da un'imbarazzante post-sbronza.
~~~
Fare
finta di niente o uscirsene con qualche salace commento? Era questo
il dilemma di Damon.
Aveva
un variegato repertorio di battute tra cui scegliere quella adeguata
alla situazione. E sicuramente avrebbe ottenuto il solito,
indimenticabile effetto di superiorità. Peccato che una battuta
adeguata, in verità, non esistesse. Non per quel momento.
Per
cui Damon, per una volta nella vita, non buttò via la buona
occasione che gli si presentava per stare zitto. Decise di fare finta
di niente. Restò ad ascoltare il respiro veloce di Nora e il suo
battito irregolare, finché non li sentì tornare quasi normali. Ci
volle un po' e si si ritrovò a pensare che poteva anche farci
l'abitudine. Non si stava poi così male. Non doveva star male
nemmeno lei, se rimaneva lì di buon grado.
Era
deliziosamente agitata. Come facesse quel corpicino a sopportare
tutta quella tensione, era un mistero. Quasi gli veniva da ridere.
Le
accarezzò distrattamente le schiena. Un piccolo esperimento che
diede come risultato un buffo lamento che cercava di nascondere un
sospiro di piacere. Era dannatamente carina.
La
vicinanza a quella riserva fresca di sangue, stranamente, non gli
stava risvegliando sete. Ma qualcos'altro si stava risvegliando ed
era colpa dell'odore di Nora e di quell'inverosimile fiducia con cui
gli stava tra le braccia. Damon imprecò tra sé e scostò il bacino.
Non vedeva Andie da troppo tempo.
~~~
C'era
qualcosa di profondamente sbagliato in quello che stava succedendo.
Pas si sarebbe aspettato qualche sguardo imbarazzato e un paio di
battute stupide per alleggerire la tensione, e poi ognuno per conto
suo, con molta – molta - distanza tra di loro. Era quello
che doveva accadere – era la cosa giusta. Non certo quel
quadretto zuccheroso, tutto silenzi e fruscii e sospiri.
Pas
ebbe uno strano presentimento e, non sapeva spiegarsi il perché, ma
aveva anche la sensazione che fosse anche inesorabile. Una di quelle
cose che non si possono fermare. Quindi fu con l'ansia del disperato
che interruppe la scena.
Damon
percepì la loro presenza e girò la testa per adocchiarli: aveva
l'espressione seccata di chi è stato interrotto sul più bello,
un'espressione che non piacque per niente a Pas. Nora scattò a
sedere, tentando invano di allontanarsi da lui. Lo guardò con gli
occhi colpevoli di una ragazzina beccata dal padre a pomiciare. Pas
si chiese un po' infastidito se effettivamente non apparisse come un
padre oltraggiato.
–
Buongiorno. –
Damon
si stiracchiò pigramente e si mise a sedere come se niente fosse.
Peccato che i vampiri non fanno pipì, quindi non poteva spiegare
quell'alzabandiera come una mera faccenda idraulica. A Pas si seccò
la gola. Fortunatamente Nora non si era accorta di niente –
fortunatamente per Damon e per qualsiasi creatura soprannaturale nei
dintorni.
Distolse
lo sguardo, incrociando l'espressione allibita di Stefan.
–
Dormito bene? –
–
Che ore sono? –
Nora
era sgattaiolata via e aveva posto quella domanda banale, come a
conclusione di tutta faccenda. Per Pas non era affatto conclusa,
avrebbe presto fatto un discorsetto ad entrambi e ribadito a Damon
quello che già sapeva. Ma in effetti c'erano cose più urgenti da
gestire.
~~~
–
Adorabili. –
Caroline
conosceva quella voce. Eppure non era come la ricordava.
Strizzò
gli occhi con un gemito, cercando di scacciare il dolore che le trapanava la testa. Non
vedeva niente, sentiva solo pulsare tutto il capo. Era come se uno
stregone le avesse fritto il cervello per ore.
Poi
si ricordò: uno stregone le aveva fritto il cervello per ore.
Lo stregone di Klaus. Nella sua camera. Era piombato lì e Tyler
aveva fatto in tempo appena a svegliarla e a tentare di attaccarlo
per permetterle di scappare. Ovviamente invano.
Tyler...
Ancora
mezza accecata, istintivamente allungò il braccio a tastare affianco
a sé: trovò qualcosa di molto caldo e molto muscoloso. Avevano
preso anche lui. La paura e il senso di colpa l'aggredirono, e si
ritrovò a stringerlo a sé.
–
Davvero romantico.
–
Caroline
riuscì finalmente a mettere a mettere a fuoco la figura che li stava
osservando, inginocchiata. E l'ambiente attorno a loro: erano nella
cripta.
Alaric
– no, Kalus – le sorrise. Un sorriso bellissimo e orribile. Poi
si rialzò e voltò loro le spalle.
–
Preparali. –
ordinò.
Solo
allora vide Maddox, poco discosto da lui. Lo stregone annuì e attese
che l'Antico uscisse dalla cripta prima di avvicinarsi. Li guardò un
momento, con quegli occhi freddi e indifferenti da automa. Poi alzò
la mano.
Caroline
serrò gli occhi e strinse il a sé il corpo esanime di Tyler,
sussurrandogli una raffica di patetiche scuse. Poi il mondo attorno a
lei iniziò a girare, si fece buio e non sentì più nulla.
~~~
Elena
adocchiò il grande orologio a pendolo del salone.
–
Caroline è in
ritardo. – notò.
Damon
inarcò un sopracciglio: – Caroline è sempre in ritardo. –
Elena
strinse le labbra e non commentò. Dopotutto, aveva ragione. Scambiò
un'occhiata preoccupata con Stefan, che annuì.
–
Non possiamo
aspettare oltre. – dichiarò – Bonnie? –
–
Non è stato
facile, ma l'ho trovato. – annunciò lei, posando la boccetta col
sangue del licantropo originale sul tavolino davanti a loro.
–
Excellente.
Funzionerà? – le chiese Pas.
–
Ha confermato
quello che ci ha detto Katherine. – Bonnie scrollò le spalle – E
suppongo che possiamo dargli credito, visto che è stato Klaus stesso
ad ucciderlo. –
–
E abbiamo anche la
benedizione del vecchio sacco di pulci. – concluse Damon.
Elena
osservò l'oggetto sul tavolino: l'unica arma per uccidere
definitivamente un Antico. Forse. Se avessero avuto il pugnale magico e la polvere della quercia bianca, sarebbero stati più sicuri del risultato, ma non si poteva andare troppo per il sottile.
–
Stefan, porse a Pas la boccetta, suscitando le proteste di Damon.
–
E a me niente?! – disse con aria infantile.
Venne ovviamente ignorato.
Dunque sarebbe stato Pas a compiere l'ultimo gesto. Elena si augurò che la
sua esprienza fosse sufficiente: Klaus non era un semplice vampiro. E oltretutto
si sarebbe incazzato non poco quando si sarebbe resto conto che
gli stavano mandando a monte i piani di una vita.
–
La Pietra di Luna?
– sentì chiedere a Stefan
Bonnie
tirò fuori dalla borsa il sacchetto di panno nero.
–
Distrutta. –
disse con soddisfazione, riversando sul tavolino degli inutili
frammenti.
–
Peccato. –
sospirò davanti al mucchietto – Volevo davvero farci un ciondolo
per Katherine. –
Stefan
le sorrise: – Ottimo lavoro, Bonnie. –
–
Se ci sono riuscita
è stato solo grazie a Nora. – dichiarò adocchiando l'angelo.
Lei
alzò le mani con aria modesta: – Ehi, io ti ho solo potenziata, il
resto era tutta farina del tuo sacco. –
–
Sì, sì,
fantastico, siete una squadra imbattibile eccetera. – le interruppe
Damon – Mancano dodici ore al ballo: forse è il caso di procurarci
un vestito adatto. Idee? –
–
Il vestito sono io,
ma non sono della taglia giusta per tutti. – fece Nora con aria
preoccupata.
Stefan
annuì con espressione grave: – Ne siamo consapevoli. Ci basta
sapere che proteggerai Elena. –
–
Lei, Bonnie e
Jeremy saranno al sicuro. – assicurò.
Elena
non era per niente soddisfatta di quella soluzione, ma era anche
perfettamente consapevole del fatto che non si sarebbe potuto fare in
nessun altro modo.
–
Ma se qualcosa
dovesse andare storto... non so se è il caso... –
Elena
alzò lo sguardo su di lei: di cosa stava parlando?
–
Ne abbiamo già
discusso. – disse Stefan tranquillo.
Si
voltò verso di lui, stupita. Gli cercò gli occhi, ma lui evitava il
suo sguardo.
Jeremy
diede voce ai suoi dubbi: – Di cosa state parlando? –
–
Se voi non doveste
riuscire ad uccidere Klaus e le cose si mettessero male... – Nora
s'interruppe e prese un respiro – C'è ancora un modo per fermare
una creatura oscura come lui. Ma non vi piacerà. E tecnicamente non
potrei nemmeno usare questo trucchetto, ma comunque... –
~~~
Bonnie
aveva già capito dove sarebbe andata a parare. Nei suoi grimori
c'era scritto qualcosa in proposito. Certo, era una soluzione
estrema, ma se davvero la situazione fosse degenerata...
Il
discorso di Nora fu interrotto dallo squillo del suo cellulare.
Imbarazzata, Bonnie fuggì dalle occhiate perplesse e si rifugiò in
corridoio per scovare l'apparecchio nei meandri della sua borsa e
zittirlo. Dopo non poche imprecazioni, lo trovò, e stava appunto per
spegnerlo, quando lesse il nome sul display. Un presentimento
orribile la inchiodò al pavimento.
In
cinque anni dacché Liz Forbes era in possesso di un cellulare, non
aveva mai ricevuto una telefonata da parte sua. Essendo la madre di
una delle sue più care amiche, aveva il suo numero in rubrica per
una sorta di dovere, così come Elena e Caroline avevano sul loro i
numeri dei suoi genitori.
Aprì
la chiama con mani tremanti e ascoltò le parole che già sapeva le
avrebbe detto. Mentì, ovviamente. Le disse che Caroline era lì con
lei e che stava bene. Sì, l'avrebbe rimproverata da parte sua per
aver dimenticato il cellulare a casa. No, non sarebbe tornata a casa
per pranzo, perché era invitata a casa Bennett. Sì, le avrebbe
detto di tornare il prima possibile.
Bonnie
pigiò il tasto rosso e rimise il cellulare nella borsa con gesti
meccanici. Quando si voltò, non si stupì di vedere Pas a un metro
da lei.
–
L'hanno presa. –
Rilasciò
un sospiro e si accorse di aver trattenuto il fiato per tutto il
tempo.
–
Lei e Tyler. –
aggiunse, rendendosi conto di saperlo nel momento stesso in cui lo
diceva – Li hanno presi entrambi. –
~~~
Klaus
non poteva sapere ciò che avevano fatto. La Pietra di Luna
distrutta, il sangue del licantropo originale... lui era all'oscuro
di tutto questo, del modo in cui erano riusciti ad annullare secoli –
forse millenni – di ricerca.
Ma
Pas non poté fare a meno di pensare che quello fosse un crudele
scherzo del karma. Loro avevano ottenuto tre oggetti in grado di
distruggerlo, Klaus aveva sottratto loro Caroline.
Gli
aveva sottratto lei.
La
bilancia pendeva troppo dalla loro parte e il Fato aveva dovuto
ristabilire le giuste proporzioni? Era così che funzionava?
Sferrò
un pugno al puro, sgretolando l'intonaco bianco e macchiando di
sangue la parete. Si era spezzato un polso, ma non lo sentiva. Quel
dolore che si era appena inflitto era niente paragonato al vuoto
lacerante che sentiva in petto.
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Note
“Oh,
shit!” mi sono detta mentre scrivevo questo capitolo. Perché nel
descrivere certi eventi, mi sono resa conto che nel precedente
capitolo avevo commesso un imperdonabile errore: il pugnale magico,
per ora, è ancora ben piantato nel petto di Elijah. Bene, se andate
a rileggerlo, ho corretto l'errore e adesso fila tutto normale.
Buona
lettura! :)
Capitolo
14
~
Dove
si paga il conto alla romana
Damon batté più
volte le palpebre sui suoi begli occhi azzurri ed emise un sbuffo
incredulo.
– È uno scherzo.
– fece saettando lo sguardo dalla lettera a lei.
Affianco a lui,
Pas si accigliò: – E di pessimo gusto. –
Katherine si
strinse nelle spalle ostentando indifferenza. Aveva concluso il suo
compito, era ora di tornare all'ovile.
Voltò loro le
spalle: – Addio. –
– Katherine. –
Sorrise tra sé al
suono di quella voce. Si fermò in mezzo al cortile e si girò ad
adocchiarlo. Non sapeva che dire. E che cosa avrebbe potuto dire,
d'altra parte?
– Non fare il
sentimentale, Pas. – piegò le labbra in un accenno di sorriso –
Era solo questione di tempo. –
Fortunatamente,
ebbe il buongusto di non aggiungere altro. Katherine poté quindi
completare la sua uscita di scena con un certa dignità.
~~~
La lettera non
aveva indirizzo né mittente. Era firmata “Niklaus” e
conteneva...
– Un invito. –
Alaric aveva
parlato a stento, ma era comunque un miracolo sentire nuovamente la
sua voce.
Erano tornati nel
suo appartamento per recuperare un po' di armi e a sorpresa l'avevano
trovato lì, esanime sul divano. Damon l'aveva osservato con una
punta di preoccupazione: dopotutto quel tipo non era male – se non altro era un degno compagno di bevute – e gli
sarebbe dispiaciuto se fosse passato a miglior vita. Ma Pas gli aveva
premuto due dita sotto la gola e aveva grugnito soddisfatto. Nessuna
cattiva notizia da dare a Jenna.
Raccattate le armi
e il loro redivivo compagno di sventura, erano tornati al maniero. Lì
Alaric si era ripreso e così aveva potuto dare anche lui il suo
contributo ai commenti stupiti – e stupidi – sull'invito.
– Per lo meno ha
buongusto. – aggiunse alzando la carta verso la luce – Bella
filigrana, elegante. –
Damon inarcò un
sopracciglio: la possessione doveva avergli frullato il cervello.
– Come ti senti?
– gli chiese Stefan, con aria preoccupata.
L'uomo si portò
due dita a stringere la base del naso: – Come se fossi il
protagonista di una brutta replica dell'Esorcista. –
– Che faccia ha?
– gli chiese Damon.
– Sembra una
scimmia. –
Le sopracciglia di
Stefan schizzarono verso l'attaccatura dei capelli. Pas alzò la
testa di scatto e scoppiò a ridere.
Sì, decisamente
doveva essersi frullato il cervello.
~~~
– Raccontami,
Katarina. Sono curioso. –
Katherine smise di
giocare con un ricciolo che le scivolava in fronte e lo guardò,
tentando di non apparire astiosa.
– Erano
increduli. – disse atona.
– Reazione
prevedibile. – commentò Klaus.
Posò sul tavolino
davanti a loro il bicchiere di sangue che stava sorseggiando e si
alzò dalla poltrona. Katherine non mangiava da qualche giorno:
adocchiò famelica il bicchiere.
Klaus infilò la
giacca di pelle: – Quando tutto questo sarà finito, ti farò un
regalo. –
La guardò e il suo
volto si aprì in un sorriso. Katherine agghiacciò fin nell'anima.
– Oh, hai sete? –
fece poi, fingendo di accorgersi solo in quel momento di come
concupiva con lo sguardo il bicchiere di sangue.
Suo malgrado,
Katherine annuì.
– Allora che
aspetti? – le disse con aria soave – Bevilo. –
Dov'era il trucco?
Katherine attese un momento prima di allungare la mano verso il
bicchiere.
Solo quanto lo
afferrò e se lo porto alle labbra, l'odore di verbena le investì le
narici, facendole venire la nausea. Il sorriso di Klaus si aprì
ancor di più, conferendogli tratti ferini. Quando Katherine
allontanò il bicchiere, il sorriso fu soppiantato da un'espressione
mortalmente seria.
– Bevilo. –
L'ordine rimbalzò
nelle sinapsi di Katherine, riducendo tutta la sua volontà ad un
mero sussurro. Vide la sua mano avvicinare nuovamente il bicchiere
alle labbra, e queste, ignorando la nausea crescente, schiudersi e
accogliere una sorsata. I muscoli della gola, contro ogni istinto,
ingoiarono il sangue.
Una scia bruciante
le investì i visceri e Katherine tossì convulsamente, stringendo la
presa sul bicchiere fino ad incrinarlo. Klaus schioccò la lingua e
scosse la testa.
– Se lo rompi
dovrai berne il doppio. – l'avvertì.
Ansante e con gli
occhi lacrimanti, Katherine si pulì la bocca con una manata e alzò
uno sguardo d'odio su di lui. La mano che teneva il bicchiere compì
nuovamente il tragitto fino alle labbra, riversandole in gola una
nuova dose di veleno. Klaus annuì, un'espressione di dolce
soddisfazione in volto.
– Brava. –
mormorò.
Con gli intestini
aggrovigliati, Katherine lo vide uscire. Ormai sola, si piegò in
avanti, trafitta dai dolori. Il bicchiere quasi le cadde di mano. Una
goccia densa aveva travalicato il bordo e stava scivolando lungo la
curva del vetro: Katherine la leccò via piena di disgusto e con gesti
tremanti lo ripose sul tavolino.
Con un sospiro
d'angoscia chiuse gli occhi e tentò di rilassarsi sulla poltrona.
Sapeva che era il minimo. Sapeva che quando Klaus avrebbe concluso
tutta la faccenda della maledizione, ogni cosa sarebbe peggiorata,
portando l'orrore più nero nella sua vita. Avrebbe ricordato quel
ridicolo giochino con blanda nostalgia.
Doveva trovare una
via d'uscita e doveva farlo adesso. Ma prima...
Priva di volontà,
lo sguardo le cadde su quel dannato bicchiere. Era ancora mezzo
pieno. O mezzo vuoto? Oh, be', suppose che dipendesse dai punti di vista.
Trovò la forza di riderne. Poi, senza indugiare ulteriormente, lo
afferrò. Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, ingollandolo
in solo sorso.
~~~
– Sei nervosa? –
– No. –
– Vuoi saltare le
lezioni? –
– No. –
– Potremmo andare
a fare shopping... –
Elena alzò gli
occhi al cielo e sbuffò l'ennesimo “no”, accompagnando la parola
col rumore sferragliante della chiusura dell'armadietto. Bonnie
strinse le labbra e lanciò un'occhiata furtiva a Jeremy, che inarcò
le sopracciglia in silenziosa complicità.
– Andrà tutto
bene. – disse loro con un fare rassicurante che era ben lontano da
come effettivamente si sentiva.
– Abbiamo
organizzato ogni cosa, non mi succederà niente. – aggiunse in tono
deciso, incamminandosi verso l'aula – Non succederà niente a
nessuno. –
Ma mentre parlava
sentiva la profonda menzogna di cui erano impregnate le sue parole e
ancora una volta desiderò con tutta sé stessa di non essere una
inutile ed indifesa umana. Ma era proprio l'umanità l'unica cosa che
le restava per sopravvivere, anche se questo, paradossalmente,
l'avrebbe potuta portare alla morte. Se così non fosse stato,
avrebbe già chiesto a Stefan di vampirizzarla. Eppure non aveva mai
osato, né lui aveva mai aperto il discorso. E decidere
adesso, in poche ore, sarebbe stato un imperdonabile colpo di testa.
Il rituale si
terrà questa notte, al culmine del Plenilunio, nella radura del
bosco nei pressi della cascata. Siete invitati a presentarvi con un
certo anticipo: le dieci sarà un orario perfetto.
sempre vostro,
Niklaus
Elena sentì le
lacrime premerle contro le palpebre mentre camminava tra le due ali
di armadietti, in mezzo ai suoi compagni del liceo, sotto gli
striscioni che annunciavano l'ennesimo ballo a tema. Li aveva
preparati lei assieme a Caroline, se lo ricordava bene quel
pomeriggio, indaffarate con colla e forbici, tra le risate e le
sciocche confessioni adolescenziali.
Si bloccò in mezzo
al corridoio e si voltò rigidamente verso di loro.
– È solo un
venerdì di fine maggio. – dichiarò sentendo scorrere le lacrime
giù per le guance – Voglio viverlo in tutta la sua noiosissima
normalità. –
Bonnie piegò la
testa ed emise un buffo “ohw”, Jeremy l'abbracciò stretta.
– Però dopo
andiamo a fare shopping! – sentenziò la strega, unendosi
all'abbraccio – Jeremy ci tiene le borse, vero Jeremy? –
Nonostante tutto,
riuscirono a farsi sfuggire una risata.
~~~
Nora strizzò gli
occhi nella luce rossa del tramonto e portò una mano alla fronte per
vedere meglio i colori della vetrata della chiesa. Erano di una
fattura davvero mirabile. Ne apprezzò a lungo l'effetto cromatico e
poi si sedette sugli scalini del sagrato, col mento posato sulle
mani.
Non pregava mai. Da
umana, le era stato dimostrato quanto le preghiere fossero inutili. E
in più di un'occasione. Era anche per quello che all'inizio non
aveva affatto capito perché la volevano lassù. Perché proprio lei,
aveva chiesto loro. Non aveva ottenuto risposta ovviamente. In
seguito le risposte sarebbero arrivate da sole, e adesso sapeva il
perché.
Soffiò via l'aria con uno sbuffo e con essa si dileguarono anche quei pensieri. Comunque fosse andata, quella missione stava per finire e Nora doveva ancora assimilare la cosa. Aveva poche ore per abituarsi all'idea che avrebbe dovuto abbandonare nuovamente quel piano e tornare lassù ad annoiarsi. A non provare niente. All'inizio era stato magnifico, si era sentita pacificata. Ma adesso... le era bastato riavere un corpo per capire che era quello ciò che cui aveva bisogno. Non era un pensiero da Virtù Angelica, ma era il suo pensiero. E chissenefrega.
Quando li vide
arrivare, si alzò in piedi con un sospiro, spazzolando i jeans. La sua
ora di libertà era finita.
– Pronti? –
– Se così si può
dire. – commentò Pas.
– Dove sono...? –
La domanda di
Stefan fu interrotta dal rumore dei freni dell'auto. Due ragazze
ridacchianti e un po' brille aprirono le portiere e scesero,
salutando allegramente. Erano seguite da un impacciatissimo Jeremy,
che riuscì a raggiungerli solo dopo essersi districato da una
montagna di borse e sacchetti stipati sul sedile posteriore.
Gli uomini
ammutolirono di stupore. Nora si morse un labbro, trattenendo una
risata.
Fasciata nel suo
vestitino nuovo, Elena prese per mano Stefan e si fece volteggiare
davanti ai suoi occhi.
– Ti piace? –
gli chiese con un sorriso.
Stefan alzò le
sopracciglia e aprì la bocca, incapace di emettere alcun suono.
Infine annuì mesto e le sorrise.
– Rischiare la
pelle non giustifica alcuna caduta di stile. – sentenziò Bonnie,
con una mano sul fianco e l'altra a cingere la vita di Elena.
La ragazza annuì:
– Caroline sarà molto soddisfatta quando vedrà come siamo
eleganti. Dice sempre... che... –
La frase le morì
in gola. Quel nome. Un silenzio tombale scese sul gruppo.
~~~
Klaus era così
puntiglioso... fino allo sfinimento. Quella svista era imputabile
solamente alla concitazione degli eventi di quei giorni. Non era
spiegabile in altro modo.
Katherine
s'immobilizzò e roteò appena la testa, aguzzando le orecchie.
Nessuno. Posò le mani sul coperchio della bara. Era il momento di
scoprire chi era celato con gran cura da Klaus.
Quando l'aprì,
ebbe un sobbalzo. Non per la sorpresa, ma perché quello implicava
una totale rivalutazione dei ruoli. Dunque, non era stato lui
a tradirla.
Si soffermò appena
su quei lineamenti familiari. E la sua mano già si chiudeva sul
pugnale. Lo estrasse con un movimento secco e restò in attesa,
tentando di razionalizzare quello che aveva appena fatto.
Elijah parve
restare immutato in quella morte apparente. Poi i suoi occhi si
sbarrarono, vuoti, e ispirò l'aria con un lungo rantolo rabbioso.
Katherine fece un
passo indietro, il braccio piegato davanti a sé, pronto a
ricollocare il pugnale nella sua sede. Le mani di Elijah artigliarono
i bordi della bara e il suo volto ne riemerse, emaciato, sfigurato
dalla sete. Katherine non aveva nulla per nutrirlo – non aveva
preventivato quello. Tentennò. Infine fece sparire il pugnale
in una tasca dei jeans e gli andò incontro.
Elijah la fissò
con occhi imperscrutabili mentre lei lo sosteneva, aiutandolo ad
uscire dalla bara. Katherine si sbilanciò: era dannatamente pesante.
Caddero insieme a terra, in ginocchio, le braccia intrecciate.
– Non hai un
bell'aspetto. – ebbe la spudoratezza di commentare.
Katherine
sogghignò: – Senti da che pulpito. –
~~~
La pizza più
sentita della storia delle pizze. E il bello era che a Bonnie non era
mai piaciuta granché. Poi quella della Pizza Hut... ugh!
Eppure fu con
autentico gusto che l'addentò. Il motivo era così palese che non
c'era bisogno di darne voce. Tutti loro stavano attorno al tavolo del
pub e mangiavano con entusiasmo quella che avrebbe potuto essere
l'ultima pizza in compagnia del vicino di tavolo – o l'ultima pizza
in assoluto.
– Posso unirmi? –
Otto teste si
voltarono. Otto occhi si piantarono sulla figura. Otto bocche, che
stessero masticando o addentando o parlando, si aprirono per l'incredulità.
Elijah si avvicinò
e con un movimento elegante prese posto tra di loro.
– Dopotutto,
l'ultimo invito a cena è stato bruscamente interrotto. –
Ancora nessuno
aveva trovato qualcosa di degno da dire.
– Suppongo che
questo... – l'Antico infilò una mano nella tasca interna della
giacca, causando la subitanea reazione dei presenti.
Bonnie si preparò
a friggerli i neuroni, senza peraltro essere sicura che su un tipo
come lui quel potere funzionasse. Ma Elijah sorrise appena alla vista
delle minacciose zanne sfoderate e dei paletti rivolti contro di lui,
e proseguì con noncuranza.
– … appartenga
alla tua famiglia, Elena. –
Posò sul tavolo un
involto di stoffa consunta. L'involto che conteneva il pugnale magico
e la boccetta con polvere della quercia bianca.
Elena lo prese con
cautela, per poi consegnarlo nelle mani di Pas.
– Perché? – se
ne uscì Stefan.
– Vi ho già
illustrato i miei motivi. – disse alzandosi.
– Avevi detto che
il nostro piano faceva acqua da tutte le parti. – gli fece notare
Damon.
– Non è cambiato
niente. –
Bonnie si accigliò.
– Chi ti ha
liberato? – si sentì chiedere, come se un'altra voce avesse
parlato al post suo.
Elijah voltò
lentamente la testa verso di lei e piantò gli occhi nei suoi. La
strega rabbrividì. Lui si limitò a sorriderle, poi, così com'era
arrivato, girò i tacchi e si avviò all'uscita.
– Ci vediamo fra
due ore. Siate puntuali. – li salutò – Buona cena. –
Due ore?
Bonnie sentì
subitaneamente lo stomaco contrarsi in una morsa. Mollò sul piatto
il trancio di pizza che aveva iniziato prima: non sarebbe più
riuscita a mandare giù un boccone.
~~~
Klaus sospirò
nell'aria fresca e umida.
– Che luogo
idilliaco. Ideale per un sacrificio. –
Un borbottio molto
maleducato giunse alle sue orecchie. Si voltò verso la vampira e le
si avvicinò. Lei si sporse all'indietro, come in un patetico
tentativo di sfuggirgli. Le sollevò il volto con un dito, suscitando
un basso ringhio da parte del licantropo, che lo divertì parecchio.
Erano solo dei ragazzini. Non si rendevano nemmeno conto della
grandezza di ciò che stava per fare.
– Dovreste
essermi grati. – le sussurrò – Un giorno tutto questo sarà
narrato come una leggenda. –
Caroline assunse
una sorta di broncio.
– So che non
potete capire, ma fidatevi: state per entrare nella storia. –
aggiunse lui con un sorriso comprensivo.
– Maddox. –
chiamò, senza staccarle gli occhi di dosso.
Caroline adocchiò
lo stregone. Si avvicinò all'Antico con fare deferente e restò in
attesa. Le faceva gelare il sangue nelle vene.
Klaus infilò una
mano in tasca e ne estrasse un sacchetto di tela nera.
– Cominciamo. –
ordinò porgendoglielo.
Uno strattone
divise la coppietta. Caroline aveva tenuto stretto Tyler per tutto il
tempo, gli era praticamente abbarbicata. Il richiamo tremulo che gli
rivolse una volta separati, quasi lo commosse. Quasi.
– Caroline! –
le urlò dietro lui – Ti amo! –
Klaus nascose la
risatina nel palmo della mano. Erano davvero adorabili.
~~~
Scaraventata
sull'erba, Caroline tentò stupidamente di scattare verso Tyler, ma
uno scagnozzo di Klaus l'aveva già atterrata, strappandole
un'imprecazione. Poi ci fu un crepitio sinistro e alte fiamme si
alzarono intorno a lei. Ignara, Caroline vi si avvicinò: non sarebbe
stato certo un fuocherello a tenerla buona. Venne rispedita
all'indietro da un'onda d'urto.
Un cerchio
magico. – realizzò.
Digrignò le zanne
verso Maddox, che blaterava le sue litanie davanti ad una specie di
altare di pietra. Poi la voce di Klaus annullò ogni pensiero.
– Siete in
ritardo. –
Freneticamente
cercò con lo sguardo oltre le fiamme: anche per una vampira non era facile distinguere le forme attraverso
quella luce diretta. Quando li vide quasi urlò. No, urlò, ma
lo capì solo dopo, quando si voltarono a guardarla.
– Caro? Caro,
stai bene? –
La voce di Elena regalò una fitta al suo cuore morto. Gli occhi cominciarono a gonfiarsi di lacrime.
– Elena! – le
rispose.
– Commovente. –
le sbeffeggiò Klaus.
Disse
qualcos'altro, ma fu seppellito dal un urlo straziante. Caroline si
morse il labbro.
Tyler.
All'interno del suo
cerchio di fuoco, il ragazzo stava rantolando sul terreno, lasciando
posto al licantropo. E Caroline seppe che la luna stava per
raggiungere il culmine.
~~~
– Commovente. –
Sul volto di Klaus
danzavano le fiamme, conferendogli un aspetto demoniaco perfettamente
in linea con il lui. Stefan sentì Elena stringersi istintivamente –
e inutilmente – a Stefan.
– È ora, Elena.
– le tese la mano – Spero che tu abbia salutato i tuoi cari. –
Lei chiuse gli
occhi e annuì. Avanzò, le braccia incrociate sul petto, e Stefan
dovette fare violenza a sé stesso per non impedirle di andare via.
Mentre Klaus l'accompagnava vicino ai cerchi di fuoco, la vide
voltarsi un'ultima volta a guardarlo. Cercò di apparire sereno, di
trasmetterle tranquillità... ma si sentì come se fosse lei a
rassicurare lui.
Era tutto a posto.
Faceva parte del piano. Si concentrò su quei pensieri mentre
osservava Klaus che le diceva di fermarsi e camminando all'indietro
tornava sui suoi passi. L'ultima cosa che vide prima del levarsi
delle fiamme, fu lo sguardo perduto di Elena.
Damon lo prese per
la spalla e capì che era il momento di farsi da parte. Con uno
sforzo immenso, lo seguì, dileguandosi tra le fronde buie.
~~~
Klaus non aveva
bisogno di chiedere. Sapeva che tutto stava andando per il verso
giusto – non poteva essere altrimenti. Per cui, nel momento in cui
si avvicinò a Maddox e sentì la sua tensione, la attribuì allo
sforzo impiegato nell'incantesimo. Mai si sarebbe aspettato quelle
parole.
– Abbiamo un
problema. –
Il suo volto di
fece pietra. E sebbene lo stregone fosse estremamente abile a
mascherare le proprie emozioni, per Klaus non fu difficile percepire
la sua paura.
– No. – si
sentì dire.
Non poteva essere.
– La pietra. –
Maddox la indicò, posata sul grande masso piatto davanti a loro, con
l'aria di chi ha il timore anche solo di toccarla. – È un falso. –
Klaus tremò e
infine esplose. L'urlo rabbioso si diffuse nella radura e riecheggiò
tra gli anfratti di roccia.
– Qualcosa non
va, fratello? –
– Tu. – sibilò
ancor prima di voltarsi.
Come si fosse
liberato era del tutto secondario. Adesso aveva solo una gran voglia
di commettere un fratricidio.
Maddox levò il
braccio, ma lui lo bloccò con un ringhio secco. Dopotutto, Elijah
era suo fratello, e si sa che i panni sporchi si lavano in famiglia.
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Note
Errata corrige:
questo è il penultimo capitolo. Chiedo venia, ma ci sono troppe cose
da dire e se le metto tutte insieme fa effetto scatola di sardine –
o finale alla Dracula di Stoker fate voi.
Capitolo
15
~
Dove
a dare il meglio di sé si finisce col rimetterci
– Visto? – fece
Pas rivolto a Damon, quando si sentì l'urlo di Klaus. – Te l'avevo
detto che non c'era bisogno di segnali. –
Damon emise uno
sbuffo di sufficienza.
– Bonnie. –
fece Stefan alle loro spalle – Sai cosa fare. –
La strega li doppiò
silenziosa e camminò decisa verso Maddox.
Pas si rannicchiò
sull'erba ed estrasse dal pastrano il pugnale e le due boccette.
– Voi occupatevi
dei tirapiedi, così posso avvicinarmi a lui. – illustrò mentre
imbeveva il pugnale delle due sostanze.
Non era granché
sicuro che il procedimento fosse quello, ma tant'è... non avevano
molto tempo per testare l'adeguato funzionamento dell'arma.
– Sì, e ti
becchi tutto il divertimento. – commentò Damon seccato.
Pas nascose il
pugnale, ormai pronto, nel punto migliore da cui estrarlo.
– Non ti perdi
niente, c'è già Elijah che ci sta già rovinando la festa. –
commentò muovendo appena la testa verso la radura.
I tre si voltarono
a guardare la scena. C'era poco da scherzare: mai nella sua vita
Pascal Serrault aveva assistito ad uno scontro tra due Antichi. E lui
ne aveva viste di cose che voi umani...
Sentì Damon
schiarirsi la voce: – Tutto sommato... meglio così. –
– Très bien.
Basta con le ciance. – Pas roteò due paletti nelle mani e li porse
loro dalla parte del manico – Abbiamo una doppelgänger da salvare.
–
E lui aveva una
ragazza da riprendersi.
~~~
Caroline e Tyler –
Tyler, il suo amico d'infanzia, che adesso giaceva sull'erba
emettendo lamenti strazianti – erano ad un passo da Elena, eppure
non poteva nemmeno parlarci. Le grida e il crepitio dei fuochi
attorno a loro e il fragore vicino della cascata: tutto quel chiasso
la stordiva.
Poi, d'un tratto,
così come si erano manifestate, le fiamme si spensero. Cieca nel
buio improvviso, Elena si rannicchiò istintivamente a terra e
attese, col cuore in gola.
Caroline gridò
qualcosa, ma non capì: le parole si persero nell'orgia di suoni che
si stava scatenando attorno a lei. Grida, tonfi, ringhi,
agghiaccianti rumori di ossa spezzate, il tutto accompagnato come in
sottofondo dalle arcane litanie che Bonnie e Maddox si lanciavano
addosso. Nell'aria, assieme ai fumi dei fuochi ormai spenti, iniziò
a spargersi un tanfo acre e nauseabondo di sangue.
Quando sentì una
mano sulla sua spalla, saltò su con un grido strozzato. Poi il vento
le portò un odore familiare e, ancora prima che parlasse, Elena
stava stringendosi spasmodicamente Jeremy – al suo fratellino. Le
pupille, adesso abituate alla luce fioca della luna, poterono
distinguere altre due sagome: quella alta e massiccia di Alaric, e
quella bassa e minuta di Nora.
Un fascio di luce
che non era luce li investì, caldissimo e abbagliante. Ad
Elena sembrò di tornare a respirare dopo una lunga apnea. Quando
riuscì a riacquistare la vista, incrociò il suo sguardo stupito con
gli altri.
– Non sapevo che
brillassi di luce propria. – fece Alaric rivolto a Nora.
Effettivamente
appariva come accesa da un alone soffuso.
– Presente
l'aureola? – borbottò lei – È la versione due punto zero. –
Quello scambio di
battute fu paradossalmente comico in quella situazione.
– Tutto bene? –
le chiese Jeremy.
Elena annuì
automaticamente con un febile “sì”.
– Dov'è
Caroline? – chiese, rendendosi conto che là dove prima sorgevano i
cerchi di fuoco non c'era più nessuno – Dove sono lei e Tyler? –
Alaric scosse la
testa: – Spero molto lontano da qui. –
Poi la voce
cantilenante di Bonnie si spense in un lungo grido. Le dita di
Jeremey si conficcarono dolorosamente sulla spalla Eleba,
strappandole un lamento. Sentì suo fratello scattare in avanti, ma
Alaric lo agguantò, facendolo rotolare a terra, e contemporaneamente
Nora gridò “no”.
– Dovete starmi
vicini! – intimò – Non arrivo cinque metri di... –
– Devo andare da
lei! – la interruppe Jeremy con voce ansiosa – Non possiamo
lasciarla da sola... lei non lascerebbe nessuno, io devo... –
Intervenne Alaric,
sciorinandogli un sacco di belle ragioni per le quali non era il caso
di andare lì, e ne nacque una discussione.
Poi una sagoma
grottesca spuntò dal buio: sembrava un mostro con troppe braccia. Il
mostro era dotato di favella e conosceva molti epiteti poco eleganti.
Quando entrò nel raggio di Nora, le imprecazioni toccarono entità
divine ed Elena sentì l'angelo chiedere scusa a nome del mostro. Poi
una parte del mostro parve staccarsi e rotolare a terra.
Era Bonnie,
svenuta. Jeremy si lanciò verso la sua ragazza e la trascinò a sé.
– Mi devi un
favore. – fece l'altra metà del mostro in tono seccato.
Adesso che guardava
meglio, non era che Damon.
~~~
A Nora non piaceva
il suo aspetto. Per niente. Avrebbe voluto poter estendere la sua
protezione anche alle creature oscure, ma era semplicemente
antitetico. Decise di fare finta di nulla: l'avrebbe curato alla
fine. Avrebbe curato tutti loro.
Alaric gli chiese
di Pas, ma Damon scosse la testa.
– Non lo so.
Stavo sistemando un tizio, poi Bonnie si è messa a sputare sangue e
a parlare in aramaico al contrario. Ho fatto fuori Maddox e l'ho
portata qui. – riassunse.
Jeremy lo guardava
con tanto d'occhi.
– Adesso ci penso
io. – lo rassicurò.
– Stefan? –
chiese ancora Alaric.
– Ho perso anche
lui. – confessò, saettando lo sguardo da lui ad Elena.
La ragazza gli si
avvicinò e Nora distolse lo sguardo. Scambiò un'occhiata con Alaric
e decise che era il momento buono per occuparsi di Bonnie.
~~~
– Niente musi
lunghi. Te lo riporto tutto intero. –
Elena annuì e
abbassò lo sguardo, stretta nelle braccia. Damon tirò giù la
manica della maglia con un movimento automatico. Avrebbe voluto per
lo meno abbracciarla un'ultima volta. Era veramente una scena
patetica.
Allungò una mano e
incontrò la barriera alzata dall'angelo. Sfrigolava tra di loro, di
un biancore irreale. E bruciava da matti, ma non volle allontanarsi.
Illuminata da quei bagliori, Elena gli sorrise, e a sua volta alzò
una mano verso la sua.
– Cerca di
tornare anche tu tutto interno. – gli disse piano, con le lacrime
gli occhi.
E per un lungo,
perfetto attimo, gli apparve in tutta la purezza di cui l'aveva
ammantata e con cui l'aveva amata. Quello era forse ancora meglio di
un abbraccio. Adesso sì che era pronto a tirare le cuoia.
Ma fu solo,
appunto, un attimo. I rumori della battaglia alle sue spalle
infransero quel momento, richiamandolo al dovere. Abbassò la mano e
di nuovo, senza pensarci, tirò giù la manica.
– Torno a menare
i cattivi. – sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso e
fece per andarsene.
Damon!
Il richiamo lo fece
accigliare. Guardò Nora interrogativo e, appena notò dove puntava
il suo sguardo, la fulminò.
Non dire una
parola. – le ingiunse.
Le labbra strette e
il cipiglio contrariato, l'angelo spostò lo sguardo dal suo braccio
a i suoi occhi.
Come ti pare, ma
dopo facciamo i conti.
Sì, signora
maestra!
Sentì i loro
sguardi sulla nuca mentre si allontanava.
~~~
Non c'era una parte
di Stefan che non fosse lorda di sangue. Il sangue caldo e aspro di
altri vampiri cui aveva strappato arti e organi a volontà. Si guardò
attorno: l'unica figura che campeggiava assieme a lui su quella selva
di cadaveri, indossava un inconfondibile pastrano.
– Sei ferito. –
lo apostrofò quando Stefan lo raggiunse.
Seguì con gli
occhi la direzione da lui indicata e si tastò il petto, perplesso.
Non se n'era nemmeno reso conto. Eppure, a pensarci, faceva anche
male. E non si rimarginava. Scosse la testa: ci avrebbe pensato dopo.
– Anche tu. –
notò, adocchiando come una gamba fosse già fasciata.
– Niente che non
possa risolversi con un laccio emostatico. – fece lui, stringendo
con uno strattone le bende ormai intrise di sangue
Poi lo squadrò e
aggiunse in tono ironico: – Divertito? –
Gli rispose con un
ringhio secco, osservandolo distrattamente mentre ripuliva i paletti
e li riponeva nelle tasche.
– Oh, non essere
timido mon ami. – gli diede una pacca sulla spalla –
Lasciati andare. Ogni tanto un'orgia di sangue fa bene. Come ai
vecchi tempi. –
Stefan preferì
ignorare l'argomento.
Schioccò la
lingua: – Dov'è Klaus? –
Lo vide bloccarsi e
tendere le orecchie.
– Credo che la
lite familiare si sia spostata... – alzò una mano e voltò
lentamente su sé stesso – di là. –
Lo seguì mentre
andava in direzione della cascata. Adesso che ci faceva caso, sentiva
anche lui dei rumori di lotta provenire da quella direzione. Ma
concentrato com'era a captare qualsiasi suono riconducibile ad Elena,
non ci aveva ancora fatto caso.
Stefan restò
pietrificato quando li trovarono. L'acqua della cascata era rossa del
loro sangue. Si stavano distruggendo a vicenda. A tratti vedeva le
loro figure lottare tra i flutti o lanciarsi tra le rocce. Erano
veloci – troppo veloci.
– Ce l'hai ancora
il paletto che ti ho dato? – fece Pas.
Stefan lo estrasse
dalla tasca dei jeans.
– Stammi dietro e
quando ti dico “ora”, usalo. In fretta e più forte che puoi. Al
resto penso io. –
~~~
Elijah un tempo
aveva avuto un fratello. Quello con cui si stava azzannando, non ne
era che un pallido ricordo. Per cui era con il cuore leggero di chi
si libera di un vecchio fantasma che si era disposto, ormai da tempo,
a porre fine alla sua grottesca vita. Ma nella realtà, ciò che
andava fatto gli si stava rivelando mostruosamente doloroso da applicare.
– Io mi fidavo di
te! – gli ruggì Klaus, le dita artigliate alla sua gola.
Le spezzò una ad
una, liberandosi dalla sua morsa. Gli piegò il braccio dietro la schiena
e lo forzò ad immergersi nell'acqua. Klaus si liberò e con un balzo
andò ad appollaiarsi su una roccia, pronto ad attaccare.
– Ti ho perdonato
nonostante il tuo tradimento. – ringhiò – Sono stato generoso. –
Elijah non si fece
sorprendere, ma il colpo fu comunque violento e si ritrovarono ancora
una volta a lottare sotto l'acqua gelida. Riemersero con un rombo
sordo, scaraventandosi via a vicenda.
– E tu come mi
hai ringraziato? Come?! – continuava Klaus, nel suo monologo
isterico.
Era fuori di sé.
Comprensibile.
Ma, rifletté
freddamente Elijah, questo lo metteva in svantaggio. Lui aveva già
avvertito la presenza di Serrault e del minore dei Salvatore.
– Se capissi,
fratello, mi ringrazieresti. – gli sussurrò, sapendo che l'avrebbe
sentito.
Gli si avventò
addosso. E Klaus, che fino a quel momento era sempre stato il primo
ad attaccare, per un momento restò stupito. Un momento di troppo.
Mostrò il fianco ed Elaijah ne approfittò. Afferratolo per le
spalle, lo scagliò in una ben precisa direzione.
Pascal urlò
qualcosa. Poi vi fu un rumore sordo. E un tonfo.
Elijah chiuse gli
occhi. Quando li riaprì, il dampiro sovrastava il corpo esanime di
suo fratello, il pugnale tenuto alto in mano. Senza nemmeno
rendersene conto, gli fu affianco, la mano serrata sulla sua.
Si guardarono per
un lungo momento, poi Serrault comprese. Gli lasciò il pugnale e si
allontanò con Salvatore.
~~~
Quando Bonnie
iniziò a percepire qualcosa, oltre al buio ovattato in cui era
crollata, si rese conto che il mondo intero dondolava e che il sole
stava sorgendo. Poi Jeremy le disse qualcosa che lei non afferrò, e
comprese di essergli in braccio. Era tutto finito? Socchiuse gli
occhi nella luce dell'alba e si strinse addosso al suo ragazzo.
Quando li riaprì, stavano varcando la soglia del maniero.
Gli altri stavano
dicendo qualcosa mentre Jeremy l'adagiava con cautela sul divano del
salone. Contavano gli assenti, probabilmente, ma comunque lei non
capiva nulla, né aveva la forza di provarci. Poi Jeremy le
s'inginocchiò davanti e senza dire una parola le mise al dito il suo
anello magico. Il sangue scorse veloce fino alle guance e Bonnie si
ritrovò improvvisamente lucida. Devastata dalla stanchezza e dai
dolori, ma lucida. E imbarazzata.
Paonazza, lanciò
ad Elena uno sguardo che gridava “aiuto”. Lei nascose un
sorrisetto. Bell'aiuto che le dava!
– Andiamo a
cercare gli altri. – se ne uscì Alaric, da molto, molto lontano.
Jeremy annuì. Le
lasciò un bacio sulla fronte e raggiunse Alaric. Benedetta la
prontezza di spirito del suo professore di storia!
~~~
Curare Pas non fu
una passeggiata: Nora non poteva applicare i suoi poteri curativi su
delle creature oscure, per cui dovette limitarsi ad affievolirgli il
dolore con il vecchio, poco celestiale – ma sempre efficacie – metodo
del rabbocco di whisky. Il resto lo fecero le sacche di zero negativo
dello scantinato dei Salvatore.
Il problema era
Stefan. Le sue ferite guarirono, in modo sospettosamente lento, ma
guarirono. Tranne una.
Nora lo agguantò
per un braccio e lo trascinò lontano dalle orecchie degli altri. Era
pallido e già sudava di un sudore malsano. Come facevano gli altri a
non accorgersi?
– Come te lo sei
procurato? – gli sussurrò tra i denti, pallida in volto.
Lui si accigliò: –
Non ne sono sicuro. –
– Stefan, io non
posso curarti, ma se capiamo cos'hai possiamo chiedere a Bonnie. –
insisté, con il gran brutto presentimento che lui sapesse
perfettamente cosa fosse.
– Credo che... –
Stefan abbassò la testa e si umettò le labbra – se è quello che
penso, Bonnie non può aiutarmi. –
Nora strinse gli
occhi e sospirò. Non poteva... non doveva essere quello. Non
anche lui.
~~~
Damon vagò intorno
alla cascata fino all'alba. Ci si buttò, con l'intenzione di
affogarsi. Poi si ricordò che non poteva crepare in quel modo.
Fradicio d'acqua e di disperazione, sputò una boccata sul prato e vi
si gettò. Fissò senza vederlo il cielo che si colorava di indaco e
viola, inghiottendo le ultime stelle. Giocava con l'anello: sarebbe
stato poetico uccidersi col levarsi del sole. Incenerito dai primi
raggi del mattino. Ma il sole si levò e lo colpì, trovando l'anello
al suo posto.
Sghignazzò tra sé.
Non aveva nemmeno le palle per farlo. Era patetico.
Si levò a sedere e
alzò la manica, osservando critico l'avambraccio. Imputridiva a
vista d'occhio. Si chiese che faccia avesse. Somigliava già a Rose?
Quanto ci avrebbe impiegato prima di dare di matto?
Abbassò la manica
e si alzò in piedi. Doveva procurarsi da bere. E uccidere Tyler. No,
prima avrebbe ucciso Tyler e poi si sarebbe fatto venire una cirrosi.
Infine, ubriaco, avrebbe cercato Pas e l'avrebbe provocato fino a
farsi impalettare da tutta la sua artiglieria.
Sì, era un piano
geniale. Peccato che perse i sensi prima di poterlo mettere in atto.
~~~
Il maniero sembrava
un lazzareto.
Elena non aveva mai
avuto la vocazione dell'infermiera, ma a mali estremi. Non storse il
naso davanti a tagli suppuranti né davanti ad ossa sporgenti da
ferite aperte. Fece quello che le si chiedeva di fare senza battere ciglio, maneggiò acqua
santa, sacche di sangue, erbe dall'odore nauseabondo e vecchi tomi
che Bonnie, debole com'era, non era in grado di reggere da sola.
Era il minimo che
poteva fare. Se strapparsi un braccio fosse servito a qualcosa,
l'avrebbe fatto. Aveva già offerto di far bere il suo sangue a
Stefan e Pas, ricevendo dei secchi rifiuti da parte loro, nonché i
rimproveri di Bonnie e Nora.
Continuava a
chiedersi che fine avessero fatto gli altri. Occhieggiava la porta
come se da un momento all'altro Alaric o Jeremy dovessero varcarla
con un cadavere in braccio. Pensava che erano stati troppo fortunati,
era convinta che da un momento all'altro sarebbe arrivata la batosta.
Non poteva
immaginare quanto i suoi timori fossero vicini alla realtà.
~~~
Per la settima
volta, Caroline cadde in ginocchio e si rialzò. Lei era forte, ma
Tyler era un pezzo di ragazzo di un certo peso. Casa Lockwood era lì
davanti a loro, ancora uno sforzo.
Aveva bisogno di
nutrirsi. Se ne rese conto nonappena bussò alla porta, incurante
dello stato in cui versavano, e venne ad aprirle la cameriera. Poteva
percepire il sangue caldo che le scorreva nelle vene. Caroline mollò a
terra Tyler e prima di capire cosa stava facendo, l'aggredì.
Quando si riprese,
si vergognò a morte. La donna era rannicchiata a terra, terrorizzata
e sanguinante. Le parve di rivedersi, appena un anno prima, e una
morsa allo stomaco per poco non le fece rigettare il sangue appena
bevuto.
– Guardami. –
le ordinò con voce tremante.
La donna alzò gli
occhi piangenti su di lei. Caroline si sforzò di pensare che era
anche per il suo bene – per il bene di tutti.
– Stai
tranquilla. Non ti succederà niente. – scandì.
La donna tirò su
col naso e annuì lentamente. Aveva smesso di piangere.
Caroline si morse
il polso e glielo avvicinò alle labbra: – Bevi. –
Quando la ferita fu
guarita, le disse di cambiarsi di abito e mangiare qualcosa.
Dimenticare quello che era successo, occuparsi d'altro.
La seguì con lo
sguardo mentre si allontanava con il passo incerto dell'ubriaca.
Forse avrebbe dovuto tenerla d'occhio: se moriva, sarebbe stata
responsabile della vampirizzazione di una donna innocente.
– Sei brava. –
La voce debole di
Tyler la fece voltare di scatto. Quando di era ripreso? Aveva visto e
sentito tutto?
Deglutì a vuoto,
sentendo svanire giù per la gola le ultime tracce di sapore del
sangue.
– Sì? È la
prima volta che lo faccio. – si sentì dire, manco dovesse
giustificarsi.
Tyler alzò le
sopracciglia.
– Non si direbbe.
– commentò, alzandosi dagli scalini del patio ed entrando.
Caroline si
affrettò ad aiutarlo. Gelò quando lui la respinse.
– Non ho bisogno
della tua pietà. – mormorò freddo.
Ansimava e si
reggeva in piedi a stento. Forse non avrà avuto bisogno della sua
pietà, ma del suo aiuto sì.
– Non era un
problema fino ad un attimo fa. – commentò risentita.
Se l'era trascinato
fin lì e quello era il suo ringraziamento? E vogliamo parlare di
tutte le volte che l'aveva assistito durante la mutazione?
– Non era un
problema nemmeno quando mi chiedevi... –
– Oh, sta zitta!
– le ringhiò addosso.
Caroline trasalì.
Non che le facesse paura: era talmente debole che non avrebbe potuto
torcerle un capello. Ma sembrava davvero incazzato a morte con lei e
non ne capiva il motivo.
– Si può sapere
che cosa ti ho fatto? – gli chiese esasperata.
Tyler si portò le
mani al volto e vi soffocò un lungo, basso lamento.
– Quando qualcuno
ti dichiara il suo amore in punto di morte, sarebbe buona educazione
che tu gli dia una risposta. – le spiegò lentamente.
Il flashback del
momento in cui li avevano separati e gettati nei cerchi di fuoco, le
riempì la testa, pietrificandola.
– Tyler... io...
–
– Per favore. –
la interruppe alzando una mano – Risparmiami le tue
giustificazioni. –
Incespicando, entrò
in casa e si diresse al piano di sopra. Caroline lo seguì a distanza
di sicurezza, senza avere il coraggio di toccarlo, benché vederlo in
quello stato la straziasse.
– Avevi bisogno
di una scopata. Va benissimo. – stava borbottando – Non ero mai
stato usato, ma con tutte le volte che l'ho fatto io... quando si
dice la legge del contrappasso. –
Cosa doveva dire?
Coma mai avrebbe potuto dire?
– Va
bene se te la do adesso la risposa? – sussurrò dietro di lui.
Tenendosi
saldamente al corrimano delle scale, Tyler si voltò.
– Non
prendermi in giro, Caro. – le scandì con sguardo addolorato –
Almeno questo. –
E
come avrebbe potuto?
– Non
lo so se ti amo. – confessò, sentendo bruciare tra loro ogni
parola che usciva di bocca – Ma so che non voglio perderti. –
Tyler
sembrò soppesare le sue parole. Assunse quella sua espressione
imbronciata che aveva sempre quando rifletteva su qualcosa di
difficile risoluzione. Era adorabile quando faceva così e Caroline
capì che, sì, in un certo senso lo amava. Forse non come intendeva
lui, ma lo amava.
~~~
L'aveva
trovato. Ci vedeva male, ma il puzzo era proprio quello tipico da cane
bagnato, per cui...
– Tu.
Mi devi un braccio. –
– Damon?
–
Ignorò
Caroline ed entrò in casa con passo barcollante, puntando dritto
(più o meno) verso Tyler.
– Creperai
con me, sacco di pulci. – fece in tono malfermo.
– Oh,
ma per favore! –
Perché
quell'oca non se ne stava mai zitta? Mosse un braccio con
l'intenzione di scaraventarla via. Con suo sommo disappunto, venne
bloccato.
– Adesso
ti riporto al maniero. – mugugnò lei.
– No.
– trovò la forza di protestare – Non ancora... –
– Scusa.
– disse poi lei, con fare contrito.
Damon
la guardò senza capire. Caroline gli portò le mani alla testa ed
ebbe il tempo di sentire quel orribile crock,
poi la sua visuale si fece distorta e infine si spense come una TV
cui era stata staccata la spina.
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Note
Sedicesimo ed
ultimo (e stavolta sul serio veramente per davvero) capitolo. Chiudo
questa fanfic un po' delusa dai riscontri, ma convinta ugualmente a
mandare avanti il progetto che ho in mente – se non altro lo devo a
me stessa. Per cui a breve pubblicherò il primo capitolo del sequel.
Grazie alle poche
affezionate che hanno commentato! Baci, e alla prossima!
Capitolo
16
~
Dove
si gioca allo scambio dei ruoli
–
Io non ho ancora
capito cosa aspetta a curarli. –
Bonnie
adorava il suo ragazzo, ma Jeremy delle volte era un vero testone.
–
Non posso! –
ribadì Nora in tono esasperato – Quante volte ve lo devo ripetere?
Sono delle creature oscure e io posso guarire solo gli esseri
umani... questo va oltre le mie capacità! –
La
voce di Bonnie si levò esitante.
–
Un modo c'è. –
obbiettò.
–
No! – ringhiò
Pas, pietrificando tutti i presenti.
La
strega ci accigliò. Aveva spulciato tutti i tomi alla ricerca della
più piccola informazione riguardo gli angeli, e tra le poche
informazioni aveva trovato per ben tre volte la stessa cosa.
–
Ma nei miei
grimori... –
–
I tuoi grimori
sbagliano. – la interruppe il dampiro, irritato.
Nora
levò le mani: – No, ha ragione. –
–
Stai scherzando?! –
proruppe Pas.
Ci
fu un silenzioso scambio di sguardi tra di loro. Infine Pas scosse la
testa con aria frustrata.
–
Un modo c'è. –
confermò Nora – Ma... come dire? Ho un colpo solo in canna. –
–
Stai dicendo che
puoi guarire solo uno di noi? – le chiese Stefan.
Lei
annuì e il silenzio nel salone si fece pesante. Nessuno aveva
contemplato quell'evenienza. Nemmeno Bonnie, a dire il vero. I suoi
grimori si limitavano a dire che un angelo poteva sacrificare le proprie
ali per salvare una vita: non specificavano che poteva farlo solo una
volta e per una sola persona, benché questo dettaglio, adesso che ci
pensava, era abbastanza ovvio da non dover essere precisato. Bonnie
si sentì stupida: come aveva fatto a non pensarci?
–
La vita dei
fratelli Salvatore nelle mani di una donna. – Damon rise amaramente
– Non ti ricorda qualcosa? –
–
È assurdo. –
disse Alaric – Non si può. –
Pas
allargò le braccia: – Ecco, bravo. –
–
No, voglio dire...
non può scegliere. –
precisò l'uomo – Non possiamo chiederle una cosa del genere. –
Era
evidente che, eccetto Pas, nessuno di loro sapeva cos'avrebbe
implicato per Nora fare quella scelta.
Damon
si batté le mani sulle cosce e balzò su dal divano.
–
La tolgo io
dall'impaccio. – annunciò giulivo.
~~~
L'intera
stanza gelò. Poi tutti si misero a parlare insieme e Stefan provò a
fermarlo, ma la sua ferita era più grave e Damon lo schivò senza
fatica. Schiacciata da ciò che aveva detto, Nora assistette a tutto questo
senza riuscire a proferire parola o muovere un muscolo.
Vide
Elena corrergli dietro gridando qualcosa e infine afferrarlo per il
braccio. Damon si liberò dalla sua presa con uno scatto irritato.
–
Oh, taci! – le
sibilò addosso – Non mi sono fatto coinvolgere in tutto questo
casino solo per renderti una specie di vedova affranta. Tu lo ami,
lui ama te... fatemi il favore di vivere felici e contenti per tutta
la fottuta eternità. –
Nora
sentì l'aura di Elena letteralmente respinta da quella di Damon.
Cosa non poteva fare la rabbia del secondo arrivato. Damon ci si
stava crogiolando: forse era l'unico modo per andare avanti, per
sopportare quegli ultimi momenti.
Quando
si dileguò verso l'ingresso, capì quanto fosse serio. Follemente serio. Fu
come una scossa.
Lo inseguì. Nana com'era, fu con una certa fatica che lo
raggiunse e riuscì a stargli dietro mentre a grandi falcate usciva
all'aperto.
–
Andiamo, non puoi
essere serio. – biascicò.
Poteva
vedere i muscoli del collo tesi e i rivoli di sudore malsano che già
gli inzuppavano il collo della maglia.
–
Non sono mai stato
così serio in vita mia. – fece lui secco.
–
Abbiamo tempo. –
gli annaspò dietro – Possiamo trovare una... un'altra cura, sì!
Un'alternativa. Ce n'è sempre una. Deve esserci. –
Damon
fermò all'improvviso la sua marcia e si voltò. Nora incespicò sui
propri piedi per non cadergli addosso. La prese per le spalle e la
raddrizzò con un movimento brusco.
–
Sai che non esiste.
–
Sì,
lo sapeva. Questo non le impedì comunque di aggrapparsi
pateticamente ad una speranza inesistente e accennare un vago “ma
se”.
–
No. Niente “ma”,
basta. – la stroncò.
A
Nora tremava il labbro. Le succedeva sempre, quando era umana: era il
preludio ad un bel pianto.
–
Finiamola con tutti
questi drammi. Usa i tuoi superpoteri su Stefan, avete la mia
benedizione, – gesticolò verso la porta del maniero – non
tornerò dall'oltretomba agitando catene e... oddio... risparmiami i
piagnistei, per carità! –
–
Io non sto... –
fece con voce nasale – ho qualcosa nell'occhio... –
Si
portò una mano al volto, sfregando via un inesistente bruscolo.
–
Vieni qua. –
Fu
più il tono burbero che l'abbraccio a commuoverla del tutto. Perché
le dava la misura di quanto anche lui ne sentisse il bisogno,
dopotutto. I gesti d'affetto di Damon si potevano contare sulle dita
di una mano (monca) e Nora già sapeva, anche se non aveva il
coraggio di rendere concreto quel pensiero, che quello sarebbe stato
l'ultimo gesto d'affetto di Damon Salvatore.
Tirò
su col naso e piagnucolò: – Cominciavi a piacermi. –
–
Lo so. – lo sentì
dire in tono ovvio.
Sbuffò:
spaccone fino all'ultimo, proprio. Sarebbe stato un peccato per il
mondo non avere più le sue battute al vetriolo.
–
Damon... –
–
È tutto a posto. –
la staccò da sé e le diede un buffetto sulla guancia, come se fosse
lei quella da consolare – Solo, assicurati che i menestrelli
tramandino la leggenda nelle loro ballate. –
Nora
inarcò un sopracciglio, chiedendosi cosa dovesse fare: ridere,
piangere ancora o picchiarlo molto forte?
–
Non posso neanche
chiederti cosa mi aspetta lassù, visto che il mio ascensore va solo
di sotto. – sospirò, abbassando il capo con aria affranta.
Lo
era veramente. Era del tutto perso. Per un attimo, Nora lo vide per
ciò che era, per ciò che aveva sempre intuito che fosse, sotto la
sua solita scorza amara. Un bambino che aveva bisogno di essere preso
per mano. E quanto avrebbe voluto poterlo fare.
–
Non ti perdi
niente. – gli disse piegando un angolo della bocca in un sorriso
mesto – Si divertono di più in cantina. –
Quando
rialzò il capo, stava ricambiando il suo sorriso.
–
Addio, Eleonora
Lauthinta. –
Nora
non riuscì a trattenersi: si aprì in un sorriso, uno vero. Aveva
pronunciato bene il suo assurdo cognome. L'“addio” non l'aveva
nemmeno registrato. Non credeva che l'avrebbe fatto subito. Non sotto
i suoi occhi. Non così.
Fissò
il vuoto davanti a sé: l'ultimo sorriso di Damon era ancora lì, le
aleggiava davanti come fosse presente e palpabile. Con il respiro
mozzato dai singhiozzi e la vista offuscata dalle lacrime, si chinò
sul mucchio di ceneri. Vi affondò una mano tremante e ne estrasse
l'anello. Lo pulì accuratamente con le dita, rivelando al sole le
venature del lapislazzuli, e lo strinse in pugno rialzandosi.
Si
voltò, asciugandosi la faccia nella manica e tirando su col naso. A
grandi passi raggiunse l'ingresso del maniero. Aveva qualcuno da
salvare.
~~~
Gli
occhi lucidi di Nora erano un segnale inequivocabile. Nessuno riuscì
a spicciare parola mentre gli consegnava l'anello di lapislazzuli.
Stefan lo prese e non capì se tremava per il veleno che lo stava
consumando o per il dolore che gli aveva appena strappato il
cuore. Lo strinse in mano e alzò la testa verso di lei, aprì la
bocca con l'intenzione di ringraziarla. Per cosa, poi, non lo sapeva.
Insignificanti parole che in quel momento non avrebbero certo
riempito la voragine che gli si era aperta nel petto.
Suo
fratello aveva deciso per entrambi e sarebbe stato schiacciato dal
rimorso del sopravvissuto per il resto della sua vita. Alla fine ci
era riuscito: si era vendicato.
–
Stronzo. – gli
uscì tra le lacrime.
Ignorò
sia gli sguardi allibiti che le risatine e chiese da bere. Nora si
unì alla sua richiesta e un attimo dopo tutti i presenti brindavano
alla memoria di Damon.
–
Se dobbiamo fare
questa cosa, facciamola subito. – fece Nora d'un tratto.
Ingollò
in un sorso il suo whisky e balzò in piedi, piazzandosi davanti a
lui.
Stefan
la occhieggiò tra i fumi della febbre e dell'alcol, e annuì mesto.
Elena lo aiutò ad alzarsi in piedi.
Pas
dovette dire qualcosa, di certo chiamò Nora, perché lei gli
rispose. Stefan si fermò in ascolto, ma non afferrò granché della
loro discussione. Solo un'ultima frase di lei.
–
Va bene così. La
mia missione è conclusa, sto solo... – sospirò e gli sorrise –
tornando a casa. –
Il
dampiro si tolse gli occhiali e si massaggiò la fronte con il dorso
sella mano. Poi l'abbracciò stretta. Si dissero ancora qualcosa che
Stefan, cotto com'era, non riuscì a cogliere. Piangevano tutti e
due, e lui non ne capiva il perché, ma non gli piaceva.
–
Non voglio... –
si sforzò di parlare, ma le parole uscivano smozzicate e lui nemmeno
sapeva bene cosa voleva dire – Se ci devi rimettere anche tu,
non... –
–
Non fare il
bambino. – lo rimbrottò Nora.
Poi
sussurrò qualcosa ad Elena che lui non afferrò, e avvenne una
specie di passaggio di mano.
–
Andiamo a fare una
passeggiata, ti va? – gli propose qualcuno – Un po' d'aria fresca
ti farà bene. –
Senza
capire come, si fece guidare fuori, nel giardino. Era una bella
giornata. I cespugli erano fioriti e i colori erano così brillanti
da ferirgli gli occhi, il loro profumo quasi insopportabile.
–
Qui... qui va bene.
–
Si
voltò verso la voce.
–
Katherine? –
mormorò – Siete bellissima. –
La
ragazza si adagiò sul prato in una nuvola di mussolina e sorrise
compita a quel complimento.
–
Guardate chi è
venuta a trovarci. –
Stefan
alzò lo sguardo verso la nuova arrivata. Aveva i capelli rossi. Gli
ricordava sua madre. Quando tornò a guardare il prato, Katherine era
svanita. Una ragazza identica era al suo posto. Piangeva.
–
Elena. – si
sorprese di sapere il suo nome – Perché piangi? –
Lei
non rispose. Solo gli lasciò un bacio sulla fronte e si allontanò.
Stefan
guardò confuso la ragazza dai capelli rossi.
–
Perché piangeva?
Lei lo sa, Miss? –
La
ragazza gli sorrise: – Perché fra poco parto. –
–
Oh... – Stefan si
sentì inspiegabilmente dispiaciuto, anche se non la conosceva – E
dove andate? –
–
A casa. –
Anche
lei si mise a piangere. A Stefan non piaceva vedere le lacrime sul
volto delle fanciulle: sua madre gli aveva insegnato che una donna
non si fa mai piangere, che è una cosa vile.
Allungò
la mano a sfiorarle il volto. Voleva cancellare quelle lacrime, ma
dovette ritrarre le dita perché scottavano. Poi la luce del sole si
fece troppo calda e troppo forte e Stefan dovette chiudere gli occhi.
~~~
–
Ohi! C'è nessuno?
–
–
È inutile che
gridi, tanto non arrivano finché non gli gira. –
–
E tu che ci fai
qui?! –
–
Potrei chiederti la
stessa cosa. –
–
Non ne ho idea. Non
dovrei essere su una graticola a farmi spellare vivo da qualche
demone cornuto? –
–
Non saprei, non mi
hanno detto niente sul destino della tua anima. Poi questi cambiano
idea continuamente. –
–
Non mi hai ancora
detto cosa ci fai qui. –
–
Lunga storia... –
–
Rispondi sempre
così. Prima o poi dovrai dirmi qualcosa di te. –
–
Ammantarsi di
mistero funziona sempre. Tu ci hai campato per un secolo e mezzo. –
–
Un secolo e mezzo
di fuffa... –
–
Uh? –
–
Che c'è? –
–
Stanno arrivando. –
–
Io non sento
niente. –
–
Non lo senti il
profumo di rose e lo squillo delle trombe? –
–
Oh, quello? Credevo
che ti fossi messa troppo profumo e avessi dimenticato attiva la
suoneria del cellulare. –
–
Ah-ah. Spiritoso. –
–
Una sagoma, eh?
Senti, ma dove siamo? –
–
Questa domanda me
la dovevi fare prima. Addio, Damon Salvatore. –
–
Come sarebbe
“addio”?! –
–
… –
–
Ehi! Svanire in
quel modo sarà anche fico, ma è da maleducati, sappilo! –
~~~
A
posteriori, Stefan non seppe dire esattamente da cosa venne
svegliato. Il buio in cui stava era assai accogliente e ci si staccò
con molta fatica. Appena i suoi sensi tornarono alla realtà, vennero
sovraccaricati contemporaneamente dall'odore del sangue che emanava,
dalla durezza del terreno sotto di lui, dalla luce diretta del sole
che gli feriva gli occhi, e da un suono lamentoso di difficile
identificazione.
Gli
venne subito da tastarsi il petto, ma non vi trovò nessun ferita,
niente di niente. Si guardò: era perfettamente guarito, nemmeno un
graffio. Ricordava poco dei momenti precedenti, ma sapeva di dover
ringraziare Nora: qualsiasi cosa gli avesse fatto, aveva funzionato.
Poi
ancora quel suono. Si stava facendo davvero insistente. Stefan si
decise infine ad alzarsi dall'erba e a guardarsi intorno, alla
ricerca della sua fonte. Era là vicino: la individuò avvolta in un
mucchio di panni.
C'era
un lievissimo, eppure reale, tum-tum
che proveniva da là sotto. Con la gola secca, Stefan ci si
accovacciò vicino e attese un po', inspiegabilmente impaurito, prima
che la curiosità avesse il sopravvento e si decidesse a sbirciare.
Allungò una mano a scostare il groviglio di panni e vide spuntare un
piedino. Era rosa e paffuto e scalciava.
Stefan
si rialzò di scatto, come folgorato, e si voltò, le mani infilate tra i capelli, turbato da mille domande. Una su tutte: cosa
ci faceva un neonato sul prato di casa sua?!
Si
girò nuovamente verso il fagotto e lo occhieggiò, atterrito da una
sensazione sconosciuta. Infine si azzardò ad avvicinarsi di nuovo.
Una ciocca rossiccia spuntava adesso dal groviglio, aggiungendo dubbi
a quelli che già gli gravavano addosso. Scostò del tutto il lembo
che copriva la testolina e incontrò un paio d'occhi d'un blu
annacquato, tipici dei neonati, ma già screziati di nocciola. La
creaturina aprì la bocca ed emise un suono gorgogliante, uccidendolo
di tenerezza.
Si
guardò attorno, come a cercare aiuto nei cespugli e negli alberi. Ma
sapeva che c'era solo una cosa fa fare: prenderlo e portarlo dentro
il maniero. 'Ché un giardino, per quanto bello e curato, non era
esattamente il luogo più adatto per un bambino in fasce.
Dunque si umettò le labbra e prese un bel respiro. Perché Stefan era
un vampiro, sì, ed era in grado di controllare la velocità, la
pressione e la forza dei suoi movimenti fino al microdettaglio. Ma
non era in grado di controllare i suoi sentimenti senza spegnerli e
in quel momento era agitato, come solo un uomo dotato di una certa
debolezza per le creature fragili ed innocenti può esserlo. Per cui
fu con l'ansia di un uomo – quintuplicata dal fattore di essere un
vampiro – che prese in braccio quella cosina.
Quando
varcò la soglia dell'ingresso, guardò le ragazze con estrema
gratitudine: aveva qualcuno di affidabile a cui scaricare quel
delicato fardello. Elena gli corse incontro, salvo arrestarsi di
botto e guardarlo con tanto d'occhi appena notò cosa teneva in
braccio.
–
Oh, mio Dio. –
scandì Caroline alle sue spalle.
–
Dove l'hai trovato?
– fece Jeremy sporgendosi e scostando coraggiosamente un lembo –
Ops... cioè, dove l'hai trovata? –
Stefan
tese le braccia disperatamente e Bonnie afferrò la bambina con
sguardo allarmato: sembrava l'unica là dentro ad aver intuito
qualcosa. Alaric allungò un dito, che la piccola prontamente afferrò
e strinse in un pugnetto.
–
Ha i capelli rossi.
– lo sentì mormorare.
–
Mon Dieu...
–
E
Stefan, come se non avesse subito abbastanza emozioni per quel
giorno, poté assistere al crollo del suo amico. Pascal Serrault,
infatti, dampiro di trecento anni, cacciatore di creature oscure, con
legami che spaziavano dalla Sacra Chiesa di Roma ai demoni minori...
era atterrito alla vista di una bambina.
~~~
Damon
Salvatore.
–
Conosco il mio
nome, grazie. Con chi o cosa ho l'onore di parlare? –
Il
nostro nome è impronunciabile per quelli come voi.
– “Quelli come
noi” in che senso? I vampiri, gli italiani, gli amanti del bourbon
invecchiato almeno cinquant'anni, quelli che non parlano con la voce
doppia e non si danno del plurale maiestatis...? –
Ci
era stato preventivamente comunicato che avresti reagito in questa
maniera. Non ne siamo impressionati.
– Be', non mi
alzo tutte le mattine per impressionate... te... voi... ma con chi
sto parlando? Sei una voce nella mia testa? –
Sei
stato scelto, Damon Salvatore.
– E sarò
super-efficacie, vedrete! Quindi è così una Sfera Pokè
all'interno, eh? Minimalista, direi. –
Gradiremmo
maggiore serietà da parte tua. Ti abbiamo facilitato il Passaggio
mettendoti in contatto con l'ultima entità con cui hai interagito
sul piano terreno. Un'accortezza riservata a pochi.
–
Grazie. Potreste
riassumermi quello che avete detto in una lingua corrente? Non ci ho
capito nulla. È tutto molto fico e altisonante, davvero, sono
proprio sbalordito... ma devo ancora capire dove diavolo sono. –
Questo
è il Limbo.
–
E dove sono il
bastone e la sangria? –
…
–
Ok, immagino che
intendiate quello dove stanno i marmocchi non battezzati e i filosofi
barbuti. –
Se
ti senti più a tuo agio ad immaginare questo Piano così, ti è
concesso.
–
Oh, quanta
generosità. Bene, sono decisamente a mio agio adesso. Guardate, sono
rilassatissimo. Allora? –
La
scelta di molti è legata indissolubilmente alle scelte del singolo,
e viceversa. In questo caso, ciò che è accaduto ha vincolato te.
Ovviamente, essendo dotato di libero arbitrio, anche tu hai il
diritto di scegliere. Ma dovrai ponderare attentamente: la tua
decisione potrebbe mutare...
– Mi dite subito
che volete scopare o balliamo tutta la sera con la vostra mano sul
mio culo? –
…
– Uhm... qua c'è
un problema di pronomi... –
Siamo
appena stati privati di una delle nostre Virtù Angeliche.
– Prendo un bonus
se dico che me ne frega qualcosa? –
Come
sostituto sei stato eletto tu, Damon Salvatore.
–
È uno scherzo? –
Non
siamo avvezzi a scherzare.
–
Sì, me l'avevano
detto che qua non ci si diverte. –
Ovviamente,
prima di ricevere un incarico di tale importanza, dovrai dimostrarti
all'altezza. Per cui, dovrai affrontare il normale iter di
addestramento cui ogni nuova entità angelica deve sottoporsi.
–
Ehi, io non ho
ancora firmato da nessuna parte. –
Se
sei ancora qui, significa che hai già accettato.
– Mhm... sapevo
che avrei dovuto studiare da avvocato come voleva mia madre. Be', in
cosa consisterebbe questo “iter di addestramento”? –
Ti
sarà affidata in custodia un'anima, dal momento della sua incarnazione
in un essere umano all'atto della nascita e fino al momento in cui il
suo corpo terreno decadrà.
– Che detto in
parole povere...? –
Sarai
l'angelo custode di una persona.
~~~
Pas
ignorò gli urletti e le parole zuccherose con cui le ragazze si
stavano divertendo a vezzeggiare la bambina, e si rivolse di nuovo a
Stefan.
–
Raccontamelo di
nuovo. Tutto. Lentamente. –
Incassò
l'occhiata esasperata di Stefan senza battere ciglio. Doveva vederci
chiaro in quella faccenda.
–
Oh, ma lascialo in
pace! –
Trafisse
Caroline con lo sguardo. Il sollievo di averla rivista, viva e tutta
– splendidamente – intera, era svanito nel momento in cui aveva
orecchiato certe confidenze tra lei e le altre ragazze. Confidenze
che avevano a che fare con un certo Tyler Loockwood, il licantropo, e
che stavano assumendo via via dei contorni che gli scatenavano certi
istinti omicidi nei confronti del ragazzo.
Poi
ogni pensiero era stato spazzato via da quella marmocchia con i
capelli rossi che Stefan aveva portato loro.
–
Ti ho già detto
tutto, Pas. – sospirò il vampiro stringendosi nelle spalle – Non
so davvero che altro aggiungere. –
–
E non ti ha detto
niente? – insisté lui, piccato – Nulla di nulla? –
Stefan
scosse la testa, provocandogli un modo d'irritazione.
Per
Pas era semplicemente inconcepibile. Nora non aveva segreti per lui:
com'era possibile che non glielo avesse detto?! Una scelta così
importante, poi...
Gli
aveva mentito. A lui! “Sto solo tornando a casa”,
gli aveva detto, con quell'espressione così sincera.
“Casa”.
Quella parola lo fulminò. Pas cominciò a capire, forse anche più
di quanto Nora stessa aveva capito nel momento in cui si era
sacrificata – di nuovo.
Forse
la sua scelta, per quanto andasse aldilà del comprensibile, era
un'occasione. Era l'occasione, quella con la “O”
maiuscola. La possibilità di ricominciare daccapo che Nora aveva
voluto dare a sé stessa. E a lui.
–
Bonnie. –
La
strega si voltò e lo guardò seria, come se stesse aspettando quel
richiamo da una vita. Scosse la testa ancora prima che lui parlasse.
–
Non chiedermelo. –
disse, terrea in volto.
Ma
Pas era sordo ad ogni avvertimento.
–
Tu puoi farlo...
dalle questa possibilità. – insisté giungendo le mani.
–
Fare cosa? –
intervenne Elena con aria preoccupata.
–
Non è per lei che
vuoi che lo faccia. – Bonnie si alzò in piedi e lo fronteggiò –
È solo per te stesso. E io non voglio essere lo strumento di un tale
abominio. –
Era
per questo che non gli piacevano le streghe: tutto quel potere, e poi
si facevano un sacco si seghe mentali a discapito degli altri.
Persino a discapito delle loro stesse consorelle. Ne sapeva qualcosa,
lui.
–
Ma lo sai! –
ringhiò, ormai fuori controllo – Sai che ricorderà ogni cosa! Hai
idea di quello che ha subito? Di quello che le hanno fatto? Aveva
solo quindici anni! L'hanno soggiogata e... mon Dieu... tu non
l'hai vista! Non sei stata tu a trovarla troppo tardi! –
–
Basta! –
Un
vagito lamentoso fu il preludio di un pianto dirotto. Elena era in
piedi e stringeva la piccola tra le braccia, mettendo a tacere tutti
con lo sguardo.
–
Lo farò. –
La
voce di Bonnie era un sussurro funereo.
–
E sarà l'ultima
volta che userò la magia. – aggiunse scandendo bene le parole.
Sia ringraziato
il cielo.
Pas
chiuse gli occhi. Quando li riaprì, Elena aveva già messo Nora in
braccio a Bonnie. Aprì la bocca per ringraziarla, ma lei lo
precedette.
–
Non farlo, Pascal.
– lo ammonì – Tutto questo ti si ritorcerà contro, un giorno. –
Abbassò
lo sguardo sulla bambina: – Prega solo che non si ritorca anche
contro di lei. –
A
Pas non importava un fottuto niente delle ritorsioni del destino.
L'unica cosa che gli interessava era che Nora potesse crescere
serena.
~~~
–
Mi prendete per il
culo?! –
Non
capiamo cosa vuoi dire.
–
Ah, già,
dimenticavo... niente senso dell'umorismo. –
Sei
pronto a ricevere il tuo incarico?
–
No! Ma perché io?!
Cosa vi ho fatto? Perché non sono già a farmi arrostire da qualche
caprone? –
Non
farci pentire della nostra decisione. Stai parlando di cose che
nemmeno conosci.
–
D'accordo. Mi
arrendo. Per me niente fiamme dell'Inferno. –
Adesso
sei pronto?
–
No-oh! Andiamo,
sono appena morto e già mi volette mettere un'anima in mano?! Ma non
avete visto il casino che era la mia vita? Non sono stato capace di
badare alla mia di anima, figuriamoci... –
Basta
così!
–
Ops... nervosetti,
eh? –
Per
quanto su questo Piano il concetto di tempo si applichi in maniera differente, dobbiamo
comunque sottostare al suo inesorabile scorrere.
–
Sottitolo: siamo in
ritardo. Ok, dov'è quest'anima? –
…
–
Ehm... yu-uuuh? –
tum...
tum... tum...
–
Ma fate sempre così
da queste parti? Siete davvero dei gran maledu... Oh. Mio. Dio.
–
tum...
tum... tum...
È giunto
il momento di lasciarti definitivamente al tuo compito. D'ora in poi, quest'anima è affidata a te.
–
Cosa?! No no no no!
Questo è davvero... insomma... non immaginavo che fosse così.
Sembra un... una specie lucciola. E perché pulsa? –
tum...
tum... tum...
Addio,
Damon Salvatore.
–
No, ehi! Un
momento... io non so... ma che devo farci? Come si tiene di un'anima?
Bisogna portarla fuori a fare pipì due volte al giorno? La innaffio
ogni mattina e la metto vicino alla finestra? Dov'è il libretto
d'istruzioni?! –
tum...
tum... tum...
Amala
e tutto ti sarà chiaro.
– “Amala”? È
tutto qui quello che sapete dirmi?! –
tum...
tum... tum...
– Ehi! –
tum...
tum... tum...
– Cazzo! Ehr...
scusa. –
tum-tum...
tum-tum...
– Ciao. Mi chiamo
Damon. –
tum-tum...
tum-tum...
– … –
tum...
tum... tum...
– Ma se sei
appena nata, non potrai rispondermi... cioè, magari non sai ancora
parlare. Oddio, datemi una padellata in testa! –
tum-tum...
tum-tum...
– Sì, lo so.
Abituati: zio Damon è strano e ci dovrai passare un bel po' tempo. –
tum-tum...
tum-tum...
– Quando ti parlo
pulsi più veloce, è un modo per dirmi che mi senti?
tum-tum...
tum-tum...
– Sì, mi sa di
sì. Bene, è già un passo avanti. Un giorno potremmo arrivare a
dialogare in alfabeto morse. –
tum-tum...
tum-tum...
– Però... un
corpo non ce l'ho più, ma se ce l'avessi mi piacerebbe toccarti.
Chissà che consistenza hai? –
TUM-TUM...
tum-tum...
– Oh, wow! Be',
grazie... e se ti dico che già un po' mi ci sto affezionando a te?
TUM-TUM-TUM-TUM-TUM
– Ok, ok! Non
farti venire un attacco di cuore! –
tum-tum...
tum-tum...
– Lo sai, credo
che ci divertiremo, io e te. –
…to be
continued...
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