Sarò tuo padre, sarò tua madre

di Deirdre_Alton
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Quando mi giunse la lettera del Sommo Re, accompagnata da poche gentili righe di mio padre, venni preso da uno strano sentimento. Era un miscuglio di felicità, dispiacere e paura.
Felicità perchè essere invitati a Camelot era il più grande onore che potesse ricevere un aspirante cavaliere.
Dispiacere nel sapere che un periodo della mia vita era terminato in quel preciso momento.
Paura... anche a me erano giunte quelle voci su mio padre. Certo, in mia presenza non si faceva che lodare la sua lealtà, il suo amore per Artù. Ma, quando i miei compagni credevano che io non fossi lì vicino, nel chiostro i loro bisbigli erano come veleno.
Ma io li perdonavo.
Sapevo che parlavano di cose che non conoscevano e per farsi belli l'uno di fronte agli altri, ingrandivano con la loro fantasia certe voci infondate.
Allora perchè avere paura?
Cercai di allontanare certi pensieri. Ormai ero lì, fuori dalle porte di Camelot, con il cuore in gola e tremante.
La primavera innondava le colline tutt'intorno, il verde smeraldo dei prati si perdeva a vista d'occhio.
Entrai.
In quanto figlio di Ser Lancillotto, destavo un certo morboso interesse. Le guardie alla porta mi fissarono con ammirazione, alcuni annunendo mentre si scabiavano bisbigli, «Assomiglia al padre nella corporatura, ma ha preso tutto il fascino della madre» osò farsi sentire un soldato, che fu subito fatto zittire con una gomitata dal vicino «shh! non puoi permetterti di parlare così di un santo». Il che fece trattenere a stento le risate del primo.
Io ero arrossito come una fanciulla, ma cercai di mantenere la mia espressione pacata... per quanto possibile.
La paura, salì come un'onda.
Quel soldato mi aveva chiamato santo, ma non lo ero nel vero senso del termine. Mia madre dopo avermi messo al mondo, avermi accudito da sola per sei anni, decise di ritirarsi a vita religiosa.
A sei anni non capii, pensai che fosse normale così (ovviamente dopo pianti a dirotto e risposte vaghe da chi mi aveva accolto).
Compresi solo molti anni dopo, con quelle voci nei chiostri del monastero dove venni messo ad imparare a leggere e a scrivere, perchè mia madre avesse deciso di prendere il velo.
Monastero, latino, saper leggere e scrivere, questi fattori facevano di me un santo. Conclusione alquanto affrettata, ma che se avrei tentato di controbattere con le mie sagge ed edotte parole pacate avrebbero solo aumentato le altrui convinzioni.
Lasciai correre, avrei lasciato correre, ormai quell'etichetta mi era stata affissa e me la sarei portata dietro a lungo, forse per sempre.
Scesi da cavallo e mi guardai attorno. Le costruzioni umane non mi hanno mai impressionato, per me l'uomo era nulla di fronte al creato di Dio. Vi prego, non credete che così parlando io stia cercando di sminuire Camelot, non ero certo abituato a tali imponenze. Ma non rimasi certo a bocca aperta. In quel momento ero troppo ansioso di presentarmi al Sommo Re e sottrarmi a tutti quegli sguardi che cercavano in me la somiglianza, se c'era, con il valente e grandioso Lancillotto.
Il capo della scorta che mi aveva accompagnato nella mia nuova casa, Anduin, si avvicinò a me, mi invitò a salire alcuni scalini che portavano ad una porta aperta di uno dei corpi laterali del castello ed entrammo.
Dopo alcuni istanti in cui i miei occhi si abituarno all'improvviso cambio di luce, davanti a me si presentò un andirivieni degno di un alveare.
Anduin mi sorrise «E' sempre così, sono certo che Ser Kay sia qui vicino. Posso lasciarti per pochi minuti?», annuii distrattamente appoggiando la schiena alla fredda e solida pietra del muro. Anduin si allontanò muovendosi agilmente scansando la servitù con il suo mantello svolazzante.
Fissai lo sguardo sul cortile dove il mio cavallo baio veniva portato verso le stalle con indolenza da un paggio con i capelli color del grano. Poi, il rettangolo di luce svanì. Nel riquadro si stagliava una figura alta e slanciata. Stava fermo immobile, anche se non vedevo il suo volto avevo l'impressione di essere scrutato. Uno sguardo indagatore diverso da quelli che avevo sopportato fuori.
Voltai la testa nell'altra direzione, verso il lungo corridoio e vidi Anduin avanzare con un uomo dal passo sicuro, le spalle larghe e rassicuranti e dai capelli rosso carota. Doveva essere Ser Kay, il siniscalco, fratellastro del Re. Mi staccai dal muro e Ser Kay disse avvicinandosi «Benvenuto a Camelot, Galahad figlio di Lancillotto. Bentornato Ser Mordred.»

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Sbattei gli occhi senza capire continuando a fissare Ser Kay. Poi quando sentii muoversi la figura che stava sulla porta ed entrò nel mio campo visivo, fu chiaro.
Era di tutta la testa più alto di me, dritto come un fuso, il volto chiaro, i capelli scuri, i tratti decisi ma non duri. Gli zigomi alti, il naso perfettamente proporzionato. Gli occhi neri ed insondabili, le labbra una riga dritta. Mi sembrò la perfezione. Un pensiero si formò in un istante e in un altro istante svanì. Volevo essere come lui, un uomo come lui. Io somigliavo più ad una candida fanciulla.
Mordred, Ser Mordred mi guardò negli occhi alcuni secondi, poi mi oltrepassò, strinse la mano a Ser Kay e sentii la sua voce, si rivolse ad Anduin «E' stato un viaggio tranquillo, Anduin?», non si aspettava una risposta, si voltò, mi rivolse un veloce cenno della testa e si addentrò nel castello con passo calmo. Non ebbi tempo di pensare a nulla perchè Ser Kay congedò il comandante Anduin, che salutai con gratitudine e poi il castello si aprì a me. Il siniscalco mi accompagò attraverso il labirinto di corridoi e scale, mi spiegò che avevo tempo per lavarmi, indossare abiti puliti, fare un piccolo spuntino e poi sarei stato accolto dal Sommo Re. E da mio padre.
Entrando nella camera che mi era stata assegnata pensai ad un errore.
Ser Kay notando il mio smarrimento iniziò a chiedermi gentilmente «C'è qualcosa...», «Un solo letto?» chiesi. Mi sembrò di sentire l'eco della mia voce in quella grande stanza, arredata per un re. Mi aspettavo di dividere la stanza con altri coetanei. Ser Kay rise divertito, si asciugò gli occhi e fissandomi rispose «Ragazzo, sai di chi sei figlio? Il figlio del migliore amico del Re merita questo ed altro». I suoi occhi ridevano, rassicuranti. Voltai lo sguardo concentrandomi su di un arazzo, stretto ed alto che stava tra due finestre.
«Ti mando qualcuno con l'acqua calda per il bagno», lo ringraziai, con un sorriso lui uscì.
Ero un idiota.
Un santo idiota.
Quando i due paggi se ne furono andati, dopo aver preparato la vasca di legno e aver steso sul letto l'abito che avevo scelto a caso nel guardaroba principesco, mi abbandonai ai miei pensieri.
Presi fiato ed affondai nella vasca, con la testa sott'acqua. Silenzio. No... lontani tonfi ovattati arrivavano alle mie orecchie.
Mio padre.
Non lo vedevo da dieci anni, di lui ricordavo poco, le sue mani grandi che mi ponevano davanti a se sul cavallo e poi mi deponevano davanti alla grande porta del monastero.
C'erano le sue gesta, l'eroe, il cugino di Artù... un uomo che non conoscevo e un uomo che non conosceva suo figlio. Mi fermai lì.
Tornai a prendere fiato, mi tolsi i capelli dagli occhi e iniziai a strofinare via dalla mia pelle la vita che mi ero lasciato per sempre alle spalle.
Mi vestii con calma, saggiando con le dita il fine tessuto delle brache marroni e della tunica verde bosco con intarsi dorati, strinsi la cintura, fissai sul fianco sinistro il fodero della mia spada. Quel fodero, ricamato pazientemente da mia madre era l'unico dono, oltre alla vita, che lei mi avesse mai fatto. Sì, avevo una spada, non ero un monaco. Ero il figlio di un principe, per dieci anni avevo studiato il latino sei mattine a settimana e nei restanti sei pomeriggi un maestro di spada, nel giardino privato del priore, mi aveva fatto sudare senza darmi tregua. Qualcosa avevo imparato.
Saggiai la spada, estraendola per una spanna, poi mangiai in piedi della carne freda e del pane bianco che mi era stato portato poco prima.
Un paggio bussò delicatamente alla porta, era venuto lì per accompagnarmi nella sala rotonda. Dopo aver chiuso la porta, fissando la schiena del giovane, feci un sospiro e mi incamminai cercando di sgombrare la mente. Mi concentrai sui miei passi, cercando di memorizzare le svolte che stavo percorrendo nei corridoi. Giungemmo di fronte ad una porta a due battenti, dipinta di rosso, con due grosse maniglie rotonde in oro, erano poste in alto e un uomo adulto per poterle toccare avrebbe dovuto alzare completamente le braccia. Ai due lati stavano due guardie armate di lancia, con al fianco una spada corta. Il paggio vedendo avvicinarsi un cavaliere, che a quanto pareva stava venendo lì per me, si voltò, si inchinò e corse via. L'uomo avanzava con scioltezza e con tutta calma, capelli ricci, castani leggermente ingrigiti sulle basette. Il petto ampio e amichevole, mi si avvicinò e sorrise bonariamente «Galahad figlio di Lancillotto! Ahah! Sei tutto tua madre ma con le spalle di tuo padre», mi mise una mano sulla spalla destra, riuscii a sentire il suo respiro caldo profumato d'idromele, strizzò un occhio «Sono Bors, spero che tu abbia sentito parlare di me qualche volta», cercai di rassicurarlo come meglio potevo e poi sempre tendendomi vicino, richiamò l'attenzione delle due guardie, queste si mossero all'unisono spingendo con forza le enormi ante del portone. Vidi finalemente la sala rotonda, la tavola rotonda.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

La luce delle candele sfavillava, si era fatta sera ormai. Al tavolo sedevano una cinquantina di cavalieri, era un tavolo davvero enorme. Mi sentii così piccolo. «Sommo Re, sono qui con il giovane che avete mandato a chiamare» la voce di Bors fece voltare tutti, ed io mi sentii ancora più piccolo. Ma Artù mi aveva già notato all'apertura delle porte, aveva fissato il suo sguardo su di me e l'unica cosa che riuscii a pensare fu che quello sguardo per me non era quello di uno sconosciuto, era quello benevolo di un vecchio amico. Il Sommo Re si alzò e i valorosi compagni lo imitarono, parlò con voce sicura di chi è abituato a trattare con i re «Sei il benvenuto Galahad, non indugiare fuori da questa sala, ti accoglieremo con onore».
Bors si staccò da me e mi diede una leggera spinta, respirai a fondo e camminai con passo deciso verso il Re, lo raggiunsi percorrendo il lato alla mia destra. Mi inginocchiai di fronte a lui, mi poggiò le mani sulle spalle, mi fece alzare, fissandomi negli occhi mi sorrise cordiale. Assomigliava moltissimo a... Mordred. In quell'istante percepii dietro al Re la presenza di suo figlio, nato prima del matrimonio di Artù con la regina, nato da una donna, una donna che era così strettamente legata…
Il Sommo Re si chinò per darmi il bacio del benvenuto e mi battè allegramente una mano sulla spalla e in quel momento i cavalieri esplosero sbattendo i pugni sulla tavola in segno di saluto. Almeno, così credetti. Ma non mi sbagliavo, tutti sorridevano e i paggi entrarono portando vino ed idromele in generosi boccali.
Alla mia sinistra, un uomo poco più alto del Re, con i capelli castano chiaro, vestito di blu oltremare, mi fissava. Ricambiai il suo sguardo e lo riconobbi. «Sei un uomo ormai, benvenuto a Camelot», mi baciò sulle guance, mi abbracciò brevemente e mi laciò lì.
Tutto qui.
Nessuna domanda.
Poche insignificanti parole.
Ma eravamo pur sempre in una sala di rappresentanza, essendo il vice Re, mio padre non poteva abbandonarsi a rimpatriate familiari, ci sarebbe stato tempo per tutto questo.
Il Re mi porse un boccale di birra calda spezziata che mi scaldò e spazzò via ogni pensiero. La birra mi fece bene, la primavera era sì arrivata, ma in alcune sere il vento di marzo colpiva ancora aspramente.
Mordred era lì vicino, seduto alla sinistra della sedia di suo padre, fissava disinteressatamente il boccale che teneva in mano, era vestito di nero, la sua tunica sebbene potesse sembrare austera aveva dei riflessi cangianti, segno che si trattava o veniva trattato bene.
Artù e mio padre si erano uniti ad alcuni crocicchi di cavalieri, guardai di nuovo Mordred che alzò lo sguardo ma non verso di me, ma verso quattro giovani che sembravano parenti, tutti con i capelli rossi. Due erano identici, due gemelli, uno dei due mi lanciò un'occhiata, parlò quasi all'orecchio al gemello e poi i due scoppiarono a ridere. Mordred poggiò di scatto il boccale sul tavolo, fulmineo si alzò, agilmente scansò sedie e cavalieri, andò verso il maggiore dei quattro ragazzi e mettendogli una mano sulla spalla gli fece cenno di uscire. Non vidi altro perchè Ser Bors mi trascinò a conoscere altri parenti che sapevano tutto di me che per mia sfortuna non avevo mai conosciuto.
Quella notte non riuscii a dormire molto, forse era complice il fatto che quella stanza mi metteva in soggezione. Forse il problema era che sapevo che oltre la mia porta, oltre il corridoio ed oltre un'altra porta, sopra un letto simile al mio, dormiva mio padre.
Lancillotto.
Il vice Re.
L'uomo che... aveva sposato una donna senza amarla, di questo certo non gli si poteva dare colpa, ma che non era mai riuscito ad amare. Quella donna gli aveva dato un figlio e lui non era mai stato veramente un padre. Il suo matrimonio era stato di facciata per dimostrare che non frequentava altri letti.
Quale falsità.
Così facendo aveva reso quattro persone infelici e la situazione era peggio di quella di partenza. La sposa con il velo chiusa tra quattro mura, un figlio non amato, l'amante ferita, lui sospettatato. Parlo duramente perchè posso nascondere i miei veri sentimenti alle altre persone, indossando la maschera del dotto santo. Ma era inutile mentire con me stesso.
Non avevo più dubbi, dopo aver visto la Regina, quei bisbigli nei chiostri erano diventate urla gracchianti nella mia testa, mentre mi rigiravo nel letto. La Regina Ginevra era intervenuta al consiglio circa mezz'ora dopo il mio ingresso nella sala, la tavola era stata liberata dagli incartamenti e imbandita per la cena. Io sedetti tra i miei cugini galli, lontano da Artù, mio padre e Ser Mordred che era furtivamente rientrato nella sala pochi istanti prima dei servi, assieme al fratello anzi fratellastro Gawain. Ora sapevo chi erano i quattro: Gawain il maggiore, Agravain e il gemello Gaheris e il più giovane Gareth. Figli di Lot, orfani di Lot e figli di Morgause, ora comodamente alloggiata in un monastero non troppo lontano da Camelot.
La Regina non cenò con i cavalieri, passò semplicemente a porgere il suo saluto, augurare una felice serata e vedere il figlio di Ser Lancillotto. Notai subito come i cavalieri si rivolgessero con decorosa umiltà alla Regina, a come Ginevra trattasse con cordialità Mordred e come ignorasse Lancillotto, a come lui forzatamente non si rivolgesse a lei.
Il Sommo Re mi fece cenno di avvicinarmi e lo raggiunsi. Lei era bella, degna di essere amata, ma non voglio sminuirla relegando la sua bellezza al solo suo involucro esterno. Dai suoi dolci occhi si intravvedeva intelligenza ma anche le sofferenze che portava con se.
Mi tese la mano, mi inginocchiai per baciargliela ma accostai solo le labbra senza nemmeno sfiorarla. La sua mano tremava.
Fù Artù a presentarmi «Mia Regina, ecco un nuovo promettente giovane alla nostra corte, Galahad».
Mi alzai ed osai guardarla. Intensamente.
Dio perdonami perchè ho peccato.
La misi volutamente in imbarazzo guardandola fissamente e sorridendole come un giovane che fingeva ingenuità.
Lei si mosse come per portarsi una mano alla bocca, ma si bloccò a metà del gesto, dopo essersi ricomposta, disse semplicemente «Siete il benvenuto giovane Galahad» una pausa esitante ed aggiunse «mi ricordate tanto vostra madre» guardò dietro di me. Lì c'era mio padre.
La ringraziai usando non so quali parole e poi venni congedato.
Lei lo amava. Lui amava lei, stranamente lo comprendevo e non riuscivo a fargliene una colpa.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

La mattina seguente tuffai la testa, per quanto ci potesse entrare, nella bacinella per le abluzioni. Avevo la vista annebbiata e non risolsi molto, se non ritrovarmi con i capelli zuppi a gocciolare per la camera. Mi sistemai, o cercai di sistemarmi ed uscii per fare colazione.
Guardando la porta della camera di mio padre sperai che anche lui uscisse in quel momento, ma non ci fu nessun movimento.
Mi misi a camminare, sempre più velocemente verso la sala da pranzo, la prospettiva di parlare con mio padre improvvisamente mi atterriva.
Dopo essermi adeguatamente nutrito in completa solitudine, ero una persona incredibilmente mattiniera a detta della servitù, mi posi una semplice ma decisiva domanda.
Cosa dovevo fare?
Vista la quantità di cavalieri presenti al castello, misi in discussione la necessità della mia presenza lì.
Optai per una passeggiata esplorativa, che mi portò verso le ampie mura. I soldati che incontrai lungo il cammino non diedero segno di riconoscermi, mi salutarono con un semplice cenno che io ricambiai e mi lasciarono girovagare senza problemi.
Camminando sulle mura, con l'infido vento di marzo che spazzava i rimasugli dell'inverno mi pentii di due cose. Di avere i capelli ancora bagnati e di essere senza mantello. Nonostante questo, nulla mi impedì di starmene tremante a fissare l'orizzonte, il sole era alle mie spalle ed incominciavo a sentire un gentile tepore riscaldarmi la nuca. Ero fermo in contemplazione di un gregge di pecore o capre su di una collina a meno di un miglio da lì, sentivo il suono delle campanelle e i richiami del pastorello.
Sentii distintamente il suono della campana di una chiesa e voltandomi verso l'interno della cittadella, cercai di individuarne la provenienza.
Vidi due torri campanarie, una mi diede l'impressione di essere appartenente ad una piccola cappella privata viste le ridotte dimensioni, non lontano dalla semicurva che riconobbi come la sala della tavola rotonda. L'altra invece era una chiesa vera e propria, dove ogni semplice abitante o pellegrino poteva ottenere il perdono e una benedizione.
Volai verso la mia stanza, presi il mantello con cui avevo fatto il viaggio, che era stato scrupolosamente spazzolato, poi andai in chiesa.
La mia era pura abitudine, altri la chiamarono santa devozione. Non mi preoccupai di quello che dicevano gli altri, trovavo conforto nelle azioni del prete, nei suoi movimenti sempre uguali ad ogni funzione. Lì mi potevo mescolare ai semplici e non ero il figlio di qualcuno, ero solo me stesso, un semplice ragazzo che attendeva di sapere cosa fare della propria vita.
Col tempo ovviamente la voce si sparse, frequentavo la messa mattutina abitualmente, ma nessun cavaliere venne mai a controllare di persona. A quell'ora erano impegnati con ben altre preoccupazioni, simili al vestirsi o a fare colazione. Dopo quella prima messa, non è che ritrovai me stesso, ma mi ricordai chi ero. Uscendo dalla chiesa mi diressi all'ingresso che avevo utilizzato il giorno prima per addentrarmi nel castello. Lì trovai seduti sugli scalini, i gemelli Agravain e Gaheris e poco più in là Gareth che dava alcuni pezzi di pane ad un cane nero di piccola taglia.
Agravain o Gaheris... fu il primo ad accorgersi della mia presenza, stava tagliando una mela a spicchi con il suo pugnale, guardandomi disse «Galahad» parlò lentamente scandendo le sillabe del mio nome, «quali urgenti affari ti portano fuori dal palazzo già a quest'ora?» sorrise ironico e poi mise uno spicchio di mela in bocca masticando piano, senza staccare gli occhi da me. Ora i tre paia di occhi dei figli di Lot erano tutti puntati su di me, feci per rispondere ma la voce di Mordred mi bloccò «Agravain» sembrava un comando, «e anche tu Gaheris. Ho fatto portare fuori anche i vostri cavalli. Muovetevi».
Mordred, che proveniva dalle stalle, era avvolto in un mantello nero, lungo fino ai piedi, i suoi capelli corvini avevano delle sfumature blu sotto la luce del sole crescente.
Gli rispose Gaheris o Agravain, ovvero il gemello che non aveva la bocca piena «Ma non dovevate andare solamente tu fratello» calcò quest'ultima parola «e Gawain?». Il tono della voce era vagamente supplichevole, ma al tempo stesso ironico.
«Stiamo aspettando voi per partire» Mordred non si fece impietosire e se colse l'ironia del fratello non lo diede a vedere. Voltandosi verso di me disse semplicemente «Galahad» inchinando lievemente la testa, gesto che io ricambiai, salutò Gareth alzando quasi impercettibilmente le sopracciglia e se ne andò facendo svolazzare il mantello.
I gemelli si alzarono e seguirono il fratello maggiore, ignorando me e Gareth. Mi avvicinai a quest'ultimo con la scusa di accarezzare il cane che avendo finito di mangiare, si godeva il sole, incurante dell'andirivieni nel cortile.
«E' tuo? Come si chiama?» mi rivolsi a Gareth stando in ginocchio e guardando in su. I suoi capelli sembravano di fuoco. Le sue guance stavano prendendo colore, raggiungendo una sfumatura simile a quella della sua chioma. Distolsi lo sguardo. Lo mettevo in imbarazzo?
«Si chiama Pinnath e... no, l'ho trovato qui, è un po' di tutti. Nel senso che si fa avvicinare da tutti. Bè questo l'avrai anche capito da solo. E' un tipo docile. Non credo proprio che sia di razza. Non lo posso certo portare a caccia.» Iniziò esitante, continuò a scatti quasi mangiandosi le parole. Gesticolando.
Lo guardai di nuovo sorridendo e pensai che doveva avere circa la mia età. Notai l'impugnatura della sua spada spuntare dal mantello. Lui se ne accorse e sembrò che volesse chiedermi qualcosa, lo intuii e prevenii la domanda. «Gareth, vero?» lui annuì, «potresti portarmi nel cortile delle esercitazioni?»

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Non ero abituato a portare la spada sempre con me, il mio corpo e men che meno la mia mente, non avevano ancora assorbito il cambiamento di vita. In poche parole, dovetti scusarmi con Gareth ed andare a prendere la spada in camera. Lui mi aspettò nel cortile principale, apparentemente tranquillo e non dando troppo peso alla mia dimenticanza.
Strada facendo sembrò rendersi conto che ero una persona normalissima, lungi dall'essere valoroso ed astuto come Ser Lancillotto. Si rilassò, quindi smise di parlare con frasi a scatti, ma quanto al gesticolare, se possibile aumentò.
Avevamo pochi mesi di differenza, avrebbe compiuto sedici anni fra quattro mesi, questo comportò una sorta di cameratismo tra noi.
Il cortile interno per l'addestramento era un ampio lastricato di pietra grigia e porosa, dotata di pendenze minime per la raccolta dell'acqua piovana che veniva convogliata su particolari lastre con cinque piccoli fori. Probabilmente una ingegnosa e pratica eredità romana.
Da quel cortile scorgevo entrambe le torri campanarie, mi sembrò inutilmente un buon segno. Su due lati del cortile vi era un colonnato, non riuscivo a vedere nulla lì sotto, non scorsi alcun movimento. Mi tolsi il mantello e lo appoggiai tra due colonne, presto imitato da Gareth.
Si guardò attorno e poi mi propose una sfida. Più che giusto, me l'ero aspettato. Accettai senza esitare ed incrociammo le spade.
Sapeva il fatto suo, molto probabilmente, anzi sicuramente aveva passato meno tempo di me sui rotoli di pergamena. D'altronde il latino non gli era mai servito in quei quasi sedici anni, qualunque dio avesse adorato, difficilmente gli avrebbe rivolto delle preghiere nella lingua dei romani.
Il fatto che sapesse come muoversi, schivare e parare i miei colpi non stava a significare che mi fosse superiore. Io cercavo di limitare gli sforzi (forse non avevo preso con troppa serietà lo scontro o forse... peccavo un po' di vanità) mentre Gareth dava tutto se stesso. Non ragionava, agiva d'istinto e per questo era ottimo, gli era tutto naturale. Io sono sempre stato un tipo riflessivo, avrei voluto liberare la mente e far reagire il mio corpo liberamente come lui. Forse troppo erudizione…
Ma ci bloccammo, qualcuno ci stava applaudendo, dal suono una o due persone al massimo. Le intravvedemmo sotto il porticato scarsamente illuminato, tre figure. Ma ce n'erano delle altre, soldati appoggiati alle colonne, altri che camminavano portando faretre, archi e bersagli che stavano aspettando che sgombrassimo il campo.
I tre avanzarono: Artù, mio padre e Bedivere. Il Sommo Re, il vice Re e il capitano di Camelot.
Io e Gareth dopo l'attimo di sorpresa chinammo la testa all'unisono in segno di saluto. Re Artù parlò «Non avrei potuto incominciare meglio la giornata. Avete offerto a me, ai miei compagni ed ai soldati un ottimo spettacolo». Sorrideva, anche mio padre. Era fiero di me! Ser Lancillotto era fiero di avere un figlio come me!
Bedivere mi si avvicinò, allungò la mano sinistra verso la mia spada, gliela porsi. La saggiò fendendo l'aria con due colpi.
«Un po' troppo pesante per te, sembra quasi una spada sassone», il suo mantello si era aperto in modo da poter vedere l'altro braccio. Senza mano. Si accorse che avevo notato la sua menomazione, lo guardai con ammirazione. Se era capitano di Camelot, non lo era certo per caso. Sul suo viso vido accendersi un sorriso sghembo. «Più tardi vieni a trovarmi nella capitaneria, vedremo di trovare qualcosa di più adatto». Detto questo guardò mio padre, il Sommo Re e tornò ai suoi affari. Non avevano nemmeno bisogno di parlare per capirsi, pensai.
Artù, apparentemente senza motivo, rise, congedò Gareth che fuggì via non prima di avermi dato una leggera stretta d'intesa sull'avambraccio.
Dopo aver recuperato il mantello, camminai brevemente con il Re e mio padre. Artù mi disse che la mia arte con la spada sarebbe stata perfezionata, mi avrebbe assegnato un maestro d'armi con cui allenarmi per i primi tempi, poi avrei partecipato solo agli allenamenti comuni per i giovani della mia età. Mio padre non aprì mai bocca, il suo sguardo era rivolto agli allenamenti nel cortile. Era così terribile guardarmi? Guardare suo figlio?
Infine fui lasciato andare; dopo aver chiesto ad un giovanissimo soldato, un cadetto, le indicazioni per la capitaneria, mi recai da Ser Bedivere.


Note: non so se le spade sassoni fossero più pesanti di quelle in uso in Britannia^^ ahah volevo intendere che era un po' grezza e non adatta ad un leggiadro fanciullo come Galahad... o forse è solo una scusa di Bedivere XD
Un grazie immenso a chi sta leggendo questa storia ^_~

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

La porta era aperta, quindi entrai. La sala era al piano terra, aveva finestre su un solo lato rivolte al cortile delle esercitazioni, dal quale vi si accedeva facilmente. Mi trovai Bedivere davanti, mi dava però le spalle, sembrava intento a leggere una missiva o un dispaccio, lo sentii leggere a voce bassa, non compresi più di qualche parola qua e là. Sospirò, parve accorgersi di qualcosa, si girò, mi riconobbe e disse «Galahad, fai tesoro degli errori di un vecchio cavaliere come me», pensai che si riferisse alla sua mano, «mai voltare le spalle ad una porta, il nemico spesso arriva da lì». Sgranai gli occhi e gli risposi velocemente che non avrei dimenticato il suo consiglio.
Si sedette ad un tavolo posto sotto le finestre a vetro piombato, io mi spostai dalla porta, per non intralciare eventuali soldati in arrivo. Il capitano sembrava scettico, forse sul contenuto della missiva che teneva ancora in mano.
Gli vidi muovere la bocca, ma non mi raggiunse alcun suono. Col tempo, bè mi bastarono pochi giorni, compresi che faceva così quando ragionava su questioni che gli stavano particolarmente a cuore. Parlava con se stesso e sembrava non accorgersene. Ma in quel momento non sapevo di questa sua abitudine, quindi chiesi «Prego, Ser Bedivere, non ho compreso».
Lui parve accorgersi nuovamente della mia presenza e rispose «Nulla Galahad, pensavo. Avvicinati, metti la spada sul tavolo e poi siediti».
Estrassi la spada e feci come lui mi aveva comandato. Bedivere parve studiarmi e valutarmi. Aveva i capelli castani, una leggera barba incolta, con la quale forse cercava di nascondere la fossetta sul mento. Gli occhi castani e gentili erano sormontati da sopracciglia folte e dritte. La bocca non era nè grande, nè piccola, giusta. Il naso sembrava aver affrontato battaglie, non solo sul campo, forse anche qualche lite, il setto era leggermente piegato come se avesse ad un certo punto deciso di non proseguire in linea retta.
«Sei particolarmente legato a quella spada?» no, il maestro d'armi che veniva al convento me l'aveva data appena due settimane prima, pensando di sostituire quella che avevo in dotazione che ormai aveva fatto il suo tempo. Aveva scelto questa perchè entrava senza problemi nel fodero. Dovevo fare bella figura a Camelot con una spada che sembrasse decente. Io non avevo notato particolari differenze con questa, ma non ero certo un esperto come il capitano.
«No» risposi secco «solo al fodero mio signore».
Annuì soddisfatto, un problema di meno sembrò pensare.
«Seguimi, vediamo di trovare qualcosa di adatto». Passammo in resto della mattina in armeria, per Ser Bedivere la scelta della spada era una faccenda seria e dannatamente complicata dato che da combinare con il fodero.
C'è da dire che fummo interrotti più volte da domande dei soldati e sotto ufficiali per questioni a me assai ostiche da comprendere. Ma, dopo vari soppesamenti e fendenti nell'aria trovai il prolungamento del mio braccio destro, chiamarla spada era decisamente riduttivo secondo Ser Bedivere. Sperai che lo diventasse davvero dopo un po' di allenamento.
L'impugnatura era semplice, decorata a torque, sul pomolo una croce greca blu in campo bianco. La guardia crociata terminava poco prima delle estremità con due bracci a croce, così da formare altre due croci greche.
Suonerò tremendamente infantile, ma mi parve la spada più bella che avessi mai visto. Non che avessi visto poi tante spade nella mia vita.
Mentre ammiravo tale bellezza, Ser Bedivere accennò al maestro che mi avrebbe seguito per i primi tempi.
«Sapete chi è, mio signore?» chiesi ancora in quello stato di trance da profonda soddisfazione. Lui non rispose. Lo guardai sorpreso.
«Sarò io, Galahad».
Si raccomandò di arrivare presto nel pomeriggio, il dover aspettare lo irritava più di qualsiasi altra cosa al mondo, mi augurò buon pranzo e andò via, lasciandomi a bocca aperta a fissare l'aria dov'era stato lì pochi istanti prima.


Note: la frase di Bedivere "mai voltare le spalle ad una porta, il nemico spesso arriva da lì" è una citazione (parafrasata) tratta da Dune di Frank Herbert. Lo dice il maestro d'armi al suo allievo (il figlio del Duca Atreides).

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Pranzai con Bors nella sua stanza assieme ad altri quattro giovani che avevo conosciuto la sera prima. Bors mi trovò casualmente mentre uscivo dal cortile delle esercitazioni e mi invitò con gentilezza ad unirmi alla compagnia. Ovviamente si era sparsa la voce del mio duello con Gareth, venni accolto come un eroe. La storia era già stata ampiamente ingrandita, stando a sentire loro avevo disarmato il figlio di Lot, scaraventato a terra e puntato la mia enorme spada alla gola. L'unico testimone dell'accaduto presente in quel momento ero solo io, ma la mia voce pareva non riuscire a farsi strada fino alle loro orecchie e più parlavo più mi apostrofavano come un incredibile modesto.
Ero leggermente dispiaciuto per Gareth, se la storia stava girando in questo modo, lui come l'avrebbe presa? I suoi fratelli non mi erano sembrati particolarmente amichevoli. Agravain e Gaheris almeno. Gli altri... Gawain e Mordred…
Mi svegliai da quei pensieri, avevo un impegno importante quel pomeriggio e non potevo fare tardi.
Alzandomi, mi scusai con il mio ospite, dovevo proprio scappare. Bors, che forse aveva svuotato più volte il bicchiere di peltro cercò di trattenermi per un braccio me gli risposi «Ser Bedivere, il mio maestro mi attende», la mente di Bors parve improvvisamente rischiararsi, gli altri si zittirono. In risposta alla loro silenziosa domanda parlai ancora, «Sì, è così. Devo migliorare ancora molto, sono molto onorato della scelta che ha fatto Re Artù per me».
Mi lasciarono andare tra mormorii sommessi e sguardi ammirati.
Corsi a perdifiato giù per le scale, scansando valletti e paggi, vidi in un lampo anche qualche cavaliere con le sopracciglia alzate.
Arrivai ansimando al cortile. Era deserto.
Salvo che per un'ombra tra le ombre del colonnato. Mi vide e mi fece cenno di avvicinarmi.
Da quel pomeriggio tutto cominciò. Trovai l'allenamento appagante, perchè durante gli sforzi pian piano la mia mente si sgombrava. Niente Lancillotto, niente mia madre che non sopportava la mia vista perchè la faceva soffrire troppo, niente santi o monasteri, niente di niente. La notte dormivo come un sasso, mi bastava appoggiare la testa sul soffice cuscino di piume e il sonno arrivava.
Ser Bedivere non era tipo da elargire complimenti con facilità, quindi ogni sua buona parola era preziosa come l'oro per me.
Migliorai.
Lo capivo dalle occhiate d'intesa che fuggevolmente Ser Bedivere mi regalava, ma non solo da quello lo capii. Anche durante gli allenamenti comuni vedevo i miei miglioramenti, di questo ero certo perchè se da molti ero solo ammirato per via di chi ero figlio o perchè ero allenato da Bedivere, altri, come i ragazzi del Nord, amici dei principi delle Orcadi avevano la tendenza a sfidarmi ad impegnarsi al massimo contro di me ed io mi mostravo alla loro altezza. Gareth era il più leale tra loro, non tentava mai colpi bassi, ci rispettavamo a vicenda.
Dopo una settimana dal mio arrivo, Ser Bedivere mi propose di cambiare aria per allenarci fuori dalle mura. Accettai con piacere e gratitudine. Uscimmo a cavallo, percorremmo poche miglia e ci fermammo lungo un torrente, misi le pastoie alle due cavalcature. Poi attesi gli ordini del mio maestro, lui si era accomodato su di una roccia piatta sul bordo del ruscello e fissava cupo l'acqua.
«Capitano?» feci per richiamare la sua attenzione. Si girò e mi fissò senza guardarmi realmente. Era ancora perso nei suoi pensieri. Mi avvicinai.
Parlò sommessamente «In realtà non ti ho portato qui per tagliare l'aria con la spada. E' difficile tra quelle mura» con la testa indicò ad est, da dove eravamo arrivati, «avere una discussione privata, a patto che tu non sia il Re».
Ora i suoi occhi erano limpidi e concentrati su di me. Tacqui.
«Sai chi è stato a scegliermi quale tuo maestro?» domandò.
«Immagino che sia stato il Sommo Re» risposi lentamente. Era una questione così importante da essere trattata lontano da orecchie indiscrete? Mi guardò con fare dubbioso.
«Ma se mi avete portato qui per parlare di questo...». Era stato mio padre?
«Sì figliolo, è stato tuo padre che prima me l'ha chiesto come favore personale e poi l'ha chiesto ad Artù», sospirò, «ha lasciato intendere che la cosa non si dovesse sapere, forse per non apparire come un favorito. Non mi ha detto di tacere con te della cosa, ma nemmeno di parlartene».
Rimasi in silenzio. Era un gesto normale quello di Lancillotto, quello che qualsiasi cavaliere avrebbe cercato per proprio figlio, dargli il meglio.
Mi mossi a disagio «Lo deludo forse?».
«No» replicò velocemente il comandante «non può volere di più».
«Quindi quello che vuole è solo un figlio che non lo faccia vergognare e che non gli chieda di fargli da padre?» non avevo mai sentito la mia voce così fredda. Non rispose. Si alzò in piedi. Io guardavo i miei piedi a terra senza avere il coraggio di guardarlo in volto, mi sentivo gli occhi pizzicare.
Mi mise una mano sulla spalla «Io sono fiero del tuo impegno. Voglio una sola cosa da te», guardai la sagoma del suo braccio menomato sotto il mantello e mi chiesi cosa potessi mai fare io per uno dei tre guerrieri più valorosi del regno, «tutti gli sforzi che fai, falli per te stesso, per tuo divertimento, per tua soddisfazione. Non cercare sempre il suo sguardo d'approvazione. Se farai così allora il peso che porti sulle spalle si alleggerirà».
Si mosse in direzione dei cavalli, sentii tintinnare dei finimenti, il mondo si era fatto sfuocato. Respirai a pieni polmoni, spazzai con il bordo del mantello le gocce salate dalle mie guance e ripartii al galoppo con il mio maestro.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

Ci furono altre cavalcate con Ser Bedivere, mai troppo lunghe e troppo sostenute visto la sua difficoltà di maneggiare le redini con una sola mano. Sapevo perfettamente che lui non era mio padre e nemmeno il suo sostituto. Era la persona di cui mi potevo fidare di più al mondo, la prima persona di cui mi fidai ciecamente.
Mio padre lo vedevo al consiglio generale, dove venivano trattate questioni di poco conto per i soldati ma che avevano importanza vitale per il popolo di Artù. Confini, pascoli, tutte problematiche tediose per i cavalieri, che però io seguivo, non volevo perdere nulla di quello che poteva insegnarmi Camelot.
Pranzavo spesso assieme a Ser Bedivere nelle sue stanze o nella capitaneria, dove mi sembrava stesse più a suo agio.
Parlavamo. Ovvero lui mi raccontava le avventure di Artù e di mio padre, anzi Ser Lancillotto. Di fatti più passava il tempo e mio padre mi appariva meno reale e sempre di più solo un personaggio di una leggenda.
Ser Bedivere non mi disse mai nulla sul come avesse perduto la mano destra. Credo che temesse di essere compatito, io non ebbi mai il coraggio di chiederglielo apertamente.
Mi parlò del Principe Mordred.
Il Principe fù il suo primo allievo privato, era stato Artù a proporglielo e Bedivere aveva accettato non senza qualche dubbio. Era leggermente prevenuto nei suoi confronti sebbene al suo arrivo a Camelot, Mordred fosse poco più che un ragazzo.
Ma era figlio di Morgause, allevato tra i figli di Lot. Avere dei dubbi era lecito. Mordred lo sorprese. Non tanto per la somiglianza con il Re, ma per il modo di parlare, di muoversi e per l'abilità con la spada.
Era completamente e totalmente figlio di Artù e nipote di Uther Pendragon. Morgause, la sorellastra di Artù, non era riuscita a plagiarlo nei cinque anni che l'aveva tenuto nel suo castello nelle piccole isole del Nord.
«Non parla mai troppo, è capace di zittirti con uno sguardo, sa leggerti dentro ed è quasi impossibile capire cosa stia pensando» mi disse così un giorno mentre stavamo cenando.
Ricordo chiaramente quella sera, eravamo in piena primavera, le pelli conciate erano state tolte dalle finestre, non c'era più quel freddo che ghiacciava le ossa. La luce delle candele guizzava sul volto del capitano. Sentivo un leggero profumo di un fiore che non conoscevo e che mi rilassava.
Ero sereno, forse felice.
Ser Bedivere mi guardò fisso, sorrise «Tu e Mordred siete identici come due cose totalmente diverse».
Sgranai gli occhi, sbattei diverse volte le palpebre prima di riuscire a parlare «Come prego? Mi sembrate un filosofo!» lui rise di gusto ed io mi sentii arrossire, cosa che lo divertì ancora di più.
«Galahad, prova a pensarci, è semplice e logico. Tu sei la luce e lui il buio. Ma questa è puramente una questione fisica, tu biondo e lui moro».
Ora guardavo un punto indistinto sul tavolo che ci separava.
«Nè tu, nè lui avete una persona che potete chiamare a cuor leggero madre. Per quanto riguarda il padre... Artù non si decide a riconoscere Mordred pubblicamente eppure il ragazzo ha tutte le qualità che servono per un re. Tuo padre ti ha riconosciuto pubblicamente ma non ti accetta nel suo privato. Come se ci fosse una differenza tra il privato ed il pubblico».
«Perdonatemi Ser Bedivere, non riesco a vedere tutte queste somiglianze» replicai con voce debole.
«Non ho parlato di somiglianza» bevve un sorso di vino «pensaci, presta un poco di attenzione e capirai cosa intendo».
Dal giorno successivo incominciai a studiare Mordred, nei limiti del possibile. Anche lui presenziava sempre al consiglio, seduto a destra di Artù. Era serio e attento, almeno in apparenza. A volte si chinava a parlare con il Re suo padre prima di parlare apertamente con le sue proposte.
Era molto devoto alla Regina Ginevra, quando lei entrava nella sala mi sembrava di vedere un leggero tremito passare sul suo labbro inferiore, come se una forte emozione nascesse in lui. Ma stavo esagerando, non solo nel notare questo... erano solo mie fantasie, non lo conoscevo affatto. Esageravo nel guardarlo, nel seguire le sue mosse e senza accorgermene lo catalogavo per capire quanto eravamo diversamente simili.
Lo incrociavo raramente nei corridoi e se capitava lui era solo un mantello nero che svoltava un angolo o saliva le scale.
Per tutto quel tempo lui non si accorse di me, dei miei sguardi, me ne resi conto dopo, impertinenti.
Mi sbagliavo.
Una sera, era la fine di aprile, eravamo tutti riuniti in consiglio, non ricordo più di cosa si parlò, dimenticai completamente, ero distratto.
Il Principe Mordred era particolarmente cupo e teso, sedeva rigido sul suo scranno con le braccia posate sui braccioli, pareva quasi che non respirasse. Lo sguardo era puntato su una tavoletta di cera davanti a lui. Immobile, lasciò intatto il boccale di birra posto alla sua destra.
All'improvviso, per la prima volta dopo quelle settimane lui ricambiò il mio sguardo.
I suoi occhi neri erano puntati su di me.
Trattenni il fiato, colpevole. Mi sentii come se fossi stato scoperto a fare qualcosa di sbagliato.
Distolsi gli occhi cercando qualsiasi cosa che fosse logico osservare. Vidi senza riconoscerli, i volti dei cavalieri vicino a me, una marea di volti in quel momento insignificanti.
Percepivo ancora i suoi occhi su di me e sperai che si potesse stancare presto.
Tenni lo sguardo basso per il resto della serata, che sembrò interminabile, la sedia mi sembrò la più scomoda che mi potesse capitare, i miei piedi si erano ghiacciati e incominciai a dubitare che avrei più ripreso la sensibilità a quelle estremità.
Con mio immenso sollievo il Sommo Re si alzò e ci congedò. Non mi fermai a parlare con nessuno, uscii dalla sala per primo, mi misi quasi a correre per i corridoi. Entrai in camera, mi appoggiai al battenti della porta chiudendo la porta alle mie spalle con un sospiro.

Nota: la frase di Bedivere "Tu e Mordred siete identici come due cose totalmente diverse" l'ho sentita qualche settimana fa su un programma d'arte di Philippe Daverio (era Passepartout o Imporio Daverio non ricordo più^^). Philippe ha usato questa frase, senza citare Galahad e Mordred ovviamente XD, per confrontare due dipinti (se ricordo bene, non stavo guardando, solo ascoltando). Quando l'ho sentita credo di non averla capita, scrivendo... mi è sembrata giusta per descrivere Galahad e Mordred.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

La mattina successiva dovetti attendere che un chierico aprisse la chiesa, dato che ero arrivato decisamente presto.
Mi ero sentito terribilmente, decisamente e definitivamente uno sciocco. Perchè quello sguardo era tutto quello che avevo desiderato in quelle settimane e ora... Era quello che avevo desiderato?!
Bè ora lui si era accorto di me, dell'attenzione che cercavo. Ma lo infastidivo, lo avevo spiato, scrutato e ora si era stancato. Doveva essere così, con quell'occhiata aveva voluto dirmi basta. Come lo sapevo? Non lo sapevo, ma avevo paura.
Avevo passato male la notte, non riuscendo a prendere sonno.Impertinente, impertinente, impertinente mi ero ripetuto.
Cantai con trasporto alla messa, facendomi inevitabilmente notare.
Uscii dalla chiesa e mi diressi alle stalle, dovevo preparare i cavalli per me e Ser Bedivere, era un bel giorno per stare all'aperto. Dopo aver istruito uno stalliere, mi incamminai per raggiungere le cucine per farmi preparare il pranzo al sacco. Incontrai Mordred sulla mia strada.
Mi sentii sbiancare, l'avrei salutato con un semplice cenno della testa come aveva sempre fatto lui, non sarebbe stato un problema.
Forse.
Venne avanti fissandomi apertamente, si fermò quando ci incrociammo. Non mi salutò, andò dritto al punto «Volevate dirmi qualcosa Galahad?», mi dava del voi, eravamo due sconosciuti. La sua voce era atona.
Deglutii a vuoto «No Principe Mordred, qualcuno vi ha detto che vi cercavo?» Abbassò leggermente le palpebre come per mettermi a fuoco.
«No, immagino che non ci siano motivi per cui mi dobbiate cercare», guardò a terra, sembrò studiare i miei stivali.
«Ieri sera vi siete defilato con rapidità. Non volevate farmi gli auguri?» tornò a guardarmi negli occhi.
«Auguri?» ripetei.
«Lasciate stare, è solo il mio compleanno. Non ha importanza.» Si guardò in giro come in cerca di qualcuno.
«Voi cristiani non festeggiate il Calendimaggio vero?» chiese con leggerezza, forse per fare conversazione.
Mi sentii avvampare di nuovo, stavo per balbettare una qualche risposta ma Gareth arrivò di corsa parlando ad alta voce, non mi aveva visto, «Gawain sta ancora facendo colazione e Agravain e Gaheris non devono aver dormito al... Ah! Galahad!» Gareth... la nostra conoscenza non era sbocciata in un'amicizia, eravamo solo compagni di allenamenti, c'era dell'intesa tra noi ma non sembrava che potessimo andare oltre. C'erano alleanze politiche, antipatie e vecchi rancori nei trascorsi delle nostre famiglie così gravi forse? Anche con Mordred sarebbe andata così?
«Gareth» risposi al suo saluto, «non vi trattengo, stavo andando da Ser Bedivere», Mordred reagì con un leggero rilassamento delle spalle al sentir pronunciare il nome del capitano. Non attesi risposta, inchinai leggermente la testa e mi incamminai con andatura con velocità appena inferiore a quella della fuga. Arrivato da Bedivere mi accorsi di essere senza il pranzo al sacco. Andai alle cucine, sperando di non incontrare altri ostacoli.
Non riuscii a godermi appieno la cavalcata, mi chiusi nel silenzio e Ser Bedivere non cercò di sondare il mio umore. Anche lui sembrava avere pensieri per la testa, gliene fui mentalmente grato.
Tornammo presto, nel primo pomeriggio, non mi sentivo in grado di affrontare alcun genere di allenamento, pregai il capitano di scusarmi con gli altri compagni, quel pomeriggio mi sarei assentato dalla lezione. La mia richiesta non lo sorprese «Tutti hanno diritto ad un po' di riposo» e mi lasciò andare.
Dove? Non lo sapevo nemmeno io dove volevo andare. Non avevo particolari progetti, camera mia la esclusi a priori, non ero certo malato. Potevo andare in chiesa a confessarmi, ma quale peccato di preciso avevo commesso? Non avevo nemmeno un posto speciale che potessi chiamare mio.
Optai, senza un'idea precisa, per le mura. Mi sistemai nello stesso punto dove mi ero fermato a scrutare l'orizzonte la mia prima mattina a Camelot con i capelli bagnati e senza mantello. Sorrisi al ricordo. Il sole caldo ed il cielo terso sembravano il preludio dell'imminente estate.
Mi ritrovai a chiedermi cosa stesse facendo Mordred in quel momento, al perchè fosse così teso la sera prima. Perchè lo avevo importunato con i miei…
Il primo di maggio.
La strage dei bambini nella barca alla deriva dei flutti del mare del Nord. Era costretto a portare con se ogni anno così tanto dolore, con la consapevolezza della strage degli innocenti che era stata fatta per causa sua.
Ed io avevo osato intromettermi nel suo dolore con i miei sguardi indagatori. Una voce che mi chiamava mi riscosse «Galahad, ragazzo sbaglio o ti sei fatto uomo in queste poche settimane?», sorrisi grato a quelle parole e alla pacca sulla spalla che mi stava dando Anduin, il capo squadra che mi aveva accompagnato alla corte.
«Felice di rivedervi Anduin, state facendo la ronda?» risposi stringendogli calorosamente la mano che mi porgeva.
«Ho appena fatto il cambio di guardia. Gradiresti un bicchiere di vino, qui nella nostra torretta? Il vino non è certo lo stesso che si beve al tavolo del Sommo Re, ma va giù che è un piacere nello stesso modo.»
Accettai con gratitudine, non solo il vino ma anche le inutili chiacchiere dei compagni di Anduin. Senza rendermene conto passai due ore con loro, riuscii a non ubriacarmi per il semplice fatto che loro erano in servizio ed il vino era molto annacquato. Mi congedai promettendo che sarei tornato a trovarli nel mio prossimo giorno di libertà.
Quella sera sgattaiolai nelle cucine, mi feci preparare una cena fredda che potessi tranquillamente mangiare per strada. Uscii da palazzo, mi diressi verso la chiesa e sostai pacifico come un qualsiasi viandante sotto un albero a lato della piazza.
No. Nessuno festeggiava più il Calendimaggio, almeno non a Camelot. Sospirai e poi rimasi lì fermo a veder passare la gente che rientrava a casa, quei pochi fortunati che abitavano entro le mura. Sentii delle risate provenienti da una vicina osteria.
Appoggiato così tranquillamente all'albero fissando le stelle farsi sempre meno pallide e più splendenti nel cielo non feci caso al tempo che passava. Poi d'un tratto i miei occhi parvero accorgersi che il cielo si era fatto scuro, rientrai a palazzo.
Per raggiungere la mia stanza passai davanti alla sala rotonda, una decina di passi dopo aver superato le sue porte mi parve di sentire qualcuno dietro di me.
Mi voltai.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

Era Mordred.
Il corridoio era ben illuminato dalle candele, non c'erano rumori oltre a quello del mio respiro.
«Non vi avrò mica spaventato!», parlò con una lieve punta d'ironia. No. Non mi aveva spaventato, ero solo sorpreso di vederlo lì, dopo che avevo evitato per tutto il pomeriggio ogni minima possibilità d'incontrarlo.
«Certo che no Principe Mordred, mi sono solo chiesto cosa facevate da questa parte del castello.»
«Per quanto strano vi possa sembrare, vado verso la mia stanza, si trova sullo stesso piano della vostra. Non ci siamo mai incrociati né di mattina né di sera, abbiamo orari decisamente incompatibili.»
Io mi destavo all'alba, lui rientrava quasi all'alba dalla casa della sua amante. Stava pensando la stessa cosa perchè continuò «Però siamo entrambi mattinieri per un certo verso, è un peccato non esserci mai incrociati in queste settimane lungo il corridoio. Avremmo potuto scambiarci opinioni e consigli sulle nostre diverse esperienze.» Alzò un angolo della bocca, sembrava il ringhio di un animale selvatico. Stava solo scherzando o stava giocando con me? Rimasi in silenzio, aspettando cauto un eventuale attacco.
Si mosse, spostando il peso su di una sola gamba. «Ve lo ripeto Galahad, volete dirmi qualcosa?»
Insisteva.
Cosa volevo da lui? Non avrei saputo spiegarlo. Conoscerlo? Parlare con lui?
«Io vi ammiro Mordred, vi ammiro molto.» Non si mosse, sembrava aspettarsi qualcosa di più, qualcosa di meglio forse.
Non aggiunsi altro.
«Ebbene? Cosa vi aspettate ora? Di diventare il migliore amico del figlio bastardo del Re?» Sentii qualcosa serpeggiare nel mio petto, all'altezza del cuore.
«Ragazzo, ci sono decine e decine di giovani nelle grazie del Re e del Vice Re che non aspettano altro che un vostro sguardo ed una vostra parola, pronti a srotolare soffici tappeti dove far posare i vostri santi piedi», parlava veloce, come un fiume impetuoso, «vi consiglio di lasciar perdere i figli illegittimi non riconosciuti come me», fece per andarsene ma parlai, tentando di trattenerlo «Non siete un figlio illegittimo, anche se non siete ufficialmente riconosciuto da vostro padre, lui vi tiene alla sua destra, si consiglia con voi su molte questioni, si fida di voi! Per questo vi stimo più...» non ebbi tempo di finire, con due passi mi fu vicinissimo, i suoi occhi ardevano, segno tangibile del fatto che avevo sfiorato qualche nervo scoperto con le mie parole.
«Mi ammirate? Mi stimate? Credete forse che basti qualche occhiata furtiva, delle storielle lacrimevoli sul mio passato per conoscermi? Avete la minima idea di cosa voglia dire scoprire a dodici anni, quando la tua più grande impresa è stato rubare due uova nei nidi dei gabbiani sulle ripide scogliere, che non sei chi pensi di essere? Non sei un povero pescatore, chi ti ha allevato non sono i tuoi genitori e vieni portato via senza spiegazioni. Buttato a capofitto in un mondo più grande di te, con persone che non ti accettano?», ansimava leggermente.
«Io posso comprendere in parte, io fui...», mi bloccò con una risata fredda, glaciale.
«Voi comprendete. Voi che avete più probabilità di me di succedere ad un trono, voi figlio di Ser Lancillotto, quel vile tradit...» Si fermò appena in tempo, parve sorpreso lui stesso di quello che stava per dire. Se solo avesse terminato quella parola, sarebbe stato mio dovere sfidarlo. Io sarei certamente morto e avrei così espiato i miei peccati. L'avevo ferito, con le mie profferte di ammirazione.
Mi tremò un lato della bocca. Lui si portò una mano agli occhi.
«Io...» mormorò lui.
«Ho capito benissimo, non vi disturberò mai più. Buona notte.» Girai sui talloni e mi allontanai. Non gli piacevo, per lui ero solo uno sciocco ragazzino. Ed aveva ragione.
Dal giorno successivo incominciai a prestare attenzione alle voci che avevo relegato nei recessi della mia mente con una scrollata di spalle.
Ser Lancillotto, mio padre, era certamente molto amato e stimato dalla corte, ma anche odiato. Non apertamente, per il momento tutto si limitava a delle occhiate un po' truci e sospette rivolte a lui e alla Regina. Ma anche Artù viveva lì e aveva Ginevra e Lancillotto sotto gli occhi tutti i giorni come li avevano tutti gli altri. Se il Sommo Re non vedeva o non voleva vedere, allora tutto andava bene. Solo che Mordred vedeva (e con lui tutti i giovani del Nord), come vedevo io che i sentimenti di mio padre superavano quelli che gli erano concessi. Iniziai a chiedere perdono a mia madre, Elen, provai a mettermi nei suoi panni e decisi di scriverle una lettera in cui l'avrei ringraziata per essere stata così buona con me, finché le era stato possibile e che ora capivo, capivo perchè si era comportata in quel modo.
La mia missiva partì solo una settimana dopo con un corriere, dato che non era urgente. Una settimana in cui mi ero diligentemente allenato con Ser Bedivere, con i miei compagni e da solo a tagliare l'aria fuori dalle mura. Una settimana in cui non vidi mai Mordred. Una settimana in cui un peso opprimente mi schiacciò il cuore.
Il giorno della partenza del corriere, stavo ad una finestra del primo piano a godermi la leggera brezza che spirava, era domenica mattina, vidi Mordred, Agravain e Gaheris partire assieme a cavallo, stando ai loro rifornimenti sarebbero stati via per un po'. Il loro trio mi sembrò strano. Mi ero immaginato che fossero proprio i gemelli le persone che non l'avevano accettato nella loro vita. Seppi poi che Gawain era tornato come erede legittimo a Dunpeldyr nel Nord, Gareth era rimasto al castello ed i tre fratelli in viaggio si stavano recando al monastero dove era ospitata la Regina Morgause, loro madre, gravemente malata.
Dopo due settimane arrivò la dolce e ricolma di gratitudine, risposta di mia madre e la notizia che Morgause era morta. Assassinata.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

Le prime notizie che arrivarono, erano frammentate e confuse. Camminando per i corridoi del palazzo si sentiva bisbigliare, i nomi che venivano ripetuti erano Morgause, Gaheris, Agravain, Mordred e Lamorak, a volte sentivo nominare Lot.
Morgause era stata uccisa da uno dei suoi tre figli che erano andati a trovarla, dopo aver pregato il fratello di farle quell'ultimo favore, rivedere i figli stando nel suo letto di morte, prostrata dalla malattia.
Non incontrai mai Gareth.
Dopo alcuni giorni giunse una lettera dal priore del monastero, la missiva era urgente e venne portata a in tutta fretta ad Artù nelle sue stanze.
Quello che riuscii a sapere, alleggerì leggermente il macigno che pesava sul mio cuore dalla sera in cui avevo parlato con Mordred e che si era fatto più pesante alla notizia della morte della Regina Morgause.
I figli della Regina erano giunti di sera, in anticipo, li aspettavano per la mattina successiva, ma erano stati tranquillamente accolti dal priore. Gaheris e Agravain avevano immediatamente chiesto notizie sulle condizioni della madre, erano stati rassicurati sulla non gravità delle sue condizioni e che vista l'ora non sarebbe stato il caso di disturbare la Regina, che stava riposando. Dopo di che il priore si era ritirato per la notte ed era stato risvegliato poco prima dell'alba dal suo segretario in evidente stato di agitazione. Nella camera di Morgause erano stati trovati due corpi, uno brutalmente trucidato, quello di Morgause, ed uno svenuto per un evidente colpo alla testa, Mordred. Nessuna traccia dei gemelli.
Il Principe aveva raccontato una sua versione dei fatti, in cui in qualche modo centrava Lamorak, uno dei cavalieri di Camelot. Questa versione era a me sconosciuta.
Mordred se n'era poi andato via a cavallo all'inseguimento dei fuggitivi. Ser Bedivere ed io parlammo di queste notizie, anche se erano pettegolezzi, la questione era grave ed entrambi eravamo preoccupati per Mordred. Almeno, io lo ero e speravo in qualche oscuro modo che Ser Bedivere condividesse le mie paure.
Fu proprio lui ad aprirmi gli occhi su Lamorak, si vociferava che il cavaliere e la sorellastra del Sommo Re fossero in intimità, quel tipo d'intimità che non resiste e non può aspettare e deve essere consumato anche tra le mura di un monastero. Lamorak però era sospettato da molti come l'assassino di Lot, anche se non c'erano prove a supporto di questo, entrambi, il Re del Nord e Ser Lamorak erano stati insieme nello schieramento del drago dei Pendragon. Lot era caduto in battaglia.
La vita a Camelot non si era certo fermata, Artù era turbato, ma non per la terribile fine della sorellastra, diede sbrigative disposizioni sulla sepoltura di Morgause, lasciando che fossero altri ad occuparsene, non la voleva lì. Doveva essere sepolta lontana da Camelot.
Mandò soldati e cavalieri a cercare suo figlio, io mi proposi, ma venni trattenuto a palazzo.
Dopo quattro giorni arrivò la notizia che Mordred era stato trovato. Sarebbe tornato la settimana seguente scortato da Re Pellinore.
Pellinor, il padre di Lamorak.
Ero nella mia stanza, da solo. Ser Bors mi aveva lasciato da pochi minuti. Aveva affrontato la questione gemelli-Mordred-Lamorak cercando di sondare la mia opinione sui fatti, aveva faticato molto ad estrapolare qualcosa dalla mia bocca. Non sapevo cos'era successo quella notte, non mi ero mai posto domande come “chi aveva ucciso Lot?” e non potevo sapere chi aveva ucciso la Regina Morgause. Non sapevo nulla di più.
Per cercare di tenermi impegnato con qualcosa, qualsiasi cosa che non mi lasciasse troppo tempo per cercare di rispondere da solo a quelle domande che mi tormentavano, pensai bene di prendermi cura della mia spada. La estrassi dal fodero, la posai sul tavolo e la studiai alla luce del primo pomeriggio. Non era messa così male, mi ero procurato una lima in armeria e sperando di non fare danni irrimediabili, incominciai incerto a passare sul piatto della lama.
Ero così concentrato che quasi non sentii il paggio bussare alla porta. Il Sommo Re desiderava parlarmi privatamente e mi attendeva nel suo studio privato.
Non mi aspettavo nulla di particolare, ma pensai bene di cambiare tunica, indossandone velocemente una grigia.
Il paggio mi scortò fino allo studio, mi fece cenno di attendere, parlò con voce discreta al Re ed allora potei entrare.
C'era un particolarissimo gruppo di persone lì dentro: Artù, mio padre, Mordred ed un uomo che non conoscevo, ma dal cerchio d'oro brunito e pietre preziose posato sui suoi capelli bianchi, ne dedussi che fosse Re Pellinore. Chinai la testa in attesa di essere presentato, il ritmo del cuore rimbombava nelle mie orecchie, cosa ci facevo io lì?
«Re Pellinore, questo è Galahad figlio di Lancillotto», Artù era seduto sullo scranno dietro al suo tavolo, dalla voce sembrava rilassato.
«L'avrei riconosciuto tra mille, ha lo stesso portamento del padre», alzai lo sguardo su di lui, aveva parlato lentamente, mi sorrise brevemente. I suoi occhi erano profondi, tristi ed arrossati, era stanco e provato.
Non guardai Mordred, sentivo i suoi occhi su di me, ma non ebbi il coraggio di ricambiare. Tutti erano seduti, fui invitato ad accomodarmi vicino a mio padre, ringraziai e mi sedetti.
«Galahad ti ho invitato qui per essere testimone di quello che ci racconterà il Principe Mordred», strinsi le mani sui bordi della sedia, «volevo che fosse presente anche un giovane cavaliere. Spero che saprai fare buon uso di quello che ascolterai.» Il Sommo Re aveva parlato guardando il figlio.
Perchè proprio io? Perchè ero figlio di Ser Lancillotto?
Re Pellinor lesse i pensieri passarmi sul volto «E' stato il Principe Mordred a chiedere che fossi tu, Galahad, forse lo conforta vedere un volto giovane e sereno mentre è costretto a raccontare questa penosa vicenda.»
Mi sentii la gola improvvisamente farsi secca. Mordred aveva chiesto me?

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

Deglutii e spostai lo sguardo da Re Pellinor al suo vicino, Mordred, vidi solo un lampo nero al posto dei suoi occhi, fissai a disagio i miei piedi.
«Mordred, ora ci siamo tutti, parla liberamente», Artù gli fece cenno con la mano e suo figlio parlò, parlò a lungo fissando un punto sul pavimento di fronte a sé.
«Gaheris e Agravain erano ansiosi di vedere la Regina, io non cercai di fermarli, li lasciai fare ma li dovetti seguire. Non trovammo alcuna dama di compagnia nell'anticamera, era insolito. Sentimmo una voce... un rumore provenire dalla stanza, Gaheris sfoderò veloce la spada e si gettò sulla porta, Agravain lo imitò, fu tutto talmente veloce che stentai a credere che fosse reale. Erano una furia, c'era un uomo con la Regina, lo riconobbi solo dopo. Gaheris si lanciò sul letto, l'uomo che si era girato, si spostò appena in tempo per evitare il colpo che però cadde sul collo della Regina.» Si fermò un istante per prendere fiato e forse per togliersi dagli occhi la scena che aveva rievocato. Guardò Re Pellinor, poi riprese.
«Riconobbi Ser Lamorak, lui riuscì a prendere la spada. Gaheris era impietrito ai piedi del letto, io mi gettai su Agravain che si stava per lanciare sul cavaliere, così lo fermai ed urlai a Lamorak di fuggire. Uscì dalla finestra da cui doveva essere entrato. Agravain si divincolò da me, ci fu una breve coluttazione tra noi due, sentii esplodere la testa, poi mi risvegliai tra le urla delle ancelle.»
«Parlai con il priore che mi credette, almeno così pensai, anche se fossi stato io... avrebbe preferito sicuramente che non mi trattenessi oltre sotto il suo tetto. Partii all'inseguimento dei gemelli. Mi diressi verso Listeneise. Arrivai tardi. Trovai sulla strada due morti e un ferito grave. Alcuni soldati erano passati di lì, parai con il caposquadra che mi riconobbe e consigliò di raggiungere la corte di Re Pellinor.»
«Agravain e Gaheris dovevano aver attaccato Lamorak, Agravain era caduto, Gaheris ferito mortalmente, Lamorak respirava appena all'arrivo dei soldati. Gaheris morì poco dopo il nostro arrivo a castello.»
Mordred appoggiò i gomiti sulle gambe, si coprì gli occhi con le mani, si raddrizzò e guardò il Sommo Re «Questo è quanto Maestà.»
Artù annuì, «Mordred, Galahad potete andare.» Mi alzai a fatica, mi sentivo intorpidito, ero stato immobile per tutta la durata del racconto, piccole luci mi danzavano davanti gli occhi. Uscii per primo chiedendomi se rivolgermi al Principe oppure no, mi fermai incerto a pochi passi dalla porta. Udii il battente chiudersi, non lo sentii allontanarsi, il silenzio si protrasse.
«Dicevate sul serio quella sera» esordì lui. Non era una domanda, oppure sì? Mi voltai, lo trovai molto più vicino di quanto potessi aspettarmi, così mi trovai a fissare il suo petto.
«Vi riferite al fatto che non vi avrei avrei disturbato mai più?» dissi secco allontanandomi di un passo e fissando il mio sguardo sulle linea severa delle sue labbra.
Non rispose, gli occhi fissi sul pavimento. Lo presi per un sì.
«Siete stato estremamente chiaro quella sera, allora perchè mi avete fatto chiamare quest'oggi?» parlavo in modo così duro, ma non era veramente quello che volevo dire. Mi costava tanto rivolgermi a lui in questo modo. Avrei voluto alleviare il peso che si stava portando dietro da giorni. Ma io non potevo fare nulla per lui, non voleva. Eppure... cosa aveva voluto dimostrarmi con il suo racconto?
Mi guardò, vidi solo due polle nere e infinitamente profonde «Allora cosa attendete, andate per la vostra strada lastricata di santità», fu come se avessi ricevuto uno schiaffo. Non mi aveva nemmeno risposto. Avrei voluto solo dirgli che ero onorato per aver sentito dalle sue labbra una storia così privata e dolorosa ma avevo sulla lingua solo frasi al veleno.
Perchè Mordred mi sconvolgeva così tanto?
Fu lui ad andarsene per primo, io rimasi lì a fissare le sue spalle mentre si allontanava da me.

Note: Ringrazio i romanzi di Mary Stewart, mi hanno aiutato molto, in particolare per la questione Morgause.
Non ho la minima idea di quanto tempo ci si metta ad andare a cavallo da un regno all'altro. Ho calcolato i tempi molto a sentimento XD
Dato che il capitolo è corto, ne approfitto per riempire un po' lo spazio con altri ringraziamenti: ad Aily che mi fa da beta e sopporta i miei sbalzi d'umore con coraggio; ad IceWarrior che mi ha dedicato l’8‰ del suo tempo e mi ha reso terribilmente et immensamente felice *_*

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

Decisi di dimenticare, per quanto possibile, come se si potesse decidere una cosa simile a tavolino. Era impossibile non incontrare Mordred, decisi di non tentare nemmeno di evitarlo. Lui non mi sopportava ed io... parlando con lui reagivo in modo così strano. Ero prima bloccato come da una forte emozione che mi sembrava semplicemente dettata dall'ammirazione e dall'idea che mi ero creato di lui. Ma mi aveva respinto, ero stato così invadente?
Non aveva più alcuna importanza, anche se continuavo a sentirmi in colpa, cercai di concentrarmi sulle altre persone, evidentemente più alla mia portata e più vicini al mio sangue. Galessin era uno di questi. Non aveva mai steso soffici tappeti per i miei santi piedi, era un tipo allegro, dai capelli rossi ed il naso cosparso di efelidi. Fu lui una sera a convincermi a seguire altri due ragazzi, Eliezet e Giflet, fuori dalla stanza di Ser Bors, che in quel momento se ne stava pesantemente addormentato, incurante dei rumori e degli schiamazzi dei giovani suoi ospiti.
Bors era sempre attorniato da persone giovani, ovvero era lui a dare loro compagnia offrendo cibo e vino a volontà, tutti prima o poi passavano per il suo circolo.
Mi portarono in una taverna frequentata da soldati, entrando ne riconobbi alcuni della compagnia di Anduin che mi salutarono alzando i loro boccali. Ci sedemmo ad un tavolo, il posto era pulito e noi quattro eravamo un po' esaltati dalla situazione. Eravamo giovani, stavamo facendo una cosa normale come ordinare della birra, quello che ci faceva brillare gli occhi era che ci sentivamo grandi, degli adulti, quasi cavalieri.
Con il passare del tempo le nostre lingue si fecero più sciolte, Eliezet anche troppo. Cercò in modo maldestro di dichiarare il suo amore a Galessin, scambiandolo per qualche dama della Regina Ginevra. La sua testa piombò sul tavolo e rimase a dormire per il resto della serata. Giflet, dopo essersi ripreso da una crisi di riso che era stata scatenata dalle profferte d'amore del dormiente, iniziò a parlare di Ser Bors «Si attornia sempre di giovani, mi arrivano suoi inviti praticamente tutti i giorni...» ci guardò, stava evidentemente cercando d'insinuare qualcosa, Galessin sbatté con violenza il boccale sul tavolo «Puoi dire di aver mai visto Ser Bors comportarsi in modo indegno con chicchessia? Cosa c'è di male nello stare tra persone giovani e raccontare loro storie, i propri viaggi e le proprie esperienze?» Galessin era partito con voce stridula per poi lentamente arrivare quasi ad un sussurro. Il suo volto aveva assunto una pesante tonalità di rosa.
«Ah, bè», rispose Giflet, «gusti sono gusti» ed ingollò un ultimo sorso di birra, si alzò e si diresse verso una ragazza che stava vicino ad una finestra. Che cosa ci facesse lì a quell'ora, vestita in un modo così appariscente, non lasciava dubbi.
Distolsi lo sguardo da lei e sentii Galessin bisbigliare più a se stesso che a me «Bors cerca la compagnia dei giovani perchè sente che sta invecchiando e questo non riesce ad accettarlo», sorrise mesto rivolto al tavolo, «io sto bene con lui, non ho bisogno di fingere e lui non finge con me.» Pensai che non ci fosse nulla di sbagliato in quello che aveva detto, anche se avevo intuito che i sentimenti del ragazzo dai capelli rossi andassero oltre l'ammirazione per Bors.
Anch'io avevo ammirato Mordred in quel modo, oppure mi ero innamorato di un'idea?
Innamorato?
Mi sentii avvampare.
La testa mi girava leggermente, come se mi fossi alzato troppo velocemente dal letto. Non era colpa della birra.
Improvvisamente sentii un brivido freddo scorrermi lungo la schiena, ma era stata la mano gelida sulla mia nuca ad averlo provocato. Scacciai quei pensieri velocemente, la mano apparteneva ad una ragazza avvenente dai capelli biondi che evidentemente voleva concludere un affare con me e vedendo l'occhiata che rivolse a Galessin, avrebbe volentieri operato un doppio servizio.
Mi alzai di scatto mormorando un «dobbiamo proprio andare» rivolto a nessuno in particolare, strinsi la mano attorno al gomito di Galessin e trascinandolo, lo portai fuori.
Arrivammo fino alla piazza della chiesa, lì in un angolo c'era un pozzo, feci scorrere la catena, tirai su il secchio e poi mi gettai l'acqua in testa. Mi sentii decisamente meglio.
Galessin era seduto con la schiena appoggiata al pozzo, gli dissi «Vuoi? Ti sentirai come nuovo», lui annuì senza guardarmi. Tirai su un altro secchio d'acqua. Studiai Galessin incerto, «riesci ad alzarti... oppure te lo tiro da qui?», lui annuì nuovamente, ma non si mosse, «va bene, vado, tieniti pronto.»
Gli gettai l'acqua addosso, lui si scosse, spostò i capelli gocciolanti dagli occhi. Ci studiammo per alcuni secondi e scoppiammo a ridere. Porgendogli una mano lo aiutai ad alzarsi. Ci incamminammo verso casa.
Eravamo in silenzio, ognuno con i propri pensieri, all'improvviso sentimmo delle urla, un uomo ed una donna litigavano. Le voci provenivano dal primo piano illuminato di una bella abitazione, la cui facciata era in parte romanticamente coperta da dell'edera.
Ci fu il rumore di una sedia rovesciata, ancora l'uomo che parlava ma con la voce più ferma di prima, poi una porta sbattuta con violenza.
Io e Galessin ci eravamo inconsciamente bloccati in mezzo alla strada e ormai ci aspettavamo di vedere l'uomo uscire dall'abitazione.
Di fatto quell'uomo uscì. Era lui.
Mordred.
Sbatté forte anche la porta dell'ingresso, espirò forte e poi ci vide. Sgranò gli occhi per un istante, si girò verso il castello e ci precedette speditamente.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

La notte seguente feci un sogno, così vivido, ricco di profumi e colori da sembrare più vero della realtà. Ero disteso sulla spiaggia di una minuscola isola di sabbia che affiorava appena dall'acqua, sapevo, non so come, che mi trovavo in mezzo ad un lago di cui però non vedevo la fine. Fissavo il cielo, c'era una bella luce calda e diffusa, ma non vedevo il sole così disteso com'ero. Improvvisamente il cielo incominciò ad oscurarsi e le stelle spuntarono come piccole fiaccole a trapuntare il blu della notte. Una stella parve staccarsi dalla volta celeste e si spostò, sembrò scendere verso di me, mantenendo sempre la stressa dimensione.
Mi accorsi però che non era una stella, bensì una lucciola, mi misi a sedere, sentii il leggero rumore delle onde del lago e un dolce profumo. La lucciola si posò sulla mia mano destra, la sua luce si sciolse sulla mia pelle e incominciò ad espandersi. Quella luce inglobò le mie dita, poi salì sul mio braccio ed ebbi paura. Il cuore mi rombava nelle orecchie, sentivo le vene pulsarmi alle tempie, urlai senza capire le mie stesse parole e mi svegliai in un bagno di sudore nel mio letto. Non parlai con nessuno del sogno, nemmeno con il mio confessore, c'era qualcosa di tremendamente bello e terribile allo stesso tempo in quella visione... ebbi paura che parlandone avrei in qualche modo tradito me stesso e svelato un segreto che era mio e mio soltanto.
Il tempo passò scandito dalle consuetudini, l'estate passò, venne l'autunno, ci ammantò la neve dell'inverso e tornò la primavera.
Era passato ormai più di un anno dal mio arrivo a corte, sentivo il bisogno di viaggiare, senza conoscerne il motivo preciso. L'occasione che attendevo mi venne fornito da un invito che mi arrivò da mia madre. Ci eravamo scritti regolarmente in quei mesi ed avevamo incominciato a conoscerci, custodivo con amore le sue care lettere, ed ora eravamo pronti per rivederci.
Invitai Galessin ad intraprendere quel viaggio con me, non intendevo limitarmi a far visita a mia madre Elaine, volevo vedere il mondo, ovvero anche le altri corti.
Chiesi il permesso a Re Artù che me lo concesse immediatamente assicurandomi che entro due giorni al massimo avrei avuto il suo lasciapassare per spostarmi liberamente nel regno.
Fissammo la partenza per la settimana seguente e... cercando di non farmi pesare troppo la questione sulle spalle, mi feci coraggio ed andai a congedarmi da mio padre.
Forse era anche a causa sua che volevo cambiare ambiente per un po', le voci sulla relazione tra Ser Lancillotto e la Regina Ginevra si erano fatte insistenti ed io ero stanco di frasi fermare a metà al mio arrivo o di dover far fina di non sentire.
Lo raggiunsi nel giardino laterale alla sala delle udienze ufficiali, era fermo immobile davanti ad una pianta di rose, che aveva piantato la Regina, era un dono di Artù.
«Padre» mi accorsi che era la prima volta che mi rivolgevo a lui, che mi rivolgevo in quel modo a lui, che parlavo con mio padre. Avevo sbagliato forse io per tutto quel tempo, cercando un segno da lui, ma non facendo mai nulla di concreto per avvicinarlo? Ma non era ancora troppo tardi, ci sarebbe stato tempo dopo quel viaggio per rimediare. Se lui avesse voluto, naturalmente.
Lui si voltò verso di me «Galahad, parla pure», non era sorpreso che gli volessi parlare, mi sembrava indifferente o forse Artù lo aveva avvertito e sapeva già cosa dovevo dirgli.
«Tra pochi giorni partirò, starò via per un periodo, desidero conoscere il regno.» Lui annuì, continuai «Mia madre vi ha perdonato», sembrò trattenere il fiato, guardando i fiori, in un sospirò parlò «Non merito il suo perdono e nemmeno pietà per quello che sono, ma ringraziala e grazie a te... per essere quello che sei.»
Non so cosa mi aspettavo, non sapevo se credere a quelle parole, poteva averle dette anche solo per accontentarmi. Per il momento andava bene così.
Mi recai da Bedivere. Da alcuni mesi le lezioni con lui si limitavano ad un giorno alla settimana solo per smussare alcuni angoli, ma ci vedevamo tutti i giorni, lo andavo a trovare in capitaneria, pranzavamo spesso assieme. Le nostre cavalcate erano pian piano diminuite perchè avevo iniziato ad uscire dalle mura con Galessin che era una persona più adatta alla mia età e capace di galoppare ad una velocità degna di un cavaliere, a detta del capitano.
Anche Bedivere sapeva del mio viaggio, le voci volavano a Camelot, sorrise vedendomi. Gli raccontai del mio incontro con Lancillotto e dei pensieri che mi avevano attraversato.
«Non credo che tu abbia sbagliato l'approccio con tuo padre, che potevi fare di meglio?», non sapevo cosa replicare.
«Così rivedrai tua madre», notai una lieve esitazione, lui distolse lo sguardo, «dopo quanti, dieci anni?»
«Undici», risposi lentamente scrutandolo.
«Porgile i miei saluti, penso che... nulla, buon viaggio» terminò abbassando la voce. Mi abbracciò dandomi delle pacche sulle spalle.
Ero pronto.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

Sebbene a Camelot la mia libertà d'azione fosse sempre stata ampia, praticamente nulla a nessuno mi limitava se non la mia coscienza, quella galoppata, l'inizio del nostro viaggio, si portò via quel vago senso di prigionia che avevo sentito. Quel peso, erano le aspettative di tutti quelli che avevo conosciuto e che mi avevano conosciuto a castello e che avevo tentato con tutte le mie forze di non deludere.
Cavalcare così, senza pormi domande e senza voltarmi indietro fu come cambiare pelle. Rinnovarsi. Forse esagero, forse mi ero posto troppi problemi, forse... la vita a Camelot mi piaceva davvero?
Pensai a Bedivere, ad Artù che era sempre stato così disponibile con me. Mordred.
Era valsa la pena essere stato a corte anche per lui, anche se troppe cose ci dividevano ed io stupidamente avevo pensato…
Scacciai quei pensieri, dovevo incontrare mia madre.
Ci vollero quattro giorni per giungere al suo monastero, anche questo, come quello tristemente famoso in cui aveva alloggiato la Regina Morgause, ospitava sia monaci che monache. Divisi da un muro che si affacciava su entrambi i lati su un ampio giardino chiuso su su tutti i lati ed attorniato da un colonnato.
Arrivammo poco prima di mezzogiorno e dopo esserci fatti riconoscere dal monaco guardiano, fummo presentati al priore che ossequioso ci diede il benvenuto e mi disse che ero atteso da sorella Elaine. Glessin fu scortato nella stanza che ci era stata assegnata, non prima però di avermi bisbigliato un «buona fortuna».
Venni fatto passare per un ampio portone a due battenti che separava il monastero maschile da quello femminile, mi ritrovai nel giardino gemello, anzi a specchio, che avevo visto camminando con il priore.
Non vidi nessuno, mi aspettavo di trovare qualche monaca ad aspettarmi sulla soglia del portone, ma era tutto deserto.
«Galahad», la sua voce era dolce e leggermente esitante, non l'avevo notata, era solo un'ombra del portico.
Né prima di partire, né durante il viaggio, avevo pensato a cosa dirle.
Non ci avevo voluto pensare, le parole dovevano uscirmi spontanee e impulsive.
«Madre», ci abbracciammo e lei mi parve così minuta, mentre invece la ricordavo così alta, quasi a torreggiare su di me piccolo e piangente mentre diceva che sarei andato in un monastero, per il mio bene. E per il suo.
Lacrime scendevano dal suo viso non più roseo, gli occhi di quell'azzurro chiaro, tendente al grigio. Sembrava serena, sperai che non lo fosse solo in apparenza.
Mi invitò a sedere su di una panca sotto un'albero di melo, il tempo era sereno e maggio prometteva un'altra estate asciutta.
Eravamo lievemente impacciati, sulla carta era stato più semplice per entrambi esprimere quello che in quegli anni non avevamo potuto dirci. Indossava una veste nera con il velo bianco a coprirle i capelli, al collo una semplice croce di legno legata con un rozzo spago, simbolo di povertà e devozione. Il suo volto era ancora giovane, le sue labbra erano atteggiate in un leggero broncio, come una bambina che rifiutasse qualcosa. Sorrisi.
«Madre, se non fossi mai andato a Camelot non avrei mai potuto capire quanto avete sofferto e...», fece per parlare ma con un gesto della mano la fermai, sorrisi nuovamente, «se voi non mi aveste mandato al monastero fin da piccolo mi sarei attaccato alle vostre gonne, ricordandovi ogni giorno chi avevate sposato. Non sarei la persona che sono adesso e sono felice di essere me stesso.»
Credevo veramente in quelle parole? Erano uscite da sole.
Peccavo vagamente di vanità.
«Galahad, tu mi ha veramente perdonato? Ero giovane, anche se questo non significa nulla. Avevo meno della tua età quando mi sposai, pensavo... oh che ingenua!», era visibilmente emozionata, probabilmente era la prima volta che parlava così liberamente del suo matrimonio.
«Madre, ditemi soltanto una cosa. Vi ho mai dato dispiacere? Mi avete odiato?»
«No, mai, figlio mio...», stropicciò la veste con le mani, guardando l'erba che lambiva il bordo della sua veste, «vedevo, o volevo vedere in te... tuo padre e ad ogni istante mi pareva di scorgere qualche dettaglio di lui in te. Ne avevo quasi fatto un'ossessione. Quanto ero cieca!», allungò una mano titubante verso il mio volto, mi accarezzò piano una guancia, «ma ora vedo più chiaramente, sei uguale a tuo nonno, mio padre. Così apparentemente fragile, ma resistente a tutto.»
Pranzammo assieme in una sala, che era destinata agli ospiti di alto rango, che fossero lì ospitati, non essendocene al momento, ci accomodammo lì. Le raccontai del monastero, piccoli aneddoti, voleva sapere tutto, omisi solo le mie piccole uscite notturne nelle chiare notti d'estate. Le raccontai di Camelot, dove tutto era luce.
Lei chiese guardandosi le mani «si amano ancora?», dire la verità a volte è la cosa più difficile, mentire sarebbe stato così semplice. Le risposi dicendole semplicemente quello che avevo visto, lei annuì più volte, senza alzare la testa. Mi alzai, fingendomi interessato alla vista che si poteva ammirare dalla finestra, così lei poté silenziosamente asciugarsi le lacrime.
Che Dio ci proteggesse, lei lo amava ancora.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

Ero consapevole del fatto che se avessi affrontato quel viaggio da solo, ammesso che il Sommo Re mi avesse permesso di fare il cavaliere errante e solitario, avrei potuto fermarmi più a lungo da mia madre. Galessin non era certo il tipo di persona che amasse troppo i luoghi austeri e con scarsa e poco socievole compagnia. Decisi quindi di fermarmi non più di tre giorni.
La sera prima della partenza cenai privatamente con mia madre. Fino a quel momento avevamo affrontato l'argomento Lancillotto da un solo punto di vista, che non era certo quello del figlio che parlava del suo adorato padre. Sapeva che Bedivere era il mio maestro d'armi, nelle sue lettere non era andata oltre un «devi essere estremamente onorato per la possibilità che ti è stata data» e di persona, in quei tre giorni non avevamo minimamente accennato a lui. Ricordai le parole del capitano prima di partire.
«Madre, stavo quasi per scordare una cosa importante. Ser Bedivere ti manda i suoi saluti, immagino che tu l'abbia conosciuto quando eri damigella della Regina.»
Rimase in silenzio, atteggiò le labbra in quel modo da bambina che forse mio padre aveva trovato grazioso, tanto da sceglierla quale moglie, tra tutte le fanciulle che attorniavano Ginevra.
E che avrebbe potuto far innamorare anche…
Era pallida e stringeva le mani, nervosa.
«Io... ringrazialo e digli che prego per lui», evitava il mio sguardo. Ora mi sembrava che avesse un senso l'incertezza che avevo notato in Ser Bedivere quando mi ero accomiatato da lui. Sospettavo…
Nè tu, né lui avete una persona che potete chiamare a cuor leggero madre.
«Madre non avete motivo di nascondermi qualcosa, ci siamo detti molto in questi giorni. Sappiamo entrambi che il passato è il passato.»
Continuando a guardare qualsiasi cosa tranne me parlò a fatica.
«Bedivere... Ser Bedivere era ammirato da tutte ed io ero... lui mi guardava, era interessato a me. Sempre così discreto, senza mai gesti eclatanti e mi... bastava essere in sua presenza per arrossire come una sciocca. Poi arrivò Lancillotto e tutte noi damigelle...», la voce le si incrinò, «perdemmo la testa per lui. Bedivere, Bedivere si dichiarò ed io, io... lo rifiutai non ritenendolo un uomo completo. L'ho ferito così tanto, mi odierà per tutta la vita, maledicendomi!», alzò la voce in tono disperato.
Io ero diventato di pietra, mi sembrava di non riuscire a respirare.
La sua voce di fece confusa, «quando Lancillotto, io... ero la donna più felice del mondo, l'avrei cambiato, quelle voci non sarebbero più circolate, con un figlio, avrebbe dimenticato! Carne della sua carne... ma io ero solo, servivo solo per nascondere. Era tutto falso! E Bedivere, Bedivere lui... se io lo avessi sposato, lui sarebbe stato tuo padre…»
«No!» la bloccai, avevo sentito abbastanza. Non c'erano se e ma. Se avesse scelto diversamente, io non sarei nato, sarebbe stato meglio per molti. Per lei, Lancillotto, Bedivere... Mordred. Un sorriso amaro si formò sul mio volto.
Lui si era già sicuramente dimenticato di me.
«Ser Bedivere è l'uomo migliore che io abbia mai conosciuto, la sua menomazione e la sua bravura l'hanno fatto elevare nella mia stima... per quello che può valere. E' più di mio padre, è il mio consigliere, il mio rifugio. Non vi odia, sono sicuro che abbia capito il perché delle vostre scelte.»
Lei non rispose, io non avevo il coraggio di dire altro o di ascoltare alcunché.
La mattina seguente sarei partito presto, decisi di congedarmi quella sera da lei. Le baciai la fredda guancia, sussurrai al suo orecchio «nessuno vi biasima, io dovevo nascere e vivere per il mio compito, che giungerà presto, troppo presto.» Le parole uscirono dalla mia bocca come l'eco di una voce lontana. Lei sorrise brevemente con le labbra che le tremavano, mi accarezzò dolcemente il volto.
Aveva sentito le mie parole? Dubitai di averle pronunciate davvero.
Partimmo, il mio cuore non si era alleggerito, semmai pesava sempre di più.
Ora ci aspettava il castello di Carlisle con Re Uriens e sua moglie, Morgana, sorella di Re Artù.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

Tutti parlavano della Regina Morgana, sorella del Sommo Re, a Camelot. Una donna astuta, una donna di cui non fidarsi, che conosceva la magia, una strega più simile alla sorellastra Morgause che ad Artù. Immischiata in questioni misteriose e che macchiavano la reputazione.
Dovevo crederci? Le voci, tutte quelle voci che giravano avevano un fondo di verità? Cosa potevo aspettarmi da quell'incontro? Avevo deciso che la seconda tappa del nostro viaggio sarebbe stata questa perché volevo sapere.
Forse mi sarei trovato in un covo di serpi. Sperai di poterne uscire più consapevole di... no. La semplice verità era che volevo vedere quanto la sorella del Re assomigliasse al suo due volte nipote. Stupidamente pensavo che vedendo questa perfida fattucchiera avrei potuto chiudere con lui. Perché? Non lo sapevo.
Era così e basta.
Ma non ero pronto. Non ero pronto a vedere una donna così straordinariamente affascinante. L'ovale del viso perfetto, senza spigoli, le ciglia arcuate, quegli occhi... la piccola bocca. Le mani affusolate, con polsi così fini, sembravano quelli di una giovane fanciulla. I capelli neri, riccamente raccolti in una retina d'argento e zaffiri. Mi sembrò così giovane, piccola... in contrasto con il Re suo marito.
Avevano almeno vent'anni di differenza, Urien era molto più alto di lei, i capelli grigi, tagliati corti, senza barba. Magro ed atletico, i tratti taglienti e la bocca perennemente tesa in obliquo sul volto magro. Mi ero aspettato di vedere un massiccio uomo di mezza età, invece quell'uomo mi faceva pensare al severo priore del mio convento, dedito alle privazioni della carne ed al digiuno. Mi parve duro e poco espansivo.
Ma le apparenze ingannano. Urien si dimostrò una persona saggia, colta, capace di affrontare una discussione su qualsiasi argomento senza cadere in banalità. Non era facile al riso, ma non per questo era una persona troppo severa.
Morgana. Morgana, anche lei non era certamente una giovane e fragile fanciulla che mi era parsa.
Fummo ricevuti in una splendida mattina di metà maggio, con tutti gli onori, anche troppo fastosi per due semplici ragazzi, non ancora cavalieri ufficiali.
Re Urien vestito in oro e arancione e la sua Regina in bianco ci accolsero nel cortile principale, attorniati da un'infinità di dame e cavalieri. Mentre scendevo da cavallo vidi alcune fanciulle farsi furtivamente il segno della croce guardandomi.
Sorrisi rivolto ai miei stivali, che genere si storie erano giunte al castello di Carlisle?
Ci chinammo difronte al Re, fu la Regina Morgana a farci alzare. Ci chiamò “cugini” e ci baciò sulle guance. Cosa che mi lasciò quasi stordito. Vidi Galessin, dopo essersi ripreso dal caldo saluto di Morgana, fare il segno dello scongiuro.
Sperai che Morgana e il Re non avessero visto.
Pranzammo nella sala dei ricevimenti.
La dolce melodia di un'arpa aleggiava nell'aria, mi sentii sereno e lontano da problemi che non potevo e non sapevo risolvere. Le dame ridevano divertite, i cavalieri scambiavano dolci sguardi con le fanciulle.
Perché mi sentivo meglio, lontano da Camelot? In realtà ero solo fuggito. Io e il mio compagno mangiammo di gusto, senza perderci nemmeno un assaggio della quantità di piatti che ci passavano davanti.
Erano molti anche gli sguardi che si posavano sulla bella Regina, sorridente e raggiante. Giocava distrattamente con il cibo, limitandosi ogni tanto a portare un piccolo boccone alla bocca delicata.
«Galahad, non ti fidare. Dovresti guardarla attraverso il mio braccio, per vedere veramente com'è.» Galessin aveva parlato con voce seria, mi girai per guardarlo negli occhi.
«Come, prego?» risposi incerto.
Sembrò spazientito, «le streghe Galahad! Usano i loro incantesimi per sembrare eternamente giovani e l'unico modo per smascherarle è fare così. Ti spiego. Io metto la mano destra sul fianco destro e tu guardi attraverso l'angolo formato dal mio gomito e potrai vedere la sua vera forma», io stavo sorseggiando del vino e quasi mi strozzai.
«Cugino Galahad», la voce flautata della Regina mi fece scattare mentre Galessin cerava di aiutarmi con delle gentili pacche sulla schiena, «ti prego, caro cugino, anche noi», guardò con dolcezza il marito, «vogliamo ridere della battuta del cugino Galessin».
Immagino di aver assunto tutti i colori possibili ed immaginabili sul viso mentre ancora tossivo imbarazzato, tutti mi guardavano, anche il Re.
«Mia signora Mogana, stavo dicendo a Galahad che l'atmosfera e l'ottimo cibo sono ben diversi da quelli che abbiamo assaggiato nei giorni scorsi al monastero», mi salvò Galessin, non sarei stato in grado d'improvvisare così.
«Mmh...», Morgana guardò brevemente Urien assorto a scrutare il contenuto del suo calice.
«Ma il cugino Galahad cosa preferisce», riprese più rivolta alla corte che a me, «il monastero triste e silenzioso, se non per quei canti monotoni», rigirava il vino nel calice cercando quasi di far fuoriuscire il liquido rosso, «oppure la dolce compagnia, i canti d'amore e la spada?», si bloccò, posò il bicchiere e puntò i suoi oscuri occhi, profondi ed insistenti su di me, aspettando con ansia una mia risposta.
In realtà non avevo particolari preferenze in quanto al luogo, ai canti, tutto dipendeva dalla compagnia. Ero obbligato a rispondere sapendo quanto sciocca sarebbe sembrata la mia risposta.
«Mia Regina, dipende sempre dalla compagnia e...», mi bloccò sgranando gli occhi. «Cugino ti prego! Chiamami Morgana, non ho mai sopportato questi tediosi formalismi», sorrise estasiata rivolta prima a me e poi guardò Urien.
Il Re era scuro in volto, la guardò con un rimprovero che gli lampeggiava negli occhi grigi. Forse a lui i tediosi formalismi non dispiacevano affatto.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

Il giorno seguente ricevetti un invito, scritto personalmente dalla Regina Morgana, la carta profumava di lavanda. Mi chiedeva di raggiungerla nel pomeriggio presso il giardino interno che si affacciava sulle sue stanze.
Un luogo privato, tranquillo, intimo, che immaginai più adatto ad un incontro con un amante, piuttosto che con un proprio cugino.
Entrai nel giardino, facilmente raggiungibile da un lungo porticato che collegava le sale principali del castello.
Mi ero sbagliato, non era così intimo, c'era un continuo andirivieni di cortigiani e servitù lungo il porticato, a distanza di sicurezza una schiera di dame di compagnia si fingevano impegnate a cucire.
Lei era vestita di blu scuro, con un vestito semplice. L'unico tocco di colore era una cintura che evidenziava la vita stretta, quella di una fanciulla. I capelli erano raccolti in una crocchia che metteva in evidenza il lungo collo delicato, non portava gioielli.
Mi chiesi se fosse in castigo, come una bambina, per qualcosa che aveva detto la sera precedente, oppure se si stesse mostrando a suo marito come una penitente.
Mi salutò con un cenno della bella testa e mi invitò a sedermi sulla panca riscaldata dal sole difronte a lei.
«Eccoci qui. Il santo e la peccatrice. Che bella coppia formiamo, vero? Hai paura di me piccolo Galahad?» la sua voce era dolce sì, ma con un leggero retrogusto amaro.
«Paura? Dovrei?» risposi fingendomi sorpreso. Rimasi stupito di me stesso, per averle risposto con quel tono.
Alzò la testa, socchiuse le palpebre, «Oh, piccolo Galahad! Non dirmi che nessuno ti ha messo in guardia su di me e se nessuno ha osato farlo direttamente, avrai sicuramente sentito qualcosa sulla fattucchiera sorella di Artù. Oppure... no! Non dirmi che pratichi la vita monacale anche a Camelot!», stava imitando il mio tono falsamente sorpreso.
«Nessuno mi ha mai parlato male di voi, Regina Morgana, ho sentito solo delle voci», risposi pacato. Mi sentivo stranamente calmo. C'era qualcosa di Mordred in lei e molto di Artù. Morgana era meno... seria. Forse si stava prendendo gioco di me e mi stava rigirando facilmente, le riusciva facile eppure avevamo appena incominciato a parlare.
Sorrise portandosi una mano alla bocca, mi stava studiando, per decidere cosa fare di me? Cosa potevo fare per lei? Come potevo salvarmi?
«Dimmi ti prego Galahad, com'è la vita a Camelot? La Regina Ginevra, quanti ammiratori ha?» Voleva provocarmi?
«Devo dirvi il numero preciso?» risposi guardandomi le mani.
«Ah! Ti prego caro cugino, mi basta sapere anche un solo nome. Uno solo dei suoi ammiratori.»
Risposi senza pensare, «Ser Mordred», mi pentii immediatamente. Sentii le dame della Regina trattenere il respiro. Morgana mi guardava divertita, gli occhi le brillavano di contentezza.
«Mordred, il mio caro nipote. E' così prodigo di attenzioni allora? Chissà perchè non me lo immagino così... cavalleresco. Non è meraviglioso scoprire un lato nascosto in una persona?»
«Lui non è il solo mia signora, lui...» peggiorai la situazione.
«Mio caro Galahad, ma certo, cosa credi. Io non chiudo gli occhi e mi tappo le orecchie quando le situazioni sono palesi. Come fa il mio adorato fratello.» Il tono si era fatto via via più duro. Lisciò le pieghe della gonna e riprese. «Sono degli ipocriti, non credi? Tutti e tre. Il compito di una regina è quello di dare eredi per il trono, non di amoreggiare con il primo cavaliere del regno ed un re se ha una moglie sterile se ne deve liberare. Artù può stare tranquillo, qualcuno si prenderà cura di Ginevra se la abbandonasse. Oh, ma dimenticavo Lancillotto è felicemente sposato... è tutto così terribilmente complicato!» sospirò in modo drammatico, «sarebbe stato così semplice e meno doloroso se Artù avesse sposato la piccola Elaine...», si interruppe vedendo il mio sguardo dubbioso.
«Mia signora voi avete adempiuto al vostro compito di regina, avete dato dei figli a Re Urien?», lei alzò il volto al cielo e scoppiò a ridere in una sonora e divertita risata.
«Sei così... interessante piccolo Galahad, avevo paura di annoiarmi con te. Le voci come ben sai hanno un fondo di verità ma troppo spesso quella piccola verità viene distorta. Questo vale sia per te che per me a quanto pare.» Avevo alcuni dubbi al riguardo. Sembrò indecisa, se proseguire il suo discorso oppure cercare di vedermi vacillare con qualche altro argomento.
Si alzò, la imitai. «Ora purtroppo ci dobbiamo separare, i miei doveri di regina mi chiamano... urgentemente», alzò un sopracciglio, sorrise e se ne andò con un fruscio di vesti senza darmi il tempo di decidere cosa e come rispondere.
Quella sera cenammo nelle stanze private del Re, eravamo una decina, pochi intimi come disse Morgana, il Re e sua moglie, io e Galessin, i tre figli di Urien e le relative mogli.
Morgana continuava a mantenere una versione sobria indossando un semplice vestito liscio intessuto con fili d'argento, i capelli sciolti con un cerchio d'oro brunito a cingerle la testa. Anche il Re aveva scelto di indossare l'argento quella sera, non aveva più quell'espressione contrariata dalla sera prima. La tattica di Morgana l'aveva leggermente addolcito e vedendo la moglie versargli personalmente il vino e scegliere per lui i bocconi migliori della selvaggina, il suo sorriso si distese e diventò più simile a quello di un marito compiaciuto.
«Naturalmente anche qui ci è giunta la notizia della tragica morte della Regina Morgause» parlò il Re, Morgana non sembrò interessata alla frase pronunciata dal marito, «immagino che in quei giorni a corte ci sia stata una certa agitazione». Fu Galessin a rispondere, spiegò come le notizie inizialmente confuse avessero agitato gli animi e come poi con il ritorno di Ser Mordred fu tutto chiarito. Disse anche che io ero stato testimone diretto del racconto di Mordred. La Regina parve come risvegliarsi, tutti gli occhi erano puntati su di me, Morgana sembrò implorare il Re con i suoi occhi insistenti.
«Galahad, c'è la possibilità di ascoltare la storia che hai sentito quel giorno, oppure hai giurato per la segretezza?» Risposi che avrei raccontato ciò che avevo sentito, proprio perchè ero stato chiamato come testimone. Raccontai, cercando di usare le stesse parole di Mordred, pensando a quanto difficile doveva essere stato per lui... Era ancora molto vivido nella mia testa come dopo quel momento delicato, io gli avevo parlato in malo modo, lo avevo trattato ingiustamente.
La storia parve soddisfare i miei ospiti, che avrebbero a loro volta raccontato quello che avevano sentito ad altre orecchie avide di pettegolezzi.
Il Re ci invitò per la mattina successiva ad una cavalcata, per mostrarci almeno una piccola parte del Rheged, io e Galessin non potemmo che accettare con gioia l'invito.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

La sera precedente, durante il mio racconto, ovvero quello di Mordred, la Regina Morgana non si era scomposta, aveva ascoltato avidamente, assaporando ogni singola parola, mentre le altre dame si erano un poco turbate esprimendo la loro ansia con piccoli sospiri soffocati.
Quella mattina la Regina mandò a dire che non avrebbe partecipato alla cavalcata perché nella notte era stata assalita da una serie di terribili sogni riguardanti la sua povera sorella Morgause, non era riuscita a riposare bene, si sentiva debole e sarebbe rimasta nelle sue stanze cercando di recuperare le forze.
Perché mi sembrava che stesse cercando di darmi la colpa di averla turbata?
Perché Re Urien alzò le sopracciglia sentendo le parole del paggio?
Non potevo saperlo.
Galessin sfornò ben due ipotesi: la scorsa notte, la Regina si era troppo affaticata con il suo amante, oppure Morgana avrebbe approfittato dell'assenza del Re per in contrarsi con l'amante.
«Tutto qui? Non riesci ad inventarti di meglio?» gli chiesi e poi addentai una mela. «Galahad, piccolo Galahad», disse lui imitando la Regina, «cosa si può immaginare di peggio?»
«Peggio? Le tue opzioni sono scontate, piccolo Galessin, cugino mio. Nessuna teoria che comprenda pratiche magiche?» Lui spalancò gli occhi, «Sai qualcosa! E non mi hai detto nulla! Piccolo santarello, parla!» Gli veniva facile infiammarsi per questi pettegolezzi da pagani.
«No, non eri tu quello che doveva... farmi vedere attraverso l'angolo del suo braccio? Sei tu l'esperto. Chi altro?»
Rise e incominciò a sciorinare un elenco di aiuti contro le streghe come indossare gli abiti al rovescio, portare dei campanellini sugli stivali, non guardarle mai negli occhi... purtroppo questo utile elenco dovette interrompersi perché tutto era pronto per poter partire.
La giornata fu splendida, ci fermammo a pranzare lungo un torrente. Per un attimo pensai a Ser Bedivere, mia madre, mio padre... scrollai la testa e mi accorsi che Re Urien era vicino a me.
Mi sorrise e si sedette su una roccia guardando l'acqua scorrere, disse «Mi auguro che parlare con la Regina ieri pomeriggio non sia stato troppo traumatico per te, Galahad.»
Rimasi a bocca aperta, mi ripresi «No, Vostra Maestà, in un certo modo è stato piacevole ed» esitai, «istruttivo.» Mi guardò con quegli occhi grigi, che mi parvero sorridere.
«Istruttivo» ripeté. «Ti ha chiesto di intercedere per lei presso Artù o Lancillotto per poter essere chiamata a Camelot?»
«No, mio signore. Abbiamo solo marginalmente parlato del Sommo Re ed il suo Vice», non sarei stato in grado di ripetere precisamente di cosa avevo parlato con sua moglie.
«Il suo Vice», ripeté nuovamente le mie parole, forse aveva notato che non avevo detto “mio padre”?
«Sii pronto allora, probabilmente ieri ha solo sondato il terreno, per vedere quanto manovrabile tu sia. Non ti stupire Galahad, mi sei caro come un figlio anche se ci conosciamo appena, conosco mia moglie ed alcuni dei suoi... comportamenti. La sua improvvisa sensibilità di oggi però mi lascia perplesso.» Sbatté le palpebre più volte, si toccò il naso come ad indicare il suo fiuto, «Molto probabilmente la Regina oggi aveva qualche pensiero di troppo, ma il tuo racconto è solo una scusa, non ti affliggere.»
Rientrammo nel tardo pomeriggio, Morgana ci attendeva apparentemente ansiosa, appena vide il Re, gli corse incontro ponendogli mille domande e fornendogli mille servigi che lui liquidò con pochi monosillabi.
Quella sera io e Galessin cenammo nella mia stanza, tranquilli e senza doverci preoccupare di re e regine varie con le loro condotte capricciose.
Per tutta la settimana che seguì, Morgana ebbe poco interesse per i suoi adorati cugini, spesso a cena non si presentò adducendo come scusa dei forti mal di testa o dolore agli occhi. Grazie a questo riuscii a parlare con Urien più liberamente, non essendo la conversazione manipolata dalle curiosità della Regina.
Dopo due settimane arrivò un altro ospite alla corte del Rheged, anzi un'ospite inattesa ma molto gradita, era Nimue, consigliere del Somme Re ed erede di Merlino.
Era una donna di non più di venticinque anni d'età, capelli castano chiari, di statura media, con uno sguardo deciso, che sembrava capace di valutare una persona al primo incontro. Fu ricevuta con tutti gli onori possibili ed immaginabili, Morgana era leggermente inquieta, come se si chiedesse perché quella donna fosse lì. Mi chiesi perché ne fosse turbata, non poteva essere una buona occasione per perorare la sua causa ed ottenere il suo tanto desiderato invito a Camelot, dato che Carlisle le stava stretto?
Nimue in effetti era lì proprio per la Regina ma in particolar modo per un'altra questione che le stava a cuore. Me le disse personalmente quella sera al banchetto. Era seduta tra me e Re Urien, Morgana era tutta protesa verso il marito, cercando di catturare qualche parola, ma Nimue palava piano e solo per me.
«Mi dispiace molto per non averti incontrato a Camelot, in quel periodo ero molto lontana. Saremmo stati più tranquilli lì, ma in questo modo», fece un leggero cenno con la testa verso la Regina che ci stava guardando di soppiatto, «posso ottimizzare i tempi.»
Bevve un sorso di vino, non avevo capito di cosa mi dovesse parlare. Qualcosa su mio padre? Bedivere? Artù? Mordred?
«Dimmi Galahad, quante volte hai sognato la stella che diventa lucciola e che divora tutto?»
«Una sola volta», risposi sorpreso, «ma voi come fate a sapere...», mi mise una mano sul polso e sentii la sua mano fredda sulla pelle e fu come se l'esperienza del sogno diventasse reale, «siete stata voi!?», feci per alzarmi ma lei mi bloccò stringendomi forte il polso. «No, calmati Galahad. Quel sogno mi si è mostrato con la vista e so perché è stata la... lo so perché è un sogno divino. Come è un segno quello che hai detto a tua madre, io dovevo nascere e vivere per il mio compito, che giungerà presto.» Mi guardava in modo così sincero! Come poteva mentire? Ora sentivo un gran benessere provenire da lei. «C'è ancora tempo Galahad, puoi stare tranquillo ancora per un po'.» D'improvviso la sala mi sembrò più buia per poi tornare alla luce di prima.
«Ma non capisco, mia signora, non mi avete spiegato...», lei guardò la Regina che distolse lo sguardo e bevve dal suo calice.
«Domani Galahad, domani mattina, in un luogo tranquillo e lontano da orecchie indiscrete. Perdonami, abbi un po' di pazienza.»

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

Quella notte mi svegliai diverse volte, avevo come la sensazione di sprofondare nel letto, mi sentivo girare in un vortice senza fine. Ascoltai con gratitudine il cinguettio dei primi uccelli del mattino, andai alla prima messa del giorno.
Dopo la funzione, uscendo, trovai ad attendermi una pioggia fine e Nimue sotto un mantello grigio. Era interessata allo scorrere dell'acqua sulla liscia pietra della chiesa, quando mi avvicinai mi disse «spero di non sembrarti troppo indiscreta ad averti aspettato qui, ma non volevo perdere tempo.» Mi prese per un gomito e mi invitò a seguirla. Camminammo in silenzio per le strade della città-fortezza, Nimue conosceva bene quelle stradine tortuose, mi augurai che il posto dove eravamo diretti non fosse troppo distante. La pioggia era aumentata e i nostri mantelli si stavano inzuppando. Girammo in un vicolo laterale, ci fermammo davanti ad una piccola porta, Nimue armeggiò con una chiave ed entrammo. L'interno era completamente al buio, ma Nimue sembrava conoscere quell'abitazione perfettamente, salimmo una scala e ci trovammo in quella che mi sembrò una saletta. Lei aprì gli scuri delle finestre che si aprivano sulla strada laterale, tutto era tappezzato con ricche stoffe ed il pavimento era in legno finemente levigato. C'era un camino riccamente decorato con della legna nel braciere, pronta per essere accesa. «Puoi occupartene tu, Galahad, per cortesia», disse indicando il camino. Mi chinai e cercai di fare partire una scintilla, mi sentii improvvisamente indifeso, a chi stavo voltando le spalle? Nimue. Ma era veramente lei, il consigliere del Re? Mi tornarono alla mente le parole di Galessin. Se fosse stato un travestimento di Morgana? Cosa stavo facendo lì, con una donna, da solo?
«Ti stai ponendo molto domande, ma nessuna essenziale», disse lei più rivolta al fuoco che a me. «Questa casa è mia, l'ho comprata perché mi trovo fin troppo spesso, senza il mio volere, a dover visitare questa corte. I poteri di Morgana non arrivano fino a dove hai immaginato tu, si limitano ad accortezze femminili.» Mi guardò dritto negli occhi e riconobbi la Nimue che mi aveva parlato la sera prima.
«Perdonatemi, vi ho fatto perdere tempo mia signora», Nimue liquidò la cosa con una leggerissima scollata di spalle.
«Galahad, siedi qui vicino a me», attese che così facessi e poi mi prese la mano, la sua era calda e morbida. Percepivo un profumo di erbe di campo provenire da lei.
«Hai sentito il bisogno di partire ed hai intrapreso questo piccolo viaggio ed è una cosa buona. E' giusto che tu veda altre corti, che tu ti faccia conoscere. Ma questo è nulla in confronto a quello che dovrai compiere. Farai quel sogno sempre più spesso, fino a che capirai, lui ti farà capire, saprai che dovrai partire di nuovo.» Mi strinse la mano, io non compresi se si stava riferendo ad una persona o al sogno, proseguì «io ho visto il futuro Galahad, so che ti è difficile credere in questo. E' tutto scritto, ma io non penso che sia tutto irrimediabile, tu sei libero di scegliere. Non voglio dirti quello che sarà, perché non esiste ancora e tu poi ancora cambiarlo!» Aveva alzato la voce, sembrava quasi che emanasse luce propria. Continuò «Lo capirai quando dovrai partire. Ricorda queste mie parole: ama e fai del tuo punto di riferimento la persona che ami. Combatti per lei, non perderti d'animo. Stai percorrendo la strada giusta».
Sorrisi amaramente, amare? La persona che amavo... la strada giusta? Tolsi la mano dalla sua stretta, mi coprii il volto. Non capivo. Io ero solo fuggito da mio padre, credevo ormai di non voler più vedere mia madre dopo quello che mi aveva raccontato. Bedivere, come aveva fatto a trattarmi così, come un figlio, dopo quello che aveva subito? Mordred non sopportava la mia vista.
«Ah!» esclamai, guardando il soffitto, «amare? Ditemi Nimue... amando potrò fare veramente qualcosa di buono in questa vita, potete giurarlo?», la mia voce era tremante e patetica.
«Non posso giurare Galahad. Sono certa che farai del bene, sia a te che agli altri, assecondando i tuoi sentimenti», mi accarezzò una guancia e io com un bambino appoggiai la testa sulle sue ginocchia, volendo credere e fidandomi di quelle parole.
Mentre chiudevamo le imposte e spegnevamo il fuoco con la cenere, Nimue mi spiegò che era a causa di Morgana se spesso si trovava a Carlisle, sebbene la Regina non avesse poteri tali da preoccuparla, erano le sue azioni e la sua capacità di convincere con le sue suadenti parole i suoi giovani adoratori, a destare la sua attenzione. Morgana stava tramando qualcosa e le era più comodo avere un posto dove stare tranquilla fuori dal palazzo. Stavo per chiederle se le parole suadenti funzionassero anche con Urien ma lei mi precedette, «Re Urien sembra avere un antidoto nel suo sangue che gli impedisce di accontentare la moglie in tutti i suoi capricci. Sono una coppia ben assortita, non trovi?» Non risposi, erano una coppia che in un certo modo si bilanciava. Ma Morgana era davvero così temibile? Nimue non volle dirmi qual era il problema che la preoccupava e quanto serio fosse. Pensai alla vita del Sommo Re, che fosse in pericolo? Nimue teneva in così stretta sorveglianza Morgana, non poteva essere nulla di poca importanza. Veleno? Tutte queste domande si affollavano nella mia testa già in subbuglio.
Arrivati davanti alla chiesa, Nimue si fermò «ha a che fare anche con il tuo viaggio», guardò in palazzo, «Galahad, fai del tuo meglio per raggiungere la tua meta prima di chiunque altro», fece per andarsene. La fermai, «non capisco mia signora, dove devo andare?», si voltò, scosse la testa, «lo saprai, troppo presto. Non sprecare i giorni che ti restano prima della tempesta.» Se ne andò tornando sui suoi passi, camminando rapida tra i vicoli che si stavano riempiendo, presto non la vidi più, si era confusa tra i passanti.
Tornai a palazzo, mi diressi subito in camera deciso a cambiarmi gli abiti ancora umidi. Aprendo la porta della stanza percepii subito un leggero profumo di lavanda, c'era un biglietto sul tavolo sotto la finestra. La Regina Morgana desiderava offrirmi una colazione di metà mattinata nelle sue stanze. Gettai il biglietto nel fuoco che era appena stato acceso, poi mi distesi sul morbido letto. Dubitai fortemente che volesse solo offrirmi una seconda colazione.
Avevo ancora tempo, decisi di indossare la tunica più umile e semplice che avevo, volevo farle credere che non me ne importasse molto di quell'incontro.
Rimasi a fissare il fuoco, chiedendomi se non stessi in realtà dimostrando di avere paura della Regina facendola attendere. Cosa mi tratteneva lì in camera?
Ero un codardo che si era mostrato così sfrontato in quel primo incontro con Morgana.
Bussarono alla porta, era una damigella della Regina.
Morgana mi attendeva con ansia.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21

Quando entrai nella stanza della Regina fui assalito dal profumo della lavanda e mi sentii quasi barcollare, mi sedetti cautamente su di una sedia imbottita che mi venne offerta da Morgana.
Lei era leggermente imbronciata, mentre le sue dame apparecchiavano il tavolo che ci separava, per tutto il tempo continuò a guardare verso la finestra di vetro piombato, sulla quale scorrevano lente ed incessanti le gocce di pioggia.
Io rimasi in silenzio.
Morgana rimase assorta anche dopo che le ancelle si erano portate a debita distanza.
Che stesse ancora recitando la parte della donna afflitta per la storia da me raccontata sulla morte della sorella?
«Mi hai tradito, Galahad», no, doveva aver cambiato copione. Forse.
«Mia signora, di cosa state parlando?», le chiesi io cauto. Lei si mosse inquieta sulla sedia, continuò a guardare verso la finestra.
«Ieri sera...», si portò una mano alla tempia, «hai parlato solo con Dama Nimue, ignorandomi completamente. Questa mattina... non negarlo, la tua stupidissima messa è durata più del solito!» Si mordicchiò una piccola ciocca di capelli.
Dove voleva arrivare? Voleva insinuare qualcosa?
«Non voglio e troverei sciocco negare, mia signora.»
«Oh! Mio caro cugino, sempre così tremendamente formale! Cugina Morgana, così mi devi chiamare», così dicendo mi invitò a bere dal calice che mi porgeva.
Feci finta di bere, accostando solo il bordo della coppa alle labbra.
Lei mi guardò da sotto le folte ciglia.
«Così non mi vuoi dire nulla. Fai bene a tenere dei segreti, un uomo troppo limpido non è interessante», sentii le sue dame soffocare delle risate. Lei non diede segno di averle sentite.
«Galahad, mio misterioso cugino, ti prego dimmi, hai visto la spada del Re, Excalibur?» chiese a voce bassa.
Povero me, era solo una domanda per fare semplice conversazione, o c'era altro? Sentivo caldo, avevo bisogno d'aria.
«Certo mia signora, è nella sala rotonda sopra lo scranno di Re Artù», lei alzò leggermente la testa, con la mano faceva lentamente roteare il calice.
Avevo detto qualcosa di troppo? No, era noto a tutti che Artù la usava solo nelle cerimonie ufficiali, era stata appesa lì dopo l'ultimo scontro con i sassoni.
«Dunque non l'hai mai vista usare da mio fratello?», feci un cenno di no con la testa, lei proseguì, «sta ad impolverarsi, lassù dove nessuno la nota, appesa al muro come le antiche vestigia che nessuno vuole più usare. Un tale spreco! Un'arma leggendaria, uscita come pura luce dalla roccia e-» la interruppi senza rendermene conto, «e che nell'acqua si inabisserà per sempre.» Mentre pronunciai quelle parole mi venne in mente Bedivere e sentii nettamente il rumore... come di un grosso sasso gettato nell'acqua.
Morgana sgranò gli occhi e rovesciò il calice per terra, io mi alzai di scatto. Facevo fatica a respirare.
Un'ancella si precipitò a pulire a per terra, un'altra portò un nuovo bicchiere alla sua Regina. Io andai alla finestra più vicina, la aprii e mi sentii meglio grazie all'aria fresca e umida che respirai.
«Uscite!», urlò Morgana, «Tutte! Non fatemelo ripetere, fuori!», la sua voce era isterica, le dame uscirono veloci, la porta della stanza si chiuse con un pesante tonfo dietro di loro. Io rimasi dov'ero volgendo le spalle alla Regina.
«Che cosa hai detto?», disse lei scandendo le parole, stava trattenendo a stento l'ira.
«Ho detto...», la mia voce era debole ed incerta, faticai a sentirla io stesso.
Sentii i suoi passi furenti che si avvicinavano a me, mi artigliò un gomito e mi fece voltare, mi prese il mento con la sua piccola mano sinistra e sentenziò «Tu! Piccolo demonio! Cosa ne vuoi sapere! La gente quando ti vede si fa il segno della croce e quando vede me fa il segno contro il malocchio, secondo te questo basta a fare di te una persona adatta? No! Non sai nulla! Figlio di quella sciocca romantica e quell'insolente! Mi ha tradito, tradito!» Mi stringeva il volto da farmi male, non sapevo cosa dire, non avevo la forza per divincolarmi, il suo profumo mi opprimeva il petto.
«Galahad, non comprendi?», la stretta diventò una carezza sulla mia guancia, «lei ti ha riempito la testa con discorsi senza senso, dicendo di tutto e non spiegando una sola parola. Io la conosco bene, so come sa raggirare gli uomini ed anche le donne, so cosa ha fatto ad Artù, Merlino e a me!» Si allontanò un poco, si strinse le braccia al petto come se sentisse freddo, mormorò con il viso chino su una spalla «anch'io sono una sua vittima e chiamano me strega... ah, sono qui come una reclusa, in cattività». Liberò le braccia e tornò vicino a me, troppo vicino. «Galahad tu non puoi nemmeno immaginare quale splendente futuro ci attende. Tu sarai Re, con la spada di un Re, nessuno ci potrà fermare. Ed io sarò la tua-», non scoprii mai cosa sarebbe diventata Morgana perchè in quell'istante sentimmo delle voci concitate provenire da oltre la porta della camera, le due ante si spalancarono, Nimue entrò. Era splendidamente vestita di rosso, i capelli intrecciati con grosse margherite di campo. Aveva il mantello elegantemente drappeggiato su di un braccio ed era sorridente come una fanciulla che avesse appena ricevuto l'invito a danzare con il suo amato.
«Mia Regina, mi avevate promesso una lunga passeggiata sulle mura, ora che ha finalmente smesso di piovere non potete evitare in alcun modo di accontentarmi.» Gli occhi di Morgana dardeggiarono, si voltò verso al finestra aperta e in quel momento, il rumore della pioggia che aveva incessantemente accompagnato la sua arringa, venne meno. Non pioveva più.
Io rimasi a bocca aperta, vedendo che il cielo si stava rapidamente schiarendo, Morgana raggiunse Nimue senza fiatare, le due uscirono a braccetto dalla stanza.
Rimasi lì da solo a chiedermi se fossi davvero salvo.

Note: un grazie infinito ad Aily che mi legge sempre e a SakiJune che mi ha scritto una recensione meravigliosa! Grazie grazie grazie <3

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22

Un'altra settimana passò, il tempo era decisamente migliorato dopo altre sporadiche piogge accompagnate da veloci schiarite. La Regina non mi mandò più a chiamare, a cena si presentò raramente e in qui momenti aveva occhi solo per il marito che sembrava accettare con indifferenza le sue attenzioni. Nimue era molto impegnata con i suoi compiti di guaritrice e ci raggiungeva solo dopo cena e per lo più discuteva di politica con Urien o con i figli di quest'ultimo. Io, Galessin ed il figlio più giovane del Re, Run, ci dedicavamo in quei giorni a lunghe cavalcate. Ebbi modo di pranzare anche da solo con Urien, cercò d'insegnarmi un gioco chiamato “dama” che mi dava non pochi grattacapi, pensavo molto alle mosse e questo, non sapevo perchè, divertiva enormemente il Re.
Venne il tempo di partire, il mondo non era tutto lì.
Nimue mi mandò un biglietto, era breve.
Quando ci rivedremo, ricorda che abbiamo cercato di agire al meglio, lo scenario potrebbe essere diverso da quello che avremmo voluto vedere. Metti tutto te stesso in quello che fai.
Non mi sembrò molto positivo, ma conteneva un briciolo di speranza. Ma c'era una punta di tragicità nelle sue parole.
La speranza era però migliore che un'angoscia costante.
Qualunque cosa fosse successa era volere di Dio, avrei accettato qualsiasi cosa mi avesse mandato.
Partimmo una mattina verso la fine di maggio, il Re ci augurò buon viaggio alla presenza della corte al gran completo. Un'assenza brillava fra tutti.
Morgana.
La Regina era indisposta.
Augurai al Re una pronta guarigione per sua moglie, lui alzò gli occhi grigi al cielo con un sorriso divertito. Nimue diede a me e a Galessin un bacio sulla guancia senza dire nulla, Galessin arrossì di piacere, gli rinfacciai la cosa più tardi. Nimue non era forse una maga, strega anche lei? Non ebbi risposta diversa se non una sorta di grugnito seguito dall'aumento della velocità della sua cavalcatura.
Ci dirigemmo verso i possedimenti di Re Pellinor. Lì l'atmosfera era ancora greve per la perdita del figlio Lamorak, ma questo non incise minimamente sula gradita accoglienza che ricevemmo.
Rimanemmo lì tre settimane e poi ci furono altre corti, altri volti, altre serate a raccontare le meraviglie della corte di Artù e fu così che passò più di un anno. Era giugno inoltrato quando arrivammo sulle colline che ci offrivano la vista di Camelot, casa nostra.
Riconoscere quelle mura e vederle diventare sempre più grandi man mano che mi avvicinavo, mi scaldava il cuore. Non credevo di aver sentito la mancanza di quel luogo, ma trovandomi davanti al portone principale capii che ero stato lontano per molto tempo e tornare a quella vita non mi sarebbe affatto dispiaciuto.
Questa volta non trovai soldati a decantare le mie qualità di santo, erano tutti alle prese con i loro compiti e non fecero troppo caso a due ragazzi stanchi ed impolverati. Dopo esserci assicurati che i nostri cavalli fossero ben accuditi nelle stalle, ci avviammo al palazzo. La frescura dei corridoi agì come un balsamo ristoratore sulle nostre stanche membra, l'eco dei nostri passi ci riportarono con la mente ad un anno prima, quando eravamo dei semplici aspiranti cavalieri. Ora ci sentivamo un qualcuno o un qualcosa anche se non avevamo compiuto nessun atto eroico. Eppure io e Galessin ridevamo e ci spingevamo come due bambini, felici ed eccitati senza sapere esattamente perché.
Incontrammo Ser Kay sulla scala che portava al piano delle nostre stanze. «Galahad! Galessin! Vi stavo raggiungendo al piano terra, ma a quanto pare siete così impazienti di vedermi che mi siete venuti incontro», rise spettinandoci i capelli con le sue grandi mani, «andate, tra poco manderò dei paggi nelle vostre camere per le vostre esigenze. Questa sera vi attendiamo nella sala rotonda, siate puntuali.»
Io e il mio compagno ci separammo dandoci appuntamento davanti alla sala della tavola rotonda. La mia camera mi sembrò più grande di quanto la ricordassi, mi buttai sul letto e rimasi a fissare il soffitto, con la mente sgombra.
Dopo essermi lavato e vestito, uscii e rimasi fermo a guardare la porta della camera di mio padre. Poco prima di partire da Camelot avevo pensato che forse avremmo potuto veramente essere padre e figlio, ma era passato così tanto tempo, ormai... se lui non mi voleva, non gli avrei imposto la mia presenza. Io ero solo, non avevo famiglia.
Trovai Galessin attorniato da giovani galli, stava raccontando le nostre innocenti avventure, fui accolto con pacche sulle spalle ed occhi animati da sete di storie provenienti dalle altre corti. Ser Bors ci raggiunse e ci spinse ridendo dentro la sala, vidi Ser Bedivere già seduto al suo posto alla sinistra dello scranno di Lancillotto. Posto al momento vuoto, come quello di Artù e Ser Mordred.
Ser Bedivere mi fece un cenno con la mano, io gli sorrisi brevemente e distolsi lo sguardo, mi sentivo colpevole per essere il figlio della donna che l'aveva rifiutato così scioccamente.
Il Sommo Re non si fece attendere molto, giunse con il suo solito passo sicuro, salutandoci tutti con il suo volto aperto. Con lui arrivò mio padre. Artù si sedette, tutti ci accomodammo. Il Re salutò formalmente Galessin e me difronte agli altri cavalieri che sbatterono le mani sul tavolo per farci sentire il loro calore. Ser Lancillotto si limitò a rivolgere sia a me che al mio vicino lo stesso cenno della testa. Il posto di Mordred rimase vuoto.
Sentii il cuore stringersi, un misto di dispiacere e sollievo mi colpì come un'onda, guardai la zona del tavolo dove si sedevano gli eredi delle Orcadi. C'era Gareth, scambiò brevemente la mia occhiata.
Mordred non era a corte, era tornato nel Nord con il fratello Gawain.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23

La mattina del giorno seguente, mi presentai in armeria dove trovai Ser Bedivere intento nel dare direttive ad un addetto ai rifornimenti. Lui si liberò velocemente, mi invitò nel suo studio.
«Bentornato Galahad. Sei venuto qui per allenarti per fare conversazione?» mi sorrise.
Io non riuscivo a palare, presi fiato almeno due volte per iniziare a parlare ma mi accorsi di non esserne in grado.
«Cos'è successo di così grave, qualcuno ti ha tagliato la lingua?», fece una pausa, «forse sarà meglio vedere se ti sei rammollito in questi mesi. Alzati e aspettami fuori.» Il suo tono era perentorio. Uscii senza dire nulla.
Il suo attacco era rabbioso ed io non facevo che difendermi, arretrando senza scampo. Per mia fortuna la piazza per gli allenamenti era deserta quella mattina. Ad ogni colpo mi sentivo sprofondare e mi sembrava una ben misera punizione per il male che gli avevo inferto con la mia nascita.
Si fermò, era infuriato. «Dove sei Galahad? Sei rimasto in qualche prato fiorito a rotolarti come un ragazzino?» Non avevo mai sentito una voce così secca, era come se una frusta avesse saettato nell'aria davanti me.
«Mia madre...», dissi con voce soffocata. Lui capì, sospirò. «Non ho bisogno della tua pietà Galahad», si era calmato, pensavo che lui mi credesse solo un peso. Mi mise una mano sulla spalla, mi puntò gli occhi negli occhi e disse «sì, sono stato profondamente ferito Galahad e dopo quello decisi di non sposarmi mai. Non volevo essere la seconda scelta di nessuno. Sì, sono una persona orgogliosa. Non mi sono pentito della mia scelta anche perchè così ho potuto dare il mio affetto e il mio sapere a due dei migliori cavalieri della tua generazione», i suoi occhi ridevano, «tu e Mordred mi avete dimostrato più forza di resistenza di qualsiasi altra persona e no.... non ce l'ho con te né con tua madre. Quale sarebbe la tua colpa? Sai dirmela? Tua madre... il tempo e la lontananza possono guarire o almeno ridurre il dolore.»
«Grazie» dissi piano.
«Che sciocco sei, avevo creduto che ti fossi fatto un po' furbo dopo tutti questi mesi», mi scompigliò i capelli, io cercai di fargli spiegare che cosa intendesse con quel furbo. Ero davvero così tanto sciocco ai suoi occhi? Come unica risposta ottenni che per farmi perdonare per avergli fatto rivangare quei pensieri avrei dovuto aiutare i suoi uomini nell'armeria per tutto il giorno.
La vita di corte mi riassorbì tra i suoi ritmi, incontrai Gareth qualche volta ma lui non sembrava troppo propenso a scambiare con me una conversazione che andasse oltre i convenevoli. Era sceso un velo tra noi due, ma non c'era nulla che ci dividesse realmente, forse era meglio così. Avevo paura che se Mordred tornando avesse visto che suo fratello ed io ci fossimo riavvicinati, si sarebbe irritato, non solo con me ma anche con Gareth. Non volevo immischiarlo in quella storia.
Passò un mese dal mio ritorno, re Artù mi mandò a chiamare. Eravamo nel suo studio da soli, le finestre erano aperte alla ricerca di una leggera brezza. Mi spiegò subito cosa voleva affidarmi.
«Galahad immagino che ricorderai il spiacevole fatto occorso quasi due anni fa alla Regina Morgause», annuii brevemente in risposta. «Quei giorni furono difficili per più ragioni che puoi immaginare. Non ricevetti notizie del Principe Mordred per giorni, troppi giorni.» Questo lo capivo, ma cosa aveva a che fare questo con me?
«Sai che ho altri due figli?» Sì, ne avevo sentito parlare, un ragazzo che aveva circa un anno più di Mordred e un bambino che non aveva ancora raggiunto i sei anni.
Cosa significava? Mordred se n'era andato per sempre? Mi sentii defluire il sangue dal volto, sperai che la mia reazione non fosse troppo evidente. Artù proseguì «Loholt il più grande ha scelto la vita monastica», disse corrugando leggermente la fronte, «Amr, il più piccolo vive attualmente nello stesso monastero in cui sta il fratello maggiore. Galahad, desidero che Amr venga a vivere qui, sotto i miei occhi», lo disse come se dovesse convincere se stesso. Io ero perplesso ed Artù lo notò.
«Galahad, la mia ti sembra un'idea tanto campata in aria?», io abbassai gli occhi, chi ero io per contraddire le scelte del Sommo Re o di un qualsiasi re? Artù attendeva una risposta.
C'erano due cose che volevo dire: era per non commettere lo stesso errore che aveva fatto mio padre con me, se il piccolo Amr veniva tolto dal convento? Artù non voleva avere un figlio che lo credesse insensibile? E Mordred, che ne era di lui?
Non potevo permettermi di chiedergli la prima cosa, sarei stato troppo indiscreto.
«Vostra Maestà... il principe Mordred non... non sarà il vostro erede? Scusate, so bene che attualmente è il Duca Costantino ad esserlo, ma vivendo qui io ho creduto, insomma pensavo che fosse normale che la corona passasse...» Lui si alzò dallo scranno e venne a sedersi vicino a me.
«Sì, Galahad, Mordred diverrà il mio erede. Il suo viaggio è solo uno sfizio, una vacanza che si è concesso. Voglio che Amr venga qui perchè tutti i miei figli possano avere l'educazione e la mia presenza, ovvero tutto quello che gli posso offrire.» Improvvisamente mi accorsi di essere rigido come un pezzo di legno. Mi rilassai.
«Vi ringrazio Maestà, non eravate in obbligo di spiegarmi le vostre scelte private», con un gesto della mano mi fece capire che era tutto a posto.
«Il tuo compito Galahad è recarti all'abbazia di Antor e portare qui Amr, voglio che tu vada da solo, per dare nell'occhio il meno possibile. Viaggiare da solo con un bambino non sarà semplice, ma confido in te. Sei la persona più adatta.»
Mi chiesi in base a cosa fossi adatto. Perchè andavo a togliere un bambino da un convento, un bambino come lo ero stato io più di diedi anni fa? Oppure perchè ero un santo e avrei saputo gestire il figlio del Re anche con le mie capacità sovrannaturali?
Il Re aggiunse alcuni dettagli, mi disse che Amr non sapeva che era suo figlio, credeva di essere il figlio bastardo di un nobile e che era il fratellastro di Loholt. Sarei partito la settimana seguente.

Note: Il Lancelot-Grail scrive che Loholt nacque da una notte fra Artù e Lisanor di Carigan figlia di Earl Sevain, prima del matrimonio fra Artù e Ginevra (fonte > Camelot), io ho messo che viene concepito un bel po' prima, prima della notte con Morgause. Cioè quando Artù viveva da Ector, credo di averlo fuso lui con altro figlio (Llacheu e Gwydre ora non ricordo). Ho commesso un peccato capitale? Può essere *si nasconde per non essere presa a sassate*, tanto commetterò altri peccati prima della fine! *fugge*

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24

Non avevo mai viaggiato in completa solitudine, ero davvero solo, senza nemmeno un servo. Questo non era un male, per dieci anni al monastero nessuno mi aveva mai servito e riverito come avevano fatto in tanti, troppi, in quei due anni tra Camelot e le altre corti.
Artù mi aveva spiegato che viaggiando così, nessuno mi avrebbe notato, dato che le strade erano sicure non avrei dovuto temere nessuno. La prudenza non è mai troppa ma il volere del Re era indiscutibile. La mia missione era segreta, a Bedivere quindi potei solo dire che partivo per ordine diretto di Artù e lui dopo un momento di silenzio disse che dovevo essere onorato per quel compito, perché questo era segno di grande fiducia.
Non sapevo cosa aspettarmi da Amr, il figlio di Artù. Sarebbe stato un Mordred in miniatura? Mi misi a ridere da solo per strada, l'unico testimone fu il mio cavallo che non era molto interessato ai miei pensieri.
Che bambino poteva essere Amr? Simile a com'ero io a sei anni? Un bambino piagnucoloso che cantava a messa con una serietà e solennità senza pari. Io lo avevo fatto perché volevo fare qualcosa di buono, volevo essere apprezzato.
In tre giorni di viaggio verso Nord arrivai all'abbazia, luglio non era il mese migliore per viaggiare ma almeno all'andata non soffrii troppo il caldo.
Fui ricevuto dall'abate Elias, un uomo apparentemente pio e devoto, magro come un chiodo che alzò le mani in segno di grazia vedendomi, sembrava più interessato a sapere se il mio viaggio fosse andato bene, se ero stato accolto con i dovuti riguardi piuttosto che a leggere la missiva del Re. La lettera che avevo portato era rimasta sul tavolo, l'abate evitava di affrontare l'argomento della mia presenza. Iniziai a sentire un leggero velo di sudore coprirmi il labbro superiore. Mi chiese informazioni sul monastero dove ero cresciuto, su quello dove si trovava mia madre. Risposi distrattamente alle sue risposte.
Bussarono alla porta del suo studio ed Elias si alzò rapidamente dalla sedia, come se quella scottasse, si fece da parte.
Era entrato un giovane, alto, con i capelli castano chiaro e gli occhi scuri, neri come quelli di Mordred. Dallo sguardo che lanciò nella stanza, compresi che non era particolarmente entusiasta di vedere l'abate in piedi che gli faceva evidente segno di accomodarsi al suo posto. Il giovane monaco lo ignorò e si volse verso di me, non avevo dubbi su chi fosse.
Loholt.
Il primogenito di Re Artù.
Mi alzai, lui mi porse la mano e io gliela strinsi inchinando la testa. Mi strinse con vigore, come se volesse soppesarmi con quel contatto.
Parlò, disse semplicemente «Sono fratello Loholt, piacere di fare la tua conoscenza Galahad figlio di Lancillotto», aveva la voce calda e liscia come il velluto. Lasciò la mia mano, si diresse dall'altra parte del tavolo, dove si sedette. Prima guardò la lettera ancora sigillata, chiuse gli occhi ed allora l'abate, unendo le mani tentò di parlare, ma lo Loholt lo precedette.
«Abate Elias, sono certo che la lettera non possa contenere così terribili notizie che voi non abbiate avuto la forza di leggere», il tono era calmo, pacifico ma i suoi occhi ridotti a due fessure lo smentivano.
«Fratello... Loholt», esitò l'abate, «la lettera proviene direttamente da Camelot... ed io, voi avete tutto il tempo per poterla leggere con calma.» Così dicendo raggiunse la porta, fece un leggero inchino diretto a me, aprì la porta ed uscì. Loholt non si era mosso, al tonfo secco del battente mi guardò senza cambiare minimamente espressione.
«Mi dispiace molto, l'abate si comporta in modo eccessivamente servile con me. E' lui la massima autorità, ma sembra dimenticarsene fin troppo spesso, in particolar modo se c'è di mezzo il Sommo Re.» Mi sorrise, proprio il sorriso di suo padre. Continuò a parlare difronte al mio sguardo smarrito, «Ora penserai che sono una sorta di re dell'abbazia, questa situazione non mi piace per nulla, mi pesa incredibilmente. Vengo trattato com il principe che non sono e non voglio essere.» Aveva abbassato la testa, portando una mano al mento, intravedevo la sua chierica sul capo.
«Conosci il contenuto della lettera?» mi chiese quasi mormorando.
«Sì, fratello Loholt», avevo provato un motto di simpatia per lui dopo la breve spiegazione sul comportamento dell'abate.
Staccò il sigillo, lesse brevemente, alzandosi mi chiese di seguirlo, mentre camminavamo mi chiese notizie su Camelot, sul Re e su suo fratello Mordred. «Sul principe non ho molto da dirti, era partito per il Nord prima del mio rientro a corte da un lungo viaggio», avevo parlato rivolto al pavimento, avrei voluto porgli delle domande sul fratellastro, il futuro erede al trono, ma avevo paura di dimostrare troppo interesse non giustificabile. Fu Loholt a venirmi un poco incontro.
«Non ho mai conosciuto Mordred, ho sentito parlare di lui solo da persone che non l'avevano conosciuto direttamente. Io non sono interessato al potere, né alle guerre. Sono incapace in queste cose», parve divertito, «vorrei solo sapere se ho lasciato... nell'ipotetica possibilità che fossi stato considerato nella linea di successione, se ho lasciato il posto ad una persona capace e che tiene al suo popolo.»
Lo accontentai, prima titubante ma mi trovai ben presto a tessere le lodi di Mordred, raccontando la sua costante partecipazione ai consigli, all'ammirazione che si era guadagnato sia dal Re che dai suoi compagni più stretti.
Loholt si fermò, «Mi era parso di capire che non lo conoscevi molto bene», io arrossii e balbettai qualcosa. Se dalla mia reazione trasse qualche informazione, non potevo saperlo. Sperai solo di aver soddisfatto la sua curiosità.
Giungemmo in un chiostro inondato di verde, dove sentivo le voci di alcuni bambini giocare.
«Amr... Amr, vieni qui per favore», Loholt parlò, le voci si abbassarono ed uno dei bambini ci raggiunse di corsa. Aveva gli stessi capelli del fratello più grande, con dei leggeri riflessi ramati nella sua chioma. Aveva le guance arrossate e le maniche arrotolate fino alle ascelle.
«Loholt! Non puoi immaginare che cosa incr-», si bloccò con la bocca aperta a fissarmi. A fissare la mia spada.
«Amr, questo è Galahad, arriva direttamente da Camelot», sembrava che il bambino si fosse dimenticato come si facesse a respirare.
Non sapevo cosa dire, «Amr, Galahad ha affrontato un lungo viaggio solo per te, puoi anche salutarlo.»
Amr con gli occhi che brillavano si riprese, s'inchinò formalmente con un ginocchio a terra, suo fratello nascose un sorriso chinando la testa ed infilando le braccia nelle maniche ed incrociandole davanti al petto.
«Amr...» gli misi una mano sulla spalla «non sono il Re, non sono nemmeno un cavaliere a tutti gli effetti», lo aiutai ad alzarsi.
«Amr, vai a lavarti, ceneremo noi tre soli, dobbiamo parlarti in privato.» Il ragazzino corse via voltandosi varie volte, come ad accertarsi che fossi veramente lì.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25

Quella sera a cena Loholt ed io parlammo tranquillamente, mentre Amr toccava appena il cibo guardandoci con quegli occhi luminosi pieni di aspettativa. Fu sempre Loholt a spiegare al fratello minore perché ero lì. Dovevamo partire la mattina seguente, il bambino non sembrò provare alcuna preoccupazione. Forse la vita all'abazia gli andava stretta.
Amr fu congedato presto dal fratello, che gli fece promettere di preparare una sacca con le sue cose e di essere puntuale per non farmi aspettare per la partenza. Loholt ed io rimanemmo soli. «E' stato incredibilmente silenzioso» disse lui avvicinandosi ad una finestra aperta, il canto dei grilli era l'unico suono che si sentiva.
«Devo preoccuparmi?» gli chiesi. Lui rise brevemente, una risata profonda, di gola.
«Domani sarà un fiume in piena. Posso chiederti cosa sai delle sue origini?» Sapevo solo che la madre era una donna che era vissuta al castello di Ector, l'uomo che aveva allevato Artù per quattordici anni come se fosse suo figlio.
«Sì, mia madre... ha poca simpatia per quella dama», io rimasi sorpreso, «sai vero che io ed Amr abbiamo solo il padre in comune?», annuii. «Mia madre, Lisanor, si concesse ad Artù con il benestare di Ector. Lei era giovane, innamorata... pensava anche di potersi sposare. Puoi immaginare come fu entusiasta a soli quattordici anni di scoprire che il suo giovane amante ed amato a cui stava per dare un figlio era l'erede di Uther. Sognava di diventare regina. Pensava alla gloria. Ma questo non era il suo destino.» Si guardò i palmi delle mani, come a cercare qualcosa.
«A che età sei stato mandato in un monastero?» gli chiesi.
«A sei anni, come te, vero?» Mi domandai... se mio padre non mi avesse mandato a chiamare, sarei diventato come Loholt? Lui indovinò parte dei miei pensieri «Ho scelto questa vita perché mi era congeniale e ammetto di non aver mai provato troppa simpatia per Ector ed anche per Artù. Se si mette al mondo un figlio lo si deve volere, è troppo facile lasciarlo in balia di altri. Potrei essere messo alla forca per quello che ho detto, ma lo ripeterei senza problemi anche difronte ad Artù.» Fece una pausa.
«Perdonami dicevo di mia madre. Per farla stare buona la fecero sposare con un signorotto, fedele ad Ector, io rimasi al castello fino ai sei anni. Ma Artù era ormai lontano ad affrontare la sua vita da Re. La madre di Amr si chiama Celerdain, la serva personale di mia madre. Il Sommo Re andò in visita ai genitori adottivi, la vide, la volle, fu sua. Molto semplice. Mia madre sperava di essere ancora nel cuore di Artù…»
Come faceva a sapere tutte quelle cose? Per quanto il potere gli interessasse poco aveva la sua rete di informatori.
Loholt, forse non voleva essere re, ma aveva l'astuzia che serviva ad un re. Mordred sarebbe stato all'altezza di sostituire il padre, aveva tutte le qualità necessarie?
La mattina seguente partimmo presto, fu Amr ad aspettare me e non il contrario. Lo trovai vicino al mio cavallo con lo sguardo scattante ed il viso pallido. Forse non aveva dormito molto per via dell'eccitazione.
«Il viaggio è breve, quindi cavalcheremo insieme, tu starai sulla sella davanti a me», gli dissi e lui annuì più volte allungando una mano per sfiorare il muso del cavallo. Ci raggiunsero l'abate Elias e fratello Loholt per salutarci, l'abate si prodigò in mille inchini e saluti e Loholt mi consegnò una lettera per il Re.
Mi guardò intensamente «Se avrai l'occasione, porgi i miei saluti al Principe Mordred. Spero che queste parole non gli suonino leziose», non dissi nulla, dubitavo fortemente che avrei parlato con il Principe in un tono così intimo. Salutammo e partimmo in quella bella mattinata assolata.
Loholt aveva visto giusto, Amr dopo pochi minuti dalla partenza, dimenticò la timidezza che aveva mostrato in mia presenza e mi attaccò con domande a raffica. Lo trovai sveglio e furbo per la sua età, ovvero molto sveglio e furbo rispetto al bambino che ero stato io. Fortunatamente non mi chiese mai esplicitamente se sapevo chi fosse suo padre, forse il fratello lo aveva avvisato di non pormi quella domanda. Credo avesse una sua teoria sul suo genitore sconosciuto.
«Galahad, sapete se Ector si trova a Camelot ora?» sentii le sue spalle irrigidirsi mentre me lo chiedeva.
«Non c'era alla mia partenza. Troverai sicuramente Ser Kay il siniscalco, suo figlio. Avevi qualche questione da sbrigare con lui?» dissi con serietà.
«Ser Kay! Ah!... no nulla, così tanto per sapere.» Quindi c'erano ben due probabili padri nelle sue fantasie?
Le ombre si erano ormai accorciate, stavo cercando un posto ideale per fermarci per pranzare e far riposare il cavallo, quando percepii il rumore di zoccoli al galoppo dietro di noi. Mi voltai e vidi una nuvola di polvere che si alzava sulla strada e si avvicinava velocemente. Doveva essere un gruppo ben nutrito di cavalieri. Se non erano amici avrei potuto fare ben poco, ero troppo distante dall'abazia e non c'erano osterie in vista per trovare rifugio. Eravamo davvero in pericolo? Sentii il cuore pulsarmi nelle orecchie. Mi voltai nuovamente. Era inutile fuggire, ormai mi avevano sicuramente visto, erano troppo vicini... e se fossero stati amici? Mi sarei fatto inseguire inutilmente.
Noi due non eravamo vestiti riccamente e potevamo apparire come semplici viaggiatori.
Decisi di spostarmi fuori dalla strada, sull'erba, per lasciare libero il passaggio. Passò quello che mi sembrò un'eternità, con Amr che mi seppelliva di domande sui cavalieri in arrivo e a cui non avevo risposte da dare. Tenni la testa volta verso Sud, nella direzione in cui andavamo. Il gruppo arrivò, passò, rallentò e si fermò per ordine di chi stava in testa. Solo chi li comandava tornò indietro, man mano che si avvicinava, la mia tensione scomparve però il mio cuore perse un battito, sentii qualcosa agitarsi nello stomaco e salire verso il cuore.
Era Mordred.
Pesantemente impolverato dalla terra arida della strada, ma era lui senza ombra di dubbio.
Mi fissava quasi incredulo, si fermò a poca distanza da noi, sulla strada.
«Galahad, siete proprio voi?», guardò il bambino, alzò brevemente le sopracciglia come per una muta domanda.
«Ser Mordred», dissi io cercando di mostrare un contegno che sapevo di non avere, «sto rientrando a Camelot da una missione privata commissionatami dal Re.»

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Capitolo 26

Mordred spostò lo sguardo su Amr e sembrò comprendere la natura del mio viaggio. Si girò verso la sua squadra e diede alcuni ordini, i suoi uomini scesero da cavallo e spostandosi poco più in là, misero le pastoie ai cavalli. Iniziarono ad accamparsi vicino ad una propaggine del bosco che costeggiava la strada.
Tornò da noi, «Avete già pranzato? Potreste fermarvi con noi e immagino che Re Artù non ne avrà a male se arriveremo a Camelot insieme. Anzi viaggerete con più tranquillità.» Potevo forse dire di no? Mordred mi stava chiedendo di viaggiare assieme, sicuramente lo faceva per la sicurezza del fratellastro, la cosa mi rese quasi euforico. Per più motivi.
Viaggiare da solo con un bambino sarebbe potuto diventare impegnativo, se quel bambino era il figlio del Re, tutto questo poteva complicarsi.
Accettai la proposta di Mordred, in realtà non attese nemmeno che finissi di parlare che tirò le briglie della mia cavalcatura e mi portò dall'altra parte della strada, all'ombra, vicino ai suoi uomini.
Il Pricipe si presentò brevemente a suo fratello come «Ser Mordred, cavaliere del Sommo Re», chiese il nome ad Amr e poi lo affidò al soldato più anziano del gruppo con l'ordine di intrattenere il bambino come meglio poteva. Amr aveva il viso acceso di meraviglia e non sembrò sentire minimamente la mia mancanza.
Mordred si tolse il mantello, lo stese a terra, lontano dagli altri e poi mi invitò a sedermi accanto a lui. Esitai.
«Oh avanti, non avrete mica paura di sporcare questo malconcio mantello?» Mi sedetti.
Gli unici rumori erano il canto delle cicale, il mormorio dei soldati che preparavano il pranzo e il mio respiro che percepivo così forte.
«E così verrete promosso» disse lui, non lo guardai, fissavo l'erba oltre il mantello.
«Che intendere Ser Mordred?», lui fece schioccare la lingua. «Questa missione... in solitaria. Artù avrà la scusa per rendervi ufficialmente cavaliere della tavola rotonda, con diritto di voto e tutto quello che ne consegue.»
Avrà la scusa, aveva ragione. I cavalieri erano persone che avevano fatto qualche atto di coraggio, vinto ad importanti giostre. Io cosa avevo fatto? Non dissi nulla, Mordred pensò che mi fossi offeso. «Non intendevo sminuirvi. Volevo dire che tutta quest'aria di segretezza non la comprendo. Sarei potuto andare a prenderlo io, avrei deviato leggermente la via del mio ritorno. Mio padre...» si bloccò, non sapevo se per via di come aveva nominato Re Artù o per quello che avrebbe voluto dire.
Non si fida forse di me? gli lessi negli occhio il dubbio.
«Forse l'idea è stata di Ser Lancillotto», parve risvegliarsi dai suoi pensieri quando parlai, «voleva farmi compiere qualcosa di eroico, allontanandomi da corte per un po'», presi un filo d'erba e lo rigirai tra le dita, «sembra non gradire troppo la mia presenza. Ma... so che provoco la stessa sensazione in più di una persona.» Mi riferivo a lui, Mordred. Non avrei saputo dire da dove mi veniva la sfrontatezza di quelle parole. Forse stavo perdendo il senno.
Lui aprì la bocca per parlare, in quel momento giunsero due soldati con dei piatti di latta con carne secca, delle sardine sotto sale, una piccola pagnotta di pane nero e due boccali ricolmi. Poggiarono tutto davanti a noi e poi andarono a mangiare la loro razione con i loro compagni.
Iniziai a riempirmi la bocca, avevo paura di quello che avrei potuto sentire da Mordred, mangiai con gusto, restammo in silenzio.
Avevo un messaggio da consegnare a Mordred, cosa che non avrei mai immaginato di poter fare, mi schiarii la voce e vidi con la coda dell'occhio, lo sguardo di lui scattare su di me.
«Fratello Loholt, prima di partire mi ha chiesto di porgervi il suo saluto, sperando che le sue parole non vi suonassero leziose.» Mi sentivo le guance in fiamme, sperai inutilmente che Mordred non lo notasse. Senza togliere gli occhi da me disse «Avete parlato di me con Loholt?», deglutii a vuoto. «Lui desiderava sapere qualcosa sul principe di Camelot da una persona che lo avesse almeno visto di persona», lui sorrise. «Allora quel qualcuno non avrà certo tessuto le lodi di quel principe.»
«Vi sbagliate, ho parlato di voi come del miglior consigliere del Re, ovvero l'unico lato che conosco di voi.»
«Siete stato troppo gentile, avevate tutto il diritto di dire che sono una persona acida, che non vuole rovinare i giovani santi che gli si avvicinano per portarlo sulla retta via.»
«Non volevo fare nulla di tutto questo!» Avevo alzato la voce senza rendermene conto, Amr con un pezzo di pane in mano mi fissava sbigottito.
Mordred guardò in su, verso le fronde degli alberi, cambiò discorso. «Quando vi ho visto con quel bambino tutto sorridente sul cavallo, per un attimo ho pensato che fosse vostro figlio.» Scherzava, voleva vedermi reagire in modo stupido. Non abboccai.
«Voi Mordred, avete dei figli?»
Chiuse gli occhi, si lasciò lentamente scivolare indietro appoggiandosi al tronco di un albero.
«Melehan e Melou», continuava a tenere gli occhi chiusi, «un maschio ed una femmina. Li ho avuti da due donne diverse. Melehan è nato pochi mesi dopo il mio arrivo a Camelot... lei è una donna del castello di Dunpledyr. Dopo, si è sposata, si è sistemata bene, vive ancora al castello, dove sta anche il ragazzino.» Sospirò.
«Melou ha quattro anni. Sua madre, Celerdain, è... vive in quella casa da cui mi avete visto uscire quella notte in cui ve ne andavate in giro ubriaco con il vostro amico... Galessin, no?». Annuii. Rimasi in silenzio. Sospirò nuovamente «Lei si è trovata un nuovo amante», sorrise mestamente, «un cavaliere che la ama e che la vuole sposare. L'unico impedimento al suo sogno d'amore è la bambina. Il cavaliere non vuole Melou in casa.» Si staccò dall'albero, mi guardò, animato disse «Posso io forse occuparmi di una mocc- creatura di quattro anni, mh?» Incrociò le braccia e si appoggiò nuovamente all'albero.
«Amate quella donna?» gli chiesi, lui rise. «No, non la amo, non sto cercando di trattenerla, se state pensando a quello.»
«Perché non portate entrambi i vostri figli a corte? Il più grande, Melehan, deve avere circa la stessa età di Amr, giusto? Avete la possibilità di farlo crescere, farlo studiare, allenare con le persone migliori del regno, perché negarglielo? Melou... la Regina Ginevra...», lui emise un suono strozzato, «la tratterebbe come una figlia.» Non rispose. Avevo esagerato.
Prese fiato, «E voi Galahad, non so come chiederlo... siete vissuto in un monastero fino a poco tempo fa. Avete mai... con una donna...», alzò un sopracciglio e mosse una mano. Voleva mettermi in imbarazzo. Mi sentii stranamente tranquillo.
«Tutti gli anni, nella notte che precedeva il Calendimaggio, io e i miei compagni stavamo a fissare i fuochi dei pagani dalle finestre della nostra camerata. Col passare degli anni, sentivo crescere in me il desiderio di vedere da vicino quei fuochi e le persone che danzavano sui prati in quelle notti. A quindici anni, attesi che i miei compagni si addormentassero, mi calai dalla finestra con una vecchia corda per le campane che avevo nascosto sotto il letto. Raggiunsi i fuochi, la gente, mi mischiai a loro... un fanciulla mi prese per mano e... non ridete di me!»
Mordred si era avvicinato, molto vicino. «Non sto ridendo. Era interessante, ho qualche dubbio sull'esito dell'avventura, vi prego continuate, pendo dalle vostre labbra.»
Le sue parole non furono molto incoraggianti. Ripresi «Lei mi portò nel bosco e giacqui con lei», iniziai a sudare freddo, «non ci trovai nulla di peccaminoso era... una cosa naturale. E la natura è Dio, quindi...» mi mancarono le parole, offrii il fianco a Mordred per essere attaccato.
«Quindi potrebbe esserci un piccolo Galahad che sgambetta per i prati del Sud?» disse lui malizioso.
Boccheggiai. «No» risposi.
«No?» rimbeccò lui.
«No, esiste un espediente molto semplice. Basta fermarsi un poco prima di... conoscete il latino Ser Mordred?»
«Brutto santarellino!» urlò, mi saltò addosso ed incominciammo a rotolare ridendo come due sciocchi sull'erba.
I suoi uomini corsero verso di noi, Mordred si staccò da me, lasciandomi quasi tramortito a terra.
«Stavamo solo rotolando sull'erba, nulla di cui preoccuparsi» disse alzando le mani al cielo in senso di resa.


Note: Galahad così forse può non sembrare puro in tutto e per tutto, ma io l'ho voluto rappresentare come un normale ragazzo, con i suoi istinti, non indottrinato, capace di scegliere e fare quello che si sente. Quindi di mente aperta XD Ringrazio Ilakey_chan per la consulenza sui figli di Mordred. Uh! Ecco l'altro peccato che ho commesso, ho cambiato il sesso ad un personaggio: Melou, mi è sembrato un nome così carino (un po' da micetto <3) e dato che di figli maschi qui ce ne sono tanti, ho osato mettere un tocco di femminilità.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Capitolo 27

Il resto del viaggio trascorse tranquillo, senza problemi. Non ebbi più modo di parlare con Mordred a tu per tu, se non per brevi questioni pratiche. Amr cavalcò sempre con me, dire che era affascinato dagli uomini che ci scortavano era poco. Non era interessato in modo particolare a Mordred, forse pensava che il Principe mi avesse fatto arrabbiare? Forse mi ponevo troppe domande e vedevo cose che non c'erano, perchè io vedevo solo Mordred. Ma non mi volevo illudere, pensai che dopo quella cavalcata, tornati a Camelot, io sarei tornato ad essere Galahad il santo e lui Mordred l'erede al trono, che non aveva bisogno di me e non ne voleva sapere di me.
E se lui avesse invece raccontato ad altri le mie confidenze?
A chi poteva dirlo? Lo avevo visto parlare in modo familiare solo con Gawain, Gareth, Artù e forse Bedivere. Anche se dubitavo che parlasse con il Re e il capitano di pettegolezzi.
Ma no, anch'io parlavo di inutili chiacchiere da corridoi con Bedivere, a volte.
Ed anche se l'avesse fatto? Di cosa mi sarei dovuto vergognare?
Arrivati a Camelot, Amr si irrigidì, rimase pietrificato dallo stupore, davanti alle alte mura imponenti, all'andirivieni dei soldati e da Ser Kay.
Kay lo prese in consegna con il suo caldo sorriso, salutai Amr che parve non sentirmi, era perso nelle sue fantasie sul suo presunto padre. Il siniscalco, prima di andarsene con il figlio minore di Artù, ci disse che il Sommo Re ci attendeva, sia io che Mordred, nel suo studio privato, non dovevamo farlo attendere.
Ci incamminammo senza parlare, ci limitammo a salutare quelli che incontravamo lungo il percorso. Arrivati alla porta pensai che Artù dovesse prima parlare con Mordred, mi feci indietro per farlo entrare. Mordred si fermò, «Galahad entra, il Re vuole vederci entrambi», mi fece segno con la mano di precederlo. Entrammo. Artù ci strinse la mano, ci fece accomodare e servire da bere, gli porsi la lettera che mi aveva consegnato Loholt. La lesse attentamente, si lasciò sfuggire un leggero sorriso e poi si rivolse a me chiedendomi del viaggio e di Amr, non che avessi molto da dire, ma lui parve soddisfatto da quanto gli raccontai. Pensai che mi avrebbe congedato per parlare con suo figlio, ma non fu così.
Chiese notizie a Mordred sulla situazione al Nord, lui lo rassicurò sulla posizione di Gawain, rimaneva fedele ad Artù. Finite le questioni politiche, sentii Mordred quasi esitare. «Mio signore ho un piacere da chiedervi, anzi due», Artù allargò le mani. «Chiedi pure, è la prima volta che mi fai una qualche genere di richiesta da quando vivi qui» disse guardando il figlio con vivo interesse.
«Gawain tornerà a Camelot la prossima primavera e ho pensato che... sapete che ho un figlio che vive lassù a Nord?», Artù sorrise, «credo che sarebbe positivo per lui crescere qui, è ancora giovane, ha all'incirca l'età di Amr, potrebbe essere una buona cosa per entrambi.» Intrecciò le mani e guardò il tavolo che lo divideva dal padre.
«Hai la mia benedizione», Artù mi guardò, «mi sembri sorpreso Galahad, non sapevi forse-»
«No, scusatemi se vi ho interrotto. E' stato Galahad a consigliarmi questa soluzione, è sorpreso perchè doveva aver pensato che non lo avessi preso sul serio».
Artù rise divertito, battendo una mano sul tavolo. Io arrossii.
«E la seconda questione?» disse il Re ancora sorridente.
«Riguarda mia figlia, ha quattro anni e la madre non può occuparsene», Mordred mi lanciò un'occhiata, «mi chiedevo se non potesse anche lei stare qui a corte, la Regina…»
Artù non lo lasciò terminare, «Sono certo che Ginevra sarà più che lieta di prendersi cura della piccola. Parlerò al più presto con la Regina e con Kay, non ci saranno problemi» e con questo fummo congedati.
Fuori nel corridoio entrambi prendemmo la stessa direzione, verso le nostre camere. Non sapevo se dire qualcosa ma avrei voluto sapere cosa gli aveva fatto decidere che la mia idea non era malvagia.
Quando arrivai alla mia porta lo salutai, lui rimase in silenzio. Mi chiese «Cosa intendevi dire con dicendo “non volevo fare nulla di tutto questo” l'altro giorno? Tempo fa mi eri sembrato una di quella fanciulle che sbattono le ciglia e mi si vogliono avvicinare credendo che io abbia bisogno di essere consolato.»
Rimasi senza fiato, era la prima volta che mi parlava in modo così... schietto, chiaro e senza sottintesi.
«Io... non ho mai pensato che tu... avessi bisogno di essere consolato, in nessun modo. Ho pensato che, no, ho sentito come una somiglianza tra noi. Non mi aspettavo nulla, non volevo nulla da te. Mi hai incuriosito, mi dispiace se ti ho infastidito.» Feci per entrare in camera ma lui mi bloccò, mettendomi una mano sul polso. La sua mano era fredda con il ghiaccio.
«Mentre cavalcavamo fino a qui ho pensato solo alla tua idea su Melehan e Melou, più ci avvicinavamo, più sentivo che ero stato uno sciocco a non pensarci io stesso. Sarei stato ancora più sciocco a non chiedere ad Artù il permesso di portarli qui. Però, Galahad, tu mi hai imposto di essere padre in questo modo.»
Non spostò la mano, io guardai la porta della camera di Ser Lancillotto, lui seguì il mio sguardo, sapeva di chi era la stanza. Respirai a fondo, «Non esiste un libro che ti possa insegnare ad essere padre, ma quei bambini, che tu lo voglia o no sono metà di te ed è stato il tuo volere a metterli al mondo. Credo che ti basterà poco per essere un padre migliore di quello che ho avuto io.» Mi staccai da lui, entrai in camera, chiusi la porta alle mie spalle. Sul tavolo c'era da mangiare, ma la fame era scomparsa. Mi gettai sul letto e mi addormentai quasi subito.
Sognai.
Quel sogno.
Mi svegliai, mi sembrava di aver urlato. Ero coperto di sudore, la testa mi girava come un vortice impetuoso. Qualcuno bussò alla porta, feci per alzarmi ma caddi pesantemente dal letto.
Mi sentivo come un grande peso addosso.
Sentii della mani sollevarmi. Era Kay, mi parve di sentire il suo profumo. In quel momento ricordai che c'era consiglio quella sera, mi sarei dovuto vestire bene... a detta di Mordred sarei stato promosso cavaliere. Mi venne da ridere e sentii una calda lacrima scendermi sul volto freddo. Mi sentivo la testa bruciare, ero debole, incapace di muovermi.
Trambusto, la voce di mio padre? E poi il buio, il buio che non finiva più, che non dava scampo.
Pulsava, nel buio pulsava, c'era un ragazzo biondo che chiamava, chiamava me... ma ero io, io chiamavo me stesso?
La testa mi esplose.
«Galahad, mio caro Galahad, stai tranquillo, non è ancora tempo», la voce era così calma e rilassante. Lei mi strinse la mano, «Galahad, sono qui con te, non devi temere più nulla, ora la febbre si sta abbassando.»
«Nimue!» urlai alzandomi dal letto. Ma non fu Nimue quella che vidi, bensì la Regina con alcune sue ancelle. Lei mi prese la mano gentilmente, «Nimue è stata con voi fino a poco fa, ora sta riposando. Dormite Galahad, quando vi sveglierete la troverete qui», mi calmai, mormorai un grazie e tornai ad appoggiarmi al cuscino.
Dormii il sonno senza sogni che tanto desideravo. Quando mi svegliai non trovai Nimue, ma Bedivere. I suoi occhi erano ansiosi. Mi disse che Ninue purtroppo aveva dovuto abbandonarmi per rincorrere Morgana che aveva rubato la spada del Sommo Re, Excalibur.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28

Mi sentivo bene, mi volevo alzare, ma Bedivere mi costrinse quasi a forza a stare a letto. Lo pregai di raccontarmi cos'era successo durante la mia malattia, ero rimasto svenuto, semi cosciente e tra il delirio per quattro giorni.
Mi raccontò.
Il giorno prima che io e Mordred rientrassimo a Camelot, era giunta a corte Morgana con suo marito Re Urien, erano stati invitati da Artù.
La sorella del Re aveva un piano, il mio improvviso malore e la confusione che ne era seguito l'aveva aiutata. Qualcuno aveva sospettato che io fossi stato avvelenato.
Bedivere mi chiese cosa avessi mangiato dal mio ritorno, gli risposi che avevo solo bevuto il vino che mi aveva offerto il Sommo Re e che dopo il mio rientro in camera mi ero sentito così stanco che non avevo toccato null'altro.
Nimue infatti aveva scartato l'avvelenamento, aveva parlato solo di una forte febbre.
Causata da cosa, non si sapeva. Ma io e lei lo immaginavamo, ero certo che fosse stato a causa della luce del sogno. Che mi divorava, che mi chiamava. Non dissi nulla al riguardo.
Era stato Gareth il primo ad accorgersi che Excalibur non era al suo posto, c'era una copia, un falso, nella sala rotonda, la spada gli era sembrata stranamente opaca. Nimue, che era già al castello e si era presa cura di me, sentendo Gareth parlare in quel modo, non ebbe dubbi, partì all'inseguimento di Morgana. La sorella del Re aveva infatti abbandonato Camelot assieme ad un certo Accolon, un cavaliere, il suo amante.
Anche Mordred era partito con Nimue all'inseguimento della Regina.
Capii molte cose, nei piani di Morgana dovevo essere io ad aiutarla, ovvero fare il lavoro sporco per darle la spada. Cosa ne volesse fare di Excalibur era però un mistero.
Una settimana dopo, io ero riuscito a convincere tutti -ovvero Bedivere, Artù, Galessin, Bors e la Regina Ginevra- che mi avevano accudito, assistito e tenuto compagnia in quei giorni, che stavo bene, riuscivo a mangiare da solo ed ero capace di camminare.
Mordred tornò.
Lo vidi entrare dalla porta principale, io mi trovavo sulle mura con la Regina Ginevra ed il suo seguito, Galessin, Gareth, Amr ed una graziosa bambina dai boccoli neri di nome Melou. Quest'ultima era vezzeggiata ed adorata dalle fanciulle, Gareth sembrava invece adorare una delle damigelle in particolare, il suo nome era Sylvànie. La Regina sembrava aver trovato qualcosa che le piaceva in me, forse, pensai, Artù le aveva detto di chi era stata l'idea di affidarle Melou o forse aveva provato compassione per me durante la malattia. Aveva espressamente richiesto la mia compagnia quel giorno.
Mordred aveva riportato Excalibur a Camelot, questi a molti apparve come un segno divino, con cui veniva ufficialmente riconosciuto l'erede legittimo al trono. Come avrebbe reagito il Duca Costantino a questo?
Morgana era stata affidata al marito che era rientrato nel Rheged e lì doveva attendere la sua punizione, rinchiusa nelle sue stanze. Accolon aveva chiesto il perdono, dicendo di essere stato sedotto dalla Regina Morgana, non era stato risparmiato, venne ucciso in regolare duello dal primogenito di Urien.
Nimue non era rientrata a Camelot, aveva questioni urgenti che la portavano a Sud, forse oltre il mare, sul continente. Ma aveva lasciato un messaggio per me, non scritto ma a voce e fu Mordred a portarmelo.
Mi trovato nell'armeria con Bedivere e Amr che stava duellando con un nemico invisibile con la sua spada di legno, ci metteva molto impegno mentre il capitano gli dava consigli su come muoversi.
Vidi con la coda dell'occhio un'ombra sulla porta, feci un cenno a Bedivere ed uscii. Mordred era pallido.
«Devo parlarti, Nimue mi ha chiesto di dirti una cosa, ha detto che era importante», mi appoggiai al muro invitandolo a parlare. Lui si guardò attorno, puntò gli occhi sui miei. «Non ti devi preoccupare è stata solo una febbre data dalla preoccupazione, stai procedendo nella via che avevi tracciato. Quella cosa tornerà e tu sarai pronto. Abbi fede in te stesso, sempre.»
Abbassai lo sguardo sul suo collo, dove vidi il suo pomo d'Adamo muoversi mentre deglutiva.
Forse voleva aggiungere altro. Io mormorai «E' già tornato, ma non mi sento affatto pronto», mi riferivo al sogno, lo faceva almeno una notte sì e una no da dopo la malattia.
«Che cosa... Galahad, sei forse malato?» era... preoccupato. Tornò però velocemente a nascondersi dietro alla sua maschera impassibile.
«No, Nimue non si riferiva a quello... sto bene», gli sorrisi, lo ringraziai per essere venuto a portarmi il messaggio. Stavo per tornare in armeria ma lui parlò ancora.
«Sono stato forse io? Le preoccupazioni di cui parlava Nimue. Ho forse... sono stato troppo brusco con te?»
Scoppiai a ridere e lui rimase stupito dalla mia reazione. «Forse Mordred. Perchè sei stata la prima persona che ha avuto il coraggio di dirmi che non mi voleva tra i piedi e questo mi ha sconvolto. Mi ero abituato ad essere rifiutato da chi ammiro senza avere una spiegazione», chinai la testa, non avevo più il coraggio di guardarlo in volto. Mi voltai per la seconda volta verso l'armeria, lui mi poggiò la mano sulla spalla destra.
«Volevo invitarvi, tu e il tuo amico Galessin, a fare una galoppata con me e Gareth. Magari potremmo stare via tutto il giorno. Possiamo andare a pescare o quantomeno potrei tentare di insegnarvi. Fammi sapere entro domani sera.» Tolse la mano e se ne andò, sentii solo il rumore del suo mantello corto che frusciava.
Ecco, da lì incominciò il periodo più bello della mia vita. Il momento in cui compresi che c'era un motivo per vivere.
Quella sera mentre cenavo nella stanza di Bors, dissi a Galessin dell'invito. Mi ci volle molto tempo per convincerlo che non stavo scherzando, che stavo bene e che era stato Mordred in persona ad invitarci. Era scettico, aveva paura di qualcosa. «Mi costringi ad andare da solo, farei una pessima figura. Tanto non ci inviterà mai più, figurati», lui guardò Bors brevemente, il cavaliere stava cercando d'intonare un qualche tipo di ballata.
Ripresi a parlare, «bè se sei impegnato...», Galessin batté una mano sul tavolo. «No! Nessun impegno! Dì pure a Ser Mordred che ci sarò. Ma non ci penso proprio a farmi insegnare a pescare da lui, so pescare benissimo!»
Più tardi Galessin mi disse, mentre spingeva via con i dorsi delle mani delle piccole lacrime dalle sue guance arrossate, che Bors lo stava allontanando. Gli aveva fatto dei discorsi tipo “sei giovane e la tua è stata solo una sbandata, cercati una ragazza, io sono solo un vecchio”.
Di fatti le cene da Bors erano via via diminuite, feci un rapido calcolo e pensai che Bors non fosse così vecchio, doveva avere quatto o cinque anni più di Artù. Forse aveva paura che la relazione, anche se di preciso non sapevo cosa c'era tra il cavaliere e Galessin... qualsiasi cosa fosse, Bors aveva paura che fosse Galessin a stancarsi per primo e lo allontanava per non farsi ferire. Da dove mi veniva tutta questa saggezza? Erano solo mie ipotesi.
«Galessin, tu fagli capire che stai bene con lui, adesso in questo momento. Il futuro... è futuro e non lo conosce nessuno.» Lui mi guardò speranzoso. «Bè non guardarmi così, non ho fatto mica una profezia! Io vado a cercar di dormire, tu vedi di fare pace, Bors depresso non è uno spettacolo edificante.»

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Capitolo 29

La metà del giorno seguente la passai arrovellandomi sul come rispondere all'invito di Mordred. Ovvero sul tono che avrei dovuto usare. “Mordred, grazie dell'invito, ci saremo”, era troppo amichevole. “Ti ringrazio dell'invito, parteciperemo con piacere”, troppo formale. Pensai anche a fargli avere un biglietto, era perfetto, non gli avrei dovuto parlare di persona. Sì, ma come l'avrei dovuto scrivere?
Lasciai perdere, gli avrei detto qualcosa inventato al momento e tutto sarebbe andato bene.
Mi stavo facendo delle paranoie? Decisamente sì. Forse mi aspettavo qualcosa di troppo da questo invito.
Dopo pranzo lo cercai ma sembrava che ci fosse qualcosa che mi impediva di trovarlo.
Mi trovai a passare davanti alla sala rotonda, era aperta tutto il giorno, con due soldati di guardia. Mi decisi ad entrare, cosa che avevo fatto solo durante i consigli. Mi sedetti al mio posto, ero solo, nessun cavaliere era lì.
Pensai al giorno in cui ero tornato a Camelot con Amr e Mordred, quella sera forse il Re mi avrebbe fatto cavaliere ufficialmente, almeno così aveva detto il Principe. Spada sulle spalle, schiaffo sul volto e le urla dei compagni di Artù, mio padre... Ser Lancillotto che si congratulava con me. Mi avrebbero fatto bere e non sarei stato in grado di rendermi conto di dove mi avrebbero portato o fatto fare. Non mi appariva in bella prospettiva quella cerimonia. Forse era meglio così, potevo rimanere com'ero, le mie decisioni non avrebbero certo cambiato il destino del regno.
Mi strofinai gli occhi con le dita, avevo impresso sul retro delle palpebre come una luce, ma non ce n'erano di così intense nella sala, solo candele.
«Galahad! Aspetti qualcuno?» La voce del Re. Mi alzai di scatto facendo quasi cadere all'indietro la sedia. Vedevo doppio? Mi passai una mano sulla fronte. «Vostra Maestà, veramente cercavo il Principe Mordred ma non l'ho trovato. Passando davanti alla sala mi sono fermato... un poco a pensare.»
Artù si fece pensieroso. «Mi dispiace Galahad, ho trattenuto Mordred fino a poco fa per delle questioni riguardanti un trattato d'amicizia. Ma c'è qualcosa che ti turba o mi devi chiedere?» Dovevo avere una faccia terribile se Artù mi parlava così.
«No ecco io... sedendomi qui mi è venuto in mente la sera che sono stato male», mi aggrappai alla tavola con le mani. Lui si avvicinò e mi fece segno di sedermi. Lui si appoggiò solo al bordo della tavola.
«Galahad, credo di averti fatto un torto. Quella sera volevo insignirti come cavaliere, poi sono successe delle cose, lo sai bene anche tu. Rimedieremo presto, al prossimo consiglio...» Alzai lo sguardo su di lui.
«Mio signore io non amo essere al centro dell'attenzione, non penso nemmeno che il mio voto abbia peso nelle questioni del regno, sto bene così.»
«Non se ne parla Galahad, faremo una cosa privata se preferisci. Alzati.» Mi alzai. Lo vidi dirigersi verso il suo scranno, prenderlo, metterlo rasente al muro sotto a dove era appesa Excalibur. Si arrampicò simile ad un bambino su un albero e tirò giù la spada. Le guardie sentendo dei rumori sospetti erano entrate, Artù le liquidò con un'occhiata.
Mi inginocchiai di fronte a lui, chinai la testa, sentii il piatto della lama di Excalibur sulle mie spalle e poi Artù mi diede un buffetto sulla guancia. Mi diede la mano, mi aiutò ad alzarmi.
Vedevo nuovamente doppio.
No, dietro al Re c'era Mordred, i suoi occhi ridevano. Artù seguì il mio sguardo. «Mordred! Non ti avevo sentito arrivare. Abbiamo un nuovo cavaliere a Camelot.» Gli batté una mano sulla spalla e fece per andarsene. «Vi lascio soli, avete importanti questioni da discutere.» Parve ricordarsi di avere Excalibur ancora in mano, ma decise di farla sistemare ad uno dei soldati che dovette arrampicarsi incerto sullo scranno di Artù sotto lo sguardo attento mio e di Mordred.
Rimanemmo soli. «Quali importati questioni devo discutere con te?» Io guardavo il suo collo, avevo voglia di toccarlo, scossi la testa. «Nulla d'importante davvero, tuo padre ha esagerato. Volevo solo dirti che io e Galessin siamo onorati dell'invito…»
«Ma non verrete?» disse spazientito.
«Verremo volentieri!»
Abbassò leggermente le palpebre. «Ah.» Alzò una mano ma si fermò a metà del gesto.
Quella mattina, uscii di corsa dalla chiesa, sperando che Galessin fosse già sveglio ed almeno vestito per quell'ora. Quando arrivai alle stalle trovai quattro cavalli sellati, due dei quali conoscevo, un terzo nero e dal garrese alto lo riconobbi come quello di Mordred ed il rimanente baio, immaginai che fosse quello di Gareth. Mi avvicinai alla mia cavalcatura, la accarezzai sulla fronte, gli mormorai delle parole, quelle cose poco sensate e dolci che fanno stare calmi i cavalli, non che il mio cavallo fosse agitato, quello che non riusciva a stare fermo ero io. Sentii dei passi avvicinarsi. Mordred seguito da Gareth che gesticolando stava cercando di spiegare qualcosa ad un apparentemente scettico Galessin che si grattava nervosamente un polso.
Galessin mi raggiunse, sospirò, roteò gli occhi e bisbigliò «Sai di chi sono figli questi due vero? Ricordami come hai fatto a convincermi per questa uscita assurda.» Mordred mi stava guardando anche se faceva finta di essere impegnato a sistemare una sacca sulla sella.
Io sorrisi. «Non avrai mica paura, vero? Se notiamo qualcosa di strano possiamo sempre indossare gli abiti al contrario o mettere in atto qualche tuo altro saggio rimedio.» Galessin sbuffò. «Bell'amico che sei!» Salimmo sulle nostre cavalcature ed uscimmo.
Settembre era appena iniziato, la giornata era splendida, il cielo di un azzurro intenso ed io mi sentivo sereno. Quante volte ero stato così felice in vita mia?
Ci fermammo sulle rive di un ruscello, Galessin si era chiuso nel mutismo e seduto sui sassi se ne stava a fissare l'acqua che scorreva. Mordred mandò Gareth a cercare dei bastoni adatti da usare come canna da pesca ed invitò gentilmente Galessin a seguirlo.
Rimanemmo soli.
«Il tuo amico si è svegliato male oggi?» disse lui lanciando un sasso nell'acqua.
«Forse troppo presto» risposi io sedendomi sotto un albero.
«Perchè mai dovreste mettervi gli abiti al contrario? Dalle mie parti se capita per caso di indossare qualcosa al rovescio si dice che porti fortuna.»
Mi sentii un idiota, mi aveva sentito.
Mi guardava attendendo una risposta.
«E' stato Galessin a dirmi tempo fa che serve per far scappare gli spiriti, le creature dei boschi…»
«E le streghe?»
Non risposi, cosa potevo dire?
«Venni a sapere che lei era mia madre solo dopo che arrivai a Camelot e da quando sono qui l'ho vista una sola volta. La notte in cui è morta. Considero mia madre la donna che mi ha allevato.»
Si avvicinò e sedette sotto il mio stesso albero. «Anche questa donna non c'è più, è morta poco dopo la mia partenza per il Sud. Mi piace pensare, forse la troverai una brutta cosa, che sia stata troppo triste senza di me e che non ce l'abbia fatta più a vivere dopo la mia partenza.»
Gli guardai le mani intrecciate appoggiate sulle ginocchia, gli occhi chiusi. Perchè quando gli stavo vicino, sentivo il desiderio di toccarlo? Volevo sfiorargli i capelli.
«Ti sei mai innamorato Mordred?» sbottai.
Lui si mise a ridere, poi tornò serio. «Credevo... fino a qualche tempo fa di esserlo. Ma mi ero innamorato solo di un'idea. Ho la sensazione che tu sappia di chi sto parlando.»
Ginevra, pensai. Non avevo motivi particolari per crederlo, ma sentivo che era lei.
«Ora non la ami più?» chiesi in un sussurro.
«Dopo aver sentito Melou chiamarla nonna?», rise di nuovo. Avevo visto giusto.
«Sai cosa ti dico Galahad? Non so se si può pescare in questo torrente, è troppo basso. Meglio cercare i nostri dispersi e cercare un punto migliore.»
Ci spostammo più a valle dove il torrente era più largo, più profondo e meno sassoso. Mordred tentò d'insegnare, a me e a Galessin, come attaccare un'esca al filo della canna, eravamo due pessimi allievi e Gareth impaziente ci prendeva spesso il filo di mano mostrandoci quanto fosse semplice.
Il bottino della giornata fu ben misero, non prendemmo nulla ma vidi Mordred ridere, rilassato come non lo era mai stato a corte. Gareth non faceva altro che parlare di damigella Sylavànie ed aveva trovato in Galessin un buon ascoltatore e consigliere.
Tornati a castello ci salutammo con la promessa di fare altre cavalcate assieme, cosa che successe spesso. A volte uscivamo da soli, io e Mordred, a palazzo però non pranzavamo mai assieme, entrambi esitavamo come due sciocchi davanti ai fin troppi occhi che ci guardavano.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Capitolo 30

Ottobre volgeva al termine, il tempo era peggiorato nelle ultime settimane e sentivo il freddo penetrarmi nelle ossa. Il mio incubo ormai si presentava puntuale ogni notte ed ero come sul punto di fare qualcosa, qualcosa di urgente e pressante. Partire sì, lo sapevo, ma dove e a cercare chi o cosa?
Ero con la testa appoggiata al freddo vetro di una finestra di un corridoio del palazzo al piano primo. Allontanandomi leggermente vidi il mio riflesso, non avevo una bella cera.
Quella sera ci sarebbe stato consiglio, l'unica nota positiva nella cosa era che sarei riuscito a vedere Mordred, forse dopo avremmo avuto un po' di tempo per parlare. Era sempre preso da questioni del Regno con suo padre, anche se di quelle questioni ne capivo poco, lo invidiavo. C'era qualcuno che credeva e si fidava ciecamente di lui e per un motivo valido.
Appoggiai nuovamente la fronte sul vetro, vedevo le gocce di pioggia scendere piano. Sentii dei passi, un fruscio di stoffa. «Non dirmi che hai bevuto troppo e ti venuto il mal di testa» disse Mordred avvicinando la bocca al mio orecchio.
Sospirai, mi voltai e gli sorrisi mesto. L'allegria che aveva in volto fu spazzata via in un istante. «Stai male Galahad?» mi chiese. Tornai a guardare fuori dalla finestra.
«Sì, c'è qualcosa che mi turba, ma non esistono parole per spiegarlo perchè non so spiegarlo a me stesso.»
Mi obbligò a voltarmi, aveva un'ombra scusa in volto. «Non ti sarai mica innamorato?», voleva suonare ironico, ma era infastidito. Almeno, così sperai.
«Stupido...» mormorai, sperando che reagisse male, anche se non sapevo perché.
Non disse nulla, forse non aveva sentito. «Non c'è nessuna donna nella mia testa» dissi.
Non era questo quello che mi aveva chiesto.
«Mph...», incrociò le braccia e poi si appoggiò al muro, mise i gomiti sul davanzale e si mise a guardare le gocce di pioggia.
«Mordred...» guardavo il suo profilo stagliarsi contro le pietre del muro. Si mosse leggermente.
«Se devi dirmi una cosa dimmela, ti devo sempre tirare fuori le parole di bocca?» L'avevo fatto innervosire.
«Ho bisogno che tu faccia una cosa per me. Non posso spiegarti cosa, perchè è complicato! Ma... ho bisogno che qualcuno mi sostenga, quel momento verrà presto e so che nessuno mi prenderà sul serio. Io…»
Scosse la testa, sempre rivolto al vetro rispose. «Parli per enigmi Galahad, ed io che pensavo che fossi una persona semplice. Mi sono illuso, mi hai illuso.»
Dimenticai come si faceva a respirare. Cosa?
Si mise dritto, mi guardò e scoppiò a ridere. «Galahad, Galahad» si fece serio. Sembrava che stesse cercando le parole da dire.
«Ascoltami Galahad, credo di aver capito quello che volevi dire, a grandi linee. Mi hai detto che hai trovato delle somiglianze tra noi due, forse non mi crederai ma ho pensato spesso alle tue parole. Noi due siamo soli, entrambi cerchiamo un posto nel mondo, cerchiamo la costante approvazione di qualcuno. Ci siamo trovati bè... mi hai dato fastidio all'inizio, come osavi tu cercare di farmi uscire dal mio mondo tetro? Avrai il mio sostegno qualsiasi cosa tu faccia, sei l'unica persona al mondo che mi si sia avvicinato senza secondi fini. Solo perchè ti interesso. Io!? Cosa sono in confronto a te? Non valgo il tuo dito mignolo. I tuoi genitori non hanno capito che persona sei? Chi se ne importa! Io... Sarò tuo padre, sarò tua madre, sarò il tuo amante, sarò tuo!» I suoi occhi brillavano, il volto era acceso, le sue mani vibravano mentre diceva quelle parole.
Parole che si impressero a fuoco nella mia mente. Quasi sentii le ginocchia cedere, le guance in fiamme.
«Papà!», era la dolce voce di Melou, io e Mordred ci voltammo verso di lei che camminava veloce verso di noi. In fondo al corridoio vidi la Regina Ginevra con due ancelle.
«Melou, tuo padre è occupato, torna qui!», le due ancelle risero sentendo le parole della Regina.
Mordred si abbassò e prese il naso della piccola tra le dita facendo finta di rubarglielo. Lei rise, poi mi guardò e si nascose imbarazzata dietro al padre.
«Damigella Melou, sai chi è questo cavaliere?» disse Mordred spostandosi. Melou si inchinò alzando leggermente i lati della gonna come una damina. «Ser Galahad» rispose cercando conferma in Mordred.
Mi abbassai, le porsi la mano, la bambina si avvicinò. Le scostai due riccioli dalla fronte e le diedi un leggero bacio. Sentii le damigelle in lontananza emettere un sospiro ammirato e di pura delizia. Avrebbero avuto dei pettegolezzi sul santo da raccontare, il santo che benediceva la figlia del Principe Mordred.
Melou cercava di trascinare il padre via con se, aveva “qualcosa di bellissimo da mostrargli”, Mordred mi guardò incerto sul da farsi. Gli sorrisi, annuii e lui la seguì.
Sentii qualcosa squarciarsi dentro di me mentre puntavo gli occhi sulla schiena di Mordred che si allontanava.
Compresi cosa dovevo fare, dove dovevo andare, cosa dovevo cercare.

Note: la frase “ sarò tuo padre, sarò tua madre, sarò il tuo amante, sarò tuo” è tratta dalla canzone dei Placebo "I'll Be Yours" (I'll be your father, I'll be your mother, I'll be your lover, I'll be yours). Nelle mie intenzioni, Mordred si lascia molto andare, avrebbe potuto solo dire “sarò tuo padre e tua madre, perchè li sostituirò io”, ma i suoi sentimenti lo portano a dire che sarà qualsiasi cosa per Galahad.
Melou è stata una rompi scatole, lo so XD
Ringrazio chi legge questa storia *_* in particolare Aily e IceWarrior.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Capitolo 31

Decisi di mettere la tunica bianca con i ricami in oro che non avevo mai indossato perchè l'avevo sempre trovata eccessiva. Volevo lasciare nella mente di tutti un ricordo vivido della serata, pensai che creare un po' di scena non sarebbe stato male.
Arrivai alla sala rotonda, mi fermai appena dentro abbracciando con lo sguardo l'intero insieme di cavalieri, alcuni seduti, altri in piedi a formare piccoli crocicchi. Vidi Mordred che parlava con Bedivere, Mordred mi notò e mi salutò alzando la mano. Preferii non avvicinarmi a lui, mi voltai cercando Galessin che venne subito a farmi i complimenti per l'abbigliamento, mi chiese se c'era una qualche occasione speciale. Io sorrisi, scossi la testa e gli dissi che avevo solo voglia d'indossare qualcosa di diverso per quella sera. Bors ci raggiunse e rimasi ad ascoltare i loro discorsi annuendo distrattamente.
Sentivo gli occhi di Mordred puntati addosso.
Dopo quello che mi aveva detto... altri pensieri avevano affollato la mia mente e la gioia immensa che avevo provato sentendo quelle parole dalle sue labbra mi sembravano quasi un bel sogno fatto tanto tempo prima. Ma le aveva dette davvero, sarò tuo padre, sarò tua madre, sarò il tuo amante, sarò tuo. Ebbi paura che le avesse dette solo preso da un entusiasmo improvviso, forse per tirarmi su il morale.
Sarò il tuo amante.
Il sangue mi salì alle guance e mi passai una mano tremante sulla fronte per spostarmi i capelli.
Sarò tuo.
Sentivo freddo.
«Galahad! Il Re sta entrando, andiamo.» La voce di Galessin mi risvegliò, annuii, lui si avviò al suo posto ma io rimasi dov'ero. Artù andò al suo scranno, tutti erano in piedi ed aspettavano il suo comando per accomodarsi. Vidi Galessin piegarsi indietro e guardami stupito. Perchè rimanevo lì? Artù si sedette e tutti i cavalieri lo imitarono, il Re si accorse di me.
«Galahad? C'è qualcosa...» non aspettai che terminasse la frase per muovermi, mi diressi alla sedia opposta a quella del Re, il seggio periglioso, mi sedetti.
Silenzio.
Mordred si alzò di scatto.
Silenzio.
Artù disse «Galahad... tu...», Bedivere batté la sua mano sinistra sulla tavola. «No! E' solo un ragazzo, è troppo...» e poi fu una confusione di voci che si sovrastavano l'un l'altra. Guardai Mordred impietrito, immobile. Sentii lontano, lontano Galessin implorare il mio nome. Il Sommo Re ordinò il silenzio.
«Galahad, vuoi spiegarci?» si girò lievemente alla sua sinistra per guardare Lancillotto che pallido mi fissava. Mordred non si era mosso.
«Devo trovare il Graal» non riconobbi la mia voce, mi sembrava quella di un estraneo. «Da quando sono arrivato qui, ho fatto un sogno ricorrente che mi ha mostrato la via.» Quale via? Sapevo solo che dovevo partire, al più presto. Domani.
I cavalieri mormorarono. «Ne ho parlato con Nimue, lei mi ha detto che deve essere fatto.»
Questo sembrò chiarire i dubbi di molti. Il Sommo Re si alzò. «Miei adorati compagni, Merlino in persona mi aveva predetto che un giorno un cavaliere sarebbe giunto per sedersi sul seggio periglioso, perchè nel suo destino era scritto il Graal.»
Guardai Mordred e mossi le labbra senza parlare. «Perdonami.» Lui puntò gli occhi su suo padre.
«Mordred, vuoi dire qualcosa?»
Silenzio.
«Galahad deve partire, se è quello che vuole.» Il tono della sua voce mi fece sanguinare il cuore di dolore.
«Partirò domani mattina» pronunciai a fatica, sentii i bisbigli dei miei vicini, così presto?, ma partirà da solo?, chi lo accompagnerà?
«Da solo, è il mio destino», avrei dovuto dire che era il volere di Dio, invece avevo usato una parola pagana.
«Non possiamo che augurarti buon viaggio Galahad, attenderemo con ansia il tuo ritorno» disse Artù dolcemente. Io mi alzai, inchinai la testa ed uscii dalla sala.
Camminai veloce verso la mia stanza, entrando mi appoggiai alla porta e mi lasciai scivolare a terra. Che cosa avevo fatto? Che ne sarebbe stato di me?
Venni scosso dalla porta presa pesantemente a pugni, mi alzai, aprii e Mordred entrò come veloce. Sbatté la porta che tremò sui cardini.
Era pallido e furente, ero certo che mi avrebbe colpito e gettato a terra.
Urlò. «E' per quello che ti ho detto oggi? Te ne vai perchè ti ho fatto inorridire? Un barbaro come me, che si dichiara! Quale orrore! Un uomo…»
«No!» urlai anch'io.
Respirava forte, per la corsa che aveva fatto, per avermi seguito…
«Hai abbandonato il consiglio? Non dovresti essere qui.»
«Stupido! Che me ne frega del consiglio e di quel branco di idioti! Ti-ho-chiesto perchè te ne parti per questo viaggio inutile! E' un'idiozia!» continuava ad urlare ed io tremavo sotto il suo sguardo.
«Perchè devo. Mordred ricordi quella volta che sono stato male, quando la Regina Morgana rubò Excalibur?» Non rispose. «Quello fu un segno, Nimue mi disse che il mio destino era questo. Sono pronto per quanto posso esserlo. Non sto fuggendo da te.» Lui non si mosse.
«Tu... dicevi sul serio oggi pomeriggio?» attesi la sua risposta.
Lui con un passo mi fu vicino, mise le sue mani sulle mie guance, abbassò il volto e le sue labbra furono sulle mie. Mi abbandonai completamente, poteva fare di me quello che voleva. Non aspettavo altro. Schiuse le labbra, oh... erano così morbide…
Non riuscivo più a stare in piedi. Abbassò le mani sui miei fianchi ed io le mie sulla sua schiena. Cademmo sul letto, Mordred armeggiò con la mia cintura mentre gli passavo le dita tra i capelli neri, mi liberò della tunica e della camicia, anche lui rimase a petto nudo e mi mancò il fiato. Sentivo il sangue fluirmi come onde nelle orecchie. Ci baciammo fino a non sentirci più le labbra, mi morse piano il collo ed io continuai ad accarezzargli la schiena, percorrendo la sua spina dorsale. Rimanemmo completamente nudi, i suoi occhi erano come due pietre scure che brillavano, mi fece voltare gentilmente, mi baciò lungo la schiena, dalle scapole alla vita e poi fu su di me, pelle contro pelle. Le sue mani ansiose mi percorsero cercando e trovando il mio piacere ed il suo.
Giacemmo poi sfiniti tra le lenzuola stropicciate, lui poggiò la testa sul mio cuore, sentii il suo respiro farsi leggero, si addormentò.
Io rimasi tutta la notte sveglio accarezzandogli la testa, vidi la prima luce del mattino da grigia prendere colore.
Era giorno.
Il giorno in cui sarei partito da Camelot e da Mordred.

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Capitolo 32

Stavo indugiando, in quel tepore, con i suoi capelli che mi solleticavano una guancia. Mi girai sul fianco spostando piano Mordred e rimasi a guardare il suo viso addormentato, le sue lunga ciglia, passai leggero con le dita sulle sue sopracciglia dritte.
«Mmm?», lo avevo svegliato. Dovevo andare, non potevo stare ancora tra le sue braccia o mi sarebbe mancato il coraggio per partire. Gli accarezzai la schiena, sentivo le sue vertebre in rilievo.
«Ti nutri abbastanza Mordred?» gli chiesi.
«Buon giorno a te, Galahad. Hai uno strano modo di salutare la gente, lo sai?» Si era girato a pancia in su, con le mani dietro la testa. Non aveva ancora aperto gli occhi.
«Te lo chiedevo solo perchè sei così magro», feci per allungare una mano e toccargli il petto per sentirgli il costato, ma lui rapido mi bloccò. Rotolò sopra di me, i suoi occhi erano a poca distanza dai miei, mi baciò insistente. Poi sembrò ricordare che non potevamo stare lì, come due amanti. Mi lasciò andare. Mi alzai dal letto quasi tremante.
«Posso vestirti io?» mi raggiunse la sua voce soffocata dalle lenzuola.
«Non serve, resta pure a letto», gli risposi cercando le mie brache.
«Immagino che non vorrai nemmeno essere accompagnato al portone d'ingresso», ora si era tirato su a sedere, aveva i capelli scarmigliati.
«Preferirei partire senza tanti...», feci un gesto con le mani, «senza tanto clamore, ecco.»
«Clamore.» Ripeté lui scettico. «Posso almeno portarti fuori il cavallo dalle stalle?» alzò le mani in segno di resa, «prometto che non farò nulla d'imbarazzante. Comunque dubito che ci sia troppa gente sveglia a quest'ora.»
Non dissi nulla, cosa potevo dirgli che non fosse superfluo?
Ero pronto.
Anche lui si alzò, si vestì lentamente lanciandomi qualche occhiata cupa.
Mentre stavo per aprire la porta, mi si aggrappò a me, le sue braccia mi strinsero la vita, il suo petto contro la mia schiena e la sua bocca sul mio orecchio.
«Prometti che tornerai e che poi non mi abbandonerai mai, per nessun motivo» sussurrò piano.
Mi sentivo gli occhi gonfi di lacrime, se avessi chiuso le palpebre sarebbero scese giù rigandomi il viso.
«Tornerò da te», mi voltai, mi baciò a lungo, un caldo e salato bacio d'addio. Non parlammo più, nel cortile trovammo uno stalliere e Mordred gli ordinò di preparare il mio cavallo. Rimasi per tutto il tempo a fissare la torre campanaria della chiesa, Mordred camminava nervoso avanti e indietro guardandosi i piedi.
Mi aiutò a salire a cavallo, ci guardammo in silenzio e poi diede un leggero colpo al fianco del cavallo. Partii senza mai voltarmi. Fu difficile, tremendamente difficile.
Non avevo alcuna certezza della direzione che avevo da prendere, anche se il giorno precedente ne ero pienamente convinto, ovvero mi ero mostrato convinto. Avevo solo una sensazione, forse era solo auto convinzione, di dover andare a Sud. Perchè? Sapevo che Nimue si era diretta lì e poi non c'erano state più sue notizie. Perchè cercavo lei?
Nimue mi aveva già detto quanto sapeva o quanto voleva dirmi.
Non la trovai. Chiesi anche nei villaggi, nelle locane che trovai lungo il cammino, se ricordavano di aver visto una giovane nobile in viaggio, non sapevo se da sola... era una persona indipendente, ma non ricavai nulla.
Cosa poso dire del mio viaggio? Solitudine, grandi silenzi e notti al freddo in cui il sonno mi raggiungeva a fatica. Mi agitavo e mi svegliavo sempre scosso, ma senza ricordare nulla di preciso dei sogni che facevo.
Il mio percorso seguì la costa, puntando verso Ovest. Mentre il cavallo mi trasportava su quelle terre sconosciute, pensavo solo a Mordred, forse a lui sarebbe piaciuto quel paesaggio, gli avrebbe ricordato la sua infanzia, di quando era un bambino spensierato che rubava le uova degli uccelli per poter mangiare. Ma quelle coste erano ben diverse da quelle ripide e scoscese che lui aveva conosciuto, il mare era calmo, se lui fosse stato con me avremmo potuto prendere a nolo una barca, lui avrebbe seriamente potuto insegnarmi a pescare. Se fossimo stati in estate avremmo potuto fare il bagno e poi... tornai alla realtà.
Il cibo incominciò a perdere gusto, non avevo fame, bevevo solo acqua. Per quanto avanzassi mi sembrava che non esistesse una meta precisa.
Solo il pensiero che dopo tutto questo, avrei rivisto Mordred mi sosteneva.
Una sera mentre masticavo svogliatamente della carne secca, cercavo di scaldarmi al piccolo fuoco che avevo acceso, il mio cavallo mangiava tranquillo l'avena nel suo sacco ed io provai a fare una sorta di gioco. Feci finta che Mordred fosse con me, gli raccontai il mio inutile viaggio, perchè ora così mi appariva la mia impresa dato che mi sentivo così misero e solo.
Ripetei quel gioco anche la sera dopo e quella dopo ancora.
Scoprii che quel momento era il più piacevole della giornata, stare lì a parlare da solo non mi sembrava sciocco. Mi rendevo conto di quello che facevo, era solo un gioco per farmi forza.
Iniziai anche ad immaginare le sue risposte, mi avrebbe dato dello stupido.
Un giorno però, non tenevo più conto del tempo, doveva però essere la fine di novembre, fu lui a parlarmi.
Ero rientrato dalla costa risalendo la foce di un fiume e sentii la voce di Mordred. Non era una mia fantasia, non era uno dei miei soliloqui, non era solo nella mia testa.
Ne ero convinto.
Hai intenzione di viaggiare in eterno, Galahad?
Mi irrigidii e vidi le orecchie del cavallo muoversi nervosamente.
Tu non vuoi veramente trovare il Graal.
Non penserai mica che un oggetto simile scenda dal cielo per grazia divina?
In fondo in fondo non sei uno stupido, vero Galahad?
Scesi da cavallo, la voce proveniva da Est, di fronte a me.
«Mordred!» gridai disperato.
Non fare in modo che cada in mano di altri!
Sbrigati, ho bisogno di te! Stai perdendo tempo come uno sciocco!
Risali il fiume, trova la fonte!
«Mordred!» ansimai cadendo a terra. «Mordred!»
Non sentii più la sua voce, mi tirai su, ripartii al galoppo, incitando la mia cavalcatura, non capivo nemmeno che strada stessi percorrendo, se qualcuno mi vide di sicuro lo spaventai, urlavo come un pazzo.
Forse ero pazzo.
Quanto tempo ci misi? Una settimana, due, tre? Un mese, sei mesi? Non lo so.
So solo che arrivai alla sorgente del fiume, si trovava alle pendici di un costone di roccia dritto e ripido di cui vedevo a fatica la cima apparentemente piana.
L'acqua sgorgava da una polla, profonda, non saprei dire quanto, era blu... così blu come i riflessi dei capelli di Mordred al sole. Vidi un'ombra muoversi nelle sue profondità e percepii un movimento dietro di me.
C'era un albero poco distante dalla polla, le sue radici affioravano dalla terra, le sue fronde verdi e rigogliose. Che mese era? Lasciai perdere, cosa me ne importava?
Mordred era seduto lì sotto e mi sorrideva in un modo dolce, aveva un'espressione così serena che non gli avevo mai visto.

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Capitolo 33

Mordred era vestito di rosso rubino, la tunica era riccamente decorata sul bordo inferiore e sulle maniche. Era strano, lui amava indossare colori scuri, cupi.
Era impossibile che fosse lì, ne ero cosciente. Come avevo potuto sentire e seguire la sua voce per miglia senza vederlo? Perchè ero lì? Cosa c'era lì? Il Graal? Se lui conosceva la strada per quel luogo, perchè non avevamo potuto viaggiare insieme? Era partito dopo di me anche lui destinato a cercare il Graal?
Ama.
Mi aveva detto Nimue.
Era perchè ero innamorato di Mordred? L'avevo in qualche modo portato io lì? Costretto ad un viaggio di privazioni come me?
Lui alzò la testa al cielo e rise di gusto. Nello stesso ed identico modo di Morgana, quel giorno nel suo giardino.
Morgana?
Morgana?
Puntò i suoi occhi su di me, serio e severo. «No», disse con voce profonda, «poni troppa fiducia nelle capacità di Morgana se pensi che lei sia capace di cambiare aspetto.»
Non era Mordred ed ero stato un completo idiota a pensarlo, eppure era lui.
Era me.
Mi sentii vacillare.
«Sì, io sono te. Il Galahad che vedono gli altri, il santo, il perfetto, il cavaliere senza macchia e senza paura, figlio di Ser-»
«No!» Lo bloccai. «Cosa vuoi da me, perchè mi hai portato qui?» Ero sfinito, confuso e incominciavo a temere che lui fosse solo frutto della mia fervida immaginazione. Ero rimasto solo troppo a lungo.
«Galahad, tu sai che è la verità, lascia perdere questi sciocchi pensieri. Ascoltami attentamente.» Si appoggiò con la schiena al tronco dell'albero, incrociando le braccia sul petto. Perchè sembrava, sembravo, così saccente? Apparivo così alle persone?
«Il Graal è la ricerca del Graal. Comprendi? E' il viaggiare che ti forma, che soddisfa un cuore puro» rise «non così puro, ma in confronto con gli altri cavalieri dall'anima nera... Oh non ti offendere! Anche il tuo Mordred non è così male, per essere un pagano.»
«Cosa vuoi da me?» ripetei, stavo tremando.
«Darti il Graal, è così semplice. Ovvio.» Si strinse nelle spalle.
«Hai appena detto che il Graal è la ricerca!» replicai spazientito. «Sto litigando da solo! Questo è…»
«Nimue ha cercato di darti dei consigli. La speranza si sa è l'ultima a morire, hai fatto del tuo meglio ma non si può nulla contro il fato.»
Mi passai una mano sugli occhi, avevo la vista annebbiata dal sudore che mi imperlava la fronte.
«Prendi al volo!» disse lui, aprii gli occhi, mi aveva lanciato qualcosa, un fagotto. Mancai la presa. Cadde e sentii il rumore di qualcosa andare in frantumi. Mi chinai ed aprii la pezza di stoffa, era un vaso di coccio rotto. Un vaso... una ciotola, antico. Il…
«Sì, il Graal. Era il Graal. Divertente, no?» rimasi a fissare quei frantumi, le mani mi tremavano.
«Non perdere tempo su quei cocci ora! Devi andare, presto. Forse potrai ancora fare qualcosa di buono. Guardami!» Lo guardai, stava sbiadendo. «Prenderai la barca, convinci Bors e Bedivere a venire con te. Capito? Devi farlo, ora vai o sarà troppo tardi per mantenere la tua promessa!»
«Cosa devo...», abbassai lo sguardo sul Graal in pezzi, «fare con questo?» guardai di nuovo me, ma era scomparso. Il cuore mi pulsava nelle orecchie. Posai le mani sui cocci, sentii qualcosa di umido. Mi ero tagliato? C'era sangue, troppo sangue. Non poteva essere tutto mio. Usciva dal Graal. Lanciai un urlo di disperazione chinandomi a terra, piansi. Quando mi fui ripreso, raccolsi il Graal nella pezza, salii sulla mia cavalcatura incitandola come se avessi il diavolo alla calcagna.
Mi fermai solo per far riposare il cavallo, avrei viaggiato anche a piedi, correndo, ma ero un pazzo a pensarlo. Avevo la sensazione che stesse succedendo qualcosa di orribile. Se non avessi perso tempo con il mio viaggio... ma come potevo sapere quale strada percorrere? Se fossi tornato in tempo, cosa avrei potuto fare?
Non si può nulla contro il fato.
E' tutto scritto, ma io non penso che sia tutto inevitabile, tu sei libero di scegliere.
Cosa mi aveva taciuto Nimue? Cosa aveva visto e nonostante questo mi aveva detto di partire?
Per quanto catastrofici fossero i miei pensieri, non ero pronto, nessuno poteva esserlo per quello che si presentò ai miei occhi quando arrivai nei pressi del Lago di Vetro, poco distante da Camelot ormai caduta e che non sarebbe mai più risorta.

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Capitolo 34

Il prato che scendeva fino alle acque del lago era rosso, cosparso di uomini caduti in battaglia. Trattenni a stento un conato di vomito di fronte a quei corpi mutilati, i corvi già stavano studiando il campo.
Vedevo corpi tumefatti, che riconoscevo come amici e conoscenti, tutti erano passati per Camelot, non c'erano sassoni, stranieri. Alcuni di loro li riconoscevo solo tramite i colori del casato.
Cosa aveva fatto scattare quella carneficina? Come aveva potuto l'amico uccidere l'amico? Caddi in ginocchio, serrando gli occhi di fronte a tutto questo. Non potevo credere che fosse vero.
Dovevo essere pazzo.
La mia mente vaneggiava ancora nelle ombre della malattia data dalla fame, dal freddo, che mi aveva portato a trovare uno stupido vaso sanguinante. Quella cosa pesava come un macigno tra le mie mani tremanti.
Poi lo sentii.
Il rumore, come di un grosso sasso gettato nell'acqua.
Aprendo gli occhi vidi un cavaliere, Bedivere, che sorreggeva un uomo. Entrambi guardavano le onde del lago, lì dove il capitano aveva gettato qualcosa. Seppi che era Excalibur, che se ne andava da questo terribile mondo di morte e gemiti strazianti.
Gettai a terra i cocci, mio pesante fardello, caddero con un tonfo sulla terra scivolosa per il sangue.
«Gala... had...» vidi Gawain alla mia destra, fissava il cielo, il suo sguardo vacuo era ormai proteso alla vita dopo la morte. Mi chinai su di lui, gli scostai i capelli dal viso, cercai di pulirgli il volto.
«Vai... è... è... là...» mosse per un istante gli occhi verso l'alto, nella direzione dov'era Bedivere.
«Ma tu, Gawain hai bisogno di aiuto! Ci sarà qualcuno che...», lui riuscì a muovere un braccio e mi mise la mano sulla bocca.
«Taci. Vai.» Gli uscì del sangue dalla bocca, un tempo così sensuale ed ora piegata in una smorfia di dolore. Mi alzai a fatica, inciampai nel mio maledetto e sacro tesoro. Decisi di riprenderlo con me.
Bedivere aveva deposto l'uomo che aveva aiutato ad alzarsi, sentì i miei passi e sul suo volto disperato si disegnò lo stupore.
«Galahad! Mio signore è Galahad!»
Compresi che l'uomo a cui si rivolgeva era Artù. Ma mi fermai, non li raggiunsi. Quando il capitano aveva pronunciato il mio nome un gemito aveva sovrastato tutti gli altri.
Lui era lì.
Ed io avrei dovuto combattere al suo fianco, non cercare me stesso lontano da lui. Perchè io ero vivo solo dove lui viveva.
Mordred era a non più di cinque passi da Artù, caddi in ginocchio vicino a lui, era ferito ad un fianco ad alla testa.
Cosa dovevo fare? Cosa dovevo fare?
«Galahad...» parlare gli costava troppa fatica. Mi strappai la tunica e feci pressione sul suo fianco, gli si mozzò il fiato. Mi chinai e premetti le labbra sulla sua fronte fredda.
«Ci vorrà... ben altro che...» tossì sputando sangue, sentivo la mia mano umida del sangue che non smetteva di uscire.
«Mordred io-io sono con te ora. Andrà tutto bene. Tutto bene. Sono tornato, no?»
«Sei un... pessimo... bugiardo Galahad.» Sentii una sorta di fischio nella sua voce, gli spostai la mano che teneva sul petto, era ferito anche lì. Mi girava la testa. Non stava accadendo veramente, era solo un brutto sogno, un brutto sogno.
Lui tossì, mi guardò, gli vidi muovere le labbra.
«Sei tornato...» lo scosse un tremito.
In quel momento sentii lo sciabordare di un'imbarcazione. Era Nimue su una piccola barca a remi, c'erano due sacerdotesse con lei. Mi guardò in un modo così triste, i suoi occhi racchiudevano tutto il dispiacere del mondo. Scese con i piedi nell'acqua e mi raggiunse, tra i suoi capelli non c'erano più i bei fiori della primavera ma fili d'argento.
«Galahad io...» la sua voce era così giovane e titubante.
«Lo so» dissi io.
Guardò Mordred e scosse la testa. «Non posso fare nulla per lui. Portalo in un posto... migliore di questo. Sono venuta a prendere Artù.» Piangeva. Per quanto sapesse già, per quanto avesse già visto, piangeva. Bedivere mise il Sommo Re sulla barca. Lei e le sacerdotesse se ne andarono.
Io mi sedetti vicino a Mordred, respirava piano, gli strinsi la mano. Non c'era nulla che potessi fare ormai?
Bedivere si fermò dietro di me. «Hai trovato…?»
«Sì.»
Nessuno dei due sapeva cosa dire.
«Lancillotto…»
«No, Galahad devi sapere. Questo... tutto questo è stato un gran... malinteso.»
«Un malinteso? Mordred sta morendo e mi parli di un malinteso?» Ero furioso, sarei stato capace di uccidere il mio maestro a mani nude in quel momento.
Attese prima di parlare ancora.
«Ti spiegherò quando ti sarai calmato. Tuo padre ha avuto l'ordine da parte di Mordred di portare la Regina in un posto sicuro, all'abazia dove vive Loholt.» Guardavo solo Mordred, non volevo sapere nulla della Regina. «E con lei anche Amr, Melou e Melehan. Alcuni uomini del Duca Costantino li hanno seguiti. La Regina è salva all'abazia... Lancillotto è gravemente ferito, è qui da qualche parte... i bambini...» era incapace di proseguire.
«I bambini?» urlai. Mordred si mosse.
«Morti» disse in un singhiozzo.
«Morti» ripetei.
Era colpa mia. Avevo portato io Amr a palazzo, avevo convinto Mordred a dare una vita migliore ai suoi figli. Li avevo uccisi io. Fui scosso dal un pianto irrefrenabile. Mi stesi di fianco a Mordred e pregai, pregai per la salvezza delle anime dei caduti in quella guerra. Pregai per la mia anima impura.


Note: grazie infinite a chi legge e segue questa storia. Il prossimo capitolo sarà l'ultimo, spero che sebbene sia triste e sanguinolenta la seguirete fino alla fine. Grazie di cuore!

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Capitolo 35 >

Persi coscienza o più semplicemente mi addormentai sfinito, rannicchiato a terra, tenendo sempre la mano di Mordred.
Rinvenni sentendo la voce di Bors, stava parlando con Bedivere. Non riuscivo a comprendere le loro parole, arrivavano a fatica nella mia testa. I corvi gracchiavano, c'erano dei movimenti sul campo, forse stavano spostando i caduti. Guardai il cielo limpido ed indifferente.
Convinci Bors e Bedivere a venire con te.
«Bedivere, c'è una barca, dobbiamo prenderla e andare via. Non c'è più nulla per noi qui.»
«Si è ripreso» disse con cautela Bedivere. Il suo volto preoccupato entrò nel mio campo visivo.
«Vorrei portarlo sul mare, le onde gli ricorderanno la sua casa, i gabbiani lo culleranno durante il viaggio», mi voltai verso Mordred, respirava in modo così flebile.
Era vivo e tutto sarebbe andato bene.
Bedivere mi accarezzò la testa, come una padre accarezza l'amato figlio.
«Galahad, spostarlo gli recherà solo dolore, perchè non lasci…»
«No! Ti prego Bedivere, vai alla barca e chiedi, scongiura, prega, minaccia... ma fatti dare quella barca. Andremo verso il mare seguendo il fiume a valle.»
Lui guardò Bors che gli restituì uno sguardo distante. Bedivere andò verso la riva.
vRimasi in silenzio per un po' studiando Bors seduto a terra, si teneva le ginocchia con le mani, sembrava un ragazzino sperduto.
Il sole iniziava a calare, mi misi a sedere anch'io, mi tolsi il mantello e coprii Mordred sperando che gli desse un po' di calore. Senza togliere gli occhi da lui parlai con Bors.
«Galessin?»
«Era con... Lancillotto», la sua voce si spezzò, «è caduto per cercare di salvare Melou.»
Avevo un groppo in gola.
«Che cosa è successo Bors?» ero svuotato e mi sentivo colpevole senza nemmeno sapere cos'era stata la causa di quello che avevo davanti gli occhi. Bors si passò una manica sul viso e mi raccontò tutto. «In questi mesi in cui sei stato via, più di un anno... ah Mordred... scusami, questo non ha importanza. Lo scorso settembre Artù fu chiamato da Re Hoel nella Gallia per dei problemi avuti sui confini... c'era chi avanzava delle pretese sui suoi territori. Si sapeva già che ci sarebbe stata battaglia. Lancillotto partì con il Sommo Re. Mordred fu nominato Vice Re, rimase a Camelot. Il Principe dimostrò le sue capacità, si comportò in maniera encomiabile.
In Gallia, durante gli scontri Artù fu dato per disperso. Giunse un corriere ufficiale a Camelot con la notizia che il Re era morto. Fu aperto il lascito testamentario, Artù riconosceva ufficialmente Mordred come proprio figlio. Il Duca Costantino era estromesso dalla linea di successione. Puoi immaginare Costantino», lo maledisse a voce bassa, «scusami. Costantino non riconobbe Mordred come successore. Ormai eravamo certi di doverci preparare ad una guerra con lui, il Duca mise anche delle voci in giro su Mordred e... » deglutì, incapace di continuare.
«La Regina» terminai io.
Lui annuì. «Quel bastardo! In realtà era Costantino a volere la Regina Ginevra per sé. Tuo padre rientrò a Camelot, ci disse che aveva perso le tracce del Sommo Re durante uno scontro in Gallia... lì la guerra era vinta ma... non aveva trovato il corpo di Artù. Lancillotto sembrava non fidarsi di Mordred, Bedivere cercò di tranquillizzarlo, in parte ci riuscì.
Artù non era morto, era stato tratto in salvo da pochi uomini, con lui c'erano anche Gawain e Gareth, ci misero del tempo per trovare una nave e salpare verso casa. Ci fu una stramaledetta tempesta. La nave affondò, si salvarono in poco più della metà. Gareth non fu trovato. Il destino... infame», imprecò, «volle che arrivassero sulla costa della Cornovaglia... dal Duca Costantino. Lui parlò con la sua lingua avvelenata, disse delle cose spregevoli su Mordred... che aveva preso la Regina con la forza ed altre mille falsità. Gawain non gli credette, è stato lui a raccontarmi tutto questo... l'ho trovato qui sul campo.» Si asciugò gli occhi. «Artù era troppo confuso e stanco per sapere cosa fare. Gli uomini di Costantino non fecero che alimentare le maldicenze. Si decise per un incontro: Mordred, Artù e Costantino. Mordred diede ordine a Lancillotto di portare al sicuro la Regina, il figlio di Artù ed i suoi.» Fece una lunga pausa ed io pensai a Galessin. Non l0 avevo nemmeno salutato prima di partire e lui aveva dato la sua vita per cercare di salvare la figlia di Mordred.
«Posso dirti quello che vidi da lontano. Al centro del campo, il Sommo Re, suo figlio ed il Duca, disarmati. Artù e Mordred parlarono, Costantino si intrometteva, ma il Re lo zittiva. Stavano per abbracciarsi, tutto sarebbe andato al suo posto... Il Duca, che Dio lo maledica in eterno, tirò fuori un pugnale e colpì al petto Mordred. Il pugnale scintillò potente al sole, quello parve ai soldati da ambo le parti il segnale per l'inizio dello scontro. Fu... una follia incontrollabile.» Non aveva più voce.
«Artù e Mordred?» chiesi, anche se dubitai che potesse sapere chi fosse stato a ferirli.
«Si sono colpiti a vicenda.» Era stato Bedivere a parlare, era tornato, vedevo dietro di lui sul molo alcuni uomini preparare una barca per partire.
Lo guardai sbattendo le palpebre. «Cosa?» chiesi incredulo.
«Non te lo so spiegare... li ho visti... forse nella follia della lotta non si sono riconosciuti.»
Bedivere mi spiegò che aveva convinto alcuni soldati a prendere quella barca, non si sapeva di chi fosse, era in buono stato, ci avrebbe portato senza problemi lontano da lì.
Il capitano era deciso a venire con me. Bors sembrava di sasso, fissava l'erba. Lo scossi più volte.
«Non c'è motivo per andare via, non c'è motivo per vivere ormai.» I suoi occhi erano rossi ma asciutti.
«E se il motivo fosse di fare un ultimo favore a me, Bors?» si alzò, guardò Mordred e ci disse che dovevamo preparare una barella.
Dopo aver caricato Mordred rimasi ad ascoltare il suo respiro, ora affannato e gorgogliante. Partimmo. Pregai che arrivasse almeno al mare, per sentire il profumo della salsedine.
Al porto alla foce del fiume incaricai Bedivere di trovare una nave che ci desse un passaggio verso il continente, lui non mi chiese nulla, deciso forse ad accontentare un povero pazzo quale ero diventato.
Salpammo la mattina seguente, grazie alla marea favorevole, Mordred non si riprese più.
Spirò dopo che avevamo percorso poche miglia.
Se n'era andato sulle onde... Mordred, Medraut... venuto dal mare.
Non avevo più lacrime, le avevo versate tutte su quel campo di morte, rimasi per tutto il tempo con la testa sulla sua spalla singhiozzando come un bambino. Ma le lacrime erano finite e mi sentivo soffocare.
Sapevo dove volevo andare, avevo sentito parlare di un isolotto, Monte Beleno, su cui gli antichi druidi veneravano il sole. Ovvero Dio, il mio Dio. Era un posto perfetto per Mordred... la marea saliva e scendeva veloce e l'isola diventava accessibile o irraggiungibile in base al volere dell'acqua.
Gettammo l'ancora e scendemmo su di una barchetta a remi, solo io, Mordred, Bedivere e Bors. Sull'isola trovammo un anziano eremita che ci accolse con gratitudine, lui era troppo anziano ormai, presto avrebbe lasciato questo mondo. Era felice che Dio gli avesse mandato dei giovani a pregare al suo posto. Ci ospitò nella sua comoda capanna.
Sulla cima del monte dell'isola c'era un piccolo cerchio di pietre, circondato da un incredibile intrico di alberi, le cui fronde s'incrociavano fino a coprire completamente il cielo.
Scavai da solo la terra, lavai il corpo di Mordred, lo baciai sulle fredde labbra, lo deposi.
Stavo per coprirlo quando Bors e Bedivere mi raggiunsero. Bors mi pose uno fagotto. Solo prendendolo in mano lo riconobbi. Pensavo di averlo dimenticato vicino al lago.
«Devi avere più cura delle Sacre Reliquie, Galahad» disse lui con un mezzo sorriso.
Misi il Graal o quello che lo era stato, ai piedi di Mordred. Pensai che avrebbe gradito il dono, con una delle sue rare risate.
Lo coprimmo.
***
E' passato un anno meno un giorno da quando ho sepolto Mordred. Sono venuto qui tutti i giorni a pregare, portare un fiore, parlare con lui.
Domani è il primo di maggio.
Sono seduto di fianco e lui, la luce del sole che filtra attraverso le fronde crea dei bellissimi giochi di ombre sulle pietre.
«Sei stato crudele ad andartene via. Lo so, l'hai fatto per punirmi, perchè sono partito a cercare il Graal e ti ho abbandonato. Perdonami Mordred.»
E' pieno giorno, eppure sento freddo, il sole è alto eppure la vista mi si oscura.
Mordred!
Una speranza fu guizzare il mio cuore.
Sto arrivando da te.

FINE

Note: La questione della “vipera a Camlann” non mi piace, quindi ho optato per una vipera un po' più grossa e con sembianze umane, alias Costatino.
Monte Beleno è l'antico nome di Mont Saint-Michel, fu sede di riti druidici ed eremo per cristiani.
Galahad dopo aver trovato il Graal, ne conosce e vede i misteri ed è destinato a morire. Sarebbe stato meglio che non fosse mai partito.
Il Graal deposto ai piedi di Mordred è una citazione di Jaqueline Carey (il teschio posto ai piedi di Dorelei, Kushiel's Justice).
Grazie infinite a chi ha seguito e letto questo racconto, spero che vi sia piaciuto almeno un pochino. E' stato scritto molto di getto, spero che non ci siano incongruenze e se ce ne sono, anche dal punto di vista arturiano sono dovute alla mia conoscenza non troppo vasta delle leggende. Un grazie particolare a Ailinon, SakiJune e IceWarrior *_*

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