Il meraviglioso mondo di Alice

di _Shantel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Chi non muore si rivede ***
Capitolo 3: *** Cioccolata con panna ***
Capitolo 4: *** Assemblea d'istituto ***
Capitolo 5: *** L'ultima spiaggia ***
Capitolo 6: *** Gigolò ***
Capitolo 7: *** Don't call my name ***
Capitolo 8: *** Three is better than two ***
Capitolo 9: *** Special ***
Capitolo 10: *** Come Cenerentola ***
Capitolo 11: *** Pupazzi di neve ***
Capitolo 12: *** Cade la pioggia ***
Capitolo 13: *** Set fire to the rain ***
Capitolo 14: *** Happy Valentine's Day ***
Capitolo 15: *** In un giorno qualunque ***
Capitolo 16: *** Al buio ***
Capitolo 17: *** Buon compleanno ***
Capitolo 18: *** Un passo indietro ***
Capitolo 19: *** Una notizia inaspettata ***
Capitolo 20: *** Changing ***
Capitolo 21: *** Nessun rimpianto ***
Capitolo 22: *** On the road ***
Capitolo 23: *** Temporale estivo ***
Capitolo 24: *** La differenza tra me e te ***
Capitolo 25: *** Get it right ***
Capitolo 26: *** Photographs ***
Capitolo 27: *** Viva gli sposi ***
Capitolo 28: *** Amore perduto ***
Capitolo 29: *** Epilogo - Love is a losing game ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Buongiorno a tutti!
Rieccomi con una nuova storia che mi ha colto durante il viaggio di ritorno dall'università.
Una storia senza pretese che spero possa strapparvi qualche sorriso. Ebbene sì, anche io ho deciso di scrivere qualcosa sugli amori adolescenziali della nostra protagonista Alice, una combina guai di prima categoria. E infatti la maggior parte della storia si evolverà su una sua menzogna che le sconvolgerà la vita e la farà innamorare per la prima volta, la farà soffrire per la prima volta, le farà sorgere dei dubbi per la prima volta.
Spero che possa piacervi, anche se è solo il prologo e qualche recensione, bella o brutta che sia mi farebbe piacere!
Vi lascio al prologo in cui si presenta la protagonista. È abbastanza corto, ma i capitoli saranno sostanziosi.
Ora un momento di pubblicità:

Crash
Pagina Facebook dove potete trovare le foto dei personaggi ^^
Bye ^-^


P r o l o g o


Fingere mi risultava facile.
Forse avrei dovuto diventare un'attrice, magari avrei dato una svolta significativa alla mia monotona e noiosa vita. Ma, riflettendoci, sono troppo timida per quel mestiere e soprattutto chi ha voglia di perdere interi pomeriggi davanti ad una macchina da presa invece di spenderli davanti al computer, ad aggiornare la pagina di internet ogni secondo nell'attesa di una richiesta di amicizia su Facebook o di una recensione su EFP?
Sorridevo mentre le mie amiche, durante quella stupida assemblea d'istituto che avrebbe rovinato la mia vita, parlavano di ragazzi, di appuntamenti, di coccole sfrenate, di quello e quell'altro che mandavano loro sms. Loro ricevevano messaggi in continuazione, mentre io guardavo il mio cellulare solo per controllare l'ora. Avevo un sacco di numeri di telefono sul cellulare, ma la maggior parte di questi non mi ricordavo nemmeno a chi appartenessero. E per non sembrare diversa, facevo finta di ricevere dei messaggi, anche se su quel maledetto display compariva sempre e solo il faccione del mio gatto.
Annuivo anche a sentire i luoghi comuni degli uomini, convinta, uscendo qualche volta con Anche il mio ex lo faceva, ridacchiando poi come una gallina. Peccato che io non avessi mai avuto un ex! Parlavo di cose che nemmeno sapevo, di sesso che avevo visto fare solamente nei film romantici quando poi mi imbarazzava sentire la mia prof di biologia parlare dell'apparato riproduttore maschile. Che, ero sicura, avrei visto solamente disegnato su un libro di scienze a meno di non guardarmi filmati su Youporn. Ma, no grazie! Quello lo lascio fare a mio fratello. La cosa che mi consolava era che, almeno, ero convincente. E se mi facevano domande sulla mia vita privata, le zittivo contraendo il volto in una smorfia affranta dicendo Non mi va di parlarne, strappando loro qualche Oh! Poverina chissà come hai sofferto e facce contrite.
Conducevo, praticamente, una doppia vita: la mia, quella squallida fatta di Pomeriggio Cinque e barrette al cioccolato e quella fantastica che proponevo alle mie compagne, fatta di appuntamenti e uscite tra amici il sabato sera. Cosa assolutamente non vera. Il sabato sera, alle 20 in punto, vestivo già il mio splendido pigiama e guardavo depressa le storie strappalacrime di Maria De Filippi nel mio lettino caldo coperto dalle lenzuola di Winnie the Pooh. Ogni giorno vivevo con la speranza che un postino in bicicletta venisse da me con una busta enorme e mi invitasse a C'è posta per te per poter incontrare qualche celebrità con la quale mi facevo un'infinità di s*ghe mentali, a volte arrivando anche a crederci.
Se per caso volete farmi conoscere qualcuno, vi butto lì qualche nome: Jared Leto, Johnny Depp, Duncan James, Tom Felton, Willwoosh, qualsiasi persona! Tanto per avere una piccola sorpresa che mi faccia sentire importante!
Ma torniamo alla mia vita. Ero una di quelle ragazze diciottenni sempre tappata in casa a deprimersi a guardare l'ennesimo scoop su Belen Rodriguez, strafogandomi di schifezze ipercaloriche, facendo credere, in realtà, di essere uscita a fare baldoria alle quattro di pomeriggio con una serie infinita di persone. Poi mi ritrovavo a Giugno a dover perdere i dieci chili presi durante quell'inverno balordo per risultare almeno presentabile durante l'estate. E quindi sedute intense in palestra a grondare di sudore e diventare appiccicaticcia come una donna lumaca, saune improponibili e impacchettamenti vari nel celofan a mò di cotechino avanzato dalla sera di Capodanno. E le mie cosce ne risentivano, eccome! Avevo dei crateri abnormi che mi solcavano le gambe facendomi sembrare la crosta lunare, tanto che una volta il mio fratello imbecille mi ha conficcato una bandierina da panino nella coscia destra, esultando per aver conquistato il suolo lunare. Ho ancora il segno di quella stupida bandiera!
Starete pensando che io sia un cesso grasso e brufoloso con i culi di bottiglia al posto degli occhiali che ha tutti 10 a scuola. Partendo dal fatto che il voto massimo che prendo è un misero sette solo in italiano – e per giunta sono l'unico essere vivente ad avere il debito in educazione fisica – non sono nemmeno così brutta, esteticamente parlando sono nella media. Ma chissà perchè, nessuno mi caga. Quelle rare volte che uscivo mi veniva detto che io ero quella simpatica. Sinonimo del fatto che non avrei mai visto uno straccio di ragazzo!
Mi ripetevo, nei momenti in cui ero felice della mia zitellaggine, in cui non transitavo nella fase depressiva per la mia solitudine, che l'importante era che le mie compagne di scuola non sapessero nulla di questo enorme segreto, non volevo che la mia reputazione già abbastanza rasente al suolo andasse a finire a far compagnia alle talpe sottoterra.
Ma le menzogne mi si erano rivoltate contro e ora tutti avrebbero scoperto la mia doppia vita. Maledetta la bocca mia, parlo troppo! Maledetta la mia fantasia! Maledetto Edoardo, chiunque tu sia! Sono in un mare di gianduia! Detto più finemente sono nella merda fino al collo!
Mi chiamo Alice Livraghi e non ho mai baciato un ragazzo. .

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Capitolo 2
*** Chi non muore si rivede ***



C A P I T O L O 1

Chi non muore si rivede


Ero piegata sul tavolo con le mani nei capelli e continuavo a guardare l'orologio per paura che l'ora più terribile della giornata fosse già arrivata. Mancava un minuto preciso per l'arrivo di Carla D'Osvalda, conosciuta ai più come lo sciacallo per le torture che faceva subire alle sue vittime prima di finirle con un doloroso 2. Il rumore insopportabile delle sua scarpe sudaticce si sentiva già da chilometri di distanza. Guardai impaurita la mia compagna di banco, nonché migliore amica nell'ambito scolastico, alias Benedetta che contraccambiò quello sguardo.
L'avevo conosciuta il primo giorno di liceo, nell'auditorium, durante il discorso del preside. Eravamo sedute vicine ed entrambe eravamo terrorizzate da quel nuovo mondo che presto sarebbe diventata la nostra quotidianità. Per fortuna, scoprimmo di essere in classe insieme e da quel giorno la considero la mia migliore amica, anche se non so se sia contraccambiato. Nonostante fosse speciale per me, nemmeno lei sapeva che in realtà ero una sfigata patentata.
Lo sciacallo entrò in classe con dei libri in mano che erano più grossi di lei e si posizionò dietro la cattedra che quasi la copriva interamente. Sembrava docile con quell'aspetto minuto, ma in realtà era un mostro. Le sue interrogazioni e verifiche erano molto peggiori dei giochi sadici dell'Enigmista! E, purtroppo, sarebbe rimasta anche l'anno prossimo, il tanto atteso quinto anno di liceo. A meno di un malore improvviso o un incidente con l'auto di una ragazza appena patentata che rispondeva al nome di Alice Livraghi. Stavo lavorando a quel piano progettando il tutto durante le inutili ore di storia dell'arte.
Carla ci osservava con quegli occhi rugosi e infuocati, scorrendo il dito indice sul registro. Aiuto! Avevo paura! Primo perchè non volevo essere interrogata in matematica e secondo perchè non volevo diventare come lei a 45 anni, così flaccida e brutta.
«È già pezzata» commentò Benedetta, senza farsi sentire «Come cacchio fa a sudare così a Gennaio?!» continuò schifata.
«Magari ha qualche problema ormonale» ipotizzai.
Benedetta, in arte Germa, per la sua straordinaria somiglianza con Stefani LadyGaGa Germanotta, alzò entrambe le sopracciglia, guardandomi dubbiosa. Smorzai una risata sul nascere, facendo uscire dalla mia bocca un verso simile ad uno starnuto. Lo sciacallo alzò lo sguardo dal registro e mi guardò arcigna, facendomi passare quel breve momento di ilarità.
«Un problema ce l'ha di sicuro» riprese Benedetta una volta che la D'Osvalda tornò a guardare il registro «Ma non ormonale. È da troppo che non vede un uccello. Se lo ha mai visto» sghignazzò solitaria. A me non faceva ridere per nulla dato che mi sarei ritrovata nella stessa identica situazione di Carla: 40 anni vergine.
«Visto che ha così tanta voglia di ridere, perchè non viene fuori interrogata signorina Sago» tuonò lo sciacallo, smorzando la risata di Benedetta che fu visibilmente percorsa da un brivido di terrore. Sospirai sollevata. Mi dispiaceva per Germa, ma come dicevano i latini mors tua, vitas mea o una cosa del genere. Il latino non era affatto il mio forte, non mi piaceva perdere tempo con una lingua morta. Mi rilassai sulla sedia, scivolando in avanti pronta a godermi quell'ora di relax, sorridendo e sospirando beata.
«Livraghi! Crede di essere a casa sua?»
Mi irrigidii quando mi chiamò. Subito tornai a sedermi composta e le sorrisi bonaria sbattendo più volte le ciglia per risultare più dolce, adottando la strategia del gatto con gli stivali. Solitamente con il professor Ghida, insegnante di filosofia, funzionava sempre. Secondo Benedetta era efficace perchè quell'uomo era troppo vittima del fascino femminile, si accontentava di qualsiasi donna bella o brutta che era. Il requisito minimo per passare il Ghida's test era di avere una vagina. Io, quella volta, avrei dimostrato che si sbagliava di grosso, che erano i miei occhioni dolci ad ammansire qualsiasi bestia feroce, perfino la D'Osvalda.
«Venga a fare compagnia alla sua amica» mi disse con un sorriso tirato e finto quanto la faccia del preside Pierangelo Muccara. Ok, funzionava solo con ghida.
Mugolai qualcosa di incomprensibile persino a me stessa e strascicando le All-stars mi diressi alla lavagna. Incrociai le braccia, appoggiandomi ai primi banchi mentre assistevo silenziosa e tesa al massacro di Benedetta. Che diamine! Quella donna pretendeva troppo da noi! Era già tanto che riuscivamo a fare due più due. Anche se i dubbi che qualcuno non ne fosse in grado c'era, come ad esempio Giulio, il mio compagno di classe che aveva tutte le materie insufficienti, soprannominato the mad per le sue uscite non proprio normali. Una volta, interrogato in storia, si era alzato, aveva unito le mani ai fianchi e aveva urlato Kamehameah! concludendo la sua performance con un rutto. Sospeso per tre giorni.
Cominciai a mangiarmi le unghie come facevo sempre in situazioni di grandi stress. Le avevo accuratamente sistemate il giorno prima dannazione! Una volta che decidevo di curarmi le unghie, perchè solitamente mi costava troppa fatica, la D'Osvaldo mi interrogava. Lo faceva apposta, ne ero certa!
«Sago lei è un ignorante in matematica!» esplose la professoressa «Quattro! Vada a posto!» indicò perentoria il suo banco.
Ecco, bene! Toccava a me. Allarme antincendio perchè non scatti?! Una volta che serviva un'inutile prova di evacuazione non la facevano mai. Mi avvicinai lentamente alla cattedra in modo da rubare secondi preziosi alla mia figura di merda. E non solo perchè mi sarei mostrata una capra davanti a tutti, come al solito, ma anche per l'umiliazione che mi avrebbe propinato quella donna. Era frustrata, di sicuro. E il fatto che quella delusione derivava da una scopata mai fatta mi terrorizzava eccome. Sarei diventata un'acida professoressa di matematica che sfogava la sua frustrazione su poveri alunni innocenti e magari tra questi ci sarebbe stata un'altra Alice Livraghi, che sarebbe diventata anch'essa un'acida e così via. Un circolo vizioso. Forse se avessi organizzato un incontro con il Ghida sarebbe diventata una donna allegra e solare. Era brutta, certo, ma, essendo donna, superava il test del professore di filosofia. Cercavo di stare calma, nonostante mi guardasse se mi volesse sbranare e automaticamente cominciai a indietreggiare.
«Esercizio numero 10» mi disse allungandomi il suo libro.
Lo lessi ma ai miei occhi appariva arabo. Mi grattai la testa guardandomi attorno come un cerbiatto sperduto in cerca di un volontario che mi salvasse, ma tutti, compreso Giulio “the mad” erano impauriti dalla Carla. Scrissi i dati alla lavagna, come prima cosa, lentamente e rendendo i numeri il più ciccioni possibili così da perdere un sacco di tempo.
«Livraghi se continua con questo ritmo la mando al posto con un 2!» sbraitò la frustrata.
«Relax baby!»
Appena mi accorsi di non aver solo pensato la frase che maggiormente adoperavo nella vita comune, mi morsi la lingua. Lo sguardo della sciacallo era incandescente. Parlavo troppo e a sproposito. Le sorrisi, mostrando i denti, mormorando un imbecille Scusi prof. Inutile dire che il resto dell'interrogazione fu un massacro, con domande ignote su argomenti inesistenti, partoriti dalla mente malata della D'Osvalda ed esercizi impossibili perfino per un neolaureato in matematica. Sospirai quando vidi un bel tre panciuto comparire sul libretto. Una macchia indelebile nel mio curriculum scolastico.


«Stai calma Ben!» le dissi mentre la mia amica sosia di Lady Gaga, anche se mora, prendeva a pugni la macchinetta.
«Mi ha fregato i soldi!» si giustificò, prendendola a calci «Stupida macchinetta!» gracchiò poi, sospirando e allontanandosi.
Una delle cose che meno sopportava Benedetta era perdere le sue amate monete per colpa di una macchinetta, tirchia com'era. Spendeva solo per lo stretto necessario e trovava inutile lo shopping. Talmente era attaccata ai soldi che, pur di non spendere la ricarica, mi squillava in modo che io la richiamassi. E io non digerivo affatto questo atteggiamento, ma avevo cominciato a sopportarlo.
Io la seguii a passo svelto verso una meta a me ignota, cercando invano di calmarla. Benedetta si diresse verso le scale percorrendole con velocità. Il mio essere bradipo mi fece perdere la sua scia e per poterle stare dietro caddi dalle scale, prendendo una culata dolorosa e staccandomi un braccio che era rimasto attaccato al corrimano nell'inutile tentativo di rimanere in piedi. Già quella caduta da Paperissima era un'umiliazione abbastanza pesante, soprattutto durante l'intervallo, ma come se non bastasse il destino si divertiva a prendersi gioco di me. In quel momento, in quell'esatto istante, il ragazzo più bello della scuola, il latin lover, il mio sogno proibito, Davide Saronno mi passò accanto, abbracciato alla sua nuova fiamma bionda e riccioluta. Ero una delle tante ragazze innamorate di lui e una delle poche che lui non cagava. Due erano le possibilità: o non sapeva che entrambi popolavamo quel pianeta o mi aveva scambiata per un uomo. Nonostante il mio seno piccolo e quasi inesistente, era chiaro che fossi una ragazza, per cui sicuramente la prima ipotesi era quella più accreditata. Lui frequentava il quinto anno e la prima volta che lo vidi era quando andavo il seconda liceo, durante la giornata sportiva, che giocava a pallavolo. Fu facile scoprire il suo nome, tutti conoscevano Davide Saronno in quella scuola.
Rise, molto probabilmente aveva assistito a tutta quella scena comica. Mi superò e sentì quella specie di Guendalina Blabla chiamarmi sfigata. Stupida oca con il dono della parola! L'unica cosa positiva era che Davide sapeva dell'esistenza di una goffa ragazzina ignorata fino a quel momento. Mi rialzai, sistemandomi i jeans scuri e cercando di pulirmi dal marciume che si annidava in quella scuola. Corsi via, imbarazzata raggiungendo finalmente Benedetta seduta sul muretto che costeggiava la rampa per disabili.
«Dove eri finita?» mi domandò.
«Ho avuto un incidente» deglutii, ripensando alla mia figura di merda
Benedetta annuii e tornò a guardare davanti a sé. Era da quando aveva messo piede in classe che era elettrica. Inizialmente pensavo che la causa fosse l'interrogazione di matematica, ma ora mi stavo ricredendo.
«Si può sapere che hai?» le domandai, quasi scocciata.
«Ho preso un quattro in matematica» cominciò ad elencare. Alzai le sopracciglia. E io cosa avrei dovuto fare per quel tre? Uccidermi?! No, per quello ci avrebbe pensato mia madre «La macchinetta mi ha fregato i soldi e ieri mi sono lasciata con il mio ragazzo!» appoggiò il mento sulle mani sconsolata.
Roteai gli occhi. Perchè, dico e ripeto e sottoscrivo, perchè si finiva sempre a parlare di ragazzi?!
«Mi dispiace» dissi solamente, cercando di mostrarmi interessata. Che potevo sapere io di come si soffriva per la perdita di un amore? Nulla. Ed ero anche la meno consigliabile per consolare un cuore infranto.
In quel momento arrivò anche Claudia, una ragazza del terzo anno amica di Benedetta che conoscevo per corrispondenza, con il suo solito panino delle undici tra le mani.
«Che ti prende Germa?» domandò con voce cupa e roca.
«Mi sono lasciata con Marco!» le rispose «Claudiano!»
Benedetta odiava essere chiamata Germa perchè odiava essere paragonata alla sua sosia. Così aveva coniato il soprannome Claudiano per la sua amica per via della sua voce mascolina. E non aveva tutti i torti. La prima volta che la incontrai ero nel bagno della scuola a fare i bisogni e sentivo Ben parlare con un maschio. Ero sconvolta! Un uomo nel bagno delle donne?! Quando uscii imprecai contro quel ragazzo che era entrato nel nostro bagno chiamandolo maiale. Quando poi domandai dove fosse andato, Claudia alzò la mano facendomi capire che l'uomo in questione era lei. Le mie figure di merda non possono contarsi sulle dita di dieci mani.
«Tempo due settimane ne hai già un altro!» ribattè Claudia ridacchiando.
Benedetta la guardò torva, ma il camionista non aveva tutti i torti. Germa cambiava uomini alla velocità della luce e non riuscivo a capire come lei potesse avere così tanti ragazzi ed io essere a quota zero. Ero molto più carina di lei, almeno con i capelli corti non sembravo un uomo. I misteri della vita.
«Stai per caso insinuando che sono una sgualdrina?» domandò Benedetta stizzita.
«Io non ho insinuato niente» ribattè Claudia con nonchalance.
«Ma lo hai pensato!» la punzecchiò.
L'amica dai capelli rosso fuoco sorrise sorniona, seguita poi a ruota da Benedetta, che le diede un lieve schiaffo sul braccio.
«Lo so che lo sono!» ridacchiò divertita «Ma che ci posso fare se amo il sesso?»
«Come darti torto!» esclamò Claudia, quasi in estasi.
Le guardavo ridere e, poco convinta, mi unii a loro, annuendo come una babbea. In realtà non ero affatto divertita, ma scioccata! Come poteva Benedetta essere così felice di essere considerata una passeggiatrice?! Il sesso rendeva davvero così stupidi? Oppure era così bello da volerne fare in continuazione? Scossi la testa, estraniandomi dai loro discorsi e cominciando a guardare Davide attaccato alla colonna poco distante con me. La mia fantasia volò. Mi immaginavo tra le sue braccia al posto della riccioluta, che mi baciava sensualmente, con le sue mani sulle mie natiche. Mi immedesimai fin troppo nella parte che mi parve di sentire davvero le sue mani sulle mie flaccide chiappe. Ma chi volevo prendere in giro? Era impossibile perfino in una fantasia erotica che Saronno si avvicinasse a me. Non rispecchiavo la sua donna ideale: non avevo un gommone al posto delle labbra, niente tette gonfie e nessun culo alto e sodo. Affranta, sospirai rumorosamente attirando l'attenzione di Benedetta e Claudia che, terminati i loro stupidi discorsi, mi guardarono dubbiose.
«Che sospiro!» commentò Claudia.
«Da innamorata!» aggiunse Benedetta «Sei innamorata?» mi domandò poi con un sorriso malizioso e un sopracciglio alzato.
Sbarrai gli occhi. Che cosa avrei dovuto rispondere? Non volevo apparire una sfigata, così me ne uscii con una sciocchezza enorme.
«In realtà sì» sorrisi imbarazzata, mentre mi maledicevo mentalmente. Anche se tutto sommato non era una vera e propria bugia. In fondo avevo una cotta per Davide.
«Chi è?» domandò con voce stridula Benedetta prendendomi le mani.
Sentii il mio cuore andare a trotto nel petto, era come se avessi una carica di cavalli nel torace. Non potevo dire che ero cotta e stracotta di Davide, sarebbe stato troppo chiaro che era solo un amore platonico. Dovevo dare libero sfogo alla mia fantasia.
«Non lo conosci» mi limitai a dire telegrafica.
«È di questa scuola? Quanti anni ha? Come si chiama? È bello?» partì a raffica Claudia.
La campanella suonò e mentre tornavamo in classe dopo l'intervallo dovetti raccontare tutto. Tutte le bugie. Dicevo le prime cose che mi passavano per la testa, sperando di non dimenticarmele in un futuro.
«Si chiama» deglutii, passando a rassegna qualsiasi nome «E» mi interruppi. Che nome cominciava con quella stupida lettera?! Edmondo, Erasmo «Edoardo»
Mai conosciuto un Edoardo in tutta la mia vita! Avrei potuto scegliere un nome più adatto ad un fidanzato immaginario, sembrava più un nome da nonno!
«Quanti anni ha?» insistette Claudia prima di entrare in classe.
«22» tentennai.
La rossa mi guardò sospettosa con le labbra arricciate come se avesse capito che quelle erano solo menzogne. Poi sorrise raggiante e mi strinse le mani.
«Poi voglio conoscerlo!» squittì, nonostante la voce da camionista.
Le sorrisi mentre lei entrava in classe. Sapevo che mi stavo cacciando in un mare di guai. Presi a camminare velocemente, raggiungendo la nostra aula. Il professor Giusti era già in classe e ci guardò torvo, indicando poi i nostri banchi con un cenno meccanico del mento.
«Ma state insieme?» mi domandò Benedetta mentre il professor Giusti spiegava l'Orlando Furioso.
Che palle le domande! Le odio le odio le odio! Ma una tazza di latte e cavoli tuoi la mattina, no?! Pensai, ma non lo dissi. Non mi piaceva mentire, mai. Ma in questi casi ne andava della mia immagine da adolescente! Se si veniva a scoprire il mio mondo fantastico sarei diventata lo zimbello della scuola. Sospirai, ormai la speranza che lei si fosse dimenticata, svanì.
«Sì, più o meno» mentii.
«Ma è bello?» continuò, disinteressate alle occhiate dell'Umberto Giusti Furioso.
Saperlo!
«Sì, più o meno. C'è di peggio, ma anche di meglio» rimasi sul vaga, in modo da non aver più problemi.
«Come vi siete conosciuti?» continuò imperterrita.
Rotei gli occhi, sbuffando. Lei mi guardò contrariata, arricciando le labbra come era solita fare quando era arrabbiata od offesa per qualcosa.
«Scusa se sono una scocciatura» cominciò irritata «Ma tu non mi racconti mai niente, devo cavarti le informazioni con la forza!»
«Scusa» le dissi.
Benedetta mi accarezzò il braccio e mi sorrise, incitandomi a rispondere alla sua domanda.
«Livraghi, Sago volete anche un tè con dei biscotti?!» domandò arrabbiato Giusti.
«Non sarebbe male» mormorai, dimenticandomi dell'udito da supereroe del professore.
«Non faccia dell'ironia, Livraghi!»
Per il resto della lezione Ben smise di sommergermi di domande stupide. E incomincia ad amare il professor Giusti che mi aveva salvato dalle sue grinfie. Avrei potuto fargli una torta, ma avrei rischiato di avvelenarlo.
Con la voce del professore in sottofondo, mi immersi nuovamente nel mio mondo. Tanto Edoardo, ben presto, avrebbe levato le tende dalla mia mente, come era avvenuto per Nicolò, Sebastiano e Riccardo, i tre miei ex fidanzati senza volto che nessuno, nemmeno io, aveva mai visto. Dovevo trovare una scusa per sbolognarlo, una scusa credibile. Una cosa ardua! Non sapevo perchè due potevano lasciarsi, l'unico che mi veniva in mente era il tradimento ma che palle! Sempre la solita scusa! Non volevo fare la parte della povera ragazza distrutta perchè il suo uomo era andata a letto con un'altra. Bè, per qualche mese avrei finto di avere questo fantomatico fidanzato, ci avrei pensato in seguito.


All'uscita da scuola, cercai di parlare di tutto fuorchè di ragazzi. Trovavo interessante parlare perfino dell'Eredità! Claudia e Benedetta mi assecondarono, stranamente. E camminavo talmente veloce per arrivare il prima possibile nel cortile che mi domandai che fine avesse fatto l'altra parte di me, ossia il bradipo che quando ero piccola si era insinuato nel mio corpo e lo usava come dimora. Sorrisi sgargiante quando arrivammo davanti allo scooter di Ben, almeno mi sarei liberata di lei per un po'.
«Ciao ragazze» ci salutò indossando il casco «Ci sentiamo su Facebook»
«Ok» dissi «Ciao Germa!»
Lei mi fulminò con lo sguardo e io le feci la linguaccia. Poco dopo anche Claudiano mi abbandonò salendo sulla macchina di suo padre che tutti i santi giorni la riaccompagnava a casa. Anche io volevo andare in auto, e invece ero costretta a prendere quel lurido vasetto di sarde, meglio nota come Linea 30.
Raggiunsi la fermata sull'altro marciapiede insieme ad un'altra ventina di persone, per lo più appartenenti alle specie di truzzi e bimbeminkia. Di loro non conoscevo nessuno, se non Davide, anche se non personalmente, con lo zaino portato su una spalla che rideva insieme ai suoi amici. Mi incantai nel guardarlo in tutta la sua statuaria bellezza. Adoravo i suoi capelli neri e quella barba da uomo vissuto. I suoi occhi azzurri come il mare mi trafissero e cominciò a ridere, sicuramente mi aveva riconosciuta nella ragazzina goffa che aveva creato un cratere nelle scale. Nascosi il viso sotto la sciarpa, troppo imbarazzata in quel momento per continuare a camminare a faccia scoperta.
Ballonzolavo, cercando di ricavare calore. Faceva troppo freddo per i miei gusti, lo odiavo, a meno che non nevicava. Il gelo con la neve era tutt'altra storia. Senza di essa, non aveva motivo di esistere. L'autobus arrivò poco dopo, già quasi completamente colmo di gente. Respirai profondamente, pronta ad affrontare quell'ennesimo viaggio come una sardina.
«Alice!» sentii urlare, ma non mi voltai. Sicuramente si stavano rivolgendo ad un'altra Alice. Io non conoscevo praticamente nessuno di quella scuola.
«Alice Livraghi!» cantilenò la stessa voce di prima, in tono scocciato.
Sbuffai e mi voltai a destra e a sinistra vedendo un ragazzo seduto sul sedile che sventolava una mano. Mi feci strada tra la folla cercando di non essere vittima della forza centripeta, ma, ovviamente non avvenne. Rischiai di cadere più volte, sbattendo anche contro Davide.
«Scu-scusa» balbettai.
«Dovresti stare più attenta» mi disse con un sorriso, la prima volta che sentivo la sua meravigliosa voce.
Boccheggiai, sentendo che stranamente l'aria fredda di Gennaio stava diventando ardente. Cercai di fare un mezzo sorriso, ma credo che ne uscì una smorfia ridicola. Mi allontanai da lui e raggiunsi finalmente il ragazzo biondo che mi aveva chiamato, sedendomi al posto della sua cartella che occupava il sedile accanto a lui.
«Fede!» esclamai, abbracciandolo, riconoscendolo solo in quel momento. Non avrei mai potuto dimenticare i suoi biondi capelli ribelli. Federico Abbate era stato un mio compagno delle medie, lo avevo considerato il mio migliore amico finchè le nostre strade non si erano divise per via del liceo. Erano quasi cinque anni che non lo vedevo né lo sentivo e mi fece piacere ritrovarlo su quell'autobus. Cambiato, notevolmente cambiato, a partire da quelle spalle larghe che portarono la mia mente a fare dei pensieri impuri.
«Sei...» mi interruppi per guardarlo con un sorriso e gli occhi stupiti. Federico si passò una mano tra i capelli con fare da figo, credendo che gli avrei detto che era diventato l'uomo più bello del mondo, ma non era affatto così «Sei uguale a Ibra!» esclamai.
Mi guardò con gli occhi ridotti a due fessure, incrociando la braccia.
«Hai lo stesso naso!» lo indicai eccitata.
Federico si passò le dita su quella canappia che si ritrovava in mezzo alla faccia e mi guardò torvo. Io gli sorrisi dolcemente, una sorta di perdono che lui accettò sorridendomi di rimando, scuotendo la testa.
«Allora, come va la scuola?» mi domandò, cambiando argomento.
«A parte che oggi ho preso un 3, per il resto va bene» alzai le spalle «Tu?»
«Abbastanza bene» rispose.
Entrambi frequentavamo il liceo scientifico, solo che lui aveva preferito quello di Milano. Dico, perchè mai farsi il mazzo mezz'ora tra autobus e metropolitana per andare ad un liceo che c'era anche vicino al nostro paese? Quando lo venni a sapere, mi infuriai con lui e chiusi qualsiasi rapporto. Sono un tipo che serba rancore e quel gesto lo avevo vissuto come una sorta di abbandono. Avrei voluto condividere con lui l'ebbrezza del liceo.
«Ti sei fatto di steroidi per diventare così grande e muscoloso?» gli chiesi poi, squadrandolo da capo a piedi. Aveva le gambe talmente lunghe che faceva fatica a stare seduto in quel sedile stretto. Lui scoppiò a ridere, anche se la mia domanda non era una battuta ma un vero e proprio dubbio. Anche perchè me lo ricordavo basso e rachitico.
«No! Ho cominciato a fare sport» spiegò con un sorriso, facendo diventare la sua bocca più larga di quanto già non fosse. Sport, una parola sconosciuta alle mie orecchie pigre.
«Cioè?» domandai curiosa.
«Nuoto»
Un'altra parola assente nel mio vocabolario. Ero impedita in acqua, tanto che in piscina, per non annegare, andavo in quella dei bambini o evitavo di entrare.
Ci fu un momento in cui nessuno dei due parlò, un silenzio che quasi mi imbarazzava.
«Sei ancora arrabbiata con me?» mi prese alla sprovvista con quella domanda e soprattutto con quegli occhi color nocciola che sembravano quelli di un cucciolo. Incrociai le braccia, mettendo il broncio, osservando il suo sorriso spegnersi piano piano.
«Ma no!» esclamai sorridendo «Sono passati cinque anni! Anche se ancora non riesco a capire perchè hai scelto un liceo a Milano, nonostante ce ne fosse uno a pochi chilometri da casa tua» il mio tono divenne brusco.
«Mi sembra che tu non abbia ancora superato questo abbandono» fece le virgolette ad una parola che avevo usato io durante il nostro ultimo incontro, quando litigammo. Le virgolette mi irritavano e lui lo sapeva. Se se lo ricordava.
«Non sono arrabbiata!» continuai con voce stridula «È solo che pensavo che tu tenessi a me!»
«Andiamo!» sbottò lui, sbattendo la sua enorme mano sul ginocchio. Un suo schiaffo ti avrebbe mandato all'altro mondo a fare tanti saluti al Creatore «È solo un liceo! E se tu tenevi tanto a me, mi avresti cercato. Abitiamo vicini, ricordi?!» mi punzecchiò acido.
«Nemmeno tu mi hai cercata! Abitiamo vicini, ricordi?!» sorrisi soddisfatta.
Lui mi fulminò, scuotendo la testa e cominciando a guardare fuori dal finestrino. Non era stati certo il massimo incontrarsi nuovamente dopo cinque anni con un dialogo del genere. Incrociai le braccia al petto, lanciandogli di tanto in tanto qualche occhiata per vedere che cosa stesse facendo: ripeteva esattamente le mie mosse. Sorrisi quando i nostri occhi che erano tutt'altro che arrabbiati si incrociarono e lui fece lo stesso, facendomi poi un buffetto sulla guancia. Mi era mancato. Tanto.
L'autobus, arrivato all'altezza di via Cavour, svoltò avviandosi verso la mia fermata.
«Potresti prenotare la fermata?» domandai a Federico «Con il naso dovresti arrivarci» ridacchiai, indicando il pulsante sul palo di fronte a noi. Lui mi guardò offeso, indicandomi quello che aveva poco sopra la testa. Cavoli, però, un po' di autoironia non guasterebbe! Anche se io sono la prima a non ridere di me stessa, soprattutto quando mi si fa notare che ho la cellulite. Sbuffai contrariata, alzandomi e facendomi strada per arrivare allo sportello, seguita a ruota da Federico che scese alla mia stessa fermata.
Sollevai la testa guardandolo incredula, accorgendomi solo in quel momento di quanto fosse alto. E mi sentivo a disagio a camminargli accanto. Nemmeno con un tacco dodici avrei raggiunto la sua statura.
«Quanto cavolo sei alto?!» esclamai incredula.
«1.94» rispose, passandosi una mano tra i capelli biondi.
«Mi presti un po' di gambe?» ridacchiai.
«Volentieri!» esclamò lui ridendo con me.
Mi cinse una spalla spingendomi verso di lui. Il mio cuore guizzò a quel contatto. Non ero mai stata così vicina ad un ragazzo, escluso mio fratello flatulento e mio padre. Annaspavo, ma cercavo di non darlo a vedere.
«Mi sei mancata» mi confidò avvicinandosi al mio orecchio.
«Anche tu» ammisi imbarazzata.
«E scusami per prima» continuò, schioccandomi un bacio sulla guancia.
Sentivo caldo, tanto caldo, troppo. Quel contatto con un essere del mio sesso opposto cominciava a imbarazzarmi troppo e rischiava di farmi venire un attacco di cuore. Non volevo di certo morire ad un passo dai diciotto anni e soprattutto vergine! Lo spinsi via, ridendo, sentendo finalmente che l'aria cominciava a rifluire.
«Stammi lontano che mi fai sentire una nana!» esclamai, accelerando il passo. Ma, ovviamente, non servì a nulla perchè con le gambe lunghe che si ritrovava, Federico mi raggiunse in un secondo.
«Ma tu sei nana!» ribattè passandomi una mano tra i capelli e scompigliandoli.
Arricciai il naso, facendogli una linguaccia e cercando di ricomporre la mia zazzera mossa e di ridargli una forma decente. Alla scuola media, le nostre strade erano destinate a dividersi nuovamente. Già sapevo che non lo avrei rivisto mai più dopo averlo salutato, se non magari tra altri cinque anni. Una cosa che proprio non mi riusciva era mantenere le amicizie, anche se c'era stato quel riavvicinamento inaspettato e infuocato.
«Ci vediamo!» mi disse salutandomi con la mano. Io risposi sventolando la mia, guardandolo tristemente entrare in un piccolo viottolo che lo conduceva a casa.
Sospirai mentre sfregavo i piedi sullo zerbino prima di entrare in casa. Mia madre era una fissata: se non ti pulivi le suole potevi startene fuori sul pianerottolo a dormire comodamente sul tappetino pungente.
«Sono a casa!» esclamai, appoggiando lo zaino e togliendomi la giacca.
Milky, il mio gatto bianco e morbidoso, si strofinò sulle gambe lasciandomi palle di pelo grosse come arance sui pantaloni neri.
«Ciao» una risposta svogliata provenne dal bagno da cui, poco dopo, uscì il mio fratellone-barile, occhialuto e con l'alito di cipolle, vestito solo con un paio di pantaloni, mostrandomi la pancia flaccida e le braccia tatuate. I tatuaggi per lui erano come una droga. Aveva fatto il primo a 14 anni di nascosto dai miei genitori e, ancora adesso, a 23 anni continuava a pitturarsi il corpo. Un uomo che mi faceva perdere la voglia di trovare un fidanzato. Si chiamava Raffaele, ma io preferivo Smell. Era iscritto a Farmacia, ma erano più le volte che stava a casa che in università.
«Come è andata?» mi domandò anche se non era per nulla interessato.
«Insomma» alzai le sopracciglia «Ho preso 3 in matematica»
«Somaro, somaro!» mi insultò, imitando il verso dell'asino.
«Vorrei ricordarti, Smell, che tu avevi NC in matematica» sorrisi vittoriosa quando lo vidi farsi serio.
«Il pranzo è sul tavolo» disse scocciato, grattandosi l'ombelico.
Lo guardai allontanarsi schifata andando poi in cucina dove vidi il mio pasto reale che giaceva sul tavolo: uno stupido panino al latte con una misera fetta di prosciutto cotto. Voleva per caso farmi morire di fame?! Lo sollevai scoprendo un biglietto scritto con l'orrenda calligrafia di Smell.

La tua linea mi ringrazierà :)

Appallottolai quel foglio più volte, buttandolo a terra e calpestandolo violentemente. Odioso e stupido fratello! Afferrai il panino e ne presi un morso. Inutile dire che ne divorai metà. Mi misi davanti alla porta di Raffaele sulla quale c'era un teschio con sotto scritto Keep out. Quell'allarme era per avvisare della puzza che aleggiava in quella stanza, puzza di fumo e chissà cos'altro.
«Quello ciccione sei tu non io!» urlai, sorridendo poi compiaciuta alla porta.
Entrai poi nella mia bellissima camera insieme al mio gatto. Era piccola, ma confortevole ed era colorata con tutte le sfumature del rosa, il mio colore preferito. Mi spogliai, indossando la tuta, la bellissima e comodissima tuta, spaparanzandomi sulla sedia girevole davanti alla scrivania e accesi il computer. Nell'attesa che caricava girai su me stessa, cosa che adoravo fare, anche se dopo sembrava che mi fosse scolata due bottiglie di vodka. Non che io mi sia mai ubriacata, ma credo che più o meno ci si debba sentire così, con la testa che piroetta e lo stomaco che vuole schizzare fuori.
Il mio appuntamento giornaliero con internet mi aspettava. La prima cosa che feci era accedere a Facebook, anche se già sapevo che non avrei fatto nulla se non parlare con Germa. Ma mi stupii per la richiesta di amicizia che mi era arrivata.
Federico Abbate voleva essere mio amico.
Sorrisi stupidamente vedendo la foto del profilo di Fede, lui a petto nudo - e che petto- con dietro il mare azzurro a fargli da sfondo. Non era bellissimo, anzi, tutt'altro, ma aveva un corpo dannatamente bello. Controllai il suo status: single. E la cosa mi rendeva estremamente felice.



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Buona domenica a tutti!
Allora per prima cosa devo dire che non mi aspettavo un successo tale per un corto e scarno prologo! Davvero, sono senza parole! Grazie di cuore ♥
Spero che i capitoli non vi deluderanno e che rispecchino le vostre aspettative!
Come avevo annunciato il capitolo è abbastanza corposo, spero non troppo. Se lo ritenete troppo lungo ditemelo che nei prossimi cercherò di farli più corti.
Siamo entrati nel mondo di Alice, molto lentamente perchè è una ragazza molto sensibile. Abbiamo avuto anche un piccolo stralcio dei vari protagonisti che si avvicenderanno in questa storia. E Alice ha già detto la bugia che le sconvolgerà l'esistenza, ossia di avere questo fantomatico fidanzato di nome Edoardo.
Passiamo ai ringraziamenti.
GRAZIE a pickwick, caramellina 20 e smilenii per la loro recensione.
GRAZIE a chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
GRAZIE a chi ha letto solamente e siete in molti :)
Poi, vi ricordo che se volete avere un'idea di come mi sono immaginata i personaggi li troverete nel mio profilo. Ovviamente, voi potete dar loro il viso che preferite.
Un bacio a tutti, Manu ♥

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Capitolo 3
*** Cioccolata con panna ***


C a p i t o l o 2

Cioccolata con panna


«Sono confusa» cominciò Benedetta, mentre camminavamo verso l'aula.
Strinsi le spalline dello zaino e sospirai, facendomi forza mentalmente ad affrontare l'ennesimo problema di cuore della mia amica, la solita routine.
«Ieri ho beccato Marco in metropolitana mentre andavo in centro» esordì nervosa «Abbiamo fatto il viaggio insieme. Fin qui tutto ok. Ma poi ha cominciato ad abbracciarmi, a darmi i baci sulla fronte, a stringermi la mano, a dirmi cose carine»
«Dove sta il problema?» domandai dubbiosa, lasciando cadere la cartella sul pavimento.
«Il problema è che mi piace un altro e vorrei combinare qualcosa con lui» mi guardò maliziosa «Ma se Marco fa così mette in crisi i miei ormoni!»
Corrugai la fronte e mi sedetti sul tavolo per aspettare l'arrivo del professore.
«Non mi hai mai parlato dell'altro» ero davvero dubbiosa. Solitamente ero la prima a sapere delle sue conquiste.
«L'ho conosciuto in palestra» mi prese le mani elettrizzata guardandomi con occhi dolci «È tenerissimo ed è bello da paura!»
Sorrisi, annuendo, anche se non mi interessava affatto sapere vita morte e miracoli di quel palestrato da strapazzo, il tipico ragazzo che piaceva a Benedetta. Tutto muscoli ed apparire, ma privo di qualsiasi vita cerebrale. Non ascoltai più quello che mi diceva anche se davo l'impressione di farlo inframezzando il discorso di Germa con qualche Mh di finto interesse.
Dopo poco tempo, quasi tutte le ragazze della classe di riunirono intorno a me, cominciando a parlottare tra di loro. Mi misi ad ascoltare le loro storie, soprattutto avventure amorose, che mi ingelosivano e non poco. Ero sempre quella che ascoltava aneddoti sessuale e su biancheria intima, che rideva anche se non sapeva di cosa si stesse parlando, senza però mettere mai becco in nulla. Mi stupii nel sentire che anche ragazze che non credevo avessero una vita sociale, come Francesca Lamira, 90 kg di brufoli, pelle grassa e vanità e la faccia rubata ad un pesce lesso, insomma, non il massimo della bellezza, in realtà erano regine della movida e corteggiate da numerosi ragazzi -ciechi, ovviamente. Ecco, Francesca Lamira aveva un fidanzato. Lo scoprii solo in quel momento e il mio morale era andato a finire sotto le scarpe di Galeazzi, con lui dentro ovviamente. Immaginatevi la sofferenza. Ero convinta che anche lei avesse la mia stessa vita e mi consolava pensare di non essere sola. E invece lo ero eccome. Era anche un bel ragazzo! Stava propinando a tutte la foto del suo fidanzato, un tamarro di prima categoria, con i capelli rasati e un fisico da urlo. Che cosa c'entrava con Lamira?
«E tu Alice? Cosa ci racconti?» mi domandò ad un tratto Cristina, la bella della classe, con i capelli biondi e ricci e il viso da gatta. Il suo tono era sarcastico, mi riteneva una sfigata e sapevo da fonti certe -il mio sesto senso ipersviluppato - che rideva di me alle mie spalle.
«Una favola?!» azzardai.
Cristina ghignò e mi guardò nuovamente con aria di sfida.
«Sempre sola soletta?» chiese con voce stridula.
In quel momento avrei voluto strappargli i capelli ad uno ad uno o anche prenderla a schiaffi a due a due finchè non diventavano dispari. Ma mi limitai a sorriderle alzando le spalle.
«No, non è sola soletta!» intervenne in mia difesa l'avvocato Sago «Ha un ragazzo. Oh, oh, oh!» imitò la risata di Babbo Natale.
Mi tenni la fronte con la mano. Sarebbe stato più facile trovare l'elisir della vita eterna piuttosto che tenere a freno la bocca di Germa.
«Si chiama Edoardo» continuò la mia amica «Diglielo te!» continuò rivolgendosi a me.
Avrei voluto sparire sottoterra piuttosto che parlare di quel ragazzo immaginario. Già mi trovavo in difficoltà a parlarne con le mie due amiche, parlarne con la iena Cristina era un supplizio. Non sapevo che cosa inventarmi e lo sguardo felino di lei mi metteva in soggezione.
«E com'è?» chiese con la sua solita aria di superiorità. Che cosa mi trattenne dal prenderla a schiaffi non saprei dirlo.
«Bello» sospirai.
«Bello come?» continuò. Sapevo che lo faceva per mettermi in difficoltà. Cristina era sempre stata dubbiosa sui miei immaginari flirt, lo capivo dal tono ironico con cui mi parlava di ragazzi. Dovevo sembrare sicura di me, sennò addio reputazione.
«È moro, con gli occhi scuri, abbronzato e un fisico da sballo» descrissi più o meno come doveva essere il mio ragazzo ideale. Lo immaginai, descrivendolo, bello davanti a me, peccato che fosse solo un'illusione.
Cristina sogghignò. Forse ero stata un po' troppo eccessiva e quindi poco credibile. Anche Benedetta mi guardava dubbiosa.
«Anche quel cesso di Lamira ha un fidanzato figo, ma nessuna ha fatto storie» dissi, beccandomi poi uno sguardo di fuoco da Francesca.
«Il suo ragazzo lo conosco» ribattè Cristina a braccia conserte sotto il seno evidentemente gonfiato da calzini o chessò io «Gliel'ho presentato io. Dei tuoi fantomatici fidanzati» fece le odiose virgolette «non ne abbiamo visto nemmeno uno»
«Di certo non li vengo a presentare a te, sennò diventeri cornuta» ribattei scocciata. Cristina mi guardò con aria di sfida, prima di tornare al suo posto, in fondo alla classe, a farsi la manicure, pedicure e la seduta dal parrucchiere.
Mi ritrovai lo sguardo inquisitorio di Benedetta addosso e già avevo capito che, istigata da quella gallina bionda, pensava che Cristina avesse ragione. Bene, ero stata smerdata ufficialmente.


Era la prima volta, in quasi diciotto anni di vita, che mettevo piede nella biblioteca del mio paese, non sopportavo il silenzio che regnava in quel luogo ed era anche fin troppo serioso per un tipo come me. Ma quel giorno avevo ritenuto necessario rintanarmi in quel posto in cerca di una tranquillità che a casa mi potevo solo sognare. Mio fratello aveva avuto la grande idea di invitare i suoi fantastici e simpaticissimi compagni di corso, una serie di rumorosi e fastidiosi Smell.
Anche in una biblioteca, però, riuscivo a non studiare. Il libro di filosofia era aperto davanti a me e Leibniz mi implorava di leggere le sue stupide teorie. Ma non mi riusciva proprio concentrarmi su di lui, preferivo dondolarmi sulla sedia con la matita sulle labbra arricciate e le mani dietro la testa.
Quella stupida Cristina mi aveva distrutto la mattinata e ora anche Benedetta aveva cominciato a sommergermi di domande dettagliate, tormentandomi per cercare di capire se i dubbi dell'arpia sulla mia vita sentimentale fossero veri. Non contenta delle mie risposte, voleva anche conoscerlo. Le avevo detto che per il momento era solo una frequentazione e che glielo avrei presentato più avanti. In che guaio mi ero cacciata?!
«Ciao» sentii mormorare da dietro.
Sobbalzai e per lo spavento persi l'equilibrio, cappottandomi con tutta la sedia, con tanto di urlo. Uno Shhh! generale si levò dalla biblioteca, nemmeno lo avessi fatto a posta ad urlare. Ero caduta e mi ero anche fatta male. Sentii una risata soffocata, poi vidi apparire sopra di me il volto sorridente di Federico.
«Stai bene?» mi chiese, allungandomi una mano, trattenendosi a stento dal ridere.
La afferrai e mi tirai su pesantemente quasi fossi un pachiderma.
«Stavo meglio prima» risposi ricomponendomi. Era più il tempo che passavo per terra in seguito ad una caduta che in piedi.
Tornai a sedermi, facendo finta di nulla.
«Non pensavo di trovarti qui» mormorò sedendosi accanto a me.
«Nemmeno io» era più rivolto a me stessa questo commento che a lui.
«Io vengo sempre in biblioteca a studiare» sorrise sornione.
«Da quando sei diventato un secchione?» domandai.
«Da quando, l'anno scorso, ho rischiato di essere bocciato» rispose con un sorriso «E tu, invece, cosa ci fai qui? Per giunta al mio tavolo personale»
«Raffaele sta facendo baldoria e non riesco a studiare» sospirai «E non mi pare che qui ci sia scritto proprietà di Federico Abbate! Se sapevo che era il tuo posticino avrei scelto un altro tavolo» ridacchiai divertita.
Lui mi pungolò il fianco parecchie volte con il suo enorme dito indice, facendomi sobbalzare sulla sedia, mentre lui si divertiva come uno stupido.
«Mi fai male» piagnucolai, dandogli un leggero schiaffo sulla mano.
Federico mi strinse per una spalla tirandomi verso di lui e facendo combaciare la mia guancia con i suoi pettorali. I pensieri impuri su di lui si sprecarono a sentire quei muscoli così sviluppati sotto la mia pella. Sentivo le guance infuocate e sicuramente il mio volto aveva assunto uno strano colore rossastro. Il mio cuore batteva all'impazzata, voleva schizzare fuori dal petto. O soffrivo di tachicardia, ma lo escludo anche perchè avevo solo diciotto anni, oppure Abbate aveva uno strano effetto su di me. Una sua mano accarezzò delicatamente i miei capelli scivolando lungo la mia guancia. Il suo indice andò sotto il mento sollevandomi il viso dal suo petto e costringendomi a guardarlo negli occhi. Se non morivo in quel momento, mi sarei potuta dire immortale.
Mi diede un bacio.
Sulla guancia.
Un maledettissimo bacio sulla guancia, quando, per un momento, avevo sperato che le sue labbra potessero sfiorare le mie.
«La mia piccola Alice» mi disse, stringendomi più forte e dondolandomi a destra e a sinistra.
«Come mai queste coccole?» domandai non appena mi liberò, mentre mi ricomponevo. Fortunatamente il cuore aveva ricominciato a battere regolarmente.
«Dobbiamo recuperare gli anni di lontananza» rispose sorridendomi «Che ne dici di chiudere Leibniz e andare nel nostro ritrovo invernale? Almeno possiamo parlare tranquillamente» mi chiuse il libro davanti agli occhi.
«In realtà dovrei studiare» obiettai, riaprendo al capitolo, ma lui lo chiuse nuovamente «Deduco che non fosse una proposta ma un ordine»
Federico sorrise con aria furbetta. Leibniz non avrebbe apprezzato il fatto che preferii Abbate a lui e nemmeno il mio libretto che di lì a poco sarebbe stato marchiato con un altro voto insufficiente. Ma come potevo resistere agli occhi dolci di Federico? E come ai suoi pettorali, alle sue addominali, alle sue braccia...
Smettila Alice!
I miei buoni propositi di studiare filosofia affogarono in una cioccolata calda. Il nostro ritrovo invernale altro non era che un piccolo bar in piazza della Vittoria specializzata in deliziose cioccolate. Ce n'erano di ogni gusto, alla frutta, con liquori, bianche, rosse, verdi. Ok, sto esagerando. Un ottimo modo per passare un gelido pomeriggio di Gennaio. Io e Federico avevamo il nostro appuntamento quasi quotidiano in quel posto, lì erano racchiusi tutti i nostri ricordi e le nostre chiacchierate da bambini delle medie.
«Pensavo che avesse chiuso» commentai entrando. Non era cambiato nulla dopo cinque anni, nemmeno la proprietaria e sua figlia, così come i clienti scarseggianti. Sembrava che quel locale fosse stato ibernato nell'anno 2006.
«Federico, Alice!» esclamò Gianna, la proprietaria del locale, una minuta e simpatica signora dai capelli rossi.
Mi stupii che, nonostante fossero passati anni, si ricordasse di noi, soprattutto che avesse riconosciuto Federico, dato il suo cambiamento radicale da ragazzo-sfigato-tredicenne-basso-rachitico-e-cesso a ragazzo-alto-figo-con-un-fisico-pazzesco.
«Debora» chiamò sua figlia eccitata di rivederci «Te li ricordi?» domandò.
La donna, che ormai aveva superato i 35 anni, dai capelli crespi e castani, stretta in un grembiule evidentemente troppo piccolo per i suoi fianchi generosi, ci guardò roteando uno straccio nel bicchiere. Socchiuse gli occhi, mettendoci a fuoco, scoppiando poi in un sonoro Oh! annuendo.
«Quanto siete cresciuti!» commentò Debora.
«È bello vedervi insieme» prese nuovamente la parola Gianna «Avevo sempre saputo che voi due vi sareste fidanzati» disse maliziosa.
Mi irrigidii all'istante al solo pensiero che io e Federico davamo l'impressione di essere una coppia, una di quelle adolescenti che fanno...ehm...sesso. Il sangue non mi arrivava più al cervello, avevo disconnesso con quello che c'era intorno a me, sentivo solo il mio cuore che pulsava nelle orecchie e quel caldo punzecchiante e fastidioso a causa dell'imbarazzo.
«Siamo una bella coppia, eh!» esclamò divertito Federico acchiappandomi per un braccio e stringendomi a lui. Omicidio, questo era un omicidio! Lui mi voleva morta. Mi diede un bacio dulla fronte per poi rivolgere un altro sorriso alle due donne.
«Ma mi dispiace dirvelo, non siamo fidanzati»
Gianna battè le mani portandosele al petto con una faccia disperata come se le fosse morto il gatto.
«Però stareste bene insieme!» continuò Gianna.
«Ci penserò» ribattè lui. Il suo tono era inquietante. Serio, troppo serio per essere una risposta ad una sciocchezza di una povera donna di sessant'anni. Quel pomeriggio avrei fatto meglio a rimanere a studiare filosofia.
Federico le sorrise, lasciandomi imbambolata in mezzo al locale, andando a sedersi ad un tavolo rotondo.
«Io non me lo farei scappare» mi sussurrò Gianna «Hai visto come si è fatto bello?»
Grazie signora, un ottimo modo per farmi passare un momento di totale timidezza.
«Alice» mi chiamò Federico «ti sei pietrificata?»
Avrei voluto rispondere di sì, per colpa tua, ma mi limitai a raggiungerlo camminando come un robot, tesa e rigida, con la faccia rimpiazzata da un peperone rosso acceso.
«Stai bene?» tentennò lui dubbioso, guardandomi con un sorriso seducente che peggiorò la situazione in cui mi trovavo.
«Sì» risposi con voce tremante, togliendomi il giubbotto e abbandonandolo sullo schienale della sedia.
Debora arrivò subito a prendere le ordinazioni. Per fortuna, almeno avrei avuto il tempo di riprendermi.
«Cosa prendete?» domandò.
Prima che potessi aprire bocca, una manona di Federico mi apparve davanti al volto facendomi tacere.
«Cioccolata bianca alle nocciole con stelline di zucchero» disse «Ho ragione?»
Boccheggiai, portandomi nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio, guardando il tavolo di marmo ad un tratto interessante. Se si ricordava una cosa del genere, dovevo essere molto importante per lui. Dio, che imbarazzo!
Debora segnò l'ordinazione e tornò a guardare Federico interrogativa. Ma questa volta fui io a prendere la parola.
«Cioccolata fondente con panna» dissi intimidita «con una spruzzata di cannella»
La donna ci rivolse un sorriso lasciandoci da soli. Lui mi guardò stupito, con la bocca spalancata e le braccia aperte sul tavolo.
«Te lo ricordi?» domandò.
Mi strinsi nelle spalle, facendomi piccola, più di quanto già non fossi.
«Bè, anche tu ti ricordavi»
«Sì, ma ti ricordavi anche il piccolo particolare della cannella» continuò abbassando il tono e passandosi una mano tra i fluidi capelli biondi.
«I piccoli particolari delle persone importanti si ricordano facilmente»
«Importante?» balbettò.
Rise nervosamente e io mi unii a lui. Sembravamo due deficienti. Vederlo cosí imbarazzato e paonazzo era come avere me stessa dopo un incontro con Davide. E a me Saronno piaceva. Facendo un rapido calcolo...Oddio! Qualcuno mi salvi da questa situazione!
Debora sembrò aver ascoltato le mie preghiere arrivando con un vassoio con le nostre ordinazioni. Appoggiò le due cioccolate sul tavolo insieme ad un piattino di biscotti e si dileguò con un sorriso. Ne afferrai subito uno, inzuppandolo, e mangiandolo avidamente. Ero più che convinta che questa era una vendetta da parte di Leibniz nei mie confronti per averlo abbandonato.
«Quanti pomeriggi passati qui, ricordi?» finalmente Federico, riacquistata la calma, aveva ripreso a parlare.
«Già» risposi solamente evitando il suo sguardo.
«Ore intere a sparlare dei nostri compagni!» si portò un cucchiaio di panna alla bocca, leccandosi via quella rimasta sulle labbra. In quel momento avrei voluto essere la panna.
«Tu eri una portinaia!» esclamai «Sapevi tutto di tutti e spettegolavi! Sembravi una vecchiette di paese! Ti mancavano solo i ferri e un gomitolo ed eri perfetto» risi e Federico si unì a me.
«Tu non eri da meno!» esclamò sorseggiando la sua cioccolata.
«Sì ma eri sempre tu che iniziavi il discorso!» gli ricordai.
«Bè la mia vita era talmente piatta che dovevo per forza parlare di qualcun altro»
Bevve l'ultimo sorso e si pulì le labbra con un tovagliolo.
«Sei ancora una portinaia?» gli domandai.
«No» ridacchiò «Ora ho una vita sociale, per cui mi faccio gli affari miei»
Quindi l'unica che ancora doveva parlare degli altri per poter chiacchierare con qualcuno ero io, che bello! Affogai quel mio dispiacere in un altro biscotto e nella mia cioccolata bianca ormai tiepida. Avrei voluto ordinarne altre due per la disperazione ma avrei fatto la figura dell'ingorda e della depressa incallita.
«Ce l'hai il ragazzo?» mi domandò alla sprovvista.
L'ultimo goccio di cioccolata mi andò di traverso. Tossii cercando di non morire soffocata, colpendomi forte al petto. Federico si precipitò da me e stava per prendermi a schiaffoni sulla schiena, ma riuscii a fermarlo in tempo prima che mi sfasciasse.
«Sto bene!» annaspai con le lacrime agli occhi «Comunque, no, non sono fidanzata» gli dissi, dopo essermi ripresa. Di certo non potevo dirgli di Edoardo, sarei stata una sciocca a farmelo scappare, come aveva detto la saggia Gianna.
«Avrai un sacco di spasimanti, allora» commentò.
«Sì, un sacco» dissi in un misto tra l'ironico e lo scocciato «E tu, sei fidanzato?» chiesi, anche se sapevo che era single.
«Io mi sono appena lasciato» sospirò «Ci siamo lasciati dopo due anni»
«E come mai?» fu la mia curiosità a parlare.
«Cornuto!»

Avrei voluto che il motivo per cui si era lasciato fosse stato un altro, almeno lo avrei usato come scusa per la rottura con Edoardo. Ma sempre e comunque c'erano di mezzo le corna.
«Avrai un sacco di spasimanti» dissi sogghignando.
«Sì, abbastanza» rispose soddisfatto, scoppiando poi a ridere. ma ero sicoro che una decina di ragazze che gli morivano dietro c'erano.
Federico mi offrì quella cioccolata e ci avviammo verso casa. Cercai per tutto il tragitto di non capitare più sul discorso fidanzati. Pensavo che il voler mettere il naso nella vita sentimentale altrui fosse una cosa da ragazze, ma mi sbagliavo. Perchè mai era così importante sapere se l'altro aveva o meno il fidanzato?
«Sai Alice, c'era una cosa che volevo dirti» mi disse Federico davanti al portone del mio palazzo. Aveva le mani nelle tasche dei jeans e si guardava i piedoni.
«Dimmi» incalzai.
Si morse il labbro inferiore e si avvicinò a me. Addio mondo, mi dissi quando lui mi strinse a sé. Gli arrivavo a malapena al petto, ma riuscivo a sentire il battito ipnotizzante del suo cuore. Esitò qualche istante, prima di dirmi...
«Ti voglio bene» tentennò insicuro.
Uno stupidissimo T.V.B?! Rimasi di sasso a sentirmi dire quelle cose. Mi aspettavo che mi dicesse una cosa del tipo Sai, tu mi sei sempre piaciuta, oppure Sono cinque anni che ti aspetto e finalmente posso dirti che ti amo. Mi sarei accontentata anche di un semplice bacio a stampo!
Mi baciò delicatamente sulla guancia prima di andarsene. Confusa, ero stramaledettamente confusa. Cosa dovevo pensare? Di piacergli, visto l'imbarazzo con cui mi aveva parlato al bar,per gli abbracci e i baci che dispensava oppure mi considerava solo come un'amica ed ero io a vedere e sentire cose che non esistevano?


Ero sdraiata sul letto ad accarezzare amorevolmente Milky guardando la prima ed emozionante sfida di Amici. Avevo anche tirato fuori il pigiama blu dall'armadio per sentirmi più vicina alla mia squadra preferita, cellulare sul cuscino pronta a votare. Cantavo a squarciagola insieme ad Annalisa quando vidi il display del cellulare lampeggiare.
«Pronto» risposi delusa di non potermi seguire la sfida in santa pace.
«Hai molta voglia di sentirmi noto» la voce di Federico era sarcastica.
Scattai seduta a gambe incrociate e tutto d'un tratto quella trasmissione non catturava più il mio interesse.
«Per fortuna non hai cambiato numero» ridacchiò.
«C'è qualche problema?» domandai. Perchè mai avrebbe dovuto chiamarmi alle 22? «Ci siamo visti oggi pomeriggio»
«No» trillò «Volevo solo sentirti»
«Co-me?»
«Anche se dovrei essere arrabbiato con te» disse con tono scherzoso.
«Perchè?»
«Mi hai fatto scendere sotto il mio record personale» rispose.
«Tu non mi hai fatto studiare filosofia, siamo pari!»
Ma neanche tanto. Se andavi sotto il record personale non rischiavi di avere il debito in filosofia.
«Sì ma io non ti ho costretta a venire con me!»
«Mi hai guardato con la faccia da cucciolo bastonato! Sai benissimo che funziona anche troppo con me!» ridemmo entrambi «E spiegami come io ti ho fatto scendere sotto il tuo record personale!»
Ci fu un istante di silenzio che mi fece credere in una morte improvvisa di Federico.
«Ti stavo pensando» sospirò «Pensavo a quanto fossi stato scemo a farti scappare così. Abitavi vicino a me, avevo il tuo numero ma non ti ho mai calcolata. E me ne pento»
Ancora mi chiedevo come era possibile che fossi ancora viva quel giorno e come mai il mio cuore aveva deciso di continuare a battere nonostante i numerosi e piccoli infarti subiti.
«Cosa vorresti dire?» cercai di capire.
« Nulla» rispose Federico «Era solo un pensiero che mi assillava. Siamo o no migliori amici? E i migliori amici non stanno lontano cinque anni»
Arieccolo con quella storia del siamo amici e blablabla. Prima mi illudeva con frasi carine, abbracci e carezze, poi mi bastonava con i ti voglio bene amicona mia! Lo avrei volentieri strozzato.
«Se vuoi ti aiuto con Leibniz» mi disse poi sogghignando.
«Non ce n'è bisogno» risposi con tono leggermente duro.
«Domani ci vediamo in biblioteca?» mi chiese.
«Va bene» risposi in un sospiro. Ma solo per stare con lui.
«Buonanotte Alice» mi disse dolcemente.
«Notte» risposi seccata.
Se c'era in commercio un manuale per capire gli uomini ne avrei subito acquistata una copia. I suoi sbalzi improvvisi mi mettevano ansia e confusione. Soprattutto questa chiamata senza senso mi lasciava dubbiosa. Stava cercando di farmi capire qualcosa o come al solito ero la regista di uno stupido film romantico? Solo di una cosa ero certa: Federico Abbate provocava tachicardia.

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Ciao a tutti!
Eccomi con il nuovo capitolo e scusate per l'attesa. Più corto dell'altro. Magari troppo lunghi possono essere pesanti.
Wow! Sono davvero troppo felice per il riscontro che sta avendo questa storia! E poi mi rende contenta il fatto che Alice vi piaccia ^^
Guai in vista per la povera Alice e riavvicinamento con Federico. So che voi tutte state apsettando Edoardo, anche io, devo essere sincera. Tra poco arriverà, forse già nel prossimo capitolo la notizia sconvolgente per Alice.

Passiamo ai ringraziamenti.
Un GRAZIE enorme a chi ha recensito la storia, a chi l'ha inserita nelle ricordate/seguite/preferite e anche a chi legge e basta.
Sono davvero felice che vi stia piacendo.
Se volete vedere le foto dei personaggi potrete trovarle sul mio profilo Facebook.
Ci vediamo al prossimo capitolo! Manu ♥

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Capitolo 4
*** Assemblea d'istituto ***







C a p i t o l o 3


Assemblea d'istituto

Io e Federico camminavamo lentamente lungo la strada che ci separava dalle nostre case, solo sguardi furtivi tra di noi. Ad un tratto lui mi prendeva la mano e mi guardava intensamente con i suoi magnetici occhi castani, sorridendomi. Io facevo lo stesso.
Ci fermammo, uno davanti all'altro, ed io accompagnai la sua mano sulla guancia in una carezza che mi fece rabbrividire. Si avvicinò d'un tratto a me e sentii il suo respiro caldo sulla pelle.
«Ho sbagliato a farti scappate così» mi sussurrava a fior di pelle.
Rabbrividii. Con il pollice disegnò il mio profilo.
«Posso baciarti?» domandò con fare sensuale.
Non risposi, arricciai solamente le labbra pronto a baciarlo, il mio primo bacio, un bacio del tutto inaspettato e quasi deludente, peloso e bavoso. Aprii gli occhi, ritrovandomi la mia gattona sul cuscino che mi leccava.
«Milky!» esclamai, nascondendo la testa sotto il cuscino.
Non potevo nemmeno fantasticare in santa pace. Mi stavo davvero emozionando e convincendo che lo stavo baciando realmente. Sì , lo so, sono masochista. Chi me lo faceva fare di immaginarmi una splendida storia d'amore con un ragazzo che probabilmente mi avrebbe vista sempre e solo come un'amica? Era peggio che prendere una martellata negli zebedei! Anche se io non ho mai provato un calcio nei gioielli di famiglia, pare che faccia molto male.
Sbattei più volte le palpebre osservando con interesse il mio soffitto, sospirando sonoramente. Federico aveva monopolizzato i miei sogni. Ci ero uscita solo una volta e già mi immaginavo una storia romantica con lui. Ma era più forte di me, avevo la convinzione che lui sarebbe stato il mio primo ragazzo. Espirai l'aria dal naso rumorosamente, girandomi su un fianco a guardare la parete. Avevo pensato lo stesso di Alessio, il migliore amico di mio fratello che mi aveva rivolto solo uno stupido sorriso; avevo creduto lo stesso di Giorgio, uno dei numerosi amici, di Benedetta che avevo conosciuto durante un'uscita al centro commerciale. Avevamo parlato tutto il pomeriggio e la sera stessa lo avevo sognato, eravamo fidanzati ed io avevo dato il mio primo bacio. Questa mia stupida convinzione fu distrutta il giorno dopo da Germa che mi rivelò che Giorgio aveva una ragazza. Quel giorno lo passai deprimendomi davanti alla tv e mangiando un intero pacco di patatine giganti. Per cui non saprei dire perchè anche in quel momento mi tormentavo immaginando scene romantiche tra me e Federico, fantasticando sulla mia prima storia d'amore. Forse per il suo atteggiamento ambiguo che non faceva altro che peggiorare la situazione.
Sospirai affranta, girandomi nel letto e tornando a guardare il soffitto, mentre la mia gatta miagolava e continuava a leccarmi. Alice, smettila di vivere nel tuo mondo e torna sulla terra! mi ripeteva costantemente il mio subconscio, ma io, invece che ascoltarlo, lo zittivo stupidamente. Chiusi gli occhi cercando di prendere sonno con la speranza di non sognare più Federico. Ma, sfortunatamente, non accadde.

Il risveglio fu traumatico e non solo perchè a chiamarmi fu Raffaele con la sua finezza da elefante incattivito, ma soprattutto perchè aveva messo fine al matrimonio tra me e e il mio futuro fidanzato. Per giunta c'era anche Davide che urlava, disperato, “Io mi oppongo!” Meglio di così cosa potevo chiedere!
«Sbrigati!» mi incitò Smell, mentre io, con gli occhi ancora chiusi, mi rigiravo nel letto, cercando la forza per alzarmi. Era una tortura sbucare fuori dal caldo piumone in pieno Gennaio con -10 gradi. Mi aiutò Raffaele, che rientrò nella mia stanza come una furia, strattonando il piumone e scoprendomi.
«Pigrona! Devi andare a scuola!» mi urlò contro.
Mi rannicchiai, in cerca di tepore. Ma Smell aveva sempre il piano di riserva per svegliarmi, si avvicinò al mio orecchio e sentii subito il suo alito flatulento mattutino. Già quello bastava anche per resuscitare un morto. Come se non bastasse, mi urlò nell'orecchio, facendomi sobbalzare e alzare di scatto, sbattendo contro la sua testa dura e rasata.
«Stupido fratello!» esclamai massaggiandomi la fronte mentre lui rideva. Possibile che non avesse accusato il colpo?
Sbuffai, trascinandomi assonata e svogliata in bagno. Guardai la mia immagine riflessa nello specchio, gli occhi socchiusi, i capelli scarmigliati che mi facevano sembrare un leone e il viso cadente. Mi sembrava di vedere la Carla e non Alice. Infilai lo spazzolino in bocca e mentre sfregavo con forza ripensavo alla notte. Ero proprio disperata se sognavo addirittura di arrivare a sposare Federico. Eravamo solo amici ed io già volevo diventare la signora Abbate. Ero proprio una sfigata!
Finii di prepararmi e raggiunsi la cucina dove mia madre, già pronta per andare al lavoro – agguerrito avvocato divorzista fortemente femminista, felicemente separata da mio padre – trafficava con ciotole e cereali. Ogni volta che la osservavo mi chiedevo perchè il destino fosse stato così crudele con me. Perchè non potevo essere meravigliosamente bella come mia madre? Era quasi eterea e sì, ero gelosa di mia madre perchè avevo preso da mio padre, un orribile troll che, con una botta di fortuna, era riuscito a sposarsi con mia mamma. Non che non volessi bene a mio padre, ci mancherebbe, ma era brutto. Stupida genetica!
«Buongiorno» mi disse con un sorriso.
Rantolai una specie di saluto e mangiai i miei amati Nesquik. Mia madre smise di trafficare in cucina, diede una pacca sulla spalla a mio fratello e un bacio tra i capelli a me e, dopo le solite raccomandazioni, uscì.
«Chi è Federico?» mi domandò Raffaele curioso.
Un cereale mi si conficcò in gola e tossii per cercare di non soffocare.
«Fe-fe-de-ri-co?!» balbettai con le lacrime agli occhi. In quel momento avevo visto la mia vita passarmi davanti agli occhi. Tutta! Due secondi bastavano per riassumerla tutta.
«Stanotte lo chiamavi ardentemente» spiegò lui «Federico, Federico!» disse in tono orgasmico, abbracciandosi e fingendo di limonare con qualcuno. Raffaele scoppiò a ridere e lo fulminai. Lasciai cadere il cucchiaino e mi alzai. Era la prima volta che desideravo andare a scuola. Tutto pur di stare lontana da lui.


Ovviamente, chi fu la prima ad essere interrogata in filosofia? La sottoscritta. Ma grazie alla mia raffinata tecnica di supercazzola, perfezionata con il tempo, e occhi dolci riuscii a strappare al tirchio Ghida un bellissimo sette e mezzo. Record personale, come avrebbe detto un ragazzo di mia conoscenza. Ero abbastanza soddisfatta del mio operato, a parte per il fatto che Cristina Cariati, grazie alla sua super scollatura da danzatrice di lap dance aveva preso un otto e mezzo, ma anche, e soprattutto, per Federico che mi vagava nella testa calpestandomi i pensieri. Avrei potuto anche pensare ai koala drogati di eucalipto abbracciati a pantere bianche che partivano per un viaggio disperato in Madagascar, quindi qualcosa che lo esulava a priori, ma lui mi tormentava. FedericoFedericoFedericoFederico.
Quel nome era come un martello pneumatico nel cervello.
«Tutto bene Ali?» mi domandò Claudia, seduta a gambe incrociate di fianco a me sul muretto.
«No» piagnucolai abbassando il viso che venne invaso dai miei capelli stopposi.
«Che c'è?» chiese Germa, appoggiandomi una mano sulla spalla.
«Problemi di ragazzi, immagino» ipotizzò Claudia con sguardo di soddisfazione.
«Sì» soffiai, tornando a guardare davanti a me.
«Edo?» domandò Benedetta.
Era come una sorta di partita a ping pong tra le due mie amiche ed io ero la rete. Quelle continue domande mi avrebbero fatto impazzire, soprattutto perchè non potevo di certo dir loro di Federico.
«È ambiguo» risposi, riferendomi però ad Abbate. Quel ragazzo mi avrebbe fatto vivere il resto della mia vita in una camera d'isolamento con una camicia di forza.
«E...» incalzò Benedetta, con occhi curiosi.
«A me lui piace» deglutii.
Lo avevo detto veramente? Colpo di fulmine o voglia di non essere diversa?
«Ma non riesco a capire se sono ricambiata» ripresi con le mani tra i capelli «È dolce, mi dice cose carine, mi abbraccia e mi fa credere che gli piaccio anche io. Poi se ne esce dicendo Ti voglio bene, Sei la mia migliore amica» pompai la voce per renderla maschile.
«Quindi è il tuo migliore amico» Benedetta mi guardò accigliata «Ieri mi avevi detto che lo avevi conosciuto alla fermata dell'autobus» incrociò le braccia sotto il seno quel giorno stretto in un push up che la rendeva una tettona. Dedussi che sarebbe andata in palestra a cuccare la sua nuova preda.
Sbarrai gli occhi e risi nervosamente, muovendo le mani da una parte all'altra, senza riuscire a dire nulla di senso compiuto.
«Bè, sì, l'ho conosciuto alla fermata dell'autobus tanto tempo fa e siamo diventati amici, solo da poco abbiamo iniziato ad uscire» annuii convinta.
Ben continuava a fissarmi con quell'aria dubbiosa, poi si aprì in un sorriso. Respirai a fondo chiudendo gli occhi. Fortunatamente l'avevo scampata.
«Secondo me è solo timido» intervenne Claudia «Dagli tempo, vedrai che si confesserà prima o poi»
Quel prima o poi mi preoccupava. Soprattutto il poi. Avrei dovuto aspettare altri cinque anni prima che Federico, semmai gli piacevo, si dichiarasse?!
«Tu invece?» mi rivolsi a Benedetta, cambiando argomento e indicandogli le tette gonfie «Palestra?»
Lei mi guardò con un enorme sorriso e i suoi occhi castani luccicavano come non gli aveva mai visto fare prima d'ora. Doveva essersi presa una bella cotta per il palestrato. Quasi quasi mi veniva voglia di conoscerlo.
«Sì!» cinguettò, battendo i piedi per terra e prendendosi le guance rosse tra le mani «Oggi dovrebbe venire per fare potenziamento»
«Ma ci parli almeno?» sogghignò Claudia.
«Certo!» rispose indignata Benedetta «Ho anche il suo numero» le fece la linguaccia «Tu come va invece sul fronte maschile?»
«Io mi sto vedendo con uno» rispose la rossa pulendosi l'angolo dell'occhio «Ma penso che lo lascerò andare» continuò avvicinando l'indice al pollice a indicare una misura di circa 2 centimetri.
La guardai confusa mentre rideva insieme a Benedetta. Che cosa stava a significare? Cosa c'era i tanto divertente in un indice e un pollice? Risi anche io, per non sentirmi esclusa da quel momento di felicità.
«È bello che tu finalmente ti sei aperta così con noi!» Benedetta tornò a guardarmi dopo aver ridacchiato.
«Già!» esclamò anche Claudia «Facciamo parte anche noi del tuo mondo, in fondo. Siamo le tue migliori amiche!»
Sorrisi nervosamente. Se avessero scoperto realmente che il mio mondo non era quello delle meraviglie che raccontavo loro, avrebbero sicuramente smesso di ridere.


Quel pomeriggio non sarei andata in biblioteca, il nostro appuntamento quotidiano da quasi due settimane. Quei giorni erano passati veloci, sempre all'insegna della sua stupida ambiguità. Non sapeva che facendo così mi uccideva! Mi piaceva, ecco lo avevo ammesso. E anche tanto, da quando era solo uno sfigato di terza media con l'asma. Fino a quel momento avevo represso quel sentimento nei suoi confronti, ma ormai non potevo più fare a meno di pensare che se mi fossi dichiarata prima ora non mi sarei trovata in quella situazione, seduta scompostamente su un divano a guardare La vita in diretta. Avrei voluto essere fortunata come Benedetta, affascinante, con tutti quegli uomini ai piedi, così sicura di se stessa, talmente tanto che era convinta che presto la sua nuova preda sarebbe caduta nella sua rete.
Le immagini scivolavano senza senso davanti a me, quando il campanello suonò aspettai qualche minuto, in attesa che andasse Raffaele ad aprire. Ma poiché dalla sua stanza non provenivano segni di vita se non una musica assordante, mi alzai scocciata con i capelli scompigliati.
«Fede!» esclamai quando me lo trovai davanti a me in tutta la sua bellezza. Per fortuna, quel giorno, non avevo indossato la tuta sformata.
«Il portone era aperto» sorrise.
Lo abbracciai e lui mi sollevò da terra stringendomi forte.
«Cosa ci fai qui?» domandai facendomi da parte per farlo entrare.
Lui appoggiò il borsone che si portava dietro ai piedi del divano e si sedette accanto a me.
«Visto che non venivi in biblioteca oggi, ho deciso di venire io da te»
«Non era necessario che ti disturbassi a venire» dissi flebilmente.
«Abito dall'altra parte della strada» sorrise.
Poi mi prese la mano e la baciò delicatamente facendomi ribollire il sangue nelle vene. Perfino le orecchie erano incandescenti.
«E anche se abitavo in Messico sarei venuto comunque» mormorò.
«Fede» lo guardai dubbiosa, con le labbra arricciate «Ci siamo visti ieri e sentiti questo pomeriggio. Intendevo dire questo»
«Ma io volevo vederti, ecco!» obiettò con voce da bambino, mettendo il broncio e stringendosi nelle spalle.
«Perchè mai?» domandai con il cuore che sussultava.
«Sto bene in tua compagnia, mi diverto con te. E poi sei...»
«La tua migliore amica» conclusi per lui la frase.
Se il sangue prima ribolliva per l'imbarazzo, ora lo faceva per la rabbia. Perchè continuava imperterrito con quella stupida storia degli amici? Mi era venuta voglia di affogarlo nella piscina in cui nuotava. L'unica cosa che mi distolse da quel pensiero era che sarei annegata prima io dato che riuscivo a nuotare solo ed esclusivamente con una ciambella o i braccioli.
«Bene, mi hai vista ora ciao» dissi dura, scivolando lungo lo schienale e tornando a guardare il programma.
«Che acida!» commentò Federico infastidito.
«Non sono acida» ribattei.
«Mi hai appena cacciato di casa! Perchè?»
«Non voglio stare con una specie di schizofrenico» risposi.
«Io sarei lo schizofrenico?!» ripetè indignato indicandosi.
«Stai insinuando che quella matta sarei io?!» tornai a sedermi compostamente, guardandolo, per la prima volta, dritto negli occhi.
«Non sono io quello che ha gli sbalzi di umore!» mi imbeccò.
«E non sono io quella che illude le persone!»
Uscì di getto quella frase, un vomito di parole incontrollate. Mi morsi subito il labbro inferiore, tornando a guardare il televisore perchè il suo sguardo era diventato insostenibile.
«Cosa intendi?» il suo tono si era ammorbidito.
Mi ero ammutolita e paralizzata, mi sentivo ingessata dalla testa ai piedi. Lo guardavo sottecchi ma non riuscivo né a dire né a fare nulla. Federico si passò una mano tra i capelli e scivolò verso di me abbracciandomi. Ancora. Cercai di divincolarmi, ma lui era troppo forte. Sentii le sue labbra poggiarsi sulla mia fronte, facendole scendere verso l'orecchio.
«Io non illudo mai le persone» mormorò mandandomi in estasi.
Mi voltai lentamente trovandomi il suo viso ad una distanza troppo ridotta per i miei gusti. Meidei, meidei! SOS, qualcuno mi aiuti!
Mi accarezzò la guancia sorridendomi. 1 battito perso. La sua mano sgusciò poi verso i mie capelli e sentivo le sue dita a contatto con la nuca che mi spingevano verso di lui. 2 battiti persi. L'altra sua mano libera si posizionò sulla mia coscia. 5 battiti persi. Il suo viso si avvicinava inesorabile al mio e sentivo il suo respiro caldo misto ad uno squisito profumo fruttato. Stavo per dare il mio primo bacio. A Federico Abbate, impossibile! 3567845 battiti persi.
Defibrillatore, stiamo perdendo la paziente!
Dischiusi le labbra pronta a quella nuova esperienza. Mi sentivo eccitata, scombussolata, impaurita, tremante e qualsiasi altra cosa. Eravamo a pochi millimetri di distanza, un momento che non avrei mai voluto dimenticare. Anzi, meglio di sì.
«Che cosa succede qui?»
La voce scocciante di Raffaele si insinuò nelle mie orecchie interrompendo il mio primo stupidissimo bacio. Federico appoggiò la fronte alla mia sorridendo.
«Direi di rimandare» mormorò.
Smell mi scansò violentemente sedendosi tra me e Federico con una mega ciotola di popcorn che appoggiò sul suo pancione gravido, impossessandosi anche del telecomando finendo su uno stupido show comico, di quelli che lo facevano sbellicare dalle risate e spargere pezzettini di patatine bavosi ovunque. Non lo sopportavo.
«Tu chi sei?» domandò d'un tratto, squadrando Abbate con uno sguardo assassino da fratello maggiore geloso.
«Federico» rispose timidamente.
Raffaele mi lanciò un'occhiata maliziosa, lanciandomi bacini. Ancora si ricordava quello stupido sogno in cui chiamavo Abbate. Lo odiavo, punto.
«Sei il suo ragazzo?» gli domandò poi.
Federico deglutì e con gli occhi cercava il mio sguardo. Sorrise scuotendo la testa. Raffaele appoggiò la sua ciotola sulle mie gambe, alzandosi a guardarlo. Seduto era più alto di mio fratello.
«Sicuro?» chiese ancora.
«Penso proprio di sì» rispose con le sopracciglia aggrottate.
Raffaele socchiuse gli occhi trafiggendolo con lo sguardo.
«Sono stato sedicenne prima di te e so cosa vuoi fare con mia sorella. Se la fai soffrire te la vedrai con la mia mazza da baseball» lo minacciò puntandogli un dito ciccione.
«Da quando fai il fratello geloso?!» sbottai io.
«Tu non ti intromettere» mi indicò con due wusteroni che dovevano essere il medio e l'indice, tornando poi a guardare Federico.
«Ci vuoi solo far sesso, vero?! Sono stato quindicenne prima di te!»
Nascosi il volto paonazzo tra le mani. Perchè mio fratello era così stupido?!
«Partendo dal fatto che ho diciotto anni» sorrise, visibilmente in soggezione Federico «Credo di non essere quel tipo di ragazzo»
Si alzò dal divano prendendo la sua borsa e rivolgendomi un sorriso prima di avvicinarsi alla porta. Scattai in piedi anche io.
«Vengo con te!» esclamai.
Sarei andata perfino nel fango piuttosto che rimanere con Smell dopo quel momento iper imbarazzante. Presi la giacca dall'appendiabiti vicino la porta e lo raggiunsi sul pianerottolo, sotto lo sguardo intimidatorio di Raffaele. Si era accorto di essere mio fratello maggiore proprio nel momento sbagliato.


«Sei uno scemo» gli dissi mentre camminavamo verso la palestra dove si allenava il mercoledì.
«Perchè?» mi guardò dubbioso.
«Cavoli, sembri uno Yeti e hai paura del mio grasso e basso fratello?!» sbottai.
Federico scoppiò a ridere e mi prese per mano. Ogni piccolo contatto con lui mi faceva avvampare, anche solo il tocco dei suoi polpastrelli. Deglutii, cercando di mantenere il self-control, anche se era molto più semplice pensarlo che farlo.
«Non conosci l'ira dei fratelli maggiori» bisbigliò ridacchiando «Una volta il fratello di una mia ex mi ha sorpresa in camera con lei senza maglietta. Mi ha cacciato fuori rincorrendomi con una sedia!»
«Si sarebbe frantumata su di te» commentai «Il fatto è che tu sei un fifone!»
«Vero! Però anche tu avresti fatto lo stesso se ti minacciavano con una mazza. Quella fa male! Chissà quanti fidanzati ha cacciato con quell'arnese!»
«Non mi ha mai...beccata» tentennai.
«Cosa hai intenzione di fare con me in palestra?» chiese dubbioso.
Già, non avevo messo in conto il piccolo enorme problema della noia. Di fare una corsa sul tapis roulant non ne avevo la minima voglia, di ciclette non ne volevo vedere e di aerobica non se ne parlava.
«Se vuoi c'è un bar. Puoi bere qualcosa lì. Ti posso presentare anche qualche amica, così stai con loro» propose.
La parola amiche, associata a quel ben di Dio che era Federico, non mi piaceva affatto e mi faceva ingelosire, anche troppo.
«C'è una ragazza che ti piacerà sicuramente! È davvero divertente!» esclamò aprendo la porta della palestra e facendomi entrare «Il bar è lì in fondo» continuò indicando una serie di tavoli e un bancone in stile americano «Aspettami qui» e mi diede un bacio sulla guancia.
Raggiunsi i tavoli di metallo e mi guardai intorno. No, quello non era per nulla il luogo adatto a me. Donne toniche e magre, uomini con muscoli da wrestler, schiamazzi. Mi sentivo spaesata e quegli sguardi dubbiosi rivolti a me non mi piacevano affatto. Quegli occhi sconosciuti si stavano sicuramente chiedendo che cosa ci facesse un bradipo in una palestra.
Unii le mani dietro la schiena dondolandomi avanti e indietro sui piedi guardando dritto davanti a me speranzosa di vedere arrivare Federico con la sua amica. Mi illuminai quando lo vidi avvicinarsi insieme ad una ragazza molto più bassa di lui con i capelli neri raccolti in una coda alta, un top rosa che mostrava la pancia piatta e un paio di leggins grigi. Spalancai gli occhi e la bocca quando furono abbastanza vicini da distinguere i lineamenti inconfondibili della moretta.
«Alice!» disse sorpresa «Cosa ci fai in palestra?!» ridacchiò.
«Ben» dissi sbalordita. Non dissi nient'altro, le parole mi erano morte in bocca.
«Vi conoscete?» esitò stranito Federico.
«È la mia migliore amica» rispose Germa abbracciandomi.
Mi lasciai trasportare dall'ondeggiare della mia amica, ero paralizzata da quella sconvolgente scoperta.
«Come è piccolo il mondo!» osservò divertito lui.
«Un buco direi» commentai a denti stretti.
«Io vi lascio qui. Sono già in ritardo di» prolungò quella monosillaba «cinque minuti e sto seriamente rischiando la vita e domenica ho una gara.»
Abbracciò Benedetta e sentivo un istinto omicida in me crescere a dismisura. Se il tavolo non fosse stato troppo pesante per le mie braccia flosce lo avrei scagliato contro quei due. Appena Federico si girò verso di me, sorrisi falsamente e credo che era anche visibile, dato che sembrava il sorriso di una con il volto di plastica. Si avvicinò a me stringendomi per i fianchi. Mi passò una mano tra i capelli e sfregò il suo naso contro il mio. Mi strinse le mani dandomi un bacio sulla fronte e iniziavo a sentirmi come un gelato abbandonato in un deserto.
«Ci vediamo dopo» sussurrò.
«Credo che questo ad Edoardo non piacerà affatto»
La voce tagliente di Benedetta fece mutare lo sguardo dolce di Federico in uno dubbioso e leggermente accigliato.
«Edoardo?!» ripetè indignato «Chi sarebbe?!»
«Rischi la vita!» gli ricordai in una cantilena spingendolo per farlo allontanare da me.
Perchè Germa aveva la lingua più veloce del cervello? Glielo avevo sempre detto di collegare le due cose prima di parlare, ma ancora non aveva imparato.
«Rispondi alla domanda. Chi è Edoardo?!» riprese con tono duro.
Avrei fatto meglio a fingere di svenire, ma in quel momento non ci riuscii. Annaspavo e basta, in preda ad una specie di crisi di panico.
«Sei geloso?!» gli domandò d'un tratto Benedetta, cingendomi una spalla.
«Non sono geloso!» ribattè istantaneamente Federico, rosso in volto.
«Allora che ti importa di chi è Edoardo?» continuò Germa ignara del caos che stava creando in quel momento. Caos generato dalla mia stupidissima bugia.
«Semplice curiosità» tentennò.
«Il suo quasi ragazzo» tagliò corto Benedetta con un sorriso.
Federico si passò una mano sul mento, rabbuiandosi.
«Io vado» disse poi in tono basso lasciandoci a passo svelto.
Avrei voluto fermarlo, ma ero congelata nella stretta di Germa, le gambe erano diventate un tutt'uno con il pavimento. Senza rendermene conto mi sedetti ad un tavolo insieme alla mia amica. Aveva rovinato tutto, ma non potevo darle la colpa. Se qualcuno aveva sbagliato quella ero io. Se non avessi detto a nessuno di Edoardo ora non mi ritroverei in quella situazione, ma tra le braccia di Federico a limonare con lui.
«Non si flirta in questo modo alle spalle del proprio ragazzo» mi rimproverò seria Benedetta «Soprattutto con il ragazzo che piace alla tua migliore amica»
Mi risvegliai d'improvviso quando sentii quelle parole.
«Co-come?» balbettai attonita.
«Ti ricordi il ragazzo tenerissimo e bello da paura?» mi guardò maliziosa.
«Federico?» chiesi, anche se la risposta era abbastanza ovvia. E dolorosa.
Benedetta annuì felice, stringendomi le mani sopra il tavolo.
«Non sapevo che lo conoscevi!» cinguettò «A saperlo ti avrei chiesto di aiutarmi a conquistarlo!»
Sorrisi non convinta. Non solo Edoardo mi stava rovinando la giornata, ma Bendetta, la mia migliore amica, era innamorata persa del ragazzo che piaceva anche a me e che era assolutamente incavolato con me. Poteva esserci qualcosa di peggiore, oltre, ovviamente, a mio fratello?! No, non credo proprio.
«Visto che è un tuo amico, che ne diresti di mettere una buona parola su di me?» mi fece l'occhiolino.
La mia faccia, contrita in una smorfia incredula e disperata allo stesso tempo, si mosse al ritmo di un sì. In quel momento capii che ero sorprendentemente ed inevitabilmente scema.
«Grazie, grazie, grazie!» esclamò, gettandosi sul tavolo e abbracciandomi all'altezza del collo. Se stringeva di più e mi strangolava sarebbe stato meglio.
«Quanto è bello, vero?!»
«Sì» risposi flebilmente.
Bello, dolce, sensibile, simpatico e questo bellissimo pacchetto all inclusive poteva essere mio. Mi maledissi mentalmente ogni secondo.
Non rimasi nemmeno venti minuti in quel bar perchè me ne andai prima, salutando senza entusiasmo Benedetta e lasciandola da sola al suo allenamento visivo a squadrare Federico.


«Ieri mi ha riaccompagnata a casa!» esclamò soddisfatta Benedetta a Cristina. Come poteva andare d'accordo con quella civetta?
Io, purtroppo, mi trovavo in mezzo a quei due fuochi che non facevano altro che parlare di ragazzi e di Federico. Il mio Federico.
Nemmeno quando l'inutile assemblea d'istituto iniziò, le due non smisero di ciarlare neanche un secondo. Con tutta la buona volontà che ci mettevo, non riuscivo a non ascoltare i loro discorsi, in cerca di qualche particolare su Federico, semmai l'avesse baciata, corteggiata o chessò io. Gelosa non era il termine adatto per descrivermi in quel momento. Ero più che gelosa! Mi imposi di ascoltare i rappresentanti di istituto che disquisivano sui problemi della scuola, dalla carta igienica mancante nel bagno delle ragazze ai preservativi disseminati in quelli maschili.
Dopo un'ora di questi discorsi, Camilla Scaramella, una ragazza del quinto con i capelli paglierini, gli occhiali spessi e qualche chilo di troppo prese la parola attirando su di sé l'attenzione con un sonoro Ehi! Il brusio che fino a quel tempo regnava si smorzò e anche Cristina e Benedetta smisero di parlare. Finalmente.
«Quest'anno abbiamo introdotto una novità per i ragazzi del terzo-quarto-quinto anno» esordì soddisfatta «Una cosa molto american-style»
Quel termine mi inquietò.
«Tra poco è San Valentino, giusto?!»
Un si levò alto nell'auditorium all'udire quella festa da me mai festeggiata e che quindi ritenevo assolutamente inutile, una trovata per spillare soldi a dei poveri fessi.
«Abbiamo deciso di organizzare una festa di San Valentino, qui a scuola. Saranno ammesse solo ed esclusivamente le coppie! Chi sarà da solo non potrà partecipare!»
Erano tutti entusiasti di quella notizia. Quale ragazza, vedendo i telefilm o i film made in USA, non aveva sognato di partecipare ad un romantico ballo scolastico? Perfino io mi ero immaginata in una situazione del genere insieme a Davide. Ma era ovvio che io non potevo partecipare e la cosa non mi dispiaceva nemmeno molto. Inutile mentire. Mi rattristava e tanto. Per prima cosa partecipare ad un ballo sarebbe stata una bella esperienza, poi festeggiare almeno una volta San Valentino mi sarebbe piaciuto. Perchè, sì, la critico, ma anche io faccio parte dei fessi. L'unica cosa è che non ho mai avuto l'occasione di spendere soldi.
«Un ballo!» cinguettò felice Benedetta.
«Oddio che idea fantastica!» esclamò Cristina elettrizzata.
«Così potrò conoscere Edoardo!» disse Germa assecondata dallo sguardo furbo della Cariati.
«Penso proprio che non verrò» sorrisi flebilmente. Avevo ben altri problemi per la testa, in realtà solo uno: chiarire con Federico.
«No!» urlò perentoria Benedetta «Tu vieni, punto e basta»
«No davvero, non mi va e non mi sento bene» mentii.
«San Valentino è tra due settimane. Già sai che starai male?!» ribattè la mia amica nervosa.
«Ciclo» risposi.
«Non cercare di prendermi per i fondelli con la scusa delle mestruazioni» si portò le mani sui fianchi «Io e te abbiamo quasi lo stesso ciclo. A fine mese!»
Troppo attenta ai particolari per i miei gusti.
«Forse Edoardo non può venire» miagolò Cristina con finti occhi dolci «Come può un principe uscire da una favola? Non è Come d'incanto» si stava chiaramente prendendo gioco di me.
«Alice» Benedetta mi guardò seria, penetrante, arrabbiata «Edoardo esiste, vero?» sembrava quasi una supplica.
Inspirai ed espirai più volte.
«Certo che esiste!» esclamai indignata.
Subito un sorriso si disegnò sulle labbra di Benedetta e lo sguardo furbo di Cristina si spense. Che soddisfazione.
Il guaio era che avevo creato un bel pasticcio da cui non sapevo come uscire
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Buona domenica a tutti!

Capitolo di svolta! Troppo veloce? Forse, ma  non volevo perdere troppo tempo su Alice e Federico e i loro pomeriggi in biblioteca. Penso magari che farò qualche missing moments per questi due ragazzotti. Nel prossimo capitolo, se non ho fatto male i conti, dovrebbe arrivare Edoardo, finalmente. Già c'è un bel casino per Alice: ha "litigato" con Federico e dovrà andare ad una festa degli innamorati nonostante non abbia un fidanzato.
Vi starete chiedendo che fine ha fatto Davide. Tornerà, anche lui avrà la sua bella parte nella storia u.u 
I soliti ringraziementi a tutti quelli che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate, a nes_sie per la recensione e a tutti quelli che leggono solo.
Vi ricordo, come sempre, che le foto e gli spoiler della storia li troverete sul mio profilo di Facebook.
Ho fatto una gif su Alice *-*
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Un bacio ♥

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Capitolo 5
*** L'ultima spiaggia ***


C a p i t o l o 4

L'ultima spiaggia


Speravo che quello che era accaduto il giorno prima fosse stato solo un brutto incubo, ma, purtroppo per me, dovetti piegarmi, a malincuore, alla dura realtà. E da quel giorno la mia vita sarebbe stata sempre più in discesa, fino ad arrivare al limite e precipitare definitivamente in chissà quanto tempo. Avevo perso l'unico ragazzo di cui mi ero veramente invaghita.
Avevo sempre pensato che fingere mi risultava facile, ma come avrei fatto a continuare a mentire? A far finta di nulla mentre la mia migliore amica conquistava il ragazzo dei miei sogni, mentre lui cascava tra le sue braccia, mentre loro due sarebbero diventati i coniugi Abbate e a far da madrina ai loro cinque figli?!
Scossi violentemente la testa per scacciare via quei pensieri che mi avevano rabbuiato. Percorsi a passi piccoli il corridoio raggiungendo la macchinetta. Alla seconda ora di lezione non c'era quasi nessuno fuori dalle aule, tranne alcuni che erano sgattaiolati via con la scusa del bagno, come avevo fatto io. In realtà volevo solo bere un cappuccino da sola. Selezionai la bevanda e attesi che fosse pronta, accompagnata dal fruscio della macchinetta.

Se qualcosa può andare male, lo farà

Murphy e la sua legge avevano ragione. Non solo avevo perso il ragazzo che mi piaceva e non avevo la benchè minima idea di come chiarire con lui, ma si era aggiunta a questa catastrofe anche la stupida festa di San Valentino a cui dovevo partecipare anche se non sapevo con chi. Cosa avrei fatto, mi sarei presentata lì dicendo che Edoardo aveva avuto un attacco di dissenteria acuta pochi minuti prima dell'inizio della festa?
Sorrisi. Inutile piangere e disperarsi, ormai la frittata era stata fatta, sia con Federico che con Edoardo. Avrei dovuto dare ascolto a mia madre e al mio parroco, Mai mentire. Primo, le bugie hanno le gambe corte e fanno poca strada, e soprattutto si ritorcono contro di te, come stava accadendo.
Un fischio acuto mi avvisò che il mio cappuccino era pronto. Alzai lo sportello per prenderlo ma il bicchiere di plastica trasparente era colmo, tanto che la schiuma mi ustionò i polpastrelli. Cercai di salvare il salvabile, girandomi di scatto per poterlo appoggiare da qualche parte, ma, ovviamente, ci doveva essere qualcosa che andava storto.

Se qualcosa può andare male, lo farà.

Il bruciore sulle dita era troppo intenso e ne rovesciai più della metà. Per terra?! No, addosso a qualcuno. E quel qualcuno non era, sfortunatamente Cristina o Francesca, ma bensì Davide Saronno. Giornata spettacolare!
«Oh mio Dio scusa!» trillai subito, portandomi la mano libera sulla bocca.
Il mio cuore aveva preso a galoppare e il rossore si era espanso anche alle orecchie. Pensavo che ora questo effetto collaterale lo procurasse solo Abbate, che ormai avevo superato la fase Saronno perchè entrata in quella Federico. Invece, Davide continuava ad affascinarmi, forse per il fatto che era il ragazzo irraggiungibile, il protagonista delle mie favole d'amore che mai si sarebbero realizzate.
Il mio sogno proibito.
Lui si guardò la felpa verde indignato e mi fulminò con i suoi occhi azzurri.
«Scusa, non l'ho fatto a posta, non ti avevo visto e il cappuccino bruciava, volevo solo appoggiarlo...» presi a parlare e non riuscivo a smettere di dire parole una dopo l'altra che se riascoltate lentamente, non formavano di certo una frase di senso compiuto.
«Ok, ok, ok!» m'interruppe Davide, socchiudendo gli occhi quasi per ricacciare indietro il nervoso. O per non vedermi e farsi prendere dalla voglia di pestarmi «Taci un attimo» disse brusco.
Mi ammutolii e mi irrigidii, assumendo un aspetto da spaventapasseri.
«Dimmi la verità» riprese subito dopo, guardandomi con sguardo sensuale e un sorriso di sbieco che mi fece perdere il respiro «Stai cercando di attirare la mia attenzione?»
Farfugliai qualcosa, qualcosa che avrebbe dovuto descrivere la mia perplessità.
«Non fare la finta tonta, RovesciaCappuccini» si avvicinò di qualche passo a me «Cadi dalle scale mentre ti passo accanto, mi vieni addosso sull'autobus, mi macchi. È chiaro che tu stia cercando di attirare la mia attenzione»
Abbassai prontamente gli occhi, torturando una ciocca di capelli. In quel momento decisi che non avrei mai più bevuto un cappuccino, ma solo caffè espresso. Un altro passo verso di me. Alzai di poco lo sguardo, qual tanto che bastava per vedere che si stava togliendo la felpa, rimanendo in una succinta e attillata maglietta bianca che mostrava il suo fisico sportivo e che fece piroettare, oltre alla mia testa, anche gli ormoni.
«Le ragazze goffe hanno sempre uno strano fascino» disse «E anche quelle timide. Sono tutte da scoprire e sono sempre loro ad essere le più maliziose» si leccò un labbro.
Ok, quello era davvero troppo per le mie coronarie. Scivolai via dal suo sguardo e a passo svelto mi avviai verso la mia classe.
«Perchè scappi così, guarda che non mangio!» esclamò, costringendomi a voltarmi e a tuffarmi nuovamente nelle sue iridi cristalline.
Tanto ero presa a guardare quel gran bel pezzo di ragazzo che era Saronno, che non mi accorsi della colonna che si schiantò contro la mia guancia. Il sorriso che fino a poco prima mi aveva rivolto Davide si trasformò in una risata. Quella era sicuramente l'unica scuola al mondo dotata di pilastri nel bel mezzo di un corridoio. Distolsi lo sguardo rapidamente e ripresi a camminare, nell'imbarazzo più totale, con la guancia dolorante.


Non sapevo se quello che stavo facendo era la cosa giusta. Rimasi davanti alla porta qualche minuto, stringendomi le mani e soffiandoci sopra per riscaldarle. Dovevo fare finta di nulla, giusto? Entrai in biblioteca e raggiunsi l'ultimo piano, trovandolo lì, piegato sul quaderno con la lingua di fuori mentre cercava di disegnare un grafico. I suoi occhi guizzarono verso di me, poi sul quaderno e nuovamente su di me accorgendosi solo in quel momento che si trattava della sottoscritta.
«Ciao» disse flebilmente.
Feci due passi lunghi avvicinandomi alla sedia che stava di fronte a lui.
«Posso?» domandai indicandomela. Lui annuì, tornando alle sue funzioni.
«Come va?» mi chiese scrutando a fondo l'iperbole appena conclusa, con tono poco interessato.
«Bene» risposi con la stessa tonalità «Te?»
La tensione tra noi due era palpabile, eravamo come due semplici conoscenti che dovevano parlarsi perchè erano le circostanze ad obbligarli.
«Bene» disse, prestando più attenzione all'aritmetica che a me.
Sospirai, affranta e ormai priva di qualsiasi speranza di poter ricucire un rapporto con lui. Estrassi dallo zaino il libro di storia, anche se la voglia di studiarla era pari a zero. Sottolineai praticamente tutto il paragrafo, non leggendo veramente quello che c'era scritto, più interessata a Federico. Qualche volte alzavo lo sguardo per vedere che cosa stesse facendo, ma i suoi occhi erano sempre puntati sui fogli quadrettati.
Dovevo farmene una ragione e basta e prestare più attenzione alla scuola se non volevo essere bocciata. Mi imposi di apprendere qualche nozione storica e ci stavo mettendo tutto l'impegno possibile, quando Federico interruppe quel momento di studio.
«Mi spieghi perchè mi hai mentito?» domandò, guardandomi con sguardo severo.
«Riguardo a cosa?» feci finta di non capire.
«Mi avevi detto di non avere il ragazzo»
Rotei gli occhi, tamburellando con la matita. Mi sentivo percorsa da piccole scosse che dalla spina dorsale raggiungevano ogni minima parte del mio corpo.
«Non ti ho mentito» dissi in un soffio.
Lui si aprì in un sorriso incredulo e mi lanciò uno sguardo che mi raggelò.
«A che gioco stai giocando, Alice?»
«Un, due, tre stella?!» sorrisi, sperando che anche lui facesse lo stesso.
Già le mie battute erano orribili e nessuno rideva mai, in più mi uscivano dalla bocca nei momenti meno opportuni, come quello.
«Non è il momento di scherzare» mi guardò in un misto tra irritazione e delusione.
«Non sto giocando a nulla» risposi, stando sulla difensiva. Mi sentivo come un piccolo pesce nella vasca di uno squalo pronto a mangiarselo.
«Perchè allora non mi hai detto la verità!» piagnucolò guardandomi con i suoi meravigliosi occhi da cucciolo.
«Non ti ho mentito» risposi, secca, decisa per la prima volta e questa mia sicurezza traspariva anche dal mio sguardo.
«E allora chi è Edoardo?»
«Lasciamo stare» lo pregai.
«Perchè non mi vuoi dire chi è!» mi supplicò con qualsiasi parte del suo corpo.
«Senti, non ho voglia di parlarne e sarebbe complicato da spiegare, quindi che ne diresti di cambiare argomento?» sorrisi falsamente.
Lui mi guardò per qualche secondo, poi annuì con rassegnazione, tornando a fare i compiti di matematica. Rimasi a fissarlo mentre muoveva la penna su e giù sul foglio, senza però scrivere nulla. Una giornata da eliminare dal mio calendario della vita.
«Sai che Benedetta ti viene dietro?» sussurrai.
Federico, piegato sul quaderno, si limitò a scrollare le spalle.
«Lo immaginavo» rispose monotono.
«È carina» continuai.
Ogni sciocchezza che dicevo mi affondava sempre di più verso il baratro dell'idiozia. Ero cotta di lui, eppure cercavo di convincerlo della bellezza di Germa. Avrei dovuto ricevere il premio Nobel per la scemenza, nessuno mi batteva in questo campo.
«Abbastanza» piegò gli angoli della bocca.
«Fareste una bella coppia» azzardai, ma mi morsi la lingua subito dopo.
Stupida, stupida, stupida!
In un secondo annegai nello sguardo stizzito di Federico che si era finalmente alzato da quel quaderno di matematica nei confronti del quale stava nascendo un'insensata gelosia. Sorrise sghembo, scuotendo lievemente la testa. Chiuse quaderno e libro con un tonfo infilandoli nella cartella.
«Non ti capisco Alice. E non credo nemmeno di volermi impegnarmi troppo in un'impresa che so già che non porterò a termine» mi disse con rammarico, alzandosi e raccattando il suo zaino «Ciao Alice» mi salutò di sfuggita, prima di lasciarmi da sola, seduta a quel tavolo, incredula e delusa.


Perfetto!
Avevo perso per la seconda volta Federico, che si era incaponito e non rispondeva ai miei SMS. In più non avevo la minima idea di come affrontare il problema Edoardo e festa-di-San-Valentino. Dovevo trovare qualcuno che si fingesse lui, ma chi? Io non conoscevo nessuno! Escludendo Federico a priori, avrei potuto puntare su mio fratello, ma non glielo avrei chiesto nemmeno con una pistola puntata alla tempia, primo perchè era un cesso assurdo, secondo perchè Benedetta lo aveva conosciuto e quindi sapeva che volto – brutto – avesse Raffaele. Quindi, sì era prorpio un brutto periodo per me.
«Alice sei tra noi?!» domandò Claudia, sventolandomi una mano davanti agli occhi mentre camminavamo verso l'uscita della scuola.
«Sì, più o meno» mi affrettai a rispondere.
«Dicevo» riprese l'amica dai capelli rossi «che tu sei la più fortunata perchè sei l'unica che ha un ragazzo che l'accompagna alla festa!» sbuffò sonoramente stringendo le spalline dell'Eastpack.
Assottigliai lo sguardo, ammosciando le spalle sconsolata. Avrei volentieri ceduto il mio fidanzato immaginario a loro due, così se la sarebbero sbrigate loro con Edoardo, che con la sua inesistenza stava creando troppi guai per i miei gusti.
«Molto fortunata» commentai poco convinta.
«E fa anche la scocciata!» si lamentò Benedetta spingendomi di lato e facendomi sbattere contro la spalla di Claudia.
«Scusa, ma tu puoi chiedere a Federico» le ricordai a malincuore.
«Non mi caga! Mi considera solo come un'amica» ribattè.
«Bè almeno tu hai qualcuno a cui chiedere, io nemmeno quello!» si lamentò Claudia.
Sembrava una gara a chi fosse più sfigata de entrambe continuavano ad aggiungere motivi per risultare la vincitrice. Anche se quel premio, contrariamente alle loro aspettative, toccava a me di diritto.
«Credo che non verrò» continuò la rossa, stringendosi nelle spalle appena messo piede fuori.
«No tu devi venire!» esclamò Benedetta, afferrandole le mani.
«Ok, vengo, magari Charlie Brown accetta di accompagnarmi» ribattè sarcastica Claudia «Come posso venire?»
Germa incurvò le spalle, affranta. Poi si fermò di colpo con aria soddisfatta, battendo il pugno sul palmo della mano.
«Il fratello di Alice!»
«Non ti conviene!» mi affrettai a dire «Se lo conosci ti verrà voglia di farti suora»
Claudia sembrò non aver ascoltato le mie risposte e meditava sulla soluzione suggerita da Germa.
«Non è una cattiva idea!» disse con una mano sul mento.
«No, credimi, è pessima» l'avvisai io.
«Non potrà essere mica così orribile!» esclamò la rossa «E tanto poi è solo una festa. Lo uso solo come lasciapassare» sorrise sorniona.
Alzai le braccia e le feci ricadere sonoramente lungo i fianchi. Io avevo cercato di avvertirla, ma lei aveva preferito non ascoltarmi. Cavoli suoi!
Benedetta sbuffò non appena guardò il parcheggio vuoto dove solitamente lasciava il suo motorino. Da due giorni a quella parte avrebbe dovuto prendere l'autobus come noi comuni mortali perchè il suo adorato mezzo a due ruote aveva problemi ai freni. Durante tutto il tragitto verso il cancello, nessuno di noi parlò, troppo traumatizzate da quella inutile festa di San Valentino.
Mi fermai all'improvviso, lasciando che qualche ragazzo mi sbattesse contro. Ma non mi importava, era molto più importante quello che c'era davanti al cancello. Anzi, chi c'era. Accennai un sorriso e mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Timidamente alzai una mano per salutarlo e Federico, appoggiato alla sua 125, mi rispose con un gesto della testa. Si staccò subito dopo, con il casco tra il braccio e l'avambraccio, avvicinandosi a me. Sapevo che non sarebbe riuscito a stare arrabbiato con me, me lo sentivo fin dentro le ossa. Ero pronta ad accogliere il suo abbraccio, intimidita, imbambolata con le braccia aperte e gli occhi socchiusi. Quando, però, non sentii le sue mani sulla schiena, mi voltai per assistere ad una scena da fil horror. Federico stava abbracciando una sorpresa Benedetta, che per un primo momento era rimasta con le braccia penzoloni, per poi ricambiare quella stretta.
«Cosa ci fai qui?» domandò al settimo cielo.
«Oggi hanno fatto occupazione da noi e quindi niente lezioni. Ho pensato che venirti a prendere fosse un gesto carino» le sorrise, come già aveva fatto con me.
Io li guardavo, congelata, immobile, percorsa da una gelosia profonda che si era ormai mischiata al mio sangue.
«Grazie» rispose imbarazzata Benedetta, dondolando da un piede all'altro.
Federico le strinse la spalla, spingendola verso la sua moto. Ad ogni passo le schioccava un bacio tra i capelli. Mi passarono accanto e la mia amica mi guardò entusiasta, con gli occhi lucenti. Le sorrisi, anche se in realtà avrei voluto urlare fino a farmi perdere la voce. Seguii ogni loro passo verso la moto con sguardo assassino e furioso.
Chi un giorno mi aveva detto che non illudeva le persone? Ah, si. Un certo Federico Abbate, lo stesso ragazzo che non aveva voglia di capirmi. Nemmeno io volevo comprendere chi fosse, ormai non mi interessava più. Potevo benissimo capire che lui c'era rimasto male per il mio fidanzamento con Edoardo, ma dimenticarsi di me nel giro di nemmeno 48 h era assurdo.
Mia madre aveva assolutamente ragione: gli uomini erano stronzi. Fino a quel momento non capivo perchè li offendesse in quella maniera, ma ora che Abbate aveva appallottolato il mio cuore e ci stava giocando a calcio, compresi il suo astio nei confronti dell'altro sesso.
Appena arrivata a casa mi fiondai nella mia stanza sotto lo sguardo perplesso di mia madre. Mi gettai sul letto, nascondendo il viso nel cuscino e piansi. Quella era la prima volta che piangevo per un ragazzo, solitamente lo facevo solo per i film romantici. Ma ora, non ero più la spettatrice, ma bensì la protagonista.
Sentii il letto affossarsi verso destra, poi una mano che mi accarezzava i capelli.
«Cosa succede tesoro?» mi domandò dolcemente mia madre.
«Avevi ragione» risposi con la voce ovattata.
«Su cosa?»
«Gli uomini sono stronzi»


Ormai mi ero arresa all'idea che ben presto Benedetta e Federico avrebbero fatto coppia fissa. Ogni secondo avevo paura che il mio telefonino squillasse ed emettesse la voce gioiosa di Germa che mi avvisava del suo nuovo boyfriend. Oltre al fatto che la mia migliore amica ben presto si sarebbe messa con il ragazzo che mi piaceva, la cosa peggiore era che io avrei dovuto far finta di niente, anzi, apparire felice davanti ai miei due migliori amici. Non so se sarei riuscita in quell'impresa.
Per non parlare poi del problema Edoardo. Mancavano meno di 11 giorni a quella festa ed io non avevo uno straccio di ragazzo. E se avessi chiesto aiuto a Raffaele?
Ero accoccolata sul divano a guardare un film insieme a mio fratello e continuavo a guardarlo in cerca del coraggio per chiedergli un consiglio, anche se lui non era esattamente la persona adatta.
«Perchè mi fissi?» domandò brusco.
Tentennai qualche attimo, passandomi le mani tra i capelli.
«Allora» cominciai intimidita «È una domanda un po' sciocca, solo una curiosità» avevo la voce tremante.
«Muoviti, che sto perdendo tutto il film» mi incalzò svogliato.
«Ma tu, se per caso dovessi fingere di essere fidanzato, ma in realtà non hai la ragazza, come faresti?»
Lui mi guardò dubbioso e io gli sorrisi, cercando di apparire il più tranquilla possibile.
«Che razza di domanda è?!» sbottò d'un tratto.
«Si fa per parlare!» risposi inacidita.
«Ci sono tanti argomenti di cui parlare»
«Rispondi e basta!» gridai.
Lui alzò le spalle, assumendo un'espressione di rassegnazione. Per fortuna che non era per nulla sveglio e non gli sarebbe minimamente passato per la testa di pensare che io avessi bisogno di un fidanzato.
«Pagherei qualcuno» rispose.
«In che senso?» chiesi curiosa e dubbiosa allo stesso tempo.
«Un'accompagnatrice» spiegò con le virgolette.
Rimasi un attimo sconcertata, quasi imbarazzata da quella proposta. Non volevo chiamare un accompagnatore per fingere che fosse il mio fidanzato, ma avevo un'idea migliore? No, purtroppo e quella sembrava essere l'ultima spiaggia.
Mi alzai di scatto dal divano, nascondendomi nella mia stanza. La percorsi tutta un centinaio di volte, riflettendo, in cerca di qualche altra soluzione per la mia situazione incasinata. Ma più mi sforzavo e più quella dell'accompagnatore mi sembrava l'idea migliore. No, non potevo farlo! Era una cosa troppo imbarazzante! Anche se, se non avessi trovato Edoardo, potevo ufficialmente dire addio alla mia reputazione.
Mi sedetti alla scrivania e tremante digitai sulla tastiera: accompagnatore. Deglutii varie volte prima di decidermi a premere invio. Il mio dito si muoveva a rallentatore, fino a che non lo schiacciò. Chiusi gli occhi, in panico, per paura di chissà cosa potesse apparire.

Accompagnatori per signore.

Entrai in quel sito con il cuore in gola, ma fortuna per me, non c'era nulla di scabroso, se non foto di facce e fisici scolpiti. Oddio, lo stavo facendo davvero? Ero arrivata perfino a pagare qualcuno per una stupida bugia? Forse avrei fatto meglio a dire la verità e al diavolo la mia reputazione. Scossi la testa, dovevo farlo, assolutamente, non volevo apparire come la sfigata.
Entrai nel profilo, se così si può definire, di tale Blaine e sfogliai la sua galleria fotografica, nella quale non si vedeva mai il suo viso per intero, ma solo squarci di occhi castani e profondi e profili sfuggenti in cui non si poteva apprezzare granchè. Le immagini del suo fisico, invece, si sprecavano. Mi sentivo accaldata a vedere quel corpo magro e leggermente disegnato dai muscoli. I miei ormoni, fino a quel momento assopiti, si erano svegliati e si facevano sentire eccome. Sicuramente stavano festeggiando con limbo e champagne dentro di me. Mi incantai nel guardarlo e mi sentivo tremendamente scema.
«Ciao tesoro!» mia madre comparì sulla porta, con un sorriso enorme.
Scattai in piedi, facendo cadere la sedia per terra e parandomi davanti al pc. Lei aveva il brutto vizio di non bussare mai prima di entrare ed era in grado di beccarti nei momenti meno opportuni, tipo quello.
«Cosa stavi facendo?» domandò sporgendosi in avanti curiosa di sapere che cosa nascondesse il desktop.
«Nulla, perchè?» risposi facendo finta di nulla, sembrando il più naturale possibile, anche se o miei movimenti macchinosi erano ben altro che naturali.
Mia madre socchiuse gli occhi, dubbiosa e sapevo che la curiosità la stava mangiando da dentro. Ma, con il tempo, aveva imparato a non intromettersi nella privacy altrui, anche se le costava parecchio, ficcanaso com'era.
«Volevo solo dirti che sono rientrata» mi sorrise e io feci lo stesso, salutandola poi con la mano, dicendole implicitamente di andarsene.
Raccolsi la sedia e mi ci lascia andare sopra non appena mia madre fu fuori. Per un momento avevo creduto di morirle davanti per un attacco cardiaco. Sospirai passandomi una mano tra i capelli. Torniamo a noi, pensai. Afferrai il cellulare e, esitante, digitai il numero di cellulare di Blaine. Lo osservai a lungo, non sapevo se realmente volevo chiamarlo. Mi sembrava una cosa così impura e sporca. Ma, prima che potessi decidere realmente cosa volessi fare, il mio dito aveva schiacciato il tasto verde di chiamata.
«Buonasera, qui parla Blaine» la sua voce calda mi avvolse all'istante, anche se la presentazione sembrava più di un operatore di una compagnia telefonica.
Farfugliai, cercando di raccattare più aria che potevo e sventolandomi con una mano per il caldo che sentivo.
«Con chi ho il piacere di parlare?» domandò.
Le parole facevano fatica a uscirmi dalla bocca. Ero ancora in tempo per mettere giù quella telefonata e tornare indietro, trovare una soluzione migliore o venire allo scoperto.

Non ero riuscita a chiudere quella telefonata e ora ero tesa e nervosa seduta al tavolo della cucina che lo aspettavo per l'appuntamento che mi aveva fissato. La cosa era complicata da spiegare al telefono, perciò avevamo deciso di incontrarci. E la cosa mi rendeva ansiosa, soprattutto perchè Raffaele, di sabato pomeriggio, era in casa. Tamburellavo l'indice sul tavolo scandendo il tempo che lento scivolava via.
«Ma quando arriva» sbuffai elettrica, alzandomi e vagando come un'anima in pena per tutta la casa.
Prima arrivava, prima gli spiegavo la situazione, prima sarebbe arrivata la festa e prima mi sarei liberata di lui.
Suonarono al citofono e mi precipitai a rispondere. Non chiesi chi fosse, ma gli indicai solo il piano. Mi sistemai i vestiti, i capelli e sfoggiai un sorriso dolce. Mi posizionai davanti alla porta aperta nell'attesa di vederlo arrivare. Quando lo vidi sbucare dalle scale, il mio sorriso si spense. Era una presa in giro, forse? Ok che dalle foto non si vedeva molto, ma non me lo aspettavo così orrido. Aveva due piccoli occhi castani circondati da fini occhiali in stile Harry Potter, i capelli radi e di uno strano arancione spento e un fisico secco nascosto da strati di vestiti invernali.
«Oh mio Dio» mormorai.
Mi scansai per farlo entrare e chiusi subito dopo la porta rumorosamente. Sospirai, chiudendo gli occhi e autoconvincendomi che lui sarebbe stato il mio fidanzato. A questo punto sarebbe stato meglio dire la verità.
«Ciao» gli dissi cercando di essere cordiale.
«Ciao» rispose insicuro lui.
«Grazie per essere venuto»
Lui mi guardò confuso, grattandosi la testa.
«Allora, la cosa è complicata» esordii prendendolo per un braccio e trascinandolo sul divano «Tu sarai Edoardo» gli dissi, vedendo che la sua espressione di faceva sempre più perplessa.
«Sei sicura di star bene?» mi domandò con la sua voce pecorina.
Ci guardammo ed entrambi eravamo dubbiosi. Suonarono nuovamente al citofono e, seccata, andai a rispondere.
«Sono Blaine» mi disse.
«Quarto piano» mormorai, aprendo il portoncino.
Mi volti lentamente, rimettendo a posto la cornetta del citofono. Guardai il ragazzo seduto sul mio divano, incurvato, che si stringeva le ginocchia.
«Tu chi sei?» gli domandai.
«Alberto, piacere» rispose alzando una mano «Stavo cercando Raffaele, dobbiamo studiare insieme»
Sospirai per il sollievo di aver scoperto che quell'essere non fosse il mio accompagnatore e gli indicai la camera di mio fratello che raggiunse poco dopo. Mi voltai di nuovo verso la porta, adottando la stessa procedura di prima: sistemata ai capelli, ai vestiti e sorriso. Aprii la porta ritrovandomelo davanti in tutta la sua mediterranea bellezza: occhi scuri e profondi in cui annegare, capelli tendenti al nero tenuti corti e una fine barba a decorargli le guance. Lo guardai con la bocca aperta, quasi non avessi mai visto un bel ragazzo. Sentivo le gambe molli ed ero sicura che presto mi avrebbero abbandonata ed io sarei collassata come un sacco svuotato dalle patate.
Mi sorrise sensualmente e io feci lo stesso, anche se il mio era estremamente idiota.
Ero stupita. Lui era Edoardo, esattamente come me lo ero immaginata.

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Ciao a tutti!
Come andiamo?!
Mi scuso per il ritardo, ma ho avuto da studiare. Ho deciso che posterò una volta a settimana (se ci riesco, ovvio xD) e come giorno ho scelto o il sabato o la domeinca, dipende quando riuscirò a fare la revisione finale del capitolo.
Finalmente il sesto capitolo, molto denso e ricco di avvenimenti. Primo tra tutti, un avvicinamento tra Alice e Davide, Federico e Benedetta e l'arrivo di Blaine. Il prossimo capitolo, ovviamente, sarà quasi interamente dedicato a lui *____*
Spero che vi piaccia, a me non entusiasma molto, credo che sia motlo sotto le mie capacità. Ma questo è il meglio che sono riuscita a scrivere.
Poi, volevo fare delle precisazioni sulla storia. È ambientata nel mio paese, in provincia di Milano, di cui però non dirò mai il nome, così come del liceo che è quello che ho frequentato io. La linea 30 è l'autobus che prendevo io solitamente, anche se in realtà ha un altro nome. Infine, la cioccolateria esiste davvero.
Passiamo ai ringraziamenti.
Grazie alle persone che hanno recensito lo scorso capitolo, le 6 persone che hanno innserito la storia tra le preferite, all'unica che l'hai inserita nelle ricordate e alle 27 che l'hanno inserita nelle seguite e a tutte quelle che leggono e basta.
Ricordo, come sempre, il mio profilo facebook dove potrete trovare foto e anticipazioni.
Un bacio a tutti, Manu ♥

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Capitolo 6
*** Gigolò ***


Ed ecco l'attesissimo capitolo interamente dedicato al nostro caro Edoardo/Blaine.
Nulla da dirvi, se non buona lettura.







C a p i t o l o 5

Gigo


Rimasi a fissarlo per un tempo indeterminato, totalmente rapita dai lineamenti decisi del suo viso, il naso marcato, due labbra fini che sembravano essere di velluto, le sopracciglia folte e leggermente arcuate che rendevano ancora più seduttivi i suoi occhi penetranti.
Mi scansai con movimenti meccanici per farlo entrare, evitando di non continuare a squadrarlo come una ragazzina infoiata guidata solo dagli estrogeni. Si tolse la giacca svelando un golfino blu attillato abbinato ad una polo azzurra, che lo rendevano altamente sexy e desiderabile. Sempre come un automa, afferrai la sua giacca appendendola accanto alla porta.
Mi voltai, congiungendo le mani dietro la schiena, sorridendogli, cercando di nascondere il mio imbarazzo crescente. A giudicare dalle mani in tasca e dal suo dondolare da un piede all'altro, non ero l'unica ad essere intimidita. La cosa mi stranì: uno gigolò che si imbarazzava? C'era qualcosa che non andava. Mi sorrise di sbieco e schioccò la lingua prima di parlare.
«Cercavo tua madre»
La sua voce, già avvolgente al telefono, dal vivo era ancora più sensuale. Sentivo il viso rovente come se il sole torrido d'agosto nel bel mezzo del Sahara mi stesse colpendo in pieno.
Gli sorrisi, capendo solo in quel momento la ragione per il suo imbarazzo: non aveva compreso che la squinternata che lo aveva chiamato ero io. Ero sempre sul punto di dirglielo, ma le parole mi morivano in bocca per l'imbarazzo e ne usciva solo un respiro profondo.
«Sono un suo amico» aggiunse.
Deglutii e schioccai la lingua, prima di avvicinarmi a lui
«A-Alice» balbettai.
Blaine mi guardò con occhi spalancati e stupiti. Si grattò una guancia, aprendo poi la mano e massaggiandosi il mento. La lasciò ricadere lungo il fianco e socchiuse gli occhi, indicandomi.
«Quindi...» lasciò la frase a mezz'aria, roteando l'indice.
Annuii, prevedendo quale fosse la sua domanda, ossia Mi hai chiamato te. Scoppiò in un risolino divertito che mi mise a disagio, più di quanto già non fossi. Mi strinsi nelle spalle, unendo le mani sotto il ventre.
«Devo ammettere che non me l'aspettavo. Di solito le mie clienti sono più stagionate» disse lui, ispezionando il pavimento di granito del salotto, scuotendo quasi impercettibilmente la testa «Ma tant'è» sollevò lo sguardo immergendolo nel mio.
Mi allungò la mano e la strinsi con poca convinzione, sentendo la sua pelle ruvida contro la mia provocandomi un brivido lungo tutto il braccio.
«Blaine» sorrise, mostrando i denti bianchi e perfetti «Alias Dario»
Appena liberò la mia mano, la ritrassi all'istante, racchiudendola nell'altra. Il mio rapporto con il sesso opposto era davvero tremendo, sembrava quasi una tortura da sopportare per me e lo capivo ogni giorno di più. Se andavo avanti di questo passo sarei realmente morta vergine.
Mi morsi le labbra, dubbiosa. Mi incuriosiva il fatto che avesse usato un nome d'arte per presentarsi su quel sito, nonostante poi dicesse alle sue clienti il suo vero nome. Ma rimasi con la mia sviluppata curiosità ereditata da mia madre, l'unica cosa oltre al sesso femminile, che, sapevo, mi avrebbe tormentato ogni singolo istante.
Dario incrociò le braccia al petto, guardandomi con uno sguardo infuocato e le labbra arricciate. Se non fossi stata Alice Livraghi, ma qualsiasi altra donna, gli sarei saltata addosso e avrei consumato con lui. Non sapevo se quello si essere me stessa era un bene o meno.
«Allora?» incalzò lui.
«Allora cosa?» domandai confusa.
Blaine, alias Dario, mi guardò turbato con un sopracciglio abbassato.
«Avevi detto che mi dovevi spiegare una cosa, no?!» mi delucidò.
«Ah sì certo!» caddi dalle nuvole, il mio luogo vacanziero preferito, e risi nervosamente.
Quel ragazzo mi aveva frastornata talmente tanto che le mie sinapsi non riuscivano a connettersi a dovere. Con un gesto della mano gli dissi di seguirmi nella mia camera, l'unico posto dove potevo avere un po' di privacy. Con Raffaele in giro e il possibile rientro di mia madre, che non si sapeva mai quando potesse capitare, il salotto era pericoloso, un territorio neutro in cui potevo essere liberamente attaccata. La mia stanza, invece, era terra nemica e Raffaele non poteva sporgere nemmeno il naso dentro di essa.
Mi richiusi la porta a chiave alle spalle, appoggiandomi contro di essa qualche secondo, sorridendo a Dario che si era accomodato sul mio letto.
«Prima di tutto devo farti una domanda» il suo tono di voce era roco e basso, rendendo la sua voce ancora più sensuale. Si allungò sul letto, appoggiandosi ai gomiti e facendo risalire i jeans che lasciavano ben poco all'immaginazione «Quanti anni hai?»
L'unica cosa che riuscii a fare era continuare a guardarlo e basta. Non riuscivo a muovermi, non riuscivo a parlare, ero semplicemente congelata. La domanda era stata semplice e chiara, insomma, non mi aveva mica chiesto l'inventore della pentola a pressione! Eppure, non riuscivo a rispondergli. I suoi occhi mi incitarono, seguito da un gesto rapido della mano.
«Di-Di» tentennai. Chiusi gli occhi e presi un respiro profondo, estraniandomi completamente da quella camera e immaginando di essere da sola «Diciassette, diciotto il 13 marzo!» dissi tutto d'un fiato, ridendo poi soddisfatta, non riuscendo però a riaprire gli occhi. Ero riuscita ad entrare in un momento di pura tranquillità dal quale non volevo più fuggire.
Fu un attimo che sentii dita delicate solleticarmi il braccio, percorrerlo, passando poi al collo e fermandosi all'altezza della mia guancia. Avrei potuto aprire gli occhi, ma erano incollati. O semplicemente quel contatto non era per nulla spiacevole. Il pollice mi accarezzò la gota e l'altra mano di Dario andò a finire sul mio fianco, spingendomi verso di lui. Ad un tratto sentii il suo bacino, compreso il suo prosperoso allegato, sfregare contro il mio. Tremavo e il respiro era diventato affannoso e irregolare. Mi decisi ad aprire gli occhi e a spingerlo via, dileguandomi svelta da lui, sedendomi sulla mia sedia girevole.
«Ma sei impazzito?!» sbraitai, con gli occhi sbarrati, abbracciandomi come per nascondermi e accavallando le gambe in modo pudico.
«Perchè ti sei tirata indietro?» chiese scocciato.
Aveva anche la faccia tosta di fare l'irritato!
«Tu volevi» iniziai con tutto il fiato che avevo in corpo, che venne meno quando dovevo pronunciare la parola sesso, che, ovviamente, non venne proferita dalle mie labbra «Sì, insomma, quello!» continuai scioccata.
«Mia cara, è il mio lavoro» sorrise spavaldo, avvicinandosi felino a me, slacciandosi i bottoni del golf «E tu mi hai chiamato per questo»
«Mi dispiace sgonfiarti l'aureola, ma non ti ho chiamato per questo» mi allontanai con la sedia, sbattendo più volte contro la scrivania e l'armadio.
«Pensavo tu volessi andare subito al sodo» continuò, privandosi completamente di quel golfino, scoprendo le braccia forti e un tatuaggio su quella destra, lanciandolo sul letto.
«Al sodo?!» esplosi con voce indignata e cavernosa, quasi fossi stata posseduta da uno strano demone, fermandomi nel mio peregrinare con la sedia «E cosa te lo ha fatto pensare?»
Dario mi guardò con sufficienza, facendo un gesto vago con la mano.
«Solitamente le clienti, per telefono, sono molto timide e non hanno il coraggio di dirmi che vogliono andare subito al sodo, ma me lo fanno capire appena metto piede in casa loro» mi rivolse uno sguardo provocante che mi destabilizzò, ma cercai di non darlo a vedere, anche se il mio corpo parlava da solo. Mi ero chiusa nelle spalle e stringevo forte le ginocchia, quasi a difendermi dal suo fascino ipnotizzante.
«Quando mi hai portato in camera, credevo che tu volessi fare sesso»
«Mi dispiace, ma hai frainteso» mi affrettai a dire.
«Allora mi scuso» alzò le mani in segno di resa e mi sorrise deliziosamente.
Scossi la testa facendogli capire di non preoccuparsi.
«Cosa desideri fare, allora?» domandò «Vuoi uscire con me, vuoi sfogarti, vuoi sentirti importante» continuò con tono basso, affascinante «Sono qui al tuo servizio, piccola»
Mi morsi le labbra e giocai con una ciocca di capelli che mi ricadeva sulla spalla. Avrei dovuto spiegargli la situazione, ma mi trovavo in difficoltà e mi imbarazzava parlare ad un estraneo della mia vita privata. Ero sicura che se gli avessi detto la verità mi sarebbe scoppiato a ridere in faccia.
Il mio segreto non sarebbe stato più solo mio, ma lo avrei dovuto condividere con lui e questo non mi piaceva affatto. Ma dovevo farlo.
Mi sistemai meglio sulla sedia e mi schiarii la voce con un colpo di tosse. La mia gamba destra cominciò a muoversi nervosamente e le pellicine delle mie mani cominciavano ad essere invitanti. Ne staccai una, mentre Dario, con lo sguardo, mi incitava a spiegargli la situazione.
«Mi prometti che non riderai?»
Lui annuì, baciandosi le dita unite a croce e, con un gesto fluido della mano, mi esortò a continuare.
«A San Valentino ci sarà una festa alla mia scuola. Avevo detto di avere un fidanzato che, ovviamente, non esiste e sono costretta ad andare se non voglio risultare una sfigata» mi fermai per prendere fiato e mi soffermai sull'espressione interessata di Dario «E quindi ti ho chiamato perchè tu fingessi di essere il mio ragazzo»
Silenzio. Lui mi contemplava senza dire nulla e dal suo viso non traspariva nessuna emozione, era di ghiaccio. Intrecciai le dita, torturandole e pazientando per avere un suo parere, per sapere che cosa pensasse. Ogni secondo in cui lui non apriva bocca era un respiro perduto.
«E perchè dovresti andarci per forza?» ruppe finalmente quel silenzio cristallizzato.
«Bè, perchè» esitai un attimo.
Quello era il momento in cui mi sarebbe piaciuto scivolare sotto il letto ed esalare l'ultimo respiro, o in alternativa, trovare una lampada con un genio per esprimere tre desideri. Per prima cosa avrei chiesto di tornare indietro nel tempo, così da non averlo davanti a me in tutta la sua sensualità, poi gli avrei chiesto un fidanzato, magari Federico Abbate, anche se il Genio di Aladdine era stato abbastanza chiaro con le regole, tra cui figurava "Non posso fare innamorare nessuno", ma avrei trovato una soluzione; e come terzo desiderio, the last but not the least, di non avere più la cellulite. Respirai a fondo.
«Ho sempre finto di avere dei fidanzati, ma in realtà non ho mai neanche dato il primo bacio. Non voglio che i miei compagni lo vengano a scoprire» abbassai il tono, rendendolo quasi fanciullesco.
Dario si alzò in piedi e contrasse il volto in una smorfia incredula. Rise tra sé e sé, grattandosi la nuca e passandosi indice e pollice sugli occhi, i quali scivolarono in un attimo nei miei.
«È uno scherzo, vero?» il suo tono era estremamente serio.
Alzai le spalle, allargando le braccia e facendogli un sorriso.
«Ti prego, dimmi che è uno scherzo organizzato da qualche mio amico» continuò a nervi tesi.
«Vorrei dirti di sì, ma mentirei. E ho già detto abbastanza bugie»
Dario emise un Cazzo, atono, e nascose una mano nella tasca dei jeans, estraendo da essa un pacchetto di Marlboro rosse.
«Ho bisogno di una sigaretta» mormorò, avvicinandosi alla finestra, aprendola, e piantandosene una in bocca.
Scattai in piedi e lo raggiunsi come una furia strappandogli via quell'arnese. In camera mia era proibito fumare, non volevo puzzare di tabacco e, soprattutto, non volevo una nuvola di olezzo nella mia splendida camera, come in quella di Raffaele. Mi bastava quel leggero tanfo che mi lasciava addosso mio fratello. La gettai dalla finestra e lo guardai severa, con le mani sui fianchi.
«In camera mia non si fuma!» scandii con decisione, sotto lo sguardo attonito di Dario.
Tornai alla mia sedia, sedendomi a braccia incrociate e con le gambe accavallate. Blaine rimase davanti alla finestra aperta a contemplare i palazzi, con i gomiti sul davanzale e scuotendo varie volte la testa, lanciandomi ogni tanto uno sguardo.
«Non ti ho mica chiesto la luna!» sbottai indispettita, attirando la sua attenzione «Cosa c'è di così strano in questa richiesta?»
«Mi chiedi anche cosa c'è di strano?!» ripetè, avvicinandosi pericolosamente a me a braccia incrociate.
Si piegò verso di me, puntando i suoi occhi vogliosi nei miei. Con l'indice e il medio camminò lungo la mia coscia, aprendo poi la mano altezza del fianco e spingendomi con violenza verso di lui per farmi alzare, sbattendo via con un calcio la sedia. Sbattei violentemente contro di lui trovandomi ad una distanza davvero troppo ridotta dal suo corpo e dalle sue labbra rosee mentre la sua mano mi stringeva forte da dietro. Le nocche magre di Dario si posarono con delicatezza sulla mia guancia e percorsero il mio profilo fino a sfiorarmi il mento, che poi prese tra le sue dita virili, avvicinandomi al suo viso. Sentivo il suo fiato caldo sul viso e le pulsazioni che, violente, mi rimbombavano nelle orecchie e nelle tempie. Strusciò contro di me, facendomi nuovamente sentire quanto fosse maschio. Mi sentivo percorsa da scosse e mi sentivo strana, mi sentivo fremere, le gambe tremavano e avevo quasi voglia di saltargli addosso. Molto probabilmente ero eccitata, per la prima volta nella mia vita, nel vero senso della parola.
Ero emozionata, intimidita da lui. Ma il disagio che provavo con lui era ben lontano da quello che mi provocavano Davide e Federico. Con lui era più una questione fisica. Abbassò il viso, incastrandolo tra il collo e la spalle, soffiandoci sopra, facendomi vibrare. Un bacio e poi ancora i suoi occhi nei miei. Le sue labbra si avvicinarono alle mie pericolosamente e in quel momento feci un passo indietro, ritraendomi.
Dario mollò la presa, lasciandomi libera e sorridendo soddisfatto.
«Capito ora cosa c'è di strano» mi disse, mettendo una mano in tasca.
Rimasi impalata di fronte a lui, ancora scombussolata per quel gesto inaspettato, con una mano appoggiata sulle labbra, ancora con la spina dorsale percorsa da strani tremiti . Scossi la testa, con gli occhi spalancati per la sorpresa e l'emozione di quel momento e lui rise ancora.
«Come credi che gli altri credano che io e te» ci indicò, uno dopo l'altro «siamo fidanzati?»
Deglutii, rimanendo però nel mio mutismo e nella mia immobilità.
«Sarebbe chiaro perfino ad un cieco che io e te siamo due estranei» continuò contrariato «Per non parlare poi del fatto che tu non abbia mai dato il tuo primo bacio» la sua voce era diventata secca e decisa «ed è risaputo che per una ragazza il primo bacio è importante e che non lo sprecherebbe di certo con un estraneo. Quindi, spiegami come possiamo fingere di essere fidanzati?»
Mi gettai a peso morto sul letto gonfiando il petto d'aria e sgonfiandolo poco dopo. Nemmeno l'ultima spiaggia avrebbe potuto salvarmi e il tono adoperato da Dario nella sua filippica non aveva fatto altro che distruggere di più il mio morale, già a terra da parecchio tempo.
«Non lo so» soffiai.
Dario alzò un sopracciglio e un sorriso sornione si disegnò sulle sue labbra. Sembrava compiaciuto della sua missione e lo avrei soffocato col mio cuscino e ballato sul suo cadavere, se non fosse stato che mi mancavano completamente le forze per alzarmi da lì.
«È meglio che io vada» disse rimettendosi il golf e avviandosi verso la porta.
«Scusa se ti ho fatto perdere tempo» mormorai.
Il piano era: puntare sul senso di colpa. Sarebbe mai stato in grado di abbandonare una giovane e dolce donzella in difficoltà?
«Vorrà dire che la mia adolescenza sarà rovinata» mi sdraiai su un fianco, dandogli le spalle «Diventerò una donna depressa, che a quarant'anni tenterà il suicidio perchè un accompagnatore non ha fatto il suo lavoro» sospirai
Silenzio. Non un movimento, non un parola, nessuna porta che si apriva e si richiudeva. Alice Livraghi aveva fatto centro. Mi voltai un po', il necessario per sbirciare che cosa stesse facendo Dario. Era immobile con la mano appoggiata alla maniglia mentre l'altra vagava incerta sulla sua nuca. Tanto che c'ero mi soffermai sul suo lato B, assai sviluppato e tondo, da massaggiare tutto. Mi girai ancora per poterlo squadrare al meglio, ma il bordo del letto arrivò troppo presto ed inaspettato, tanto che caddi con un tonfo che solo un rinoceronte avrebbe potuto generare, o in alternativa mio fratello, sbattendo la testa. Dario si girò all'istante, rimbalzando il suo sguardo tra il letto e me, accorgendosi che ero capitombolata in modo scomposto a terra, con una gamba ancora appesa al letto. Si affrettò a soccorrermi, accovacciandosi alla mia altezza e porgendomi il suo avambraccio. Lo afferrai con decisione, rialzandomi con poca grazia.
«Ma quanto pesi?!» commentò sfiatato Blaine, alzando quel cadavere che ero io.
«Affari miei!» ringhiai.
Appena fui sui miei piedi gli diedi un pungo nel fianco facendolo piegare. Scoppiò poi a ridere, una risata atona, inframezzata da qualche acuto che contagiò anche me.
«Ti sei fatta male?» mi chiese, con le lacrime agli occhi e senza fiato.
«No» risposi tra uno spasmo e l'altro, anche se la testa mi doleva e non poco.
Respirò profondamente per cercare di smettere di ridere. Si asciugò gli occhi e tornò improvvisamente serio, fissandomi profondamente.
«Ti aiuto» disse quasi sconsolato.
I miei occhi si illuminarono. Saltellai sul posto, battendo le mani e lo abbracciai forte, quasi lo volessi stritolare.
«Grazie, grazie, grazie!» trillai felice.
«Lo faccio solo perchè non voglio avere donne quarantenni depresse sulla coscienza» ribattè lui, soffiandomi sul collo e ricambiando la mia stretta. Inaspettatamente.
Affondai il viso nel suo golfino riempiendomi i polmoni del suo odore piacevole e penetrante, nonostante una distante nota di tabacco. Mi lasciai cullare dal suo respiro regolare, chiudendo gli occhi per godere a pieno di quel momento. Sarei rimasta tra le sue braccia anche ore intere senza stancarmi, ma purtroppo era solo una stupida fantasia.
«Mi stai stritolando» mi disse con voce stridula.
Lo lasciai all'istante, stringendo le mani dietro la schiena, imbarazzata per quello che era appena successo. Dario fece un risolino divertito e si adagiò nuovamente sul mio letto. Con una mano battè accanto a sé invitandomi a sedermi vicino a lui. Intimorita accolsi il suo invito, stando però il più lontano possibile da lui. Aveva notato il mio disagio, ne ero più che certa, soprattutto per il modo delicato con cui mi guardava.
«Parlami un po' di questo fidanzato immaginario, almeno mi faccio un'idea di chi devo diventare»
«Allora» lo guardai con occhi grandi e briosi «Ti chiami Edoardo, hai ventidue anni e ci siamo incontrati quattro anni fa alla fermata dell'autobus. Da lì siamo diventati grandi amici e da qualche tempo hai iniziato a corteggiarmi»
Dario sogghignò, portandosi discretamente una mano davanti alla bocca per non farsi vedere dal mio occhio vigile.
«Perchè ridi?» domandai dubbiosa.
«Sei buffa» rispose, facendomi un buffetto sulla guancia «Sembri mia sorella!»
«Hai una sorella?» ero stupita.
«No» ridacchiò «Ma se l'avessi sarebbe esattamente come te»
Scrollai le spalle. Non mi sarebbe affatto piaciuto avere un fratello come lui perchè sarei stata l'unica sfigata a non poter ambire ad averlo, anche se avrei nettamente preferito essere sua sorella piuttosto che di Raffaele.
«E da quanto tempo stiamo insieme?» domandò «Io, Edoardo, e te» puntualizzò.
«Facciamo due mesi?»
Dario annuì, poi battè le mani alzandosi. Si sistemò gli abiti, alzando i pantaloni che erano scesi lievemente. Si aprì in un sorriso sadico che mi spaventò.
«Le mie tariffe sono 300 euro a uscita, 420 per servizi notturni e 480 per cose più piccanti» disse, adeguandosi al mio modo di parlare.
Sbarrai gli occhi, spalancando la bocca, incredula. E dove potevo trovare una somma tale? 300 euro per il mio scarno borsellino erano troppi.
«E dove li trovo tutti questi soldi?» piagnucolai.
Dario scrollò le spalle.
«Non è un problema mio» disse con noncuranza.
Sospirai, prendendomi le guance tra le mani. Che cosa potevo fare? Non potevo di certo arrendermi adesso, soprattutto dopo che c'era stato quell'avvicinamento del quarto tipo con lui. E non volevo ritrovarmi nella stessa identica situazione di partenza.
Come potevo pagarlo? Non avevo soldi e non potevo di certo chiederli a mia madre, non sarebbe mai stata disposta a sborsare 300 euro ad uscita per pagare un prostituto. Avrei potuto rubarli a mio fratello, ma sicuramente li aveva spesi tutti tra sigarette e film porno.
Una rapina in banca? No, non volevo finire in carcere.
Elemosina? No, sarei stata poco credibile.
Un prestito alle mie amiche? No, Benedetta sarebbe scoppiata a ridermi in faccia, non spendeva soldi per lei, figurarsi se me li prestava e Claudia era senza paghetta.
«Non posso permettermelo» soffiai, demoralizzata.
«Puoi anche pagarmi in comode rate» sogghignò divertito.
«Pensavo tu fossi un accompagnatore e non un materasso» dissi sarcastica.
Rise.
«Posso anche concederti un piccolo sconto, ma non troppo. Devo pur campare»
Lo accompagnai alla porta e avevo esattamente venti secondi per trovare una soluzione, un tempo davvero ridotto per un problema più grande di me. Gli porsi il giubbotto e aprii la porta. Dario si sistemò il colletto della polo e raggiunse il pianerottolo, guardandomi interrogatorio, infilandosi le mani in tasca.
«Cosa hai intenzione di fare?»
Lo guardai con labbra increspate, picchiettando l'indice contro la porta.
«Sei assunto» risposi, anche se non sapevo dove trovare i soldi.
Dario ridacchiò. Forse Assunto non era il termine più adatto da usare, ma era stata la prima cosa di senso compiuto a balzarmi in mente.
«D'accordo, allora» estrasse le mani delle tasche, battendole contro le cosce «Ci vediamo domani» mi sorrise sensualmente e non riuscii nemmeno a dire nulla, nemmeno un Ok, che lui era galoppato via lungo le scale.
Mi richiusi la porta alle spalle e rimasi appoggiata ad essa per qualche secondo. Quella era stata l'esperienza più strana ed eccitante della mia vita, uno dei miei primi contatti fisici con un uomo, la prima volta che mi ero sentita fremere tutta e con tutto intendo anche ciò che si trovava a sud dell'equatore.
Ma come pagarlo? L'unica cosa che mi veniva in mente era lavorare. Io, sfaticata com'ero, dovevo mettermi a lavorare?! Noia! Per di più, l'unico mestiere che potevo fare era la baby-sitter, o in alternativa, la dog-sitter. Peccato che io non sopportavo i cani, facevo parte del cat-team. Accudire i bambini mi sembrava una buona idea, nonostante il mio rapporto altalenante con quei piccoli diavoli.
«Chi era quel ragazzo?»
Mia madre, come un fantasma dei peggiori film horror, sbucò fuori dalla cucina, ancora vestita per l'appuntamento galante che aveva con un uomo. Sobbalzai inizialmente, poi mi irrigidii quando compresi la domanda.
«Un amico» mentii con un sorriso, dileguandomi velocemente.
«Certo, un amico» mia madre alzò le sopracciglia maliziosamente, bloccandomi tra il salotto e l'anticamera.
«Esatto, mamma, solo un amico!» quasi gridai, irritata dalla curiosità irrefrenabile di quella donna.
«Un po' speciale, direi, visto che è uscito dalla tua stanza» mi fece un occhiolino complice.
Non ero sicura di dove volesse andare a parare, fin quando non mi si parò davanti, stringendomi le spalle con le sue dita affusolate e guardandomi seria, dall'altro in basso.
«Credo sia arrivato il momento, tesoro, di farti un discorso» sospirò «Ormai sei grande, hai un ragazzo speciale nella tua vita con cui vorrai fare sesso...»
«Mamma!» esplosi, interropendo quel discorso incandescente, nascondendomi il viso paonazzo tra le mani.
«Amore mio, prima o poi dovrà capitare e lui potrebbe essere il ragazzo adatto a te. Come hai detto che si chiama?» mi chiese d'un tratto.
«Non te l'ho detto»
«E come si chiama il mio futuro genero?» chiese sorridendo.
«Edoardo» risposi spazientita «E non sarà il tuo futuro genero. È solo ed esclusivamente un amico!» mi divincolai dalla presa «A M I C O!» cercai di essere il più categorica possibile, mettendola a tacere per qualche secondo.
Ne approfittai di quel silenzio per fiondarmi in camera mia. Ci mancavano solo le fantasticherie di mia madre e i suoi discorsi sul...sesso...campati in aria. Mi gettai di pancia e a peso morto sul letto, ritrovandomi con la faccia affondata nel cuscino che odorava di lui. Eau de Blaine. Respirai a fondo e avidamente quel profumo che mi inebriava. In nemmeno un'ora, Dario era riuscita ad invadermi, pervadermi, conquistarmi, sconvolgermi con i suoi occhi e la sua semplicità.
Mi misi a guardare il soffitto riflettendo su di lui. Non riuscivo a capire perchè un ragazzo giovane come lui faceva lo gigolò. Solitamente le persone che facevano quel mestiere erano disperate, avevano problemi finanziari o dovevano aiutare familiari malati o, peggio ancora, erano obbligati. Non volevo minimamente pensare a cose del genere, mi sarebbe venuto un enorme magone che mi avrebbe accompagnata per giorni interi. Povero Dario, qualsiasi cosa lo affliggesse.
Il cellulare sulla scrivania emise la suoneria stupida e fanciullesca che usavo per i messaggi. Mi alzai di malavoglia, strascicando, convinta che fosse nuovamente la Vodafone con le loro inutili offerte che a me non interessavano affatto. Era già un miracolo che mandavo un SMS al mese!
Aprii il messaggio e la seccatura sparì in un attimo, venendo sostituita da incredulità, rabbia, gelosia. Come rovinare una giornata che fino a quel momento era stata fantastica? Ricordarsi di Federico Abbate, della mia cotta per lui, della mia migliore amica che stava per avere la meglio. Anzi, l'aveva avuta. Un messaggio lapidario, quattro semplici parole che mi distrussero nel giro di pochi secondi.

Federico mi ha baciata.

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Salveeeeeeeeeee!
Primo giorno di vacanze, finalmente! Non ne potevo più! Tre giorni consecuitivi in cui ho avuto lezione fino alle cinque e mezza sono state un martirio. Un po' di riposo me lo sono meritata.
So che avevo detto che avrei postato o sabato o domenica, ma visto che molto probabilmente non ci sarà nessuno e il capitolo era pronto l'ho postato comunque.
Come avevo annunciato e come avete potuto leggere è arrivato Blaine/Dario/Edoardo! Si sa ancora molto poco di lui, ma si è già capito qual è la sua caratteristica fondamentale: la sensualità.
Mi è piaciuto molto scrivere questo capitolo, mi sono divertita e devo ammettere che Dario mi piace un sacco! Ma adoro anche Federico, un po' meno Davide ma chi  lo sa cosa potrà succedere nei prossimi capitoli?
Spero sia di vostro gradimento!
Arriviamo al momento dei ringraziamenti.
Ringrazio chi ha recensito la storia, chi l'ha inserita nelle seguite/ricordate/preferite e a chi ha letto solamente. Siete davvero un pubblico fantastico e il motore che porta avanti questa storia. GRAZIE davvero tante!
Vi ricordo la pagina facebook dove troverete piccoli spoiler, foto e tanto altro sulla nostra cara Alice.
Un bacio a tutti, al prossimo capitolo.
Un bacio, Manu ♥

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Capitolo 7
*** Don't call my name ***


Capitolo 6

Don't call my name


Rilessi quel messaggio una seconda volta, magari Dario mi aveva offuscato talmente tanto che leggevo cose inesistenti. Ma i miei occhi non mi avevano tirato nessun brutto scherzo, era stato il destino a prendersi gioco di me. Abbassai il braccio lungo il fianco, le dita divennero deboli e lasciarono cadere il cellulare. Due lacrime mi solcarono le guance, ma le asciugai subito appena mi accorsi che stavo piangendo. Federico Abbate non si meritava il mio dolore, nessun uomo le meritava, come diceva sempre mia madre.
Raccolsi la sedia da terra e con lei il mio cellulare. Mi sedetti davanti alla scrivania, appoggiandoci sopra la testa. Ero delusa, amareggiata, arrabbiata, gelosa e tutto questo avrei dovuto tenermelo per me, emozioni nascoste nella mia anima che mi avrebbero fatto esplodere, un giorno o l'altro, con conseguenze catastrofiche. Era tutta colpa mia, del mio continuare a fingere di avere un vita che non era la mia. E adesso ne avrei pagato le conseguenze. Bacini, abbracci, Abbate ovunque e diabete a volontà e non potevo reagire, ma solo dispensare sorrisi e felicità che in realtà non mi appartenevano.
Quella notte non riuscii a dormire, forse per l'intero pomeriggio passato al telefono con un'eccitata Benedetta che mi aveva raccontato per filo e per segno il loro bacio, compreso di lingue e contro-lingue. O forse perchè, appena chiudevo gli occhi, rivivevo il giorno in cui stavo per baciare Federico: i suoi occhi dolci nei miei, la sua voce delicata e le sue labbra che stavano per sfiorare le mie. Solo un'illusione, spazzata via dal vento nel giro di poco tempo. Sorrisi con disprezzo. Davvero avevo pensato che Federico provasse qualcosa per me? Era un ragazzo diciottenne con gli ormoni a palla, piacente ed era ovvio che dovevo essere solo una delle tante. Voleva solo fare sesso con me, preda facile e incantata dal suo fascino. E infatti, dopo nemmeno 48 h, aveva già cambiato spiaggia. Cretina io che pensavo sempre in positivo. Cretina io che mi facevo un sacco di seghe mentali. Cretina io che non riesco a comprendere gli uomini.
Passai tutta la notte a rigirarmi nel letto, ad accarezzare Milky, il mio antistress personale, a navigare in internet nei siti più disparati, sola nel mio dolore che non potevo condividere con nessuno. Decisi in quel momento che avevo definitivamente chiuso con Federico Abbate.
Fu facile, quindi, svegliarmi quella mattina nonostante fosse domenica. Mi alzai addirittura prima di mia madre, cosa mai accaduta in diciotto anni di vita. Non feci nemmeno colazione, non avevo fame, né tanto meno voglia di mangiare. Mi preparai con calma per la solita domenica con mio padre e mi stesi sul divano in sua attesa. Immaginavo anche quale sarebbe stata la nostra attività: il mercatino invernale che si teneva sempre la prima domenica di febbraio. Ormai era un'usanza da noi. Tanto che c'ero avrei invitato Claudia per farle conoscere mio fratello, così, per la felicità di Benedetta, anche lei avrebbe avuto l'onore di partecipare alla festa. Le scrissi velocemente un sms e sprofondai di nuovo nella mia tristezza.
Non diedi spiegazioni a nessuno, né a mia madre che da quando si era svegliata mi aveva tormentata di domande sul perché fossi sveglia così presto e per la mia aria affranta, né a Raffaele, meno invasivo, che aveva reagito con uno scrollo di spalle disinteressato.
«Oggi vieni al mercatino con me e papà?» gli chiesi, mentre si sedeva sul tappeto a guardare la tv.
«Perchè dovrei?» domandò scocciato.
«Ho invitato una mia amica che vorrebbe conoscerti» spiegai.
Raffaele si voltò a guardarmi con una mano sul mento e gli occhi a due fessure in un'espressione sarcasticamente interessata.
«E com'è?» chiese «Intendo...» fischiò, disegnando le curve un po' troppo prosperose di una ragazza immaginaria.
Alzai le spalle, curvando gli angoli della bocca.
«Decente»
«Decente come?» domandò dubbioso.
«Più o meno quanto me»
Lui arricciò il naso, allontanandosi da me e mi guardò con la tipica espressione schifata, emettendo poi un sonoro Bleah! A parte il fatto che non era assolutamente una cosa accettabile la faccia disgustata davanti ad una donna perchè tutte le donne sono meravigliose, in più provenisse da Johnny Depp! Gli tirai un calcio nel fianco con l'intento di fargli male, molto male e a giudicare dalla smorfia contrita di dolore e il suo accasciarsi a terra avevo portato a termine la mia missione.
«Se non ti va di conoscerla, peggio per te. Rimarrai zitello for ever!» gli feci una linguaccia.
«Vorrà dire che non sarai sola» ansimò.
Stavo per sferrargli un altro calcio, ma lui mi supplicò, sorridendo, di non farlo.
«Scherzavo, scherzavo!» si affrettò a dire, parandosi il viso con le mani «Verrò, visto che la folla mi desidera!» ridacchiò mio fratello, mettendosi nuovamente a sedere.
«Non montarti troppo la testa» lo avvisai, scocciata, scivolando lungo lo schienale del divano «Sei solo una copertura per la festa di San Valentino»
Il sorriso compiaciuto e pieno di ego maschile che fino a poco prima solcava il viso di Raffaele si spense subito non appena sentì quelle parole e vide il mio viso d'un tratto soddisfatto nell'averlo smontato in un tempo così breve. Zittire Smell non aveva prezzo, per tutto il resto c'era Master Card.
1 a 0 per Alice.

Ogni volta che venivo circondata dalle bancarelle di via Turati, principalmente di dolciumi e giocattoli, tornavo bambina. Camminavo mano nella mano di mio padre, l'uomo brutto dalla grande fortuna, invecchiato prima del tempo, dagli anonimi occhi castani e dai pochi capelli. Lui diceva che erano caduti per colpa dell'autunno, esattamente come le foglie. E poi scoppiava a ridere. Era una delle battute che propinava a tutti, sempre con scarso successo. L'unico a divertirsi era sempre e solo lui.
Vestiva sempre in modo casual, nella speranza di apparire più giovane o magari perché non accettava il fatto che il tempo passava anche per lui.
Raffaele e Claudia ci camminavano accanto. Tutto sommato il loro primo incontro non era stato così pessimo come credevo. Dopo il primo momento di smarrimento visibile negli occhi grigiastri di lei e le battute sconvenienti di mio fratello sulla voce non proprio melodiosa di Claudiano, avevano ritrovato l'armonia. Avevano scoperto di avere un sacco di cose in comune, dall'amore per i tatuaggi alle gare di rutti.
Orripilante!
Mi staccai da mio padre, raggiungendo una bancarella di vestiti.
«Qualcosa che ti piace?» mi chiese lui, raggiungendomi con un sorriso.
Avevo adocchiato un fantastico maglioncino bianco solcato da fini righe blu, di quelli lunghi da indossare con un paio di leggins, il collo blasonato e una cintura a filo color marrone che terminava in uno splendido fiore.
Mi addentrai tra gli improvvisati scompartimenti alla ricerca dell'oggetto delle mie brame. Afferrai la stampella al quale era appeso il mio futuro maglione, ma questo mi venne soffiato da sotto il naso. Chi osava impossessarsi del mio favolisissimo maglioncino? Chiunque fosse, non avrebbe avuto vita facile. Aprii uno spiraglio tra gli altri capi d'abbigliamento, furente.
«Scusa, ma lo avevo visto prima io!» esclamai indispettita.
La ragazza dai corti capelli castani e sbarazzini che mi stava davanti sorridendo spavalda aveva un viso familiare. La riconobbi solo quando parlò, con quel tono di voce civettuolo e insopportabile.
«Ciao Alice!» mi salutò.
Scomparve in un attimo, comparendomi davanti in tutta la sua stupidità.
«Gaia» dissi poco convinta, lasciandomi abbracciare da quella nana.
Mi era sempre riuscito difficile pensare che quella quattordicenne che si atteggiava a donna vissuta facesse parte della famiglia Abbate. Chissà se aveva realizzato il suo sogno di quando era ancora una bambina di otto anni, ossia fare sesso. Mi ricordavo ancora la mia espressione quando mi disse una cosa del genere, stile urlo di Munch. A giudicare dal suo atteggiamento, azzardai che la risposta fosse affermativa.
«Ehi guarda Fede c'è Alice!» squittì Gaia, tornando a sorridermi.
CazzoCazzoCazzo!
Tutti ma non Federico, soprattutto quando la sera prima mi ero detta di dover chiudere con lui. Un po' complicato se me lo ritrovavo davanti, in tutto il suo splendore, in tutta la sua dolcezza, in tutta la sua lucentezza...Ok, stop! Stavo esagerando, troppo! Non dovevo sciogliermi come gelato al sole.
Sorrisi fintamente, anche se in realtà avrei voluto scappare nel furgoncino cinese, ma quella ragazzina mi aveva stretto per un braccio impedendo la mia fuga per la salvezza.
I vestiti appesi ondeggiarono al tocco con le mani di Federico, quelle mani delicate che toccavano un'altra e non me. Cercai di sembrare il più naturale possibile, anche se il mio sorriso contraddiceva a gran voce gli occhi furenti.
«Ciao» mi salutò quasi con distacco.
«Ciao, Federico» scandii il suo nome a gran voce.
Gaia si staccò dal mio braccio e si allontanò, lanciandomi un occhiolino e un'occhiata maliziosa. Provavo compassione per quella ragazzina, così convinta e montata. Ma prima o poi sarebbe arrivato qualcuno munito di cacciavite che l'avrebbe smontata pezzo per pezzo.
Sentivo il mio cuore accelerare ogni secondo di più, forse perché la rabbia scorreva dentro di me, o forse perchè ero innamorata persa di Federico e averlo davanti, nonostante la mia incazzatura, mi faceva uno strano effetto.
«Benedetta?» domandai con una punta di acidità della voce.
«A casa, non si sentiva molto bene» rispose.
Era imbarazzato, dondolava da un piede all'altro. La mia espressione si addolcì e dovevo aver assunto una faccia Barbara D'urso style. Ma come potevo rimanere arrabbiata di fronte a quel cucciolo tenero che era Abbate?
No!
L'altra Alice che viveva dentro di me si impose con autorità. E aveva ragione. Non potevo e non dovevo farmi addolcire da lui. Indurii nuovamente lo sguardo e sono più che sicura che Federico, in quel momento, vedendo il mio viso contrarsi e subito dopo rilassarsi, stava pensando che ero posseduta.
«Sarà stato il bacio di ieri che le ha fatto salire la febbre!»
Incrociai le braccia e lo guardai con aria di sfida. Per la serie, come non far capire ad un ragazzo di essere gelosa di lui. Federico corrugò la fronte, osservandomi dubbioso. Dio quanto era bello con l'espressione perplessa, con quel sopracciglio abbassato e quelle labbra arricciate da mordere. Scossi la testa, ricomponendomi dai miei stupidi pensieri.
«Sei per caso gelosa?!» quella frase suonò come un rimprovero.
Sbuffai, facendo ondeggiare le labbra e emettendo un suono simile ad una pernacchia. Sgranai gli occhi e mi indicai quasi indignata.
«Io?!» esclamai «No!» la voce che ne uscì fu stridula. Davvero poco convincente.
Federico sorrise sghembo. Era teso, nervoso e ancora più dubbioso di prima. Già le donne erano un mistero per qualsiasi uomo e a volte anche per loro stesse; io ero ancora più criptica, facevo fatica io a capirmi, figurarsi il povero Abbate.
«Invece a me sembra proprio di sì. Avanti, guardati! Sei elettrica!» mi indicò goffamente con le sue enormi mani.
«Sei così presuntuoso da pensare che tu sia il centro dei miei pensieri?!» lo guardai con un pizzico di felicità negli occhi e un sorriso soddisfatto per quella risposta pronta, tagliente.
Lui cercò di dire qualcosa, ma evidentemente lo avevo zittito, spento completamente, smontato, distrutto il suo ego e le sue convinzioni. Toma castagna! Una giornata piena di soddisfazioni, davvero.
«Sì!» rispose d'improvviso, spiazzandomi «È vero, pensavo di essere il centro dei tuoi pensieri. Anzi, me lo hai fatto credere tu» era irritato e amareggiato, lo si poteva chiaramente capire dal tono della sua voce «A proposito» riprese, anche se questa volta la sua voce era ironica e irritante «Come va con Edoardo?» accentuò con disprezzo questo nome.
Strinsi i pugni, sentendo la rabbia e l'amarezza invadermi in qualunque parte del corpo. Chiusi gli occhi, respirando a fondo per regolarizzare l'affanno che il nervoso mi aveva provocato.
«Splendidamente!» gli risposi con un sorriso «È davvero un ragazzo incantevole e quello che prova per me è sincero» frecciatina nemmeno tanto implicita che Federico colse al volo. La sua mascella si contrasse e lo sguardo si abbassò a guardare l'asfalto.
«Tu sei pazza» tornò a incantarmi con le sue iridi nocciola «Lo dico seriamente. Sei arrabbiata con me, sei gelosa di me nonostante tu abbia un fidanzato splendido»
«Non sono matta» replicai con voce ferma, celando dietro quelle parole il mio disagio.
«Allora spiegami come stanno realmente le cose» aveva capito che, nonostante il mio distacco, c'era qualcosa che gli stavo nascondendo.
«No» scossi la testa «Sei troppo ottuso e accecato dai tuoi ormoni per poter capire»
Abbassai lo sguardo e lo superai con decisione. Mio padre, vedendomi uscire da quella bancarella, allargò le braccia facendole ricadere lungo i fianchi.
«Pensavo fossi morta!» esclamò leggermente infastidito.
Ero troppo demoralizzata per poter discutere con lui o continuare quella scampagnata nel paese dei balocchi. Nemmeno una frittella grondante d'olio con la nutella sarebbe riuscita a risollevarmi da quel malumore. Anzi, forse sì.
Il banchetto dei dolci fu l'ultimo luogo che visitai. Affogai il mio dispiacere il quella bomba calorica, iper zuccherata che mi avrebbe fatto venire un attacco iperglicemico, ma che mi importava? C'era metodo migliore di combattere la tristezza se non un dolce? No, e anche se ce ne fossero stati io non li conoscevo.
«Tesoro, mangia con calma sennò ti soffochi!» ridacchiò mio padre.
Scrollai le spalle e continuai a mangiare la mia frittella, sporcandomi il piumino di zucchero. Sobbalzai quando sentii la suoneria del cellulare. Chi diavolo interrompeva il mio spuntino stra-grasso?
Hey piccola! Stasera si esce. Se riesci, renditi carina o presentabile, perlomeno. Alle 20 sono da te.
Se prima ero arrabbiata, leggendo quel messaggio di Dario ero diventata una belva selvatica pronta a sbranare qualsiasi persona mi si presentasse davanti. Quel renditi presentabile perlomeno, che sicuramente lo aveva fatto sbellicare dalle risate mentre lo scriveva, mi aveva inacidita e indispettita. E non poco!
Stupido e insopportabile gigolò!

«Mamma!» sbraitai dalla mia camera «A quanti cavoli di gradi hai lavato questi pantaloni?!»
Feci un altro tentativo, tirando il capo superiore di quei stupendi pantaloni bianchi che non avevano la minima voglia di superare l'ostacolo cosce. Mi lanciai in una danza per tutta la camera, calciando l'aria per calzare quei maledetti calzoni ristretti dopo un lavaggio sbagliato, lanciandomi anche sul letto. Sembravo Homer Simpson nella sua lotta quotidiana con i Blue Pants.
Mia madre si affacciò dalla porta, per poi entrare e squadrarmi dalla testa ai piedi con cipiglio.
«Guarda!» esclamai esasperata, indicandoli fermi a metà coscia «Si può sapere che cosa gli hai fatto?»
«Tesoro» mia madre mi guardò apprensiva «Questi sono i pantaloni della comunione di tuo cugino»
«Quindi?» la guardai con sufficienza.
«L'ha fatta quattro anni fa! E da allora non li hai più messi!» quell'affermazione suonò quasi come un rimprovero. Stavo per ribattere, ma mi congelò all'istante, leggendomi nel pensiero, come sempre «E non dire che non hai mai avuto occasione di metterli, perché non è vero!»
«Sta di fatto che non mi entrano!» ululai, accecata dal nervosismo.
I capelli, che avevo sistemato poco prima, erano diventati elettrici e sicuramente sembravo una pazza in quel momento. A volte, mi facevo paura da sola.
«Sei ingrassata tesoro» disse con una tale noncuranza che peggiorò il mio stato di sanità mentale «Mettiti qualcos'altro. Hai un sacco di vestiti»
E con un sorriso si congedò. Mi aveva detto che ero grassa e lo aveva fatto con una naturalezza tale che mi innervosii ancora di più. Cribbio, ero sua figlia! Ogni scarrafone non era bello a mamma sua? Perchè io dovevo essere l'eccezione?
Mi tolsi quei pantaloni-trappola, accartocciandoli e gettandoli con furia sul letto. Sospirai e guardai l'armadio. La sfida tra me e lui poteva cominciare. Mi fiondai decisa verso le sue ante, aprendole e prendendo qualsiasi capo che i miei occhi vedessero, passandoli al setaccio uno dopo l'altro. Pantaloni troppo semplici, maglietta troppo scollata, vestito troppo leggero, questo non va bene, nemmeno quello. Nulla di nulla! Presi qualsiasi cosa e la buttai a terra con un gridolino di disperazione. Ad aver avuto quel fantastico maglioncino!
Alla fine mi arresi ad una maglietta azzurro acqua a maniche lunghe, lunga abbastanza da coprirmi il sedere nonostante i leggins neri. Mi guardai il fondoschiena e le cosce allo specchio, torcendomi come nemmeno un gufo sapeva fare, per controllare che i buchi della cellulite non si vedessero. Se tenevo i muscoli contratti, il territorio lunare non sarebbe comparso, perfetto.
Indossai anche le ballerine di strass nere e mi diedi un'ultima occhiata sperando vivamente di essere presentabile, perlomeno. Andai ad attendere il mio accompagnatore in cucina dove mia madre e mio fratello mangiavano con sottofondo la parlantina di Cesara Bonamici. Mia mamma, di tanto in tanto, alzava lo sguardo dai suoi maccheroni e mi guardava maliziosa.
«Un amico» disse infine.
Sapevo che doveva uscirsene con una delle sue considerazioni, conoscevo fin troppo bene il suo sguardo furbetto e quelle labbra a sturalavandino che non riuscivano a trattenere le frasi. Rotei gli occhi, spazientita. Sarei arrivata alla fine di quella giornata senza avere un esaurimento nervoso? No, ne ero certa.
«La smetti?!» quasi urlai.
Lei mi guardò d'un tratto furiosa. Se c'era una cosa che faceva imbestialire mia madre era alzare il tono di voce con lei. Subito tesi i muscoli del collo e la guardai dolcemente, chiedendole scusa implicitamente, sperando di riuscire a calmarla. L'ultima volta che le aveva risposto male non mi aveva più parlato per due giorni. Mamme, bah!
«Cerca di tornare presto» mi disse fredda, tornando a mangiare i suoi maccheroni.
Dario, help! Vienimi a prendere! Che sei anche in ritardo! pensai, guardando l'orologio che segnava già le 20.23. Credevo che il ritardo fosse sotto copyright di noi donne, ma in quel momento mi ricredetti. Dario era in ritardo di quaranta minuti e non arrivò prima delle 20.45.
Mi aspettava appoggiato sul cofano della macchina, un giubbino nero con cappuccio felpato e un paio di jeans blu scuro, sempre con quel sorriso ammaliatore stampato in faccia. Avrei voluto prenderlo a insulti, urlargli contro, ma quando vidi i suoi occhi rimasi pietrificata, entrai in uno stato di quiete assoluto.
«Scusa il ritardo» mi disse con un sorriso.
«Sono presentabile?» domandai indicandomi.
Lui mi osservò con occhio critico e assunse un'aria non del tutto soddisfatta.
«Sì, dai. Può andare» scrollò le spalle e poi scoppiò a ridere nel vedere la mia faccia indignata.
Dario mi raggiunse, stringendomi i fianchi e schioccandomi un bacio sulla guancia.
«Stavo scherzando» mi disse guardandomi intensamente.
Come al solito diventai una statua di sale e la gota su cui si erano posate le sue labbra vellutate bruciava come non mai. Mi sorrise ancora una vola e mi aprii la portiera. Dio santissimo, quell'uomo mi avrebbe ucciso prima o poi. Salii su quell'Alfa Mito che profumava di lui e mi abbandonai sul sedile, accompagnata dal rombo del motore. Dario era sicuramente un'ottima ricompensa dopo una giornata stressante come era stata quella.
Nessuno dei due parlava, io mi limitavo a sbirciarlo ogni tanto, concentrato sulla strada con uno sguardo serio che lo rendeva ancora più bello di prima mentre le sue labbra si muovevano al ritmo di Billie Jean. Ero dubbiosa sul suo conto, c'erano un sacco di cose che mi tormentavano.
«Perchè mi fissi?» i suoi occhi rimbalzavano da me al volante e un lieve sorriso si disegnò sulle labbra fini.
«No, nulla» risposi a disagio.
«Avanti, chiedimi quello che vuoi!» sbottò d'improvviso, come se mi avesse letto nel pensiero.
Ero stupita e senza parole, non riuscivo ad articolare una domanda che avesse senso. Ma quando mi guardò con sguardo languido, mi sciolsi e parlare mi risultò stranamente facile.
«Perchè mi hai chiesto di uscire?»
«Per conoscerci, almeno sembreremo una vera coppia» rispose con naturalezza «Piccola, quando io ho un incarico, cerco di portarlo a termine al meglio» mi guardò con malizia.
La macchina percorse gli ultimi metri, fermandosi poi, con mia sorpresa, in una spoglia piazzola vicino ad una pompa di benzina. Pensai che dovesse rifornire la macchina, ma quando Dario mi osservò con sguardo incalzante, capii che quella era la nostra destinazione. Scesi dalla Mito scettica, molto, ritrovandomi davanti ad un camioncino con scritte arabe che vendeva kebab. Non c'erano tavoli, niente sedie, solo qualche ragazzino. E in più faceva un freddo cane. Sentivo i peli rizzarsi sotto la maglietta troppo leggera che avevo indossato. Mi fermai subito, sorridendo nervosamente.
«Cosa c'è?» domandò Dario, dubbioso.
«Pensavo che avremmo cenato in un ristorante, un'osterietta, un posto almeno fornito di riscaldamento» spiegai al limite del mio nervosismo, accarezzandomi le braccia per riscaldarmi.
Improvvisamente, un contatto. Dario mi aveva presa alla sprovvista, abbracciandomi da dietro. Sentivo il suo corpo caldo su di me, il suo petto strusciava sensualmente contro la mia schiena e il mio sedere sfiorava il suo, per così dire, basso ventre. Il suo respiro mi solleticava i capelli, le sue mani accarezzavano le mie, il suo odore mi riempì i polmoni, inebriandomi. Attorno a me, tutto d'un tratto, non c'era più nulla, nessun rumore, solo il mio cuore, nessuna persona, solo Dario.
«Hai visto che c'è il riscaldamento» mi sussurrò nell'orecchio. Sì, assolutamente perfetto.
Venni percorsa da brividi, ma non di freddo, ma di emozione, di eccitamento. Avevo anche mugolato qualcosa, forse avevo anche ansimato, ma in quel momento non capivo più nulla. Era tanto se mi ricordavo quale fosse il mio nome. Possibile che quell'estraneo mi scombussolava così, con una semplice frase mormorata? Possibile che lui avesse un effetto ben peggiore su di me rispetto a Federico?
Mi si affiancò, stringendomi una spalla e spingendomi contro il suo petto. Il mio orecchio era appoggiato al suo cuore, lo sentivo pulsare, così ipnotizzante, così tranquillo, che chiusi gli occhi per farmi coccolare da quel semplice suono che sembrava musica. Lo sentii respirare a fondo, stava per dire qualcosa. Il mio cuore accelerò la sua corsa prima di sentire ciò che aveva da dirmi.
«Tu...»
Sì, qualsiasi cosa, sono tua!
«...ci vuoi le cipolle?»
«Ci-cipolle?» tentennai, ritornando sulla terra.
«Sì, sai quell'ortaggio a strati che ti fa piangere» mi sbeffeggiò, ridacchiando, Dario.
«So cos'è una cipolla!» ribattei, infastidita, staccandomi da lui. Di certo non potevo dirgli di esserci rimasta male perchè mi aspettavo una strana proposta romantica da parte sua «No, grazie. Non voglio un alito pestilenziale»
Dario si fece pensieroso ed annuì con la fronte aggrottata.
«Hai ragione. Non si sa mai come vanno a finire queste serate. Si parte con un delizioso panino, poi due baci, due coccole, due...»
«Ok, basta!» lo interruppi indignata, scatenando la sua risata melodiosa.
Pagò i due kebab – ci mancherebbe, con tutto quello che dovevo sborsare per pagarlo! - e fui costretta a mangiare quel panino grondante di salse piccanti appoggiata al cofano della macchina. Cercai di essere discreta nel mordere il kebab, ma il mio brutto vizio di azzannare il cibo prese il sopravvento. Pezzettini di carne cadevano ovunque, le mie labbra erano state contornate da un pizzetto rossastro. Con la coda dell'occhio vidi Dario a bocca aperta, che mi fissava incredulo.
«Che c'è?» bofonchiai a bocca piena. Il Galateo lo avevo scordato a casa.
«Sembra che non mangi da secoli» esclamò stupito «È strano vedere una ragazza che mangia così di gusto» continuò «Solitamente voi donne mangiate solo metà insalata scondita!»
Ingoiai un pezzo troppo grosso di panino, aiutandomi con un sorso di coca cola.
«La mia filosofia è io pago, io mangio» scrollai le spalle.
«In verità ho pagato io» mi ricordò sornione Dario.
«Pignolo!» gli feci una linguaccia «E poi devo affogare i miei dispiaceri e il cibo è il miglior antidepressivo»
Lui sorrise, annuendo e addentando il suo kebab, innaffiandolo con un sorso di Corona.
«E come mai sei triste?» mi domandò.
Pensai subito che me lo chiedesse solo perchè si sentiva in dovere. Lo facevano tutti, immischiarsi nella vita altrui senza però avere un vero interesse in ciò che si stava per ascoltare. Ma i suoi occhi, quelle due pietre preziose luccicanti, mi guardavano con una dolcezza infinita e un vero interesse nei miei confronti. Mi sentivo lusingata, anche se allo stesso tempo ero imbarazzata. Sospirai affranta, ammorbidendo le spalle.
«Il ragazzo che mi piace sta con la mia migliore amica» cominciai.
«Brutta storia» commentò Dario.
Gli raccontai tutto, per filo e per segno, dall'incontro con Federico sull'autobus, al pomeriggio in cui stavamo per baciarci, alla scoperta da parte di Abbate di Edoardo.
«Ti sei messa in un brutto guaio con questo fidanzato» osservò Dario, una volta finito il racconto «Mentire non è mai una soluzione» disse poi, con una certa amarezza nella voce.
Intuii che qualcosa lo aveva scosso, ma chiedergli spiegazioni mi sembrava troppo invadente. In fondo lui era uno gigolò, dopo la festa di San Valentino non lo avrei più rivisto, che cosa mi importava sapere vita, morte e miracoli di Dario? Nulla. O quasi.
«Quanti anni hai?» gli domandai, curiosa. Almeno quello potevo saperlo, no?!
«23» rispose con un sorriso.
Mi prese di mano il tovagliolo che aveva racchiuso il panino passandomelo delicatamente sulle labbra e mi sorrise soavemente. Rimasi imambolata a sfiorarmi la bocca, mentre lui  si era allonato per gettare tovaglioli e lattine. D'un tratto, dal camioncino arabo, un violino suonò, facendo da intro ad una canzone. Dario si voltò a guardarmi, malizioso, avvicinandosi felino a me.
«I know that we are young and I know that you may love me, but I just can't be with you like this anymore» disse con voce roca e seducente.
Mi afferrò delicatamente la mano e, posando i suoi occhi nei miei, la baciò.
«Alice» aggiunse, ancora più sexy di prima.
L'autocontrollo che avevo mantenuto saldo fino a quel momento andò scemando a udire quelle parole sussurrate in quel modo. Arrossì violentemente, guardandomi attorno piuttosto che continuare a fissarlo.
La stretta sulla mia mano si fece più intensa e, d'un tratto, Dario mi tirò verso di lui. Rimbalzai contro il suo corpo, ritrovandomi poi abbracciata a lui. Ormai non respiravo più, le mie gambe erano molli e la testa aveva cominciato a girare dandomi una visione non chiara di quello che avevo intorno.
Il suo bacino ondeggiò, accompagnando anche il mio in quel movimento con le sue mani. Volevo spingerlo via, perché non sapevo ballare, perchè quel contato con lui bruciava più del fuoco, ma il mio corpo era completamente in sua balia. I suoi piedi si muovevano esperti al ritmo della canzone, guidando anche i miei passi di danza impacciati. Mi afferrò entrambe le mani, e mi allontanò da lui, facendomi poi volteggiare sotto il suo braccio. Ero imbarazzata, frastornata, ma sorridevo divertita. Mi afferrò poi per i fianchi, intrecciando le dita di una mano con le mie, persi ognuno negli occhi dell'altro. Ci spostammo di un passo a destra, uno a sinistra. Ormai mi stavo appassionando a quella danza, mi ero sciolta e non sembravo più un pezzo di legno. Più o meno.
You know that I love you boy hot like Mexico rejoice
Dario mi strinse il fianco, spostandosi di lato e iniziò a camminare in modo circolare, accompagnano anche me. Fece una giravolta, trovandosi dietro di me e mi abbracciò all'altezza della vita, ondeggiando, appoggiando il suo viso sulla mia spalla.
«Don't call my name, don't call my name» canticchiò malamente quella frase, solleticando la mia pelle e i miei più remoti istinti sessuali. Rabbrividii e, con un gesto che mi stupì, piegai il braccio all'indietro, affondando la mano tra i suoi capelli scuri, stringendoli ogni volta che il suo fiato mi accarezzava il collo.
Capii in quel momento che c'era un altro antidepressivo, molto più salutare, alla mia tristezza cronica. Dario era la mia cura.





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Bon Jour!

Sì lo so, sono assai lunatica. Più mi impongo di postare con regolarità, più non lo faccio. Quindi, aspettatevi aggiornamenti irregolari.
Capitolo intenso, no?! A me piace molto. Ispirata dalla mia amata Lady Gaga e la sua Alejandro e dalla stupenda La cura di Franco Battiato. Insomma, Dario fa un brutto effetto, in senso positivo ovviamente. Ma come biasimare la povera Alice? Anche io mi sarei sciolta con lui e non solo sciolta u.u E credo che questo non lo penso solo io, viste le recensioni. Sono davvero contentissima che Dario vi piaccia ^^
La filosofia di Alice, Io pago, io mangio, è un omaggio ad una mia amica che adoro e che mangia in continuazione, nonostante dice di essere sempre a dieta. Fortuna per lei che non ingrassa. Anche io adotto la sua filosofia di vita, ma io m'inchiattisco. Come direbbe Homer, Mangio mangio mangio e non dimagrisco mai, com'è sta storia?
Passiamo ora ai soliti ringraziamenti. Grazie a chi ha recensito, a chi ha inserito questa storia tra le seguite, le ricordate, le preferite e a chi legge silenziosamente. Siete la mia forza, vi adoro, lo sapete? :) Sto pensando di farvi un regalo, magari scrivendo qualche missing moments su Dario, vedremo :)
Poi, un GRAZIE specialissimo alle ragazze del gruppo di Facebook, Le scrittrici di EFP (vi adoro ragazze), soprattutto Neverwas  e
Lily Alison Malfoy che pazientemente ascoltano i miei scleri petulanti e che ormai sono diventate il mio punto fisso. Vi adoro ragazze ♥
Vi ricordo come sempre la pagina facebook dove troverete spuoilers, photosss and news su Alice e nuove storie, tipo, questa, tadan!


Non è ancora stata pubblicata, ma ciò avverrà tra breve, quindi tenete sott'occhio il mio profilo che potrebbe spuntare da un momento all'altro. È una storia molto diversa da questa, più impegnativa e seria. Un amore impossibile tra un ragazzo di strada, Dylan, che passa le sue giornate tra risse, droga e sesso e una ragazza, Rachel, considerata la figlia perfetta (anche se in realtà non lo è affatto xD), studentessa modello di Harvard. Curiosi? La risposta sarà no, ma amen xD
Ora mi dileguo!
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
See ya ♥

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Capitolo 8
*** Three is better than two ***


C a p i t o l o 7

Three is better than two



Più lo guardavo e più mi rendevo conto che Dario era l'unica persona con cui potevo essere me stessa, l'unica persona che aveva conosciuto la vera Alice Livraghi, senza bugie, senza finte vite parallele. Con lui non c'era bisogno di fingere, con lui potevo sfogare le mie frustrazioni provocate da Federico. Da semplice gigolò-estraneo si stava trasformano in un punto fisso per me e il pensiero che tra meno di nove giorni lo avrei dovuto salutare mi rattristava parecchio.
«Mi fai paura quando mi guardi così» mi disse con un sopracciglio abbassato.
«Temi che io possa ucciderti in un impeto di rabbia?!» domandai sarcastica.
«Non si sa mai» scrollò le spalle, sorridendomi.
Cavoli, quanto era bello quando sorrideva. Lo era sempre, ma quell'aria felice lo rendeva ancora più meraviglioso. I suoi occhi si socchiudevano, divenendo intensi e luminosi, così come il suo viso, assolutamente splendente. Mi guardai subito le scarpe, sentivo le guance infuocate, il cuore batteva all'impazzata e respirare mi costava fatica. Dario aveva sempre più un brutto effetto sul mio corpo, sui miei pensieri. Non c'era istante in cui non mi balenava in testa il suo viso, così come capitava con Federico. Che mi stessi...no, impossibile! Assolutamente non poteva essere! E anche se fosse stato, mi sarei imposta di farmela passare. Anche se quando mi imponevo qualcosa, tutto andava nel verso opposto. In fondo, però, questa volta mi sarebbe andata meglio: dopo il 14 niente più Dario e niente più sbalzi ormonali nocivi per il mio corpo.
«Ti capita spesso di cadere in trance?» mi domandò, sventolandomi una mano davanti agli occhi.
«Abbastanza» risposi, guardandolo negli occhi e sorridendogli «Comunque, dove mi porti oggi?» domandai, congiungendo le mani dietro la schiena.
Dario allargò le braccia, scuotendo la testa.
«A dire il vero non lo so nemmeno io!» sghignazzò divertito.
Bene! Mi invitava ad uscire e non sapeva nemmeno dove portarmi. Organizzazione fantastica, non c'è che dire. Vagava
mo come delle anime in pena per le strade di quel piccolo paese con il freddo pungente che si abbatteva sui nostri visi.
Avevo una domanda che rimbalzava come una pallina impazzita nella mia mente, mi opprimeva e non riuscivo più a tenermela solo per me.
«Perchè fai il gigolò?»
Dario s'irrigidì a quella domanda spiazzante che, forse, non avrei dovuto fare. Sospirò e mi sorrise.
«Vedi, l'unica cosa che so fare è il sesso ed è l'unica cosa che mi garantisce di trovare qualcosa da mangiare»
Annuii, scossa da quelle parole, ma soprattutto da quelle che non mi aveva sicuramente detto. Qualcosa mi diceva che, in realtà, mi stesse nascondendo qualcosa. Ma mi ero intromessa fin troppo nella sua vita senza averne il diritto, per cui misi a tacere la mia curiosità.
Riprendemmo a camminare, silenziosi. Mi bloccai improvvisamente in mezzo al marciapiede colta da una strana preoccupazione. Quella era già la seconda uscita e se contavo quella di San Valentino e mettendo in conto anche il nostro primo incontro, avrei dovuto sborsargli 1200 euro! Uno stipendio mensile di un impiegato medio. Stavo sbagliando tutto, non avrei dovuto affatto chiamarlo.
«Dario!» lo richiamai, facendolo voltare «Non credo sia una buona idea continuare ad uscire. Sai, i soldi non crescono sugli alberi»
Lui mi sorrise, raggiungendomi con le mani in tasca.
«E quindi?» disse con strafottenza.
«Quindi?!» ripetei incredula «Devo sborsarli io 10.000 euro per pagare uno gigolò» sorrisi ironica.
Lo guardai truce mentre scrollava le spalle. Se avesse detto Non è un problema mio lo avrei liquidato all'istante con un Avada Kedavra.
«Partendo dal fatto che non sono 10.000 euro» esordì con sufficienza e una faccia che avrei preso volentieri a schiaffi «Tu hai voluto chiamare uno gigolò, non te l'ho imposto di certo io»
«Non avevo alternativa!» esclamai nervosa.
«Invece sì» sorrise supponente «Non mentire»
Alzai il dito indice pronta a rispondergli, anche se non avevo una risposta da dargli. Aveva ragione, cavoli! Tutto quel trambusto era nato per quella stupida bugia. Se fossi stata più menefreghista e se la mia vita non pendeva dai giudizi altrui, in quel momento mi sarei vissuta la mia splendida storia d'amore con Federico e sarebbe stato lui ad accompagnarmi a quella festa. Invece no, dovevo parlare a sproposito e San Valentino lo avrei passato con uno gigolò. Anche se, tutto sommato, non mi dispiaceva affatto stare con Dario, anzi, tutt'altro. Stavo fin troppo bene con lui e questo mi spaventava.
Abbassai lo sguardo sconsolata e preoccupata. Il lavoro di baby-sitter che avevo trovato non mi avrebbe permesso comunque di pagarlo, a meno di non accudire i figli di una qualche famiglia reale. Dario si affiancò a me stringendomi la spalla e facendomi un buffetto sulla guancia.
«Non ti preoccupare» disse in un soffio «Queste uscite non sono state richieste da te, per cui non le metterò in conto»
Gli occhi mi si illuminarono d'improvviso, stupita da quella notizia che era come un raggio di sole durante una tempesta. Non risposi più di me. Mi portai davanti a lui, avvinghiandomi al suo collo e saltandogli addosso, circondandogli i fianchi con le gambe. Dario indietreggiò e si lasciò andare ad un Oh! di stupore. Inizialmente le sue mani erano ferme a mezz'aria, poi lo sentii ricambiare il mio abbraccio.
«Grazie!» esclamai.
«Che entusiasmo!» commentò Dario, la voce incrinata dallo sgomento «Non c'è bisogno che mi ringrazi. È giusto che sia così»
Tornai di nuovo a terra, senza però sciogliere l'abbraccio. Lo guardavo, lui mi guardava. Ogni volta che lo avevo a pochi centimetri di distanza da me, occhi negli occhi, venivo intrappolata in un altro mondo, ma non il mio, fatto di sciocchezze e di infantilità, uno in cui c'eravamo solo noi due, in cui il tempo ero scandito dal ritmo del mio cuore.
Avevo una strana ed irrefrenabile voglia di baciarlo. Mi misi sulle punte e, deglutendo, mi avvicinai alle sue labbra. Dario mi accarezzò i capelli, scivolando con la mano sulla mia guancia, abbassandosi pericolosamente verso di me. Un istante e le sue morbide dita si posarono sulle mie labbra.
«Non sono io quello giusto» mormorò con voce tremante.
Mi baciò la fronte, passando la mano tra i miei capelli. Chiusi gli occhi, godendo appieno di quel momento e cercando di imprimere nella memoria quell'istante le sue labbra e il suo profumo.
Sciolsi l'abbraccio, abbassando lo sguardo ad osservare il marciapiede e torturandomi le mani per l'imbarazzo. Forse era stato meglio che non ci fossimo baciati. Lui non sarebbe mai stato nulla per me, solo un semplice accompagnatore e soprattutto io, per Dario, ero e sarei sempre stata solo una semplice e stupida ragazzina che lo aveva chiamato per un incarico fin troppo sciocco.
Non era da me un comportamento simile. Forse era la frustrazione, la delusione di Federico, magari la voglia di dare il mio primo bacio o perché, semplicemente, Dario aveva un brutto ascendente su di me.
«Io torno a casa» mormorai, continuando a fissarmi le Converse.
Quella specie di appuntamento, quei pochi minuti insieme, erano stati troppo intensi per me e non sarei riuscita a continuare a stare con lui e far finta di nulla. Non mi girai nemmeno a guardarlo, camminavo con sguardo fisso davanti a me con l'unica voglia di tornare a casa mia e fare un po' di chiarezza nei miei pensieri e nel mio cuore.
Nonostante tutto, continuavo ad essere invaghita di Federico, inutile continuare a mentirsi facendo finta che per lui il mio cuore non batteva più. Ma da quando era arrivato Dario mi sentivo confusa e scombussolata. Quando stavo con lui, quando pensavo a lui, Abbate diventava come un lontano ricordo offuscato, mi sentivo quasi un'altra, anzi, mi sentivo me stessa. Ed ero felice.
Dario, Federico, Federico, Dario.
Due ragazzi che mi tormentavano e che mai sarebbero stati miei. Era assolutamente da masochisti continuare a pensare che uno dei due, prima o poi, sarebbe diventato il mio fidanzato, che uno dei due, prima o poi, mi avrebbe fatto conoscere l'amore in tutte le sue sfaccettature.
Mi gettai sul letto a guardare il soffitto. Quanto stavo diventando paranoica, ossessiva, scassa palle?! Dov'era andata a finire l'Alice spensierata senza ragazzi per la testa, se non i suoi immaginari? Sparita chissà dove, sommersa dai pensieri opprimenti di quei due ragazzi.
Chiusi gli occhi, cominciando a pregare che San Valentino arrivasse il prima possibile, portando via con sé questa mia stupida confusione.


Sospirai, guardandomi allo specchio un'ultima volta prima di uscire di casa. Ero preoccupata e nervosa, quella sarebbe stata la mia prima serata da baby-sitter. Il fatto che dovessi badare ad un bambino m'impauriva. E se avrebbe incendiato casa? E se avesse messo le dita nella presa di corrente? E se avesse distrutto tutto? E se fosse stato uno di una baby-gang? Ok, stavo esagerando, ma dovevo prepararmi al peggio. Avevo paura di non essere all'altezza, di fare qualche guaio, di ucciderlo per sbaglio o chessò io.
«Alice sei pronta?» urlò mia madre dal salotto.
«Sì!» risposi.
Mi feci coraggio da sola e uscii dalla mia stanza.
«Veloce che non puoi arrivare in ritardo!» mi incitò mia madre, sempre così apprensiva.
Scendemmo velocemente in garage, montando sulla Panda rosso fuoco di mia madre. Appoggiai la fronte al finestrino freddo. Nulla a che vedere con la Mito di Dario. Accidenti, ma perchè doveva sempre intromettersi nei miei pensieri?! Facendo così complicava ancora di più la mia situazione di sanità mentale precaria!
«È bello che tu abbia deciso di iniziare a lavorare» la voce di mia madre mi riportò nella Panda.
«Già» risposi poco convinta, sospirando sonoramente.
«Ma non ho capito perchè lo fai» continuò «È perchè il tuo ragazzo già lavora e quindi non vuoi essere da meno, perchè devi fargli un regalo...»
«Esatto» la interruppi sorridendo falsamente.
No mia cara mamma, devo pagare uno gigolò.
«Allora ammetti di avere un fidanzato?!» trillò mia madre incredula.
Tradimento! Mi aveva teso una trappola e io c'ero cascata con tutte le Converse. Sgranai gli occhi e cominciai a boccheggiare.
«Non è proprio il mio ragazzo» mi arrampicai sugli specchi insaponati.
Mia mamma mi guardò con aria di sufficienza, la tipica espressione delle madri che pensano di aver capito tutto della vita intricata della figlia. Ma in realtà, e mi dispiaceva per lei,non aveva compreso assolutamente nulla di me. Però la colpa non era sua, ma mia che non mi confidavo con lei quasi mai.
Dieci minuti dopo avevamo raggiunto il palazzo in cui avrei vissuto il mio inferno personale con un piccolo Bart Simpson.
«Stai attenta» si raccomandò mia madre «Non dire sempre sì, alle nove e mezza mettilo a letto, non trattarlo male e sii simpatica»
Rotei gli occhi ed annuii, schioccando un bacio sulla guancia di mamma. Scesi dalla macchina, ritrovandomi davanti ad una piccola palazzina dai muri gialli che avrà avuto al massimo cinque piani, coperta sulla faccia laterale da rami di edera. Mi avvicinai al citofono suonando alla famiglia Bettini. Mi rispose una dolce voce femminile che mi aprì subito il portoncino indicandomi il piano.
A fatica, mi trascinai per i tre piani, affannata e sudata. Non ero per nulla abituata al moto, soprattutto non alle nove di sera e dopo essermi rimpinzata di panzerotti.
Una donna estremamente bella mi stava attendendo sulla porta con un sorriso sgargiante. Aveva dei lunghi capelli castani naturalmente mossi e leggermente gonfi, degli enormi occhi azzurri e un corpo morbido coperto da un leggero abito nero.
«Piacere, Paola» mi allungò la mano.
«Alice» risposi con un sorriso, stringendola.
Mi invitò ad entrare in quel piccolo appartamento. Si apriva direttamente su un salotto modesto, arredato semplicemente con un divano rosso attaccato alla parete e un televisore davanti ad esso. Qualche quadro riempiva le spoglie pareti bianche. Sulla parete di fronte al sofà, un tavolo di legno chiaro con tre sedie e nell'angolo, una piccola cucina laccata di bianco.
Un piccolo bambino mi apparve davanti, mentre correva, trasportando con sé un aeroplano, emettendo con la bocca il suono del suo motore.
«Alice, questo è Lorenzo» mi disse la signora Paola, stringendo il bambino.
Si accovacciò poi davanti a lui, guardandolo intensamente negli occhi.
«Fai il bravo, mi raccomando. Non fare disperare la signorina e sii educato»
Tornò poi in piedi a guardarmi.
«È le prima volta che lo lascio con una baby-sitter. Solitamente se ne occupa suo fratello, ma» si interruppe sospirando «sono più le sere che passa fuori che in casa, oramai» scrollò la testa «Se hai bisogno, ti ho lasciato i numeri importanti attaccati al frigorifero. C'è il mio cellulare, quello di mio figlio, della nonna, del pediatra»
Quell'elenco non fece altro che aumentare la mia preoccupazione, ma sorrisi cercando di non far trasparire il mio disagio.
«Io tornerò domani mattina presto» mi informò «Ma appena torna mio figlio, puoi tornare a casa. Ci penserà lui poi a darti i soldi»
La signora Paola si congedò, lasciandomi da sola in casa, insieme a quel bambino. Lui mi guardava con la testa alzata, sbattendo più volte le palpebre. Come sua madre, Lorenzo aveva dei bellissimi occhi azzurri.
«Tu chi sei?» mi indicò, corrugando la fronte.
«Alice, piacere» mi abbassai alla sua altezza, sorridendogli dolcemente.
«E cosa vuoi da me?»
«Sono la tua baby-sitter» risposi.
«Dov'è mio fratello?»
Ancora un'altra domanda. Cominciavo a non sopportarlo più quel bambino troppo curioso.
«Non lo so, ma tornerà presto, fidati» gli passai una mano tra i capelli.
Lorenzo mi guardò truce, il ché mi spaventò, anche se era solo un piccolo bimbo indifeso di circa sei anni. Mi assestò un calcio sul ginocchio, facendomi lacrimare dal dolore. Trattenni un urlo, che non sapevo se era di rabbia o per il male che mi aveva fatto quella piccola peste. Lorenzo mi guardò di nuovo prima di cominciare a sbraitare come una poiana in calore. Andava ad intermittenza, i toni erano prima più alti e poi si abbassavano improvvisamente, stile antifurto.
«Voglio mio fratello!» si buttò a terra, cominciando a scalciare e continuando ad urlare.
Mi tappai le orecchie, cercando di avvinarmi a lui.
«Tuo fratello arriva presto» cercai di tranquillizzarlo, ma non servì a nulla.
Mi era impossibile accostarmi a lui, non volevo essere di certo colpita da un altro calcio doloroso. Come mi prospettavo, badare ad un piccolo marmocchio capriccioso era più difficile del previsto.
«Ti prego, basta» piagnucolai, senza sapere cosa fare, se non mettermi le mani tra i capelli.
Proprio quella sera il fratello di Lorenzo doveva dare buca?! Speravo con tutto il cuore che quel ragazzo giungesse il prima possibile a salvarmi come un supereroe.
«Ti faccio mangiare le patatine se la smetti!» me ne uscii.
Quale bambino non adorava le patatine? Se ce n'erano in quella casa, ovviamente.
Lorenzo smise di urlare e di dimenarsi e mi guardò con aria furbetta. Mi sorrise mostrando che gli mancavano i due denti davanti. Si rialzò e prese a tirarmi i jeans.
«Le patatine. Le patatine. Le patatine. Le patatine» continuava a ripetermi, seguendomi verso la cucina. Aprii ogni scaffale mentre la voce del bambino mi trapanava il cervello. Stavo per avere un crollo nervoso, ma cercavo di mantenere la calma ripetendomi che era solo un moccioso e sarebbe stato controproducente urlare con lui. Trovai un sacchetto di patatine al formaggio e tirai un sospiro di sollievo.
«Le patatine!» esclamò agitandosi in una specie di danza della felicità.
Mi andai a sedere sul divano e lui fece lo stesso. Mangiammo quei cornetti al formaggio guardando Alla ricerca di Nemo, uno dei miei film preferiti. Per poco non mi misi a piangere, quel cartone riusciva a intenerirmi ancora, come qualsiasi altra creazione Disney. Lorenzo si addormentò verso metà film, lasciandomi metà pacchetto di patatine che mangiai tutto e la libertà di frignare come una bambina alla fine del film.
Con la maglietta e la bocca sporche di briciole, sollevai il marmocchio che pesava più di un bisonte e a fatica lo portai nella sua stanza. C'era un letto a castello appena entrati, un armadio verde e azzurro e una semplice scrivania. Lo adagiai sul letto accarezzandogli al fronte e respirai dopo quella faticaccia.
Mi richiusi la porta della stanza alle spalle appoggiandomici. Un po' di silenzio ci voleva, anche per poter permettere alla mia mente di fantasticare. Era strano che né Paola né Lorenzo avessero menzionato il padre, ma solo il fratello maggiore. Poteva benissimo essere che si erano lasciati, come i miei genitori. Ma il fatto che la signora Bettini uscisse di casa così tardi per rincasare la mattina mi faceva credere che svolgesse un doppio lavoro. La conclusione migliore era che o il marito era un viscido che l'aveva abbandonata oppure che fosse...morto. Una morsa allo stomaco solo a pensarci. Visto che non sapevo farmi gli affari miei, andai nella camera da letto di Paola, esattamente di fronte a quella di Lorenzo.
Accesi la luce per illuminare la stanza, puntando lo sguardo subito sulla colonnetta di fianco al letto matrimoniale. Una fotografia di un uomo affascinante che sorrideva tenendo in braccio un piccolo bambino di nemmeno un anno era adagiata sul comodino. Accanto alle cornice dorata c'erano due cerini accesi, quasi del tutto consumati, però, dal loro ardere nel perpetuo ricordo di quell'uomo. La mia supposizione era giusta, Paola era vedova. La morsa che poco prima avevo allo stomaco s'intensificò, impossessandosi anche del mio cuore.
Non mi accorsi che qualcuno aveva aperto la porta ed era entrato, beccandomi in pieno mentre mi facevo gli affari degli altri.
«Non ti hanno insegnato che non si ficca il naso in cose altrui?» una voce fin troppo familiare risuonò alle mie spalle.
Mi irrigidii a sentirlo parlare mentre un altro attacco di tachicardia mi colse. Se continuavo così sarei dovuta andare in cura da un cardiologo per il resto della mia vita. Mi voltai e gli sorrisi mestamente, dispiaciuta e imbarazzata.
«Scusa» mormorai, mordendomi le labbra.
Lui scrollò le spalle e sorrise sghembo.
«Tranquilla» mi disse con un tono di voce che non gli avevo mai sentito utilizzare.
Solitamente era così deciso e sicuro di sé, ma in quel momento sembrava così vulnerabile. Anche lui era, quindi, un essere umano con dei sentimenti, inerme e abbandonato ai sentimenti di fronte alla fotografia di suo padre. Ero andata in apnea, non respiravo quasi più e il cuore era ormai guizzato via. Due ragazzi non bastavano, no! Doveva aggiungersi anche Davide alla mia già travagliata mente. Lo avevo dimenticato, sicura che lui fosse solo una cotta adolescenziale, di quelle d'obbligo per una ragazza sfigata come me. Ma vederlo di fronte a me così mi fece capire che, no, non lo avevo dimenticato, anzi mi faceva sempre lo stesso effetto, se non peggiore.
Mai avrei pensato che Davide fosse il fratello di Lorenzo, anche perchè lui di cognome faceva Saronno e non Bettini. Probabilmente, dopo la morte del padre, si erano trasferiti mantenendo sul citofono solo il cognome di Paola.
«Non dirlo a nessuno, però» disse ad un tratto, regalandomi un sorriso da farmi perdere il fiato «Non voglio che si sappia. Verrebbe sfruttata solo per compatirmi» aggiunse.
Mi strinsi le mani ed annuii,
«Vuoi qualcosa da bere, RovesciaCappuccini?» mi guardò seducente, tornando d'un tratto il Davide di sempre.
«No grazie» sorrisi imbarazzata.
«Dai! Non farti pregare. Un bicchiere di succo» continuò.
Non aspettò nemmeno la mia risposta che abbandonò la camera da letto. Lo seguii in salotto, osservandolo mentre riempiva due bicchieri con del succo alla pera. Li afferrò e me ne porse uno gentilmente, sorridendomi ancora. E ancora il mio cuore si fermò. Bevvi tutto d'un fiato, nonostante la mano tremante.
«Ti ha dato problemi Lorenzo?» mi domandò, pulendosi la bocca con la manica della maglia.
«Non molti. Solo all'inizio perchè voleva stare con te» risposi, vagando con lo sguardo, cercando di non posarlo nel suo.
«Non è mai stato con una persona che non fossi io o mia madre» spiegò ridacchiando «Però è un bravo bambino, nonostante i capricci»
Annuii. L'unica cosa che riuscivo a fare era annuire. Lui continuava a parlare ed io muovevo solo la testa. Idiota! Ma era come se, stando insieme ad un ragazzo, le pile si scaricassero d'un tratto, non permettendomi di dire e fare quello che volevo.
«Sarà il caso che ci presentiamo, no?! Visto che il destino continua a farci incontrare» il suo tono di voce era roco e seducente «Davide»
Allungò la mano e io l'afferrai con la mia sudaticcia.
«A-Alice» tentennai.
«Finalmente ho scoperto il nome di quella ragazza che mi ha conquistato con la sua timidezza» disse Davide, spiazzandomi completamente.
Davide Saronno aveva realmente detto conquistato riferendosi alla sottoscritta?!
«Co-come?» balbettai, con gli occhi spalancati.
«È da un po' che pensavo a te. La tua dolcezza mi ha davvero spiazzato» continuò «Ho sempre avuto a che fare con ragazze dalla gonna corta e dal letto facile. Ammetto che non mi è mai dispiaciuto» sogghignò «Ma è da un po' di tempo che desidero qualcosa di più del semplice sesso. Ti ho cercata a scuola, ma sei sempre così sfuggente»
Più parlava e più le mie guance andavano a fuoco, più il mo cuore accelerava la sua corsa, più le mie gambe diventavano molli.
«Sono sicuro che non è casuale il fatto che tu sia la baby-sitter di mio fratello, che tu abbia scoperto la mia debolezza. Tu credi nel destino, Alice?»
Il mio nome pronunciato dalla sua voce dolce e sensuale batteva quasi quella di Dario. Magari ero solo condizionata da quella specie di dichiarazione d'amore inaspettata, o forse Davide aveva ragione. Il destino. Non ci avevo mai creduto più del dovuto, ma in quel momento iniziavo a ricredermi.
«Sì» risposi in un sussurro.
La sua mano scivolò sulla mia guancia in una carezza carica di dolcezza, di ardore e di passione.
«Ti dispiacerebbe se cominciassi a corteggiarti?»
Sgranai gli occhi, spiazzata da quella domanda. Saronno voleva corteggiare me! La stupida e ingenua Alice Livraghi?!
Deglutii a fatica. Mi sembrava tutto così strano, sembrava impossibile che Davide si fosse accorto di me così, all'improvviso e che mi dicesse cose simili. Ma in un momento come quello pensare mi risultava complicato e la parte irrazionale di me prendeva il sopravvento annebbiando qualsiasi dubbi sul suo conto. Mi strinsi nelle spalle scrollandole, senza dare una risposta alla sua domanda. Ma a lui non interessavano, a quanto pareva, decideva da solo, senza aspettare la conferma dell'altro.
«Domani sera sarei dovuto andare a pattinare ma mi hanno dato buca» mi guardò con un sopracciglio alzato e un sorriso da mozzare il fiato «Ti andrebbe di venire con me?»
Annaspavo, cercavo in tutti i modi di respirare più aria possibile per continuare a vivere.
«Credo che dovrò badare a Lorenzo» risposi.
«Domani sera mia madre non lavora» spiegò come se fosse la cosa più ovvia del mondo «Allora, vieni?» insistette.
Guardai il pavimento, dubbiosa, spiazzata, incredula per quello che stava accadendo in così poco tempo. Deglutii e alzai la testa per incontrare finalmente il suo sguardo oceanico. Annuii con un sorriso timido e lui fece lo stesso. Mi prese per un braccio, trascinandomi verso di lui e facendomi sbattere contro il suo petto. Mi strinse forte, dondolando da una parte all'altra e schioccandomi un lungo bacio tra i capelli.
Se quel pomeriggio ero confusa, la sera lo divenni ancora di più. Qualche settimana prima nessuno mi filava, ero invisibile, mentre ora avevo tre ragazzi che popolavano la mia mente, uno più incredibile dell'altro.
Three is better than two.
Ma non per la me e la mia vita fin troppo scombussolata.





Alice e Dario



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Buon martedì pomeriggio a tutte/i!
Piaciuta la sorpresina a fine capitolo? ^^
Che dire?! Questo capitolo mi ha dato un sacco di problemi, colpa di Davide, anzi, di Alice. Avevo un'altra idea n mente, ma scrivendo l'ho vista allontanarsi sempre di più, per cui Davide ha cominciato ad andarmi "stretto", non sapevo davvero come inserirlo. Ma, pensando e ripensando, non dormendo la notte e durante i viaggi in metropolitana ho rimediato ^^
 Alice è assai confusa. Inizia ad affezionarsi molto a Dario (come non darle torto), ma sa che lui dopo San Valentino non ci sarà più per lei, che tornerà alla sua vita. Non avendo già abbastanza problemi, si è ritrovata a fare da babysitter in casa di Davide, facendo una scoperta inaspettata, anzi due: non ha più il papà e che lui si è accorto di lei. Sconvolgente! xD
Sto iniziando a pensare ad una piccola raccolta di Missing Moments, degli episodi di questa storia visti però con gli occhi di Dario, per ringraziarvi di tutto il sostegno e l'affetto che mi date. Poi, perchè no, magari scriverò anche una storia su di lui, ma vedremo. Ho deciso di farvi questo regalo perchè mi è parso di capire che il nostro gigolò vi piaccia molto e ne sono contenta. La raccolta si intitolerà In un giorno qualunque, come la canzone del mitico Mengoni. Poi capirete il perchè quando arriverà la festa di San Valentino ^^
Ora, i ringraziamenti. Allora, innanzitutto sono felice di dirvi che questa storia ha ricevuto oltre 600 visite! Wow! So che le visite non contano molto, ma mi rende felice comunqu :) Quindi grazie lettori silenziosi!
Poi, Grazie alle 14 persone che hanno inserito la storia fra le preferite, alle 6 che l'hanno inserita nelle ricordate e alle 45 che l'hanno inserita nelle seguite, siete la mia forza :')
Grazie anche a chi ha recensito lo scorso capitolo, siete adorabili :)
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Grazie ancora e alla prossima!
Un bacio, Manu ♥

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Capitolo 9
*** Special ***


C a p i t o l o 8

Special



Ancora non avevo metabolizzato tutto quello che era successo il giorno prima, non avevo avuto né il tempo né la concentrazione giusta per realizzare. Il pomeriggio si era aperto con un quasi bacio con Dario e si era conclusa con la dichiarazione da parte di Davide. Mi sembrava impossibile che questo stesse accadendo ad una Alice Livraghi qualunque. Stavo anche quasi dimenticandomi di Federico. E invece no, perché dicendo così lo stavo pensando in realtà. Accidenti! Dovevo essere felice in quel momento, eppure la confusione che si era creata intorno a me non mi permetteva di gioire.
Mi misi le mani tra i capelli, abbassando il viso verso il De rerum natura di Lucrezio, cosa che mi fece deprimere maggiormente. Già non sopportavo il latino e tradurlo mi sembrava una Mission Impossibile peggiori di quelle di Tom Cruise, per di più ora che la mia mente era più piena della metropolitana di Milano nell'ora di punta quelle parole sembravano solo linee nere senza senso. Sbuffai sonoramente, sbattendo la testa contro il libro e simulando un pianto, anche se la voglia di piangere e sfogarmi, magari prendendo a pugni Raffaele, c'era eccome.
Suonarono al citofono, un suono assordante che non fece altro che aumentare il mio nervosismo.
«Smell, vai ad aprire!» urlai poco finemente, sembrando uno scaricatore di porto.
Chi diavolo era alle tre del pomeriggio? Solitamente la gente a quell'ora lavorava o faceva una pennichella, non andava in giro a rompere le scatole. Raffaele strascicò verso la cucina, sporgendosi dalla porta a soffietto e guardandomi con uno strano sguardo inquisitore. Gli sorrisi incerta, in attesa di una spiegazione.
«Chi è!?» gli chiesi poi, curiosa.
«Un tuo amico» rispose, sollevando le sopracciglia. Si appoggiò allo stipite, continuando a guardarmi stile Horatio Caine nel pieno di un interrogatorio con un assassino «Hai un po' troppi amici» fece le virgolette «maschi»
«Sei geloso?» domandai incredula.
«Assolutamente no. Ma non è bello scoprire che la propria sorella si è trasformata in una poco di buono»
Sgranai gli occhi e spalancai la bocca scioccata da quella frase. Chiusi la cerniera dell'astuccio e lo lanciai, colpendo il muro.
«Io non sono una poco di buono» sibilai «E gli amici sono solo amici e nulla più!» alzai di più la voce.
Raffaele mi osservò ancora con cipiglio e sospetto, squadrando poi il nostro ospite che era fuori dalla porta. Mentre si allontanava continuava a lanciargli occhiate omicide. Molto probabilmente era molto più geloso della sua bellezza che di me.
«Che bell'aria familiare» ironizzò Dario, strisciando la sedia davanti a me con poco garbo e lasciandosi cadere sopra, lanciando l'astuccio appena raccolto sul tavolo.
«Di solito è anche peggio» risposi.
Mi imposi mentalmente di non guardarlo e pensare a tradurre Lucrezio. Dovevo far finta di nulla, ero ancora tremendamente imbarazzata per il pomeriggio precedente. Anche se mi risultava difficile. Proprio quel giorno Dario doveva indossare un sexy maglione grigio con scollo a V che mi dava un piccolo panorama sui suoi pettorali, talmente attillato da disegnarli perfettamente quel fisico scultoreo che portava i miei ormoni alla pazzia? Non poteva starsene a casa sua a mangiare ciambelle invece di venire a organizzare quel festino ormonale dentro di me? Avevo declinato il suo invito preferendo Lucrezio a lui, cercando così di non doverlo vedere. Invece era lì davanti ai miei occhi, così sexy che mi veniva voglia di sbatterlo sul tavolo e...
Alice! Contieniti!
Cavoli, mi ero perfino leccata le labbra stile ninfomane pervertita. Speravo solo che lui non si fosse accorto di questa mia vena porca sconosciuta perfino a me stessa.
«Non c'era bisogno che venissi» gli dissi, cercando di sembrare distaccata «Anche perché non ho davvero tempo da dedicarti» continuai, fingendo interessata al dizionario di latino. Lo sfogliai in cerca di una parola che nemmeno io sapevo.
«Avevo bisogno di parlarti» rispose lui, intrecciando le mani sul tavolo.
Sollevai lo sguardo incuriosito dal dizionario, perdendomi nella purezza di quel petrolio liquido.
«Riguarda quello che è successo ieri. O meglio, quello che non è successo»
Ecco, immaginavo. Abbassai subito lo sguardo a guardare libro e quaderno, sentendomi avvampare e assolutamente stupida.
«Si fa abbastanza freddo» dissi, almeno per fargli capire che quell'argomento non volevo nemmeno sfiorarlo.
Dario sorrise e mi guardò intensamente.
«Sono serio, Alice»
La sua voce roca era così dannatamente sensuale che il mio corpo cominciò ad ardere. Sentivo caldo, come se qualcuno avesse d'improvviso alzato il riscaldamento al massimo. Non potevo vedermi, ma ero sicuro di avere le guance paonazze.
«Anche io ero seria» risposi incerta «Fa molto freddo»
L'espressione di Dario si fece seria. Incrociò le braccia e si sporse leggermente in avanti come per vedermi meglio.
«Non tergiversare» mormorò «Non puoi far finta di nulla.
«Da come parli sembra che siamo stati a letto insieme» commentai sarcastica.
«Bè, se non ti avessi fermata chissà cosa sarebbe successo» ironizzò con la sua solita spocchia che distruggeva sempre quel velo di intimità che si creava tra noi. Lo guardai con sufficienza e infastidita. Quel giorno dovevo sembrare proprio una battona visto che tutti mi trattavano come tale.
«A parte gli scherzi e tralasciando la tua permalosità» mi sorrise, per poi tornare serio «Volevo solo chiarire quello che è successo ieri. So che era solo uno stupido bacio e che potevo anche concedertelo»
Come, come?! Concedermelo?! Aveva detto veramente così? Era talmente presuntuoso che credeva quasi di essere fatto d'oro, che un suo bacio era così prezioso e importante. Ma non lo era affatto. Ero campata diciotto anni senza le sue labbra, ne avrei campati altri cento! Alzai le sopracciglia, sorridendo sghemba.
«Oh che uomo di gran cuore!» trillai portandomi le mani congiunte sul cuore «Mi avresti concesso un bacio, che sforzo!» continui ironica «È meglio che scendi da solo dal tuo piedistallo perché se lo facesse qualcun altro ti faresti molto male.
Caspita, che saggezza in un unico pensiero. Mi stupii di me stessa! Possibile che quelle fossero parole mie? Ero praticamente pronta per un Pulitzer! Dario affondò le mani tra i capelli, scendendo poi ad accarezzarsi le guance.
«Quanto sei permalosa» sospirò quasi esasperato «Bisogna stare attenti con le parole con te»
Stavo per trovare un'utilità al mio dizionario di latino: spaccarlo in testa a Dario. Sorrisi soddisfatta a quel pensiero, forse la mia espressione era anche omicida, stile serial killer.
«Avrei potuto anche baciarti» riprese, alterato «Ma non sarebbe stato eticamente corretto. Non volevo che tu sprecassi così il tuo primo bacio, con un estraneo, con uno gigolò» il suo tono si fece mesto, quasi facevo fatica a sentirlo «con uno come me. Non meritavo quell'atto così puro. Se ti avessi baciata mi sarei dannato a vita. So che forse sono paranoico, che un bacio in realtà è una sciocchezza, ma sarebbe stato il tuo primo bacio, qualcosa di importante, soprattutto perché hai già 18 anni e vorrei che tu lo riservassi per una persona davvero speciale per te. Ed io non sono quella persona perché io non sono speciale.»
Tutto d'un tratto la mia irritazione era sparita, non potevo essere arrabbiata dopo quel discorso. In quelle parole c'era una nota di amarezza. Sembrava quasi che Dario non sopportasse di essere uno gigolò, di essere se stesso. Non capivo perché questo odio nei suoi confronti, io lo trovavo adorabile, soprattutto quando si trasformava in un cucciolo come in quel momento. Presi a piegare gli angoli del quaderno, imbarazzata.
Tu sei speciale.
Avrei voluto dirgli, ma non ci riuscii, quelle parole mi morirono in bocca.
«Scusami se ti ho messo a disagio» dissi, con il volto chino, chiusa nelle spalle «Non so davvero cosa mi è preso. Ho agito d'istinto, senza pensare» gli sorrisi.
«Nessuna donna ti biasimerebbe» rispose lui, tornando il Dario vanitoso e sicuro di sé «Tutte vorrebbero baciarmi, e non solo. Se fossi una donna farei di tutto per scoparmi»
«Modesto» commentai, facendolo ridere.
La magia che aveva creato poco prima era stata dissolta in un nanosecondo dalla sua presunzione. Ma Dario non sarebbe stato quel ragazzo speciale che era senza la sua boria, lo scudo che proteggeva il suo animo dolce e che mascherava quei momenti di pseudo-sconforto provocato da chissà che cosa. Avrei voluto che lui si sfogasse con me, ma sapevo che chiedevo troppo.
«Comunque, chi è l'uomo che ti ha sottratta a me?» domandò, fintamente irritato, aggrottando le sopracciglia.
«Lucrezio» risposi, sconsolata, appoggiando la guancia sul libro.
Il rumore della sedia che strisciava si ripercosse sul tavolo, facendolo vibrare, i passi di Dario lo fecero rimbombare, facendo arrivare alle mie orecchie suoni ovattati. La sua mano si appoggiò accanto al libro, così abbronzata, con quelle dita affusolate. Per un parlare dell'avambraccio che faceva capolino dalla manica leggermente sollevata del maglioncino, magro e con una leggera peluria scura. Mi sentivo come se mi avessero abbandonata sul Sole, il troppo caldo mi impediva di pensare e persino respirare. Possibile che anche il suo avambraccio fosse così dannatamente sensuale? C'era qualcosa in lui che non fosse sexy? Il riporto, i piedi puzzolenti o un'unghia incarnita?
«Se vuoi posso darti una mano»
Mi rialzai, trovandomelo a pochi millimetri di distanza, piegato sul tavolo per leggere il testo da tradurre, con la sua guancia praticamente attaccata alla mia. Il suo odore solleticò le mie narici e tutti i miei sensi, compresi il sesto, che mi permetteva di vedere i fantasmi, e il settimo che non ho idea quale sia.
«Sai il latino?» domandai, risvegliandomi da quella specie di catalessi che mi provocava il suo profumo.
«Ho fatto il classico» rispose, voltandosi verso di me e sorridendo.
Il suo viso era troppo vicino al mio e ancora quella voglia di baciarlo mi colse. Volevo che quelle labbra divenissero mie, sentire il velluto solleticare la mia bocca, anche per un secondo, solo per sentirlo mio un solo istante. Ma mi morsi le labbra e resistetti a quella tentazione, distogliendo lo sguardo da lui e guardando le fantastiche ortensie appassite di mia madre sul balcone.
Dario prese una delle sedie, posizionandola accanto alla mia e sedendosi accanto a me. Fece strisciare quaderno e libro davanti a sé, rubando poi dal mio astuccio una bic nera.
Bello, dolce, sexy, stronzo quanto bastava e anche intelligente! C'era qualcosa di meglio di Dario? Fino a quel momento non lo avevo ancora trovato.
Con la mano destra mi strinse la spalla, spingendomi delicatamente verso di lui. Non me lo feci ripetere un'altra volta e accettai il suo invito, adagiando la testa sulla sua spalla e godendo di quell'ennesimo contatto. Dario cominciò a leggere, muovendo le labbra sensuali ad ogni parola, mentre mi accarezzava dolcemente la spalla. Brividi, puri e semplici brividi lungo tutto il corpo.
Scoprii in quel momento un piccolo e forse inutile particolare di lui: era mancino. Aveva iniziato a scrivere la traduzione sul quaderno senza nemmeno l'ausilio del dizionario. Era un genio del latino, chi se lo sarebbe mai immaginato!
«Non ne sono sicuro, ma la prima frase dovrebbe essere così»
A malincuore dovetti abbandonare la sua spalla per sporgermi in avanti e leggere ciò che aveva scritto, anche se tanto, giusto o meno, non me ne sarei accorta.
O miseri uomini, guardatevi bene da questa giovane donzella permalosa.
Rimasi perplessa lì per lì, ma sentendo la risatina divertita di Dario capii che era una chiara presa per il culo. Contrassi la mascella, sferrandogli una gomitata nel petto, che lo fece lamentare per il dolore.
«Oh, scusa, non l'ho fatto apposta!» esclamai fintamente mortificata, guardandolo mentre si massaggiava il petto e rideva come uno scemo.
«Non lo dico io!» alzò le mani in segno di resa «Queste sono parole di Lucrezio!»
«Idiota» lo liquidai irritata, incrociando le braccia al petto e sbattendo la schiena contro la sedia.
Altro che intelligente, era più stupido di Spongebob e irritante come l'ortica.
«Dai Alice, scherzavo!»
Mi schioccò un lungo bacio sulla guancia cercando di addolcirmi. Fu difficile resistere dal saltargli addosso e farci le peggio cose, ma cercai di resistere con tutte le mie forze, rimanendo solida nel mio broncio. Era vero, ero permalosa, forse troppo e odiavo che mi venisse ripetuto in continuazione, così come mi infastidiva che venissero derisi i miei difetti.
Nonostante la guancia ustionata e i miei pensieri vacillanti tra l'impuro e l'orgoglio, sollevai il mento con fastidio, guardando da tutt'altra parte, per rincarare la dose e farlo sentire maggiormente in colpa, insomma.
«Alice, non fare l'arrabbiata con me» piagnucolò Dario.
Mi voltai cautamente per riuscire a vederlo almeno con la coda dell'occhio. Mai lo avessi fatto! Aveva gli occhi spalancati, il labbro inferiore in fuori e tremolante nella tipica espressione da bambino in cerca di perdono. Diamine, non riuscivo a resistere agli occhi dolci, soprattutto poi se gli occhi in questione erano quelli meravigliosi di Dario. Ammorbidii le spalle, sospirando e sciogliendo le braccia.
«Questa mossa è stata davvero subdola» lo rimproverai anche se la mia voce che avrebbe dovuto essere canzonatorio era fin troppo dolce.
Dario mi afferrò un braccio, spingendomi verso di lui e mi ritrovai la guancia spiaccicata sul suo petto oltremodo sviluppato. Posa innaturale stile gobbo di Notre Dame che mi avrebbe fatto venire ben presto una scoliosi e un imminente colpo di calore derivante dalla troppa vicinanza con il suo fisico pazzesco a parte, ricambiai la stretta, accarezzandogli il fianco. In un modo o nell'altro, ci ritrovavamo sempre abbracciati, non che la cosa mi dispiacesse, anzi. Ogni volta che mi ritrovavo tra se sue braccia mi sentivo protetta e tranquilla e il suo odore era diventato una specie di droga, dipendevo da quella fragranza che non sapevo bene come definire.
Come avrei fatto senza di lui dopo San Valentino? Ormai era entrato a far parte della mia vita, sconvolgendola completamente. Era una routine vederlo ogni giorno, finire tra le sue braccia, condividere con lui le mie inutili mattinate a scuola e per me era quasi impossibile rinunciare alla routine, così come mi risultava impossibile pensare ai miei pomeriggi senza di lui. Sentivo gli occhi pungere, riempirsi piano di lacrime, pulsare quasi volessero esplodere da un momento all'altro. Ci mancava solo che mi mettessi a piangere come una cretina! E poi come mi sarei giustificata con lui, come avrei spiegato il suo maglione bagnato tutto d'un tratto? Servizio di lavanderia Livraghi, sono 3 euro?!
Strizzai gli occhi, ricacciando indietro le lacrime, ingoiando quel magone che mi aveva stretto la gola, quasi impedendomi di respirare.
«La prossima volta non funzionerà» dissi, cercando di stabilizzare la mia voce traballante.
«Alice» mormorò dubbioso Dario «Stai» esitò qualche secondo «Stai piangendo?»
Mi strinse le spalle, allontanandomi delicatamente da lui per potere guardare nei miei occhi. Distolsi immediatamente lo sguardo per paura che potesse leggermi dentro, che capisse che lui era la causa della mia tristezza improvvisa. Guardavo le mie mani che stropicciavano convulse e nervose il lembo della felpa, indipendenti da qualsiasi mio stimolo cerebrale che le intimava di smettere.
«Che c'è piccola?» mi domandò con voce zuccherosa Dario sollevandomi il mento con l'indice.
Porca miseria! Se mi guardava con quello sguardo dolce, comprensivo ed estremamente sexy mi era difficile riprendermi psicologicamente ed ormonalmente!
Scossi la testa e gli sorrisi, cercando di sembrare il più naturale possibile. Non desideravo ricevere un terzo grado, nemmeno da un detective figo come poteva essere Dario.
«Nulla» risposi poi.
«Non ci credo» ribatté, corrugando la fronte.
«Non ho niente, davvero!» esclamai, sorridendo nuovamente.
«Non prendermi in giro, si capisce che c'è qualcosa che non va»
Mannaggia a lui e al suo spirito di osservazione. L'unica cosa da fare in quel momento era scappare, sottrarmi dalle sue grinfie e gettarmi dal balcone nella speranza che un supereroe mi salvi prima che mi schiantassi al suolo, portandomi via con lui chissà dove. Peccato solo che le mie strategie di fuga erano solo leggermente irrealizzabili. Invece di pensare ad una soluzione seria, me ne uscivo con trame di film hollywoodiani.
«Riguarda il ragazzo che ti piace?» domandò apprensivo, accarezzandomi la guancia.
Dipende a quale ragazzo si riferiva lui dato che ne avevo tre che mi stavano spedendo al manicomio con un biglietto di sola andata.
«No, davvero sto bene!» riprovai, senza sortire nessun nuovo effetto.
Era risaputo che se una donna diceva Non c'è nulla che non va, in realtà stava attraversando una crisi personale legata a chissà quale crisi paranoica e che se l'uomo non si interessava a lei era considerato un insensibile. Quindi, ovviamente Dario, che aveva avuto più donne che capelli, conosceva bene questo lato e non era intenzionato a cedere fino a quando dalla mia bocca non fosse uscita la verità. Ma me la murai, dalle mie labbra non sarebbe uscito nulla.
Mi guardò con un sopracciglio abbassato e un sorriso scaltro credendo di farmi sputare il rospo così semplicemente.
«Sbalzi ormonali» me ne uscii poi, incerta.
«Lo so, la mia presenza stimola gli ormoni femminili» disse, convinto, appoggiando un gomito alla spalliera della sedia.
Bè, almeno si sarebbe distratto da me con la sua vanità.
«Stupidate a parte» riprese serio, sporgendosi verso di me, con i gomiti appoggiati alle ginocchia «Non mi vuoi dire cos'hai?»
I suoi sbalzi d'umore e quei repentini scambi tra il Dario vanesio e il Dario di zucchero filato cominciavano a preoccuparmi. Era parecchio instabile il ragazzo, mentalmente parlando.
Mi strinsi nelle spalle, posando lo sguardo su qualsiasi oggetto in quella cucina, poi scossi con vigore la testa, sorridendogli. Lui fece lo stesso, prendendomi una mano e portandosela vicino alla bocca. Prima sentii il suo respiro caldo scivolare sopra le nocche provocandomi strani tremiti lungo la schiena, poi le sue labbra si posarono sul dorso della mia mano, baciandola delicatamente. La mia temperatura era arrivata a toccare i 60 gradi Celsius, il mio cervello aveva abbandonato la sua sede naturale fino a data da destinarsi, lasciando al suo posto un cartello con scritto Torno subito, dando così la possibilità ai miei ormoni di governarmi.
Le sue labbra si allontanarono dalla mano e i suoi occhi affogarono nei miei. Scivolai con il sedere lungo la sedia arrivando quasi al bordo, avvicinandomi maggiormente a Dario pronta e vogliosa di baciarlo, con il cuore che rimbombava in tutto il corpo e il respiro accelerato. Lui deglutii, lo notai per il suo pomo d'Adamo, come se fosse a disagio, ma sembrava assecondarmi. Senza mai liberare la mia mano, si sporse anche lui verso di me.
No, no e poi no!
Il mio cervello era tornato, troppo presto! Speravo quasi che avesse lasciato la mia testa per sempre, così magari sarei riuscita a farmi andare di più nei sentimenti. E invece no, era lì, irremovibile e doveva mettere il becco nei momenti peggiori, peggio di Smell. Stupido cervello!
Eravamo a due millimetri di distanza, sentivo il suo alito sul viso, le sue labbra erano a distanza di bacio, potevo sentirle sulle mie, dare il mio primo bacio. Ma purtroppo il mio cervello era tornato sui suoi passi, rimettendo ordine nel mio corpo come una preside severa con degli alunni indisciplinati. Abbassai di poco il volto, ritraendomi. Dario ridacchiò, passandosi una mano tra i capelli, scuotendo la testa. Notai un lieve rossore nascergli sulle guance, un rossore che lo faceva diventare ancora più sexy, ancora più dolce di quanto già non fosse. Era imbarazzato e venni assorbita anche io in quella spirale di timidezza, tanto che il silenzio era calato nella cucina. Solo il tic-toc dell'orologio ci ricordava di essere ancora vivi.
«Che ne dici» ruppe quel silenzio troppo pesante anche per lui «Stasera usciamo?» mi domandò in un soffio.
Mi ripresi la mano e, impacciata e imbarazzata, mi portai più volte la stessa ciocca dietro l'orecchio. Mi bagnai le labbra con la punta della lingua e sospirai rumorosamente.
«Veramente stasera ho un appuntamento» ammisi.
«Con chi?» domandò prontamente Dario con un pizzico di curiosità.
Esitai qualche istante, sorridendo nervosamente.
«Con un ragazzo»
Mi sembrava impossibile che quelle parole fossero uscite dalle mie labbra. Io, e sottolineo io, e quindi non una stragnocca qualsiasi, aveva un appuntamento con un ragazzo. Non uno qualsiasi, uno di quelli anonimi che popolavano la mia scuola, ma Davide Saronno. Possibile che quello che stava accadendo fosse reale e non frutto magari di qualche gas esilarante respirato chissà dove? Dario corrugò la fronte, guardandomi dubbioso.
«E non uno qualunque» ripresi elettrizzata «Hai presente il classico bello della scuola? Lui! Ci credi? Io ancora no!» non mi resi nemmeno conto che gli presi le mani e le strinsi «È stata la mia prima cotta e non speravo nemmeno che lui si accorgesse di me. E invece stasera andremo a pattinare!»
Sorridevo come una stupida, le mie guance andavano a fuoco solo a pensare a Davide. Ero davvero incommentabile: prima fremevo per avere un bacio da Dario, ora non avevo pensieri che per Saronno. O avevo realmente un'anima da battona, oppure avevo solo un'irrefrenabile voglia di amare ed essere amata.
La mia ilarità da tredicenne ormonata si spense non appena vidi il volto di Dario incupirsi. Era diventato serio e faceva di tutto per non guardarmi. Sottrasse le sua mani alle mie, alzandosi poi dalla sedia e fermandosi sulla soglia della porta della cucina. Io rimanevo a guardarlo sgomenta, senza sapere cosa fare, senza sapere cosa dire.
«Divertiti stasera» mi disse secco.
Il suo sguardo, prima puntato verso il pavimento, si alzò incontrando il mio. Sembrava quasi arrabbiato ed amareggiato e la cosa mi lasciava sempre più incredula.
«Stai attenta» si raccomandò premuroso «Li conosco fin troppo bene i ragazzi così»
Non mi diede nemmeno il tempo di metabolizzare il suo discorso, che si allontanò dalla cucina. Sentii la porta chiudersi con vigore e solo in quel momento realizzai che Dario se n'era andato via, senza nemmeno salutarmi, lasciandomi spaesata e sgomenta e con quelle parole che mi rimbombavano in testa, senza darmi pace.


Ero talmente agitata e ancora pensierosa per le parole di Dario che durante il tragitto in macchina verso il forum di Assago non spiccicai parola, se non qualche sporadico accompagnato da un sorriso tirato. Davide era dubbioso per il mio comportamento, ma inizialmente sembrava non essere particolarmente interessato al mio stato d'animo. E non sapevo se questa cosa mi dispiaceva o meno. Se me lo avesse chiesto, non gli avrei comunque risposto, ma un minimo di interessamento accidenti.
Parcheggiò vicino alle scale dell'entrata e scendemmo dall'auto, abbandonando quel dolce tepore della sua Citroen. Spedita, mi avvicinai all'entrata, con io volto basso e senza degnarlo nemmeno di uno sguardo. Davide mi afferrò per il braccio, facendomi indietreggiare, fino a farmi aderire al suo corpo. Mi diede un bacio tra i capelli, appoggiando poi il mento sulla mia spalla.
«Cosa c'è che non va Alice?» mi domandò dolcemente.
Il freddo pungente di Febbraio era ormai un lontano ricordo, il suo abbraccio e il suo corpo avevano fatto alzare anche fin troppo la mia temperatura, sembrava quasi di essere arrivati magicamente a Giugno. Rilassai i muscoli tesi, sorridendo stupidamente.
«Ho litigato con un amico» risposi.
Anche se, in effetti, non avevamo litigato. Lo avremmo fatto, se lui mi avesse dato l'opportunità di urlargli contro. Fatto stava che ero molto arrabbiata con Dario. Insomma, mi aveva piantata in asso come una deficiente senza nemmeno salutarmi!
Davide mi si affiancò, abbracciandomi per la spalla, permettendo così alla mia guancia di aderire al suo petto.
«Amico» ripeté con un pizzico di malizia.
Ormai quella storia cominciava a darmi sui nervi. Cosa c'era di tanto strano nel dire Amico? Perché la gente doveva sempre travisare le parole per cercare in tutto il doppio senso.
«No, non è il mio ragazzo se questo che vuoi sapere» risposi aggressiva.
«Hey, tranquilla Cappuccina!» ridacchiò Davide «Pensavo solo che qualcun altro ti stesse facendo la corte»
«Come scusa?»
«Sono geloso, che c'è di male?!»
Arrossii violentemente, stringendomi ancora di più al suo petto mentre la sua stretta sulla mia spalla si faceva più tenace. Quelle parole dette da Davide mi rendevano felice talmente tanto che mi sentivo leggera, quasi fossi approdata sulla Luna. Al diavolo Federico e soprattutto al diavolo Dario e alle sue stupide paranoie. Sebbene le sue parole riecheggiavano nella mia mente insinuandomi strani dubbi, non riuscivo a dargli ragione. Perché Davide non poteva essere realmente interessato a me, senza nessun doppio fine? Era così strano da credere?!
«Mi riferivo al nomignolo che mi hai dato» tentennai con voce tremante.
«Oh!» esclamò lui, scoppiando poi in una risata imbarazzata e nervosa «Cappuccina, non ti piace?»
Alzai il viso incontrando i suoi occhi oceanici e il suo sorriso mozzafiato. Quel momento, io e lui occhi negli occhi, abbracciati in quella serata gelida, era forse il migliore della mia vita, quello che avevo sognato da quando avevo 15 anni e che ora si era trasformato in realtà. Chiusi gli occhi quando le sue labbra si posarono sulla mia fronte, lasciandomi cullare dai suoi movimenti. Un'attesa lunga, quasi estenuante e ormai priva di speranza, che però aveva dato i suoi frutti. E che frutti!
Ci fermammo di fronte ad un bancone dietro il quale stava un ragazzo dalla pelle grassa, e non solo la pelle, con l'aria di un tricheco assonnato, che ci consegnò quelle macchine infernali che dovevano essere i pattini. Già mi terrorizzavano.
Li indossai e con perplessità mi alzai, cercando di non cadere. Come cavolo pretendevano che camminassi su delle lame, dato che mi era difficile reggermi in piedi anche solo con le scarpe da tennis. Ricaddi subito sulla sedia prendendo una botta all'osso sacro che mi fece vedere le stelle. Davide, impacciato, si avvicinò a me ridendo e tendendomi una mano. La afferrai e, titubanti, reggendoci l'un l'altro, raggiungemmo l'entrata alla pista ghiacciata. Il cuore mi batteva all'impazzata sia per la presenza di Davide che per la figura di merda che sicuramente avrei fatto di fronte a tutta quella gente.
Saronno mi superò, entrando nella pista e rischiando di scivolare subito. Mi trattenni dal ridere, mentre lo vedevo dimenarsi per reggersi in piedi. Allora non ero la sola ad essere goffa.
«Dai vieni, ti reggo io» mi disse, ondeggiando le braccia per reggersi in piedi.
«Sono in buone mani, allora» risposi sarcastica.
«Ti fidi di me?» domandò, allungando la mano, simulando la scena di Aladdin.
Sospirai, facendomi coraggio e la afferrai, raggiungendolo sul ghiaccio. I miei piedi andavano per conto loro e nonostante tutti gli sforzi di mantenermi in equilibrio, scivolai, cadendo come una pera marcia sul deretano, portandomi dietro anche Davide.
«Sei una frana!» ridacchiò lui, cercando di tornare in piedi, ma non riuscendo nemmeno a mettersi in ginocchio.
«Da che pulpito» ribattei io sorridendo ironica «Guardati, sembri Mr. Bean!»
«Ah-Ah, spiritosa» mi fece una linguaccia.
Era esilarante vederlo dimenarsi come una carpa appena pescata nell'inutile tentativo di rialzarsi. Saremmo rimasti lì per sempre a meno che non fosse arrivata la protezione civile. Se poi riuscivano sollevarmi da lì dato che il mio culo stava diventando un tutt'uno con il ghiaccio.
Riuscì a mettersi in ginocchio e mi sorrise spavaldo, facendomi scoppiare a ridere. Appoggiò il piede e la mano destra, sollevando il sedere rotondo. Era quasi in piedi, ma scivolò di nuovo, rimanendo steso sul ghiaccio con le gambe e le braccia aperte, agitandosi e rischiando di farsi calpestare dagli altri.
Avevo sempre pensato che lui fosse una sorta di personaggio perfetto dei film, di quelli belli quanto bravi in tutto ciò che facevano. Invece mi aveva stupita, sul ghiaccio era davvero una frana. Non mi ero mai divertita così tanto in vita mia come in quel momento.
Tra uno scivolone e l'altro, riuscì a raggiungere il muretto e, aggrappandosi a quella specie di ancora di salvezza, si sollevò lievemente affannato. Mi guardò sorridendo sornione, facendomi il segno della vittoria.
Teneramente impacciato, si avvicinò a me, pattinando sbilanciato in avanti, oscillando le braccia come un improbabile equilibrista in cerca di stabilità. Mi tese un braccio, supplicandomi con i suoi bellissimi occhi di non farlo cadere di nuovo. Mi aggrappai, concentrandomi per non farci cascare ancora come due pesche bacate e fortunatamente, riuscii a rialzarmi, ritrovandomi tra le sue braccia.
«Ne ho già abbastanza di questi pattini!» esclamò, esasperato.
«Anche io, decisamente!» risposi.
Mai più avrei messo piede in un palazzetto del ghiaccio, se non per vedere le comiche di Davide.
«Che ne dici di andare al bar?» propose.
Annuii. Volevo lasciare quel ghiaccio il prima possibile. Il mio sedere ne aveva già abbastanza di lui. Ci trascinammo, abbracciati l'un l'altro verso l'uscita, cercando di non cadere nuovamente. Riuscimmo ad uscirne indenni e a toglierci quelle trappole che mi avevano fatto sudare i piedi, rendendoli dei pezzi di taleggio ammuffito.
Raggiungemmo il piccolo bar del palazzetto e inutile dire gli sguardi ammaliati delle ragazzine che c'erano lì. Le avrei ammazzate se non fosse che mi avrebbero sbattuto in carcere. E la cosa che mi dava più fastidio era che Davide si pavoneggiava davanti a loro, dispensando loro sorrisi e occhiolini. Gli pestai volontariamente un piede, costringendolo a guardare il mio sorriso irritato. Lo strinsi per un braccio, trascinandolo ad un tavolo
«Che irruenza, Cappuccina!» esclamò, stupito.«Hai un appuntamento con me, non con quelle oche» gli ricordai acida.
«Sei gelosa?» domandò, sensuale.
Annaspai, abbassando prontamente lo sguardo. 
«Direi di sì, viste le guance tutte rosse» disse Davide, mordendosi un labbro.
Mi portai le mani sulle guance, per nascondere il volto paonazzo, ma lui si sporse sul tavolo, afferrandomi i polsi, facendomi abbassare le braccia.
«Non coprirti» mormorò «Sei bellissima quando arrossisci»
Sorrisi nervosamente, mentre la sua mano scivolava sulla mia gota in una carezza. Arrossii ancora di più e mi sarebbe piaciuto fermare il tempo in quel momento, solo io e Davide e quella semplice e tenera carezza. Ma ovviamente, la cameriera ruminante doveva arrivare proprio nel momento migliore della serata. L'avrei sbranata!
«Cosa ordinate?» cinguettò stridulamente, mangiandosi con gli occhi Davide e aumentando in me l'istinto omicidio.
«Cappuccino?» mi chiese con un sorriso lui.
Mi ero imposta di non bere cappuccino, anche perché poi alle dieci di sera non era il massimo, quindi scossi la testa.
«Ma come?! Dobbiamo ringraziarlo il cappuccino, ci ha fatti incontrare!»
Come potevo resistere ai suoi occhi? Sospirando, annuii.
«Allora due cappuccini con il cuore»
La sgallettata segnò le ordinazioni e si allontanò, dando un ultimo sguardo a Davide, che sembrava apprezzare, dato gli occhi da lupo in calore riservato al culo stile caravan di quella biondina. Appallottolai uno dei tovaglioli che c'erano sul tavolo e glielo lanciai per attirare la sua attenzione. Lui si voltò, sorridendomi come un bambino scoperto a rubare nella riserva segreta di biscotti. Poi sospirò, succhiandosi le labbra
«È successo sette anni fa» esordì, lasciandomi dubbiosa «Lorenzo aveva solo sette mesi» abbassò lo sguardo per nascondere gli occhi lucidi.
«Non c'è bisogno che me lo racconti» dissi titubante ed estremamente a disagio. Anche perché non glielo avevo nemmeno chiesto e non mi era minimamente passato per la testa di chiederglielo.
Davide mi guardò nuovamente, sorridendomi, senza vergognarsi di mostrarmi alcune lacrime che ribelli gli segnavano le guance.
«Mio padre amava andare in bicicletta» ricominciò con la voce rotta dal pianto «La usava sempre, per andare a far la spesa, per andare a lavoro, per fare una semplice scampagnata. Ma il suo amore l'ha ucciso. Stava tornando dal lavoro una sera che sembrava una qualsiasi, una delle tante. È caduto, non so come e non m'interessa saperlo. Una macchina non ha fatto in tempo a frenare e lo ha investito uccidendolo sul colpo. Quando la polizia ha chiamato ha risposto mia madre e quando ho visto che la cornetta le scivolava di mano ho capito quello che era successo. Quella notizia mi ha svuotò completamente. Mio padre era morto, non lo avrei più visto varcare la soglia di casa, non mi avrebbe più aiutato con i compiti. Mi son ritrovato a 11 anni ad essere l'uomo di casa, ad essere la colonna portante di quella famiglia destinata a crollare. Ma non sono stato in grado di fare il mio dovere, ho solo creato danni su danni, senza fermarmi nemmeno una volta a ringraziare mia madre per tutto quello che ha fatto e sta facendo, per essersi addossata anche il mio dovere di uomo con il dolore del lutto ancora vivido in lei. Sono una delusione»
Rimasi spiazzata da quella confessione inaspettata e da quella parte così vulnerabile di Davide. Quando sentivo racconti del genere, ogni cosa che mi veniva in mente di dire mi sembrava così banale e fuori luogo, perfino il semplice Mi dispiace. Mi portai i capelli dietro le orecchie, boccheggiando per quel momento così difficile per entrambi. Allungai una mano sul tavolo, sfiorando la sua e ritraendola subita, imbarazzata. I suoi occhi bagnati di lacrime si posarono su di me e sembravano quasi volermi ringraziare per quell'inutile gesto.
«Scusami per lo sfogo» riprese Davide, asciugandosi gli occhi con un tovagliolo «Ma è da anni che mi tengo dentro questo dolore»
«No, tranquillo» risposi io, sorridendogli intimidita.
«Ci conosciamo da così poco e già ti sto rompendo con la mia vita. Ma c'è qualcosa in te che mi dice che mi posso fidare, che sei speciale»
Davide mi prese la mano e mi sorrise, ma non con a solita malizia e sicurezza. Era un sorriso naturale, tremendamente dolce, che sembrava scaturire dal cuore e non dalla voglia di conquistare una qualsiasi ragazza. Ricambiai, intimidita, stringendomi nelle spalle per l'emozione, sciogliendomi piano piano come gelato.
Quell'appuntamento, le risate e la confessione a cuore aperto di Davide mi davano la sicurezza che era lui il ragazzo speciale.






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Eccomi qui!
Scusate il piccolo ritardo, ma ho avuto problemi a scriverlo, sia di tempo che di ispirazione.
È un po' lunghino e volevo troncarlo dopo la fine con l'inocntro con Dario. Ma, poiché non volevo morire, ho concluso anche l'appuntamento con Davide. Ogni riferimento è puramente casuale, vero, Marty?! xD
Davide, Davide...mi sto piano piano affezionando anche a lui. Ero partita odiandolo, ma vederlo nascere così teneramente dalla mia tastiera me lo sta facendo amare. Spiego un attimo la conclusione, perché lui non l'ha fatto u.u 
Sembra molto affrettato, ma come avete potuto capire dallo scorso capitolo lui è un tipo credulone, che crede nel destino e palle varie, che si farebbe spillare soldi dalle veggenti. Per cui il fatto che Alice abbia trovato la foto di suo padre l'ha interpretato come un segno del destino, come se suo padre volesse che lei sapesse della sua morte. Sì, è abbastanza strano come ragazzo, lo so u.u
E si è capito da dove deriva il nome del mio gruppo su fb xD da Saronno e il San Cappuccino che li ha fatti conoscere!
Alice e Dario hanno "litigato". Lui ha paura perché sa come sono i liceali, soprattutto i belli e dannati essendolo stato ai tempi che furono, ormai xD e quindi ha paura che lei soffra. Non è tenerissimo? 
Chissà se avrà ragione, boh u.u
Poi, Federico è disperso. Ho contattato Chi l'ha visto, mi hanno detto che per il momento non è reperibile. Lo sarà tra qualche capitolo. Secondo voi potevo dimenticarmi di lui? Del dolcissimo migliore amico che sogno da una vita? Certo che no! Solo che adesso Alice ha ben altri problemi, chiamati Davide, quindi è marginale, così come Benedetta e Claudia. Loro due torneranno in scena presto e ci sarà un caosino caosetto xD 
Diciamo che il pre-ballo è tutto incentrato sulla confusione di Alice e quindi la parte scolastica non la sto affrontando, ma nei prossimi capitoli tornerà anche quello. Il post ballo, infatti, sarà un intrecciarsi contorto tra amicizia e amore.
Bene, passiamo ai ringraziamenti.
Devo ringraziare tutte le persone che leggono questa storia, a chi l'ha inserita tra le preferite/ricordate/seguite e alle splendide ragazze che hanno recensito il capitolo scorso. Vi amo ♥
Poi, la solita e odiosa pubblicità:

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Vi saluto tutti, un bacione ♥

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Capitolo 10
*** Come Cenerentola ***


comecen





C a p i t o l o 9

Come Cenerentola


Ormai ero certa che Davide fosse quello giusto, il principe azzurro che stavo cercando. Nessuna fidanzata che fosse la mia migliore amica, nessun lavoro sporcaccione e sbalzi d'umore improvvisi, solo e semplicemente Davide Saronno, dalla sconvolgente bellezza e una rara incapacità sui pattini. Solo ripensare alle sue cadute della sera prima mi veniva da ridere e a stento riuscii a trattenermi. Mi tappai la bocca con una mano per soffocare le risate.
«Perché ridi?» mi domandò perplessa Benedetta, voltandosi d'un tratto verso di me, ondeggiando la lunga coda castana.
Mi ammutolii subito, tossicchiando e tornando seria. Scrollai le spalle, guardandomi intorno, facendo finta di nulla.
«Ci nascondi qualcosa?» intervenne prontamente Claudia, guardandomi sospettosa.
«No no» risposi, con voce squillante.
L'invadenza e la curiosità delle amiche era una delle cose che maggiormente mi infastidiva, molto probabilmente perché non avevo mai nulla da raccontare e tutto quello che dicevo ra frutto solo della mia sviluppata fantasia. Se la mia vita fosse stata leggermente più movimentata, forse, avrei fatto di tutto pur di avere quella curiosità. Certo, in quel momento la mia vita era fin troppo frenetica, ma dovevo tenermi tutto per me. Non potevo dir loro di Davide né tanto meno che il mio fidanzato era un super sexy gigolò lunatico che non si chiamava Edoardo, ma bensì Dario.
Mi irrigidii all'istante. Mi ero completamente dimenticata di Edoardo e che loro sapevano di lui. Non avrei nemmeno potuto avvicinarmi a Davide durante le lezioni, avrei dovuto evitarlo in qualsiasi modo, prima che quello stupido fidanzato immaginario rovinasse anche quella storia d'amore nascente.
«Alice ci ignora» sbottò Benedetta, incrociando le braccia.
«Non vi sto ignorando!» esclamai, rimbalzando lo sguardo sulle espressioni offese dalle mie amiche «Sono solo pensierosa» mi giustificai.
Benedetta mi guardò con la coda dell'occhio, con le labbra arricciate, sbattendo più volte le palpebre.
«C'entra Edoardo?» mi domandò, curiosa, mantenendo però il suo broncio.
«Sì» rotei gli occhi, infastidita.
Lui c'entrava sempre, purtroppo. Tutto quel casino era nato per causa sua. Ma, in un certo senso, dovevo ringraziarlo. Grazie a lui avevo capito che persona fosse realmente Federico e mi aveva dato l'opportunità di conoscere Davide. Se non ci fosse stato Edoardo, in quel momento, mi sarei ritrovata a guardarlo da lontano e fantasticare su di lui, mentre ero fidanzata con uno stronzo ambulante che si fingeva innamorato di me.
E non avresti conosciuto Dario.
La mia coscienza parlava troppo e a sproposito. Dario avevo cercato di non menzionarlo mentalmente, per non farmi apparire la sua immagine seducente e sessualmente attrattiva. Era instabile mentalmente, montato come pezzi di Lego e irritante come il peperoncino messicano negli occhi. E io avevo anche avuto il coraggio di mettermi a piangere perché non lo avrei più visto. Ma ben venga! I suoi sbalzi d'umore e la sua supponenza mi infastidivano sempre di più e prima usciva dalla mia vita con le sue crisi d'identità, meglio era per me.
«Cos'è successo?» mi chiese Benedetta, distogliendomi fortunatamente dal pensiero martellante di Dario.
«Avete litigato?» domandò a sua volta Claudia, sedendosi accanto a me sulle scale dell'atrio.
«Più o meno» risposi.
In fondo, quella volta, non avevo mentito. Non che io e Dario/Edoardo avessimo litigato, ma io ero stra-incazzata con lui, anche se avevo una gran voglia di vederlo. Sì, però per spaccargli la faccia e spingerlo giù da quel cavolo di piedistallo dorato su cui era salito di sua spontanea volontà credendosi il migliore del mondo solo perché era figo.
«Perché?» domandarono in coro le due, dimenticandosi d'un tratto del broncio.
Si sporsero verso di me, puntando i loro occhi inquisitori nei miei e terrorizzandomi. Mi strinsi nelle spalle, allontanandomi da loro e sbattendo contro il gradino dietro di me.
«Ma non vi siete lasciati, no?!» chiese apprensiva Benedetta.
«No, non ci siamo lasciati» ridacchiai nervosamente.
«Ti ha fatto arrabbiare?» fu il turno di Claudia con il terzo grado.
Ormai ero talmente abituata a quella pratica che se avessi per caso incrociato Mac Taylor dopo un omicidio, sarei riuscita a mentire con nonchalance. Nemmeno quello di Lie to me sarebbe stato in grado di beccarmi.
«Un sacco» risposi, annuendo e mordendomi un labbro «Mi sottovaluta. Crede di essere migliore di me e di qualsiasi altra persona. Il suo giudizio è universale perché lui è il più figo del mondo» non mi accorsi del tono amaro con cui pronunciavo quelle parole e delle lacrime che premevano sulla punta dell'occhio «È talmente presuntuoso che pensa che il mondo giri intorno a lui, che tutto funzioni come dice lui. Non gli importa di ferire la gente, l'importante è che sia lui quello felice. Non si rende minimamente conto di quello che dice e come lo dice, di quello che fa e come lo fa. Cioè, ieri mi ha lasciata da sola come una stupida senza darmi spiegazioni! E non si è nemmeno fatto sentire per chiedermi scusa!»
Non sapevo bene quello che avevo detto e se le pensavo davvero tutte quelle cose di lui, ma quelle parole erano uscite spontanee dalla mia bocca. Benedetta schioccò la lingua, poi mi guardò con comprensione, stringendomi una spalla e trascinandomi verso le sue tette strizzate in un push-up.
«Tesorino!» cinguettò, accarezzandomi non proprio delicatamente i capelli «Non devi prendertela!»
«Vedrai che ti chiederà scusa. Magari aspetta che ti calmi un po'» disse Claudia, annuendo convinta di quello che aveva appena detto.
Sì, certo. Lei non conosceva Dario, non mi avrebbe mai chiesto scusa perché tanto era lui ad avere sempre ragione. Diamine, da come ragionavo sembrava davvero che fossimo fidanzati! Ma chi lo voleva un ragazzo lunatico, con gli sbalzi di umore tipici della sindrome pre-mestruale, presuntuoso, arrogante ed irritante? Alice Livraghi no di certo.
Sì, però, è bello, dolce e premuroso nei tuoi confronti.
Il mio cervello si svegliava sempre nei momenti sbagliati, mettendomi sempre di più in difficoltà. Non dovevo farmi intenerire dal suo bell'aspetto e dalla sua presunta dolcezza. Mi aveva trattata con la sua solita spocchia e questo non glielo avrei di certo perdonato.
«Comunque, ragazze, vi devo dire una cosa» disse Benedetta, liberandomi dalle sue tette e permettendomi quindi di respirare.
Mi sistemai i capelli, riprendendo il fiato perduto in quei lunghissimi dieci secondi e la guardai mentre lei ci lanciava occhiate estatiche, quasi avesse visto un Santo apparirle davanti agli occhi. Sospirò sonoramente, prendendosi le guance tra le mani e scuotendo la testa.
«No, non ve lo posso dire» trillò poi.
«Ormai mi hai messo la pulce nell'orecchio» la canzonai io.
Benedetta scosse la testa, ancora con più vigore, frustandomi il viso con le doppie punte.
«No, mi imbarazzo!» continuò, imperterrita, nascondendo il viso nel collo del dolcevita.
«Ora tu lo dici» quell'affermazione da parte di Claudia echeggiò quasi come una minaccia.
«Dai, che sono curiosa come una bertuccia!» piagnucolai io.
Germa respirò a fondo, le sue guance si colorarono di rosso e i suoi occhi vispi rimbalzavano da me a Claudia.
«L'abbiamo fatto» confessò, con un certo imbarazzo.
Corrugai la fronte, sorridendo come un imbecille, non capendo, ingenuamente, a che cosa alludesse Benedetta.
«Cosa?» domandai scioccamente, beccandomi, meritatamente, degli sguardi inebetiti delle mie amiche.
«Giocato a carte» rispose con una certa ironia Germa «Sesso, Alice. S-E-S-S-O!» scandì lei, come se fossi scema.
Arrossii violentemente a udire quella parola. Puntai lo sguardo verso le mie scarpe e arrancai qualche secondo, prima di fare la domanda più stupida che potesse venirmi in mente.
«Ma tu e Federico?»
«No, io e Kronk» bofonchiò ancora più stupita di prima «Certo!» sbottò poi con voce trillante «Io e Federico, chi sennò?! È il mio ragazzo, ricordi?» mi guardò con una strana smorfia di incredulità, con il labbro superiore alzato e gli occhi sgranati.
«Alice, sei tra noi?!» ridacchiò Claudia, prendendomi anche lei per stupida.
Regalai loro il sorriso più falso che potessi fare, adottando la scusa del sovrappensiero, quando in realtà la mia ingenuità non mi aveva permesso di capire i loro discorsi “filosofici”. Mi stupii del fatto che non fossi saltata al collo di Benedetta e l'avessi strozzata per essere giunta fino in quarta base insieme ad Abbate. Non provavo né rabbia né gelosia, solo una piacevole indifferenza. E questo, per me, era un passo avanti. Mi ero praticamente disintossicata da Federico e il merito era solo ed esclusivamente di Davide.
Anche un po' di Dario.
Porca miseria! Adesso che cosa c'entrava quel gigolò da strapazzo? Un emerito nulla! E allora perché il mio stupido cervello doveva metterlo in mezzo, quasi fosse prezzemolo?! Penetrava sempre e comunque nei miei pensieri, tormentandomi con una fastidiosa zanzara che ronza nelle orecchie l'estate. Accidenti, avevo davvero usato la parola penetrare? Non mi ero nemmeno resa conto del doppio senso utilizzato dal mio subconscio. Quel ragazzo stava davvero risvegliando la pervertita che viveva in me da chissà quanto tempo.
Ero talmente intenta a fare un bilancio pornografico della mia situazione mentale, quando vidi Davide avvicinarsi quasi a rallentatore verso di me. Sorrideva a destra e a manca, passandosi una mano tra i capelli corvini. Mancava solo la canzone California e sembrava la sigla di OC.
Mi irrigidii all'istante. Non potevo farmi vedere con Saronno insieme alle mie amiche. Loro erano ancora convinte che fossi fidanzata con Edoardo. Speravo che Davide non mi avesse vista, che si stava dirigendo verso di me solo per salire le scale. Mi slanciai di lato, scansando leggermente in avanti Benedetta e nascondendomi dietro di lei.
«Ma che...» borbottò lei, sentendosi spinta.
«Hai un sacco di doppie punte!» esclamai io, analizzandole ciocca per ciocca i capelli.
«Alice, sei impazzita?!» sbottò lei, afferrandosi la coda per sottrarla alle mie grinfie.
«Ti stavo solo controllando i capelli» risposi io, cercando di risultare il più naturale possibile.
Mi sporsi un po' di lato per vedere a che punto era Saronno. Si era fermato e si guardava intorno, poi riprese a camminare d'improvviso.
«Vuoi un massaggio?» ripresi, nascondendomi ancora dietro Benedetta.
Cominciai a strizzarle le spalle con poca delicatezza, facendola mugolare per il dolore e allontanare a scatti da me.
«Ma si può sapere che ti prende?» domandò irritata, voltandosi verso di me.
«Ti vedevo un po' tesa» mi giustificai, guardando oltre le spalle di Benedetta.
Incontrai gli occhi di Davide che era praticamente davanti a noi. Mi sorrise dolcemente, salutandomi con la mano. Con discrezione, gli risposi con un cenno del mento appena percettibile. Fece un altro passo verso di noi e fu in quel momento che presi le mani di Benedetta e Claudia, costringendole ad alzarsi e le trascinai lontane da lì, lontane da Saronno. Il mio passo era talmente svelto che quasi correvo.
«Alice» cercò di attirare la mia attenzione Claudia, ma facevo finta di non sentire. Volevo solo allontanarmi il più possibile dall'atrio. Mi richiamò un altro paio di volte prima di stringermi il polso costringendomi a lasciare la presa e a fermarmi in mezzo al corridoio.
«Si può sapere che problemi hai?» sbottò la rossa, puntando le mani sui fianchi.
«Nessuno» dissi in un soffio, scuotendo con vigore la testa.
«E allora spiegami perché ci hai trascinate fino a qui come una furia!»
«Sembrava che avessi visto un mostro!» intervenne Benedetta, visibilmente alterata.
Mi morsi un labbro, congiungendo le mani dietro la schiena e dondolando come se fossi una mocciosa.
«Tra poco suona la campanella» tentennai, cercando di risultare quantomeno credibile.
«Da quando ti interessa arrivare puntuale in classe?» mi punzecchiò Benedetta.
Sorrisi mostrando i denti e alzai le spalle, aprendo le braccia. Volevo scappare da lì, nascondermi nella stanza delle scope della bidella e magari trovarci anche Narnia o il binario 9 e ¾, sparendo così dalla circolazione e risolvere tutti i miei problemi. Ma purtroppo per me dovevo affrontare gli sguardi stupiti e canzonatori di Claudia e Benedetta e non sapevo come uscire da quella situazione. Potevo gridare che ci fosse Robert Pattinson, così le avrei distratte, ma mi sembrava una cosa poco credibile.
Per fortuna, la campanella suonò, salvandomi per qualche attimo dalla santa inquisizione Sago&Faustini. Indicai il cielo, con un sorriso beffardo.
«È finito l'intervallo!» dissi, dileguandomi il più velocemente possibile da loro.
Benedetta, durante le due ore finali, mi riservò una serie infinite di domande la maggior parte delle quali non avevo nemmeno ascoltato. Io rispondevo in modo criptico e, alcune volte, riservavo risposte senza senso, una specie di supercazzola più che efficiente. Mi rimproverava anche il fatto di essere troppo strana e che le stessi nascondendo qualcosa. Ovviamente l'avevo guardata nel modo più scioccato possibile, riservandole un “Ma non ti nascondo nulla! Sei la mia migliore amica!” forse troppo enfatizzato, ma bastò a metterla a tacere e ne ricavai anche un lungo bacio sulla guancia.
Ero specializzata in escapologia, ormai di quello ero sicura. In un modo o nell'altro riuscivo sempre ad uscirne indenne da questi pasticci. Per il momento.
All'uscita da scuola dovetti usare l'uscita anti incendio, facendo scattare per giunta l'allarme, perché non volevo passare dall'ingresso principale.
«Sai che non si può!» mi aveva avvisata Claudia.
«Ma facciamo prima!» risposi io, sorridendo.
Risultato?! Una strigliata coi fiocchi dalla bidella che parlava una strana lingua forse marziana, mentre io annuivo come una scema e l'autobus dell'una e cinque perso e stra-perso, con conseguente Linea 3o delle 13.20, colma di gente puzzolente e urla di ragazzini in piena crisi ormonale. L'unica nota positiva di quella faccenda era che non avrei incontrato Davide sull'autobus. Almeno per quel giorno, era salva. O almeno credevo.
Quando arrivai a casa, all'alba delle due, trovai come pranzo un misero piatto di pasta con la panna appiccicaticcio e freddo come un ghiacciolo, oltre che ributtante, preparato con dovizia da Smell. Provai a inforchettare qualche pennetta, sollevando praticamente tutto il piatto di pasta rimanendo disgustata da quella poltiglia informe. Mi allontanai quel piatto da davanti e mi mangiai un pacchetto di patatine alla paprika che era nel mobiletto della cucina da chissà quanto tempo. Ma, tutto sommato, non erano male.
Mi trascinai svogliata in camera mia con l'unica voglia di togliermi quel maglione di lana che mi aveva regalato nonna Maria e che pungeva più di un'istrice. Sembrava di indossare un cactus! Lo lanciai sul letto, rimanendo solo in reggiseno. Mi guardai il misero decolté che Madre Natura mi aveva regalato notando che non riempiva nemmeno tutta la coppa. Oltre ad avere la cellulite e i fianchi grassi, avevo una seconda scarsa di seno, evviva!
D'un tratto, divenne tutto buio e il mio cuore sobbalzò. Qualcuno mi aveva tappato gli occhi con una mano, mentre l'altra mi solleticava l'addome e mi spingeva contro il suo corpo. Il mio cuore rimbalzava come una pallina impazzita, il respiro era diventato irregolare e affannato. Ero pietrificata dalla paura e non riuscivo a reagire, a pestargli un piede o piantargli una gomitata nello stomaco. Sentii il fiato di Qualcuno sfiorarmi la spalla e poi un bacio rovente sul collo, mentre il mio corpo aderiva sempre di più al suo. Appena riuscii a respirare il suo odore, il mio cuore smise di galoppare e i miei muscoli tesi si rilassarono, permettendo al mio corpo e alla mia mente di godere di lui.
«Bubu-settete» mormorò al mio orecchio, facendomi rabbrividire.
Mi scansò i capelli dalla schiena, solleticandomi il dorso con i polpastrelli e percorrendo il profilo della spina dorsale. Al suo tocco, strinsi le spalle e mi morsi un labbro, sentendo le tempie rimbombare con forza e le guance bollenti. Si fermò all'altezza del reggiseno, giocando con il gancetto.
«Hai capito chi sono?» domandò, stampandomi un altro bacio sul collo e leccandolo con la punta della lingua.
Stavo per perdere qualsiasi senso e anche l'autocontrollo, risucchiate da quelle labbra infuocate e vellutate. Il mio corpo era tutto un bollore e i -12 gradi di quella rigida giornata invernale erano solo un lontano ricordo.
«Dario» risposi in un soffio.
«Ormai conosci molto bene le mie mani» sussurrò lui, mordendomi poi il lobo dell'orecchio.
Le sue dita continuavano a giocare con il gancetto, fino a quando non lo sentii cedere e la morsa del reggiseno indebolirsi. Spalancai la bocca e reggendomi il seno con un braccio, mi voltai di scatto, liberandomi dalla sua trappola e gli tirai un ceffone che gli fece vedere sicuramente tutte le costellazioni dei Cavalieri dello Zodiaco. La mia faccia doveva aver assunto il colore del vestito di Babbo Natale, sia per l'imbarazzo della situazione, sia per la rabbia che sentivo crescere esponenzialmente dentro di me.
Dario mi guardava confuso, massaggiandosi la guancia dove era stampata la forma della mia mano, come nella Hall of Fame. Mancava solo il nome e la stella.
«Sei un maiale!» sbraitai, cercando di allacciarmi il reggiseno con la sola mano libera che avevo.
«Cosa ho fatto?» scrollò le spalle, guardandomi irritato.
Non solo mi stava spogliando contro la mia volontà, ma aveva anche il coraggio di prendersela! Prima di arrivare a San Valentino lo avrei strangolato con le mie stesse mani.
«Il reggiseno si è slacciato da solo!» urlai, infuriata, mentre mi contorcevo per non mostrargli il seno.
«Faccio questo effetto, non lo sapevi?!» sorrise beffardo, riservandomi un suo prevedibile sguardo sensuale che, quella volta, non attaccò.
«Smettila di fare l'idiota» dissi con tono tranquillo, ma tagliente.
«Avanti, non fare la verginella!» sbuffò Dario «Volevo solo scioglierti un po'»
«Si vede, mio caro, che hai sempre avuto a che fare con delle svergognate» ribattei acida «Ah, e vorrei ricordarle, caro il mio signor Porky Pig che io sono vergine» continuai, con un sorriso imbarazzato e leggermente offeso.
«Si fa per dire, miss Acid Rain!» rispose a tono lui «Non sarai mica arrabbiata?» mi domandò poi, dandomi la prova di quanto fosse stupido e privo di cervello. Molto probabilmente quando Dio stava distribuendo l'encefalo, lui era in fila per Walter.
«No, Dario» sorrisi tranquillamente «Sono solo incazzata nera. E ora, puoi anche uscire di qui e andare a pornolandia»
Lui sbuffò, roteando addirittura gli occhi spazientito e passandosi una mano su tutto il viso. Si voltò, incrociando le braccia.
«Sistemati» lo disse quasi come un ordine.
«Solo se un certo estraneo di nome Dario se ne va. Sai, non sono abituata come te a farmi vedere nuda da chiunque»
«Credi che mi piaccia?» domandò con voce piatta e amara «Credi che io sia fiero di quello che sono?»
Il suo viso rimaneva puntato verso la porta e ne approfittai per riallacciarmi il reggiseno e infilarmi nuovamente il maglione-cactus, per sentirmi nuovamente come Willy il coyote. Mi sedetti sul letto, con il piccolo rimorso di aver detto quelle parole, per averlo giudicato senza sapere realmente nulla di lui e della sua vita.
«Mi sento una merda ogni volta che una donna varca la soglia di casa mia» scandì ogni parola con rabbia e disprezzo, facendomi sprofondare sempre di più in una voragine di sconforto «Quando mi hai detto quale sarebbe stato il mio compito, inizialmente, ero molto scettico. Ma più passa il tempo e più mi diverto con te, più mi dimentico quello che sono» s'interruppe un attimo, respirando a fondo «A quanto pare, però, non sono poi così gradito qui. Ci vediamo a San Valentino»
«A-Aspetta» balbettai, facendolo fermare prima che se ne andasse.
Avrei dovuto farlo andare via e rivedere la sua faccia da riempire di schiaffi solo per quella festa, ma non riuscii a lasciarlo andare. Nonostante dei momenti di odio puro nei suoi confronti, non riuscivo a staccarmi da lui, a non pensarlo continuamente e far a meno delle sue mani.
«Perché» iniziai, ma mi fermai subito, per deglutire l'eccesso di saliva «Perché sei venuto?»
«Volevo chiederti scusa per ieri» rispose «E per oggi» aggiunse ridacchiando «Ma avrei fatto meglio a non venire. Creo sempre troppi guai»
Mi alzai dal letto e lo raggiunsi, prendendogli una mano, stringendola nella mia.
«Non andare via» quasi lo pregai con un filo di voce. Deglutii a vuoto, annaspando e guardandomi attorno come se quella, d'un tratto, fosse stata la camera di qualcun altro «Scusami» dissi poi con rammarico «Non ho riflettuto prima di parlare. Non era mia intenzione ferirti»
La sua mano strinse con vigore la mia, trasmettendomi, insieme a scosse di piacere, una certa malinconia. Si voltò verso di me, sorridendo amaramente e con quegli occhi profondi annegati in leggera patina di lacrime.
«Volevo farmi perdonare» mi disse, leggermente imbarazzato.
«Slacciandomi in reggiseno?!» domandai ironica, con un sopracciglio abbassato.
Dario ridacchiò e, dopo quel momento cupo e aspro, la sua risata risuonò come la melodia più dolce che un'orchestra potesse suonare. Mi sentivo felice nel sentirlo ridere, soprattutto perché ero stata io a strappargli quel momento di ilarità.
«No» rispose «Quello non era in programma. Sono un gigolò e la tua schiena nuda è stato un invito che non potevo di certo rifiutare» confessò.
Assunsi la mia tipica espressione scioccata e gli pizzicai il fianco, facendolo sobbalzare, anche se, in verità, quella confessione mi lusingava parecchio.
«Volevo farti un regalo, in realtà»
«Regalo?!» ripetei subito, attirata da quella parola come una falena dalla luce.
Dario annuì, facendo il vago e facendo aumentare a dismisura la mia curiosità.
«Che tipo di regalo?» domandai, ricevendo come risposta solo uno scrollo di spalle «Ma lo hai già portato?» chiesi nuovamente e questa volta lui guardò il cielo, uscendosene con un Chissà! «Dai non fare così!» lo strattonai per il maglione, come una bambina.
«Basta dire la parola regalo e voi donne dimenticate qualsiasi arrabbiatura» ghignò.
«L'hai detto per farmi sbollire?!» domandai stizzita.
«No. Il regalo c'è. O meglio non ancora»
Corrugai la fronte, guardandolo dubbiosa mentre la bertuccia curiosa che era in me scalpitava per vedere quel dannatissimo regalo.
«Su! Basta parlare!» esclamò lui «Andiamo!» mi incitò, dandomi una pacca sul culo.
«D'accordo!» sbuffai io «Basta che esci che mi cambio questo maglione che sembra carta vetrata!» mi lamentai, grattandomi il collo.
«Perché dovrei uscire, tanto quel poco che c'era da vedere l'ho visto» mi sbeffeggiò, incrociando le braccia con la sua solita faccia spocchiosa.
«Come prego?!» domandai preoccupata e sconvolta.
«Mentre ti dimenavi, un capezzolo ha fatto capolino»
Cacciai una specie di urlo mentre Dario rideva come se avesse visto le comiche in televisione. Presi il cuscino dal letto nello stesso momento in cui lui apriva la porta per uscire. Prima di chiuderla, mi fece una linguaccia e il cuscino che lanciai con rabbia si schiantò contro la porta.
Furente, mi liberai del maglione di carta vetrata e indossai una felpa rosa di cotone che mi regalò un immediato sollievo. Uscii dalla stanza, trovandomi il maniaco davanti con il suo sorrisino malizioso che aveva tutta l'aria di trasformarsi presto in una risata denigratoria. Mi prese un braccio, trascinandomi verso di lui e baciandomi una guancia, pizzicandomi con quella barba irresistibile.
«Sai che non sei niente male sotto quella felpa» mormorò, facendomi diventare rossa.
«Sei un maiale» scandii, liberandomi dalla sua stretta.
«E ti piace questo lato di me, ammettilo» ribatté Dario, mentre ci accingevamo ad uscire di casa.
«No, affatto!» esclamai io, infilandomi il cappotto.
«Ma se mi mangi con gli occhi ogni volta!» rispose lui, sicuro di sé.
«In realtà il mio è uno sguardo omicida» sorrisi sarcastica.
Dario mi prese la mano, intrecciando le sue dita con le mie, facendomi perdere più di un battito cardiaco.
«Sì, certo. L'arma con cui vorresti uccidermi è il sesso»
«Non ti rispondo nemmeno» sbuffai, anche se in realtà non aveva tutti i torti. Se non fossi stata me stessa, avrei già consumato con lui chissà quante volte.
Salimmo sulla Mito diretti a prendere il mio regalo. Sperando che non fosse una sciocchezza, ma conoscendo anche solo minimamente Dario quel pensiero si stava trasformando piano piano in una realtà. Ci stavamo dirigendo verso San Donato e lì c'era ben poco di interessante. Sprofondai sul sedile, sconsolata, sicura che quel regalo non esistesse e che mi stesse solo prendendo per i fondelli, visto che sembrava fosse il suo sport preferito.
Imboccò la rampa di un enorme parcheggio e guardai fuori dal finestrino perplessa, vedendo i tetti degli autobus e le scale della metropolitana. Lo seguii dubbiosa fuori dalla macchina e raggiungemmo i tornelli per andare verso i treni. Dario mi allungò un biglietto, sorridendomi.
«Stiamo andando in Duomo?» domandai.
«Forse» rispose vago lui, scrollando le spalle.
Sorrisi estasiata capendo solo in quel momento che mi stava portando in centro a comprare il mio regalo. Mi aggrappai al suo collo e lo baciai ripetutamente sulla guancia, mentre lui mi stringeva forte a sé. Avevamo gli occhi di tutti puntati addosso, alcuni vecchietti avevano anche accennato un Che carini, prendendoci come una coppietta di fidanzatini innamorati. Mi allontanai imbarazzata da lui, tossicchiando.
«Facciamo scalpore» mi sussurrò divertito in un orecchio.
Il treno arrivò dopo circa cinque minuti e subito, gli avvoltoi, quelli che adocchiavano i posti anche a un chilometro di distanza, occuparono tutte le sedie, bastonando dolorosamente la mia anima pigra. Appoggiai la schiena contro un palo giallo e Dario si sistemò davanti a me, aggrappandosi con una mano allo stesso, sfiorandomi il fianco. La metropolitana partì a scatti, rischiando di farci cadere più volte. Il rumore delle ruote sulle rotaie mi impediva di sentire persino i miei pensieri ed era praticamente impossibile comunicare tra di noi. Così, inaspettatamente, Dario mi abbracciò, appoggiando la guancia sulla mia spalla, dandomi, di tanto in tanto, un bacio sul collo. Ricambiai la stretta, titubante e intimidita da quella situazione e dagli occhi indiscreti degli estranei.
«Ti voglio bene» disse ad alta voce, per sovrastare il rumore della metropolitana.
Sorrisi per quella confessione e lo strinsi ancora più forte a me.
«Anche io» risposi, guadagnandomi un nuovo bacio, questa volta più lungo e incandescente.
Quando la voce ci informò di essere arrivati in Duomo, sciogliemmo quell'abbraccio, con rammarico. Avrei voluto che quel viaggio fosse interminabile, saremmo rimasti così, io e lui uno tra le braccia dell'altro, con quei baci solleticanti e stimolanti sul collo di cui già sentivo la mancanza.
«Dove mi porti?» domandai e questa volta fui io a stringergli la mano.
«Non ti preoccupare, ora lo scoprirai»
Camminammo per chissà quanto tempo, costeggiando Via Torino per metri e metri, passando davanti a negozi di ogni genere.
«Eccoci qui» disse, fermandosi davanti a Bershka, lasciandomi dubbiosa «Tra poco ci sarà il ballo, no? Ti serve un vestito, come Cenerentola» mi sorrise «E io sarò la tua fata Smemorina»
«S-Stai scherzando?» tentennai.
«Assolutamente no. Puoi comprare tutto quello che vuoi. Vestito, scarpe, tutto!» esclamò «Devi essere la più bella alla festa, Cenerentola!» sorrise, entrando nel negozio e lasciandomi fuori a bocca aperta come una stupida.
Lo seguii dentro, frastornata, sicura che quello fosse un sogno, ma ci pensò un dolcissimo manichino a darmi la prova che era la realtà, infilandomi una sua mano spigolosa nel fianco.
«Le scarpe, però, non prenderle di cristallo»
Dario cominciò a spulciare ogni stampella gli capitasse davanti agli occhi in cerca di un abito per me.
«Ne sei sicuro?» domandai preoccupata, prendendo un abito nero con spalline fini che costava più di novanta euro.
«Certo» rispose lui, intento ad esaminare alcuni vestiti «E non ti preoccupare del prezzo»
Scrollai le spalle ed iniziai a girovagare come un'anima in pesa tra i manichini, spaesata, dato che non avevo mai fatto shopping in vita mia se non all'OVS insiema a mia madre. Appena vedevo qualcosa di accettabile, lo acchiappavo, prima che qualche ragazzina viziata me lo rubasse sotto il naso, come era successo con il maglioncino a righe.
«Inizia a provare questi» mi raggiunse Dario, aggiungendo tre vestiti ai due che avevo preso anche io.
Annuii e raggiungemmo i camerini. Ne occupai subito uno, chiudendo la tendina di cotone pesante in modo che nessuno potesse spiare e vedere le mie orribili cosce. Appoggiai i vestiti su di un cubo e iniziai a spogliarmi per provare il primo, un bellissimo abito bianco che arrivava sotto il ginocchio con le maniche a tre quarti. Aprii la tendina volteggiando su me stessa e guardandomi soddisfatta allo specchio.
«Bello, vero?» domandai, elettrizzata.
Dario mi guardò critico, passandosi una mano sulla barba.
«Se devo essere sincero, è orribile» mi smontò all'istante «Sembra un prendisole!»
Contrassi la mascella e respirai rumorosamente con il naso, emettendo un verso simile a quello del maiale, giusto per essere in tema con Dario. Strattonai la tendina e mi liberai del prendisole, afferrando il vestito rosso scelto da lui.
«Che belle mutande!» sentii esclamare alle mie spalle.
Guardai lo specchio vedendo la faccia sorniona di Dario comparire dalla tenda. Mi coprii con le mani, appiccicandomi contro la parete.
«Dario!» sbraitai, sembrando una matta.
Lui scoppiò a ridere e scomparve dietro il manto di cotone nero. Il cuore voleva guizzare via e le mie mani avevano una gran voglia di prenderlo a schiaffi. Respirai a fondo, cercando di ritrovare la calma e ringraziando mentalmente mia madre che mi obbligava a fare la ceretta anche d'inverno, così i peli d'estate sono più deboli!
Lottai con l'abito rosso e mi contorsi per farmelo entrare. Era un tubino che arrivava appena sotto il sedere con il seno ricoperto di paiettes e una lunga zip sulla schiena. Mi guardai sconvolta allo specchio, scuotendo la testa.
«Alice, sei morta?!» urlò Dario.
«Io non esco di qui con questo vestito nemmeno se me lo chiedesse Johnny Depp in persona!» risposi ancora traumatizzata.
La tenda dietro di me si spostò e lui comparì alle mie spalle e fischiò soddisfatto.
«Ti sta d'incanto!»
«Sembro una battona!» trillai scioccata.
«Io ti trovo molto femme fatale» commentò, girandomi intorno, sentendosi tanto Giorgio Armani «Cellulite a parte» indicò le gambe.
Non dissi nulla, gli indicai solo l'uscita perentoria e lo fulminai con lo sguardo e lui uscì, smorzando quell'irritante sorriso che aveva stampato in faccia.
Accartocciai il tubino rosso e lo gettai per terra e fu il turno dell'abito nero con le spalline fini che costava più di novanta euro. Sul seno era stretto, facendolo apparire più grosso di quello che era in realtà e grigio perla con disegni floreali neri. In vita aveva una fascia nera, dal quale poi partiva un'ampia gonna che si fermava appena sopra il ginocchio. Mi guardai da ogni angolazione allo specchio, innamorata ormai di quel vestito che costava troppo. Aprii la tenda, assumendo un'espressione non del tutto soddisfatta. Incrociai le braccia, mentre il sangue che rifluiva verso il cervello mi annebbiava completamente la vista. Dario era appoggiato con un gomito alla parete di fronte mentre si pavoneggiava con una ragazzetta sedicenne, di quelle che facevano la foto con la bocca a stura lavandino, ormai persa per Dario-landia. Tossicchiai, attirando così la sua attenzione e gli sorrisi infurita.
«Wow!» esclamò lui avvicinandosi a me e lasciando culo d'oca come uno stoccafisso «Sei bellissima Alice»
«Non attacca, provolone» ribattei ironica.
«No, dico sul serio» disse lui, con un lieve rossore delle guance «Non pensi anche tu che la mia fidanzata sia perfetta con quel vestito?» domandò a baccalà che a sentire la parola fidanzata accostata a Dario, s'incupì. Credeva quella di aver acchiappato un bel manzo!
E, no, mia cara, prego di rispettare la fila!
Le sorrisi soddisfatta, facendole anche una linguaccia, come una vera e propria ragazza matura di diciotto anni. Boccheggiai, però, quando realizzai che lui mi aveva definito la sua fidanzata. Mi volati di scatto, per nascondere il rossore e mi guardai allo specchio, tremolante.
«No, non mi piace» mentii, guardandomi allo specchio, mentre il mio cervello mi diceva che lui era quello giusto.
«Ma scherzi?! Alice, questo è perfetto per te. Se fossi sembrata un abat-joure te l'avrei detto, lo sai» mi rassicurò Dario, con un sorriso mozzafiato.
«Costa troppo» dissi poi.
«Te l'ho detto che non devi preoccuparti del prezzo. Prendilo, anche se costa 1000 euro» mi spinse verso il camerino e non ebbi modo nemmeno di rispondere che lui mi chiuse la tenda.
Mi rivestii, ammassando tutti i vestiti e prendendoli. Dario li afferrò e li sistemò nelle stampelle, tenendo in mano solo il vestito nero.
«No, dai, costa davvero troppo» cercai di acchiapparlo in tutti i modi, ma lui lo difendeva con il suo corpo.
Accelerò il passo, seminandomi e costringendomi a corrergli dietro per riuscire a strapparglielo di mano. Quando lo raggiunsi, era già alla cassa e aveva mostrato la carta di credito che, poco dopo strisciò facendosi risucchiare ben novantatré euro. Dario si voltò vittorioso verso di me, tendendomi il sacchetto.
«Per la mia Cenerentola»


Il pomeriggio precedente era stato uno dei più belli ed emozionanti della mia intera vita, anche se ci voleva molto poco ad essere eclatante, dato che non mi era mai successo nulla in diciotto anni. L'unica nota negativa erano state le 12 chiamate senza risposta da parte di Davide. Aveva provato a chiamarmi, ma io non gli avevo mai risposto e non perché non volessi, ma perché ero troppo presa mentalmente dalla mia fata Smemorina. Per Saronno non doveva essere facile non essere considerato ed evitato in continuazione. Ogni volta che lo vedevo, scappavo come una bambina impaurita e non sapevo nemmeno cosa inventarmi, semmai avessi dovuto affrontarlo.
Tirai lo sciacquone e mi riallacciai la cintura dei pantaloni, uscendo dalla toilette della scuola. Mi sciacquai le mani, sospirando per quel caos che piano piano mi stava risucchiando inesorabile verso la pazzia.
Scrollando le mani, uscii dal bagno soffermandomi a guardare il ben di Dio che c'era alle macchinette; mancava solo la bava all'angolo della bocca e sarei stata perfetta come sosia di Homer Simpson. Per fortuna, alla terza ora, c'era ben poca gente per i corridoi.
«Finalmente riesco a vederti. O adesso scappi di nuovo?»
La voce di Davide tuonò alle mie spalle e mi fece sobbalzare. Mi voltai e lo vidi uscire dal bagno degli uomini, irritato e contrariato nei miei confronti.
«Da-Davide» balbettai.
I muscoli del corpo divennero rigidi come fatti di gesso e i pensieri si sovrapposero tra loro, non permettendomi di articolare una scusa plausibile.
«Si può sapere perché scappi appena mi vedi?!» mi aggredì subito, stringendomi un polso.
«Innanzitutto, ciao» sorrisi ebetamente, temporeggiando.
«Perché mi eviti, Alice? Cosa ti ho fatto?» domandò affranto.
Evitavo in tutti i modi il suo sguardo, arrancando nel trovare una risposta alla sua semi-disperazione.
«È per quello che è successo al palazzetto vero?! Oddio» mi liberò e si passò le mani tra i capelli, dandomi tutta l'impressione di aver più di una rotella fuori posto «Sapevo che non dovevo raccontarti di mio padre. È per quello, ve-vero? Perché mi sono aperto subito con te» ridacchiò «Sì, è per quello, accidenti a me!»
Gli presi una mano e gli sorrisi dolcemente.
«Non è per quello Davide. Anzi, mi ha fatto piacere che tu ti sia fidato di me»
«E allora perché mi eviti?» domandò con voce tremante.
«Bè, perché» contrassi la mascella, deglutendo della saliva che non c'era, prosciugata lentamente da quell'imbarazzo «Vedi Davide tu mi piaci moltissimo» tergiversai «Sei davvero un ragazzo speciale, sei simpatico, dolce, sensibile» aggiungevo aggettivi su aggettivi per dilatare il tempo e trovare qualcosa di sensato da dire «Ma sto attraversando un periodo particolare della mia vita, molto travagliato e turbinoso che mi sta creando non pochi problemi e crisi...»
Smisi di parlare perché le labbra di Davide me lo impedirono. Non mi ero nemmeno accorta che il suo viso si avvicinava al mio, sorprendendomi con quel bacio inaspettato. Rimasi qualche attimo scossa, con gli occhi sgranati e le labbra di Davide appoggiate sulle mie. Le dischiuse e sentii la punta della sua lingua contro la mia bocca serrata. Tremavo, la testa girava su se stessa come se fossi su una giostra, il cuore era pronto ad esplodere per quella overdose di emozioni. Chiusi gli occhi, venendo investita da un'onda di tranquillità e aprii leggermente le labbra per permettere alla lingua di Davide di cercare la mia. La sfiorò, la solleticò, cercando quasi di animarla. Titubante, lo imitai, insinuandola tra le sue labbra e mi lasciai trasportare da quel bacio passionale, stringendogli i capelli, mentre lui mi spingeva sempre di più verso di lui. Non volevo più allontanarmi dalle sue labbra, volevo che il tempo si fermasse a quel momento magico, immobile al mio primo bacio, per poter godere per sempre di quell'emozione.












___________________________________________________

Oddio ragazze!

Mi sembra davvero impossibile di essere riuscita a concludere questo capitolo. Credevo di metterci molto poco a scriverlo, ma invece l'università me lo ha impedito. Colpa dell'ecografo, scusatemi.
L'unico commento che posso fare a questo capitolo è: boh. Mi lascia perplessa perchè mi piace e non mi piace. Adoro l'idea dello shopping e l'analogia tra Alice e Cenerentola, Dario e la fata Smemorina. Ma il lessico e le descrizioni, questa volta, sono davvero pietose. Non so cosa mi sia successo, sarà l'ansia degli esami, ma questo è il meglio che son riuscita a partorire.
Spiego subito una cosa, che nel testo non c'è. Non è che Dario è un maniaco che ha scassinato la porta, lo ha fatto entrare, ovviamente, Smell xD 
È un po' un maialino, ma se così non fosse non avrebbe fatto il gigolò. Quindi, com ha detto lui, la schiena nuda di Alice gli ha risvegliato Walter, anche noto come El Piqueton (chi ha visto le Iene potrà capire).
Federico e Benedetta l'hanno fatto, olè. E Alice, stranamente, non è rimasta per nulla scossa dalla rivelazione. Avrà veramente superato la cotta per Abbate o è solo un momento? Lo scopriremo solo vivendo.

Poi, arriviamo allo spoiler che avevo lasciato sul profilo. L'ho lasciato volutamente senza esplicitare il nome, ma c'è un particolare che fa capire che è Dario. Oltre alla sua bellezza, anche un'altra cosa ha colpito Alice del nostro bel figliuolo: l'odore!
Infine, la cosa forse più importante è stato il primo bacio di Alice. So che tutte voi, ora vorreste uccidermi perché Davide è quello meno apprezzato. Sorry ^^
Nonostante tutto, spero che questo capitolo sia di vostro gradimento.
Bè, ogni giorno che passa questa storia fa sempre più successo e questo mi rende davvero felice. Quindi, ringrazio tutti quelli che leggono la storia, le persone che l'hanno inserita tra le preferite/seguite/ricordate e  alle splendide ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo.
Un grazie speciale va a IoNarrante la mia lover che è diventata la mia consigliera personale. Ti lovvo ♥
Faccio un pò di pubblicità ù_ù
Red District - Mi scuso per il ritardo con cui aggiorno questa storia, ma ho davvero poco tempo per scrivere.
In un giorno qualunque - Raccolte di shot dal punto di vista di Dario
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Detto questo vi saluto e vi aspetto al prossimo capitolo.

Vi voglio bene e anche Alice ve ne vuole ♥

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Capitolo 11
*** Pupazzi di neve ***


C a p i t o l o 10

Pupazzi di neve


Oh.mio.Dio.
L'unico pensiero che il mio cervello riusciva ad articolare in un momento come quello era composto da tre semplici parole monosillabiche. Già il solo pensiero di Davide portava ad un istantaneo suicidio di massa dei miei neuroni, addirittura baciarlo aveva provocato la morte del mio povero e tanto odiato cervello.
Encefalogramma piatto.
Nessun segnale di vita, se non una lingua che si muoveva impacciata e inesperta nella bocca di Davide.
No, aspetta!
Mi era capitato un milione di volte una cosa del genere, con qualsiasi ragazzo che attirasse un minimo la mia attenzione, praticamente un essere del sesso opposto che mi aveva rivolto almeno una volta un sorriso, che fosse un compagno di classe o uno sconosciuto sull'autobus. Morfeo mi stava tirando un altro dei suoi scherzetti con questo sogno romantico. Ero certa che mi sarei svegliata poco dopo per l'arrivo nella mia stanza di un pachiderma chiamato Raffaele, mettendo per sempre fine a quella splendida illusione. Quindi l'ennesima batosta al mio lato romantico che a furia di bastonate era andato a far compagnia al magma nel centro della terra.
Pregavo in tutte le lingue possibili, anche l'elfico di Tolkien, di farmi svegliare il più tardi possibile, di potermi godere quel momento onirico ancora per qualche minuto. Perché sì, ormai ero più che sicura che quello che stava accadendo non poteva essere la realtà. Davide Saronno non avrebbe mai baciato la timida, ingenua, sfigata Alice Livraghi. Nessuno lo avrebbe mai fatto. Nemmeno Dario, che era un prostituto voleva baciarmi! E il mio alito non puzzava, quindi il problema per cui nessuno si avvicinava alle mie labbra non era l'odore di fogna che sprigionavano le mie fauci.
Davide assaporò un'ultima volta il mio labbro inferiore prima di appoggiare la sua fronte sulla mia e sorridermi dolcemente. Intrecciò le dita delle sue mani con le mie, regalandomi piccoli e delicati quanto infuocati baci sulla fronte, facendo palpitare il mio cuore ad ogni suo tocco. Mi morsi un labbro, rimanendo ad occhi chiusi a fremere di quel contatto tanto atteso con Davide. Anche se era solo un maledetto sogno, mi sembrava di sentirlo davvero vicino a me, sentire la sua pelle sulla mia e quelle labbra appoggiate alla mia fronte e volevo goderne il più possibile perché mai avrei provato tali emozioni. Mi sentivo felice in quel momento, apprezzata e desiderata per la prima volta in diciotto anni e al solo pensiero che di lì a pochi minuti quel sogno si sarebbe concluso mi si formava un groppo in gola che mi impediva di respirare.
«È stato» mormorò Davide «strano» aggiunse.
«Già» risposi demoralizzata.
«Ma assolutamente splendido»
«Troppo per essere vero» dissi, riaprendo gli occhi e vedendo un'ombra di dubbio sul volto di Davide «Adesso mi sveglierò e tu scomparirai. Ti sarai dimenticato di me, anzi tu non saprai nemmeno della mia esistenza e io tornerò a guardarti da lontano e immaginarmi che un giorno potrà nascere qualcosa tra di noi» spiegai con un nodo alla gola, con la sensazione di sentire da un momento all'altro la voce da trombone di mio fratello che mi svegliava.
Davide ridacchiò confuso e mi guardò con un sopracciglio abbassato.
«Alice stai vaneggiando. E quello posso farlo solo io» disse, sogghignando.
«No Davide» scossi la testa scoraggiata, liberando le mie mani dalle sue e voltandomi per non guardarlo «È così, solo un maledetto sogno. Tu non perderesti di certo tempo con una come me!»
«Con una come te?!» ripeté «Perché, cos'hai che non va? Sei un alieno per caso. Oppure nascondi una sorpresa non molto gradita in mezzo alle gambe»
Sorrisi, scuotendo la testa.
«No, sono un essere umano» risposi «Ma non il tipo di ragazza che possa piacere a te»
«Invece tu mi piaci molto di più di quelle che sono abituato a frequentare»
Ecco, quella frase era la prova certa che quello era solo un'illusione creata da quello stupido e bricconcello di un Morfeo che si divertiva a prendersi gioco della sottoscritta. Avanti, Saronno non avrebbe mai detto una cosa del genere, non ad una come me per giunta. Sospirai e mi voltai per guardare nuovamente i suoi zaffiri. Ormai ero in ballo e avrei ballato quella danza finché le mie gambe avevano forza per continuare a volteggiare. Avrei continuato quella farsa fin quando non mi avessero svegliato.
«Non lo dici sul serio» ribattei, imbarazzata.
«Sì invece! Se non mi piacessi, stai sicura che non ti avrei chiesto di uscire con me né tanto meno ti avrei parlato di mio padre» mi rassicurò, avvicinandosi a me e accarezzandomi una guancia.
Sfiorai la sua mano con la mia, accompagnandolo in quel dolce gesto che mi fece rabbrividire. Poteva un sogno trasmettere così tante emozioni, farmi battere così intensamente il cuore?
«Alice!» trillò una voce alle mie spalle.
Strabuzzai gli occhi, schiaffeggiando la mano di Davide e facendola ritrarre da quella carezza. Mi voltai di scatto e sorrisi preoccupata e imbarazzata al tempo stesso. La mamma e le amiche avevano un tempismo perfetto nell'arrivare nei momenti clou o più imbarazzanti, come se avessero un timer dentro di loro.
«Benedetta» risposi, con una faccia da ebete.
«Che cosa stavi combinando?» domandò sconvolta.
«Cosa? Chi? Io? Cosa ho fatto?» farfugliai intimorita.
Avanti Raffaele svegliami! pensai. Questo è il momento giusto per buttarmi giù dal letto.
«Io vengo a cercarti perché sei sparita da dieci minuti e ti ritrovo con questo bell'imbusto a fare chissà che cosa!» si stizzì, puntando le mani sui fianchi.
Lo sguardo di Davide rimbalzava confuso da me a Benedetta. Cercava di capire, una spiegazione all'esplosione insensata di quella ragazza bassettina che era apparsa davanti a noi come una furia.
«Cosa hai da dire in tua discolpa?» domandò poi infilzandomi con i suoi occhi castani.
«Vostro onore, non è come credete!» mi affrettai a rispondere.
Le afferrai un braccio, costringendola a voltarsi di scatto e trascinandola via da lì prima che la sua boccaccia rovinasse tutto. Prima di sparire dietro al muro, mi voltai per sorridere ancora una volta a Davide, sentendomi in colpa per come lo stavo trattando. Ancora una volta mi ritrovavo a scappare da lui come una scema.
Ero sovrappensiero per accorgermi che davanti a me si era parato lo stupido tavolino che fungeva da scrivania per la bidella. Mi schiantai contro di esso, infilzandomi l'ombelico con uno spigolo e ritrovandomi distesa in una posa simile a quella di Superman con la bidella che mi squadrava come se fossi un strano essere sputato da qualche galassia dispersa. Le sorrisi stupidamente, accennando un mortificato Scusa. Il dolore provocato da quel dannato spigolo, diventato un tutt'uno con la mia pancia, mi fece capire che quello non era un sogno, che tutto quello che era successo era reale e che avevo fatto la figura della demente senza nessuna rotella davanti a Davide con discorsi insensati.
Ottimo!
Se c'era una seppur minima speranza di poter intraprendere qualcosa di romantico con Saronno, potevo benissimo dirle addio sventolando un fazzolettino bianco perché lui, molto probabilmente, aveva cominciato a sospettare che non fossi del tutto normale, mentalmente parlando. Si dice che chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Bene, Dario era stato un ottimo maestro, mi aveva insegnato fin troppo bene a zoppicare. Ero diventata psicologicamente instabile da quando lo avevo conosciuto, ero arrivata perfino a scambiare i sogni con la realtà. E la cosa che mi preoccupava di più era che l'allievo, di solito, superava il maestro. Se avessi dovuto superare Dario in precarietà mentale sarei definitivamente finita in un ospedale psichiatrico e tanti saluti a tutti!
«Che diavolo stavi facendo con Saronno e ripeto SARONNO?!» mi aggredì nuovamente Benedetta.
«No tranquilla, sto bene. Mi sono solo schiantata contro un banchetto, ma è tutto ok. Grazie per l'interessamento» ribattei io stizzita e dolorante.
«Non cercare di cambiare discorso, Livraghi!» mi rimproverò la Lady Gaga dei poveracci.
«Da quando adesso mi chiami per cognome?!» commentai incredula.
«Enfatizza il rimprovero» spiegò annuendo Benedetta «Comunque, non cercare di distrarmi con queste stupide domande. Cosa stavi facendo con Saronno?»
«Nulla» squittii, scrollando le spalle.
Mi sentivo come un topolino in gabbia, senza possibilità di fuga se non la morte improvvisa. Ma non volevo lasciare il mondo, non in quel momento almeno, non quando Davide si era accorto di me.
«Ah certo!» sorrise contrariata Germa, incrociando le braccia «Ti accarezzava così, tanto per. Non sapeva cosa fare e regalava una carezza al primo che passava, giusto?»
«Probabilmente è così» risposi, superandola anche se me la ritrovai davanti ancora una volta.
«Alice, devo ricordarti che sei fidanzata? Se Edoardo venisse a sapere che tu fai la gatta morta con un altro, cosa farebbe?»
Un bel niente, poco gli interessa di me.
«Si arrabbierebbe» risposi seccata, tamburellando il piede.
«Appunto! Quindi cerca di non farti abbindolare da Saronno» mi accarezzò una guancia come una mammina amorevole «A proposito di Edoardo, non dirmi che devo aspettare San Valentino per conoscerlo»
«Credo proprio di sì. Sai lui è un tipo timido» inventai, sorridendo nervosamente «Fatica a conoscere nuova gente»
Benedetta mi guardò con sospetto e annuì non del tutto convinta. Scrollò le spalle e sospirò, accettando quella menzogna come la verità. Rilassai i muscoli tesi, ringraziando qualsiasi divinità di aver fatto nascere Benedetta così credulona. Vidi Germa sparire dentro la nostra classe e stavo per seguirla dentro quel luogo di noia e petulanza, quando mi afferrarono per un braccio. Mi ritrovai subito dopo a pochi centimetri di distanza dal viso di Davide che mi sorrideva.
«Alla tua amica non piaccio poi granché» mi disse a fior di labbra «Credi che ci ostacolerà?»
«Credo di sì» risposi sconsolata, cullata dalle braccia di Davide.
«Allora sarà meglio non farci scoprire un'altra volta. Non voglio che quella tappetta rovini tutto»
Nemmeno io. Ha già combinato abbastanza guai.
Mi baciò ancora una volta, in modo sfuggente, sfiorando appena la mia lingua, lasciandomi la voglia di sentire le sue labbra ancora sulle mie. I nostri occhi si fusero in un breve istante prima che lui mi lasciasse fuori dalla porta dell'aula divorata da quella sensazione magica che i suoi baci mi regalavano.


Il fatto che Davide avesse deciso che la nostra doveva essere una relazione clandestina, in modo da non avere sosia di cantanti a fare i grilli parlanti della situazione, mi rallegrava. Almeno potevo uscire come qualsiasi altro studente invece di sgattaiolare via dall'uscita anti-incendio.
Faceva freddo quel giorno e il cielo plumbeo rendeva il vialone della scuola cupo e triste.
«Sei ancora senza motorino?» domandò Claudia rivolta a Benedetta.
«Sì, accidenti!» esclamò irritata «Ma questa volta non è dal meccanico. I miei l'hanno rifilato a mia sorella. Lei va a scuola lontano e con l'autobus ci mette tanto a tornare a casa. Tu impieghi solo dieci minuti!» imitò la voce di sua madre.
«Quindi, Linea 30 con me?» domandai divertita.
«Sì. Che squallore!» rispose scocciata.
«Povera principessa sul pisello!» commentò sarcastica Claudia.
«In te non parlerei, viziata di un Claudiano! Tuo padre viene tutti i santi giorni a prenderti!» ribatté stizzita Germa.
La rossa aprì due volte la bocca per controbattere, ma non uscì nulla se non mugolii contrariati. Scoppiai a ridere, adoravo i loro battibecchi del tutto privi di significato. Ma smorzai subito la mia ilarità, trasformatasi d'un tratto in stupore e ansia.
«Oh no» mormorai senza rendermi conto.
«Che succede Alice?» mi domandò dubbiosa Benedetta.
Germa e Claudia seguirono il mio sguardo fino a incrociare una splendente Mito nera parcheggiata fuori dal cancello e quel ben di Dio che era Dario appoggiato alla sua auto con le braccia conserte e il suo immancabile sguardo seducente.
«Per Dinci!» esclamò Benedetta incredula.
«Chi è quel bonazzo?» domandò Claudia maliziosa.
Quello che ci voleva in quel momento era un'enorme voragine nell'asfalto in modo da essere risucchiata verso il centro della terra.
«Edoardo» sospirai.
Mi guardarono incredule con la bocca spalancata, arrancando nel vano tentativo di dire qualcosa, ma le parole morivano loro in bocca. Rallentai il passo in modo da raggiungerlo in più tardi possibile, sperando magari in un fulmine che mi colpisse facendomi perdere la memoria.
Sorrisi alle mie amiche e le salutai di sfuggita prima di raggiungere il mio gigolò personale. Non volevo che quelle due ficcanaso facessero troppe domande alle quali io e Dario non avremmo saputo dare una risposta.
«Che diavolo ci fai qui?» gli domandai, appena me lo trovai di fronte.
«Ciao» mi sorrise lui «Sono venuto a prenderti, mi sembra ovvio» rispose.
«E come sapevi dove studiavo?» chiesi, mentre lui mi apriva la portiera.
Dario scrollò le spalle e piegò gli angoli della bocca.
«Botta di culo» disse, salendo in macchina e mettendo in moto la Mito «Questo era il liceo più vicino a casa tua. Ho supposto che fosse la tua scuola» spiegò.
«E se non frequentavo questo liceo?» lo punzecchiai.
«A una certa ora me ne sarei tornato a casa» ribatté come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«Comunque non dovevi venire» sbottai seccata.
«No, figurati, non è stato affatto un disturbo venire fino a qui» disse sarcastico Dario «Almeno un grazie» mi rimbeccò lui, lievemente offeso.
«Non ti ho chiesto io di venire a prendermi»
«Appena arrivi a casa prendi un dizionario, lettera G e cerca la parola gentilezza, magari così capisci perché sono qui» rispose ironico Dario, dandomi sui nervi con il suo continuo ribattere a tono.
Se fossi stata in tutt'altra situazione sentimentale, lo avrei abbracciato e ricoperto di baci per avermi salvata da quella tortura che era la Linea 30. Ma con Davide nei paraggi non era cosa saggia salire nella macchina di un ragazzo stra figo. E se Saronno mi avesse vista? Avrei dovuto dire addio anche a lui come era successo con Federico e la cosa non mi piaceva affatto.
«Oddio, la tua bontà mi stupisce sempre di più. Strano che non ti abbiano ancora santificato» dissi ironica, scuotendo la testa e appoggiando la fronte al finestrino freddo.
«Si può sapere adesso che ti ho fatto?!» domandò stizzito «Non ti ho slacciato il reggiseno e non ti ho abbandonata senza salutarti!» fece confuso «Oppure devo supporre che il tuo odio nei mie confronti è a priori. Ogni volta che mi vedi, mi aggredisci!» continuò il suo soliloquio.
«Mi sei venuto a prendere» risposi in un sospiro.
«E certo. Perché ora andare a prendere la propria ragazza a scuola è molestia sessuale, punibile con anni e anni di carcere!» esclamò infastidito.
O Dario era impazzito tutto d'un tratto o quello che mi stava accompagnando a casa era un alieno e il mio gigolò era disperso in un'altra galassia. Aveva detto la propria ragazza riferito a me, senza che ci fosse un culo d'oca ad infastidirlo. Arrossii e cominciai a torturare, imbarazzata, la cerniera del cappotto. Lo sguardo di Dario si posò di me furtivamente e dubbioso.
«Che c'è?» domandò.
Mi morsi le labbra, indecisa se far la finta tonta oppure dirgli della sua svista.
«Hai, hai detto la propria ragazza» gli feci notare, sprofondando poi nel sedile e nell'imbarazzo più totale.
Dario deglutì, per poi sorridere intimidito e scuotere la testa, mentre le guance si tingevano di un lieve rossore. Boccheggiò, visibilmente in imbarazzo, senza riuscire a dir nulla se non qualche strano verso.
Ero una stupida patentata. Avrei fatto meglio a far finta di nulla. Ogni volta che mi trovavo ad un bivio, sceglievo sempre la strada sbagliata, quella più contorta e buia, ritrovandomi poi in difficoltà. Il silenzio che si era creato tra di noi era tangibile, pesante e opprimente, quasi innaturale. Lo guardai di sottecchi concentrato a guidare mentre si torturava il labbro inferiore con piccoli morsi, chiaramente a disagio da quella situazione che la mia boccaccia aveva creato. Annaspai in cerca di un argomento per sorvolare sull'accaduto, anche se mi risultava difficile pensare.
«Stai sbagliando strada» lo avvertii in un sussurro, senza guardarlo.
«No» rispose lapidario.
«Saprò dove abito» ribattei contrariata.
«Anche io so dove abiti. La strada è quella giusta»
«A quanto pare non te lo ricordi. Stiamo per uscire dal paese!» esclamai, guardando terrorizzata la tangenziale apparire dal vetro del cruscotto.
«Lo so» rispose Dario, tranquillo.
Ok, avevo la prova che quello non era il mio gigolò. Era un alieno che aveva preso le sue sembianze e che mi stava trasportando verso la sua astronave, dove mi avrebbe vivisezionata per studiarmi o mi avrebbe usata come procreatrice dei suoi figli o chessò io. Avevo il cuore che martellava il petto e lo sentivo chiaramente rimbombare in tutto il corpo. Nonostante la mia fervida immaginazione, cominciavo ad avere seriamente paura che Dario fosse impazzito e che volesse uccidermi e nascondere il mio cadavere il più lontano possibile dal paese.
Fermò la macchina in un piccolo parcheggio che costeggiava un tratto di tangenziale. Spense il motore, rilassandosi sul sedile e rivolgendomi uno dei suoi sorrisi sensuali. Ecco, era arrivato il momento della mia morte. Ora avrebbe estratto una pistola e tanti cari saluti a tutti! Avrei preferito morire un po' più stagionata e magari non più vergine, con un marito e dei bambini. L'unica e magra consolazione che avevo era di aver dato il mio primo bacio. Almeno quello.
«Spero...» esordì e il tempo si bloccò in quel preciso istante.
Spero che tu non soffra, mi stava sicuramente per dire. Strizzai gli occhi e mi strinsi nelle spalle, impaurita.
«...che il giapponese ti piaccia» concluse scendendo dalla macchina.
Scoppiai a ridere per la mia scemenza. Dio, ero proprio imbecille e catastrofica! Avrei dovuto smettere di farmi filmini mentali senza senso e impaurirmi con le mie stesse fantasie. Lo raggiunsi fuori dall'auto dove mi abbracciò, accompagnandomi con il tepore del suo corpo verso il ristorante.
«Non mi hai risposto» mi fece presente Dario «Ti piace il giapponese?»
«Non l'ho mai assaggiato» ammisi.
«Davvero?» disse stupito «Beh, c'è sempre una prima volta» aggiunse, baciandomi la fronte.
Di fianco alla parola Strano sul dizionario, per dare un'idea migliore del significato della parola, si trovava la foto mia e di Dario. Non ci poteva essere definizione migliore per quello che stava nascendo tra di noi. Poco prima ci stavamo scannando come due leoni inferociti e subito dopo ci abbracciavamo come fossimo una coppietta felice. E così apparivamo ad occhi esterni, come due ragazzi innamorati. Ma per noi che vivevamo quello strano rapporto, cos'eravamo in realtà?
Amici? No, tra noi c'era un'intimità che tra due semplici amici non poteva nascere.
Innamorati? Nemmeno. Amore era una parola troppo grande per noi. E poi Dario era uno di quelli da una notte e via, era impossibile che si potesse innamorare.
Una minuta cameriera giapponese ci fece accomodare ad un tavolo vicino alla finestra, porgendoci i menù con sopra piatti dai nomi impronunciabili e non del tutto invitanti. Ordinai le stesse pietanze di Dario, fiduciosa del suo palato. Ci guardammo a lungo, sorridendoci, ma senza dire una sola parola, ritrovandoci nello stesso mutismo snervante che ci aveva colti in macchina.
«Posso farti una domanda?» ruppi il ghiaccio. Lui annuì curioso, sporgendosi sul tavolo come se volesse sentire meglio la mia voce.
«Ti sei» esitai «Ti sei mai innamorato?»
Dario s'irrigidì e si strinse le mani. Il suo sguardo si fece sfuggente e il suo labbro venne torturato ancora una volta. Si passò una mano sul viso a disagio per quella domanda che sarebbe stato meglio se fosse rimasta dentro la mia mente.
«Domanda ovvia da fare ad un gigolò» disse con un sorriso tirato «Tutti pensano che noi siamo solo macchine del sesso senza sentimenti, dei mostri privi di emozioni che cercano solo il piacere»
«Non volevo dire questo» intervenni subito, in colpa per averlo messo in una situazione spiacevole ancora una volta.
«Ma sicuramente lo hai pensato, sennò non mi avresti fatto questa domanda» mi sorrise e mi accarezzò una mano come se volesse tranquillizzarmi «Comunque, sì, mi sono innamorato qualche volta. Ma sono scappate tutte e non le biasimo. Chi vorrebbe stare con un...» tentennò «gigolò» aggiunse a bassa voce.
«Sei sempre stato lasciato, quindi?» domandai, non riuscendo a tenere a freno la mia curiosità.
«Praticamente sì. Solo una volta sono stato io a lasciare una persona. E quello è stato uno degli errori peggiori della mia vita» sospirò prima di continuare il racconto «Erano i tempi d'oro del liceo e io ero una specie di divinità lì dentro. Il classico bello e stronzo della situazione, quello che non voleva innamorarsi, ma solo divertirsi. Eppure io ero innamorato, eccome, di una ragazza splendida, nonostante fingessi di avere un cuore di pietra. Peccato che lei fosse l'ultimo gradino della scala sociale in quella scuola. Avevo due possibilità: stare con lei e fregarmene degli altri, oppure mollarla e farla soffrire, preservando la mia reputazione. Dato che io pendevo dal giudizio altrui, scelsi la mia reputazione a lei. Che stupido» concluse il discordo sorridendo amaramente e scuotendo la testa.
«E come si chiamava?» gli chiesi.
«Lasciamo stare» rispose in un sospiro, ancora scosso da quel racconto «È meglio cambiare discorso. La mia vita non è un bell'argomento da affrontare»
Annuii, portandomi un ciocca di capelli dietro l'orecchio imbarazzata e sorridendogli impacciata. La cameriera giapponese accorse a servirci le prime portate, degli spaghetti che sembravano vermi e che avevo paura potessero muoversi e saltare fuori dal piatto, condita con pezzettini poco invitanti che provenivano da chissà quale pianta e ignoto animale. Dario cominciò a mangiare con dimestichezza con quegli arnesi di legno che io avrei usato solo e soltanto per giocare a shangai. Fortuna che i giapponesi erano intelligenti e avevano apparecchiato anche con le forchette.
Esitai su un singolo spaghetto, schifata da quella poltiglia che sembrava cucinata da Smell. Ma, trascinata dall'espressione soddisfatta di Dario, assaggiai quell'esplosione di sapori agrodolci che mandarono in visibilio le mie papille gustative e che risvegliarono il porco a digiuno che coabitava insieme al bradipo dentro di me.
«A proposito di vita sentimentale. Tu l'altro giorno avevi un appuntamento» ricordò, gustando per qualche secondo il sapore che gli spaghetti gli avevano lasciato in bocca «Come è andato?»
Risucchiai uno spaghetto sporcandomi la bocca di sughetto, che leccai via, e lo ingoiai. Tossicchiai e mi sistemai sulla sedia, sorridendogli imbarazzata.
«Bene, direi» risposi incerta «Ci siamo divertiti parecchio. È una frana sui pattini. Sembrava di assistere alle comiche» ridacchiai, ripensando all'imbranataggine di Davide.
Il volto di Dario si contrasse in una smorfia e il sorriso che mi regalò risultò falso come una banconota del Monopoli.
«Ti piace molto vero? Ti si sono illuminati gli occhi» mi fece notare con la voce incrinata e con un pizzico di disillusione.
«Sì» risposi, mordendomi il labbro inferiore e sentendomi avvampare «Oggi mi ha baciata» gli rivelai poi, incerta e insicura, timorosa di una sua reazione. Che non tardò ad arrivare. Uno spaghetto gli andò di traverso, trasformandosi in un serial killer pronto a strangolarlo. Cominciò a tossire, sbattendo le mani contro il tavolo e attirando su di sé l'attenzione dei pochi clienti che l'ora di pranzo portava. Dopo venti minuti in cui credevo che mi avrebbe lasciata lì da sola e che sarebbe stato portato via di lì in orizzontale, ritrovò il fiato e mi guardò con gli occhi lucidi e sgranati.
«'tacci tua!» esclamò, ripresosi da quel momento pre-morte «Vi, vi siete baciati?» arrancò «Lui ti ha rubato il tuo primo bacio?»
«Non ha rubato proprio un bel niente!» esclamai stizzita «Non mi ha costretto con la forza!»
«Alice, avanti! Non crederai che quello voglia una storia con te?» mi provocò con aria di superiorità.
«Perché no?!» ribattei irritata.
«Sono stato liceale anche io» cominciò lui, sembrando in quel momento uno Smell piacente «Ti avrà detto che cerca qualcosa in più del sesso, che non gli basta più e cazzate varie! Sbaglio?!»
No, non si sbagliava, aveva parlato esattamente così. Ma non lo avrei mai ammesso per pompare ancora di più il suo ego pronto a scoppiare come un palloncino troppo gonfio.
«Sbagli mio caro» sbottai «Non lo ha mai detto! Sai che, non tutti in questo mondo, seguono il verbo di Dario? Non è detto che se tu al liceo eri uno stronzo pervertito lo siano anche tutti gli altri!»
Lui sospirò, socchiudendo gli occhi e mordendosi le labbra.
«Smettila di giudicarmi» ribatté con tono pacato e serio.
«Io?!» sbraitai, brandendo il tovagliolo che avevo sulle gambe e sbattendolo sul tavolo «L'unico qui che giudica dall'alto del suo metro e venti sei tu mio caro. Non tutto va come dice Dario»
Mi alzai dal tavolo senza nemmeno finire gli spaghetti e senza aver assaggiato il resto dell'ordinazione. La cameriera cercò di fermarmi avvisandomi che non avevamo consumato le nostre ordinazioni, ma la scansai bruscamente.
«Alice, non fare i capricci!» mi rimproverò Dario scocciato.
Sbuffò, lanciando il tovagliolo sul tavolo e lasciando una banconota da cinquanta euro sul tavolo e mi raggiunse. Mi strinse un braccio, facendomi fermare e costringendomi a guardarlo negli occhi.
«Io cerco solo di aprirti gli occhi Alice!» urlò, con un lampo di dispiacere in quegli occhi neri come il petrolio.
«Non mi serve il tuo aiuto» sibilai, strattonando il braccio e liberandomi dalla sua presa.
Cos'eravamo io e Dario?
Due anime incompatibili, il bianco e il nero, il dolce e l'amaro. Due musiche discordanti in perpetua disarmonia.



Mi richiusi la porta alle spalle e sospirai.
Nonostante una doccia calda e una barretta di cioccolato, i miei nervi erano ancora tesi più di una corda di violino. Dario aveva superato il limite della mia pazienza, cosa rara visto che l'unica cosa che mi faceva uscire dai gangheri era Smell. Mi dispiaceva per lui, ma il suo primato era stato conquistato da Dario.
Ogni minuto che passava era un piccolo passo avanti verso il 14 di Febbraio, il giorno che avevo sempre odiato da quando ero entrata nell'adolescenza, che non consideravo nemmeno come un giorno da vivere, sperando sempre che il 15 arrivasse in anticipo. Ma quella volta fremevo perché arrivasse San Valentino, la festa degli innamorati, felice che si sarebbe portato via con sé Dario.
«Dorme?»
La voce dolce di Davide mi fece risollevare il volto e distrarre da quel maledetto gigolò. Annuii con un sorriso tirato e lo superai per andare in salotto.
Non solo il pensiero di Dario e della sua arroganza mi tormentavano, ma si era aggiunto al mio nervosismo anche l'ansia di essere sgamata. Dovevo fare da baby-sitter ad una bambina e mi ero lasciata convincere da Davide di far venire anche lui, di nascosto, come succedeva nei film americani, per poter passare un po' di tempo insieme.
Sprofondai nel divano di casa Rossi, afferrando un cuscino e abbracciandolo come fosse un orsetto, per ricavarne un affetto che non poteva darmi.
«Che succede, Cappuccina?» mi domandò Davide, sedendosi accanto a me e accarezzandomi i capelli.
«Ho litigato ancora» risposi in un sospiro, guardando dritto davanti a me.
«Sempre con il tuo amico?»
Scossi la testa, sorridendo amaramente.
«Non è mio amico» risposi «È solo un idiota»
La mano di Davide mi sfiorò una guancia con una delicata carezza che non ebbe nessun effetto su di me, se non far nascere un sorriso falso e tirato. Solitamente fremevo al suo tocco, mi inebriavo della morbidezza della sua pelle, mi accendevo come un fiammifero pronta a far ardere i miei sentimenti. Invece in quel momento ero un pezzo di ghiaccio, una bambina che non desiderava una stupida carezza, ma il suo amato giocattolo.
«Se non tenessi a lui, adesso non staresti così male» disse Davide, stringendomi la mano «E soprattutto non piangeresti per lui»
Boccheggiai, incredula, asciugandomi in fretta quelle poche lacrime che furtive e silenziose sgorgavano dai miei occhi. Non mi ero nemmeno resa conto che stavo cominciando a piangere mossa dall'irremovibile pensiero di Dario.
«Non, non sto piangendo per lui» tentennai, assaporando una lacrima salata che si era fermata all'angolo della bocca «Piango per il nervoso»
Quelle parole servivano più per convincere me stessa che Davide. Saronno mi scansò una ciocca di capelli dal volto, accarezzandomi con il dorso della mano la guancia. Mi spinse delicatamente verso di lui, verso le sue labbra e verso un bacio dolce ed innocente, un leggero assaporarsi di labbra con un solo accenno di lingua. Perché perdevo tempo con Dario, perché sprecavo le mie lacrime per lui? Quel gigolò non contava nulla per me, non doveva contare nulla per me così come io per lui non ero importante. Avevo Davide, un ragazzo che mi apprezzava e con cui mi sentivo in pace con me stessa e con gli altri. Che mi faceva battere il cuore e sentire speciale.
Mi sfiorò la punta del naso con la sua, pizzicandomi amorevolmente una guancia, per poi stringermi una spalla e avvicinarmi al suo petto. Chiusi gli occhi, coccolata da dolce ritmo del cuore di Davide. Un battito regolare, normale, uguale a qualsiasi altro, eppure così diverso dal suono di quello di Dario, così magnetico e melodioso. Respirai a fondo l'odore del suo maglione, che però non soddisfò le mie narici viziate ormai dal profumo inebriante di Dario. Qualsiasi piccolo gesto, qualsiasi minimo particolare era connesso a lui, era un termine di paragone con tutto ciò che lo riguardava e in ogni confronto ne usciva vincitore. Al diavolo! Dovevo smetterla di pensarlo come se fossi una ragazzina innamorata. Era solo un presuntuoso, saccente, arrogante e antipatico gigolò, il cui unico scopo era giudicare tutto e tutti dall'alto della sua esperienza divina e farmi innervosire ogni giorno di più. Da quando era entrato nella mia vita non avevamo fatto altro che litigare e urlarci contro, eravamo quasi arrivati al punto di non sopportarci più a vicenda. Eppure sentivo il bisogno di stare con lui, di vederlo accanto a me, di sentire la sua voce e la sua mano avvolgere la mia.
«È meglio che tu vada» mormorai, prima di staccarmi da Davide «La madre di Giorgia arriverà a momenti»
Saronno controllò l'orologio, constatando che fossero le diciassette passate ed annuii, sorridendomi. Mi schioccò un bacio sulla fronte e si alzò, stiracchiandosi rumorosamente e strappandomi una piccola risata.
«Ciao Cappuccina, ci vediamo» mi disse, appropriandosi poi delle mie labbra più e più volte prima di andare via e lasciarmi sola con i miei pensieri.
Seppur il mio cuore aveva sorvolato sulle continue illazioni di Dario nei confronti di Davide, il mio cervello aveva assimilato anche fin troppo quello che aveva detto. Ogni minuto che passava mi sembrava sempre più strano che Saronno si fosse avvicinato a me, che potessi anche minimamente piacergli. E se fossi stata solo una delle tante? Una da aggiungere ad una lista? Una con cui fare sesso e poi gettarla nel dimenticatoio? La cosa mi spaventata, non volevo perdere la verginità con un ragazzo che non aveva la minima considerazione di me, al quale interessava solo la Iolanda. E soprattutto non volevo sentirmi dire dal saccente Dario Te l'avevo detto, con un tono soddisfatto e trionfante.
Con questi dubbi avrei fatto meglio a lasciar stare, a troncare tutto prima che la situazione si complicasse. Ma non ci riuscivo. Dentro di me si stava consumando una lotta tra cervello e cuore, razionalità e sentimenti senza che nessuno ne uscisse vincitore. Temevo di sbagliare, come al solito, qualsiasi strada scegliessi. Per cui, nonostante i dubbi e le paure, avrei vissuto quella storia, così come veniva, trascinata dai sentimenti, frenata a volte dalla razionalità.
Sentii un rumore metallico e poco dopo apparve una signora corpulenta con il cappotto nero spruzzato di bianco, infreddolita e tremante.
«Che freddo!» esclamò, chiudendosi la porta alle spalle «Giorgia ha fatto la brava?» domandò la signora Rossi.
«È stata un angelo» risposi, alzandomi e sorridendole «Adesso sta dormendo»
La donna andò a controllare che la sua bambina stesse bene, poi mi raggiunse nuovamente in salotto ed estrasse dalla borsetta il portafoglio.
«20 euro per le due ore» disse, allungandomi una banconota azzurra «E altri dieci per la gentilezza» aggiunse con un sorriso.
«Grazie» risposi intimidita, afferrandoli.
«Copriti bene che fuori fa freddo» mi avvertì «Sta perfino nevicando!»
«Nevicando?» ripetei scettica, ormai priva di qualsiasi speranza di vedere la neve quell'anno.
«Non te ne sei accorta?» domandò «È da più di un'ora che sta nevicando!»
Sorrisi, felice, da buona amante della neve qual ero. Amavo quel manto bianco che creava, amavo sentire le scarpe affondare e i fiocchi di neve infrangersi sul mio viso.
Scesi le scale rapidamente, fiondandomi fuori dal portone e godendo di quel cielo bianco e il candore della neve. Aprii le braccia, girando su me stessa per farmi investire dagli enormi fiocchi che il cielo ci stava donando. Ero stata catturata in quell'incantesimo che solo la neve sapeva creare, quando una palla congelata si schiantò contro la mia guancia.
«Beccata!» esclamò divertito un Davide dal naso rosso, spuntando da dietro un albero.
«Che cosa ci fai ancora qui?!» sbottai, pulendomi la guancia «Non dovevi essere a casa?»
«Certo! Ma quando ho visto che nevicava, ho deciso di aspettarti per condividere questo spettacolo con te»
«Grazie» risposi, stringendomi nelle spalle intimidita.
Abbassai lo sguardo a guardarmi i piedi sprofondati ormai nella neve e non mi accorsi che un'altra palla ghiacciata stava viaggiando a tutta velocità verso di me, infrangendosi contro la gamba. Strabuzzai gli occhi e spalancai la bocca.
«E così vuoi la guerra!» esclamai, raccattando un po' di neve e facendone la mia arma.
Caricai il colpo e lo scagliai contro Davide, che riuscì ad evitarlo con un balzo.
«Non sei in grado Alice!» mi sbeffeggiò, facendo un'altra palla di neve «Bisogna essere veloci e imprevedibili!» continuò, fingendo di lanciarmela. Mi scansai compiaciuta, credendo di aver evitato quell'ennesimo colpo, che si abbatté sulla mia spalla poco dopo.
«Siamo tre a zero per me!» esclamò divertito.
«Le prime due non valevano!» ribattei io scocciata.
Mi abbassai per prendere la neve, rialzandomi fulminea e assestare il colpo del 3-1. Lo colpii sulla schiena, mentre lui cercava invano di evitare quella pallina. Saltai felice, mostrandogli il segno della vittoria e subito lui socchiuse gli occhi, guardandomi con aria minacciosa. Corse goffamente verso di me, rischiando di cadere a causa della neve ed io cominciai ad indietreggiare, ridendo in un misto tra divertimento e timore.
«Cosa vuoi fare?» domandai, parandomi con le mani.
Con un urlo stile Tarzan, si scagliò contro di me, sbilanciandomi e facendomi cadere come una mela marcia. Me lo ritrovai disteso sul mio corpo che mi scrutava con i suoi occhi marini e mi sorrideva in un modo che mi fece perdere il fiato. Nonostante la neve tutt'intorno, sentivo un gran caldo e le guance, prima gelide, stavano andando piano piano a fuoco. Mi passò una mano tra i capelli, senza mai liberare i miei occhi dai suoi e avvicinò le sue labbra alle mie, brandendole voglioso in un bacio del tutto nuovo per me, un bacio che si allontanava dall'innocenza dei primi. Era un rincorrersi delle nostre lingue, un momento di pura passione, una spirale di piacere intenso che ci stava inghiottendo piano piano. Affondai le dita nei suoi capelli corvini, spingendolo verso di me, come se volessi di più, come se quelle labbra fossero troppo poco per la mia bramosia. Una mano di Davide era inabissata nella neve, mentre l'altra lambiva ogni centimetro della mia coscia, scivolando anche verso il sedere. La cosa strana era che non mi dava fastidio che Davide esplorasse la mia gamba, anzi, godevo di quel contatto ostacolato dai jeans. Il mio cuore batteva frenetico ed irregolarmente come se fosse un tamburo suonato da qualcuno senza il minimo senso del ritmo. Il petto si sollevava convulso seguendo il respiro che si faceva sempre più affannoso ad ogni strofinio delle nostre lingue.
Il bacio di Davide scivolò lungo la guancia, fino ad arrivare al collo, dove si fermò e assaporando la mia pelle con decisione, strappandomi anche qualche ansimo. La neve, i baci e il corpo di Davide erano riusciti finalmente a liberarmi dell'ormai opprimente pensiero di Dario e di quell'insensato senso di ansia che le sue parole avevano fatto nascere in me. Non m'importava di nulla in quel momento, se non Davide e quello che stava nascendo tra noi. Non poteva essere finzione, tutto tra di noi era così naturale, qualsiasi gesto e qualsiasi parola, ogni sorriso ed ogni carezza.
Davide si staccò da me, sollevandosi sulle braccia e fondendo ancora una volta le nostre iridi e le nostre emozioni.
«Sarà meglio alzarsi prima di diventare dei ghiaccioli» sogghignò.
Si rialzò, aiutando anche me a risollevarmi dal mantello gelido di neve. Lo vidi abbassarsi nuovamente e sbuffai, pregandolo con lo sguardo di non riprendere la battaglia a palle di neve.
«No, ti prego!» supplicai.
Davide sospirò e scosse la testa con un sorriso. Ammassò della neve, raccattandone da ogni dove e cominciò a picchiettarla per darle la forma di una sfera gigante.
«Vieni anche tu a fare un pupazzo di neve» mi invitò.
Non ero mai stata brava a fare quei cosi, si distruggevano sempre appena cominciavo a rimodellarlo. Accettai comunque, nonostante l'astio reciproco tra me e i pupazzi e lo imitai, raccogliendo più neve possibile per farne il corpo.
Davide fece una palla più piccola, sistemandola sulla sfera gigante di neve che aveva fatto e indietreggiò per ammirare la sua creatura. Estrasse dalla tasca due Golia e le scartò, facendone due occhi neri.
«Servirebbe un naso, però» disse, non pienamente soddisfatto.
«No dai, è carino» sorrisi.
Meglio del mio che era instabile e destinato a cadere di lì a poco. Davide aggiunse gli occhi anche al mio pupazzo, poi si fermò a guardarli critico, uno di fianco all'altro.
«Manca qualcosa» mormorò, grattandosi il mento.
Il suo volto si illuminò d'improvviso e come un fulmine scattò verso l'albero dal quale staccò due rami rinsecchiti. Ne piantò uno nel suo pupazzo di neve, l'altro nel mio, in modo che si sfiorassero, come se si stessero tenendo per mano. Sorrise soddisfatto e si affiancò a me, intrecciando le sue dita con le mie.
«Hai visto, siamo noi due» esclamò compiaciuto da quella opera.
Seppur il pupazzo Alice sembrasse la torre pendente di Pisa e non avesse la bocca, insieme con il pupazzo Davide sembrava felice. Strinsi ancora più forte la mano di Saronno e sorrisi guardando quegli innamorati di neve. Peccato solo che la loro storia d'amore non avrebbe avuto futuro. Sarebbe bastato un solo raggio di sole per mettere fine a quella fantastica storia. Era forse un presagio di quello che sarebbe accaduto a noi? Destinati a scioglierci come neve?
«Appena spunterà il sole, però, dovranno dirsi addio» mormorai, scoraggiata.
«Speriamo che tra di noi il sole non albeggi mai, allora»











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Hello to everyone!
Finalmente ce l'ho fatta a finirlo! Non mi sembra nemmeno vero, ormai ero priva di qualsiasi speranza di riuscire ad uscire dal decimo capitolo. Ma eccomi, invece!
La settimana appena trascorsa è stata un inferno, avevo il parziale di anatomia che è andato uno schifo e che quindi mi ha demoralizzato parecchio. Per non contare poi l'imminente esame di fisica, una delle cose che odio di più al mondo e questo capitolo che doveva essere totalmente diverso. Avevo ben altra idea in mente che però non riuscivo a realizzare per una serie di problematiche che l'episodio creava. Ma ne sono uscita e ne sono felice! L'idea è diversa da quella che avevo in mente, ma ha lo stesso effetto :)
Se da una parte vediamo che il rapporto tra Alice e Davide si sta rafforzando sempre di più, dall'altra abbiamo quello con Dario che si sta deteriorando sempre di più. Ormai, per loro, è una routine litigare e questo fatto sta infastidendo parecchio la nostra cara protagonista. È comunque vero che lei lo pensi sempre, nonostante non si sopportino quasi più a vicenda.
Il prossimo capitolo sarà quello promesso, ossia Cade la pioggia. Sarà molto importante per la storia e anche abbastanza triste. Non dico altro perché non voglio rovinarvi la sorpresa. Ci sarà anche una shot di In un giorno qualunque ispirato a questo capitolo e alla canzone dei Negramaro..
Mi sembra di aver detto tutto, anche perché non ho nient'altro da aggiungere xD
Per cui direi di passare alle cose importanti, ossia ai ringraziamenti.
GRAZIE alle dieci splendide persone che hanno recensito lo scorso capitolo (che bel numero il 10 *-* xD)
GRAZIE alle 74 persone che hanno inserito la storia nelle seguite.
GRAZIE alle 10 che l'hanno inserita tra le ricordate.
GRAZIE alle 29 che l'hanno inserita nelle preferite.
GRAZIE anche a chi legge solamente.
Davvero, dirvi solo un grazie mi sembra poco :') Quando leggo le vostre recensioni, quando vedo quanto è apprezzata questa storia mi si riempie il cuore di gioia. Vi adoro tutti ♥
Infine, GRAZIE alla mia amata Lover, IoNarrante, la mia consigliera personale. Ti lovvo ♥
Ora, la noiosissima pubblicità:
Come in un sogno - scritta a quattro mani con IoNarrante
In un giorno qualunque
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Le 999 cose che la gente non sa degli scrittori
Vi lascio! Un bacio a tutti, vostra, Manu ♥


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Capitolo 12
*** Cade la pioggia ***



C a p i t o l o 11
Cade la pioggia



Eravamo rimasti a fissare quei due pupazzi di neve per un tempo che sembrava quasi interminabile, persi in quel triste romanticismo che quel candore emanava. Quando la neve aveva cominciato a scendere più fitta, decidemmo di tornarcene a casa prima di essere vittime di una tremenda tempesta da film catastrofico americano. Davide mi strinse a sé, riscaldandomi con il suo piumino e il calore del suo corpo.
«Tra poco c'è il ballo di San Valentino» disse lui, mentre camminavamo spediti verso casa mia.
«Cinque giorni» risposi. Solo 120 ore e mi sarei liberata definitivamente di Dario, finalmente.
«Non ci andrai, vero?» mi domandò a bruciapelo.
M'irrigidii all'istante, non avendo minimamente pensato che lui credeva che io non avessi un fidanzato. Teoricamente era così, ma praticamente avevo tra i piedi un gigolò che interpretava il mio fidanzato. Era un disastro di proporzioni cosmiche, peggiore della tempesta di neve che si stava abbattendo su di noi. Se Davide avesse scoperto di Dario potevo dire addio anche a Saronno e non volevo assolutamente rinunciare a lui.
«E no. Che peccato» risposi insicura.
La soluzione migliore era essere seppelliti dalla neve, così avrei sistemato ogni mio problema e fine di ogni caos. Però, pensandoci, nemmeno Davide aveva la ragazza per cui potevo andare tranquilla. Ma dato che nella mia scuola c'erano più pettegole che fili d'erba in un campo di calcio, la voce del mio “ragazzo” sarebbe arrivata a Saronno e addio! Sayonara, a mai più rivederci! Che cosa avrei dovuto fare? Andare a quella stupida festa per mettere a tacere i dubbi, più che fondati, sulla mia reputazione e rischiare di perdere Davide, o fregarmene di me stessa e pensare solo alla storia che stava nascendo con Saronno? Maledizione alla mia boccaccia! Per colpa sua affondavo sempre di più in un mare melmoso di gianduja che mi avrebbe, ben presto, fatta annegare.
«Io credevo di sì, invece» disse, con tono serio e cupo, cosa che mi fece rabbrividire.
Lui sapeva tutto! Qualcuno gli aveva spifferato che avevo un fidanzato e quel qualcuno rispondeva, certamente, al nome di Cristina Cariati. Quella pettegola, oca dalla lingua veloce!
«E con chi?» domandai con voce tremante.
«Con un ragazzo, ovvio!» rispose lui «Anzi, rettifico, il tuo ragazzo!»
Strabuzzai gli occhi e boccheggiai, prima di staccarmi da Davide e fermarmi davanti a lui.
«Non è come credi, davvero. Posso spiegarti qualsiasi cosa» cominciai preoccupata e con il cuore che sembrava un martello pneumatico pronto a perforarmi la cassa toracica.
Lui si avvicinò a me, mi accarezzò le braccia, scendendo fino a stringermi le mani e baciandomi a fior di labbra.
«È bello, è simpatico, anche romantico quando vuole» esordì, lasciandomi perplessa «E vuoi sapere come si chiama?»
Annuii poco convinta e lui mi baciò nuovamente.
«Davide Saronno»
«No, hai preso un granchio, davvero» cominciai, senza aver sentito realmente cosa mi aveva detto. Quando realizzai che aveva pronunciato il suo nome, annaspai, deglutendo saliva che non c'era «Cosa hai detto?» domandai, certa di aver sentito un nome per un altro. Lui sorrise sornione e mi baciò il dorso freddo della mano, dal quale si sviluppò un calore che mi pervase lentamente tutto il corpo.
«Era un modo strampalato per chiederti se vuoi essere la mia ragazza» disse con tono dolce e tranquillo.
Quelle parole arrivarono dritte al mio cuore, facendolo esplodere di gioia ed emozione. Avevo sempre immaginato quel momento, nella speranza che arrivasse da un giorno all'altro, ma che in verità rimaneva sempre e solo un sogno lontano difficilmente realizzabile. E invece qualcuno mi aveva davvero chiesto di diventare la sua fidanzata. Non credevo che una semplice frase come quella potesse riempirmi gli occhi di lacrime. Ma ero lì impalata con la bocca spalancata, con le labbra tremanti e lacrime di gioia che si infrangevano sul bianco della neve.
«Ehi Cappuccina, perché stai piangendo?» mi chiese Davide, asciugandomi le guance con i pollici.
«Non-non me lo aspettavo» balbettai, emozionata, fuggendo dall'acqua profonda dei suoi occhi cristallini «Io, io non co-cosa dire»
«Mi basta un sì»
Era semplice, un monosillabo stra-abusato che usciva con facilità dalle labbra di chiunque. Ma in quel momento mi sembrava fosse la parola più difficile da dire. Forse per la paura dell'ignoto, qualcosa che non avevo mai provato e a cui forse non ero pronta. E poi c'era Dario e il suo opprimente pensiero, le sue parole che rimbalzavano nella mia mente come una pallina impazzita. Abbassai lo sguardo e mi morsi entrambe le labbra, con il cuore che urlava quel maledetto
e il cervello che si opponeva serrandomi le labbra.
«Allora?» incalzò lui, prendendomi con decisione il viso tra le mani e costringendomi a guardarlo.
Deglutii a vuoto e respirai prima di prendere la mia decisione. Mi alzai sulle punte, avvinghiandomi al collo di Davide per poter gustare nuovamente le sue labbra e i suoi baci. Avevo scacciato la voce di Dario, che lentamente svaniva dalle mie orecchie, lasciandomi udire solo il battito accelerato del mio cuore rimbombare nelle orecchie, quel suono che voleva solo Davide in quel momento. Allontanai anche la sua immagine, dissolta nell'oceano degli occhi del ragazzo che mi stava baciando in quel momento. Avevo messo a tacere il mio cervello e avevo dato ascolto al mio cuore, magari sbagliando, magari intraprendendo la strada più insidiosa. Ma in quel momento volevo vivermi Davide, volevo che fossimo solo noi due e basta, senza nessun sole che ci ostacolasse con i suoi raggi.
Le nostre lingue si sfiorarono prima di avvolgersi sensualmente come se non volessero più staccarsi, così come le nostre labbra ormai incollate a quello dell'altro, che necessitavano di quelle dell'altro per poter vivere con quei baci. Davide mi mordicchiò il labbro inferiore e si ritrasse da quel bacio, guardandomi intensamente negli occhi. Solo le sue iridi bastavano per farmi emozionare, per far galoppare il mio cuore verso quel sentimento che si stava trasformando lentamente in amore.
«Questo valeva come un sì» mormorai, sentendo le guance ardere.
Il viso di Davide si illuminò e un sorriso crebbe a rendere ancor più meraviglioso il suo volto. Mi cinse i fianchi e mi sollevò, facendomi volteggiare e strappandomi un piccolo urlo che racchiudeva stupore e gioia. Avevo un fidanzato, finalmente, e la cosa mi sembrava surreale. Basta ragazzi immaginari, basta bugie, potevo essere semplicemente me stessa. E, fortunatamente, basta Dario.


Mi sistemai i capelli con le mani e sospirai a lungo.
«Forza e coraggio Alice!» dissi alla mia immagine riflessa nello specchio del bagno.
In fondo dovevo solo dire a Dario come stavano le cose, congedarlo dal suo incarico di finto fidanzato e basta. Una cosa semplicissima, ma che mi aveva resa tesa ed ansiosa. La sera precedente lo avevo chiamato, appena messo piede in casa e non avevo avuto il coraggio di rivelargli tutto. Gli avevo solo detto che avevo urgenza di parlargli. E così mi ritrovavo chiusa in bagno da tre quarti d'ora in attesa che lui venisse a prendermi. Nella mia mente avevo già il discorso pronto da fargli, ripetuto fino alla nausea allo specchio, nonostante sapessi che sarebbe stato del tutto inutile. Quando me lo sarei ritrovata davanti, qualsiasi parola avrebbe fatto fatica ad uscirmi di bocca e quel discorso si sarebbe trasformato in fragili bolle di sapone, spazzate vie dal vento.
«Alice!» trillò mia madre dal salotto «C'è il tuo amico!»
Il momento della verità era giunto e ogni passo che mi avvicinava a lui era un battito cardiaco perso. Raggiunsi il salotto dove mia madre mi tendeva il cappotto e sorrideva maliziosa, credendo che quello sarebbe stato un appuntamento romantico. Peccato per lei e soprattutto per me che quella sarebbe stata una tragedia, altro che commedia rosa con il classico Felici e Contenti.
«Stai attenta mi raccomando» disse apprensiva mia madre «Divertiti e non fare tardi. E ricordati che non sei obbligata a...» lasciò la frase in sospeso «se non vuoi. Capirà, se tiene veramente a te»
Corrugai la fronte e la guardai dubbiosa. Mia madre allora tossicchiò, dondolandosi avanti e indietro, cercando di farmi capire a gesti che cosa intendeva dire. Una volta compreso che stava parlando ancora di sesso, sgranai gli occhi e una vampata di calore si propagò su tutto il volto.
«Mamma!» sbottai imbarazzata.
«Era così, per metterti in guardia» ribatté vaga, scrollando le spalle.
Scossi la testa, intimidita e irritata al tempo stesso, e la salutai brusca. Mi precipitai fuori di casa senza attendere la sua risposta e mi catapultai al piano terra. Già dal portone a vetri potevo scorgere la macchina splendente di Dario con i fanali accesi. Stranamente lui non era fuori appoggiato al cofano con fare da figo. Deglutii, cercando di cacciare giù quel groppo in gola che mi si era formato non appena mia madre mi aveva annunciato il suo arrivo.
Gonfiai il petto d'aria e la cacciai fuori tutta insieme, infondendomi coraggio mentalmente. Feci scattare il portone e uscii all'aria gelida di quella sera. La neve aveva smesso di cadere quella mattina, ma i marciapiedi e le strade avevano addosso ancora il ricordo di quel manto candido.
Ero più decisa che mai di dirgli tutto non appena avessi poggiato le chiappe sul sedile, così me ne sarei subito salita in casa.
Via il dente, via il dolore.
Mi strinsi nel cappotto e sbuffai sulle mani, prima di sentire il tepore della macchina di Dario avvolgermi. Il suo odore, che riempiva l'abitacolo, arrivò subito a stuzzicarmi le narici, portando via con sé la mia sicurezza e quel pizzico di coraggio che avevo trovato per parlargli.
«Ciao» disse lui distaccato.
Risposi con un cenno della testa e sorrisi lievemente. Con un rombo del motore, la macchina partì diretta chissà dove. In verità non pensavo nemmeno che quello che doveva essere un addio si sarebbe trasformato in un appuntamento da qualche parte. Nessuno dei due parlava, si sentivano solo le ruote della macchina lamentarsi per lo sfregare contro l'asfalto scivoloso. Mi strinsi le mani e mi morsi un labbro, poi lo guardai pronta a dirgli tutto.
«Senti» mormorammo all'unisono.
Dario fece un gesto della mano che mi esortava a continuare.
«No, vai tu» dissi.
«Ok» sorrise lui, rivolgendomi un'occhiata fugace «Volevo chiederti scusa per ieri. Mi dispiace averti fatto arrabbiare, non era mia intenzione. È che» esitò un attimo e strinse il volante «Mi sono affezionato molto a te» riprese con voce traballante «e ho già visto una persona a cui tenevo molto soffrire ed è stato orribile. Non voglio che succeda anche a te»
Dopo quelle parole sentii il suolo cedere sotto i miei piedi. Mi aveva spiazzata con quella dichiarazione, con quel tuffo inaspettato nel suo cuore e nei suoi sentimenti. Mi sentivo una merda a dovergli dire addio, magari anche aggiungendoci un Però ci sentiamo! Soprattutto perché lo stavo “mollando” per Davide, verso cui aveva un odio viscerale e insensato dettato solo dai suoi pregiudizi.
Rimase in silenzio, concentrato sulla strada, mentre si umettava continuamente le labbra, forse in attesa che gli dicessi qualcosa. Ma l'unica cosa che poteva uscire in quel momento dalla mia bocca avrebbe distrutto quell'intimità che si era creata tra di noi.
«Tu-tu cosa dovevi dirmi?» domandò con un tono deluso e imbarazzato al tempo stesso.
«Nulla» risposi sorridendogli.
Avevo deciso in quel momento che avrei affrontato quell'argomento dopo il nostro appuntamento, per poter godere di noi ancora per qualche ora. Dario mi guardò confuso.
«Avevi da dirmi qualcosa di urgente» mi ricordò.
«In realtà volevo solo uscire con te» mentii.
Lui boccheggiò qualche istante e arrossì lievemente. Non chiese ulteriori spiegazioni e gli fui grata per questo. Non sarei stata in grado di inventare delle scuse plausibili.
La macchina imboccò il ponte di via Emilia, dirigendosi spedita verso la tangenziale che univa il paese a Milano. La strada era vuota e l'asfalto veniva ravvivato solo dalle luci arancioni dei lampioni e dei fari biancastri della Mito.
«La strada è libera» constatò Dario, lanciandomi un'occhiata sadica che mi spaventò «Pronta ad una scarica di adrenalina?»
«Adrenalina?!» ripetei preoccupata.
Ricevetti come risposta solo un sorriso di traverso e una sgasata da far impallidire persino Alonso. La sua mano scivolò rapida sul cambio che scattò verso la quinta e la macchina sembrò essere stata sbalzata in un universo parallelo. Più passavano i secondi e più la Mito acquisiva velocità, tanto che ciò che stava fuori dall'abitacolo aveva perduto qualsiasi parvenza naturale. Non si distinguevano più sagome e colori, era un enorme frullato di asfalto e luci che non permetteva di distinguere ciò che ci circondava. Mi incollai allo schienale, stringendo con forza il sedile, terrorizzata dall'alta velocità. Sbirciai preoccupata il tachimetro che sfiorava i 150 km/h e questo non fece altro che aumentare il mio battito cardiaco.
«Ti prego Dario rallenta!» sbraitai.
Lui ridacchiò e le mie suppliche aumentarono solo la sua voglia di adrenalina. Accelerò nuovamente e pensai che sarebbe decollata e avrebbe perforato l'atmosfera terrestre diretta verso l'infinito universo. Davanti a noi si faceva sempre più grande e vicino un enorme suv grigio metallizzato che, ero sicura sarebbe stata la causa della nostra morte. Dario sembrava non volesse rallentare o volersi fermare, anzi andava spedito contro quella macchina.
«Dario, Dario, Dario!» urlai terrorizzata, chiudendo gli occhi e raggomitolandomi sul sedile.
Mi aspettavo di sentire da un momento all'altro uno schianto e di essere sbalzata via, ma non avvenne nulla di tutto ciò. Timorosa, riaprii un occhio per vedere che cosa era successo. Il suv davanti a noi non c'era più, si stagliava ancora una volta l'asfalto vuoto che dava il via libera a Dario di riprendere la sua folle corsa.
«Non devi aver paura!» esclamò eccitato lui «Stai tranquilla e godi di questa adrenalina!»
Non risposi, il terrore non mi permetteva nemmeno di articolare una frase di senso compiuto. Rimasi rannicchiata, stretta nell'abbraccio del sedile, con gli occhi chiusi in attesa di giungere a destinazione, pregando di arrivare fin lì sani e salvi. Qualcuno, fortunatamente, aveva ascoltato le mie suppliche e poco dopo arrivammo in una strada chiusa dove c'era un piccolo parcheggio. Appena la Mito si fermò, mi fiondai giù dalla macchina e mi appoggiai al cofano perché le gambe faticavano a reggermi. Mi portai una mano sul cuore che martellava nel petto e respirai a fondo cercando di riprendermi da quel momento di puro terrore.
«Non è stato fantastico?!» esclamò elettrizzato Dario, scendendo dalla macchina.
«No affatto!» ribattei inacidita.
«Ehi piccola, stai tremando!» constatò lui, accarezzandomi la guancia «Hai avuto paura?»
«No! Abbiamo solo rischiato di morire!» risposi sarcastica.
«Non volevo spaventarti» disse mortificato, afferrandomi il polso e trascinandomi tra le sue braccia «Devi fidarti di me!»
«Di un matto che si eccita a rincorrere la morte?!» sbottai, ricambiando l'abbraccio «No grazie!»
«Se l'ho fatto era perché sapevo che non ci sarebbe successo nulla!» ribatté Dario, accarezzandomi la guancia.
«Promettimi che non lo farai più» mormorai, stringendomi ancora di più a lui.
Dario mi passò una mano tra i capelli e mi schioccò un lungo bacio.
«Promesso» sussurrò all'altezza del mio orecchio, facendomi rabbrividire.
Puntai le mani sul suo petto e lo allontanai con delicatezza, sorridendogli in modo sfuggente e imbarazzato. Alzai lo sguardo e incontrai l'insegna luminosa di quel posto.
«Bowling?» domandai scettica.
«Bowling!» ripeté Dario felice «Quale posto migliore per passare una serata in allegria?»
Gli sorrisi poco convinta. Io e i birilli non avevamo mai avuto un buon rapporto. Ero stata solo una volta in un posto del genere, con i miei compagni di classe ed era un miracolo se la palla colpiva un birillo e non finiva nel cunicolo, per poi sparire senza sfiorare quegli aggeggi di legno.
Dario intrecciò le sue dita alle mie e mi accompagnò dentro quell'enorme locale luminoso e subito fummo investiti da musica a tutto volume e rumori di birilli che collassavano per l'impatto con la palla da bowling. Prendemmo le pittoresche scarpe da clown e ci fu assegnata la pista numero otto.
«Oh mio Dio, ma queste scarpe sono orribili!» esclamò Dario, guardandosi sconvolto e inorridito i piedi «Sembro un deficiente!»
Scoppiai a ridere nel vedere la sua faccia schifata e quelle scarpe azzurre con la punta rossa che stonavano con i jeans chiari che aveva indossato quella sera.
«Cosa ridi?» mi canzonò Dario, imbronciato.
Si alzò e si avvicinò a me, cominciando a solleticarmi i fianchi. Mi accasciai sul divanetto, parandomi il corpo con le mani, ma fu tutto inutile perché le mani veloci di Dario scivolavano dal collo ai fianchi , intrappolandomi in quell'insopportabile solletico. La mia risata s'intensificò e, tra uno spasmo e l'altro, lo supplicavo di smettere. Appoggiò un ginocchio sul divano per potermi raggiungere meglio, ritrovandosi sopra di me.
«Ba-sta ti pre-go» dissi in preda ad una risata ormai.
Le sue mani si fermarono sui fianchi e i nostri occhi s'intrecciarono per un lunghissimo istante. Quelle iridi scure brillavano di luce propria, come se fossero state spruzzate di stelle, erano un cielo notturno in grado di farmi emozionare ogni volta che mi specchiavo dentro di esse.
La convinzione che io e Dario fossimo due musiche discordanti crollò in quel momento. All'inizio poteva sembrare disarmonia, ma, aguzzando l'orecchio, si capiva che invece era pura armonia. Un'armonia di voci, di occhi e di corpi che io avrei distrutto di lì a poco.
«Dolce vendetta» sussurrò soddisfatto lui, dandomi un bacio sul naso «Ora, giochiamo però che ho una voglia matta di vittoria!»
Si alzò e mi aiutò a fare lo stesso tendendomi una mano. Gli sorrisi, anche se il mio volto buio contraddiceva le mie labbra. Fortunatamente, non se ne accorse e non mi sommerse di domande.
La prima che doveva tirare ero io, per cui presi una dannata palla rosa porcello che pesava più di mio fratello e che mi sbilanciò in avanti, e mi posizionai davanti ai birilli.
Concentrati Alice. Non pensare a quello che avverrà dopo, divertiti e basta.
Presi la mira con la palla davanti al viso come un giocatore professionista e la punta della lingua di fuori. Due passi indecisi e lanciai la palla. E lanciare era il verbo adatto. Invece di sganciarsi subito dalle dita e scivolare sull'olio della pista, accompagnò il movimento della mano, ricadendo poi pesantemente con un tonfo sul parquet. Mi strinsi nelle spalle e mormorai un Ops rivolto alle persone che mi guardavano sogghignando. La palla rosa porcello rotolò lentamente verso i birilli, deviando sempre di più verso destra e vani furono i miei soffi per farla tornare in carreggiata. Infatti si infossò nel cunicolo e scomparve nel buio. Sbuffai e presi una palla giallo evidenziatore che ebbe lo stesso infausto destino del porcellino.
«Ah ah! Se devi ridere ridi» bofonchiai rivolta a Dario che cercava in tutti i modi di trattenere un'esplosiva risata.
«Dai non te la prendere, il prossimo andrà meglio» disse lui, che tentava di rimanere serio.
Mi lasciai cadere sul divanetto e incrociai le braccia al petto, infastidita sia dalle palle colorate che da Dario e dalla sua presunzione. Tanto anche lui avrebbe fallito, ne ero sicura. Lo vidi concentrarsi sui birilli e poi tirare la palla che, repentina, s'infranse sui poveri birilli. Uno Strike scritto a caratteri cubitali apparve sullo schermo sopra la mia testa e dopo una ragazza pon pon stilizzata che festeggiava.
«Strike al primo colpo!» esclamò elettrizzati lui, accompagnando il tutto con il tipico gesto che significava Ma vieni che mi fece imbestialire ancora di più.
Dario mi porse il palmo della mano come se volesse che battessi il cinque, ma lo ignorai completamente e mi avvicinai alla pista, più decisa che mai di fare un maledetto Strike, alla facciaccia sua! Eliminato il rosa e il giallo, tentai con una color quarzo, magari mi avrebbe portato fortuna. Ma, come non detto, accarezzò solo un birillo che traballò, ma non cadde, e sparì anch'essa. Battei un piede sul quel maledetto parquet, già stufa di quello stupido gioco. Dario scoppiò a ridere e lo congelai con uno sguardo furente.
«Dai Alice, buttala sul ridere!»
«Sì, facciamoci delle grasse risate. Oh oh oh!» imitai la voce di Babbo Natale.
Afferrai l'ennesimo macigno e, scoraggiata, mi posizionai davanti ai birilli. D'un tratto apparvero due splendide mani abbronzate sulle mie e l'odore di Dario mi invase completamente. Sentivo maledettamente caldo e il fiato cominciava a venir meno come se stessi facendo una maratona. Sfilò le mie dita dai buchi, fece rotolare la palla tra le mie mani in modo che le dita della sinistra potessero scivolare nelle fessure.
«Mira bene i birilli» disse e il suo fiato mi scompigliò i capelli «Una volta che li hai a fuoco, avvicinati lentamente» il suo corpo si strinse al mio e la sua gamba mosse la mia verso la pista «e mentre cammini, fai scendere il braccio e accompagna la palla verso i birilli» e mi guidò in quel semplice gesto. Il macigno si spostò leggermente a sinistra per poi urtare quegli omini di legno, di cui solo due rimasero in piedi.
«Un bellissimo split!» disse entusiasta Dario, comparendo da dietro la mia spalla «Hai visto che è semplice. Ora basta che tu faccia lo stesso, ma con la mano destra!» continuò, regalandomi un bacio sulla guancia.
«Alice cosa ci fai qui?!» trillò alle mie spalle una voce a me familiare.
Io e Dario ci voltammo incontrando quel tappo di Benedetta mano nella mano con l'energumeno di Federico che, appena ci vide, si rabbuiò. Era da molto tempo che non incontravo Abbate. L'ultima volta era stato al mercatino, quando avevo deciso di cancellarlo dalla mia mente definitivamente. E credevo di essersi riuscita. Ma a vederlo che si stringeva e si strusciava con la mia migliore amica, bruciava eccome, forse nel ricordo di quella mia pseudo-sconfitta con Benedetta. Cercai comunque di non mostrare il mio disagio sorridendo e stringendo la mano di Dario.
«Tu devi essere Edoardo» disse Germa, rivolta al mio “fidanzato”.
«That's me!» esclamò come un imbecille lui, indicandosi.
«Benedetta» si presentò «E lui è Federico, il mio ragazzo»
Abbate strinse la mano di Dario e nonostante il lieve sorriso, era chiaro che voleva farlo a pezzetti e nasconderlo nel muro del bowling. Nonostante tutto, continuava ad essere geloso di me e questo non faceva altro che incasinare i miei pensieri ancora di più. Se Federico e Dario avessero fatto un torneo di ambiguità, sarebbe stato difficile ricavarne un vincitore.
«Che ne dite di unirvi a noi nella nostra pista? In quattro è più divertente» propose Benedetta.
Lei era l'unica che sembrava felice, mentre io, Federico e Dario avevamo delle facce da funerale. Tutti e tre scrollammo le spalle e Germa lo prese come un sì. Sparì per qualche minuto, tornando poi vittoriosa dopo aver compiuto la sua missione. Anche in questo caso la prima ero io, evviva! Cercai di mettere in pratica gli accorgimenti di Dario ed ero pronta per tirare, quando Federico si avvicinò a me.
«Aspetta!» mi bloccò «Sbagli a tenere la palla»
«Ehi bislungone!» lo riprese Dario, seduto con le gambe aperte e un gomito appoggiato allo schienale nella tipica posa da figo a cui tutto è dovuto «Gliel'ho già fatta io la lezione. Tornatene pure a posto» aggiunse, con tono di sfida.
«A quanto pare, Pisolo, non è servito a molto» ribatté acido Federico.
Il mio sguardo rimbalzava spaesato e confuso su quei due che si guardavano come due animali inferociti pronti a sbranarsi a vicenda. La mano di Abbate si appoggiò alla mia e provai una strana scossa quando le nostre pelli si sfiorarono delicatamente. L'altra andò a finire sul mio fianco, inutilmente aggiungerei. Gli occhi di Dario non si staccarono dai suoi movimenti e contrasse la mascella quando vide la mano di Federico sul mio bacino.
«Tieni a bada le mani, bislungone» sibilò.
«Voglio solo aiutarla» rispose a tono Abbate.
«Ma la mano sul fianco è superflua, non credi?» lo provocò Dario.
«È solo per non farla spostare» ringhiò Federico.
«Sì, certo. Tu sei furbo, spilungone. Ci stai chiaramente provando con la mia ragazza» ribatté, alzandosi e avvicinandosi a noi.
Arrossii violentemente nel sentire quel battibecco. Dario si era calato fin troppo bene nella parte del mio ragazzo, sembrava quasi che fosse realmente geloso. Cercai con lo sguardo Benedetta che era rimasta seduta con le braccia conserte e il volto contrariato per quello che stava succedendo.
«Sono fidanzato, non ci proverei mai con un'altra ragazza»
«E allora non ti dispiacerà togliere quella tua manaccia dal fianco di Alice» disse a denti stretti, afferrando il polso di Federico e allontanandola dal mio fianco.
Nonostante Abbate lo superasse in altezza di più di venti centimetri, Dario sembrava non aver paura della stazza del mio ormai ex migliore amico. Lo guardava dal basso all'alto come se volesse strozzarlo con le sue stesse mani. Gli appoggiai una mano sulla spalla, accennandogli un Stai esagerando. Dario fulminò nuovamente Federico con lo sguardo, per poi tornare a sedersi e gustarsi quella seconda lezione di bowling con cipiglio. Ascoltai con poca attenzione quello che aveva da dirmi Abbate, ma nonostante quello riuscii a fare il mio primo e ultimo strike della mia vita.
«Ma andiamo!» esclamai elettrizzata.
Federico guardò soddisfatto un Dario incupito e irritato all'ennesima potenza. Il mio finto fidanzato si alzò e si posizionò davanti alla pista, pronto per il suo turno.
«Non dirmi che ti piace davvero quel tipo» mormorò Federico, sporgendosi verso di me.
Annaspai, spiazzata totalmente da quella domanda. Era la stessa cosa che mi chiedevo anche io e che mi tormentava da quando avevo conosciuto Dario. Che fosse un bonazzo non c'erano dubbi. Ma quell'involucro così bello, rafforzato da quella finta presunzione che si trascinava dietro nascondevano un cuore colmo di sentimenti e di rammarico. Nonostante questo, però, i suoi sbalzi di umore erano davvero insopportabili e invivibili.
«Ovvio» risposi quasi indignata, mantenendo il tono basso. E non sapendo se fosse o meno una menzogna.
«Ma hai visto quanto è tamarro?!» ribatté seccato lui «Non è per nulla adatto a te»
«Adesso ti metti a fare anche il Cupido della situazione?» dissi sarcastica.
«Ma quale Cupido! È solo che lui è così diverso da te. È aggressivo e se la mena come se lo avesse solo lui» rispose secco e con un pizzico di gelosia.
«Sarà anche un pallone gonfiato, ma se non lo fosse non sarebbe Edoardo. Con lui sto bene, mi sento felice. È davvero speciale» sospirai, osservando la schiena di Dario. La cosa preoccupante era che quelle cose le pensavo realmente.
«Capisco» mormorò.
Federico si accontentò con amarezza di quella pseudo confessione d'amore e mise a tacere la sua curiosità sulla mia vita sentimentale. Per tutto il resto della serata dovetti subirmi le occhiatacce che i due uomini si scambiavano, la scenata di gelosia di Germa che si era legata al dito la mano sul mio fianco e l'intervista di Benedetta che voleva sapere vita, morte e miracoli di Edoardo. Alle dieci e mezza appena passate eravamo fuori dal bowling, io amareggiata per essere arrivata ultima e Dario eccitato per aver vinto quella partita, battendo di ben trenta punti Federico.
«L'ho stracciato a quello spilungone!» esclamò, appena fummo in macchina.
Sorrisi, anche se non c'era nulla per cui gioire. Quello era il momento di dirgli tutta la verità e troncare il nostro finto fidanzamento. Avevo posticipato quel momento con la speranza che non arrivasse mai. Invece era piombato come un macigno sulla mia schiena e l'unico modo per liberarmene era parlargli.
«Era chiaro come il sole che ci stesse provando con te. Dai, quella mano sul fianco...»
«Dario, ti devo parlare» lo interruppi.
Lui mi sorrise e annuì pronto ad ascoltare ciò che avevo da dirgli. Sospirai e guardai il vetro sul quale s'infrangevano fitte goccioline d'acqua che venivano spazzate via con violenza dal tergicristallo.
«Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me, per la tua gentilezza e questi magnifici appuntamenti insieme. Mi sono divertita molto e non credevo di potermi affezionare a te» esitai qualche secondo, prima di riprendere il monologo «Sono stati giorni bellissimi e porterò dentro di me questi ricordi per tutta la vita. È per questo che mi riesce difficile dirti questa cosa perché è come tradirti, in un certo senso. Ma credo di doverti dire addio Dario»
La macchina inchiodò tutto d'un tratto, con uno stridio di ruote assordante. Il rumore dei clacson dietro di noi non turbò per nulla Dario, che mi guardava spiazzato e con gli occhi sgranati e lucidi.
«A-addio?!» ripeté incredulo «Cosa significa, Alice? Mi stai prendendo per il culo?»
Scossi la testa, torturandomi il piumino e mordendomi un labbro. Dario, infastidito dallo strombazzare degli altri autisti, accostò a destra e attese la mia spiegazione deglutendo più e più volte. Era un momento delicato per me e non poteva esserci colonna migliore per quel momento se non la pioggia battente.
«Non posso andare alla festa di San Valentino con te» cominciai, sentendo gli occhi pizzicare e annebbiarsi lentamente «Ho un fidanzato» risposi alla domanda che Dario non ebbe il coraggio di fare.
«Co-come prego?» balbettò.
«Ieri sera Davide mi ha chiesto di essere la sua ragazza» confessai con un tremendo groppo in gola.
«E tu ci sei cascata?!» sbottò Dario «Quello ti vuole solo usare. Appena si sarà stancato di te ti getterà via come una bambola rotta!»
«Io non credo proprio. Davide non è quel tipo di ragazzo»
Lui sorrise sghembo e batté le mani contro le cosce, scuotendo la testa.
«Sei un'ingenua Alice» sibilò lui «Lui non vuole niente se non il sesso e...»
«Ti prego non riprendere questo discorso» lo supplicai con voce tremante «Tu non lo conosci e non puoi permetterti di giudicarlo»
«Fai così perché sai benissimo anche tu che non ci si può fidare di lui» disse a denti stretti.
«Non è così» alzai il tono della voce, infastidita ormai dalla sua supponenza «Sono solo stufa del tuo continuo giudicare gli altri»
«Sto solo cercando di non farti scottare» ribatté seccato.
«Sono abbastanza grande da poter prendere le mie decisioni in libertà» risposi, sentendo le guance bagnarsi poco a poco.
«Vedi di aprire gli occhi prima che sia troppo tardi» mi avvertì apprensivo.
«Perché devi rovinare tutto?!» lo aggredii, agitando nervosamente le mani «Tu e i tuoi stupidi dubbi mi stanno tormentando. Per una volta in tutta la mia vita che mi sento finalmente apprezzata da qualcuno, perché tu devi distruggere la mia felicità?! Perché?!» sbraitai, scoppiando in un pianto isterico.
«Nemmeno tu ti fidi di lui, sennò non ti saresti fatta convincere dai miei discorsi» ribatté «E comunque, non c'è bisogno di disperarsi così. Dai Alice, non piangere» aggiunse dolcemente, accarezzandomi la mano.
Con un movimento brusco del braccio, mi liberai di quel contatto non desiderato. Se stavo singhiozzando come un'isterica era solo colpa sua e della sua finta apprensione. Il volto di Dario s'incupì all'istante e la sua mano rimase a mezz'aria, tremante, anche lei incredula per la mia reazione esagerata.
«Io non ce la faccio più! Litighiamo sempre, costantemente. Anche quando sembra che tutto sia tranquillo tra di noi, tu devi per forza provocarmi e farmi arrabbiare!» singhiozzai, asciugandomi le lacrime con il palmo della mano.
«Sì certo. La mattina mi alzo e dico Toh, oggi faccio arrabbiare Alice!» ribatté sarcastico e seccato «Io non ho mai voluto farti innervosire, non era nelle mie intenzioni. E mi fa anche male vederti così in questo stato» continuò abbassando la voce tremante «Sei tu, Alice, che mi provochi e mi aggredisci ogni santissimo giorno, senza una ragione. Sono gentile e mi aggredisci, sono dolce e mi aggredisci. Io non so più cosa fare!»
Non sapevo se avesse ragione o meno a scaricarmi la colpa, in quel momento le lacrime offuscavano occhi e mente e non mi permettevano di ragionare con lucidità.
«È stato solo un errore chiamarti. Dovevo farmi gli affari miei» sbottai, senza riflettere su quelle parole pesanti.
Dario deglutì e contrasse la mascella, ferito dalla frase che avevo appena detto.
«La prossima volta non essere bugiarda, allora» sibilò.
«Tu non capisci!» esplosi «Tu non hai idea di come mi sentivo io ogni giorno passato da sola come un'idiota, mentre tutte le mie compagne uscivano con i loro fidanzati. Mi sentivo diversa, mi sentivo disprezzata perché nessuno di avvicinava a me, nemmeno avessi la peste, mi sentivo vuota» mi sfogai «Ma tanto tu non hai mai avuto problemi. Sei bello e amato da tutto il mondo, non posso pretendere che tu capisca»
«Cazzo Alice mi prostituisco!» sbraitò lui, strattonandomi un braccio e guardandomi con quei suoi occhi affogati in un manto di lacrime «E dici che io non ho problemi?! Tu sai cosa sento quando scopo con una donna, quando mi innamoro e vengo scaricato come se fossi un mostro, quando mia madre chiama e io le devo mentire?! Una merda! Un viscido verme che non ha fatto altro che far soffrire e deludere le persone»
«Dobbiamo star qui a discutere anche su chi sia più sfigato?!» sbottai, nonostante le sue parole mi avessero commosso nel profondo e i suoi occhi erano pronti ad esplodere in un pianto che avrei voluto asciugare con le mie stesse mani.
«Hai iniziato tu!» urlò, puntandomi l'indice contro «Vedi, sei sempre e solo tu che cominci a urlarmi contro, per poi scaricarmi la colpa! Quella instabile sei tu, non io!»
«Anche tu, però, non ti assumi nessuna responsabilità» sorrisi amaramente «Qui il problema non è chi è più instabile, il problema siamo noi, la nostra incompatibilità. Ormai è diventata insostenibile questa situazione»
«E cosa vuoi che faccia? Che stia zitto mentre tu mi sbrani?» domandò sarcastico.
«Voglio solo che tu esca dalla mia vita»
Dopo che quelle parole uscirono come coltelli appuntiti ad infilzare con violenza e senza nessun ritegno Dario, il gelo piombò nella Mito. Ogni risposta rimase congelata nella sua gola. Apriva la bocca e tentava di dire qualcosa, ma il silenzio era l'unica che usciva dalle sue labbra. Scosse lievemente la testa, sorridendo incredulo e amareggiato per quello che gli avevo appena detto. Nonostante mi fosse costato molto dire una cosa del genere, sarebbe stato meglio per entrambi smettere di vederci, dimenticarci dell'esistenza dell'altro. Magari era stata una reazione esagerata, in fondo le persone rimanevano amici anche dopo discussioni ben peggiori. Era stato il mio cervello a partorire una cosa del genere, come se volesse difendere il mio cuore che iniziava a battere troppo freneticamente quando stavo con lui.
«Va bene» mormorò poi, accendendo nuovamente la Mito «Appena scenderai da questa macchina potrai dimenticarti di me»
Le lacrime ormai mi uscivano incontrollate dagli occhi e più cercavo di autoconvincermi che la mia decisione fosse stata la migliore, più il pensiero che non avrei mai più rivisto gli occhi di Dario, che non avrei più sentito il suo odore, sfiorato le sue mani mi trafiggeva come tanti piccoli spilli accuminati.
Guardai un'ultima volta il viso cupo di Dario, che continuava a deglutire e mordersi il labbro inferiore, beandomi della sua bellezza. Appoggiai poi la testa sul finestrino, pregando perché a pioggia alleviasse l'amarezza di quel momento, che lavasse via i miei turbamenti e che mi aiutasse nell'ardua impresa di dimenticare Dario.
La macchina si fermò senza una motivazione, intrappolata in un serpente di macchine che sembrava non avesse una fine. Era strano che di venerdì ci fosse traffico, soprattutto alle undici di sera, ma non ci diedi peso e chiusi gli occhi. Tutti i rumori intorno a me, a poco a poco, si affievolirono, le urla di Dario contro quell'imbottigliamento, i clacson impazziti delle macchine, le sirene spigate dell'ambulanza. Solo il picchiettare insistente della pioggia mi accompagnò nel mondo dei sogni.

Cade la pioggia e tutto lava cancella le mie stesse ossa
Cade la pioggia e tutto casca e scivolo sull'acqua sporca
si ma a te che importa

Una musica ovattata solleticò il mio udito e mi costrinse a svegliarmi. Aprii pigramente gli occhi e ci volle qualche secondo perché potessi mettere a fuoco ciò che mi circondava. Quando ogni oggetto trovò nitidezza nella mia mente, capii che quella non era la mia stanza. Mi voltai su un fianco e guardai il letto accanto a me vuoto e ancora in ordine. Accarezzai la coperta e chiusi gli occhi, percependo in quell'istante il piacevole odore di Dario. Dovevo essere a casa sua, ma non ne capivo il motivo.

Dimmi a che serve restare lontano in silenzio a guardare
la nostra passione che muore in un angolo e non sa di noi

Scrutai la stanza, ogni angolo, soffermandomi sulla finestra dalla quale filtrava la luce dei lampioni, in cerca di Dario. Ma lui non era lì con me e un senso di vuoto mi colse. Scostai le lenzuola e mi alzai dal letto. Ero ancora vestita, mi aveva solo tolto le scarpe. Titubante e silenziosa uscii dalla stanza e percorsi la piccola anticamera che si apriva sul salotto buio.
«Dario» mormorai, sporgendomi dallo stipite.
Niente, non era nemmeno lì. A passi piccoli e insicuri continuai la mia ricerca, stando attenta a non sbattere contro qualcosa. Superai anche un'altra porta, ritrovandomi in una piccola cucina anch'essa mangiata dall'ombra, con un tavolo addossato alla parete di sinistra. E lui non c'era. C'era soltanto uno stereo da cui proveniva la canzone che mi aveva svegliata.

Cade la pioggia e tutto tace, lo vedi sento anche io la pace
Cade la pioggia e questa pace è solo acqua sporca e brace

Mi avvicinai al balcone con una mano sul cuore che martellava nel petto e che sperava di vederlo apparire da un momento all'altro.
«Dario» tentai nuovamente.
Ancora nessuna risposta e il battito cardiaco aumentò la sua corsa frenetica in quella preoccupazione.
«Dario» dissi ancora.
Silenzio. Solo la musica dei Negramaro e la pioggia che non accennava a voler smettere.
«Sono qui» sentii finalmente la sua voce e tirai un sospiro di sollievo nel sapere che stesse bene.
Uscii sul balcone all'aria gelida di quell'inverno rigido e con l'acqua che si riversava con furia sulla città. Lui era lì, appoggiato alla ringhiera del balcone che aspirava del fumo dalla sigaretta, vestito con una felpa grigia e dei semplici pantaloni della tuta.

C'è aria fredda intorno a noi
Abbracciami se vuoi

«Rientra che fa freddo» disse distaccato, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo.
«Che cosa ci faccio qui?» gli domandai, confusa.
«La strada è stata bloccata per un incidente e per arrivare a casa tua ci voleva troppo. Io abitavo più vicino» spiegò, aspirando ancora una volta la sigaretta e assaporando per un attimo il sapore del fumo prima di donarlo all'aria «Ho già avvertito tua madre. Ho usato il tuo cellulare, spero non ti dispiaccia. Non era molto convinta, ma non ha fatto storie» aggiunse «Ora torna dentro. Fa freddo»
«Grazie per l'ospitalità» mormorai, ricevendo in risposta solo uno scrollo di spalle «È meglio che vieni dentro anche tu. Stai tremando» constatai, vedendo la mano che reggeva la sigaretta traballare.
«Sto bene» rispose con un filo di voce.
Chissà da quanto tempo era su qual balcone a patire il gelo, a riflettere, a cercare di capire che cosa avesse fatto di male per meritarsi il trattamento che gli avevo riservato. Mi sistemai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e tentennante mi avvinai a lui, incurante delle piastrelle gelate e umidicce del balcone. Appoggiai la testa sulla sua schiena e lo abbracciai, stringendolo forte come per non farlo fuggire da me. Prima volevo che sparisse dalla mia vita, poi facevo di tutto per tenerlo il più vicino possibile a me.

Dimmi a che serve sperare se piove e non senti dolore

«Scusa» dissi, affondando il viso nella sua felpa.
«Mi chiedo perché tutte le persone che mi circondano mi abbandonano sempre» esordì, con voce tremante, mentre il suo respiro si faceva sempre più affannato «Tutti coloro che amo, alla fine mi lasciano da solo. Prima Sole e la mia famiglia, adesso anche tu» esitò un attimo e i flebili singhiozzi del suo pianto si ripercuotevano sul suo torace, facendolo rimbombare e facendomi sentire una schifezza per averlo fatto piangere.

Tu dimmi ora che senso ha piangere, piangere addosso a me
che non so difendere questa mia pelle sporca,
così sporca tanto sporca com'è sporca questa pioggia sporca

«Forse la risposta è che sono sbagliato. Chiunque si sia avvicinato a me ha sofferto. Ho disonorato la mia famiglia, ho fatto del male a Sole e ho distrutto la tua felicità. Qualsiasi cosa io faccia, porto solo dispiacere. Sono una delusione, per me e per tutti»
Non seppi rispondere, mi limitai solo a stringerlo maggiormente e quello bastò più di mille frasi fatte e di circostanza. Dario gettò la sigaretta e mi strinse le mani, continuando a piangere. Mi sottrassi alla sua presa e lo feci voltare, ritrovandomi affogata in quel profondo mare nero. Affondai le mani nei suoi capelli e lo spinsi verso di me, facendolo appoggiare sulla mia spalla e cullandolo.
«Ti prego, non piangere» dissi, cercando di non scoppiare anche io.
Dario mi abbracciò forte, stringendo con forza il mio maglione e sfogando su di me il suo dispiacere

La nostra passione non muore ma cambia colore
Tu fammi sperare che piove e senti pure l'odore
di questa mia pelle che è bianca e non vuole colore

Alzò il viso dalla spalla e mi guardò negli occhi, scostando i capelli che mi ricadevano disordinati sulla fronte. Con il pollice mi accarezzò la guancia, fino a scender verso il collo e insinuarsi poi tra i miei capelli. Mi spinse verso il suo viso, verso le sua labbra. Le nostre bocche si sfiorarono quasi imbarazzate, ritraendosi più volte dopo quel breve e bruciante contatto. Le labbra si dischiudevano pronte a quel bacio che non voleva essere consumato. Ci rincorrevamo, ma nessuno dei due aveva il coraggio di approfondirlo. Chiusi gli occhi e mi feci trasportare dal momento, da quel dolce inseguirsi. Un istante dopo, le labbra di Dario si arresero alle mie e finalmente raggiungemmo quel bacio che sembrava solo una chimera. La sua bocca era come me la immaginavo, soffice e vellutata, due petali di rosa che divennero mie per alcuni interminabili minuti. Dischiusi le labbra, permettendo alle nostre lingue di sfiorarsi, di stuzzicarsi e di unirsi. Immersi le dita tra i suoi capelli scuri e lo attirai maggiormente verso di me, spinta dalla passione di quel momento. La mano fredda di Dario s'intrufolò nel mio maglione, andando a solleticare la mia schiena che venne percorsa subito da brividi di freddo e di piacere. Ansimai nel sentire le sue mani forti e ruvide a contatto con la mia pelle. Lambì un'ultima volta le mie labbra, prima di scivolare sul collo dove lasciò una scia di baci roventi. Il mio respiro si fece affannoso non appena la sua bocca assaporò la mia pelle e non riuscii a trattenere più di un ansimo che le sue labbra mi provocavano.
Gli afferrai le guance e lo costrinsi a sollevarsi dal mio collo. Volevo baciarlo ancora, sentirlo un'altra volta mio, volevo farmi trascinare completamente da quella passione che ci aveva travolti. Ma sapevo benissimo che avrei sbagliato se avessi seguito il mio istinto. Quelli erano solo baci senza nessun senso, scaturiti da un momento di puro sconforto, nati da un momento di intimità che il pianto e la pioggia avevano creato. La mattina dopo avremmo fatto finta di nulla. Io sarei tornata da Davide, forse con un pizzico di imbarazzo per aver baciato un altro ragazzo. La mattina dopo saremmo tornati ad essere Alice e Dario, due semplici persone che si sarebbero dimenticate l'uno dell'altra.


Noi due abbracciati nella pioggia mentre tutti correvano al riparo
e il nostro amore è polvere da sparo, il tuono è solo un battito di cuore
e il lampo illumina senza rumore











___________________________________________

Buonasera a tutte!
Un po'  in ritardo, lo so. Ma gli esami incombono e lo studio mi impedisce di scrivere quanto vorrei.
Capitolo ricco di avvenimenti! Iniziamo con Alice e Davide che si sono fidanzati. Lei ha accettato al volo, probabilmente perché finalmente non si sentirà più diversa. Ma c'è davvero da fidarsi di Davide? Oppure lui è davvero preso da Alice? Lo scopriremo a breve. Ovviamente il "fidanzamento" tra loro ha portato delle conseguenze. Lei non può più andare al ballo con Dario, quindi gli deve rivelare tutto e troncare con lui. Nonostante si siano legati molto, le risulta difficile mantenere questa amicizia con lui. Forse perché non è solo amicizia?!
Io amo il bowling, quindi dovevo inserirlo in un capitolo. E qui incontra Federico e Benedetta. È il primo capitolo in cui ci sono tutti e tre! Sia Dario che Federico sono gelosi, teneri ♥ e il nostro caro Abbate ha capito che ormai con Alice non ha speranze, per il momento, soprattutto per quello che gli ha detto Alice. Sarà un addio tra i due, oppure no? Anche questo lo scopriremo tra poco.
Infine, la litigata tra Dario e Alice. Lui è sempre più convinto che Davide sia uno stronzo, mentre lei lo difende a spada tratta. Da qui poi tutto degenera e Alice reagisce in modo esagerato. Poverino, lui non voleva che andasse a finire così, che lei gli urlasse contro di uscire dalla sua vita. Ma il destino (anzi, la Crudelia che sono io) ha fatto in modo che passassero la notte insieme. Non pensate male, Alice non gliela smolla xD C'è stato solo un bacio, il loro primo bacio. Doveva essere a San Valentino, ma l'atmosfera che si era creata era perfetta e non ho saputo resistere. Entrambi sanno che quel bacio è stato solo dettato da quel  momento "magico", o forse vogliono crederlo. Appena avrò tempo, scriverò anche questo capitolo dal punto di vista di Dario. A proposito del nostro gigolò, nel prossimo capitolo conosceremo la sua famiglia e scopriremo la verità su di lui, perché fa il gigolò. Sempre parlando del mi amor, se qualcuno si stesse chiedendo chi è Sole - sarebbe la ragazza di cui era innamorato al liceo - non potete perdervi la long dedicata a loro, scritta insieme a IoNarrante:

Sole è la protagonista della storia della mia amata Lover, ossia Tutto per una scommessa. Assolutamente imperdibile. 
Ok, ho finito di straparlare! Direi di passare ai ringraziamenti.
GRAZIE a chi ha recensito lo scorso capitolo.
GRAZIE a chi ha inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite.
GRAZIE a chi legge solamente.
GRAZIE a chi mi sostiene su Facebook.
Vi adoro tutte ♥

Pubblicità:

Come in un sogno, scritta a quattro mani con IoNarrante.
In un giorno qualunque, raccolta di shot dal punto di vista di Dario.
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Un bacio a tutte, spero che il capitolo vi sia picaiuto ♥

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Capitolo 13
*** Set fire to the rain ***


set

Ehm...Salve xD
Mi scuso per l'immenso ritardo con cui arriva questo capitolo, ma gli esami mi stanno uccidendo! Non dico nulla, i commenti alla fine.
Voglio solo consigliarvi di leggere questo capitolo con in sottofondo Set fire to the rain, di Adele che mi ha ispirata. Ora vado a nascondermi per evitare linciaggio di massa xD

C a p i t o l o 12

Set fire to the rain


Mi appropriai per un'ultima volta delle sue labbra, prima che si allontanassero da me forse per sempre. Avevo desiderato ed atteso a lungo quel bacio, immaginandolo come la scena più romantica di un film d'amore. E invece non era stato affatto sentimentale, solo triste e malinconico, bagnato dalla pioggia battente e da lacrime dal sapore amaro.
Ci guardammo intensamente negli occhi, entrambi con la convinzione che quel bacio non aveva significato, che lo avremmo dimenticato ben presto, sepolto da altri innumerevoli ricordi.
«Scu-scusa» mormorò «Non avrei dovuto baciarti»
Abbassai lo sguardo, incapace di sostenere anche per un misero istante i suoi occhi, intimorita di affogare in quel mare nero di emozioni. Annaspai, prendendo fiato, senza però riuscire a dire nulla. Dario percepì la mia tensione e il mio disagio, così si morse un labbro e mi superò rientrando in casa. Rimasi per un attimo da sola su quel balcone a fissare la pioggia che, incessante e furibonda, sferzava la città. Solo in quel momento mi accorsi di avere freddo e che stavo tremando. Tra le braccia di Dario sembrava tutto così dannatamente perfetto, nemmeno il gelo era riuscito a scalfirmi. Ma dopo che era entrato in casa, ero stata catapultata nuovamente in quella realtà imperfetta in cui nulla sembrava aver senso.
Scossi la testa per cacciare via quei pensieri. Dovevo smetterla di pensare a lui quasi ne fossi innamorata, anche se la paura che qualcosa stava nascendo verso di lui mi attanagliava. Rientrai in quella casa che sapeva di lui e nel buio delle stanze, tornai in camera da letto, illuminata solo dalla flebile luce di una abatjoure. Dario era davanti all'armadio, quasi del tutto nascosto dall'anta, che cercava qualcosa in quel labirinto di stoffa. Poco dopo ne tirò fuori una maglietta bianca e un paio di pantaloni di una vecchia tuta e li lanciò sul letto.
«Sono per te» disse distaccato «Ti andranno un po' larghi, ma sempre meglio che niente»
«Grazie» sussurrai, rimanendo ferma sulla porta ad osservarlo nella speranza di incontrare i suoi occhi. Ma la sua attenzione era tutta dedicata all'armadio di ciliegio chiaro. Aprì un cassetto dal quale tirò fuori un plaid blu scuro e finalmente richiuse le ante. Fece il giro del letto, passandomi davanti, senza però degnarmi della benché minima attenzione. La sua indifferenza fu inaspettata ed amara, era come se mi avesse calpestata senza ritegno. Prese i cuscini e, con loro, il plaid blu prima di passarmi accanto per uscire dalla stanza.
«Cosa stai facendo?» gli domandai ingenuamente.
«Vado a dormire sul divano» rispose freddo «Buonanotte» aggiunse e non attese nemmeno la mia risposta, che già si era allontanato da me.
Mi morsi un labbro e dopo essere rimasta imbambolata per alcuni secondi su quella dannata porta, entrai definitivamente nella camera da letto di Dario. Mi cambiai rapidamente con i suoi vestiti che mi andavano leggermente larghi, spensi la lampada e mi infilai sotto le coperte con la speranza che quella dormita portasse via con sé non solo i miei sogni ma anche la malinconia di quella serata.
Nonostante cercassi di chiudere gli occhi e dormire, non riuscivo a prendere sonno, forse per la tensione di quella nottata o forse per l'assenza di Dario in quella stanza. Mi voltai verso il letto vuoto e accarezzai la coperta, illudendomi che lì accanto a me ci fosse lui, che la mia mano stesse sfiorando il suo corpo. Ero stata una stupida a urlargli contro di uscire dalla mia vita. Solo non saperlo vicino a me in quel momento era un tormento. Ma ormai ero sicura che non si potesse correggere quello sbaglio, premere il tasto rewind e sistemare tutto. Potevo solo alleviare la mia tristezza godendo appieno di quelle poche ore che ci rimanevano. Scansai bruscamente le lenzuola e mi alzai dal letto, dirigendomi silenziosa verso il salotto. Dario era sdraiato sul divano, rannicchiato in quella coperta e chiuso in un abbraccio. Sembrava un bambino così, tenero ed indifeso. Mi inginocchiai davanti a lui e deglutii a vuoto prima di parlare.
«Stai già dormendo?» mormorai.
Dario non rispose e non sapevo se perché fosse già tra le braccia di Morfeo oppure mi stesse ignorando completamente. Rimasi a fissarlo qualche istante, incantata dal suo respiro regolare e dal suo viso che aveva perso qualsiasi parvenza di sensualità e che mostrava tutta la sua dolcezza. Sorrisi teneramente e gli accarezzai una guancia delicatamente per non rischiare di svegliarlo, semmai stesse dormendo. Mi rialzai e mi voltai per tornare in camera da letto, quando Dario mi prese un braccio.
«Non stavo dormendo» disse, aprendo un occhio «Ci stavo provando, però»
«Scusa, non volevo disturbarti» mormorai imbarazzata.
«Tranquilla» rispose «Tanto non riuscivo ad addormentarmi»
«Nemmeno io» ammisi, sorridendo.
«Il letto è scomodo?» si preoccupò.
«No, assolutamente!» risposi subito «È che...insomma» esitai intimidita, arrossendo e ringraziai il buio che nascondeva il mio imbarazzo «Beh non so. È meglio se torno di là» risi nervosamente.
«Non andare via Alice»
Il mio cuore si fermò per qualche istante dopo quelle parole, riprendendo poi con una folle corsa irregolare. Sorrisi e mi voltai verso di lui che, intanto, si era seduto sul divano.
«Vuoi che ti canti una ninna nanna?» domandai sarcastica.
«Perché no» ridacchiò.
«Sono affari tuoi se poi avrai danni irreversibili all'udito» sorrisi.
«Allora meglio di no» ribatté sghignazzando.
Mi morsi un labbro e congiunsi le mani sotto il ventre, dondolandomi avanti e indietro come una bambina imbarazzata. Schioccai la lingua e sorrisi di nuovo.
«Co-cosa dovrei fare qui, allora?» domandai.
Dario non rispose, allungò solo un braccio verso di me spingendomi verso il divano e costringendomi a sedermi. Mi accarezzò la guancia con il dorso della mano, imprigionandomi in quella rete di petrolio che erano i suoi occhi. Cercavo di liberarmi da quella stretta astratta, ma le mie iridi erano state letteralmente soggiogate da quelle di Dario. Mi morsi un labbro, assaporandolo in cerca del gusto del bacio che ci eravamo scambiati sul balcone. Dario sfiorò i miei capelli, prima di affondarci la mano e spingermi delicatamente verso di lui, verso il suo petto e il battito del suo cuore.
«Resta con me» sussurrò, abbracciandomi.
Affondai nella maestosità del suo petto, stringendo la sua felpa e inebriandomi di quel suo odore che, ormai, era entrato a far parte di me. Guidata dal suo profumo e dal mio istinto che aveva ancora fame di Dario, alzai il viso incontrando il suo sorriso che mi incantò e che cancellò qualsiasi mia lucidità. Chiusi gli occhi e mi allungai verso di lui, lambendo e assaporando la pelle del suo collo. Al contatto con le mie labbra, la stretta di Dario si fece più intensa, spingendomi sempre di più verso il suo corpo. Accarezzai con la mia bocca ogni millimetro di quella pelle vellutata che bruciava più del fuoco.
«Che co-cosa stai fa-cendo, A-Alice?» domandò incredulo, con la voce incrinata da alcuni sospiri.
Abbandonai il suo collo e lo guardai a lungo negli occhi, perdendomi ancora una volta in quel mare di petrolio e dal quale non volevo più uscirne. Gli posai l'indice sulle labbra, per impedirgli di dire qualsiasi altra cosa, per impedirgli di distruggere quel momento.
«Non dire nulla» mormorai.
Inaspettata, mi impossessai delle sue labbra, bramosa di quella bocca e del suo sapore che mi aveva resa quasi insaziabile. Dario rimase stupito dalla mia intraprendenza, tanto che sgranò gli occhi, incredulo. Mi strinse le spalle come se volesse spingermi via e frenare quel mio momento di folle passione. Affondai le mani tra i suoi capelli per godere un unico breve istante ancora di lui, prima di essere allontanata dall'oggetto del mio desiderio. Ma, contrariamente alle mie aspettative, Dario allentò la presa e si lasciò trascinare dal mio bacio. Le sue mani scivolarono rapide lungo la mia schiena, lasciandosi dietro brividi di piacere che si propagarono lungo tutto il mio corpo, e fermandosi sui fianchi. La sua lingua s'insinuò nella mia bocca alla ricerca della mia per poterla sfiorare, accarezzare. La malinconia che ci aveva colto sul balcone sembrava essere sparita, cancellata da quella irruenta passione che infiammava la stanza. Avrei dovuto essere spaventata in quel momento, perché non erano state le lacrime e la malinconia a far nascere quel bacio, ma ero stata io a volerlo, a desiderarlo così ardentemente. Avrei dovuto sentirmi in colpa nei confronti di Davide e, per quello, avrei dovuto tirarmi indietro, combattere quella brama. Ma mi risultava impossibile allontanarmi da Dario, sottrarmi alle sue labbra e al suo corpo che ardevano all'unisono con me.
Senza mai interrompere il nostro bacio, Dario mi fece stendere delicatamente sul divano e lui sopra di me, accolto dalle mie gambe. Sapevo che stavo sbagliando, che stavo correndo troppo velocemente e che se lo avessimo fatto mi sarei pentita. Mi ritrovai sospesa tra il rimorso e il rimpianto, obbligata da me stessa a dover scegliere una via davanti a quel bivio.
La mano ruvida di Dario s'intrufolò rapida sotto la mia felpa, andando ad accarezzarmi il ventre e facendomi fremere ad ogni suo delicato tocco. Si fermò appena sotto il seno, forse intimorito di quello che stava accadendo, da quello che sarebbe potuto accadere dopo quella notte. Infilai una mano sotto la mia maglietta e andai ad accarezzare la sua, stringendola poi e accompagnandola verso il mio seno. Le sue dita indugiarono spaventate e il suo bacio si affievolì come se volesse interrompere quel momento. Glielo impedii, stringendogli il viso tra le mani e costringendolo quasi a non smettere di baciarmi. Accolse quel mio bisogno di lui, mordendomi un labbro e stringendomi il seno, strappandomi un gemito che si infranse nella sua bocca.
Afferrai i lembi della sua felpa e la sollevai quel tanto che bastava per fargli capire che volevo disfarmi di lei. Abbandonò per un istante le mie labbra e si levò quell'ingombrante indumento, mostrandomi il suo fisico asciutto che avevo visto soltanto nelle fotografie del suo profilo.
«Alice, non credo che...» tentò di dire, ma non m'interessava sentire il resto della frase.
Lo attirai verso di me, lambendo nuovamente le sue labbra e facendolo aderire completamente a me. Ogni centimetro del suo corpo combaciava perfettamente con il mio. Il suo bacino si mosse, strofinando contro il mio inguine e facendomi sentire quanto mi stesse desiderando in quel momento. Mi sentii avvampare e la parte razionale di me urlava di smettere prima che fosse troppo tardi, ma l'intero mio corpo aveva deciso di non ascoltare il cervello, ma di farsi trasportare da quel turbine di strane e nuove sensazioni.
Si staccò dalle mie labbra e mi guardò profondamente negli occhi, con un sorriso sghembo da bambino pronto a fare una marachella. Si leccò un labbro, prima di sollevarmi leggermente a felpa e succhiare il mio ventre, mentre la sua mano superava l'ostacolo reggiseno e stuzzicava un capezzolo. Ansimai e mi inarcai leggermente colta dal piacere. Non immaginavo che un semplice tocco potesse farmi godere e capii in quel momento perché Benedetta era una specie di ninfomane. La sensazione che si provava a fremere sotto delle dita esperte non era paragonabile a nulla e, ad ogni suo bacio, cresceva in me la voglia del tanto temuto sesso.
Decisi di liberarmi anche io della maglietta, vergognandomi di mostrargli quel seno quasi inesistente. Dario alzò lo sguardo malandrino verso di me e sorrise malizioso, abbandonando il ventre e scagliandosi voglioso verso il mio petto. Sollevò il reggiseno e lambì un capezzolo, solleticandolo con la lingua, quasi lo stesse assaporando. Ormai la mia bocca era indipendente e si lasciava andare a gemiti di piacere.
Ad un tratto, puntò le mani accanto al mio viso e si sollevò per guardarmi negli occhi, senza nessuna traccia del bambino monello, ma solo con un viso apprensivo.
«Alice, non voglio che la tua» deglutì «prima volta sia con me»
«Dario» esitai «non farti desiderare»
Lui sorrise sghembo, ritrovando la sua precedente malizia. Tornò a percorrere il mio corpo con una scia di baci roventi fermandosi poco sotto l'ombelico. Esitò qualche secondo prima di afferrare il lembo dei pantaloni per abbassarli. Sollevò un attimo il suo sguardo verso di me e sorrise.
«Sei pronta?»
Annuii, anche se non avevo la benché minima idea di quello che voleva fare. Baciò un'ultima volta il mio ventre e scese ancora di più, affamato di me. Lentamente abbassò il mio orribile paio di slip e in quel momento sprofondai nella vergogna. Forse non avrei dovuto arrivare a quel punto, forse avrei dovuto rimanere nella sua camera da letto. Se avessi detto qualcosa magari si sarebbe fermato, ma qualsiasi parola mi morì in gola. Mi coprii il viso con le mani, per nascondere anche a me stessa il mio imbarazzo. Dopo poco, sentii il suo fiato sulle mie nocche e un bacio a fior di labbra.
«Hai paura, piccola?»
Tolsi le mani dal viso per poterlo guardare e gli sorrisi, mordendomi un labbro. Sentivo che c'era qualcosa nei pantaloni di Dario che continuava a crescere e che mi incuteva anche un certo timore. Stando alla biologia che avevo studiato, era pronto all'accoppiamento. Ormai mi ero spinta troppo oltre e non potevo tirarmi indietro.
«Un pochino» risposi con voce tremante.
Dario sorrise dolcemente e mi accarezzò. Cercò nel mio sguardo l'assenso a continuare e il mio sorriso gli diede il via libera per le sue porcherie. Scivolò ancora verso il mio inguine e mi solleticò con la lingua e piccoli baci. Subito, sobbalzai dal piacere, da quella nuova sensazione che mi spiazzò per la sua irruenza. Sentivo il mio corpo surriscaldarsi e strane scosse partire dal basso ventre e propagarsi in tutti i miei anfratti, facendomi perdere il controllo su di me. Mi mordevo un labbro per cercare di smorzare dei mugolii che volevano uscire troppo intensi perché mi vergognavo, non volevo urlare per paura che gli altri mi sentissero, che mi sentisse Dario. Quando, però, la sua lingua sfiorò più in profondità la mia intimità, nulla riuscì a trattenere un ansimo. Il respiro cominciò a farsi sempre più affannoso e l'ossigeno sembrava essere sparito d'un tratto, quasi stessi scalando il monte Everest. Tremavo e non sapevo che cosa fare, come muovermi, impaurita di fare qualcosa di sbagliato. E intanto il mio piacere cresceva insieme al ritmo della bocca di Dario, così come i miei ansimi incontrollati.
Mi strinse forte le cosce e approfondì quel rapporto, mandandomi completamente in estasi. Chiusi gli occhi, facendomi travolgere da quella passione e affondai entrambe la mani tra i suoi capelli, stringendoli sempre più forte ad ogni spasmo. La stanza sembrava che stesse andando a fuoco e l'adrenalina di cui aveva parlato Dario mi disorientò e sconvolse ogni parte del mio corpo. Ogni muscolo si contraeva al tocco di quella lingua esperta. Arcuai la schiena e piegai la testa, lasciandomi sfuggire il suo nome strozzato da quel godimento. Qualsiasi cosa intorno a me perse fisionomia e mi ritrovai come sbalzata in un'altra dimensione in cui c'eravamo solo io e Dario, lontano perfino dal ricordo delle persone e dei luoghi della nostra vita. Era come se la memoria fosse stata spazzata via, come se fossimo esistiti sempre e solo noi due, in uno spazio indefinito e in un tempo inesistente.
Mi assaporò ancora, provocando ancora quella dolce e piacevole agonia chiamata piacere, prima di percorrere tutto il mio corpo con leggeri e sensuali baci, fino ad incontrare le mie labbra. Strinsi il suo viso tra le mani e lo baciai ardentemente, ansimando di tanto in tanto per lo sfiorarsi dei nostri bacini. Sentivo il desiderio pulsante di lui espandersi dalla mia intimità e riempirmi, nonostante la sua bramosia crescente continuasse a incutermi un certo timore. Scattò in piedi qualche istante e un sorriso tirato, quasi dolorante si dipinse sul suo volto.
«Spero non ti dispiaccia» mormorò quasi imbarazzato calandosi pantaloni e boxer nello stesso istante.
Scossi la testa, nonostante vederlo nudo ed eccitato mi fece sprofondare nell'imbarazzo più totale. Tornò a sdraiarsi su di me e riprese a baciarmi con la stessa intensità di poco prima, sfiorandomi con la sua eccitazione, facendomi tremare nuovamente e ansimare nella sua bocca. Non mi sarei mai immaginata nulla di tutto quello che stava accadendo, sia psicologicamente che fisicamente. Ad ogni suo tocco mi contorcevo, ma quella sensazione era la migliore che avessi mai provato, nonostante la vergogna e l'imbarazzo.
Mentre lo sentivo muoversi sinuoso sopra di me, non sapevo cosa fare per quello che gli stava succedendo. Avevo il terrore che qualsiasi mio movimento fosse sbagliato, di fare qualche sciocchezza. Fece perno su una mano e si staccò della mie labbra per guardarmi con quegli occhi che anche nell'ombra di quella stanza, brillavano come diamanti preziosi e mi accarezzò dolcemente. Forse voleva dirmi qualcosa ma non aveva il coraggio, sembrava quasi imbarazzato. Deglutii a vuoto e con la mano percorsi la sua schiena, fermandomi all'altezza dell'anca, per poi proseguire verso il suo desiderio. Appena lo sfiorai, un gemito uscì dalle sue labbra e la sua espressione si rilassò. Ormai ogni oggetto in quella stanza aveva preso fuoco, soprattutto quel divano che scottava più della lava. Lo sfiorai di nuovo, prima di essere più intraprendente e stringere quella libidine. Dario ansimò di nuovo e il braccio su cui si reggeva cominciò a tremare. Seppur con un certo imbarazzo, mossi lentamente la mano, senza nemmeno sapere che cosa stessi facendo. Sapevo solo che lui stava gradendo ed ogni mio gesto, da quel momento, divenne così naturale da spaventarmi. Mi muovevo lenta, strappandogli qualche sfuggente mugolio di piacere. Quando intensificai il ritmo, i suoi gemiti si fecero sempre più lunghi e sospirati, il suo fiato si fece più pesante e il braccio stava per cedere sotto al peso di quel piacere che lo stava facendo godere. Cedette quando il movimento della mia mano si fece più deciso e serrato e si appoggiò con un gomito, mentre strizzava gli occhi e ansimava intensamente
«Scusami» arrancò, tra uno spasmo e l'altro.
Mi baciò a fior di labbra, prima di scattare in piedi e fiondarsi fuori dal salotto. Mi misi a sedere per guardare la porta dalla quale era uscito, sicura di aver commesso qualche sciocchezza e di averlo fatto scappare. Sentivo qualche ansimo ovattato e strozzato, ma non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo. Poi la sua voce fu sostituita da un lieve getto d'acqua, come se si stesse facendo una doccia. Tornai a stendermi, nuda, su quel divano e solamente in quel momento realizzai ciò che avevo fatto e il pensiero di Davide tornò a bussare con prepotenza nella mia mente. Avevo tradito il mio ragazzo solo dopo ventiquattro ore che eravamo insieme e mi sentivo una schifezza.
Dopo poco, Dario ritornò in salotto con i capelli ancora gocciolanti e un paio di boxer puliti. Appena lo vidi entrare, scattai in piedi e sistemai il reggiseno, tirando su anche slip e pantaloni, colta da un'improvvisa vergogna di mostrarmi nuda. Dario abbassò lo sguardo e si torturò il labbro inferiore.
«Scusami» mormorò «Avrei dovuto fermarmi prima. Ma non ci sono riuscito. So-sono uno schifoso pervertito» ringhiò, mettendosi le mani tra i capelli.
Mi avvicinai a lui e gli accarezzai una guancia, sorridendogli.
«Non prenderti tutta la colpa. C'ero anche io e se non avessi voluto ti avrei fermato» dissi «Non so cosa mi sia preso» arrancai, fuggendo con lo sguardo «Non avrei dovuto. Mi, mi sento...»
«Una schifezza» completò per me Dario.
Annuii. Gli occhi cominciarono a pungere e, poco dopo, scoppiarono in lacrime. Cercai di non farmi vedere da lui, di smorzare i singhiozzi in gola ma, come se Dario avesse percepito la mia tristezza, mi trascinò verso di lui e mi strinse forte a sé. Affondai il viso nel suo petto, mentre lui mi accarezzava la schiena amorevolmente.
«Mi sono spinto troppo oltre» mormorò.
«Ci siamo spinti troppo oltre» lo corressi.
«No, Alice. La colpa è mia. Sapevo cosa stavo facendo, sapevo che stavo sbagliando eppure ho continuato. Tu sei stata spinta da me a fare quello che hai fatto» ribatté «Dio mio, faccio schifo!» ringhiò e mi allontanò da lui, sedendosi poi sul divano.
«Dario» mormorai, con le lacrime che ancora mi solcavano il volto e mi misi vicino a lui.
«Mi è sembrato di tornare indietro nel tempo in quella cazzo di casetta degli attrezzi. Se solo penso a quanta sofferenza ho seminato attorno a me, mi verrebbe voglia di picchiarmi da solo» sibilò.
Non capii a quale casetta degli attrezzi si stesse riferendo, ma quelle parole mi avevano smosso il cuore. Non avrei mai pensato che Dario fosse così fragile e che soffrisse così tanto. Lo avevo sempre visto forte e sicuro di sé e, invece, in quel momento aveva abbassato quel muro di spocchia che aveva costruito attorno a lui.
«Hai fatto bene a dirmi addio» riprese «Se avessimo continuato a frequentarci avrei fatto soffrire anche te. Già stai piangendo a causa mia»
Cercavo di dire qualcosa, ma il mio cervello non riusciva a formulare una frase di senso compiuto. Sembrava quasi avesse staccato la spina e smesso di funzionare in quel momento, non permettendomi né di parlare né di muovermi.
«Vai a dormire e cerchiamo di dimenticarci questo piccolo particolare»
Chiamalo piccolo!
Di piccolo non c'era nulla, né quello che era successo tra di noi e nemmeno il pitone di Dario. Capivo perché aveva cominciato a fare il gigolò.
No, ok, con calma Alice, che pensieri stai facendo?!
Mi asciugai velocemente le lacrime e cercai di non pensare più a lui nudo sopra di me e alla mia mano che lo aveva toccato. Che vergogna, santo cielo! Non poteva essere solo uno stupido sogno?! Ancora mi sembrava di sentire la sua bocca lì dove non batteva il sole. Si rivestì velocemente e si stese nuovamente su quel divano che era stato complice di quel nostro momento di passione. Si accucciò sotto il plaid e chiuse gli occhi, il viso ancora amareggiato. Perché avrei dovuto dimenticare tutto? Non era come diceva Dario, io sapevo benissimo quello che stavo facendo e mi era anche piaciuto. Era stata una delle cose più emozionanti della mia vita e non volevo, non dovevo dimenticare.
«Posso dormire con te?» gli domandai, con un leggero imbarazzo.
Dario aprì un occhio, per richiuderlo subito dopo e darmi la sicurezza che quello fosse un no. Si rannicchiò contro lo schienale e batté a fianco a sé. Sorrisi come una scema e non esitai ad accettare quell'invito, stendendomi subito vicino a lui.
Ci coprì con il plaid e subito mi abbracciò, stringendomi forte contro il suo corpo. Avvampai nel sentirlo così vicino a me, nel sentire il suo fiato infrangersi sulla mia pelle e nel ricordare il suo corpo sul mio.
«Buonanotte» sussurrò.
«Bu-buonanotte» risposi.


Sentii parlottare, delle voci che sembravano venire da un'altra dimensione. Non riuscivo a capire se stessi sognando o se quello che sentivo era reale. Aprii gli occhi con la convinzione e la speranza di ritrovarmi nella mia stanza, che quello che era successo la sera prima era stato frutto della mia fantasia, ma i raggi mattutini del sole mi mostrarono il salotto moderno di Dario. Mi misi a sedere e mi stropicciai gli occhi, sbadigliando e stiracchiandomi come un gatto. Mi voltai, notando che lui non era più accanto a me. Avrei potuto andare a raccattare i miei vestiti e sgattaiolare via da quella casa, troppo imbarazzata per poterlo guardare in faccia. Ma volevo vederlo, salutarlo, sapere chi c'era lì con lui. Mi diressi in cucina, da dove provenivano le voci, tentennante.
«Dario?!» esitai, rimanendo sulla porta.
Lui mi guardò e sorrise intimidito, mentre tre paia di occhi sospettosi mi perforarono. A capotavola sedeva una bella donna austera e con l'aria da snob sofisticata, tutta impettita che mi squadrava dall'alto al basso. Sul lato lungo del tavolo stava un uomo che era la copia di Dario, se non fosse stato per gli occhi azzurri e, subito accanto a lui, il mio caro gigolò. Appoggiato al muro, un ragazzo alto e dalla bellezza statuaria con degli occhi glaciali. La donna, appena mi vide comparire, si stizzì e assunse un'aria quasi disgustata, mentre l'uomo si era portato una mano sulla fronte e scuoteva la testa.
«Pensavo avessi smesso» sussurrò, rivolto a Dario.
«Non è come credi»
«Nuova città, vecchie abitudini eh, Dario?!» ridacchiò il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
«Smettila idiota» sibilò.
«Ti ricordi almeno come si chiama la tua nuova preda?» lo provocò nuovamente.
«Fottiti, 'Ma!» ringhiò Dario, che assumeva sempre più un'aria incupita.
«Sei incorreggibile» intervenne la donna, stizzita più che mai.
Il mio gigolò mi morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo in difficoltà, martoriato da quella raffica di accuse a cui non sapeva come rispondere e dal ricordo della notte precedente. Una stretta si impossessò del mio cuore nel vederlo così e, d'istinto, feci un passo avanti sorridendo a quegli sconosciuti.
«A-Alice, piacere» mi presentai. Poi esitai qualche istante «La fidanzata di Dario»
Mi avvicinai a lui e mi sedetti sulle sue gambe, baciandolo a fior di labbra, assaporandole ancora una volta e sentendolo ancora fremere sopra di me. Gli sfiorai per un solo attimo la lingua, prima di tornare a guardare quegli sconosciuti che mi osservavano dubbiosi. Dario scoppiò a ridere nervosamente e mi strinse a sé.
«Eh già» ridacchiò «Surprise!»
La donna e quello che sembrava Dario, sorrisero increduli mentre il ragazzo dagli occhi di ghiaccio era rimasto senza parole, basito con la bocca semi-dischiusa.
«Non ce lo avevi detto» esclamò felice la donna.
«Volevo farvi una sorpresa» rispose Dario, teso come una corda di violino.
«Da un estremo all'altro» osservò il ragazzo appoggiato al muro «Prima un rinoceronte e adesso un manico di scopa» ghignò.
«Sei un bastardo, 'Ma» esclamò Dario indispettito.
«Sei sempre il solito bambino. Quando non sai cosa rispondere, offendi» ribatté «Vedi di crescere. Hai 23 anni, dovresti aver attivato il cervello da qualche anno ormai»
«Perché non te ne sei rimasto in Congo o dove cazzo eri tu? Magari ti beccavi la malaria e ci rimanevi secco» borbottò.
«Ti sarebbe piaciuto eh, che fossi crepato?» lo provocò «You're a bod bad guy, Dario» ridacchiò «E, data la tua ignoranza, significa che sei proprio un cattivo ragazzo»
Dario si umettò le labbra e contrasse la mascella, visibilmente irritato dall'antipatia di quel ragazzo. Sembrava quasi sul punto di scattare in piedi e prenderlo a botte. Così, gli accarezzai la guancia e lo baciai leggermente per cercare di tranquillizzarlo. Lui mi guardò negli occhi e sospirò stizzito, regalandomi poi un sorriso tirato.
«Da quanto tempo state insieme?» domandò la donna, a disagio, come se volesse cambiare discorso.
«Due mesi»
«Tre mesi» mi fece eco Dario.
Ci guardammo confusi e leggermente spaventati, poi tornammo a sorridere alla donna.
«Due mesi» «Tre mesi» esclamammo insieme.
La signora ci guardò perplessa e cominciai a ridere nervosamente insieme a Dario, che aveva un colorito che spaziava dal bianco latte al rosso paonazzo.
«Sì, insomma» annaspai «Due o tre mesi» tagliai corto.
Lei e quello che doveva essere suo marito annuirono con poca convinzione e un certo sospetto negli occhi. Sorrisi come una deficiente e baciai di nuovo Dario a fior di labbra, stringendolo poi stretto al mio seno, lasciandolo letteralmente basito. Mi guardava stranito, come se volesse spedirmi in un ospedale psichiatrico.
«E quanti anni hai Alice?» domandò l'uomo.
«Diciassette» risposi.
La donna sgranò gli occhi e quasi si strozzò con il caffè che stava bevendo, mentre lo sguardo di suo marito rimbalzava stupito da me a Dario. Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio sghignazzò e si staccò dal muro per sedersi sull'unica sedia disponibile.
«Carne fresca» ironizzò.
«In realtà ne ho praticamente diciotto» risi «Tra un mese sarò maggiorenne»
La signora guardò in modo truce Dario, che continuava a muoversi sotto di me come se la sua sedia fosse stata piena di spilli. Era teso e nervoso, completamente a disagio e non sapevo perché. Lei stava per aprire di nuovo bocca, ma il mio gigolò la interruppe prima che parlasse, terrorizzato da altre eventuali domande.
«Alice, non ti ho presentato la mia famiglia» sorrise «Lei è mia madre, Nicoletta» e le strinsi la mano «Mio padre Salvatore. E lui è Mauro»
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio mi sorrise e mi guardò con superiorità.
«Il dottor Mauro Vitrano» puntualizzò, lanciando un'occhiataccia al fratello.
Dio mio quanto era antipatico quel tipo! Se avesse insultato solo un'altra volta il mio Dario lo avrei preso a sediate sulla schiena. Nicoletta s'illuminò d'un tratto e sorrise compiaciuta a sentire quelle parole.
«Eh già, io mio Mauro fa il medico, come noi due» cominciò «Centodieci e lode! Non sai che soddisfazione alla sua laurea. Ha preso una specializzazione in cardiochirurgia e adesso ha deciso di fare il medico volontario in Somalia. BlaBlaBla»
Mamma che noia! Non mi interessava assolutamente nulla di Mauro e della sua biografia. Le sorrisi ed annuii, fingendo di ascoltare le sue lodi, nonostante mi venisse da sbadigliare e a fatica non mi trasformai in un ippopotamo. Guardai di sottecchi Dario che aveva cambiato espressione, incupendosi e che guardava il tavolo amareggiato. Non sapevo perché s'intristì così d'improvviso, ma mi venne naturale sorridere a Nicoletta e interrompere il suo discorso.
«Dario è un ragazzo davvero speciale, sa? Sembra un duro, ma in realtà è un cucciolo indifeso. Non sarà medico, ma almeno non è Mr. Antipatia dell'anno. Ha un sacco di qualità e non ha bisogno di sventolare una laurea per essere speciale» dissi e fulminai Mauro con lo sguardo.
Dario mi guardò stupito, con un mezzo sorriso incredulo ed io lo abbracciai forte.
«S-sì» tentennò lei «È un ragazzo meraviglioso» disse non del tutto convinta.
Dopo le mie parole, calò come un pesante sipario il silenzio su di noi. Nessuno incrociava gli occhi degli altri e nessuno sembrava voler sollevare quel manto che ci aveva sorpresi.
«Allora» la voce di Salvatore riempì la stanza «Come va il negozio?» domandò rivolto a Dario.
Negozio?!
Di che diavolo stava parlando? Il mio gigolò sorrise nervosamente e boccheggiò, torturandosi il labbro inferiore e passandosi una mano sulla barba.
«Abbastanza bene, direi» rispose con voce tremante.
«Gli affari?»
«Buoni»
Domande rapide e risposte ancora più lapidarie. Nella famiglia di Dario non ci doveva mai essere stata una grande armonia. Sembravano più che altro degli estranei più che parenti. E mi domandavo perché, se quei due erano medici, quindi con un sacco di soldi in banca, Dario facevo il gigolò.
Mauro scattò in piedi all'improvviso e si picchiettò il polso, indicando l'orologio.
«Tra poco inizia il convegno, medici»
I due controllarono l'ora e annuirono. Con distacco salutarono sia me che loro figlio, mentre il ragazzo dagli occhi di ghiaccio non lo calcolò nemmeno. Quando Dario si richiuse la porta alle spalle, tirò un sospiro di sollievo e mi sorrise.
«Grazie per quella bugia. Mi hai salvato le chiappe!» ridacchiò.
«Nulla» dissi in un soffio.
«Vado a cambiarmi e ti riporto a casa»
Prima che se ne andasse, lo fermai e lo invitai a sedersi sul divano. Lui, titubante, accettò quella richiesta. Mi morsi un labbro e respirai a fondo per prepararmi a quel terzo grado che, ero sicura, lo avrebbe messo in difficoltà.
«Di qu-quale negozio parlava?»
Prima domanda fatta.
Dario scosse la testa e abbassò lo sguardo verso il tappeto. Tamburellò nervosamente un piede e credevo mi avesse mandata a quel paese, aggiungendo un Non sono affari tuoi.
«È ovviamente una cazzata» ridacchiò nervoso «Non potevo di certo dir loro che faccio il gigolò. Già mi odiano, figurati se scoprissero che mi prostituisco»
«Odiano?» ripetei, curiosa e intimorita di ferirlo allo stesso tempo.
«Già» soffiò «Io sono la vergogna della famiglia Vitrano. Mi odiavano già prima che nascessi» esitò «Vuoi sapere tutta la verità?»
Annuii e mi persi nel petrolio liquido dei suoi occhi.
«Loro non mi volevano. Un figlio bastava per loro e farne un secondo significava sottrarre tempo al loro lavoro. Avrai capito anche tu che sono molto legati a camice bianco e stetoscopio» ridacchiò «Solo che una sera hanno alzato u  po' troppo il gomito ed ecco il risultato»
Gran bell'errore, mi ritrovai a pensare.
«Mio fratello si è visto togliere la sua unicità. Non c'era più solo lui, ma anche un bambino che ha iniziato ad odiare piano piano. I miei genitori non sono mai stati presenti con me e forse è per quello che con l'adolescenza sono diventato una testa calda. Certo, non tutta la colpa è loro, alcune cazzate potevo risparmiarle. Finché uscivo la sera e tornavo tardi, mi beccavo una strigliata e fine della storia. Ma quando ho iniziato a infangare il nome dei Vitrano, la mia condizione in quella famiglia è precipitata.
«Ho scopato con la nipote del primario del reparto in cui lavorava mio padre. Fin lì, amen. Purtroppo non sono stato molto attento e quindi, fregati! Lei è rimasta incinta e ha rivelato tutto alla sua famiglia. Subito si è diffusa la voce che il figlio di Vitrano era un pervertito e il primario non si è risparmiato con mio padre, ovviamente»
«E lei?» domandai incredula.
«Ha abortito e l'hanno fatta andare a studiare in un collegio» scosse la testa, prima di riprendere il discorso «Così tutta la famiglia Vitrano ha cominciato ad odiarmi e quando ho detto loro che sarei partito, subito dopo la maturità e che non avrei studiato Medicina mi hanno voltato le spalle. Cazzo, io non volevo stare seduto dietro una scrivania, io volevo essere famoso! Ero troppo bello per rimanere chiuso in uno studio.
«Ho preso i soldi che i miei avevano depositato per pagarmi l'Università e mi sono pagato i vari viaggi alla ricerca dei più disparati provini per trasmissioni televisive e film. Ho provato a fare l'attore, il valletto, il presentatore, ma non mi hanno preso da nessuna parte.
«Allora sono venuto qui, a Milano, con quei pochi soldi che mi hanno permesso di prendere questa casa in affitto. Ma avevo bisogno di un lavoro per potermi pagare le bollette e tutto il resto. Ho fatto il cameriere per diverso periodo, ma lo stipendio era una miseria e arrivavo a fine mese mangiando pane e formaggio.
«Così ho mollato quel lavoro e ho usufruito del mio talento con il sesso, facendone un lavoro»
«E quello pseudonimo?» domandai.
«È stato il primo nome che mi è venuto in mente, Blaine. Non volevo che le donne urlassero il mio nome vero e non volevo che qualcuno che conosco scoprisse questo mio segreto. Immaginati solo la vergogna della mia famiglia. Già per loro è abbastanza umiliante quello che ho fatto, sapere anche che un Vitrano si prostituisce li farebbe crollare e io sarei definitivamente morto per loro. Sono scappato da loro e dico di odiarli, ma non è così. Sono sempre la mia famiglia e non la posso rinnegare»
Dopo quel racconto non fui più in grado di dire una sola parola. Tutto quel discorso mi aveva congelato. Non avrei mai immaginato nulla di quello che era uscito dalle sue labbra e ancora non riuscivo a capire come una famiglia potesse odiare un figlio, quando poi il figlio in questione era una persona fantastica come Dario.
«Ti ho lasciata senza parole» osservò con un sorriso tirato.
«Non, non me lo aspettavo» risposi scossa.
«Sono stato un incosciente. Ho fatto delle cazzate senza nemmeno pensare alla conseguenze» soffiò «Ormai è inutile piangere sul latte versato»
Mi guardò e sorrise amaramente. Gli accarezzai una guancia con il pollice e lo attirai verso di me, abbracciandolo e facendomi inebriare ancora una volta dal suo profumo. Sentirlo così vicino a me richiamava alla mente tutti i ricordi della sera precedente, quel piacere che sentivo nel sentire le sue labbra e il suo corpo sul mio.
«Sarà meglio che ti riporti a casa» sussurrò nel mio orecchio.
Annuii e mi allontanai da lui a malincuore. Ormai era come se fossi legata a lui sia psicologicamente che fisicamente, come se ci appartenessimo a vicenda. Ma dovevo scontrami con il duro destino. Una volta uscita da quella casa, da quel salotto che racchiudeva i nostri ricordi e i nostri gemiti, lui mi avrebbe accompagnata a casa e ci saremmo detti addio, mentre io, come una scema e con le lacrime agli occhi, avrei guardato per l'ultima volta la sua macchina che lo allontanava da me.
«La camera è a tua disposizione per cambiarti» disse, comparendo nel salotto mentre si stava infilando un maglione «I miei vestiti lasciali pure sul letto»
«Ok» risposi flebilmente.
Senza nemmeno guardarlo, raggiunsi la sua stanza a passo svelto. I miei vestiti erano accuratamente piegati e adagiati sulla coperta. Mi spogliai rapidamente e indossai maglione e felpa, piegando alla carlona gli indumenti di Dario. Mi sedetti qualche istante sul letto ed accarezzai la coperta, sorridendo amaramente mentre sentivo le lacrime pulsare. Afferrai il suo cuscino e lo annusai, riempiendomi i polmoni del suo odore, per non dimenticarlo mai più. Presi un respiro profondo e sistemai il cuscino, prima di abbandonare per sempre quella camera. Dario mi aspettava seduto sul divano già con la giacca indosso.
«Andiamo» soffiai.
Lui si limitò ad annuire.
Quando sentii la porta chiudersi dietro di me realizzai che era tutto finito tra noi due, che non ci sarebbero stati più sguardi intensi né il tocco della sua mano. Le scene dei giorni passate assieme sfilarono davanti ai miei occhi, come se fosse un film. Il nostro primo incontro e la prima volta che mi aveva abbracciata a lui, che mi aveva fatto sentire il suo odore. Le nostre chiacchierate e la sua risata all'unisono con la mia. I nostri litigi e le nostre urla. Non ci sarebbe stato più nulla di tutto ciò, non ci sarebbe più stato Dario.
Salii sulla Mito, sentendo rimbombare nella testa le mie parole urlate con tanta rabbia, come se fossero rimaste racchiuse in quella macchina tutta la notte. Nessuno dei due parlava, entrambi non sapevamo che cosa dire. Attendevamo solo il momento in cui l'auto si fosse fermata sotto casa mia, il momento in cui la mia paura di perderlo si sarebbe concretizzata. Ero ancora in tempo per rimediare, chiedergli scusa e recuperare tutto ciò che si era costruito tra di noi.
Avanti dì qualcosa Alice!
Lo guardai di sottecchi, concentrato sulla strada, così bello da essere quasi perfetto. Boccheggiai in cerca di ossigeno e di qualcosa di sensato da dire. Ma dalla mia bocca usciro solo dei sospiri senza senso.
Sei ancora in tempo per sistemare le cose.
Entrammo nel paese e soli pochi metri ci separavano da casa mia. Dario rallentò, come se nemmeno lui volesse che la nostra rottura definitiva giungesse, come se stesse aspettando che gli dicessi qualcosa. Svoltò nella mia via, i secondi per sistemare tutto e ammettere il mio sbaglio diminuivano, mentre il cuore iniziò a pompare sangue irregolarmente.
Parla Alice! Sennò sarai costretta a dirgli...
«Addio» soffia, non appena la macchina si fermò davanti al portone.
Non ero riuscita a rimediare. Avevo cercato di convincermi a parlare, ma la mia bocca era rimasta sigillata, forse perché mi sentivo in colpa per quello che era successo quella notte, perché avevo tradito Davide e allontanarmi da lui era la soluzione migliore.
«Addio» rispose distaccato, senza nemmeno regalarmi per l'ultima volta il piacere di annegare nei suoi occhi.
Fu in quel momento che sentii il cuore stringersi in una morsa troppo stretta, un dolore che dal petto si espanse in tutto il corpo. Le lacrime mi annebbiarono la vista, ma cercai di non piangere, non davanti a lui. Cercai per l'ultima volta il suo sguardo, ma non lo trovai. Così, scesi dalla Mito e rimasi ferma davanti al portone con la speranza che lui mi raggiungesse per non farmi scappare da lui. Non avvenne nulla di tutto ciò. Il motore ruggì e poi la macchina si allontanò, così come avevo immaginato, portandosi via con sé Dario.












____________________________________

Ed eccoci alla fine di questo capitolo.
Ve lo aspettavate così? Io, sinceramente, no. La parte iniziale doveva essere molto diversa, ossia niente zozzerie. Ma non ho saputo resister! Era il momento adatto per farli andare al sodo >.< Mi sono contenuta, nei limiti del possibile e non li ho fatti copulare, almeno quello! Solo un piccolo assaggio per la nostra Alice del sesso. Spero che non via abbia deluso e che non vi abbia scosso in qualche modo, ma mi è uscito davvero di getto.
Alice, diciamo, che non si è comportata proprio benissimo nei confronti di Davide. Certo, non la biasimo perché anche io avrei ceduto con Dario, però si è fatta trasporatre troppo, diciamo. E la svestizione metaforica di Dario continua. Lo stiamo conoscendo sempre di più nella sua dolcezza e fragilità. Addirittura in questo capitolo è intervenuta la sua famiglia che, chi sta leggendo Mistake, avrà già imparato a conoscere. Avete avuto un assaggio della vita del nostro Dario e un tuffo nel suo passato e la motivazione per la quale fa il gigolò. 
Non so davvero cosa aggiungere, sono anche io senza parole xD

Quindi direi di passare subito ai ringraziamenti.
GRAZIE alle 12 persone che hanno recensito lo scorso capitolo (mi scuso se non ho risposto a tutti. Lo farò a breve ç__ç)
GRAZIE alle 16 persone che hanno inserito la storia nelle ricordate.
GRAZIE alle 49 che l'hanno aggiunta tra le preferite.
GRAZIE alle 111 persone che hanno deciso di seguirla.
Siete la mia forza, davvero :') come farei senza il vostro sostegno?
Poi, un GRAZIE immenso alla Lover. IoNarrante che legge i capitoli in anteprima e li corregge, mi consiglia e sopporta le mie cagate giornaliere. Ti lovvo ♥

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In più, due storielle che ho sto scrivendo a quattro mani con la mia Lover. Una è dedicata all'adolescenza di Dario ♥

Come in un Sogno
You're a mistake I'm willing to take.

Un bacio a tutti, Manu ♥

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Capitolo 14
*** Happy Valentine's Day ***




C a p i t o l o 13

Happy Valentine's Day


Ingoiai il magone che l'abbandono di Dario mi aveva lasciato, cercando di cacciare indietro le lacrime che spingevano per poter uscire. Non potevo rientrare in casa piangendo, sennò mia madre mi avrebbe rinchiusa nella sua stanza e non ne sarei uscita finché non le avessi raccontato per filo e per segno cosa fosse successo. E non potevo di certo parlare a mia mamma di Dario e di ciò che era accaduto su quel divano. Sarebbe rimasto segregato dentro di me, come uno dei tesori più preziosi sigillato in uno scrigno di cui solo io possedevo la chiave.
Respirai a fondo, guardando il soffitto del palazzo e mordendomi le labbra, prima di decidermi ad aprire la porta. Come immaginavo, mia madre e Smell erano appollaiati sul divano come due avvoltoi che aspettavano il mio rientro per sommergermi di domande. Appena mi videro oltrepassare al porta, mia madre scattò in piedi mentre mio fratello mi fulminò con lo sguardo, immaginando già che mi fossi data alla pazza gioia. Beh, insomma, di certo non era stata per nulla una nottata casta, ma non avevo fatto nulla di quello che la mente perversa di Smell stava immaginando.
Mia madre si fiondò letteralmente su di me, abbracciandomi quasi fossi appena tornata da una missione in Iraq. Mi intrappolò nel suo seno, impedendomi di respirare e stritolandomi tra le sue braccia.
«Tesoro mio!» esclamò apprensiva «Come stai?!»
«Bene» risposi, allontanandola e sentendo l'aria fluire nuovamente nei polmoni.
«Oddio, sono stata così in pena!»
«Mamma, non ero a casa di Jack lo squartatore» sbuffai.
«Sì ma eri a casa del tuo ragazzo e...» lasciò la frase in sospeso e mi guardò maliziosa.
«Un amico» ribattei, roteando gli occhi.
«Sempre un ragazzo è! E tu sei stata con lui tutta la notte» riprese, insinuando che avessi fatto sesso con Dario.
Scossi la testa, portando le mani ai fianchi e mordendomi le labbra per trattenere il pianto che voleva esplodere.
«Bella la scusa dell'incidente, Alice!» tuonò improvvisamente Smell.
«Non era una scusa» risposi prontamente con un sorriso tirato, al limite dell'isteria.
«Sì, come no! Quello è peggio dello spilungone biondo! Lo ha scritto in fronte: P O R C O!» ringhiò.
«Senti Raffaele, non ho voglia di stare qui a discutere» scandii nervosa, passandomi una mano tra i capelli.
Non volevo sentirlo sbraitare, non volevo spigare nulla né a Smell né a mia madre. Volevo solo chiudermi in camera mia, affondare la testa nel mio cuscino, immaginando che fosse quello di Dario e piangere fino a non avere più lacrime da versare.
«E tu, sicuramente sarai cascata nella rete di quell'imbusto!» continuò alzandosi dal divano «Adesso che gliel'hai smollata sarà più felice e ben presto chiuderà il capitolo Alice per aprirne un altro. Brava sorella, brava!» e concluse con un applauso.
Scossi la testa sconvolta per quell'affermazione e pregai con lo sguardo mia madre di intervenire in mia difesa, ma la sua aria contrita sembrava voler dare ragione a mio fratello. Diamine, non avevo fatto più o meno nulla e loro ne stavano facendo una questione di stato, neanche avessi ucciso il presidente degli Stati Uniti.
«Non ci sono stata a letto, se è questo che volete sapere» sbottai nervosa con voce tremante e gli occhi pronti ad esplodere «Lui ha dormito sul divano, io nella sua stanza. Non ci siamo minimamente sfiorati, OK?!»
Balla!
Ma non potevo dir loro che avevo dormito con lui sul divano e che prima mi ero spinta verso le porte del sesso. Mi tolsi il giubbotto, sistemandolo sull'appendiabiti e scattai contrariata, infuriata, amareggiata verso la mia camera.
«Ed ora, scusatemi, ma vado nella mia stanza» aggiunsi con un fil di voce.
Senza dar loro la possibilità di obiettare, anche perché ne avevo già le scatole piene delle loro insinuazioni poco caste, mi segregai nel mio paradiso roseo. Mi gettai sul letto, nascondendo il viso sotto il cuscino e scoppiando finalmente in un pianto liberatorio.
Perché avevo mentito, perché avevo detto di essere fidanzata? Se avessi tenuto la mia boccaccia chiusa non sarebbe accaduto nulla, avrei continuato a vivere la mia insulsa e amata vita da diciottenne sfigata, invece di disperarmi per un gigolò per il quale nemmeno io sapevo che cosa provassi. Ma forse era stato meglio così, allontanarsi senza una ragione ben precisa, prima che quello che sentivo per lui fosse diventato qualcosa di incontrollabile, qualcosa che mi avrebbe inghiottita e fatta soffrire. Dovevo pensare solo ed esclusivamente a Davide in quel momento. Era lui il mio ragazzo e per giunta lo avevo anche tradito. Dario sarebbe stato un fantasma che avrebbe infestato i miei pensieri fino a quando il tempo non avrebbe cancellato la sua immagine dai miei ricordi, ricucendo la piccola ma profonda ferita che quel tagliente addio mi aveva lasciato.
Nonostante quest'opera di convincimento, però, non riuscivo ad arrendermi all'idea che lui non avrebbe mai più fatto parte della mia vita, di me. Addirittura, mi sembrava quasi che quella stanza fosse pregna del suo meraviglioso odore e il mio cuore ebbe un tuffo quando quella leggera fragranza di Dario mi solleticò le narici. Mi alzai di scatto dal letto, guidata dalla speranza che lui fosse con me, che lo avrei visto appoggiato allo stupite che mi sorrideva sghembo. Ma non c'era nessuno sulla porta, se non il mio poster appiccicato malamente di Leonardo Sogno. Tornai a sedermi a peso morto sul letto, tirando su con il naso rumorosamente.
Alice, devi fartene una ragione. È tutto finito. Ora puoi goderti la tua vita normalmente, senza dover mentire su Edoardo. Hai un fidanzato vero, cosa vuoi di più?
Già, tutto finito. La mia menzogna, finalmente, se n'era andata via insieme a Dario e potevo parlare liberamente, senza dovermi inventare storie assurde su finti fidanzati.
Sobbalzai quando sentii il cellulare vibrarmi nella tasca posteriore dei pantaloni. Un sorriso ebete mi crebbe sulle labbra, sperando che il mittente di quel messaggino fosse Dario. Ma la mia felicità si spense in un attimo quando lessi Davide.
Cappuccina dove sei?! Ti ho aspettata tutto l'intervallo, ma non ti sei fatta viva! Non dirmi che hai ricominciato ad evitarmi?!

Mi morsi un labbro e chiusi il messaggino, accorgendomi solo in quel momento di aver ricevuto un altro SMS alle 8.21, quando ancora ero nel mondo dei sogni, persa tra le braccia di Dario. Anche quello era di Davide e mi chiedeva di vederci durante l'intervallo sul retro della scuola per stare insieme, soli io e lui. Dio, quanto caos regnava intorno a me! E il mio comportamento non confondeva e feriva solo me, ma anche tutti quelli che mi circondavano, soprattutto la mia famiglia e Davide. Lui non si meritava questo trattamento, era così dolce da non sembrare nemmeno vero. Sorrisi e mi asciugai le lacrime con la manica della felpa. Basta, al diavolo Dario, il suo profumo e tutto ciò che lo riguardava. Nei miei pensieri ci doveva essere spazio solo ed esclusivamente per Davide.
Mi alzai da letto e controllai l'ora sul display del cellulare. Erano appena passate le dodici, giusto il tempo per farsi una doccia veloce e cambiarsi prima di andare a casa del mio principe azzurro.

Guardai di sottecchi mia madre che, dopo un quarto d'ora di estenuanti preghiere da parte mia, aveva accettato di accompagnarmi a trovare Lorenzo, anche se in verità mi importava più di suo fratello. Era cupa in volto, molto probabilmente a causa della discussione che avevamo avuto poco prima. Mi umettai le labbra e respirai a fondo, torturando il fondo del piumino.
«Senti mamma» esitai, lanciandole sfuggenti occhiate «Scusami per prima»
Lei mi rivolse lo sguardo per un istante, per poi tornare a guardare la strada, esattamente come faceva Dario. Le labbra si stiracchiarono in un sorriso tirato, poi scrollò le spalle.
«Non importa» soffiò.
«Sei arrabbiata?» le domandai, con voce dolce.
«No» rispose «Solo che mi piacerebbe essere più partecipe della tua vita Alice. Non so mai cosa ti passa per la testa, non so mai cosa fai...insomma, sei stata a casa di un ragazzo tutta la notte!»
«Cosa mi passa per la testa, in realtà, non lo so nemmeno io» sospirai «Ma quello che è successo ieri sera te l'ho detto. Mi ha solo ospitato a casa sua e basta»
«Mettiti nei miei panni. È ovvio che io pensi che non abbiate solo dormito. Tu hai diciotto anni, lui, magari qualcuno in più...» lasciò la frase in sospeso.
«Tranquilla mamma! Abbiamo solo dormito. Sai che non ti mentirei mai» risposi.
Mia madre mi trafisse con il suo sguardo indagatore quasi stesse cercando nel mio volto una piccola smorfia che avrebbe smascherato la mia menzogna. Titubante, le sorrisi, cercando di apparire il più serena e tranquilla possibile. Non volevo assolutamente dirle che avevo appagato un ragazzo, mi imbarazzava solo pensarlo, figurarsi raccontarlo a mia madre.
«Ti credo» disse infine, sorridendomi, anche se non era per nulla convinta.
Tirai un sospiro di sollievo e affondai nel sedile, contenta e soddisfatta di aver sorvolato sul discorso divano-da-film-porno. Mi dispiaceva mentire a mia madre, ma non potevo dirle di Dario e nemmeno rivelarle nulla sulla notte scorsa.
Il pandino di mia madre macinò qualche altro metro, prima di fermarsi davanti alla palazzina giallo pastello di Davide. Non erano nemmeno le tredici, per cui avrei dovuto aspettarlo al freddo e al gelo chissà per quanto tempo.
«È bello che tu ti sia affezionata così tanto a quel bambino» esclamò la mamma, accostando.
Annuii, sorridendo come un'imbecille. Di quella piccola peste non mi importava un fico secco, preferivo di gran lunga Saronno diciottenne.
«Ciao mamma, ci vediamo più tardi» dissi, schioccandole un bacio sulla guancia e fiondandomi fuori dall'abitacolo.
La macchina ripartì poco dopo, allontanandosi da me. Cominciai a dimenarmi per cercare di riscaldarmi, provando a dimenticarmi del brontolio incessante del mio stomaco. Non avevo mangiato, volevo farlo con Davide, sperando che almeno mi avesse invitata a ingoiare un boccone da lui, sennò sarei morta di fame. Ogni tanto guardavo l'orologio, ma sembrava che il tempo non passasse mai. Potevo suonare e salire in casa sua ed aspettarlo lì, ma avevo paura di risultare invadente. Per cui, rimasi a patire il freddo e la fame per un tempo che mi sembrò quasi interminabile. Era peggio di una lezione della D'Osvalda, durante la quale i cinque minuti parevano durare un'ora.
Finalmente lo vidi svoltare l'angolo, con un cappellino di lana in testa e i suoi meravigliosi occhi incollati al suo Ipod alla ricerca di una qualche canzone. Sorrisi nel vederlo così assorto e bardato nemmeno dovesse andare in spedizione al Polo Nord. Quando alzò lo sguardo e mi notò impalata sotto casa sua sbarrò gli occhi e accelerò il passo, strappandosi via gli auricolari.
«A-Alice, che ci fai qui?» domandò stupito.
«Sono venuta per chiederti scusa» mormorai, stringendomi nelle spalle «Perché non ti ho risposto al messaggio» spiegai.
«Oh» soffiò, mordendosi un labbro e abbassando lo sguardo.
«Oggi non sono venuta a scuola. Stamattina non mi sono sentita molto bene e mi sono svegliata tardi» mentii, sprofondando piano piano nel senso di colpa.
«Se ti sentivi poco bene non c'era bisogno che venissi qui» disse con voce leggermente tremante «Con il freddo che fa, poi. Mi bastava una telefonata»
«È che mi sentivo in colpa» risposi imbarazzata «E avevo voglia di vederti»
Mi avvicinai a lui, appoggiando le mani sulle sue spalle e alzandomi sulle punte per poter raggiungere la sua bocca. Davide mi cinse i fianchi, stringendomi di più a lui e stuzzicando le mia bocca con la lingua. Il suo bacio era così delicato, così come le sue dita che, lente e leggere, si muovevano lungo la mia schiena, come la sua lingua che solleticava il mio palato. Sembrava come se mancasse qualcosa in quel nostro contatto, come se non ci fosse la passione che avevo imparato a conoscere con Dario. Quando lo avevo baciato, avevo sentito il fuoco invadermi, ogni parte del mio corpo ribolliva e desiderava anche un piccolo contatto con Dario e ogni secondo alimentava la bramosia che avevo di lui. Con Davide era diverso, era estremamente dolce e leggiadro, quasi come volare sulle ali di una splendida farfalla. Forse perché con Dario era solo attrazione fisica, solo passione e voglia di scoprire un mondo nuovo e forse perché con Davide non volevo fosse solo sesso, ma amore.
Il brontolio del mio stomaco, che pareva il ruggito di un tirannosauro rex, spezzò quel momento di magia, allontanando dalle mie labbra Davide che mi guardò con un sopracciglio abbassato, ridacchiando.
«Hai un po' di fame» osservò.
Abbassai lo sguardo e arrossii per la figuraccia che avevo appena fatto.
«A dir la verità, anche io ho un certo languorino» ridacchiò, stringendomi una spalla.
«Allora saliamo, che sto anche morendo di freddo» ribattei sorridendo.
Davide si irrigidì all'istante e la sua risata si smorzò all'improvviso. Boccheggiò, aprendo più volte la bocca per dire qualcosa, ma quello che ne uscirono furono solo mugolii senza senso. Sapevo bene che Davide era strano, ma quel suo comportamento mi rese dubbiosa.
«Me-meglio di, di no» balbettò.
Saronno che balbettava era un altro atteggiamento sospettoso.
«Perché?» domandai, guardandolo di traverso.
Era paonazzo, come se fosse in apnea da più di mezz'ora e i suoi occhi cristallini sfuggivano al mio sguardo inquisitore.
«Non ho...» deglutì «nulla da offrirti e non vorrei farti tornare a casa affamata» ridacchiò, ritrovando il suo colorito naturale e sorridendomi sghembo, tornando ad essere il Saronno spavaldo di sempre.
Corrugai la fronte, dubbiosa del suo atteggiamento e convinta che quella fosse una scusa campata per aria. Ma non indagai, non volevo essere invadente. Magari aveva problemi in casa, una nonna malata o chessò io e non voleva mettermi in imbarazzo. Gli sorrisi anche io e mi strinsi al suo petto, sentendo il suo cuore galoppare. Allora anche a lui il cuore impazziva, come succedeva a me, anche lui provava per me quello che sentivo io per lui.
Camminammo in silenzio, io persa e coccolata dal suo tepore, fermandoci davanti ad una piccola pizzeria gestita da arabi.
«Kebab?» mi domandò, sorridendo sornione.
La mia felicità si spense d'improvviso. Inevitabilmente, la mia mente volò verso il ricordo di Dario e verso il nostro primo appuntamento, quando mi aveva stretta a sé, quando avevo iniziato a capire che lui stava cominciando a far parte della mia vita. In quel momento realizzai per l'ennesima volta che c'eravamo detti addio e che non ci sarebbero più stati momenti come quelli. Tutto d'un tratto mi sentii a disagio tra le braccia di Davide perché, invece, desideravo che al suo posto ci fosse Dario, desideravo fremere al contatto con le sue mani.
«Alice, cosa ti prende?» domandò Davide, riportandomi alla realtà «Non ti piace il kebab?»
«No, no, mi piace» risposi abbozzando un sorriso.
«Solo che?» mi incitò lui, abbassando un sopracciglio.
Deglutii a vuoto e guardai l'asfalto scuro sotto i miei piedi.
Scuro come gli occhi di Dario.
«Nulla» scossi la testa «Ho avuto solo un giramento di testa» mentii.
Davide mi guardò arricciando le labbra in una buffa espressione dubbiosa che mi strappò una risata. Gli feci cenno di entrare con la testa e lui mi seguì in quel piccolo locale con un sorriso sornione. Dietro ad un bancone azzurro stava un giovane ragazzo dalla pelle color caramello che, appena ci vide entrare, ci salutò con un Ciao titubante.
«Ciao!» esclamò Davide avvicinandosi al bancone «Prendiamo due kebab» aggiunse e assunse un'aria pensierosa «Tu ci vuoi le cipolle?»
Per un istante mi parve che gli occhi di Davide non fossero azzurri, ma neri come la notte, come il petrolio liquido e il viso di Dario si sovrappose al suo. Mi sembrò di vederlo lì, di fronte a me, con quel suo sorriso malizioso e lo sguardo seducente, davanti quel carretto in mezzo alla strada e per un attimo sentii nuovamente il suo odore.
«Le vuoi?» domandò ancora una volta Davide, perplesso.
Scossi la testa e quella specie di allucinazione sparì, spazzata via dalla voce di Saronno.
Smettila Alice di pensare a Dario. Non capisci che così soffrirai di più?!
«N-No» risposi «Non voglio un alito pestilenziale»

«Hai ragione. Non si sa mai come vanno a finire queste serate. Si parte con un delizioso panino, poi due baci, due coccole, due...»

Davide scrollò le spalle e ordinò due kebab, uno dei quali fu riempito di cipolle puzzolenti che mi avrebbero tenuta lontana da lui per un bel po'. Quando furono pronti ci avvicinammo ad un tavolino quasi più alto di me e mangiammo comodamente in piedi. Addentai un pezzo di panino e feci perfino a fatica a masticarlo. Avevo completamente perso la fame e il mio stomaco si era chiuso appena avevo pensato nuovamente a Dario. Davide, invece, sembrava non mangiasse da un secolo e si era avventato sul suo kebab famelico, divorandolo come se fosse un leone. Ingurgitò un boccone troppo grosso, poi appoggiò il suo panino nel piatto di cartone e estrasse dalla tasca dei jeans il suo cellulare. Digitò qualche tasto, prima di passarmelo sorridendo imbarazzato.
«Oggi ho fatto questo» confessò.
Appoggiai anche io il mio kebab e acciuffai il suo Samsung Corby. Sullo schermo c'era un disegno fatto su un banco verdognolo che rappresentava un cuore panciuto al cui interno erano state scritte in modo elegante una A e una D.
Alice e Dario.
«Alice e Davide» disse Saronno, sorridendomi.
«È bellissimo» risposi, senza un particolare entusiasmo.
Davide riprese il suo telefonino e mi guardò dubbioso, sbattendo le palpebre più volte come se stesse cercando di leggermi nel pensiero.
«Che hai Alice?» domandò preoccupato «Ti vedo...abbattuta»
«Niente, non preoccuparti» risposi con un sorriso stirato e scuotendo la testa.
«Non è vero. Si vede che sei triste» ribatté.
«No, veramente, è tutto ok!» cercai di tranquillizzarlo, ma lui pareva non voler cedere.
«Se non fosse successo nulla non saresti così pensierosa. Sembra che sei in un altro mondo!»
«Ho litigato con una persona importante» ammisi, guardando il tavolino di metallo «Pesantemente»
Saronno sbuffò e roteò gli occhi, scuotendo la testa.
«Ancora quel tipo?!» chiese scocciato ed io annuii mestamente «Si può sapere che ti fa sto tizio per ridurti così? Ad avercelo sotto mano lo strozzerei!» ringhiò, battendo il pugno sul tavolo.
Annaspai e mi torturai il labbro inferiore. Avrei dovuto dirgli la verità? Che il tizio era un gigolò che doveva fingersi il mio fidanzato? Che Alice Livraghi era una ragazzina sfigata? Avevo paura a rivelargli questo segreto, ma in fondo lui mi aveva rivelato di suo padre, mi aveva aperto il cuore e di lui potevo fidarmi. Alzai lo sguardo e gli sorrisi imbarazzata.
«È una storia un po' complicata e per certi versi assurda» ridacchiai e gli occhi azzurri di Davide mi incitarono a continuare «Però so che posso fidarmi di te, per cui ti racconterò tutto. Martedì ci sarà la festa di San Valentino e, beh, io non avevo un accompagnatore per cui ho fatto una sciocchezza» scossi la testa e guardai il cielo «Prima che ti conoscessi ho chiamato un gigolò che si fingesse il mio ragazzo. E lui sarebbe il tizio in questione»
Davide corrugò la fronte e rese gli occhi a due fessure.
«E perché hai chiamato un gigolò scusa? Non è obbligatorio andare a quella festa» scrollò le spalle.
«Ecco, vedi» esitai «Avevo detto di avere un fidanzato per non sentirmi diversa» sospirai a lungo, prima di guardarlo negli occhi e sorridergli «Tu sei il mio primo ragazzo e tu mi hai dato il primo bacio» ammisi, con imbarazzo.
Le labbra di Davide si aprirono in un sorriso comprensivo e tenero e dio mi sentii più sollevata, quasi più leggera. Ma, d'improvviso, Saronno scoppiò a ridere. E non era una risata divertita, ma di scherno che mi fece sprofondare nella vergogna.
«Oddio!» esclamò, battendo una mano sul tavolo «A diciotto anni non avevi dato ancora il tuo primo bacio?!» domandò tra un singhiozzo e l'altro, attirando su di noi l'attenzione dei pochi clienti di quella pizzeria.
Abbassai lo sguardo per non incontrare i suoi occhi che stavano ridendo di me, che mi stavano mortificando.
«È da sfigati!» esclamò, asciugandosi una lacrima.
Presi un profondo respiro e cercai di non scoppiare a piangere come una scema davanti a lui, sarebbe stato capace di ridere anche per quello. Che stupida che ero stata a credere che fosse dolce e comprensivo, a fidarmi di lui e confidargli quell'enorme segreto.
«Molto divertente, vero?!» sibilai con gli occhi annegati in un manto di lacrime «Usala pure come storiella da raccontare ai tuoi amici, così vi sganasciate alle mie spalle»
«No, dai, scusami» disse, d'un tratto serio, ma scoppiò di nuovo a ridere subito dopo.
Serrai i pugni e a stento trattenni il pianto. Lo guardai per l'ultima volta, ferita dalla sua affilata risata e me ne andai da lì, umiliata da quello che credevo fosse il mio principe azzurro.

Passai la domenica peggiore della mia vita, chiusa in camera mia a disperarmi nel letto, perdendomi sia il pranzo in un ristorante chic con mio padre, sia la puntata di Domenica Cinque. Non mi ero mossa dalla mia stanza, se non per mettere qualcosina sotto i denti e andare in bagno. Per tutto il resto della giornata era stata a poltrire sul mio letto, piangendo ogni cinque minuti, mentre Milky mi leccava per cercare di alleviare il dolore e mia madre che tentava di capire che cosa avessi, ma ricevette come risposta soltanto dei mugolii. Oltretutto il mio cellulare era un continuo squillare, tra chiamate senza risposte e messaggini di ogni genere. Davide mi aveva cercato tutto il giorno, scrivendomi SMS smielati in cui mi chiedeva scusa e lasciandomi messaggi nella segreteria telefonica, implorando, disperato il mio perdono.
Nonostante avessi cercato di rimanere impassibile e ignorarlo completamente, la sua tenerezza e quella sua assiduità mi avevano addolcito il cuore. Non riuscivo ad essere in collera con lui, così, gli avrei parlato, avremmo chiarito e avrei messo una pietra sopra al suo comportamento.
Appena la campanella suonò per l'intervallo, mi alzai di scatto dalla sedia e non ascoltai nemmeno Benedetta che cercò di fermarmi. Dovevo assolutamente vedere Davide, poi avrei pensato alla mia migliore amica. Approfittai della porta anti incendio aperta dalla bidella, accanita fumatrice, per andare sul retro della scuola, davanti al campo di calcio. Speravo di trovarlo lì, dove mi aveva dato appuntamento il sabato, che mi aspettava. Prima di svoltare l'angolo, sentii delle voci, una delle quali una era quella di Saronno. Mi appoggiai al muro, sorridente, e origliai quello che si stava dicendo con il suo amico.
«Sabato ho litigato» sbuffò Saronno.
«Con la nuova tipa?»
«Sì» rispose scocciato «Quell'orribile manico di scopa»
Orribile manico di scopa?!
Smisi di sorridere, quella parola fu come una pugnalata al cuore.
«E come mai?» chiese nuovamente l'amico.
«Ma perché è una sfigata!» ridacchiò «Tutto ieri ho cercato di chiamarla, ma fa la preziosa. Non voglio perdermi la scopata di San Valentino, cazzo!»
Ogni risposta che usciva dalla bocca di Davide era come un proiettile che si conficcava dritto nel cuore. Piano piano, l'immagine del ragazzo perfetto che avevo sempre creduto che fesso, si disintegrò, lasciando spazio alla vera natura di quello stronzo di Saronno.
«Cavoli, stava andando tutto liscio ed è pure più boccalona delle altre. Pendeva dalle mie labbra»
«Hai usato ancora la scusa del papà morto?» sghignazzò l'amico.
«Sì, con tanto di lacrima!» scoppiò a ridere «Da quando i miei hanno divorziato, questa storia acchiappa più fighe di Leonardo Sogno!»
Mi aveva anche mentito sulla morte del padre ed io c'ero cascata con tutte le scarpe, troppo eccitata all'idea di avere un fidanzato per accorgermi della trappola che mi aveva teso Saronno.
«Ora cosa farai?»
«Credo che andrò a trovarla, farò il cucciolone e la scopata è assicurata» ridacchiò «E ti porterò pure il lenzuolo, amico»
Ci fu un attimo di silenzio, prima che Saronno esultasse, nemmeno l'Italia avesse vinto i mondiali.
«È vergine!»
«Togo!» esclamò l'altro, eccitato «Sfondala!» sbraitò poi, scoppiando a ridere insieme a Davide.
Dario aveva dannatamente ragione ed io non gli avevo dato ascolto, anzi lo avevo allontanato perché aveva cercato di mettermi in guardia da uno come Davide. Ero una stupida! Per stare con quel bastardo di Davide, avevo rinunciato al mio Dario.
Serrai i pugni e cercai di controllare la rabbia e l'amarezza crescente. Venni allo scoperto e fulminai Davide con lo sguardo. I due, appena mi videro, smisero di ridere e Saronno fece un passo verso di me.
«Chi è questa?» domandò l'amico pancione di Saronno.
«L'orribile manico di scopa» risposi con voce tremante «O la sfigata che dovevi sfondare!»
Davide sbarrò gli occhi, vedendo sfumare nella sua mente la sua tanto sospirata scopata di San Valentino.
«A-Alice, posso spiegare!» trillò, avvicinandosi a me a stringendomi le spalle.
Lo spinsi via, senza delicatezza, con tutta la rabbia che avevo in corpo, facendolo barcollare all'indietro.
«Non c'è nulla da spiegare, Davide!» sbraitai «Sei stato abbastanza chiaro con il tuo amico!»
«Non è come credi, Cappuccina!» esclamò, sfoderando il viso dolce da cucciolone che mi aveva abbindolata.
«È inutile che cerchi di arrampicarti sugli specchi, Saronno!» urlai «Credevo davvero che tu provassi qualcosa per me e ho anche perso una persona importante per colpa tua!» e senza accorgermene, delle lacrime cominciarono a solcarmi il viso, mentre Davide mi guardava con gli occhi sgranati e boccheggiava «Lui diceva che non avrei dovuto fidarmi di uno come te, che era impossibile che ti fossi accorto di me così all'improvviso. Ma non gli ho dato ascolto, ho seguito il mio istinto e sono caduta come una stupida tra le tue braccia!» tirai su con il naso e mi asciugai le guance con le maniche della felpa «Mi hai mentito, mi hai ingannata e se non ti avessi sentito con le mie orecchie, sarei caduta anche nel tuo letto»
Davide scosse la testa e si avvicinò nuovamente a me, accarezzandomi la guancia.
«Alice, io provo davvero qualcosa per te. Ho detto quelle cose, così, per dire»
«Sei ridicolo, Saronno» sorrisi amaramente «E anche uno stronzo»
Afferrai con decisione il suo polso e allontanai la sua mano sporca dalla mia pelle. Lo guardai negli occhi e quei suoi occhi avevano perso la loro brillantezza e la loro precedente magia. Presi un respiro profondo, prima di schioccargli un sonoro ceffone sulla guancia.
«Cercatene un'altra da sfondare!» ringhiai.
Era iniziato tutto per una innocente, seppur stupida, bugia, solo perché non volevo essere diversa da tutte le mie compagne. Quando avevo mentito su Edoardo, lo avevo fatto con tenera ingenuità, senza riflettere, senza immaginarmi le conseguenze. In poco tempo ed inaspettatamente, tutto il mio meraviglioso mondo fanciullesco era stato sconvolto e distrutto, ero stata catapultata in un altro universo troppo complesso e contorto per una ragazzina inesperta come me. Non ero riuscita a gestire le mie emozioni, aveva agito secondo il mio istinto, senza fermarmi mai a riflettere su quello che mi accadeva intorno, su chi mi stava intorno, senza accorgermi di aver allontanato da me la persona più importante. Lo capii solo in quel momento, quando Davide si era rivelato per quello che era, strappandomi il cuore dal petto e calpestandolo senza riguardo.


Cuori, cuoricini, cioccolatini, mazzi di fiori e frasi romantiche strappalacrime. Quello era San Valentino, una stupida ed inutile festa, talmente zuccherosa da far venire le carie. Erano tutti eccitati, perfino mia madre che dopo anni aveva cominciato a festeggiarla di nuovo con il suo nuovo fidanzato. L'unica che non era in fibrillazione era la sottoscritta. Pensavo che quella fosse stata la volta buona che anche Alice Livraghi avesse festeggiato San Valentino, invece avrei rivisto lo stesso film degli anni precedenti, solo più drammatico. Sarei rimasta nella mia stanza, mentre il mondo celebrava il suo amore, sdraiata sul letto a rimuginare su tutto quello che era successo, su Dario e quel pezzo di cacca ambulante di nome Davide. Solo a pensare il suo nome, mi riempivo di rabbia e le lacrime cominciavano a spingere agli angoli degli occhi.
Bussarono delicatamente alla porta, così alzai il cuscino dal viso per guardare chi stesse disturbando quel mio momento di sconforto.
«Avanti» biascicai, asciugandomi rapida una lacrima ribelle.
La porta si aprì leggermente e il viso di mio fratello fece capolino. Aveva i capelli pettinati elegantemente e un sorriso raggiante che lo rendeva stranamente bello.
«Volevo solo avvisarti che sto andando a prendere Claudia» mi disse ed io annuii, nascondendo poi il volto ancora sotto il cuscino.
«Dovresti cominciare a prepararti» esclamò «Non vorrai farti trovare in pigiama dal tuo cavaliere!»
«Quale cavaliere?!» domandai con voce ovattata.
«Il bellimbusto sexy dagli occhi magnetici!» rispose sarcastico, ridacchiando.
«Ah» dissi senza entusiasmo «Tranquillo, non c'è pericolo che mi veda in pigiama»
Ci furono alcuni secondi di silenzio e per un attimo pensai che Raffaele se ne fosse andato. Scostai il cuscino, vedendo che Smell mi guardava dubbioso con la fronte corrugata.
«Cosa stai dicendo, Alice?!»
«Non vengo alla festa» ammisi sbuffando, mettendomi a sedere.
«E perché, scusa?»
«Non ho nessun cavaliere che mi accompagni» risposi, inghiottendo un magone « Il bellimbusto sexy dagli occhi magnetici ed io ci siamo lasciati»
«Oh» soffiò Raffaele, avvicinandosi e sedendosi accanto a me «Mi dispiace» aggiunse mortificato, stringendomi a lui e baciandomi tra i capelli. Fu la prima volta che lui fosse così dolce con me, così fraterno.
«Anche a me» mormorai «Però tu divertiti alla festa, mi raccomando!» esclamai, sistemandogli la giacca nera «E dì a Claudia e Benedetta che mi dispiace non essere lì con loro»
Raffaele annuì e mi sorrise, dandomi un altro bacio sulla fronte.
«Allora io vado» disse, alzandosi e indicando la porta.
Lo salutai con un cenno della mano e lui uscì dalla mia stanza. Rimasi a fissare la porta chiusa e lo sguardo malizioso di Sogno. Sicuramente anche lui, in quel momento, stava festeggiando San Valentino con qualcuno, così come la maggior parte del mondo. Sospirai e mi alzai dal letto, avvicinandomi all'armadio. Lo aprii ed afferrai la gruccia al quale era appeso l'abito che avrei dovuto indossare quella sera, rimanendo estasiata per quanto fosse bello. A renderlo ancor più meraviglioso era il fatto che me lo avesse regalato Dario, che legati a quell'abito c'erano gli splendidi ricordi di quella giornata milanese.
Staccai con delicatezza il cartellino del prezzo che ancora ciondolava e mi posizionai davanti all'enorme specchio sull'anta dell'armadio, appoggiando il vestito sul mio corpo. Rimasi a fissarmi a lungo, ondeggiando la gonna e immaginando di essere a quella festa insieme alle mie amiche, insieme a Dario. Sospirai e per un attimo volli veramente illudermi che sarei andata al ballo della mia scuola. Mi spogliai rapidamente e indossai il mio abito, piazzandomi poi davanti allo specchio per guardarmi da ogni angolatura. Ogni tanto mi concedevo un briciolo di vanità. Ero senza trucco, con i capelli ancora scompigliati e gli occhi gonfi, eppure mi sentivo lo stesso bella.
Suonarono al citofono e sentii le scarpe eleganti di mia madre ticchettare. Il suo fidanzato era arrivato, pronto a regalare alla mia mamma una serata romantica. Sorrisi, pensando a quanto potesse essere felice lei che, dopo tanto tempo, aveva trovato un uomo che l'amasse. Mi guardai di nuovo allo specchio e sospirai.
«Buon San Valentino, Alice» dissi.











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*Si nasconde per evitare di essere pestata a sangue*
Purtroppo, mie care, Dario, in questo capitolo, non c'è stato e la sua mancanza si sente. Forse per la sua assenza questo capitolo che la mia mente ha sfornato non è il massimo. Non sono molto soddisfatta di questo scritto, ma pazienza.
Cosa dire? Alla fine aveva ragione Dario e molte di voi. Davide si è rivelato essere il classico stronzo della situazione. E non è uno stronzo qualsiasi, ma un enorme bastardo! Poco sensibile, bugiardo, interessato solo al sesso e arrampicatore di specchi per hobby :D Devo ammetterlo, mi dispiace averlo reso così cattivo. Cominciavo seriamente ad affezionarmi alla dolcezza di Saronno, ma, causa trama, lui doveva essere lo stronzo per eccellenza. Povero! Tanto a lui ci penserà la mia Lover, vero?! xD
Alice, ovviamente, c'è rimasta molto, molto male. Credeva di aver trovato una persona che potesse amarla e invece ha avuto la prima batosta dall'amore. Si è addirittura fidata di lui, dicendogli la verità su Dario e si è sentita umiliata quando le ha riso in faccia. È anche vero, però, che lei non riesce a smettere di pensare a Dario e quando Davide ha tolto la maschera dell'angioletto, ha capito di aver sbagliato ad allontanarlo, che la persona importante non era Saronno, ma il nostro gigolò. Ma ormai la frittata è fatta, quindi passerà la festa degli innamorati a casa, come al solito, mentre tutti festeggieranno.
E the last but not the least, il nostro caro Leonardo Sogno ha fatto una piccolissima apparizione. Per chi si stesse chiedendo chi è Leonardo Sogno, beh, ve lo mostro (attenzione alle coronarie):

Leonardo Sogno.

E se vi stesse ancora chiedendo chi è (a parte chi l'ha letta), è il protagonista della storia Come in un Sogno, long-fic scritta da me e dalla mia amata Lover, IoNarrante.
Vi ringrazio veramente di cuore per il sostegno e l'affetto che mi state dimostrando :') Sono davvero felice che vi piaccia la mia storia.
Ringrazio tutti quelli che hanno messo al storia tra le seguite/ricordate/preferite, chi ha recensito la storia (siamo a 103 *-* e mi dispiace se non ho ancora risposto, provvederò al più presto) e anche chi legge solamente (2274 visite *-*).
Passiamo ora alla pubblicità:
Come in un Sogno, storia scritta a quattro mani con IoNarrante.
You're a mistake I'm willing to take, scritta con IoNarrante, che ha come protagonisti Sole e Dario.
Profilo Facebook dove troverete immagini, spoiler e novità riguardo alle mie storie.
Gruppo Facebook, gestito da me e dalla mia Lover ♥

Grazie ancora a tutti, un bacione a tutti
Manu ♥


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Capitolo 15
*** In un giorno qualunque ***


C a p i t o l o 14
In un giorno qualunque


«Alice!» urlò mia madre dal salotto «Vieni un attimo»
Sbuffai e scossi la testa. Non avevo la benché minima voglia di incontrare il nuovo boyfriend di mia madre. Certo, prima o poi avrei dovuto conoscere l'uomo che stava rendendo felice la mia mamma, ma quello non mi sembrava il momento più adatto. Non volevo farmi vedere da loro così triste ed abbattuta, avrei rovinato la loro serata romantica. Però, sfortuna per me, non potevo fingere di non essere in casa, visto che non mi ero mossa dalla mia camera da quando ero tornata a casa da scuola.
«Allora Alice, sbrigati!» mi incitò mia madre stizzita.
«Arrivo» borbottai.
Mi guardai per l'ennesima volta allo specchio e mi sistemai i capelli rapidamente, almeno per non sembrare il pazzo di Psycho. Indossai le mie pantofole rosa, che si abbinavano perfettamente al mio abito e uscii dalla mia stanza sfoderando il sorriso più finto e più tirato che riuscissi a fare. Dovevo essere cortese con il fidanzato di mia madre. Già mi presentavo in ciabatte e con gli occhi gonfi. Se poi mi mostravo affranta avrebbe pensato che fossi una depressa incallita.
«Buonasera!» trillai, entrando in salotto e sventolando la mano come una scema.
Appena incontrai nuovamente i suoi occhi, smisi di sorridere e boccheggiai, mentre il cuore cominciò a galoppare irregolarmente nel petto come se volesse schizzare fuori. Mi sembrava impossibile averlo lì, davanti a me e ormai avevo perso qualsiasi speranza di potermi perdere nuovamente nei suoi occhi. Magari era solo una stupida illusione creata dalla mia mente, magari quello era realmente il fidanzato di mia madre. Il mio cervello ormai creava immagini inesistenti, sovrapponeva ricordi, confondendomi. Strizzai gli occhi, scrollando la testa, come per allontanare quella illusione ottica, ma quando riaprii gli occhi lui era ancora lì, con le mani nelle tasche dei jeans e una camicia blu, che accennava un sorriso. D'improvviso, quando realizzai che lui non era solo frutto della mia immaginazione, mi sentii stranamente felice e lacrime di gioia mi riempirono gli occhi.
«Vi lascio soli» disse mia madre, avvicinandosi a me «Vado a darmi una sistematina al trucco» aggiunse, uscendo dal salotto.
Ci fu un istante di silenzio, in cui ci guardammo intensamente senza riuscire a dire nemmeno un semplice
Ciao. Dario si morse il labbro inferiore, poi sorrise, facendo qualche passo verso di me.
«Sei» esitò, guardandomi con quegli occhi liquidi e lucenti «Sei bellissima»
Arrossii violentemente e, imbarazzata, mi sistemai una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Non lo pensi davvero» mormorai, guardandomi le pantofole.
«No, Alice, dico sul serio» disse, avvicinandosi a me e accarezzandomi le braccia «Sei stupenda»
«Sono spettinata, senza trucco» mi lamentai, senza avere il coraggio di alzare gli occhi da terra.
Dario mi accarezzò delicatamente il viso, facendo scivolare la mano sotto il mento e sollevando il mio viso per far combaciare i nostri sguardi. Il mio cuore guizzò quando incontrai le sue iridi, mi sentii avvampare come se fosse la prima volta, se fosse ancora il nostro primo incontro.
«Non importa! Sei perfetta così, senza trucco e con i capelli scompigliati» mi sorrise e in quel momento mi domandai come avrei potuto essere felice senza di lui al mio fianco, senza sentire la sua risata e senza la sua presunzione.
Ricambiai il suo sorriso, poi gli strinsi il polso e lo attirai verso di me, tra le mie braccia, stringendolo forte per sentire il calore del suo corpo, per drogarmi ancora con il suo piacevole odore. Dario ricambiò il mio abbraccio, cingendomi i fianchi e accarezzandomi dolcemente la schiena. Con quell'addio avevo temuto di averlo perduto per sempre, che non ci sarebbero più stati quegli sguardi tra di noi, quei dolcissimi abbracci. E invece quell'unica e triste parola aveva rafforzato il legame speciale che si era creato tra di noi, un legame che non sapevo come definire, che non aveva nome. Era solo qualcosa di estremamente intenso, qualcosa che cresceva incontrollabilmente, qualcosa che ardeva dentro di noi più del fuoco.
Saremmo rimasti così per sempre, persi uno tra le braccia dell'altra, se il citofono non avesse interrotto con il suo suono assordante quel momento magico tra di noi. Ci allontanammo, quando mia madre si precipitò in salotto e acchiappò velocemente la sua giacca.
«Divertitevi stasera» si raccomandò con un sorriso «E portamela a casa ad un orario decente, questa volta!» minacciò Dario con un dito, prima di scoppiare a ridere e chiudersi la porta alle spalle.
«Simpatica tua madre» commentò «Anche molto attraente» aggiunse, con aria sognante.
«Dario!» esclamai indignata, facendolo scoppiare a ridere.
«Che c'è! È una bella donna!» ribatté con sguardo malizioso e, istintivamente, provai gelosia per i complimenti che stava riservando a mia madre.
Incrociai le braccia e tamburellai la pantofola sul pavimento, infastidita. Dario si avvicinò a me e mi accarezzò una guancia con il dorso della mano, sfiorando poi le mie labbra con le sue.
«Mai quanto te, però» sussurrò, solleticandomi il viso con il suo fiato.
«Smettila di scherzare» ridacchiai, spingendolo via e fuggendo dal suo sguardo sensuale.
Lui sorrise intimidito e si morse il labbro inferiore, puntando le sue iridi color della notte verso il pavimento. Ancora una volta un manto di silenzio ed imbarazzo calò pesantemente in quella stanza. Dario alzò lo sguardo verso di me e deglutì, prima di sorridere timidamente.
«Chissà cosa dirà Davide quando ti vedrà. Rimarrà abbagliato» mormorò, passandosi una mano tra i capelli.
«Perché sei venuto?» domandai, ignorando completamente il suo commento su Saronno.
«Beh, io...» esitò imbarazzato, deglutendo più volte «Senti Alice» riprese con più decisione, afferrandomi le spalle e immergendo i suoi occhi nei miei «non devi andare con quel ragazzo. Lui vorrà solo portarti a letto, divertirsi e poi si dimenticherà di te come ha fatto con le altre»
Abbassai lo sguardo e sorrisi amaramente nel sentire quelle parole che erano la dolorosa verità. Dario mi strinse delicatamente le guance e mi costrinse a guardarlo in quegli occhi profondi in cui perdersi.
«Ti chiedo solo di fidarti di me» mormorò, sorridendo dolcemente.
«Dario» sospirai, stringendo le sue mani nelle mie e scuotendo la testa.
Lui sembrò travisare la mia espressione e contrasse la mascella, socchiudendo gli occhi come se stesse immaginando di avere Davide davanti agli occhi e di prenderlo a mazzate.
«Alice, ti prego! So che tieni a lui, ma...» cominciò, ma subito lo interruppi, sorridendo.
«Avevi ragione» dissi solamente, mordendomi le labbra per non scoppiare in un pianto isterico «Era solo uno stronzo e avrei dovuto darti ascolto. Invece ti ho allontanato da me, ho rinunciato a te per stare con lui, come una stupida e solo dopo che ti ho perso ho veramente capito che avevo sbagliato. Ma non potevo più tornare indietro...» parlavo, senza nemmeno sapere realmente che cosa stessi dicendo, se quello che usciva dalle mie labbra aveva un senso o meno. Dario mi poggiò il dito sulle labbra, zittendomi e mi baciò la fronte, stringendomi poi a lui.
«E invece non mi hai perso» mormorò «Sono qui con te»
Ricambiai il suo abbraccio, stringendo forte la sua camicia ed affondai il viso nella sua camicia, riempiendomi i polmoni del suo odore che era come ossigeno per me.
«Vogliamo andare a quella festa, eh, Cenerentola?» domandò.
«Così?!» chiesi stizzita, allontanandomi da lui ed indicandomi.
«E come sennò?! In pigiama?» ridacchiò «Magari mettiti un paio di scarpe. Le pantofole non si abbinano all'abito»
«Intendevo spettinata e senza trucco» ribattei scocciata.
«Te l'ho già detto! Non hai bisogno né di fondo tinta, né di altre diavolerie cosmetiche» rispose sincero.
«Vado a mettermi le scarpe e arrivo!» sospirai, arresa.
Mi fiondai in camera e, prima di finire di prepararmi, mi diedi un'ultima occhiata allo specchio. Avrei dovuto essere agitata, impaurita di andare a quella festa con gli occhi di Davide puntati unicamente su di me e la sua risata di scherno nei miei confronti, con la possibilità che la mia bugia venisse smascherata. Invece ero tranquilla, ero felice e questo solo perché avevo Dario accanto a me.


Presi un respiro profondo e strinsi forte la mano di Dario, scambiandomi uno sguardo complice e un sorriso con lui, prima di fermarmi davanti alla porta dell'enorme palestra dal quale proveniva una musica assordante e schiamazzi divertiti.
«Siete qui per la festa?» domandò la Scaramella, seduta dietro un banchetto a fare da supervisore. Ottimo modo per passare una serata. Forse sarebbe stato meglio starsene a casa da soli piuttosto che dietro ad un banco a girarsi i pollici mentre gli altri si divertivano.
«Esatto!» rispose Dario, sorridendo.
Camilla si sistemò gli occhiali dalle spesse lenti sul naso e intinse il timbro nell'inchiostro rosso. Istintivamente, allungammo le mani e la Scaramella ci marchiò con un piccolo cuore scarlatto.
«Buon divertimento!» esclamò «Ma soprattutto buon San Valentino!»
Ringraziammo e appendemmo i cappotti agli appendini, poi entrammo nella palestra e le nostre orecchie vennero investite all'istante da musica da discoteca e le parole senza senso di un Deejay strampalato che si agitava su un palchetto. La sala era gremita di persone che si scatenavano quasi fossero impazziti, mentre alcuni pomiciavano in ogni angolo di quel posto. Addossati alle pareti c'erano tavoli imbanditi con ogni sorta di stuzzichino e bevande di qualsiasi tipo.
«Si son dati da fare per questa festa» commentò incredulo Dario, alzando la voce per sovrastare il volume della musica «Cerchiamo i tuoi amici?» domandò poi.
«In mezzo a tutta questa gente?!» ribattei «È impossibile trovarli»
«Allora che si fa? Stiamo qui imbambolati come delle belle statuine o ci buttiamo in pista?» propose con un sorriso sghembo «Oppure preferisci starcene in disparte a slinguazzare?» domandò, guardandomi malizioso e spingendomi verso di lui.
Mi accarezzò i capelli, scivolando verso la mia guancia, mentre si mordeva sensualmente le labbra. Abbassò il viso, andando a lambire la pelle del mio collo, baciandola delicatamente e facendomi rabbrividire.
«Voto per la prima ipotesi. Ce ne stiamo qui, fermi e aspettiamo che accada qualcosa» ridacchiai, senza però divincolarmi dalla sua stretta.
«E cosa dovrebbe succedere?» domandò con tono confuso, solleticando la mia pelle con il suo respiro caldo «Irrompe un serial killer con un machete e fa una strage?»
«Spero proprio di no!» esclamai divertita.
«Beh, visto che non succederà nulla di eclatante» esordì, abbandonando il mio collo e affondando le sue iridi nelle mie «Che ne dici di scaldare la serata con un piccolo» e mi strinse maggiormente a lui, strusciando il suo bacino contro il mio «Ed innocente» si avvicinò alle mie labbra con le sue «bacio»
Chiusi gli occhi e mi alzai sulle punte, deglutendo a vuoto, vogliosa di sentire ed assaporare nuovamente le sue labbra vellutate.
«Che ne dici di scaldare la serata con un piccolo ed innocente calcio nei coglioni, eh?!» ringhiò una voce alle mie spalle.
Mi voltai di scatto, fulminando con lo sguardo quel deficiente di Smell che, per l'ennesima volta, aveva interrotto qualcosa di magico con un ragazzo. Prima faceva tutto il tenerone, accarezzandomi e baciandomi perché non avevo il cavaliere, dopo tornava il gelosone decerebrato di sempre.
«Si può sapere che vuoi, Smell?!» sbottai.
Raffaele mi ignorò completamente e si fiondò su Dario, guardandolo truce e puntandogli un salsiccione contro.
«Tieni giù le mani dalla mia sorellina» sibilò «So che cosa avete fatto la notte scorsa. A quanto pare, non è stata sufficiente una volta e sei tornato sui tuoi passi»
«La no-notte scorsa?» tentennò Dario, lanciandomi sguardi che chiedevano aiuto silenziosamente.
«Hai osato sfiorare Alice e ora stai giocando con i suoi sentimenti. La prendi, la lasci, poi torni da lei perché sai bene che cadrà sempre tra le tue braccia» ringhiò.
«Senti amico» tentò di dire, ma mio fratello lo interruppe all'istante.
«Non chiamarmi amico. Io non voglio avere nulla a che fare con uno come te»
«D'accordo, sua maestà» rispose ironico Dario «Non sto giocando con i sentimenti di nessuno, non lo farei mai» aggiunse, incupendosi.
«Ah no?! L'hai lasciata e tu non immagini nemmeno la sofferenza di mia sorella, rinchiusa nella sua stanza a piangere per un bastardo come te»
Dario boccheggiò e deglutì varie volte, mentre il suo sguardo si muoveva veloce da me a mio fratello che continuava a trucidarlo con gli occhi. Raffaele si era fatto accecare dall'ira e dalla gelosia, stava parlando a sproposito, senza nemmeno sapere come erano andate esattamente le cose. Era certo, però, che non potessi dirgli la verità. Se avesse scoperto che Dario era un gigolò lo avrebbe strangolato con le sue stesse mani. Era anche vero, però, che l'addio di Dario era stato molto più doloroso dello scoprire la vera natura di Saronno e che le lacrime che avevo versato erano quasi tutte per il gigolò.
Cercai lo sguardo di Dario che era diventato sfuggente, cupo e si stava torturando il labbro inferiore perché in soggezione davanti al dito ciccione di mio fratello. Avrei dovuto intervenire, dire a Raffaele di tacere e farsi gli affari suoi, ma era tremendamente a disagio di fronte a quella situazione e qualsiasi mio tentativo di parlare si risolveva solo in stupidi sospiri.
«Dai Raffaele, smettila di fare il geloso!» esclamò la voce di Claudia, che, probabilmente, aveva ascoltato tutto il discorso, nonostante non mi fossi minimamente accorta della sua presenza «È il suo ragazzo! È normale che due fidanzati litighino e che facciano pace dopo poco tempo» aggiunse melensa, prendendo mio fratello sotto braccio.
«Ma...» tentò di obiettare Smell.
«Niente ma! Fatti gli affari tuoi e lascia che si divertano!» sbottò indispettita.
Grazie al cielo che era intervenuta, che era accorsa in nostro aiuto mettendo a tacere quel demente di mio fratello.
«Che bello averti qui!» esclamò Claudia, rivolgendosi a me «Credevo che non saresti venuta. E invece il tuo principe azzurro è venuta a prenderti con il suo cavallo bianco» aggiunse, ammiccando verso Dario. Allungò la mano e sorrise «Claudia, una delle migliori amiche di Alice»
«Dar... ehm, Edoardo!» si presentò, stringendole la mano.
La mia amica guardò il mio
“fidanzato” con sospetto e per un attimo temetti che avesse capito che Edoardo non era il suo vero nome e che smascherasse la mia messa in scena. Fortunatamente, però, scrollò le spalle e mi rivolse un sorriso.
«Vieni con me!» esclamò, iniziando a camminare tra la folla «Benedetta c'è rimasta male quando ha saputo che non saresti venuta. Sarà felicissima quando ti vedrà!»
Strinsi la mano di Dario e seguii Claudia, immergendomi in quel marasma di gente che si dimenava in goffi passi di danza. Ci fermammo vicino al palchetto sul quale si agitava il Deejay strampalato, di fronte al quale erano impalati a tenersi per mano e scambiarsi effusioni Benedetta e Federico. Appena la mia migliore amica mi vide, sorrise raggiante quasi avesse visto il suo idolo e mi corse incontro, abbracciandomi talmente forte che credetti volesse stritolarmi.
«Alice!» trillò «Raffaele mi aveva detto che non saresti venuta, che avevi litigato con il tuo ragazzo!»
«In teoria sarei dovuta rimanere a casa» risposi con un sorriso tirato.
«Ma Edoardo è tornato a chiederti scusa» disse maliziosa, facendo un occhiolino a Dario «Guardatevi come siete belli!» esclamò poi, stringendo la mano del suo ragazzo «Non credi anche tu che siano perfetti insieme? Sprizzano amore da tutti i pori!»
Avvampai improvvisamente e sorrisi imbarazzata. Era strano sentire la parola
amore accostata a me e a Dario, ma, se prima mi sarei scandalizzata nell'udire una cosa del genere, in quel momento mi sentivo solo felice. Sarebbe stato inutile continuare a mentire, continuare a nascondere ciò che sentivo per lui, anche se in realtà ancora non sapevo se si trattasse di puro amore o di una semplice infatuazione. Ormai quello strano sentimento era esploso e non potevo più contenerlo, anche se mi impauriva dovergli confessare quello che sentivo nei suoi confronti, temevo di essere respinta, che lui non provasse lo stesso e di rimanere scottata da un suo rifiuto. Come al solito, mi ritrovai davanti ad un bivio. Una via mi avrebbe costretta a dirgli la verità con la possibilità di avere il cuore infranto; l'altra diceva di tacere, di tenermi tutto dentro e di lasciarlo andare. In qualsiasi caso mi sarei ritrovata con il cuore in pezzi, tanto valeva confidargli i miei sentimenti e sperare che lui sentisse lo stesso per me.
Devi dirglielo Alice! Fatti coraggio e parla!
Continuavo a ripetermi quelle parole, mentre Germa non accennava a smettere di parlare prima con Federico, poi con Claudia e anche con Dario, che continuava ad annuire, ovviamente senza ascoltare nulla di quello che gli diceva Benedetta, con un sorriso tirato e falso come le tette della Anderson. Il suo sguardo sfuggiva e il suo viso era cupo, nonostante cercasse di apparire tranquillo. Qualcosa lo stava tormentando, ne ero sicura e i pensieri che lo opprimevano erano scaturiti dalle parole di Raffaele.
«Io e Dario andiamo a prendere qualcosa da bere!» esclamai all'improvviso, afferrando il braccio mio finto fidanzato.
«Chi è Dario?!» domandò perplessa Benedetta e solo in quel momento realizzai da aver sbagliato nome. Boccheggiai e sorrisi nervosamente.
«Dario chi?!» ripetei, facendo la finta tonta «Ho detto Edoardo. Avrai sicuramente capito male, con questa musica alta»
Le sorrisi un'ultima volta, prima che lei obiettasse e trascinai Dario lontano da lì, fermandomi davanti al banchetto dei viveri. Lui afferrò subito un bicchiere di plastica rossa e si versò una strana bevanda, che sembrava succo di frutta, contenuto in una brocca trasparente. Bevve tutto d'un fiato, pulendosi poi la bocca con il dorso della mano e sbattendo il bicchiere sul tavolo.
«Che cosa c'è Dario?» gli domandai, sfiorandogli la mano che subito ritrasse.
«Nulla» rispose brusco, respirando a fondo.
Era nervoso, visibilmente teso e continuava a mordersi il labbro inferiore.
«È per quello che ha detto Raffaele?» domandai.
Dario scosse la testa, senza rispondermi, mentre la palestra veniva invasa dalla voce di Puff Daddy e dalle note di
I'll be missing you.
«Non devi prendertela! È solo un deficiente che parla troppo» ripresi, sorridendo e cercando di prendergli ancora la mano, ma lui scansò la mia con un gesto secco.
Perché dirgli quello che provavo? Il suo copro parlava da solo e non c'era bisogno di parole. Lui non provava nulla per me, ero sempre stata solo la ragazzina stupida che lo aveva chiamato per fingere di essere il suo ragazzo, la ragazzina con cui trastullarsi di tanto in tanto. Mi morsi le labbra e serrai i pugni, cercando di cacciare indietro il magone che mi si era creato.
«Scusami Alice» disse mortificato «Non volevo essere così duro»
Mi afferrò per il braccio e mi trascinò verso di lui, tra le sua braccia. I suoi sbalzi di umore erano così repentini che mi confondevano sempre di più. Non riuscivo a capire se lui era coinvolto quanto me o se, invece, per lui non contavo nulla.
«È che continua a venirmi in mente Sole» confessò, affondando la mano tra i miei capelli e ondeggiando al ritmo di musica.
Era già la seconda volta che nominava questa ragazza e non riuscivo a capire chi fosse e che cosa centrasse con noi. Avrei dovuto essere gelosa di lei, che molto probabilmente era molto più bella ed interessante di me. Molto probabilmente era la ragazza di cui era innamorato e io mi stavo solo illudendo di poterlo amare.
«È-è la tua ragazza?» domandai, con voce tremante.
«No» ridacchiò.
«È la ragazza che ti piace?»
«È solamente una ragazza speciale per me» sospirò «È stata la mia migliore amica, la sorella che non ho mai avuto e il mio primo vero amore. L'unica che mi abbia veramente capito e l'unica che mi abbia veramente amato»
«Ne sei ancora innamorato?» chiesi, mentre il cuore stava per esplodermi nel petto.
«Sì» rispose dopo un lungo silenzio e il mondo mi crollò addosso in quell'istante «Quello che c'è stato tra di noi e che ci sarà per sempre non potrà mai essere cancellato, nemmeno il tempo è in grado di farlo. Nonostante ciò, però, ho voltato pagina e ho cominciato a scrivere nuovi capitoli della mia vita senza di lei. E le pagine bianche aspettano solo di essere riempite da un altro amore, magari anche più intenso e travolgente»
Alzai il viso, incontrando i suoi occhi profondi e il suo meraviglioso sorriso. Stavo letteralmente impazzendo, alternando momenti di pura felicità per una possibile storia con lui, ad altri in cui avrei voluto scoppiare a piangere perché non potevo averlo. In quell'istante ero al settimo cielo, sembrava quasi che potessi sfiorare il cielo con un dito. Mi alzai sulle punte, saldamente aggrappata alle sue spalle, desiderosa di baciarlo, desiderosa di lui. La voce di Puff Daddy sfumò e subito il ritmo di David Guetta con la sua
When love takes over invase la palestra. Tutti intorno a noi cominciarono a dimenarsi, alzando le braccia al cielo e battendo le mani a tempo con la musica, mentre noi due eravamo fermi, abbracciati, occhi negli occhi, con le labbra che quasi si sfioravano.
«Chi si vede» sogghignò una voce alle mie spalle «Alice con il suo gigolò»
Mi voltai di scatto trovandomi di fronte alle iridi cristalline di Saronno e il suo ghigno fastidioso.
«Come lo sa?» mi domandò Dario, nell'orecchio.
«Lui è Davide. Gli ho raccontato tutta la verità, fidandomi come una stupida di lui» risposi.
Il mio ex ragazzo si riempì un bicchiere e se lo portò alla bocca, sorseggiando la sua bevanda e squadrandoci da capo a piedi.
«Ti sei calato bene nella parte del fidanzatino, eh?» sibilò Saronno.
«Quando ho un incarico cerco di portarlo a termine nel migliore dei modi» rispose pacato Dario.
«E portare a termine vuol dire concludere la serata in una stanza di motel?!» lo provocò.
«Non sono stato chiamato per questo. Quindi questa serata si concluderà con un pagamento e tanti cari saluti»
«Non ne sarei tanto sicuro» ribatté, appoggiando il bicchiere sul tavolo «Siete così affiatati che, se non avessi saputo la verità, avrei pensato che foste fidanzati» ridacchiò «È come se vi conosceste da molto, molto tempo» tornò serio e puntò le sue iridi cerulee su di me.
«Cosa stai insinuando, Saronno?» domandai indispettita.
«Che lui non è un semplice gigolò per te. Che la ragazza con cui stavo non è la santarellina che vuole far credere di essere, ma è solo una puttana come tutte le altre»
Rapido, Dario afferrò Davide per la camicia e lo avvicinò a lui, guardandolo truce e pronto a prenderlo a pugni.
«Prova a ripeterlo, razza di pervertito»
Saronno sogghignò, per nulla intimorito dallo sguardo di Dario e dalla sua aggressività.
«Sarei io il pervertito?! Non tu che sei solo uno sporco gigolò che si diverte con le ragazzine?»
Dario contrasse la mascella furibondo e staccò una mano dalla camicia di Davide pronto a spaccargli la faccia con un cazzotto. Gli afferrai il braccio prima di far scoppiare una rissa e lo spinsi lontano da Saronno, interponendomi tra i due.
«Sai una cosa, Davide?!» sbottai esasperata «È vero, per me non è solo un semplice gigolò, ma qualcosa di più importante» ammisi e mi stupii di essere riuscita a dire una cosa del genere senza impappinarmi «E il giorno dopo un cui ti mi hai chiesto di essere la tua ragazza, lo abbiamo fatto. Ti ho tradito e non me ne pento!»
Il ghigno perennemente dipinto sul viso di Saronno si smorzò, sostituito da una faccia incredula da baccalà. Sorrisi soddisfatta e mi allontanai da lui con Dario sotto braccio, lasciandolo davanti a quel tavolo senza parole e con la faccia da scemo.
«Le pensavi davvero le cose che hai detto?» mi chiese, fermandosi d'improvviso in mezzo alla palestra.
«Cosa ho detto?» dissi, sorridendo.
«Che sono importante per te» mi ricordò.
Deglutii a vuote e sentii le guance prendere fuoco. Quello era il momento giusto per dirglielo, per confessare ciò che provavo per lui. Presi un respiro profondo e gli sorrisi, annegano per l'ennesima volta nei suoi occhi.
«Dario, io...» esitai ed ero pronta per aprirgli il mio cuore, ma tutto sembrava essere contro di me e contro il nostro sentimento quella sera.
«Eccoti finalmente!» esclamò Federico, avvicinandosi sorridente a me «Ti stavo cercano dappertutto»
«Cosa vuoi?» domandai distaccata ed indispettita.
«Volevo parlarti» ammise timidamente.
Avrei dovuto dirgli di no e cacciarlo via per godermi appieno il
mio Dario, ma non riuscivo a resistere ai suoi occhi da cucciolo e quel sorriso dolce. In fondo, gli volevo ancora bene, nonostante quello che mi aveva fatto. Mi scambiai uno sguardo con Dario che mi annuì teneramente, mentre Truly Madly Deeply incorniciava quel momento.
«Posso avere l'onore di questo ballo?» ridacchiò Federico.
Sospirai e sorrisi, accettando quell'invito. Abbate mi cinse i fianchi ed io ricambiai la sua stretta, lasciandomi trasportare da quella musica lenta.
«Cosa volevi dirmi?» chiesi.
Federico si umettò le labbra e abbassò lo sguardo.
«Volevo chiederti scusa» mormorò.
«Scu-scusa?» ripetei incredula e stupita.
«Sì. Mi sono comportato davvero male nei tuoi confronti» ammise con rammarico.
«Tu dici?!» dissi ironica, ridacchiando.
«Sono stato uno stupido, lo ammetto. Ti avevo ritrovata e invece di tenerti accanto a me ti ho allontanata» sospirò «Ma quando ho scoperto che eri fidanzata sono stato accecato dalla gelosia e non ho capito più nulla. So che magari adesso è troppo tardi, che anche se te lo dirò non cambierà nulla, ma voglio solo che tu lo sappia» esitò un attimo e mi sorrise «Tu mi sei sempre piaciuta Alice, da quando mi hai colpito con la palla durante educazione fisica»
«La prima volta che ci siamo parlati» ricordai, sorridendo.
«E la prima volta che mi sono accorto del tuo sorriso. Quando ti ho vista piegata su di me ho sentito il cuore palpitare e da allora sei entrata dentro di me, nel mio cuore e non ne sei più uscita»
«Federico» tentai di dire, ma lui mi zittì.
«Fammi finire, sennò mi dimenticherò quello che ho da dirti. Ho sempre provato qualcosa per te, ma non ho mai trovato il coraggio di confidartelo. Ho avuto paura di sentirmi dire di no, di trovarmi con il cuore spezzato, per cui ho preferito rimanere zitto. Che stupido» ridacchiò «Non avevo minimamente considerato il fatto che qualcun altro si sarebbe innamorato di te e che ti avrebbe portato via da me»
«Non ti avrei detto di no, se me lo avessi chiesto» gli confessai «Anche tu mi piacevi, ma ora amo un'altra persona»
Sorrisi, stupita di aver finalmente espresso i miei sentimenti, contenta di aver superato la paura che avevo nell'amare Dario.
«Lo so, purtroppo» soffiò lui «So che io adesso sono fidanzato con Benedetta. Lei mi piace e sto bene insieme a lei, ma nel mio cuore ci sei ancora tu. Quindi, nonostante tutto, credo che non smetterò mai di amarti»
Dopo quella inaspettata dichiarazione d'amore, rimasi spiazzata ed incredula e non riuscivo nemmeno ad aprire la bocca per dire qualcosa. Se avesse trovato prima il coraggio di dirmi quelle cose, in quel momento sarebbe stato lui il mio cavaliere e ringraziai il cielo che non l'avesse mai fatto, che il suo tacere mi avesse spinto a chiamare Dario.
Non dovevo assolutamente commettere lo stesso errore di Federico, dovevo parlare con Dario, infischiandomene della paura di un rifiuto.
Mi alzai sulle punte e diedi un delicato bacio sulla guancia a Federico, che mi sorrise dolcemente.
«Ora puoi tornare dal tuo principe azzurro» mi disse, indicando Dario che ascoltava senza interesse i discorsi sconclusionati di Benedetta.
«Grazie Fede!» gli dissi, stringendolo a me, prima i allontanarmi da lui e avvicinarmi al mio fidanzato.

Vedi, si rimane in piedi anche se tu non ci credi
Dimmi cosa vuoi sapere, cosa vuoi di questo amore

Salvai Dario dalle grinfie di Germa e gli circondai il collo con le braccia, mentre lui mi cinse i fianchi, accompagnandomi in una lenta e romantica danza sulle note di Marco Mengoni.
«Grazie» ridacchiò «Non avrei sopportato ancora a lungo la tua amica. Ma quanto parla?!»
«Troppo!» esclamai, scoppiando a ridere e la sua risata si unì subito alla mia.
«Come fai a sopportarla?»
«Tanta pazienza» risposi divertita «E tanto, tanto affetto»
Rimanemmo in silenzio e ci guardammo a lungo. Fui completamente inghiottita da quegli occhi di petrolio e la gente intorno a me sparì a poco a poco. C'eravamo solo io e lui in quel momento, in mezzo a quella pista, stretti in un abbraccio dal quale non volevo più liberarmi.

Anche se non respiro e non mi vedo più
in un giorno qualunque dove non ci sei tu
Anche se aspetto il giorno, quello che dico io
dove ogni tuo passo, si confonde col mio

Mai canzone fu più azzeccata per quel momento. Ormai non ero più in grado di immaginare la mia vita senza di lui, perché la mia vita era Dario.
«Allora, cosa voleva lo spilungone?» domandò con un sopracciglio abbassato.
«Nulla di particolare» risposi vaga.
«
Nah! Lui era troppo imbarazzato e tu sembravi molto felice» ribatté sospettoso «Avanti, che ti ha detto?»
«Si è dichiarato» confessai poi in un sospiro «Una dichiarazione d'amore romantica degna dei migliori film»
Dario s'incupì immediatamente e interruppe il nostro contatto visivo, puntando il suo sguardo lontano da me e lasciandosi scappare un
Oh stupito e poco felice. Non sapevo il perché di quella sua reazione, ero troppo contenta per accorgermi che c'era in Dario qualcosa che non andava.
«Vuoi sapere cosa gli ho detto?» chiesi, sorridendo maliziosa.
«Cosa» sospirò.
Affondai la mano tra i suoi capelli corvini e lo spinsi verso di me, verso quel bacio che stavo rincorrendo da tutta la sera. Sentire nuovamente le sue labbra, dopo che avevo rischiato i perderlo per sempre, mi fece palpitare irregolarmente il cuore e mi fece mancare il respiro.
Dario mi strinse maggiormente a sé, facendo aderire perfettamente i nostri corpi che combaciavano alla perfezione. Sentii le sue labbra dischiudersi sotto le mie e, subito, andai a cercare la sua lingua con la mia. Appena la sfiorai, un brivido percorsa la mia spina dorsale, espandendosi in ogni anfratto del mio corpo, facendomi fremere di piacere. Quel bacio non era paragonabile agli altri, era intriso di una travolgente passione e avvolta dalla consapevolezza dei miei sentimenti.
Le nostre lingue, come se fosse il loro primo incontro, si rincorrevano, si solleticavano e si esploravano l'un l'altra con tocchi lenti e sensuali. A poco a poco, la bocca di Dario si ritrasse da quel bacio, assaporando per un interminabile istante il mio labbro inferiore, per poi staccarsi definitivamente da me che ancora bramavo il suo sapore.


Perché tu sarai sempre il mio solo destino
posso soltanto amarti senza mai nessun freno

Gli sorrisi, felice come non ero mai stata prima di allora e mi morsi le labbra cercano in loro il gusto di quel bacio. Dario, però, non sembrava contento quanto me, anzi, era serio, cupo e continuava a deglutire, mentre i suoi occhi scappavano dai miei.
«Gli ho detto che c'è un'altra persona nel mio cuore» ammisi sorridendo, mentre il cuore mi rimbombava nelle orecchie e nelle tempie. Esitai un attimo e quando ritrovai finalmente i suoi occhi, decisi di aprirgli il mio cuore «Dario, io ti...»
Prima che terminassi la frase, lui poggiò delicatamente il dito indice sulle mie labbra e il suo sguardo sembrava quasi spento.
«Non dirlo, ti prego» mormorò.
«Non sai nemmeno cosa voglio dirti» ribattei.
«Invece sì. È per questo che ti ho fermata» rispose con un filo di voce «Ora scusa, ma devo andare»
Allentò la presa e si allontanò, lasciandomi da sola ed incredula in mezzo alla pista come una scema, mentre gli altri continuavano a ballare stretti l'un l'altra. Perché se ne stava andando? Cosa avevo fatto di male, se non cercare di confessargli il mio amore?
Cacciai indietro le lacrime e mi infilai tra la folla, spingendo chiunque si intromettesse tra me e Dario. Spalancai la porta della palestra e mio guardai intorno, mentre la Scaramella mi squadrava dubbiosa. Mi incamminai lungo il corridoio, con il ticchettio delle scarpe e il mio fiatone nelle orecchie, mentre gli occhi cominciavano ad annebbiarsi. Dovevo camminare in fretta, raggiungerlo e chiedergli spiegazioni prima di perderlo nuovamente, questa volta per sempre.
Uscii dalla scuola, incurante del freddo di Febbraio e imboccai il vialetto di terriccio che conduceva al parcheggio. Appena svoltai l'angolo lo vidi camminare spedito verso la sua macchina, con lo sguardo basso e i pugni serrati.
«Dario!» sbraitai e lui si fermò in mezzo alla strada, senza però voltarsi «Mi spieghi perché sei scappato così?!» domandai, con voce tremante.
«Perché è tutto sbagliato» rispose.
«Cosa vuoi dire?» chiesi dubbiosa ed incredula al tempo stesso.
«Non doveva andare così. Tu non dovevi innamorarti di me» disse con rammarico, voltandosi per guardarmi.
«Non mi pare che sia vietato» ribattei, sentendo il groppo che avevo in gola farsi sempre più opprimente.
«Alice» soffiò avvicinandosi e me e stringendomi le spalle «Non potrà mai funzionare tra di noi»
«Che cosa te lo fa pensare?!» domandai, sentendo che le lacrime spingevano furibonde per uscire.
«Sono un gigolò, mi sembra che come spiegazione sia più che sufficiente» rispose «Uno come me non ti merita»
«Mi stai allontanando con una scusa più vecchia di mia nonna» sbottai, asciugandomi le guance da alcune lacrime ribelli.
«Non è una scusa, Alice! Non capisci che stando con me rimarrai scottata? Che passerai nottate intere a piangere? Ed io non voglio vederti soffrire per causa mia»
«Come puoi dire così, dopo quello che c'è stato tra di noi?! Secondo te, adesso non sto male per causa tua?!» lo provocai
«Sì. Ma è meglio dirsi addio adesso, prima che il nostro rapporto s'intensifichi e che ci faccia soffrire più del dovuto»
«Ho capito qual è il tuo problema, Dario» sibilai «Non erano le altre a fuggire da te e dal tuo lavoro, ma sei tu che scappi dall'amore, sei tu che non vuoi essere amato»
Lui abbassò lo sguardo e si morse il labbro, prima di annuire e fondere nuovamente le sue iridi con le mie.
«Già, hai ragione» ammise «Sono un codardo che ha paura di fare nuovamente del male ad una persona, che non ha voglia di riempire le pagine bianche del suo libro perché i capitoli precedenti sono più che sufficienti»
«Quindi hai intenzione di scappare ancora?» domandai con la vista ormai annebbiata.
«Sì» rispose senza esitare «E lo faccio per il bene di entrambi»
«Bene?!» ripetei «Se te ne andrai mi spezzerai il cuore»
«Fidati, ci sarà sicuramente qualcuno pronto a curare queste piccole ferite che ti ho lasciato. Qualcuno che può amarti senza timore, che può renderti felice»
«Questo qualcuno, Dario, sei tu!» esclamai, con la piccola speranza che lui cadesse finalmente tra le mie braccia, che mi permettesse di amarlo.
«No, non sono io» sospirò con amarezza «Io sono in grado solo di ferire, non di curare»
Mi baciò la fronte e una sua lacrima si mischiò alle mie. Si voltò di scatto e si allontanò da me, fermandosi qualche passo più avanti.
«Alice, purtroppo io non so amare»
Mormorò quelle parole, tanto che le sentii appena. Riprese a camminare, dirigendosi spedito verso al sua auto e abbandonandomi per la seconda volta, ma senza la speranza di poterlo rivedere ancora. Tutta la felicità che avevo provato quando avevo finalmente smesso di nascondere quello che provavo per lui, quando avevo capito che lo amavo era stata distrutta da quel rifiuto amaro che mi aveva distrutto il cuore il mille pezzi. Mai avrei immaginato che una delusione d'amore potesse farmi soffrire così, farmi soffrire più di una ferita fisica. Eppure stavo piangendo, mi stavo struggendo e sentivo l'animo lacerarsi come se fosse stato colpito da una miriade di pugnali.
La Mito fece retromarcia ed imboccò la strada per uscire dal parcheggio. Non potevo lasciarla andare proprio in quel momento, non volevo perderlo nuovamente. Iniziai a correre, ad inseguire la sua macchina, urlando il suo nome e sperando che si fermasse. Quando la Mito accelerò, aumentai anche io la mia corsa, ma sfortunatamente inciampai, cadendo carponi sull'asfalto, mentre vedevo Dario allontanarsi insieme ai miei sogni d'amore. Rimasi immobile, in ginocchio, con le braccia penzoloni e lo sguardo fisso davanti a me, perso completamente nel vuoto che mi aveva colta.
«Non te ne andare» mormorai, senza nemmeno sapere il perché dato che ormai lui era uscito dalla mia vita per sempre.
Il leggero posarsi di una giacca nera sulle mie spalle, mi fece voltare indietro. Una mano era protesa verso di me e subito incontrai due dolci iridi nocciola e un sorriso appena accennato. Federico era lì, e aveva assistito a quella scena patetica.











_________________________________________

Ce l'ho fatta!
Oh, finalmente! Mi scuso se vi ho fatto attendere cos tanto, ma ho avuto gli ultimi esami e ho avuto poco tempo! Ma alla fine l'ho concluso. So che molto probabilmente mi vorreste uccidere, adesso come adesso. Alice avav ritrovato Dario, ma lui è scappato di nuovo dopo pochissimo tempo. E questa volta sembra che sia definitivo questo addio.
Sembrava che tutto fosse ricominciato per il meglio tra di loro e Alice aveva finalmente capito che c'era qualcosa di molto profondo tra di loro, aveva archiviato definitivamente sia Saronno che Abbate. Si era anche decisa a volergli dichiarare i suoi sentimenti, ma Dario ha preferito scappare. Lui ha paura di amare e soprattutto di essere amato. Teme che chiunque gli stia intorno, poi, sia destinato a soffrire. È stato un codardo, ma in fondo ha fatto bene ad allontanarsi da lei. Non è facile stare accanto ad un ragazzo che fa il gigolò. Sarebbe stato un continuo tradimento ed entrambi avrebbero sofferto. Anche se in questo modo si sono fatti del male comunque :(
Io non avrei altro da aggiungere, quindi passerei ai ringraziamenti.
Oddio, siamo arrivati a 18 recensioni! Io sono senza parole *O* davverol, un grazie immenso a tutte le splendide ragazze che hanno lasciato una recensione.
Grazie a tutte le persone che hanno inserito la storia nelle ricordate/seguite/preferite.
Grazie a chi legge solamente.
Grazie alle mie due Lovers, IoNarrante e Nessie che sopportano le mie paranoie e correggono i miei orrori grammaticali. Vi lovvo!
Adesso, un po' di pubblicità:

Come in un Sogno - Storia scritta a quattro mani con IoNarrante.
You're a mistake I'm willing to take - Sempre scritta con IoNarrante. Il protagonista è il nostro caro Dario ;)
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Capitolo 16
*** Al buio ***



C a p i t o l o 15

Al buio


Avevo sognato l'amore, lo avevo cercato, inseguito e desiderato per lungo tempo, immaginando che fosse il sentimento più bello e dolce che potesse esistere. Ovunque mi voltavo, vedevo coppie di ragazzi felici che si scambiavano tenere effusioni, che si sussurravano parole romantiche e si ricordavano ogni secondo quanto si amassero. Ed io stavo lì, a fissarli, immaginando che, prima o poi, anche io avrei avuto un fidanzato, che anche a me avrebbero sussurrato nell'orecchio Ti amo.
Ma mi sbagliavo di grosso. L'amore non era né bello né dolce, era solo un’enorme sofferenza ed una grande cavolata, ed io solo una stupida che si era lasciata incantare da un romanticismo esagerato e inesistente. Avrei dovuto capirlo fin da subito che il principe azzurro non esisteva, che c'erano solo un mucchio di stronzi nascosti da un'immensa e falsa dolcezza. Ti facevano vivere una favola, ti facevano sentire la loro principessa, prima di scendere dal cavallo bianco e spogliarsi del loro abile travestimento, rivelandosi per quello che erano veramente. Dovevo smetterla di sognare, aprire gli occhi e non inseguire più quella
chimera chiamata amore, cercare disperatamente un ragazzo che mi facesse palpitare il cuore, mancare il respiro e drogarmi con il suo odore. Dovevo solo divertirmi, smettere di illudermi una volta per tutte.
«Caffè per la signorina e cappuccino per il giovanotto!» esclamò una giovane cameriera ruminante con i codini.
La ringraziammo con un sorriso e lei si congedò da noi sculettando. Versai una bustina di zucchero nel caffè e iniziai a girarlo con il cucchiaino, senza mai trovare la voglia di avvicinare la tazzina alle labbra.
«Allora» sospirò Federico imbarazzato «Va un po' meglio?».
«Sono passati solo tre giorni» risposi scocciata «Sto esattamente come quella sera».
Da quando Dario mi aveva calpestato il cuore e si era volatilizzato come un codardo, Abbate era tornato a far parte della mia vita. Il nostro rapporto logorato dalla gelosia reciproca si stava piano piano ricucendo e lui era l'unico che potesse starmi accanto, accudirmi dopo la ferita lancinante lasciata da Dario. Ancora, però, lui non sapeva la verità, era stato così sensibile da tenere a freno la sua curiosità, nonostante sapessi che fremeva per sapere che cosa diavolo era successo quella sera.
Federico schioccò la lingua e distolse lo sguardo da me, puntandolo sul suo cappuccino schiumoso.
«A-a proposito di quella sera» riprese titubante ed io sbuffai infastidita «Ok, sto zitto» ridacchiò.
«Vuoi sapere la verità, vero?» sospirai.
Lui mi guardò a lungo e sorrise imbarazzato. Aveva assistito a tutta la scena e meritava di ricevere una spiegazione per quello che era accaduto. Anche se avevo paura di rivelargli il mio segreto, paura che anche lui scoppiasse a ridermi in faccia come aveva fatto Saronno. Non avrei sopportato un'altra umiliazione, non da Abbate, non da un'altra persona che credevo importante.
«È una situazione talmente assurda» risi nervosamente, appoggiando i gomiti sul tavolo.
«Lui è un alieno?» azzardò Federico, strappandomi una risata divertita.
«No» risposi «Ma, come avrai capito, non era Edoardo».
«Bensì Dario» commentò, sorseggiando il cappuccino «Mi chiedo che fine abbia fatto questo fantomatico Edoardo».
«Non è mai esistito» ammisi.
Federico sgranò gli occhi e per poco non si strozzò. Sprofondai nell'imbarazzo e nella vergogna più totale e, purtroppo, non ero più in tempo a tornare indietro, a tacere e non rivelargli più la verità.
«In che senso, scusa?» chiese dubbioso.
«Ecco vedi» sospirai e mi parve di rivivere un déjà-vu. Era come riavere Davide davanti a me e iniziai a temere realmente che si ripetesse la stessa scena in quella minuscola pizzeria. Presi coraggio ed, esitante, gli raccontai tutta la verità, di come inventavo fidanzati inesistenti per non essere diversa, del perché avevo deciso di chiamare uno stupido gigolò e di come mi ero innamorata di quel bastardo come una cretina.
Federico ascoltò il mio racconto in silenzio e tale rimase anche dopo che finii di parlare. Bevve il suo cappuccino tranquillamente come se io non gli avessi detto nulla. Annaspai ed il mio cuore prese a battere con irregolarità mentre attendevo che dalla bocca di Federico uscisse un commento, una minima parola, qualcosa che rompesse quel silenzio imbarazzante.
«Sembra la trama di una commedia americana» ridacchiò.
«Tutto qui?» gli chiesi.
Abbate mi guardò dubbioso e scrollò le spalle, alzando un sopracciglio.
«Cosa dovrei dire, scusa?»
«Ti ho appena raccontato un segreto pesante da portarsi dentro e l'unica cosa che riesci a fare è sparare battutine, peraltro non divertenti?!» ribattei.
«Non ci trovo nulla di male» disse pacato, raschiando il fondo della tazzina in cerca dello zucchero «O almeno, nella prima parte del racconto. Per quanto riguarda il gigolò taccio»
«Spiegati Abbate» sbuffai infastidita.
Ormai mi ero perfino dimenticata del caffè che era diventato freddo e aveva perso tutto il suo aroma.
«Nel senso» sospirò, spazientito «Non c'è nulla di male nel non avere mai avuto fidanzati. Ti sei fatta troppe paranoie secondo me e hai sbagliato ad inventarti storie d'amore inesistenti».
«Non volevo sentirmi diversa» lo interruppi.
«Tu lo sei già diversa, Alice» mi sorrise «Tu non sei come le altre. Loro cercano la storiella da una notte, da sbandierare alle loro amiche, mentre tu desideri l'amore quello vero, quello puro ed innocente che ti riempie l'anima di gioia. La tua visione di questo sentimento, Alice è stupenda e non vedo perché tu debba nasconderla, soprattutto a te stessa. Sono sicuro che se avessi detto la verità fin da subito, le persone a cui volevi bene avrebbero sicuramente capito e adesso non saresti così abbattuta di fronte ad una tazzina di caffè che non hai nemmeno assaggiato».
Dio, quanto era dolce Federico, quasi più dello zucchero filato. Lo era sempre stato, fin dalle medie e, per fortuna, non aveva perso quel lato del suo carattere che mi aveva colpita fin da subito. Sorrisi imbarazzata e mi sentii anche leggermente in colpa per aver dubitato di lui, di averlo paragonato anche solo per un attimo a Saronno.
Dopo quello che era successo con Dario, le notti insonni a piangere, i miei lunghi silenzi, un po' di dolcezza era necessaria per lenire il mio cuore spezzato. Sentire le parole di Abbate mi fece sentire d'un tratto più leggera, come se mi fossi liberata di un peso troppo opprimente per me. Quel riavvicinamento con Federico fu come una ventata fresca durante un'estate torrida. Avevo di nuovo qualcuno con cui confidarmi, qualcuno di cui fidarmi e che sapevo non mi avrebbe fatto mai soffrire.
Finalmente, dopo quei lunghissimi tre giorni senza Dario, dopo settantadue interminabili ore che mi erano sembrate un'eternità, dopo che il suo odore aveva smesso di inebriarmi e i suoi occhi di incantarmi, intravidi un piccolo sprazzo di felicità.


Dario, Dario, Dario.
Con tutta la buona volontà che ci mettevo, non riuscivo a non pensare a lui. Era sempre nella mia mente, un chiodo fisso che non voleva più abbandonarmi. Ogni giorno speravo di incontrarlo di nuovo, di rivederlo anche solo per un attimo dal vivo, in carne ed ossa e non solo in foto. Come una stupida, passavo le ore davanti al computer a fissare il sito per signore dove avevo trovato il suo numero, scorrendo ininterrottamente la sua galleria fotografica. Al solo pensiero che signore attempate e ragazze avvenenti potessero sentire la sua voce, sfiorare la sua pelle, guardare nei suoi occhi e baciare le sue labbra che ancora credevo mie, sentivo la rabbia rodermi dentro, farmi ribollire il sangue nelle vene. Se mi fosse capitata tra le mani una di quelle sgualdrine l'avrei strangolata.
Sbuffai e appoggiai la guancia al pugno. La cosa migliore da fare era seguire il consiglio di Federico, ossia smettere di passare giornate intere a piangere dietro le sue foto, a sfiorare lo schermo nella speranza che lui sentisse una mia carezza e di non pensare più a lui. Solo così i piccoli pezzi del mio cuore frantumato sarebbero tornati al loro posto, avrebbero combaciato di nuovo per permettergli di palpitare ancora, di innamorarmi nuovamente di qualcuno. Dovevo voltare pagina, come si suol dire, anche se non avevo la forza di inumidirmi il dito e girarla definitivamente.
«Tu ci sei stasera?»
Sollevai lo sguardo, ancora intontita da tutti i pensieri che albergavano nella mia mente ed incontrai gli occhi intensi e verdi della Cariati che mi sorrideva beffarda.
«Dove?» biascicai.
La mia classe aveva organizzato qualcosa ed ovviamente io ero sempre l'ultima ad essere avvisata.
«Ma come?! È da una settimana che ne parliamo!» s'intromise Benedetta che quel giorno sembrava più infastidita del solito.
«Sveglia!» cantilenò Cristina, appoggiando una mano sul fianco.
«Cosa ci sarebbe stasera?» domandai curiosa.
«Sveglia!» si aggiunse anche Francesca Lamira con la sua odiosa voce da gallina strozzata.
«Smettetela con questo sveglia! Non sono scema!» sbottai infastidita «Mi volete dire o no che cosa dobbiamo fare stasera?!».
Benedetta sbuffò sonoramente e mi allungò sotto il naso un mazzetto di mimose. Guardai quei piccoli e delicati fiori gialli e solo in quel momento realizzai che era l'otto marzo, la
festa della donna. Da quando Dario mi aveva lasciata, avevo perso la cognizione del tempo, arrivando addirittura a dimenticarmi il mese in cui eravamo. I giorni si sovrapponevano, scorrevano lenti e uguali tra di loro, quasi come se la mia vita non avesse più senso.
«La festa al
Limelight!» esclamò spazientita Cristina «Una serata di sole donne, in cui il tuo unico pensiero sarà di non farti sopraffare da un orgasmo».
Orgasmo?!
Ma che diavolo si era bevuta la Cariati?! Sgranai gli occhi e scossi la testa vigorosamente, per enfatizzare la mia disapprovazione.
«Ma dai Alice!» intervenne Benedetta «Vieni, ti divertirai!».
«Non voglio partecipare ad un'orgia party!» esclamai indignata.
«Ma quale orgia!» ridacchiò Cristina «Facevo così per dire» aggiunse vaga, con uno sguardo malizioso.
«E poi hai bisogno di divertirti. Se starai a casa penserai ancora ad Edoardo e ti deprimerai» disse Germa.
Sospirai, roteando gli occhi. Una volta che Dario era uscito dalla mia vita, lo aveva fatto anche Edoardo ed ora ero “single”. Forse un'uscita tra ragazze mi sarebbe stata utile per non pensare più a lui e mi sarei anche divertita. Insomma, dovevo o no voltare pagina? E quella mi sembrava il momento migliore per farlo, per dare una nuova svolta alla mia vita oltremodo piatta. Al diavolo l'amore, al diavolo i sentimenti! Da quel momento in poi la parola chiava sarebbe stata
divertimento.
«Ok, verrò!» risposi con un sorriso.
«Perfetto!» cinguettò Cristina «Allora mi devi trenta euro» aggiunse allungando la mano.
«Trenta?!» ripetei incredula «Che diavolo devi fare con così tanti soldi?!».
«Segreto!» trillò «Se ve lo dico, che gusto c'è?» ed ammiccò con un occhiolino.
La malizia nel volto della Cariati non mi piaceva affatto. Quella gallina stava architettando qualcosa, ne ero più che sicura. Temevo, una volta messo piede nel Limelight, di ritrovarmi davanti uomini nudi con fruste e manette in mano, pronti a fare con noi le peggiori cose. Deglutii a vuoto ed esitai prima di tirare fuori il portafoglio e dare a Cristina i trenta euro. Beh, almeno i soldi guadagnati come baby-sitter trovavano la loro utilità.
«Cavoli, però» sbuffai, una volta che Cristina si era allontanata da me «Non ho nulla da mettermi» mi lamentai, voltandomi verso Benedetta.
Un guizzo di furbizia balenò nei suoi occhi castani e le sue labbra si aprirono in un sorriso luminoso.
«Ci penso io!» esclamò «Vieni da me, dopo la scuola. Vestito, trucco, parrucco e tanti, tanti pettegolezzi!».
Annuii poco convinta, terrorizzata di indossare un abito di Germa. Io non ero di certo Roberto Cavalli, anzi il mio gusto nel vestire era pari a zero, ma Benedetta aveva una concezione della moda troppo “libertina”. Minigonne, shorts, magliettine attillate disegnate da un dermatologo, scollature da capogiro che non si addicevano ad un manico di scopa privo di forme come me, ma accettai comunque il suo invito.
Quale miglior modo di ricominciare la mia vita se non un'uscita poco casta in discoteca con un abito succinto?


Mi stesi sul letto morbido e profumato di Germa, con la guancia appoggiata sulla mano e i capelli avvolti da un asciugamano. Benedetta si sedette sul bordo, con un piede sul materasso e una boccetta di smalto tra le mani.
«Oggi mi sembri strana» dissi.
«Dici?!» esclamò lei sarcastica, mentre si metteva lo smalto sulle unghie dei piedi «Ma la parola giusta sarebbe incazzata».
«E come mai?» domandai con la frotte aggrottata.
«Inizia per F e finisce per ‘ederico’» rispose scocciata.
Strano
, pensai, Abbate non mi aveva parlato di una loro crisi di coppia, anzi sembrava che andasse a gonfie vele tra quei due. Mi misi a sedere e strisciai verso di lei, incrociando le gambe.
«Che succede?» chiesi.
Benedetta sospirò rumorosamente e chiuse la boccetta di smalto, guardandomi sconsolata.
«Mi sembra assente. Lo chiamo e risponde svogliatamente, gli SMS sembra che non li legga, ha sempre una scusa per non uscire con me» mi confessò «Sembra quasi che si sia stufato di me, che abbia un'altra».
A quelle parole mi mancò il fiato e sgranai gli occhi. Non ero di certo l'amante di Federico, ma il fatto che il nostro rapporto si stesse intensificando sempre di più, la sua dichiarazione d'amore e la verità su Dario mi fece credere che la presunta ‘altra ragazza’ che intasava la mente di Abbate ero io. Cavoli, non volevo essere la causa della rottura tra loro due! Non volevo che la mia migliore amica soffrisse, non me lo sarei mai perdonato.
«Che c'è Alice?!» trillò dubbiosa.
«Niente, niente!» mi affrettai a rispondere, agitando le mani «Magari è pieno di studio, qualche problema a casa!».
«Credi?» cercò sicurezza nel mio sguardo.
«Ma certo! Si vede che siete cotti l'uno dell'altra!» la rassicurai, stringendola a me.
«Ho paura che mi lasci per un'altra» mormorò «Non riuscirei ad accettarlo!».
«Ma-ma figurati!» esclamai esitante «Dove troverebbe una ragazza più speciale di te? Da nessuna parte, perché tu sei unica, Ben!».
Lei mi guardò intensamente negli occhi e sorrise, poi si avvinghiò a me in uno stretto abbraccio.
«Ti voglio bene Alice!»
«Anche io» risposi, accarezzandole la schiena.
In quell'esatto momento sperai davvero che Federico fosse solo sommerso di studio e che non pensasse a me come sua possibile fidanzata. Non doveva fare la cazzata di lasciare Benedetta per me, nessuna delle due lo avrebbe sopportato.
«Bando alle smancerie!» cinguettò poi, alzandosi di scatto ed asciugandosi una lacrima ribelle «Pensiamo a cosa indossare per stasera».
Aprì il suo armadio colmo di qualsiasi capo vestiario di ogni sfumatura di colore e mi parve quasi di vedere un arcobaleno di fronte ai miei occhi.
«Sarà una serata fantastica e
hot» ammiccò «Quindi direi di scegliere qualcosa di sexy!»
Cominciò a lanciare abiti sul letto che piano piano si accatastarono formando un'alta montagna. Mi spaventai nel vedere il numero di abiti che avremmo dovuto provare, non saremmo mai più uscite da quella stanza!
«Inizia a vedere se c'è qualcosa che ti piace» mi disse, mentre esaminava ogni angolo del suo armadio.
Sospirai e passai a rassegna gli abiti che giacevano sul letto. Ce n'erano di tutti i colori, dal classico nero all'appariscente rosa porcello, dal semplice bianco all'inguardabile verde evidenziatore. Rimasi quasi inorridita per la lunghezza fin troppo striminzita di quelle gonne che avrebbero coperto a malapena le mutande.
«Beh, non c'è nulla che ti piace?» domandò Benedetta, sedendosi sul letto.
«Troppo corti per i miei gusti» ammisi imbarazzata.
«Ma smettila! Non fare la puritana» mi canzonò «Stasera ci si diverte, alla faccia degli uomini!» ridacchiò «E poi magari uno degli spogliarellisti ti noterà!».
«Ma che dici!» trillai avvampando «Ti pare che uno di quelli possa guardare un cesso come me?».
«Alice, non dire fesserie!» mi rimproverò, guardandomi truce «Sei bellissima! E con l'abito giusto riusciresti a conquistare anche Sogno» e sospirammo all'unisono, pensando a quel bonazzo di Leonardo.
«Sei troppo esagerata, Ben» ridacchiai «Ma mi affido a te. Scegli tu per me».
«Scarichi sulle mie spalle questa enorme responsabilità?» domandò, abbassando un sopracciglio.
«Esatto» sorrisi.
«D'accordo. Ma dopo non voglio che ti lamenti»
Era un azzardo affidarsi completamente a lei e già ero sicura che mi avrebbe rifilato un vestito rosso fuoco inguinale che non avrebbe lasciato nulla all'immaginazione.
Aiuto! Perché diavolo le avevo dato la possibilità di scegliere per me? Sarei uscita da quella casa vestita come una ‘battona’. I secondi passavano quasi a rallentatore mentre Benedetta scrutava uno ad uno gli abiti, che, puntualmente, bocciava, lanciandoseli dietro la schiena. Magari mi ero spaventata troppo presto, magari in mezzo a quella calca di vestiti non ce n'era nemmeno uno adatto a me. Sospirai più sollevata, rilassando i muscoli tesi delle spalle.
«Eccolo!» esclamò, facendomi sobbalzare e irrigidire nuovamente «Questo è perfetto!».
Mi tese un abito bianco, candido come la neve. Roteai gli occhi e sbuffai, spogliandomi rapidamente. Indossai quel vestito e appena Germa mi vide, batté le mani entusiasta, alzandosi di scatto dal divano e portandomi davanti allo specchio. L'abito mi arrivava a metà coscia ed aveva una manica lunga, mentre l'altra era fine, fatta di perline che si perdevano dietro la il collo a formare una meravigliosa decorazione pendente sulla schiena nuda. Sorrisi d'istinto nel vedere la mia immagine riflessa, stupita che Benedetta avesse fatto centro.
«Sei stupenda Alice!» esclamò «Gli spogliarellisti cadranno ai tuoi piedi ad uno ad uno come birilli».
Birilli... bowling...
Dario.
Fu inevitabile pensare a lui. Mi morsi il labbro e scossi la testa per scacciarlo fuori dai miei pensieri una volta per tutte. Dovevo smettere di morirgli dietro, di ricordarlo per ogni minima cosa. Dovevo cambiare vita e nella mia nuova esistenza lui non c'era, non
doveva esserci.
«Grazie» dissi imbarazzata.
«Stai pensando ad Edoardo?» mi domandò, appoggiando il mento sulla mia spalla.
«Già» risposi a malincuore.
«Lascialo perdere, Ali!» disse «Non devi stare male per lui! Anzi, stasera ti divertirai, magari ti butterai tra le braccia di un altro, alla faccia sua,
tié!».
Scoppiai a ridere e lei si unì a me. In pochi secondi ci ritrovammo ancora abbracciate, strette l'una all'altra, che ondeggiavamo per tutta la stanza. Mi sentivo leggermente in colpa per averle mentito su Edoardo e su tutte le relazioni che non avevo mai avuto. Lei era la mia migliore amica e non era giusto ingannarla così. Per fortuna, però, tutto si era risolto e promisi a me stessa che non ci sarebbero mai più stati segreti tra me e lei. Le avrei detto tutto, da quel momento in poi, anche le cose più stupide ed insensate.
Passammo il resto del pomeriggio a pettinarci e truccarci, nemmeno stessimo per andare agli
Oscar. Benedetta si legò i capelli in un'alta coda di cavallo e scelse un trucco molto accentuato e sensuale che si abbinava al suo vestito inguinale blu notte, mentre io mi accontentai dei capelli mossi che ricadevano liberi sulle spalle e un po' di matita, con dell'ombretto rosa appena accennato.
«Edoardo è uno sfigato!» esclamò Benedetta «Non sa cosa si è perso a lasciarti andare. Scommetto che ci rimarrebbe secco a vederti così sexy!».
Ridacchiai. Tutto sommato, non mi sembrava un'impresa impossibile dimenticarmi di Dario. Mi bastavano le mie amiche, Federico e magari una serata particolarmente
hot per mettere definitivamente una pietra sopra a quel bell'imbusto schizofrenico.
Alle dieci e mezzo, dopo aver mangiato i manicaretti della mamma di Benedetta e aver visto un film, il signor Sago ci accompagnò al Limelight che si trovava praticamente dall'altra parte di Milano. Possibile che non ci fosse un altro locale più comodo da raggiungere? No, Cristina aveva dovuto scegliere la discoteca più inculata solo per una stupidissima festa. Ci impiegammo più di tre quarti d'ora per raggiungerlo, tra una canzone
house e le parolacce del signor Sago rivolte al suo Tom Tom che aveva un pessimo senso dell'orientamento.
«Finalmente siete arrivate!» sbottò Cristina, appena ci vide scendere dalla macchina.
«Scusate, ci siamo persi» rispose Benedetta.
«Su, entriamo che la sorpresa ci attende» e fece l'occhiolino.
Sospirai e mi avviai verso l'entrata, ma una macchina parcheggiata fuori dal locale catturò la mia attenzione. Era una Mito nera, lucente, tale e quale alla macchina di Dario ed ebbi un tuffo al cuore nel vederla. Possibile che ci fosse anche lui in quel locale? Rimasi per un attimo senza fiato nel pensare che forse lo avrei rivisto.
Ci sono un sacco di Mito in giro per Milano, non è un'esclusiva di Dario.
Lo sapevo bene, ma non riuscii a non illudermi di poterlo incontrare dopo un mese che non avevo più sue notizie. Mi avvicinai a lei e l'accarezzai dolcemente, quasi se potessi sentire quella carezza.
«Alice, smettila di molestare la mia macchina» ridacchiò Cristina «È nuova, non vorrei che si rovinasse».
Il mondo mi crollò letteralmente addosso e la mia speranza si perse nel vento insieme alle parole della Cariati.
«Scusami» ridacchiai «La Mito è la mia macchina preferita».
Lei mi guardò con sufficienza ed annuì, poi entrò nel locale sculettando come un'oca seguita a ruota dalle altre ragazze. Appena entrammo, fummo travolte dalla musica ad alto volume che trapanava i timpani, dalle luci ad intermittenza e dall'ormone impazzito del genere femminile che si beava dei muscoli tonici di alcuni spogliarellisti.
«Ragazze, non pensate troppo a quei pompati» miagolò «Noi abbiamo ben altri progetti» disse maliziosa, mentre lasciavamo le nostre cose al guardaroba e, subito dopo, si incamminò per tutto il locale, fermandosi davanti ad un
privé rialzato.
«Lì dentro, ragazze, c'è la vostra sorpresa» cinguettò «Se siete delle puritane verginelle» e mi guardò sogghignando «Fareste meglio a non entrare. Niente sesso, ma solo tanto tanto piacere».
Un boato si levò da parte delle mie compagne e sembrava che l'unica ad essere spaventata da questo “tanto tanto piacere” fossi io. Sorridevo nervosamente e mi mancava completamente l'aria. Avevo detto che avrei pensato solo a divertirmi, ma l'idea di rinchiudermi in un privè con un estraneo non mi allettava nemmeno un po'. Per di più non avevo la minima esperienza sessuale, se non il piccolo e focoso incontro intimo con Dario.
«Entro io per prima, voi intanto sbronzatevi e sbizzarritevi con gli spogliarellisti» trillò eccitata, entrando in quella stanza.
Molto probabilmente sarei stata l'unica che non ci avrebbe messo piede. Già il solo pensiero che lì dentro ci fosse una specie di maniaco mi spaventava. Benedetta mi afferrò il braccio all'improvviso e mi trascinò in mezzo alla calca di donne in piena crisi ormonale, verso il bar.
«Serve alcool» ridacchiò «Tanto alcool! Così dimenticherai quel deficiente di Edoardo».
«Non ho intenzione di ubriacarmi!» esclamai stizzita.
«Oh, Alice, avanti! Che saranno mai due o tre drink?»
«Sai, la bevanda più alcolica che io abbia mai bevuto è lo spumante, per cui non saprei dirti cosa potrei combinare da ubriaca» cercai di convincerla.
Non volevo assolutamente ubriacarmi, non era da Alice e soprattutto non volevo sprecare la mia prima volta in un bagno di una discoteca con uno spogliarellista.
«Dai!» squittì «Almeno uno!» mi supplicò dolcemente.
Sbuffai ed annuii. Non riuscivo a resistere agli occhi dolci, era uno dei miei tanti punti deboli. Benedetta batté le mani entusiasta e sorrise felice, chiamando con una mano il barista.
«Due Invisibili, grazie!»
Il nome di quel cocktail non era affatto male, sembrava anche leggero. Il barista li preparò velocemente, trafficando con alcune bottiglie e completando la sua opera con ghiaccio e cannucce. Ce li porse con un sorriso e si allontanò da noi.
«Alla salute!» esclamò Benedetta, tendendo il suo bicchiere verso di me.
Imitai il suo gesto e cominciai a bere lentamente quell'
Invisibile. Una sola sorsata mi bastò per sentire la bocca e l'esofago prendere fuoco. Gli occhi iniziarono a lacrimare e la mia temperatura corporea cominciò a salire. Che diavolo era quella roba disgustosa? Una bomba?! Per quanto la trovassi imbevibile, non riuscivo a staccare le labbra da quella cannuccia, come se il mio cervello mi ordinasse di ingurgitare più alcool possibile. Svuotai il bicchiere velocemente sotto lo sguardo sbigottito di Benedetta e, appena lo appoggiai sul bancone, tutto intorno a me cominciò a girare. Un bruciore intenso che partiva dallo stomaco si espanse a tutto il corpo. Mi sentivo stranamente leggera e la testa era come un delicato palloncino.
«Dovevi berlo più lentamente» mi ammonì Germa.
«Già» biascicai «Potevi dirmi, però, che era così forte».
«Dettagli» tagliò corto lei.
«Enorme dettaglio. Non capisco più nulla» ridacchiai, sentendo le guance andare piano piano a fuoco.
«Meglio così! Almeno quando entrerai lì dentro sarai più disinibita»
«Sono abbastanza lucida per non aprire le gambe con quel tipo» arrancai.
«Lucida?!» ripeté Germa «Alice, tu sei brilla! E fidati, l'alcool toglie qualsiasi freno».
«Non dire fesserie» ridacchiai, accasciandomi sul bancone «I miei freni sono ancora funzionanti».
Benedetta bevve un po' del suo cocktail annuendo e puntando lo sguardo verso il privé dal quale stava uscendo Cristina.
«Vedremo» mi sfidò lei, alzandosi dallo sgabello e raggiungendo la Cariati.
La seguii traballante, instabile su quei tacchi che sembravano essere diventati dei grattacieli. Ogni volta credevo di cadere, ma miracolosamente restavo in piedi. Presi un respiro profondo, cercando di regolarizzare il respiro e riprendendo le redini del mio cervello annacquato dall'alcool. Ripresi un minimo di stabilità e raggiunsi una Cristina spettinata e quasi sconvolta.
«Ragazze lì dentro c'è il paradiso» esclamò «Quello lì è una macchina del sesso! Cavoli, solo le sue mani ti fanno eccitare» sospirò in estasi «Comunque, a chi tocca adesso?»
Benedetta mi spinse in avanti, sorridendo sorniona.
«Alice!» esclamò subito.
«Prego, tutto tuo» sospirò Cristina superandomi «E mi raccomando, non urlare troppo» ridacchiò.
Annaspai e rimasi immobile davanti il privé con il cuore che martellava nel petto, il fiato corto e le guance che andavano a fuoco un po' per l'imbarazzo, un po' per quel maledetto Invisibile. Ero disposta veramente ad andare lì dentro? A farmi mettere le mani addosso da uno sconosciuto? Non sapevo che cosa fare, se tirarmi indietro oppure entrare e fregarmene, lasciarmi andare. Tanto, avevano detto niente sesso, solo e soltanto divertimento. Presi un respiro profondo e decisi di entrare lì dentro, alla faccia di quella sfigata di Alice e Dario.
Il privé era completamente buio e non vedevo nulla di ciò che mi circondava. Non sapevo se era piccolo o grande, dove erano i tavoli e i divanetti, dove si trovasse il tizio che mi aspettava. Il cuore cominciò ad accelerare la sua corsa ed ero rimasta paralizzata, completamente senza fiato.
«È un po' buio qui dentro!» esclamai, ridacchiando nervosamente.
Vagai con lo sguardo, cercando di percepire qualcosa in quella stanza, ma il buio nascondeva con sapienza ogni minimo angolo e la musica ad alto volume riempiva le mie orecchie. Deglutii a vuoto, in attesa che chi fosse in quella stanza con me facesse qualcosa.
«C'è nessuno?!» urlai, per sovrastare la voce di Rihanna.
Nessuno rispose e pensai che Cristina ci avesse fatto uno scherzo e che lì dentro non ci fosse proprio nessuno. Sbuffai e stavo per andarmene, quando finalmente qualcuno mi afferrò con decisione un braccio. Quel tocco mi fece sobbalzare e rabbrividire, quella mano era delicata e ruvida, come quella di Dario. Ebbi un tuffo al cuore ripensando a lui, immaginando che nel buio, dietro di me, c'era il
mio amato. Perché, anche se cercavo in tutto i modi di dimenticarlo, non riuscivo a smettere di amarlo.
Il ragazzo si avvicinò maggiormente a me, lasciando che la mia schiena sfiorasse il suo torace nudo, sodo, estremamente bollente. Un leggero odore di vaniglia solleticò i miei sensi, come se
lui fosse davvero dietro di me. Ero una sciocca ad illudermi così, ma il buio di quella stanza che nascondeva quello sconosciuto induceva la mia mente a pensare a lui, a sentire il suo odore, ad immaginare che quel ragazzo fosse Dario.
Con il dorso della mano, mi accarezzò una guancia, affondandola poi tra i miei capelli, per poi spostarli su di una spalla. Il suo respiro caldo sul mio collo precedette le sue labbra vellutate che lambirono ogni millimetro della mia pelle. Le sue mani, intanto, esploravano il mio corpo, scendevano leggere sulle mie braccia. Rabbrividii a sentire quegli abili polpastrelli ispezionare con curiosità ogni lembo della mia pelle e il mio petto si alzava frenetico, seguendo l'accelerare del mio respiro. Chiusi gli occhi e mi abbandonai alle sue mani, alla sua lingua rovente che mi leccava il collo, a quel ragazzo che la mia mente si ostinava a confondere con Dario.
Mi fece voltare di scatto e le mani forti di quello sconosciuto disegnarono il mio corpo, fino a fermarsi sui fianchi dove la stretta si fece più intensa. Deglutii quel poco di saliva che mi era rimasta e allungai le mani verso di lui, per sentire il suo corpo scivolare sotto le mie dita. Partii dalle spalle, larghe e forti e scesi lungo i pettorali sviluppati, che si alzavano al ritmo del suo respiro affannato. Sembrava emozionato, quasi quanto me e sorrisi per quell'imbarazzo che entrambi stavamo provando. Poco dopo, raggiunsi l'addome d'acciaio ed indugiai su quei muscoli perfetti, facendoli scorrere sotto le mie dita, fino ad incontrare il bordo dei suoi jeans. A quel punto, gli accarezzai il viso, spostandomi dal suo naso marcato alle guance lisce, sfiorandogli delicatamente le labbra. Anche al tatto, quel ragazzo mi ricordava Dario, stessa fisicità, stessi lineamenti marcati.
Il ragazzo mi prese la mano che non si era ancora stancata delle sue labbra e cominciò a baciarne il dorso, prima di perdere ogni contatto con lui. Rimasi immobile, dubbiosa, in attesa di un'altra sua mossa che non tardò ad arrivare. Le mani ruvide di quello sconosciuto si posarono sulla mia gamba. Un brivido di piacere mi percorse la spina dorsale e cominciai a sentirmi
strana, eccitata, esattamente come era successo a casa di Dario. Le sue dita precedevano le sue labbra e la sua lingua, che inseguivano quei polpastrelli lungo la mia gamba e che mi assaporavano. Arrivato alla coscia, le sue mani si insinuarono sotto il mio vestito, alzandolo lievemente e subito dopo le sue labbra le raggiunsero. Le sue mani erano vicine alla mia intimità e il suo respiro caldo s'infrangeva su di essa, eccitandomi maggiormente. Alcool e gigolò erano un’accoppiata vincente per far salire la temperatura. Mi sentivo avvampare, era stata completamente inghiottita da una cappa di calore che andava via via a concentrarsi verso il basso ventre.
Le sue mani si posarono veloci sulle mie natiche e fu un attimo che mi sentii sollevare da terra, con quel ragazzo tra le mie gambe aperte. Affondò il viso nel mio seno, assaggiandolo con irruenza attraverso la stoffa leggera del vestito. Ansimai per il piacere, alzando gli occhi al cielo.
Non mi riconoscevo in quel momento, completamente assoggetata all'alcool, letteralmente abbandonata nelle braccia forti di uno sconosciuto, mentre gli permettevo di toccarmi in quella maniera. Ma non riuscivo a scansarlo, a fare a meno di lui, di quel ragazzo così simile al mio
amato.
Camminò, senza mai staccare le sue labbra da me ed io affondai le mani tra i suoi capelli morbidi che sapevano di vaniglia. D'un tratto, mi ritrovai contro un muro, con quel ragazzo spalmato su di me e con le sue mani strette intorno alle mie cosce.
Cercò le mie labbra con le sue, risalendo dal collo. Appena le trovò, mi morse delicatamente quello inferiore, per poi succhiarlo sensualmente e solleticarlo con la sua lingua bollente. Quella stanza stava andando letteralmente a fuoco e la causa di quell'incendio era l'inspiegabile passione che ci aveva travolto, nonostante non sapessimo nemmeno i rispettivi nomi. Era come se ci già ci conoscessimo, come se le nostre mani avessero già esplorato il corpo dell'altro, come se le nostre labbra di fossero già incontrate.
Mi baciò, assaporando alternativamente prima il labbro inferiore, poi quello superiore, mordendomi di tanto in tanto. Mi lasciai condurre da lui, ormai il mio corpo era in sua balia e il mio cervello aveva smesso di pensare, di reagire. Erano state quelle labbra a farmi perdere qualsiasi controllo, così morbide e lisce, che mi sembrava già di conoscere.
La sua lingua entrò rapida nella mia bocca, solleticando la mia e sfiorandomi il palato con una delicatezza così simile a quella di Dario che iniziavo davvero a pensare che lui fosse lì.
Le nostre lingue si avvolsero, le punte si sfioravano eccitate e le nostre labbra si dischiusero all'unisono. Si strinse maggiormente a me, spingendomi ancora di più contro la parete e facendo aderire i nostri bacini. Il suo, iniziò a muoversi lentamente, avanti e indietro, strusciando i suoi jeans gonfi contro la mia intimità accaldata. Ansimai sulle sue labbra e mi sembrò quasi che stesse sorridendo.
La stretta sulle mie gambe si fece più salda e il ragazzo cominciò a premere il mio bacino contro il suo, trascinandomi in quella danza sensuale e altamente appagante. Forse stavamo esagerando, Cristina aveva detto niente sesso e quello che stavamo facendo si avvicinava anche troppo. I nostri sessi strusciavano, combaciavano perfettamente, sentivo chiaramente le nostre eccitazioni scontrarsi vogliose. Solo la stoffa dei suoi jeans e i miei slip ci impedivano di approfondire quel rapporto.
Mi allontanai dalle sue labbra quando il ritmo si fece più serrato, quando le scosse di si intensificarono, quando il piacere non riusciva ad essere più contenuto. Appoggiai la testa al muro, i pugni serrati anch'essi addossati alla parete ed ansimai. Nonostante la musica assordante riuscii a percepire anche i gemiti del ragazzo e sentivo il suo respiro affannato infrangersi sulla mia pelle. Una spinta del suo bacino più irruenta mi fece inarcare la schiena e gridare di piacere. Affondai la testa nell'incavo della sua spalla ansante e lo sconosciuto mi baciò delicatamente tra i capelli. Ero stata completamente sopraffatta dal piacere, da quelle scosse e quei brividi che solo
lui era riuscito a farmi provare.
«Da-Dario» gemetti, senza nemmeno rendermene conto.
Sperai che non mi avesse sentito, di aver rotto quella passione travolgente che si era impossessata di noi. Il ragazzo mi fece toccare di nuovo la terra, molto probabilmente per quello che avevo appena detto. Mi sistemai rapidamente il vestito e mi morsi le labbra. Solo in quel momento fui colta dall'imbarazzo, dalla vergogna di avere fatto
porcherie con uno che non conoscevo e che non avevo nemmeno visto in faccia. Inaspettatamente, lui mi attirò verso di sé, abbracciandomi forte e affondando le mani tra i miei capelli.
«Sono qui, piccola» disse.
Sbarrai gli occhi nel sentire la sua voce, nel realizzare che non era stata la mia mente ad ingannarmi, ma che lui era lì davvero. Ero stretta al
mio Dario, sentivo il suo cuore battere e ancora non mi sembrava vero di averlo ritrovato.
«Appena ho sentito la tua voce sono scoppiato di gioia» mi confidò, sussurrandomelo nell'orecchio «Mi sei mancata tantissimo, lo sai?».
Sorrisi amaramente. Anche lui mi era mancato, ma non potevo cadere di nuovo tra le sue braccia come una stupida. Il suo rifiuto mi aveva spezzato letteralmente il cuore, mi aveva fatto soffrire e, quando lui se n'era andato, mi ero sentita quasi morire. E non potevo farmi abbindolare di nuovo, dopo che finalmente stavo ricominciando a vivere piano piano, grazie a Federico. Mi divincolai dal suo abbraccio e lo spinsi via con rabbia.
«Fottiti Dario» sibilai, cominciando a camminare in cerca dell'uscita.
«Piccola...» tentò di dire.
«E smettila di chiamarmi così! Non sono la tua piccola e non lo sarò mai!» sbottai, infuriata con lui, infuriata con me stessa per essermi spinta troppo oltre, tastando le pareti in cerca dell'uscita.
«Alice, mi dispiace davvero molto per San Valentino»
«Ti dispiace?!» ripetei al limite della pazienza, con le lacrime che spingevano per uscire.
Chi diavolo era Dario Vitrano?! Perché doveva essere sempre così tremendamente ambiguo?! Prima mi abbandonava, poi mi chiedeva scusa convinto che lo perdonassi.
«Non sai quanto ho pensato a te in questo mese» sospirò.
Trovai la maniglia e aprii la porta del privé, scacciando quelle tenebre complici di un momento di mia debolezza.
«E tu non immagini come io abbia sofferto!» tuonai «Ti sei divertito con i miei sentimenti e non credere che io ti faccia giocare ancora!».
Uscii da quel posto in fretta, non volevo sentirlo parlare, non volevo vederlo ancora, perché avevo una paura folle di cedere ancora una volta ai suoi occhi, di non riuscire a resistere dal baciarlo ancora.
«Alice, ti prego, aspetta!» esclamò lui, inseguendomi, sotto lo sguardo basito delle mie compagne di classe «Chiariamo».
«Non c'è nulla da chiarire Dario!» sbraitai, trovando il coraggio di voltarmi.
Incontrai, dopo un mese interminabile, i suoi pozzi di petrolio, il suo viso perfetto, privo di quella barba che mi faceva impazzire. Serrai i pugni e mi morsi le labbra. Stavo vacillando e questo non doveva accadere. Dovevo resistere, nonostante lo amassi, perché sapevo benissimo che i miei sentimenti, per lui, erano solo un passatempo.
«Invece sì!» urlò lui, stringendomi le spalle «Non puoi scappare da quello che c'è tra di noi, Alice».
«Ti ricordo che l'unico che è fuggito sei tu!» ribattei, esasperata.
«Perché ho paura, cazzo!» sbottò, con gli occhi lucidi «Perché non lo vuoi capire?!».
«Perché è assurdo! Ed insensato questo tuo timore!» risposi «Smettila una volta per tutte di vivere nel passato. Così facendo non permetterai mai a nessuno di amarti».
«Non è facile come sembra» ringhiò.
«Beh, provaci!» esclamai, stizzita «Prima di spezzare il cuore a qualcun altro».
Lo guardai per l'ultima volta negli occhi, prima di allontanarmi da lui a passo svelto. Ma Dario mi segui ancora, afferrandomi il polso.
«Ti prego, Alice» mi supplicò «Lo so, ho sbagliato e ti chiedo scusa».
«È troppo tardi» sibilai, strattonandolo «Hai avuto un mese intero per scusarti, ma non ti sei fatto sentire. Se non ci fossimo incontrati questa sera, tu mi avresti dimenticata ben presto».
«Non potrei mai dimenticarti» mormorò «Ti chiedo solo di aiutarmi a chiudere con il passato, a riprendere a scrivere il libro della mia vita».
Deglutii a vuoto, disarmata e senza parole di fronte al suo sorriso, ai suoi occhi. Rimuginai su quelle parole, su quella richiesta d'aiuto, sul bisogno che avevo di lui e sulla sofferenza che aveva provocato.
«Chiedilo a qualcun altro» risposi a denti stretti «Io non voglio più avere a che fare con uno psicopatico come te».
Vidi il suo volto contrarsi ed incupirsi, gli occhi inumidirsi e a stento resistetti dall'abbracciarlo, dal rimangiarmi quello che avevo detto.
Mi feci spazio tra la folla ed andai a recuperare il mio giubbotto e la mia borsa prima di uscire dal Limelight. Appena l'aria della sera mi accarezzò i capelli, scoppiai a piangere, conscia del fatto che quello era l'addio definitivo, che non lo avrei mai più rivisto e che la parola fine era stata scritta a caratteri cubitali sul nostro breve amore.
Cercai il cellulare nella borsa e appena lo trovai composi un numero con l'indice tremolante e gli occhi appannati dalla lacrime. Non mi ero interessata dell'orario e non mi ero nemmeno posta il problema che molto probabilmente nessuno mi avrebbe risposto.
«Pronto» biascicò assonnato.
«Fede!» esclamai in lacrime.
«Oddio, Alice, che succede?!» chiese preoccupato, d'un tratto sveglio.
«Ti prego, vienimi a prendere» lo pregai.
«Corro, piccola! Dove sei?!» domandò con apprensione
«Al Limelight» risposi.
«Il tempo di vestirmi e sono da te»
«Grazie» singhiozzai.
E quella fu l'ennesima conferma che l'unico di cui mi potessi davvero fidare, l'unico che tenesse realmente a me, la persona più importante per la sottoscritta fosse Federico.










________________________________________________________

Eccomi qui!
Come al solito dico: non mi convince >.< Ma oramai sarete abitaute a sentirmelo dire. Non riesco a farmeli piacere, forse perché non sono come me li immaginavo.
Vabbè! Parliamo della nostra Alice. Lei non riesce a smettere di pensare a Dario, nonostante i suoi sforzi. Anche se mbra che Federico le sia di molto aiuto in questo momento. I due si sono avvicinati di nuovo, la loro amicizia si sta rafforzando sempre di più e chissà se rimarrà tale o diventerà qualcosa di più :)
Quindi, per non pensare a Dario, la nostra cara Alice che fa? Va in una discoteca piena zeppa di spogliarellisti perché vuole cominciare a divertirsi, smettere di aspettare il suo vero amore che è convinta non esista. Cerca di lasciarsi andare, ma è sempre timorosa, sia con la sorpresa di Cristina che con un coktail. Beh, diciamo che non l'abbiamo mai vista sotto questo punto di vista, che beve alcool e che si lascia convincere a fare un appuntamento al buio con un gigolò. Subito immagina che lì dentro ci sia Dario e un po' per questo, un po' per l'alcool in circolo, non riesce a trattenersi e si lascia trasportare un po' troppo. Ma la passione tra i due è talmente forte, che non riesce a controllarsi. Ma è anche normale, no, visto che il ragazzo è davvero Dario. E dunque un nuovo incontro passionale con il gigolò, anche se la situazione precipita ancora una volta. Dario torna sui suoi passi, le chiede scusa, ma questa volta è Alice a non volerne sapere. Lui l'ha illusa e crede che i suoi sentimenti possano essere calpetsati di nuovo da lui.
Sembra proprio che tra i due sia tutto finito e che la persona 'giusta' per Alice sia il dolcissimo Federico :3
Beh, aspettiamo i prossimi capitoli per vedere che cosa accadrà alla nostra Alice :)
Detto questo, passiamo ai ringraziamenti.
Ringrazio le 17 persone che hanno recensito lo scorso capitolo, le 153 che hanno inserito la storia tra le seguite, le 23 che l'anno inserita nellericordate e le 79 che la preferiscono. Sono davvero felice di questo successo >.< Vi adoro!
Ringrazio chi legge solamente.
Un grazie speciale alle mie due pazienti lover, Nessie (attendiamo tutte una tua storia ù.ù) e IoNarrante. Vi lovvo <3
E, adesso, scusatemi, ma la seccante pubblicità:

Red District
You're a mistake I'm willing to take - scritta con IoNarrante.
Come in un Sogno - scritta con IoNarrante
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E siamo arrivati anche qui alla fine.
Un bacio a tutti, vi adoro! Siete la mia forza :')
Al prossimo capitolo <3

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Capitolo 17
*** Buon compleanno ***



C a p i t o l o 16

Buon compleanno


The end.
Tutto era finito quel maledetto 8 marzo. La mia menzogna, il mio continuare a fingere, le mie chiacchierate con Dario, le nostre litigate, i baci, i momenti di pura passione. Non ci sarebbe mai stato più un
noi… se poi c'era mai stato realmente un noi, ma solo un io. Io che piangevo ogni sera, io che avevo il cuore in pezzi, io che avrei dovuto tornare a vivere la mia insulsa vita senza di lui, io che avrei dovuto vivere senza un pezzo di me, della mia anima che aveva seguito Dario e che non l'avrebbe mai lasciato.
Continuavo a ripetermi che avevo fatto la scelta giusta a lasciarlo andare, a non ricadere tra le sue braccia, ma il mio cuore sembrava non volersi arrendere alla triste realtà. Chissà se sarei mai riuscita a trovare la forza per dimenticarlo, per dimenticare il mio primo amore, per voltare pagina e permettere al mio cuore di battere di nuovo per un altro ragazzo, al mio corpo di provare quelle sensazioni uniche con un'altra persona.
Sospirai e appoggiai il mento sul palmo della mano fissando la piscina davanti a me. Non mi interessava affatto quella gara e ben presto tutto si dissolse, ritrovandomi a rivivere il nostro primo bacio, sul suo balcone con la pioggia battente. Avevo assaporato le sue labbra, sentito le sue mani sul mio corpo, con il suo respiro caldo che mi solleticava la pelle. Forse era stato quello il momento in cui mi ero innamorata di lui, ma molto probabilmente questo era accaduto molto tempo prima, quando lo avevo visto varcare la soglia di casa mia. Sì, ne ero più che sicura. Dario era entrato dentro il mio cuore immediatamente, non appena avevo incontrato i suoi occhi. Lo avevo sempre amato, e lo capii solo in quel momento che ero stata vittima del cosiddetto ‘colpo di fulmine’. Mi chiedevo se lui avesse provato la stessa cosa, se anche lui sentisse lo stesso per me, se mi avesse mai amata.
Un pollice strofinò sulla mia guancia, raccogliendo le lacrime che sgorgavano dai miei occhi chissà da quanto tempo. Federico, ancora con i capelli bagnati e il costume da bagno, si sedette accanto a me, stringendomi la spalla e stringendomi a lui. Appoggiai il viso sul suo petto massiccio e umido, mentre lui mi cullava con il suo abbraccio, rimanendo in silenzio a sopportare i miei ennesimi singhiozzi. Se non ci fosse stato Abbate, molto probabilmente sarei impazzita. Avevo assolutamente bisogno di qualcuno che mi stesse accanto, che sopportasse i miei piagnistei, qualcuno che mi capisse e che mi avrebbe aiutata a dimenticare Dario. E Federico era quel qualcuno, il mio migliore amico, colui che rendeva più leggere quelle giornate che, senza di lui, sarebbero state interminabili ed insopportabili.
«Scusami» mormorai, tirando su con il naso.
«E di cosa?» domandò, baciandomi tra i capelli.
«Perché piango» risposi, prendendo un respiro profondo, cercando di non lacrimare più.
«Non dire sciocchezze!» ridacchiò «Piangi pure. Hai bisogno di sfogarti» aggiunse dolcemente.
«Dio, son diventata una piagnucolona!» sbuffai esasperata, allontanandomi da lui e alzando lo sguardo al cielo.
Mi asciugai velocemente le lacrime e respirai a fondo, ingoiando il groppone che mi stringeva la gola e smettendo si piangere, anche se in realtà avrei voluto continuare fino a prosciugarmi.
«Allora» esclamai con un sorriso tirato «Hai vinto?» domandai, cambiando discorso.
Federico sospirò con un sorriso sornione e scosse lievemente la testa.
«Noto che hai seguito» sogghignò ed io sorrisi imbarazzata «Comunque, sì, ho vinto» disse strafottente, strofinando la punta delle dita sul petto «Che ti aspettavi?! Sono il migliore»
«Ma smettila!» esclamai, tirandogli un leggero pugno sul braccio «Hai vinto una stupida garetta di nessun conto»
«È sempre una vittoria» ribatté lui «Garetta dopo garetta arriverò alle Olimpiadi»
Lo guardai esaltarsi con sufficienza e le braccia incrociate, sorridendo sorniona.
«Le Olimpiadi» ripetei divertita «Non credi di puntare un po' troppo in alto?»
«Forse» scrollò le spalle e si alzò, dirigendosi verso gli spogliatoi con la sottoscritta al seguito «Ma ognuno ha i suoi sogni. Io una medaglia d'oro» si fermò all'improvviso, in mezzo al corridoio e si voltò verso di me «Tu il grande amore» mormorò.
Si abbassò per raggiungere il mio viso e posò delicatamente le sue labbra sulle mie. Fu un piccolo bacio, un semplice sfiorarsi di labbra, un innocente assaporarsi che mi stupì e imbarazzò.
«Vado a cambiarmi» sorrise.
Sparì dietro la porta degli spogliatoi ed io rimasi immobile come una scema a fissare la parete di fronte a me con gli occhi sgranati, sfiorandomi le labbra con le dita. Mi aveva baciata, anche se era stato un semplice bacio a stampo e mi sentii tremendamente in colpa nei confronti di Benedetta. Non poteva lasciarla, non per me, non lo avrebbe mai sopportato, così come io non sarei più riuscita a guardare la mia migliore amica negli occhi. Poi, non mi sarei mai messa con lui, non con il mio migliore amico, con l'ex di Germa.
Forse, però, è lui il tuo principe azzurro. Lui è l'unico che ti capisce davvero, l'unico che ti sta accanto, l'unico che ti ama davvero.
Deglutii a vuoto, stupita dai miei stessi pensieri. Ero ancora innamorata di Dario e forse lo sarei stata per sempre, ma questo non mi impediva di provare a stare con Federico, di diventare la sua ragazza.
No, no e poi no!
Abbate era il fidanzato di Germa e non dovevo fantasticare su di lui. Lui era solo ed esclusivamente il mio migliore amico e non sarebbe stato più di quello.
«Ecco qui il campione!» esultò uscendo, con il borsone che pendeva da una spalla e un'orribile tuta blu che sembrava un pigiama.
Mi strinse la spalla e mi avvicinò a lui, trascinandomi verso l'uscita del palazzetto.
«Fede...non credo...che sia giusto» tentennai, con lo sguardo basso a guardare i nostri piedi.
«Cosa?» chiese dubbioso.
«Quello che hai fatto prima» risposi intimidita «Nei confronti di Germa, intendo»
«Era un bacio a stampo!» ribatté lui imbarazzato «Non... non significava nulla»
Non era per nulla convinto di quello che diceva, il suo tono di voce era insicuro e traballante.
«E poi» sospirò «io non voglio più stare con Benedetta» ammise, con un filo di voce.
Mi allontanai da lui e lo guardai stupita, confusa ed incredula. Quello che temevo si stava avverando e già mi spaventava quello che mi avrebbe detto Abbate, cosa avrebbe fatto Germa.
«Per-Perché?!» balbettai.
Federico si umettò le labbra e si sistemò il ciuffo biondo e sbarazzino che il vento aveva scompigliato. Si guardò le scarpe e sbuffò, grattandosi la nuca.
«È petulante!» esclamò, aprendo le braccia e facendole ricadere lungo i fianchi «È asfissiante, gelosa, sospettosa. Mi chiama ad ogni minuto del giorno e mi fa il terzo grado. “Dove sei, con chi sei, cosa stai facendo”» sospirò, scuotendo la testa «Mi toglie l'aria! E io non riesco più a sopportarla. È una cara ragazza, una buona amica, ma come fidanzata è insostenibile»
Boccheggiai e vagai con lo sguardo, scrutando ogni centimetro dell'asfalto sotto le mie scarpe.
«Fede, non farlo» gli dissi, stringendogli le mani «Non per me» aggiunsi, sicura che quella fosse una scusa.
Abbate si morse le labbra e sorrise imbarazzato, fondendo le sue iridi nocciola con le mie.
«Non l'ho sto facendo per te» sospirò «Te lo giuro. So benissimo che con te non ho speranze, che sei innamorata di quel ragazzo. La lascio perché non sto bene con lei, tutto qua. Molto probabilmente ho sbagliato fin da subito a mettermi con Benedetta, ma volevo lasciarmi la delusione per te alle spalle e stare con lei mi sembrava la soluzione migliore. Credevo che, con il tempo, mi sarei innamorato di lei, ma è davvero troppo gelosa per i miei gusti»
Guardai in quei suoi occhi dolci, trovandoci sincerità e delusione. Era amareggiato per le sue stesse parole, perché il mio cuore era stato ghermito da Dario e pensava che non sarebbe mai appartenuto a lui. Ma le strade del destino erano imprevedibili, così come lo era il cuore fragile di una ragazza ferita che aveva solo voglia di essere amata. Rimanemmo a fissarci per alcuni secondi, mani nelle mani, occhi negli occhi, senza proferire una sola parola.
«Comunque» sospirò, liberandosi dalla mia stretta e riprendendo a camminare «Cos'è successo ieri sera? Non te l'ho chiesto subito perché eri sconvolta!»
Già, non gli avevo detto nulla. Avevo pianto per tutto il tragitto in moto, bagnando la sua giacca con le mie lacrime e lui, sensibile come sempre, era rimasto in silenzio, non si era intromesso nei miei sentimenti e nel mio dolore.
«Dario» risposi in un soffio «Doveva essere una serata di sole donne, spensierata e divertente. E invece c'è stata la sorpresa. Era il nostro regalo per la festa della donna e abbiamo litigato, ovviamente. Ma questa volta è veramente tutto finito. Ho chiuso con lui»
«Mi dispiace. Immagino come starai soffrendo» mormorò.
«Ho il cuore a pezzi» ribattei, con un sorriso amaro «Dovrei odiarlo, invece continuo a pensarlo, ad amarlo. Sono una stupida»
«Non è vero» disse Federico, sorridendomi «L'amore è un sentimento nobile e non bisogna sentirsi stupidi»
«Sarà anche nobile, ma è più affilato di una spada» risposi «Ferisce e preferirei rimanere sola tutta la vita, piuttosto che soffrire così un'altra volta»
«Alice, non privarti di qualcosa di così meraviglioso come l'amore» sorrise «Le ferite sono temporanee, si rimarginano e non devono assolutamente condizionarti» si fermò davanti a me e mi strinse le spalle «Ama, Alice. Continua ad amare e prima o poi troverai qualcuno degno di ricevere il tuo amore».
Sorrisi a quelle parole, sentendo un minimo di conforto crescere in me. Federico aveva ragione, perché privarmi dell'amore solo per aver sofferto con Dario? Il mondo era pieno di ragazzi e sicuramente ce n'era uno che stava aspettando me, che mi avrebbe amato, apprezzato, che sarebbe stato degno del mio amore. Io sarei stata la sua principessa, lui il mio principe azzurro, ed avremmo vissuto la nostra favola così come avevo sempre immaginato da quando ero piccina.
Magari era Federico il ragazzo che aspettavo.
«Grazie Fede» mormorai abbracciandolo «Non so come farei senza di te e senza il tuo conforto»
«È il minimo che dovrebbe fare un migliore amico, no?»
Lo guardai negli occhi e sorridemmo all'unisono. Mi morsi un labbro, prima di alzarmi sulle punte e spingerlo verso di me per potergli dare un bacio sulla guancia. Strofinai il mio naso contro la sua canappia e poi appoggiai la fronte contro la sua.
«Ti voglio tanto bene» mormorai.
«Se dicessi anche io, mentirei»


«Come va con mio fratello?» domandai a Claudia, appoggiandomi al pilastro nell'atrio nell'attesa dell'arrivo di Benedetta.
«Va» scrollò le spalle, incrociando poi le braccia «Ci frequentiamo» aggiunse, non del tutto convinta.
Aggrottai la fronte e sorrisi sorniona. Avevo imparato a conoscerla e quando rispondeva con tono vago, dondolandosi da un piede all'altro voleva dire che nascondeva qualcosa. E lo stesso valeva per Smell che, da quel 14 febbraio, sembrava molto più felice e sorrideva in continuazione, cosa mai successa visto che teneva sempre il broncio.
«No ok!» trillò d'un tratto prendendomi le mani «Raffaele è fantastico. È così dolce, è un cucciolotto e ci piacciono le stesse cose. Assolutamente incredibile!»
«Sei sicura di star parlando di Raffaele Livraghi? No, perché da come lo descrivi sembra un'altra persona» ridacchiai.
«Sicurissima, mia cara» rispose con un sorriso «E devo ringraziarti per avermelo fatto conoscere!» cinguettò con le guance rosse.
«Oddio, non credevo possibile che qualcuna potesse prendersi una cotta per mio fratello» commentai sarcastica ed incredula.
«Sarà che mi accontento di poco» ribatté e scoppiammo a ridere «Diciamo anche che ha delle doti nascoste».
La guardai dubbiosa e Claudia indicò verso il basso. Ci volle un po' prima di riuscire a capire che stava parlando di sesso. Nono solo quei due si frequentavano, ma erano già arrivati in quarta base nel giro di nemmeno un mese. Ero l'unica che non la smollava dopo il primo appuntamento.
«Comunque, Ben mi ha detto cosa è successo sabato al Limelight» se ne uscì ad un tratto ed io rimasi impietrita.
«Cos'è successo?!» feci la finta tonta.
«Che hai litigato con il gigolò che c'era alla festa» sospirò «E che quel gigolò era Edoardo. O meglio, Dario».
Incrociò le braccia e mi guardò con sufficienza. Bene, ero stata scoperta. Non ci voleva molto a fare due più due, a capire la farsa che avevo creato. Boccheggiai e abbassai lo sguardo, fuggendo da quello perlaceo di Claudia.
«Alice, perché non ci hai detto la verità?! Siamo le tue migliori amiche»
«Già» sospirai «Avrei dovuto dirvi che non esisteva nessun Edoardo, ma avevo paura che mi avreste presa in giro»
«Tesoro!» esclamò, abbracciandomi «Non lo avremmo mai fatto!».
Ricambiai la stretta e sorrisi. Ero stata una stupida a non fidarmi di loro. Avrei dovuto dire subito la verità, fregarmene degli altri, così magari avrei anche evitato di conoscere Dario.
«Lui ti piace, vero?» domandò, vicino al mio orecchio «A San Valentino eravate così affiatati e tu eri visibilmente cotta!»
«Sì» ammisi in un soffio «Ma abbiamo chiuso definitivamente»
«Perché mai?» chiese perplessa, sciogliendo l'abbraccio.
«Perché è un idiota. Ha giocato con i miei sentimenti» confessai con un filo di voce.
«Umpf... uomini!» esclamò «Sono tutti uguali. Lascialo perdere, ne troverai sicuramente uno migliore di lui, magari che faccia anche un altro mestiere».
Ridacchiai ed annuii mestamente.
«Chi-chissà Germa» cambiai discorso, imbarazzata, soffocata ancora una volta dal pensiero di Dario. Non dovevo pensarlo o sennò non sarei mai più riuscita a dimenticarlo.
«Strano che non sia già qui» rispose preoccupata Claudia.
Guardai l'orologio che segnava quasi le otto e di Benedetta nemmeno l'ombra. Iniziai a preoccuparmi di non vederla arrivare, dato che lei era sempre la prima a mettere piede nella scuola. Se si fosse sentita poco bene, mi avrebbe scritto un messaggio, così come se avesse deciso di rimanere a casa a poltrire. Ma il mio cellulare era rimasto muto per tutta la domenica e quel lunedì mattina, per cui cominciai a farmi ‘i film’ peggiori. Pensai che avesse fatto un incidente, che un maniaco l'avesse rapita per fare un gioco sadico stile
Saw o che fosse stata uccisa da un serial killer. O peggio, era arrabbiata con me per la bugia su Edoardo. Era sicuramente così, era furiosa perché le avevo nascosto la verità.
«Magari è solo in ritardo» ipotizzò Claudia «Direi di iniziare a salire che tra poco iniziano le lezioni».
Annuii e diedi un ultimo sguardo fuori dalla porta a vetri sperando di vederla arrivare, ma di lei non c'era traccia. C'erano solo ragazzi che fumavano e quel demente di Saronno che aveva ancora il coraggio di salutarmi. Di tutta risposta gli alzai il medio, godendomi la sua faccia da merluzzo sotto sale e mi incamminai verso la mia classe, raggiungendo Claudia sulle scale.
«Ci vediamo all'intervallo» disse, raggiunta la sua aula «Adesso provo a scriverle per vedere se va tutto bene»
«Ok» soffiai e la salutai senza entusiasmo, continuando a percorrere il corridoio.
Il professore non era ancora arrivato a giudicare dai miei compagni che bighellonavano. Senza nemmeno essere notata da loro, entrai in classe, sperando di trovarvi Benedetta. Ma il suo posto era vuoto e sentii il mondo crollarmi addosso. Non volevo perdere Germa per una stupida bugia, per quel cretino di Dario.
Sospirai ed andai a sedermi al mio banco. Il chiacchiericcio infernale che c'era in quell'aula, ma soprattutto il continuo
coccodè di quelle galline delle mie compagne erano insopportabili, perciò acchiappai il mio Ipod per estraniarmi da quella classe, anche se in realtà non avevo nemmeno voglia di ascoltare musica. Non cambiai nemmeno la modalità, lasciandolo sintonizzato su radio DeeJay, la stazione che ascoltava mia madre in continuazione. Pubblicità, noiosa pubblicità radiofonica. Programmi, prodotti di cosmesi, partecipa al concorso per diventare Deejay…
Sbuffai sonoramente ed, improvvisamente, una cuffietta mi venne strappata dall'orecchio. Alzai lo sguardo ritrovandomi di fronte la Cariati con le braccia incrociate con l'inseparabile Lamira che imitava qualsiasi gesto di Cristina.
«Ciao Alice!» miagolò la bionda.
«Ciao» risposi intimidita.
«Devi assolutamente dirci cosa è successo sabato!» esclamò.
Lei e la sua stupida passione per il gossip. Sapevo che non sarei riuscita a scappare alle sue grinfie e sapevo anche che mi ero messa in un bel pasticcio.
«Ti abbiamo vista scappare» intervenne Francesca.
«Niente di che» sorrisi tesa «Ha solo allungato un po' troppo le mani» mentii.
«Veramente?!» cinguettò Cristina, portandosi una mano sul cuore «A me sembrava che voi due vi conosceste molto bene. Conoscevi addirittura il suo nome e lui si scusava con te»
Non le sfuggiva proprio nulla a quella gallina. Deglutii a vuoto ed annaspai, senza sapere che cosa rispondere.
«Una semplice studentessa del liceo che conosce un gigolò. Che per giunta è lo stesso ragazzo che era alla festa di San Valentino con te, o sbaglio?» sorrise sorniona.
Abbassai lo sguardo, senza fiato, senza parole per chiudere il becco di quell'oca. In quel preciso istante avrei tanto voluto essere risucchiata dal pavimento o essere rapita dagli alieni, piuttosto che sostenere lo sguardo intenso di Cristina.
«Dovrà pur significare qualcosa tutto ciò!» esclamò, fingendo perplessità.
«Sì, che è una bugiarda» disse una voce alle sue spalle e d'improvviso apparve Benedetta, struccata, i capelli scompigliati e gli occhi pieni di rabbia.
Mi alzai di scatto dalla sedia e la raggiunsi, pronta a spiegarle tutto, a dirle la verità ma non feci nemmeno in tempo ad aprire bocca che la mano di Germa mi colpì con furia una guancia, emettendo un suono sordo che zittì i miei compagni. La guardai con gli occhi sbarrati, massaggiandomi la gota, incredula per quello che aveva appena fatto.
«Benedetta» mormorai tremante.
«Sei una stronza Alice!» sbraitò, cominciando a piangere.
«È per Edoardo?» chiesi sconvolta.
«Non m'importa nulla di Edoardo, Dario o come cavolo si chiama!» rispose mettendosi le mani tra i capelli «Tu, sei solo una puttana» sibilò, puntandomi un dito contro.
Ero basita, completamente senza parole di fronte a quell'indice tremante, di fronte a quella Benedetta in lacrime che mi offendeva con rabbia.
«Dovevo capire che dietro il faccino da santarellina che ti ritrovi si nascondeva una troia» ringhiò.
«Germa, io...» tentai di dire.
«Sta’ zitta!» sbraitò così forte che la voce le si strozzò in gola «Ti ho vista con Federico ieri pomeriggio. Ero andata in piscina per fargli una sorpresa, lui credeva che io fossi da mia nonna. E cosa scopro?!» serrò i pugni e strizzò gli occhi «Voi due che vi sbaciucchiate!»
«No, Ben! Hai frainteso!» esclamai e cercai di afferrarle le mani, ma lei le ritrasse.
«Ah sì?! Allora spiegami perché la sera stessa mi ha mollata» mormorò, cercando di controllare i singhiozzi «Coincidenza?! Non credo proprio. Tu sei l'altra, quella che ha allontanato Federico da me»
«Ti sbagli Ben» soffiai, quasi al limite della disperazione.
«E non tentare di calmarmi con quelle lacrime di coccodrillo» mormorò «Credevo di aver trovato un'amica e invece mi hai pugnalata alle spalle» abbassò lo sguardo e si morse le labbra. Era la prima volta che la vedevo così fragile, così indifesa e la colpa era soltanto mia. «Ti odio Alice. Vorrei dirti di non farti più vedere da me, ma purtroppo siamo nella stessa classe. Per cui, vedi di ignorarmi, da ora in poi. E non provare a cercarmi, non voglio più sentire la tua voce stridula»
Si voltò di scatto e andò a sedersi in fondo alla classe, vicina alla finestra. Avevo gli occhi di tutti posati su di me, perfino quelli del professore che era rimasto ad assistere incredulo a quel litigio. Mi sentivo morire, ferita dallo sguardo pieno di rabbia di Benedetta, logorata dentro da quelle parole.
Ti odio.
La mia migliore amica mi odiava. Nel giro di poco tempo avevo perso due delle persone più importanti per me… prima Dario, poi Benedetta. E l'artefice di tutto quel trambusto ero io.


Benedetta, oramai, si comportava quasi come se io fossi morta. Non un saluto, non un cenno, nemmeno uno sguardo. Anche lei, come Francesca era diventata una specie di caricatura della Cariati. La seguiva dovunque andasse, rideva a qualsiasi sua battuta, si comportava da stronza esattamente come Cristina. Ed io mi sentivo sempre più sola. Certo, c'era Claudia, che però doveva dividersi tra me e Benedetta, lavoro non semplice per lei che doveva sorbirsi i nostri piagnistei in continuazione. Poi c'era Federico, la mela della discordia, colui che aveva spezzato il cuore della mia migliore amica. Forse avrei dovuto tagliare i ponti con lui, scaricargli addosso tutta la colpa, ma non ci riuscivo. Sapevo bene che tutto era nato per colpa mia, per quella mia stupida bugia, per cui non potevo prendermela con Abbate.
Per cui, ricaddi nuovamente in quella spirale di tristezza che credevo di aver superato. Ormai, la mia infelicità era cronica. A tutto questo si aggiungeva il mio compleanno.
Il diciottesimo.
Un traguardo per tutti, da festeggiare in discoteca con migliaia di amici e fiumi di alcool. Peccato che per me non fosse così. Era un giorno come tutti gli altri, monotono e triste e le uniche cose che mi ricordavano che era il 13 marzo erano gli auguri sporadici che mi arrivavano sul cellulare dai parenti e la torta gelato che aveva comprato mia madre. Non mi ero mai immaginata di passare il mio diciottesimo compleanno in un locale notturno, ma nemmeno chiusa nella mia stanza abbracciata al cuscino.
Suonarono al citofono e sospirai scocciata di dover abbandonare il mio confortevole letto. Mi trascinai svogliatamente verso il citofono, chiedendomi chi rompesse le scatole alle quattro del pomeriggio.
«Sì…» biascicai senza entusiasmo.
«Stavo cercando Livraghi Alice» disse una voce scura.
«So-sono io» tentennai insicura.
«Mi hanno detto che oggi è il suo compleanno! E di farla scendere, che c'è qualcuno che la sta aspettando»
Sorrisi, scuotendo la testa, capendo solo in quel momento che a parlare era Abbate.
«Che vuoi Fede? Non ho davvero voglia di uscire»
«Volevo darti il mio regalo di compleanno!» rispose «Scendi, dai!» mi pregò.
«Arrivo» sbuffai.
Fortunatamente ero ancora vestita, per cui non persi tempo e raggiunsi Federico fuori dal palazzo. Mi sorrise e mi strinse a sé, baciandomi tra i capelli. Lo squadrai da capo a piedi, ma non sembrava avere con sé nulla, se non la sua moto.
«E il regalo?» domandai perplessa.
«Dobbiamo raggiungerlo» rispose con ovvietà.
Aggrottai le sopracciglia, sempre più dubbiosa.
«Non fare domande. Avvisa solo tua madre che tornerai per le otto a casa»
Che cosa diavolo aveva architettato Abbate?! Titubante, suonai al citofono e spiegai ad un geloso Smell che sarei uscita con Federico.
Afferrai il casco che Abbate mi stava tendendo e lo indossai, salendo sul quel mostro a due ruote. C'ero già stata sulla moto, ma ero troppo depressa per potermi preoccupare della sua pericolosità. Però quella volta ero abbastanza lucida da impaurirmi anche solo sentendola sgasare. Avevo timore di cadere da quel trabiccolo, di rimanerci secca.
Non appena la moto partì, strinsi il busto di Federico, aggrappandomi alla sua giacca e affondando il viso nella sua schiena. E non avevo la minima intenzione di staccarmi da lui, di guardarmi intorno e vedere le macchine sfrecciarmi di fianco. Avevo fin troppa paura della velocità e se avessi visto la moto zigzagare tra le auto mi sarebbe venuto un infarto.
Per tutto il tragitto mi canticchiai quasi tutta la discografia di Tiziano Ferro per dimenticarmi di essere su una moto che viaggiava a chissà quanti chilometri orari. Non seppi nemmeno quanto tempo impiegammo per raggiungere il mio regalo, avevo perso qualsiasi cognizione.
«Siamo arrivati» annunciò a gran voce Federico, spegnendo la moto.
Si era fermato su una piccola strada che costeggiava un verdeggiante boschetto. Scesi da quel trabiccolo, guardando stranita le villette di quel paesello. Non avevo la benché minima idea di dove fossi, né tanto meno cosa avesse in mente Federico. Mi tolsi il casco, tendendolo ad Abbate, che lo sistemò dentro il sellino della moto.
«Seguimi» disse, trascinandosi dietro il mostro a due ruote ed inoltrandosi nel boschetto.
«Che cosa hai in mente, Federico?!» domandai a gran voce, seguendolo titubante.
«Fidati di me!»
Insomma, mi stava chiedendo di andare con lui in un bosco, tanto sicura non lo ero. Se fosse impazzito tutto d'un tratto e avesse dei pensieri sconci su di me? Se avesse voluto farmi del male? Magari era sempre stato un maniaco ed io non me n'ero accorta.
Tutti questi pensieri tragici vennero spazzati via non appena vidi apparire davanti a me una distesa azzurra e cristallina. Rimasi estasiata nel vedere quell'immenso lago nel quale si specchiavano gli alberi e il sole. Sembrava quasi di essere dentro ad un quadro, con quei colori tenui e romantici.
«È... è bellissimo» mormorai, avvicinandomi alla riva.
«Il lago di Pusiano» commentò Federico, affiancandosi a me e stringendomi la spalla «Mio nonno mi ci portava sempre quando ero piccolo»
«È questo il mio regalo?» domandai, persa in quello spettacolo naturale.
«Già» rispose «Volevo che ti ricordassi questo giorno per sempre. Aspetta di vedere il tramonto»
«Davvero splendido» mormorai «Grazie Fede».
Abbate arrossì, abbassando lo sguardo e sorrise. Rimanemmo stretti a guardare il lago per alcuni secondi, coccolati dal vento che spirava tra gli alberi e che increspava l'acqua.
«Ti piace nuotare, vero?» domandai, sorridendo sorniona.
«Sì, ovvio» rispose con le sopracciglia abbassate.
«Bene» ridacchiai.
Gli strinsi un braccio e lo trascinai, cercando di spingerlo dentro il lago. Ma spostare Abbate era come cercare di muovere una montagna. Lui puntò i piedi nel terreno e ogni mio tentativo di spingerlo in acqua era vano. Era immobile e rideva mentre io cercavo disperatamente di farlo muovere da lì.
Improvvisamente, Federico mi afferrò il polso, trascinandomi verso di lui e mi sollevò da terra, prendendomi in braccio. I suoi occhi sprizzavano furbizia, così come il suo sorriso appena accennato.
«Non ci provare» gli intimai, puntandogli un dito contro e ridacchiando.
«Tu volevi buttarmi in acqua, per cui ti accontento» ribatté, avvicinandosi all'acqua «Però tu vieni con me!».
Cominciai a dimenarmi per liberarmi dalla sua presa, ma la sua stretta divenne più forte. Non volevo finire in acqua e fare un bagno fuori stagione, anche perché sarei sicuramente annegata.
«No, ti prego, Fede, lasciami!» lo supplicai ridendo.
Nemmeno gli occhi dolci lo convinsero a lasciarmi andare. Entrò in acqua e lo sentii tremare per il gelo del lago. Avvolsi le mani intorno al suo collo, stringendomi ancora di più a lui perché non volevo assolutamente sfiorare quell'acqua che sembrava gelida. Ma le mie preghiere furono inutili e Federico mi gettò nel lago. Scoppiò a ridere, mentre io annaspavo per cercare un po' d'aria ed evitare così di annegare.
«Federico Abbate sei un uomo morto» sibilai, completamente zuppa.
Fortunatamente toccavo, per cui, impacciata, mi avvinai a lui, schizzandolo. Ridacchiai, mentre lo vedevo scappare da me con le mani davanti al viso per pararsi dai miei schizzi. Ormai mi ero dimenticata del gelo di quel lago, pensavo solo a divertirmi ad inseguire Federico. Come al solito, lui riusciva a rallegrare le mie giornate, ad illuminare con la sua gioia momenti estremamente bui. Con lui mi sentivo felice, anche avendo il cuore infranto, anche dopo aver perduto la mia migliore amica. Era sufficiente solo il suo sorriso perché mi rallegrassi.
«No, dai, basta!» si lagnò, cercando di scappare dagli schizzi.
«Mi sto solo vendicando!» esclamai divertita, inseguendolo e continuando a spruzzarlo.
Uscì fuori dall'acqua scuotendo la testa e si sistemò i capelli bagnati. Lo raggiunsi sulla riva e scoppiammo a ridere come due scemi. Mi avvicinai a lui, con il fiatone, zuppa dalla testa ai piedi e la pelle d'oca e Federico mi strinse a sé, strofinandomi le braccia con le sue mani morbide per cercare di riscaldarmi.
«Un bel bagno fuori stagione era proprio l'ideale» ridacchiò.
«Soprattutto in un lago ghiacciato» ribattei, ridendo.
«Prevedo una bella settimana di febbre»
I nostri occhi si incontrarono e le nostre iridi si fusero all'istante. Sentii un piccolo guizzo nel petto, come se il mio cuore stesse riprendendo a palpitare irregolarmente per qualcuno… per Federico. Rimasi a fissare le sua labbra carnose ancora bagnate e sentii lo strano desiderio di concludere quello che avevamo cominciato sul mio divano più di un mese prima e che Smell aveva interrotto. Mi morsi un labbro ed affondai una mano tra i suoi capelli biondi, alzandomi sulle punte. Federico deglutì e si abbassò verso di me, sfiorando le mie labbra con le sue.
Al diavolo Dario e i suoi sbalzi di umore, al diavolo Benedetta e il suo odio, al diavolo tutto e tutti. Quella era davvero la volta buona che le pagine della mia esistenza cominciassero a scorrere, veloci, lasciandosi alle spalle la mia vecchia vita alle spalle. Con Federico, piano piano, avrei sistemato i pezzi del mio cuore, avrei ricominciato ad amare, avrei smesso di pensare a Dario. Lui sarebbe stato il mio nuovo inizio.
Con la punta della lingua gli solleticai le labbra, che dischiuse subito dopo per permettermi di entrare nella sua bocca. Le nostre lingue si incontrarono per la prima volta e, impacciate ed intimidite, si sfiorarono, come se volessero conoscersi. Dopo un primo momento di esitazione da parte di entrambi, quel bacio si fece più passionale, quasi travolgente. Federico mi cinse i fianchi, stringendomi a lui, facendo aderire i nostri corpi bagnati. Mi lasciai completamente trasportare da quel bacio, mordendogli di tanto in tanto il labbro inferiore ed esplorando con le mani il suo corpo scultoreo attraverso gli indumenti fradici. Il mio respiro si fece irregolare e mi sentii andare a fuoco a sentire quei muscoli quasi perfetti scivolare sotto le mie dita. Intanto, le mani di Federico s'infilarono lentamente sotto il mio maglioncino, percorrendo con i suoi delicati polpastrelli la mia schiena in tutta la sua lunghezza e lasciandosi dietro una scia di brividi che si propagarono in tutto il mio corpo.
Ero stata travolta da quella passione, da quel bacio dolcissimo, ma non riuscii a non pensare a Dario, alle sue labbra e al suo corpo, al suo odore e tutto ciò che era legato a lui. Sentivo la sua mancanza e per un solo istante sperai che al posto di Federico ci fosse lui.
No, no, no!
Stavo sbagliando tutto! Dario faceva parte del mio passato, doveva perlomeno, invece Federico era il mio presente e forse anche il mio futuro.
Le labbra di Abbate si allontanarono dalle mie e lui appoggiò la sua fronte sulla mia. Ancora una volta ci ritrovammo occhi negli occhi, senza niente da dire, senza parole per poter descrivere quello che era appena successo. Eravamo entrambi imbarazzati, spiazzati da quel bacio e le nostre guance avevano lo stesso color porpora. Deglutii e mi morsi il labbro inferiore, indecisa se dare voce ai miei pensieri oppure tacere.
«Che» presi un respiro profondo «Che ne dice se...» esitai ancora «provassimo a stare insieme» azzardai, sfuggendo al suo sguardo e torturandomi le labbra.
Federico esitò qualche secondo, prima di sospirare e allontanarsi da me, scrollando la testa.
«No» rispose esitante.
Sgranai gli occhi, incredula di fronte all'ennesimo rifiuto. Credevo che lui provasse qualcosa per me, che non mi avrebbe mai negato il suo amore e invece mi ritrovavo di fronte ad un
No di Federico, l'unico di cui non avrei mai dubitato.
«Alice, credimi, io vorrei tanto stare con te. È da quando avevo undici anni che sono innamorato di te, ma» sospirò affranto, scuotendo la testa «so che tu non proverai mai nulla per me. Sono solo un ripiego»
«Non... non è così» ribattei insicura.
«Sì invece! Lo fai solo perché vuoi dimenticarti di quel Damiano, Daniele o come diavolo si chiama. E stai commettendo un grosso errore, il mio stesso errore. Per non pensare a te, io ho fatto soffrire una ragazza» abbassò lo sguardo e calciò un legnetto «Ed io non voglio soffrire e perderti di nuovo. Perché è chiaro che tra di noi non potrà mai funzionare. Tu non sei abbastanza presa da me e questo rovinerà la nostra amicizia. Preferisco averti accanto per tutta la vita come amica piuttosto che pochi mesi come la mia ragazza».
Lo guardai stupita, colpita nel profondo da quelle parole. Nonostante cercassi di convincermi che Federico fosse quello giusto, che lui sarebbe stato addirittura il mio futuro, sapevo bene che il mio cuore batteva ancora per Dario e che per Abbate non provavo nulla, se non una semplice amicizia. E mi sentii una stupida per averlo baciato, per avergli proposto di essere il mio ragazzo senza in realtà volerlo davvero. Prima di tutto, avrei dovuto allontanare Dario da mio cuore, poi avrei potuto innamorarmi di nuovo di qualcuno.
«Scusami Fede» riuscii solamente a dire.
Lui sorrise mestamente e scosse la testa, affondando le mani nelle tasche dei jeans. Si voltò verso il lago, avvicinandosi alla riva.
«Il sole sta tramontando» sospirò.
Mi avvicinai a lui e intrecciai le nostre dita. Il sole aveva colorato il cielo di un rosso intenso, quasi come se le nuvole avessero preso fuoco tutto d'un tratto. Anche il lago si era tinto di scarlatto, abbandonando per qualche minuto il suo azzurro tenue che ci aveva accolti. Il sole che si abbandonava al lago, che sembrava venir avvolto dalle acque era uno degli spettacoli più belli e emozionanti che avessi mai visto e fui felice di condividere quel momento insieme al
mio migliore amico.
Quando il sole calò completamente lasciando il cielo in balia del buio che precedeva la notte, montammo nuovamente sulla mota diretti verso il nostro paese. Mi sentivo quasi sollevata dopo quel pomeriggio al lago, dopo le parole di Federico. Tra di noi non ci sarebbe mai stato nulla, se non una grandiosa amicizia. Sicuramente, lì, da qualche parte, c'era qualcuno che ci stava aspettando, che attendeva di essere trovato da noi ed essere amato. Ma, nell'attesa dell'arrivo del nostro
vero amore, avremmo contato sul nostro supporto, sulla nostra splendida amicizia che ero felice di aver ritrovato.
Dopo nemmeno un'ora eravamo arrivati sotto casa mia. Scesi dalla moto e gli tesi il casco.
«Grazie di tutto» gli dissi, abbracciandolo «E scusami ancora»
«Nah, tranquilla!» esclamò lui sorridendo «Me ne farò una ragione prima o poi» ridacchiò ed io mi unii a lui.
«Ciao, allora» mormorai, indietreggiando.
«Ciao» rispose lui in un soffio «E auguri».
Gli lanciai un bacio con la punte delle dita e entrai nel mio palazzo, salendo in fretta le scale.
«Sono tornata!» esclamai e mia madre uscì dalla cucina, strofinandosi le mani nel grembiule.
«Ciao tesoro!» disse, dandomi un bacio sulla guancia «Auguri alla mia piccolina!» trillò abbracciando «Ah, prima che mi scordi!» esclamò battendosi una mano sulla fronte «È venuto qui il tuo amico, quello di San Valentino. Ti ha lasciato qualcosa in camera».
Il mio cuore perse un battito e rimasi senza fiato. Dario era stato a casa mia e la cosa mi lasciò senza parole. Mi precipitai nella mia camera e subito notai una scatoletta sul mio letto. L'afferrai subito e sotto vi trovai un bigliettino, scritto con una calligrafia elegante, chiara. Prima di tutto, aprii la scatolina blu trovandovi dentro una fine collanina di oro bianco con appeso il ciondolo di una fatina. La strinsi nella mano, avvicinandola al cuore, sentendo immediatamente le lacrime premere agli angoli degli occhi. Inspirai a fondo e lessi il bigliettino, lasciandomi poi cadere sul letto con la collana stretta al petto e quel biglietto bagnato di lacrime.


Un regalo per la mia piccola che oggi diventa grande.
Mi dispiace molto per come sono andate le cose, ma sono sicuro che prima o poi tutto si sistemerà e che tu potrai finalmente sentirti la principessa delle tue favole. Io mi limiterò ad essere la tua fatina.
Un bacio e tanti auguri piccola mia <3
PS: I MISS YOU








__________________________________

Con un tempo da record, eccomi ad aggiornare!
Sono accadute molte cose in questo capitolo. Prima tra tutte la litigata tra Alice e Germa! Si sapeva che prima o poi sarebbe successo. Benedetta è innamorata di Federico e Federico è innamorato di Alice, un bel casotto!  Quindi, un litigio del genere era nell'aria da un bel po'. chissà se la loro amicizia è definitivamente chiusa :3
Claudia e  Raffaele fanno coppia fissa, per la gioia di voi lettrici. E pare che vada a gonfie vele tra i due. Per di più, Claudia ha scoperto la verità su Alice e Dario e non l'ha presa affatto male. Era la nostra cara protagonista a farsi le paranoie, così come le ha detto Federico.
A proposito di quest'ultimo! Alla fine si è deciso a lasciare Benedetta. Ha capito di aver sbagliato a mettersi con lei, forse un po' troppo tradi. Ma errare è umano! E ancora una volta si dimostra dolce e disponibile. È davvero l'apoteosi dello zucchero questo ragazzo >.<
Il compleanno di Alice sembrava essere triste, ma arriva Abbate in sella alla sua moto che la porta al lago a vedere il tramonto. Che romantico ♥ .  ♥ E ci scappa il bacio! Alice vuole dimenticare Dario e l'unico modo crede sia quello di fidanzarsi con Federico, commettendo così lo stesso errore del suo amico.
La bella notizia è che Federico si è fatto da parte, con vostra immensa gioia. Quella brutta è: che fine ha fatto Dario? Le ha regalato la collanina, ma dove sarà? Cosa starà facendo? Tra loro, ci sarà mai qualcosa?
Bah...Never say never :3
Ringrazio le ben 24 (ragazze, sono commossa ç___ç) che hanno recensito lo scorso capitolo. Mi scuso se non ho ancora risposto >.< lo farò presto.
Grazie alle persone che hanno inserito la storia tra le preferite, seguite, ricordate.
Un grazie specialissimo a Nessie e IoNarrante che mi sopportano all day long!

Un po' di pubblicità:

Red District
Come in un Sogno - con IoNarrante.
You're a mistake I'm willing to take - con IoNarrante...leggetela per sapere qualcosa in più del  nostro Dario ;)
Profilo Facebook
Gruppo Facebook - dove troverete spoiler, foto, novità, contest e tanto divertimento (pare la pubblicità di un parco divertimenti xD)

Detto qusto, vi saluto. Sono un po' di fretta, lo ammetto ù.ù Ma dovevo postarlo questo capitolo.
Al prossimo!
Un bacio a tutte/i! Vi adoro ♥

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Capitolo 18
*** Un passo indietro ***


C a p i t o l o 17

Un passo indietro


Tutto era tornato alla normalità. O, perlomeno, quasi tutto. Benedetta, dopo tre lunghissimi mesi era ancora arrabbiata con me e continuava ad ignorarmi, nonostante i miei numerosi sms di scuse e i tentativi di ricostruire quella meravigliosa amicizia che ci aveva sempre legate. Anche Claudia aveva iniziato ad evitarmi senza un vero motivo. Da un giorno all'altro era diventata sfuggente, accennava solo dei vaghi saluti, per poi scappare tra i corridoi della scuola. Su Facebook era impossibile parlarle dato che non si connetteva mai e il cellulare era diventato un optional. In sostanza, mi era rimasto solo Federico con il quale passavo la maggior parte del tempo. La nostra amicizia era tornata quella di un tempo, solida, unica e mi ero ripromessa di non allontanarlo più da me. Avevo bisogno di un confidente, di una persona fidata, di una spalla su cui piangere… avevo bisogno di Federico.
Per il resto, la mia vita era tornata ad essere quella insulsa di sempre, quella del
pre-Dario, ossia televisione a go-go, snack vari, qualche uscita con Federico e, ovviamente, senza lo straccio di un ragazzo che mi filasse. In quei tre mesi non avevo conosciuto nessuno e nessun essere del sesso opposto si era fatto avanti, per cui il mio futuro da ‘zitella acida’ si stava via via concretizzando. Tutto nella norma, insomma. Ero tornata l'Alice Livraghi di sempre, con le sue fantasie stupide e i filmini romantici su ogni ragazzo piacente che vedesse. Ero perfino riuscita a mettermi il cuore in pace, ero riuscita a dimenticare Dario.
Più o meno.
Anzi, no. Era sempre il mio chiodo fisso, ma sapevo che con la perseveranza sarei riuscita a scacciarlo dai miei pensieri. Certo che non sarei mai riuscita nel mio intento se ad ogni occasione mi fiondavo al computer per vedere le sue foto.
L'ultima volta
, mi dissi mentre aprivo il sito per signore. Cliccai sulla lettera B e scorsi tutta la pagina in cerca del suo profilo che sembrava sparito. Controllai ancora e ancora, ma di Blaine non c'era traccia. Mi lasciai andare sullo schienale della sedia e rimasi a fissare il monitor del mio computer dubbiosa, confusa e triste. Quel dannato sito era l'unico modo per poterlo vedere ogni volta che lo desideravo, ogni volta che avevo voglia di sentirlo un po' vicino a me. Adesso che il suo profilo era stato cancellato, che cosa mi rimaneva? Solo il ricordo dei suoi occhi e del suo odore, che avevo paura, però, di dimenticare da un momento all'altro.
Strinsi il ciondolo a forma di fatina che mi aveva regalato e dal quale non mi separavo più, chiedendomi che fine avesse fatto il
mio Dario. Trasferito? Nuovo lavoro? Morto...
A quel pensiero, sentii il fiato mancarmi e gli occhi annebbiarsi. No, non poteva essere, non poteva avermi lasciata, non era possibile che lui non c'era più. Ero troppo tragica, ogni volta pensavo sempre al peggio. Presi un respiro profondo e mi alzai dalla sedia. Sicuramente stavo esagerando anche quella volta, non dovevo temere nulla. Eppure non riuscivo a non essere in pena per lui.
«Alice, c'è lo spilungone!» sbraitò Smell.
Diedi un'ultima occhiata al monitor, prima di uscire dalla mia stanza e regalare a Federico un sorriso falso quanto la banconota da un euro. Avvolsi le braccia intorno al suo collo e gli schioccai un lungo bacio sulla guancia.
«Come sta la mia piccola?» mi chiese, strofinando il suo naso contro il mio.
Raffaele assunse un'espressione schifata e fece finta di vomitare, prima di chiudersi in cucina, l'unica stanza che non era stata invasa dal caldo fuori stagione di quel maledetto Giugno.
«Che idiota» mugugnai «Tutto bene, tu?»
«Bene» scrollò le spalle, sedendosi sul divano «A parte il caldo tropicale insopportabile» borbottò imbronciato.
«Sembra di stare nel deserto» ridacchiai, accomodandomi accanto a lui.
Federico afferrò una rivista dal tavolinetto di fronte a noi e cominciò a sventolarsi per ricavare un po' di frescura in quella bollente giornata.
«Gossip dell'ultima ora» annunciò d'un tratto, entusiasta.
Appoggiai il braccio sullo schienale del divano e mi accoccolai su di esso, sorridente, attendendo il pettegolezzo di Federico.
«Ho conosciuto una ragazza» esclamò con un sorriso luminoso.
La mia bocca si dischiuse per lo stupore e tutte le parole mi morirono in gola.
«Da-davvero?!» riuscii a chiedere incredula, fingendo allegria.
Avrei dovuto essere felice per il mio migliore amico, ma non volevo che anche lui si allontanasse da me. Con la nuova ragazza, io sarei passata in secondo piano, forse non sarei stata nemmeno più considerata e avrei perduto anche lui. Forse era egoistico pensarlo, ma avrei voluto che anche lui rimanesse single, così da poterlo avere sempre accanto a me. L'unica nota positiva di tutto ciò era che, finalmente, era riuscito a dimenticarmi.
«Sembra strano, ma dopo tre mesi sono riuscito a trovare qualcuno» ridacchiò.
«E come si chiama?» domandai curiosa.
«Cristina» sospirò «Dovresti vederla! È…» esitò qualche istante, perdendosi nella visione estatica di quella ragazza «Bellissima. Ha due occhi verdi che sono magici».
Cristina... occhi verdi... Cariati.
Sbarrai gli occhi e spalancai la bocca. No, impossibile, Federico non era il tipo a cui piacevano le ochette senza cervello.
«Cristina Cariati» azzardai, tanto per esserne sicura.
«Sì!» esclamò, afferrandomi la mano «La conosci?»
«Purtroppo sì. È una mia compagnia di classe» soffiai «Si può sapere come vi siete conosciuti?»
«Sua sorella fa nuoto nella mia stessa piscina. E un giorno è venuta a prenderla. Abbiamo chiacchierato un po', poi abbiamo iniziato a vederci e da cosa nasce cosa» fece il vago, gesticolando «ieri sera ci siamo baciati»
«E tu hai aspettato tutto questo tempo per dirmi che ti vedevi con una ragazza?» chiesi stizzita, incrociando le braccia.
«Volevo prima essere sicuro che potesse nascere qualcosa tra di noi» ribatté, sbattendo la rivista sulle gambe.
«Beh, io sono la tua migliore amica e voglio saperle certe cose» alzai il tono della voce e scivolai lungo lo schienale.
«Dai, scusami Alice. Non credevo che te la potessi prendere così tanto per una sciocchezza!» cantilenò, appoggiando la testa alla mia spalla.
«Lo sai che tra noi non ci devono essere segreti, ce lo siamo promessi» bofonchiai.
Dopo che la mia stupida bugia aveva creato quel pandemonio, avevo deciso che con chiunque persona a cui tenessi avrei sempre rivelato tutto e pretendevo lo stesso. Per cui, il giorno dopo il mio compleanno, avevamo entrambi promesso che tra di noi non ci sarebbero mai stati segreti, avremmo confessato tutto, anche le più inutili sciocchezze.
«Ok, ho sbagliato! Scusami» sbuffò «
Pacina fatta?» imitò la voce di un bimbo, allungando il mignolo verso di me.
Allontanai la sua mano, sorridendo e scuotendo la testa. Federico, nonostante i diciotto anni e la stazza da un lottatore di wrestling, era ancora un bimbo, un Peter Pan rinchiuso in un involucro di muscoli.
«Pace fatta» sospirai.
Federico s'imbronciò e ripropose nuovamente il suo mignolo.
«Dai su, la canzoncina» borbottò.
Scossi la testa con vigore e scoppiai a ridere.
«Non ci penso nemmeno! Siamo grandi per queste cose!» esclamai divertita.
«Uffa» bofonchiò «Vorrà dire che mi vendicherò per questo rifiuto».
Gli occhi di Abbate si ridussero a due fessure e sorrise sornione. Aggrottai la fronte e ridacchia nervosamente, allungando le mani per difendermi dal corpo di Federico che si avvicinava lentamente a me.
«Che vuoi fare?!» domandai preoccupata.
Le braccia di Abbate si mossero rapide in una finta che mi fece sobbalzare e emettere un gridolino strozzato. Lui scoppiò a ridere ed io, da stupida, abbassai la guardia per guardarlo infastidita e fu quando incrociai le braccia che Federico mi pungolò il fianco, facendomi sussultare. Lo fece una seconda volta, poi una terza, divertito dai mie urli e i miei tentativi di pararmi da quegli insopportabili attacchi.
«La volete piantare?!» sbottò mio fratello, facendo capolino dalla cucina «Sto cercando di ascoltare la radio».
Io e Abbate ci scambiammo uno sguardo complice di sottecchi e scoppiammo a ridere non appena Raffaele tornò in cucina ad alzare il volume della radio che poteva essere sentita anche dagli abitanti del Canada.
«Comunque» dissi, ricomponendomi e leggermente infastidita dalla voce di Linus «Mi spieghi cosa ti piace di Cristina? È insopportabile!»
«Non sarà il massimo della simpatia, ma ha molti pregi»
«Tipo?» domandai retorica, sorridendo «A parte le tette e il culo, ovviamente»
«Beh» temporeggiò Federico, grattandosi la nuca e schioccando la lingua più volte.
«Fede, da te non me l'aspettavo!» sbottai stizzita «Sei uguali a tutti gli altri, che sbava dietro solo alle gnocche»
«Non è vero!» ribatté lui con lo stesso tono.
«Sei solo un superficiale» ringhiai, incrociando le braccia.
«Solo perché mi piace una bella ragazza?» tuonò «A quanto pare non conosci Cristina. Non è solo bella. Ha un carattere forte e deciso, sa quello che vuole. È la sua determinazione che mi ha colpito, non certo il suo fisico» sbuffò, sbattendo contro lo schienale «Sei tu che giudichi le persone dall'aspetto, non io».
Rimanemmo in silenzio, entrambi imbronciati, entrambi con le braccia conserte e lo sguardo fisso davanti a noi. Forse aveva ragione. Io non conoscevo Cristina, non avevo mai desiderato approfondire il nostro rapporto praticamente inesistente. Partivo dal fatto che fosse bionda e di bell'aspetto, arrivando alla conclusione che fosse stupida. Da come si era infervorato Federico, doveva tenere molto a lei, e lui si affezionava molto difficilmente, che faceva fatica a relazionarsi con le persone. Lo guardai di sottecchi e notai che lui stava facendo lo stesso. Ridemmo e lui mi afferrò il braccio, spingendomi contro di lui. Appoggiai la testa al suo petto, abbracciandolo e rimanemmo in silenzio, stretti l'uno all'altra ad ascoltare la radio di Smell.
«E anche oggi siamo arrivati alla fine di Deejay chiama estate!»
esclamò Linus «Ora passeremo la linea al vincitore del concorso Diventa Deejay, subito dopo le notizie in breve. Qui in redazione tutte le donne sono in subbuglio per questo nuovo acquisto...»
Chiusi gli occhi e la voce di Linus diventò sempre più ovattata, fino a sparire completamente. Mi sentivo tranquilla tra le braccia di Federico e il battito del suo cuore mi coccolò con il suo suono. Non dormii più di dieci minuti perché mi alzai di scatto, correndo in cucina per ascoltare la radio, per accertarmi che il mio udito non mi stesse tirando un brutto scherzo.
«Dire che sono emozionato è poco. Non mi aspettavo minimamente di poter vincere quel concorso e spero di essere all'altezza di questo lavoro. Ma, bando alle emozioni e iniziamo questa puntata. Io sono Dario e vi accompagnerò con la mia voce per tutta l'estate»
Sorrisi e strinsi la collana, sentendo il cuore cominciare a battere con più vigore, quasi avesse trovato di nuovo la forza e la voglia di pulsare. La sua voce era ancora più bella ed avvolgente di quanto ricordassi e sentirla nuovamente mi fece rabbrividire. Dario stava bene e aveva cambiato finalmente la sua vita, aveva accantonato il suo lavoro, magari anche la sua malinconia e questo mi rallegrò. Magari aveva anche cominciato la sua nuova vita con un'altra ragazza che, speravo, lo amasse più di quanto avessi fatto io, per renderlo felice. Anche se provavo gelosia per questa ipotetica fidanzata, non potevo non gioire sapendolo finalmente felice.
Federico mi raggiunse dubbioso in cucina e tentò di dire qualcosa, ma io lo zittii, sedendomi accanto a Smell, concentrata sulla voce di Dario.
«L'estate è ormai alle porte, mancano solo cinque giorni al 21 Giugno e le vacanze sono un po' il chiodo fisso di tutti noi. Già immaginiamo come possano andare, che cosa fare durante le nostre settimane di puro relax. Quali sono i vostri piani per queste vacanze, come vorreste passarle, con chi. Insomma, parlateci un po' di come vi immaginate questa estate»
Sospirai, completamente rapita dalla sua voce. Lo immaginai rinchiuso in uno stanzino dalla parete di vetro con le cuffie e il microfono davanti alla bocca. Mi sarebbe piaciuto essere lì con lui, per poterlo vedere ancora una volta, per poterlo guardare negli occhi. Non ascoltai nemmeno la canzone che Dario aveva lanciato, l'unica cosa che volevo sentire era lui che parlava.
«I primi messaggi cominciano ad arrivare. Giacomo dalla splendida Roma è al settimo cielo perché quest'anno saranno le prime vacanze che passerà con i suoi amici. Scrive “Finalmente, alla veneranda età di diciotto anni, niente genitori tra i piedi e niente serate noiose chiuso in albergo. Quest'anno si va in Sicilia a divertirsi! Ragazze, alcool e ore piccole! Non vedo l'ora! E tu, che progetti hai?”»
Dario ridacchiò, prima di riprendere la parola.
«Io vi terrò compagnia con radio Deejay, magari da qualche località balneare. La cosa più importante, però, è far capire
 alla ragazza più importante per me, la ragazza con cui passerò queste vacanze ed altre mille se fosse possibile, quanto sia speciale»
Mi morsi le labbra di fronte a quella pesante verità. Non lo aveva detto esplicitamente, ma era chiaro che lui si fosse innamorato di nuovo ed io ero solo la stupida ragazzina che continuava a morirgli dietro. Avevo pensato che l'importante era che lui fosse felice, ma non ne ero più tanto sicura. Immaginare che ci fosse una ragazza nel suo cuore era un conto, sapere che c'era tutt'altro. Faceva tanto, troppo male. Il mio cuore perse tutto il suo vigore, tornando a battere quasi svogliatamente. Mi alzai di scatto dalla sedia sotto lo sguardo dubbioso di Smell e di Abbate.
«Io vado a stendermi. Non mi sento molto bene» mentii «Grazie Fede per la visita».
Non gli diedi nemmeno un bacio, me ne andai solamente dalla cucina rinchiudendomi nella mia stanza. Avevo sbagliato a congedare così Abbate, con un freddo
Grazie e con una scusa banale. Ma volevo stare da sola a crogiolare nel mio dolore. Essendo passati tre mesi, non credevo che la sofferenza arrecatami potesse essere ancora così insopportabile.
Mi gettai sul letto e baciai il ciondolo che mi aveva regalato.
«Ti amo» mormorai, bagnando il cuscino con le mie lacrime.
Avrei voluto dirglielo, ma sarebbe stata un'altra a farlo. Cercai di immaginarmela, bellissima, con un sorriso da mozzare il fiato, una di quelle ragazze da copertina sempre curate e i vestiti all'ultima moda. Tutto l'opposto di me, insomma. Chissà come si erano conosciuti, chissà che cosa si dicevano e chissà se lei era la famosa Sole che continuava a tormentarlo.
Era arrivato il momento di farmene una ragione, anche se questo mi logorava dentro. Dovevo trovare la forza, una volta per tutte, di lasciarlo andare, lasciare andare anche il suo ricordo.
«Piccola, che succede?»
La dolce voce di Federico mi riportò alla realtà. Abbate si sedette sul mio letto e mi accarezzò una guancia con il dorso della mano.
«Ho avuto un giramento di testa» mentii.
«I giramenti di testa non fanno piangere» mormorò.
Raccolse una mia lacrima con il pollice, poi poggiò le sue labbra sulla mia guancia in un lungo bacio.
«Ti ricordi che tra di noi non ci devono essere segreti?»
«Hai ragione» soffiai, mettendomi a sedere ed asciugandomi le lacrime con il palmo della mano «Il ragazzo alla radio era Dario»
«Il gigolò della festa?» chiese confuso.
Annuii mestamente, incrociando le gambe e appoggiando le guance ai pugni chiusi.
«Non dirmi che sei ancora innamorata di quel tipo?!» esclamò stupito.
Rimasi in silenzio a disegnare con il dito i contorni dei fiori stampati sulle lenzuola. Già, lo amavo ancora e non riuscivo a capirne il motivo.
«Ma sono passati tre mesi!» sbottò incredulo.
«Lo so!» risposi con lo stesso tono, battendo le mani sul materasso «Ma non riesco a levarmelo dalla testa! E mi sento talmente stupida ad amare un ragazzo a cui, di me, non interessa nulla».
Abbassai lo sguardo, affondando le mani tra i capelli. Era passato molto tempo, ma lui continuava ad occupare il mio cuore. Fino a quando sarebbe stato così? Fino a quando sarei riuscita a resistere a quella situazione insopportabile?
Federico mi strinse una spalla, appoggiando la testa sulla mia e sospirando sonoramente.
«So bene che è difficile dimenticarsi del primo amore, ci sono passato anche io» sogghignò «Ma devi cercare di reagire, di andare avanti anche senza di lui. Esci, conosci gente e vedrai che poi sarà molto più facile dimenticarlo»
«Ci ho provato, ma evidentemente non ci sono riuscita» bofonchiai contrariata.
«Perché non hai mai voluto dimenticarlo davvero!» ribatté con un sorriso «E, sinceramente, uno così non si merita nemmeno una tua lacrima. Ti ha illuso, ingannata, ti ha fatto innamorare di lui per calpestare il tuo cuore e i tuoi sentimenti»
«Ma mi ha chiesto scusa e io l'ho rifiutato» ricordai quella dannata serata dell'otto marzo.
«Non osare sentirti in colpa per averlo allontanato» mi ammonì brusco «Hai fatto più che bene, Alice. Lui non può scappare, ferendoti in quel modo e poi tornare quando gli pare supplicando il tuo perdono. Immagina solo quante volte avrebbe potuto fare una cosa del genere, tanto sapeva che lo avresti scusato! Tu ti sei dimostrata forte in quell'occasione, sei stata superiore a lui e devi essere fiera di come hai reagito»
«Già, hai ragione» ammisi.
Dario si era comportato da vero stronzo con me e dopo tre mesi era davvero giunto il momento di dire BASTA, di uscire da quella spirale di sofferenza nella quale mi aveva gettata con il suo comportamento. Lui non aveva avuto scrupoli a dimenticarsi di me, a trovarsi un'altra ragazza, ad ignorarmi quasi non fossi mai esistita, perché io non dovevo riuscirci? Avevo versato fin troppe lacrime per Dario, avevo pianto troppo la notte prima di addormentarmi, sperando in un suo ritorno, in una sua chiamata, in un suo SMS.
Illusa.
Mentre io mi disperavo lui era a divertirsi con la sua nuova ragazza, magari quella Sole, ridendo di quella ragazzina che lo aveva chiamato per una insulsa festa e che si era innamorata di lui come una stupida.
«Io ho sempre ragione» ridacchiò Federico beccandosi dalla sottoscritta un pugno sul braccio «Come sei violenta!» si lagnò massaggiandosi il bicipite.
«Ti sta bene, spilungone» gli feci una linguaccia.
«Sto cominciando ad odiare questo soprannome» bofonchiò, incrociando le braccia.
«Spilungone, spilungone, spilungone, spilungone!» ripetei, divertendomi nel vedere il viso di Abbate contrarsi in un broncio.
«Smettila» mugugnò «Se non vuoi un altro assaggio delle mie ‘mani killer’» aggiunse, allungando le braccia verso di me con uno sguardo sadico.
«No, ti prego, non il solletico!» lo supplicai, indietreggiando.
Federico sorrise, ondeggiando le dita come se fossero i tentacoli di un polipo ed avvicinandosi minaccioso a me.
«Tu prometti che non mi chiamerai più spilungone?»
«Te lo giuro!» esclamai subito «Spilungone» ridacchiai.
«Te la sei cercata, Alice!»
Puntò un ginocchio sul mio letto, avventandosi su di me e mi ritrovai schiacciata tra il suo corpo d'acciaio e il materasso morbido. Federico, a cavalcioni su di me, Cominciò a solleticarmi i fianchi ed io scoppiai a ridere, agitando le gambe per divincolarmi da quella tortura. Con le braccia, cercai di pararmi, ma lui, velocemente, si spostava lungo il mio corpo, solleticando ogni centimetro della mia pelle.
«Ti prego» annaspai, tra una risata e l'altra «Basta!»
«Tu non mi chiamerai più spilungone?» chiese divertito.
«Te lo prometto, te lo prometto!» esclamai.
Federico smise subito di farmi il solletico e mi guardò sorridendo. Avevo il fiatone per le troppe risate e il mio petto si alzava frenetico seguendo il ritmo del mio respiro accelerato. Mi umettai le labbra ed allungai una mano verso il suo viso, sistemandogli una ribelle ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio. Mi afferrò la mano, stringendola nella sua e ne baciò dolcemente il dorso, chiudendo gli occhi, assaporando la mia pelle. Intrecciò le sue dita con le mie e si abbassò verso di me. Serrai gli occhi, deglutendo a vuoto.
No, non ancora!
Pensavo che lui ormai avesse superato la sua cotta per me, e invece mi stava per baciare. M'irrigidii, non sapendo come comportarmi, se scansarmi subito o ricevere le sue labbra. Eravamo migliori amici e per lui non provavo più nulla, se mai avessi sentito davvero qualcosa per lui.
Sentii il suo fiato caldo farsi sempre più vicino, fino a che le sue labbra non si posarono leggere sul mio naso in un lungo ed innocente bacio.
«Se vuoi posso presentarti qualche mio amico» disse.
Aprii un occhio e lo vidi piegato su di me guardarmi con quei dolcissimi occhi color nocciola e sorridere. Ridacchiai nervosamente e nascosi il viso tra le mani. Che stupida che ero! Arrivavo sempre a conclusioni troppo affrettate, preoccupandomi inutilmente.
«Non saprei» risposi «Per adesso sto bene da sola. Tanto ci sono abituata».
Scoppiammo a ridere per la mia battuta e Federico mi scompigliò i capelli. Si sollevò da me e si sistemò i vestiti, controllando l'orologio.
«Io vado» sospirò «Ho gli allenamenti, tanto per cambiare».
Mi alzai dal letto ed andai ad abbracciarlo, affondando il viso nel suo petto. Strinsi la stoffa della sua maglietta nera e mi dondolai a destra e a sinistra, cullata dalle sue braccia forti.
«Fede, non ti ringrazierò mai abbastanza per tutto quello che fai per me» mormorai.
«Non c'è bisogno che ringrazi!» esclamò lui, accarezzandomi la schiena «Mi fa sempre piacere passere del tempo con te»
«Ma sono una lagna unica!» mi lamentai «Tu sei troppo paziente. Non ti merito»
«Ma che dici, sciocchina!» mi strinse le spalle e mi allontanò da lui per potermi guardare negli occhi.
«Sono sempre triste e non so come tu faccia a sopportarmi» borbottai.
«Ma ho sempre il modo per consolarti, no?!» sorrise lui «È mio compito strapparti qualche risata e farti divertire».
Sorrisi di rimando, con gli occhi lucidi e lo abbracciai di nuovo, lo strinsi a me come se volessi non farlo scappare più.
«Fede, non te l'ho mai detto» esitai «Ma tu sei la persona più importante per me».
La stretta di Abbate si fece più poderosa, sentivo il suo respiro scompigliarmi i capelli e il suo cuore battere frenetico.
«Anche per me è così, Alice»


Il sole non era ancora calato, i suoi raggi continuavano a riempire la nostra cucina. Adoravo quella luce soffusa estiva, quella illuminavano fiocamente gli ambienti rendendoli tranquilli e romantici. E mi piaceva cenare con quell'atmosfera, con quella pace e quella serenità che solo il cielo di Giugno riusciva a darmi.
«Vero!» esclamò Raffaele, puntando la forchetta verso Carlo Conti che leggeva una domanda.
«No, è falso» ribatté mia madre, rimestando i suoi spaghetti.
«Sono sicurissimo, è vera!» ribadì mio fratello, riempiendosi la bocca di pasta.
«Staremo a vedere» rispose sicura di sé, mangiando un boccone.
Come al solito, mia madre la ebbe vinta e Smell andò su tutte le furie. Odiava perdere ed odiava avere torto. Ogni sera si ripeteva sempre lo stesso copione durante la cena, ossia sfida all'
Eredità, vinta ovviamente da mia madre, mentre Raffaele si innervosiva e spazzolava la sua cena in un nano secondo per la rabbia. Ed io, che ero la spettatrice, mi divertivo ad assistere a quella sfida sconclusionata, ma soprattutto nel vedere mio fratello bofonchiare contrariato.
Soffocai una risata ed avvolsi gli spaghetti intorno alla forchetta, portandola poi alla bocca. In quel momento, un cafone patentato fermò la macchina proprio sotto il nostro balcone, accendendo lo stereo al massimo volume. Il suono di una chitarra rimbombò tra le pareti della nostra cucina e tutti e tre ci guardammo confusi. Il rispetto, per certi individui, era un optional. La gente cercava di cenare tranquillamente, ma ovviamente non poteva perché c'era qualche cretino che doveva disturbare con musica ad alto volume.

Un passo indietro ed io già so
di avere torto e non ho più le parole
che muovano il sole

La voce di Giuliano Sangiorgi intonò quelle parole con la sua inconfondibile voce. Beh, almeno il cafone aveva buon gusto per la musica e non ci aveva propinato disco-dance. Poteva andarci sicuramente peggio. Scrollai le spalle e tornai a mangiare i miei spaghetti, ridendo per Raffaele che si era tappato le orecchie con i palmi delle mani.
«Tutti insieme!» sentii urlare da fuori.
Ci mancava solo il cafone agitatore di folle.
«Alice!» un coro formato da numerose voci si levò fuori dal mio balcone.


Come sempre sei, nell'aria sei
tu aria vuoi e mi uccidi
come sempre sei, nell'aria sei
tu aria dai e mi uccidi
tu come aria in vena sei


Corrugai la fronte e mi scambiai uno sguardo dubbioso con mia madre.
«Alice!» urlarono di nuovo.
L'unica Alice che conoscevo nei paraggi ero io, ma mi sembrava talmente irreale che una folla di sconosciuti chiamasse il mio nome a gran voce che pensai di avere le allucinazioni.
«Alice, Alice!»
«Sei sorda?!» sbottò indispettito Raffaele «Ti stanno chiamando!».
Lasciai cadere la forchetta nel piatto e, agitata e con una certa preoccupazione, mi alzai da tavola seguita da mia madre. Uscii sul balcone e subito abbassai lo sguardo verso la strada, sorprendendomi di vedere un numero imprecisato di persone, molto probabilmente raccattate nei paraggi di casa mia, urlare il mio nome. La domanda però era
perché?! Cosa volevano questi sconosciuti dalla sottoscritta?
Scrutai ancora tra quei volti estranei e il mio cuore perse un battito quando i nostri occhi si incontrarono di nuovo. Dario era in mezzo a quella piccola folla, vicino alla sua Mito dalla quale proveniva la canzone dei Negramaro.
«Questa canzone è per te!» mi urlò, allargando le braccia e con un sorriso che mi spezzò il fiato.
Mi portai una mano traballante di fronte alla bocca dischiusa e sentii le lacrime punzecchiarmi gli occhi. Tremavo, avevo il cuore che sembrava volesse schizzare fuori dal petto e avevo perso l'uso della parola. Dopo tre mesi potevo finalmente vederlo ancora e mi sembrava ancora più bello di quanto mi ricordassi. Mi sentivo spaesata, mi sentivo confusa e scombussolata e mi sentivo finalmente
viva. Dario era tornato, era lì, sotto il mio balcone insieme a decine di persone sconosciute e confuse, a dedicarmi una canzone.
«Te l'avevo detto che tutto si sarebbe sistemato!» esclamò «Dai, scendi mia Giulietta!»

A che servon le parole
Amore dai, dai, dai muovimi il sole

Rimasi ferma, paralizzata a fissare la strada sotto di me, senza sapere cosa fare, se scendere e andare da lui, oppure tornarmene in casa ed ignorarlo come aveva fatto lui in tutti quei mesi.
«Dai piccola!» esclamò, incitandomi con dei rapidi gesti delle mani.
«Scendi!» urlò una donna bionda.
«Non farti pregare» si aggiunse un signore pelato con una ventiquattro ore stretta in mano.
Deglutii e mi morsi un labbro, continuando a fissarlo in tutto il suo splendore. Mi era mancata la sua voce, mi era mancato il suo sorriso e i suoi occhi profondi, ma soprattutto mi era mancato il suo odore di vaniglia e le sue labbra sulle mie.
La mano di mia madre si appoggiò delicatamente sulla mia spalla e io mi voltai di scatto, incontrando i suoi occhi sorridenti che mi suggerivano di scendere. Mi asciugai rapidamente una lacrima con il pollice e mi precipitai fuori di casa, giù per le scale. Non mi importava di cadere, volevo solo raggiungere Dario per sentire di nuovo il suo odore, per perdermi ancora nelle sue iridi color onice.
Appena mi vide arrivare, lui mi corse incontro, mi strinse a sé e mi sollevò da terra facendomi volteggiare. Il suo odore era come ossigeno per i miei polmoni, che vennero inondati, invasi, riempiti da quella straordinaria fragranza. Gli circondai il torace con le braccia e immersi il viso nella sua maglietta.
«Mi sei mancata tantissimo» sussurrò al mio orecchio.
«Anche tu» risposi, con al voce incrinata e ovattata dalla stoffa della sua maglietta.
«Ho sbagliato tutto» ammise, stringendomi di più a sé e appoggiando la fronte alla mia «Io non volevo perderti».
Mi prese il viso tra le mani e ci guardammo negli occhi. I suoi splendevano come se il sole si riflettesse nelle sue iridi, in quel mare scuro e nero di perdizione. Si umettò le labbra e deglutii varie volte prima di riprendere a parlare.
«Ti ho allontanata da me per proteggerti, per non farti e non farci soffrire. Non avrei mai immaginato che quell'addio potesse essere così doloroso per me. Volevo chiamarti, ma ogni parola, ogni discorso mi sembra inutile e privo di senso. Quando poi ti ho rivista in quel locale, ero talmente felice di averti ritrovata, che il destino ci avesse fatto incontrare di nuovo…» sorrise e mi solleticò la guancia con il pollice «Ma mi hai negato il perdono e mi è crollato il mondo addosso. Per l'ennesima volta. Senza di te mi sembrava quasi di non riuscire a respirare, la mia vita non aveva più senso» i suoi occhi si inumidirono e la sua voce venne spezzata dall'emozione «Ho capito che tu eri troppo importante, che non sarei riuscito a sopportare questo mondo senza il tuo sorriso. Così ho reagito, ho voltato finalmente pagina, ho iniziato a vivere nel presente, lasciandomi alle spalle il mio lavoro e quello che ero prima di conoscere te. Ho gettato le fondamenta per una nuova vita, con quel lavoro in radio e ora vorrei che tu mi aiutassi a costruire la mia nuova esistenza».
Ero a bocca aperta, le lacrime sgorgavano dai miei occhi incontrollate e qualsiasi parola mi sembrava superflua rispetto a quello che mi aveva appena detto Dario. Quella era una dichiarazione d'amore, lui mi aveva appena detto che io ero importante, che mi avrebbe voluto al suo fianco. Solo in quel momento realizzai che la ragazza di cui parlava alla radio, quella nei confronti della quale era nata una gelosia logorante, ero io.
Dario mi amava.
Ed io amavo Dario.

Ma lui era scappato da me e avrebbe potuto farlo ancora.
«Mi hai fatto soffrire troppo» soffiai sulle sue labbra, sempre più vicine alle mie.
«E mi dispiace davvero tanto, Alice» sussurrò.
«Come posso fidarmi di te?»
Dario boccheggiò, come se volesse dire qualcosa, ma non riuscì a parlare. Si morse il labbro inferiore e scosse la testa quasi impercettibilmente, chiudendo gli occhi e baciandomi la fronte.
«Non lo so» mormorò infine «So solo che
ti voglio al mio fianco».
Mi sorrise e avvicinò le sue labbra alle mie, ma io mi sottrassi a loro, al suo bacio. L'espressione di Dario mutò all'improvviso, diventando confusa e cupa. Lo guardai negli occhi e lo accarezzai, gli sfiorai le labbra ed indugiai sulla sua barba eccitante.
Non sapevo cosa fare perché entrambe le vie che mi si proponevano davanti portavano alla sofferenza. Se gli avessi detto addio per l'ennesima volta, il mio cuore si sarebbe frantumato in pezzi talmente piccoli da sembrare granelli di sabbia. Ma se avessi scelto di stare con lui, non avrei avuto la sicurezza di poterlo avere sempre al mio fianco. Avrebbe potuto scappare ancora, spaventato dall'amore e non avrei retto un suo abbandono. Mi morsi le labbra cercando di trattenere il pianto e le poggiai delicatamente sulle sue in un piccolo e sfuggente bacio.
«Non credo di voler stare con te»











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Bene, eccomi qui con l'ultimo aggiornamento prima della mia partenza.
Non starò via molto, fino al 18, però non penso che scriverò mentre sono a Barcellona xD Quindi spero di finire di scrivere il prossimo capitolo così non dovrò farvi attendere molto. Anche perché, con un finale così, mi avrò fatto venire un colpo al cuore xD
Ma andiamo con ordine.
Sono passati tre mesi e siamo arrivati a Giugno. Tutto è tornato alla normalità, o quasi. Benedetta è sempre arrabbiata con Alice, Claudia è sfuggente e non si sa come mai (tutto a suo tempo) e Federico si è fidanzato con Cristina! Che scoop! Sono sicura ch enessunod i voi se l'aspettava! Ammettetolo che vi ho sorprese ù__ù
Ma non è tutto! Dario ha smesso di fare il gigolò e ha vinto il concorso a Radio Deejay che avevo accennato nello scorso capitolo, ma che credo nessuno abbia tenuto molto in considerazione xD e ha anche aperto il suo cuore in radio, anche se non ha propriamente detto le due fatidiche paroline. Alice crede che si sia innamorato di un'altra ed invece è proprio lei la ragazza di cui lui stava parlando! Lui è tornato con una bella sorpresa, le ha fatto una specie di dichiarazione d'amore, ha deciso di cambiare per lei ma Alice lo respinge ancora una volta perché oramai non si fida più.
Cosa farà Dario adesso? Dopo tutto quello che ha fatto per lei, si è visto chiudere un'altra porta in faccia e per l'ennesima volta ha perso una persona importante. Tutto a tempo debito ragazze mie. So che dopo questo capitolo vorreste uccidermi >.<
Comunque, ringrazio molto le persone che hanno recensito lo scorso capitolo (sto rispondendo piano piano xD), chi ha messo la storia tra le preferite, le ricordate, le seguite. Ringrazio chi legge solamente e chi mi sostiene su Facebook, sul  mio profilo e sul gruppo Crudelie si nasce, in cui troverete spoilers, foto, contest e novità riguardanti le mie storie. Inoltre, un grazie speciale a Nessie e Ionarrante che mi sopportano ogni santo giorno e correggono i miei obbrobri grammaticali.
Ora, vi lascio con un po' di pubblicità:

Red District
Come in un Sogno - con IoNarrante
You're a mistake I'm willing to take - con Ionarrante

Un bacione a tutti e grazie mille!
Al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 19
*** Una notizia inaspettata ***


C a p i t o l o 18

Una notizia inaspettata


Dario mi guardò incredulo, muovendo le sue labbra rosee nel tentativo di trovare qualcosa da dire, senza riuscirci. Si passò entrambe le mani sul viso, abbozzando un sorriso amaro e lasciò cadere pesantemente le braccia lungo i fianchi, scrollando impercettibilmente la testa. Mi specchiai nei suoi occhi colmi di delusione e di rammarico per il mio rifiuto e sentii distintamente il suono del mio cuore sgretolarsi. Questa volta, però, ero stata io a volerlo, ero stata io stessa a sferrarmi il colpo di grazia allontanandolo ancora una volta da me. Avrei sofferto, già lo sapevo. Avrei sentito la sua mancanza ogni singolo istante, avrei sentito il bisogno del suo odore di vaniglia in qualsiasi momento, avrei pregato per poter assaggiare nuovamente le sue labbra. Ma sapevo che quella era la decisione giusta, che tra me e Dario non avrebbe mai potuto funzionare perché io non mi sarei più fidata di lui.
«Ti prego, dimmi che stai scherzando» disse terribilmente serio, passandosi le mani tra i capelli scuri.
Abbassai lo sguardo, incapace di sostenere il suo, incapace di resistere ai suoi occhi che tanto amavo, che avevo sognato ogni notte da quando lui se n'era andato. Avevo desiderato tanto il suo ritorno, mi ero disperata immaginandomi la sua possibile fidanzata e avevo versato tante, troppe lacrime per lui come non avevo mai fatto per nessuno. Ma, quando me lo ritrovai davanti, nonostante le sue parole, avevo cominciato a riflettere con mente lucida, estraniandomi per qualche secondo dai miei sentimenti ed ero arrivata alla conclusione che era impossibile stabilire un rapporto quando mancava la fiducia, l'aspetto più importante in una coppia.
«Mi dispiace Dario» mormorai, fissando le mie infradito rosa «Ma non riesco a fidarmi di te» diedi voce ai miei pensieri.
Lui si avvicinò a me e mi strinse le spalle, scuotendomi leggermente. Il suo tocco, le sue mani ruvide sulla mia pelle nuda mi scosse e brividi intensi di puro piacere, di quelli che solo lui riusciva a regalarmi con un solo contatto, percorsero ogni parte del mio corpo.
Avevo voglia di alzare lo sguardo e intrecciarlo con il suo, vedere il meraviglioso nero della notte condensato nelle sue iridi, ma mi frenai. Se solo avessi visto i suoi occhi, avrei rischiato di saltargli al collo e baciarlo, e non sarei più riuscita ad allontanarlo da me.
«Cosa vuol dire che non ti fidi di me?!» alzò il tono e la sua voce delusa ed amareggiata interruppe il mio flusso di pensieri.
«Tu, tu» annaspai, rimbalzando lo sguardo dalle mie infradito alle Adidas di Dario «Tu sei scappato da me, dai miei e dai nostri sentimenti. Sei troppo insicuro di ciò che provi per me e di ciò che io sento per te»
«Qual è la tua paura?!» mi chiese.
«Non ci arrivi» scossi la testa quasi impercettibilmente e mi morsi le labbra «Potresti scappare in qualsiasi altro momento e io non voglio che succeda»
«E non accadrà, Alice!» esclamò con tono più dolce «Ho fatto tutto questo per te, per noi, per poter stare con te senza la paura di ferirti. Adesso non c'è più il mio lavoro ad ostacolarci e voglio averti accanto»
«Dario, io ti sarei stata accanto anche prima. Non m'interessava il tuo lavoro, m'importava solo di te» ammisi con voce tremante, senza staccare lo sguardo dall'asfalto «Io ti amavo per quello che eri e al diavolo la tua professione! Ma, a quanto pare, tu non riesci a superare gli ostacoli e alla prima difficoltà tra noi due, tu te ne andrai di nuovo».
Ci furono degli attimi interminabili di silenzio, attimi in cui sentii lo sguardo dei passanti puntati addosso, gli occhi di Dario perforarmi l'anima, nonostante non ci fosse nessun contatto tra le nostre iridi. Ma lo percepivo e sapevo che, in quel momento, i suoi occhi erano immersi in una patina lucida di lacrime, senza sapere che cosa rispondere. Molto probabilmente si stava anche torturando il labbro inferiore e avrei voluto stringerlo a me, se non fosse che avrei contraddetto le mie parole.
«Deduco che tu non mi ami più» mormorò, roco.
Mi umettai le labbra e presi un profondo respiro. Avrei mentito se avessi detto che per lui non provavo più nulla. Lo amavo e lo sapevo bene. Ma, davanti a lui, non avrei potuto ammetterlo se volevo davvero cancellarlo dalla mia vita. Scossi la testa, senza parlare.
«Dimmelo Alice» alzò nuovamente il tono «Dimmi che non mi ami più»
Sgranai gli occhi e boccheggiai, d'un tratto senza fiato e cercai di racimolare più aria possibile nonostante fosse diventata irrespirabile. Cercai di farmi forza e far uscire quelle parole dalla mia bocca. Dovevo mettere a tacere per un attimo il mio cuore che urlava
Ti amo e lasciar parlare il mio raziocinio, una volta tanto.
«Non ti amo più» mormorai, trattenendo a stento le lacrime.
Dario mi afferrò il mento tra il pollice e l'indice e mi obbligò ad alzare lo sguardo ed incontrare la profondità senza fine dei suoi occhi.
«Dimmelo guardandomi negli occhi» disse serio e deciso.
Il mio cuore mancò di un battito prima di intraprendere una folle corsa… e quella sensazione mi era mancata. E mi era mancato soprattutto guardarlo negli occhi, perdermi dentro quei pozzi neri, abbandonarmi a quella dolce trappola che erano le sue iridi. Come avrei potuto mentire di nuovo? Ripetere di non amarlo, quando il mio cuore era tornato a governarmi. Allungai una mano, accarezzandogli una guancia ispida e lui, al mio tocco, chiuse gli occhi e appoggiò la sua mano sulla mia, accompagnandola in quella carezza.
«Non costringermi a dirtelo» lo pregai in un soffio.
Dario deglutì, poi strinse la mia mano nella sua e ne baciò dolcemente il dorso. Mi cinse i fianchi e mi avvicinò a lui, spostandomi una ciocca di capelli dalla fronte ed accarezzandomi una guancia con l'indice. I suoi occhi profondi erano intrecciati ai miei, uniti da una catena indissolubile.
«D'accordo» sospirò «Ma non credere che questa volta io mi arrenda. Ti riconquisterò, ti farò mia, ti farò innamorare di me ancora. Ho commesso troppi errori nella mia vita e perderti sarebbe il peggiore. Non me lo perdonerei mai».
Sospirai rumorosamente, passandomi entrambe le mani sul viso e trattenendo a stento un pianto liberatorio, un pianto di gioia. Lui teneva a me, molto probabilmente provava i miei stessi sentimenti e quelle parole ne furono la conferma. Aveva deciso di dare una svolta alla sua vita, di uscire dal suo guscio, di liberarsi della sua armatura che lo proteggeva dai sentimenti e mi stava dando l'opportunità di amarlo. Lo guardai negli occhi intensamente, abbandonandomi completamente al nero liquido delle sue iridi e capii che non sarei riuscita a vivere senza quegli occhi, senza il suo tocco, senza il mio Dario.
Di slancio, avvolsi le mia braccia intorno al suo collo, affondando le mani nei suoi capelli leggermente più lunghi di quanto ricordassi per spingerlo verso di me. Lo vidi sorridere, prima di appoggiare le mie labbra sulle sue e assaporarle nuovamente dopo un tempo che mi era sembrato quasi interminabile. Tutto intorno a me scomparve in quell'esatto momento perché, quando c'era Dario con me, nient'altro aveva importanza ai miei occhi se non lui. Mi aveva fatta innamorare e soffrire per la prima volta, aveva scosso la mia monotona vita, era entrato a farne parte sconvolgendo completamente la mia esistenza e facendomi provare emozioni che non credevo potessero esistere. Avevo gioito con lui, ma più che altro avevo pianto come mai avevo fatto nella mia vita e mi sembrava quasi impossibile che ci potesse mai essere un
noi, ed invece, in quel momento, si stava aprendo un piccolo spiraglio verso un lieto fine, verso quello che potesse essere un per sempre felici e contenti. Anche se la paura che lui potesse sfuggirmi ancora non mi avrebbe abbandonata molto facilmente.
Mi strinse maggiormente a sé, in modo da far scontrare i nostri corpi, da farlo combaciare perfettamente ed insinuò una mano nella mia canottiera, accarezzandomi la schiena. I suoi polpastrelli si muovevano veloci sulla mia pelle, che si era increspata in numerosi brividi di piacere che solo le sua mani ruvide riuscivano a regalarmi.
Le nostre lingue s'incontrarono dopo tre lunghi mesi e si rincorsero, si aggrovigliarono, vogliose uno dell'altra, vogliose di quel bacio passionale e dolce al tempo stesso. Avrei voluto che quel momento non terminasse mai, che quel bacio non avesse mai fine perché io necessitavo delle sue labbra per vivere, necessitavo di lui, del suo odore e del suo tocco. Senza di lui era come se non avessi vissuto, era come se fossi stata privata di qualsiasi cosa e il mio cuore batteva senza intensità, quasi svogliatamente e, a stento, lo sentivo palpitare. Ma, quando avevo incontrato gli occhi di Dario, avevo sentito le sue labbra sulle mie, il mio cuore aveva ritrovato la sua forza, come se una scarica elettrica lo avesse attraversato, ridandogli vigore, riportandomi in vita. E quelle scarica elettrica era Dario, era lui che alimentava il mio cuore, con i suoi baci e i suoi sguardi.
Un applauso, in pieno stile film americano, si levò dalla piccola folla che ci stava attorno, tranne qualcuno, sicuramente Smell, che continuava ad urlare
Bu! Entrambi sorridemmo, senza però allontanare le nostre labbra, senza mettere una vera e propria fine al nostro bacio. Dario mi passò una mano tra i capelli e, di tanto in tanto, mi assaporava il labbro inferiore, staccandosi poco dopo per riprendere fiato.
«Questo cosa significa?» soffiò sulle mie labbra, posando un altro piccolo bacio.
«Che hai un'altra possibilità» risposi, allontanando il viso dal suo quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi, che si spalancarono e si illuminarono ancora di più.
Adoravo le sue iridi, così nere da sembrare un buio cielo notturno, ma illuminati da quel suo meraviglioso animo che risplendeva nei suoi occhi, come stelle incastonate in quell'oscurità.
Mi strinse ancora di più a lui, appoggiando il viso sulla mia spalla, e lambì la mia pelle nuda con baci umidi e bollenti al tempo stesso. Mi morsi un labbro per trattenere dei gemiti generati dal piacere che le sue labbra erano in grado di procurarmi. Improvvisamente, sentii la terra sotto i miei piedi dissolversi e mi ritrovai stretta a Dario, mentre lui mi sollevava da terra e mi faceva volteggiare. Urlai divertita, mentre la mia presa intorno al suo collo si intensificava ed appoggiai la fronte sulla sua quando lui si fermò. Il suo sguardo liquido era talmente intenso da non permettermi quasi di respirare e i suoi occhi stavano sorridendo, erano colmi di gioia nell'avermi tra le sue braccia e sapere che ero stata io a renderlo felice mi riempiva il cuore così tanto che, sembrava, volesse esplodere da un momento all'altro.
Quel momento era assolutamente perfetto, il migliore della mia vita e non sarei mai stata in grado di dimenticarlo, sarebbe rimasto impresso nella mie mente come un tatuaggio indelebile, come un segno di quel nostro piccolo sentimento, che, speravo, fosse destinato a diventare un grande amore, il grande amore della mia e della nostra vita.
Lentamente, mi rimise a terra. Appoggiai prima un piede, poi l'altro, senza mai interrompere il nostro contatto visivo che racchiudeva in sé emozioni e sensazioni che nemmeno le parole sarebbero state in grado di descrivere, troppo vaghe per poter esprimerne la potenza.
«Ma è meglio andare con calma» sospirai «Quello che è successo mi ha fatto soffrire molto e voglio essere sicura di te, di noi prima di lasciarmi andare completamente. Devo imparare a fidarmi ancora di te e credo che ci vorrà un po'» parlai senza nemmeno riprendere fiato, stringendomi nelle spalle.
Dario mi sorrise e mi accarezzò con entrambe le mani quasi come se volesse accertarsi che non stesse sognando, che io fossi davvero lì davanti a lui a dirgli quelle parole.
«Farò di tutto per riconquistare la tua fiducia!» esclamò, con voce incrinata dall'emozione «Aspetterò quanto vorrai, anche cento anni! L'importante è averti accanto»
Mi morsi il labbro inferiore, prima di avventarmi nuovamente sulle sue labbra, avida di sentirle ancora contro le mie, vogliosa di sentire il suo sapore invadermi. Ero talmente felice in quel momento, raggiante come mai prima di allora e niente e nessuno sarebbe riuscito a rovinare quel momento di assoluta perfezione, nemmeno quell'odioso di Smell ci sarebbe riuscito.
La gente intorno a noi, via via cominciò ad allontanarsi, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata curiosa e romantica. Molto probabilmente le donne che si trovavano lì in quel momento avrebbero voluto essere al mio posto, magari anche loro desideravano una sorpresa così dolce da parte dei loro mariti o fidanzati e mi sentii o onorata di essere io la fortunata ad aver ricevuto un tale gesto. Ma, soprattutto, mi sentii fortunata di avere con me, di avere tra le braccia un ragazzo splendido come Dario.
Rimanemmo a guardarci negli occhi per degli interminabili istanti e, intanto, il sole lasciava posto alla luna e il cielo si tingeva del colore delle iridi di Dario. Avrei voluto stare tra le sue braccia per tutta la vita, così, solo io e lui, in qualunque posto. Solo la sua presenza bastava a rendermi felice, a rendere qualsiasi luogo meraviglioso.
«Credo di dover andare» soffiai sulle sue labbra, baciandolo ripetutamente.
«Di già?» mi chiese lui, sfoggiando il suo tono da bimbo e il labbro tremulo.
«Mi dispiace» piagnucolai, accarezzandogli le guance ispide, per poi stringergli il viso tra le mani e avvicinando le sue labbra alle mie per un altro bacio, un veloce assaporarsi reciproco, un rapido sfioramento di lingue, un piccolo assaggio dell'altro.
«Ci siamo appena ritrovati e già vuoi scappare da me?» mi domandò retorico, sussurrandomelo nell'orecchio.
Amavo sentire la sua voce roca e seducente, adoravo il suo respiro caldo sulla mia pelle e i brividi che riusciva a provocarmi. Appoggiò le sue labbra sul mio collo, solleticandomi con la punta della lingua, prima di sollevare di nuovo il volto ad incontrare i miei occhi.
«Un attimo» mormorai, voltandomi ed alzando lo sguardo.
Mia madre era ancora sul balcone insieme a Smell e stava quasi per piangere, contrariamente a mio fratello che aveva una faccia schifata. Senza che dicesse nulla, mia mamma comprese quello che avevo da chiederle, solo guardandomi negli occhi. Annuii, con un sorriso accennato disegnato sulle labbra morbide e mi fece intendere, con un rapido gesto della mano, che potevo stare con Dario. La ringraziai con un sorriso e mi volti verso di lui schioccandogli un altro bacio sulle labbra.
«Forse è meglio che mi vada a mettere qualcosa di decente» ridacchiai, guardando i miei abiti da casa, una canottiera nera e un paio di calzoncini, che un tempo erano appartenuti alla tenuta sportiva di mia madre.
«No» mi sorrise «Sei perfetta così»
«Io non voglio farmi vedere in giro conciata così!» trillai, indignata.
«A parte il fatto che una ventina di persone ti ha potuta ammirare vestita così, poco prima» mi fece presente, ridacchiando.
Assottigliai lo sguardo e gli pizzicai un fianco, facendolo piegare per il fastidio e facendolo ridere. Nessuna melodia, nemmeno la più bella, la più dolce, la più armoniosa poteva eguagliare il suono della sua risata.
«Adoro quando ridi» gli confessai, con un pizzico di imbarazzo.
La risata di Dario si smorzò lentamente e ne rimase solo un sorriso intimidito. Un lieve rossore cominciò a colorargli le guance e subito abbassò lo sguardo, quasi si vergognasse di mostrare il suo imbarazzo. Era raro vederlo arrossire, ma quando succedeva quel rossore crescente lo rendeva così tenero, quasi un bambino timido bisognoso di coccole. Si grattò la nuca, passandosi poi una mano su tutto il volto e tossicchiò, dondolando da un piede all'altro. Sorrisi dolcemente nel vederlo così agitato per un mio complimento. Lui che era sempre così spocchioso e pieno di sé, crollava di fronte ad un apprezzamento banale.
«Comunque» cercò di cambiare discorso ed io ridacchiai con discrezione, portandomi una mano davanti alla bocca.
«Lo sai che tutto rosso sei ancora più bello?» mi morsi un labbro e lo vidi assumere un colorito sempre più intenso.
Boccheggiò e ridacchiò imbarazzato, nascondendo il viso sotto la stoffa della maglietta. Gli strinsi le mani e, lentamente, lo obbligai a mostrarmi le sue guance rosse e i suoi occhi colmi di emozione.
«Dov'è finito il Dario vanitoso, il seduttore che si
scoperebbe se fosse una donna?» lo provocai, ricordando quella sua battuta.
«Lui è sempre con me!» esclamò stizzito.
«Ma guardati! Sembri un peperone» ridacchiai «Il Dario di cui parlavo io se ne sarebbe uscito con un Lo so,
io sono sempre bellissimo!»
«Diciamo che quella è la parte di me che presento agli estranei» mi confessò, stringendomi per i fianchi e avvicinandomi a lui, alternando dei baci bollenti a leggeri morsi sul mio collo. «Una sorta di corazza» soffiò, strofinando il naso contro la mia pelle «Ma con te non ho più bisogno di difese. Voglio che tu conosca il vero Dario Vitrano, con le sue fragilità e le sue insicurezze»
«Quindi, fino ad adesso non ho mai visto chi sei veramente?» domandai confusa.
«Non del tutto. Quello che ti ho mostrato è il Moro» sussurrò sensualmente nel mio orecchio, succhiando la pelle del mio collo, intrufolando una mano nella mia canottiera per giocare con il gancetto del reggiseno.
«Non so chi sia questo Moro, ma preferisco di gran lunga il Dario che arrossisce per un complimento» dissi, allontanandolo da me, appoggiando le mani sul suo petto.
«E questo non può che farmi piacere» mi sorrise ed appoggiò il viso sulla mia spalla, stringendomi in un abbraccio.
Affondai il volto nella sua maglietta e chiusi gli occhi, beandomi del suo calore e del suo dolce odore di vaniglia. Quella, per me, fu una conferma. La conferma che ciò che c'era tra noi, quello che ci univa, non era una semplice attrazione fisica o solo una passione effimera, ma era qualcosa di molto più profondo, qualcosa di talmente impetuoso e travolgente che mi faceva quasi paura. Avevo il timore di sbagliare, di commettere qualche errore che lo avrebbe allontanato da me, di ritrovarmi troppo coinvolta in una storia che, forse, avrebbe avuto solo un misero futuro, di rimanere ferita da qualche sua parola, qualche suo atteggiamento. Ma avevo ancor più paura di farlo soffrire. Avevo sempre immaginato che quello che avevo conosciuto non era il
vero Dario, ma solo una maschera che cercava di nascondere agli altri chi fosse veramente, una sorta di protezione dal mondo esterno che lo aveva fatto soffrire troppo. E, in quel momento, lui si era spogliato della sua armatura, era senza difese, era come del vetro usurato, consumato dalla vita, solcato da numerose incrinature, un intreccio di crepe causate da troppe delusioni e un mio qualsiasi tocco poco delicato lo avrebbe letteralmente mandato in pezzi. Ed io non volevo essere una sua ennesima delusione, una sua ennesima ferita, non volevo farlo soffrire ancora una volta. Dovevo stargli accanto, fargli capire quanto lui fosse importante, quanto tenessi a lui e alleviare la sua solitudine. Sapevo che non sarebbe stato semplice, ma avrei fatto di tutto per renderlo felice.
«Allora, dove mi porti vestita come una trovatella?» ridacchiai, alzando il viso per poter vedere i suoi occhi e baciandogli il mento ispido.
«Nella Mito» rispose con un sorriso di sbieco.
«Tu vorresti passare la serata nella tua macchina?» chiesi dubbiosa, inarcando un sopracciglio.
«Sì! I locali sono troppo affollati» esclamò «Io voglio stare da solo con te» addolcì il tono e strofinò la punta del naso contro la mia spalla «Voglio che siamo solo noi due. Niente scocciatori, urla e schiamazzi. Solo le nostre pomiciate»
«Ah! Quindi il tuo piano per la serata sarebbe limonare nella Mito?» domandai sarcastica, scoppiando a ridere.
«Beh, insomma» tossicchiò e, agitato, si grattò la nuca «Diciamo che la pomiciata è un buon ripiego»
«Ripiego a cosa?» domandai sospettosa.
«A... ad altre attività di coppia diciamo» rispose titubante, con un sorriso da mozzare il fiato «Qualcosa di molto più appagante di un semplice bacio» aggiunse malizioso, poi sospirò, mordendosi le labbra «Dio, ho una voglia di sco...»
Sgranai gli occhi, indignata e gli diedi uno schiaffo sul braccio.
«Dario!» sbottai, allontanandomi da lui.
«Alice! È, è un bisogno biologico!» esclamò lui, accarezzandomi le braccia.
«E sai tornato solo per questo, immagino! Per soddisfare il tuo bisogno!» urlai, scrollandomi le sue mani di dosso.
Dopo tre mesi finalmente ci incontravamo di nuovo e lui a cosa pensava? Al sesso, ovviamente! L'unica cosa che gli interessasse davvero e, molto probabilmente, mi aveva addolcita con le sue parole solo per soddisfare le sue voglie.
«Ti prego, non litighiamo dopo nemmeno un'ora» supplicò lui, mettendosi le mani tra i capelli «Non arrivare a conclusioni affrettate, Alice»
Incrociai le braccia, imbronciata, e con un gesto della mano lo invitai a proseguire la sua arringa difensiva.
«Se fosse stata solo un bisogno da soddisfare, lo avrei potuto fare con chiunque! Praticamente tutte le donne cadono ai miei piedi» sorrise malizioso «Ma io voglio solo te. Voglio i tuoi baci, le tue carezze, i tuoi sguardi. E, sì, lo ammetto, voglio fare l'amore con te. Ma quello è un passo importante, per me, per te soprattutto, e per noi come coppia. E di certo non voglio che avvenga subito. Questa volta voglio fare le cose per bene. Corteggiarti, portarti fuori a cena, regalarti fiori...»
Gli lanciai un'ultima, torva occhiata, prima di sospirare rumorosamente e rilassare i muscoli tesi. Feci qualche passo per avvicinarmi a lui e allacciai le braccia dietro al suo collo. Entrambi sorridemmo e le nostre labbra si incontrarono ancora, si unirono in un altro bacio fugace, ma che racchiudeva in sé una passione pronta ad esplodere da un momento all'altro. Nonostante avesse tirato fuori quell'argomento per me spinoso dopo nemmeno un'ora che ci eravamo incontrati, le sue parole erano state tremendamente dolci e avevano alleviato quel sapore amaro di poco prima. Anche se, dovevo ammetterlo, avrei voluto fare
l'amore con lui. Desideravo con tutta me stessa che la fatidica prima volta fosse con Dario, che lui mi accompagnasse in mezzo a quelle nuove emozioni e sensazioni. Lo volevo da quella sera di pioggia trascorsa con lui, su quel divano, da quando il semplice rapporto di lavoro era sfociato in un oceano di passione. Ma, prima di fare quel passo così importante con lui, dovevo prima tornare a fidarmi di lui, capire se quello che provasse per me era sincero e non fosse solo un capriccio.
«Lo pensi davvero quello che hai detto?» domandai seria, timorosa che quelle parole avevano l'unico scopo di addolcirmi.
Dario abbassò per un attimo lo sguardo, spezzando il nostro intenso contatto visivo e il mio cuore perse un battito. Credetti che la mia paura fosse vera, che in realtà lui non avesse pensato nulla di quello che aveva detto, che aveva parlato così solo perché voleva farmi cadere nuovamente tra le sue braccia e anche nel suo letto. Mia madre aveva ragione quando diceva che quasi tutti gli uomini erano uguali, che, in una relazione, cercavano solo una cosa ed era raro, se non impossibile, trovarne qualcuno che fosse interessato realmente ai sentimenti. Anche quello più dolce e romantico, alla fine, si rivelava solo un bastardo. Esattamente come era successo con Davide e come stava succedendo con Dario.
Respirai a fondo ed annuii, più che altro a me stessa, conscia del fatto che non avrei dovuto lasciarmi abbindolare dalla sua arte oratoria e lasciarlo andare, senza permettergli di ferirmi ancora. Sciolsi l'abbraccio ed abbassai lo sguardo, incapace di continuare a guardare il suo volto chino e colpevole. Ero delusa in quel momento, delusa dal suo comportamento, ma soprattutto di me stessa perché non riuscivo a resistergli, perché per lui avrei fatto di tutto, se solo me lo avesse chiesto, perché, ancora, non riuscivo a convincermi che tra di noi non sarebbe mai potuto esserci nulla.
Con mia enorme sorpresa, le mani di Dario mi strinsero il viso e mi obbligarono ad alzarlo, per incontrare il suo sorriso appena abbozzato ed i suoi occhi annegati in un manto di emozione.
«Dovresti saperlo, oramai» disse con tono fermo e deciso «Io dico sempre e solo quello che penso. Non ti mentirei mai, rischierei di perderti ancora e mi sembra abbastanza ovvio che non vorrei mai che questo succedesse».
Mi specchiai a lungo nei suoi occhi, in cerca di un qualche guizzo che potesse tradire le sue parole. Scrutai a fondo in quelle sue iridi nere e buie e mi accorsi solo in quel momento che racchiudevano dentro la loro oscurità tutte le sue emozioni, l'animo fragile e sensibile di Dario che, con la sua luce traballante ed incerta come la timida fiamma di una candela, illuminava i suoi occhi scuri e mi permetteva di leggere dentro di essi. E in quel momento, in quel caos di emozioni, per la maggior parte ancora sconosciute per me, scorsi un barlume di sincerità. Sospirai e chiusi gli occhi, passandomi entrambe le mani sul viso, poi tra i capelli e gli sorrisi.
«Scusami se ho dubitato» soffiai «È che...»
«Non ti fidi di me, questo l'ho capito» mi interruppe scocciato «Hai paura che io ti faccia soffrire ancora, che da te voglio solo del sesso e palle varie!»
«Mi hai letto nel pensiero» dissi, arricciando il naso.
«Ormai so tutto di te» abbozzò un sorriso malizioso.
«Il mio piatto preferito?» lo provocai, incrociando le braccia.
Dario si grattò la nuca ed aggrottò le sopracciglia, tentando di dire qualcosa che gli moriva sempre in gola. Fece ricadere le braccia pesantemente lungo i fianchi e sbuffò, facendomi scoppiare a ridere.
«Non intendevo in quel senso» tagliò corto «Volevo dire che riesco ad intuire le tue sensazioni, quello che senti e quello che vuoi. E so per certo che adesso vuoi delle conferme da me e del tempo per riflettere»
«Mi capisci più tu che io stessa» ridacchiai «Certe volte i miei pensieri sono talmente contorti che mi ci perdo»
Dario sorrise, poi mi spinse verso di lui per abbracciarmi ancora. Ricambiai con una forte stretta e mi abbandonai sul suo petto, al battito del suo cuore e al suo respiro che mi scompigliava i capelli. Avrei voluto rimanere nelle per sempre lì tra le sue braccia che mi facevano sentire protetta da qualsiasi torto ed ingiustizia, stretta al suo corpo caldo che rendeva tutto così maledettamente perfetto.
«Che ne dici di salire in macchina per avere un po' di privacy? Qui ogni persona che passa gode delle nostre smielate smancerie» propose, sghignazzando.
«D'accordo!» risposi, baciandolo sulla guancia irsuta «Abbiamo già dato abbastanza spettacolo»
Mi sorrise compiaciuto, prima di voltarsi ed aprire la portiera posteriore, invitandomi ad entrare con un gesto della mano. Gattonai lungo il sedile per raggiungere il finestrino con la musica dei Negramaro che ancora riempiva l'abitacolo. Dario spense la radio e si sedette accanto a me, stringendomi una spalla e facendomi appoggiare sul suo petto.
«Ti è piaciuta la sorpresa?» mi chiese, giocando con una ciocca dei miei capelli.
«Molto» mormorai alzando lo sguardo quel tanto che bastava per poter incontrare il suo. «Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere, anche perché avevo perso qualsiasi speranza di poterti rivedere» aggiunsi con una certa amarezza «Perché non ti sei fatto sentire per tre mesi?» gli chiesi, disegnando delle figure astratte sulla stoffa della sua maglietta.
«Volevo essere sicuro di poterci regalare un futuro» rispose con estrema calma «Ho cancellato il mio profilo da quel sito e ho cambiato addirittura numero, per evitare che qualche cliente mi chiamasse. Poi ho cercato un lavoro, senza esito. Il mio curriculum fa pena e nessuno era intenzionato a prendermi» ridacchiò «Finché non ho deciso di partecipare a quel concorso su Radio Deejay. All'inizio ero un po' restio, insomma, sono sprecato in radio! Poi però mi sono detto
Se vuoi riavere Alice, metti da parte la tua stupida vanità e partecipa a quel concorso» e mi diede un bacio tra i capelli «Così mi sono iscritto e ho vinto, ovviamente. Solo quando ho avuto la sicurezza di poterti donare un futuro roseo, di poterti donare tutto me stesso sono ritornato da te. E l'ho fatto in grande stile!»
Intrecciai le dita con le sue e mi sollevai dal suo corpo per poterlo guardare in viso. Stava sorridendo ed era felice. Felice di aver finalmente cambiato vita, di avere un lavoro appagante, di condividere se stesso con me. E questo mi riempiva di gioia.
«Tu hai fatto tutto questo per me ed io stavo per mandare tutto all'aria» mi rammaricai, ricordando quello che gli avevo detto poco prima «Hai trovato il coraggio di chiudere con il tuo passato e mi sento talmente in colpa per non aver apprezzato il tuo gesto».
Dario mi strinse maggiormente la mano, mentre con l'altra mi accarezzò una guancia. Chiusi gli occhi, abbandonandomi a quel contatto ruvido e dolce al tempo stesso, e un sorriso si disegnò piano piano sulle mie labbra. Tra noi non c'era bisogno di parole per descrivere ciò che sentivamo. Bastavano i nostri sguardi che si rincorrevano sempre, i nostri tocchi delicati e le nostre labbra che desideravano ardentemente quelle dell'altro.
«Non devi preoccuparti Alice» mormorò, dandomi un buffetto sulla guancia «È già tanto che tu abbia deciso di darmi una seconda possibilità. Mi sono comportato da vero bastardo con te».
Sorrisi amaramente, ricordando ciò che era successo la sera di San Valentino e durante quella serata in discoteca e mi sistemai i capelli dietro l'orecchio. Le immagini della sua auto che mi abbandonava lì sul vialetto della scuola sfilarono davanti a me come fotogrammi di un triste film d'amore e delle lacrime affiorarono dai miei occhi.
«Ehi, ehi, piccola! Che ti prende?» mi chiese dolcemente, stringendomi a sé e cullandomi.
Strinsi la stoffa della sua maglietta e affondai nel suo petto, riempiendomi i polmoni e l'anima di quel penetrante odore di vaniglia che non mi aveva mai abbandonata, nemmeno quando lui era scomparso, quando ci eravamo detti addio. Lo avevo sentito ovunque. Sulle mie lenzuola, tra i miei capelli o semplicemente trasportato dalla fresca brezza primaverile.
«Ho avuto paura di perderti» confessai, cercando di trattenere un pianto tanto liberatorio quanto inutile «E io cosa avrei fatto senza di te?»
Dario sussultò, poi la sua stretta si fece più intensa e le sue mani scivolarono ad accarezzarmi la schiena per tutta la sua lunghezza, regalandomi brividi intensi di piacere. Lui era lì con me, mi stava abbracciando eppure non riuscivo a non pensare al nostro triste addio e ad un altro possibile suo allontanamento. La paura che lui non fosse ancora pronto per amare ed essere amato, che un sentimento troppo forte avrebbe potuto spaventarlo mi attanagliava e frenava i miei sentimenti, la mia voglia che avevo di lui e del suo corpo.
«Ma ora sono qui» mormorò lui e il suo respiro si infranse tra i miei capelli «E non ti libererai tanto facilmente di me, questa volta»
«L'ultima cosa che voglio è allontanarmi da te» soffiai, alzando il viso e trovandomi a pochi centimetri dalle sue labbra piene e rosee «Non sopporterei ancora una volta la tua lontananza»
«Nemmeno io» sussurrò, succhiando il mio labbro inferiore.
Sorrisi, mentre lui giocava sensualmente con la mia bocca, assaggiandola e mordendola, stando attento a non farmi dl male, ma cercando solo di eccitarmi. E ci stava riuscendo. Non sapevo come fosse possibile, ma ogni suo gesto, ogni parola uscita dalle sue labbra, ogni suo sfioramento era talmente sensuale da farmi perdere qualsiasi razionalità.
La sua mano guizzò rapida sotto la mia canottiera e i suoi polpastrelli ruvidi disegnarono perfettamente la curva della mia schiena. Ogni lembo della mia pelle si increspò a sentire quel ruvido strusciare sapientemente sul mio corpo. Quel lento assaporarsi di labbra si trasformò ben presto in un bacio più passionale, in un bacio che racchiudeva un desiderio pronto ad esplodere, un bacio che sapeva di
noi, sapeva d'amore misto a quel sapore dolciastro di vaniglia che aveva la sua pelle.
Le sue dita scivolarono, lentamente, verso il mio fianco ed indugiarono sull'elastico dei pantaloncini, prima di riprendere la loro corsa e soffermarsi sul mio ventre. Subito, l'altra mano raggiunse la sua compagna ed insieme risalirono lungo il mio addome, intrufolandosi sotto il mio reggiseno e stringendo con voglia e trasporto i miei piccoli seni. Un gemito da parte mia si infranse nella sua bocca e ogni parte del mio corpo prese fuoco sentendo le sue dita muoversi lente sui miei capezzoli. Sentivo la voglia che avevo di lui, del suo corpo, di sentirlo completamento
mio espandersi, quasi a voler offuscare la parte cerebrale di me, a mettere a tacere il mio orgoglio ancora sanguinante che non riusciva a fidarsi di lui. Mi piaceva quel tocco, mi piaceva sentire le sue mani sui miei seni e mi piaceva sentirlo ansimare sommessamente, sentire il suo respiro farsi sempre più affannato, ma non potevo lasciarmi travolgere da quell'ondata di emozioni, non potevo farmi sopraffare dalla passione e dall'irrefrenabile voglia che avevo di lui.
Strinsi con decisione le sue spalle e lo allontanai da me con uno strattone forse troppo violento. Capì subito di aver sbagliato, di aver premuto un po' troppo presto sull'acceleratore e liberò i miei seni e le mia labbra, alzando le mani e scuotendo il capo.
«Scusami» mormorò, affranto «Sei talmente
bella che non riesco a controllarmi».
Arrossii all'istante e mi sistemai velocemente la maglietta, distogliendo lo sguardo da lui. O avevo le allucinazioni o lui mi aveva veramente definita
bella. Era un complimento stupido e anche banale, ma detto da lui, pronunciato con la sua voce sembrava l'apprezzamento più meraviglioso che una donna potesse sentirsi dire.
«Non, non dire stupidaggini» dissi imbarazzata, appoggiando la schiena contro la portiera e rannicchiandomi in un angolo.
«Dico sul serio!» esclamò lui sorridendo «Sei bellissima. L'ho pensato dalla prima volta che ti ho vista. Il tuo sorriso mi ha incantato fin da subito, ha scavato dentro di me, è entrato nella mia anima e non ne è più uscito. È forse una delle cose più belle che il mondo abbia mai visto»
«Esagerato» ridacchiai «Come mai tutti questi complimenti sdolcinati?»
«Mi escono naturali. Un fiume di parole incontrollate. Sei tu che mi fai questo effetto, lo sai?» sorrise di sbieco e gattonò verso di me, in cerca delle mie labbra.
Sorrisi sorniona e voltai di scatto il viso, ricevendo un bacio sulla guancia. Dario aggrottò le sopracciglia e tentò nuovamente di far unire le nostre labbra, ma io sfuggii ancora, ridacchiando per quell'inseguimento. Il suo viso fintamente irritato mi divertiva e mi divertiva ancora di più farmi desiderare, sentire le sue labbra posarsi sulle mie guance, sul mio naso o sul mio collo alla disperata ricerca di un bacio che non volevo concedergli.
«Fai la preziosa, eh!» mi provocò lui, leccandosi il labbro inferiore «Non costringermi a sfoderare ancora il Moro che è in me» sussurrò roco, infilando un ginocchio tra le mie gambe e puntellando le mani sul vetro del finestrino, ai lati del mio viso.
Mi ritrovai intrappolata tra il sedile e il suo corpo caldo e sensuale, con il suo respiro che si fondeva al mio, con i suoi occhi incatenati ai miei. Cercavo di resistergli in tutti i modi, ma se lui mi provocava in quel modo, spalmandosi completamente sopra di me come aveva fatto quella sera sul suo divano, perdevo qualsiasi buon proposito e la parte lussuriosa di me si faceva spazio, vogliosa di venire allo scoperto e amare Dario anche fisicamente. Deglutii a vuoto ed annaspai in cerca d'aria, di quell'aria pregna del suo odore e della nostra bruciante passione. Non dovevo cedere, non dopo quello che mi aveva fatto, non subito, senza nemmeno avere la certezza dei suoi sentimenti. Mi aveva fatto capire, con le sue parole che provasse per me qualcosa di forte e profondo, ma come potevo sapere se quello lo sentiva realmente? Se non fosse solo un'attrazione fisica passeggera? Se quello fosse solo un fuoco di paglia?
Allungai una mano verso di lui e lo accarezzai, appoggiando le mie labbra sulle sue in un casto bacio con cui cercai di stemperare quel dirompente desiderio che c'era tra di noi.
«Chi è questo Moro?» domandai, distraendolo, per qualche minuto, dal suo sensuale gioco di provocazioni.
Un lampo di tristezza attraversò i suoi occhi ed una patina di ricordi, forse spiacevoli, gli inumidì le iridi. Il suo corpo si irrigidì sul mio, il suo sguardo sfuggì al mio curioso e confuso al tempo stesso e, per un attimo, mi sentii in colpa per avergli fatto quella domanda, per avergli chiesto qualcosa del suo passato di cui, ancora, non voleva rendermi del tutto partecipe.
«Non sei costretto a dirmelo» mormorai.
Dario abbozzò un sorriso e tornò a sedersi, affondando nello schienale del sedile. Si passò una mano tra i capelli scuri e si morse il labbro inferiore. Era in difficoltà, in imbarazzo, ormai il suo corpo non aveva segreti per me.
«No, tranquilla, non è niente di che» rispose, puntando lo sguardo davanti a lui «Moro era il soprannome che mi avevano dato durante il liceo» sospirò, esitando qualche istante ed io ne approfittai per sedermi comoda ad ascoltare ciò che aveva da dirmi.
«Mi chiamavano così perché ero il più bello, il più sensuale, il più desiderato della scuola, quello che tutte le ragazze avrebbero voluto baciare anche una sola volta. E stronzo, ovviamente, oltre che superficiale» schioccò la lingua ed appoggiò i gomiti sulle ginocchia, congiungendo le mani «Ma è sempre stata una facciata. Io odiavo quella parte di me, quella parte che invece il resto della gente sembrava amare. L'unico modo che avevo di farmi accettare dagli altri era mostrare questo Moro, mostrare quello che non ero, indossare quella maschera che proteggeva il vero Dario da quel mondo troppo difficile da sopportare per un animo fragile come il suo».
Si morse nuovamente il labbro e finì il discorso, lasciando calare su di noi un pesante manto di silenzio. Ogni qual volta lui decideva di raccontarmi qualcosa di lui, di mostrarmi un pezzo della sua anima, capivo quanta sofferenza doveva aver sopportato, quanta tristezza esasperata si portava dentro, senza potersi sfogare con qualcuno. Mi sentivo fuori luogo in quel momento, spaesata in quella malinconia che le sue parole riuscivano a sprigionare e qualsiasi parola di conforto mi sembrava superflua.
«A quel tempo mi sembrava il modo migliore di affrontare la vita. Mostrarmi forte ed impassibile davanti a tutto e a tutti, davanti ai miei sentimenti e alle persone che amavo. Ma ho sbagliato. Così facendo ho perso l'unica persona che ho amato davvero, con al quale potevo essere me stesso senza aver paura di mostrare la mia sensibilità»
«Sole» soffiai e lui annuì, alzando finalmente lo sguardo.
Sentendo quel nome un sorriso amaro si era dipinto sul suo volto. Era chiaro che sentisse ancora qualcosa per lei, per quell'unica ragazza che era riuscita ad amarlo e farsi amare da lui. Ero gelosa di lei, nonostante non sapessi nulla di questa Sole, né di che colore avesse gli occhi, né come fosse fisicamente e caratterialmente. Sapevo solo che il suo ricordo opprimeva Dario, il suo cuore, che la sua memoria si sarebbe sempre interposta tra noi due e che lui non sarebbe mai stato in grado di amarmi come aveva fatto con lei. Se poi sarebbe stato in grado di innamorarsi di me. Sembrava così affezionato a questa Sole che temevo che avrebbe amato di più il suo ricordo che me.
Respirai a fondo e mi torturai il lembo della canottiera, attorcigliandolo intorno alle mie dita.
«Se tu potessi, torneresti indietro per sistemare le cose? Per non commettere più quell'errore e vivere felice con Sole?» gli domandai con un filo di voce.
Dario esitò e mi guardò pensieroso, prima di aprirsi in un sorriso luminoso.
«Se mi avessi fatto questa domanda qualche tempo fa avrei detto
all'infinito. Avrei fatto di tutto pur di riavere Sole» sospirò «Ma adesso non più. Quindi, no, non tornerei indietro e non cambierei nulla del mio passato. Tutti i miei errori, i miei rimpianti e i miei rimorsi, tutto ciò che mi ha fatto soffrire, in realtà, mi hanno fatto strada, mi hanno condotto qui, a Milano, mi hanno accompagnato da una ingenua ragazzina che mi ha rapito il cuore».
Aggrottai le sopracciglia e lo guardai confusa, con le lacrime che premevano agli angoli degli occhi per poter uscire. Non riuscivo a parlare, muovevo solo la bocca senza emettere nessun suono.
«Una ragazzina con i colpi di sole e con un sorriso meraviglioso che è riuscita, dopo anni, a scavare dentro di me, ad andare oltre le apparenze, a cercare di capire chi fosse realmente Dario e ad abbattere qualsiasi mia difesa» mi sorrise nuovamente «Una ragazzina che si chiama Alice Livraghi».
Le mie labbra tremarono, così come qualsiasi mio muscolo. Rimasi qualche secondo a fissarlo negli occhi, a scrutare in quel mare nero che erano lo specchio della sua anima, ancora incredula per quelle parole che mi avevano spiazzata e che sembravano irreali. Mi pareva quasi di vivere in un sogno, che fosse impossibile che una sfigata come me avesse potuto trovare un ragazzo splendido come Dario. D'improvviso, mi slanciai verso di lui e lo abbracciai, lo strinsi forte a me e per un attimo ebbi paura che la sua immagine potesse volatilizzarsi, diventare fumo, lasciandomi da sola con i miei sogni e le mie fantasie. Invece lui era lì, era concreto, era reale, era
mio e la mia favola stava quasi per realizzarsi.
«Hai detto delle cose bellissime» mormorai, alzandomi per guardare il suo viso, per imprimere nella mente ogni particolare del suo volto, per fotografare la meravigliosa bellezza del suo sorriso e dei suoi occhi «Mi sembra quasi impossibile che tu sia qui con me»
«A me pare impossibile che tu abbia scelto me, il gigolò spocchioso ed antipatico che con la sua sola presenza ti innervosiva» ridacchiò.
«Io ti avevo scelto ben prima che me ne rendessi conto» ammisi «Da quando hai messo piede in casa mia».
Dario sorrise imbarazzato e un lieve rossore tornò a fare capolino sulle sue guance.
«Vuoi sapere la verità?» mi domandò ed io annuii «È successa la stessa cosa anche a me. Appena ti ho vista mi sono sentito scombussolato e il tuo sorriso mi ha completamente destabilizzato. Ma mai avrei pensato che potessi provare qualcosa per una mia cliente, arrivando, addirittura, a farle una serenata!»
«Ed io non mi sarei mai immaginata di perdere la testa per un gigolò» ridacchiai, mordicchiandogli le labbra.
«Con un gigolò come me, era prevedibile» gongolò, assaporandomi e solleticandomi con la punta della lingua.
«Eccolo che ritorna lo spocchioso di sempre» commentai con un sorriso, approfondendo il nostro contatto e trasformandolo in un bacio lento, un inseguirsi delle nostre lingue che ormai conoscevano perfettamente la bocca dell'altro.
«E non ti piace molto questo lato di me, vero?» mi chiese, con le sue labbra ancora incollate alle mie.
«Certo che mi piace» risposi in un sussurro, intrappolando la sua lingua nella mia bocca «Adoro tutto di te. Soprattutto il tuo odore. Mi manda in estasi»
«È un semplice profumo di Armani» commentò lui, sorridendo.
«Non parlavo di profumo, ma proprio della tua pelle» dissi, strofinando il naso contro il suo collo e facendolo sussultare «Odora di vaniglia» soffiai, prima di lambire un lembo della sua pelle leggermente abbronzata e succhiandola avidamente per sentire suo sapore solleticare le mie papille gustative.
«Ti piace la vaniglia?» mi domandò malizioso, stringendomi una spalla.
«La adoro» risposi, solleticandolo con la punta della lingua.
Lo sentii respirare a fondo e soffocare un gemito di piacere. Si muoveva irrequieto sul sedile ed era completamente in balia delle mie labbra. Per una volta le posizioni si erano invertite, non era lui a farmi impazzire di piacere, ma ero io a tenere le redini. E mi piaceva… mi piaceva vederlo chiudere gli occhi, sentirlo fremere sotto le mie labbra, sentire i suoi respiri farsi sempre più pesanti.
«Allora sarà il tuo pasticcino personale» ridacchiò «Quando vuoi, puoi assaggiarmi»
«Se potessi, ti assaporerei per sempre» ammisi, senza imbarazzo, staccandomi per qualche secondo dal suo collo.
Fu un tempo brevissimo, questioni di istanti, ma il sapore della sua pelle era ormai penetrato dentro di me e non riuscivo più a farne a meno. Mi avventai ancora una volta su di lui, succhiando quel collo foga, affamata di vaniglia, affamata di Dario. Con lui sentivo di non avere freni. Non li avevo avuti sul suo divano e nemmeno in quel privè. Lui riusciva a risvegliare la
donna che era in me, qualsiasi voglia assopita che giacevano negli anfratti del mio corpo. Né con Davide e nemmeno con Federico avevo mai sentito un desiderio tanto dirompente farsi strada dentro di me. Succedeva solo con Dario e non riuscivo a capirne il motivo. Forse era il suo odore che mi offuscava la mente, forse la sua innata sensualità capace di travolgermi, forse i suoi occhi penetranti. Con lui mi sentivo libera di agire, libera di lasciarmi trasportare non solo dai sentimenti, dal mio cuore, ma anche dalla passione.
Intrufolai una mano nella sua maglietta e sfiorai con minuziosa cura ogni suo muscolo ben definito, sentendolo sobbalzare sotto il mio tocco delicato. Le dita affusolate di Dario scivolarono sulla mia coscia, stringendola con vigore ed inclinò la testa all'indietro abbandonandosi sullo schienale, con gli occhi chiusi e le labbra leggermente aperte dalle quali usciva qualche ansimo. Quella fu l'immagine più erotica che avessi mai visto. Non che avessi visto chissà quale scena hot, ma il suo viso contratto in una smorfia di piacere e quelle labbra morbide appena dischiuse mi eccitarono parecchio.
«Smettila Alice» supplicò roco.
«Non ti piace?» chiesi maliziosa, lasciando un bacio sulla mandibola.
«Anche troppo» rispose «Se continui, posso dire addio a qualsiasi mio buon proposito».
Sapevo che stava alludendo ancora al sesso, ma questa volta non potevo biasimarlo. Ero stata io a provocarlo, a farlo eccitare e mi era anche piaciuto farlo. Accennai un sorriso, poi unii le mia labbra alle sue in un innocente e fugace bacio.
«D'accordo» gli dissi sorniona.
«Questo è stato il miglior succhiotto della mia vita» sussurrò malizioso «Sicura che fosse la prima volta che facessi una cosa del genere? Non è che hai fatto pratica con quello spilungone?»
«Ma che dici?!» trillai indignata, dandogli una leggera sberla sul braccio «Tra me e lui c'è stato solo un bacio».
Dario sussultò sul sedile, appoggiando il gomito sullo schienale del sedile e sgranò gli occhi, guardandomi incredulo.
«Tu e quel nasone vi siete baciati?!» ripeté stizzito «Lo sapevo che quel biondino avrebbe allungato le mani, non appena io me ne fossi andato»
«In realtà sono stato io a baciarlo» ammisi, con un sorriso «E gli ho anche chiesto di diventare il mio ragazzo».
La bocca di Dario si spalancò, assumendo la forma di una tonda O. Poi scrollò la testa e si passò una mano sul viso, scuotendo il capo.
«Quindi... no...cioè...famme capì 'na cosa» ringhiò contrariato.
«Ma sei di Roma?» constatai, cercando di cambiare discorso e di non farlo arrabbiare.
«Sì, sono di Roma» sospirò «Ma questo non c'entra adesso! Non farmi perdere il filo del discorso. Quindi, tu gli hai chiesto di diventare la sua ragazza?»
«Esatto» ridacchiai «Tu te n'eri andato ed ero sicura che non saresti più tornato. Non potevo rimanere ad aspettarti tutta la vita, dovevo pur dimenticarti e credevo che diventando la ragazza di Federico sarei riuscita a non pensarti più»
«Non ce sto a capì nulla» bofonchiò «Voi due state insieme?»
«No, tranquillo» risposi, stringendogli le mani tra le mie «Lui non ha accettato. Non voleva essere un ripiego»
Dario sospirò e rilassò i muscoli tesi, abbandonandosi al sedile. Scosse la testa impercettibilmente e sorrise soddisfatto, felice di sapere che tra me e Federico non ci fosse nulla.
«Vorrà dire che lo terrò d'occhio. Quel tipo ha le mani lunghe. Non hai visto come ti toccava al bowling?» borbottò contrariato.
«Cerca di reprimere la tua gelosia. Te lo troverai tra i piedi praticamente tutti i giorni» esclamai divertita.
«Perché?» domandò, lievemente preoccupato.
«È il mio migliore amico» risposi, posando le mie labbra sulla sua guancia.
«Annamo bene» bofonchiò «Se osa solo avvicinarsi a te e sfiorarti con quelle sua manacce gli spacco la faccia e non avrà nemmeno bisogno di un chirurgo plastico per quel naso orribile che si ritrova»
«Non preoccuparti» sogghignai «Tanto ha la fidanzata, adesso»
«Che?! Qualcuno ha avuto il coraggio di mettersi con quello sgorbio?» si sorprese.
«Ma lo sai che l'aspetto fisico non è tutto?» gli chiesi, sedendomi sulle sue gambe «Federico è un ragazzo splendido. È dolcissimo e senza di lui sarei stata perduta» sospirai, ricordando tutte le volte che lui mi era rimasto accanto, che aveva ascoltato i miei problemi di cuore e mi aveva consigliato, supportato e sopportato, soprattutto. E in tutti quei momenti in cui stavamo insieme non si era mai permesso di sfiorarmi nemmeno una volta, sebbene ciò che provava per me. Era fortunata Cristina ad aver trovato un ragazzo come lui e sperai con tutto il cuore che quella gallina della Cariati non lo facesse soffrire.
«Ehi, frena! Quanti complimenti!» esclamò scocciato.
«Cos'è, vuoi l'esclusiva?» chiesi maliziosa, baciandolo sul naso, sulle labbra, ovunque mi capitasse.
«Non sarebbe una cattiva idea» rispose con lo stesso tono, avvicinandomi di più a lui.
I nostri corpi erano stretti l'uno all'altro, combaciavano perfettamente e mi sentivo finalmente completa tra le sue braccia. Mi baciò una guancia, scivolando con le labbra verso la mandibola e fermandosi sul mio collo, dove lasciò numerosi baci carichi di passione ed erotismo. Strusciò il naso contro la mie pelle, assaggiandola poi con la punta della lingua. Mi voltai leggermente, inclinando il capo per facilitargli il compito ed, inevitabilmente, il mio sguardo cadde sull'orologio dietro il volante.
«Oh mio Dio!» esclamai, scattando giù dalle gambe di Dario.
«Che ti prende?» domandò confuso.
«Sono le undici passate!» risposi, agitata «È meglio che vada, sennò quei due pensano che abbiamo fatto chissà cosa».
Mi sistemai i vestiti e ravvivai i capelli, almeno per renderli decenti e mi avvinai alla portiera per poter scendere.
«No, non te ne andare così presto» mi supplicò, abbracciandomi da dietro e appoggiando il viso sulla mia schiena.
Mi voltai per guardare i suoi occhi da cucciolo e baciarlo per l'ultima volta prima di andarmene. Fu un bacio lungo, un bacio pieno di passione che non avrebbe mai voluto avere una fine. Fosse stato per me, sarei rimasta incollata alle sue labbra per il resto della mia vita, avrei passato l'eternità al suo fianco. Ma, purtroppo, non potevo, le circostanze mi impedivano di poter passare ogni istante con lui.
«Vorrei restare, ma poi mi fratello e mia madre non mi lasciano respirare»
«D'accordo» sospirò a malincuore, lasciandomi andare.
Uscii dalla Mito e rimasi a fuori dalla portiera aperta a guardarlo in tutta la sua magnifica bellezza. Dario si sporse in avanti, supplicando tacitamente un bacio, allungando le labbra verso di me. Sorrisi e lo assecondai, baciandolo ancora una volta, assaggiando nuovamente quelle labbra lisce come il velluto che sapevano di vaniglia.
«Buonanotte piccola» sussurrò a pochi millimetri dal mio viso.
«’Notte piccolo» risposi, sorridendo.
Mi allontanai lentamente dalla macchina, dirigendomi verso il portone, voltandomi di tanto in tanto a guardare quella Mito. L'ultima volta che l'avevo vista, mi aveva portato via Dario, si era allontanata con lui dentro. Piangevo quella notte, sicura che non lo avrei più rivisto. Anche quella sera la Mito si sarebbe allontanata da me, ma quella volta sapevo che lui sarebbe tornato. E non c'era stato nessuno addio, solo un arrivederci, un buonanotte sussurrato con dolcezza.


La casa era vuota, c'eravamo solo io e Milky stese sul divano a goderci la tranquillità che l'assenza degli altri ci aveva donato. Mia madre era in ufficio a sbrigare delle pratiche per qualche suo cliente, mentre mio fratello era andato a studiare, miracolosamente, in biblioteca insieme ad Alberto, il suo amico sfigato e secchione. Sorrisi ripensando a quando lo avevo conosciuto, a quando lo avevo scambiato per Dario quella sera di sei mesi prima. Era passato così tanto tempo e quasi non me n'ero accorta. Erano successe talmente tante cose che non mi ero accorta dello scorrere del tempo. Quando lo avevo chiamato non avrei mi pensato che potessi innamorarmi di lui, che sarei entrata a far parte della sua vita, scombussolandola, così come lui aveva fatto con me. E ringraziavo il cielo, la mia buona stella, il mio angelo custode di aver chiamato Blaine e non qualche altro suo collega.
Sospirai, accarezzando Milky, mentre la voce sensuale di Dario che proveniva dalla radio riempiva la casa. Avrei voluto averlo con me in quel momento, baciarlo ed abbracciarlo come avevo fatto la sera prima, ma mi accontentai di sentirlo parlare, immaginandomi che mi stesse mormorando dolci frasi d'amore.
Ero completamente abbandonata a lui, quando il citofono squillò facendomi sobbalzare. Sbuffando e svogliata, andai a rispondere trovando dall'altra parte del citofono una Claudia ansiosa, preoccupata, tesa. La feci salire e l'aspettai sulla soglia della porta, dove arrivò poco dopo. Aveva i capelli raccolti in una coda improvvisata, gli occhi gonfi e stringeva tra le mani un sacchettino di plastica. Si avventò su di me, abbracciandomi a lei, piangendo sulla mia spalla. Pensai subito che c'entrasse Raffaele, che magari lei lo avesse visto con un'altra, anche se mi sembrava improbabile.
«Che succede Claudia?» chiesi allarmata e lei si limitò solo a liberarmi e a dirigersi in camera mia.
La seguii confusa e la vidi sedersi a peso morto sul mio letto, prendendosi la testa tra le mani.
«Raffaele in questo momento non c'è, è uscito» dissi titubante.
«Non lo voglio vedere» rispose secca.
«Che ti ha fatto quel deficiente di mio fratello, sentiamo» sospirai, sedendomi accanto a lei.
Ma da Claudia non provenne nessuna risposta, se non numerosi singhiozzi che diventavano sempre più numerosi e acuti.
«Ha detto qualcosa che non andava?» tentai e lei scosse la testa «Lo hai visto con un'altra? O con un altro? Ti ha picchiata?»
«No!» sbraitò «Niente di tutto ciò»
«Si può sapere allora che succede!» sbottai, esasperata.
«Sono incinta!» urlò, curvandosi per nascondere il viso tra le ginocchia.
Ci volle qualche secondo prima che il mio cervello recepisse quella parola. Claudia era incinta, mio fratello sarebbe diventato padre. Non ce lo vedevo proprio nei panni del papà amorevole, anzi, non avevo mai immaginato una scena simile dato che ero sicura che mai avrebbe trovato una donna.
Quella notizia inaspettata si era abbattuta su di me come un doccia gelata, figurarsi poi come l'avrebbe presa Raffaele. Boccheggiai e tentai di dire qualcosa, ma con scarsi risultati. Io non sapevo nemmeno cosa fosse il sesso, come si facesse e mi terrorizzava il solo pensiero di poter rimanere incinta così giovane. Ero ancora una bambina, praticamente, senza nessuna esperienza, che aveva appena deciso di entrare nell'adolescenza, forse con un po' di ritardo.
«Ne sei sicura?» fu l'unica cosa che riuscii a chiederle.
«Sì, cioè… boh! Ho un ritardo di un mese e mezzo» rispose, asciugandosi le guance con i palmi delle mani, come una bimba «Qui ho il test» disse, indicando il sacchettino di plastica «Volevo avere qualcuno di importante a fianco per poterlo fare».
Accennai un sorriso udendo quelle parole. Il nostro rapporto era nato per caso nei bagni della scuola, anche contro voglia da parte di entrambe. Eravamo solo due ragazze accomunate dalla stessa amica, costrette a parlarsi anche senza un vero interesse nei confronti dell'altra. Si era rivelata, però, una grande amica, una persona di cui potersi fidare, con cui potersi confidare, non come quella serpe di Benedetta che, ancora, mi odiava per qualcosa che non avevo fatto.
La accompagnai in bagno ed attesi qualche minuto che uscisse con un bastoncino bianco stretto in mano. Tremava e piangeva, impaurita dall'esito di quel test. La invitai a sedersi accanto a me sul letto e la abbracciai.
«Quando avremo il risultato?» domandai agitata.
«Quattro minuti di agonia, più o meno» ridacchiò, tirando su con il naso «Scusami se nell'ultimo periodo mi sono allontanata da te, ma ero spaventata da quello che mi stava succedendo»
«Stai tranquilla» mormorai, appoggiando il viso sulla sua testa e coccolandola «Anche se a dire il vero ci sono rimasta male. Pensavo ti fossi coalizzata con Benedetta»
«No, ma va’!» sogghignò «Chi la sente più! È diventata un'altra! Una antipatica, vanitosa che passa da un letto all'altro con troppa facilità per i miei gusti» sospirò «Ma quindi, adesso stai con Federico?»
«No, mai stata con lui. Benedetta ha solo frainteso dei nostri atteggiamenti. Tra me e Federico c'è solo una grande amicizia» risposi.
«E Benedetta lo sa? Sa che non c'è nulla tra di voi?»
«No, non ha voluto ascoltarmi» sospirai affranta «Eravamo migliori amiche e adesso mi odia»
«Tranquilla Alice, tanto ci sono io. E ci sarò per sempre per te» disse con estrema dolcezza.
«Anche io, Claudia» replicai, stringendola «Vuoi sapere l'ultima novità?»
«Hai fatto sesso?» ridacchiò, divertita e mi sentii sollevata nel vederla felice anche se per qualche secondo.
«Quello non ancora!» esclamai, fingendomi indignata «Dario è tornato e mi ha fatto una serenata, con tanto di dichiarazione»
«Il gigolò?!» domandò incredula.
«Proprio lui» risposi al settimo cielo «Ha anche cambiato lavoro. Adesso è un deejay».
Gli occhi grigi di Claudia si allargarono e un sorriso gioioso le illuminò il viso dapprima triste e sconsolato. Mi abbracciò ancora, dondolandomi a destra e a sinistra, facendomi quasi venire il mal di mare.
«Sono davvero felice per te!» disse sincera.
«Grazie»
Si staccò da me e prese un respiro profondo. I quattro minuti erano passati da un pezzo e il test di gravidanza reclamava attenzioni. La tensione che c'era nella mia stanza era quasi palpabile e per qualche istante mi sembrò di sentire il cuore di Claudia pronto ad esplodere.
Strinse maggiormente il test e chiuse gli occhi, portando quel bastoncino bianco a pochi centimetri dal viso. Aprì una palpebra poi l'altra e la vidi sbiancare. Il suo braccio ricadde pesantemente verso il basso e il test scivolò dalle sue dita.
«Positivo»











_______________________________

Sì, lo so! Il titolo di questo capitolo è orribile, ma è il primo che mi è venuto in mente. E, nonostante la sua bruttezza, racchiude in sé il capitolo, o meglio, la parte finale. Altra notizia bomba, direi! Claudia è incinta e il burbero Smell diventerà papà! A non usare le precuazioni succede questo, ma anche molto peggio.  Non sono qui a fare la predica, anzi, non mi dilungherò oltre con questo discorso. Chiudo dicendo di usare i preservativi! 
Bene, detto questo, riprendiamo il commento al capitolo. Anche, se, a dirla tutta c'è molto poco da spiegare. Dopo un iniziale rifiuto, Alice, ancora una volta, cade tra le braccia di Dario, forse con un po' troppa facilità, ma le parole del nostro ex gigolò e attuale deejay sono state molto dolci *-* Comunque, Alice decide di dare una seconda possibilità a Dario, anche se lui dovrà fare di tutto per riconquistare la sua fiducia. Dopo quello che le ha fatto e dopo la brutta esperienza con Davide, si fida ben poco delle parole di un ragazzo, anche se questo è il suo grande amore.
Da qui, direi, che iniziaerà una specie di seconda parte della storia, una sorta di sequel che, però, continuerò a postare qui, con lo stesso titolo ma entreranno in scena nuovi personaggi :3 non anticipo nulla, non voglio rovinarvi la sorpresa. Basta attendere qualche capitolo per conoscerli. Uno di loro già avete avuto l'onore di vederlo apparire...molto probabilmente avete capito di chi sto parlando...o forse no?!
Vabbè! Smettiamo di ciarlare e passiamo ai ringraziamenti.

Davvero, un GRAZIE immenso dal profondo del cuore, per tutto il sostegno e per il vostro amore nei confronti dei miei personaggi. Spero che le mie future creature, i nuovi personaggi di altre storie (che già stanno frullando da tempo nella mia testolina) possano piacervi ugualmente.

Comunque, GRAZIE alle 17 persone che hanno recensito lo scorso capitolo, GRAZIE a chi segue, ricorda e preferisce la mia storia, GRAZIE a chi mi sostiene su facebook, GRAZIE a chi legge solamente, GRAZIE a chi mi ha inserito tra gli autori preferiti.

E GRAZIE a Nessie, la mia beta personale a cui dedicherò un monumento per la pazienza e IoNarrante, che si sorbisce ogni santo giorno le mie stupidate e mi aiuta nella stesura.

Un po' di pubblicità:

Come in un Sogno - con IoNarrante.
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Un bacione a tutti e al prossimo capitolo ♥

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Capitolo 20
*** Changing ***




C a p i t o l o 19

C
hanging

Silenzio. Dopo quella singola parola il silenzio piombò tra di noi. Si sentiva in lontananza solo la voce di Dario, provenire dalla radio ma, in quel momento, mi interessava molto poco di lui. La mia amica aveva appena scoperto di essere rimasta incinta a soli diciotto anni, per di più di uno scapestrato nullafacente senza un minimo di responsabilità di nome Raffaele. Come avrebbero potuto crescere un bambino loro due, che peraltro stavano insieme solo da pochi mesi? Lei era ancora una ragazzina vogliosa di viversi i suoi anni, di godersi la sua giovinezza. Lui era un caso disperato, sotto ogni punto di vista. Nessuno dei due aveva la testa e la maturità giusta per crescere un bambino. Se prima il sesso mi terrorizzava, in quel momento non ne volevo nemmeno parlare. Non volevo neanche pensare a cosa avrei fatto io, se avessi scoperto una cosa del genere.
«Come lo dirò ai miei?!» singhiozzò Claudia, mettendosi le mani tra i capelli «E a Raffaele? Oddio, mi lascerà appena lo verrà a scoprire!» si disperò, cercando consolazione fra le mie braccia.
Affondò il viso nella mia maglietta e mi strinse forte a sé. Aveva bisogno di qualcuno accanto in un momento delicato come quello e di certo io non mi sarei tirata indietro, non l'avrei abbandonata così fragile. Anche perché, contro ogni mia aspettativa era una amica, una vera amica, e non si voltavano mai le spalle alle persone importanti. Le sarei stata a fianco in qualsiasi momento, sia quando avrebbe dovuto dirlo ai suoi genitori, sia quando ne avrebbe parlato con Raffaele, e le avrei stretto la mano durante le visite dal ginecologo, semmai avesse voluto.
«Non lo farebbe mai» disse flebile «Non ti lascerebbe, soprattutto se gli dicessi una cosa del genere».
Claudia alzò lo sguardo per incontrare il mio, per cercare sicurezza nei miei occhi. Sorrisi, per infonderle forza, anche se solo un minimo, per poter reagire. Raffaele era sì un idiota immaturo, ma ero certa che non avrebbe mai abbandonato Claudia in quello stato, anche perché, nonostante lui cercasse di fare il duro, avevo capito che era molto legato a lei, che provava qualcosa di molto profondo. Magari non era ancora amore, ma era qualcosa di molto simile, molto vicino a quel sentimento.
«Dici?» domandò, insicura.
«Ma certo! Raffaele tiene davvero tanto a te, lo capisco da come ti guarda, da come si illuminano i suoi occhi ogni volta che parla di te» le confidai, accarezzandole una spalla lasciata nuda dalla maglietta senza maniche.
Lei abbozzò un sorriso e si scostò una ciocca di capelli rossi dalla fronte, stringendosi nelle spalle e cercando di trattenere il pianto.
«Lui non mi ha mai detto nulla, non mi ha mai fatto capire nulla. Mai una cosa carina, mai un complimento» e si asciugò gli occhi con il dorso della mano «E non sono poi così sicura di quello che prova per me»
«Raffaele fa il duro, ma in realtà non lo è. Nemmeno a me ha mai detto Ti voglio bene o cose simili. Ma ci sono tanti suoi piccoli gesti, magari che sembrano inutili, che dimostrano i suoi sentimenti. Un sorriso, uno sguardo languido, la voce tremante» le dissi. Ed era così. Se una persona estranea ci avesse visto come spettatore, non avrebbe mai detto che fossimo fratelli, anzi, avrebbe visto solo saette di odio tra di noi. Ma non era così. Io tenevo a Raffaele, come lui teneva a me, anche se cercava in tutti i modi di non dimostrarlo. Forse un po' troppo, data la sua gelosia.
Claudia scrutò nei miei occhi, scavò dentro di me, molto probabilmente per capire se le mie parole erano vere oppure dette solo per consolarla. Sorrise, poco dopo, un sorriso appena accennato, ma felice.
«Stai tranquilla, quindi. Lui non ti lascerà»
«E se non volesse prendersi le sue responsabilità? Insomma, siamo giovani entrambi e un bambino sarebbe un peso per tutti e due» sospirò affranta.
«Un bambino non è mai un peso» risposi, stringendole una spalla «È vero, non è facile crescerne uno, soprattutto quando si è giovani, quando piomba nella tua vita così all'improvviso. Ma sono sicura che questo bambino, o bambina, non farà altro che unirvi di più e portarvi tanta gioia».
Inizialmente Claudia parve convinta dalle mie parole, ma subito dopo scattò in piedi, con le guance inondate di lacrime e si strinse i capelli con entrambe le mani, quasi volesse strapparseli, scompigliandoli più del dovuto.
«Queste sono solo un mucchio di frasi fatte!» sbraitò «Adesso come farò, cazzo! Come farò?!»
Mi strinsi nelle spalle e la guardai con tristezza. Mi dispiaceva vederla in quello stato, vederla piangere e disperarsi e mi rattristava ancor di più rimanere lì, seduta, come una stupida senza nulla di sensato da dirle per tranquillizzarla, se non frasi imbecilli. Mi sentivo inutile in quel momento, non riuscivo nemmeno a consolare un'amica e non avevo la benché minima idea di cosa dire per calmarla. Niente, nada, nella mia testa rimbombava solo la parola Positivo abbinata a quel maledetto test e non riuscivo ad articolare una frase che fosse quanto meno intelligente.
L'unica cosa che riuscii a fare in quella situazione fu alzarmi dal letto e fare qualche passo verso di lei per abbracciarla e stringerla a me, per porle una spalla su cui sfogare le sue paure, la sua tensione. Era un gesto banale, forse, ma sperai, comunque, che lei lo apprezzasse, che capisse che le ero accanto in quel momento, anche se non ero in grado di dire qualcosa di intelligente, qualcosa di veramente utile. Ero immatura, inesperta, non avevo mai vissuto appieno la mia vita, per cui ero l'ultima persona che avrebbe potuto dare dei consigli.
«Stai tranquilla» dissi, accarezzandole la schiena «Andrà tutto bene».
Claudia si strinse ancora di più a me, affondando il viso nella mia maglietta e singhiozzò rumorosamente, coprendo addirittura il volume della radio.
«Speriamo» soffiò tristemente.
Rimanemmo abbracciate per qualche minuto, senza dire una parola, in silenzio, con in sottofondo la musica della radio, fino a quando la porta d'ingresso non scattò, precedendo dei passi pesanti come quelli di un rinoceronte. Strabuzzai gli occhi e deglutii a fatica. Raffaele era tornato a casa, troppo presto, in un momento in cui la sua presenza non era ben accetta.
«Sono a casa» borbottò e sentii un tonfo sordo, segno che si era stravaccato sul divano.
Claudia si allontanò da me e mi guardò preoccupata negli occhi, trattenendo a stento le lacrime. Atona, le dissi di non preoccuparsi e le asciugai con i pollici le guance.
«Non devi farti vedere piangere» mormorai e lei annuì «Glielo dirai subito?»
«No, assolutamente no!» rispose all'istante «Devo prima metabolizzare la notizia e trovare il coraggio»
«D'accordo» sospirai.
«Tu non glielo dirai» mi minacciò quasi puntandomi un dito contro «Me lo prometti?»
«Promesso» risposi, con una mano sul cuore.
Di sorpresa, la porta della mia stanza si aprì e il viso annoiato di mio fratello fece capolino. Senza nemmeno riflettere, con un gesto d'istinto, calciai il test di gravidanza di Claudia sotto il letto, per evitare che lui lo vedesse. Ci avrei pensato dopo a disfarmene. Entrambe gli sorridemmo, false come i soldi del Monopoli, facendo finta che fosse tutto tranquillo, quando invece un devastante uragano si era abbattuto su di noi... più che altro su Claudia.
«Ah, allora ci sei» biascicò rivolgendosi a me.
«Certo, dove pensavi che fossi?» tentai di rimanere il più serena possibile.
«Che ne so, magari con quell'imbecille del tuo ragazzo» rispose contrariato.
«Punto primo, Dario sta lavorando in quest'esatto momento» ribattei, scocciata, contando le mie constatazione sulla punta delle dita «Punto secondo, Dario non è il mio ragazzo».
Parlai senza pensare, le parole erano uscite dalla mia bocca come un fiume in piena, naturali e rimasi sconcertata da esse. Dario non era il mio ragazzo, in fondo lui non mi aveva chiesto nulla e nemmeno io avevo fatto lo stesso con lui. C'era qualcosa tra di noi, e questo era fuori discussione. Qualcosa di intenso, una certa alchimia, qualcosa che io consideravo amore ma che non sapevo come lo avrebbe definito lui. Eppure, a sei mesi di distanza mi ritrovai a pormi la stessa domanda.
Cosa eravamo io e Dario?
Molto probabilmente, non c'era bisogno che lui mi chiedesse apertamente “Vuoi essere la mia ragazza”, magari mi considerava tale anche senza quella domanda. Ma come potevo esserne sicura, senza una sua conferma? Ed io lo consideravo il mio ragazzo? Cioè, lui era ritornato dopo tre mesi di assoluto silenzio solo il giorno precedente, avevo passato la serata più magica e meravigliosa della mia vita, avremmo anche potuto spingerci più in là di un semplice bacio ed io non sapevo se considerarlo il mio ragazzo o solo una persona con cui mi frequentavo.
«Seh, vabbè» bofonchiò Raffaele «E tu, cosa ci fai qui?» domandò a Claudia, aggrottando la fronte.
«Non posso venire a trovare una mia amica?» rispose lei, fingendo tranquillità.
«Mi sembri sconvolta!» constatò, ma non si mosse da dietro la porta.
«No, è tutto ok. Non preoccuparti» mentì «Qualche problema in famiglia, tutto qui»
Smell arricciò il naso e annuì poco convinto.
«Vuoi parlarmene?» domandò, sembrando quasi, e sottolineo QUASI, tenero.
Claudia mi lanciò uno sguardo preoccupato ed io, con discrezione, la incitai a seguire mio fratello in salotto, almeno per farli parlare, sperando che lei trovasse il coraggio di dirgli del bambino, anche se avevo i miei forti dubbi.
«Andate pure. Io credo che uscirò a fare una passeggiata» sorrisi ad entrambi ed afferrai velocemente il mio cellulare.
Non volevo essere loro d'intralcio e soprattutto non volevo essere la terza incomoda, per cui me ne andai, senza però sapere né dove andare né come passare il mio tempo. Era mattino inoltrato, quasi l'ora di pranzo e non avevo la benché minima voglia di mangiarmi un panino da sola seduta su un marciapiede. Mi fermai di fronte al portone, con il sole che tentava di abbagliarmi e digitai velocemente un SMS. Avrei voluto pranzare con Dario, passare un po' di tempo con lui e magari chiarire quei miei dubbi che Raffaele aveva fatto sorgere. Ma lui avrebbe concluso il turno in radio solo dopo un quarto d'ora abbondante, più una mezz'ora di viaggio da Milano al mio paese e avremmo mangiato alle due passate. Non avrei resistito così a lungo, il mio stomaco borbottava già da qualche minuto. Per cui scrissi due righe a Federico, invitandolo a mangiare un boccone con me, nella speranza che accettasse e non perdesse tempo con quell'oca della Cariati. La risposta del mio migliore amico non tardò e, fortunatamente, mi avrebbe raggiunta sotto casa nel giro di pochi minuti. Se mi avesse dato buca per Cristina gli avrei strappato i capelli uno ad uno. Già non la sopportavo, se poi mi avesse portato via anche il mio migliore amico poteva dirsi spacciata.
Infilai il cellulare nella tasca dei jeans e, dopo circa dieci minuti, vidi Abbate comparire sul marciapiede di fronte al mio, vestito orrendamente con un paio di bermuda color panna sporca e una maglietta arancione. Sembrava un enorme evidenziatore dotato di gambe.
Mi guardai intorno, verificando che non passassero macchine e mi precipitai sull'altro lato della strada.
«Ma come ti sei vestito?» ridacchiai, alzandomi sulle punte per dargli un bacio sulla guancia.
«Ho preso le prime cose che mi sono capitate» scrollò le spalle.
«Noto. Questi vestiti sono un crimine per la moda» dissi ironica.
«Ha parlato...» borbottò «Tu sembra che ti vesti al buio»
«Come osi?» tuonai, divertita, sgranando gli occhi e spalancando la bocca.
Federico mi fece una linguaccia e si allontanò, astutamente, prima che la mia mano lo colpisse con una sberla sul braccio. Finsi di indispettirmi e cominciai a rincorrerlo, agitando le braccia nel vano tentativo di colpirlo almeno una volta. Ma, ahimè, ogni mia sberla sferrata si disperdeva nell'aria. Sembravamo due bambini in quel momento, che si rincorrevano sul marciapiede, sbraitando senza il minimo rispetto per nessuno. Le gente, quando ci passava accanto, sembrava essere sconvolta nel vedere una ragazzina alta poco più di un metro e sessanta rincorrere un bestione della stazza di Federico, soprattutto perché eravamo entrambi maggiorenni; eppure sembrava che gli anni non fossero mai passati. Era come rivedere una vecchia scena, noi due ancora degli undicenni che ci divertivamo a rincorrerci. Non era cambiato nulla tra noi due e questo mi rendeva felice.
«Credo che mi stia venendo un infarto» dissi con il fiatone, piegandomi sulle ginocchia.
Non ero abituata a fare sport e nemmeno a correre, perciò fare anche solo un metro per me era faticoso. Tutto il contrario di Abbate, che, invece, pareva non essersi mosso. Si avvicinò a me ed appoggiò una mano sulla mia schiena, abbassandomi per mostrarmi il suo sorriso sornione.
«Mia nonna avrebbe fatto più strada di te» ridacchiò, divertito.
Arricciai il naso e gli feci una linguaccia. Non era colpa mia se odiavo qualsiasi cosa che mi facesse sudare, che comportasse esercizio fisico. Preferivo di gran lunga poltrire tutto il giorno sul mio comodo divano o, in alternativa, sul mio letto. Anche se, dovevo ammetterlo, non era molto salutare, se poi mi abbuffavo anche di schifezze.
«Spiritoso! Sai, dovresti fare il provino per Zelig!» ribattei, riprendendo fiato.
«Dici? So di avere un grande senso dello humor» e si passò una mano tra i capelli, scostandoli dalla fronte «ma non avevo mai pensato alla possibilità di diventare un comico» concluse, portandosi una mano al mento e guardando il cielo, come se stesse immaginando la sua carriera sfolgorante sul palco di Zelig.
«Ehi, comico!» lo richiamai, sventolando le mani davanti al suo viso «Ero sarcastica»
«No, davvero?» ed enfatizzò le sue parole con un tono di voce di finta sorpresa «Simpaticona» socchiuse gli occhi e mi pizzicò delicatamente entrambe le guance, sballottandomi il viso «Ero sarcastico anche io»
«Idiota» lo apostrofai, stringendogli i polsi e allontanando le sue mani dalle mie guance. Non sopportavo i pizzichi, non li avevo mai sopportati, nemmeno quando ero bambina e mio nonno si ostinava a strapazzarmi le guance.
Lo superai a passo deciso, sbuffando come una pentola a pressione, diretta nemmeno io sapevo dove.
«Cosa mangiamo?» mi domandò, affiancandomi ed affondando le mani nelle tasche dei bermuda.
«Non ne ho idea» bofonchiai, inoltrandomi verso la fontana di Campo Verde.
«Cioè, tu mi inviti a pranzare e non sai nemmeno dove?» sogghignò incredulo Abbate.
«Sono uscita di corsa da casa per lasciare un po' di intimità a mio fratello e alla sua ragazza. E non volevo pranzare da sola, per cui, anche se non ho idea di dove andare, ti ho invitato» spiegai «Dario, purtroppo, è al lavoro».
Federico si fermò nel bel mezzo del marciapiede e mi lanciò un'occhiata truce, quasi volesse uccidermi da un momento all'altro. Ok, forse non era stata una bella idea mettere in mezzo Dario e farlo sentire, ancora una volta, un ripiego.
«Dario?» ripeté «Quel Dario? Dario il gigolò? Dario che ti ha fatta soffrire?»
«Proprio lui, in carne ed ossa» sospirai, incrociando le braccia, aspettando la paternale.
«Sbaglio, o c'è qualcosa che non mi hai detto?» chiese alterato «Ieri avevi finalmente deciso di chiudere con lui ed ora vuoi andare a pranzo con lui?»
«In effetti qualcosa che non ti ho detto c'è» ammisi, sentendomi quasi in colpa per non avergli detto nulla la sera stessa.
Lui allargò le braccia e le fece ricadere lungo i fianchi, con un'espressione allibita stampata in faccia. Anzi, più che altro sembrava deluso da me e dalla scelta che avevo fatto. Presi un profondo respiro e gli raccontai tutto quello che era successo il giorno precedente insieme a Dario, tralasciando, solo, qualche piccolo particolare, come le sue mani sul mio seno. Se gli avessi detto una cosa del genere, ne ero sicura, non avrebbe esitato a cercare Dario per tutto il globo per prenderlo a randellate.
«Oh, che gesto romantico!» esclamò dolcemente, con un sorriso abbozzato.
Mi strinsi nelle spalle ed arrossii. Il fatto che Federico apprezzasse ciò che aveva fatto Dario mi rendeva felice. Non volevo che il mio migliore amico e il mio pseudo-ragazzo fossero in guerra tra di loro. Come avrei potuto dividermi tra loro due?
«Santo cielo, Alice, quanto sei stupida!» sbottò poi, serrando i pugni.
Come, come, come?! Federico mi aveva appena definita stupida? Nessuno poteva permettersi di offendermi, soprattutto, poi, se si trattava del mio migliore amico. Assottigliai lo sguardo e lo trucidai, scuotendo la testa per la disapprovazione.
«Non osare offendermi» sibilai.
«Non ti sto offendendo. Dico solo la verità, la triste verità!» infierì di nuovo, facendo qualche passo verso di me e tentando di stringermi le spalle, ma mi scansai prima che le sue manacce si posassero su di me «Mi hai deluso profondamente, Alice. Credevo fossi più matura»
«Mi dispiace averti deluso, ma queste sono le mie scelte e non permetto a nessuno di giudicarle» replicai, alterata.
Bene! Un semplice pranzo tra amici si stava trasformando in una faida. Litigare con Federico era l'ultima cosa che avessi voluto che accadesse, ma il suo atteggiamento da ragazzo protettivo e maturo non mi lasciava altra alternativa. Diamine, mi sembrava quasi di assistere ad un replay, solo che al posto di Abbate c'era Dario che si ostinava a volermi allontanare da Davide. Alla fine aveva avuto ragione, Saronno si era dimostrato uno stronzo. Ma sapevo che Dario era diverso da lui, me lo aveva dimostrato in più di un'occasione. Anzi, lo speravo, dato che Davide mi aveva fatto credere di essere un santo, e sarei cascata nel suo letto, molto probabilmente, se non lo avessi sentito con le mie orecchie dire delle cose tanto orribili. Ecco che nella mia mente si insinuavano altri dubbi, che si ammassavano uno sopra l'altro, impedendomi di ragionare con lucidità.
Ok, forse anche Dario aveva adottato la stessa tattica di Davide, ma ero libera o no di prendere le mie decisioni, anche se sbagliate? Non volevo nessun protettore, nessun supereroe che mi difendesse dai dolori della vita. Come tutti, avevo il sacrosanto diritto di soffrire e crescere, fare esperienze senza che nessuno mettesse il naso nei miei affari.
«Alice, cerca di capire. Quel ragazzo ti ha in pugno! Basta che dice due paroline dolci, un bacino e gli è tutto perdonato!» tentò, invano, di convincermi.
Sbuffai, roteando gli occhi e incrociai le braccia, mentre Federico continuava a ciarlare, continuava quel suo discorso noioso e privo di senso.
«Qualsiasi cosa lui farà, saprà di avere il tuo perdono in ogni caso. Tu soffrirai, mentre lui si divertirà alle tue spalle, per poi tornare con la coda tra le gambe, un discorso sdolcinato e tu, bum! Cadrai ai suoi piedi»
«Smettila con queste sciocchezze» dissi, scocciata «Sono innamorata, non stupida. Ho voluto solo dargli una seconda possibilità. Ma se mi deluderà ancora sta' sicuro che lo manderò a quel paese»
«Credi davvero che ci riuscirai?» mi domandò serio.
Avevo capito che lui parlava così solo perché non voleva vedermi soffrire ancora per Dario e apprezzavo la sua preoccupazione, ma, accidenti, non ero più una bambina!
«Sì, ne sono più che sicura» risposi decisa, annuendo anche per enfatizzare il tutto.
Federico sospirò rumorosamente e sembrò rilassarsi. Scosse al testa quasi impercettibilmente, poi mi rivolse un sorriso.
«In evenienza, mi porterò dietro una bella scorta di fazzoletti» ironizzò, beccandosi una linguaccia da parte mia.
Mi avvicinai a lui e lo presi sotto braccio, continuando la nostra passeggiata alla ricerca di un luogo dove mangiare.
«Si può sapere perché Dario non ti piace? Non lo conosci nemmeno» chiesi.
«In realtà è solo un'impressione» scrollò le spalle e sollevò gli occhi al cielo «E poi, vabbè, non posso non prendere in considerazione quello che ti ha fatto»
«Lo sai, vero, che per me sarà molto difficile dividermi tra voi due?» sospirai «Insomma, siete le due persone più importanti per me e mi rattrista il fatto che non vi sopportiate»
«Per cui, dovrei dedurre che non mi digerisce» constatò, con un sopracciglio abbassato.
«Diciamo che, no, non gli vai molto a genio» ridacchiai «Sai, per le tue mani 'polipose' al bowling»
Federico roteò gli occhi e batté la mano libera sulla coscia.
«Ma dai! Stavo solo cercando di aiutarti!» si stizzì.
Lo guardai con sufficienza, schioccando la lingua e lui sbuffò rumorosamente, annuendo.
«Ok, ci stavo provando!» ammise ed io, arrossendo, abbassai lo sguardo «Ma, mi sembra, che quando ci siamo incontrati al bowling lui non fosse il tuo ragazzo, per cui ero libero di provarci con te!»
«Il tuo ragionamento non fa una grinza» ridacchiai «Ma ti ricordo che lui doveva fingersi il mio ragazzo, per cui ci stava che fingesse di essere geloso»
«Fidati, lui non fingeva. Era geloso! Se avesse potuto, mi avrebbe spaccato la faccia» ribatté lui, fingendosi preoccupato.
«Sai che ieri sera, in macchina, parlando di te, ha proprio detto quelle parole, che ti spaccherebbe volentieri la faccia?» gli dissi, ricordando ciò che ci eravamo detti nella sua auto.
«Oddio, spero di non trovarmelo sotto casa» ridacchiò, per nulla impaurito dalle minacce di Dario. E perché avrebbe dovuto? Era il doppio del mio pseudo-ragazzo, una sua mano sarebbe bastata per polverizzare il povero Dario.
«Non ti preoccupare. Gli darò io la possibilità di spaccartela» sogghignai.
Federico mi guardò dubbioso, arricciando le labbra e il suo viso a punto interrogativo bastò come domanda.
«Gli voglio chiedere di raggiungerci, di pranzare con noi. Almeno avrete tutto il tempo per parlare e conoscervi. Sono sicura che diventerete ottimi amici!» spigai, con un sorriso.
«Non penso che sia una buona idea. Soprattutto perché lui mi odia profondamente, anche se non so il perché» fece spallucce «Per cui, rimetti in tasca il cellulare».
Mi strinse la mano che impugnava il telefonino e me l'abbassò. Non volevo che quei due si odiassero, non sarei riuscita a conciliare amicizia ed amore, ne ero sicura, anche perché ci sarebbe stato da una parte Federico che avrebbe cercato di convincermi che Dario fosse uno stronzo, mentre dall'altra ci sarebbe stato il mio pseudo-ragazzo che avrebbe continuato ad essere geloso di Abbate, lamentandosi di lui in continuazione.
«E dai, ti prego!» lo supplica, stringendomi di più al suo braccio e facendo gli occhi dolci.
«No, è inutile! Io non ti chiedo di essere amica di Cristina!» ribatté, soddisfatto, come se mi avesse inferto la stoccata finale. Ma, mio caro Abbate, ci voleva molto di più per mettermi KO.
«Mio caro Abbate, io conosco già Cristina. Sai, ci convivo sei ore al giorno e ti posso dire che tra di noi non ci potrà mai essere un'amicizia, nemmeno se pregassi in cinese!» risposi, con ovvietà «Tu e Dario vi siete parlati solo al bowling e solo per cinque minuti scarsi, visto che vi siete ignorati. Per cui, prima di fare stupide ed inutili sceneggiate, prova a conoscerlo!»
Lui sbuffò e scosse la testa con vigore, deciso e irremovibile nella sua decisione. Ma Alice Livraghi non poteva arrendersi, non così facilmente, aveva un'altra arma a sua disposizione e l'avrebbe sfoderata. Eccome se lo avrebbe fatto. Mi strusciai sul suo bracci e lo sentii sussultare, poi alzai lo sguardo da cucciolo abbandonato ed indifeso verso di lui, aggiungendoci anche un labbro tremulo, in pieno stile 'Dario'. Con me funzionava sempre quel metodo, magari avrebbe avuto effetto anche su Federico.
«Fallo per me» colpo di grazia, detto nella maniera più zuccherosa possibile.
Le guance di Federico si tinsero piano piano di rosso e i suoi occhi cominciarono a rimbalzare da me alla strada davanti a lui. Avevo ancora un certo ascendente su di lui ed ero più che sicura che avrebbe ceduto da un momento all'altro. Sbattei le palpebre più volte, rendendomi più dolce ed affabile e, finalmente, lo sentii crollare. I muscoli del braccio si rilassarono e si lasciò andare ad un lungo sbuffo.
«E va bene!» sbottò «Digli di raggiungerci»
Dopo un primo momento di stupore misto a felicità, mi avventai su di lui, saltandogli letteralmente addosso, con le braccia a circondargli il collo. Avrei dovuto ringraziare ogni sera il cielo che mi aveva permesso di conoscere Federico, di avere un ragazzo d'oro come lui come migliore amico. Dove lo avrei trovato un altro simile a lui, con la sua stessa dolcezza e pazienza, che sopportasse i miei sfoghi e i miei capricci?
«Cercherò di essere cordiale con lui, ma se si comporterà male scordati che io diventi suo amico!» aggiunse come clausola. Superflua, per giunta, perché sapevo, in cuor mio, che quei due sarebbero diventati amici.
«Grazie, grazie, grazie!» cinguettai, al settimo cielo, baciandolo ripetutamente sulla guancia.
«Mi lascio convincere troppo facilmente» borbottò, accarezzandomi un fianco «Non c'è nessuna speranza, invece, che tu e Cristina mettiate da parte i rancori?» mi domandò speranzoso.
«Toglitelo dalla testa!» sbottai all'istante «No, davvero, io e lei siamo su due pianeti completamente diversi»
E parla male di me, si diverte a prendermi per il culo alle mie spalle, ridendo con il resto del pollaio.
Avrei voluto aggiungere anche quello, ma lo tenni per me. Non volevo offendere la sua ragazza, anche se se lo sarebbe meritato. Mi allontanai da Federico e afferrai di nuovo il cellulare, cominciando a comporre il messaggio da mandare a Dario.
«Avant Garde?» proposi a Federico, alzando per qualche secondo lo sguardo dal cellulare.
Quella era la mia pizzeria preferita. Piccola, accogliente, con un personale simpatico ed una pizza al trancio alta quasi due dita che era la fine del mondo. Solo a pensarci avevo l'acquolina in bocca.
«E mangi pizza anche stasera?» domandò dubbioso.
Aggrottai le sopracciglia e gli rivolsi uno sguardo spaesato. Che cosa stava dicendo? La sera avrei mangiato quello che cucinava mia madre, che non ero di certo pizza, dato che era un'impedita nel prepararla.
«Stasera avete la pizzata di classe, da come mi ha detto Cristina. Non lo sapevi?»
Accidenti, no che non lo sapevo! Nessuno aveva avuto la decenza di avvertirmi. In fondo, facevo parte anche io di quella classe. Ma non c'era da stupirsi. Non avevo rapporti con nessuno dei miei compagni. L'unico che avevo era quello con Benedetta, che si era andato a farsi benedire. Ma se la Cariati pensava che così facendo io non sarei andata a quella pizzata, si sbagliava di grosso. La mia classe aveva organizzato una pizzata e, cascasse il mondo, ci sarei andata. Anche se non avevo la benché minima idea di dove si sarebbe svolta. Avrei controllato su Facebook, nella speranza di trovare la pizzeria in cui avevano deciso di andare.
«Ma certo!» esclamai sorridendo. L'ultima cosa che volevo era passare per l'emarginata della classe che nessuno prendeva in considerazione «Mi era passato di mente! Comunque, non importa per la pizza. A me piace, la mangerei anche a colazione!» vano tentativo di arrampicarsi sugli specchi. Ad aver saputo della pizzata, avrei scelto un altro luogo dove pranzare.
«D'accordo, come vuoi» tagliò corto lui.
«Una mezz'oretta e sarà qui da noi» gli dissi con un sorriso intascando il cellulare. Alla fine, avremmo comunque mangiato per le due passate. Ma avrei fatto quello sforzo se sarebbe servito a far andare d'accordo quei due.
«E nel frattempo, cosa facciamo?» sbuffò Federico, annoiato.
«Beh, potremmo cominciare ad avviarci e magari ci fermiamo un po' in piazza, che ne dici?» proposi, con un mezzo sorriso.
«All'una del pomeriggio? A giugno inoltrato? Con il sole che picchia?» si lamentò.
«Se vuoi accelero il tempo, così Dario arriva prima» dissi sarcastica, sbuffando e puntellando le mani sui fianchi.
«Spiritosa» bofonchiò, con una smorfia «Possiamo cominciare ad andare lì e ordinare anche per lui. Il tempo di arrivare e che preparino le pizze Dario sarà sicuramente già arrivato».
Sarebbe stata una bella idea, un piano perfetto, se non fosse stato che io non sapessi i gusti di Dario. Anzi, a pensarci bene, non sapevo nulla di lui. Non sapevo cosa gli piacesse, cosa gli desse fastidio, non sapevo il suo colore preferito e nemmeno la sua data di nascita. Nulla di nulla e pretendevo di definirmi innamorata di lui. Molto probabilmente non era così. Magari era solo una semplice attrazione fisica che io mi ostinavo a spacciare per amore. Oppure, ero talmente disperata che mi appigliavo ad una semplice amicizia, cercando in tutti i modi di convincermi che era qualcosa di molto più profondo, quando, in realtà, era semplice affetto.
Quella giornata era iniziata con il piede sbagliato, con la notizia sconvolgente di Claudia e sembrava non volesse proseguire positivamente. Avevo tanti, troppi dubbi su Dario, su di me, su di noi come coppia.
«Siamo arrivati» la voce dolce di Federico mi riportò alla realtà e mi ritrovai davanti la porta a vetri della pizzeria. Non mi ero nemmeno accorta di star camminando e di essere giunta all'Avant Garde. Era come se quei pochi minuti non li avessi vissuti, come se il mio corpo avesse vissuto senza la mia anima dentro. Non ricordavo nulla, talmente ero offuscata dai miei dubbi.
«Dario ti ha risposto?» mi chiese.
Estrassi il cellulare della tasca, ma sul display non apparve nulla, se non il faccione del mio gatto. Scossi la testa e sospirai. Molto probabilmente non ci avrebbe raggiunto, magari non aveva voglia di passare del tempo con me. Anzi, sperai addirittura che non avesse letto quel messaggio. Non avevo voglia di vederlo, di affrontare i miei numerosi dubbio.
«Che facciamo allora?» domandò «Entriamo ed iniziamo ad ordinare?».
Annuii mestamente e lo seguii dentro il locale. Era piccola quella pizzeria. All'ingresso c'era la cassa e il forno a legna, mentre, sul retro, una decina di tavoli per consumare la propria ordinazione con tranquillità.
Un giovane e cortese cameriere ci accompagnò nella sala vuota, fino ad un tavolo per due persone. Ordinammo entrambi una pizza margherita con doppia mozzarella e una bottiglia d'acqua per bere e quella fu l'unica cosa che dissi. Rimasi in silenzio a lungo, disegnando con la punta del coltello dei ghirigori sulla tovaglia rosa salmone, riflettendo su quello che mi stava capitando. Avevo troppe domande che mi ronzavano in testa e che si alternavano in maniera disordinata nella mia mente, tutte in cerca di una risposta che io non sapevo e non volevo trovare.
Cosa siamo io e Dario?
Solo amici o qualcosa di più?
Fidarsi di lui è la cosa giusta?
Sono veramente innamorata di Dario?

La mano di Federico si allungò sul tavolo e andò a stringere la mia. Alzai lo sguardo dalla tovaglia, trovando i suoi occhi color nocciola scrutarmi con preoccupazione. Abbozzai un sorriso, così, per tranquillizzarlo, per fargli capire che era tutto a posto anche se in realtà così non era. Ma lui non sembrò convinto di quel mio tentativo e mi strinse ulteriormente la mano.
«Sei strana» constatò «Non mi hai rivolto la parola da quando ci siamo allontanati da Campo Verde».
Bene, lo avevo anche ignorato mentre ero persa nei meandri dei miei pensieri.
«Riflettevo» sospirai. Lui annuì e mi rivolse un sorriso dolce per spronarmi a spiegargli ciò che mi attanagliava «Su me e Dario. Sai, non sono per nulla sicura di noi due» sospirai, affranta.
«Ma come? Prima sembravi al settimo cielo di averlo ritrovato e ora hai i dubbi?»
«Lo so, è strano. Ma mi hai fatto notare, implicitamente, che io non so nulla di lui! Solo il suo nome» scossi la testa e liberai la mia mano dalla presa di Federico, congiungendola poi all'altra sotto la tovaglia «Come posso dire di amarlo se non so niente di lui? Molto probabilmente sto correndo troppo, forse lo trovo solo affascinante, forse ho solo un disperato bisogno di amore» parlai a raffica, senza prendere fiato e mi ritrovai senza respiro dopo quelle parole.
«Se tu sei la prima a dubitare di voi due, questa storia non avrà molto futuro» parlò con un filo di voce e trovai un po' di conforto e sicurezza nel suo sorriso tenero «Viviti questi momenti, goditeli! E se poi non è vero amore, pazienza! Prima o poi arriverà questo tuo principe azzurro!» ridacchiò e si umettò le labbra, abbassando per alcuni secondi lo sguardo «Capito, piccola?»
«Piccola a chi?» tuonò una voce alle mie spalle.
Non mi servì nemmeno voltarmi perché lo avevo riconosciuto. Dario, contro ogni mia aspettativa, era arrivato. Anche prima del previsto. Sentii i suoi passi pesanti rimbombare dietro di me, poi una sedia strisciare, fino a che non lo vidi sedersi accanto a me.
«Piccola è sotto copyright» continuò stizzito «Ed ogni volta che lo sentirò uscire dalla tua bocca sarà un cazzotto sul muso» continuò, sorridendo come un cretino.
Ecco, iniziava proprio con il piede giusto quel mio tentativo di renderli amici. Ma, comunque, la strada era ancora lunga e il primo passo non comprometteva l'intera corsa.
«Perché non mi hai detto che ci sarebbe stato anche il troll?» mi domandò, sporgendosi verso di me e sussurrandomelo nell'orecchio.
Rabbrividii per la sua vicinanza, per il suo respiro contro la mia pelle. Come potevo dubitare di quello che provavo per lui? Insomma, solo il suo odore bastava per farmi sussultare, solo il suo fiato era necessario per farmi rabbrividire, solo i suoi occhi erano sufficienti per rendere migliore la mia giornata. Diamine, ogni secondo che passava ero sempre più confusa su di noi e sul mio sentimento per lui. La soluzione 'attrazione fisica' continuava a rispuntare, insinuandomi sempre più in profondità il dubbio.
«Una piccola omissione» risposi e, nonostante gli sforzi, non riuscii a sorridergli.
Dario mi accarezzò una guancia e la sua mano scivolò dietro la mia nuca, spingendomi verso di lui. Le nostre labbra entrarono in contatto e la sua lingua non esitò a cercare la mia subito dopo, in un impeto trascinante che trasformò quel bacio in qualcosa di troppo passionale per una pizzeria. L'altra sua mano scivolò sulla mia coscia, la percorse, fino a fermarsi a pochi millimetri dal mio inguine. Sussultai nel sentire il suo calore così vicino alle mie parti intime e il sangue nelle vene bollì per l'eccitazione.
Attrazione fisica. Semplice attrazione fisica, continuava a ripetere il mio cervello.
«Ehm!» tossicchiò Federico e le labbra di Dario si staccarono dalle mie «Scusatemi, so che vi interrompo, ma qui con voi ci sarebbe anche il troll»
«Purtroppo per noi» borbottò Dario, guardandolo torvo «Ma perché non lo fai andare via, così rimaniamo solo io e te?» addolcì il tono, rivolgendosi a me e sfiorò le sue labbra sulle mie in un fugace contatto.
«No, Dario» risposi, spingendolo delicatamente lontano da me «Volevo proprio che ci foste entrambi per farvi conoscere. Per me sarebbe davvero difficile dividermi tra voi due» gli spiegai e il suo viso s'incupì a poco a poco.
«Io non voglio avere nulla a che fare con questo spilungone!» sbottò, indispettito, sbattendo con la schiena contro la sedia.
«Ti prego, Dario, fai un piccolo sforzo!» lo supplicai, stringendogli la mano.
Lui si morse il labbro inferiore e sfuggì al mio sguardo stucchevole, puntandolo verso il lampadario. L'espressione sul suo viso era dura e sembrava irremovibile nella sua testardaggine. Nella sua ottusa e insopportabile testardaggine.
«Dai, Dario!» tentai di nuovo, stringendo ulteriormente la presa sulla sua mano «Per me».
I suoi occhi neri, quei due pozzi profondi, si posarono nuovamente su di me e un risolino incredulo lo fece raddrizzare sulla sua sedia.
«Non puoi costringermi!» tuonò, alterato. Lui faceva lo stizzito, quando in realtà avrei dovuto esserlo io. Gli stavo chiedendo un semplice favore, non di cambiare la rotazione terrestre. Gli afferrai un braccio e lo strattonai violentemente verso di me, in modo tale da poter parlare sotto voce, senza farmi sentire da Federico.
«Ti sto chiedendo solo di provare a conoscerlo, non di portarmi su una stella» mormorai.
La mascella di Dario si contrasse e l'aria gli uscì rumorosamente dal naso. Sembrava un toro infuriato, pronto ad incornare chiunque gli si fosse parato davanti.
«Si può sapere che cosa ti ha fatto? Non lo conosci nemmeno e dici di non sopportarlo» alzai di poco il tono. Ero arrabbiata con lui, dannazione! E in più si aggiungevano tutti i miei dubbi che mi rendevano alquanto nervosa ed elettrica «Tu e i tuoi stupidi pregiudizi»
«Non iniziare con quel discorso. Lo abbiamo sepolto insieme a Davide» sibilò.
«E allora, porca miseria, sforzati di essere civile con lui! Federico non ha fatto tutte queste sceneggiate! Ha accettato di incontrarti e lo ha fatto per me, perché ci tiene a me e alla nostra amicizia»
«Bella tattica. Puntare sui sentimenti e il senso di colpa» replicò sprezzante «D'accordo, ci parlo, almeno non potrai rinfacciarmelo in un futuro».
Rimasi spiazzata e delusa da quelle parole, ma cercai di nascondere la mia amarezza, annuendo e sorridendo a Federico che era rimasto in silenzio a guardarci e, molto probabilmente, aveva sentito tutto. Avrei voluto alzarmi da quel tavolo, sbattere in faccia a Dario un bicchiere e urlare, sbraitare fino a perdere la voce per la rabbia. Ma mi trattenni per non mandare all'arai tutti i miei sforzi di far conciliare quei due.
«Allora» iniziò il discorso Abbate, cercando di stemperare la tensione «Come mai sei arrivato così presto? Pensavo ci mettessi di più»
«Ero di strada» rispose conciso Dario, rivolgendogli uno sguardo assassino.
«Stavi venendo a incontrare la tua piccola?» gli chiese Federico, in un chiaro tono provocatorio.
Abbassai lo sguardo e mi passai entrambe le mani nei capelli. Nessuno dei due sembrava voler collaborare ed ero certa che sarei impazzita prima ancora di ricevere la mia pizza. Anzi, no, fortunatamente, visto che il cameriere me la consegnò poco dopo, insieme a quella di Federico. Rivolse uno sguardo dubbioso a Dario, che gli rispose senza nemmeno aver sentito la domanda.
«Non voglio niente. Mi è passato l'appetito»
Il cameriere annuì e si congedò. Sperai con tutto il cuore di poter mangiare in santa pace, ma sembrava che tutto, durante quella mattinata, fosse contro di me e contro i mie nervi, ormai tesi e a fior di pelle. Sarei esplosa per il nervosismo, di lì a poco, ne ero più che sicura.
«Hai detto bene spilungone» Dario tornò a rivolgersi a Federico «La mia piccola, non la tua»
«Federico. Mi chiamo Federico, non spilungone» ribatté acido Abbate, tagliando la pizza con foga e mangiandone un boccone.
«Preferisco spilungone» replicò con un sorriso di scherno Dario «E credo che continuerò a chiamarti così. L'Italia è un paese libero, mi pare»
«Giusto» concordò e per poco ci fu una meravigliosa armonia tra di noi, che ci abbandonò subito dopo «Per il tuo stesso ragionamento, io posso chiamare Alice piccola quanto mi pare e piace».
Dario allargò le braccia e sogghignò incredulo, scuotendo il capo. Poco dopo le sue mani ricaddero pesanti sulle suo cosce e il suo viso si contrasse in una smorfia di dissenso. Era alterato ed io non volevo che quei due litigassero, che mandassero all'aria il mio piano. Allungai un pezzo di pizza a Dario, cercando, così, di farlo tranquillizzare, ma lui allontanò con poco garbo la mia mano, troppo concentrato ad inveire contro Federico.
«Mettiti in testa una cosa, troll» e gli puntò un dito contro con fare minaccioso «Solo io posso chiamare Alice in quel modo»
«E chi lo impone? La legge?» disse ironico ed ero sicura che, se avesse potuto, Dario gli avrebbe distrutto una sedia sulla schiena, come in un incontro di wrestling.
«Piccola è un soprannome troppo sdolcinato per darlo ad una semplice amica» ringhiò, alzandosi dalla sua sedia e sbattendo le mani sul tavolo, sporgendosi verso Abbate «Che ti credi, spilungone, che io non sappia che tu gli ronzerai attorno? Che cercherai di portarmela via sotto il naso? Che ti approfitterai di lei in un momento di debolezza?»
«Mio caro nanerottolo» rispose per le rime, alzandosi anche lui e sovrastandolo con il suo metro e novantaquattro abbondante «Se fossi stato un approfittatore, mi sarei preso Alice quando tu te ne sei andato perché spaventato» sottolineò quella parola con rabbia «E a quest'ora lei poteva benissimo essere tra le mie braccia e non tra quelle di un bastardo come te» sputò con rabbia, forse troppo trascinato dall'ira per riflettere su quello che stava facendo.
Dario si sollevò e sorrise, leccandosi l'angolo della bocca e passandosi una mano tra i capelli. Borbottò qualcosa tra sé e sé, forse stava prendendo in giro Federico con uno dei suoi insulti. Beh, dai, non aveva reagito così male. In realtà, pensavo che gli avesse spaccato realmente la faccia.
«Dai ragazzi, adesso basta» sorrisi e mangiai un boccone di pizza, sperando di smorzare quella tensione.
Dario mi rivolse uno sguardo ed annuì, prima di voltarsi di scatto verso Federico e sferrargli un pugno in pieno viso. Vidi Abbate barcollare, mentre nascondeva con una mano il naso, finché non inciampo contro la sedia e cadde con il sedere per terra con un tonfo degno di un pachiderma. Scattai in piedi, lasciando cadere la forchetta con un tintinnio nel piatto e mi portai una mano davanti alla bocca, sconvolta per quello che aveva fatto Dario.
«Chi cazzo sei per giudicarmi?» sbraitò Dario, guardandolo dritto negli occhi, quasi volesse incenerirlo con quello sguardo.
Le sue grida attirarono l'attenzione del personale della pizzeria, che comparve, curioso, sulla soglia della porta e rimase ad osservare la scena, come se stessero vedendo un film. Ci mancavano solo i pop corn e una bevanda.
«Smettila Dario!» mi intromisi anche io e il mio urlo uscì strozzato e quasi a fatica. Avevo voglia di piangere, sfogarmi per tutta la tensione e il nervosismo che stavo accumulando, ma mi trattenni, nonostante sentissi le lacrime spingere per uscire. Lui non sembrò ascoltare il mio lamento e si abbassò verso Federico, afferrandolo per la maglietta e sollevandolo da terra.
«Tu non sai nulla di me. Non sai perché mi sono comportato così e non ti permetto di rovinare quello che c'è tra me e Alice» sibilò a pochi centimetri dal suo viso.
«Facendo così, sei tu che rovini il vostro rapporto» arrancò Abbate, con un rivolo di sangue che gli usciva dal naso.
«Vuoi un altro pungo, spilungone?» minacciò Dario, serrando la mano come se volesse colpirlo ancora.
Come una furia, mi avvicinai a lui e gli strinsi il braccio, impedendo che anche quel colpo andasse ad infrangersi sul volto di Federico. Lo strattonai, mi aggrappai letteralmente a lui, appoggiando il viso sulla sua spalla, disperata. Il mio tentativo di farli parlare come due persone civili erano andati in fumo. Io non volevo che quei due litigassero per me, non volevo che arrivassero addirittura a picchiarsi. Mi sentivo in colpa perché ero stata egoista, perché li avevo costretti a cercare un punto di incontro che, a quanto pareva, non esisteva. Avrei dovuto dare ascolto a Federico e così lui si sarebbe risparmiato un naso tumefatto.
«Basta Dario» lo pregai e la mia voce uscì come un lamento straziante.
I muscoli del suo braccio si sciolsero sotto la mia presa e lo sentii muoversi, come se avesse lasciato la presa su Federico. Si liberò dalla mia stretta con un delicato strattone e, senza che me ne rendessi conto, mi ritrovai abbracciata a lui, con il viso affondato nella sua maglietta che sapeva di vaniglia mista a tabacco. Le sue braccia mi stringevano a lui, quasi non volesse farmi scappare, e le sue mani si serrarono, intrappolando la stoffa della mia maglietta.
«Scusami Alice» mormorò, realmente dispiaciuto per quello che era successo.
Ma come potevo ricambiare la sua stretta e far finta che nulla fosse accaduto? Star lì, nelle sue braccia a bearmi del suo calore e del suo odore, quando Federico era seduto sulla sedia, dolorante? Aveva esagerato! Arrivare addirittura alle mani mi sembrava assurdo. Ok, forse Abbate poteva risparmiarsi quel bastardo detto tra i denti, ma la reazione di Dario era stata troppo violenta per i miei gusti.
Seppure avessi voluto rimanere stretta a lui e piangere, sfogare tutta la mia tensione tra le sue braccia, lo spinsi via da me con decisione e andai a sincerarmi delle condizioni di Federico, che, intanto, era stato soccorso dal titolare della pizzeria. Aveva il viso reclinato in avanti e si stava tamponando il naso con dei tovaglioli di carta, nei quali erano avvolti alcuni cubetti di ghiaccio.
«Stai bene, Fede?» gli chiesi, preoccupata, abbassandomi verso di lui per poggiargli una mano sulla spalla e scostando i capelli che ricaddero inevitabilmente in avanti.
«Stavo meglio prima» ironizzò con un mezzo sorriso, controllando che i tovaglioli non fossero sporchi.
Sembrava che il peggio fosse passato, che il suo naso avesse smesso di sanguinare nonostante il colore violaceo.
«Non è rotto, vero?» mi sincerai, rimbalzando con lo sguardo da Abbate e il titolare che lo aveva soccorso.
«No, non credo» mi rispose Federico, toccandosi delicatamente il naso e soffocò un urlo di dolore «Fa solo male, ma non è rotto» mi rassicurò nuovamente.
«Dio, che spavento!» sospirai e mi avvinghiai a lui, stando attenta a non urtargli il naso. Lui ricambiò a mia stretta, dandomi qualche dolce e delicata pacca sulla schiena.
«Stai tranquilla. È tutto a posto.» cercò di calmarmi, ma serviva molto di più di una semplice frase. Un valium sarebbe stato l'ideale o una qualsiasi tisana rilassante. Avevo il cuore che batteva all'impazzata, sembrava volesse schizzare fuori dalla cassa toracica. Per non parlare poi dei muscoli, tutti contratti per il nervosismo e un terribile cerchio alla testa. Un giorno da dimenticare, non c'erano dubbi. Mai e poi mai avrei tentato di farli riappacificare quei due. Avrei conciliato amicizia e amore. Semmai di amore si trattasse.
Ero stretta a Federico, ma questo non impedì al mio sguardo di andare a cercare Dario. Era immobile, con i pugni serrati e gli occhi colmi di tristezza, con il labbro inferiore stretto tra i suoi denti. Scosse la testa e, forse senza nemmeno accorgersi che lo stessi fissando, se ne andò, furioso, con passo svelto e deciso, scansando con poco garbo il personale della pizzeria che ostruiva il passaggio.
Sussultai e la mia presa su Federico si indebolì. Non potevo farlo scappare così, non dopo aver visto i suoi occhi neri intrisi di tanta tristezza. Dovevo raggiungerlo, abbracciarlo, perché mi ero ripromessa che lo avrei reso felice, in qualsiasi istante. Ma non potevo nemmeno lasciare Federico come un babbeo in quella pizzeria. Ero davanti ad un bivio, per l'ennesima volta e non sapevo che strada percorrere.
Amicizia o amore?
Federico o Dario?
Qualcosa di certo o qualcosa di confuso?

«So che vuoi seguirlo» la voce di Federico arrivò quasi ovattata alle mie orecchie «Non fartelo scappare di nuovo».
Mi voltai verso di lui e scossi la testa, mordendomi entrambe le labbra. Non potevo abbandonare così Federico, anche se non aveva nulla di grave, ma mi sarei sentita in colpa comunque. Lui mi strinse le mani e mi sorrise dolcemente, con lo sguardo pieno di comprensione.
«Non ti preoccupare per me. Io sto bene! È solo una botta, passerà presto» cercò di convincermi «Corri, su!».
Sorrisi, un sorriso pieno di gioia e gli schioccai un lungo bacio sulla guancia. Come al solito le parole di Federico mi erano state di aiuto, mi avevano illuminato il sentiero da prendere, la strada tortuosa che conduceva a Dario.
Corsi fuori dal ristorante, sotto al sole cocente del primo pomeriggio, ma poco mi importava del caldo atroce. Mi guardai attentamente attorno, cercando la figura di Dario. La strada che conduceva a Campo Verde era desolata, così come quella che portava al cinema. Feci qualche passo e svoltai a destra, verso la piazza e lo vidi immobile di fronte alla fontana, con le mani affondate nelle tasche dei jeans, che fissava i giochi d'acqua senza un reale interesse. Lo raggiunsi, correndo e mi avvinghiai subito a lui, lo strinsi a me per non farlo scappare un'altra volta, strusciando il viso sul suo braccio. Il suo odore di vaniglia mi penetrò fino in fondo all'anima, riempì i miei polmoni e il mio cuore. Forse non era amore e nemmeno attrazione fisica. L'unica cosa che sapevo era che, con lui, mi sentivo felice, che solo lui era in gradi di farmi palpitare, di farmi sognare, di sconvolgermi con ogni suo piccolo gesto o un suo sorriso.
«Com'è che non sei rimasta dentro con il tuo amico?» domandò, quasi assente.
«Perché non volevo perderti di nuovo» risposi, stringendomi di più a lui, quasi volessi che entrasse a far parte di me.
«Perché perdi tempo con uno come me?» la sua voce uscì in un sussurro «Voi due siete così affiatati...»
«È ovvio! Ci conosciamo da anni!» esclamai, cercando, in un qualche modo, di tranquillizzarlo.
«Più di quanto lo siamo noi due» aggiunse, abbassando il capo.
«Credi che io voglia stare con lui?» domandai, cercando di vederlo in viso, ma mi era quasi impossibile.
«Non lo so. In realtà non so che pensare» sospirò «Eri così felice mentre parlavi con lui, come non ti avevo mai vista, nemmeno con me...»
«Ehi, stupidone!» lo richiamai, sollevandogli il viso con due dita e incontrando finalmente i suoi occhi, quegli oceani neri in cui avrei voluto annegare «Se ti sembravo felice era perché stavo pensando a te».
Dopo un primo momento di esitazione, le sue labbra si stiracchiarono in un sorriso sempre più felice e le sue guance si tinsero di rosso piano piano. Non mi sarei mai stancata di ripeterlo, imbarazzato era più bello del solito. Appoggiai le mani sulle sue guance, stringendogli quel visino dolce da cucciolo che si ritrovava, e lo spinsi verso di me, per guardare più a fondo in quegli occhi che mi perforavano l'anima e mi mozzavano il fiato.
«Dario, io ho scelto te! E non mi pentirò mai, MAI della mia decisione!» dissi in un soffio, riuscendo a sovrastare comunque il rumore della fontana, che era ovattato, come se fossimo stati sbalzati in un'altra dimensione, come se fossimo richiusi in una bolla solo io e lui.
«Ne sei sicura?» cercò di ironizzare, con un mezzo sorriso.
«Al cento per cento. Anche se tra noi due non dovesse funzionare, e spero tanto che non sia così, tu sarai sempre nel mio cuore. Nessuno riuscirà mai a farmi provare le tue stesse emozioni» mi ritrovai quasi senza fiato e non sapevo se per aver parlato senza interrompermi o solo per i suoi occhi liquidi.
«Oggi è il tuo turno con le sviolinate?» disse sarcastico, cercando di mascherare il suo imbarazzo, abbassando il viso e lo sguardo.
Ma io gli impedii di prolungare troppo a lungo il nostro distacco visivo, alzandogli il volto e specchiandomi di nuovo in quelle iridi color della notte. Sarei rimasta incantata a fissarli per ore, senza mai stancarmi di quel turbine nero in cui precipitavo ogni volta. Diminuii la distanza che c'era tra noi e unii le mie labbra con le sue. Avevo il bisogno di sentirlo vicino a me, di baciarlo e poco mi importava se quello non era realmente amore. Con Dario tutto mi sembrava più bello, erano quasi inspiegabili le sensazioni che solo lui sapeva regalarmi. Nessun pittore, nemmeno il migliore, sarebbe stato in grado di dipingere il fuoco che ardeva dentro di me ogni volta che stavo con lui, nessuno scrittore, neanche il più illustre, sarebbe stato capace di descrivere ciò che sentivo mentre stavo con Dario. In realtà, nemmeno io avrei saputo descriverlo, le parole erano insufficienti e quasi superflui.
La sua lingua non si fece attendere, ed andò a lambire la mia con bramosia, con una voglia irrefrenabile, quasi necessitasse della mia per potersi muovere. Le sue mani grandi e calde mi cinsero i fianchi, attirandomi maggiorment
verso il suo corpo, in cerca di un contatto bruciante tra di noi, mentre le mie affondarono nei suoi capelli morbidi. Se il tempo si fosse fermato in quel momento, sarei stata più che felice. Per sempre stretta tra le sue braccia. Per sempre unita alle sue labbra.
Per sempre io e lui.
«Mi dispiace per quello che è successo lì dentro. Ero talmente accecato dalla gelosia che ho agito di istinto» sospirò, accarezzandomi il viso con entrambe le mani «Non volevo mi vedessi in quel modo»
«Tranquillo, è tutto passato» chiusi gli occhi, beandomi del contatto con le sue mani «Anche se non voglio che accada più una cosa del genere!» gli puntai un dito contro e mi finsi imbronciata.
«Giurin, giurello» ridacchiò.
«Bravo bimbo» scherzai, dandogli poi un veloce bacio sulle labbra «E dato che sei così bravo, piccolo Dario, che ne diresti di tornare in pizzeria e chiedere scusa a Federico?».
Lui aggrottò le sopracciglia e gonfiò le guance, esattamente come avrebbe fatto un bimbo, il ché lo rese ancora più tenero, assottigliando lo sguardo.
«Non ci penso nemmeno» borbottò «Lui mi ha chiamato bastardo!»
«Lo so! E pretenderò che anche lui ti faccia le sue scuse» replicai, appoggiando le mani sul suo petto e appianando le pieghe della maglietta.
Dario scosse la testa con decisione, testardo ed irremovibile nella sua rabbia.
«Ti chiedo solo questo! Non voglio che voi due cerchiate di diventare amici» sospirai «Ho sbagliato a farvi incontrare, lo ammetto sono stata egoista. Ma pensavo di riuscire a farvi trovare un punto di incontro, che, a quanto pare, non esiste»
«Per fortuna! Io non voglio avere nulla a che fare con quel troll dalle mani lunghe!» bofonchiò, contrariato.
«Direi che Federico non sarà mai argomento di discussione tra noi due» ridacchiai, seguita da Dario «Comunque. Ora rientri là, fa il civile e gli chiedi scusa. Mi sembra giusto».
Lui sbuffò e alzò gli occhi al cielo spazientito, per poi mollare la presa e dirigersi verso la pizzeria con passo lento e per nulla deciso. Sorrisi, nel vedere che mi aveva ascoltato, almeno una volta e aveva messo da parte un attimo il suo orgoglio.
«Lo faccio solo per te!» esclamò, voltandosi e facendo qualche passo a ritroso.
Lo raggiunsi, con una breve corsa, con un sorriso idiota stampato in viso ed entrammo, mano nella mano, come due perfetti fidanzatini nella pizzeria. L'intero personale lanciò uno sguardo omicida a Dario, che strinse maggiormente la mia mano. Era teso, per quegli occhi che lo giudicavano come un manesco, puntati addosso. Strusciai la guancia sulla sua spalla, per fargli capire di stare tranquillo, che io ero lì al suo fianco e ci sarei sempre stata, in qualsiasi occasione e che non lo avrei mai e poi mai giudicato. Entrammo nella piccola sala da pranzo e Federico era ancora lì, seduto al suo posto che si guardava le converse, la pizza ancora per metà nel piatto.
«Ehi, spilungone!» lo richiamò subito Dario ed Abbate alzò lo sguardo terra, incontrando quello del suo 'avversario'. Mi rivolse un sorriso e uno sguardo complice, seguito da un occhiolino.
«Che vuoi? Vuoi spaccarmi definitivamente il naso?» lo provocò, beffardo.
«Non sarebbe una cattiva idea. Almeno hai una scusa per rifarti quell'obbrobrio che ti ritrovi in mezzo alla faccia» rispose per le rime, sfoggiando un sorriso soddisfatto.
«Potrei anche rifarmelo senza che qualcuno me lo spacchi» ribatté, alzandosi in piedi con estrema calma «Peccato, però, che non esista la chirurgia plastica per il cervello. Sai, ti servirebbe».
O no! Ricominciavano quei due? Non volevo assistere ad un'altra piccola rissa.
«Se lui mi provoca in questa maniera, mi spieghi perché io dovrei scusarmi con lui?» ringhiò tra i denti Dario, rivolgendosi a me.
«Ma Federico stava solo scherzando!» sdrammatizzai, lanciando uno sguardo torvo al mio migliore amico «Vero?»
Abbate si aprì in un sorriso finto quanto una moneta da cinque euro e si avvicinò a noi.
«Ma certo!» esclamò con tono pacato.
Dario non sembrò per nulla convinto, anzi, avrebbe voluto prenderlo a pugni nuovamente, glielo leggevo negli occhi. Ma si trattenne, per me, serrando le mani e mordendosi le labbra, per reprimere la rabbia crescente.
«Scusami spilungone per il pugno» disse brusco. Ed ero certa che non lo pensasse davvero, anzi, avrebbe voluto dargliene altri cento di cazzotti, se solo avesse potuto.
Federico rimuginò su quelle parole e schioccò la lingua, rimbalzando con lo sguardo da me a Dario. Sapevo bene che non sopportava vedermi con lui, dopo avermi vista così sofferente e credetti che volesse provocarlo nuovamente, scatenando, ancora di più, le ire di Dario. Ma, fortunatamente, allungò una mano verso di lui e sospirò, a malincuore.
«Scuse accettate» mormorò «E scusami anche tu nanerottolo».
Scettico e dopo parecchie esitazioni, Dario afferrò la mano e la strinse per pochi secondi, come se scottasse, per poi pulirsi sui suoi pantaloni, nemmeno Abbate avesse la lebbra.
«Ma non mi piaci comunque» sottolineò Dario, brusco.
«Ah! Sentimento reciproco. Meno ti vedo meglio sto» rispose Federico, alzando le mani «Diciamo solo che siamo in tregua per Alice?».
Dario sembrò pensarci un attimo, poi sbuffò ed annuì, passandosi una mano sul viso.
«Tregua. Ma solo per Alice»
Sorrisi, felice, guardando prima uno e poi l'altro. Forse ero stata una sprovveduta se avevo pensato che quei due potessero diventare amici. Ma, come si diceva, tutto è bene quel che finisce bene.


Dopo quel piccolo momento felice, di tranquillità tra quei due, Dario mi riaccompagnò a casa. Claudia era già andata via nel momento del mio rientro, per cui trovai solo Smell spaparanzato sul divano che si scolava una birra, ruttando ogni secondo.
Dio mio, perché doveva capitare a me un fratello del genere?
La prima cosa che feci, ovviamente dopo aver pomiciato sotto casa con Dario per mezz'ora, non fu quella di salutare Raffaele, poco mi importava insomma, ma fu fiondarmi in camera mia e accedere a Facebook. Dovevo sapere dove si sarebbe tenuta la pizzata e presentarmi lì, anche se non ero stata invitata, alla faccia di quell'antipatica di Cristina.
Sapevo che Facebook non mi avrebbe tradita. Sulla bacheca di quasi tutti i miei compagni c'era scritto Stasera, ore 20, pizzata al SottoSopra. Perciò, mezz'ora prima ero già pronta per quell'appuntamento al quale nessuno mi aveva invitata. Sarei stata un'imbucata indesiderata, ma poco mi importava. Quella era anche la mia classe! Forse, se me lo avessero chiesto non ci sarei nemmeno andata, tanto non mi calcolava nessuno. Ma era stata un affronto non avvertirmi ed io avrei fatto un affronto a loro presentandomi lì. Avrei voluto anche che Dario mi accompagnasse, così, per spargere un po' di invidia tra quelle oche, ma farlo scomodare da Milano mi sembrava eccessivo, anche se sapevo bene che lui avrebbe accettato senza fiatare. Mi avrebbe portato anche sulla luna, se glielo avessi chiesto. Mi accontentai di Smell, che, dopo un quarto d'ora di 'no' sbraitato, aveva acconsentito a portarmici. Per fortuna il viaggio da casa mia alla pizzeria era abbastanza breve, nemmeno dieci minuti, per cui mi sorbii i lamenti di Raffaele per un tempo limitato.
Appena scesa dall'auto vidi, davanti all'entrata, quella gallina sculettante della Cariati che civettava allegramente con un ragazzo.
Figurarsi!
Povero Federico! Se solo avesse aperto gli occhi si sarebbe reso contro che quella era una putt... ehm... una ragazza di facili costumi. Gli occhi verdi di Cristina incontrano i miei e un'espressione scocciata si dipinse sul suo volto. Tanto per rincarare la dose, sorrisi e la salutai con enfasi, come se fosse la mia migliore amica, anche se avrei voluto strapparle quei riccioli biondi.
«Ciao Cristina!» esclamai, avvicinandomi maggiormente a lei.
«Ciao» rispose contrariata e, in quel momento, il ragazzo con cui stava civettando si voltò.
Impallidii, mi immobilizzai a pochi passi da loro e rimasi a fissare quei due enormi occhi azzurri per un tempo imprecisato. Davide Saronno, quel Davide, quello per cui avevo una cotta e che aveva certi piani poco casti con me mi sorrise raggiante e avrei tanto voluto tirargli una scarpa in faccia, piantargli un calzino in bocca e soffocarlo.
Non dovevo assolutamente mostrarmi nervosa davanti a lui, dovevo cercare di essere indifferente, anche se mi risultava difficile. I suoi occhi azzurri mi ricordavano troppe cose.
La mia prima cotta, il mio primo bacio, la delusione nello scoprire che fosse solo uno stronzo.
Abbozzai un sorriso e ridussi le distanze, avvicinandomi maggiormente a loro, tremante, sperando che nessuno dei due notasse il mio disagio.
«Ero sicura non saresti venuta» prese la parola Cristina, ravvivandosi i capelli.
«Ah, davvero?» ribattei acida «E invece eccomi. Per tua enorme gioia»
«Sei stata l'unica che non ha risposto al post in cui avvisavo, perciò ho dedotto che non ti interessava»
Rimasi allibita, con la bocca dischiusa e uno sguardo da triglia lessa. Cioè, lei mi aveva invitata ma ero stata io ad ignorare il suo post? Sì, probabilmente era così! In quel periodo ero talmente presa da Dario che non capivo più nulla.
«Per fortuna che ho prenotato per più persone, sennò mangiavi sulla ghiaia» aggiunse, sogghignando.
Alla sua risata, già inascoltabile di suo, si aggiunse anche quella irritante di Saronno. Lo guardai torvo, assottigliando lo sguardo, quasi volessi incenerirlo con gli occhi! Magari! Se fossi stata Ciclope, l'X-men, a quel punto sarebbe stramazzato al suolo.
«Si può sapere cosa ci fa lui qui?» domandai, fuori di me, indicandolo «Mi pare che lui non faccia parte della nostra classe!»
«Ho solo invitato un amico» fece la vaga.
Mi afferrò per un braccio, avvicinandomi a lei e fui subito investita da un profumo di agrumi che mi fece girare la testa.
«In realtà l'ho invitato perché Francesca voleva conoscerlo. Sai, si è lasciata con il suo ragazzo e quindi...»
Non potei non fare a meno di gioire dentro di me. Almeno quella scema della Lamira avrebbe avuto una bella batosta da quel dongiovanni da strapazzo. Lei non sapeva con che stronzo aveva a che fare.
«Non sei felice di vedermi?» mi chiese, sorridente, Saronno.
«Oh, guarda, sprizzo gioia da tutti i pori» risposi sarcastica, con un tono brusco.
«Non mi dire che sei ancora arrabbiata con me, Alicetta!» mi provocò e mi strinse una spalla, avvicinandomi a lui. Mi ritrovai spiaccicata contro il suo petto lasciato nudo dalla camicia bianca che indossava. Avvampai all'istante. Insomma, era sì un bastardo ma restava pur sempre un figo da paura.
«Certo che no, Saronno» ritrovai la mia lucidità e lo spinsi via con vigore «Adesso mi sei totalmente indifferente»
«Dici?» mi provocò lui, accarezzandomi una guancia e avvicinandosi pericolosamente a me «E allora perché sei tutta rossa?».
Annaspai e abbassai lo sguardo, incapace di sostenere il suo cristallino. Diamine, perché quello lì doveva farmi ancora quell'effetto? Solo perché era bello e aveva degli occhi da mozzare il fiato? No, così non funzionava.
Dario, Dario, Dario, Dario...
E il suo viso, arrivò in mio soccorso. I suoi occhi neri e quel sorriso che avrebbe sciolto qualsiasi ghiacciaio mi distolsero dal pensiero di Davide. Come potevo vacillare di fronte a Saronno, quando accanto a me avevo un ragazzo come Dario?
«Non gongolare troppo, Davide» rialzai lo sguardo e sorrisi beffarda «Stavo solo pensando al mio ragazzo».
Touché.
Davide aggrottò le sopracciglia e mi guardò quasi sconvolto. Cosa si aspettava, che sarei rimasta a piangere in camera mia perché ci eravamo lasciati? Giammai!
«Come ra-ragazzo?»
«Hai presente il gigolò che mi ha accompagnato alla festa?» mi avvicinai al suo orecchio e glielo sussurrai «Lui»
«Mi stai prendendo per il culo? La farsa del fidanzato non regge più» fece lo spavaldo, sfoggiando un sorriso soddisfatto.
«È la verità. Se vuoi lo chiamo e lo faccio venire, giusto per convincerti» gli proposi ironica «Ah, ti avverto, è un tipo molto geloso. Potrebbe spaccarti la faccia. E non è uno scherzo».
Avrei voluto immortalare la faccia di Saronno, in quel momento: allibita, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, nella tipica aria da baccalà sotto sale. Gli lanciai un'occhiata soddisfatta e, sotto lo sguardo confuso di Cristina, entrai nella pizzeria. Alcuni dei miei compagni erano già dentro, compresa Benedetta, che non mi degnò nemmeno di uno sguardo.
«Ciao a tutti!» esclamai, ricevendo come risposta solo dei cenni con la testa.
Che accoglienza!
Senza perdere il mio sorriso, mi sedetti, volutamente, di fronte a Benedetta, nella speranza di poter recuperare qualcosa con lei. Ma tutto ciò che ottenni fu un'occhiata glaciale che mi congelò il sangue nelle vene. Continuava ad ignorarmi, parlava con Francesca, facendo qualche allusione velata su di me, chiamandomi troia con una tale naturalezza da lasciarmi basita. Quattro anni di amicizia buttati al vento per uno stupido fraintendimento. Forse era meglio così. Se quella che avevo davanti era la vera Benedetta, allora era meglio che la nostra amicizia fosse finita così. Era cambiata, nei modi di porsi, nel modo di parlare. Era solo una stupida imitazione di Cristina riuscita male.
Mi sentivo esclusa. Tutti parlavano tra di loro, tagliandomi fuori dai loro discorsi. Sarebbe stato meglio se me ne fossi rimasta a casa, invece di voler fare un torto alla Cariati, che poi torno non si era rivelato.
«Senti, mi dispiace davvero tanto per quello che è successo»
Davide si sedette vicino a me, parlando velocemente e stentai a capire che cosa aveva da dirmi. Sbuffai e scossi la testa. Mi interessava poco e niente delle sue scuse. Per me Saronno valeva meno di zero.
«Non importa. Ormai per me sei morto e sepolto»
«E manderesti tutto all'aria?» mi domandò, con una punta di tristezza nello sguardo. Ma, mai fidarsi di lui che era un attore nato.
«Tutto, cosa?» domandai sconvolta.
«Quello che c'era tra di noi!» esclamò e cercò di prendermi una mano, ma glielo impedii «Alice, eravamo una coppia da sballo! E poi come baciavi... Cazzo, se baciavi bene!»
«Mi prendi per il culo?» sbottai, stizzita. Ma era stupido o cosa?! «Il nostro rapporto era basato solo sui delle stupide bugie»
«Ma non solo io le ho dette, Alice» il suo tono si fece suadente e si avvicinò maggiormente a me. Sentii perfettamente il suo respiro caldo sulla pelle e il suo profumo di marca solleticarmi le narici.
Vaniglia, vaniglia, vaniglia!
«Per cui siamo pari» aggiunse con un sorriso disarmante.
Vacillavo, stavo vacillando di nuovo di fronte a lui e non sapevo come uscirne.
«Eravamo o no una coppia bellissima?» la sua mano scivolò sulla mia guancia e tremai a quel contatto.
«Tu volevi solo portarmi a letto» sibilai, tentennante «Se per te usare vuol dire essere una bella coppia, allora sì, hai ragione» 
«Non ti avrei usata. Ti avrei amata, Alice. E ti sarebbe piaciuto» soffiò, diminuendo ancora la distanza che intercorreva tra di noi «Non vorresti provare questa sensazione?»
«Scordatelo» dissi tra i denti, nervosa e tesa come non lo ero mai stata. Saronno era pazzo, su questo non avevo più dubbi. Cosa voleva ancora da me? Forse le sue numerose ragazze si erano stufate di voler fare sesso con lui, quindi strisciava da me in cerca di piacere?
Davide, improvvisamente, si sporse verso di me e appoggiò le sue labbra sulle mie. Quel bacio era totalmente vuoto, privo di qualsiasi significato, nulla di paragonabile a quelli di Dario. Mancava il velluto delle sue labbra, la sua tremenda dolcezza e la sua passione travolgente. Mancava il suo sapore di vaniglia e il suo corpo caldo. Eppure sussultai, forse perché mi aveva presa alla sprovvista, o solo per lo schifo che provavo per lui. Lo scansai bruscamente, rischiando di farlo cadere dalla sedia e scattai in piedi, guardandolo con disprezzo.
«Tu sei pazzo!» sbraitai, furiosa, attirando su di me l'attenzione di tutti «Non osare mai più avvicinarti a me!».
Feci qualche passo per andarmene via da lui, rifugiarmi in bagno, ma Davide mi afferrò per un braccio e mi sorrise nuovamente.
«Io voglio solo stare con te!» mi disse, con un'enfasi che avrebbe fatto invidia ad un attore di teatro. Mi stava prendendo per il culo, lo sapevo. Eppure non riuscii a trattenere le lacrime, che uscirono ribelli tanto era il nervoso.
«Fottiti» sibilai e strattonai il braccio, per liberarmi.
«Solo con te, pupa!» esclamò lui, scoppiando a ridere, seguito a ruota dai miei compagni di classe stupidi.
Mi voltai, senza guardarli e mi diressi spedita in bagno, mentre alle mie spalle Davide continuava a ripetere Sfigata, sganasciandosi dalle risate. Si divertiva a prendermi in giro, ero il suo passatempo. Mi chiusi in bagno e piansi, singhiozzando, senza rendermi contro che Cristina era lì, davanti allo specchio, a sistemarsi il trucco.
«Oh mio Dio, Alice, che succede?» domandò e mi sembrò seriamente preoccupata, per me. Lei, che non mi aveva mai calcolata «Sei disperata».
La ignorai volutamente e mi asciugai le lacrime, cercando di sedare i miei singhiozzi da bambina isterica.
«È stato Davide?» mi chiese, premurosa, sistemando la cipria nel beauty.
Quella lì o aveva un intuito degno di un personaggio di Aghata Christie oppure mi leggeva nel pensiero. Annuii, mestamente e mi morsi le labbra.
«Oddio, quanto è stupido» commentò lei, con uno sbuffo, controllando che il fondotinta le coprisse le imperfezioni «Non dargli peso. È solo un bambino»
«Si diverte a prendermi in giro» le spiegai, con voce tremante «A prendere in giro i miei sentimenti»
«Lo fa con tutte» disse vaga, sistemandosi i capelli «Ma tanto prima o poi dovrà crescere e saranno cavoli suoi se sarà impreparato».
Tirai su con il naso e mi affiancai a lei. Strano, c'era sintonia, tra di noi e, parlandoci civilmente, non sembrava nemmeno una ragazza così antipatica. Si passò il gloss sulle labbra gonfie come canotti, poi si voltò verso di me e mi sorrise.
«Federico mi ha detto che ti conosce» cinguettò.
«Già» sospirai, fissando la mia immagine riflessa. Avevo il trucco colato e sembravo l'urlo di Munch. Un mostro, ero un mostro!
«Non immaginavo che lo conoscessi» continuò.
Molto probabilmente stava facendo la carina con me solo per fare un piacere a Federico, anche se lui mi aveva detto che non avrebbe mai nemmeno tentato di farci avvicinare.
«È il mio migliore amico»
«Ah, davvero? Non lo sapevo» commentò, scuotendo i suoi riccioli d'oro.
No, lei non poteva stare con Federico! Cosa avevano in comune quei due, a parte i capelli biondi? Nulla di nulla! Erano su due pianeti differenti, parlavano due lingue diverse... erano gli opposti ed io non avevo mai creduto nel detto gli opposti si attraggono. Non potevo sopportarlo che quei due stessero insieme anche perché sapevo che lei lo avrebbe fatto soffrire. Per cui, parlai, senza mezzi termini.
«Perché stai con Fede?» le chiesi «Insomma, voi non avete nulla in comune!».
Cristina sospirò e ammorbidì le spalle. Sorrise, anche, solo a sentire il nome di Federico, il che mi confuse ancora di più.
«Hai ragione» soffiò e i suoi occhi verdi incontrarono i miei. Erano lucidi, pieni di gioia e, soprattutto, sinceri «Nemmeno io credevo che mi sarei mai messa con lui. Insomma, non è affatto il mio tipo. Io preferisco i ragazzi come Davide» esitò un istante «Ma Federico è diverso dagli altri, da qualunque altro ragazzo che avessi mai conosciuto. Per la prima volta, con lui, mi sono sentita apprezzata veramente, mi sono sentita rispettata e considerata. E non perché fossi bella. No!» sorrise e potrei giurare di aver visto una lacrime solcarle una guancia. Anche lei aveva un cuore, allora, un cuore che batteva per Federico «Tutti si sono sempre soffermati sul mio aspetto, non che mi dispiacesse! Sempre a dirmi quanto fossi bella, a ricoprirmi di complimenti per la mia fisicità. Mentre Federico è riuscito a smuovere qualcosa dentro di me dicendomi solo I tuoi occhi parlano e mi dicono che sei speciale. È stato il primo vero complimento, il più bello di tutta la mia vita».
E dopo aver detto quello, scoppiò a piangere. Erano lacrime di gioia, lacrime dedicate a quel ragazzo che aveva reso umana quella barbie. Sorrisi, nel vederla così fragile e pensai che, forse, Federico non aveva tutti i torti. Le accarezzai la schiena e mi avvicinai a lei.
«Sembriamo la famiglia “lacrimoni”» ridacchiai e lei si unì a me.
«Dovrò rifarmi il trucco tutto da capo!» si lamentò, ridendo.
«Non sei la sola» la rassicurai.
«Dio, siamo oscene!» esclamò poi «Meglio sistemarci, sennò ci prendono per degli zombie!»
Scoppiammo a ridere entrambe, in uno strano clima di armonia, come se ci conoscessimo da anni, come se fossimo amiche da tanto tempo, come se non ci fossero mai stati screzi tra di noi. Molto probabilmente avevo sbagliato a giudicarla troppo presto, senza nemmeno conoscerla. Oppure, semplicemente, l'amore era talmente potente da cambiare le persone.







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Penso di aver infranto qualsiai mio record. 19 pagine @__@ spero che riusciate a leggere tutto senza appisolarvi xD

Sono successe molte cose in questo capitolo, sennò non sarebbe venuto così lungo.
Iniziamo con Claudia che è ancorta sotto shock e che non è riuscita a dire nulla a Raffaele. È comprensibile, comunque. Non è facile per una ragazza così giovane scoprire di aspettare un bambino, per di più se ha un fidanzato come Smell xD chissà come prenderà questa notizia.
Federico e Dario sono gelosi l'uno dell'altro. Il primo, più che gelosia, lo odia proprio per quello che ha fatto ad Alice, mentre Dario non sopporta il modo sdolcinato di Federico di trattare la sua 'piccola'. Per cui si è lasciato andare un po' troppo e gli è partito un cazzotto. In fondo, Dario non è uno stinco di santo xD Alice, però, nonostante i suoi dubbi esistenziali su lei e Dario, comunque gli sta accanto.
Un piccolo ritorno di Davide che non è detto che non tornerà più avanti *risata sadica*...ma la vera novità è Cristina. Lei è veramente presa da Federico e non è poi così antipatica come sembrava all'inizio. Chissà che non diventi amica di Alice.
So che questi commenti sono davvero brutti e corti, ma non ho davvero idea di cosa scrivere ^^"
Per cui, ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite, seguite, ricordate. Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e chi lo ha letto soltanto. Un grazie speciale va alla mia beta Nessie e ad IoNarrante che mi sopporta ogni giorno.

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Bene, un bacione a tutti e scusate per questo commento striminzito ^^'
Al prossimo capitolo.

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Capitolo 21
*** Nessun rimpianto ***





C a p i t o l o 20

N
essun rimpianto
Betato da nes_sie

La fine del mondo era vicina, ne ero più che sicura. Io, Alice Livraghi e lei Cristina Cariati stavamo pranzando insieme in un centro commerciale e mi sembrava ancora così strano. Soprattutto perché stavamo ridendo. Avevo sempre creduto che Cristina fosse un'oca giuliva priva di qualsiasi attività cerebrale, e che mi sarei avvicinata a lei soltanto quando una mucca avrebbe imparato a volare. Non che brillasse per intelligenza ed acume ma era piacevole passare il tempo con lei, stranamente. Dalla sera della piazzata era passata una settimana durante la quale avevamo trascorso serate intere a parlare al telefono. Federico era rimasto totalmente spiazzato da questa notizia inaspettata, mentre Dario era felice che avessi trovato una nuova amica, anche se era leggermente geloso visto che passavo più ore al telefono con lei che a sentire i suoi vaneggiamenti nel tentativo di rendere la nostra conversazione un qualcosa di hot. Ovviamente, io cercavo sempre di cambiare argomento ogni qual volta mi chiedesse, con fare malizioso, Che cosa indossi?
Era chiaro, ormai, che lui volesse spingersi oltre il semplice bacio ed anche io sentivo una certa voglia di approfondire quello che c'era tra di noi, di sentire ancora il suo corpo sul mio. Ma ancora non sapevo se mi sentivo pronta o meno per un passo del genere. Insomma, nonostante quello che c'era stato a casa sua e i quasi due mesi in cui eravamo stati insieme, lui era tornato da appena una settimana e non eravamo nemmeno fidanzati. Era una specie di frequentazione? Neanche io sapevo definire il nostro rapporto.
Forse ero troppo paranoica, mi facevo un sacco di problemi anche quando non c'erano. Un'altra ragazza non si sarebbe fatta tanti scrupoli e lo avrebbe accolto a braccia aperte. Anzi, a gambe aperte... Ma io non riuscivo a lasciarmi andare e non sapevo perché.
«Per cui, alla fine, Francesca ha tirato un bel ceffone a Saronno. Giustamente, visto che lui l'ha chiamata balena» fu la conclusione del discorso di Cristina che non avevo nemmeno sentito, talmente ero assorta nei miei pensieri. Da quel poco che avevo capito, Davide era sempre il solito cafone, stronzo da prendere a martellate sui denti.
«Che maleducato» ribatté acida Claudia, addentando il secondo panino del McDonald's.
Sembrava più tranquilla in quei giorni o lo faceva credere, anche se ai suoi genitori e a Smell non aveva ancora rivelato il suo segreto. In realtà lo sapevo solo io e mi sentivo orgogliosa di custodire qualcosa di così importante. L'avevo invitata ad uscire con noi, almeno non avrebbe pensato alla gravidanza. Inizialmente era stata scettica, sapendo che ci sarebbe stata anche Cristina, ma alla fine aveva accettato e sembrava andare d'accordo anche lei con la Cariati.
«Che vi aspettavate da uno come Saronno?» intervenni e solo nominarlo mi faceva venire l'orticaria. Come potevo avere avuto una cotta per un essere simile?
«È solo un po' immaturo. Si vuole divertire e lo fa con il sesso»
«Non difenderlo Cri» la guardai di traverso «Quello è un bastardo fatto e finito»
La Cariati sbuffò e scosse la testa, facendo muovere i suoi riccioli biondi e vaporosi.
«Sarà che siamo amici da quando eravamo alle medie» e mangiò un po' dell'insalata che aveva ordinato «Un po' come te e Federico».
Già. Fortunatamente, però, Abbate era un ragazzo con la testa sulle spalle e non un deficiente come Saronno.
«A proposito» cambiai discorso perché l'orticaria che mi dava Davide non era metaforica, dato che avevo cominciato a grattarmi il braccio con insistenza «Come va con Fede?»
«Bene, benissimo!» trillò eccitata «Non mi sono mai sentita così felice. Ieri siamo usciti, mi ha portata al cinema» cominciò a raccontare con un sorriso che partiva da un orecchio e arrivava all'altro «Ma ovviamente non abbiamo guardato il film. Sai che mi importava di Di Caprio o chiunque fosse il protagonista».
Non volli sapere se si fossero fermati alla pomiciata o se avessero fatto ben altro. Immaginarmi Federico in atteggiamenti intimi era come pensare Smell a fare certe cose: imbarazzante. Forse un po' meno raccapricciante, visto che almeno Abbate aveva qualche muscolo e non solo ciccia flaccida e biancastra.
«Tu, piuttosto?» il tono con cui la Cariati mi rivolse la domanda era alquanto malizioso «Con l'aitante giovanotto dalle mani d'oro?».
Ormai anche Cristina sapeva tutto. Le avevo raccontato del gigolò, omettendo però di dirle che non avevo mai avuto un ragazzo perché sapevo che mi sarebbe scoppiata a ridere in faccia. Le avevo detto di averlo assoldato per far ingelosire Davide, anche se non era vero. Mi stupiva, però, il fatto che Saronno non le avesse rivelato tutto sulla mia confessione in quella pizzeria araba. Anche lui aveva un cuore che batteva sotto i muscoli e gli ormoni.
«Sì, infatti» le fece eco anche Claudia, con la bocca semi piena di patatine «Novità?»
«Nulla di particolare. Usciamo ogni tanto il pomeriggio, ci sentiamo per telefono. Le cose che fanno tutte le coppie normali» taglia corto. Mi imbarazzava parlare di me e Dario e per di più non avevo molto da raccontare. Non facevamo granché, solo qualche limonata di tanto in tanto, quattro chiacchiere, delle passeggiate mano nella mano. Tutta roba noiosa, insomma, da non utilizzare come argomento di discussione a meno che non volessi farle addormentare.
«E com'è?» domandò Cristina sporgendosi verso di me.
Ignorai volutamente la malizia del so tono di voce e dei suoi occhi verdi. Tentai di sfuggire a quella domanda facendo la finta tonta e con la speranza che lei lasciasse perdere l'argomento S.E.S.S.O.
«Buono» annuii guardando il mio panino grondante di salse «Anche se l'insalata pare un po' vecchia»
«Non stavo mica parlando di quella schifezza ipercalorica che ti stai mangiando e che andrà a depositarsi sui fianchi in antiestetici cuscinetti di grasso» sbottò e io, di riflesso a quello che mi aveva appena detto, mi controllai i fianchi in cerca della ciccia i eccesso causata da quel panino. Anche se ovviamente ancora non aveva agito il suo potere devastante «Parlavo di Mr Sesso».
Avvampai all'istante e bevvi lunghe sorsate di Coca Cola ghiacciata per spegnere i bollenti spiriti. Insomma, quel soprannome gli si addiceva parecchio anche se in realtà io non avevo mai provato i suoi servigi. Ma per quel poco che avevamo fatto, avevo ben intuito le sue potenzialità. Anche perché se non fosse stato bravo ad utilizzare il suo corpo non avrebbe di certo fatto il gigolò.
«L'hai visto anche tu» scrollai le spalle mascherando l'ennesima arrampicata sugli specchi «È... bello».
Cristina si scambiò uno sguardo disperato con Claudia ed entrambe sbuffarono.
«Sei proprio tonta Alice!» sbottò la rossa.
«Io mi riferivo al sesso. Sai quella cosa che si fa in due, in cui l'organo genitale di lui entra in quello di lei e tutti e due urlano e si dimenano per il piacere?» mi spiegò, nemmeno fossi una cretina, facendomi sprofondare ancora di più nell'imbarazzo «Non sei rimasta alla storia della cicogna, vero?»
«So come funziona» sospirai, rossa più del ketchup sulle patatine «Non c'era bisogno di quella lezione di biologia».
Cristina fece spallucce e bevve un sorso di acqua naturale per poi tornare a fissarmi con i suoi occhi verdi pieni di curiosità. Mi voltai verso Claudia e trovai la stessa espressione che aveva la Cariati, come se anche lei si aspettasse chissà cosa. Sapeva che io e Dario non avevamo fatto nulla; sarebbe stata la prima a sapere che avevo perso la verginità.
«Beh, ecco» presi un respiro profondo «Noi non... non lo abbiamo ancora fatto» dissi di getto.
E due enormi occhi verdi e sgranati, increduli, sorpresi e chi più ne ha più ne metta mi trafissero. Non parlava, la sua bocca era impegnata a disegnare una O quasi perfetta. Mi sentivo in soggezione in quell'imbarazzante silenzio. Anche se di silenzio non si trattava visto che il centro commerciale era pieno di gente che vociava e faceva più rumore di un trattore.
«Come, come è possibile?» sembrava più una domanda retorica che non necessitava di risposte «Non gli sei ancora saltata addosso?», mentre questa una risposta la voleva eccome.
Era innegabile che Dario avesse un certo fascino e che più di una volta avrei volentieri mandato a quel paese i buoni propositi per saltargli addosso. Ma la parte morale di me aveva messo un freno alla Alice lussuriosa che era riuscita a liberarsi solo sul divano e in quel privè.
«Evidentemente no» ridacchia nervosamente spezzettando la tovaglietta all'interno del vassoio del McDonald's «Anche se, effettivamente, ci siamo andati vicini una volta» mi lasciai sfuggire e in quel momento avrei preferito essere mangiata dal mio panino piuttosto che raccontar loro quello che era successo tra di noi. Ma perché parlavo così tanto? Avrei dovuto cucirmela la bocca.
«Perché non mi avevi detto nulla?» domandò subito Claudia.
«Vuota il sacco, Livraghi» disse autoritaria Cristina incrociando le braccia al petto.
Avevo due opzioni: o dir loro tutta la verità oppure alzarmi dal tavolo, scappare, trovare una donna in fuga dotata di auto con cui intraprendere un viaggio alla Thelma e Louise.
«È successo un po' di tempo fa» ovviamente la seconda ipotesi era praticamente irrealizzabile «È una cavolata, in realtà»
«Non tergiversare» mi rimbeccò Claudia sempre più curiosa.
Sbuffai sonoramente e mi passai entrambe le mani nei capelli. Fatto trenta, dovevo fare trentuno. Anche se ricordare quell'episodio era imbarazzante. Arrossii a ripensare a lui sopra di me mentre con la sua bocca mi faceva sfiorare picchi di piacere inimmaginabili. Presi un respiro profondo e con le guance tinte di rosso raccontai loro, non senza qualche esitazione, quello che era successo su quel divano, di quello che lui mi aveva fatto e la mia intraprendenza nel ricambiare il favore.
«Hai capito la Livraghi» disse Cristina, sempre più incredula.
«Vi siete dati comunque da fare eh, porcellini?» mi sbeffeggiò Claudia sgomitando.
«Non so nemmeno io perché mi sono lasciata andare così. Non è affatto da me» sospirai rivangando il passato. Se ci ripensavo con lucidità non avrei dovuto cedere in quel modo soprattutto perché non eravamo nemmeno fidanzati. Mi ero fatta trascinare in una cosa più grande di me.
«Ma che ti importa!» miagolò la Cariati «Si vede che tra di voi c'è tanta, tanta passione. E vuoi sapere un bel modo per tenere acceso questo fuoco?»
Si alzò di scatto dal tavolo ed afferrò la sua borsa Luis Vuitton. Ci guardò entrambe e con un cenno della testa, ci invitò a seguirla. Sia io che Claudia eravamo scettiche, ma decidemmo comunque di andarle dietro. La guardavo sculettare per tutto il centro commerciale finché il suo sedere non si fermò di fronte ad un negozio dall'insegna che mi fece gelare il sangue nelle vene.
«Un intimo sexy» ammiccò entrando dentro Intimissimi.
«No, no, no!» quasi sbraitai e scossi violentemente il capo «Non ci metto piede lì dentro!»
«Smettila di fare la puritana» sbuffò scocciata Claudia.
«Agli uomini piace questo genere di cose e scommetto che anche Dario apprezzerebbe» si aggiunse la Cariati, maliziosa.
Oddio! Volevano farmi compare lingerie per fare sesso con Dario? Ad un tratto sentii caldo, tanto caldo, sudavo per la temperatura equatoriale che il mio corpo aveva raggiunto. Chiusi gli occhi e presi un respiro profondo.
Non entrare, non entrare, non entrare, mi ripetevo.
Ma quando aprii le palpebre mi ritrovai circondata da mutande minuscole e reggiseni di ogni sorta. Il mio subconscio, a mia insaputa, mi aveva fatto entrare lì dentro. Forse il mio corpo mi stava mandando dei segnali, mi stavano dicendo che ero pronta a fare quel passo con Dario. Anche perché desideravo ardentemente sentirlo pienamente
mio.
E lingerie sia. Alla fine mi arresi, anche se ero imbarazzata e rossa di vergogna. Rimasi impalata in mezzo la negozio, declinando l'aiuto che volevano offrirmi le commesse e guardai le mie due amiche correre da una parte all'altra del negozio. Mi sentivo un pesce fuor d'acqua, spesata e non sapevo dove voltarmi.
«Che taglia hai?» mi domandò Cristina, fissa a guardare un completino color prugna.
Mi avvicinai lentamente a lei, di certo non volevo che tutto il negozio sapesse che fossi una tavola da surf, anche se era abbastanza evidente.
«Una seconda scarsa» le confidai con un po' di vergogna.
La Cariati mi squadrò da capo a piedi per poi tornare a far scorrere la lingerie sotto i suoi occhi.
«Un po' piccine» fu il suo commento.
«A Dario piacciono» e per la seconda volta durante quella giornata avrei voluto tagliarmi la lingua. Arrossii per la mia stessa affermazione e sprofondai nella vergogna.
«A beh, allora nessun problema» sorrise e mi ammollò in mano un completo di pizzo viola.
Sculettò verso un altro scomparto scegliendo questa volta un perizoma e un reggiseno striminzito di pizzo nero. Assolutamente bocciato! Poco dopo arrivò anche Claudia con le braccia colme di lingerie e Cristina li esaminò tutti, scartandone uno rosso fuoco. Fortunatamente.
«Fa troppo capodanno» aveva aggiunto con le labbra arricciate.
Li provai uno dopo l'altro e l'idea di presentarmi davanti a Dario vestita solo con uno di quei miseri completini mi imbarazzava. Nessuno di quelli mi donava e per di più era seducente come un manico di scopa. Mi sarebbe scoppiato a ridere in faccia, ne ero più che certa. Un paio di mie mutande e un reggiseno sarebbe stato meglio, tanto dovevano essere tolti per consumare, quindi sarebbe stato solo uno spreco inutile di soldi.
Dopo 3 completi indossati e scartati all'istante, fu il turno di una lingerie di un delizioso rosa pallido. Sulle coppe del reggiseno erano ricamate delle decorazioni bianche e la stessa fantasia era stampata sulle mutandine, un raffinato paio di slip a vita bassa che mi lasciavano metà sedere scoperto. Tutto sommato lo trovavo carino. Non troppo volgare, ma abbastanza sexy da poter piacere a Dario. Ottenni l'approvazione delle mie amiche che passarono il resto del pomeriggio ad ammiccare e uscii da quel centro commerciale con un sacchetto di Intimissimi e una paura folle della prima volta che mi sembrava sempre più concreta.

Quando entrai in casa ai miei occhi si presentò una scena alquanto strana. Dario era seduto sul divano con le gambe larghe e le braccia distese lungo lo schienale, mentre Smell camminava avanti e indietro percorrendo l'intero salotto lanciando, di tanto in tanto, un'occhiata omicida a Dario.
«Ciao» esitai e per precauzione, nascosi il sacchetto di Intimissimi dietro la schiena.
«Proprio te stavo aspettando» sibilò mio fratello puntandomi un wusterone – anche noto come indice – contro.
Guardai dubbiosa Dario che scrollò le spalle per farmi capire che nemmeno lui sapeva che cosa volesse Raffaele. Mi accomodai di fianco al mio pseudo-ragazzo e la sua mano scivolò dallo schienale alla mia spalla per stringermi a lui. Il contatto con il suo corpo mi fece rabbrividire ed arrossire al tempo stesso, forse perché in quel momento pensavo a ben altri tipi di contatto, qualcosa di molto più intimo, insomma. Mi adagiai sul suo petto e sorrisi nel sentire la sua mano accarezzarmi. Lo volevo e se non ci fosse stato Smell davanti e mia madre a trafficare in cucina, avrei seguito il consiglio di Cristina, saltandogli addosso.
«Salsiccia ambulante! Lo sai, vero, che questo è sequestro di persona?» Dario si rivolse a mio fratello con tono scocciato.
Guardai il mio pseudo-ragazzo con la fronte aggrottata e lui mi sorrise sornione.
«Tuo fratello mi ha chiamato circa tre ore fa dicendomi di venire qui di corsa perché avevi qualcosa di importante da dirmi» cominciò a spiegare irritato «Quando sono arrivato qui tu non c'eri e mi sono ritrovato il tuo caro Smell-fratello che mi ha rinchiuso in casa per due ore e mezzo in tua attesa» si voltò verso Raffaele e gli riservò un'occhiata omicida «E questo a casa mia è sequestro di persona».
Raffaele si fermò davanti a noi con le gambe divaricate e le braccia incrociate in una posa da duro che doveva incutere timore ma che in realtà lo rendeva solo ridicolo.
«Si può sapere il perché di questa pagliacciata?» domandai acida.
«Tutto a suo tempo, sorella. Tutto a suo tempo» disse in un sussurro per creare suspense.
«Quanto ancora dovremmo aspettare?» gli chiese scocciato Dario, muovendo la gamba nervosamente «Dovrei andare a casa a farmi una doccia, cenare, fare le chiamate sconce con tua sorella...»
Arrossii di colpo e gli diedi una gomitata nel costato facendolo piegare dal dolore con un mugolo, mentre Raffaele lo fissava quasi volesse saltargli al collo da un momento all'altro e strozzarlo.
«Ebbene, è arrivato il momento di sputare il rospo» sibilò Smell sempre più arrabbiato. «Oggi il tuo stupido e peloso gatto bianco» e si rivolse a me «si è nascosto sotto il tuo letto e non voleva uscire da lì sotto nemmeno per mangiare. Così sono andato a recuperarlo».
Si zittì e ci guardò entrambi, tamburellando l'indice sull'avambraccio.
«Oh, sì! Racconto avvincente» ironizzò Dario irritato «Tu mi hai chiamato per la storia di un gatto?»
«Più o meno» rispose vago Smell.
Il mio pseudo ragazzo si alzò di scatto dal divano, incredulo e scocciato al tempo stesso, con la sola intenzione di uscire da casa mia. Con me appresso, ovviamente. Mi alzai anche io da divano e intrecciai le dita con quelle di Dario guardando mio fratello di traverso. O si era ubriacato oppure era in vena di cavolate quella sera e aveva trovato divertente far spazientire Dario.
«Con calma, ragazzi, non ho ancora finito» il suo tono si indurì, così come il suo sguardo torvo che rimbalzava da me al mio pseudo ragazzo.
«Allora potresti concederci l'onore di sapere che cazzo vuoi?» ribatté alterato Dario.
«Solo darti quello che ti meriti» grugnì Smell.
Fu tutto talmente rapido ed inaspettato che non mi resi conto immediatamente che la stretta di Dario si allentò sulla mia mano e che un pugno l'aveva colpito in pancia. Ci vollero alcuni secondi perché realizzassi che Smell si era avventato sul mio pseudo-ragazzo arrabbiato come mai prima d'allora, e non riuscivo a capire perché lo stesse prendendo a pugni e calci. Dario, in tutto ciò, non reagiva forse perché non voleva che si ripetesse la stessa scena della pizzeria. Sapevo che se avesse voluto avrebbe potuto fermare mio fratello con un cazzotto ma non lo faceva per me, perché io non lo vedessi ancora sotto quella cattiva luce. Mi avvicinai a loro e strinsi il braccio di Smell, strattonandolo per fermarlo, ma lui mi scansò con poco garbo e afferrò Dario per il colletto della polo che indossava e lo sbatté al muro.
«Ti ammazzo!» gli urlò contro «Ti uccido, figlio di puttana!»
«Prenderesti l'ergastolo, così» e nemmeno in un momento come quello, con il labbro spaccato e viola, Dario metteva da parte la spocchia e la sua voglia di provocare.
«L'importante è liberarmi di te. Non me ne fotte se poi mi sbatteranno in galera»
«Geloso, eh, Gremlin?» ghignò «Geloso che sono più figo di te?»
«Tanto nella tomba la bellezza non ti servirà, bastardo» ringhiò mio fratello a pochi centimetri di distanza dal suo viso.
«A quanto pare va di moda chiamarmi bastardo» ridacchiò.
«Non è una moda. Solo la pura verità»
Mio fratello era sempre stato un tipo abbastanza iroso, uno che perdeva la pazienza facilmente, ma non era mai arrivato ad usare le mani. Non mi era chiaro come mai ce l'avesse tanto con Dario e credevo improbabile che se la fosse presa con lui per essere tornato dopo così tanto tempo. Se avesse voluto, avrebbe potuto fare tutto quel casino quando era sotto casa nostra.
Smell caricò un altro colpo ma gli afferrai il braccio prima che potesse assestare un altro colpo nello stomaco di Dario.
«Smettila Raffaele!» urlai e le mie grida attirarono l'attenzione di mia madre che uscì dalla cucina asciugandosi le mani nel grembiule.
«Ma che succede qui?» domandò allarmata, raggiungendoci a passo svelto.
Scansò Smell e accarezzò il viso di Dario preoccupata, premurosa come se quello che avesse davanti fosse suo figlio. Il mio pseudo-ragazzo la tranquillizzò con un sorriso e così mia madre si voltò verso Raffaele ancora furente e scalpitante.
«Che cosa ti è preso?» gli domandò, puntellando le mani sui fianchi.
«Chiedilo a quei due» sbraitò mio fratello indicandoci con le sue manone «Fattelo dire da tua figlia».
La mamma si voltò verso di me con espressione interrogativa, ed io scrollai le spalle. Non sapevo di cosa Smell stesse parlando. Sotto al mio letto non c'era nulla di così sconvolgente se non palle di pelo di Milky, acari grandi quanto montoni e un test di gravidanza. Nulla di che, insomma...
Oh merda, mi ritrovai a pensare, passando a rassegna quello che avevo appena detto a me stessa. Il test di gravidanza di Claudia, quello che avevo calciato sotto il letto era stato appena ritrovato da Smell e lui era convinto che fosse mio.
«Non è come pensi tu, Raffaele» gli dissi con un sorriso.
«Ah, no?» ribatté furibondo estraendo dalla tasca il test di gravidanza positivo e sbattendomelo praticamente addosso.
Dario mi guardò perplesso, poi si abbassò a raccogliere quel bastoncino bianco e lo esaminò con attenzione. La sua espressione passò attraverso varie fasi, prima di dubbio, poi di stupore fino a quella di ribrezzo.
«È... è un test di gravidanza» mormorò, più che altro per convincere se stesso «Ed è positivo» aggiunse lanciando un'occhiata di disgusto.
Mio fratello sorrise trionfale, mentre mia madre per poco non svenne. Si accasciò sul divano con una mano sulla fronte e sussurrando qualcosa di incomprensibile tra sé e sé. Li guardai ad uno ad uno ed abbozzai un sorriso. Non potevo dir loro che quel test era di Claudia le avevo promesso che avrei mantenuto il segreto, ma nemmeno tacere e fra credere a tutti che ero incinta.
«Mi avevi detto di essere vergine» commentò sconcertato, con un voce stridula quasi avesse fatto fatica a dire quelle parole.
«Non ti ho mentito Dario» tentai di afferrargli una mano, ma me lo impedì.
«Seh, certo. Magari è venuto anche l'arcangelo Gabriele a darti la notizia» borbottò acido.
Smell ci guardò confuso, indicando prima me poi Dario che scosse la testa, facendogli intendere che io e lui non avessimo mai fatto nulla di intimo.
«Allora con chi...» si rivolse a me e lasciò la frase in sospeso.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo. In che situazione mi ero cacciata? Non sapevo nemmeno come uscire da quel labirinto di accuse e occhiatacce da parte loro. Tranne di mia madre che era ancora seduta sul divano a sventolarsi con una mano e delirava nemmeno avesse la febbre. Sarebbe diventata nonna, ma non grazie a me.
«Con nessuno!» trillai, battendo un piede per terra e agitando le braccia come una forsennata «Non ho mai visto un uomo nudo in vita mia»
Dario mi guardò di traverso perché quella era una piccola bugia, visto il nostro incontro focoso. Ricambiai il suo sguardo con un'occhiata da cucciolo e mi strinsi nelle spalle, ma lui sembrò non vacillare, anzi scrollò la testa ed attese una mia rivelazione con le braccia conserte.
«Il troll, non è così?» mi chiese brusco.
«No! Te l'ho detto che c'è stato solo un bacio tra noi!» gli ricordai, nervosa.
«A quanto pare un solo bacio si è trasformato in qualcosa di più» insinuò Dario deluso da tutto ciò che stava accadendo.
«Te lo giuro! Te lo giuro su tutto ciò che ho di più caro che non ti ho mentito» mi avvicinai a lui e gli accarezzai le braccia.
«Non arrampicarti sugli specchi insaponati» s'intromise ridacchiando Smell «Ormai il danno è fatto»
«Taci tu!» ribattei acida e tornai subito ad occuparmi di Dario «Devi fidarti di me» addolcii il tono e appoggiai una mano sul suo viso, sfoderando lo sguardo più dolce e triste che potessi sfoggiare. Lui si umettò le labbra violacee e tentò più volte di distogliere lo sguardo dal mio, senza però riuscirci. Sembrò sciogliersi e credere alle mie parole, finché non Smell non intervenisse per buttare benzina sul fuoco.
«Magari è uno che non conosciamo» suppose «In questi tre mesi era molto triste. Doveva consolarsi in un qualche modo».
E Dario diede ascolto alle parole di mio fratello. Mi superò con lo sguardo basso e si diresse mesto verso la porta.
«Sei una delusione» disse tra i denti, rivolto alla sottoscritta.
«Puoi dirlo forte!» gli diede manforte quell'idiota di Raffaele «Se prendo quel bastardo giuro che lo uccido» e sferrò un pugno contro il palmo dell'altra mano «Avanti, dimmi chi è! Che ho voglia di spaccare la faccia a qualcuno!»
«Ti prego, Dario! Non ascoltare mio fratello» lo pregai, strattonandolo per allontanarlo dalla maniglia.
«E cosa dovrei fare? Scopre un test di gravidanza sotto il tuo letto e devo far finta di niente?»
«Non è come credi» soffiai, con in sottofondo il borbottio di Smell.
«Hai mentito tante volte, perché non dovresti farlo anche adesso?» disse con un filo di voce.
Aveva ragione. Dopo tutte le bugie che avevo detto – innocenti, ma sempre menzogne – non potevo pretendere che lui mi credesse. Quel dannato test era sotto il mio letto e in più ci si metteva anche Smell a insinuargli la pulce nell'orecchio! Rimasi in silenzio, l'unica cosa che potessi fare e lui si scrollò di dosso la mia mano.
«Ciao, Alice» sputò quelle parole con disprezzo ed aprì la porta, pronto ad andarsene di nuovo, di allontanarsi da me ancora una volta forse per sempre. Non potevo permettere che questo accadesse, non avrei retto l'ennesima separazione da lui. Mi guardai intorno: mia madre si era stesa sul letto con un cuscino sul viso, mio fratello dava pugni all'aria mentre Dario stava per scendere le scale.
«Quel test di gravidanza è di Claudia!» parlai in fretta, senza pensarci e mi morsicai la lingua dopo averlo detto. Avevo infranto una promesso, avevo rivelato un segreto e avevo messo nella merda la mia migliore amica.
Smell si paralizzò, con i pugni a mezz'aria e mi guardò sconcertato. Mia madre si rizzò a sedere con gli occhi sgranati, mentre Dario si era voltato a guardarmi confuso.
«Di-di Claudia?» cercò conferma mio fratello con voce tremante.
Annuii mestamente e lo vidi sbiancare, poi cadere svenuto con un tonfo per terra.
Chiamai Claudia dicendole di correre a casa mia perché avevo combinato un bel guaio e lei non tardò ad arrivare. In dieci minuti era da me, davanti al “cadavere” di mio fratello che giaceva ancora per terra, con mia madre sul divano che continuava a ripetere Sarò nonna e Dario appoggiato alla parete, ancora sconvolto.
«Mi dispiace un sacco Claudia per averglielo detto» le sussurrai.
«Mi avevi promesso che avresti mantenuto il segreto» mi rimbeccò lei arrabbiata.
«Lo so! Ma mio fratello aveva trovato quel test sotto il letto e credeva che fosse mio» mi giustificai.
«E tu non lo avevi nemmeno buttato?»
Mi strinsi nelle spalle con aria colpevole.
«Mi sono dimenticata, tra una cosa e l'altra» mormorai.
Claudia scosse la testa e si avvicinò a mio fratello, accovacciandosi accanto a lui ad accarezzargli una guancia.
«Mi perdoni?» azzardai.
«Non lo so» bofonchiò lei, tentando di rianimare Smell.
La raggiunsi e le strinsi una spalla, baciandole una guancia. Dopo quello che era successo con Benedetta, non volevo perdere anche Claudia.
«Ho sbagliato, lo so» sospirai «Ma ti prego, non mi abbandonare anche tu» appoggiai una guancia sulla sua spalla.
Claudia sbuffò sonoramente e il suo broncio, piano piano, si trasformò in un sorriso.
«Ti perdonerò solo se mi offrirai un Mcflurry al caramello»
La abbracciai ancora più forte e perdemmo l'equilibrio, ritrovandoci con il sedere dolorante per terra. Scoppiammo a ridere ed il suono delle nostre risa ridestò mio fratello che si guardò intorno, spaesato.
«Ho fatto un sogno terribile» biascicò, tenendosi la testa «Claudia era incinta».
La mia amica sospirò e diede un bacio a fior di labbra a Smell, che la strinse a sé sorridendo. Avrebbe potuto tacere, tanto lui credeva di aver solo sognato, però si fece coraggio e lo affrontò.
«Non era un sogno» ammise «Sono davvero incinta».
Smell deglutì a fatica e si passò una mano tra i capelli neri. I suoi occhi erano sgranati e le labbra gli tremavano. Sconvolta era l'aggettivo migliore per descrivere la sua espressione. Si alzò di scatto lasciando Claudia seduta sul pavimento e si chiuse in cucina, sbattendo la porta. La mia amica abbassò lo sguardo e si morse entrambe le labbra.
«Hai visto?» si rivolse a me con un filo di voce «Adesso mi lascerà».
Mia madre si alzò dal divano scombussolata da quella notizia e barcollante, si avvicinò a Claudia abbracciandola.
«Tesoro! È sconvolto, tutto qui» cercò di consolarla «Insomma, nessuno di noi si aspettava una notizia del genere ed è normale che abbia avuto quella reazione. Adesso vieni con me» e le prese la mano per aiutarla a sollevarsi «e andiamo a parlare con lui»
Claudia di asciugò una lacrima ribelle annuendo e seguì mia madre in cucina. Le lanciai un bacio e le sorrisi nel tentativo di tranquillizzarla. Quando le due sparirono dietro la porta della cucina mi voltai verso Dario, guardandolo con sufficienza ed incrociai le braccia.
«Allora?»
«E allora...» ripeté lui passandosi una mano sulla nuca.
«Aspetto delle scuse da parte di qualcuno che non mi ha creduto» rincarai la dose.
«Scusa» mormorò lui mortificato.
Avrei voluto tenergli il broncio ancora per qualche tempo, magari obbligandolo a chiedermi di nuovo scusa davanti a tutti. Ma vedendolo così conciato, con il labbro spaccato e un occhio livido non potei resistere. Lo presi per mano, afferrando anche il sacchetto di Intimissimi e lo trascinai in camera mia. Lo spinsi sul letto con poca grazia e lui sorrise malizioso.
«Dovrò farmi pestare più spesso se questa è la ricompensa» disse seducente.
«Calma i bollenti spiriti, stallone!» ridacchiai «Voglio solo curarti le ferite»
«Uh! Alice in versione infermiera sexy» e si passò la lingua sulle labbra «Me gusta».
Non persi nemmeno tempo a rispondere, ormai ero abituata alla sua malizia e ai suoi tentativi seducenti per fare l'amore con me. E c'era riuscito, praticamente, visto che ero intenzionata a fare quel passo importante con lui. L'avevo sempre saputo, in fondo, che lui era quello giusto, che era lui il ragazzo con cui lo avrei fatto per la prima volta.
Aprii l'armadietto del bagno e presi la cassetta del pronto soccorso, tornando subito in camera mia. Quando entrai, trovai Dario con il reggiseno che avevo comprato quel giorno appoggiato sul petto e le mutandine erano appoggiate accanto a lui. Divenni paonazza e, velocemente, gli tolsi dalle mani il mio intimo.
«Questo è per me?» domandò malizioso, lanciandomi un'occhiata che di casto non aveva nulla.
«Se vuoi indossarlo fai pure» risposi imbarazzata.
«Intendevo che lo indosserai tu per la nostra... sì, insomma, prima volta» indugiò per un attimo, ma ritrovò subito il suo ghigno da bambino monello.
«In realtà è per mia madre» mentii.
«Non credo che tutte le grazie di tua madre entrino in quel reggiseno striminzito» constatò con saccenza.
«Quindi tu guardi le tette di mia madre?» cercai di sviare il discorso ed intanto, infilai l'intimo nel sacchetto e lo spinsi sotto il letto.
«Difficili non notarle» ribatté lui «Ma preferisco di gran lunga le tue» allungò una mano verso di me e mi afferrò un polso «Piccole, sode e che vogliono solo me» e mi tirò verso di lui.
Nonostante avessi opposto resistenza, lui riuscì comunque a farmi barcollare in avanti fino a farmi sedere sulle sue gambe. Mi strinse a lui ed affondò il viso nel mio seno, baciandolo nonostante ci fosse la maglietta.
«No, Dario, smettila!» esclamai tra una risata e l'altra, cercando di allontanarlo da me.
«Non riesco! Poi se ti immagino con quel completo...» alzò lo sguardo verso di me e si allungò a sfiorare le mie labbra in un bacio casto ed innocente.
«Immagina e basta perché non mi vedrai mai con quella roba addosso» mentii, ma non volevo che venisse a sapere che quella lingerie l'avevo comprata solo per lui, per rendermi più sexy e desiderabile.
«Sei crudele, Alice, tanto tanto crudele» disse con un tono da bambino.
Delicatamente, mi spinse sul materasso e lui si stese su di me con una gamba incastrata tra le mie. Puntò le mani sul cuscino per non far gravare il suo peso su di me e mi baciò, abbandonando l'innocenza e lasciando che le nostre labbra e le nostre lingue si muovessero spinte solo dalla passione. Affondai le mani nei suoi capelli per spingerlo verso di me, come se volessi fargli capire, implicitamente, che avrei voluto qualcosa di più di un semplice bacio. Lo desideravo ardentemente, ma in casa mia una cosa del genere non era fattibile visto che in cucina c'erano tre persone che potevano scoprirci da un momento all'altro. Per cui mi accontentai di quel bacio, delle sue labbra sulle mie e della sua gamba che, involontariamente, premeva sul mio inguine. Un gemito mi costrinse a liberare le sue braccia e ad arpionarmi alla sua maglietta.
«Mi piace la tua voce, è...» mi leccò il collo e le sue mani scesero lungo il mio busto per fermarsi a slacciare i jeans «eccitante»
«Non siamo qui per fare le zozzerie» lo ammonii, imbarazzata e con dei pensieri poco casti che mi aleggiavano nella mente «Devo curarti le ferite»
«'Sti cazzi!» tagliò corto lui e la sua mano s'insinuò nella stoffa dei mie pantaloni, andandomi a sfiorare intimamente. Mi morsi le labbra per soffocare un ansimo e strinsi il lenzuolo per trattenere quel piacere dirompente che le sue dita esperte riuscivano a farmi provare.
«Ti interessano ancora le ferite?» mi domandò, muovendo l'indice sulla stoffa dei miei slip in modo circolare.
Mi era impossibile parlare in quelle condizioni, saldamente aggrappata alle mie lenzuola, con la schiena inarcata e le punte dei piedi tesi, il respiro accelerato che mi impediva di dire qualcosa.
«Deduco che preferisci le mie dita»
Il mio corpo che si contorceva parlava per me. Chiusi gli occhi e non riuscii più a trattenere i gemiti che uscivano spontanei dalla mia bocca. Le sue dita, d'un tratto, superarono i miei slip e le sentii ruvide a contatto con la mia intimità. Era tremendamente bravo a far provare piacere e poco mi importava, in quel momento, degli altri tre che stavano in cucina. Lo volevo, volevo sentirlo in me, volevo amarlo carnalmente. Ma il tempismo di mia madre era noto anche agli eschimesi e scelse il momento peggiore per apparire in camera mia. Avevo gli occhi chiusi, per cui non mi accorsi che aveva aperto la porta e che irrotta nel mio nido d'amore.
«Signora!» esclamò Dario, mettendo fine a quella piacevole tortura ed io aprii la palpebre di soprassalto, mettendomi a sedere.
«Mamma!» trillai, rossa dall'imbarazzo.
Lei era rimasta sulla porta con la bocca spalancata e gli occhi sgranati. Richiuse la porta e la riaprii qualche secondo dopo abbozzando un sorriso.
«Questione risolta. Sono ancora tutti e due scossi, ma hanno deciso di tenere il bambino. Io e tuo padre li aiuteremo, ovviamente. Ora bisognerà parlare con i suoi per cui domani sera andrò a cena da loro con Raffaele. Tu vieni?» parlò senza riprendere fiato, con le guance rosse per l'imbarazzo, dimostrandosi indifferente.
«No! Domani ceniamo fuori» mi precedette Dario e lo fissai interrogativa.
«D'accordo» sorrise ad entrambi e stava per uscire dalla mia camera, ma ci ripensò e ci rivolse un'occhiata maliziosa «Ragazzi, cercate di fare queste cose quando siete da soli» ci consigliò «E tu, Dario, usa sempre le precauzioni. Non voglio avere due nipoti! Uno è sufficiente per adesso»
«Tranquilla signora...» lasciò la frase in sospeso.
«Elena»
«Signora Elena non si preoccupi. Precauzioni sempre e comunque» sorrise, mentre io, piano piano, sprofondavo nell'imbarazzo più profondo.
Mia madre si congedò e Dario mi strinse forte a sé, accarezzandomi una spalla nuda. Mi abbandonai al suo petto, al suo odore e l'imbarazzo, via via, andò scemando.
«Tua madre ha un tempismo da record» constatò ridacchiando.
«Sceglie sempre i momenti peggiori» sbuffai «È specializzata in questo»
«Tipico di quasi tutte le mamme» commentò «Comunque, se non lo avessi capito, domani sei invitata ufficialmente a cena. Per cui, vestiti carina» mi sollevò il viso per incontrare i suoi neri in cui sprofondavo ogni volta rimanendovi intrappolata «e magari metti anche quel completino rosa».
Sbuffai e mi alzai di scatto dal letto. Insomma, ormai ero sicura di volerlo fare, ma non volevo che lui lo sapesse. Era una sorta di sorpresa che volevo fargli e lui non doveva avere nemmeno il minimo sospetto. Se fosse stato tutto premeditato non sarebbe accaduto con la naturalezza che io speravo di avere.
«Sei proprio fissato» borbottai contrariata «Mi hanno obbligata a comprare quel completino» mi voltai dandogli le spalle e incrociai le braccia.
Dario mi si avvicinò e mi abbracciò da dietro, appoggiando il mento sulla mia spalla. Mi scostò i capelli in modo da poter sfiorare il mio orecchio con le sue labbra.
«Piccola, stavo scherzando» mi sussurrò «Insomma, non proprio» aggiunse ed io ridacchiai «Ma comunque, io non ho fretta»
«Grazie» mormorai, mentre le sue labbra mi baciavano il collo e sorrisi pensando alla cena della sera successiva. Con sorpresa, ovviamente.

Non ero mai stata in un ristorante elegante come il Bice che, per giunta, si trovava in via Montenapoleone. Le pareti erano color crema e delle lampade attaccate ai muri illuminavano con una luce fioca l'intero locale. I tavoli erano ricoperte da tovaglie bianche e setose, apparecchiati con posate d'argento e calici di cristallo. Da quando avevo messo piedi lì dentro non facevo altro che guardarmi intorno spaesata e preoccupata al tempo stesso.
«Che c'è? Non ti piace qui?» mi domandò Dario che, quella sera, era più bello del solito.
Indossava una camicia bianca leggermente attillata che metteva in risalto la sua meravigliosa pelle abbronzata. I primi bottoni erano slacciati, così da mostrare l'inizio dei pettorali e le maniche lunghe erano arrotolate sugli avambracci.
«No, no» scossi la testa «È bellissimo! Ma ti costerà tantissimo»
«Non preoccuparti, piccola!» sorseggiò un goccio di vino rosso che gli aveva precedentemente versato il cameriere, dopo aver preso le nostre ordinazioni «Tu mangia e non pensare ai soldi» mi sorrise e il mio cuore perse un battito.
«O-ok» tentennai, anche se mi rammaricava il fatto che dovesse spendere così tanti soldi per me.
«Che ne dici di un brindisi?» mi propose, versandomi un goccio di vino nel calice.
«Non credi che sia una buona idea che io beva» sorrisi imbarazzata «Sai, mi basta un goccio per andare fuori di testa come è successo in discoteca» ricordai.
«Beh, allora è meglio abbondare» disse malizioso «Ti preferisco senza freni»
«Dario» ribattei indignata, dandogli un calcio sullo stinco.
«Che violenza!» commentò, piegandosi per massaggiarsi dove lo avevo colpito «Stavo solo scherzando!».
Lo guardai con sufficienza, ma bastò un suo sorriso per farmi sciogliere. Era qualcosa di meraviglioso il suo sorriso; lui lo era e non mi capacitavo di come potessi essere stata così fortunata nel trovarlo. A volte non mi sembrava nemmeno vero che lui avesse scelto me, che lo avessi accanto e che potessi baciarlo. Era tutto così tremendamente perfetto che quasi mi faceva paura, il tutto. Paura di svegliarmi da un momento all'altro e ritrovarmi catapultata alla mia vecchia ed insulsa vita, ad oziare sul divano con le immagini di qualche programma spazzatura che scorrevano sotto i miei occhi. E la cosa peggiore era che Dario non ci sarebbe stato. Non sarei più riuscita ad immaginare una vita senza di lui. Ormai era dentro di me, nel mio cuore, nella mia mente, sotto la mia pelle, mi scorreva nelle vene. Lui era il mio mondo, il mio tutto.
«Dai, su, brindiamo» riprese lui, sollevando il suo calice.
Sospirai e lo imitai. Cosa avrebbe potuto farmi un goccio di vino?
«A cosa?» domandai melliflua.
«Al nostro primo, vero appuntamento»
Sorridemmo all'unisono e i nostri bicchieri si scontrarono emettendo un leggero tintinnio.
«Al nostro primo appuntamento» ripetei e mi sembrò di sfiorare il cielo con un dito.
Ero felice. Felice di essere in quel ristorante con lui, felice di condividere tutte quelle emozioni con Dario e felice che la mia favola si stesse avverando, piano piano. Magari sarebbe stato solo uno dei tanti principi azzurri che avrei incontrato, ma per il momento era lui il protagonista perfetto per quella favola d'amore.
Il cameriere, un uomo riccioluto e autoritario, ci servì le prime portate dal profumo invitante. Appoggiai il tovagliolo sulle ginocchia e sperai con tutto il cuore di non sbrodolarmi, come ero solita fare, sia per la figuraccia che avrei fatto con Dario, sia perché non volevo rovinare quel meraviglioso abitino blu di raso che mi aveva prestato Cristina. Se glielo avessi riportato macchiato mi avrebbe uccisa.
«Buon appetito!» esclamò con entusiasmo, cominciando a mangiare.
Feci lo stesso e per alcuni minuti rimanemmo in silenzio, a lanciarci occhiate e sorridere sotto i baffi. Era piacevole stare in sua compagnia, anche quando non si parlava. Solo la presenza bastava per farmi sentire meglio.
«Dario» lo chiamai con un filo di voce e lui alzò lo sguardo dai suoi spaghetti all'astice «Mi imbarazza un po' chiedertelo» appoggiai la forchetta nel piatto e torturai la tovaglia.
Lui mi guardò dubbioso poi si tamponò la bocca con il tovagliolo.
«Chiedi pure, piccola» mi sorrise bonariamente.
«Ecco, vedi. Ci conosciamo da tanto, ormai e ora siamo in questo meraviglioso ristorante. Però io non so ancora quando sei nato»
Era una domanda che continuava a rimbalzarmi in testa. Era chiaro che tra di noi ci fosse qualcosa che magari era anche destinato a durare, ma ancora io non sapevo quando compiva gli anni. Magari il suo compleanno era già passato e io non gli avevo fatto nemmeno gli auguri. Mi sarei sentita tremendamente in colpa se fosse stato realmente così. Dario ridacchiò e si morse il labbro inferiore con delicatezza perché era ancora tumefatto.
«Perché dovresti essere imbarazzata? È lecito chiedere» mi sorrise ed indugiò qualche secondo durante i quali mi lanciò alcune occhiate furbette «Il 25 giugno»
«Quindi sei un cancro» commentai, bevendo un goccio di vino.
Dario sorrise imbarazzato e solo dopo aver ingerito il liquido rosso realizzai che quel giorno era il 25 giugno. Era il suo compleanno e io lo scoprivo solo in quel momento. Mi sentivo una stupida e per di più non avevo nemmeno un regalo con me.
«Non, non so che dire» la voce mi uscì in un rantolo incontrollato.
«Un “Auguri” sarebbe sufficiente» disse sarcastico.
«A-auguri» balbettai nell'imbarazzo più completo.
«Un altro brindisi? Questa volta ai miei ventiquattro anni?» domandò retoricamente alzando di nuovo il suo calice.
Questa volta, però, non feci lo stesso. Guardai solo il tovagliolo steso sulle mie gambe. Se non glielo avessi chiesto non avrei nemmeno saputo che fosse il suo compleanno e avrei ignorato quel giorno così speciale che lo aveva visto nascere ventiquattro anni prima. Che stupida ero stata! Avrei dovuto chiederglielo molto prima, non svegliarmi così all'improvviso almeno avrei organizzato qualcosa per festeggiarlo. La mano di Dario si allungò sul tavolo e le punte delle sua dita mi sfiorarono un braccio ridestandomi dai miei pensieri.
«Non è mica morto nessuno» ironizzò ridendo.
«Lo so, ma» e respirai rumorosamente «Non ho un regalo, non ho organizzato nulla. Avrei dovuto chiedertelo molto prima»
«Alice non ho bisogno di regali» mi sorrise dolcemente e mi accarezzò «La tua presenza è già un dono, per me».
Mi sentii lusingata nel sentirlo parlare così e quasi sollevata. Era così dolce e comprensivo che, a volte, mi sentivo di non meritarmi una tale fortuna.
«E poi mi sembra che stiamo festeggiando, no? E non potevo chiedere un compleanno migliore. Cibo, vino e una ragazza speciale con cui passare questo giorno».
Mi sciolsi completamente e sorrisi imbarazzata per quelle parole che mi riempirono il cuore di gioia. Ciò che mi rese ancora più felice, però, furono i suoi occhi neri lucidi, brillanti come n0n li avevo mai visti che risplendevano per l'emozione che provava quando stava con me. E le stesse di riflettevano nei miei con maggiore intensità.
«Allora brindiamo» afferrai il bicchiere e brindammo per la seconda volta.
Il resto della serata fu un crescendo di emozioni. Era bello parlare con lui senza quella voglia irrefrenabile di baciarci. Eravamo noi due seduti ad un tavolo di un ristorante e ci scoprivamo a vicenda, ci svestivamo raccontando aneddoti della nostra vita – io molto pochi – e concedendo un pezzo della nostra anima all'altro. Mi regalò perfino cinque rose, comprate da uno di quei venditori ambulanti e quella cena non poteva concludersi in modo migliore. Quella era la prima volta che ricevevo dei fiori e mi sentivo ad un passo dal cielo. Era una serata perfetta ed ero sempre più sicura della mia scelta.
«Senti Alice, dovrei chiederti una cosa» mi disse mentre eravamo in macchina diretti verso casa mia.
Mi voltai a guardarlo concentrato sulla strada che picchiettava l'indice sul volante. Il cuore prese a battere forse un po' troppo veloce ma non ci badai. Mi stava per chiedere se volevo essere la sua ragazza, cosa potevo chiedere di più?
«Vorresti venire con me a Roma?» domandò invece, voltandosi verso di me per rivolgermi un sorriso «Mia cugina si sposa a luglio e sei invitata anche tu, ovviamente. Perciò volevo approfittare di questo matrimonio per mostrarti la mia città».
Sorrisi nervosamente e strinsi il lembo del vestito. No, non era la domanda che mi aspettavo però era pur sempre un invito nella sua città, una vacanza solo io e lui e mi sembrava un'ottima occasione per stare insieme.
«Per me non c'è problema» risposi con un sorriso «Dipende se mia madre mi lascia venire»
«Riusciremo a convincerla, non ti preoccupare» mi fece un occhiolino «Però dobbiamo fare in fretta visto che si parte tra tre giorni»
«Potevi dirmelo un po' prima, non credi?» bofonchia sbuffando «Ma come farai con il lavoro?»
«Farò la diretta da Roma, semplice» mi rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo «Ho già pensato a tutto, mia cara. Non sono uno sprovveduto» gongolò con un sorriso soddisfatto.
Ridacchiai e mi soffermai a fissarlo. Inizialmente odiavo la sua spocchia ma, mano a mano, mi ero abituata a quel suo aspetto e avevo cominciato a riderci su. Se non avesse avuto quella presunzione non sarebbe stato il mio Dario.
Entrammo nel mio paese e il respiro mi si fece accelerato. Era arrivato il momento di fermarlo prima che arrivassimo a casa mia. Appena la Mito costeggiò la campagna appoggiai una mano sul suo braccio per attirare la sua attenzione e gli sorrisi.
«Possiamo fermarci un attimo?» mormorai.
Ero tesa, nervosa e avevo anche paura, ma il momento del grande passo era arrivato. Sentivo il desiderio di Dario in ogni fibra corporea e non potevo ignorare questo richiamo.
«Non ti senti bene?» si preoccupò.
«Tranquillo» strinsi di più la mia mano attorno al suo braccio «Accosta semplicemente, lì, vicino ai campi di grano».
Lui mi guardò perplesso, ma seguì il mio consiglio. Quella strada era praticamente deserta di sera, poca gente passava di lì e in qualsiasi caso, ci eravamo fermati in una piccola piazzola di terra battuta, nascosta da occhi indiscreti. Dario si slacciò la cintura di sicurezza e mi squadrò interrogativo, scrollando le spalle. Sorrisi imbarazzata e prima che lui aprisse bocca per parlare, gli afferrai i baveri della camicia e lo avvicinai a me. Lo baciai di sorpresa e lui rimase immobilizzato per qualche secondo. Dopo un po', però, si lasciò trasportare da quel bacio, dal ritmo che le mie labbra e la mia lingua scandiva. La sua mano si appoggiò sul mio ginocchio e percorse la coscia, intrufolandosi sotto la gonna del vestito e si fermò a pochi millimetri dal mio inguine. La sua mano era calda e solo sentire il calore delle sue dita espandersi mi fece eccitare maggiormente.
Interruppe il nostro bacio per riprendere fiato e per guardare nei miei occhi. Non parlò, non fece nessuna domanda ma le sue iridi nere colme di passione erano eloquenti. Aveva capito dove volessi arrivare, per cui i suoi occhi cercarono una conferma nei miei. Mi morsi un labbro e imbarazzata come non ero mai stata, annuii. Dario sorrise, un sorriso dolce, sincero e splendido e mi accarezzò una guancia scostandomi una ciocca di capelli. Sfiorò di nuovo le mie labbra con le sue lasciandomi il suo sapore, un piccolo assaggio di lui e della sua pelle.
Si alzò da sedile e, con qualche difficoltà per via del tettuccio e del freno a mano, andò a sedersi nei sedili posteriori.
«Qui si sta più comodi» disse e il suo tono non aveva nulla di malizioso, c'era solo tanta dolcezza.
Mi tese una mano che io afferrai subito e mi aiutò a raggiungerlo. Mi posizionai sulle sue gambe con i nostri bacini a stretto contatto. Mi strinse il viso tra le mani e mi baciò di nuovo con la stessa travolgente passione di poco prima. Ero nervosa, ma solo il suo tocco e le sue labbra riuscivano a sciogliere quella tremenda tensione che si era impossessata di me. Istintivamente, cominciai a muovere il bacino sopra il suo. La gonna era talmente corta e la stoffa degli slip era talmente leggera che ogni frizione dei suoi jeans sulla mia intimità mi provocava scosse di piacere che mi obbligarono a staccarmi dalle sue labbra per ansimare.
«Alice» mormorò roco succhiando la pelle del mio collo «ti voglio da impazzire».
Con un movimento rapido della testa scostai i capelli dalla spalla per permettergli di assaporarmi con più facilità. Affondai le mani nei suoi capelli neri e mossi spingendolo verso di me, verso il mio corpo.
«Anche io ti voglio» ammisi con la voce strozzata dai gemiti.
I suoi occhi neri si alzarono a cercare i miei. I nostri sguardi diventarono un tutt'uno, il castano fuso in quel mare di petrolio, la mia anima dentro in quei meravigliosi cieli notturni.
Racchiuse le mie labbra ancora nelle sue ed intanto le sue mani strinsero i miei seni con delicatezza, con una dolcezza così estrema da spiazzarmi. Avevo pensato che lui fosse un tipo irruento sotto le coperte, uno di quegli uomini passionali guidati dall'istinto spinti solo dalla voglia di provare piacere il prima possibile. Invece ogni gesto di Dario era delicato, voleva mettermi a mio agio per la mia prima volta, voleva che fosse speciale, che fosse dolce. E ci stava riuscendo.
C'era tranquillità intorno a noi, un silenzio che rendeva ancora più magico quel momento. Solo gli schiocchi delle nostre lingue e i nostri ansimi ci riempivano le orecchie e non avrei potuto chiedere colonna sonora migliore. Le nostre labbra avevano bisogno di quelle dell'altro tanto che si staccavano solo per alcuni secondi, il tempo sufficiente a riprendere fiato. Ed intanto le sue mani erano scivolate sulle mie cosce nude e percorrevano su e giù la mia pelle, sfiorandomi l'inguine in un breve e piacevole tormento. Quei tocchi, quei baci non facevano altro che aumentare il mio desiderio, la voglia irrefrenabile che avevo di sentirlo dentro di me. Ero adrenalinica, tutti i muscoli erano scossi da fremiti ed ero eccitata, sentivo un calore umido nel basso ventre che divampava ogni secondo di più.
Ancora una volta fui io a prendere l'iniziativa e senza staccare le labbra dalle sue, cominciai a slacciargli al camicia, bottone dopo bottone, lentamente in modo da sfiorare il suo corpo e farlo rabbrividire.
«Ci sai fare, piccola» rantolò, abbandonando la testa sullo schienale del sedile lasciandomi fare. Arrossii di colpo, ma non potevo negare che tutti quei gesti erano naturali, dettati solo dal mio eccitamento.
Ad ogni bottone slacciato seguiva uno struscio del mio bacino contro il suo, un mio gemito e un suo ansimo. Gli tolsi la camicia e fissai il suo torace nudo con bramosia, leccandomi perfino un labbro. La parte lussuriosa di me, quella che era stata relegata da qualche parte del mio animo era stata liberata quella sera e non mi dispiaceva affatto mostrarmi così disinibita di fronte a Dario. Mi abbassai sul suo petto e vi appoggiai le labbra, piccolo baci che lambivano ogni lembo di pelle e che facevano crescere la sua eccitazione. La percepivo a contatto con la mia intimità e contrariamente alla prima volta non mi spaventava anzi avrei voluto che non ci fosse quella barriera di stoffa che ci impediva di unirci in un atto d'amore passionale come quello.
Finalmente, Dario si decise a togliermi il vestito. Abbassò la zip velocemente e con il mio aiuto, lo sfilò buttandolo da qualche parte nella sua macchina e un lampo di malizia attraverso le sue iridi scure.
«Hai messo la lingerie sexy» constatò.
«Solo per te, amore mio» dissi, senza nemmeno pensare a quello che stavo dicendo.
Dario mi sorrise dolcemente, poi mi baciò di nuovo, succhiando la mia lingua con avidità e la carezza con cui sfiorava la mia coscia si trasformò ben presto in una presa salda. L'altra sua mano si posizionò sulla mia schiena e, con lentezza, mi fece stendere sul sedile. Si slacciò i pantaloni e si sbarazzò anche di questi, rimanendo solo in un paio di boxer neri che contenevano a malapena la sua eccitazione. Si stese su di me, tra le mie gambe, con il viso a pochi millimetri dal mio. Il suo respiro mi inebriava e quel suo intenso odore di vaniglia riempiva l'abitacolo, rendendo il tutto ancora più dolce.
«Sei sicura, piccola?» mi domandò preoccupato, accarezzandomi la guancia con il dorso della mano.
Annuii convinta, deglutendo più volte e con il fiato corto per tutte quelle sensazioni che mi stavano travolgendo. Dario mi rivolse un sorriso e mi baciò dapprima a fior di labbra, poi approfondì solleticandomi il palato. Ero troppo impegnata ad assaggiare le sue labbra che non mi accorsi che una sua mano era sgattaiolata verso un mio fianco. Le sue dita sostarono ben poco in quel punto. Erano vogliose di esplorarmi, di farmi godere ancora di più, perciò si erano infilate nel mio slip.
«Dario!» mugugnai, sentendo i suoi polpastrelli muoversi sulla mia intimità.
«E questo è niente piccola» mormorò roco.
Non sapevo cosa aspettarmi finché non sentii un suo dito scivolare lentamente dentro di me. Mi aggrappai con una mano al sedile mente con l'altra gli strinsi i capelli. Non era doloroso, solo molto appagante. Non mi trattenni nemmeno dal gemere, tanto eravamo solo io e lui, anzi quasi urlai per il piacere e dal sorriso che si dipinse sulle labbra di Dario sembrava apprezzare.
«Dimmi se ti faccio male, piccola» mi sussurrò ad un orecchio, mordicchiandone il lobo.
La sua falange si muoveva dentro di me con un ritmo sostenuto, scivolando prima in profondità, poi uscendo quasi del tutto. Avevo la gola secca, gli occhi faticavano a rimanere aperti e l'unica cosa che riuscivo a dire, anzi ad urlare, erano gemiti disconnessi. Deglutii e cercai di regolarizzare il respiro forse un po' troppo accelerato.
«No, tutto okay» fu l'unica cosa che riuscì a dire perché un altro fremito mi scosse e mi costrinse ad inarcarmi.
Avevo gli occhi chiusi, per cui non vidi la reazione di Dario. Sentivo solo i suoi baci che dal collo scendevano verso il seno e il suo dito che si muoveva dentro di me. Al quale, dopo qualche minuto, se ne aggiunse un altro rendendo quel momento ancora più eccitante ed appagante.
«Oh mio Dio!» urlai e gettai le braccia all'indietro, sfiorando il vetro appannato della Mito.
Ogni mio movimento divenne disconnesso. Non avevo più il controllo sui miei muscoli che reagivano solo allo stimolo eccitante delle dita di Dario.
Lentamente lo sentii abbandonare il mio corpo e gli slip scivolarono lungo le mie gambe, seguiti dalle labbra di Dario che baciarono ogni lembo di pelle scoperta. Risalì velocemente e mi cinse la vita con le braccia, sollevandomi a sedere.
«Via anche questo, che dici?» disse malizioso, togliendomi anche il reggiseno.
Ero completamente nuda di fronte a lui e non provai il minimo imbarazzo. Anzi mi sentivo stranamente a mio agio. Mi fece posizionare sulle sue gambe nuovamente e le nostre intimità strusciarono provocando ad entrambi un intenso piacere. Mancava davvero poco, solo un paio di boxer e finalmente lo avrei amato completamente. Forse per l'impazienza, forse per l'irrefrenabile voglia che avevo di lui, afferrai l'elastico delle sue mutande e le abbassai, aiutata da Dario che si alzò quel tanto che bastava per poterglieli sfilare.
Eravamo nudi entrambi, eccitati e desiderosi di diventare un tutt'uno. Più il momento in cui lo avremmo fatto si avvicinava, più il mio cuore accelerava la sua corsa. Ero felice di poter condividere quel momento con lui, ma non potevo nascondere di avere un tantino di paura.
Dario mi passò una mano tra i capelli e mi avvicinò alle sue labbra per un veloce contatto. Poi mi guardò negli occhi, serio ed emozionato al tempo stesso e la sua mano si appoggiò sulla mia guancia. Mi sembrò quasi che tremasse, ma non ci diedi peso.
«Sei sicura al cento per cento?»
Mi morsi le labbra e deglutii a vuoto. Fino a qualche secondo prima lo ero, ma ora che il momento tanto atteso si era avvicinato cominciavo a vacillare. Scossi al testa impercettibilmente e gli sorrisi. Non potevo farmi assalire dai dubbi proprio in quel momento. Lo volevo e basta, non dovevo frenarmi, non in quel momento.
«Mai stata più sicura» risposi baciandolo ancora ed ancora. Le sue labbra e il suo sapore non erano mai abbastanza. Più le sfioravo, più lo assaporavo e più diventavo famelica.
«Un secondo allora» mi disse, appoggiando un indice sulla mia bocca.
Mi strinse forte a sé con una mano e si abbassò alla ricerca dei suoi jeans. Li afferrò con foga e li appoggiò accanto a lui, rovistando in tutte le tasche finché non estrasse il suo portafoglio. Lo aprì e a colpo sicuro prese un preservativo.
«Vuoi fare tu?» e mi piazzò davanti agli occhi quella bustina con scritto Durex.
Farfugliai qualcosa di insensato e diventai rossa come un peperone, se non di più.
«È facile, dai» quasi mi pregò «Ti aiuto io».
Con un pizzico d'imbarazzo accettai e afferrai la bustina dalle sue mani. Tremante la aprii tirandone fuori quell'anello di lattice di cui avevo sentito parlare ma che mai avevo visto prima in vita mia.
Dario mi strinse il polso con dolcezza e mi accompagnò verso il suo desiderio. Posizionò la mia mano sopra la punta della sua eccitazione e lentamente srotolai il preservativo, strappandogli un ansimo.
Pochi secondi, mancava solo una manciata di secondi e avrei fatto sesso per la prima volta. Anzi, l'amore. Dario mi afferrò i fianchi e strusciò il naso sul mio collo. Ero tesa e questo l'aveva percepito, ne ero sicura.
«Tranquilla, piccola, non ti farò del male»
Mi strinsi di più a lui, allacciando le braccia intorno al suo collo mentre mi sollevava per i fianchi. Si aiutò con una mano a posizionarsi sotto di me e con l'altra mi invitava a scendere verso il suo desiderio. Seguii il suo gesto e in pochi secondi lo sentii scivolare dentro di me, con una certa fatica. Strizzai gli occhi e affondai le unghie nella sua carne, abbandonando il capo sulla sua spalla. Questo sì, aveva fatto abbastanza male. Un lamento roco uscì dalle mie labbra e Dario mi accarezzò la schiena, baciandomi il collo.
«Scusa» mormorò al mio orecchio.
Aprii le palpebre e gli sorrisi appoggiando le mie labbra sulle sue.
«E di che?» arrancai tra un ansimo e l'altro.
Cominciai a muovermi sopra di lui, su e giù lentamente e più mi rilassavo, più mi abbandonavo a lui e alla passione più il fastidio che avevo avvertito inizialmente spariva, lasciando il posto al piacere.
Dopo un primo momento di esitazione, anche Dario si lasciò andare e seguì il mio ritmo mandandomi in estasi. Entrambi ansimavamo e nessuno dei due riusciva a baciare l'altro senza che un gemito ci cogliesse. Tentai di sfiorare ancora le sue labbra, ma un fremito mi colse prima di raggiungerle, per cui mi ritrovai ad ansimare nella sua bocca, a mescolare il mio respiro al suo, a fondere il mio piacere con il suo. Gli strinsi il viso e mi avvicinai ad esso, così ci ritrovammo occhi negli occhi, fiato nel fiato, uno dentro l'altro, muovendoci la ritmo dei nostri ansimi. I suoi neri sembravano liquidi, una distesa infinita di piacere nero in cui quasi affogai.
Non mi importava di aver affrettato le cose. Gli avevo detto di aspettare, che avrebbe dovuto riconquistare la mia fiducia, ma non avevo saputo resistere. Io lo amavo, nonostante i dubbi che mi avevano attanagliato e non potevo più frenare quel sentimento che provavo per lui. Non sapevo se Dario provasse lo stesso, anche se mi aveva fatto capire che teneva a me con le meravigliose parole che mi aveva riservato. Forse era solo un modo per portarmi a letto e anche se fosse stato così non avrei mai rimpianto di essermi donata a lui per la prima volta perché non avevo mai provato sensazioni così forti ed intense e solo Dario era stato in grado di regalarmi tutte quelle emozioni.
Dario accelerò il ritmo, aumentando con lei il piacere già quasi al massimo. I nostri gemiti si susseguirono con intensità, strozzati e gutturali, uscendo dalle nostre labbra naturalmente. Eravamo entrambi ad un passo dall'apice, si capiva dalle nostre voci, dai nostri visi contratti e dai nostri respiri accelerati.
«A-Alice» mugugnò lui stringendo con una mano il mio fianco e con l'altra il sedile.
«Da-Dario» lo seguii io, arpionandomi alle sue spalle.
Un fremito, un'ultima scossa che precedette il culmine del piacere per entrambi. Appoggiai il viso sulla sua spalla e intanto uscì da me, abbracciandomi poi stretta a lui e baciandomi sul collo e agli angoli della bocca.
Avrei voluto in quel momento dirgli Ti amo, confessargli di nuovo i miei sentimenti. Ma avevo paura che lui rimanesse in silenzio, che non sentisse la stessa cosa per me. Così soffocai quella confessione in attesa di un'occasione migliore per dirglielo. Per il momento avrei goduto del suo abbraccio e del suo calore, di quella sensazione di completezza che era riuscito a donarmi.

«Auguri» gli mormorai all'orecchio, appoggiandomi al suo petto.
Lui mi abbracciò ancora più forte e mi sfiorò una guancia con le labbra.
«Il miglior compleanno della mia vita»

 



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Nuovo banner significa che siamo entrati nella seconda parte della storia.
Per cui dimenticatevi di Saronno (a lui ci penserò più avanti con lo spin off interamente dedicato a lui :3) e di Abbate. No, di lui no, anche perché è il miglior amico di Alice! Ma, come già annunciato, ci saranno altri personaggi che entreranno a far parte della storia. Per chi abbia seguito Mistake sa già di chi si tratta, mentre che non sa nemmeno di cosa sto parlando i due tizi nel banner non sanno nemmeno chi sono xD Ma basta pazientare e lo capirete molto presto.
Comunque, andiamo come sempre con ordine. Cristina Cariati è sempre la stessa oca, ma sembra che non sia poi così antipatica. E alice è del mio stesso avviso, tanto che ha iniziato ad uscirci. Abbate pare proprio che abbia fatto un ottimo lavoro sulla bella biondina. Una giornata di shopping in cui la parola d'ordine è stata lingerie. La cara Alice si è decisa a comprare un completino sexy per il suo amato Dario. Dico amato perché ormai è proprio stra-cotta di Vitrano.  
Parlando di Dario...io lo adoro sempre di più! Soprattutto quando battibecca con Smell e quando attribuisce soprannomi a chiunque. Abbate è il troll mentre Smell gremlin xD buahahah! Che simpaticone :3
Raffaele ha trovato il test di gravidanza e pensa che sia di Alice. Così decide di uccidere con le sue stesse mani Dario. Peccato solo che il test sia di Claudia e non di Alice. È stata una doccia fredda per Smell, ma ha capito che, comunque, è una sua creatura per cui hanno deciso di tenerlo :)
La mamma di Alice è troppo forte! La adoro! Che entra e li becca in atteggiamenti intimi buahahah *ride da sola mentre gli altri la guardano dubbiosi*
Ma la parte clou del capitolo è la fine, la cena al Bice (che esiste davvero). Abbiamo scoperto che Dario è nato il 25 giugno e che ha invitato Alice proprio per festeggiare il suo compleanno, che, sennò, sarebeb stato triste come tutti gli altri. E quale miglior regalo se non l'amore totale di Alice? Lo so che magari può sembrare affrettato il fatto che Alice si sia concessa a Dario, ma ricordiamoci che sono stati "insieme" un mese da Gennaio a Febbraio, quindi diciamo che la loro relazione è nata molto prima che i due se ne rendessero conto.
Ebbene, Dario e Alice lo hanno fatto per la prima volta. E lui è stato davvero tenerissimo a preoccuparsi così per la sua piccola. È davvero un ragazzo splendido ♥.♥ spero che la prima volta di Alice mi abbia emozionata tanto quanto ha emozionato me scriverla e ha emozionato Dario e Alice che si sono amati in toto.
Bene, dopo questo poema direi di passare ai ringraziamenti.
Come al solito ringrazio le persone che hanno inserito la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate. Chi ha recensito il capitolo (mi dispiace non aver risposto ma è iniziata l'uni ed è già tanto se riesco a respirare xD...quindi non so se riuscirò a rispondere! spero che non vi dispiaccia). Un grazie solo a chi legge, e siete davvero in molti. Un grazie speciale alle ragazze del gruppo Crudelie si nasce che mi sostengono. E, soprattutto, un GRAZIE gigante ed enorme va a Nessie, la mia adotrabile beta e IoNarrante, la mia lover che mi supporta e sopporta.
Ora, TADAN!
Vi posto il trailer fatto da me medesima con tanto tanto love *_____*
Video trailer
E vi mostro, con tanto orgoglio, anche il trailer della nuova long che potrete trovare su EFP appena Alice sarà conclusa.
Freakin'
È il momento della pubblicità:
Come in un Sogno - con IoNarrante.
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Le 999 cose che la gente non sa degli scrittori.

Very well, ho finito di ciarlare!
Al prossimo capitolo ♥

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Capitolo 22
*** On the road ***


Video trailer  
C a p i t o l o 21

On the road

betato da nes_sie


La Mito di Dario si fermò davanti al portoncino di casa mia. Avevamo fatto l'amore ed entrambi eravamo felici che fosse successo. E avevo capito che non era solo attrazione fisica quello che c'era tra di noi. Perché io lo desideravo ancora, perché ogni cosa di Dario era entrato a far parte della mia vita e necessitavo di lui per continuare a vivere. Lo amavo, in quel momento più di prima, e poco mi importava se quella storia non fosse destinata a durare, se Dario non fosse la mia vita. Volevo vivermi quella storia appieno, godermi ogni singolo istante passato con lui e imprimerlo nella mia mente e nel mio cuore. Forse non sarebbe stato l'amore della mia vita, quello grande ed eterno, ma era pur sempre il mio primo amore e non avrei mai dimenticato tutto quello, la sua voce, i suoi tocchi, il suo odore. Per cui lo avrei amato senza più paranoie, senza dubbi, niente senza risposte.
Non appena il motore della macchina si spense compresi che era arrivato il momento di separarci, seppur solo per qualche ora. Peccato che io non avessi la minima voglia di dirgli Ciao. Volevo stare ancora con lui, passare altro tempo insieme a Dario tra le sue braccia, possibilmente.
«È stata una serata splendida» disse con un sorriso sincero «E tu l'hai resa ancora più magica» allungò una mano e mi accarezzò una guancia.
«Sei tu quello splendido»
Lo guardai negli occhi e vidi una scintilla illuminargli gli occhi, una pagliuzza di felicità farsi spazio in quel nero profondo che illuminò le sue iridi. Arrossì lievemente, ma questa volta non distolse lo sguardo imbarazzato da me. Appoggiai la mia mano sulla sua e la strinsi forte, sentendo il suo calore invadere le fibre del mio corpo a poco a poco.
«Dico sul serio, Dario. A volte non mi sembra nemmeno vero che tu sia con me e ho una paura folle di svegliarmi nel cuore della notte e scoprire che è tutto un sogno» gli confidai quel timore con un filo di voce e lui mi regalò un altro dei suoi sorrisi meravigliosi.
«Anche io ho paura che sia solo un sogno» mi confidò sporgendosi verso di me per diminuire la distanza che ci separava «Perché è impossibile che tu, tra tanti, abbia scelto me. È impossibile che, dopo così tanti anni, io sia riuscito ad aprirmi di nuovo con una ragazza. È impossibile che qualcuno sia riuscito ad amarmi di nuovo» si morse il labbro inferiore, cercando di non riaprire la ferita che gli aveva lasciato mio fratello. Quello era un altro mattone del suo muro che crollava, mostrandomi ciò che teneva nascosto dietro di esso. Era un altro pezzo di armatura che lo proteggeva di cui si spogliava.
«E se questo fosse davvero un sogno» riprese, con le sue labbra che si avvicinavano pericolosamente alle mie «Beh, allora spero di non svegliarmi mai».
Abbozzai un sorriso prima che lui mi baciasse. E fu un bacio tremendamente dolce, sia per il sapore di vaniglia delle sue labbra, sia per le movenze lente e calcolate della sua lingua che solleticava la mia con fugaci e repentini tocchi. Come potevo lasciarlo andare, anche solo per poche ore? Sapevo che non potevo pretendere di averlo sempre al mio fianco, ventiquattro ore su ventiquattro. Ma quella notte volevo che fosse solo nostra, volevo trascorrerla con lui e, perché no, che fosse infinita.
«Non mi sarei mai aspetta che fossi così dolce» ridacchiai e il suo pollice mi solleticò una guancia.
«Sono un ragazzo ricco di sorprese» sghignazzò e appoggiò di nuovo le mie labbra sulle mie per il bacio della buonanotte. Quando le nostre bocche si staccarono, Dario sospirò ed era sul punto davvero di salutarmi, ma gli impedii di parlare sfiorandogli le labbra con l'indice.
«Perché non sali da me?» gli proposi e lui si stupì di quella mia richiesta.
«Ma c'è tua madre a casa. E il gremlin che se mi vede nel tuo letto altro che pugno. Mi fa a pezzettini» ridacchiò, anche se sembrava davvero spaventato da una possibile reazione di mio fratello.
«Smell è tutto fumo e niente arrosto» lo tranquillizzai intrecciando le dita con le sue.
«Per forza. L'arrosto se lo sarà sbranato nel giro di due secondi» scherzò e mi venne spontanea una risata, alla quale si unì lui poco dopo. In effetti ne aveva mangiati parecchi di arrosti per diventare così pachidermico. Ancora non capivo cosa avesse trovato Claudia in lui. Insomma, lei era così bella che eclissava completamente col suo splendore quel racchio di Smell, che non era solo brutto ma anche antipatico il più delle volte. Forse era vero il detto L'amore è cieco.
«Comunque, non ti farà nulla e mia madre sembra che ti abbia preso in simpatia» cercai di convincerlo in tutti i modi a rimanere con me.
«Non mi sembra il caso, davvero» sospirò scrollando la testa.
«Ti prego, Dario» addolcii il tono e sfoderai gli occhi da cucciolo bastonato «Ho voglia di passare questa notte con te, tra le tue braccia» mi sporsi verso di lui e mi adagiai sul suo petto, accarezzandogli un fianco «Non vorrai che io passi la nottata a piangere» e via con il senso di colpa. Sapevo che con Dario avrebbe funzionato, era la stessa tattica che avevo utilizzato per convincerlo ad accompagnarmi alla festa di San Valentino.
«Sei subdola, Alice» sbuffò cingendomi la vita «Sai che non resisto quando fai gli occhi dolci»
«Allora sali?» tentai di nuovo e alzai lo sguardo verso di lui e per enfatizzare il tutto sfoderai anche il labbro tremulo.
«Questa è la mia tecnica persuasiva! Non vale!» esclamò, fingendosi offeso.
«E funziona alla grande» aggiunsi io baciandolo a fior di labbra. «Lo so» sospirò, «Andiamo, anche perché sto morendo di sonno» si arrese alla fine, e io gongolai nel mio piccolo per essere riuscita a convincerlo così facilmente.
Scendemmo dalla Mito e mano nella mano entrammo nell'androne di casa mia. Salimmo velocemente le scale e appena vidi la porta del mio appartamento cominciai a cercare le chiavi dentro la pochette. Dario mi abbracciò da dietro e mi scostò i capelli da una spalla all'altra per lasciare una piccola scia di baci lungo il mio collo. Inclinai la testa, rabbrividendo e per un attimo interruppi la mia ricerca.
«Sicura che vuoi solo dormire?» mi sussurrò malizioso.
«Non avevi appena detto di avere sonno?» lo rimbeccai e piegai un braccio all'indietro per sentire sotto le mie dita i suoi capelli morbidi.
«Mi è passato, tutto d'un tratto, ripensandoti con quel completino rosa» si morse il labbro e si fece ancora più vicino a me in modo da strusciare il suo bacino contro il mio fondoschiena «Eri così sexy»
«Sei un caso disperato» tagliai corto e tornai a cercare le chiavi mentre il suo respiro mi solleticava la pelle e le sua labbra infuocavano il mio collo. Dovevo cercare di contenermi, anche se mi risultava difficile con lui che cercava in tutti i modi di provocarmi.
«Non sono Paganini» mormorò «Il bis te lo concedo volentieri».
Ed io avrei accettato con altrettanto piacere – in tutti i sensi – ma non potevo cedere, non in casa mia con mia madre e Smell che dormivano nelle stanze attigue alla mia. Avrebbero sentito tutto e non volevo essere beccata mentre facevamo l'amore. Già mia madre ci aveva scoperti mentre ci trastullavamo, non volevo che vedesse qualcosa di ancora più sconvolgente.
«Direi che uno spettacolo è sufficiente» dissi e mi voltai rapidamente per dargli un fugace bacio sulle labbra.
Dario rimase attonito, continuando a fissare un punto fisso sul muro del condominio mentre io aprivo la porta di casa. Credeva che con le sue doti ammaliatrici mi avrebbe fatto cedere a quella tentazione, ma la mia forza di volontà era più forte del suo sex appeal. Spalancai la porta e mi tolsi le scarpe per non fare rumore rischiando di svegliare quei due. Dario mi seguì, chiudendosi la parta alle spalle e la casa fu inghiottita dal buio. Non vedevo ad un palmo dal mio naso, per cui sarei andata a tentoni fino in camera mia.
«Dario dove sei?» mormorai, guardandomi intorno in cerca della sua sagoma.
«Qui» rispose criptico, adottando il mio stesso tono di voce.
Risposta molto utile.
«Qui dove?» sbuffai e per poco non sbottai.
«Qui» ripeté, infastidendomi.
Puntellai le mani sui fianchi ed esaminai il salotto in cerca della sagoma di Dario, ma sembrava essere stato risucchiato da una voragine buia. Finché, ad un certo punto, non mi afferrò per i fianchi e mi sollevò da terra, caricandomi in spalla con una certa facilità. Soffocai un grido che avrebbe rischiato di svegliare Smell e mia madre e uscì dalle mia labbra un suono simile ad uno squittio.
«Lasciami Dario» bisbigliai prendendolo a pugni sulla schiena.
«Dove cazzo sta la tua stanza?» non mi calcolò e vagò per il soggiorno nemmeno fosse un'anima in pena.
«Mettimi giù» mi imposi e questa volta, oltre ai cazzotti, si aggiunsero anche dei lievi calci sul petto.
Ma nulla sembrava riuscisse a fermarlo. Mi strinse maggiormente a sé, sballottandomi a destra e a manca, rischiando di farmi vomitare tutta la cena. Sbatté più volte contro il tavolinetto e al divano, alternando.
«Ma porca puttana! Come si esce di qui?» alzò di poco il tono, ma cercò comunque di mantenerlo a livelli abbastanza bassa.
«Non ne ho idea» sbuffai. Ormai mi ero arresa e mi lasciai trasportare da lui in giro per tutto il salotto «Forse se mi mettessi giù potrei aiutarti»
«Era una domanda retorica» puntualizzò e la presa sul mio corpo si allentò perché una sua mano andò a tastare la parete in cerca della porta che si affacciava sul corridoio.
Dopo alcuni minuti lo sentii mormorare con tono soddisfatto Bingo, così capii che era riuscito ad uscire dal salotto.
«La mia camera dovrebbe essere davanti a noi» dissi con un filo di voce e in pochi attimi la porta della mia stanza si spalancò.
Fece qualche passo in avanti finché non mi sentii come abbandonata nel vuoto. Stavo cadendo, ma per fortuna ad attutire il colpo c'era il materasso del mio letto. Non ebbi nemmeno il tempo di realizzare di essere scesa dalla sua spalla che me lo ritrovai steso sopra di me. Le sue labbra s'impadronirono immediatamente delle mie e una sua mano percorse la mia coscia, scivolando verso l'incavo del ginocchio, dove si fermò. Sollevò la mia gamba in modo da potersi mettere comodo e far combaciare i nostri bacini. Quando cominciò a muoversi ritmicamente e far strusciare le nostre intimità con un po' troppo malizia, staccai le labbra dalle sue.
«No, Dario, non possiamo» lo ammonii, seria.
«E dai!» mi supplicò lui, accasciandosi su di me e appoggiando il viso sul mio seno «Basta fare piano. Anche se, in effetti, con un amatore come me è ben difficile»
«Stupido» bofonchiai, accarezzandogli la nuca «Ho paura che ci scoprano».
La voglia che avevo di lui era ancora viva in me e non mi sarei mai stancata di accoglierlo dentro di me. Ma non potevo rischiare che uno tra mia madre e Smell ci vedesse in atteggiamenti così intimi.
«Ma figurati» borbottò «E poi le tue tettine mi stanno chiamando. Le sento proprio dire Dario, Dario» la sua voce divenne stridula e il suo indice andò a stringere un mio seno «Non solo loro mi desiderano. Anche qualcuno che sta più in basso».
Era un idiota e proprio per quello non riuscii a trattenermi dal ridere. Piegai la testa in avanti e con qualche difficoltà, gli schioccai un bacio tra i capelli, tornando poi a coccolarlo. Stare così, uno stretto all'altro, era già magnifico di per sé, ma avevo la tentazione di cedere alle sue lusinghe e regalargli quel tanto sospirato bis. Ero combattuta, ma alla fine riuscii a prendere una decisione, anche abbastanza velocemente per i miei standard.
«E va bene!» mi arresi «Ma qualcosa di veloce»
«La parola veloce non può essere associata al fido compagno di Dario» ribatté malizioso.
Ridacchiai, un po' per il nomignolo che aveva dato al suo fratellino, un po' per la barba ispida che mi solleticava il collo.
Il tutto fu un crescendo di emozioni. Il cuore mi batteva all'impazzata e credevo che mi sarebbe venuto un infarto di lì a poco. E non era solo la paura di essere scoperti che mi aveva provocato la tachicardia, ma erano soprattutto i baci passionali di Dario, erano le sue mani che esploravano ogni millimetro del mio corpo nudo, era lui che scivolava dentro di me ancora una volta con delicatezza. Le nostre voce erano flebili e cercavamo in tutti i modi di mantenere un tono di voce sommesso in modo do non farci sentire. Era difficile perché il piacere che provavamo era tanto, impregnava perfino le pareti, era come se riuscissimo a respirarla mescolata all'ossigeno. Ma, comunque, soffocammo i gemiti più acuti, io mordendogli delicatamente una spalla e lui affondano il viso nel mio seno, ovattando la sua voce che, altrimenti, avrebbe rischiato di farci scoprire. Quella seconda volta fu ancora più bella della prima, più travolgente. Non ero più nervosa come lo ero in macchina e tutto mi sembrò più facile e naturale.
Non appena finimmo di fare l'amore, mi andai a dare una sciacquata veloce e indossai il mio pigiama rosa di stoffa leggera. Lui si fece una doccia veloce e si sbarazzò del preservativo usato. Speravo che lo avesse gettato nella pattumiera, sotto il resto dei rifiuti, in modo che nessuno della famiglia Livraghi potesse scoprirlo.

Vestito” solo con un paio di boxer, si stese a fianco a me, abbracciandomi stretta a lui. Il mio letto non era grande, solo una piazza, ma riuscimmo comunque ad incastrarci in un qualche modo. Mi accoccolai sul suo petto e mi lasciai cullare dal suo respiro regolare e dal suo tepore.
«Buonanotte, piccola» mormorò, rimanendo con gli occhi chiusi.
«Buonanotte» risposi, stampandogli un bacio all'altezza del cuore.
Chiusi gli occhi e non seppi dire se mi addormentai per qualche secondo, qualche minuto, qualche ora e nemmeno quanto tempo fosse passato da quando lui mi aveva stretta a sé. Ma quando riaprii gli occhi e li alzai verso il suo viso lo vidi dormire profondamente. Il suo respiro lento e il suo viso rilassato mi diedero un senso di calma assoluto. Senza che riuscissi a trattenermi, quasi spinta da una forza sconosciuta, mi allungai verso di lui e assaporai solo per un attimo le sue labbra che sapevano di vaniglia.
«Ti amo» gli dissi con voce flebile, anche se non mi avrebbe sentito.
Invece, come se avesse realmente udito quelle parole, Dario si strinse ancora di più a me e mi stampò un bacio sulla fonte. Era sveglio, aveva sentito il mio Ti amo ma non aveva detto nulla, nemmeno un sussurro da parte sua. Ma il suo abbraccio e il suo sorriso accennato valsero più di mille parole.
Mi svegliai di soprassalto quando sentii un tonfo provenire dalla cucina. Mi sedetti sul letto e mi guardai intorno spaesata, con gli occhi a mezz'asta che avrebbero volentieri continuato a rimanere chiusi per altre dieci ore di sonno. Misi a fuoco a fatica ciò che mi circondava e intanto mi grattavo la testa, quasi non capissi dove mi trovassi. Dopo alcuni secondi le immagini della sera prima cominciarono a susseguirsi nella mia mente. Prima la cena in quel ristorante d'alta classe, poi noi due, io e Dario, nella sua Mito mentre ci amavamo completamente ed infine il
bis, come lo aveva chiamato lui, in camera mia. Rabbrividii ricordando quei momenti, ricordando le sue mani e i nostri corpi che si fondevano, rimembrando i nostri baci e i nostri ansimi che ancora riecheggiavano nella mia mente. Istintivamente mi voltai alla mia sinistra in cerca di Dario, ma lui non era lì con me. Ebbi paura, in quel momento, quando mi resi conto che non c'era la benché minima traccia di lui. Scattai in piedi con il cuore che mi pulsava nelle tempie e nelle orecchie e afferrai il mio cuscino, annusandolo. Era impregnato di un dolcissimo odore di vaniglia e mi sentii d'un tratto sollevata nel percepire il suo profumo inconfondibile. Sospirai e ancora in pigiama, uscii dalla mia stanza per raggiungere la cucina sistemandomi i capelli alla bell'e meglio con una mano. E lui era lì, seduto al tavolo che scherzava insieme a mia madre, con la camicia bianca della sera prima slacciata, i capelli scompigliati e lo sguardo ancora assonnato. Sorrisi spontaneamente e trotterellai come una bambina a cui sono appena state regalate delle caramelle verso di lui. Mi sedetti sulle sue gambe, distogliendo la sua attenzione dal caffè latte che stava bevendo e dalle chiacchiere di mia madre e adagiai le mie labbra sulle sue. Il bacio fu innocente, sia perché lo avevo colto di sorpresa che per la presenza di mia madre.
«Ma buongiorno, dormigliona» mi salutò baciandomi la punta del naso.
«Buongiorno a te, piccolo mio» mormorai, allacciando le braccia dietro al suo collo e assaporando di tanto in tanto le sue labbra. Il sapore di vaniglia di prima mattina era ancora più stuzzicante e non avrei mai voluto smettere di assaggiare quel gusto dolciastro che mi pervadeva, mi riempiva e di cui non mi sarei mai stancata.
«Ma ciao anche a te, Alice» disse scocciata mia madre, sbattendo la sua tazza sul tavolo per attirare la mia attenzione.
«Oh, ciao mamma, scusa» risposi, un po' imbarazzata per non averla nemmeno calcolata. Forse era un po' brutto da dire, ma quando c'era Dario non riuscivo a pensare altro che a lui. Beh, in verità anche quando lui non c'era. Era il centro dei miei pensieri, il mio sole e io dipendevo dal suo calore, dalla luce che emanavano i suoi occhi.
Mi alzai dalle sue gambe e andai a dare un bacio sulla fronte a mia madre. Poi cominciai a prepararmi la mia solita colazione: un caffè e una ciotola piena di cereali Nesquik, innaffiati da praticamente mezzo litro di latte.
«Dario me lo ha detto» esordì mia madre e per poco non collassai sul pavimento.
Appoggiai la tazzina e la ciotola sul tavolo e mi lasciai cadere pesantemente sulla sedia. I miei muscoli, non appena avevano sentito quelle parole, si erano irrigiditi e sembravo un tocco di legno. Facevo perfino fatica a tenere in mano il cucchiaio per mangiare. Perché cavolo Dario aveva dovuto dirle di quello che era successo? Strabuzzai gli occhi, spaventata e una goccia di sudore, lenta e spietata, mi colò dalla fronte, scivolando lungo la guancia. Lei aveva di sicuro sentito qualcosa e Dario le aveva semplicemente spiegato la situazione. Lo sapevo, dannazione, lo sapevo che non avrei dovuto cedere al suo sex appeal! Ma lui era così tremendamente convincente con i suoi modi di fare sensuali e con quegli occhi a cui non potevo resistere.
«Che, che, che, che» sembrava che mi si fosse incantato il disco. Deglutii a fatica mentre Dario ridacchiava sotto i baffi, mandandomi in bestia. Non solo aveva rivelato a mia madre che non ero più vergine, ma addirittura rideva di me e del mio imbarazzo.
«Che» primo ostacolo separato «co-cosa ti ha detto?» riuscii a completare la frase, ance se con un'immensa fatica.
Mia madre si alzò silenziosa dal tavolo e raccattò le tazze sporche, mettendole nel lavello. Per giunta, solo per farmi stare maggiormente sulle spine, le sciacquò lentamente, insaponandole con una meticolosità snervante.
«Allora?» sbottai impaziente.
Dario si coprì la bocca con una mano per soffocare una risata imminente, invece mia madre sbuffò e scrollò le mani nel lavandino per asciugarle poi con uno straccio.
«Che vuole portarti a Roma» si decise a rispondermi e mi sentii più leggera.
Il respiro tornò regolare così come il battito cardiaco. Mi rilassai e scivolai lungo lo schienale della sedia, sorridendo come una cretina. Mia madre si voltò e appoggiò la schiena al lavandino, incrociando le braccia.
«Ma non lo so. Insomma, state insieme da molto poco non mi sembra proprio il caso di farvi andare in vacanza insieme» spiegò pensierosa.
«Signora Elena» prese la parola Dario, ma mia madre lo bloccò subito alzando una mano.
«Togli quel Signora. Mi fa sentire così vecchia» entrambi ridacchiarono. E poi dicevano che suocera e genero non andavano d'accordo. Loro non si conoscevano nemmeno e sembrava che ci fosse già del feeling. Forse perché mia madre aveva un debole per i ragazzi affascinanti, dotati di capelli e occhi scuri?
«Elena, le stavo, anzi, ti stavo spiegando prima che saremo a casa dei miei. Per cui non saremmo soli» cercò di convincerla.
«Non è per quello, figurati. Mi fido di te! Sei un bravo ragazzo anche se la tua faccia è un po' da mascalzoncello» si avvicinò a lui e gli fece un buffetto su entrambe le guance.
«E allora quel è il problema?» domandò perplesso, appoggiando il gomito alla sedia. Con quel movimento la camicia si spostò dando a me e a mia madre una meravigliosa visuale del suo corpo. Io rimasi a fissarlo, senza schiodare il mio sguardo da lui e mi mordevo il labbro inferiore, forse alla ricerca del suo sapore mentre mia madre rimase muta, incantata dal fisico asciutto e dai muscoli appena accennati di Dario.
«Non è che potresti abbottonarti la camicia?» lo invitò mia madre, leggermente intimidita «Sai, non vorrei saltare addosso al fidanzato di mia figlia».
Aveva per cosa detto fidanzato? E Dario non aveva replicato in nessun modo, ma si era solo guardato il petto imbarazzato accennando uno Scusa? Arrossii, anche perché non era mai stato ufficializzato nulla tra noi due e immersi lo sguardo nel latte cioccolatoso dentro la mia ciotola.
«È che Alice non è mai stata lontana da casa per così tanto tempo e non mi sono mai separata da lei»
Oh che dolce la mia mamma! Non me lo sarei mai aspettata da lei!
«E poi dovresti chiederlo anche a tu padre» aggiunse «Non credo che ti lascerebbe andare con un ragazzo in vacanza»
«D'accordo» le risposi con un sorriso «E se lui mi darà il permesso, lo farai anche tu?»
Mia mamma ci rimuginò sopra, tornando a sciacquare le stoviglie finché non voltò il viso verso di me, sospirando.
«Okay» acconsentì.
Mi alzai di scatto dalla sedia e mi avvinghiai a lei, baciandole ripetutamente la guancia. Ci tenevo tanto ad andare a Roma con Dario, vedere quella splendida città dalla cui incantevole magia era nato lui. Avrei visto i luoghi della sua infanzia, quello che lo avevano visto crescere e avrei conosciuto le persone che gli erano state accanto. E con le persone intendevo Sole. Ero proprio curiosa di sapere che tipo fosse. Se era bella, brutta, antipatica, dolce. Sapere come e quanto lo avesse amato, se lo avesse fatto nella mia stessa sproposita maniera o ancora di più, se lo amasse ancora.
«Papà è un osso duro da convincere. Sai quanto è geloso, più di tuo fratello. E non dirgli che andrai con un'amica sennò non ci andrai comunque»
Intanto che mia madre borbottava, io era già seduta sul divano con il telefono in mano. Dario mi raggiunse subito dopo, accomodandosi accanto a me e condividemmo la cornetta per ascoltare quello che aveva da dire mio padre. Come al solito, rispose dopo il terzo squillo con la voce pimpante e fin troppo allegro, anche alle nove e trenta del mattino.
«Ti disturbo, papà?» gli domandai subito, sospettando che fosse già in ufficio.
«No, sto bevendo il caffè» rispose «Ma che è successo? Di solito non mi chiami mai a quest'ora»
«Lo so, anche perché di solito sono ancora a letto alle nove e mezzo» ridacchiamo entrambi e Dario mi passò una mano tra i capelli «Ma niente di grave. Volevo solo chiederti una cosa»
«Una cosa cosa?» mi chiese dubbioso «Niente cose compromettenti da scrivere in un fascicolo che manderai alla CIA, eh» e scoppiò a ridere da solo.
Purtroppo il senso dello humor non era il suo forte, nonostante lui si ostinasse a propinare a tutti le sue battute scandalose. Infatti Dario mi guardò con le sopracciglia aggrottate, non cogliendo, come me del resto, il divertimento in quella frase. Scrollai le spalle e lo liquidai con un gesto della mano. Doveva abituarsi a lui perché le perle che riservava per le cene di famiglia erano anche peggiori.
«No, tranquillo papà» ridacchiai, giusto per dargli il contentino «È per una vacanza»
«Oh» disse stupito «Con le amiche? No, perché se è così è una cosa fantastica Alice! Ormai sei grande ed è giunto il momento che tu spicchi il volo, mia cara»
«Lo so, papi. Però credo che il volo non lo spiccherò con le mie amiche ma con il mio...» esitai qualche attimo, riflettendo sulla parola da utilizzare in quel momento «ragazzo» optai per la più semplice, infine.
E dall'altra parte della cornetta cadde il silenzio. Rimasi in attesa di una risposta, che stentò ad arrivare. Mio padre sembrava essere morto a sentire quella notizia, ma un rantolo smentii i miei pensieri subito dopo.
«Allora, papà, posso andare a Roma con il mio ragazzo?»
«Non se ne parla nemmeno!» sbraitò «Ah! Che ti credi che ti mando da sola con il rischio che allunghi le mani su di te?» e lo immaginai scuotere la testa con vigore.
Sospirai rumorosamente. Dario aveva già allungato le mani e anche qualcos'altro ma era meglio tacere quel piccolo particolare.
«Signor Livraghi» prese la parola Dario, con un sorriso sornione «Non saremo soli! Ci sarà tutta la mia famiglia, per cui stia sicuro!»
«E dunque saresti tu il ragazzo che vuole portarmi via la mia Alice»
«Dario, molto piacere!» esclamò divertito. Che poi, cosa ci trovava di così divertente in tutta la questione? «E lei?»
«Signor Livraghi» rispose arcigno mio padre.
Non potevo avere di certo tutte le fortune. Era già tanto se Dario andasse d'accordo con mia madre, ma farlo accettare dall'uomo della famiglia sarebbe stato difficile. Era sempre stato di una gelosia morbosa sia con me quando giocavo da piccola con i bambini maschi al parco che con mia madre. Era stata proprio quella la causa della rottura dei miei. E Smell aveva preso quell'odioso lato del carattere da mio padre, sfortunatamente.
«D'accordo» sospirò Dario, passandosi una mano tra i capelli «Comunque, se vuole, posso dimostrarle di essere in buona fede. Magari istallo delle telecamere in casa mia e le mando i filmati»
«Fa' poco lo spiritoso Diego!» lo ammonì mio padre. Ovviamente non si ricordava il suo nome, come suo solito. E non perché avesse problemi mnemonici ma perché non lo aveva nemmeno ascoltato mentre gli diceva il suo nome.
«Mi chiamo Dario» puntualizzò «E la mia proposta era veramente valida»
«Valida o non valida la mia risposta è no!» ribadì brusco.
«La prego, signor Livraghi, le prometto che starò buonino, buonino» intenerì la voce come se così sarebbe riuscito ad addolcire mio padre.
«Ti prego papino, ti prego, ti prego, ti prego!» mi aggiunsi anche io.
Lo sentii sbuffare e incrociai le dita. Ero pur sempre la sua bambina e non avrebbe resistito a lungo alle mie suppliche.
«Ma non l'ho nemmeno mai visto...»
«Non sa che si è perso» gongolò Dario e io gli diedi un pizzicotto sulla coscia facendolo mugolare per il dolore.
«Come posso fidarmi di lui?» aggiunse, senza nemmeno considerare l'affermazione presuntuosa di poco prima.
«Ma puoi fidarti di me, papà!» esclamai «non ti ho mai deluso e non lo farò mai. Ti supplico, anche in ginocchio se vuoi, fammi andare con lui!»
«Mamma che dice?»
E quando faceva quella fatidica domanda la sua risposta sarebbe stata Sì. Sorrisi, saltellando sul divano come una scema sotto lo sguardo attonito di Dario.
«Mi ha dato il permesso»
«E va bene!» si arrese «Quando partite?»
«Dopodomani» rispose per me Dario.
Rimanemmo ancora una decina al telefono per ascoltare mio padre inveire perché il giorno della partenza era troppo vicino, ma né io né Dario lo ascoltammo. L'importante era che mi avesse dato il permesso di andare a Roma con l'amore della mia vita. Scoppiavo di felicità e la prima cosa che feci, dopo aver chiuso la comunicazione, fu avvinghiarmi a lui e baciarlo, baciarlo senza sosta e appassionatamente, quasi a voler rimanere senza fiato.
«Contenta, piccola?» mi domandò a pochi millimetri dalle mie labbra.
«Felice come non mai» e suggellai quelle parole con un altro bacio «E tu lo sei?».
Dario mi strinse il viso tra le mani e i suoi occhi cercarono i miei. Ci guardammo a lungo, persi ognuno nelle iridi dell'altro. Chissà se lui provava le mie stesse sensazioni quando fissavo i miei occhi, se anche a lui batteva forte il cuore e gli mancava quasi il respiro.
«Mai stato più felice» sussurrò.
Sorridemmo e avvicinammo di nuovo le nostre labbra. Ma proprio quando stavano per unirsi Smell comparì sulla porta sbraitando come un ossesso.
«E tu che cazzo ci fai qui?»
«Sono rimasto a dormire» rispose tranquillamente con uno scrollo di spalle.
«Con mia sorella?» Smell lo trafisse con lo sguardo e serrò i pugni.
«No, mi sono infilato nel tuo letto» disse sarcastico «È chiaro che ho dormito con Alice».
Sul volto di mio fratello si disegnò un'espressione di rabbia e credetti che volesse saltargli alla gola e strangolarlo.
«Non ti è bastata la lezione dell'altro ieri?» ringhiò, diminuendo le distanze e mostrandogli il pugno con fare minaccioso.
«Cos'è, vuoi picchiarmi ancora?» lo provocò Dario, scattando in piedi «Ma sappi che questa volta reagirò e saranno guai seri per te, ciccione!»
«Non credo, perché ti ammazzo prima che tu possa accorgertene!» sibilò duro, spingendolo indietro.
«Si può sapere che problemi hai?»
«Sei uno stronzo, ti basta questo? O vuoi che aggiungo che sei un bastardo, che ha spezzato il cuore di mia sorella e che potrebbe farlo di nuovo» gli rispose con tono duro.
Dario contrasse la mascella e chiuse gli occhi, respirando a fondo e mordendosi un labbro per stemperare la rabbia crescente.
«Ho avuto i miei buoni motivi. Ma ora sono qui e non ho intenzione di farla soffrire di nuovo» ribatté alterato, picchiettandogli con violenza un dito contro il petto.
Rimasi lusingata da quelle parole ma non potevo gongolare troppo a lungo sennò quei due se le sarebbero suonate di santa ragione. Mi alzai anche io dal divano e afferrai Dario per il braccio, trascinandolo lontano da mio fratello. Dovevo cercare di non far degenerare la situazione, per cui abbracciai Dario cercando di infondergli sicurezza e tranquillità e sorrisi a mio fratello.
«Come è andata la cena di ieri sera?» gli chiesi, cambiando così discorso.
Raffaele sospirò pesantemente e abbassò lo sguardo. Scosse la testa con decisione, ma non rispondeva alla mia domanda. Dedussi che non è che fosse stata una gran serata.
«Una merda» disse dopo una lunga pausa «C'è mancato poco che sua madre non svenisse e che suo padre mi uccidesse».
Il mio piano aveva funzionato alla grande. Per ricordare la sera precedente aveva distolto l'attenzione da Dario, anche se si era rattristato tutto d'un tratto. Si lasciò cadere pesantemente sul divano e si prese la testa tra le mani.
«Dio mio, come ho fatto ad essere così incosciente?» domandò più a se stesso che a noi «Come possiamo crescere un figlio? Lei ha solo diciotto anni e io non sono in grado di badare a me stesso, figurarsi un bambino».
Dario, delicatamente, mi allontanò e fece qualche passo verso mio fratello. Si accovacciò di fronte a lui e Smell fu costretto ad alzare lo sguardo per vederlo negli occhi. Lo fissò torvo e lo mandò a quel paese con un gesto della mano.
Senti, so benissimo che tra noi due non corre buon sangue. Ma permettimi di darti un consiglio» fece una piccola pausa e riprese subito dopo, con tono insicuro e tremante «Non far sentire il tuo bambino come un intruso nella famiglia, o peggio, un estraneo. Ha bisogno di amore, tanto tanto amore».
Raffaele lo guardò confuso, aggrottando le sopracciglia.
«Esperienza personale» sospirò amaramente Dario, abbassando lo sguardo «Diciamo pure che sono un errore, esattamente come il tuo bambino. Non mi hanno mai accettato e non ho mai capito il perché. Ma avrei tanto voluto averla una famiglia che mi apprezzasse e che non continuasse a ribadirmi che ero stato solo un disastroso incidente» esitò e prese un respiro profondo. Sapevo quanto soffrisse quando parlava del suo passato, mi ricordavo ancora quando mi aveva raccontato il motivo per cui era diventato gigolò. Era stato fragile in quel momento, troppo fragile così come lo era in quel momento. Mi avvicinai e mi accovacciai accanto a lui stringendogli una spalla e Dario mi strinse forte una mano.
«È per questo che adesso sono così. Così stronzo, così menefreghista. Mi faccio scivolare le cose addosso perché non voglio soffrire, non ancora perlomeno».
Smell sembrò scosso da quelle parole e dal racconto del passato di Dario. Non che avrebbe cambiato opinione su di lui. Stronzo era e stronzo sarebbe rimasto nella sua concezione. Ma, forse, avrebbe cercato di farselo stare simpatico, tutto sommato. O almeno lo speravo anche perché solo mia madre sembrava andare d'accordo con Dario.
«Grazie del consiglio» mormorò Smell «Lo ameremo, il nostro bambino. Anche perché non voglio avere un insopportabile Dario in giro per casa».
I due ridacchiarono e una strana armonia riempì il salotto. Fino a qualche secondo prima volevano pestarsi ed ora erano lì, uno di fronte all'altro a sbattere il pugno contro quello dell'altro e a sorridere sinceri. Un bambino li aveva uniti, un bimbo che ancora era ignaro di tutto e che era stato in grado di riappacificarli.


Eravamo in viaggio da circa due ore e la strada per arrivare a Roma era ancora lunga. Per fortuna, però, il traffico era scorrevole e non c'erano stati intoppi fino a quel momento. Mia madre mi chiamava ogni punto ora per chiedere se stesse andando tutto bene, dove fossimo e quanti chilometri mancassero a Roma. Più di una volta avevo avuto la tentazione di spegnere il cellulare, almeno mi sarei risparmiata lo strazio di sentire mia mamma fare sempre le stesse domande.
Appoggiai la fronte al finestrino freddo e osservai i paesaggi dell'Italia scorrere davanti a i miei occhi. Avevo sempre amato i viaggi in macchina, anche se non ne sapevo il motivo e sapere che Dario fosse con me rendeva il tutto ancora più piacevole. Avrei voluto urlargli in quel momento quanto lo amassi, avrei voluto farlo sapere al mondo intero e avrei tanto voluto che lo facesse anche lui. Ma, molto probabilmente, il suo sentimento non era ancora così forte come il mio, anche se con i suoi gesti e le sue parole mi faceva comprendere quanto tenesse realmente a me. Per cui ero felice così, per il momento e avrei atteso il momento in cui se la sarebbe sentita di aprirmi il suo cuore.
«Che ne dici, ci fermiamo a cenare?» mi chiese.
Guardai l'orologio e realizzai che fossero le venti passate. Il sole non era ancora calato del tutto, ma il cielo cominciava a scurirsi piano piano. Mi stiracchiai come un gatto e sbadigliai sonoramente, comprendendo solo in quel momento che mi ero appisolata.
«Quanto manca?» domandai a mia volta guardando il suo bellissimo sguardo puntato sulla strada. Mi regalò i suoi occhi per alcuni secondi e uno dei sorrisi migliori.
«Poco meno di due orette»
Chiusi di nuovo gli occhi e appoggiai la testa allo schienale. Avrei volentieri dormito per tutto il resto del viaggio ma non potevo ignorare il richiamo del mio stomaco. Gli lanciai uno sguardo ed annuii, massaggiandomi la pancia che necessitava di cibo. Dario ridacchiò e alla prima stazione di servizio si fermò. Fortunatamente era fine Giugno e gli autogrill non erano pieni come durante il mese di agosto in cui era impossibile perfino voltarsi. Riuscimmo, così, ad ordinare due panini e nel giro di dieci minuti fummo fuori, appoggiati alla Mito a mangiare. Mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo, durante il nostro “primo appuntamento” davanti a quello stand che vendeva kebab. Con l'unica differenza che tra di noi non c'era più un rapporto di lavoro, ma qualcosa di ben più profondo. Io lo avevo capito da subito che c'era una strana chimica tra di noi, da quando lui mi aveva stretta a sé in camera mia, quando aveva cercato di baciarmi. E inizialmente, il mio cervello non riusciva ad accettare che mi fossi invaghita di un gigolò presuntuoso e vanesio. Ma, alla fine, aveva vinto il cuore e non potevo che esserne felice.
Diedi un morso al mio panino e mi voltai a guardare Dario che aveva lo sguardo basso e la piadina in mano ancora intatta.
«Che ti prende, piccolo?» domandai accarezzandogli un braccio «Non hai fame».
Alzò gli occhi verso di me e sembrava come se lo avessi svegliato da un sonno profondo. Scosse la testa ed abbozzò un sorriso, rivolgendo una rapida occhiata al suo cibo.
«Mi è passata»
Mangiai l'ultimo pezzo di panino e gettai il tovagliolo in uno cestino vicino. Poi mi avvicinai a lui e lo abbracciai all'altezza della vita, appoggiando il mento sul suo petto con lo sguardo sollevato per poterlo vedere negli occhi. Erano liquidi, due pozze di triste inchiostro nero.
«Ne vuoi parlare?» gli proposi dolcemente.
Dario sospirò pesantemente e si passò varie volte la mano sulla barba ispida. Era chiaro che fosse nervoso, lo percepivo anche dai muscoli tesi sotto le mie mani.
«Roma si sta avvicinando» disse con un filo di voce, alzando lo sguardo verso il cielo «E ho paura».
Ricambiò la mia stretta e affondò il viso nell'incavo del mio collo. Era fragile come un pezzo di cristallo in quel momento, così indifeso che mi sentii in dovere di abbracciarlo ancora più forte, di fargli da scudo da quel mondo che lo aveva ferito troppe volte.
«È da cinque anni che non metto piede a Roma. Cinque lunghissimi anni che non torno nella mia città» riprese a parlare con la voce ovattata dalla vicinanza della mia pelle «Sono scappato da quella vita con tutte le intenzioni di non tornarci. E invece siamo in viaggio verso Roma, verso la mia casa e il mio inferno. Non ho nessuno lì e non so se riuscirò ad affrontare la mia famiglia da solo».
Gli presi il viso tra le mani e lo costrinsi a sollevarsi dalla mia spalla. I suoi occhi erano lucidi, sommersi da una patina acquosa che rendeva quelle iridi ancora più lucenti. Solo una volta lo avevo visto così abbattuto, così triste ed impaurito, quella sera sul balcone quando era scoppiato a piangere tra le mie braccia. E l'unica di cosa di cui aveva bisogno era qualcuno che gli stesse accanto, che gli regalasse affetto e che lo amasse. Quella persona ero io, ero io che dovevo renderlo felice e non lo avrei deluso.
«Tu non sarai da solo perché io sarò al tuo fianco e lo sarò per sempre» lo rassicurai accarezzandolo con i pollici «O almeno, finché tu lo vorrai» aggiunsi con un po' di tristezza.
Dario si morse il labbro, poi abbozzò un sorriso che scacciò, per un attimo, le ombre tristi del suo passato. Mi diede un tenero e timido bacio e appoggiò la fronte sulla mia. I nostri respiri divennero una cosa sola, una sottile ed indissolubile catena univa i nostri sguardi e le nostre labbra si sfioravano in cerca del sapore dell'altro.
«Per sempre, piccola mia» mormorò, accarezzandomi la schiena.
«Lo spero tanto, Dario»
«Anche io, Alice. Anche io»
Mi accoccolai sul suo petto con la sua mano tra i capelli che mi stringeva maggiormente a lui. Se fosse stato per me, avrei vissuto tra le sue braccia per sempre. Era tutto così tranquillo e perfetto quando eravamo abbracciati che, ogni volta che scioglievamo la nostra stretta, era come essere stati svegliati dopo un sogno meraviglioso da cui si voleva rimanere prigionieri per sempre.
Strinsi la sua maglietta e il suo odore di vaniglia penetrò nelle mie narici. Era chiaro che tra di noi non c'era una semplice amicizia, eppure ancora non mi era chiaro chi fossimo noi come coppia. Deglutii a vuoto e presi coraggio. Dovevo fargli quella domanda, togliermi quel peso e capire una volta per tutte.
«Senti Dario» esordii esitante.
Feci una pausa, forse un po' troppo lunga dato che lui mi domandò più volte che cosa ci fosse che non andava. Respirai a fondo e alzai lo sguardo verso di lui.
«Vorresti, ecco vedi, vorresti» compra una vocale Alice. Chiusi gli occhi e parlai velocemente, senza prendere fiato «diventare il mio ragazzo?»
Dario dapprima mi guardò perplesso, poi scoppiò a ridere. Senza nemmeno sapere il perché, mi unii a lui e mi sentii felice nel vederlo così allegro, anche se sapevo che quel momento di pura gioia sarebbe durata poco. Appena avremmo messo piede in casa sua, quella magia si sarebbe dissolta e sarebbe toccato a me riuscire a mantenere vivo un piccolo fuoco di quella magia.
«Che domanda stupida» se ne uscì e mi sentii un tantino offesa «È chiaro che io sono il tuo ragazzo, non c'era nemmeno bisogno di chiederlo!»
Mi scompigliò i capelli con una mano e mi baciò in fronte, stringendomi forte tra le sue braccia. In quel momento sfiorai l'apice della gioia e non solo perché ero ufficialmente fidanzata, come avrebbe detto Facebook, ma soprattutto perché il mio ragazzo era Dario Vitrano e lui era il regalo più bello che il destino avesse potuto farmi.
Serrai i pugni intrappolando la stoffa della sua maglietta bianca tra le mani. Erano già passato sei mesi da quando ci eravamo conosciuti e se ripensavo alle nostre peripezie mi sembrava ancora strano essere in viaggio con lui verso la sua città. Da un semplice rapporto lavorativo era nato qualcosa di così intenso, qualcosa che aveva un nome e che avevo cercato a lungo, l'amore. Forse per lui non era ancora un sentimento così forte, ma ero certa di ciò che provassi io. Lo avevo inseguito così tanto, sicura di averlo finalmente trovato prima in Federico poi in Saronno. E invece lo avevo scovato nell'ultima persona che mi sarei aspettata. Dario, il gigolò che avevo chiamato solo per un capriccio e che mi aveva stregato con i suoi occhi, con il suo modo di fare e con ogni suo gesto.
«È meglio riprendere il viaggio. Caronte e tutto il resto della banda ci aspetta all'entrata dell'inferno» ridacchiò per stemperare la sua tensione, anche se la sua ansia era ancora percepibile.
«D'accordo» acconsentii ed alzai il viso verso di lui arricciando le labbra.
Dario non perse l'occasione e accolse il mio invito a baciarmi. Fu un bacio semplice, ma ugualmente emozionante, senza però quella travolgente passione che, solitamente, ci investiva con la sua potenza come un'onda.
Salimmo in macchina e il resto del viaggio trascorse tranquillo. Lui mi aveva stretto la coscia, accarezzandola ogni vota che ne aveva l'occasione e staccandola dal mio corpo solo per cambiare le marce. I nostri occhi si inseguivano ogni secondo, cercando lo sguardo dell'altro e trovandolo puntualmente. Il suo era qualcosa di magnifico, come sempre. Era come se qualcuno, prima che nascesse, avesse rubato degli stralci di cielo notturno e glieli avesse donati. Gli ultimi chilometri li percorremmo sorridendoci, senza la necessità di dire nulla. Nel silenzio della Mito c'erano molte più parole che avessero potuto essere dette. C'era dolcezza nell'aria, c'era passione, la voglia di sentirci uno dentro l'altro, c'era elettricità che scorreva sui fili invisibili che univa i nostri corpi inscindibilmente.
Erano le dieci passate da qualche minuto quando la splendida città di Roma cominciò a scorrere davanti ai miei occhi. L'avevo sempre vista in foto o alla televisione, sperando un giorno di poter vedere quella città intrisa di magia. E finalmente, un altro mio sogno era stato realizzato. Ero a Roma, nella città eterna, una delle mie città preferite se non quella che prediligevo più di tutte, più di Parigi. Non avrei potuto chiedere di meglio. Avevo Dario al mio fianco, due amiche splendide come Cristina e Claudia ed ero a Roma. La fortuna sembrava aver notato che esisteva anche Alice Livraghi e aveva cominciato a sorridermi.
Svoltammo in alcune strade secondarie imboccando la via di un quartiere facoltoso costeggiato da enormi ville. Dario si fermò davanti ad una di esse, recintata da un cancello di metallo con decorazioni floreali a cui era attorcigliata un'edera di un verde intenso che celava con le sue foglie l'abitazione.
«Eccoci all'inferno» mormorò Dario spegnendo il motore della macchina.
Appoggiai una mano sulla sua e richiamai l'attenzione del suo sguardo che, fino a poco prima, guardava il tappetino.
«Tranquillo tesoro. Andrà tutto bene» lo tranquillizzai con un sorriso «Ci sono io con te».
Lui prese un respiro profondo, poi annuì convinto, stringendo la mia mano nella sua. Ancora quel semplice gesto riusciva a farmi rabbrividire, a scuotermi ed ero sicura che, anche dopo anni, non sarebbe cambiato nulla. Per fortuna perché adoravo quelle sensazioni che solo il contatto con la sua pelle riusciva a trasmettermi.
Aprì la portiera e scese dall'auto ed io feci lo stesso. Scaricò le valigie dal bagagliaio e mi porse la mia – ovviamente un trolley rosa – e lui impugnò il manico della sua. Mi si affiancò e mi strinse la mano con una certa intensità, rimanendo poi a fissare l'inferriata che ci divideva dalla famiglia Vitrano.
«Per me si va nella città dolente, per me si va nell'immenso dolore...» cominciò a decantare, ma lo interruppi scuotendo la testa.
«Eterno dolore» lo corressi. La Divina Commedia era una delle poche cose che aveva catturato la mia attenzione in quattro anni di liceo
«E per fortuna che hai fatto il classico» sghignazzai.
«Umpf» mugugnò con sufficienza «Sai che mi importava di Dante. Preferivo le ragazze a lui»
«Tu pensi troppo alla Iolanda» borbottai.
«Non sono io che cerco le Iolande, sono loro che vogliono me» si pavoneggiò.
Scossi la testa e gli pestai la punta del piede, facendolo piegare dal dolore. Era un idiota patentato e se ci fosse stato il Nobel per la stupidità, lui lo avrebbe vinto ogni anno.
«Aio, ma perché mi tratti sempre così male?» piagnucolò, sbattendo le ciglia folte e nere.
«Perché sei un imbecille» bofonchiai «E mi dà fastidio che hai in mente una sola cosa. Il cervello lo hai nelle mutande»
«Se fosse stato così sarei stato Einstein, viste le dimensioni e la sua ottima funzionalità» di nuovo con la sua spocchia «Ma dai, non c'è da prendertela» mi abbracciò da dietro e si strusciò contro la mia schiena e contro il mio sedere «L'unica ragazza che ho adesso in mente sei tu» mormorò al mio orecchio, strofinando il suo cervello su di me. Già il clima di quella serata di fine giugno era abbastanza afosa, con lui dietro di me e con le sue mani che viaggiavano vogliose sul mio corpo, la temperatura raggiunse picchi troppo elevati. Sentivo talmente caldo che pensavo di squagliarmi da un momento all'altro.
«Facciamo in fretta ad entrare in casa» sussurrò mordicchiandomi il lobo dell'orecchio «Vorrei mostrarti la mia camera» ammiccò.
Non che non volessi fare di nuovo l'amore con lui, ma non volevo che il nostro rapporto diventasse qualcosa di troppo fisico. Lo allontanai con una gomitata e ridacchiai.
«La tua camera la useremo solo per dormire» lo avvisai «Stasera»
«E domani?» mi provocò, accarezzandomi il braccio nudo.
«Vedremo» lo liquidai spicciola, afferrando il manico del trolley e posizionandomi a pochi centimetri dal cancello.
Dario sbuffò e si avvicinò a me. Suonò al citofono e, dopo qualche secondo, una voce maschile, calda quasi quanto quella di Dario, rispose scocciata.
«Sì?»
«Dario» rispose lapidario.
Il cancello scattò con un rumore sordo e, automaticamente, si aprì rivelando un enorme giardino che circondava una grande villa a due piani di un colore giallo pastello. Le finestre erano ampie e, nonostante le tende, poca della luce dei lampadari filtrava verso l'esterno illuminando la piccola veranda vicino all'ingresso. Una stradina di ghiaia, a cui seguiva una scalinata, conduceva ad una porta bianca. Mi sembrava quasi di essere arrivata nel paese delle meraviglie, con tutti quei fiori e quegli alberi che coloravano il giardino.
«Wow» commentai, estasiata «Tu abitavi qui?»
Dario ridacchiò e intrecciò le dita con le mie. Si guardò intorno e mi parve stranamente felice, come se stesse ricordando qualcosa di piacevole.
«È la stessa cosa che ha detto Sole»
O qualcuno.
Sole era sempre nei suoi pensieri ed io dovevo coabitare con lei nella sua mente e nel suo cuore. Il primo amore non si scordava mai e Dario ne era la prova vivente. L'unica cosa che temevo era che quella ragazza occupasse la maggior parte del suo cuore, riservando a me solo un piccolo angolo in cui ero oppresso dal peso dei sentimenti che lui provava per Sole. D'un tratto non mi sentii felice come prima, anzi un peso insopportabile mi si posizionò tra il cuore e lo stomaco, impedendomi perfino di respirare. Quando parlava di Sole sembrava un altro e soprattutto gioioso. Gli occhi gli si illuminavano e un sorriso spontaneo cresceva sulle sue labbra. E mi faceva male perché sapevo che lui provava qualcosa per lei, qualcosa che magari era anche più forte di quello che sentiva per me. Pensando a tutto ciò, mi sentii morire dentro, lentamente e dolorosamente. Io non sarei mai riuscita a prendere il posto di Sole perché lei era unica, unica e irremovibile dal cuore di Dario.
«Piccola, che te sei incantata?» mi domandò sventolandomi una mano davanti agli occhi.
Mi ridestai da quei brutti pensieri e abbozzai un sorriso, giusto per no fargli percepire il mio disagio. Scrollai le spalle e strinsi di più la sua mano, appoggiando la testa alla sua spalla.
«Sono solo stanca» mentii.
Dario mi cinse una spalla e mi baciò tra i capelli, cominciando ad avviarsi verso la porta d'ingresso con me al seguito.
«La mia piccola» disse dolcemente.
Chissà se il chiamarmi piccola era un privilegio oppure aveva usato quel soprannome anche con Sole. Chissà se quando mi baciava, assaporava le mie labbra o cercava il gusto di Sole. Chissà se quando facevamo l'amore pensava a me o credeva di star amando lei. Forse quella di andare a Roma non era stata una bella idea. Lì c'era Sole e non volevo più nemmeno conoscerla perché ero sicura che se Dario l'avesse vista anche solo per un minuto, sarebbe corso da lei, si sarebbe fatto abbracciare da lei e non da me.
Il suono del campanello mi riportò alla realtà, di fronte a quella porta e non davanti ad un'ipotetica e bellissima Sole. Subito quello che ricordavo essere il fratello di Dario aprì l'uscio vestito con una canottiera bianca talmente aderente da mostrare ogni suo muscolo e un paio di pantaloni di una tuta Adidas. Si appoggiò allo stipite e incrociò le braccia. I suoi glaciali occhi azzurri squadrarono prima il fratello, poi si soffermarono su di me. Arrossii quando incontrai quelle iridi azzurre, così diverse da quelle del mio ragazzo, ma che possedevano anch'esse una strana magia.
«Alla buon'ora» commentò con un sorriso sghembo «Pensavo che non sareste venuti. Non che mi sarebbe dispiaciuto. Questi cinque anni lontani da te sono stati davvero fantastici»
«Oh sì, anche tu mi sei mancato Mauro» ribatté e assottigliò lo sguardo.
«E, stranamente, con te c'è anche manico di scopa» e i suoi occhi di ghiaccio si posarono su di me, una stupida ragazzina intimidita dal suo sguardo «Com'è che non l'hai ancora lasciata dopo tutto questo tempo?»
«Sono appena arrivato e già mi rompi il cazzo» borbottò Dario, stizzito.
«È il mio sport preferito» lo provocò Mauro «E non hai risposto alla mia domanda» gli ricordò con sufficienza «Non hai ancora finito la lista di giochetti erotici da fare con lei?».
Dario serrò i pugni e il suo sguardo si indurì. Quella non era una semplice battuta, ma un'allusione a qualcosa che io non sapevo. Guardai confusa il mio ragazzo che rimaneva in silenzio e sembrava volesse intraprendere una rissa con suo fratello. C'era odio tra quei due, ma non come quello che c'era fra me e Smell. Un odio profondo, radicato in fondo all'anima e non mi spiegavo da cosa era dovuto.
«Smettila con questa storia» scandì ogni parola con rabbia, puntando un dito contro Mauro che sorrideva sadicamente.
Dario mi strinse di nuovo una mano e, dopo aver scansato con una mano suo fratello, mi trascinò nell'ampio soggiorno di casa sua.
«Oh, el
señorito è arrivato!»
Una donna corpulenta di chiare origine sudamericane comparve dalla cucina e ci venne incontro con le braccia spalancate. Dario lasciò la mia mano e la valigia e le corse incontro, abbracciandola e affondando il viso nel seno prosperoso di quella signora.
«Consuelo!» esclamò, sbaciucchiandola ovunque.
«Basta!» ridacchiò «Me soletichi tutta con todas esta barba»
Il mio ragazzo si passò una mano sul viso e gongolò.
«Mi sta bene, 've?»
«No» rispose risoluta la donna «Pari un vagabundo. Eri ragazzo così hermoso» sospirò lisciando le pieghe della gonna.
«Perché, non sono più hermoso?» domandò offeso il mio ragazzo.
Consuelo piegò gli angoli della bocca e scrollò le spalle, come a farci intendere che non lo riteneva più così bello. Dario sgranò gli e spalancò la bocca, fingendo stizzito, poi scoppiarono a ridere, abbracciandosi ancora una volta. Non sapevo chi fosse quella donna ma sembrava l'unica che lo avesse a cuore.
«Papà e Nicoletta?» domandò.
«Tuo padre è di turno mentre la senora è uscita con le amiche»
Dario annuì e sospirò. Poi si voltò verso di me e mi sorrise.
«Ah, Consuelo! Lei è la mia ragazza» mi indicò ed io feci un passo in avanti, intimidita.
«Alice» mi presentai e lei mi afferrò la mia.
Mi guardò a lungo, quasi mi stesse esaminando, poi scosse la testa quasi con disapprovazione.
«Es muy delgada» disse e poi aggiunse la traduzione quando vide le nostre facce confuse «Muy magra. Rayo de Sol era così hermosa» sospirò.
Intuii che Rayo de Sol fosse Sole. Anche lei pareva preferire quella a me. Sorrisi, comunque, anche se tutte quelle parole mi stavano distruggendo piano piano.
«Anche Alice è hermosa» intervenne Dario e mi baciò a fior di labbra.
«Oh, sì!» esclamò, annuendo «Ma ci vorrebbe muy carne sulle huesos!» e mi pizzicò i fianchi «Ce penserò yo con mis platos».
«Oh no, Consuelo, ti prego, non vorrai che diventi un capodoglio come Sole»
Mauro ci arrivò alle spalle e si sedette sul divano. Nonostante le mie scarse conoscenze di biologia marina, sapevo che il capodoglio non era proprio una animale di piccole dimensioni. Perciò l'immagine di Sole che mi ero fatta mutò all'improvviso. Un po' più morbida, ma ugualmente bella.
«Che cazzo c'entra adesso Sole?» sibilò Dario, girando attorno al divano e raggiungendo suo fratello.
«Non ti scaldare» ridacchiò Mauro allargando le braccia e appoggiandole sullo schienale del divano «Si fa solo per scherzare»
«No, tu non scherzi. Ti diverti solo a veder soffrire la gente» lo aggredì Dario.
«Parli di me o di te?» lo provocò il fratello.
L'unica cosa che potevo fare era rimanere a guardarli mentre litigavano, non capendo le continue allusioni di Mauro. Quella che doveva essere una bella vacanza con Dario si stava trasformando in un incubo dal quale volevo svegliarmi presto.
«Non ti ha raccontato di Sole?» si rivolse a me con un sorriso sghembo.
«Mi ha accennato qualcosa» mormorai e mi strinsi nelle spalle.
«Ti ha detto che è stato l'amore della sua vita?» mi chiese con uno sguardo troppo furbo per i miei gusti. Annuii, confusa e dubbiosa al tempo stesso. Mauro scoppiò a ridere e si alzò dal divano facendo qualche passo verso di me. Dario, però, fu più veloce di lui e mi afferrò per un polso trascinandomi verso le scale e lasciando lì le valige.
«Scappi?» chiese retorico Mauro.
«Tu non sai un cazzo! E non ti permetterò di rovinare tutto!» sbraitò il mio ragazzo, cominciando la rampa di scale.
«Tanto prima o poi saprà la verità» esclamò Mauro per farsi sentire da noi che eravamo quasi al secondo piano. La verità? Che cosa intendeva con quel discorso? Lanciai un'occhiata curiosa al mio ragazzo che però si limitò solo a scuotere la testa.
«Buonanotte Alice!» disse suo fratello e mi sorprese il fatto che ricordasse il mio nome «E stai attenta. Non è come credi».
E dopo quella affermazione strattonai il braccio liberandomi della presa di Dario. Incrociai le braccia e lo guardai sospettosa.
«Cos'è questa storia?» domandai.
«Non ascoltare quello che dice mio fratello» sospirò Dario, passandosi una mano tra i capelli.
«Quale verità? Cosa non mi hai detto?»
«Alice, io non ti ho nascosto nulla!» tentò di convincermi.
I suoi occhi erano tornati ad essere tristi come nel parcheggio dell'autogrill e mi si spezzò maggiormente il cuore nel vederlo così. Ma Mauro perché avrebbe dovuto dire quelle cose, se non perché sapeva qualcosa che Dario non mi aveva detto?
«Per favore, Dario! Siamo appena arrivati a Roma e già mi viene da piangere. Ma non voglio che accada! Voglio che sia una vacanza piacevole, godermi questi giorni con te» dissi al limite della sopportazione «Per cui dimmi che cosa mi nascondi»
«Questo è il nostro momento Alice e non voglio che Mauro lo rovini. Per cui, non ascoltarlo» quasi mi supplicò e mi strinse le spalle «Tutto quello che avevo da raccontarti te l'ho raccontato. Devi fidarti di me! Non ti ho mentito e non lo farò perché non voglio perderti».
No, la vacanza non era iniziata con il piede giusto. Prima Sole, poi le parole di Mauro. Ed eravamo a Roma da nemmeno un'ora. Ma come potevo non fidarmi dei suoi occhi? Erano liquidi, erano lucidi ed erano sinceri. Sospirai rumorosamente e mi abbandonai nel suo abbraccio.
«Mi fido di te Dario» mormorai e unii le mie labbra con le sue.
Non esitammo nemmeno un istante e le nostre lingue entrarono in contatto, troppo vogliose di incontrare quella dell'altro. Era vero, mi fidavo di lui e delle sue parole. Eppure la voce di Mauro continuava ad aleggiare nella mia mente insieme all'ombra di Sole e tutte le mie sicurezze cominciarono a vacillare.











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Ma buon pomeriggio a tutte mie carissime!
Eccomi con il nuovo capitolo! Direi di andare in ordine con i commenti, come al solito, così non rischio di perdermi per strada.
Il capitolo si apre decisamente bene, direi. Alice e Dario sono molto felici insieme e la loro prima volta li ha uniti ancora di più. La più presa dei due sembra Alice che addirittura lo invita a salire in casa perché ha bisogno di lui, di sentirlo vicino a lei. Si è proprio innamorata la nostra piccola. Però anche Dario è molto preso da Alice, ormai è chiaro anche ai muri che prova qualcosa di molto forte per lei :)
I genitori di Alice li trovo esilaranti entrambi. Il signor Livraghi aveva fatto una sola apparizione fino ad adesso ma eccolo rispuntare via telefono. Mi sono divertita molto a scrivere il dialogo tra lui, Alice e Diego...ehm...volevo dire Dario! È geloso quasi quanto Smell, ma alla fine decide di mandare la sua figliuola insieme a Dario a Roma ♥.♥
A proposito di Smell! Anche lui ha la sua piccola parte nel capitolo. È spaventato dalla gravidanza di Claudia, soprattutto dopo essere stato a cena con i suoceri. Lui la ama, ma di certo non voleva un bebè così presto anche perché lei non è nemmeno uscita dal liceo mentre lui non ha uno straccio di lavoro. E cè un momento in cui Dario e Raffaele vanno d'accordo, quando il caro Vitrano apre il suo cuore anche a Smell ricordando il suo passato. Come il figlio di Claudia e Raffaele, lui non era voluto. Ma l'importante è dare tanto tanto amore ad un bambino, farlo sentire parte della famiglia :)
Ed eccoli che partono per Roma. Di nuovo ritroviamo il Dario fragile che ha paura di tornare a casa sua, dai suoi genitori. E qui c'è una sorta di promessa d'amore tra i due che io trovo molto molto romantica. Senza dimenticare il fatto che adesso sono ufficilmente fidanzati, anche se Dario già la considerava la sua ragazza.
Ma, la felicità che permea la prima parte del capitolo, svanisce non appena arrivano nella città eterna. L'ombra di Sole, la ex fidanzata di Dario, aleggia tra quelle vie e Alice ha paura che lui non la ami abbastanza, che preferisca ancora Sole a lei. Poi si aggiunge anche Mauro, uno dei nuovi personaggi che vi avevo annunciato. Io sono follemente innamorata della stronzaggine di questo ragazzo! E non avete ancora visto niente. Per ora ha solo messo la pulce nell'orecchio ad Alice, ma bisognerà stare attenti a questo affascinante ragazzo.

Bien, ho finito di blablare senza senso xD

Direi di passare, come la solito, ai ringraziamenti. Un grazie alle 15 splendide ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo (ad alcune ho risposto, per le altre mi dispiace ^^ vedrò di rimediare). Grazie alle persone che hanno messo la storia tra le seguite, preferite, ricordate e a chi legge solamente. Grazie alle ragazze che mi sostengono su Faccialibro e grazie a Nessie ed Ionarrante. Senza il loro aiuto sarei perduta.

Poteva mancare la pubblicità? Certo che no! Eccola qui, per vostra gioia xD

Come in un Sogno - con IoNarrante
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Un bacione e grazie mille a tutti ♥

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Capitolo 23
*** Temporale estivo ***






Video-trailer

C a p i t o l o 22

Temporale estiv
o
betato da nes_sie


Era strano svegliarsi in un letto che non fosse il mio, in una camera che non aveva le pareti rosa e in una casa che era il quadruplo della mia. Sbadigliai sonoramente e mi misi a sedere sul letto, stiracchiandomi come se fossi un gatto. La sera precedente, appena arrivati a Roma, era stata un disastro. Speravo solo che tutto sarebbe andato per il verso giusto, che le cose si sarebbero tranquillizzate e che Mauro si facesse una siringa di cavoli suoi. Non eravamo nemmeno arrivati che già aveva iniziato a rompere le scatole a Dario e ad insinuare in me dubbi che non sapevo se fossero reali o meno. Ma dovevo fidarmi di Dario, o almeno provarci. Perché avrebbe dovuto mentirmi se teneva veramente così tanto a me? Non aveva alcun senso! E poi mi ero ripromessa che avrei vissuto questa storia senza paranoie, per cui non dovevo pensare né alle parole di Mauro né a Sole.
Mi grattai in testa ancora assonnata e afferrai il cuscino di Dario, stringendolo forte e annusando il suo profumo di vaniglia. Appena sveglia avevo la necessità di inebriarmi con il suo profumo e poiché lui era andato a lavoro, molto probabilmente, mi sarei accontentata del suo cuscino. Anche se, in verità, mi sarebbe piaciuto sentire il suo calore sul mio corpo, come era successo quella notte che avevamo dormito stretti l'uno all'altra.
Mi alzai di malavoglia dal letto e mi soffermai a guardare la camera di Dario. La sera precedente non avevo nemmeno avuto il tempo e la mente di focalizzarla. Sembrava così lontana dal ragazzo che avevo conosciuto, con tutti quei poster di donne semi svestite appese ai muri. Era più la camera di un adolescente, di un Dario adolescente che aveva passato gran parte della sua giovane vita rinchiuso nella sua stanza, magari a piangere perché la sua famiglia non riusciva ad accettarlo.
Scossi la testa e mi avvicinai al primo poster, quello sopra alla scrivania. Mi davano fastidio quelle battone appese ai muri con le poppe rifatte al vento. E speravo proprio che Dario non volesse tenerli, tanto c'ero io e non aveva bisogno di auto soddisfarsi come faceva da giovane. Tolsi lo scotch dagli angoli e lo staccai, trovando nascosta dietro quel poster una foto. La afferrai, cercando di non rovinarla con uno strappo troppo violento e la osservai a lungo. Ritraeva una ragazza con dei buffi capelli a cespuglio, un paio di occhiali dietro i quali due occhi color perla guardavano spaesati l'obiettivo della macchina fotografica. Era paffuta e bellissima, nonostante non avesse nemmeno un filo di trucco o i capelli in ordine. La voltai e, in alto, c'era scritto qualcosa. La calligrafia era quella di Dario, ne ero più che certa.

Sole ♥
Una fotografia rubata alla ragazza che mi ha rubato il cuore.

Finalmente Sole ebbe un volto nei miei pensieri. Era bella, come immaginavo, ma la cosa che più mi feriva era leggere quelle parole dietro la foto. Strinsi i bordi di quella foto e mi venne voglia di strapparla in pezzettini minuscoli, ma per un qualche motivo mi trattenni e la riattaccai al muro, nascosta dietro al poster della tettona.
Serrai i pugni e mi voltai analizzando tutta la stanza. C'erano ancora un sacco di poster e di sicuro tutti celavano dietro di loro una foto di Sole. Mi avvicinai a quello accanto alla porta e lo sollevai. Come sospettavo c'era un'altra fotografia, ma questa volta erano stati ritratti entrambi. Sole aveva un braccio allungato per scattare la foto e Dario le stringeva una spalla. Quello che mi colpirono furono i suoi occhi neri completamente rapiti da Sole. La guardava come non aveva mai fatto con me, con così tanto amore che mi sentii mancare... sentii chiaramente il mio cuore lacerarsi. La voltai e anche lì Dario aveva scritto qualcosa.


Il compleanno di Sole.
La prima fotografia scattata con la Canon Reflex D500.
Sole+Dario ♥


Faceva tanto “ragazzina delle media stracotta del figo di turno” ed era anche abbastanza esilarante come cosa. Peccato che non avessi nessuna voglia di ridere, solo di piangere. La nascosi di nuovo dietro al poster e rimasi a fissare la parete. Dovevo solo ripetermi che quello era il passato, che Sole era il suo passato ed io il suo presente.
«Non sapevo che ti piacessero le ragazze» una voce maschile attirò la mia attenzione e mi voltai verso la porta dove il mio sguardo incontrò quello glaciale di Mauro. Era già vestito di tutto punto, con un completo grigio, una camicia azzurra e una cravatta scura. Era bello, era dannatamente sensuale, ma era uno stronzo. Un gran bastardo che aveva fatto soffrire il mio Dario. Solo per quel motivo lo odiavo dal profondo del cuore e solo la sua presenza mi infastidiva.
«Volevo solo toglierli» tagliai corto e distolsi lo sguardo da lui.
«Vuoi una mano?» domandò facendo qualche passo verso di me.
«No, grazie. Aspetterò Dario» risposi senza nemmeno fissarlo negli occhi.
«Come vuoi» disse lui alzando le mani «Ma non guardarti troppo in giro. Chissà, potresti scoprire che persona è realmente Dario».
Seppure quelle parole mi avessero colpita nel profondo, cercai di non darlo a vedere a Mauro. Alzai lo sguardo indignata verso di lui e scossi la testa.
«So perfettamente chi è Dario» dissi sicura.
«Lo conosco da più tempo di te. So di cosa parlo» ribatté lui, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Perché mi dici tutte queste cose? Non ti conosco nemmeno e non voglio avere nulla a che fare con te».
Mauro scrollò la spalle e sorrise sornione.
«Oh, beh, tanto lo scoprirai da sola»
«Che cosa dovrei scoprire?» domandai scocciata incrociando le braccia.
«Me lo dirai tu, appena la verità verrà a galla» disse solamente, poi sparì dalla stanza.
Con uno scatto che stupì anche la sottoscritta, mi precipitai fuori dalla stanza e mi attaccai alla ringhiera guardando Mauro al piano di sotto prendere la sua valigetta, salutare Consuelo e uscire di casa. Perché doveva mettermi a tutti i costi la pulce nell'orecchio? Perché doveva per forza rovinare la vita di suo fratello? Perché non riuscivo a farmi scivolare addosso le sue parole?
Rientrai in camera, richiudendo la porta e appoggiandomici sopra. Avevo il respiro corto, eppure avevo fatto solo qualche passo. Avevo sempre desiderato vedere Roma, ma tutta la sua magia si stava piano piano dissolvendo. Eravamo lì da nemmeno ventiquattro ore ed io sentivo la nostalgia di casa, nostalgia di noi due a Milano senza l'opprimente peso di Mauro e Sole che mi impedivano perfino di respirare
Mi vestii rapidamente, togliendomi il mio pigiama improvvisato, ossia un paio di calzoncini e la maglietta di Leonardo Sogno che mi aveva regalato mio fratello per il compleanno e scesi le scale lentamente, raggiungendo con la stessa andatura la cucina. Consuelo era indaffarata tra pentole e tazzine, mentre i signori Vitrano erano seduti ai capi opposti della tavola. Lui leggeva quella che sembrava una cartella clinica mentre la signora, con i capelli raccolti e una vestaglia di seta color lavanda, leggeva il giornale.
«Buongiorno» dissi intimidita.
«Hola» Consuelo fu la prima a salutarmi, nonostante fosse tutta presa a cucinare.
Il signor Vitrano, che mi ricordavo dovesse chiamarsi Salvatore, alzò i suoi occhi azzurri dal fascicolo e mi sorrise, facendo ricadere gli occhiali lungo il petto.
«Ma buongiorno anche a lei, signorina!» esclamò con un sorriso bonario stampato in viso.
Si alzò dalla sedia e si avvicinò a me per abbracciarmi e darmi due baci sulle guance. Mi stupì quel suo atteggiamento ed ebbi la sensazione che non fosse una persona malvagia, anzi, era molto paterno, anche con me che ero una sconosciuta.
«Salvatore, semmai non ti ricordassi di me» disse.
«Mi... mi ricordavo di lei» risposi imbarazzata «Io sono Alice»
«Molto piacere. E dammi del tu, mi raccomando» mi puntò un dito contro e ridacchiò, tornando poi alla sua cartella clinica «Sei la ragazza di mio figlio. Ormai fai parte della famiglia Vitrano».
Sorrisi imbarazzata e mi strinsi nelle spalle. Rimasi immobile davanti al tavolo della cucina, senza sapere che fare o cosa dire, totalmente in soggezione sia perché mi trovavo in casa di estranei, ma, soprattutto, per lo sguardo della signora Vitrano che si alzava ripetutamente dal giornale per squadrarmi come se fossi venuta da Marte. Aveva lo stesso colore degli occhi di Dario, ma erano privi di quella luce che rendeva così particolari e belli quelli del mio ragazzo.
«Siediti pure» disse Salvatore indicando una sedia vuota «La colazione di Consuelo è davvero eccezionale».
Accettai il suo invito e mi accomodai, guardando in un punto fisso ed indefinito davanti a me.
«Buongiorno» si decise finalmente la donna, ripiegando il suo giornale e appoggiandolo accanto a lei.
Prese il manico della sua tazza e se la portò alle labbra, sorseggiando quello che sembrava caffè e latte. Intanto Consuelo mi servì la colazione: dei pancake ricoperti da nutella, un succo di frutta all'arancia e un tazza di cappuccino. Molto probabilmente aveva attuato il piano: fai diventare Alice obesa.
«Come è andato il viaggio?» mi domandò Nicoletta, distaccata.
«Bene» risposi, tagliando un pezzo di pancake.
La signora annuì e si sistemò la vestaglia di seta. Poi tornò guardarmi, a squadrarmi con quelle iridi scure che avrebbero messo in soggezione perfino Chuck Norris.
«L'altra volta non abbiamo avuto il piacere di conoscerci» disse, senza però un reale interesse nei miei confronti, quasi se fosse stata obbligata a parlare con me «Che scuola frequenti, Alice? Dato che andrai ancora al liceo, suppongo. Se non alle medie» alzò entrambe le sopracciglia e mi guardò con sufficienza. Quella era una frecciatina, ne ero più che sicura, e non rivolta a me, ma a Dario.
«Quest'anno frequenterò l'ultimo anno di liceo scientifico» dissi fiera di me.
«E che media hai?» mi chiese a bruciapelo ed io rimasi per qualche attimo interdetta. Farfugliai qualcosa e mangiai un pezzo di pancake per posticipare il più possibile la mia risposta. Non ero una capra, ma non brillavo per intelligenza.
«Del sette e mezzo» dissi imbarazzata.
Nicoletta rimase imperturbabile. Si sistemò la crocchia e bevve un altro sorso di caffè-latte. Quella donna era inquietante e non ne capivo il motivo. Forse perché sembrava la signorina Rottermaier dieci volte più severa di quell'arpia.
«Beh, un po' bassa» commentò brusca «Ma sempre meglio di quella di Dario. Non che ci volesse molto».
Non capii il motivo per cui Nicoletta avesse messo in mezzo Dario che non c'entrava nulla nel nostro discorso. Mi sorprese il tono di disprezzo che usò per dire quelle parole e iniziai a capire come avesse potuto sentirsi Dario in un clima come quello. Spostai lo sguardo sul signor Vitrano e notai i suoi occhi pieni di disappunto posati sulla moglie, quasi si fosse offeso per le parole rivolte al figlio.
«E i tuoi genitori che lavoro fanno?» chiese spostando lo sguardo torvo dal marito a me.
«Mia mamma è avvocato e mio padre lavora in banca» risposi con timore.
«Almeno non sei una pezzente come Sole» commentò quasi disgustata, controllandosi le unghie «Era talmente sciatta quella ragazza. E non sapeva nemmeno nutrirsi. Sempre a strafogarsi di schifezze ipercaloriche, e i risultati si vedevano».
Capivo da chi avesse preso Mauro: era la copia sputata di sua madre. Ogni sfumatura del suo carattere la stavo ritrovando mano a mano anche in Nicoletta, e rabbrividii al solo pensiero che avremmo dovuto passare lì più di un mese. Mi chiesi cosa c'entrasse Dario in quella famiglia. Sembrava che lui fosse nato da un'altra donna, fosse cresciuto in un'altra casa perché un ragazzo splendido come lui non poteva appartenere ad un girone infernale colmo di dannati come lo era l'abitazione dei Vitrano.
«Non che tu abbia molta classe» continuò la sua critica soffermandosi sulla mia semplice canottiera con le spalline fini gialla «Ma comunque... cosa vorresti fare nella vita? Spero proprio che non prenderai esempio da quel nulla facente del tuo ragazzo»
«Dario non è un nulla facente» sbottai. Poteva criticare me, poteva anche offendermi, ma non poteva permettersi di mettere in mezzo il mio Dario «Ha un ottimo lavoro a Radio Deejay» le ricordai.
«Capirai» borbottò lei «Ha venduto il suo negozio per andare a fare uno stupido lavoro. Non ha mai avuto voglia di fare nulla quel ragazzo. È già tanto se non si è prostituito» la buttò lì con una certa disapprovazione e sgranai gli occhi. Quella ipotesi campata per aria che l'aveva fatta inorridire era la pura e semplice realtà. Lui era stato un gigolò e parte della colpa era loro. Non tutta, perché anche Dario ci aveva messo del suo per non costruirsi un futuro solido. Ma se solo gli fossero stati accanto, se solo fossero stati una famiglia molto probabilmente non sarebbe arrivato a vendere il suo corpo. Ridacchiai nervosamente per mascherare il mio disagio e tornai a mangiare i pancake, divorandoli nel giro di poco tempo, ingozzandomi quasi.
«Non hai risposto alla mia domanda, comunque» mi fece presente.
In realtà quella era la prima volta che pensavo a cosa volessi fare nella vita. Ero talmente presa dai miei problemi di cuore che avevo dimenticato persino di essere ad un passo dalla maturità e che l'università mi attendeva.
«Non lo so, sinceramente» risposi in imbarazzo «Ma di sicuro nulla che abbia a che fare con matematica, fisica e tutte le materie scientifiche. Non fanno per me»
«Ed hai scelto un liceo scientifico» sospirò e scosse la testa sconsolata.
Certo la mia non era stata una decisione saggia. Quando frequentavo le medie volevo diventare un medico, ma subito al primo liceo avevo cambiato idea. E vedendo la signora Vitrano e suo figlio la scartai, la cancellai dalla liste delle possibili facoltà. Non volevo diventare una donna insensibile e senza cuore.
«Està per iniciàr el programa del señorito» Consuelo interruppe quel colloquio non proprio piacevole la ringraziai mentalmente. La donna si spostò nell'ampio salone e andò ad accendere lo stereo. La voce di Dario riempì la casa, ma non fui in grado di gioire nel sentirlo. Tutta colpa di quelle foto che avevo visto e per le parole di Mauro. Andai anche io in salotto e, non appena abbandonai la cucina, sentii una sedia strisciare per cui mi fermai proprio vicino alla porta.
«Se tu non metti in mezzo tuo figlio non sei felice» disse Salvatore contrariato.
«Quel ragazzo è un fallito» rispose sprezzante la moglie.
«E parte della colpa è tua che non lo hai mai accettato» la rimproverò e mi sarebbe piaciuto agitare dei pon pon colorati per un po' di supporto.
«Lo sai il perché» sibilò Nicoletta alzandosi anch'essa dal tavolo.
«No, non lo so, in verità» ci fu una lunga pausa, poi il signor Vitrano ricominciò a parlare «Nemmeno io lo volevo, se è per questo. Ma è mio figlio e non lo abbandonerei mai come hai fatto tu»
«Ma sentilo!» esclamò la moglie «Tu sei il primo che lo ha lasciato a se stesso. È stato cinque anni lontano di casa e non ti è fregato nulla. Quando è successo quell'incidente alla nipote di Campanella tu sei stato il primo a voltargli le spalle» gli rinfacciò con rabbia «Quindi non fare il santarellino. Anche tu hai le tue colpe»
«Mi ha quasi rovinato la carriera. Solo per quello mi sono arrabbiato con lui. Ma mi sembra che chi lo abbia chiamato ogni sera fossi stato io»
«Che grande sforzo» ribatté Nicoletta alterata «A te avrà quasi rovinato la carriera, ma a me ha rovinato la vita».
Fu l'ultima cosa che sentii perché mi allontanai, sedendomi pesantemente sul divano. Non era stata affatto una buona idea quella di origliare. Suo padre sembrava l'unico che si interessasse a Dario, ma forse era solo apparenza dato che aveva anteposto la sua carriera a suo figlio. Mentre l'odio sella signora Nicoletta era palpabile e non riuscivo a capirne il motivo. Che tanto non avrei mai capito, perché nessuno mi avrebbe concesso l'onore di saperlo.
Mi abbandonai sbuffando allo schienale e chiusi gli occhi. Le tempie mi pulsavano e mi faceva male la testa. Troppi dubbi, troppe domande, troppe immagini, troppe parole.


Il pomeriggio trascorse tranquillo. Passai qualche ora al telefono con Claudia e Cristina che avevano voluto che raccontassi loro tutti i particolari della mia prima volta. Ed io le avevo accontentate, con un po' di imbarazzo. Poi uscii con Dario e andammo a mangiare un gelato insieme. Non gli dissi nulla, né delle foto che avevo trovato dietro i poster, né del dialogo che avevo avuto sia con Mauro che con sua madre. Era stata un'uscita strana. Entrambi fingevamo di essere felici, ma nessuno dei due in realtà lo era, per motivazioni diverse.
Cominciai a prepararmi per scendere a cena, anche se non riuscivo a distogliere lo sguardo dai poster appesi alle pareti. Sole era ovunque. Nei miei pensieri, in quella stanza, nel cuore di Dario, ed ero sicura che non sarei mai stata in grado di prendere il suo posto. E questo mi faceva male perché Dario non mi avrebbe mai amata completamente, perché lui avrebbe sempre avuto in mente lei e non me. Allacciai i pantaloni bianchi e afferrai una maglietta di raso elegante color rosa salmone. Non feci nemmeno in tempo ad indossarla che Dario mi arrivò alle spalle e mi abbracciò, baciandomi il collo con una dolcezza estrema. La sua pelle era ancora umida e il contatto della mia schiena con il suo petto mi fece rabbrividire. Chiusi gli occhi, ma non riuscii ad abbandonarmi a lui completamente come mi accadeva prima di mettere piede a Roma. Magari la causa del mio malumore era dovuta solo al mio pessimismo. Insomma, lui mi aveva chiaramente detto di aver chiuso con il suo passato, che Sole apparteneva alla sua vita precedente e che ora voleva solo me al suo fianco. Eppure non riuscivo a non pensare al fatto che avremmo potuto rincontrarla da un momento all'altro e che lui mi avrebbe mollato per Sole.
«Scusami, piccola» mi sussurrò riempiendomi la guancia di baci.
«Per cosa?» domandai confusa e svogliata al tempo stesso. Quella sera non ero in vena di smancerie.
«Un po' per tutto» rispose ed appoggiò il mento sulla mia spalla «Per l'accoglienza, per mio fratello odioso e perché non ti sono di molta compagnia» sospirò.
«Ma figurati» lo tranquillizzai e mi voltai di lato schioccandogli un bacio sul naso.
«Oggi sono stato davvero una seccatura» sbuffò.
«Non devi preoccuparti, davvero. Capisco che non dev'essere facile per te tornare in una casa da dove sei scappato»
«No, non lo è affatto. Immaginavo che sarebbe stato traumatico, ma non così tanto. E ho avuto solo il piacere di parlare con mio fratello. Tu pensa stasera che rivedrò mia madre» la sua voce si abbassò, sfiorando i toni della malinconia.
Nonostante tutte le mie paure non potevo abbandonarlo, non dopo che avevo capito quanto fossero stronzi Mauro e Nicoletta. Non dopo aver sentito sua madre parlare con tanto disprezzo di lui. Mi voltai di scatto e trovai il suo viso a pochi millimetri dal mio. Appoggiai le mani sulle guance e annegai nel suo sguardo profondo quanto un abisso oceanico. I suoi occhi cercavano nei miei la sicurezza, la forza per affrontare quel covo di serpi, l'affetto che gli era venuto a mancare.
«Ci sono io con te. Non permetterò a nessuno di farti soffrire ancora»
«Grazie, Alice» il suo sorriso era disarmante, così dolce, così triste da allontanare dalla mia mente gli occhi di Sole che, dalle pareti, ci stava osservando «Sul serio. Sei la mia forza. Con te al mio fianco mi sento invincibile».
Come potevo dubitare di lui e dei suoi sentimenti quando mi diceva certe cose? Era chiaro che lui tenesse a me, che sentisse qualcosa per me ed avrei anche accettato, sopportato di essere solo la seconda nei suoi pensieri e nel suo cuore pur di stargli accanto.
«Sarò il tuo scudo, amore mio. Ti proteggerò sempre e comunque perché tu meriti di essere felice» gli dissi e quelle parole scaturirono dal mio cuore con tanta, troppa naturalezza.
«Anche tu lo meriti. E farò di tutto perché tu lo sia» mi confessò e mi baciò lentamente succhiandomi il labbro inferiore. Il suo sapore solleticò le mie papille gustative e sembrava ancora più dolce delle volte precedenti «Per cui, niente musi lunghi» ridacchiò «Mi farò scivolare addosso tutto quello che diranno perché questo è il nostro momento, è la nostra vacanza e non voglio che venga rovinato né da me né da chiunque altro»
«Ben detto» affermai fingendomi seria, poi scoppiammo a ridere. Finalmente un momento di tranquillità tra noi due, un attimo che era solo nostro, senza la famiglia Vitrano e senza Sole. Solo Alice e Dario.
Mi appropriai delle sue labbra e lo baciai con tutto l'amore che avevo, con tutta la passione che mi scorreva nelle vene, con la voglia di Dario che inebriava i miei sensi. Le sue mani si muovevano lente sulla mia schiena e le sue dita provocarono intensi fremiti che scossero la mia spina dorsale. Percorsi i suoi fianchi, soffermandomi sui suoi muscoli appena accennati, e scivolai verso le anche alle quali era stato annodato un asciugamano. Di troppo, avrei aggiunto. Cercai comunque di darmi un contegno e risalii lungo le sue spalle forti dove mi fermai.
Un tossicchiare appena accennato ci fece sobbalzare e ci ritrovammo abbracciati a guardare la porta della camera di Dario dove c'era immobile e sorridente Mauro.
«Tu bussare mai, eh?» disse brusco il mio ragazzo.
«Mi dispiace interrompervi piccioncini, ma la cena està lista» ci avvisò con un tono di voce talmente bonario che spiazzò entrambi «Non vorrete perdervi la sorpresa»
«Quale sorpresa?» domandò dubbioso Dario.
«Vedrai, fratellino mio» gli rispose dolcemente.
Ci sorrise e sparì dalla camera da letto. Io e Dario ci guardammo sorpresi e ridacchiammo increduli entrambi. Non lo conoscevo da molto tempo, ma credevo di aver inquadrato Mauro e la sua stronzaggine. Invece era stata una sorpresa vederlo così tranquillo e vedere quel sorriso sincero sulle sue labbra. Perfino Dario non poteva credere ai suoi occhi.
«Mio fratello è ubriaco» fu il suo commento divertito.
Lo allontanai da me con estrema delicatezza e indossai finalmente la maglia mentre lui fece cadere l'asciugamano per terra rimanendo completamente nudo. Rimasi a fissarlo imbarazzata, rossa più di un peperone ed annaspai in cerca di quell'aria che sembrava fosse sparita.
«Che, che stai facendo?» domandai intimidita, rigida quanto un tocco di legno.
«Mi vesto» rispose con fare ovvio e tirò fuori dal cassetto un paio di boxer puliti.
«Ti sei denudato davanti a me!» esclamai indignata.
«Mi sembra che non ci sia niente qui che tu non abbia mai visto» replicò divertito guardando a sud dell'equatore.
In effetti aveva ragione, ma quando avevamo fatto l'amore era stato tutto diverso, era stato naturale e non avevo provato il minimo imbarazzo. Trovandomelo, però, nudo di fronte agli occhi così di sorpresa mi spiazzò e destabilizzò. Scrollai la testa e mi diressi svelta alla porta, cercando di mantenere lo sguardo sul pavimento.
«Ti aspetto giù» dissi e mi precipitai lungo la rampa di scale.
La grande sala da pranzo si trovava accanto alla cucina ed era di una raffinata eleganza. Molto probabilmente quel mobilio così bello era stato scelto dal buon gusto della signora Vitrano. Un lungo tavolo era posizionato al centro della sala e attorno c'erano diverse sedie, mentre un lampadario di cristallo sovrastava il tutto. Un'enorme finestra sul lato sinistro si affacciava direttamente sulla piscina in giardino illuminata da alcuni faretti. Ogni volta mi sentivo come “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Quella casa era qualcosa di magnifico e tutto quel lusso mi faceva sentire sempre di più la protagonista di una favola.
«Buonasera» mi salutò Mauro, alzando un calice contenente un goccio di vino.
«Buonasera» dissi imbarazzata e rivolsi un sorriso ad ogni commensale.
Mauro e il signor Salvatore ricambiarono, mentre Nicoletta mi ignorò completamente. Mi strinsi nelle spalle e guardai a lungo le sedie attorno al tavolo senza sapere dove accomodarmi. Finché Mauro non picchiettò su quella accanto a sé, invitandomi a sedere vicino a lui. Da stupida qual ero accettai anche se quel ragazzo era più urticante del peperoncino o di Davide Saronno. Ma non potevo declinare il suo invito perché sarei apparsa come una maleducata e già non ero nelle simpatie delle padrone di casa.
«Com'è andato il turno, figliuolo?» domandò Salvatore rivolto a suo figlio.
«Molto bene, grazie»
«La signora Girolamo ti ha ancora fatto la corte?» entrambi ridacchiarono e la risata di Mauro mi sembrò così cristallina che mi era impossibile credere che appartenesse ad una persona cattiva come si era mostrato. Magari anche lui mostrava solo una parte di sé come faceva Dario e magari era anche piacevole passare del tempo con lui. Senza che me ne rendessi conto appoggiai la guancia la palmo della mano e lo fissai quasi adorante. Era di una rara bellezza, anche più bello di Dario e i suoi occhi azzurri non mi sembrarono poi così tanto glaciali, ma solo caldi ed avvolgenti.
«Sì. Mi ha chiesto se voglio sposarla» rispose divertito Mauro «Le ho detto di sì e adesso aspetta l'anello. Spero che domani si sia dimenticata di questa promessa di matrimonio, anche perché non voglio nemmeno immaginare la prima notte di nozze con una signora di ottantatré anni» scoppiammo a ridere tutti, compresa Nicoletta e per la prima volta da quando ero in quella casa mi sentii a mio agio.
Proprio in quel momento, mentre ci stavamo divertendo con gli aneddoti amorosi tra Mauro e la signora Girolamo, Dario entrò in sala da pranzo tutto sorridente e le risate cessarono di colpo.
«'sera, family» disse e si sedette davanti a me, lanciandomi un bacio.
L'allegria generale era stata sostituita da una certa tensione. Tranne da parte mia, ovviamente, che sembravo l'unica ad essere felice che Dario fosse arrivato. Nicoletta si sistemò il tovagliolo sulle ginocchia, Mauro prese il suo bicchiere e bevve un altro sorso di vino mentre Salvatore si mise a fissare l'orologio. Il mio ragazzo capì che la ragione per cui era piombato il silenzio era il suo arrivo e il suo sguardo s'incupì.
«Continuate pure a ridere» disse con un filo di voce «Anche se stavate parlando di me»
«Raccontavo solo della signora Girolamo» disse Mauro e un sorriso si dipinse sul suo volto «Te ne ho mai parlato, fratellino?».
Dario corrugò lo fronte ed afferrò una fetta di pane dal tagliere. Oramai ero in grado di decifrare ogni sfumatura di quelle bellissime iridi color carbone. E in quel momento, nei suoi immensi occhi neri potevo leggere stupore dettato dallo strano atteggiamento di suo fratello. Scosse la testa impercettibilmente ed addentò il pane.
«È una signora tanto dolce. Si è innamorata di me e vuole diventare la signora Vitrano» ridacchiò e Dario con lui.
«Lo sai, Alice, che Mauro ha fatto parte di Medici senza frontiere e che adesso è uno dei migliori cardiologi del Gemelli?»
E rieccola a venerare il suo adorato figlio. Proprio quando era arrivato Dario. Cercava di metterlo in cattiva luce, ma alla sottoscritta non importava nulla di un pezzo di carta chiamata laurea.
«Buon per lui» dissi con un sorriso.
«E inoltre...» riprese, ma Mauro la interruppe subito.
«Basta mamma. Ad Alice non importa nulla del mio lavoro» e mi rivolse un sorriso «Preferisce parlare del suo Dario»
Mauro puntò i suoi occhi in quelli del fratello. Chiaro e scuro, azzurro nel nero. Rimase in silenzio quel tanto che bastò a Consuelo per servirci un invitante spezzatino, poi, finalmente parlò.
«Come mai hai deciso di fare il Deejay?» gli chiese «Avevi un'attività, perché chiuderla».
Dario cercò il mio sguardo e deglutì a fatica un po' di patate. Era in soggezione, soprattutto per gli occhi giudicatori della sua famiglia puntati addosso. Sorrise nervosamente e si sistemò sulla sedia come se fosse fatta di carboni ardenti.
«Ho... ho vinto un concorso» disse atono «E il negozio non andava poi così bene»
«Ah, capisco» esclamò Mauro che sembrò sorpreso. Mangiò un pezzo di carne e lo innaffiò con del vino, poi tornò a guardare suo fratello e lo indicò con la forchetta. Ogni movimento di Mauro mi metteva ansia, così come a Dario. Era come se lui cercasse di scoprire la verità ed entrambi eravamo sicuri che era in grado di tendergli un tranello per smascherare la sua bugia.
«È un bel lavoro quello del Deejay» disse, invece e tirai un sospiro di sollievo «Particolare. Insomma, non se ne trovano molti in giro. E sei anche parecchio bravo. Ti ascolto sempre la mattina».
Possibile che quello fosse lo stesso Mauro che avevo conosciuto la sera prima? L'odio che provava nei confronti del fratello sembrava sparito magicamente, sostituito da uno strano amore fraterno che stupì me, ma soprattutto il mio ragazzo. Alternava degli sguardi dubbiosi verso di me e altri più sereni a Mauro. Era come vedere due veri fratelli e forse Dario aveva sempre sperato che accadesse, un giorno o l'altro, che Mauro lo accettasse e lo amasse per come era. Mi sentii felice nel vederlo così sorridente, così in armonia con la sua famiglia – esclusa Nicoletta che si ostinava ad ignorarlo – e, tutte le parole che Mauro mi aveva detto, tutti i dubbi che mi aveva insinuato, tutte le immagini di Sole mi sembrarono solo un lontano ricordo. Se lui era felice, io ero felice. Era quello l'importante per me: vederlo tranquillo e sorridente.
«Ma di quale sorpresa parlavi prima?» domandai, inserendomi finalmente nel discorso.
«Quale sorpresa?» disse curioso il signor Vitrano.
Mauro si tamponò le labbra con il tovagliolo, poi sorrise sornione.
«Ve la mostrerò dopo cena, quando Consuelo servirà il dolce in salotto»
«Non puoi darci un indizio?» indagò la madre, cercando però di non mostrare troppa curiosità.
Lui scosse la testa e ridacchiò. Sembrava di buon umore quella sera e non sapevo proprio cosa aspettarmi da lui. Magari anche lui aveva trovato una ragazza oppure era qualcosa legato al suo lavoro. Fortunatamente la cena trascorse in tranquillità ed in armonia, a parte per le frecciatine che di tanto in tanto Nicoletta scagliava a Dario. Ma lui, come aveva detto in camera, si fece scivolare tutto addosso, non le diede ascolto e sembrava più felice quando non stava ascoltare le sue critiche. Era parte della famiglia Vitrano, dopo tanto tempo e solo Nicoletta pareva essere stata esclusa da quel quadretto familiare. I tre uomini parlavano tra di loro di sport e altri discorsi poco interessanti per me. Erano in armonia, come se con Dario non ci fossero mai stati dissapori.
Erano le dieci quando ci spostammo in salotto dove Consuelo portò un vassoio con del caffè nero bollente e delle fette di torta al limone. Io e Dario ci accomodammo sul divano, mentre i due coniugi sulle poltrone posizionate una di fronte all'altra. Mauro invece era rimasto in piedi e sorseggiava il suo caffè, lanciando occhiate ad ognuno di noi come se stesse sondando la nostra curiosità.
«Allora?» domandò impaziente Dario.
«Vi ho incuriositi, eh?» disse con sguardo furbo.
Bevve l'ultimo goccio di caffè e appoggiò la tazzina nel vassoio. Poi prese due piattini con le fette di torta e li diede ai suoi genitori, lo stesso lo fece con noi. Dario mi guardò perplesso ed io scrollai le spalle. Nessuno di noi riusciva a capire che cosa avesse in mente Mauro, per cui cominciammo a mangiare la torta attendendo con trepidante attesa.
«Diciamo che è da un po' che avevo in mente di farvi questa sorpresa. Ma volevo aspettare che il figliol prodigo tornasse a casa» e puntò i suoi occhi su Dario che ingoiò il suo boccone a fatica e mi strinse una mano, impedendomi di mangiare quella favolosa torta.
Mauro estrasse dalla tasca della giacca elegante un foglio spiegazzato e lo sventolò davanti ai nostri occhi.
«Ecco la vostra sorpresa. L'ho trovato grazie ad una mia collega. Volevo farle un regalo per un addio al nubilato e ora eccola qui tra le mie mani, questa sorpresa».
Più i secondi passavano e più gli occhi di Mauro perdevano quel dolce fascino che aveva durante la cena, ritornando ad essere glaciali. Quell'innocuo foglio cominciò ad incutermi un certo timore, anche se non ne sapevo il motivo. E Dario era del mio stesso avviso, dato che strinse maggiormente la mia mano. Mauro spiegò il foglio e si schiarì la voce.
«Età: 23 anni. Capelli: castani. Occhi: neri. Uno gigolò non è solo un ottimo amante, ma soprattutto un uomo in grado di ascoltare la propria donna, di farla sentire unica anche con un sorriso, con un tocco, con un semplice bacio...».
Piano piano capii che cosa fosse quel foglio. Era il profilo di Dario, quello che avevo trovato su quel sito di accompagnatori. La stretta del mio ragazzo si fece sempre più intensa, man mano che Mauro leggeva quella sua presentazione. Mi sembrava strano che Mauro fosse cambiato così da un momento all'altro. Era solo la quiete che preannunciava una tempesta catastrofica, che avrebbe gettato quella famiglia ancora più nello scompiglio. Prima che Mauro finisse di leggere, il mio ragazzo si alzò di scatto dal divano con il viso contratto in un'espressione delusa e arrabbiata al tempo stesso. Suo fratello gli aveva fatto credere di aver dimenticato i loro dissapori durante la cena, ma solo per rendere più dolorosa la stoccata finale. Gli afferrò il foglio dalle mani, strappandolo e lasciandone un piccolo pezzo tra le grinfie di Mauro. Ma non ebbe il tempo né di accartocciarlo, né di dire nulla a suo fratello che Nicoletta glielo strappò di mano furtiva e lesse con i suoi stessi occhi, soffermandosi sulla foto di suo figlio in cima a sinistra, mentre suo marito si alzava dalla poltrona la raggiungeva alle spalle per sbirciare anche lui.
«Ecco il negozio di cui parlava» disse sprezzante Mauro, affondando le mani nelle tasche della giacca «Vendeva sesso» e soffocò una risata con un mano.
Vidi Dario serrare i pugni e tremare, abbassare lo sguardo per non incontrare quello della sua famiglia. Ero più che sicura che si stesse vergognando in quel momento, che avrebbe voluto sparire dalla faccia della terra piuttosto che dare un'altra delusione ai suoi genitori.
«Ti prostituivi» disse solamente sua madre in un soffio.
«È vero, Dario?» domandò suo padre e nel suo tono c'era qualcosa di dolce.
Decisi di alzarmi anche io dal divano e raggiunsi il mio ragazzo, abbracciandolo, stringendolo forte a me per fargli capire che io ero lì, ero lì per proteggerlo, così come gli avevo promesso. Lui si appoggiò al mio petto, nascondendosi da loro e dai loro giudizi.
«È vero, Dario?» ripose la stessa domanda.
Tremava tra le mie braccia e mi faceva male vederlo così ferito, così mortificato dagli sguardi inorriditi della sua famiglia. Annuì, in risposta a sua padre, senza però alzare il viso per guardarlo.
«Non mi sembri molto sconvolta, Alice» constatò con disappunto Mauro, mentre i suoi genitori si struggevano davanti a quel foglio, ma non per il loro figlio, bensì per il cognome che portavano.
«No, per nulla» risposi acida, affondando una mano nei capelli di Dario e aumentando la stretta su di lui «Lo sapevo anche senza che me lo rivelassi tu».
Mauro mi guardò dubbioso e con un gesto fluido della mano mi esortò a continuare. I suoi occhi, quei due pezzi di ghiaccio che mi scrutavano con freddezza mi mettevano in soggezione, sentivo perfino il cuore battere all'impazzata. Ma non potevo ammutolirmi davanti a lui, davanti alla famiglia Vitrano. Dovevo tirare fuori le palle e difendere il mio Dario.
«L'ho conosciuto proprio grazie a quel sito» spiegai con un pizzico di imbarazzo, dettato perlopiù dalla situazione «E non mi è mai importato nulla del suo lavoro», deglutii e mi sentii perforare da tre paia di occhi che attendevano che io andassi avanti a parlare, anche se non avevo la benché minima idea di cosa dire. Presi un respiro profondo e mi feci trasportare dal mio cuore, dalle mie emozioni, dal mio amore per Dario «Mi sono innamorata di lui pur sapendo quello che faceva nella sua vita. E non l'ho mai giudicato per questo perché l'unica cosa che mi importava era lui, era Dario, la persona fragile che si nascondeva dietro quello stupido pseudonimo» un discorso un po' prevedibile, forse, ma che sperai potesse toccare il cuore di quelle persone.
«Perché lo hai fatto?» chiese Salvatore, senza nemmeno aver ascoltato quello che aveva detto.
Dario sollevò finalmente lo sguardo dal mio petto e guardò suo padre con due occhi talmente tristi da frantumarmi il cuore.
«Avevo sperperato tutti i soldi del conto corrente per l'Università» ammise con imbarazzo.
Nicoletta si portò una mano sul cuore e per poco non le venne un infarto, ma solo perché quei soldi non erano stati usati per diventare un medico o un qualsiasi laureato.
«E perché non ci hai chiesto aiuto?» domandò con tono quasi disperato.
«Perché tanto ve ne sareste fregati, come al solito. Mi avreste voltato le spalle per l'ennesima volta solo perché non ho voluto seguire le vostre orme. Era l'unica cosa che potessi fare per vivere» la sua voce si abbassò ad ogni parola, diventando quasi un flebile soffio.
«Se tu ti fossi impegnato» lo rimbeccò Nicoletta «Tu immagina solo se la gente venisse a scoprirlo. Che vergogna sarebbe per noi, eh?»
«Il primo che si vergogna, qui, sono io» replicò serio Dario.
«Io non capisco come facciate a non interessarvi a vostro figlio! Cazzarola, quello che vi importa è solo il vostro dannatissimo cognome! Siete solo degli egoisti!» sputai con disprezzo e mi ero trattenuta perché senno sarei saltata loro alla gola.
«Io mi sono sempre interessato a lui!» sbraitò Salvatore «E non intrometterti nella nostra vita. Tu non sai nulla»
«Già, non so nulla di voi. Ma so che lei è stato il primo a voltare le spalle a suo figlio per la storia di Campanella» gli rinfacciai soddisfatta. Ogni tanto origliare portava a dei frutti.
Salvatore sgranò gli occhi e si ammutolì, mentre Dario tra le mie braccia si irrigidì. Dovevo ammettere che ero curiosa di sapere cosa fosse successo con tale Campanella, ma quello non era il momento di curiosare. Lo avrei saputo solo se fosse stato lui a dirmelo, senza che fossi io a chiederlo. Feci scivolare la mia mano lungo il suo braccio fino ad incontrare le sue dita. Era meglio uscire da quella casa, prendere una boccata d'aria e magari non tornarci mai più. Lo trascinai per tutto il salotto verso la porta di ingresso.
«Sei una delusione, Dario» disse Mauro «E anche tu, Alice, che ti accontenti di un fallito come lui».
E fu in quel momento che Dario lasciò la mia presa e si avvicinò minaccioso a suo fratello, con il pugno caricato pronto a colpire un Mauro impassibile e per nulla spaventato.
«Dario, no!» urlai. Non volevo che si arrivasse addirittura alle mani. Il clima era già abbastanza teso senza scazzotate.
Il suo pugno serrato si fermò a mezz'aria e la sua mano tremò. Rimase fermo in quella posizione e si voltò a guardare nei miei occhi spaventati, nei miei occhi che lo pregavano di non spingersi troppo oltre. Abbassò il braccio e si limitò a guardare con rabbia suo fratello. Poi mi raggiunse, mi prese per un polso e mi trascinò fuori da lì, percorrendo a grandi falcate il viottolo di ghiaia ed uscendo dal giardino di quell'immensa villa. Fuori dal cancello in ferro battuto era ancora parcheggiata la Mito e per una frazione di secondo ebbi voglia di salirci sopra insieme a Dario, tornarcene a Milano e lasciarci alle spalle la famiglia Vitrano, chiudere per sempre con loro e dimenticare che esistessero. Ma quell'idea fu scacciata da un forte rumore metallico che mi fece sobbalzare. Era stato Dario che aveva preso a calci il cerchione dell'auto e non sembrava voler smettere. Si stava sfogando con rabbia e frustrazione su quel pezzo di metallo, emettendo dei suoi simili a dei lamenti.
«Amore, amore, amore» cercai di richiamarlo prendendogli il braccio «Stai tranquillo amore»
«Come cazzo faccio a stare tranquillo?» sbraitò dando un pugno alla carrozzeria metallica.
«Non ne vale la pena prendersela. Loro non ti hanno mai accettato in qualsiasi caso, che tu fossi stato un gigolò oppure un commerciante» gli dissi con tono dolce, avvinghiandomi al suo braccio teso.
Mi faceva male vederlo così, era più doloroso di un coltello conficcato in profondità nel petto. Nonostante i miei sforzi di farlo calmare, lui continuò a sfogarsi con rabbia contro la sua auto, sballottandomi senza ritegno, quasi se io non fossi lì con lui.
«È sempre la mia famiglia, cazzo!» urlò.
«Come puoi chiamarla famiglia?» dissi indignata, allontanandomi da lui. «Non vedi come ti trattano? Non vedi come ti disprezzano? Tu porti solo il loro cognome ma non gli appartieni. Avevi detto che ti saresti fatto scivolare addosso tutto, che non gli avresti dato ascolto». Lo accarezzai su una guancia, scivolando sotto il mento e alzandogli il viso per potermi specchiare in quelle distese di mare nero.
«Ma a quanto pare non è facile come sembra» sibilò, serrando i pugni.
«Davvero, Dario. Non badare a loro. Non meritano la tua rabbia, la tua frustrazione e non meritano te» mormorai con un sorriso «Tu sei uno spirito libero, non hai bisogno di loro. Te la sei sempre cavata da solo»
«No, non è vero. Io non sono uno spirito libero» soffiò, più tranquillo «E non me la sono cavata per nulla. Ho scelto la strada più semplice e ho fatto il gigolò. Purtroppo io non so badare a me stesso»
«È invece è così. Hai trovato la forza e sei riuscito a dare una svolta alla tua vita. E questo ti fa tantissimo onore» tutte quelle cose che stavo dicendo scaturivano dal cuore. Era lui che parlava in quel momento, non il mio cervello.
«È solo grazie a te se ci sono riuscito» disse in un soffio e finalmente sorrise. Era solo accennato, ma era già un passo avanti «Sei tu che mi hai salvato Alice».
Mi morsi il labbro e sfiorai le sue in un dolce e breve contatto. Avevo bisogno di sentire il suo sapore anche per un solo secondo e lui aveva bisogno di sapere che io non lo avrei abbandonato mai e poi mai. E non lo avrei fatto perché stando con lui mi sentivo viva, mi sentivo finalmente completa e una vita senza Dario non poteva chiamarsi vita.
«Siamo noi l'importante, non loro. Solo noi e nient'altro, capito?» mormorai senza perdere il contatto visivo con lui «E sai perfettamente che a me non importa se eri un gigolò. Non ti ho mai giudicato e non lo farò mai. Io ti amo così come sei».
Dario respirò profondamente, poi mi attirò verso di lui e mi abbracciò forte, affondando il viso nell'incavo del collo e insinuando una mano tra i miei capelli. Ricambiai la stretta, accarezzandogli la schiena. Entrambi avevamo bisogno di quel contatto fisico, avevamo bisogno del calore dell'altro. Soprattutto lui che in quel momento era più fragile di un cristallo e il minimo urto avrebbe rischiato di farlo andare in mille pezzi.
«Che ne dici se andiamo a fare un giro?» gli proposi «E stiamo un po' lontani dalla villa degli orrori?».
Dario ridacchiò e sciolse l'abbraccio, assaporando per un attimo le mie labbra.
«Andiamo» disse con un sorriso e mi strinse la mano, accompagnandomi per le vie della sua città, per quelle vie che racchiudevano tutti quei ricordi che non mi era permesso conoscere. Ma poco mi importava. Volevo stare con lui, sentirlo accanto a me e di tutto ciò che riguardava io suoi amori passati non mi interessava più. O almeno cercavo di non farmelo interessare. Mi appoggiai alla sua spalla e chiusi gli occhi per sentire il suo profumo.
Camminammo a lungo, anche se non saprei dire per quanto tempo o quanti metri. Lo spazio e il tempo quando ero insieme a lui erano praticamente insignificanti, erano il nulla confrontati con Dario. Potevano passare dei secondi oppure addirittura secoli che io non me ne sarei accorta. Raggiungemmo un'enorme piazza, sovraffollata di gente e rimasi affascinata da quella visione. Da quella fontana leggermente illuminata, da quelle eleganti sculture che la sovrastavano, dall'enorme palazzo che c'era alle sue spalle. L'avevo vista parecchie volte in tv e avevo sempre desiderato vederla con i miei occhi. Era magnifica e Dario rendeva quella visione ancora più meravigliosa.
«È la fontana di Trevi» dissi estasiata.
«Vedo che hai studiato, Livraghi» replicò fingendosi serio.
«Certo professore. Mi sono preparata su tutta la storia di Roma prima di venire qui» risposi ironica.
«Oh ma che brava alunna» esclamò divertito «E in anatomia come è messa?» aggiunse malizioso, sussurrandomelo all'orecchio.
Mi schioccò un lungo bacio sulla guancia carico di passione quasi volesse farmi intendere che volesse più di un semplice contatto con la mia gota. Se non ci fosse stata tutta quella gente molto probabilmente avremmo finito con il fare l'amore perché anche io sentivo la voglia di Dario sotto la mia pelle espandersi in ogni vena, ogni arteria, mescolarsi con il mio sangue raggiungendo tutti gli anfratti del mio corpo.
«Il minimo indispensabile» risposi con il suo stesso tono e feci combaciare le nostre labbra in un bacio lento, in un lungo e profondo assaporarsi. La discussione in casa Vitrano era solo un lontano ricordo per me e, speravo, anche per lui. C'eravamo solo noi due, il resto non contava niente. Mauro, Nicoletta, Salvatore, Sole. Nessuno di loro era importante in quel momento, eravamo noi i soli protagonisti di quella storia ed eravamo sempre noi che avevano in pugno la penna. L'avremmo scritta io e Dario quella favola, senza l'intromissione di nessuno.
«Era un'allusione ad un determinato apparato?» chiese con una voce tremendamente sensuale che mi fece rabbrividire.
«Vedila come preferisci» replicai ed ammiccai.
Dario mi strinse maggiormente a sé e mi sollevò da terra, affondando il viso nel mio seno. Mi lasciai sfuggire un urlo che attirò l'attenzione di tutti e mi imbarazzai nel vedere tutte quelle persone che ci guardavano come se fossimo appena scesi da una navicella spaziale.
«Dio, quando ti voglio!» esclamò baciandomi nella scollatura «Peccato che ci siano tutti questi guardoni» borbottò guardando di sbieco alcuni ragazzi che ci passavano accanto.
«Già, è un vero peccato» concordai e gli morsi la punta del naso «E dato che non possiamo fare nulla, mettimi giù e continuiamo la passeggiata»
«Non possiamo appartarci da qualche parte?» mi supplicò con tono infantile.
«No, Dario!» ero stupida, lo sapevo. Avrei dovuto accettare quell'invito al volo, ma preferii una serata tranquilla tra quattro chiacchiere piuttosto che tra “quattro ansimi”. Dario annuì mestamente e mi fece toccare finalmente l'asfalto. Mi strinse le mani e andammo a sederci sul bordo della fontana, di fianco ad un paio di ragazze infoiate che si erano mangiate con gli occhi il mio ragazzoAvrei voluto alzarmi e far loro il gesto dell'ombrello, vantandomi del fatto che lui fosse con me e non con una di loro 'bimbeminchia'. Ma il braccio di Dario che mi cinse le spalle e mi avvicinò a lui me lo impedì. Appoggiai la testa al suo petto e non mi importò più di nulla. Mi accarezzò i capelli e mi baciò la fronte, dolcemente. Gli sbalzi di umore in Dario erano una costante. Prima era tutto eccitato, poi si trasformava d'un tratto in una zolletta di zucchero.
«Ero talmente preso dal ritorno a Roma e dalla mia insulsa famiglia da non interessarmi a te» disse quasi affranto. Non capivo che cosa intendesse, ma non ebbi il tempo di domandare che lui mi precedette «I tuoi sono separati. Non ti ho nemmeno chiesto come vivi questa situazione».
Rimasi spiazzata da quella frase. Non avevo mai parlato a nessuno della separazione de i miei, solo a Benedetta. Mi faceva male ricordare il giorno in cui mio padre se n'era andato via di casa sbattendo la porta. Ancora avevo impressa in mente la mia immagine riflessa nello specchio mentre piangevo per quello che credevo fosse un abbandono. In realtà mio padre era sempre stato un genitore presente, non mi aveva mai fatto mancare nulla e con il tempo quella ferita si era rimarginata.
«È successo quando avevo dodici anni» sospirai «Era da un po' che tra i miei genitori non andava affatto bene. Litigavano sempre anche per le cose più futili e la causa di tutto era l'opprimente gelosia di mio padre. Un pomeriggio è successo il finimondo. Una litigata furibonda, si sono rinfacciati di tutto e mia madre gli ha detto Se non sono felice è per colpa tua. Così lui ha preso la sua valigia e se n'è andato» scrollai le spalle ed abbassai lo sguardo. Non credevo che parlarne di nuovo potesse farmi così male. Ormai erano passati sei anni, eravamo tutti contenti nonostante la lontananza.
«Ci sei stata parecchio male?» mi chiese apprensivo, schioccandomi un bacio sulla fronte.
«Sì, tanto. Anche perché ero legatissima a mio padre e pensavo che, una volta uscito di casa, si sarebbe dimenticato di noi. Invece è sempre stato presente, ma non era la stessa cosa, ovviamente» sospirai affranta. «Ormai è tutto passato. Siamo felici così, più o meno», alzai il viso verso di lui e gli sorrisi.
«Non deve essere stato per nulla facile accettare quella situazione» disse flebilmente accarezzandomi la spalla.
Mi faceva piacere che lui si interessasse alla mia vita, era come se cercasse di capire la famiglia Livraghi, come se volesse entrare a far parte della mia esistenza. Quello che non sapeva era che lui ne era già parte integrante, che lui era la mia vita.
«Già» soffiai «Ma almeno io ho avuto una famiglia, nonostante tutto, tu nemmeno quella. Non riesco a capire perché ce l'abbiano così tanto con te»
«Non lo so nemmeno io. Continuavano a ripetermi che ero un errore, ma non ho mai capito il motivo per il quale mi trattassero che se avessi rovinato loro la vita» rispose malinconico.
«Se solo la smettessero di guardarti come se fossi solo un dannato incidente, capirebbero che persona splendida sei» dissi guardandolo dritto negli occhi e vedendo qualche scintilla lucente illuminargli lo sguardo.
«Tu dici così perché sono il tuo ragazzo» scosse la testa e sfuggì ai miei occhi. «Insomma, loro non mi hanno mai calcolato più di tanto ma io non ho mai fatto nulla per farmi accettare. Anzi, ho sempre creato un sacco di guai. Per cui mi viene da pensare di essere davvero uno stupido errore».
Si morse il labbro inferiore e si passò una mano tra i capelli. Ecco! Eravamo riusciti a ritrovare il sorriso ed io come una stupida avevo tirato fuori di nuovo l'argomento famiglia. Ero una cretina patentata che non riusciva a tenersi la bocca cucita!
«Ehi, no!» lo richiamai e gli presi il viso tra le mani «Non dirlo nemmeno per scherzo. Tu non sei un errore, sei un dono. Il mio dono più bello».
Dario accennò un sorriso ed arrossì teneramente.
«Sei esagerata» borbottò imbarazzato.
«No. Sono innamorata, è diverso» lo corressi soddisfatta.
Dario si morse il labbro e mi afferrò la mano costringendomi ad alzarmi. Confusa lo seguii sopra il bordo della fontana e rimanemmo uno di fronte all'altro, con le mie mani strette nelle sue. Confusa lo seguii verso la fontana davanti alla quale ci fermammo, uno di fronte all'altro, con le mie mani strette nelle sue.
«Ti va di esprimere un desiderio?» mi chiese con un sorriso meraviglioso indicando con il mento l'acqua azzurrognola.
«Non dirmi che crederai a queste cavolate!» lo ripresi ridacchiando.
«Dai, provaci! Magari si avvera»
Senza aspettare una mia risposta, estrasse dalla tasca dei jeans due monete da venti centesimi e me ne porse una. Si voltò di spalle ed io lo imitai.
«Al mio tre chiudiamo gli occhi ed esprimiamo un desiderio» disse ed io sospirai «Uno, due, tre».
Entrambi chiudemmo gli occhi e, seppur non avevo mai creduto alla storia della monetina, la strinsi forte nel palmo e desiderai che mi dichiarasse il suo amore, semmai lo provasse per me. Ma tanto sapevo che non si sarebbe mai avverato un bel nulla. Lanciai la moneta nella fontana e riaprii gli occhi, ritrovandomi quelli di Dario sorridenti poggiati su di me.
«Che hai desiderato?» domandai curiosa.
«Non si può dire, sennò non si avvera» mi fece un occhiolino e poi mi strinse di nuovo una mano «Ho da dirti una cosa, Alice» disse ed era tremendamente serio. Mi preoccupai per quel tono di voce e per quello sguardo che mi perforò l'anima «Da sempre ho cercato qualcuno che mi capisse, che mi amasse così come sono, con i miei pregi e i miei difetti e che non badasse solo al mio aspetto, ma che andasse in profondità. Credevo che solo Sole fosse in grado di farlo, ma poi ho conosciuto te e mi sono ricreduto. Da quando sono con te mi sento immensamente bene, importante ed amato» fece una lunga pausa durante la quale il mio cuore si fermò per un attimo e si umettò le labbra «Sai, Alice, credo di amarti».
Il tempo si fermò in quell'esatto momento, quando Dario proferì quelle parole che mi penetrarono dritto nel cuore. Rimasi spiazzata, non mi aspettavo quella dichiarazione, nonostante la stessi sognando da tanto, troppo tempo. Niente e nessuno, da quel momento in poi, avrebbe potuto rovinarci, soprattutto non il lontano ricordo di Sole. Non avrei ai dimenticato quel giorno, sarebbe per sempre rimasto inciso nel mio cuore.
29 giugno, quando finalmente quello che c'era tra di noi poteva definirsi amore.
Mi avvinghiai al suo collo e mi alzai sulle punte per baciarlo. L'ennesimo bacio ma che aveva un sapore più dolce rispetto a tutti gli altri, aveva una carica passionale ancora più travolgente dei precedenti e che sapeva di noi, di Alice e Dario al cento per cento. Quella che sembrava una stupidata come lanciare una monetina in una fontana esprimendo un desiderio non era poi una cavolata. Quello che avevo espresso si era avverato, anche se sospettavo che avesse fatto quella sceneggiata perché sapeva bene che cosa avrei desiderato.
«Ti amo» gli dissi, appoggiando la fronte sulla sua.
«Anche io, piccola» mi sorrise «Non sai quant
«Più della mia vita» gli confidai con il fiato corto per tutte le emozioni che stavo provando in quel momento.
«Più della mia vita» ripeté lui.
Ancora una volta le nostre labbra si incontrarono, le nostre lingue si rincorsero, si cercarono e si trovarono poco dopo, sfiorandosi in una maniera estremamente sensuale e dolce.
«Il mio desiderio si è avverato» ammisi con un sospiro «E tu che cosa hai espresso?» tentai di nuovo, curiosa.
«Ti ho già detto che non posso dirtelo, sennò non si avvera!» esclamò lui scompigliandomi i capelli.
Stavo per ribattere, quando però una goccia di acqua gelata si infranse sul mio naso. Alzai lo sguardo al cielo e fu un attimo che altre gocce si scagliarono dal cielo sulla città. Aveva cominciato a piovere e sembrava che volesse venire giù il diluvio universale. Un lampo squarciò il cielo e un suono sordo lo seguì subito dopo. Era un tipico temporale estivo, un temporale in netto contrasto con la quiete che c'era tra me e Dario.
Nel giro di pochi secondi eravamo già fradici per via di tutta l'acqua che scendeva rabbiosa dal cielo. Dario mi afferrò una mano e cominciò a correre, così come tutti gli altri che cercavano riparo. Ma invece di seguire la folla e rifugiarsi sotto dei balconi o dei portici, lui mi trascinò per le vie della capitale. Se fosse stato un qualsiasi altro momento avrei urlato come una pazza, obbligandolo a fermarsi in un luogo che ci avrebbe protetti dal diluvio. Ma quello era senz'altro un istante magico, reso ancora più intenso dalla pioggia battente.
«Dove stiamo andando?» gli domandai, quasi urlando, per sovrastare il picchiettio.
«Non lo so!» mi rispose lui voltandosi e sorridendo.
Svoltò in una piccola via poco illuminata e proseguì a passo svelto. A stento riuscivo a stargli dietro e rischiai di cadere più volte, ma per fortuna non accadde. Nonostante tutto mi stavo divertendo a correre sotto la pioggia, con il fiatone e il cuore che martellava nelle tempie. Raggiungemmo un piccolo parco giochi, anch'esso abbandonato a causa del diluvio e mi appoggiò contro il tronco di un albero, intrappolandomi tra il suo petto e il fusto. Aveva i capelli completamente bagnati ed appiccicati alla fronte, i vestiti fradici che gli aderivano perfettamente al corpo disegnando ogni suo singolo muscolo. Era bello, e l'acqua lo rendeva ancora più affascinante. Mi tolse una ciocca di capelli bagnata dalla guancia e mi sorrise.
«Piove» constatò solo in quel momento «Come quella sera, ricordi?»
«Il nostro primo bacio» rimembrai e mi sembrò di rivedere quelle immagini riflesse nelle iridi nere di Dario.
«Ma questa volta non ci sarà un addio» replicò lui sfiorandomi le labbra con le sue.
«No» scossi la testa e gli sorrisi «Questa volta nessuno ci dividerà»
«Nemmeno un temporale estivo» soffiò, riferendosi con quella metafora agli ostacoli che il destino ci avrebbe messo di fronte.
«Perché il sole tornerà a risplendere subito dopo con più intensità» completai la frase e ci baciammo per l'ennesima volta. Non mi sarei mai stancata di quelle labbra, anzi più passava il tempo e più sentivo la necessità di assaporarle fino a riempirmi al bocca del suo splendido sapore. Era come una droga, che inebriava i miei sensi e offuscava i miei pensieri. Se quello era cominciato come quello che sembrava il mio giorno peggiore, si stava concludendo in un modo inaspettato, nel modo migliore che potessi sperare. Le sue mani scivolarono al di sotto della mia maglietta, accarezzandomi il ventre e risalendo su verso il mio seno dove le sue dita indugiarono sopra la stoffa del reggiseno. Seppur ci fosse quell'ostacolo i suoi polpastrelli riuscirono a mandarmi in estasi in qualsiasi caso. A nessuno dei due importava che pioveva a dirotto, anzi l'acqua che ci scorreva sul corpo alimentava solo la nostra passione. Avevo l'irrefrenabile bisogno di sentirlo dentro di me, di diventare una cosa solo con lui. Avevo bisogno di lui come se fosse acqua, come se fosse aria, la mia aria, l'unica in grado di riempirmi i polmoni e di farmi respirare. Le sue mani scivolarono al di sotto del mio reggiseno e sentii la sua pelle ruvida e bollente a contatto con la mia, le sue dita che si muovevano sinuose sui miei seni facendomi gemere nella sua bocca ed eccitare ancora di più. Purtroppo però la pioggia cessò a poco a poco di abbattersi su Roma e la città, in men che non si dica, venne di nuovo invasa dalla gente che si era nascosta per non beccarsi l'acquazzone.
Dario si staccò dalle mie labbra ed appoggiò la fronte sulla mia, , accarezzandomi il viso con entrambe le mani.
«Sarebbe stato bello fare l'amore sotto la pioggia» disse con un sorriso tirato.
«Un luogo vale l'altro» scrollai le spalle e gli assaporai il labbro inferiore «L'importante è che ci sia tu»
«Oggi sei più smielata del solito» ridacchiò, cingendomi i fianchi e baciandomi di nuovo.
«E non sei felice di sapere quanto tu sia speciale per me?» domandai maliziosa.
«Anche troppo» ammise perforandomi con il suo profondo sguardo color carbone.
Ma lo distolse immediatamente dal mio per puntarlo sul terreno bagnato ed interruppe il nostro abbraccio. Rimasi a fissarlo perplessa mentre la pioggia continuava ad abbattersi su di noi senza sosta. Poco dopo sorrise vittorioso e raccolse da terra una pietra appuntita, avvicinandosi al tronco. Cominciò ad incidere con facilità il legno reso morbido dall'acqua e a poco a poco nacque una scritta irregolare tremante.


29/06/2010
Alice + Dario.


«Così tutti sapranno del nostro amore»
Fissammo quella scritta a lungo, mano nella mano mentre la pioggia cominciava a scemare. Quell'intaglio era una prova di quello che c'era tra di noi, una sorta di promessa d'amore destinato a non finire mai. Speravo perlomeno che fosse così, come speravo che quell'albero in cui erano racchiuse tutte le nostre emozioni e la nostra passione non morisse mai.
«Andiamo a casa?» mi domandò «Siamo fradici»
«Sei sicuro di voler ritornare lì? Non preferiresti magari stare in albergo?»
Dopo tutto quello che era successo in casa Vitrano, il clima lì dentro non poteva essere di certo dei migliori e non ero sicura che Dario sarebbe stato in grado di sopportare anche un'ora lì dentro. Eravamo finalmente felici e non volevo che quelli distruggessero quel muro di gioia. Dario scrollò le spalle e sospirò.
«Non lo so» e mi strinse la mano ancora di più «Tanto non cambierebbe nulla. A casa, in albergo mi odierebbero comunque»
«Sicuro che riuscirai a sopportare le loro cattiverie?» chiesi sinceramente preoccupata.
«Con te al mio fianco posso superare qualsiasi avversità» mi disse con un sorriso dolcissimo, un sorriso felice e non malinconico.
Mi strinsi a lui talmente forte che sembrava volessi inglobarlo dentro di me. Era bagnato, i vestiti erano fradici ma non mi importava. Ciò che mi interessava era solo stare tra le sue braccia e godere del suo incantevole calore, bearmi del suo dolce odore di vaniglia.
Ci vollero pochi minuti perché arrivassimo davanti alla villa Vitrano e non appena vedemmo il cancello di ferro battuto rabbrividimmo entrambi. Mi abbracciò ancora più forte e prede un respiro profondo, cercando il coraggio dentro di lui di varcare quella soglia. Avevo paura, paura di quello che avrebbero detto, paura di vederlo nuovamente triste.
«C'è sempre l'albergo» gli ricordai, ma lui scrollò la testa.
Citofonò e dopo alcuni secondi sentimmo scattare il cancello. Percorremmo il sentiero di ghiaia a passi piccoli e lenti, stringendoci l'uno all'altro mano a mano che la distanza dalla porta bianca diminuiva. Purtroppo l'uscio arrivò troppo presto e dietro di lei trovammo il signor Salvatore con un bicchiere di cognac in mano.
«Avete fatto una passeggiata?» domandò chiudendo la porta alla nostre spalle.
Dario annuì e cercò di fuggire subito su per le scale, ma suo padre lo bloccò per un polso trattenendolo al piano inferiore.
«Ho bisogno di parlarti Dario» disse con tono serio.
Il mio ragazzo cercò i miei occhi. Era smarrito e non sapeva cosa fare. In realtà nemmeno io sapevo cos'era meglio per lui, ma il signor Vitrano mi sembrava l'unico che si interessasse a suo figlio, almeno un minimo. Annuii, lui seguì il padre sul divano.
«Ti aspetto su» gli dissi «Buonanotte» aggiunsi rivolgendomi ad entrambi che mi risposero con un cenno della mano.
Salii le scale di corsa, ma invece di raggiungere il secondo piano mi fermai a metà rampa, accovacciandomi dietro la ringhiera per origliare. Non era eticamente né moralmente corretto, ma non volevo abbandonarlo e dovevo stargli accanto.
«Devi farmi il cazziatone?» domandò subito Dario con tono brusco.
«No, figliolo» sospirò suo padre «Volevo solo parlare un po' con te»
«Di quel maledetto foglio, immagino» borbottò scocciato il mio ragazzo.
Ci fu una piccola pausa ed immaginai che Salvatore avesse annuito dato il discorso che ne seguì subito dopo.
«La notizia ci ha davvero spiazzati. Insomma non è mai piacevole scoprire che il proprio figlio per mantenersi si prostituisce»
«Chissà che putiferio si sarebbe creato semmai qualcuno lo avesse scoperto. Il cognome dei Vitrano sarebbe stato infangato per l'ennesima volta, non è così?» rispose tagliente Dario.
«In verità, quando ho visto quel foglio non mi sono nemmeno preoccupato per il cognome che portiamo, ma mi sono sentito una vera merda» gli confidò il padre con un filo di voce «E mi sono sentito in colpa perché io sono tuo padre e nonostante questo ti ho voltato le spalle, ho preferito la mia carriera a te. Così non mi sono accorto di quanto tu soffrissi e di cosa sei stato costretto a fare»
«Oh! Dopo cinque anni arrivano i sensi di colpa. Magari avresti dovuto pensarci prima» replicò aspro il mio ragazzo.
«Credevo che te la saresti cavata!» alzò il tono Salvatore, per poi abbassarlo nuovamente ed addolcirlo «Mai, mai avrei pensato che saresti arrivato ad una cosa del genere»
«Scopare è l'unica cosa che so fare nella mia vita» sospirò Dario affranto e avrei voluto essere lì per abbracciarlo in quel momento «Tu non sai come è stato degradante vendermi così. Ogni giorno mi sentivo una merda ed ogni istante ho immaginato questo momento, quando avete saputo la verità. È stato umiliante, papà! Non avrei mai voluto che voi sapeste una cosa del genere!».
Un'altra pausa, questa volta più lunga, così mi sporsi dalla ringhiera e vidi il signor Salvatore stringere forte suo figlio, accarezzandogli la nuca.
«Immagino, figliolo. Ma io sono fiero di te comunque. Lo sono sempre stato e non smetterò mai di esserlo» disse con tono dolce «Perché tu sei davvero un ragazzo d'oro. Certo, hai fatto un sacco di marachelle, un sacco di casini e sei malato di sesso» ed entrambi ridacchiarono «ma ciò non toglie che sei una persona splendida. E che sei mio figlio e ti voglio bene incondizionatamente»
Dario si strinse di più al petto di suo padre e mi sembrò di vedere un bambino bisognoso d'affetto in quel momento. Che, fortunatamente, trovò tra le braccia di Salvatore che sembrava l'unico, insieme a Consuelo, a tenere davvero a lui.
«Scusami, papà, se ti ho deluso» mormorò Dario.
«Non mi hai deluso, anzi! Il fatto che tu abbia trovato il coraggio di voltare pagina, di abbandonare quel lavoro e dare una svolta alla tua vita dimostra quanta forza di volontà tu abbia»
«Il merito è solo di Alice» ammise e sentii il mio cuore esplodere di gioia «Senza di lei non sarei riuscito a combinare nulla di buono»
«La ami?» gli domandò a bruciapelo.
E senza esitazione, con molta decisione e una dolcezza spiazzante, Dario rispose «Sì».
Era sufficiente quello che avevo sentito. Il signor Vitrano si era dimostrata una persona splendida, così come suo figlio e le parole che entrambi avevano detto mi avevano toccato il cuore. Feci gli ultimi gradini con un sorriso ebete stampato in volto. Che, però, si spense non appena vidi Mauro appoggiato alla porta della stanza di Dario.
«Ha pianto il fratellino?» domandò con un sorriso sornione.
«Mi dispiace per te ma, no, non ha pianto. Anzi, non gliene frega nulla di quello che pensate voi» sputai acida.
«Wow! Che caratterino! Dove le nascondi le unghie, eh?» disse sarcastico facendo qualche passo verso di me.
Indietreggiai di conseguenza trovandomi al bordo del gradino. Rischiai di ruzzolare giù per le scale e rompermi l'osso del collo, ma fortunatamente mi fermai prima di tirare le cuoia. Mauro mi sorrise ed allungò una mano verso di me, sapendo bene che non potevo andare più indietro di così se non volevo precipitare. Mi afferrò un braccio e mi spinse verso di lui, verso un abbraccio da parte sua poco gradito.
«Sei tutta bagnata» disse e c'era un che di sensuale nella sua voce «Rischi di ammalarti, così» e cominciò a strofinare con estrema delicatezza le sue mani contro la pelle delle mie braccia. Incontrollato e soprattutto inaspettato un brivido mi percorse la spina dorsale e non per il freddo ma per il suo tocco destabilizzante. Lo odiavo con tutto il mio cuore, lo disprezzavo per quello che aveva fatto a Dario, eppure era tremendamente bello stare a contatto con il suo calore, sentire le sue mani su di me, vedere le pupille di quegli occhi azzurri dilatarsi quando mi guardava. Tentai di divincolarmi, di liberarmi dalla sua presa ma tutti gli stimoli cerebrali non arrivavano alle terminazioni nervose, per cui rimasi rigida tra le sue braccia, senza sapere cosa fare.
«Non pensare che io ce l'abbia con te. Anzi l'ultima cosa che voglio è vederti piangere» mormorò con un tono di voce che sembrava smarrito «Soprattutto per mio fratello. Non devi perdere tempo con uno come lui. È solo un pezzente».
E il fatto che avesse tirato in mezzo Dario, mi fece scattare come una molla, risvegliò i miei nervi e fui in grado di allontanarlo da me con una spinta.
«Smettila, smettila di parlare male di Dario!» quasi sbraitai e lui rimase spiazzato dalla mia reazione «Puoi dirmi tutto ciò che vorrai, ma tanto io continuerò ad amarlo»
«Sei caduta anche tu nella sua trappola» ribatté con tono basso «Ma come si fa a resistere a quegli occhi dolci, no? A quello sguardo meraviglioso».
Rimasi silenziosa ad ascoltarlo parlare e non sapevo se dubitare davvero di Dario oppure ignorare completamente le parole di Mauro. Sapevo di dovermi fidare del mio ragazzo, ma la voce di suo fratello era talmente convincente, quasi affranta che mi ritrovai sospesa in un limbo di domande senza risposta.
«Lui mi ama» dissi con voce tremante ed insicura.
Mauro sorrise di sbieco e affondò le mani nei pantaloni della tuta, voltandosi per raggiungere la sua camera.
«Non illuderti» mi avvertì «Sarai solo l'ennesima ragazza che uscirà da questa casa piangendo».








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Hello to everybody!
Eccomi qui come avevo promesso con il nuovo capitolo. C'è davvero tanto da dire qui e spero di non dilungarmi troppo ^^"
Diciamo che il capitolo non si apre proprio nel migliore dei modi dato che Alice scopre le foto di Sole dietro ai poster. È gelosa di lei, ovviamente e crede che Dario sia ancora innamorato di lei. Poi a complicare le cose arrivano anche i genitori del suo ragazzo. Salvatore non è cattivo, in fondo...diciamo che è il male minore lì dentro anche se non è uno stinco di Santo nemmeno lui. Infatti glielo dice anche la moglie che ha preferito la carriera al figlio. E la signora Nicoletta è simpatica come un cactus infilato nel di dietro ^^" è una donna con la puzza sotto il naso e la odio xD non c'è nient'altro da aggiungere.
Parliamo invece di Mauro. All'inizio fa tutto l'affettuoso, il carino anche con Dario, insomma un'altra persona da quella che avevam0 avuto modo di vedere nello scorso capitolo. Ma in realtà era solo un modo per rendere più amaro il boccone che ha dovuto mandare giù Dario. La sorpresa si è rivelata essere una bastardata. Mauro ha rivelato a tutti la sua scoperta e, come c'era da aspettarselo, la family non ha affatto gradito. E non per il figlio ma per il cognome che portano. Ma Alice si è fatta valere e ha difeso il suo ragazzo con tutte le sue forze. 
Dulcis in fundo l'uscita alla fontana di Trevi. Questa è la prima volta che Alice parla della separazione dei suoi genitori e non è che l'abbia vissuta benissimo. È stato molto tenero Dario a preoccuparsi della sua situazione famigliare e ancor più tenero quando le ha fatto lanciare la monetina nella fontana. La cosa più importante di questo capitolo la avrete intuita...Dario, finalmente, si è dichiarato e le ha detto Ti amo ♥.♥ sono in brodo di giuggiole >.< E non solo! Ha inciso anche le loro iniziali sul tronco di un albero. Secondo me la scena in cui corrono sotto la pioggia è le migliore >.< è così romantica! Ma resta comunque da scoprire che cosa ha desiderato Dario e se si avvererà soprattutto :) Mi piacerebbe sentire le vostre ipotesi a riguardo!
E infine, dopo il riavvicinamento da parte di Salvatore e Dario, spunta di nuovo Mauro. LA maggior parte di voi lo odia ed è comprensibile. Non è certo un ragazzo simpatico e fa di tutto per fasri odiare. Ma è più odioso di Saronno? Io amo entrambi, a dir la verità xD
Vabbè...avrà ragione Mauro a dubitare e far dubitare anche Alice? O lo fa solo per veder soffrire suo fratello? (oggi sono in vena di domande xD)
Come al solito ringrazio le splendide persone che seguono la mia storia, che la preferiscono e la ricordano. Quelle che leggono soltanto e quelle che hanno recensito lo scorso capitolo, oltre a quelle che mi sostengono su Facebook.

Come in un Sogno - con Ionarrante.
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Le 999 cose che la gente non sa degli scrittori
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Ci becchiamo su FB e al prossimo capitolo. Vi dico solo di preparare i fazzoletti ç___ç

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Capitolo 24
*** La differenza tra me e te ***





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C a p i t o l o 23
L
a differenza tra me e te
betato da nes_sie



Odiavo Mauro Vitrano con tutto il cuore e non mi era mai capitato di provare qualcosa del genere per una persona. Nemmeno con Cristina e Benedetta avevo provato un sentimento tanto riprovevole come l'odio così intensamente. Ma lui era la cattiveria fatta a persona e godeva nel vedere soffrire suo fratello. Non capivo come potesse disprezzare così una persona che era sangue del suo sangue, per la quale avrebbe dovuto provare un amore immenso. Seppur io dicessi sempre di non sopportare Smell e viceversa, tra me e lui c'era un bellissimo rapporto e non sarei stata in grado di immaginare la mia vita senza Raffaele. Invece Mauro avrebbe volentieri gettato Dario tra le fiamme se solo ne avesse avuto l'opportunità. Magari tutta la colpa non era da attribuire a lui, ma a sua madre, Nicoletta. Era stata sicuramente lei a trasmettere quell'odio nei confronti di Dario, e Mauro, ancora bambino, si era lascito influenzare e non lo aveva mai accettato, non aveva mai cercato di capire in realtà che persona splendida fosse suo fratello.
Ma, a quanto pareva, l'unico suo scopo era rovinargli la vita. Ancora, dopo due giorni dall'accaduto, continuava a lanciare frecciatine a Dario sul suo vecchio lavoro, seppur l'argomento gigolò fosse stato archiviato nel cassetto dei brutti ricordi del signor Salvatore, che aveva chiaramente espressola sua volontà di non parlare né sentire nulla riguardante quella brutta faccenda. Nicoletta era stata d'accordo, nonostante fosse ancora visibilmente preoccupata per il buon nome dei Vitrano. E, ovviamente, non rivolgeva più nemmeno la parola al figlio, molto probabilmente perché non lo meritava. Meglio così, almeno sarebbe stata un po' zitta.
Dario, dal canto suo, cercava di non stare con a sua famiglia troppo a lungo. O stavamo tutto il giorno fuori casa oppure rinchiusi in camera sua a parlare e scambiarci tenere effusioni. Praticamente vedevamo la famiglia Vitrano solo a cena, durante la quale si parlava il minimo indispensabile. Quel dannato foglio aveva spaccato quella famiglia ancora di più, separandoli maggiormente da Dario. Non vedevo l'ora che si svolgesse quello stupido matrimonio e che me ne tornassi a Milano insieme al mio amore e vivere felici senza l'oppressione di Mauro&Co. Per fortuna c'era Consuelo che, ogni tanto, con le sue battute dall'accento spagnolo strappava una risata a tutti quanti.
L'orologio segnava l'una passata e il mio stomaco brontolava. Dovevo solo resistere fino all'arrivo di Dario e poi saremmo andati a pranzare insieme al suo amico di sempre. Adriano mi sembrava si chiamasse. Solo che non sapevo come ingannare il tempo dato che la casa era vuota. I tre porcellini-medici-con-la-puzza-sotto-il-naso erano tutti in ospedale e Consuelo era uscita per sbrigare delle commissioni, per cui ero sola come un cane. L'unica cosa che mi rimaneva da fare, dopo aver sentito alla radio il programma di Dario era dare un'occhiata in giro per quella villa immensa, anche se non era di certo molto educato sbirciare nella casa di qualcun altro. Sospirai e mi alzai dal letto sul quale avevo poltrito fino ad allora ed uscii dalla camera. Spinta da una strana curiosità andai nella camera di Mauro, subito accanto a quella di Dario.
Era molto ordinata, con un letto a una piazza a mezza posizionato davanti alla porta ricoperto da lenzuola color caramello. Era chiaro che non fosse la camera di un ragazzino, ma di un uomo ormai adulto soprattutto per la sobrietà di quella stanza. Quello che mi colpì maggiormente fu una bacheca in sughero sulla parete destra tappezzata di foto. Alcune ritraevano Mauro in mezzo ad un gruppo di bambini e ragazzini di colore e tutti sorridevano felici. In un'altra aveva il tipico camice da chirurgo e stringeva tra le braccia un neonato, con la madre del bimbo accanto a lui. Poi una fotografia lo aveva immortalato piegato in avanti con un sorriso dolcissimo mentre una bambina con le treccine gli baciava una guancia. Non sembrava affatto che il ragazzo nelle fotografie fosse il Mauro che avevo conosciuto. I suoi occhi non erano freddi e tutti quei sorrisi sinceri mi toccarono il cuore, stranamente.
«Lì ero in Mogadiscio» la sua voce mi colse di sorpresa e sobbalzai, voltandomi di scatto verso di lui.
«Non sapevo che saresti tornato così presto» mi affrettai a dire avvicinandomi alla porta con passo svelto e lo sguardo basso «Non volevo invadere la tua privacy».
Prima che riuscissi ad uscire dalla sua stanza, però, Mauro mi afferrò per un braccio e mi trascinò di nuovo dentro.
«Tranquilla, non mi dà fastidio» mi sorrise e rividi per un attimo lo stesso ragazzo ritratto in quelle foto.
«Scusami, comunque» dissi mortificata sentendomi una stupida per essermi fatta scoprire mentre curiosavo in camera sua.
«Non ho nulla da nascondere» ridacchiò e stranamente il suo tono non sembrava quello di una tipica battutina nei confronti di Dario.
«I-immagino» balbettai.
«Fare il medico è sempre stato il mio sogno. Credo che avrei intrapreso questa strada anche se i miei genitori avessero fatto tutt'altro lavoro» cominciò a spiegare, soffermandosi a guardare le foto nella bacheca «Ho sempre voluto aiutare le persone e subito dopo aver preso la specializzazione mi sono unito ai Medici senza frontiere per poter essere utile a queste persone»
«Questo ti fa molto onore» mormorai affiancandomi a lui. Molto probabilmente gli sbalzi di umore erano una costante in casa Vitrano. L'atteggiamento cangiante di Mauro non faceva altro che confondermi, che scombussolare la visione che avevo di lui. Un attimo prima lo avrei strangolato e subito dopo tutto l'odio che provavo per lui spariva perché avevo accanto tutt'altra persona.
«Grazie» disse compiaciuto sorridendomi e per poco non svenni di fronte alla bellezza di quel viso etereo. Sbattei più volte le palpebre e mi imposi di guardare dritto davanti me. Non potevo perdere la testa ed arrossire come un pomodoro di fronte ad un qualsiasi bel ragazzo. Credevo di aver superato quella fase, ma evidentemente non era così.
«Quanto sei stato lì?» domandai per spezzare il silenzio che si era creato tra di noi.
«Tre anni e mezzo» sospirò «Mi è dispiaciuto molto dover partire. Per me erano come una seconda famiglia».
Allungò una mano verso la bacheca e afferrò la fotografia in cui la bambina con le treccine lo baciava. Mi parve che avesse gli occhi lucidi nel vedere quella fotografia e quel suo sguardo smosse qualcosa dentro di me, all'altezza del petto. Il mio cuore batteva forte, troppo forte e non sapevo nemmeno perché. Che cosa mi stava succedendo? Avevo per caso dimenticato cosa aveva fatto a Dario?
«Lei era Na'zyia» disse ammollandomi la foto tra le mani «Era orfana e aveva subito un delicato intervento cardiaco. Mi sarebbe piaciuto portarla in Italia con me, ma non ho potuto»
«Perché?» domandai, stupidamente.
Mauro mi guardò con sguardo vuoto spento, poi scrollò le spalle e ripose la foto nella bacheca.
«Purtroppo è morta» disse con tono piatto, affondando le mani nelle tasche del completo elegante e raffinato.
«Mi-mi dispiace» risposi abbassando lo sguardo.
«La morte fa parte della vita» replicò ritrovando per un attimo la freddezza che lo aveva caratterizzato «E io ci sono abituato, ormai, a vedere le persone morire. Anche se una parte di te muore sempre insieme a loro».
Dove aveva tenuto nascosta la parte umana di lui? E perché si ostinava a nasconderla a suo fratello? Le sue parole e il suo sguardo mi lasciarono totalmente spiazzata. Era come convivere con una specie di Dottor Jekyll e Mr Hyde e la pozione che lo trasformava nel mostro senza cuore era Dario.
«Ci tornerai dopo l'estate?» gli chiesi e trovai il coraggio di guardarlo negli occhi.
Mai lo avessi fatto! L'azzurro cristallino dei suoi occhi mi avvolse e mi sembrò quasi di essere stata inghiottita in un oceano caldo e sconfinato.
«No. Ho deciso di rimanere in Italia per il momento» rispose con un sorriso di sbieco che i fece seccare la bocca «Ho già trent'anni e abito ancora con i miei» allargò le braccia e ridacchiò divertito «Credo che sia arrivato il momento di prendermi più cura di me stesso, di trovare una donna e creare una famiglia»
«E l'hai trovata questa donna?» domandai e, istintivamente gli sorrisi. Stranamente mi sentivo bene nel parlare con lui, mi sentivo tremendamente tranquilla e la sensazione che mi dava stare così vicina a lui era piacevole.
«Non ancora» scrollò le spalle e si lasciò cadere sul letto «Ma magari ce l'ho sotto il naso e non me ne rendo nemmeno conto» e mi scoccò un'occhiata maliziosa. Per un attimo credetti che si stesse riferendo a me, anche se era praticamente impossibile dato che avevo quasi la metà dei sui anni e non ero attraente-barra-accattivante per uno come lui. Eppure mi ritrovai a boccheggiare, a sudare e a sentire uno strano caldo pervadermi il viso.
«Stai bene, Alice?» mi chiese con sguardo furbo, alzandosi dal letto e facendo qualche passo verso di me.
«Sì, sì!» ed annuii con vigore.
«Strano, perché hai le pupille dilatate. E le guance rosse» spiegò e le sue labbra si avvicinarono pericolosamente a me. Chiusi gli occhi e indietreggiai di un passo, ma questo non gli impedì di appoggiare le sue labbra fini sulla mia fronte. Io che credevo che tutti avessero doppi fini con me. Che stupida illusa che ero.
«Sei un po' calda» constatò e mi afferrò il polso, tastandomelo con due dita e guardando il suo rolex d'oro «E hai il battito un po' accelerato» aggiunse dopo un po'.
«Sto, sto, sto bene» balbettai, non riuscendo nemmeno ad articolare una frase di senso compiuto e lo strattonai per riprendermi la mano. In effetti scottavo, ma non per colpa della febbre... per il suo enorme fascino.
Fortunatamente il clacson della macchina di Dario interruppe quel momento di puro imbarazzo per me. Abbozzai un sorriso e lo salutai con una mano, dileguandomi velocemente dalla sua stanza senza nemmeno dargli una spiegazione.
«Alice» mi richiamò dalla rampa di scale e mi voltai prima di scendere l'ultimo gradino «Non farti mettere i piedi in testa da lui. Non commettere lo stesso errore di Sole. Ricordati: tu non sei la sua bambola».
Strinsi d'istinto la ringhiera tra le mani ed annuii senza proferire parola. Il tono che aveva usato per dire quelle cose non era il solito saccente e sufficiente che utilizzava per la maggiore, ma era tremendamente sincero. C'era qualcosa che Dario non mi aveva raccontato su Sole, ma non avrei fatto pressione per saperlo. Ero certa che fosse cambiato dall'adolescente che era, bastava pensare a come si era battuto per non farmi andare al ballo con Davide. Nonostante tutto, però, mi sentivo inquieta.


Eravamo arrivati in quella piccola ed accogliente pizzeria da almeno mezz'ora, ma del fantomatico Adriano nemmeno una traccia. Dario controllava ansioso l'ora ogni cinque minuti ed ero sicura che non fosse così teso per il ritardo del suo amico, o almeno non solo. In quei giorni era sempre nervoso a causa di tutta quella situazione che si era venuta a creare in casa Vitrano per via di quel foglio. Nonostante l'argomento non venisse più nemmeno sfiorato da nessuno, lui continuava a soffrire di quella situazione e si vergognava ancora di quello che era stato. Allungai una mano sul tavolo ed incontrai la sua, stringendola tra le mie dita e facendomi pervadere dal suo incantevole calore.
«Quando cazzo arriva?» borbottò irritato accarezzandomi il dorso della mano con il pollice.
«Vedrai che adesso arriva» lo rassicurai con un sorriso
«È da un'ora che continui a ripeterlo» bofonchiò contrariato «Mi viene il dubbio che si sia dimenticato di venire» sospirò «Sarebbe da Adriano»
Un sorriso crebbe sulle sue labbra morbide e finalmente rividi, dopo quasi due giorni, il Dario di cui mi ero innamorata e non il ragazzo scontroso e nervoso come solo una donna in pieno ciclo mestruale poteva essere. Sorrisi di rimando e liberai la sua mano, appoggiando i gomiti sul tavolo e fissando incessantemente la porta del ristorante. Erano le due passare e il mio stomaco reclamava cibo, ma di Adriano nessuna traccia. Cominciai a fantasticare su questo ragazzo. Immaginai che non fosse uno sfigato, insomma, uno come Dario non si sarebbe mai affiancato ad un Alberto qualunque, ma uno di quei ragazzi ciondolante che passava la vita in discoteca, tra drink e ragazze. Rabbrividii al solo pensiero di trovarmi davanti ad un truzzo galattico.
«Se non arriva entro cinque minuti, ordiniamo e basta!» commentò esasperato Dario, tamburellando il dito sul tavolo «Me so' rotto il cazzo di aspettare. Se lo becco gli spacco la faccia»
E come se qualcuno lo avesse avvisato del pericolo che correva non presentandosi, un tipo che subito capii fosse Adriano, senza in realtà saperne il motivo, varcò la soglia del ristorante. Era alto, molto più di Dario, poteva raggiungere ad occhio e croce la stessa altezza di Federico e si stava dirigendo dinoccolato verso di noi, lanciando qualche occhiata cerulea e maliziosa alle cameriere che gli sfrecciavano accanto. Come sospettavo, era un tamarro, di quelli che adorava sfoggiare le mutande di marca e che avrebbe potuto intraprendere il viaggio in giro per l'Italia insieme a Fiammetta Cicogna e agli altri esseri della sua specie.
Si passò una mano tra i capelli biondicci, facendo poi l'occhiolino ad una giovane cliente senza minimamente interessarsi al fidanzato che le era seduto di fronte. Dio mio! Si prospettava un pranzo lungo insieme a quel troglodita.
«Anvedi chi ce sta!» urlò, disturbando il resto dei clienti.
Dario si alzò e si voltò non appena sentì la sua voce, sorridendo felice di aver ritrovato il suo vecchio amico. Scattai anche io dalla sedia pronta per presentarmi ad Adriano, affiancandomi al lato corto del tavolo e pensai che magari, in fondo, non era poi male come ragazzo. Lo avevo giudicato troppo velocemente senza nemmeno conoscerlo. Se Dario gli voleva così tanto bene non poteva essere un decerebrato, no?
«A bello, te davo pe' spacciato!» continuò, abbracciando Dario e dandogli una pacca sulla schiena.
«Che fine avevi fatto, Adrià?» domandò stizzito «È da n'ora che t'aspetto!»
«Che te devo di'! 'na pischella m'ha tenuto per le palle per un po'» gongolò soddisfatto.
No, okay, la prima impressione era quella giusta. Come poteva Dario essere amico di un tipo come quello? Magari c'era qualcosa in lui, qualcosa di speciale che io non riuscivo a vedere, che forse non volevo vedere e che molto probabilmente non avrei mai visto. Ma poco mi importava. Per me contava che Dario fosse felice, con lui o con qualsiasi altra persona.
«Sei sempre il solito!» sospirò ridacchiando «Quand'è che crescerai?»
«Che, mi fai la predica, paparino?» si stizzì Adriano, sedendosi nel posto accanto a Dario «E tu, l'hai spaccata la città del Berlusca? Quanti culi hai sfondato, eh?» ridacchiò malizioso, dandogli una pacca sulla spalla.
Rimasi impietrita, in piedi, a fissare quei due che ridevano rumorosamente parlando di sesso nel modo più volgare che io avessi mai sentito.
«Parecchi!» rispose divertito.
Per forza, con il lavoro che faceva! Dedussi che Adriano non sapesse nulla della vita milanese di Dario, anzi, che non sapesse proprio niente del suo migliore amico, se non quello che il mio ragazzo gli aveva voluto mostrare. Lui era uno di quelli che si era fermato alla superficie, al Moro e che non si era addentrato nella vera personalità di Dario.
«Che hai combinato in 'sti cinque anni, eh, fratè?» domandò al mio ragazzo stringendogli la spalla in modo poderoso.
«Niente di che» Dario scrollò le spalle e sospirò «Le cose che facevo qui.
«Poi me spiegherai che cazzo t'è preso» borbottò Adriano «Te ne sei scappato lasciandomi qua come 'no stronzo».
Dario ridacchiò nervosamente e si grattò la nuca e mi resi sempre più conto di quante cose non sapesse in realtà Adriano del suo migliore amico. Nono lo conosceva affatto e magari non aveva mai avuto voglia di conoscerlo.
«Avevo bisogno di staccare un po'» rispose rimanendo sul vago.
«Cinque anni?» disse perplesso Adriano abbassando un sopracciglio «Ammettilo, te eri rotto li cojoni delle ragazze di qui e te sei trasferito per le fighe milanesi, eh, vecchia volpe?» ammiccò sgomitando.
«Me le ero fatto tutte, qui, amico!» rispose per le rime il suo amico che non mi sembrava nemmeno più il mio Dario.
Adriano strinse la mano del suo best friend e ridacchiarono entrambi sembrando due allupati.
«E tu? Con le tipe?» gli domandò il mio ragazzo.
Cioè, questi due non si vedevano da cinque anni e ciò che interessava loro erano le tipe? Ero assolutamente sconvolta e senza parole.
«Cioè, Da', non puoi capi'!» esclamò passandosi una mano sulla barba biondiccia «L'altra volta stavo ar Piper e a 'na certa una non s'avvicina a me e me dice 'Voi anna' ar bagno?'. A me nun me scappava, quindi jo detto de no. Però quella 'nsisteva. Alla fine ho capito che voleva che la schiacciassi come 'na spremuta!» concluse, tutto esaltato, battendosi il cinque con un Dario tutto fomentato.
«L'avrai spompata, a quella!» commentò.
«Puoi dirlo, fratè! Nun se reggeva in piedi!»
Quei due, Adriano e quello che doveva essere il mio ragazzo, scoppiarono a ridere come degli imbecilli. Da quando aveva messo piede nel ristorante quel biondino, Dario era diventata un'altra persona, qualcuno che non conoscevo, forse il Moro che tanto odiava ma che ancora fingeva di essere.
«Ah, fratè! Domani pomeriggio c'è 'na partita al campetto. Siamo a corto di uno, te va de gioca'?»
«Ok» rispose il mio ragazzo non molto convinto, scrollando le spalle.
«Come ai vecchi tempi, amico!» esclamò Adriano stringendolo a lui.
Tossicchiai, cercando di attirare la loro attenzione, visto che mi stavano completamente ignorando. Appena Dario incontrò il mio sguardo stizzito sorrise bonariamente, mentre Adriano mi squadrò con un sopracciglio abbassato da capo a piedi.
«Ce porti due Martini, per ora» disse scocciato, forse scambiandomi per la cameriera.
«Come, prego?!» mi indispettii.
«Che, nun ce senti?» urlò, indicandosi un orecchio «D U E M A R T I N I!»
«Adrià» mormorò sommessamente Dario, cercando di attirare l'attenzione del suo amico, che, però, aveva occhi solo per me.
Infatti mi stava scrutando con le sue iridi cerulee e confuse, non capendo perché stessi ancora in piedi come una cretina ad osservarli.
«Ma che cazzo vole 'sto cesso?» sgomitò Dario e parlò a bassa voce, ridacchiando, ma lo sentii comunque. E la rabbia e la voglia di prenderlo a padellate in faccia cresceva a dismisura. Mi sedetti di fronte a loro, strisciando la sedia e incrociando le braccia al petto regalando il mio sguardo stizzito al muro.
«'sto cesso sarebbe la mia ragazza» rispose Dario, abbozzando un sorriso.
Adriano sbiancò tutto d'un colpo dopo essersi reso conto della figuraccia appena fatta. Boccheggiò, indicando prima me e poi Dario, sgranando quegli già enormi occhi azzurri.
«Cioè, quindi, voi due...» lasciò in sospeso la frase, assottigliando lo sguardo.
«Già, stiamo insieme» completò Dario, allungandosi verso di me in cerca di un contatto che non gli concessi. Mi regalò uno sguardo colpevole che, però, non mi sfiorò nemmeno «Alice, lui è Adriano. Adriano, lei è Alice».
Il biondino si affrettò ad allungarmi una mano, che afferrai con decisione e rabbia. Gliela avrei strappata se solo avessi avuto la forza.
«Piacere» mormorò in colpa per quello che aveva detto poco prima.
«Nessun piacere di conoscerti» risposi, indispettita ed offesa sia da come mi aveva definita quel cafone, sia per i suoi argomenti di conversazione molto poco interessanti.
«Eddai, stavo a scherzà» esclamò ridendo come uno scemo «Non sei un cesso. Sei passabile» e scrollò le spalle.
«Oh, ma grazie!» dissi sarcastica «Tu sì che sei proprio un ragazzo a modo. Una ragazza, con certi complimenti, potrebbe sciogliersi»
«'sta pischella è un po' acida» borbottò scocciato. Poi diede una gomitata al suo compare e si avvicinò al suo orecchio «Peggio di un dito ner culo» aggiunse.
Fin da quando ero piccola, avevo sviluppato un udito molto fine per poter origliare le discussioni dei miei genitori che, per non disturbarci e non farci preoccupare, parlavano in toni moderati. Ma io sapevo bene che si stessero insultando a vicenda, per cui mi appostavo dietro la loro porta per sentire ciò che si dicevano. Cose poco carine, ovviamente. E il commento di quell'Adriano non fu difficile da percepire. Dire che non lo sopportavo era troppo riduttivo. Ancora non riuscivo a capire che cosa avesse in comune con Dario, il mio Dario, quello che avevo conosciuto, il ragazzo fragile come un bicchiere di cristallo, il ragazzo sensibile e romantico che arrossiva per un complimento. Sembrava quasi che lui non ci fosse più, che avesse indossato nuovamente la sua maschera per nascondersi, per paura di mostrare al suo amico chi fosse realmente. E non mi piaceva affatto questo suo atteggiamento. Credevo che ormai avesse deciso di abbassare le sue difese davanti a tutti, di lasciarsi finalmente andare ed invece preferiva ridere di me insieme al suo compagno di scorribande dell'adolescenza.
«Oh, sono davvero felice che vi stiate divertendo alle mie spalle» dissi, ironica, richiamando con una mano il cameriere «Continuate pure a ridere di me»
«Ma dai, Alice» tentò di dire Dario, asciugandosi una lacrima.
«Alice cosa?!» tuonai, stizzita.
«Su, non fare l'arrabbiata, piccola» addolcì il tono.
«Io non faccio l'arrabbiata, io SONO arrabbiata!» sbraitai, fuori di me, con gli occhi neri di Dario e quelli azzurri di Adriano puntati addosso.
«E perché mai? Cosa ho fatto?» domandò seriamente confuso il mio ragazzo.
«Hai anche la faccia tosta di fare queste domande?» esclamai incredula.
Dario sbuffò sonoramente, passandosi una mano sul viso, mentre il suo amico rideva sotto i baffi nel vedermi così adirata. Se solo l'omicidio fosse stato legale, non avrei perso tempo a strangolarlo. Ma, forse, se avessero saputo che la vittima era Adriano mi avrebbero dato una medaglia al valore per aver fatto fuori un tipo così.
«Guarda! Lui ride di me e a te non importa!» sbraitai fuori di me battendo una mano sul tavolo.
Scattai in piedi e mi ritrovai davanti il cameriere che avevo chiamato poco prima. Alzò un indice come a volermi fermare ma io lo mandai malamente a quel paese nonostante lui stesse cercando solo di fare il suo lavoro.
Avevo bisogno di allontanarmi da lì, di prendere una boccata d'aria e di non vedere quei due per alcuni minuti. Entrambi mi avevano fatto uscire dai gangheri. Adriano con i suoi modi di fare, il suo atteggiamento arrogante e il suo orribile modo di parlare. Ma, soprattutto, era stato Dario a farmi arrabbiare, con quel suo nascondersi dietro qualcuno che non era calpestando se stesso e i miei sentimenti.
Uscii dal locale sotto il sole cocente delle due e mezza. Poco mi importava del caldo di quella giornata di inizio luglio, l'importante era stare lontana dai quei due prima di perdere le staffe e commettere qualche omicidio. Erano riusciti anche a farmi perdere l'appetito. Presi un respiro profondo e tentai con tutte le mie forze di non piangere per il nervoso. Tremavo talmente ero tesa e credevo che da un minuto all'altro mi sarebbe venuto un infarto.
Dei passi riecheggiarono dietro di me e immaginai subito che quel passo così deciso appartenesse a Dario, ma non mi voltai non per vedere un ragazzo che non era il mio fidanzato.
«Scusami, Alice» disse mortificato fermandosi dietro di me.
«E lei chi sarebbe?» domandai sarcastica e brusca voltandomi quel tanto che bastava per guardarlo.
Aveva lo sguardo basso con le mani nelle tasche dei jeans e calciava un sassolino capitato per sbaglio tra i suoi piedi.
«Non fare la scema» mi riprese con tono bonario.
«Io non devo fare la scema? Io?» chiesi spazientita voltandomi del tutto e facendo ricadere pesantemente le braccia lungo i fianchi «Sei tu che ti sei messo a ridere di me con quel decerebrato del tuo amico»
«Non stavo ridendo di te, piccola mia» rispose dolcemente e mi strinse la mano nella sua. Era impossibile, per me, rimanere arrabbiata con lui, soprattutto quando faceva il tenero e mi guardava con i suoi enormi occhi da cucciolo spaesato. Ma dovevo tenere il broncio ancora per un po' se non volevo risultare una cretina «Ridevo per le sue battute. Non mi sognerei mai e poi mai di divertirmi alle tue spalle»
«Sì, certo» bofonchiai «Le battute erano su di me se non te n'eri accorto»
«Ma mi faceva ridere solo il tono con cui diceva quelle cose, non il soggetto» rispose e mi baciò il dorso della mano «Io ti amo, Alice» disse in un soffio con un sorriso che avrebbe ammansito anche la creatura più feroce «Mi perdoni?»
Schioccai la lingua e alzai lo sguardo al cielo, tamburellando il piede sull'asfalto. Non poteva fare così sapeva che non ero in grado di resistergli.
«Non basta un semplice Ti amo e un Mi perdoni» mi imposi. Una volta ogni tanto dovevo essere ferma nelle mie decisioni. Dovevo farlo sentire un po' in colpa, poi lo avrei perdonato.
«Non fare la cattiva, Alice» piagnucolò e sfoderò, subdolamente, il labbro tremulo prima di affondare il viso nel mio petto e strusciare il naso nell'incavo tre i miei seni. E quello fu il colpa di grazia. Cedetti come una stupida alla sua dolcezza e lo strinsi a me baciandolo tra i capelli.
«Sai sempre come farti perdonare tu, eh?» chiesi retorica.
Dario alzò il viso verso di me e sorrise sornione, unendo poi le sue labbra alle mie. Mi baciò con trasporto e passione, abbracciandomi forte a lui come se non volesse farmi scappare. Era conscio del fatto di aver sbagliato ed ero sicura che era dispiaciuto per l'accaduto, soprattutto dal modo travolgente con cui mi stava baciando. In quel contatto bruciante ritrovai il mio amato Dario e non quel deficiente che parlava con Adriano ed ero felice che aveva capito il suo errore. Significava molto per me anche se era una minuzia, ma mi bastò per capire quanto lui tenesse a me e quanto mi amasse. Era una sensazione fantastica quella di essere amata, soprattutto se a farlo era una persona speciale come Dario.
«Mi dispiace davvero tanto» sussurrò sulle mie labbra e il suo fiato si infranse nella mia bocca.
«Tranquillo» dissi baciandolo a fior di labbra «L'importante è che la smetti di fare lo scemo»
«Promesso!» esclamò portandosi una mano sul cuore e strofinando il suo naso contro il mio.
«Torna dentro dal tuo amico deficiente» ridacchiai e lui mi sorrise.
«Tu non vieni?» domandò dubbioso staccandosi a fatica da me.
«Ho bisogno di un po' d'aria. Arrivo subito»
Dario annuì e mi baciò ancora una volta, poi di nuovo e un altro ancora, assaporando per un solo istante le mie labbra e sfiorando con la punta della lingua la mia. Erano brevi contatti che bruciavano più del fuoco che facevano crescere in me la voglia di sentire quelle labbra unite alle mie per l'eternità. Il fatto era che il suo sapore era una droga per me e sentivo la necessità costante di averlo sulle mie labbra. Si allontanò da me, ancora con la mano stretta nella mia che ricadde poco dopo, quando lui rientrò nella pizzeria. Rimasi a guardare la porta per non so quanto tempo, sorridendo come una scema. E non era colpa mia, ma di Dario. Era lui che mi faceva sentire così felice e mi veniva naturale sorridere quando ero con lui o semplicemente quando lo pensavo.
Forse ero stata troppo precipitosa nel perdonarlo, in fondo gli erano bastate due moine per farmi cedere. Ma ormai ero sicura di ciò che provavame, sapevo che mi amava e ormai mi fidavo ciecamente di lui. Non avevo più bisogno di certezze perché lui era stato in grado di darmele a poco a poco, dimostrandomi con la sua dolcezza e la sue preoccupazione il suo amore. Sospirai ed entrai nuovamente nella pizzeria intenzionata ad ignorare completamente Adriano. Già c'era la famiglia Vitrano a rovinare tutto e non volevo che quello scemo rovinasse la nostra vacanza ancora di più. Camminai lentamente e mi fermai qualche passo più indietro rispetto a loro, sogghignando tra me e me. Sarei arrivata lì di soppiatto e li avrei fatti spaventare, prendendomi una sorta di rivincita. In punta di piedi diminuii le distanze tra di noi ma mi immobilizzai non appena sentii parlare Adriano.
«Che te sei fumato, fratè?» gli chiese con tono di rimprovero «Co' tutte le bonazze che ce stanno, proprio con 'na scorfana come quella dovevi metterti?».
Mi nascosi dietro un'alta pianta che c'era un po' più indietro del nostro tavolo ed attesi la risposta di Dario, stritolando una povera ed innocente foglia. Non ero Megan Fox, ovviamente, ma non ero nemmeno 'sto cesso di cui parlava Adriano. Più o meno.
«Che te devo dì, Adrià» sbuffò Dario «Me 'sta appiccicata come una cozza»
«Perché è 'na cozza!» si sbellicò Adriano, ma me ne importò relativamente dato quello che aveva appena detto il mio ragazzo. O forse avrei dovuto dire ex-ragazzo.
«Che cazzo aspetti a mollarla? Non ha manco le tette!» ed entrambi scoppiarono a ridere come degli imbecilli. La risata di Dario era come una coltellata nel petto, che mi squarciò il cuore a metà.
«Per adesso sto bene così» rispose vago Dario.
«Ma avete già scopato?»
«Ovvio! Pensavi forse che non riuscissi a portarmi a letto una ragazzina?» rispose e il suo tono era quasi trionfale. Ogni sua parola era un pesante mattone che mi cadeva addosso e che mi seppelliva lentamente. Perché diceva così? Era vero quello che stava dicendo al suo amico? Per lui ero solo una ragazzina cozza che gli si era appiccicata?
«E com'è che te se alza co' quella?» abbassò il tono come per non farsi sentire da qualcuno.
«Penso a Martina. Quella gnocca di Martina» rispose Dario ed io mi sentii morire a poco a poco. Avevo le gambe molli e il cuore sembrava che non battesse più nel petto. Lui me lo aveva strappato in quell'esatto momento e ci stava giocando abilmente. Dopo tutto quello che aveva fatto per me, dopo tutto quello che mi aveva detto, perché diceva cose del genere? Non aveva alcun senso!
«Così sì che te viene duro!» ridacchiò Adriano «Però fratè, mollala prima che si innamori di te. Poi non te la scolli più di dosso»
«È già innamorata» sospirò Dario e il suo tono sembrò addolcirsi momentaneamente. Era pazzo, completamente pazzo.
«Fratè, che cazzo è quello sguardo languido?» si stizzì Adriano «Non dirmi che te se preso 'na cotta per quella»
«Ma neanche morto!» esclamò indignato il mio ragazzo «I miei l'hanno beccata a casa mia dopo che ci eravamo divertiti, insomma ed erano convinti fosse la mia ragazza. Così ho mantenuto il gioco. Me la sono portata appresso a Roma per il matrimonio di mia cugina, così la smettono di dire che salto da un letto all'altro»
«Oddio, Da'! Sei proprio 'no stronzo!» esultò il decerebrato.
«Già. Sono uno stronzo» ripeté a malincuore.
«Me sembra quasi che stiamo a pija per il culo quella balena di Sole!» si sganasciò e con lui anche Dario.
«Che sfigata che era» ricordò il mio ragazzo «Quasi quanto Alice. E tutte e due si sono innamorate del sottoscritto. Che fallite»
«La D'amato ti veniva dietro?» si stupì Adriano.
«Sì. Che schifo. Solo ad immaginarla sopra di me nuda con tutto il lardo che balla mi viene il volta stomaco!»
Basita, incredula, schifata da tutto quello che avevo sentito mi allontanai dalla pianta dietro la quale mi ero appostata. Chi cavolo era quel ragazzo seduto insieme ad Adriano? Non di certo lo stesso che avevo conosciuto io qualche mese prima. Aveva cambiato la sua vita per me e mi aveva dichiarato il suo amore, scrivendo addirittura le nostre iniziali su un tronco d'albero. Non poteva avermi mentito così spudoratamente solo per portarmi al matrimonio di sua cugina e far credere di essere la sua ragazza. E allora perché si comportava così? Perché aveva indossato di nuovo la maschera di quel maledetto Moro? Perché, ne ero più che certa, era lui in quel momento. E poi come aveva parlato di Sole, con un disprezzo spiazzante. Era stato il suo primo amore e lo avevo capito che era stato innamorato di lei dalle foto che aveva nascosto dietro i poster.
Era uno stronzo, aveva ragione Adriano. Aveva detto tutte quelle menzogne solo perché si vergognava di me, di essere il mio ragazzo e di amarmi. E questo feriva di più, cento volte di più di una pallottola conficcata nel petto. Avrei preferito che le cose che aveva detto fossero vere, che mi trovasse un cesso e che gli facevo schifo piuttosto che essere trattata come il Gobbo di Notre Dame, costretta a nascondermi perché si vergognavano di me.
Di fretta cercai di abbandonare il locale, ma sbattei contro un cameriere facendogli cadere il vassoio. Avevo gli occhi annebbiati e non avevo nemmeno notato che mi si era parato davanti. Mi scusai velocemente e mi voltai incontrando gli occhi sgranati di Dario. Aveva intuito che avessi sentito tutto, infatti si alzò velocemente per raggiungermi. Ma io non volevo avere più nulla a che fare con lui, con uno psicopatico dalla doppia personalità. Uscii di fretta dal locale e corsi come non avevo mai fatto nella mia vita. Volevo e dovevo scappare da lui, da quella città, tornarmene a Milano dai miei amici, da Cristina, Claudia e soprattutto Federico. Avevo una voglia infinita di vederlo in quel momento, di sentirlo vicino a me perché lui era l'unico in grado di consolarmi.
«Alice!» lo sentii che mi chiamava ma non mi voltai nemmeno. Con me aveva chiuso. Che si trovasse una gnocca, così le sue cazzo di apparenze sarebbero state salve!
«Alice, porca puttana, fermate!» sbraitò ancora ed io lo ignorai.
Svoltai al primo incrocio che trovai ed era inutile dire che non sapevo nemmeno dove fossi. Tanto non mi interessava. La priorità in quel momento era scappare, allontanarmi il più possibile da Dario e tornarmene a casa mia. Avevo il fiato corto e faticavo a respirare. Non ero abituata a correre così tanto e così mi fermai un secondo per riempirmi i polmoni di ossigeno, piegandomi sulle ginocchia. Solo in quel momento mi accorsi che stavo piangendo per via delle lacrime che caddero sull'asfalto. Mentre ero intenta a riprendere fiato e ad asciugarmi le lacrime, Dario mi raggiunse.
«Vaffanculo!» urlai con quel poco di respiro che mi rimaneva.
«Hai sentito tutto?» domandò anche lui con la voce spezzata dalla fatica e dal dispiacere.
«Sparisci» sibilai e mi sollevai continuando a dargli le spalle.
«Non penso nemmeno una parola di quello che ho detto» ammise e la sua voce tremava.
Mi girai verso di lui e mi morsi entrambe le labbra per impedire alle lacrime di uscire ancora. Era davvero dispiaciuto, i suoi occhi erano pieni di tristezza ma questa volta non sarei crollata di fronte alle sue iridi. Non avrei dovuto fidarmi di lui e quella era l'ennesima conferma di quanto fossi stupida, di quanto fossi ingenua.
«E allora perché le hai dette?» strinsi i pugni e un groppo mi si formò in gola.
«Perché era quello che voleva sentirsi dire Adriano» rispose allargando le braccia e facendole ricadere lungo i fianchi.
«Non era meglio che tu gli dicessi la pura e semplice verità?» lo rimbeccai io alterata.
«Non potevo, Alice!» esclamò lui mettendosi le man nei capelli e scuotendo la testa.
«Perché?» urlai fuori di me «Perché non sono una modella? Perché non sono bionda e non ho gli occhi azzurri? Perché non porto una quarta di reggiseno e non sono una strafiga come Martina?» elencai con un tono di voce talmente alto che sentii la gola bruciarmi intensamente.
Dario si morse il labbro inferiore e fece qualche passo verso di me. Era nervoso e i suoi movimenti era disconnessi, ma non mi importava nulla di vederlo in quello stato. Il suo comportamento era stato riprovevole nei miei confronti.
«Adriano è l'unico amico che mi sia rimasto e a lui non è mai importato nulla di come fossi realmente. Gli interessava solo la facciata e io non voglio deluderlo» abbassò il tono e con lui il capo.
«Ma facendo così deludi me!» sbraitai al limite della pazienza.
«Ma cazzo, lo sai che ti amo!» urlò anche lui e una vena serpeggiò sul suo collo. Era paonazzo ed arrabbiato, esattamente come me. Ma questa volta non sarei stata io la prima a cedere.
«A questo punto non lo so più» dissi, anche se non pensavo veramente quelle parole. Sapevo che mi amava, ma ero troppo arrabbiata in quel momento per pensare lucidamente.
«Che cazzo devo fare ancora per dimostrare che ti amo?» sbraitò talmente forte che la voce gli si strozzò in gola «Ho dato una svolta alla mia vita, ho inciso i nostri nomi su quel tronco, ho menato quella specie di orribile troll perché ero geloso. Che cazzo vuoi di più? Che lo urli al mondo intero? Che faccia degli striscioni giganti e li appenda in tutta la città?».
Sorrisi incredula e scossi la testa. Non capiva, non riusciva ad arrivare a quale fosse realmente al problema.
«Non ho bisogno della tua stupida teatralità» sputai acida.
«E allora quel è il problema?» domandò infuriato stringendomi le spalle e sbattendomi contro al muro. Eravamo entrambi senza fiato, respiravamo a fatica e i nostri petti si scontrarono più volte. I suoi occhi neri erano attraversati da lampi di rabbia e avevano perso gran parte della loro magnificenza. Sembravano vuoti, non sembravano nemmeno quelli di Dario.
«Tu ti vergogni di me» sibilai a denti stretti senza interrompere il nostro contatto visivo «È questo il problema. Mi ami eppure non hai il coraggio di dire ad Adriano quello che senti per me solo perché non sono bella come vorresti» il mio tono di voce si abbassò e le corde vocali vibrarono, producendo uno suono vibrante. Il groppo in gola si intensificò, espandendosi in una morsa che intrappolò la bocca dello stomaco e il mio cuore. Lo sentivo proprio contorcersi nel petto e far male. Provavo un dolore quasi fisico come se qualcuno me lo stesse calpestando senza ritegno.
«Ma Alice tu sei bellissima» replicò lui con voce dolce, accarezzandomi la guancia con il dorso della mano. Gli afferrai un polso con decisione e allontanai le dita dalla mia gota. Il contatto con la sua pelle bruciava ancora e non potevo rimanere indifferente al suo odore. Solo per quello lo scostai da me, perché sennò sarei crollata di nuovo e non volevo. Ma probabilmente lui aveva travisato il mio gesto e si incupì, contraendo la mascella.
«Non abbastanza per due come voi» ribattei con il cuore in piccoli pezzi.
«Scusami, Alice» sospirò «Mi sono comportato da stronzo, ok? Sono un bastardo e mi metto pure in ginocchio se serve a farmi perdonare»
«Cosa credi? Che sono necessarie sempre due occhi dolci e un labbro tremulo per farmi cedere?» sbottai imbestialita «Quello che non capisci è che tu mi hai mentito».
Dario sgranò gli occhi e mi guardò spaesato, annaspando e senza nemmeno riuscire a farmi alcuna domanda.
«Avevi detto di odiare questo Moro ma quello seduto al tavolo mi sembrava proprio lui» gli sputai in faccia quelle parole con rabbia «Superficiale, bastardo e insensibile»
«Non ti ho mentito!» si sgolò e diede un pugno alla parete dietro di me facendomi spaventare e chiudere gli occhi di riflesso «Tu non sai nemmeno quanto io abbia odiato fingere di essere quello che non sono»
«E perché lo hai fatto ancora? Perché ti ostini a vivere nel passato? A nasconderti dietro chi non sei?» urlai con gli occhi spalancati dai quali volevano uscire le lacrime.
Lui rimase con la bocca dischiusa e il pungo ancora serrato contro la parete. Le sue iridi vagavano e sfuggivano al mio sguardo, non riuscendo a sostenere i miei occhi pieni di delusione nei suoi confronti.
«Come pretendi che la gente ti voglia bene se non sa nemmeno chi sei?» continuai il mio monologo con voce stridula. La gola era secca, mi bruciava e faticavo anche a parlare.
«Io... io...» farfugliò e deglutì a fatica «Ma tu sai chi sono, è questo l'importante»
«No, non lo so più» scossi la testa e mi morsi il labbro lasciandomi sorprendere dal pianto. Mi faceva male vederlo così, ma era ancora più doloroso sapere che lui avrebbe sempre fatto finta di non amarmi, di stare con me solo per compassione. Lo amavo ma se per lui era più importante l'apparenza allora era meglio lasciarlo andare.
«Tu pendi dalle labbra degli altri e ti interessa solo apparire figo davanti a loro» ripresi a parlare mentre lui mi guardava sempre più sconvolto «E pur di non mostrarti nella tua fragilità, calpesti te stesso e gli altri, come hai fatto con me e il nostro amore. Come hai fatto anche con Sole» gli occhi di Dario si dilatarono maggiormente, forse perché sapeva dovevo volevo arrivare con il mio discorso.
«Anche a te è sempre interessato il pensiero altrui sennò non mi avresti chiamato perché fingessi di essere il tuo ragazzo» ribatté con voce roca.
«Ma le mie erano bugie innocenti che non ferivano nessuno se non me stessa!» urlai e la mia voce ne uscì gracchiante perché la gola mi bruciava ed era un miracolo se riuscivo ancora a parlare «Le tue, invece, fanno male e ne hanno fatto tanto anche in passato!»
Dario abbassò il viso scuotendo con vigore la testa e sbatté il palmo della mano contro la parete dietro di me strappandosi un mugolo di dolore.
«Io non voglio perderti Alice. Ti prego, scusami» la sua voce uscì come un lamento e mi colpì dritto al cuore. Sussultai e le mie gambe divennero di burro, ma mi ressi in piedi per miracolo.
«Così facendo succederà, Dario» dissi con le lacrime che mi solcavano il viso «Io ti amo, ti amo da morire. Ma io mi sono innamorata di Dario, il ragazzo fragile ed insicuro che ha pianto tra le mie braccia sul tuo balcone e non del Moro. Non so nemmeno chi sia e non ho intenzione di dividere nulla con lui»
Attesi una sua replica, una sua parola, qualcosa da lui, ma non arrivò nulla. Mi fissava disperato e basta scuotendo la testa e umettandosi le labbra di continuo. Quella vacanza era iniziata davvero male ma non avrei mai immaginato che si sarebbe terminata nel peggiore delle ipotesi. La nostra storia ci stava scivolando lentamente tra le mani come acqua fresca e nessuno dei due sapeva come bloccare quell'incessante scorrere che avrebbe portato il nostro amore alla deriva. Lo scansai con delicatezza e lui non oppose resistenza. Mi allontanai di qualche passo e mi voltai a guardarlo per un'ultima volta.
«Ti prego, Alice, scusami» mi supplicò raggiungendomi e abbracciandomi forte «Mi dispiace davvero tanto, ma ti prego non te ne andare».
Mi baciò sul collo e strusciò il naso contro la mia pelle. Le sue mani viaggiarono sulla mia schiena portandosi in avanti ed intrufolandosi nella mia maglietta per sfiorarmi il ventre.
«Dai, torniamo a casa e non pensiamoci più» mormorò roco e seducente.
Mi stavo sciogliendo lentamente tra le sue braccia e le sue labbra erano due carboni ardenti sulla mia pelle che mi bruciavano e mi eccitavano da impazzire. Ma anche se vacillavo di fronte a lui, rimasi irremovibile nella mia rabbia. Non poteva sempre averla vinta e non potevo concedergli sempre la vittoria. Aveva sbagliato e anche di grosso con il suo atteggiamento e mi aveva ferito. E lui credeva che così facendo sarebbe stato in grado di ammansirmi. Mi tornarono in mente le parole di Mauro e lo scansai da me con una spinta.
«No, Dario, non bastano due bacini e qualcosa di sussurrato. Mi hai fatto molto male questa volta» soffiai distrutta moralmente e fisicamente «Non sono la tua bambola».
E quelle parole lo spiazzarono ancora di più. I suoi occhi erano languidi e il nero delle sue iridi sembrava che si stesse sciogliendo a poco a poco. Mi amava e lo avevo ferito con quelle parole. Ci eravamo accoltellati a vicenda e non sapevo se queste lacerazioni sarebbero state curate o avrebbero continuato a sanguinare.
«Mi stai lasciando?» sbraitò serrando il pugno e stringendo con l'altra mano i suoi capelli.
Ci rimuginai sopra e non seppi trovare una risposta. Lo amavo da impazzire, più di qualsiasi altra cosa al mondo e lui era il mio sole attorno al quale ruotava tutto. Ma come potevo stare accanto ad un ragazzo che fingeva di essere ciò che non era? Che preferiva sotterrare i suoi sentimenti piuttosto che renderli pubblici?
«Non lo so» risposi in un sussurro e scrollai la spalle.
Mi distanziai ancora di più da lui con lo sguardo basso e le lacrime che mi bagnavano il volto. Lo sentii comunque urlare e ogni sua parola mi trapanò i timpani, percorrendo l'intero corpo e andando a colpire il cuore.
«Avevi detto che non mi avresti mai lasciato!» urlava «Sei tu la bugiarda! Vaffanculo, Alice! Vaffanculo!».
Strizzai gli occhi e accelerai il passo. Non sapevo dove mi trovavo e non sapevo nemmeno come tornare in villa, anche se l'unica cosa che volevo in quel momento era isolarmi e pensare se lasciarlo o meno, riflettere su quello che era accaduto tra di noi. Camminai per qualche metro finché non adocchiai un taxi fermo poco più in là. Mi avvicinai e mi sporsi dentro l'abitacolo dal finestrino, dopo essermi asciugata le lacrime.
«È libero?» domandai con un filo di voce.
Il signore dai capelli canuti e un paio di buffi baffi bianchi mi sorrise ed annuì invitandomi a salire con un gesto della mano. Abbozzai un sorriso ed entrai nel taxi, accomodandomi sul sedile posteriore.
«Dove la porto, bella signorina?» domandò l'uomo puntando i suoi occhi verdi nello specchietto retrovisore.
«La fontana di Trevi» rantolai e affondai nello schienale del sedile.
Appoggiai la fronte sul finestrino freddo e vidi la città che piano piano cominciò a muoversi sotto i miei occhi. Sentivo già la mancanza di Dario e un cratere lì dove prima doveva esserci stato il cuore. Ripensare alla nostra discussione e ai suoi occhi sgranati che mi guardavano smarriti era come morire, era come essere privata dell'aria a poco a poco, era come annegare nell'oceano più profondo senza nessuna opportunità di salvezza.
«È la prima volta che è a Roma?» mi chiese curioso il tassista.
«Sì» dissi a mezza voce senza distogliere lo sguardo dalla città.
«È bella, vero?»
«Molto» gli sorrisi dolcemente anche se non c'era nulla di cui essere felici. Avevo solo voglia di piangere e sparire dalla faccia della terra.
«Si sente bene, signorina?» si preoccupò l'autista, arcuando le sopracciglia folte «Sta per caso piangendo?»
Mi asciugai furtiva una lacrima ribelle e scossi la testa. Cominciava ad infastidirmi l'invadenza di quell'uomo. Volevo tenermi il mio dolore dentro e non sbandierarlo al primo che passava. Lo rassicurai con un sorriso, ma piuttosto che fare conversazione continuò a parlare.
«Ha litigato con il fidanzato, eh?»
Doveva essere chiaro perfino ad un mollusco che stavo male per il mio ragazzo, che avevo litigato con lui e che mi disperavo alla ricerca di una decisione da prendere. Annuii flebilmente ed inghiottii un nodo che mi si era formato in gola.
«Ah, questi ragazzi di oggi! Non sanno come tenersi la propria donna» sospirò l'uomo scuotendo la testa «È stato uno stupido a farsi scappare una bella ragazza come lei»
«Grazie» dissi imbarazzata sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio «Ma non lo sono abbastanza per il mio ragazzo» tirai su con il naso ripensando a quello che aveva detto Dario al suo amico.
«Deve avere problemi di vista!» esclamò divertito «Ma sono sicuro che se è vero amore tutto si sistemerà»
«Lo spero» soffiai e mi strinsi nelle spalle.
Il taxi si fermò vicino alla fontana di Trevi e l'autista trafficò con il tassametro. Pagai i venti euro della corsa ed uscii dal taxi. Erano solo le tre di pomeriggio o poco più, ma quel posto era comunque magico. Per di più custodiva nelle sue acque i ricordi della sera in cui Dario si era dichiarato per la prima volta. Sorrisi nel ripensare a quella scena e avrei tanto voluto sfiorargli le labbra in quel momento, baciarlo e dimenticarmi di tutto. Peccato che non era possibile, per cui dovevo tenermi il mio dolore e crogiolare in esso. Mi avvicinai alla fontana e guardai le monete dentro l'acqua. Le voci dei turisti che mi circondavano si trasformarono in silenzio in poco tempo e sentivo solo il frusciare dell'acqua cristallina. Lì dentro c'erano anche le nostre monete. La mia, con la quale avevo espresso il desiderio che lui si dichiarasse e che aprisse il suo cuore, e la sua. Ancora mi chiedevo che cosa avesse desiderato e se si sarebbe mai avverato.
Che cosa avrei dovuto fare? Se avessi deciso di lasciarlo avrei perso l'amore della mia vita, l'unico ragazzo di cui mi fossi realmente innamorata in diciotto anni di vita. Ma contrapposto a questo forte sentimento c'era la mia dignità e il mio orgoglio che il Moro avrebbe continuato a calpestare soltanto perché doveva dimostrarsi di pietra davanti agli altri. Ed io, sinceramente, non volevo vivere accanto ad una persona instabile. Era pur vero, però, che una volta tornati a Milano tutto sarebbe tornato come prima e Dario sarebbe tornato quello di un tempo, quel ragazzo splendido di cui mi ero innamorata. Ma con i suoi amici avrebbe continuato a mentire e magari si comportava così anche a mia insaputa sul posto di lavoro. Sbuffai sonoramente scocciata da tutti quei pensieri che mi si affollavano in testa e da tutta la confusione che si era creata. Già gli avevo dato una seconda possibilità e il detto diceva Non c'è due senza tre. Ma io non ero una bambola, come aveva detto Mauro, e Dario non aveva il diritto di trattarmi come se lo fossi, ferendomi e tornando strisciando da me implorando il mio perdono. Dovevo impormi, una volta tanto!
Avevo necessario bisogno di parlare con qualcuno in quel momento, di sfogarmi ed avere qualche consiglio. Cristina non era sicuramente la persona adatta e Claudia aveva ben altri pensieri per la testa: ginecologi, ecografie, esami del sangue. Ci mancavo solo io che la opprimevo con i miei problemi di cuore. E poi c'era Federico, il mio più grande amico che però non potevo interpellare. Mi avrebbe detto il tanto odiato Te lo avevo detto io che era un bastardo e non sarebbe stato oggettivo nel darmi consigli, non se di mezzo c'era Dario. Per cui mi ritrovavo da sola nella mia confusione e non sapevo che fare, che decisione prendere, se mandare tutto all'aria o fregarmene di quello che era successo. In fondo mi amava, era quello l'importante, no?
No, no affatto! Le parole che aveva detto, anche se non le pensava, mi avevano lacerato l'animo e soffrivo, stavo male nel sapere che lui continuava a mentire su chi fosse realmente. Mi presi il viso tra le mani e scossi la testa, passando poi le dita nei capelli. Era inutile stare davanti a quella fontana, sarebbe stato meglio tornare in villa e rinchiudersi da qualche parte a pensare.
Cominciai a camminare con le braccia conserte e lo sguardo basso andando a tentoni per quelle strade sconosciute. Feci mente locale e cercai di ricordare la strada che avevamo percorso io e Dario per raggiungere la fontana di Trevi. Mi risultava difficile, troppo perché continuavano ad accavallarsi i ricordi di lui, di noi davanti all'acqua che aprivamo il nostro cuore. Perché l'amore doveva essere così complicato? Perché doveva andare di pari passo con la sofferenza? L'idea che avevo io di romanticismo era tutto l'opposto, fatto soprattutto di gioie che di dolori forse perché mi ero drogata di film d'amore dove regnava quasi sempre il solito Felici e contenti. Dovevo cominciare ad aprire gli occhi, uscire dal castello della principessa in cui mi ero rinchiusa da quando ero una bambina e avevo visto per la prima volta Biancaneve perché tanto nessun principe azzurro sarebbe venuto a salvarmi. L'amore era ben diverso da quello delle favole e finalmente lo avevo capito, lo avevo provato sulla mia pelle, che bruciava più del fuoco e feriva più di una lama affilata.
Senza sapere come mi ritrovai davanti al cancello di ferro battuto di casa Vitrano. Le mie gambe si erano mosse da sole e mi avevano riportata alla villa senza l'ausilio del cervello che era intento a fare congetture sull'amore. La Mito di Dario era parcheggiata proprio lì fuori e realizzai solo in quel momento, guardando l'orologio, che erano le quattro passate. Ero stata un'ora a fissare la fontana e non mi ero accorta dello scorrere del tempo. Fissai la macchina per non so quanto, facendomi travolgere dai ricordi della nostra prima volta. Era stato tremendamente dolce e stupendo quello che c'era stato tra di noi e avrei pagato qualsiasi cifra pur di tornare indietro nel tempo a quella sera e rivivere quei momenti.
Poco dopo, vidi camminare verso di me, dall'altro capo della strada, Adriano che ciondolava lento con le mani affondate nelle tasche dei jeans. D'istinto mi nascosi dietro la macchina di Dario per non farmi vedere dal decerebrato e lo spiai con discrezione. Suonò al citofono e subito si annunciò con il suo forte accento romano. Attese qualche secondo e poco dopo Dario uscì dal cancello con indosso una maglietta bianca con scollo a V e un paio di pantaloni della tuta nera.
«Ehi, fratè! M'hai lasciato come uno stronzo in pizzeria!» sbottò Adriano indispettito «Che cazzo di fine avevi fatto? Che te sei appartato in bagno a scopare con la cessa?»
«Fottiti, Adrià» sibilò Dario accendendosi una sigaretta che gli fu subito sottratta dal suo amico.
«Che, non ti si è rizzato che sei così nervoso?» ridacchiò divertito il biondino aspirando del fumo.
«Non ho voglia di scherzare» replicò atono il mio ragazzo aprendo di nuovo il pacchetto di Marlboro.
«Che c'hai, fraté?» domandò Adriano stringendogli una spalla.
Dario si morse il labbro e si accese la sigaretta, aspirando avidamente il fumo da essa. Contrasse la mascella e sospirò. Aveva gli occhi lucidi quasi gli stesse venendo da piangere.
«Ho litigato con Alice» ammise, spostando il peso del corpo da un piede all'altro.
«E non sei felice?» esclamò quell'altro dandogli una sonora pacca sulla schiena «Mollala e non ci pensare più»
«Credo che mi abbai già mollato lei» sospirò malinconico Dario.
«Fratè! Te sei liberato della cozza!» esultò Adriano, cominciando ad incamminarsi insieme al suo amico.
«Evviva» gioì fintamente il mio ragazzo ed abbozzò un sorriso.
Fino all'ultimo avevo sperato in una sua confessione, che avrebbe messo da parte per un attimo la paura di essere giudicato e che gli avesse detto la verità invece aveva mentito di nuovo, nonostante la sua espressione fosse eloquente. Stava soffrendo ed io con lui. Il Moro aveva colpito entrambi con le sue parole affilate e ci aveva ferito con la sua superficialità e cattiveria. Quando avrebbe capito Dario che così facendo sarebbe rimasto da solo? Che era inutile nascondersi dietro qualcuno che non era? Dietro una maschera che non piaceva nemmeno a lui?
Attesi che quei due svoltassero e uscii dal mio nascondiglio, suonando al citofono. Mi aprirono senza chiedere chi fossi, per cui percorsi a passi lunghi e veloci il viottolo di ghiaia ritrovandomi in casa Vitrano in men che non si dica. Richiusi la porta bianca e appoggiai le spalle su di essa. Le labbra mi tremavano e gli occhi mi si inumidirono un'altra volta. Stavo scoppiando, stavo impazzendo piano piano perché non sapevo che cosa fare.
«Che faccia da funerale» commentò divertito Mauro uscendo dalla cucina. Era diverso dal solito, forse perché non indossava il suo tipico completo elegante, ma solo una canottiera nera e un paio di pantaloncini «La pizza di Roma ti fa schifo?» ridacchiò appoggiando un vassoio e un bicchiere colmo di succo di frutta sopra il tavolino.
Scossi la testa e accennai un sorriso. Scappai velocemente dal suo sguardo cristallino e feci qualche gradino, ma la sua voce mi fermò quasi a metà scala.
«Alice, che succede?» domandò preoccupato «Non stai bene?»
Non risposi, rimasi solo ferma, immobile come una deficiente attaccata alla ringhiera della scala.
«Vuoi parlarne con me?» chiese dolcemente e non riuscii a resistere al suo tono di voce, ai suoi occhi azzurri che mi scavavano l'anima. Annuii flebilmente e tornai giù accomodandomi accanto a lui sul divano. Avevo bisogno di parlare con qualcuno e l'unico disponibile in quel momento era Mauro. Non era di certo una grande idea raccontargli di quello che era successo, dato il suo odio viscerale per Dario. Ma necessitavo di sfogarmi e di far fuoriuscire quel dolore che mi stava distruggendo da dentro.
«Hai litigato con Dario, scommetto» constatò.
«Sì» risposi solamente con un filo di voce e mi strinsi nelle spalle.
«Che ti ha fatto?» sbuffò contrariato ed afferrò un salatino dal vassoio.
«Mi ha delusa» dissi spicciola e per poco non scoppiai a piangere di nuovo. Ero ritornata la solita Alice frignona che piangeva in continuazione, scocciando chiunque mi si trovasse accanto con le mie lacrime.
«Ti ha preso in giro, vero?» domandò con un sorriso sornione.
Sembrava leggermi nel pensiero, sembrava che con i suoi occhi riuscisse ad entrare dentro di me e leggere che cosa avessi dentro, che cosa stessi provando in quel momento.
«Più o meno» risposi esitante.
«Tipico di mio fratello» sogghignò e si allungò a prendere il bicchiere di succo di frutta «L'ha sempre fatto, anche con Sole. Con lei faceva tutto il tenero e il dolce, ma quando veniva qui quel deficiente di Adriano passavano tutto il pomeriggio a prendere in giro quella povera ragazza».
Aggrottai le sopracciglia e mi stupii che avesse usato l'aggettivo povera rivolto a Sole. Era stato lui il primo a prenderla in giro non appena eravamo arrivati in villa.
«Ma se tu sei il primo a darle del capodoglio» borbottai contrariata.
«Io lo faccio apposta solo per far innervosire mio fratello» scrollò le spalle e si scolò l'intero bicchiere «Non ho mai avuto nulla contro Sole. Anzi, la trovavo anche abbastanza simpatica».
Per fortuna che gli era simpatica. Se non l'avesse sopportata l'avrebbe per caso seppellita viva?
«Perché si comporta così?» chiesi e quella domanda non era rivolta a nessuno in particolare «Perché nasconde i suoi veri sentimenti?»
«Perché è uno smidollato» rispose con disprezzo Mauro «Lo è sempre stato e non cambierà mai. Lui non li supera gli ostacoli, preferisce scappare come un codardo» fece una breve pausa e mangiò un altro salatino. Poi riprese sempre con il solito tono duro e brusco. «Affrontare la vita con superficialità è il modo più semplice e lui non fa altro che guardare il mondo ancora con gli occhi di un adolescente immaturo. E così facendo ferisce le persone che gli stanno accanto. Ma tanto lui se ne frega perché è un egoista, l'importante è solo lui e la sua stupida immagine da figo della scuola».
Rimasi in silenzio ad ascoltare le parole di Mauro e le descrizione che aveva fatto di Dario non corrispondeva affatto al ragazzo che avevo conosciuto io, ma a quello superficiale che lui si ostinava a mostrare. Ma aveva ragione suo fratello. Dario continuava a vivere all'ombra di quel Moro perché era la via più semplice, perché era tutto più facile senza i sentimenti, era più facile farsi accettare e rispettare dagli altri.
«Vuoi un consiglio, Alice?» domandò retorico ed io annuii «Lascialo perdere. Trovatene un altro, uno che ti ami per davvero e che non si diverta alle tue spalle con i suoi amici. Dario è un bambino che non ha voglia di crescere e di maturare, di prendersi le sue responsabilità e vivere da adulto quale è».
Abbassai lo sguardo e guardai il pavimento lucido sotto i miei piedi. Mauro mi stava chiaramente dicendo di lasciarlo e una parte di me era d'accordo con lui. E non tanto perché fosse un immaturo come diceva suo fratello perché in realtà sapevo che era tutto il contrario, ma solo perché si vergognava di se stesso. Ed io non volevo stare con un ragazzo che aveva paura di mostrare le sue insicurezze, che piuttosto di fregarsene dell'opinione altrui e andare fiero di chi fosse, aveva fatto del pensiero degli altri il suo pane quotidiano. L'importante non era Dario, non ero io e nemmeno il nostro amore. Ciò che gli importava di più erano le idee che la gente si faceva su di lui. Aveva preferito l'apparenza all'essere e questo non mi andava giù.
Ma se da un lato davo ragione a Mauro, dall'altro non riuscivo ad immaginarmi senza Dario. Lui era il mio tutto e senza di lui nulla aveva più un senso. Lo amavo talmente tanto che avrei dato la mia vita piuttosto che vederlo felice. Gli avevo donato il mio cuore e tutta me stessa e dicendogli addio sarei rimasta con il nulla, il vuoto più totale a riempirmi.
Alla fin fine, parlare con Mauro non era servito a nulla se non a confondermi di più le idee. Anzi, aveva fatto qualcosa. Mi aveva fatta piangere. Ancora una volta.
«Dai, Alice» mormorò lui ed io mi voltai vedendolo con le braccia spalancate «Abbracciami».
Lo guardai confusa, con le lacrime che mi scorrevano sul viso e farfugliando qualcosa di insensato perfino per me.
«Avanti! Non sono un cannibale e non ho un secondo fine» ridacchiò divertito «Voglio solo stringerti. Hai bisogno dell'affetto di qualcuno e qui non hai nessuno, se non me».
Rimuginai su quell'invito e mi avvicinai più volte a lui, ritraendomi poco dopo. Ero scettica e non perché avessi paura che ci stesse provando con me, ma perché temevo che quell'abbraccio potesse infondermi quel calore di cui avevo bisogno e che stavo ricercando da quando avevo litigato con Dario. Deglutii a vuoto e poi mi convinsi a buttarmi tra le sue braccia. Mi adagiai sul suo petto muscoloso e le sue braccia si allacciarono dietro la mia vita, stringendomi forte verso il suo torace. Sentivo il battito del suo cuore, il suo respiro tranquillo e un senso di placida serenità mi colse. Gli circondai il torace e mi accoccolai su di lui, lasciandomi cullare dal suono del battito cardiaco. Chiusi gli occhi e sorrisi istintivamente, senza saperne il reale motivo. Il mio timore era reale. Stavo bene tra le sue braccia, anche fin troppo bene e questo mi spaventava. Il cuore mi martellava nel petto e sentivo che l'ossigeno cominciava a scarseggiare. Solo una cosa però non era perfetta in quel momento. Mi sentivo coccolata, mi sentivo scombussolata, accaldata e tremendamente a mio agio con lui e mi piaceva anche troppo stare insieme a Mauro. Ma quelle non erano le braccia del mio amato Dario.
















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E abbiamo conosciuto anche Adriano ♥.♥  non so voi ma io lo adoro! Mi fa sbellicare xD
Ma andiamo con ordine e partiamo da Mauro. Lo abbiamo visto sotto tutt'altra luce e, stranamente, ha mostrato il suo lato dolce ad Alice. Avevo già accennato al fatto che Mauro avesse fatto volontariato e abbiamo anche visto come lui ama il suo lavoro, come ha amato far parte di Medici senza frontiere. Insomma non è del tutto marcio questo ragazzo. Anche se, immagino, questo non basterà a farvelo amare xD
Ma, ovviemente, la parte più importante è il pranzo in pizzeria con Adriano, il migliore amico di Dario. Loro due hanno passato l'adolescenza insieme, erano praticamente inseparabili e diciamo che Romandini è un tipo assai superficiale, come potete notare, al quale non interessano i sentimenti ma solo le scopate per intenderci. E Dario, purtroppo, che potrebbe sembrare il "capo-banda", pende dalle labbra del suo amico, dal suo giudizio e ha sbagliato a comportarsi come ha fatto dicendo quelle cose solo per non mostrare i suoi sentimenti ad Adriano. Non lo giustifico affatto perché è un comportamento infantile e immaturo ma lui tende sempre a proteggere i suoi sentimenti da persone estene, diciamo così.
E Alice, purtroppo, ha sentito tutto ed è successo il putiferio xD Per una volta Mauro non c'entra nulla ma la colpa è di Dario. Questi due litigano in continuazione, come avete potuto notare. Prima la colpa era sempre di Alice, ora tocca a Dario sbagliare. Questa è stata abbastanza pesante e potrebbe determinare la rottura tra i due. Poi ci si mette anche Mauro a confondere di più le idee ad Alice e la poveretta non sa più che fare: dare ascolto al suo cuore e quindi fregarsene di quello che è successo oppure smettere di essere "calpestata" così e seguire dunque il consiglio di Mauro? Secondo voi...lo lascerà?
Commenti un po' scarni ma non sapevo che dire xD
Il titolo non so se ci sta bene oppure no su questo capitolo ma è un omaggio al mio AMORE, al miio cantante preferito che è finalmente tornato con la sua novissima e bellissima canzone, ovviamente La differenza tra me e te....ossia TIZIANO FERRO ♥.♥ sono così happy che sia tornato! *saltella per tutta la casa sbattendo contro lo stipite di una porta*
Vabbè *fa finta di nulla* ho concluso vostro onore! Ringrazio tutte le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, quelle che hanno aggiunto la storia alle preferite, seguite, ricordate e anche a che legge solamente. Poi un ringraziamento alle mie Lovers e alla mia nipotina _Caline ♥.♥ E, ovviamente, grazie a tutte le ragazze dle gruppo che mi sostengono!

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Un bacio e alla prossima ♥

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Capitolo 25
*** Get it right ***


video trailer

C a p i t o l o 24

Get it right

betato da nes_sie


Non era passato nemmeno un mese, e già io e Dario eravamo in crisi. Fantastico! Il fidanzamento più breve nell'intera storia del mondo. In realtà, però, non sapevo ancora se troncare del tutto, se mettere fine al nostro rapporto oppure passare oltre. Si trattava di dargli un'altra possibilità, l'ennesima, ed io non ero del tutto sicura di volergliela concedere. Lo amavo, anche troppo, ma mi aveva ferito e delusa troppe volte e mi faceva paura il fatto di dargli un'altra chance, un'altra occasione per farmi soffrire per la milionesima volta. Ma se lo avessi lasciato non sarebbe cambiato nulla, anzi sarei morta lentamente senza di lui, senza il suo profumo che era il mio ossigeno e senza di lui che mi riscaldava con le sue braccia e con il suo amore, senza i suoi occhi che mi avvolgevano, mi imprigionavano dentro di essi.
Parlare con Mauro non mi era stato granché utile, dato che lui non era stato in grado di darmi una valida motivazione per lasciarlo. Ma avrei dovuto aspettarmelo da lui, in fondo odiava suo fratello e vederlo soffrire per la fine di una storia lo avrebbe solo fatto godere.
Nella mia mente regnava il caos. E non solo per la decisione che avrei dovuto prendere riguardo alla mia storia con Dario, ma anche per suo fratello dagli occhi di ghiaccio. Lo odiavo, ma allo stesso tempo ero attratta da lui. Non era una questione fisica, anche se era innegabile che Mauro fosse uno degli uomini più belli che avessi mai visto, perlopiù qualcosa di mentale, di psicologico. Era così ambiguo, così enigmatico, stronzo quanto dolce, che alternavo momenti di puro odio nei suoi confronti ad altri in cui lo avrei stretto forte a me per non farlo allontanare più.
Avevo un assoluto bisogno di avere accanto qualcuno che sarebbe stato disposto ad ascoltare i miei sfoghi e magari aiutarmi a dissipare quella confusione che non mi permetteva nemmeno di ragionare. Ma purtroppo ero in una città in cui non conoscevo nessuno e i miei amici erano lontani chilometri da me.
Sospirai e sprimacciai il cuscino, sistemandolo per dormire. Ero in camera con Dario e il silenzio che c'era tra di noi era quasi inquietante. Avevamo litigato molte volte, ma mai come quella volta la tensione era palpabile. Nemmeno a cena ci eravamo rivolti la parola, ci ignoravamo, facevamo finta che l'altro non esistesse. E mi dispiaceva e mi feriva rincorrere il suo sguardo e non raggiungerlo, cercare il suo sorriso e trovare solo un'espressione malinconica. Era realmente dispiaciuto per quello che era successo, si poteva leggere nei suoi occhi la tristezza e la frustrazione per avermi ferita ancora una volta. Ma non potevo cedere, farmi incantare dal suo sguardo e far finta che nulla fosse accaduto.
Mi sedetti sul letto dando le spalle a Dario che se stava a fissare fuori dalla finestra con le mani appoggiate al davanzale, le labbra serrate e la mascella contratta. Mi dispiaceva vederlo così triste, mi dispiaceva vedermi così triste ma soprattutto mi dispiaceva vedere la nostra storia naufragare. Il temporale era arrivato, ma non era quello estivo, bensì una tempesta tropicale che avrebbe sconvolto le nostre vite, seminando solo tristezza. Mi legai i capelli in una coda alta e tirai su con il naso, slacciando il gancio della collanina che mi aveva regalato Dario e appoggiandola sul comodino. Era la prima volta che mi separavo da lei e il fatto che avesse sentito il bisogno di togliermela lo interpretai come un orribile segno del destino. Stavo piangendo, come al solito, silenziosamente perché non volevo che Dario se ne accorgesse.
«Se vuoi vado a dormire sul divano,» disse con tono piatto.
«Perché dovresti?» Risposi brusca, infilandomi sotto il lenzuolo e stringendolo forte tra le mani. Quel maledetto pezzo di stoffa sapeva di lui e percepire il suo odore fu come ricevere una mazzata in testa. Avrei potuto non sentirlo più quel profumo, solo immaginarlo e quella prospettiva non mi piaceva affatto.
«Semmai ti desse fastidio la mia presenza...» Sibilò.
«Se qualcuno deve andare a dormire sul divano, quella sarei io,» replicai a tono. «Questa è camera tua, mi sembra giusto che tu rimanga qua.»
Scostai il lenzuolo e scattai in piedi, indossando le mie ciabatte rosa e prendendo il cuscino dal letto. Non ero stupida, avevo capito che la mia presenza non gli era gradita, sennò perché dire una cosa del genere? Propormi di lasciarmi da sola nella sua stanza?
«Dove vai?» Domandò dubbioso seguendo i miei movimenti.
«Tolgo il disturbo» Risposi acida.
«Ma quale disturbo,» esclamò e accennò una risata che smosse il mio cuore. «Posa il cuscino e vai a dormire.»
«Come se non sapessi che la mia presenza qui non è gradita,» sbottai infastidita. «Il tuo era solo un modo carino per dirmi di andarmene fuori dalle scatole.» Gli feci presente e lui aggrottò le sopracciglia, scuotendo la testa.
«Assolutamente no!» Trillò. «Pensavo solo che potesse darti fastidio la mia presenza, tutto qui.» Scrollò le spalle e deglutì a fatica, tornando a guardare fuori dalla finestra.
Sorrisi amaramente, mordendomi un labbro. La sua presenza non mi seccava, anzi. Sapere di averlo vicino anche in un momento come quello, in un momento in cui il nostro amore era in bilico tra il baratro più profondo e la salvezza, mi rendeva felice, nei limiti dell'arrabbiatura. Perché sì, ero incazzata con lui e stavo seriamente pensando di lasciarlo e di smettere di soffrire, ma lo amavo troppo e volevo godere di ogni singolo istante che avrei vissuto con lui, semmai poi la nostra storia sarebbe caduta verso l'abisso.
«Mi dispiace Alice per quello che è successo.» Disse tutto d'un tratto, mentre tornavo a sedermi sul letto.
«Dispiace più a me,» ribattei atona, dandogli le spalle. «E quello che mi rammarica di più è che tu non abbia avuto il coraggio di dire al tuo migliore amico che cosa provavi per me. Mi ha deluso, Dario e anche tanto, oltre ad avermi fatto troppo male.»
«Lo so Alice,» rispose con il mio stesso tono.
«Perché lo hai fatto? Non mi spiego il motivo di questo tuo atteggiamento!» Sbottai, mettendomi le mani tra i capelli. Credevo di stare per impazzire o forse ero già diventata matta.
«Non ho scusanti per quello che è accaduto.» Rispose rivolgendomi uno sguardo ed era visibilmente distrutto. Volevo alzarmi in quel momento e stringerlo a me, dimenticare tutto e metterci una pietra sopra, seppellire tutto in un angolo della mia memoria. Ma non ci riuscivo, non riuscivo a dimenticare quelle parole e, soprattutto, avevo paura che sarebbe potuto accadere di nuovo, che lui avrebbe continuato a mascherarsi dietro quel dannato Moro.
«No, infatti,» ribattei brusca. «Non ti riconoscevo mentre eri seduto lì e ti giuro che mi si è spezzato il cuore nel vederti lì,» continuai, con le lacrime che premevano per uscire. «Il mio Dario, quello che amo, a cui ho donato il mio cuore e tutta me stessa non c'era più.» E, dicendo quelle parole, scoppiai a piangere.
«Non ho riflettuto su quello che dicevo e ti ho ferita senza volerlo. Perché l'ultima cosa che voglio è vederti piangere, è farti soffrire.» Disse e sentii i suoi passi avvicinarsi a me lentamente.
«Ma lo hai fatto! E potresti farlo ancora, ed ancora!» Sbottai e mi nascosi il viso tra le mani, per raccogliere le numerose lacrime che stavo versando. «Non so mai cosa aspettarmi da te! Io ho bisogno di sicurezze, Dario. Ho bisogno di una persona che mi stia accanto che non abbia paura di amarmi.»
«E te le darò le certezze, piccola,» cercò di rassicurarmi sedendosi accanto a me. «Ho solo bisogno di tempo.»
«Di quanto ne hai bisogno?» Domandai quasi urlando. «Altri tre mesi? Così poi torni strisciando facendo la tua patetica serenata?»
Dario mi guardò smarrito, poi abbassò lo sguardo ed annaspò, mordendosi il labbro inferiore quasi a sangue. La sua mano cercò la mia, la sfiorò e quel contatto mi fece rabbrividire, mi fece palpitare e smettere di piangere per qualche secondo. Subito dopo si allungò verso di me e mi strinse, mi abbracciò forte a lui ed incontrai il suo cuore che batteva forse più del mio. Le mie braccia si mossero istintivamente e il mio cuore mi suggeriva chiaramente di ricambiare quella stretta, ma il mio cervello, la mia rabbia ebbero il sopravvento e le mie mani si posarono sul suo petto per spingerlo bruscamente lontano da me.
«Stammi lontano! Vattene!» Sbraitai fuori di me e lui mi guardò con gli occhi sgranati, per poi annuire ed alzarsi di scatto dal letto.
«Allora è vero. Non sono gradito qui.» Mormorò abbattuto.
Afferrò con decisione la maglietta che aveva lanciato sulla sedia davanti alla scrivania e la indossò rapidamente. Poi prese il pacchetto di sigarette e se lo infilò in tasca. Se ne stava andando ed io riuscivo solo a rimanere ferma a fissarlo, con gli occhi sgranati e lucidi e la bocca dischiusa. Vidi vacillare il nostro amore in quel momento e sbilanciarsi sempre di più verso il vuoto, verso il nulla, verso un buco nero.
«No, Dario, io...» Tentai di dire ma le parole mi morirono in bocca, soffocate da un insopportabile magone in gola. Gli avevo urlato contro di andarsene, ma non lo volevo veramente. Desideravo solo passare più tempo possibile con lui, con il suo odore, tra le sue braccia.
«Sei stata abbastanza chiara, Alice. Non c'è bisogno che tu aggiunga altro.» Disse a denti stretti e, a grandi falcate, raggiunse la porta, sbattendosela alle spalle.
Fissai a lungo la parete con gli occhi che mi pungevano e la consapevolezza che il baratro si avvicinava sempre di più. Lo vedevo davanti a noi ed eravamo proprio ad un passo dal caderci dentro. Ed ero io a dover decidere, ero io che avrei dovuto spingerci lì dentro oppure aggrapparmi con tutte le mie forse ad un appiglio per salvarci. Il fatto era che non sapevo che cosa fare, che decisione prendere. Era forse imperdonabile quello che aveva fatto e qualsiasi donna gli avrebbe detto addio già quel pomeriggio. Ma io lo amavo troppo e anche pensare la parola lasciarlo mi lacerava il cuore.
Mi coricai coprendomi con il lenzuolo fin sotto il naso e quella stoffa leggera blu raccolse le mie lacrime. Forse era destino che noi due non stessimo insieme solo per il fatto che non riuscivamo a rendere felici l'uno e l'altra. E cominciavo seriamente a pensare che mettermi con Dario fosse stato l'errore più grande della mia vita. Perché, con tutti gli sforzi che facevamo, finivamo sempre con il litigare e, di conseguenza soffrire.
Mi voltai verso la sua parte di letto ed accarezzandola mi accorsi di quanto fosse brutto cercare le sue mani e non trovarle, sperare di sentire sotto le mie dita la sua pelle e toccare solo un inanimato e freddo lenzuolo. Piangendo e con la testa che mi scoppiava mi addormentai, forse per qualche ora, finché non sentii la porta della camere richiudersi con un leggero tonfo. Aprii un occhio e scorsi la sagoma di Dario nel buio della stanza. Si tolse la maglietta e i jeans, lanciandoli sulla scrivani, poi si abbandonò sul letto e si prese la testa tra le mani. Mi dava le spalle e avrei tanto voluto raggiungerlo per abbracciarlo, mandare a quel paese tutti i dubbi che avevo e amarlo incondizionatamente, amarlo più di quanto avesse fatto Sole, amarlo per sempre ed infinitamente. Ma rimasi ferma, avvolta nel mio bozzolo di stoffa ad osservarlo mentre si stendeva a fianco a me e guardava il soffitto, sbattendo le palpebre. Si voltò vero di me e, prontamente chiusi gli occhi così da dargli l'impressione che stessi dormendo. Il buio più profondo mi inghiottì e non mi permise di vedere i gesti di Dario. Ma stranamente li percepii, sentii la sua carezza prima che la sua mano si appoggiasse sulla mia guancia, come se qualcosa legasse le nostre anime a tal punto da farmi prevedere che cosa stesse per fare. Subito dopo le sue labbra sfiorarono le mie in un casto e caloroso bacio che mi lasciò il suo sapore di vaniglia in bocca. Avevo sentito la mancanza dei suoi baci in quelle ore e non appena sentii le sue labbra sulle mie un tiepido calore cominciò a riempirmi. Avevo sentito l'amore che provavo per lui invadermi e sconvolgermi ancora una volta. Semmai avessi deciso di lasciarlo, non avrei saputo come vivere senza di lui. Perché in qualsiasi caso, lui era tutto per me. Era ogni mio pensiero, era il mio cuore, il mio ossigeno, la mia vita.
«Ti amo.» Sussurrò sulle mie labbra.


Quella notte dormimmo abbracciati, e non sapevo se fosse stato qualcosa di voluto o solo casuale. Fatto stava che verso le tre mi ero svegliata per il caldo afoso di luglio ritrovandomi tra le sue braccia e avevo sorriso. Mi era mancato il contatto con il suo corpo, seppur fossero state solo poche ore di “lontananza”, e solo quando lo avevo visto stretto a me, solo quando avevo sentito le sue braccia cingermi mi ero sentita finalmente felice. Mi faceva arrabbiare molto spesso e la maggior parte dei suoi atteggiamenti mi davano sui nervi, oltre che deludermi il più delle volte. Ma con lui ero felice e tutto passava in secondo piano. Forse era l'amore a rendermi così stupida, così ingenua da pensare di dargli un'altra opportunità. Odiavo quel sentimento che provavo per lui, quell'amore intenso che mi vincolava a Dario, che mi teneva legata a lui e mi offuscava la mente. Se fossi stata più lucida molto probabilmente sarei riuscita ad arrivare ad una conclusione, ma fin quando c'era una lotta, un conflitto tra cuore e cervello, tra sentimento e razionalità non sarei arrivata a nessuna conclusione.
Per di più non ero nemmeno sicura che lui fosse felice con me. A parte il fatto che raramente lo vedevo sorridere mentre era con me, ma se fosse stato davvero così contento di avermi accanto non avrebbe avuto esitazione a dire quello che provava per me al suo migliore amico. Se così fosse stato, allora, sarebbe stato meglio lasciarlo andare e fargli vivere la sua vita come meglio credeva, con un'altra ragazza oppure nella continua finzione di una vita che non era la sua.
Appoggiai il mento sul palmo della mano, fissando Consuelo che trafficava con vari ingredienti. Non mi importava granché di quello che stava combinando, il mio unico pensiero era rivolto a Dario. Sentivo la voglia di parlare con lui, di chiarire quella situazione che mi angosciava e mi dilaniava lentamente, di sapere lui che intenzioni aveva se preferiva me alla sua popolarità, se era felice con me o meno. Peccato che fosse uscito quella mattina per andare a lavoro e non era più tornato. Probabilmente non era tornato a casa perché non voleva vedermi, perché voleva distrarsi e aveva deciso di pranzare con il suo amico deficiente prima di andare alla partita di calcetto. Mi stava evitando e ciò mi fece deprimere maggiormente. Lui mi aveva baciato ed abbracciato quella notte, era vero, ma forse anche lui aveva capito che il nostro amore era già arrivato al capolinea.
«Vuoi aiutarme?» Mi domandò Consuelo, distogliendomi dai miei pensieri e scoccandomi un'occhiata fin troppo furba.
«A far cosa?» Domandai con un sospiro e stiracchiai a fatica le labbra in un sorriso.
«Biscotti al cioccolato,» rispose sorridente. «Sono i favoritos del señorito. Li preparavo quando estava muy triste.»
Consuelo smise di mescolare l'impasto e mi trafisse con il suo sguardo scuro, incrociando le braccia al petto prosperoso. Si aspettava che dicessi qualcosa, come se volesse sentire una spiegazione, ma l'unica cosa che riuscii a fare fu farfugliare qualcosa di insensato.
«Tu e il señorito me sembrate muy tristo,» constatò sospirando. «Che è successo?» Mi chiese infine, aggiungendo cacao al suo impasto.
Rimuginai un attimo sul da farsi: se parlare con Consuelo su quello che era accaduto e sommergerla con le mie frustrazioni, oppure scrollare le spalle e far finta che tutto andasse bene. Ovviamente optai per la prima ipotesi perché avevo un assoluto bisogno di qualcuno che mi stesse ad ascoltare. Presi un respiro profondo e mi abbandonai sullo schienale della sedia, passandomi una mano tra i capelli.
«Abbiamo litigato.» Ammisi con un filo di voce e con un peso opprimente sul petto.
«Esto lo avevo intuito,» scosse la testa e con gli occhi cercò qualcosa sul tavolo. «Passame le gocce de cioccolato.» Mi disse, indicandomi con il mento una scatolina bianca.
La afferrai senza un particolare entusiasmo e la osservai a lungo, come se su quella confezione ci fosse scritta la formula della felicità.
«Ti rendi conto, Consuelo?» Sbottai ad un certo punto, versandomi qualche goccia di cioccolato sulla mano e strafogandomi in un nano secondo. «Cioè si vergogna di dire che sono la sua ragazza! Solo perché non sono la strafiga di turno!» Esclamai con la bocca piena di quella schifezza ipercalorica.
«Hai conosciuto Adriano, quindi.» Fu il commento di Consuelo, che mi guardava con un sorriso materno e bonario.
Annuii con la fronte corrugata e un'espressione dubbiosa sul volto, continuando a mangiare cioccolato. Nuova vita, ma vecchie abitudini. Quando ero triste l'unica cosa che riusciva a risollevarmi il morale erano le calorie.
«Ciertamente non pensava este parole,» disse la donna strappandomi di mano la scatola bianca. «Necesito di este!» Mi rimproverò.
«Ma le ha dette comunque!» Esclamai nervosa. «E io non voglio stare con un ragazzo che preferisce la sua popolarità all'amore.»
Consuelo mi guardò apprensiva e si pulì le mani nel grembiule. Ciondolò verso di me e mi strinse una spalla, avvicinandomi a lei e al suo seno prosperoso.
«Oh, mi niña,» sospirò. «Dario è un niño muy particular. Ha solo bisogno di essere entendido.»
«Credo di averlo entendido anche troppo.» Borbottai contrariata.
«Ah, sì?» Mi sfidò la donna con sguardo furbo.
La guardai a lungo in quei suoi occhi piccoli e castani e deglutii a vuoto. Ero certa che volesse una prova che le dimostrasse quanto lo conoscessi. Nonostante l'aria di sfida di Consuelo mi mettesse in soggezione, non mi tirai indietro.
«È un ragazzo davvero molto fragile e si nasconde dietro chi non è per non dimostrare le sue debolezze. Ha paura di essere ferito ancora una volta ed è per questo che si è costruito un muro attorno,» dissi compiaciuta. «Ma sbaglia a fare così. Per farsi accettare dagli altri indossa i panni del bastardo superficiale, ma non ha capito che è molto meglio per lui mostrarsi per ciò che è veramente, senza aver paura di mostrare i suoi sentimenti.»
«Hai dementecato una cosa,» e mi sorrise amorevolmente. Ci fissammo negli occhi per non so quanto tempo e il mio cuore palpitava nell'attesa delle parole di Consuelo. Era come se il tempo si fosse dilatato, come se un secondo durasse un'eternità.
«È solo.»
Quelle quattro lettere furono come degli appuntiti spilloni che mi perforarono il cuore. Ero sempre stata presa da me stessa che non mi ero nemmeno accorta della solitudine del mio ragazzo. Ora che quella parola mi si era conficcata nel cervello realizzai di quanto fosse vero, di quante volte lo avevo visto triste senza saperne la motivazione. Non mi aveva mai parlato dei suoi amici, a parte Adriano, e in quel momento avevo capito il perché. Consuelo prese una sedia e si accomodò accanto a me, sistemandosi il grembiule sulle gambe.
«El señorito è un niño così timido que es dificile per lui aprirsi a otros e l'unico amigo que tiene es Adriano. Diciamo que la culpa è de Romandini se Dario es deventato un superficial. Adriano es un hombre muy stupido,» sospirò scoraggiata scrollando la testa. «E il señorito pende dalle labbra del suo amigo. Es il solo che gli è rimasto. Una familia non l'ha mai tenuta, amigos solo per la popolarità. E quindi non quiere deluderlo e perdere también lui.»
«Ma così perderà me.» Soffiai sconsolata, prendendomi il viso tra le mani.
«Era così también con Rayo de Sol.»
E l'immagine di quella ragazza tornò a galleggiare nella mia mente, a mostrarsi davanti ai miei occhi sotto forma di una fotografica che l'aveva ritratta insieme a Dario. C'era così tanto amore in quello scatto che mi faceva morire solo ricordarla.
«A scuola due extranjeri, ma quando erano soli... oh!» Sospirò e si portò una mano sul cuore esaltata. «Mucho amor! Erano così felici juntos che li invidiaba. El señorito era così en amor con Rayo de Sol! Parlava sempre di lei, la cercava e passavano tanto tiempos juntos. Oh sì, quello era un grande amor! Tre años è durato, finché el señorito non è andato a Milano.»
In quel momento mi servivano più di una decina di gocce al cioccolato, magari una torta glassata al cacao ripiena di panna. Me la sarei mangiata tutta in un solo boccone talmente ero depressa in quel momento. Avevo già capito da sola quanto Dario avesse amato Sole, ma vedere quell'amore, immaginarlo grazie ai ricordi di Consuelo, mi squarciava il cuore.
«E lei come ha reagito? Cosa ha fatto?» Domandai, e la mia voce era talmente bassa che a malapena ero riuscita a sentirmi.
«Rayo de Sol era così en amor col señorito che soffriva en silenzio,» sospirò. «Dario non se è mai comportato muy bien, ma lo que sentiva era sincero. Cuando el señorito es en amor è muy felice, muy sorridente e da todo se stesso. E sono certa che te ama, te ama così tanto che morirebbe por tigo e che farebbe todo per riaverte.»
Ebbi come l'impressione che Dario avesse parlato con Consuelo, che si fosse aperto con lei e che le avesse confidato i suoi sentimenti. Già lo sapevo che mi amava, ma non potevo rimanere in disparte, fare finta di non esistere per gli altri solo perché lui doveva essere figo davanti a tutti.
«Grazie Consuelo.» Mormorai, demoralizzata. Ero quasi arrivata ad una conclusione e questa decisione prevedeva due cuori infranti. Era stupido, lo sapevo. Ci amavamo tanto, troppo, eppure la nostra storia stava per finire.
Consuelo si pulì le mani con lo strofinaccio, poi si diresse verso un cassetto e ne tirò fuori una busta. Ciondolò verso di me e me la porse.
«El señorito me ha detto de darle questa.»
La afferrai e la guardai a lungo, da ogni angolazione e non trovavo il coraggio di aprirla e vedere che cosa contenesse. Presi un respiro profondo e la aprii con decisione. C'era dentro un foglio piegato a metà al cui interno era stato inserito un biglietto di Trenitalia con destinazione Milano. Riportava la data di quel giorno e il mio cuore perse un battito. Non era per nulla un buon segno. Sospirai e cominciai a leggere la lettera che mi aveva scritto Dario con la sua inconfondibile calligrafia.


Cara Alice,
un modo banale per cominciare una lettera, ma in un momento come questo sono le uniche parole che il mio cervello riesce a trovare.
Stamattina sono stato in stazione e ho comprato quel biglietto per te. Non pensare assolutamente che io ti voglia cacciare, che voglia mettere fine alla nostra relazione. Quello starà a te deciderlo, e quel biglietto ti servirà semmai tu volessi troncare con me. Potrai tornare a Milano dalla tua famiglia, dai tuoi amici e riprendere in mano la tua vita senza che uno stronzo come me ti giri attorno. E magari ti beccherai da parte di tutti un sacco di
Te l'avevo detto, non dovevi fidarti di lui. Avrebbero tutte le ragioni del mondo per dirtelo. Loro ti avevano messo in guardia ma tu ti sei fidata di me, delle mie parole e della mia promesse. Avevo detto che ti avrei resa felice, ma non ne sono stato in grado. Molto probabilmente io non sono stato programmato per amare. Ci provo, mi sforzo, mi lascio travolgere ma non è mai sufficiente quello che faccio perché combino sempre dei grandi casini e ferisco sempre le persone che amo. Forse è giusto che io rimanga da solo, anzi, me lo meriterei proprio perché sono uno stronzo, un debole che si è lasciato soggiogare da quello scudo che mi ero creato da solo. Credevo che il Moro mi avrebbe difeso dalla cattiveria altrui, dalla crudeltà delle persone che mi hanno sempre ferito, che avrebbe protetto i miei sentimenti in modo che questi non venissero sfruttati come punti deboli per distruggermi completamente. Peccato che non avevo minimamente capito che il primo da cui dovevo difendermi era proprio il Moro, me stesso. L'ho compreso solo ieri quando ti ho vista piangere, quando ti ho vista soffrire per colpa mia, quando ho visto il nostro amore scivolare via. Mi sono sentito morire e tutt'ora sono in bilico tra la vita e la morte, in attesa solo di un tuo colpo di grazia o della salvezza.
Se vuoi lasciarmi, fa' pure! Non ti biasimerei affatto; sei più che giustificata nel farlo. E, poiché sono un codardo, un vile senza un briciolo di spina dorsale preferisco che tu non mi dicessi addio. Quando tornerò a casa, se non ti troverò, capirò che te ne sei andata, che sei salita su quel treno per Milano e che hai deciso di liberarti di un peso come me.
Non nego che ho ancora una piccola speranza, minuscola a dir la verità, che tu mi perdoni. Questa volta posso chiederti solo
scusa. Niente patetiche serenate, nessun ritorno in grande stile, nemmeno una sorpresa. Anche perché non saprei davvero come farmi perdonare da te, questa volta. Vorrei solo un'altra occasione, l'ennesima per dimostrarti quanto ti amo, quanto tu sia importante per me e quanto la mia vita dipenda da te. Forse pretendo troppo, forse sarebbe meglio arrendersi all'evidenza che ho distrutto il nostro amore, la nostra storia, tutto ciò che stavamo costruendo a poco a poco.
Questo forse è stato l'errore più grave di tutta la mia esistenza. Ma ho capito che è inutile fingere di essere chi non si è, nascondere i propri sentimenti e ferire, così, tutte le persone che mi circondano.
Sta a te, ora, decidere. Se troncare questo amore meraviglioso ma burrascoso oppure tornare a vivere con un sorriso, quello che non sono stato in grado di regalarti.

Ti amo piccola mia,
Dario.


Rilessi quella lettera più e più volte notando anche la carta increspata in alcuni punti quasi tondeggianti, come se Dario, mentre scriveva quelle parole, avesse pianto. Mi toccò il cuore immaginarlo in lacrime come era successo quella sera sul balcone e mi colpirono quelle righe scritte con una calligrafia incerta. La ripiegai appoggiandola sul tavolo e cominciai a rigirarmi il biglietto per Milano tra le mani. Gli occhi mi si bagnarono di lacrime e un groppo mi si formò in gola. Quella lettera mi aveva colpito, aveva smosso il mio cuore. In quel foglio bianco c'era amore, c'era dolore, c'era malinconia e anche frustrazione. Il suo senso di colpa e la sua tristezza si percepivano anche solo da lettere scritte su un pezzo di carta. Ma non era abbastanza per cancellare quello che aveva fatto. Mi serviva una conferma in più, mi serviva parlare con lui, vederlo negli occhi mentre mi diceva quelle cose.
«Ho, ho bisogno di parlargli.» Mormorai e non ero molto sicura che Consuelo avesse sentito.
«El campetto non es muy lontano da qui» Rispose, invece, regalandomi un sorriso sornione.
Mi diede delle brevi indicazioni ed io intascai sia la lettera che il biglietto per Milano. Ancora non sapevo che cosa avrei deciso di fare, regnava ancora il caos nella mia mente e la mia decisione dipendeva solo ed esclusivamente da Dario, da quello che mi avrebbe detto, da quello che avrebbe fatto.
«Me dispiacerebbe se la vostra historia finise,» disse con un certo rammarico. «Non ho mai visto el señorito mas feliz.»
Sorrisi istintivamente a sentire quelle parole. Sapere che Dario erta felice mi rese contenta, anche se solo relativamente. Il nostro amore era ancora sospeso nel vuoto, era un funambolo che rischiava da cadere in un momento all'altro senza una rete che potesse parare la sua rovinosa caduta.
«Grazie.» Mormorai
Corsi verso la porta di ingresso, mossa dalla voglia di chiarire con Dario e arrivare finalmente ad una decisione. Arrivata davanti alle scale, però, una mano mi afferrò e mi spinse contro la ringhiera. Mi ritrovai in un istante intrappolata dal torace nudo di Mauro, con il suo viso terribilmente vicino al mio ed incredibilmente bello. Aveva un fisico pressoché perfetto, asciutto e con e i muscoli ben delineati. Avevo il volto in fiamme e sentii il mio corpo invaso da intense scosse inspiegabili.
«Buon pomeriggio, niña.» Mi disse con un sorriso sensuale.
«Ci-ciao.» Balbettai e cercai di sfuggire al suo sguardo, ma i miei occhi erano incollati ai suoi cristallini.
«Come va? Hai pianto stanotte?» Mi domandò apprensivo, sistemandomi una ciocca di capelli dietro i capelli e sfiorandomi il viso con le sue dita. Quei suoi gesti mi sembravano alquanto ambigui e stavo iniziando seriamente a pensare che Mauro fosse attratto da me. Ma sicuramente ero solo la mia fantasia mega sviluppata a farmelo credere. Una volta avevo creduto che il professore di educazione fisica mi venisse dietro in seconda superiore solo perché cercava di farmi imparare a fare un bagher degno di quel nome. Ma in realtà lui era gay e lo scoprii solo dopo che mi ero invaghita per benino di lui.
«Ne-neanche tanto.» Mentii imbarazzata, con il cuore che mi rimbombava nelle orecchie e le guance che mi andavano a fuoco.
«Avete discusso ancora?» Mi sembrava di star subendo un interrogatorio e non solo per le domande ma anche per la soggezione che mi metteva addosso Mauro. Era talmente bello da farmi perdere qualsiasi lucidità.
«No. Ci siamo ignorati» Scossi la testa e mi umettai le labbra. Altra menzogna solo perché non volevo che Mauro intervenisse nella nostra storia, confondendomi ancora di più.
Si sporse verso di me e mi baciò la fronte. Era un gesto casto, innocente, innocuo, ma le sue labbra sottili e sensuali erano bollenti, bruciavano e il contatto con loro mi destabilizzò. Per un attimo ebbi la tentazione di baciarlo e non sapevo nemmeno io perché Mauro mi facesse quell'effetto. Era innegabilmente bello, ma caratterialmente era più instabile di suo fratello. Però c'era qualcosa in lui, qualcosa che mi tentava e che mi attirava a lui come miele per le api, come l'acqua per un assetato del deserto. E nei suoi occhi c'era acqua a volontà.
«Sei riuscita a prendere una decisione oppure hai bisogno ancora di sfogarti?» Altra domanda, altro attacco tachicardico. Beh, anche se mi fosse venuto un infarto c'era lì il dottor Vitrano che avrebbe potuto salvarmi.
«Dario mi ha scritto una lettera.» Dissi con un sorriso tirato.
Il corpo di Mauro si spalmò completamente addosso a me. Avevo i suoi pettorali contro il viso, i suoi occhi di ghiaccio puntati nei miei che ardevano e che sembrava mi desiderassero, la sua mano che mi accarezzava una guancia e che mi faceva ribollire. Mi sentivo accaldata, sentivo le budella contorcersi ed uno strano palpito che mi faceva battere il cuore irregolarmente.
«Vuoi per caso tenermi sulle spine?» Mi chiese con tono sensuale e si leccò li labbro con la punta della lingua. Non sapevo se lo avesse fatto apposta oppure se fosse stato involontario, ma comunque quel suo gesto mi mandò quasi in estasi. Dovevo allontanarmi da Mauro il prima possibile, prima di perdere il controllo su me stessa. Dovevo cercare di stargli il più lontana possibile perché io amavo Dario, anche se ero in collera con lui e quello che “provavo” per suo fratello era solo qualcosa di insensato, di inspiegabile ed incontrollato che mi spaventava e che temevo mi avrebbe fatto commettere qualche imperdonabile errore.
«Stavo proprio per andare al campetto dove sta giocando Dario,» spiegai con un sorriso tirato e vidi l'espressione di Mauro mutare, incupirsi e gli occhi diventare distanti e freddi. «Ho bisogno di parlargli prima di prendere la mia decisione. Voglio chiarire con lui questa situazione. Lo amo troppo per perderlo.»
Mauro contrasse la mascella ed annuì flebilmente, staccandosi poi da me e dandomi le spalle.
«Non dovresti nemmeno pensarci. La risposta è ovvia,» sibilò. «Con Dario soffrirai e basta. E non dire che non ti avevo avvisata.»
«Se lo perdonerò e se poi accadrà quello che hai predetto tu, avrai la soddisfazione di dirmi “Te l'avevo detto”.»
«Della soddisfazione non me ne faccio nulla,» disse con tono duro. «Ma la decisione è tua. Preparerò una scorta di kleenex.» E quell'ultima frase la disse con cattiveria sprezzante.
Tutta la magia che era riuscito a creare era stata dissolta dal suo caratteraccio e la sua malafede. Mi sentivo così stupida ad aver vacillato di fronte a lui. Mauro era solo bello e niente più e non potevo comportarmi come una cretina davanti a tutti i ragazzi belli che incontravo. Ero fidanzata – forse ancora per poco – e l'unico uomo di cui doveva importarmi in quel momento era Dario.
Mandai mentalmente a quel paese Mauro e così com'ero, con addosso solo un paio di calzoncini di jeans, una maglietta dell'Hard Rock di Londra e le Superga bianche, uscii di casa in fretta e furia. Volevo solo Dario in quel momento, volevo parlare con lui e speravo che tutto si sarebbe risolto, che sarei tornata a stringerlo... non lo avrei fatto più allontanare da me. L'avrei amato con tutta me stessa, amatoo come non avevo fatto e mi sarei fatta amare da lui. Mi guardai intorno e cercai di fare mente locale sulle indicazioni che mi aveva dato Consuelo, nonostante ci fosse l'immagine di Mauro che sgomitava nella mia mente. Seppur non volevo pensare al più grande dei fratelli Vitrano, lui era lì fisso nella mia mente nella sua ambiguità e nella sua sensualità. Era stronzo, era cattivo, era tremendamente intelligente e di una bellezza sconvolgente. Sapevo che non avrei nemmeno dovuto pensarlo, non avrei dovuto sfiorarlo e cadere in tentazione. Mauro era un po' come il serpente biblico che cercava in tutti i modi di costringermi a mangiare la mela. Se avessi ceduto alla sua tentazione avrei mandato tutto a quel paese, tutto quello che stavo cercando di recuperare con Dario. Ma fino a quando sarei riuscita a resistere dal mordere la mela? Ero pur sempre un essere umano.
Scossi la testa e mi obbligai a pensare a Dario. Era il ragazzo che amavo più della mia stessa vita e l'unica tentazione che dovevo concedermi. Svoltai a sinistra per l'ultima volta e feci qualche metro. Il campetto di calcio apparve all'orizzonte così come gli schiamazzi cominciarono a riempirmi le orecchie. Feci gli ultimi passi e mi addentrai all'interno di quello che sembrava un centro sportivo. Camminai lungo un corto corridoio, passando accanto un un piccolo bar e uscii direttamente sui pochi spalti che circondavano il campetto. C'era poca gente a guardare la partita, ragazzi per lo più che dovevano essere gli amici delle due squadre che si affrontavano, una con le magliette gialle e gli avversari vestiti di azzurro cielo.
Mi sporsi in avanti parandomi con una mano dal sole pomeridiano che mi colpiva il viso e adocchiai subito Adriano con la maglietta gialla che correva da una parte all'altra, sbracciandosi per farsi passare la palla. Ma un avversario gli si parò davanti, marcandolo stretto per impedire il passaggio. Il biondo cercò di liberarsi, dimenando le mani come un ossesso ma il tipo vestito di azzurro non aveva intenzione di lasciarlo smarcato. Per cui il compagno di squadra di Adriano, in possesso di palla, salì verso la metà campo avversaria riuscendo a saltare uno che era entrato in scivolata. Arrivato nell'area della “squadra blu” passò la palla ad uno dei suoi compagni. Seguii la traiettoria della palla e la vidi adagiarsi sul petto di Dario e ricadere leggera davanti a lui. Sorrisi istintivamente appena lo vidi e sentivo distintamente il mio cuore battere così forte da rimbombare nella cassa toracica. Sembrava che fosse la prima volta che lo vedessi, mi sentivo come una ragazzina capitata lì per caso che si innamorava del bel calciatore senza nome. Ma ogni volta che lo vedevo, ogni volta che incrociavo il suo sguardo, ogni colta che sentivo le sue mani scivolare su di me riprovavo le stesse emozioni di quando lo avevo visto per la prima volta, di quando mi ero innamorata di lui, amplificate addirittura oltremodo. Con Dario erano sempre nuove sensazione e ogni giorno era come se mi innamorassi di nuovo di lui sempre più profondamente. E pensare che potevo perdere tutto quello fu come un pugno all'altezza del petto.
Un omino blu riuscì a rubare la palla a Dario, anche in modo abbastanza semplice. Non mi intendevo di calcio, lo seguivo solo per i calciatori e non per lo sport in sé, ma l'azione degli avversari era stata prevedibile e si poteva evitare facilmente. Ma il mio Dario sembrava deconcentrato, sembrava spaesato, come se si trovasse in un mondo non suo.
«Porca puttana, Dario!» Sbraitò un suo compagno rasato e con la faccia di un topo.
«Che stai a dormì!» Intervenne anche Adriano, mandandolo a quel paese con un gesto della mano. «Cerca de svegliarti che siamo già dietro di un gol!»
Dario alzò le mani in segno di colpevolezza e cominciò a correre per raggiungere la sua metà del campo e riprendere la palla che sembrava incollata ai piedi dell'alto omino blu che da lontano mi ricordava molto Federico, forse per il naso simile al becco di un'aquila. Fortunatamente il portiere riuscì a parare la bomba del sosia di Abbate e ad acchiapparla dopo un paio di rimbalzi. Dario fece qualche passo verso di lui e richiamò la palla, deciso più che mai a farsi valere dopo il brutto errore di prima. Il portiere annuì e fece scivolare la palla verso i piedi del mio ragazzo che la stoppò con maestria. Cominciò a correre e riuscì a scartare un avversario, ma non andò più lontano della metà campo perché il sosia di Federico recuperò la palla con una scivolata degna di uno dei migliori calciatori. Dario rimase immobile nel punto in cui era stato fregato per la seconda volta, con le braccia lungo i fianchi e il volto a guardare l'erba sintetica. Era abbattuto e demoralizzato per colpa mia e del nostro litigio. E il gol che susseguì l'azione dell'Abbate romano non fece altro che buttarlo giù ancora di più.
«Che cazzo ti piglia, fratè?» Urlò Adriano fuori di sé.
«Sei diventato 'na merda!» Si aggiunse il topo.
«Andate a fare in culo.» Li liquidò il mio ragazzo con poco garbo.
Mi sentivo in dovere di fare qualcosa, di fargli sentire la mia presenza.
«Dario!» Urlai sbracciandomi e saltellando sul posto con un sorriso ebete stampato in volto.
Lui alzò il viso verso gli spalti con la fronte corrugata e cercò con aria dubbiosa chi lo avesse chiamato.
«Sono qui!» Sbraitai di nuovo e il suo sguardo incontrò il mio. A poco a poco le sue labbra si aprirono in un sorriso e i suoi occhi ritrovarono la loro luminosità, quella che li aveva sempre caratterizzati e che li rendeva due stelle luminose in mezzo ad un manto oscuro. E per la prima volta mi apparve veramente felice, innamorato e mi sembrò quasi di rivedere quella fotografia appesa dietro al poster. Ma quello sguardo non era indirizzato a Sole, bensì a me. Chiese un time-out ai suoi compari e agli avversari e corse verso gli spalti, sotto lo sguardo esterrefatto e scocciato degli altri ragazzi. Scesi verso il campetto per raggiungerlo e quando lo ebbi a pochi centimetri di distanza, così dannatamente perfetto, sentii il sangue rifluire in ogni membra del mio corpo, sentii scorrere Dario nelle mie vene e ridarmi la vita.
«Che ci fai qui?» Domandò incredulo, allungando furtivo una mano verso di me e ritraendola poco dopo, come se avesse paura di sfiorarmi, che lo respingessi come la sera precedente.
«Consuelo mi ha dato la tua lettera.» Dissi abbassando lo sguardo ad osservare le mie Superga.
«Oh,» esclamò solo, grattandosi la nuca. «Non dirmi che sei venuta fin qui per dirmi addio. Non reggerei, io... io... morirei se lo dicessi!»
Mi morsi il labbro e scossi la testa, sentendo un'immensa voglia di stringerlo e di baciarlo.
«In realtà non lo so nemmeno io cosa voglio fare,.» sospirai e rialzai gli occhi per incontrare i suoi spaesati «La tua lettera è davvero triste e pare che tu abbia capito il tuo errore. Ma...»
«Ma ti ho fatto troppo male,» completò per me la frase e sospirò. «L'unica cosa che voglio, Alice è che tu sia felice. E se tu vorrai che io mi faccia da parte lo farei, anche se ho bisogno di te più dell'aria.»
«Il punto è che io sono felice con te,» replicai amaramente. «E ti amo e so che tu provi lo stesso per me.»
«Allora dammi un'altra possibilità, Alice. Io ho bisogno di te, piccola mia.» disse e mentre diceva quelle parole mi strinse la mano tra le sue, inginocchiandosi di fronte a me. Gli occhi di tutti erano puntati su di noi e mi sentii un tantino in imbarazzo. Tentai di farlo rialzare, ma nulla servì per farlo schiodare da lì. «Ho bisogno del tuo sostegno, che tu ti prenda cura di un fallito come me, del tuo amore»
Ero spiazzata da tutto quello. Ciò che c'era tra di noi era qualcosa di intenso, qualcosa di difficilmente controllabile, che vacillava ma non sembrava voler cedere. E chi ero io per poterlo spingere giù dal precipizio? Per mettere fine a tutto quello?
«Ma come posso fidarmi ancora di te?» Domandai con un filo di voce ed ero sicura che quella fosse la domanda decisiva, quella che avrebbe segnato le sorti del nostro rapporto.
«Senza di te sono nulla, sono completamente vuoto, sono un morto che cammina,» rispose, sfiorandomi la mano con l sue labbra. «Se tu decidessi di perdonarmi, non commetterò più cazzate simili e rischiare di perdere di nuovo la tua fiducia, rischiare di perdere te e la mia vita. Dimenticati del Moro, perché lui non esiste più. Lo giuro!»
Fidarsi o meno? Ancora una volta mi ritrovavo di fronte a quel bivio. Gli occhi neri di Dario erano sinceri, erano gli stessi di quel ragazzo che avevo conosciuto mesi prima e che avevo amato e non quelli crudeli del Moro. Mi guardai intorno incontrando gli occhi di tutti e mi soffermai in quelli azzurri di Adriano. Ci stava fissando e quando i nostri sguardi si incontrarono, lui abbozzò un sorriso e annuì come se mi stesse dando la conferma che quello inginocchiato davanti a me era Dario, il mio Dario. Mi morsi il labbro inferiore e lo tirai per la maglietta per farlo alzare.
Annullai le distanza da noi per poterlo baciare. Subito il suo sapore di vaniglia mi invase e riempì le fibre del mio corpo. Non potevo perderlo perché sarebbe equivalso a non vivere più. Ogni istante che passava, ogni attimo che passavo accanto a lui capivo quanto lui fosse necessario ed essenziale per me. Era l'altra metà del mio animo, l'altra metà del mio cuore che mi mi permetteva finalmente di vivere per davvero. Dario e il suo amore erano le cose più importanti che avevo, erano la mia ragione di vita. Molto probabilmente mi ero lasciata trasportare troppo da quella storia d'amore essendo anche la prima e stavo esagerando un po' troppo le cose. Non per forza la nostra relazione sarebbe durata a lungo, magari sarebbe finita anche tra pochi mesi o anche giorni. Nulla era prevedibile in amore e lo stavo imparando a poco a poco, ma per il momento mi sarei goduta ciò che il nostro amore ci stava regalando senza pensare ad un'ipotetica rottura. Era troppo doloroso anche solo pensare di stare lontana da lui e credere che quello potesse, un giorno, diventare reale mi uccideva.
Le nostre lingue si cercarono nello stesso momento e si incontrarono, si sfiorarono e si attorcigliarono tra loro con tutta la passione che non avevamo espresso in quelle ventiquattro ore di lontananza. Era come se le nostre bocche avessero sentito la mancanza dell'altro e che volessero recuperare tutti i baci che ci erano stati negati in quelle ore in cui non si erano incontrate.
«Vuol dire che mi perdoni?» Chiese speranzoso muovendo il pollice per accarezzarmi la guancia.
«Diciamo di sì.» Dissi ridacchiando.
Dario sorrise e mi baciò di nuovo, mordicchiandomi il labbro inferiore con delicatezza.
«Ti amo,» disse senza staccare le sue labbra dalle mie e il suo fiato bollente si infranse nella mia bocca.
«Anche io ti amo.» Risposi con un sorriso ed affondai le mani nei suoi capelli castani, avvicinandolo di nuovo a me.
Lo avrei baciato per tutto il giorno, lo avrei baciato fino a rimanere senza fiato, fino a che non si sarebbe esaurito il suo meraviglioso sapore di vaniglia. Dario mi cinse i fianchi, passandomi un braccio dietro la schiena e avvicinò il mio corpo maggiormente al suo. Era caldo, era bollente e desideravo sentirlo completamente, fondermi con lui e non lasciarlo andare più via. Peccato che i suoi amici erano di tutt'altro avviso e sembravano non gradire le nostre smancerie.
«Hey, Romeo e Giulietta!» Esclamò Adriano infastidito con la palla sotto il braccio. «Dovete trombare o possiamo tornà a giocare?»
Arrossii di colpo e sgranai gli occhi pensando a noi due che consumavamo davanti a tutti, mentre Dario sembrava realmente divertito dall'affermazione del suo amico. Infatti stava ridendo e finalmente lo vidi felice, così come piaceva a me e così come mi ero ripromessa di farlo sentire.
«Arrivo!» Brontolò e mi baciò ancora a fior di labbra. «Ti amo» Disse cominciando ad allontanarsi da me a ritroso per non perdere il nostro contatto visivo. Gli sorrisi e gli lanciai un bacio. Era inutile che gli dicessi Anche io, sarei stata solo ripetitiva. Ormai sapeva quanto lo amassi, lo sapevano tutti, dalle pareti delle nostre case che avevano guardato silenziose il nostro amore consumarsi alla luna che ci assisteva dl cielo, fino ad arrivare alle stelle che ci osservavano e che erano invidiose degli occhi di Dario, della loro luminosità che offuscava quella degli astri.
Mi sorrise ed allargò le braccia quando raggiunse il campo ed i suoi amici.
«Ti amo!» Ripeté, questa volta con tono più forte e deciso in modo da farsi sentire da tutti.
I ragazzi che si trovavano dietro di lui rimasero sorpresi da quella confessione, tranne Adriano che sembrava quasi rassegnato all'idea che il suo amico fosse un'altra persona rispetto a quella che aveva conosciuto. Non lo dava a vedere, ma ero sicura che fosse confuso da tutto quello che stava accadendo. A dir la verità anche io ero rimasta piacevolmente colpita e stupita dal suo Ti amo quasi urlato, da quella dichiarazione fatta davanti a tutti. Aveva messo da parte la sua apparenza, alla quale teneva così tanto, solo per me e fui contenta di averlo perdonato. Magari ero ingenua a farmi sempre abbindolare dai suoi sguardi e a lasciar perdere qualsiasi cosa, ma poi Dario mi sorprendeva sempre piacevolmente e non mi dava motivo di pentirmi della mia decisione.
La partita di calcetto ricominciò e mi sembrò di vedere in campo un altro Dario, più sorridente e concentrato di prima. Non badai molto alle azioni dei vari giocatori perché il mio sguardo era stato catturato dal mio ragazzo che correva e si sbracciava per poter ricevere la palla. I suoi compagni, però, sembravano restii nel dargli ancora fiducia dato gli erroracci che aveva fatto poco prima. Ma alla fine il topo rasato, non avendo altra scelta passò quella dannatissima palla a Dario che la stoppò con il petto e accelerò la sua corsa verso la porta avversaria. Scartò un paio di omini blu, con qualche difficoltà, rischiando ancora una volta di perdere la palla e si avvicinò pericolosamente all'area di rigore, attirando subito l'attenzione del difensore che gli corse incontro per evitare che segnasse. Ma Dario approfittò di un istante di distrazione dell'omino blu e fece passare la palla in mezzo alle sue gambe, allungandosela ancora di più verso la porta. Con uno scatto che bruciò sul tempo il suo avversario la recuperò e caricò la gamba sinistra, lanciandola verso la rete che l'accolse subito dopo. Scattai in piedi e cominciai a saltellare sul posto, urlando come una pazza per la gioia di averlo visto segnare. Sembrava che fossi allo stadio e che avesse appena segnato Sogno, il mio calciatore preferito ed ero sicura che i pochi spettatori che c'erano lì mi avevano presa per scema. I compagni di squadra di Dario gli andarono incontro, abbracciandolo e saltandogli letteralmente addosso per festeggiare il primo gol della squadra. Ma lui si divincolò dalla loro morsa e mi rivolse uno sguardo. I suoi occhi finalmente ridevano e il temporale che ci aveva sorpresi e che avevo creduto potesse essere catastrofico era passato, le nuvole nere si erano diradate lasciando spazio a quel sole lucente che ora si rifletteva nelle iridi di Dario. Mi sorrise ed unì le punte degli indici e quelle dei pollici mimando la forma di un cuore e lo dedicò a me. Io feci lo stesso, lanciandogli anche un bacio con le labbra e urlandogli un Ti amo che avrebbe sentito perfino chi si trovava su Marte.
«Anche io!» Mi urlò, portandosi poi una mano sul cuore.
Era stato solo un fulmine che aveva squarciato il cielo e che aveva creato solo un grande caos con il suo boato, che sembrava voler preannunciare una catastrofe che non era avvenuta. Il sole aveva avuto la meglio su di lui e tutto era tornato alla normalità, illuminato dai raggi caldi e luminosi della nostra stella. Quello che c'era tra di noi era troppo forte per poter essere spazzato via con una sola folata di vento e il baratro nero in cui credevo che sarebbe sprofondato il nostro amore scomparve a poco a poco risucchiato dalla luce intensa di quello stesso sole che splendeva su di noi e che ci accompagnava in quel tortuoso cammino che era l'amore.
Nonostante il gol di Dario, la sua squadra perse miseramente. Quattro a Uno fu il risultato finale e la colpa era solo del sosia di Federico che ci sapeva fare con la palla e che avrebbe potuto avere un futuro come giocatore professionista. I ragazzi, bottiglietta d'acqua alla mano che usarono solo per bagnarsi e rinfrescarsi dopo la partita, si diressero verso gli spogliatoi ridendo e scherzando tra loro. Dario si fermò poco prima di sparire dentro la struttura e mi sorrise.
«Ti aspetto negli spogliatoi.» Mi disse, indicando l'interno del centro sportivo.
Annuii con un sorriso e lo vidi inoltrarsi lì dentro insieme a tutti gli altri. Aspettai dieci minuti, durante i quali rimasi a fissare il campo inebetita con un sorriso che partiva da un orecchio e finiva sull'altro. Tutto si era risolto per il verso giusto e non potevo essere più contenta. Avevo avuto un'altra conferma di quanto mi amasse, avevo visto Dario mettere da parte ciò che era stato e ciò che i suoi amici veneravano solo per me dichiarando il suo amore per me a tutti quanti. Mi sentivo un po' in colpa, però. Lui faceva un sacco di cose per me ed io me ne stavo solo lì a guardare e a ricevere delle “sorprese” che forse non meritavo.
Mi alzai dagli spalti e mi inoltrai nella struttura seguendo i cartelli con su scritto “Spogliatoi”. Si trovavano alla fine di un lungo corridoio e, appena li raggiunsi, mi appoggiai alla parete attendendo di poter entrare. Non volevo piombare lì dentro e magari trovarmi Adriano nudo. Non che fosse una brutta visione dato che il biondino non era niente male, ma sarebbe stato molto imbarazzante. Per cui attesi ancora qualche minuto sentendo che da dietro la porta provenivano ancora degli schiamazzi.
Rimasi immobile lì fuori per un'altra decina di minuti buoni, finché, finalmente, non uscirono il topo dalla testa pelata seguito a ruota dal Federico-romano e gli altri. L'ultimo a chiudere la fila era Adriano che stava imprecando contro l'acqua fredda della doccia. Quando i suoi occhi cerulei incontrarono i miei si fermò ed abbozzò un sorriso.
«Ciao.» Mi disse con tono basso.
Lo salutai con un gesto della mano e stavo per entrare nello spogliatoio, ma la voce di Adriano mi bloccò.
«Senti,» esordì passandosi una mano dietro la nuca. «Mi dispiace per ieri, che t'ho chiamata cozza, cessa, scorfana e tutto il resto. Stavo a scherzà!» Mi sorrise e mi diede una pacca sulla spalla che per poco non mi smontò.
«Tranquillo. Non me la sono presa.» Sorrisi di rimando, anche se in realtà avrei voluto spaccargli la faccia per quello che aveva detto.
«Pe' fortuna!» Esclamò passandosi una mano sulla fronte e ridacchiando. «Non credevo che tra voi due, insomma, ci fosse... sì, insomma...»
«Qualcosa di serio?» Chiesi retorica ed Adriano annuì.
«Me parte come sex machine e me ritorna accoppiato,» sghignazzò, scuotendo la testa. «Cioè, cazzo, me lo hai rincoglionito, sore'!»
Sorrisi annuendo, anche se il linguaggio colorito di Adriano continuava a darmi sui nervi. Nonostante tutto, però, non era poi così antipatico e tutti i timori di Dario non erano fondati. Non aveva fatto nemmeno una piega il suo migliore amico quando aveva scoperto che era innamorato di me, a parte lo stupore iniziale. Magari, però, era contrariato e non lo dava a vedere ma sembrava comunque aver accettato il nostro amore.
«Siete carini insieme.» Disse poi con un sorriso non del tutto convinto.
«Dovresti trovarti anche tu una ragazza, non credi?» Gli chiesi con un chiaro tono provocatorio.
Adriano scrollò le spalle. «Ho ventiquattro anni e me vojo divertì.»
«Ma dici così perché la ragazza che ti piace non ti fila?»
«Umpf! Figurati,» si stizzì lui e mi liquidò con un gesto della mano. «Se una tipa me piace sta sicura che me la dà.» Disse sicuro di s,é anche se il suo tono non era dei più convinti. Borbottò qualcosa e mi sembrò di sentire il nome Serena o Milena ed intuii che quella ragazza misteriosa aveva fatto breccia nel cuore del freddo Adriano. Sorrisi soddisfatta nel vederlo arrossire piano piano.
«Vabbè, io vado,» tagliò corto, molto probabilmente perché non gradiva quel discorso. «Ci si becca, Alice.»
Si allontanò da me e si voltò verso metà corridoio, indicandomi con entrambi gli indici.
«E prendite cura di Dario. Non farmelo frignare come 'na checca!»
«Vai tranquillo,» lo rassicurai ridacchiando. «È in buone mani.»
Mi sorrise per poi sparire lungo il corridoio. Mi voltai verso la porta e presi un respiro profondo prima di entrare e trovarmi Dario seduto su una panchina di legno senza maglietta e con addosso ancora i calzoncini della partita, i gomiti appoggiati alle ginocchia larghe e il volto basso. Era ancora sudato per cui dedussi che non aveva ancora fatto la doccia.
«Toc toc.» Dissi per richiamare la sua attenzione e il suo sguardo si sollevò per incontrare il mio. Non appena mi vide sorrise e scattò in piedi, raggiungendomi per abbracciarmi e baciarmi. Nulla di troppo passionale, avevamo già dato davanti a tutti, solo qualcosa di rapido e casto ma non meno appagante.
«Scusami davvero tanto Alice,» disse con un filo di voce giocando con una mia ciocca di capelli. «Sono un cazzone, un deficiente! Non so nemmeno io perché ho finto con Adriano.»
«Per fortuna che te lo dici da solo, così mi risparmi dal coprirti di insulti.» Ridacchiai e lui mi guardò con gli occhi ridotti a due fessure e il naso arricciato.
«Me li meriterei comunque,» bofonchiò e si guardò le scarpe. «E se vuoi sfogarti e riempirmi di parolacce fallo pure.» Esclamò allontanandosi da me e allargando le braccia. «Tanto diresti solo la verità.»
«Smettila di dire idiozie,» borbottai afferrandogli un braccio e avvicinandolo a me. «Hai sbagliato e questo ormai è ovvio. Ma errare humano est.» Sospirai scrollando le spalle.
«Adesso parliamo anche latino,» bofonchiò. «Ho sempre odiato il latino. E anche il greco. Colpa dello Scempia e dei suoi perfidi due.» Straparlò ed io non capii che cosa c'entrassero adesso i suoi voti del liceo. Dario non aveva tutte le rotelle a posto e di questo ne ero sempre più convinta. «Ma, comunque, sarà anche umano ma ne faccio davvero, davvero troppi di errori.» Riprese sconsolato.
«Ma si trova sempre il rimedio ai propri sbagli, no? O comunque, tu ci riesci.» Dissi con un sorriso.
«Solo se si ha accanto una ragazza paziente e comprensiva come te.» Sospirò. «Sono ancora convinto di non meritarti. Sei troppo buona per uno che sbaglia in continuazione come me.»
«Che fai? Adesso scappi di nuovo?» Scherzai, anche se ricordare quella maledetta sera di San Valentino era ancora doloroso.
«No, mai più! Non da te, almeno.» Soffiò sulle mie labbra poi le intrappolò tra le sue, mordicchiandole ed assaporandole. Intrecciai le braccia dietro al suo collo e mi spinsi di più verso di lui. Il suo corpo era caldo, oltre che sudato ed incredibilmente sexy e appena mi scontrai con lui, appena lo sfiorai una scossa intensa si propagò dal basso ventre. Lo desideravo più di qualsiasi altra cosa, ma quello non era il momento per fare l'amore... solo di chiarire.
«Sono io a non meritarti.» Mormorai a pochi millimetri dalle sue labbra.
I nostri visi erano dannatamente vicini, così come i nostri corpi che strusciavano l'uno sull'altro. Ogni contatto con il suo petto nudo era un brivido alla base della nuca che percorreva tutta la spina dorsale e si espandeva in ogni parte del mio corpo.
«Che te sei fumata, Alice?» Domandò dubbioso.
«Insomma tu fai un sacco di cose per me ed io invece mai nulla.» Mormorai.
«Le faccio perché devo farmi perdonare per le mie immense cazzate!» Mi rispose con un sorriso, accarezzandomi la guancia.
«Sei felice con me?» Chiesi a bruciapelo, e Dario rimase per un attimo perplesso.
«Ma certo, piccola. Sono più che felice di stare con te.» Rispose senza esitazione e mi accarezzò la guancia.
Gli sorrisi con un pizzico di imbarazzo e ripensai alla foto di Sole dietro i poster, tanto che c'ero avrei dovuto affrontare quel discorso e togliermi tutti i dubbi, anche se la maggior parte di essi si erano dissipati.
«Come ti vengono queste domande?» Esclamò incredulo e mi sfiorò una gota con le labbra.
«Beh... perché... ti vedevo un po' assente,» scrollai le spalle e mi morsi l'interno del labbro.
«Sai i miei hanno scoperto che mi prostituivo, mio fratello fa di tutto per rovinarmi le giornate e mia madre non mi rivolge nemmeno la parola...» Lasciò la frase in sospeso e capii che il motivo del suo umore non ero io bensì la sua famiglia, come al solito. «Solo con te sono davvero felice e non vedo l'ora che arrivi la notte per poter stare da solo con te e godermi finalmente un po' di tranquillità.»
Dario sarà anche stato una capra in latino e greco, ma con la dialettica ci sapeva fare. Le sue parole erano sempre bellissime e mi spiazzava ogni qualvolta le sentivo uscire dal suo cuore con così tanto sentimento. E ciò che mi rendeva ancora più contenta era il fatto che fossi io a ispirarlo, che io fossi la sua Musa.
«Come sei tenero,» commentai, baciandolo in fronte e facendolo arrossire. «E delle foto dietro i poster che mi dici?» Chiesi tutto d'un tratto.
«Che foto?» L'espressione di Dario era dubbiosa. «Non mi ricordo di nessuna foto.»
«Quelle con Sole... in cui tu sembravi così innamorato.» Gli ricordai con un filo di voce.
«Ah, sì!» Esclamò picchiandosi una mano sulla fronte. «È da talmente tanto tempo che non metto piede lì dentro che mi ero perfino scordato di quelle foto,» ridacchiò. «E comunque quello è il passato. Sole è il passato. Mentre tu sei il mio presente e il mio futuro. Sono innamorato di te, non di Sole.»
E quelle parole furono liberatorie, mi tolsero quel peso opprimente che impediva al mio cuore di battere con tutta la sua potenza, furono come acqua durante una traversata del deserto, come aria dopo un'immersione dalla quale credevo di non uscire più. E non solo le parole che aveva detto, ma anche il modo in cui si era espresso, con così tanta dolcezza e tanto amore mi fecero provare quelle sensazioni di liberazione.
«Ti amo.» Risposi semplicemente, senza sapere che dire di fronte alla bellezza delle sue parole.
«Ti amo anche io,» disse lui. «Ti amo davvero, ti amo lo giuro, ti amo, ti amo davvero.» Canticchiò la canzone di Baglioni e mi baciò all'angolo della bocca.
Ridacchiai e lui intanto si allontanò da me avvicinandosi al suo borsone e recuperando qualcosa dalla tasca. Mi raggiunse e mi fece penzolare la collanina con la fata danti agli occhi.
«L'ho trovata stamattina sul tuo comodino,» disse con un filo di voce. «La rivuoi?»
«Certo!» Esclamai senza pensarci su. Quello era il suo regalo, il nostro segno d'amore, il ricordo di tutti i mesi, i giorni e gli istanti passati insieme. Dario sorrise e fece un passo verso di me. Sollevai i capelli e lui mi circondò il collo con la catenina e la agganciò. La guardai e la sfiorai, sorridendo al mio ragazzo che mi osservava felice.
Poi gli strinsi il viso tra le mani e approfondii quel contatto, lambendo la sua lingua con la mia. Un bacio non mi bastava, volevo qualcosa di più. Volevo farmi travolgere ancora dalla passione e sprofondare in quel turbine lussurioso con lui. Dario sembrò del mio stesso parere dato che, senza perdere tempo, afferrò i lembi della mia maglietta dell'Hard Rock e me la sfilò. Mi passò un braccio dietro la schiena nuda e mi strinse di più a sé. Le sue labbra si allontanarono dalla mia per lambire la mia pelle, prima quella del collo, poi la clavicola ed infine le sentii roventi tra i miei seni. Li baciava e li leccava mentre una sua mano forte e ruvida ne stringeva uno, accarezzando con movimenti circolari il capezzolo. Chiusi gli occhi e mi morsi entrambe le labbra, ansimando sommessamente mentre una mia mano gli scompigliava i capelli. Cavolo! Stavamo per fare l'amore in uno spogliatoio, avrebbero potuto scoprirci da un momento all'altro, ma non me ne importava nulla. Ero talmente eccitata e vogliosa di lui che non mi interessava degli altri, non mi interessava di nessuno se non di noi e della nostra passione. Il nostro mondo era racchiuso il quelle quattro pareti e tutto ciò che succedeva all'esterno, tutti quelli che erano fuori dal nostro contesto non contavano nulla.
«Ho bisogno di una doccia.» Mugolò sui miei seni.
«Adesso?» Domandai scocciata.
Le dita di Dario afferrarono le spalline del mio reggiseno e le fece scivolare giù lungo le spalle, scoprendo parte dei capezzoli ed afferrandone uno tra le labbra. Strinsi di più le ciocche dei suoi capelli e per poco le gambe non mi cedettero. Il piacere che solo le sue labbra riuscivano a darmi era spiazzante, era talmente intenso da farmi tremare e da rendere i miei arti molli come burro.
«Tu vieni con me.» Rispose poco dopo, guardandomi con i suoi occhi di brace che ardevano di desiderio.
Sorrisi maliziosa e lui fece lo stesso. Si piegò in avanti e fece passare un braccio sotto le mie ginocchia per sollevarmi da terra. Avvolsi le braccia intorno al suo collo e mi lascia trasportare verso la doccia mentre lo baciavo con gli occhi aperti per vedere i suoi bruciare, per guardare la passione consumarsi nelle sue iridi. Entrammo in quel box piastrellato di azzurro non più grande di cinque metri quadrati. Era uno spazio piccolo ed angusto, forse addirittura insufficiente per contenere il nostro desiderio dirompente. Fece aderire la mia schiena alla parete fredda della doccia e Dario si spalmò su di me. Eravamo labbra contro labbra, cuore contro cuore, abbracciati l'uno all'altro e pronti ad abbandonarci totalmente all'amore. Le sue mani percorsero il profilo del mio corpo e si fermarono al bordo dei calzoncini di jeans per spostarsi verso il bottone. Lo slacciò con una straziante lentezza ed abbassò la zip strusciando di proposito il dorso della mano contro la mia intimità. Gli morsi un labbro e mi aggrappai alle sue spalle larghe per non capitombolare a terra.
Riaprimmo gli occhi nello stesso momento e i suoi erano carichi di una malizia pronta a scoppiare, così come il suo sorriso di sbieco. Le sue labbra si posarono leggere nell'incavo delle mie clavicole scendendo verso i miei seni e ancora giù verso l'addome, solleticandomi con la punta della lingua. Quando arrivò al bordo dei pantaloncini alzò il suo sguardo ardente verso di me e si leccò un labbro. Afferrò il lembo dei pantaloni e con estrema lentezza li fece scendere lungo le mie gambe insieme agli slip. Mi tolsi le Superga velocemente e le lanciai da qualche parte, poi mi disfai definitivamente di quegli ingombranti vestiti.
Le mani di Dario si arpionarono alle mie cosce e la sua lingua risalì lungo la mia gamba destra, baciandomi ogni centimetro di pelle scoperta e arrivando fino all'inguine. Mi baciò nell'interno coscia e poi più intimamente. Mi addossai maggiormente alla parete e strinsi il miscelatore della doccia per i fremiti di piacere intenso che quel contatto mi provocava. Era un po' come tornare indietro nel tempo, a quella sera sul divano quando non eravamo riusciti a contenere quel desiderio reciproco che entrambi cercavamo stupidamente di arginare. Era esploso tutto d'un tratto, complice la pioggia e la malinconia che riempiva quella casa, complice quel bacio che ci eravamo dati sul balcone e quella intimità che si era creata tra di noi non appena lui aveva varcato la soglia di casa mia. E quella passione che credevamo fosse solo un fuoco di paglia, in realtà mascherava qualcosa di ben più profondo che inizialmente nessuno dei due riusciva ad accettare, ma che alla fine si era dimostrato più potente del nostro orgoglio e delle nostre paure. Ed era forse l'amore che c'era tra di noi, quella complicità che solo due fidanzati potevano avere e l'assenza totale di imbarazzo che rese ancora più eccitante quel momento, molto più di quella sera di Febbraio.
Mi abbassai verso di lui e gli presi il viso tra le mani costringendolo ad alzarsi. Mi piaceva sentire le sue labbra a contatto con la mia sensibilità, ma volevo qualcosa di più, volevo rendere quel momento ancora più speciale. Dario mi guardò dubbioso, ma non gli diedi il tempo nemmeno di farsi domande che lo baciai con trasporto, succhiando quelle sue labbra piene dal sapore dolce. In un impeto di passione Dario mi slacciò il reggiseno e lo lanciò dietro di sé, potendo così stringere il mio seno tra le sue mani forti.
Appoggiai le mani sul suo ampio petto e le feci scendere, percorrendo quei muscoli che ormai conoscevo a memoria ma dei quali non mi sarei mai stancata, così come non mi sarei mai stufata di Dario in sé. Era talmente perfetto, così bello e con una personalità così fragile e stravagante da farmi sentire banale di fianco a lui, ma non con lui perché era in grado di farmi sentire importante tra le sue braccia, di farmi sentire unica e desiderata. Afferrai l'elastico dei suoi pantaloncini ed imitai quello che aveva fatto lui poco prima, sbarazzandomi di quegli indumenti inutili e scoprendo il suo desiderio dirompente.
Liberai le sue labbra e, ansante, scrutai con minuzia ogni centimetro del suo corpo quasi estasiata dalla perfezione che si celava in lui. Deglutii a vuoto e gli lasciai un bacio all'altezza del cuore dove solo in quel momento notai un piccolo tatuaggio che raffigurava una chiave. Non badai a quel piccolo particolare ma proseguii per il mio cammino lungo il suo addome e mi fermai all'altezza delle sue anche. Gli accarezzai una coscia e rimasi a fissarlo per dei minuti interminabili. Non sapevo nemmeno io quello che stavo facendo in realtà. Era la passione a spingermi in quella direzione, a guidarmi verso piaceri che ancora non conoscevo.
«Che vuoi fare Alice?» Mi domandò leggermente preoccupato.
«Non... non lo so.» Risposi, non del tutto conscia di quello che stavo per fare.
Avevo il respiro accelerato e il cuore che sembrava essermi salito in gola. Stavo osando e lo sapevo bene e forse stavo affrettando un po' le cose. Ma sentivo il desiderio di Dario scalpitare dentro di me, lo sentivo infiltrarsi in qualsiasi cellula e farle fremere insieme ad ogni fibra corporea. Mi sistemai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e dischiusi le labbra, avvicinandomi a lui e alla sua perdizione. La circondai e la sentii scivolare nella mia bocca con un ritmo lento che mandò in estasi Dario. Appoggiò con violenza una mano alla parete, inclinandosi leggermente in avanti e con l'altra si arpionò al miscelatore, che si aprì per l'irruenza con sui l'aveva stretto. L'acqua cominciò a ricadere su di noi come pioggia, a bagnarci e a trasportarci a quel giorno di acquazzone in cui ci eravamo dichiarati il nostro amore.
«Porca vacca, Alice.» Mugugnò sorreggendosi alla parete.
«Non, non gradisci?» Chiesi imbarazzata ed impaurita di aver commesso qualche errore.
«No, per gradire gradisco. Anche troppo,» rispose in un rantolo. «Ma non voglio farti fare passi troppo lunghi.»
«Non sei tu che mi costringi,» lo rassicurai guardandolo in quegli occhi neri e liquidi colmi di piacere .«Sono io che voglio farlo.»
Dario mi sorrise intimidito e deglutì a fatica. Mi umettai le labbra e strinsi il suo desiderio nella mia mano tornando a quello che stavo facendo prima che lui mi interrompesse. Non avrei mai creduto che una cosa del genere potesse piacermi, anzi, quando ne parlavano le mie compagne di classe mi schifava alquanto. Ma con Dario anche la cosa più riluttante diventava meravigliosa. Mi piaceva il suo sapore caldo e mi piaceva vederlo così eccitato, vedere il suo viso bagnato ed arrossato per il piacere.
Lambii il suo desiderio con la lingua e lo sentii rantolare, lo vidi incurvarsi maggiormente e mi sembrò che stesse per crollare da un momento all'altro. Ad ogni movimento delle mie labbra feci corrispondere un gesto lento della mano il che eccitò ancora di più il mio ragazzo. Non ero di certo un'esperta in materia, anzi ero anche abbastanza imbarazzata ed impacciata nei movimenti che sembravano meccanici. Non avevo la benché minima idea di cosa stessi facendo e avevo perfino paura di fargli del male con i denti. Per cui scivolavo lenta in modo da non creargli danni e dolori inutili.
La mano di Dario, quella con cui si era aggrappato al miscelatore, affondò tra i miei capelli e mi accompagnò in quei movimenti avanti e indietro lungo il suo piacere.
«Dio mio.» ansimò stringendo qualche ciocca. «Mi... stai... facendo... impazzire.» Disse ansante inclinando la testa all'indietro.
Respirava a fatica, e i versi che gli uscivano dalla bocca erano rantoli di piacere che sembravano musica per le mie orecchie. Avevo preso il ritmo, ormai, e tutto cominciava ad essere naturale. Era una sensazione piacevole e anche abbastanza eccitante. Mi sentivo tutta scombussolata, percorsa da scariche elettriche che si fermavano al basso ventre facendomi bruciare ed ardere, rendendomi impaziente di averlo dentro di me. Come se mi avesse letto nel pensiero, Dario passò una mano dietro la mia nuca e mi accarezzò tra i capelli.
«Basta, piccola.» Disse dolcemente ed io mi allontanai da lui rialzandomi.
«Perché?» Domandai ingenuamente, e lui mi baciò la punta del naso.
«Te lo spiego quando sei più grande,» ridacchiò e mi sentii un tantino offesa. «Adesso abbiamo altro a cui pensare.»
Mi baciò con irruenza e le sue mani mi strinsero le cosce. Sollevò una gamba e capii che avrei dovuto aggrapparmi a lui e così feci. Con una piccola spinta ed aiutata da lui cinsi le gambe intorno al suo bacino. Dario mi sorresse con una mano mentre con l'altra si aiutò per entrare a me che ero pronta per accoglierlo. Era da qualche giorno che non facevamo l'amore e mi era mancata quella sensazione di completezza che solo lui era in grado di darmi. Mi erano mancati i nostri ansimi surriscaldavano l'ambiente già abbastanza bollente. E mi era mancato sentire il suo corpo fuso con il mio e il cuore battere all'impazzata, il fiato venire a mancare ed il sangue ribollire per l'eccitazione.
I movimenti di Dario erano serrati, veloci e mi sentivo più accaldata del solito, nonostante l'acqua fredda che ci colpiva. Scalpitavo e sentivo le mie membra bruciare con quella passione ardente condensata in pochi metri quadrati. Appoggiai il viso sulla sua spalla gemendo sulla sua pelle dall'odore dolciastro che mi inebriò i sensi. Stavo completamente perdendo la ragione talmente era piacevole sentirlo dentro di me così a fondo. Molto di più delle volte precedenti e ancora più appagante.
«Ti amo.» Ansimai con un filo di voce. Stavo perdendo qualsiasi forza, prosciugate da quel piacere intenso che stavo provando e le parole mi uscirono sospirate, in un sussurro strozzato.
«Dimmelo ancora.» Gemette, aumentando il ritmo delle spinte.
Gli morsi una spalla e affondai le unghie nella sua schiena quando un fremito incontrollabile e smodato mi colse, seguiti da alcuni spasmi addominali che non mi sapevo spiegare.
«Ti amo.» Ripetei quasi urlandolo e la mano di Dario mi strinse un seno, toccandolo e aggiungendo piacere a tutto quello che avevo accumulato fino a quel momento.
«Anche io ti amo.» Disse in un gemito e la sua mano si spostò lungo il mio corpo insinuandosi tra le mie gambe e solleticando la mia intimità. In quel momento gli spasmi muscolari si fecero più intensi e sentii il mio corpo ribollire. Urlai senza ritegno e senza nemmeno rendermi conto. La mia voce era uscita spontanea dalla mia bocca incrinata dal piacere e sospettavo che se mi avesse rimessa a terra sarei caduta sul pavimento della doccia come un sacco di patate perché le gambe non sarebbero state in grado di reggermi. Non avevo idea di cosa fosse successo, ma era stato qualcosa di talmente violento e piacevole. Dario sorrise compiaciuto e mi baciò con foga, diminuendo il ritmo e sorreggendosi alla parete con la mano. Anche lui sembrava allo stremo, prosciugato da qualsiasi forza. Dopo alcuni secondi sentii un calore avvolgermi l'intimità, riempirmi e scivolare lungo le cosce seguito da un rantolo gutturale di Dario.
Il nostro amore non era più in bilico. Aveva sorriso a quel dannato buco nero che voleva risucchiarlo e gli aveva voltato le spalle, beffandosi della sua ingenuità e di lui che aveva creduto di poter fermare qualcosa di così grande.











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Il capitolo tanto atteso finalmente è arrivato!
Vi ho fatto attendere parecchio, scusatemi! Ma, di tempo, ce n'è poco in questo periodo.
Sarò sintetica, o almeno ci proverò. Inizialmente, tra Alice e Dario c'è ancora parecchia tensione. Lui è molto abbattuto per quello che è successo, si sente davvero in colpa, ma questo non basta per far  sbollire Alice, ovviamente. C'è stato un momento di tenerezza tra i due, durante la notte, si amano troppo per poter stare lontani. Ma nemmeno questo è necessario e la scossa arriva con la lettera che Dario ha deciso di scrivere ad Alice. Lui è disposto a lasciarla andare, se lei lo vorrà. È l'unico gesto d'amore che, dopo quello che è successo, gli rimane da fare. Non mi dilungo molto su Dario, perché domani arriverà la shot dal suo punto di vista :3 e allora potrete entrare per un po' nella sua mente contorta.
La lettera ha smosso il cuore di Alice, che dunque decide di raggiungere Dario al campetto per chiarire, per vederlo negli occhi mentre le dice quelle cose. E Dario non si smentisce. È sempre dolce con lei e ha davvero capito il suo errore, tanto che dopo urla a tutti il suo amore. Un gesto carino, anche se magari non è molto. Forse criticherete Alice per aver ceduto così in fretta, magari doveva farlo patire di più, ma avrete capito che questi due non possono stare senza l'altro, che lei è talmente innamorata che non riesce a lasciarlo andare.
Ed, infine, la scena hottosa nella doccia :3 durante la quale Alice si lascia andare e esplora nuovi campi, insomma! Non credo ci sia altro da aggiungere.
Ok! Avevo detto che sarei stata sintetica ed è stato così! Per cui ringrazio le ben 26 persone che hanno recensito lo scorso capitolo, tutte quelle che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate. Grazie davvero di cuore ♥

Come in un Sogno - con Ionarrante.
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Alla prossima ♥

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Capitolo 26
*** Photographs ***




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C a p i t o l o 25

Photographs
betato da nes_sie

Cominciavo a preoccuparmi. E anche seriamente. Quella mattina avevo provato a chiamare Cristina almeno dieci volte, e non avevo ottenuto risposta. Ogni volta subentrava la segreteria e così mettevo giù la comunicazione. Lo stesso era accaduto sia con Federico che con Claudia e cominciavo ad agitarmi, a preoccuparmi che un mostro si aggirasse per le vie del mio paese e uccidesse tutti i giovani ragazzi durante il sonno. Mi fece rabbrividire solo pensare che non avrei più potuto rivedere i miei migliori amici, e una morsa mi strinse lo stomaco.
Entrai nella doccia di casa Vitrano e mi feci travolgere da un'ondata di acqua tiepida. Dio come ero tragica! A volte mi stupivo del mio spiccato pessimismo e della mia fervida fantasia, alimentata dai troppi film visti. Figurarsi se poteva esistere davvero un mostro informe morto in un incendio che tormentava i giovani ragazzi del mio paese! E poi l'avremmo sentita al telegiornale, una notizia così sconvolgente.
Mi versai del bagnoschiuma ai frutti di bosco e cominciai a spalmarlo su tutto il corpo. Mentre mi strofinavo un braccio, iniziai a credere che i miei migliori amici mi avessero voltato le spalle. Nessuno di loro mi rispondeva e la cosa sembrava essere stata fatta apposta, come se si fossero messi d'accordo ad ignorarmi completamente. Forse perché ero andata a Roma con il mio ragazzo abbandonandoli al caldo afoso della provincia milanese. Ma quando avevo detto loro della mia vacanza erano stati felici, tranne Abbate ovviamente che ancora non riusciva a digerire Dario. Mi fermai con le mani tra i capelli, smettendo di insaponarli, quando venni investita da un'ipotesi sconvolgente: era stato Federico ad allontanare Claudia e Cristina da me perché non aveva ancora mandato giù il fatto che avessi preferito Dario a lui e che fossi addirittura andata con lui a Roma. La cosa non doveva stupirmi più di tanto, però. Abbate era sempre stato un tipo permaloso, e non erano state rare le volte in cui non mi aveva rivolto la parola anche per settimane, come era successo quando aveva scoperto di Edoardo.
Chiusi l'acqua ed acchiappai i due asciugamani che avevo già preparato. Mi asciugai rapidamente il corpo ed i capelli, rivestendomi con la stessa velocità. Avrei provato a chiamarli ancora una volta. Già era stato orribile perdere Benedetta, e non volevo di certo rinunciare anche alle uniche tre persone alle quali ero veramente affezionata. Ancora con le punte dei capelli un po' gocciolanti me ne tornai in camera da letto per prendere il cellulare e chiamare quei tre ma appena entrai nella camera di Dario, lo trovai impegnato a staccare dai muri i poster e con loro anche le foto di Sole.
«Non mi ricordavo nemmeno di averle,» disse non appena mi vide entrare con una faccia inebetita.
«Che-che stai facendo?» Domandai frastornata lì per lì di vedere le foto di Sole che si accatastavano ad una ad una sulla sua scrivania.
«La caccia al tesoro,» bofonchiò contrariato. «È ovvio, no? Tolgo queste foto.»
«Ma non c'è bisogno!» Esclamai e mi avvicinai a grandi falcate a lui. «Immagino quanto tu tenga a queste foto e non voglio che ci rinunci solo per me.»
Da quando avevo visto quelle immagini appese ai muri ero stata invasa dalla gelosia verso quella Sole e verso il loro amore, dovevo ammetterlo. Ma dopo tutto quello che era successo negli spogliatoi il giorno prima, il modo in cui mi aveva guardata, in cui mi aveva sorriso, in cui aveva urlato a tutti i suoi sentimenti e soprattutto quella nostra passione dirompente che ci aveva sorpresi in quella doccia mi avevano fatto capire quanto mi amasse, quanto per lui fossi importante. E anche se Sole fosse rimasta a fissarci dai muri non mi sarebbe importato, anzi. Sarebbe stata lei quella volta ad essere gelosa nel vedere quanto sentimento c'era tra di noi, quanto il nostro amore fosse intenso, magari anche più del loro.
«Non le strappo mica,» ridacchiò. «Le conserverò come ricordo del passato. Ora dovrebbero esserci le tue foto appese alle pareti.»
«Ma non ne abbiamo mai fatte,» risposi con un velo di tristezza. Ci conoscevamo da molto tempo ormai, e ancora non avevamo delle foto dell'altro, delle foto insieme, nulla che immortalasse anche per un solo istante il nostro amore.
«Provvederemo,» disse sorridendo e mi schioccò un bacio sulla guancia. Mi sarebbe piaciuto avere qualche foto di lui e con lui. Non che fossi così fissata con le fotografie, ma lui era il mio primo amore, era il primo ragazzo con cui avevo fatto sesso ed era l'unico che avrei sempre voluto accanto e mi sarebbe piaciuto avere qualcosa che racchiudesse in sé i nostri primi mesi insieme, quegli attimi vissuti intensamente completamente rapiti l'uno dall'altra.
Dario voltò la fotografia di Sole e ne lesse il retro, inorridendo per quello che aveva scritto.
«Mio Dio. Quanto ero sdolcinato.»
«Guarda che lo sei anche adesso,» ridacchiai e mi allungai verso di lui per baciarlo sulla guancia. Dario sorrise, ma mi sembrò perso nei suoi ricordi, in quel mondo in cui non c'ero io ma quella sgualdrina di Sole. Guardava quella fotografia come se volesse essere lì con lei per toccarla e accarezzarla almeno una volta.
«Peccato che queste cose non sia mai riuscito a dirgliele di persona,» mormorò stiracchiando le labbra in un sorriso e appoggiando la foto sulla scrivania.
«Se avessi avuto il coraggio, a quest'ora ci sarebbe stata lei al tuo fianco.» Dissi amareggiata, ma non diedi a vedere il mio rammarico. Quando credevo di aver battuto quella Sole, tutte le mie convinzioni si ritorcevano contro di me e mi piombavano sulla schiena come pesanti macigni solo per farmi rendere conto di quanto stessi sbagliando. Incrociai le braccia al petto ed attesi una sua risposta, semmai fosse arrivata.
«Già,» soffiò annuendo. «Ma non avrei incontrato te.» Aggiunse con un sorriso sincero che mi spiazzò.
Slacciai le braccia e le feci ricadere lungo i fianchi mentre lui si avvicinava a me lentamente per stringermi tra le sue braccia e accarezzarmi la nuca dolcemente.
«Se prima mi sarei maledetto di averla fatta scappare, adesso sono felice di essermi tenuto tutto dentro,» sussurrò sui miei capelli, baciandomi la fronte di tanto in tanto. Ricambiai la sua stretta ed alzai il viso per guardarlo negli occhi. Brillavano come sempre ma con un'intensità maggiore e credetti che quel luccichio era nato grazie a me, perché in quel momento mi stava guardando negli occhi. «Lei non era la ragazza giusta per me. Sì, era dolce, comprensiva e mi conosceva più di qualunque altro. Ma non eri tu.»
«Credi che quella giusta sia io?» Domandai scettica, con un sopracciglio abbassato.
«Sì, credo di sì.» Rispose con un sorriso e mi sembrò di sfiorare il cielo con un dito. «Lo spero, almeno. Perché la mia vita insieme a te è quasi perfetta.»
Le gambe, in quel momento, divennero più molli del burro sciolto e credetti di cadere da un momento all'altro. A questo si aggiungeva il cuore che scalpitava nel petto e che sembrava pronto a schizzare fuori dal torace. Mai avrei immaginato che Dario potesse innamorarsi di una come me. Insomma non ero niente di speciale, ero una ragazza comune e banale, a volte anche noiosa e piagnucolona e in confronto a lui ero il nulla più totale. La luce della sua stramba personalità era così luminosa che mi abbagliava ogni volta e mi eclissava. Per cui lui era il tutto ed io il niente e non capivo come lui potesse amarmi. Poteva avere qualsiasi ragazza avesse voluto, addirittura una come Scarlett Johanson, perfetto com'era, e si era accontentato di una Alice Livraghi qualsiasi.
«Vedi che lo sei sempre, sdolcinato?» Dissi con voce tremolante per alleggerire soprattutto la tensione che si era creata in me.
«Già, mi faccio venire il diabete da solo.» Ridacchiò divertito.
«A me piaci così tenero,» ammisi guardandolo dritto negli occhi e li vidi sorridere. «E adoro quando dici che mi ami.»
Dario sorrise sornione e mi guardò con i suoi occhi furbi. La stretta attorno alla mia vita si fece più intensa e il calore del suo corpo mi circondò, facendomi avvampare, facendomi bruciare dal desiderio. Il tempo passava, il nostro rapporto si evolveva ma le sensazioni che mi faceva provare Dario erano sempre le stesse, se non amplificate. Ogni volta, quando lo avevo così vicino, le membra del mio corpo ardevano come se un incendio fosse scoppiato all'altezza del petto e si fosse espanso al resto del corpo. Sentivo il cuore pompare sangue freneticamente e avevo sempre paura che esplodesse da un momento all'altro. Per di più mi era impossibile pensare lucidamente. L'unica cosa che avevo in mente era sempre e solo Dario, i suoi occhi, il suo odore e tutti i momenti passati insieme a lui. Erano stampati nella mia mente come tatuaggi indelebili che non mi avrebbero mai abbandonato. E tutti gli istanti passati con lui erano i migliori in assoluto e la mia vita, da insulsa qual era, era diventata migliore di quanto potessi immaginarmi.
«Ti amo,» disse sogghignando e baciandomi l'angolo della bocca. «Ti amo, ti amo, ti amo.» Continuò a ripetermi, solleticandomi con la sua barba ispida e ben curata, facendomi ridere. «Ti amo,» soffiò sulle mie labbra e intanto cominciò a spingermi verso il suo letto.
«Ok basta! Ho capito,» sghignazzai e le sue mani calde mi fecero rabbrividire quando oltrepassarono la stoffa della mia maglietta.
«Mi hai detto tu che mi adori quando ti dico che ti amo.» Si giustificò, e in quel momento le mie ginocchia si scontrarono contro il bordo del letto e cedettero, facendomi cadere sul materasso. Gridai tra una risata e l'altra e Dario mi cascò addosso. Fortunatamente non aveva la stazza di Smell altrimenti mi avrebbe resa una sottiletta. Immediatamente si sollevò di nuovo, puntellando un ginocchio nel materasso e si tolse la maglietta, slacciandosi perfino il bottone dei jeans ed abbassando la zip. Mi sorprese la sua irruenza e quel desiderio che aveva di me così intenso. Quella maledetta litigata, la più terribile forse da quando ci eravamo conosciuti, sembrava essere stata cancellata dalla nostra memoria ed era stata rimpiazzata da un amore ancora più forte di prima, da un legame indissolubile, una catena invisibile che mai si sarebbe spezzata. O almeno lo speravo.
Si avventò sulle mie labbra e le sigillò con le sue, con un bacio che sapeva di passione e che bruciava come carboni ardenti, come i suoi occhi che continuavano a fissarmi anche mentre mi assaporava. La sua lingua non perse alcun tempo ed entrò subito nella mia bocca vogliosa di sentire il mio gusto, desiderosa di stuzzicare la mia bramosia, anche se non ce n'era bisogno visto che era già oltre qualsiasi limite. Nemmeno le sue mani attesero più del dovuto e afferrarono il lembo della mia maglietta sollevandola quel tanto che bastava per scoprirmi il ventre e il seno.
«Ti amo,» disse di nuovo, mordendomi delicatamente il labbro inferiore. «E ti voglio, ti desidero in questo momento.» Aggiunse con malizia, abbandonando la mia bocca per dedicarsi al mio collo. Avrei dovuto dire qualcosa, rispondere a quello che mi diceva o addirittura fermarlo dato che erano solo le due del pomeriggio e i suoi genitori, oppure Mauro o anche Consuelo avrebbero potuto irrompere nella nostra stanza in un qualsiasi momento. Ma non mi importava nulla. Io volevo Dario in quel momento, solo lui, e nessuno avrebbe interrotto quel nostro attimo di passione. Sollevò le piccole coppe del reggiseno e si leccò sensualmente un labbro. I suoi occhi mi stavano completamente divorando e le sue guance rosse e accaldate mi fecero perdere ogni lucidità. Le sue labbra si appoggiarono lentamente e dolcemente su un mio seno per assaporarlo ed esplorarlo con la sua lingua esperta in ogni angolo, anche se ormai conosceva a memoria ogni singola parte del mio corpo. Il mio respiro si bloccò qualche secondo non appena sentii la sua meravigliosa lingua solleticarmi il capezzolo e subito dopo ne uscì un debole gemito. Ma a Dario non bastava così poco e quel semplice contatto non servì a placare la sete di piacere che aveva quella mattina. Per cui la sua mano scivolò rapida sul mio ventre regalandomi degli intensi, seppur brevi, brividi e sorpassò l'elastico dei pantaloni neri alla pescatora che indossavo, fermandosi esattamente in mezzo alle mie cosce. Bastò solo il suo calore per farmi eccitare maggiormente e per farmi ardere, farmi incendiare. Poi, quando il suo dito cominciò a muoversi circolarmente sulla mia intimità, persi qualsiasi autocontrollo, la mia mente si svuotò da ogni pensiero e il mio fiato cominciò ad uscire irregolare dalla mia bocca insieme a qualche ansimo di puro godimento. Strinsi il lenzuolo e mi morsi un labbro quasi a sangue mentre la sua mano si muoveva in modo da farmi sfiorare l'estasi e la sua lingua mi faceva arrivare a limiti di godimento che non pensavo esistessero.
«Da... Dario.» Ansimai, anzi quasi urlai il suo nome e le sue labbra si staccarono dal mio seno. Sollevò il viso per guardarmi mentre mi contorcevo per le sue dita capaci e sorrise dolcemente.
«Sei bellissima Alice.» Mi sussurrò, avvicinandosi al mio orecchio.
In quel momento non è che mi interessassero molto i suoi complimenti. Fosse stata un'altra situazione, ne sarei stata lusingata ma con le sue dita che si muovevano su e giù sulla mia intimità, indugiando nella parte più sensibile di me, non ero affatto lucida per comprendere quell'apprezzamento. Gli presi il viso tra le mani e lo avvicinai al mio. Avevo bisogno di sentire le sue labbra, avevo bisogno dei suoi baci per rendere quegli attimi ancora più perfetti. Le intrappolai subito nelle mie, succhiandole avidamente e gemendo nella sua bocca quando il suo tocco si fece più profondo e quando il suo bacino sfregò contro la mia coscia. Era estremamente eccitato e mancava davvero poco al ripetere ciò che era accaduto in quella doccia. A ripensarci, non mi imbarazzavo nemmeno per quello che avevo fatto. Era pur sempre un atto di amore, e mi era anche piaciuto contro ogni mia aspettativa.
Le mie mani percorsero la sua schiena nuda, i suoi muscoli dorsali contratti dal piacere che stava dilagando anche in lui, fino a toccargli le natiche sode e tonde. Avrei fatto tappa fissa su quei glutei scultorei. Ma c'era un'altra parte del suo corpo che necessitava di più attenzioni e che mi stava facendo completamente impazzire. Mi spostai da lì seguendo l'elastico dei suoi boxer e appena sentii le ossa delle sue anche capii che ero arrivata a destinazione. Lo sfiorai dapprima da sopra la stoffa e le sue labbra si allontanarono dalle mie per emettere un gemito strozzato. Non si aspettava quel mio tocco ed era rimasto sorpreso dalle mie dita e dal piacere. Poi sollevai un po' l'elastico dei boxer ed vi intrufolai la mano sentendo subito il suo desiderio rigido contro le mie dita. Lo avvolsi completamente e cominciai a muovermi lenta su di lui. Micidiale. E la sua mano, quella che mi aveva torturata fino a quel momento, fuoriuscì dai miei slip e si appoggiò con forza sul materasso per reggere il corpo di Dario scosso da intensi fremiti.
«Dio mio, piccola.» Mugugnò contro le mie labbra. «Stai diventando una bomba del sesso.»
Quella specie di complimento, invece, arrivò diretto alle mie orecchie e mi fece imbarazzare più del dovuto. Arrossii, non così vistosamente visto che ero già bollente per l'eccitazione, ma non mi fermai. Anzi continuai con dei movimenti del polso che, via via, si intensificavano sempre di più insieme ai gemiti di Dario che riempivano il silenzio di quella stanza.
Udii uno strano cigolio, ma non diedi molta importanza a quel rumore. Poteva benissimo essere il letto o una porta che si apriva. E le mie deduzioni non erano poi del tutto sbagliate.
«Oh mio Dio,» sentii mormorare e indirizzai il mio sguardo verso la porta della stanza.
Era stata aperta e il faccione di Federico aveva fatto capolino nella camera di Dario. Il suo viso era sconvolto come se avesse visto un fantasma o uno strano mostro. Non realizzai subito, era ancora frastornata dal piacere e tutto mi appariva ancora confuso. Solo quando Dario si voltò a seguire il mio sguardo ed incontrò quello nocciola di Abbate capii che era arrivato il momento di smettere di far porcherie e di annegare nell'imbarazzo.
«Ma porca puttana,» ringhiò Dario, sollevandosi da me e coprendosi il basso ventre oltremodo rigonfio con un cuscino. Dal canto mio mi sbrigai ad abbassare il reggiseno e coprirmi, sperando che Federico non mi avesse vista quasi nuda, anche se lo credevo impossibile.
«Si può sapere che cazzo ci fai a casa mia, troll?» Ringhiò il mio ragazzo alterato.
Federico farfugliò qualcosa di insensato, rosso come un pomodoro e con gli occhi spalancati, chiusi ad intermittenza dalle palpebre. Quella era una faccia da ebete da dieci e lode e gli avrei fatto una foto per poi prenderlo in giro a vita se non fosse che ero sommersa dall'imbarazzo. Se avessi potuto, mi sarei avvolta nel lenzuolo come un involtino e non ne sarei mai più uscita.
«Sorpresa!» Urlano in coro Cristina e Claudia scansando con poca delicatezza un Federico ancora incredulo dalla porta. Dietro di loro scorsi anche Smell con le braccia incrociate e ringraziai il cielo che fosse stato Federico ad irrompere nella camera e non mio fratello perché, in quel caso, Dario si sarebbe ritrovato privo di un apparato essenziale per la procreazione.
«Mi ci hanno trascinato qui,» bofonchiò Raffaele contrariato.
«Oh... c'è tutta la Banda Bassotti al completo.» Borbottò Dario passandosi una mano sul viso. «Annamo bene...»
«Abbiamo interrotto qualcosa?» Domandò Cristina arricciando le labbra notando il mio colorito simile a quello di un peperone e il cuscino sulle parti intime del mio ragazzo. La risposta era ovviamente , ma non potevo di certo ammettere che stavo per fare l'amore con il mio ragazzo di fronte a mio fratello che aveva già aguzzato l'udito e si era perfino avvicinato alla porta per vedere la situazione in cui eravamo.
«No, no!» Esclamai subito, scattando in piedi come una molla e ridacchiando nervosamente. «Ci stavamo solo riposando.»
«Già. E la prossima volta siete pregati di bussare invece di irrompere nella mia camera nemmeno foste l'FBI,» brontolò Dario. «Quando riposo, voglio farlo bene.»
Smell puntò i suoi occhi marrone spento sul torace nudo del mio ragazzo e sul cuscino che lo copriva e lo fulminò con lo sguardo, riservando anche a me un'occhiata assassina. Abbozzai un sorriso e mi avvicinai a loro spingendoli ad uno ad uno fuori dalla camera di Dario.
«Su, su!» Esclamai. «Andiamo in giardino, a bordo piscina così mi raccontate perché siete qui.»
Le mie due amiche mi guardarono confuse, magari prendendomi anche per pazza, Federico era un'ameba, ancora pietrificato nemmeno avesse visto Platinette in lingerie, mentre mio fratello si arpionò allo stipite della porta impedendomi di cacciarlo fuori dalla camera.
«Tu non vieni?» Domandò sospettoso a Dario che si irrigidì all'istante. Non poteva di certo scendere con quel rigonfiamento nei pantaloni, anche perché avrebbe rischiato l'evirazione.
«Vorrei venire,» e nella sua voce trovai un tono fin troppo malizioso che mi imbarazzò ancora di più. «Ma devo mettere a posto la camera, quindi vi raggiungo dopo.» E rivolse a loro un sorriso falso come le monete da tre euro.
Smell gli lanciò l'ennesima occhiata fulminante, e non sembrava aver intenzione di andarsene da lì. Ma Federico venne in mio aiuto spingendolo con i suoi muscoli fuori dalla stanza e giù per le scale. Lanciai uno sguardo al mio ragazzo costretto a sbollire da solo il suo desiderio, e mimai un Mi dispiace prima di raggiungere gli altri al piano di sotto e di accompagnarli fuori in giardino.
«Ma questa villa è favolosa!» Cinguettò Cristina guardando adorante la piscina davanti a sé.
«Ne ha di quattrini il tuo ragazzo,» commentò scocciato mio fratello.
«Ed io che credevo che fosse un pezzente,» si aggiunse anche Federico che mi guardò in un misto tra l'imbarazzato, per quello che aveva visto entrando senza bussare, e il dubbioso. Lui sapeva che era un gigolò e di certo uno che si prostituiva non poteva permettersi una casa del genere. Anzi lo sapevano tutti lì tranne mio fratello.
«Bello, ricco, ben dotato. Ti sei trovata il ragazzo perfetto!» Esclamò Cristina entusiasta.
Annuii poco convinta con un sorriso stiracchiato disegnato sulle labbra. Ero quantomai imbarazzata e non osavo nemmeno guardare negl  occhi Federico.
«Cosa ci fate qua?» Domandai dubbiosa, sedendomi su una sdraio e poco dopo Claudia si accomodò di fianco a me.
«Stiamo andando in Calabria dai miei nonni,» rispose la rossa con un sorriso. «Facciamo una specie di vacanza di coppia.»
«E abbiamo fatto una piccola deviazione per venirti a trovare,» s'intromise Cristina, seduta di fronte a me vicino al suo fidanzato. «E per vedere il tuo fidanzato figo. Sai io e Claudia ci siamo accontentate di due racchi.» Ridacchiammo tutte e tre, tranne i due ragazzi che non erano per nulla autoironici.
«E come avete fatto a trovare l'indirizzo di Dario?» Chiesi sempre più curiosa di sapere che ci facessero lì.
«La famiglia Vitrano è molto conosciuta in città!» Rispose Claudia. «Abbiamo chiesto non appena entrati a Roma e ci hanno dato subito indicazioni.»
Beh, la cosa non mi stupiva più di tanto. I Vitrano, da quanto avevo capito, erano una delle famiglie più facoltose in quella città, forse per la professione che svolgevano.
«Ma non staremo qua molto. Giusto qualche oretta,» ci tenne a precisare Cristina che, sicuramente, già si immaginava stesa al mare sotto al sole. Anche io avrei tanto voluto andare in spiaggia, ma era improbabile che per quei giorni vedessi il mare. «Il tempo necessario che tu ci racconti le ultime news!» Trillò eccitata afferrandomi le mani.
Mi guardai intorno circospetta, sentendo gli occhi di tutti puntati addosso. Quelli che più mi spaventavano erano ovviamente quelli di Smell, che attendeva solo un mio passo falso per sfoderare le forbici e rendere donna il mio ragazzo.
«Non c'è poi molto da dire,» bofonchiai cercando così di archiviare subito il discorso Alice e Dario. «Semmai Claudia mi dovrebbe dare qualche news. Come sta il mio nipotino?»
«Bene... credo,» rispose stringendosi nelle spalle. «E spero!» Aggiunse sfiorandosi il ventre ancora piatto. Smell, che se ne stava in piedi dietro la sua ragazza, si abbassò verso di lei e la strinse forte a sé, lasciandole un tenero bacio tra i capelli. Non lo avevo mai visto così dolce e mi sembrava che quello davanti a me non fosse realmente mio fratello. Lui non era mai stato un tipo molto espansivo, anzi: odiava anche le smancerie in pubblico. Quella era la prima volta che si lasciava andare ad una tenerezza tale con la sua fidanzata davanti a tutti e credetti davvero che quel bambino – o bambina – lo stesse per davvero cambiando, rendendolo più tenero e meno borbottone. Sorrisi nel vedere quella scena, e mi si riempì il cuore di gioia nel vedere la mia migliore amica e mio fratello così felici nonostante quello che stavano passando. Non che avere un bambino fosse una catastrofe, ma in una coppia che aveva alle spalle solo pochi mesi di fidanzamento e la giovane età di entrambi rendeva tutto sicuramente più difficile.
«Oh sì, è tutto ok! Mangia come un maiale,» intervenne la Cariati, quasi disgustata. «Non mi stupirebbe se dopo la gravidanza dovessi mettere su venti chili.»
«Cristina!» La riprese Federico, scuotendo la testa con disapprovazione. «Sempre a guardare le calorie.»
La bionda scrollò le spalle con noncuranza e guardò il suo ragazzo con sufficienza. Ancora non riuscivo a capire che cosa avessero in comune quei due. Federico era dolce, comprensivo, paziente e non superficiale, mentre Cristina non possedeva nessuna di quelle qualità. Le vie dell'amore erano davvero infinite.
«Comunque ho fatto la prima ecografia,» disse Claudia con un pizzico di emozione.
«E com'è stato?» Domandai eccitata, stringendole una mano.
«Bellissimo,» rispose Raffaele al posto della mia amica e lo vidi davvero commosso in quel momento. Se qualche alieno aveva preso mio fratello, era pregato di riconsegnarmelo. Ormai mi ero abituata allo Smell scontroso ed antipatico e cominciava anche a piacermi.
«Sono davvero molto contenta per voi,» dissi sincera vedendo tutto quell'amore scaturire dagli occhi di quei due.
«E con Dario?» Chiese maliziosa Claudia, dando manforte a Cristina che non attendeva altro se non sentire news piccanti sul mio rapporto con Dario. Di cose da raccontare ce n'erano; bastava pensare a quello che stava accadendo in camera sua e cosa avevamo fatto nella doccia degli spogliatoi. Ma non ero tanto sicura di voler mettere in piazza i miei racconti erotici, non con Abbate e Smell nei dintorni. Sorrisi nervosamente e scrollai le spalle più volte. Ero visibilmente a disagio e non avevo la più pallida idea di cosa dire. Stranamente Federico sembrò cogliere la mia soggezione ed ero sicura che avesse anche intuito che lui e mio fratello erano di troppo. Abbozzò un sorriso, poi strinse poderosamente una spalla di Smell e cominciò a trascinarlo via.
«Sai, ho sentito un rumore sospetto provenire dalla tua macchina,» disse mentre si dirigevano all'esterno. «Secondo me era il motore.»
Piano piano le parole di Federico e Smell si affievolirono fino a perdersi nel silenzio più totale. Non c'erano rumori se non quel leggero venticello che, di tanto in tanto, scuoteva le fronde degli alberi.
«Bene. Adesso che quei due se ne sono andati sei libera di parlare,» non perse tempo Cristina, scivolando lungo il bordo della sdraio per avvicinarsi ancora di più a me.
«Avrai un sacco di cose da raccontarci. È la prima vacanza con il tuo boyfriend, chissà quante zozzerie avete fatto.» Si aggiunse anche Claudia, che si strinse ancora di più a me.
Mi sentivo come chiusa in una gabbia, impossibilitata a scappare e trafitta da un paio di occhi verdi e uno sguardo grigiastro che non sembravano volermi dare nessuna possibilità di fuga. Avrei potuto anche tacere e fare finta di nulla, inventarmi una banale scusa e dir loro che ci eravamo dati alla castità fino al matrimonio, ma non sarebbe stato affatto credibile visto il lavoro che aveva fatto Dario. Per cui mi decisi a parlare, anche se avrei preferito buttarmi nella piscina e sedare i bollenti spiriti che mi avevano fatto andare a fuoco le guance.
«Beh, insomma... diciamo che lo... abbiamo... ehm... fatto.» Dissi balbettante e cercando accuratamente di non guardare negli occhi le mie amiche.
«Questo lo sapevamo. Già ce lo avevi detto,» rispose scocciata Cristina sbuffando.
«Non quello,» ribattei con lo sguardo basso e le mani congiunte nemmeno stessi pregando. In realtà non sarebbe stato male rivolgersi a Dio o chi per lui in quel momento, magari facendo perdere la memoria a quelle due curiosone e ficcanaso di prima categoria. Sia Claudia che Cristina mi guardarono dubbiose, una con la fronte aggrottata e l'altra con le labbra arricciate. Perché dovevo per forza dirlo? Non potevano capirlo da sole senza mettermi così tanto in difficoltà?
«Sesso,» e fuori una. Lo dissi con timore e arrossii vistosamente, fino alle punte dei capelli. Gli sguardi di quelle di quelle due mi incitarono a proseguire, ma la seconda parola mi si strozzò in gola e non sembrava voler uscire dalle mie labbra.
«Sadomaso?» Propose Claudia ed io scossi la testa.
«Orale?» Susseguì subito dopo Cristina, e a quella parola mi fece annegare nella mia stessa vergogna. Sollevai il lembo superiore della maglietta e mi coprii il viso fin sotto il naso talmente tanto era l'imbarazzo. Le mie due amiche mi guardarono prima incredule poi entrambe cominciarono a strillare come delle galline mentre deponevano le uova e per poco non rimasi senza timpani.
«Com'è stato?» Mi chiese Cristina eccitata.
«Ti è piaciuto?» Ed ecco l'altra. Quelle due dovevano per forza farsi eco in continuazione e la cosa mi dava sui nervi.
«Sì, insomma... è stato... strano,» dissi stringendomi nelle spalle. «Ma bello. All'inizio ero un po' imbarazzata ma è stato... bello.»
Già, eccome se lo era stato. E non per l'atto in sé, ma perché con Dario ogni cosa era così tremendamente naturale che quasi mi faceva paura, era tutto così perfetto che temevo che tutta l'intensità del nostro rapporto, tutto quell'amore che ci legava si sarebbe ritorto contro di noi con conseguenze disastrose.
«E poi?» Curiosò di nuovo Cristina che non era mai sazia ma voleva qualsiasi particolare, anche il più intimo. Oramai mi ero abituata alla curiosità delle mie amiche, per cui superai quella vergogna in cui ero piombata da quando Federico era irrotto nella camera di Dario e raccontai loro quello che era successo nella doccia dello spogliatoio senza tralasciare il minimo particolare. Nemmeno quella strana sensazione che avevo provato poco prima che il nostro rapporto finisse e che mi aveva sconvolto l'animo e il corpo. Avevo un sospetto su cosa potesse essere stato, ma non ne ero del tutto sicura. Finché non lo sentii pronunciare da una Cristina incredula e anche un po' invidiosa.
«Si chiama orgasmo, Alice,» disse. «E tu hai una fortuna sfacciata.»
«O solo un fidanzato esperto,» ridacchiò Claudia facendomi un occhiolino.
«Io non l'ho mai provato,» mi confidò Cristina sospirando. «Fingo e basta.»
«Idem con patate,» mormorò la rossa appoggiando il mento al palmo della mano.
Sorrisi più che altro nel vedere le espressioni affrante delle mie amiche. Era bello averle lì anche perché mi erano mancate molto in quei giorni, soprattutto quando avevo litigato furiosamente con Dario. Quella che mi era sempre sembrata una vita squallida ed insulsa, si era trasformata in un'esistenza meravigliosa. Avevo accanto degli amici straordinari, tra cui anche la Cariati con la quale non avevo mai nemmeno pensato potesse nascere qualcosa e avevo un il fidanzato, migliore che avessi potuto sperare. A volte era un immaturo e il più delle volte mi faceva arrabbiare ma lo amavo così com'era anche con quei suoi enormi difetti che mi ferivano perlopiù.
Poco dopo ci raggiunsero anche Federico e Smell, quest'ultimo borbottando perché la sua auto non aveva nessun problema e Abbate lo aveva fatto allontanare per nulla. Praticamente mancava solo Dario e cominciai a pensare che si fosse perso nei meandri di quella villa.
«Vado un attimo a cercare Dario,» dissi con un sorriso e mi congedai per qualche attimo da loro.
Rientrai in casa e mi guardai attorno. Il salotto era vuoto e nessun rumore proveniva dalle altre stanze. Il signor Vitrano era di turno quel giorno, mentre Nicoletta e Mauro, probabilmente, stavano facendo la pennichella pomeridiana. Di Consuelo nessuna traccia e pensai che fosse andata in giro per negozi come era solita fare. Diedi una rapida occhiata a qualsiasi angolo di quella stanza poi mi spostai nell'enorme cucina ma lui non era nemmeno lì. Scrollai le spalle anche perché non poteva essere stato sbalzando in un altro mondo o in un altro tempo. Per cui ne approfittai per prendermi un goccio di succo di frutta. Presi un bicchiere e lo riempii con il liquido arancione e, mentre ero pronta per scolarmi il succo all'albicocca, qualcuno mi afferrò i fianchi e mi trascinò verso il bancone della cucina.
«Abbiamo qualcosa in sospeso noi due,» mormorò Dario afferrando il bicchiere, appoggiandolo sul ripiano e sollevandomi per farmi sedere sullo stesso. Mi allargò le gambe con una mano e si insinuò tra di esse, stringendomi in un abbraccio e allungandosi verso le mie labbra. La sete era sparita tutto d'un tratto colmata dal sapore dolciastro di Dario, prosciugata dalla sua presenza. Non mi sarebbe affatto dispiaciuto concludere quello che avevamo cominciato in camera sua ma i miei amici erano lì a pochi passi e non sarebbe stato difficile che ci sorprendessero in atteggiamenti ambigui e troppo intimi.
«Non possiamo Dario,» bisbigliai allontanandolo da me con una spinta, ma lui mi afferrò entrambe le mani e appoggiò sul dorso di una di esse le sue labbra, baciandolo sensualmente. Anche con un gesto innocuo come quello riusciva a farmi eccitare, e stavo seriamente pensando di mandare all'aria tutti buoni propositi e fare l'amore con lui su quel bancone.
«Chissene frega della Banda Bassotti,» borbottò lui abbandonando le mie mani e andando a soffermarsi sulla pelle del mio collo. «A limite si godranno lo spettacolo. Ci dovrebbero essere anche i pop corn, da qualche parte.»
La sua barba mi solleticò, così come il suo magnifico odore e il suo respiro caldo su di me. Affondai le mani nei suoi capelli e li tirai leggermente per fargli alzare il viso, per poter naufragare qualche secondo nei suoi occhi e contemplare quelle labbra perfette che desideravo ardentemente ogni secondo della mia vita. Le osservai a lungo, sfiorandole con il pollice e sentendole scorrere vellutate sulla mia pelle. Mi sconvolgeva la bellezza di quel viso, mi sconvolgeva la perfezione di quel ragazzo e anche l'intensità di quegli occhi. Non avevo mai visto nulla del genere, nulla di così meraviglioso e ogni volta che mi specchiavo in quelle iridi nere mi accorgevo sempre di più di quanto fossero scure, due pozzi bui di perdizione in cui era stato intrappolato il mio cuore.
«Sei bellissimo,» mormorai quasi incredula e Dario arrossì di fronte a quel complimento. Abbozzò un sorriso timido e strusciò la punta del naso contro la mia guancia. Quelli erano i momenti che preferivo tra di noi. Non che non mi piacesse fare l'amore con lui e condividere attimi di intimità con Dario, ma preferivo di gran lunga quei gesti scaturiti dal cuore, che sopraggiungevano senza quasi che ce ne accorgessimo e che ci spiazzavano per l'immensa dolcezza che emanavano. Era un momento praticamente perfetto, di una tenerezza quasi disarmante e che, ovviamente, venne interrotto bruscamente.
«Oh, scusate.» Disse Federico entrando in cucina.
«La smetti o no di interrompere i nostri momenti romantici?» Bofonchiò contrariato il mio ragazzo.
«Credevo che Alice fosse sola,» si giustificò pacatamente Federico. «Volevo parlarle.»
Dario sbatté violentemente le mani contro il bancone e trucidò con lo sguardo il mio migliore amico.
«Avanti, parla.» Sibilò.
«Preferirei che fosse da sola,» disse timidamente Federico affondando le mani nelle tasche dei bermuda a quadri.
«Devi per caso sparlare di me?» Lo provocò il mio ragazzo, già sul piede di guerra.
Federico abbassò lo sguardo e si passò una mano tra i capelli biondi, rimanendo in silenzio forse perché attendeva che Dario se ne andasse. I miei occhi rimbalzavano dal mio ragazzo stizzito al mio migliore amico pensieroso.
«Cristina me lo ha detto,» si arrese alla fine. «E ho anche visto con i miei occhi quello che stavate facendo.»
Figurarsi se la Cariati sarebbe stata in grado di mantenere il segreto. Aveva spifferato a Federico che avevo fatto sesso, e il mio migliore amico non sembrava poi così felice di quella notizia. E sapevo anche che il motivo per il quale stava per farmi una predica era che mi fossi concessa a Dario, ad un bastardo che, secondo lui, giocava solo con i miei sentimenti.
«E allora?» Bofonchiò il mio ragazzo. «Tu non lo fai con la tua fidanzata?»
«Certo!» Sbuffò Federico. «Ma...»
«E allora levati dai coglioni,» disse poco garbatamente Dario, mandandolo a quel paese anche con un rapido gesto della mano. «Io non vengo a scassarti le palle mentre sei impegnato.»
«Non era mia intenzione fermarmi un'altra volta. Volevo solo parlare con Alice.» Abbassò il tono di voce e mi lanciò uno sguardo contrariato. Intuii subito che volesse arrivare alla predica, nella quale mi avrebbe ripetuto sempre le stesse cose che avevo già sentito e risentito fino alla nausea.
È un bastardo. Ti sta solo ingannando. Soffrirai.
Era abbastanza chiaro che Federico odiasse Dario e che lo riteneva un cattivo ragazzo, ma ero stufa dei suoi continui giudizi, ero stufa che tutti continuassero a frapporsi tra me e le mie storie d'amore. Prima Dario con Davide – anche se in quel caso il mio attuale ragazzo aveva visto giusto –, e ora Federico. Credevano forse che fossi una bambina da proteggere e da rinchiudere in una campana di vetro? Avevo diciotto anni, porca zozza, ed ero libera di prendere le mie scelte liberamente, anche se magari erano sbagliate. Dovevo crescere e per farlo avevo bisogno anche di sbagliare e di soffrire. Scansai Dario dal mio corpo e scesi dal ripiano, avvicinandomi a Federico. Ero indispettita, ma non gli avrei urlato contro anche perché non avevo la minima voglia di fare l'isterica. Gli afferrai una mano e sospirai rumorosamente.
«Lo so, ho capito che Dario non ti piace e che hai paura che stia solo giocando con me. E che sei sicuramente contrario al fatto che io,» esitai qualche istante, bloccata dall'imbarazzo. «Abbia perso la mia verginità con lui,» dissi velocemente, come se non volessi fargli capire quello che avessi detto.
«Già, lo sono.» Rispose lui diretto e conciso. «La notizia mi ha scioccato letteralmente. Credevo che con lui saresti andata con calma e invece scopro che dopo una settimana che stavate insieme tu ti sei concessa.»
«Più di una settimana,» puntualizzai stizzita. «Più o meno due mesi.» Rettificai, e per poco Abbate non mi scoppiò a ridere in faccia.
«Non vuol dire nulla Più o meno due mesi,» disse imitando la mia voce. «Che poi sarebbe uno, da gennaio a febbraio, ma va be'...»
«Quanto sei pignolo, mamma mia,» sbottai infastidita, liberandogli le mani e facendo ricadere le braccia pesantemente lungo i fianchi. «Stavamo insieme da un mese, ok?»
«Lui doveva solo fingere di essere il tuo ragazzo. A Gennaio non lo era ancora e tu sapevi a malapena il suo nome.»
L'impertinenza di Federico cominciava a stancarmi e farmi imbestialire. Capivo che la sua era apprensione e che voleva solo il meglio per me. Ma ancora non aveva capito che il meglio che potessi sognare, immaginare, desiderare era solo e semplicemente Dario e che lo amavo più di qualsiasi altra cosa al mondo, più di qualsiasi altra persona su quella terra.
«È vero, hai ragione. Quando lo abbiamo fatto per la prima volta stavamo insieme da una settimana,» convenni con lui irritata. «Ma sai una cosa? Non mi pento di quello che ho fatto e non lo avrei fatto nemmeno se mi avesse lasciata il giorno dopo. Perché io mi sentivo pronta, desideravo farlo con lui e l'ho fatto con tutto l'amore che potevo.»
In quel momento Dario mi si affiancò ed intrecciò le sue dita con le mie, accennandomi un sorriso. Poi rivolse un'occhiata sorniona a Federico e ridacchiò soddisfatto.
«Scacco matto, troll.» disse sprezzante. «Ammettilo ti rode ancora che lei abbia preferito me a te.»
«Ti sbagli di grossa specie di tronista coatto,» rispose per le rime smorzando con il suo insulto il sorriso di Dario. Trattenni a stento una risata, soffocandola con qualche colpo di tosse. «Io sono felice con la mia ragazza e ciò che provo per Alice, adesso, è solo un gran bene.»
«Vedi? È questo che non capisci Fede!» Esclamai sorridendo. «Tu sei il mio più caro amico e so che vuoi a tutti i costi che io sia felice. E con Dario lo sono, esattamente come lo sei tu con Cristina.»
Abbate abbassò lo sguardo e si guardò la punta delle Nike, sollevando poco dopo il viso e regalandomi un sorriso.
«Se mi aveste fatto parlare...» Disse quasi stizzito. «Volevo dirti che secondo me è stato avventato quello che hai fatto e che, secondo me, avresti dovuto aspettare ancora un po' soprattutto dopo quello che il coatto ti ha fatto.» E il mio ragazzo lo trucidò con lo sguardo, stringendo la mia mano come se al posto delle mie dita ci fosse il collo di Abbate. «Ma, nonostante tutto, il tronista barbuto e fisicato è stato in grado di farti contenta. Ed è questo l'importante per me. Vederti sorridente e spensierata di fianco al ragazzo che ami e che ti ama. Ti ama, no?» Chiese per sicurezza, abbassando un sopracciglio e rivolgendosi più a Dario che a me. I muscoli del mio ragazzo fino a quel momento tesi si rilassarono e il pericolo rissa era stato sventato per fortuna.
«Sì, la amo.» Disse semplicemente Dario con tono brusco.
«Allora spero che questa storia duri,» commentò il mio migliore amico scrollando le spalle.
«Anche io,» rispose il mio ragazzo accennando un sorriso.
Quella che all'inizio sembrava dover essere un'ennesima litigata, con probabili botte, si era risolta nel migliore dei modi, nell'armonia più assoluta e non potevo che essere felice del fatto che Federico avesse accettato la mia relazione con Dario, anche se con qualche riserva, ne ero certa. Ma l'importante era che Abbate avesse compreso quanto amassi Dario, perché le opinioni e i pensieri del mio migliore amico erano quasi di vitale importanza. Liberai la mano di Dario e mi avvicinai a Federico, cingendogli la vita ed alzandomi sulle punte per raggiungere la sua guancia. Ovviamente nemmeno con un tacco dodici lo avrei raggiunto per cui si abbassò verso di me ridacchiando e gli scoccai un lungo bacio sulla guancia, ricambiato dalle labbra di Federico. Mi strinse a sé, accarezzandomi la schiena e ondeggiando a destra e a sinistra.
«Lo sai che ti voglio bene?» Gli domandai retorica.
«In realtà no,» rispose lui con un mezzo sorriso. «Non me lo ripeti abbastanza, forse.»
«Un milione di volte non è sufficiente?» Ribattei divertita, mentre Dario ci osservava con le braccia incrociate e gli occhi infuocati dalla gelosia.
«Preferisco un milione e uno.»
Ridacchiai e mi sporsi ancora verso di lui per dargli un altro bacio. Mi sentivo fortunata ad avere un migliore amico così e avrei dovuto ringraziare il cielo ogni singolo istante per avermelo fatto incontrare di nuovo sull'autobus dopo tutti quegli anni di lontananza. Mai avrei creduto – e nemmeno sperato – di poter ritrovare il mio vecchio migliore amico, quello che mi aveva tenuto compagnia per tre lunghi anni e che mi aveva fatto scoprire cosa fosse realmente l'amicizia. Avevo creduto che tutto, tra di noi, fosse finito con l'inizio del primo anno di liceo. Avevamo preso strade diverse, avevamo iniziato a frequentare scuole diverse e le nostre strade si erano separate in un bivio che sembrava dovesse divergere sempre di più. Ed invece lungo quella biforcazione c'era un altro punto d'incontro, indissolubile e quella strada l'avremmo ripreso a percorrerla insieme.
«Basta smancerie,» borbottò il mio ragazzo afferrandomi il polso ed allontanandomi da Federico. «Avete amoreggiato anche troppo.»
Ridacchiai divertita e gli regalai un leggero e delicato bacio sulle labbra, stringendogli una mano e senza distogliere il mio sguardo dal suo ipnotico. Sentivo sempre il bisogno morboso di vedere quelle iridi, di specchiarmi in quelle pozze nere e imprimermi nella memoria e nell'anima anche la più piccola sfaccettatura di quegli occhi così tremendamente perfetti.
«Torniamo di là sennò credono che uno di noi ha fatto una strage,» ironizzò Federico.
Uscì dalla cucina usando la porta finestra e ci trovammo direttamente in giardino, di fronte alla piscina. E davanti ad una scena che nessuno di noi si sarebbe aspettato di vedere. Eravamo talmente presi da noi stessi che non ci eravamo nemmeno accorti che Raffaele si era inginocchiato di fronte ad una Claudia spiazzata e un altrettanto incredula Cristina.
«Non c'è il lume di candela e nemmeno i violino. Non ho fiori né un anello. Ho solo il mio amore che vorrò donarti per il resto della mia vita. Claudia Faustini vuoi sposare questo poveraccio, burbero e antipatico Smell?»
Possibile che mi fossi addormenta sul bancone della cucina e che fossi in un mondo onirico? Probabile visto che mio fratello stava facendo una proposta di matrimonio anche fin troppo romantica. Mi diedi da sola un pizzicotto sull'avambraccio e constatai che quello non era frutto della mia mente, che non era stato Morfeo a mandarmi quelle immagini ma che ciò che si stava consumando davanti ai miei occhi era la realtà.
Claudia aveva gli occhi lucidi e la bocca dischiusa, con le labbra che le tremavano e il corpo rigido come un tocco di legno. Eravamo tutti spiazzati in quel momento, ma lei, ovviamente, era la più incredula e la più spaesata. Non sapeva se rimanere a fissare il suo ragazzo oppure cercare i nostri sguardi.
«Io, non...» Boccheggiò deglutendo a fatica. «...cioè, stiamo insieme da così poco.»
«Lo so,» convenne con lei Smell. «Ma tu sei la prima ragazza che amo davvero e non posso immaginare una vita senza di te. Vorrei davvero che tu diventassi mia moglie.»
«Me lo stai chiedendo solo perché sono incinta,» ribatté Claudia con voce tremante.
Smell le afferrò una mano e la baciò con dolcezza.
«No. Te lo chiedo perché mi sento pronto per questo passo. Lo avrei fatto con o senza bambino.» La rassicurò e sembrava sincero.
Mi risultava difficile immaginare mio fratello padre, ed era ancora più difficoltoso immaginarlo con un pargolo tra le braccia e addirittura sposato.
Claudia boccheggiò e si guardò intorno spaesata, passandosi le mani tra i capelli. Era chiaro che fosse in difficoltà, che avesse paura di dire di no e ferire i sentimenti di mio fratello. Se mi fossi ritrovata io in quella situazione non avrei esitato a dire di a Dario, avventandomi anche addosso a lui per baciarlo, per stringerlo per non farlo mai più andare via. Ma io ero ancora immatura e non riflettevo mai prima di prendere le mie decisioni. Il matrimonio era un passo importante e non facile, soprattutto per lei che aveva solo diciotto anni e nemmeno un diploma in mano.
«E se non dovesse funzionare?» Domandò Claudia, impaurita. 
«C'è sempre mia madre per il divorzio. Potrebbe anche farci uno sconto,» ridacchiò divertito e la mia amica, in lacrime, si unì a lui.
«Come ci manteniamo poi? Io non sono nemmeno uscita dal liceo!»
«Quest'anno mi laureo e non sarà difficile trovare un osto di lavoro. Mio zio è farmacista e sarebbe felice di offrirmi un posto,» rispose mio fratello.
Lei si morse le labbra e ci guardò uno per uno come se stesse cercando una qualche conferma nei nostri sguardi. Non sapevo cosa avesse trovato nel mio, forse solo stupore ed incredulità.
«Sì,» disse piangendo per la felicità. «Sì!» Ripeté con più enfasi per ribadire il concetto.
Smell si alzò da terra e sollevò anche Claudia, stringendola a sé per baciarla. Cristina scoppiò a piangere, applaudendo davanti a quella scena da film d'amore mentre Federico la stringeva e strusciava il naso contro i capelli biondi della sua ragazza. Io, dal canto mio, ero quanto mai sorpresa e felice al tempo stesso per loro, nell'immaginare quel sogno d'amore coronarsi.
«E chi se l'aspettava,» mormorò Dario, stringendomi una mano.
«Sono così contenta per loro,» sospirai sognando che quel momento arrivasse, prima o poi, anche per me e Dario.


Dopo la proposta di matrimonio di Smell e dopo che aveva festeggiato quel momento con un bel bicchiere di Coca-cola – poiché di spumante in casa non ce n'era – la Banda Bassotti, come l'aveva ribattezzata Dario, aveva ripreso il suo viaggio verso la Calabria. Io e il mio ragazzo, invece, avevamo deciso di andarci a mangiare un gelato in piazza per trascorrere un po' da tempo da soli e cercare di seppellire quella brutta litigata che ci aveva sorpresi appena qualche giorno prima.
«Per un attimo ho pensato che tuo fratello si fosse fatto di cocaina,» ridacchiò il mio ragazzo, gustandosi il suo gelato al melone.
«Anche io, in effetti.» Convenni con lui. «Non avevo mai visto mio fratello così sdolcinato.»
«Certo che il matrimonio è un bell'impegno,» commentò Dario, scettico.
«Tu non vorresti sposarti?» Domandai speranzosa.
«Certo! Ma prima di fare un passo del genere dovrei pensare a lungo. Non è semplice mettere su famiglia,» spiegò pacatamente. «Soprattutto in una situazione come la loro. Lei non ha nemmeno finito gli studi che già si ritrova con una proposta di matrimonio e un bambino in arrivo.» Disse e, a poco a poco, la sua espressione si rabbuiò. Ormai dovevo essere abituata a questi cambi repentini di umore ma, ahimè, mi stupivano sempre. Strinsi ancora di più la presa sulla sua mano e attrai il suo sguardo verso di me.
«Che succede?» Domandai con un sospiro e un sorriso accennato.
«Pensavo,» scrollò le spalle. «Pensavo al fatto che anche io avrei potuto ritrovarmi in una situazione del genere. Solo che non avrei avuto ventitré anni ma sedici,» disse amaramente.
Inizialmente non capii di cosa stesse parlando, ma a poco a poco le confidenze che mi aveva fatto la mattina del nostro primo addio tornarono alla memoria, traboccarono dai miei ricordi mostrandomi l'immagine di una ragazza senza volto che aveva condiviso con Dario la paura di avere un bambino in giovane età, quando ancora erano dei ragazzini non in grado di accudire un figlio.
«Avresti voluto tenerlo?» Chiesi con un leggero timore di ferirlo richiamando alla sua mente quei ricordi.
«All'inizio ero spaventato e no, non l'avrei voluto tenere.» Mi confidò con un filo di voce. «Ma alla fine Sole mi aveva convinto a prendermi le mie responsabilità. Ed ero pronto a farlo se non fosse che poi è stata costretta ad abortire.»
Ci sedemmo su una panchina con il silenzio che si impossessò di noi. Non era una storia facile da ascoltare, da metabolizzare ma doveva essere stata ancora più dura viverla in prima persona con tutti i timori che una gravidanza portava con sé. Per non parlare poi della questione dell'aborto. Non avrei mai voluto trovarmi nei panni di quella ragazza, perché non era una procedura semplice, era un qualcosa che segnava l'animo di una donna fin nel profondo soprattutto quando era una cosa non voluta.
Finimmo di mangiare il gelato in silenzio mano nella mano ed io appoggiata con il capo sulla sua spalla. Non c'era tranquillità tra di noi, non dopo quel discorso che avevamo fatto, nonostante magari poteva sembrare sereni.
Una ragazza con due enormi occhi azzurri che indossava una gonnellina leggera dalle stampe floreali e una maglietta bianca si voltò a guardarci, socchiudendo gli occhi come per metterci a fuoco. Ad un tratto sorrise raggiante e infilò velocemente il cellulare con il quale stava messaggiando prima di vederci nella borsetta di Prada.
«Dario?» Domandò indicando il mio ragazzo e facendo qualche passo verso di noi. «Dario Vitrano?»
Il mio fidanzato la squadrò da capo a piedi un paio di volte prima di sorridere ed alzarsi di scatto dalla panchina.
«Martina!» Esclamò entusiasta, andando ad abbracciare quella ragazza. Che oltretutto era una strafiga. A parte gli enormi occhi color dell'oceano, messi in risalto dai capelli neri che mossi le ricadevano sulle spalle, aveva un fisico pressoché perfetto, slanciato e con delle curve che avrei definito pericolose. Praticamente di fianco a lei io sparivo, mi eclissava completamente con la sua bellezza, e dopo alcuni secondi intuii che lei fosse la ragazza di cui stavano parlando Dario e Adriano in pizzeria, il sogno erotico di quei due in sostanza e non avevano tutti i torti.
«Oh mio Dio! Da quanto tempo!» Trillò Martina, baciando sulle guance il mio ragazzo. «Sei cresciuto un sacco!»
«Anche tu,» rispose timidamente Dario.
«Sei come il vino, tu.» Ridacchiò la ragazza. «Più invecchi e più ti fai bono.»
Quei due scoppiarono a ridere e un moto di gelosia mi chiuse la bocca dello stomaco. Dario e Martina dovevano essere stati amici, un tempo, e non mi avrebbe stupito se non fosse stato solo un rapporto di amicizia ma qualcosa di più intimo. Insomma erano entrambi avvenenti ed era praticamente impossibile che quei due non avessero mai fatto sesso insieme. E avevo paura che lui potesse cascarci di nuovo con quella specie di Katy Perry all'italiana. Era bellissima, seducente e provocante, tutto il contrario di me, insomma.
«Dove sei stato tutto questo tempo?» Domandò curiosa.
«Mi sono trasferito a Milano e adesso vivo lì,» rispose Dario con un sorriso. «Ed è lì che ho conosciuto la mia ragazza,» aggiunse rivolgendomi, finalmente, uno sguardo. Mi prese una mano e mi costrinse ad alzarmi dalla panchina trascinandomi verso di loro.
«Alice, piacere.» Mi presentai garbatamente.
«Martina. E il piacere è tutto mio,» rispose con un sorriso raggiante stringendomi la mano. «E quanti anni hai Alice?» Mi domandò perforandomi con quello sguardo intenso. Mi sentivo a disagio in sua presenza e forse il motivo era che Martina era stupenda, anche più bella della Cariati e in confronto a lei ero un cesso ambulante, uno scorfano dotato dell'uso della parola.
«Diciotto,» risposi in soggezione cercando di non guardarla, ma era quasi impossibile distogliere lo sguardo da lei e nemmeno Dario sembrava intenzionato ad allontanare i suoi occhi dal corpo morbido di Martina. Non mi avrebbe stupito se in quel momento si stesse immaginando in un letto assieme a lei e questo pensiero mi fece rodere di gelosia e di rabbia.
«Oh, sei ancora piccolina!» Ridacchiò. «Per cui farai ancora il liceo, immagino.»
«L'ultimo anno dello scientifico,» replicai con un tono di voce talmente basso che sembrava stessi partecipando ad una funzione funebre. Martina sorrise mostrandomi i suoi denti bianchi e perfetti – pure quelli, aggiungerei dato che sembrava non avere difetti quella ragazza – ed annuì.
«Io e Dario abbiamo preferito il classico. Anche perché, non so lui, io ero negata in matematica.» Sogghignò e con lei il mio ragazzo.
«Una capra,» rispose Dario tra le risate. «Come in latino, greco, storia, filosofia...» Aggiunse poi sarcastico.
«Poi dovrai spiegarmi come hai fatto a diplomarti,» bofonchiò Martina senza perdere il suo sorriso raggiante.
Dario scrollò le spalle con noncuranza e sospirò.
«Enorme, gigantesca botta di culo. Sono uscito con un misero sessantadue.» Disse poi passandosi una mano tra i capelli.
«Beh, l'importante è diplomarsi, no?» Replicò la moretta regalando un sorriso fin troppo malizioso al mio ragazzo.
«Sì, più o meno.» Rispose Dario non del tutto convinto. «Immagino che tu abbia preso cento alla maturità.» «E lode,» aggiunse gongolandosi Martina e piano, piano la mia gelosia si stava trasformando in puro odio nei confronti di quella ragazza. E non perché fosse antipatica, anzi non sembrava così insopportabile, ma per come si mangiava con gli occhi il mio Dario. Sembrava quasi che volesse prenderlo in quell'esatto momento, sbatterlo sulla panchina e fare sesso con lui per ore. Ed ero anche certa che, se avesse potuto, mi avrebbe strangolata e buttato il mio cadavere in un fosso solo per poter avere Dario tutto per sé.
«Che secchiona,» borbottò il mio ragazzo divertito. «Ora cosa fai?» Chiese poi curioso.
«Studio medicina, ovviamente.» Scrollò le spalle e sospirò. «Come mio nonno e come mio padre.»
«Anche io avrei dovuto fare quella facoltà. I miei volevano un quarto medico in famiglia. Ma sono scappato prima che mi obbligassero ad indossare camice e stetoscopio,» ridacchiò anche se il suo tono di voce non era affatto divertito. Ero sicura che stesse ricordando gli anni orribili che aveva passato a Milano nella più completa solitudine e mi venne voglia di abbracciarlo in quell'istante ma rimasi imbambolata davanti a Marina, incapace di muovermi e di proferire parola.
«Hai preferito lavorare in radio,» lo anticipò Martina con un sorriso sornione. «Ti ascolto tutte le mattine. Quando mi è possibile ovviamente. All'inizio non credevo che potessi essere tu, ma la tua voce è inconfondibile.»
«Troppo bella per poter essere scordata,» si pavoneggiò Dario.
«Non solo quella,» disse Martina ma subito si tappò la bocca con una mano e arrossì di colpo.
Ok, era chiaro che quella ragazza dallo sguardo cristallino e Dario si fossero intrattenuti insieme durante gli anni del liceo. Anche se i conti non mi tornavano. Lui mi aveva detto che Sole era stata la sua prima ragazza ed erano stati insieme tre anni prima che lui partisse per Milano a diciannove anni. E allora Martina cos'era stata per Dario? Non una semplice amica perché era ovvio che lei fosse ancora attratta dal mio ragazzo. Un'avventura o un vero e proprio fidanzamento? Ero stranamente confusa in quel momento.
«Io, io devo, devo andare.» Balbettò Martina affrettandosi ad abbassare lo sguardo. «Mi ha fatto piacere rivederti.»
«Anche a me,» mormorò Dario con un sorriso accennato.
«Vado, allora.»
Disse cominciando a camminare all'indietro ed andando a sbattere contro un povero signore di una certa età. Si scusò goffamente con lui e lo aiutò a raccogliere il bastone che gli era caduto, lanciando qualche occhiata furtiva a Dario. Se io non fossi stata lì quei due si sarebbero appartati da qualche parte e ci avrebbero dato dentro.
«Ehi Martina!» La richiamò Dario e si avvicinò a lei. Tesi l'orecchio per ascoltare i loro discorsi, curiosa di sapere che cosa avevano ancora da dirsi. «Senti... io mi intrattengo qui a Roma per un po'. Potremmo sentirci qualche volta per uscire insieme con Alice e gli altri.»
«Come ai vecchi tempi,» mormorò lei imbarazzata al massimo con le guance rosse come un pomodoro. «Perché no.»
«Hai un contatto Facebook, Twitter o un social network qualsiasi?»
«Facebook,» rispose lei con un sorriso stiracchiato e uno sguardo languido che rendeva liquidi quegli immensi occhi azzurri. «Mi trovi come Martina Campanella, ovviamente.»
«Ti aggiungo, allora.» Gli sorrise il mio ragazzo e lei annuì timidamente.
Dario si sporse verso di lei e le baciò dolcemente una guancia lasciandola pietrificata in quel punto per alcuni secondi con un sorriso idiota stampato in faccia. Quando poi si rese conto di essere rimasta a fissare Dario come uno stoccafisso, lo salutò rapidamente con una mano e si allontanò rapida da noi, scappando quasi.
Improvvisamente ripensai alle ultime parole che aveva detto quella ragazza. Si chiamava Martina Campanella come l'uomo di cui avevano parlato i signori Vitrano durante la loro litigata. Mi affiancai a Dario, che aveva le mani affondate nelle tasche dei jeans e appoggiai il capo contro la sua spalla, stringendo il suo braccio.
«Chi era?» Domandai con un filo di voce.
«La mia ex ragazza,» rispose telegrafico. Per cui i miei sospetti erano fondati e i miei dubbi sulla complicata vita sentimentale ed adolescenziale del mio ragazzo si intensificarono «Quella di cui stavamo parlando prima,» aggiunse con un filo di voce.
«La ragazza che ha abortito?» Domandai incredula.
Dario si limitò ad annuire flebilmente e ad abbassare lo sguardo verso l'asfalto. Non dissi nulla rispettando il silenzio di del mio ragazzo, stringendolo solo di più a me. Avevo notato che ci fosse un legame tra di loro non attribuibile ad una semplice amicizia, ma non avrei mai creduto che lei fosse la ragazza di cui avevamo parlato fino a poco prima.
«Era da anni che non la rivedevo,» mormorò. «È stato... strano. E mi ha fatto piacere vederla così felice.»
«Sei ancora attratto da lei?» Quelle parole uscirono velocemente dalla mia bocca. Avevo visto che la guardava come se la desiderasse, e il pensiero che un'altra ragazza potesse attirare la sua attenzione mi faceva imbestialire. Già c'era stata Sole a sconvolgere per bene i primi giorni di quella vacanza, ci mancava solo Martina a metterci i bastoni tra le ruote. Le cose dopo la litigata si erano sistemate e il nostro amore era ancora più forte di prima. Non volevo che una ragazza con gli occhi azzurri qualunque rovinasse tutto quello che stavamo costruendo, tutto quello che piano piano si stava risanando.
«Beh, hai visto anche tu quanto è bella. Un pensierino ce lo farei...» Lasciò la frase in sospeso e mi guardò di sottecchi con un'espressione divertita. La sua era una chiara provocazione alla quale cedetti in un nanosecondo. Mi allontanai da lui e, accigliata, gli tirai una sberla sul braccio talmente forte che lo schiocco si sarebbe sentito perfino a chilometri di distanza.
«Bene, allora. Fatti soddisfare da lei.» Ribattei stizzita, dandogli le spalle e incrociando le braccia.
«Ma dai, amore, scherzavo!» Esclamò prontamente lui abbracciandomi da dietro e baciandomi una guancia.
«Ho visto come la guardavi,» dissi con il broncio. «Sembrava che volessi farci sesso.»
«Piccola! L'unica che voglio sei solamente tu,» mormorò al mio orecchio e si appoggiò con il mento alla mia spalla. «Martina è ovviamente bellissima e saremo sempre legati, in un certo senso. Stava per diventare la madre di mio figlio o mia figlia, in fondo.»
Rimasi in silenzio con il calore del suo corpo ad avvolgermi e il suo odore a sconvolgermi. Aveva ragione. Erano stati sul punto di diventare genitori, avrebbero condiviso la gioia di avere un bambino e le paure che una gravidanza in così giovane età comportava. Eppure non riuscivo a stare tranquilla e a far finta di nulla perché avevo visto lo sguardo di Martina colmo di un sentimento nei confronti di Dario che non sapevo definire. Nei suoi occhi c'era qualcosa di malinconico ma anche di romantico e avevo paura che sarebbe tornata all'attacco per riprendersi il mio amato. Ed era chiaro come il sole che Dario poi avrebbe scelto Martina. Lei era bella come poche, intelligente ed era riuscita a strappargli più risate lei in cinque minuti di conversazione che io in due mesi di conoscenza. Cosa aveva trovato in me? Perché si era innamorato della sottoscritta? Forse solo perché ero stata l'unica a non contattarlo per avere del sesso in cambio di soldi, perché ero stata l'unica ad avvicinarmi a Dario e lui, avendo bisogno di affetto, si era arpionato a me in cerca di ciò che gli mancava. E probabilmente non mi amava davvero, credeva solo che fosse amore ma magari era solo una forte amicizia che lui aveva scambiato per qualcosa di più profondo.
«Sei sicuro che quello che provi per me sia amore?» Domandai con un pizzico di tristezza. Ero una folle a fare quella domanda, ma dovevo sapere e dovevo capire che cosa fosse quello che sentiva per me. E non mi sarei arrabbiata se mi avrebbe lasciata. Avrei solo passato sei mesi a piangere – forse anche di più –, ma non lo avrei odiato. In fondo era semplice scambiare una profonda amicizia con l'amore, soprattutto quando si era soli e feriti come Dario. Lui tacque disorientato dalle mie parole e, in un attimo, mi cinse i fianchi e mi voltò verso di lui per cercare il mio sguardo. Era tremendamente serio in quel momento e i suoi occhi neri come la notte mi trafissero il corpo, l'animo, il cuore.
«Alice non dubitare mai, mai di quello che provo per te,» disse sfiorandomi il viso con la mano. «So per certo che ti amo. Lo so da molto tempo, ormai.»
«Da quando?» Gli domandai curiosa non riuscendo a soffocare un sorriso che si disegnò sulle mie labbra.
«Da quando sono scappato come un codardo da te,» rispose imbarazzato. «Appena ho realizzato che non ti avrei mai più rivista ho sentito la terra cedermi sotto i piedi, sono sprofondato in un buco nero e un vuoto proprio qui.» Disse afferrandomi la mano e appoggiandola sul suo cuore che in quel momento batteva all'impazzata. Sorrisi per l'emozione e rischiai di scoppiare a piangere, come al solito.
«Io da molto prima,» ammisi e Dario mi guardò dubbioso. «È successo quando ti ho visto entrare in casa mia. Non ho capito più nulla appena ti ho visto. Mi hai letteralmente sconvolto l'anima solo con un sorriso.» E forse risultai una stupida per aver detto quelle cose, magari sarei sembrata una bambina dalla cotta facile. Ma non mi importava sinceramente anche perché era la pura e semplice realtà. Dario ridacchiò, rosso dall'imbarazzo e unì le nostre labbra in un breve ed intenso bacio. Ci guardammo a lungo come se ci fossimo sperduti nello sguardo dell'altro in una trappola dalla quale non volevamo sfuggire. Solo che c'era una domanda che premeva nella mia mente e che scalpitava per uscire non facendomi godere appieno di quel momento.
«C'è una cosa che non capisco,» dissi dubbiosa. «Se Sole è stata la tua fidanzata per tre anni e se vi siete lasciati quando tu sei partito per Milano dopo la maturità, come hai fatto ad essere il fidanzato anche di Martina?»
Lo vidi sbiancare tutto d'un tratto e annaspare come un pesce fuor d'acqua. Sorrise nervosamente, grattandosi la nuca svariate volte ed estrasse dalla tasca una macchina fotografica digitale.
«Dobbiamo colmare il vuoto sulle pareti, no?» Disse e il suo mi sembrò un tentativo di sviare il discorso.
«Non hai risposto alla mia domanda.» Gli feci presente puntellando le mani sui fianchi. E proprio in quell'istante un flash mi sorprese e la macchina fotografica immortalò la mia ridicola espressione corrucciata.
«Oh, sei fantastica in questa foto!» Esclamò Dario ridendo mentre riguardava ciò che aveva appena scattato.
Mi avvicinai lesta a lui e sbirciai sul piccolo schermo della macchina digitale la mia immagine orribile impressa sulla memory card. Avevo una faccia da cretina e mi aveva immortalata mentre parlavo per cui avevo anche la bocca semi-dischiusa. Cercai di acciuffare quell'aggeggio dalle sue mani, ma lui si scansò prontamente allontanandolo dalle mie grinfie.
«Cancellala immediatamente!» Esclamai stizzita, cosa che lo fece sganasciare ancora di più.
«No, mia cara. Questa andrà dritta dritta a tappezzare le mie pareti.» Disse scappando da me e dal mio tentativo di sbarazzarmi di quella immagine orribile.
«Dai ti prego! Cancellala!» Lo supplicai, facendo gli occhi dolci. «Te ne faccio fare altre mille, lo prometto!»
«Non m'incanti, piccola.» Ribatté con un sorriso sornione e fu un attimo che la macchina fotografica scattò di nuovo.
«Piantala di fare foto a tradimento!» Sbottai indispettita e non volli nemmeno vedere quale obbrobrio ci fosse impresso sullo schermo.
«Ma sono le migliori e le più naturali!» Replicò divertito.
Era riuscito in un attimo a farmi dimenticare quel dubbio atroce che mi aveva tormentata poco prima. In quel momento c'era solo lui che riempiva la sua memory card con delle mie foto. Alla fine mi arresi al suo gioco e cominciai a posare come se fossi una modella per quel servizio fotografico improvvisato alla quale, di tanto in tanto, si univa anche lui baciandomi sulle labbra oppure su una guancia. Quelle erano le nostre prime fotografie insieme e le avrei custodite gelosamente come se fossero il tesoro più prezioso che potessi possedere. Era il nostro amore, i nostri momenti passati insieme, eravamo noi ed ogni volta che le avrei viste avrei sorriso, avrei gioito e avrei riprovato quelle stesse emozioni dell'attimo immortalato in quella fotografia.
Appena arrivammo a casa, Dario stampò quelle fotografie con la sua ipertecnologica HP e non tardò a riempire con esse le pareti della sua stanza. Erano tantissime ed ognuna di esse racchiudeva un pezzo della nostra vita, un pezzo del nostro amore. Una su tutte spiccava tra i nostri baci e le mie facce da ebete. Ero io la protagonista di quella foto e stavo sorridendo mentre guardavo il mio amato Dario. E sotto con un indelebile argentato lui aveva scritto:

Alice – La mia vita ♥




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Scusate il ritardo! Ma sono riprese le lezioni di anatomia e mi distruggono!
Più che altro questo è un capitolo di passaggio...il bello arriverà nel prossimo :3 ma non anticipo nulla!
Sentivate la mancanza di Abbacchio (Federico) e compagnia bella? Io, un po', sì! Soprattutto Abbate...sapete quanto io abbia adorato questo personaggio, nonostante tutto! E, ancora una volta, si dimostra forse il più maturo di tutta la storia. Seppur non sopporti Dario, non lo digerisca, ha comunque accettato la sua relazione con Alice. L'importante, per lui, è che la sua migliore amica sia felice. E ha capito che con Dario è così.
Ma vogliamo parlare di Smell? Del brutto, scorbutico e rozzo Smell? Sembra un'altra persona in questo capitolo :) è stato dolcissimo con la sua Claudia.. Finalmente si è deciso a  esternare i suoi sentimenti, arrivando addirittura a chiedere alla sua ragazza di sposarlo. Io li trovo bellissimi insieme, questi due ♥.♥
E ritorna fuori il discorso della ex ragazza di Dario che ha davuto abortirtire. Non so se vi ricordate nle capitolo 12 quando lui ha accennato a questo episodio :) comunque, qui spiega più dettagliatamente come si è sentito, quello che ha provato e per di più Alice ha avuto l'"onore" di conoscere la ragazza in questione, Martina Campanella. Per chi ha letto i primi capitoli di Mistake saprà sicuramente chi è! Oltre al fatto di essere gelosa marcia della bellezza di Martina, Alice ha anche un sacco di dubbi, non so se lo avete notato xD ma, alla fine, i nodi non vengono al pettine. I due piccioncini si perdono nel loro amore e scattano delle foto che immortalino il loro sentimento. Un po' di tranquillità per la nostra coppia :)
Mi dispiace ma non sono riuscita a rispondere alle vostre recensioni ^^" proverò a recuperare, ma non prometto nulla.
Comunque ringrazio le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, le persone che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ ricordate e anche chi legge solamente. Siete davvero tantissimi ♥.♥ Vi adoro!

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Un bacio e alla prossima!






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Capitolo 27
*** Viva gli sposi ***


alice
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video-trailer
C a p i t o l o 26

V
iva gli sposi!
betato da nes_sie

Quella mattina c'era fermento in casa Vitrano. Era il 15 luglio e tra poco meno di due ore, esattamente alle quattro del pomeriggio, la cugina di Dario si sarebbe sposata. In corridoio c'era uno snervante via vai, un picchiettare di tacchi sul parquet e lo sbraitare continuo di Salvatore che non trovava la sua Favolosa cravatta color cremisi. Sembrava che tutti si stessero preparando per il matrimonio reale di William e Kate, talmente era alta la tensione in quella casa. L'unica che non aveva la minima voglia di partecipare alla cerimonia ero io – e forse Dario che era davanti allo specchio a borbottare. E non perché non mi piacessero i matrimoni, anzi li adoravo. Immaginarmi all'altare con l'abito bianco, mano nella mano del mio futuro marito davanti al parroco per coronare il nostro sogno d'amore era una delle mie fantasie più ricorrenti. Per di più, ai matrimoni si poteva mangiare come maiali affamati mandando a quel paese la dieta per qualche ora, anche se il giorno dopo ci si sarebbe svegliati con i sensi di colpa. Ma cosa c'era di meglio di un'abbuffata in grande stile? Cosa c'era di meglio di un pranzo nuziale con tre primi, tre secondi, dolci, dolcetti e stuzzichini di ogni genere?
Solo che le nozze di questa cugina, di cui ancora non sapevo il nome, mi rendevano ansiosa e non sapevo se fosse perché lì non conoscevo nessuno, e mi sarei sentita un perfetta idiota in mezzo a degli estranei, o se fosse solo il sesto senso che mi diceva chiaramente che fosse meglio starsene a casa invece di andare a quel maledetto matrimonio.
Sospirai rumorosamente, scuotendo la testa e cominciando a contorcermi per entrare nel vestito azzurro che, gentilmente, la signora Nicoletta mi aveva fatto comprare. Mi aveva imposto di prenderlo solo perché era un Dolce&Gabbana, così non sarei apparsa una pezzente in mezzo ai suoi parenti. Per carità, era bellissimo e non avevo mai indossato nulla di così elegante. Era un tubino color del cielo, senza spalline, che mi arrivava a metà coscia – fortunatamente coprendo la mia orribile cellulite – ornata con quelli che sembravano dei veri cristalli sulla parte centrale che si portavano fino quasi a metà vestito e si concludeva con un drappeggio di stoffa. Stupendo, ma troppo appariscente per una come me.
Comunque, tralasciando la signora Vitrano e i suoi odiosi vestiti griffati, non dovevo preoccuparmi e pensare già al peggio, quando ancora non era successo nulla. Dovevo smetterla di essere così pessimista e di vedere pericoli ovunque, credere che ogni singolo gesto ed ogni singola persona potesse distruggere quello che c'era tra me e Dario. Non era semplice, però. Non lo era affatto. Senza di lui sarei morta; portarmelo via equivaleva a strapparmi il cuore dal petto e distruggerlo in piccoli brandelli, vivere senza Dario non sarebbe stato vivere. Come potevo esistere senza un cuore? Come potevo esistere senza un'anima? Senza ossigeno, senza sangue nelle arterie, senza acqua che mi dissetasse? Perché, per me, Dario era tutto quello se non di più. Era lui a dare senso ad ogni cosa, era lui che colorava la vita con ogni suo sorriso e ogni suo sguardo, era lui il senso della mia vita. Io esistevo semplicemente perché esisteva Dario. Se lui non ci fosse stato Alice sarebbe stata il nulla più totale, una ragazza vuota senza nessun significato in quell'insignificante mondo grigio.
«Mi aiuti ad allacciare la zip?» domandai al mio ragazzo, scacciando quei brutti pensieri dalla mia mente.
Dario si avvicinò lentamente a me, ancora con la camicia sbottonata e il suo fisico bene in vista. Se non ci fosse stato l'inconveniente matrimonio, non avrei esitato a disfarmi di lei e anche dei pantaloni per fare l'amore con lui anche ore ed ore. Forse non proprio in continuazione dato che biologicamente Dario aveva bisogno di riprendersi. Avevo una voglia infinita di lui che cresceva giorno per giorno e che le nostre effusioni, le nostre serate passate nella sua Mito appartati nel garage, i nostri gemiti sommessi o quasi urlati alimentavano volta per volta, rendendomi insaziabile del sapore inconfondibile della pelle di Dario e del suo corpo.
Mi scansò delicatamente i capelli, raccolti in una semplice coda alta da un elastico ornato di perline e le sue mani percorsero la mia schiena per tutta la sua lunghezza, regalandomi dei magnifici brividi di piacere.
«Perché tirarla su questa zip?» domandò roco avvicinandosi al mio orecchio. «Non sarebbe meglio toglierlo questo vestito?» continuò retorico, e le sue mani abbandonarono la mia schiena per dedicarsi al mio seno. Tutti e due, in quel momento, volevamo la stessa cosa, volevamo fare l'amore e mandare a quel paese il matrimonio.
«Non cominciare Dario!» dissi stizzita, stringendogli i polsi e allontanandolo dal mio corpo. Ancora un secondo in più e mi sarei sbarazzata dei miei e dei suoi vestiti. Dovevo darmi un contegno, però: non potevo mica stare sempre a desiderare di far sesso con lui. Anche perché l'amore non doveva essere sempre e solo qualcosa di fisico e, nell'ultimo periodo, ci eravamo lasciati andare un po' troppo. Praticamente, dopo la litigata, ci appartavamo sempre nella sua Mito. Avevo paura che così il nostro sentimento si logorasse con il tempo e diventasse solo qualcosa di carnale, che si riducesse solo a notti di sesso sfrenato e nulla più. Io volevo tanto altro dal nostro rapporto, soprattutto emozioni e quei semplici gesti che mi stupivamo e che mi facevano sentire amata. Questo lato era ancora vivo tra di noi, ma per quanto tempo sarebbe durato? Quanto tempo sarebbe bastato perché il nostro amore si trasformasse solo in un atto carnale?
«Ma che ci posso fare se sei così sexy con questo vestito?» ribatté lui strofinando quella sua barbetta seducente contro il mio collo.
«E allora se sono sexy con questo vestito perché non lo lasciamo dove sta?» dissi, e voltai il viso verso di lui, sorridente.
«Ti preferisco senza,» borbottò, mettendo il broncio.
«Per oggi accontentati di guardarmi con il vestito sexy,» ribattei. E sollevai la coda invitandolo tacitamente ad alzare quella maledetta zip.
Sbuffò scocciato, e il suo respiro mi solleticò la schiena, facendomi chiudere gli occhi per quel secondo di piacere. Ogni cosa di lui provocava in me brividi più o meno intensi di godimento, dal suo semplice fiato contro la mia pelle al suo tocco. Avevo una vera e propria dipendenza. Quel mio sentimento così forte per lui, ne ero certa, si sarebbe ritorto contro di me e mi sarebbe piombato addosso come il più pesante dei macigni.
«Et voilà,» borbottò allacciandomi la zip e sbattendo le mani contro i fianchi.
«Grazie,» dissi girandomi verso di lui e lasciandogli un bacio all'angolo della bocca. Avrei voluto approfondire quel bacio, ma sarebbe stato controproducente perché con la voglia che avevo di lui saremmo cascati sul letto e addio matrimonio. Per di più eravamo anche in ritardo, e Consuelo bussava alla porta della stanza da circa dieci minuti, imprecando in spagnolo quando nessuno le rispondeva.
Indossai i sandali argentati – con un odiosissimo tacco 12 che mi avrebbe distrutto i piedi – e tutti i vari accessori che Nicoletta mi aveva comprato per quella occasione speciale, mentre Dario indugiava nell'abbottonarsi la camicia bianca.
«Muoviti!» Esclamai, e lui mi guardò con il tipico sguardo da cane bastonato.
«Ma fa caldo!» si lagnò. «E lo smoking mi fa sentire un deficiente.»
Sbuffai sonoramente e mi avvicinai traballante a lui, con la paura di capitombolare dai quei trampoli. Cominciai ad abbottonargli la camicia, sfiorando quel corpo che desideravo così ardentemente.
«Come i bambini,» commentai scocciata, più che altro per allontanare la mia mente dai pensieri impuri che stavo continuando a fare.
«I bambini non hanno un fisico così,» gongolò con un sorriso sornione.
«I bambini non sono stupidi quanto te,» risposi sarcastica e lo vidi incupirsi e fingersi offeso. Gli allacciai l'ultimo bottone ed avvolsi le mie braccia dietro il suo collo per unire le nostre labbra e concederci quel bacio che prima non avevo voluto approfondire. Tutti i miei sforzi di resistergli quel pomeriggio erano andati a farsi benedire proprio in quel momento, quando la sua lingua cominciò a danzare con la mia sinuosamente ed sensualmente. Non riuscivo a frenarmi quando avevo davanti Dario. Diventavo una cretina di fronte a lui, una stupida che non capiva più nulla e che non vedeva nient'altro se non lui.
La sua mano cominciò a risalire pericolosamente lungo la mia coscia, sistemandosi a coppa sulla mia natica. Fortunatamente, però, qualcuno bussò alla porta e fermò quel momento magico e maledettamente eccitante. L'uscio si aprì e il viso bellissimo di Mauro fece capolino con uno sguardo che sarebbe stato in grado di sciogliere il polo sud e il polo nord in meno di tre secondi.
«Invece di perdere tempo a fare le porcate, datevi una mossa. Stiamo aspettando tutti voi,» disse perentorio e quando i suoi occhi si posarono su di me il mio cuore perse un battito. Perché dovevo sentirmi sempre in soggezione quando lui mi fissava? In fondo era un bastardo fatto e finito, e poco contava che avesse cercato di consolarmi quando avevo litigato con Dario, che mi avesse abbracciata e mi avesse fatto sorridere in un momento in cui avrei dovuto versare tutte le lacrime possibili. Lui era solo bello, e di ragazzi attraenti ne avevo visti a bizzeffe. Bastava anche vedere quanto fosse bello il mio ragazzo. Ma gli occhi di Mauro erano come una calamita per me e lui era così enigmatico da attirarmi quasi fossi stata vittima di uno strano sortilegio. E mi sentivo terribilmente affascinata da lui. Non potevo, però, commettere errori. Sarebbe equivalso a perdere Dario e non volevo che questo accadesse per una mia stupida svista.
«Arriviamo,» borbottò il mio ragazzo.
La porta si richiuse, nascondendo fortunatamente la figura di Mauro. Più il tempo passava e più il fascino che aveva su di me cresceva a dismisura. Deglutii a fatica e acchiappai la giacca dal letto, porgendola a Dario che si stava allacciando la cravatta.
«'Sto cazzo di pezzo di stoffa me strangola!» si lamentò cercando di allentarsi il colletto.
«Cerca di resistere un pochino, santo cielo! È solo una cravatta!» sbottai nervosa.
«Mamma mia, oh! Che te s'è infilato qualcosa nel di dietro?» borbottò Dario mettendosi la giacca dello smoking blu scuro ed io gli regalai uno sguardo truce. Afferrai la pochette intonata alle scarpe ed uscii dalla stanza, seguita dal mio ragazzo che sbuffava scocciato.
«Chissà perché, ma ho come la sensazione che questo sarà un pomeriggio di merda,» commentò contrariato mentre scendevamo al piano di sotto dove tutti ci attendevano.
E, chissà perché, il mio sesto mi suggeriva che Dario aveva ragione.


La celebrazione del matrimonio era stata davvero stupenda, nonostante fossimo arrivati in ritardo, proprio quando la sposa stava per entrare. La chiesa di San Marco era stata decorata con dei meravigliosi e candidi fiori bianchi e rosa pallido; le panchine erano state ornate con dei drappeggi di seta bianchi e mi era sembrato quasi di entrare in un sogno. Più di una volta mi ero immaginata di essere al posto di Teresa, la cugina di Dario, fasciata in un meraviglioso abito da sposa a sirena tempestato di Swarosky. Ovviamente nella mia fantasia il bel ragazzo dagli occhi azzurri con cui era convolata Teresa era stato sostituito dal mio Dario. Era tutto così terribilmente romantico. Quasi perfetto se non fosse stato per il mio ragazzo che continuava a borbottare contro il povero Renzaglia. Avevo intuito che conoscesse anche il bel ragazzo tenebroso e che non gli andasse particolarmente a genio. «Si può sapere che cosa ti ha fatto questo Renzaglia?» domandai mentre eravamo in macchina per raggiungere il castello di Bracciano dove si sarebbe svolto il banchetto.
«È un coglione, fuma canne e tracanna birre di prima categoria,» rispose brusco tamburellando l'indice sul volante.
«Non mi ha dato l'impressione di essere un drogato alcolizzato,» ribattei confusa. Certo, aveva lo sguardo un po' tenebroso, un che di misterioso in lui, ma non mi era sembrato un pazzo squilibrato avvezzo a bevute e canne.
«Beh...ho esagerato un po',» sbuffò e la Mito svoltò seguendo il corteo di macchine che si dirigevano al castello. «Ma ciò non toglie che sia un cazzone, pezzo di merda.»
«Quanto risentimento,» borbottai affondando nello schienale del sedile. «Ti ha per caso rubato la ragazza?» sghignazzai.
«Ci ha provato,» ringhiò lui. «Stava sempre a ronzare attorno a Sole.»
E rieccolo quel nome che odiavo dal profondo del mio cuore uscire di nuovo dalle labbra di Dario, uscire dal suo cuore. Era da giorni interi che quella ragazza non era oggetto dei nostri discorsi e mi stavo perfino dimenticando di lei. Fino a quel momento, in cui il suo viso tondo riaffiorò alla mia mente. E il fatto che il suo nome fosse associato a quello di Renzaglia mi fece contorcere lo stomaco e tutti i visceri. Erano amici, probabilmente, e questo significava che potevo trovarmi Sole davanti agli occhi in un qualsiasi momento, che lei poteva tornare a minacciare quello che io e Dario stavamo costruendo a poco a poco.
«Che cazzo ci ha trovato mia cugina in quello?» continuò a lamentarsi, ma io smisi di ascoltarlo e iniziai ad immaginare il momento in cui avrei incontrato Sole di persona. Che cosa avrei fatto? Come mi sarei comportata? Le avrei dispensato falsi sorrisi oppure gli sarei saltata subito alla gola? Ero un tipo impulsivo, che non ragionava mai prima di agire e quindi mi sarei potuta aspettare di tutto, anche una rissa sul tavolo della cena. Tutto dipendeva da come si sarebbe comportata lei, che sguardi avrebbe rivolto a Dario e, soprattutto, che cosa avrebbe fatto lui.
«Ehi, piccola, che hai?» mi domandò il mio ragazzo, scuotendomi un braccio per ridestarmi dal mio sogno ad occhi aperti.
«Oh, no, nulla!» esclamai e gli sorrisi. «Pensavo che, beh, insomma... potrebbe esserci Sole,» dissi con un filo di voce e lo vidi deglutire a fatica. Si umettò le labbra e cominciò a torturarsi il labbro inferiore con i denti.
«L'ho pensato anche io,» ammise adottando il mio stesso tono.
«Cosa credi di dirle, se la incontrerai?» domandai curiosa.
Dario scrollò le spalle e sospirò.
«Cosa dovrei dirle?» rispose in evidente difficoltà. «Ciao...» E quella parola rimase ad aleggiare nella macchina per alcuni secondi. Dietro quelle quattro lettere si nascondeva molto di più di un semplice saluto e lo avevo capito da come l'aveva pronunciato, con una malinconia che aveva riempito l'abitacolo. Era ancora legato a lei, lo percepivo e non potevo biasimarlo. Lei era stato il suo primo amore ed ero sicura che anche io, semmai la nostra storia fosse finita, avrei continuato a pensare a lui, a quello che c'era stato tra di noi. Ero ancora gelosa marcia di Sole e non avrei ai superato quel sentimento di astio nei suoi confronti, ma se prima avrei dato di matto e mi sarei fatta un sacco di paranoie, in quel momento non ne sentivo il bisogno. Sapevo che Dario mi amava, mi fidavo di lui ed era libero di pensare a Sole senza che io dessi i numeri. Allungai una mano verso di lui, appoggiandola sul suo braccio e Dario mi regalò uno degli sguardi più belli che avessi mai visto, che mi spiazzò con la sua immensa intensità e che mi inghiottì in pochi secondi. Mi sorrise ed io ricambiai. Dopo quella breve discussione su Sole, rimanemmo in silenzio per tutto il viaggio. Lui aveva appoggiato la mano sulla mia coscia e, ogni tanto, si voltava verso di me per sorridermi. Tra di noi non c'erano bisogno di parole. Erano sufficienti degli sguardi, dei sorrisi che racchiudevano nella loro semplicità il nostro amore travolgente.
Una decina di minuti dopo eravamo arrivati al castello e la favola che stavo vivendo quel pomeriggio sembrava prendere davvero vita. Prima il romantico scambio di promesse, poi il banchetto in un vero ed autentico castello. Anche se quello era il giorno di Teresa, mi sentivo come una principessa, e Dario era il mio principe azzurro.
All'esterno, sotto alcuni portici, erano stati allestiti numerosi tavoli con tovaglie bianche e rose bianche imbanditi con ogni sorta di stuzzichino e bevande per rinfrescare gli invitati che già si stavano rifocillando, ridendo tra di loro. Mi sarei avventata subito su quei manicaretti se non fosse stato che sarei sembrata un lupo affamato e avrei fatto una figura barbina. Dario mi trascinò verso alcuni dei suoi familiari, per la precisione verso suo nonno Giuseppe e i suoi zii, presentandomi a loro con un sorriso che partiva da un orecchio e finiva sull'altro e quella felicità mi spiazzò, mi stupì e non potevo essere più contenta. Scambiai qualche parola con loro, più che altro era nonno Giuseppe che parlava e che ricordava la sua amata moglie defunta. Quando arrivarono gli sposi, però, l'attenzione di tutti fu catalizzata su di loro e l'interessantissimo dialogo con nonno Giuseppe si concluse.
«Ma guarda un po' chi c'è qui,» gracchiò una voce fastidiosa alle nostre spalle. Io e Dario ci voltammo all'unisono trovandoci di fronte ad una ragazza biondi con gli occhi azzurri e un'altra mora e riccia che ci guardava corrucciata, con le braccia incrociate.
«Ho come l'impressione di conoscervi,» fece il vago Dario e sentii nella sua voce una nota di disagio.
«Fai anche il finto tonto, Vitrano?» ribatté acida la moretta tutto pepe.
«Si chiama ironia, Renn,» rispose per le rime il mio ragazzo.
«Le merde, a quanto pare, non muoiono mai,» disse sprezzante la riccia.
«Vacci piano con le parole, Betta,» sibilò il mio ragazzo puntandogli un dito contro.
«Si chiama ironia, Vitrano,» replicò acida, sorridendo soddisfatta.
Dario contrasse la mascella e prese un respiro profondo forse per non rischiare di prendere a pugni la moretta. Non avevo idea di chi fossero quelle due, ma di sicuro con c'era un buon rapporto tra quei tre.
«Ti diverti ancora a illudere le ragazzine, vedo,» continuò stizzita, e se gli occhi scuri di quella ragazza avessero potuto sputare fuoco, Dario sarebbe morto carbonizzato.
«Per la cronaca, è la mia fidanzata,» replicò brusco lui, intrecciando le sue dita con le mie.
«A-Alice,» dissi intimidita, sentendomi chiamata in casa.
«Serena, piacere,» disse la bionda sorridendomi.
«Elisabetta,» le fece eco quell'altra guardandomi con sufficienza e rivolgendo subito la sua attenzione a Dario. «Lo sai vero? Lo sai che hai rovinato la vita della mia migliore amica?»
«Smettila, Betta,» la riprese la bionda, dandole una gomitata nel fianco.
La mora guardò la sua amica indispettita e puntò un dito contro il mio ragazzo con fare minaccioso.
«Spero solo che tu soffra la metà di quanto abbia sofferto lei,» ringhiò e, dopo aver incenerito con lo sguardo Dario, si allontanò a passo spedito.
Serena rimase lì a scrutarci con i suoi occhi azzurri e ci rivolse un sorriso.
«Scusala. È da un po' di tempo che è leggermente nervosa,» cercò di sdrammatizzare con la sua spiazzante dolcezza.
«No, ha ragione,» disse Dario, abbassando lo sguardo. «Ma sono passati anni e sono diventato tutt'altra persona,» aggiunse, guardandomi negli occhi e sorridendomi.
«Si vede,» disse Serena sorridendo a sua volta, fissandoci con occhi languidi. «E sono felice che hai deciso di lasciarti alle spalle la maschera del bello e dannato.»
Dario la guardò perplesso, corrugando la fronte e la bionda ridacchiò nervosamente, sistemandosi una ciocca di capelli che era sfuggita alla sua acconciatura elaborata.
«Ho sempre creduto che tu, sotto quell'aria strafottente, nascondessi un cuore tenero,» spiegò stringendosi nelle spalle, e Dario sorrise nel sentire quelle parole. Se Betta l'avrei volentieri strozzata, Serena era di una rara tenerezza. Erano l'uno l'opposto dell'altra, si compensavano.
«Se vuoi...» cominciò a dire la bionda, indicando i tavoli dietro di lei. Poi sorrise timidamente e scosse la testa. «No, nulla,» rimangiò quello che stava per dire e ci rivolse l'ennesimo sorriso. «Io raggiungo Betta. Mi ha fatto piacere conoscerti,» mi disse.
«Anche a me,» risposi scettica. Da quando quelle due erano arrivate non avevo aperto bocca, frastornata dal botta e risposta di Dario e la moretta, da ciò che la riccia diceva. Serena alzò una mano e la sventolò, salutandoci timidamente e raggiungendo la sua amica al banchetto. Ancora non avevo capito chi fossero, ma non volevo intromettermi ancora una volta nella vita passata del mio ragazzo. Quello che doveva interessarmi era il suo presente, quello che stava vivendo con me e non quello che era già avvenuto, quello che lo aveva reso la persona speciale che era.
«Vado a prendere qualcosa da bere,» mi disse, unendo le nostre labbra in un rapido bacio. «Mi è venuta sete. Tu aspettami qui. Magari ti porto anche qualcosa da mangiare,» aggiunse facendomi un occhiolino. Annuii e lo baciai ancora una volta, poi di nuovo impedendogli di allontanarsi da me, anche se per pochi minuti. Lo vidi allontanarsi e andare sotto il portico, perdendosi tra la folla. Rimasi impalata per alcuni secondi, poi decisi di sedermi ad un tavolo insieme ad alcune persone che nemmeno conoscevo. Mi guardarono come se fossi un alieno appena uscito da un navicella spaziale, ed io mi limitai a sorridere loro come una povera imbecille. Mi sentivo a disagio con i loro sguardi puntati addosso e non avevo la minima idea di cosa poter fare, cosa poter dire. Non potevo di certo alzarmi di scatto e scappare con una scema! Avrei fatto una figura barbina e apparivo già abbastanza deficiente nel sorridere in modo così falso. Dovevo solo aspettare qualche minuto che Dario tornasse con qualcosa da bere e da mangiare, così mi sarei tolta da quell'insopportabile impiccio. Solo che i secondi passavano, la lancetta scorreva sull'orologio e del mio ragazzo nessuna traccia. All'inizio avevo creduto che fosse stato trattenuto da qualche suo parente o vecchio amico, ma dopo che erano passati ben venticinque minuti ero più che sicura che lui si fosse dimenticato di me. Mi alzai di scatto dalla sedia e mi allontanai dagli sguardi dubbiosi e dal chiacchiericcio di quegli estranei, raggiungendo il portico e immettendomi anche io in quella folla di gente chiacchierona e rumorosa. Mi guardai intorno, vedendo tutto il ben di Dio su quei tavoli e riconoscendo al volo Nicoletta e consorte che ridacchiavano allegramente con gli sposi, Mauro poco più in là che scambiava qualche parola con alcuni ragazzi e nonno Giuseppe che si stava strafogando di gamberetti in salsa rosa.
Camminai dinoccolata su quei trampoli lungo quasi tutto il portico in cerca di Dario e lo trovai poco dopo con un bicchiere di aperitivo in mano che stava parlando con due ragazzi. Mi avvicinai ancora di più a loro, stizzita perché il mio ragazzo mi aveva abbandonato come una deficiente.
«Dario!» urlai e il suo sguardo incontrò il mio.
I due ragazzi si voltarono e il sangue mi si gelò nelle vene. Mi immobilizzai a qualche passo da loro e rimasi a fissarli per quelli che mi parvero secoli. Era impossibile, un sogno, un incubo. Il mio cuore si era fermato non appena aveva incontrato due occhi color perla e quella velata gelosia che avevo sempre nutrito nei suoi confronti cominciò a divorarmi da dentro, a consumarmi non appena mi sorrise. Sole era lì, davanti a me in tutta la sua bellezza. In foto non rendeva come di persona. Era sì abbondante, ma il suo corpo morbido era tremendamente sensuale e il suo viso era uno dei più belli che avessi mai visto. Indossava un vestito color lavanda che le arrivava poco sopra il ginocchio perfettamente intonato con la sua carnagione chiara. Aveva delle spalline fini e della stoffa si intrecciava a livello del seno fino a stringersi in vita dalla quale iniziava una gonna ampia e vaporosa. Era bella, santo cielo! Ed io ero solo una deficiente con un orrido vestito di Dolce&Gabbana che sembrava un evidenziatore. L'unica cosa che volevo fare in quel momento era scappare, anche se non ne sapevo il motivo. Non riuscivo a reggere il suo sguardo e nemmeno il suo sorriso troppo dolce per i miei gusti.
«Stavamo proprio parlando di te,» disse Dario, stringendomi un polso e trascinandomi vicino a lui. Mi strinse e mi ritrovai abbracciata a lui, con il viso contro il suo petto. Stava tremando, il suo cuore batteva all'impazzata e tutto quello perché si trovava davanti a Sole.
«La mia ragazza, Alice.» Mi presentò con un sorriso abbozzato, e la ragazza mi allungò una mano timidamente.
«Sole.»
Le strinsi la mano e un brivido mi percorse la spina dorsale. Un brivido di timore, di paura dell'ignoto, di quello che sarebbe potuto accadere che mi sconvolse negativamente e che mi incupì.
«E lui è Francesco, il mio ragazzo,» disse con voce fioca indicando il ragazzo biondo che le stava accanto. Era bello, molto. Sembrava quasi un angelo con quei capelli dorati e quegli enormi occhi azzurri. Lui mi salutò con un cenno del mento e tornò a fissare Dario come se lo volesse scuoiare vivo, come se lo volesse divorare quasi fosse Hannibal Lecter. Era fidanzata, per cui non avrei dovuto preoccuparmi. Eppure non potevo non notare gli sguardi di intesa che quei due si stavano scambiando. Magari ero io che mi stavo facendo le solite paranoie, magari erano occhiate normalissime che io avevo scambiato per qualcosa di più profondo. Ma come potevo stare tranquilla ora che Sole non era più un ricordo, non era più un fotografia, ma una minaccia vera e propria?
«Spero che tu abbia parlato bene di me in mia assenza,» ridacchiai rivolta a Dario, anche se non c'era nulla di divertente in tutta quella situazione.
«Oh, sì! Ha subito iniziato a parlare di te e ha smesso solo quando sei arrivata tu,» prese la parola Sole. Qualcuno le aveva chiesto qualcosa? L'avevo per caso interpellata? Stavo parlando con Dario, non con lei. «Praticamente noi non abbiamo aperto bocca,» sogghignò regalando uno sguardo languido al suo ragazzo che abbozzò un sorriso stiracchiato, poi puntò di nuovo quei suoi occhi color perla sa Dario. L'avrei accecata, santo cielo! Solo io potevo permettermi di mangiarmi con gli occhi Dario, solo io potevo guardarlo con quel desiderio dirompente che era evidente nelle iridi di quel capodoglio.
«E cosa hai detto?» domandai curiosa, alzando lo sguardo verso il mio ragazzo che però sembrava avere occhi solo per Sole.
«Che sei molto dolce. E anche molto carina,» riprese lei, rivolgendomi un sorriso. «Secondo me è stato troppo avido di complimenti. Sei davvero bellissima Alice. E sono anche sicura che sei una ragazza adorabile, sennò Dario non si sarebbe mai innamorato di te.»
Falsa. Era più falsa di Giuda, quella lì. Mi infarciva di apprezzamenti, ma in realtà non pensava nulla di quello che stava dicendo, ne ero certa. Stava di sicuro architettando un modo per togliermi di mezzo e per potersi riprendere Dario. Faceva tutta la dolce davanti a lui solo per scioglierlo e farlo cadere di nuovo nella sua rete. Con chi credeva di avere a che fare? Con una poppante? Si sbagliava di grosso! Alice Livraghi era un segugio e percepiva sempre le minacce, quando qualche baldracca puntava il suo uomo e glielo voleva sottrarre. Mi strinsi ancora di più a Dario, intensificando la presa attorno alla sua vita e stritolandolo quasi. Avevo paura che scappasse, che la cara Sole non avesse capito che Dario era solo ed esclusivamente mio.
Proprietà privata. Off limits!
«Grazie,» dissi a denti stretti abbozzando un sorriso. In realtà le avrei voluto strappare i capelli ad uno ad uno.
«Siete stati entrambi fortunati,» continuò lei, stringendosi nelle spalle. «Tu sei davvero magnifica e Dario è una persona splendida.»
Ipocrita.
Se solo avessi potuto le avrei spaccato i denti con un cazzotto in faccia.
«Umpf. Splendida,» borbottò Francesco. «A Natale ti regalerò un dizionario, Sole. Ancora non hai capito la differenza tra splendido e bastardo.»
«Frà!» lo richiamò Sole con un tono per nulla autoritario.
«No, tranquilla,» sospirò Dario, scrollando le spalle. «Ci sono abituato a sentirmelo dire,» ridacchiò.
«Allora non solo io ho avuto questa impressione,» bofonchiò Francesco... anche quello lì cominciava a darmi sui nervi. Dario non era uno stinco di santo, anzi ne aveva combinate parecchie anche con me, si era comportato da verso stronzo, ma non digerivo il fatto che quel damerino biondo offendesse il mio ragazzo senza sapere nulla di lui. Stavo già per saltargli alla gola e sfoderare le unghie, come accadeva ogni volta che qualcuno osava parlare male di Dario, ma Sole, come se avesse visto nel mio sguardo qualcosa di omicida, strinse il braccio del suo ragazzo e ci sorrise timidamente.
«Sere e Betta ci staranno aspettando,» disse rivolta a Francesco. «È meglio se le raggiungiamo. Ci ha fatto piacere conoscerti Alice. E Dario, beh...» abbassò lo sguardo imbarazzata e le sue gote paffute si imporporano di rosso.
«È stato bello rivederti,» completò la frase Dario e i due si sorrisero. Il sangue mi ribollì nelle vene, bruciando le mie membra e annebbiando i miei pensieri con un fumo denso e nero. «Ci si becca in giro Sole,» aggiunse il mio ragazzo e sperai con tutto il cuore che quella lì stesse il più lontano possibile da lui, che lo evitasse per tutta la durata del matrimonio e che rimanesse aggrappata al biondino antipatico che si portava appresso. Se solo avesse rivolto un altro di quegli sguardi languidi che gli aveva riservato per tutta la durata di quel dialogo l'avrei uccisa con le mie stesse mani.
«Ciao Dario,» mormorò lei e si allontanò abbracciata a Francesco.
E ovviamente non mi aveva nemmeno cagata. Aveva occhi solo per Dario e la stessa cosa valeva per il mio ragazzo, per il quale ero completamente svanita da quando si era intromessa quella falsa tra di noi. Ero gelosa marcia e avevo tanta, troppa paura che dietro i loro sguardi e i loro sorrisi si celasse molto più di un semplice imbarazzo. Dario mi aveva più volte detto che per Sole non sentiva più nulla, che amava me, solo me e nessun'altra. Ma pensare ad una persona era molto diverso dal vederla, guardare gli occhi intrappolati in una fotografia non era affatto come vedere due iridi risplendere alla luce del crepuscolo, due iridi delle quali si era già innamorato e per le quali poteva provare ancora lo stesso sentimento.
Bruscamente mi allontanai dal petto del mio ragazzo e mi avvicinai al tavolo del buffet. Dovevo ingurgitare qualcosa e combattere la rabbia che stava crescendo in me. La odiavo, santo cielo e odiavo il fatto che quei due fossero ancora legati da un filo invisibile, ma indissolubile. Perché, quando le cose erano tornate tranquille tra noi due, quando potevamo finalmente goderci la nostra storia appieno rispuntava Sole? La sorte ci era avversa e cominciavo a capirlo. Forse era gelosa di noi o forse stava solo cercando di avvisarmi che Dario non fosse quello giusto per me.
«Non me la ricordavo così bella,» disse il mio ragazzo affiancandosi a me che stavo mangiando tartine di ogni sorta e affettati stra-grassi.
«Sì, bellissima,» sibilai a denti stretti.
«Ed è dolcissima,» aggiunse raggiante. «Come allora.»
Abbozzai un sorriso ed annuii.
«Cavoli! Sono passati cinque anni da quando non la vedo! E per fortuna che non è cambiata di una virgola. È speciale, vero?»
Mi ero persa qualcosa, forse? Ero io o era Sole la sua ragazza? Non lo capivo più. Mi morsi la lingua per impedirmi di mandarlo a quel paese e convenni con lui con un cenno del capo.
«Sinceramente credevo che Francesco fosse più simpatico,» borbottò riempiendosi un piatto. «Al telefono sembrava così pacato...»
Bene... aveva avuto l'onore di parlare al telefono con il nuovo ragazzo di Sole ed io non ne sapevo nulla. Magari aveva anche chiacchierato con lei a mia insaputa.
«Magari non ha poi tutti i torti a considerarti un bastardo,» sputai acida guardandolo dritto negli occhi. «Non è l'unica persona che ha avuto questa impressione di te.»
Ero stata cattiva, e lo capii solo quando gli occhi di Dario si dilatarono e si incupirono, così come il suo viso. Ero talmente arrabbiata in quel momento che non ragionavo più, che parlavo a sproposito senza cognizione di causa. Ma era da più di cinque minuti che mi stava riempiendo le orecchie con questa Sole ed era da troppo tempo che io non esistevo più nei suoi pensieri.
«Si può sapere che cazzo ti prende oggi?» domandò brusco stringendo tra le mani il piatto.
«Che cazzo mi prende? Che cazzo mi prende?» ripetei infuriata facendo qualche passo verso di lui per poterlo guardare negli occhi. E la luce dentro di esse sembrava aver dato vita al nome Sole scritto a lettere cubitali.
«Già! Hai il ciclo, per caso? O sei solo nervosa perché è da troppi giorni che non mi urli contro?» sbottò infastidito.
«Fai poco lo spiritoso, Vitrano,» sottolineai il suo cognome quasi con disprezzo. «Da quanto ti sentivi con Sole?»
Dario mi guardò in un misto tra l'adirato e il confuso, aggrottando le sopracciglia e chiedendo spiegazioni con i suoi occhi neri.
«Hai telefonato a Sole e anche a quell'altro. E me lo hai tenuto nascosto!»
«È stato Francesco a chiamarmi. E se lo vuoi sapere questa è la prima volta che parlo con Sole dopo cinque anni,» rispose. Ma potevo esserne sicura? «Ti avevo chiesto di non dubitare di me. Ti prego, non farlo. Sai bene che non ti mentirei mai, non dopo che ho rischiato di perderti,» mi ricordò mordendosi il labbro inferiore.
Ancora una volta le sue parole mi travolsero come un mare in piena, come una cascata che calda mi ricadeva addosso avvolgendomi e scaldandomi il cuore. Ero stata crudele a dire quelle cose e dubitare di lui ancora una volta. Ma avevo troppa paura di perderlo, che quella baldracca me lo portasse via con i suoi modi di fare goffi ed impacciati. Non avrei vissuto senza di lui, sapendolo tra le braccia di quella falsona che si nascondeva dietro sorrisi finti quanto un anello di bigiotteria.
«Scusami,» dissi dispiaciuta. «È che tu mi nascondi così tante cose...» lasciai la frase in sospeso ed abbassai lo sguardo, incapace di sostenere il suo.
«Che intendi?» domandò dubbioso.
«Ho tanti, tanti dubbi. Sole, Martina, questo Moro... in realtà non sto capendo più nulla,» gli confidai mettendomi le mani tra i capelli e scuotendo il capo.
«Con Sole è stato un rapporto burrascoso, lo ammetto. L'ho trattata male quando non se lo meritava solo perché ci tenevo alla mia popolarità. Tutto qui,» mi spiegò ed appoggiò il piatto per potermi abbracciare, stringermi a sé e proteggermi con il suo corpo da tutti quei dubbi che mi tormentavano. «Allora ero uno stronzo. Forse lo sono ancora adesso un pochino. Ma quello era il passato, tutto quello che è successo anni fa non è importante e il Dario che ti sta stringendo in questo momento è tutt'altra persona, anche grazie a te.»
«E Alice è solo una bimba immatura che si ingelosisce troppo facilmente,» dissi aumentando la stretta, infossando il viso nel suo petto ampio che risuonava al ritmo del suo battito cardiaco.
«Non lo avevo notato,» ridacchiò divertito, baciandomi tra i capelli. «No, comunque... tu mi consideri davvero un bastardo?» domandò con tono basso.
Avvolsi le braccia attorno al suo collo ed alzai lo sguardo per incontrare il suo.
«Ogni tanto lo sei,» scherzai baciandolo a fior di labbra. «No, amore mio, non lo sei.» Lo rassicurai con un sorriso e lui mi sfiorò la guancia con delicatezza. Si abbassò verso di me e le nostre labbra si congiunsero ancora una volta, le nostre lingue si cercarono e si trovarono in pochi secondi bisognose di sentire il sapore dell'altro. Non avevo motivo di essere così gelosa. Dario amava me, e la passione con cui mi stava baciando me ne dava la conferma. Sole non era una minaccia, Sole non sarebbe riuscita a distruggere quell'amore che ci legava, Sole non si sarebbe ripresa Dario. Me lo stavo ripetendo mentre le nostre lingue si attorcigliavano sinuose eppure non riuscivo a convincermene totalmente. Continuavo ad avere una morsa che mi chiudeva la bocca dello stomaco e che non permetteva al mio cuore di battere a dovere, di palpitare per la vicinanza di Dario. Era quel maledetto brutto presentimento che mi perseguitava da quando era iniziata quella giornata. Speravo con tutto il mio cuore che rimanesse solo un mio incubo, una mia paura e che quel giorno si concludesse nel migliore dei modi, con noi due che ci stringevamo a letto e ci sussurravamo Ti amo.
Saremmo rimasti stretti, abbracciati a baciarci fino allo sfinimento, fino a rimanere senza aria nei polmoni, senza ossigeno che ci tenesse in vita, a cibarci del sapore dell'altro se non fosse stato per il cameriere del catering che richiamò l'attenzione su di sé e che invitò tutti i presenti ad entrare nel castello. Sospirammo all'unisono, scocciati di dover interrompere il nostro momento di passione e, mano nella mano, entrammo in quell'enorme edificio addobbato per il matrimonio.
«Voi siete?» domandò un uomo distinto sulla quarantina che reggeva in mano una cartellina.
«Dario Vitrano e Alice Livraghi,» rispose per me il mio ragazzo.
Il cameriere guardò sulla sua lista, scorrendola tutta poi ci rivolse un sorriso e ci invitò a seguirlo nella sala in cui si sarebbe tenuta la cena. C'erano numerosi tavoli rotondi tutti rivestiti da sofisticate tovaglie color avorio e apparecchiate con posate d'argento, fiori candidi e candelabri. Una canzone di Baglioni, Amore bello per la precisione, cantata da un giovane ragazzo di talento faceva da sottofondo. Percorremmo la sala e il cameriere si fermò quasi a metà, ad un tavolo al quale erano già seduti Mauro, che avevo evitato involontariamente per tutto il giorno, Serena ed anche quell'acida di Elisabetta. E anche Sole, purtroppo. Il destino sembrava essermi avverso. Quando credevo di essermi liberata di lei, che non l'avremmo più vista perché troppo presi da noi e dal resto degli invitati, eccola che rispuntava seduta al nostro stesso tavolo.
«Chi si rivede,» borbottò Francesco, scocciato.
Ovviamente, Dario prese posto accanto a Sole ed io mi accomodai alla sua sinistra, vicino a Mauro. Solo la sua presenza, sapere che era lì a pochi centimetri da me, mi metteva in soggezione.
«Passato e presente qui riuniti,» commentò il più grande dei Vitrano, guardando in alternanza me e Sole. «Speriamo solo che il presente non sia così doloroso, vero D'Amato?»
Ci eravamo appena seduti e Mauro cominciò subito con le sue provocazioni, a regalare a tutti quel ghigno malefico dal quale però ero terribilmente attratta. Mi voltai a guardarlo, a fissare il suo viso praticamente perfetto che sembrava quasi una delle opere più belle dell'arte.
Le sue labbra erano così invitanti...
Contegno! Non dovevo sbavare sul fratello del mio ragazzo, anche se era terribilmente bello. Dovevo resistere a quella tentazione che il destino mi aveva presentato per mettermi alla prova, per mettere alla prova l'amore che provavo per Dario. La sorte, però, non sapeva quanto fosse forte ciò che provavo per lui e non avrei commesso un errore così grave, così imperdonabile rischiando di perderlo.
«Beh... beh...» tentò di dire Sole, stringendosi nelle spalle ed abbassando lo sguardo a guardare la tovaglia, ma nulla uscì dalla sua bocca. Le tremavano le labbra e sbatteva le palpebre velocemente come se le stesse per venire da piangere. Dario allungò una mano verso di lei e le accarezzò una spalla nuda, fulminando poi con lo sguardo suo fratello.
«Non cominciare, Ma'!» ringhiò. «Siamo qui per divertirci non per stare a rivangare gli errori passati.»
«Sei tu che ti infervori senza motivo,» disse pacato Mauro, sorseggiando il vino rosso che il cameriere gli aveva appena versato.
«Sei tu che mi provochi in continuazione,» ribatté brusco il mio ragazzo.
«Ho solo augurato ad Alice di non passare ciò che hai fatto subire alla povera ed ingenua Sole,» continuò rivolgendo un sorriso alla ragazza che allontanò subito il suo sguardo da quello di Mauro.
«Non commetterò lo stesso errore, puoi starne certo,» replicò indispettito Dario.
«Fratellino, il lupo perde il pelo ma non il vizio,» gli ricordò beffardo e in quel momento il cameriere ci servì il primo piatto, un risotto con i funghi dall'aspetto invitante che però non stimolò il mio appetito. Ero troppo presa da quel botta e risposta tra i due Vitrano, così come il resto dei commensali. Mauro iniziò a mangiare, lasciando il suo discorso in sospeso e creando qualche attimo di suspance. Pendevamo tutti dalle sue labbra, attendevamo qualcosa che magari non avrebbe mai detto, un segreto che avrebbe sconvolto i nostri equilibri.
«Tu sei nato bastardo e morirai bastardo,» disse semplicemente, dopo alcuni minuti.
«E daje,» bofonchiò contrariato. «Ero ancora immaturo all'epoca e non capivo un cazzo. Con Sole sono stato bastardo, è vero ma con Alice farò di tutto per non farla soffrire.»
«Anche tenere per mano la tua ex ragazza?» domandò retorico Mauro indicando con la forchetta le mani dei due strette sul tavolo. Non si erano accorti di quel contatto, così come nessun altro seduto al tavolo. Le ritrassero entrambi velocemente nascondendole sotto la tovaglia ed abbassando il viso colpevoli. Era una sciocchezza, in realtà, eppure il mio cuore si scheggiò comunque nel vedere quella scena.
«Dovresti stringere così quella di Alice, non di Sole.»
E dopo quella frase il silenzio piombò sul nostro tavolo. Attorno a noi tutti gli altri chiacchieravano tra loro e si divertivano, si stavano godendo la festa, mentre su di noi incombeva una nube nera di tensione pronta ad esplodere in una furiosa tempesta. Gli occhi di tutti vagavano da un commensale all'altro e nessuno sapeva più cosa dire. Ci limitavamo solo a mangiare senza proferire parola, senza dire qualcosa che potesse scatenare fulmini e saette. Perfino Francesco, che mi sembrava una testa calda, aveva preferito il silenzio e i suoi occhi azzurri si limitavano a fulminare Dario e Sole con gli occhi. Anche lui stava rodendo di gelosia esattamente come me e non sopportava quegli sguardi furtivi tra i due ex fidanzati. Ancora una volta io ero passata in secondo piano e in dieci minuti buoni non avevo nemmeno avuto l'onore di potermi specchiare nei suoi occhi.
«Ti dispiace se vado a ballare con Sole? Vorrei stare un po' da solo con lei,» mi chiese Dario, subito dopo aver finito di mangiare, ricordandosi della mia esistenza e rivolgendomi un sorriso.
Ricambiai ed annuii flebilmente. Avrei dovuto mandarlo a quel paese ma non ebbi la forza, non avevo voglia di litigare con lui e dovevo fidarmi delle sue intenzioni. Insomma andavano solo in pista in mezzo a tutti gli altri, cosa avrebbero potuto fare di male? Li seguii con lo sguardo mentre si avvicinavano alla folla danzante e li vidi stringersi, avvicinarsi pericolosamente e danzare lentamente sulle note di L'emozione non ha voce. Avevo le lacrime agli occhi e avrei voluto scoppiare a piangere. Ma delle dita che conoscevo bene mi sfiorarono il dorso della mano, distogliendo la mia attenzione dai due piccioncini che si stavano sussurrando chissà cosa.
«Dammi retta Alice. Non vale la pena soffrire per lui,» mi disse Mauro con tono apprensivo. Stavo per chiedergli spiegazioni su tutto il passato oscuro di Dario, ma Francesco mi afferrò un braccio con decisione e mi obbligò ad alzarmi, trascinandomi sulla pista da ballo a pochi metri da Sole e Dario.
«Non mi fido di 'sti due,» borbottò, cominciando a muoversi e ad osservarli incessantemente. Insomma il fatto che mi avesse invitata a ballare era solo una scusa per tenerli sott'occhio.
«Sei geloso?» gli domandai, ondeggiando da una parte all'altra.
«Perché, tu no?» ribaltò la domanda ed io, mordendomi il labbro, annuii.
«Che poi... cazzo ci trovate in quello? Non è nemmeno così bello,» bofonchiò fissando il mio ragazzo ed ero sicura che avrebbe voluto sgozzarlo.
«È impossibile da spiegartelo in poche parole,» gli risposi, voltandomi per guardare il mio Dario sorridere a qualche battuta di Sole. Era bellissimo e il suo sorriso illuminava il mondo, il mio mondo anche se era rivolto ad un'altra ragazza e non a me.
«La mia era una domanda retorica,» bofonchiò, assottigliando lo sguardo. «Sai che me frega di lui. Mi basta sapere che cosa ha fatto a Sole.»
«Ti assicuro che è cambiato davvero,» dissi abbozzando un sorriso, fissandoli mentre Sole appoggiava la testa al suo petto e Dario la cullava tra le sue braccia. Perché c'era lei e noi io stretta a lui?
«Mah... sarà... ma secondo me ha ragione il tipo con gli occhi azzurri,» disse scocciato. «Non mi fido di lui.»
«Ed io non mi fido di lei,» risposi per le rime, guardandolo soddisfatta. «Ha cercato di addolcirmi con i suoi modi di fare.»
«No, Alice. Sole è davvero così. Sole è davvero così dolce. E anche troppo ingenua.»
Sospirò rumorosamente e contrasse la mascella quandoli vide così stretti, quando vide la sua donna tra le braccia di un altro.
«Scusami,» disse allontanandosi da me. «Ma non ci riesco, non ci riesco a vederli così avvinghiati.»
E mi lasciò in pista da sola come una cretina. Rimasi immobile mentre tutti attorno a me – coppiette, perlopiù – si strusciavano, si baciavano, si divertivano. E, mentre Dario abbracciava Sole, io me ne stavo impalata a struggermi, a sentire quel timore di perderlo sempre più vicino.
«Mi concede l'onore di questo ballo, signorina?» disse una voce alle mie spalle. Così mi voltai ritrovandomi di fronte Mauro che, con un inchino, mi porgeva una mano. Fissai a lungo la sua riverenza, i suoi occhi azzurri che mi intrappolarono nella loro trappola di cristallo. Abbozzai un sorriso e accettati il suo invito, stringendomi a lui e ritrovando quel calore di cui Dario mi aveva privato.
«Sei davvero bellissima, stasera, con questo vestito,» mormorò nel mio orecchio ed arrossii violentemente. E in quel momento il suo odore mi solleticò le narici e notai quanto il suo profumo fosse simile a quello di Dario. Dolciastro, ma molto molto più intenso di quello del mio ragazzo. «Non capisco come Dario non si accorga di quale meraviglia ha accanto.»
Deglutii a vuoto ed avvampai, mentre le sue mani mi stringevano sempre di più a lui. Molto probabilmente il vino che aveva bevuto gli aveva fatto male, lo aveva fatto ubriacare e in quel momento era l'alcol a parlare. Ero paralizzata tra le sue braccia ed era lui a condurmi in una danza lenta su una musica che non riuscivo nemmeno a riconoscere talmente ero stordita dalla sua vicinanza e dal suo corpo spalmato sul mio.
«Ti sta ignorando, Alice.» E non ci voleva un genio in ingegneria informatica per capirlo «Ha preferito Sole a te.»
«Le vuole, le vuole solo parlare...» balbettai, cercandoli con lo sguardo, ma erano spariti dalla sala.
«Dario fa tutto, fuorché parlare,» disse beffardo e il mio cuore mancò, inspiegabilmente, di un battito. «Vuoi sapere la verità su Sole?» mi chiese.
Alzai lo sguardo per incontrare il suo puro. Era serio, troppo per i miei gusti e la sua espressione cupa mi incuteva un certo timore. Annuii poco convinta, ma dovevo assolutamente sapere che cosa era successo con lei, capire cosa si nascondeva nel suo passato.
«Ebbene. Sole D'Amato non era altro che il giochetto sessuale di Dario,» mi rivelò e rimasi scioccata da quella confessione. Lo guardai incredula, con la bocca semi dischiusa e non ci fu bisogno che facessi domande. «La usava per impratichirsi con il sesso, sfruttava la sua ingenuità e il suo amore solo per scopare.»
«Ma lui amava Sole,» ribattei subito.
«Sì, è vero l'amava,» convenne con me ed io entrai nella confusione più totale. «Ma non era abbastanza per uno come lui. Per cui la trattava come la sua bambola, teneva nascosto al mondo il suo sentimento per puro egoismo. E mentre si scopava Sole, stava anche con la Campanella, la sua fidanzata ufficiale.»
Ero letteralmente sconvolta da quelle rivelazioni sul passato del mio ragazzo. Sapevo che non era stato proprio il ragazzo più bravo del mondo, ma non avrei mai creduto che fosse stato così stronzo dall'usare Sole e, intanto, stare con Martina.
«Beh... quello era il passato,» dissi convinta. Già, era stato un bastardo, ma il Dario che avevo conosciuto io non era affatto l'egoista, approfittatore che aveva descritto Mauro.
«Credi che sia cambiato sul serio? Che non possa fare lo stesso con te? Che non possa stare con due ragazze contemporaneamente come ha già fatto?» Erano tutte domande retoriche, e dubbi che mi assalirono in quel momento. Rimasi spiazzata e senza parole e per la seconda volta il mio cavaliere mi abbandonò sulla pista come una scema. Mauro si allontanò da me, senza dirmi nulla e uscì dal castello per andare chissà dove.
No, Dario non avrebbe mai potuto tradirmi o mentirmi così spudoratamente. Mi amava e me ne aveva dato conferma più volte, anche se quel giorno aveva avuto occhi solo per Sole. Ma potevo capirlo, in fondo. Erano cinque anni che non la vedeva ed era stato il suo primo amore, nonostante quello che mi aveva detto Mauro. Non si era comportato affatto bene con lei, ma l'amore che provava per quella ragazza era stato sincero, così come quello che provava per me. Avrei dovuto essere tranquilla, ma invece ero irrequieta; la pista, la folla, la musica cominciarono a darmi fastidio. Avevo bisogno di rimanere un po' da sola e fare chiarezza, tranquillizzarmi e godermi quella serata fino a che non sarebbe finita, fino a quando io e Dario non saremmo tornati a casa stretti l'uno all'altra.
Mi allontanai velocemente dalla sala e salii le scale che mi si presentarono subito di fronte. Non sapevo dove portassero ma non mi importava affatto. Mi ritrovai ad attraversare un lungo corridoio, illuminato solo da una luce fioca, sul quali si affacciavano numerose porte. Lo percorsi tutto e mi infilai in una stanza enorme arredata con alcuni divani antichi rosa pallido e una piccola poltrona. Mi accomodai e mi presi la testa tra le mani. Mi stava scoppiando per i troppi dubbi che sgomitavano nella mia mente, rimbalzando da una parte all'altra del mio cervello. Mi fidavo di Dario ed ero consapevole di quanto fosse intenso il suo amore per me. Eppure Sole, quella dannata Sole, mi tormentava così come l'incubo di rivederli di nuovo insieme, soprattutto dopo quello che mi aveva detto Mauro. Non si era fatto scrupoli a stare con due ragazze contemporaneamente, ad illuderne una e perché non avrebbe potuto farlo anche con me? Semplice, perché teneva troppo a me e non voleva perdermi. Lo aveva detto lui ne sapeva bene che, se mi avesse tradito, lo avrei lasciato seduta stante.
Molto probabilmente, di sotto, stavano già servendo i secondi, ma mi era passato l'appetito e con quello anche la voglia di festeggiare. Volevo solo che quella giornata finisse e che Sole uscisse dalla nostra vita, una volta per tutte. Aveva portato troppo scompiglio quella ragazza, solo, però, nei miei pensieri. Ero io che mi facevo ribollire il sangue nelle vene, ero io a farmi un sacco di paranoie senza, magari, averne fondamento. Ero io che vedevo romanticismo anche dove non c'era, ero io che credevo che Sole fosse tornata per portarmi via Dario. Dovevo stare tranquilla e non essere sempre così pessimista ma di pensare, ogni tanto, in positivo.
Presi un respiro profondo e decisi di tornare giù. Magari Dario, non vedendomi, si era preoccupato e non volevo farlo stare in pensiero. Non appena mi alzai, Mauro fece il suo ingresso nella stanza e si avvicinò a me con un sorriso raggiante.
«Ti stavo cercando dappertutto!» esclamò. «Mi stavo preoccupando.»
«Avevo bisogno di stare un po' da sola per pensare,» sospirai e scrollai le spalle.
«Mi dispiace per averti lasciata sola in pista. Ma dovevo fare una cosa,» disse diminuendo le distanze tra di noi. Era a pochi centimetri da me, potevo sentire il suo petto sfregare contro il mio al ritmo dei nostri respiri.
«Non importa,» lo rassicurai con un sorriso.
«Immagino che quello che ti ho detto non ti ha nemmeno scalfita.»
«Beh... non mi aspettavo uno cosa del genere,» ammisi stringendomi nelle spalle. «Ma io mi fido di Dario e sono sicura che non rischierebbe di nuovo di perdermi.»
«E come biasimarlo,» disse accarezzandomi una guancia con il dorso della mano e il mio cuore smise di battere per qualche secondo, prima di riprendere la sua corsa con frenesia. Perché cavolo doveva comportarsi così con me? Perché doveva essere così dolce ed apprensivo? Così non faceva altro che alimentare la mia già dirompente voglia di assaggiare quelle labbra perfette!
«Perché stai tentando di allontanarmi da Dario?» gli chiesi, catalizzando la mia attenzione sul mio ragazzo per non cedere a quel peccato di lussuria estremo.
«Sto solo cercando di mostrarti che persona è realmente,» rispose semplicemente. «Poi starà a te decidere se stare accanto ad un ragazzo immaturo al quale non interessa minimamente calpestare i sentimenti altrui o meno. Mi pare che lui ti abbia già ferito una volta fingendo di non provare nulla per te.»
Due volte, anche quando era scappato a San Valentino, ma questo lo avrei omesso dal discorso per non mettere ulteriormente in cattiva luce Dario.
«Ma ho fatto bene a perdonarlo,» dissi con un sorriso. «Ha capito il suo errore e infatti ha detto la verità ad Adriano.»
«Tu sei troppo buona, Alice,» sospirò passandosi una mano sulla nuca. «O troppo innamorata, dipende. Lui ti ha calpestata senza ritegno, si è preso gioco di te e nonostante questo sei tornata da lui solo con la speranza che lui capisse il suo errore.»
«L'amore rende stupidi, a quanto pare,» scrollai le spalle. «Ma l'importante è che tutto si sia sistemato e che lui abbia smesso di mentire agli altri e a se stesso.»
Accennai un sorriso e lo superai per poter uscire da quella stanza e scendere al piano inferiore dove mi stava di sicuro aspettando Dario. Ma Mauro mi fermò e i nostri sguardi entrarono in contatto ancora una volta. Un brivido mi percorse la schiena, seguendo poi qualsiasi nervo del mio corpo e facendomi fremere. Se solo i suoi occhi riuscivano a farmi questo effetto ero davvero messa male.
«Tu non te ne rendi ancora conto, ma Dario ti ha in pugno. Potrebbe farti qualsiasi cosa, potrebbe anche tradirti con centinaia di donne e chiederti Scusa che tu crolleresti tra le sue braccia,» disse, e quelle parole furono così vere che mi turbarono. Amavo talmente tanto Dario che gli avrei perdonato tutto pur di non perderlo e questa non era una cosa positiva.
La voce del cantante arrivava fino alla nostra stanza, anche se molto flebile. Mauro passò una mano dietro la mia schiena e mi attirò a lui, cominciando a muoversi al ritmo di Careless Whisper di George Michael.
«Riprendiamo da dove abbiamo interrotto prima,» bisbigliò al mio orecchio e la sua voce fioca m'incendiò.
Quanto ancora avrei resistito a lui? Ormai anche il mio cuore sembrava essersi arreso al fatto che provassi un'intensa attrazione verso di lui tanto che batteva talmente forte da sovrastare quasi la canzone. Cosa sarebbe successo se solo avessi avvicinato le mie labbra alle sue, se le avessi sigillate con un innocuo bacio, solo per sentire che sapore avessero? Nulla, tanto era solo un bacio innocente che nessuno avrebbe mai scoperto. Deglutii a fatica e mi alzai sulle punte perché, nonostante i tacchi, Mauro mi sovrastava ancora in altezza. Annullai le distanze tra di noi e finalmente sentii le sue labbra sotto le mie. Erano morbide, erano piene ed erano dolci. Non sapevano di vaniglia, in realtà non era un gusto distinguibile, definibile. Ma sapevo che mi piaceva quel sapore anche più del dovuto e che era scivolato dentro di me guadagnandosi un piccolo posto del mio cuore. Per me quel contatto ero più che sufficiente e mi sarei allontanata da lui se non fosse stato che Mauro affondò una mano tra i miei capelli, spingendomi verso di lui. La sua lingua s'insinuò nella mia bocca e quel contatto mi fece tremare, mi fece desiderare Mauro, ogni cosa del suo corpo e questo non sarebbe mai dovuto accadere. L'unico di cui dovevo sentire la voglia era Dario e già solo pensare di poter fare sesso con un altro che non fosse lui mi faceva sentire sporca, colpevole. Puntai le mani sul suo torace intenzionata a spingerlo via, a non cadere a quella tentazione. Ma quando sentii il suo petto vigoroso sotto le mie dita, quando sentii il suo cuore battere, non riuscii nel mio intento, anzi strinsi il colletto della sua camicia con forza e desiderio. Cominciai a muovere anche io la lingua in modo da lambire la sua, da rendere quello un bacio passionale e trascinante che non voleva essere solo un semplice contatto di lingue e labbra, ma anche qualcosa di più.
Mauro mi cinse la vita senza interrompere quel contatto nemmeno per riprendere aria e mi fece voltare delicatamente, spingendomi poi contro il divano dove mi accomodai. Lui appoggiò un ginocchio accanto alla mia gamba e l'altro tra le mie cosce, piegandosi su di me per continuare a baciarmi. Strinsi alcune ciocche dei suoi capelli neri, suggendo il suo labbro inferiore.
Avrei potuto mentire, dicendo che non sapevo quello che stessi facendo, che era stato lui a indurmi a baciarlo, che ero solo una ragazzina confusa che stava soffrendo a causa del suo ragazzo, ma non era così. Avrei detto una bugia perché io ero consapevole che stessi baciando Mauro, che stessi per farci sesso e tradire così Dario e che lo desideravo in quel momento forse più di quanto avessi voluto il mio ragazzo la prima volta. E mi sentivo in colpa, tremendamente in colpa perché stavo per commettere un errore imperdonabile e perché quello avrebbe significato perdere Dario, in un modo o nell'altro. In realtà, non sapevo nemmeno io cosa provassi per Mauro, non sapevo definire ciò che sentivo per lui. Una volta lo odiavo, dieci secondi dopo mi ritrovavo avvinghiata a lui in cerca del suo calore e dopo poco ero seduta su un divano in un castello a baciarlo, a desiderarlo, a fremere per sentirlo dentro di me.

Mauro si staccò dalle mie labbra e ne approfittammo per riprendere fiato. Potevo scappare, ero sempre in tempo per tornare sui miei passi e lasciare che il sesso con lui rimanesse solo una mia fantasia. Ed invece rimasi lì a fissarlo mentre si toglieva la giacca e la cravatta, lanciandole dietro di lui.

Attesi con impazienza che tornasse a baciarmi, che lui lenisse quell'intenso e doloroso piacere che, dalla mia intimità, si espandeva ad ogni muscolo del mio corpo. Non appena le sue labbra sfiorarono le mie, le sue mani andarono frenetiche a cercare la mia zip per abbassarla lentamente e solleticarmi involontariamente con le sue dita. Ansimai per quel breve contatto e il fuoco che incendiava le mie membra si alimentò, crebbe in me divorando con la sua irruenza il senso di colpa e l'immagine costante di Dario. Non era per nulla un buon segno, quello. Amavo Dario, eppure stavo per fare sesso con suo fratello. Amavo Dario, eppure sentivo il bisogno impellente di Mauro. Non sapevo come interpretare questo mio comportamento e non sapevo nemmeno se quello che stavo per fare, se quello che sentivo per Mauro scaturiva dal mio cuore oppure era solo uno sfizio che volevo togliermi, una sorta di ripicca al fatto che il mio ragazzo mi avesse ignorata.
Mi abbassò il vestito e lo fece scivolare lungo il mio corpo, lungo le mie gambe fino ad abbandonarlo ai suoi piedi. Ero rimasta solo con gli slip bianchi, e un senso di vergogna nel mostrarmi quasi nuda davanti a Mauro mi colse. Mi coprii il seno con un braccio e mi allontanai dalle sue labbra, rifuggendo dal suo sguardo.
«Non devi vergognarti,» mormorò al mio orecchio e ne mordicchiò il lobo, strappandomi un gemito.
Mi strinse il braccio e, lentamente, lo allontanò dal mio corpo. Arrossii e mi morsi il labbro inferiore, abbassando lo sguardo. Non ero abituata a mostrarmi nuda davanti ai ragazzi. Dario era stato il primo e avevo sempre creduto che sarebbe stato anche l'unico. Ed invece avevo gli occhi di Mauro puntati sul mio fisico e avevo paura del suo giudizio, avevo paura che mi abbandonasse lì come una scema mezza nuda perché non ero attraente e sensuale come credeva. Invece mi sorrise dolcemente e mi divorò con quei suoi occhi resi blu dalla poca luce che filtrava dal corridoio in quella stanza quasi buia.
Si slacciò rapidamente la camicia, stando attento a non far saltare qualche bottone per la foga del momento. Si avventò di nuovo su di me, spingendomi verso il divano e mi ritrovai stesa con lui sopra di me. Una sua mano percorse il mio torace, il mio addome, scivolando tra le mie gambe dove si fermò. Si appoggiò all'interno coscia e la spinse di lato per allontanarla dall'altra e potersi sistemare comodamente tra di esse. Subito sentii il suo desiderio premere contro di me, contro la mia intimità già umida e calda che attendava solo di poterlo accogliere. Scalpitavo, mi muovevo a scatti e i miei baci si facevano sempre più passionali, più violenti perché il piacere che stavo provando era quasi insopportabile ed avevo bisogno che lui mi appagasse, che lui non indugiasse con le mani sui miei seni, ma che entrasse dentro di me. Frenetiche, le mie dita scivolarono sul suo addome a andarono a slacciare i pantaloni di Mauro e si insinuarono dentro di essi. Lo sfiorai dapprima, poi strinsi decisa il suo desiderio nonostante la stoffa dei boxer. Un gemito strozzato uscì dalle sue labbra e fu costretto ad interrompere il nostro bacio per poter riprendere fiato, per deglutire dopo essere stato colto da quel piacere inaspettato. Cominciai a massaggiargli la punta ed i suoi ansimi si fecero ancora più intensi. Ringraziai che ci fosse la musica a coprire la sua voce, anche se avevo il costante timore che qualcuno potesse sentirci, che qualcuno potesse sorprenderci mentre consumavamo quella tentazione.
Sperai con tutto il cuore che capisse il bisogno che avevo di lui, che intuisse che ero pronta ad accoglierlo e a unirmi a lui. Infilai anche una mano nei suoi boxer, così da intensificare il concetto, mentre con l'altra feci una cosa che mai mi sarei aspettata. Mi insinuai nei miei stessi slip per ricavare un po' di sollievo, oltre che di piacere. Appena sfiorai la mia sensibilità, un urlo fuoriuscì spontanea dalle mie labbra e la presa sul desiderio di Mauro si allentò. Socchiusi gli occhi per l'intenso godimento, ma riuscivo comunque a vederlo, a vedere il suo sorriso sornione ed i suoi occhi guardarmi famelico. Tolse la mia mano dai suoi boxer e si inginocchiò davanti a me, tra le mia gambe e mi tolse gli slip mentre io continuavo a sfiorarmi, a contorcermi, a surriscaldarmi per quel piacere che io stessa mi stavo provocando.
«Non fermarti, Alice,» mormorò eccitato nel vedermi percorsa da spasmi di piacere.
Si tolse i boxer, ma non badai nemmeno a dove li lanciò. Ero troppo presa ad esplorare il mio corpo, a godere delle mie stesse dita per notarlo. Strizzai gli occhi quando una fitta di piacere più intensa mi percorse e si trasformò in un gemito gutturale. Inarcai anche la schiena e sollevai il bacino talmente era stata forte e in quel momento Mauro mi afferrò i fianchi, spingendomi verso di lui.
«Sei vergine?» domandò apprensivo ed io, tra uno spasmo all'altro, scossi la testa.
Lui sorrise soddisfatto e si abbassò a recuperare il portafoglio dai pantaloni estraendone un preservativo. Lo fece scivolare lentamente sul suo desiderio e in pochi secondi mi penetrò lentamente. E sentirlo scivolare dentro di me, finalmente, lenì quel dirompente desiderio e saziò la fame che avevo di lui. Allontanai la mano dalla mia intimità, ormai non era più necessaria e mi aggrappai alle sue spalle forti, gemendo contro la sua spalla mentre i suoi ansimi mi riempivano le orecchie. Si muoveva con troppa lentezza, trasformando quell'amplesso in una piacevole tortura, che mi appagava ma non pienamente.
«Ma-Mauro,» ansimai, stringendo le cosce contro il suo bacino.
E fu strano pronunciarlo, sentire un nome che non era di Dario uscire dalla mia bocca. Lo stavo tradendo, stavo facendo sesso con un altro uomo nonostante amassi lui. E questo perché? Solo per un capriccio, perché ero rimasta ammaliata dall'enigmaticità di Mauro e perché ero una cretina. Mi ero lasciata condizionare dalle sue parole, da quell'atmosfera romantica e dalla gelosia per quella dannata Sole. Non provavo nulla per Mauro, solo una forte attrazione e in quel momento sentii il mio cuore parlare distintamente, urlare il nome di Dario nonostante stessi con un altro uomo. E non un ragazzo qualunque, ma addirittura suo fratello, la persona che lui odiava di più al mondo. Il senso di colpa tornò a divorarmi proprio quando Mauro aumentò il ritmo e i miei ansimi aumentarono di intensità, quando mi sentii godere così intensamente per un uomo che non era il mio ragazzo, per qualcuno che non era la persona che amavo, per qualcuno che non sapevo nemmeno cosa sentisse per me, se qualcosa di profonda o il nulla più totale. Mentre noi stavamo facendo sesso, probabilmente, Dario era seduto al tavolo e si chiedeva che fine avessi fatto. Magari credeva che fossi andata in bagno o che mi fossi intrattenuta a guardare il lago di Bracciano. In qualsiasi caso, lui si fidava di me ed io stavo tradendo la sua fiducia. Come avrei fatto a continuare a guardarlo negli occhi facendo finta di nulla? Come potevo lasciare che lui mi amasse dopo che mi ero sporcata così, dopo che la mia anima era stata marcata con una specie di lettera scarlatta? Per di più vivevo nella stessa casa di Mauro e ogni volta che lo avrei rivisto, avrai rivissuto questa serata, ricordandomi quanto fossi puttana. Perché sì, Dario era stato un bastardo con me, ma aveva rimediato, aveva compreso il suo errore ed era cambiato per me ancora una volta, mostrandosi a tutti per la persona fragile che era realmente. Io invece ero una puttana che scopava con suo fratello, che si sentiva attratta pericolosamente da lui e che avrebbe ricercato ogni volta che avrei sentito il bisogno di sentire il calore di un uomo. Temevo che quella non sarebbe stata l'unica volta che avrei fatto sesso con Mauro perché era quasi incontrollabile l'interesse che provavo nei suoi confronti e tremendamente piacevole il suo calore.
Mi sentivo uno schifo in quel momento. Avevo ceduto al fascino di due occhi cristallini ed ero caduta in tentazione, come era successo ad Eva. Ed io, come lei, avrei perduto il mio Eden, il mio Paradiso. Avrei perso Dario.










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Innanzitutto vorrei ringraziare IoNarrante che mi ha "prestato" i fantastici personaggi di Tutto per una scommessa. Ovviamente non sono stata in grado di  renderli al meglio ^^ e mi scuso, semmai  facessero schifo.
Btw...capitolo intenso. È entrata in scena la famosa Sole, finalmente e Alice ha vauto il (dis)piacere di conoscerla. La gelosia ha avuto il sopravvento su Alice anche perché Dario sembrava avere occhi solo per la sua ex fidanzata. Ma questo non perché sia ancora innamorato di Sole...ma questo lo capirete nella shot di prossima pubblicazione sull'incontro tra Dario e Sole.
La situazione scappa un po' di mano ad Alice, insomma. Le verità sulla vita sentimentale travagliata di Dario non sembra scalfirla, la infastidisce solo il momentaneo allontanamento di Dario. E questo piccolo problema di comunicazione porta una conseguenza disastrosa per la storia d'amore tra Alice e Dario. Alla fine, lei ha ceduto al fascino di Mauro. Ha tradito il suo ragazzo, si è tolta uno sfizio, diciamo, per cui ha sbagliato alla grande questa volta. Questo "piccolo" incidente di percorso lacererà, di sicuro, il rapporto tra Alice e Dario. Chissà, chissà che succederà....*suspense*
Commenti brevi e rapidi, anche perché non so che dire! Credo che si commenti da solo questo capitolo xD sono proprio curiosa di sapere che ne pensate.
Ancora una volta non sono riuscita a rispondere alle recensioni *si frusta*. Ho avuto il parziale di anatomia, per cui non ho avuto tempo. Ed è anche per questo che il capitolo arriva così in ritardo. Spero che il prossimo non debba farvi attendere così a lungo.
Allora, ringrazio tutte le persone che hanno messo la storia tra le seguite, le preferite, le ricordat e anche chi ha solo letto. Ringrazio anche chi ha recensito lo scorso capitolo...vorrei solo informarvi che, grazie a voi, Alice è tra le storie più recensite del sito :3 Thank you so much ♥

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Capitolo 28
*** Amore perduto ***


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Capitolo 27

Amore perduto

betato da Nes_sie

 

 

Da quanto tempo ero rinchiusa in quel dannato bagno?
Cinque minuti, un'ora, tre secoli? Non lo sapevo e non volevo nemmeno guardare l'orologio per quantificarlo.
Mi ero rinchiusa in quel bagno dopo essermi rivestita, dopo aver fatto sesso con Mauro e non avevo intenzione di uscire da lì e incontrare i suoi occhi, né tanto meno di rivedere Dario dopo quello che avevo fatto. Nemmeno io riuscivo a capacitarmi di come avessi potuto tradire il mio ragazzo, per giunta con suo fratello, con la persona che lo feriva in continuazione e che godeva nel vederlo soffrire. Era stato più forte di me, non ero riuscita a controllarmi con Mauro e per giunta mi ero donata a lui con una semplicità spiazzante che mi faceva sentire ancora di più in colpa, che mi faceva sentire ancora più sporca. Non sapevo nemmeno che cosa provasse lui per me, se sentisse davvero qualcosa o io fossi solo un suo passatempo. Ma io non lo amavo, perché il mio cuore apparteneva solo ed esclusivamente a Dario.
Non solo mi sentivo una merda in quel momento, ma avevo anche tanta, troppa paura di poter ricascare tra le sue braccia. Non sentivo nulla per lui, ma non mi era indifferente. Aveva un fascino magnetico, quasi diabolico, che mi attirava a lui, che mi costringeva a cercare il suo sguardo quando non trovavo quello di Dario, che mi obbligava a cercare il suo calore e il suo odore quando erano assenti quelli di Dario.
Tirai su con il naso e mi asciugai il viso solcato dalle lacrime con un pezzo di carta igienica. Ormai avevo quasi finito il rotolo e di sicuro il mio volto doveva somigliare a quello di un pagliaccio con tutto il trucco sbavato. Che cosa avrei fatto dopo? Come mi sarei dovuta comportare con Mauro e soprattutto con Dario? Se avessi potuto, avrei fatto di tutto pur di tornare indietro nel tempo e fermarmi prima di fare sesso con il più grande dei fratelli Vitrano. Ma nessuno, mio malgrado, era ancora riuscito ad inventare la macchina del tempo, per cui avrei dovuto convivere con il rimorso di aver tradito il mio ragazzo, la persona che più amavo. L'unica cosa che potevo fare era far finta di nulla, comportarmi come se nulla fosse successo con la speranza che Dario non lo venisse a sapere, con la speranza che Mauro mi evitasse e non dicesse nulla a suo fratello.
Qualcuno bussò alla porta, facendomi sobbalzare e alzare lo sguardo verso la porta del bagno. Il battito cardiaco aumentò la sua corsa ed era come se il cuore mi fosse salito in gola. Avevo paura che fosse Mauro o, peggio, Dario e non sapevo come affrontare la situazione, non avrei avuto il coraggio di guardarli negli occhi.
«È occupato?» domandò una voce femminile e mi sentii sollevata nel sapere che non fossero quei due.
«Ho quasi finito!» esclamai scattando in piedi dal bordo della vasca.
Mi asciugai velocemente gli occhi con i palmi delle mani e mi sistemai il trucco alla bell'e meglio, togliendo con un po' di carta bagnata il rimmel e la matita colante sulle guance. Mi diedi una sciacquata veloce al viso e, anche se avevo ancora un'espressione distrutta, uscii dal bagno senza nemmeno guardare il faccia la ragazza o signora che necessitava del bagno.
Mi pentii di essere uscita dall'unico posto sicuro in quel castello quando mi ritrovai di fronte Mauro, appoggiato con la schiena alla parete di fronte al bagno come se mi stesse aspettando. Non disse nulla, mi scrutò solo con i suoi occhi azzurri e non ghignò nemmeno, stranamente. Abbassai subito lo sguardo cercando di evitare il suo, ma quello non bastò a farmi ricordare il nostro momento di passione. Mi incamminai per il lungo corridoio a passo svelto, quasi correndo per sfuggire alla presenza di Mauro. Non mi fermò, non tentò di parlarmi, rimase solo fermo appoggiato a quella parete.
Scesi rapidamente le scale, con il cuore che mi martellava nel petto e stava quasi per esplodere. Avrei voluto scappare da lì, allontanarmi da Roma e tornarmene a Milano senza nemmeno dare spiegazioni perché sarebbero state troppo dolorose per il mio Dario. Anche l'unica persona di cui si fidava, l'unica che lo amava e che lo faceva sentire importante lo aveva pugnalato con brutalità. Non avrebbe retto ad un colpo duro come il mio tradimento, ne ero più che sicura.
Non appena entrai nella sala del ricevimento, nonostante la gente che stava danzando, vidi subito il mio Dario che si guardava intorno quasi spaesato, facendosi spazio tra la folla che gli impediva il passaggio. Mi stava cercando, ne ero certa. Il mio cuore, nonostante la morsa che lo aveva intrappolato, cominciò a battermi furioso nel petto non appena lo vidi, non appena sentii il bisogno di abbracciarlo e guardarlo negli occhi. Non potevo scappare, non dal mio Dario. Lo avevo tradito, ma non con il cuore perché io amavo solo lui. Non era una giustificazione per quello che avevo fatto, era solo una frase che avrei dovuto ripetermi ogni volta per non sentirmi in colpa.
Corsi verso di lui, spintonando chi cercava di ostacolarmi e lo abbracciai con tutta la forza che potevo, lo strinsi a me come se non volessi farlo scappare e Dario rimase sorpreso sia dal mio arrivo sia dalla foga con cui mi ero avvinghiata a lui.
«Alice» mormorò stringendomi e baciandomi tra i capelli .
Affondai il viso nella sua camicia bianca, stringendogli la giacca dietro la schiena. Lui era ignaro di tutto, non si era nemmeno reso conto che io lo avevo pugnalato alle spalle, non sapeva che la sua ragazza, in realtà, era solo una sgualdrina qualunque. Così mi sentivo in quel momento, una puttana, una stronza puttana che rischiava di mandare tutto all'aria, di perdere l'unico ragazzo di cui si fosse innamorata veramente in diciotto anni di vita.
«Ti amo, Dario» gli dissi con un filo di voce e con un velo di lacrime che mi copriva gli occhi «Ti amo da morire».
«Anche io ti amo» rispose lui con la stessa tonalità.
Mi staccai dal suo torace e appoggiai le mani sul suo petto, stringendo la stoffa leggera e sgualcita della sua camicia.
«Scusami Dario» mormorai.
Non sapevo nemmeno io perché gli avevo detto quelle parole. La mia bocca si era mossa da sola e la voce mi era uscita spontaneamente, senza che il mio cervello le guidasse. Dario, che sembrava abbattuto, quasi intuisse quello che gli avevo fatto, abbassò un sopracciglio e mi guardò dubbioso.
«Per cosa?»
Come avrei potuto rispondere alla sua domanda? Scusami perché ti ho messo le corna con tuo fratello? Scusami perché tu ti fidavi di me ed io ho scopato con Mauro? Deglutii a fatica, sentendo anche le orecchio schioccare come se mi trovassi in aereo. Socchiusi gli occhi e non sapevo per frenare le lacrime che volevano uscire ancora o perché non riuscivo ad affrontare lo sguardo afflitto di Dario.
«Se sono sparita così» mentii con tono poco deciso.
«Scusami tu» disse mordendosi il labbro inferiore «Che ti ho lasciata da sola».
Possibile che avesse intuito qualcosa? Possibile che i suoi occhi riuscissero a scavare nel mio animo così profondamente da capire che c'era qualcosa che non andava in me? Che molto probabilmente lo avevo ferito?
Appoggiai una mano sulla sua guancia per poterlo accarezzare e lui mi accennò un sorriso, senza però quella sua tipica luce negli occhi che li faceva risplendere. Eravamo entrambi tristi, io perché lo avevo tradito e Dario perché aveva intuito che in me c'era qualcosa che non andava, che avevo combinato qualcosa di grave. Mi avvicinai a lui per baciarlo, stringendo con forza alcune ciocche dei suoi capelli. Avevo ancora in bocca il sapore dolciastro, che mi ricordava vagamente la cannella, di Mauro che non mi permetteva di gustarmi appieno le labbra di Dario. Inorridii nel sentire quel sapore sconvolgere le mie papille gustative, nel comprendere che Mauro era entrato a far parte di me, in un modo o nell'altro, guadagnandosi un posto nei miei pensieri. Se prima c'era solo Dario nella mia mente, in quel momento non riuscivo a togliermi dal cervello l'immagine perfetta di Mauro, del suo corpo caldo su di me, delle sue labbra che lambivano la mia pelle e ancora mi rimbombava nelle orecchie la sua voce. Non capivo il motivo per il quale Mauro mi stesse sconvolgendo in quella maniera e nemmeno perché si fosse insinuato nella mia mente, si era infiltrato come acqua sorgiva nei mie pensieri.
La lingua di Dario cercò la mia, ma non con la stessa passione come era solito fare. E nemmeno io ero così presa da quelle effusioni come le volte precedenti. Ero assente, stavo pensando a quello che era successo, a Mauro e mi stavo maledicendo di aver fatto sesso con lui, di avergli permesso di rovinare quello che stavamo piano piano recuperando io e Dario.
Quel bacio era anonimo, non sapeva di noi, non aveva sapore, se non quello di cannella di Mauro. Era come se io e Dario fossimo due estranei che si stavano baciando perché obbligati da uno stupido gioco e da una stupida bottiglia. Non eravamo Dario e Alice, non eravamo due innamorati. Eravamo il nulla, il vuoto e tutto quello era per colpa mia. Sicuramente anche Dario aveva percepito la mia assenza, l'inconsistenza di quel bacio ma non lo diede a vedere.
«Che ne dici di andare a casa?» proposi, perché non sarei riuscita a rimanere in quel castello ancora per molto.
«Non hanno ancora servito la torta» obiettò senza convinzione.
Lanciò uno sguardo alle sue spalle, come se stesse cercando qualcuno, forse gli sposi, poi tornò a guardare nei miei occhi. I suoi erano spenti, quasi come se nuvole nere e minacciose avessero coperto quel cielo notturno, le stelle che lo illuminavano.
«Sì, forse è meglio andare» concordò in un soffio «Salutiamo Teresa e lo sniffatore e andiamo».
Intrecciò le sue dita con le mie e camminammo tra la gente alla ricerca degli sposi. Passammo anche accanto a nostro tavolo e Dario lanciò un'occhiata che non seppi decifrare verso Sole, salutandola poi con un gesto della mano. Se non fossi stata così abbattuta, probabilmente, l'avrei guardata in tralice e le avrei mandato ogni sorta di maledizione. Ma non riuscivo nemmeno ad essere gelosa per quanto mi sentivo uno schifo.
Teresa e Tommaso erano seduti al loro tavolo, intenti a parlare tra loro  a ridacchiare. L'immagine di me e Dario in vesti da sposi sbiadì piano piano. Se lui avesse scoperto il mio tradimento, potevo benissimo scordarmi l'abito bianco e la cerimonia.
«Io e la mia ragazza andiamo a casa» disse Dario, grattandosi la nuca.
«Di già?» chiese dispiaciuta Teresa.
«Non volete rimanere per il taglio della torta?» intervenne anche Tommaso.
«Siamo molto stanchi» rispose il mio ragazzo «Ci piacerebbe davvero rimanere, ma non mi reggo nemmeno in piedi».
«Ah» disse solamente Teresa. «D'accordo» e ci sorrise.
«Ci ha fatto piacere avervi qui, comunque» le fece eco Tommaso, alzandosi per salutarci con un stretta di mano e dei baci sulle guance «La bomboniera la daremo a tua madre» lo informò poi e Dario annuì senza entusiasmo.
Le sensazioni di entrambi riguardo a quel matrimonio erano vere. Quella era stata una giornata davvero orribile, soprattutto la sera. Mano nella mano, camminammo verso l'uscita del castello e, mentre la raggiungevamo, incontrammo Mauro che camminava nella direzione opposta alla nostra. I miei occhi si incollarono ai suoi nei quali, ancora, scorrevano le immagini della nostra passione. Il mio cuore smise di battere quando Mauro posò lo sguardo su Dario, ritrovando il suo ghigno bastardo. Ebbi paura che rivelasse tutto a Dario, che gli spiattellasse in faccia che la sua ragazza fosse una poco di buono. Invece ci superò ed io lo seguii con lo sguardo. Si voltò verso di me, sorridendomi malizioso e lanciandomi un bacio con la punta delle dita. Mi strinsi maggiormente a Dario, nascondendo il viso in fiamme e rosso più di un peperone nella camicia del mio ragazzo che mi accarezzò la nuca, ignaro di tutto il tumulto che si era creato in me, ignaro del fatto che Mauro si fosse insinuato nella mia mente e che rischiava di scorrere nelle vene e raggiungere le crepe del mio cuore.
Il viaggio in macchina durò relativamente poco. Nessuno dei due aveva aperto bocca durante il tragitto, solo la musica ci ricordava di essere ancora vivi, ancora sulla Terra. Io ero troppo presa a pensare a Mauro e alla maledizione che mi aveva lanciato con i suoi occhi. Più cercavo di allontanarlo dai miei pensieri, più lui ritornava. Perché, se non provavo nulla per lui, non riuscivo a togliermelo dalla testa? Era strano quello che sentivo per  lui, qualcosa di indecifrabile. Non era amore, non era odio. Era una sorta di attrazione fisica, una pericolosa attrazione fisica condita con un irrefrenabile voglia di lui.
Arrivammo a casa che era l'una di notte passata. Ci spogliammo rapidamente, preparandoci per la notte e ci stendemmo del letto. Mi adagiai con il viso sul suo petto nudo, sentendo il battito del suo cuore, e cominciai a disegnare alcuni cerchi sul suo torace con la punta delle dita. Stavo bene tra le sue braccia, il suo calore riuscì per qualche attimo a lenire quel senso di colpa che provavo. Era tutto sbagliato, lo sapevo, dal sesso con Mauro al mio fare finta di niente e stare abbracciata al mio ragazzo. Ma se gli avessi detto che lo avevo tradito, lo avrei perduto e non potevo permettere che questo accadesse. Mauro era solo uno sfizio, mentre Dario era la mia vita. Se invece avessi continuato a far finta di nulla, il rimorso mi avrebbe divorata dall'interno. Come potevo vivere sapendo di aver tradito la persona che amavo? Come potevo vivere sapendo di aver tradito la sua fiducia?
«Alice» mormorò lui, giocando con alcune ciocche dei miei capelli.
«Mmmm» mugugnai con gli occhi chiusi, strusciando la guancia sul suo petto e accarezzandogli un fianco.
«Lo sai che giorno è oggi?»
«Il sedici luglio» mormorai lasciandogli un bacio all'altezza del cuore.
«E...» incalzò lui.
«E si è sposata tua cugina» sospirai e mi sistemai meglio sul suo petto, mentre lui ridacchiava.
«Oggi è un mese che siamo fidanzati» mi ricordò e io alzai il viso verso di lui. Stava sorridendo e sembrava aver ritrovato un po' di quella serenità che distingueva i suoi occhi.
«Oddio... è... è vero» mormorai sorpresa più che altro perché non mi ero ricordata una cosa tanto importante. Ma quel giorno era stata talmente presa da Mauro che mi ero dimenticata il nostro primo mesiversario.
«Un mese di noi, piccola mia» disse, con poco entusiasmo «Ti amo» aggiunse ancora con lo stesso tono preoccupante.
«Anche io» risposi ed abbozzai un sorriso falso, solo per rassicurarlo. «Ogni giorno di più».
Ebbi come la sensazione che qualcosa si fosse spezzato tra di noi, l'armonia che eravamo riusciti a trovare ora mi pareva solo un'accozzaglia di suoni insopportabile per i miei timpani. Mentre ci guardavamo negli occhi non ritrovai la stessa passione che c'era qualche giorno prima, anzi c'era un immenso abisso che stava cercando di risucchiarci. Molto probabilmente la colpa era solamente mia. Dario aveva intuito il mio malessere e il mio disagio, forse sospettava che mi fosse capitato qualcosa ma non aveva il coraggio di chiedermelo. E il mio stato d'animo aveva influenzato anche lui, l'aveva risucchiato  in quel vortice di tristezza.
Mi sporsi verso di lui e lo baciai, cercando in quel contatto un po' dell'amore che sembrava perduto. Ma come poco prima, non sentii nulla se non uno sgradevole senso di colpa che risaliva lungo le mie membra e mi impediva di poter lasciarmi andare completamente al mio ragazzo. Quando mi allontanai dalle sue labbra ci guardammo negli occhi. Ogni volta che quelle iridi nere mi scrutavano con la loro profondità avevo come la sensazione che riuscissero a leggermi dentro. Abbassai istintivamente ed insensatamente lo sguardo, intimorita dal suo che poteva scavarmi l'anima. Era diventato quasi insostenibile riuscire a guardarlo troppo a lungo negli occhi dopo che lo avevo pugnalato alle spalle con suo fratello. E temevo che quella situazione potesse essere permanente, che non potessi più guardare nei suoi occhi senza sentirmi una schifezza. Mi accoccolai sul suo petto, sul suo cuore che batteva all'impazzata come se fosse teso e ansioso. Non ci diedi molto peso perché la sua mano cominciò a scompigliarmi i capelli mentre l'altra mi accarezzava un fianco.
«Domani partiamo, che ne dici? Diciamo addio a Roma e non ci torniamo più» mi propose.
Mi sollevai un tantino, appoggiandomi con il gomito al letto, ed annuii. Volevo andarmene da quella città e dimenticare tutto, chiudere definitamente quel capitolo, bruciarlo e farlo sparire per sempre dal libro della mia vita e cominciarne a scriverne uno nuovo senza Mauro, senza complicazioni. Solo io e Dario saremmo stati i protagonisti di questa nuova storia. Lo baciai a fior di labbra e lui sorrise quasi si fosse liberato di un peso. E speravo davvero che l'aria fredda di Milano, il suo cielo grigio, potesse aiutarmi in questa impresa, nel ritrovare tutti i pezzi in cui avevo frantumato la nostra storia e rimetterli assieme per ricostruirla.
«È la mia città, ma ogni volta che ci torno, ho una nuova ferita. È una sorta di maledizione, come se Roma mi odiasse e mi stesse cacciando facendomi soffrire» disse mestamente. Mi si strinse il cuore sentirlo parlare in quel modo, così lo strinsi ancora di più a me e sentii per un attimo la stessa complicità che ci aveva sempre legato.
«L’altra sera ho parlato con mio padre» mi confidò con un filo di voce, appena udibile.
«Di cosa avete parlato?» gli domandai, accarezzandogli il petto.
«Ho finalmente trovato il coraggio di chiedergli del perché Nicoletta e Mauro mi odiano» rispose flebilmente. Deglutì rumorosamente e fece una lunga pausa, seguito da una risata amara «Forse sarebbe stato meglio non saperlo» tacque ancora e mi accarezzò una spalla, per poi riprendere dopo poco. «Nicoletta aveva ricevuto un’offerta di lavoro da uno dei più grandi ricercatori del mondo e avrebbero dovuto trasferirsi tutti a Seattle. Quando però ha scoperto di essere incinta del sottoscritto, il medico americano le ha detto che poteva benissimo starsene a Roma perché non aveva bisogno di una donna gravida nel suo team» respirò profondamente e giocò con una ciocca dei miei capelli. «Era il suo sogno e l’ha visto infrangersi. Così è caduta in depressione e da allora ha dovuto aspettare molti anni perché riprendesse a lavorare. Per questo non mi ha mai accettato. Poi ho fatto i miei casini durante l’adolescenza che non ha aiutato a sistemare la situazione».
«E Mauro?»
«Lui vedeva Nicoletta piangere e la colpa era mia. Per cui ha cominciato ad odiarmi perché facevo soffrire la mamma».
«Tutto questo è ridicolo!» sbottai scioccata.
«È la stessa cosa che dice mio padre. Ha sempre cercato di farglielo a capire sia a mia madre che a Mauro, ma nessuno dei due gli ha mai dato retta».
«Se avessero ragionato per un attimo, capendo che non era affatto colpa tua, avrebbero conosciuto la persona splendida che sei».
Sollevai lo sguardo verso il suo e mi stupii di come riuscii a mantenerlo fisso per più di un minuto. In quel momento non dovevo avere timore dei suoi occhi, dovevo solo fargli capire che io ero accanto a lui, dovevo fargli sentire la mia presenza. Dario scosse la testa e socchiuse gli occhi. Le palpebre gli tremarono e mi baciò in fronte, stringendomi ancora più forte a lui con entrambe le braccia.
«Non sono affatto una persona splendida».
Quella frase mi lasciò interdetta ma non ebbi il tempo di dire nulla che Dario mi baciò con passione e trasporto, con lo stesso fuoco che credevo di aver perduto in quelle ore. Mi insospettì il suo comportamento, ma non ci diedi molto peso. Mi concentrai solo su noi due, su quel bacio che sapeva finalmente di noi e che mi rasserenò. Poi ci addormentammo, stretti l’uno all’altro.

 

 

Quando mi svegliai, Dario era già andato alla redazione di Radio Deejay. Tutta la mattina rimasi da sola: i tre medici avevano il turno in ospedale, Consuelo era fuori per negozi e mercati per rifornire al dispensa. Per cui mi rilassai, per quanto potesse essere possibile in una situazione del genere. Feci colazione con tranquillità con una brioche della Mulino Bianco e un po' di caffelatte, poi una doccia fresca. Rimasi sotto il getto d'acqua per più di mezz'ora, lasciandomi accarezzare dall'acqua e sgomberando la mente da qualsiasi pensiero. Mancavano poche ore e potevo finalmente lasciarmi alle spalle tutto, tornare nella mia città e vivere serenamente con Dario, senza più il terrore di Mauro che incombeva su di me.
Guardai un po' di televisione in attesa che Dario finisse il suo turno in radio e tornasse a casa. Avevo bisogno di passare un po' di tempo con lui e cominciare fin da subito a incollare i pezzi della nostra storia. Ma Dario non arrivò nemmeno per pranzo e mi ritrovai a mangiare da sola il merluzzo al limone che aveva preparato Consuelo. Mi preoccupava il fatto che Dario non fosse tornato a casa. Solitamente dopo circa un'ora dalla fine del suo programma in radio era da me. Invece quel giorno non arrivò, nemmeno nel primo pomeriggio. Pensai che potesse essere andato a mangiare un boccone con Adriano visto che tra meno di ventiquattro ore saremmo partiti e magari voleva salutarlo, ma non mi aveva nemmeno avvisato. In compenso, verso le due, arrivò Mauro. Non mi degnò nemmeno di uno sguardo, salì subito al piano superiore con la sua valigetta nera stretta in mano. Meglio così, pensai. Più lui mi stava lontano, meglio era.
Con un po' d'apprensione, dopo aver visto i cartoni animati in televisione, andai in camera. Dario non si era fatto sentire tutto il giorno e cominciai a pensare che il suo allontanamento fosse dovuto al comportamento strano e ambiguo che avevo tenuto la sera prima. Con un po' di ottimismo sperai che avesse solo bisogno di un po' di tempo da solo per riflettere, per capire cosa mi fosse preso. O, meglio ancora, che stesse girando per Roma solo per dirle addio. Scrollai la testa e presi dall'armadio il mio trolley rosa per cominciarlo a riempire dei miei vestiti.
Avevo sempre odiato preparare i bagagli e il più delle volte era mia madre che si prendeva questa responsabilità. Ma in quell’occasione non vedevo l’ora di ficcare tutta la mia roba nelle valigie e scappare lontano, insieme a Dario e  dimenticare per sempre quello che era accaduto a Roma. Mi sarei lasciata tutto alle spalle e sarei tornata la stessa Alice di sempre, felice di avere accanto un ragazzo straordinario come Dario.
Svuotai l’armadio dei miei vestiti e li gettai alla rinfusa sul letto, piegandoli in maniera pietosa e riempiendo la valigia alla bell’e meglio come se completarla velocemente avrebbe anticipato il momento del ritorno a casa. Ma purtroppo avrei dovuto attendere fino al mattino successivo e nelle ore che mi separavano dal viaggio sarebbe potuto accadere di tutto. Ogni secondo era buono per sperare che Mauro rimanesse al suo posto e non rivelasse nulla a Dario, che si facesse gli affari suoi e ci facesse recuperare quello che io e Dario stavamo piano piano perdendo.
«E così domani ve ne andate».
La voce di Mauro mi sorprese alla spalle, così mi voltai di scatto con il cuore che martellava sulle costole e con una maglietta stretta in mano. Intercettai il suo sguardo sornione e il suo ghigno soddisfatto, per poi tornare a soffermarmi sui miei bagagli imponendo a me stessa di ignorarlo.
«Te ne ritorni a Milano e ti lasci alle spalle tutto quello che è successo a Roma, vero?» domandò ironico.
Aveva ragione, era in grado di leggermi nel pensiero e questo mi terrorizzava. Si avvicinò a me con una mano ficcata nei pantaloni scuri e sollevò una mia camicetta azzurra a mezze maniche, esaminandola da cima a fondo prima di piegarla ordinatamente e adagiarla nella valigia. Anche quella volta evitai di rispondergli e di guardarlo negli occhi. 
«Lo sai che non si lasciano in sospeso le situazioni? Bisogna sempre risolvere» continuò imperterrito, continuando a prendere i miei vestiti e ad aiutarmi a riempire il trolley.
Gli strappai dalle mani un paio di pinocchietti di jeans e li gettai alla rinfusa nella valigia, trovando un briciolo di coraggio per guardarlo negli occhi. Appena incontrai i suoi occhi, però, un magone mi strinse la gola impedendomi di respirare. Anche deglutire fu inutile perché quel groppo, più lo inghiottivo, più si intensificava.
«Si può sapere che cosa vuoi da me?» domandai nervosamente.
«Parlare» rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Incrociò le braccia e sorrise divertito davanti alla mia incapacità di piegare i panni e di fronte alla mia espressione falsamente orgogliosa. In realtà, ero intimorita e intimidita dalle sue intenzioni. Avevo la sgradevole sensazione che stava tramando qualcosa, qualcosa che avrebbe sconvolto tutto.
«Io non ne ho voglia» risposi e la voce traballante che uscì dalle mie labbra era ben lontana da quella perentoria che mi ero immaginata.
«Come vuoi» scrollò le spalle «Riguardava Dario, ma se non hai voglia di parlare con me…» affondò le mani nelle tasche e si diresse lentamente verso la porta.
Le mie mani diventarono molli e il paio di pantaloni che stavo piegando cadde sul letto. Sentire il nome di Dario pronunciato da lui mi fece tremare e per poco anche le gambe non cedettero.
«Che cosa c’entra Dario?» domandai. Ero talmente agitata che riuscivo a sentire il battito accelerato del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.
Mauro si voltò con un ghigno soddisfatto, quasi non aspettasse altro che parlare con me di suo fratello. Camminò su e giù per la stanza ed il ticchettio delle sue scarpe sul parquet aumentarono la mia ansia. Non parlò per un paio di minuti forse perché si divertiva a torturarmi in quel modo. Ogni secondo che passava mi prosciugava un briciolo di forza, ogni secondo che trascorreva risucchiava un po’ del mio ossigeno, ogni secondo che passava sentivo i muscoli sempre più affaticati.
«Che cosa c’entra Dario?» riformulai la domanda a denti stretti.
«Gli ho raccontato di ieri sera» disse con ovvietà.
Il mio cervello immagazzinò quella frase, la ripeté un paio di volte come se volesse verificare che le parole pronunciate da Mauro fossero proprio quelle. Dapprima mi rifiutai di credere che lui avesse rivelato la verità a Dario, non volevo arrendermi all’idea che ormai lo avessi perduto. Ma furono necessari solo pochi secondi perché prendessi coscienza della realtà e realizzassi quello che aveva appena detto Mauro. Avrei voluto urlargli contro tutta la mia rabbia, prenderlo a sberle e a calci, ma le forze mi aveva completamente abbandonata nel momento in cui l’immagine di Dario che apprendeva la notizia del mio tradimento si figurò nella mia mente. Deluso, frustrato e ferito. Così lo immaginavo, mentre prendeva a calci una parete in mattoni da qualche parte nella città con un tappeto di mozziconi di sigarette attorno ai piedi.
Mi accasciai sul letto con lo sguardo catatonico perso nel vuoto e con quel fastidioso magone in gola pronto ad esplodere e coinvolgere nel suo disastro anche il mio cuore.
«Mi è sembrato giusto che sapesse la verità» la voce di Mauro mi arrivò alle spalle, ovattata, come se le mie orecchie tentassero di estraniarlo dal mio mondo ormai distrutto.
Avevo davvero sperato e creduto che Mauro si sarebbe fatto da parte e che ci avrebbe permesso di vivere la nostra storia serenamente. Ma rivelare al suo odiato fratello quanto fosse puttana la sua ragazza era un’occasione troppo ghiotta per non essere sfruttata. Ero stata io una sciocca a pensare di poter riprendere in mano la relazione con Dario e condurla verso il tanto agognato lieto fine che andavo cercando disperatamente.
«Per una volta mi sono comportato da bravo fratellone. Non volevo che si sentisse totalmente in colpa se la vostra storia fosse finita» continuò imperterrito.
Seppur il mio cervello stesse cercando di isolarmi da quella stanza, non riuscii a rimanere indifferente riguardo all’ultima affermazione di Mauro. Mi voltai verso di lui e lo guardai sconvolta, distrutta, con gli occhi annebbiati dalle lacrime ed ora anche dubbiosa. Non fu necessario porgli domande, la mia espressione era già abbastanza eloquente. Tirò fuori dalla tasca il suo cellulare, smanettò con i tasti e me lo passò con il suo solito ghigno trionfale. Guardai il telefonino ed ebbi voglia di sbatterlo a terra e distruggerlo, convinta com’ero che lui si stesse solo prendendo gioco di me.
«Fai partire il video» mi disse.
Anche se con qualche remora, obbedii alla sua richiesta. Il cuore mi stava letteralmente scoppiando nel petto per la tensione, così come gli occhi pronti a scoppiare in un pianto. Non mi aspettavo nulla in particolare dal video che stavo per guardare, ma non avrei mai immaginato di vedere certe scene scorrere sotto i miei occhi. Niente sarebbe stato in grado di prepararmi a quella tremenda bastonata. Il video durava all’incirca cinque minuti e l’immagine non era delle migliori, ma abbastanza decente da poter riconoscere Dario e Sole in atteggiamenti intimi. Ci eravamo traditi a vicenda, quasi nello stesso momento, sintomo che qualcosa tra di noi non funzionava come avrebbe dovuto. Ci amavamo, eppure non avevamo esitato nemmeno un secondo a fare sesso con altre persone. Lui perché probabilmente sentiva ancora qualcosa per Sole, io solo per un capriccio, uno sfizio che volevo togliermi, una sorta di vendetta nei confronti di Dario che mi aveva abbandonata durante il ricevimento.
«Era giusto che tu sapessi quello che era successo. Così come era giusto che lo sapesse Dario. Almeno potrete capire cosa c’è che non va» disse Mauro, questa volta con tono molto più dolce.
Mi sfilò il cellullare dalle dita lentamente. Non feci niente per trattenerlo, ero paralizzata ed incredula, ancora con quei cinque minuti di filmato che rimbalzavano nella mia mente. Mauro uscì dalla stanza, lasciandomi da sola con la mia disperazione. Non sapevo se avercela con lui per aver rivelato ad entrambi il tradimento dell’altro pregiudicando la nostra relazione o ringraziarlo per avermi posto nella condizione di riflettere su ciò che avevamo sbagliato, sul perché ci eravamo spinti così tanto oltre.
Gli occhi cominciarono a pungere, s’inumidirono e il groppo che avevo in gola era pronto ad esplodere. Ma la consapevolezza di aver definitivamente perso Dario mi aveva prosciugata. Non avevo più forze, non sentivo la rabbia crescere in me e non riuscivo nemmeno a piangere talmente ero sconvolta. Rimasi perciò seduta sul letto per un tempo indefinibile, che non seppi quantificare. A me parve quasi un’eternità, magari però erano passati solo una ventina di minuti oppure un paio d’ore. E mentre rimanevo immobile, rannicchiata su me stessa, la mia mente si perse nei meandri dei ricordi, di tutti gli attimi  condivisi e vissuti con Dario, dei nostri sguardi che si rincorrevano bramosi e dei nostri baci che si susseguivano con crescente e delirante passione. Con lui avevo vissuto i giorni più intensi della mia monotona vita, l’aveva riempita con la sua presenza e le aveva dato finalmente un senso. Dario era stata la scossa di terremoto che aveva sconvolto il mio piccolo mondo di ragazzina immatura e ancora un po’ bambina, mi aveva spinta a vivere davvero la vita, a provare emozioni forti e reali. Forse troppo in fretta, forse quando quella ragazzina di nome Alice non era ancora pronta a farsi travolgere da un’ondata così violenta di sentimenti e dolore. La mia vita si era trasformata in troppo poco tempo, passando da monotona a vuota a piena e troppo intensa. Non ero preparata per essere investita da un’ondata di emozioni simili ed ero stata travolta senza che me ne rendessi conto. Nemmeno in quel momento sapevo come avrei dovuto comportarmi, se infuriarmi con Dario e urlargli contro perché mi aveva tradito con Sole oppure tacere, finire di preparare la valigia e andarmene. Litigare con lui non avrebbe avuto alcun senso. Lo avrei accusato di un errore che avevo commesso anche io, mi sarei sfogata su di lui per una colpa che avevamo entrambi. Sarei stata solo un’ipocrita se mi fossi comportata così. Ma se fossi scappata senza nemmeno cercare di chiarire con lui sarei stata una codarda e sarei fuggita dai suoi occhi giudicatori, dalle mie responsabilità, dal mio amore.
Trovai un briciolo di forza in me e mi sollevai dal letto per avvicinarmi al muro sul quale Dario aveva appeso le nostre foto insieme. Ne afferrai una, la prima che mi era capitata sotto lo sguardo. Ci stavamo baciando, avevamo entrambi gli occhi chiusi e anche se era solo un istante inanimato impresso su una carta lucida, da quella fotografia traspariva quanto ci amavamo. E mi faceva male, mi frantumava il cuore, pensare che avessimo ceduto ad altre due persone nonostante quello che provassimo l’uno per l’altra. La mia paura più grande era che, se anche avessimo chiarito la faccenda, avremmo potuto commettere entrambi di nuovo lo stesso errore. Perché nessuno dei due, in fondo, era ancora pronto ad amare davvero e farsi amare da un’altra persona, nessuno dei due era pronto a lasciarsi andare totalmente ad un sentimento così forte. Anche mentre pensavo tutte quelle cose, mentre il mio cuore si polverizzava per la consapevolezza che entrambi avevamo contribuito a distruggere la nostra storia, mentre una piccola parte di me urlava, in un angolino della mia mente, contro l’immagine di Dario, sentivo che l’amavo. Ma l’aver fatto sesso con Mauro mi aveva fatto capire che non ero ancora pronta e che avrei potuto commettere lo stesso errore ancora, ancora e ancora una volta, nel momento in cui il calore di Dario mi sarebbe venuto a mancare. Avevo bisogno di crescere e maturare, capire come dovermi comportare in situazioni simili.
Attaccai di nuovo la foto al muro e, seppur la parte arrabbiata di me volesse distruggerle ad una ad una per sfogare il mio dolore, mi allontanai dalla parete e finii di riempire la valigia. Alla fine avevo preso la mia decisione, forse non proprio quella giusta. Sarei scappata, così come aveva fatto lui tempo prima. Non sapevo come affrontare la situazione e tornarmene a Milano senza dire nulla mi sembrava la cosa giusta da fare. Per me e per lui. Una sfuriata non avrebbe portato a nulla, se non accrescere il risentimento che provavamo reciprocamente. Non saremmo riusciti ad arrivare ad un chiarimento perché io non ne avevo bisogno, perché avevo preso la mia decisione e, anche se era doloroso, dovevo lasciarlo, mettere fine alla nostra relazione e riprendere in mano la mia vita.
Chiusi il trolley e lo appoggiai a terra. Mi sistemai velocemente, asciugando qualche lacrima che era sfuggita al mio controllo e infilai le ultime cose nella borsa. Prima di uscire diedi un’ultima occhiata alla stanza avvolta nella penombra e ripensai all’ultima notte passata con lui, stretta tra le sue braccia con il suo respiro che mi scompigliava i capelli. Se avessi saputo che quelli fossero stati gli ultimi attimi passati con lui, sarei rimasta sveglia tutta la notte pur di godere appieno di lui, del suo odore e delle sue carezze.
Respirai a fondo, ricacciando indietro sempre lo stesso magone che continuava  a ripresentarsi e mi chiusi la porta della stanza alle spalle. Scesi le scale, trascinandomi dietro il trolley senza nessuna forza nelle braccia. Avrei preso un taxi e avrei raggiunto la stazione Termini dove avrei comprato il primo biglietto per Milano con i soldi rimasti che mi aveva dato mia madre.
«Hola, Alice!» mi salutò Consuelo mentre si asciugava le mani nel grembiule sul quale erano stampate rosse e grosse ciliegie.
«Ciao Consuelo» risposi senza guardarla negli occhi e cercando di controllare il mio tono di voce tremolante.
«No tiene de partire domani, mañana?» domandò dubbiosa.
«Già. Ma, sai, un imprevisto…» rimasi sul vago e scrollai le spalle.
Consuelo assottigliò lo sguardo e mi scansionò con i suoi occhi scuri e stanchi. Dopo un po’ scosse la testa e appoggiò i pugni ai fianchi generosi.
«Tu el señorito avete litigato?» mi domandò sospettosa.
Scossi la testa e mi sistemai la borsa sulla spalla.
«Cos’è successo?» mi domandò, ma non ebbi il coraggio di risponderle. Scrollai solo le spalle, abbassando il viso per non mostrare la mia espressione di dolore prendere il sopravvento. Consuelo si avvicinò a me e mi abbracciò forte, forse aveva intuito il perché della mia tristezza. Mi abbandonai alla morbidezza di quella donna e mi sentii un minimo confortata da quella stretta.
Mi lasciò dopo pochi secondi e mi guardò con gli occhi lucidi. Mi accarezzò una spalla e mi baciò tra i capelli augurandomi buon viaggio e buona fortuna per tutto. La ringraziai con voce flebile e la guardai tornare dinoccolata e mesta in cucina. In quell’istante ebbi un piccolo istante di esitazione in cui pensai di parlare con Dario e magari cercare di sistemare le cose. Ma tornai immediatamente sui miei passi, strinsi il trolley con una mano e la tracolla della borsa con l’altra. Un rumore di passi che riecheggiò nell’immenso silenzio della villa mi fece voltare indietro ed incrociai lo sguardo di Mauro, immobile sulla rampa di scale. Non stava ghignando, era impassibile e mi risultò difficile interpretare la sua espressione in quel momento.
«Addio, Alice» disse solamente.
Non mi diede il tempo di rispondere che fece gli ultimi scalini e scomparve di nuovo al secondo piano. In quel momento non provavo nessun sentimento nei suoi confronti. Né rabbia, né odio, né gratitudine. nulla perché il mio pensiero era rivolto a Dario. Non gli avrei mai detto addio a voce, non avrei nemmeno potuto vederlo un ultima volta negli occhi e perdermici per provare almeno un istante tutte le emozioni che quelle iridi nere mi trasmettevano.
Scossi la testa e sbattei più volte le palpebre per far asciugare le lacrime che volevano uscire copiose dai miei occhi. Imboccai la porta di ingresso e quando fui sul viale di ghiaia il vuoto più totale mi colse. Poco lontano notai dei fiori sparsi per terra e calpestati. Subito pensai che sarebbero dovuti essere miei per il nostro mesiversario, ma Dario aveva ricevuto la notizia del mio tradimento ben prima di potermeli consegnare. Mi avvicinai a quel mazzo malmesso e mi accovacciai davanti ad essi. Erano candide rose bianche ormai rovinate dalle suole delle scarpe di Dario. In quei petali era racchiusa la nostra storia d'amore: sbocciati come un meraviglioso fiore e calpestati senza ritegno prima di goderne appieno la bellezza. Ne accarezzai i petali vellutati e alcune lacrime sfuggirono al mio controllo. Le asciugai velocemente con il dorso della mano e tirai su con il naso. Mi risollevai sistemandomi velocemente e alzai gli occhi al cielo perché la brezza estiva asciugasse le lacrime. Quando tornai a guardare davanti a me incontrai gli occhi neri e spenti di Dario. L'odore intenso di tabacco solleticò le mie narici e il mio sguardo fu un fazzoletto sporco di sangue attorcigliato attorno alla mano sinistra. Non aveva preso a calci la parete, ma a pugni. Lui, invece, abbassò lo sguardo verso la mia valigia per poi puntare di nuovo le sue iridi nelle mie. Tacque e io feci lo stesso, rimanendo a fissarci per un tempo indefinito e difficile, quasi impossibile, da quantificare. Nessuno dei sue ebbe il coraggio di parlare perché eravamo entrambi consci che era tutto finito e che discutere, accusandoci l'un l'altro, sarebbe stato del tutto inutile. Nello sguardo di Dario lessi rancore, delusione, senso di colpa. E una buona dose di rassegnazione. Dopo anni l'amore l'aveva ritrovato ancora, ma aveva sprecato due frecce inutilmente per colpirci. Io e Dario non eravamo pronti per l'amore.
Quando il silenzio tra di noi diventò insopportabile ripresi a camminare con lo sguardo basso per non incrociare il suo, mentre gli dicevo addio tacitamente. Dario rimase fermo, anch'egli con lo sguardo basso e i pugni stretti lungo i fianchi. Gli passai accanto, il mio braccio sfiorò il suo e il suo calore mi invase per l'ultima volta che tutta la sua potenza. Non mi voltai, non avevo il coraggio di guardare indietro e rischiare di vederlo ancora. Per cui uscii speditamente dal cancello e, quando fui abbastanza lontana dalla villa dei Vitrano, scoppiai a piangere.
Milano non sarebbe stato il cicatrizzante per la nostra ferita. Milano non mi avrebbe aiutata a rimettere insieme i pezzi della nostra relazione frantumato. Milano sarebbe stata solo e semplicemente la triste e nebbiosa Milano. Ed io ci sarei ritornata da sola.









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Se qualcuno se lo stesse chiedendo, no, non sono morta xD
Dopo mesi di silenzio sono ritornata! Mi dispiace per questo ritardo immenso, ma Dicembre, Gennaio e Febbraio li ho passati a disperarmi, a studiare tipo cinque libri per l'esame di anatomia e mi era praticamente impossibile perfino respirare! So che non ve ne fregherà un tubo, ma stare sui libri ore ed ore è servito a qualcosa. L'esame l'ho superato e, quindi, sono al terzo anno di medicina, olè! Per quanto riguarda Marzo...beh...diciamo che me la sono presa comoda per scriverlo questo capitolo. Avevo bisogno di un po' di riposo e di riordinare un po' le idee :D
Dopo questo breve riepilogo della mia intensa vita, parliamo del capitolo. Ebbene sì: è l'ultimo! Ci sarà un epilogo, ma la storia oramai è finita. Ed era così che doveva andare fin dall'inizio. Molte di voi credevano che ci sarebbe stato il lieto fine, invece la storia di Alice e Dario si è conclusa e nemmeno nel modo migliore. Mi sembrava inutile allungare ancora di più il brodo e scrivere capitoli interi in cui Alice si piangeva addosso per quello che aveva fatto, sarebbe stato alquanto noioso. E mi è sembrato anche inutile farli litigare. Urlarsi contro tutto il rancore e il disprezzo che provavano l'uno per l'altra in quel momento non avrebbe portato a nulla, se non ad un sacco di schiamazzi. Perciò, entrambi, hanno preferito dirsi addio così, tacitamente ed implicitamente, con solo uno sguardo che racchiudeva i sentimenti e tutte le parole che avrebbero voluto dirsi in quel momento.
Alcune di voi (o forse no?), sanno che io non amo molto i lieto fine. È già tanto che abbia scritto una commedia così "leggera". Diciamo che non è proprio il genere che piace a me. Preferisco di gran lunga le storie drammatiche. Da come si era svolta tutta la storia, probabilmente un lieto fine ci sarebbe stato bene con Dario ed Alice che soprassedevano al reciproco tradimento perché il loro amore è troppo grande per essere scalfito, con loro due che convolavano a giuste nozze e facevano un sacco di bambini. Però era alquanto inverosimile. Sono poche le persone che trovano nel loro primo amore l'uomo/la donna della loro vita e Alice non è una di queste. Per quanto io adori Dario ed Alice insieme e volessi vederli felici insieme per sempre, la rottura era necessaria. Come dice Alice, non sono pronti ad amare: lei ha appena cominciato a vivere, lui è ancora troppo intimorito dai sentimenti per lasciarsi andare.
Ci sarebbero ancora moltissime cose da dire e troppe persone da ringraziere, per cui mi terrò il discorso di addio per l'epilogo, che cercherò di postare il prima possibile.
Ancora una volta grazie a tutte di cuore! 

E, anche questa volta, non manca la pubblicità:

Come in un Sogno - con IoNarrante
»Melancholia
- dovrebbe essere una pagina autore, ma per ora è ancora inattiva. Aspettavo che ci fosse un po' di vita per spoiler, fotografie ed anticipazioni sulle nuove storie che mi ronzano in testa :D
Crudelie si nasce - gruppo Facebook, per fare quattro chiacchiere e ridere tra di noi.

Alla prossima con l'epilogo e i vari ringraziamenti :D
Un bacione, Manu ♥

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Capitolo 29
*** Epilogo - Love is a losing game ***


Epilogo

Love is a losing game

betato da nes_sie

 

Odiavo gli ascensori, soprattutto quelli lenti che mi facevano marcire di fronte alle loro porte metalliche, nella vana attesa che si aprissero. Guardai l’ora sul mio Blackberry ed imprecai a denti stretti. Erano già dieci minuti che avevo prenotato quell’aggeggio infernale e non c’erano segnali di vita da parte sua. Non che avessi qualche appuntamento, ma l’attesa era sempre stata snervante per me, in qualunque caso, dall’attendere le ore che una donna si presentasse ad un appuntamento, al caricamento “lumaca” dei film in streaming.
Mi guardai intorno, circospetto, e quando notai che nessuno mi stava fissando, tirai un calcio contro le porte metalliche. Non che quello avrebbe accelerato la corsa del trabiccolo, ma almeno mi ero sfogato. Il tonfo, però, aveva fatto sobbalzare qualche segretaria e addetto ai suoni che passavano da quelle parti, che mi guardarono straniti e con un’espressione di rimprovero. Sfoggiai un sorriso di sbieco, la mia arma infallibile, il mio cavallo di battaglia brevettato in anni ed anni della mia carriera di latin lover. Le donne si sciolsero davanti al mio sguardo, gli uomini mi mandarono a cagare con un gesto della mano. Avevo come l’impressione di non essere loro molto simpatico e di certo io non avevo mai fatto nulla per apparire come tale. La simpatia era un gene mancante nel mio DNA, purtroppo.
L’ascensore finalmente arrivò, dopo circa un quarto d’ora che ero rimasto a fare le ragnatele di fronte a lui. Salutai rapidamente e con un sorriso la gente che c’era e mi appoggiai allo specchio, in attesa che quello shuttle giungesse al piano interrato. Mi passai indice e pollice sugli occhi, poi una mano sul mento liscio. Era da qualche mese che avevo smesso di farmi crescere la barba e mi mancava parecchio. Così sembravo un adolescente glabro impaziente di entrare nella pubertà.

Contro le mie aspettative, lo shuttle giunse senza troppi intoppi e con velocità al piano interrato. Raggiunsi la mia Mito e mi immisi tra le strade scure di Milano. La riunione del giorno era durata più del previsto ed erano già le sette passate.
Appena imboccai una strada abbastanza libera, premetti sull’acceleratore e permisi all’adrenalina e all’eccitazione di invadere le mie vene, il mio corpo ed inebriarmi i sensi. Superare i cento chilometri all’ora era quasi come avere un orgasmo. Quasi, ovviamente. Evitai qualche macchina, improvvisando alcuni sorpassi pericolosi e beccandomi qualche vaffanculo e un sacco di suonate di clacson. Il bello di correre in macchina era anche fare perdere le staffe ai poveri automobilisti. Mi divertiva vederli infuriati e urlare come delle scimmie contro di me, appellandomi in qualsiasi modo poco gentile.
Quando parcheggiai e spensi il motore, tutto il mio entusiasmo si smorzò. Fu come essere svuotato di qualsiasi gioia, essere catapultato nuovamente nella grigia realtà che vivevo. Salii verso il mio appartamento piano e con la stessa lentezza aprii la porta. Il buio e la solitudine mi diedero il benvenuto, quasi come fossero loro i padroni di casa. In fondo eravamo coinquilini da un anno, ormai. Dopo la fine della storia con Alice, era tornato tutto come prima. Ero solo in una città che non mi apparteneva e le mie lenzuola erano state riscaldate da donne di cui conoscevo a malapena il nome. Facevo sesso perché alleviava il mio dolore. Facevo sesso per dimenticare che ero solo. Facevo sesso e basta. L’amore era un gioco troppo complicato per me. Avevo più volte cercato di capirne le regole, ma ancora mi erano sconosciute. Ed intanto mi aveva inflitto due sonore sconfitte, una più dolorosa dell’altra, e ora rideva di Dario Vitrano, di quel povero sfigato che si era fatto prendere per il culo così facilmente e che ancora tentava di districarsi tra i suoi fili ingarbugliati. Perché, che lo volessi o meno, ero ancora innamorato di Alice a distanza di un anno. Avevo provato a dimenticarla, avevo provato ad innamorarmi di qualcun altro, ma le mie relazioni duravano qualche mese e fallivano miseramente per colpa mia. Alice riempiva ancora la mie mente e il mio cuore, il sangue mi ustionava le vene ogni qualvolta la pensassi e la gelosia mi logorava da dentro quando la immaginavo tra le braccia di un altro. Se avessi potuto, avrei dato tutto pur di tornare indietro nel tempo e sistemare le cose. Ma era impossibile, purtroppo.
Mi tolsi il maglione e lo buttai sul divano, poi mi lasciai cadere stancamente sullo stesso. Tenni gli occhi chiusi per qualche secondo, poi ascoltai i messaggi lasciati sulla segreteria.

«Ciao, tesoro,» storsi il naso nel sentire la voce di Sabrina, la ragazza con cui mi stavo frequentando da due mesi e mezzo, «ho voglia di vederti, di stringerti, di baciarti. Appena senti questo messaggio richiamami. Ho bisogno di te.»
Ci fu un tintinnio, poi la voce registrata della segreteria mi informò di un altro messaggio ricevuto il 17-novembre-alle-ore-diciassette-e-quarantadue-minuti.
«Ehi, fratè! Nun te fai più sentì! Che, sei morto? Se nun rispondi entro domani chiamo la polizia e pure il CSI! Damme un segno e ‘na risposta soprattutto. Ciao, coglione!»
Sorrisi e cancellai entrambi i messaggi.
Tornare a Roma avrebbe significato risvegliare tutti i ricordi che avevo cercato di assopire in quell’ultimo anno. Subito dopo essermi lasciato con Alice, avevo fatto la valigia e me n’ero andato, salutando la mia amata Consuelo e lasciando qualche riga a mio padre, l’unico che aveva sempre dimostrato un po’ d’affetto nei miei confronti. Il dolore per aver perduto Alice era stato talmente tanto che non avevo avuto nemmeno la forza di prendere a pugni mio fratello. Ci eravamo solo guardati quando stavo fuggendo da Roma ancora una volta e mi ero stupito dello sguardo di Mauro. I suoi occhi avevano perso la loro caratteristica freddezza e quasi pensai che fosse dispiaciuto. Respirai a fondo e mi passai una mano tra i capelli, appoggiando i gomiti alle ginocchia. Pensai a lungo, guardando la parete davanti a me. Erano passati circa una ventina di minuti quando presi finalmente la mia decisione.
Avevo, dunque, un paio di cose in sospeso da sistemare, sia con Sabrina che con Adriano. Chiamai prima la mia ragazza, anche se tale non era ancora e, dopo quasi mezz’ora di moine da parte sua, la invitai a casa mia. Non se lo fece ripetere due volte e dopo una ventina di minuti era già attaccata al citofono a suonare come una pazza. Indossai velocemente il maglione e la feci salire. Mi abbracciò e mi baciò a fior di labbra, stringendomi poi le mani e guardandomi dritto negli occhi con i suoi grandi color nocciola.

«Hai già mangiato, tesoro?» chiese, togliendosi la giacca e appoggiandola sull’appendiabiti.
«No, non ancora,» risposi, con un sorriso stiracchiato e quasi forzato.
«Ti preparo qualcosa di veloce? Oppure ordiniamo una pizza?» mi domandò, accarezzandomi il viso con entrambe le mani.
Scossi la testa e la presi per mano, conducendola verso il divano. Ci sedemmo uno accanto all’altra e la sua stretta, così come il suo sorriso, si fecero più intensi.
«Devi mangiare qualcosa,» disse apprensiva.
«Dopo mangio, prima però devo dirti una cosa,» risposi serio e lei si illuminò.
«Anche io,» mormorò.
Si avventò su di me e mi baciò con foga, affondando una mano tra i miei capelli mentre con l’altra esplorò, per l’ennesima volta, il mio corpo sotto il maglione. Dapprima ricambiai quel bacio, ma subito la mia passione si spense. Era ingiusto continuare ad ingannarla e scoparmela solo per il gusto di appagarmi. Ero stufo del sesso senza cuore e soprattutto non volevo ridurmi agli infimi livelli raggiunti l’anno precedente. Anche se l’amore aveva una sorta di antipatia verso di me, c’era sempre la speranza di potergli far cambiare idea. Ero riuscito ad acciuffarlo quando meno me l’aspettavo, quando ero solo un poveraccio che si prostituiva e che aveva anche rinunciato a cercare di dare una nota positiva alla sua vita.
Spinsi via Sabrina da me e non ebbi nemmeno il coraggio di guardarla negli occhi per leggervi dentro la perplessità di quel mio gesto. Solitamente ero sempre io quello la spogliava per primo e che fremeva per poter avere il suo corpo morbido e dannatamente eccitante.
«Scusa, Sabri,» bisbigliai.
«Non ti senti bene?» chiese e mi prese il volto tra le mani.
Mi dispiaceva doverla scaricare, così come avevo fatto con tutte le altre. Sabrina era una brava ragazza. Intelligente, solare e sempre ben disposta verso gli altri. Un po’ troppo apprensiva e appiccicaticcia, ma di sicuro la fidanzata ideale.
«Ho deciso di partite per Roma,» le dissi con un filo di voce.
«Vai a trovare i tuoi genitori?» domandò con un pizzico di dubbio nella voce.
Sabrina non sapeva nulla di me, se non che fossi di Roma solo perché il mio accento mi aveva tradito più di una volta. Credeva che mi fossi trasferito là per lavoro e non aveva idea che io fossi scappato da Roma quando avevo appena diciotto anni, pur di allontanarmi dalla mia odiata famiglia. Non le avevo mai raccontato nulla, non avevo mai voluto che lei entrasse a far parte del mio mondo e non avevo mai condiviso la mia sofferenza con lei. Solo con Alice avevo avuto il coraggio di sfogare tutta la mia frustrazione e ancora non avevo trovato nessuno che potesse condividere con me il mio passato.
Sorrisi e scossi la testa.
«Ho deciso di trasferirmi lì.»
Era strano da dire. Avevo sempre detto a me stesso che non sarei mai più tornato a Roma. Ma ne sentivo la nostalgia. Sapevo di appartenerle, così come lei apparteneva a me. Roma era stata la madre che non avevo mai avuto. Mi aveva visto piangere, rannicchiato in qualche via poco illuminata e mi aveva consolato con la sua luminosa e rara bellezza. Una passeggiata tra le sue strade era sufficiente per farmi smettere di piangere e farmi sorridere, anche se solo per pochi istanti. Milano, invece, non mi era mai appartenuta. Avevo cercato di renderla mia per sei lunghi anni, ma la sua freddezza ed il suo distacco, il suo grigiore mi aveva allontanato sempre più da lei. L’unica persona che mi aveva tenuto legato a lei era stata Alice, l’unica che fosse stata in grado di farla sentire un po’ mia. Ma ora che lei non c’era più, era anche inutile rimanere lì. Così avevo accettato la proposta di Adriano di tornare nella mia meravigliosa città e di condividere l’appartamento con lui.
«Come?» alzò il tono della voce.
«Lì c’è Adriano, il mio migliore amico, la mia squadra di calcetto, la mia vita,» risposi. C’era anche la mia famiglia, ma avrei fatto di tutto pur di star lontano da loro. «Qui non ho nessuno. I miei colleghi sono tutti famosi ed io mi sento un pesce fuor d’acqua tra di loro…»
«Ci sono io, qui!» sbraitò stizzita, scattando in piedi. «Non conto niente, io?»
«Sabri, mi dispiace. Non volevo dire che tu non conti nulla…»
«Me lo hai fatto capire, non ti preoccupare!» urlò di nuovo.
Indossò la giacca, togliendosi i capelli dal colletto con furia. Mi alzai e cercai di fermarla. Era mia intenzione chiudere quella relazione, ma non farla piangere. Vedere una donna in lacrime, per colpa mia, era sempre una tortura. Ne erano state versate troppe e io non le meritavo.
«Sabrina…» la richiamai.
Lei si voltò di scatto, con gli occhi lucidi e un dito puntato contro di me; tremava per la rabbia e tentai di abbracciarla per consolarla, ma lei non mi fece avvicinare.
«Stammi lontano, Dario,» urlò con la voce rotta dal pianto. «Perché? Perché mi devo innamorare sempre degli stronzi?»
La sua domanda echeggiò nella mia casa, anche dopo che Sabrina ebbe sbattuta la porta alle sue spalle. Mi passai una mano sul viso e sospirai rumorosamente. Non mi sarei mai aspettato che Sabrina si fosse innamorata di me. Erano solo due mesi che ci frequentavamo e lei non sapeva nemmeno chi fosse Dario in realtà. Aveva visto solo una parte di me, non il Moro. Lui era morto e sepolto dalla litigata che avevo avuto con Alice a Roma. Le avevo mostrato solo il lato forte del mio carattere, nascondendo in una parte del mio animo la mia fragilità di cristallo già fin troppo incrinata. Forse, se avessi cercato di far venire fuori questo lato di me senza paura, sarei stato in grado di giocare ad armi pari con l'amore. Mi stravaccai sul divano e non riuscii a trattenere un sorriso spontaneo. Tutto sommato, mi era mancato sentirmi dare dello stronzo.

 Attesi che Radio Deejay accettasse la mia proposta di trasferimento alla sede di Roma per partire per la mia città natale. Il ventiquattro Ottobre ero pronto a lasciare la casa che mi aveva accolto per quasi sei anni. Mi dispiaceva dovermi chiudere la porta di quell'appartamento alle spalle. Era come se stessi dicendo addio ai momenti vissuti con Alice lì dentro. Diedi un'ultima rapida occhiata al salotto, al divano dove si era consumata la nostra passione per la prima volta e strinsi istintivamente la maniglia della porta, scosso. Rimasi paralizzato lì, davanti alla porta, per un tempo che mi parve infinito e mi decisi a chiudere la porta. Caricai la macchina con le valigie e riconsegnai le chiavi dell'appartamento affittato al proprietario della casa, che viveva sopra di me. Era un signore anziano, molto carino e cortese, con gli occhi azzurri ingranditi dai fondi di bottiglia che aveva come occhiali. Sembrava uscito dal cartone animato Up.
«Fa buon viaggio, Daniele,» mi disse stringendomi forte.
Lo ringraziai, senza correggerlo. Avevo tentato più di una volta di inculcargli in quella testa canuta che il mio nome fosse Dario, ma senza successo.
Montai in macchina e, con la radio sintonizzato su un canale a caso, mi diressi verso l'autostrada che mi avrebbe fatto lasciare Milano alle spalle per sempre, che mi avrebbe fatto abbandonare Alice per sempre. Appena avessi imboccato l'autostrada, avrei dovuto dirle addio davvero. Fino ad allora avevo sempre nutrito una piccola speranza di incontrarla di nuovo. Il destino ci aveva fatto ritrovare al Limelight, perché non avrebbe potuto fare un'altra pazzia e concederci un'altra possibilità? Non era stato così, però. Per un anno intero avevo cercato il suo volto in quello delle estranee, senza trovarlo. Strinsi con forza il volante della macchina e feci una pazzia. Se il destino non mi aveva dato nessun'altra occasione per rivederla, me la sarei presa da solo. Feci inversione ad U, rischiando di creare un incidente di proporzioni cosmiche. Per fortuna gli automobilisti che venivano nel senso contrario avevano avuto i riflessi per frenare e non venirmi addosso. Alzai una mano in segno di scusa e pigiai l'acceleratore più che potevo. Ero stato un imbecille e volevo rimediare finché ero in tempo. L'avevo lasciata scappare senza muovere nemmeno un dito, senza nemmeno chiarire. Non che ci fosse molto di cui discutere, visto quello che avevamo fatto. Ma ormai avevo seppellito il suo tradimento con Mauro, lo avevo digerito, anche se con parecchie difficoltà, e ora volevo solo lei. Speravo che anche lei avesse messo una pietra sopra a quello che avevo fatto con Sole e che, vedendomi ritornare da lei dopo un anno, le avrebbe fatto capire quanto l'amassi e quanto la volessi. E se mi avesse chiesto di non tornare a Roma, non l'avrei fatto, anche se avevo già richiesto il trasferimento, anche se avrei dato un dispiacere ad Adriano.
Arrivai al paese ed accostai distante qualche metro rispetto al portone del suo condominio. Lei era sul marciapiede proprio in quel momento. Aveva le cuffiette nelle orecchie e il cellulare tra la mani. Indossava un cappotto rosso e un basco dello stesso colore. Sorrisi e mi vene la tentazione di scendere di corsa dalla macchina e raggiungerla per stringerla tra le mie braccia. Ma repressi il mio istinto ed attesi, non volevo spaventarla. Alice attraversò la strada distrattamente e si diresse verso il parco, sparendo dietro qualche albero. Scesi dalla macchina e la chiusi mentre correvo per raggiungerla. Arrivai al vialetto che si immetteva nel parchetto e mi guardai intorno. Si era seduta su una panchina e si era tolta il basco, ravvivandosi i capelli. Mi avvicinai a lei lentamente, ma mi immobilizzai quando la vidi alzarsi e gettarsi tra le braccia di un ragazzo a me sconosciuto. Non mi soffermai sulla sua fisionomia, ma sul bacio che si scambiarono subito dopo. Mi ero illuso di poterla avere di nuovo, di poterla amare di nuovo. Se il destino non mi aveva dato nessuna possibilità, significava che ormai avevo sprecato tutte le mie chance e che non ne meritavo più. Affondai le mani nelle tasche del giubbotto e rimasi a guardarli. Alice sembrava felice, l'importante era quello. Era un boccone amaro, difficile da mandare giù, ma avrei dovuto farlo, avrei dovuto ingoiare quella delusione così come avevo fatto con tutte le altre innumerevoli che avevo ingurgitato.
D'un tratto, Alice sollevò lo sguardo dal suo nuovo amore ed incontrò i miei occhi. Il suo viso s'incupì ed io le rivolsi un sorriso. Sollevai una mano e la sventolai, dicendole di nuovo addio con una morsa al cuore che lo stava divorando. Lei non era più la mia piccola. Era la piccola di qualcun altro.

 

Il professor Perri stava parlando da circa un'ora di storia contemporanea e il mio cervello aveva deciso di staccare la spina. Già di per sé, la materia era abbastanza noiosa, in più si aggiungeva la voce soporifera del professore che conciliava il sonno fin troppo bene. Dopo mesi di indecisione, alla fine avevo deciso di iscrivermi alla facoltà di Lingue e letteratura straniere. Un diploma di liceo scientifico non mi aveva aiutata granché durante le prime lezioni del corso, ma la mia passione per la lingua francese mi aveva spinto ad iscrivermi, nonostante tutto. Galeotta fu la vacanza a Parigi con Federico, avvenuta a settembre dell'anno prima. Mi ero lasciata con Dario da neppure due mesi e il mio cuore era in frantumi, ridotto ad un ammasso di polvere pronto a disperdersi nell'aria con una debole sferzata di vento. Federico si era presentato a casa mia due settimane prima del volo, con due biglietti aerei per Parigi.
«Non dovevi andare con Cristina?» gli chiesi subito, stupita e dubbiosa al tempo stesso.
Lui si era stretto nelle spalle e si era scompigliato i capelli biondi. Aveva esitato, poi aveva stiracchiato un sorriso non del tutto gioioso.
«Mi ha lasciato,» mi aveva risposto. «Ieri. Ha detto che siamo troppo diversi e che si era stancata di dover sopprimere la sua personalità per me.»
Gli avevo accarezzato una guancia, poi lo avevo stretto a me. Avevo dubitato fin da subito della loro relazione. Conoscevo fin troppo bene Federico e sapevo che Cristina era il suo completo opposto. Lui era il giorno, lei la notte. Si rincorrevano, senza però incontrarsi mai. Mi era dispiaciuto vederlo così abbattuto ed accettai quell'invito, anche per cercare di dimenticare Dario. Non ci ero riuscita, ma mi ero goduta una settimana in una delle città più belle d'Europa, condividendo il mio tempo con il mio migliore amico. Avevo sentito la necessità di trascorrere qualche giorno con lui, solo noi due e basta, senza fidanzati gelosi di mezzo, senza scazzottate, senza incomprensioni. Quella settimana, da soli, aveva rafforzato ancora di più il nostro rapporto e ormai non potevo più fare a meno di lui, dei suoi consigli e delle sue battute senza il minimo senso dello humor, che, tutto sommato, riuscivano a strapparmi un sorriso.
Quando eravamo stati sulla Tour Eiffel, Federico mi aveva confessato che era stato difficile per lui dimenticarmi. Si era veramente innamorato di me e non aveva mai sopportato vedermi tra le braccia di Dario, non perché lui fosse uno stronzo, ma solo per una profonda ed insana gelosia. Aveva rimpianto il fatto di avermi lasciata andare quel giorno al lago, quando l'avevo baciato e aveva sofferto nei giorni a seguire più di quanto io potessi immaginare. Gli avevo spezzato il cuore e lo avevo calpestato ripetutamente senza nemmeno rendermene conto. Avevo appoggiato la testa sulla sua spalla e lui mi aveva cinto un fianco con un braccio, stringendomi a lui.
«Mi ami ancora?» gli avevo domandato, mentre il mio sguardo era perso verso la Senna e la città che si mostrava in tutta la sua incantevole bellezza.
«Il primo amore non si scorda mai,» mi aveva risposto con un filo di voce. «Ma ho sempre saputo che tu non saresti mai potuta essere mia e me ne sono fatto una ragione. È stato complicato, all'inizio, ma ora sto bene. Sono felice di essere il tuo migliore amico.» Mi avevo sorriso, guardandomi negli occhi.
«Scusa se ti ho fatto del male. Non volevo,» gli avevo detto con rammarico e lui mi aveva abbracciato ancora più forte, tranquillizzandomi.
Per l’ennesima volta, avevamo chiarito le cose tra di noi. Quello che ci legava era solo un’amicizia, una stupenda amicizia, il mio tesoro più grande.
Sfogliai pigramente le foto di Parigi sul mio computer portatile – che se non fossi stata troppo assonnata ed annoiata sarebbe dovuto servire per prendere appunti – e ricordai tutto ciò che era successo in quella città. Sorrisi e chiusi la cartella delle fotografie delle vacanze, ritrovandomi davanti il mio sfondo del desktop, la mia bellissima nipotina Elisa. Aveva un cappellino rosa in testa e sorrideva alla macchina fotografica, mostrando le gengive ancora prive di denti. Fortunatamente, somigliava a sua madre e non a quello scimmione di mio fratello. Sarebbe stato un mostro, in tal caso.
Appoggiai la guancia al pugno e sospirai. Chi volevo prendere in giro? Criticavo sempre mio fratello, ma ora che non era più a casa con me sentivo la sua mancanza. Mi mancava sentirlo sbraitare per ogni minima cosa, mi mancava sentire le sue ciabatte strascicare pesantemente sul pavimento, mi mancavano i poveri panini che mi preparava per pranzo. Dopo il matrimonio, avvenuto quell’estate, Smell si era trasferito a casa di Claudia. Non era stato per nulla contento di dover condividere la casa con i suoceri. Avrebbe voluto godersi sua moglie e sua figlia senza l’impiccio dei signori Faustini. Ma aveva da poco un lavoro fisso in farmacia ed era necessario che, prima di comprare una casa tutta per sé, mettesse da parte un po’ di soldi per avere un minimo di stabilità economica. Per cui aveva dovuto accettare a malincuore quella sistemazione temporanea.
Riuscii a recuperare un pizzico d’attenzione proprio quando Perri stava anticipando gli argomenti della lezione del giorno successiva. Mi riscossi dal mio torpore e mi sorpresi di vedere che fosse già passata un’ora senza che me ne accorgessi. Spensi il computer e sistemai la borsa per sgattaiolare subito via.

«Ehi, Alice, aspettami!»
Mi voltai di scatto e Luca mi corse incontro. Si sistemò la tracolla dell'Eastpack, che gli era scivolata lungo la spalla spiovente e gli occhiali Rayban dalla montatura nera.
«Volevi andartene senza di me?» chiese con un sorriso.
«No, scusa. È che sono ancora assonnata per la lezione di Perri,» mi giustificai.
Luca era uno dei pochi ragazzi con cui avevo fatto amicizia, dopo esserci incontrati alla fermata dell'autobus fuori dalla metropolitana di San Donato. Abitavamo nello stesso paese, così avevamo iniziato a fare la strada insieme sia all'andata che al ritorno.
«Pensavo di essere l'unico a non reggere quell'uomo,» ridacchiò, mentre ci avviavamo verso la metropolitana.
Luca si schiarì la voce un paio di volte, passandosi nervosamente una mano tra i capelli castani. Sembrava nervoso ed imbarazzato, ma non ci badai molto. Continuai a parlare di quanto noioso fosse Perri e la storia contemporanea e Luca annuiva, poco convinto, forse annoiato dai miei discorsi senza senso e troppo ripetitivi. Parlare, però, mi aiutava a spezzare l'imbarazzo che si era instaurato tra di noi, senza alcun motivo apparente.
Dopo aver macinato un bel po' di metri, raggiungemmo finalmente la fermata di piazza Piola della metropolitana.
«Tutti questi metri per una pigrona come me sono una tortura!» osservai, ridacchiando e sperai che anche Luca si sciogliesse un po', ma era sempre più assente. «C'è qualcosa che non va?» gli chiesi, preoccupata.
Lui sembrò soppesare le mie parole per un lungo periodo di tempo. Rimase in silenzio finché non salimmo sul vagone. I suoi occhi blu si posarono sui miei, sostennero il mio sguardo confuso e, quando mi strinse la mano con la sua un po' paffuta, il mio cuore prese a battere troppo velocemente. Temevo quello che stava per accadere e se avessi potuto gettarmi giù da vagone lo avrei fatto.
«È difficile da dire,» cominciò e guardò verso l'alto, con una smorfia. «Da dove cominciare?» indugiò ancora, cosa che peggiorò ulteriormente la mia attività cardiaca. «Mi piacerebbe uscire con te, un giorno di questi,» trovò il coraggio di dire.
Si passò la lingua sulle labbra carnose e deglutì. Riuscii a vedere il suo pomo d'Adamo muoversi su e giù nervosamente, attraverso il lieve accenno di barba.
«Insomma. Tu mi piaci, Alice. Sei simpatica, sempre solare, un po' poco sveglia a volte...» mi lanciò un'occhiata divertita ed io lo fulminai con lo sguardo, «e bellissima. Non ho mai conosciuto nessuna come te.»
Quegli ultimi complimenti furono il colpo di grazia. Il viso cominciò a ribollire, le orecchie diventarono bollenti e le gambe molli come burro. Era da quando mi ero lasciata con Dario che un ragazzo non si avvicinava a me e mi dedicava parole così belle e spontanee. Cristina aveva sempre provato ad appiopparmi qualche suo amico, ma nessuno di loro mi era mai interessato particolarmente. Troppo bellocci per me. Troppo superficiali e troppo poco seri.
In realtà la verità era ben altra. Molti dei ragazzi che mi erano stati presentati erano interessanti e brillanti, ma nessuno di loro era Dario. Avevo sempre cercato nei loro occhi quelli di Dario, la stessa luminosità che avevano le sue iridi nere, le stesse emozioni che mi provocavano e quando mi accorgevo che nessuno di loro poteva essere come Dario, li lasciavo scappare. Più mi imponevo di dimenticarlo, più il mio cuore si rifiutava di farlo. Purtroppo lo amavo ancora e non sapevo per quanto tempo mi sarei crogiolata in quel sentimento finito ormai da un anno. Avevo sperato che il destino avesse potuto darci un ulteriore possibilità, che me lo avesse fatto incontrare ancora per poter mettere da parte i rancori e ricominciare tutto da capo, senza tutte quelle insicurezze che avevano distrutto il nostro rapporto. Ma avevamo sprecato il tempo a nostra disposizione e non si poteva tornare indietro.
«Bene, lo sapevo che sarei dovuto stare zitto!» esclamò d'un tratto Luca, riportandomi sulla terra. «Facciamo così. Fingi che io non ti abbia mai detto nulla. Anzi, dimenticalo e non ci pensiamo più, ok?» continuò nervoso, con un sorriso tremolante.
«No! Insomma, mi ha fatto piacere sentire quelle cose,» mi affrettai a rispondere. «Ma, vedi, sono appena uscita da una storia che si è conclusa male...»
«Non sapevo che avevi un ragazzo.»
«In realtà ci siamo lasciati l'anno scorso,» ammisi con un po' d'imbarazzo. «Però è stata una storia importante. Ci siamo amati davvero molto,» annuii ed ingoiai un magone che mi stringeva la gola, impedendomi quasi di respirare.
«Ma è passato così tanto! Smettila di torturarti pensando a lui.»
«Più che altro ho paura di rimanere ancora scottata,» era una mezza verità, perché in realtà Dario continuava ad essere il mio pensiero fisso.
«Capisco...» disse sovrappensiero.
La metropolitana si fermò in Stazione Centrale e scendemmo per poter raggiungere la linea  gialla. Luca si immobilizzò in prossimità delle scale mobili ed io lo presi per un braccio, cercando di trascinarlo su.
«Sbrigati, che prediamo la metro!» esclamai.
Lui puntellò i piedi per terra e scosse la testa.
«Io mi fermo qua. Un mio amico viene da Padova e lo aspetto in stazione,» disse mestamente.
Lo guardai negli occhi e vi lessi dentro tutta le delusione ed il rammarico per quello che avevo detto.
«Probabilmente non sono all'altezza del tuo ex...» disse, camminando all'indietro per poter rimanere fisso nel mio sguardo.
Ebbi la prontezza di scattare e di fermarlo prima che fosse troppo lontano. Quanti altri ragazzi avrei fatto scappare per colpa di Dario? Per quanto tempo avrei vissuto alla sua ombra, con la vana speranza che tornasse? Per quanto ancora doveva rovinare la mia vita?
Luca era un ragazzo splendido e anche estremamente carino. Se non fossi stata così tanto ossessionata da Dario, mi sarei sicuramente invaghita di lui.
Capii che non potevo continuare così, che dovevo finalmente andare avanti, chiudere finalmente con il mio passato e di riprendere la mia vita in mano. Ci guardammo negli occhi e gli sorrisi.
«Non è vero che non sei alla sua altezza,» gli dissi.
Mi sporsi verso di lui e lo baciai sulla guancia.
«Mi piacerebbe davvero uscire con te.»
Quella sera stessa uscimmo per la prima volta insieme e dopo una settimana ci scambiammo il nostro primo bacio. Dopo un anno, finalmente, avevo trovato il coraggio di lasciarmi tutto alle spalle e di buttarmi di nuovo in quel gioco meraviglioso e crudele al tempo stesso che era l’amore.

 

«Mamma! Dove sono i miei orecchini a forma di coccinella?» urlai dalla mia camera da letto, nervosa perché mia madre aveva messo tutto in ordine, spostando i miei oggetti.
Tra meno di dieci minuti dovevo incontrarmi con Luca al parco, per passare la serata insieme. Eravamo fidanzati da un mese ed era da tanto, troppo tempo che non mi sentivo così bene. Luca era riuscito a rendermi di nuovo felice.
«Li ho messi nella borsetta bianca, dentro al cassetto nell’armadio,» rispose.
Sbuffai e presi la maledetta borsetta in cui mia mamma aveva messo tutti i miei monili. Le collane erano intrecciate ai bracciali, gli orecchini incastrati tra loro. Era diventato tutto un enorme groviglio d’oro e di bigiotteria quasi impossibile da sbrogliare. Versai il contenuto della borsetta sul pavimento e cercai, nel nodo di fili dorati, i miei orecchini a forma di coccinella. Uno era incastrato lì in mezzo, tra una quantità indefinibile di collane e bracciali. Cominciai a sbrogliare il tutto, cercando di trattenere tutta la pazienza che possedessi. Già mi innervosiva dover sciogliere le cuffiette, figurarsi quel disastro.
Liberai qualche braccialetto e due collane. Una di quelle mi rimase in mano e la osservai un attimo prima di rimetterla nervosamente nella borsetta. Mi raggelai, con il braccio a mezz’aria quando vidi il ciondolo a forma di fata che pendeva dalla fine catenina d’oro bianco. Il mio cuore sussultò, il mio corpo tremò. Dario tornò prepotente ad invadere i miei ricordi proprio quando credevo di essere quasi riuscito a dimenticarlo. Luca era stato essenziale da quel punto di vista. Mi aveva ricoperto d’affetto, mi aveva fatto sentire di nuovo importante ed amata. Ed una parte del mio cuore era riempita totalmente da lui. Ma ciò che rimaneva apparteneva ancora a Dario e in quel momento voleva schizzarmi fuori dal petto. Tutto ciò che avevamo vissuto insieme cominciò a scorrermi davanti agli occhi come un meraviglioso film con un triste epilogo. Il giorno in cui ci eravamo lasciati, ero rimasta in stazione per circa sette ore in attesa che arrivasse il mio treno per Milano. Ero rimasta rannicchiata su una panchina tutto il tempo, piangendo, sotto lo sguardo stupito della gente. Il viaggio era stato troppo lungo ed ogni chilometro che mi allontanava da lui era una stilettata al cuore che allargava la ferita lasciata dal nostro tacito addio. Un taxi, poi, mi aveva riportata a casa dalla stazione e appena messo piede in casa mi ero accasciata tra le braccia di mia madre. Lei ebbe l’accortezza di non chiedermi nulla, immaginando già che cosa fosse successo. Tutt’ora non sapeva il motivo per cui io e Dario ci fossimo lasciati e non aveva voluto nemmeno saperlo. Erano stati giorni strazianti, in bilico tra la disperazione per la fine della nostra storia e la speranza che fosse tutto solo un incubo, che un giorno Dario sarebbe venuto a prendermi di nuovo fuori dalla scuola, che mi chiamasse e mi dicesse Ti amo ancora una volta.

Sentii gli occhi inumidirsi, ma non cedetti alle lacrime che volevano uscire copiose. Mi passai una mano sugli occhi per impedirmi di piangere. Mi ero ripromessa che non avrei più versato una lacrima per lui. Sarebbero state solo sprecate. Perché ormai era passato un anno ed era insano che io lo amassi ancora. Perché lui aveva sicuramente trovato un’altra ragazza d’amare più di quanto aveva fatto con me. Perché, sebbene il nostro fosse stato un sentimento impetuoso e travolgente, ormai si era concluso, anche se la fiamma dell’amore ancora mi bruciava dentro.
Lanciai la collanina dentro la borsetta, come se scottasse, insieme al resto dei gioielli. Richiusi la borsa e la rimisi dov’era. Presi velocemente il cappotto rosso dal letto e il basco dello stesso colore, uscendo dalla mia stanza.
«Non li hai trovati, gli orecchini?» mi domandò la mamma, vedendo i lobi delle orecchie liberi.
«Sì, ma è tardi e non voglio far attendere troppo Luca,» improvvisai.
«Stai bene, Alice?» notò la mia smorfia di dolore e mi appoggiò una mano sulla spalla, con un sorriso dolce.
«È tutto ok mamma, non ti preoccupare,» la rassicurai e le diedi un bacio sulla guancia.
Presi l’mp3 dal tavolino ed uscii di casa rapidamente per non dover dare troppe spiegazioni a mia madre e soprattutto per non pensare ancora a Dario. Lui doveva essere solo un lontano ricordo. Ora c’era Luca nella mia vita e non volevo che la nostra storia naufragasse miseramente per colpa di Dario.
Misi le cuffiette nelle orecchie e Tiziano Ferro riecheggiò nelle mie orecchie. Scesi le scale lentamente, mentre leggevo gli ultimi Sms ricevuti. Uno era della Vodafone che mi avvertiva con entusiasmo che mi avrebbero regalato cento minuti di chiamate gratis, mentre l’altro era di Claudia. Era solita aggiornarmi di ciò che faceva Elisa, come storpiare le parole e ciucciare il pollice di mio fratello, e della sua impossibile vita coniugale con Smell. Anche lei si era convinta che convivere con Raffaele fosse un inferno.
Attraversai alla strada, senza dare troppa attenzione alle macchine che passavano e raggiunsi il parco poco distante da là. Luca non c’era ancora, per cui mi sedetti su una panchina per aspettarlo. Mi sentivo in colpa nei suoi confronti, perché avevo pensato di nuovo a Dario e a quello che ancora sentivo per lui. Luca non meritava che io continuassi a crogiolarmi nel mio passato, per cui avrei dovuto sforzarmi ancora di più per godere della nostra storia appena nata.
Sobbalzai quando qualcuno mi pizzicò i fianchi. Mi voltai di scatto e mi ritrovai il sorriso dolce di Luca davanti agli occhi. Spensi l’mp3 e gli diedi un leggero schiaffo sul braccio.
«Mi hai fatto spaventare!» esclamai.
«Scusa,» mormorò.
Mi prese la mano e mi sollevò, cingendomi la schiena per avvicinarmi a lui. Appoggiai entrambe le mani sulle sue spalle e mi alzai un tantino sulle punte. Sfiorai le sue labbra carnose e la tensione accumulata negli ultimi minuti scemò grazie alla sua lingua delicata e al suo tocco sul mio corpo. Stavo bene tra le sue braccia e mi piaceva assaporare le sua bocca. I suoi baci erano maledettamente lenti, dolci ed erano in grado di sciogliere ogni muscolo del mio corpo. Mi piaceva stare con lui, mi piaceva Luca in sé e speravo che quell’affetto che provavo nei suoi confronti potesse trasformarsi in amore e che anche la parte del mio cuore che ancora apparteneva a Dario, potesse diventare di sua proprietà.
«Dove andiamo per festeggiare?» domandai, curiosa.
Lui finse di pensare, poi scrollò le spalle e si abbassò per baciarmi il collo. Cercai di sottrarmi, ridacchiando, ma mentre indietreggiavo i miei occhi incontrarono quelli neri di Dario. Era poco distante da noi e ci guardava con le mani affondate nelle tasche del giubbotto. Dapprima credetti fosse solo un’allucinazione, ma non era così. Dario era davvero lì e ora aveva alzato una mano e mi stava salutando, con un sorriso malinconico appena accennato. Si voltò per allontanarsi ed io spinsi delicatamente Luca lontano da me.
«Dario!» esclamai, correndo verso di lui. «Dario!» lo richiamai e questa volta si fermò, voltandosi appena verso di me.
«Ciao Alice,» mormorò.
Respirai a fondo e lo guardai come se potesse sparire da un momento all’altro. Avevo creduto che fosse impossibile di poterlo rivedere dopo così tanto tempo ed invece ci era stata concessa un’altra occasione per vederci.
«Cosa ci fai qua?» domandai.
Mi avvicinai a lui e gli sfiorai appena un braccio, ma ritrassi subito la mano perché quel contatto ancora faceva male.
«Volevo salutarti prima di partire per Roma,» rispose ed io sussultai a quella affermazione.
«Roma?» ripetei.
Lui annuì ed io rimasi attonita. Le mie orecchie si rifiutarono di credere a quello che avevo appena udito.
«Vado a vivere con Adriano,» aggiunse spicciolo poco dopo.
«Non puoi tornare a Roma! Che senso ha?»
Dario scrollò le spalle ed abbassò lo sguardo. Non rispose alla mia domanda, alle mille preoccupazioni che ora albergavano nella mia mente. A Roma aveva passato tutta la sua adolescenza infelice, quella che poi era stata la rovina della sua vita e la causa della sua insicurezza, della sua fragilità. Tornò a guardarmi con un sorriso ed indicò Luca con il mento, che era rimasto qualche metro dietro di noi.
«Carino il nuovo fidanzato,» disse senza malizia. «Sono felice che tu sia riuscita a voltare pagina.»
Capii che il discorso Roma era stato archiviato ben prima che venisse fuori. Anche se avessi continuato a torturarlo di domande, non avrebbe mai ceduto ed anzi sarebbe scappato via scocciato. Con un po’ di amarezza, annuii e sorrisi, lanciando uno sguardo a Luca a mia volta.
«E tu? Hai voltato pagina?» gli chiesi.
«Roma sarà un buon inizio,» rispose con le labbra stiracchiate in un sorriso.
Ci guardammo finalmente occhi negli occhi e per l’ultima volta provai la sensazione di affogarci dentro e rimanervi intrappolata. Lì dentro sarebbe rimasta per sempre una parte della mia anima, catturata dall’intensità del nero dei suoi occhi. Dario sospirò rumorosamente e lanciò un’altra occhiata a Luce.
«Ti lascio al tuo cavaliere,» mormorò. «Addio, Alice.»
Si avvicinò a me e mi strinse. Appoggiò le sue labbra sulla mia fronte in un delicato e dolce bacio d’addio. Era sempre più doloroso sentire quella parola, perché forse detta a voce era come un brutto incubo che si concretizzava. Lacrime lente e solitarie cominciarono a bagnarmi le guance mentre Dario si allontanava da me, questa volta per sempre.
«Addio,» sussurrai, senza che lui mi sentisse.
Luca mi si affiancò, mi strinse la spalla e mi guardò dubbioso e preoccupato.
«Chi era quello?» mi domandò, sospettoso. Immaginavo che sapesse già la risposta, ma io mi limitai a voltarmi verso di lui e sorridergli. Mi asciugai velocemente il viso e lo baciai a fior di labbra.
«Un capitolo chiuso della mia vita.»












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E qui possiamo mettere la parola Fine a Il meraviglioso mondo di Alice, dopo un anno e un mese dalla pubblicazione del prologo.
Due sentimenti opposti, ora, stanno combattendo dentro di me: da un lato sono felice di aver portato a termine un progetto e di potermi dedicare ad altro, dall'altra, però, so già che questa storia mi mancherà. Soprattutto Dario perché è il personaggio che più amo di questa storia. E infatti gli ho dedicato un POV in questo epilogo.

Sia Dario che Alice non sono riusciti a dimenticarsi a vicenda, seppur tutti gli sforzi. Il loro amore, anche se durato poco,è stato davvero intenso ed è difficile archiviare la cosa con semplicità. Entrambi, però, hanno cercato di andare a vanti senza l'altro, di trovare nuove persone di cui innamorarsi e con cui condividere la propria vita. Hanno avuto tutti e due la speranza di incontrarsi di nuovo e chiarire, magario passare sopra ai propri errori. Quando Dario si era finalmente deciso ad andare a cercare Alice, era però troppo tardi. In fondo non si cancella tutta la sofferenza e, soprattutto, è inutile farsi monopolizzare la vita e i pensieri da una persona con cui non si ha più un rapporto. Roma sarà il nuovo inizio di Dario, da lì ricomincerà la sua vita ancora una volta, insieme ai suoi amici e chiassà che non trovi finalmente la persona giusta per sè.

È passato davvero molto tempo da quando ho pubblicato questa storia e, a dire il vero, non mi aspettavo granché. Era una storiella senza pretese, nata in una sera di Marzo mentre, stremata, me ne tornavo a casa dall'Università. Mai mi sarei aspettata di poter avere tale riscontro! Il vostro calore e le vostre parole mi hanno sempre spronato ad andare avanti a scrivere di Alice e Dario. Spesso ho anche deluso le vostre aspettative e un po' me ne dispiaccio. A volte la storia è scaduta nel banale, altre volte ho  esagerato con le scene piccanti, discostandomi parecchio da quello che avevo in mente originariamente. Ma ad un certo punto ho perso il controllo della situazione e, beh, questo è il risultato. Non uno dei migliori, anzi! Ma penso che sia un buon inizio, soprattutto per migliormi e migliorare le storie che pubblicherò in futuro. Le critiche ricevute mi hanno fatto aprire gli occhi tante volte (anche se magari all'inizio ho rispostoun po' sgarbatamente) e mi sono ritrovata spesso a pensare di aver fatto tantissimi errori, ma ormai era troppo tardi per rimediare. 
Nonostante tutto, i personaggi di questa storia mi hanno divertita e mi hanno fatto sognare, almeno per un po'. Li ho amati tutti, dal primo all'ultimo, da quello stronzo di Davide al tassista che ha riportato un'Alice piangente a cas di Dario.Tutti, in un modo o nell'altra mi hanno regalato una piccola emozione. Spero vivamente di avre fatto emozionare anche voi, di essere riuscita a trasmettervi qualcosa con le mie parole :)

Vi ringrazio dal più profondo del cuore. Grazie per esserci state, grazie di aver perso qualche minuto del vostro tempo per recensire la storia, grazie per avermi criticata, grazie del vostro sostegno e grazie per ogni piccola cosa che avete fatto per me. Un abbraccio virtuale a tutte voi che ci siete sempre state, che siete arrivate in corsa.

Un GRAZIE specialissimo va però alle mie amate Crudelie, che ci sono sempre state e mi hanno sempre sostenuta, anche quando non  lo meritavo. Grazie a Martina (IoNarrante) e a Venera (nes_sie)Starmi dietro non è facile, anzi è alquanto difficile, per colpa del mio carattere lunatico e alquanto strambo che odio io stessa. Grazie di tutto quello che avete fatto per me ♥

 Credo di aver detto tutto oppure me lo sono scordato e mi tornerà in mente quello che volevo dire dopo aver pubblicato il capitolo ^^"

Ma non credete di potervi liberare di me! Perché anche se Alice è conclusa, sto già lavorando ad una nuova Originale. La amo, molto più di questa e spero che, quando la pubblicherò, possiate apprezzarla come sto facendo io.

Un bacio immenso ad ognuna di voi, alla prossima ♥

 

 

 

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