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Da poco, forse meno di mezzora, ma la pioggia che le colpiva
la pelle, fredda e violenta, le faceva pesare quella fuga il doppio di quanto
sarebbe pesata normalmente.
La visuale era ridotta, rendendo l’orizzonte davanti a lei
cupo e confuso, proprio come la percezione del suo futuro in quel momento.
Improvvisamente, la sagoma di un piccolo edificio si fece
spazio fra la foschia umida, e Sakura tirò un sospiro di sollievo: finalmente
aveva raggiunto la piccola stazione del suo paesello, la porta verso la
libertà, verso una nuova vita; la chiave per voltare pagina una volta per
tutte.
Si avvicinò alla biglietteria, bagnata fradicia,
guadagnandosi un’occhiataccia perplessa da parte dell’impiegata.
-“Sì?”- domandò quella, scrutando la ragazza dai capelli
rosa tremante di fronte a sé.
-“Un biglietto…”-
-“Per dove?”-
-“…la stazione più lontana?”-
-“Beh signorina, da questa stazione è già tanto se raggiunge
la città: da lì avrà treni per ogni destinazione.”- spiegò la donna, masticando
rozzamente un chewing-gum, mentre scrutava curiosamente quella strana ragazzina
dall’aria spaesata.
-“Va bene, un biglietto per la città, allora.”- concluse
Sakura, con un profondo sospiro di rassegnazione.
Inspirò a fondo e si avventurò sui binari, riparandosi sotto
la piccola tettoia al di fuori della stazione.
Si strinse nel suo cappottino striminzito e fradicio,
cercando – inutilmente – di riscaldarsi. Tremava come una foglia, e i denti le
battevano contro la sua volontà, mentre gli occhi iniziavano a pizzicarle per
via del freddo e dell’angoscia.
Quella giornata fredda, uggiosa e piovosa era proprio
l’ultima cosa che le serviva. L’unica cosa positiva era che tutti erano chiusi
in casa e nessuno si sarebbe accorto della sua folle corsa.
Era scappata di casa da meno di un’ora, e già stava
soffrendo per quella fuga.
Ma doveva farsi forza, ormai era in ballo e doveva ballare –
anche se portarsi dietro un ombrello sarebbe stata una bella idea, ma come
sempre doveva fare la parte dell’eroina di b-movie.
Come se il freddo non fosse abbastanza insopportabile di
suo, il tabellone del treno si illuminò, rivelando ben dieci minuti di ritardo.
Sakura sbuffò pesantemente, chiudendo gli occhi e piegando
le labbra in un broncio sofferto, deterrente delle lacrime che la imploravano
di fuoriuscire.
La ragazza scosse la testa con forza, dissuadendo se stessa
dall’idea di tornare a casa e mollare quell’impresa; e, come se fossero passati
solo pochi secondi, lo schiaffo che Tsunade le aveva
mollato in pieno viso qualche ora prima prese a pulsare nuovamente, con forza
rinnovata e forse più dolorosamente di prima. E poi tutta quell’altra serie di
ricordi, che non c’entravano nulla con quella sberla, ma che la sofferenza
aveva richiamato nella mente della ragazza per ricordarle che sì, doveva
scappare.
Ed improvvisamente, unbagliore accecante colpì le iridi smeraldine di Sakura, portandola a
scostare lo sguardo immediatamente, infastidito.
Incuriosita, la ragazza si voltò nuovamente verso il muro di
fronte a sé, per capire da dove fosse giunta quella strana luce, e finalmente
le apparve davanti: alta, immensa, maestosa. La vecchia fabbrica abbandonata si
stagliava come un enorme e minaccioso dinosauro nel cielo grigio e fosco,
parendo un’ombra irraggiungibile e terribilmente spettrale.
Era sempre stata lì, vicino alla stazione, da ancora prima
che Sakura nascesse; era lì quando Sakura, Naruto e Sasuke tornavano a casa
insieme dalle medie; era lì quando lei e Ino andavano a passeggiare mangiandosi
il loro gelato d’estate; era lì quando Sakura era entrata in stazione, ma se ne
accorgeva solo ora, come se fosse stata un dettaglio irrilevante dello sfondo. La
fabbrica era lì davanti a lei, oltre il muro della stazione, e uno strano
bagliore, come un riflesso, brillava da una delle sagome indefinite delle
finestre attraverso la pioggia. Sembrava quasi un riflesso di specchio, fatto
appositamente per richiamare la sua attenzione. Del resto, non c’era un raggio
di sole in quella giornata perché quell’effetto ottico potesse ricrearsi
naturalmente.
Qualcuno aveva richiamato l’attenzione di Sakura, qualcuno
la invitava a raggiungerlo, qualcuno la necessitava in quella lugubre giornata
di fuga. Qualcuno che probabilmente non aveva una folta chioma corvina pettinata
alla perfezione, né dei magnifici occhi di onice, ma che importava?
Cosa ci facesse qualcuno all’interno di quella fabbrica
abbandonata da un secolo, Sakura non se lo chiese. Bastò l’annuncio
dell’ulteriore ritardo del treno, salito a venti minuti, e un nuovo scintillio
di specchio a conquistarla definitivamente.
Certo, poi anche l’immagine di Sasuke che si allontanava in
moto con Karin sulla sella posteriore – così avvinghiata a lui - aveva
contribuito a far attraversare quei binari deserti a Sakura, a farle scavalcare
il muro di separazione, verso quello che poteva essere considerato un pericolo
mortale quasi certo. Ma che importava?
A nessuno importava nulla di lei – a Sasuke non importava di
lei – perché a lei avrebbe dovuto importare qualcosa di se stessa?
Pieces of Mirror
&
Sorrow of Dolls
1. Pieces of Mirror
Era strano. Non ricordava come, ma improvvisamente, tutto il mondo davanti ai suoi
occhi aveva perso colore, svanendo in una coltre bianca ed evanescente. La
pioggia, la finestra, la visuale al di là di essa, si erano fusi insieme nei
suoi occhi di cielo d’estate, ipnotizzandola, rapendola. Fu assordata da un
fischio lontano, un sibilare di vento, quasi un lamento agognato. Una
sensazione ben strana, ma per niente nuova…
-“Ino? Ehi, Ino?”-
La ragazza scosse lievemente la testa, sbattendo velocemente
le palpebre e ritornando in sé, come se si fosse appena svegliata da un lungo
sonno.
Guardò stranita il ragazzo in piedi davanti a lei, che la
sovrastava con la sua sproporzionata altezza.
-“Cosa c’è?”- le domandò Shikamaru, inarcando un
sopracciglio mentre la scrutava perplesso.
-“Come? Sei stato tu a chiamarmi!”- contestò Ino, ancora
stordita.
-“Lo so, ma ti ho vista persa. Tutto okay?”- chiese
nuovamente il Nara, con cipiglio scettico.
-“Sì, solo che…”- s’interruppe la biondina, scrutando la
pioggia oltre la finestra –“…ti ricordi quand’ero piccola e…”-
-“E mi prendevi a pugni?”-
-“Sì, cioè no… nel senso… sai quando mi capitava di… di vedere delle cose…”- iniziò Ino, con
tono insicuro, aggrottando lo sguardo e concentrandosi sulle gocce di pioggia.
-“Di visioni ne hai sempre avute molte, Yamanaka…”- la
sbeffeggiò Shikamaru, divertito –“…sicura di star bene? Magari sei
meteoropatica!”-
-“Ehi Shikamaru, sbrighiamoci o perdiamo il pullman.”- si
lamentò Temari, che aspettava il ragazzo appoggiata all’entrata del bar, con
braccia conserte e sguardo irritato.
-“D’accordo, arrivo. Ino, vuoi che ti accompagno a casa?”-
le domandò l’amico, questa volta tradendo un’ombra di apprensione sul volto.
-“No, sto bene. Sarò senz’altro meteoropatica… sai, questi
temporali mi increspano sempre i capelli e mi fanno diventare isterica.”-
sforzò un risolino Ino, dissimulando la propria apprensione per tranquillizzare
l’amico.
-“D’accordo, Ino. Ci sentiamo questa sera.”- la salutò lui
con un cenno, svanendo insieme a Temari fuori dal bar.
Ino sbuffò, tornando a fissare la pioggia al di là della
finestra. Per la prima volta, si accorse che da quel tavolo del bar si poteva
scorgere l’inquietante sagoma della fabbrica abbandonata in lontananza.
–
Ino entrò nel palazzo, sbuffando pesantemente. Salì le scale
con apatia, lo sguardo perso, e quando vide la porta dell’ascensore chiudersi,
vi si lanciò di getto, riuscendo ad infilarsi prima che le porte si chiudessero.
Non appena si voltò per vedere con chi era rinchiusa, si
pentì amaramente di aver fatto quello scatto. Sasuke Uchiha
la fissava con aria parecchio infastidita, attaccato alla parete opposta
dell’ascensore, le braccia conserte al petto, i capelli madidi che parevano
quasi blu sotto la luce troppo forte dell’abitacolo.
Ino deglutì, appoggiandosi alla parete di fronte a lui,
scrutandolo di sottecchi, imbarazzata.
-“Ciao Sasuke-kun!”- lo salutò
lei, squillante, regalandogli un sorriso amichevole.
-“Mh… ciao, Ino…”- mugugnò Sasuke,
fissando impassibile i piani che si illuminavano, ansioso di giungere al
pianerottolo del suo appartamento. Rimanere in un luogo chiuso con la Yamanaka
era troppo rischioso, nella situazione in cui si trovavano.
-“Che brutta giornata, vero?”- domandò Ino, cercando di
attaccare bottone – come suo solito.
-“Già. Ho visto Nara allontanarsi con la sorella di Gaara, poco fa.”- le rispose l’Uchiha,
in un intento crudele di ferire la biondina in modo da zittirla
definitivamente.
-“Lo so. E Sakura ti ha visto allontanarti in moto con Karin
l’altro giorno.”- ribatté prontamente la biondina, fulminando Sasuke con
sguardo truce.
-“Beh, mi dispiace per lei.”- sbuffò il ragazzo, fissando
ansiosamente i pulsanti illuminarsi, pregando di giungere presto a destinazione
per potersi liberare di quella piaga.
Ma, come se avesse parlato troppo ad alta voce, un potente
tuono echeggiò per il palazzo, e la corrente venne meno, paralizzando
l’ascensore e facendoli rimanere al buio.
-“E che cazzo…”- sibilò Sasuke, sbuffando sonoramente.
-“Ora che ci penso non si dovrebbe andare in ascensore col
temporale, me lo ricordo sempre quando è troppo tardi!”- ridacchiò nervosamente
Ino, cercando di spezzare la tensione palpabile.
-“Fra poco si attiverà l’alimentatore di emergenza.”-
commentò il ragazzo, con un grugnito.
-“Ah, d’accordo… senti Sasuke-kun,
hai visto Sakura oggi?”-
-“Senti Yamanaka, possibile che tu non riesca a fare una
frase senza il nome Sakura in mezzo?”- domandò l’Uchiha,
tradendo una nota annoiata – o irritata? – nella voce.
Ino si zittì, acquattandosi un po’ di più contro la parete,
mortificata per essere riuscita a farlo arrabbiare col suo chiacchiericcio
perpetuo. Però non ci stava a vedere la sua migliore amica soffrire a causa
sua, quindi decise di farsi coraggio e prendere la situazione in mano.
-“Io non capisco perché ti devi comportare così proprio
adesso. Sakura sta passando un periodo d’inferno. Con Tsunade
le cose vanno male, poi se ti ci metti pure tu a fare lo stronzo…”-
-“Non vedo come questo possa interessarmi, Yamanaka. Io mi
comporto come voglio, indipendentemente da come vada la vita a Sakura. Ognuno
ha i suoi problemi.”-
-“Già, ma penso che le basterebbe la tua vicinanza per
superarli tutti con facilità… non capisco cosa succeda, Sasuke. Andava così
bene fra di voi e poi all’improvviso hai voluto troncare tutto così.”- insistette
Ino, stizzita.
-“Nessuno ti ha mai insegnato a farti gli affari tuoi,
Yamanaka? Ora capisco perché Nara preferisca Temari ad una ragazzina petulante
come te.”-
-“Questi sono affari miei, Uchiha.
Sakura è la mia migliore amica e… e comunque piantala di fare lo stronzo con
me, tanto non attacca. Mi sono già rassegnata a Shikamaru, sono abituata a
rassegnarmi agli uomini, ormai.”- sbottò la ragazza, toccata nel vivo da quelle
ultime parole.
In quel momento, l’ascensore ripartì con un balzo, troncando
lì la loro conversazione.
Le porte si aprirono sul pianerottolo di Ino e Sasuke uscì
con lei, con l’ansia di uno che fuggiva da una camera a gas.
-“Beh, allora dovresti insegnare a Sakura l’arte della
rassegnazione.”- le sibilò seccato l’Uchiha, prima di
correre su per le scale senza voltarsi.
-“Cretino.”- sbuffò la Yamanaka, prima di entrare nel suo
appartamento, con un sapore amaro in bocca.
–
Sasuke ricordò solo quando giunse davanti a quella porta
sgangherata del terzo piano che Sakura abitava lì.
Scosse lievemente la testa mentre si sforzava di salire
ulteriormente le scale (suo fratello aveva avuto la brillante idea di comprare
casa al quinto piano), ma improvvisamente si bloccò, incapace di continuare.
Voltò lievemente il capo, sbirciando al di sopra della propria spalla verso
quella porta che non vedeva da troppo tempo – che non vedeva aprirsi da troppo tempo.
Perché si era fermato? Perché sentiva l’istinto di
avvicinarsi e bussare a quella dannatissima porta? Ormai aveva fatto la sua
scelta, e doveva rispettarla, fino in fondo.
Sasuke volse gli occhi al suolo, stringendo i denti e
sforzandosi di restare fermo lì, di non avvicinarsi di un passo a quella casa.
Eppure, contro la sua volontà, le parole della Yamanaka gli
trapanavano la testa, tentatrici, martorianti: che problemi stava avendo Sakura
con la matrigna? E se Tsunade le avesse alzato ancora
le mani, come spesso in passato? Magari Sakura era ferita, era sola, spaventata
e aveva bisogno di aiuto… ma per quello aveva Ino e Naruto. La Haruno era piena di amici, sicuramente ci avrebbero pensato
loro a prendersi cura di lei. Lui non poteva farlo. Non più, almeno.
-“Non c’è nessuno in casa. Ho visto Sakura uscire stamattina
presto.”- commentò una voce melodiosa davanti a sé.
L’Uchiha sollevò lo sguardo
irritato da quella interruzione dei suoi pensieri, fissando sorpreso la donna
dal lungo cappotto scuro che lo scrutava dalla cima delle scale.
-“Non me ne frega nulla di Sakura.”- sibilò Sasuke,
scoccandole uno sguardo avvelenato.
-“Ah, scusami tanto, credevo stessi guardando la sua
porta.”- sorrise la donna, scendendo le scale e raggiungendolo.
Lei allungò la mano verso il volto del giovane, cercando di
carezzargli una guancia in un gesto sensuale e terribilmente ambiguo, ma Sasuke
si ritrasse, diffidente.
-“Ah ah ah, espansivo proprio come tuo fratello, eh,
Sasuke?”- ridacchiò melodiosamente la donna dal caschetto scuro, scrutando il
ragazzino interessata. –“A proposito, dov’è Itachi?”-
-“Se n’è andato.”-
-“Oh, è partito?”-
-“Non lo so. Mi sono svegliato e non c’era più.”- sibilò
Sasuke in risposta, con tono carico di astio e insofferenza.
-“Oh, capisco. Beh, lo sai, è fatto così. Non te la
prendere, sono sicura che tornerà presto.”-
-“Beh, forse non ci sarò più io ad aspettarlo.”-
-“Te ne vai?”-
-“Sì, Orochimaru-sama mi ha
offerto di andare a studiare in un prestigioso college all’estero.”- si limitò
a rispondere lui, con aria di sufficienza.
-“Davvero? Non mi sorprende, sei uno studente brillante.”-
sorrise la donna, con espressione ambigua.
L’Uchiha assottigliò lo sguardo,
scrutando la misteriosa vicina: Konan non gli era mai
piaciuta nemmeno un po’, la sua promiscuità lo metteva a disagio. Sapeva però
che era stata molto vicina a suo fratello, anche se ignorava che rapporto fosse
intercorso fra di loro – poteva ben immaginarlo, però.
-“E quando hai intenzione di partire?”- domandò la donna,
senza staccarsi di dosso quell’irritante sorrisino piacente.
-“Presto.”-
-“E ai tuoi amici l’hai già detto?”-
-“Ovviamente. Ora devo andare.”- si congedò Sasuke,
superando la donna e prendendo a salire le scale con espressione assorta.
-“Saluterai Sakura prima della partenza?”- gli domandò Konan, quando lo ebbe di fianco.
-“…credo di sì.”- rispose il ragazzo, scoccando un’occhiata
sospettosa alla donna che intanto aveva ripreso a scendere lentamente le scale.
Che razza di domanda era quella?
-“Se ci riesci…”- gli parve di udire come commento dalla
donna, prima che svanisse giù per le scale come uno spirito oscuro.
Sasuke deglutì amareggiato, regalando un’ultima occhiata,
ricolma di inquietudine, alla porta dell’appartamento di Sakura.
–
Ino si appoggiò al lavandino, accendendo la lampadina al di
sopra dello specchio del bagno, fissandovi il proprio riflesso.
Il suo volto era pallido e imperlato di goccioline di
sudore, gli occhi erano spenti e cerchiati da profonde occhiaie.
Si lavò il volto con l’acqua fresca, sperando di riprendersi
da quel terribile sonnellino pomeridiano che l’aveva angosciata quanto un film
horror.
Non poté fissare a lungo il suo riflesso nello specchio,
perché il ricordo del suo incubo la nauseò, portandola a fuggire dal bagno.
Tornò in camera sua barcollante, sedendosi sul letto e
nascondendo il volto fra le mani: correre in quel labirinto infinito di
specchi, sbattere contro di essi senza riuscire a trovare la via, fuggire da
qualcuno e contemporaneamente dover cercare qualcun altro… quel sogno
angosciante l’aveva veramente scossa e sfiancata.
Fuori la pioggia batteva ancora, in quel cupo e pesante
cielo notturno, che rendeva la sera ancora più scura e spettrale. L’idea di
dover uscire con quell’atmosfera la faceva rabbrividire più del suo stesso
incubo.
Aveva pensato di bigiare la consueta uscita serale con gli
amici, ma restare a casa da sola non la faceva sentire meglio. Insomma, stava
diventando paranoica e la cosa la irritava parecchio.
Si alzò di scatto, furibonda, imponendosi di non pensare più
a cose tanto assurde: del resto erano solo incubi, no? E quella sensazione di
disagio che la opprimeva non era altro che una paranoia senza fondo, nata da
illogiche paure infantili. Doveva smetterla di comportarsi come una isterica
ossessionata e allucinata.
Afferrò il telefono con un grugnito, digitando rapidamente
il numero di Sakura che, come suo solito negli ultimi tempi, non rispose.
Sbuffando, compose il numero di Kiba, che rispose nemmeno al
secondo squillo.
-“Dimmi tutto, Ino-hime!”-
-“Kiba-kun, stasera mi passi a
prendere tu?”-
-“Okay! Ma Shika?”-
-“Che ne so, è andato a casa di Temari…”-
-“Ah, ho capito. D’accordo fra un’oretta son da te,
tesoro.”-
-“Non prenderti troppe confidenze, Inuzuka. A tra poco.”-
ridacchiò Ino, appoggiando il telefono sulla scrivania e tagliandosi
inavvertitamente con qualcosa: un pezzo di specchio scheggiato.
–
Shikamaru si stiracchiò, sbadigliando rozzamente,
guadagnandosi in pieno un’occhiataccia di Temari a cui rispose con un sorrisino
beffardo.
-“Che palla ‘sto film, non so come hai potuto convincermi a
guardarlo.”- commentò il ragazzo, alzandosi a fatica.
-“Perché è molto istruttivo e ti potrà aiutare nella tua
tesina di maturità!”- rispose Temari, dirigendosi verso la cucina e lasciando
il ragazzo da solo in salotto.
-“Eh, sai che gioia!”- sbadigliò Shikamaru, avvicinandosi ai
portaritratti posti ordinatamente in fila sulla mensola del salotto, osservando
distrattamente i volti della famiglia Sabaku.
-“E poi perché, secondo me, ultimamente sei un po’ giù di
corda e volevo cercare di distrarti. Si può sapere che c’è che non va?”- gli
domandò Temari, sbucando nuovamente in salotto e appoggiandosi allo stipite
della porta, osservando il ragazzo a braccia conserte.
-“Proprio nulla.”-
-“Quando non è nulla solitamente c’entra Ino.”-
-“Mendokuse… ancora con questa storia…”- sbuffò Shikamaru,
lasciandosi sfuggire un sorrisino a fior di labbra.
-“Anche a me ultimamente sembra un po’ strana, in effetti.”-
commentò la ragazza, avvicinandosi all’amico, con sguardo pensieroso.
-“Di tanto in tanto Ino ha dei periodi da stralunata, è
fatta così. L’ho detto io che è meteoropatica.”- fece spallucce il Nara,
soffermandosi interessato su una foto di famiglia in cui figurava un ragazzo
coi capelli rossi di troppo. –“Ehi, chi è questo? Potrebbe essere il gemello di
Gaara.”-
-“Esagerato! Però sì, in effetti si assomigliavano un bel
po’. Quello era Sasori.”- spiegò Temari, con nota
amara nella voce.
-“Era?”-
-“Sì. È scomparso qualche anno fa e da allora non si è
saputo più nulla di lui. Non sappiamo se fosse una fuga voluta o un rapimento,
né tantomeno se sia ancora vivo o no…”-
-“Ah. Mi dispiace tanto, Temari.”- si scusò Shikamaru,
mortificato dall’aver toccato un tasto così doloroso.
-“Ma no, figurati. Ormai l’abbiamo superato.”- asserì la
bionda, sorridendo lievemente.
In quel momento, la loro conversazione venne interrotta
dalla suoneria sonnolenta del cellulare del Nara, che prese a strillare,
stonata.
-“Nara, vedi di
muoverti. Stiamo andando in ospedale.”- asserì Kiba, udibilmente nervoso.
-“A far che?!”-
-“Ino è stata male.”-
-“Cosa?!”- sbottò Shikamaru, impallidendo, mentre un groppo
gli si chiudeva in gola.
…tobecontinued…
*Angolo
di Luly*
Ahem… AUGURI ZIA ELEANOOOOOOOOOOOOOOR!
Okay, ora mi ridò un contegno. ù_ù
Zia Ele voleva una SasuSaku dove Sasuke si preoccupasse per Sakura. E questo è
tutto un dire. Quindi se Sasuke andrà OOC, non prendetevela con me, sono
innocente. ç_ç
La voleva angst, con drammi e
sofferenze a non finire, e state tranquilli, arriveranno pure quelli – spero. ù_ù
Lo ShikaIno… beh, zia Ele è biancaH e ci vuole sempre un po’ di ShikaIno, soprattutto
se tira aria di angst. *___*
È AU e per adesso senza senso, ma spero di riuscire a
mettere insieme i pezzi, presto o tardi.
Saranno 2, massimo 3 capitoli, per sviluppare la storia per
bene. *w*
Spero che vi piaccia, e che piaccia alla nostra festeggiata
del secolo, la mitica zia Eleeeee! *O*
100 di questi bianchi anni, zietta, ti voglio bene! *__*
In quelle tenebre fredde e umide, l’unica cosa che poteva udire era uno
scrosciare pesante e perpetuo di pioggia, che riecheggiava per gli enormi
androni vuoti della fabbrica
In quelle tenebre fredde e umide, l’unica cosa che poteva
udire era uno scrosciare pesante e perpetuo di pioggia, che riecheggiava per
gli enormi androni vuoti della fabbrica.
Sentiva l’umidità penetrarle nelle ossa e un doloroso
indolenzimento pungerle i muscoli, mentre una pesantezza le incombeva sulle
palpebre, impedendole di aprire gli occhi.
Il freddo umido la avvolgeva come una pellicola aderente,
attaccandosi ad ogni angolo della pelle; e poi quel dolore che le pungeva il
petto, in profondità, mozzandole il fiato, martellante come un chiodo che le si
conficcava nel cuore.
-“Sa…su…ke…”- singhiozzò
sottovoce, con un flebile ansimo addolorato, che svanì calpestato dallo
scroscio piovano.
-“Shhh, non parlare, non soffrire,
Sakura. Le bambole sono belle per questo, perché non soffrono. E tu sei venuta
qui per essere la mia bambola, per l’eternità, non è vero?”- la cullò una voce
bassa e sensuale, mentre una mano gelida le scivolava in una fredda carezza
lungo la guancia umida, tracciando col polpastrello la linea degli zigomi
delicati, scendendo poi lungo le labbra pallide.
-“Sa…su…ke…”-
-“No… Sasori.”-
2. SorrowofDolls
L’angoscia che le
pesava sul cuore cresceva di minuto in minuto.
La sua corsa sembrava
interminabile. Ma perché correva? Era in fuga? Era alla ricerca di qualcosa? Le
pareva di dover fare entrambe le cose contemporaneamente.
Il corridoio di
specchi era finito in una stanza ampia e altissima, scura a causa delle
finestre posizionate nella parte superiore della parete.
Ma anche nelle tenebre,
illuminati lievemente da quel bagliore proveniente dall’alto, erano
percepibili: occhi, miriadi di occhi. La fissavano, immobili, privi di vita. La
fissavano, indagatori, crudeli.
Bambole, bambole,
bambole. Una stanza piena di bambole. Pareti tappezzate di bambole.
Ino si avvicinò alla
parete alla sua destra, allungando la mano incerta, verso una bambola deposta
al centro dello scaffale: i capelli di seta dorata raccolti in una coda,
proprio come lei. Indossava un vestitino viola dalle spalline sottili e, come
d’istinto, Ino abbassò lo sguardo verso i propri indumenti, scoprendo di essere
abbigliata esattamente come la bambola di fronte a sé.
Colta da un’improvvisa
ansia, la ragazza allungò la mano verso il pupazzo, ma non riuscì ad
afferrarlo, come se fosse protetto da una teca di cristallo.
Prese a battere con
furia i pugni sul vetro, graffiandolo e sbraitando, ma la luce sempre più
accecante la avvolse, urtandole gli occhi con la sua intensità…
-“LE BAMBOLE!”- urlò Ino, svegliandosi di soprassalto dal
letto.
Qualcosa di caldo e forte la avvolse, tenendola ferma,
cercando di calmarla.
-“Ehi, ehi, calmati.”- la rassicurò una voce bassa e roca,
raggiungendo suadente il suo orecchio, mentre una mano grande intrecciava le
sue dita sottili con i fili dorati dei suoi capelli, accarezzandole teneramente
la testa.
-“Le bambole… le ho viste, io…”- ansimò Ino, affondando il
volto nell’incavo di quel collo fin troppo conosciuto, inspirandone il buon
profumo mascolino, così sensuale e familiare da calmarla all’istante.
-“Shh, era solo un incubo, dai.”-
le sussurrò Shikamaru, passandole lievemente la mano sulla schiena in una lieve
carezza.
-“Dove… dove siamo?”- domandò la Yamanaka, interrompendo
quelle effusioni decisamente esagerate per
loro due, con la voce ancora rotta dal pianto isterico avuto durante il sonno.
-“In pronto soccorso. Sei svenuta all’improvviso mentre eri
fuori con Kiba e gli altri…”- le spiegò Shikamaru in uno sbuffo scocciato,
massaggiandosi la tempia.
Gli occhi cristallini della Yamanaka si posarono su di lui,
notando solo ora il volto del ragazzo scavato dalle occhiaie, contratto in
un’espressione sciupata e stanca.
-“Cosa mi è successo? Quanto tempo sono rimasta svenuta?”-
domandò Ino, allungando una mano verso il braccio dell’amico, richiamando la
sua attenzione.
-“Sono le cinque del mattino, Ino. Erano appena passate le
nove di sera quando mi avevano detto del tuo malore.”-
-“Così tanto tempo?!”- sussultò la biondina, mordendosi il
labbro inferiore, sorpresa.
-“Già…”- sbadigliò lui, strofinandosi gli occhi.
-“Non saresti dovuto rimanere qui fino a quest’ora, Shika.”-
lo rimproverò Ino, assumendo un broncio per nascondere dispiacere, imbarazzo e
gratitudine che le scompigliavano il cuore.
-“I tuoi non ci sono, Ino. Qualcuno doveva rimanere con te.
Mi sono spacciato per il tuo ragazzo e tutto è filato liscio.”- fece spallucce
lui, ammiccandole fiaccamente da dietro le sue palpebre pesanti.
Qualcuno in quel momento bussò debolmente alla porta,
aprendola con un lieve cigolio. Dalla fessura sbucò il viso pallido ma per
nulla stanco di Sasuke, incorniciato dai suoi capelli corvini sempre perfetti.
-“Ehi, tutto bene?”- le chiese l’Uchiha,
in tono di pura cortesia, lanciandole una lieve occhiata disinteressata.
-“Sì… grazie.”-
-“Bene. Nara, posso andare?”- domandò Sasuke, mostrandogli
le chiavi della macchina in segno d’intesa.
-“Sì, vai pure Sasuke. Anzi grazie per essere rimasto fino a
quest’ora.”- sbuffò Shikamaru, stringendogli la mano in segno di saluto.
-“Domani mando o Kiba o Naruto a prendervi.”- asserì l’Uchiha, spostando l’attenzione sulla biondina che lo
scrutava diffidente –“Ehi Yamanaka, si può sapere cosa ti sei fatta sulla mano?
Grondava di sangue quando sei svenuta.”-
Ino dapprima aggrottò le sopracciglia, fissandolo confusa,
senza capire a cosa si riferisse.
Poi abbassò lo sguardo, portando la sua attenzione sulla
mano destra fasciata. Si concentrò per qualche secondo, ricordando cosa le
fosse accaduto, e cosa potesse essere quel taglio che le bruciava sul palmo.
-“Ah sì… mi sono tagliata con un pezzo di specchio.”-
commentò Ino, crucciata nei suoi ricordi.
-“Sette anni di sfiga.”- commentò Shikamaru, con sorrisino
sghembo.
-“No, non l’ho rotto io… è strano, non so da dove fosse
spuntato, ma era un frammento di specchio abbandonato sulla mia scrivania.
Chissà, forse l’aveva dimenticato Sakura…”- scrollò la testa la biondina,
cercando di levarsi quei dubbi a suo avviso assurdi dalla testa.
-“Sakura…”- ripeté sottovoce Sasuke, riflettendo su quel
nome per qualche secondo –“…l’hai vista di recente?”-
Un sorrisino soddisfatto si spaziò sul volto della Yamanaka,
conquistata dal velo di preoccupazione che il ragazzo palesava nei confronti
dell’amica.
-“In verità no, è da un po’ che non la vedo né sento… la
chiamo sul cellulare ma non mi risponde.”- commentò Ino, fissando interessata
il volto dell’Uchiha alla ricerca di una qualche
reazione. Che però non arrivò.
-“Capisco. Farò in modo di farle sapere del tuo malore. Ci
si vede.”- si congedò Sasuke, uscendo dalla stanza senza aggiungere altro.
-“Mi dispiace avervi causato tutti questi problemi…”-
commentò Ino, abbassando il suo volto e contraendole in un’espressione
mortificata.
-“Non importa, Ino, mica sei svenuta apposta. Piuttosto ora
riposati, il dottore dice che sei troppo stressata, e sinceramente lo penso
anche io.”- sospirò Shikamaru, facendo una lieve pressione sul petto
dell’amica, obbligandola a sdraiarsi. –“Se vuoi dormo insieme a te, così le
bambole assassine non ti fanno più paura. Ti va?”- la sbeffeggiò infine,
trovando la forza di piegare le labbra in un sorrisino di provocazione.
-“Ti piacerebbe, Nara.”- soffiò la biondina sulle labbra del
ragazzo, ammiccandogli sensualmente.
Shikamaru rise, riaccomodandosi sulla poltroncina al fianco
del lettino d’ospedale, assopendosi quasi subito sotto gli occhi ricolmi di
gratitudine e affetto della Yamanaka.
–
Si sentiva un emerito cretino. Restare fermo lì, immerso nel
buio del pianerottolo, seduto sui gradini con le braccia conserte e lo sguardo
fisso su quella porta sbilenca: dove diavolo voleva andare a parare? Se voleva
parlarle, non doveva far altro che bussare e Sakura l’avrebbe fatto entrare
senza esitare. Anzi, se avesse voluto, sapeva che la ragazza sarebbe stata
disposta a dargli molto più di semplici parole. In effetti, a ben pensarci, il
loro rapporto non era mai stato troppo discorsivo, basato com’era prettamente
su gesti fisici.
Ma del resto si conoscevano da così tanto tempo che parlare
sarebbe risultato solo un inutile spreco di fiato, e Sasuke davvero non ne
aveva mai avuto voglia. Non fino ad allora.
Dei passi pesanti, accompagnati da un rozzo sbuffo,
attirarono la sua attenzione, portandolo a scattare in piedi con aria
colpevole.
Tsunade sbucò fuori pochi secondi dopo dalla
rampa di scale, scrutandolo con sguardo sospettoso.
-“Tu…”-
-“Salve.”- le fece un cenno Sasuke, in segno di saluto.
-“Se stai aspettando Sakura, non la troverai.”- sogghignò Tsunade, con aria amara e rassegnata –“Anzi, a dire il
vero, pensavo fosse scappata da te.”-
-“Scappata? Da me?”- sussultò Sasuke, aggrottando le
sopracciglia e scrutando la donna davanti a sé con sospetto.
-“Già. La signorina ha deciso di levare le tende giusto
ieri. Sarà scappata dalla sua amichetta bionda o non so dove.”- scrollò le
spalle la donna, infilando la chiave nella serratura.
-“E non ha lasciato detto dove andava?”- domandò l’Uchiha, appoggiando la mano sulla porta per indagare la
matrigna con sguardo intimidatorio.
-“Non direi. Credi davvero che ci tenesse così tanto a farmi
sapere dove scappava? Non che avessi intenzione di riportarla indietro, ma non
si sa mai.”- sorrise Tsunade, facendosi beffe delle
occhiate del ragazzo, che evidentemente non le incutevano il benché minimo
timore.
All’udire quelle parole, Sasuke si infuriò, assestando un
pugno violento contro la porta già traballante dell’appartamento.
-“Sakura non si merita questo trattamento. Non hai diritto
di scaricare il tuo nervosismo e i tuoi problemi su di lei, e lo sai bene!”-
ringhiò il ragazzo, fulminandola furibondo –“Se le è successo qualcosa, sappi
che sarai tu la prima che verrò a cercare.”- sibilò infine, prima di scappare
su per le scale come un’ombra furiosa.
Tsunade increspò le sopracciglia,
lanciandogli un’occhiata contrariata, per poi fuggire nel suo appartamento e
chiudere la porta a doppia mandata.
Quando giunse a casa, Sasuke sbatté la porta con una
violenza tale da far tremare il vetro del portone cinque piani sotto.
Spedito, si diresse in cucina, dove strappò una birra dal
frigorifero, bevendola tutto d’un fiato.
La rabbia gli ribolliva nel sangue, misto al nervoso che lo
faceva tremare come una foglia, fulminandogli i neuroni del cervello. Eppure in
tutta la sua confusione, dei pezzi andavano unendosi nella testa, formando un
puzzle troppo complesso e ancora incompleto per comprenderne il vero
significato.
Sakura era fuggita il giorno precedente senza lasciare
traccia, ecco perché non rispondeva alle chiamate di Ino. Ino aveva fatto la
ramanzina a Sasuke perché sapeva che l’amica soffriva a causa di Tsunade e a causa sua. Nulla di strano vedendo come l’aveva
snobbata negli ultimi tempi, cercando di ferirla persino andandosene in giro
con Karin. Forse solo ora realizzava di aver esagerato… come al solito era
stato egoista, abituato com’era ad avere Sakura che pensava per prima a lui. Ma
Sakura evidentemente non aveva resistito e da sola era crollata, fuggendo.
Ma era da lei non chiamare nemmeno Ino per farle sapere che
stava bene? Era da lei andarsene senza aver chiarito prima le cose con lui?
Forse si era stancata del suo egocentrismo e per la prima volta forse aveva
fatto bene.
Preda di un getto di rabbia, Sasuke scagliò la birra a
terra, mandandola in frantumi, e raggiunse a grandi falcate il salotto, dove
una corrente di vento gelida lo colpì in pieno.
I suoi occhi d’onice si sbarrarono sbalorditi, notando la
portafinestra del salotto spalancata. Impossibile. Qualcuno si doveva essere
introdotto nel suo appartamento – al quinto piano?
Il suo primo istinto fu quello di guardarsi attorno per
assicurarsi che gli oggetti di valore fossero al proprio posto, ma non appena
gli occhi d’ossidiana si furono posati nuovamente sul balcone, un particolare
raccapricciante colpì la sua attenzione: una piccola bambola di porcellana
giaceva al suolo, un ciuffo di capelli rosa a farle da chioma, un frammento di
specchio conficcato nel petto.
–
Ino si appoggiò allo stipite della porta, scrutando con aria
nervosa e batticuore impazzito il ragazzo di fronte a sé, che si accingeva a
lasciarla nuovamente preda delle tenebre solitarie della sua casa.
-“Sicura di star bene? Non preferisci che rimanga qui un
altro po’?”- le domandò Shikamaru, il tono basso e roco, uno sguardo acceso sia
di preoccupazione che di una vaga malizia. Sguardo che Ino conosceva troppo bene.
-“Sì, tranquillo. Ora vado a letto e sto lì bella
tranquilla, senza sforzarmi.”- sorrise Ino, scoccandogli un’occhiata saccente e
vagamente ironica, dovuta a tutti i rimproveri mossole fino ad allora.
-“Sì…”- annuì leggermente Shikamaru, lasciando scivolare
d’istinto una mano sulla guancia della ragazza.
Le lunghe dita affusolate tracciarono il perimetro delle sue
labbra con delicatezza, mentre il ragazzo percepiva lo sguardo confuso e
disorientato della biondina su di sé. Poi, scivolando con naturale lentezza, si
piegò verso di lei, unendo le proprie labbra a quelle calde e morbide di Ino,
regalandole un bacio dolce ma intenso.
Dopo qualche minuto di perdizione, mentre le labbra di
Shikamaru tracciavano una scia di baci lungo il collo della ragazza, Ino lo
scansò gentilmente, scrutando con occhi incerti il ragazzo di fronte a sé. Il
suo corpo le chiedeva disperatamente di farlo entrare, anzi, di trascinarlo
letteralmente in camera da letto, ma la sua mente era confusa e aveva bisogno
di tempo in solitudine per pensare.
-“Shika, questo è…”- sospirò Ino, scuotendo la testa,
confusa.
-“Mendokuse… lo
so. Senti, ne riparliamo stasera… magari saremo tutti e due un po’ più lucidi,
che dici?”- le propose il Nara, massaggiandosi le tempie come scusa per coprire
il lieve rossore che gli aveva infiammato le gote.
-“Sì, stasera, okay. Ciao…”- annuì la Yamanaka, chiudendo la
porta non appena vide il ragazzo sparire giù per le scale.
Con un sospiro profondo, la biondina appoggiò la schiena
alla porta, lasciandosi scivolare a terra. Chiuse gli occhi, assaporando il
sapore di Shikamaru sulle labbra, domandandosi cosa diavolo fosse successo
pochi minuti prima e quale fosse il significato di tutto ciò.
Sospirò nuovamente, balzando in piedi di scatto e
saltellando verso la camera, rianimata di una nuova energia vitale: non sapeva
cosa fosse stato quel bacio, ma se Shikamaru voleva parlarne, allora doveva
avere un significato. Altrimenti si sarebbe limitato a congedarsi con un solito
“mendokuse, scusa, non volevo” e a finirla lì – come aveva già fatto in
passato.
Giunse in camera e prese a svestirsi per indossare il
pigiama, ma qualcosa di brillante la abbagliò, portandola a volgersi verso la
scrivania: abbandonato sul piano giaceva ancora quel frammento di specchio
scheggiato, macchiato ancora del sangue della ferita alla mano, che veniva
illuminato dal sole dell’alba che filtrava dalle veneziane.
Ino si avvicinò alla finestra, fissando interessata quel
vetrino finito misteriosamente in camera sua, e di cui ne ignorava la provenienza.
E mentre lo osservava intensamente, la sua mente si perse ancora. Prese a
vagare nella foschia, lontana, abbandonando il suo corpo, avvolta in quella
coltre bianca ed evanescente tipica dei suoi sogni di bambina, mentre un
sinistro sibilo di vento la cullava, intimorendola.
Ino camminava in mezzo a quella fitta nebbia, pensando,
semplicemente. Laggiù nulla aveva sostanza se non i suoi pensieri, che si
rincorrevano l’un l’altro, formando una catena di ragionamenti che la
conducevano a quel frammento di specchio che aveva in mano.
Chissà, forse era davvero di Sakura…
Sakura, chissà dove era finita?
La ragazza sospirò, sollevando lo sguardo oltre la coltre
nebbiosa. In lontananza, per la prima volta, la foschia si stava diradando,
permettendo di scrutare tutto l’orizzonte con nitidezza. E laggiù, grande,
scura e maestosa, si stagliava la vecchia fabbrica abbandonata e decadente. Il
sole scarlatto dell’alba ne illuminava un lato, rendendolo simile ad una goccia
di sangue che cola su un vetro – su uno specchio.
Vetro, specchio… il vetro che la separava dalle bambole, nel
suo sogno.
Bambole.
Cosa producevano in quella fabbrica, tanti anni addietro?
Giocattoli.
…bambole. Miriadi
di bambole.
“…Ino.”
-“…Sakura.”- sussultò la bionda, ritornando in se stessa,
mentre delle lacrime le scorrevano involontarie lungo le gote e il pezzo di
specchio le cadeva a terra, scivolandole dalle mani.
–
Shikamaru si lanciò un’ultima occhiata nello specchio
dell’ascensore, fissando il suo riflesso con espressione contratta dal
nervosismo.
Chissà perché cavolo aveva baciato Ino. Non che fosse la
prima volta, ma dopo le ultime incomprensioni pareva che tutto dovesse finire,
e invece… invece no, lei era ancora lì, stampata nella sua testa. Appena
sembrava esser riuscito a lasciarla andare, lei ricompariva nel suo cuore, più
forte di prima. Era una droga senza via d’uscita. Era una droga di cui non
poteva fare a meno, ormai gli era chiaro.
Le porte dell’ascensore si aprirono e lui balzò fuori con un
profondo respiro, ma per poco non soffocò quando un fulmine nero lo superò –
quasi investendolo – salendo di fretta dalla scale.
Shikamaru fissò attonito Sasuke di fronte a sé, suonare come
un forsennato alla porta di Ino, il fiatone che gli spezzava a metà il petto.
-“Sasuke? Che cazzo stai facendo?”- trasalì il Nara,
affiancandosi all’amico dalla pessima cera.
-“Ino, ho bisogno di Ino.”- affermò senza fiato.
-“Mh, questa frase potrebbe
suonarmi ambigua, sai?”-
-“Guarda qua.”- sbottò l’Uchiha,
piazzando in mano all’amico quella bambolina identica in tutto e per tutto a
Sakura, con quell’inquietante pezzo di specchio conficcato in petto.
-“Sakura è scappata di casa ieri, Shikamaru… l’ho cercata
ovunque, senza successo… quella bambolina me la sono ritrovata in casa, non so
cosa significhi ma… quei capelli sono veri, Shikamaru… sono i capelli di
Sakura… e quel pezzo di specchio…”- indicò Sasuke, scambiandosi un’occhiata
eloquente con l’amico.
-“Il pezzo di specchio che si trovava in casa di Ino?”-
-“Già, mi è venuto in mente solo ora…”-
-“Ino, Ino siamo noi, apri!”- ordinò Shikamaru, battendo con
insistenza alla porta di casa Yamanaka.
-“Ragazzi, cos’è questo trambusto?”- trillò una voce alle
loro spalle, con tono soave e melodioso.
Shikamaru inarcò le sopracciglia nel ritrovarsi davanti
quella bella donna avvolta in un lungo e sontuoso cappotto nero, mentre Sasuke
la fulminò con sguardo astioso e diffidente.
-“Non è nulla, Konan…”- sibilò l’Uchiha, con sprezzo.
-“Se cercate Ino, l’ho vista uscire poco fa.”- spiegò la
donna, sorridendo serenamente.
-“E dov’è andata?!”- trasalì Shikamaru, con groppo in gola.
-“Alla vecchia fabbrica.”- spiegò Konan,
con sorriso angelico, infilandosi dentro l’ascensore. –“Fate attenzione, mi
raccomando. Anche le bambole soffrono.”- si congedò la donna, mentre le porte
si chiudevano, svanendo senza dare ulteriori esplicazioni.
-“Chi cazzo è quella?!”- domandò Shikamaru al compagno,
sorpreso.
-“Una pazza, evidentemente.”- sibilò Sasuke, iniziando a prendere
a spallate la porta di casa Yamanaka, con espressione contratta dalla rabbia.
–“Aiutami!”-
-“…mendokuse…”-
sospirò il Nara, portando gli occhi al cielo e prendendo a dare spallate
insieme all’amico.
La porta cedette presto – l’unico momento in cui Sasuke
ringraziò di vivere in un decadente condominio di periferia – e i due si
intrufolarono nell’appartamento, dividendosi fra salotto e cameretta.
Il richiamo di Shikamaru non tardò ad arrivare, con un urlo
soffocato, dalla camera della ragazza.
-“Trovato qualcosa?”- domandò Sasuke, precipitandosi senza
fiato nel mondo viola di Ino.
-“Sì… guarda qua…”- mormorò con voce tremante il Nara,
indicandogli il frammento di specchio al suolo, insanguinato.
D’istinto, Sasuke tirò fuori la bambola, confrontando il frammento
di specchio nel petto di essa con quello nelle mani dell’amico: esattamente
identici.
-“Che diavolo sta succedendo, Sasuke?!”- sbottò Shikamaru,
perdendo il suo sangue freddo.
L’Uchiha non rispose subito, ma si
alzò in piedi, fissando con sguardo serio e concentrato la sagoma nera e
confusa che si stagliava in lontananza all’orizzonte.
-“Andiamo alla fabbrica, Shikamaru.”-
…tobecontinued…
*Angolo di Luly*
Okay, ora potete odiarmi ufficialmente. *__*
Ho scritto questo capitolo di fretta, domani parto
per una settimana e non volevo lasciarvi sulle spine così a lungo. ù_ù
Temo che la storia durerà fino a 4 o 5 capitoli
diversamente da quanto annunciato in anticipo, ma mi riprometto di scriverla in
fretta ^__^
Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno
contribuito a darmi la carica con le loro splendide recensioni e tutti quelli
che hanno aggiunto la storia tra i fav! Grazie in
particolare a:
Hele91
Dark_akira
Celiane4ever
Kry333
Serysaku
Zia
Eleanor
Lalani
Grazie mille anche a tutti coloro che vorranno
commentare!
Chiuse la cerniera del trolley con lentezza e con cura, fissando il suo
brillio alla luce del tramonto, che fiammeggiante filtrava la finestra
Chiuse la cerniera del
trolley con lentezza e con cura, fissando il suo brillio alla luce del
tramonto, che fiammeggiante filtrava la finestra.
Un lieve sospiro le
sfuggì dalle labbra, ma subito se ne pentì, come se in quel momento non avesse diritto
di lamentarsi, né di esternare qualsiasi altro sentimento che non fosse il
compatimento per se stessa. Lei, che aveva perso tutto senza riuscire a salvare
nulla.
Tsunade parlava nel salone con lui – i muri
spessi come carta erano un toccasana per la privacy –, lui, che nonostante
tutto le era sempre rimasto accanto, forse per compassione o forse perché la
loro sorte era stata molto simile, alla fine.
La matrigna lo
ringraziava, quasi fosse un salvatore della patria, un salvatore che stava
portando via di lì la sua più grande sciagura. Se di forza o di sua proprio
volontà, lei ancora non l’aveva capito bene.
Il solito cigolio
della porta malmessa della sua stanza la richiamò, portandola a voltarsi
lievemente verso l’uscio.
-“Sakura… dobbiamo
andare. Il treno parte fra poco.”-
-“Arrivo subito,
Shikamaru.”-
3. BloodyMirrors & ScreamingDolls
L’angoscia che le pesava sul cuore cresceva di minuto in
minuto.
La sua corsa sembrava interminabile. Ora, finalmente, capiva il perché di quella corsa
che le era stata preannunciata attraverso i sogni.
Ora sapeva che stava fuggendo da lui.
Ora sapeva che stava cercando Sakura.
E stava correndo per compiere entrambe le cose
contemporaneamente.
Il corridoio di specchi era finito in una stanza ampia e
altissima, scura a causa delle finestre posizionate nella parte superiore della
parete – esattamente come in sogno.
Ed eccoli nelle tenebre, illuminati lievemente da quel
bagliore proveniente dall’alto, erano percepibili: occhi, miriadi di occhi. La
fissavano, immobili, privi di vita. La fissavano, indagatori, crudeli.
Bambole, bambole, bambole. Una stanza piena di bambole.
Pareti tappezzate di bambole.
Ino si avvicinò alla parete alla sua destra, - esattamente come in sogno – allungando
la mano incerta verso una bambola deposta al centro dello scaffale: i capelli
di seta dorata raccolti in una coda, proprio come lei. Indossava una
magliettina viola dalle spalline sottili e un paio di pantaloncini bianchi – diverso dal sogno. Ma, come d’istinto,
Ino abbassò lo sguardo verso i propri indumenti, scoprendo di essere abbigliata
esattamente come la bambola di fronte a sé – il sogno non si era sbagliato.
Colta da un’improvvisa ansia, la ragazza allungò la mano
verso il pupazzo, ma non riuscì ad afferrarlo, come se fosse protetto da una
teca di cristallo.
Ino sgranò gli occhi, fissando un particolare che le era
sfuggito nel sogno: il suo riflesso.
Balzò indietro di un passo quando realizzò che ciò che aveva
di fronte in realtà era uno specchio, un’enorme specchio, grande quanto il muro
della stanza. Era ovvio che non riuscisse ad afferrare la bambola che aveva di
fronte a sé, perché non era altro che un riflesso della parete alle sue spalle.
Ino si voltò di scatto all’indietro, dirigendosi tremante
verso la vera parete ripiena di bambole. Lanciò uno sguardo incerto verso il
corridoio dal quale era appena arrivata, trovandolo ancora vuoto e silenzioso –
evidentemente non l’aveva ancora trovata.
Poi strinse con forza i pugni, scrutando ansiosamente la
bambola dalle sue stesse fattezze appoggiata sullo scaffale, e infine si fece
forza, allungando le mani per poterla afferrare.
Fissava con sguardo offuscato la bambola di se stessa, con
un dolore acuto che le mozzava il respiro e le trafiggeva il cuore: come poteva
una bambola identica a lei indossare gli stessi vestiti che si era infilata
solo poche ore prima? Una voce in testa le ordinava di scappare il più
velocemente possibile fuori da quella fabbrica spettrale, ma il suo cuore
glielo impediva, tenendola inchiodata in quella stanza delle bambole.
Un rumorino metallico attirò la sua attenzione, portando la
ragazza ad abbassare gli occhi verso la bambola stretta fra le sue mani
tremanti: improvvisamente, questa aveva aperto la boccuccia di porcellana e, in
un batter d’occhio, aveva sparato un ago con forza e precisione dritto nel
collo della Yamanaka.
Ino aveva urlato stridulamente, lanciando immediatamente via
la bambola e portandosi una mano alla gola, spaventata. Strappò con decisione
l’ago, buttandolo a terra e premendosi la mano contro la puntura, insolitamente
calda e pulsante.
Poi dei passi lenti e pesanti riecheggiarono per il
corridoio e per la grande stanza, portando la ragazza a voltarsi verso l’ombra
che le si avvicinava tranquillamente attraverso le tenebre.
L’istinto ordinò alle sue gambe di fuggire, ma queste non si
mossero di un millimetro, appesantite da un innaturale formicolio che le
paralizzava. Presto, la pesantezza avvolse ogni cellula del corpo della
Yamanaka, raggiungendo persino la vista e, mentre il mondo intorno a lei
sfumava in un nero opaco, Ino riuscì a guardare negli occhi – quei gelidi occhi – il suo
inseguitore.Il suo angelico carnefice.
Il suo celestiale cacciatore.
E poi, furono solo tenebre e silenzio.
–
Forse era lo scrosciare intenso della pioggia che la
illudeva, ritmico e rilassante, ipnotizzante e anestetizzante.
Aveva perso il conto dei giorni da quando era stata
segregata là dentro, legata mani e piedi, buttata su quel suolo freddo e umido,
impregnato di un odore nauseante, misto fra soda caustica e luogo chiuso.
Eppure, era sicura che la pioggia non avesse cessato un
minuto di cadere, perenne colonna sonora della sua prigionia.
Nonostante quella pioggia le impedisse quasi di riconoscere
notte e giorno, il suo scrosciare le ricordava che il mondo là fuori continuava
a girare, e che qualcuno si sarebbe accorto della sua scomparsa… almeno, questo
pensava all’inizio. Ma ora come ora, sperare nella sua liberazione, le pareva
quanto di più lontano ci potesse essere dalla realtà.
Nessuno sarebbe mai riuscito a trovarla laggiù, tra le
braccia di quel pazzo tra le quali si era buttata di sua iniziativa, senza
sapere bene il perché. E ora pagava il prezzo dei suoi capricci insensati, e
non doveva chiedere nulla di più al destino.
Ma perché la pazzia che le si annidava dentro la torturava
pure in quel momento? Ormai si era arresa alla sua sorte, perché la sua mente
doveva martoriarla con quella voce nella testa?
-“Sakura! Sakura!”-
No, non era la voce di Sasuke che la chiamava. Non poteva
esserlo. Lui non l’avrebbe mai fatto.
In verità, era la pioggia che la ingannava col suo canto,
promettendole sogni e speranze nascoste in false eco lontane.
-“SAKURA! RISPONDIMI! SONO IO, SASUKE!”-
…la pioggia poteva essere così nitida, chiara, decisa?
…la speranza poteva imitare così abilmente la sua voce
suadente e roca?
…una eco poteva essere così vicina quasi da sfiorarle il
viso col suo fiato?
Sakura spalancò gli occhi, mentre per la prima volta dopo
tanto tempo sentiva la necessità di respirare a lungo e a fondo. I polmoni le
si riempirono di quell’aria viziata e gelida, portandola a voltarsi sulla
schiena e a fissare finalmente l’alto soffitto scuro, illuminato dalla luce
grigia filtrata dalle finestre luride.
Quel profondo respiro le ferì i polmoni, portandola a
tossire con forza, mentre gli occhi lacrimavano, non più abituati a fissare la
luce direttamente.
La ragazza si concentrò, assottigliando l’udito per captare
ancora quel suono che l’aveva risvegliata dal suo stato catatonico come uno
scampanellio acuto nel mezzo della notte più buia. E lo udì, ancora una volta,
lontano, misto alla pioggia.
-“SAKURA!”-
E quell’urlo le riempì la gola di energia e gli occhi di
lacrime.
-“SASUKE! SASUKE!”- gridò con tutta la forza che aveva in
corpo, strozzata dalla sua stessa emozione.
-“E piantatela di sbraitare.”- fu il commento di una voce
sensuale e impassibile, accompagnata da un vicino rumore di passi.
Gli occhi smeraldini bagnati di lacrime si posarono sulla
figura di quel ragazzo non molto alto, dai capelli color del fuoco, gli occhi
cristallini spenti e vacui, che ora sostava al fianco della Haruno,
scrutandola con aria completamente indifferente.
Sakura non si era nemmeno accorta della sua comparsa,
silenziosa e quasi inconsistente, quasi uno spettro – come la prima volta che
l’aveva incontrato.
Il ragazzo sbuffò lievemente, mentre si avvicinava alla
finestra lì vicino per lanciare un’occhiata di sufficienza.
-“Sasori…”- piagnucolò Sakura con voce
tremante, impaurita dalla reazione che il ragazzo avrebbe potuto avere.
-“Sta arrivando. Pazzesco.”- commentò fra sé e sé Sasori, grattandosi il mento, interessato. –“L’eletta deve
essere riuscita a fargli sapere qualcosa prima di venire qui.”-
-“L’eletta…?”- sussurrò la ragazza, scrutando l’altro con
aria ansiosa.
-“Il tuo caro Sasuke è venuto a prenderti e sta salendo le
scalette di emergenza. Chissà se reggeranno il nostro peso.”- spiegò il rosso,
prima di saltare oltre la finestra con un balzo aggraziato e svanire al di
sotto di essa.
–
Le scalette di emergenza che si arrampicavano zigzagando
lungo il fianco orientale della grande fabbrica avevano un colore che andava
dal grigio opaco al marrone bruciato della ruggine, annidata persino agli angoli
delle giunture dei pianerottoli, rendendo il piccolo complesso metallico
cigolante e instabile.
Come se non bastasse, la pioggia torrenziale aveva reso
scale e corrimani terribilmente scivolosi, rendendo la già difficoltosa scalata
di Sasuke ancora più complicata.
Eppure la voce di Sakura era lì, vicina, sofferente, e lo
invocava.
La fretta gli fu cattiva consigliera e inavvertitamente il
ragazzo posò il piede in una pozzanghera profonda, scivolando in avanti e
colpendosi il ginocchio contro il primo gradino della rampa di fronte,
provocandovi un profondo taglio.
In quel momento, un pesante tonfo fece traballare
pericolosamente la scalinata di ferro, producendo un rumore acuto, misto fra un
cigolio stridulo e un pesante cozzare di metalli.
Sasuke sollevò il suo sguardo corvino verso la sagoma
avvolta da un ingombrante mantello nero che si ergeva sopra l’ultima rampa di
scale, che lo divideva dall’entrata di emergenza dalla quale provenivano le
urla della Haruno.
-“SASUKE!”- gridò Sakura al limite della disperazione,
cercando di raccogliere le poche forze rimaste in corpo per strisciare verso la
finestra dalla quale era saltato Sasori.
Cosa diavolo stava succedendo? Cosa ci faceva Sasuke lì?
Come aveva fatto a trovarla?
Avrebbe voluto scattare e correre in aiuto dell’Uchiha, ma le corde che la legavano parevano infrangibili,
e quella permanenza in totale immobilità l’aveva fortemente debilitata. Ma
anche volendo, il suo cuore non le avrebbe mai permesso di arrendersi e così
continuò a combattere contro se stessa, strisciando e ferendosi contro il
ruvido pavimento di legno scricchiolante, finché un rumore alle sue spalle non
attirò la sua attenzione…
Sasori abbassò il mantello, mostrando il
suo volto dai lineamenti perfetti ed inespressivi, mentre con occhi vitrei
fissava l’Uchiha dall’alto della sua posizione.
-“Chi diavolo sei tu?”- sibilò Sasuke con aria cupa,
portando la mano sul fodero che teneva legato alla schiena.
-“Non vedo ragione per cui dovrei dirtelo.”- commentò Sasori, con tono di sufficienza.
-“Dov’è Sakura?”- domandò il moro, assottigliando lo sguardo
su quella figura inquietante di fronte a sé e stringendo l’impugnatura della
katana, la cui lama fremeva per essere liberata dalla guaina.
-“Non vivrai abbastanza a lungo per saperlo.”- asserì il
rosso, lanciandosi con grazia verso l’Uchiha ed
estraendo un bastone metallico e affilato dal lungo mantello nero.
Con un potente stridore, la sua lama ne colpì un’altra più
ampia e piatta: Sasuke aveva sfoderato la katana che si portava appresso con freddezza
e prontezza di riflessi invidiabile – e con tempismo perfetto.
La potenza con cui Sasori gli si
era scagliato contro era tale che Sasuke non riuscì a trattenere l’onda d’urto
e scivolò all’indietro sul pavimento metallico bagnato, finendo per sbattere
contro il corrimano cigolante e instabile.
Sasori premeva la lama del suo bastone con
forza impressionante contro di lui, senza mostrare il benché minimo segno di
cedimento o di stanchezza.
-“Una katana? Un po’ esotica e fuori tempo come arma, non credi?”-
gli domandò il rosso, con tono vagamente canzonatorio.
-“Si fa quel che si può, avessi avuto una pistola ti avrei
già riempito di piombo.”- fischiò Sasuke, scrutando con sguardo ricolmo di
astio il rivale di fronte a sé. -“Cosa diavolo vuoi da Sakura?!”-
-“Il nostro Signore necessita di sangue di bambole per
sopravvivere in eterno.”- spiegò il rosso, spiccando un salto all’indietro,
allontanandosi dallo scontro diretto con l’Uchiha.
Con gesto rapido, estrasse dal mantello un medaglione a forma di nube rossa che
portava al collo e lo mostrò all’avversario.
Sakura sospirò di sollievo, mentre con occhi ricolmi di
lacrime fissava i profondi e dolorosi segni rossi che le circondavano i polsi,
lasciati dalle corde che ora giacevano recise al suo fianco.
I suoi occhi smeraldini si sollevarono per scrutare l’alta
figura di Shikamaru, che ora sostava ben acquattato contro il muro, sbirciando
furtivo dalla finestra lo scontro fra Sasori e
Sasuke.
La ragazza acuì l’udito, percependo un cozzare metallico e
irregolare di lame provenire dall’esterno, alternati a discorsi rapidi e troppo
bassi per essere compresi, coperti dallo scrosciare incessante della pioggia.
-“Shikamaru… cosa stanno…?”-
-“Stanno lottando, Sakura. E Sasuke intanto sta cercando di
capire cosa frulla nella testa di questo psicopatico di un Sasori
no Akasuna.”- sibilò il Nara, degnando solo di una
superficiale attenzione la ragazza.
-“Come fai a sapere il suo nome?!”- si sorprese la Haruno, mettendosi in piedi a fatica.
-“Perché è il cugino dei Sabaku.”-
proferì Shikamaru, scorgendo un’espressione interdetta spaziarsi sempre più sul
volto della ragazza.
-“Bambole… bellissime e perfette nella loro totale passività
e assenza di emozioni, pure e caste come il giorno della loro
creazione…diventano così le ragazze dopo che il loro sangue viene sacrificato
al nostro sempre eterno Signore…”- asserì con sorrisino serafico ma intriso di
profonda crudeltà Sasori, passandosi una mano fra i
ciuffi di capelli fradici e levandoseli dal volto, mentre l’altra accarezzava
morbosamente il medaglione a nuvola rossa.
-“Beh… se hai preso Sakura come vittima sacrificale hai
fatto male i tuoi calcoli, pel di carota.”- sogghignò l’Uchiha
con ghigno malizioso, puntando la katana verso di lui con sguardo di sfida.
–“Ti posso assicurare che non è poi così casta e pura come credi tu… anzi, per
mia esperienza personale, non lo è più.”-
-“Difatti lei non è la bambola… lei è lo specchio.”- affermò
Sasori, ritornando all’attacco, incrociando ancora
una volta la lama con quella dell’Uchiha, facendo
traballare con cigolio sordo la scala che cedette verso l’esterno, prendendo a
penzolare pericolosamente. –“Uno specchio per le sciocche allodole come voi…”-
sogghignò infine, spingendo Sasuke verso la parte pendente della struttura.
-“…uno specchio? Ma che diavolo…”- sibilò Shikamaru, che
acquattato accanto alla Haruno cercava di carpire
ogni parola del discorso fra i due.
-“Specchi… bambole… lui è fissato con le bambole, ma non mi
ha mai parlato di specchi…”- sussurrò Sakura, palesando la sua perplessità
riguardo al discorso del suo aguzzino.
Un’intuizione brillò improvvisamente sul volto dell’Haruno, attirando l’attenzione del ragazzo su di lei.
-“Ti è venuto in mente qualcosa?”-
-“Sì… lui, Sasori… mi ha attirata
in inganno richiamando la mia attenzione con il riflesso di uno specchietto in
lontananza… ma cosa può significare?”-
-“Tu sei uno specchio, ha detto Sasori.”-
ripeté Shikamaru, incrociando le mani e assumendo un’espressione pensierosa,
mentre prendeva a riflettere ad alta voce. -“Noi abbiamo trovato frammenti di
specchi ovunque. In casa di Sasuke e in casa di Ino.”- spiegò il ragazzo,
scrutando la ragazza.
-“In casa di Ino? Che c’entra Ino?”- sussultò Sakura,
interdetta.
-“…anche lei è sparita. È venuta a cercarti, probabilmente…
non l’hai vista?!”- trasalì Shikamaru, sbarrando gli occhi e scuotendo
leggermente l’amica per le spalle.
-“No, assolutamente! Sasori non si
è mai allontanato da qui!”- spiegò Sakura, percependo il sudore freddo
scivolarle lungo le tempie.
-“Maledizione… dove diavolo si sarà cacciata, ora?!”-
imprecò il Nara, scuotendo la testa furibondo. -“Sakura… uno specchio… come uno
specchio per le allodole… gli specchi cosa fanno? Riflettono la tua immagine, un’immagine
fittizia… un inganno… uno specchio per le allodole… un inganno, una trappola…
ti ha attirata qui usando uno specchio… tu… tu sei lo specchio… tu…”- si bloccò
il ragazzo, sbarrando gli occhi verso la Haruno, che
lo fissava intimorita e confusa.
-“Io… cosa?!”-
-“Tu… sei uno specchio. Così come Sasori
ti ha attirata qui usando uno specchio, lui ha attirato Ino usando te. Tu sei
soltanto un’esca. È Ino che voleva!”-
Era veloce. Dannatamente veloce.
Sasuke rimase appoggiato alla ringhiera dell’impalcatura
ormai pericolante verso il suolo, puntando la sua katana in direzione di Sasori che, complice della pioggia, si muoveva zigzagando
con scatti rapidi e pressoché invisibili – inumani.
Gli occhi d’ossidiana seguivano attenti i movimenti del
nemico, come quelli di un falco che sta per essere attaccato da una serpe un
po’ troppo furba per i suoi gusti. Sasuke sapeva che Sasori
stava tramando qualcosa, qualcosa di terribilmente losco. E abbassare
l’attenzione in quel momento sarebbe potuto essere letale.
-“SASUKE!”-
Un urlo stridulo e cristallino proruppe tramite le tenebre
piovose. Ma quella voce ricolma di ansia e terrore suonò come un soave e caldo
sollievo per Sasuke.
Sakura. Viva e vegeta.
L’Uchiha sollevò lo sguardo verso
la finestra, dove il volto angelico e preoccupato dell’Haruno
lo guardava, pallida ma contemporaneamente felice di poterlo rivedere dopo
tante sofferenze.
-“Distratto!”- commentò Sasori,
sfiorando appena i polsi dell’Uchiha per poi
allontanarsi nuovamente con un rapido balzo.
-“Che cazzo…”- sibilò Sasuke, ma immediatamente realizzò che
terribile conseguenza aveva avuto la sua lieve distrazione.
Dei fili stringevano i polsi dell’Uchiha,
congiungendoli alle mani di Sasori, dove le
cordicelle erano legate a mo’ di marionetta e da dove l’avversario poteva
controllare a suo piacimento i movimenti di Sasuke.
Senza dargli il tempo di reagire, Sasori
mosse le braccia dell’Uchiha con una violenta spinta
contro uno spuntone acuminato che sporgeva dalla parete.
La mano di Sasuke lo colpì con violenza, e lo spuntone
arrugginito penetrò nella carne, lacerandogli a fondo il dorso.
Imprecando, l’Uchiha fece forza e
riuscì a ritrarre la mano, perdendo però la katana, che scivolò giù
dall’impalcatura di ferro, mentre quest’ultima si piegava ulteriormente
all’infuori con un cigolio spettrale e acuto.
Sasuke vide la guaina della spada incastrarsi in un cumulo
di macerie in mezzo al fango del terreno sottostante, restando con la lama
puntata verso l’alto, brillante e acuminata sotto la pioggia torrenziale.
Inveì nuovamente quando percepì i fili – intuendo solo ora
fossero fatti di una striscia di ferro sottilissima – premere ancora intorno ai
polsi, tagliandoli sempre più in profondità mentre Sasori
lo trascinava verso di sé.
-“Bastardo!”- imprecò la voce furibonda di Sakura, apparendo
come un fulmine rosa e saltando agilmente sulle spalle del rosso, animata da
una rabbia incontrollata. –“Lascialo!”-
La ragazza si avvinghiò alle spalle di Sasori,
stringendolo per il collo, ma questi non ebbe alcuna reazione, restando
impassibile al soffocamento. Con freddezza invidiabile, il rosso afferrò Sakura
per i capelli, e con un gesto carico di leggerezza, la sollevò, provocandole un
dolore immenso, e la scaraventò dall’altra parte dell’impalcatura.
-“Avanti Sakura, non ribellarti a me… ti ho scelta come mia
bambola di compagnia, dovresti esserne onorata…”- sogghignò Sasori,
prendendo la sua lancia di ferro e conficcandola poco sopra la spalla della Haruno, in modo da terrorizzarla. Ma i suoi occhi
smeraldini non rispecchiavano paura, ma speranza, vivida e nuova. Sasori inarcò un sopracciglio, perplesso da tale reazione.
-“Distratto.”- sibilò una voce roca e decisa alle spalle del
rosso, prima di percepire un potente calcio colpirlo alla schiena e spedirlo
giù dall’impalcatura.
Sasuke si sporse per vedere il suo nemico volare di sotto,
ma qualcosa di freddo e doloroso gli si attorcigliò al collo, trascinandolo giù
di peso.
-“SASUKE!”- gridò Sakura, sporgendosi per vedere cosa fosse
accaduto in quel lasso di tempo indescrivibilmente rapido.
Sasori e Sasuke restavano penzolanti a
mezz’aria, un lieve filo ferreo ad unirli, visibile grazie solo alla pioggia
che vi si poggiava sopra, rendendolo brillante.
Nella caduta, Sasori aveva
allungato i fili che gli dipartivano dalle mani allacciandolo al collo dell’Uchiha, trascinandolo giù con sé, e il filo che li
collegava era rimasto impigliato nell’impalcatura: ora i due ragazzi parevano
delle marionette sospese a mezz’aria, una delle quali agonizzante nel suo
soffocamento.
Sasuke cercava disperatamente di allentare la stretta del
filo intorno al suo collo, prima che soffocasse o che gli tagliasse
direttamente la testa. Teneva una mano fra la pelle e il filo, mentre con
l’altra – abbondantemente insanguinata a causa delle ferite – cercava di
issarsi sul balconcino soprastante, inutilmente.
-“Ah ah… che situazione bizzarra… se il filo si rompesse…
cadremmo entrambi…”- commentò Sasori, fissando la
massa informe di detriti metallici sotto di loro, fra i quali spiccava la spada
di Sasuke, rivolta verso l’alto, come ad attendere la sua caduta. –“Peccato non
avere nulla con cui tagliare il filo, non trovi?”-
-“…di…strat… to…”-
sibilò Sasuke nel suo soffocamento, estraendo lentamente dalla tasca qualcosa
di lucido, che brillava bagnato dalla pioggia. Il pezzo di specchio abbandonato
a casa sua.
Con gesto rapido, Sasuke tagliò il filo che lo teneva legato
all’assassino con il frammento di specchio e, regalando un ultimo sguardo alla
sua Sakura, cadde al suolo, portandosi con sé Sasori
e l’urlo straziante di Sakura che spezzava lo scrosciare intenso della pioggia
notturna.
…tobecontinued…
*Angolo di Luly*
Mwahahaha. Ok, scusate
il ritardo. *___*
La verità è che faccio parecchio schifo a scrivere
le scene d’azione [come potrete ben notare da questo patetico duello fra Sasuke
e Sasori], quindi ci ho messo un po’ più del
previsto. Gomeù_ù
Oltretutto gli esami si avvicinano [oh mamma T_T] quindi sarà il caso che mi sbrighi a finirla in
fretta, sennò non me la cavo più ù_ù
Ehm… che dire… un capitolo ricco di SasuSaku e di suspance! Chissà
come andrà a finire *fa la finta tonta e se ne esce cantando…*
Un grazie infinito a tutti coloro che commentano e
che hanno messo la storia fra i preferiti, non pensavo potesse piacere così
tanto! <3
Hele91
Celiane4ever
Dark_akira
Lalani
Vampiro
solitario91
Kry333
Sasusaku11
LalyBlackangel
Eleanor89
Hikaru90
Hachi92
Jessica
Hale
Vi amoH infinitamente.
<3
Al prossimo capitolo e non mancate di farmi sapere
che ne pensate. *__*
Il sole che infiammava la sera si era spento, come una candela stanca e
consunta, sotto il peso della notte e delle pesanti nubi cariche di pioggia che
portava con sé
Il sole che
infiammava la sera si era spento, come una candela stanca e consunta, sotto il
peso della notte e delle pesanti nubi cariche di pioggia che portava con sé.
Presto qualche
goccia cominciò ad infrangersi sui finestrini, mentre la piccola auto
sfrecciava silenziosa per le strade vuote di quella cittadina desolata.
Sakura lasciò
scivolare un dito sulla condensa del finestrino, tracciando una scia luminosa
sul vetro appannato.
-“Sicura di
non voler passare in ospedale? C’è ancora tempo, prima della
fine delle visite.”- asserìShikamaru,
scrutando la ragazza seduta al posto del passeggero con la coda dell’occhio.
-“No, non mi va. L’ho già salutata ieri e poi… lei non vuole che io parta.”-
-“Penso che
nessuno lo voglia, Sakura.”-
-“Sì, ma lei…
ciò che dice… mi fa paura.”- concluse la Haruno, abbassando gli
occhi smeraldini – divenuti improvvisamente lucidi –
sulla sua mano tremante.
-“Cerca di
capirla, è ancora molto scossa dagli avvenimenti.”- ribatté Shikamaru
incerto, accostando l’auto al marciapiede davanti alla piccola stazione del
paese.
Piccola,
trasandata, scura; si stagliava ancora nelle tenebre piovose, ad attendere
l’arrivo di Sakura per la seconda volta in così poco tempo.
La ragazza
percepì un brivido di freddo percorrerla, non appena la vista attuale della
stazione si sovrappose con quella così simile e spettrale ancora vivida nei
suoi ricordi.
-“Spero che Ino esca presto dall’ospedale…e da questo incubo.”- sospirò
Sakura, appoggiando la mano sulla maniglia della portiera –“Grazie per avermi
accompagnata, Shikamaru.”-
-“Sakura…
penso che Ino abbia ragione. Sai, quando dice quelle
cose…”- asserì il Nara, stringendo con più forza il volante, mentre le
sopracciglia si aggrottavano, divenendo pensierose.
-“No! No, no…
questo incubo è finito, e basta. Ino è debole e
spaventata, sotto l’effetto della morfina per di più. Lei… delira, Shikamaru. Non sa quello che dice. Ha delle visioni prive
di senso e logica.”- commentò Sakura, la voce spezzata dal terrore.
-“Ricordati
sempre che senza quelle visioni prive di senso e logica tu non saresti qui,
ora.”- il rimprovero di Shikamaru tuonò secco
nell’auto, accompagnato da un truce sguardo accusatore.
-“Io no. Ma lui sì.”- sibilò la Haruno
con voce ricolma di rancore, prima di scendere dall’auto senza guardare il suo
accompagnatore negli occhi per l’ultima volta.
4.Dark Mirrors &SilentDolls
Quel dolore così acuto e penetrante si insinuò a fondo
nei suoi incubi, strappandola con forza prepotente dall’anestetizzato abbraccio
di Morfeo.
Ino sollevò le palpebre pesanti, per
vedere il nulla intorno a sé, e pensare quanto fosse desolante la realtà in
confronto al mondo colorato dei suoi sogni. Le richiuse, per sprofondare
nuovamente nelle tenebre, ma quel dolore così acuto la ridestò completamente da
quel greve dormiveglia, attivando pure la sua voce, che suonò come un grido
stridulo e spezzato per gli androni vuoti e scuri di quel luogo umido e
desolato.
-“Oh, che voce, mia bambola…”- canticchiò una voce setosa e melliflua vicina, così tanto da accarezzarle il
lobo dell’orecchio col suo alito gelido – così in contrasto col caldo del suo
timbro vocale.
-“Che fai?!”- singhiozzò Ino,
in un tremito di voce agonizzante e terrorizzato.
I suoi occhi di zaffiro guardavano sconvolti quel
pezzo di specchio scheggiato brillare nelle tenebre tra le mani del misterioso
individuo, così vicino ai suoi occhi che per la paura faticavano a rimanere
aperti.
Il terrore la paralizzava, ma quando un briciolo di
adrenalina la scosse, Ino fece pressione sul braccio, per realizzare solo
allora che entrambi gli arti erano incatenati sulla sua testa, sollevati da
delle rumorose catene di ferro.
Singhiozzando, Ino prese a tirare verso il basso,
creando un gran trambusto metallico.
-“Shhh, shhh…
piccola bambolina, non fare tutto questo baccano, o i tuoi amici potrebbero
sentirci…”- la richiamò il ragazzo, mentre con una mano afferrava un polso di
Ino e con l’altra vi appoggiava il frammento di specchio, facendovi pressione,
riprendendo un lavoro già iniziato.
Solo allora Ino realizzò cosa fosse quel dolore che
l’aveva destata dal sonno: il suo aguzzino aveva inciso i suoi polsi con un taglio
lungo e profondo, utilizzando un pezzo di specchio, e ora lasciava che il suo
sangue fluisse dalle ferite, come caldi fiumicelli scarlatti che scorrevano
lungo le braccia della ragazza per poi cadere a terra, in pozze di sangue che
colavano in piccoli canali intagliati nel marmo del suolo. Quell’immagine
fu seguita da una lancinante serie di fitte alla testa, come se dal nulla mille
aghi si stessero addentrando nei meandri della sua memoria.
-“Che cos’è…?”- singhiozzò
Ino, terrorizzata dalla prospettiva imminente di morire dissanguata.
-“Sono canali collegati all’altare del nostro eterno
Signore, situato in fondo alla sala, laggiù, nascosto nelle tenebre. Ora che sei
tornata, vittima sacrificale, vedrai che apprezzerà molto il tuo sangue puro e
casto!”- cantilenò allegro il ragazzo, camminando verso l’altare e
attraversando uno spiraglio di luce, che permise a Ino
di rimirare i lucidi e lunghi capelli dorati del suo rapitore, avvolto da un
insolito mantello scuro.
–
I suoi occhi smeraldini sostarono per pochi secondi –
istanti infiniti – sul sangue che colava a rigagnoli al suolo, formando una
pozza scarlatta sempre più grande, un piccolo lago rosso nato da quel petto
trafitto da parte a parte dalla katana, rivolta verso
l’alto come se non attendesse altro che quella caduta.
Inorridita, Sakura si voltò di scatto, coprendosi le
labbra tremanti col palmo della mano, e riprese a respirare a fondo e velocemente
– cosa che non aveva fatto per tutta la durata dell’atroce visione.
Poi un gemito di dolore provenne da altrove, ma un
gemito conosciuto, un alito di vita che riscaldò il cuore della ragazza tanto
da farle venire le lacrime. Si volse dalla parte opposta con rapidità e
leggerezza, come se alle sue spalle non vi fosse un cadavere, come se la morte
e il terrore non aleggiassero più in quel luogo; come se ciò davanti a lei ci fossero solo luce e speranza e nulla più.
-“Sei sicuro di star bene?!”- ansimò Sakura,
scrutando con occhi ricolmi di ansia il ragazzo dai capelli corvini appoggiato
alla spalla dell’amico.
-“Sì… Sakura…”- sussurrò Sasuke, fissando
intensamente la ragazza, con sguardo enigmatico. –“…sei proprio noiosa.”-
commentò infine, lasciandosi sfuggire un sorrisino di sollievo in un volto
contratto dal dolore.
All’udire quella frase, quasi di rito per loro due,
Sakura si sciolse in un pianto liberatorio, mentre Shikamaru
aiutava Sasuke a fasciarsi la gamba, dolorante dopo la caduta; per non parlare
del collo, che gli doleva tanto che ad ogni respiro si sentiva soffocare.
-“Fottuto Nara, se ti fossi
scopato la Yamanaka, tutto ‘sto casino non sarebbe
accaduto…”- sibilò Sasuke, seccato.
-“Cazzo c’entra?!”-
-“Vogliono Ino perché è vergine!”-
-“Stronzate!”-
-“Beh, l’ha detto lo psicopatico infilzato laggiù, se
vuoi domandiamo!”-
-“No, dico… stronzate sul
fatto che è vergine…”-
-“Te la sei scopata?”-
-“Ehm… che finezza, Sasuke… ma secondo te, per chi mi
hai preso?!”-
-“Allora te la sei scopata male. Avrai fatto cilecca,
Nara.”-
-“Ma vaffanculo, cilecca la farai tu!”-
-“Sakura, qualcosa da ribattere a mio discapito?”-
cantilenò Sasuke, scoccando un’occhiata eloquente verso la ragazza.
-“Sasuke!”- arrossì Sakura, imbarazzata. –“E… e
comunque è vero quello che dice Shikamaru… Ino me ne ha parlato…”-
-“Pure e caste
come il giorno della loro creazione ha detto Sasori,
me lo ricordo bene.”- commentò Sasuke, facendo leva sulla gamba dolorante per
alzarsi in piedi. –“Se non intendeva questo, cos’altro poteva significare?”-
-“Non lo so, Sasuke, ma non posso restare qui a
perdere tempo. Ino è là dentro, chissà dove l’ha
rinchiusa Sasori… e sarà spaventata. Tu non sei in
condizione di seguirmi, forse è il caso che tu e Sakura ve ne andiate…”- asserì
Shikamaru, fissando l’enorme fabbrica avvolta dalle
tenebre.
-“Non se ne parla nemmeno.”- ribatté Sasuke,
perentorio –“Sasori è fuori combattimento, ma pensi
davvero che fosse in grado di portare avanti un piano così diabolico senza un
complice?”-
-“Lo so, ci avevo già pensato.”-
-“Infatti, e non mi sembra il caso di fare l’eroe e
di andare a salvare la tua bella da solo. La mia gamba sta bene, è solo un po’
ammaccata… e la mia katana è laggiù, un po’ sporca,
ma pronta ad essere riutilizzata. Solo da me, ovviamente.”- ghignò Sasuke,
lanciando un cenno eloquente a Sakura, che si mosse rapida verso il cadavere
del suo aguzzino infilzato dalla spada.
L’unico volto che per ore lunghe e buie si era
riflesso nei suoi occhi smeraldini ora sostava lì, identico a pochi minuti
prima, stavolta privo di vita – ma quando mai era apparso animato? – con quegli occhi che nella morte apparivano vitrei e
freddi così come lo erano stati da vivi.
-“Sakura, vuoi una mano?”- domandò Shikamaru, fissando quella scena vagamente allarmato.
-“No, deve farcela da sola.”- asserì Sasuke,
scrutando coi suoi occhi di tenebra ogni movimento della Haruno,
cercando di infonderle fiducia con lo sguardo – anche se era difficile vederla
sola e inerte vicino a quel corpo,
seppur senza vita. Ma era una questione che Sakura doveva affrontare per
superare completamente e lui non poteva fare altro – oltre a starle accanto per
proteggerla… stavolta per sempre.
La ragazza deglutì, stringendo i pugni e facendosi
forza, ma un intenso tremore la pervase mentre avvicinava la mano alla lama
insanguinata.
Realizzò che per estrarre la katana
doveva voltare il corpo di Sasori, ed estrarre l’arma
da dietro, visto che la guaina era rimasta incastrata al suolo e la lama – ora
insanguinata - rivolta verso l’alto.
Fece una lieve pressione sulla spalla di Sasori e il suo corpo, duro come il marmo, si sollevò con
facilità impressionante, quasi non avesse peso.
Sakura afferrò la lama e con uno strattone la sfilò
dal petto del suo sequestratore, lasciandolo poi cadere a terra e
allontanandosi con un balzo. Lanciò un’ultima occhiata allarmata a quel volto
angelico e perfetto, contratto in un’espressione neutra pure nella morte,
tenendo stretta a sé la katana di Sasuke. Trasalì
quando le parve di vedere un bagliore brillare negli occhi d’ametista del
morto.
Poi una mano salda e fredda si poggiò sulle sue,
strette intorno all’impugnatura della katana, e
Sakura sollevò gli occhi di smeraldo verso Sasuke, che la cinse con un braccio
intorno alla vita, abbracciandola da dietro.
L’Uchiha lanciò un ultimo
sguardo di fuoco al cadavere dell’avversario, piegando le labbra in un ghigno
trionfante, mentre con l’altra mano sfilava la katana
dalle mani della ragazza e se la sistemava nuovamente sulla schiena.
-“Andiamo a prendere Ino e
finiamola con queste stronzate.”- asserì Sasuke,
volgendosi verso la fabbrica degli incubi.
–
Quando si risvegliò, una dolorosa fitta le spaccò la
testa a metà, come un colpo secco e forte, così potente che gemette per il
dolore.
Si passò una mano sul capo, per realizzare che un
taglio sulla cute le stava macchiando i capelli di sangue.
Sospirò di dolore, le lacrime che le bruciavano sugli
occhi, mentre si sollevava a fatica facendo leva sui tubi metallici della
parete retrostante.
Sakura vi si appoggiò, un altro gemito le sfuggì
dalle labbra. Tolse la mano dalla ferita sulla testa, portandosela davanti agli
occhi per osservare quella macchia scarlatta attraverso l’oscurità – non le
parve nulla più che una chiazza corvina, dall’odore vagamente metallico.
Allarmata, si guardò rapidamente attorno, per
realizzare che dal fondo di quello che le pareva un corridoio umido e scuro,
provenivano delle luci – finestre?
Vi si diresse zoppicando, strisciando appoggiata al
muro freddo e grezzo, mentre nella sua mente i pensieri cominciavano a
riordinarsi man mano che il dolore alla testa si anestetizzava: ricordava una
corsa verso la fabbrica, lei, Sasuke e Shikamaru… le
urla, le invocazioni, Ino, Ino,
Ino… e poi… le scale ferree e arrugginite, i corridoi
bui, i rumori sinistri… e poi il pavimento che cedeva sotto i suoi piedi e la
voce di Sasuke che invocava il suo nome, ancora e ancora, Sakura, Sakura,
Sakura… finché le tenebre l’avevano inghiottita.
Ma presto il ricordo di Sasuke svanì dai suoi
pensieri, rimpiazzato dall’enorme sorpresa per ciò che le si apriva davanti: le
piccole finestrelle sporche e mezze distrutte, bloccate da delle inferriate
quasi fosse una prigione, lasciavano filtrare una luce fioca e giallastra, che
andava ad illuminare quella che pareva quasi… una cameretta.
Un letto malridotto in un angolo, bambole e
marionette per ogni dove, e poi fotografie, tante fotografie…
Sakura passò di fianco ad un tavolino su cui vi erano
accumulate un gran numero di bamboline: dei fili dorati attirarono la sua
attenzione, portandola a sollevare una bambola che, con suo immenso orrore,
realizzò essere quella di Ino, con indosso un abito
bianco macchiato di rosso – sangue? Vernice?.
Con un gridolino acuto, la
ragazza lasciò cadere la bambolina, portandosi una mano al petto, percependo il
suo respiro affannato, il cuore battere a mille.
Quando i suoi occhi smeraldini si posarono sulla
bambolina somigliante Sasuke, avvolta da dei fili di ferro intorno a collo e
polsi, un raptus di rabbia colse Sakura, che li strappò con furia, liberando la
bambolina da quell’atroce agonia e scaraventandola
lontano con scatto nervoso.
Il pupazzo andò a sbattere contro la parete ricoperta
di foto, dalla quale se ne staccò una, che svolazzò leggiadra per aria, finendo
al suolo.
Claudicante, Sakura vi si avvicinò inginocchiandosi.
Raccolse la foto, aggrottando le sopracciglia, scrutando con attenzione ogni
singolo volto in quella foto recente ma ingiallita dall’umidità della stanza.
Sasori, accanto ad un ragazzo dai lunghi
capelli biondi e gli occhi celesti che faceva la linguaccia; un ragazzo dai
capelli argentati impomatati all’indietro, un ghigno sadico sul volto; un tizio
alto e grosso, dal volto tutto bardato; un bel tipo dai capelli arancioni pettinati all’insù, ma con degli occhi
terribilmente inquietanti e il volto ricoperto di piercing.
Fu però l’immagine della ragazza dai capelli blu al suo fianco, che gli
stringeva il braccio con fare spensierato, a far sussultare Sakura.
-“Konan…”- sussurrò
riconoscendo la vicina di casa, mentre gli occhi smeraldini si spostavano ad
osservare l’ultimo componente della foto, quello messo più in disparte e la cui
immagine era stata più rovinata dall’umidità.
Forse era stata distorta l’immagine, forse gli
assomigliava particolarmente ma non era lui, forse… forse forseforse… eppure se lei era Konan,
nulla toglieva che quel ragazzo dai lunghi capelli corvini raccolti in una coda
bassa, lo sguardo così tenebroso, quelle occhiaie scavate…
-“Lui non può essere…”-
–
-“Itachi.”-
-“Oh avanti, non saltare troppo di gioia nel
rivedermi, fratellino.”- ridacchiò sottovoce il ragazzo dai lunghi capelli
corvini, appoggiato contro la porta ferrea completamente avvolta nell’ombra,
risultando niente più che una voce dalle tenebre velata d’ironia.
-“Te ne sei andato senza dire nemmeno una parola.”-
-“Non mi pare che ti abbia toccato molto la cosa.”-
-“E ti ritrovo in una fabbrica abbandonata, abitata
da pazzi furiosi che hanno rapito la mia ragazza. Ora, parliamone. Cosa
pretendi che ti dica?!”- sbottò infine Sasuke, alzandosi dal pavimento umido di
quella stanza dimenticata da Dio per avvicinarsi cautamente all’angolo in cui
stava stazionato il fratello, in attesa di possibili rumori.
Shikamaru intanto se ne restava zitto
e cupo al lato opposto della stanza. Si era piazzato lì da quando, pochi
secondi dopo aver visto Sakura svanire nella voragine, lui e Sasuke si erano
lanciati in una corsa frenetica per le stanze buie per poi essere presi alle spalle da Itachi all’improvviso e
trascinati senza diritto di replica in quella sottospecie di cantina.
La discussione in atto – portata avanti dai fratelli
con toni stranamente pacati e sottovoce – gli
scivolava sulla pelle come le goccioline d’acqua sporca, cadenti dal cielo, che
gli picchiettavano la spalla da quando si era piazzato lì.
Tutta quella storia doveva pur aver un senso. E il
senso stava proprio nel riuscire a capire l’ordine dei pezzi che si collocavano
in ordine sparso dentro quella fabbrica abbandonata. Perché un ordine c’era,
andava solo capito. E sicuramente lui… ne sapeva qualcosa.
-“Se un poliziotto come te si trova in questo posto
dimenticato da Dio – cosa che a quanto pare non è – ci dovrà pur essere un
motivo, vero, Itachi?”- formulò la sua domanda con un
tono nuovo, che stupì persino le orecchie di Sasuke. Quel Shikamaru
serio, meditativo, freddo, aveva un qualcosa di inquietante: quasi
irriconoscibile.
-“Questa sì che è una domanda intelligente. Vedi
Sasuke?”- entrambi percepirono il sorrisino ironico di
Itachi attraverso le tenebre, mentre questo si
allontanava dalla porta per lasciarsi illuminare da un flebile spiraglio di
luce che si stagliava al centro della stanza. –“Ci sono così tante cose da
dire, che sinceramente non saprei nemmeno da dove iniziare. Forse da quando sei
anni fa facevo parte del gruppo Akatsuki?”-
-“La sezione speciale della polizia che si occupava
di casi legati al mondo dell’esoterismo?”- domandò
Sasuke, come se quella parola avesse ridato vita a una
scintilla ormai spenta nella sua memoria.
-“Esattamente, Sasuke. Nell’allora squadra speciale
eravamo in sette investigatori. In realtà sei, più un ragazzino portato da Konan. Asseriva che fosse dotato di particolari poteri
sensoriali. Il suo nome era Sasori. Immagino che
abbiate già fatto la sua conoscenza.”- al solo udir pronunciare nuovamente il
nome di quell’incubo ormai concluso, agli altri due
si accapponò la pelle istantaneamente. –“Ad ogni modo la nostra squadra
lavorava bene, eravamo riusciti a risolvere moltissimi casi. Ma come si sa le
cose belle son destinate a durar poco. E così
accadde. L’inizio della fine fu quando Konan e il suo
ragazzo, Pain, iniziarono a lavorare su un caso a dir
poco agghiacciante, di cui forse vi ricorderete: l’allora così denominato Caso Bambole di Cristallo, una serie di
misteriosi rapimenti di bambine fra i sette e i dieci anni. Ben presto si
mobilitò tutta la squadra su una pista che Pain era
riuscito a trovare: una setta che si riuniva in questa fabbrica abbandonata
nella quale era stato costruito un altare su cui sacrificare la così denominata
“bambola perfetta”, una bambina dall’animo puro e dalla bellezza diafana la
quale, una volta morta dissanguata, sarebbe stata imbalsamata e resa eterna,
come una bambola per l’appunto.”- un singulto di rancore fermò la spiegazione
di Itachi, tradendo rancore – paura? - e l’agitazione
facilmente percepibili anche dal tremore del suo corpo. Strinse il pugno e
continuò con il racconto, ma ora la narrazione divenne molto più frammentaria e
coinvolta, poco lucida e confusa dalle emozioni ancora marchiate a fuoco nella
mente dell’agente –“Continuarono a sacrificare bambine finché il loro dio non
ne fu soddisfatto. Stava per risorgere, dicevano loro. Mancava solo lei, la
bambina perfetta. E il rituale si sarebbe svolto quella notte. Ma no, Pain non poteva lasciare che anche lei morisse. Se le era
lasciate sfuggire tutte dalle mani, quelle povere vite innocenti, e quella
bambina rappresentava la sua ultima fonte di salvezza… di redenzione.
Continuava a ripetere io salverò Ino, la salverò, fosse l’ultima cosa che faccio. E fu
l’ultima cosa che fece…in effetti.”-
-“Ehi aspetta un secondo…”- lo interruppe Shikamaru, interdetto da quell’ultimo
dettaglio.
-“Esattamente Shikamaru. Ino era la vittima sacrificale di allora. Era già quasi
mezza morta quandoPain
riuscì ad entrare nella stanza dei sacrifici, mentre noi altri combattevamo i
vari adepti al suo esterno. Lui era una furia inarrestabile: sparò a tutti gli
adepti, ma il grande sacerdote lo colpì alle spalle,
infilzandolo con una spada che teneva nascosta nell’altare. Solo pochi secondi
dopo arrivammo io e Konan, e
lei riuscì a sparare in testa al sacerdote, mentre Pain
si accasciava al fianco di Ino nella pozza di sangue
dell’altare proprio mentre i cerchi del rituale sul pavimento cominciavano a
cambiare tonalità, illuminandosi di una strana luce. Pain
poi sussurrò qualcosa all’orecchio di Ino e Konan le si avventò contro, sollevandola fra le braccia e
porgendomela con sguardo disperato; io presi la piccola e uscii di corsa,
mentre la mia compagna restava a prestare soccorso a Pain.
-“Pain morì poco dopo,
sempre qui, in questa fabbrica. Ino, chiaramente, si
salvò, ma probabilmente per lo shock non ricordò mai nulla del suo rapimento, e
mai nessuno glielo rammentò. Lei tornò a vivere la sua vita, ma non so per
quale motivo Konan se la prese piuttosto a cuore, e
continuò a seguirla di nascosto, decidendo pure di trasferirsi nel nostro
palazzo per tenerla d’occhio. Pensavo che ci tenesse, visto che era la persona
per cui Pain si era sacrificato. In altrimenti avevo
ipotizzato pure che provasse odio e rancore per lei, sempre per questo motivo,
ma non era decisamente né da Konan né da Pain.
Konan lasciò la squadra di polizia
insieme a Sasori, e dopo poco tempo seppi che i miei
colleghi Hidan e Kakuzu
avevano preso ad indagare su di lei: continuava ad andare alla fabbrica di
nascosto. Nel giro di due mesi, i miei colleghi vennero trovati uccisi in modo
orribile sempre nei pressi della fabbrica, che da quel giorno venne
definitivamente sbarrata. Ero rimasto solo, con il peso di crimini e sangue di
omicidi inesplicabili sulle mie spalle. Con gli spiriti dei miei compagni a
invocare il mio aiuto dall’aldilà. E con la coscienza di dover proteggere le
persone a me care, perché ormai ne ero certo: quella
sera, in quella fabbrica, qualcosa accadde a Konan. E l’ultima pedina da far zittire… ero proprio io.
E dopo quattro anni di investigazioni
serrate, finalmente in questi giorni sono riuscito a cacciare la verità fuori:
non sono sparito, Sasuke, semplicemente ero venuto alla fabbrica per un faccia
a faccia con Konan, Sasori
e Deidara, i suoi amabili scagnozzi. Ed eccola qui la
storia: Konan è convinta di aver sigillato lo spirito
di Pain con quello del demone invocato sei anni fa
nell’altare, perché proprio nel momento in cui io scappavo con Ino, lo spirito malefico si risvegliava, portandosi Pain con sé.
Konan ha passato anni a riaccumulare le energie necessarie per un nuovo rituale, e
ora che ci è riuscita manca solo una cosa: la vittima sacrificale originaria,
quella che è stata portata via lasciando il rituale d’invocazione a metà,
legando per sempre il suo sangue allo spirito di Pain.”-
-“Ino…”- sospirò Shikamaru, ma suonò più come un singhiozzo strozzato che
come un’affermazione.
-“Già. E a quanto pare la nostra nobile Konan teneva così tanto ai suoi scagnozzi da volergli
portare un regalino per il loro lavoro perfetto e la loro longeva fedeltà:
Sakura, da utilizzare come passatempo nelle lunghe ore di noia di questo
luogo.”- concluse Itachi, tirando fuori una pistola
dalla fondina e caricandola di nuovi colpi. –“Allora, vi è piaciuta la favola di
mezzanotte?”-
-“E ora che si fa?”- domandò Sasuke, sfoderando la katana in risposta all’armamento del fratello.
-“Io? Vado a finire ciò che non conclusi sei anni fa.
E voi?”-
…to be continued…
*Angolo di Luly*
Okay, a dimostrazione che i miracoli
accadono. Ho continuato.
Ma solo perché a questa fanfiction tenevo particolarmente; insomma, è l’unica di
questo genere che io abbia mai scritto e la storia intrigava anche me. Solo che
rileggendola dopo due anni non ricordavo assolutamente nulla del mio progetto
originale, quindi mi sono dovuta re-inventare una storia ed una trama
adattabile. Penso che nulla stoni con i precedenti capitoli, ma in caso ci
fossero contraddizioni vi prego di non esitare nel farmelo notare ç_ç
Grazie di cuore a tutti coloro
che commentarono allora e che vorranno farlo ancora.
Grazie se avete avuto la
pazienza di leggerla – o rileggerla.
Grazie se siete ancora qui
nonostante tutto.
Questa volta però si giungerà ad
una fine e presto. Un capitolo oggi, uno domani e l’ultimo il 1 Aprile: non per
farvi uno scherzone, ma perché è il compleanno di zia
Eleanor89, colei per cui… è nato tutto
questo. E visto che la inizia per il suo compleanno, ci tengo a finirla per
rispettare questa importantissima data, che 22 – di già? – anni fa ci ha
regalato una delle più grandi scrittrici di questo sito.
guardare il suo accompagnatore negli occhi per l’ultima volta
Il suo urlo
era stato il primo suono a spezzare la più lunga alba della sua vita.
Non l’avrebbe
mai scordato, Sakura.
Non mentre, dopo aver visto Shikamaru
sparire nella notte a bordo della sua auto, era entrata nella stazione deserta
in cui era iniziato tutto – l’inizio del suo incubo.
Non vi era
nulla e nessuno, solo un vecchio televisore che anziché funzionare, emanava un
ronzio alquanto fastidioso.
Quindi Sakura uscì per raggiungere
i binari, portandosi appresso la pesante valigia.
Fissava il
vuoto, intenta a concentrarsi su altro… ma ben presto
realizzò che nella sua mente altro non c’era.
Ed eccola lì, l’enorme figura delle rovine incenerite della
fabbrica maledetta. Nonostante
tutto, era ancora lì in piedi. Come a ricordare a tutti che non ci sarebbe mai
stata una fine.
5.Broken Mirrors &Burning Dolls
Era la fine.
Chiaramente lo era.
Nonostante sapesse che Sasuke e
Shikamaru sicuramente le stavano cercando là dentro, da qualche parte, forse
addirittura a pochi metri di distanza… in cuor suo Sakura presagiva di esser
giunta al capolinea.
Fine.
Fine fra le mura umide e gelide di quella fabbrica
collocata al di là del tempo.
Fine accasciata al suolo, legata
mani e piedi, da prigioniera.
Fine con le iridi colorate del
riflesso rosso del sangue della sua migliore amica.
Fine fissando due angeli oscuri pronti a stroncare la
sua esistenza. Dolorosa, odiata, incompresa, ma tanto amata vita.
-“Tu… tu sei una pazza.”- singhiozzò Sakura,
mischiando l’ira alla disperazione, facendo leva sui gomiti per cercare di
muoversi – strisciare – in direzione della sua angelica aguzzina.
Konan si lasciò sfuggire un’aggraziata
risata, cambiando il suo percorso per dirigersi verso la sua piccola
prigioniera. La bloccò posandole un piede sul petto: fece lievemente pressione
col tacco, provocandole un dolore acuto che Sakura sfogò tramite un urlo
straziante.
-“Puoi dirmi quello che vuoi, Sakura. Sfoga pure la
tua ira, il tuo dolore, la tua frustrazione, ora che
ti è concesso; ma sappi che la colpa di quanto sta accadendo è tua, solamente
tua. La tua amica è giunta da me per cercare te, così come il tuo amato e il tuo amico. Sei stata una marionetta ubbidiente, accecata
dalle vicissitudini ingiuste della tua misera vita… provavi dolore per ostacoli
che ti sembravano insuperabili, risolvibili solo con la fuga…
ma ora, grazie a me, capirai cosa è davvero
doloroso e insuperabile. La perdita… l’oblio… la disperazione… la morte…”-
sussurrò Konan, per poi premere nuovamente con maggior forza il tacco nello
stomaco della giovane, che stavolta represse lo strazio in un gemito soffocato.
La donna sospirò con forza ma lentamente, per poi
voltarsi tirando un lieve calcio in faccia a Sakura, facendola girare d’altra
parte. Si diresse verso l’altare sacrificale, contemplando il suo scagnozzo
Deidara – estremamente vitale ed elettrizzato – mentre
sistemava quanto necessario per il rito: i pentagrammi magici al suolo,
l’antica spada sacrificale – ancora macchiata di quel sangue – le candele e i medaglioni sull’altare.
Infine, con lentezza disarmante, i suoi occhi
cristallini si posarono sulla figura di Ino,
accasciata sull’altare priva di sensi, mentre dai tagli sui suoi polsi il sangue
continuava a scorrere copioso verso i canali di scolo dell’altare.
-“Dejà vu, eh Ino?”- sussurrò Konan, con tono piatto
ed enigmatico.
-“Lo è anche per noi, eh Konan?”- tuonò di rimando una
voce maschile non individuabile, rimbombando per la grande
sala.
Konan e Deidara balzarono sull’attenti
e presero a guardarsi freneticamente intorno alla ricerca di estranei nelle
tenebre, quando uno sparo spezzò il silenzio per un brevissimo secondo. Mentre la eco dello scoppio ancora si propagava lungo tutto
l’edificio, un gemito dolorante di Deidara rantolò nel silenzio, subito seguito
dal suo accasciarsi contro al muro.
-“Deidara!”- sobbalzò Konan, vedendo il suo
fedelissimo tenersi la spalla che iniziava a sanguinare copiosamente.
In quel momento dal soppalco nascosto nel buio
saltarono giù Itachi e i suoi fedeli seguaci, i volti illuminati da una
sanguinosa rabbia mista all’irrefrenabile desiderio di riprendersi ciò che gli
era stato così brutalmente strappato con l’inganno.
-“Itachi. Pensavo di esser riuscita ad eliminarti due
giorni. Ma ahimè devo averti sottovalutato…”- sospirò Konan, in tutta
tranquillità, lanciando una rapida occhiata al compagno ferito –“…rischio di
pagare cara questa imperdonabile leggerezza.”- ringhiò
infine, estraendo un pugnale da sotto il mantello e lanciandolo con estrema
rapidità verso Itachi, che nonostante il riflesso scattante venne ferito alla
coscia.
-“Itachi…!”- lo richiamò il fratello.
-“Sasuke, Shikamaru! Prendete le ragazze e
andatevene. Questa è una questione fra me e lei.”- gli intimò
Itachi, prima di avventarsi sulla donna.
Afferrando la gravità della situazione, Sasuke si
lanciò senza protesta verso Sakura, tranciando i cavi con cui era stata legata
con la katana.
-“NON DATEMI GIA’ PER SCONFITTO!!!”-
tuonò una voce colma d’ira, e sollevando lo sguardo i due ragazzi videro Deidara
rialzarsi e dirigersi verso di loro come una furia. Veloce come un fulmine,
Shikamaru gli si lanciò addosso, atterrandolo, dando così il tempo a Sakura di
liberarsi e alzarsi.
I due ragazzi iniziarono un rozzo scontro a terra a
suon di pugni, mentre Sasuke divideva rapidamente il suo sguardo fra i presenti
ed elaborava un piano.
-“Sakura. Devi prendere Ino e portarla immediatamente
fuori da qui. Ha perso un sacco di sangue, se non
facciamo subito qualcosa rischia di non farcela.”- le
intimò Sasuke, buttando a terra il fodero della spada per avvicinarsi con
l’arma brandita a Deidara. –“Io e gli altri vi raggiungeremo
fuori. Ma tu ora… corri!”-
Sakura fissò con sguardo allarmato quello più intenso
ma deciso dell’Uchiha e non seppe dirgli di no. Anzi, quella sicurezza fu quasi contagiosa, e senza
contestare la ragazza si lanciò in una frenetica corsa verso l’altare.
Ino giaceva al suolo, polsi e caviglie
libere da catene – probabilmente una volta svenuta non erano più serviti
– e intorno a lei il suo sangue aveva formato una grande pozza che defluiva in
canali più piccoli.
Facendosi forza, Sakura si avventò in quel laghetto
scarlatto, afferrando un polso di Ino. Estrasse il
fazzoletto che aveva in tasca e glielo avvolse stretto intorno alla ferita,
cercando di bloccare la fuoriuscita di sangue. Per l’altro polso dovette optare per legarle scomodamente la sua intera felpa, in
mancanza di altro. L’importante era avere qualcosa che le bloccasse
le emorragie ormai inarrestabili.
Nel frattempo, poteva udire i tonfi metallici
provocati da due grosse spranghe di ferro di cui Itachi e Konan si stavano
servendo per fronteggiarsi; non fece in tempo a voltarsi che subito si udì
un’esplosione, come di un petardo, accompagnata dal sollevarsi di un denso fumo
grigio. Deidara pareva avesse con sé sotto il mantello diverse bombe, e ora
blaterava vantandosi di poter far esplodere tutta la fabbrica, se solo avesse
voluto.
Approfittando della situazione, Sakura cercò di
caricarsi Ino sulle spalle, ma a causa della debolezza si accasciò quasi subito
inginocchiata, con un gemito.
-“Dove credi di andare…?!”-
ringhiò Konan, pronta a lanciarsi verso le due fuggitive; abbassare la guardia
a quel modo fu la sua seconda leggerezza, che le costò una forte sprangata in
testa da parte di Itachi. La donna perse immediatamente conoscenza, accasciandosi
sull’altare, mentre il ragazzo volgeva il bastone di ferro verso il simpatico
bombarolo, che privato della sua mentore era caduto
nel panico più totale.
Intuendo che i due fratelli potevano cavarsela
benissimo da soli, Shikamaru si lanciò verso le ragazze, sollevando Ino fra le braccia mentre Sakura si tirava su in piedi.
Il ragazzo lanciò uno sguardo interrogativo agli Uchiha, che cercavano un modo di disarmare Deidara senza
danneggiare i chili di tritolo che lo vestivano.
Shikamaru riuscì a scambiarsi un cenno d’assenso con
Sasuke, che non sfuggì a Sakura: dovevano fuggire senza farsi vedere da quello
svitato, prima che gli partisse il neurone e decidesse di far saltar in aria
tutti.
Senza farsi prendere dal panico, il
Nara indicò l’uscita di emergenza posta in fondo al grande androne:
fortunatamente la parete che vi conduceva era completamente immersa nell’ombra,
rendendo la fuga molto più rapida e semplice.
–
-“D-dove sono andate?! DOVE?! DOV’E’ FINITA LA VIT---“-
Furono queste le sue ultime parole. Parole devote al
progetto in cui aveva creduto fino alla fine e per il
quale aveva sacrificato tutto, pure la vita stessa.
Finì tutto con un acuto dolore, inesplicabile a
parole: la lucente lama di quella katanache fino a pochi secondi prima lo fissava
come fosse un cobra pronto all’attacco, ma intimorito dalle sue bombe, ora
affondava nelle sue carni, trapassando il suo corpo da parte a parte,
strappandogli la vita così come aveva fatto al suo compagno Sasori:
velocemente, freddamente, senza cortesia. Trattandole come delle mere bambole.
Deidara si accasciò al suolo, e lì vi rimase,
esalando i suoi ultimi rapidi respiri di vita prima di tacere per sempre.
-“Bravo, se lo beccavi un po’ più a destra saltavamo
tutti in aria.”- grugnì il poliziotto lanciando un’occhiataccia al fratellino
troppo avventato, totalmente indifferente al crimine appena commesso.
Sasuke lo ignorò con indifferenza; osservò per
qualche attimo la sua lama insanguinata, mentre Itachi si accovacciava al
fianco della vittima per tastarne il polso e accertarne la morte.
Il suo volto riflesso su quel
sangue… chissà perché gli fece uno strano effetto. Un effetto fatale.
Scostò lo sguardo dalla lama, per tornare a
contemplare il fratello che si sollevava tranquillamente con un sorriso in
volto.
La vide arrivare da dietro di lui, come una furia.
Lei, che fino a poco prima era
accasciata e priva di sensi.
Lei, il volto insanguinato, l’antica
spada dell’altare brandita in mano.
L’urlo che tardò ad arrivare, Itachi che tardò ad accorgersi di lei.
Con un grido di furia e piacere sadico, Konan affondò
la lama di quell’antica arma nel corpo di Itachi, con
potenza quasi sovrumana.
Sasuke non urlò.
Il suo cuore cadde in un doloroso silenzio, mentre il
suo odio lo portava a sguainare la katana e a colpire
con un fendente il collo della donna.
Itachi si accasciò al suolo, sanguinante e
agonizzante. Konan si accasciò sull’altare, mentre il sangue che zampillava
dalla sua giugulare ricadeva a fiotti su quello di Ino
già versato.
Sasuke abbandonò la katana, lanciandosi verso il
corpo del fratello, che tremante agonizzava nel suo sangue che si allargava a
macchia d’olio sul pavimento.
-“Itachi… Itachi, resisti…”- annaspò Sasuke, cercando
di sollevare il fratello di peso, ancora sconvolto dalla rapidità degli
avvenimenti.
Ma qualcosa interruppe la sua
disperazione. Degli inquietanti bagliori blu si innalzavano
dall’altare, dove il sangue prima versato a terra stava cominciando a
sollevarsi, come se fosse animato, racchiudendo l’altare e la ormai morente
Konan in una specie di morsa senza ritorno, una bolla di sangue animata.
-“Il… sangue… di Konan… deve esser riuscito a…
attivare… il rituale…”- sospirò Itachi, agonizzante. –“Sa… Sasuke… questo… non
deve accadere… altrimenti… la mia vita… sarebbe stata i…
inutile…”-
-“Lo fermerò io, stai tranquillo!”- ringhiò il
ragazzo.
-“No… non puoi… non pu… oi…
fratellino… dammi la tua katana… colpirò… Deidara… quando
tu sarai fuggito… e salterà tutto in aria… e questa storia maledetta… finirà.”-
sussurrò il fratello, stringendo il minore per il braccio.
-“No… Itachi… io non
posso…”-
-“Vattene, Sasuke… vai da Sakura e… vivi…solamente…
vivi…”-
–
Quella potente esplosione portò Sakura a fermarsi,
voltandosi all’indietro immediatamente.
-“Sasuke…”-
-“Sakura, sbrigati! Non fermarti!”- urlò Shikamaru, già ammaliato dalla luce dell’alba che si intravedeva in fondo a quell’ultimo
corridoio senza fine.
-“Ma… l’esplosione… Sasuke… Itachi...”- cercò di protestare la ragazza, con le lacrime
agli occhi, dividendo lo sguardo fra il fumo nero che li stava raggiungendo
velocemente e la luce invitante dalla parte opposta.
-“Sanno il fatto loro, sono sicuro che ce la faranno!
Debole come sei non potresti essergli di nessun aiuto!”- aggiunse Shikamaru irritato, ma subito il suo sguardo infuriato si
tramutò in uno sorpreso, fissando qualcosa dietro alle
spalle dell’Haruno.
Indotta da quel cambiamento improvviso, la ragazza si
voltò immediatamente per vedere Sasuke uscire di corsa
dalla coltre di fumo, dirigendosi verso di loro.
-“Muovetevi, usciamo di qua
prima che crolli tutto!!!”- gli urlò l’Uchiha.
Senza farselo ripetere, Shikamaru
strinse a sé Ino con maggior forza e si diresse verso l’uscita ormai prossima,
seguito a ruota da Sakura e Sasuke.
Lei gli regalò un sorriso di sollievo, allungando la
mano verso la sua, e lui gliela strinse con forza, quasi gli fosse
d’aiuto in quella folle fuga.
-“Ti amo, Sakura.”-
Lo disse così, senza alcuna intonazione,
come se fosse naturale dirlo.
Il cuore della ragazza ebbe un sussulto improvviso, e
si voltò sconvolta verso il ragazzo che, imperterrito, continuava la corsa al
suo fianco.
Gli sembrava il momento adatto a certe cose?!
Ma del resto…lui era Sasuke. E lei era Sakura. E nonostante tutto… si
amavano. Anche – anzi, soprattutto – nei momenti
di difficoltà. E per quando paradossale potesse sembrare quella situazione… Sakura pensò che non ci fosse momento migliore per sentirsi
sussurrare certe parole. E nel momento in cui lo
pensava, la luce abbagliante del primo sole, che non vedeva da secoli, le
bruciò le iridi atrofizzate dalle tenebre come una salutare fiammata.
Si fermò e inspirò a fondo.
L’aria non le era mai sembrata così fresca e
profumata.
Si voltò radiosa verso Sasuke, il suo salvatore, il suo migliore amico, il suo grande amore.
Un ghigno soddisfatto si spaziò sul volto del
ragazzo, che si avvicinò a lei, fissandola intensamente.
E poi.
E poi.
E poi.
Furono come aghi argentati. Sbucarono rapidamente dal
buio corridoio alle sue spalle. Ma non erano aghi, no. Era sottili fili
di ferro. Quelli di Sasori. Non avrebbe potuto
confonderli con null’altro al mondo.
Animati di vita propria, cinsero Sasuke al collo, ai
polsi e alle gambe.
L’ultimo sguardo fugace fu per lei.
-“SCAPPA SAKURA!”- le ordinò Sasuke, prima di esser
soffocato dalla stretta dei fili che, con uno strattone sovrumano, lo
trascinavano con loro all’interno della fabbrica con una velocità altrettanto
soprannaturale, facendolo svanire nella coltre di fumo cupa che ormai
fuoriusciva da ogni fessura dell’edificio in fiamme.
-“SASUKEEEEEEEEE!!!”-
E il suo urlo fu il primo suono a
spezzare la più lunga alba della sua vita.
…tobecontinued…
*Angolo di Luly*
Hasta
banana [?] con l’epilogo di questa brutta faccenda.
Grazie
infinite a Mirie, CHOCMyself_ e
Kry333 per le vostre bellissime recensioni. Mi avete
reso questo aggiornamento estremamente tardivo meno
inutile di quanto pensavo che fosse. <3
Chiuse ancora gli occhi, e sospirò per l’ennesima
volta, strofinando il viso stravolto contro il volante. Attraverso il vetro
dell’auto, la visuale era frammentata dallo scrosciare della pioggia che vi si infrangeva sopra, creando una rilassante quanto
inquietante eco per l’abitacolo.
Quell’incubo era finito. Shikamaru doveva ritrovare il suo sangue freddo. Non tanto
per se stesso, quanto per… lei. Per
Ino.
La sua anima e il suo corpo
erano rimasti profondamente feriti da quell’esperienza,
e lui era l’unico, ora a Sakura che se n’era andata, a poterla aiutare ad
uscire da quell’incubo labirintico. A liberare la sua anima, ancora parzialmente rinchiusa nel ricordo
ossessivo di quei corridoi bui e soffocata da quell’aria
viziata.
Eppure… lui sapeva fin troppo bene cosa
sarebbe accaduto. Sarebbe entrato in ospedale. Sarebbe salito da lei. Si
sarebbe presentato con uno sforzatissimo sorrisino, che i suoi occhi cerulei
velati di profonda tristezza avrebbero spento immediatamente.
-“Sei tornato alla fabbrica?”- gli avrebbe chiesto,
nuovamente.
-“No, te l’ho già detto Ino… la polizia l’ha già
controllata da cima a fondo… non ci è rimasto più
nulla.”-
-“Ma a Sakura l’hai detto?
L’hai detto che sicuramente Sasuke è…?”-
-“Ino. Sasuke non c’era. Non c’era e basta. Non c’era nessuno. Quindi ora ti prego, ti scongiuro Ino… capisco che tu possa
essere scioccata… però cerca di dimenticare questa
faccenda. Non pensarci più. Piano piano… il tempo
cancellerà tutto. D’accordo?”-
Poi l’avrebbe accarezzata, le avrebbe baciato la testolina e l’avrebbe stretta nel suo abbraccio. Ma lei non avrebbe più parlato. E
sarebbero rimasti così fino alla fine dell’orario di visite.
Ma doveva farlo. La amava, e in cuor
suo sperava di poterla veder sorridere di nuovo un giorno. Il giorno in cui
forse Sakura sarebbe tornata a casa, anche lei stanca
di fuggire dal ricordo di un incubo. O forse chissà,
fuggire era davvero l’unica soluzione possibile. Forse andarsene per sempre con
Ino, non era un’opzione da scartare a priori.
Un sorrisino amaro si spaziò sulle labbra di Shikamaru, mentre si accendeva l’ultima sigaretta prima di
rientrare in quell’ospedale dal nauseabondo odore di
disinfettante.
Che cos’erano diventati dopo
quella vicenda, se non mere bambole riflesse in uno specchio rotto?
–
“Ricordati
sempre che senza quelle visioni prive di senso e logica tu non saresti qui,
ora.”
Era vero.
Non poteva negarlo nemmeno a se stessa.
Né la paura, né l’angoscia, né il
pentimento.
Lei era lì perché Ino sapeva che era stata rapita ed
era nella fabbrica.
A Ino era accaduto qualcosa durante
il rituale di anni prima: probabilmente il suo spirito era affetto dal potere
di quello spirito a cui in qualche modo era legata attraverso quelle
premonizioni.
Ora Ino diceva che era
Sasuke quello nella fabbrica.
L’aveva pregata in ospedale, piangendo disperata,
cercando di invocare il suo cuore con la voce ancora debole e corrotta dalla
sofferenza. Ma lei l’aveva ignorata. Lei era fuggita. Ancora.
Fuggita, come quel giorno quando Sasuke venne risucchiato all’interno della fabbrica.
Ma lui no.
Lui non era fuggito. Non era fuggito quando si era
lanciato incontro alla morte per venirla a salvare. Non era fuggito davanti a
nulla. Per il suo amore, davanti a nulla.
Né dalla paura, né dall’angoscia, né
dal pentimento.
Cos’aveva da perdere?
La vita, forse.
Cos’aveva da guadagnare?
La vita di Sasuke, forse.
Che senso aveva vivere una vita nel
dubbio di averne persa un’altra per sempre?
-“Non farò più la bambola… non sarò
più la bambola di nessuno…”-
Stringendo i pugni, Sakura lasciò la presa sul
piccolo trolley, che si ribaltò al suolo, finendo in una pozza di acqua piovana.
Superò la sporgenza del tetto che la proteggeva, e si
espose alle gocce gelide di quella serata piovosa. Nei suoi occhi, solo il
riflesso dello scheletro della fabbrica.
La pioggia, il dolore, la solitudine, la fabbrica.
Tutto come allora. Tutto come il
giorno in cui iniziò quell’incubo.
E così come
allora…
A nessuno importava nulla di lei – ma stavolta a Sasuke importava di lei – perché a lei sarebbe dovuto importare qualcosa
di se stessa… senza di lui?
–
Erastrano.Non
ricordava come, ma improvvisamente, tutto il mondo davanti ai suoi occhi aveva
perso colore, svanendo in una coltre bianca ed evanescente. La pioggia, la
finestra, la visuale al di là di essa, si erano fusi
insieme nei suoi occhi di cielo d’estate, ipnotizzandola, rapendola. Fu
assordata da un fischio lontano, un sibilare di vento, quasi un lamento
agognato. Una sensazione ben strana, ma per niente nuova…
E poi percepì
quei fili taglienti attorcigliarsi intorno a lei, come spire di un serpente
metallico, il gelo penetrarla come denti velenosi, l’oscurità avvolgerla in una
morsa senza uscita.
Ma il cuore,
quello palpitava con forza. E la voglia di vivere
ruggiva dentro di lui… dentro di lei?
-“Dunque è
ancora vivo? Ammirevole.”-
Una voce bassa, roca, ma totalmente priva
di intonazione accarezzò il suo orecchio, mentre una
mano pallida e gelida le asciugava una lacrima che silenziosa scivolava lungo
la sua guancia, fuggendo da quegli occhi vitrei che parevano inanimati… occhi
di bambola.
-“Sì, Pain-sama.”-
rispose lei, in un sussurro senza emozione. Come se fosse una voce meccanica a
rispondere per lei.
-“Ino-chan… mia
amata bambolina… devo andare.”- sospirò il ragazzo, baciando una mano della
ragazza distesa a letto immobile, priva di ogni forza
vitale. Una bellissima meravigliosa bambola di porcellana.
Il misterioso ragazzo si sistemò nel suo
lungo cappotto scuro, tirandosi su l’alto colletto di modo da poter nascondere
la vistosa serie di piercing
che gli costellavano il volto.
Uscì tranquillamente, gli inquietanti
occhi violacei a scrutar quel mondo nuovo intorno a lui, i capelli arancioni ancora madidi della pioggia di quella notte
irrequieta.
Se ne andava con
una specie di sollevazione nel cuore, turbata solo quando entrando
nell’ascensore incrociò Shikamaru che ne usciva.
-“Ma tanto lei…
è già mia.”-
Il Nara si fermò di
colpo, scrutando il tipo per qualche secondo, giusto il tempo di vederlo
scomparire dietro le porte scorrevoli.
-“Me lo sarò solo immaginato…”- pensò Shikamaru, grattandosi le tempie doloranti, prima di
dirigersi verso la sua amata.
-“Ciao Ino.”- la salutò, sorridendo.
-“Oh ciao, Shikamaru…”-
-“Stavi dormendo? Ti vedo stanca…”-
-“Mh… non so
io… non ricordo… immagino di sì.”-
-“Bene. Come va? Il dottore mi ha detto che domani o dopodomani ti dimettono…”-
-“Mh… Shikamaru… sai, sono sicura che Sasuke sia vivo…la polizia
ti ha detto qualcosa?”-
-“Sì, ha detto
che devi star tranquilla che ci pensano loro. E sono stanco
di ripeterlo, chiaro?”- la rimproverò dolcemente il ragazzo, accarezzandole la
guancia fredda, e a lei parve quasi di rivivere un momento non del tutto
concluso.
-“D’accordo, Shikamaru.”-
-“E’ tutto finito adesso, Ino.”-
-“…e se fosse tutto
appena iniziato?”-
Pieces of Mirror & Sorrow of Dolls
-The End-
Grazie a tutti di cuore per aver
seguito la storia.
Spero vi sia piaciuta.
Zia Eleanor,
ti rinnovo ancora i miei più sinceri auguri.