Pieces Of Mirror & Sorrow Of Dolls

di Sakurina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pieces Of Mirror ***
Capitolo 2: *** Sorrow Of Dolls ***
Capitolo 3: *** Bloody Mirrors & Screaming Dolls ***
Capitolo 4: *** Dark Mirrors & Silent Dolls ***
Capitolo 5: *** Broken Mirrors & Burning Dolls ***
Capitolo 6: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Pieces Of Mirror ***


Prologue

A zia Eleanor per

Il suo compleanno.

Perché è la zia migliore del mondo,

una scrittrice fuori di testa,

un’amica che c’è sempre.

 

 

Prologue

 

Correva.

Semplicemente, affannosamente.

Correva.

Da poco, forse meno di mezzora, ma la pioggia che le colpiva la pelle, fredda e violenta, le faceva pesare quella fuga il doppio di quanto sarebbe pesata normalmente.

La visuale era ridotta, rendendo l’orizzonte davanti a lei cupo e confuso, proprio come la percezione del suo futuro in quel momento.

Improvvisamente, la sagoma di un piccolo edificio si fece spazio fra la foschia umida, e Sakura tirò un sospiro di sollievo: finalmente aveva raggiunto la piccola stazione del suo paesello, la porta verso la libertà, verso una nuova vita; la chiave per voltare pagina una volta per tutte.

Si avvicinò alla biglietteria, bagnata fradicia, guadagnandosi un’occhiataccia perplessa da parte dell’impiegata.

-“Sì?”- domandò quella, scrutando la ragazza dai capelli rosa tremante di fronte a sé.

-“Un biglietto…”-

-“Per dove?”-

-“…la stazione più lontana?”-

-“Beh signorina, da questa stazione è già tanto se raggiunge la città: da lì avrà treni per ogni destinazione.”- spiegò la donna, masticando rozzamente un chewing-gum, mentre scrutava curiosamente quella strana ragazzina dall’aria spaesata.

-“Va bene, un biglietto per la città, allora.”- concluse Sakura, con un profondo sospiro di rassegnazione.

Inspirò a fondo e si avventurò sui binari, riparandosi sotto la piccola tettoia al di fuori della stazione.

Si strinse nel suo cappottino striminzito e fradicio, cercando – inutilmente – di riscaldarsi. Tremava come una foglia, e i denti le battevano contro la sua volontà, mentre gli occhi iniziavano a pizzicarle per via del freddo e dell’angoscia.

Quella giornata fredda, uggiosa e piovosa era proprio l’ultima cosa che le serviva. L’unica cosa positiva era che tutti erano chiusi in casa e nessuno si sarebbe accorto della sua folle corsa.

Era scappata di casa da meno di un’ora, e già stava soffrendo per quella fuga.

Ma doveva farsi forza, ormai era in ballo e doveva ballare – anche se portarsi dietro un ombrello sarebbe stata una bella idea, ma come sempre doveva fare la parte dell’eroina di b-movie.

Come se il freddo non fosse abbastanza insopportabile di suo, il tabellone del treno si illuminò, rivelando ben dieci minuti di ritardo.

Sakura sbuffò pesantemente, chiudendo gli occhi e piegando le labbra in un broncio sofferto, deterrente delle lacrime che la imploravano di fuoriuscire.

La ragazza scosse la testa con forza, dissuadendo se stessa dall’idea di tornare a casa e mollare quell’impresa; e, come se fossero passati solo pochi secondi, lo schiaffo che Tsunade le aveva mollato in pieno viso qualche ora prima prese a pulsare nuovamente, con forza rinnovata e forse più dolorosamente di prima. E poi tutta quell’altra serie di ricordi, che non c’entravano nulla con quella sberla, ma che la sofferenza aveva richiamato nella mente della ragazza per ricordarle che sì, doveva scappare.

Ed improvvisamente, un  bagliore accecante colpì le iridi smeraldine di Sakura, portandola a scostare lo sguardo immediatamente, infastidito.

Incuriosita, la ragazza si voltò nuovamente verso il muro di fronte a sé, per capire da dove fosse giunta quella strana luce, e finalmente le apparve davanti: alta, immensa, maestosa. La vecchia fabbrica abbandonata si stagliava come un enorme e minaccioso dinosauro nel cielo grigio e fosco, parendo un’ombra irraggiungibile e terribilmente spettrale.

Era sempre stata lì, vicino alla stazione, da ancora prima che Sakura nascesse; era lì quando Sakura, Naruto e Sasuke tornavano a casa insieme dalle medie; era lì quando lei e Ino andavano a passeggiare mangiandosi il loro gelato d’estate; era lì quando Sakura era entrata in stazione, ma se ne accorgeva solo ora, come se fosse stata un dettaglio irrilevante dello sfondo. La fabbrica era lì davanti a lei, oltre il muro della stazione, e uno strano bagliore, come un riflesso, brillava da una delle sagome indefinite delle finestre attraverso la pioggia. Sembrava quasi un riflesso di specchio, fatto appositamente per richiamare la sua attenzione. Del resto, non c’era un raggio di sole in quella giornata perché quell’effetto ottico potesse ricrearsi naturalmente.

Qualcuno aveva richiamato l’attenzione di Sakura, qualcuno la invitava a raggiungerlo, qualcuno la necessitava in quella lugubre giornata di fuga. Qualcuno che probabilmente non aveva una folta chioma corvina pettinata alla perfezione, né dei magnifici occhi di onice, ma che importava?

Cosa ci facesse qualcuno all’interno di quella fabbrica abbandonata da un secolo, Sakura non se lo chiese. Bastò l’annuncio dell’ulteriore ritardo del treno, salito a venti minuti, e un nuovo scintillio di specchio a conquistarla definitivamente.

Certo, poi anche l’immagine di Sasuke che si allontanava in moto con Karin sulla sella posteriore – così avvinghiata a lui - aveva contribuito a far attraversare quei binari deserti a Sakura, a farle scavalcare il muro di separazione, verso quello che poteva essere considerato un pericolo mortale quasi certo. Ma che importava?

A nessuno importava nulla di lei – a Sasuke non importava di lei – perché a lei avrebbe dovuto importare qualcosa di se stessa?

 

 

 

 

Pieces of Mirror

&

Sorrow of Dolls

 

 

 

 

 

1. Pieces of Mirror

 

Era strano. Non ricordava come, ma improvvisamente, tutto il mondo davanti ai suoi occhi aveva perso colore, svanendo in una coltre bianca ed evanescente. La pioggia, la finestra, la visuale al di là di essa, si erano fusi insieme nei suoi occhi di cielo d’estate, ipnotizzandola, rapendola. Fu assordata da un fischio lontano, un sibilare di vento, quasi un lamento agognato. Una sensazione ben strana, ma per niente nuova…

-“Ino? Ehi, Ino?”-

La ragazza scosse lievemente la testa, sbattendo velocemente le palpebre e ritornando in sé, come se si fosse appena svegliata da un lungo sonno.

Guardò stranita il ragazzo in piedi davanti a lei, che la sovrastava con la sua sproporzionata altezza.

-“Cosa c’è?”- le domandò Shikamaru, inarcando un sopracciglio mentre la scrutava perplesso.

-“Come? Sei stato tu a chiamarmi!”- contestò Ino, ancora stordita.

-“Lo so, ma ti ho vista persa. Tutto okay?”- chiese nuovamente il Nara, con cipiglio scettico.

-“Sì, solo che…”- s’interruppe la biondina, scrutando la pioggia oltre la finestra –“…ti ricordi quand’ero piccola e…”-

-“E mi prendevi a pugni?”-

-“Sì, cioè no… nel senso… sai quando mi capitava di… di vedere delle cose…”- iniziò Ino, con tono insicuro, aggrottando lo sguardo e concentrandosi sulle gocce di pioggia.

-“Di visioni ne hai sempre avute molte, Yamanaka…”- la sbeffeggiò Shikamaru, divertito –“…sicura di star bene? Magari sei meteoropatica!”-

-“Ehi Shikamaru, sbrighiamoci o perdiamo il pullman.”- si lamentò Temari, che aspettava il ragazzo appoggiata all’entrata del bar, con braccia conserte e sguardo irritato.

-“D’accordo, arrivo. Ino, vuoi che ti accompagno a casa?”- le domandò l’amico, questa volta tradendo un’ombra di apprensione sul volto.

-“No, sto bene. Sarò senz’altro meteoropatica… sai, questi temporali mi increspano sempre i capelli e mi fanno diventare isterica.”- sforzò un risolino Ino, dissimulando la propria apprensione per tranquillizzare l’amico.

-“D’accordo, Ino. Ci sentiamo questa sera.”- la salutò lui con un cenno, svanendo insieme a Temari fuori dal bar.

Ino sbuffò, tornando a fissare la pioggia al di là della finestra. Per la prima volta, si accorse che da quel tavolo del bar si poteva scorgere l’inquietante sagoma della fabbrica abbandonata in lontananza.

 

 

Ino entrò nel palazzo, sbuffando pesantemente. Salì le scale con apatia, lo sguardo perso, e quando vide la porta dell’ascensore chiudersi, vi si lanciò di getto, riuscendo ad infilarsi prima che le porte si chiudessero.

Non appena si voltò per vedere con chi era rinchiusa, si pentì amaramente di aver fatto quello scatto. Sasuke Uchiha la fissava con aria parecchio infastidita, attaccato alla parete opposta dell’ascensore, le braccia conserte al petto, i capelli madidi che parevano quasi blu sotto la luce troppo forte dell’abitacolo.

Ino deglutì, appoggiandosi alla parete di fronte a lui, scrutandolo di sottecchi, imbarazzata.

-“Ciao Sasuke-kun!”- lo salutò lei, squillante, regalandogli un sorriso amichevole.

-“Mh… ciao, Ino…”- mugugnò Sasuke, fissando impassibile i piani che si illuminavano, ansioso di giungere al pianerottolo del suo appartamento. Rimanere in un luogo chiuso con la Yamanaka era troppo rischioso, nella situazione in cui si trovavano.

-“Che brutta giornata, vero?”- domandò Ino, cercando di attaccare bottone – come suo solito.

-“Già. Ho visto Nara allontanarsi con la sorella di Gaara, poco fa.”- le rispose l’Uchiha, in un intento crudele di ferire la biondina in modo da zittirla definitivamente.

-“Lo so. E Sakura ti ha visto allontanarti in moto con Karin l’altro giorno.”- ribatté prontamente la biondina, fulminando Sasuke con sguardo truce.

-“Beh, mi dispiace per lei.”- sbuffò il ragazzo, fissando ansiosamente i pulsanti illuminarsi, pregando di giungere presto a destinazione per potersi liberare di quella piaga.

Ma, come se avesse parlato troppo ad alta voce, un potente tuono echeggiò per il palazzo, e la corrente venne meno, paralizzando l’ascensore e facendoli rimanere al buio.

-“E che cazzo…”- sibilò Sasuke, sbuffando sonoramente.

-“Ora che ci penso non si dovrebbe andare in ascensore col temporale, me lo ricordo sempre quando è troppo tardi!”- ridacchiò nervosamente Ino, cercando di spezzare la tensione palpabile.

-“Fra poco si attiverà l’alimentatore di emergenza.”- commentò il ragazzo, con un grugnito.

-“Ah, d’accordo… senti Sasuke-kun, hai visto Sakura oggi?”-

-“Senti Yamanaka, possibile che tu non riesca a fare una frase senza il nome Sakura in mezzo?”- domandò l’Uchiha, tradendo una nota annoiata – o irritata? – nella voce.

Ino si zittì, acquattandosi un po’ di più contro la parete, mortificata per essere riuscita a farlo arrabbiare col suo chiacchiericcio perpetuo. Però non ci stava a vedere la sua migliore amica soffrire a causa sua, quindi decise di farsi coraggio e prendere la situazione in mano.

-“Io non capisco perché ti devi comportare così proprio adesso. Sakura sta passando un periodo d’inferno. Con Tsunade le cose vanno male, poi se ti ci metti pure tu a fare lo stronzo…”-

-“Non vedo come questo possa interessarmi, Yamanaka. Io mi comporto come voglio, indipendentemente da come vada la vita a Sakura. Ognuno ha i suoi problemi.”-

-“Già, ma penso che le basterebbe la tua vicinanza per superarli tutti con facilità… non capisco cosa succeda, Sasuke. Andava così bene fra di voi e poi all’improvviso hai voluto troncare tutto così.”- insistette Ino, stizzita.

-“Nessuno ti ha mai insegnato a farti gli affari tuoi, Yamanaka? Ora capisco perché Nara preferisca Temari ad una ragazzina petulante come te.”-

-“Questi sono affari miei, Uchiha. Sakura è la mia migliore amica e… e comunque piantala di fare lo stronzo con me, tanto non attacca. Mi sono già rassegnata a Shikamaru, sono abituata a rassegnarmi agli uomini, ormai.”- sbottò la ragazza, toccata nel vivo da quelle ultime parole.

In quel momento, l’ascensore ripartì con un balzo, troncando lì la loro conversazione.

Le porte si aprirono sul pianerottolo di Ino e Sasuke uscì con lei, con l’ansia di uno che fuggiva da una camera a gas.

-“Beh, allora dovresti insegnare a Sakura l’arte della rassegnazione.”- le sibilò seccato l’Uchiha, prima di correre su per le scale senza voltarsi.

-“Cretino.”- sbuffò la Yamanaka, prima di entrare nel suo appartamento, con un sapore amaro in bocca.

 

 

Sasuke ricordò solo quando giunse davanti a quella porta sgangherata del terzo piano che Sakura abitava lì.

Scosse lievemente la testa mentre si sforzava di salire ulteriormente le scale (suo fratello aveva avuto la brillante idea di comprare casa al quinto piano), ma improvvisamente si bloccò, incapace di continuare. Voltò lievemente il capo, sbirciando al di sopra della propria spalla verso quella porta che non vedeva da troppo tempo – che non vedeva aprirsi da troppo tempo.

Perché si era fermato? Perché sentiva l’istinto di avvicinarsi e bussare a quella dannatissima porta? Ormai aveva fatto la sua scelta, e doveva rispettarla, fino in fondo.

Sasuke volse gli occhi al suolo, stringendo i denti e sforzandosi di restare fermo lì, di non avvicinarsi di un passo a quella casa.

Eppure, contro la sua volontà, le parole della Yamanaka gli trapanavano la testa, tentatrici, martorianti: che problemi stava avendo Sakura con la matrigna? E se Tsunade le avesse alzato ancora le mani, come spesso in passato? Magari Sakura era ferita, era sola, spaventata e aveva bisogno di aiuto… ma per quello aveva Ino e Naruto. La Haruno era piena di amici, sicuramente ci avrebbero pensato loro a prendersi cura di lei. Lui non poteva farlo. Non più, almeno.

-“Non c’è nessuno in casa. Ho visto Sakura uscire stamattina presto.”- commentò una voce melodiosa davanti a sé.

L’Uchiha sollevò lo sguardo irritato da quella interruzione dei suoi pensieri, fissando sorpreso la donna dal lungo cappotto scuro che lo scrutava dalla cima delle scale.

-“Non me ne frega nulla di Sakura.”- sibilò Sasuke, scoccandole uno sguardo avvelenato.

-“Ah, scusami tanto, credevo stessi guardando la sua porta.”- sorrise la donna, scendendo le scale e raggiungendolo.

Lei allungò la mano verso il volto del giovane, cercando di carezzargli una guancia in un gesto sensuale e terribilmente ambiguo, ma Sasuke si ritrasse, diffidente.

-“Ah ah ah, espansivo proprio come tuo fratello, eh, Sasuke?”- ridacchiò melodiosamente la donna dal caschetto scuro, scrutando il ragazzino interessata. –“A proposito, dov’è Itachi?”-

-“Se n’è andato.”-

-“Oh, è partito?”-

-“Non lo so. Mi sono svegliato e non c’era più.”- sibilò Sasuke in risposta, con tono carico di astio e insofferenza.

-“Oh, capisco. Beh, lo sai, è fatto così. Non te la prendere, sono sicura che tornerà presto.”-

-“Beh, forse non ci sarò più io ad aspettarlo.”-

-“Te ne vai?”-

-“Sì, Orochimaru-sama mi ha offerto di andare a studiare in un prestigioso college all’estero.”- si limitò a rispondere lui, con aria di sufficienza.

-“Davvero? Non mi sorprende, sei uno studente brillante.”- sorrise la donna, con espressione ambigua.

L’Uchiha assottigliò lo sguardo, scrutando la misteriosa vicina: Konan non gli era mai piaciuta nemmeno un po’, la sua promiscuità lo metteva a disagio. Sapeva però che era stata molto vicina a suo fratello, anche se ignorava che rapporto fosse intercorso fra di loro – poteva ben immaginarlo, però.

-“E quando hai intenzione di partire?”- domandò la donna, senza staccarsi di dosso quell’irritante sorrisino piacente.

-“Presto.”-

-“E ai tuoi amici l’hai già detto?”-

-“Ovviamente. Ora devo andare.”- si congedò Sasuke, superando la donna e prendendo a salire le scale con espressione assorta.

-“Saluterai Sakura prima della partenza?”- gli domandò Konan, quando lo ebbe di fianco.

-“…credo di sì.”- rispose il ragazzo, scoccando un’occhiata sospettosa alla donna che intanto aveva ripreso a scendere lentamente le scale. Che razza di domanda era quella?

-“Se ci riesci…”- gli parve di udire come commento dalla donna, prima che svanisse giù per le scale come uno spirito oscuro.

Sasuke deglutì amareggiato, regalando un’ultima occhiata, ricolma di inquietudine, alla porta dell’appartamento di Sakura.

 

 

Ino si appoggiò al lavandino, accendendo la lampadina al di sopra dello specchio del bagno, fissandovi il proprio riflesso.

Il suo volto era pallido e imperlato di goccioline di sudore, gli occhi erano spenti e cerchiati da profonde occhiaie.

Si lavò il volto con l’acqua fresca, sperando di riprendersi da quel terribile sonnellino pomeridiano che l’aveva angosciata quanto un film horror.

Non poté fissare a lungo il suo riflesso nello specchio, perché il ricordo del suo incubo la nauseò, portandola a fuggire dal bagno.

Tornò in camera sua barcollante, sedendosi sul letto e nascondendo il volto fra le mani: correre in quel labirinto infinito di specchi, sbattere contro di essi senza riuscire a trovare la via, fuggire da qualcuno e contemporaneamente dover cercare qualcun altro… quel sogno angosciante l’aveva veramente scossa e sfiancata.

Fuori la pioggia batteva ancora, in quel cupo e pesante cielo notturno, che rendeva la sera ancora più scura e spettrale. L’idea di dover uscire con quell’atmosfera la faceva rabbrividire più del suo stesso incubo.

Aveva pensato di bigiare la consueta uscita serale con gli amici, ma restare a casa da sola non la faceva sentire meglio. Insomma, stava diventando paranoica e la cosa la irritava parecchio.

Si alzò di scatto, furibonda, imponendosi di non pensare più a cose tanto assurde: del resto erano solo incubi, no? E quella sensazione di disagio che la opprimeva non era altro che una paranoia senza fondo, nata da illogiche paure infantili. Doveva smetterla di comportarsi come una isterica ossessionata e allucinata.

Afferrò il telefono con un grugnito, digitando rapidamente il numero di Sakura che, come suo solito negli ultimi tempi, non rispose.

Sbuffando, compose il numero di Kiba, che rispose nemmeno al secondo squillo.

-“Dimmi tutto, Ino-hime!”-

-“Kiba-kun, stasera mi passi a prendere tu?”-

-“Okay! Ma Shika?”-

-“Che ne so, è andato a casa di Temari…”-

-“Ah, ho capito. D’accordo fra un’oretta son da te, tesoro.”-

-“Non prenderti troppe confidenze, Inuzuka. A tra poco.”- ridacchiò Ino, appoggiando il telefono sulla scrivania e tagliandosi inavvertitamente con qualcosa: un pezzo di specchio scheggiato.

 

 

Shikamaru si stiracchiò, sbadigliando rozzamente, guadagnandosi in pieno un’occhiataccia di Temari a cui rispose con un sorrisino beffardo.

-“Che palla ‘sto film, non so come hai potuto convincermi a guardarlo.”- commentò il ragazzo, alzandosi a fatica.

-“Perché è molto istruttivo e ti potrà aiutare nella tua tesina di maturità!”- rispose Temari, dirigendosi verso la cucina e lasciando il ragazzo da solo in salotto.

-“Eh, sai che gioia!”- sbadigliò Shikamaru, avvicinandosi ai portaritratti posti ordinatamente in fila sulla mensola del salotto, osservando distrattamente i volti della famiglia Sabaku.

-“E poi perché, secondo me, ultimamente sei un po’ giù di corda e volevo cercare di distrarti. Si può sapere che c’è che non va?”- gli domandò Temari, sbucando nuovamente in salotto e appoggiandosi allo stipite della porta, osservando il ragazzo a braccia conserte.

-“Proprio nulla.”-

-“Quando non è nulla solitamente c’entra Ino.”-

-“Mendokuse… ancora con questa storia…”- sbuffò Shikamaru, lasciandosi sfuggire un sorrisino a fior di labbra.

-“Anche a me ultimamente sembra un po’ strana, in effetti.”- commentò la ragazza, avvicinandosi all’amico, con sguardo pensieroso.

-“Di tanto in tanto Ino ha dei periodi da stralunata, è fatta così. L’ho detto io che è meteoropatica.”- fece spallucce il Nara, soffermandosi interessato su una foto di famiglia in cui figurava un ragazzo coi capelli rossi di troppo. –“Ehi, chi è questo? Potrebbe essere il gemello di Gaara.”-

-“Esagerato! Però sì, in effetti si assomigliavano un bel po’. Quello era Sasori.”- spiegò Temari, con nota amara nella voce.

-“Era?”-

-“Sì. È scomparso qualche anno fa e da allora non si è saputo più nulla di lui. Non sappiamo se fosse una fuga voluta o un rapimento, né tantomeno se sia ancora vivo o no…”-

-“Ah. Mi dispiace tanto, Temari.”- si scusò Shikamaru, mortificato dall’aver toccato un tasto così doloroso.

-“Ma no, figurati. Ormai l’abbiamo superato.”- asserì la bionda, sorridendo lievemente.

In quel momento, la loro conversazione venne interrotta dalla suoneria sonnolenta del cellulare del Nara, che prese a strillare, stonata.

-“Nah, dannato Kiba… Pronto?”- mormorò Shikamaru, seccato.

-“Nara, vedi di muoverti. Stiamo andando in ospedale.”- asserì Kiba, udibilmente nervoso.

-“A far che?!”-

-“Ino è stata male.”-

-“Cosa?!”- sbottò Shikamaru, impallidendo, mentre un groppo gli si chiudeva in gola.

 

 

 

to be continued

 

 

 

 

 

*Angolo di Luly*

Ahem… AUGURI ZIA ELEANOOOOOOOOOOOOOOR!

Okay, ora mi ridò un contegno. ù_ù

Zia Ele voleva una SasuSaku dove Sasuke si preoccupasse per Sakura. E questo è tutto un dire. Quindi se Sasuke andrà OOC, non prendetevela con me, sono innocente. ç_ç

La voleva angst, con drammi e sofferenze a non finire, e state tranquilli, arriveranno pure quelli – spero. ù_ù

Lo ShikaIno… beh, zia Ele è biancaH e ci vuole sempre un po’ di ShikaIno, soprattutto se tira aria di angst. *___*

È AU e per adesso senza senso, ma spero di riuscire a mettere insieme i pezzi, presto o tardi.

Saranno 2, massimo 3 capitoli, per sviluppare la storia per bene. *w*

Spero che vi piaccia, e che piaccia alla nostra festeggiata del secolo, la mitica zia Eleeeee! *O*

100 di questi bianchi anni, zietta, ti voglio bene! *__*

 

Tua Luly

 

 

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Capitolo 2
*** Sorrow Of Dolls ***


In quelle tenebre fredde e umide, l’unica cosa che poteva udire era uno scrosciare pesante e perpetuo di pioggia, che riecheggiava per gli enormi androni vuoti della fabbrica

In quelle tenebre fredde e umide, l’unica cosa che poteva udire era uno scrosciare pesante e perpetuo di pioggia, che riecheggiava per gli enormi androni vuoti della fabbrica.

Sentiva l’umidità penetrarle nelle ossa e un doloroso indolenzimento pungerle i muscoli, mentre una pesantezza le incombeva sulle palpebre, impedendole di aprire gli occhi.

Il freddo umido la avvolgeva come una pellicola aderente, attaccandosi ad ogni angolo della pelle; e poi quel dolore che le pungeva il petto, in profondità, mozzandole il fiato, martellante come un chiodo che le si conficcava nel cuore.

-“Sa…su…ke…”- singhiozzò sottovoce, con un flebile ansimo addolorato, che svanì calpestato dallo scroscio piovano.

-“Shhh, non parlare, non soffrire, Sakura. Le bambole sono belle per questo, perché non soffrono. E tu sei venuta qui per essere la mia bambola, per l’eternità, non è vero?”- la cullò una voce bassa e sensuale, mentre una mano gelida le scivolava in una fredda carezza lungo la guancia umida, tracciando col polpastrello la linea degli zigomi delicati, scendendo poi lungo le labbra pallide.

-“Sa…su…ke…”-

-“No… Sasori.”-

 

 

 

2. Sorrow of Dolls

 

L’angoscia che le pesava sul cuore cresceva di minuto in minuto.

La sua corsa sembrava interminabile. Ma perché correva? Era in fuga? Era alla ricerca di qualcosa? Le pareva di dover fare entrambe le cose contemporaneamente.

Il corridoio di specchi era finito in una stanza ampia e altissima, scura a causa delle finestre posizionate nella parte superiore della parete.

Ma anche nelle tenebre, illuminati lievemente da quel bagliore proveniente dall’alto, erano percepibili: occhi, miriadi di occhi. La fissavano, immobili, privi di vita. La fissavano, indagatori, crudeli.

Bambole, bambole, bambole. Una stanza piena di bambole. Pareti tappezzate di bambole.

Ino si avvicinò alla parete alla sua destra, allungando la mano incerta, verso una bambola deposta al centro dello scaffale: i capelli di seta dorata raccolti in una coda, proprio come lei. Indossava un vestitino viola dalle spalline sottili e, come d’istinto, Ino abbassò lo sguardo verso i propri indumenti, scoprendo di essere abbigliata esattamente come la bambola di fronte a sé.

Colta da un’improvvisa ansia, la ragazza allungò la mano verso il pupazzo, ma non riuscì ad afferrarlo, come se fosse protetto da una teca di cristallo.

Prese a battere con furia i pugni sul vetro, graffiandolo e sbraitando, ma la luce sempre più accecante la avvolse, urtandole gli occhi con la sua intensità…

 

-“LE BAMBOLE!”- urlò Ino, svegliandosi di soprassalto dal letto.

Qualcosa di caldo e forte la avvolse, tenendola ferma, cercando di calmarla.

-“Ehi, ehi, calmati.”- la rassicurò una voce bassa e roca, raggiungendo suadente il suo orecchio, mentre una mano grande intrecciava le sue dita sottili con i fili dorati dei suoi capelli, accarezzandole teneramente la testa.

-“Le bambole… le ho viste, io…”- ansimò Ino, affondando il volto nell’incavo di quel collo fin troppo conosciuto, inspirandone il buon profumo mascolino, così sensuale e familiare da calmarla all’istante.

-“Shh, era solo un incubo, dai.”- le sussurrò Shikamaru, passandole lievemente la mano sulla schiena in una lieve carezza.

-“Dove… dove siamo?”- domandò la Yamanaka, interrompendo quelle effusioni decisamente esagerate per loro due, con la voce ancora rotta dal pianto isterico avuto durante il sonno.

-“In pronto soccorso. Sei svenuta all’improvviso mentre eri fuori con Kiba e gli altri…”- le spiegò Shikamaru in uno sbuffo scocciato, massaggiandosi la tempia.

Gli occhi cristallini della Yamanaka si posarono su di lui, notando solo ora il volto del ragazzo scavato dalle occhiaie, contratto in un’espressione sciupata e stanca.

-“Cosa mi è successo? Quanto tempo sono rimasta svenuta?”- domandò Ino, allungando una mano verso il braccio dell’amico, richiamando la sua attenzione.

-“Sono le cinque del mattino, Ino. Erano appena passate le nove di sera quando mi avevano detto del tuo malore.”-

-“Così tanto tempo?!”- sussultò la biondina, mordendosi il labbro inferiore, sorpresa.

-“Già…”- sbadigliò lui, strofinandosi gli occhi.

-“Non saresti dovuto rimanere qui fino a quest’ora, Shika.”- lo rimproverò Ino, assumendo un broncio per nascondere dispiacere, imbarazzo e gratitudine che le scompigliavano il cuore.

-“I tuoi non ci sono, Ino. Qualcuno doveva rimanere con te. Mi sono spacciato per il tuo ragazzo e tutto è filato liscio.”- fece spallucce lui, ammiccandole fiaccamente da dietro le sue palpebre pesanti.

Qualcuno in quel momento bussò debolmente alla porta, aprendola con un lieve cigolio. Dalla fessura sbucò il viso pallido ma per nulla stanco di Sasuke, incorniciato dai suoi capelli corvini sempre perfetti.

-“Sasuke-kun?”- domandò Ino, scrutandolo perplessa.

-“Ehi, tutto bene?”- le chiese l’Uchiha, in tono di pura cortesia, lanciandole una lieve occhiata disinteressata.

-“Sì… grazie.”-

-“Bene. Nara, posso andare?”- domandò Sasuke, mostrandogli le chiavi della macchina in segno d’intesa.

-“Sì, vai pure Sasuke. Anzi grazie per essere rimasto fino a quest’ora.”- sbuffò Shikamaru, stringendogli la mano in segno di saluto.

-“Domani mando o Kiba o Naruto a prendervi.”- asserì l’Uchiha, spostando l’attenzione sulla biondina che lo scrutava diffidente –“Ehi Yamanaka, si può sapere cosa ti sei fatta sulla mano? Grondava di sangue quando sei svenuta.”-

Ino dapprima aggrottò le sopracciglia, fissandolo confusa, senza capire a cosa si riferisse.

Poi abbassò lo sguardo, portando la sua attenzione sulla mano destra fasciata. Si concentrò per qualche secondo, ricordando cosa le fosse accaduto, e cosa potesse essere quel taglio che le bruciava sul palmo.

-“Ah sì… mi sono tagliata con un pezzo di specchio.”- commentò Ino, crucciata nei suoi ricordi.

-“Sette anni di sfiga.”- commentò Shikamaru, con sorrisino sghembo.

-“No, non l’ho rotto io… è strano, non so da dove fosse spuntato, ma era un frammento di specchio abbandonato sulla mia scrivania. Chissà, forse l’aveva dimenticato Sakura…”- scrollò la testa la biondina, cercando di levarsi quei dubbi a suo avviso assurdi dalla testa.

-“Sakura…”- ripeté sottovoce Sasuke, riflettendo su quel nome per qualche secondo –“…l’hai vista di recente?”-

Un sorrisino soddisfatto si spaziò sul volto della Yamanaka, conquistata dal velo di preoccupazione che il ragazzo palesava nei confronti dell’amica.

-“In verità no, è da un po’ che non la vedo né sento… la chiamo sul cellulare ma non mi risponde.”- commentò Ino, fissando interessata il volto dell’Uchiha alla ricerca di una qualche reazione. Che però non arrivò.

-“Capisco. Farò in modo di farle sapere del tuo malore. Ci si vede.”- si congedò Sasuke, uscendo dalla stanza senza aggiungere altro.

-“Mi dispiace avervi causato tutti questi problemi…”- commentò Ino, abbassando il suo volto e contraendole in un’espressione mortificata.

-“Non importa, Ino, mica sei svenuta apposta. Piuttosto ora riposati, il dottore dice che sei troppo stressata, e sinceramente lo penso anche io.”- sospirò Shikamaru, facendo una lieve pressione sul petto dell’amica, obbligandola a sdraiarsi. –“Se vuoi dormo insieme a te, così le bambole assassine non ti fanno più paura. Ti va?”- la sbeffeggiò infine, trovando la forza di piegare le labbra in un sorrisino di provocazione.

-“Ti piacerebbe, Nara.”- soffiò la biondina sulle labbra del ragazzo, ammiccandogli sensualmente.

Shikamaru rise, riaccomodandosi sulla poltroncina al fianco del lettino d’ospedale, assopendosi quasi subito sotto gli occhi ricolmi di gratitudine e affetto della Yamanaka.

 

 

Si sentiva un emerito cretino. Restare fermo lì, immerso nel buio del pianerottolo, seduto sui gradini con le braccia conserte e lo sguardo fisso su quella porta sbilenca: dove diavolo voleva andare a parare? Se voleva parlarle, non doveva far altro che bussare e Sakura l’avrebbe fatto entrare senza esitare. Anzi, se avesse voluto, sapeva che la ragazza sarebbe stata disposta a dargli molto più di semplici parole. In effetti, a ben pensarci, il loro rapporto non era mai stato troppo discorsivo, basato com’era prettamente su gesti fisici.

Ma del resto si conoscevano da così tanto tempo che parlare sarebbe risultato solo un inutile spreco di fiato, e Sasuke davvero non ne aveva mai avuto voglia. Non fino ad allora.

Dei passi pesanti, accompagnati da un rozzo sbuffo, attirarono la sua attenzione, portandolo a scattare in piedi con aria colpevole.

Tsunade sbucò fuori pochi secondi dopo dalla rampa di scale, scrutandolo con sguardo sospettoso.

-“Tu…”-

-“Salve.”- le fece un cenno Sasuke, in segno di saluto.

-“Se stai aspettando Sakura, non la troverai.”- sogghignò Tsunade, con aria amara e rassegnata –“Anzi, a dire il vero, pensavo fosse scappata da te.”-

-“Scappata? Da me?”- sussultò Sasuke, aggrottando le sopracciglia e scrutando la donna davanti a sé con sospetto.

-“Già. La signorina ha deciso di levare le tende giusto ieri. Sarà scappata dalla sua amichetta bionda o non so dove.”- scrollò le spalle la donna, infilando la chiave nella serratura.

-“E non ha lasciato detto dove andava?”- domandò l’Uchiha, appoggiando la mano sulla porta per indagare la matrigna con sguardo intimidatorio.

-“Non direi. Credi davvero che ci tenesse così tanto a farmi sapere dove scappava? Non che avessi intenzione di riportarla indietro, ma non si sa mai.”- sorrise Tsunade, facendosi beffe delle occhiate del ragazzo, che evidentemente non le incutevano il benché minimo timore.

All’udire quelle parole, Sasuke si infuriò, assestando un pugno violento contro la porta già traballante dell’appartamento.

-“Sakura non si merita questo trattamento. Non hai diritto di scaricare il tuo nervosismo e i tuoi problemi su di lei, e lo sai bene!”- ringhiò il ragazzo, fulminandola furibondo –“Se le è successo qualcosa, sappi che sarai tu la prima che verrò a cercare.”- sibilò infine, prima di scappare su per le scale come un’ombra furiosa.

Tsunade increspò le sopracciglia, lanciandogli un’occhiata contrariata, per poi fuggire nel suo appartamento e chiudere la porta a doppia mandata.

 

Quando giunse a casa, Sasuke sbatté la porta con una violenza tale da far tremare il vetro del portone cinque piani sotto.

Spedito, si diresse in cucina, dove strappò una birra dal frigorifero, bevendola tutto d’un fiato.

La rabbia gli ribolliva nel sangue, misto al nervoso che lo faceva tremare come una foglia, fulminandogli i neuroni del cervello. Eppure in tutta la sua confusione, dei pezzi andavano unendosi nella testa, formando un puzzle troppo complesso e ancora incompleto per comprenderne il vero significato.

Sakura era fuggita il giorno precedente senza lasciare traccia, ecco perché non rispondeva alle chiamate di Ino. Ino aveva fatto la ramanzina a Sasuke perché sapeva che l’amica soffriva a causa di Tsunade e a causa sua. Nulla di strano vedendo come l’aveva snobbata negli ultimi tempi, cercando di ferirla persino andandosene in giro con Karin. Forse solo ora realizzava di aver esagerato… come al solito era stato egoista, abituato com’era ad avere Sakura che pensava per prima a lui. Ma Sakura evidentemente non aveva resistito e da sola era crollata, fuggendo.

Ma era da lei non chiamare nemmeno Ino per farle sapere che stava bene? Era da lei andarsene senza aver chiarito prima le cose con lui? Forse si era stancata del suo egocentrismo e per la prima volta forse aveva fatto bene.

Preda di un getto di rabbia, Sasuke scagliò la birra a terra, mandandola in frantumi, e raggiunse a grandi falcate il salotto, dove una corrente di vento gelida lo colpì in pieno.

I suoi occhi d’onice si sbarrarono sbalorditi, notando la portafinestra del salotto spalancata. Impossibile. Qualcuno si doveva essere introdotto nel suo appartamento – al quinto piano?

Il suo primo istinto fu quello di guardarsi attorno per assicurarsi che gli oggetti di valore fossero al proprio posto, ma non appena gli occhi d’ossidiana si furono posati nuovamente sul balcone, un particolare raccapricciante colpì la sua attenzione: una piccola bambola di porcellana giaceva al suolo, un ciuffo di capelli rosa a farle da chioma, un frammento di specchio conficcato nel petto.

 

 

Ino si appoggiò allo stipite della porta, scrutando con aria nervosa e batticuore impazzito il ragazzo di fronte a sé, che si accingeva a lasciarla nuovamente preda delle tenebre solitarie della sua casa.

-“Sicura di star bene? Non preferisci che rimanga qui un altro po’?”- le domandò Shikamaru, il tono basso e roco, uno sguardo acceso sia di preoccupazione che di una vaga malizia. Sguardo che Ino conosceva troppo bene.

-“Sì, tranquillo. Ora vado a letto e sto lì bella tranquilla, senza sforzarmi.”- sorrise Ino, scoccandogli un’occhiata saccente e vagamente ironica, dovuta a tutti i rimproveri mossole fino ad allora.

-“Sì…”- annuì leggermente Shikamaru, lasciando scivolare d’istinto una mano sulla guancia della ragazza.

Le lunghe dita affusolate tracciarono il perimetro delle sue labbra con delicatezza, mentre il ragazzo percepiva lo sguardo confuso e disorientato della biondina su di sé. Poi, scivolando con naturale lentezza, si piegò verso di lei, unendo le proprie labbra a quelle calde e morbide di Ino, regalandole un bacio dolce ma intenso.

Dopo qualche minuto di perdizione, mentre le labbra di Shikamaru tracciavano una scia di baci lungo il collo della ragazza, Ino lo scansò gentilmente, scrutando con occhi incerti il ragazzo di fronte a sé. Il suo corpo le chiedeva disperatamente di farlo entrare, anzi, di trascinarlo letteralmente in camera da letto, ma la sua mente era confusa e aveva bisogno di tempo in solitudine per pensare.

-“Shika, questo è…”- sospirò Ino, scuotendo la testa, confusa.

-“Mendokuse… lo so. Senti, ne riparliamo stasera… magari saremo tutti e due un po’ più lucidi, che dici?”- le propose il Nara, massaggiandosi le tempie come scusa per coprire il lieve rossore che gli aveva infiammato le gote.

-“Sì, stasera, okay. Ciao…”- annuì la Yamanaka, chiudendo la porta non appena vide il ragazzo sparire giù per le scale.

Con un sospiro profondo, la biondina appoggiò la schiena alla porta, lasciandosi scivolare a terra. Chiuse gli occhi, assaporando il sapore di Shikamaru sulle labbra, domandandosi cosa diavolo fosse successo pochi minuti prima e quale fosse il significato di tutto ciò.

Sospirò nuovamente, balzando in piedi di scatto e saltellando verso la camera, rianimata di una nuova energia vitale: non sapeva cosa fosse stato quel bacio, ma se Shikamaru voleva parlarne, allora doveva avere un significato. Altrimenti si sarebbe limitato a congedarsi con un solito “mendokuse, scusa, non volevo” e a finirla lì – come aveva già fatto in passato.

Giunse in camera e prese a svestirsi per indossare il pigiama, ma qualcosa di brillante la abbagliò, portandola a volgersi verso la scrivania: abbandonato sul piano giaceva ancora quel frammento di specchio scheggiato, macchiato ancora del sangue della ferita alla mano, che veniva illuminato dal sole dell’alba che filtrava dalle veneziane.

Ino si avvicinò alla finestra, fissando interessata quel vetrino finito misteriosamente in camera sua, e di cui ne ignorava la provenienza. E mentre lo osservava intensamente, la sua mente si perse ancora. Prese a vagare nella foschia, lontana, abbandonando il suo corpo, avvolta in quella coltre bianca ed evanescente tipica dei suoi sogni di bambina, mentre un sinistro sibilo di vento la cullava, intimorendola.

Ino camminava in mezzo a quella fitta nebbia, pensando, semplicemente. Laggiù nulla aveva sostanza se non i suoi pensieri, che si rincorrevano l’un l’altro, formando una catena di ragionamenti che la conducevano a quel frammento di specchio che aveva in mano.

Chissà, forse era davvero di Sakura…

Sakura, chissà dove era finita?

La ragazza sospirò, sollevando lo sguardo oltre la coltre nebbiosa. In lontananza, per la prima volta, la foschia si stava diradando, permettendo di scrutare tutto l’orizzonte con nitidezza. E laggiù, grande, scura e maestosa, si stagliava la vecchia fabbrica abbandonata e decadente. Il sole scarlatto dell’alba ne illuminava un lato, rendendolo simile ad una goccia di sangue che cola su un vetro – su uno specchio.

Vetro, specchio… il vetro che la separava dalle bambole, nel suo sogno.

Bambole.

Cosa producevano in quella fabbrica, tanti anni addietro?

Giocattoli.

bambole. Miriadi di bambole.

 

“…Ino.”

 

-“…Sakura.”- sussultò la bionda, ritornando in se stessa, mentre delle lacrime le scorrevano involontarie lungo le gote e il pezzo di specchio le cadeva a terra, scivolandole dalle mani.

 

 

Shikamaru si lanciò un’ultima occhiata nello specchio dell’ascensore, fissando il suo riflesso con espressione contratta dal nervosismo.

Chissà perché cavolo aveva baciato Ino. Non che fosse la prima volta, ma dopo le ultime incomprensioni pareva che tutto dovesse finire, e invece… invece no, lei era ancora lì, stampata nella sua testa. Appena sembrava esser riuscito a lasciarla andare, lei ricompariva nel suo cuore, più forte di prima. Era una droga senza via d’uscita. Era una droga di cui non poteva fare a meno, ormai gli era chiaro.

Le porte dell’ascensore si aprirono e lui balzò fuori con un profondo respiro, ma per poco non soffocò quando un fulmine nero lo superò – quasi investendolo – salendo di fretta dalla scale.

Shikamaru fissò attonito Sasuke di fronte a sé, suonare come un forsennato alla porta di Ino, il fiatone che gli spezzava a metà il petto.

-“Sasuke? Che cazzo stai facendo?”- trasalì il Nara, affiancandosi all’amico dalla pessima cera.

-“Ino, ho bisogno di Ino.”- affermò senza fiato.

-“Mh, questa frase potrebbe suonarmi ambigua, sai?”-

-“Guarda qua.”- sbottò l’Uchiha, piazzando in mano all’amico quella bambolina identica in tutto e per tutto a Sakura, con quell’inquietante pezzo di specchio conficcato in petto.

-“Ma cosa…?”- sussultò Shikamaru, impallidendo all’istante.

-“Sakura è scappata di casa ieri, Shikamaru… l’ho cercata ovunque, senza successo… quella bambolina me la sono ritrovata in casa, non so cosa significhi ma… quei capelli sono veri, Shikamaru… sono i capelli di Sakura… e quel pezzo di specchio…”- indicò Sasuke, scambiandosi un’occhiata eloquente con l’amico.

-“Il pezzo di specchio che si trovava in casa di Ino?”-

-“Già, mi è venuto in mente solo ora…”-

-“Ino, Ino siamo noi, apri!”- ordinò Shikamaru, battendo con insistenza alla porta di casa Yamanaka.

-“Ragazzi, cos’è questo trambusto?”- trillò una voce alle loro spalle, con tono soave e melodioso.

Shikamaru inarcò le sopracciglia nel ritrovarsi davanti quella bella donna avvolta in un lungo e sontuoso cappotto nero, mentre Sasuke la fulminò con sguardo astioso e diffidente.

-“Non è nulla, Konan…”- sibilò l’Uchiha, con sprezzo.

-“Se cercate Ino, l’ho vista uscire poco fa.”- spiegò la donna, sorridendo serenamente.

-“E dov’è andata?!”- trasalì Shikamaru, con groppo in gola.

-“Alla vecchia fabbrica.”- spiegò Konan, con sorriso angelico, infilandosi dentro l’ascensore. –“Fate attenzione, mi raccomando. Anche le bambole soffrono.”- si congedò la donna, mentre le porte si chiudevano, svanendo senza dare ulteriori esplicazioni.

-“Chi cazzo è quella?!”- domandò Shikamaru al compagno, sorpreso.

-“Una pazza, evidentemente.”- sibilò Sasuke, iniziando a prendere a spallate la porta di casa Yamanaka, con espressione contratta dalla rabbia. –“Aiutami!”-

-“…mendokuse…”- sospirò il Nara, portando gli occhi al cielo e prendendo a dare spallate insieme all’amico.

La porta cedette presto – l’unico momento in cui Sasuke ringraziò di vivere in un decadente condominio di periferia – e i due si intrufolarono nell’appartamento, dividendosi fra salotto e cameretta.

Il richiamo di Shikamaru non tardò ad arrivare, con un urlo soffocato, dalla camera della ragazza.

-“Trovato qualcosa?”- domandò Sasuke, precipitandosi senza fiato nel mondo viola di Ino.

-“Sì… guarda qua…”- mormorò con voce tremante il Nara, indicandogli il frammento di specchio al suolo, insanguinato.

D’istinto, Sasuke tirò fuori la bambola, confrontando il frammento di specchio nel petto di essa con quello nelle mani dell’amico: esattamente identici.

-“Che diavolo sta succedendo, Sasuke?!”- sbottò Shikamaru, perdendo il suo sangue freddo.

L’Uchiha non rispose subito, ma si alzò in piedi, fissando con sguardo serio e concentrato la sagoma nera e confusa che si stagliava in lontananza all’orizzonte.

-“Andiamo alla fabbrica, Shikamaru.”-

 

 

 

 

to be continued

 

 

 

 

 

*Angolo di Luly*

Okay, ora potete odiarmi ufficialmente. *__*

Ho scritto questo capitolo di fretta, domani parto per una settimana e non volevo lasciarvi sulle spine così a lungo. ù_ù

Temo che la storia durerà fino a 4 o 5 capitoli diversamente da quanto annunciato in anticipo, ma mi riprometto di scriverla in fretta ^__^

Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a darmi la carica con le loro splendide recensioni e tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra i fav! Grazie in particolare a:

Hele91

Dark_akira

Celiane4ever

Kry333

Serysaku

Zia Eleanor

Lalani

Grazie mille anche a tutti coloro che vorranno commentare!

Un bacione, al prossimo capitolo! *__*

 

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Capitolo 3
*** Bloody Mirrors & Screaming Dolls ***


Chiuse la cerniera del trolley con lentezza e con cura, fissando il suo brillio alla luce del tramonto, che fiammeggiante filtrava la finestra

Chiuse la cerniera del trolley con lentezza e con cura, fissando il suo brillio alla luce del tramonto, che fiammeggiante filtrava la finestra.

Un lieve sospiro le sfuggì dalle labbra, ma subito se ne pentì, come se in quel momento non avesse diritto di lamentarsi, né di esternare qualsiasi altro sentimento che non fosse il compatimento per se stessa. Lei, che aveva perso tutto senza riuscire a salvare nulla.

Tsunade parlava nel salone con lui – i muri spessi come carta erano un toccasana per la privacy –, lui, che nonostante tutto le era sempre rimasto accanto, forse per compassione o forse perché la loro sorte era stata molto simile, alla fine.

La matrigna lo ringraziava, quasi fosse un salvatore della patria, un salvatore che stava portando via di lì la sua più grande sciagura. Se di forza o di sua proprio volontà, lei ancora non l’aveva capito bene.

Il solito cigolio della porta malmessa della sua stanza la richiamò, portandola a voltarsi lievemente verso l’uscio.

-“Sakura… dobbiamo andare. Il treno parte fra poco.”-

-“Arrivo subito, Shikamaru.”-

 

 

 

3. Bloody Mirrors & Screaming Dolls

 

L’angoscia che le pesava sul cuore cresceva di minuto in minuto.

La sua corsa sembrava interminabile. Ora, finalmente, capiva il perché di quella corsa che le era stata preannunciata attraverso i sogni.

Ora sapeva che stava fuggendo da lui.

Ora sapeva che stava cercando Sakura.

E stava correndo per compiere entrambe le cose contemporaneamente.

Il corridoio di specchi era finito in una stanza ampia e altissima, scura a causa delle finestre posizionate nella parte superiore della parete – esattamente come in sogno.

Ed eccoli nelle tenebre, illuminati lievemente da quel bagliore proveniente dall’alto, erano percepibili: occhi, miriadi di occhi. La fissavano, immobili, privi di vita. La fissavano, indagatori, crudeli.

Bambole, bambole, bambole. Una stanza piena di bambole. Pareti tappezzate di bambole.

Ino si avvicinò alla parete alla sua destra, - esattamente come in sogno – allungando la mano incerta verso una bambola deposta al centro dello scaffale: i capelli di seta dorata raccolti in una coda, proprio come lei. Indossava una magliettina viola dalle spalline sottili e un paio di pantaloncini bianchi – diverso dal sogno. Ma, come d’istinto, Ino abbassò lo sguardo verso i propri indumenti, scoprendo di essere abbigliata esattamente come la bambola di fronte a sé – il sogno non si era sbagliato.

Colta da un’improvvisa ansia, la ragazza allungò la mano verso il pupazzo, ma non riuscì ad afferrarlo, come se fosse protetto da una teca di cristallo.

Ino sgranò gli occhi, fissando un particolare che le era sfuggito nel sogno: il suo riflesso.

Balzò indietro di un passo quando realizzò che ciò che aveva di fronte in realtà era uno specchio, un’enorme specchio, grande quanto il muro della stanza. Era ovvio che non riuscisse ad afferrare la bambola che aveva di fronte a sé, perché non era altro che un riflesso della parete alle sue spalle.

Ino si voltò di scatto all’indietro, dirigendosi tremante verso la vera parete ripiena di bambole. Lanciò uno sguardo incerto verso il corridoio dal quale era appena arrivata, trovandolo ancora vuoto e silenzioso – evidentemente non l’aveva ancora trovata.

Poi strinse con forza i pugni, scrutando ansiosamente la bambola dalle sue stesse fattezze appoggiata sullo scaffale, e infine si fece forza, allungando le mani per poterla afferrare.

Fissava con sguardo offuscato la bambola di se stessa, con un dolore acuto che le mozzava il respiro e le trafiggeva il cuore: come poteva una bambola identica a lei indossare gli stessi vestiti che si era infilata solo poche ore prima? Una voce in testa le ordinava di scappare il più velocemente possibile fuori da quella fabbrica spettrale, ma il suo cuore glielo impediva, tenendola inchiodata in quella stanza delle bambole.

Un rumorino metallico attirò la sua attenzione, portando la ragazza ad abbassare gli occhi verso la bambola stretta fra le sue mani tremanti: improvvisamente, questa aveva aperto la boccuccia di porcellana e, in un batter d’occhio, aveva sparato un ago con forza e precisione dritto nel collo della Yamanaka.

Ino aveva urlato stridulamente, lanciando immediatamente via la bambola e portandosi una mano alla gola, spaventata. Strappò con decisione l’ago, buttandolo a terra e premendosi la mano contro la puntura, insolitamente calda e pulsante.

Poi dei passi lenti e pesanti riecheggiarono per il corridoio e per la grande stanza, portando la ragazza a voltarsi verso l’ombra che le si avvicinava tranquillamente attraverso le tenebre.

L’istinto ordinò alle sue gambe di fuggire, ma queste non si mossero di un millimetro, appesantite da un innaturale formicolio che le paralizzava. Presto, la pesantezza avvolse ogni cellula del corpo della Yamanaka, raggiungendo persino la vista e, mentre il mondo intorno a lei sfumava in un nero opaco, Ino riuscì a guardare negli occhi – quei gelidi occhi – il suo inseguitore.  Il suo angelico carnefice. Il suo celestiale cacciatore.

E poi, furono solo tenebre e silenzio.

 

 

Forse era lo scrosciare intenso della pioggia che la illudeva, ritmico e rilassante, ipnotizzante e anestetizzante.

Aveva perso il conto dei giorni da quando era stata segregata là dentro, legata mani e piedi, buttata su quel suolo freddo e umido, impregnato di un odore nauseante, misto fra soda caustica e luogo chiuso.

Eppure, era sicura che la pioggia non avesse cessato un minuto di cadere, perenne colonna sonora della sua prigionia.

Nonostante quella pioggia le impedisse quasi di riconoscere notte e giorno, il suo scrosciare le ricordava che il mondo là fuori continuava a girare, e che qualcuno si sarebbe accorto della sua scomparsa… almeno, questo pensava all’inizio. Ma ora come ora, sperare nella sua liberazione, le pareva quanto di più lontano ci potesse essere dalla realtà.

Nessuno sarebbe mai riuscito a trovarla laggiù, tra le braccia di quel pazzo tra le quali si era buttata di sua iniziativa, senza sapere bene il perché. E ora pagava il prezzo dei suoi capricci insensati, e non doveva chiedere nulla di più al destino.

Ma perché la pazzia che le si annidava dentro la torturava pure in quel momento? Ormai si era arresa alla sua sorte, perché la sua mente doveva martoriarla con quella voce nella testa?

-“Sakura! Sakura!”-

No, non era la voce di Sasuke che la chiamava. Non poteva esserlo. Lui non l’avrebbe mai fatto.

In verità, era la pioggia che la ingannava col suo canto, promettendole sogni e speranze nascoste in false eco lontane.

-“SAKURA! RISPONDIMI! SONO IO, SASUKE!”-

…la pioggia poteva essere così nitida, chiara, decisa?

…la speranza poteva imitare così abilmente la sua voce suadente e roca?

…una eco poteva essere così vicina quasi da sfiorarle il viso col suo fiato?

Sakura spalancò gli occhi, mentre per la prima volta dopo tanto tempo sentiva la necessità di respirare a lungo e a fondo. I polmoni le si riempirono di quell’aria viziata e gelida, portandola a voltarsi sulla schiena e a fissare finalmente l’alto soffitto scuro, illuminato dalla luce grigia filtrata dalle finestre luride.

Quel profondo respiro le ferì i polmoni, portandola a tossire con forza, mentre gli occhi lacrimavano, non più abituati a fissare la luce direttamente.

La ragazza si concentrò, assottigliando l’udito per captare ancora quel suono che l’aveva risvegliata dal suo stato catatonico come uno scampanellio acuto nel mezzo della notte più buia. E lo udì, ancora una volta, lontano, misto alla pioggia.

-“SAKURA!”-

E quell’urlo le riempì la gola di energia e gli occhi di lacrime.

-“SASUKE! SASUKE!”- gridò con tutta la forza che aveva in corpo, strozzata dalla sua stessa emozione.

-“E piantatela di sbraitare.”- fu il commento di una voce sensuale e impassibile, accompagnata da un vicino rumore di passi.

Gli occhi smeraldini bagnati di lacrime si posarono sulla figura di quel ragazzo non molto alto, dai capelli color del fuoco, gli occhi cristallini spenti e vacui, che ora sostava al fianco della Haruno, scrutandola con aria completamente indifferente.

Sakura non si era nemmeno accorta della sua comparsa, silenziosa e quasi inconsistente, quasi uno spettro – come la prima volta che l’aveva incontrato.

Il ragazzo sbuffò lievemente, mentre si avvicinava alla finestra lì vicino per lanciare un’occhiata di sufficienza.

-“Sasori…”- piagnucolò Sakura con voce tremante, impaurita dalla reazione che il ragazzo avrebbe potuto avere.

-“Sta arrivando. Pazzesco.”- commentò fra sé e sé Sasori, grattandosi il mento, interessato. –“L’eletta deve essere riuscita a fargli sapere qualcosa prima di venire qui.”-

-“L’eletta…?”- sussurrò la ragazza, scrutando l’altro con aria ansiosa.

-“Il tuo caro Sasuke è venuto a prenderti e sta salendo le scalette di emergenza. Chissà se reggeranno il nostro peso.”- spiegò il rosso, prima di saltare oltre la finestra con un balzo aggraziato e svanire al di sotto di essa.

 

 

Le scalette di emergenza che si arrampicavano zigzagando lungo il fianco orientale della grande fabbrica avevano un colore che andava dal grigio opaco al marrone bruciato della ruggine, annidata persino agli angoli delle giunture dei pianerottoli, rendendo il piccolo complesso metallico cigolante e instabile.

Come se non bastasse, la pioggia torrenziale aveva reso scale e corrimani terribilmente scivolosi, rendendo la già difficoltosa scalata di Sasuke ancora più complicata.

Eppure la voce di Sakura era lì, vicina, sofferente, e lo invocava.

La fretta gli fu cattiva consigliera e inavvertitamente il ragazzo posò il piede in una pozzanghera profonda, scivolando in avanti e colpendosi il ginocchio contro il primo gradino della rampa di fronte, provocandovi un profondo taglio.

In quel momento, un pesante tonfo fece traballare pericolosamente la scalinata di ferro, producendo un rumore acuto, misto fra un cigolio stridulo e un pesante cozzare di metalli.

Sasuke sollevò il suo sguardo corvino verso la sagoma avvolta da un ingombrante mantello nero che si ergeva sopra l’ultima rampa di scale, che lo divideva dall’entrata di emergenza dalla quale provenivano le urla della Haruno.

 

 

-“SASUKE!”- gridò Sakura al limite della disperazione, cercando di raccogliere le poche forze rimaste in corpo per strisciare verso la finestra dalla quale era saltato Sasori.

Cosa diavolo stava succedendo? Cosa ci faceva Sasuke lì? Come aveva fatto a trovarla?

Avrebbe voluto scattare e correre in aiuto dell’Uchiha, ma le corde che la legavano parevano infrangibili, e quella permanenza in totale immobilità l’aveva fortemente debilitata. Ma anche volendo, il suo cuore non le avrebbe mai permesso di arrendersi e così continuò a combattere contro se stessa, strisciando e ferendosi contro il ruvido pavimento di legno scricchiolante, finché un rumore alle sue spalle non attirò la sua attenzione…

 

 

Sasori abbassò il mantello, mostrando il suo volto dai lineamenti perfetti ed inespressivi, mentre con occhi vitrei fissava l’Uchiha dall’alto della sua posizione.

-“Chi diavolo sei tu?”- sibilò Sasuke con aria cupa, portando la mano sul fodero che teneva legato alla schiena.

-“Non vedo ragione per cui dovrei dirtelo.”- commentò Sasori, con tono di sufficienza.

-“Dov’è Sakura?”- domandò il moro, assottigliando lo sguardo su quella figura inquietante di fronte a sé e stringendo l’impugnatura della katana, la cui lama fremeva per essere liberata dalla guaina.

-“Non vivrai abbastanza a lungo per saperlo.”- asserì il rosso, lanciandosi con grazia verso l’Uchiha ed estraendo un bastone metallico e affilato dal lungo mantello nero.

Con un potente stridore, la sua lama ne colpì un’altra più ampia e piatta: Sasuke aveva sfoderato la katana che si portava appresso con freddezza e prontezza di riflessi invidiabile – e con tempismo perfetto.

La potenza con cui Sasori gli si era scagliato contro era tale che Sasuke non riuscì a trattenere l’onda d’urto e scivolò all’indietro sul pavimento metallico bagnato, finendo per sbattere contro il corrimano cigolante e instabile.

Sasori premeva la lama del suo bastone con forza impressionante contro di lui, senza mostrare il benché minimo segno di cedimento o di stanchezza.

-“Una katana? Un po’ esotica e fuori tempo come arma, non credi?”- gli domandò il rosso, con tono vagamente canzonatorio.

-“Si fa quel che si può, avessi avuto una pistola ti avrei già riempito di piombo.”- fischiò Sasuke, scrutando con sguardo ricolmo di astio il rivale di fronte a sé. -“Cosa diavolo vuoi da Sakura?!”-

-“Il nostro Signore necessita di sangue di bambole per sopravvivere in eterno.”- spiegò il rosso, spiccando un salto all’indietro, allontanandosi dallo scontro diretto con l’Uchiha. Con gesto rapido, estrasse dal mantello un medaglione a forma di nube rossa che portava al collo e lo mostrò all’avversario.

 

Sakura sospirò di sollievo, mentre con occhi ricolmi di lacrime fissava i profondi e dolorosi segni rossi che le circondavano i polsi, lasciati dalle corde che ora giacevano recise al suo fianco.

I suoi occhi smeraldini si sollevarono per scrutare l’alta figura di Shikamaru, che ora sostava ben acquattato contro il muro, sbirciando furtivo dalla finestra lo scontro fra Sasori e Sasuke.

La ragazza acuì l’udito, percependo un cozzare metallico e irregolare di lame provenire dall’esterno, alternati a discorsi rapidi e troppo bassi per essere compresi, coperti dallo scrosciare incessante della pioggia.

-“Shikamaru… cosa stanno…?”-

-“Stanno lottando, Sakura. E Sasuke intanto sta cercando di capire cosa frulla nella testa di questo psicopatico di un Sasori no Akasuna.”- sibilò il Nara, degnando solo di una superficiale attenzione la ragazza.

-“Come fai a sapere il suo nome?!”- si sorprese la Haruno, mettendosi in piedi a fatica.

-“Perché è il cugino dei Sabaku.”- proferì Shikamaru, scorgendo un’espressione interdetta spaziarsi sempre più sul volto della ragazza.

 

 

-“Sangue di… bambole?!”- ripeté Sasuke, sconcertato.

-“Bambole… bellissime e perfette nella loro totale passività e assenza di emozioni, pure e caste come il giorno della loro creazione…diventano così le ragazze dopo che il loro sangue viene sacrificato al nostro sempre eterno Signore…”- asserì con sorrisino serafico ma intriso di profonda crudeltà Sasori, passandosi una mano fra i ciuffi di capelli fradici e levandoseli dal volto, mentre l’altra accarezzava morbosamente il medaglione a nuvola rossa.

-“Beh… se hai preso Sakura come vittima sacrificale hai fatto male i tuoi calcoli, pel di carota.”- sogghignò l’Uchiha con ghigno malizioso, puntando la katana verso di lui con sguardo di sfida. –“Ti posso assicurare che non è poi così casta e pura come credi tu… anzi, per mia esperienza personale, non lo è più.”-

-“Difatti lei non è la bambola… lei è lo specchio.”- affermò Sasori, ritornando all’attacco, incrociando ancora una volta la lama con quella dell’Uchiha, facendo traballare con cigolio sordo la scala che cedette verso l’esterno, prendendo a penzolare pericolosamente. –“Uno specchio per le sciocche allodole come voi…”- sogghignò infine, spingendo Sasuke verso la parte pendente della struttura.

 

 

-“…uno specchio? Ma che diavolo…”- sibilò Shikamaru, che acquattato accanto alla Haruno cercava di carpire ogni parola del discorso fra i due.

-“Specchi… bambole… lui è fissato con le bambole, ma non mi ha mai parlato di specchi…”- sussurrò Sakura, palesando la sua perplessità riguardo al discorso del suo aguzzino.

Un’intuizione brillò improvvisamente sul volto dell’Haruno, attirando l’attenzione del ragazzo su di lei.

-“Ti è venuto in mente qualcosa?”-

-“Sì… lui, Sasori… mi ha attirata in inganno richiamando la mia attenzione con il riflesso di uno specchietto in lontananza… ma cosa può significare?”-

-“Tu sei uno specchio, ha detto Sasori.”- ripeté Shikamaru, incrociando le mani e assumendo un’espressione pensierosa, mentre prendeva a riflettere ad alta voce. -“Noi abbiamo trovato frammenti di specchi ovunque. In casa di Sasuke e in casa di Ino.”- spiegò il ragazzo, scrutando la ragazza.

-“In casa di Ino? Che c’entra Ino?”- sussultò Sakura, interdetta.

-“…anche lei è sparita. È venuta a cercarti, probabilmente… non l’hai vista?!”- trasalì Shikamaru, sbarrando gli occhi e scuotendo leggermente l’amica per le spalle.

-“No, assolutamente! Sasori non si è mai allontanato da qui!”- spiegò Sakura, percependo il sudore freddo scivolarle lungo le tempie.

-“Maledizione… dove diavolo si sarà cacciata, ora?!”- imprecò il Nara, scuotendo la testa furibondo. -“Sakura… uno specchio… come uno specchio per le allodole… gli specchi cosa fanno? Riflettono la tua immagine, un’immagine fittizia… un inganno… uno specchio per le allodole… un inganno, una trappola… ti ha attirata qui usando uno specchio… tu… tu sei lo specchio… tu…”- si bloccò il ragazzo, sbarrando gli occhi verso la Haruno, che lo fissava intimorita e confusa.

-“Io… cosa?!”-

-“Tu… sei uno specchio. Così come Sasori ti ha attirata qui usando uno specchio, lui ha attirato Ino usando te. Tu sei soltanto un’esca. È Ino che voleva!”-

 

 

Era veloce. Dannatamente veloce.

Sasuke rimase appoggiato alla ringhiera dell’impalcatura ormai pericolante verso il suolo, puntando la sua katana in direzione di Sasori che, complice della pioggia, si muoveva zigzagando con scatti rapidi e pressoché invisibili – inumani.

Gli occhi d’ossidiana seguivano attenti i movimenti del nemico, come quelli di un falco che sta per essere attaccato da una serpe un po’ troppo furba per i suoi gusti. Sasuke sapeva che Sasori stava tramando qualcosa, qualcosa di terribilmente losco. E abbassare l’attenzione in quel momento sarebbe potuto essere letale.

-“SASUKE!”-

Un urlo stridulo e cristallino proruppe tramite le tenebre piovose. Ma quella voce ricolma di ansia e terrore suonò come un soave e caldo sollievo per Sasuke.

Sakura. Viva e vegeta.

L’Uchiha sollevò lo sguardo verso la finestra, dove il volto angelico e preoccupato dell’Haruno lo guardava, pallida ma contemporaneamente felice di poterlo rivedere dopo tante sofferenze.

-“Distratto!”- commentò Sasori, sfiorando appena i polsi dell’Uchiha per poi allontanarsi nuovamente con un rapido balzo.

-“Che cazzo…”- sibilò Sasuke, ma immediatamente realizzò che terribile conseguenza aveva avuto la sua lieve distrazione.

Dei fili stringevano i polsi dell’Uchiha, congiungendoli alle mani di Sasori, dove le cordicelle erano legate a mo’ di marionetta e da dove l’avversario poteva controllare a suo piacimento i movimenti di Sasuke.

Senza dargli il tempo di reagire, Sasori mosse le braccia dell’Uchiha con una violenta spinta contro uno spuntone acuminato che sporgeva dalla parete.

La mano di Sasuke lo colpì con violenza, e lo spuntone arrugginito penetrò nella carne, lacerandogli a fondo il dorso.

Imprecando, l’Uchiha fece forza e riuscì a ritrarre la mano, perdendo però la katana, che scivolò giù dall’impalcatura di ferro, mentre quest’ultima si piegava ulteriormente all’infuori con un cigolio spettrale e acuto.

Sasuke vide la guaina della spada incastrarsi in un cumulo di macerie in mezzo al fango del terreno sottostante, restando con la lama puntata verso l’alto, brillante e acuminata sotto la pioggia torrenziale.

Inveì nuovamente quando percepì i fili – intuendo solo ora fossero fatti di una striscia di ferro sottilissima – premere ancora intorno ai polsi, tagliandoli sempre più in profondità mentre Sasori lo trascinava verso di sé.

-“Bastardo!”- imprecò la voce furibonda di Sakura, apparendo come un fulmine rosa e saltando agilmente sulle spalle del rosso, animata da una rabbia incontrollata. –“Lascialo!”-

La ragazza si avvinghiò alle spalle di Sasori, stringendolo per il collo, ma questi non ebbe alcuna reazione, restando impassibile al soffocamento. Con freddezza invidiabile, il rosso afferrò Sakura per i capelli, e con un gesto carico di leggerezza, la sollevò, provocandole un dolore immenso, e la scaraventò dall’altra parte dell’impalcatura.

-“Avanti Sakura, non ribellarti a me… ti ho scelta come mia bambola di compagnia, dovresti esserne onorata…”- sogghignò Sasori, prendendo la sua lancia di ferro e conficcandola poco sopra la spalla della Haruno, in modo da terrorizzarla. Ma i suoi occhi smeraldini non rispecchiavano paura, ma speranza, vivida e nuova. Sasori inarcò un sopracciglio, perplesso da tale reazione.

-“Distratto.”- sibilò una voce roca e decisa alle spalle del rosso, prima di percepire un potente calcio colpirlo alla schiena e spedirlo giù dall’impalcatura.

Sasuke si sporse per vedere il suo nemico volare di sotto, ma qualcosa di freddo e doloroso gli si attorcigliò al collo, trascinandolo giù di peso.

-“SASUKE!”- gridò Sakura, sporgendosi per vedere cosa fosse accaduto in quel lasso di tempo indescrivibilmente rapido.

Sasori e Sasuke restavano penzolanti a mezz’aria, un lieve filo ferreo ad unirli, visibile grazie solo alla pioggia che vi si poggiava sopra, rendendolo brillante.

Nella caduta, Sasori aveva allungato i fili che gli dipartivano dalle mani allacciandolo al collo dell’Uchiha, trascinandolo giù con sé, e il filo che li collegava era rimasto impigliato nell’impalcatura: ora i due ragazzi parevano delle marionette sospese a mezz’aria, una delle quali agonizzante nel suo soffocamento.

Sasuke cercava disperatamente di allentare la stretta del filo intorno al suo collo, prima che soffocasse o che gli tagliasse direttamente la testa. Teneva una mano fra la pelle e il filo, mentre con l’altra – abbondantemente insanguinata a causa delle ferite – cercava di issarsi sul balconcino soprastante, inutilmente.

-“Ah ah… che situazione bizzarra… se il filo si rompesse… cadremmo entrambi…”- commentò Sasori, fissando la massa informe di detriti metallici sotto di loro, fra i quali spiccava la spada di Sasuke, rivolta verso l’alto, come ad attendere la sua caduta. –“Peccato non avere nulla con cui tagliare il filo, non trovi?”-

-“…di…stratto…”- sibilò Sasuke nel suo soffocamento, estraendo lentamente dalla tasca qualcosa di lucido, che brillava bagnato dalla pioggia. Il pezzo di specchio abbandonato a casa sua.

Con gesto rapido, Sasuke tagliò il filo che lo teneva legato all’assassino con il frammento di specchio e, regalando un ultimo sguardo alla sua Sakura, cadde al suolo, portandosi con sé Sasori e l’urlo straziante di Sakura che spezzava lo scrosciare intenso della pioggia notturna.

 

 

 

to be continued

 

 

*Angolo di Luly*

Mwahahaha. Ok, scusate il ritardo. *___*

La verità è che faccio parecchio schifo a scrivere le scene d’azione [come potrete ben notare da questo patetico duello fra Sasuke e Sasori], quindi ci ho messo un po’ più del previsto. Gome ù_ù

Oltretutto gli esami si avvicinano [oh mamma T_T] quindi sarà il caso che mi sbrighi a finirla in fretta, sennò non me la cavo più ù_ù

Ehm… che dire… un capitolo ricco di SasuSaku e di suspance! Chissà come andrà a finire *fa la finta tonta e se ne esce cantando…*

 

Un grazie infinito a tutti coloro che commentano e che hanno messo la storia fra i preferiti, non pensavo potesse piacere così tanto! <3

Hele91

Celiane4ever

Dark_akira

Lalani

Vampiro solitario91

Kry333

Sasusaku11

LalyBlackangel

Eleanor89

Hikaru90

Hachi92

Jessica Hale

 

Vi amoH infinitamente. <3

Al prossimo capitolo e non mancate di farmi sapere che ne pensate. *__*

 

Kiss,

Luly

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Capitolo 4
*** Dark Mirrors & Silent Dolls ***


Il sole che infiammava la sera si era spento, come una candela stanca e consunta, sotto il peso della notte e delle pesanti nubi cariche di pioggia che portava con sé

Il sole che infiammava la sera si era spento, come una candela stanca e consunta, sotto il peso della notte e delle pesanti nubi cariche di pioggia che portava con sé.

Presto qualche goccia cominciò ad infrangersi sui finestrini, mentre la piccola auto sfrecciava silenziosa per le strade vuote di quella cittadina desolata.

Sakura lasciò scivolare un dito sulla condensa del finestrino, tracciando una scia luminosa sul vetro appannato.

-“Sicura di non voler passare in ospedale? C’è ancora tempo, prima della fine delle visite.”- asserì Shikamaru, scrutando la ragazza seduta al posto del passeggero con la coda dell’occhio.

-“No, non mi va. L’ho già salutata ieri e poi… lei non vuole che io parta.”-

-“Penso che nessuno lo voglia, Sakura.”-

-“Sì, ma lei… ciò che dice… mi fa paura.”- concluse la Haruno, abbassando gli occhi smeraldini – divenuti improvvisamente lucidi – sulla sua mano tremante.

-“Cerca di capirla, è ancora molto scossa dagli avvenimenti.”- ribatté Shikamaru incerto, accostando l’auto al marciapiede davanti alla piccola stazione del paese.

Piccola, trasandata, scura; si stagliava ancora nelle tenebre piovose, ad attendere l’arrivo di Sakura per la seconda volta in così poco tempo.

La ragazza percepì un brivido di freddo percorrerla, non appena la vista attuale della stazione si sovrappose con quella così simile e spettrale ancora vivida nei suoi ricordi.

-“Spero che Ino esca presto dall’ospedale…e da questo incubo.”- sospirò Sakura, appoggiando la mano sulla maniglia della portiera –“Grazie per avermi accompagnata, Shikamaru.”-

-“Sakura… penso che Ino abbia ragione. Sai, quando dice quelle cose…”- asserì il Nara, stringendo con più forza il volante, mentre le sopracciglia si aggrottavano, divenendo pensierose.

-“No! No, no… questo incubo è finito, e basta. Ino è debole e spaventata, sotto l’effetto della morfina per di più. Lei… delira, Shikamaru. Non sa quello che dice. Ha delle visioni prive di senso e logica.”- commentò Sakura, la voce spezzata dal terrore.

-“Ricordati sempre che senza quelle visioni prive di senso e logica tu non saresti qui, ora.”- il rimprovero di Shikamaru tuonò secco nell’auto, accompagnato da un truce sguardo accusatore.

-“Io no. Ma lui sì.”- sibilò la Haruno con voce ricolma di rancore, prima di scendere dall’auto senza guardare il suo accompagnatore negli occhi per l’ultima volta.

 

 

 

 

4.  Dark Mirrors &  Silent Dolls

 

Quel dolore così acuto e penetrante si insinuò a fondo nei suoi incubi, strappandola con forza prepotente dall’anestetizzato abbraccio di Morfeo. 

Ino sollevò le palpebre pesanti, per vedere il nulla intorno a sé, e pensare quanto fosse desolante la realtà in confronto al mondo colorato dei suoi sogni. Le richiuse, per sprofondare nuovamente nelle tenebre, ma quel dolore così acuto la ridestò completamente da quel greve dormiveglia, attivando pure la sua voce, che suonò come un grido stridulo e spezzato per gli androni vuoti e scuri di quel luogo umido e desolato.

-“Oh, che voce, mia bambola…”- canticchiò una voce setosa e melliflua vicina, così tanto da accarezzarle il lobo dell’orecchio col suo alito gelido – così in contrasto col caldo del suo timbro vocale.

-“Che fai?!”- singhiozzò Ino, in un tremito di voce agonizzante e terrorizzato.

I suoi occhi di zaffiro guardavano sconvolti quel pezzo di specchio scheggiato brillare nelle tenebre tra le mani del misterioso individuo, così vicino ai suoi occhi che per la paura faticavano a rimanere aperti.

Il terrore la paralizzava, ma quando un briciolo di adrenalina la scosse, Ino fece pressione sul braccio, per realizzare solo allora che entrambi gli arti erano incatenati sulla sua testa, sollevati da delle rumorose catene di ferro.

Singhiozzando, Ino prese a tirare verso il basso, creando un gran trambusto metallico.

-“Shhh, shhh… piccola bambolina, non fare tutto questo baccano, o i tuoi amici potrebbero sentirci…”- la richiamò il ragazzo, mentre con una mano afferrava un polso di Ino e con l’altra vi appoggiava il frammento di specchio, facendovi pressione, riprendendo un lavoro già iniziato.

Solo allora Ino realizzò cosa fosse quel dolore che l’aveva destata dal sonno: il suo aguzzino aveva inciso i suoi polsi con un taglio lungo e profondo, utilizzando un pezzo di specchio, e ora lasciava che il suo sangue fluisse dalle ferite, come caldi fiumicelli scarlatti che scorrevano lungo le braccia della ragazza per poi cadere a terra, in pozze di sangue che colavano in piccoli canali intagliati nel marmo del suolo. Quell’immagine fu seguita da una lancinante serie di fitte alla testa, come se dal nulla mille aghi si stessero addentrando nei meandri della sua memoria.

-“Che cos’è…?”- singhiozzò Ino, terrorizzata dalla prospettiva imminente di morire dissanguata.

-“Sono canali collegati all’altare del nostro eterno Signore, situato in fondo alla sala, laggiù, nascosto nelle tenebre. Ora che sei tornata, vittima sacrificale, vedrai che apprezzerà molto il tuo sangue puro e casto!”- cantilenò allegro il ragazzo, camminando verso l’altare e attraversando uno spiraglio di luce, che permise a Ino di rimirare i lucidi e lunghi capelli dorati del suo rapitore, avvolto da un insolito mantello scuro.

 

 

I suoi occhi smeraldini sostarono per pochi secondi – istanti infiniti – sul sangue che colava a rigagnoli al suolo, formando una pozza scarlatta sempre più grande, un piccolo lago rosso nato da quel petto trafitto da parte a parte dalla katana, rivolta verso l’alto come se non attendesse altro che quella caduta.

Inorridita, Sakura si voltò di scatto, coprendosi le labbra tremanti col palmo della mano, e riprese a respirare a fondo e velocemente – cosa che non aveva fatto per tutta la durata dell’atroce visione.

Poi un gemito di dolore provenne da altrove, ma un gemito conosciuto, un alito di vita che riscaldò il cuore della ragazza tanto da farle venire le lacrime. Si volse dalla parte opposta con rapidità e leggerezza, come se alle sue spalle non vi fosse un cadavere, come se la morte e il terrore non aleggiassero più in quel luogo; come se ciò davanti a lei ci fossero solo luce e speranza e nulla più.

-“Sei sicuro di star bene?!”- ansimò Sakura, scrutando con occhi ricolmi di ansia il ragazzo dai capelli corvini appoggiato alla spalla dell’amico.

-“Sì… Sakura…”- sussurrò Sasuke, fissando intensamente la ragazza, con sguardo enigmatico. –“…sei proprio noiosa.”- commentò infine, lasciandosi sfuggire un sorrisino di sollievo in un volto contratto dal dolore.

All’udire quella frase, quasi di rito per loro due, Sakura si sciolse in un pianto liberatorio, mentre Shikamaru aiutava Sasuke a fasciarsi la gamba, dolorante dopo la caduta; per non parlare del collo, che gli doleva tanto che ad ogni respiro si sentiva soffocare.

-“Fottuto Nara, se ti fossi scopato la Yamanaka, tutto ‘sto casino non sarebbe accaduto…”- sibilò Sasuke, seccato.

-“Cazzo c’entra?!”-

-“Vogliono Ino perché è vergine!”-

-“Stronzate!”-

-“Beh, l’ha detto lo psicopatico infilzato laggiù, se vuoi domandiamo!”-

-“No, dico… stronzate sul fatto che è vergine…”-

-“Te la sei scopata?”-

-“Ehm… che finezza, Sasuke… ma secondo te, per chi mi hai preso?!”-

-“Allora te la sei scopata male. Avrai fatto cilecca, Nara.”-

-“Ma vaffanculo, cilecca la farai tu!”-

-“Sakura, qualcosa da ribattere a mio discapito?”- cantilenò Sasuke, scoccando un’occhiata eloquente verso la ragazza.

-“Sasuke!”- arrossì Sakura, imbarazzata. –“E… e comunque è vero quello che dice ShikamaruIno me ne ha parlato…”-

-“Pure e caste come il giorno della loro creazione ha detto Sasori, me lo ricordo bene.”- commentò Sasuke, facendo leva sulla gamba dolorante per alzarsi in piedi. –“Se non intendeva questo, cos’altro poteva significare?”-

-“Non lo so, Sasuke, ma non posso restare qui a perdere tempo. Ino è là dentro, chissà dove l’ha rinchiusa Sasori… e sarà spaventata. Tu non sei in condizione di seguirmi, forse è il caso che tu e Sakura ve ne andiate…”- asserì Shikamaru, fissando l’enorme fabbrica avvolta dalle tenebre.

-“Non se ne parla nemmeno.”- ribatté Sasuke, perentorio –“Sasori è fuori combattimento, ma pensi davvero che fosse in grado di portare avanti un piano così diabolico senza un complice?”-

-“Lo so, ci avevo già pensato.”-

-“Infatti, e non mi sembra il caso di fare l’eroe e di andare a salvare la tua bella da solo. La mia gamba sta bene, è solo un po’ ammaccata… e la mia katana è laggiù, un po’ sporca, ma pronta ad essere riutilizzata. Solo da me, ovviamente.”- ghignò Sasuke, lanciando un cenno eloquente a Sakura, che si mosse rapida verso il cadavere del suo aguzzino infilzato dalla spada.

L’unico volto che per ore lunghe e buie si era riflesso nei suoi occhi smeraldini ora sostava lì, identico a pochi minuti prima, stavolta privo di vita – ma quando mai era apparso animato? – con quegli occhi che nella morte apparivano vitrei e freddi così come lo erano stati da vivi.

-“Sakura, vuoi una mano?”- domandò Shikamaru, fissando quella scena vagamente allarmato.

-“No, deve farcela da sola.”- asserì Sasuke, scrutando coi suoi occhi di tenebra ogni movimento della Haruno, cercando di infonderle fiducia con lo sguardo – anche se era difficile vederla sola e inerte vicino a quel corpo, seppur senza vita. Ma era una questione che Sakura doveva affrontare per superare completamente e lui non poteva fare altro – oltre a starle accanto per proteggerla… stavolta per sempre.

La ragazza deglutì, stringendo i pugni e facendosi forza, ma un intenso tremore la pervase mentre avvicinava la mano alla lama insanguinata.

Realizzò che per estrarre la katana doveva voltare il corpo di Sasori, ed estrarre l’arma da dietro, visto che la guaina era rimasta incastrata al suolo e la lama – ora insanguinata - rivolta verso l’alto.

Fece una lieve pressione sulla spalla di Sasori e il suo corpo, duro come il marmo, si sollevò con facilità impressionante, quasi non avesse peso.

Sakura afferrò la lama e con uno strattone la sfilò dal petto del suo sequestratore, lasciandolo poi cadere a terra e allontanandosi con un balzo. Lanciò un’ultima occhiata allarmata a quel volto angelico e perfetto, contratto in un’espressione neutra pure nella morte, tenendo stretta a sé la katana di Sasuke. Trasalì quando le parve di vedere un bagliore brillare negli occhi d’ametista del morto.

Poi una mano salda e fredda si poggiò sulle sue, strette intorno all’impugnatura della katana, e Sakura sollevò gli occhi di smeraldo verso Sasuke, che la cinse con un braccio intorno alla vita, abbracciandola da dietro.

L’Uchiha lanciò un ultimo sguardo di fuoco al cadavere dell’avversario, piegando le labbra in un ghigno trionfante, mentre con l’altra mano sfilava la katana dalle mani della ragazza e se la sistemava nuovamente sulla schiena.

-“Andiamo a prendere Ino e finiamola con queste stronzate.”- asserì Sasuke, volgendosi verso la fabbrica degli incubi.

 

 

Quando si risvegliò, una dolorosa fitta le spaccò la testa a metà, come un colpo secco e forte, così potente che gemette per il dolore.

Si passò una mano sul capo, per realizzare che un taglio sulla cute le stava macchiando i capelli di sangue.

Sospirò di dolore, le lacrime che le bruciavano sugli occhi, mentre si sollevava a fatica facendo leva sui tubi metallici della parete retrostante.

Sakura vi si appoggiò, un altro gemito le sfuggì dalle labbra. Tolse la mano dalla ferita sulla testa, portandosela davanti agli occhi per osservare quella macchia scarlatta attraverso l’oscurità – non le parve nulla più che una chiazza corvina, dall’odore vagamente metallico.

Allarmata, si guardò rapidamente attorno, per realizzare che dal fondo di quello che le pareva un corridoio umido e scuro, provenivano delle luci – finestre?

Vi si diresse zoppicando, strisciando appoggiata al muro freddo e grezzo, mentre nella sua mente i pensieri cominciavano a riordinarsi man mano che il dolore alla testa si anestetizzava: ricordava una corsa verso la fabbrica, lei, Sasuke e Shikamaru… le urla, le invocazioni, Ino, Ino, Ino… e poi… le scale ferree e arrugginite, i corridoi bui, i rumori sinistri… e poi il pavimento che cedeva sotto i suoi piedi e la voce di Sasuke che invocava il suo nome, ancora e ancora, Sakura, Sakura, Sakura… finché le tenebre l’avevano inghiottita.

Ma presto il ricordo di Sasuke svanì dai suoi pensieri, rimpiazzato dall’enorme sorpresa per ciò che le si apriva davanti: le piccole finestrelle sporche e mezze distrutte, bloccate da delle inferriate quasi fosse una prigione, lasciavano filtrare una luce fioca e giallastra, che andava ad illuminare quella che pareva quasi… una cameretta.

Un letto malridotto in un angolo, bambole e marionette per ogni dove, e poi fotografie, tante fotografie…

Sakura passò di fianco ad un tavolino su cui vi erano accumulate un gran numero di bamboline: dei fili dorati attirarono la sua attenzione, portandola a sollevare una bambola che, con suo immenso orrore, realizzò essere quella di Ino, con indosso un abito bianco macchiato di rosso – sangue? Vernice?.

Con un gridolino acuto, la ragazza lasciò cadere la bambolina, portandosi una mano al petto, percependo il suo respiro affannato, il cuore battere a mille.

Quando i suoi occhi smeraldini si posarono sulla bambolina somigliante Sasuke, avvolta da dei fili di ferro intorno a collo e polsi, un raptus di rabbia colse Sakura, che li strappò con furia, liberando la bambolina da quell’atroce agonia e scaraventandola lontano con scatto nervoso.

Il pupazzo andò a sbattere contro la parete ricoperta di foto, dalla quale se ne staccò una, che svolazzò leggiadra per aria, finendo al suolo.

Claudicante, Sakura vi si avvicinò inginocchiandosi. Raccolse la foto, aggrottando le sopracciglia, scrutando con attenzione ogni singolo volto in quella foto recente ma ingiallita dall’umidità della stanza.

Sasori, accanto ad un ragazzo dai lunghi capelli biondi e gli occhi celesti che faceva la linguaccia; un ragazzo dai capelli argentati impomatati all’indietro, un ghigno sadico sul volto; un tizio alto e grosso, dal volto tutto bardato; un bel tipo dai capelli arancioni pettinati all’insù, ma con degli occhi terribilmente inquietanti e il volto ricoperto di piercing. Fu però l’immagine della ragazza dai capelli blu al suo fianco, che gli stringeva il braccio con fare spensierato, a far sussultare Sakura.

-“Konan…”- sussurrò riconoscendo la vicina di casa, mentre gli occhi smeraldini si spostavano ad osservare l’ultimo componente della foto, quello messo più in disparte e la cui immagine era stata più rovinata dall’umidità.

Forse era stata distorta l’immagine, forse gli assomigliava particolarmente ma non era lui, forse… forse forse forse… eppure se lei era Konan, nulla toglieva che quel ragazzo dai lunghi capelli corvini raccolti in una coda bassa, lo sguardo così tenebroso, quelle occhiaie scavate…

-“Lui non può essere…”-

 

 

-“Itachi.”-

-“Oh avanti, non saltare troppo di gioia nel rivedermi, fratellino.”- ridacchiò sottovoce il ragazzo dai lunghi capelli corvini, appoggiato contro la porta ferrea completamente avvolta nell’ombra, risultando niente più che una voce dalle tenebre velata d’ironia.

-“Te ne sei andato senza dire nemmeno una parola.”-

-“Non mi pare che ti abbia toccato molto la cosa.”-

-“E ti ritrovo in una fabbrica abbandonata, abitata da pazzi furiosi che hanno rapito la mia ragazza. Ora, parliamone. Cosa pretendi che ti dica?!”- sbottò infine Sasuke, alzandosi dal pavimento umido di quella stanza dimenticata da Dio per avvicinarsi cautamente all’angolo in cui stava stazionato il fratello, in attesa di possibili rumori.

Shikamaru intanto se ne restava zitto e cupo al lato opposto della stanza. Si era piazzato lì da quando, pochi secondi dopo aver visto Sakura svanire nella voragine, lui e Sasuke si erano lanciati in una corsa frenetica per le stanze buie per poi essere presi alle spalle da Itachi all’improvviso e trascinati senza diritto di replica in quella sottospecie di cantina.

La discussione in atto – portata avanti dai fratelli con toni stranamente pacati e sottovoce – gli scivolava sulla pelle come le goccioline d’acqua sporca, cadenti dal cielo, che gli picchiettavano la spalla da quando si era piazzato lì.

Tutta quella storia doveva pur aver un senso. E il senso stava proprio nel riuscire a capire l’ordine dei pezzi che si collocavano in ordine sparso dentro quella fabbrica abbandonata. Perché un ordine c’era, andava solo capito. E sicuramente lui… ne sapeva qualcosa.

-“Se un poliziotto come te si trova in questo posto dimenticato da Dio – cosa che a quanto pare non è – ci dovrà pur essere un motivo, vero, Itachi?”- formulò la sua domanda con un tono nuovo, che stupì persino le orecchie di Sasuke. Quel Shikamaru serio, meditativo, freddo, aveva un qualcosa di inquietante: quasi irriconoscibile.

-“Questa sì che è una domanda intelligente. Vedi Sasuke?”- entrambi percepirono il sorrisino ironico di Itachi attraverso le tenebre, mentre questo si allontanava dalla porta per lasciarsi illuminare da un flebile spiraglio di luce che si stagliava al centro della stanza. –“Ci sono così tante cose da dire, che sinceramente non saprei nemmeno da dove iniziare. Forse da quando sei anni fa facevo parte del gruppo Akatsuki?”-

-“La sezione speciale della polizia che si occupava di casi legati al mondo dell’esoterismo?”- domandò Sasuke, come se quella parola avesse ridato vita a una scintilla ormai spenta nella sua memoria.

-“Esattamente, Sasuke. Nell’allora squadra speciale eravamo in sette investigatori. In realtà sei, più un ragazzino portato da Konan. Asseriva che fosse dotato di particolari poteri sensoriali. Il suo nome era Sasori. Immagino che abbiate già fatto la sua conoscenza.”- al solo udir pronunciare nuovamente il nome di quell’incubo ormai concluso, agli altri due si accapponò la pelle istantaneamente. –“Ad ogni modo la nostra squadra lavorava bene, eravamo riusciti a risolvere moltissimi casi. Ma come si sa le cose belle son destinate a durar poco. E così accadde. L’inizio della fine fu quando Konan e il suo ragazzo, Pain, iniziarono a lavorare su un caso a dir poco agghiacciante, di cui forse vi ricorderete: l’allora così denominato Caso Bambole di Cristallo, una serie di misteriosi rapimenti di bambine fra i sette e i dieci anni. Ben presto si mobilitò tutta la squadra su una pista che Pain era riuscito a trovare: una setta che si riuniva in questa fabbrica abbandonata nella quale era stato costruito un altare su cui sacrificare la così denominata “bambola perfetta”, una bambina dall’animo puro e dalla bellezza diafana la quale, una volta morta dissanguata, sarebbe stata imbalsamata e resa eterna, come una bambola per l’appunto.”- un singulto di rancore fermò la spiegazione di Itachi, tradendo rancore – paura? - e l’agitazione facilmente percepibili anche dal tremore del suo corpo. Strinse il pugno e continuò con il racconto, ma ora la narrazione divenne molto più frammentaria e coinvolta, poco lucida e confusa dalle emozioni ancora marchiate a fuoco nella mente dell’agente –“Continuarono a sacrificare bambine finché il loro dio non ne fu soddisfatto. Stava per risorgere, dicevano loro. Mancava solo lei, la bambina perfetta. E il rituale si sarebbe svolto quella notte. Ma no, Pain non poteva lasciare che anche lei morisse. Se le era lasciate sfuggire tutte dalle mani, quelle povere vite innocenti, e quella bambina rappresentava la sua ultima fonte di salvezza… di redenzione. Continuava a ripetere io salverò Ino, la salverò, fosse l’ultima cosa che faccio. E fu l’ultima cosa che fece…in effetti.”-

-“Ehi aspetta un secondo…”- lo interruppe Shikamaru, interdetto da quell’ultimo dettaglio.

-“Esattamente Shikamaru. Ino era la vittima sacrificale di allora. Era già quasi mezza morta quando Pain riuscì ad entrare nella stanza dei sacrifici, mentre noi altri combattevamo i vari adepti al suo esterno. Lui era una furia inarrestabile: sparò a tutti gli adepti, ma il grande sacerdote lo colpì alle spalle, infilzandolo con una spada che teneva nascosta nell’altare. Solo pochi secondi dopo arrivammo io e Konan, e lei riuscì a sparare in testa al sacerdote, mentre Pain si accasciava al fianco di Ino nella pozza di sangue dell’altare proprio mentre i cerchi del rituale sul pavimento cominciavano a cambiare tonalità, illuminandosi di una strana luce. Pain poi sussurrò qualcosa all’orecchio di Ino e Konan le si avventò contro, sollevandola fra le braccia e porgendomela con sguardo disperato; io presi la piccola e uscii di corsa, mentre la mia compagna restava a prestare soccorso a Pain.

 

-“Pain morì poco dopo, sempre qui, in questa fabbrica. Ino, chiaramente, si salvò, ma probabilmente per lo shock non ricordò mai nulla del suo rapimento, e mai nessuno glielo rammentò. Lei tornò a vivere la sua vita, ma non so per quale motivo Konan se la prese piuttosto a cuore, e continuò a seguirla di nascosto, decidendo pure di trasferirsi nel nostro palazzo per tenerla d’occhio. Pensavo che ci tenesse, visto che era la persona per cui Pain si era sacrificato. In altrimenti avevo ipotizzato pure che provasse odio e rancore per lei, sempre per questo motivo, ma non era decisamente né da Konan né da Pain.

Konan lasciò la squadra di polizia insieme a Sasori, e dopo poco tempo seppi che i miei colleghi Hidan e Kakuzu avevano preso ad indagare su di lei: continuava ad andare alla fabbrica di nascosto. Nel giro di due mesi, i miei colleghi vennero trovati uccisi in modo orribile sempre nei pressi della fabbrica, che da quel giorno venne definitivamente sbarrata. Ero rimasto solo, con il peso di crimini e sangue di omicidi inesplicabili sulle mie spalle. Con gli spiriti dei miei compagni a invocare il mio aiuto dall’aldilà. E con la coscienza di dover proteggere le persone a me care, perché ormai ne ero certo: quella sera, in quella fabbrica, qualcosa accadde a Konan. E l’ultima pedina da far zittire… ero proprio io.

E dopo quattro anni di investigazioni serrate, finalmente in questi giorni sono riuscito a cacciare la verità fuori: non sono sparito, Sasuke, semplicemente ero venuto alla fabbrica per un faccia a faccia con Konan, Sasori e Deidara, i suoi amabili scagnozzi. Ed eccola qui la storia: Konan è convinta di aver sigillato lo spirito di Pain con quello del demone invocato sei anni fa nell’altare, perché proprio nel momento in cui io scappavo con Ino, lo spirito malefico si risvegliava, portandosi Pain con sé.

Konan ha passato anni a riaccumulare le energie necessarie per un nuovo rituale, e ora che ci è riuscita manca solo una cosa: la vittima sacrificale originaria, quella che è stata portata via lasciando il rituale d’invocazione a metà, legando per sempre il suo sangue allo spirito di Pain.”-

-“Ino…”- sospirò Shikamaru, ma suonò più come un singhiozzo strozzato che come un’affermazione.

-“Già. E a quanto pare la nostra nobile Konan teneva così tanto ai suoi scagnozzi da volergli portare un regalino per il loro lavoro perfetto e la loro longeva fedeltà: Sakura, da utilizzare come passatempo nelle lunghe ore di noia di questo luogo.”- concluse Itachi, tirando fuori una pistola dalla fondina e caricandola di nuovi colpi. –“Allora, vi è piaciuta la favola di mezzanotte?”-

-“E ora che si fa?”- domandò Sasuke, sfoderando la katana in risposta all’armamento del fratello.

-“Io? Vado a finire ciò che non conclusi sei anni fa. E voi?”-

 

 

 

 

 

 

…to be continued…

 

 

 

 

*Angolo di Luly*

 

Okay, a dimostrazione che i miracoli accadono. Ho continuato.

Ma solo perché a questa fanfiction tenevo particolarmente; insomma, è l’unica di questo genere che io abbia mai scritto e la storia intrigava anche me. Solo che rileggendola dopo due anni non ricordavo assolutamente nulla del mio progetto originale, quindi mi sono dovuta re-inventare una storia ed una trama adattabile. Penso che nulla stoni con i precedenti capitoli, ma in caso ci fossero contraddizioni vi prego di non esitare nel farmelo notare ç_ç

 

Grazie di cuore a tutti coloro che commentarono allora e che vorranno farlo ancora.

Grazie se avete avuto la pazienza di leggerla – o rileggerla.

Grazie se siete ancora qui nonostante tutto.

 

Questa volta però si giungerà ad una fine e presto. Un capitolo oggi, uno domani e l’ultimo il 1 Aprile: non per farvi uno scherzone, ma perché è il compleanno di zia Eleanor89, colei per cui… è nato tutto questo. E visto che la inizia per il suo compleanno, ci tengo a finirla per rispettare questa importantissima data, che 22 – di già? – anni fa ci ha regalato una delle più grandi scrittrici di questo sito.

Ti voglio bene zietta!

 

A domani,

Ja nee

Luly

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Capitolo 5
*** Broken Mirrors & Burning Dolls ***


guardare il suo accompagnatore negli occhi per l’ultima volta

Il suo urlo era stato il primo suono a spezzare la più lunga alba della sua vita.

Non l’avrebbe mai scordato, Sakura.

Non mentre, dopo aver visto Shikamaru sparire nella notte a bordo della sua auto, era entrata nella stazione deserta in cui era iniziato tutto – l’inizio del suo incubo.

Non vi era nulla e nessuno, solo un vecchio televisore che anziché funzionare, emanava un ronzio alquanto fastidioso.

Quindi Sakura uscì per raggiungere i binari, portandosi appresso la pesante valigia.

Fissava il vuoto, intenta a concentrarsi su altro… ma ben presto realizzò che nella sua mente altro non c’era.

Ed eccola lì, l’enorme figura delle rovine incenerite della fabbrica maledetta. Nonostante tutto, era ancora lì in piedi. Come a ricordare a tutti che non ci sarebbe mai stata una fine.

 

 

 

 

5.  Broken Mirrors &  Burning Dolls

 

Era la fine.

Chiaramente lo era.

Nonostante sapesse che Sasuke e Shikamaru sicuramente le stavano cercando là dentro, da qualche parte, forse addirittura a pochi metri di distanza… in cuor suo Sakura presagiva di esser giunta al capolinea.

Fine.

Fine fra le mura umide e gelide di quella fabbrica collocata al di là del tempo.

Fine accasciata al suolo, legata mani e piedi, da prigioniera.

Fine con le iridi colorate del riflesso rosso del sangue della sua migliore amica.

Fine fissando due angeli oscuri pronti a stroncare la sua esistenza. Dolorosa, odiata, incompresa, ma tanto amata vita.

-“Tu… tu sei una pazza.”- singhiozzò Sakura, mischiando l’ira alla disperazione, facendo leva sui gomiti per cercare di muoversi – strisciare – in direzione della sua angelica aguzzina.  

Konan si lasciò sfuggire un’aggraziata risata, cambiando il suo percorso per dirigersi verso la sua piccola prigioniera. La bloccò posandole un piede sul petto: fece lievemente pressione col tacco, provocandole un dolore acuto che Sakura sfogò tramite un urlo straziante.

-“Puoi dirmi quello che vuoi, Sakura. Sfoga pure la tua ira, il tuo dolore, la tua frustrazione, ora che ti è concesso; ma sappi che la colpa di quanto sta accadendo è tua, solamente tua. La tua amica è giunta da me per cercare te, così come il tuo amato e il tuo amico. Sei stata una marionetta ubbidiente, accecata dalle vicissitudini ingiuste della tua misera vita… provavi dolore per ostacoli che ti sembravano insuperabili, risolvibili solo con la fuga… ma ora, grazie a me, capirai cosa è davvero doloroso e insuperabile. La perdita… l’oblio… la disperazione… la morte…”- sussurrò Konan, per poi premere nuovamente con maggior forza il tacco nello stomaco della giovane, che stavolta represse lo strazio in un gemito soffocato.

La donna sospirò con forza ma lentamente, per poi voltarsi tirando un lieve calcio in faccia a Sakura, facendola girare d’altra parte. Si diresse verso l’altare sacrificale, contemplando il suo scagnozzo Deidara – estremamente vitale ed elettrizzato – mentre sistemava quanto necessario per il rito: i pentagrammi magici al suolo, l’antica spada sacrificale – ancora macchiata di quel sangue – le candele e i medaglioni sull’altare.

Infine, con lentezza disarmante, i suoi occhi cristallini si posarono sulla figura di Ino, accasciata sull’altare priva di sensi, mentre dai tagli sui suoi polsi il sangue continuava a scorrere copioso verso i canali di scolo dell’altare.

-“Dejà vu, eh Ino?”- sussurrò Konan, con tono piatto ed enigmatico.

-“Lo è anche per noi, eh Konan?”- tuonò di rimando una voce maschile non individuabile, rimbombando per la grande sala.

Konan e Deidara balzarono sull’attenti e presero a guardarsi freneticamente intorno alla ricerca di estranei nelle tenebre, quando uno sparo spezzò il silenzio per un brevissimo secondo. Mentre la eco dello scoppio ancora si propagava lungo tutto l’edificio, un gemito dolorante di Deidara rantolò nel silenzio, subito seguito dal suo accasciarsi contro al muro.

-“Deidara!”- sobbalzò Konan, vedendo il suo fedelissimo tenersi la spalla che iniziava a sanguinare copiosamente.

In quel momento dal soppalco nascosto nel buio saltarono giù Itachi e i suoi fedeli seguaci, i volti illuminati da una sanguinosa rabbia mista all’irrefrenabile desiderio di riprendersi ciò che gli era stato così brutalmente strappato con l’inganno.

-“Itachi. Pensavo di esser riuscita ad eliminarti due giorni. Ma ahimè devo averti sottovalutato…”- sospirò Konan, in tutta tranquillità, lanciando una rapida occhiata al compagno ferito –“…rischio di pagare cara questa imperdonabile leggerezza.”- ringhiò infine, estraendo un pugnale da sotto il mantello e lanciandolo con estrema rapidità verso Itachi, che nonostante il riflesso scattante venne ferito alla coscia.

-“Itachi…!”- lo richiamò il fratello.

-“Sasuke, Shikamaru! Prendete le ragazze e andatevene. Questa è una questione fra me e lei.”- gli intimò Itachi, prima di avventarsi sulla donna.

Afferrando la gravità della situazione, Sasuke si lanciò senza protesta verso Sakura, tranciando i cavi con cui era stata legata con la katana.

-“NON DATEMI GIA’ PER SCONFITTO!!!”- tuonò una voce colma d’ira, e sollevando lo sguardo i due ragazzi videro Deidara rialzarsi e dirigersi verso di loro come una furia. Veloce come un fulmine, Shikamaru gli si lanciò addosso, atterrandolo, dando così il tempo a Sakura di liberarsi e alzarsi.

I due ragazzi iniziarono un rozzo scontro a terra a suon di pugni, mentre Sasuke divideva rapidamente il suo sguardo fra i presenti ed elaborava un piano.

-“Sakura. Devi prendere Ino e portarla immediatamente fuori da qui. Ha perso un sacco di sangue, se non facciamo subito qualcosa rischia di non farcela.”- le intimò Sasuke, buttando a terra il fodero della spada per avvicinarsi con l’arma brandita a Deidara. –“Io e gli altri vi raggiungeremo fuori. Ma tu ora… corri!”-

Sakura fissò con sguardo allarmato quello più intenso ma deciso dell’Uchiha e non seppe dirgli di no. Anzi, quella sicurezza fu quasi contagiosa, e senza contestare la ragazza si lanciò in una frenetica corsa verso l’altare.

Ino giaceva al suolo, polsi e caviglie libere da catene – probabilmente una volta svenuta non erano più serviti – e intorno a lei il suo sangue aveva formato una grande pozza che defluiva in canali più piccoli.

Facendosi forza, Sakura si avventò in quel laghetto scarlatto, afferrando un polso di Ino. Estrasse il fazzoletto che aveva in tasca e glielo avvolse stretto intorno alla ferita, cercando di bloccare la fuoriuscita di sangue. Per l’altro polso dovette optare per legarle scomodamente la sua intera felpa, in mancanza di altro. L’importante era avere qualcosa che le bloccasse le emorragie ormai inarrestabili.

Nel frattempo, poteva udire i tonfi metallici provocati da due grosse spranghe di ferro di cui Itachi e Konan si stavano servendo per fronteggiarsi; non fece in tempo a voltarsi che subito si udì un’esplosione, come di un petardo, accompagnata dal sollevarsi di un denso fumo grigio. Deidara pareva avesse con sé sotto il mantello diverse bombe, e ora blaterava vantandosi di poter far esplodere tutta la fabbrica, se solo avesse voluto.

Approfittando della situazione, Sakura cercò di caricarsi Ino sulle spalle, ma a causa della debolezza si accasciò quasi subito inginocchiata, con un gemito.

-“Dove credi di andare…?!”- ringhiò Konan, pronta a lanciarsi verso le due fuggitive; abbassare la guardia a quel modo fu la sua seconda leggerezza, che le costò una forte sprangata in testa da parte di Itachi. La donna perse immediatamente conoscenza, accasciandosi sull’altare, mentre il ragazzo volgeva il bastone di ferro verso il simpatico bombarolo, che privato della sua mentore era caduto nel panico più totale.

Intuendo che i due fratelli potevano cavarsela benissimo da soli, Shikamaru si lanciò verso le ragazze, sollevando Ino fra le braccia mentre Sakura si tirava su in piedi.

Il ragazzo lanciò uno sguardo interrogativo agli Uchiha, che cercavano un modo di disarmare Deidara senza danneggiare i chili di tritolo che lo vestivano.

Shikamaru riuscì a scambiarsi un cenno d’assenso con Sasuke, che non sfuggì a Sakura: dovevano fuggire senza farsi vedere da quello svitato, prima che gli partisse il neurone e decidesse di far saltar in aria tutti.

Senza farsi prendere dal panico, il Nara indicò l’uscita di emergenza posta in fondo al grande androne: fortunatamente la parete che vi conduceva era completamente immersa nell’ombra, rendendo la fuga molto più rapida e semplice.

 

 

                                                                                     

 

 

-“D-dove sono andate?! DOVE?! DOV’E’ FINITA LA VIT---“-

Furono queste le sue ultime parole. Parole devote al progetto in cui aveva creduto fino alla fine e per il quale aveva sacrificato tutto, pure la vita stessa.

Finì tutto con un acuto dolore, inesplicabile a parole: la lucente lama di quella katana  che fino a pochi secondi prima lo fissava come fosse un cobra pronto all’attacco, ma intimorito dalle sue bombe, ora affondava nelle sue carni, trapassando il suo corpo da parte a parte, strappandogli la vita così come aveva fatto al suo compagno Sasori: velocemente, freddamente, senza cortesia. Trattandole come delle mere bambole.

Deidara si accasciò al suolo, e lì vi rimase, esalando i suoi ultimi rapidi respiri di vita prima di tacere per sempre.

-“Bravo, se lo beccavi un po’ più a destra saltavamo tutti in aria.”- grugnì il poliziotto lanciando un’occhiataccia al fratellino troppo avventato, totalmente indifferente al crimine appena commesso.

Sasuke lo ignorò con indifferenza; osservò per qualche attimo la sua lama insanguinata, mentre Itachi si accovacciava al fianco della vittima per tastarne il polso e accertarne la morte.

Il suo volto riflesso su quel sangue… chissà perché gli fece uno strano effetto. Un effetto fatale.

 

Scostò lo sguardo dalla lama, per tornare a contemplare il fratello che si sollevava tranquillamente con un sorriso in volto.

 

La vide arrivare da dietro di lui, come una furia.

 

Lei, che fino a poco prima era accasciata e priva di sensi.

 

Lei, il volto insanguinato, l’antica spada dell’altare brandita in mano.

 

L’urlo che tardò ad arrivare, Itachi che tardò ad accorgersi di lei.

 

Con un grido di furia e piacere sadico, Konan affondò la lama di quell’antica arma nel corpo di Itachi, con potenza quasi sovrumana.

 

Sasuke non urlò.

 

Il suo cuore cadde in un doloroso silenzio, mentre il suo odio lo portava a sguainare la katana e a colpire con un fendente il collo della donna.

 

Itachi si accasciò al suolo, sanguinante e agonizzante. Konan si accasciò sull’altare, mentre il sangue che zampillava dalla sua giugulare ricadeva a fiotti su quello di Ino già versato.

 

Sasuke abbandonò la katana, lanciandosi verso il corpo del fratello, che tremante agonizzava nel suo sangue che si allargava a macchia d’olio sul pavimento.

 

-“Itachi… Itachi, resisti…”- annaspò Sasuke, cercando di sollevare il fratello di peso, ancora sconvolto dalla rapidità degli avvenimenti.

Ma qualcosa interruppe la sua disperazione. Degli inquietanti bagliori blu si innalzavano dall’altare, dove il sangue prima versato a terra stava cominciando a sollevarsi, come se fosse animato, racchiudendo l’altare e la ormai morente Konan in una specie di morsa senza ritorno, una bolla di sangue animata.

-“Il… sangue… di Konan… deve esser riuscito a… attivare… il rituale…”- sospirò Itachi, agonizzante. –“Sa… Sasuke… questo… non deve accadere… altrimenti… la mia vita… sarebbe stata i… inutile…”-

-“Lo fermerò io, stai tranquillo!”- ringhiò il ragazzo.

-“No… non puoi… non pu… oi… fratellino… dammi la tua katana… colpirò… Deidara… quando tu sarai fuggito… e salterà tutto in aria… e questa storia maledetta… finirà.”- sussurrò il fratello, stringendo il minore per il braccio.

-“No… Itachi… io non posso…”-

-“Vattene, Sasuke… vai da Sakura e… vivi…solamente… vivi…”-

 

 

 

 

Quella potente esplosione portò Sakura a fermarsi, voltandosi all’indietro immediatamente.

-“Sasuke…”-

-“Sakura, sbrigati! Non fermarti!”- urlò Shikamaru, già ammaliato dalla luce dell’alba che si intravedeva in fondo a quell’ultimo corridoio senza fine.

-“Ma… l’esplosione… Sasuke… Itachi...”- cercò di protestare la ragazza, con le lacrime agli occhi, dividendo lo sguardo fra il fumo nero che li stava raggiungendo velocemente e la luce invitante dalla parte opposta.

-“Sanno il fatto loro, sono sicuro che ce la faranno! Debole come sei non potresti essergli di nessun aiuto!”- aggiunse Shikamaru irritato, ma subito il suo sguardo infuriato si tramutò in uno sorpreso, fissando qualcosa dietro alle spalle dell’Haruno.

Indotta da quel cambiamento improvviso, la ragazza si voltò immediatamente per vedere Sasuke uscire di corsa dalla coltre di fumo, dirigendosi verso di loro.

-“Muovetevi, usciamo di qua prima che crolli tutto!!!”- gli urlò l’Uchiha.

Senza farselo ripetere, Shikamaru strinse a sé Ino con maggior forza e si diresse verso l’uscita ormai prossima, seguito a ruota da Sakura e Sasuke.

Lei gli regalò un sorriso di sollievo, allungando la mano verso la sua, e lui gliela strinse con forza, quasi gli fosse d’aiuto in quella folle fuga.

-“Ti amo, Sakura.”-

Lo disse così, senza alcuna intonazione, come se fosse naturale dirlo.

Il cuore della ragazza ebbe un sussulto improvviso, e si voltò sconvolta verso il ragazzo che, imperterrito, continuava la corsa al suo fianco.

Gli sembrava il momento adatto a certe cose?!

Ma del resto…lui era Sasuke. E lei era Sakura. E nonostante tutto… si amavano. Anche – anzi, soprattutto – nei momenti di difficoltà. E per quando paradossale potesse sembrare quella situazione… Sakura pensò che non ci fosse momento migliore per sentirsi sussurrare certe parole. E nel momento in cui lo pensava, la luce abbagliante del primo sole, che non vedeva da secoli, le bruciò le iridi atrofizzate dalle tenebre come una salutare fiammata.

Si fermò e inspirò a fondo.

L’aria non le era mai sembrata così fresca e profumata.

Si voltò radiosa verso Sasuke, il suo salvatore, il suo migliore amico, il suo grande amore.

Un ghigno soddisfatto si spaziò sul volto del ragazzo, che si avvicinò a lei, fissandola intensamente.

E poi.

E poi.

E poi.

Furono come aghi argentati. Sbucarono rapidamente dal buio corridoio alle sue spalle. Ma non erano aghi, no. Era sottili fili di ferro. Quelli di Sasori. Non avrebbe potuto confonderli con null’altro al mondo.

Animati di vita propria, cinsero Sasuke al collo, ai polsi e alle gambe.

L’ultimo sguardo fugace fu per lei.

-“SCAPPA SAKURA!”- le ordinò Sasuke, prima di esser soffocato dalla stretta dei fili che, con uno strattone sovrumano, lo trascinavano con loro all’interno della fabbrica con una velocità altrettanto soprannaturale, facendolo svanire nella coltre di fumo cupa che ormai fuoriusciva da ogni fessura dell’edificio in fiamme.

-“SASUKEEEEEEEEE!!!”-

 

E il suo urlo fu il primo suono a spezzare la più lunga alba della sua vita.

 

to be continued

 

 

 

 

 

 

*Angolo di Luly*

 

Hasta banana [?] con l’epilogo di questa brutta faccenda.

Grazie infinite a Mirie, CHOCMyself_ e Kry333 per le vostre bellissime recensioni. Mi avete reso questo aggiornamento estremamente tardivo meno inutile di quanto pensavo che fosse. <3

 

Ja nee

Luly

 

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Capitolo 6
*** Epilogue ***


Epilogue

 

Epilogue

 

 

Chiuse ancora gli occhi, e sospirò per l’ennesima volta, strofinando il viso stravolto contro il volante. Attraverso il vetro dell’auto, la visuale era frammentata dallo scrosciare della pioggia che vi si infrangeva sopra, creando una rilassante quanto inquietante eco per l’abitacolo.

Quell’incubo era finito. Shikamaru doveva ritrovare il suo sangue freddo. Non tanto per se stesso, quanto per… lei. Per Ino.

La sua anima e il suo corpo erano rimasti profondamente feriti da quell’esperienza, e lui era l’unico, ora a Sakura che se n’era andata, a poterla aiutare ad uscire da quell’incubo labirintico. A liberare la sua anima, ancora parzialmente rinchiusa nel ricordo ossessivo di quei corridoi bui e soffocata da quell’aria viziata.

Eppure… lui sapeva fin troppo bene cosa sarebbe accaduto. Sarebbe entrato in ospedale. Sarebbe salito da lei. Si sarebbe presentato con uno sforzatissimo sorrisino, che i suoi occhi cerulei velati di profonda tristezza avrebbero spento immediatamente.

-“Sei tornato alla fabbrica?”- gli avrebbe chiesto, nuovamente.

-“No, te l’ho già detto Ino… la polizia l’ha già controllata da cima a fondo… non ci è rimasto più nulla.”-

-“Ma a Sakura l’hai detto? L’hai detto che sicuramente Sasuke è…?”-

-“Ino. Sasuke non c’era. Non c’era e basta. Non c’era nessuno. Quindi ora ti prego, ti scongiuro Ino… capisco che tu possa essere scioccata… però cerca di dimenticare questa faccenda. Non pensarci più. Piano piano… il tempo cancellerà tutto. D’accordo?”-

Poi l’avrebbe accarezzata, le avrebbe baciato la testolina e l’avrebbe stretta nel suo abbraccio. Ma lei non avrebbe più parlato. E sarebbero rimasti così fino alla fine dell’orario di visite.

Ma doveva farlo. La amava, e in cuor suo sperava di poterla veder sorridere di nuovo un giorno. Il giorno in cui forse Sakura sarebbe tornata a casa, anche lei stanca di fuggire dal ricordo di un incubo. O forse chissà, fuggire era davvero l’unica soluzione possibile. Forse andarsene per sempre con Ino, non era un’opzione da scartare a priori.

Un sorrisino amaro si spaziò sulle labbra di Shikamaru, mentre si accendeva l’ultima sigaretta prima di rientrare in quell’ospedale dal nauseabondo odore di disinfettante.

Che cos’erano diventati dopo quella vicenda, se non mere bambole riflesse in uno specchio rotto?

 

 

“Ricordati sempre che senza quelle visioni prive di senso e logica tu non saresti qui, ora.

 

Era vero.

Non poteva negarlo nemmeno a se stessa.

la paura, né l’angoscia, né il pentimento.

Lei era lì perché Ino sapeva che era stata rapita ed era nella fabbrica.

A Ino era accaduto qualcosa durante il rituale di anni prima: probabilmente il suo spirito era affetto dal potere di quello spirito a cui in qualche modo era legata attraverso quelle premonizioni.

Ora Ino diceva che era Sasuke quello nella fabbrica.

L’aveva pregata in ospedale, piangendo disperata, cercando di invocare il suo cuore con la voce ancora debole e corrotta dalla sofferenza. Ma lei l’aveva ignorata. Lei era fuggita. Ancora.

Fuggita, come quel giorno quando Sasuke venne risucchiato all’interno della fabbrica.

Ma lui no. Lui non era fuggito. Non era fuggito quando si era lanciato incontro alla morte per venirla a salvare. Non era fuggito davanti a nulla. Per il suo amore, davanti a nulla.

dalla paura, né dall’angoscia, né dal pentimento.

Cos’aveva da perdere?

La vita, forse.

Cos’aveva da guadagnare?

La vita di Sasuke, forse.

Che senso aveva vivere una vita nel dubbio di averne persa un’altra per sempre?

-“Non farò più la bambola… non sarò più la bambola di nessuno…”-

Stringendo i pugni, Sakura lasciò la presa sul piccolo trolley, che si ribaltò al suolo, finendo in una pozza di acqua piovana.

Superò la sporgenza del tetto che la proteggeva, e si espose alle gocce gelide di quella serata piovosa. Nei suoi occhi, solo il riflesso dello scheletro della fabbrica.

La pioggia, il dolore, la solitudine, la fabbrica.

Tutto come allora. Tutto come il giorno in cui iniziò quell’incubo.

E così come allora…

A nessuno importava nulla di lei – ma stavolta a Sasuke importava di lei – perché a lei sarebbe dovuto importare qualcosa di se stessa… senza di lui?

 

 

 

Era strano. Non ricordava come, ma improvvisamente, tutto il mondo davanti ai suoi occhi aveva perso colore, svanendo in una coltre bianca ed evanescente. La pioggia, la finestra, la visuale al di là di essa, si erano fusi insieme nei suoi occhi di cielo d’estate, ipnotizzandola, rapendola. Fu assordata da un fischio lontano, un sibilare di vento, quasi un lamento agognato. Una sensazione ben strana, ma per niente nuova…

E poi percepì quei fili taglienti attorcigliarsi intorno a lei, come spire di un serpente metallico, il gelo penetrarla come denti velenosi, l’oscurità avvolgerla in una morsa senza uscita.

Ma il cuore, quello palpitava con forza. E la voglia di vivere ruggiva dentro di lui… dentro di lei?

-“Dunque è ancora vivo? Ammirevole.”-

Una voce bassa, roca, ma totalmente priva di intonazione accarezzò il suo orecchio, mentre una mano pallida e gelida le asciugava una lacrima che silenziosa scivolava lungo la sua guancia, fuggendo da quegli occhi vitrei che parevano inanimati… occhi di bambola.

-“Sì, Pain-sama.”- rispose lei, in un sussurro senza emozione. Come se fosse una voce meccanica a rispondere per lei.

-“Ino-chan… mia amata bambolina… devo andare.”- sospirò il ragazzo, baciando una mano della ragazza distesa a letto immobile, priva di ogni forza vitale. Una bellissima meravigliosa bambola di porcellana.

Il misterioso ragazzo si sistemò nel suo lungo cappotto scuro, tirandosi su l’alto colletto di modo da poter nascondere la vistosa serie di piercing che gli costellavano il volto.

Uscì tranquillamente, gli inquietanti occhi violacei a scrutar quel mondo nuovo intorno a lui, i capelli arancioni ancora madidi della pioggia di quella notte irrequieta.

Se ne andava con una specie di sollevazione nel cuore, turbata solo quando entrando nell’ascensore incrociò Shikamaru che ne usciva.

-“Ma tanto lei… è già mia.”-

Il Nara si fermò di colpo, scrutando il tipo per qualche secondo, giusto il tempo di vederlo scomparire dietro le porte scorrevoli.

-“Me lo sarò solo immaginato…”- pensò Shikamaru, grattandosi le tempie doloranti, prima di dirigersi verso la sua amata.

 

-“Ciao Ino.”- la salutò, sorridendo.

-“Oh ciao, Shikamaru…”-

-“Stavi dormendo? Ti vedo stanca…”-

-“Mh… non so io… non ricordo… immagino di sì.”-

-“Bene. Come va? Il dottore mi ha detto che domani o dopodomani ti dimettono…”-

-“MhShikamaru… sai, sono sicura che Sasuke sia vivo…la polizia ti ha detto qualcosa?”-

-“Sì, ha detto che devi star tranquilla che ci pensano loro. E sono stanco di ripeterlo, chiaro?”- la rimproverò dolcemente il ragazzo, accarezzandole la guancia fredda, e a lei parve quasi di rivivere un momento non del tutto concluso.

-“D’accordo, Shikamaru.”-

-“E’ tutto finito adesso, Ino.”-

-“…e se fosse tutto appena iniziato?”-

 

 

 

Pieces of Mirror & Sorrow of Dolls

-The End-

 

 

 

 

 

 

 

 

Grazie a tutti di cuore per aver seguito la storia.

Spero vi sia piaciuta.

Zia Eleanor, ti rinnovo ancora i miei più sinceri auguri.

Ti voglio un mondo di bene,

Lulls

 

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