Shade Garden & Sky di My Pride (/viewuser.php?uid=39068)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sotto un cielo nero e vuoto ***
Capitolo 2: *** Cadere a pezzi ***
Capitolo 3: *** Le labbra non raccontano ***
Capitolo 1 *** Sotto un cielo nero e vuoto ***
Shade Garden & Sky_1
Titolo della Storia:
Shade Garden & Sky
Nome Autore su EFP e sul
forum: My Pride
Fandom:
Inuyasha
Personaggi Presenti: Un
po’ tutti
Pairing:
Accenni Miroku/Sango, Inuyasha/Kagome e
Miroku/Inuyasha
Tipologia: Log
fic [ Non più di
tre capitoli ]
Genere: Generale,
Malinconico, Vagamente Introspettivo, What
if?
Rating: Verde
/ Giallo
Avvertimenti:
Forse vagamente nonsense, Vagamente Hurt/Comfort, Velatamente Shounen
ai, Probabile Missing
Moment fasullo dei capitoli presenti alla fine del volume sessanta e
all’inizio
del sessantuno
Nota: Prequel
della
one-shot Until
our wisdom is exhausted
Parole scelte: Bacio,
Solitudine, Morte, Luna
Ambientazione presente:
Tempio / Montagna
Frase inserita: N°2
“Quando gli esseri umani hanno qualcosa da
proteggere, la loro forza si moltiplica a dismisura! Ti
batterò grazie al mio sangue
umano!”
Breve introduzione: «Feh!
Avevo bisogno di starmene da solo».
«Tu hai sempre bisogno
di startene da solo», replicai sarcastico, alzando finemente
un sopracciglio
prima di avvicinarmi maggiormente e sedermi con fare tranquillo accanto
a lui, abbandonando
lo shakujo al mio fianco.
Lui mi degnò appena di
un’occhiata, ritrovandosi a sbuffare per l’ennesima
volta e alzare poi lo
sguardo verso il cielo nero. «Non cominciare,
Miroku», mi freddò. «Non è
serata».
INUYASHA © 1997Rumiko Takahashi/Shogagukan. All Rights
Reserved.
SHADE GARDEN
& SKY
[1]
Sono cresciuto per
esser così capace
di sorridere anche
attraverso il dolore più grande.
01. CHAPTER ONE
UNDER A BLACK AND EMPLY
SKY
I
miei passi risuonavano sinistramente sulle assi di legno che
componevano il pavimento del tempio del Maestro, donandomi una bizzarra
sensazione di calma benché l’atmosfera non lo
fosse per niente. Nonostante la
quiete che vigeva nel tempio, difatti, sembrava quasi che da un momento
all’altro potesse succedere qualcosa. Cosa fosse ancora non
riuscivo a capirlo,
ma non mi sentivo affatto spaventato come avrei dovuto.
Venni
richiamato ben presto da dei rumori che sembravano provenire al di
fuori del
tempio, proprio nel cortile dinanzi alle scale che conducevano
all’entrata
principale. Mi accigliai ma, affrettandomi, attraversai l’ala
est dell’edificio
per raggiungerlo il più in fretta possibile, sentendo, mano
a mano che mi
avvicinavo, i rumori affievolirsi. Era come se qualcuno avesse
cominciato a
suonare il Koto
[2] e
poi, prima della nota più alta dello
strumento, si fosse bruscamente interrotto, lasciando basito
l’ascoltatore.
Il terrore si impossessò di me
proprio in quel momento, poiché cominciai a comparare quello
stesso improvviso
ed assurdo silenzio ad un momento ben preciso della mia vita:
l’attimo in cui,
da bambino, vidi mio padre morire, risucchiato dal vortice della sua
mano
destra. Automaticamente guardai la mia, chiudendola a pugno per
stringere poi
nel palmo il rosario che la sigillava. La quiete prima della tempesta.
Era
questa l’ansia che, finalmente, cominciò a
dilatarsi in tutto il mio essere,
scorrendo nelle vene insieme al mio sangue.
L’agitazione crebbe non appena
cominciai ad udire il suono del vento provenire da quella mano stessa,
e,
scalpicciando sul legno a piedi nudi, corsi; corsi con tutta la forza
che avevo
in corpo, sentendo quello sforzo mozzarmi il respiro ancor prima di
giungere
alla sala principale del tempio. Ovunque mi guardassi, non vedevo altro
che
porte di carta e pareti di legno, come se nell’edificio fosse
ormai scomparsa
ogni via d’uscita. Fortunatamente, però,
più avanzavo, più la strada sembrava
spianarsi, sebbene l’ingresso che mi avrebbe condotto in
prossimità delle scale
del tempio fosse ancora lontano.
Una trave del soffitto cadde,
quasi rischiando di ferirmi, rompendo il pavimento e conficcandosi in
esso,
rivelando lo scheletro di legno ormai marcio di cui era composto. Alzai
automaticamente lo sguardo per evitare altre sorprese, sentendo il
suono del
vento sibilare sempre più forte ad ogni minuto che passava.
Mancava poco. Molto
poco.
A fatica, riuscii a trovare
finalmente quel tanto agognato ingresso, venendo investito dalla luce
lunare
che, dopo tutto quel tempo passato nella semioscurità,
sembrò quasi riuscire a
ferirmi gli occhi come un piccolo sole. Brillava alta nel cielo sgombro
di nuvole con
un’intensità inaudita, tingendo i dintorni e
bagnandomi il volto con la sua
luce. L’erba alta che costeggiava il tempio sembrava
d’argento, accecante quasi
quanto la luna stessa, e a causa di tutta quella luminosità
le ombre sembravano
pressoché inesistenti.
Mi guardai intorno, quasi
aspettandomi di vedere qualcosa, avanzando piano mentre gli occhi mi
cadevano
sulle tegole del tetto del tempio, la maggior parte delle quali si
erano rotte
ed erano cadute sul ballatoio di legno sottostante. Senza che me ne
accorgessi
mi ritrovai ad osservare dall’alto la tomba di mio padre,
sentendomi ben presto
richiamato da delle voci familiari. Voltandomi, sgranai gli occhi,
facendo loro cenno di non avvicinarsi. Sembrarono però non
capirmi, poiché il
primo a farlo fu proprio Inuyasha. Avrei voluto gridargli di non
muoversi, di
non fare un altro passo se non voleva rischiare che risucchiassi anche
lui nel
mio vortice, ma quando aprii la bocca per farlo, dalle mie labbra non
uscì
alcun suono.
Fu a quel punto che aprii di
scatto gli occhi e soffocai un grido nel profondo della mia gola,
sentendo il
cuore battere all’impazzata contro le pareti del mio petto.
Drizzandomi a
sedere abbassai lo sguardo per osservare la mia mano destra e la ferita
provocatami dall’aura di Naraku, senza riuscire ancora a
respirare con
regolarità.
Un
sogno. Era stato soltanto uno
stupido e maledettissimo sogno. Sempre lo stesso incubo quasi ogni
notte,
dannazione.
Traendo un profondo respiro cercai
di calmarmi, facendo vagare gli occhi in quel piccolo spazio sgombro da
alberi
in cui ci eravamo accampati per quella notte. Kagome, Sango e Shippo
dormivano
ancora placidamente, e persino la piccola Kirara se ne stava
tranquillamente
acciambellata vicino alla sua padrona. C’era soltanto una
persona che mancava
all’appello, e quell’ansia che avevo provato prima
che mi svegliassi tornò
prepotentemente a farmi visita. Ma scossi violentemente il capo, non
volendo
dar peso ad essa. Era stato soltanto un sogno, mi ripetevo, e non
dovevo dunque
temere le conseguenze. I miei compagni erano tutti lì. Erano tutti al sicuro.
Decisi di alzarmi il più
silenziosamente possibile, gettando uno sguardo al piccolo
falò che
scoppiettava allegramente al centro di quell’accampamento
provvisorio. Non
dovetti nemmeno ravvivarlo, poiché ci aveva già
pensato Inuyasha prima di
sparire chissà dove. Proprio la notte ideale per farlo,
ironizzai, alzando gli
occhi verso le fronde sopra di noi per sbirciare attraverso la cappa di
fogliame ed osservare così il cielo nero.
Cosa mi aspettassi di vedere non
lo seppi neanche io, poiché la luna, che nel mio sogno era
apparsa così vivida
e reale, un cerchio perfetto dall’alone argentato che si
stagliava contro la
coltre celeste, in quel momento non c’era. Si vedeva soltanto
quell’enorme
manto d’ebano nascosto a tratti dalle cime degli alberi, una
coltre scura sulla
quale brillava una vaga trapunta di stelle.
Allora perché non facevo
altro che
pensare a quell’incubo, forse persino più delle
sere addietro? Non seppi darmi
una risposta e nemmeno la cercai, afferrando semplicemente il mio
shakujo [3]
per
allontanarmi poi di soppiatto da lì, alla ricerca di
Inuyasha. Sentii giusto un
piccolo miagolio e mi voltai appena, vedendo Kirara che, ancora un
po’
assonnata, mi fissava. Mi portai l’indice della mancina alle
labbra per farle
cenno di non far rumore, e lei, dopo aver dato vita ad un altro
miagolio ed
aver quasi rischiato che Sango, sentendola, si svegliasse, si
accoccolò
nuovamente contro di lei, coprendosi un po’ il musetto con le
sue due code.
Sospirai sollevato e ripresi il
mio cammino, inoltrandomi nel fitto sottobosco in cui, solo di tanto in
tanto,
si udiva il basso richiamo di qualche rapace notturno. Mi ritrovai ben
presto a
girovagare senza meta, non sapendo dove quello sciocco si fosse
cacciato.
Sapevo che non avrei dovuto lasciare le ragazze da sole per andare a
cercarlo,
questo era certo, ma quella notte il più vulnerabile di
tutti era proprio lui.
La Divina Kagome poteva contare sulle
sue
frecce e sulla sua energia spirituale, Sango sul suo fedele Hiraikotsu
- ormai
rimesso a nuovo dal vecchio Yakuro Dokusen - e sul supporto di Kirara,
e anche
Shippo, bene o male, sapeva cavarsela da solo. Quello stupido hanyou,
invece,
era quasi del tutto inoffensivo in serate come quella. E battere degli
youkai a
suon di pugni non era l’ideale. Rammentavo sì quel
giorno in cui aveva
combattuto in forma umana contro Tokajin, il falso eremita, ma
ricordavo ancor
più la sgradevole sensazione e l’opprimente senso
d’abbandono che tutti noi
avevamo provato nel crederlo morto con lui. E io non volevo che
ricapitasse una
cosa del genere.
Aumentai dunque il passo, stando
attento a dove mettevo i piedi onde evitare di inciampare in qualche
radice
nascosta sotto il terreno. Nonostante non fosse una serata fredda, il
mio
respiro si condensava in piccole nuvolette di vapore, e
l’unico suono che
cominciai ad udire, mano a mano che avanzavo, fu soltanto il mio
ansimare a
fatica a causa della fitta vegetazione e lo scalpiccio dei miei sandali
sulle
poche foglie morte che ricoprivano il terreno. Incespicavo quasi in
continuazione e avanzavo troppo lentamente, mentre sentivo lo
strisciare dei
primi rettili che fuoriuscivano dalle loro tane nonostante
l’alba ancora
lontana.
Mi ritrovai ben presto su uno
stretto sentiero irto di piante, probabilmente percorso da ben pochi
uomini
fino a quel momento, che si inerpicava zigzagando fra quelle immense
file di
alberi che avevano cominciato a farsi fortunatamente più
rade. Le loro cortecce
erano del tutto ricoperte di muschio, e le radici erano contorte e
nodose,
nascondiglio perfetto per piccoli animali.
Cespugli e rovi crescevano sul lato nord
di
quel piccolo boschetto, impedendomi il cammino e facendo sì
che le maniche
della mia kesa [4]
si impigliassero nei rami sporgenti, ma capii di essere sulla buona
strada
proprio quando vidi un pezzo di stoffa del kariginu [5]
di
Inuyasha. Difatti non lo trovai molto distante da lì, seduto
sull’erba ai
limitari di quel boschetto, con lo sguardo perso nel vuoto.
Il debole vento che si levava di
tanto in tanto gli gonfiava le vesti e gli scompigliava dolcemente i
lunghi
capelli neri, facendoglieli a volte ricadere davanti al viso senza che
lui se
ne curasse molto. Sembrava assorto in chissà quali pensieri,
come ogni qual
volta diventava umano o come quando si ritrovava a pensare alla defunta
Kikyo.
La sua
Kikyo.
Indugiai un po’, ma forse fu
al
pensiero che anche in quel momento stesse ricordando lei a farmi
indietreggiare
del tutto, quasi avessi cambiato idea e volessi lasciarlo solo a
riflettere.
«So che sei lì,
monaco», si
fece
però udire lui e, sussultando un po’, fu con le
mani alzate che uscii da dietro
a quei cespugli, facendo tintinnare di poco gli anelli del bastone
quando lo
mossi.
«Accidenti, anche senza quel
tuo
terribile fiuto sei riuscito a scoprirmi», provai a
ridacchiare con fare scherzoso,
abbozzando persino un sorriso - che in quel momento reputai io stesso
fin
troppo falso - nonostante Inuyasha mi stesse dando la schiena.
«Per quante
volte ti si ripeta che quando sei umano non devi allontanarti da noi,
tu fai
sempre l’esatto opposto».
A quel mio dire, lui sbuffò,
agitando persino una mano in risposta. «Feh! Avevo bisogno di
starmene da solo».
«Tu hai sempre
bisogno di
startene da solo», replicai sarcastico, alzando finemente un
sopracciglio prima
di avvicinarmi maggiormente e sedermi con fare tranquillo accanto a
lui,
abbandonando lo shakujo al mio fianco.
Lui mi degnò appena di
un’occhiata,
ritrovandosi a sbuffare per l’ennesima volta e alzare poi lo
sguardo verso il
cielo nero. «Non cominciare, Miroku», mi
freddò. «Non è serata».
Gli scoccai un’altra rapida
occhiata, decidendo infine di non ribattere e di tacere semplicemente.
Se conoscevo
abbastanza bene Inuyasha, alla fin fine avrebbe aperto bocca lui.
Restammo
quindi entrambi in silenzio a fissare la volta celeste sopra di noi,
senza
cercare in nessun modo di intavolare un discorso ma concentrandoci
soltanto
ognuno sui propri pensieri. E io di riflettere ne avevo davvero
bisogno.
Non più di pochi mesi
addietro,
prima che accorciassi ancor più la mia vita risucchiando
l’aura velenosa di
Naraku, avevo praticamente chiesto a Sango di partorire i miei figli e
di
passare con me il resto della sua vita. Avrebbe dovuto essere una lieta
notizia, un avvenimento che avrebbe dovuto portare gioia nei cuori di
entrambi,
ma io, sebbene sentissi di amarla, di amarla davvero, sembravo
quasi non essere soddisfatto. Era come se
qualcosa, o per meglio dire qualcuno, frenasse quella
felicità che avrei dovuto
provare.
Che uomo spregevole che ero.
Ferire in questo modo i sentimenti sinceri di Sango senza che lei se ne
rendesse conto. Probabilmente perché, in fondo in fondo,
conoscevo fin troppo
bene la causa di quella che era diventata per me una sorta
d’indecisione. Il
problema era che non volevo ammetterlo a me stesso né tanto
meno illudermi.
Questo qualcuno aveva ancora un piede in due staffe senza che mi ci
mettessi
anch’io a confonderlo di più.
«Avremmo dovuto rimetterci
già in
viaggio», si fece sentire d’un tratto la voce di
Inuyasha, interrompendo quel
sottile silenzio che era regnato fino a quel momento e disfacendo al
tempo
stesso il filo dei miei pensieri.
Scossi di poco il capo per
riprendermi, sospirando. «Ci rimetteremo in viaggio
domattina, non appena
potrai muoverti liberamente», ribattei, quasi stupendomi del
perché continuassi
a stupirmi dei suoi rozzi modi di fare. «Girare a vuoto non
ci è comunque
d’aiuto».
«Ma nemmeno starcene fermi lo
è»,
volle aver ragione come un bambino capriccioso. «Mentre noi
siamo qui a girarci
i pollici, Naraku potrebbe trovare il modo di completare la
sfera!»
A quel suo dire allungai una mano
per prendere il mio bastone, picchiettandoglielo subito dopo con poco
garbo
sulla testa. «Non essere stupido», replicai, senza
curarmi delle lamentele che
quello scemo di lasciò sfuggire. «Se avesse
potuto, l’avrebbe già fatto da un
pezzo», sospirai ancora, aggrottando di poco le sopracciglia
prima di assestare
un altro colpo, venendo stavolta allontanato da lui che,
com’era prevedibile,
mi inveì contro. Ma io non vi diedi peso, continuando
«Anch’io sono impaziente
quanto te, Inuyasha, ma dobbiamo restare calmi e ragionare».
E se lo dicevo io, un uomo la cui
vita era praticamente appesa ad un filo, voleva significare molto.
Però
Inuyasha ai ritrovò a sbuffare e ad alzarsi in piedi,
poggiando una mano
sull’elsa della sua Tessaiga.
Abbassò poi lo sguardo verso
di
me, fissandomi attentamente con quei suoi occhi non più
dorati ma marroni. «Tipico»,
sbottò. «Sempre a prendervela comoda, voi
umani».
Nonostante tutto, riuscì a
strapparmi un sorriso. «Abbiamo ritmi diversi dai
tuoi», ci tenni a ricordargli
sebbene lo sapesse, alzandomi poi a mia volta. «Ci
converrebbe tornare dalle ragazze,
piuttosto», soggiunsi, sistemandomi qualche piega della kesa
prima di scoccare
un’occhiata ad Inuyasha e sorreggere meglio il mio shakujo.
«Abbiamo bisogno
anche noi di riposo».
«Tu
ne hai bisogno, forse»,
ci tenne ad avere l’ultima parola, precedendomi in quella
fitta boscaglia
subito dopo ed imprecando quando le maniche dell’abito
cominciarono ad
impigliarsi nei rovi. Io lanciai un ultimo sguardo a quella volta scura
che ci
sovrastava, reprimendo dentro di me qualsiasi pensiero o sentimento.
La nottata sarebbe stata ancora
lunga e popolata da incubi, ne ero certo.
[1]
Titolo ispirato ad un’antologia di doujinshi chiamata
per l’appunto “Shade garden and sky”,
alla quale hanno collaborato molte doujika.
[2] Strumento
musicale tradizionale giapponese
appartenente alla famiglia della cetra, derivato dal Guzheng cinese.
Il corpo dello
strumento è costituito da una cassa armonica, lunga circa
due metri e larga tra
i 24 ed i 25 cm, costruita, in genere, con legname di Paulownia (Kiri
in giapponese).
Su di essa corrono
tredici corde di uguale diametro ed aventi stessa
tensione, ognuna delle quali poggia su di un ponticello mobile.
Il koto viene
paragonato al corpo di un drago cinese disteso. Per tale motivo le
diverse
parti di cui esso è formato assumono dei nomi che ricordano
quelle del mitico
animale.
[3] Bastone
sacro che portano i monaci
buddisti, caratterizzato
da degli anelli sulla sommità. Viene utilizzato soprattutto
nelle preghiere o,
in mani più esperte, come arma offensiva o di difesa.
Il numero di
anelli è determinato dalla condizione del suo possessore,
sebbene la maggior
parte degli shakujo siano costituiti da sei anelli.
[4] Il tipico
abito scuro indossato dai monaci
buddisti, dal sanscrito “Kashaya”, che significa
“Colore opaco”.
Viene drappeggiata sotto
un braccio e fissata alla spalla opposta. Si pensa che la kesa sia
stata
modellata in riferimento ad un indumento che il Buddha si
cucì da solo
utilizzando brandelli di stoffa utilizzati per coprire i cadaveri.
[5] E’ la
veste
tradizionale indossata dai Kannushi, ovvero i sacerdoti shinto, durante
le
feste.
Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo
alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
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Capitolo 2 *** Cadere a pezzi ***
Shade Garden & Sky_2
SHADE GARDEN
& SKY
Sono cresciuto per
esser così capace
di sorridere anche
attraverso il dolore più grande.
02.
CHAPTER TWO
FALLIN’
APART
Il
sole si levava alto nel cielo, irradiando con la sua luce il paesaggio
circostante. Dal fianco della montagna che stavamo discendendo, si
riuscivano a
scorgere a valle i campi di riso che luccicavano sotto di essa, e le
sagome
distanti dei contadini che aravano la terra.
Per ridiscendere a valle, fummo
costretti a passare nuovamente per i boschi, evitando alla
bell’e meglio la
vegetazione ivi presente. Fu però tutt’altro che
facile, poiché le vesti di
tutti noi, proprio com’era capitato sere addietro a me e
Inuyasha, si
impigliavano nei giovani rami dei cespugli e ci toccava dunque fermarci
a
districarle.
Più volte dovemmo ritornare sui
nostri passi, proprio a causa di quelle stesse piante. Spesso, forse
anche
troppo, il sottobosco era così fitto da creare una sorta di
barriera naturale,
impedendoci di avanzare spediti come avremmo voluto.
Ormai erano passate ore, e della
civiltà ancora nessun segno. Gettando di tanto in tanto
qualche occhiata dietro
di me, così da controllare dove fossero le ragazze e Shippo,
tornavo poi a
guardare avanti solo per vedere Inuyasha, forse più nervoso
di tutti noi come
suo solito, farsi strada ad artigli spianati. Io mi limitavo
semplicemente a
scostare qualche ramo quando m’impediva il cammino, avanzando
forse un po’
troppo a rilento per i suoi gusti.
Il cinguettio fra la cappa di
fogliame sopra di noi rendeva quella nostra avanzata piuttosto
tranquilla, e
tutto sommato, nonostante gli arbusti che ci sbarravano il cammino, il
luogo in
cui ci trovavamo era molto calmo. Non avevamo nemmeno visto
l’ombra d’un
demone, per il momento, e la cosa, per quanto strana, ci stava bene
così.
Io avrei potuto aiutare ben poco,
se fosse servito. Nonostante avessi preso la medicina di Yakuro
Dokusen, quella
avrebbe solo fatto in modo che io non sentissi più il dolore
e la sofferenza
procuratami dal risucchiare l’aura velenosa di qualche
spettro. Se l’avevo
bevuta, però, era solo per non rischiare che Sango si
sacrificasse ancora per
me. Sebbene da un po’ di tempo i miei pensieri fossero
confusi, probabilmente
proprio a causa di quel destino che mi ero ritrovando a fronteggiare e
che, in
cuor mio, forse non volevo accettare, non potevo permettere che lei
mettesse in
gioco la sua vita per salvarmi. Non me lo sarei mai perdonato.
Scossi la testa per allontanare
ancora una volta quei pensieri, cercando di concentrarmi unicamente
sulla
sensazione di benessere che era capace di conferirmi il tocco della
vegetazione
circostante. Le spine dei rovi, bagnate dalla rugiada mattutina, mi
inumidivano
i polpastrelli delle dita con cui le toccavo e mi ferivano,
procurandomi
piccoli taglietti dai quali fuoriusciva qualche stilla di sangue. Forse
era
proprio per quel motivo che Inuyasha si voltava di tanto in tanto a
guardarmi,
rallentando poi il passo quando vedeva le ragazze indietro, alle quali
mi
affiancavo rapidamente per non lasciarle sole.
Giungemmo ben presto nei pressi di
un laghetto, venendo assordati dal gracidio che si levava da esso. Le
acque
erano limpide e il sole, che luccicava sulla sua superficie, faceva
risplendere
quello specchio donando al restante paesaggio un’aria
rilassante e benefica,
accentuata probabilmente anche dal profumo dei pochi fiori che erano
riusciti a
sbocciare non molto lontani dalle sue rive. Un uccello planò
d’improvviso a
pelo d’acqua e immerse immediatamente il capo piumato sotto
la superficie,
riaffiorando subito dopo con il suo pranzo nel becco. A quella vista
sorrisi
come un idiota, afferrando saldamente lo shakujo per riprendere il mio
cammino,
giacché mi ero fermato senza rendermene conto. Dovetti
affrettare di poco il
passo per raggiungere gli altri restando comunque indietro per guardar
loro le
spalle. Per quanto piacevole fosse, quella quiete era tutto
fuorché normale.
«Che ne direste se ci
fermassimo
un po’?» si fece udire la voce di Kagome, e io, che
avevo cominciato a guardare
con sospetto i dintorni e persino le canne del laghetto che si
muovevano di
tanto in tanto, stornai nuovamente lo sguardo verso di loro.
Vidi Inuyasha scoccarle
un’occhiata ma, nonostante le sopracciglia stranamente
aggrottate da quella che
sembrava preoccupazione, era palese che quella sosta
l’avrebbe innervosito. «Sei
stanca, Kagome?» le domandò in risposta, ed ero
certo che Shippo l’avrebbe
attaccato con una delle sue solite uscite se non stesse sonnecchiando
fra le
braccia di Kagome stessa.
«Abbastanza»,
dovette ammettere, e
fu a quel punto che mi avvicinai, facendo tintinnare gli anelli del
bastone. Qualcosa,
nella voce di Inuyasha, mi aveva stranamente scosso. «Secondo
il mio parere,
dovremmo almeno provare a ridiscendere a valle e cercare il villaggio
più
vicino», asserii, richiamando su di me la loro attenzione.
«Il posto appare
tranquillo, certo, ma restare fino al tramonto non mi sembra
l’ideale».
«Credo che il Maestro abbia
ragione», concordò Sango, abbassando lo sguardo
sulla sua gattina, accoccolata
sulla sua spalla. «Anche Kirara sembra agitata».
A quel punto, forse convinto dalle
nostre parole, Inuyasha tornò a guardare Kagome e le diede
poi la schiena,
chinandosi in modo che potesse aggrapparsi. «Ti
porterò sulle spalle», le disse
semplicemente, afferrandola meglio lui stesso quando lei si
sistemò.
Riprendemmo così il nostro
cammino, affrettando maggiormente il passo quando ci fu permesso dalla
vegetazione del bosco. Io e Sango salimmo in groppa a Kirara, mentre
Inuyasha
ci precedette insieme a Kagome. A causa della velocità con
cui procedevamo
anche Shippo si era svegliato, e da dove mi trovavo potevo benissimo
vedere che
si era aggrappato alla spalla di Kagome per evitare di cadere.
Ci volle mezza giornata prima che
riuscissimo a scendere dalla montagna, ritrovandoci nei pressi dei
campi di
riso che avevamo visto dall’alto. Appariva tutto tranquillo,
ma, esattamente
come avevo sospettato, quella quiete durò poco: alcuni
abitanti del villaggio,
avendoci forse adocchiati in lontananza, stavano avanzando trafelati
nella
nostra direzione. Perché mi sembrava una scena
già vista e rivista, quella?
«Qual gioia che siate qui,
onorevole monaco!» esclamò un uomo basso e
tarchiato non appena ci raggiunse,
accompagnato da un giovane che presupposi fosse suo figlio a causa
della
somiglianza tra di loro.
Ben comprendendo cosa stessero per
chiedermi feci per aprire la bocca, ma vidi appena di sfuggita Inuyasha
alzare
lo sguardo al cielo, sentendolo sbuffare subito dopo. «Non
abbiamo tempo da
perdere con simili sciocchezze, Miroku», asserì
nervoso, capendo a sua volta
dove ci avrebbe portati quella discussione.
Io mi affiancai a lui di soppiatto
e guardai di sfuggita il capo villaggio, che si stava frattanto
torcendo le
mani, tornando ben presto ad adocchiare lui. «Aiutare il
prossimo non ha mai
fatto male a nessuno, Inuyasha», gli sussurrai, coprendomi di
poco la bocca con
il dorso d’una mano come per camuffare il movimento delle mie
labbra. «E poi in
questo modo avremo anche un tetto sopra la testa, almeno per
stanotte».
Sollevò appena un
sopracciglio. «Avrei
dovuto immaginare che c’era sotto qualcosa».
«Se Buddha ci ha portati fin
qui
un motivo ci sarà, non credi?» ironizzai, e senza
attendere una sua possibile
replica mi riavvicinai all’uomo, facendo tintinnare gli
anelli del mio bastone.
«Qual è il problema?» domandai, come se
fosse la prima volta che mi ritrovavo
in situazioni del genere.
L’uomo spostò il
suo sguardo
dapprima su Inuyasha - che di certo non ispirava granché
fiducia con il suo
sguardo truce - e poi sulle ragazze e il piccolo Shippo, ritornando ben
presto
a guardare me. Fece per aprire la bocca, ma alzai di poco la destra per
interromperlo.
«Non dica niente, signor capo
villaggio», cominciai, avvicinandomi maggiormente io stesso
mentre facevo
tintinnare gli anelli dello shakujo come se ce ne fosse un reale
bisogno. «Posso
ben immaginare quale problema affligga voi e il vostro
villaggio», mi sembrava
quasi di sentire gli sguardi scettici dei miei compagni trapassarmi la
schiena,
però non ci feci caso e continuai. «Mi
occuperò io di tutto, non tema», ripresi,
sorridendogli nel più affabile dei modi. «Non
chiediamo molto. Ci basta solo un
giaciglio, qualcosa da mangiare, qualche ragaz...» non
riuscii a terminare la
frase che venni colpito come al solito dall’Hiraikotsu di
Sango. «Un pasto
caldo e un posto per la notte ci basteranno», rettificai
immediatamente,
sentendo su di me l’aria minacciosa della mia futura moglie e
anche il dolore
alla testa provocato dal colpo.
Anche se l’espressione del
capo
villaggio mutò, divenendo probabilmente meno sicura di
quanto non apparisse
prima delle mie parole, ci guidò frettolosamente
all’interno del paesino, e
risalimmo con lui la stradina sterrata e circondata da erbacce che
portava
verso la sua abitazione, posta in sommità di una piccola
collinetta per aver in
quel modo maggior controllo sui dintorni.
Sebbene al principio avessi
creduto che si trattasse solo di superstizione, giacché non
avevo avvertito
niente fino a quel momento, dovetti ricredermi non appena sentii una
leggera
aura maligna al di sopra di quell’abitazione. Mi avvicinai
dunque in gran
fretta ai battenti della recinzione che proteggeva la casa, infilando
una mano
al di sotto della kesa per estrarre alcuni fuda [1] sotto
lo
sguardo dei miei compagni e del capo villaggio. Ne applicai due sul
legno e
recitai una preghiera sottovoce, sentendo lo spirito agitarsi e fremere
con
vigore, per nulla intenzionato a lasciare quel luogo. Ma con un
po’ di
insistenza lo spirito uscì con un ruggito, rivelandosi
semplicemente un cane di
montagna. Volò via nello stupore generale, portandosi dietro
la sua aura
maligna.
Mi voltai dunque verso il capo
villaggio, sorridendogli nel più affabile dei modi.
«Da questo momento in poi
non ci saranno più problemi», lo rassicurai, e lui
mi venne in contro per
ringraziarmi.
«Non so proprio come avremmo
fatto
senza di lei, onorevole monaco», mi disse. «Avevamo
ormai perso ogni speranza».
«Il merito non è
mio, signor capo
villaggio, ma del buon Buddha che ha guidato fin qui i miei
passi», ribattei
candidamente, e per uno strano motivo che non compresi, dopo essermi
congedato
da quell’uomo - che ci aveva frattanto invitati a seguirlo -
e suo figlio,
sentii su di me nuovi sguardi scettici. Adocchiai appena i miei
compagni,
trovandoli tutti e quattro con un sopracciglio sollevato e le braccia
incrociate al petto. Persino Kirara sembrava rispecchiare le loro
stesse
espressioni.
«Ma guarda, allora anche
questa
volta c’era davvero».
«E io che credevo che lo
dicesse
solo per scroccare un pasto caldo».
«Chi l’avrebbe mai
detto».
«Ehi...» li
richiamai,
interrompendo quei loro botta e risposta con un pizzico di nervosismo.
Quanta fiducia
che dimostravano avere in me. «Non sono sempre un truffatore,
ragazzi, mi
conoscete bene».
Fu Sango a sbuffare ilare,
guardandomi di sottecchi. «E’ proprio
perché ti conosciamo bene che abbiamo
imparato a diffidare, Maestro», sembrò ironizzare,
caricandosi meglio la sua
arma sulle spalle prima di seguire gli altri, che avevano deciso di
andare
avanti senza aspettarci.
Io la raggiunsi svelto,
accostandomi a lei. «Sei sempre così crudele con
me, mia dolce Sango», mi
lagnai falsamente, provando poi ad allungare distratto una mano verso
il suo
sedere. Lei però scostò l’Hiraikotsu in
modo che le nascondesse il fondoschiena,
impedendo così al mio palmo di raggiungere il suo obiettivo.
«Non attacca», mi
freddò, e
dovetti purtroppo arrendermi all’evidenza. Neanche questa
volta avrei avuto un
assaggio di ciò che desideravo. Forse l’unico lato
positivo di tutta quella
faccenda era stato l’aver trovato un tetto sopra la testa per
quella notte, chi
poteva dirlo.
[1]
Più
comunemente detti o-fuda o talvolta chiamati
shinpu, sono dei talismani di origine buddhista che divennero molto
comuni
anche nello shintoismo.
Sono realizzati
scrivendo il nome di un Kami, di un tempio
o di un rappresentante del Kami su un pezzo di carta, legno, stoffa o
metallo.
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Farai felici milioni di
scrittori.
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Capitolo 3 *** Le labbra non raccontano ***
Shade Garden & Sky_3
SHADE GARDEN
& SKY
Sono cresciuto per
esser così capace
di sorridere anche
attraverso il dolore più grande.
03. CHAPTER THREE
AND NO LIPS ARE TOLD
La
notte era ormai calata, e io mi trovavo fuori in giardino a godermi la
frescura
di quella bella serata mentre udivo i richiami lontani di qualche
rapace.
Il padrone di casa, poche ore
addietro, mi aveva offerto del sakè, e adesso, seduto sul
ballatoio di legno
che affacciava proprio sul guardino interno, mi apprestavo a consumarlo
in
silenzio, perso nei miei più disparati pensieri.
«Ehi», si fece
però sentire la
voce di Inuyasha, ovattata nel silenzio della notte.
«Stavolta sei tu che hai
bisogno di solitudine?»
Mi lasciai sfuggire un piccolo
sbuffo ilare e mi voltai verso di lui, sollevando appena un angolo
della bocca
in un mezzo sorriso. «A quanto pare», mormorai,
alzando una mano per mostrargli
poi il bicchierino di sakè che reggevo. «Ti unisci
a me?» gli domandai, vedendolo
scuotere il capo e prender poi posto accanto a me su quel ballatoio di
legno,
esattamente come avevo fatto io sere addietro su quello spiazzo
d’erba in cui
c’eravamo ritrovati. «E’ proprio una gran
bella serata, non trovi?» cominciai,
intavolando con lui un discorso pressoché inutile. Sapevo
difatti troppo bene
quanto Inuyasha trovasse futili argomentazioni come quella, e ancor
più quanto
odiasse chiacchierare quando in realtà non ce
n’era bisogno.
Lui, però, fu capace di
sorprendermi, volgendo lo sguardo dorato al cielo notturno.
«Già, proprio una
bella serata», ripeté, e mi ritrovai a fissarlo in
viso con fare interdetto.
Era realmente Inuyasha quello seduto al mio fianco, o mi ero forse
addormentato
e quello era semplicemente un sogno?
«C’è
qualcosa che ti turba, per
caso?» domandai svelto, approfittando forse del fatto che
sembrasse più loquace
di quel che mi sarei mai aspettato. Aveva lo sguardo mesto e stanco,
esattamente come chi si era ormai rassegnato alla sconfitta. Ma
Inuyasha non
era così, e io non riuscivo a vederlo in quello stato.
Si limitò a scrollare di poco
le spalle, senza portare su di me i suoi occhi ambrati.
«Stavo pensando a
Kagome», ammise, e io sentii una strana fitta al petto prima
che lui
continuasse. «Ne abbiamo parlato e, anche se le ho chiesto di
restare al sicuro
nella sua epoca, lei sembra intenzionata a continuare a viaggiare con
noi».
Era preoccupato per lei, gli si
leggeva chiaramente in viso. Ed era più che normale. Il suo
amore per Kagome
era conosciuto da molti, persino suo fratello Sesshomaru se
n’era
immediatamente accorto. Solo lui, sebbene lo dimostrasse, sembrava
quasi che
faticasse ad ammetterlo. Trassi un lungo sospiro come per
farmi coraggio, bevendo subito dopo un altro piccolo sorso di
sakè. «Comprendo
benissimo ciò che provi, Inuyasha», mi sentii in
dovere di rassicurarlo, quasi
fosse dovuto. «Preferisci saperla lontana piuttosto che in
pericolo, e questo è
un comportamento umano. Lei ha però deciso di voler restare
al tuo fianco, ed è
giusto che tu la capisca e rispetti questa sua decisione».
«Io non voglio che rischi la
vita»,
ribatté, e io alzai appena una mano come per zittirlo.
«Posso capirti», gli
dissi
comprensivo. «Io stesso ho bevuto il veleno medicina di
Yakuro Dokusen per non
mettere più in pericolo Sango, ma non posso impedirle di
combattere», feci una
lunga pausa, quasi volessi attendere che Inuyasha comprendesse
ciò che volevo
realmente dirgli, con lo sguardo rivolto al cielo stellato.
«Vogliono restarci
accanto e combattere al nostro fianco», ripresi.
«Ciò che dobbiamo fare è
proteggerle per quanto ci sia concesso, senza impedir loro di seguire
la strada
dettata dal cuore».
Forse quelle mie parole servirono
realmente a qualcosa, poiché con la coda
dell’occhio vidi Inuyasha alzarsi. «Non
riguarda soltanto loro, Miroku», asserì infine,
guardandomi di sottecchi con
quello sguardo ferino. «Io ho qualcosa e qualcuno da
proteggere, certo, e sono
disposto a tutto per far sì che la mia forza basti... ma
quel qualcuno da
proteggere non è solo Kagome».
Fu a quel punto che mi voltai a
guardarlo del tutto, cercando una qualsiasi spiegazione nei suoi
lineamenti e
nell’espressione che aveva assunto il suo viso. Che cosa
aveva voluto intendere
con quelle parole? Che si fosse forse accorto di qualcosa? Oppure ero
stato io,
inconsciamente, a mostrare nei miei gesti più di quanto
avessi dovuto?
Avrei voluto domandarglielo, ma le
parole sembrarono restare ferme in gola. Non riuscivo ad aprir bocca,
limitandomi soltanto a fissalo con attenzione negli occhi. E lui non
cercò di
distogliere lo sguardo, anzi, sembrò quasi sfidarmi a farlo
per primo. Io però
non cedetti, abbandonando il bicchierino di sakè prima
d’alzarmi in piedi a mia
volta e fronteggiarlo alla sua stessa altezza.
Ci squadrammo negli occhi per
attimi che parvero interminabili, finché a rompere il
silenzio non fu il salto
d’una carpa nel laghetto lì vicino e il suono del
bambù subito dopo. Ci
ridestammo entrambi, allontanandoci di scatto senza sapere realmente
quando ci
fossimo avvicinati così tanto.
«Combatterò con
tutte le forze a
mia disposizione», si fece sentire infine la voce di
Inuyasha, che tornò a
guardarmi in quel chiarore creato dal lieve alone della mezza luna e
dalle
fiaccole appese alla parete dietro di lui. «Non
farò rischiare inutilmente la vita
a nessuno di voi. Specialmente a te, Miroku»,
asserì, serio e risoluto. «Quindi
non aprire più il vortice fino a quel momento».
Per quanto quella sua premura mi
facesse sorridere, sospirai. «Lo faccio per Sango, Inuyasha.
Mi sembrava di
avertelo già detto».
«E io non voglio che tu lo
faccia
per lei», rimbeccò, avvicinandosi a me
così velocemente che quasi non mi resi
conto dei suoi passi sulle assi di legno del ballatoio.
«Credi forse che
sarebbe felice di sapere che vuoi morire avvelenato solo per
salvarla?» mi
domandò duramente, assottigliando gli occhi e afferrandomi
il polso destro. I
grani del rosario frusciarono contro la stoffa che mi nascondeva la
mano, ma
nessuno di noi due parve farci caso. «La tua morte la farebbe
soltanto
soffrire. Faresti soffrire lei, la futura madre dei tuoi figli, e anche
Kagome
e Shippo», mi lasciò con la stessa foga con cui mi
aveva agguantato, stringendo
quella stessa mano a pugno per abbandonarla poi lungo un fianco.
«E faresti
soffrire anche me».
Quel suo discorso, mio malgrado,
mi lasciò interdetto. L’avevo visto
così disperato soltanto quando la
venerabile Kikyo era morta fra le sue braccia. Sembrava davvero che la
prospettiva di perdere uno di noi lo straziasse, e io non riuscivo a
vederlo
così angustiato. Fu dunque senza riflettere che mi avvicinai
a lui,
poggiandogli una mano su una spalla nel vano tentativo di confortarlo.
Gli attimi che seguirono furono
così rapidi e sfocati che non ce ne capacitammo, ma il
nostro avvicinarsi fu
tale che sentimmo il respiro dell’altro ad una spanna dal
viso, un alito caldo
e piacevole come la brezza estiva. Timide ed insicure, poi, le labbra
di
Inuyasha cercarono le mie, e potei avvertirne la consistenza non appena
le
poggiò contro di esse. Fu soltanto un leggero sfiorarsi,
certo, ma in quel
bacio potei avvertire tutta la preoccupazione e il sentimento che
Inuyasha
portava rinchiuso nel suo cuore. E la cosa, forse, mi stupì.
Cosa ci avesse
spinti a quel gesto probabilmente non l’avremmo capito
nemmeno noi, giacché
eravamo sicuri che quell’amore, se tale esso fosse, non
sarebbe potuto
sbocciare come avremmo realmente voluto. Non era così che
sarebbero dovute
andare le cose. Io dovevo rendere felice Sango; aveva sofferto troppo
per
meritarsi un tradimento anche da parte mia. Inuyasha aveva invece
Kagome a cui
badare, ed anche lei, a causa della continua indecisione di
quest’ultimo, aveva
subito troppe ripercussioni. Ma solo per quella notte, con le stelle
come
nostre uniche testimoni, potevamo almeno godere di quella piccola ed
effimera
utopia?
Senza ragionare, forse proprio a
causa di quei miei disparati pensieri, mi sporsi io stesso verso di
lui,
rendendo quel bacio più passionale di quanto non avessimo
voluto al principio.
Inuyasha aprì di poco le labbra quando sentì la
mia lingua premere insistente
contro di esse, esplorando il suo palato non appena mi fu concesso.
Avvertii un
lieve bruciare quando sfiorai inavvertitamente una zanna con la punta,
ricercando ben presto la sua lingua per intrecciarla con la sua.
Durò poco più di
quanto credessi.
Troppo presi dalla foga del momento, e dunque poco intenti a riflettere
sulle
nostre azioni o sui nostri gesti, avevamo consumato in fretta
l’ossigeno, tanto
che, quando ci separammo, ansimammo come se avessimo corso fino a quel
momento.
Un rivolo di saliva pendeva dalle labbra di Inuyasha, e lui se lo
leccò via
mentre mi guardava, allungando poi una mano verso di me per sfiorarmi
un angolo
della bocca.
Non capii cosa stesse facendo
finché non sentii il suo polpastrello
sfiorarmi il labbro inferiore e il suo artiglio solleticarmi dolcemente
la zona
più sensibile della bocca, e fremetti senza poterne fare a
meno. Forse avvertì
quel mio brivido - dovuto probabilmente all’eccitazione del
momento -, poiché
allontanò le dita e fece uno scatto all’indietro,
come se fosse stato morso da
un serpente.
In quel lasso di tempo che mi
parve infinito non fiatammo, limitandoci solo a tenerci a debita
distanza e a
fissare ognuno gli occhi dell’altro, ponendoci forse le
stesse domande. Cosa ci
era preso, così all’improvviso? Perché
l’avevamo fatto? E, soprattutto, come
mai sentivamo l’irrefrenabile voglia di farlo ancora? Quesiti
che avrebbero
fatto meglio a restare senza risposta, lo sapevamo entrambi.
«Le ragazze non dovranno mai
saperlo», riuscii finalmente a dire,
sebbene alle mie orecchie la mia stessa voce suonasse incrinata e,
forse,
persino vagamente isterica. Eppure mi era piaciuto. Facevo male ad
ammetterlo,
probabilmente, ma era così.
Annuendo, Inuyasha decise di fare
un altro piccolo passo indietro, come per riportare le giuste distanze
fra di
noi. «Sono d’accordo», fu
l’unica cosa razionale che articolò, dandomi
infine
le spalle. Anche lui, come me, appariva nervoso. «Torniamo
dentro», soggiunse,
e se non l’avessi conosciuto bene, avrei detto che si era
imbarazzato. E come
dargli torto? Lo ero anch’io. Con la mia fama
di libertino sulle spalle, mai avrei pensato di baciare un uomo. O di
innamorarmi di uno di loro, per giunta. Eppure era successo.
Mi ritrovai dunque a convenire
troppo rapidamente per apparire credibile, ma sembrava che in quel
momento non
importasse né a me né tanto meno a lui. Lasciammo
solo lì il sakè e ce ne
tornammo in casa, forse sperando che quella notte passasse in fretta e
si
portasse via ciò che era accaduto fra noi. Peccato che
com’era prevedibile non
accadde, ma quando ci rimettemmo in cammino tentammo di camuffare il
tutto
sotto i nostri soliti modi di fare: lui litigando con Shippo per motivi
futili,
venendo immediatamente richiamato da Kagome, e io, beh... io carezzando
dolcemente
il fondoschiena di Sango, beccandomi uno schiaffo per averlo fatto in
un
momento poco opportuno.
Mai come in quel momento,
però, mi
ritrovai a pensare che quello schiaffo stavolta me l’ero
meritato davvero.
Forse un’innocente scappatella con una donna me
l’avrebbe perdonata, dopo
avermi riempito di botte. Ma chissà come avrebbero reagito
lei e Kagome se,
malauguratamente, fossero venute a conoscenza di ciò che era
accaduto la sera
addietro fra me e Inuyasha.
E forse fu nel pensare nello
stesso istante l’identica cosa che noi due ci gettammo uno
sguardo eloquente, affrettandoci
subito dopo a guardare altrove e a gettarci quel momento alle spalle,
abbandonando il villaggio che ne era stato il segreto testimone.
Avremmo tenuto quel ricordo dentro
di noi, senza condividerlo con il mondo. Sarebbe stata una piccola
illusione,
un fiore che sarebbe rimasto sopito fino a che non sarebbe giunto il
momento di
sbocciare, fosse anche esso solo durato la falsa eternità
d’un attimo.
«Inuyasha,
Miroku...»
«Che
cosa vuoi, Shippo?»
«Cosa
stavate facendo l’altra sera vicino al laghetto?»
_Note conclusive (E
inconcludenti) dell'autrice
Questa
storia
è stata
scritta per il contest “Quando
l'amore può vincere anche un destino avverso”
indetto da Lady Kid1412, e si è classificata Terza.
Non
dirò che questa è la
prima long fiction che scrivo su questo fandom, visto che
già chissà quanti anni
or soro buttai giù due o tre one-shot su Inuyasha e persino
qualche long che
chissà dove è andata a finire. Ma proprio
perché sono stata
lontana dal fandom per così tanto tempo, non mi ritengo
affatto soddisfatta del
mio operato.
Probabilmente avrei voluto
fare qualcosa di più, non ne sono sicura, ma fatto sta che
è stato abbastanza
divertente riprendere
in mano i personaggi di Inuyasha e piazzarli in
un’ambientazione da me ideata.
Ammetto che al principio
avrebbe dovuto essere una one-shot ambientata durante la saga dei
sette, dato
che ho sempre adorato quei mercenari, e che avrei voluto fare qualche
accenno
Inuyasha/Jakotsu, ma alla fin fine è venuta fuori una cosa
del genere, guidata
da chissà cosa, o forse più probabilmente al
fatto che la mia coppia preferita,
aimè, è parecchio sottovalutata nel fandom qui su
EFP e persino un po’ ovunque.
Un’altra cosa che ci tengo a
dire, poi, è che il titolo della storia è
ispirato ad un’antologia di doujinshi
chiamata per l’appunto “Shade garden and sky”,
alla quale hanno
collaborato molte doujika.
So anche bene che la storia,
alla fin fine, non arriva praticamente da nessuna parte, ma avevo
voglia di
fare un Missing Moment e una What if in cui, nella mia contorta visione
di
questo manga/anime, si può benissimo vedere quanto io sia
attaccata ai due
personaggi maschili della serie.
Non ha nemmeno un lieto fine,
lo so, e forse è proprio per questo che ho inserito quelle
frasi in corsivo
come bonus: per spezzare un po’ la malinconia con una
semplice domanda del
piccolo Shippo.
Spero che in qualche modo
sia piaciuta. ♥
TERZA CLASSIFICATA
GIUDIZIO
Premetto che ho
letto anche la tua fan fiction che mi avevi consigliato e mi
è piaciuta molto.
Quest’ultima storia è davvero ben scritta e,
infatti, ho voluto
premiare con il massimo dei punti la caratterizzazione dei personaggi e
la descrizione dell’ambiente. Si vede che questo fandom ti
piace
parecchio, infatti, riesci a descriverlo alla perfezione e
così facendo
trasmetti al lettore tutte le emozioni che il personaggio sta vivendo
in quel momento, ed è anche per questo che l’ho
apprezzata molto. Il
punteggio si è abbassato per i punti bonus che, alcune
volte, sono
stati presi alla leggera, ma non prendertela male per la tua posizione,
il punteggio che hai ottenuto è comunque molto buono e sono
sicura che,
se ci fossero stati più partecipanti, avresti mantenuto una
buona
posizione in classifica.
Punteggio:
84/100
Alla prossima ♥
_My Pride_
Messaggio
No
Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
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