Inno alla notte

di Rucci
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Quale vivente dotato di sensi... ***
Capitolo 2: *** II. Come la più profonda anima della vita... ***
Capitolo 3: *** III. Quale regina della natura terrestre... ***
Capitolo 4: *** IV. Da lei mi distolgo e mi volgo... ***
Capitolo 5: *** V. Lontano giace il mondo... ***
Capitolo 6: *** VI. Voglio precipitare... ***
Capitolo 7: *** VII. Lontananze della memoria... ***
Capitolo 8: *** VIII. In altri spazi... ***
Capitolo 9: *** IX. Che cosa ad un tratto zampilla... ***
Capitolo 10: *** X. Quale cosa tu porti sotto il manto... ***
Capitolo 11: *** XI. Noi ci sentiamo oscuramente... ***
Capitolo 12: *** XII. Come infantile e povera... ***
Capitolo 13: *** XIII. Solo perché la notte distoglie... ***
Capitolo 14: *** XIV. Più divini delle stelle scintillanti... ***
Capitolo 15: *** XV. Vedono oltre le più pallide gemme... ***
Capitolo 16: *** XVI. Lode alla regina del mondo... ***
Capitolo 17: *** XVII. Ed ora veglio... ***
Capitolo 18: *** XVIII. Consuma con l'ardore... ***



Capitolo 1
*** I. Quale vivente dotato di sensi... ***


I

I.

 

Quale vivente,

dotato di sensi,

non ama tra tutte

le meravigliose parvenze

dello spazio che ampiamente lo circonda,

la più gioiosa, la luce -

coi suoi colori,

coi raggi e con le onde;

la sua soave onnipresenza

di giorno che risveglia?

 

 

Stevan era nato a Kladovo, sulla riva destra del Danubio.

Un posto come un altro per nascere, che non aveva mai tenuto in grande considerazione. Il Danubio blu era l’unica cosa che valesse davvero la pena vedere: era grande come un dio, ed il resto era noia.

Si barcamenava fra la scuola, pochi amici e le partite della domenica. Litigava con sua sorella. Ogni tanto aiutava suo zio in rimessa.

Stevan aveva vissuto sedici anni di luce, prima che arrivasse la notte.

Sedici estati intere, che s’infilavano nei suoi capelli assieme al vento e i semi di pioppo. Aveva i capelli biondi, Stevan, che qualcuno era riuscito a paragonare a campi di grano maturo o qualcosa del genere, guadagnandosi una grande risata in faccia – durante l’adolescenza si riesce ad essere davvero antipatici. Ma i suoi capelli erano veramente biondi. Abbastanza da catturarla tutta, la luce, e sembrare un’aureola calda intorno alla testa quando si sollevavano per il vento e il sole ci batteva contro.

I capelli erano biondi, gli occhi castani, molto scuri, i tratti delicati. Il corpo era magro e svelto. Giocava a calcio e si arrampicava sugli alberi o sui tetti per prendere la palla. Alle ragazze piaceva molto.

Sedici anni di luce piena, nel bene e nel male, tra i libri di scuola e quelli che invece gli piacevano, le urla delle vecchie, mezzo in serbo e mezzo in rumeno, una madre e una sorella sempre in casa.

Stevan viveva la sua vita in una comoda apatia, senza scosse né rivelazioni.

Kladovo era un posto come un altro per nascere, lì, sulla riva destra del Danubio, di faccia alla Romania e i suoi castelli arroccati. O almeno, era così, prima che la stella si risvegliasse.

 

Ci sono centootto stelle che in verità sono demoni. Centootto demoni diversi fra loro.

Sono demoni in esilio, del cielo e della terra, e tutti servono un unico padrone.

Un padrone splendido e terribile, che ogni duecento anni circa va in guerra per una nobile missione.

Rilasciate dal confino, allora, le centootto stelle rinascono sulla Terra.

Il signore la cui destra ha il potere di vita e di morte li ama come figli, ma come figli hanno un onere non da poco: ogni volta liberi, s’incarnano come uomini. Poiché il potente signore li ama, li vuole con sé di vita in vita; poiché essi amano il loro signore, piegano il ginocchio, e si rimettono al giogo dell’umanità. Della sua sofferenza, dei suoi mostruosi limiti. Per amore, si fa.

 

Stevan aveva vissuto sedici anni di luce, e a modo suo l’aveva amata. Ma non passò molto tempo che al giorno si sostituì la notte, e la notte fu amata con molta più feroce passione, anche nel versare il sangue. Allora, quando il suo signore alzò la destra, e il suo cosmo esplose, capì tutto: Kladovo, la notte, il sangue che aveva versato. Era il destino della sua stella. Il suo demone era il Vampiro.

 

 

 

 

 

 

Un paio di avvisi, prima di dirvi qualsiasi altra cosa. Avvisi a cui tengo.

 

- Questa storia è spectre-centrica, e io sono un saint di Athena. Non sarà facile. E immergermici sarà grosso, molto grosso. Dovrò chiudere gli occhi e farmi risucchiare dal buio. Sarà pesante.

- Questa storia ha al suo centro un personaggio originale. È la prima volta che punto così tanto su un personaggio originale: questa storia sarà solo su di lui. Interverranno personaggi che conoscete, ma sarà perlopiù giocata in solitaria, perché è una storia molto solitaria. La riuscita per me sarebbe nel caso in cui voi vi affezionaste abbastanza a questo personaggio da desiderare di seguirlo comunque. A quel punto, direi che avrei raggiunto il mio scopo e ne sarei molto felice. Se no, pazienza.

- Questa storia racconta dello spectre di Vampire, ed oggi esce Eclipse al cinema. Non lo trovate tremendo? Io sì. O__o;

 

I capitoli si articoleranno in una o più flashfic (101-500 parole). Le flashfic sono ispirate dal primo “Inno alla notte” di Novalis, un poeta tedesco romantico dal nome impronunciabile che ha fatto bene a trovarsi uno pseudonimo e che ha scritto questa tamarrata dark che non potevo non sfruttare: seguo la poesia passo passo, ed ogni gruppo di versi darà forma al capitolo. Sarò brava, lo giuro.

 

 

…e in realtà ho finito.

Finisco spucciando i miei goldies.

Chi studia, chi scrive, son tutti qua.

E mi amano! E io amo loro! çOç

 

…E su Stevan non sono imparziali, quindi commentate pure spietatamente voi.

 

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Capitolo 2
*** II. Come la più profonda anima della vita... ***


I

II.

 

Come la più profonda

anima della vita

la respira il mondo gigantesco

delle insonni costellazioni –

e nel suo flutto azzurro

nuota danzando.

 

 

La prima volta che lo vide fu su un libro. Un libro di mitologia greca, illustrato: una storia per pagina, un bel quadro accanto, e così ogni volta che sfogliava, scorrendo avanti e indietro.

Il libro era di sua sorella e lui l’aveva ritirato fuori dall’armadio ora che seguiva un piccolo corso di latino, il pomeriggio, di quelli messi a disposizione l’ultimo anno prima della licenza media. Una pagliacciata, insomma. Un’oretta di ripetizione meccanica di declinazioni e versioni adattate per pivelli come loro. Si passava il tempo.

Leggeva. Cominciava cercando nomi e riferimenti in cui incappava, per poi distrarsi e passare a leggere tutto quello che c’era di meno attinente, finendo per perdere tempo. Successe così. Sfogliando il suo libro per una versione di cui non gli tornava la storia, aveva visto un’illustrazione a tutta pagina che gli aveva rapito il cuore.

 

Ade si era innamorato di Persefone, la bella figlia di Demetra, dea dei campi, e la rapì sul suo carro. Demetra sentì da lontano il grido della figlia, ma quando arrivò la fanciulla era già sprofondata sottoterra.

Chiese a tutti notizie e le ottenne da Elios, il Sole, che aveva visto tutto.

“Non disperarti”, le disse. “Ora Persefone, sia pure nel mondo sotterraneo, è una regina.”

 

Recitò alle sue amiche, agitando le mani in maniera teatrale, e aspettandosi urletti estasiati, dichiarazioni sconvolgenti e magari qualche svenimento. Invece una rise, l’altra lo ignorò e la terza replicò che conosceva già la storia. Stevan le dardeggiò con gli occhi scuri, offeso, e tenne loro il muso per ben due giorni. Al terzo giorno, come secondo le scritture, Anica gli saltò addosso mentre usciva da scuola, lo coprì di baci e gli promise di farsi rapire e portare sottoterra in un futuro molto prossimo. Stevan, che si era già dimenticato di tutta la faccenda, ne rimase alquanto sconvolto.

Venne ricondotto in seno al gruppetto con un conciliante: “Perché non ci racconti come va a finire?”

Replicò con un antipatico: “Perché non ve lo leggete da sole?”

Poi raccontò.

 

Ma Demetra non si dava pace e Zeus fu costretto ad intervenire. Mandò Ermes perché chiedesse ad Ade di restituire Persefone. E subito il dio dei morti acconsentì, ma prima fece assaggiare a Persefone una melagrana: era infatti destino che chi avesse assaggiato cibo nel regno dei morti dovesse tornarvi. Così Demetra ebbe vicino la figlia per tre stagioni, durante la quali la terra rifioriva. Nella quarta, l’inverno, Persefone tornava presso lo sposo, che aveva imparato ad amare.

 

Le ragazze risero bonariamente di lui: era così facile farlo contento. Pace fatta, dita intrecciate, bacini sulle guance, qualche parolaccia sguaiata – che era l’età in cui se ne imparava una al giorno e poi si sventolava come uno stendardo – e la promessa di fugonare il corso di latino sul divano davanti a un film. Tutti e quattro. Le ragazze si scambiavano sguardi e risolini e lui aveva ancora la testa persa a domandarsi come sarebbe stato, assaggiare la melagrana del mondo dei morti.

 

 

La respira la pietra scintillante,

che posa in eterno,

la pianta sensitiva che risucchia,

l'animale multiforme,

selvaggio e ardente.

 

 

C’era qualcosa, nell’aria. Qualcosa che non aveva necessariamente a che fare con il fare pace su un divano davanti a un film, e nemmeno con i sussurri nelle orecchie che erano seguiti. O forse sì.

Aveva smesso di interessarsi presto alle ragazze, nonostante i baci al sapore di caramella e zucchero filato. Si era stufato tanto che le aveva abbandonate ai loro giochi nell’angolo verde del cortile della scuola, si era tagliato dal polso i braccialetti di corde colorate intrecciate e aveva smesso di masticare gomme. Una cosa alla volta. E adesso usciva la sera con Denis.

Quindici anni erano pochi per uscire di sera con chi guidava la macchina e spingeva forte sull’acceleratore, schiacciandoti lo stomaco ad ogni curva troppo stretta. Ma Denis ci sapeva fare, e a quindici anni non stai a fare critiche sulla guida dei maggiorenni.

Stevo, smonto” aveva detto quel pomeriggio. “Andiamo, vuoi?”

“Sì”, aveva risposto lui, buttandosi in fretta la giacca sulla spalla prima che Mila sentisse che stava uscendo. E così avevano rombato fuori città alla ricerca di qualche posto sperduto dove fare benzina alla macchina, aspettare la sera e trovare un locale dove bere una birra. Denis, non Stevan: Stevan i suoi quindici anni li dimostrava tutti, e anche a mentire sull’età non gli avrebbe creduto nessuno.

“Allora, che hai fatto di bello a scuola, oggi?” ridacchiò Denis quando ebbe ottenuto la sua birra, e fece per sedersi, districandosi nel groviglio di sedie. Stevan storse la bocca, ma rispose.

“Ci stiamo preparando per gli esami.”

Di già gli esami? Ma quanti anni è che hai? Tredici? Quattordici?”

A quello sbuffò. Denis rise, evidentemente soddisfatto di dargliela a bere tutte le volte. Stevan, al contrario, si offendeva immensamente; ma poi usciva con lui ogni volta che glielo chiedeva.

Siccome Denis lavorava nella rimessa di suo zio, lo vedeva tutti i giorni uscire sullo stesso marciapiede di casa sua, sempre nero di morchia, le mani, le braccia, persino il collo e la faccia. E anche stupidamente imbrattato a quella maniera, trovava sempre il modo di rivolgergli un sorriso da lupo e lanciargli una qualche battuta idiota mentre lo vedeva andare a scuola o fare ritorno. Poi rideva. Ma era evidentemente la sua maniera di fargli capire che gli stava simpatico, se poi veniva a prenderlo quasi tutti i pomeriggi per scappare fuori da Kladovo: viaggiavano a vuoto e si perdevano nei paesi da cui si vedeva il Danubio tanto lento da sembrare fermo come un lago. Quasi sempre era Denis a parlare, raccontandogli dei fattacci suoi; Stevan stava docile ad ascoltare, oppure si distraeva e pensava agli affari propri, senza dimenticarsi di annuire ogni tanto.

 

 

Ma più di tutti

il maestoso viandante

con gli occhi pieni di profondi sensi,

col passo leggero, e con le labbra

ricche di suoni

dolcemente socchiuse.

 

 

“Hai poco da ridere” diceva ora Denis, ridacchiando alticcio mentre lo faceva smontare dalla macchina, finalmente a casa – mezzanotte e mezza, e luci gialle a illuminare l’asfalto. “Non faresti quella faccia davanti a un travestito.”

Uhmmm, no” strascicò Stevan, per tutta risposta, annoiato. Si appoggiò alla portiera, dopo averla richiusa. Aveva sonno. “Ma tu esageri.”

“Esagero… perché, a te piacerebbe baciare un maschio, eh?”

“Non credo ci siano sostanziali differenze, sai.”

Denis rise, schiacciandolo contro la portiera, in un goffo tentativo di fargli prendere paura con un finto approccio seduttivo. Stevan sorrise come un santo, lo attirò da dietro la nuca e lo baciò.

Denis mugolò perplesso, incespicò in avanti, sbilanciato, però gli affondò la lingua in bocca.

Per un bel po’.

 

Aveva smesso di interessarsi presto alle ragazze, nonostante i baci al sapore di caramella e zucchero filato. Si era stufato tanto che le aveva abbandonate ai loro giochi nell’angolo verde del cortile della scuola, si era tagliato dal polso i braccialetti di corde colorate intrecciate e aveva smesso di masticare gomme. Solo sapori forti, aveva deciso, che lo zucchero adesso gli dava un po’ la nausea.

Sfogliando il suo libro per una versione di cui non gli tornava la storia, aveva visto un’illustrazione a tutta pagina che gli aveva rapito il cuore. Un dio potente e bellissimo spaccava il terreno in un crepaccio profondo, emergendo come un mostro dalla terra per ghermire una giovane e inerme fanciulla. Il ratto di Persefone. Stevan rimase incantato a guardarlo per minuti. E non per Persefone.

Seguì con interesse le linee del braccio di Hades, il dio, del suo fisico possente piegato nel turbine del vento del cocchio in corsa. Era nero, neri gli occhi penetranti, la barba sul mento, i capelli che si attorcigliavano in riccioli selvaggi sulla nuca.

Gli ricordò Denis, scuro di pelle e di capelli, sempre nero di morchia, che usciva sul marciapiede apposta per lanciargli battute idiote mentre lo vedeva andare a scuola.

Solo che Denis non era neppure lontanamente così seducente.

 

Indugiò un po’ troppo. E infatti si ritrasse imbarazzato.

“E va bene, hai vinto tu.”

“C’era una scommessa?”

“Sai, se non ti conoscessi bene direi che sei frocio.”

Stevan sorrise.

Non si sprecò a rispondere.

“Non dirlo a tua sorella o tuo zio mi licenzia.”

“No.”

“Ciao, a domani.”

“Ciao.”

 

 

 

 

 

 

Sì, Denis è il motivo per cui c’è l’avviso shonen ai. Non solo, in realtà: i vampiri sono creature ambigue. Non potete aspettarvi che sessualità ambigua. Ecco.

Grazie per la bella accoglienza riservata a Stevan! <3 Per l’occasione, il secondo capitolo sono tre flashfic una in fila all’altra per darvi qualcosa di più consistente. Un bacio e un grazie a chi ha messo la fanfic tra le seguite (yeee) o addirittura tra le preferite (grazie per la fiducia! <3).

 

LeFleurDuMal: Sì, hai ragione, stanno conquistando il mondo, e su di lui non possiamo contare perché spamma gotico ovunque posi lo sguardo. Riporteremo la luce, è una promessa! *POSA KURUMADIANA* Grazie per i preziosi incoraggiamenti, tesoro. Ti saranno riconosciuti i contributi, tu-sai-quando. <3

Beat: Ti sono grata per la fiducia, carissima. <3 Spero di poterti ricompensare a dovere! E se così non sarà… ti corromperò con una pecora! °C° (mi rendo conto che, all’esterno, dovremmo sembrare delle perfette spostate. Oh beh. Tieni stretta la tua pecora. Ci becchiamo dopo. è *allunga e scappa*)

Kiki May: Grazie, grazie e grazie, come sempre. Dilla tutta fino in fondo: anche tu allora hai un attaccamento affettivo alla figura del vampiro, se mi sobbalzi così! Io ce l’ho! È una figura che mi è molto cara. Per questo c’è Stevan e per questo ho pubblicato il primo capitolo il giorno in cui usciva Eclipse. A spregio. Tiè. è_é;

Shinji: Io e te assieme popoleremo questa landa viola! *inserire musichetta drammatica qui* …no, dai. Però abbiamo un ottimo comitato accoglienza nel Meikai. Ed è già un punto di partenza. Grazie per il commento, o nostro venerabile pioniere nella caratterizzazione degli OC spectre! *O* *ignorerà tutti gli altri, sì*

Kijomi: Gucci. Fattene una ragione. La Serbia è uscita alle qualificazioni. Lo so che è brutto, lo so che ci speravamo tutti (?), ma è così. Vieni qui, fatti abbracciare. È una bellissima recensione. Grazie anche per il conteggio di generazione OC. Mi fai sentire una persona amata. (e rassegnati: non sfuggirai mai alla maledizione dei biondi. MAI.)

Ribrib20: Ti ringrazio tantissimo! <3 Spero di non deluderti. Punterò molto sull’atmosfera, perché purtroppo per una certa parte di storia l’universo canonico di Saint Seiya sarà un po’ fuori dalla narrazione, quindi… insomma, spero di coinvolgere comunque. Tu fammi sapere, mi raccomando! :D Un bacino! (sì, la poesia è una figata. Ottocenteschissima, ci si perde dentro, però è molto suggestiva! *O*)

 

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Capitolo 3
*** III. Quale regina della natura terrestre... ***


I

III.

 

Quale regina

della natura terrestre

chiama ogni forza

a mutamenti innumerevoli,

annoda e scioglie vincoli infiniti,

avvolge ogni essere terrestre

con la sua immagine celeste.

 

 

Stevan correva senza tirare il fiato, nell’alba fredda.

Tagliò tutto il prato in discesa tanto forte che rischiò di cadere. Saltò la staccionata come un gatto, sfregando bruscamente le mani contro il legno scheggiato. Si fermò quando dovette mangiare un gemito di dolore, e cadde sulle ginocchia perché era senza fiato e i palmi bruciavano come tizzoni.

Appoggiò la schiena al tronco di un albero e respirò forte. Fuori e dentro, fuori e dentro, il sangue che batteva forte e ritmico contro le tempie, nei palmi rossi, pulsando e gonfiando la brutta puntura di un chiodo sporgente. Deglutì a forza e si rialzò traballando. Quando arrivò a casa non rientrò dalla finestra, come era uscito. Abbassò la maniglia della porta due e tre volte, cozzando contro il catenaccio chiuso, e il rumore buttò giù sua nonna dal letto, che gli aprì maledicendolo, e lo maledisse un’altra volta quando scoppiò a piangere. Poi lo costrinse a sedere al tavolo della cucina, e gli medicò le mani.

 

Non ricordava più perché era uscito alle cinque di mattina. Forse per capriccio, forse per fantasia, forse per qualcosa di cui si vergognava a parlare. Fatto sta che subì le scenate peggiori per questo, più che per quello che poi raccontò: una volta sola, perché poi imparò la lezione e tacque.

Non conosceva abbastanza bene il paesello di sua nonna per sapere dove stesse andando, per cui non si era sorpreso quando si era reso conto di avere raggiunto il cimitero, vecchio e scalcinato. Si era sorpreso invece quando due uomini erano entrati nel camposanto, e con loro una zappa ancora imbrattata di fango e un palo di legno. Lo fecero dando un calcio ai cardini di una porticina seminascosta da un castagno vecchio come il cucco, che non avrebbe dovuto essere lì perché un giorno le sue radici avrebbero divelto il muro. Stevan ci si arrampicò per vedere cosa succedeva.

Tra le foglie vide una tomba scoperchiata, una donna morta, e una vecchia viva, che bisbigliava a voce troppo bassa. Poi vide che il palo di legno in mano a uno degli uomini aveva una punta acuminata, e che ora stava premendo proprio contro il seno sgonfio della donna che giaceva nella tomba. Sembrava solo consunta e addormentata.

Allora la vecchia alzò la voce e cercò di trattenere con un’artigliata il braccio dell’uomo. Stevan distinse poche parole in rumeno e capì non due, non tre, ma uno. Così, l’uomo assestò un colpo ben forte e trafisse il cadavere una volta sola.

Sangue uscì a sprazzi neri e densi dalla bocca della morta, e si sentì come un grido.

Calò la zappa a decapitarla. Smorzò e spense il grido e aggiunse il sangue al fango.

Stevan schizzò giù dall’albero e corse lontano.

 

 

La sua sola presenza manifesta

il meraviglioso splendore

dei reami del mondo.

 

 

Il vampiro è una figura molto antica, molto più di quanto si creda. Ed appartiene ad ogni terra. Non è il conte Dracula di Transilvania. Il vampiro esiste da quando i vivi portano offerte alle tombe.

Se i vivi si sentono in dovere di placare i propri morti, vuole dire che li temono. Temono che disperati per la propria infelicità cerchino ad ogni costo di tornare. Temono che tornino reclamando il sangue perché il sangue è la vita.

 

“Sì” disse Stevan di Vampire tanto tempo dopo, quando le sue dita erano già state rivestite della surplice nera come il sangue della morta. “Sì, so che cosa senti. Ma non posso dartelo.”

Sbatté le palpebre una, due volte. Sorrise placidamente e fu gentilissimo nel dirlo.

Gli anni di notte gli avevano chiesto tributi sanguinosi, e lo avevano addolcito.

Il suolo arido non batté colpo, eppure vibrava impercettibilmente. La terra che tratteneva i morti era potente. I vivi facevano bene a temerli.

“Il sangue che ho bevuto” sussurrò piano. “Non posso dartelo.”

“Stevan.”

Al richiamo si voltò, senza cambiare espressione. Accolse l’uomo che avanzava sulla spianata con un profondo inchino. Ebbe in cambio un sorriso sottile, che non vide, gli occhi bassi.

“Preparati, è ora.”

“Sì, Lord Aiacos.”

Smise di parlare con l’ombra proiettata nel suolo. C’era un’ombra dalle sembianze poco umane, e priva di proprietario. Un ombra che serpeggiava debolmente. Un’ombra che conosceva i tributi di sangue, come lui.

“È stato condotto un attacco imprevisto, mentre noi generali ci trovavamo alla Giudecca. Molti uomini hanno già perso la vita. Io e Minos ci dirigiamo in aiuto di Rhadamanthys.

“Sì, signore.”

“Stai in guardia.”

Assentì un’ultima volta, prima di raddrizzarsi. Cercò con lo sguardo a terra, ma non vide più nulla.

 

Il vampiro è una figura molto antica, molto più di quanto si creda. Ed appartiene ad ogni terra. Non è il conte Dracula di Transilvania. Tuttavia era proprio lì, da dove veniva Stevan, più o meno, che la gente non dimenticava tanto facilmente. Nei paesi più piccoli, dove convivevano i distributori automatici di sigarette e le streghe del villaggio, ancora si appendevano crocefissi alla porta e ai morti si piantavano pali nel cuore, perché non ritornassero a chiedere il sangue ai vivi.

Lo sapeva bene la vecchia rumena, che bisogna uccidere con un colpo solo, o svegli il morto.

Lo sapeva bene Stevan. E l’ombra si dissolse. 

 

 

 

 

 

Due flashfic, a questo turno. Per questo capitolo sono stata tentata di mettere addirittura rating rosso, ma poi mi sono convinta che non era il caso. I contenuti sono lievemente disturbanti, mi rendo conto, ma non mi pare di aver ecceduto in descrizioni grafiche eccetera. Insomma, nel caso mi venisse segnalato provvederò. Intanto, comparsata di un personaggio canonico molto amato. <3 Eh, sì, proprio lui, la garudina. Non vedo l’ora di farlo ritornare, anche se purtroppo sarà un bel po’ avanti. Ma intanto sono felice che ci sia! ç^ç

 

Kiki May: In realtà il tuo commento chilometrico l’ho adorato, e quasi quasi ti sfido a superarti, ghghgh. Per il resto, che dire: tutti grazie, due bacini sulle guance, e tanta tanta comprensione. Buffy non l’ho mai visto, ma dicono che valga. Tuailait va cassato dalla storia del genere. Il vampiro sì, è una creatura profondamente ctonia, e per questo calcherò moltissimo sull’atmosfera terrigna e da mondo “al di là”. Ce provo, almeno. Per cui sarà tutto oscurissimo e goticissimo, spero nella giusta misura. Gh, Denis è stata una parentesi-trampolino, secondo me. Ma ci vogliono anche quelle, sìsì. <3

Ribrib20: Oooh! Ma sì, ma sì, non devi prenderlo per shonen ai! Cioè, sì. Ma per il mero motivo, appunto, che trattandosi di una creatura così l’ambiguità sessuale è d’ordinanza, quindi è bene segnalarlo, ecco. La poesia è la stessa che ho precisato nel primo capitolo… è un inno molto lungo che ho spezzettato tutto perché ogni passo mi facesse da apertura a ogni capitolo! È stato un lavoro perverso ma sono soddisfatta, ghgh. Grazie ancora per i complimenti! >O<

 Beat: *pettina la pecorella verde* Questo è molto interessante. Io devo ancora vederlo, Eclipse! Di solito vado al cinema per urlare il mio sdegno, ma ho paura di non riuscire a fare in tempo. È che ci devo andare accompagnata o la sala non si diverte. Mah. Grazie per le belle parole, comunque, e anche per l’apprezzamento su Stev. Lui lì sta. Dategli amore. uOu <3

 

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Capitolo 4
*** IV. Da lei mi distolgo e mi volgo... ***


I

IV.

 

Da lei mi distolgo e mi volgo

verso la sacra, ineffabile

misteriosa notte.

 

 

Golubac e le torri sul Danubio.

Denis aveva protestato, perché Golubac era lontana, non era quel viaggio che potevi fare di pomeriggio di paese in paese, aspettando la sera per una birra. Andare a Golubac era cambiare città, due ore per andare e due ore per tornare, benzina nella macchina, quattro ore di superstrada che non finiva più. Questa volta, però, ce l’aveva fatta e si era fatto portare.

Le vecchie mormoravano mezzo in serbo e mezzo in rumeno, basso, aspro e cattivo, e facevano gli scongiuri e il segno della croce se avevi addosso una maglietta dei Black Sabbath.

Ma Golubac era la fortezza sui libri di scuola, e voleva dire alte torri che nascevano dall’acqua e più in alto dagli alberi per proiettarsi nel cielo, e ora le vedeva: affondavano nel cielo nero come inchiostro.

“Te l’ho detto che avremmo fatto tardi. Dai, torniamo a casa.”

Era splendida.

Di giorno si specchiava nel Danubio, e i turisti pranzavano nei bei ristoranti per compiacersi delle sue linee imponenti, del cielo azzurro, dei boschi scuri, una cartolina arrivata da lontano.

Di notte era sua.

Stevo? Dai, andiamo. Stevo, guarda che non puoi entrare. Ehi!”

“Non possiamo?”

“No, di notte no, sei scemo?”

Ma di notte è ancora più bella.”

“Facile fare lo splendido, quando manco l’hai vista di giorno. Dai, su. Andiamo.”

Stevan, prima di farsi riprendere, girò tutt’attorno alla fortezza, senza fermarsi un attimo. Denis era esasperato, ma alla fine rinunciò e si mise ad aspettarlo in strada. Stevan proseguì, invece. Per quasi un’ora.

La notte era nera e faceva paura, e lui c’era dentro.

Forse era l’umidità, forse il buio, ad appesantirgli le mani.

L’aria era densa, e lui c’era dentro.

Sentì un rumore.

“Denis?”

Denis aspettava in strada.

Stevan lasciò gli occhi sulle torri, e a malincuore lo raggiunse.

 

Sognò molte volte le torri proiettate nel cielo. Era notte e il nero del cielo era il fondo di caffè che dall’alto scorreva per le scanalature dei mattoni, facendo confondere i contorni, inghiottendo le fessure delle feritoie e le arcate delle finestre antiche: dov’era la torre, dov’era la notte?

 

Il rumore che aveva sentito era un fruscio dolce, per niente minaccioso; e sì che quella notte faceva paura, il Danubio fermo come se fosse un lago, le litanie indistinguibili delle vecchie, l’aria densa d’acqua. Denis aspettava in strada, e Stevan non sapeva che cos’era. Probabilmente non era niente.

Oppure era il motivo per cui si svegliava con il cuore che batteva forte e qualcosa, dentro di lui, come se pulsasse per essere liberata. E di notte non era mai bello.

 

 

 

 

 

Si ritorna alla vita di Stevan e al percorso verso il risveglio. Dovremo aspettare ancora a lungo per tornare nel Meikai… però intanto una capatina ce l’abbiamo fatta. Teniamo duro nel Nero! <3

 

Ribrib20: Ti ringrazio, ti ringrazio, ti ringrazio, oddio, non so sa dove cominciare per ribattere, anche perché sono tutti complimenti! Come faccio? Me li prendo e basta, ecco! *C* Con grande gratitudine, perché, accidenti, non potevo uscirne più soddisfatta di così! <3 Sono contenta che ti stia appassionando! Per i pochi commenti, ho visto una ola incredibile solo al nominare Rhadamanthys, comunque. E dire che manco entra in scena – e non c’entrerà. Siete una orda di fan girl impazzite. Vi voglio bene. XDDD

Beat: Mi regali delle pecore vampiro! Oddio, che onore! Le coccolerò e vorrò loro bene e le porterò a spasso ogni notte! *O* Grazie mille, tesoro. All’atmosfera ci tengo tanto, quindi qualsiasi commento a riguardo è giubilo! Ti ringrazio e ti abbraccio!

Kiki May: Io pubblico. Tu non farti scrupoli. Quando torni trovi gli aggiornamenti. Allora però vorrò commenti lunghi e dettagliati, muwahahahah… no, davvero, cara, sei una soddisfazione impagabile. Buffy me l’hanno già consigliata spassionatamente, e quando potrò recupererò tutto, mi fido. Nel mentre, continuo la mia personale lotta pro vampiri seri. Aw, sono lieta del fatto che Stev acchiappi le signorine. <3 Ha un certo successo fra le ragazze. Bah, quando uno è biondo è biondo, c’è poco da fare. ù_ù

 

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Capitolo 5
*** V. Lontano giace il mondo... ***


I

V.

 

Lontano giace il mondo -

perso in un abisso profondo -

la sua dimora è squallida e deserta.

Malinconia profonda

fa vibrare le corde del mio petto.

 

 

Prima una volta, suggestionato dalle torri di Golubac. Poi capitò sempre più di frequente, e sempre dopo lo stesso identico sogno – il nero che rincorreva e inghiottiva tutto.

Dopo un mese, Stevan si svegliava tutte le notti di soprassalto, scosso non dagli incubi, ma da qualcosa di molto più potente che pulsava all’altezza dello sterno. Non era il cuore, che batteva impazzito contro la cassa toracica. Non era il cuore. Era qualcosa di molto più viscerale. Batteva nella pancia, sincopato, interno come l’anima e forte come un richiamo.

Cominciò a provare assieme nostalgia e paura della notte. Paura perché di quel pulsare aveva paura davvero: faceva sogni colmi di buio, e svegliarsi ogni volta era emergere a prendere fiato, talmente forte che faceva dubitare di avere rischiato di soffocare nel sonno.

La nostalgia, invece, era un sentimento molto più complesso.

Il mondo sotto il sole aveva assunto toni opachi, sbiaditi.

Si sorprese più di una volta a considerare che nel buio gli sembrava di vedere meglio che sotto la luce del sole, sempre uguale a sé stessa. Non vedeva più il rosa dell’alba, l’oro del mezzogiorno, il rosso della sera: era un’unica, vuota luminescenza, che accendendosi o spegnendosi lentamente ingannava l’occhio delle più vagheggianti fantasie. Non era così, di notte.

 

“Lo senti anche tu, Gheorghe?”

La creatura lo sillabò così piano che pareva non aver mosso neppure le labbra. Chi le stava di fianco sollevò a malapena lo sguardo, incantato in un punto nero molto lontano da entrambi. Quando rispose, fu addirittura con delicatezza maggiore, trasognato: “Sì.

“Non è uno di noi. Che cos’è che sento, allora?”

“Non lo so.”

Era notte e il battito forte dentro Stevan si propagava muto nell’aria.

Era un mese che le creature, di notte in notte, lo seguivano. Ora erano vicini.

Lo ascoltavano scuotere dolcemente gli aghi fruscianti dei pecci, sulle montagne.

 

Stevan aveva vissuto sedici anni di luce, prima che arrivasse la notte.

Era riuscito a passare gli esami e ottenere la licenza media. Si era iscritto ad una scuola superiore che non aveva ancora deciso se gli piaceva o no. Intanto, si era fatto uno sparuto gruppetto di amici – maschi, che con le ragazze ci giocava da quando aveva due anni e cominciava a stufarsi. Gli era cambiata la voce, che era sempre stata un po’ troppo profonda per il faccino delicato: si abbassò ulteriormente, senza che ci potesse fare niente. Giocava a calcetto tutte le domeniche. E si svegliava tutte le notti, ignaro che quel pulsare contro lo stomaco fosse veramente un richiamo.

Una stella demoniaca, assieme a tante altre, aveva cominciato a rombare e ruggire dietro il suo sigillo. Ci sarebbero voluti altri quattro anni perché si liberasse: ma era abbastanza forte da attirare al suo proprietario creature molto più antiche di quanto lui immaginasse. Così, in anticipo sui tempi, furono i vampiri a venire a lui.

 

 

 

 

 

La storia s’invola verso lidi tutti suoi, e all’orizzonte si stagliano personaggi che ben poco s’intrecciano con Saint Seiya, adesso. Se l’atmosfera sovrannaturale vi ha acchiappato, potrebbe interessarvi seguire Stevan adesso, perché sta veramente per succedergli di tutto. E purtroppo gli tocca. Che Hades gliela mandi buona.

 

Beat: *assume la posa della giffina a cipolla che EFP non possiede, e comincia ad ondeggiare crogiolandosi nei complimenti* <3

Ribrib20: Quasi una schermata di commento. Tu non hai idea di come stai gonfiando il mio ego. Non ne hai idea. È tremendo. Mi prendo tutte le pecore, e le distribuisco come Hades comanda. Sono così contenta che ti stia piacendo, mi fa ben sperare anche nel seguito: più si va avanti e più ci addentriamo nella notte, e non sarà facile tenere il passo. Ma oooh, che soddisfazioni mi sto prendendo nello scatenare con questa fic una micro sommossa pro vampiri veri! *C* Questo fatto mi riempie di gioia. Riscatto ai vampiri! I vampiri veri! Quelli belli! Quelli seri! Quelli letterariamente validi! QUELLI CARINISSIMI! *WARNING: autrice reduce dal Dracula di Coppola, potrebbe lanciarsi in gesti convulsi come sguanciottare il Vlad a morte* çOOOOOç

 


Un ringraziamento a parte anche a Ruri, che non commenta, ma che so bene che segue, e a cui una riga la dedico perché su Stevan si è sorbita i peggio spoiler, i peggio deliri e i peggio pettegolezzi in macchina al ritorno da Gardaland e oltre. Grazie, Rurina, per la pazienza! XD <3 Attendo con amore Tu Sai Chi per ricambiare con tutto il cuoricino! E un grazie di dovere anche ai soliti sospetti, Shinji, LeFleurDuMal e Kijomi, se no si offendono, ma soprattutto perché vogliono bene a Stevino, e a queste ultime due in particolare perché di recente mi stanno aiutando tanto a farlo diventare sempre più completo. A tutti e tre un bacio in bocca. è_é

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Capitolo 6
*** VI. Voglio precipitare... ***


I

VI.

 

Voglio precipitare

in gocce di rugiada

e mescolarmi con la cenere.

 

 

La notte era più nera che mai, sui Carpazi, quella sera che persino le nuvole coprivano la luna. Se ci fossero stati spettatori svegli a quell’ora, a quell’altitudine, avrebbero rabbrividito all’immagine di un uomo e di una donna che marciavano l’uno accanto all’altro con occhi di gatto, sulle sterpi picchiettate di neve. I loro vestiti vecchi e scuri non erano adatti ad una notte così fredda, eppure procedevano senza fermarsi, in una processione solitaria.

“Ormai è vicino” disse la donna che non era una donna, la fronte liscia, gli occhi di vetro. “Lo senti, Gheorghe? Che cos’è?”

“È il battito del Sangue” sussurrò lui, porgendole la mano. Attese che venisse afferrata, e una volta che lei si fu sollevata le gonne, rivelando pesanti scarponi, la guidò più in alto. “Sei sicura che non sia un altro Immortale?”

Un passo ancora, e si stagliò tra i monti, polveroso come un eroe ottocentesco uscito da un vecchio libro in soffitta. Subito con lui, il guizzo più rapido e potente della donna. Ed ella chiuse gli occhi, lasciando che il vento le battesse forte addosso, e portasse l’odore del Sangue: “Ti sembra un altro Immortale?”

“No. Non del tutto. Ma allora cosa?”

“Un altro di noi? Più debole degli altri?”

“Ci siamo posti troppo a lungo queste domande, Iulia. Andiamo a vedere.”

“Siamo quasi arrivati. Dì agli altri di rimanere.” Lo disse naturalmente, senza esitare, e senza nemmeno distogliere lo sguardo dalla valle. “Andremo solo io e te. Tanto…”

Si leccò le labbra, un sorriso serpentino, eccitato e velenoso.

“Avranno paura. Non vorranno attraversare il Danubio.”

Gheorghe annuì. Si sporse indietro, animalesco, scoprì le fauci e mandò un sibilo senza voce, che pure rimbombò tra le montagne, come un alito di vento. Restò in ascolto, per un po’. E infine tornò a girarsi verso di lei, con innaturale garbo: “Andiamo, mia cara.”

 

Attraversarono il Danubio, varcando il confine quella stessa notte.

Penetrarono in città, camminando veloci e nascosti fra le ombre delle case, sgusciando tra le luci artificiali. Iulia precedeva il compagno di un passo appena, ma era come se procedessero affiancati.

“Di qua” si faceva visibilmente più frenetica, mano a mano che si avvicinavano. “Senti. Senti!”

“Lo sento” mormorò lui, poco rassicurato. “Sii cauta.”

“Credi che possa farci del male? È questo che credi? Io sento che mi chiama.”

Veloce, afferrò la mano di lui, quando sentì la fonte delle pulsazioni al di là di un muro. Traballò quasi, e non perché fosse così potente, ma per l’eccitazione di averla trovata. Si espandeva ora forte, ora debole. Regolare, come il battito del sangue.

“Di là” Gheorghe la prese delicatamente alla vita, protettivo. “Siamo vicini.”

Iulia si paralizzò sul marciapiede, di fronte ad un edificio uguale a tanti altri. La notte era troppo fonda perché vi fosse un gran numero di passanti, ma per i pochi nottambuli o ubriachi s’immobilizzò per minuti interi, e nessuno la vide, né lei né il suo compagno. Il primo movimento che fece, stretta a lui, fu di sollevare lentamente lo sguardo, in cerca di una finestra. Tese il collo e il corpo la seguì, girando l’angolo, lenta e felina.

Gheorghe intravide il riflesso opaco del vetro, al secondo piano, quando il richiamo si era fatto ormai ingestibile: al riparo da sguardi indiscreti, appoggiò una mano sul muro. L’altra più in alto. E di nuovo la prima, più in alto ancora, e con gli occhi che ridevano si stava già arrampicando sul muro, senza nemmeno accorgersene. Da sotto di lui, sottovoce, un mugolio entusiasta, sorpreso e rapito.

Salì e sedette sul davanzale. Un Peter Pan oscuro venuto a rubarti l’ombra.

Stevan dormiva, anche se male. Dormiva e si muoveva, contratto; e ai suoi movimenti Iulia fremeva e spasimava, e sciolta e scattante si arrampicò su per la parete, per raggiungere il compagno. Voleva vedere, voleva assolutamente vedere. Gheorghe la prese, un dito sulle labbra, in un gesto molto umano.

“È un mortale.”

“È un mortale…” In un tono strano, esagerato, contenuto a stento, reclinò il viso. Cantilenò, come una madre intenta a dondolare la culla: “Oooh…”

Gheorghe allungò la mano, proiettando l’ombra sulla parete, e quell’ombra accarezzò il capo di Stevan, che si svegliò di soprassalto. Iulia sorrise con amore e con superbia: era un mortale. Non solo non avrebbe potuto fare loro del male. Potevano prenderselo.

Lei lo pensò e lui lo fece. Aprì la finestra e lo prese tra le braccia senz’alcun bisogno di immobilizzarlo.

Lo guardò negli occhi. E basta. Stevan ricadde con le mani inerti, la bocca semichiusa.

Capelli neri, quasi grigi, incorniciavano in onde il viso spettrale che lo fissava.

E il suo sguardo di vampiro.

 

Avrebbe imparato a riconoscere quello sguardo. Lo sguardo dolce che induce a pensare che non esista niente al di fuori di esso, che il mondo non è che un pallido riflesso delle meraviglie che si possono trovare in quegli occhi immortali.

 

Sentì una mano fredda come la morte carezzargli il viso e girargli il capo, distogliendolo da quegli occhi. Vide un volto di donna bellissimo, che lo guardava intensamente, rivolgendolo verso di sé. La sentì sussurrare estasiata, ma non a lui.

“Oh, sì.”

Era improvvisamente debole e malleabile. Era sveglio e addormentato.

Era una marionetta di legno pesante. Non riusciva a parlare.

E non aveva nemmeno paura.

“Andiamo.”
“Andiamo, mia cara.” 

 

 

 

 

Angolo pro Immortali: avete appena visto due vampiri. Creature della notte, predatori nell’ombra. Sono affascinanti e sensuali, ma altresì potenti e letali, crudeli, e soprattutto dispensatori di morte. Non vanno a scuola, come avete visto. E se continuerete a leggere, e vi affiderete a me, io solennemente qui vi prometto una cosa: non ci andranno mai. In Rucci you can trust. Un ringraziamento speciale e sottobanco a LeFleurDuMal, alla quale dobbiamo la polverosa presenza di Gheorghe. Prima che lei mi ispirasse, non era altrettanto grigio e affascinante. <3

 

Ho sforato dai limiti imposti dalla flashfic: le cinquecento parole sono state ampiamente sorpassate. Ma non potevo permettermi di tagliare su questo momento, che i versi da cui sono partita mi hanno messo tantissimo in mood (come avrete capito, sono anche quelli che hanno ispirato il bannerino dello spazio commenti, infatti).

 

 

Beat: Sei troppo carina. Ti ritiro le guanciotte indietro. *C* Non avere timore di tirarle anche a Stevan: è stato severamente educato negli anni a venire, non si azzarderebbe mai a mordere. Aiacos li vuole tutti addestrati, ben tenuti e col pelo lucido. (???)

Kiki May: Credo che sia importantissimo tornare alle origini, e penso che anche tu ne intuisci le ragioni, con tutta questa marea di reazioni entusiaste (che mi apre il cuore, per inciso çOç): il vampiro rappresenta una parte troppo ctonia e sotterranea di noi per non farlo affondare nelle origini. Più andiamo avanti, più evolviamo, il vampiro si adatta a vivere nel mondo (alcuni più di altri, che restano primitivi), e questi adattamenti sono interessantissimi (Anne Rice è maestra in questo, neanche a dirlo) ma non cambia. Non può cambiare, nasce dai nostri istinti e i nostri istinti sono quelli di quando siamo stati creati. Perciò trovo veramente sciocco farsi abbagliare da scenari moderni e esotici e trascurare questi pozzi d’ispirazione come l’Europa dell’Est, proprio lì, a un passo dai Balcani, dalla culla della civiltà! Da dove credono sia arrivato tutto questo ambaradan? FHOLLIH! *C* …E infine, puoi baciarmi in bocca, quando mi avrai a portata. è_é *si vende*

 

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Capitolo 7
*** VII. Lontananze della memoria... ***


I

VII.

 

Lontananze della memoria,

desideri di gioventù,

sogni dell'infanzia,

brevi gioie e vane speranze

di tutta la lunga vita

vengono in vesti grigie,

come nebbie della sera

quando il sole è tramontato.

 

 

Il tributo di sangue. Parte prima.

Tra le braccia dei vampiri sperimentò la velocità come non l’aveva mai osata immaginare. In pochi minuti lasciò la città per il Danubio, e il Danubio per altre città, e dalle città risalì per i boschi. Sulle montagne si accorse che il viaggio era durato a lungo, ma le creature non si stancavano. Non gli fu concesso, tuttavia, di avere paura: ogni volta che un tremito era sul nascere, c’era il braccio di ferro di Gheorghe a stringerlo, e i suoi occhi a dardeggiare quieti nei suoi. Allora si sentiva come un bambino cullato dalla madre, senza un solo problema al mondo che valesse la pena di affrontare. Fu così sino alle grotte buie, in cui altri attendevano.

 

Il tributo di sangue. Parte seconda.

I loro sguardi dardeggiarono nel buio in un modo che la paura stavolta serpeggiò netta e forte, perché anche senza ancora osare capire che cosa fossero c’era l’istinto di trovarsi davanti ad un branco di lupi, che si sarebbero gettati su di lui per farlo a brandelli. Invece Iulia strinse entrambi i suoi polsi e con voce roca urlò che era suo, l’aveva trovato ed ora era suo, e nessuno gliel’avrebbe tolto. Rise folle di gioia e lo guardò così fisso, nel buio della cava, che Stevan dimenticò tutta la sua infanzia e tutto quello che era stato. Poi, inaspettatamente, fu gettato all’indietro, fra altre braccia, che lo ghermirono senza lasciarlo più.

 

Il tributo di sangue. Parte terza.

Siccome Gheorghe era il compagno, il secondo, il braccio destro di Iulia, a lui fu dato, e lui gli alzò il mento e reclinò il viso, guardandolo con la tenerezza di chi già ti ama e ti ha aspettato a lungo. Quello più di ogni altro gli strozzò la voce in gola, e ancora non era riuscito a parlare: ma presto sentì sul collo il respiro freddo di chi ha lasciato la vita da secoli, e d’un colpo con i canini affilati di mostro Gheorghe gli recise le vene e il cuore. Fu doloroso e orribile, due fili metallici dritti dentro la pelle, che aspiravano il sangue a fiotti e aprivano gorghi nella testa. Poi venne il languore. Sentì forti le sue mani sulle spalle e smarrì sé stesso sino al punto di riuscire a distinguere un singolo battito del proprio cuore serpeggiare lungo le vene, scosse, per venire sorbito dalle sue labbra. Fu un orgasmo lentissimo.

 

Il tributo di sangue. Parte quarta.

Era già spossato quando cadde sulle ginocchia, gli occhi pieni di Gheorghe, di pioggia sui laghi e sui ponti di un secolo prima. Sentì dolore ai polsi, all’avambraccio scoperto, sentì i morsi del branco di lupi. Al di là di tutti, il volto di donna che l’aveva rapito alla finestra, e che non faceva altro che sorridere e contemplare. Forse pensò di morire. Lo pensò sicuramente, quando il dolore fu troppo e su laghi e ponti calò il nero. Sbatté la testa a terra e non sentì più nulla.

 

 

 

 

…poveraccio.

*NON SA CHE ALTRO COMMENTARE*

 

 

LeFleurDuMal: Iniezione di autostima pura. Ho già gnaulato con te quando mi hai commentato tutti i capitoli in stecca, e senza che neanche te l’avessi chiesto. Ma ho riletto tutte le recensioni. E ancora. Mi hai mandata in sovraccarico. Non so davvero che dire. Fingerò di essere stupida. Pigna.

Shinji: Ma le fusa vanno benissimo. È Milo quello che tiene il broncio se non commenti, e più per farsi fare le coccole che per altro. È sibillino. ù_ù Comunque le recensioni non si buttano via, ora sono un po’ più felice. <3 Sì, andiamo tutti assieme nella notte vellutata! E abbracciamo le creaturine che vi si celano! …quando non hanno fame! BORIS!

beat: Devi-devi-devi, la Rice ti piacerebbe tantissimo! Intanto che reperisci lei, guarda qua. Guarda come sono scuri, cupi e affamati. Guarda come mangiano. E niente: speriamo in bene, per il resto, povera creatura. Il prossimo capitolo spiegherà meglio alcune cose in merito a quello che è capitato a Stevan… attendiamo fiduciosi. >*<

ribrib20: Il mio ego sta benissimo: continua! Continua! Di più! *CCC* Scherzi a parte, grazie come sempre per l’entusiasmo, sono così felice di aver toccato un tema che a quando pareva aveva bisogno di una spolverata. Mi sono impegnata! E tutto s’intreccerà, davvero, con il nostro Signore Oscuro preferito. Non per nulla, l’aura di morte è sempre presente, anzi, ci stiamo sotterrando tutti quanti, qua dentro. Gh.

Kiki May: In Stevan, invece, pulsa la forza oscura del sangue. Stevan è un vampiro, prima che per poteri immortali, per essenza: hai colto benissimo, fidati. Tanto che il cuoricino mi si è allargato. Sicuramente tutto il vampirismo che riguarda Stevan di per sé è simbolico: attratto, senza veramente deciderlo né prenderne bene coscienza, passa alla notte e ne viene divorato (letteralmente, a questo punto). Non è una scelta volontaria, ma non è neppure un presentimento di ciò che avverrà: si tratta soltanto di sprofondare fino in fondo, di allargare le braccia prima di abbracciare. Adesso vieni con me, nascondiamoci sotto una coperta e attendiamo il Nero Potere.

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Capitolo 8
*** VIII. In altri spazi... ***


I

VIII.

 

In altri spazi

piantò la luce le festose tende.

Mai più ritornerà

ai suoi figli che l'attendono

con fede d'innocenti?

 

 

Ci sono centootto stelle che in verità sono demoni. Centootto demoni diversi fra loro.

Sono Stelle del Cielo e Stelle della Terra. Quella di Stevan era Chisyu Sei, la Stella della Terra Prigioniera, e in prigionia ci passò gli anni, Stevan, dove tutto era buio. Nel buio imparò a muoversi, per quel poco che poteva muoversi. Nel buio tutto comprese e tutto, inevitabilmente, dimenticò.

Il tempo che passava si faceva sentire in due modi: nelle dita, sempre più magre, e nei capelli, sempre più lunghi. Arrivarono ad attorcigliarsi sino alle scapole, attorno alle spalle che adesso sporgevano, aguzze, mentre il torace si restringeva. Due odori nelle narici: terra e ferro.

Dimagrì molto. Mangiava quando poteva, quando si ricordavano di nutrirlo, con il cibo che tornava assieme a loro dalla caccia, in involti macchiati di sangue – ma aveva poca importanza.

Si fece esangue, pallido, debole. Spesso stentava a reggersi in piedi. Ma era vivo. Sempre.

Doveva la sua vita a Iulia, che sul clan di vampiri aveva il comando, e che lo preservò dalla pazzia e dalla morte. Lei lo prese sotto la sua ala come una madre e come un’amante, e gli sussurrava dolcezze inaudite ogni volta che prendeva il suo sangue. Lo mordeva forte e beveva come da un calice, e lo proteggeva dalle zanne avide degli altri, che troppo spesso avrebbero bevuto sino a strappargli la vita. Tranne Gheorghe.

Gheorghe non aveva mai abbandonato quello sguardo romantico e lontano, gli occhi che erano due monete d’argento, brillanti di luce che riflette solo se stessa. Stevan cominciò a cercare lui più degli altri, più di Iulia, che lo amava con quella tenerezza strana e grottesca. Le carezze di Iulia erano fredde, e così erano le braccia di Gheorghe, che non offrivano più conforto di una lapide; ma se il suo destino era la prigionia, allora voleva scegliere di chi essere prigioniero, e aggrapparsi alla sua giacca consunta, nel buio, alla luce fioca della candela che accendeva per illuminare minuscole pagine quasi decomposte di piccoli libri da tasca. Fu in quegli occhi di morto che vide la luce. Era la luce con cui il vampiro ammaliava le sue vittime, e lui. La luce dei morti, la chiamava.

 

“Gheorghe.” Era strano risentire la propria voce dopo tanto tempo. Era cambiata ancora. Ed era stentata. “Perché sono qui?”

Gheorghe non sorrise, non sbatté le palpebre, ma il suo sguardo cambiò. Rispose, lento.

“Hai la luce dei morti, dentro di te.”

Non era possibile capire se fosse più duro o meno: non si penetra oltre le iridi brillanti come monete d'argento. Ma dalla sua immobilità parlò, con strana intensità.

“E nessuno di noi, nemmeno Iulia, sa perché.”

 

 

 

Aiacos di Garuda aprì gli occhi.

Non più come uomo, ma come Generale.

Aprì e schiuse le dita, flettendole con attenzione.

Non mosse un muscolo del volto, ma nel sangue rombava come una corrente di fiume il ruggire delle stelle malefiche che, dietro il sigillo di Goro-ho, palpitavano, pronte ad esplodere.

“Aiacos.” Lo apostrofò una voce cavernosa. “Sei in ritardo.”

“Poco male” rispose senza fretta lui. “C’è ancora tempo.”

Rhadamanthys tacque, imperturbabile, raddrizzando impercettibilmente le spalle, come a riprendere i ranghi. L’uomo che era al suo fianco si limitò ad un sorriso senza allegria, candido e sottile. Quando parlò, lo fece come il vento, insinuando una corrente fredda nella stanza:

“Non così tanto. Sento il sigillo di Athena tremare.”

“Non solo il sigillo, Minos.”

Aiacos sorrise, richiudendo gli occhi, e si beò nuovamente di quella sensazione. Percepì il proprio Cosmo alzarsi fiero, spiegare le ali in volo in un’ascesa da levare il fiato, abbandonarlo miglia e miglia sopra la sua testa, e scatenare irrefrenabili tremiti nelle stelle ancora recluse. Riconobbe i suoi: le stelle che rabbrividirono con violenza e gioia nel sentirsi sfiorati.

“Non solo il sigillo” cantilenò paziente Minos, Primo Giudice Infernale. Aveva pazientato molto, d’altro canto. Oltre duecento anni. Ora le sue dita erano pronte a muovere nuovi burattini.

Rhadamanthys taceva, rendendo ancora più grave l’aria pesante dell’Inferno. Per lui, al contrario, la Guerra era tutto meno che un gioco.

Aiacos li osservò, sogghignò e non proferì parola. Il suo Cosmo si ritirò come lingue di fuoco, difficile da domare, ora che aveva assaggiato l’altitudine e la vastità, e il fermento dei propri uomini. Richiuse i pugni, e si preparò ad aspettare: uno alla volta, sarebbero arrivati tutti.

 

 

 

La luce dei defunti… Molto tempo fa c'era una creatura che ne era piena, eppure non ne veniva toccata. La sua carne era tiepida e i suoi sorrisi trepidi, senza traccia di morte. Anche il suo cuore era caldo; però, in sé, serbava la gelida fiamma.

Questa creatura non sapeva della sua luce nascosta, eppure di tanto in tanto si sentiva attratta dalla notte, come lo sono i gatti. E questa creatura era ingenua: non sapeva difendersi dalla notte che amava, né dagli asfodeli, i fiori dei morti, che si chinava a raccogliere. Quando chiuse la mano su uno dei fiori letali, la terra si aprì sotto di lei: attratta dalla notte, aveva attratto l'ombra più oscura a sé.

Quando metti gli occhi su qualcosa, Stevan, quel qualcosa sente. E mette gli occhi su di te.”

La voce cantilenante e cupa di Gheorghe l’aveva accompagnato quasi una notte intera. Era strano, invece, risentire la propria, dopo tanto tempo. Era cambiata ancora. Era tremante e apatica al tempo stesso. La esalò come un respiro:

“Diventerò come voi?”

Gheorghe lo guardò come lo guardava sempre.

Una statua. Molto bella. Molto morta.

“No, Stevan. Hai la stessa luce dei morti. Ma sei vivo.”

 

 

 

 

Doppia flashfic. Ho sforato, ma al diavolo. Eccoci qua. Piano piano, ci stiamo riallacciando al nostro filone preferito, con delle comparsate di tutto rispetto. E quando non ci sono questi grandi uomini, a riempire la scena, c’è Gheorghe, e scusate se è poco. Sono molto felice del successo che sta avendo. È un sex symbol oscuro. E infatti, Stevan, che è biondo ma non scemo, ci si attacca a cozza. Ho cercato di dirlo in maniera più poetica e carina, ma tant’è. E poi?

 

 

Shinji: Dove altro li possiamo trovare, dolore e bellezza? Se non nell’Amore, nella Morte. Di questo cantano tutti i più esimi tra quelli che hanno fatto un salto sulla terra e tra gli uomini, e si sa, è storia vecchia, ma non fa mai male ricordarlo. Gli spectre come dici bene hanno una posizione privilegiata, così a fianco alla Morte, e non si spreca un’occasione così. Ti bacio, tesoro. Mi scrivi cose tanto carine. Adesso vengo a darti le coccole.

LeFleurDuMal: Hai ragione, sono proprio la pazzia bella. Sono belli perché sono scatenati e selvaggi e non li ferma niente, e per quei cammei che hanno fatto sono contenta di loro. Grazie per i complimenti e per tutto il sostegno. Stevan lo sai che se la cava. Però fagli le coccole che è un momento difficile.

Kiki May: Invece è un bellissimo commento! éOè Hai ragionissima dappertutto! È un connubio che va spesso a braccetto così creature, ultraterrene, la distorsione dell’amore (ultra-, anche questo, dunque, in un certo senso). È un tema che ho assorbito credo dalla Rice (scusa se continuo a citarla, ma è evidentemente il mio guru XD) ma che è ben presente a tutti gli intellettuali che hanno scritto a riguardo, se pur inconsciamente: tutti i sentimenti, in quanto sovrannaturali, sono amplificati, distorti, grotteschi. E ci fanno tanta paura, sì! çOç Persino Gheorghe nella sua sexiaggine decisamente pericolosa!

beat: Ma io le amo, continuah! Si vive di complimenti! Si va avanti coi complimenti! E poi scusa, mi hai fatto i cuoricini! Sono contenta che i miei vampiri ti piacciano. Guarda, ce n’è una bella dose, qua, condita da Discorsi Tenebrosi. Stavolta ho strafatto! XD

ribrib20: Mah, ti dirò, non sei monotona, mi comunichi delle reazioni veramente intense che sono manna per lo scrittore: capisco sempre di aver fatto centro e gonfio le piume. E poi oh, Stevan ha così tanto bisogno d’amore, guardalo, incantucciato in quel bucaccio. Insomma, sono solo contenta se la mia creaturina viene amata! Vuol dire che sa emozionare anche lui, eh, nonostante non sia un grande agente: è un tipo di personaggio molto passivo, che subisce i fatti più di scatenarli, e non è sempre facile renderlo gradito: qualcuno di più “attivo” coinvolge maggiormente il lettore. Bella sfida, insomma. Quindi, fidati, son commenti preziosi. ;)

Clayre: Ah! Tu! Tu! So chi sei! E ti voglio bene! *O* *le recensioni rendono felice uno scrittore!* L’unica è che adesso non riesco a rispondere tutto, oddio vado in panico. Stevan è contento dei complimenti. È un maschietto, li accoglie sempre con piacere e allarga le spalle mentre nessuno lo guarda. Austero e inarrivabile, forse, per lui, è il complimento massimo. Fidati. Vuole apparire così. L’hai reso felice. Per il resto, per la campagna pro vampiri seri, senti, non me ne capacito: non credevo di scatenare tanto ma le reazioni a questa fic mi scaldano il cuore. Grazie, grazie, grazie. Tu un mojito, io un cocoritonjdfkjsbfdfhadfsb *MUORE*

 

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Capitolo 9
*** IX. Che cosa ad un tratto zampilla... ***


I

IX.

 

Che cosa a un tratto zampilla

grondante di presagi

sotto il cuore

e inghiottisce la molle brezza

della malinconia?

Da noi derivi a tua volta piacere,

o buia notte?

 

 

All’inizio fu un palpito solamente.

Erano anni che la stella palpitava, viva e pronta al risveglio. Erano anni che chiamava Stevan e i vampiri battendo ritmica e regolare come un tamburo in lontananza. Quando venne il momento del Risveglio, però, l’intera notte e le creature che l’abitavano seppero distinguerne con assoluta certezza il primo palpito.

A notte fonda, nei Carpazi, il vento cessò di battere all’improvviso.

Dalle quiete profondità della terra batté un colpo. Uno soltanto.

Svegliati.

Stevan aprì gli occhi.

Svegliati, adorato.

Piegò e distese le dita, che scrocchiarono.

Svegliati e vieni a me.

Le creature si voltarono verso di lui contemporaneamente, come il meccanismo perfetto di un orologio, e Stevan vide nel buio come mai aveva visto prima. Quattro monete d’argento, nella cava di pietra: due soli erano rimasti, quella notte, mentre gli altri erano a caccia. Stevan non ebbe il tempo di riconoscerli: il suo corpo deflagrò.

 

Le stelle.

Erano tantissime.

Aprì di più gli occhi per vederle meglio, chiuse e fletté le dita a turni, scrocchiando.

Le stelle erano tantissime, una miriade di vetri infranti a precipizio sulla sua testa.

Se ne stette lì a lungo, in piedi sul terreno aspro all’imboccatura della dolina. Il vento batteva freddo, incollando la stoffa, vischiosa, alla sua pelle.

Era coperto di sangue, lo sentiva appesantire i vestiti, strisciare contro la sua pelle, gocciolare dalle mani, pizzicargli le labbra. Ma ancora non guardava. Le stelle erano tantissime.

Quando ebbe respirato abbastanza aria pulita, chiuse gli occhi ed inspirò a fondo, muovendo piano le dita. Saggiò la consistenza del sangue, che scorreva lento, impregnando le linee della sua mano, e lo immaginò nero sotto la luce della luna. Piegò le gambe, sedendosi con infinita lentezza sui talloni: il suo corpo gli rispondeva perfettamente, eretto e poi piegato, teso e duro, un grosso felino pietrificato in attesa del balzo. Era il Cosmo che aveva arso, spinto dal vento furioso che spazzava le pianure di Dite, gli era bruciato nelle vene spalancando abissi colmi di luce nera. Aprì gli occhi, stendendo le braccia magre, e osservò: il Cosmo e il Sangue l’avevano sanato. Non avrebbe più rischiato di morire. Le ferite erano chiuse. Non era più il ragazzino morente rinchiuso nella dolina, tra i mostri. Non lo era più, fatta eccezione per quelle labili cicatrici, bianche come le stelle sparse a scia sopra di lui. Allora, quando le vide, tremò e si risvegliò.

Era con tre cadaveri, con occhi spenti da secoli.

La donna smembrata in due parti, abbandonata come una bambola. L’uomo il collo squarciato, martoriato da artigli di belva. Stevan riconobbe Iulia e Gheorghe, e sfiatò.

Il terzo cadavere era un ragazzino: stava in piedi, e lo guardava.

Ricambiò lo sguardo, e quello sorrise. Sorrideva come il diavolo.

Allora Stevan capì che il suo Signore avrebbe dovuto attendere ancora.

 

 

 

 

 

Capitolo perno, che ho faticato a scrivere, ma è venuto per fortuna come desideravo venisse. Cruento, ma non patetico. Ineluttabile. Necessario.

Il Risveglio di uno spectre, è una cosa su cui vado ragionando da mesi, e ho provato a descriverne almeno uno. Almeno una parte. Poi chissà che non ci sia tempo, in futuro, per esplorare meglio questo momento rituale così forte. Io e i miei colleghi stiamo meditando. Sappiatelo.

 

beat: Oddio, come ho fatto bene a fare il cammeo dei tre giganti. Sono sempre altamente significativi. Sì, li anche io tutti e tre, anche se mi fanno paura nella loro nerezza (specialmente Minos. Sì, Minos è uno spiffero dalla finestra vivente o_o). Sono particolarmente contenta, abituata a trattare Rhadamanthys nella BDT e Minos in Gamlehaugen di avere un poco di spazio in un’altra fic anche per Aiacos! È troppo un figo.

Shinji: Credo che ci voglia un dio ed anche un baaar: eh, sì, l’Inferno è lì che ci aspetta tutti, e alla fine finirà tutto lì, ovviamente. È giusto che i tre signori facciano da apriporte, così non ce lo dimentichiamo. Per la scelta della Stella, sì, ci ho messo un po’, ma alla fine sono soddisfatta! è_é <3 Bacioli a te!

LeFleurDuMal: Sì, sì. Tutto tuo. *spolver* Eh, sì, so che è un’operazione malvagia quella di lasciare tracciati tanti sentieri. Ma un po’ l’economia della storia non me lo permette: già il velo della morte cala sui vampiri dei Carpazi e non ne ho detto un centesimo. In un certo senso, la storia vuole che sia così, quindi non me ne lamento. Ma oddio,l’ipotesi che hai paventato è spaventosa: un seguito. Uno spin off. Cielo. Come mi rammaricherei a doverlo scrivere. Guarda, guarda come mi consumo dalla sofferenza! *C* <3

Ayako_Chan: Io ti ringrazio, mi genufletto e non rispondo punto per punto perché ormai sarebbe una risposta datata, ma sono così contenta che tu abbia recensito! Le atmosfere della Rice mi hanno fatto molto più che da ispirazione, è un’autrice che ho praticamente interiorizzato, quindi se un’altra estimatrice la riconosce, beh, vuol dir tanto. Sull’analogia in particolare che hai colto con Armand non mi pronuncio. Non posso pronunciarmi, in particolare, dopo le ultime tre righe che ho scritto in chiusura capitolo. Tieniti forte, davvero. oltre qui ci sono i mostri.

ribrib20: Oddio inizialmente avevo pubblicato senza la risposta al tuo commento, siccome è stato aggiunto al primo capitolo non me n'ero mica accorta subito! *O* Rimedio! Io sono molto, molto contenta di quello che riesco a suscitarti con questa storia, perché sento che l'apprezzi davvero e questo mi rende molto orgogliosa. l'unico problema è che ho paura che cercherai di uccidermi dopo questo capitolo. Quindi corro a nascondermi dietro una lanosa pecorella! *C*;

Clayre: Sì! Sì! Facciamogliela vedere, alle sanguisughe vegetariane! E ti dirò di più: questo capitolo l’ho scritto dopo l’aberrante lettura de “Il diario del vampiro”, edito a metà degli anni novanta, ma popolare di recente perché ne stanno traendo un telefilm (migliore del libro, mi dicono). Sai cosa significa rivalutare Twilight, seppure per pochi, smarriti secondi? No? Bene. Non c’è una goccia di dannatissimo sangue per tutto il tempo: solo descrizioni dell’abbigliamento della protagonista e seghe mentali del vampiro, Stefan, che veste Armani e che è quasi omonimo del mio. Non ci ho visto più e ho fatto scorrere il sangue a fiumi. Era già in scaletta, ma mi ha dato particolare soddisfazione. E che diamine.

Kiki May: Spero che il panino fosse buono. *^* Non temere di cogliere analogie, guarda, nessuna è quasi mai campata in aria. Spesso può capitare di estrarne di sconosciute all’autore, che però sono filtrate inconsciamente (non si è mai consapevoli al 100% di tutto quello che si scrive, insomma), è raro che con una sensibilità da lettore “ferrato” si sbagli. In questo caso l’analogia con le monete (tra l’altro non venuta da me, me l’ha ispirata Milo) era voluta, ma poteva essere anche solo un bel paragone. Grazie per il tuo amore per Stevan. Grazie. lo si vede, e lo si vede anche dal fatto che è penetrato nella tua fase REMjsksdjdk (finita la fanart del magico RAINBOW mi adopererò per la tua! <3 *C*)

 

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Capitolo 10
*** X. Quale cosa tu porti sotto il manto... ***


I

X.


Quale cosa tu porti sotto il manto
che con forza invisibile
mi penetra nell'anima?
Delizioso balsamo
stilla dalla tua mano,
dal mazzo di papaveri.
Le gravi ali dell'anima tu innalzi.



Il giudice posò piede nel lago di sangue e si disse che in nessuna maniera poteva esistere una creatura più veloce di lui, che dei tre Generali era il più rapido, a meno che quei morti viventi non corressero come se avessero tutti i demoni dell’Inferno alle calcagna.
Ed effettivamente nessun altro paragone sarebbe stato altrettanto calzante.
Il piede inguainato della surplice tracciò un breve semicerchio, sollevando uno scroscio scuro, e batté ripetutamente contro il braccio di uno dei due cadaveri, duro come il marmo. Erano morti, definitivamente, e non c’era dubbio per mano di chi. Del suo uomo, però, nessuna traccia.
Uscì dal pantano dritto come un re, lasciandosi alle spalle la carneficina, tra i denti un’imprecazione che fece trasalire il ragazzo alle sue spalle: si era tenuto lontano, lo sguardo assente di fronte ai morti. Fu come risvegliarsi.
Aiacos si voltò, con la calma compassata di chi ha già preso una decisione.
“Etvart, mi hai detto. Non è vero?”
“Sì, signore.”
“Siamo arrivati tardi. Andiamocene.”
Era pallida, quella creatura, forse per la luce della luna, ma il suo sguardo era duro. Annuì subito, alle sue parole, appena troppo in fretta.
Aiacos passò oltre, facendosi seguire senza nemmeno bisogno di ordinarlo.
“Dove andiamo, signore?”
“Oltre. Non posso permettermi di lanciarmi all’inseguimento: ci sono altri, come te, che si sono appena risvegliati. Non posso lasciarli a se stessi.” Uno sguardo in tralice indietro, verso la morte silenziosa e gelida nella valle. “Vampire troverà la strada da solo.”
Sempre che fosse in grado di trovarla, pensò, poco prima di espandere il cosmo come una fiamma nera.
Il Risveglio per la maggior parte di loro era atroce, ma c’erano ben poche cose in grado di distogliere gli uomini di Hades dal loro compito. Se Vampire si era allontanato, di certo non l’aveva fatto sua sponte.
D’altro canto, non c’erano molte alternative: affari più urgenti richiedevano la sua presenza, e non avrebbe rischiato se non per il suo braccio destro, il suo luogotenente o il suo maggiore. Chi si smarriva lungo la via avrebbe trovato la strada. O avrebbe atteso ancora, finché non ci sarebbe stato modo di rintracciarlo.
Un’altra occhiata in tralice, senza farsi vedere, ad Etvart, la cui surplice attendeva nelle cavità degli Inferi. Per ora, l’unica chiazza scura che lo rivestiva era il sangue sulle mani pallide, e forse tremanti. Gli strinse la spalla, senza una parola, e lo trasse con sé. Le priorità erano le priorità.
“Andiamo.”








Fare questo capitolo dal punto di vista di Aiacos è stato bello, per tirare un po' di fili, e poi è stato anche doveroso, da un certo punto di vista: riemergo di recente dalla lettura del volumi del Lost Canvas a lui dedicati, e del Next Dimension, nel quale la Garuda ha un ruolo decisamente sopra le righe. Il capitolo l'ho scritto prima di procurarmi entrambi, quindi nasce indipendentemente; ma, vuoi il caso, sono contenta di pubblicarlo dopo, che sia chiaro a quale linea di pensiero aderisco. Come noterete, qui i sottoposti non bruciano: vengono trattati col giusto riguardo, senza troppe smancerie, ma con una certa coscienza di causa, avvalorata da ragioni ben precise. Senza contare che, parlando di un giudice millenario quale Eaco, deputato ad amministrare la giustizia ultraterrena, direi che la questione sanità mentale dovrebbe essere fuori discussione. Per il sadismo aggratis, andate a chiedere a Minos, al massimo. Lui, per hobby, è ben felice di esercitare: guarda caso, però, sul nemico e non suoi propri uomini, in linea di massima. Mossa alquanto controproducente.
Scusate il panegerico, vi lascio con amore, l'interrogativo di dove caspita sarà finito il biondo inzaccherato di sangue, e la mia gioia per una comparsata che spero riconoscerete: Etvart è un personaggio (touché) del Lost Canvas, per cui coviamo in segreto la speranza di dare un posticino decente e pieno d'amore! <3 (magari non qua, che non è la fanfic giusta, ma si vedrà!) Baci e abbracci!

Purtroppo a questo turno non ho il tempo di ringraziarvi tutti uno ad uno, ma ci tenevo comunque a lasciarvi un capitolo e ringraziarvi per le bellissime recensioni! Shinji, Beat, Kiki, Calliope, Ayako, e Rinrin: mi commuovete sempre e trovo bellissimo il modo in cui interpretate anche le più piccole sfumature di quello che scrivo, e l'amore che vi dedicate. Prometto che al prossimo capitolo risponderò come si deve. Per ora contentatevi dell'apparizione dell'idolo delle folle, so che lo aspettavate tutti ed eccolo qua! Gli autografi li firma dopo, è un generale impegnato. Ma per fortuna che c'è lui! Ah! Alla prossima! ;O; <3

 

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Capitolo 11
*** XI. Noi ci sentiamo oscuramente... ***


I

XI.


Noi ci sentiamo oscuramente
e ineffabilmente turbati -
con gioioso spavento
vedo un volto severo
che su di me si china
dolce e devoto
e svela tra i riccioli
senza fine intrecciati
la cara giovinezza della madre.



Quando Stevan aveva guardato in quegli occhi, nella valle, aveva percepito una sola cosa: amami.
Amami
, dicevano. E null’altro. Erano di un castano profondo, più chiari dei suoi, ma dolci e suadenti come l’abisso. Ambra e miele, l’immobilità della notte. E centinaia di storie che non voleva raccontare. Amami, e le fiamme dell’Inferno erano così tiepide.

Stevan.”
“Sì.”
“Avvicinati.”
“Sì.”
“Sai chi sono?”
“No.”
Un sorriso.
“Sono la Morte in ogni luogo, e ti ho sentito. Ti ho sentito dare la morte a chi non può morire, e sono venuto a prenderti. Ma forse non ti ucciderò.”

Aveva seguito quello sguardo e nulla più era esistito, il tempo si era fermato, lo spazio dilatato. Poche ore dopo era a Belgrado. Senza che l’avesse chiesto si era ritrovato lavato e rivestito. Gli erano stati tagliati i capelli, la barba e le unghie. La sera dopo era a Parigi. Due sere dopo, in Florida.
Nessuna grotta, niente più terra e sangue: adesso c’erano le luci della città, impazzite, frenetiche, il vento forte dell’oceano e il mare a battere sul bagnasciuga. Stevan non aveva mai visto il mare, prima.
Camminavano a fianco nella notte, senza che tra loro scorresse una parola. La Morte in ogni luogo era un vampiro, ma non assomigliava ai mostri che erano venuti a strapparlo dal letto. Era etereo, splendente, e gli faceva molta più paura. Ai suoi occhi era una statua, un dipinto, perso nelle nebbie del tempo, un cherubino spaventoso nella sua perfezione, bianche le mani e grandi gli occhi, emerso in un soffio dall’affresco di una chiesa. Non aveva domandato il perché della sua presenza, ma lui aveva indovinato il suo nome, e non gli aveva detto il proprio.
Era più basso di lui, una bambola dai boccoli ramati, sicuro e innocente al suo braccio, nella folla rumorosa delle strade più trafficate. Stevan aveva dalla sua un potere molto più antico, esploso dalle mani degli dèi al tempo in cui ancora camminavano sulla Terra, ma era giovane e mortale. L’eterno ragazzino era vecchio, vecchissimo. Non gli aveva detto il motivo per cui lo aveva preso con sé e non voleva farlo: avrebbe potuto annoiarsi presto. Conosceva il suo nome, mentre Stevan non sapeva il suo. Era più esperto. Era più forte. Era un Maestro.
Non aveva dimenticato chi era, Stevan. Lo sguardo di quell’essere antico lo aveva soggiogato per attirarlo a sé, ma non gli aveva fatto dimenticare nulla. Sapeva che avrebbe dovuto essere al fianco di un altro uomo, per cui a volte provava una nostalgia senza nome. Desiderava espandere il Cosmo per trovarlo, ma allora il Maestro se ne sarebbe accorto, e lo avrebbe trovato abbastanza interessante per staccargli la testa.

Quegli occhi. La seduzione e l’illusione.
La loro crudeltà innocente.
Vieni con me.”
Li aveva seguiti soggiogato dal suo potere, e quando l’aveva compreso, ormai lontano, il mare nelle scarpe, aveva capito che desiderava impadronirsene. Così decise di rimanere al suo fianco.
Ancora per un po’.







Questo Maestro è una persona (?) davvero spaventosa. Speriamo che Aiacos arrivi presto. Nel frattempo Stevan si fa un master di Studi Vampirici. Scommetto che lo invidiate tutti moltissimo!

beat: Oh, come ti ringrazio, Beat! Sei una consolazione! éOè Ma guarda, ti dirò che devo spezzare una lancia a favore del Saint del Bicchiere (hsbdhjsdbksjfbjksf *AD AIACOS PIACE QUEST'ELEMENTO*). Kurumada ci ha dato qualcosa di nuovo senza contraddire sé stesso, cosa che la Teshirogi purtroppo fa ogni tre inquadrature. Senza contare che tra Calore Umano e Psycho Burn My Soldiers la scelta a casa mia si fa abbastanza facile. Ma magari ne parliamo meglio nel forum. Intanto questo Aiacos c'è, ed è tutto vostro, davvero. è_é
Shinji: Coraggio, Hades-sama, ti infondiamo viola Cosmo! Combatti!
Kiki May: Ma guarda, non lo so, bisognerebbe chiederlo alla Garuda. Avrà corrotto i cameraman che riprendano solo il suo lato migliore? Non credo, è gente a posto che fa il suo lavoro. Senti, non possiamo farci niente. Andiamo avanti e accettiamo la cosa..
Ayako_chan: Eccolo, per ricompensarti dalle tue fatiche, Lui. Malvagio come sempre. Io sono davvero in brodo di giuggiole per i complimenti che mi fate su Aiacos, perché penso che veramente se li meriti a prescindere da me. Poi io lo descrivo, credo, anche, in parte, influenzata dallo sguardo del sottoposto qui protagonista. E percepisco questo rapporto, sebbene nato molto più indietro, come qualcosa di affine al vassallaggio: questi soldati sono pur sempre legati allo stesso generale da millenni, anche se non hanno memoria delle vite precedenti. Deve esserci della componente personale, oltre che militare (e per questo l'Aiacos del Lost Canvas mi ha fatto un po' incacchiare, era totalmente a caso. é_è Ecco).
ribrib20: Perdo l'orsetto di gomma, ma Aiacos deve stare attento a non perdere i vestiti mentre passa vicino a voi. Ragazze, contegno! u_u Stevan è appena tornato e si è ritrovato in una situazione alquanto interessante. In primis, un bagno. Ne aveva tanto bisogno. Adesso lo seguiamo in America, dove per fortuna resterà per poco: la Guerra è incombente e meglio la Guerra dell'America! ò_ò

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Capitolo 12
*** XII. Come infantile e povera... ***


I

XII.


Come infantile e povera
mi sembra ora la luce -
come grato e benedetto
l'addio del giorno.




Di notte il mare era una lunga trapunta nera, che sciabordava lenta e forte sulla spiaggia. Ne vedeva ogni riflesso, la schiuma blu che tratteneva nella risacca sabbia, involucri di plastica, conchiglie, legni e lattine vuote. Stevan ci affondava le scarpe di vernice, le mani in tasca, guardando davanti verso il niente, la città alle spalle.
Era strano il pensiero di piangere, di poter piangere, adesso che nel suo corpo scorreva un potere da guerriero antico. Sapeva che presto avrebbe rivestito un’armatura con cui confondersi nella notte, che la sua ombra si sarebbe allargata, e che se il Signor Hades gliel’avesse concesso avrebbe falciato tutte le vite che ora brulicavano alle sue spalle, sino a lasciare la città vuota e spenta come un teatro abbandonato. Per questo era strano, il pensiero di piangere, che pungeva insistente mentre voltava pagine su pagine, tanto piccole da poter rimanere ingabbiate nelle mani, che il vento non le strappasse.

Ella splendida incede, come notte
Di limpido immenso e cieli di stelle,
E tutto il meglio di oscuro e di luce
Negli occhi e nell'aspetto suo rifulge:
Dolce in quel tenero chiarore
Che il cielo nega allo sfarzo del giorno.


Il libro di Gheorghe – una raccolta vecchia e consunta di poesie di quasi due secoli prima – era passato mesi prima alle sue mani senza una spiegazione, dita di marmo che si chiudevano attorno alle sue e uno sguardo impenetrabile da morto di cui non avrebbe mai compreso l’espressione né il significato. Il sangue sui bordi delle pagine era secco.
Avrebbe potuto buttarlo in mare almeno cento volte, ma non lo fece mai. E alla fine non pianse nemmeno.

“Non è strano, se ci pensi” scandì poche ore dopo scrocchiando pigramente le dita, e distolse un attimo lo sguardo dagli occhi della ragazza seduta di fronte a lui nella penombra. Lo rialzò immediatamente e ritrovò il suo, fisso e brillante. “Non dovevo diventare immortale. Non dovevo diventare niente di più di ciò che sono.”
Sorrise, placido, rilassandosi contro lo schienale della sedia. Distanziò e riavvicinò il bicchiere di martini con due dita, pensieroso. Inarcò le sopracciglia, comprensivo, al battito di ciglia di lei.
“Te l’assicuro, sono umano quanto te. Mangio, dormo. Provo desiderio. Ho voglia di piangere. Pensi che gli umani non possano dispensare la morte in nome di Hades?”
Tese il collo, gli occhi fissi nei suoi, scattando lento in avanti. Poté avvertire il respiro di lei fermarsi, impercettibilmente, e poi riprendere a sfiatare dalle labbra socchiuse. Le regalò un altro sorriso, come a ringraziarla, e riprese a parlare:
“Non è contraddittorio. Al contrario, è quanto più di naturale possa essere. Il Signor Hades fa tutto questo per gli uomini: non è giusto che siano gli uomini a servirlo?”
Per la prima volta lei si riscosse, appena. Sillabò qualcosa, sbattendo le palpebre, e riavviandosi distrattamente i capelli dietro le orecchie: “Ah, io…”
Attese.
“Io…”
“Non importa.”
Le sorrise, caldo, e si alzò, interrompendo bruscamente il contatto visivo.
Lei si risvegliò, confusa, e senza ricordo di quel che avevano appena detto.
“Scusami…” farfugliò confusa.
“Non fa niente. Passa una buona serata.”
Sulla soglia del locale, il Maestro lo attendeva. Sorrideva come il diavolo.





E il Master di Studi Vampirici continua...

beat: È che il povero Aiacos appare tanto poco nella serie canonica che poi la gente si sente in diritto di fargli più o meno tutto quel che gli pare... in effetti è difficile, però speriamo di fare un buon lavoro. E sì: anche Stevan è un fanboy di Aiacos. Ferventissimo. Non vedo l'ora di avere per le mani il fatidico incontro, infatti! XDAnche se Stevino tende a fare il fanboy discreto, per me è una soddisfazioneh. u_u
Ruri: Ti ringrazio, tesoro, parole bellissime. Alla faccia di non sapere cosa dire, mi rincuori davvero e non so che dire io. Facciamo che ti mando un bacione grande e ti prometto di più e sempre di più. Giuro.
Kiki May: Io i cannoli li accetterei volentieri. Per il resto facciamo che arrossisco, faccio la brava e pubblico ancora per sentire altri complimenti perché a me i complimenti piacciono tanto. Per il resto, per questa raccolta ci sto mettendo della cura e ogni volta che scrivo sono il più attenta possibile, perciò sono molto contenta che piaccia. Grazie di tutto.


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Capitolo 13
*** XIII. Solo perché la notte distoglie... ***


I

XIII.


Solo perché la notte distoglie
e allontana da te i tuoi fedeli,
tu seminasti per gli spazi immensi
le sfere luminose, ad annunziare
l'onnipotenza tua -
il tuo ritorno -
nel tempo della tua lontananza.




Stevan aveva imparato ad uccidere quella notte, nei Carpazi, quando dentro di sé c'era stato quel boato bello, potente e improvviso: aveva attaccato la sua sinfonia di morte nel silenzio più spesso, come un organo nel vuoto della cattedrale. Allora tutto di lui si era mosso secondo la sua volontà, ma molto più rapidamente, e talvolta l'aveva trascesa. Qualunque barlume di pensiero rimanesse, residuo di un corpo troppo prostrato, era spazzato dall'imperativo più familiare, più antico, più grande del mondo: prendi il sangue, il sangue è la vita. Versa il sangue, e il tuo Signore arriverà.
Adesso se le ricordava, nei sogni, talvolta. Cosa aveva scatenato quel vento indomito.
Le sue mani che non erano più mani, perché troppo potere le pervadeva. Erano solo artigli.
Graffiava nell'aria e l'aria si faceva lama, la lama trapassava la carne e faceva esplodere il sangue dalle vene a terra, la dolce, nera terra.
Versa il sangue, scava una fossa, colmala!
I morti verranno a bere, e ti parleranno!
Le mani trapassavano la gola di Gheorghe, aprivano il petto bianco.
Lui era uno di quelli, mai entrati in Ade. E quanto sangue bevuto ora versava!
Stevan l'aveva ricordato in sogno, più nettamente. La lotta, feroce e sensuale, loro malgrado, grandi felini nel buio. E per mano del Cosmo che era esploso, come le mani erano artigli, i denti erano zanne: un orribile, grottesco teatro, l'uomo che si nutriva del vampiro. Eppure bevve da Gheorghe, Stevan, come da Iulia, e più beveva più era forte, perché il sangue immortale non lo trasformava: bruciava nelle sue vene alimentando il Cosmo, sempre più alto, sempre più nero, finché stridette sottile nella forma dell'ombra proiettata dalla luna.
Nella furia della lotta era uscito, aveva sfregiato la terra della dolina e trascinato con sé i corpi, e si era trovato davanti le stelle.
Le stelle.
Erano tantissime.
Si domandò se tutte assieme avevano, come lui, versato il sangue come tributo al Signore, o se al contrario ne fossero indignate. La volta celeste taceva, solenne, senza dare nessuna concessione ai mortali. Le stelle pure.
Ma alcune di loro brillavano in maniera feroce.

Stevan aveva imparato a uccidere, quella notte sui Carpazi. Imparò a mordere e fare sgorgare la vita dai corpi, e di quella vita nutrire il proprio potere, e lasciare ferite strazianti e insanabili.
Con il Maestro, osservando un vampiro più antico ed astuto, imparò l'arte di fascinare. Imparò a piegare la mente per fare vacillare la volontà, e se necessario surclassarla.
Tuttavia, in qualche maniera, era sbagliato.
C'era quel vento, mentre sprigionava il Cosmo, che non somigliava alla quiete immota e senza tempo degli occhi del Maestro: il suo potere era terrigno e oscuro, ma sorgeva come vento, ed era vento di ali grandi, abituate a fendere i cieli. Ali di cui non possedeva neppure un ricordo. Solo il battito.
La nostalgia di quell'uomo si faceva sempre più forte.





Di nuovo i Carpazi, e di nuovo Gheorghe, anche se più lontani. Più, sfocati, quindi? O più nitidi?
L'ho come descritto due volte, quindi, il Risveglio, ma ne avevo bisogno. È che non mi sapevo decidere fra un quadro d'impatto, come ho cercato di fare nel capitolo nono, e un altro che sottolineasse più la valenza “rituale” che percepisco (o che immagino, fate voi) nel risveglio della stella malefica. Per me è impossibile non figurarmelo come un sacrificio, e qui avevo il Vampiro, il sangue, i... beh, qui la roba fa due più due da sé, senza che ci sia io a ricamarci sopra, quindi che sto a parlà? *C*; Alla fine quindi uno sguardo in retrospettiva l'ho voluto mettere, per potere dare entrambe le versioni.
Inoltre amo particolarmente il pezzo finale, che mi è venuto in piena notte mentre ero sul balcone. Scrivevo sull'agenda, e alla fine eravamo sia io che Stevan a tirare il naso in su per scrutare in alto. Quando arriverà il re?

Kiki May: Hai visto? Hai visto che c'è Byron? Cos'è che hai detto? Cosa? La quintessenza dell'uomo romantico e tenebroso? Eh! E per forza, l'hai visto di chi era il libro? Gheorghe tutte le sere se lo rileggeva, Lord Byron. È così che ha acquisito la sua tempra. È così che Stevan cerca di acquisirla. Più o meno. Ci prova. È biondo e si addormenta facilmente. Non so quante chances abbia. Grazie mille, comunque, Kiki, come sempre: scaldi questo cuoricino inumidito da quello schifo di pioggia che fa là fuori! ç_______ç
ribrib20: Allora... involontariamente qua continuo a battere sul tasto dell'attesa di Aiacos, mi spiace, giuro che non è per fare del male a te, i capitoli sono scritti da un po'. Nemmeno io onestamente quando ho cominciato mi aspettavo che il tema si evolvesse tanto. Che poi non è un tema, è una sorta di sottofondo, ma più vado avanti più mi rendo conto di come non abbandoni mai la storia, anzi, sia sempre molto presente. Ha sorpreso un po' anche me. Per quanto riguarda la ragazza che compare nell'ultimo capitolo, non ti crucciare, non ti sei persa nessun personaggio di vitale importanza: Stevan non ha fatto che sedersi in un bar e fascinare la prima malcapitata, senza peraltro farle niente. Si sta solo esercitando. E il Maestro si diverte a osservare la cosa, pare. Liquidata questa roba, tutti i miei ringraziamenti, al solito! <3
beat: Guarda, il master durerà ancora un po', purtroppo. Sono molto contenta che vi catturi comunque, perché come ho premesso fin dall'inizio la storia di Stevan per una serie di sfortuiti casi (e perché, in questa vita, questo è il suo destino) si intreccerà solo in ultimo con la serie canonica, e saranno lampi brevi, e... sto scrivendo gli ultimi capitoli e sono un po' triste, ma pazienza. Grazie, Beat! éOè La tua carineria sosterrà Stev! Sei gentilissima con lui! <3
Ayako_Chan: Il devasto emotivo, sììì! Guarda, quando entra in scena il Maestro ormai penso sempre un po' a te. Sappilo. Avrei voluto che il capitolo di oggi combaciasse con un suo bell'exploit per festeggiare il tuo compleanno, ma purtroppo non è capitato! Tristezza! Vabè, mi faccio perdonare con lo spoiler: nel prossimo capitolo Egli sarà l'istrione nella scena, e farà la sua più fulgente apparizione prima che i giochi ricomincino a muoversi. Ti piacerà, mi auguro. Intanto grazissime di tutto (e auguri, eh! *O*)!
Ruri: Noooo la maiuscola nooo! *corre a nascondersi dall'imbarazzo* L'amore verso i vampiri lo accetto tutto, invece. Anche quello per Stevan. Ci fa solo bene, a lui ma pure a me. Anzi, me ne prendo più io, già che ci sono. Dopotutto a lui hai insegnato a ballare il valzer (a me no, ma tanto non imparerei comunque è_é *Milo ci prova da anni*). Ti ringrazio altre dieci o undici volte per rimettermi in pari per tutto, e... non ho dimenticato. Giuro, ci sarà la fanart del gattino, promesso. Chu.

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Capitolo 14
*** XIV. Più divini delle stelle scintillanti... ***


XIV.

Più divini
delle stelle scintillanti
ci sembrano gli occhi infiniti
che in noi la notte dischiude.



Il Maestro gli sedeva davanti.
Viso di porcellana, labbra deliziose, ad arco di Cupido.
Riccioli ramati ed occhi che non erano occhi ma vetri istoriati.
“Avvicinati.”
Stevan si quietò immediatamente, alle sua voce: ogni pulsione del corpo, in ogni suo piccolo palpito, si era fatta era più lenta. Il Maestro non sbatté neanche una volta le palpebre in quei lunghi minuti, ed era perfettamente normale. Piacevole, persino, come gli sguardi posati delle statue nei musei.
Non mosse un muscolo, nel suo biancore intatto, ma glielo ripeté, un basso sussurro da amante.
“Avvicinati.”
Stevan abbassò gli occhi, incapace di sostenere il suo sguardo, e si sedette.
Sul tavolo c’era un pacchetto di sigarette, e un accendino luccicante.
Non disse niente.
“Aprilo” disse il Maestro. E allora si mosse.
Stevan non si ritrasse nemmeno per un istante, ipnotizzato dal suo muoversi lento, non come un uomo, ma come un rilievo che abbandona la sua cornice. Non si accorse di trattenere il fiato, ma lo fece, occhi negli occhi del vampiro. Di nuovo il Maestro parlò, schiudendo le labbra da ragazzino.
“Fallo per me.”
“Lo desiderate?”
“Sì.”
Non domandò perché.
Allungò le mani – com’erano magre, sotto la luce. Ora c’era molta luce, nella vita di Stevan, luce artificiale, di mille lampade. Non era più il tempo delle grotte buie. Quando l’aveva capito, il Maestro aveva sorriso incantevole dicendo qualcosa di tremendo: ai vampiri piace molto la luce.
La carta fece rumore strappandosi. Davidoff blu. Filtro bianco. Sottile riga argentata.
Non pensò a nulla, se non allo sguardo del Maestro. I muscoli del viso rilassati, lo sguardo perso nel vuoto, in un sogno profondo, si portò la sigaretta alla bocca. Scosse l’accendino. Lo fece scattare due volte. Tre. Riuscì ad accendere, tirando il fiato. Tossì. Storse la bocca in una smorfia, ma senza farsi sfuggire la sigaretta dalle labbra, che presero una linea dura. Il Maestro sollevò leggermente il mento, conquistato.
Stevan non domandò perché.
“Io non sento niente.”
Ma lui rispose.
“Tu senti. Fammi vedere. Fallo ancora. Snuda le zanne come un mostro e poi respira come un mortale, ancora, rifallo, guarda. Posso farlo anche io, ma io non sento. Tu sì. Io non diventerò cenere. Tu sì. Che cosa sei?
Ancora più avanti, vetro gli occhi, rame i boccoli perfetti che incorniciavano il volto disumano, bello e liscio e freddo come la pietra di una tomba. Stevan tacque, davanti a tanto splendore e tanto rancore.
Dal nulla, dal profondo, il Maestro inasprì le parole, quasi spaventandolo, da tanto furono veloci e stridenti, pronunciate in un francese troppo vecchio per risultare famigliare:
Vous nous voyez cy attachez cinq, six ; quant de la chair, que trop avons nourrie, elle est pieça devoree et pourrie, et nous les os, devenons cendre et pouldre.”
Sussultò, senza capire.
Il maestro era in fiamme.
Un angelo sul rogo.
“Cenere” soffiò il Maestro spegnendogli la sigaretta tra le dita bianche.Stevan boccheggiò, ritraendosi, finalmente sveglio. Ma il vampiro se ne era già andato.





 

Voi ci vedete qui, in cinque, sei, appesi: quanto alla nostra carne, troppo nutrita, dopo molto tempo è divorata e putrida, fino all'osso, siamo polvere e cenere. (François Villon, "La ballata degli impiccati".) Il nostro Maestro recita cose un po' morbose.

Beat: Le citazioni m'inorgoglioscono moltissimo. Torno a pubblicare dopo un sacco di tempo anche se i capitoli stanno scemando di numero perché un po' ve lo devo, parlo tanto e poi pochi fatti. E le tue recensioni sono sempre una bellezza. Voi mi darete la forza per scrivere quei due capitoli, cioè quei due "AAAH!" che non approfodisco per non fare spoiler. Li lascerò come un grido fygo nella notte. Beat. Sostienimih! éOè
Ruri: L'ironia del Meikai: i vampiri normali evitano il regno dei morti, permanendo in quello dei vivi malgrado il loro evidente decesso. Stevan è vivo, è un vampiro, ed andrà nel regno dei morti. E questa sarà esattamente la chiave di lettura del primo "AAAH!". Non vedo l'ora. (No, non è vero. Ma ce la farò.) Anche io prediligo comunque il risveglio descritto nello scorso capitolo: ci piacciono i rituali. Yeah.
Kiki May: Ho amato tantissimo, ma davvero tanto, l'immagine delle stelle. Sembra quasi una citazione dantesca, ma al contrario. ODDIO VOI SIETE I LETTORI MIGLIORI DEL MONDO. ç_____ç PIANGO. ANCHE PER TUTTO QUELLO CHE HAI SCRITTO DOPO. Posso baciarti?
Meiou Hades: Ci sarà pochissima azione, purtroppo, perché il percorso di Stevan è molto più introspettivo, vedrai: ti ringrazio tantissimo comunque per avere colto tutto ciò che c'era da cogliere, mi hai lasciato due commenti proprio sentiti. Un po' alla volta proseguo, giuro che arriverò fino in fondo, tanto ormai ci siamo! Se Stevan ti è sembrato così "devastante" è perché tutti gli spectre sono seminatori di morte, qualsiasi sia il loro "livello" o "grado", diciamo così, e mi piace che si senta e si veda. Chiaro non potrà competere mai con un generale, ma non solo, ci sono molti altri uomini di Hades più forti di lui, ma non è il confronto che interessa. Sono tutti, comunque, la Morte. Infatti attingo spessissimo dall'immaginario orrorifico per rappresentarla come si deve - spero. Un altro grazie e a risentirci! :)

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Capitolo 15
*** XV. Vedono oltre le più pallide gemme... ***


XV.

Vedono oltre
le più pallide gemme
di quelle schiere innumerevoli -
non bisognosi di luce
frugano nel profondo
di un'anima amante -
voluttà ineffabile
colma uno spazio più alto.



Minos colse la presenza di Aiacos prima con le orecchie che con il Cosmo, e la cosa non era una novità: il Re Garuda era solito attirare l'attenzione altrui in maniera più tradizionale.
Senza smettere di camminare, aveva aperto i battenti del pesante portone della Prima Prigione, e gli zoccoli di metallo e i batacchi erano sbattuti con forza al muro. L'intenzione non era certo bellicosa, ma il rumore l'aveva annunciato molto più efficacemente di una qualsiasi pompa magna: il Primo Giudice Infernale era tutt'orecchi.
Dimmi.”
Quanto manca, Minos?”
Che cosa intendi?”
Quanto, perché il sigillo si sciolga definitivamente?”
Minos socchiuse gli occhi, appoggiandosi allo schienale del suo scranno in tutta tranquillità.
Aiacos si rilassò, per conto suo, appoggiato allo stipite del portone. Non aveva intenzione di trattenersi a lungo, quindi non si sedette, ma aspettò pazientemente.
Molto poco, direi.”
Che sarebbe?”
Una manciata di giorni.” Sorrise sornione l'uomo dietro al banco. “Perché me lo chiedi?”
Uno dei miei ancora manca all'appello.”
Sono cose che capitano, di tanto in tanto. Innumerevoli, i motivi. Non darci peso.”
Anche tra i tuoi ci sono delle assenze?”
Minos scrollò le spalle, come se la questione fosse irrilevante.
Aiacos dedusse di sì.
Tu fai come vuoi. Io andrò a prenderlo.”
Bene. Hai ancora tempo. Era questo che volevi sapere?”
Sì. Solo tu potevi dirmelo con esattezza. Perché so...” Aiacos si sollevò con un breve scatto dallo stipite, le braccia incrociate. Rivelò un sogghigno bianco, che si specchiò in quello ancora più compiaciuto sul viso del suo interlocutore. “Che hai ospiti illustri, nelle tue prigioni.”
Oh, chi è l'uccellino che ha cantato?” Lo canzonò Minos, le mani bianche sul tavolo. Ma non mutò nulla nell'espressione divertita, mentre si alzava. “Sì. Il Pontefice traditore lo ha rivelato. Anche dopo la morte, ha lo sguardo lungo, e antiche conoscenze: Libra è l'unico cavaliere che sorveglia il sigillo. Ma ormai è un vecchio decrepito.”
Sogghignò feroce, ma Aiacos non diede mostra di impressionarsene. Sembrava piuttosto divertito, al contrario, mentre ascoltava attentamente.
Non è capace di abbandonare la postazione sino all'ultimo, anche se le crepe cedono. Andrà a dare l'allarme all'ultimo momento. Vai e sbrigati, Aiacos!” Minos gettò annoiato un piede giù dalle scale, e poi un altro, cominciando a scendere. Lo strascico della toga nera strisciava dietro i suoi piedi, lugubre. “Fra tre giorni al massimo attaccheremo. Rhadamanthys vuole degli uomini per una truppa di retroguardia. Dovrai essere qui per affidarglieli.”
Sarò di ritorno molto prima.”
Ah, ma certo” rise alto Griffon, mentre Garuda lasciava il Tribunale. “Vola impavido sulle tue ali, Garuda! Non deluderci!”

Buono a nulla” commentò Aiacos con la tranquillità di chi dà dello scemo al proprio fratello attaccabrighe. Schioccò distrattamente le dita alla sua destra, senza fermare la marcia lungo il corridoio. “Cheshire!”

Lo spectre che guizzò rapido dall'ombra al suo fianco si muoveva su gambe e mani, e stava al passo con una tale elasticità da far credere che per lui fosse molto più comodo che camminare. Gli occhi, rivolti in alto, verso il Generale, erano grandi e curiosi.
Che cos'ha detto il signor Minos, Lord Aiacos?”
Che siamo ancora in tempo. Hai voglia di fare un viaggetto?”
Un lungo sorriso, e ora sì che il Cosmo divampava. Minos l'avrebbe sentito e avrebbe riso, nelle sue cupe prigioni. Ma lui avrebbe riso librandosi in alto, molto più in alto.
Salta su.”




 

Finalmente i fili cominciano a tirarsi. Io ho quasi finito la fanfic, manca una sola shot conclusiva, e ormai è ora di cominciare a tirare le fila anche qui: da qui in poi sarà un'ascesa e contemporaneamente una discesa. D'altro canto abbiamo le ali della Garuda che ci guidano. Grazie per avermi accompagnato sin qui e a chi continuerà sino alla fine, immergendosi nel buio senza paura. Sono molto impegnata e ho poco tempo per stare dietro a tutto, ma voglio approfittare di quest'angolo per fare pubblicità a In Flames di Ruri, autrice "veterana" ma da poco qua su EFP: è un'altra fanfic dedicata a un OC spectre, di gran lunga più dettagliata della mia, e io gliela invidio moltissimo. Sembra pronta per farci il soggetto di un film. Sarà vero che le nostre due fic hanno intenti diversi e quindi una forma molto diversa, ma non posso fare a meno di ammirare con tutta me stessa la sua. Mi rapisce. Ammiratela anche voi! Non l'ho ancora recensita, perché le commento spesso e volentieri in privato, ma quando lo farò ci sarà da vergognarsi. Ecco.

Ruri: Amami! Io ti amo! Guarda infatti che bella pubblicità ti ho fatto! Guarda cosa non si fa per Soheil! E a parte questo, grazie mille per il tuo supporto costante, tesoro; sono sempre sorretta in ispirito, mentre scrivo, da un team d'eccezione. Ti bacio.
Beat:
 No, non offrirgli il collo di una Mary Sue! Inesperto com'è, la morderebbe, senza prevedere l'effetto scatenato dai suoi Fenomenali Poteri Cosmici! (TM) (domanda da un milione di dollari... secondo te nel sangue delle Mary Sue c'è il glitter?) Grazie per la bella recensione, il Maestro ha avuto la sua scena madre, ed, ora, da brava statua, tornerà nel suo rilievo. Muto come un angelo.
TheScarletPimpernel: Sei gentilissima, grazie! çOç Che bei complimenti! Spero che la leggerai tutta sino alla fine, allora, perché ci siamo quasi. Spero di non deluderti! <3
LeFleurDuMal: Rowenta, per chi non si accontenta. (non posso darti una risposta seria a tutto perché mi metterei a piangere, quindi mi accontento delle réclame. TASSONI.)
Kiki May: *risponde al bacio appassionato, la prende in braccio e fugge verso l'orizzonte fiammeggiante* Sei un tesoro, grazie. Ti devo un milione di ringraziamenti per le soddisfazioni che mi dai. Bando alla retorica.
Meiou Hades: E grazie anche a te per la cura che metti nelle recensioni, come mi comunichi puntualmente tutto quello che senti: la storia scritta qua per me è un gran banco di prova e stile, e ne sono sempre più soddisfatta anche grazie a voi. Stevan ammetto di averlo curato particolarmente: ho calibrato molto attentamente la sua voce, perché emergesse poco, perché rimanesse molto nell'ombra nonostante fosse il centro della narrazione, Per me è quello il suo posto. I pochi gesti visibili che ha sono tutti forti, tutti simbolici. Insomma, grazie, per descrivermi l'impatto che ti dà. Per quanto riguarda il Maestro, non temere: non ha una personalità facile da definire, è giusto che stia in una sfera "distaccata", perché non si avranno mai spiegazioni su di lui. Rimarrà una figura enigmatica e fuori portata, perciò il fatto che "non tocchi" mi piace. Un abbraccio e alla prossima!

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Capitolo 16
*** XVI. Lode alla regina del mondo... ***


XVI.


Lode alla regina del mondo,
alta annunziatrice
di mondi santi,
custode del beato amore,
che a me ti manda,
tenera amata,
amabile sole notturno…





Stevan era sul tetto di un grattacielo di quaranta piani, dove anche il vento umido del golfo del Messico era freddo. Ci si era arrampicato da solo, a mani nude, e adesso contemplava la città dall'alto. Il Maestro era a caccia: aveva la notte per sé.
Quando Stevan era solo con la notte non c'era limite a quello che poteva fare. Quando era solo girava la città intera, dalle superstrade ai locali affollati, dalle periferie degradate alle spiagge deserte o popolate da feste notturne, dove si immergeva nell'acqua fino alle ginocchia. Valutava i propri poteri: si spostava da un punto all'altro della città più rapido dei treni e degli aerei, ed apriva le menti delle persone. Non si trattava di leggere il pensiero, cosa di cui non era capace e che non gli interessava: penetrava leggero, come gli sguardi e i sussurri. Conosceva, prendeva possesso, emozionava. E poi conduceva alla follia: quelli che si uccisero da soli furono molti più di quelli che uccise con le sue mani.
I poteri di notte in notte incrementavano, o forse, per meglio dire, riprendevano coscienza di sé: prima di Stevan c'era Vampire, aveva capito, e i nomi e i visi che aveva assunto di secolo in secolo non li ricordava perché poco importavano. Nelle sue peregrinazioni notturne non cercava se stesso: dopo tre anni passati nel buio delle grotte, con i morti dagli occhi intellegibili, ti abitui a dimenticarti.
Poi, dopo essere dilagato per tutta la città, senza più ostacoli da superare, aveva scoperto una nuova dimensione alzando gli occhi: prima che potesse rendersene conto, aveva cominciato a salire.
Mano a mano che saliva, sentiva meglio il vento battere, sempre più intenso e più freddo; assecondando la sua arrampicata per i cornicioni, dava l'impressione di sorreggerlo, tanto forte era la pressione. A tratti, sembrava fin che lo spingesse.
Dopo tanto tempo distinse i battiti del cuore accelerare, e un'emozione senza nome annodargli la gola: ora saliva come una lucertola, in scatti rapidi e imprevedibili. Quando poggiò le mani sul tetto si scaraventò al centro, e per lunghi minuti contemplò quel che aveva davanti.
Il cielo di Miami si rifletteva nel mare, viola e stralciato di nubi. Nella sua grandezza, nella sua assenza di confini, era uno scenario apocalittico.
Alzò la testa, di scatto, voltandosi.
Naturalmente, lui era più in alto.
Naturalmente, lui ci era arrivato volando. Ma sembrava comunque soddisfatto della sua arrampicata.
Stevan schiuse le labbra, stupito, e Aiacos di Garuda, Stella del Cielo Intrepido, si buttò nel vuoto dal sessantesimo piano del grattacielo a fianco. Atterrò a piedi pari sull'antenna parabolica proprio di fianco a lui e gli sorrise. Il minuscolo ragazzino abbarbicato sulle sue spalle, per quanto spectre, aveva la faccia di un gatto che è appena stato buttato nell'acqua; evidentemente, si sarebbe risparmiato il volo.
Stevan non sapeva cosa dire, finché Aiacos non allungò una mano e lo prese per la testa.
“Ah, sei qua”, disse.
Stevan avrebbe voluto dire molte cose.
Poi si rese conto che potevano essere riassunte.
“Sì, Generale.”




 

Questo è il mio capitolo preferito.
E dite: non vi sembra l'Inferno?

Ruri: Rurina, io non so sinceramente più che cosa rispondere alle tue recensioni perché mi fanno piangere viscido. Sento tutto. Ti ringrazio. Mi prostro umilmente. Ti offro i supporti iconografici. Ti noleggio la mia creatura per tutte le stagioni lavorative che vuoi per la tua Scuola di Valzer. Già in smoking, ben stirato. Bella presenza. Parla anche poco, a meno che non debba intortarti qualcuno. Non lo so, addestralo pure tu. Je t'aime.
Beat:
 Come mi sento scrittrice professional, con le mie quote tutte sparse per la recensione! çOç Oh, che bello, comunque, che all'Aiacos fan club si sia aggiunto il Minos fan club. Peccato che non riesca più a fare comparsare Rhada, se no avrei fatto strike tirando giù le lettrici stile birilli. Sono troppo fiera di me comunque per queste ondate di fangirling. E anche per i cuoricini! Grazie per l'amore! çOç <3
Ribrib20: Uhm, sul seguito penso che indirrò un sondaggio, senza scherzare. Questa storia ha coinvolto talmente tanto chi legge (nel senso che comunque vi sento veramente tanto, tramite i commenti, tanto che penso davvero a voi quando scrivo!) che merita di andarvi a braccetto sino alla fine e anche oltre. Tu comunque sei troppo gentile, e Aiacos continua a essere un sex symbol. Spero che con il suo salto da Io Mi Butto Nel Vuoto Perché Io Posso non abbia fatto troppa strage di cuori, perché vuol dire che siamo ridotte tutte ai minimi termini! *C*
Meiou Hades: Oh, sì, e sono contenta che Minos ti abbia soddisfatto per questo! :) Aiacos invece... mah, diciamo che mi piace fare risaltare la differenza che secondo me esistre tra i tre pilastri che reggono l'Inferno nel nome di Hades. Devono per forza equilibrarsi in qualche modo a vicenda, e il modo che ha Aiacos di legare con i suoi sottoposti lo vedo in qualche modo più personale degli altri due (più paritario no di certo, perché la Garuda deve volare più in alto, e anche in questo capitolo ho tentato di tenere lo stacco dal basso verso l'alto anche simbolico, per immagini. Ma comunque Aiacos è un amore! <3).
Kiki May: jjdkdkjfkjdfdjkfjkkj ANCHE TU? ANCHE IO L'HO VISTO CON QUEGLI STIVALI LI. Aiacos sei troppo un figo! Non c'è niente da fare! (lo spin off lo faccio davvero, giuro. Si accettano suggerimenti, alla fine della baracca. *C*)

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Capitolo 17
*** XVII. Ed ora veglio... ***


XVII.

Ed ora veglio
sono Tuo e Mio
la notte mi annunziasti come vita
mi hai fatto uomo.





Stevan discese all'Inferno come qualcuno che della vita era rimasto prigioniero troppo a lungo, come un morto che si era trascinato sulla Terra per millenni. Non appena incontrò l'oscurità più fonda i suoi occhi ricominciarono a vedere. Occhi di gatto.
“Questa Guerra Sacra è diversa da tutte le altre”, gli aveva detto il Signor Aiacos. “C'è nell'aria qualche cosa di diverso. Il mondo è colmo di dèi.”
Nel buio del castello Heinstein ogni rilievo catturava il suo sguardo. Il nero scorreva per le scanalature dei mattoni, facendo confondere i contorni, inghiottendo le fessure delle feritoie e le arcate delle finestre antiche, come Golubac nei suoi sogni. Ora i due castelli si sovrapponevano, imponenti nel nero, porte sull'Erebo.
“Il mondo è colmo di dèi” sorrise il Re Garuda, precedendolo di due passi. Cheshire, sulla sua spalla, non muoveva il capo, che s'inclinava morbido ad ogni passo del Generale – ma guardava Stevan. I suoi occhi baluginavano vitrei, come i suoi. Occhi di gatto, occhi dei morti, monete nel buio.
“Fatemi discendere agli Inferi, Generale.”
Lui rise, senza guardarlo. I corridoi erano lunghi.
“Senti come ti appartiene l'Ade, Stevan?”
“Sento di appartenergli.” Lo corresse con voce quieta, senza riuscire a staccare gli occhi dalle sue spalle. Lo disse con estremo amore. Aiacos ebbe per lui uno sguardo soddisfatto, senza rallentare il passo.
“Allora è giusto che tu ti riappropri di una cosa tua, senza aspettare.”
“Sì, vi prego.”
“Vestila. Scendi all'Inferno come si deve. Cheshire, guidalo.”
Lo spectre scese dalle ali della Garuda senza fare rumore, e senza fare rumore precedette entrambi sotto le arcate gotiche, alla fine del corridoio. Stevan, senza una parola, cominciò a sbottonarsi la giacca.
Ora, mio Signore.
Entrò sapendo che cosa già lo aspettava, ma la visione, nel buio, fu ancora più violenta: denti affilati dall'enorme ombra di fattezze umane, orribile nella somiglianza. Le braccia incrociate sul petto, lo aspettava come il morto nella cassa. I barbaglii della debole luce erano come soffi di vento tra le foglie: la facevano tremare e stridere, senza suono. Come urla molto lontane.
Vestito a nozze.
Stevan allungò le mani con venerazione, e si vide riflesso nel metallo. Vide i propri occhi nel buio, occhi che erano due monete d’argento, brillanti di luce che riflette solo se stessa. Non si penetra lo sguardo dei morti.
Oh, Signore, mio Signore.
La surplice di Vampire era la cosa più bella che avesse mai visto.
Mio splendido, amato Signore.
Il mondo è colmo di Te.

Una porta, un'iscrizione. Si apriva la via alla città eterna, e all'eterno dolore.

La terra era arida. L'odore di zolfo. Il cielo assomigliava a quello di Miami – e il paragone non toglieva nulla all'Inferno.





 

Siamo alla fine. Il prossimo capitolo sarà il conclusivo. Devo ancora scriverlo, ma ci siamo, direi.
Grazie a quanti hanno seguito fin qui, spero di non deludervi con l'ultima flash. Ce la metterò tutta.
I saluti alla prossima. <3 

EDIT: OMG ora su EFP si può rispondere alle recensioni! Che cosa di una comodità infinita. Finalmente! Corro a copiarvi le risposte lì, così rispondo anche alla recensione di Dima, che ho distrattamente saltato dato che è stata postata al primo capitolo! Grazie come sempre all'infinito dell'amore e del supporto, vi amo! Alla prossima! (ho anche finito di scrivere e mi sono ammazzata per farlo, la vita è ingiusta!) ç*ç

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Capitolo 18
*** XVIII. Consuma con l'ardore... ***


XVIII.

Consuma con l'ardore
dell'anima il mio corpo,
perché lieve nell'aria
con te più strettamente io mi congiunga
e duri eterna
la notte nuziale.



 

Non passerai oltre!”
“Come dici?”
L'uomo che aveva già un piede sul marmo candido della Giudecca si era fermato, inaspettatamente. Stevan avanzò, emergendo dall'ombra.

“Mi hai sentito. Non lo farai. Oltre queste scale c'è il Signor Hades. Non te lo permetterò.”
“Ne dubito.” Un tono conciliante. “Non hai sentito l'esplosione di Cosmo dietro queste mura? Né Hades né Athena sono più in questo luogo.”
“Non importa. Non fare un passo oltre!”
Incredibilmente, non lo fece. Rimase fermo al suo posto, quasi pazientemente, mentre lo spectre si mostrava, nella polvere e nell'atmosfera densa di Cosmo. L'aria era come dopo un terremoto.
“Io sono Stevan di Vampire, della stella Chisyu Sei.
Si mosse rapido come una bestia, e non gli lasciò il tempo di dire il proprio nome: si gettò sul suo collo a fauci scoperte.

Il metallo strideva sordo ad ogni passo, sembrava che fino la polvere lo graffiasse, nella corsa.

Aveva corso più veloce che aveva potuto. Aveva corso sino a farsi inghiottire dall'ombra, e farsi risputare fuori. Nelle distese senza fine a volte non c'era un solo sasso a proiettare una direzione di riferimento. Era l'Inferno.
“Preparati, è ora.”
“Sì, Signor Aiacos.”
L'ultima cosa che aveva visto del Signor Aiacos erano state le grandi ali nere, perché si era inchinato profondamente per parlargli, e quando si era rialzato lui era volato via, e l'ombra a terra era sparita.
Aveva smesso di parlare con l’ombra, per rispondergli, prima.
C’era un’ombra dalle sembianze poco umane, e priva di proprietario. Un ombra che serpeggiava debolmente. Un’ombra che conosceva i tributi di sangue, come lui.
“È stato condotto un attacco imprevisto, mentre noi generali ci trovavamo alla Giudecca.”
Un attacco imprevisto.
Un attacco imprevisto.
“Molti uomini hanno già perso la vita.”
Aveva smesso di parlare con l'ombra che languiva debole ai suoi piedi.
Stevan si era mosso perché non cercasse di succhiargli il sangue, come i morti. Gli parve di sentire un gemito. Si era inchinato, e l'ultima cosa che aveva visto del Signor Aiacos erano state le grandi ali nere.
“Io e Minos ci dirigiamo in aiuto di Rhadamanthys.”
Aveva cercato con lo sguardo a terra, ma l'ombra non c'era più.
Molti uomini hanno già perso la vita.
Molti uomini hanno già perso la vita.
“Sì, signore.”
“Stai in guardia.”
Le urla della sua surplice lo spingevano come il vento sino al Quinto Cerchio, alle bare scoperchiate di fuoco. Era una strada segnata dai cadaveri. Ne aveva appena oltrepassato il varco, tra le vampate di calore, quando l'immenso Cosmo di Athena aveva squarciato il buio e il silenzio oltre il fuoco ed oltre i ghiacci: la dea aveva calpestato il suolo sacro della Giudecca. Stevan lo sentì come uno strappo al torace, come d'improvviso scoperto, nudo. Batté il palmo della mano contro la corazza, metallo su metallo, si risvegliò.
Doveva tornare indietro,
Si trattenne solo per un istante, poi dovette arretrare.
Arretrò a forza, raspando a terra, guardando fisso di fronte a sé, tra le nebbie dense di zolfo. La temperatura distorceva le immagini, soffiava vapori secchi che offuscavano la vista. Grandi ali nere.
Doveva tornare indietro.
Molti uomini hanno già perso la vita.

Non l'aveva avvertito finché non gli aveva stretto le dita attorno alla gola, e probabilmente era riuscito a farlo solo perché l'altro gliel'aveva permesso: teneva una mano stretta attorno al collo del nemico, gli artigli della surplice che gli sfioravano pericolosamente il volto. E aveva perso.

Se ne rese conto nel momento in cui incontrò i suoi occhi, e tentò di penetrarvi.
L'avversario che gli sorrideva aveva più di duecento anni.
Più o meno come Gheorghe.
Non si penetrano quegli sguardi.
Contengono dei mondi, e chi schiude le porte può solo lasciarsi abbacinare: dalla pioggia sui ponti, dai treni a vapore; dagli affreschi meravigliosi e dannati delle ville veneziane. Dal ripetersi sempre uguale della goccia d'acqua sulla roccia di una cascata.
“Io sono Doko di Libra.”

Un'esplosione di luce e venne sbalzato all'indietro come un ramo secco.

Prima ancora di toccare terra il primo colpo gli sfondò il torace, il secondo frantumò la spalla.
Il terzo gli tranciò una gamba, e poi non ne distinse altri. Fu una grandiosa, magnifica esplosione di luce, pura e bianca, che lo ammazzò e sparse i suoi resti, le sue ossa e i suoi denti sul suolo arso della Giudecca, sporcando col sangue i gradini immacolati. Con la spina dorsale rotta, sembrava finalmente un cadavere: riverso nella cassa, aspettando immobile il tramonto.

 

 

 

L'essere che io aspetto non è reale. [...]
Io lo creo e lo ricreo continuamente a cominciare dalla mia capacità di amare,
a cominciare dal bisogno che io ho di lui: l'altro viene là dove io lo sto aspettando,
là dove io l'ho già creato. E, se lui non viene, io lo allucino: l'attesa è sempre un delirio.

 

[R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso]



 



 

A questo punto vorrei scrivere un commiato un po' di quelli seri, quindi ho deciso di prendermi tutto il tempo necessario. L'Inno alla Notte è concluso in una maniera che mi piace molto; mi sono messa in gioco e ho creato qualcosa di cui mi sento fiera. Stevan è un simbolo di questa creazione, e gli sono molto grata. Spero che vorrete rivederlo da queste parti, se mai capiterà l'occasione. Avrei ancora molto da dire su di lui, perché in questi mesi è cresciuto tanto; ma forse ce ne sarà l'occasione. Qua non mi dilungherò più a parlare di lui, perché voglio passare subito a ringraziare col cuore in mano delle persone bellissime che sono felice di conoscere.



Ringraziamenti

Vorrei ringraziare profondamente tutti coloro che sono passati di qui, e hanno letto, anche senza commentare. Vorrei ringraziare chi ha inserito la storia tra le seguite o le preferite, vorrei ringraziare chiunque abbia speso un poco di tempo per me e per Stevan; specialmente, qui su EFP, vorrei ringraziare Meiho Hades per il grande entusiasmo che non ha mai remore a manifestarmi, ed è sempre carinissimo. Ma ho un po' di persone da ringraziare in maniera un po' più approfondita.


Vorrei ringraziare le ragazze del forum di Gold Insanity, che ci hanno seguito entrambi, autrice e personaggio, dall'inizio alla fine: Kiki May, con il suo entusiasmo strepitoso, di quelli da capogiro; Dima, che recuperando la storia passo passo mi stupisce sempre per la profondità con cui legge; Rinrin, che soprattutto nel forum è sempre stata tanto presente; Beat, la cui passione è sempre talmente sincera da stupirmi, e non esita a manifestarla anche a rischio di farci del male fisico (vedasi le sublimi graficate!); Ayako, che ha colto i miei ripetuti omaggi al nostro ciclo di romanzi prediletto del genere, e perché ormai scrivendoli pensavo a lei; infine Ruri, un fuoco d'artificio, una fornace, un vulcano e un'ispirazione per un lavoro infinito: è la lettrice più splendida che possa capitare, e si fermasse solo lì. Una stretta di mano ISA anche alla sua dolce metà, la cui maschiezza mi gasa molto quando mi vengono fatti complimenti da lui.

Ringraziamenti un po' speciali in calce a Shinji, che mi ha accompagnato anche per di qua, e mi ha schiuso le porte dell'Inferno. Ho amato la sua curiosità vigilissima quando si aprivano porte su figure a lui meno conosciute, come quella del vampiro; e la disponibilità meravigliosa con cui mi ha seguito anche qui. Il fatto di esserci sempre vuole dire già tutto. A LeFleurDuMal va il grazie più solido e consistente, perché è lei che possiede il potere di riportare alla luce il meglio di me, sempre; e anche nella stesura dell'Inno per me lei è stata il mago che svela le meraviglie davanti ai miei occhi sempre un po' scettici; dopo una sua parola, tutto il mondo è sempre un po' diverso. Il grazie più sentimentale se lo prende Kijomi, senza la quale nulla sarebbe così completo: non solo mi ha regalato un amore verso il personaggio così bello e travolgente da commuovermi un po', ma ha anche lavorato con me, direttamente e indirettamente, con mille volti, per farmelo conoscere e farlo crescere sempre un po' di più. Non è un caso che sia un po' innamorato di te, adesso (è lo ripartisca più o meno equamente fra identità varie).

In generale, grazie a tutti.
Arrivederci.

Viva i vampiri veri che al sole si disintegrano.
Ogni volta che fangirlate per Twilight un carpaziano non trova la cena.
Aiuta anche tu Gheorghe! Non far soffrire la fame a un carpaziano!

é_______è

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