In colorati riflessi possediamo la vita

di A g n e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tabella prompts ***
Capitolo 2: *** Giallo ***
Capitolo 3: *** Verde ***
Capitolo 4: *** Blu ***
Capitolo 5: *** Viola ***



Capitolo 1
*** Tabella prompts ***


Eccomi alle prese con la Regenbogen Challenge, naturalmente made by grindeldore_ita.
Ho scelto, in un moto di serietà nei riguardi del mio piano di studi, il tipo Non-Troppo-Complicato.
Sette colori per sette flash.
Ecco qua la tabellina dei prompts.

PG-13
Accio
Gennaio 1945
Nurmengard
What If
Voldemort
Dicono che mi temesse

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Capitolo 2
*** Giallo ***


Qui, dove il male è facile e inarrivabile il bene.
[Giuseppe Giudici, Una sera come tante]

Continuò a ripetersi che era la cosa giusta da fare fino al parossismo.
Lo trascinò in un duello dal quale, lo sapeva, doveva uscire vincitore.
Lottò, inflisse ferite e se ne procurò a sua volta.
Resistette oltre ogni limite che si fosse mai imposto nella vita.

Fece tutto quello che non avrebbe mai voluto fare.
Lo vide cadere e fece violenza a se stesso per non correre a rialzarlo.
Lo affidò all’odio di estranei.
Si fece da parte.
Diede retta a tutti coloro che vollero fargli domande e chiedergli un parere, prese parte a tutti i processi e a tutti i consigli che decisero la sorte del dittatore.

Lo fece con la dignità e la grazia che appartenevano solo ai principi delle leggende, che appartenevano a mondi di carta, che appartenevano a cuori inventati.

Poi, quando tutto finì, quando anche i rumori e le grida che gli davano quel minimo senso di realtà tacquero, quando non dovette più rendere conto a nessuno, cadde.
E scoppiò a piangere.

Pianse per ore ed ore, Albus Dumbledore, salvatore del mondo magico e acclamato eroe. Pianse come un bambino nella disperazione del primo vagito, come un neonato strappato a forza dal ventre materno.
Pianse come se non gli fosse rimasto più nulla.
Pianse e non fu consolato.

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Capitolo 3
*** Verde ***


NdA: Mein Sonne significa Mio Sole. Era il soprannome che Albus usava per Gellert. Altre cose da dire non credo ce ne siano. È una drabble pura (secondo il contaparole di fiumidiparole). Questa drabble partecipa anche al One theme (etc) contest indetto da Claire.
 

Sonne

I primi giorni, lì dentro, furono insopportabili.

Gellert sapeva che cosa faceva la luce quando batteva su una superficie bianca; moltiplicava il suo effetto, baluginava come se volesse distruggere ogni confine. Feriva gli occhi.
Gellert detestava quella luce.

A Nurmengard il sole creava lo stesso effetto.
Entrava prepotente, rimbalzando contro le pareti dell'unica cella bianca, quella in alto, in cima alla torre.
La sua.

Credette di impazzire e, del sole, detestò tutto.
Poi si aggrappò all'ultimo baluardo, all'ultima difesa.

Insieme alla luce, nella cella entrò anche una voce.
Portava un ricordo di quello che era stato, di giorni in cui il sole non gli era nemico.
E un soprannome.

Mein Sonne.



Angolino autrice.
 
Questa drabble è un omaggio alla mia splendida Joey  e alle sue Grindeldore. La cella bianca è un'idea sua, Mein Sonne è un'idea sua. Io ho l'incredibile fortuna di esserle amica-di-fic (^^) e il permesso di poter rubacchiare qua e là.
Tanto bene alla Joey!

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Capitolo 4
*** Blu ***


Titolo: Nurmengard
Pacchetto e coppia scelta: Lingua slash
Difficoltà scelte: Come doveva finire (e nient’altro, shame on me ç_ç)
Tipologia di fic: One shot
Avvisi: WHAT IF enorme, un po’ di angst sparso in giro. Introspettivo, triste.
Altri personaggi o paring: Ariana Dumbledore
Betata: No
Note: A parte il WHAT IF? Niente, presumo. Ah beh, l’ultima parte è ambientata un bel po’ di anni dopo. Le parti in corsivo sono tutti flashback.
***
È silenziosa, Nurmengard, questa sera.
Le ombre si allungano mentre il fumo sale, arrotolandosi nell’aria senza far rumore. Qualche passo, forse, il gracchiare di un corvo, lo schiocco ritmico delle sue labbra sul legno della pipa. Nulla di più.
Gellert Grindelwald è seduto ad aspettare la notte sul davanzale di pietra della finestra, e scruta nell’ombra, là fuori, come se riuscisse a vedere cose che altri umani non vedono.
Non sospira più come i primi tempi, né c’è rabbia nei suoi occhi; solo silenzio vigile. Grindelwald aspetta la notte, e nient’altro.
La porta si apre, lasciando entrare una persona e un po’ di luce; Gellert si concede un mezzo sorriso, mentre si alza e le si avvicina. 
“È ora.”
 Lui circonda con le braccia la vita di quella figura esile per avvicinarla a sè. Appoggia le labbra alle sue, forzandole lentamente con la lingua per approfondire il bacio; il profumo, il sapore, persino il calore di quella bocca sono gli stessi di tanti anni prima, ma non è lui, non è lui, e Gellert sa che si sta ingannando ancora una volta. 
Quando si scosta si chiede perché si sia votato a questo martirio, e se non fosse meglio (più facile? Più bello?) non vivere divisi a metà.
***
“Parla, per favore.”
Camminano veloci per i corridoi bui, per raggiungere come ogni sera la sala del consiglio. L’aria intorno a Nurmengard si addensa di minacce, e sempre più voci parlano di un attacco imminente.
“Cosa?”
“Quarantatre anni e ancora non hai imparato a mentirmi. Vuoi dirmi qualcosa. Parla.”
Il capitano delle guardie esita ancora un po’, sotto lo sguardo indagatore di Gellert, mentre si chiede come facesse Albus a chiudere la mente, anche quando gli abbracci si facevano più esigenti, il tocco sulla pelle più bruciante.
“Dicono… dicono che Albus Dumbledore verrà a Nurmengard.”
Lo sguardo di Gellert si scurisce appena. È la prima volta che sente il suo capitano pronunciare quel nome; era persino arrivato a pensare che si fosse dimenticata della sua esistenza.
“E la cosa ti preoccupa?”
“Non sarà una visita di cortesia, lo sai?”
Lo so, meine Liebling, lo so. Questa volta Gellert sospira. Giocano ad essere insensibili, ma per entrambi questo imminente incontro pesa di più di quando vogliano ammettere.
“No, non lo sarà. Hai paura di rivedere tuo fratello, Ariana?”
***
“Mi sono stancato della tua arroganza! Devi andartene da qui!”
“Abe, no! Gellert! Gellert, fermati!”
Albus tentò di evocare uno Scudum per proteggere Aberforth, ma l’incanto si spezzò deviando, finendo sulla parete, di fianco ad Ariana.
“Ariana, scappa!”
Tre incantesimi vennero castati contemporaneamente; uno colpì la bambina in pieno petto, lanciandola attraverso la stanza.
“Ariana!!”
Aberforth corse da lei. Gellert si smaterializzò.
“Respira! Sta bene, lo so, sta bene, Albus, fa’ qualcosa, respira, respira ancora…”
***
“Perché te ne sei andato?”
Gellert la guarda di sottecchi, valutando che risposta dare. Non fa mai queste domande, Ariana, non parla mai dei suoi fratelli.
“Lo sai perché. Credevo fossi morta.”
Ariana non dice altro. Si limita a sospirare, poi scioglie i capelli e li lega di nuovo, come fa sempre quand’è nervosa. Gellert non sopporta che si tormenti i capelli -i suoi capelli biondi, lunghi come quelli di suo fratello-, ma negli anni ha imparato ad accettare quella strana forma di tricotillomania.
“Non ti sei mai abituata all’idea, vero?”
Lei scuote piano la testa. “Più che altro non me lo spiego ancora.”
“Non credo che qualcuno possa spiegarselo.”
Per quanto ne sapeva Gellert, quello che era successo alla piccola Dumbledore, quarantacinque anni prima, non aveva precedenti. Gli incantesimi lanciati dai suoi fratelli e da lui stesso, invece di ucciderla o di Schiantarla, avevano reagito con lo strano blocco delle capacità magiche di cui Ariana aveva sofferto, facendole riacquistare il controllo sui suoi poteri.
Il tedesco resta in silenzio per un po’, poi le chiede: “Ti sei mai pentita? Di essertene andata, dico”.
Ariana non risponde.
***
“Ariana, cosa stai…”
Albus riconosce quei fogli. Si chiede per l’ennesima volta perché non li abbia ancora bruciati, maledicendosi.
“Ariana…”
“Perché non hai mai detto niente?”
“Io-”
“Albus, ti rendi conto che rischiavo di passare la mia vita chiusa in casa?! Ti rendi conto che qui dentro”, lo interrompe, agitando stizzita i rotoli di pergamena, “potrebbe esserci la soluzione a tanti problemi uguali al mio?!” 
“Ariana, io non credo-”
“Ora non credi, Albus? Solo ora?! Abe mi ha raccontato tutto, lo sai. Ora che ti sei accorto che ci potrebbero essere dei problemi, delle difficoltà… vuoi rimangiarti tutto?”  
Il maggiore non ribatte subito, indeciso se arrabbiarsi o meno. Poi, raccogliendo tutta la pazienza residua, risponde: “Stai esagerando. Non sono mai stato d’accordo con tutto quello che pensava Gellert, e Aberforth lo sa.”
“Certo. Peccato che tu fossi disposto ad appianare tutte le vostre divergenze in nome del Bene Superiore. Negalo! Negalo, adesso!”
Albus non sa più cosa commentare; sente che la situazione gli sta sfuggendo di mano, ancora una volta. 
Ariana non sembra essere disposta ad ascoltare altro. Esce sbattendo la porta, e suo fratello non sa come fermarla.
***
Il consiglio era durato ore. Gellert aveva riso alla proposta di una delle guardie di provare a trattare con Dumbledore e i membri del Ministero; Ariana aveva scosso la testa, ma non aveva aggiunto nulla.
“Era questo il punto a cui volevi arrivare?”
Gellert volta la testa a guardarla. Si erano ritirati nelle stanze private di Ariana; la luce chiara dell’alba si stava facendo strada a forza nella cappa di malumore che avvolgeva Nurmengard.
“No”, risponde cauto. Valuta se aggiungere qualcosa, poi continua: “Ho… ho sempre sperato che tornasse per dirmi che avevo ragione. Ho sempre sperato che il nostro rapporto valesse più dei rischi da affrontare. Evidentemente mi sbagliavo.”
“Mi chiedo se abbiate mai parlato la stessa lingua”, ribatte Ariana, amara.
“Wir sprechen nämlich nicht dieselbe Sprache”. Gellert si concede un mezzo sorriso.
All’improvviso una guardia entra, aprendo la porta di scatto.
“Herr Grindelwald… è qui. Lui è qui.”
***
Gellert non alza la testa, quando Albus entra nella cella.
L’immagine di Ariana morta gli balena ancora davanti agli occhi; un incantesimo deviato nella battaglia l’aveva colpita in pieno petto e questa volta non c’era stato niente da fare. 
“Gellert.”
Il tedesco stringe i denti e non risponde.
“Gellert.”
“Cosa ti aspetti da me, Albus? Un mea culpa?”. 
Ariana era morta, morta.
Follia.
“Magari”, replica Albus, freddo.
“Tua sorella aveva ragione. Mi aveva chiesto se io e te avessimo mai parlato la stessa lingua. Sai di che colore è l’oro, per i tedeschi?” Si interrompe per un attimo. “Rosso. Mi ero convinto di tenere a lei, Albus. Mi ero convinto che tutto andasse bene così, che avere Ariana accanto mi sarebbe bastato. Che avessi imparato a parlare la stessa lingua, almeno con lei. Invece cercavo te, l‘ho scambiata per te. Tu eri il mio oro rosso, la mia lingua natia”.
Ad Albus per un momento mancano le parole. Poi, facendosi forza, dice: “Non ho mai smesso di amarti, lo sai. Non ho mai smesso di farlo, nemmeno quando Aberforth mi urlava contro tutta la sua rabbia, dandomi la colpa per la decisione di Ariana di andarsene di casa. Nemmeno quando ho visto cosa stavi facendo. Nemmeno quando tutto il mondo magico mi implorava di fermarti.”
Sospira, e si decide ad aggiungere: “Nemmeno dopo che mi hai portato via mia sorella. Per due volte, Gellert.”
Il tedesco si decide ad alzare la testa.
“Non parliamo la stessa lingua. Dovevamo accettarlo, e accorgercene prima”, aggiunse.
“Prima di cosa, Albus?”
L’inglese si lascia sfuggire un ulteriore sospiro. “Prima che fosse troppo tardi”.
“È troppo tardi”, evidenzia inutilmente Gellert. “Lo è sempre stato, per noi. E prima o poi avremmo dovuto lasciarci. Ma penso che sia stato meglio così, che non esserci mai incontrati”. 
“Meglio?” sfiata Albus, stanco. Meglio per chi? 
Nel silenzio di Nurmengard sono ancora sospese domande inespresse e senza risposta, quando Gellert risponde: “Non ho mai avuto nulla di più prezioso che te, Albus. Fosse stato anche solo per qualche giorno. E per avere te, ho rinunciato a tutto il resto.”
***
Albus si guarda intorno, parzialmente soddisfatto del riordino sommario del suo ufficio. Si china a sistemare l’ultimo ripiano, quando urta col gomito una pila di libri sulla scrivania; maledicendo le sue mosse maldestre, raccoglie il volume caduto a terra.
È la Saga dei Nibelunghi, un racconto Babbano di secoli prima; non ricordava nemmeno più di averlo tra i suoi libri. Lo sfoglia distrattamente e trova un’annotazione in tedesco, di fianco ad una strofa del poema.
Vedi, Albus? L’oro è rosso, per i tedeschi. E io ho un sacco di oro, qui, nascosto tra i tuoi capelli.
Il vecchio preside sospira e accarezza piano il libro, in corrispondenza di quelle tracce di inchiostro sbiadito.
Si concede un mezzo sorriso, nonostante da qualche parte, nel suo cuore, si sia rimessa a bruciare una ferita ancora aperta, alla quale non sarebbe mai stato permesso di diventare cicatrice.

Titolo: Nurmengard
Pacchetto e coppia scelta: Lingua slash (Albus/Gellert)
Difficoltà scelte: Come doveva finire (e nient’altro, shame on me ç_ç)
Tipologia di fic: One shot
Avvisi: WHAT IF enorme, un po’ di angst sparso in giro. Introspettivo, triste.
Altri personaggi o paring: Ariana Dumbledore
Betata: No
Note: A parte il WHAT IF? Niente, presumo. Ah beh, l’ultima parte è ambientata un bel po’ di anni dopo. Le parti in corsivo sono tutti flashback.
Questa storia è stata scritta per il contest Pairing pazzi e difficoltà di Miki. Il nome del pacchetto era anche il prompt da rispettare, le difficoltà erano caratteristiche da inserire a piacere nella fic. Io ho scelto Come doveva finire e ho terminato la mia ff con la parola "cicatrice", ovvero come zia Row aveva pensato di terminare HP7. Sproloqui a parte, il tedescorum che trovate nel brano è tradotto sotto.
Quando Miki, porella lei, valuterà questa storia, la aggiornerò con risutati e banner.
Disclaimer: Ehi, know what? Non possiedo nulla, nè i Dumbledore, nè Nurmengard, nè Gellert. Purtroppo.



È silenziosa, Nurmengard, questa sera.
Le ombre si allungano mentre il fumo sale, arrotolandosi nell’aria senza far rumore.
Qualche passo, forse, il gracchiare di un corvo, lo schiocco ritmico delle sue labbra sul legno della pipa. Nulla di più.
Gellert Grindelwald è seduto ad aspettare la notte sul davanzale di pietra della finestra, e scruta nell’ombra, là fuori, come se riuscisse a vedere cose che altri umani non vedono. Non sospira più come i primi tempi, né c’è rabbia nei suoi occhi; solo silenzio vigile.
Grindelwald aspetta la notte, e nient’altro.
La porta si apre, lasciando entrare una persona e un po’ di luce; Gellert si concede un mezzo sorriso, mentre si alza e le si avvicina. 
“È ora.” 
Lui circonda con le braccia la vita di quella figura esile per avvicinarla a sè.
Appoggia le labbra alle sue, forzandole lentamente con la lingua per approfondire il bacio; il profumo, il sapore, persino il calore di quella bocca sono gli stessi di tanti anni prima, ma non è lui, non è lui, e Gellert sa che si sta ingannando ancora una volta. 
Quando si scosta si chiede perché si sia votato a questo martirio, e se non fosse meglio (più facile? Più bello?) non vivere divisi a metà.

***

“Parla, per favore.”
Camminano veloci per i corridoi bui, per raggiungere come ogni sera la sala del consiglio.
L’aria intorno a Nurmengard si addensa di minacce, e sempre più voci parlano di un attacco imminente.
“Cosa?”
“Quarantatre anni e ancora non hai imparato a mentirmi. Vuoi dirmi qualcosa. Parla.”
Il capitano delle guardie esita ancora un po’, sotto lo sguardo indagatore di Gellert, mentre si chiede come facesse Albus a chiudere la mente, anche quando gli abbracci si facevano più esigenti, il tocco sulla pelle più bruciante.
“Dicono… dicono che Albus Dumbledore verrà a Nurmengard.”
Lo sguardo di Gellert si scurisce appena. È la prima volta che sente il suo capitano pronunciare quel nome; era persino arrivato a pensare che si fosse dimenticata della sua esistenza.
“E la cosa ti preoccupa?”
“Non sarà una visita di cortesia, lo sai?”
Lo so, meine Liebling, lo so. Questa volta Gellert sospira. Giocano ad essere insensibili, ma per entrambi questo imminente incontro pesa di più di quando vogliano ammettere.
“No, non lo sarà. Hai paura di rivedere tuo fratello, Ariana?”

***

“Mi sono stancato della tua arroganza! Devi andartene da qui!”
“Abe, no! Gellert! Gellert, fermati!”
Albus tenta di evocare uno Scudum per proteggere Aberforth, ma l’incanto si spezza deviando, finendo sulla parete, di fianco ad Ariana.
“Ariana, scappa!”
Tre incantesimi vengono castati contemporaneamente; uno colpisce la bambina in pieno petto, lanciandola attraverso la stanza.
“Ariana!!”
Aberforth corre da lei. Gellert si smaterializza.
“Respira! Sta bene, lo so, sta bene, Albus, fa’ qualcosa, respira, respira ancora…”


***

“Perché te ne sei andato?”
Gellert la guarda di sottecchi, valutando che risposta dare. Non fa mai queste domande, Ariana, non parla mai dei suoi fratelli.
“Lo sai perché. Credevo fossi morta.”
Ariana non dice altro. Si limita a sospirare, poi scioglie i capelli e li lega di nuovo, come fa sempre quand’è nervosa.
Gellert non sopporta che si tormenti i capelli -i suoi capelli biondi, lunghi come quelli di suo fratello-, ma negli anni ha imparato ad accettare quella strana forma di tricotillomania.
“Non ti sei mai abituata all’idea, vero?”
Lei scuote piano la testa. “Più che altro non me lo spiego ancora.”
“Non credo che qualcuno possa spiegarselo.”
Per quanto ne sapeva Gellert, quello che era successo alla piccola Dumbledore, quarantacinque anni prima, non aveva precedenti.
Gli incantesimi lanciati dai suoi fratelli e da lui stesso, invece di ucciderla o di Schiantarla, avevano reagito con lo strano blocco delle capacità magiche di cui Ariana aveva sofferto, facendole riacquistare il controllo sui suoi poteri.
Il tedesco resta in silenzio per un po’, poi le chiede: “Ti sei mai pentita? Di essertene andata, dico”.
Ariana non risponde.

***

“Ariana, cosa stai…”
Albus riconosce quei fogli. Si chiede per l’ennesima volta perché non li abbia ancora bruciati, maledicendosi.
“Ariana…”
“Perché non hai mai detto niente?”
“Io-”
“Albus, ti rendi conto che rischiavo di passare la mia vita chiusa in casa?! Ti rendi conto che qui dentro”, lo interrompe, agitando stizzita i rotoli di pergamena, “potrebbe esserci la soluzione a tanti problemi uguali al mio?!” 
“Ariana, io non credo-”
“Ora non credi, Albus? Solo ora?! Abe mi ha raccontato tutto, lo sai. Ora che ti sei accorto che ci potrebbero essere dei problemi, delle difficoltà… vuoi rimangiarti tutto?”  
Il maggiore non ribatte subito, indeciso se arrabbiarsi o meno. Poi, raccogliendo tutta la pazienza residua, risponde: “Stai esagerando. Non sono mai stato d’accordo con tutto quello che pensava Gellert, e Aberforth lo sa.”
“Certo. Peccato che tu fossi disposto ad appianare tutte le vostre divergenze in nome del Bene Superiore. Negalo! Negalo, adesso!”
Albus non sa più cosa commentare; sente che la situazione gli sta sfuggendo di mano, ancora una volta. 
Ariana non sembra essere disposta ad ascoltare altro. Esce sbattendo la porta, e suo fratello non sa come fermarla.


***

Il consiglio era durato ore. Gellert aveva riso alla proposta di una delle guardie di provare a trattare con Dumbledore e i membri del Ministero; Ariana aveva scosso la testa, ma non aveva aggiunto nulla.
“Era questo il punto a cui volevi arrivare?”
Gellert volta la testa a guardarla. Si erano ritirati nelle stanze private di Ariana; la luce chiara dell’alba si stava facendo strada a forza nella cappa di malumore che avvolgeva Nurmengard.
“No”, risponde cauto.
Valuta se aggiungere qualcosa, poi continua: “Ho… ho sempre sperato che tornasse per dirmi che avevo ragione. Ho sempre sperato che il nostro rapporto valesse più dei rischi da affrontare. Evidentemente mi sbagliavo.”
“Mi chiedo se abbiate mai parlato la stessa lingua”, ribatte Ariana, amara.
Wir sprechen nämlich nicht dieselbe Sprache”. Gellert si concede un mezzo sorriso.
All’improvviso una guardia entra, aprendo la porta di scatto.
Herr Grindelwald… è qui. Lui è qui.”

***

Gellert non alza la testa, quando Albus entra nella cella.
L’immagine di Ariana morta gli balena ancora davanti agli occhi; un incantesimo deviato nella battaglia l’aveva colpita in pieno petto e questa volta non c’era stato niente da fare. 
“Gellert.”
Il tedesco stringe i denti e non risponde.
“Gellert.”
“Cosa ti aspetti da me, Albus? Un mea culpa?”. 
Ariana era morta, morta.
Follia.
“Magari”, replica Albus, freddo.
“Tua sorella aveva ragione. Mi aveva chiesto se io e te avessimo mai parlato la stessa lingua. Sai di che colore è l’oro, per i tedeschi?” Si interrompe per un attimo. “Rosso. Mi ero convinto di tenere a lei, Albus. Mi ero convinto che tutto andasse bene così, che avere Ariana accanto mi sarebbe bastato. Che avessi imparato a parlare la stessa lingua, almeno con lei. Invece cercavo te, l‘ho scambiata per te. Tu eri il mio oro rosso, la mia lingua natia”.
Ad Albus per un momento mancano le parole. Poi, facendosi forza, dice: “Non ho mai smesso di amarti, lo sai. Non ho mai smesso di farlo, nemmeno quando Aberforth mi urlava contro tutta la sua rabbia, dandomi la colpa per la decisione di Ariana di andarsene di casa. Nemmeno quando ho visto cosa stavi facendo. Nemmeno quando tutto il mondo magico mi implorava di fermarti.”
Sospira, e si decide ad aggiungere: “Nemmeno dopo che mi hai portato via mia sorella. Per due volte, Gellert.”
Il tedesco si decide ad alzare la testa.
“Non parliamo la stessa lingua. Dovevamo accettarlo, e accorgercene prima”, aggiunge.
“Prima di cosa, Albus?”
L’inglese si lascia sfuggire un ulteriore sospiro. “Prima che fosse troppo tardi”.
“È troppo tardi”, evidenzia inutilmente Gellert. “Lo è sempre stato, per noi. E prima o poi avremmo dovuto lasciarci. Ma penso che sia stato meglio così, che non esserci mai incontrati”. 
“Meglio?” sfiata Albus, stanco. Meglio per chi? 
Nel silenzio di Nurmengard sono ancora sospese domande inespresse e senza risposta, quando Gellert risponde: “Non ho mai avuto nulla di più prezioso che te, Albus. Fosse stato anche solo per qualche giorno. E per avere te, ho rinunciato a tutto il resto.”

***

Albus si guarda intorno, parzialmente soddisfatto del riordino sommario del suo ufficio.
Si china a sistemare l’ultimo ripiano, quando urta col gomito una pila di libri sulla scrivania; maledicendo le sue mosse maldestre, raccoglie il volume caduto a terra.
È la Saga dei Nibelunghi, un racconto Babbano di secoli prima; non ricordava nemmeno più di averlo tra i suoi libri.
Lo sfoglia distrattamente e trova un’annotazione in tedesco, di fianco ad una strofa del poema.

Vedi, Albus? L’oro è rosso, per i tedeschi. E io ho un sacco di oro, qui, nascosto tra i tuoi capelli.

Il vecchio preside sospira e accarezza piano il libro, in corrispondenza di quelle tracce di inchiostro sbiadito.Si concede un mezzo sorriso, nonostante da qualche parte, nel suo cuore, si sia rimessa a bruciare una ferita ancora aperta, alla quale non sarebbe mai stato permesso di diventare cicatrice.



Note di traduzione.

Meine Leibling: mia cara, mia amata.
Wir sprechen nämlich nicht dieselbe Sprache: Infatti non parliamo la stessa lingua.

 

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Capitolo 5
*** Viola ***


Cadesti a terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chieder perdono per ogni peccato.
[La guerra di Piero, Fabrizio de Andrè]

L’unica cosa che Nurmengard non ti ha mai tolto è la lucidità con cui affrontavi il mondo.
Niente poteva scomporti.
Niente poteva turbarti, o rovinarti.
Niente.
Di certo non il messo di morte che ha appena varcato la soglia della tua cella.
Sai che nulla di quello che dirai potrà cambiare il tuo destino.
Ti ucciderà comunque.
Non avrai il tempo di pensare a nulla, tranne all’unica persona che abbia mai significato qualcosa per te, l'unico che sia mai riuscito ad accelerarti i battiti del cuore.
Lui, alla difesa della cui memoria consacrerai le tue ultime parole.

“Non lo so”.

E un lampo verde di odio e di rabbia ti investe.


Angolino autrice.

D'accordo, quelle non sono precisamente le ultime parole di Gellert, ma mi piace pensare che sia morto pronunciando una frase in difesa della tomba di Albus.
[100 parole, yeee!]

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