Ritrovarsi nel sangue

di Graine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


"Purple Haze" - The Cure 



Ritrovarsi nel sangue
 

Capitolo 1
 

 
Evelyn si svegliò nel cuore della notte.
Si svegliò nel cuore di quella notte calda perché aveva sentito.
Si svegliò nel cuore di quella notte calda perché lo aveva sentito arrivare.
Aveva avvertito nitida la sua presenza in sogno e aveva capito che lui era lì, nella realtà materiale. Quella al di fuori del mondo onirico.
Ed era lì per lei.
Lui non l'aveva chiamata, non le aveva inviato alcun messaggio. Probabilmente, non aveva avuto nemmeno intenzione di svegliarla. Sicuramente, voleva lasciarla dormire e sapere solo che lei stesse bene, che fosse al sicuro. Ma lei lo aveva sentito comunque, nonostante lui non l'avesse chiamata. No, non ce n'era stato bisogno.
Come non ce n'era più stato dal loro primo incontro.
Evelyn lo ricordava bene: una sera d'estate di tre anni prima esatti.
Anche per quello lui si trovava lì; da allora lo aveva fatto ogni anno, per quella loro ricorrenza. Veniva da lei di notte e rimaneva fuori in giardino fino a poco prima dell'alba, a vegliarla sotto l'albero. Poggiato al suo tronco e con gli occhi fissi verso l'alto, alla finestra della sua camera.
Non entrava in casa come avrebbe fatto in altre circostanze e come aveva sempre fatto, da quando lei lo aveva invitato.
Matthew stava lì, nel silenzio della notte calda, e vegliava. Ascoltando il suono regolare del suo respiro addormentato, grazie al proprio udito sopraffino. Un udito straordinario, un udito non umano.
Quella notte di tre anni prima... oh si, Evelyn la ricordava bene.
Ricordava ancora perfettamente il dolore, la rabbia, la furia che l'aveva mossa a cercare vendetta per la morte di sua nonna, uccisa da un altro vampiro due settimane prima. E quello era stato un dolore troppo forte da sopportare, perché dopo che i genitori di Evelyn erano morti in un incidente stradale, quando lei aveva solo undici anni, sua nonna si era presa cura di lei ed era riuscita a riempire il vuoto che quel lutto improvviso aveva causato nel cuore della piccola.
Evelyn, all'epoca, ancora non sapeva chi lei fosse in realtà, non aveva idea di cosa la sua mente fosse capace. I suoi genitori non gliene avevano mai parlato, non le avevano mai detto dei poteri che si tramandavano in entrambe le due famiglie da generazioni. Forse da sempre. Da talmente tanto tempo che il quando dell'inizio si era perso nei ricordi dei secoli. O probabilmente, quel quando dell'inizio coincideva col quando dell'inizio di tutto, col quando dell'inizio del mondo stesso.
Poi, dopo aver compiuto da poco il proprio quindicesimo compleanno, Evelyn aveva notato alcune piccole cose accaderle sempre più di frequente. Ma erano piccole cose, appunto. Come le luci di casa che si accendevano o si spegnevano da sole, nel momento stesso in cui Evelyn pensava di doverlo fare. O lo stereo che si azionava e diffondeva autonomamente le note rilassanti di una musica a basso volume, quando lei si sentiva stressata. Le candele che si animavano di calde fiammelle accese da fiammiferi decisamente invisibili ogni volta che faceva il bagno, illuminando l'oscurità col loro caldo chiarore.
Piccole cose, che poi erano diventate più grandi e difficili da gestire col passare dei mesi. Soprattutto, se era arrabbiata.
La rabbia era sempre stata l'emozione più difficile da controllare, per Evelyn. In particolare modo dopo la morte dei suoi.
Perché era dovuto accadere? Perché loro l'avevano abbandonata? Perché erano dovuti uscire per forza, quella sera, con un temporale così forte e le strade bagnate? Perché avevano per forza dovuto prendere dal piccolo ponte sul fiume, non pensando, non immaginando che con tutta quell'acqua che stava venendo giù dal cielo, la piena li avrebbe travolti? E perché, loro che erano perfettamente a conoscenza di quei poteri e che sapevano bene come usarli, non lo avevano fatto per salvarsi? Perché non ci erano riusciti?
Sì, Evelyn era sempre stata una bambina allegra e solare e grazie all'aiuto di sua nonna era tornata ad esserlo anche dopo quella tragedia,  grazie a sua nonna era diventata un'adolescente che, nonostante tutto, amava profondamente la vita.
Ma la rabbia era stata sempre un'emozione difficile da gestire.
E quando i suoi poteri avevano iniziato a manifestarsi, sviluppandosi e crescendo in fretta, era stato ancora più difficile riuscire a dominarla.
Una volta, aveva fatto esplodere i vetri della caffetteria della scuola; un'altra, era saltato il sistema antincendio, allagando tutto. Un'altra ancora, aveva rischiato di morire lei stessa, perché a causa di quella rabbia che poteva montarle dentro per un non nulla – alimentata dal dolore che portava sempre nascosto in fondo, dentro di sé – aveva causato un cortocircuito nel sistema elettrico dell'aula d'informatica, provocando un incendio che aveva distrutto tutti i computer e si era diffuso in fretta, riempiendo la stanza di fumo.
Non sapeva come l'avessero salvata, ricordava di essere svenuta cercando – inutilmente – di spegnere il fuoco di cui sapeva di essere stata la causa, mentre i suoi compagni di classe fuggivano terrorizzati. Non sapeva come avessero fatto Meredith e Mark, i suoi migliori amici di sempre, a rientrare in quell'inferno, quando si erano accorti che lei non ne era uscita, e a portarla fuori. Però sapeva che avevano rischiato le loro vite a causa sua, come tutti gli altri suoi compagni di classe e le due insegnanti. E aveva capito di non poter più continuare in quel modo, che le serviva aiuto. E quando sua nonna era arrivata in ospedale terrorizzata, nel pieno di una crisi isterica e volendo sapere cosa fosse accaduto a sua nipote e se stesse bene, lei era scoppiata a piangerle tra le braccia non appena le avevano lasciate sole. Raccontandole tutto, scusandosi perché sapeva di esserne lei e solo lei la responsabile.
E così aveva saputo.
Sua nonna l'aveva ascoltata raccontare di quell'ultimo incidente e di tutti quelli precedenti e delle altre cose. L'aveva abbracciata e l'aveva fatta sfogare, rassicurandola che, da quel momento in poi, sarebbe andato tutto bene. Perché la sua nonnina era lì con lei, non era sola, e le avrebbe insegnato a gestire i suoi poteri.
Quel giorno in ospedale, sua nonna le aveva rivelato il perché le fossero successi tutti quegli eventi strani e inspiegabili: lei era una strega.
Da quel momento in poi, a piccoli passi, Evelyn aveva imparato a controllarsi.
Conoscere la storia della sua famiglia, delle sue origini, il suo retaggio, l'aveva aiutata. Sapere di essere il frutto dell'unione di due delle più importanti famiglie di streghe del Massachusetts, l'aveva rassicurata, l’aveva convinta di non essere un mostro e le aveva dato modo di tornare a fidarsi di se stessa, così da riuscire a gestire le proprie capacità e a svilupparle senza che i suoi poteri rompessero gli argini che aveva creato e prendessero il controllo su di lei.
E proprio quando, finalmente, aveva acquisito la sicurezza del controllo su di sé, era accaduto. Sua nonna era morta, gliel'avevano uccisa.
La rabbia era tornata, furiosa, ardente e cieca, ma sta volta lei sapeva come sfruttarla. Sapeva come incanalarla ed era stato così che quella furia l'aveva avvolta nel calore della propria lucida promessa di vendetta, perché erano passati cinque anni, ormai, da quando aveva scoperto che cosa lei in realtà fosse, non era più la quindicenne spaventata di un tempo.
Da sempre, le streghe delle due famiglie da cui Evelyn discendeva avevano protetto gli altri esseri umani, combattendo contro qualunque essere li minacciasse o volesse far loro del male. E i vampiri erano stati spesso tra di essi.
Era stato uno di loro ad uccidere sua nonna.
Quel vampiro era un cacciatore di streghe – cosa insolita se non singolare per una creatura della notte, che in genere preferivano, se possibile, non scontrarsi con quelle come Evelyn – e aveva intessuto una fitta rete di inganni e sotterfugi per far cadere in trappola una strega potente ed esperta come sua nonna. Approfittando di un week-end in cui Evelyn era stata via e in cui egli sapeva, così, di poter affrontare la donna da sola.
Quando Evelyn era tornata a casa, quella domenica sera, l’abitazione era perfettamente illuminata ma di sua nonna neanche una traccia. Lei l'aveva chiamata e cercata, non capendo, finché non aveva visto il suo corpo nel giardino sul retro. Riverso sull'erba, in una pozza di sangue.
Era corsa da lei tentando di soccorrerla, tentando di guarirla usando i propri poteri mentre le lacrime le offuscavano la vista e i singhiozzi le impedivano di respirare. Urlandole disperata di aprire gli occhi – quegli occhi scuri, uguali ai suoi – e di non lasciarla.
Ma non c'era stato nulla che Evelyn potesse fare, sua nonna era già fredda e pallida. La gola squarciata da segni di morsi che lei aveva riconosciuto subito e a terra molto sangue ma non quanto avrebbe dovuto essercene per una ferita di quel tipo. Non quanto ce ne sarebbe stato se sua nonna fosse stata attaccata da un animale. Qualcuno aveva portato via quel sangue, qualcuno lo aveva bevuto così da assorbirne un po' del potere. Un qualcuno che non poteva entrare in casa senza esserne invitato e che aveva dovuto attirare sua nonna fuori, in giardino, e con un inganno per ucciderla. Quello stesso qualcuno che l'aveva osservata nell'ombra tentare di aiutare sua nonna, chiamare l'ambulanza singhiozzando, macchiare il cordless con le mani sporche di quel sangue che le aveva imbrattato anche i vestiti.
Quello stesso qualcuno che non appena Evelyn aveva chiuso la chiamata al 911, si era fatto vedere, l'aveva provocata e si era preso gioco del suo dolore e della sua rabbia e l'aveva avvisata di non preoccuparsi per sua nonna, che l'avrebbe raggiunta presto perché, la prossima volta, lui sarebbe tornato per lei.
Ed era scappato via lasciando l'eco della sua sprezzante risata a burlarsi di lei, nel silenzio della notte.
E lei, lì, nel sangue di sua nonna, aveva giurato che l'avrebbe vendicata.
Per le due settimane successive, Evelyn lo aveva cercato, lo aveva braccato e alla fine era riuscito a farlo cadere nella sua trappola.
Quel vampiro era forte, forte del sangue di tutte le altre streghe che aveva cacciato e ucciso. Evelyn sapeva che non sarebbe stato un avversario facile da eliminare, che con lui non sarebbe bastato un semplice paletto nel cuore, o l’invocazione del fuoco, come con gli altri vampiri che aveva affrontato.
Per questo motivo, aveva deciso di mettere in atto il Rituale della Somma Invocazione.
Per questo motivo, Evelyn si era recata da sola nel bosco – ingannando Meredith e Mark e facendoli cadere addormentati con un incantesimo, per proteggerli ed evitare che la seguissero, loro che le avevano ripetuto di continuo, in quelle due settimane, di non fare pazzie – e aveva disposto le candele, le ametiste, le corniole, le ematiti e i quarzi in cerchio nella radura, alternandoli per come prevedeva il Rito.
In fine, si era tagliata la mano sinistra e aveva sparso gocce del proprio sangue lungo tutta la circonferenza di quel cerchio. E poi aveva iniziato l'Invocazione.
Per richiamare a sé il vampiro non c'era voluto molto, quella era stata la parte più facile.
In quelle due settimane, lui non era mai stato davvero lontano da Evelyn. Le era stato sempre alle spalle, cacciandola a sua volta, tentando di logorarla e farla impazzire. Rimanendo ingannato dalla maschera che Evelyn aveva indossato per distrarlo dal proprio reale intento, per distrarlo dalla trappola che lei aveva ordito e in cui lui era caduto senza nemmeno accorgersene.
Il vampiro era arrivato, braccato credendo di braccarla, e lei lo aveva catturato. Imprigionandolo con una piccola barriera mistica.
Il vampiro aveva riso, quella barriera non era particolarmente forte e grazie ai poteri che quel mostro aveva assorbito, uccidendo altre streghe, aveva subito iniziato a contrastarla. Ma per Evelyn, quello era stato solo un espediente per prendere tempo e che le era servito per trattenerlo e tenerlo buono il tempo sufficiente per completare il Rituale e richiamare a sé il Potere.
Perché la Somma Invocazione altro non era che l'invocazione del Potere Puro, l'essenza di quel Potere che le scorreva nel sangue e che era appartenuto da sempre alla due famiglie da cui ella discendeva. Il Potere puro e incontaminato che le scorreva nelle vene e nelle arterie e al contempo vegliava su di lei come uno spirito guida, sperando che lei avesse la forza necessaria per usarlo e non farsi, invece, usare da lui.
Lo scopo del Rituale era di invocarlo, richiamarlo e lasciarlo fluire limpido e temporaneamente slegato dal sangue della ragazza, per poi dirigerlo contro il suo avversario. Così da annientarlo del tutto.
E nello stesso momento in cui la debole barriera mistica con cui aveva intrappolato il vampiro aveva ceduto e lui, sorridendo beffardo e arrogante, si era scagliato contro di lei per ucciderla e rubare così anche il suo potere, Evelyn aveva aperto gli occhi.
Con un lampo improvviso, aveva lasciato fluire il Potere colpendo il suo nemico proprio al centro del petto con un fascio di luce brillante e accecante come il sole. Un fascio di luce ed energia tanto potente quanto instabile ma che Evelyn era riuscita a controllare alla perfezione, scagliandolo contro il vampiro.
E bruciandolo completamente.
Era durato tutto una decina di secondi: il vampiro aveva compreso immediatamente cosa gli stesse accadendo e aveva urlato, agonizzando nel dolore, mentre ogni centimetro del suo corpo veniva straziato e bruciato prima di essere ridotto in cenere, forse anche troppo velocemente per tutto il male che quel mostro aveva causato per chissà quanto tempo. Troppo velocemente, per il modo in cui quel mostro aveva ucciso sua nonna.
Troppo velocemente, e in una decina di secondi tutto era finito.
Del suo avversario non era rimasto altro che polvere, che una folata di vento sollevata dall’ultimo residuo dell’incantesimo aveva spazzato via.
Quando il fascio di energia era cessato e il Potere era tornato dentro di lei legandosi di nuovo al suo sangue, Evelyn era crollata a terra esausta.
Il respiro affannato come se avesse corso per lungo tempo, le gambe molli e ogni muscolo del suo corpo tremante e dolorante e senza più forze.
Non seppe mai per quanto tempo fosse rimasta in quello stato, forse un'ora, forse due, forse tre.
Quando finalmente era riuscita a trovare un briciolo di forza necessaria per alzarsi, aveva raccattato quello che restava delle candele – consumatesi nel frattempo – e i cristalli. Li aveva riposti nella borsa che si era rimessa a tracolla, e si era diretta alla propria macchina lasciata al limitare del bosco, a meno di un chilometro da lì.
Aveva camminato lentamente, mettendo a stento un piede dopo l'altro, trascinandosi. Mossa solo dalla necessità di potersi stendere sul proprio letto e dormire almeno per i successivi due giorni. Svuotata e, adesso, completamente soggetta unicamente al dolore per la perdita di sua nonna.
In quel momento, Evelyn era stata troppo stanca per percepire un'altra presenza, poco lontano da lei.
Una presenza che, però, si era accorta di lei.
Un altro vampiro attirato lì dall'odore del suo sangue.
Quel sangue che ancora le usciva un po', a tratti, da quella ferita alla mano che si era procurata da sola per compiere il Rituale e che non si era ancora del tutto rimarginata perché il corpo di Evelyn era troppo stanco e provato dal Rito per riuscire a rigenerarsi da solo come di solito.
Anche Matthew ricordava benissimo quella notte.
Proprio come Evelyn nella sua stanza, anche lui sotto l'albero del giardino della ragazza stava ripensando al loro primo incontro.
Matthew poteva ancora sentire nelle narici quell'odore... l'odore di quel sangue che lo aveva condotto a lei con ipnotica attrattiva.
Era stato l'odore della ragazza, ancora più forte e concentrato in quel nettare rosso che le scorreva nelle vene, nelle gocce che colavano lentamente al suolo dalla sua mano ferita in una scia che lo aveva invitato a seguirla, quell'odore che aveva sconvolto e rapito la mente del vampiro.
Ed era stato così che lui l'aveva trovata, attirato dall'odore del sangue. E quell'odore, quel profumo – il più buono che Matthew avesse mai sentito in quegli ultimi duecentoventisette anni di vita dannata, il più buono che avesse mai sentito nei suoi duecentocinquantadue anni di esistenza – lo aveva destabilizzato a tal punto da fargli desiderare di intraprendere la caccia all'istante.
E così era stato.
Le era apparso davanti, comparendo dal nulla grazie a quella velocità inumana che gli consentiva di sfuggire agli occhi dei comuni mortali e, in quel caso, anche agli occhi allenati ma stanchi di Evelyn. Le era apparso davanti con lo sguardo offuscato e le pupille dilatate, reso folle da quell'improvvisa sete che non era riuscito a controllare a che, adesso, stava controllando lui.
L'aveva spinta a scappare, a vagare in quella notte calda tra gli alberi, fuggendo da occhi invisibili e ombre striscianti che l'avevano attirata nella loro trappola come le spire di un serpente.
Dopo il Rito, Evelyn era stata troppo stanca e troppo debole per combattere e l'unica cosa che era riuscita a fare era stata scappare. Ma anche per correre le forze non le erano state sufficienti e nonostante le sue capacità, nonostante i suoi poteri, per lui era stato facile prenderla in quelle condizioni.
E lei era stata catturata da un nemico che non aveva sentito arrivare.
Il primo che ci fosse mai riuscito.
Il primo e anche l'ultimo.
Matthew le era piombato addosso con la rapidità di un fulmine e l'aveva stretta tra le sue braccia dalla solidità granitica con la sua forza disumana resa ancora più irruenta da quella follia improvvisa. Ed Evelyn non aveva avuto scampo.
Da cacciatrice in cerca di vendetta, era diventata la preda.
Aveva tentato di urlare, non avendo più l'energia per muovere nessun altro muscolo, ma l'urlo le era morto in gola, soffocato dalla stretta in cui lui l'aveva intrappolata. Erano rotolati a terra e quando il vampiro, con quell'agilità che contraddistingueva gli essere come lui, si era rimesso in piedi, l'aveva voltata di spalle tenendole ferme le braccia, immobilizzandogliele lungo i fianchi con un solo braccio, mentre con l'altra mano le aveva piegato la testa leggermente di lato, così da avere libero accesso al collo della giovane.
Ringhiando, le aveva annusato la pelle in quel punto. Estasiato dalla fragranza naturale che emanava e già pregustando il sapore di quel nettare rosso che, veloce, le scorreva sotto lo strato di candida pelle.
Un altro ringhio e aveva aperto la bocca, lasciando i suoi canini liberi di allungarsi, e il secondo dopo l'aveva morsa. Penetrando con violenza quegli stessi canini in quella carne tenera e lasciando Evelyn senza fiato per l'immediato dolore. Assaporando finalmente con un sorso, il dolce sapore di quel sangue il cui solo odore lo aveva fatto impazzire.
Un solo sorso ed era stato anche l'unico.
Perché nel momento in cui aveva assaporato sulla lingua quella rossa delizia e poi l'aveva ingoiata, sentendola scendergli nella gola e inebriandosi del suo calore, un lampo accecante – che solo i loro occhi avevano visto – aveva attraversato le loro menti all'unisono, colpendo il vampiro con dolorosa e improvvisa irruenza e la strega – abituata – con inaspettata consapevolezza.
Furono dei flash, all'apparenza vaghi e confusi ma di cui, invece, entrambi paradossalmente avevano compresso appieno il senso.
Immagini di una coppia, un uomo e una donna. Di aspetto sempre diverso ma che in realtà erano sempre gli stessi. Erano sempre quello stesso uomo e quella stessa donna, in diverse epoche passate,  visti l'uno dagli occhi dell'altra, con abiti sempre diversi, con dei lineamenti ogni volta differenti, in diverse vite.
Quelli non erano stati semplici flash ma ricordi. I ricordi delle loro esistenza passate, quelle vite che avevano trascorso insieme, quelle vite in cui, alla fine, si erano sempre ritrovati. E con quei ricordi adesso vivi e nitidi nelle loro menti, Matthew si era staccato da Evelyn come scottato e l'aveva lasciata cadere a terra, afferrandosi la testa con entrambe le mani. Col cranio dilaniato dalle fitte che accompagnavano quei flash.
Evelyn era rotolata su di un fianco e si era portata la mano al collo, stanca e senza più forze per provare ad alzarsi ma senza essere intontita dalla perdita di sangue. Il vampiro non gliene aveva preso abbastanza, con quel morso, ma la ferita sanguinava.
In un'altra circostanza si sarebbe rigenerata velocemente, ma era troppo esausta per riuscirvi del tutto. E quei flash, quei ricordi, le sconvolgevano ancora la mente. Alla fine, Evelyn era svenuta; il suo corpo aveva ceduto alla stanchezza di quella notte che le aveva portato via tutte le forze.
Matthew, invece, era rimasto cosciente e vigile, dopo che quella verità gli si era violentemente parata davanti agli occhi.
Prima che la ragazza svenisse, però, i due si erano scambiati un ultimo nonché anche primo vero sguardo e si erano riconosciuti.
Eppure non si conoscevano affatto, non in quella vita.
Quando poi la giovane aveva perso i sensi, il vampiro era rimasto immobile a fissarla, cercando di capire.
Come poteva essere possibile? In quei più di duecento anni di non vita non gli era mai accaduto nulla di simile. Nessun essere umano lo aveva sconvolto come invece quella ragazza dai lunghi boccoli color pece aveva fatto solo col suo odore. Nessuno gli aveva mai suscitato una sete del genere e per nessuno aveva mai provato quella sensazione, quel... riconoscimento.
Come un inspiegabile senso di appartenenza.
Non aveva dubitato dell'autenticità di quei ricordi, non avrebbe mai potuto, e quindi chi era quella giovane? L'aveva forse già incontrata nei suoi due secoli di esistenza dannata senza riconoscerla? Oppure l'aveva conosciuta nella sua vita umana? Chi... Chi era quella ragazza, per avere un tale potere su di lui?
Matthew si era inginocchiato al suo fianco e l'aveva guardata a lungo, cercando di capire. I suoi occhi erano stati rapiti più volte dal sangue che le usciva – anche se non copioso come avrebbe dovuto, date le ferite – dal collo e da quel taglio alla mano. E guardando quel sangue, sentendone il sublime profumo, la sete era tornata a farsi sentire bruciante nella gola e nel petto... ma Matthew non era più riuscito a bere.
Non era più riuscito a torcerle un solo capello, da allora.
Oh sì, Matthew ricordava bene quella notte di tre anni prima.
Ricordava perfettamente quanto fosse stato difficile riportare quella ragazza a casa, con l'odore del suo sangue a torturargli le narici.
Si era infilato nella sua auto, l'aveva messa sul sedile del passeggero e poi aveva aperto tutti i finestrini per far entrare l'aria estiva nell'abitacolo – già di per sé pregno del profumo di lei, motivo per cui gli era stato facile trovare la macchina – e non farsi stordire da quell'aroma squisito. Aveva guidato seguendo la scia del suo odore e l'aveva ricondotta a casa, affidandola poi alle cure di quelli che aveva desunto fossero i suoi amici, dati gli sguardi terrorizzati che avevano lanciato alla ragazza ferita, non appena l'avevano vista svenuta tra le braccia di Matthew.
Ricordava perfettamente di essere rimasto a fissarla per il resto della notte, fuori dalla casa, mentre i suoi amici l'avevano stesa sul letto della stanza al piano di sopra, finalmente – Dio, finalmente! – le avevano bendato quelle ferite e avevano tentato di darle una ripulita da tutto quel sangue e dal fango. Un po' lo aveva sorpreso che quella ragazza non fosse rinvenuta un solo momento, neanche mentre i suoi amici l'avevano spogliata e rivestita.
Era rimasto fino a prima dell'alba e poi aveva dovuto lasciarla per cercare un luogo in cui ripararsi dal sole e riposare durante il giorno. Ma era tornato la sera dopo e aveva iniziato a preoccuparsi vedendo che continuava a dormire. A quanto i suoi amici avevano detto – parlando tra loro senza sapere che il vampiro li stesse ascoltando – non sembrava essersi svegliata affatto neanche durante il giorno.
Perché dormiva ancora? Matthew era stato sicuro di non aver bevuto così tanto sangue, quando l'aveva morsa. Un solo sorso ed era stato anche l'unico.
Forse era successo qualcosa prima? In effetti, quando Matthew l'aveva trovata seguendo la scia del sangue che le colava dalla mano, aveva notato l'aria stanca della ragazza. Gli era sembrata senza forze, anche quando aveva tentato quella patetica e inutile fuga.
E inoltre, perché la sua mano era ferita? Perché aveva il segno netto del taglio di un coltello?
Cosa poteva mai esserle successo, da costringerla a dormire per più di quarantotto, lunghissime ore, per riprendersi?
Matthew ricordava bene l'ansia che lo aveva attanagliato vedendola ancora addormentata e ricordava anche bene come, allora, quell'emozione, quella preoccupazione lo avesse stupito.
Matthew non aveva mai amato uccidere. In quei due secoli aveva imparato a prendere quanto gli fosse necessario da più persone nel corso della stessa notte, così da non doverne uccidere nessuna. Ma a volte, anche dopo più di duecento anni , gli era successo. Non era riuscito a controllarsi e a fermarsi in tempo e qualche innocente gli era morto fra le braccia.
No, Matthew non aveva mai amato uccidere e aveva sempre cercato di non far soffrire più del dovuto le proprie vittime. Non le aveva mai braccate, la caccia non lo aveva mai inebriato come, invece, faceva coi suoi simili. Per Matthew, quella pratica era pura crudeltà. Significava logorare la vittima poco a poco facendole capire che sarebbe morta, facendole credere che ogni volta sarebbe stata quella decisiva e invece non lo era mai, annientandola nello spirito. Fino a che, quando alla fine la si uccideva davvero, quella era completamente schiava del terrore.
Matthew non aveva mai amato la caccia e si era sempre preoccupato di cancellare i ricordi a tutte le sue vittime, per evitare che la sofferenza che aveva causato loro potesse tormentarli, ma preoccuparsi in quel modo per un'estranea andava ben oltre.
Eppure, lei non era davvero un'estranea.
Evelyn ricordava bene anche i primi tempi, con Matthew.
Ricordava il racconto dei suoi amici, quando la sera del terzo giorno si era svegliata.
Ricordava bene come l'avessero tempestata di domande e di imprecazioni sul suo comportamento avventato, soprattutto Meredith.
Lei che le era sempre stata vicina ogni volta che Evelyn ne aveva avuto bisogno, che sapeva ogni cosa di lei, che l'aveva vista nei momenti più felici e in quelli peggiori. Meredith non era riuscita ad accettare che Evelyn l'avesse esclusa in quel modo, che l'avesse tenuta lontana proprio in un frangente così pericoloso. Anche se Evelyn lo aveva fatto per proteggerla.
«Come hai potuto essere così idiota?!», l’aveva praticamente assalita, una volta appurato si fosse ormai ripresa. «Potevi morire! Se ti fosse successo qualcosa, io...».
«Mer, calmati. Sto bene».
«Stai bene?! Razza di idiota, eri ferita, hai trascorso gli ultimi tre giorni a dormire a causa di quello stramaledetto rito e hai rischiato di diventare la bistecca di uno stramaledetto vampiro! Ma che cos'hai in quella testaccia bacata?!».
Non sapendo che, intanto, Matthew era stato ad ascoltarli per tutto il tempo. Curioso e incredulo nell'apprendere il motivo per cui quella ragazza – Evelyn – gli fosse sembrata tanto debole, quando l'aveva incontrata. Rincuorato dal vederle finalmente aprire gli occhi – più scuri e limpidi di quanto li ricordava e animati da una singolare luce, una fermezza che prima non aveva notato.
E consapevole del fatto che, in realtà, lei debole non lo fosse affatto.
Ed Evelyn ricordava benissimo – mentre decideva se alzarsi da quel letto o no e affacciarsi alla finestra per vedere lui – le sensazioni che aveva provato parlando con Matthew per la prima volta. Quella notte stessa.
Perché il vampiro era tornato, e lo aveva fatto per lei.
E lei lo aveva sentito dal primo momento in cui aveva sollevato le palpebre.
Evelyn non aveva capito bene come, ma ad un certo punto si erano ritrovati a chiacchierare per delle ore. Come fossero stati in grande confidenza. Nessuno dei due era riuscito a spiegarsela, una cosa del genere, eppure era stato loro naturale.
Dopo, però, lei era stata quella che, fra i due, aveva fatto più fatica ad accettarlo.
Perché non era ammissibile che si trovasse così incredibilmente a proprio agio con un vampiro. Non dopo quello che era successo a sua nonna.
Per giorni, ogni mattina appena sveglia si era ripromessa che quella sera sarebbe stato diverso. Che avrebbe intimato al vampiro di smammare e non tornare mai più. E ogni sera, quella strana confidenza e quella strana intimità – come un inspiegabile senso di appartenenza – l'avevano presa nel loro turbine di familiari sensazioni, di nuovo. Senza che le fosse stato possibile riuscire a dirgli di andarsene.
Poi, dopo la prima settimana di quegli incontri serali sotto il portico, Evelyn era scoppiata. Schiacciata dal senso di colpa. E aveva detto a Matthew chiaro e tondo che qualunque cosa fossero stati l'uno per l'altra nelle loro esistenze precedenti non contava, non in quella vita. Che lei non poteva accettare di avere a che fare con un vampiro, qualcuno che uccideva degli innocenti per vivere.
Ed erano state parole dure da dire, dolorose, ma le aveva dette. Senza sapere nemmeno lei dove ne avesse trovato la forza.
Come era stato possibile che, dopo una sola settimana, le fosse risultato tanto difficile fare una cosa del genere?
Eppure, Matthew non lo aveva più fatto.
Da quella notte, in quell'ultima settimana lui non aveva più ucciso nessuno. E non lo aveva più fatto per i successivi tre anni. – Non lo avrebbe fatto mai più.
Non lo aveva più fatto perché il sangue di lei era l'unico che volesse, l'unico che bramasse, l'unico che desiderasse tanto da consumarsi nella sete che aveva di lei.
All'inizio.
Poi non aveva più ucciso perché lei ne avrebbe sofferto. Si sarebbe adirata, gli avrebbe urlato contro il suo dolore, il suo rancore, il suo disprezzo e, in fine, la sua delusione. Il suo astio verso quel lato animale della natura stessa di lui. Quel lato che viveva di sangue e che per due secoli era vissuto del sangue bevuto da calici umani. Da calici che in realtà erano persone le cui vite sarebbero per sempre state distrutte da quella brama selvaggia. Quel lato che non lo rendeva diverso dal mostro che aveva assassinato sua nonna.
E il disprezzo e la delusione erano due cose che Matthew aveva presto capito di non poter sopportare, se era Evelyn a provarle verso di lui.
Sì, da quella notte lui non aveva più ucciso. Aveva rinunciato al sangue preso a discapito di vite senza colpa, se non quella di essersi trovati nel proverbiale posto sbagliato al momento sbagliato.
Primalo aveva fatto perché il sangue di lei era l'unico che avrebbe per sempre desiderato bere.
Poi, non aveva più ucciso per lei.
Avevano litigato quella sera, pochi giorni dopo essersi incontrati – pochi giorni dopo essersi ritrovati –, quando lei gli aveva rivolto quelle parole. Avevano litigato per la prima volta.
Matthew ricordava bene anche quello, mentre vegliava sotto l'albero. Guardando verso la camera da letto di lei.
Perché quelle parole, lui non aveva potuto accettarle. All'epoca neanche aveva capito il perché gli avessero fatto così male, neanche aveva capito perché lo avesse fatto quasi impazzire l'idea di non rivederla più, che lei non volesse più avere niente a che fare con lui, eppure aveva urlato il suo rifiuto.
Lo aveva urlato, anche se non aveva capito il perché gli avesse fatto così male l'idea di separarsi da lei.
Le aveva detto chiaramente che non aveva intenzione di lasciarla perdere, che non aveva intenzione di perderla.
Anche Evelyn, allora, aveva urlato. Non le importava se lui non volesse, lei aveva deciso così e quel vampiro avrebbe fatto meglio a rispettare la sua decisione. O lo avrebbe ucciso.
Ma Matthew non le aveva dato ascolto, non si era fatto intimorire, e la sera dopo era tornato sotto il suo portico. Per vederla.
Perché non aveva intenzione di perderla di nuovo, anche se ancora non ne aveva capito il motivo.Perché aveva desiderato conoscerla anche se la conosceva da secoli, forse da sempre. Aveva desiderato conoscere quella che lei era adesso e aveva desiderato che lei conoscesse quel lui che lui era adesso.
Matthew si era ripresentato sotto il portico quella sera e tutte quelle successive per tre mesi. Seguendola e affacciandosi dentro casa ad ogni finestra, – lei non lo aveva mai invitato ad entrare, in quella prima settimana; aveva combattuto ogni istante contro il desiderio di farlo – sedendosi sul dondolo del giardino sul retro e iniziando a parlarle; facendole domande a cui lei rispondeva mandandolo a quel paese e intimandogli di togliersi dai piedi una volta per tutte. E la replica di Matthew era sempre stata una risata, a quelle rispostacce, perché farla esasperare lo aveva divertito fin dal primo momento.
Si era divertito ad irritarla. Si era divertito a farle saltare i nervi parlando a macchinetta per tutte le sere – e si divertiva ancora – o sbucando d'improvviso con la testa dalla finestra del bagno, proprio quando lei era appena uscita dalla vasca e gli urlava di sparire, ancora gocciolante e con solo l'asciugamano addosso. Una volta, lei lo aveva anche fatto volare giù, da quella finestra, spingendolo via con la sola forza del pensiero, ma non era servito a nulla; lui era pure sempre un vampiro e una semplice caduta – purtroppo – non gli avrebbe fatto niente.
Meredith e Mark, alla fine, erano anche sembrati abituarsi a lui in fretta. Cosa che aveva fatto andare Evelyn, se possibile, ancora più in bestia.
Come avevano potuto, i suoi due migliori amici, dirle di dare una possibilità ad un essere della stessa razza di quello che aveva ucciso sua nonna?
Eppure, Evelyn aveva compreso che, a poco a poco, era diventato sempre più difficile resistere a quelle esasperanti visite continuando a mantenere un'aria scontrosa. A poco a poco, le era diventato sempre più difficile resistere alla sua presenza costante.
Pensava a quello, a come lui fosse diventato una costante per lei in così poco tempo e per tutti quegli ultimi tre anni, mentre continuava a torturarsi, indecisa se andare alla finestra per poterlo, finalmente, vedere.
Ed era stato sempre più difficile soprattutto quando Matthew finiva per dire o fare, magari involontariamente, qualcosa di buffo per cui le si era dovuta trattenere dallo scoppiare a ridere. E lui aveva notato ogni volta immediatamente l'angolo della sua bocca a stento trattenuto per non piegarsi in un sorriso; o quando più volte si era morsa le labbra, per non ridere apertamente.
E tutto questo, il modo in cui aveva più volte reagito alle provocazioni di lui, aveva infastidito Evelyn e l'aveva fatta adirare maggiormente.
E ancora peggio era stato il comprendere che quella fiducia che Matthew le aveva a poco a poco chiesto sempre più insistentemente di concedergli sarebbe stata davvero una merce troppo facile da scambiare.
Così, Evelyn aveva deciso che, arrivati a quel punto, sarebbe stato necessario agire drasticamente.
Quando Matthew si era ripresentato sotto il suo portico, dopo il tramonto come ogni sera, la ragazza gli aveva detto solo di raggiungerla nel giardino sul retro. E subito dopo lo aveva attaccato.
In quanto strega, Evelyn era sempre stata molto forte e il vampiro era rimasto sorpreso da quanto fossero precisi e potenzialmente letali i suoi attacchi. La giovane lo aveva aggredito fisicamente e con la magia, non risparmiandosi in nulla. Scagliandogli contro ogni oggetto che potesse fargli del male, colpendolo senza dargli un solo attimo di tregua.
Eppure, anche durante quegli attacchi, lei stessa si era accorta che ogni cosa gli aveva scagliato contro, ogni oggetto, avrebbe potuto solo ferirlo ma non ucciderlo. Si era accorta che nel picchiarlo, aveva istintivamente evitato tutti quei colpi che gli sarebbero stati fatali.
E questo non aveva fatto altro che accrescere la sua rabbia.
Matthew aveva incassato ogni colpo, ogni attacco che non era riuscito ad evitare. Però non aveva mai reagito.
Evelyn lo aveva ridotto davvero male, eppure il vampiro non le aveva sollevato contro nemmeno un dito. Perché da quella notte non le avrebbe mai più fatto del male.
«Reagisci!», gli aveva urlato ad un certo punto la ragazza, quando lui era caduto a terra dopo l'ennesimo pugno.«Alzati e reagisci, Matthew! Alzati e combatti! Affrontami!», aveva gridato con la voce spezzata dalle lacrime che le pungevano gli occhi ma che Evelyn si era impedita di versare.
Lui non le aveva risposto, si era limitato a tossire in seguito al calcio allo stomaco che lei gli aveva dato e a sputare un po' di sangue a causa del labbro spaccato.
Se lei avesse smesso di colpirlo, quelle ferite sarebbero guarite in pochi minuti, massimo un'ora, ma non gli aveva dato tregua. Furibonda perché lui non reagiva, perché non aveva intenzione di difendersi e rispondere ai suoi attacchi colpendola a sua volta. Furibonda perché si lasciava picchiare e ridurre in quel modo.
«Accidenti a te, Matt!», gli aveva urlato ancora una volta, con voce ancora più rotta e usando per la prima volta quel diminutivo. «Difenditi, dannazione! Colpiscimi!». E poi un ultimo calcio, proprio sul viso. Facendolo rotolare sul fianco e sputare di nuovo altro sangue.
Ma Evelyn non ce l'aveva più fatta, a vederlo lì a terra. Pieno di lividi e tagli, ferito ed esausto, a lasciarsi colpire da lei senza reagire. Senza dar segno di volerle restituire alcun colpo. Ed era crollata a terra sulle ginocchia, schiacciata dal peso di quella consapevolezza. La consapevolezza che lei avrebbe potuto fargli qualunque cosa, ma Matthew non le avrebbe fatto del male. L'avrebbe lasciata fare, anche se questo avesse significato morire. Lui non glielo avrebbe impedito.
E sotto il peso di quella dolorosa consapevolezza, Evelyn era caduta a terra piangendo.
Lacrime di rabbia contro di lui che era così idiota e contro se stessa che non era riuscita ad ucciderlo, che non aveva potuto; lacrime di dolore a causa del male che lei gli aveva fatto ma che lui non aveva voluto fare a lei, così da darle una scusa valida per poterlo eliminare.
Evelyn aveva pianto a lungo, quella sera, sbattendo i pugni sul suolo per la rabbia e la frustrazione. Aveva singhiozzato talmente tanto a lungo, che alla fine Matthew le si era avvicinato a l'aveva stretta e cullata tra le sue braccia, per farla smettere. Completamente ristabilito.
E la situazione le era sembrata quasi ironica.
«Shh, va tutto bene. Va tutto bene», le aveva detto abbracciandola e carezzandole i lunghi boccoli neri. «Non piangere, va tutto bene. Sto bene». Poi l’aveva sollevata da terra e l’aveva portata sul dondolo, continuando a stringerla al suo petto e a tenerla fra quelle braccia forti. Vedendola per la prima volta fragile. Fragile come Evelyn non era stata nemmeno al loro primo incontro, quando il Rito l'aveva stremata a tal punto che non era riuscita a sfuggirgli. Fragile come la ragazza si era permessa di essere sempre solo davanti a due persone in tutta la sua vita, fino a quel momento.
Ed Evelyn si era lasciata cullare. Per la prima volta in quegli ultimi tre mesi, si era permessa di lasciarsi andare completamente e aveva abbassato tutte le barriere. Gli aveva concesso quella fiducia che Matthew si era guadagnato poco a poco in tutto quel tempo, quella fiducia che le aveva strappato definitivamente quella sera, non reagendo per difendersi. Quella fiducia che lei non era più riuscita a negargli, da allora.
E da quel momento era cambiato tutto.
Matthew sospirò, ripensando a quante cose fossero accadute, da allora.
Sospirò, poggiato con la schiena all'albero in giardino; ed Evelyn sospirò a sua volta, distesa sul letto nella sua stanza, ripensando anch'ella a quanto, da quella sera, loro due si fossero avvicinati. Sospirò, rotolandosi squieta sul materasso troppo caldo, in quella notte afosa.
Perché dopo che Matthew l'aveva stretta a sé, dopo che l'aveva lasciata sfogare, Evelyn lo aveva invitato a entrare in casa.
Cosciente che, dopo quel singolo permesso, lui avrebbe potuto farlo ogni volta che avesse voluto. Cosciente di aver invitato un vampiro in casa sua, cosciente anche del fatto che quel vampiro non le avrebbe mai fatto del male.
A poco a poco, Evelyn aveva abbattuto il muro – quel muro dietro cui si era trincerata per non affezionarsi a Matthew, quel muro che adesso era diventato inutile – e si era lasciata conoscere. Si era fidata e lui non gliene aveva mai fatto pentire. E aveva lasciato che lei lo conoscesse e si era fidato a sua volta.
Col passare del tempo, Evelyn gli aveva raccontato dei suoi genitori e di sua nonna, di quanto quella donna l'avesse aiutata; di come fosse stata la sua roccia, la fune salda a cui aggrapparsi ogni volta che si era sentita precipitare nel baratro delle proprie insicurezze. Gli aveva raccontato di come le avesse insegnato a gestire i propri poteri e gli aveva raccontato del periodo in cui avevano iniziato a manifestarsi, quei poteri. Di come lei si fosse sentita un mostro. Gli aveva raccontato di quando aveva deciso di chiedere aiuto perché non aveva più voluto rischiare di fare del male a quelli che amava e gli aveva raccontato di tutte le volte in cui, quei primi tempi, si fosse sentita fuori controllo.
Tutte quelle volte in cui aveva creduto di consumarsi, in quel Potere.
Matthew l'aveva ascoltata e aveva capito meglio di chiunque altro che cosa lei avesse passato, dal momento che si sentiva costantemente vittima di un qualcosa più forte di lui, qualcosa che a volte era così forte e radicato nel suo essere da logorarlo, così forte da farlo perdere nell'ebbrezza che il lasciarsi andare poteva donargli. Matthew aveva capito meglio di chiunque altro che cosa doveva essere stato, per lei, combattere e controllare quel Potere che era parte di lei proprio perché era esattamente ciò che lui stesso aveva sempre passato, erano le emozioni che lui stesso aveva sempre provato; quella battaglia che combatteva ogni notte, cercando di controllare la sete.
Evelyn gli aveva, poi, raccontato di quando sua nonna era morta, del vampiro che l'aveva uccisa e del Rito che lei aveva compiuto quella notte.
Gli aveva raccontato tutte quelle cose che gli aveva solo accennato e quelle che si era tenuta per sé – nonostante tutto – in quella prima settimana di incontri serali sul portico, subito dopo essersi conosciuti. Subito dopo essersi ritrovati.
Ma Evelyn si era anche accorta che Matthew aveva imparato a conoscerla, in quei tre mesi, senza che lei se ne fosse accorta e nonostante si fosse chiusa a riccio.
Tutte quelle sere che aveva trascorso provocandola da ogni finestra, in cui non le aveva dato tregua; lui l'aveva studiata e aveva imparato tante piccole cose, su di lei, tante piccole abitudini, che solo Meredith e la nonna avevano mai saputo.
E da quando aveva abbattuto il muro, anche Evelyn aveva imparato tante piccole cose di lui.
Per esempio, aveva imparato a distinguere i suoi umori solo guardandogli le mani. Perché quelle mani erano l'unica cosa che potesse mai tradire la calma costante che Matthew simulava – anche adesso.
Il volto del vampiro avrebbe potuto rimanere impassibile davanti ad ogni cosa, avrebbe potuto mantenere intatto il consueto sorrisetto sfrontato che gli si dipingeva sulle labbra, ma nessuna emozione sarebbe mai potuta sfuggire ad Evelyn, se lei gli avesse fissato anche per un solo istante le mani; il modo in cui il ragazzo tamburellava le dita soprappensiero quando era sereno o allegro, come la sua presa si tendeva improvvisamente quando era all'erta o teso per qualcosa, il modo in cui s'irrigidiva o stringeva i pugni quando era arrabbiato. E tutte le piccole sfumature che aveva imparato a decifrare, nei movimenti anche appena accennati delle sue dita.
Evelyn aveva poi imparato che Matthew preferiva farli, i gesti d'affetto, piuttosto che riceverli.
Aveva imparato quanto detestasse mostrarsi debole di fronte a chiunque – soprattutto di fronte a lei –, forse anche più di quanto lo detestasse lei, sempre così orgogliosa. E aveva imparato quanto dolore e solitudine ci fossero nascosti, dietro quella faccia arrogante.
Evelyn aveva imparato tutte quelle piccole cose osservandolo e ascoltandolo parlare di tutt'altro – perché, spesso, si conosce una persona più da ciò che non dice, che da ciò che racconta.
I primi mesi dopo l'invito, Matthew le aveva parlato di sé ogni volta che lei glielo aveva chiesto ma mai di propria iniziativa. Benché fosse arrogante e sfrontato, in realtà non era il tipo di persona che amasse parlare molto di sé. O meglio, della propria storia.
Eppure, Evelyn aveva imparato a conoscerlo in tanti di quei modi che alla fine era stato proprio lui a raccontarle della sua vita umana, senza che, stavolta, lei glielo avesse domandato. Ed era stato lui a raccontarle di quando quella vita era finita, ed era stato trasformato.
Era avvenuto quando Matthew aveva venticinque anni, nel 1784.
Secondogenito di una ricca coppia di proprietari terrieri dell'alta società della Carolina del sud, aveva combattuto durante la Guerra di Indipendenza, arruolandosi contro il volere della madre, che temeva di perderlo come era successo a suo fratello maggiore. Matthew non l'aveva ascoltata e compiuti diciannove anni – nel 1778 – era partito per il fronte.
Ed era stato proprio in guerra, una notte, che l'aveva incontrata, quella bellissima e affascinante creatura che lo aveva attirato con l'inganno; quella splendida ragazza dai capelli d'oro, all'apparenza poco più giovane di lui, che lo aveva attirato nella foresta alle spalle dell'accampamento, chiedendogli aiuto. E che lì, invece, lo aveva trasformato. Elizabeth, si chiamava.
Aveva trascorso cinquant'anni con quella donna, odiandola ma troppo spaventato da ciò che era diventato per lasciarla e restare solo. Finché, dopo l'ennesima notte di sangue e sadiche torture – di lei –, avevano litigato. Perché Matthew voleva andarsene.
Elizabeth, aveva così cercato di ucciderlo – dopo tutto quello che lei gli aveva dato, non poteva accettare che lui la lasciasse! – e per difendersi, Matthew l'aveva eliminata. C'era riuscito nonostante lei fosse di un secolo più vecchia e quindi più forte di lui – più per fortuna, in realtà, che per reale bravura, come le aveva spiegato. E da allora aveva vagato da solo.
«Non disprezzo l'eternità. Detesto non poterla vivere con le persone che amavo», aveva detto ad Evelyn, un volta.
«Che ne è stato della tua famiglia?».
«A causa della guerra, le piantagioni della mia famiglia furono confiscate dagli inglesi, la nostra casa incendiata. Ai miei non rimase niente. Dopo la morte di mio fratello James, mia madre cadde in depressione, l'unica cosa che la faceva andare avanti era la speranza che io tornassi vivo dalla guerra ma quando le giunse la notizia che ero stato dato per disperso si suicidò. A quel punto mio padre, rimasto ormai solo, si unì anche lui alle truppe americane ma venne ucciso poco tempo dopo, in uno scontro. Avevo anche una sorellina più piccola, Jane. Aveva solo cinque anni quando è morta. E’ successo quando gli inglesi ci tolsero tutto, si ammalò di polmonite l'inverno dopo che io partii per il fronte. Quello fu il secondo duro colpo per mia madre, quando seppe di aver perso anche me non trovò più una ragione per vivere».
Il viso di Matthew non aveva lasciato trasparire nulla, durante quel racconto, né la sua voce aveva tradito la minima emozione, ma le sue mani avevano parlato per lui. Ed Evelyn le aveva viste, quelle mani, strette intorno alla tazza di tè che lei gli aveva offerto; per questo motivo lo aveva abbracciato di slancio. Lo aveva stretto cercando di trasmettergli il proprio calore.
All'inizio Matthew era stato sorpreso da quel gesto, rimanendo per un paio di secondi immobile, impietrito. Poi, vedendo che lei non lo lasciava, che quell'abbraccio non era un gesto di compassione o cortesia, lo aveva ricambiato. Ringraziandola tacitamente.
E gli era costato, quell'abbraccio, gli era costato all'orgoglio ma lo aveva ricambiato, si era lasciato stringere perché ne aveva sentito il bisogno. E aveva lasciato che anche Evelyn lo vedesse fragile come lui aveva visto lei, fragile come Matthew non si era mai lasciato vedere da nessuno.
«Hai... sempre ucciso esseri umani, per vivere?», gli aveva chiesto poi lei, per cambiare argomento.
«Per noi vampiri, il sangue degli animali non è abbastanza. Può andare bene in caso di necessità ma non ti mantiene davvero in forze».
«Quindi hai ucciso».
«I primi tempi era impossibile non farlo, la sete era troppo forte. Non riuscivo a controllarla, non riuscivo a controllarmi. Non ne vado fiero, il senso di colpa mi ha logorato per molto tempo, lo fa tutt’ora. Dopo che Elizabeth è morta e sono rimasto da solo ho cercato di nutrirmi solo di criminali, di assassini... ma non era facile. All'inizio avevo bisogno di parecchio sangue a notte e nonostante quello che si può pensare, i criminali non sono sempre facili da trovare. Solo dopo ho imparato a... dominarmi».
«In che modo?».
«Bevevo un po' da molte più vittime, così da non rischiare di prosciugarne nessuna. Ma non era sempre facile, la sete è difficile da gestire».
«Perché hai usato l'imperfetto?», aveva domandato la ragazza a quel punto, corrugando la fronte. Non le era sfuggito l'uso di quel particolare tempo verbale.
«Perché non ho più attaccato nessuno da...», ma Matthew si era interrotto bruscamente e aveva rivolto lo sguardo altrove, come consapevole di colpo di aver parlato troppo.
«Da...?», gli aveva fatto eco Evelyn, ma il vampiro non aveva risposto, ostinandosi in un silenzio che le era parso quasi imbarazzato. Poi, improvvisamente, un'intuizione e la giovane aveva capito: «Da quella notte». E anche quella non era stata una domanda.
«Sì». Un piccolo tassello.
«Vuol dire che non avevi mai reagito in quel modo... che è successo solo con me?».
«Sì». Secondo tassello.
Evelyn aveva assorbito quella risposta e tutto ciò che essa implicava in silenzio, per qualche momento. Gli occhi persi a fissare il legno scuro del tavolino davanti al divano, senza vederlo davvero.
«Quindi è per me, se non hai più ucciso. Perché il mio sangue è l'unico che adesso ti attira», aveva commentato poi, calma.
«In parte, è così».
«E l'altra parte?». Curiosa. Avida di risposte.
«Sì è fatto tardi, tra un paio d'ore sorgerà il sole e tu hai bisogno di dormire un po'. E' meglio che io vada». E se n'era andato.
Solo tempo dopo, Evelyn aveva capito quale fosse quell'altra parte, senza che lui glielo avesse detto esplicitamente.
Sapeva che lui non le avrebbe mai fatto del male, che anche se desiderava il suo sangue non l'avrebbe mai toccata... ma quella rivelazione, quell'ennesima comprensione era qualcosa di più. Se Matthew si preoccupava di non farle del male non solo fisicamente, ma anche psicologicamente, allora aveva un significato del tutto diverso.
Successivamente, ad un'altra domanda di Evelyn, le aveva detto che da quella notte rubava periodicamente alla banca del sangue. Una scorta di sacche per un mese e in questo modo non aveva più dovuto uccidere né attaccare nessuno.
«Hai mai pensato di ucciderti?».
Le domande di Evelyn arrivavano sempre improvvise, soprattutto all'inizio. Lei non era mai posseduto particolare tatto; aveva sempre preferito domandare o dire le cose chiaramente, piuttosto che girarci attorno.
«Perché me lo chiedi?».
«Hai detto che detesti non poter trascorrere l'eternità con le persone che amavi. Al posto tuo, non so se reggerei. Hai mai cercati di suicidarti?».
Matthew le aveva rivolto un mezzo sorriso tirato, «Un tempo... Sì, un tempo ci ho pensato. Poco dopo essere stato trasformato, mentre stavo ancora con Elizabeth. Dopo che mi nutrivo, dopo che tornavo in me e mi rendevo conto di cosa avevo fatto, desideravo solo morire. Ho ucciso molte più persone ogni notte in quei cinquant'anni, di quando ero in guerra».
«Quindi non hai mai tentato?».
«Elizabeth mi stava sempre addosso, mi controllava. Aveva capito che la odiavo, che non apprezzavo ciò che mi aveva fatto e così non mi lasciava mai solo abbastanza a lungo da compiere qualche gesto folle. Neanche lei mi amava, ma aveva troppa paura di restare di nuovo da sola per lasciare che mi ammazzassi».
«E dopo che l'hai uccisa?».
Di nuovo quel mezzo sorriso amaro, «Credo che a volte, non apprezziamo davvero qualcosa finché non l'abbiamo perduta. E' stato così quando lei mi ha trasformato: mi sono reso conto di quanto amassi la mia vita umana solo dopo averla persa per sempre. Ed è stato così quando ho rischiato di perdere seriamente anche l'ultimo frammento di esistenza che mi rimaneva, quando Elizabeth mi attaccò. In quel momento, ho capito di non volere morire, di voler vivere anche se questa non è davvero vita. Probabilmente sono solo un ipocrita, ma da allora cerco di dare un senso a ciò che sono. Anche se forse, fino ad ora non ci sono riuscito benissimo», aveva scherzato all'ultimo. Poi, dopo un po' aveva mormorato qualcos’altro: «E forse non è detto che starò tutta l'eternità senza le persone a cui tengo», e si era alzato senza dare ad Evelyn modo di replicare a quell'ultima affermazione, andando a prendere qualcosa in cucina – ormai di casa, da lei.
Ma Evelyn l'aveva sentita, quella frase. Ed era stata un terzo tassello.
«Non volevi morire... Eppure eri disposto a lasciare che io ti uccidessi, pur di non reagire».
«E' diverso. Non avrebbe avuto senso continuare a vivere se questo significava ucciderti». In realtà, Matthew era stato sul punto di dire dell'altro ma poi si era fermato appena in tempo. Ed Evelyn non si era accorta di nulla. Ma la ragazza aveva comunque sorriso, per quell'affermazione. Un quarto tassello.
E a poco a poco, tutti quei tasselli erano aumentati. Ed entrambi si erano svelati sempre un po' di più.
Dalla sera dell'invito, Matthew non aveva più smesso di recarsi a casa di Evelyn. Ogni notte. E quando lei doveva uscire per qualunque motivo, magari per passare una serata fuori in compagnia di Mark e Meredith, generalmente la seguiva e restava con lei. I suoi amici sembravano aver preso in simpatia il vampiro e lui altrettanto – nonostante un iniziale e inspiegata avversione per Mark, avversione che però era sparita quasi subito.
Non sempre, però, Evelyn e Matthew erano andati d'accordo. Anzi, nonostante si fossero sempre più affezionati l'uno all'altra, le liti erano state frequenti – e lo erano ancora. Avevano un diverso modo di vedere le cose, riguardo certi argomenti, ed anche un diverso modo di reagire alle situazioni.
Finché qualcosa era scattato, tra di loro.
Il modo in cui si comportavano quando erano da soli o con gli altri – intimità –, il modo in cui si guardavano – complicità –, si cercavano – protezione –; il modo in cui Matthew compariva improvvisamente al fianco di Evelyn quando vedeva un qualunque ragazzo avvicinarsi a lei, o il modo in cui Evelyn diventava tesa come la corda di un violino quando una ragazza parlava con Matthew – gelosia –, aveva reso ormai palese che fra di loro vi fosse qualcosa di più di semplice amicizia.
Eppure, per molto tempo nessuno dei due era sembrato volerlo ammettere.
Finché qualcosa era scattato, tra di loro, ed Evelyn aveva capito di essere attratta da Matthew in più, troppi modi; e Matthew aveva compreso che la sete che provava per Evelyn, non era dovuta solo al suo sangue.
E le liti erano aumentate, accrescendo continuamente la tensione. Spesso avevano litigato per un nonnulla, qualcosa di poco conto – e lo facevano tutt'ora, litigavano per ogni cosa –, ma raramente per i reali motivi che li rendevano così tesi – ed era così anche ora.
Principale causa dei loro litigi, era sempre stata la caccia.
Matthew inizialmente aveva cercato di dissuadere Evelyn dal continuare a rischiare in quel modo. Certo, lei era una strega ma usare la magia non era semplice anche se faceva parte di lei. E quando incontrava creature potenti e difficili da eliminare – come era accaduto con l'assassino di sua nonna – i riti e gli incantesimi che effettuava la indebolivano molto.
Ma Evelyn era sempre stata testarda e orgogliosa e soprattutto non tollerava che qualcuno – chiunque – potesse in qualche modo minare la sua indipendenza. Non era una ragazzina sprovveduta; se l'era cavata per anni prima che Matthew entrasse nella sua vita e lui non aveva alcun diritto di dirle cosa fosse o non fosse meglio per lei. Evelyn aveva delle responsabilità, responsabilità date dallo stesso sangue che le scorreva nelle vene. Non avrebbe potuto sottrarsi ai suoi doveri neanche volendo; anche se avesse smesso la caccia, gli esseri che si occupava di eliminare sarebbero venuti loro a cercarla, perché il suo Potere – il potere unito di due delle più potenti famiglie di streghe del Massachusetts – era un frutto ambito da molti. Troppi. Non avrebbe mai avuto una vita normale e, dopotutto, non la desiderava. Le piaceva la sua vita così com'era – nonostante la sofferenza e il dolore – e ne accettava i pro e i contro. Li aveva accettati da tempo.
Così, Matthew aveva rinunciato a insistere e aveva continuato ad accompagnarla senza, però, più lamentarsi che la ragazza rischiasse continuamente la vita. Proteggendola senza che lei se ne accorgesse.
E per proteggerla, Matthew aveva spesso ucciso anche dei vampiri. Vampiri proprio come lui, vampiri che Evelyn affrontava, vampiri che volevano ucciderla o uccidere persone che lei, invece, voleva proteggere.
Alla fine, era diventato un rinnegato.
 
  









 

Angolo autrice:
Saaalve a tutti!
L'ho già detto nell'introduzione ma lo ripeto anche qui: avevo postato, originariamente, il racconto come one-shot, ma adesso l'ho modificato e diviso in tre capitoli. Sin dall'inizio avevo il dubbio se farlo o meno, anche se poi avevo deciso di lasciarlo come blocco unico. Poi MusicDanceRomance - che ringrazio sempre e di cuore perché legge e recensisce sempre ciò che pubblico. Davvero grazie, tesoro! - nella sua meravigliosa recensione mi ha fatto notare che l'immane lunghezza papirica del racconto - per cui mi ero già scusata! xD Ma non è colpa mia, io parto sempre col buon proposito di esser breve, giuro! xD -, postato tutto in una volta come avevo fatto, rischiava di "spaventare" chi fosse entrato per leggere, dissuadendolo. Anche per motivazioni pratiche, poiché stare troppo davanti allo schermo stanca la vista. E aveva ragione!
Ergo, mi sono posta nuovamente il problema, ho chiesto consiglio anche alle mie Miryavigliose - Oasis, sawadee, Emily Alexandre e semplicemente, grazie per avermi dato i vostri consigli <3 - ci ho riflettuto e questo è il risultato. Spero che, adesso, la lettura sarà più agevole nel caso la precedente lunghezza avesse creato dei problemi!
Come già detto, i capitoli saranno tre - datemi tempo, tra stasera e domani saranno tutti pubblicati -, divisi secondo le canzoni che me li hanno ispirati o mi hanno aiutata a scriverli - per tale motivo, i link delle suddette rimarranno, uno per capitolo.
Detto ciò, un bacio a tutti e grazie per la lettura! :* 

Graine


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


http://www.youtube.com/watch?v=sKzgZUYHlU8 
 



Capitolo 2
 

 
Quando era ormai trascorso poco più di un anno dal loro primo incontro, Matthew era diventato un bersaglio.
In più di un'occasione, entrambi erano stati attaccati perché le creature demoniache di cui la strega si occupava volevano vendicarsi del vampiro che aveva rinnegato la sua natura e li aveva traditi – aveva tradito i suoi simili – alleandosi con Evelyn.
Ormai da tempo, la strega si era accorta di riuscire a sentire Matthew – in realtà, se n'era accorta dalla notte del loro primo incontro e questa capacità si era, poi, acuita nel tempo –, di sentirlo prima ancora che lui le fosse accanto.
Si era accorta di sapere sempre o quasi dove fosse, di avvertire la sua presenza prima ancora di udirlo o vederlo. Come una sorta di telepatia anche se, tra i due, lei era l'unica ad esserne capace. O almeno, così aveva creduto all'inizio.
Probabilmente era collegato alla sua natura di strega – così aveva pensato.
Eppure, sebbene Evelyn avesse sempre posseduto delle percezioni al di fuori dell’ordinario, anche prima che i suoi poteri iniziassero a manifestarsi, non aveva mai davvero provato niente di simile. Con nessuno aveva mai posseduto un tale collegamento, un tale legame come un inspiegabile senso di appartenenza –. Nemmeno con sua nonna.
Solo successivamente, aveva saputo che anche Matthew aveva sviluppato qualcosa di simile e anche lui da quella prima notte, solo che per Matthew quella capacità si manifestava in maniera differente.
Mentre Evelyn sapeva sempre dove trovarlo, ovunque lui fosse, e se fosse o meno in difficoltà, il vampiro avvertiva solo le emozioni e gli umori di lei. Cosa che, probabilmente, gli era stata utile per imparare a trattarla.
Ed era stato proprio grazie a questo particolare legame tra le loro menti e i loro spiriti se Evelyn gli aveva salvato la vita.
Oh, lei non avrebbe mai potuto dimenticare quella sera d'inverno di quasi due anni prima. Non avrebbe mai potuto dimenticare la paura che aveva provato vedendolo ridotto in quello stato, vedendo ciò che gli avevano fatto... E non avrebbe mai potuto dimenticare quello che era successo dopo.
E Matthew, tutt'ora, si trovava a combattere contro il desiderio di riprovare le sensazioni di quella sera, consumandosi nel desiderio che aveva di ogni cosa di lei.
Quella sera, quella notte, Evelyn aveva avvertito chiaramente Matthew fosse in pericolo ed era corsa a cercarlo – sapendo perfettamente dove lui si trovasse – e lo aveva trovato rinchiuso in un vecchio scantinato buio, legato, ferito e in balia di una banda di vampiri che lo stava torturando per fargli pagare il suo tradimento.
La fitta al centro del petto che aveva provato nel vederlo esanime a terra, mentre i suoi aguzzini lo picchiavano con oggetti di legno provocandogli ferite che non si sarebbero rimarginate facilmente, la giovane la ricordava bene. Non l'avrebbe mai dimenticata, non avrebbe mai dimenticato il dolore e la rabbia cieca che aveva sentito scatenarlesi dentro e che l'avevano spinta ad attaccare quegli esseri.
Da sola contro dodici vampiri.
E li aveva uccisi tutti.
Non avrebbe mai potuto dimenticare le loro facce mentre, pervasa dalla furia, li aveva fatti volare contro i muri di quello scantinato con la forza del pensiero e li aveva bruciati vivi, invocando, con un incantesimo, delle fiamme che avevano avvolto soltanto loro e nient'altro.
E non avrebbe mai potuto dimenticare il terrore che, dopo averli eliminati, l'aveva pervasa vedendo Matthew riverso a terra, immobile.
Si era inginocchiata al suo fianco e aveva tentato di svegliarlo, ma senza successo.
Una volta, Matt glielo aveva detto: «Le ferite provocate dal legno sono le uniche che si rimarginano lentamente, in un vampiro. Proprio come una qualunque ferita per un umano». E in quel momento, con Matthew svenuto e il suo capo poggiato sul grembo di lei, che continuava a tentare di svegliarlo e a guarirlo coi propri poteri senza, però, riuscirci, Evelyn aveva compreso che avrebbe fatto qualunque cosa per salvarlo. E avrebbe anche dovuto farla in fretta.
Sapeva che lui non sarebbe morto per quelle ferite che continuavano a sanguinargli copiose – un vampiro si uccideva con un paletto nel cuore, tagliandogli la testa, dandogli fuoco; oppure esponendolo alla luce del sole – ma sapeva anche che tutto quel sangue perso lo avrebbe indebolito, chissà per quanto. In quel modo, Matthew sarebbe stato una preda facile per altri vampiri che ne avrebbero facilmente approfittato per  tentare, ancora, di eliminarlo.
Per questo motivo, Evelyn non aveva esitato un solo secondo a tagliarsi un polso con un pezzo di vetro trovato lì accanto e ad offrirgli il proprio sangue – il sangue di una strega e, per questo, più forte e potente – affinché lui si riprendesse.
«Matt? Matt, mi senti? Ti prego, apri gli occhi! Parlami!», gli aveva detto dandogli dei colpetti sul viso, ma lui non si era mosso. «Matt, per favore!», e aveva continuato a colpirlo in quel modo e a scuoterlo finché lui non aveva mugugnato sommessamente, rinvenendo appena.
«Matt, ascoltami: devi bere il mio sangue, adesso o non ti riprenderai!», e a quelle parole, lui aveva come cercato di ribellarsi ad Evelyn, opponendo quella che, probabilmente, avrebbe dovuto essere una qualche forma di resistenza, ma che si era manifestata, in realtà, in movimenti appena accennati. Era stato troppo debole anche per aprire gli occhi.
«Matt, non abbiamo scelta! Bevi!». Un solo ordine e gli aveva messo il proprio polso davanti al viso, a contatto con le labbra.
Consapevole dell'effetto che gli facesse il suo odore e sapendo che, in quelle condizioni, Matthew non sarebbe stato capace di ribellarsi alla sua natura non avendone la forza, Evelyn aveva sperato solo che bevesse tutto ciò che gli fosse servito per guarire e rigenerare quelle dannate ferite.
Non si era fatta scrupoli ad offrirgli il proprio sangue pur ignorando quando lui si sarebbe ripreso, o se lo avrebbe fatto in tempo, prima di finire con l'ucciderla.
Non le era importato, purché lui fosse stato meglio e le avesse parlato di nuovo.
E quando l'aveva morsa e aveva iniziato a succhiare, finalmente le ferite che riempivano il corpo del vampiro avevano iniziato a guarire.
Ed Evelyn aveva sentito la paura abbandonarla.
Reazione curiosa, poiché proprio in quel momento – ne era stata cosciente – avrebbe dovuto avere paura; paura per la sua stessa vita. Una paura che, però, proprio non era riuscita a provare.
Anche in quel momento, con Matthew completamente schiavo dalla sete e che le stava bevendo dal polso, lei si era fidata. Ignorando anche il dolore che quel morso le aveva causato.
Non aveva avuto timore che lui potesse ucciderla, era stata certa si sarebbe fermato. Sapeva che sarebbe tornato lucido in tempo.
E così era stato. Matthew era tornato in sé prima di arrivare al punto di non ritorno e si era staccato terrorizzato da Evelyn, quando aveva compreso fosse suo, quel polso, e che lei era lì stesa al suo fianco, svenuta.
Evelyn era rimasta priva di sensi per un giorno intero e quando si era svegliata, si era ritrovata in un letto che non era il suo, con Matthew seduto su di una poltrona all'angolo opposto della stanza, che la fissava in maniera strana.
«Non mi avevi mai detto di avere un appartamento», gli aveva detto a mo' di saluto, guardandosi intorno e facendo due più due.
«L'ho preso dopo che abbiamo litigato la prima volta».
Evelyn aveva compreso subito che qualcosa non andava, perché c'era stata troppa calma nelle parole di lui, troppa calma nel suo viso, mentre gli occhi dicevano tutt'altro.
«Non mi ci avevi mai portata, prima».
«Perché lo hai fatto?». Matthew aveva ignorato le sue parole e le aveva, invece, posto quella domanda con tono accusatorio.
«Cosa, dormire? Mah, forse ero stanca». Sarcasmo.
«Sai cosa intendo, Evelyn», le aveva detto quasi ringhiando. Quell'apparente calma adesso significativamente incrinata. La ragazza allora aveva alzato un sopracciglio, infastidita. «Oh, intendi perché ti ho salvato la vita? Mmm, vediamo... non lo so. Forse perché ci tengo a te? – gli aveva risposto – Al mio posto avresti fatto lo stesso e lo sai».
«E' diverso». Benché Matthew avesse tentato di mantenere un tono calmo, le parole gli erano uscite ancora una volta come ringhio. La mascella contratta e la tensione nelle spalle e nelle braccia.
«E sentiamo: per quale arcano motivo lo sarebbe, Matt?».
«Per salvarmi potevi morire!». E alla fine le aveva urlato contro, esplodendo. «Non avresti dovuto offrirmi il tuo sangue, non mentre ero in quelle condizioni!».
«Perdonami, ma credo che quelle condizione fossero, invece, proprio quelle in cui ne avevi più bisogno!», gli aveva urlato a sua volta lei.
Era sempre stato così tra di loro: vinceva chi sapeva urlare più forte.
E nessuno dei due aveva mai amato perdere, soprattutto l'uno contro l'altra.
«Evelyn, avrei potuto ucciderti! Non ero cosciente in quel momento! Ero fuori controllo! Se non mi fossi ripreso in tempo, tu...».
«Ma lo hai fatto! Ti sei ripreso in tempo e ti sei fermato! Non mi hai uccisa e adesso stiamo bene entrambi, quindi smettila di fare l'idiota!».
«Perché non vuoi capire, dannazione?!».
Un secondo.
Un solo attimo e Matthew si era alzato da quella poltrona con quella sua velocità inumana e, in uno scatto d'ira, aveva fatto volare il tavolino lì accanto contro la parete. Spargendo in una pioggia di schegge di vetro, ciò che vi era stato sopra.
Evelyn, però, non si era fatta intimorire. Lo conosceva, ormai, e anche se quegli scatti erano molto rari – tanto da farla sobbalzare quando avvenivano – sapeva come gestirlo. Sapeva sempre come gestirlo, anche quando l'idiota si chiudeva a riccio.
Aveva quindi incrociato le braccia al petto e lo aveva fissato per qualche secondo, immobile. «Adesso ti senti meglio?», gli aveva domandato poi, impassibile.
Il vampiro l'aveva guardata truce, ancora in balia dell'ira. «Ti sarei immensamente grato, se la smettessi di scherzare», aveva sibilato.
Gli occhi azzurri animati dalla luce minacciosa di una rabbia appena controllata, come avessero voluto incenerirla – lei, che invece avrebbe potuto davvero incenerire lui con la sola forza del pensiero, se avesse voluto.
«E io ti sarei immensamente grata, se tu la smettessi di fare il coglione, Matt». Caustica. Perché lei aveva sempre saputo come gestirlo, anche dicendo le parole sbagliate. Parole che però erano le più giuste per lei, perché Evelyn aveva sempre avuto più rabbia di lui, dentro. Più rabbia di molti.
Matthew, a quel punto, aveva rindossato la solita maschera di calma apparente, sebbene un po' più tirata del solito, ma dalle mani freneticamente contratte Evelyn aveva compreso immediatamente come, in quel momento ancora più che in altri passati, quella fosse stata, appunto, solo una maschera.
«Evelyn, dannazione, perché...», ma aveva lasciato la frase in sospeso. Un altro ringhio, stavolta soffocato. Strozzato. Un ringhio che le era sembrato tanto una supplica.
E la ragazza allora aveva sospirato e aveva sceso la gambe dal letto, poggiando le mani sul bordo del materasso e guardandolo.
Aveva sempre detestato le volte in cui Matthew si comportava in quel modo – e le detestava tutt'ora –, quel suo chiudersi a riccio e trattarla come se lei non sapesse cavarsela da sola o prendere decisioni, anche rischiose, autonomamente.
Lei non aveva bisogno di essere costantemente protetta e aveva sempre detestato che Matthew, troppo spesso, pensasse il contrario.
«Cosa, Matt? Vuoi ancora sapere perché l'ho fatto? Perché ti ho offerto il mio sangue per salvarti la vita, a rischio della mia? E' davvero questo che mi stai chiedendo?».
Lui non aveva risposto, si era limitato a fissarla, immobile. Teso e rigido. Come a trattenersi dal fare qualcosa.
L'aveva capito, lei, che, ad una risposta ritenuta evidentemente scomoda, lui aveva preferito il silenzio. Lo capiva sempre. E sempre la esasperava, questo suo modo di fare. E così aveva sospirato un'altra volta, già stanca di quel suo modo di affrontare le discussioni.
«D'accordo, – aveva detto allora – dato che non ci arrivi da solo, te lo spiegherò: ti ho salvato la vita perché non volevo lasciarti morire. Non potevo. Mi sono tagliata il polso e ti ho fatto bere il mio sangue, l'ho fatto perché le tue ferite non si stavano rimarginando, l'ho fatto perché avevi bisogno di sangue e quello di una strega è più forte di quello di un qualunque altro umano. Ti ho fatto bere il mio sangue mentre eri privo di coscienza, debole e ferito, nonostante sapessi bene che avrebbe potuto essermi fatale, ma l'ho fatto perché, in quel momento, l'unica cosa che aveva importanza era salvarti. Mi sono fidata, Matt, e sapevo che non mi avresti fatto del male, accidenti! Sapevo ti saresti fermato in tempo! Mi sono fidata come ho fatto ogni singolo giorno da quando ho riposto la mia fiducia in te la prima volta e, se non ricordo male, non mi hai mai dato motivo per pentirmene, da allora. E se te lo stai chiedendo, sì: lo rifarei ancora».
«Evelyn, tu non capisci... Adesso che ho bevuto il tuo sangue, io...». Di nuovo una frase lasciata a metà. Ancora un ringhio soffocato e quella tensione che non aveva dato segno di voler abbandonare il suo corpo. Matthew si era voltato e aveva iniziato a camminare avanti e indietro per la stanza – a debita distanza da lei e dal letto –, passandosi convulsamente le mani fra i capelli. La maschera di simulata calma definitivamente caduta.
Evelyn, allora, era scesa da quel letto e si era avvicinata a lui. Non aveva idea del perché di tutto quel comportamento e l'unica cosa che aveva desiderato, in quel momento, era che lui glielo spiegasse guardandola negli occhi.
«Matt...», ma non appena gli aveva poggiato una mano sulla spalla, lui si era voltato di scatto, come scottato da un fuoco invisibile o da acido corrosivo.
Era stato un attimo, un urlo – «Non toccarmi!» – e con una sola spinta, il vampiro l'aveva fatta volare di nuovo sul letto.
A un paio di metri da sé.
«Matt, ma che diavolo...!».
«Non. Toccarmi». Un sibilo che l'aveva ferita più di un pugnale piantato nel petto.
Ma a quel punto non ce l'aveva più fatta, Evelyn era scesa di nuovo dal letto, furiosa, ed era scoppiata anche lei. «Accidenti a te, Matt! Si può sapere cosa cazzo ti prende, dannazione?!».
«Mi prende che in questo momento ho voglia di ucciderti!».
E a quelle parole, la giovane si era paralizzata.
Immobilizzata sul posto da sole dieci parole.
E aveva sentito l'aria nella stanza immobilizzarsi anch'essa.
«Sì, hai capito bene, Evelyn», aveva soffiato lui, ed Evelyn non era riuscita a capire se fosse stata soddisfazione o risentimento, l'emozione che aveva visto lampeggiargli per un attimo sul viso. «In questo momento io voglio ucciderti. Ho una voglia insostenibile di affondare i miei denti nel tuo collo o in qualunque altro punto del tuo corpo e bere fino all'ultima goccia del tuo sangue».
Parole violente, che promettevano morte; parole dette con un tono basso, calmo e per questo ancora più minacciose. Un tono che da solo serviva a rassicurarla sulla loro veridicità. E Matthew aveva iniziato ad avanzare verso di lei, lentamente. Con passo calcolato, felino e flessuoso, inquietante. Facendola arretrare istintivamente – perché l'istinto è sempre più forte della sorpresa, anche di quella fredda e paralizzante. Di quella che promette un gelido bacio di morte.
«Mi prende che in queste ultime ventiquattr’ore in cui eri svenuta nel mio letto, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era morderti di nuovo».
Un altro passo avanti di lui, un altro passo indietro di lei.
«Mi prende che non ho davvero idea di come sia riuscito a trattenermi fino ad ora, col tuo odore addosso, col tuo sapore nella gola».
Un altro passo avanti di lui, ancora uno indietro di lei.
E adesso, le gambe di Evelyn si erano trovate a diretto contatto del materasso.
«Mi prende, Evelyn, che in questo momento, tutto quello che desidero è afferrarti, immobilizzarti a quel letto e finire quello che ho iniziato ieri. – e poi si era corretto – Quello che tu mi hai fatto iniziare».
Ancora un altro passo in avanti di lui ed Evelyn era caduta seduta sul letto, nel tentativo di arretrare ancora.
«Mi prende», le aveva detto chinandosi in avanti verso di lei e poggiando i palmi ai lati del suo corpo, sul materasso, costringendola a stendere la schiena più indietro, poggiandosi sui gomiti, «che averti qui davanti a me, viva e pulsante, mi sta facendo impazzire. Sentire il battito frenetico del tuo cuore, vedere le tue guance arrossate e accaldate, vederti così impaurita...», e le aveva sfiorato una porzione di collo fino alla guancia con la punta naso, annusando il suo profumo e provocandole un brivido a stento trattenuto, prima di continuare, «...mi piace come non mi è mai successo prima e sento che mi farà perdere il controllo molto presto... Adesso capisci, Evelyn, che cosa mi prende?». Aveva soffiato in fine, ad un centimetro dalle labbra di lei. Gli occhi resi folli e dilatati dalla sete e una nota di tagliente ironia nella voce.
Il più pericoloso di tutti i predatori di fronte alla preda che più sfrenatamente bramava.
Evelyn era rimasta immobile, con lo sguardo incatenato a quello azzurro di lui, in quel momento liquido e più scuro per la sete – o forse per altro? Era davvero il suo sangue l'unica cosa che bramava di lei, in quel momento? Non aveva potuto fare a meno di chiederselo.
Il respiro accelerato, il petto che si alzava e si abbassava veloce, il cuore che le martellava nella cassa toracica; Evelyn aveva avvertito ogni muscolo del proprio corpo tendersi alle prime parole del vampiro e adesso, quasi stesa sotto di lui, quella tensione era diventata praticamente insostenibile.
«Adesso capisci perché non avresti dovuto darmi il tuo sangue?», le aveva soffiato di nuovo lui. Con voce bassa, roca e minacciosa. Di nuovo quella rabbia mal celata, quella rabbia in cui, lei, ci aveva visto tanto un'accusa carica di rancore.
«Sì», ed Evelyn si era sorpresa di come la voce le fosse uscita ferma, nonostante il vortice di sensazioni che in quell'istante la stordivano. Ed erano state sensazioni ben diverse da quelle che avrebbe dovuto provare.
«Quindi, adesso, finalmente hai paura». E quella di Matthew non era stata un domanda. C'era stata certezza, in quella frase, la certezza che quello che lui aveva visto negli occhi di lei fosse terrore.
Ma Evelyn aveva sempre avuto la tendenza a sorprenderlo.
«No».
«Come?». Incredulità.
E sorpresa.
E confusione.
«No. Non sono spaventata», gli aveva soffiato lei di rimando. La voce sempre ferma e calma. Sincerità.
Matthew aveva digrignato i denti e i suoi canini si erano allungati pericolosamente, mentre le mani avevano artigliato il lenzuolo sotto di esse. «Che cosa vuol dire?», le aveva ringhiato basso contro.
«Quello che ho detto: non sono spaventata. Non ho paura di te». Sfida. E ancora sincerità.
«Menti! – di nuovo un ringhio di lui, sempre con quel tono basso e i canini che promettevano una minaccia autentica e reale – Vedo come sta reagendo il tuo corpo alla mia vicinanza! Vedo come respiri veloce, sento come ti batte freneticamente il cuore! Tu hai paura!».
Un ultima frase quasi sputata, tanto era stata la convinzione e l'astio con cui l'aveva detta.
«No. – Fermezza – Sei tu che hai capito male, Matt». Calma e ancora sincerità. Disarmante e incomprensibile, sincerità.
Una frase quasi bisbigliata. Carica quasi di... dolcezza.
«Capito male?! Ragazzina, smettila di fare...». Ma non aveva completato la frase, perché le labbra di Evelyn gli avevano fatto morire le parole in gola. Matthew era rimasto paralizzato, gli occhi sgranati e ogni muscolo completamente immobile. Rapito dalla morbidezza e dal calore delle labbra della ragazza sotto di sé. Quella ragazza che non lo temeva nonostante lui le avesse confidato quanto desiderasse ucciderla. Quella ragazza che lo aveva baciato nonostante lui fosse stato sul punto di morderla. Nonostante avesse sentito chiaramente i canini di lui, affilati e crudeli, mentre lo baciava.
Incredulità e sorpresa e confusione.
Disarmante e incomprensibile sincerità.
Sfida, calma, fermezza.
Dolcezza
E ora,completezza.
Evelyn lo aveva baciato lentamente ma con passione, perché per troppo tempo aveva desiderato un contatto di quel genere e se lo era negato.
Quando poi aveva staccato le labbra da quelle di lui, col fiato corto e pentendosene quasi, lo aveva fissato di nuovo in quegli occhi azzurri.
«Adesso capisci perché non ho paura di te, Matt?». Un sussurro, carico di emozione, aspettativa e significati.
«Evelyn, cosa diavolo...», aveva quasi tremato il vampiro ma lei lo aveva interrotto di nuovo, con un altro bacio.
Stavolta approfittando maggiormente della situazione e approfondendo subito quel bacio che le aveva, in un solo istante, acceso ogni millimetro del proprio corpo. Risvegliando un calore che troppo spesso l'aveva quasi consumata, standogli vicina, in quegli ultimi due anni, dopo che aveva abbattuto ognuna delle proprie barriere. E adesso, aveva abbattuto anche l'ultima.
Così gli aveva messo le braccia al collo e aveva immerso le mani nei suoi capelli castani, arpionandosi a quel corpo ancora immobile per la sorpresa e di cui aveva avvertito la rigida tensione. Ma Evelyn aveva desiderato che Matthew fosse partecipe, di quel bacio, aveva desiderato che anche lui abbattesse l'ultima barriera, così se lo era tirato addosso, stendendosi completamente sul materasso e allacciandogli le gambe alla vita. Stringendolo in un abbraccio caldo e intimo, baciandolo con un trasporto a cui, finalmente, anche lui aveva dato risposta.
Matthew si era come svegliato d'improvviso, ricambiando anche lui quel bacio con la stessa passione di Evelyn e con un'irruenza anche maggiore. Le aveva tolto il fiato, lui che non aveva per forza bisogno di respirare mentre lei aveva sempre creduto il contrario per se stessa. E mai come in quel momento aveva compreso di essersi sbagliata, perché, in realtà, con la bocca di Matthew sulla sua, nemmeno lei aveva gran bisogno d'aria.
Nella sua stanza afosa e buia, Evelyn si portò automaticamente un dito alle labbra, ripensando a quel bacio. E sospirò ripensando ad ogni bacio di quella notte, ripensando ad ogni volta che Matthew l'aveva toccata, ogni volta che aveva sentito la perle bruciarle, a contatto con quella di lui, ogni volta che l'aveva sentito come aveva desiderato sentirlo per troppo tempo e come desiderava sentirlo ancora.
Ripensò ad ogni dettaglio marchiato a fuoco nel suo cervello – ogni dettaglio che la tormentava da più di un anno, ormai. Come quando, dopo aver risposto al bacio, Matthew l'aveva afferrata e l'aveva spostata facendola stendere meglio, con la testa sui cuscini, e ad una tale velocità che lei quasi non se n'era accorta. Ripensò a come non si fosse staccato praticamente un solo istante dalle sue labbra, torturandogliele, succhiandogliele e mordicchiandole con foga, massaggiandole con la lingua prima di insinuarla dentro la sua bocca senza trovare la minima resistenza, andando a incontrare quella di lei. L'intensità e la profondità di quel bacio l'avevano lasciata spossata ed Evelyn, all’epoca, se n'era stupita; aveva capito che, con un solo gesto dettato dall'istinto più viscerale, aveva portato Matthew a lasciarsi andare del tutto e lui le aveva riversato addosso se stesso come mai Evelyn aveva immaginato – e in parte sperato – avrebbe fatto.
Era stato come aprire una diga e poi rimanere fermi aspettando di venire travolti dall'acqua. Matthew l'aveva travolta come la piena di un fiume e lei si era semplicemente lasciata annegare in lui.
Vi erano stati bisogno disperato e passione troppo a lungo repressa, in quel bacio, e quando Evelyn lo aveva metabolizzato aveva accolto quel bisogno e quella passione affinché si fondessero coi propri. Il bisogno di sentire l'uno la pelle dell'altra, mentre i vestiti di entrambi erano stati tolti con malagrazia e lanciati chissà dove. Il bisogno di essere certi che quel momento, quel contatto, stesse avvenendo davvero, mentre si erano stretti febbrilmente.
La passione irruenta che li aveva avviluppati nelle sue spire ardenti mentre erano avvinghiati in quell'abbraccio carico di significati, la passione irruenta da cui si erano lasciati avvolgere mentre si erano toccati e cercati freneticamente, come avessero temuto che l'uno o l'altra potessero sparire da un momento all'altro, rivelando che quella che avevano ritenuto realtà fosse stata, invece, solo un sogno.
Evelyn ricordava la forza con cui Matthew le aveva afferrato i polsi e glieli aveva tenuti ai lati della testa, quando era tornato a baciarla dopo averle tolto la maglia. Ricordava quella forza che era stata quasi rabbiosa. Non le ci era voluto molto per capirlo, mentre le dita di lui le stringevano la pelle, consapevoli e incuranti di farle male. Matthew l'aveva stretta a quel modo perché voleva farle male, voleva farle capire che lei doveva avere paura, che lui era pericoloso. Un solo gesto sbagliato e avrebbe potuto ucciderla. Ma Evelyn non si era scomposta, aveva continuato a baciarlo senza opporsi a quella stretta e, anzi, aveva ribaltato la posizione rotolando sul fianco, così da metterglisi sopra. Spingendo il bacino sull'eccitazione evidente di lui, ancora chiusa nei jeans, e strappandogli un gemito roco, prima di staccarsi dalla sua bocca e fissarlo negli occhi. Le mani del vampiro ancora a stringerle i polsi.
Evelyn lo aveva fissato negli occhi azzurri e limpidi come il cristallo, profondi, liquidi e torbidi come le acque del fiume da cui si era lasciata travolgere. Non aveva sbagliato, in quegli occhi come nella presa delle sue mani c'erano rabbia e disperazione, emozioni che lui aveva esternato, sì, ma che, in realtà, aveva usato per tentare di nascondere un timore profondo e radicato. Un timore risvegliato nel momento in cui lui aveva capito quanto fosse stato realmente vicino all'ucciderla, la sera precedente e tutta la notte che aveva trascorso a guardarla dormire, aspettando che lei si risvegliasse. La notte in cui si era imposto di rimanere ancorato a quella poltrona dall'altro lato della stanza, lottando ogni secondo, ogni minuto, ogni ora con la sete folle che aveva provato e che aveva desiderato ardentemente di soddisfare. La notte che aveva trascorso lottando contro quel desiderio totalizzante, guardandola e pensando solo a quanto avrebbe desiderato bere ogni goccia di lei e se l'era impedito.
«Smettila», gli aveva detto Evelyn in un bisbiglio, ansante.
«Di fare cosa?», e la stretta sui polsi si era fatta ancora più forte.
«Lo sai. Puoi stringere quanto vuoi, non cambierò idea. So quello che saresti capace di farmi, non c'è bisogno di tutto questo».
«Se lo sai, allora sei stupida a voler continuare», aveva commentato lui, velenoso e con voce bassa.
«Matt, che cosa vuoi dimostrare?». Un altro bisbiglio. Occhi negli occhi. Non c'era stata alcuna emozione particolare, nella voce della ragazza. Semplicemente una domanda fatta col cuore che le martellava nel petto per l'eccitazione e la voglia irrefrenabile di tornare a baciarlo, e il desiderio di sentire una risposta sincera. Una risposta priva di quella snervante serie di sotterfugi e reticenze di contorno che lui sembrava amare tanto.
Lui non aveva risposto – ovviamente –, limitandosi a fissarla intensamente, spostando freneticamente lo sguardo dai suoi occhi scuri alle labbra, al collo carezzato lievemente dai boccoli neri e al seno che si alzava e si abbassava al ritmo del respiro accelerato.
«Io mi fido di te», il sussurro di lei aveva rotto il silenzio. Una semplice frase a cui il vampiro aveva risposto con un altro ringhio – più un ruggito, in effetti – disperato. «Be’, non dovresti!», aveva sibilato ribaltando di nuovo la posizione e sovrastandola, schiacciandola al letto col proprio peso. Le mani ad artigliarle ancora i polsi e il viso a mezzo centimetro dal suo. «Non dovresti fidarti di me! Non dovresti, sono fuori controllo! Tu non devi!». Ed era tornato a baciarla, stavolta con prepotenza. E sempre con prepotenza le aveva sfilato, con un gesto compiuto ad una velocità impossibile, il reggiseno e le aveva bloccato entrambi i polsi sopra la testa, ora tenendoglieli con una sola mano mentre con l'altra era sceso sul suo seno. Torturandoglielo con le dita e poi con le labbra. Eppure, nonostante la presa sui suoi polsi fosse stata ferrea, a Evelyn non era sfuggita la differenza con cui si era dedicato al suo seno: con irruenza, sì, ma senza violenza. Strappandole gemiti e sospiri a cui era seguito l’ulteriore irrigidirsi della stretta di quella sola mano.
«Matt... gua... ah!». Aveva cercato di chiamarlo ma lui le aveva fatto morire le parole in gola infilandole la mano libera dentro i jeans, a stuzzicarla e a farla ansimare più rumorosamente.
Aveva voluto distrarla, aveva tentato di dirle che lui avrebbe potuto farle qualunque cosa. Aveva tentato di dimostrarle perché lei non avrebbe dovuto fidarsi, ma nonostante le intenzioni non era riuscito ad imprimere una reale violenza, in quei gesti. Solo nella mano stretta intorno ai suoi polsi, tutto il resto era stato desiderio e basta.
Ma Evelyn sapeva sempre come gestirlo, anche quando l'idiota si chiudeva a riccio. Per questo, si era imposta di ritrovare un briciolo di lucidità ed era riuscita a dire un'unica parola – «Guardami» – uscita dalle sue labbra come un ordine perentorio.
E a quell'ordine, lui finalmente aveva alzato lo sguardo e quello che Evelyn aveva visto l'aveva quasi commossa. Negli occhi azzurri di lui, liquidi di desiderio, aveva distinto chiaramente una patina di lacrime di dolore a stento trattenute.
Si erano fissati di nuovo occhi negli occhi in silenzio, entrambi ansimanti, il corpo di lui praticamente steso su quello di lei.
Per Evelyn era stata una violenza parlare, dover pronunciare parole che riteneva inutili – e le considerava tali anche adesso – ma lo aveva fatto. Aveva preso un respiro più profondo degli altri e gli aveva parlato: «Se tu non ti fidi di te stesso allora fidati di me. Mi conosci, sai che non sono una ragazzina indifesa, sai che sono capace di reagire e difendermi – anche da te, Matt – se le cose dovessero mettersi male». Il respiro di lui si era fatto ancora più veloce a quelle parole, un'espressione completamente sconvolta – a metà tra una lussuria trattenuta a stento e che non era solo lussuria, perché non lo sarebbe mai stata, tra loro due, e l'indecisione, la convinzione di non poterlo fare.
«Lasciami», gli aveva detto quindi lei. Ma in risposta, la stretta del vampiro si era fatta più ferrea, crudele, e aveva contratto la mascella, in un chiaro rifiuto.
«Matt, ti ho detto di lasciarmi andare. Lasciami i polsi, fallo».
Dio, quanto l’aveva sempre fatto infuriare quel suo modo di reagire con quella calma disarmante! Com’era capace di farlo, come poteva mostrare una simile tranquillità, una simile fermezza, in una situazione del genere?!
Lo aveva sempre fatto infuriare, lo faceva ancora, ci riusciva sempre – pensò Matthew, appoggiato di schiena all'albero in giardino. Col viso rivolto verso l'alto a fissare la finestra della stanza di lei.
«D'accordo», aveva commentato Evelyn, improvvisamente seria in volto, al cocciuto rifiuto di lui.
Una sola parola e, l'attimo dopo, Matthew aveva avvertito un calore inusuale al palmo della mano con cui le stringeva i polsi. Un calore che si era fatto in pochi attimi più intenso, doloroso e che gli aveva bruciato la pelle costringendolo a mollare la presa imprecando, mentre l'odore di carne bruciata gli era giunto alle narici. Evelyn ne aveva approfittato subito, togliendoselo di dosso e sedendoglisi sopra, a cavalcioni su di lui che la fissava confuso.
Era stata una bruciatura leggera, quella che gli aveva fatto alla mano, e gli era già quasi guarita del tutto, ma era servita allo scopo.
«Adesso mi ascolti?».
«E quello che cos'era?».
«Una dimostrazione. Dato che non vuoi credere a ciò che ti dico, è evidente che non ho alternative se non passare ai fatti», gli aveva detto con voce bassa ma aspra, adesso lei e tenergli fermi i polsi ai lati della testa. «Non sono una ragazza come le altre, questo mi sembrava lo avessimo appurato due anni fa. So come difendermi, so quando una situazione si fa pericolosa e so agire di conseguenza. Non hai bisogno di comportarti dall’uomo nato alla fine del '700 quale sei».
«Quindi?», aveva ribattuto ironico.
«Quindi possiedo dei poteri, ricordatelo, Matt. Sono una strega, non devi mai permetterti di dimenticarlo. Non sono indifesa e non ho bisogno di essere protetta da qualcosa che voglio, da qualcosa che desidero fare. So quando il gioco non vale la candela e questo non è uno di quei casi. Tu non sei uno di quei casi».
Fermezza.
Matthew aveva sempre detestato quando Evelyn lo trattava in quel modo, quando usava quella fermezza, appunto. Lui non l'aveva mai ritenuta debole o fragile, era di se stesso che non si fidava. Soprattutto se era con lei.
Eppure – lo ricordava bene – quella fermezza, quelle parole così perentorie e autoritarie, quelle parole che gli erano sembrate tanto un avvertimento, un ultimatum, lo avevano ammutolito. Erano riuscite ad abbattere i suoi tentativi di trattenersi, erano riuscite a destabilizzarlo, come sempre gli accadeva quando era con lei. Avevano messo in crisi la sua sicurezza, dimostrandogli come fosse stata solida, invece, quella di lei.
Gli avevano impedito persino di replicare.
«Se non ti fidi di te stesso allora fidati di me».
Di nuovo gli aveva ripetuto quella frase bisbigliata, carica solo di desiderio e bisogno, e le labbra di Evelyn avevano incontrato di nuovo le sue e, stavolta, Matthew non aveva fatto più nulla per impedire che ciò che volevano entrambi così disperatamente accadesse.
Non ne aveva più avuto la forza.
Non si era più opposto, non aveva più cercato di fermarla, o d'imporsi su di lei, o trattenerla. Né di trattenere se stesso.
Si era lasciato andare. Tutta la notte, rapito da lei. Si era lasciato travolgere da Evelyn e da quello che lei aveva sempre scatenato in lui.
Non l'aveva fermata quando gli aveva sbottonato i jeans e glieli aveva sfilati, rubandogli un gemito e un sospiro di sollievo, né quando si era dedicata a lui come Matthew aveva fatto prima con lei, e intanto era scesa a baciargli il petto e gli addominali. Ma aveva dovuto fermarla quando il ritmo delle sue mani si era fatto troppo intenso e lui aveva rischiato di concludere prima ancora di cominciare, tali erano la voglia e la sete che aveva di lei.
E non era riuscito a fermare se stesso quando le aveva, praticamente, strappato di dosso i pantaloni e poi anche quell'ultima, inutile, barriera, e finalmente l'aveva sentita. Pelle contro pelle. Quando le era entrato dentro e l'aveva vista boccheggiare e sgranare gli occhi prima di richiuderli, in preda al piacere. Guardarla l'aveva rapito, aveva spiato ogni reazione del suo corpo, ogni più piccola espressione del suo viso finché aveva potuto, fino a che il piacere aveva appannato anche la sua vista, costringendo anche lui a chiudere gli occhi. Costringendo entrambi a vedere soltanto coi sensi – con le mani, con le labbra, con le orecchie piene dei loro sospiri e dei loro gemiti.
Quel piacere inscindibile dal bisogno che li aveva costretti a ricercarsi ogni momento, a mantenere sempre un contatto tra i loro corpi, anche dopo essersi crollati addosso esausti e sconvolti dai tremiti. Un bisogno inscindibile dalla passione strisciante e bruciante, inscindibile da quella urgenza disperata che li aveva portati a ricominciare, fino allo stremo.
Evelyn strinse convulsamente il lenzuolo tra le dita, aggrappandovisi, mentre quei ricordi si facevano largo in ogni più piccolo dettaglio nella sua mente.
E Matthew diede un pugno al tronco dell'albero, con un rumore sordo, reprimendo il ringhio gutturale che gli era salito su per la gola, sentendo le mani di lei toccarlo, in quei ricordi, come se lo stessero facendo davvero e di nuovo, proprio in quel momento.
Poi la ragazza rotolò per l'ennesima volta sul letto, sbuffando, e diede anche lei un pugno ma al materasso, poiché altri ricordi le si presentarono davanti agli occhi. I ricordi della mattina successiva, quando ci si era svegliata sola, in quel letto. Sola nell'appartamento di lui. E lo aveva sentito subito, aveva avvertito immediatamente che Matthew non era in casa, quando si era svegliata. Non aveva avuto bisogno di cercarlo.
Ed Evelyn ricordava anche benissimo l'angoscia che l'aveva attanagliata alla bocca dello stomaco, perché dove diavolo poteva essere, alle undici e mezza di mattina, col sole? Perché, dopo quella notte – la loro notte – lui se n'era andato? Che cosa poteva essere accaduto?  E perché, quando si era concentrata per cercare di capire, non era riuscita a sentire la sua presenza in tutta la città? Perché non era riuscita a sapere nel modo in cui lei sapeva sempre, dove lui si trovasse?
Con quelle domande a tormentarle la mente non aveva perso un solo secondo e, ancora nuda, aveva afferrato il proprio cellulare – che, certamente, lui le aveva lasciato sul comodino affinché lo trovasse – e l'aveva chiamato. Ma Matthew non aveva risposto. Lo aveva chiamato una decina di volte, senza risultato, e poi aveva chiamato Meredith e Mark, chiedendo sue notizie ma ricevendo risposte negative da entrambi. E lo aveva richiamato di nuovo e di nuovo, lo aveva chiamato almeno una trentina di volte, in quelle ore, ma lui non le aveva mai risposto.
Solo dopo, rivestendosi, l'occhio le era caduto su uno dei tre segni rossi di morsi che aveva sul corpo. Si era avvicinata allo specchio di legno accanto all'armadio, per vederli meglio, e il dubbio aveva cominciato a farsi strada nei suoi pensieri.
Quei segni di morsi erano stati particolarmente evidenti, sulla sua pelle chiara. Ormai già quasi rigenerati del tutto dal suo corpo di strega, ma ancora rossi e un po' gonfi. Ne aveva uno sul collo, il secondo nella zona del fianco appena sotto il seno sinistro, e il terzo sul braccio destro, quasi all'incavo del gomito. E a quelli si aggiungevano la cicatrice ormai sbiancata dagli anni del primo morso che Matthew le aveva dato, la notte in cui si erano ritrovati, e il segno di quello che si era procurata ormai due sere prima, nello scantinato, quando gli aveva offerto il proprio sangue per guarirlo. E il dubbio aveva iniziato a insinuarsi, tra i pensieri di Evelyn, si era fatto strada secondo per secondo, strisciante e inequivocabile nella sua logica. E da dubbio, era diventato certezza. Aveva capito perché Matthew se ne fosse andato.
Sapeva perfettamente che lui l'aveva morsa, quella notte. Se n'era accorta, li aveva sentiti, i canini di lui, penetrarle nella carne, ma non le era importato. Non aveva sentito nemmeno dolore, in realtà, non era stato come la prima volta che lui l'aveva morsa. Non aveva sentito quella fitta acuta che le aveva mozzato il respiro. E non era stato nemmeno come nello scantinato, quando prima la paura e poi il sollievo le avevano fatto ignorare il dolore. No, aveva sentito solo un fastidio iniziale e poi era stato come avvertire ciò che lui provava, mentre si trovavano stretti nell'amplesso. Sensazioni che si erano unite e avevano amplificato le sue. Ed era stato stupendo.
Ma la vera domanda che Evelyn si era posta era stata: Matthew si era accorto di averla morsa? Era possibile che lo avesse fatto senza rendersene conto?
Il vampiro era stato via un mese. Trenta interi, lunghissimi giorni in cui era sparito dalla circolazione, era sparito dalla città ed era sparito dalla vita di Evelyn. Senza una parola. Non si era fatto più sentire.
Nemmeno una volta aveva risposto alle telefonate della ragazza, nemmeno una volta aveva risposto ai messaggi che lei gli aveva lasciato sulla segreteria, nemmeno una volta l'aveva richiamata.
E poi era rispuntato dal nulla, la sera del trentesimo giorno. Dopo che Evelyn aveva trascorso quel mese a cercarlo, in parte terrorizzata all'idea che lui potesse fare qualcosa d’idiota, in parte – la maggior parte, in effetti – covando una rabbia profonda. Perché Matthew aveva preso una decisione che riguardava entrambi senza consultarla. Senza pensare di chiederle nulla, prendendosi delle colpe che non aveva. Comportandosi dal martire che non era, non era mai stato e che, con lei, non aveva motivo di essere. Non l'aveva mai avuto.
E quando, quella sera del trentesimo giorno, aveva di nuovo avvertito la presenza di Matthew prima ancora di ritrovarselo alle spalle, la reazione di Evelyn era stata piuttosto risoluta: lo aveva scagliato contro la parete senza nemmeno voltarsi. E sospeso a mezz'aria, contro quel muro, ce lo aveva lasciato.
«Ben tornato», gli aveva detto con tono glaciale ma sarcastico, prima di voltarsi. «Fatto buon viaggio?».
«Se non è di troppo disturbo, ti dispiacerebbe farmi scendere, per favore?», le aveva domandato lui, con un po' di sforzo nella voce, data quella posizione scomoda e inusuale a cui lei l'aveva costretto.
«Oh no, nessun disturbo, figurati», e Matthew era volato dall'altra parte della stanza. Atterrando in malo modo sul pavimento.
«Ti ringrazio, Evelyn». Le aveva risposto, rimettendosi in piedi.
«Devo supporre che la crisi mistica sia finita, se sei tornato». Sarcasmo tagliente e un sorriso freddo sulle labbra.
«Per favore, non fare così».
Le parole sbagliate, dette dalla persona sbagliata, nel momento sbagliato.
E Matthew aveva fatto un altro volo per la stanza.
«Così come? Davvero non capisco a cosa tu ti stia riferendo, Matt».
«Ok, Evelyn, ho capito: sei arrabbiata». Aveva tentato di rialzarsi, ma lei era stata più veloce. E lo aveva fatto volare un'altra volta.
«Arrabbiata, Matt? Oh, e perché mai dovrei?». Un altro volo. «Sei solo sparito per un mese intero – e a quel punto, lo aveva spedito contro il soffitto – dopo che avevamo passato la notte insieme», e poi lo aveva lasciato cadere sul pavimento. «Davvero, non capisco perché dovrei essere arrabbiata! », aveva urlato infine, scaraventandolo contro lo stipite della porta. E lui era caduto a terra tossendo, a causa del colpo.
«Sei sparito, Matt! Per un mese! E non hai avuto la decenza di chiamarmi una sola volta, nemmeno per tranquillizzarmi, nemmeno per dirmi che eri vivo e stavi bene! Hai idea di quanta paura io abbia avuto? Riesci minimamente ad immaginare il terrore che si prova, quando temi che la persona che a... – ma si era corretta subito – che una persona a cui tieni si sia fatta trasformare in polvere, magari esponendosi alla luce del sole?! Hai almeno una vaga idea di quello che mi hai fatto passare?! >>.
Puro risentimento, furia a stento controllata.
Perché Evelyn aveva sempre avuto più rabbia di lui, dentro. Più rabbia di molti.
«E tu hai la vaga idea di quello che ho provato io, mentre non riuscivo a prendere sonno e ti guardavo dormire, quando mi sono accorto dei segni dei morsi?! Hai idea di quello che ho provato, sapendo quello che ti avevo fatto?!».
Perché era sempre stato così, tra di loro: vinceva chi sapeva urlare più forte.
«Fatto cosa, Matt? Credi che io non lo sapessi già, che non ti avessi sentito mordermi mentre facevamo l'amore?!».
«E allora perché non mi hai fermato?! Se tu sapevi che cosa ti avevo fatto, se lo sapevi mentre te lo stavo facendo, avresti dovuto fermarmi!».
«No, invece! Non dovevo e non l'ho fatto, perché non è stato nulla di grave! Non c'è stata una sola cosa, di quella notte, che io non abbia voluto! E non c'è una sola cosa per cui mi sia pentita!».
«Evelyn, io non posso stare con te! Non in quel modo, non posso! Perdo il controllo in una maniera che non mi è mai capitata in più di duecento anni! Non posso permettermi di rischiare e finire, un giorno, con l'ucciderti!».
«Non è una scelta che puoi prendere da solo! Riguarda, innanzitutto, me! Se non ti fidi di te stesso, allora fidati di me!».
Quell'ultima frase, quella frase che gli aveva ripetuto per due volte, quella notte. Era stato con quella frase che l'aveva zittito.
Matthew l'aveva fissata quasi boccheggiando, non sapendo che cosa risponderle – quella fermezza, quelle parole così perentorie e autoritarie, quelle parole che gli avevano impedito persino di replicare.
Così lei aveva continuato, imperterrita: «Entrambi avvertiamo cose ciò che riguardano l’altro. Tu sai che dico la verità quando dico che non mi hai fatto male, che non mi hai fatto nulla! Lo senti, Matt, dannazione! Allora perché ti comporti da idiota?!».
«Evelyn, mi dispiace», gli occhi bassi per un momento, prima di rialzarli su di lei, «…ma non posso. Anche se per te non è stato grave, per me lo è. Non potrei vivere con la consapevolezza di averti fatto del male, non lo sopporterei».
Ed Evelyn aveva provato una sensazione strana, a quelle parole; come di un qualcosa che le andava in frantumi, tra le costole. Qualcosa che si era rotto dopo essere stato preso a calci.
«Dio, Matt, non ti rendi conto che male me ne stai facendo comunque?», aveva ribattuto esasperata. Poi gli aveva voltato le spalle, esausta, e si era passata le mani tra i capelli, ravvivandoseli sulla nuca. Aveva preso un respiro profondo e scosso la testa, per quella situazione totalmente assurda e paradossale. In fine, aveva sbattuto convulsamente le palpebre, proibendosi di versare una sola lacrima. Ma quando si era voltata di nuovo per fronteggiarlo, la rabbia nelle sue iridi scure era palese, insieme a qualcos’altro di più doloroso e profondo.
«Sei incredibile, lo sai, vero?», era sbottata sarcastica e retorica. «All'inizio di tutta questa storia, quando io non volevo avere niente a che fare con te, quando non volevo saperne nulla, mi hai praticamente perseguitata. E adesso che sono passati due anni e che ci conosciamo come non potremmo conoscere nessun altro, e sappiamo quello che c'è tra di noi – perché lo abbiamo sempre saputo, Matt, anche quando fingevamo di ignorarlo, anche quando fingevamo che ciò che sentivamo non avesse alcun significato –, ora che lo abbiamo accettato e dopo tutto quello che abbiamo passato insieme… Adesso tu ti tiri indietro».
«Io non mi sto tirando indietro, Evelyn»
«Oh sì, invece». E quel qualcos’altro di più doloroso e profondola delusione – si era manifestato con chiarezza. «Tutte queste sono solo scuse. Il fatto di non riuscire a controllarti, il temere di farmi del male quando ti ho detto – e non una volta – che non può accadere perché io so badare a me stessa, tutte queste sono delle scuse e basta. Ti stai tirando indietro perché hai paura, sì, ma di rischiare. E se tu vuoi far finta che quello che ho detto non sia vero, che non è per la paura di rischiare che lo stai facendo, va bene. E' affar tuo. A questo punto non posso farci niente. Ma non pretendere che creda anche io ad una cazzata del genere. E adesso vattene, fuori da casa mia, adesso! Non voglio vederti per ora, quindi vattene».
E lui se n'era andato. L'aveva lasciata da sola come lei aveva chiesto. L'aveva lasciata a raccogliere i pezzi di quel qualcosa che Evelyn aveva sentito rompersi dentro di lei, tra le costole.
Da quel giorno, da quella trentesima sera in cui lui era tornato, il loro rapporto non era stato più lo stesso. E non lo era più stato per molto tempo.
Quell'ultimo anno era stato un inferno per entrambi. Evelyn, per un periodo, non aveva tollerato nemmeno la vista di Matthew. Non c'era riuscita, non ce l'aveva fatta a vederlo ogni sera, come se nulla fosse successo, dopo quello che c'era invece stato tra di loro. Dopo quella notte, quel dannato mese e dopo quella maledetta lite, la sera del trentesimo giorno.
E ogni volta che lo aveva sentito arrivare, aveva eretto una barriera mistica sulla casa, così da impedirgli di entrare.
Aveva fatto in modo di vederlo il meno possibile e lui aveva rispettato quella decisione di lei, fino a che, una sera, era scoppiato.
Matthew ricordava bene quella lite, la ricordava come tutte le liti di quell'ultimo anno. E la ricordava perché era stata violenta senza che si fossero gridati addosso. Era stata sfiancante ed esasperante, anche non si erano scontrati come loro solito.
Matthew la ricordava, quella lite, perché lo aveva traumatizzato vedere Evelyn con quell'aria gelida. Parlare con lei, che lo aveva fissato impassibile, senza emozione alcuna nel volto, con gli occhi freddi e spenti - quegli occhi castani e caldi che lui amava così tanto e che non lo avevano mai guardato a quel modo, non lui. Quegli occhi in cui il vampiro aveva sempre visto così tante cose, in cui lui ci aveva sempre visto tutto e in cui, durante quella lite (e tutte le liti di quell’anno), non aveva visto più nulla.
Per Matthew era stata talmente traumatico, l’atteggiamento di Evelyn, da portarlo a cercare di scuoterla in tutti i modi – lui che non aveva quasi mai mostrato le proprie emozioni se non nelle mani – senza, però, riuscirci. Senza ottenere nulla se non quegli sguardi vuoti e freddi e quelle espressioni impassibili. Solo le parole di Evelyn avevano esternato qualcosa e lo avevano fatto sempre in maniera tagliente e laconica. Liti che si erano svolte quasi in sordina, pacatamente, cinicamente. E che avevano causato ferite costantemente aperte e infette in entrambi.
E avevano trascorso mesi a litigare in quel modo, a non viversi in quel modo, a logorarsi in quel modo.
E Matthew non era mai riuscito a capacitarsene, in tutto quel tempo; non era mai riuscito a capacitarsi di come lei riuscisse a trattarlo con quella freddezza glaciale, nonostante la rabbia che lui riusciva a sentire agitarsi dentro di lei. Ogni volta. Perché lui lo sapeva sempre, quello che Evelyn provava, lo aveva sempre saputo dopo il loro primo incontro. Dopo la notte in cui si erano ritrovati.
E Matthew, sapendo quello che lei in realtà aveva sempre provato, sentendo ciò che si era agitato in lei ogni volta che l'aveva visto, non si era mai capacitato di come Evelyn fosse capace di una tale freddezza e imperturbabilità, all'apparenza. Come ci fosse riuscita e come ci riuscisse tutt'ora, come ci riuscisse sempre, lei che era sempre stata così facile agli scatti d'ira, al contrario di lui.
Non che Matthew fosse stato da meno, in quanto a maschere e freddezza. Evelyn ricordava benissimo come il volto di lui non avesse quasi mai tradito una sola emozione. Ricordava anche, però, come le sue mani, in tutto quell'anno, fossero state contratte molto più del consueto, ricordava la costante rigida tensione nelle sue dita. Ma lei c'era abituata, lo conosceva, le era sempre stato facile scoprire la finzione di quell'apparente calma.
Finché non si era alzato il vento. Un vento forte e violento, freddo. Un vento carico di una pesante aria di morte. E un uragano era giunto, senza che se ne fossero accorti, a sconvolgere le loro vite.
Era stato un uragano dai capelli rossi e gli occhi viola, le labbra carnose, il corpo esile e la voce da bambina. Un uragano che all'inizio li aveva ingannati tutti, un uragano che si era finto in difficoltà, che aveva chiesto il loro aiuto, un uragano che li aveva supplicati di proteggerla da qualcosa che l'aveva inseguita per mesi – a suo dire – per ucciderla. Un uragano che Evelyn aveva accolto in casa e aveva difeso, un uragano che la giovane aveva protetto senza capire chi fosse stata in realtà. Un uragano che aveva celato la sua vera natura non facendo percepire i propri poteri. Una strega che era giunta dal sud, dalla Louisiana, una ragazza all'apparenza molto più giovane di Evelyn, una ragazza che aveva detto di avere appena diciannove anni e, invece, era una strega vecchia abbastanza da vantare quasi un secolo di vita.
Una strega che aveva ingannato tutti, che aveva ingannato Evelyn ma che non era riuscita ad ingannare Matthew. Non era riuscita ad ingannare i suoi sensi di vampiro, quei sensi che avevano sentito l'odore di un sangue troppo vecchio per appartenere ad una diciannovenne e che gli avevano impedito di fidarsi di lei, anche se all'inizio ancora non era riuscito a spiegarsi il perché di quell'odore.
Era arrivata un mese dopo la sera del trentesimo giorno e aveva conquistato Evelyn, l'aveva intenerita con la sua voce da bambina e il suo aspetto così fragile; l'aveva ingannata – Evelyn che non si era mai fidata facilmente di nessuno – e la ragazza ci era caduta con tutte le scarpe, nella trappola dell'uragano. C'era caduta senza accorgersene e senza fiutarne il pericolo.
Ma Matthew l'aveva fiutato, lo aveva fiutato fin dall'inizio e aveva cercato di avvertirla ma Evelyn lo aveva ignorato, non gli aveva creduto e avevano litigato di nuovo. Sempre in quel modo che li aveva visti litigare per tutto quell'anno. Avevano litigato tante volte, a causa di quell'uragano dai capelli rossi, gli occhi viola e la voce da bambina.
Finché il vento non si era alzato e la trappola che l'uragano aveva ordito con cura, quella trappola in cui aveva per mesi – per quasi un anno - intrappolato lentamente e a poco a poco Evelyn come una mosca nella tela del ragno, era scattata. Ed Evelyn era stata avvolta dai fili di quella ragnatela che non aveva visto, rendendosi conto troppo tardi della realtà.
«Lo so», le aveva detto l'uragano, con quella vocetta cantilenante da bambina. «Non è stato giusto ingannare una ragazza così giovane, una strega ancora così inesperta. Ma vedi il lato positivo della faccenda: con i tuoi poteri diverrò praticamente invincibile, piccola. E siccome non sono una maleducata, ci tenevo a ringraziarti per l'ospitalità che mi hai dato in questi mesi. Sei stata davvero un tesoro, cara. Nulla di personale».
Il vento si era alzato una mattina, alle prime luci dell'alba, che Evelyn era ancora addormentata. L'uragano era entrato nella sua stanza, le aveva posto un ciondolo con un sigillo sulla fronte e l'aveva intrappolata. E quando Evelyn, l'attimo dopo, si era svegliata, si era ritrovata completamente paralizzate e sospesa a mezz'aria.
L'uragano aveva atteso pazientemente per più di nove mesi, aveva atteso affinché il Potere che scorreva nel sangue della giovane – il potere unito di due delle più antiche e potenti famiglie di streghe del Massachusetts – fosse giunto al momento di massima maturazione, e intanto l’aveva studiata, in tutti qui mesi, e quando quel momento era arrivato l'aveva imprigionata con quel sigillo e l'aveva portata con sé. L'aveva rapita e quella notte stessa – una notte di luna piena – l'aveva portata in una radura nel bosco – quella stessa radura dove, tre anni prima, Evelyn aveva affrontato e ucciso l'assassino di sua nonna – e lì si era preparata per compiere il Rito, la Somma Invocazione. Ma l'uragano non avrebbe chiamato il proprio Potere, no, avrebbe invocato quello di Evelyn e nell'esatto istante in cui quel Potere fosse stato scisso completamente dal sangue della ragazza, se lo sarebbe preso. Glielo avrebbe rubato. Ed Evelyn non avrebbe potuto far nulla per impedirlo, bloccata da quel sigillo sulla sua fronte. E quando l'uragano aveva iniziato il Rituale, Evelyn aveva avvertito chiaramente il Potere fluirle a poco a poco fuori dal corpo e non era stato come la prima volta, era stato diverso, era stato doloroso perché il suo corpo veniva costretto a fare qualcosa contro la propria volontà ed Evelyn aveva avvertito come se centinaia di pugnali le venissero conficcati nella carne, secondo dopo secondo.
E il minimo di resistenza che aveva comunque tentato di opporre a quella violenza era stata sempre più inutile, perché il Potere aveva continuato a fuoriuscire da lei e quando fosse uscito completamente, Evelyn lo sapeva, sarebbe morta.
Non c'era stato nulla che lei potesse fare, le energie l'erano venute meno poco a poco, avevano iniziato a mancarle sempre di più a causa di quello sforzo e aveva desiderato urlare, gridare con tutta la voce che aveva in corpo per quel dolore e quella violenza, ma non aveva potuto nemmeno quello.
E poi era successo qualcosa.
Il Potere le era tornato dentro improvvisamente, con tanta forza da mandare in frantumi il ciondolo col sigillo che le era stato posto sulla fronte ed Evelyn era caduta a terra, finalmente libera di muoversi e agire anche se tramortita.
E poi, un paio di minuti.
Evelyn aveva alzato gli occhi e l'aveva visto, aveva visto Matthew addosso all'uragano dai capelli rossi che li aveva ingannati, l'aveva visto attaccato con i denti alla gola di lei. Poi la strega era riuscita a colpirlo, in qualche modo, e aveva spedito il vampiro qualche metro lontano da Evelyn, urlando, e subito si era rimessa in piedi. Il sangue che le colava dalla ferita al collo – una ferita che, però, aveva già iniziato a rimarginarsi – il viso stravolto dall'ira e le iridi viola accese da una furia omicida.
«Tu! – aveva urlato al vampiro – Come hai osato attaccarmi?! Come hai osato nutrirti del mio sangue?!». I capelli rossi che fluttuavano nell'aria per l'energia dell'incantesimo ancora pienamente attiva, dentro il cerchio del Rito.
«Fidati, ne avrei fatto volentieri a meno», le aveva risposto lui, sarcastico.
«Brutto insolente, a causa tua, adesso, dovrò ricominciare tutto d'accapo! Dannato vampiro, me la pagherai!», ed era stata sul punto di attaccarlo ma una luce dalle fiamme rosse l'aveva colpita al fianco, sbalzandola a terra.
«Devi solo provarci!», le aveva urlato Evelyn. In piedi sulle sue gambe, carica di un'energia inusuale, quel tipo di energia aveva già provato una un’occasione, in passato, quando aveva per la prima volta compiuto lei stessa il Rito. All’epoca, però, la Somma Invocazione era stata portata a termine, il Potere si era scisso del tutto dal suo corpo prima di abbattersi contro il cacciatore di streghe e quando era tornato dentro di lei l'aveva lasciata esausta; mentre stavolta il Rituale non era stato completato e, a causa di ciò, il Potere si era come attivato completamente, ma in lei. Dandole un'energia tale da poterlo sfruttare a pieno come mai le era stato possibile prima.
Tutto in un paio di minuti.
«Vedo che non sei più bloccata dal sigillo.», aveva sibilato quella. «Non fa niente, mi serviva solo per non perdere tempo, potrò ottenere il tuo Potere anche così».
«Parli troppo per i miei gusti». Ed entrambe si erano scagliate addosso incantesimi urlati, sfere di fuoco o di energia evocate dal nulla. Finché Evelyn, riuscita a schivare tutti gli attacchi contro di sé, con uno aveva finalmente colpito l'uragano di nuovo, facendola cadere sul prato. Svenuta.
Eppure…
Eppure, Matthew aveva notato subito che qualcosa non era andata come avrebbe dovuto: il modo in cui quell'uragano dai capelli rossi e la voce da bambina non era riuscita a schivare quell'ultimo fascio di fuoco, il modo in cui era caduta a terra. Gli era sembrato quasi che la strega si fosse... lasciata colpire di proposito.
Tutto in un paio di minuti.
E poi, solo quattro secondi.
Matthew aveva guardato Evelyn in piedi, una decina di metri da sé, e l'attimo dopo la strega stesa a terra e aveva visto, aveva visto prima di Evelyn ed era scattato. Si era lanciato verso di lei alla velocità tipica di quelli come lui e l'aveva afferrata ponendosi tra la giovane e il fascio d'energia scagliato per ucciderla, facendole da scudo. E venendo colpito da quel fascio al posto della ragazza.
Solo quattro secondi.
Il colpo li aveva scagliati lontano, dalla parte opposta della radura, quasi al limitare degli alberi, Matthew con Evelyn stretta tra le braccia, a coprirla col proprio corpo. Immobile.
E tutto il resto era stato delirio.
Delirio puro quando Evelyn aveva aperto gli occhi e aveva chiesto a Matt di spostarsi e lui non aveva risposto, delirio quando si era voltata aveva visto i suoi occhi vitrei e spalancati; delirio quando si era accorta che una ferita aveva aperto uno squarcio nel petto del vampiro, uno squarcio che lo aveva passato da parte a parte, bruciandogli la pelle circostante la ferita. Delirio quando Evelyn l'aveva scosso urlando, implorandogli di alzarsi; quando lo aveva supplicato, singhiozzando, di non essere morto; quando aveva cercato di guarirlo senza risultato. E si era tagliata un polso un'altra volta, con un rametto, ma lui non l'aveva bevuto, il suo sangue, Matthew non si era mosso. Era rimasto con gli occhi azzurri spalancati a fissare il vuoto, opachi e privi di vita.
Evelyn aveva urlato e gli aveva sollevato il viso, stringendoselo al petto, chiamandolo e implorandolo di perdonarla. Perché era a causa sua se lui era morto, colpa di lei che non lo aveva ascoltato, quando Matthew le aveva detto i suoi sospetti, ogni volta, in tutti quei mesi. Colpa di lei che lo aveva trattato sempre freddamente, perché furiosa per ciò che era accaduto tra di loro e che lui si era rifiutato di accettare, furiosa per il comportamento di lui.
Ma il suo Matt non poteva essere morto, non poteva, non doveva. Non in quel modo, non per proteggere lei, non per un suo errore.
E poi una risata si era diffusa nella radura, una risata che l'aveva fatta infuriare, tra le lacrime, come solo un’altra volta le era successo in vita sua. Una risata che gliene aveva ricordata tanto un'altra, sentita tre anni prima, quando si era ritrovata in una situazione simile, nel giardino sul retro di casa sua. Una risata che, come quella del vampiro che aveva ucciso sua nonna, si era burlata di lei, delle sua rabbia e del suo dolore. E se tre anni prima, Evelyn non aveva potuto sfogare immediatamente quella rabbia, adesso non c'era stato più nulla a impedirglielo. Ed era esplosa.
Un urlo – lungo e acuto, stridente come il suono delle unghia su di una lavagna – le era uscito dalla gola, un urlo carico di tutto quel dolore e di quella rabbia profonda, quella rabbia che si era portata annidata dentro per anni, quella rabbia che l'aveva sempre accompagnata da quando erano morti i suoi genitori. Quella rabbia nata dal dolore per aver perso le persone che amava senza aver potuto far nulla per impedirlo.
E mentre quel grido aveva inondato la radura, un'esplosione era avvenuta nel petto di Evelyn, un'esplosione che, come un'onda d'urto, aveva investito ogni cosa. Prima di tutto, Matthew. E urlando e sprigionando una luce accecante dal petto, avvolta da un'aura di Potere Puro, si era alzata correndo verso la strega, aveva invocato un cerchio di fiamme che, vorticando, aveva circondato l'intera radura, mentre Evelyn e si fermava ad alcuni metri da lei. L'uragano le aveva lanciato subito contro i suoi attacchi ma questi si erano infranti addosso alla barriera che Evelyn aveva alzato e con cui aveva assorbito la potenza di quei colpi. Gli occhi della giovane animati dalle fiamme che aveva invocato.
Tutto in un paio di minuti.
E poi, solo quattro secondi.
E in fine, pochi attimi.
La luce che si sprigionava dal petto di Evelyn e l'aura che l'avvolgeva erano esplosi con un lampo improvviso, lasciando fluire il Potere dal corpo di lei come tre anni prima ma, stavolta, senza necessitare del Rito completo e con una potenza e una violenza molto più forti che in passato. Era bastato volerlo, alla ragazza, perché accadesse, e il fascio di luce ed energia bianca e brillante aveva colpito in pieno l'uragano, travolgendolo e spazzandolo via in un secondo. Spazzando via per sempre lei, i suoi capelli rossi, gli occhi viola e la voce da bambina.
Era passato quasi un mese e mezzo, da allora. Un mese e mezzo e adesso era la notte dell'anniversario del loro primo incontro. L'anniversario della notte in cui si erano ritrovati.
Dopo aver sconfitto l'uragano, Evelyn era svenuta ed era rimasta in quello stato per quasi una settimana. Per questo non si era accorta delle braccia di Matthew, che l'avevano sollevata e riportata a casa. Matthew che era tornato in vita, grazie a lei.
Era successo con quell'onda d'urto, con quell'esplosione che era avvenuta nel suo petto e che si era riversata in tutta la radura e buona parte del bosco. Un'esplosione di Potere Puro, lo stesso con cui aveva annientato l'uragano, lo stesso che l'aveva avvolta e che l'avvolgeva ancora, sebbene in modo meno evidente, diverso. Ma da quella sera, quell'aura particolare era sempre stata lì, intorno a lei. Pronta ad intensificarsi di nuovo ogni volta che lei avesse voluto.
Ed era stata proprio grazie a quell'esplosione, innescata dal suo dolore e dalla sua rabbia, se Matthew era tornato.
Evelyn non se n'era accorta, presa com'era stata dall'uragano. Non aveva visto che quando lei era corsa verso la strega, un secondo dopo gli occhi del vampiro erano tornati vivi, non più vitrei e immobili, e che lo squarcio nel suo petto, quello squarcio che gli aveva bruciato metà del cuore, si era risanato completamente, come se non ci fosse mai stato. Non aveva sentito la voce di lui chiamarla, urlarle di fermarsi; la voce di Matthew che, nonostante tutto, temeva per lei e per la sua vita. Non lo aveva visto rimettersi in piedi e correrle incontro e poi venire sbalzato indietro dalla barriera che lei aveva eretto per contrastare gli attacchi dell'uragano. Né aveva visto la sua espressione d'angoscia e terrore o sentito le sue mani sul viso e le sue braccia sollevarla, quando il flusso di energia era cessato e il potere era tornato in lei ed Evelyn era svenuta. Né, tantomeno, aveva visto il sollievo sul viso di lui, quando aveva compreso lei era priva di sensi, sì, ma viva. O la strana consapevolezza – quella consapevolezza che, adesso, vi era qualcosa di diverso in lei –, nel momento in cui lui aveva avvertito quell'aura particolare, seppur flebile, ancora intorno a lei.
Evelyn, però, aveva sentito il sangue.
L'unica cosa di cui si fosse accorta, mentre era stata priva di sensi per cinque giorni, era stato il sangue che le era stato fatto bere più volte, il sangue che aveva sentito scenderle vischioso lungo la gola e scorrerle subito dentro, andando ad accelerare la rigenerazione del suo corpo esausto. Il sangue di un vampiro, capace di guarire le ferite di un umano. Il sangue di Matthew.
E anche se priva ci conoscenza, Evelyn aveva capito che lui era vivo.
Quando poi, cinque giorni dopo, si era risvegliata nel proprio letto e aveva sentito un petto caldo contro il viso e due braccia forti e note avvolgerle la vita, per un attimo aveva creduto di essere morta ma poi aveva ricordato il sangue e allora si era voltata verso Matthew con le lacrime agli occhi, non capendo come fosse possibile. Lui era morto, lei lo aveva visto; era morto nella radura per proteggerla, quando l'aveva riparata col suo corpo dall'attacco dell'uragano.
«Sei stata tu», le aveva risposto lui, mentre lei lo fissava piangendo e con gli occhi sgranati, passandole una mano sul viso bagnato di lacrime. «Quell'esplosione che hai generato, prima di correre a combattere, credo di essere stato travolto dalla tua energia». E poi aveva aggiunto sorridendo: «Come mi è accaduto spesso da quando ti conosco, solo che questa volta mi hai riportato in vita. Hai guarito la mia ferita e così sono tornato». E non c'era stata più freddezza, tra di loro. Erano tornati quelli di un tempo, erano tornati come prima di quella sera in cui lei gli aveva offerto il proprio sangue, nello scantinato; e prima della loro notte e della sera del trentesimo giorno.
All'apparenza.
Perché in realtà nessuno dei due aveva dimenticato né avrebbe mai potuto. Ma dopo quasi un anno di liti violente anche se prive di urla, di liti che li avevano logorati, a suon di voci fredde e pacate e prive di emozioni, dopo quasi un anno in cui si erano privati di sfoghi e si erano impediti di esternare qualunque cosa, accumulando all'interno risentimento su risentimento e dolore e rabbia, entrambi avevano avuto semplicemente bisogno di un periodo di tregua per ritrovarsi un'altra volta e tornare quelli di prima, tornare quelli che si erano impediti di essere per troppo tempo.
Ma quel periodo di tregua non sarebbe potuto durare in eterno e lo sapevano tutti e due. Il terrore che avevano provato, il terrore di essersi persi per sempre, era stato troppo forte.
E col passare dei giorni e delle settimane, era trascorso un mese e mezzo e La sera era arrivata. La sera del loro anniversario, la sera del terzo anno da che si erano ritrovati – pensò Matthew, sempre poggiato di schiena a quell'albero e il viso rivolto alla finestra della stanza di lei.
Poi sgranò gli occhi, sorpreso, perché a causa di quei pensieri – immerso nei ricordi di tutto quanto accaduto in soli tre anni – non si era accordo di quando il respiro di Evelyn era mutato e lei si era svegliata. Era stato a causa di tutti quei pensieri se non l'aveva sentita alzarsi dal letto, nel silenzio di quella notte afosa e calda, e andare alla finestra da cui ora lo fissava.
E lui la guardò, ammirando quella scena che incorniciava la figura della giovane strega come la cornice fa con un quadro: le tende bianche, ricamate e leggere, scostate da quelle mani candide, i boccoli color pece raccolti alla meglio sulla nuca e alcune ciocche ricciute e ribelli che, nonostante tutto, le accarezzavano il profilo del viso, la camicia da notte viola e leggera che le fasciava il corpo e, in fine, gli occhi – quegli occhi in cui, adesso, Matthew era tornato a vederci tutto, quegli occhi castani, caldi e ipnotici che avevano rapito il vampiro fin dalla prima volta che li aveva visti – fissi su di lui.
Si fissarono per pochi secondi. Pochi attimi che, però, sembrarono un'eternità, perché come sempre il tempo si dilatava quando si guardavano. E poi Matthew vide una luce particolare, brillare nelle iridi scure di lei. Una luce di un solo attimo, una luce che il vampiro conosceva bene – una luce di decisione e fermezza - e poi il profilo della ragazza sparì dalla finestra e il vampiro la sentì aprire la porta della stanza e andare verso le scale. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


A Perfect Circle - "Passive"



Capitolo 3
 

 
Evelyn prese un respiro profondo ma non si fermò, scese le scale un passo dopo l'altro, determinata. Decisa a vederlo, a incontrarlo. Perché sapeva che quella notte sarebbe stata importante, lo aveva capito nel momento stesso in cui si era svegliata dopo averlo sentito arrivare.
Scese un gradino dopo l'altro, fino all'ingresso, determinata ma con una strana sensazione – un'elettricità – in corpo. E fu con quella sensazione che posò con fermezza la mano sulla maniglia della porta di casa, la girò e l'aprì nel silenzio della notte calda, uscendo a piedi nudi su quel portico che li aveva visti trascorrere quasi notti intere insieme, a parlare, da che si erano ritrovati.
Evelyn sapeva che lui stava avvertendo, in quel momento, la particolare elettricità che sentiva in ogni muscolo del proprio corpo ma non ci badò. Finse. Simulò e si erse in tutta la fermezza di cui fosse capace, mentre camminava con passo lento e calmo verso di lui, che la guardava poggiato con la schiena al tronco dell'albero. E dopo pochi passi, gli fu davanti.
«Scusa, non volevo svegliarti», le disse Matt a mo' di saluto, il viso perfettamente rilassato. Ma ad Evelyn non sfuggì il rapido movimento della mano di lui, le cui dita si erano tese appena. Perché da tempo aveva imparato a leggere quei segnali appena accennati.
«Non preoccuparti».
«Non ti ho chiamata senza essermene accorto, vero?», domandò allora lui, titubante. Evelyn sorrise, «No, non lo hai fatto».
Dopo che Evelyn si era risvegliata dallo stato di incoscienza di quei cinque giorni – dopo che la strega aveva riportato in vita il vampiro e lui le aveva fatto bere il suo sangue –, avevano scoperto che quella sorta di telepatia che c'era sempre stata tra di loro, quel legame, si era acuito dopo quella notte e i due avevano, adesso, la capacità di chiamarsi a vicenda. Solo da poco avevano iniziato a controllarla, quella nuova facoltà; all'inizio si erano ritrovati l'una a chiamare l'altro senza accorgersene, semplicemente pensandolo.
Eppure, un nervo traditore guizzò sul viso del vampiro, mentre la fissava, rivelando così anche nel volto il suo nervosismo. Perché Matthew non era certo di cosa dovesse aspettarsi da Evelyn, in quel momento. Sentiva quella strana sensazione – quell'elettricità – dentro di lei, e vedeva quella determinazione – quella fermezza – nel suo sguardo, così in totale contrasto con l'espressione pacata del suo sorriso.
E Matthew la detestava, quella fermezza.L'aveva sempre detestata, perché anche se la ragazza di fronte a lui era un libro aperto, per il vampiro, quell'atteggiamento determinato gli aveva sempre impedito di prevedere le sue mosse. Matthew non sapeva mai che cosa aspettarsi, da Evelyn.
E poi, la voce di lei ruppe il silenzio: «Sono stata da mia zia, oggi». Appunto.
Il vampiro corrugò la fronte, confuso. «Ma non sta a Baltimora?».
«Sì, esatto».
«E allora come hai fatto ad andare e tornare prima di sera?».
Evelyn sorrise di nuovo, con fare da bambina. «Incantesimo di dislocamento».
«Come? Evelyn, sei ancora debole, non avresti dovuto!», e adesso la preoccupazione si fece largo sul suo viso, le mani contratte a pugno.
«Matt, è passato più di un mese ormai. Sto bene», lo rassicurò.
Lui però sembrò risentito dall'atteggiamento di lei, e dopo tutto Evelyn sapeva quanto si fosse spaventato, quella notte. Sapeva che anche Matthew aveva temuto di perderla. Lo aveva temuto quando non l'aveva trovata a casa dopo aver sentito la sua paura, quando l'uragano l'aveva rapita e portata nella valle, e lo aveva temuto mentre correva verso il bosco, seguendo la scia del suo odore. Ne era stato terrorizzato quando, senza pensare alle conseguenze di quel gesto, si era gettato verso di lei, per farle da scudo col proprio corpo. Lo aveva temuto dopo che Evelyn aveva eliminato la strega e poi era caduta a terra svenuta, rimanendo in quelle condizioni per quasi una settimana.
Evelyn lo sapeva, per questo era lì, di fronte a lui, in quel momento.
«Andiamo, Matt, non farmi quel muso. Non vuoi sapere perché ci sono andata?», domandò la ragazza. In risposta, Matthew sollevò un sopracciglio, invitandola a continuare.
«Sai anche tu che sono cambiata, da quella notte. Mi sento costantemente scoppiare di energie», ma lui la interruppe prima ancora che finisse: «Questo non vuol dire che tu sia più forte, Evelyn. Anche dopo che ti sei risvegliata scoppiavi di energia e poi svenivi ogni volta che provavi un incantesimo. Anche accendendo una candela. Sei stata un'incosciente, oggi», le disse duro.
«Ti sbagli, invece. Sono più forte, il mio corpo lo è. E' successo qualcosa, quando tu hai interrotto la Somma Invocazione, e io non sono più quella di prima», ribadì la strega.
«Se sei più forte, allora come te li spieghi i continui svenimenti?».
«Oh andiamo, Matt, questo ultimo mese e mezzo è stato di assestamento. Te ne sei accorto anche tu, non mentirmi. Lo senti che quello che dico è vero», e a quelle parole, Matthew non aveva ribattuto.
«Sono cambiata: ho tutta questa energia e sono più forte. Sono andata da mia zia perché mi servivano delle risposte e, da quando la nonna è morta, lei è l'unica in grado di darmele. Non ho grandi rapporti con gli altri miei parenti, con le altre streghe della mia famiglia».
«E le hai trovate, queste risposte?», chiese quindi il vampiro. Ancora con quell'espressione dura, in volto.
«Sì», e subito dopo, la ragazza sollevò lo sguardo sullo spicchio di luna nel cielo.
Il sopracciglio di Matthew svettò verso l'alto, a causa di quella pausa improvvisa. Evelyn voleva creare suspense.
«E vuoi condividere ciò che hai scoperto con me?», le domandò, con una leggera nota sarcastica nella voce. La ragazza sorrise di nuovo, senza staccare gli occhi dal cielo stellato. «Se proprio insisti. A quanto sembra vivrò molto a lungo», disse soltanto.
«Che intendi?».
Finalmente, la giovane tornò a fissarlo negli occhi. «Intendo che, a quanto pare, avrò l'aspetto di una ventitreenne per centinaia di anni e invecchierò molto più lentamente di un comune mortale».
Parole dette con tono calmo e quella luce negli occhi. Ma accolte da un'espressione di più completo stupore.
Così Evelyn comprese di dover dare qualche spiegazione in più: «Mia zia aveva dei libri, a casa sua. Me ne ha fatti vedere alcuni e altri me li ha dati. Non è la prima volta che una cosa del genere accade, sono casi rari ma ci sono. – disse – Vedi, il Potere di una strega non è del tutto attivo; mia zia mi ha spiegato che in realtà usiamo solo una piccola parte del nostro potenziale. Quando tu hai interrotto il Rituale, il mio Potere era stato richiamato quasi del tutto fuori dal mio corpo e... quando hai attaccato Lila è tornato in me attivato completamente dall'Invocazione. Nei libri dicono che quando una cosa del genere accade, quando il Potere viene attivato del tutto, anche la fisiologia della strega cambia. Per questo, Lila dimostrava diciannove anni. Lei ha accumulato Potere per quasi un secolo, rubandolo ad altre streghe, e questo l'ha resa più longeva del normale. Lo stesso accadrà a me; quando il Potere è tornato mi ha cambiata e per questo, il mio corpo si rigenererà costantemente contrastando i segni del tempo. Non so per quanto tempo vivrò ma parliamo di parecchi secoli».
Matthew la fissava come qualcuno che avesse appena ricevuto una legnata in testa, gli occhi sgranati e le labbra schiuse per la sorpresa. Evelyn, però, notò immediatamente i pugni contratti quasi spasmodicamente, stretti tanto che avevano iniziato a tremargli e le nocche erano sbiancate.
«Come?», disse finalmente, ma la ragazza non parlò. Lo conosceva, sapeva di dovergli dare qualche secondo per assimilare il tutto e sapeva che, a fine assimilazione, sarebbe esploso. Perché per Matthew, quella non era esattamente una bella notizia.
«Quindi, è colpa mia. Ti ho condannata all'eternità, ti ho condannata a vivere per sempre. Tutto questo è a causa mia!».
«No, Matt. Non è colpa tua e non vivrò in eterno».
«Però vivrai abbastanza da veder morire quelli che ami mentre tu non cambierai affatto», le rispose velenoso. Veleno che, però, era rivolto verso se stesso, per quello che lui si accusava di averle fatto.
«Matt, smettila. Qua non è una questione di colpa, hai dovuto farlo. Se non avessi fermato Lila sarei morta. Lo hai fatto per salvarmi la vita».
«Sì, e per salvarti ti ho condannata a qualcosa di peggio», replicò voltando il viso di lato, a fissare il tronco dell'albero.
«No, invece». Ostinazione. Fermezza.
E lui era scoppiato. «Come fai a essere così calma?! Come fai a reagire in questo modo quando non c'è nulla che vada bene?! Passeranno gli anni, Evelyn, e tu sarai sempre la stessa mentre i tuoi amici invecchieranno e moriranno! Meredith morirà! Meredith che per te è come una sorella, Meredith con cui sei cresciuta e che adori! Lei e Mark un giorno moriranno e non avverrà chissà in quale futuro lontano, accadrà più in fretta di quanto tu creda! Loro moriranno mentre tu rimarrai giovane per centinaia d'anni e, alla fine, arriverà il giorno in cui il dolore di averli persi per sempre sarà talmente forte che desidererai anche tu di morire! E sono io che ti ho fatto questo! E' solo colpa mia se soffrirai in questo modo!».
«Dio, Matt! Vuoi smetterla, una buona volta, di prenderti colpe e responsabilità che non hai?!».
«Evelyn, tu non ce la farai! Io ti conosco, lo so! Non sopporterai di perdere chi ami! Dobbiamo fare qualcosa, ci deve essere un modo per tornare indietro!».
«No, Matt, non c'è! E' irreversibile: il mio Potere si è attivato completamente e l'unica cosa che posso fare è imparare a usarlo impedendogli di consumarmi com'è accaduto a Lila! E' successo e non si può tornare indietro».
«Sì, ed è successo a causa mia! Tu non capisci a che cosa stai andando incontro!»
«Credi che non ci abbia pensato?! Credi davvero che non sappia quanto soffrirò perdendo Meredith o Mark?! Ci sono cresciuta, con loro! Li conosco da sempre, solo l'idea di perderli mi è insopportabile! So benissimo che sarà qualcosa di atroce ma non posso farci niente! E' successo, Matt, e se tu non lo avessi fatto, se non avessi interrotto l'Invocazione io sarei morta, adesso!».
Fermezza.
Perché era sempre stato così, tra di loro: vinceva chi sapeva urlare più forte.
«Quindi quello che ti aspetta non ha alcuna importanza?!» sibilò lui. La mano a stringere il tronco dell'albero.
«Certo che ha importanza ma non è qualcosa che posso cambiare! E' inutile piangere sul latte versato, questa è una cosa con cui posso solo imparare a convivere! E' successo». Gli sibilò lei, di rimando – quella luce elettrica e determinata negli occhi.
Evelyn non gli dava alcuna colpa, non lo accusava, non ce l'aveva con lui per quanto successo. Era, appunto, successo. E Matthew proprio non riusciva a capacitarsene. «Perché...», disse, e la voce gli uscì disperata, dalla gola, mentre le dava le spalle e poggiava la fronte sul tronco dell'albero. «Dio, come fai a non odiarmi, per questo? Tu dovresti odiarmi. Devi!». Una supplica angosciata mentre la sua mano aveva stretto talmente forte l'albero, che le dita erano penetrate nella corteccia, scavandovi cinque buchi scuri.
«Non potrei mai, Matt. Non te. E sei un idiota se lo credi davvero».
Fermezza.
E lui l'aveva sempre detestata, quella fermezza. No, l'aveva sempre amata, in realtà. Era per quella sua fermezza, per quel suo carattere, che se n'era innamorato. Probabilmente era per quella fermezza che l'aveva sempre amata, in ogni loro vita, riconoscendola sempre, in qualche modo, grazie a quella.
«Matt». Evelyn lo chiamò, posandogli delicatamente una carezza sulla spalla. «La mano», disse, con tono gentile. E solo in quel momento il vampiro si accorse delle dita ferite dalle schegge di legno dell'albero, uscendole dai fori che aveva fatto nel tronco. La mano graffiata e piena di tagli rossi e sottili, che sanguinavano appena e che bruciavano, perché le ferite provocate dal legno erano le uniche che non si rimarginassero in fretta, in un vampiro. Le uniche che si rimarginassero come una qualunque ferita, in un umano.
Evelyn gli prese la mano tra le sue e la guardò, poi le schegge uscirono dai tagli sottili, levitando nell'aria, prima di cadere silenziosamente sul prato soffice. Un attimo ancora e quei tagli rossi guarirono, tra le mani della strega.
Con le dita, Evelyn tracciò, allora, le linee che s'intersecavano e s'incatenavano sul palmo del vampiro. Le seguì leggere, con la punta dei polpastrelli, mentre sentiva Matthew fremere leggermente sotto il suo tocco.
«Tre anni fa, a quest'ora, ci siamo ritrovati», gli disse nel silenzio di quella notte calda.
«Lo so».
«Da allora, vieni sempre qui e rimani tutta la notte sotto l'albero, in questa data», aggiunse senza staccare gli occhi dal palmo di lui.
«Come...?», iniziò Matthew, sorpreso, ma Evelyn lo interruppe. «Io ti sento sempre, Matt», gli disse con fare ovvio. «Anche in sogno».
E il vampiro non aggiunse altro. Si limitò a fissare il capo bruno di lei, leggermente chino sulla sua mano. Fissò i boccoli scuri che erano scappati a quella crocchia improvvisata prima di coricarsi, per combattere il caldo. Osservò come le accarezzassero il profilo del viso e scese con lo sguardo seguendo la linea del collo, e poi giù, le spalle, le clavicole, fino alla curva di quel seno pieno messo ancora più in evidenza dalla leggera camicia da notte viola e scollata. Un colore che lui aveva sempre adorato vederle addosso. Deglutì automaticamente a quella vista, non riuscendo, però, a distogliere lo sguardo. Ed Evelyn sentì immediatamente la mano di lui tendersi e le dita irrigidirsi, tra le sue.
Alzò subito lo sguardo, cercando il motivo di quell'aumento improvviso di tensione, e nello stesso istante Matthew spostò gli occhi altrove, colto sul fatto. Evelyn ridacchiò, non riuscendo a trattenersi e lui tornò a fissarla, quasi risentito. Irritato per essere stato beccato a comportarsi come un ragazzino.
Poi la ragazza tornò a fissargli la mano, tracciandone ancora le linee coi polpastrelli. «Sai, – gli disse con ancora una nota ilare nella voce – all'inizio detestavo quella tua maschera di costante imperturbabilità e sfrontatezza sul viso», ricordò. «Detestavo il fatto che rimanessi sempre calmo, in qualunque circostanza. – ammise – Poi ho imparato a leggerti le mani», concluse infine.
«Le mani?», fece lui, confuso. Perché Matthew non sapeva mai che cosa aspettarsi, da Evelyn.
«Sì», sorrise di nuovo lei, seguendo quelle linee lungo le dita di lui, prima di continuare con voce serena e ancora quel sorriso sulle labbra. «Le tue mani sono un libro aperto, per me. Tutto quello che non lasci trasparire sul viso, campeggia a grandi lettere su di loro», spiegò come fosse stata la cosa più naturale del mondo. «Tensione. Calma. Rabbia. Dolore. Serenità…», riprese e mentre elencava quelle emozioni una per una, il suo indice destro seguiva e carezzava con un tocco leggero i profili delle dita di Matthew. «Probabilmente tu nemmeno te ne accorgi – continuò –, ma io sì. Ho imparato a leggerle da parecchio tempo, ormai».
E a quelle parole, anche gli occhi del vampiro si abbassarono a fissare il palmo – di nuovo teso – che lei stava tenendo tra le sue mani candide. Cercò allora di sottrarlo al suo tocco, improvvisamente consapevole di quanto fosse sempre stato palese, per lei, ogni stato d'animo di lui. Improvvisamente consapevole che lei avesse sempre saputo ogni cosa che lui, invece, aveva cercato di nasconderle. Ma al suo tentativo, la stretta di Evelyn s'intensificò immediatamente, impedendoglielo.
La ragazza gli sollevo la mano e intrecciò le proprie dita alle sue, guardandole unite per qualche attimo, prima di tornare a fissarlo negli occhi. «Questa notte ho pensato molto a tutte le cose che sono successe in questi ultimi tre anni, tutto quello che è successo da quando ti conosco», gli confessò quindi.
«Qualche ripensamento?». le domandò, leggermente ironico.
«No, nessuno».
E stavolta, Matthew se l'era aspettata, quella risposta. Se l'era aspettata perché, in tre anni, una cosa più di tutte l'aveva imparata; e cioè che lui non avrebbe mai saputo cosa che cosa aspettarsi, da Evelyn, ma qualunque cosa lei avesse detto o fatto, sarebbe sempre stato l'opposto della normale e logica reazione che chiunque altro avrebbe avuto.
«Quindi non ti penti di nulla…», fece ancora il vampiro, con un mezzo sorriso, ma di nuovo quella particolare tensione nelle dita intrecciate a quelle della giovane. «Nemmeno di tutte le volte che mi hai fatto volare o scagliato contro un muro?».
Evelyn sorrise. «Soprattutto di quelle. Te lo sei meritato ogni volta».
«Nemmeno di tutte le volte che mi hai dato dell'idiota o del coglione?», ancora quel sorrisino e quella particolare tensione nelle dita.
«E' quello che sei», ribatté lei, sorridendo ancora. Ma Evelyn lo conosceva e sapeva che non erano quelle, le domande che più gli premevano.
«Non ti sei pentita nemmeno di quando ti ho morsa la prima volta?».
Eccolo, finalmente, il macigno. La vera domanda che lui voleva farle e che le aveva posto con quel mezzo sorriso sfrontato e lo sguardo freddo, tagliente. Perché Evelyn lo conosceva, e sapeva bene che quella tensione improvvisa nelle dita – strette, ora, alle sue – preannunciava sempre qualcos'altro. Qualcosa che Matthew cercava di nascondere con la sua espressione calma e il sorrisetto arrogante, ma che non riusciva a celare nelle mani.
Ed Evelyn si mantenne determinata – fermezzaperché lei sapeva sempre come gestirlo, anche quando l'idiota si chiudeva a riccio.
«No, non mi pento nemmeno di quello», dichiarò infatti.
«Ah sì, e come mai, sentiamo?». Sarcasmo.
«Semplicemente perché, col senno di poi, non ritengo sia stato un errore». Fermezza.
«Cos'è, sei forse impazzita?». E adesso, anche una nota aspra nella voce tradì quella maschera di calma apparente sul viso del vampiro. Quella maschera che non raggiungeva mai le sue mani.
«Sono pragmatica. Se quella notte tu non mi avessi attaccata, se quella notte non mi avessi morsa, noi non avremmo mai saputo. Non avremmo capito, Matt, e non ci saremmo mai ritrovati. E' buffo – sorrise – ma è come se noi ci fossimo sempre ritrovati nel sangue».
Fermezza.
Fermezza in quelle parole pacate e serene.
E lui l'aveva sempre detestata, quella fermezza. No, l'aveva sempre amata, in realtà. Era per quella sua fermezza, che se n'era innamorato.
«Torna a dormire, Evelyn. E' tardi, non avevo intenzione di svegliarti», le rispose invece il vampiro. Perché non voleva affrontare quella conversazione, non in quel memento. Non mentre vedeva quella strana luce negli occhi di lei e sentiva quella strana sensazione – quell'elettricità – che le scorreva dentro.
«Non ho sonno, Matt. E lo sai».
Ma Evelyn non lo avrebbe lasciato scappare, non lo faceva mai. Perché lei sapeva sempre come gestirlo.
E prima che lui potesse dirle qualunque cosa, Evelyn lo anticipò, parlando per prima e con fermezza, così da non lasciargli modo di ribattere.
«Non ho sonno perché quando ti ho sentito arrivare, esattamente come i sento ogni anno, mi sono svegliata. E ogni torpore è andato a farsi benedire. Non ho sonno perché ho trascorso metà di questa notte a pensare, a ricordare tutto quello che è accaduto in questi tre anni. Non ho sonno perché questa elettricità che sento in corpo m'impedirebbe di dormire anche se ci provassi con tutta me stessa. Non ho sonno, Matt, perché sono cocciuta e sono stanca di dover lottare contro qualcosa che invece desidero», disse avvicinandosi a lui e sollevando di più il viso verso il suo, per quei sette centimetri di differenza che li separavano. E senza smettere di fissarlo, decisa, negli occhi azzurri e profondi come un fiume ghiacciato, continuò a parlargli soffiandogli le parole sulle labbra. «Sono stanca delle idiozie dietro cui ti nascondi, Matt. Sono stanca delle tue scuse. Sono stanca di impedirmi di rischiare perché tu hai paura di farlo. E non ho sonno perché, stanotte, ho intenzione di prendermi ciò che voglio... E quando lo farò, puoi credermi sulla parola, non lo lascerò più andare», aggiunse, avvicinandosi di un altro piccolo passo. «Non importa quanto farai l'idiota, perché ti amo, Matt, ti ho sempre amato. Una parte di me lo ha sempre fatto. Ti ho amato per secoli, forse per millenni, in tutte le nostre vite passate. Ti ho amato sempre. Una parte di me ha sempre saputo, proprio come ha sempre saputo una parte di te. Per questo te la sei presa tanto, tre anni fa, quando dissi di non volerti più vedere e che dovevi sparire dalla mia vita. Tre anni fa non mi hai ascoltata e – sorrise, scuotendo appena la testa – hai iniziato a perseguitarmi in quel modo e a fare l'idiota. E quando non ti sei difeso, quella sera mentre ti attaccavo, ho ceduto del tutto. Tu mi hai costretta a cedere – specificò, inarcando un sopracciglio –, ed è per questo, perché ti amo, che quella volta, nello scantinato, ti ho dato il mio sangue, anche se sapevo che potevi uccidermi. Ma la verità è che non m'importava, non ti avrei mai lasciato in quello stato. La sera dopo, ti ho detto che non potevo e il punto è che non potevo perché non volevo. E mi sono fidata… perché ti conosco meglio di chiunque altro al mondo, Matt».
Il vampiro deglutì ed Evelyn osservò per un secondo il movimento del suo pomo d'Adamo, mentre la mano di lui aveva – istintivamente e inconsciamente – iniziato a stringere di più la sua. Ed Evelyn proseguì imperterrita, perché sapeva che, se si fosse fermata, gli avrebbe dato tempo sufficiente per sottrarsi a lei e chiudersi di nuovo. E di tempo, Evelyn gliene aveva sempre concesso fin troppo.
«Per questo ho detto che è buffo, poco fa – disse tornando a fissarlo negli occhi –, che è come se noi ci fossimo sempre ritrovati nel sangue, perché in realtà è sempre stato così».
Un altro piccolo passo verso il vampiro e, adesso, i loro corpi si sfioravano ad ogni, accelerato, respiro.
«Ci siamo ritrovati nel sangue quella notte – spiegò –, quando mi hai morsa la prima volta e abbiamo ricordato; ci siamo ritrovati nel sangue quando ti ho fatto bere il mio nello scantinato; ci siamo ritrovati nel sangue quando abbiamo fatto l'amore, quella notte – perché tu hai fatto l'idiota e sei andato fuori di testa ma la verità è che, quando mi hai morsa, io non ho provato dolore. Quando mi hai morsa, quella volta, è stato come se le nostre menti fossero state collegate completamentee le emozioni, le sensazioni... tutto ciò che tu hai provato mentre eravamo uniti, io l'ho sentito. E lo avresti saputo, se non te ne fossi andato per un fottuto mese. Lo avresti saputo, se non fossi scappato lasciandomi sola in quel dannato letto, Matt. E ci siamo ritrovati nel sangue quando mi hai fatto bere il tuo sangue». Poi corrugò la fronte, come sofferente, ripensando ad un mese e mezzo prima, «Io credevo fossi morto, Matt, – spiegò ancora – e ho capito che invece eri vivo quando me lo hai fatto bere, in quei cinque giorni. L'ho capito, l'ho sentito anche se ero svenuta. Perché noi ci siamo ritrovati sempre l'uno grazie al sangue dell'altra, oppure mi sbaglio?», concluse con quella domanda retorica. Ma il vampiro non rispose – perché lui preferiva sempre il silenzio, ad una risposta ritenuta evidentemente scomoda –, così lei lo pungolò. «Dimmelo, Matt. Mi sto forse sbagliando?». Provocatoria ma sincera. Evelyn aveva davvero bisogno che lui le rispondesse, se non lo avesse fatto... allora quei tre anni sarebbero stati completamente inutili. Ma se lui le avesse risposto e, per una volta – una sola dannatissima volta –, non si fosse comportato come il solito idiota che si chiudeva a riccio, allora lei avrebbe saputo che tutto quello che avevano passato insieme, era valso allo scopo. Ma Evelyn aveva bisogno di una risposta.
«No».
Praticamente lo sussurrò.
Ed Evelyn fremette, a metà tra l'esaltazione e la rabbia, perché voleva di più. Voleva una risposta chiara una volta per tutte, e l'avrebbe avuta.
Fermezza.
«Quindi, mi ami anche tu, come io amo te? E' questo, che stai dicendo?».
«Io...», e Matthew tremò per un attimo, finché si arrese. «Lo sai che ti amo da impazzire, Evelyn».
E per una volta, la giovane ottenne la risposta che aveva desiderato ricevere.
«Sai che ti amo e che preferirei morire, piuttosto che vederti soffrire. – continuò il vampiro – Sai che ti amo così tanto che mi sono sentito morire quando ho creduto di perderti, dope che Lila ti ha rapita e ti ha quasi uccisa. Lo sai che starti accanto e non poterti toccare è una continua tortura».
Quasi non le sembrò vero, non le sembrò possibile. Matthew stava parlando, stava rispondendo. E le stava dicendo tutto, tutto quello per cui, ad un certo punto, aveva temuto di essersi solo illusa. Tutto quello che aveva desiderato sentirsi dire nell’ultimo anno e mezzo.
Era come se fosse stata aperta una diga, per la seconda volta.
«E' una tortura non baciarti, è una tortura non affondare in te ogni volta che vorrei, adesso che so che cosa significa. Quest'ultimo anno è stato più logorante degli altri perché sapevo perfettamente di cosa mi stessi privando. E' stato logorante perché privarmi di te quando ti desidero così tanto e in ogni modo possibile, è la cosa più dolorosa che abbia mai fatto».
«E allora smetti di fare l'idiota», praticamente gliele sillabò, quelle parole. E subito dopo gli catturò le labbra in un bacio – un bacio diverso da quello che si erano dati la prima volta. Evelyn si aggrappo alle sue labbra e al suo collo e, questa volta, Matthew rispose senza farsi pregare. Lo fece subito, bevendole il piacere dalle labbra, assaporandolo sulla sua lingua, ascoltandone la musica nei suoi sospiri. Rispose immediatamente e la ragazza comprese che, finalmente, lui non si sarebbe tirato indietro. Che non lo avrebbe fatto mai più, perché non ne sarebbe stato più in grado.
Evelyn gli immerse le mani nei capelli castani, inarcando la schiena per le carezze di lui mentre faceva qualche passo all'indietro. Due secondi dopo, la ragazza si ritrovò con la schiena a toccare il legno della parete esterna di casa sua, sotto il portico. Completamente in estasi per la sensazione che la lingua di Matthew che danzava con la sua le procurava, del tutto rapita da quello che lui stava facendo alle sue labbra, totalmente stregata e ipnotizzata dai brividi che i suoi baci sul collo le donavano. Si ritrovò a cingergli la vita con una gamba, baciandolo di nuovo, mentre sentiva le mani di lui ovunque, che la stuzzicavano e la facevano impazzire. Gli infilò le mani sotto la maglia, lottando contro il giubbotto di pelle che Matthew portava sempre – lui che non aveva mai caldo, nemmeno in una sera afosa come quella – e passandogli i palmi sulla schiena, sentendone i muscoli tendersi al suo passaggio. Agirono freneticamente, non riuscendo ad aspettare di entrare in casa, troppo presi da quel vortice di febbricitante e ingorda passione, troppo sconvolti dalla necessità di sentirsi – quella necessità che per un anno li aveva logorati e lo aveva fatto in maniera ancora più insopportabile di prima, dopo che si erano uniti la prima volta e per tutta quella notte.
«Promettimi che non te ne andrai come l'altra volta», riuscì a dirgli Evelyn, sulle labbra. «Promettimi che non farai l'idiota anche adesso», e gemette per quello che le dita di lui le stavano facendo.
«Lo prometto».
E fu abbastanza.
Perché la strega lo sentiva nel sangue, che quella era la verità.
E poi non ci fu tempo per parlare, non ci fu spazio per nulla che non fossero i loro sospiri e i loro gemiti che riempivano l'aria di quella notte calda. Non ce ne fu, di tempo, mentre Evelyn gli slacciava freneticamente i jeans né mentre Matthew le sfilava gli slip, prima di afferrarla per i fianchi morbidi, sollevandola e prendendola in braccio. Entrandole dentro mentre le gambe di lei gli arpionavano i fianchi. Mentre entrava dentro di lei boccheggiando e facendola boccheggiare.
Non ci fu tempo per nulla che non fosse loro, finalmente e completamente.
E fu lì, che Evelyn se ne accorse, della differenza. Se ne accorse mentre Matthew le abbassava le spalline della camicia da notte per immergere il volto nel suo seno, baciando, leccando e succhiando ogni centimetro di pelle morbida di quelle colline perfette. Perché in quella notte di quasi un anno prima – la loro notte – c'era stata disperazione, nei loro gesti. C'era stata nonostante tutto; c'era stata nonostante avessero lasciato cadere ogni maschera, nonostante avessero abbattuto ogni muro che si erano imposti di erigere fra di loro – quel muro che avevano finito col ricostruire durante quell'ultimo anno, a causa di quelle liti fredde e logoranti, quel muro che era stato, forse, più facile del precedente da abbattere.
Evelyn se ne accorse subito, di quella differenza, perché l'assenza di quella disperazione angosciante e soffocante, quella disperazione opprimente, rappresentava la conferma che la promessa che Matthew le aveva fatto era sincera e che lui l'avrebbe rispettata.
E quando, nel momento in cui raggiunsero il massimo piacere tremando e gemendo, insieme, Matthew la morse, compresero entrambi di essersi ritrovati nel sangue un'altra volta.
 
 
 

 

FINE 
 


    



Angolo autrice:
Buonasera a tutti (o buonanotte, come preferite. Io personalmente, sto per andare a ninna)!
Eccomi qua a fracassarvi le appendici genitali di forma sferica, interne o esterne che siano, col terzo ed ultimo capitolo di questa breve (ehi, non ridete!) fic. Originariamente, nella mia fantasia - a questo punto, posso dirlo -, il racconto aveva come protagonisti Damon e Bonnie di The Vampire Diaries, era composto dalla scena lemon del giardino ed era stata ispirata dalla canzone degli A Perfect Circle, canzone di cui ho riportato il link e che, successivamente, mi ha ispirato tutte le altre piccole scene ambientate nel presente. Ora, non è che io sia una maniaca che passa il tempo ad immaginare quel bel figliuolo di Ian Somerhalder e Kat Graham che limonano, ma mi avevano ispirata xD così, poi, ho deciso di farne una originale, cambiando anche le caratteristiche fisiche dei protagonisti - del tutto differenti dai due attori - ed ecco qui il risultato. Giuro: dopo ciò non scasserò più le palle con Evelyn e Matthew, ma che ci posso fare se mi hanno fatta innamorare?! <3 ancora adesso, quasi non mi sembra vero di aver concluso, con loro.
Con questa seconda revisione e ripubblicazione sul sito, ho eliminato gli errori di battitura presenti in precedenza, poiché ho sistemato tutto dal pc di mia sorella - lei, a cui il fottuto pacchetto office funziona! - e mi scuso per alcuni orrori di cui mi sono accorta nella correzione -.- chiedo perdono a chi l'avesse letta in precedenza, la fic, quando ancora era una OS, ma il blocco note non segna errori di battitura e non è molto comodo; soprattutto, la vista dopo un po' parte.
Questo era nato come un racconto breve ma siccome non sono in grado di non affezionarmi ad una storia e a non scrivere papiri, mi ha portato via più di un mese la prima volta e un altro per la correzione. Dico subito - be', forse non proprio subito, ma va be' - che la seconda parte del dialogo che i due protagonisti hanno, quello in cui entrambi si dichiarano, insomma, non mi convince del tutto. Per carità, dicono tutto ciò che dovono dire e nel modo in cui devono dirlo, solo che ho come l'impressione lo facciano un po' troppo in fretta (parlare, che avete capito!).
Comunque sia, ringrazio quel tessssssoro di Musicdanceromance (<3 e voglio la rima! Tu sai a che mi riferisco! xD), Sally ladra del vento per aver messo questa mia storia tra le seguite (emozione! Non puoi immaginare *-*), alle mie donne meravigliose (a voi, un grazie e una scuoricinata - e anche altro xD - ci sta sempre e comunque!) e a tutti quelli che hanno letto silenziosamente e si sono sorbiti i papiri ad ogni capitolo! Come vedete, sono logorroica anche nelle note finali ^.^
Detto ciò, grazie per il tempo che avete dedicato a questo parto della mia mente perversa e malata! Forse, un giorno, ci rivedremo! xD
FFo
 

Graine

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