Tutto per una scommessa

di IoNarrante
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scommessa ***
Capitolo 2: *** Rifiuto ***
Capitolo 3: *** Rapporto impegnativo ***
Capitolo 4: *** Picchio dorsobianco ***
Capitolo 5: *** A distanza di un bacio ***
Capitolo 6: *** 06. Meglio non averla, una coscienza ***
Capitolo 7: *** 07. Stella gemella ***
Capitolo 8: *** 08. Dinner's Party ***
Capitolo 9: *** 09. Second kiss ***
Capitolo 10: *** 10. Solo amici ***
Capitolo 11: *** 11. Cuori in gabbia ***
Capitolo 12: *** 12. Come acqua nel deserto ***
Capitolo 13: *** 13. Con tutto l'amore che posso ***
Capitolo 14: *** 14. Io non so parlar d'amore ***
Capitolo 15: *** 15. Una su un milione ***
Capitolo 16: *** 16. Partenze e addii ***
Capitolo 17: *** EPILOGO - Piccoli per sempre ***



Capitolo 1
*** Scommessa ***




CAPITOLO 1

  ~Scommessa~     

betato da Pepita

Non avrei mai pensato che una vacanza di due settimane in Puglia avrebbe potuto cambiarmi così radicalmente. Di solito, nei villaggi si va per divertirsi, per sperare in una tresca con l’animatrice gnocca di turno, o magari, semplicemente, per rilassarsi. Invece, per me, quei quattordici giorni furono come un giro sulle montagne russe di Mirabilandia: pieni di alti e di bassi, quasi da vomitare.
L’idea di partire era venuta in mente a Giorgio, qualche mese prima di laurearci. Era un po’ tardi per prenotare, ma con una o due telefonate all’agenzia di viaggi gemellata con il gruppo assicurativo che gestiva la madre, avevamo già bloccato quattro doppie superior, tutto incluso, al villaggio Julia di Peschici, in provincia di Foggia.
Saremmo partiti di sabato mattina, ovviamente non prima delle nove, altrimenti Stefano non si sarebbe neppure presentato, e avremmo preso la mia Audi e l’Alfa di Giò. L’idea che Alessandro e Giacomo portassero pure quelle sanguisughe delle loro ragazze non è che mi rendesse pazzo di gioia, ma Giorgio mi aveva fatto notare che un gruppo misto sarebbe stato l’ideale per la nostra vacanza. Ovviamente entrambi sapevamo che anche Sara, la migliore amica di Claudia e Ginevra, si sarebbe unita alla banda e ormai anche i sassi erano a conoscenza della storica cotta che il mio caro amico nutriva per la dolce fanciulla, perciò i suoi consigli erano tutt’altro che privi d’interesse.
Fatto sta che eravamo in otto: due coppie e quattro scoppiati.
Ma non preoccupatevi, la mia storia non parla certo di come io, Francesco Russo, neolaureato in Economia alla Luiss, mi sia preso una sbandata per Sara e abbia litigato con il mio migliore amico dei tempi del liceo.. sarebbe troppo scontato!
No, la storia che vi voglio raccontare ha tutt’altra protagonista. Forse non si tratta della solita ‘principessa’ in pericolo delle favole Disney e neppure di qualche povera spiantata ballerina di salsa che diventa ricca sposando un giovane rampollo di un’importante famiglia, alla Dirty Dancing. Sarebbe troppo sciocco e superficiale, persino per un tipo come me.
Posso solo dirvi che tutto cominciò con una stupida e alquanto immatura scommessa che io e i miei amici facemmo la prima sera di arrivare al villaggio.
 
Eravamo giunti a Peschici nemmeno da un’ora ed eravamo già un po’ alticci. Le ragazze si erano rinchiuse nella camera, sistemando le valige, mentre io e Giorgio avevamo gettato i vestiti alla rinfusa e ci eravamo fiondati al bar per ‘ricaricare’ le batterie.
«Hai visto com’è particolarmente sexy la mia Sara oggi?» mi domandò il mio amico, sorseggiando la sua birra doppio malto.
«È come tutti gli altri giorni, amico» gli risposi, stufo dei suoi continui piagnistei su quella ragazza che nemmeno fra un milione di anni gliel’avrebbe data.
Giorgio mi guardò con gli occhi arrossati dall’alcool e l’espressione inebetita.
«Parli te, che nemmeno riesci a tenerti una ragazza per più di una settimana..» sbottò, svuotando il boccale e chiedendo al barman di portargliene un altro.
Sorrisi, più a me stesso che a Giorgio. «La mia è una scelta di vita, non puoi capire» gli risposi, gonfiando il petto e sentendomi orgoglioso e fiero come un gallo in un pollaio.
«Potresti avere ogni ragazza ai tuoi piedi, persino Sara ci starebbe», e in quel momento ci fu un silenzio imbarazzante. «Però sei sempre stato da solo».
Diciamo che il mio stile di vita non era certo esemplare, ma soltanto Giorgio era contrario a ciò che facevo per divertirmi. Gli altri miei amici mi invidiavano, almeno a parole, perché nessuno di loro riusciva a fare ciò che io facevo. La regola più importante era ‘non più di una settimana’, e valeva per qualsiasi ragazza. Una volta Stefano mi aveva quasi implorato di fare un’eccezione per Carmela, insegnante di danza del ventre, scura di carnagione e con gli occhi di una cerbiatta, ma io non avevo ceduto. Ciò che valeva per una, valeva per tutte.
«Eccolo, il mio scapolo d’oro!» gridò Ale passandomi un braccio intorno alle spalle e facendomi quasi cadere la birra di mano.
«Esagerato! Ha ventitré anni, mica quarantasei!» puntualizzò Ginevra, la sua ragazza.
«Certo il suo modo di comportarsi non ha nulla da invidiare a quel vecchio maniaco di Playboy..» si aggiunse Claudia, mano nella mano con Giacomo.
«Ma siete impazzite voi due?» intervenne Stefano, quasi idolatrandomi. «Quest’uomo dovrebbe scrivere libri, dovrebbe fare comizi e condividere i suoi segreti con noi poveri mortali!».
«Sei patetico!» bofonchiò Sara.
«Hai ragione!» si aggiunse subito Giorgio, scodinzolando come uno Yorkshire ammaestrato.
Stefano li guardò entrambi con sufficienza, poi tornò a rivolgersi a tutto il gruppo, rimanendo al centro dell’attenzione come adorava fare.
«Qualsiasi ragazzo pagherebbe oro per passare, anche solo una settimana, con una delle sventole che si è portato a letto questo qui!» esultò esaltato.
«Ho un nome» puntualizzai un po’ offeso.
Stefano, ovviamente, non mi degnò nemmeno di uno sguardo tant’era impegnato a mantenere l’attenzione di tutti su di lui.
«Pensate, so per certo che ha un’agendina con tutti i numeri delle ragazze che ha avuto e che, disperate, sperano che un giorno lui le richiami. Non è vero, amico?».
«Falla finita, ti stai inventando tutto. Non dategli retta» mormorai stufo, ma lui continuò.
«Una volta ha avuto un’avventura con una delle vallette di un programma tv, qual era, Fra?».
«Vaffanculo» gli risposi, poi scolai la mia birra e feci per andarmene.
Fu a quel punto che la sfera perfetta che racchiudeva il mio mondo, altrettanto perfetto, cominciò ad incrinarsi.
«Visto che dobbiamo passare quattordici giorni insieme» mormorò Sara, «stando sdraiati al sole e oziando tutto il giorno.. perché non rendere più interessante questa vacanza?».
Mi voltai appena per guardare quei suoi vispi occhi verdi, illuminati dai primi lampioni accesi al crepuscolo, e non seppi che quello sguardo significava soltanto l’inizio della fine.
«Cosa proponi?» le domandò Giacomo, evidentemente interessato.
Anche gli altri pendevano dalle labbra della ragazza, in trepida attesa di ciò che avrebbe detto.
In fondo, un gruppo di ragazzi ricchi e viziati come noi, si sarebbe annoiato quattordici giorni interi lontano dalle comodità della vita cittadina, col solo passatempo delle attrezzature di cui il villaggio disponeva.
Sara non staccava lo sguardo dal mio viso ed io mi sentii stranamente coinvolto in quella bizzarra proposta, quando ancora non sapevo nemmeno di cosa si trattasse.
«Perché non facciamo una scommessa?» se ne uscì infine, facendomi tirare un sospiro di sollievo.
«Cioè?» chiese preoccupato Giorgio, pensando sempre che la sua adorata Sara potesse, in qualche modo, essere attratta dal sottoscritto.
«Diciamo che ognuno di noi sceglie una ragazza di questo villaggio, che sia un’animatrice o un’ospite, non importa, ma la cosa fondamentale è che non deve corrispondere affatto con il tipo di ‘sventole’ cui di solito è abituato il nostro latin lover».
«Uno scorfano, insomma» intervenne Stefano, facendo sorridere la comitiva.
«E poi?» domandarono le altre due ragazze in coro, sempre più interessate.
Sara ci guardò uno per uno, con un bagliore di malizia nello sguardo che non prometteva nulla di buono.
«Poi il nostro caro Francesco dovrà adescare la prescelta, quella che fra tutte corrisponderà ad ogni requisito, e dovrà infrangere la sua prima regola».
«Cioè?» domandò Ale, ed io deglutii sonoramente.
«Dovrà passarci insieme tutti i quattordici giorni di vacanza, non un giorno in più, né uno in meno, a cominciare da stasera».
«Ma è troppo facile così..» si lamentò Stefano. «Se le gnocche fanno la fila per lui, gli scorfani dovrebbero stendergli il tappeto rosso davanti ai piedi quando passa».
«Infatti, so già quale ragazza fa al caso nostro» sogghignò, indicando la passeggiata che dalla spiaggia conduceva al bar dov’eravamo noi.
C’erano tre ragazze in vista, ma io già sapevo quella che Sara aveva scelto per me. Una era alta, mora, dalla pelle diafana, ma parecchio dinoccolata. L’altra era piuttosto carina, se come modello avete in mente Hilary Duff, ma la terza avrebbe fatto indietreggiare perfino quel nerd di Clark Kent.
Indossava un paio di short molto larghi, taglia 48 direi, che le lasciavano scoperti due cosciotti piuttosto ingombranti. Inoltre, una canottiera gialla, di due taglie più grande, la faceva sembrare ancora più grassa di quello che poteva essere, nascondendole l’unico punto a suo favore: un bel seno prosperoso. Infine, i capelli a ‘cespuglio’ finivano il quadretto di quanto ho appena descritto e mi fecero rabbrividire al solo pensiero di sfiorarla.
«Oh, mio Dio! È Moby Dick!» se ne uscì Stefano, delicato come una pentola a pressione.
«Si chiama Sole, andavamo allo stesso liceo e non è cambiata di una virgola da allora» ci spiegò Sara, continuando a sorridere.
«Cessa era e cessa è rimasta» aggiunse Ale, provocando una risatina della sua Ginevra.
«Ovviamente c’è un piccolo extra per quanto riguarda Moby» aggiunse la diabolica Sara, fissandomi di traverso.
Non sapevo se avesse architettato tutto questo per farmela pagare da quando, a Capodanno, mi aveva confessato di voler fare sesso con me ed io avevo rifiutato. Non avevo mai avuto il coraggio di confessarlo a Giorgio, ne andava della nostra amicizia. Ero un pezzo di merda, lo sapevo, ma non fino al punto di tradire un amico.
Fatto sta che quella scommessa stava prendendo una piega che non mi piaceva affatto. Più andava avanti e più mi sentivo con l’acqua alla gola.
«Quale extra?» chiese Claudia, incuriosita.
«So per certo che è ancora vergine» se ne uscì, lasciandoci spiazzati.
«Ma avrà la nostra età!» sbottò Ginevra.
«Mica sono tutte facili come te» scherzò Giorgio, ma per poco non rischiò di ricevere un dritto in faccia da Ale.
«Riassumendo» disse Sara, alzando la voce. «Per vincere la scommessa devi ammaliarla, superare le due settimane di rapporto e, infine, portarci la sua purezza. Capito? Poi, ovviamente, devi sbarazzartene».
Odiavo rimanere così in silenzio davanti a lei, senza sapere cosa dire. Sapevo di essere uno stronzo, anzi, più di una ragazza me lo aveva urlato dietro, ma non me la sentivo di imbarcarmi in una storia del genere, nemmeno per scherzo.
«Perché dovrei farlo, cosa ci guadagno?» le domandai, con ovvietà.
Gli altri cominciarono a lagnarsi quando capirono che non avrei mai accettato una cosa del genere, eppure non me ne importava un fico secco di guastare le feste a tutti.
Sara, però, non si scompose. Si limitò ad avvicinarsi a me e, in punta di piedi, mi confessò una cosa sottovoce.
Se non accetti dirò al tuo caro amico Giorgio che abbiamo fatto sesso la notte di Capodanno.. vedrai che non ti rivolgerà mai più la parola.
Mi sentii in trappola, come un volgare topo di fogna.
Quella stronza mi teneva per le palle e non avevo niente in mano per sfatare quello che lei avrebbe raccontato in giro. Anche volendo, Giorgio non mi avrebbe mai creduto. Troppe volte mi aveva visto provarci con le ragazze che gli interessavano, ma non mi aveva mai detto nulla.
Sara era l’unica a cui teneva, la sola che mi aveva proibito di conquistare.
«Accetti?» disse con un sorrisetto sulle labbra.
Deglutii a fatica e guardai dritto negli occhi marroni del mio migliore amico.
«Accetto», sospirai e un boato di approvazione si levò dall’intera comitiva, lasciandomi atterrito come dopo che la Roma aveva perso la Champions.


***

Spazietto autrice:

Grazissime per l'attenzione che avete dedicato alla mia, seppur insignificante, storiella domenicale. Bah! In questo momento sono un vulcano di idee e potrei far capitare qualunque cosa al nostro aitante protagonista, chissà che non accada qualcosa di davvero inaspettato! A chi vuole intendere, intenda... tutti gli altri in camper! (Okay, è vecchia come il cucco questa... vado a sotterrarmi!).

Alla prossima, un bacio!

Marty




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Capitolo 2
*** Rifiuto ***



CAPITOLO 1

  ~Ricatto~    
betato da Pepita
Sole_
 
Il buffet era ricco di ogni tipo di leccornia che si potesse immaginare e il mio stomaco brontolava dalle cinque del pomeriggio quando, secondo la maledetta dieta che mia madre mi costringeva a seguire, mi ero ‘apparentemente’ saziata con un misero bicchiere di succo di frutta all’albicocca.
Con le ragazze mi misi in fila. Afferrammo un piatto per uno mentre i turisti tedeschi che ci precedevano, indossando gli immancabili sandali con i calzini, facevano razzia dei peggio assortimenti di cibo mai visti né sentiti.
Come faceva un essere umano a potersi ingozzare di crauti e wurstel per cena? Nemmeno se mi avessero pagata avrei mangiato una tale porcheria, anche perché avrei finito col fare tappa fissa al bagno per vomitare tutta la notte!
«Il viaggio di oggi mi ha sfinita» sospirò Betta, scostandosi dalla spalla una lunga ciocca di capelli corvini.
«A chi lo dici» le fece eco Serena, sventolandosi con la mano libera.
«Veramente dovrei essere l’unica a lamentarmi» bofonchiai. «Sono io che ho guidato per quattro ore e mezza consecutive».
Le mie due amiche si ammutolirono quando le misi di fronte alla nuda e cruda verità, eppure non riuscii a trattenere un sorriso piuttosto contenuto.
La fila avanzò e cominciammo a servirci dall’immensa tavolata bianca, ricoperta di enormi vassoi colmi delle più squisite prelibatezze. C’era un’insalatiera che traboccava di patate al forno, un’altra contenente degli involtini di carne ripieni, e un’altra ancora con il mio piatto preferito: insalata di mare. Solo a guardarle quelle cose mi avrebbero messo addosso almeno dieci chili, eppure cercai di essere stoica e mi avvicinai, sconsolata, al tavolo delle insalate.
Quelle misere foglie verdi, rinsecchite e senza nemmeno l’ombra di un filo d’olio, mi facevano talmente pena che le avrei mangiate per compassione ma preferii di gran lunga una dose esagerata di carote. Sicuramente più gustose e che avrebbero giovato anche alla mia abbronzatura.
«Vieni, Sole, da questa parte!» mi chiamò Betta. «Il nostro tavolo è qui!».
Mi avvicinai, tentando di zigzagare tra bambini chiassosi, anziani in modalità ‘rallenty’ e fra l’innumerevole quantità di turisti affamati che affollavano in modo quasi animalesco il buffet. Qualcuno, però, non mi fece mai raggiungere la mia meta.
Mi ritrovai a terra senza nemmeno accorgermene, piena di carote dalla testa ai piedi, fissando allibita il macello che avevo causato.
 «Cazzo!» imprecai, senza pensare a chi potessi avere di fronte.
Notai che tutta la sala si era voltata verso la sottoscritta e un silenzio imbarazzante calò fra i presenti. Potevo vedere gli sguardi di ogni singolo ospite del villaggio che si posavano su di me e vedevano quella grassa e orrenda ragazza distesa a terra come un cetaceo arenato sulla spiaggia. Sarei voluta sprofondare dieci metri sotto terra, avrei voluto avere la facoltà di rendermi invisibile.
Non sapevo se fosse la mia paranoia o altro, ma giurai di aver visto più di una persona ridere e scambiarsi battute ironiche col vicino di sedia.
Potevo immaginare cosa stessero dicendo di me, ne avevo le orecchie piene sin dal primo giorno di scuola. Mi avevano appioppato tutti i soprannomi possibili e immaginabili e alcuni miei compagni di liceo, una volta, avevano scritto sulla lavagna il mio nome di battesimo con una ‘O’ gigantesca che raffigurava un porcello rubicondo. Era solo la storia che si ripeteva, di nuovo.
Cercai di togliermi le carote di dosso e di limitare i danni il più possibile, quando vidi una mano, grande e abbronzata, apparire davanti ai miei occhi.
«Sono davvero desolato» disse una voce sconosciuta e mentre alzai lo sguardo, per poco il cuore non mi scappò fuori dal petto.
Nessun ragazzo così affascinante mi aveva mai rivolto la parola, nemmeno per chiedermi l’ora. Preferivano restare nell’ombrapiuttosto che essere visti in compagnia di una come me. Quando incrociai l’azzurro dei suoi occhi vi avrei voluto annegare dentro, così da perdermi in quella scia intensa di emozioni che in quel momento mi sconquassava l’anima. Ero ancora persa nelle mie riflessioni quando notai che la sua mano era ancora immobile davanti al mio viso, mentre io me ne stavo ferma come uno stoccafisso.
Dopo un po’ sul suo viso apparve un’espressione interrogativa e piuttosto infastidita, quindi cercai di ricompormi e accettai il suo galante aiuto.
«Non ti avevo proprio vista!» mi sorrise una volta che fui nuovamente in piedi e libera da un quantitativo esagerato di carote.
«Non importa!» mormorai imbarazzata, più per la figuraccia che avevo fatto davanti a lui che per il resto. «Non mi sono fatta nulla».
Lui si strinse nelle spalle e si aggiustò con una mano un ciuffo di capelli castani che era sfuggito dalla sua capigliatura pettinata all’indietro. «Comunque, io sono Francesco» e si presentò porgendomi nuovamente quella sua mano grande, dalla pelle talmente tirata che si potevano benissimo vedere le vene che ne solcavano il dorso.
«Piacere, Sole» gli risposi col mio solito modo impacciato di relazionarmi con gli altri esseri umani.
«Bel nome..» mi disse sorridendo. Quando vidi delle fossette fare capolino sotto gli zigomi, rimasi estasiata nel contemplarlo. Era impossibile che uno come lui potesse anche solo sprecare fiato con una come me.
«Senti, cosa fai dopo?» mi domandò tornando serio.
Quella domanda mi prese proprio in contropiede, non sapevo davvero cosa rispondere. Suonava come una sorta di appuntamento? Cos’era, una specie di misero tentativo di farmi la carità?
«Sono con le mie amiche, veramente» gli risposi e poco dopo mi morsi la lingua.
Quando ti sarebbe capitata un’altra occasione del genere, eh, Sole? Sei proprio la ragazza più tonta sulla faccia della terra.
«Ah.. no, è che volevo offrirti qualcosa da bere per farmi perdonare per l’inconveniente», ammise con un leggero imbarazzo.
Pietà, ecco cos’era che l’aveva spinto ad invitarmi! Beh, c’ero andata vicina..
«Va bene, allora ci vediamo al bar» gli risposi dandogli le spalle e camminando molto velocemente verso il tavolo dove Betta e Sere mi aspettavano con un sorriso a sessantaquattro denti.
«Beh?»
«Allora?»
«Quella specie di schianto cosa ti ha detto?»
«Vogliamo sapere ogni particolare: dalla spinta fino all’ultima sillaba che le sue dolci labbra hanno pronunciato».
«Fatela finita, siete ridicole» risposi, sedendomi con quella poca dignità che mi era rimasta.
Loro rimasero in silenzio, ma non la smisero di lanciarsi occhiatine compiaciute e di ridacchiare l’una con l’altra.
«E va bene! Mi ha offerto di bere un drink più tardi, per farsi perdonare di avermi fatta diventare una zuppa di carote!» sbottai non sopportandole più.
«Ma hai presente che razza di figo hai accalappiato?» se ne uscì Serena.
«Quello, la mattina, avrà la fila di ragazze dietro la porta e giuro di aver visto almeno cinque signorine che non gli staccavano gli occhi di dosso» aggiunse Betta.
«Suvvia, non dite cretinate. Non è umanamente possibile che uno così possa provare interesse per me. L’unica possibilità è che sia cieco, ma non è questo il nostro caso».
«Ora sei tu la sciocca» s’infuriò Sere. «Perché devi sempre considerarti alla pari di un rifiuto umano? Non mi pare che tu abbia un naso aquilino o una gobba oscena, oppure una scucchia da far invidia alla strega dell’Ovest. Sei solo un po’ in carne, tutto qui».
Serena si preoccupava sempre della mia autostima perché anche lei, come me, aveva avuto i suoi problemi con il peso. Sicuramente aveva avuto più forza di volontà della mia nell’affrontare il suo problema, e dopo una dieta severa si era trasformata nella cugina di Paris Hilton, mentre la sottoscritta nascondeva ancora le barrette di Mars tra le pieghe del materasso.
Lo so, sono patetica!
«Ovviamente ci andrai, mia cara, ma non devi comportarti come al solito» affermò Betta con sicurezza.
«Cioè?» le chiesi sempre più confusa.
«Quelli sono ragazzi che vengono qui in cerca di un’avventura, per divertirsi, se capisci il senso, e tu non sei quel tipo, quindi devi fargliela desiderare!».
«Betta, sei la persona più perversa che conosca» osservò Serena.
«Sì, ma sono l’unica che dice le cose come stanno» puntualizzò.
«Credo di dover decidere io come comportarmi, ed è inutile che voi due cominciate già a scegliere il mio vestito da sposa perché non è detto che lui provi qualcosa per me. Magari lo ha fatto solo per cortesia».
«Quanto sei ingenua» sospirò Betta.
«Su questo mi trovo d’accordo!» asserì Serena.
A quel punto non mi rimase che sospirare visto che non avevo voce in capitolo. Con loro era sempre così, cercavano di sistemarmi come se fossi la loro sorellina minore.
Mentre le sentivo blaterare su quale vestito sarebbe stato più adatto alla serata, con lo sguardo vagai per la sala alla ricerca di un paio di occhi color del mare.
 
Frà_
 
«Ehi, Fra, guarda! Moby ti ha puntato».
La voce di Stefano per poco non mi perforò un timpano,(no virgola) ma dovetti resistere per non voltarmi. Sarebbe stato troppo scontato se i nostri due sguardi ‘casualmente’ si fossero incrociati, perciò dovevo attenermi almeno alla realtà.
«Credo tu abbia fatto centro, Mr. Rubacuori» ridacchiò Ginevra.
«Come se qualcuna potesse resistere al suo fascino da ‘bravo ragazzo’, eh, Fra? Che fai? Le ammali apparecchiando la tavola e stendendo il bucato?» aggiunse Ale, evidentemente geloso marcio.
«Almeno io la vita me la godo» mormorai guardando distrattamente il piatto.
«Ragazzi, è proprio uno scorfano. Secondo voi è scappata da qualche circo? Magari faceva la donna cannone..» ridacchiò Stefano, confermandosi l’idiota che era.
«In effetti non è che possa vincere il premio come ‘Miss’ del villaggio» aggiunse Giacomo, con l’eco delle risa di Claudia.
Mentre gli altri continuavano a trovare i più disparati soprannomi da affibbiarle che riprendessero, in qualche modo, il mondo dei cetacei, inevitabilmente fui spinto a cercarla con lo sguardo. Come me, se ne stava in disparte, mentre le sue due amiche confabulavano e ridacchiavano davanti al suo sguardo distratto. Fissava il piatto davanti a lei, colmo d’insalata e mais, ma non ne aveva toccato nemmeno un boccone. L’espressione che aveva in volto era di puro suicidio, quindi, inevitabilmente, pensai che fosse a dieta e non la invidiai per niente.
Mi ritrovai a pensare che in fondo non era poi lo scorfano che tanto denigravano i miei amici. Quando l’avevo aiutata ad alzarsi, dopo che io stesso l’avevo fatta cadere di proposito, mi erano saltati agli occhi dei particolari piuttosto singolari e, in qualche modo, positivi del suo aspetto.
Sotto a quella coltre di folti capelli a cespuglio, c’era un viso molto semplice ma, nel complesso, piuttosto piacente, e spruzzato di piccole efelidi marroncine che la facevano sembrare ancora più giovane di quanto già appariva, senza trucco. Gli occhi, di un grigio chiaro, erano molto grandi ma avevo colto, in fondo ad essi, un’infelicità sottilmente velata, magari da un sorriso finto che scambiava con uno sconosciuto come me.
Quella Sara mi aveva davvero fregato questa volta, la sporca scommessa che mi aveva proposto e che poi mi aveva costretto ad accettare, avrebbe fatto raggiungere la vetta ai miei livelli, già alti, di stronzaggine. Ma che altra scelta avevo? Dirlo a Giorgio? Così potevo mandare a puttane dieci anni di amicizia.
L’idea di invitare Moby a prendere un drink nel dopo serata mi era sembrata ottima. Ovviamente non avrebbe potuto rifiutare, avevo cercato di non sembrare troppo interessato, altrimenti si sarebbe potuta insospettire, ma non potevo tirar fuori un’espressione di pietà. Qualunque motivo avesse spinto quella ragazza ad acconsentire, poco m’importava. La cosa fondamentale era portare a termine questa tortura: in fondo, se avessi perso la scommessa, non avrei potuto farci nulla, avrei dovuto soltanto farla durare per un po’, in modo da far divertire quei deficienti dei miei amici, poi avrei gettato la spugna e tanti saluti. Sara era stata chiara: se non avessi accettato lei avrebbe spifferato tutto, ma non si era affatto parlato di rinuncia.
«Pensi di andare direttamente al sodo stasera?» mi domandò Giorgio, facendo calare il silenzio sulla tavola.
I suoi occhi marroni mi scrutavano attentamente e quel suo comportamento indagatore mi metteva in soggezione. In fondo, era l’unico che mi conosceva da più tempo degli altri e avrebbe benissimo intuito il mio stato d’animo in quel momento.
«Che divertimento sarebbe se concludessi subito?» ironizzai, sfoderando uno dei miei sorrisi più seducenti.
«Ben detto, amico!» esultò Giacomo.
«Sei forte, Fra» si aggiunse Ale.
«L’importante è che porti a compimento la scommessa, in ogni suo punto. Altrimenti..» minacciò Sara.
«Ehi, aspetta» m’intromisi. «Se fallisco il nostro accordo è comunque valido!».
Gli altri ci guardarono sospettosi, non capendo minimamente la cosa a cui ci stessimo riferendo. Quello che mi preoccupava di più era Giorgio, ma non sembrava sospettare nulla. Almeno per il momento.
Sara mi sorrise, con quegli occhi verdi così vispi e maliziosi. «Sono io a dettare le regole. Porta a compimento la scommessa e ti potrai ritenere libero dal nostro accordo».
Rimasi ammutolito.
Mi aveva fregato proprio per bene. Ormai non potevo tirarmi indietro e sarebbe stato meglio portarmi Moby a letto il più presto possibile, così avrei mandato tutto quanto a farsi benedire, compresa quella stronza di Sara.
«Ma si può sapere cosa ti ha fatto quella poveretta?» domandò Ginevra guardando la sua amica.
Sara le sorrise, ma non volle dire nulla. «Magari un giorno ve lo confesserò, vedremo..».
Se voleva creare una certa suspense intorno a quella storia, ci era riuscita benissimo. Sapevo che quella vacanza sarebbe stata davvero indimenticabile.. in un verso o nell’altro.

Frà_
 
Erano le 21.30 della stessa sera ed io me ne stavo seduto al bancone del bar, scolandomi la terza birra consecutiva e pensando di essere davvero un idiota. Se qualcuno, prima di partire, mi avesse detto che la mia prima notte di vacanza l’avrei passata in compagnia della sorella gemella di Platinette, gli avrei ammollato un pugno sul naso, e invece eccomi qui, mezzo ubriaco, attendendo quel momento come fosse l’ultimo della mia vita.
«Ciao».
Alzai gli occhi dal boccale e mi voltai, vedendo Sole comparire al mio fianco, concretizzando quell’incubo che assaliva i miei pensieri da almeno mezz’ora.
«Ciao, splendore» le dissi mordendomi la lingua. Forse ero sembrato leggermente falso, visto come si era conciata.
Aveva provato a pettinarsi i capelli, districando i ricci, ma il risultato era stato quello di aumentarne il volume del dieci per cento, poi aveva optato per un vestito turchese, attillato all’altezza del seno e che scendeva morbido per il resto del corpo.
Ufficialmente indossava un tendone da circo.
Non rimango poi a dilungarmi sul modo in cui si era truccata. Se l’avessero vista quelle del Salone Benessere, si sarebbero messe le mani tra i capelli.
Tutto sommato, non si accorse del mio tono lievemente ironico e mi sorrise, imbarazzata. Il rossore che affiorò sulle sue guance mi prese alla sprovvista, lasciandomi di stucco. Era dalle medie che non vedevo una ragazza arrossire. Tutte quelle con cui ero stato erano donne fatte e cresciute, mentre questa qui sembrava evasa dall’Isola che non c’è!
«C-cosa prendi?» le chiesi, ritornando me stesso.
Lei si sedette sullo sgabello a fianco al mio, guardandosi intorno e fingendo di fare la vaga. Non riuscivo a comprendere il motivo di quel suo comportamento, a volte mi spiazzava completamente, ed era un enigma per me capire cosa le passasse per la testa.
«Un crodino» rispose, sorridendo nervosa.
A quel punto non riuscii a trattenermi e le scoppiai a riderle in faccia. Non so dire come la prese, perché sul suo viso comparve un’espressione indecifrabile, ma tentai di recuperare il terreno che cominciava a scivolarmi da sotto le scarpe.
«Scusa..» mi trattenni. «È solo che il crodino è un aperitivo, non si beve dopo cena».
«Ah» sospirò, diventando man mano più rossa in viso.
Decisi, per una volta, di fare una cosa galante e ordinai due birre chiare, almeno non l’avrei fatta sfigurare se il barman ci avesse chiesto le ordinazioni. Mentre aspettavamo, decisi di indagare un po’ su Moby, almeno per avere qualcosa da raccontare ai ragazzi.
«Dì la verità, non è che bevi molto, tu» le dissi, e lei cominciò a torturarsi le mani in grembo.
«Beh, no!» rispose subito, poi passò a pieghettare un lembo del vestito. «In effetti, non sono una grande intenditrice».
A mio parere, quella era la tipica ragazza che rimaneva tappata in casa tutto il giorno, rincoglionendosi davanti al computer e guardando le cazzate su YouTube. Usciva sì e no una volta alla settimana, magari trascinata a forza da quelle due sceme delle sue amiche, e andavano a farsi una passeggiata in centro, per poi tornare, al massimo, entro mezzanotte.
In questi momenti mi riusciva facile stendere un profilo di alcune persone. Avevo vissuto abbastanza per saper inquadrare una ragazza passati i cinque minuti di conversazione.
«Non preoccuparti» mormorai, poi il barista ci portò le birre e bevemmo in silenzio.
Mi sarei dovuto far venire un’idea al più presto, anche perché quel drink non significava nulla e se avessi voluto rivederla mi sarei dovuto inventare qualcosa, e alla svelta.
Il tempo passava senza che nessuno di noi due dicesse una parola. Non mi sentivo così impacciato da una vita ed era soltanto colpa di quella stupida scommessa. Se si fosse trattato di una delle ragazze con cui ero abituato ad uscire, sicuramente sarei stato all’altezza della situazione, ma non avevo idea di come comportarmi con un tipo che non mi attirava nemmeno lontanamente.
«Che ne dici di ballare?» e così, all’improvviso, mi venne quell’idea geniale.
In sottofondo si udiva una di quelle noiose canzoni reggae pugliesi, che se mi avessero regalato un CD lo avrei fiondato immediatamente fuori dalla finestra, ma aveva il ritmo giusto e faceva al mio caso.
Sole mi guardò, dapprima terrorizzata dall’idea, ma poi, dopo che sfoderai uno dei miei sorrisi migliori, accettò di buon grado. Mi feci largo tra la folla di ballerini accaldati, mentre il DJ di turno fomentava la massa già abbastanza presa dal ritmo.
 
Se nu te scierri mai delle radici ca tieni,
rispetti puru quiddre delli paisi lontani!
 
****
Note: Le radici ca tieni_Sud Sound System
Sole_
 
Mi prese per mano e insieme ci dirigemmo al centro della pista da ballo, illuminato da lampioni e luci intermittenti. Il profumo che aveva la sua pelle mi fece barcollare e più di una volta credetti di accasciarmi al suolo come uno straccio vecchio. Non si era nemmeno cambiato da quando ci eravamo scontrati a cena, ed io mi ero sentita una sciocca per essermi agghindata in quel modo tanto frivolo. Se fosse stato per me non sarei nemmeno uscita dalla camera dell’albergo.
Il cuore mi batteva all’impazzata e non ero sicura che sarei arrivata incolume a fine serata. Più di una volta, incrociando quei suoi occhi verde-acqua, avevo rischiato un infarto, ma cercavo di ripetermi di non sembrare più sciocca di quanto potessi già apparire con l’aiuto di quel maledetto vestito.
Mi ero ripromessa che, una volta tornata in camera, avrei ucciso sia Serena che Betta per il look che mi avevano affibbiato. Io, che non avevo mai indossato una gonna in vita mia, mi ritrovavo a essere la sorella in sovrappeso di Barbie Malibu e la cosa non mi piaceva affatto.
Quando ci posizionammo al centro della pista, sentii le sue mani sui miei fianchi e le guance mi andarono a fuoco. Senza riflettere, mi tirai indietro incrociando poi il suo sguardo, completamente mortificata.
«Non preoccuparti» mi disse sorridente e mi deliziai, di nuovo, delle fossette gemelle sulle sue guance che comparivano ogni volta che era felice. «Vieni qui».
Quella volta mi lasciai andare e sentii il suo tocco attraverso i vestiti, ritrovando quelle mani grandi che mi avevano aiutata ad alzarmi da terra, poco tempo prima. Istintivamente cercai di nascondere un po’ di rossore abbassando lo sguardo, ma lui cercava sempre un contatto visivo e fui costretta a specchiarmi di nuovo nelle sue meravigliose iridi.
 
Se nu te scierri mai de due de ca ieni,
dai chiu valore alla cultura ca tieni!
 
Si fece sempre più vicino, man mano che la musica diventava più ritmica e la gente intorno a noi aumentava di numero, limitando lo spazio dei nostri movimenti. Era piuttosto bravo a ballare, dovevo ammetterlo. Aveva sicuramente ritmo.
Tutti i ragazzi con cui Sere e Betta mi avevano costretta ad uscire assomigliavano più a dei proverbiali ‘ciocchi di legno’ che a persone vere, per di più con occhiali talmente spessi da sembrare delle talpe cieche.
Me la stavo cavando piuttosto bene anch’io fino a quando i nostri corpi furono talmente appiccicati che potevo sentirmi aderire ogni parte di lui. E per ‘ogni parte’, intendo davvero ogni parte. Mi posò la testa sulla spalla e cominciò a soffiarmi nell’orecchio dolcemente, mentre sentivo i capelli rizzarmisi sulla nuca. Sarebbe andato tutto per il verso giusto se non avessi incrociato due sguardi tra la folla.
 
Simu salentini dellu munnu cittadini,
radicati alli messapi cu li greci e bizantini,
 
Serena ed Elisabetta cominciarono a sbracciarsi verso la mia direzione, facendo cenni esagerati di dissenso. Prima di lasciare la mia stanza d’albergo, quella sera, non avevano mai smesso di ripetermi quanto sarei dovuta stare attenta a quei tipi lì.
Sai che alcuni ragazzi vanno nei villaggi e fanno una gara a chi la sniocca di più?
Una volta mio fratello mi ha raccontato che avevano addirittura fatto una bacheca con foto e nomi delle poveracce che ci erano cascate!
Ne avevo le tasche piene delle loro petulanti voci, ma non riuscii a fare a meno di chiedermi quale fosse il motivo che spingesse questa sorta di dio-greco/adone a venire dietro a una come me. Sarei stata curiosa di saperlo, anche se ciò si sarebbe tradotto nella fine di tutto.
«A-aspetta!» dissi allontanandomi un poco da lui.
Era bello vivere l’inizio di quella favola, ma nella mia vita avevo sbattuto contro troppi muri per poterci ricadere di nuovo.
«Cosa c’è?» domandò Francesco, stranamente preoccupato.
Avrei dovuto raccogliere tutto il mio coraggio per affrontarlo, ma sentivo che c’era qualcosa sotto e mi sentivo in dovere di scavare più a fondo.
«Dimmi, perché fai tutto questo?».
 
****
Frà_
 
Quella domanda mi spiazzò completamente e non sapevo se, questa volta, sarei riuscito a eludere la risposta grazie alla mia veloce parlantina. Era più furba di quanto pensassi e di questo particolare, sicuramente, Sara ne era a conoscenza. Già me la immaginavo che ridacchiava alle mie spalle, con tutti quei deficienti dei miei amici che le facevano il coro.
«Cosa vuoi dire?». Dovevo fingere, come al solito. In fondo ci ero abituato. Dopo che la fatidica ‘settimana’ era scaduta, m’inventavo sempre una scusa plausibile per piantare le ragazze con cui uscivo, che me l’avessero data oppure no. Cosa aveva di diverso quella cicciona dai capelli a cespuglio?
Sole si allontanò ancora di più da me, diventando sempre più sospettosa. Nei suoi occhi intravidi, per una frazione di secondo, l’alone di un ricordo che l’aveva sconvolta allo stesso modo, ma non potevo arrendermi proprio ora. Voleva delle conferme? Pensava che la stessi prendendo in giro? Magari aveva intuito tutto, ma non la facevo così furba.
Ad un certo punto mi balenò in mente la soluzione più ovvia e mi complimentai con me stesso per aver pensato a quella genialata.
Mi avvicinai a lei e la tenni ferma per le spalle.
 
uniti intra stu stile osce cu li giammaicani,
dimme mo de du ede ca sta bieni!
 
****
 
Invece di ricevere una risposta alla mia domanda, lo vidi avvicinarsi pericolosamente e chiudere gli occhi. Accadde tutto in un battibaleno, prendendomi alla sprovvista.
Sentii le sue labbra premute sulle mie, completamente sigillate, mentre attorno a noi la gente si voltava e alcuni sorridevano. In quel momento non sapevo come comportarmi o cosa fare. Era forse una conferma di ciò che Serena ed Elisabetta mi avevano detto?
In fondo, non ci conoscevamo nemmeno da un’ora e già eravamo passati alla parte fisica. Che ingenua che ero stata. Ci ero caduta ancora una volta, ma non potevo permettere che qualcun altro mi facesse del male.
«FERMO!» gridai, spingendomelo via di dosso.
Francesco sgranò gli occhi e mi guardò confuso. Non si aspettava di certo quella reazione da parte mia, ma ero stufa di fare sempre la ruota di scorta.
«Che ti prende?» mi domandò.
«Non voglio» insistetti, sentendo il calore che affiorava sulle guance.
«Dai, su, non dire sciocchezze» mi rispose avvicinandosi di nuovo e cercando di raggiungere le mie labbra sigillate.
No, non potevo permetterlo. Io valevo più di una notte, questo era certo.
 
****
 
Il sonoro schiocco che si udì in tutto il villaggio dopo che Sole mi colpì in pieno viso, non lo avrebbe dimenticato nessuno.
Ero sempre stato il bravo ragazzo, quello che avrebbe fatto innamorare tutte le suocere del mondo, l’uomo invidiato da tutti perché non si era mai legato, nonostante avesse i mezzi per farlo, ma non avrei mai creduto di poter essere respinto da una donna. Soprattutto da un tipo come lei.
 
Se nu te scierri mai delle radici ca tieni...

***
Spazietto autrice:

So di non averlo specificato all'inizio, ma ho ricevuto una sola piccolissima recensione... sigh [comunque ringrazio di cuore e pubblicamente Clithia che è stata l'unica coraggiosa ad avermi recensito!] Thank you!!! e lancio un piccolo appello per 'carenza di recensioni' che, se volete, potete seguire o meno.
Baciotti,
Marty

 

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Capitolo 3
*** Rapporto impegnativo ***



CAPITOLO 3

  ~Rapporto impegnativo~    
betato da Pepita
        
«Tutto sommato, vedila così» se ne uscì Giorgio mentre ce ne stavamo spaparanzati sulle sdraio a farci un bel bagno di sole. «Hai finalmente preso il tuo primo due di picche!».
Farmi stare su di morale non era certo una delle doti di Giorgio, soprattutto quando ero così incazzato per come le cose erano andate storte la sera prima. Avevo avuto talmente tanta fretta di concludere con Sole che non avevo minimamente pensato di risultare un perfetto maniaco. Ed era soltanto una finzione! Se la ragazza in questione mi fosse piaciuta veramente mi sarei sentito uno schifo.
«Taci, per favore» lo supplicai. Ci mancava solamente il suo carico da undici per completare il quadretto perfetto d’inizio settimana.
«Ma si può sapere cosa le è preso? Sembrava andasse tutto per il verso giusto..» continuò, ignorando volontariamente le mie preghiere.
Sbuffai sonoramente e mi girai prono, infossando il viso tra la piega del gomito.
Erano le 9.30 di mattina e già stavo schiumando dal caldo. Odiavo rimanere al sole come una lucertola, ma sapevo che se fossi tornato a casa più bianco di prima, mia madre non l’avrebbe smessa di ridermi dietro. Le continue domande di Giorgio, però, sommate alle alte temperature, contribuivano a friggere quel poco di cervello che mi era rimasto nella scatola cranica.
«Non ne ho idea. Quella ha qualcosa fuori posto» mi giustificai, dandole la colpa.
Che m’importava, in fondo. Passate quelle due settimane di tortura, non l’avrei più vista né sentita e sarei finalmente tornato alla vita che adoravo.
In quel momento ci raggiunsero tutti gli altri membri della comitiva, accoppiati e non, tanto per rendere più allegra quella già spinosa situazione in cui mi trovavo.
«Dammi il cinque, Frà!» scherzò Giacomo.
«Sì, ma non in piena faccia..» aggiunse Ale, ridacchiando con Ginevra.
Sara sogghignava in silenzio, mentre Stefano aveva un’espressione indecifrabile in volto. Azzarderei delusa..
«Non siete affatto divertenti voi due» commentai senza riuscire a guardarli.
«Ma dai, Frà» continuò Ale, «non si può nemmeno scherzare».
«Certo, nessuno di noi si sarebbe mai aspettato lo spettacolo di ieri sera» ridacchiò Giacomo.
In quel momento Sara si alzò dalla sdraio e si sedette sulla mia. Fui costretto a mettermi seduto e ad affrontare i miei amici.
«Che effetto fa, eh?» mi domandò lei con quell’espressione soddisfatta in viso.
«Cosa?» biascicai evasivo.
Si creò un silenzio imbarazzante, mentre tutto il gruppo si scambiava occhiatine complici. Non mi ero mai sentito tanto in collera con qualcuno. Allo scadere di quei quattordici giorni era più che sicuro: avrei ucciso Sara Ghimi.
«Ma certo!» se ne uscì Stefano, picchiandosi un pugno sul ginocchio. «Sta facendo la sostenuta, è evidente».
Pur di non screditarmi come suo ‘idolo’, Stefano si sarebbe inventato di tutto. Quella scusa, però, tutto sommato non era male e si poteva utilizzare come giustificazione per l’enorme cantonata che avevo preso la sera prima.
«Sì, Sté, sparane un’altra!» lo punzecchiò Giacomo.
«Perché, non potrebbe essere?» intervenne Giorgio in mia difesa.
La parte dell’amico la interpretava bene di fronte agli altri, peccato che nei nostri momenti in cui eravamo soli era più una palla al piede che un dispensatore di consigli.
«Ve lo dico io cos’è successo» se ne uscì Sara, con la sua solita aria arrogante e superba.
«Cosa?!?» trillarono in coro Ginevra e Claudia.
Si prese qualche secondo per aumentare la suspense, e la odiai per quello, poi, dopo un lungo sospiro, si decise a parlare.
«Il nostro latin lover non è poi così invincibile, o sbaglio? Ti hanno sempre osannato perché riesci a conquistare chiunque, ma ti fai gabbare da una palla di lardo?».
Il suo tono inquisitorio cominciava a darmi sui nervi, ma soprattutto ero stufo che continuasse sempre a recitare la parte del boss della camorra. Oltre ad avermi raggirato con un pettegolezzo che nemmeno era vero, continuava a punzecchiarmi e ad insultare la mia virilità. C’era un limite a tutto.
«Hai rotto il cazzo» replicai alzandomi in piedi e raccogliendo l’asciugamano. «Tu e la combriccola di chiacchieroni potete pure ridermi alle spalle, ma io sono l’unico qua dentro che sta facendo qualcosa. Quindi, arrivederci».
«Ehi, amico, dove stai andando?» mi urlò dietro Giorgio.
Mi voltai e il riverbero del sole sull’acqua mi costrinse a socchiudere gli occhi. «Vado a riprovarci e a vedere se oggi riesco a pescare qualche orca» gli risposi, ridendo.
La mia voce fu seguita da un boato di ovazioni, da parte degli altri spettatori che non aspettavano altro che l’ennesima puntata di quella scommessa diventata una sfida vera e propria.
 
***
 
Quella mattina sarei rimasta a letto per tutto il giorno se Sere e Betta non avessero cominciato ad urlare e sbraitare appena alzate. Mi chiesi cosa avessero da litigare alle nove del mattino, eppure non la finivano di urlarsi addosso.
«Hai visto, che ti avevo detto?» ringhiò Betta. «È una faina, un maiale, un bastardo approfittatore!».
«Ma che ne sai? Non abbiamo nemmeno visto come si sono svolte le cose esattamente. Se non fossi così talpa, capiresti» le urlò contro Serena.
«Ah, sì? Però, chissà perché, Sole è tornata subito in camera e si è messa a dormire, senza dirci nulla. E lo schiaffo, poi? L’hanno visto tutti!».
«Avrà avuto i suoi buoni motivi e immagino, che, ovviamente, non sono quelli che dici tu!».
Stavano litigando per me. Erano davvero incorreggibili.
«La volete piantare? Sono le nove del mattino e voi urlate come delle pescivendole al mercato del venerdì» sbuffai, stropicciandomi gli occhi insonnolita.
Non appena mi videro, con gli occhi da panda per via del trucco ancora sul viso e i capelli che se ne andavano per cavoli loro, accorsero subito come delle crocerossine.
«Hai pianto?».
«Cos’è successo?».
«Cosa ti ha fatto?».
«Stronzo-bastando-figlio di..».
«Finitela!» le ammonii e mi divincolai dai loro abbracci e dalle loro carezze, neanche fossi una poppante.
«Ma..?» dissero in coro, piuttosto incredule.
«Niente ma, sto bene» conclusi dirigendomi in bagno e chiudendomi la porta alle spalle.
Rimasi là dentro per non so quanto tempo, impiegando ore a trastullarmi davanti allo specchio, cercando di migliorare, almeno di un grado, quell’orrendo aspetto che avevo.
Ormai avevo deciso che avrei mandato a quel paese tutti i consigli che Betta e Sere mi avevano dato: da quel giorno in poi avrei fatto di testa mia.
Trucco zero, capelli legati, vestiti confortevoli e tanti saluti. Ormai Francesco lo avevo dato per perso, perciò chissenefrega, no? Tanto valeva starsene comodi.
Quando uscii dal bagno quelle due piattole se ne erano già andate a fare colazione, perciò optai di prolungare quella temporanea separazione.
Scesi le scale, tanto per fare del moto apparente, dopodiché mi diressi verso la spiaggia per respirare un po’ di iodio. Avevo già adocchiato una sdraio all’ombra che faceva al mio caso quando sentii una mano posarsi sulla mia spalla.
Inorridita, pensai si trattasse nuovamente di Francesco, che, nella mia mente, ora rispondeva al nome di ‘Polpo’, invece fui sorpresa di vedere qualcun altro.
«Ti ho già vista da qualche parte?» mi domandò un ragazzo dell’animazione, alto, robusto e con un paio di occhi nocciola da far paura. Il pizzetto che si era lasciato crescere sul mento gli donava, soprattutto con i capelli lunghi legati dietro la nuca, e, guardandolo dalla testa ai piedi, fui compiaciuta che non si trattasse del solito ragazzo figo. Era uno.. come dire.. normale.
«Non credo, sono arrivata ieri» gli risposi, sorridendo imbarazzata.
Il suo sorriso non aveva niente a che vedere con quello di Polpo, ma aveva un nonsoché di rassicurante, una sorta di sensazione che ricevetti a pelle.
«Ma certo! Sei la ragazza di ieri sera, quella della cinquina!» ridacchiò dandomi una pacca sulla spalla.
Cinquina? Ma aveva bevuto?
«Sì, dai.. il ceffone che hai ammollato al cugino di Zack Efron!» mi suggerì facendomi l’occhiolino.
Solo in quel momento, da vera ritardata mentale, associai le sue parole all’immensa figuraccia che mi aveva vista protagonista la sera prima, con Polpo, appunto.
«Eh, sì..» balbettai imbarazzata. «Riesco sempre a farmi riconoscere».
Perfetto. Per una volta avevo avuto la fortuna di incontrare un altro ragazzo decente e la mia carriera come campionessa olimpionica di figure di merda doveva obbligatoriamente precedermi. Che razza di sfiga!
Feci per andarmene, tanto avevo capito che mi stava soltanto prendendo in giro, ma, per la seconda volta, mi trattenne afferrandomi per un braccio.
«Scusa, ti ho forse offesa?» mi chiese tornando improvvisamente serio.
Non sapevo cosa rispondergli, dal momento che non sapevo nemmeno io cosa mi avesse spinta a muovere quei passi. Le sue parole non mi avevano realmente ferita, eppure non vedevo l’ora di rintanarmi sotto l’ombrellone.
«Piacere, mi chiamo Emanuele e sono l’istruttore windsurf» e si presentò, stringendomi la mano.
«Io sono Sole» risposi timidamente, rientrando nel guscio come al solito.
«Lo so, ho dato un’occhiata alla tua scheda. Spero non ti sia offesa, ma mi hai incuriosito» sorrise, facendomi arrivare il morale alle stelle.
Non avrei dovuto fantasticare in anticipo, ma non riuscii ad evitare di immaginarci sdraiati sulla spiaggia, con le onde che ci bagnavano i piedi, mentre ci baciavamo appassionatamente sotto i raggi di una luna piena.
«No, no, affatto. È solo che.. mi sembra un po’ strano».
Riecco la Sole sospettosa. Dovevi fare l’investigatrice privata nella vita, non la biologa marina, testona!
Emanuele sorrise, slegandosi i capelli per poi farli ondeggiare. Per poco non ci rimasi secca.
Se li risistemò più in alto questa volta, facendo una sorta di crocchia, poi tornò a guardarmi come se non fosse successo nulla. Dentro di me sentivo che era stato un gesto premeditato, tuttavia, in quel momento decisi di non arrovellarmi il cervello con quelle cretinate.
«Dopo ho una lezione, che ne dici di imparare a stare sulla tavola?» mi chiese sincero.
«Perché no?» sorrisi, come una cretina. L’acqua era la mia seconda casa, quindi non avrei avuto problemi se il mio equilibrio precario e la mia goffaggine mi avrebbero fatta cadere in acqua come un barile.
«Andata?» e mi porse la mano aspettando che la stringessi per sugellare il nostro patto.
«Andata!» sorrisi io e feci per imitare il suo gesto ma qualcuno mi fermò.
 
***
 
Dopo aver lasciato i miei amici trionfante mi fermai un attimo al bar per pianificare bene le mie mosse prima di incontrare di nuovo Sole. Sicuramente non mi avrebbe rivolto la parola dopo che mi ero comportato in quel modo, ma qualcosa dovevo pur tentare.
Se avessi saputo i suoi gusti, ciò che davvero le interessava.. ma l’unico particolare di cui ero a conoscenza era il fatto che fosse astemia. Mi sarei potuto presentare a lei con una spilletta degli alcolisti anonimi. Per favore..
Mentre me ne stavo seduto a bere e a rimuginare su ciò che avrei dovuto fare, la vidi uscire dalla hall per dirigersi verso le piscine. Non sapevo se si trattasse della tequila delle dieci del mattino o di un’insolazione, fatto sta che in quella sua canottierina verde militare e in quei pantaloni alla zuava color cachi, non sembrava l’orrido mostro con cui ero uscito il giorno prima.
Il trucco pesante e obbrobrioso era sparito dal suo viso, lasciando che le lentiggini caffè-latte le spuntassero nuovamente sulle gote, e i capelli avevano una qualche decenza, essendo tenuti a bada da un elastico piuttosto resistente. Rimaneva sempre un po’ pienotta, ma era come guardare la mia prima auto dopo una bella lavata: sempre lo stesso catorcio, ma leggermente più decente.
Mi rimboccai metaforicamente le maniche, dal momento che indossavo solamente il sundek[1] e cercai di raggiungerla pensando a cosa mi sarei potuto inventare per avere una seconda chance e per entrare nelle sue grazie. Mi sentivo uno stupido ad essere così in agitazione per una persona che nemmeno m’interessava. Maledetta Sara, ti avrei ucciso!
Ero pronto a gonfiare il petto come il proverbiale gallo nel pollaio, quando la vidi confabulare e ridere con un animatore alto e gigantesco. Indossava la classica maglietta arancio con sopra scritto Club-Julia Happyanimation, ma aveva arrotolato le maniche attorno alle spalle possenti a mo’ di Rambo. I capelli lunghi, tenuti legati da un elastico, erano così rovinati dal sole che fra nemmeno un anno si sarebbe ritrovato calvo, e poi era mai possibile che l’esemplare di macho del villaggio doveva sempre essere rappresentato da un capellone nerboruto stile Tarzan?
Non ci sprecai troppi pensieri sopra visto che probabilmente l’aveva fermata soltanto per chiederle l’ora, ma quel sorriso di Sole l’avevo riconosciuto e non mi piaceva affatto. Era dello stesso tipo che mi aveva rivolto quando l’avevo aiutata ad alzarsi al Ristorante, e cioè si traduceva in un ‘sono cotta’ che brillava come una luce al neon.
Sarei dovuto intervenire in qualche modo. Quella specie di lottatore di Wrestling mi stava soffiando da sotto al naso la finta-ragazza-cessa che dovevo portarmi a letto per vincere la scommessa. Dannazione, non potevo permetterglielo!
Feci qualche altro passo ma fui letteralmente bloccato dalle due amiche di Sole che non la smettevano di guardarmi male.
«Ebbene?» mi fece la mora, incrociando le braccia al petto.
«Cosa hai intenzione di fare?» continuò la bionda, imitando la prima.
Avevo ben troppi problemi per pensare a come liberarmi da quelle due evase dal manicomio, e per giunta quell’omone tatuato stringeva la mano a Sole con un’espressione troppo complice.
«Scusate, ma devo andare!» tentai di dir loro ma mi sbarrarono la strada.
«Non t’intromettere, bellimbusto».
«Hai fatto già soffrire la nostra Sole abbastanza, puoi pure tornare ad importunare qualcun’altra. Adesso lei potrebbe aver trovato qualcuno che non abbia intenzione di usarla come volevi fare tu».
In quel momento sbiancai. Per un attimo ebbi il sospetto che quelle due piccole vipere avessero intuito il mio piano, ma poi mi dissi che era una cosa impossibile e mi convinsi che si trattava di qualcos’altro.
«Non so cosa abbiate nel cervello voi due. Io devo passare, perciò, fatevi da parte» e le scansai non molto gentilmente.
Agli occhi degli altri sarei sembrato un vero idiota. Per tutta la vita avevo cercato di evitare di diventare il solito fidanzato geloso, quello che corre dietro alla sua donna ogni volta che la vede parlare con qualsiasi essere umano che reputi una minaccia, eppure in quel preciso istante, chi non fosse stato a conoscenza di tutta la storia avrebbe notato un ragazzo alto e longilineo, dai capelli a metà fra il biondo e il castano, farsi in quattro per raggiungere una ragazza cicciottella che flirtava con un bellimbusto cazzone.
Riuscii a mettermi in mezzo proprio quando Sole stava per stringere la mano gigantesca di quel palestrato da strapazzo, afferrandole il braccio e deviando la sua presa.
«Che diav..» riuscì solo ad esclamare prima che cominciassi a tirarla via di lì.
«Ma tu non sei il maniaco di ieri?» mi domandò l’omone ma io lo ignorai. «Senti, se non la lasci stare subito,(no virgola) ti faccio espellere dall’albergo» mi minacciò.
A quel punto non risposi più di me. Come diavolo si permetteva di darmi ordini quella specie di bracciante che sapeva a mala pena scrivere il suo nome!
«Senti, bello, guadagno più io in un mese che tu in un anno intero. Se voglio me lo compro questo posto e ti ci sbatto a chiedere l’elemosina».
Wow.. peccato non ci fosse nessuno a riprendermi con la telecamera! Mi sentivo un dio sceso in terra, il più potente del mondo, fino a quando non sentii un dolore terribile sullo zigomo destro.
«Cazzo..» imprecai scivolando a terra e tenendomi il volto ferito.
«Te lo meriti, riccone dei miei coglioni!» ringhiò il wrestler.
Sole assistette sconvolta a tutta la scena, senza intervenire né dire una parola. C’era chi mormorava un ‘ohhh’ di stupore e chi, invece, sospirava ‘fanno a botte per lei’. Sperai con tutto il cuore che quel trambusto non avesse attirato l’attenzione della mia comitiva, ma quando vidi Sara con il suo solito ghigno capii che avrei fatto meglio a scomparire.
Con quella poca dignità che mi era rimasta, afferrai nuovamente Sole per un braccio e mi diressi verso la spiaggia. Questa volta non oppose resistenza ma si limitò a seguirmi in silenzio, con il capo chino. Con la coda dell’occhio vidi che metteva un piede dietro l’altro e sospirava sonoramente perciò, una volta arrivati al mio ombrellone, mi gettai di peso sulla sdraio ed esalai un lungo respiro, completamente esausto.
Lei si sedette su quella accanto tenendosi la testa tra le mani e puntellando i gomiti sulle sue ginocchia. Mi sentivo in colpa a vederla così, anche se il sottoscritto sarebbe stato l’unico a dover essere dispiaciuto, visto che avevo uno zigomo grande come un pompelmo, ma non resistetti e mi misi seduto di fronte a lei.
«Mi dici che hai?» le chiesi cercando di non avere un tono scocciato.
Non ottenni nessuna risposta e cominciai a spazientirmi. Stavo spendendo più energie in un rapporto nato da appena un giorno che in una delle mie solite week-story. Quello fu il momento più  adatto per domandarmi come avrei fatto a resistere per altre 312 ore.
«Senti, so che ieri mi sono comportato malissimo e che se potessi tornare indietro seguirei il tuo consiglio e non ti costringerei a baciarmi».
Cosa? Mi stavo scusando davvero? L’insolazione mi aveva rincoglionito per bene questa volta o, magari, era stato il cazzotto del gigante.
«Ti giuro che non mi è mai successo. Non è mia abitudine comportarmi da.. come dire..» non riuscivo a trovare un sinonimo di ‘maniaco’ e cominciavo a fare la figura del balbuziente.
«Polpo?» se ne uscì lei rialzando lo sguardo e inclinando la testa da un lato, mostrandosi perplessa.
Mi avevano chiamato stronzo, pezzo di merda, una volta perfino ‘frocio’, ma non voglio impantanarmi in quella storia. Certo che ‘Polpo’ non me l’aveva mai detto nessuno.
«Polpo» ripetei trattenendo a stento le risate.
«Sì, polpo» continuò distendendosi anche lei. «Perché ieri era come se avessi avuto otto braccia per quanto mi riguarda».
«Polipo, allora» la corressi sorridendo.
Sole, a quel punto, mi guardò seria e, stranamente, mi sentii come spogliato sotto quel suo sguardo grigio perla.
«Il polipo è la forma non metamorfosata della medusa» spiegò cominciando a fare strani disegni sulla sabbia. Ne uscì fuori una sorta di anemone con i tentacoli che poi, secondo una freccetta disegnata da lei, si trasformava in una medusa.
Di cose strane dette dalle donne ne avevo sentite di tutti i colori, ma era la prima volta che qualcuna mi riprendesse su un tale argomento.
«Che sei, la cugina di Piero Angela?» me ne uscii accorgendomi troppo tardi che sarei potuto risultare irrimediabilmente scortese.
Ma Sole, ancora una volta, mi prese in contropiede, sorridendomi. «No, mi sono laureata in Biologia e voglio prendere la magistrale in Biologia marina» mi confessò lasciando che quel leggero rossore tornasse ad invaderle le guance spruzzate di lentiggini.
Aveva la mia stessa età, allora. Giustamente Sara aveva detto che andavano allo stesso liceo, perciò si poteva benissimo supporre che frequentassero anche lo stesso anno. Quel suo aspetto, però, sin dal principio mi aveva tratto in inganno. Sembrava così maledettamente giovane, quasi una ragazzina. Per di più, il sapere che fosse ancora vergine da un lato mi metteva a disagio perché non ero mai stato con una di loro, ma dall’altro, inaspettatamente, aveva un nonsoché d’intrigante.
«Ah, davvero?» risposi con una voce che mi uscì mezza strozzata. «Io ho finito la triennale di Economia» ridacchiai, cominciando a nuotare nel mio stesso brodo di giuggiole. «Novantatré alla Luiss, niente male. Gliel’ho fatta in barba a quei pulciai maledetti che volevano farmi passare con novanta, alla faccia loro!».
Forse l’ultima frase me la potevo risparmiare, ma ormai ero completamente fomentato e non mi avrebbe più fermato nessuno.
Per un attimo non mi ero accorto di cosa Sole stesse afferrando dalla borsa frigo, ma quando avvertii una sensazione di fresco sollievo capii che la lattina di Coca-cola era ben più efficace se messa sopra uno zigomo gonfio.
«Va meglio?» mi chiese ed io, istintivamente, chiusi gli occhi e mugolai qualcosa di incomprensibile. «Bene, allora ci vediamo in giro» disse e mi lasciò la lattina in mano ) mentre la guardavo allontanarsi, attonito.
«Aspetta!» le urlai dietro con un tono un po’ disperato.
Sole si voltò appena, facendomi un sorriso forzato. «Ti prego, non sono il tipo che stai cercando».
Il tipo che sto cercando? Ma si era bevuta il cervello? Chissà cosa le avevano detto quelle sceme delle sue amiche, riempiendole la testa di cazzate.
«Okay, ieri mi sono comportato come un vero stronzo ma ti chiedo solo un’altra possibilità. Chiunque ha avuto una seconda chance, no? Perfino la Germania nella seconda guerra mondiale! Certo, poi è andata come è andata..» mi stavo ufficialmente impappinando.
«Va bene, ho capito» mi disse portandosi una mano alle labbra e l’altra sulla pancia per trattenersi dal ridere. «Ma che sia l’ultima» aggiunse, tornando seria.
Ero salvo, almeno per adesso.
«Domani c’è una gita al Bosco Umbro, la organizzano quelli dell’animazione» mi propose. «Perché non venite tutti quanti, tu e i tuoi amici?».
L’idea di dover passare ventiquattro ore in compagnia di quella stronza di Sara e quelle iene di Giacomo e Ale mi dava i brividi, ma come avrei potuto rifiutare? Mi ero appena salvato per il rotto della cuffia.. se mi fossi tirato indietro avrei mandato tutto a puttane di nuovo.
«Ottima idea!» dissi fintamente entusiasta. «Ovviamente sono invitate anche le tue, di amiche».
Per un attimo mi parve di vederla impallidire, ma non ne fui tanto sicuro. Quella di domani sarebbe stata una giornata sfiancante, sia fisicamente che mentalmente. Mi sarebbero rimaste meno di ventiquattro ore di vita e, nemmeno in quel frangente di tempo, ero sicuro di arrivare sano e salvo a fine giornata.
Avevo già rimediato un ceffone e un pugno in meno di quarantotto ore, cos’altro mi sarebbe dovuto capitare?

***
Spazietto autrice:
Sono così felice che abbiate risposto al mio appello di 'carenza di recensioni', grazie! Il nostro povero Francesco ne ha passate delle belle in nemmeno ventiquattr'ore, eh? Poveraccio, se non fosse tanto restio a smascherare quella st***za di Sara, potrebbe godersi il resto della vacanza, ma se così non fosse... non ci sarebbe questa storiella! ;)
Vabbuò, ringrazio pubblicamente le mie tre fan che hanno avuto il coraggio di recensirmi: l'immancabile Clithia (ti adoro!), La Viola e babichan1990.
Un bacio anche a chi legge soltanto, grazie!
Marty
 

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Capitolo 4
*** Picchio dorsobianco ***




CAPITOLO 4

  ~Picchio dorsobianco~    
betato da Pepita

Premesso che non è umanamente possibile alzarsi alle sei del mattino, quando persino il sole si è risvegliato da poco, né tantomeno plausibile che un ragazzo di ventitré anni, già al secondo giorno di vacanza si ritrovi con uno zigomo tumefatto, s’infili un paio di pantaloncini scomodi, una T-shirt scolorita, degli scarponcini da trekking di dubbia provenienza e che si carichi sulle spalle il peso di: numero 2 panini al prosciutto, una lattina di Coca-cola e una di birra, una bottiglia d’acqua da un litro e mezzo e una felpa ciancicata, senza che gli venga in mente di lanciare tutto dalla finestra e rotolarsi di nuovo tra le sue morbide e fresche lenzuola, sappiate che il sottoscritto è uomo d’onore e la parola data a Sole è una promessa da mantenere.
Ma questo non era nulla in confronto a ciò che avrei dovuto sopportare quel giorno.
Dopo aver spiegato ai ragazzi la proposta che Sole mi aveva fatto, Stefano per poco non era svenuto mentre mormorii di dissenso si erano levati un po’ da tutte le parti. L’idea di svegliarsi all’alba per camminare sotto il sole cocente di Luglio in una foresta dimenticata da Dio, non allettava proprio nessuno ma il non sapere cosa sarebbe successo tra me e Sole li metteva in una posizione davvero compromettente.
«Potremo infilargli un walkie-talkie nello zaino e sentire quello che si dicono» propose Stefano che fra tutti era quello più terrorizzato all’idea di svegliarsi alle sei del mattino.
«Ma fra il sentire e l’assistere c’è una bella differenza!» si lamentò Ginevra che, come gli altri, ci stava davvero prendendo gusto a fare la spettatrice.
«Facciamo decidere la sorte» propose Ale. «Due di noi vanno e poi riferiscono agli altri».
Mentre loro discutevano su chi di loro fosse più adatto a compiere il ‘sacrificio’ di alzarsi così presto, mi ritrovai veramente a pensare se ci fosse davvero una via di scampo a tutto questo?. Ero ancora in tempo per mollare tutto, per non ingarbugliarmi in una storia che se fosse andata secondo i piani di Sara avrebbe cambiato per sempre la vita di quella povera ragazza. Sarei stato disposto a fare il carnefice?
«O andiamo tutti o non andrà nessuno» s’intromise Sara guardandoli di traverso. «Ci siamo dentro in questa storia, nessuno escluso, perciò non vedo dove sia il problema».
Da questo punto di vista sarebbe stata una ragazza ammirevole. Purtroppo ognuno di noi conosceva il suo lato sadico e mi stupivo ogni giorno di più di quanto potesse essere subdola.
«Ma dove ci dovremmo incontrare?» domandò Stefano, sempre più demoralizzato.
«'Alle sei meno un quarto davanti alla reception'» recitai, leggendo le informazioni del volantino che Sole mi aveva relativo all’escursione.
«Meno un quarto?!?» sbraitò lui. «Non mi sarei alzato così presto nemmeno se uno tsunami avesse minacciato di spazzar via la mia casa!».
«Siamo tutti a conoscenza della tua narcolessia» commentò Giacomo mentre tutti annuivano con la testa.
«Bene, allora è deciso!» esultò Claudia. «Vado a tirare fuori gli shorts e gli scarponcini da trekking».
«Perché, ci vogliono anche delle scarpe speciali per andare in quell’inferno?» borbottò Stefano sempre più scoraggiato.
«Se non vuoi rischiare che qualche viscido animale ti morda le caviglie..» osservò Ginevra rabbrividendo.
Dopo le paranoie che Claudia e Ginevra avevano disseminato in tutta la comitiva, fummo costretti a sborsare 30 euro a cranio per affittare l’attrezzatura da trekking e, come se non bastasse, venni a conoscenza del fatto che il simpatico lottatore di Wrestling, quello che il giorno prima mi aveva quasi mandato all’altro mondo con un pugno, avrebbe accompagnato la guida nell’escursione.
Peggio di così non può andare, pensai.
Quanto mi sbagliavo.
 
***
 
«Non dovete venire per forza» tentai di insistere quando Betta e Sere stavano già mettendo l’occorrente per una scampagnata nei loro zainetti. «Avete sempre detto che semmai fossi voluta andare a fare trekking nel bosco sarei dovuta andare da sola a fare compagnia a quei pidocchiosi animalacci».
Erano le testuali parole che mi avevano ripetuto, quasi fino alla nausea, durante le due settimane che avevano preceduto la vacanza. Da una parte mi sarebbe dispiaciuto andare da sola, senza poter condividere con loro la mia passione per la natura, dall’altra, però, sapendo che anche Francesco e gli altri vi avrebbero partecipato, non ero più tanto dell’idea che quelle due pesti dovessero accompagnarmi.
«È inutile che cerchi di convincerci» mormorò Betta agitando il dito indice davanti alla mia faccia.
«Dove va quel polpo-maniaco andremo anche noi.. per vigilare!» mentre Sere, invece, puntò l’indice e il medio tesi, prima verso i suoi occhi, poi verso i miei con l’intento di dirmi ‘ti tengo d’occhio’.
Oh, Signore.. cosa avevo fatto di male?
«E, poi, come te la caveresti senza di noi? Non hai detto di aver invitato anche quegli strambi individui dei suoi amici?».
Il cipiglio di Betta e Serena era uguale e se una non fosse stata mora e l’altra bionda, avrei anche potuto dire di avere davanti agli occhi due gemelle identiche. Fino all’ultimo avevo sperato in una loro rinuncia, soprattutto per via dell’attrezzatura che avrebbero dovuto noleggiare e che io, preventivamente, mi ero già portata da casa, invece niente! Erano andate entrambe alla reception e avevano prenotato la gita per l’indomani, come se niente fosse.
«Serena, siamo serie. Tu odi profondamente tutto ciò che si muove!» le ricordai alludendo alla sua fobia per insetti e animaletti vari.
Lei sembrò inizialmente perplessa, tant’è che deglutì a fatica, poi sospirò e tornò sicura di sé. «Bel tentativo, cara, ma non posso lasciarti in balia di questa malata mentale» ricominciò riferendosi a Betta.
«Senti, tu!» le rispose l’altra e da lì in poi ci furono solamente dei continui battibecchi su Francesco, su Emanuele e su chi di loro due mi avrebbe fatto da damigella il giorno delle nozze.
Spalancai la portafinestra che dava direttamente sulla spiaggia, inspirando la frescura e l’umidità del mattino della mattina presto, quando non si ode altro che lo sciabordio delle onde. Anche se sapevo di andare in contro a una catastrofe emotiva portandomi dietro quelle due sciagurate, non avrebbero potuto rovinarmi la giornata dopo che era iniziata con quel meraviglioso panorama.
Infilai i piedi nella sabbia ancora fresca della notte rabbrividendo quando un alito di vento mi soffiò sulla pelle nuda del collo, dato che avevo i capelli legati al di sopra della nuca, e sospirai ammirando quella bellezza naturale.
Una volta lessi che la vita più intensa è raccontata in sintesi dal suono più rudimentale: quello dell’onda del mare che da quando si forma muta ad ogni istante, e pensai che quella frase potesse rappresentare quello che sono. Trovavo più affinità con un elemento così distante dalla nostra specie, come il mare, piuttosto che con tutto ciò con cui ero venuta a contatto sin dalla nascita, ossia il genere umano.
Avrei dato ogni cosa per rendere infinito quell’istante, mentre con lo sguardo ero persa nella contemplazione di quell’irreale tranquillità.
«Sono quasi le sei, Sole!» mi urlò dietro Betta. «Non vorrai fare tardi o farci fare tardi..».
Sconsolata, rientrai e raccolsi tutto ciò che mi sarei dovuta portare per fare trekking. Allacciai bene gli scarponcini, tirai i calzettoni fin quasi sotto il ginocchio, mi aggiustai per bene la cintura che teneva su gli shorts e diedi un’ultima occhiata allo specchio lungo della camera.
Questo è il massimo che puoi ottenere, cara, disse la mia coscienza per me.
Ero soltanto al secondo giorno di villeggiatura e mi ero già incasinata in una storia che non aveva nulla di semplice davanti a sé. Più passava il tempo e più mi rendevo conto che quel Francesco stava architettando qualcosa, ma non sapevo ancora di cosa si trattasse.
«Sole, muoviti!» sbraitò Serena, dopodiché chiusi la stanza e ci dirigemmo nella hall dove tutto il gruppo di trekking si sarebbe dovuto riunire per dare il via alla gita a Bosco Umbro.
 
***
 
L’umore generale di quella mattinata era più nero di un caffè espresso. Attorno alle teste dei miei amici si poteva benissimo intravedere un alone scuro di risentimento, a causa dell’alzataccia di quella stessa mattina, mentre Stefano era letteralmente sbracato sul bancone della reception, russando sonoramente e non preoccupandosi affatto di sembrare narcolettico.
Oltre al nostro gruppo e a quello di Sole, che giunse poco dopo il nostro arrivo, c’era una coppietta di anziani, più arzilli di noi che avevamo le occhiaie fino ai piedi, e un signore con i baffi e la barba stile ‘Texas Ranger’, armato di binocolo, macchina fotografica, telecamera, tre-piedi e chi più ne ha più ne metta.
«Bene, ci siamo tutti!».
La guida, una ragazza di circa 25 anni, piccola, bionda e con i codini, piuttosto piacente se vogliamo tenerci nella media, richiamò la nostra attenzione. Non appena, però, vidi arrivare Tarzan dall’altro capo della stanza istintivamente indietreggiai lasciando che Giorgio fosse l’apri fila.
«Sei proprio un cacasotto» ridacchiò lui, notevolmente divertito.
«Vaffanculo» borbottai io tenendomi comunque a debita distanza.
Sole non si era scomposta da quando era arrivata con le sue amiche/guardie del corpo al seguito. Avevo cercato d’incrociare il suo sguardo, almeno per salutarla, ma era intenta a sistemare le impostazioni della sua Canon Reflex 35mm, rivolgendo più attenzione alla sua fotocamera che al sottoscritto.
Quella mattina aveva un nonsoché di Indiana Jones nel modo in cui si era vestita, e il sapere che fosse una biologa m’interessava parecchio. Era la prima volta che incontravo una ragazza che avesse scelto di frequentare una facoltà scientifica che non fosse, necessariamente, medicina. Magari perché alla Luiss non c’erano ragazze del genere, visto che l’università non presenta tali corsi, oppure perché non avevo avuto fortuna in quel senso, ma cambiare mi piaceva, almeno quella tortura sarebbe stata contornata da un pizzico di novità.
«Sono molto contenta che abbiate partecipato in tanti a questa iniziativa che il villaggio ha proposto quest’anno e soprattutto sono lieta di comunicarvi che abbiamo due vip tra di noi» ridacchiò la guidaindicando il baffone e Sole. «Il signor Ramigi è un famoso naturalista, con cattedra alla Sapienza di Roma, mentre la piccola Sole» e in quel preciso istante Sole arrossì, «si è laureata quest’anno in biologia. Spero proprio che ci darete una mano».
Non riuscivo ancora a controllarmi quando vedevo in lei quel genere di reazioni spontanee, mi colpivano come un fulmine a ciel sereno.
«Ora Emanuele vi distribuirà dei fogli con delle immagini delle specie animali e vegetali che potremo incontrare durante la passeggiata nel bosco» annunciò la guida. «Dovrete dividervi in squadre da quattro elementi ciascuna e, una volta arrivati a Bosco Umbro, ci separeremo per dare inizio a questa emozionante caccia al tesoro».
«Cosa si vince se completiamo la scheda?» domandò Sara, mostrando sempre quel suo esagerato spirito di competizione.
La guida rimase interdetta perché, evidentemente, non si aspettava di proporre una ricompensa alla fine dell’escursione; poi, però, sorrise.
«Chi per primo mi porterà delle foto con tutte le specie elencate nella scheda vincerà una cena al ristorante di lusso che si trova a Peschici» rispose radiosa ed elettrizzata.
Una cena? Bel premio.. avrei potuto pagarmela quattro volte senza vincere quella stupida sfida.
«Cosa c’è, figlio di papà?» mi domandò l’energumeno distogliendomi dai miei pensieri. «Stai forse pensando di portare la dolce Sole a cena fuori?».
Cominciavo a non sopportare più quel suo tono di voce ironico e il modo in cui mi gettò la scheda addosso, senza preoccuparsi che i fogli si spargessero a terra, mi irritò ancora di più.
«E se anche fosse?» lo provocai sostenendo il suo sguardo.
La solita maglietta arancione dell’animazione era arrotolata sulle sue possenti spalle mentre l’abbronzatura lo faceva assomigliare ad uno di quei campioni di body building dalla pelle cosparsa di olio abbronzante.
«Credo che tu debba passare sul mio cadavere, bello, perché ho intenzione di vincere io quella cena!».
Pensai che scherzasse, visto che dall’espressione poco sveglia sul suo viso avrei scommesso che non sapesse nemmeno allacciarsi le scarpe da solo, però il bastardo si avvicinò al professore con i baffoni e lo vidi fare una risata sadica in direzione di Sole.
«Allora, le squadre sono le seguenti» disse la guida prima che ci incamminassimo verso le jeep. «Alessandro, Giacomo, Claudia e Ginevra: sarete il team Lince».
A quel punto i gridolini di eccitazione da parte di Claudia e Gin per poco non mandavano in frantumi i vetri della reception.
«La squadra Orchidea sarà composta dal Professor Ramigi, il nostro Emanuele e i signori Dervi».
Ah, ah! Quel Tarzan da strapazzo era capitato insieme a quei vecchiacci che avrebbero di sicuro rallentato la sua corsa per il premio che mi spettava di diritto!
«Il terzo team, quello del Cervo, sarà composto da Stefano, Elisabetta, Serena e me» concluse la guida spuntando i nomi da una lista che teneva in una cartelletta.
Quando realizzai che eravamo rimasti solo in quattro cominciai a gonfiare il petto d’orgoglio, guardando di traverso quello stronzo di Tarzan. Ero capitato con Sole, alla faccia sua!
«L’ultima squadra, quella della Moffetta..».
La moffetta? Ma che razza di animale era la moffetta? Possibile che gli altri avevano avuto nomi virili come ‘Lince’ o ‘Cervo’ e al mio team avevano affibbiato il nome di un animale così stupido?
«..sarà composta da Francesco, Sole, Giorgio e Sara».
Cosa? Avevano sentito bene le mie povere orecchie?
«Saremo nella stessa squadra, tigre» disse Sara passandomi vicino e rifilandomi una pacca sul sedere. «Vediamo di vincere questa cenetta. Non vedo l’ora di vestirmi elegante per te».
Oh Gesù, Giuseppe e Maria! Che cosa avevo fatto di male per incasinarmi così la vita?
«Ohi, amico, sono in squadra con Sara, hai visto?» mi fece notare Giorgio, tutto eccitato.
«Sono felice per te, bello» gli risposi sperando che non avesse assistito alla palpatina che la sua amata Sara aveva riservato per il mio povero sedere.
Tamara, la guida, ci indirizzò verso quattro jeep parcheggiate nel vialetto davanti al villaggio. Sole non aveva detto una parola da quando ci eravamo lasciati il pomeriggio precedente, né per quanto riguardasse la gita, né per la divisione in squadre. Sembrava apatica, quasi assente e distaccata da tutto ciò che la circondava.
Più andavo avanti e più quella ragazza sembrava un grosso, immenso e gigantesco punto interrogativo.
Ci accomodammo sul fuoristrada rosso ma, con immenso dispiacere, scoprii che alla guida c’era quel bastardo di Tarzan.
«Siediti qui, Sole» disse picchiettando con la mano sul sedile accanto al suo. Lei lo guardò e gli sorrise.
«Grazie» e timidamente si sedette al posto del passeggero.
Io finii nel sedile posteriore, nel mezzo fra il mio migliore amico dei tempi del liceo e quella sanguisuga di Sara che, ad ogni occasione, mi infilava una mano in mezzo alle gambe per fare Dio sa che cosa.
«Siamo tutti pronti?» tuonò l’energumeno. «Hai allacciato bene la cintura, principino?» disse rivolgendosi al sottoscritto.
«Fottiti» gli risposi ringhiando e lui, dopo avermi sorriso, schiacciò l’acceleratore talmente forte che sbattei la nuca sul tettuccio della jeep.
Quella giornata era iniziata col piede sbagliato, c’era poco da fare, ma speravo che si sarebbe risollevata col tempo, magari durante quella stupida gara a squadre.
«La moffetta.. ma che cazzo di animale è?» me ne uscii dopo un po’, pensando a voce alta.
Fu a quel punto che Sole si voltò e mi sorrise, dopo quasi ventiquattro ore. «La moffetta è una specie di puzzola, solo che vive negli Stati Uniti e molti la tengono come animale da compagnia» mi spiegò e rividi nei suoi occhi grigi quella luce che scaturiva ogni volta che tentava d’insegnarmi qualcosa.
«Ah..» riuscii soltanto a dire, sorpreso.
«Cosa t’insegnano a scuola, eh, principino? Il Galateo?» ridacchiò Tarzan ed io ebbi tanta voglia di rompergli il naso.
«No, ci insegnano a trovare lavoro a tanti pezzi di merda come te» intervenne Giorgio, in mia difesa.
Lo guardai con ammirazione e ci scambiammo un sonoro cinque. Avere Giorgio dalla mia parte era sicuramente l’arma migliore che potevo usare contro quel bastardo.
 
Arrivammo alla radura di Bosco Umbro verso le nove del mattino. Stefano aveva dormito per tutto il viaggio nella macchina ed ora stava vomitando persino l’anima vicino ad una pietra miliare sul ciglio della strada.
Tamara ci richiamò proprio all’imboccare del sentiero, facendoci le solite raccomandazioni e ricordandoci di tornare esattamente per le cinque di quello stesso pomeriggio.
«Al crepuscolo» ripeté. «Non un minuto oltre perché il parco non è dotato d’illuminazione artificiale e rischierete di perdervi».
Cercai di non pensare alla fine che avremmo potuto fare una volta smarriti nel bosco, ma nella mia mente si proiettarono unicamente le immagini del telefilm Lost.
«Bene, da questo momento diamo inizio alla gara» disse e le rispettive squadre s’incamminarono verso il sentiero prendendo strade diverse.
Dappertutto c’erano alberi, fogliame e terreno bruno ricoperto di foglie e di muschio. In vita mia l’unico bosco che avevo visto era quello attorno alle piste sciistiche di Saint Moritz, perciò mi ritrovai in un mondo completamente nuovo per me.
«Ehi, ragazzi, venite qui» disse Giorgio richiamando la nostra attenzione.
Ci voltammo e lo raggiungemmo, poi lui, con i suoi occhi nocciola pieni di vita, posò una mano aperta davanti a noi.
«Impegniamoci per vincere questa sfida» ci disse. «Al mio tre gridiamo Team Moffetta!».
Quell’idea era tremendamente stupida soprattutto ogni volta che la moffetta, alias puzzola, veniva associata a me. Sole, però, sembrava entusiasta di quella cooperazione perciò, per il bene della scommessa, mi dovetti adeguare.
«Uno, due, tre.. TEAM MOFFETTA!» gridammo in coro, come dei cretini.
«Il primo animale della lista è il picchio dorsobianco o Dendrocopos leucotos» disse Sole cominciando a guardare sui rami più alti.
Camminammo per altri due chilometri, tenendo lo sguardo in alto fino a quando non ci vennero i crampi ai muscoli del collo. Quel maledetto uccellaccio era più introvabile di un ago in un dannatissimo pagliaio.
«Non lo troveremo mai!» si lamentò Giorgio sedendosi su un vecchio tronco marcio.
«Sono le dieci e mezza del mattino e non abbiamo visto altro che tre gechi e quattro scarafaggi» aggiunse Sara, scocciata tanto quanto il resto del gruppo.
Mentre loro due rimanevano indietro a lamentarsi, decisi di seguire Sole per avere un altro momento da soli, lontano dal resto di quei selvaggi. La raggiunsi mentre teneva le braccia abbandonate lungo i fianchi e chiudeva gli occhi.
Mi misi al suo fianco e tentai di instaurare una conversazione sensata con lei, per quanto quella finta-cotta mi potesse permettere.
Deglutii per bene prima di parlare, poi mi feci coraggio. «È proprio bello qui» sospirai dondolandomi avanti e indietro. «Non ero mai stato in un bosco, tu scommetto che ci avrai passato la maggior parte della tua vita».
Nessuna risposta.
Cominciai a sudare freddo e a pensare che si fosse completamente ammattita. Cos’era? Mi stava forse mettendo alla prova? Non ero il tipo da farmi in quattro per una ragazza, soprattutto se si trattava di una Moby.
«Insomma, questo picchio..» continuai, facendo una conversazione con me stesso.
Sole rimaneva immobile, con le braccia lungo i fianchi, gli occhi chiusi e il respiro appena percettibile. La guardai ritrovando le lentiggini color caffè che le ricoprivano le gote mentre il primo sole le aveva fatte arrossare rendendola ancor più bambina. Non sapevo perché quel particolare, mescolato ai suoi improvvisi imbarazzi, mi facesse sentire così maledettamente idiota. Era tutto nuovo per me.
Come il parlare da solo, risultando un perfetto imbecille.
«Beh, io vado da Sara e Giorgio allora..» sospirai, vedendo che le mie parole rimbalzavano contro un muro di assoluto silenzio ma quando feci per andarmene la sua mano s’intrecciò alla mia ed io ritrovai i suoi occhi grigio perla.
«Vieni con me» mi disse ed io mi sentii improvvisamente strano.
«C-che?» balbettai, completamente preso alla sprovvista.
Era rimasta immobile e muta come una statua per tutto il tempo ed ora mi faceva una proposta del genere? Era impazzita forse?
Non rispose alla mia mezza-domanda e si limitò a trascinarmi verso Est, procedendo a passi sicuri mentre io cercavo di non inciampare in ogni rametto che mi si presentava sul cammino. Camminammo per altri cinque metri dopodiché si fermò di nuovo.
«Senti, non so tu che abbia intenzione di fare..» cominciai stupito, credendo di dover arrivare al momento clou troppo presto. Non ero preparato a vedere Moby in tutta la sua impetuosa maestosità.
«Fai silenzio un momento» disse rimproverandomi.
Il suo sguardo era serio e maledettamente sicuro di ciò che stava dicendo. In seguito chiuse gli occhi, di nuovo, e decisi anch’io di imitarla.
Nell’apparente silenzio del Bosco Umbro udii un cinguettio intenso, che non apparteneva di certo,(no virgola) a qualche passerotto di città. Sentii stridere un altro uccello, un rapace, e fui distratto da un fruscio alle mie spalle.
Fra tutti quei suoni che a occhi aperti non mi erano mai parsi così acuti, riuscii a distinguere un picchiettio sul legno e compresi cosa Sole stesse realmente cercando.
«Lo senti, vero?» mi chiese sfiorandomi la mano e riportandomi alla realtà.
«Un picchio..» mormorai incredulo, mentre lei mi sorrise di nuovo.
Era vicino, ora lo sentivo distintamente nel mezzo degli altri rumori e avrei potuto isolarlo per capirne l’origine.
«È lì su» mi fece notare lei, indicando un vecchio faggio quasi cadente.
Ci avvicinammo di qualche passo ) poi Sole imbracciò la sua fotocamera e scattò qualche istantanea con uno zoom di 12x.
«Tieni, prova tu» mi disse cedendomi la sua Reflex.
La afferrai titubante e regolai l’obiettivo in modo che fosse a fuoco, poi lo vidi. Era agganciato al tronco con le zampe mentre picchiava forte con il becco sul legno del faggio. Il suo piumaggio era spettacolare: un mix di nero a striature bianche, rosso sotto la coda, mentre il dorso era completamente bianco.
Sole spuntò soddisfatta il picchio dorsobianco dalla lista delle specie, poi mi guardò fiera.
«Uno in meno. La cena ci aspetta».
Se avessi potuto decidere di scattare un’istantanea della mia vita avrei scelto quel preciso istante, con i raggi del sole di Luglio che filtravano dall’intricato fogliame e si andavano ad infrangere sul viso raggiante di Sole mentre mi sorrideva soddisfatta.
Peccato che la vita non si poteva ridurre a piccole fotografie, anche perché la vacanza era ancora lunga e i problemi erano solo all’inizio.

***

Spazietto autrice:
Ringrazio di tutto cuore le 4 recensioni al precedente capitolo che detiene il record, per ora, e tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite/seguite. Siete il carburante che manda avanti le mie idee, vi ringrazio!!
Baciotti, Marty

Per chi volesse dare un'occhiata al Picchio Dorsobianco, clicchi qui.

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Capitolo 5
*** A distanza di un bacio ***




CAPITOLO 5

  ~A distanza di un bacio~    
betato da Pepita

La caccia al tesoro fu più divertente di quanto mi sarei mai aspettata all’inizio. Francesco ci aveva preso gusto dopo che insieme avevamo scovato il primo animale della lista e ogni volta che incontrava qualcosa che si muovesse appena, mi faceva degli strani cenni per attirare la mia attenzione.

 «È la tana di un tasso» sospirai per la decima volta.
 Ero felice che avesse preso tanto a cuore la sfida ma stava cominciando a diventare davvero snervante stargli dietro. Per ogni nonnulla gridava ‘Sole, Sole! È qui, è qui!’ fino a quando non scoprivamo che si trattava di un semplice gatto selvatico o, addirittura, delle sue stesse impronte lasciate poco prima nel fango.
 Quando facemmo la sosta per il pranzo, però, avevamo totalizzato ben sette specie su un totale di dieci e ci potevamo ritenere più che soddisfatti.
 «Pensate che riusciremo a vincere la sfida?» domandò l’amico di Francesco sedendosi di peso sul suo zaino e trangugiando uno dei panini al tonno.
 «Fertafenfe!» farfugliò Polpo, senza nemmeno finire di masticare il suo panino al prosciutto. «La nosfra Fole è una in gamfa!».
 Sorrisi a mala pena, piuttosto imbarazzata da tutta quella considerazione, soprattutto perché non avrei potuto chiedere di meglio per come si stava evolvendo quella giornata. Prima di partire avevo messo in conto di passare quasi tutte le escursioni in compagnia di me stessa, invece mi ritrovavo insieme a due ragazzi piuttosto carini e ad una tipa all’apparenza un po’ inquietante.
Quella Sara aveva un’aria familiare, ma non ricordavo proprio dove l’avevo vista prima di allora.
 «Allora, Sole, dicci qualcosa di te» se ne uscì Giorgio, facendomi subito avvampare.
 Nonostante cercassi di articolare qualche parola di senso compiuto, il mio sguardo non riusciva ad evitare di scontrarsi con quello di Francescoche sembrava piuttosto interessato a quella domanda.
 «C-cosa devo dire?» balbettai maledicendomi per essere una completa idiota nelle relazioni sociali.
 «Non lo so, potresti raccontarci cosa fai nella vita, quali sono i tuoi interessi..» suggerì sempre Giorgio.
 «..oppure quando deciderai di metterti a dieta» commentò improvvisamente Sara usando un tono ironico ma pur sempre offensivo.
 L’avevo inquadrata bene quella e non mi piaceva affatto. Sin da quando eravamo partiti per Bosco Umbro avevo notato che la sua attenzione non era rivolta ad altri se non a Francesco, come se nutrisse qualcosa per lui. Ovviamente quel suo comportamento mi ferì, ma passò in secondo piano visto che mi ero già messa in guardia su Polpo e su tutta la sua combriccola.
«Falla finita, Sara, e tu smettila con queste domande, Giò. Non siamo mica nell’Inquisizione» lo udii borbottare, rimettendo le cose nello zaino e facendo fagotto.
 «Ehi, amico, che c’è di male se le faccio qualche domanda, sempre che non lei non si offenda» si giustificò quello, non capendo dove il comportamento di Francesco volesse andare a parare.
 C’era una certa complicità fra quei due, perciò dedussi che fossero piuttosto amici ma gli sguardi partecipi che si lanciavano di tanto in tanto, coinvolgendo anche quella Sara, non mi piacquero affatto e mi dissi di stare all’erta.
 «Non mi dispiace rispondere a qualche domanda» sorrisi, cercando di sembrare il più normale possibile.
 «Hai visto?» gli fece Giorgio, con un sorriso a trentadue denti.
 «Hai visto, gne, gne!» e Francesco gli fece il verso, sfottendolo un po’.
 Giorgio rimase sulle sue e arrossì quasi impercettibilmente, ma io, da vera intenditrice, lo scorsi subito.
 «Vado a fare due passi mentre voi due vi scambiate i pettegolezzi come delle comari» borbottò, infilandosi le mani in tasca e incamminandosi verso Ovest.
Lo guardai allontanarsi senza riuscire a deviare lo sguardo dal suo fondoschiena perfetto, fasciato da un paio di pantaloni a tre quarti piuttosto larghi. Non appena mi accorsi dei miei pensieri poco casti, per poco il mio viso non fu arso dalle fiamme e cercai di darmi qualche contegno altrimenti sarei sembrata una perfetta idiota davanti ai suoi amici.
 «Lo accompagno» ci comunicò Sara, alzandosi in piedi e sistemandosi i capelli castani corti e sbarazzini.
 Non potei fare a meno di notare come Giorgio puntasse le sue iridi nocciola verso di lei e mi sembrò lo stesso sguardo venereo e non ricambiato che io stessa avevo sfoderato poco prima con Francesco. Se qualcuno ci avesse osservati da fuori, avrebbe visto due poveracci completamente persi di due persone irraggiungibili per i nostri standard.
 Tutto sommato, Giorgio non era del tutto da buttare via. Non possedeva il sorriso di Francesco, quello era certo, perché senza le fossette nessuno avrebbe mai preso il suo posto, però quegli occhi espressivi e quei capelli neri, piuttosto spettinati, gli davano un’aria serena e piacente e, per certi versi, eravamo più simili di quanto avessi mai potuto pensare.
 
 
***
 
 
«Ehi, vuoi aspettarmi?».
 La voce di Sara alle mie spalle mi tampinava peggio del rumore assordante che faceva il Picchio dorsobianco mentre incideva sul legno dei faggi. Dannazione! A forza di frequentare Sole mi stavo trasformando in uno di quei naturalisti falliti che si vedono su Discovery Channel.
«Che vuoi?» le chiesi esasperato e lei mi guardò sorpresa.
 Non sapevo nemmeno io perché fossi così su di giri, ma quando Giorgio aveva cominciato a riempire Sole di domande era come se qualcosa di sopito si fosse improvvisamente risvegliato dentro di me.
Io non sapevo nulla di lei e non volevo conoscerne niente. Avrei rovinato per sempre la vita di quella ragazza per colpa di Sara e degli altri miei amici ma la cosa che mi faceva veramente incazzare era la consapevolezza che, alla fine di tutto, la colpa sarebbe stata unicamente miae di nessun altro.
 «Volevo soltanto tenerti compagnia» mormorò Sara e mi sorprese vederla, per la prima volta, così vulnerabile.
 Rimasi indeciso sul da farsi per qualche istante, poi continuai a camminare dritto per dritto, senza fermarmi a guardare indietro. Mi serviva un attimo di pausa, un momento per staccare da quella giornata che era iniziata con la finzione e aveva tutte le carte in regola per finire allo stesso modo.
Sentivo i passi di Sara che echeggiavano dietro i miei e mi sentii braccato. In tutta la mia vita non mi ero mai voluto legare a qualcuna proprio per non sentirmi come un animale in gabbia, invece mi ritrovavo invischiato in un rapporto a tre che nemmeno avevo mai desiderato. Da una parte c’era Sole, vittima innocente della mia codardia, e dall’altra c’era Sara, la cui unica colpa era stata quella di invaghirsi del sottoscritto. Cosa avevo fatto di male per meritarmi tutto quello? Era forse la legge del contrappasso? Visto che in tutta la vita non avevo mai avuto un rapporto duraturo ora ne avrei pagato le conseguenze vivendone uno completamente finto?
 «Ti prego, fermati, vorrei parlarti» ci riprovò Sara e quando constatai che eravamo abbastanza lontani da Giorgio e Sole decisi di concederle una possibilità.
 «Parla» la incitai, utilizzando un tono non troppo accondiscendente.
 Sara si avvicinò, forse un po’ troppo, e tentò di stabilire un contatto sfiorandomi la mano. D’istinto indietreggiai ma soltanto in seguito compresi di averla offesa reagendo in quel modo. Cos’altro potevo fare? Mi aveva ingannato e aveva cercato di rovinare la mia amicizia con Giorgio per sempre!
 «Scusa» disse mortificata e cominciò a torturarsi il labbro inferiore.
 «No, scusami tu.. è che sono un po’ sotto pressione in questi giorni» le risposi alludendo, ovviamente, alla scommessa.
 «Stai andando bene, comunque» mi fece notare offrendomi una sorta di tregua.
 «Non certo per merito tuo. Grazie per prima..» sibilai riferendomi al commento poco gradito che aveva rivolto a Sole.
 Il sorriso simile ad un ghigno tornò sul suo volto facendo trasparire anche quel velo di malizia che tentava di tenere inutilmente nascosto dietro un’espressione timida.
 «Mi è sfuggito» si giustificò poi, avvicinandosi. «Devi ammettere che le farebbe bene perdere qualche chiletto, almeno non sembrerebbe la cugina dell’attrice che interpreta Hairspray. Suvvia, non fare quella faccia, lo sappiamo entrambi che se non ti avessi costretto ad accettare quella scommessa non te la saresti cagata di striscio una così..».
 «Sei proprio una stronza» le dissi senza mezzi termini. Non me ne fregava una ceppa offenderla, se lo meritava. In fondo, anche se ciò che aveva detto corrispondeva alla realtà, utilizzava sempre dei termini che mi facevano sentire un vero pezzo di merda e gliela dovevo far pagare in qualche modo.
«Vaffanculo» mi rispose senza abbandonare quel sorriso sadico. Era come se quelle offese che ci scambiavamo fossero una sorta di complimenti per lei, anche perché giurai che mi stesse mangiato con gli occhi in quel momento. «Lo so che lo vuoi anche tu» mi disse leccandosi le labbra. «Non vedi l’ora di farti una sana scopata, ho indovinato?».
 Andava dritta al punto, non c’è che dire. Se si fosse trattata di qualsiasi altra ragazza un pensierino ce l’avrei pure fatto, ma Sara era zona proibita ed era stata soltanto colpa sua se ora mi ritrovavo invischiato in quel casino, perciò dovevo limitare il più possibile i danni collaterali.
 «Non ti avvicinare» le intimai indietreggiando di qualche passo.
 Lei non mi ascoltò affatto e continuò ad avanzare, imperterrita. Avevo il cuore che mi batteva a mille e non per l’attesa di qualcosa che sarebbe potuto succedere tra di noi, ma per il timore di essere visto da Giorgio.
«No, Sara. Ho detto di no!» le urlai spingendola via e facendola barcollare all’indietro.
 Col suo sguardo per poco non m’incenerì ma mi ero sentito in dovere di fare qualcosa, anche se si era trattato di un’azione piuttosto drastica. Eravamo l’uno di fronte all’altra e ci osservavamo come cacciatori in attesa di un passo falso.
«Dove siete, ragazzi?» si udì la voce di Giorgio da lontano.
 Il sudore mi si gelò addosso mentre decisi di tagliare corto con Sara e riprendere da dove avevamo iniziato due giorni prima.
 «Lasciamoci questa storia alle spalle» le dissi sperando non peggiorasse la situazione.
 «Tu pensa a scoparti Moby, io vedrò di saldare il conto» mi ricordò lei ringhiando.
 Dopo pochi minuti vedemmo Sole e Giorgio che spuntavano dagli alberi con i nostri zaini in mano. Tirai un sospiro di sollievo e ringraziai il mio autocontrollo per non aver mandato a farsi fottere tutto ciò per cui avevo lavorato in quelle quarantotto ore.
 «Dove cazzo eravate finiti?» ci domandò Giorgio, lievemente sospettoso.
 «Abbiamo camminato per un po’, poi ci siamo persi» tagliò corto Sara riprendendosi il suo zaino.
 Non seppi se lo fece volontariamente oppure no ma passando accanto a Sole la urtò di proposito, facendola sbilanciare e cadere a terra.
 «Attento a non finire nella voragine creata dal suo culo, stellina» mi suggerì sorridendomi.
 Il suo sorriso diabolico mi fece rabbrividire e non sapevo davvero come Giorgio, un tipo così semplice e solare, potesse provare attrazione per una strega di quel calibro. Vallo a capire!
 «Ti aiuto, vieni» mormorò Giorgio porgendo la mano a Sole e aiutandola ad alzarsi.
Per tutta la durata della scenetta rimasi imbambolato come uno stoccafisso, senza riuscire a muovere un muscolo. Mi ero proprio rincitrullito, dovevo ammetterlo. Non solo avrei dovuto conquistare la fiducia di Sole facendola innamorare di me e portandomela a letto ma, durante tutto questo, dovevo sfuggire alle grinfie di Sara e mentire a più non posso al mio migliore amico. Peggio di così..
 
Erano le quattro e mezza del pomeriggio e alla nostra lista mancava unicamente la specie di Ophrys apulica, un’orchidea lilla che cresceva nel cuore del Bosco Umbro. Ero ad un passo dalla cena che mi ero ripromesso di soffiare a quella specie di bellimbusto tatuato ma dell’orchidea non se ne vedeva nemmeno l’ombra.
 «Stiamo girando a vuoto da ore, non dovremmo tornare indietro?» domandò Sara, esausta.
 «In effetti abbiamo collezionato nove specie su dieci, non è male..» si aggiunse Giorgio.
 Le loro lamentele cominciarono davvero ad infastidirmi, soprattutto perché avevo come l’impressione che se non avessi trovato tutte le specie della scheda avrei perso Sole. La guardai con la coda dell’occhio mentre mi stava di fianco ricontrollando le foto dalla sua Reflex.
 Era ignara di tutto ciò che le accadeva attorno, anche se non ero sicuro che fosse particolarmente in pericolo con quelle specie di amiche che si ritrovava. Sentii come un istinto protettivo nei suoi confronti ma lo repressi subito per non risultare un perfetto imbecille. Da quando era cominciata quella storia mi sentivo sempre più rammollito e non era un bene per la mia immagine.
 Ero pur sempre Francesco Russo, il laureato più sexy della Luiss!
 Se solo i miei compagni di corso mi avessero visto vestito in quella maniera ridicola, accanto ad una ragazza altrettanto ridicola, sarei calato al penultimo posto nella classifica dei fighi ma sarei svettato al primo in quella degli sfigati. Povero me.

 «Secondo la cartina, se ci dirigiamo oltre quel ponte di legno, dovremmo trovare l’orchidea» disse Sole soddisfatta indicando davanti a noi due tronchi traballanti e un paio di assi orizzontali dall’aspetto piuttosto marcio.
 «E quello sarebbe un ponte?» osservò Giorgio. «Non ci reggerà mai tutti quanti».
 «Di sicuro non sopporterà il peso di Moby» ridacchiò Sara.
 «Finiscila!» la ammonii ma Sole aveva sentito tutto.
 Con uno sguardo di sfida si assicurò per bene la Canon e lo zainetto, stringendo le cinghie, e si mise in tasca la cartina. «Io vado» annunciò e salì su una delle travi.
 «No, aspetta!» le dissi preventivamente, ma non perché avessi paura che il suo peso sfondasse le travi. Evidentemente lei lo recepì come un’offesa e proseguì senza ascoltarmi.
«Guarda cosa hai fatto» ringhiai in direzione di Sara e lei, in risposta, mi sorrise angelicamente.
 Senza altra alternativa davanti, mi rimboccai le maniche e montai sopra quel trabiccolo, attraversandolo in precario equilibrio. Mossi appena due passi che le travi si misero a ballare, mentre vedevo Sole, davanti a me, che procedeva con la medesima cautela.
 «Fai attenzione!» le urlai temendo che potesse farsi male.
 «Fatti gli affaracci tuoi» mi rispose voltandosi e facendomi la linguaccia come una bambina di cinque anni.
 Nessuno mi aveva mai fatto la linguaccia.. Sole era davvero una creatura stranissima.
 «Cercate di non cadere» ci suggerì Giorgio ed io, per poco, non tornai indietro per strozzarlo.
 «Grazie, genio!».
 Ci mancavano solo i suoi consigli insulsi per completare questa già disastrosa giornataccia. Ora rischiavo anche la vita, cos’altro mi sarebbe dovuto capitare ancora?
 Poco dopo Sole riuscì a raggiungere l’altra sponda del crepaccio, mentre io accelerai il passo per finire al più presto quella tortura.
 Quando fummo entrambi dall’altra parte ci guardammo indietro e, personalmente, ringraziai tutti i santi in paradiso per avermi fatto attraversare quel ponte completamente incolume.
 «Voi non venite?» domandai più a Giorgio che a Sara.
 «Preferiamo rimanere da questa parte, in salvo!» mi rispose Giorgio sorridendomi e passando un braccio attorno alle spalle di Sara.
 Se soltanto avesse aperto gli occhi e si fosse accorto di quanto quella ragazza potesse essere infima e subdola, a quest’ora si sarebbe gettato dal dirupo pur di non abbracciarla. Poveretto.
 Mi voltai per incontrare lo sguardo di Sole ma accanto a me non c’era nessuno. Girai la testa di qualche grado per vederla incamminarsi, veloce e decisa, più a Nord tenendo la mappa ben salda in entrambe le mani. Quella ragazza mi avrebbe mandato ai matti, lo sapevo!
 «Tornate al più presto, manca poco al crepuscolo» mi ricordò Sara, assicurandosi che non passassi troppo tempo in compagnia di Moby.. ma che premurosa!
 Le feci un cenno con la mano e mi lanciai all’inseguimento di Sole che era partita in quarta ed ebbi come l’impressione che volesse evitarmi a tutti i costi. Che ce l’avesse con me per quell’incomprensione sul peso? Dalle ragazze ci si poteva aspettare di tutto, era meglio non parlare con loro.
 «Ehi, Sole, aspettami!» le urlai dietro sentendo la milza che cominciava a pulsarmi.
Dannazione, ero proprio un rudere! Da quando avevo smesso di giocare a calcio e avevo cominciato a trastullarmi sui libri ogni due passi che facevo in più del normale mi sentivo senza fiato. Invece Sole, per quanto non fosse proprio un grissino, macinava chilometri peggio di un maratoneta!
 Riuscii a raggiungerla per miracolo e le posai una mano sulla spalla, pregandola di fermarsi. Lei si voltò e mi rivolse uno sguardo misto tra un inceneritore e una scarica di fulmini divini. Crollai a terra come un sacco di patate mentre lei continuava a guardarsi intorno per riconoscere il luogo dove avremmo dovuto trovare le orchidee.
 «Sono morto» sospirai senza fiato.
 «I morti non parlano» osservò lei, cinica.
 Mi ero scavato la tomba da solo quel giorno e tutti i progressi che avevo fatto con lei si erano ritirati non appena avevo aperto bocca. Tutta colpa di Sara e della sua linguaccia biforcuta.
 Il profilo di Sole dal basso era niente male. Avevo la vista un po’ annebbiata dal sole e dalla stanchezza, ma dalla cintura degli short panna spuntava fuori una canottierina bianca, molto attillata, con sopra una camicia a scacchi piuttosto larga. Spalmato a terra com’ero notai che solo da quella prospettiva si potevano distinguere bene le sue forme.
Dovevo pensare ad altro oppure mi sarei sentito un tantino pervertito.
 «Da questa parte» disse all’improvviso, distraendomi dai miei pensieri.
 «Dove stai andando?» le chiesi alzandomi a fatica e continuando la maratona.
Ovviamente non mi rispose e continuò a camminare spiaccicando la faccia su quella stramaledetta cartina. Avrei voluto strappargliela di mano e costringerla a guardarmi, ma m’infilai le mani in tasca e continuai a seguirla, muto come un pesce.
 Erano le 16.45 ormai, non saremmo mai riusciti a tornare in tempo per concludere la gara. L’immagine di Tarzan che riceveva in premio la cena a Peschici mi faceva ribollire il sangue nelle vene, soprattutto sapendo che avrebbe invitato Sole con lui. Avrei dovuto vincere io quella stramaledettissima sfida! Cazzo.. quel bastardo avrebbe mandato tutto a monte.
 «Senti, Sole.. non vorrei metterti fretta ma..» a quel punto si girò e mi zittì, posandomi una mano sulla bocca.
I suoi occhi grigi erano uno specchio lucente dove potevo vedervi riflessa l’emozione di quel momento. Le lentiggini risplendevano su quella pelle color caramello, mentre la mia mente non riusciva a mettere un pensiero lucido dietro l’altro.
 Spostò la testa leggermente, indicandomi una radura poco distante da noi, e seguendo le sue indicazioni mi ritrovai faccia a faccia con un cervo, o almeno era quello che credevo. Brucava l’erbetta attorno a dei fiori bellissimi, dal color lavanda, che riconobbi come le orchidee che tanto cercavamo. Sembrava non essersi affatto accorto della nostra presenza e continuava beato senza interrompere il suo rituale.
 Sole lo guardava rapita, come mai avesse visto una creatura tanto bella in tutta la sua vita. Quell’emozione, quel rispetto e quel trasporto che ogni volta vedevo riflesso nei suoi occhi era così raro da trovare in una persona e significava soltanto una cosa: passione.
 «Fai piano» mi disse lasciandomi andare e imbracciando la macchina fotografica.
 Obbedii senza soprattutto perché in quel silenzio irreale che si era creato il cervo sembrava una figura eterea, apparsa ai nostri occhi per puro caso. Mi limitai a seguirla e a guardarmi intorno, avvertendo come la sensazione che quello non fosse altro che un preludio di un brutto presagio.
 
 
***
 
 
Eccolo, davanti ai miei occhi. Lo avevo studiato per anni sui libri, sentendo le più svariate leggende sulla sua origine e sulla sua rarità, ma non avevo mai avuto occasione di vederne uno allo stato brado.
Il capriolo garganico si nutriva dei germogli delle orchidee, alzando di tanto in tanto la testa e muovendo le orecchie in direzione di qualche rumore che avrebbe potuto metterlo in guardia. Sapevo che quella specie era in grave pericolo di estinzione per via della riduzione del loro habitat e del bracconaggio e, infatti, non avrei mai sperato di vederne uno dal vivo.. invece era lì, davanti ai miei occhi.
Era un maschio, lo potevo riconoscere dai palchi che spuntavano sopra la sua testa, quasi del tutto privi di quella cuticola pelosa che ne contraddistingue l’inizio della stagione degli amori e del combattimento. Gli occhi neri guizzavano irrequieti, guidati dal movimento delle lunghe orecchie che percepivano anche il minimo movimento all’interno della foresta di agrifogli e il muso, bianco e nero, veniva inumidito saltuariamente dalla lingua rosa che piluccava delle ghiande o le prime castagne della stagione dal terreno.
Francesco era al mio fianco mentre mi preparavo a scattare un’istantanea che non avrebbe mai reso quello che stavo provando in quel preciso istante. Imbracciai la Reflex, aggiustai l’obiettivo e misi a fuoco la figura, sostando qualche istante sul pulsante dello scatto. Non sapevo cosa stessi aspettando, magari il momento in cui i suoi occhi avrebbero incontrato i miei, ma non potevo mandare a monte tutto.
 Mentre ero sovraffollata da tutti quegli inutili pensieri, il capriolo si voltò e ci vide cominciando ad indietreggiare spaventato.
«No..» sospirai amareggiata, capendo che l’occasione di immortalarlo mi stava sfuggendo dalle mani, poi vidi Francesco che si avvicinava e sapevo che avrebbe mandato all’aria tutto quanto.
 Già m’immaginavo il capriolo che fuggiva terrorizzato sulle sue esili zampe posteriori e la mia stupidità che mi aveva indotta a temporeggiare, invece di agire immediatamente, quando rimasi sorpresa da ciò che Francesco teneva in mano.
 Un mazzo di quelle che sembravano cime di carpini o di pruni, non ne ero tanto sicura, che aveva strappato da chissà dove e il capriolo, prima spaventato, tentava di raccogliere le ultime dosi di coraggio per avvicinarsi e assaggiare quella prelibatezza.

 Diedi un’occhiata alla scheda e vidi che il capriolo garganico era proprio ghiotto di quelle piante, ma per lui erano quasi sempre difficili da raggiungere. Per una volta Francesco aveva avuto un’idea geniale e mi sentii particolarmente idiota a non averci pensato io stessa.
 Imbracciai nuovamente la Reflex e stavolta ero più che decisa ad immortalare il capriolo, con o senza Francesco nell’inquadratura. Mosse qualche passo in avanti, aspettando che il cervide facesse altrettanto, fino a quando la lingua dell’animale non strappò via qualche foglia di quella ghiottoneria.
 Non appena Francesco realizzò di essere a così pochi passi da quell’animale così raro e allo stesso tempo meraviglioso, si girò verso di me e mi sorrise, mozzandomi il respiro. Rividi quelle fossette e quei suoi occhi azzurri come il mare dopo la tempesta attraverso l’occhio della fotocamera, e cliccai senza accorgermi veramente di cosa la mia fotografia avrebbe ritratto. Poco m’importava in quel frangente, nulla avrebbe catturato di più la mia attenzione.
 Sentii il mio cuore cominciare a pompare più sangue del previsto e le mie guance arrossarsi all’improvviso. Ero proprio una sciocca a provare certi sentimenti per uno che mi avrebbe usata soltanto per quella vacanza e mi avrebbe scaricata dopo nemmeno essere partiti per il ritorno.
Sole, ti innamori troppo facilmente.
 La voce della mia coscienza era stata chiara, così come lo erano le mie innumerevoli cotte che avevano popolato tutta la mia vita, dall’infanzia fino ad oggi. Avevo avuto qualche flirt, questo era logico, ma non mi ero mai innamorata veramente perché non ce n’era stata occasione. Mi ritrovavo ancora a credere, all’età di ventitré anni, che un qualsiasi batticuore potesse significare l’arrivo del principe azzurro e invece si trattava di una semplice tachicardia.
«Sole, dai, avvicinati» mi sussurrò lui quando ancora il capriolo mangiava i germogli.
Come quando lo avevo conosciuto, al ristorante dell’albergo, mi porse una delle sue grandi mani e attese che io la stringessi senza fiatare. Non capiva che con quelle sue gentilezze e con quei suoi comportamenti ambigui mi avrebbe mandato fuori di testa? Anche se era bello da mozzare il fiato, per non parlare delle sue spalle larghe e della sua vita sottile, quello che mi mandava letteralmente in fiamme erano quei suoi gesti innati e spontanei.
 Deglutendo a fatica e cercando di abbassare di almeno dieci gradi la temperatura del mio corpo, gli presi la mano e annullai la distanza dal capriolo garganico che ora ci fissava entrambi, continuando a masticare.
 «È bellissimo» sospirai incredula. Avrei voluto allungare una mano per accarezzarlo e per concretizzare quella che sembrava ancora una semplice visione, eppure avevo paura di rovinare tutto quanto.
 «Guarda, sta perdendo un corno» mi fece notare lui indicando uno dei palchi che si stava staccando.
 «Non sono corna» gli spiegai non riuscendo a trattenere la mia voglia di condividere il mio mondo con lui. «Sono soltanto escrescenze ossee ricoperte da velluto e sono presenti solamente durante la stagione dell’accoppiamento per poi essere riassorbite. Infatti, si sta riassorbendo» gli feci notare.
«Allora è un unicorno» scherzò lui, prendendomi di sorpresa, come faceva sempre.
 
 
Ma l’unicorno è una menzogna?
 È un animale dolcissimo e altamente simbolico.
 Figura di Cristo e della sua castità,
esso può essere catturato solo ponendo una vergine nel bosco,
 in modo che l’animale, sentendone l’odore castissimo,
 vada ad adagiarle il capo in grembo
 offrendosi preda ai cacciatori.
 
Non è detto che non esista,
 forse è diverso da come lo rappresentano i libri.
 [Il nome della rosa, U. Eco]
 
 
Un unicorno.. una vergine in un bosco..
Cominciai ad arrossire violentemente e cercai di fare di tutto per nascondermi all’occhio curioso e indagatore di Francesco. Come avrei potuto spiegargli che credevo in quelle assurdità? L’unicorno era una creatura fantastica, bianca e pura, e noi ci trovavamo di fronte ad un capriolo garganico che stava perdendo un corno.. era solo una pura coincidenza.
«Non dici niente?» mi esortò lui, sorridendomi ancora.
Cosa dovevo dire? Cosa avrei dovuto fare, in realtà? Mi sentivo talmente confusa e scombussolata in quella vasta marea di emozioni che parevo un’incapace.
 Ma quando pensavo di aver finalmente stabilizzato i battiti accelerati del mio cuore, avvenne l’inevitabile. Non sapevo se fosse premeditato o accadde tutto a causa di quel capriolo.
 Francesco allungò la mano per togliermi una foglia secca dai capelli e gettarla a terra, ma d’improvviso il suo sorriso si spense. Con il pollice sospeso a mezz’aria cominciò ad accarezzarmi il viso mentre riuscivo a mala pena a respirare. I miei occhi erano sbarrati, un po’ per la paura di ciò che sarebbe accaduto e un po’ per la mia incapacità di reagire.
 Già una volta aveva provato a baciarmi, in mezzo alla pista da ballo, ma adesso era diverso. Eravamo soltanto io e lui, senza nessun’altro. Quel silenzio era così inquietante e, allo stesso tempo, meraviglioso.
 La mano si aprì a coppa e continuò ad esplorare il mio viso. L’indice si soffermò sulle lentiggini, cerchiandone una per una e non riuscii a fare a meno di arrossire. Avevo notato un cambiamento nel suo sguardo ogni volta che mi lasciavo trasportare dal mio imbarazzo, come se fosse sorpreso da quelle mie reazioni alle sue carezze. Forse non era quel donnaiolo che tanto voleva far credere.
 Ebbi poco tempo per soffermarmi su quei pensieri perché il suo pollice scese in basso sino alle mie labbra, screpolate dal sole. Le sfiorò, provocandomi una scia di brividi intensi, e le dischiuse mentre io gli lasciai fare tutto ciò che voleva.
 Ero come una bambola nelle sue mani in quel momento, senza cervello né muscoli per reagire. Quei suoi occhi verde-acqua avevano indotto i miei neuroni ad appendere un cartello con su scritto ‘torno subito’ dietro la mia nuca ed ora mi sentivo in balia di quelle mani grandi e dolcissime.
 Francesco lasciò cadere i germogli a terra, mentre il capriolo concludeva il suo pasto guardandoci sospettoso. Con una mano mi avvicinò a sé, carezzandomi la schiena, mentre con l’altra non la smetteva di giocare prima col mio labbro inferiore, poi con quello superiore, in un esplorazione dannatamente erotica.
Gli avrei volentieri urlato ‘baciami, imbecille’, altrimenti rischiavo di sciogliermi come neve al sole, ma allo stesso tempo ero terrorizzata da cosa quel bacio avrebbe potuto significare. L’ultimo che avevo dato, ad un mio compagno di classe, si era rivelata una burla architettata soltanto per ferirmi ed io non avevo la forza per ricaderci un’altra volta. Betta e Sere, da allora, erano diventate iperprotettive con me ma ora mi trovavo a chilometri di distanza da loro, senza nessuno che potesse fermarmi.

 Francesco mi spostò un riccio ribelle che si era impossessato del mio viso e, come in una scena al rallenty, chiuse gli occhi umettandosi le labbra, pronto per fare ciò che sarebbe dovuto succedere la prima sera. Avrei dovuto attendere il momento, isolarmi dal resto del mondo e godermi il mio principe azzurro ma non ci riuscii. Ero completamente pietrificata dalla scarica di emozioni che stavo provando, senza riuscire a dare un senso a tutto ciò.
 Provavo eccitazione, paura, ansia.. tutte emozioni che si annullavano fra di loro, lasciandomi come vuota.
 Al diavolo tutto! Pensai all’improvviso e chiusi gli occhi, attendendo il momento fatidico. Non m’importava più niente, ormai, e per una volta mi sarei lasciata andare senza dar troppo peso a tutti gli ammonimenti che, sia mia madre che le mie due migliori amiche, mi avevano dispensato in quei giorni.
Eravamo a pochi centimetri l’uno dall’altro, potevo sentire i suoi sospiri aleggiare sulle mie labbra e i brividi intensi che le sue mani lasciavano sulla mia pelle. Oh Signore.. non mi sentivo così da.. da mai, in verità.
 Anche se sapevo che Francesco aveva avuto chissà quante ragazze nella sua vita, non m’importava. Mi sentivo una scema a credere di essere speciale per lui, magari perché per me era quasi tutto nuovo, ma non aveva idea che la sottoscritta era ancora inesperta in tutto ciò che riguardasse il sesso. Ancora arrossivo come una scolaretta, porca miseria!
 Il momento tanto atteso stava arrivando, perciò decisi di spegnere il cervello per qualche secondo e godermi Francesco in tutta la sua passionalità.
Senza rendermene conto, però, aprii un occhio e guardai il capriolo. Le sue orecchie erano tese e il suo sguardo puntava ad Est, mentre le sue zampe fremevano agitate. Aveva sentito un rumore.. c’era qualcosa oltre quegli alberi.
 Fu una questione di un attimo, ma a me parve eterno.
 Il rombo di uno sparo risuonò per tutta la radura, facendo fuggire il capriolo terrorizzato e spaventando anche me.
 «I bracconieri!» gridai mentre Francesco mi stringeva al suo petto nel tentativo di proteggermi da qualcosa che nemmeno riuscivamo a vedere.
 A quel punto ci gettammo a terra e cominciammo a strisciare sul terreno, cercando di ritornare indietro e attraversare quella specie di ponte traballante. Quella non era stagione di caccia e chiunque si fosse nascosto tra gli alberi avrebbe dovuto sapere che cacciare un capriolo garganico era reato.
Quando fummo sufficientemente lontani, mi alzai in piedi e cominciai a correre ritrovando poco dopo la strada per il ponte. Alzai gli occhi al cielo e mi resi conto troppo tardi che il sole stava calando e che non avremmo mai trovato la strada del ritorno col buio.
«Dobbiamo fare in fretta!» dissi pensierosa rivolgendomi a Francesco, ma dietro di me non c’era nessuno.
Preoccupata, tornai sui miei passi e feci il percorso all’indietro.
Superai un faggio e vi trovai adagiato sul tronco Francesco che si teneva un fazzoletto premuto sulla gamba. Il mio cuore mancò di un battito quando vidi tutto quel sangue che aveva insozzato i suoi pantaloni color cachi e mi precipitai in ginocchio, accanto a lui.
 «Mi hanno preso, quegli stronzi. Non hanno nemmeno una cazzo di mira decente!» si lamentò, stringendo i denti.
 Premetto che avendo fatto anatomia comparata ero abituata a vedere un bel po’ di sangue, ma quando spostai il fazzoletto che aveva usato come tampone per poco non svenni. Fortunatamente i neuroni che prima mi avevano abbandonata erano tornati con largo anticipo e mi aiutarono a mantenere il sangue freddo.
 Okay, Sole, ricordati le puntate di Grey’s Anatomy e non fare la fifona, non è il momento!
 Mi tolsi lo zaino e afferrai la bottiglia d’acqua svitandone il tappo con mani tremanti. La svuotai del tutto sulla ferita, vedendo finalmente l’entità del danno.
 Non c’era foro d’entrata, ma solo un lungo taglio piuttosto profondo, non troppo grave. Non avevano reciso l’arteria femorale, grazie a Dio.
 «Tranquillo, ti hanno preso di striscio» gli dissi e lui mi guardava come se non mi avesse mai vista prima di allora.
 Quell’avventura sarebbe rimasta impressa nella nostra mente come marchiata a fuoco ed era la prima volta che un quasi-bacio si fosse trasformato in una quasi-tragedia.
 
 
***
 
 
Senza tanti complimenti, Sole strappò i miei pantaloncini fino a raggiungere il taglio che si era nuovamente riempito di sangue. Sulle prime mi era sembrata terrorizzata da quello che mi era successo, ma le erano bastati pochi secondi per riacquistare una certa calma.
 La ferita mi pulsava e mi faceva un male cane, ma tentai di non lamentarmi troppo per non sembrare una dannata checca.
«Hai dell’acqua?» mi chiese lei, asciugandosi il sudore sulla fronte e spargendo un po’ del mio sangue sulla sua pelle color caramello.
 Mi tolsi lo zaino e tirai fuori la bottiglia da un litro e mezzo, piena per metà. Lei l’afferrò con foga e ne versò una parte sulla ferita.
«Sopravvivrò?» le chiesi scherzando ma lei, per poco, non m’incenerì con lo sguardo.
 «Smettila di dire cazzate e tampona qui» mi ordinò, poi si tolse la camicetta a scacchi e rimase soltanto con quella misera canottierina bianca che tanto aveva alimentato le mie fantasie.
 Sapevo che non era il momento giusto per avere quel genere di pensieri, ma quella sua pelle leggermente scura, in contrasto con il panna della T-shirt, mi fece venire una voglia di assaggiarla e feci fatica a reprimere i miei istinti primordiali.
Sole, dal canto suo, non si accorse minimamente di quel mio sguardo famelico e cominciò a fare a brandelli quell’indumento a scacchi legandone una parte all’inizio della mia coscia.
 «È troppo stretto!» mi lamentai.
 Il suo sguardo grigio-perla ora era un pozzo di petrolio, tanto che non aggiunsi nemmeno una parola.
 «Devo fermare l’emorragia in qualche modo, no? Almeno ho il tempo per vedere se posso fare qualcosa per rimediare al danno» rispose togliendosi un altro ciuffo di capelli e insozzandosi nuovamente il viso.
 Dopo poco il sangue cominciò a diminuire e potei vedere la ferita che qualche stronzo mi aveva inferto, credendomi un capriolo. Ciecati del cazzo!
 «Non serve ricucirla» disse sollevata. «Ora te la fascio stretta e poi dobbiamo letteralmente correre al punto di raccolta così potrai andare a farti curare al centro medico del villaggio».
 Annuii senza nemmeno aver capito cosa avesse appena detto, poi si chinò nuovamente e passò un altro lembo della sua camicia, ormai lacerata, sulla mia ferita. La fasciatura venne piuttosto bene e il sangue smise di uscire copiosamente. Avevo il pantalone strappato fino all’inguine, ma poco importava.
 Sole si alzò in piedi e mi aiutò, caricandosi anche il peso del mio zaino sulle sue spalle. Prese le ultime gocce d’acqua e si ripulì le mani, completamente rosse, ma rimase tutto pressoché uguale a prima. Notai che le tremavano e che anche lei era piuttosto scossa da tutto l’accaduto.
 Qualche minuto fa ero sul punto di baciarla ed ora si ritrovava sporca di sangue quasi fino ai gomiti. Era evidente che Qualcuno lassù ce l’avesse col sottoscritto e stava utilizzando tutti i metodi a sua disposizione per farmelo capire. Certo avrei preferito un fulmine che mi avesse sfiorato oppure un qualche segno celeste, ma addirittura farmi sparare? Stava esagerando..
 «Ce la fai a camminare?» mi chiese Sole con il viso più sporco delle sue stesse mani.
 Mossi qualche passo ma per poco non caddi a terra, così fui costretto ad appoggiarmi a lei. Insieme percorremmo il più velocemente possibile la strada per il ritorno fino a quando non arrivammo al ponticello.
 Quelle teste di cavolo di Sara e Giorgio non c’erano. Evidentemente avevano pensato bene di tornarsene al punto di raccolta ed ora ci ritrovavamo soltanto io e Sole, con il buio che avanzava alle nostre spalle e cinque chilometri da percorrere nel minor tempo possibile.
 «Chiama la guida con il cellulare» suggerii a Sole e lei lo afferrò, sempre con mani tremanti, ma imprecò quando si accorse che non c’era campo.
 «Cazzo, peggio di così non può andare!» ringhiò, poi continuò a camminare.
 Ormai eravamo spacciati, ne ero più che sicuro. L’oscurità prendeva lentamente il posto del giorno, amalgamando il terreno in una miriade di ombre indistinguibili che rischiavano di farci inciampare.
 Senza fermarsi, con una forza degna di una leonessa, Sole estrasse una torcia dalla tasca e continuò ad avanzare.
L’orologio segnava le 18.15 e ormai era tutto buio.
 Feci qualche altro passo ma misi il piede in fallo e ruzzolai per terra, trascinandomi dietro anche la povera Sole. Rotolammo per qualche metro fino a che non ci ritrovammo l’uno vicino all’altra, con lo sguardo rivolto ad un cielo quasi stellato.
 «È finita» sospirai credendo di morire assiderato o, almeno, dissanguato.
 «Vaffanculo!» mi rispose assestandomi un calcio nel costato. «È finita solo quando noi decidiamo che lo sia».
 A quel punto si rialzò in piedi, mossa dalla forza di volontà di dieci uomini, e si caricò nuovamente i due zaini sulle spalle aiutandomi ad alzarmi. Anche nella semi oscurità della torcia riuscivo a scorgere i suoi occhi grigi attraversati da una grande determinazione, ma invasi anche dalla paura.
Non voleva ammetterlo ma era addirittura più terrorizzata di me nel constatare che ci fossimo persi nel bosco. Il suo comportamento era ammirevole e non avevo mai incontrato una persona con la sua fermezza. Sole non si sarebbe arresa per niente al mondo.
 Facemmo qualche altro passo ma poco dopo crollammo nuovamente a terra, completamente svuotati delle nostre energie. Mi trascinai fino al tronco di un albero, dove anche Sole si era accasciata, e le passai un braccio attorno alle spalle.
 Con la torcia puntata su di noi presi l’ultimo goccio d’acqua e cominciai a lavarle il viso dal mio stesso sangue, mentre lei chiuse gli occhi e posò il viso sulla mia spalla.
Condividere lo stesso destino unisce profondamente due persone ben più a fondo che nell’anima. In quel momento mi sentii legato a Sole da un doppio filo mentre lei si accoccolava contro il mio corpo e la torcia cominciava a lampeggiare segnalando che si stava esaurendo. Non avrei mai creduto di potermi smarrire in un bosco un giorno, che la mia vita finisse così miseramente, ma in quel preciso istante desiderai con tutto me stesso che qualcuno giungesse, almeno per salvare lei.
 Sole non aveva condiviso nulla con me, né un bacio, né un segreto, ma sentivo che non avrei mai più potuto lasciarla andare dopo quello che ci era successo.
 Ormai stavo perdendo i sensi ma non volevo lasciarla da sola. In lontananza udii delle voci soffuse e delle luci che parevano fantasmi nell’oscurità, poi il resto fu soltanto buio.


Spazietto autrice:
Volevo solo comunicarvi che siamo arrivati a ben 202 visite! (vi adoro *-*), ma ancora a solo 4 commentini.. sigh! Vabbè, accontentiamoci. Non riuscivo davvero a vedere la fine di questo capitolo per quanto mi aveva coinvolta emotivamente... Sole e Frà c'erano quasi, eh? Poveraccio, Francesco mi fa una pena... gli sto facendo capitare i peggio incidenti, se prendesse vita mi ucciderebbe! Uhuh...
Ringrazio sempre chi mi ha commentato: l'insostituibile Clithia, poi Caline, Nes_sie e Elly4ever e le 18 persone che seguono la mia storia. Ringrazio inoltre i lettori silenziosi!
Bacini, Marty

Per chi volesse dare un'occhiata al rarissimo Capriolo garganico, clicchi qui. E per chi invece volesse spoiler, foto e tanto altro ancora sui protagonisti di questa storia, può aggiungermi tramite facebook (contatto: IoNarrante Efp).

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Capitolo 6
*** 06. Meglio non averla, una coscienza ***


Salve! Eccomi con un nuovissimo chappy di 'Tutto per una scommessa' e vi anticipo che la storia comincerà a farsi più piccante d'ora in poi.. uhuh.. vi lascio alla lettura!


Capitolo sei
Meglio non averla, una coscienza

Mi risvegliai nel mio letto, il mattino dopo, completamente frastornato e con un immenso mal di testa. La luce del sole filtrava attraverso le tende della stanza e non appena mossi un braccio compresi di essere sudato fradicio. Quella camera era un forno e facevo fatica a respirare.
Mi guardai intorno e apparentemente non c’era nessuno, ma non appena abbassai lo sguardo trovai Sole addormentata su una sedia, con il capo abbandonato sul mio letto. Sembrava esausta, forse più di me, perciò decisi di non svegliarla. Cercai di muovermi il più lentamente possibile, fino a quando non notai la fasciatura bianca che mi avvolgeva la coscia, ancora lievemente macchiata di sangue. Tutto quello che avevamo passato nel bosco cominciò a scorrere davanti ai miei occhi come a rallentatore, facendomi rabbrividire. Prima c’era stato il capriolo, poi il bacio mancato, dopodiché il dolore e la corsa per non rimanere al buio nella foresta.. infine riuscii solamente a ricordare delle luci nell’oscurità e nient’altro.
Qualcuno doveva averci trovati ed erano riusciti a riportarci al villaggio per fortuna. Mi tornò alla mente il viso di Sole e le sue mani sporche del mio sangue. Adesso giaceva vicino a me e sul suo viso non sembrava esserci rimasto nulla di quella terribile esperienza, nemmeno il minimo accenno d’inquietudine.
Ne approfittai per scostarle una ciocca di capelli davanti al viso e riscoprire quelle sue lentiggini color caffè, mentre dalle sue labbra dischiuse usciva un sospiro appena percettibile. Mi aveva salvato la vita in quel bosco e mi sentii inaspettatamente riconoscente nei suoi confronti.
Come un fulmine a ciel sereno, il bacio che ci eravamo quasi dati tornò a tormentarmi, accompagnato dall’egoistico pensiero che se quei bracconieri bastardi non avessero preso me di mira, invece del cervo, avrei potuto sfiorare quelle morbide labbra che ora non riuscivo a smettere di fissare.
Niente di quel giorno era stato premeditato. Tutto era successo per puro caso.
Quando l’avevo vista lì, a pochi passi da me, mentre guardava rapita quella creatura che mangiava direttamente dalle mie mani, era scattato qualcosa che mi aveva impedito di pensare lucidamente. In quel preciso istante, Sole mi era apparsa irrimediabilmente stupenda.
Lei non aveva fatto nulla per esserlo. Non si era truccata, non aveva indossato un bell’abito e non si era nemmeno sciolta i capelli. Era rimasta semplicemente sé stessa.. e allora com’era stato possibile?
Sei tu che la guardi con occhi diversi, ora.
Quel pensiero sfuggì incontrollato dalla mia mente e mi colpì diretto al cuore. Avrei tanto voluto non averla, una coscienza, sarebbe stato tutto più semplice, e invece era lì, pronta a punzecchiarmi con le sue osservazioni argute che io non volevo ascoltare.
Decisi che gli antibiotici con cui mi avevano imbottito stavano facendo sfarfallare il mio cervello, visto i segnali imbecilli che continuava ad inviarmi, ma non potei fare a meno di credere che un fondo di verità, quei pensieri, l’avessero in qualche modo.
Dovevo fare qualcosa, vedere gente e ristabilirmi, altrimenti avrei avuto un esaurimento nervoso già al terzo giorno di vacanza, e non mi pareva proprio il caso. Mi alzai dal letto, deciso a recarmi in bagno per darmi una bella svegliata con dell’acqua gelida, ma non appena mossi i primi passi mi resi conto che la gamba ferita non rispondeva affatto ai miei voleri. Era come se fosse addormentata.. quasi anestetizzata.
Non feci in tempo ad elaborare quei pensieri che misi il piede in fallo e caddi a terra come la proverbiale ‘pera cotta’, facendo un rumore sordo che svegliò la povera Sole dallo spavento.
«Dio, che dolore!» mi lagnai, con la faccia completamente spiaccicata sul cotto.
«Oddio!» sussultò Sole, guardandosi intorno terrorizzata, poi però, non appena inquadrò la mia figura spalmata sul pavimento, non riuscì a trattenere un sorriso.
Com’è bella quando sorride.. BASTA! Piantala di ragionare con gli ormoni e datti una svegliata!
«Brava, brava, continua a ridacchiare mentre il povero ferito si dimena tentando di rialzarsi a fatica» le feci notare indignato.
Dovevo cercare di smetterla di fare quel genere di pensieri, soprattutto su Sole, dannazione! Lei era parte della scommessa, nient’altro. Se avessi dovuto provare una qualche attrazione fisica per qualcuna, perché non poteva essere una semplice animatrice bona?
«Perdonami» disse ridacchiando e accucciandosi per aiutarmi. «È solo che eri così buffo e non sono riuscita a trattenermi..».
Bene, ero diventato perfino lo zimbello di Moby. Non poteva andare peggio di così..
Mi afferrò per un braccio, passandoselo attorno alle spalle, poi ci tirammo su con un grande sforzo e fummo in piedi. La gamba era del tutto assente, ma un leggero formicolio mi suggerì che l’anestesia stava per finire. Purtroppo dovevo ancora appoggiarmi quasi del tutto a Sole e i nostri corpi erano dannatamente vicini, tanto che il profumo di caramello che emanava la sua pelle mi ottenebrò la mente come dopo una sbronza.
«Dannati bracconieri del cazzo..» imprecai, più per quella incresciosa situazione in cui ero capitato con Sole che per lo sparo in sé. Stavo pericolosamente facendo un salto nel vuoto con lei e dovevo redimermi prima di rimanere invischiato in una rete che non si sarebbe più districata.
È solo attrazione fisica, nient’altro, mi dissi, autoconvincendomi. È semplice, Francesco, visto che ti dovevi laureare, hai tralasciato un po’ troppo i tuoi rapporti con l’altro sesso e adesso ne risenti perché sei in forte astinenza, tutto qui!
I miei dialoghi con me stesso erano piuttosto frequenti, soprattutto quando dovevo tirarmi fuori da situazioni spinose come quella.
«Come ti senti, gamba a parte?» mi domandò lei, maledettamente premurosa.
Cercai di non guardarla in faccia, almeno per togliermi dalla testa quei dannati particolari del suo viso che mandavano il mio cervello direttamente in vacanza, ma fu un’impresa titanica riuscire nel mio intento.
«Sto benissimo» le risposi, forse un po’ brusco. Dovevo trovare un modo per interrompere quella situazione e rimanere qualche ora per conto mio, a pensare.
Non appena fummo abbastanza vicino al letto, mi staccai da lei per fiondarmi di peso sul materasso e sdraiarmi alla bell’è meglio, come potevo. Evitai il suo sguardo, ma tanto sapevo che c’era solamente un’espressione confusa dipinta sul suo viso e mi sarei sentito ulteriormente in colpa se avessi incrociato il suo sguardo. 
Ero troppo frastornato per riuscire a pensare lucidamente, ma se l’avessi allontanata da me ancora, non avrei più potuto avvicinarmi. Mi aveva già concesso una seconda chance per miracolo, non potevo mandare ogni progresso a farsi friggere soltanto perché mi sentivo strano con lei. Reputai più giusto dare tutta la colpa agli antibiotici e farmene una ragione.
«Insomma, chi ha vinto la sfida?» le domandai, respirando profondamente e ritrovando un contatto con i suoi occhi grigio perla.
Sole mi sorrise perplessa, in una sorta di cortesia.
Fino a poco fa l’avevo evitata come la peste, mentre ora cercavo di ristabilire miseramente una conversazione civile per non apparire un malato mentale. 
«Beh..» cominciò lei, in evidente imbarazzo. «Ci mancava poco per vincere.. in effetti soltanto la foto dell’orchidea e avevamo attraversato quel ponte traballante per fotografarla..».
Non sapevo se mi stesse dando una buona o una cattiva notizia. Si stava impappinando, quello era evidente, ma il rossore sulle sue guance continuò a prendermi alla sprovvista, facendomi voltare d’improvviso lo sguardo e fissarlo in un punto vuoto sul materasso.
«Siamo arrivati dall’altra parte, alla fine» le feci notare, ricordando perfettamente la radura del capriolo.
«Sì, ma..» e s’interruppe di nuovo, torcendosi le mani in grembo. «Io..» balbettò, sempre più confusa. Alla fine si voltò e recuperò dal suo zainetto la Reflex, poi me la porse.
Con l’aiuto delle frecce, guardai tutte le nove foto che aveva fatto, corrispondenti ai punti della lista datoci dalla guida, ma, arrivato alla fine, non vi trovai alcuna foto dell’orchidea in questione o, almeno, nessun primo piano.
La foto numero dieci, l’ultima della memoria, ritraeva me. C’ero io in primo piano, col mio sorriso più smagliante e le foglie verdi in mano, mentre in secondo piano, piuttosto sfocato, riconobbi il capriolo. Sullo sfondo s’intravedevano solo delle pallide macchiette viola, ma niente che potesse indurre l’osservatore a pensare si trattasse dell’Ophrys apulica.
«Non l’hai scattata» pensai ad alta voce.
Sole se ne risentì subito, infatti s’irrigidì sulla sedia come un pezzo di legno. Dall’incontro con il capriolo, mi ero completamente dimenticato dell’orchidea e la responsabilità della foto mancata era, per metà, anche mia.
«Mi dispiace..» sospirò affranta. «A causa mia abbiamo perso la sfida».
Il mio primo pensiero non poté che andare a quel bastardo di Tarzan. Ero sicuro che ora se ne stava sdraiato nella sua topaia puzzolente a godersi la notizia, pensando di avermi stracciato. Si sbagliava di grosso, quello stronzo. Doveva solamente provarci ad invitare Sole.
«Beh, io vado» disse lei all’improvviso, ridestandomi dalle mie maledizioni quotidiane rivolte all’indirizzo di quella scimmia mancata.
«Perché?» risposi di getto, senza pensare.
Il caldo mi aveva tirato un brutto scherzo quel giorno e avrei voluto mordermi la lingua. Avevo espresso il desiderio di starmene finalmente da solo, magari a pensare, e allora perché mi uscivano delle domande del genere?
Sole continuò a guardarmi con il suo cipiglio più interrogativo, mentre io tentavo di accampare una qualche scusa per rimangiarmi quello che avevo detto o, almeno, di modificare il tono disperato con cui lo avevo espresso. Non c’era verso di riuscire ad evitare quello sguardo. I suoi occhi erano come una calamita per me e il caldo torrido che faceva in quella stanza non aiutava di certo la mia pressione, già sotto lo zero.
«Devo raggiungere Becca e Sere» ridacchiò, portandosi una mano dietro la nuca e massaggiandosela nervosamente. «Volevano andare in spiaggia».
Okay, forse mi ero salvato in calcio d’angolo. Da quanto mi aveva detto Sara, Sole non era certo la ragazza più sveglia in campo di relazioni sentimentali, perciò aveva interpretato quel mio ‘perché’ disperato, come una semplice domanda.
«Ah..» mormorai, abbassando nuovamente lo sguardo.
«Beh, allora rimettiti!» mi sorrise, sparendo dalla stanza il più velocemente possibile, quasi a fuggire da quelle quattro mura che cominciavano ad essere strette per entrambi.
Solo quand’era troppo tardi mi accorsi di avere ancora la sua Reflex tra le mani.
Alzai lo sguardo, come se di punto in bianco la sua figura potesse riapparire davanti ai miei occhi, ma vidi solamente il giallo della carta da parati. Guardai ancora la fotografia che mi ritraeva e per la quale avevo perso la sfida contro Tarzan. Era come guardare un estraneo.
Non avrei mai creduto di apparire così.. come dire.. semplice. Di solito, in tutte le foto che mi avevano fatto e in cui mi avevano taggato su facebook, avevo sempre la stessa espressione, quella da figo per intenderci, studiata anno dopo anno davanti allo specchio, ma che mi procurava un’infinità di commenti positivi da parte delle ragazze che la guardavano.
Invece quella era così diversa, sembrava quasi fossi tornato ai primi anni del liceo. Sembravo quasi un ragazzino, dannazione. Una cosa impossibile per Francesco Russo.
Sole era riuscita ad immortalare una parte di me che pensavo di aver perso e l’aveva fatto senza che io mi accorgessi di nulla.
Le foto rubano l’anima..
Quei pensieri subliminali che s’insinuavano di tanto in tanto cominciavano a farmi rabbrividire sul serio, soprattutto perché una parte di me cominciava a crederci. Che quella foto rappresentasse il vero me stesso quando mi trovavo con Sole?
Spensi la macchina fotografica e mi rigirai sul letto, sprofondando la testa nel cuscino. Faceva tremendamente caldo, dannazione, mi stavo sciogliendo come un ghiacciolo.
«Ecco il nostro malatino!» gridò una voce alle mie spalle, seguita da altri tre individui che irruppero nella stanza come dei tori di Pamplona.
«Amico, come ti senti?» mi domandò Stefano, sedendosi pesantemente sul letto e sfiorando, di poco, la mia ferita. «Cazzo, sei il mio idolo! Ti hanno addirittura sparato.. bello, tu gli fai una pippa a Justin Bieber!».
Il solito Stefano, i cui pensieri partivano più dalla parte bassa del suo ventre che da quella alta, se capite cosa intendo.
«Il dottore ha detto che non era grave, ma era molto preoccupato dalla tua bassa pressione» mi spiegò Giorgio. «Sei svenuto per quasi mezza giornata».
«Almeno te la sarai schiacciata Moby, o no?» domandò Giacomo, diretto come sempre.
«Schiacciata?» domandai incredulo.
«Dai, bello, non fare il prezioso. Giò ci ha detto che siete andati soli soletti nel bosco e chissà se le hai mostrato quello per cui tutte le ragazze ti osannano, eh?» si aggiunse Ale, ammiccando.
«Ma piantala, idiota. Mi hanno sparato..» gli dissi io, lievemente imbarazzato.
Non che volessi nascondere chissà cosa, il fatto era che non c’era proprio nulla da nascondere perché tra me e Sole non c’era stato nemmeno un bacio.
«Allora dovremmo aspettare la cenetta romantica a Peschici per vedere qualcosa» suggerì Stefano.
«Mi dispiace, ma non abbiamo vinto un bel niente» gli comunicai affranto.
L’idea che Emanuele –animatore senza cervello- potesse in qualche modo riuscire ad uscire con Sole mi mandava il sangue alla testa, facendolo ribollire per bene.
Invece di trovare un’espressione delusa sul volto dei miei amici, riuscii a scorgervi solamente un sorriso divertito.
«Che c’è da ridere?» chiesi confuso.
«Beh, si dia il caso che non sei il solo ad avere un cervello e un bell’aspetto» sogghignò Stefano.
«Non ti montare la testa, tigre» lo rimbeccò Giacomo. «La bellezza può anche passare, ma di cervello ne vedo ben poco».
«Ma vaffanculo!» e cominciarono a darsele di santa ragione.
«Mi spiegate cosa cazzo sta succedendo?» dissi innervosendomi.
A quel punto intervenne Giorgio, il più pacato del gruppo. «La squadra di Stefano comprendeva anche la guida e, senza giri di parole, posso dirti che hanno barato e si sono aggiudicati una cena a Peschici».
«Cosa?!» esordii incredulo. Forse non tutte le speranze erano perdute.
«Bello, ti cedo il mio posto e l’amica gnocca di Moby farà altrettanto, così avrete un appuntamento servito su un piatto d’argento!» sorrise Stefano.
A quel punto irruppero nella stanza anche Ginevra e Claudia, sorridendo complici.
«Abbiamo organizzato tutto per domani sera» ridacchiarono in coro, guardandosi l’un l’altra con un cenno d’intesa. «Sarai bellissimo, come sempre».
Ero caduto in una sorta di trance mentre loro ancora parlavano. Non avevo nemmeno avuto la forza di smettere di pensare a Sole e domani avrei avuto addirittura un appuntamento con lei. D’altronde sarebbe stato difficile evitarla. Quella scommessa si faceva sempre più difficile da portare a termine, soprattutto se avevo intenzione di non rimanere coinvolto emotivamente.
«Cos’è, amico, sei sbiancato di colpo..» osservò Giorgio preoccupato.
«N-no.. n-non è niente» balbettai confuso, come se mi avessero sorpreso con le mani nella marmellata.
«Abbiamo una proposta da farti, in cambio della cena» se ne uscì Giacomo, rendendo l’atmosfera ancora più calda di quanto non lo fosse già.
«Cosa volete ancora, un’alta scommessa?» sospirai stanco.
«No, una prova» disse Ale.
Non avevo idea di cosa avessero in mente questa volta, ma Sara non era con il gruppetto, perciò pensai non si trattasse di qualcosa di orribilmente diabolico.
«Spara» mormorai secco e serio.
«Vogliamo una foto del tuo bacio con Moby» disse Stefano, guardandomi negli occhi. «Perché non l’hai ancora baciata, vero?» ridacchiò.
«Che cazzo te ne frega!» risposi scontroso. Quella storia stava diventando una vera offesa alla mia virilità e non sapevo quanto ancora sarei potuto andare avanti.
«Allora ci stai?» chiesero in coro, un po’ tutti.
Ormai ero in ballo, tanto valeva ballare. «Affare fatto».

Dopo pranzo m’infilai a forza un paio di sundek e scesi in spiaggia, dove gli altri mi aspettavano sotto gli ombrelloni invasi dalla calura. Camminai zoppicando lungo la passerella e cercai di tenere la testa ben dritta non appena vidi, in lontananza, Tarzan che faceva una delle sue lezioni di windsurf.
La partita è ancora aperta, bastardo, pensai tra me e me, sogghignando come uno stupido.
Non appena raggiunsi le sdraio, notai che anche Sole e le sue amiche erano presenti, sedute in un angolo. Stefano, come al solito, aveva assalito la povera biondina, quella che somigliava a Hilary Duff, mentre l’altra, quella mora e dinoccolata, li guardava come se volesse fulminarli entrambi con lo sguardo.
Il mio, però, non poté evitare d’incrociare quello di Sole.
Mentre gli altri se ne stavano in costume, sbracati sulle sdraio o seduti a ridacchiare tra loro, lei indossava una sorta di vestitino da mare dieci volte la sua taglia, e, notevolmente imbarazzata, cercava di non far notare le gambe un po’ rotonde che spuntavano al di sotto della stoffa. In quel momento mi sembrò così poco a suo agio, come un pesce fuor d’acqua.
«Ehi, bello, non startene lì impalato» mi disse Giorgio. «Siediti».
Obbedii senza fiatare e non potei fare a meno di trovarmi pericolosamente vicino a Sara che se ne stava seduta, in un mini-bikini, intenta a leccare troppo maliziosamente un cono gelato. I suoi occhi verdi erano fissi nei miei, mentre io tentavo di trovare più interessante la mia unghia dell’alluce piuttosto che ritrovarmi davanti a quella scena ambigua.
La mia sofferenza, però, s’interruppe quando Sara decise di alzarsi e di fare qualche passo in direzione del bagnasciuga, muovendo sinuosamente i fianchi solo per farsi guardare il culo. Un trucco vecchio come il cucco, ma quello che mi ero immaginato non corrispose affatto con ciò che accadde realmente.
Sara andò da Sole, invitandola a sedersi accanto a me, cedendole gentilmente il suo posto. Rimasi sorpreso da quella sua cortesia, ma non appena vidi il sorriso, anzi il ghigno, che le si era dipinto in volto, tentai di fermarla in ogni modo. Senza che Sole potesse fare nulla, ‘casualmente’ Sara le fece cadere tutto il gelato addosso, macchiandole completamente il vestito e spalmando per bene il cioccolato dappertutto.
«Ah!» strillò Sole, mentre Sara accampava false scuse.
«Oddio come mi dispiace, togliti il vestito» le disse, cominciando a sfilarlo con la forza.
«No, ferma.. ti prego» insistette Sole, tirando i lembi dell’indumento verso il basso.
A quel punto mi sentii in dovere di intervenire, almeno per allontanare quella pazza maniaca dalla povera Sole, ma fui battuto sul tempo.
«Voi due, piantatela» s’impuntò Giorgio, tirando fuori una personalità forte che non gli avevo mai visto.
Sara lo guardò stupita, rimanendo completamente sorpresa da come avesse potuto anche pensare di remarle contro. Gli occhi nocciola di Giorgio, però, erano fermi e non ammettevano replica.
«Le stavo solo suggerendo di togliersi il vestito» si giustificò. «Non vedo dove sia il problema, fanno quaranta gradi all’ombra e siamo al mare».
Era evidente quale fosse il vero intento di Sara: umiliare Sole ancora di più, facendole mostrare il suo fisico coperto unicamente dal costume. L’avevo capita sin dal primo sguardo che mi aveva rivolto e sarei dovuto intervenire tempestivamente, senza che Giorgio si mettesse di mezzo.
«Perché non te lo togli?» le domandò ingenuo, non capendo affatto il motivo del suo imbarazzo.
Sole si tenne il vestito ancor più stretto al petto, fissando in basso con le guance che man mano le s’imporporavano sempre di più.
«Senti, tu, brutta baldracca!» gridò una delle amiche di Sole.
«Vedi di girare alla larga da lei, noi ti teniamo d’occhio» rispose l’altra, schierandosi davanti a Sara come a fare da scudo.
A quel punto dovevo dare un taglio a tutta quella pantomima che si era creata, anche perché cominciava ad attirare l’attenzione anche di altri villeggianti. Mi alzai in piedi, ancora un po’ traballante, e mi diressi verso Sole prendendola per mano.
«Vieni con me» le dissi, mentre lei non accennava a muoversi. Il comportamento di Sara l’aveva completamente scossa, tanto che non riusciva più a fidarsi. Non sapevo come fare per convincerla, non mi veniva in mente nulla. Cosa avrebbe fatto lei, se le posizioni si fossero invertite?
«Ti fidi di me?» le dissi, cercando in tutti i modi di non guardare gli altri. Cos’ero? Ammattito tutto d’un botto? Quale altra frase strappalacrime avrei tirato fuori dal repertorio?
Sole sembrava dubbiosa e incerta. Se fossi stato al suo posto mi sarei risposto un secco e deciso NO, girandomi dall’altra parte, e quella sarebbe stata la risposta più giusta per entrambi.
«Sì..» ammise timidamente, afferrando la mia mano e lasciando gli altri completamente sbigottiti a fissarci, mentre ci allontanavamo sul bagnasciuga.
Camminammo per un po’ di tempo, trovando una nicchia dove ripararci e dove tentare di rimediare al danno fattole da Sara. Con un gesto di rinnovata cavalleria mi sfilai la maglia che avevo indosso e gliela porsi.
«Fai a cambio con il tuo vestito» le suggerii, capendo quanto potesse essere difficile, per lei, stare semplicemente in costume davanti agli altri.
O magari davanti a te..
Quel pensiero egoistico mi fece gonfiare il petto d’orgoglio. Non mi ero mai sentito così strano in tutta la mia vita, nemmeno quando ero stato con quella letterina della tv. Possibile che il giudizio di Sole contasse così tanto?
«Grazie.. ma..» farfugliò lei, sempre più rossa in viso.
Forse non mi ero sbagliato poi tanto, magari il problema ero davvero io.
«O-oh, scusa.. mi giro se vuoi» le dissi, voltandomi di scatto.
Lei attese qualche secondo, poi sentii il fruscio della stoffa e compresi che si stava cambiando. Da vero gentiluomo avrei dovuto attendere pazientemente senza sbirciare.. ma io, gentiluomo, non lo ero mai stato, perciò, con la coda dell’occhio, non riuscii a resistere.
Si stava sfilando il vestitino dalla testa, rimanendo completamente esposta al mio sguardo ingordo mentre potei appurare che, anche se bella in carne, non era poi fatta male. Le curve erano ai punti giusti, lasciandole la vita piuttosto sottile e il seno.. beh.. perfetto. Mi sentii come un ragazzino maniaco che spiava le compagne di classe nello spogliatoio femminile, magari facendosi una sega, ma tentai di reprimere quei pensieri sconci o avrei avuto seri problemi. Il mio caro Walter già era in astinenza da almeno due mesi, non serviva che venisse ulteriormente stimolato.
«Hai fatto?» le chiesi, deglutendo in risposta ad una nuova vampata di calore.
Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso, nonostante la sua posizione fosse talmente goffa e ridicola che non avrebbe attirato l’attenzione di nessuno, se non per una grossa risata. Il vestito le si era incastrato con il mollettone che teneva nei capelli e le mani erano rimaste intrecciate nelle maniche, bloccandogliele sopra la testa. Di tanto in tanto saltellava sgraziatamente, nella speranza di districarsi, ma non faceva altro che ondeggiare tutte quelle curve, tanto da farmi girare la testa come dopo aver visto un Gran Premio di F1. Dovevo mettere fine a tutto quello, anche perché il mio amico Walter cominciava a lamentarsi ai piani bassi.
«Ti aiuto» le dissi e prima che potesse fermarmi in qualche modo, le tolsi il vestito con un gesto secco e le infilai la maglietta con altrettanta velocità, sperando di coprire tutto e pregando che la mia fantasia non si spingesse oltre.
Fortunatamente la T-shirt era talmente enorme che funzionò alla perfezione, respingendo qualsiasi pensiero a sfondo sessuale dalla mia testa pervertita. Ero salvo, almeno per il momento.
«Credo tu abbia qualcosa in tasca» mi fece notare Sole, ingenuamente, indicando il mio cavallo un po’ troppo ingombrante. Sarebbe stato confortante se, a quel punto, le avessi restituito la Reflex, tirandola fuori direttamente dalla mia tasca e giustificando tale gonfiore.
Purtroppo non avevo nulla, ahimè.
«L’acqua è fantastica, credo mi farò un bel bagno nel frattempo» dissi in fretta, cercando in tutti i modi di nascondere quel piccolo problema che era sorto in relazione al caldo e alle emozioni che avevo provato poco prima.
«Ma l’acqua è gelata!» mi disse lei, ignara di tutto ciò che era successo.
«Tanto meglio» borbottai, tuffandomi e spegnendo tutti  quei bollori che m’invadevano ogni fibra del corpo.
Era una fortuna che Sole fosse così ingenua e inesperta in materia di relazioni sentimentali, almeno mi ero salvato una figura di merda grande come il Canada.
«Ci sono dei bambini, maiale che non sei altro!» sorrise Tarzan sadico, passando con il suo windsurf e finendo di umiliarmi per bene, come se non mi fossi meritato abbastanza.
«Attento agli squali» gli risposi, vendicativo. «So che preferiscono le checche tatuate come te!».
Quello alzò il dito medio senza fare tanti complimenti e mandò un bacio a Sole, che lo salutò imbarazzata. Non c’era modo per descrivere l’odio che provavo nei suoi confronti, era incommensurabile. L’unica nota positiva, allo scadere di quelle due settimane, sarebbe stato il non rivedere più quella sua brutta faccia in giro.
Sole si riprese subito da quella situazione imbarazzante e si sedette sugli scogli, immergendo i piedi nell’acqua e rivolgendo il viso verso l’alto. Non appena appurai che l’acqua gelida mi aveva completamente pietrificato, nuotai verso di lei e la raggiusi, sdraiandomi su uno scoglio quasi interamente coperto dall’acqua.
Era sempre meglio non rischiare che mi vedesse, anche perché Sole era un po’ ingenua ma non stupida.
«E insomma domani sera abbiamo un bell’appuntamento» me ne uscii, sorridendole come un’imbecille.
Lei si riscosse immediatamente dai suoi pensieri e strinse ancor di più le gambe al petto, abbassandosi la maglietta fin quasi a lacerarla. Le lentiggini erano più scure del solito, a causa del sole, ma il rossore sulle sue guance tornava ad essere disorientante per me.
«E già..» sussurrò imbarazzata.
«Non sembri molto entusiasta» la punzecchiai, tastando il terreno. Dal momento che Sole era un grosso punto interrogativo per me, decisi di affidarmi alle parole che, perlomeno, non sarebbero state fraintese.
«No, no!» si affrettò a rispondere, guardandomi con quei suoi occhi d’onice spalancati. A quel punto si accorse di aver avuto una reazione piuttosto esagerata e abbassò il capo tentando di nascondere un ulteriore rossore, ma a me non sfuggì nulla della sua magnifica espressione.
Quelle sue reazioni spontanee mi prendevano sempre alla sprovvista e non sapevo come reagire ad esse. Era tutto nuovo per me, stare a contatto con una persona tanto emotiva. Le week-girl con cui ero sempre uscito riuscivano a stento ad esprimersi a parole, ovviamente compensando in altro ambito, ma in quanto ad espressività facevano concorrenza alle scimmie del Bioparco.
«Non è che sia scontenta» cercò di riprendersi, facendomi sorridere, «ma io.. i-io non sono molto abituata a questo genere di cose».
Continuava a torturare il lembo della mia maglietta e il suo nervosismo cominciava ad infastidirmi. Capirai, saremo andati a cena fuori, mica le sarei saltato addosso!
Come hai quasi rischiato di fare prima? Mi ricordò la mia coscienza, sempre pronta a punzecchiarmi.
«È solo una cena» le dissi, capendo tardi di aver sminuito un po’ troppo la cosa.
«Beh, sì..» soffiò lei, con un tono appena udibile.
Mi maledissi per essere così dannatamente insensibile in certi momenti e quando vidi il suo sguardo rabbuiarsi, fu come se la sua infelicità contagiasse anche me.
«Con ciò» cercai di riprendermi, «non vuol dire che dobbiamo andare vestiti come due straccioni, ho ragione?» e le feci l’occhiolino. «Propongo di rispolverare il galateo e vestirci eleganti per una volta».
Non appena vidi un timido sorriso riaffiorare all’angolo delle sue morbide labbra, non potei fare a meno di sentirmi leggero come una piuma, neanche avessi fumato dell’erba. Quella sua emotività mi stava sempre più contagiando, maledizione, e non sapevo se sarei riuscito a farci mai l’abitudine.
Seguì un lungo momento di silenzio, dove i nostri sguardi puntarono contemporaneamente all’orizzonte. Il fruscio del vento e l’infrangersi delle onde sugli scogli davano a quel posto un senso di tranquillità quasi etereo e mi sentii stranamente felice di condividere quel momento con Sole.
Anche se a sua insaputa c’era ancora la scommessa in ballo e c’erano le foto del primo bacio e la prima volta che le avrei dovuto rubare come un ladro, la prospettiva di altri giorni come quello non mi spaventava più come all’inizio.
Dovevo solo stare attento a non farmi sparare.. di nuovo.


RINGRAZIAMENTI:
Che parto, questo capitolo! Non riuscivo a vederne la fine, perchè non sapevo davvero cos'altro inventarmi.. uff.. alla fine, però, sono riuscita a scribacchiare qualcosina. Povero Francy, la sua coscienza non lo lascia in pace, è una tortura bella e buona, inoltre, ci si mette anche Walter (omaggio alla fantastica Lucianina Littizzetto xD) non so proprio come sia riuscito a trattenersi, soprattutto perchè Sole non si rende conto di essere molto appetibile :3
Beh, vogli ringraziare i 5 commentini che mi avete lasciato lo scorso capitolo [abbiamo battuto un nuovo record! La prox volta arriviamo a 6!!! uhuhuh]: La Viola, Caline, rei22688, Clithia (ti lovvo xD -> solo noi possiamo intenderci <-) e nes_sie.
Inoltre ringrazio le 21 persone che seguono questa storia e le 254 visite ricevute, ringrazio anche i lettori silenziosi.
Un bacio,
Marty


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Per anticipazioni, spoiler e foto dei protagonisti,
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Capitolo 7
*** 07. Stella gemella ***


Rieccomi con un nuovissimo, succulentissimo e velocissimo capitoletto (troppi -issimo in questa frase ^^') che vede i nostri eroi impegnati nei preparativi per il famoso appuntamento a Peschici. Chissà come andrà a finire? Boh! Non lo so nemmeno io... xD
Buona lettura!
Ma avete visto che bel bannerino???
Devo ringraziare (anzi, fare una statua d'oro massiccio) alla magnifica, stupenda, pazientissima Clithia (Manu) che lo ha creato di sua spontanea volontà (non è vero, l'ho costretta col fucile puntato xD). Ti lovvo, sweety!!! 



Capitolo sette
Stella gemella
«È mai possibile che in Italia non funzioni nulla?» tuonò Serena indignata. «Sono stata a Parigi, Praga, Londra, Madrid e anche Barcellona, ma non mi si è mai rotta l’aria condizionata!».
Erano le sette del mattino e già si moriva di caldo, ma quando avevamo provato ad azionare il condizionatore, questo aveva emesso uno sbuffo polveroso e nient’altro.
«Ma se ci sei andata d’inverno, è normale che non ti si è rotta.. non l’hai nemmeno usata» le ricordò Betta, cinica come sempre.
Sere la fulminò con lo sguardo, continuando a pigiare insistentemente sul tasto ‘on’ del telecomando dell’aria condizionata. «È il principio quello che conta» si giustificò lei, senza darla vinta all’altra.
Sospirai e mi sedetti sul letto, sapendo che quelle due non l’avrebbero mai finita di litigare per ogni nonnulla. Faceva caldo e troppo, ma la soluzione più ovvia non veniva proposta né da Sere e né da Betta.
«Vado alla reception?» mi proposi, sperando di non essere linciata da uno dei loro sguardi. «Magari loro sanno come aggiustarla».
Sarebbe stato meglio per tutte, anche perché era inutile continuare a strizzare quel telecomando sperando potesse fare un miracolo, e poi mi stavo sciogliendo ed esigevo una soluzione alquanto rapida.
«Beh.. se ti offri tu..» mormorò Sere pensierosa.
«Sì, è una soluzione accettabile» si aggiunse Betta.
Le guardai con un sopracciglio talmente alto che avrebbe toccato l’attaccatura dei capelli. Facevano prima a dirmi di non voler affatto andarci alla reception e si sarebbero risparmiate quella patetica scenetta di prima.
«Allora vado» dissi loro, dandomi un ultimo sguardo allo specchio e sospirando.
«Alla cena di stasera hai già deciso cosa mettere?» domandò Betta, incrociando le braccia al petto.
Il terrore di quella domanda mi aveva accompagnata per tutta la giornata precedente, ma speravo non giungesse mai a quel punto. Dopo il modo in cui mi avevano conciata la prima sera che avevo conosciuto Francesco, avrei preferito rimanere tappata in bagno piuttosto che farmi vedere in giro travestita da clown.
«Beh.. veramente..» arrancai, trovando le parole più adatte per dir loro che non avrebbero più dovuto azzardarsi a mettermi le mani addosso. «Sai.. Claudia e Ginevra.. le amiche di Francesco..» continuai. Sembravo tornata all’esame di maturità, in completa palpitazione e balbettante come un telegrafo.
«Cosa stai cercando di dirci?» si aggiunse Serena, ancor più irritata.
Deglutii a fatica. Non era facile dire alle tue migliore amiche che erano una vera e propria frana nel prepararti per un appuntamento.. ma la cena a Peschici era un’occasione speciale, me lo sentivo, e non potevo sprecare tutto.
«Si sono gentilmente offerte di aiutarmi!» sparai in un colpo solo, chiudendo gli occhi e ritirando la testa tra le spalle come una testuggine.
Dopo quella rivelazione pensai che l’uragano Serena, seguito dalla tempesta Elisabetta, mi avrebbero spazzato via come la casa di Dorothy nel Mago di Oz, invece non accadde nulla di terribilmente disastroso. Aprii paurosamente un occhio e vidi Sere e Betta nella stessa posa e con la medesima espressione dipinta in viso: gelosia.
«Allora non hai bisogno di noi, questa volta» cominciò Betta.
«Siamo solo d’intralcio» continuò Sere.
Si erano offese ed io lo sapevo, ma sentivo che avrei dovuto fare qualcosa per quell’appuntamento.. sembrare più bella possibile. Sapevo che tutto il trucco del mondo non avrebbe coperto i miei chili di troppo, né i miei capelli a cespuglio, ma cominciavo a sentire qualcosa per Francesco e volevo che si accorgesse di me anche in un altro senso.
«N-no.. non è così!» tentai malamente di riprendermi. «Voi siete le mie due migliori amiche e verreste sempre al primo posto..», okay, mi stavo impappinando.
«Abbiamo capito, non serve continuare» m’interruppe Sere. «Quel Francesco sta avendo un brutto effetto su di te e non ti riconosco quasi più.. prima non ti sarebbe importato fare comunella con una di quelle sgallettate molto simile alle oche che venivano a scuola con noi».
Questo era stato davvero un colpo basso, che non mi sarei mai aspettato da Serena. Loro due sapevano quanto erano stati difficili per me gli anni del liceo e non potevano usare quell’esperienza come arma contro di me.
«Ha ragione Sere, ben presto ti trasformerai in una di loro» continuò Betta, rigirando il coltello nella piaga.
In quel momento ero furente e avrei voluto sparire da quella stanza e sbattermi la porta dietro le spalle, facendo crollare l’hotel. Possibile che, per una volta, non potevano semplicemente essere felici per me?
«Sapete cosa vi dico? Mi avete rotto!». Quelle parole uscirono così.. senza alcun apparente segno di razionalità dalle mie labbra, lasciando Sere e Betta completamente all’asciutto. «Quando voi avete avuto i vostri problemi sentimentali, io ci sono sempre stata e non vi ho mai remato contro. Sere, con Carlo chi è che ti accompagnava sempre fino a Prima Porta? E Betta, con Federico, chi è che ti istruiva sul calcio prima che andassi alle partite con lui? Per una volta, forse l’unica di tutta la mia vita, ho bisogno che voi siate dalla mia parte.. mi dispiace avervi escluso dalla preparazione di questa serata, ma ho davvero bisogno del vostro supporto».
Serena ed Elisabetta erano rimaste ammutolite difronte alla mia sfuriata delle sette del mattino e anch’io, da una parte, mi ero sorpresa di aver tirato fuori tutto quel coraggio. Per una volta ci voleva e non mi sarei rimangiata niente.
«Ora vado a lamentarmi alla reception!» annunciai, ancora lievemente irritata.
Posai la mano sul pomello della porta, ma sentii un «Aspetta» che mi bloccò.
«Ci dispiace» mormorò Sere, dando un colpetto sul gomito a Betta.
«Sì, ci dispiace davvero di essere così morbosamente apprensive».
Sorrisi a quella scena, soprattutto perché era così raro vederle andare d’accordo su qualcosa che non fosse rovinarmi completamente la vita.
«È solo che vogliamo proteggerti da quelli come Francesco e i suoi amici, perché abbiamo avuto esperienza con ragazzi di quel tipo e tu sei così indifesa..» sospirò Betta.
«..così piccola..» si aggiunse Serena.
«Non ho più tre anni da un po’» intervenni io. «La balia non mi serve, almeno fin quando non raggiungerò gli ottant’anni e dovrò portare il pannolone!».
Riuscii a strappare ad entrambe una risata soffocata, che allentò di molto la tensione che si era creata in quella stanza torrida.
«Hai ragione, Sole. Siamo troppo esagerate» sospirò nuovamente Elisabetta.
«Tu vuoi solamente il nostro appoggio e noi te lo abbiamo sempre fatto mancare a causa dei nostri pregiudizi nei confronti dei bastardi come Francesco» si aggiunse Serena.
«Magari ci sbagliamo, magari non è tanto male» si ricredette Betta. «Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, no?».
Ero contenta che quella mia sfuriata fosse servita a qualcosa, soprattutto perché potevo nuovamente contare sull’appoggio delle mie due migliori amiche. Sapevo che non dovevo ricamarci troppo sopra alla storia con Francesco, ma ogni volta che pensavo all’appuntamento di questa sera, non potevo fare a meno di sentire il cuore palpitare nel mio petto.
«Allora vado a reclamare» aggiunsi, stavolta aprendo completamente la porta.
«Senti Sole..» mi fermò di nuovo una delle due, Elisabetta per la precisione.
Entrambe, poi, si avvicinarono e mi strinsero in un forte abbraccio, come non facevamo da troppo tempo. Mi era mancato il loro contatto umano, sempre troppo impegnate a litigare o a rovinarmi la vita, mentre quello fu un momento magico per me.
Serena mi spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio ed entrambe mi guardarono con un’espressione materna.
«Scusaci ancora, ma noi volevamo proteggerti anche in vista dello scadere di queste due settimane» disse Betta.
«Sai che non puoi legarti troppo a lui.. fra dieci giorni dovrai partire..» continuò Serena, ricordandomi la verità che, volente o nolente, avevo cercato di spingere in un luogo remoto della mia testa.. o del mio cuore.
A quel punto mi sentii come un topo in trappola e avrei fatto di tutto pur di non soccombere sotto il loro sguardi indagatori. Ancora una volta erano riuscite a rendermi infelice, anche involontariamente, ma l’artefice di tutto quel dispiacere ero io stessa.
«Scusatemi» dissi, poi uscii e mi diressi giù per le scale, pronta a reclamare l’aria condizionata nella nostra stanza.

«Manderemo un tecnico appena possibile» mi disse la signorina al bancone, sorridendomi falsamente.
«Spero prestissimo, visto che si muore di caldo..» aggiunsi, sperando di calcare la mano e limitare l’afa irrespirabile che aleggiava per tutta la nostra camera da letto.
Te lo credo.. con tutta quella ciccia che ti porti addosso.. la sentii commentare, ma quando presi fiato per risponderle a tono, su come il suo brutto naso potesse rischiare di accecare qualcuno, fui distratta da una fisionomia familiare.
Mi voltai a sinistra e riconobbi Giorgio, l’amico di Francesco, seduto su uno scoglio che fissava il mare. Era mattina presto e fu raro vedere uno del suo gruppo che, volontariamente, era uscito dal letto di così buon ora per godersi semplicemente il panorama. All’orizzonte c’era ancora un po’ d’oscurità, mentre la mezza arancia rosseggiava sul mare colorandolo di amaranto. Uno spettacolo che pochi avrebbero apprezzato.
Mossa dalla curiosità, raccolsi un po’ di coraggio e lo raggiunsi, sedendomi accanto a lui e sorprendendolo quando i suoi occhi nocciola incontrarono i miei.
«Buon giorno» gli dissi sorridendo, sperando non mi avrebbe mandata a quel paese per essergli apparsa alle spalle.
«Ciao» rispose lui, ricambiando il sorriso.
«Posso?» gli chiesi, indicando un piccolo posticino accanto al suo.
Giorgio si tirò più a sinistra, lasciandomi sedere. «Certamente!» mi rispose, senza ombra di ipocrisia nel suo sguardo.
Mi accomodai accanto a lui, sfiorando involontariamente il suo braccio e rabbrividendo a contatto con la pelle di un altro ragazzo. Era sempre la stessa storia, ogni volta che il mio corpo sfiorava uno del sesso opposto, diventavo molle come gelatina.
«T-ti sei alzato di buon ora..» tentai di parlare, riducendo al minimo i balbettii.
«Anche tu» mi fece notare, abbozzando un sorriso.
Sentii improvvisamente le guance avvampare per la confidenza che mi stava dando, ma abbassai lo sguardo cercando di nascondere quel rossore. Era mai possibile che dovessi reagire in quel modo con ogni ragazzo che mi sorrideva?
«L’aria condizionata si è rotta e sono andata a reclamare» gli spiegai, giustificando il motivo per qui mi trovavo lì. Non volevo che pensasse che fossi una stalker o qualcosa del genere.. l’avevo notato per puro caso, non m’interessava affatto pedinarlo.
«Quella della reception ha detto che manderà un tecnico il più presto possibile, ma mi ha liquidata in un modo davvero sgarbato» rimuginai, cercando di pensare ad altro per non arrossire di nuovo. «Non capisco perché le persone che debbono essere abituate a contatti sociali, lavorando negli hotel, risultino sempre così scontrose o maleducate.. è il loro lavoro, in fondo..» continuai il mio monologo, senza dargli tempo di rispondere. «E poi l’ho sentita fare un commento poco gradito su di me e se fossi stata un’altra, io av-..» e in quel momento mi ritrovai un suo dito sulle mie labbra.
Spalancai gli occhi sorpresa e me lo ritrovai pericolosamente vicino. Quello sguardo nocciola, così espressivo, era del tutto diverso da quello verde-acqua di Francesco, completamente impenetrabile. Giorgio riusciva benissimo ad esprimere i suoi sentimenti, senza aver paura di sembrare debole agli occhi degli altri.
«Parli sempre così tanto con le persone che non conosci?» mi fece notare, togliendo il dito e sorridendo.
«M-mi.. mi dispiace» balbettai, nascondendo la testa nelle spalle a mo’ di tartaruga. Sentivo nuovamente quel maledetto sangue che affiorava sulle mie guance e non riuscivo più a controllarmi. «Ti lascio da solo» annunciai, facendo per alzarmi in modo da fuggire da quella pericolosa trappola di emozioni.
«No» rispose lui, afferrandomi la mano. «Resta».
Il suo tono non era sembrato affatto una supplica, ma quando incontrai i suoi occhi mi parvero talmente tristi che non riuscii a rifiutare. Giorgio era così simile a me, così emotivamente turbato da spiazzarmi.
«Okay» sussurrai, quasi impercettibilmente.
Gli sedetti nuovamente accanto, aspettando che dicesse qualcosa, ma rimanemmo in silenzio per molto tempo, guardando l’alba. Soltanto dopo che il sole fu abbastanza alto nel cielo, tornò a dire qualcosa.
«Sei mai stata innamorata?» chiese a bruciapelo, facendomi istintivamente voltare verso di lui. Oh. Mio. Dio. Ma che razza di domande faceva? Più tentavo di riportare la temperatura del mio viso ai trentasei gradi e mezzo, più Giorgio mi rendeva impossibile non arrossire.
«Scusami, forse sono stato troppo diretto» si riprese, «ma non so davvero cosa fare e mi trovo in una situazione sentimentalmente disastrosa».
Durante la gita a Bosco Umbro avevo intuito che c’era qualcosa nel modo in cui guardava quella Sara, o Serpe, come l’avevo soprannominata con Betta e Sere, e pensavo fosse, in qualche modo, corrisposto. Magari mi ero sbagliata.
«Secondo te è possibile innamorarsi di qualcuno e poi scoprire che, in realtà, è una persona completamente diversa da quella che pensavi?» mi chiese, tornando a guardare il mare.
Forse alludeva proprio a Sara e al suo strano comportamento. In effetti, quella ragazza sembrava così minuta e delicata, ma dentro di sé nascondeva un vero e proprio demonio. Non ero sicura se mi avesse spalmato il gelato addosso di proposito ieri, ma dalla reazione di Giorgio e Francesco avevo dedotto che un fondo di verità c’era in quel suo strano gesto.
«Non lo so» arrancai. «Che io sappia, ci s’innamora dello spirito che ‘quando è nobile resta costante per tutta la vita perché ci si è attaccati ad una cosa che resta ben salda’» dissi, tirando fuori una citazione. 
«Il Simposio di Platone.. era dai tempi del liceo che non ne sentivo parlare» ridacchiò tornando a guardarmi con una luce negli occhi del tutto più rilassata.
«Ogni tanto ho anch’io i miei momenti filosofici» risposi imbarazzata.
«Hai ragione» continuò. «Non sono mai stato veramente innamorato di Sara, ma dell’idea di lei che mi ero costruito nella mia testa».
Come ti capisco, avrei voluto dirgli. Le volte in cui mi ero presa una cotta per il classico ‘bello e impossibile’ si potevano contare sulle dita di dieci uomini, ma era sempre finita con la scoperta che costui non era altro che uno stronzo, un poco di buono.
«È solo che mi sento così vuoto in questo momento.. come se mi mancasse qualcosa» ponderò ad alta voce.

Bisogna innanzitutto che sappiate qual è la natura dell’uomo e quali prove ha sofferto,
perché l’antichissima nostra natura non è come l’attuale, ma ben diversa.
In primo luogo, l’umanità comprendeva tre sessi, non due come ora, maschio e femmina, ma se ne aggiungeva un terzo partecipe di entrambi e di cui ora è rimasto il nome, mentre la cosa si è perduta.
Era allora l’androgino, un sesso a sé, la cui forma e nome partecipavano del maschio e della femmina, ora non è rimasto che il nome che suona vergogna.
In secondo luogo, la forma degli umani era un tutto  pieno: la schiena e i fianchi a cerchio, quattro bracci e quattro gambe, due volti del tutto uguali sul collo cilindrico, e una sola testa sui due volti, rivolti in senso opposto […]
Possedevano forza e vigore terribili, e straordinaria superbia e attentavano agli dei.
Quel che Omero racconta di Efialte e di Oto che tentarono cioè la scalata al cielo per attaccare gli dei, è detta di loro.
Pertanto Giove e gli altri dei,  andavano arrovellandosi che dovessero fare ed erano in grave dubbio perché non se la sentivano di ucciderli e farli sparire fulminandoli come i giganti […]
Ma finalmente Giove pensa:
Se non erro, dice, ce l’ho l’espediente perché gli uomini, pur continuando ad esistere ma divenuti più deboli, smettano questa tracotanza. Ora li taglierò in due e così saranno più debole e nello stesso tempo più utili a noi per via che saranno aumentati di numero […]
Ciò detto, prese a spaccare gli uomini in due, come quelli che tagliano le sorbe per conservarle o quelli che dividono le uova con un crine.
E intanto, via via che tagliava, ordinava ad Apollo di torcere il viso e la metà del collo dalla parte del taglio […] e di rimediare a tutte quelle ferite […]
Ognuno di noi è dunque la metà di un umano resecato a mezzo com’è al modo delle sogliole:
 due pezzi di uno solo, e però sempre in cerca della propria metà.

[Da ‘Il Simposio’ di Platone_Il mito dell’Androgino]

Giorgio stava soltanto provando quello che da secoli è uno dei misteri della natura, sia animale che umana. Non tanto al fine di procreare e nel portare avanti la specie, ma nel motivo che sta dietro alla scelta di un compagno per tutta la vita.. quasi come ci fosse stato sottratto qualcosa.
«Ti manca l’anima gemella» gli sorrisi, sperando che quella conversazione vertesse su tutt’altro argomento. Cominciavo a sentirmi chiamata in causa più del dovuto, soprattutto perché sembrava che Giorgio formulasse domande più sulla mia vita che sulla sua.
«Già..» rispose pensieroso, «ma non credo che esista».
«Vedere per credere» insistetti convinta. Ormai mi aveva coinvolta nella conversazione, perciò sarei andata fino in fondo. «Hanno accusato Galileo di eresia per aver detto che era la terra a girare attorno al sole e non viceversa, cosa che adesso è provata anche dalle immagini satellitari, e nessuno credette a Darwin quando sostenne che l’uomo discendesse dalle scimmie, eppure, loro non si sono arresi anche se non potevano provare empiricamente le loro idee».
Ma che diavolo prendeva al mio cervello? Possibile che dovessi sempre essere così razionale, anche nel dare dei consigli?
«Alla fine di questo mio delirio, quello che voglio dirti è che non devi smettere di credere che una cosa esista soltanto perché non puoi toccarla con mano. Ecco perché c’è la fede, e non solo quella religiosa» sorrisi, sentendomi stranamente a mio agio per una volta.
Giorgio era ammutolito e, per un attimo, credei che si alzasse da un momento all’altro e fuggisse a gambe levate urlando: è pazza! Ma non avvenne niente di tutto quello.
Si voltò lentamente verso di me, senza mai staccare lo sguardo dal mio. Il suo volto era per metà illuminato dal sole nascente e per l’altra, coperto dall’ombra, in un gioco di luce che mi fece sussultare il cuore. Senza che avessi il tempo di pensare, allargò le braccia e mi strinse a sé, lasciando che il mio viso fosse a contatto con la sua felpa grigia.
Cercai di far entrare aria nei polmoni, mentre le guance mi andavano a fuoco, ma l’unica cosa che riuscivo a recepire era il suo particolare profumo.. come se sapesse di sciroppo alla fragola.
Sole, cerca di calmarti. Ti sta soltanto abbracciando, è un gesto normale fra amici. È riconoscente per il buon consiglio che gli hai dato.. perciò respira e non andare in iperventilazione.
Ringraziai il mio cervello per quegli ovvi suggerimenti, quando Giorgio posò una guancia sul mio capo, rafforzando la stretta.
«Sei speciale, Sole» soffiò contro i miei capelli. «Più di quanto tu creda».


Me ne stavo spaparanzato sul letto, beandomi la frescura dell’aria condizionata, quando nella mia stanza irruppero Stefano, Ale e Giacomo come tre piccole furie.
«Che programmi hai per la serata?» cominciarono, quasi in coro, sedendosi in cerchio.
Ci mancava poco che tirassero fuori il blocchetto degli appunti e cominciassero a scrivere ogni parola uscisse dalla mia bocca, prendendola come oro colato.
In risposta feci spallucce e tornai al mio passatempo preferito: oziare.
«Non ci dici nessuna anticipazione?» insistette Giacomo.
«Nemmeno uno spoiler?» ripeté Ale.
«Neanche un fottutissimo consiglio da poter riciclare con le nostre pollastre?» chiese Stefano, con un tono pressoché disperato.
Sbuffai sonoramente, alzando un sopracciglio, infastidito. Per chi mi avevano preso? Non ero mica un gigolò da strapazzo che dispensava consigli su come conquistare una donna.. erano pure cazzi miei.
«Sentite, non capisco per quale motivo date ancora retta a Stefano, io non ho nessun superpotere con le ragazze e non uso nessun trucco per conquistarle.. succede e basta» mi giustificai.
Loro si scambiarono degli sguardi complici e Stefano con Giacomo fissarono di traverso il povero Stefano che cominciò ad allentarsi il colletto della T-shirt.
«Allora non sei imbattibile come questo scemo ti decanta?» chiese Ale, sempre più curioso.
«Ci dev’essere qualcuna che è sfuggita al tuo fascino» lo accompagnò Giacomo.
Pensandoci bene mi era capitato spesso, prima di addormentarmi, di ripensare a tutte le donne della mia vita, alle week-girl, al liceo e alla Luiss, ma una volta tirate le somme, non riuscivo a sentirmi fiero delle storie che avevo collezionato. Non ero mai stato ferito da nessuna di loro, perché non mi ero mai lasciato coinvolgere emotivamente, però non mi era rimasto nulla, se non il ricordo sbiadito dei loro volti.
«Allora?» mi svegliò Stefano, schioccandomi le dita davanti agli occhi.
Rinsavii come da una sorta di trance e mi ritrovai tre sguardi puntati contro, in trepida attesa di una mia risposta.
Sole è l’unica che non è caduta nella tua trappola, ammettilo, ecco perché t’interessa tanto portare a termine la tua scommessa.
Cominciavo davvero ad odiare la mia coscienza, ma un ulteriore silenzio non avrebbe aiutato di certo la mia situazione già ingarbugliata.
«Non ho mai ricevuto un rifiuto, se questo è quello che vuoi dire» borbottai, alzandomi dal letto e sfuggendo a quell’interrogatorio. «Ma non avete altro da fare che tormentarmi?».
In quel preciso istante arrivò anche Giorgio, entrando nella mia stanza silenziosamente. Pensava, forse, che stessi ancora dormendo? Quando i miei occhi incontrarono i suoi, però, lui si voltò fuggendo al mio contatto e facendo dei passi calcolati verso il bagno. Che mi nascondesse qualcosa? Era impossibile.. Giorgio era come un libro aperto per me.
«Buon giorno anche a te, Mr. Mattiniero-che-se-ne-va-in-spiaggia-a-pensare-come-un-fallito» ridacchiò Stefano, scambiandosi il cinque con Ale e Giacomo.
«Perché, dov’è stato?» domandai ingenuamente, come se non fossi il suo compagno di stanza. Era possibile che quella mattina, quando Giorgio si era svegliato, non mi fossi accorto di nulla? Dormivo peggio di un sasso.
«È da ieri che è strano e stamattina, mentre mi sono alzato per pisciare, sono uscito in balcone e l’ho visto sugli scogli che guardava l’alba.. nemmeno fosse uno di quegli scrittori froci tipo Wilde» mi spiegò Stefano, alzandosi dal letto e richiamando gli altri per andarsene.
Visto che non avevano cavato fuori un ragno dal buco, battevano in ritirata.
Evidentemente Giorgio aveva qualcosa che non andava, ma non si era aperto con me. Ero il suo migliore amico e si limitava ad evitare il mio sguardo chiudendosi in bagno. Sara gli aveva fatto qualcosa, ne ero più che sicuro, ma come potevo fargliela pagare con la scommessa che mi legava le mani?
«Giorgio, aprimi» dissi bussando. «Gli altri se ne sono andati».
Inizialmente non mi pervenne nessuna risposta, tant’è che pensai fosse annegato nel cesso, dopo un po’ sentii la chiave girare nella toppa e ritrovai gli occhi nocciola del mio migliore amico.
«Ehi» mi disse.
«Ehi» gli risposi, vedendolo ridotto peggio di uno straccio. «Si può sapere cos’hai? Possibile che debba venirlo a sapere da quel decerebrato di Stefano?».
Ero un po’ arrabbiato con lui, soprattutto perché si era chiuso in se stesso senza rendermi partecipe di quello che era successo. Anche se erano passati quattro giorni, e in tutto quel tempo ero stato poco presente, lui aveva il dovere di parlarmene, soprattutto se riguardava quella vipera di Sara.
«Com’è questa alzataccia, stamattina?» sondai il terreno, sperando si aprisse.
«Dovevo pensare» rispose lui, sempre sul vago.
Si sedette sul letto e si sdraiò, tenendo il viso nascosto nell’incavo del suo braccio. Indossava la mia felpa, quella grigia, e mi sembrò strano, visto che in quindici anni di amicizia non aveva mai preso in prestito nulla.
«Si tratta di Sara?» gli chiesi, facendo un secondo tentativo.
«Anche» disse lui, a mezza bocca.
Non c’era verso di farlo parlare, magari avrei dovuto aspettare un secondo momento. Evidentemente il colpo che aveva ricevuto era stato recente, perciò si sentiva ancora restio a parlarne.
«Posso chiederti una cosa?» mi domandò invece, tornando seduto sul letto.
Finalmente vedevo un barlume di speranza aprirsi in tutta quella faccenda e magari Giorgio si era deciso a parlare. Se mi avesse confidato di odiare Sara, forse sarei stato finalmente libero dalla scommessa e da tutto ciò che ne derivava. Ma mi avrebbe mai perdonato se Sara gli avesse rivelato del presunto bacio tra noi due?
«Amico, puoi dirmi tutto» lo incoraggiai, vedendo dove quella conversazione potesse portare.
Giorgio deglutì e cominciò a rigirarsi le mani in grembo. «Ne sei innamorato?» chiese, lasciandomi improvvisamente perplesso.
Che avesse capito tutto! Oddio, magari Sara gli aveva spiattellato ogni cosa comunque, ignorando la scommessa. Che vipera malefica! Prima o poi me l’avrebbe pagata.
«Senti amico, non so cosa ti abbia detto.. ma non è come pensi, si è inventata tutto!» cercai di giustificarmi. «A capodanno ero un po’ brillo, come ben sai, e non mi sono davvero reso conto che mi si stesse strusciando addosso, ma non è successo nulla! Ne sono più che certo.. almeno credo».
Giorgio mi guardò come se avessi appena cominciato a parlare portoricano, girando su me stesso e saltellando con un piede solo. Evidentemente non intendevamo la stessa cosa.
«Ma di che cosa stai parlando?» mi chiese lui, ovviamente confuso.
A quel punto c’erano due strade da seguire: numero uno, dire finalmente la verità e subirne le conseguenze, nella buona e nella cattiva sorte; numero due, inventare una scusa plausibile che giustificasse quel comportamento.
Ovviamente scelsi la seconda.
«Niente.. era pura improvvisazione. Credo m’iscriverò al corso di teatro» ridacchiai nervoso, cercando il telecomando dell’aria condizionata perché la stanza cominciava ad essere un forno.
Giorgio mi guardò poco convinto, ma evidentemente le mie parole non gli erano interessate poi tanto, e ci passò sopra.
«Stasera hai un appuntamento galante, no?» mi chiese, come se non lo sapesse. Era stato uno di quelli che avevano organizzato tutta la cosa e adesso cercava di fare il finto tonto, con me.
«Sì, altrimenti la scommessa non la porterò mai a termine» sospirai sconfitto.
Lui tornò a guardarmi con rinnovata tristezza nello sguardo, per poi fissarsi i piedi con un certo interesse. Mi sembrava avere davanti agli occhi una Sole al maschile.
«E se ti chiedessi di lasciar perdere con la scommessa?» mormorò con un filo di voce. «Fai andare me, stasera».
Per un momento credei di non aver sentito bene e che quello che mi era parso di recepire, fosse solo derivato da un colpo di sole che avevo preso in spiaggia. Gli occhi nocciola di Giorgio, però, tornarono a guardarmi e mi ritrovai, per la prima volta, senza parole.
Cosa avrei potuto rispondergli? Una parte di me avrebbe dovuto essere entusiasta di quella notizia, tanto da correre verso Sara saltellando e sbattendole in faccia la verità. Non avevo più alcun debito con lei, perché anche se gli avesse raccontato la verità a Giorgio, lui ormai pensava ad un’altra persona. Ma l’altra parte, quella che avevo scoperto di possedere da poco, quella con una coscienza, mi cominciò a far male per motivi che ancora non riuscivo a capire.
«P-perché?» mi ritrovai a chiedere, nonostante la mia parte istintuale mi suggerisse di andare a far festa con le ragazze del corpo di ballo.
Giorgio deglutì a fatica e si ritrovò ancor più sotto pressione di prima. Da quando avevamo tutti quei segreti l’uno con l’altro?
«Credo di avere una possibilità con lei, e non voglio sprecarla.. non per una scommessa da quattro soldi che serve soltanto a prenderla in giro, come Sara ha sempre fatto con me».
«A-aspetta..» dissi quasi senza pensare. «T-ti piace.. Sole..».
Ancora non riuscivo a credere a quello che la mia bocca stesse dicendo. Era come se con le parole dovessi concretizzare un pensiero che era già ovvio nella mia testa.
Giorgio abbassò lo sguardo e mi parve di vederlo arrossire. «Mi sa di sì..».
E il mondo mi crollò addosso in quel preciso e lunghissimo istante.


Spiegazione del mito dell'Androgino [angolino filosofico]
:
Platone narra, nel Simposio, che un tempo l'uomo era perfetto nella sua interezza (come una mela), bastava a sé stesso ed era felice. In realtà non esisteva una distinzione tra uomini e donne, ma c'era solo questo essere (androgino) che univa in sé sia il maschio che la femmina, ed era di forma sferica (la perfetta completezza dell'essere).
Un giorno Zeus, geloso di questa perfezione, li divise a metà e li sparpagliò nel mondo e per molto tempo non riuscirono più ad unirsi, se non per poco con l'atto sessuale. Da quel giorno l'uomo ha cercato disperatamente l'altra sua metà, perché senza di lei si sentiva incompleto e infelice. Purtroppo, per quanti tentativi facesse, egli non riusciva mai a trovarla.

Ovviamente ciò può essere inteso sia come 'anima gemella' (e questo è il mio caso xD), sia nella ricerca continua dell'uomo di raggiungere la completezza e la felicità assoluta, del tutto irraggiungibile.


αиgσℓσ ∂ι ισ_иαяяαитє

Beh, cosa dire.. grazissime a tutti! Uhuhuh siamo arrivati a ben 7 recensioni (ç.ç) sono commossa.. non credevo davvero di avere tutte queste fan al seguito.. *si asciuga le lacrime con un fazzolettino*.
Devo ammettere che la storia si sta complicando un po' più del previsto, dal momento che era nata come una semplice commediuccia che avrebbe strappato sì e no qualche sorriso, invece mi sto ricredendo e con questo capitolo avrò raggiunto i livelli di Beautiful! O.O'' povera me..
Ringrazio le 7 persone che mi hanno commentato (ps. i vostri pensieri mi fanno sempre tanto divertire!): Nes_sie; Lights (new entry!
); _Caline (altra veterana! xD); Kekka_Bieber; Clithia (stavolta non scrivo 'ti lovvo', mi sto trattenendo xD); sister82 e La viola.
Inoltre ringrazio le 6 persone che hanno messo questa storia tra i preferiti, le 3 nei ricordati e le 30 che la seguono semplicemente.
Ovviamente ringrazio anche i lettori silenziosi (162 visite per l'ultimo chappy)!
...Vi adoro...

Kiss Kiss
_Marty_

Per chi non mi avesse ancora aggiunta, nel profilo di Facebook troverete numerose foto e spoiler per il nuovo capitolo di 'Tutto per una scommessa', ed ecco una piccolissima anticipazione fotografica.. xD




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Capitolo 8
*** 08. Dinner's Party ***


Salve, salvino! (a mo' di Flanders), oggi è il mio B-day e invece di aspettarmi un regaluccio da EFP lo faccio io a tutte le lettrici che seguono la mia storiella! Vi avverto che è un po' lunghetto, ma ne vale davvero la pena, buona lettura!

Capitolo otto

Dinner’s party
«Credo di non aver capito bene» sibilò Sara, sempre più contrariata. «Vuoi annullare la scommessa perché quel coglione del tuo amico si è preso una sbandata per quella palla di lardo?».
Okay, forse non avevo usato proprio quelle esatte parole, ma il senso comune c’era.
«Sì» risposi sicuro.
Sara era un barattolo di rabbia pronto per far saltare il coperchio. Se fossimo stati in un cartone animato, le sarebbe uscito del fumo dalle orecchie.
«È rientrato in camera questa mattina presto e mi ha confessato tutto, perciò è meglio finirla qui, tanto penso che a lui non importi più di noi» sospirai sollevato.
Sara non riusciva a sopportare l’idea di essere stata sconfitta e per una come lei, smaltire la rabbia, sarebbe stata una cosa che avrebbe richiesto moltissimo tempo. D’altronde non m’interessava. La notizia che Giorgio si era preso una cotta per Sole mi aveva spiazzato, ma da una parte non vedevo l’ora di sentirmi libero da quella costrizione. Almeno non avevo ancora fatto nulla di cui, poi, mi sarei pentito.
«Bene, allora possiamo anche continuare da dove ci siamo interrotti nel bosco..» sorrise maliziosa, spingendomi con le spalle contro il muro e puntando quegli occhi da pantera nei miei.
Avevo subito capito dove volesse andare a parare, ma per me non era cambiato nulla tra di noi. Non mi era interessata prima di quella scommessa e m’interessava ancora di meno dopo.
«Smettila Sara e cresci un po’» le dissi brusco, sperando la smettesse con quelle cazzate.
In fondo non era mica una ragazza ingenua, allora perché doveva continuare con questa ossessione per me?
«Non è possibile che quella stronzetta riesca a trarvi tutti in inganno con quel suo bel faccino..» ringhiò, parlando più con se stessa che con il sottoscritto. «Ora anche quel babbeo di Giorgio ci è cascato, ma si può sapere cos’ha di tanto attraente? Non ha il fisico bello come il mio, non è passionale come me.. non la sbatte nemmeno in faccia al primo che capita!».
Okay, forse quello era il momento adatto per squagliarsela prima che la situazione potesse diventare alquanto spinosa.
«Ci becchiamo in giro» dissi, posando la mano sul pomello della porta.
«FERMO!» urlò, sbattendo una manata sul legno e sigillando ancora di più l’uscio. «Non crederai che sia finita qui?» sorrise sadica. «Quella stronza ha i giorni contati e finirà di mettermi i bastoni tra le ruote..».
Ripeto, se fossimo stati in un cartone animato, avrebbe fatto concorrenza ad uno dei geni del male che vanno sempre contro i supereroi. Le mancava solamente un assistente brutto come Igor di Frankenstein.
«Tu continuerai secondo i piani» cominciò, sicura di sé.
«No, non hai nulla con cui ricattarmi stavolta» alzai la voce, stufo di quella supremazia spicciola.
«Ah, sì?» sorrise, con le pupille degli occhi che assunsero un’inquietante posa verticale, come quella dei rettili. «Se non porti a compimento la scommessa, andrò dalla bella balenottera e le racconterò tutto. Le parlerò di come hai sempre finto per portartela a letto, di come anche Giorgio era a conoscenza di tutto.. vuoi davvero che il tuo piccolo amico sia nuovamente ferito?».
Possibile che quella maledetta si ritrovasse il coltello sempre dalla parte del manico?
«E come faccio a dirlo a Giorgio?» sospirai sconfitto. «Gli ho palesemente detto che aveva campo libero, visto che Sole non m’interessa».
«Sono affari tuoi» mormorò sicura. «Se stasera non andrai a quella cena, Sole sarà la prima a sapere tutto quanto.. non so se il suo paffuto faccino potrà più tornare a sorriderti..».
Che vipera! Ero sicuro che se avesse fatto le analisi del sangue, lo avrebbero trovato gelido come quello dei rettili. Sara era la perfidia fatta persona.
«Come vuoi» borbottai e lasciai la stanza, trotterellando come un’anima in pena.

«Sai, Fra, è come se fossimo due metà di una stessa mela.. hai presente? Come il mito dell’Androgino».
«De che?».
Giorgio mi sorrise e cercò di nascondere un evidente rossore sulle guance.
«Siamo così simili e c’è molta affinità tra noi» continuò, mettendomi sempre più in imbarazzo. «Cioè, non dico che tu sia sbagliato per lei.. ma so che non ti interessa veramente, perciò che ti costa farti da parte? Fa andare me alla cena di stasera, ti prego».

Cosa avreste fatto, voi, al mio posto? Dilemma, davvero un grande dilemma. Da una parte c’era il mio migliore amico e dall’altra la ragazza cui avrei dovuto rubare la verginità, altrimenti una serpe di mia conoscenza le avrebbe spiattellato tutto quanto allontanandola ancor più da me e da Giorgio.
Una volta che hai toccato il fondo, puoi solo che risalire..
Magari avesse avuto ragione. Sarebbe stato più giusto dire così:
Quando pensi di aver toccato il fondo, puoi sempre cominciare a scavare..



Ero appena uscita dalla doccia, quando sentii bussare alla mia porta. Cercai disperatamente l’asciugamano e me lo avvolsi in vita, constatando, allo specchio, quanto potesse essere striminzito quel pezzo di stoffa.
«Ciao, tesoro!» gridò Claudia, con la sua chioma rossa e sbarazzina.
«Amore, siamo arrivate giusto in tempo!» trillò Ginevra, assordandomi.
«P-prego, entrate..» dissi, lasciando che si accomodassero all’interno della stanza.
Serena ed Elisabetta se ne erano andate, tirando fuori la scusa di fare acquagym per vedere un insegnante bonazzo con gli addominali a tartaruga, ma io sapevo che era una scusa bella e buona per non incontrarsi con le amiche di Francesco. C’era un astio silenzioso fra loro.
«Non ci sono le tue simpatiche amichette?» ridacchiò Ginevra. «Avrebbero potuto aiutarci».
«No, gli ho chiesto io di lasciarci sole.. sapete.. per come mi hanno conciata l’altra volta» dissi sincera.
«Finalmente!» esultò Claudia. «Anche tu hai gli occhi. Ma quelle non ce l’hanno il senso dello stile?».
Forse Betta e Sere avevano un pochino ragione a dire che le amiche di Francesco fossero lievemente oche, ma chi ero io per rifiutare il loro aiuto?
«Direi di cominciare dai capelli, no, sweety?» cinguettò Claudia, poggiando un enorme borsone sul letto e cominciando a frugare tra infiniti prodotti di bellezza e creme varie.
Nel frattempo Ginevra si era posizionata alle mie spalle e cominciò ad esaminarmi i capelli che, anche dopo la doccia, rasentavano il crespo. Sapevo che era un’impresa titanica farmi apparire almeno decente, però mi sentivo in dovere di fare qualcosa, visto che ultimamente Francesco era stato così dolce con me.
Ricordati di non abbassare la guardia, Sole. Cosa ti hanno sempre detto Betta e Sere?
Che senso aveva prepararsi per un appuntamento se dovevo girare guardinga come se stessi in missione segreta per conto del governo?
«Questa crema agli estratti di cocco riesce a districare i nodi e il crespo» mi spiegò Ginevra. «Pensa che la usa mia madre con le modelle afroamericane».
Parafrasando le sue parole: i tuoi capelli sono peggio di un cespuglio!
«Okay, mi affido a voi due» sospirai, sperando che il risultato finale fosse almeno passabile.
«Dammi la mano destra, così ti faccio le unghie» mi propose Claudia, tirando fuori, da un’altra borsetta, il gel e le unghie finte che avevo visto solo nelle pubblicità.
Quelle due, messe insieme, rasentavano la trasmissione ‘Il brutto anatroccolo’!
Ginevra mi passò accuratamente l’impacco sui capelli, attendendo qualche secondo, e poi passando la spazzola su di essi. Inaspettatamente non sentii tirare e i nodi venivano via come per magia. Era davvero un miracolo! Di solito, per spicciarmi i capelli, dovevo buttare quasi una spazzola alla volta, perché si rompevano sempre, invece quella crema faceva davvero al mio caso.
«È prodigioso questo prodotto!» dissi entusiasta.
Ginevra sorrise e continuò a pettinarmi. «Una ricetta segreta di mia madre. Lei fa l’hair stylist per Roberto Cavalli da una vita, ormai».
Wow. Mia madre, invece, lavorava a Posteitaliane.. che vite diverse che facevamo.
Mi ritrovai a pensare a Francesco e a cosa potessero fare i suoi genitori per vivere. Sapevo che frequentava la Luiss, perciò pensai che anche i suoi amici fossero dei ricconi viziati. Oltre ad essere un figo da paura, Francesco era anche ricco. La cosa mi puzzava parecchio.
Possibile che un belloccio-figlio-di-papà potesse prendersi una sbandata per la sottoscritta?
«S-sentite, posso chiedervi una cosa?» chiesi timidamente.
Loro si fermarono per un attimo e mi guardarono negli occhi. «Certo, honey» risposero quasi in coro, facendomi rabbrividire.
«Puoi chiederci tutto quello che vuoi» continuò Ginevra.
«Siamo a tua completa disposizione» si aggiunse anche Claudia.
Quelle due sembravano le copie-ochesche di Serena ed Elisabetta, nemmeno a farlo apposta!
«Ho solo un forte dubbio» cominciai, autoconvincendomi che non avevo nulla da perdere se avessi confessato loro le mie paure. «Per quale motivo uno come Francesco dovrebbe voler uscire con me?».
Per un attimo mi parve di vedere un’espressione disorientata sui loro volti, tanto che cominciai a sospettare qualcosa, ma quelle due erano attrici nate e si ripresero quasi immediatamente.
«Devi sapere che Francesco non è mai stato come adesso» iniziò Ginevra, apparendomi stranamente sincera.
«Ha ragione Gin» continuò Claudia. «Noi lo conosciamo da tre anni, ma Giorgio è suo amico dalle medie e ci ha raccontato che Francesco è cambiato da così a così» e mimò il palmo della mano voltandolo, poi, sul dorso.
«Forse noi abbiamo visto soltanto la sua maschera recente, quella da sciupafemmine incallito e da ‘quello che non si vuole legare’» mormorò Ginevra.
«Pensa che i rapporti che ha avuto in questi tre anni sono durati solo una settimana!» disse Claudia sorpresa.
«Le sue ragazze le chiamavamo week-girl, perché le cambiava con tanta facilità che dimenticavamo subito i nomi» riprese Ginevra.
«Oddio, ma è terribile!» mi ritrovai a pensare ad alta voce.
Loro mi guardarono annuendo, ma subito dopo ripresero la mia ‘trasformazione’.
«Non sappiamo bene tutta la storia, perché nessuno lo conosce veramente».
«Soltanto Giorgio sa davvero cosa gli sia successo per farlo comportare in questo modo, ma non ha mai voluto dircelo».
Seguì un lungo attimo di silenzio, in cui si udì solamente la spazzola che districava i nodi e la limetta che sfregava sulle mie unghie.
«Come delle sciocche avevamo pensato che tu potessi essere quella giusta» se ne uscì Claudia all’improvviso, con uno strano accento di romanticismo.
«Giusta per cosa?» chiesi ingenuamente.
«Per farlo innamorare e per fargli smettere di vivere così, all’avventura» incalzò Ginevra.
Nel frattempo i miei capelli erano completamente spicciati e Gin li avvolse in un asciugamano per far agire l’impacco per qualche altro minuto. Claudia, invece, era passata all’altra mano mentre preparava la lampada per far asciugare il gel.
Nessuna di loro aveva aggiunto una parola ed io mi sentivo talmente in soggezione da non riuscire quasi a respirare. La vera storia di Francesco mi aveva lasciato un certo amaro in bocca e non riuscivo a smettere di pensare a come si potesse sentire quando stava con me. Che volesse aggiungermi alla sua week-collezione?
«Perché pensate che possa essere io quella giusta?» domandai ingenuamente, ma con una certa dose di curiosità.
Claudia e Ginevra smisero di fare quello per cui erano indaffarate e mi guardarono, per poi scambiarsi uno sguardo complice.
«Semplice! Da quando ti ha conosciuta, Francesco non si è filato nessuna ragazza del villaggio e non è mai stato così enigmatico» risposero quasi in coro.
«Devo ammettere che certe volte lo sento sbuffare» aggiunse Claudia, puntando l’indice sul mento pensierosa.
«No, Cla.. lui sospira!» esultò Ginevra.
Ma di che stavano parlando quelle due? Mi sentivo come se stessi guardando una puntata di Bones in inglese senza sottotitoli..
«Credo che ci siamo, amichetta mia!» esultò Claudia.
«Stiamo sulla strada buona» le fece eco quell’altra.
Come se improvvisamente si fossero ricordate che ero presente anch’io, si voltarono all’unisono in un gesto che mi ricordò le gemelline insanguinate di Shining.
«Che ne diresti di fare una scommessa?» mi chiesero all’improvviso e mi sentii stranamente chiamata in ballo.
«P-perché?» balbettai sorpresa.
«Così, per divertirci..» ridacchiò Ginevra.
«Alla fine è solo per il bene di Francesco» aggiunse Claudia.
Per il bene di Francesco o per il loro tornaconto? Qua la cosa mi puzzava di bruciato..
«E in cosa consisterebbe?» chiesi, lievemente curiosa e tentata.
«In realtà dovresti solo farlo innamorare di te e portarlo fuori dalla sua spirale di perdizione, così noi saremo soddisfatte e il nostro orgoglio femminile non verrebbe mai più calpestato dal suo essere.. così.. donnaiolo» disse Ginevra soddisfatta, mentre Claudia annuiva.
«Ma come potrei farlo? I-io.. i-io.. io non sono bella» balbettai, arrivata al tanto atteso momento delle confessioni.
Loro mi guardarono sorridendo.
«Dopo quello che ti faremo, vedrai che nessuno sarà capace di resisterti..» sussurrò Claudia, con uno sguardo inquietante.
«Soprattutto se si tratta di uno che ragiona con l’uccello» asserì Ginevra, facendomi avvampare.



«Secondo te è troppo la cravatta?» mi chiese Giorgio, una volta che fui rientrato in stanza.
Incrociai i suoi occhi nocciola, per poi riabbassare subito lo sguardo. Cosa avevo fatto di male per meritarmi tutto quello? Più andavo avanti, e più il dio dell’amore aveva in serbo in me delle sorprese spiacevolissime.
«Senti, Giò..» arrancai, soppesando attentamente le parole.
Come avrei potuto dirglielo? Sara mi aveva incastrato per bene e se quella sera avrei saltato la cena, non so se lei me l’avrebbe mai perdonato. La scommessa era ancora in ballo ed io dovevo ballare.. con o senza scarpe.
«..c’è stato un cambio di programma» sospirai, mentre soccombevo al suo sguardo.
«Che intendi?» disse lui, abbandonando la cravatta sul letto e lasciando che la camicia bianca gli pendesse floscia sulle spalle.
A questo punto era meglio dirgli tutta la verità, almeno ad uno dei due potevo dirla.
«Sara mi ha incastrato di nuovo! Se non esco con Sole stasera, andrà da lei e le dirà tutto.. così la perderai anche tu» gli spiegai, convinto che avrebbe capito.
Invece mi sbagliavo.
Serrò le mani a pugno, guardando verso il basso e trattenendosi. Non l’avevo mai visto così arrabbiato ma almeno, per una volta, avremmo avuto un nemico comune.
«No» ringhiò, lievemente irritato.
«Cosa? Ma non hai capito quello che ti ho appena detto?» gli ripetei, pensando che si fosse insordito tutto insieme. «Se Sole viene a sapere della scommessa, non ci parlerà più!».
«NO! Non parlerà più a te..» mi urlò sopra, reagendo male per la prima volta.
Rimanemmo così, a guardarci in cagnesco, senza proferire parola. Perché non capiva che volevo agire per il suo bene e nient’altro? Sole non l’avrebbe mai perdonato..
«Lo sto facendo per te.. per voi, dannazione! Questa maledetta scommessa è opera vostra!» sbottai, furente per tutto quello che era andato storto fino ad ora. «Se Sara le raccontasse tutto, verrebbe a sapere che tutti noi eravamo coinvolti..».
«Smettila!» mi disse. Non lo avevo mai visto così arrabbiato. «Sai bene che basterebbe dirle che io non c’entravo e che era solo opera tua e di Sara, ma come al solito vuoi la botte piena e la moglie ubriaca.. non ti basta aver avuto tutte le ragazze del mondo, ora vuoi anche lei!».
«Ma io..» tentai di rimediare, fallendo miseramente.
«Me ne vado, non resisto a stare a meno di un metro da te!» ringhiò, sbattendosi la porta alle spalle.
Mi ritrovai seduto sul letto, con la testa tra le mani e i gomiti poggiati sulle ginocchia. Ancora una volta avevo rovinato tutto, come se la mia vita non fosse stata già abbastanza complicata. Avevo cercato di evitare un litigio con Giorgio dall’inizio di tutta quella storia, ma ero riuscito comunque ad inimicarmelo.
Perché non gli hai detto che poteva andare alla cena? Mi suggerì la mia immancabile coscienza.
Nemmeno ti rispondo.
Sarebbe bastato mettersi da parte e lasciargli trascorrere una bellissima serata.. Sole ti avrebbe odiato a vita, ma a te cosa te ne importa?
Già.. cosa me ne importa..
Come sempre, la mia coscienza mi aveva fornito materiale su cui riflettere, peggiorando sempre di più la mia situazione. Per quale motivo non mi ero messo da parte? Perché la mia boccaccia non era rimasta sigillata?
Avevo desiderato tirarmi fuori da questa situazione dal principio, ed ora che mi si era presentata l’occasione, mi ero bloccato come Ronaldo prima di tirare una punizione.
Perché diavolo non gli hai detto di andare alla cena e che non te ne sarebbe fregato nulla se Sole ti avesse odiato per altri dieci giorni? Chi l’avrebbe rivista, dopo?
Il fatto era che la parola ‘odiare’ insieme al nome ‘Sole’ non andavano bene nella stessa frase, almeno per il mio vocabolario.
Odierà te..
Quelle parole continuavano a ronzarmi nella testa, provocandomi un forte dolore al petto che non avevo mai provato prima. Che fosse amore?
«Sei proprio idiota, Fra» mi dissi, ad alta voce, perché Francesco Russo non amava, Francesco Russo non si legava a nessuno.
Sentii il pomello della porta girare e vidi Giorgio entrare nuovamente nella stanza, con l’aria da cane bastonato. Nei nostri quindici anni di amicizia, non avevamo mai litigato per una ragazza, anzi, non avevamo mai litigato, ed ora ci ritrovavamo ad affrontare una situazione nuova per entrambi.
«Posso?» mi chiese timido, vergognandosi per la sfuriata di poco prima.
«Hai deposto l’ascia di guerra?» gli feci scherzando e invitandolo a entrare.
Annuì con la testa ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle e sedendosi sul materasso accanto a me. Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, decidendo se rovinare quel momento oppure no. Era davvero difficile litigare con Giorgio, anche perché era l’unico che mi capiva e a cui raccontavo tutto.
Tutto tranne quello che cominci a provare per la bella rotondetta..
Ma perché il mio cervello non si prendeva mai una vacanza? C’erano tanti posti da visitare, tante città da vedere.. sarei sopravvissuto benissimo una settimana senza di lui!
«Ho reagito d’impulso, prima.. mi dispiace» disse all’improvviso, distogliendomi dai litigi con la mia coscienza. «È solo che questa storia di Sole mi sta facendo rincitrullire del tutto ed ora che ho capito finalmente che provo qualcosa per lei, detesto vederti ronzarle attorno. So che a te non interessa e che quelle come lei non fanno parte del nostro mondo, però, c’è qualcosa nei suoi occhi che riesce a stregarti…».
A chi lo dici..
«Non rovinerei mai la nostra amicizia per una ragazza, questo lo sai, ma sento che Sole potrebbe essere quella giusta, la ragazza che cerco da tempo e che non ho stereotipato secondo il mio volere, come avevo fatto con Sara. Lei è vera ed è raro trovare una ragazza con la sua intelligenza, il suo animo buono e quel rossore che affiora sul suo viso ogni volta che s’imbarazza. Ti ricordi l’ultima ragazza che hai visto arrossire?» mi chiese a bruciapelo.
«Al-alle medie, forse..» bofonchiai, sentendomi troppo coinvolto in quella conversazione.
Tutte le caratteristiche che Giorgio stava elencando, erano le stesse qualità di Sole che avevano colpito il sottoscritto, mandandolo ai pazzi il più delle volte. L’unica differenza era che Giorgio le stava catalogando a cuore aperto, ammettendo i suoi sentimenti e sbandierandoli ai quattro venti, mentre io mi limitavo a inibire i pensieri che venivano dal cuore, sostituendoli con spiegazioni del tutto irrazionali.
«Beh.. non so se ci hai fatto caso, ma è così sensuale quando arrossisce e ti viene voglia di stringerla tra le braccia senza più lasciarla andare. Funziona come un afrodisiaco» ridacchiò, arrossendo a sua volta.
Ci ho fatto caso, ci ho fatto caso.. ormai sapevo a memoria ogni reazione di Sole, ma, nonostante ciò, riusciva sempre a spiazzarmi con la sua ingenuità. Quella conversazione stava diventando troppo spinosa per i miei gusti, ma non sembrava esserci alcuna via d’uscita.
«Quindi mi stai dando il permesso per andare a Peschici?» gli chiesi, sperando la finisse di parlare di Sole come se volesse mangiarsela.
Sei tu che vuoi assaggiarla per primo, ammettilo..
Roteai gli occhi come se quel pensiero fosse stato espresso ad alta voce, poi attesi con ansia la risposta di Giorgio.
«In un certo senso, sì, ma ti volevo fare una proposta» iniziò, guardandomi di sottecchi.
Oh, no.. un’altra scommessa no!
«Promettimi che la farai divertire, che parlerete di tutto ciò che non vi siete mai detti fino ad adesso, che ti aprirai con lei, magari raccontandole anche le cose che soltanto io so, e che la riaccompagnerai qui» sospirò.
«Beh, era quello che avevo intenzione di fare» risposi con ovvietà.
Tranne la parte delle confessioni a cuore aperto sulla mia vita privata.
«Non baciarla» mi chiese poi, come se nulla fosse.
«Eh?» chiesi io, evidentemente confuso.
Giorgio deglutì e distolse lo sguardo dal mio, cominciando a torturarsi le mani in grembo. «Non darle quel bacio, quello che hai promesso agli altri» insistette.
«Ma.. l’ho promesso..» ponderai ad alta voce. Come poteva chiedermi una cosa del genere quando già ero sommerso nella merda fino al collo?
«È solo che lei sembra così piccola.. così indifesa.. non voglio che tu la illuda» mi rimproverò involontariamente, conoscendo i miei trascorsi.
«Lo so che Sole è una persona fragile» cominciai, cercando di non sembrare del tutto insensibile, «però cosa dovrei raccontare ai ragazzi?».
«Dì che ti faceva male la gola, che aveva qualcosa tra i denti, che ti faceva schifo.. non lo so, inventa!» e a quel punto mi sembrò sull’orlo della disperazione.
«Va bene, amico.. vedrò cosa posso fare» gli promisi, sperando che quell’atto di gentilezza venisse ripagato in futuro dalla sorte, ormai del tutto avversa.
«Un’ultima cosa» mi chiese.
«Ancora? Cosa vuoi? Devo fare da testimone al vostro matrimonio?» peggio di così non si poteva.
«No» e arrossì. «Parlale di me alla cena, ti prego. Non so se ha capito quello che provo per lei..».
«È così ingenua..» mi ritrovai a dire, senza pensare.
Ma a te piace questo suo lato innocente, vero diavoletto?
«Allora? Le parlerai di me?» domandò nuovamente, sembrando impaziente.
«Certo, amico.. sarai il re della nostra conversazione».
Giorgio mi sorrise e, almeno per adesso, potevo ritenermi salvo dal completo sfracellarsi della nostra amicizia.

Ero davanti alla porta a vetri della hall dell’albergo, con lo sguardo fisso sulla mia Audi rossa fiammante. Da dieci minuti buoni non volevo decidermi ad avvicinarmi, visto che l’appuntamento ce lo eravamo dati alla macchina. Non mi era mai capitato di essere così maledettamente nervoso prima di un incontro, anzi, spesso non vedevo l’ora di concludere la serata.. per chi di voi ha capito il senso.
E invece me ne stavo lì, fermo come uno stoccafisso, sperando di veder arrivare Sole da un momento all’altro e pregando si fosse vestita più racchia possibile. Cercai di ricordare la prima sera che ci eravamo conosciuti e un moto di repulsione si accese dentro di me. Bene, se fosse accaduto qualcosa di spiacevole, avrei dovuto immaginarmela così.
Tutti gli ospiti dell’hotel mi guardavano strano, vestito di tutto punto e impalato di fronte alla porta. Presi un bel respiro e mi feci coraggio, tanto sarebbe bastato fare una bella chiacchierata, mangiare due cosette e filare dritti in hotel, ognuno nelle proprie stanze. Niente bacio, solo parole.
Forza, Frà! Via il dente, via il dolore...
Aprii un’anta e mi diressi a passi veloci verso l’Audi, guardandomi con circospezione, con l’impressione di essere seguito.
«Ehi! Dove te ne vai così elegante?». Tarzan mi spuntò alle spalle come un fantasma e per poco il cuore non mi uscì dalla gola.
«Fatti i cazzi tuoi» gli risposi, incavolato sia per i trascorsi tra di noi, sia per lo spavento che mi aveva fatto prendere.
«Ma come siamo irascibili, raggio di sole» ridacchiò lui, scostandomi i capelli davanti al viso neanche fossi una femmina. «Dovresti essere contento di uscire con quel gran bel pezzo di figliuola. Sono sicuro che a letto è insaziabile..» e dopo aver detto ciò, si leccò le labbra maliziosamente.
Ora, a parte il conato di vomito che mi salì lungo l’esofago dopo avergli visto fare un’allusione sessuale, la rabbia che crebbe successivamente mi fece stringere le mani a pugno e trattenermi fin quando gli vidi sparire quel sorriso da cazzone sulle labbra.
«Fottiti, maiale» sibilai, frenandomi a stento dal rifilargli un dritto in faccia.
«’Fottiti, brutto porco!’» m’imitò lui, facendo la vocina da checca. «’Non toccarmi, altrimenti mi spettini i bellissimi capelli biondi che ho!’».
Se non avessi indossato il completo di Armani per quell’occasione, nulla mi avrebbe fermato dal prenderlo a pugni fino a farlo sanguinare anche dalle orecchie. Quel bastardo si meritava soltanto una bella lezione.
«Ti senti più uomo a barare, eh? Voi figli di papà potete sempre ottenere tutto ciò che volete. La cena a Peschici era mia, come anche Sole. Tu non te la filavi di pezzo, ma quando Emanuele ci ha messo lo sguardo sopra, improvvisamente è diventata stupenda. Ho forse torto?».
Non capii perché avesse cominciato a parlare di sé in terza persona, ma tutto quello che stava dicendo mi scivolava addosso come l’acqua della doccia.
«Spero proprio che Sole capisca che razza di stronzo sei, perché con i tuoi occhi dolci e quei capelli da raggio di sole non m’inganni. Sento che c’è sotto qualcosa in tutta questa storia e lo scoprirò, prima o poi. Hai vinto una battaglia, bello, ma la guerra è ancora aperta» minacciò, puntando uno dei suoi indici muscolosi verso il mio viso.
«Come vuoi» gli risposi sospirando. Di certo, in tutta quella storia, Tarzan era il problema minore da affrontare.
In quel preciso istante, quando la tensione dell’incontro si era oramai alleggerita e mi ero quasi dimenticato di tutto il nervosismo di poco prima, sentii la porta cigolante della hall aprirsi e puntai istintivamente lo sguardo verso l’uscita. Lo stesso fece Tarzan.
Per poco le braccia non mi caddero per terra, insieme alla mascella e se fossimo stati in un cartone animato, si sarebbe udito un sonoro SBAM di entrambi, mentre gli occhi strabuzzavano fuori dalle orbite come lampadine giganti.
Deglutii a fatica, mentre il caldo cominciava improvvisamente a farsi sentire, obbligandomi a sbottonare un po’ la camicia.
La prima cosa che vidi, furono solo gambe. Partii dalle scarpe nere a decolleté, col buchino sulla punta, poi risalii alle caviglie, notando che sulla sinistra spuntava un pendaglio d’argento che tintinnava. Il resto me lo mangiai con lo sguardo, notando che il vestito finiva proprio in una zona strategica tra il ginocchio e metà coscia: né troppo da suora, né troppo da zoccola. La via di mezzo ideale per chi volesse lasciar correre la sua fantasia.
Il tubino nero che indossava Sole era una manna scesa dal cielo e addio ai vestiti larghi che la facevano sembrare una mongolfiera. La stoffa nera le fasciava ogni curva, alimentando le mie più recondite fantasie e risvegliando un certo Walter ai piani bassi, ma non appena i miei occhi famelici e ingordi raggiunsero il suo decolté per poco il sangue non mi uscì dal naso, neanche fossi un poppante alle prime armi.
Infine, rosso dalla vergogna dalla testa ai piedi, raggiunsi il suo viso e il cuore mi mancò di un battito.
Quelli che, fino a ieri, erano una massa inconsistente di fili di stoppa, ora erano lisci come la seta e pettinati con cura. Rimasi sbalordito quando constatai che i capelli le arrivassero quasi fino al sedere, cosa inimmaginabile dal cespuglio che solitamente portava in testa.
Sto per avere un attacco di cuore..
«Chi è quella specie di dea tutte curve?» se ne uscì Tarzan, facendomi fare una faccia babbea, mista tra lo stupore per Sole e l’indignazione di quell’essere tutto muscoli e niente cervello.
«Piccola, ma cos’hai fatto?» disse, correndo ad abbracciarla.
Piccola? Ma quante persone usavano ancora quella parola?
Sole era color aragosta, soprattutto quando quel bestione l’abbracciò talmente stretta da spalmarsela al suo possente corpo tatuato.
«Sì, sì, va bene, saltiamo la parte dei convenevoli» borbottai, togliendoglielo di dosso, ma non appena mi trovai faccia a faccia con la nuova Sole, non riuscii a dire niente.
Mai nella mia vita mi era capitato di rimanere muto davanti ad una donna, se non mia madre quando mi sgridava di qualche marachella.
«F-fantastica.. tu.. sei..» farfugliai, realizzando troppo tardi di aver parlato come Spock.
«Fantastica tu sei? Ma che sei giapponese o cosa?» mi canzonò Tarzan, ridacchiando e facendo sorridere anche Sole.
In quel preciso istante avrei voluto scavarmi la fossa da solo, anche perché per me tutto quel genere di emozioni era completamente nuovo. Solitamente ero io a condurre la danza, era il sottoscritto a tenere le redini del gioco, ma Sole riusciva sempre a spiazzarmi ed io non sapevo più con che arma difendermi.
«Forza, andiamo» borbottai, ancor più rosso dalla vergogna.
«Sì» sussurrò lei, guardandomi con gli occhi più dolci che potesse fare, neanche fosse la mamma di Bambi.
Deglutii a fatica e mi precipitai dalla parte del passeggero, aprendole la portiera e lasciandola accomodarsi nell’Audi. Nel frattempo, Tarzan stava inscenando un teatrino sdolcinato, facendo di tutto per prendermi per i fondelli, ma la mia risposta fu semplice: alzai il dito medio e lo mandai a ‘fanculo.
«Raggio di sole, mi raccomando, stai attento alle foglie d’insalata.. possono andare un po’.. di traverso!» ridacchiò, ma ci passai sopra, anche perché avevo ben altro a cui pensare.
Salii in macchina e misi la cintura, rimanendo un momento interdetto con le mani sul volante. Cosa dovevo fare?
«Forse dovresti inserire le chiavi nel cruscotto» mi suggerì Sole, spostandosi oltre il suo sedile e afferrando le chiavi che si trovavano sul parabrezza interno dell’auto. Il suo corpo era pericolosamente troppo vicino al mio, tanto che per un istante il suo petto toccò la mia spalla ed io entrai nel panico.
Che voleva? Uccidermi, forse? La prima sera era stato piuttosto facile mantenere il controllo, dal momento che avevo una specie di clown davanti agli occhi, ma dopo averla vista questa sera, non ero sicuro nemmeno di arrivare al dessert prima di saltarle addosso.
Ricordati che hai fatto una promessa..
Ci mancava anche il mio cervello a completare l’opera, e Giorgio con il suo appena rinnovato senso del romanticismo. Mi aveva chiaramente chiesto di non baciarla, di non avvicinarmi a lei, di non pensarla nemmeno.. ma, dannazione, non avrei mai immaginato potesse essere così difficile!
«Tieni» mi disse sorridendo, porgendomi le chiavi dell’Audi.
«G-grazie» risposi, afferrandole con mano tremante e sprecando ben tre tentativi per riuscire ad infilarle nel cruscotto.
Dannazione, Frà.. non sei mai stato tanto nervoso in vita tua! Piantala e abbi un po’ di spina dorsale..
Pareva facile.
Feci rombare il motore dell’auto schiacciando più volte l’acceleratore e sgassando come un vero e proprio sborone. Quando Sole, notevolmente contrariata di tutto quell’inquinamento, mi lanciò un’occhiata assassina, la smisi di fare il deficiente e mi decisi a partire, valutando, almeno per un momento, d’investire Tarzan che continuava a fare delle mosse assurde e a prendermi in giro.
L’Audi ruggiva sotto il sedile, dandomi quella scarica di adrenalina che mi permise, per un attimo, di dimenticare tutte quelle emozioni contrastanti che poco fa mi avevano completamente scombussolato.
Se fossi stato da solo, avrei anche raggiunto i 200 chilometri orari pur di dimenticare la figura di merda che avevo appena fatto, ma Sole, al mio fianco, si era schiacciata a sufficienza contro il sedile, perciò decisi di rallentare.
Le vidi fare un sospiro di sollievo e non riuscii a fare a meno di ridere come un cretino. Avrei dovuto smetterla di pensare che ogni mia azione dipendesse esclusivamente dal suo stato d’animo, cazzo! Era come se fossimo fidanzati da anni..
Fidanzati..
Questa parola non la conosceva proprio il mio vocabolario, era come austro-ungarico per me.
«Che ne dici di accendere la radio?» mi chiese lei, guardandomi con rinnovata allegria.
Tra i due, quello più nervoso era il sottoscritto. Nonostante la prima sera Sole mi era sembrata come un pesce fuor d’acqua, ora era talmente a proprio agio da riuscire a guardarmi senza arrossire violentemente.
«Certo» dissi, poi, neanche fossimo stati telepatici, avvicinammo contemporaneamente le mani al pulsante ‘on’ e, inavvertitamente, ci sfiorammo.
Una scia di brividi intensi partì da quel tocco fino a raggiungere ogni fibra del mio corpo e provocandomi la pelle d’oca. Anche Sole era rimasta sorpresa ma, a differenza del Mr. Emotivo che ero diventato, lei liquidò l’accaduto con un meraviglioso sorriso.
«Fai tu» mi disse, ritirando la mano. «L’auto è tua».
La bocca mi si era asciugata del tutto, perciò decisi di non rispondere e di accendere quella maledetta radio che avrebbe, almeno in parte, lenito quel silenzio imbarazzante che si era creato all’interno dell’abitacolo.

Butterò questo mio enorme cuore tra le stelle, un giorno,
giuro che lo farò.
E oltre l’azzurro della tenda, oltre l’azzurro, io volerò.
Quando la donna cannone d’oro e d’argento, diventerà,
senza passare per la stazione l’ultimo treno prenderà.

Perfetto, ci mancava anche la canzone a tema.
Continuai a guidare, sperando che Sole trovasse il coraggio per cambiare stazione, invece, con la coda dell’occhio, notai che aveva gli occhi chiusi e sorrideva beata.

 E in faccia ai maligni e ai superbi, il mio nome scintillerà,
dalle porte della notte il giorno si bloccherà.
Un applauso del pubblico pagante lo sottolineerà,
e dalla bocca del cannone una canzone suonerà..

«Cambio?» le chiesi, dal momento che De Gregori non faceva altro che ripetere ‘cannone’ associandolo ad una donna.
Non ricevendo risposta alcuna, con l’indice puntai il cambio di stazione, ma Sole fu talmente rapida che mi afferrò la mano, guardandomi seria.
«No» rispose, tenendo ancora stretta la sua mano nella mia. I brividi che avevo sentito poco prima, tornarono a tormentarmi e se non avessi distolto immediatamente lo sguardo dal suo, ero più che sicuro che saremmo andati a sbattere contro guard-rail.
«E con le mani, amore, per le mani ti prenderò» disse lei, iniziando a cantare sopra De Gregori, mentre teneva ancora stretta la sua mano sulla mia. «E senza dire parole, nel mio cuore ti porterò».
Quella canzone cominciava a farmi venire i brividi.. sembrava essere stata scritta proprio per quel momento ed io già mi trovavo in una situazione alquanto compromettente, poi anche Radio Salento ci metteva lo zampino.
«E non avrò paura se non sarò bella come dici tu» continuò Sole ed io non potei fare a meno di notare che fosse notevolmente intonata. «Ma voleremo in cielo, in carne ed ossa, non torneremo più».
A quel punto, Sole mi sorrise di nuovo ed io sentii la tensione di qualche momento prima, scivolarmi di dosso così com’era arrivata.
«E senza fame e senza sete» continuai io, trovando un po’ di coraggio.
«E senza ali e senza rete» attaccò lei, in seconda battuta.
«Voleremo via!» cantammo insieme, per poi abbandonarci ad una sonora e liberatoria risata.
Non sapevo se Sole avesse fatto tutto quello perché mi aveva visto sull’orlo di una crisi di nervi o per puro caso, ma le fui eternamente grato.. anche solo per essere semplicemente lei.
Arrivammo al ristorante in perfetto orario, parcheggiammo l’Audi ed entrammo. Il locale era parecchio elegante, anche se non quanto quelli che ero abituato a frequentare, e il cameriere ci accompagnò al nostro tavolo senza smetterla di ammiccare ad ogni parola.
«Cosa posso servire alla sua bella signora?» ammicca.
«Il nostro chef ha delle ostriche molto fresche» ammicca, ammica. «Sono un ottimo afrodisiaco..» ammicca, ammicca, ammicca.
Al quindicesimo ‘ammicca’ pensai che l’occhio gli rotolasse fuori dall’orbita, e soltanto quando ci lasciò soli potei distendere finalmente tutti i muscoli facciali.
«Ma quello ha qualche specie di tic?» mi domandò Sole, ingenua come sempre.
«Forse» le dissi sorridendo e tornando a guardare il menù.
Purtroppo, invece di leggere le pietanze, riuscivo solamente a vedere delle righe nere sfocate, mentre il mio sguardo faceva capolino oltre la lista delle pietanze e sbirciava, ingordo, ogni espressione di Sole.
Era intenta a leggere da cima a fondo il menù e mi sembrò talmente concentrata che, ad un certo punto, tirò fuori la lingua al lato del labbro, neanche stesse risolvendo un teorema matematico.
Chi era che doveva immaginarsela racchia?
Mi ricordò, puntualmente, la mia coscienza. Ogni suo dannato comportamento, anche il più sciocco, mi provocava una tremenda attrazione nei suoi confronti e il mio corpo non si sarebbe mai saziato senza assaggiarne almeno un pezzettino.
Stai parlando di una ragazza o di un cosciotto d’agnello?
«Oh, ma piantala!» borbottai ad alta voce.
«Come?» mi chiese Sole e in quel preciso istante sbiancai.
«Ehm.. ecco..» dovevo accampare una qualche scusa, e alla svelta. «È incredibile quanto costi qui il rombo..».
Ma che razza di cazzata mi era venuta in mente?
«Eh, sì.. non potrei permettermi più della metà della roba che c’è qui..» mormorò sconsolata.
A quel punto sentii nuovamente quella sensazione d’istintiva protezione nei suoi confronti. Se fosse stata come le altre week-girl, le avrei comprato scarpe, vestiti, accessori e chi più ne ha, più ne metta, ma Sole era un grosso punto interrogativo e avevo come la sensazione che non si sarebbe lasciata comprare dalle cose materiali.
«Tanto la cena è gratis, ordina tutto quello che vuoi!» le dissi, pensando di farle un favore, invece lei sbarrò gli occhi e tornò a fissare il menù, tentando di nascondere un’evidente rossore sulle guance.
E ora che avevo detto di male?
«Scusami, ho forse detto qualcosa che ti ha offesa?» le chiesi, cercando di essere almeno galante.
Lei abbassò il menù, ma tentò di evitare in tutti i modi il mio sguardo.
In quel preciso istante, con un tempismo davvero perfetto, arrivò Ammicca con il blocchetto e l’acqua minerale.
«Scelto, bella signorina?» ammicca, ammicca.
Sole inghiottì nervosa, poi disse: «Un’insalata di mare e delle carote in umido per contorno».
Eh? Ma era forse impazzita? Non aveva capito che la cena era stata gentilmente offerta dal villaggio e che potevamo mangiare fino a scoppiare?
«Sicura che vuoi solo questo, miss?» ammicca, ammicca, ammicca, ma, fra il secondo e il terzo ‘ammicca’ giurai che le avesse guardato le tette.
«S-sì» balbettò, sempre più rossa in volto.
«E per te, giovanotto?» ammicca e sbirciata al decolté.
Allora, innanzitutto quel deficiente mi chiamava ‘giovanotto’ quando era evidente che avesse, al massimo, qualche anno in più di me. Seconda cosa, come cazzo si permetteva di fissare Sole come se fosse un cosciotto d’agnello?
Quello lo puoi fare solo te..
«Mi porti tutto quello che c’è sul menù» sibilai, guardandolo di sottecchi.
«T-tutto?» balbettò incredulo, senza ammiccare.
A quel punto mi alzai e lo accompagnai da una parte, per parlargli senza che Sole ci vedesse.
Da vero mafioso tirai fuori una banconota da 100 euro e gliela infilai nel taschino del gilet, dandogli delle pacche sul viso.
«Vedi di portarci quello che ho ordinato e di non guardare la mia ragazza come se fosse una delle volgari troie con cui te la fai» lo minacciai e lui ammiccò sette volte in risposta.
Tornai a sedermi mentre Sole si guardava intorno spaesata. Era evidente che quel mondo fatto di sfarzo e di lusso non le apparteneva, però, almeno esteriormente, l’avrei vista bene ad uno dei gala organizzati in onore della società di famiglia.
«Com’è hai ordinato solo un’insalata di mare?» le chiesi, senza malizia.
«S-sono a d-dieta..» balbettò lei, più rossa dell’aragosta che Ammicca aveva servito ad un cliente vicino.
Dopo quella risposta, per la prima volta da quando l’avevo conosciuta, l’idea che dimagrisse o che, in qualche modo, cambiasse quel suo dolce aspetto mi terrorizzò. Se fosse diventata più magra, gli altri ragazzi avrebbero cominciato a ronzarle intorno a frotte e mi sarei dovuto preoccupare di altri ‘Giorgio’ e ‘Tarzan’.
Ma chi te lo fa fare? Fra nove giorni sarà finito tutto..
Colpo al cuore. Sentii un sordo tonfo nel mio petto e cominciai ad annaspare in cerca d’aria. Ma cosa mi stava prendendo? Nemmeno fossi una ragazzina alla prima cotta..
«Che hai? Stai bene?» mi domandò Sole preoccupata, vedendomi bianco come un lenzuolo.
«M-mi.. mi fa male il petto» dissi, senza quasi rendermi conto delle parole.
Tornai a guardare il suo viso e quei suoi occhi grigio-perla, accompagnati da quelle lentiggini coloro caffè. Che avesse capito? Era soltanto colpa sua se mi trovavo in quello stato..
«Sarà un soffio al cuore» rispose ingenua, sporgendosi sul tavolino e posando una mano all’altezza del punto dolorante.
Senza rendersene minimamente conto, si era completamente schiacciata sul tavolino, lasciandomi libera la vista del suo seno premuto contro la tovaglia. In quel momento feci appello a tutti i santi in paradiso per far sì che Walter rimanesse a cuccia.
«Oddio, ma soffri di tachicardia? Il tuo cuore sta per esplodere..» constatò lei, tornando al suo posto e permettendomi di ossigenare il cervello.
Il cuore non è l’unica cosa che sta per esploderti..
«Ecco qui!» disse Ammicca, arrivando con le più succulente porzioni che posizionò accuratamente davanti al sottoscritto, lasciando Sole alla sua misera insalata di mare.
«Pancia mia, fatti capanna!» esultai, lanciandomi sulle linguine allo scoglio.
Avrei continuato ad ingozzarmi come un maiale se non avessi incrociato lo sguardo di Sole che, per poco, non mi avrebbe fatto sputare tutta la pasta a furia di ridere.
Era completamente rapita da tutto quel ben di Dio, mentre teneva la forchetta a mezz’aria e tentava di centrare la bocca senza mai distogliere lo sguardo dalle succulente linguine che avevo davanti.
«Vuoi assaggiare?» le chiesi, dissuadendola da quel sogno ad occhi aperti.
«Ehm.. no.. non posso..» disse convinta, addentando un pezzo di polpo.
«Senti, per quanto apprezzi il fatto che tu mi abbia scelto per cena» dissi, alludendo all’ingrediente principale del piatto che aveva davanti e al soprannome che mi aveva dato, «non sopporto il tuo sguardo famelico da ‘deportata di Auschwitz’, perciò assaggia un po’ di tutto, altrimenti torni a piedi» la minacciai, arrotolando le linguine attorno alla mia forchetta e porgendole il tutto.
Lei mi guardò tentata, leccandosi le labbra in un modo ingenuamente sensuale che mi fece vacillare il braccio. In seguito spalancò la bocca e masticò il boccone, sorridendomi come una bambina che aveva appena mangiato la marmellata.
Quel suo modo di mangiare da me, fu talmente erotico che funzionò meglio delle ostriche che Ammicca voleva rifilarci. Se non avessi avuto il tavolino a coprire la mia zona Sud, sarei sprofondato volentieri dieci metri sotto terra.
Sole ed io mangiammo quasi tutto, assaggiando anche i piatti più strani e facendo sudare sette camicie ad Ammicca. Parlammo di tutto, della scuola, dell’università e di cosa avremmo fatto una volta finita la magistrale, poi, però, arrivò la nota dolente.
«Ehm.. posso farti una domanda personale?» le chiesi.
«Se io, poi, posso fartene una a mia volta» disse lei.
«Okay, allora comincio io». Ero relativamente curioso, perché non sapevo davvero cosa avrebbe potuto chiedermi, ma era come se avessi Giorgio sulla mia spalla che continuava a ripetermi di parlarle di lui.
«Cosa ne pensi del mio amico?».
«Quale?» chiese lei, nuovamente in imbarazzo.
«Giorgio, quello che stava in squadra con noi nel bosco» precisai, attendendo una risposta.
In quel momento non riuscii a reprimere un pensiero egoistico.
Dì che fa schifo, che lo trovi orripilante, che odi il solo pensarlo.. avanti, dillo!
«È carino». Prima coltellata. «Ha un animo davvero buono ed è molto intelligente». Seconda coltellata con relativo rigiramento nella piaga. «Quando abbiamo parlato, mi è sembrato così solo e mi ha fatto tenerezza. Ho capito che siamo molto simili io e lui, abbiamo tante cose in comune». Questa volta entrò in gioco direttamente il fucile, che sparò due pallettoni in direzione del mio povero cuore.
«B-bene.. quindi ti piace» azzardai, andando subito al sodo.
Sole divenne rossa dalla vergogna e cominciò a torturare un lembo del tovagliolo. «N-non so.. non lo conosco bene quanto te..».
Cos’era? Una metafora per farmi capire che, in realtà, ero io che le piacevo?
Oddio, stavo cominciando a farmi le pippe mentali come una ragazza.
«Quindi credi di conoscermi bene?» le chiesi, forse apparendo un po’ arrogante.
Sole spalancò gli occhi e cominciò a balbettare confusa. «C-cioè.. intendevo che con te ho passato più tempo e credo di conoscerti meglio di lui..».
«Tranquilla, tranquilla, scherzavo» ridacchiai. «Ora spara la tua domanda».
Non poteva esserci niente di peggio ora che sapevo che Giorgio, almeno per il momento, non le interessava.
«Bene» prese tempo. «H-ho saputo delle week-girl da Claudia e Ginevra.. perciò mi chiedevo per quale motivo.. beh.. tu non ti volessi legare».
Ma guarda quelle due piccole serpi, non potevano farsi gli affaracci loro? L’argomento delle week-girl era taboo, soprattutto con Sole, ma loro erano riuscite a spifferarglielo.
«Quando te l’hanno detto?» le chiesi un po’ spazientito, facendo un cenno ad Ammicca perché ci portasse il conto che avremmo dovuto dare all’albergo.
«Beh.. q-quando sono venute per prepararmi.. og-oggi pomeriggio..».
Ora si spiegava quell’insolita trasformazione da brutto anatroccolo a gnocca con i contro-cazzi. 
«Vabbè, comunque non sono cose che riguardano loro, né tantomeno te..» tagliai corto, perdendo ogni segno d’ilarità che mi aveva contraddistinto per tutta la serata.
Ammicca ci portò il conto e telefonò al villaggio per far sì che fosse tutto saldato. Dopodiché non dissi nulla e mi diressi alla macchina senza nemmeno aspettare Sole.
Odiavo le domande sulla mia vita personale, perché odiavo la mia vita. Meno persone sarebbero venute a conoscenza di ciò che ero e meno dolore avrei lasciato loro addosso.
Ripercorremmo il tragitto in silenzio, senza nemmeno accendere la radio.
Sapevo di aver reagito male e Sole si era rinchiusa nuovamente nel suo guscio, fredda come il ghiaccio, ma quella domanda mi aveva spiazzato. Se avessimo cominciato ad aprirci l’un l’altro, come una vera coppia, cosa sarebbe successo allo scadere dei nove giorni rimasti?
Parcheggiai l’Audi vicino ai bungalow, facendo scendere Sole e chiudendo la macchina con il comando a distanza. Era arrivato il momento decisivo.
«Grazie della serata» disse Sole, completamente atona.
«Capirai, per così poco» risposi.
A quel punto l’avrei salutata, senza troppi convenevoli, ma il cellulare cominciò a suonare, facendo partire la canzone dei Dire Straits.
«Scusami» le dissi, poi accettai la chiamata.
Ehi, bello! Non ti ricordi del nostro piccolo patto?
La voce di Stefano, all’altro capo del telefono, non prometteva niente di buono.
«Che vuoi?» gli dissi, apparendo estremamente scocciato.
Solo prendermi la mia foto, quella del bacio tuo e di Moby.. avanti, avvicina le labbrotte e baciala! Noi siamo qui dietro al cespuglio, quello in alto a destra, con la macchina fotografica pronta.
Oh, Signore! Mi ero completamente dimenticato di quella dannata prova che quei mentecatti volevano.
«C’è.. per caso Giorgio?» chiesi, sussurrando appena il nome del mio migliore amico.
No, quella checca sta passeggiando sulla spiaggia.. forza! Bacio, BACIO, BACIO!
E dal telefono si udirono dei cori simili a quelli da stadio.
Chiusi la chiamata e mi decisi a fare quel passo, tanto Giorgio non c’era e potevo anche dire che mi avevano costretto. Gesù.. era solo un bacio.. capirai!
Tornai da Sole che mi aspettava inquieta.
«Io torno in hotel, si sta gelando qui fuori» disse, rabbrividendo.
A quel punto mi sfilai la giacca e gliel’avvolsi sulle spalle, facendola sorprendere. Qualche volta riuscivo ad essere ancora galante.
«Aspetta, non te ne andare» la supplicai.
La luna irradiava la passeggiata che si diramava per ogni bungalow e le luci soffuse dei lampioni non riuscivano ad oscurarne la bellezza. I capelli di Sole, alla luce del nostro satellite, sembravano fatti d’argento e sentii quel dolore al petto tornare a fare capolino.
«Non ti ho mai ringraziato» le dissi, guardandola fissa negli occhi e prendendole la mano.
Lei sussultò a quel contatto, ma non si ritrasse.
«Di cosa?» chiese ingenua, come sempre.
«Come di cosa?» sorrisi. «Di avermi salvato la vita in quel bosco».
Pensava, forse, che me lo fossi dimenticato? Dannazione, se non fosse stato per lei, sarei morto dissanguato in un posto dimenticato da Dio.
«Non era niente, l’avrebbe fatto chiunque» sussurrò imbarazzata, abbassando lo sguardo per celarmi quei suoi dolci rossori.
Quello era il momento giusto.
Le alzai il viso con il pollice e l’indice, intrappolandolo e lasciandolo alla mercé del mio sguardo affamato. Quei suoi occhi mi avrebbero dannato, già lo sapevo, ma sarebbe bastato un semplice bacio a fior di labbra, e poi la fine di tutto.
Raccolsi un po’ di coraggio e mi avvicinai, sospirandole sulle labbra. L’ultima volta che avevo tentato di baciarla, avevo ottenuto solo un bel ceffone, ma quando mi fermai a pochi centimetri dal suo viso, lei chiuse gli occhi e fu come un invito ad entrare per me.
Posai le mie labbra sulle sue, calde e morbide. Avevo calcolato ogni dettaglio, persino il tempo sufficiente per scattare quella maledetta fotografia, ma non appena sfiorai la sua bocca, una scossa elettrica percorse tutta la mia spina dorsale e s’infranse nel cervello.
Volevo di più, dannazione, ogni fibra del mio corpo la desiderava.
A quel punto mandai tutto a puttane e l’afferrai per una mano, trascinandola dietro un bungalow, in modo da nasconderci dagli sguardi indiscreti dei miei amici.
«C-cosa..?» riuscì solo a balbettare, prima che m’impossessassi nuovamente delle sue labbra, spingendola contro il muro e sentendo in suo corpo morbido aderire al mio.
Avrei voluto farla mia, in quel preciso istante, anche sul sedile della mia macchina se fosse stato necessario, ma cercai di fare appello a tutto il mio autocontrollo per frenarmi. Sole non era una delle tante, c’erano troppe cose in ballo per rovinare tutto.
Aprii le labbra e passai sensualmente la lingua sulle sue, una volta, due volte, fino a quando non le indussi a schiudersi. Non appena la mia lingua sfiorò quella di Sole, lei gemette con un suono gutturale che s’infranse all’interno della mia bocca e che non fece altro che aumentare il mio desiderio.
Avevo paura di spingermi troppo oltre, varcando il punto di non ritorno.
Al diavolo!
Le passai una mano dietro la schiena, carezzandola dolcemente e facendo aderire il suo corpo al mio. Potevo sentire il suo petto che mi si schiacciava addosso e non potei fare a meno di ricordare l’immagine della cena che mi aveva sconvolto qualche momento prima. Purtroppo Sole era rigida come un ciocco di legno, tutto il contrario delle gatte morte che mi portavo a letto da una vita e che non vedevano l’ora di arrivare alla cintura dei miei pantaloni.
«Rilassati» le soffiai vicino all’orecchio, scostandole i capelli e cominciando a riempirle il collo di una scia calda di baci.
«I-io.. ah.. n-non ho..» farfugliò, tentando di connettere nuovamente il cervello alla bocca.
Mi riempì d’orgoglio sapere di farle quell’effetto, ma non riuscii a pavoneggiarmi troppo perché ero dannatamente concentrato su di lei.
Sole, in un gesto quasi innato, cercò nuovamente le mie labbra e, stavolta, fu lei ad insinuare la lingua nel mio palato, alla disperata ricerca della mia. Sentivo i suoi timidi tentativi di imitare quel piacere che le avevo fatto provare poco prima e riuscii solo a pensare a come sarebbe stato bello istruirla sui miei punti deboli.
A quel punto però, forse per caso o magari per comodità, Sole insinuò una gamba tra le mie e strusciò involontariamente contro un Walter fin troppo arzillo.
Cazzo! Nel vero senso della parola.. se non fossi stato abituato alle peggio porcate, sarei venuto così, seduta stante, nei pantaloni come un cretino.
Invece riuscii soltanto a staccare la bocca da quella di Sole e ad annaspare alla ricerca di una qualche forma di ossigeno.
Voleva forse uccidermi?



Rimasi interdetta quando interruppe improvvisamente quel bacio, puntando le braccia sul muro e reggendosi a stento, come se avesse corso una maratona.
Per me era tutto nuovo, ma i ragazzi erano notevolmente più strani di noi donne. Che cosa gli avevo fatto?
Lo guardai dubbiosa, ma quando tirò fuori uno dei suoi meravigliosi sorrisi, con le fossette appena annunciate, non resistetti lontano dalle sue labbra. Mi sentivo avvampare dappertutto e percepivo una scia di brividi intensi lungo tutto il corpo, mentre le gambe mi si facevano sempre più molli.
Quando il suo corpo entrava a contatto con il mio, percepivo distintamente qualcosa di grosso e duro che premeva contro la mia coscia, ma, contrariamente a quanto mi sarei aspettata, non ne fui terrorizzata.
Mi sentivo sporca nel pensare quelle cose, ma un profondo calore al basso ventre mi suggerì che fosse una reazione normale del mio corpo.
Calma, è una cosa normale. Non è altro che liquido vaginale che lubrifica la tua entrata per permettere al pene di compiere l’atto sessuale per perpetrare la specie..
Smetti di essere così razionale!
Intanto Francesco aveva spostato le mani sui miei fianchi, facendole risalire lentamente verso il seno e catturandolo in una presa che mi lasciò sfuggire un gemito sorpreso. Era così esperto ed io mi sentivo una ragazzina alle prime armi con lui..
Gli lasciavo fare ogni cosa, mentre con le labbra andava a lambire l’incavo del mio collo ed io socchiudevo gli occhi guardando la luna che ci spiava.
Mi stavo letteralmente sciogliendo tra le sue braccia, mentre quella bocca sarebbe stata la mia dannazione, fino a quando, una delle sue dita affusolate, non trovò la zip del vestito e tentò di abbassarla.
Scattai sull’attenti e sgranai gli occhi.
Cosa voleva fare? Oddio.. non ero pronta, non ancora..
«Asp-aspetta..» soffiai, annaspando in cerca d’aria.
Lui non parve ascoltarmi, mentre continuava indisturbato il suo assalto. Dovevo fermarlo, non volevo che finisse così..
«Fermati!» gli dissi, spingendomelo via di dosso.
Francesco mi guardò con le iridi completamente larghe, proprie dell’eccitamento sessuale, mentre sembrava disorientato.
«S-scusami..» riuscì solo a mormorare, mentre indietreggiava sempre più spaventato.
«Dove vai?» gli domandai, sperando di non averlo offeso.
Gli occhi verde-acqua di Francesco mi fissarono terrorizzati, ma non feci in tempo a fermarlo che lui girò i tacchi e cominciò a correre via, lontano da me.
Non avevo mai visto quello sguardo e mi chiesi se fosse stata solo colpa mia.


αиgσℓσ ∂ι ισ_иαяяαитє

Cosa dire? Mi mancano le parole, come la sensibilità alle dita dopo aver scritto ben 16 pagine di Word.. avevo gli occhi incollati al monitor!
Insomma, insomma.. finalmente Francy si è deciso a fare il grande passo (non il matrimonio xD), ma chissà come si ripercuoterà questa storia sul suo amichetto del cuore Giorgio? Boh! A dire il vero non ne ho idea!
Ma che ne pensate di 'Ammicca'.. mi sono sganasciata dal ridere scrivendo quel pezzo.. non riuscivo più a contenermi..
Cmq vi anticipo che c'è una spiegazione plausibile alla 'fuga' di Francy, ma non so quando sarà spiegato.. devo inserire un super-colpo-di-scena!
Ringrazio con il cuore le 8 persone che mi hanno recensita!!! Uhhhhhh! Se arrivo a nove, per questo chappy, vi faccio una statua!! *supplica miseramente anche perché è il suo compleanno*
Inoltre dico Thank u alle 37 persone che mi seguono, alle 5 che hanno messo la storia nelle Ricordate e le 8 che l'hanno messa nelle Preferite!
Inoltre ringrazio, come sempre, anche i lettori silenziosi! 186 visite!!!

Per chi mi volesse aggiungere su fb, in modo da seguire gli sviluppi della storia e sapere qualche spoilerino, cerchi IoNarrante Efp!
Kiss Kiss
_Marty_

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Capitolo 9
*** 09. Second kiss ***


Hola! E' venerdì e ho deciso di postare un altro capitolo, anche se un po' corto, così durante il week-end potrò dedicarmi all'intera stesura del prossimo, che sarà abbastanza puccioso!

Capitolo nove
Second kiss
Mi ritrovai a vagare da sola sulla spiaggia a piedi nudi, rimanendo incantata dalla luce della luna che s’infrangeva sul mare, piatto come una tavola. Lo sciabordio delle onde cullava i miei pensieri, mentre mi interrogavo su cosa avessi fatto di sbagliato per far reagire Francesco a quel modo. Era sembrato quasi.. terrorizzato, ma da cosa? Quella più spaventata dei due sarei dovuta essere io, non certo lui.
Sbuffai sonoramente guardando le scarpe a decolleté di Gin e Claudia che dondolavano nella mia mano. Era stato tutto inutile, ero comunque riuscita a rovinare tutto. Come al solito, nemmeno un solo appuntamento doveva girarmi per il verso giusto e ognuno finiva allo stesso modo. Fuggivano da me e dal mio aspetto orrendo, ne ero più che sicura.
Cos’altro avrei dovuto pensare, altrimenti?
Era logico che quando Francesco aveva realizzato chi avesse di fronte, gli si era rivoltato lo stomaco ed era fuggito via. Non c’era altra spiegazione.
Che stupida che ero stata, Betta e Sere mi avevano anche avvertita.
Eppure ha chiaramente detto ‘la mia ragazza’ a quel cameriere..
Basta! Dovevo smetterla di illudermi perché non facevo altro, e finivo sempre con l’essere ferita in continuazione. Ogni ragazzo che avevo avuto, e quelli si contano davvero sulle dita di un monco, ahimè, aveva sempre finito per darsela a gambe, guardandosi intorno e accorgendosi che c’erano altri pesci nel mare. Mi sentivo tradita, umiliata, ma, allo stesso tempo, non riuscivo a smettere di pensare a Francesco e a quel suo bacio che mi aveva letteralmente lasciata senza fiato.
Non avevo mai provato quel genere di sensazioni, con nessuno.
Mi ero innamorata fin troppe volte nella mia vita, soprattutto di ragazzi che erano completamente fuori dalla mia portata, ma nemmeno uno di loro mi aveva lasciata con un vuoto dentro talmente grande da sembrare un’immensa voragine senza fine. Sentivo un dolore fortissimo, proprio dentro al mio cuore, e non sapevo se sarei mai riuscita a guarire da una ferita tanto profonda.
Arrivai sino ad un tronco marcio adagiato sulla sabbia, a qualche metro dall’ingresso dell’albergo. Ricordai la chiacchierata con il migliore amico di Francesco, fatta a pochi passi da lì, e constatai che era stata forse l’unica nota positiva di tutta quella bruttissima giornata e non potei fare a meno di smettere di pensare a quei suoi occhi castani, così espressivi e totalmente diversi da quelli freddi e seduttori di Francesco.
Mi sedetti su uno scoglio, stavolta rivolgendo lo sguardo ad una luna immensa che torreggiava all’orizzonte, riempiendo il mio sguardo.
«Cercavi un posto per pensare?» mi domandò una voce alle mie spalle e per poco non colpii Giorgio con una delle mie scarpe dal tacco 12.
«S-scusami.. mi hai fatto prendere un colpo!» ridacchiai nervosa, per aver fatto la figura dell’idiota.
Giorgio mi sorrise, anche se riuscivo a vedere ben poco dal suo viso nascosto nella penombra. Era alto, molto più di Francesco, e indossava una canottiera bianca, molto aderente, che gli metteva in risalto i muscoli quasi perfetti. Se ci fosse stata più luce, avrebbe sicuramente visto com’ero diventata rossa al pensiero di non riuscire a smettere di guardare i suoi addominali scolpiti, baciati dalla luna.
«Scusami tu, ti sono saltato alle spalle» ridacchiò, sfiorandomi appena i capelli con una delle sue dita affusolate.
Dove mi aveva appena toccata, la cute s’increspò trasmettendomi una miriade di brividi intensi che tentai di nascondere come una reazione al freddo. Mi accorsi solo in quel momento di indossare ancora la giacca di Francesco e lo sconforto tornò a farsi sentire.
Giorgio si accorse di quel mio cambio di umore e assunse una strana espressione, direi quasi arrabbiata.
«Ti ha lasciata da sola?» se ne uscì, sempre con quel tono lievemente infervorato.
«Fra-Francesco, dici?» chiesi, per conferma.
A quel punto Giorgio spostò lo sguardo dalla pallida luna ai miei occhi e rimasi incantata a specchiarmi nuovamente in quel pozzo di emozioni. Era così maledettamente diverso da Francesco, ma riusciva ugualmente a trasmettermi le stesse sensazioni.
Non sarà l’ennesima cotta, vero, Sole?
Deglutii a fatica, poi Giorgio interruppe il silenzio.
«L’appuntamento non dev’essere finito poi tanto bene, devo dedurre» sospirò, liberandomi da quello sguardo che mi aveva intrappolata.
«Uhm.. no.. credo di no» mormorai autoconvincendomi.
«Lo sapevo» ringhiò, serrando i pugni. «È sempre così con lui..».
Quel suo comportamento mi sorprese, era come se sapesse qualcosa di troppo ma non volesse dirlo.
Soltanto Giorgio sa davvero cosa gli sia successo per farlo comportare in questo modo, ma non ha mai voluto dircelo…
Lui sapeva di Francesco e forse avrebbe potuto spiegarmi, far luce su quel suo strano comportamento e sul perché mi aveva lasciata da sola.
«P-puoi dirmi pe-perché si comporta così?» gli domandai timidamente, per paura di un’altra reazione brusca come quella che aveva avuto Francesco con me.
«Davvero ti interessa saperlo?» mi prese in contropiede lui, con uno sguardo più serio del solito.
«S-sì..» dissi poco convinta.
«Perché?» chiese ancora, non soddisfatto di quella risposta striminzita.
‘Perché’ mi domandava, ed io cosa avrei dovuto rispondergli? Non sapevo nemmeno cosa passava nella mia di testa, come potevo pretendere di capire cosa ci fosse in quella di Francesco. La voglia di conoscerlo, però, stava mettendo a dura prova il mio autocontrollo e non sapevo più se dar retta al cervello o al cuore.
«H-hai ragione.. n-non sono affari miei» sospirai infine, sconfitta dalla mia codardia.
Giorgio cambiò immediatamente espressione dopo quella mia pacata risposta, forse conscio di aver usato un tono fin troppo scortese per i miei gusti. Si stropicciò gli occhi con la mano destra, poi tornò a guardare la luna.
«Non ti merita» disse poi, senza trovare il coraggio di guardarmi negli occhi. «Francesco è il mio migliore amico e, anche se volessi, non riuscirei ad odiarlo, ma quando si comporta in questo modo, tirando fuori il peggio di quel suo caratteraccio, mi viene voglia di spaccargli il naso a testate».
Cercai in tutti i modi di riuscire a togliermi dalla testa l’immagine di Giorgio che prendeva a testate Francesco, ma non ci fu verso e cominciai a ridere.
«Grazie!» dissi infine.
«Per cosa?» mi domandò lui confuso.
«Mi hai fatto pensare ad altro e finalmente ho ritrovato il sorriso» gli dissi contenta.
L’aveva fatto per tirarmi su, ne ero più che certa. In fondo era a conoscenza del passato di Francesco e chissà quante volte si era scusato al posto suo con le tante week-girl.
«Non è solo per quello» tentò di riprendersi ed io rimasi sorpresa. Quando mi trovai nuovamente intrappolata in quel suo sguardo magnetico, non riuscii a focalizzare altro che le sue labbra sospese tra la luce e l’oscurità. La sua mano si avvolse attorno al mio polso ed io tremai inconsapevolmente.
«Sole» cominciò lui, quasi confessandosi, «non devi prendermi per uno sciocco, ma stamattina, dopo la nostra chiacchierata, mi si è risvegliato dentro qualcosa di davvero profondo e speciale. So che è infantile e sciocco, che ci conosciamo da nemmeno quattro giorni, tre dei quali passati appresso all’idea che mi ero fatto di Sara, ma tu mi hai aperto gli occhi e adesso so che devo innamorarmi di persone vere e non delle immagini stereotipate che si crea la mia mente».
«B-buon per te..» balbettai, comprendendo soltanto troppo tardi cosa volesse dire.
«Sole, non so come fartelo capire» continuò, passandomi il braccio attorno alla vita e avvicinandosi sempre di più.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quegli occhi irresistibili e da quelle labbra che ormai avevano riempito tutto il mio campo visivo. Dovevo resistere.. non potevo lasciarmi andare una seconda volta, per giunta con il migliore amico di Francesco.
Con la mano sinistra mi scostò i capelli dal viso, accompagnandoli dietro l’orecchio, poi con il pollice mi accarezzo la guancia senza mai liberarmi dai suoi occhi. Era così diverso da Francesco, ma allo stesso tempo pericolosamente attraente. Sapevo di essere una sciocca a comportarmi in questo modo, ma mai prima di partire avrei pensato che tutto quello potesse capitare a me, che due dei ragazzi più belli che avessi mai visto potessero perdere tempo dietro ad una come me..
«Mi piaci tanto» soffiò sulle mie labbra, per poi chiudere gli occhi e umettarsi le sue.
Il mio intero corpo fu scosso dai brividi. Avrei potuto fermarlo, anzi, avrei dovuto, almeno il tempo sufficiente a capire cosa fosse successo a Francesco, ma non ci riuscii. La mia parte razionale diceva di alzarmi e fuggire via, di rinchiudermi nella mia camera e sparire fino all’indomani, ma il mio cuore stava per esplodermi nel petto, in un battito sordo e ritmico, mentre le mani di Giorgio, più delicate e più confortanti, mi facevano letteralmente cadere ai suoi piedi.
Gli piacevo. Io, Sole Gregori, la ragazza cicciottella della quinta B, quella che tutti avevano sempre preso in giro e che nessuno voleva mai vedere alle proprie feste.. quella Sole.. la stessa che ora veniva sballottata da due ragazzi che sembravano usciti dalla classifica di Vanity Fair sui dieci uomini più belli del mondo.
Quando le labbra di Giorgio incontrarono le mie, fui percorsa da brividi intensi in tutto il corpo, ma diversi da quelli che Francesco mi aveva provocato poco prima. I baci di Giorgio erano più delicati, più teneri, carichi di un sentimento inespresso per troppo tempo e di un bisogno d’amare e di essere amati, mentre con Francesco era stato puro bisogno fisico, passione dirompente e nient’altro. Ne ero conscia più di quanto mi sarei mai aspettata.
Con Francesco erano stati fuochi d’artificio, con Giorgio sarebbe stata una lunga passeggiata su una nuvola.
La sua mano si spostò dietro la mia nuca, per avvicinarmi meglio a lui, ed io, senza aspettare un suo segnale, dischiusi le labbra pronta ad accogliere tutto quello che mi avrebbe dato.
Non avrei dovuto comportarmi in quel modo, sapevo che era tutto maledettamente sbagliato, ma non avevo mai provato quel genere di sentimenti, proiettati nella mia testa contemporaneamente, come un’iniezione di adrenalina pura.
Passai un braccio attorno alle spalle di Giorgio, ormai in balia delle sue labbra e di quei suoi modi gentili che mi avrebbero fatta sciogliere come neve al sole. Tutto il contrario di ciò che avevo provato con Francesco, ma se mi avessero chiesto di scegliere, in quel preciso istante, non avrei saputo davvero cosa rispondere.



La zip del suo tubino nero fece un lento rumore sordo, scendendo in basso e facendomi penare per il tempo in cui impiegavo a liberarla da quel fastidioso indumento. Nel frattempo la mangiavo di baci, aggredendo le sue labbra, mordendole, suggendole fin quasi a farle sanguinare mentre i suoi mugolii riempivano le mie orecchie con la dolce musica della passione.
Lentamente le posai le mani sulle spalle, facendo scivolare le spalline del vestito lungo le sue braccia caramellate, mentre lei posò il viso sul mio petto, libero dalla camicia troppo opprimente, e cominciava a dispensarmi timidi baci a fior di pelle. Sorrisi ai suoi timidi tentativi di sedurmi, ma non potei fare a meno di sentirmi oltremodo eccitato da quei suoi gesti impacciati e da quelle sue prime esperienze.
Il tubino si arricciò ai suoi piedi, mentre la luce della luna le irradiava tutto il corpo, coperto solamente dall’intimo. Era come me la ricordavo, quando l’avevo spiata in costume, mentre si cambiava l’abito che Sara le aveva sporcato.
La mia Sole era così morbida, così ben fatta, e le sue forme erano talmente ben distribuite che per poco gli occhi non mi scappavano via dalle orbite. La fermai un attimo per guardarla meglio, perché non mi sarei mai perso per niente al mondo quello spettacolo.
Il suo viso completamente arrossato, quelle sue labbra gonfie e quegli occhi languidi per poco non m’indussero a comportarmi come un animale, seguendo soltanto l’istinto, ma cercai di non rovinare quel momento.. almeno non per la seconda volta.
Non ti sembra strano?
Il sospetto fu confermato quando la timida Sole che ricordavo mi si avvicinò con uno sguardo pieno di malizia negli occhi, posando le sue piccole mani sul mio petto e scendere sempre più in basso fino ad impossessarsi della cintura dei miei pantaloni.
L’imponenza di Walter si sarebbe notata anche dal satellite in orbita su Plutone, ma non potei fare a meno di rabbrividire quando Sole cominciò a sbottonare la patta e a tirare la zip. Quella lenta frizione non fece altro che peggiorare la mia già precaria situazione, per non parlare della voglia matta di lei che si era risvegliata anche nell’angolino più nascosto del mio lato virile. Stavo impazzendo ed era ufficiale.
A quel punto le sue dita temporeggiarono attorno al bordo dei boxer, giocando con l’elastico e facendomi deglutire a vuoto. Quella non era la Sole che conoscevo, ma, dannazione, con qualche seduta dal suo Francesco, ero sicuro di farle raggiungere una laurea con lode in materia di seduzione!
Di punto in bianco, quando pensavo che quel gioco si sarebbe protratto per le lunghe, Sole tirò giù tutto con decisione, lasciandomi in balia del suo sguardo indagatore. Quei pozzi di petrolio che erano i suoi occhi, ora ardevano di passione mentre le sue guance arrossate e il suo respiro caldo, proprio in quella zona, mi fecero rizzare i capelli sulla nuca.
Mi sentivo osservato, studiato, assaporato, ma non potevo che essere fiero di vederla così assorta nel contemplare una parte di me.
Dischiuse lentamente la bocca e s’inumidì le labbra, finendo poi col mordersi quello inferiore facendomi tremare. L’avrebbe fatto davvero?
Ero come sospeso nel baratro della perdizione e pensavo profondamente di essere l’uomo più fortunato della terra. Sole aveva scelto me ed io non mi sentivo in colpa per Giorgio, anzi, non mi sentivo in colpa per nessuno.
Prima di avvolgermi con le sue morbide labbra, mi fissò e disse qualcosa.. qualcosa che mi fece davvero rabbrividire..
«Ehi, campione, dove sei sparito ieri sera?».
Deglutii a fatica e non per la frase in sé, che poteva anche sembrare sensata se fosse stata esclusa dal contesto, ma per il tono di voce con cui l’aveva pronunciata. Lo stesso di Stefano.

Mi svegliai di soprassalto, sudato come un maiale e in piena crisi cardiaca. Con la mano mi stropicciai gli occhi e riconobbi immediatamente i contorni confusi e sfocati della mia stanza d’albergo. In fondo al letto, con un sorriso sornione da gatto soriano, c’era Stefano.
«Allora?» mi domandò, mentre lo guardavo sempre più confuso.
«Cosa?» sbraitai, con la bocca ancora impastata dal sonno.
Avevo il cuore che mi batteva a mille, mentre il mio cervello aveva completamente svalvolato. Sentivo la gola secca, lo stomaco sottosopra e avevo un Walter duro ed enorme in mezzo alle gambe. Non mi capitava di svegliarmi con un’erezione del genere da quando avevo quindici anni, dannazione, e non avevo fatto un sogno erotico così reale da secoli.
«Dove. Cazzo. Sei. Sparito. Ieri. Sera?» scandì bene Stefano, prendendomi per il culo.
Sbuffai e cercai in tutti i modi di riprendermi, in modo che il mio amico non riuscisse a notare il motivo del mio imbarazzo mattutino. Come diavolo mi era venuto in mente di fare un sogno del genere? Grazie mille, subconscio del cazzo..
«Ehi, amico, sei fradicio come le mutande di mio nonno!» esclamò Stefano, delicato come una pentola a pressione. «Che stai male?».
Sì, stavo male dannazione! Mi sentivo confuso, impacciato, dannatamente impedito.. tutte cose che non avevo mai provato in tutta la mia vita.
«Ma che, per caso, Moby ti ha attaccato qualche malattia sconosciuta quando vi siete infrattati?» chiese lui, preoccupato.
«Non ci siamo infrattati!» risposi perentorio. Nessuno avrebbe dovuto sapere che avevo infranto la promessa fatta a Giorgio e che stavo quasi per fare.. oddio.. non volevo pensarci.
Mi ero lasciato guidare dall’istinto e da quelle strane sensazioni che soltanto Sole riusciva a trasmettermi, ma il mio corpo aveva cominciato a fare di testa sua e le mie dita avevano raggiunto la zip del suo sensualissimo tubino nero.
Fermati!
Ciò che mi aveva urlato in faccia, con quegli occhi terrorizzati che mai le avevo visto in volto, mi avevano fatto tornare in me e avevo capito a cosa sarei andato in contro. Sapevo che dentro di me sarebbe cresciuto qualcosa di sbagliato, in fondo io avevo il suo stesso sangue..
«Se lo dici tu..» rispose poco convinto.
A quel punto avrei voluto che sparisse e che mi lasciasse solo a maledirmi con i miei comportamenti impulsivi che avrebbero distrutto tutto ciò che ancora mi teneva attaccato alla realtà. Mi guardai intorno e notai che l’altro letto presente nella stanza era completamente fatto, senza una minima piega del lenzuolo.
«Ma Giorgio?» domandai curioso, chiedendomi dove avesse potuto passare la notte.
Stefano tirò fuori un sorriso che gli partì da un orecchio e gli arrivò all’altro, mentre nei suoi occhi cominciò a dipingersi un’aria davvero malefica.
«Tu lo vedi?» mi chiese enigmatico.
Ovviamente no, altrimenti che te l’avrei chiesto a fare, dannato imbecille?
«Uhm.. no».
Stefano si alzò in piedi e cominciò a camminare in circolo, con le mani dietro la schiena. «Credo che Moby, invece di essere arpionata da noi, sta prendendo all’amo sempre più ragazzi del nostro gruppo.. non pensi?».
Ma parla come mangi, figlio mio!
Che cazzo c’entrava quella metafora sulla pesca e perché non voleva dirmi dov’era Giorgio? Che avesse saputo tutto? Oddio, ero rovinato!
«Sputa il rospo e falla finita di dire cazzate» ringhiai stufo.
Ero irritato per l’appuntamento-fiasco, confuso da tutto quello che il mio cervello onirico cercava di inculcarmi, ed ora ci mancava anche il mio amico babbeo a completare quel quadretto.
«Stamattina, mentre uscivo dalla camera di Glenda» cominciò ed io lo fissai in cagnesco.
E adesso chi era Glenda?
«È straniera, sai, un vero spasso!» continuò, ignorandomi del tutto. «Sa fare certe cose..».
«Vuoi arrivare al punto!» sbraitai, visto che non me ne fregava nulla delle porcherie che aveva fatto quella notte.
«Calma, tigre!» ridacchiò. «Non pensavo ti stesse così a cuore la tua Moby».
«Infatti, non è come pensi» mi calmai, dicendo a me stesso di non essere così dannatamente impulsivo.
Lui mi guardò sospettoso, ma diede poco peso ai miei strambi comportamenti ormonali.
«Insomma, mentre lasciavo la migliore scopata della mia vita, ho visto che il nostro caro Giorgio, quello moralista che ci accusava sempre di essere troppo attaccati al sesso e alle varie cose derivanti, che usciva di soppiatto dalla camera di Moby con l’aria di chi l’ha fatta grossa» disse soddisfatto. «Oddio, ci vuole il coraggio suo per stare con un cesso come quello..».
«Falla finita!» ringhiai brusco, forse esagerando.
Stefano mi guardò con maggior sospetto, non sapendo se prendere quel mio sfogo come uno scherzo o come qualcosa di preoccupante.
«Sei sicuro di sentirti bene, Fra?» mi domandò ancora.
«Sì, lasciami solo però.. ho bisogno di schiarirmi le idee» bofonchiai, sprofondando la testa nel cuscino.
Stefano non indagò oltre, anche se sembrava parecchio sorpreso da quel mio comportamento. E chi non lo sarebbe stato? Perfino io pensavo di rasentare la pazzia..
Chiunque mi avesse visto in quel momento, avrebbe pensato che quello sfigato sul letto non poteva essere Francesco Russo. E invece sì, ero io.. il più patetico essere vivente sulla faccia della terra, quello che aveva cominciato tutto per una scommessa e aveva finito per rimanere invischiato in una storia più complicata della vita di Blair Waldorf.
Chissà cos’è successo ieri sera quando te la sei svignata..
Grazie tante, me lo sto chiedendo anch’io.
Magari Sole ha trovato veramente qualcuno che tenga a lei e con cui voglia condividere tutto.. anche la sua prima volta..
Falla finita, coscienza del cazzo..
Stavo cominciando a rodermi l’animo da solo e se avessi continuato a rimuginare lì nel letto, ero sicuro che mi avrebbero dovuto ricoverare. Dio! Ma come riuscivano le persone normali a convivere con un peso del genere sul petto?
L’amore fa male, dannazione..
Amore?
Oddio.. cosa cavolo stavo pensando? Sicuramente c’era uno sbaglio ed io ero troppo confuso per riuscire a pensare lucidamente. Il caldo, quello che era successo la sera precedente, il sogno di questa notte.. sì, ero troppo confuso..
Mi alzai con decisione e feci una veloce doccia fredda, giusto per smorzare l’allegria di Walter, poi indossai il costume e mi precipitai in spiaggia, più che convinto di dover fare quattro chiacchiere con il mio ‘presunto’ migliore amico.


Eccomi qua! Che faticaccia scrivere questo capitolozzo, non tanto per la lunghezza, perché è un po' striminzito, ma per la parte iniziale... E insomma Sole e Giorgio... *fischietta* si sono sbaciucchiati e chissà quali altre zozzerie hanno fatto??? BOH! Il povero Francy si sta rodendo l'anima, diviso fra il suo cervello che gli dice di pensare a Sole solo come un misero pezzo di carne, e il suo cuore (o Walter) che gli suggerisce ben altro... poveretto, non lo invidio proprio!
Ringrazio, come sempre, tutte le persone che seguono la mia storia e, ahimé, non ce l'abbiamo fatta ad arrivare a 10 recensioni ç.ç però ci manteniamo costanti!!! (I love u)
Ringrazio tutte le new entry (sempre ben accette le nuove 'adepte') e le veterane, ma soprattutto ringrazio Manu (puzzolotta mia!) che assiste sempre i miei crolli nervosi e la mia povera testa ormai totalmente deviata -> ti lovvo troppo!!! >.< cosa farei senza di te???
Thanks anche le 40 persone che seguono la mia storia, e le 45 che l'hanno recensita fino ad adesso... e le 580 visite che ha ricevuto il primo chappy.. vi amo!

Piccolo regalino:
                   George                                                                                       Giorgio e Sole
               
Kiss Kiss
_Marty_

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Capitolo 10
*** 10. Solo amici ***


Salve a tutte! Sotto consiglio della mia amata Lover, ho deciso di postare oggi anziché domani, tanto il capitolozzo era già pronto!
Spero proprio vi piaccia.. XOXO

Capitolo dieci
Solo amici
«Insomma ci stai dicendo che la serata appena trascorsa ti è andata piuttosto bene».
La voce di Betta era più che altro accusatoria, ma Sere cercò di allentare la tensione che aveva creato l’amica. Non sapevo a chi altro raccontare di ciò che mi era successo la notte precedente, e Betta e Sere erano le uniche che non mi avrebbero giudicata, o almeno era quello che credevo.
«Cioè, fammi capire» s’intromise Sere. «Quel gran pezzo di figliolo che è Francesco ti ha baciata una volta tornati al villaggio, ma quando le cose si sono spinte oltre, è fuggito, e tu, come un’anima in pena, ti sei aggirata per la spiaggia magari per cercarlo, quando hai trovato quell’altra specie di adone di Giorgio e anche lui ti ha baciata. È corretto, vostro onore?» ridacchiò.
«Tutto esatto, avvocato» rispose Betta, per sdrammatizzare.
Eravamo sedute sulle sdraio, in riva al mare, e stavamo confabulando sotto il sole cocente delle dieci del mattino come se ne dovessimo fare una questione di stato. Sapevo che vuotando il sacco con le mie due migliori amiche, sarei andata in contro a un ‘te l’avevo detto’ grosso come l’Islanda, ma sentivo il fegato rodermi dentro e avrei voluto tanto urlarlo al mondo intero.
«È una cosa seria» insistetti io, per paura che avessero presto il tutto per un gioco.
Betta e Sere tornarono a guardarmi. Una puntando i suoi occhi verdi nei miei e l’altra specchiando un paio di iridi acquamarina.
«Cosa vuoi che ti diciamo, Sole?» sospirò Betta.
«Magari fosse capitata a noi una situazione spinosa come questa!» sghignazzò Sere.
«Dai, ragazze, non so davvero come comportarmi» mormorai, incapace di prendere una decisione delicata come quella. «Dovrei dire a Francesco di ieri notte?» chiesi dubbiosa.
«Ma tu con chi vuoi stare dei due?» chiese Elisabetta, tagliando corto.
A quella domanda riuscii solo ad aprire la bocca due o tre volte, per poi farne uscire soltanto un po’ di fiato. Scegliere? Non mi era mai capitato di dovermi dividere tra due ragazzi, al massimo avrei potuto prediligere il cioccolato invece del pistacchio, oppure i biscotti ai bignè, ma non potevo decidere tra Giorgio e Francesco, non adesso.
«Non lo so, ragazze. È che, per dirla tutta, non sono innamorata di nessuno dei due, ma entrambi mi fanno sentire strana, in modi diversi, perciò credo di provare qualcosa per entrambi» dissi sconfitta.
«Ma scusa, analizziamo la cosa» disse Sere, placando gli animi. «Francesco, la prima sera che lo hai conosciuto, non ha perso tempo e ti ha subito ficcato la lingua in gola, quel maiale, mentre Giorgio, per quanto strambo sia, almeno per me, ti ha detto chiaro e tondo che gli piaci, che magari è anche innamorato di te..».
«..e poi ti ha infilato la lingua in gola comunque» concluse Betta.
«Elisabetta Manni!» tuonò Serena indignata.
«Che c’è?!» esclamò l’altra. «Ho detto solo la verità» si giustificò.
Da lì in poi cominciarono a battibeccare come al solito, lasciandomi sola a fissare il mare in quel sesto giorno di vacanza.
Oddio, mancano solo otto giorni e poi dovrai partire.
Shhhhhhhhhhhhhhh! M’impuntai, ora avevo ben altre cose a cui pensare e non mi andava di proiettarmi già verso il futuro.
«Scusa, ma stanotte, poi, cos’è successo in camera? Abbiamo sentito strani rumori» se ne uscì Elisabetta, con un tono un po’ troppo malizioso.
«N-niente..» balbettai prontamente, sentendomi avvampare.
«Sicura? Perché dalle reazioni che stai avendo in questo momento, non mi pare si tratti di ‘niente’» si aggiunse Sere.
«Avete finito con l’interrogatorio?» le rimbeccai, stufa che avessero indossato nuovamente i panni delle balie.
Era vero, quella notte Giorgio era stato nella mia camera d’albergo, ma non certo per il motivo che sospettavano quelle due pervertite! Mica ero una poco di buono, avevo anch’io la mia dignità.
«Oh, oh.. guarda un po’ chi c’è? Mr. Fuggitivo» disse Betta ad alta voce, maligna come sempre.
Mi voltai con un’espressione in volto mista tra il terrorizzato e il colpevole, sapendo che alle mie spalle era comparsa la testolina bionda di Francesco.
Me lo ritrovai davanti, bello come un raggio di sole, ma sul suo viso non c’era più quell’espressione spensierata e sbarazzina che aveva sempre avuto da quando ci eravamo conosciuti, ma sembrava piuttosto infastidito per qualcosa.
«Posso parlarti?» mi chiese, porgendomi nuovamente quella mano grande e forte.
Deglutii a vuoto, tesa come una corda di violino. Che avesse intuito tutto? Magari Giorgio gli era andato a spifferare del bacio, essendo Francesco il suo migliore amico, ed ora mi ritrovavo fra l’incudine e il martello, pronta ad essere spiaccicata.
«O-okay» balbettai insicura, afferrando quella mano un tempo rassicurante e che ora mi accompagnava verso il patibolo.
Ci incamminammo sul bagnasciuga, mentre il solito vestitino che indossavo mi svolazzava attorno alle ginocchia. Fissavo i miei piedi affondare nella sabbia bagnata, senza trovare il coraggio di affrontare quegli occhi verde-acqua che sapevo mi stessero osservando.
«Mi devo scusare con te» iniziò, spiazzandomi all’improvviso.
«P-per cosa?» chiesi incredula, e notevolmente ingenua.
Senza rendermene conto, avevo alzato lo sguardo ed ora mi ritrovavo persa in quelle iridi color oceano che mi fecero tremare le gambe dall’emozione. Era la prima volta che riuscivo a scorgervi dietro un qualche accenno di sentimento, mentre prima erano soltanto due lapislazzuli dalla bellezza sconvolgente.
«Ieri sera sono stato imperdonabile» continuò, stavolta non trovando lui il coraggio per guardarmi. «Mi sono lasciato prendere la mano, sai, dopo quel bacio, e quando tu mi hai detto di fermarmi sono tornato di nuovo in me e ho capito che se tu non avessi detto nulla, non mi sarei mai frenato. Per quel motivo sono fuggito, perché non avrei risposto più di me» sospirò.
Ma si stava riferendo a me o a un pezzo di manzo? Cos’era, una sorta di lupo mannaro fissato con le ragazze un po’ in carne?
«Devi perdonarmi, Sole. Non so cosa mi sia preso» si scusò ancora, ed io compresi che era davvero mortificato. Mi sentii una schifezza e avrei volentieri voluto spiattellargli tutto subito, così il rimorso avrebbe smesso di rodermi l’animo.
Dopo che lui se n’era andato, lasciandomi con una confusione in testa, invece di cercarlo per mari e monti, ero finita tra le braccia del suo migliore amico.
Bell’affare, Sole. Dovrebbero darti il premio Nobel per ‘come mandare a rotoli una relazione nemmeno cominciata’.
«Allora?» mi chiese Francesco, speranzoso. «Ricominciamo tutto d’accapo?».
Stavolta mandai giù un groppo di bile, torturandomi il vestito tra le mani e non riuscendo a trovare il coraggio per dirgli tutto. Dovevo essere onesta se avessi voluto continuare la storia con lui e anche se Giorgio mi piaceva, per i suoi modi gentili e tutto il resto, con Francesco sentivo di avere un feeling speciale, quasi mistico.
«Seguimi» gli dissi, prendendolo per mano e iniziando a correre verso un’insenatura nella roccia.
Lui non fece domande e mi rincorse come un’ombra, senza lasciare mai la mia mano. Per chiunque ci avesse visto su quel bagnasciuga, saremmo sembrati una coppietta felice che corre mano nella mano, ma dentro di me sentivo che io e Francesco eravamo qualcosa di più.



Arrivammo all’insenatura dopo pochi minuti, tre dei quali li utilizzai per riprendere fiato. Proprio nel momento in cui sentivo che il cuore mi stava per scoppiare in petto da un minuto all’altro, Sole tirò via i lembi del suo vestitino, rimanendo in un due pezzi striminzito davanti ai miei occhi spalancati.
La bocca mi si seccò in meno di due secondi e cominciai a boccheggiare come un pesce fuori dall’acqua. Cosa aveva intenzione di fare? Uccidermi, forse? Le avevo appena detto che in certe occasioni non riuscivo a rispondere ai miei istinti animaleschi e lei mi aveva trascinato in una nicchia di roccia nascosta a tutto e a tutti per spogliarsi???
Avevo bisogno di un defibrillatore, e subito!
«Vieni con me» mi disse, cominciando ad entrare in acqua.
Cos’era? Una proposta indecente?
Frà, vuoi farla finita? Possibile che pensi solo ed esclusivamente al sesso e che Sole rappresenti una delle tue più recondite fantasie erotiche?
No, per una volta aveva ragione la mia coscienza e avrei solamente dovuto respirare grandi boccate di ossigeno.
«Arrivo!» dissi, tuffandomi subito da uno scoglio e raggiungendola a nuoto.
Il suo viso bagnato dall’acqua e quei capelli che le ricadevano come onde color della notte sulle spalle, non mi facilitarono certo il compito di fare pensieri più razionali possibili, ma potevo fidarmi di Sole, almeno fino a quando non mi fossi fatto dire cos’era successo con Giorgio.
Lo so, lo so, avrei fatto prima a chiederlo al mio migliore amico, ma se fossi piombato da lui come una furia, accusandolo di aver scopato con la mia donna, di certo sarebbe nata una questione di stato e tutti sarebbero venuti a sapere che io e Sole ci eravamo veramente infrattati quella notte.
«Per quanto tempo sai trattenere il fiato?» mi disse, con le labbra ad un pelo dall’acqua.
«Cos’è? Una proposta?» le risposi malizioso.
Sole subito arrossì ed io fui come investito da una miriade di lame affilate che presero il mio cuore come un tabellone per le freccette.
«N-no..» balbettò imbarazzata. «Voglio solo mostrarti una cosa».
A quel punto s’immerse, lasciandomi un po’ dubbioso, dopodiché presi un bel respiro e decisi di seguirla.
L’acqua salata mi provocava un bruciore inimmaginabile agli occhi, ma dovevo resistere perché mi sarei perso. Sole procedeva spedita, come se fosse nata e cresciuta dentro l’acqua, facendomi vergognare per essere così lento e impacciato nel nuoto.
Ero uscito dalla mia stanza d’albergo con il sogno erotico della notte scorsa ancora stampato in mente ed ogni volta che i miei occhi incontravano le sue labbra non riuscivo ad evitare di concentrarmi su altro, altrimenti Walter si sarebbe risvegliato dal suo riposino.
I polmoni cominciavano già a bruciarmi, ma dovevo resistere ancora un po’. Sole, invece, pareva avesse le branchie e non sentiva minimamente il bisogno di tornare verso l’alto per prendere una boccata d’ossigeno.
Questa sua qualità potrebbe esserti utile sotto le lenzuola..
Oddio! Dovevo farla finita di fare quel genere di considerazioni, anche perché Sole era diventata quasi un’ossessione. Quella storia era partita come una stramaledetta scommessa tra amici, poi si era evoluta come una specie di patto con me stesso, e, infine, avevo finito con l’essere totalmente dipendente da lei e da ogni espressione del suo bel viso.
Sole m’indicò un’apertura nella roccia, dopodiché s’insinuò al suo interno facendomi cenno di seguirla. Sentivo le viscere contorcersi e cercai di aumentare le spinte del nuoto per arrivare il più presto possibile in superficie.
Dopo un po’ mi sentii più stanco, quasi intorpidito, e rallentai cominciando a farmi trasportare unicamente dalla corrente. La vista cominciò ad annebbiarsi, così come il mio pensiero razionale, e mi ritrovai in una sorta di trance, sospeso tra lo sveglio e il dormiente.
Cosa mi stava succedendo? Ero ancora nel mare assieme a Sole oppure si trattava nuovamente di un sogno?
D’improvviso sentii un paio di braccia che si avvolsero attorno alla mia vita, mentre, in un attimo di lucidità, vidi Sole davanti ai miei occhi, con il suo viso sfocato dall’acqua salata. Mi afferrò il volto con entrambe le mani e mi dischiuse a forza le labbra, avvicinando le sue e donandomi un bacio carico d’ossigeno.
Riacquistai quella forza necessaria a seguirla fino in superficie, e quando i miei polmoni furono nuovamente pieni d’aria mi accostai ad una roccia e respirai talmente forte che era come se il torace mi stesse andando a fuoco.
Sole si era issata su una sorta di scoglio piatto, a pelo d’acqua, e mi guardava preoccupata.
Quando fui al pieno delle mie forze, la raggiunsi e finalmente riuscii a guardarmi intorno e capii dove mi avesse portato. La volta della grotta era ricoperta da uno strato di conchiglie fossilizzate, le quali, nella parte interna, avevano una patina translucida che proiettava l’azzurro dell’acqua sul resto delle pareti, creando una specie di aurora boreale.
In alcuni punti, il calcare dell’acqua salata aveva creato delle stalattiti bianche e giurai che negli angoli più remoti della grotta, ci fossero delle pietre brillanti.
«È magnifico» sospirai incredulo, davvero rapito da quello spettacolo naturale.
«L’ho scoperto due anni fa, quando sono venuta in questo villaggio con i miei» disse Sole, sorridendomi. «Nessuno sa della sua esistenza e nemmeno quelli del posto l’hanno mai scoperto» ridacchiò contenta.
«Come mai?» chiesi curioso.
«Per quasi tutto l’anno la marea sale e l’acqua tocca il soffitto, perciò nessuno è mai riuscito a trovarla perché ci devi andare in determinati periodi» mi spiegò, sfiorando con le dita le pareti fatte di vecchie conchiglie.
«Questi fossili hanno milioni di anni e se potessero, ci racconterebbero di un mondo molto diverso da quello che conosciamo e che stiamo pian piano distruggendo».
I suoi occhi scuri divennero sempre più cupi e in quel momento sentii nuovamente quell’istinto di protezione farsi largo sopra tutte le altre emozioni che affioravano dentro di me. Ripensai a tutte quelle volte che avevo gettato rifiuti a terra, troppo pigro e menefreghista per cercare un cestino, e al tentativo della cameriera di farci fare la raccolta differenziata. Le avevo dato della pazza quando l’aveva proposto, e anche il mio patrigno aveva riso. Le industrie Russo producevano più dell’80% dell’inquinamento atmosferico sopra il cielo di Roma e mi sentivo talmente in colpa ora che Sole mi aveva aperto gli occhi su ciò che stava accadendo a così pochi passi da noi.
«Devo dirti una cosa» sospirò lei, cercando un po’ di coraggio.
Era arrivato il momento e dovevo tenere duro. Se mi avesse confessato che era andata a letto con Giorgio, ero sicuro di essere finalmente libero dalla scommessa, ma, chissà perché, non mi sentivo per nulla allettato da quella soluzione.
«Ieri sera, dopo che te ne sei andato, mi sono ritrovata a vagare per la spiaggia da sola» iniziò senza trovare la forza per guardarmi. «Mi sentivo in colpa per averti allontanato e per essere stata così codarda nel dirti di fermarti» e a quel punto mi fissò. «Avevo il terrore che fossi scappato perché ti eri accorto di aver commesso l’errore più grande della tua vita baciando un una come me».
In quel preciso istante sentii il mio cuore stretto in una morsa talmente forte da impedirmi di respirare. Ero fuggito per paura di finire in un baratro che mi avrebbe fatto diventare una specie di maniaco sessuale, mentre Sole aveva creduto di essere stata lei la causa della mia fuga. Pensava me ne fossi andato perché lei non era alla mia altezza.
«Poi ho incontrato Giorgio e ci siamo messi a parlare» continuò ed io sentii distintamente che la voce le si era incrinata dal pianto imminente. «Ero così confusa e arrabbiata per non essere come Sara o come le altre.. mi sentivo così inadeguata e così fuori luogo a far parte del tuo mondo. Era tutto sbagliato e Giorgio mi era sembrato così gentile.. poi si è avvicinato e..» da lì in poi la zittii con un bacio.
Lei spalancò gli occhi sorpresa, con le lacrime che le rigavano quelle guance perfette, spruzzate di lentiggini color caffè. Sapevo che mi stava raccontando tutto e che mi avrebbe detto anche di cosa lei e Giorgio avevano fatto nella sua camera d’albergo, ma in quell’istante mi era parso tutto talmente superfluo che avevo deciso di non sapere.
La fiducia è il primo passo per costruire una relazione..
Sapevo di non dovermi imbarcare in un’avventura di quella portata, soprattutto con la scommessa che penzolava ancora sulla mia testa come la spada di Damocle, ma quegli istanti passati col sospetto e con la folle idea di Giorgio e Sole insieme, mi avevano fatto capire che non potevo più tornare indietro.
Dopo un primo istante di smarrimento, Sole chiuse gli occhi e mi permise di entrare quasi subito. Le nostre lingue si ritrovarono e non appena entrarono in contatto, fu come ritornare ad una sera fa, nascosti dietro quei bungalow, a pomiciare come adolescenti. Sentivo sulle sue labbra il sapore del sale, dell’oceano e delle onde. In quel momento mi sentii come il principe salvato dalla Sirenetta di Andersen, e Sole era la mia ancora. Mi sarei dovuto sentire schifato, avrei dovuto percepire un senso di repulsione nei suoi confronti, com’era stato il primo giorno, ma più cercavo di pensare a Sole come alla Moby della prima sera, più mi sembrava assurdo quel soprannome.
 Non riuscivo più a starle accanto senza provare la forte sensazione di sentire le sue mani sul mio corpo, di avvertire quel tocco incerto ma ugualmente stuzzicante. Non sapevo se fosse amore o qualsiasi altra cazzata che anche gli scrittori più finocchi avessero provato a descrivere, ma la verità era che non riuscivo più a starle lontano. Era stato il mio primo pensiero quando mi ero messo a dormire ed era ritornata sia nei miei sogni che appena sveglio.. dannazione! Mi stavo davvero rincitrullendo.. se mi avessero visto i miei amici in quel momento, soprattutto Stefano, ero sicuro che gli sarebbe caduto un mito.
Come avrei potuto fare? Avrei dovuto parlarle della scommessa? Dire tutto e fregarmene delle conseguenze, lasciando che la bontà di Sole mi permettesse nuovamente di entrare nelle sue grazie?
Certo, imbecille!
Pareva facile a dirlo, ma non a mettere in pratica ciò che la coscienza mi suggeriva di fare. Ora che non riuscivo a smettere di pensare a Sole, l’idea di dovermene separare mi uccideva e non ero sicuro di riuscire a sopportare che mi odiasse.
Lentamente cercai di avvicinarmi sempre di più al suo corpo, passandole un braccio intorno alla vita e sporgendomi verso le sue labbra. Lei indietreggiò ma non lasciò mai andare la mia bocca che ormai era affamata della sua. Delicatamente la feci sdraiare sulla nuda roccia, mentre un piccolo brivido di freddo le percorse tutto il corpo, ma lei non lasciò mai andare le mie labbra perché, in fondo, sapevo che eravamo legati a doppio filo l’uno all’altra.
I respiri si fecero più pesanti, così come i mugolii di protesta che uscivano dalle sue labbra ogni volta che mi staccavo da lei per prendere fiato. Il cuore batteva fortissimo nel mio petto, come un tamburo, e nessuna era mai riuscita a farmi cadere in quella spirale di emozioni da cui non riuscivo più a separarmi. Che fossi diventato sensibile? No, non poteva essere.
Lentamente i miei baci scesero lungo il suo collo, proprio dietro l’orecchio, ed io potevo sentire i suoi sospiri affannati e il suo petto che si alzava e si abbassava frenetico a contatto con il mio. Eravamo ancora bagnati dall’acqua di mare e tutto il corpo di Sole sapeva di salsedine. In ogni punto in cui passavano le mie labbra, lei rabbrividiva e l’epidermide s’increspava lasciandole solo la pelle d’oca. Era così sensibile al mio tocco e l’idea che nessuno prima di me avesse mai esplorato il suo corpo mi riempiva d’orgoglio. Lei era mia, e di nessun’altro.
Poi l’immagine di Giorgio tornò a farsi spazio nella mia mente, tamburellando in un angolo del mio cervello come il Picchio dorsobianco aveva fatto con il tronco di faggio, e ancora una volta mi ritrovavo sospeso tra una ragazza e il mio migliore amico.
Quell’avventura era cominciata proprio nello stesso modo, ed io avevo accettato la scommessa soltanto per proteggere Giorgio e la sua ingenuità, ma ora che lui aveva finalmente capito che Sara non era altro che la perfidia fatta persona, di tutte le ragazze di cui era popolato il villaggio, lui aveva scelto Sole.
Ed io che ancora non sapevo cosa cavolo mi stesse succedendo, ma ero conscio del fatto che non riuscivo a starle lontano, da bravo amico mi sarei dovuto fare da parte, almeno fino a quando non avessi fatto pace col cervello.
E allora perché te ne stai qui con la lingua nella sua bocca?
Già.. perché? Se qualcuno avesse saputo rispondere a quell’interrogativo, ero sicuro che mi avrebbe tolto un grande peso dal cuore, ma nessuno sapeva dove ci trovassimo e cosa stessimo facendo, soprattutto Giorgio.
Con un immenso sforzo, mi staccai da lei e tornai a fissare la volta della grotta.
Sole si rialzò, rossa in volto, confusa tanto quanto me da quel mio comportamento incongruente.
«Ho sbagliato di nuovo, scusami» le dissi mortificato. «Giorgio è il mio migliore amico ed è la prima volta che mi trovo in questa situazione».
Avrei dovuto dirle la verità? Almeno la parte riguardante Giorgio?
«Capisco» mormorò lei, tornando a guardarmi con quegli occhi color onice. «So quanto il tuo amico sia sensibile ed è raro trovare questa qualità in un ragazzo e mi ha detto che ha sofferto per Sara».
Bene, si era aperto con lei più di quanto pensassi. Quando Giorgio decideva di mettere il cuore in mano a qualcuno, lo faceva per intero e non diceva mezze verità come il sottoscritto.
«Mi ha detto anche che io gli piaccio, nonostante mi conosca da così poco tempo» aggiunse, diventando color aragosta.
Quella confessione mi spiazzò del tutto e non avrei mai creduto di sentirmi come se un camion mi avesse investito più di una volta. Mentre io fuggivo il più lontano possibile da lei per non rischiare di essere come mio padre, Giorgio aveva usato l’arma più semplice da sfoderare: la verità. Le aveva detto che gli piaceva, senza troppi convenevoli, e soltanto dopo l’aveva baciata, ne ero più che sicuro. Invece io, da bravo gentiluomo da taverna, prima di qualsiasi cosa le avevo infilato la lingua in gola e poi, forse, le avrei detto ‘grazie’.
Più andava avanti questa storia e più io mi chiedevo cosa diavolo ci facessi con lei.
«Nessuno mi ha mai detto queste cose ed io mi sono sentita sopraffatta dalle emozioni» continuò a raccontare, omettendo che in ‘nessuno’ includeva anche il sottoscritto. «Ho avuto anche io le mie relazioni» arrossì «ma si sono trattate più che altro di cotte passeggere, spesso non corrisposte, ma il grande amore, per me, non è mai arrivato».
Neanche per me, mi ritrovai a pensare, come una donzella seduta a guardare il tramonto. Da quando in qua pensavo all’amore? Sentimento che avevo deciso di sotterrare da un giorno preciso della mia vita e che avevo giurato a me stesso di non ritirare mai più fuori. Mi ero divertito con le ragazze, ero stato fin troppo stronzo nella mia vita, ma in quelle dannate due settimane di vacanza era come se tutti i principi che avevano regolato la mia esistenza fino a quel giorno, fossero andati a farsi fottere come il resto del mio stile di vita.
«Io non so cosa ci sia tra di noi» fece una pausa «non so ancora distinguere tra la semplice attrazione fisica o qualcosa di più. Giorgio mi ha chiaramente detto cosa prova per me ed io mi sento in dovere di dargli una risposta..».
A quel punto mi mancò la terra sotto i piedi. Mi stava chiedendo se dovesse scegliere Giorgio al mio posto? Ed io cosa avrei dovuto risponderle?
«E quale sarebbe?» me ne uscii, con un tono un po’ troppo disperato.
Sole spalancò quei grandi occhi neri, mentre cercava di articolare qualche parola. «Non lo so, mi sento troppo confusa per rischiare di ferire qualcuno. Giorgio è molto bello, simpatico e sensibile, ma sento di essere divisa tra due metà uguali e non riesco a decidere».
Indovina chi rappresenta l’altra parte?
Ero io, ovviamente. Giorgio mi aveva chiaramente chiesto di farmi da parte, in modo che Sole avesse soltanto una scelta davanti a lei, ma io, da egoista qual’ero, non mi ero accontentato di un semplice bacio, e avevo dato il via a quella catena di eventi.
«Io e te cosa siamo, Frà?» mi chiese Sole, di punto in bianco, guardandomi come un cerbiatto impaurito. Quella domanda le era costata molto, ed era evidente dal suo imbarazzo, ma anch’io ero confuso e spaesato, non sapevo se fare la cosa giusta o fregarmene delle conseguenze.
Cos’eravamo io e Sole? Bella domanda..
Se ora le dici che ti piace, sta sicuro che sceglierà te.
L’idea che potesse davvero scegliermi, mi riempì il petto d’orgoglio, ma poi pensai al futuro, a quando quella vacanza sarebbe finita e a cosa avrei fatto dopo aver vinto la scommessa. Non potevo rischiare che Sara le andasse a spifferare tutto e le dicesse che fin dal primo giorno le avevo mentito, mandando a farsi benedire anche la possibile relazione con Giorgio.
Se mi fossi fatto da parte, almeno per una volta, uno di noi due sarebbe stato felice.
«Solo amici» dissi e Sole abbassò lo sguardo, fissando l’acqua di fronte a noi. «È meglio per tutti, credimi» aggiunsi «io non sono quello che fa per te, non sarò mai il tuo grande amore».
Quelle parole mi uscirono a forza dalla bocca, e fui costretto quasi ad urlarle per trovare il coraggio di dirle.
Se davvero tieni ad una persona, troverai il coraggio di lasciarla andare…
Dopo qualche minuto di silenzio pensai che Sole scoppiasse a piangere e vedere il suo viso rigato dalle lacrime mi avrebbe fatto ancor più male, ne ero certo. Invece, come al solito, mi sorprese, regalandomi un meraviglioso sorriso.
Mi porse la mano e disse: «Solo amici, allora».
Deglutii a vuoto, incapace di essere spensierato come lei, anche se solo per finta. Mi limitai a stringerle la mano e a convincermi che non stessi davvero facendo l’errore più grande della mia vita.


Eccomi alla fine del nuovo chappy! So che a questo punto, la maggior parte di voi mi ucciderà *nel frattempo che scrive le sue memorie, prepara la valigia e controlla i documenti per l'espatrio* però mi serviva qualcosa per far allontanare nuovamente i nostri due protagonisti, anche perché è palese che a Sole piaccia Francesco e che, quest'ultimo, stia cominciando a provare qualcosina per la nostra dolce donzella.
Giorgio faceva al mio caso, perché è adatto per la nostra Sole ed è il migliore amico di Francesco, e mettersi da parte per un amico gli rende onore! (Come sono sentimentalona, oggi!)
Quindi hanno deciso di comune accordo di essere solo amici, cosa piuttosto difficile a detta del Walter di Francesco, però, ora, la vera rogna sarà proprio la nostra arcinemica: Sara. Cosa ne sarà della scommessa a questo punto? BOH! Posso solo spoilerarvi che il prossimo chappy si intitolerà: Cuori in gabbia.
Ringrazio le 9 persone che hanno recensito lo scorso capitolo (10! 10! 10! -> urla il pubblico per il prossimo ^^'), le 44 persone che la seguono, le 16 persone che l'hanno messa tra le preferite e le 6 nelle ricordate.
Ringrazio anche chi legge soltanto perché vi capisco che spesso il tempo per recensire manca (-> Sylphide Efp, non preoccuparti ^^').
In ultimo, ma non in ordine di importanza, devo ringraziare tantissimo la mia Lover per tutto l'aiuto che mi da in questa storia, soprattutto nel leggere la preview dei capitoli e consigliarmi sul seguito! Ti lovvo troppo, sweety!
Beh, per chi non mi seguisse su Facebook, lascio un'immaginetta carina, carina del chappy qui sopra e ricordo, a chi non l'avesse ancora saputo, la nuova storiella che sto scrivendo a quattro mani con la mia Clithia!
Come in un Sogno

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Capitolo 11
*** 11. Cuori in gabbia ***



Capitolo undici
Cuori in gabbia
«Mi stai dicendo che vuoi interrompere qui la scommessa, giusto?» la voce di Sara era imperiosa e decisa, ma cercai di non tentennare.
«Ho chiaramente detto a Sole che siamo soltanto amici, nient’altro» asserii sicuro.
Le iridi verdi di Sara si erano assottigliate fino a diventare quasi verticali, come quelle di un rettile. Alle volte faceva davvero paura quando si comportava in quel modo e non riuscivo ancora a capire cosa le avesse fatto Sole di così tremendo da architettare tutta quella messa in scena.
«Bene» sorrise, alzandosi dal letto. «Ti avevo avvertito. Se ti fossi rifiutato di portare a compimento la scommessa, le avrei detto tutto, ricordi?».
«Sì, e non me ne importa. Ti chiedo solo di non nominare Giorgio» le assicurai, sperando che il suo cuore non fosse totalmente ricoperto di ghiaccio.
In risposta a quella mia affermazione, Sara sorrise sadica, come se le si fosse aperta davanti una nuova soluzione per farmi penare. Più andavo avanti e più pensavo che quella ragazza fosse da rinchiudere.
«Sarò muta come un pesce» mormorò, sogghignando ed io tirai un sospiro di sollievo. «Ma tu dovrai stare con me, per il resto della vacanza».
«C-cosa?» balbettai incredulo.
«Se vuoi che Giorgio e Sole coronino il loro meraviglioso sogno d’amore, per non farmi parlare, devi accettare di passare il resto della vacanza come se fossi il mio ragazzo» sentenziò.
Si era ufficialmente bevuta il cervello, anzi, ne aveva fatto un cocktail pericolosamente pesante che le aveva dato alla testa. Non solo mi stavo mangiando le mani per aver detto a Sole che saremmo rimasti buoni amici, ma adesso avrei anche dovuto fingere un’altra volta i miei sentimenti per una ragazza che non amavo.
«Non è che hai molta scelta, Frà. Giorgio sembrava così felice quando è uscito dalla camera di quella puttanella» ridacchiò sadica.
«Come fai a saperlo?!» le domandai scioccato e sorpreso.
Sara rise e si avvicinò pericolosamente. «Pensi che Stefano riesca a tenere la bocca chiusa per più di dieci secondi?».
Tutta la comitiva era venuta a conoscenza di ciò che Sole e Giorgio s’ipotizzava avessero fatto, e in quel momento sentii il mondo crollarmi addosso, troppo scosso per reagire o fare qualsiasi altra cosa. Giorgio era il mio migliore amico ed io gli dovevo tutto, questo era ciò che contava.
«Solo per altri otto giorni?» mi assicurai, per paura che qualche suo altro trucchetto mi costringesse a prolungare quell’agonia.
Sara si avvicinò e mi circondò con le sue braccia. «Per otto giorni sarai mio, Francesco Russo, non un’ora di più».
Deglutii a vuoto, mentre Sara si alzava in punta di piedi per ricevere un bacio che avrei dovuto darle, da quel giorno in avanti.
«Un bacio per sugellare il nostro patto» sussurrò, poi chiuse gli occhi ed io feci altrettanto. Le nostre labbra si sfiorarono appena ma per la prima volta, baciando un’altra che non fosse Sole, mi sentii come un giocattolo abbandonato in una discarica: svuotato della mia imbottitura, sporco e dilaniato.

«Dov’eri sparito? È tutto il giorno che ti cerco!».
La voce di Giorgio non appena entrai in camera mi pugnalò dritto al petto, così come il suo sguardo. Mi chiedeva dov’ero stato e cosa avessi fatto, come lui non avesse niente da nascondere. Improvvisamente sentii una rabbia crescermi dentro, tanto che facevo fatica a contenermi. Avevo detto addio a Sole, ero stato tratto nuovamente in inganno da Sara.. tutto questo solo per lui.
«A fare danni» risposi vago, andando in bagno e facendo scorrere l’acqua della doccia.
Giorgio mi seguì e nonostante cercasse di trattenersi, era evidentemente arrabbiato per qualcosa.
«Avanti Giò, che devi dirmi?» lo anticipai, sperando la facessimo finita subito.
Quella sera sarei dovuto uscire con l’Arpia, insieme a tutti i miei amici, e prima o poi anche Sole mi avrebbe visto in sua compagnia. Dovevo semplicemente fingere di amare Sara, così, almeno, si sarebbe messa il cuore in pace.
«Cosa le hai fatto?!» mi domandò brusco, avvicinandosi sempre più pericolosamente.
«A chi?» chiesi io, troppo confuso dagli avvenimenti che si erano succeduti così velocemente che non sapevo davvero a cosa si riferisse.
Gli occhi di Giorgio si ridussero a fessure, poi incrociò le braccia al petto, pompando quei bicipiti che alle volte mi facevano davvero paura. Per quanto Giorgio potesse essere buono e gentile, il suo corpo faceva invidia a quello di Tarzan.
«Lo sai bene che sto parlando di Sole» puntualizzò «ieri sera l’ho trovata che vagava da sola per la spiaggia, con uno sguardo disperato. Si può sapere cosa diavolo ti è venuto in mente? Non ti avevo detto di lasciarla stare in nome della nostra amicizia?».
Se avessi potuto urlargli in faccia tutta la verità, lo avrei fatto seduta stante. La punizione che mi era stata inferta dal fato per aver passato la mia intera vita a trastullarmi con una ragazza alla settimana, si stava rivelando peggio del previsto.
«Non le ho fatto nulla, non nel senso che intendi tu» dissi risoluto, afferrando l’asciugamano e togliendomi la maglietta.
«Ah, sì?» tuonò lui, tirando fuori dalla tasca una fotografia. «E questa?!».
Deglutii a vuoto riconoscendo l’istantanea che Stefano e gli altri imbecilli ci avevano scattato come ‘prova’ del finto rapporto che stavo costruendo con Sole, ma non avrei mai pensato che sarebbe giunta nelle mani del mio migliore amico così presto.
«È stato solo un effetto collaterale della scommessa, non devi preoccuparti» lo tranquillizzai, liberandomi anche dei sundeck.
Non avevo mai visto Giorgio così arrabbiato e pensai che con il mio comportamento strafottente rischiavo soltanto di peggiorare la situazione. Purtroppo era l’unico modo per fargli capire di essere completamente disinteressato a Sole, così da lasciargli campo libero.
«Meglio per te, perché se scopro che le hai fatto qualcosa come quel porco di tuo padre..» minacciò, ma quando disse quelle ultime parole, tutta la rabbia che cercavo di tenere serbata dentro il mio cuore, esplose come un fiume rompendo una diga.
«NON PARAGONARMI A LUI!» ringhiai, avventandomi su Giorgio e scaraventandolo contro il muro.
Fummo entrambi sorpresi da quella mia reazione spropositata, ma la tensione era talmente alta tra di noi che era impossibile evitare una scazzottata.
«Perché? Non è forse vero? Lo dici anche tu stesso!» gridò Giorgio, spintonandomi via da lui e rifilandomi un destro dritto sullo zigomo.
«’Tacci tua!» ringhiai, sentendo il sapore ferroso del sangue in bocca. «Vaffanculo, Giò! Sei l’unico che conosce tutta la storia!» gli urlai di rimando, colpendolo prima al fianco, poi sotto il mento.
Ci trascinammo nuovamente verso la camera da letto, senza smettere di darcele di santa ragione, dopodiché ci ritrovammo esausti a fissarci, l’uno di fronte all’altro.
«No-non devi preoccuparti di Sole» gli dissi alla fine, col fiato corto.
«L’hai baciata, Cristo! Quando ti avevo chiaramente chiesto di non farlo!».
Mi asciugai un rivolo di sangue al lato del labbro e continuai a guardare Giorgio in quei suoi occhi castani. «Ho sbagliato, me ne rendo conto, ma ho già chiarito tutto con lei».
Il mio migliore amico assunse un’espressione confusa e si rilassò, abbassando la guardia. «Che vuoi dire?».
A quel punto compresi che la ‘lotta’ era conclusa, perciò mi sdraiai sul letto stremato, attendendo che anche Giorgio facesse lo stesso. Poco dopo sentii il materasso che s’inclinava da una parte e, nonostante non riuscissi a vederlo, sapevo che il mio migliore amico mi stava guardando impaziente.
«Le ho detto che saremmo stati soltanto amici da oggi in poi» gli assicurai, tastandomi lo zigomo che stava diventando grosso come un pallone da calcio. «Quindi hai la strada spianata con lei, amico mio».
Quelle parole mi erano costate tanto, forse troppo. Sentivo un bruciore intenso allo stomaco, proprio sotto il cuore, e non riuscivo a darmi pace. Nella mia mente si ripresentava sempre l’immagine di Sole spensierata, di Sole amante della natura, di quella ragazza che aveva sempre un sorriso per tutto, anche quando le avevo detto che tra noi era finita.
 «E come farai con la scommessa?» mi chiese subito Giorgio, spaventato all’idea di perderla.
Mi rialzai a sedere sul materasso, tornando a guardare gli occhi nocciola del mio migliore amico.
«Tu non preoccuparti, pensa soltanto ad essere felice» lo rassicurai, dandogli una pacca sulla spalla.
Dovevo andarmene da lì, rimanere un po’ da solo a pensare. Avevo come la sensazione che se fossi andato avanti con quella confessione strappalacrime, avrei finito per rimangiarmi tutto e mandare Sara e Giorgio a farsi fottere.
Mi alzai e mi diressi in bagno, pronto per fare quella doccia risanatrice che avrebbe, almeno in parte, lavato via le mie preoccupazioni.
«Frà» mi fermò Giorgio.
«Sì?».
«Mi dispiace per quello che ho detto, tu non sei come tuo padre» si scusò lui, evidentemente mortificato.
Non potei fare a meno di sorridere perché più cercavo di odiare Giorgio per avermi costretto a lasciare Sole e a stare con Sara, più mi accorgevo di non riuscirci. Era come mio fratello e non avrei mai potuto portare rancore al sangue del mio sangue.
«Tutto risolto, amico. Sapevo che non stavi dicendo sul serio» lo rassicurai, anche se in una parte remota della mia coscienza, io stesso ero fermamente convinto di essere la fotocopia più giovane di Enrico Russo.
Sorridendo a Giorgio, tentai nuovamente di entrare in bagno, in modo da lasciarmi andare almeno con me stesso.
«Frà?» di nuovo.
«Che c’è?!» tuonai esasperato.
Non mi ero accorto di come Giorgio si era mosso fulmineo. Me lo ritrovai a pochi passi, con lo sguardo fermo ed una rapidità tale da bloccarmi il viso nella sua mano.
«C-che cazzo fai?» bofonchiai, incapace di muovermi da quella sua stretta d’acciaio.
«Giurami che tra te e Sole non c’è stato altro che la scommessa» affermò serio. «Dimmi che non ti stai innamorando di lei».
I suoi occhi nocciola erano invasi dalla fiamma ardente della gelosia ed io cos’altro potevo fare se non continuare con quella pantomima?
«I-io..» tentai di dire, mentre il mio cervello si rifiutava di pronunciare quelle parole. Sentivo che stava diventando più difficile fare quella confessione a Giorgio, piuttosto che allontanare Sole dalla mia vita, perché si sarebbe tradotto con una vera e propria rinuncia da parte mia «..lo giuro» confessai infine.
«Non mi scoperei mai una cozza come quella» aggiunsi, preferendo mille volte un altro cazzotto in faccia anziché rischiare di far trasparire qualche emozione traditrice.
Giorgio mi lasciò andare ed io ne approfittai per rintanarmi in bagno, togliendomi i boxer e lasciando che il getto caldo dell’acqua mi lavasse via tutte quelle brutte sensazioni che mi affliggevano l’animo.
Posai la testa contro le piastrelle, con le spalle rivolte verso il vetro del box doccia, e nonostante le mie orecchie fossero invase dallo scroscio incessante dell’acqua sul pavimento, riuscii a distinguere ogni nitido pensiero che mi frullava nella testa oberata di emozioni.
Frà, hai fatto la cosa giusta, pensai, sempre meno convinto di ciò che il mio cervello tentava di suggerirmi.
Cos’altro avresti potuto fare? Confessare a tutti di esserti preso una sbandata per Moby e mandare a farsi fottere la tua reputazione? Così, oltre a Giorgio, avresti perso la stima di tutti gli altri.. Sole valeva tutto questo?
Avrei potuto rispondere benissimo di sì, visto il dolore sordo al petto che mi stava lacerando la gabbia toracica, ma deglutii a vuoto e presi il bagnoschiuma, insaponandomi il petto e le spalle, lasciando che l’acqua mi bagnasse il viso.
Francesco Russo non poteva concedersi il lusso di un sentimento come l’amore, non nella situazione in cui si trovava. Giorgio mi era stato sempre vicino nelle mie avventure passate, come il fratello che non avevo mai avuto, e il minimo che potessi fare era farmi da parte e lasciargli campo libero con Sole.
La mia Sole.
L’unica che sia stata capace di smuovere un cuore di pietra come il mio, incapace di provare amore e dedito solo al pompaggio del sangue.



Era scesa la sera nel villaggio Julia ed io me ne stavo seduta nel portico, quasi in riva alla spiaggia, fissando gli ultimi sprazzi di luce all’orizzonte prima che il manto della notte sostituisse il giorno.
Quella giornata non era andata proprio come mi sarei aspettata.
Avevo portato Francesco nel mio posto segreto, sperando potessimo finalmente dirci cosa provavamo l’un l’altra, ma era finita diversamente da come l’avevo immaginata nei miei sogni.
Solo amici.
Quelle due parole pesavano sul mio cuore come un macigno, e mi era costato uno sforzo enorme non mettermi a piangere come una ragazzina. Avevo fatto appello a tutta la mia determinazione per riuscire a tirare fuori un ultimo sorriso e a stringergli la mano con nonchalance.
Ma, Sole, tu non sei così forte..
E ne pagavo le conseguenze ora, quando mi trovavo a tu per tu con i miei sentimenti e con ciò che avevo tentato di reprimere fino all’ultimo. Non mi ero fidata di Francesco all’inizio, pensando ci fosse qualcos’altro sotto quei gesti gentili, ma ora non potevo fare a meno di provare qualcosa di forte per lui, qualcosa che soltanto una volta avevo provato nella mia vita.
Magari il mio radar di relazioni si era fritto da chissà quanto tempo, visto che non riuscivo a distinguere quando un ragazzo voleva essere ‘solo amico’ e quando, invece, gli piacevo sul serio. Povera me.. a fine vacanza sarei uscita pazza!
«Si può?» chiese una voce, ed io mi voltai, entrando nella stanza d’albergo.
Betta e Sere mi avevano lasciata da sola e, da grandi amiche, non mi avevano immediatamente tampinata per sapere cosa c’era di strano nel mio sguardo. Avevano preferito assentarsi per qualche ora, lasciandomi del tempo per pensare, ma non avevo fatto altro che struggermi ancora di più.
«Prego» dissi e Giorgio comparve sulla soglia della stanza.
In quel momento non avevo voglia di vedere nessuno, né tantomeno il migliore amico del ragazzo che mi piaceva. Sapevo alla perfezione che fra noi tre si era creata una sorta di catena a senso unico, visto che a Giorgio io piacevo, ma io stessa provavo qualcosa per Francesco e a lui chissà cosa gli passava per la testa.
Sentivo, però, il bisogno del contatto umano con qualcuno perché in quel momento mi sentivo maledettamente sola.
«Dove sei sparita oggi? Ti ho cercata tutto il giorno» mi sorrise, gentile come sempre.
La bellezza di Giorgio era particolare, ma decisamente da mozzare il fiato. A primo approccio, poteva sembrare un ragazzone tutto muscoli e niente cervello, ma sotto quel fascio di addominali nascondeva un cuore d’oro pronto ad essere donato a chiunque l’avesse accettato.
«Sono rimasta quasi sempre chiusa in camera» mentii, abbassando lo sguardo e cercando di nascondere il rossore.
«Capisco» mormorò lui, poco convinto. «Ti lascio sola, se vuoi..» se ne uscì, facendo dietro front e posando una mano sul pomello della porta.
«NO!» gridai, con un tono forse un po’ disperato, poi gli posai una mano sul braccio. «Non lasciarmi da sola» sussurrai poi, con evidente imbarazzo.
I suoi occhi nocciola si specchiarono nei miei, spiazzandomi con il vortice di emozioni che vi era riflesso. Se in quel momento la sottoscritta stava facendo i conti con sensazioni contrastanti, Giorgio aveva lo sguardo del poeta maledetto.
La sua mano andò a catturare la mia, stringendola forte, per poi portarsela alle labbra e posandoci un bacio che mi fece rabbrividire fino alla punta dei capelli. Il cuore mi batteva all’impazzata e sentivo le gambe farsi ancora più molli, troppo confusa da quello che mi stava succedendo.
A quel punto avrei dovuto liberarmi dalla sua stretta e dirgli chiaramente che volevo una spalla su cui piangere, non una nuova relazione, ma quando riaprì gli occhi e li puntò nei miei, la voce mi morì in gola e non riuscii a spiccicare nemmeno una parola.
«Ho parlato con Frà» disse poi, soffiandomelo a pochi centimetri dal viso.
Dopo quelle parole sbiancai, terrorizzata all’idea che Francesco gli avesse raccontato tutto della grotta e di cosa avremmo fatto lì dentro se non avesse pronunciato la famigerata frase ‘Siamo solo amici’.
«A-ah.. sì?» balbettai con la bocca asciutta, completamente divisa tra le sensazioni che Giorgio mi stava dando e le notizie che uscivano dalle sue meravigliose labbra.
«Mi ha detto che fra di voi non c’è nulla, è vero?» chiese, con uno sguardo che andava ben oltre la semplice curiosità. Sembrava piuttosto un bisogno morboso di conoscere la mia risposta.
Riuscii finalmente a deglutire. «S-sì..» soffiai infine. «Siamo solo amici».
Era la millesima volta che pensavo a quella frase, ma dirla a voce altra aveva tutt’altro peso sul mio cuore.
Giorgio mi sorrise ed io non potei fare a meno di tirar fuori una specie di smorfia simile ad un ictus. Anche se stavo provando un miliardo e mezzo di emozioni positive, ciò che mi dava Francesco era unico e nessuno l’avrebbe mai sostituito.
Hai visto, Sole? Tutti prima o poi battono in ritirata, dai tempo a questo qui e vedrai che ti mollerà per qualcun’altra.
Certe volte la mia razionalità riusciva a tirare fuori delle considerazioni che mi facevano davvero male.
«Allora possiamo vederci, qualche volta..» ammise lui, lievemente imbarazzato.
Ecco che davanti a me si ripresentava un’altra occasione di essere felice, l’ennesima della mia vita, ma sarei davvero riuscita a fidarmi?
«Sì.. qualche volta» gli sorrisi di rimando, sospirando e sperando che sarei riuscita ad amare ancora, dopo tutto quello che mi era successo.
Giorgio mi sorrise come un bambino a cui è stato regalato un giocattolo nuovo, tanto che mi strinse tra le braccia e mi fece volteggiare, per poi regalarmi un bacio sulla fronte.
«Verresti con me, stasera? C’è il falò in spiaggia..» mi propose ed io non riuscii a smettere di pensare a Francesco.
«O-okay..» risposi, sperando di non risultare poco convinta.
«Andiamo, allora!» esultò, prendendomi la mano e trascinandomi letteralmente fuori dalla mia stanza.
Magari ti farà bene distrarti un po’, non pensi?
Francesco rappresentava l’ennesima cotta non corrisposta e una delle infinite delusioni amorose che avevo avuto nella mia vita, ma non per questo avrei dovuto smettere di provare. Prima o poi sarebbe arrivato quello giusto, ne ero più che certa.

Il fuoco crepitava alto e possente, bruciando le casse di legna e la carta che ognuno gettava di tanto in tanto, sperando che ci fosse qualche fiammata più alta.
Ci eravamo seduti in circolo, mentre dalla musica di sottofondo si potevano udire le parole di Bon Jovi che intonava una canzone romantica.


Elisabetta e Serena si erano alzate in piedi, ballando e strusciandosi come se fossero ubriache di un tino intero di vino, mentre tutti i ragazzi del villaggio le fissavano come due cosciotti di prosciutto.
Poco dopo arrivarono anche gli altri amici di Francesco, cioè, di Giorgio, con le loro ragazze e quell’altro tipo un po’ strano, mi pareva si chiamasse Stefano. Si sedettero attorno al fuoco e cominciarono a ridacchiare, mentre si scambiavano dolci effusioni con Claudia e Ginevra.
Mi sentii imbarazzata solo a guardarli, anche perché non sarei mai riuscita ad essere così disinvolta in pubblico. I baci miei e di Francesco erano stati nascosti e come due ladri avevamo condiviso i nostri intimi incontri, prima di dare un taglio netto a tutto.
«Non è bellissima la luna stasera» mi sussurrò Giorgio, scostandomi i capelli su una spalla e soffiandomi le sue parole sulla pelle, mentre un brivido mi percorreva la schiena.
«S-sì..» balbettai rossa in viso, turbata da quella vicinanza.
L’atmosfera che il falò aveva creato era più adatta ad un film romantico, piuttosto che ad una festa dove scorrevano fiumi di alcool, ed io mi sentivo stranamente coinvolta.
«Ehi, Frà! Dove cazzo sei stato tutto il giorno?» urlò Stefano, abbracciandosi le mie due migliori amiche e facendomi voltare di scatto, rischiando quasi uno strappo alla cervicale.
E fu in quel momento che i nostri occhi s’incrociarono. Azzurro e nero, come le profondità degli abissi, ma quello che vidi non mi risollevò per nulla l’animo. Avanzò maggiormente nella luce tentennante del fuoco. Indossava una camicia bianca, di lino leggero, completamente aperta, e i cui lembi svolazzavano lungo i fianchi fasciati dai soliti bermuda che gli scendevano fin sotto la curva dell’anca.
Arrossii quasi senza accorgermene, immaginandomi maliziosamente cosa avrei visto al disotto di quella stoffa color cachi, ma cercai di darmi un contegno.
«Ero impegnato» ridacchiò col suo amico e quando vidi nuovamente le sue fossette apparirgli sulle guance, ebbi un tuffo al cuore.
D’improvviso spuntò fuori quella Sara e come una ventosa, gli si appiccicò al braccio guardandolo come fosse un premio a cui non poteva rinunciare. Pensai subito che se la scrollasse di dosso, visto come si era comportato con lei fin dall’inizio, invece le strinse la mano e ne baciò il dorso.
Lei gli sorrise di rimando e lui sembrava così sincero nel rivolgerle quei sorrisi speciali che soltanto io ero riuscita ad immortalare sulla mia Reflex. Improvvisamente sentii un forte dolore allo stomaco, come se il drago accoccolato sul fondo delle mie viscere si stesse improvvisamente svegliando, puntando le scaglie aguzze del suo dorso nella mia pelle.
Distolsi lo sguardo senza nemmeno accorgermene, trovando più interessante un pezzo di carbone incandescente piuttosto che quei due che si scambiavano effusioni in pubblico, sotto gli sguardi basiti di tutti.
Perfino Giorgio sembrava notevolmente sorpreso nel vederli insieme.
Purtroppo, con la mia solita fortuna, la nuova coppietta felice del Villaggio Julia si andò a sedere proprio sul tronco di fronte al nostro, mentre Sara non la finiva di strusciarsi addosso a Francesco come una cagna in calore.
Più cercavo di non guardarli per sembrare, quanto meno, superiore a quella nuova ‘unione’, più il mio sguardo tornava a posarsi sulle loro moine pubbliche. Proprio quando stavo pensando di alzarmi e andarmene, almeno per non sentirmi davvero una stupida che era stata presa in giro fin dall’inizio, la mano di Giorgio si avvolse attorno alla mia ed io ritrovai quei suoi occhi nocciola tanto espressivi.
«Ehi, amico, com’è questa novità?» se ne uscì il ragazzo di Claudia, riferendosi, evidentemente, alla loro storia.
Francesco scosse le spalle e tornò a sorridere, con quell’espressione in viso che gli avevo visto la prima volta quando l’avevo conosciuto. Era come se fosse regredito e il suo comportamento fosse tornato quello ‘falso’ dell’inizio della vacanza.
«Non è scaduta la prima settimana?» chiese, e gli altri ridacchiarono complici.
«Non ti smentisci mai, Frà» disse uno.
«Sei proprio il mio mito» si aggiunse l’altro.
Mi ritrovai a pensare quanto potesse essere stato sincero il nostro semi-rapporto, visto che gli era risultato tanto facile rinunciare a quello che avevamo per gettarsi tra le braccia di Sara al primo colpo, però non riuscivo a credere che potesse essere tutto falso quello che c’era stato fra noi e quello strano comportamento di Francesco mi insospettiva parecchio.
«Puoi scusarmi un attimo? Vado a fare quattro chiacchiere con il mio amico» mi disse Giorgio, alzandosi in piedi e mettendosi di fronte a Frà.
«Che vuoi?» gli chiese, ma non riuscii a sentire cosa Giorgio gli intimò per convincerlo a seguirlo.
Fatto sta che se ne andarono dal falò, camminando sulla spiaggia, mentre mi ritrovavo a pensare come quei due, con caratteri così diversi, potessero andare d’accordo.
Mentre rimuginavo sulle mie considerazioni, però, scorsi un paio di occhi verdi che mi scrutavano al di là della fiamma scoppiettante e rabbrividii quando mi accorsi a chi appartenessero.
Sara si alzò in piedi e mi sedette accanto, sorridendomi come se fossimo state amiche da sempre. Deglutii a fatica, ma decisi di non avere paura di ciò che il suo caratteraccio avrebbe potuto farmi.
«Non ti ricordi di me, vero?» mi chiese ed io scossi la testa.
Il suo viso mi era familiare, questo non potevo negarlo, ma non riuscivo davvero a ricordare dove l’avessi vista la prima volta.
«N-no..» risposi infine, confermando la mia prima ipotesi.
Il sorriso di Sara scomparve con la stessa velocità che un fulmine impiegava ad abbattersi al suolo ed io pensai di non aver dato la risposta corretta alla sua domanda.
«Ovviamente hai rimosso ogni cosa degli anni del liceo, eh, Moby?» mormorò sadica.
Quel soprannome.. ogni ricordo cominciava a sovraffollarsi nella mia testa, rischiando di farla esplodere. Avevo cercato di dimenticare le brutte esperienze passate al ginnasio, ma ora il viso di Sara cominciava a prendere più concretezza con il ricordo che avevo di quegli anni.

«Moby la balena, Moby la balena!» le voci dei compagni si sovraffollavano nella mia testa, lasciandomi in balia di quelle cantilene che mi squarciavano le tempie.
«È bianca, ha i pidocchi, è una stupida Moby quattrocchi!».
«Finitela!» ringhiò un ragazzino moro, alto poco più di un tappo di sughero. «Lasciatela in pace, non vedete che sta piangendo?».
Mi aiutò a rialzarmi e per la prima volta nella mia giovane vita, trovai quel paio di occhi color onice che ancora oggi facevo fatica a dimenticare.


Beh, cosa dire.. Sara è davvero un'arcinemica coi fiocchi e non si smentisce mai con le sue malefatte! La scommessa proposta a Francesco ora si è trasformata in una sorta di ricatto, e il fine è proprio quello a cui Sara voleva tendere sin dall'inizio: essere la ragazza di Russo.
Povera Sole! Anche se Francesco crede di aver agito per il suo bene, lasciandole coronare il sogno d'amore con Giorgio, non sa che la nostra bella protagonista ha occhi soltanto per lui.. che casotto! ^^
Beh, sicuramente sono proprio due Cuori in gabbia quei due, troppo influenzati dal passato per potersi lasciare andare. Ne vedremo sicuramente delle belle!
Vi prego, non linciatemi!!! *si nasconde sotto la scrivania* per esigenza di trama ho dovuto far continuare la storia in questo modo, ma non disperatevi perché l'Happy Ending c'è per tutti!
Ora passiamo ai ringraziamenti:
Ringrazio le 9 persone che hanno recensito lo scorso capitolo (non ce la facciamo proprio ad arrivare a 10.. sigh!), le 49 che l'hanno messa tra le seguite, le 18 preferite e le 7 ricordate. Ringrazio anche i lettori silenziosi.
Inoltre devo ringraziare la mia Beta Clithia, senza la quale non mi fiderei più a postare un capitolo! Ti lovvo lover!!!

Pubblicità:
Come in un Sogno, storia a 4 mani scritta da iO_nArRaNtE e Clithia.

Un bacio e alla prossima!
Marty


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Capitolo 12
*** 12. Come acqua nel deserto ***


Allora, sono in un mostruoso ritardo, lo so e vi chiedo perdono! *si nasconde dietro la sedia per evitare il lancio di oggetti* però vedrete che il chappy è parecchio lungo quindi potrete trastullarvi un po' di più con Frà e Sole! Teneri!
Beh, bando alle ciance! Devo fare una avvertimento: visto che il rating della storia è Arancione, e non mi sembrava giusto cambiarlo, ho deciso di fare una sorta di campagna pubblicitaria per chi non volesse leggere niente di troppo spinto (beh, sì.. questo capitolo è un po' porcelloso), spero comunque che possa piacere, al di là del rating MAGMA (-> *ridacchia con Venera).

Capitolo dodici
Come acqua nel deserto
Giorgio mi stava letteralmente trascinando lungo la spiaggia immersa nel chiaro di luna. Ero conscio che l’essermi fatto vedere così presto in compagnia di Sara avrebbe attirato l’attenzione di tutti sulla mia situazione, ma se avevo intenzione di dare un taglio netto alla storia mai incominciata con Sole, quello era l’unico modo.
D’improvviso i suoi occhi grigio-perla tornarono a fare capolino da un angolo remoto della mia mente, facendomi sentire più sciocco del solito. Il modo in cui ci aveva visti arrivare, le sue iridi spalancate dalla sorpresa inchiodate al mio sguardo… avevo rischiato quasi di vacillare.
«Ti sei completamente ammattito, o cosa?» mi sbraitò contro Giorgio, fermandosi ben lontano dal falò organizzato per quella serata.
«Non capisco a cosa ti riferisci» feci il vago, fissando il mio sguardo sul mare immerso nella notte.
Giorgio, allora, si avvicinò e mi costrinse a voltarmi. «Sara» sospirò incredulo. «Sei completamente fuori di testa?».
«Senti chi parla. Fino a qualche giorno fa le sbavavi dietro come un cagnolino» osservai, azzittendolo per qualche secondo.
Restammo a fissarci di nuovo, come mai ci era capitato prima di questi giorni carichi di tensione. Avevamo entrambi torto, ma io avevo un motivo più che giusto per continuare a mentirgli.
«Non è questo il punto» continuò ignorandomi. «C’è qualcosa che vuoi dirmi o che, almeno, possa spiegare questo tuo comportamento?».
Deglutii a vuoto, incapace di sostenere quei due occhi color nocciola tremendamente emotivi e trasparenti.
«Scusa, ma sei stato tu che mi hai chiaramente chiesto di farmi da parte e di lasciarti Sole. Cos’altro vuoi da me? Anche Sara è di tua proprietà?!».
L’unica arma che mi era rimasta da usare era l’arroganza, così, invece di difendermi dalle sue accuse, preferii attaccarlo.
«Finiscila!» sbraitò, riconoscendo quella mia tattica in anticipo. «Dimmi la verità per una volta, con me non attaccano le tue stronzate!».
La fregatura di mentire al proprio migliore amico stava proprio nel fatto che avrebbe fiutato una mia cazzata a chilometri di distanza, proprio perché ci conoscevamo da quando eravamo poco più che poppanti.
Inspirai e decisi che era inutile continuare quel patetico giochetto. «Sara mi ha ricattato» confessai e Giorgio spalancò gli occhi dalla sorpresa.
«C-cosa?».
In poche parole gli spiegai la situazione, dopodiché rimase in silenzio per qualche minuto, riflettendo su ciò che gli avevo detto.
«Dovresti raccontare tutto a Sole» concluse infine, guardandomi serio. «Vedrai che capirà».
Due ore di attenta riflessione per darmi una soluzione a cui sarei potuto arrivare benissimo da solo! Grazie tante!
«Non posso» replicai, sperando tirasse fuori qualche consiglio più utile di quello. «E se poi dovesse odiarci?».
«Ti» mi corresse «ricorda che non ho niente a che fare con questa scommessa».
Ti sbagli Giò… se sapessi che tu sei stato il motivo che fin dall’inizio mi ha costretto ad impelagarmi in quest’avventura.
«Non credo di esserne capace» confessai, quasi sovrappensiero.
«Perché, scusa?» mi chiese con ovvietà. «Hai sempre detto che di Sole non te n’è mai fregato nulla, perché dovrebbe cambiarti qualcosa?».
Dannazione, mi ero esposto troppo senza averci riflettuto sopra. E ora cosa avrei risposto a Giorgio? Per quale motivo non avevo il coraggio di dire tutta la verità a Sole? Perché ero tanto terrorizzato dal fatto che lei avrebbe finito con l’odiarmi?
«Non lo so» risposi vago, completamente confuso.
«Bene, allora domani farò in modo di lasciarvi da soli per parlare» mi comunicò fiero.
«Domani?!» domandai scioccato dalla troppa vicinanza con il famoso ‘momento della verità’.
«Sì, ho organizzato una gita di due giorni alle isole Tremiti e dormiremo in tenda sulla riva. Non è un’idea geniale?».
Deglutii a vuoto completamente sconvolto da quella notizia.
Più cercavo di dimenticare Sole, e più lei ritornava indietro proprio come un boomerang.



«Vedo che la memoria ti è tornata, D’Amato» sorrise Sara, guardandomi di traverso.
Il gioco di luci ed ombre che il fuoco faceva con il suo viso, le donava un’espressione che avrebbe fatto invidia alla strega di Blair.
«S-sei Sara Giglio… D-della 5F» balbettai, ancora confusa da quel sovraffollarsi di immagini.
«E il premio per la più furba del mondo va a… Moby!» ridacchiò, tirando fuori quel soprannome che in passato aveva segnato continuamente la mia esistenza. «Ma i cetacei come te non dovrebbero avere buona memoria?».
«Quelli sono gli elefanti» puntualizzai, non accorgendomi che mi stesse ancora prendendo in giro.
«Beh, un pachiderma vale l’altro» aggiunse sogghignando.
Non sapevo se il mio cervello avesse rimosso Sara di sua spontanea volontà dalla sezione temporale, ma era certo che quel ricordo era stato obliato per un motivo particolare. Negli anni del liceo mi era successo di tutto e il mio corpo si era difeso creando una sorta di scudo che riusciva a tenere fuori dalla mia testa i ricordi più brutti.
«Allora, Moby, vuoi che ti dia una mano a ricordare?» si offrì volontaria, dandomi la strana sensazione di non poter scegliere. «Vedo proprio che il tuo cervello stracolmo di grasso non vuole proprio collaborare, eh?» insistette offensiva. «Non dirmi che hai dimenticato anche il Moro della 5B, vero? Eri persino nella sua stessa classe!».
Il Moro, come avrei potuto dimenticarlo. Quel soprannome gli era stato coniato in onore del personaggio più bello e più seducente di Shakespeare, ovvero Otello. Sara aveva ragione, era stato nella mia stessa classe per tutti e cinque gli anni del liceo, poi era andato via, a Nord, ed ero fermamente convinta che si fosse persino dimenticato di me.
«Dai tuoi occhioni neri comprendo che ti sta tornando la memoria, cozzetta» ridacchiò quella specie di vipera. «Non sai da quanto tempo ho desiderato rincontrarti per dirti ciò che pensavo realmente di te e della tua finta aria da ragazza-della-porta-accanto. Sei soltanto una zoccola, come tutte, e sei riuscita a portarmi via l’unico di cui mi fossi mai innamorata veramente!» ringhiò furiosa.
Portarglielo via? Ma cosa si era bevuta questa?
«N-non so di cosa tu stia parlando» balbettai incredula.
«Certo, ora fai anche la finta tonta!» esclamò, riducendo quegli occhi verdi a due sottili fessure. «Quasi tutto il Montale era a conoscenza della mia cotta per il Moro, e tu, come se niente fosse, te lo sei ingraziato con la tua goffaggine e con quell’aria da puritana! Lo hai sempre fatto apposta, in ogni occasione tramavi nell’ombra e non venirmi a dire che non lo sapevi!».
Ora avevo la conferma ufficiale che Sara era fuori di testa. Prima di tutto come diavolo era riuscita a sapere di me e del Moro, visto che la nostra storia –se così poteva chiamarsi– era stata fittamente nascosta nell’ombra, e poi come si permetteva di accusarmi di una cosa che non avevo mai lontanamente pensato?!
«Stai prendendo una cantonata» le spiegai. «Il Moro e Romandini mi hanno sempre presa in giro, da quando ne ho memoria, perciò ti stai sbagliando di grosso se pensi che tra di noi possa essere mai nato qualcosa».
Sara mi fulminò col suo sguardo più glaciale e non smise di perforarmi con gli occhi. «Ah, davvero?» sorrise sadica. «Evidentemente il tuo nemico/amico non ti ha mai rivelato cosa mi disse alla stazione Termini quel giorno, prima di partire e di mollarti a Roma come una scema».
Co-cosa?
Perché ero completamente ignara di tutto ciò. Erano passati quattro anni da quando era partito, da quando mi aveva lasciata da sola per chissà quale ragione. Per quale motivo soltanto adesso avrei potuto conoscere la verità?
Deglutii a vuoto e continuai a sostenere il suo sguardo da rettile.
«Il tuo silenzio è come musica per le mie orecchie» sghignazzò. «Sapevo che prima o poi avrei avuto la mia vendetta, ma la guerra è appena iniziata, cocca mia, perciò preparati. Rimpiangerai di aver messo i bastoni tra le ruote a Sara Giglio, perché quando mi lego una cosa al dito non la dimentico facilmente».
Era una minaccia o avevo udito male? Oh, Signore… In che guaio mi ero cacciata! Quando avevo prenotato il viaggio per la Puglia, non avrei mai immaginato di potermi cacciare in una sorta di triangolo amoroso contornato da una pazza sadica che chiedeva vendetta!
«Fai come ti pare» le risposi, alzandomi dal tronco e lasciando il falò.
Giorgio non era ancora tornato dalla sua “passeggiata” con Francesco, ma pur di non rimanere in compagnia di quella sciroccata, decisi di avvicinarmi all’albergo e rimanere da sola a pensare.
Estrassi il cellulare dalla tasca degli shorts e mi sedetti a pochi passi dall’acqua, in modo che le onde mi bagnassero i piedi. Con la rotellina riuscii a scorrere i nomi della rubrica, soffermandomi su alcuni di cui non ricordavo praticamente nulla. Non che avessi mai avuto tante amicizie, però avevo la tendenza a segnarmi qualsiasi numero telefonico, anche di quelli che sbagliavano persona.
Passai la lettera ‘A’, poi la ‘B’ e infine la ‘C’. Una volta arrivata alla D, il primo nome che comparve fu proprio quello che iniziava per quella stessa lettera, seguita soltanto da un punto.
D.
«Di…» sospirai soprappensiero, sfiorando lo schermo come se stessi accarezzando il suo stesso viso. Il proprietario di quel nome si era aggiunto al mio dimenticatoio, ormai stracolmo di brutte esperienze, ma quando Sara aveva rinvangato il passato, era come se tutto ciò che avevo cercato di obliare mi si fosse riversato addosso con la stessa intensità di una diga rasa al suolo dalla potenza dell’acqua.
Il passato è passato, Sole. Anche se i ricordi stanno pian piano affollando il tuo cuore, non c’è nulla che tu possa fare. Ormai è andato.
Lo so, avevo sempre detto a me stessa di non aver mai avuto una vera e propria relazione e mi ero sempre sentita impacciata con Francesco. Il problema di fondo era che Frà mi ricordava troppo lui, con i suoi modi da spaccone e quel sorriso arrogante dipinto in volto.
Betta e Sere mi avevano avvertita sin dall’inizio di non prendermi una sbandata per un tizio che era quasi tale e quale all’unico che mi avesse spezzato veramente il cuore, ma l’unico di cui mi fossi davvero innamorata.
Tante volte ero rimasta a fissare lo schermo del cellulare, in attesa di un suo SMS che mi dicesse “sto tornando, lo sto facendo per te”, ma dopo anni avevo perso la speranza e pian piano il mio cuore aveva costruito attorno a sé una muraglia per tenere lontano quel ricordo che ancora faceva maledettamente male.
Anche se Sara sapeva qualcosa che lui non aveva mai avuto il coraggio di dirmi, lei stessa era completamente all’oscuro di ciò che per me aveva significato incontrarlo, anzi, tutto il Montale non ne era a conoscenza.
Gli anni del liceo classico, sì, erano stati i più brutti della mia vita, ma in quel mare d’oscurità che avevo tentato moltissime volte di dimenticare, c’era stata una luce, forse una piccola fiammella, che era riuscita a rischiarare il baratro dove mi rinchiudevo per sopravvivere a quella dura vita da adolescente. Non avrei mai voluto rivangare il passato, non adesso che il mio cuore era ancora debole dopo aver visto Francesco e Sara insieme, e dopo che lui mi aveva chiaramente detto di rimanere solo buoni amici.
Amici… che parola odiosa.

«Io e te saremo amici per sempre?».
«Come fratelli».
«Io ce l’ho già un fratello, ma è antipaticissimo!».
«Giuriamo col sangue… di non lasciarci mai».
Il bambino alto poco più di un tappo di sughero guardò la sua amichetta con due occhi color onice così grandi che lei rischiò quasi di affogarvi. A quel punto estrasse dalla tasca dei pantaloni un coltellino svizzero, regalo del padre, e fece scattare una lama lunga quasi quanto il suo dito indice.
«Qualsiasi cosa accada, anche se l’uomo nero dovesse rapirci, noi rimarremo insieme» disse convinto, procurandosi un taglietto sul palmo. In seguito passò il coltellino alla bambina e lei gli restituì uno sguardo color grigio-perla.
«Fa male?» si preoccupò, deglutendo e lasciando che le sue lentiggini color caffè le illuminassero gli occhi.
Il Moro le si avvicinò e la guardò negli occhi. «Ti fidi di me?».
La bambina deglutì e poi annuì con un cenno del capo. Dopo chiuse gli occhi e si tagliò il palmo, mordendosi il labbro per non piangere, e tornò a guardare il suo amico.
«Fa così» le disse lui, posandole la mano aperta e gocciolante davanti agli occhi.
Lei lo imitò, poi i due si avvicinarono e fecero congiungere la propria pelle, intrecciando le dita e stringendo forte.
«Brucia!» si lamentò la bambina.
«Resisti» le fece forza il moretto. «Papà dice che il sangue può creare un legame fortissimo tra due persone, anche se è qualcosa che non riusciamo sempre a vedere».
«Come due fratelli che hanno lo stesso sangue?» chiese la bambina, molto interessata da quella conversazione sui misteri del corpo umano.
«Per noi varrà molto di più» la rassicurò lui, sorridendole.

Era la seconda volta che nella mia vita qualcuno mi chiedeva di rimanere buoni amici e, facendo false promesse, mi lasciava da sola. Non avevo idea se Francesco mi avesse ingannata sin dall’inizio o se ci fosse stato un reale motivo dietro quel suo strano comportamento, ma ero sicura che non avrei permesso più a nessuno di usarmi per poi gettarmi via come un giocattolo rotto.
Spensi il cellulare e mi diressi in camera, stufa di dover stare ai comodi di un Giorgio che appariva sempre nei momenti più bui delle mie giornate, e di un Francesco che chissà cosa gli passasse per quella testolina bacata che si ritrovava.
Avrei dovuto rimboccarmi le maniche da sola e capire finalmente cosa stava succedendo. C’erano un po’ di incongruenze in quella comitiva e la cosa cominciava a puzzarmi. Ero un po’ ingenua, questo dovevo ammetterlo, ma non certo stupida!
Bene, Sole, bisogna entrare in modalità Sherlock. Pronti? Via!



Il traghetto per le isole Tremiti ondeggiava a destra e a manca, facendomi pentire di essermi imbarcato in quella dannata avventura. Giorgio non poteva avere un’idea migliore di quella: quattro ore su quella stupida bagnarola a fissare intensamente le onde a prua con lo stimolo fisso di vomitare pure l’anima.
«Come va, bello? Hai una cera!» mi chiese Stefano, con l’aria tronfia e soddisfatta.
«Secondo te?!» gli ringhiai, trattenendo a stento un altro conato.
Se non fossi stato così preso dal mio stomaco che sembrava stesse ballando il mambo, avrei volentieri gettato Stefano fuori dal traghetto, senza curarmi minimamente di gridare “uomo in mare”.
«Ma ieri dove sei sparito, poi? Sembrava che tu e Giorgio vi foste infrattati» ridacchiò malizioso, non togliendo nemmeno un po’ di pepe alla sua già fervida immaginazione sessuale.
«Hai un chiodo fisso con questo “infrattarsi”» osservai, prendendo lunghe boccate di ossigeno.
Stefano ridacchiò e alzò il viso in direzione del sole. «Sai com’è… su Giorgio girano parecchie voci».
«Eh?» chiesi sorpreso.
Gli occhi vispi di Stefano cercavano di ammiccare qualcosa a cui non riuscii ad arrivare subito, forse per via del mal di mare che mi stava uccidendo.
«Sei proprio tardo, amico» sospirò. «Il fatto è che non ha mai avuto tante ragazze, perciò ci è venuto da supporre che fosse interessato più al Walter che alla Iolanda».
Strabuzzai gli occhi ed ingoiai la mia stessa bile. «Ma sei scemo!» sbraitai.
Questa vacanza aveva reso tutti deficienti, ne ero più che sicuro. Dopo tutto quello che stavo passando a causa di Giorgio e della sua cotta per Sole, Stefano aveva addirittura il coraggio di dirmi che pensava a Giorgio come ad un finocchio e che io ero il suo “giocattolo” personale.
«Era solo un’impressione» si giustificò lui, vedendo quanto fossi arrabbiato.
«Credimi quando ti dico che Giorgio è tutto fuorché gay» lo rassicurai, tornando a fissare le onde.
«Uhm… se lo dici tu» commentò, per poi andarsene dalle amiche di Sole.
Che giornata! Stavo morendo di caldo e sentivo le budella che si torcevano nel disperato tentativo di espellere anche l’ultimo pezzettino di cibo che avevo all’interno. Povero me, cosa avevo fatto di male?
«Tieni, prendi una di queste» mi disse una voce, porgendomi una scatolina con delle specie di gomme da masticare.
Mi voltai con un colorito che rasentava il verde marcio, e incontrai gli occhi color perla di Sole. Se non fossi stato sul punto di vomitare di nuovo, ero certo di aver sentito un tonfo sordo del mio stesso cuore.
«Sono contro il mal di mare» mi rassicurò lei. Evidentemente avevo fatto una faccia talmente stravolta da pensare che non mi fidassi di lei e di ciò che mi stava dando.
«G-grazie» le dissi, afferrando una pastiglia e cominciando a masticarla.
Sapeva di menta, quasi come un vero e proprio chewingum.
«Ne porto sempre un po’ con me, soprattutto perché non si può mai sapere se si soffre il mal di mare!» sorrise radiosa.
Era così bella con quei capelli al vento e quelle guance spruzzate di lentiggini color caffè. In quel momento il mio corpo si rifiutava di pensare ad altro che non fosse il repentino istinto di abbandonare la nave, ma quando incontravo quei suoi occhi grigi riuscivo a distrarmi.
«Va già meglio» confessai, tornando a fissare l’acqua.
Sapevo che non avrei dovuto farmi strane idee, soprattutto dopo averle chiaramente detto che saremmo rimasti soltanto amici. Giorgio, poi, si era messo in testa che era giunto il momento della ‘verità’ e che avrei dovuto affrontare la questione della scommessa a viso aperto.
Tanto cosa cambiava per lui… Sole avrebbe odiato solo ed unicamente me!
«Ti senti meglio?» mi domandò il mio migliore amico, apparendo dal nulla e abbracciando Sole, cingendole la vita da dietro.
Istintivamente distolsi lo sguardo, non tanto per fastidio, ma perché non riuscivo a vederli insieme… Non così presto.
«Sì, grazie» sospirai, fissando la schiuma che si addensava ai lati del traghetto.
«Non è che volete parlare di qualcosa?» mi domandò ammiccando e stringendo la presa sui fianchi di Sole, facendola arrossire.
Dannazione, non poteva farmi quella domanda mentre le si strusciava addosso. Quel rossore che le vedevo affiorare sulle guance la faceva apparire maledettamente sensuale ai miei occhi e più cercavo di non pensarci, più il mio cervello non mi suggeriva altro.
Non sai cos’hai finché non lo perdi, ed ora che Sole mi era sfuggita dalle mani potevo benissimo fare i conti con me stesso.
«Uhm… non mi sembra» tagliai corto, sperando che sparissero dalla mia vista.
«Amorino! Cosa ci fai qui solo, soletto?».
Oddio, ci mancava anche quella sanguisuga di Sara!
Mi si arpionò al collo, dondolandomi avanti e indietro come se l’ondeggiare della nave non bastasse a farmi vomitare persino l’anima.
«Sto per sbrattare...» bofonchiai, trattenendo a stento un conato.
Sara a quel punto mi lasciò andare ed io potei liberarmi la bocca al di là del parapetto del traghetto, lasciando anche che la medicina di Sole mi scivolasse dalle labbra. Mi sentivo proprio uno straccio.

Non appena il traghetto attraccò alle isole Tremiti, corsi letteralmente giù dalla nave e baciai la terra sotto i miei piedi.
«Mai più!» sbraitai. Non sarei salito mai più su qualsiasi cosa riuscisse a galleggiare sull’acqua.
«Bello, come farai a tornare al villaggio?» mi fece osservare Giacomo ed io sprofondai nello sconforto più totale.
Con gli zaini in spalla, carichi di attrezzature da campeggio, salimmo su un pulmino che ci accompagnò fino alla zona camping e dove potemmo metterci comodi.
Ora, premesso che non avevo mai –e ripeto MAI– dormito fuori da un letto comodo, che non fosse almeno da una piazza e mezza, ritrovarmi a fissare il misero materassino gonfiabile che Giorgio mi aveva procurato mi fece rotolare ancor di più verso il baratro nel quale stavo già precipitando. In più, ovviamente, c’era la canadese da montare e ciò si traduceva in una missione impossibile per un principiante come me.
«Amico, vuoi una mano?» mi chiese Stefano, afferrando la tenda e tirandola fuori dal contenitore.
«Grazie» gli risposi sincero, anche se un po’ dubbioso perché mi sorprendeva sapere che Stefano fosse in grado di fare qualcosa di utile.
Quanto mi sbagliavo.
In men che non si dica, riuscì perfino a far ingarbugliare le stecchette di metallo della canadese, aprendola in una maniera immonda e permettendone così l’uso a nessuno che non fosse un nano.
«È rotta» bofonchiò infine, mollandomi la sua creazione che in tutti i modi si poteva definire fuorché ‘tenda’, e andandosene trotterellando come nulla fosse.
Grazie mille, pensai tentando di mettere mano a quella diavoleria.
Che cavolo, Francesco Russo non poteva concedersi simili bassezze. Se mi avessero visto i miei compagni della Luiss, mi avrebbero riso dietro a vita.
«Lascia stare, si fa così» intervenne prontamente una delle amiche di Sole, quella bionda che somigliava a Hilary Duff.
«Già, sembri andicappato figlio mio!» si aggiunse quell’altra, la mora dinoccolata.
Mi scostai e lasciai loro campo libero e in quattro e quattr’otto sistemarono la canadese proprio come la foto sulla confezione indicava.
«Ora, questo è un martello e questi sono i picchetti. Li devi fissare al terreno altrimenti la tenda vola» mi spiegò la bionda, neanche fossi un imbecille.
«Dai dei colpetti in questo modo e voilà, il gioco è fatto!» seguì la mora, piantando il primo picchetto.
«Grazie, credo di farcela d’ora in poi» le rassicurai, lievemente irritato dal loro comportamento irrispettoso nei miei confronti.
La bionda e la mora mi fissarono con sguardo complice e non fecero nulla che desse vagamente l’idea di volermi lasciare solo con i miei pensieri, e la mia tenda. Se ne stavano immobili, a squadrarmi dall’alto in basso.
«Volete dirmi qualcosa?» le incoraggiai, tagliando corto.
Se volevano farmi la ramanzina –perché quella era la ragione per cui si trovavano ancora lì– era meglio che si dessero una mossa, sinceramente non avevo tempo da perdere anche con loro.
«Allora?» domandò la mora.
«Perché questa novità?» continuò la bionda.
Mi facevano impressione. Completavano l’una la frase dell’altra, quasi come le gemelle terrificanti dei film horror.
«C-cosa?» chiesi confuso.
Nonostante avessero gli occhi di colore diverso, mi fissarono con lo stesso sguardo tagliente tanto che deglutii a vuoto sudando freddo.
«È inutile che fai il finto tonto, bello».
«Ieri sera era impossibile vederti per quanto quella tipa ti stesse incollata addosso».
«Cos’è? Cambi le ragazze come se fossero paia di mutande?».
«No, cara. Credo che le mutande lui non se le cambi proprio!».
E da lì nacque un battibecco su chi delle due riusciva meglio ad offendermi.
«Non è una cosa che vi riguarda» risposi loro, stufo di tutta quella gente che s’impicciava nella mia vita privata.
In quello stesso istante smisero di discutere e tornarono a fulminarmi con gli occhi.
«Ah, sì?» esclamò la bionda.
«Tutto quello che è Sole, ci riguarda!» aggiunse la mora.
Mi portai le mani al viso, stropicciandomi gli occhi. Ero stanco di tutta quella storia, stremato dal viaggio su quel cazzo di traghetto, non potevo anche sentire le lamentele di quelle due tizie strambe.
«Possibile che non ti renda conto di quanto abbia già sofferto nella sua vita?».
«No, Sere, evidentemente è talmente preso da sé stesso da non accorgersi di ciò che gli succede intorno».
Quelle due avrebbero dovuto lavorare in una sorta di Talk Show alla ‘Very Victoria’, sicuramente gli ascolti sarebbero saliti alle stelle. Con quei loro discorsi non stavano facendo altro che confondermi.
Potevo immaginare che la vita per Sole non fosse stata facile, sicuramente non come lo era stata la mia, ma questo istinto di ‘iperprotettività’ cominciava davvero a darmi sui nervi.
«Sentite, non so dove questo discorso voglia andare a parare» sospirai interrompendole. «Sole è grande e vaccinata e può benissimo sopportare il fatto che io stia con un’altra persona. Anche lei, in fondo, si è trovata una consolazione, no?».
Non era stata certo mia intenzione essere così diretto e offensivo, ma anche l’idea di Giorgio e Sole insieme mi dava fastidio e il mio orgoglio ferito rispondeva di testa sua.
«Sei proprio uno stronzo».
«Andiamocene, Sere. Parlare con lui è come sbattere ripetutamente la testa contro un muro!».
La mora si alzò e se ne andò, camminando tutta impettita. L’altra rimase per qualche altro secondo, guardandomi negli occhi, ed ebbi come la sensazione che mi volesse dire qualcosa.
Si sporse in avanti e mi sfiorò una mano con la sua. Che diavolo voleva da me?
«Anche se non sono io che dovrei dirtelo, hai un nonsoché che mi ispira fiducia, perciò faccio un’eccezione».
Il suo viso era serio e le sue labbra fermamente convinte di ciò che stavano per rivelarmi.
«Devo preoccuparmi?» scherzai, ma nulla di quella mia battuta le fece cambiare espressione.
«Tu non sei il primo ragazzo con cui Sole… beh... ha avuto a che fare» sospirò, abbassando lo sguardo.
E che c’era di strano? Insomma, sapevo che era vergine ma non suora fino al punto da non aver nemmeno mai baciato un ragazzo. In fondo, dopo l’appuntamento a Peschici, avevo avuto modo di sperimentare che la ragazza ci sapeva fare in fatto di lingua, nonostante i suoi movimenti erano stati un po’ insicuri.
«Non capisco dove vuoi arrivare» la esortai, sperando che quel supplizio da ‘madre ansiosa’ finisse al più presto.
Serena, almeno così credevo si chiamasse, sospirò e lasciò andare la mia mano. «Forse mi sono sbagliata e ho visto in te più di quanto tu abbia da offrire» concluse, alzandosi. «Sappi solamente che non sei il primo ‘bello e stronzo’ per cui lei abbia perso la testa… e anche qualcos’altro», poi se ne andò e mi lasciò da solo con i miei dubbi.
Nel pomeriggio ci recammo a visitare l’Abbazia di Santa Maria a Mare e la gita si tradusse in due ore buone di noia, dopodiché, dopo aver raggiunto l’isola di San Nicola su una specie di bagnarola puzzolente, andammo a visitare la Muraglia di Sud Est.
Quell’attrazione si rivelò particolarmente più interessante delle altre, soprattutto perché non concerneva nulla di particolarmente religioso.
«Ci facciamo una foto, Pucci?» mi domandò Sara con un sorriso sadico.
«Non ho la macchina fotografica e il cellulare è quasi scarico» mentii, pur di non avere un ricordo di quel terribile incubo che stavo vivendo.
«Lo chiedo a Moby, aspetta un attimo» disse, poi sparì e non feci in tempo a fermarla.
Dannazione! Quella ragazza era una vera spina nel fianco.
Dopo cinque minuti tornò trascinando letteralmente la povera Sole con la sua ormai famosa Reflex tra le mani.
«Allora ci fai uno scatto, eh, Moby?» ridacchiò divertita ed io mi insospettii a sentirle usare il soprannome davanti a Sole. Per quale motivo l’aveva fatto? Sara aveva detto di conoscerla sin dai tempi del liceo… magari quel nomignolo le era stato affibbiato in quegli anni?
«S-sì» balbettò Sole confusa, tentando in tutti i modi di evitare il mio sguardo.
Imbracciò la Canon e tolse il tappo all’obiettivo, dopodiché chiuse un occhio e utilizzò il mirino per inquadrarci meglio. Sara mi si spalmò subito addosso, facendo aderire il suo micro top alla mia T-shirt larga, e tentò in tutti i modi di avvicinare il suo viso al mio.
Vuole un bacio, che non l’hai capito?
Era evidente. Voleva umiliare Sole fino all’ultimo, facendole addirittura immortalare un nostro bacio sulla sua tanto adorata Reflex. Che essere infimo!
«No, dai, non mi va» tentai di dirle, ma Sara non si scollava.
«Ricorda che sei mio per altri sei giorni, non dimenticarlo» mi ricordò, sibilando come una serpe.
Mi sarei dovuto decidere a dire la verità a Sole al più presto, altrimenti sarei diventato matto. Sara mi teneva per le palle ed io non avevo nessuna arma dalla mia parte che potesse sbrogliarmi da quella situazione.
«Al mio tre, dite “cheese”» ci disse Sole, un po’ imbarazzata dai nostri corpi troppo vicini. «Uno… due… tre!» e fu in quel momento che Sara riuscì a catturare le mie labbra alla sprovvista, lasciandomi fissare l’obiettivo della Reflex con uno sguardo perplesso, preoccupato unicamente dalla reazione di Sole.
La Canon scattò la fotografia e Sole controllò lo schermo al LED per vedere come fosse venuta l’istantanea. Non mi rivolse nemmeno uno sguardo o una sbirciatina che mi permettesse di vedere il danno che le avevo fatto.
«Fa un po’ vedere, Moby?» le chiese Sara con il suo solito tono imperioso.
Sole le passò la Reflex e Sara sembrò abbastanza soddisfatta dello scatto, tanto che mi fece cenno di avvicinarmi per dare un’occhiata. Riluttante, feci come mi era stato ordinato, tanto per non “svegliare” nuovamente il mostro che coabitava dentro Sara, ma quando mi porse la macchina fotografica, inavvertitamente sfiorai la mano di Sole e ci fu un singolo istante in cui i nostri occhi s’incontrarono.
Maledizione! Non avrei mai creduto che un singolo sguardo potesse trafiggermi il cuore così nel profondo. Le iridi di Sole erano come isole da cui non riuscivo a salpare, alla stregua di Robinson Crusoe. Mai e poi mai avrei dovuto incrociare quello sguardo, soprattutto in un momento delicato della mia vita come quello.
«Scusa» disse lei, porgendomi nuovamente la Reflex. Cercai in tutti i modi di non pensare a Sole, ma anche quando guardavo la foto mia e di Sara, non riuscivo a smettere di ricordare i nostri due meravigliosi baci. Ero sicuro al cento per cento che avrebbero infuocato la digitale per la passione con cui ce li eravamo scambiati e mi sentii improvvisamente accaldato.
«Hai fatto il tuo lavoro, Moby. Puoi andare» la liquidò Sara, dopodiché mi afferrò per il braccio e mi condusse il più lontano possibile da Sole.

La notte scese presto su San Domino e ben presto mi ritrovai seduto attorno ad un fuoco, circondato da un cielo stracolmo di stelle.
«No, dai, hai visto Francesco che faccia?» ridacchiò Stefano. «Sembrava il fantasma formaggino per quanto era bianco!».
«Vai a farti fottere, Sté» ringhiai, stufo di essere preso di mira.
All’inizio di quell’avventura ero venerato come una divinità in campo relazionale, invece adesso venivo preso di mira da tutti.
«Perché non giochiamo al gioco di verità o penitenza?» chiese Sara maliziosa.
Ci fu un “ohoh” generale, rivolto soprattutto alle ragazze da parte dei maschietti, ed io pensai che il Walter di tutti si stesse risvegliando all’idea.
«Chi comincia?» chiese Claudia.
«Cominciamo con Stefano, cosa scegli verità o penitenza?» domandò Ale, guardando Giacomo con un’espressione complice.
«Posso optare per entrambe?» ridacchiò divertito.
«Allora cominciamo con ‘verità’» riprese Giacomo. «Quante te ne sei sbattute da quando è iniziata la vacanza?».
Stefano gonfiò il petto d’orgoglio e finse di contare, raggiungendo e superando ben presto tutte e dieci le dita delle sue mani.
«Contano anche le signorine dello staff?» chiese furbo.
«Ma va, è impossibile!» esclamò Ginevra. «È come se ti fossi portato a letto più di una ragazza a notte».
«E perché no? Ora perché Francesco s’è ammosciato, non vuol dire che ci può essere un’altra divinità delle relazioni a breve termine!» esclamò lui indignato.
Ammosciato? Io?
«Ripetilo se hai il coraggio!» ringhiai, ritrovando quell’orgoglio maschile che ormai sembrava perso.
«Dai, Frà… in fondo ha ragione» si aggiunse Alessandro, meritandosi un’occhiataccia da parte mia.
«Ma vaffanculo!» ruggii, stufo di quelle continue prese in giro.
«Perché non scegli ‘verità’ e ci dici per quale motivo hai scelto Sole tra tutte le ragazze di questo villaggio?» domandò Giorgio di punto in bianco, strizzandomi l’occhio.
Ma era completamente impazzito? Avevo fatto di tutto per ritardare quel momento, sperando di trovare le parole adatte per affrontare il tema della scommessa, ed ora lui pretendeva che lo spiattellassi così, davanti a tutti!
«Vada per la penitenza, allora» borbottai, fulminandolo con gli occhi.
Era possibile che per lui fosse tutto così facile? Avrei tanto voluto essere nei suoi panni e vivere tranquillamente alla giornata, con il sorriso sempre stampato sulle labbra.
«Che ne dici di chiuderci in tenda?» propose Sara, maliziosa come sempre.
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva, per non parlare degli sguardi attoniti che ci rivolsero gli altri.
«Credo che dovrebbe andare Sole insieme a Francesco, nella tenda dico» s’intromise Giorgio, zittendo Sara e fissandomi serio.
«Eh?» chiesi incredulo.
Era pazzo, su una cosa ero più che certo. Mi aveva fatto fare i salti mortale per allontanarmi da Sole, ed ora mi faceva quella proposta indecente?
Così avrete tempo per parlare, mi suggerì, poi, avvicinandosi e sussurrandomelo all’orecchio.
«Per te va bene, Sole?» le chiese Giorgio.
D’improvviso le si imporporarono le guance ed io ebbi il mio solito sussulto al cuore. Fissò insistentemente la sabbia, incapace di proferire parola.
«Verrà» parlò per lei l’amica bionda.
«Ma ti ha dato di volta il cervello, Sere?» la riprese la mora.
«Forse non lo avete ancora capito, ma Francesco è il mio ragazzo e non permetto ad una zoccola qualsiasi di approfittare di lui!» sbraitò Sara, mettendosi in mezzo.
«Facci un grosso piacere per una volta, e tappati quella fogna!» le rispose Stefano, stufo di quel marasma che si stava creando per il semplice gioco di ‘obbligo o verità’.
«Se siete tutti d’accordo, Francesco e Sole possono dirigersi alla tenda» spiegò Giorgio, raccogliendo consensi.
Premettendo che gli altri credevano ancora nella scommessa, era ovvio che fossero più che felici di ricominciare a piazzare le puntate. Per quanto riguardava le amiche di Sole, la biondina aveva una qualche fiducia in me, che nemmeno io sapevo di avere, e stranamente appoggiava la mia causa.
«E se non fossi d’accordo?» domandai con ovvietà.
«Sei tu che hai deciso ‘penitenza’, sarebbe stato tutto più facile se avessi detto la verità» mi fece osservare Giorgio, più meschino di quanto avessi mai pensato.
Con riluttanza trotterellai verso la canadese, seguito dai passi lenti e calcolati di una Sole imbarazzata all’ennesima potenza. Deglutii a vuoto più e più volte, cercando di pensare a qualsiasi altra cosa che non fosse l’argomento ‘scommessa’.
«Eccoci arrivati!» esclamai con un sorriso da deficiente.
Sole mi sorrise appena, poi scostò un lembo della tenda e vi entrò. Io la imitai e richiusi la canadese con l’aiuto della zip, accorgendomi solo alla fine quanto potesse essere stretta quella specie di abitazione.
Eravamo vicini, troppo vicini.
Potevo sentire i suoi occhi su di me, così neri e caldi, mentre l’aria stava diventando man mano più bollente ed io cominciai a sudare.
«C-che dovresti di-dirmi d’importante?» mi domandò lei imbarazzata.
«B-beh…» tentai di articolare qualche parola di senso compiuto, ma quello che uscì dalla mia bocca fu solo aria.
Restammo in silenzio per cinque minuti buoni, guardando con notevole interesse tutto ciò che non fosse di proprietà dell’uno o dell’altra. Era la prima volta che mi trovavo senza parole con una ragazza, non mi era mai successo prima.
«E insomma ti sei messo con Sara alla fine, eh?» ridacchiò nervosa.
«E tu con Giorgio, mi pare di aver capito» aggiunsi io, fissando il vuoto.
«Beh… tecnicamente...» tentò di spiegare, poi s’inghiottì le parole da sola.
«Eh, sì… anch’io...».
Sembravamo due dementi e avrei desiderato che un fulmine colpisse la tenda in quel preciso istante, uccidendomi, in modo da non dover supplire ancora a quel silenzio imbarazzante.
In quel preciso momento, come se le mie preghiere fossero state esaudite, iniziò a piovere a dirotto. Era uno di quei temporali estivi, brevi ma letali.
L’acqua cominciò a cadere a grandi gocce che s’infransero sulla plastica della tenda facendo un rumore sordo e insopportabile. I tuoni in lontananza rombarono squarciando il cielo, con i fulmini che, in piccoli frangenti, illuminavano la canadese.
Cominciai ad essere preso dal panico perché nessuno, tranne Giorgio, sapeva che avevo una paura fottuta dei temporali. Da piccolo mi nascondevo sempre sotto il letto e ancora oggi, quando pioveva a dirotto, dovevo tapparmi nella mia stanza e sparare la musica ad alto volume pur di non sentire quel putiferio.
«Sei bianco come un fantasma» osservò Sole, mentre il mio cervello cercava di pensare a tutto fuorché alla pioggia battente al di fuori della tenda.
«St-sto bene!» esclamai, ma proprio in quel preciso istante un fulmine si abbatté poco lontano dal camping e cacciai un urlo spiaccicandomi completamente contro un angolo della canadese.
«Hai paura dei fulmini?» mi domandò lei scettica.
«N-no!» mentii spudoratamente, nonostante anche un cieco si sarebbe accorto della fifa blu che provavo in quel momento.
Lo sguardo di Sole si rilassò e tornò quello di quando ci eravamo conosciuti la prima volta. «Fifone!» ridacchiò, prendendomi la mano. «Stai tranquillo, non ci succederà nulla» mi rassicurò.
Deglutii a vuoto ma non tolsi la mia mano dalla sua stretta. In quel momento la sua vicinanza mi fu davvero di conforto e avevo una scusa più che plausibile per evitare l’argomento ‘scommessa’.
«Cantare aiuta, a volte» mi suggerì sorridendomi. «Io e un mio amico lo facevamo sempre per superare i momenti brutti».
In quel preciso istante mi tornarono alla mente le parole dell’amica bionda di Sole e del famigerato ‘tizio’ che le aveva spezzato il cuore.
Tu non sei il primo…
Il cuore mi mancò di un battito e istintivamente lasciai la mano di Sole. Non riuscivo a guardarla negli occhi sapendo che prima di me, qualcun altro l’avesse ferita allo stesso modo. Avrei voluto averlo tra le mani, anche se non sapevo di chi si trattasse, ma un moto di rabbia si era risvegliato in fondo al mio stomaco e non riuscivo a reprimerlo.
«Cos’hai? Perché sei così arrabbiato?» mi chiese lei, sbattendo quelle palpebre dannatamente attraenti.
Quel suo viso da bambina, quei rossori sulle guance, le lentiggini color caffè e gli occhi grigi come le perle, come potevo rinunciare a tutto quello?
Senza lasciarle il tempo di pensare, mi sporsi in avanti e catturai le sue labbra con un bacio famelico, quasi morboso. Sole fu sorpresa, tanto che istintivamente posò le mani sul mio petto, ma non mi respinse. Rimanemmo così, labbra contro labbra.
Entrando in quella tenda non avevo proprio immaginato che sarei caduto un’altra volta in quella rete di emozioni, ma il temporale, la notizia di un altro nella vita di Sole e Sara che sconvolgeva tutto, mi avevano completamente sopraffatto.
«C-che stiamo fac… mh… facendo…» cercò di dire lei, mentre non riuscivo a stare lontano dalla sua bocca.
«Mi pare ovvio» le soffiai sul viso, facendola sdraiare pian piano sotto di me.
Lei mi assecondò e intrecciò le sue dita nei miei capelli, facendo avvicinare di nuovo le nostre labbra e dischiudendo le sue per permettere alla nostre lingue di incontrarsi.
Per più di ventiquattro ore ero rimasto lontano da lei e mi era sembrata trascorsa un’eternità.
«N-non si era de-detto solo… nh... amici?» sospirò ancora, con le guance che le scottavano.
Che cosa stavo facendo? Giorgio mi aveva dato la sua fiducia, sperando che potessi finalmente dirle la verità, invece mi ero fiondato su Sole come un mandrillo infoiato e se qualcuno fosse entrato nella tenda non avrebbe avuto alcun bisogno di equivocare.
Mi alzai un attimo, facendo soltanto leva con i gomiti, e mi ritrovai a fissare quelle due gocce di petrolio che erano i suoi occhi.
«Sì, l’ho detto» confermai, ormai sempre più confuso.
Sole aveva il fiato corto, così come il mio. Ci eravamo avvinghiati l’uno all’altra come se la nostra salvezza dipendesse dal bisogno che avevamo di stare insieme ed io non riuscivo a lasciarla andare.
«E allora? Cosa stiamo facendo?» mi domandò, confusa e preoccupata.
Cercai di sfuggire al suo sguardo indagatore, ma quelle perle erano come una calamita da cui non riuscivo ad evadere. Come avrei potuto farle capire tutto senza che fossi costretto a raccontarle l’orrenda verità che si celava dietro il nostro primo incontro?
«M-mi dispiace» le confessai, tentando di staccarmi da lei. «È più forte di me… non so spiegarlo…».
Mio Dio, nella mia vita non ero mai stato tanto impacciato e balbuziente! Sembravo uno di quei nerd falliti delle commedie americane e mi vergognavo a morte.
«È per Sara, vero?» mi chiese con una voce che si fece piccola, piccola.
Sara?! Quanto avrei voluto dirle che di quella specie di vipera non me ne fregava un cazzo, soprattutto dopo che mi aveva ricattato. Il vero problema era Giorgio e la mia tendenza a intromettermi, volente o nolente, in tutte le sue relazioni.
«Non proprio» tentai di farle capire.
«So che tu non vuoi essere visto in mia compagnia» mi spiegò, pensando di aver intuito tutto. «Ti capisco... Nemmeno io vorrei stare con una come me».
A quel punto mi si formò un groppo in gola che non riuscii a deglutire. Pensava davvero che il problema era lei? Che fosse troppo brutta per uno come me?
Beh, magari all’inizio era stato così.. ma adesso erano sorte ben altre complicazioni.
«È per Giorgio!» sbottai, incapace di sentire altro. «Non ti ho chiesto di rimanere amici perché mi vergogno di te, ma perché il mio migliore amico mi ha chiesto di farmi da parte».
Uff... dire la verità era faticoso, ma mi aveva tolto un grosso peso dal cuore.
Sole mi fissò basita e inclinò la testa da un lato guardandomi come un cucciolo smarrito in un giorno di pioggia.
«Perché?» domandò poi, ingenua come sempre.
Sospirai sconfitto e tornai a sedermi nella tenda ondeggiante per il vento. Non riusciva proprio ad arrivarci da sola, eh?
«Giorgio ha una cotta per te e mi ha chiesto di farmi da parte per poter essere lui il tuo nuovo... ehm... ragazzo» le spiegai, ma la parola ‘ragazzo’ dovetti tirarla fuori dalla bocca con le pinze. «Ecco perché ti ho chiesto di rimanere solo amici».
Sole annuì, finalmente conscia di almeno una parte di quello che mi era successo, poi, però, tornò a guardarmi con intensità.
«La mia domanda, però, rimane la stessa» sospirò. «È giusto quello che stiamo facendo?».
Quella ragazza mi avrebbe mandato ai pazzi con la sua perspicacia. Nonostante le avessi spiegato come stavano le cose tra me e Giorgio, il punto principale della questione rimaneva lo stesso: perché se dovevo mantenere le distanze da Sole, mi ritrovavo con la lingua nella sua bocca?
«Forse non sarà giusto» mormorai, riavvicinandomi a quelle labbra che erano ormai diventate una droga per me. «Ma è quello che voglio...» sussurrai, riappropriandomi della sua bocca.
Anche se Sole rimase notevolmente sorpresa da quel mio assalto, non si scostò e dischiuse immediatamente le labbra per permettermi di entrare. La sua bocca era calda e mi accolse fremendo nell’attesa che le sfiorassi la lingua con la mia.
Non la feci attendere più del dovuto e continuai a lambirle le labbra mentre con le mani tentavo di esplorare quel corpo tremendamente morbido e nuovo per me. Sentivo i suoi sospiri rochi vicino alle mie orecchie, mentre con la bocca le lasciavo una scia di baci lungo quel suo collo sottile e abbronzato.
Le sue mani incerte sfioravano timidamente la mia pelle attraverso la T-shirt che ancora avevo indosso, ma ben presto mi scostai quel tanto da sfilarmela e poter finalmente sentire le sue carezze.
Rincontrai il suo sguardo e rimasi di sasso nel vedere quanto i suoi occhi potessero essere liquidi in quel momento, come due pozze pronte ad inghiottirmi. Le sue guance rosse e le labbra tumide erano così invitanti, tanto che sentii un certo Walter che protestava ai piani bassi.
«D-dovremmo fe-fermarci...» soffiò timida, arrossendo ancora di più.
L’ultima volta che ci eravamo baciati, prima della grotta, lei mi aveva rivolto quella stessa richiesta, solo con un tono d’implorazione, ed io avevo avuto paura, forse troppo scosso da quello che aveva fatto mio padre in passato, ma ora aveva utilizzato il condizionale.
«Dimmi ‘fermati’ ed io non farò nulla» le promisi, anche se mi sarebbe costato moltissimo dover rinunciare a lei un’altra volta.
Sole respirava a stento, così come il sottoscritto. Fuori la pioggia stava diminuendo d’intensità ed io avevo superato la paura con l’aiuto di una ragazza alla quale non mi sarei mai aspettato di tenere così tanto.
«No-non qu-questa volta...» ansimò guardandomi fissa negli occhi. «Ti voglio più di ogni altra cosa al mondo».
In quel preciso istante desiderai che la pioggia non si fermasse e che quel momento rimanesse eterno. Noi due, dentro a quella tenda, lontano da tutto e da tutti quelli che ci volevano male. Il nostro mondo in quello spazio striminzito, che a me sarebbe bastato per sempre.
Please don’t stop the rain.
La mia bocca cercò nuovamente la sua e Sole cominciò ad accarezzarmi timidamente le spalle, per poi avvinghiarsi al mio collo e intrecciare le sue dita affusolate nei miei capelli. Le nostre lingue si rincorrevano, bramose di sensazioni proibite e frettolose di sfiorarsi, soprattutto perché quel nostro incontro clandestino poteva essere scoperto da un momento all’altro.
Le mie mani si mossero da sole, sollevando leggermente la camicetta azzurra che Sole indossava, e cominciando a sbottonarla con delicatezza. Dalle sue labbra sfuggì un gemito quando con la mano sfiorai la stoffa del suo reggiseno ed io sentii tutto il sangue che dal cervello fluiva lungo tutto il corpo, inondando il basso ventre.
Ero eccitato al massimo e il Walter schiacciato contro il materassino del sacco a pelo cominciava a farmi dannatamente male.
Come se mi leggesse nella mente, Sole si sistemò meglio sotto di me e mi permise di adagiarmi meglio sul suo corpo, così da darmi un po’ di respiro.
La camicetta era ormai un pezzo di stoffa inutile, così me ne sbarazzai, dopodiché dovetti fare perno sui gomiti per godermi appieno la vista del suo corpo morbido illuminato solamente dai lampi che squarciavano il buio della notte.
Sole mi guardava con quei suoi occhi grandi e larghi, ottenebrati dalla passione, mentre il suo viso scottava, così come tutto il suo corpo. Il mio cuore batteva all’impazzata e non sapevo se mi sarei potuto controllare se fossi andato avanti. Non mi era mai successo di provare questo vortice infinito di sensazioni con una donna, perché per me il sesso –e tutti i derivati– era solamente piacere personale, e nient’altro. Con Sole, invece, non riuscivo a lasciar andare la mia parte animalesca perché avevo paura di poterla ferire, di rompere quella sua fragilità che mi aveva spiazzato già dalla prima volta che l’avevo vista.
Lentamente feci scivolare una mano all’interno della coppa del reggiseno e dalle labbra di Sole sfuggì un mugolio che mi fece tremare. Dio, era così morbida e… tanta, non mi bastava mai.
Le abbassai completamente la stoffa e andai a suggerle un capezzolo con la lingua, mentre le sue dita si artigliarono ai miei capelli tirandoli.
«Mhmm... ah!» ringhiai, provando dolore alla sua reazione un po’ troppo forte.
«Sc-scusa!» mi disse subito Sole, fissandomi imbarazzata e mortificata. Deglutì a vuoto e mi fissò con quei suoi occhi liquidi. «N-non mi stai facendo capire più nulla... n-non sono più abituata a queste cose...».
Non feci subito caso al “non son più abituata”, perciò mi limitai a sorriderle e a cercare nuovamente le sue labbra. Lei mi accontentò subito, provando timidamente a ricercare la mia lingua, così la lasciai fare.
Nel frattempo le sue mani scesero sulla mia schiena, accarezzando i dorsali e scendendo fino a raggiungere la cinta dei pantaloni alla zuava. In effetti, le sue dita raggiunsero prima i boxer, molto più alti rispetto agli shorts, e con una sicurezza che mi sorprese notevolmente, s’infilarono al di sotto della stoffa, accarezzandomi le natiche.
In quel preciso istante mi staccai dalle sue labbra e la guardai meravigliato.
«Che c’è?» mi chiese lei, sorridendo maliziosa.
Quell’aspetto del suo carattere aveva risvegliato la parte più virile che c’era in me e se non mi fossi controllato, le avrei strappato di dosso quello che era rimasto dei suoi vestiti.
Inghiotti la saliva e sentii il sangue al cervello. «N-niente».
Non avrei mai creduto che Sole potesse essere un’amante perfetta sotto le lenzuola. Avevo creduto sin dall’inizio di doverle insegnare tutto, visto che era vergine, ma quel suo comportamento mi fece insospettire.
Ci passai sopra e tornai a dedicarmi completamente al suo meraviglioso corpo. Tutte quelle curve rischiavano di farmi venire il mal di testa, abituato com’ero a corpi spigolosi e a tettine rinsecchite.
Ovunque si spostassero, le mie labbra trovavano qualcosa da mordere, da baciare, da leccare fino a fare male. Era incredibile che per dieci anni avessi preferito stare con ragazze il cui unico scopo nella vita era quello di ingurgitare carote lesse e vomitarle subito dopo in bagno, donne da un neurone bruciacchiato in testa che non sapevano nemmeno pronunciare per intero il loro nome.
Certo erano tutte bellissime, che quando passeggiavi per Via Condotti ogni ragazzo si distorceva il collo pur di guardare loro il culo, ma avrei scambiato cento di loro pur di avere una Sole con cui camminare mano nella mano girando per negozi.
Finalmente riuscii a sganciarle il reggiseno, mentre lei si riappropriò nuovamente delle mie labbra. Con la mano libera le strinsi un seno tra le mani e con il pollice giocai con il capezzolo facendola mugolare nella mia bocca.
«Nh… ah...» soffiò infine, aggrappandosi alle mie spalle e sussurrandomelo involontariamente all’orecchio.
Non sapevo fino a dove mi sarei spinto quella notte e poco m’importava. Secondo la scommessa avrei dovuto rubarle la prima volta, ma mi sarei sentito un ladro ad approfittarne così presto, soprattutto quando la nostra situazione sentimentale non era ancora chiarita del tutto.
Lentamente la feci sdraiare di nuovo sul materassino del sacco a pelo e lei protestò quando mi allontanai dalla sua bocca. Scesi a lambirle il collo con le labbra, scendendo verso il basso e depositandole un bacio in mezzo ai seni, poi proseguii lungo la pancia fino ad arrivare all’ombelico.
In quel preciso istante puntai i miei occhi azzurri nei suoi, neri come la notte, e constatai che mi stava guardando. I suoi respiri si facevano sempre più pesanti mentre le sue guance andavano a fuoco per l’imbarazzo. Era proprio ciò che volevo ottenere.
Non appena conquistai la sua completa attenzione, sorrisi malizioso e cominciai a passare la lingua tutto intorno al suo ombelico, simulando un rapporto orale, e Sole rimase completamente senza respiro. I suoi occhi erano incollati ai movimenti calcolati della mia lingua, mentre con mani esperte le slacciavo i jeans, bottone per bottone.
La sua bocca era semi dischiusa, troppo assorta persino per ricordarsi di riuscire a respirare.
Non per vantarmi, ma se le ragazze venivano a letto con me non era solo per il mio bell’aspetto. Sotto le lenzuola sapevo fare miracoli e nessuno mi avrebbe portato via quel primato.
Non appena tirai giù la zip dei suoi pantaloni, Sole inarcò lievemente il bacino per permettermi di liberarla da quel fastidio. A quel punto non potei fare a meno di mordermi le labbra e osservare un bellissimo paio di mutandine celesti, con una coppia di delfini disegnati sopra.
Nonostante non stesse indossando un tanga, un perizoma o un baby-doll che le lasciava scoperte delle parti del corpo strategiche, mi dovetti trattenere per resistere a tutto quel ben di Dio che mi si presentò davanti.
«Carine» sorrisi, riferendomi agli slip.
Sole raggiunse il massimo del rossore e tentò di nascondere i delfini con le mani. «Sono vecchie... ce l’ho dal liceo» mormorò giustificandosi, anche perché quella fantasia la poteva indossare una ragazzina.
Purtroppo a me fece l’effetto contrario e quel suo essere così ingenua e infantile mi fece eccitare ancora di più.
«Fammi dare una sbirciatina» le sussurrai, scostandole le mani. «Dai…».
Sole si morse il labbro inferiore, poi sospirò e mi sorrise. «Sono peggio di una ragazzina».
Dopo quella sua affermazione non resistetti e risalii su di lei per far incontrare nuovamente le nostre labbra. Lei mi accolse immediatamente, intrecciando la sua lingua con la mia, e non riuscii a fare a meno di farle sentire quanto fossi eccitato.
«Mi fai questo effetto» le confessai, spingendomi più verso di lei. «Sempre».
A lei sfuggì un gemito soffocato dalle labbra, che io inghiottii catturandole nuovamente la bocca.
«M-mi piaci» mi confessò poi, imbarazzata. «C-credo».
Sentivo il cuore che stava per esplodermi in petto e anche se avrei voluto aspettare a fare qualsiasi cosa implicasse il sesso, in quell’istante, con la pioggia che cadeva sulle nostre teste, insinuai delicatamente la mano nella stoffa dei suoi slip, raggiungendo il suo pube.
Cercai il suo sguardo per trovare delle conferme, soprattutto perché non avrei fatto mai nulla se lei non avesse voluto. Sole stava diventando importante per me, forse troppo, e mai nella mia vita mi ero preoccupato tanto del piacere altrui, pensando unicamente a me stesso.
«Ti fidi di me?» le domandai. Era già la seconda volta che le avevo rivolto quella frase e ormai era diventato come un motto per noi.
La vidi trasalire a quella frase, ma poi mi restituì il sorriso. «Sempre».
A quel punto avvicinai le mie dita alla sua intimità, solleticando piano l’entrata. Non ero mai stato con una ragazza vergine, perciò immaginai dovessi essere estremamente delicato. Sfiorando la sua entrata constatai, notevolmente compiaciuto, che fosse molto umida e nonostante ciò feci il possibile per essere dolce, facendo scorrere un dito con una lentezza tale che mi ci volle tutto il mio autocontrollo per non esplodere seduta stante.
Sole sgranò gli occhi ed io potei bearmi di quelle sue enormi iridi in cui sarei volentieri affogato, mentre le sue labbra dischiuse tentavano di soffocare un gemito sommesso.
Avevo paura di farle del male, che in qualche modo avrei potuto rovinarle per sempre il ricordo di noi due in quella tenda, perché da quel poco che sapevo di anatomia, la prima volta di una ragazza poteva essere abbastanza traumatica se non trattata con i proverbiali ‘guanti’.
«Male?» le chiesi, mai tanto preoccupato come in quel momento.
Sole scosse immediatamente la testa e si artigliò con entrambe le mani alle mie spalle. Mi strinse tra le sue braccia ed io posai le labbra nell’incavo del suo collo mentre continuavo a muovermi tra le sue gambe.
I suoi sospiri mi riempivano le orecchie, mentre il mio cervello era ottenebrato dal profumo della sua pelle e dal suo corpo che s’inarcava cercando un maggior contatto.
Raddoppiai una dose e aggiunsi un altro dito, mentre con il polso cercavo di stimolarla e ad ogni suo gemito sapevo di aver toccato il tasto giusto.
«O-oddio... nh... F-Frà...» mugolò lei, incapace di trattenersi.
In quel momento non mi accorsi che con una mano era scivolata sino al mio addome, ma non appena strinse il cavallo dei pantaloni fui costretto ad inghiottire l’aria per non urlare e per non venire in un nanosecondo.
Strabuzzai gli occhi e li fissai nei suoi, e Sole mi rispose solo con un sorrisetto imbarazzato. «Scusa» mormorò, mordendosi le labbra.
«C’eri quasi...» le confessai, riferendomi al mio orgasmo anticipato e imbarazzante.
«C-credo di aver perso l’abitudine a certe cose» confessò ed io ritrovai quel sospetto che mi era sorto all’inizio.
Okay, in fondo Sara aveva detto che era vergine, non che non avesse mai fatto una sega a un altro ragazzo. Certo, il mio cervello se l’era immaginata come la ragazza che non aveva nemmeno mai visto un Walter in vita sua, ma non potevo pretendere che non avesse mai fatto nulla!
Continuai il mio dolce assalto aumentando il ritmo e cercando nuovamente le sue labbra morbide. Non sarei resistito molto, soprattutto se Sole avesse azzardato un’altra presa di quel genere, perciò afferrai la sua mano e la infilai direttamente nei miei boxer, senza alcuna paura di essere giudicato.
Fuori la pioggia imperversava ancora e sperai con tutto il cuore che non smettesse mai.
Sole cominciò a muovere la mano, strappandomi una serie di gemiti talmente imbarazzanti che mi sembrò essere tornato al liceo, mentre mi facevo fare i pompini in bagno dalla ragazza di turno, e non perché Sole fosse una maestra in queste cose, ma soltanto per il pensiero delle sue mani su di me.
L’argomento ‘scommessa’ era totalmente svanito dalla mia testa, così com’erano stati obliati anche Giorgio, Sara e tutti gli altri. Era come se mi fossi costruito un universo tutto mio, come se su quella isola ci fossimo solamente io e Sole.
Il temporale aveva creato attorno a noi uno scudo impenetrabile, una barriera che ci aveva permesso di vivere, per la prima volta, la nostra storia appieno, senza pensare alle conseguenze delle nostre azioni.
«F-Frà s-sto… mhm... p-per...» m’implorò lei, aumentando la velocità della sua mano e costringendomi a schiacciarla col mio peso perché incapace di resistere a quel tocco.
«Insieme» ringhiai, ormai completamente in balia degli istinti.
Aumentai il ritmo e anche lei fece lo stesso, facendomi sentire quel calore in fondo allo stomaco che precedeva un orgasmo imminente. In quel momento avrei voluto essere dentro di lei, sentirla fino in fondo, rubarle ogni respiro e ogni gemito con la mia bocca, ma dovevo saper aspettare.
Avrei voluto gridare al vento quello che provavo, dimostrarle che ero io a dover essere fortunato e non lei, ma avevo ancora una sorta di tappo in gola che m’impediva di farlo.
«Fr-Fra..ah..ncesco» gridò lei.
«Ahh..Sole..» ruggii nel suo orecchio, poi venni nella sua mano mentre mi accasciavo spompato e senza forze sul suo corpo.
Rimanemmo abbracciati per alcuni minuti, mentre il mio petto s’alzava e si abbassava quasi come se avessi corso una maratona di 5 chilometri, poi cercai nuovamente i suoi occhi e le regalai un bacio proprio sulla punta del naso.
Mi sentivo così realizzato, talmente felice che avrei potuto toccare il cielo con un dito.
Un fulmine illuminò la tenda e subito dopo un tuono ruppe il silenzio dei nostri sospiri, ed io ebbi un brivido dietro la schiena che mi costrinse ad accucciarmi ancora di più contro Sole.
«Un giorno o l’altro mi uccideranno» mi lagnai, terrorizzato dal temporale.
«Shhhh» mi sussurrò Sole, baciandomi una tempia. «Il fulmine non è altro che una scarica di elettricità statica, indotta dalle cariche separate da correnti d’aria attraverso le particelle d’acqua e di ghiaccio all’interno di una nuvola».
«Eh?» le chiesi confuso. Già facevo fatica a formulare pensieri razionali dopo quello che era successo tra di noi, come riusciva a pensare a quelle frasi complesse?
«Niente!» rise e si accoccolò contro il mio petto.
In quel momento mi sentivo leggerissimo, così orgoglioso di me stesso per essere riuscito a cogliere almeno una parte di quel dono che Sole teneva tanto stretto a sé. Ero onorato, fiero di essere stato il primo, così felice che sarei corso anche in mezzo alla pioggia.
Cercai nuovamente le sue labbra, depositando un bacio appena accennato all’angolo della sua bocca. «Sono così felice di essere stato il primo» le confessai, imbarazzato.
Sole spalancò gli occhi e tentò in tutti i modi di evitare il mio sguardo. Cosa avevo detto di male, ora?
Tastò in giro per la tenda e cominciò a rivestirsi, tant’è che pensai di averla offesa.
«S-scusami se ho detto qualcosa di sbagliato» le dissi, mordendomi la lingua per essere stato così dannatamente diretto.
Sole deglutì a vuoto, poi divenne di nuovo rossa. «N-non è per te» mi spiegò balbettando. «È c-che io… in realtà...» e si prese un’altra pausa.
Non avevo idea di cosa volesse dirmi e per quale motivo stava diventando così nervosa. Magari si vergognava di non aver fatto sesso, in fondo aveva ventitré anni compiuti, quanto voleva aspettare ancora?
«Cosa vuoi dirmi?» la incitai.
Sole si prese ancora un po’ di tempo per pensare, poi deglutì e mi guardò. «E-Ecco io… io non sono vergine!» buttò fuori, come se mi avesse confessato di essere un transessuale!
Forse mi sarei dovuto sentire sollevato, magari contento di non avere quel peso sul cuore, invece le sue parole mi pesarono come un macigno. La bocca cominciò a seccarsi e le parole mi morirono in gola.
Da quando m’importava così tanto con chi fosse stata Sole?
L’immagine di qualcuno sdraiato sul suo corpo che la baciava e le rubava ciò che aveva di più prezioso al mondo, cominciò a formarsi nella mia mente, abbassando le mie difese e squarciandomi il petto.
Strinsi le mani a pugno, conficcandomi le unghie nella carne. Avrei voluto avere per le mani quel bastardo che l’aveva usata, spezzandole il cuore come mi aveva confessato la sua amica.
Ma tu non stai facendo lo stesso?
La mia coscienza, che per un po’ era andata a spasso, tornò a farsi sentire più letale e tagliente del solito e, come sempre, aveva ragione.
Anch’io mi stavo comportando allo stesso modo, soprattutto se non mi fossi amaramente accorto di provare qualcosa per Sole. L’avrei usata, ci avrei scopato, e poi sarebbe finito tutto e le avrei spezzato il cuore, come aveva fatto quel tizio.
«Sei rimasto senza parole?» mi domandò, facendomi trasalire.
«In un certo senso» bofonchiai, incapace di guardarla negli occhi. «La tua amica mi ha detto del tizio che ti ha spezzato il cuore» le confessai infine.
Sole rimase di sasso, poi sospirò. «A Serena bisognerebbe cucire la bocca» ridacchiò.
«Non l’ha fatto in cattiva fede» me ne uscii, tentando di difenderla.
«Oh, lo so» mi rispose prontamente Sole. «L’ha detto per avvertirti. A suo tempo lo fece anche con lui...» sospirò, e compresi che con quel ‘lui’ intendeva il famoso bastardo che l’aveva lasciata.
Anche se ero arrabbiato, ferito in qualche modo da quella rivelazione, mi avvicinai e passai un braccio attorno alle spalle di Sole.
«Vuoi sapere di lui?» mi chiese, con quegli occhi diventati ormai una trappola per me.
La curiosità stava ardendo e avrei dato di tutto per sapere quale razza di stronzo avesse potuto lasciarsi sfuggire una ragazza del genere, ma non potevo lasciare che ricordasse tutto quel male. Dall’espressione del suo viso mi bastò sapere che quella era una ferita ancora aperta, che forse non sarebbe mai guarita.
Non avevo mai sofferto per amore, perché non ero mai stato innamorato veramente, ma immaginai che dovesse fare male.
«Guarda, ha smesso di piovere!» mi fece notare lei, gattonando verso l’uscita della tenda.
«Aspetta!» le urlai.
Era arrivato il momento, non potevo più aspettare. Dovevo dirle la verità, raccontarle tutto sperando potesse perdonarmi. Ero giunto a un punto di non ritorno, un limite che non sarei più riuscito a superare.
Al diavolo tutti! Giorgio, Sara, mio padre, quegli stronzi dei miei amici, tutti quanti!
Sole era la cosa migliore che mi fosse capitata mai nella mia vita, non potevo lasciarla sfuggire alle mie dita.
«Sì?» disse lei, voltandosi.
Presi un bel respiro, pronto a parlare.
«Ecco dove eravate finiti!».
Le facce di Giorgio e di Sara comparvero all’imboccatura della tenda, facendo sussultare Sole e costringendomi a rimangiare ancora una volta quelle parole che avrei dovuto dirle sin dall’inizio.
La pioggia si era fermata e l’incantesimo era stato rotto. Ora non mi rimaneva altro che la dura realtà con cui fare i conti.
Per favore, non fermare la pioggia.

Okay, ora mi nascondo dalla vergogna! :3
Non vi aspettavate questo lato disinibito di questi due personaggi, eh? Sono proprio dei porcellini.. invece di parlare.. beh, hanno fatto dell'altro, e che altro!
Spero di non essere stata troppo esplicita, o troppo sozzona, cmq ho messo l'avvertimento perché non potevo proprio cambiare nulla di questo capitolo, è così emozionante!
E insomma Sole non è vergine.. mannaggia! Chi se lo sarebbe mai aspettato? In fondo lei non ha mai detto di esserlo, affermava solo di essere un po' inesperta, invece Frà, come al solito, si era fatto i filmini per conto suo nella sua testolina bacata e ha sbagliato! Uhuh.. gelosone!
Chissà poi chi sarà questo misteriosissimo D. mmm.. boh! Io non ne ho idea!
Vabbé, sono enormemente felice perché finalmente sono giunta a 11 recensioni!!! ç.ç vi amo! Si sente il tifo per le 15 da lontano u.u
Ringrazio le 54 persone che l'hanno messa tra le seguite, le 21 nelle preferite e le 10 nelle ricordate. Ringrazio inoltre i lettori silenziosi che hanno fatto arrivare il primo capitolo a ben 899 visite!!!
Cos'altro dire?
Beh, seguitemi su FB: IoNarrante Efp dove elargirò spoiler e altre cavolate e non mancate di leggere la storia a 4 mani mia e di Clithia (Manu) che prestissimissimo aggiorneremo!
Come in un Sogno

Un bacio
Marty

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Capitolo 13
*** 13. Con tutto l'amore che posso ***




Capitolo tredici
Con tutto l’amore che posso
«Shhh, fermo!» ridacchiai, soffocando una risata nella sua T-shirt.
«Ho voglia di assaggiarti» mi sussurrò lui, facendomi arrossire all’istante.
Le mie guance scottavano dall’imbarazzo, mentre con mani tremanti tentavo di spogliarlo di quel poco che aveva addosso. La cabina era stretta e l’aria soffocante, ma da quando eravamo tornati dalle isole Tremiti ci bastava uno sguardo per prendere letteralmente fuoco.
Non avevamo detto nulla a nessuno, era rimasto tutto com’era prima.
Lui stava ancora con Sara, nonostante in ogni momento cercava di sgattaiolare via da quella sanguisuga per stare con me. Francesco non mi aveva ancora spiegato il perché fosse il suo ragazzo, visto che era evidente il suo rifiuto di passare del tempo con lei, ma c’era qualcosa dietro i suoi occhi che m’impediva di domandarglielo.
«Ci scopriranno!» sussurrai, mentre le sue mani esperte armeggiavano con il laccio del costume, facendolo scivolare a terra.
«Non m’interessa» soffiò lui contro il mio orecchio, facendomi rabbrividire.
Allora perché continuavamo a vederci di nascosto? Se non aveva voglia di stare con Sara, per quale motivo non potevo essere io la sua ragazza?
Erano domande cui avrei voluto dare risposta, ma dentro di me, molto in fondo al mio cuore, sapevo che dietro quel suo comportamento c’era una storia tutt’altro che semplice. Nella tenda, circa due giorni prima, mi aveva confessato di essersi fatto da parte per il suo amico Giorgio e quel suo atteggiamento mi era sembrato molto onorevole da parte sua. Il fatto era che mi sentivo in colpa ogni volta che riapparivamo in pubblico, con gli sguardi di tutti che ci fissavano con sospetto.
Giorgio veniva ad abbracciarmi e Sara si fiondava al collo di Francesco, ma in cuor mio sapevo che anche loro avrebbero potuto intuire qualcosa, da un momento all’altro.
«Perché non mi basti mai?» mi domandò ad un certo punto, sorridendomi con quelle sue fossette e fissandomi con i suoi occhi color oltremare.
Feci spallucce e arrossii come una scolaretta. «Perché peso il doppio di te?» azzardai, facendo della sana autoironia.
A quel punto Francesco mi fissò con un sopracciglio alzato, lievemente scontento che calpestassi la mia autostima. Da una parte quella relazione era cominciata col piede sbagliato sin dall’inizio… C’erano troppi segreti tra di noi da nascondere.
Lui non mi parlava di questo suo strano ‘accordo’ con Sara ed io non avevo avuto il coraggio di dirgli che fra quattro giorni esatti sarei partita. Avevo paura della sua reazione, soprattutto adesso che non sarei più riuscita a lasciarlo andare.
In fondo avevo sempre creduto che la nostra fosse stata soltanto un’avventura, magari cominciata per gioco, e che sarebbe finita allo stesso modo. Ripensai a quando gli avevo detto che mi piaceva, al tacito errore che avevo fatto nel confessargli subito i miei sentimenti.
Ero abituata a ricevere cantonate, ma già una volta nella mia vita mi ero abbandonata a qualcuno, completamente, e lui mi aveva ferita, impedendomi di fidarmi ancora di qualcun altro. Francesco non mi aveva mai detto nulla. Non sapevo se mi amasse, se gli piacessi o se semplicemente fossi soltanto una delle sue numerose conquiste, magari la prima donna in carne che gli si era concessa.
Non sapevo niente di lui, perché non apriva mai il suo cuore con me.
Soltanto nei suoi occhi azzurri riuscivo a leggere qualcosa che prima non c’era. Magari un sentimento, un barlume di emozione, un qualcosa che all’inizio di questa vacanza faceva fatica a comparire nelle sue iridi.
Mi piaceva pensare che potessi essere stata io, in qualche modo, a risvegliare quella sua parte di se stesso, a dargli una qualche parvenza di umanità in quel suo sguardo freddo come il ghiaccio.
«Non ti venisse mai in mente di fare una dieta» mormorò, mordicchiandomi l’incavo della spalla. «Se cambi anche solo di una virgola, ti vengo a cercare».
«È una minaccia?» ridacchiai, troppo felice di come stessero andando le cose.
Quanto mi ero sbagliata. Quello che stavo vivendo era soltanto un periodo di quiete prima della tempesta, nient’altro.
«Intendila come ti pare» e catturò con foga le mie labbra. «Io ti voglio troppo».
A volte mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo, agli anni del liceo e a tutto quello che mi era successo. Di tutti i ragazzi per cui avevo provato attrazione nella mia vita, proprio per uno come Francesco dovevo perdere la testa?
Più tentavo di ripetermi che con Dario non aveva niente a che fare, più la sua immagine si sovrapponeva alla sua, creandomi un’immensa confusione in testa. Entrambi erano popolari, belli e spacconi, ma per ora, solo uno dei due mi aveva spezzato il cuore in tanti piccoli frammenti che avevo impiegato anni per riattaccare.
Ero ancora troppo fragile e Betta e Sere avevano tentato in tutti i modi di farmelo capire. Avevo pensato di essere finalmente guarita, di poter guardare avanti e lasciarmi il passato alle spalle, ma quando Sara, con i suoi soliti modi gentili, mi aveva parlato, era come se la ferita rimarginata fosse stata squarciata di nuovo, cominciando lentamente a sanguinare.
«A-aspetta» farfugliai, prima che la sua mano andasse a slacciare definitivamente il pezzo sopra del mio bikini.
Francesco mi guardò sorpreso, poi inclinò la testa da un lato e mi guardò confuso.
Arrossii immediatamente, anche perché non avevo idea del perché lo avessi fermato. Il problema era il pensiero fisso di Dario e nient’altro… Più pensavo a lui e più rischiavo di paragonarlo a Francesco, che non si era mai comportato allo stesso modo. Lui era sempre stato onesto, gentile, quasi cavalleresco e non aveva niente a che fare con il Moro che mi aveva calpestato senza ritegno.
«Che c’è?» mi domandò lui, preoccupato che avesse potuto fare qualcosa contro il mio volere.
Abbassai lo sguardo in mia difesa, incapace di accampare una scusa bella e buona per non dirgli che stavo pensando ancora a Dario. Non era carino, in quel preciso istante, con quello che stavamo facendo, dirgli che il mio cervello era da tutt’altra parte.
«N-niente» balbettai e come se Francesco avesse avuto la sfera di cristallo, s’incupì e mi lasciò andare.
Confusa mi riallacciai il pezzo sopra del bikini e lo guardai preoccupata. Che se la fosse presa perché ero così distante?
«Stai pensando a quello, vé?» mi disse, imbronciato.
Avrei dovuto fare la finta tonta e chiedergli “quello chi?”, ma il suo sguardo di ghiaccio era irremovibile e ormai avevo capito che avesse intuito tutto.
«So di averti detto che non m’importava» continuò, lievemente imbarazzato. «Ma non riesco a smettere di pensarci».
Mi fece un’enorme tenerezza in quel momento, tanto che mi si strinse il cuore in una morsa e finalmente riuscii a mettere da parte Dario. «Non devi struggerti così» gli sorrisi, accarezzandogli una guancia. «Ormai è passato».
È una bugia, vero, Sole?
Francesco tornò a sorridermi, finalmente, ed io ritrovai quelle sue fossette che mi avevano rubato letteralmente il cuore. Si avvicinò lentamente, poi mi schioccò un bacio a fior di labbra e strofinò la punta del naso sulla mia.
«Forse è meglio che andiamo» mi sussurrò ed io annuii rossa in volto.
Uscendo dalla cabina, però, non mi ero accorta di aver perso il cellulare, rotolato fuori dalla tasca degli short che indossavo, ma me ne accorsi troppo tardi.



Sentii uno scrocchio verso il basso e mi accorsi che il cellulare di Sole era caduto vicino al mio piede, mentre lei continuava a camminare senza voltarsi indietro. Rimasi immobile per qualche minuto, indeciso se raccoglierlo e correre verso di lei per restituirglielo, ma l’immagine fittizia di quel bellimbusto che aveva osato ferire Sole cominciò pian piano a formarsi nella mia mente.
Era come un grosso punto interrogativo.
Non sapevo se fosse alto, moro o biondo, muscoloso oppure nerd, ma qualcosa mi diceva che doveva essere pazzo, un mitomane. Come diavolo aveva potuto lasciarsi sfuggire dalle mani una come Sole?
Allora avete molte cose in comune…
Maledetta coscienza! Perché non poteva rimanere a dormire ancora qualche altro giorno?
Involontariamente sbloccai la tastiera –e quando dico ‘involontariamente’, intendo ‘di proposito’– così l’occhio mi cadde sulla rubrica.
Aveva molti numeri segnati, e mi stupii notevolmente di quanti Boh1, Boh2 e Boh3 potesse contenere la sua SIM Card, però alla fine riuscii a trovare l’oggetto del mio desiderio.
«D…» sibilai tra i denti e sogghignai tra me e me, come uno di quei ‘cattivi’ un po’ pazzi dei cartoni animati.
«Non vieni?» mi urlò Sole da lontano.
In meno di tre secondi diventai blu dalla fifa, e mi infilai il suo cellulare in tasca con uno scatto talmente veloce che avrebbe fatto invidia a Flash.
«Devo fare pipì!» le dissi, accampando la prima scusa che mi venne in mente.
«Ah» rispose lei sorpresa.
«Vai avanti, così se ci vedono arrivare separati sarebbe meglio».
Sole s’incupì a quella mia risposta, ma avrei detto tutto pur di rimanere da solo con quell’arnese che avevo in tasca.
La vidi allontanarsi e mi diressi davvero nei bagni, chiudendomi dentro e ammirando il cellulare come Gollum faceva con l’anello.
Il mio tesssoooroooooo!
Chiunque fosse passato di lì, anche solo per rinfrescarsi, avrebbe udito delle risate sinistre provenire nel bagno in fondo, quello con la porta mezza sgangherata.
E ora che vuoi fare?
Chiamarlo, è ovvio!
E se ti risponde, cosa gli dirai?
Che è un emerito cretino.
Ti sembra giusto intrattenere una conversazione del genere con uno che nemmeno conosci?
La mia coscienza non aveva tutti i torti, ma le mani mi prudevano e non riuscivo a fare a meno di fissare morbosamente il tasto verde del ‘Call’.
«Chissene!» sbottai e lanciai la chiamata, pentendomi immediatamente di averlo fatto.
Sentirò solo la sua voce, dopodiché attacco, mi autoconvinsi.
Partì il primo squillo ed io m’immaginai il primo viso.
Sicuramente somigliava ad una specie di lurido coattone con tanto di divaricatori alle orecchie, brutto e mezzo pelato come il cantante dei Linkin Park.
Secondo squillo.
Oppure potrebbe essere un tizio tutto muscoli e niente cervello, alla stregua di Tarzan, magari con i capelli un po’ più corti.
Terzo squillo.
Alla fine potrebbe assomigliare anche a Giorgio in qualche modo, in fondo non dev’essere per forza brutto. Anch’io mi sono preso una sbandata per lei… perciò può essere anche un Brad Pitt di vent’anni fa.
Quarto squillo.
Ma questo ce l’ha la decenza di rispondere al telefono? Oppure lo usa soltanto come soprammobile?
«Pronto?».
Cazzo, e adesso che faccio?
«Sole, sei tu?» domandò ancora, con una voce scura e sensuale che mi sembrò di essere al telefono con un gigolò.
Avevo due scelte: tirare fuori un po’ di spina dorsale e rispondere, oppure riattaccare come una scolaretta che sta chiamando il suo boyfriend del liceo. Ovviamente Francesco Russo non poteva nemmeno essere paragonato ad una femmina!
«No» tuonai, cercando di fare la voce più scura possibile.
«Chi sei, allora? Perché hai il telefono di Sole?».
Il bellimbusto cominciava a fare troppe domande per i miei gusti. Inspirai ed espirai, giusto perché non mi ero preparato ad affrontarlo.
«Sono Francesco» risposi, rimanendo impassibile.
Dall’altro capo del telefono non si udì nulla, nemmeno il più piccolo fiato, tant’è che pensai mi avesse riattaccato in faccia.
«Ao’, ce stai?» gli chiesi, nella maniera meno carina che conoscevo.
«Non ho ancora capito chi sei?!» rispose irritato ed io mi indispettii.
Anche se ero stato io a chiamarlo, tutta quella rabbia non era giustificata. Almeno su una cosa ero sicuro, a quel tizio gli giravano di brutto!
«Secondo te chi sono?» gli domandai, incapace di inventarmi altre cazzate.
Ci fu un momento di silenzio, poi sentii un sospiro. «Il ragazzo di Sole?» mi domandò esasperato.
R-ragazzo? E adesso cosa dovevo rispondere?
«S-sì…» arrancai «…e no».
«Sì o no?» incalzò lui, ritrovando una certa ilarità giusto in tempo per sfottermi.
«Non sono affari tuoi» ringhiai, alzando la difesa stavolta.
Il misterioso D. ridacchiò dall’altra parte del telefono ed io andai in escandescenze. Oltre ad aver preso in giro Sole, doveva prendere per il culo anche me?
«Che cazzo ridi?!».
«Sei confuso, amico… molto più di quanto lo sia io».
Ma era scemo o cosa? Adesso come gli veniva in mente di paragonarci l’uno all’altro?
«Dimmi la verità» continuò, ignorandomi. «Perché mi hai chiamato?».
Aprii la bocca per rispondere, pronto a dirgliene quattro, poi la richiusi senza trovare alcunché da aggiungere.
«Te l’ha detto?» mi chiese poi, non sentendo anima viva dall’altra parte.
«Cosa?» chiesi subito, senza avere nessuna idea.
Sentii D. sospirare. «Di me e di lei» aggiunse.
Avrei dovuto rispondere di no, che non avevo voluto sapere nulla di quella sua brutta esperienza, per non procurare ulteriore dolore a Sole, ma tanto ormai era inutile negare l’evidenza.
«Più o meno» conclusi. «So che ci sei andato a letto».
«Umpf» disse, poi attese qualche altro secondo per parlare. «Io e Sole siamo due anime gemelle».
In quel preciso istante mi sarei volentieri affogato da solo nella tazza del cesso. Ma era il modo di dare delle risposte del genere? Anime gemelle?
«C-che?» balbettai, quasi strozzandomi con la mia stessa saliva.
«Io e Sole abbiamo qualcosa che ci lega e che nessuno mai potrà spezzare, ma non fraintendermi se dico così» fece una pausa. «Ormai il nostro rapporto è lacerato e i lembi di quello squarcio sono talmente distanti che non possono essere ricuciti. Avevamo avuto il nostro tempo, ed io l’ho bruciato».
La voce gli si era incrinata, potevo percepirlo benissimo, e quella sua aria presuntuosa che aveva all’inizio, col nome ‘Sole’ si era pian piano affievolita. Ero ancora tremendamente geloso di lui, questo non potevo negarlo, ma in un certo senso sentivo un rispetto nei suoi confronti perché percepivo che era ancora legato a lei.
«Non devi essere geloso di me, non ne hai motivo» concluse infine.
«M-ma...».
Avrei voluto chiedergli il perché di quella sua affermazione, il motivo per cui fosse tanto sicuro che una volta riapparso davanti a Sole, lei non si sarebbe più innamorata di lui, ma le parole mi morirono in gola.
«C-come puoi esserne sicuro?» mi feci coraggio. «T-tu non la ami più?».
Okay, stavo letteralmente lasciando fluire il mio lato sensibile senza più argini, ma quello era uno sconosciuto e non poteva giudicarmi.
«Una parte di me l’amerà sempre, ma Sole non ha bisogno di me, io l’ho fatta soffrire per troppo tempo, ha bisogno di qualcuno che le stia accanto e che l’ami completamente. Forse tu sei quello giusto, amico».
«Cosa ti dice che io sia pronto a prendermi questo impegno?». Ormai eravamo entrati in confidenza.
D. si prese qualche momento, poi rispose. «È perché mi hai chiamato».
Non riuscii a controbatterlo stavolta, perché aveva centrato in pieno ogni cosa. Inspirai ed espirai, lasciandomi andare con la schiena contro il muro del bagno.
«Sei ancora lì?» mi domandò dopo interminabili minuti di silenzio.
«S-sì» risposi velocemente, quasi come se un professore mi avesse beccato a dormire sul banco.
«Ho indovinato, vero?» ridacchiò D. dall’altra parte.
Quel tizio che non avevo nemmeno mai visto era riuscito, in cinque minuti di conversazione, a capire quello che io facevo ancora fatica ad ammettere con me stesso.
Lui sa di cosa è capace Sole, di come la sua dolcezza sia capace di conquistare.
Il mostro di nome gelosia che ormai sentivo ringhiare dal fondo del mio stomaco continuò a farsi sentire, mentre io tentavo in tutti i modi di trattenermi. Anche se eravamo entrati in confidenza, avevo comunque un conto in sospeso con lui.
«Non sono affari tuoi» tagliai corto. «Ti ho chiamato per una ragione e voglio soltanto sapere per quale motivo lo sguardo di Sole, appena ti pensa, si rabbuia e lei cade in una sorta di sconforto! Si può sapere cosa le hai fatto?».
Dall’altro capo del telefono si udì un sospiro. «È una cosa lunga da raccontare» s’interruppe. «Ti basti sapere che è stata solo colpa mia e del mio orgoglio. Ho anteposto la mia popolarità a Sole, soltanto perché m’importava di cosa la gente pensasse di me, ma non ho capito cosa avevo fino a quando lei non mi è sfuggita dalle mani. L’ho fatta soffrire e se potessi ritornare indietro» sospirò «Credo proprio che non salirei più su quel treno».
Non sapevo spiegarne il motivo, ma in quel momento compresi che mi stava dicendo la verità e che quelle sue parole gli venivano dal cuore. Mi sentii così stupido per aver pensato le stesse cose all’inizio, per averla subito giudicata senza sapere quanto avesse sofferto.
L’idea della scommessa cominciò a pesare come un macigno sul mio cuore, mentre pian piano tutti i ricatti che mi aveva fatto Sara sembravano delle bazzecole in confronto a quanto avrebbe sofferto Sole.
Se fossi potuto tornare indietro nel tempo, avrei preferito mille volte permettere a Sara di mettere me e Giorgio l’uno contro l’altro, perché sapevo, anche se troppo tardi, che il mio migliore amico mi avrebbe perdonato tutto, mentre Sole, dopo quello che aveva passato, non si meritava un trattamento come quello che le aveva riservato quel D.
«Devo fare una cosa» dissi, come se stessi salutando uno dei miei migliori amici.
«Prima che riagganci devo dirti una cosa» mormorò D.
«Quale?» chiesi ingenuo.
«Se farai soffrire Sole anche la metà di quanto ho fatto io, giuro che ti vengo a cercare e ti spezzo le gambe» ridacchiò, anche se la sua voce rimase terribilmente seria.
Aveva fatto i conti senza l’oste, perché Francesco Russo non si faceva intimidire dal primo damerino che passava.
«Stai attento tu, amico» mormorai, mantenendo un tono tra l’allegro e il serio. «Prova anche solo a riavvicinarti a lei e non so quanto potrai fare ancora il fighetto senza gli incisivi!».
Si sentì una risata roca e anch’io mi lasciai trascinare da quella ilarità. «Sei forte, amico» disse D.
«Francesco» risposi, presentandomi. «Francesco Russo» ripetei poi, marcando il cognome come se fosse un segno di riconoscimento.
«Vitrano» rispose lui «Dario, Vitrano».
Sentivo che quel ragazzo, per quanto stronzo e pieno di sé potesse essere, aveva qualcosa in comune col sottoscritto e mi sentivo legato a lui, anche se sembrava sciocco pensarlo. In fondo eravamo entrambi rimasti folgorati dalla persona più buona e splendida del mondo, che rispondeva al nome di Sole, ma soltanto uno di noi due aveva la possibilità di rimediare ai propri sbagli.
«Vai a fare quel che dovevi fare» mi disse, convinto. «Sole ha bisogno di qualcuno che la ami completamente, perché ogni piccola sfaccettatura del suo carattere è importante e riesce sempre a sorprenderti, in un modo o nell’altro».
«Spero di essere ancora in tempo per rimediare» confessai, ancora terrorizzato all’idea che lei potesse odiarmi.
«Non c’è un momento giusto o un modo giusto per fare queste cose» mi esortò «L’importante è che tu abbia il cuore per farle».
Ero sempre più convinto che era arrivato il momento per affrontare la verità e dire finalmente a Sole tutto quanto. Avrei rischiato di perderla per sempre, questo era da mettere in conto, ma potevo anche giocare la carta della sincerità e poter vivere in pace la mia storia con lei, senza Sara o Giorgio tra i piedi.
«Grazie» dissi sincero «Dario» aggiunsi poi, come se mi stessi rivolgendo ad uno dei miei migliori amici.
«Non fare il mio stesso errore» mi rispose. «Metti l’orgoglio da parte e aprile il tuo cuore. Ciao».
«Ciao» e spinsi il pulsante rosso di ‘fine chiamata’.
Uscii dal bagno e mi guardai in uno specchio lercio e macchiato, ritrovando i miei soliti occhi azzurri ma non riconoscendo affatto l’emozione che vi si celava dietro.
Cosa sei diventato?
Una persona nuova, totalmente diversa dallo sborone che ero prima. Con Sole non avevo più paura di essere come mio padre, di rischiare di ferire il prossimo, e dovevo fare il possibile per salvare quel poco che c’era tra noi.
«Avanti, Francesco» dissi ad alta voce, rivolgendomi alla mia immagine. «Va da lei e dille tutto, aprile il tuo cuore».



Il crepuscolo era sceso sul Villaggio Julia, lasciandomi pensierosa con la Reflex pronta ad immortalare quel poco di tramonto che s’intravedeva al di là della città di Peschici. Me ne stavo sul balconcino della mia stanza, attendendo che l’oscurità favorisse una meravigliosa istantanea della luna crescente che s’intravedeva nel cielo azzurro cupo del vespro.
L’attesa, però, non mi fece pensare ad altro che a Francesco. Dopo il nostro focoso incontro nella cabina, non lo avevo più visto, e come ciliegina sulla torta, avevo anche perso il cellulare. Alle volte era talmente ambiguo quel ragazzo, che mi era quasi impossibile non paragonarlo a Dario.
Mi ritrovai a pensare ancora una volta agli anni del liceo, a come era stata dura sopravvivere in quella giungla fatta di continue beffe e soprusi, soprattutto quand’era il mio migliore amico l’artefice delle mie sofferenze. Se all’epoca avessi avuto la consapevolezza di oggi, ero sicura che avrei trovato il coraggio per smettere di strisciare ai piedi di Dario e troncare una volta per tutte il nostro rapporto, impedendogli, così, di ferirmi ancora di più.
Purtroppo l’esperienza si acquista solo dopo aver sperimentato sulla propria pelle quelle sofferenze che in futuro avresti voluto evitare, perciò mi ritrovai a credere che sarebbe stato meglio se le cose fossero rimaste tali e quali adesso.
Se non avessi avuto Dario, ora non avrei avuto Francesco.
«Pssst» udii dalla spiaggia, su cui si affacciava la mia camera.
Mi alzai in piedi, posando la Canon in stanza, e raggiungendo il suono che avevo udito. Feci qualche passo, poi venni letteralmente agguantata da Francesco, che mi trascinò vicinò l’acqua, dietro la casetta del bagnino, stile baywatch.
«Mi hai terrorizzata!» mi lamentai, ridacchiando.
«Non sapevo dove altro trovarti...» si giustificò lui, sorridendomi sia con le labbra che con gli occhi.
«Ma dov’eri finito oggi?» gli domandai, preoccupata che quell’arpia di Sara lo avesse incastrato in chissà quale altro piano diabolico.
Francesco scrollò le spalle e mi sorrise. «Avevo da fare», ma quella risposta così evasiva non mi convinse.
Nel frattempo le sue mani mi cinsero la vita e mi avvicinarono a sé. Allora mi alzai in punta di piedi, cercando le sue labbra, ma lui mi scostò gentilmente, fissandomi serio.
«Dobbiamo parlare» mi disse, ed il mio cuore mancò di un battito.

«Sole, dobbiamo parlare» disse il ragazzo moro, con gli occhi come due carboni ardenti.
«S-sì» gli rispose la ragazzina paffutella, con i capelli a cespuglio.
Il Moro la prese per mano e la condusse sul ponte, quello degli innamorati, e lo sguardo color onice di Sole s’infranse nelle correnti del biondo Tevere che scorreva violento, alimentato dalla pioggia che in quel momento cadeva incessante.
Si fermarono proprio davanti ad un centinaio di lucchetti chiusi, con dediche e cuoricini incisi sopra il metallo, a sugellare un amore mai finito. E fu in quel momento che Dario cercò gli occhi di lei.
«Appena prenderò la maturità, partirò» disse serio. «Andrò a Milano, lontano dall’oppressione della mia famiglia e di chi non mi capisce».
Sole boccheggiò per qualche secondo, poi tentò di trattenere le lacrime. «A-andrai via anche da m-me?» chiese, con la voce lievemente incrinata dal pianto.
Il Moro distolse lo sguardo, sapendo quanto gli facesse male affrontare gli splendidi occhi neri di lei.
«Devo andarmene» ripeté convinto. «Qui mi sento imprigionato e non riuscirò mai a vivere appieno la mia vita».
«M-ma…» tentò di dire la ragazza, raccogliendo la forza per non piangere.
Attorno a loro la pioggia cadeva incessante, mentre le poche persone rimaste cercavano riparo nei negozi aperti o sotto le tettoie. Su ponte Milvio c’erano solo due persone che non si muovevano, ma rimanevano uno di fronte all’altra, immobili come due statue.
«C-che ne sarà di noi?» disse infine, inghiottendo un altro singulto.
Dario Vitrano tornò a fissare la ragazza, l’unica donna che avesse mai amato e la sola che gli era stata sempre di supporto, per affrontare la famiglia e le avversità della vita. E ora lui la stava abbandonando, stava lasciando qualsiasi cosa lo legasse in qualche modo alla Città Eterna, anche se, in cuor suo, avrebbe voluto portare Sole con sé.
«Non ci sarà nessun noi, Sole» sospirò, scuotendosi i capelli fradici di pioggia. «Non c’è mai stato».
Crudele era il suo secondo nome, e lui sapeva il modo adatto per ferirla, per farsi odiare da lei, in modo che la separazione sarebbe stata meno dolorosa, almeno per la piccola Sole. Dario avrebbe convissuto col suo ricordo, con l’amore che ancora provava per lei, ma la sua migliore amica sarebbe andata avanti, ne era sicuro. Per quanto fragile potesse sembrare, Sole nascondeva un piccolo leone dentro di lei.
«Q-quindi qu-quello che c’è s-stato?» farfugliò, con le lacrime che ormai si mescolavano alle gocce di pioggia che cadevano su Roma.
«Ci siamo divertiti» rispose serio, con il cuore che gli urlava ben altro. «Non è stata altro che un’avventura».

L’ultima volta che un ragazzo mi aveva detto quelle parole, aveva finito con l’abbandonarmi ed io mi sentii improvvisamente come quattro anni fa. Deglutii a vuoto, pensando subito al peggio.
Francesco non era Dario, quello lo sapevo, ma come potevo essere sicura che non si fosse stufato di me e che mi avrebbe detto che tra di noi non era mai veramente iniziata?
Calma, Sole… non ha ancora aperto bocca.
«S-sì» risposi, seguendolo sulle scalette che conducevano alla cabina dei bagnini.
Francesco mi prese per mano, poi ci sedemmo con le gambe penzoloni, guardando il mare e lasciandoci cullare dal vento.
«Tieni» mi disse poi, estraendo dalla tasca il mio cellulare e porgendomelo.
«Oh, grazie!» esclamai, felice di averlo ritrovato. «Non sai per quanto tempo l’ho cercato. Pensavo che me lo avessero rubato».
Francesco arrossì improvvisamente e fissò la spiaggia sotto di noi. Non capii per quale motivo si sentiva chiamato in causa, ma tentai di non pensarci troppo.
«Dovevi dirmi del cellulare?» lo incalzai, sperando chiudessimo subito quell’argomento.
«Non solo» specificò, tornando a specchiare quei pozzi blu oltremare. «C’è una cosa che non ti ho detto e che sento il dovere di confessarti, prima che sia troppo tardi».
Oddio, adesso mi dice che ha già una ragazza e che la nostra è stata solo un’avventura.
Avevo sempre saputo che Francesco era troppo per me, così come lo era stato Dario. Due ragazzi che erano troppo belli e intelligenti per finire con l’innamorarsi di una palla di lardo come me.
«Se vuoi troncare, dimmelo chiaro e tondo» lo anticipai, cominciando ad innalzare lo scudo di protezione.
Francesco spalancò gli occhi e cominciò a gesticolare. «No, no! Che hai capito!» si affrettò a rispondere. «Non voglio troncare».
E allora che cosa voleva dirmi?
La notte pian piano avanzava, e le luci della cabina si erano accese perché il sole era quasi del tutto scomparso a Ovest.
«Quando ci siamo conosciuti» cominciò «circa dieci giorni fa, io non avrei mai pensato di arrivare a questo punto».
Non sapevo dove lo portasse quel discorso, ma il suo sguardo era sincero, perciò mi sentii in dovere di ascoltare ogni sua parola.
«Tu eri così…» tentò di dire «…così…».
«Grassa, cessa, orribile?» cercai di suggerirgli, ma lui mi guardò male.
«Anonima» concluse, decidendo che quell’aggettivo era più consono al suo discorso.
«Anonima?».
«Sì, anonima!» insisté, imbronciato. «Comunque» continuò «la prima volta ti vidi fu quando arrivammo al Villaggio, mentre stavi insieme alle tue amiche. Ricordo che indossavi un paio di shorts, quelli di tre taglie più grandi, e a pelle mi sembrasti un po’ strana».
Non sapevo cosa volesse dirmi, ma pensai che stesse prendendo la questione un po’ alla larga.
«Bene, bene, bene» disse una voce alle nostre spalle.
Ci voltammo all’unisono e guardammo Sara che se ne stava appoggiata alla cabina del bagnino, con un sorriso che era un misto tra Belzebù e Satana in persona.
Francesco appena la vide mormorò un «No» e scattò in piedi, neanche avesse preso la scossa. Non sapevo gli importasse tanto di Sara al punto di essere preoccupato che ci avesse visti insieme.
«Vedo che stai disobbedendo all’accordo che avevamo, Russo» continuò imperterrita, senza che gli occhi spalancati di Frà la impietosissero minimamente.
«Ti prego, Sara» la implorò lui. «Lasciami il tempo di spiegarle tutto, poi andremo ognuno per la propria strada».
Ero confusa, non avevo idea di cosa stesse succedendo tra di loro, ma Francesco era molto preoccupato e questo non era un buon segno.
«Sei venuto meno al nostro accordo» sibilò Sara insensibile. «Sono libera di fare quello che voglio e la nostra piccola Sole potrà finalmente sapere la verità che si cela dietro il suo cavaliere dall’armatura splendente».
Quale verità? Di cosa stavano parlando quei due?
«Ma non hai un briciolo di pietà!» ringhiò Francesco, guardando prima Sara poi me. Sembrava distrutto, nonostante lei non avesse ancora aperto bocca.
A quel punto Sara mi si avvicinò e fissò quegli occhi da rettile nei miei. «Tu sei solo il frutto di una scommessa, vero Frà?» ghignò lei, ma io ancora non capivo nulla.
«C-che?» balbettai confusa.
Sara sorrise e Francesco tentava in tutti i modi di dissuaderla. «Non farmi questo!» gridò, ma Sara lo ignorò del tutto.
«Quando siamo arrivati in questo villaggio, cara la mia ‘santarellina’, noi tutti abbiamo deciso di movimentare la vacanza decidendo di fare una scommessuccia» ridacchiò, e nulla di quell’apparente ilarità mi infuse sicurezza. «Abbiamo preso una ragazza a caso, una cozza che nemmeno il più sfigato del villaggio si sarebbe filato, e abbiamo deciso che il nostro caro Russo, il più figo della Luiss, avrebbe dovuto corteggiarla, farla innamorare di lui, e alla fine rubarle la verginità. Non è un passatempo geniale?».
E con quelle parole il mondo mi crollò addosso.
«Sole, non è come dice!» gridò Francesco, ormai disperato.
«E allora com’è?» lo provocò lei.
Sentii le lacrime spingere agli angoli degli occhi, pronte per uscire fuori. Avevo sempre sospettato che c’era stato sotto qualcosa, ma lo sguardo di Francesco mi era parso sincero, così come i suoi sentimenti. Possibile che fosse stata tutta una menzogna?
«D-dimmi che non è vero» balbettai, sull’orlo del pianto. «T-ti pr-prego».
Una lacrima, poi un’altra e infine una terza. La notte scese su Peschici e il mio viso era rigato dal pianto e dalla disperazione di aver abboccato un’altra volta, di essere stata raggirata ancora.
Francesco mi prese le mani, ma io le ritirai come se scottassero. «Sole, posso spiegarti» tentò di dirmi, mentre anche i suoi occhi erano lucidi.
«Ha o non ha ragione lei?» gli chiesi, chiaro e tondo.
Francesco rimase interdetto, indeciso su cosa avrebbe dovuto rispondere. «Sì» sospirò infine, ed io sentii il mio cuore che si spezzava nuovamente, com’era stato con Dario. «M-ma…» tentò di aggiungere, ma io lo zittii.
«Basta!» gridai, quasi sull’orlo della pazzia. «Sono stufa delle vostre bugie!».
Le lacrime ormai fluivano libere e incontrollate, mentre la mia voce era isterica e disperata. Da tutti mi sarei aspettata quel comportamento, ma Francesco mi sembrava sincero, possibile che il mio istinto funzionava così poco?
«Tu e Dario avete rovinato la mia vita!» dopodiché me ne andai, scendendo le scalette, e corsi verso la mia stanza.
«Sole, fermati!» gridò Francesco, ma giurai a me stessa di non voltarmi indietro e di non fidarmi mai più di nessuno.


Beh, eccoci giunti alla fine di questo sudato 13° capitolo! Scusate il mio ritardo nel postare questi ultimi capitoli, ma sono entrata in exams-modality e ce ne ho uno a settimana praticamente! ç__________________ç
Insomma, proprio quando la storia tra Frà e Sole sembrava andare a gonfie vele, come al solito è arrivata Sara a rovinare tutto! Uhuhuh, lo so che la odiate, ma che ci posso fare se è nata per mettere i bastoni tra le ruote? Povero Francesco, si era addirittura convinto a dire la verità a Sole, grazie alla telefonata con Dario *sospira*, ma non ne ha avuto il tempo, ed ora rischia di perdere per sempre tutto quello per cui aveva faticosamente lavorato.
Nel prossimo capitolo ci saranno dei veri e propri fireworks, perciò prepariamoci!
Un grazie enorme a tutti quelli che recensiscono, a quelli che hanno messo la storia tra le seguite e tra le preferite, ma anche a chi legge solamente! Siete il mio sostentamento! ^^

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Capitolo 14
*** 14. Io non so parlar d'amore ***



Capitolo quattordici
Io non so parlar d’amore

La guardai andare via, che correva sulla sabbia, illuminata soltanto dalla luce della luna e accompagnata dallo sciabordio delle onde in sottofondo.
Era sfuggita via dalle mie mani e non avevo avuto il tempo di chiuderle che lei era già corsa via, come una farfalla nel vento. Ogni passo che faceva verso il villaggio, si trasformava in una voragine che si allargava nel mio cuore, come un buco nero che avrebbe inghiottito la mia anima, e forse troppo tardi realizzai che non avevo più possibilità di tornare indietro.
«Se l’è meritato» disse una voce alle mie spalle e finalmente ricordai il motivo per cui Sole era fuggita via da me. «Lo rifarei anche due volte se potessi».
Sara era l’essere che aveva rovinato non solo la mia vacanza, ma aveva allontanato da me la sola ed unica persona che era riuscita a smuovere qualcosa dentro il mio cuore.
«Sta zitta» ringhiai, stringendo a pugno le mani.
«Cosa pretendevi? I patti erano chiari e tu li hai infranti facendo gli occhi dolci a Moby» ridacchiò cominciando a scendere le scale.
«Ma non hai un cuore? Cosa ti ha fatto per meritarsi tutto questo?» le urlai contro, inveendo ormai conscio di non avere più nulla da perdere.
Sara si voltò, fissandomi con quegli occhi verdi da serpente. «Se l’è cercata» sibilò ed io non risposi più di me stesso.
La rincorsi per le scale e la afferrai per un braccio, costringendola a fermarsi e ad affrontarmi per una volta. «Non hai idea di quanto lei abbia sofferto?!» le chiesi, totalmente privo di senno.
«Lei?!» s’infurio. «E io?! Non mi chiedi quanto IO abbia sofferto?!».
La lasciai andare all’improvviso, come se la sua pelle scottasse, per poi ritrovarmi davanti una Sara che non avevo mai visto. Il suo viso era rigato di lacrime, e quell’espressione così sincera e sofferente non era da lei.
«È la seconda volta che mi porta via qualcuno che amo» singhiozzò, con la voce incrinata dal pianto. «Non puoi sapere come ci si sente.. n-non puoi capire!».
«C-cosa stai dicendo?» le domandai, sempre più confuso.
Sara era indecisa se confessarmi tutto oppure mandarmi a quel paese, ma non avevo più nulla da temere, ormai, il vincolo della scommessa era stato sciolto ed io potevo ritenermi libero da quella prigione di bugie.
«Sapevi che io e Moby eravamo andate allo stesso liceo» cominciò. «Quindi posso dirti che non è cambiata poi tanto da quegli anni».
«Ti sbagli» la interruppi. Anche se non sapevo com’era stata negli anni precedenti, dentro di me era come se sentissi che la Sole-adolescente era cresciuta, diventando quella di cui mi ero invaghito.
«Pensala come ti pare» mi apostrofò «ma era lo zimbello del Montale e non c’era giorno che non fosse presa di mira per uno scherno».
Quelle sue parole mi fecero ancora più male, sapendo quali pensieri orribili avessi fatto su di lei i primi giorni di vacanza. Tutte quelle volte che l’avevo chiamata ‘Moby’, tutte le occasioni in cui avevo sminuito la sua presenza o avevo riso alle sue spalle con gli amici. Lei aveva già passato cinque anni di quel calvario, cosa avrei fatto io al suo posto?
Francesco Russo aveva sempre avuto tutto dalla vita: a scuola, nelle relazioni sentimentali, all’università e, fra qualche anno, anche nel mondo del lavoro, ma avrebbe dato tutto per tornare indietro nel tempo e dire la verità.
«C’era un ragazzo a scuola» mi riscosse lei dai miei pensieri. «Lo chiamavano il Moro, ma il suo vero nome era Dario Vitrano».
D.. come Dario…
«Era bello, ricco, simpatico, sensuale.. insomma, il re del ginnasio» mormorò con nostalgia e cercai di dare nuovamente un volto a quella voce che avevo udito solamente per telefono. «Come avrai potuto capire ero innamorata cotta di lui, ma sapevo che andava dietro un’altra ragazza».
«Sole» sospirai, capendo soltanto in quel momento parte della storia epica che sostava alle spalle di quella ragazza.
«Ma cosa ti viene in mente?» mi riprese subito Sara. «Hai sentito oppure no quello che ti ho detto sulla reputazione di Moby?».
Ero notevolmente confuso da tutto quel discorso, soprattutto per quanto riguardava Dario e Sole. Da quanto mi aveva fatto capire al telefono, per lui era estremamente importante, ma allora perché non c’era stato nulla tra di loro al liceo?
«Dario faceva parte del gruppo che la scherniva ogni santo giorno!» insistette Sara, scuotendo la testa con ovvietà. «Lui e Romandini stavano nella sua stessa classe e non perdevano mai occasione di umiliarla, anche pubblicamente!».
Dopo quella rivelazione desiderai con tutto il cuore non aver ceduto così presto alle parole ingannevoli di quel farfallone poco di buono con cui avevo parlato al telefono. Se soltanto avessi saputo prima tutta la storia, non mi sarei limitato a chiamarlo, ma sarei montato sulla mia Audi e avrei guidato fino a ovunque si trovasse pur di spaccargli la faccia a suon di pugni.
Aveva avuto anche il coraggio di dirmi che lui e Sole erano anime gemelle?! Che faccia da cazzo!
«E allora cosa c’entra lei in tutto questo?!» sbottai furente, non tanto per l’incazzatura con Sara ma più che altro me la presi con me stesso e con il fatto di essere stato così maledettamente cieco.
Sara sorrise e indossò nuovamente quella maschera d’impassibilità. «Lei e quello stronzo ipocrita di Vitrano erano nemici giurati a scuola, ma nessuno sapeva che si conoscevano sin da bambini e che una volta da soli, facevano tutt’altro che prendersi in giro» ringhiò furente. «La tua Sole è soltanto una volgare puttana che tradisce quando meno te lo aspetti!».
Senza volerlo, la mia mano si mosse da sola e andò a colpire la guancia di Sara, costringendola a tenersi il viso dolorante con entrambe le mani. Ero uno stronzo, e lo sapevo, ma non avevo mai picchiato una donna, né lo avevo mai pensato, ma quando la parola ‘puttana’ era stata associata al nome ‘Sole’ il mio cervello non ci aveva visto più e la mano si era mossa da sola.
«Non ti azzardare mai più» mormorai, quasi come se avesse offeso me. «Sono sicuro che la storia è ben più complicata di quanto la fai credere tu, e Sole avrà sicuramente una spiegazione a tutto. Non hai idea di quanto lei abbia sofferto per quelle prese in giro e il tuo cuore spezzato non è niente in confronto a quello che lei ha dovuto passare per anni!
«Col tuo odio hai fatto complice anche me di questa sua sofferenza ed io, come un cretino, ho avuto paura che il mio migliore amico potesse scegliere te al mio posto, ma mi ero completamente sbagliato. Sin dall’inizio avrei dovuto mandarti a quel paese, ma di una cosa devo esserti grato» le dissi sincero. «Senza la tua stupida scommessa, non avrei mai conosciuto la persona meravigliosa che è Sole e avrei continuato a vivere nell’ombra di quello che aveva fatto mio padre in passato, preferendo relazioni saltuarie e non impegnandomi affatto».
Sara mi fissava basita mentre pian piano, parola dopo parola, realizzavo quello che era stato chiaro fin dall’inizio, ma che non avevo mai avuto il coraggio di ammettere.
«N-non posso crederci..» sospirò, sgranando gli occhi. «A-anche tu sei innamorato di lei..».
Non le risposi, perché non avevo più nulla da dirle, così cominciai a correre verso l’albergo, seguendo i passi di Sole che aveva lasciato sulla spiaggia argentata. Ero deciso a fare tutto per riaverla, a mettermi in gioco completamente.
È proprio vero che le persone acquistano coraggio quando non hanno più nulla da perdere.
Arrivai fino alla hall con il fiato ormai mozzato, mentre guardavo a destra e a manca alla ricerca di Sole o della fisionomia del suo corpo.
Intravidi Tarzan che mi fece il cenno della ‘decapitazione’ con il pollice, ridacchiando come un’idiota, perciò doveva aver visto Sole in lacrime che passava di lì. Poteva essere in un posto solo, quindi imboccai le scale e mi precipitai verso il secondo piano per andare a bussare alla sua stanza.
La camera 213 era l’ultima in fondo al corridoio, ma quando ormai ero a pochi passi dalla porta, ne vidi uscire una testolina bionda e una mora, perciò inchiodai appena in tempo.
Le due amiche di Sole, Elisabetta e Serena, alzarono lo sguardo contemporaneamente e lo incrociarono col mio, che subito divenne colpevole. Era chiaro come il sole che erano venute a conoscenza di tutto, ma avevo anch’io il diritto di spiegare la mia parte di verità.
«Non è come sembra» iniziai, ma dal loro sguardo furente compresi di aver iniziato col piede sbagliato.
«È proprio come sembra, invece!» iniziò la mora, picchiettandomi il petto con l’indice.
«E io che mi fidavo di te» singhiozzò la bionda, con gli occhi lucidi.
«Hai distrutto il suo cuore.. glielo hai strappato via dal petto e poi ci hai camminato sopra senza alcun ritegno. Non hai capito che ha passato la stessa identica cosa con Dario? Lui l’ha trattata alla stessa maniera in cui tu hai appena fatto..».
«M-ma.. io non volevo.. è stata colpa di Sara.. e.. volevo dirglielo..» arrancai, capendo in quel momento che non avevo scusanti.
«E allora perché non le hai detto la verità?» mi chiese Serena, quella che, fra le due, sembrava la meno pazza inferocita. «Sono sicura che avrebbe capito..».
«Ho tentato!» inveii, insistendo e aumentando il tono di voce.
«Sì, certo.. hai aspettato l’ultimo momento!» continuò la mora, sempre più incazzata.
«…»
«Ecco, bravo, rimani in silenzio!».
Quando avevo lasciato Sara alla spiaggia, mi ero diretto da Sole armato solo di buone intenzioni ed ero quasi sicuro di ottenere il suo perdono, magari come nei film romantici di serie B che la week-girl di turno mi costringeva a vedere ogni tanto, ma davanti alle migliore amiche di Sole mi sentii finalmente messo a nudo e non riuscii più a parlare.
Elisabetta mi superò, dopo avermi lanciato l’ennesimo sguardo furente, ma la biondina, quella che somigliava a Hilary Duff le disse di andare avanti e di aspettarla vicino l’ascensore. Mi ritrovai allora sotto attento esame degli occhi chiari di Serena, mentre come al solito il mio silenzio prolungato mi faceva venire il sangue freddo.
Ora ti manderà a quel paese anche questa.
Piantala.
Una volta ti ha salvato, ma non hai nove vite come un gatto, mio caro.
Vuoi stare zitta per una volta? I tuoi consigli non mi sono serviti ad una ceppa, quindi tappati quella boccaccia!
Uhm.. se lo dici tu.. ma se ricordo bene io lo avevo detto fin dall’inizio che eri innamorato di Sole..
Non sono innamorato di Sole.. ma ormai questa tiritera non convinceva nemmeno il vero me stesso.
«Vai via, per favore» mi chiese lei gentilmente, perdendo tutta l’aggressività con cui si era contraddistinta la sua altra metà dai capelli neri. «Sole ha bisogno di stare da sola, di elaborare ciò che è successo, lasciale del tempo e vedrai che s’aggiusterà tutto».
Le sue parole potevano sembrare rassicuranti, ma lo sguardo che assunse fu tutt’altro che rincuorante. Nei suoi occhi azzurri c’era chiaramente scritto che Sole non mi avrebbe mai perdonato e nel giro di cinque fottutissimi minuti, avevo mandato a puttane tutto.
«Se soltanto potessi parlarle..» tentai, ma Serena fu irremovibile e mi pregò silenziosamente di andarmene.
Avrei dovuto fregarmene e buttare giù la porta a suon di testate, ma quella ragazza era stata tanto gentile con me, aveva addirittura cercato di aprirmi gli occhi, ma io, da coglione quale ero, non le avevo dato ascolto.
«Puoi farmi un ultimo favore?» le chiesi con il cuore in mano.
Serena ci pensò un po’ su, indecisa se fidarsi ancora di me, ma tentai di farle capire che ero sincero e che non meritavo di essere preso a bastonate fino a questo punto.
«L’ultimo» precisò, mordendosi il labbro inferiore.
Deglutii a vuoto e la ringraziai con lo sguardo. «Dille che mi dispiace e che se non fossi stato così dannatamente vigliacco, le avrei detto tutto già da tempo» feci una pausa, per non farmi prendere troppo dalle emozioni. «E dille anche che..» e lì m’interruppi.
«Cosa?» mi esortò Serena speranzosa.
In quel momento le parole esatte sarebbero dovute essere ‘dille che la amo’, ma la voce non riusciva ad accarezzare quelle lettere, non ancora, almeno.
«Basta, dille solo questo» aggiunsi sospirando.
Lei puntò le iridi cerulee verso il pavimento di moquette e aggiunse un ‘va bene’ piuttosto stiracchiato, così io mi voltai e raggiunsi nuovamente le scale, salendo un altro piano e trascinandomi verso la mia stanza.
La 315 era a pochi passi da me, perciò estrassi la mia chiave magnetica dalla tasca e feci per inserirla, quando la porta si spalancò e davanti a me c’era la figura di un Giorgio talmente incazzato da farmi paura.
«Entra» mi ordinò, senza nemmeno salutarmi ed io obbedii.
Nemmeno aveva aperto bocca, ma già sapevo che era venuto a conoscenza di ciò che avevo detto a Sole e mi aspettavo un cazziatone coi fiocchi. Mossi appena un passo e sentii la porta chiudersi alle mie spalle, ma quando mi voltai mi arrivo un dritto in piena faccia, che mi costrinse ad indietreggiare.
«’tacci tua, Giò..» bofonchiai, tamponandomi un rivolo di sangue che mi usciva al lato della bocca. «Se continuiamo a darcele andremo al pronto soccorso prima o poi!».
«Dovresti andarci tu per quello che le hai fatto!» ringhiò, avvicinandosi con la guardia alzata.
«IO?!» mi indicai scioccato. «Devo forse ricordarti che tu ci stai dentro tanto quanto me?».
E m’ero stufato di prendermi tutta la colpa, Santo Dio! Se dovevo mettere le carte in tavola, tanto valeva che anche lui smettesse di indossare la maschera del ‘santarellino’ e si assumesse le sue dannate colpe.
«È diverso» si giustificò, abbassando i pugni ma avvicinandosi troppo.
«Perché?! Cosa c’è di fottutamente diverso?» gli chiesi, sperando me lo spiegasse una buona volta.
Giorgio questa volta non rispose più di sé e mi afferrò per i lembi della maglietta, sbattendomi con forza contro il muro giallo della stanza da letto. «Io non ho finto che mi piacesse per poi scoparmela senza ritegno» ringhiò.
«I-io.. n-non..» tentai di dire, ma mi stava letteralmente soffocando.
«Se fossi stato al tuo posto.. io con lei avrei fatto l’amore» sibilò, mostrandomi i denti come un lupo.
Stufo di averlo così addosso, lo spinsi via e stavolta mi avvicinai io per farlo indietreggiare. «Non ci ho fatto niente con lei, sappilo! Non sono stronzo fino a ‘sto punto!» ringhiai puntandogli l’indice contro.
«E allora perché non le hai detto la verità quando te ne ho dato l’occasione?! Cosa diavolo avete fatto in quella tenda?!» mi urlò contro.
In quel momento sbiancai, conscio di cosa veramente fosse successo in quel giorno di pioggia. Era vero, io e Sole non ci eravamo spinti molto oltre, ma quello che era successo nella canadese non poteva definirsi ‘niente’.
Inghiottii l’aria e lasciai che le mie braccia ciondolassero lungo i fianchi.
«Possibile che non t’importi nulla di lei?» mi domandò di nuovo, trovando un po’ di calma.
«Tu non capisci..» risposi, digrignando i tenti e soffocando un ringhio.
«Cosa? Cos’è che c’è di così complicato in te, eh, Russo?».
Come potevo spiegarglielo? Non c’erano parole per descrivere quello che provavo in quel momento, la confusione che regnava sovrana nella mia testa.
Vuoi ammetterlo una buona volta? Possibile che sei così duro di comprendonio?
La coscienza non mi aiutava di certo in quel momento, e ormai era divenuto quasi impossibile ignorarla.
«Allora se è evidente che t’importa di lei, avevi il dovere di parlarle!» continuò a tampinarmi. «Lei è così sensibile, estremamente dolce.. tanto indifesa che hai sempre paura di romperla. Non so cosa ti avrei fatto se non fossi stato il mio migliore amico e..».
E dai ammettilo, che ti costa? Ormai lo sappiamo entrambi che in quella tenda non è stato solo puro erotismo..
Fai silenzio!
La pensi sempre, il tuo cuore sta battendo all’impazzata, vorresti buttarti di sotto per averla ferita.. ti senti in colpa anche se è stata Sara l’artefice di tutto questo..
Ho detto piantala..
Solo due parole.. ‘la amo’…
«Smettila!» mi ritrovai a gridare contro Giorgio che mi fissava incredulo. «P-pensi che non lo sappia, cazzo!».
Il mio cuore stava pompando irrequieto nel mio petto e non mi ero mai sentito così strano in tutta la mia vita. Stavo balbettando, ero confuso, mi sentivo crollare il mondo addosso per la paura di non poter rivedere mai più Sole.. insomma.. mi sentivo una vera schifezza!
«Ti senti bene, Frà.. hai una cera..» mi fece notare il mio amico, tutto a un tratto spaventato dalle mie reazioni.
«No» ammisi con un soffio. «Non sto bene per niente. Mi fa male qui» e mi indicai all’altezza del petto. «Sto per avere un infarto?» chiesi a Giorgio, sentendomi un po’ stupido.
A quel punto tutta la rabbia che lo aveva accompagnato sin da quando mi aveva aperto la porta, fu spazzata via da quelle sue iridi nocciola che si spalancarono per lo stupore.
Mi sedetti sul letto e lui si inginocchiò davanti a me, sorridendomi come un’idiota.
«Che c’è?!» sbottai io, subito sulla difensiva.
«Io so perché ti fa male, Frà» mi disse quasi gongolando.
Compresi che la verità era ormai ovvia per tutti, tranne che per il sottoscritto che faceva ancora fatica ad ammetterlo.
«Quand’è che ha cominciato a farti male, amico?» mi chiese.
Aspettai qualche minuto a rispondere, valutando se confidarmi o no, poi compresi che io e Giorgio ci conoscevamo fin dalla nascita ed era quasi impossibile nascondergli qualcosa a questo punto.
«Da una settimana, ormai..».



Mi alzai dal letto con un tremendo mal di testa che mi costrinse a sedermi quasi subito per non crollare.
Avevo passato la notte completamente in bianco, a piangere come una bambina, mentre la mia mano sfiorò il cuscino e si rese conto di quanto fosse zuppo delle mie stesse lacrime.
Abbiamo preso una ragazza a caso, una cozza che nemmeno il più sfigato del villaggio si sarebbe filato..
Le parole di quella vipera della Giglio ancora mi risuonavano nella mente, nonostante avessi passato l’intera notte a rimuginare e a disperarmi su quanto era successo. Una parte di me aveva sempre saputo che Francesco Russo era troppo per la piccola e rotondetta Sole, ma dopo quanto era successo tra di noi in quella tenda, avevo letto nei suoi occhi azzurri un barlume di sentimento.
Evidentemente avevo preso una bella cantonata.
Per la seconda volta mi ero presa una sbandata per qualcuno che era notevolmente al di sopra delle mie possibilità, e ancora una volta ero rimasta bruciata.
Non potevo credere che dietro quel suo sorriso, quello con le fossette che mi aveva stregata, c’era stata la consapevolezza di una frivola scommessa architettata con i suoi amici, con l’unico scopo di ferirmi.
Mi sentivo usata, mi ero data della stupida per tutta la notte, e nemmeno Betta e Sere avevano avuto il coraggio di parlarmi. Di gran lunga avevano preferito lasciarmi sfogare, piangere sino a quando il mio corpo aveva esaurito la dose di lacrime da versare, ma niente di tutto quello era servito a farmi sentire meglio.
…e abbiamo deciso che il nostro caro Russo, il più figo della Luiss, avrebbe dovuto corteggiarla, farla innamorare di lui, e alla fine rubarle la verginità. Non è un passatempo geniale?
E Francesco aveva accettato tutto quello..
Anche se i suoi occhi, dopo la rivelazione di Sara, mi erano sembrati disperati, così come i suoi tentativi di fermarmi, ciò non avrebbe mai giustificato quello che aveva fatto all’inizio. Quella scommessa sarebbe stata orribile per chiunque, e se fosse stato la persona che mi aveva fatto credere, non avrebbe mai dovuto accettare, per nulla al mondo.
Non si poteva giocare in questo modo con i sentimenti degli altri, anche se si trattava di una persona a noi sconosciuta, e magari nemmeno poi così attraente.
«Come va, tesoro?» mi domandò Betta, aggirando il letto e stringendomi tra le sue braccia.
«Sei riuscita a dormire almeno qualche ora?» si preoccupò Sere, afferrandomi la vita e abbracciandomi da dietro.
Rimanemmo così, intrecciate l’una all’altra come un groviglio di corpi, mentre fuori albeggiava e il mondo si preparava ad una nuova giornata all’insegna del divertimento.
«Avevate ragione, ed io non vi ho dato ascolto» dissi loro, ammettendo la mia parte di colpa.
«Ma cosa dici?».
«Non dire stupidate!».
«No, è tutto vero!» insistetti, scostandomi da loro gentilmente. «Fin dall’inizio mi avete messo in guardia su Francesco e sul suo modo di comportarsi da ‘bello e impossibile’, ma io, come una scema, ho creduto che potesse essere diverso da Dario..».
Ogni volta che il discorso verteva sul mio ormai ex-migliore amico, gli occhi mi si riempivano automaticamente di lacrime e sentivo un groppo salirmi alla gola. Quella storia era stata tutto il mio mondo per me, e non avrei mai creduto di poterci ricadere un’altra volta.
«Sono stata una stupida a pensare che uno bello come Francesco potesse accontentarsi di una cozza come me..» sospirai, ammettendo finalmente le mie paure.
«Forse avresti dovuto puntare più in basso» ammise Elisabetta, senza essere troppo maligna.
«Betta!» l’apostrofò Serena indignata. «Non darle retta, Sole!» s’impuntò.
Io la guardai confusa e non capii perché, a differenza della mora, lei continuava, anche se impercettibilmente, a difendere Francesco.
«A volare troppo in alto rischi di farti male cadendo..» continuò Betta, fissando l’amica di traverso.
«Può essere» sorrise Serena, tirando fuori quel suo sguardo romantico e sognatore. «Ma quello che ha visto dopo essere salita sin lassù, credo valga la pena di ogni dolore ricevuto precipitando».
Serena aveva un cuore grande, lo avevo sempre saputo, e nonostante tentasse di fare la dura come Elisabetta, nascondeva in sé il cuore di una vera Romances.
«E questa dove l’hai tirata fuori?» le chiese Betta stizzita.
La bionda fece spallucce e mi sorrise. «Prima di trarre conclusioni affrettate, dagli occasione di parlarti» soffiò sincera.
«Certo! Come quando lo abbiamo incontrato qui fuori ieri sera, che voleva entrare dopo tutto quello che era successo!» ringhiò la mora ancora infervorata.
«E-era q-qui?» balbettai incredula, venendo a conoscenza soltanto in quel momento che Francesco mi aveva seguita ed era venuto a cercarmi.
«Sì..» sospirò Serena prendendomi le mani.
«Non farti incantare come ha fatto lei, Sole! Reagisci, porca miseria!» insistette Betta.
«Siamo state noi a non farlo entrare» mi confessò la bionda. «Ma lui mi ha chiesto di dirti che gli dispiace».
«Capirai!» sentii commentare Betta. «Come se le sue sciocche scuse servissero a riparare quello che le ha fatto!».
Da una parte aveva pienamente ragione.
Due semplici parole non avrebbero mai cancellato tutto il dolore che mi aveva provocato quella sera, e ancora non riuscivo a spiegarmi come avesse potuto accettare quelle orribili condizioni postegli da Sara.
«Andiamo a fare una passeggiata» mi propose Serena. «Vedrai che con un po’ d’aria fresca ti si schiariranno le idee e valuterai se sia giusto o meno dargli la possibilità di spiegarsi».
Annuii poco convinta, ma indossai il primo vestitino che mi capirò a tiro e le seguii nella hall dell’albergo, per poi incamminarci lungo il bagnasciuga.
L’aria di primo mattino era fredda e un brivido mi percorse la schiena mentre vedevo Elisabetta e Serena procedere a braccetto davanti a me, lasciandomi indietro per pensare. Loro sì che erano amiche d’oro e non le avrei scambiate per nulla al mondo.
Tastai una tasca del vestito da mare, alla ricerca del telefono, dopodiché afferrai il cellulare per vedere l’ora e fui sorpresa di trovare un SMS lampeggiante sul display.
Notai che mancavano pochi passi al pontile, quello dove attraccavano le piccole imbarcazioni per fare scalo a Peschici, quindi rallentai il passo e decisi di leggere quel messaggio, che probabilmente non era altro che pubblicità da parte di un qualsiasi gestore.
Pigiai su ‘leggi’ e il messaggio venne caricato, fino a quando mi mancò il respiro leggendo il mittente.
D…
Dario mi aveva scritto e non potevo credere ai miei occhi che si fosse fatto risentire, dopo tre anni di assoluto silenzio.
Ehi, Rayo de Sol
Dovrei buttarmi sotto un ponte per essermi fatto sentire solo adesso, dopo che ci siamo lasciati in quel modo orribile…
Dopo che MI hai lasciata in quel modo orribile..
…ma l’altro giorno ho ricevuto una telefonata particolare, che mi ha lasciato perplesso e mi sono sentito in dovere di indossare, forse per l’ultima volta, i panni del tuo migliore amico.
Q-quale telefonata?
Quel Russo ha del fegato, porca miseria! Non avrei mai creduto di ricevere una telefonata da uno dei tuoi fidanzati gelosi, complimenti Rayo de Sol.
F-fidanzato g-geloso? Oddio ma Francesco cosa aveva fatto?
E a quel punto mi fu tutto chiaro. Il cellulare ritrovato da lui.. il nostro incontro fortuito nella cabina e dopo la misteriosa sparizione del telefono.
Oddio! Aveva telefonato a Dario quel mentecatto!
Ma veniamo al punto, credo proprio che quel tizio, per quanto strambo mi sia parso al telefono, dev’essere cotto a puntino e ancora una volta sei riuscita a far cadere un poveraccio nella tua rete.. e tu che al liceo dicevi ti buttavi sempre giù! Vecchia mascalzona!
Uno di questi giorni ci risentiamo, io alla fine di questa settimana sono a Roma.
Mi manchi tantissimo, Rayo de Sol. Ti amo.
D.
Il mondo mi crollò addosso tutto insieme, senza alcun preavviso. Il cellulare tremava incontrollabilmente tra le mie mani, mentre nella mia mente sfilavano ancora le parole di Dario.. del mio Dario.. di quel ragazzo che mi aveva da sempre ghermito il cuore.
Quel tizio dev’essere cotto a puntino..
Non riuscivo a togliermi quelle parole dalla testa, mentre ormai Betta e Sere erano lontane ed io mi ero rifugiata sul pontile a pensare.
Il cielo terso di quella giornata nascente mi diede modo di riordinare le idee, per quanto il mio cuore fosse in subbuglio. Sentivo di essere ancora irrimediabilmente legata a Dario, ma al suo viso, ora si sovrapponeva quello di Francesco, che amavo quasi con la stessa intensità.
Si potevano amare due persone con la stessa intensità?
Forse sì.. oppure mi sarei dovuta sentire un’ipocrita, una mezza poco di buono a cui non bastava un ragazzo solo, ma addirittura ne desiderava due.
Quei pensieri mi stavano distruggendo e se Francesco non fosse mai apparso nella mia vita, a quest’ora Dario non si sarebbe più fatto sentire. Entrambi mi avevano ferita allo stesso modo e avevano frantumato quel mio piccolo cuoricino, ma nonostante tutto quello, non riuscivo a smettere di amarli.
Rayo del Sol… Dario.
«Sooooleee!». Francesco.
Li sentivo così vicini, dentro la mia testa, dannatamente reali entrambi. Non riuscivo più a credere cosa fosse vero e cosa, invece, era solo il risultato della mia mente confusa e dilaniata.
«SOLE!» sentii nuovamente quel grido, e questa volta alzai lo sguardo, trovandomi davanti agli occhi un veliero bianco con un ragazzo biondo che si sbracciava a prua.
«F-francesco..» balbettai quasi incredula.
«Sole!» gridò lui, sorridendomi e facendomi palpitare il cuore non appena rividi quelle fossette e quegli occhi azzurri che mi avevano tanto fatta penare.
Cosa diavolo ci faceva su una barca? Non soffriva il mal di mare?
In quel momento mi ricordai cosa fosse successo nemmeno ventiquattro ore prima, e decisi di non cedere così facilmente a quel suo modo di fare che riusciva sempre a sorprendermi.
«Cosa vuoi?!» urlai, tentando di  non mettermi a piangere di nuovo.
Francesco manovrò la barca e la avvicinò il più possibile, tentando di non farla arenare sulla spiaggia, dopodiché gettò l’ancora e si sporse sul parapetto.
In quell’istante vidi il nome del veliero e il cuore mancò d’un battito.
Rayo de sol.. e poi venivano a dirmi che il destino non c’entrava nulla.
«Mi dispiace Sole» gridò, superando il suono delle onde. «Sono stato uno stupido ad accettare quella scommessa, ma tu non sai com’ero prima di conoscerti. Uscivo con una ragazza diversa a settimana, la usavo senza ritegno e poi troncavo di netto, perché non potevo permettermi di innamorarmi».
Le week-girl.. quelle di cui avevano parlato Claudia e Ginevra.
«Ma poi sei arrivata tu..» disse, guardandomi intensamente negli occhi e sorridendo. «Tu mi hai insegnato a guardare il mondo in un modo diverso, ad apprezzare la bellezza delle cose non solo dall’aspetto che mostravano, ma soprattutto da ciò che racchiudevano. Mi hai detto di guardare il mondo con occhi diversi, di aprire finalmente il mio cuore e lasciarvi entrare tutto ciò che gli altri avevano da offrirmi.
«Sei stata tu che mi hai insegnato ad amare».
E in quel momento non riuscii più a trattenere le lacrime che sgorgarono libere agli angoli dei miei occhi, rotolando giù per le guance e incuneandosi sul bordo delle labbra fino a quando non le assaporai. D’improvviso sparì Sara e la sua scommessa, sparirono Elisabetta e Serena con i loro consigli, sparirono il villaggio, il mare e la barca, per un attimo anche Dario sparì dal mio cuore.. perché adesso non c’era lui lì al mio fianco e lui non mi tendeva la mano per salire a bordo.
«Ti fidi ancora di me?» mi domandò Francesco e mai prima d’ora lo avevo visto tanto sicuro di una cosa.
Forse avrei dovuto riflettere prima di rispondere, avrei dovuto valutare quanto mi aveva fatto soffrire e quanto tempo ancora avrebbe avuto per ferirmi di nuovo, ma Dario se n’era andato, era lontano chilometri e chilometri da me, aveva scelto di voltare le spalle al mondo e non affrontarlo, mentre Francesco aveva preso di petto la cosa ed ora la mia mano stringeva la sua.
«Ancora per poco» sorrisi, ma quel mio gesto gli diede l’occasione per issarmi a bordo del veliero e stringermi tra le sue braccia con forza tale da non lasciarmi più andare via.

E siamo arrivati alla fine di questo sudatissimo 14° capitolo.. sudatissimo più che altro perché qui nella capitale si muore di caldo ç_____________ç
E insomma questo pseudo-lieto fine, eh? Ci voleva dopo quel brutto finale dello scorso capitolo! >.< Ma anche in questo non poteva mancare il mitico Dario! *fa una statua alla sua Lover per averlo inventato* Chissà se qualcuno di voi ha capito un certo messaggio subliminale lasciato dal bel 'Moro' nel suo SMS alla nostra piccola Sole.. chissà!
uahahhah, come sono maligna!
Ma veniamo al dunque:
Ringrazio moltissimo le 9 persone che hanno trovato il tempo di recensire, sono un po' calate dall'ultima volta, ma va bine, vi lovverò ugualmente! >.< Le 31 che l'hanno messa tra i preferiti, le 9 tra le ricordate e le ben 71 persone che l'hanno aggiunta alle seguite! *________* Vi amo!
Ringrazio tantissimo anche i lettori silenziosi 1369 visite! *__*

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Capitolo 15
*** 15. Una su un milione ***



Capitolo quindici
Una su un milione
E nel momento in cui Sole strinse la mia mano, approfittai di quella sua debolezza e con tutta la forza che avevo in corpo la feci salire a bordo del veliero, virando quel tanto da permetterci di riprendere di nuovo il largo.
La strinsi a me forte, in modo da non lasciarla andare. Avevo paura che se avessi mollato la presa, non avrei più avuto una seconda occasione e Sole sarebbe sfuggita ancora una volta dalle mie mani.
«Puoi lasciarmi adesso» mi disse arrossendo, soprattutto per la vicinanza eccessiva dei nostri due corpi.
«Oh..» mormorai sorpreso. «..scusa» e a malincuore allentai la stretta.
I rossori sulle sue guance si affievolirono, ma non riuscii a distogliere lo sguardo da quelle sue lentiggini color caffè e quella sua espressione da eterna bambina che avevo imparato ad apprezzare in ogni sua sfaccettatura.
Sole abbassò lo sguardo, ma poi mi cercò con quei suoi occhi color perla. «N-non ti h-ho ancora perdonato» mi disse in un soffio e il mio cuore ebbe un tuffo.
C’era da aspettarselo, era ovvio che non aveva cancellato tutto quello che era successo solamente perché avevo noleggiato una stupida barca e l’ero venuta a rapire come un pirata.
«Non merito il tuo perdono» le risposi, tornando a fissare l’oceano davanti a noi. Dovevo trovare qualsiasi altra cosa da fare, altrimenti i suoi occhi e il rossore sulle sue guance mi avrebbero costretto a cedere. Non capivo più niente quando mi guardava così.
«H-hai tradito la mia f-fiducia..» sospirò, avvicinandosi e intrecciando le sue dita con le mie, strette attorno al timone.
Sussultai a quel contatto, ma non le sfuggii. Ormai ero talmente dipendente da Sole che mi sarebbe bastato un semplice sfiorarsi, anche solo uno sguardo, e mi sarei sentito in pace.
«C-come posso crederti?» mi chiese, cercando disperatamente i miei occhi.
Deglutii a vuoto e sentii il dolore al petto intensificarsi.

«Da una settimana ormai» sospirò il biondo, portandosi la mano al petto.
L’altro ragazzo lo fissava in quegli occhi azzurri da eterno bambino, ma nell’espressione del suo visto c’era stupore e meraviglia per quello che ora vi leggeva dentro.
«Amico mio, sai cos’è tutto questo, vero?» gli fece il moro, dandogli una pacca sulla spalla e sedendogli accanto, sul materasso.
Francesco lo guardò stupito, facendo scivolare la mano dal petto fino alla sua gamba. «Non è possibile..» sussurrò, più a sé stesso che all’amico che gli stava vicino. «C-come faccio, adesso?».
Giorgio sospirò e si portò le mani al viso, ragionandoci su. Francesco non sapeva per quale motivo il suo migliore amico, nonostante fosse interessato a Sole, stava cercando di aiutarlo. Avrebbe pensato il contrario, ed era stato addirittura disposto a rinunciare a tutto pur di lasciargli campo libero. Ora perché stava succedendo il contrario?
«Giò» mormorò lui, confuso da tutte quelle nuove sensazioni che stava provando.
Il moro alzò i suoi occhi color nocciola e lo fissò in attesa della domanda. Con un semplice scambio di sguardi si compresero, perché tra di loro ormai le parole erano superflue e dopo quasi otto anni di amicizia, si conoscevano l’un l’altro meglio di loro stessi.
«Francesco» sospirò infine. «Ho avuto un’idea geniale per riconquistarla!».

E così era nata l’idea della barca, del mare e di tutto ciò che aveva legato me e Sole fin dall’inizio. Speravo sarebbe stata una cosa romantica, quasi da film americano, ma si era trasformato in una sorta di interrogatorio da cui non riuscivo a sfuggire.
Ormai è tardi per scappare.. affronta i problemi invece di aggirarli.
Distolsi lo sguardo dal mare e lo intrecciai nuovamente con quello della mia Sole.
Con i suoi capelli mossi dal vento, con la luce del sole appena nato e quelle lentiggini color caffè mi avrebbe stregato, ogni volta come fosse la prima.
«Non puoi» risposi infine alla tua domanda. «Sole, io non sono uno di cui ci si può fidare. Fare affidamento su di me è come sprecare al meglio il proprio tempo. Sono immaturo, inaffidabile, non voglio impegni né legami.. io non ti merito».
Quelle parole uscirono dalla mia bocca, ma non passarono affatto per il cervello. Mi vennero direttamente dal cuore e non riuscii a fermarle. Fluirono libere dalle mie labbra, senza essere filtrate dalla parte razionale che m’impediva di buttarmi in una relazione, ed arrivarono alle orecchie di Sole come note dolci di una canzone d’amore.
«Francesco» mi disse lei, con lo sguardo più tenero che potesse regalarmi. «Se è vero che ti ho insegnato ad amare, allora è anche vero che ti ho insegnato a rispettare te stesso. Sei così diverso dal primo giorno..» sospirò, stringendo ancora più forte la sua mano nella mia e circondando con un braccio la mia vita.

«Non ti accorgi di quanto sei cambiato?» gli domandò Giorgio, prendendolo alla sprovvista mentre tornava dal noleggio imbarcazioni.
«Uhm.. chi, io?» disse ingenuamente il biondo.
L’amico gli sorrise, poi gli strinse la spalla con la mano. «E tu che mi prendevi sempre in giro per essere così dannatamente romantico, eh?».
«Non ricordarmelo» ridacchiò l’altro, poi divenne serio fissando la Rayo de Sol che veniva messa in mare. «Un rifiuto.. non so se riuscirò a sopportarlo».
Giorgio guardò il suo migliore amico, così diverso dopo solo quattordici giorni, e si convinse sempre di più che l’arma più potente del mondo era l’amore, e quella di Francesco ne era la prova vivente.

L’abbracciai a mia volta, poi fermai il timone e lasciai che la barca procedesse trascinata dal vento. Per quelle quattro cose che mi aveva spiegato il noleggiatore, me l’ero cavata piuttosto bene, ma gli accenni del mal di mare cominciavano a farsi sentire.
Avevo promesso a me stesso che non sarei mai più risalito su una barca in tutta la mia vita, ma Sole meritava tutto questo e, poi, non potevo più tirarmi indietro.
«P-per la scommessa» iniziai, non sapendo dove quel discorso mi avrebbe portato. «Se potessi tornare indietro, manderei a quel paese Sara e le farei ingoiare a forza la sua stupida proposta.. mi sento così idiota adesso, col senno di poi..».
Era tutto vero. Ripensando a più di una settimana fa quasi non mi riconoscevo. Francesco Russo non avrebbe mai fatto una romanticheria del genere per una ragazza, anzi, Francesco Russo non avrebbe mai fatto nulla per nessuno, perché gli importava soltanto di sé stesso.
Era cominciato tutto con l’altruismo nei confronti di Giorgio e per la sua cotta per Sara, poi, dopo quello, per me era rotolato tutto in discesa, verso un baratro profondo da cui non sarei più riuscito a risalire.
«Appena Sara me lo ha detto, mi è sembrato di tornare indietro a tanti anni fa» sospirò lei, con gli occhi che le divennero man mano più tristi.
«Quel Dario ha fatto più danni di quanto mi sarei mai immaginato» sibilai, senza poter evitare di provare una certa rabbia nei confronti di quel pallone gonfiato che aveva osato trattare Sole in quel malo modo.
«È difficile capire cosa passa nella sua testa» ridacchiò lei, mentre il suo sguardo riacquistò serenità. Era come se il nome di quello sbruffone le provocasse degli alti e bassi sentimentali e, nonostante l’avesse fatta soffrire, le era impossibile evitare di rivolgergli un pensiero. «Io ci ho messo una vita e quando pensavo ormai di aver intuito tutto, lui mi ha stupita di nuovo e se n’è andato».
Non appena il suo sguardo si rabbuiò a causa di quel Dario, un’innata iperprotettività mi costrinse a stringerla più forte al mio petto, facendole posare la testa e sentire il mio cuore che batteva forte.
«Smettiamola di parlare di quel coglione» le dissi e lei mi restituì un sorriso mezzo stiracchiato.
Anche se non lo avrei mai ammesso, sentivo che provava ancora qualcosa per Dario, e quel suo distacco ogni volta che quel nome appariva nelle nostre conversazioni, mi faceva incazzare come una bestia.
Per la prima volta, dopo ventitré anni, mi ero innamorato ed ora dovevo combattere contro un fantasma che abitava a migliaia di chilometri da dove eravamo e non si faceva più sentire da anni. Non era affatto giusto.
«È solo c-che..» cercò di dire lei, imbarazzata all’ennesima potenza. «D-dario farà sempre parte della mia vita.. non posso cancellarlo da un giorno all’altro».
Deglutii a vuoto e strinsi le mani a pugno, poi fui costretto a correre verso il parapetto e a vomitare quel poco che avevo in corpo dalla mattina. «Gesù..» sibilai, tenendomi lo stomaco e scivolando sul parquet dell’imbarcazione.
Sole accorse tutta preoccupata e mi strinse tra le sue braccia, cullandomi quasi come fossi un bambino. Bastò la sua vicinanza a rassicurarmi e il mal di mare sparì quando i miei occhi incontrarono i suoi.
«L-la scommessa sarà anche iniziata come un gioco» le sussurrai, con la bocca ancora impastata dalla bile. «Ma io ti giuro che il Francesco che hai visto questi giorni è quello vero, non ti ho mai mentito. Mi sento così stupido ad ammetterlo.. non mi era mai capitato prima».
La confusione che regnava nella mia testa, sommata a quel dannato mal di stomaco, cominciava a farmi dire delle cose senza senso.
«C-che vuoi d-dirmi?» mormorò Sole imbarazzata.
E fu in quel momento che il sole sorse all’orizzonte, infrangendosi alle spalle di lei e donandole un’aurea dorata. Mi alzai lievemente, facendo perno col gomito, e le passai un braccio attorno alla testa, avvicinandola a me e fissandola in quegli occhi grigio perla.
La confusione era palese nei suoi occhi, ma non le diedi tempo di pensare. Le mie labbra si posarono sulle sue e assaporai ogni momento di quel contatto, perché era da troppo tempo che non la sentivo così vicina. Mi mancava come l’aria dannazione e non sapevo se sarei riuscito più a stare un giorno senza vederla.
«Voglio dire che mi piaci» le confessai, sentendo il cuore farsi più leggero.
Alle volte, ammettere i propri sentimenti aiuta a sentirsi meglio.
Le iridi di Sole s’illuminarono, raggiungendo il colore dell’argento, e rimasi stregato da quanto potesse essere bella. Altro che quel Dario che non era riuscito ad amarla completamente.. io non sapevo nemmeno se tutto il mio cuore le sarebbe mai bastato.
«Vieni» mormorò lei, prendendomi per mano e aiutandomi ad alzarmi.
Obbedii senza contraddirla, anche perché non avevo idea di cosa volesse fare, ma quando vidi l’alba all’orizzonte mi sentii in qualche modo più libero della notte precedente. Mancavano ventiquattr’ore alla fine ufficiale di quella vacanza, ma sapevo che nulla ormai ci avrebbe più divisi.
Sole si diresse verso la porta che ci avrebbe condotti sottocoperta e pensai che volesse prepararmi una tisana per alleviare quel dannato mal di pancia, così la seguii senza fare storie.



La mia mano scottava, intrecciata nella sua, soprattutto per il fine che volevo raggiungere senza il minimo accenno di malizia.
Non sapevo cosa mi fosse preso, ma non appena gli avevo sentito pronunciato quelle parole, era come se un moto dentro di me si fosse attivato e il desiderio che avevo di Francesco si era risvegliato all’improvviso.
Mai nessuno era riuscito a farmi provare sensazioni del genere.. nessuno tranne Dario.
Basta, Sole! Devi smetterla di fare i paragoni.. chi dei due sta adesso al tuo fianco?
«La cucina è di qua» mi fece notare Frà, con quei suoi occhi azzurri così limpidi che sembravano il cielo d’Agosto. Non aveva ancora capito cosa avessi in mente.
A quel punto gli sorrisi imbarazzata, sentendo le guance andare a fuoco, dopodiché tirai nuovamente la sua mano superando l’angolo cottura ed entrando in un’angusta stanzetta da letto.
Sapevo che un’imbarcazione di quel calibro, per quanto l’avesse pagata, era dotata di una cuccetta per la notte, e il bacio a fior di labbra che mi aveva regalato poc’anzi, aveva risvegliato nella sottoscritta degli istinti primordiali sopiti da tempo.
Non appena Francesco comprese dove lo stessi portando, spalancò gli occhi e un sorriso sincero gli si dipinse in volto, e le fossette agli angoli del suo viso spuntarono fuori facendomi sussultare il cuore.
Mi avvicinai al letto e lo tirai verso di me, alzandomi in punta di piedi, cercando le sue labbra come fossi affamata. Avevo bisogno di offuscare il mio cervello, di smetterla di fare paragoni con Dario, avevo bisogno di avere qualcosa di soltanto nostro, di mio e di Francesco, qualcosa in cui Dario non c’entrasse nulla.
Francesco dischiuse immediatamente le labbra, ma stavolta fui io ad intrufolare la lingua alla ricerca della sua, circondandogli le spalle con le braccia e intrecciando le dita nei suoi capelli biondi. Sentii le sue mani sui miei fianchi, mentre delineavano incerti e bramosi le mie curve piuttosto abbondanti, ma non si spingevano oltre l’orlo della maglietta.
Dario non avrebbe perso tempo, invece Francesco aveva paura di rovinare tutto, di perdermi di nuovo. E questa era la differenza sostanziale che li distingueva l’uno dall’altro, che mi aveva fatta innamorare di nuovo, dopo tanti anni.
Armata di coraggio, afferrai una delle sue mani vacanti e la misi al di sotto della coppa del mio reggiseno, sussultando a quel contatto.
Per un attimo ci staccammo e i nostri occhi s’incontrarono. Il blu e il nero, mescolati come il giorno e la notte, così diversi eppure perennemente legati l’uno all’altra. Arrossii di colpo per quel mio gesto disinibito, e Francesco mi fissava ancor più confuso e indeciso.
Abbassai lo sguardo, incapace di sostenere quelle iridi cerulee ancora per un minuto, poi sentii le sue labbra posarsi sulla punta del mio naso, per poi scendere sulla guancia imporporata d’imbarazzo, proseguire all’angolo della bocca e infine a suggermi il labbro inferiore, costringendomi a dischiudere le labbra e ad emettere un mezzo gemito.
«Mi farai impazzire..» sussurrò roco, mentre cercava disperato il mio sguardo.
Deglutii l’aria e mi fiondai nuovamente sulle sue labbra, senza riuscire a staccarmi più da lui. La mano di Francesco si strinse sul mio seno, ma ben presto scese e afferrò i lembi della maglia, tirandomela sopra la testa e lanciandola alle nostre spalle.
Con mani tremanti tentai di sbottonagli la camicia di lino che indossava, ma indietreggiando inciampai sul materasso e caddi di schiena sul letto, afferrando Francesco e tirandomelo addosso manco a farlo apposta.
Ci guardammo sorpresi per un attimo, poi scoppiammo a ridere in simultanea come due deficienti e le nostre risa riempirono quella stanzetta angusta, cullata dalle onde del mare.
Francesco poi ritornò serio e si morse il labbro inferiore. «Riesci ad essere dannatamente sensuale e nemmeno te ne accorgi» mi confessò sincero, mentre io sentivo i miei capelli completamente arruffati e il reggiseno con le spalline sbilenche.
Tornò a catturare le mie labbra con un bacio, ed io non potei fare a meno di spalancare le braccia ed accoglierlo mugolando come una gattina.
L’unica nota positiva della storia con Dario, era che almeno non mi sentivo più impacciata come la prima volta. Per quanto mi avesse trattata male, il Moro mi aveva insegnato uno o due cosette importanti.
Le mie mani tornarono a slacciare la camicia di Francesco, mentre lui fece percorrere una scia di baci roventi lungo tutto il mio collo, per poi raggiungere il petto. Inarcai la schiena non appena, in un gesto secco, la sua mano abbassò la coppa del reggiseno e la sua lingua lambì il capezzolo rosa e turgido nascosto al di sotto della stoffa.
«Fra-ah..» sospirai, lasciando per un attimo i bottoni e andando a stritolare il lino della sua camicia per non urlare.
«S-scusa..» soffiò lui, cercando ancora una volta le mie labbra. «Non riesco a trattenermi con te..» ammise ed io giurai che sul suo viso ci fosse un accenno d’imbarazzo.
Mi fece così tenerezza in quel momento, e lo volli ancora di più su di me. Finii di sbottonagli la camicia e Francesco si scostò un attimo per permettermi di sfilargliela, beandomi di quel corpo abbronzato.
Era la seconda volta che vedevo un ragazzo quasi nudo, e non potevo fare a meno di pensare a quanto fossi fortunata di aver trovato un altro semi-Dio che voleva fare quel genere di cose con una come me.
«Uhm.. che c’è?» mi chiese lui, incuriosito da quel mio sguardo bramoso.
Andai a fuoco completamente sotto il suo sguardo, mentre le sue iridi cristalline avevano scoperto la mia ingordigia.
«È c-che..» balbettai, cercando le parole più adatte. «S-sei bellissimo..» dissi in un soffio, sprofondando nell’imbarazzo più totale. Afferrai un cuscino e me lo spalmai sulla faccia, incapace di sostenere ancora il suo sguardo divertito.
«Che fai?» ridacchiò lui, riprendendo a baciarmi la pancia.
Le sue labbra bollenti risalirono fino al petto, mentre la saliva umida stemperava un poco la mia pelle che aveva raggiunto i 40°C. Posò un bacio sullo sterno, in mezzo al seno, poi risalì sempre più verso l’alto, sollevando il cuscino e insinuandosi al di sotto, cercando le mie labbra che io non gli feci mancare.
«Devo confessarti una cosa» mi sussurrò, tornando a lambire la pelle dietro l’orecchio. «Sei la cosa più bella che abbia mai avuto».
Dopo quelle parole l’aria sparì tutto d’un tratto e fui costretta a gettare il cuscino per terra alla ricerca di un po’ d’ossigeno. In quel momento di debolezza i nostri sguardi s’incrociarono ancora.
Francesco era bellissimo e perfetto, ed era incredibile che ci fossi io tra le sue braccia.. io che non ero nulla di speciale.
Sentivo il cuore che stava per esplodermi nel petto e tutto il mondo al di fuori della barca sarebbe anche potuto finire in quel momento. A me sarebbe bastato lui.. per sempre.
Lentamente le sue dita mi sfiorarono i fianchi, scendendo fino alle cosce ed alzando lievemente la gonna di jeans. Cercai nuovamente le sue labbra, mentre le dita s’intrufolarono sotto gli slip e cercarono bramose la mia entrata umida e fremente.
Era da tanto che non facevo sesso, dovevo ammetterlo a me stessa, ma ero più che pronta e con Francesco avrei fatto di tutto.
Delicatamente un dito scivolò all’interno, strappandomi il respiro e facendomi muovere lentamente il bacino verso di lui, incontrando il cavallo pieno dei suoi pantaloni.
«Mhm..» mugolò lui, strizzando gli occhi dal dolore.
Lo guardai mortificata, ma ebbi poco tempo per realizzare quello che stava succedendo, perché Francesco cominciò a muovere le dita e la vista cominciò improvvisamente ad annebbiarsi.
«Ah.. Fr-Franc..» non riuscivo nemmeno a pronunciare il suo nome perché cervello e bocca erano ormai disconnessi.
«T-ti ho fatto male?» si preoccupò lui, smettendo per un attimo quella dolce tortura.
Io spalancai gli occhi, perdendomi in quel mare d’azzurro, e per poco non sentii le lacrime spingere agli angoli degli occhi. Si preoccupava per me, nonostante era evidente che stesse soffrendo.
Come potevo non amarlo?
Gentilmente spostai la sua mano e lo feci distendere sotto di me, mentre il suo sguardo confuso aspettava ancora una risposta da parte mia.
A quel punto tornai a cercare le sue labbra, mentre presi in prestito lo sguardo malizioso e il sorriso malandrino di Dario per l’ultima volta.
Le mie mani andarono a sbottonare i bermuda di Francesco, abbassando la zip, e non appena le mie dita sfiorarono il rigonfiamento lampante nei boxer, lui spalancò gli occhi e un gemito roco sfuggì da quelle morbide labbra tumide.
«D-dio..!» imprecò, afferrandomi il polso con la mano.
I suoi occhi erano chiusi, la mascella tesa e con i denti si mordeva il labbro inferiore facendolo quasi sanguinare. Io gli tolsi gentilmente la mano dal mio braccio, poi gli carezzai il viso e andai a succhiare un rivolo rosso di sangue che colava sul bordo del suo mento.
Francesco rimase di sasso e non si mosse ma continuò a guardarmi con le iridi spalancate, da chi non ha mai provato tali sensazioni.
Lentamente tornai a farlo distendere sul materasso, poi dalla bocca proseguii verso il basso, passando con la lingua sul suo ampio petto dorato, disegnando ogni muscolo di quel suo fisico asciutto e perfetto, mentre dalla mia mente tentavo di cancellare continui flashback di Dario che apparivano nella mia mente.
«S-sole.. ch-che vuoi far..ah..» gemette lui, ma si fermò non appena con la punta delle dita scostai in un solo gesto i boxer che ormai erano diventati una costrizione per lui.
Riecco il pitone, Sole.. che ne vogliamo fare?
Questa volta sarebbe stato diverso.. non avevo più sedici anni e non dovevo avere paura di una cosa così splendida e meravigliosa.
Deglutii cercando un po’ di coraggio, mentre Francesco mi fissava in uno stato di semi-trance, in completa adorazione di quello che stavo per fare. Mi umettai le labbra e le dischiusi, dopodiché accolsi la sua intimità che scivolò perfettamente fino in fondo al palato, facendo sfuggire un grido roco e soffocato dalla bocca di Frà.
Con la coda dell’occhio lo vidi stritolare le lenzuola sotto di lui, chiudendo gli occhi e trattenendosi dal spingere il bacino verso di me in un gesto istintuale. Posai le mani sulle sue anche, disegnandone la V che scendeva sino al pube, poi strinsi la sua eccitazione, strappandogli un grido, e m’interruppi un attimo per godermi appieno quel suo viso arrossato e sofferente.
Non potei fare a meno di tirare fuori un sorrisetto compiaciuto, prendendomi una sorta di piccola vendetta per tutte le volte che la sua vicinanza mi aveva fatta penare. In quel momento ero io a tenere in mano le redini del rapporto e non potei fare a meno di esserne compiaciuta.
Francesco deglutì a vuoto e riaprì gli occhi per un attimo.
Era così bello con i capelli scompigliati, gli occhi liquidi e larghi dalla passione, quelle labbra rosse e tumide mentre il suo petto si alzava e si abbassava in cerca d’ossigeno.
Senza perdere tempo tornai a torturarlo con la lingua e con le mani, come mi aveva insegnato Dario, ma in quel momento scacciai via il suo pensiero perché in quella stanza c’eravamo soltanto io e Francesco.
Ad un certo punto lo sentii sfiorarmi i capelli, ma lo ignorai.
«S-sole f-fermati.. dannazione!» sputò fuori in un urlo disperato. Alzai lo sguardo e incontrai il suo. Francesco prese delle lunghe boccate d’aria e mi attirò di nuovo a sé. «C’è mancato poco..» ridacchiò come un bambino. «Sei dannatamente brava..».
Arrossii di colpo a quel complimento, soprattutto perché mai mi sarei aspettata di riceverne uno del genere, soprattutto da un figo pazzesco come Frà.
«Vieni qui» mi disse attirandomi a sé e facendomi stendere sotto di lui, riempiendomi ancora di baci.
La sua lingua rovente percorse di nuovo il mio corpo e in quel momento non mi bastava più averlo in quel senso. Volevo sentirlo appieno, volevo essere legata intimamente a lui e mai mi era capitato di desiderare una cosa tanto intensamente.
Con Dario era successo per caso, quasi come un esperimento, ma con Francesco ero cosciente delle mie azioni e sapevo quello che volevo.
Mi sbottonai la gonna e la feci scivolare in basso, insieme agli slip, sottostando allo sguardo confuso di Francesco. Gli restituii un sorriso, poi cercai nuovamente le sue labbra, vergognandomi un po’ che vedesse il mio corpo.
Istintivamente mi coprii, ma Francesco afferrò le mie mani e cominciò a baciarle, sorridendomi di tanto in tanto e leccandosi le labbra sensualmente beandosi del mio corpo. Con quei suoi occhi riusciva a farmi sentire bellissima, importante più di ogni altra cosa.
«Sei perfetta» mi sussurrò all’orecchio.
Io lo strinsi, passandogli le braccia attorno al collo. «Ti voglio» gli dissi e lui mi guardò sorpreso.
«Sicura?» chiese dolcemente ed io sentii il cuore mancare d’un battito.
«Più di quanto sia mai stata fino ad ora» gli risposi.
Non sapevo se fosse stato come la mia prima volta, se avesse fatto male altrettanto o se fosse stato tutto piacere, l’unica cosa che sapevo era che desideravo Francesco più di me stessa.
Le sue mani allargarono delicatamente le mie gambe, mentre sentii la sua eccitazione turgida che sfiorava la mia e un brivido mi percorse la schiena. Più tentavo di trovare motivi validi per fermarmi, più non mi venivano in mente, perché la storia con Francesco non era stata una semplice cotta estiva ma qualcosa di molto più vero.
La nostra storia non è solo un’avventura..
Quando, in una spinta delicata, entrò completamente dentro di me riuscii solamente ad aggrapparmi alle sue spalle con tutta la forza e reclinai la testa all’indietro colta da un piacere inimmaginabile.
Faceva ancora un po’ male, dovevo ammetterlo, era da tanto che il sesso non faceva più parte della mia vita, ma la sensazione di sentirlo finalmente dentro di me era imparagonabile a qualsiasi piccolo fastidio che provavo.
«Male?» mi chiese, premuroso come sempre.
Non gli risposi, ma cercai nuovamente le sue labbra e strinsi le gambe attorno al suo bacino per incitarlo a continuare.
Francesco cominciò a muoversi con una delicatezza infinita, mentre dal suo viso traspariva il bisogno impellente di aumentare il ritmo. Si stava trattenendo per non farmi male e in quel momento, se avessi potuto, mi sarei strappata il cuore dal petto e glielo avrei donato senza ripensamenti.
«Più forte..» gli sussurrai e lui sembrò guardarmi con un certo sospetto, non del tutto convinto che lo volessi anche io.
Poco dopo il dubbio scomparve e il ritmo si fece più intenso, facendo disconnettere ogni neurone cognitivo di cui disponeva il mio corpo. Non ricordavo quelle incredibili sensazioni ed ero sicura che l’adolescenza non mi aveva fatto godere appieno di quella meravigliosa magia che era il ‘fare l’amore’.
«Mi p-pia.. ah.. ci Sole.. d-da morire..» mi sussurrò roco all’orecchio, mentre puntava i gomiti sul materasso, cercando di non schiacciarmi col suo peso.
«Ti amo Frà..» risposi io, a bassa voce.
Non mi sentì, ma non era quello l’importante. Finalmente avevo capito di potermi innamorare di nuovo, anche dopo tutto quello che mi era successo.
«A-aspetta..» mi disse, tentando di uscire da me.
«Dove vai?» gli chiesi preoccupata, stringendolo a me e non lasciandogli via d’uscita.
Francesco cercò i miei occhi e specchiò il ceruleo delle sue iridi nei miei pozzi scuri. «N-non abbiamo usato precauzioni» disse «n-non posso.. ehm.. venire».
Come una stupida mi ricordai troppo tardi di quel particolare e mi stupii di non averci pensato per prima. Sapevo come sarebbero andate le cose se almeno uno dei suoi spermatozoi avesse incontrato il mio ovulo, ma l’idea che quel calore mi abbandonasse mi faceva sentire male.
Avvertivo un vuoto dentro di me e non riuscivo più a separarmi da lui.
«Non andartene» gli dissi in un soffio.
«M-ma?» chiese lui dubbioso, ma non gli diedi tempo di replicare perché mi fiondai nuovamente sulle sue labbra.
Francesco allora mandò al diavolo tutto quanto e continuò a muoversi con desiderio dentro di me, facendomi sfuggire mugolii incontrollati dalle labbra. Non m’importava più niente a quel punto, né di Dario, né della mia famiglia e neppure del viaggio che avrei dovuto fare una volta tornata a casa.
In quella cabina eravamo soltanto io e lui, mentre il resto del modo ci guardava da fuori, invidioso di quello che avevamo l’uno per l’altra.
«Sole sto per.. ah.. p-per..» balbettò, infossando il viso nell’incavo della mia spalla, mentre io sentivo un calore crescente nel bassoventre che mi spinse ad inarcare la schiena e a reclinare la testa all’indietro, stringendo ancora più forte Francesco al mio corpo.
Dario..
Un calore intenso mi pervase e mi sentii completamente priva di ogni forza.
Francesco si spalmò completamente contro di me, sfiancato ed esausto. Rimanemmo abbracciati per non so quanto tempo, senza trovare la forza per separarci.
Quello per me era il momento più bello di ogni rapporto, i minuti successivi in cui si vedeva l’amore che teneva unite due persone.
«È stato bellissimo» mi confessò lui, senza trovare il coraggio di guardarmi.
Si scostò da me e rotolò sull’altro lato del letto, tenendosi un braccio sugli occhi e respirando ancora faticosamente. Sapevo che era stato difficile per lui cambiare così tanto in soli quattordici giorni, ma era proprio per quel motivo che mi ero innamorata di lui.
Mi avvicinai e mi accoccolai contro il suo petto, costringendolo a togliersi il braccio davanti al viso e passarlo attorno alle mie spalle.
«Tu sei bellissimo» gli confessai imbarazzata.
«Uhm..» borbottò, poi scoppiò a ridere.
«Che c’è?» chiesi io, facendo perno sul gomito e cercando i suoi occhi.
«Pensa quando torneremo a Roma cosa dirà mia madre e il mio patrigno» sghignazzò ancora, senza riuscire a trattenersi. «Francesco Russo fidanzato, è una barzelletta!».
Tirai fuori un sorriso stiracchiato, non tanto per la sua battuta, quanto per il pensiero che una volta tornata a Roma avrei avuto giusto il tempo di lavare i vestiti e poi sarei dovuta partire per Bali.
«Già..» mormorai rabbuiandomi.
Perché non riuscivo a trovare il coraggio di dirglielo? Tanto sarebbe venuto a saperlo lo stesso, ma avevo paura di interrompere quella magica armonia che ormai si era instaurata tra di noi. Era talmente fragile che sarebbe bastato un nonnulla per incrinarla e spezzarla di nuovo.
Mi staccai da lui e mi sedetti sul materasso, dandogli le spalle.
Alla fine Francesco, in un modo o nell’altro, era riuscito a confessarmi il suo segreto, mentre io marciavo ancora imperterrita nella menzogna, inabissandomi sempre di più.
«Cosa c’è?» mi chiese lui, sedendosi dietro di me e cominciando a darmi dei baci teneri e lenti sulle spalle.
Ormai era tardi, lo amavo troppo per continuare a mentire.
«Francesco» cominciai seria. «Devo dirti una cosa».


*Si aspetta di essere linciata da un momento all'altro* Lo so, lo so, non avrei dovuto terminare in questo modo il capitolo, sono troppo crudele! Uhuh, ma siamo alle ultime battute, mie care, mi duole dirlo!
La vacanza è quasi giunta al termine, così come la storia di Sole e Francesco. Non so se il prossimo sarà l'ultimo capitolo oppure il penutlimo, però non ne mancano molti ç______________ç
E insomma questi due monelli hanno fatto bunga bunga eh? Non si fà! No, no! Ma erano così dolci insieme e non ho saputo resistere!
Per chi avesse letto 'Mistake' direi che la Sole di adesso è molto più disinibita di quella di un tempo ;P brava ragazza! Hai fatto vedere le stelle a quel poveraccio di Frà!
Ringrazio di tutto cuore chi recensisce -> siamo arrivati a 106!!! O.O'' vi amoo!!!!!!!

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Capitolo 16
*** 16. Partenze e addii ***



Capitolo sedici
Partenze e addii

«Francesco» cominciò seria. «Devo dirti una cosa».
Mi dava ancora le spalle e anche se non la vedevo, avrei giurato che le sue guance fossero color porpora. Si trattava di qualcosa d’importante, di una notizia che serbava da tempo.
Da principio cercai di non sentirmi nervoso, in fondo Sole non era il tipo da nascondermi qualcosa d’importante, ma quando si voltò verso di me, i suoi splendidi occhi color perla erano lucidi, e lì il mio cuore mancò di un battito.
«D-domani è il q-quattordicesimo giorno» balbettò confusa, «s-si parte…».
Non riuscivo a capire per quale motivo se ne doveva uscire con questa notizia dopo che avevamo fatto l’amore, dopo che finalmente le avevo confessato tutto, le avevo aperto il mio cuore come mai a nessun’altra. Perché rovinare questo momento?
Fare l’amore, ma come siamo sdolcinati…
Poi ci si metteva anche la mia coscienza a completare il quadretto che mi si presentava davanti.
Mi avvicinai per accarezzarla e le spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «E allora?» le risposi, come a volerla rassicurare che anche una volta tornati a Roma per nulla al mondo l’avrei lasciata andare. «Io non andrò da nessuna parte senza di te».
Sole cercò i miei occhi con lo stesso bisogno con cui io cercavo i suoi, ma poi abbassò lo sguardo con imbarazzo.
«N-non è s-solo questo...» insistette, arrossendo ancora.
Era evidente che la questione la turbava, ma fino a quando non mi avrebbe parlato della questione, non potevo far nulla per aiutarla.
«Non devi avere paura» la rassicurai. «Io ti voglio bene».
Il ‘ti amo’ non ti esce proprio, eh?
Sole tornò a guardarmi con una speranza in più, poi deglutì e si fece coraggio. «Ho fatto domanda per una specie di Erasmus, ma è più un viaggio per approfondire gli studi sulla diversità delle specie e sull’applicazione dei concetti darwiniani» sospirò.
Ovviamente non avevo capito nulla dopo ‘ho fatto domanda’, ma annuii ugualmente perché sarebbe stato scortese chiederle di ripetere la frase, manco avessi cinque anni.
«Buon per te» risposi con una scrollata di spalle, cercando nuovamente le sue labbra perché non riuscivo a starle lontano. Sole tentò di respingermi, e alla fine si sdraiò sul materasso, con me al suo fianco, scostandomi delicatamente.
«È una cosa seria» mi rimbeccò, ma fu in quel preciso istante che notai una macchia vicino al suo petto, proprio sotto il seno sinistro.
«Cos’è?» le domandai, volendo subito indagare, e lei, appena se ne accorse, tentò in tutti i modi di coprire quella specie di simbolo, arrossendo di colpo.
«Non è niente!» ridacchiò, coprendosi il seno con le mani.
«E dai, fammi dare una sbirciatina!» insistetti io, curioso come non mai.
Sole tentava di divincolarsi dalla mia presa, ma in breve tempo riuscii ad immobilizzarla e lei mi lasciò scoprire un piccolo tatuaggio a forma di lucchetto.
«Hai capito la tenera e innocente Sole con un tatuaggio quasi come Marlin Manson!» ridacchiai, prendendola in giro.
«Non è volgare!» rispose lei, pentendosi di avermelo fatto vedere.
«Ma dai, scherzo!» sorrisi, sfiorandole le labbra con un bacio. «E quale sarebbe il motivo dietro a questa ‘pazzia’?» le chiesi curioso.
A quella domanda Sole si scostò da me quasi come se scottassi. Tornò a sedere sul bordo del materasso e torturò il lenzuolo con le mani. Cosa caspita avevo fatto questa volta?
«È complicato» si limitò a dire, ma non aggiunse altro.
Quel suo sguardo poteva voler dire soltanto una cosa: Dario.
Mi trattenni dal lanciare l’abatjour contro la parete della barca e mandarla in frantumi, soltanto perché così avrei peggiorato le cose, ma l’apparire continuo di quel bastardo nei nostri discorsi cominciava a darmi sui nervi.
Più tentavo di evitare l’argomento e più ogni cosa che facevo era inevitabilmente legata al Moro.
«Insomma cosa volevi dirmi riguardo alla partenza?» tentai di cambiare argomento, ma gli occhi spalancati di Sole, mi suggerirono che avevo toccato un’altra volta un tasto dolente.
Deglutì a vuoto, poi si alzò e cominciò a rivestirsi, facendomi preoccupare. Per quale motivo continuava a temporeggiare? Cosa c’era di così tremendo in quello che mi voleva confessare?
Trovai i boxer e li indossai, facendo il giro del letto e afferrandola per un polso. «Fermati e parlami» le chiesi quasi implorante.
Sole mi restituì uno sguardo preoccupato, poi sospirò e si arrese.
«Quando torneremo a Roma, dovrò partire di nuovo» mi confessò, mentre le tremava la voce. «Andrò a Bali».
Bali.. in geografia non ero un asso, ma quella città mi suonava come ‘dall’altra parte del mondo’.
Arcipelago indonesiano, capra!
«B-beh!» tentai di sdrammatizzare. «E perché sei così triste? Magari potessi aggregarmi anch’io! Ti fai due vacanze di seguito!».
Ovviamente il peggio doveva ancora venire.
Sole tentò di puntare le sue iridi color perla in un qualsiasi punto lontano dai miei occhi, ma io non riuscivo a distoglierlo dalle sue dolcissime efelidi color caffè.
«V-veramente non ti ho detto tutto» mi fermò, tornando a guardarmi.
Mi avvicinai a lei e le posai le mani sulla vita, tirandola verso di me e facendole appoggiare il viso sul mio petto. Le volevo infondere sicurezza, ma morivo dalla voglia di sapere cosa la spingesse a comportarsi così.
«Cos’è che non mi vuoi dire? Non credo sia più terribile di quello che io ti ho nascosto».
Lo so, non era corretto ritirare fuori quella storia proprio ora che sembrava che Sole mi avesse perdonato, ma volevo farle sapere che non mi sarei arrabbiato, qualunque cosa mi avesse detto, perché nulla di quello che avrebbe fatto, era paragonabile alla scommessa di Sara.
Sole alzò gli occhi e li puntò nei miei, con quel suo visino rotondo e arrossato. Amavo ogni particolare del suo corpo, ogni minima imperfezione di quel suo viso. Mai mi ero fermato ad osservare tutti quei dettagli di una ragazza, troppo interessato a mantenere le distanze, ma con Sole, quei quattordici giorni insieme erano volati e il pensiero di poter passare altro tempo con lei mi rendeva stranamente felice.
«Dovrò stare via un anno circa» aggiunse infine, lasciandomi senza fiato.
Avevo capito bene? Un anno?
«Eh?» bofonchiai, troppo confuso dalle sue parole. Magari con il caldo afoso che c’era in quell’angusta stanzetta, l’informazione non era arrivata al mio cervello e avevo recepito male.
Sole sembrò improvvisamente spaesata, come se la mia risposta l’avesse tutto ad un tratto gettata nel panico.
«Lo sapevo… n-non avrei dovuto parlarti del viaggio, ma l’ho accettato prima di conoscerti, prima che succedesse tutto questo! Ormai ho dato la mia parola e devo andare a Bali per quel tirocinio».
Okay… le mie orecchie avevano sentito bene.
E ora cosa le rispondi, genio? Dalle relazioni occasionali di un week-end, sei passato ad una storia durata due settimane ed ora siamo già arrivati ad una cosa a ‘distanza’? Quanto durerai... tre giorni?
«No, no, ma cosa dici?» le dissi, cercando di calmarla e avvolgerla nel mio abbraccio. «Hai preso un impegno e devi assolutamente portarlo a termine!».
Sole mi guardò rincuorata e mi regalò un sorriso che mi fece palpitare il cuore, ma dall’altra parte c’era la consapevolezza di non riuscire in quell’impresa, di rinunciare prima ancora di cominciare. Se non ero maturo abbastanza da avere una relazione che durasse più di una settimana, come potevo impegnarmi per un anno intero senza nemmeno poterla vedere?
«Mi aspetterai, vero?» mi sussurrò, regalandomi piccoli e teneri baci sul petto.
Non le risposi, ma posai il mento sul suo capo, tenendola stretta con tutta la forza che mi era rimasta nelle braccia. Ero certo di provare qualcosa di forte per Sole, qualcosa che non avevo mai provato prima, ma non avendo mai avuto a che fare con questo genere di sentimenti, avevo paura di sbagliarmi e di poterla ferire di nuovo.
Oppure hai paura tu di rimanere scottato?
Quello stesso pomeriggio riportai la barca al deposito e mi feci ridare i soldi della caparra. Sole era estremamente radiosa e non la finiva di sorridermi, a me come a qualsiasi persona che passava di lì.
«La sua ragazza è meravigliosa» mi disse il barcaiolo, ammiccandomi complice.
«Sì, lo so» gli risposi io, stiracchiando un mezzo sorriso.
Il sentire finalmente il nome ‘Sole’ associato alla ‘mia ragazza’ non poteva far altro che rendermi felice, ma quando ciò succedeva, automaticamente il mio pensiero tornava al viaggio a Bali e ai 365 giorni da passare in sua assenza.
«Cosa facciamo oggi?» mi domandò prendendomi sotto braccio e passeggiando sul bagnasciuga. «È l’ultimo giorno prima della partenza! Dovremmo spaccare tutto!».
Era euforica e una nuova luce le brillava negli occhi, e più la guardavo, più m’innamoravo di lei ogni volta, come fosse la prima, ma quel pensiero opprimente mi stava logorando l’animo. Avevo giurato a me stesso di non mentirle più, ma come potevo raccontarle le mie preoccupazioni senza ferirla?
Mi sentivo così stupido. Dovevo rimanere da solo a pensare, dovevo trovare qualche idea per rimediare.
«S-senti Sole, perché non vai in hotel, poi ti raggiungo? D-devo fare una cosa...» le dissi, e lei sembrò sorpresa da quella mia richiesta, ma non si preoccupò più di tanto.
Mi schioccò un bacio a fior di labbra e si incamminò verso il Villaggio Julia. Io la guardai allontanarsi, dopodiché decisi di recarmi verso gli scogli e di rimanere seduto a pensare, magari facendomi consigliare dal mare.



Camminai sulla passerella che conduceva alla hall dell’albergo, sorridendo a tutti come una vera cretina. Mi sentivo ad un passo dal Paradiso, e anche se avessi incontrato Sara, la mia giornata sarebbe comunque finita per il verso giusto, ne ero più che certa.
Addio Sole sfigata e benvenuta Sole fidanzata-con-un-bellissimo-ragazzo.
Anche Dario è bello…
Sì ma con Dario era tutto un segreto. Era stata una storia intensa, questo sì, ma a parte io e lui, nessun’altro sapeva di noi e quella non si poteva chiamare ‘storia’.
Ma tu lo ami ancora, vero?
Nel mio io, cercavo in tutti i modi di evitare quella domanda, ma quando sorgeva spontanea mi era impossibile trovare una risposta. Se mi avessero chiesto “ami Francesco?”, io avrei sicuramente detto ‘sì’, ma se allo stesso tempo mi avrebbero domandato “e Dario?”, sarebbe seguito un momento di silenzio, ma la frase che avrei pronunciato sarebbero stata ‘pure’.
«Ehi» mi disse Giorgio, incrociandomi, ed io tirai momentaneamente dritta prima di rendermi conto che mi aveva salutata.
«Ciao!» risposi imbarazzata da quella gaffe. «Ero soprappensiero e non ti ho visto».
L’amico di Francesco mi sorrise bonario, spalancando quegli enormi ed emotivi occhi nocciola.
«Ti va di fare una passeggiata?» mi chiese, senza alcuna ombra di malizia nello sguardo.
Soppesai la situazione e visto che Francesco mi aveva detto di voler prendersi un po’ di tempo da solo, pensai che quattro passi non potessero nuocermi più di tanto.
«Va bene» mormorai e seguii Giorgio su per la scogliera, cercando di non capitombolare come una scema.
Camminammo per un po’, mentre il sole era posizionato quasi allo zenit sulle nostre teste e stavo già cominciando a morire di caldo, arrivammo sino ad una piccola insenatura che si affacciava su di uno splendido panorama marino.
«Sediamoci qui» disse sorridendomi ed io mi sentii in leggero imbarazzo, come ormai succedeva sempre con un essere di sesso maschile.
«Va bene» risposi, avvicinandomi e prendendo posto accanto a lui.
Ci sedemmo con i piedi che ciondolavano sul mare, mentre i nostri sguardi erano rivolti all’orizzonte e alla luce del sole che riverberava sull’acqua, creando un caleidoscopico gioco di colori.
«Com’è andata sulla barca?» mi domandò di punto in bianco, ed io sbiancai al ricordo di quello che avevo fatto lì dentro di mia iniziativa.
Non ero mai stata così disinibita in tutta la mia vita.
Forse ti sei dimenticata di quello che hai fatto con Dario...
«B-bene!» risposi, andando letteralmente a fuoco. «S-si è chiarito t-tutto!».
Giorgio mi sorrise, ed io tentai di guardare ovunque tranne che nei suoi occhi nocciola. Era come se quel ragazzo mi leggesse dentro, se sapesse tutto quello che era successo su quella barca.
«Sono felice che tu abbia finalmente avuto ciò che volevi» mormorò lui, intrappolando il mio sguardo. «Sapevo che prima o poi, Francesco avrebbe trovato una ragazza capace di fargli mettere da parte quella storia delle week-girl».
Ah, è vero… le ragazze con cui stava al massimo una settimana...
«Ma... com’è nata questa storia?» gli chiesi senza pensare di apparire un po’ ficcanaso.
Giorgio sospirò, indeciso sul da farsi, poi puntò lo sguardo verso il mare. «Sai che la madre di Francesco si è risposata, con un tizio che possiede una squadra di calcio o roba del genere?» mi domandò, ma io scossi la testa.
In effetti, non sapevo proprio nulla di Francesco e questa rivelazione mi fece male al cuore. Non c’era stato tempo di raccontarci qualcosa di noi, eravamo stati troppo presi dagli eventi, e dopo la mia partenza per Bali non ci sarebbe stato tempo per recuperare.
«Il padre di Francesco è sempre stato un uomo d’affari impeccabile, uno che sapeva fare gli investimenti giusti al momento giusto, e ha messo in piedi quell’impero che sono le Industrie Russo, ma come la medaglia, anche lui aveva due facce» disse con un tono drammatico, afferrando un ciottolo dallo scoglio e lanciandolo nel mare.
Due facce? Cosa voleva dire?
«Oltre a tradire sua moglie, per cui Francesco nutre un affetto profondo, alle volte tornava a casa e la costringeva a fare delle cose… delle cose orribili...» sospirò sconfitto. «La s-stuprava, insomma…».
La bocca mi si aprì per metà e rimasi sconcertata dopo aver udito la storia che si celava dietro l’infanzia di Francesco e non potevo nemmeno immaginare cosa lui aveva provato, assistendo a quelle cose orribili.
«Più volte ha cercato di fermarlo, ma ha rimediato soltanto calci e pugni, e la madre non riusciva a cacciare di casa il marito. Così un giorno, Francesco è stato costretto a chiamare la polizia e il signor Russo è stato arrestato, ponendo fine a quell’incubo.
«Ora si trova in qualche isola sperduta nel pacifico, col suo impero finanziario, ma Francesco è rimasto talmente traumatizzato che non si fida più di se stesso, perché è convinto che nel suo sangue scorra il marciume del padre e di quello che ha fatto a sua madre».
«Ma è illogico!» m’intromisi senza pensare, troppo coinvolta da quelle parole.
«Lo so, così come è illogica la storia delle week-girl» continuò Giorgio, lanciando un altro sasso. «Ha sempre avuto paura che in un raptus, si sarebbe trasformato in quel mostro del padre e avrebbe fatto del male ad una persona cui teneva tanto».
Ora mi spiegavo quella fuga quando ci eravamo dati il nostro primo bacio, quando io gli avevo chiesto di fermarsi e lui, sulle prime, aveva esitato. Aveva avuto paura di perdere il controllo, di diventare come suo padre... quel mostro...
«Non la sa nessuno questa storia» disse infine Giorgio, tornando a guardarmi. «Soltanto io e te».
In quel momento mi sentii davvero importante, sentivo di essere destinata a far parte della vita di Francesco perché ero l’unica per cui lui aveva messo da parte la sua paura. Per non perdermi aveva deciso di rischiare, per la prima volta nella sua vita.
«E nessun’altro mai lo saprà» giurai, decidendo di custodire gelosamente quel segreto dentro di me.
«Dovrai avere cura di lui d’ora in poi» mi chiese Giorgio, quasi come una promessa solenne tra amici di vecchia data.
A quelle sue parole però sussultai, perché sapevo che di lì a sette giorni, Bali mi avrebbe attesa e non avrei potuto prendermi cura di Francesco da chilometri di distanza.
«I-io non p-posso» sospirai, conscia dell’errore che avevo fatto accettando quel maledetto viaggio di formazione per diventare biologa marina.
«Come?» chiese Giorgio confuso.
«Tra una settimana devo partire» mormorai disperata. «Ho una specie di Erasmus a Bali, per un anno intero».
Giorgio spalancò quei suoi occhi color nocciola e la sua espressione mi pugnalò ancor più a fondo, facendomi sanguinare. Quanto ero stata stupida a pensare che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
«F-Francesco lo sa?» chiese sbalordito.
«Sì» asserii convinta.
«E c-cosa ha detto?».
Abbassai il capo e mi torturai le mani in grembo. «Che mi aspetterà, ma non sembrava molto convinto ora che ci penso».
Gli occhi di Francesco erano passati inosservati al mio sguardo, accecato dalla felicità e dalla soddisfazione di aver finalmente chiarito tutto quello che c’era tra di noi. Non mi ero accorta che magari avesse potuto dire quelle parole per non ferirmi, per non incrinare quel magico mondo perfetto che mi ero creata attorno.
«Una relazione a distanza non è che abbia un bel futuro, soprattutto se è agli inizi come la vostra» osservò Giorgio, parecchio deluso da quella notizia.
«Non abbiamo speranze, allora» sospirai, sentendo il cuore andare in mille pezzi.
«Non ho detto questo!» si affrettò a dire Giorgio, mettendo le mani avanti. «Mai arrendersi, quello è l’importante... se Francesco ti ha detto che ti aspetterà, sarà vero!».
Giorgio era la persona che tutti avrebbero desiderato avere come migliore amico, l’unico che ti capiva e che era pronto ad aiutare incondizionatamente. Mi dispiaceva un po’ averlo illuso, dopo quel bacio sulla spiaggia, ma il mio cuore aveva già scelto Francesco, ancor prima che me ne accorgessi.
«Ha detto che doveva fare una cosa…» riflettei ad alta voce. Alzai gli occhi quando ormai sentivo le lacrime che stavano spuntando agli angoli dei miei occhi. «Non credo che mi aspetterà».



Rimasi quasi fino a tarda sera a passeggiare come un’anima in pena per tutto il villaggio, ma non avevo voglia di vedere nessuno.
Alessandro e Giacomo ormai erano una causa persa, così come Stefano. Sara non l’avrei più rivista in tutta la mia vita, quello era certo, dopo quello che mi aveva fatto passare non avrei più sprecato un minuto del mio tempo con lei!
E Giorgio?
Già… Giorgio. Il mio migliore amico era sparito chissà dove, ma non sentivo di dover aprirmi con lui. La partenza di Sole era una cosa che dovevo affrontare tra me e me, una sfida con il sottoscritto.
Francesco Russo che non aveva mai avuto una relazione duratura ora si ritrovava sospeso tra una storia fissa e una ragazza che avrebbe vissuto a miliardi di chilometri da Roma per 365 giorni.
Un ragazzo innamorato non ci avrebbe pensato due volte, era ovvio che l’avrebbe aspettata.
Allora la ami?
Non lo so… non so cosa vuol dire amare..
Non lo avevo mai sperimentato, ma sentivo soltanto un forte dolore al petto, diverso da quello che avevo raccontato a Giorgio. Stavolta era lancinante, sofferente, impossibile da sopportare.. un dolore che non avrei mai augurato a nessuno.
Come potevo sopravvivere un anno intero con questo male?
Mentre camminavo per tornare in hotel, vidi Sole e Giorgio che venivano dalla mia stessa parte e avvertii subito un fastidio prendermi alla bocca dello stomaco.
Cosa ci facevano insieme? Perché Giorgio doveva sempre intromettersi nella mia vita?
Domande lecite per un fidanzato geloso, ma se avrei dovuto paragonare quel sentimento ai pensieri che poco prima avevo fatto sulla mia relazione con Sole, avrei solamente dovuto sotterrarmi.
«Ehi, amico. Che fine hai fatto?» mi domandò lui, sinceramente preoccupato.
«Mi serviva del tempo per pensare…» mormorai soprappensiero.
A quelle parole Sole sussultò e cominciò a fissare la sabbia sotto i suoi piedi, arrossendo vistosamente.
«Ah...» disse Giorgio, accorgendosi di essere tra due fuochi. «Ehm... io ho da fare… vado dentro» tagliò corto, poi ci lasciò da soli.
È il momento, Francesco… o tutto o niente!
Cosa avrei dovuto fare? Cosa le avrei dovuto dire? Già avevo preso la sua vita e l’avevo ridotta in pezzi, come potevo darle anche quest’altro dispiacere?
«Senti Sole…» mormorai confuso, senza realmente sapere cosa dire.
«Non avrei mai dovuto chiederti di aspettarmi» mi anticipò lei, non riuscendo a guadarmi dritta negli occhi.
«M-ma che dici?! È lecito chiedere una cosa del genere quando si sta insieme...» me ne uscii, peggiorando solo la situazione.
Sole alzò gli occhi verso di me e specchiò quelle iridi color perla nelle mie, facendomi sussultare. «È successo tutto così in fretta...».
«C-che vuoi dire?».
Ero totalmente incredulo. Mi ero fatto un miliardo di domande e di ipotesi sul modo più corretto per affrontare un argomento del genere, ma non mi sarei mai aspettato che Sole avesse potuto dire addio a tutto.
«Un anno è troppo tempo. È meglio chiudere qui, ora che la relazione è appena iniziata, piuttosto che pentircene in futuro» sospirò, trattenendo a stento le lacrime. «Non posso rinunciare al viaggio, quindi devo rinunciare a te».
Avevo messo in conto tutte le possibili reazioni di Sole alla notizia di rinunciare a tutto, ma non avevo minimamente pensato alle mie. Quella notizia mi fece più male del previsto e la constatazione che tutto ciò stesse realmente accadendo, che non fosse solamente un’ipotesi della mia mente, mi stava logorando l’animo.
Tu che eri partito senza averlo, un animo.
«S-Sei sicura?» sospirai, senza far niente per farla tornare sui suoi passi... i nostri passi.
«S-sì» tentennò. «A-abbiamo solo ventitré anni, non siamo una coppia sposata...» soffiò, ma sentii che la sua voce si stava incrinando dal pianto.
A quel punto non resistetti e mi avvicinai a lei, tirandola verso di me e catturando le sue labbra in un bacio intenso, forse più di quelli che ci eravamo scambiati fino a quel momento, perché sarebbe stato l’ultimo.
Sole al primo impatto sembrò sorpresa, poi però allacciò le braccia attorno alla mia nuca e dischiuse le labbra, permettendomi di entrare. Sentivo il sapore delle sue lacrime che si mischiava a quello delle sue labbra e per quel motivo la strinsi ancor più verso di me, cercando di imprimermi nella mente le forme morbide del suo corpo, che mai avrei dimenticato.
Le posai una mano dietro la nuca, approfondendo ancor di più quel contatto, mentre le nostre lingue si cercavano bramose, ormai esperte del piacere l’uno dell’altra, che sapevo mi sarebbe mancato nell’istante in cui avrei lasciato quella bocca.
Ci staccammo per prendere una boccata d’ossigeno, ma rimanemmo fronte contro fronte, mentre i nostri sospiri si mischiavano l’un l’altro. Occhi negli occhi, azzurro e nero, chiaro e scuro, diversi come il cielo e la terra ma uniti dall’orizzonte.
«E-era un bacio d-d’addio...» mi soffiò lei sulle labbra.
Deglutii a fatica, incapace di darle una risposta. In quel momento avrei dovuto dirle che l’amavo, che l’avrei aspettata anche se fossero dovuti passare più di cento anni, ma le parole mi mancarono e rimasi in silenzio.
«Buonanotte Francesco» mi disse lei, poi si alzò in punta di piedi e mi lasciò un bacio sulla fronte, sparendo, poi, nella hall dell’albergo, lasciandomi con un immenso e gigantesco buco nel cuore.

Avevo passato l’intera notte in bianco, rotolando da una parte all’altra del letto senza trovare pace. Più volte avevo pensato di alzarmi, di salire un piano e di raggiungere Sole per dirle di rimanere, di rinunciare al viaggio e di restare con me, ma mi ero imposto di starmene zitto e buono, che le avevo già sottratto troppo.
Bell’affare che hai fatto, complimenti! Per non far soffrire te, ora la sofferenza l’avete condivisa.
Sta’ zitta!
La mattina seguente preparammo le valigie e cominciammo a caricarle sulla macchina.
Alessandro e Giacomo stavano preparando l’Alfa di Giorgio, mentre Sara, silenziosa come una tomba, stava riponendo le sue cose nella mia Audi.
Mentre tentavo di ricordarmi se avevo preso tutto o meno, l’idea martellante che Sole era a pochi passi da me, nel parcheggio sul retro, a sistemare i bagagli come io stesso stavo facendo, continuava a tamburellarmi nella testa, accompagnata da una frase del tipo “muoviti, idiota! Fa qualcosa!”
Scossi la testa violentemente e cercai di ignorarla, recandomi alla reception per sistemare alcuni pagamenti.
Sfortunatamente, al posto dell’adorabile e biondissima Tamara, c’era Tarzan l’istruttore di Surf che mi sorrise sornione e sfoderò un ghigno a trentuno denti… sì, perché gliene mancava uno.
«Come te la passi, figlio di papà?» ridacchiò, presentandomi le carte da firmare.
«Meglio di te, cazzone» lo schernii e il sorriso gli sparì dalla faccia.
Ci fissammo in cagnesco per un po’, poi lui tornò il deficiente di sempre. «Alla fine non c’è stata trippa per gatti con la bella Sole, eh? Non te l’ha data!».
Quando pensavo di aver davvero raggiunto il fondo in tutti i sensi, accorreva quel troglodita di Tarzan e ci metteva il carico da undici!
«Fatti i cazzi tuoi!» ringhiai infuriato.
«Ah!» esclamò e mi puntò contro un dito nerboruto. «Allora è vero! C’è giustizia al mondo!».
Che razza di stronzo.
«Se ti consoli con le disgrazie altrui, mi fai proprio schifo» commentai, pagandogli la differenza e andandomene.
Proprio in quel momento, però, distratto e infuriato com’ero, non vidi affatto Sole che si scontrò contro di me e cadde a terra, rovesciando anche il suo trolley.
Quando il destino ci mette la mano...
«S-scusa!» mi affrettai a dirle, aiutandola ad alzarsi e tendendole la mano davanti agli occhi.
Sole mi guardò sorpresa, con quei suoi occhi color perla che erano improvvisamente diventati enormi come il cielo plumbeo prima di un temporale.
Afferrò la mia mano ed io mi sentii percorso da una scossa, attraversando quel momento come in un déjà-vu, come quando l’avevo fatta cadere la prima sera, ricoprendola di carote dalla testa ai piedi.
«G-grazie» soffiò, tirandosi in piedi e raccogliendo la valigia. Non alzò più lo sguardo e tirò dritto verso l’uscita con la testa bassa, troppo preoccupata di incrociare di nuovo il mio sguardo.
Avrei dovuto fermarla, ma come le parole non mi erano uscite dalla bocca, così le mie gambe rimasero immobili.
«Amico, sei proprio un pollo» commentò Tarzan, mettendomi una mano sulla spalla amichevolmente.
«Hai ragione» sospirai, stavolta senza alcun rancore nella voce.
A quel punto uscii dalla hall e mi diressi verso la mia Audi, deciso a montarci sopra e dimenticarmi ben presto di tutta quella storia.
Sarei tornato ad essere Francesco Russo, il neo-laureato più sexy della Luiss, il sogno proibito di ogni ragazza e l’unico che non aveva mai ricevuto una delusione da una relazione.
Correggiti. L’unico che ABBIA ricevuto UNA delusione da una relazione...
E dopo quel pensiero, l’aria mi mancò dai polmoni.
«Cos’hai, amico? Ti senti male?» mi domandò Stefano preoccupato, seguito da Ale, Giacomo e Giorgio.
«È ancora quel maledetto dolore al petto» sospirai, mettendomi una mano sul cuore.
«Oddio, sta per avere un infarto!» esclamò Stefano, già col cellulare in mano per chiamare l’ambulanza.
«No» lo fermai, incrociando lo sguardo con Giorgio che mi sorrise. «Credo di essermi innamorato» ammisi infine, visto che ormai era logico.
Gli altri tre rimasero allibiti, mentre Ginevra e Claudia si sorrisero complici.
«C-come i-innamorato?» balbettò Alessandro.
«Spiegaci questa storia!» tuonò Giacomo.
Stefano non parlò perché era proprio svenuto, troppo scosso per quello che avevo detto.
«Non c’è niente da spiegare, perché è già tutto finito…» sospirai afflitto.
«Ah, meno male».
«C’avevi fatto pià un colpo!».
«Non è finita fino a quando non sarai tu stesso a scrivere la parola ‘fine’» aggiunse Giorgio, al di sopra del rumore degli altri.
«Ormai l’ho persa. Andrà via per un anno ed io non riuscirei mai a stare così tanto senza vederla!» gridai, quasi disperato.
«Ma stiamo parlando di Moby?!?».
«Davvero ti sei innamorato di quella balena?!».
A quel punto sia Claudia che Ginevra assestarono ai loro stessi fidanzati dei ceffoni sonori, mentre Giorgio ne approfittò per avvicinarsi.
«Non è detto che sia lei a rinunciare al viaggio» mi confessò.
«Cosa vuoi dirmi?».
«Puoi sempre seguirla, Francesco… svegliati una buona volta! Parti con lei! Vattene a Bali e stai insieme per un anno intero!».
Quella nuova strada mi si aprì davanti agli occhi così luminosa e piena di speranza che non mi parve vero. Avrei potuto passare il resto dell’anno in una penisola invidiabile, la meta perfetta per una relazione in pieno sboccio, ma dall’altra parte della bilancia c’era la mia vita.
«M-ma dovrei lasciare tutto» ragionai. «Dovrei lasciare te...».
Il mio migliore amico mi sorrise e mi abbracciò forte. «Io ti aspetterò Francesco, ma adesso è Sole quella più importante, quindi vai! Muoviti!» disse infine, spingendomi verso il parcheggio sul retro del villaggio.
Mi ritrovai a vagare per una fila infinta di macchine parcheggiate, cercando come un disperato quella di Sole e delle sue amiche. Non avevo mai visto il mezzo che avevano usato per venire fino a lì, perciò mi trovavo completamente spaesato.
Dai, forza, non puoi arrenderti proprio adesso!
Cominciai a correre a destra e a manca, chiedendo agli sconosciuti se avessero visto una ragazza che corrispondeva alle caratteristiche di Sole, ma non trovai quello che cercavo.
Ormai erano le dieci ed avevo paura che avessi perso il mio attimo.
«È partita» mi disse una voce alle mie spalle.
Mi voltai e vidi gli occhi di Sara che mi fissavano austeri, ma privi di quella cattiveria che l’aveva contraddistinta all’inizio.
«Come faccio a crederti?» le dissi, sempre meno convinto della sua parola.
«Ti devi fidare» mormorò tranquilla. «Sono andate su quella strada, se ti affretti potrai raggiungerle».
Non avevo idea se seguire i consigli di quella vipera di Sara sarebbe stata la mossa giusta, ma non avevo più nulla da perdere, quindi corsi a perdifiato verso la mia Audi, ci montai sopra, e imboccai la strada alzando un enorme polverone.
Pigiai sull’acceleratore come un forsennato, vedendo l’asfalto davanti a me completamente deserto e temendo che l’indicazione di Sara fosse una bufala, fino a quando non vidi un piccolo pandino verde-marcio che trotterellava stanco e carico di valige.
Dev’essere lei, suona!
A quel punto mi attaccai al clacson, cercando di attirare la sua attenzione, ma quello che ottenni fu un bel dito medio alzato da Betta.
Allora decisi di accostarmi e urlarle dal finestrino, sperando che non venisse nessuno dalla corsia opposta.
«Fermati!» gridai al di là del finestrino.
Appena mi vide, Sole fu presa da uno spavento incalcolabile, dopodiché decise immediatamente di accostare.
Mi fermai appena dietro il pandino, ma non feci in tempo a scendere dalla macchina che subito fui assalito da una Betta infuriata e da una Serena altrettanto su di giri.
«Ancora tu?!».
«Sei peggio di un calvario!».
«Vuoi lasciarla in pace?!».
«Cosa ti ha fatto? È mai possibile?!».
Le loro voci erano così stridule e fastidiose che non avrei sopportato una parola in più provenire dalle loro bocche.
«TAPPATEVI QUELLA FOGNA!» gridai, incazzato nero e loro rimasero scioccate da quella mia reazione.
Sole, alle loro spalle, non poté fare a meno di sorridere.
«Come ti permetti, eh?».
«Cosa ti dà la sicurezza che Sole ti accolga a braccia aperte, stavolta, eh?».
«Che hai da offrirle?!».
«Il mio cuore» mormorai sincero, cercando gli occhi della mia ragazza al di là delle teste delle sue amiche petulanti. «Non ho altro da darti, Sole.. se non il mio amore».
Alleluia! Ce l’hai fatta finalmente! Un urrà per Francesco!
«Ti amo».
Sole si portò una mano alla bocca e soffocò un singhiozzo, mentre Elisabetta e Serena erano rimaste completamente all’asciutto, senza saper come replicare a quella mia dichiarazione.
Le superai e la raggiunsi, aprendo le braccia e attendendo che lei si tuffasse verso di me, affondando il viso nel mio petto. Già dopo nemmeno ventiquattro ore mi mancava il suo profumo e l’effetto che aveva su di me.. mi mancava tutto di lei.
Dopo poco il suo musetto spruzzato di lentiggini apparve oltre la stoffa della mia T-shirt e il mio cuore mancò d’un battito quando realizzai che avevo rischiato di rinunciare a tutto di lei.
«C-come faremo per il v-viaggio?» mi chiese, con gli occhi che le si riempirono nuovamente di lacrime. «Un anno è troppo tempo».
«Sì… è troppo tempo, non posso aspettarti» ammisi, deluso e sul viso di Sole apparve un’espressione distrutta.
Si allontanò da me confusa, mentre sentivo gli sguardi di Elisabetta e Serena che mi perforavano la schiena. Cominciò a torturarsi un lembo della maglietta, mentre non aveva il coraggio di chiedermi nulla.
«Non piangere, sciocchina» ridacchiai, tornando ad abbracciarla con quanta più forza avessi nelle braccia. «Non posso aspettarti, ma è proprio per questo che partirò con te».

Ed eccoci alla fine di questo capitolo.. e di questa storia, salvo un piccolo epilogo!
*Tira fuori i fazzolettini* Siamo giunti alla fine e il piccolo e arrogante Francesco che era partito da Roma con la sua spocchia e la sua voglia di conquistare il mondo, ha finalmente capito che c'è ben altro per cui lottare.. e corrisponde al nome di Sole.
Ha abbandonato per sempre la sua superficialità, tipica dei ragazzi belli e ricchi, ed è riuscito a scavare ben oltre la superficie, trovando una piacevole sorpresa: l'amore.
E' cresciuto tanto il mio piccolino *si asciuga una lacrimuccia* ed ora ha deciso di seguire fino in fondo il suo cuore, non mettendo freni nemmeno ai chilometri che lo separano dalla famiglia e dagli amici.
Voi cosa avreste fatto? Io la stessa cosa! :P
Ma veniamo a Sole. Lei non è che sia 'maturata' nel corso di questa avventura, ma ha imparato che si può amare di nuovo, anche un ragazzo del tutto simile ad un altro che ti ha spezzato il cuore. Le sue amiche l'hanno aiutata in questo percorso, consigliandola in megli e, alle volte, in peggio, ma è vero o non è vero che sbagliando s'impara?!
E così è uscita questa mezza cavolata dalla mia mente malata. Vi giuro che quando ho iniziato non avrei mai pensato di finirla in questo modo.. è praticamente uscita fuori da sola! :S
Mi sono affezionata un po' a tutti i personaggi, anche quelli meno importanti, ma in particolare a Francesco e a Sole, che mi hanno fatto capire che l'amore vince su tutto, e che non conta se tu abbia qualche chilo di troppo.. l'importante è sempre quello che hai dentro.
Anche con una semplice risata si può conquistare qualcuno, o con l'amore per la natura che Sole nutre e per il rispetto che ha insegnato a Frà.
Ma non togliamo merito a Giorgio e a Serena, che per me saranno sempre dei grandi personaggi, anche se marginali, ma hanno avuto un ruolo importantissimo in questa vicenda ed io li amerò sempre.
Come ultimo, anche se mi lincerete, omaggerei anche Sara, senza la quale non ci sarebbe mai stata questa scommessa e Sole e Francesco non sarebbero mai stati costretti a stare insieme!
Dopo questa 'lagna' zuccherosa che vi avrà sicuramente fatto venire la carie, mi eclisso e vi do appuntamento all'epilogo che vi regalerà una piacevolissima sorpresa! :3 :3 :3

Vi adoro dal più profondo del cuore. Mi avete seguita sino all'ultima parola in questa avventura e spero che questa storia, anche se piccola e senza pretese, vi abbia strappato almeno un sorriso e vi abbia regalato un po' d'amore, perché ognuno di noi, in fondo, ne ha bisogno!


SALUTI E BACI DA MARTY, FRANCESCO, SOLE E TUTTI GLI ALTRI
Tante grazie per il sostegno, dal profondo del cuore.

Ringraziamento specialissimo:
Alla mia Lover (Clithia - Emanuela): GRAZIEGRAZIEGRAZIE per avermi sostenuta durante la stesura di tutti questi capitoli, di aver sopportato i miei scleri e i miei momenti di 'buio totale' senza saper davvero come continuare la storia. Ti devo la maggior parte dei capitoli, e soprattutto ti regalo UFFICIALMENTE George.. è tutto tuo e non vedo l'ora di mettermi all'opera per la nuova long. *____________* Spopolerà, ne sono certa!
Alla mia Wife (Nessie - Vénera, me lo sono ricordato u.u): UN MILIONE E MEZZO DI GRAZIE non basterebbero ad esprimerti quanto ti lovvo! Dovrei farti una statua per tutte le volte che hai corretto i miei ORRORI di scrittura e hai tolto quel milione e mezzo di puntini di sospensione, che io adoro! Senza di te scriverei in itaGliano... ç____ç. Anche tu mi hai consigliato alla meraviglia sulle vicende della storia, ma soprattutto col tuo INTUITO fenomenale (o telepatia wife) mi hai sempre anticipata e non ho mai potuto farti nessuna sorpresa!
A te regalo Francesco, perché lo hai sempre difeso quando io lo denigravo e preferivo Dariuccio al suo posto, quindi te lo meriti tutto e lui è troppo felice di venire lì in Sicilia! *____* Voglio l'Etna!

BASTA SPROLOQUI u.u
A me rimane Sole, il mio alter-ego ^^, in tutto e per tutto direi, anche se non ho la sua stessa fortuna di essere stata con uno stra-figo di Dario e un super-gnocco di Francesco.. ç_____________ç
Però non demordo, perchè come lei non mi arrendo e sono sicura che un giorno riuscirò a coronare anch'io la mia favola.. non so se per merito di una scommessa.. o per qualcos altro.. chissà!

..e ricordate
può davvero accadere di Tutto per una Scommessa
Ci vediamo all'epilogo!
xD Un bacio xD

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Capitolo 17
*** EPILOGO - Piccoli per sempre ***





Epilogo
Piccoli per sempre

Non avrei mai pensato che una vacanza di due settimane in Puglia avrebbe potuto cambiarmi così radicalmente. Di solito, nei villaggi, si va per divertirsi, per sperare in una tresca con l’animatrice gnocca di turno, o magari, semplicemente, per rilassarsi. Invece, per me, quei quattordici giorni furono come un giro sulle montagne russe di Mirabilandia: pieni di alti e di bassi, quasi da vomitare.
Chiunque avesse conosciuto Francesco Russo, anche solo di fama, non avrebbe mai potuto credere ai propri occhi vedendolo dove ora si trovava, a mille miglia lontano dalla Capitale, dalla vita cittadina e dai lussi di cui godeva fin da quando era in fasce.
Perché l’amore è in grado di smuovere mari e monti, avrebbe detto Giorgio, il mio migliore amico, forse l’unico essere di sesso maschile che credesse ancora nella potenza di quel sentimento e mi costava molto ammettere, arrivati a questo punto, che in parte aveva pienamente ragione.
Da quando avevo conosciuto Sole, nel villaggio Julia di Peschici, nella mia vita ogni cosa era cambiata. Magari non immediatamente, ma pian piano l’arroganza e la mia aria spocchiosa da figlio di papà era stata limata, levigata, smussata a poco a poco dalle mani piccole e morbide di una ragazza dagli occhi color grigio perla.
Nessuno mai può pensare di trovare l’anima gemella in un villaggio, soprattutto quando è così frequentato da discoteche e da giovani in balia degli ormoni, ma soprattutto nemmeno la persona più ottimista avrebbe mai immaginato che da una sciocca scommessa sarebbe potuta nascere la storia del secolo.
Lo so, è vero, sto facendo un monologo interiore alla ‘Macbeth’ di Shakespeare, ma ora mi trovo nella veranda della mia nuova casa, sulla riva di una spiaggia di Bali, mentre guardo il mare sorseggiando succo di cocco.
È passato più di un anno da quando abbiamo lasciato l’Italia per intraprendere questa avventura, considerando che a Sole ha giovato molto questo Erasmus, dal momento che ha trovato quasi subito lavoro presso un’equipe di biologi marini.
Proprio in questo momento è partita per le Galapagos, con lo zaino in spalla e quel sorriso da bambina perennemente stampato su quel volto spruzzato di lentiggini. Mi ha detto che andavano a studiare il fringuello di non-so-cosa, ma dopo dieci minuti me l’ero già dimenticato.. cosa ci volete fare?
È un’eterna attesta con lei, ma non mi lamento.
Aspetterei anche mille anni seduto su questa sedia di vimini, se so che lei sta ritornando da me.
Diciamo che mia madre non l’ha poi presa tanto bene la notizia della mia improvvisa partenza per l’Indonesia, considerando anche il fatto che mi sono ricordato di telefonarle quando ormai ero atterrato a Bali, ma ho avuto tempo sufficiente per spiegarle tutto, per raccontarle tutta la verità, e da romanticona qual è ha gioito sapendo che non mi trastullavo più di ragazza in ragazza, allontanando sempre di più la possibilità per lei di allargare la famiglia Russo.
Il mio patrigno non si è lamentato più di tanto, ma mi ha fatto presente che la mia scappatoia non poteva durare a lungo e che prima o poi sarei dovuto tornare a casa, perché le Industrie Russo devono avere un rappresentante della famiglia e lui non può più fare le mie veci, visto che ormai sono laureato e tutto il resto.
Mio padre non mi ha chiamato, ma questo lo avevo già immaginato.
Da quando se n’era andato di casa, avevo completamente tagliato i ponti con lui e le uniche volte che aveva tentato di riallacciare i rapporti, lo avevo scansato nel modo meno garbato possibile.
Se avessi avuto la possibilità di cambiare cognome senza perdere il mio impero economico, lo avrei già fatto da tempo.
Cos’altro mi resta da dirvi?
Alessandro, Ginevra, Claudia e Giacomo sono tornati a Roma e hanno intrapreso la laurea specialistica in marketing, ma non so se stanno ancora insieme. Non è che la nostra amicizia fosse così stretta da sentirci ancora dopo più di un anno lontano dal mondo civilizzato.
Sara Giglio ha cambiato città da quanto mi ha raccontato Giorgio. Appena tornata a Roma ha fatto baracca e burattini e ha preso il primo treno per non-so-dove, chiedendo anche il trasferimento all’università.
Io spero non se la sia presa per tutta la storia della scommessa e per l’ennesimo rifiuto che ha ricevuto, ma per come si è comportata, era il minimo. Giorgio dice che si è trasferita per iniziare una nuova vita, ed io lo spero davvero perché, molto in fondo, non era cattiva come ragazza.
Elisabetta e Serena, le migliori amiche di Sole, hanno continuato l’università e lei si sente con loro di tanto in tanto e da quanto ho saputo –cioè, origliato– la biondina che somiglia a Hilary Duff ha un mezzo impiccio con un tizio famoso, ma non ho capito bene, soprattutto perché Sole dice sempre di farmi gli affari miei.
Stefano ha mollato la facoltà per intraprendere una carriera come comico, durata praticamente due mesi, dopodiché il Colonnello –suo padre– l’ha rimesso in riga e l’ha obbligato a segnarsi nuovamente all’università per finire gli studi. Dopo la vacanza in Puglia ha cambiato modello cui ispirarsi, visto che il sottoscritto ormai si è praticamente accasato, ed ora sta tormentando un altro latin lover di turno,  non capendo affatto che la vera felicità non si ottiene cambiando ragazza come se fosse un paio di mutande.
E alla fine veniamo a Giorgio, il mio migliore amico, anzi.. mio fratello.
In certi momenti della vacanza l’ho veramente odiato, soprattutto sapendo che la scommessa restava in piedi soprattutto perché non volevo bruciare tutto quello che c’era stato tra di noi. Inoltre, anche lui si era preso una cotta per Sole e sapendo che io non ero apparentemente coinvolto in quella pseudo-relazione, lui mi aveva chiesto di farmi da parte.
Le scazzottate e le litigate tra di noi non ci avevano allontanato, bensì avevano rafforzato quell’amicizia fraterna che con nessun altro riuscirei mai ad avere.
Anche a milioni di chilometri di distanza, ci sentiamo quasi tutti i giorni via webcam, e lui ne ha di cose da raccontarmi per via di questa sua nuova avventura che ha intrapreso, non vi dico nemmeno con chi.
Giorgio Della Rocca era il romanticismo fatta persona, ma se avessi dovuto scommetterci sopra, nemmeno lontanamente mi sarei mai immaginato che i suoi gusti sarebbero cambiati così radicalmente.
E così ho fatto il resoconto di tutto, più o meno. Nonostante nessuno credesse che la storia tra me e Sole potesse andare in porto, per ora siamo molto affiatati e dopo più di un anno e mezzo passato isolati da tutto e da tutti, gli abitanti del villaggio ci hanno anche organizzato una specie di cerimonia nuziale tipica, con le loro usanze.
Ci siamo ripromessi amore eterno e se potessi tornare indietro, a quest’ora, non cambierei nulla di quello che ci è successo. Anche se abbiamo sofferto, tutto quello che abbiamo passato è servito a farci crescere, maturare, ma soprattutto ad aprirmi gli occhi per la prima volta.
Senza quella scommessa, senza quella vacanza, senza gli alti e i bassi di quei quattordici giorni io non avrei avuto nulla di tutto questo ed ora mi troverei dietro una scrivania a controllare bilanci e a scribacchiare sul computer dell’azienda.
.. ma soprattutto non avrei avuto quelle due piccole pesti.
«Papy, papy, paaaaaaaaaapy!!!» un gridolino seguito da un’altra risata ruppe il silenzio di quella mattina, e mi costrinse a voltarmi in direzione della casa alle mie spalle.
«Iutami! Iutami!» trillò un’altra vocetta e dei passetti rumorosi schioccavano sulle assi di legno del pavimento.
Fui costretto ad alzarmi quando udii lo scrosciare delle pentole sul pavimento e un ‘ops’ detto all’unisono dalle mie due piccole pesti.
«Allora? Cosa sta succedendo qui?» tuonai, con la finta voce arrabbiata.
Entrai nell’ingresso e superai un piccolo salotto spartano, dirigendomi nella confortevole cucina dalle tende color giallo pannocchia.
Dietro il tavolo al centro della cucina, in mezzo ad un mare di pentole e padelle riverse sulle assi del pavimento di legno, c’erano due bambini dai capelli biondi e dagli occhi chiari. Mi fissavano con le iridi spalancate e con le gote spruzzate di lentiggini color caffè.
«Cos’è successo qui? Eh?» domandai, incrociando le braccia al petto e fissandoli con aria severa.
Era incredibile che a soli ventiquattro anni, io e Sole eravamo diventati genitori, ma lì a Bali non era una cosa tanto strana. Si sposavano addirittura a sedici anni, perciò noi non davamo molto nell’occhio.
«Copa sua!» disse mio figlio, indicando suo fratello.
«No, papy» insistette l’altro. «È sua!» e gettò la colpa sull’altro.
All’improvviso i due si fissarono e in una frazione di secondo cominciarono a lanciarsi schiaffoni peggio di due belve assatanate.
La notizia che Sole era incinta mi aveva sconvolto già di per sé, ma sapere che il parto sarebbe stato gemellare, dovevo ammettere che non mi aveva lasciato indifferente.
«Ragazzi, sedetevi» ci disse il dottor Wasibo.
Io e Sole ci tenemmo per mano e ci accomodammo nello studio del medico del paese. Eravamo andati per un controllo, visto che Sole vomitava dalla mattina alla sera, ma entrando in quell’ospedale da campo non avrei mai immaginato di ricevere una notizia più strana.
«Voi siete sposati, giusto?» ci domandò e con la coda dell’occhio non potei fare a meno di fissare Sole che diventava color peperone.
«V-veramente no, però stiamo insieme» mi affrettai a rispondere, prima che pensasse male.
Non sapevo ancora quali fossero le usanze di quel paese. Eravamo a Bali da poco più di tre settimane e Sole improvvisamente si svegliava la mattina con delle nausee che la costringevano a precipitarsi in bagno, così mi ero preoccupato.
Il dottore ci guardò un po’ sospettoso, ma poi incrociò le mani e posò i gomiti sulla scrivania.
«Voi due immagino che abbiate dei rapporti sessuali anche se non siete sposati, giusto?» e a quella domanda Sole sprofondò nella sua vergogna, facendosi piccola piccola.
Per la seconda volta intervenni io. «Sì, certo».
Il dottore allora guardò solo me, visto che Sole sembrava più far parte della tappezzeria piuttosto che essere al mio fianco come seconda interlocutrice. «Avete usato delle precauzioni durante i rapporti? Oppure la signorina prendeva la pillola?» ci chiese curioso ed io non compresi immediatamente dove quel discorso volesse andare a parare.
«Sì, usiamo sempre i preservativi» risposi sicuro. «E Sole non mi pare prenda la pillola del giorno dopo».
Dopo quella mia risposta, mi tornò alla mente la nostra prima volta insieme, sulla barca Rayo de sol e mi si accese una lampadina nella testa. La prima ed unica occasione in cui avevamo fatto l’amore senza nessuno freno.
«A-aspetti» balbettai, conscio finalmente di ciò che il dottore voleva dirci. «C’è stata una volta.. una sola..».
«Signor Russo, non so come dirglielo» m’interruppe il dottor Wasibo. «Dalle analisi è chiaro che la sua ragazza è incinta di quattro settimane e mezzo, congratulazioni».
Io rimasi di pietra, con gli occhi sgranati e le mani che stritolavano ancora la matita sulla scrivania, mentre Sole si era accasciata sulla sedia e non parlava né respirava.
I.N.C.I.N.T.A.
Quella parola significava tutto e niente. Mi ero trovato una ragazza fissa da nemmeno un mese e già dovevo fare i conti con un possibile marmocchio che mi si sarebbe accollato per il resto della mia esistenza?
Il fatto che poi, alla nona settimana, avevano aggiunto un secondo embrione mi aveva causato un collasso immediato, tanto che ero crollato a terra come un sacco di patate. Due figli in una botta sola, due gemelli..
Sole, dopo il primo impatto, aveva accettato di buon grado la notizia. Si controllava la pancia allo specchio quasi tutti i giorni e l’accarezzava amorevolmente. Forse fu proprio quel suo comportamento materno a rendere quella notizia, disastrosa per qualunque ragazzo della mia età, più piacevole.
Oppure era semplicemente il fatto che l’amavo troppo per disdegnare l’idea di avere due piccole copie della mia Sole in miniatura.
«Insomma si può sapere cosa avete combinato?» chiesi di nuovo, sperando che uno dei due si tradisse.
Mi divertivo troppo a giocare con loro, anche perché avevano ereditato parte della dolce ingenuità di Sole e parte della mia furbizia.
«Dario?» domandai al primo.
Vi chiederete il perché di quel nome e come io e Sole riuscivamo a riconoscerli nonostante fossero due gocce d’acqua, ma io non so spiegarvelo.
«Giorgio?» chiesi al secondo, ma niente.
«A quale nome hai pensato?» mi chiese Sole, un giorno.
«Non ne ho idea» sospirai, sfogliando il libro dei nomi. Non mi ero mai posto questo problema, anche perché non avevo mai progettato di avere una famiglia tutta mia, visto i precedenti con mio padre.
«Non te ne piace nemmeno uno?»
«Vorrei che abbia un significato speciale.. non che fosse bello e basta» spiegai, con un po’ d’imbarazzo per quella risposta smielata.
Sole si sporse nella mia parte di letto e sfiorò le mie labbra con le sue.
«Chiamiamoli con i nomi dei nostri migliori amici..» mi suggerì lei, ed io pensai subito che quella fosse un’idea geniale.
«Giorgio e..?»
«Dario» rispose lei, ed io ebbi un colpo al cuore.
L’idea che uno dei miei figli portasse il nome del primo amore di Sole mi dava un po’ sui nervi, ma dovevo rispettare la sua scelta.
Posai una mano sul ventre gonfio della mia ragazza, della mia compagna.. della mia metà della mela.
«Giorgio e Dario Russo» ripetei orgoglioso, poi cercai le sue labbra piene e ritrovai il suo sapore.
I due si presero per mano e fecero fronte unito contro il sottoscritto, dimostrando ancora una volta l’unione fraterna. Prima che nascessero mi ero informato sui gemelli e sulle voci che correvano su di loro, ma non credevo che avessero dei poteri paranormali o cose del genere.
Erano molto uniti, punto.
«Venite qui» dissi loro, chinandomi e allargando le braccia.
Dario e Giorgio si guardarono un po’ sospettosi, poi mi corsero in contro e si gettarono tra le mie braccia ridacchiando quando feci loro il solletico per sdrammatizzare la finta arrabbiatura.
«Che ne dite se mettiamo in ordine prima che torni la mamma?» proposi, raccogliendo la prima padella.
Gli occhi di entrambi s’illuminarono e potei bearmi di quelle lentiggini color caffè e quelle fossette sulle guance che rappresentavano i particolari più belli del sottoscritto e della mia Sole.
«Uando avvira la mamma?» chiese Dario, il più ingenuo e dolce dei due.
«Papy non prederci in giuo!» si aggiunse Giorgio, incrociando le braccia e guardandomi di traverso.
Purtroppo i viaggi di Sole erano sempre più lunghi e duravano per parecchi giorni. Due bambini di nemmeno un anno sentivano la mancanza della loro mamma ed io, papà alle prime armi, non sapevo come far capire loro che Sole non li aveva abbandonati.
«Mi ha chiamato prima, tornerà stasera!» annunciai loro e tutti e due cominciarono ad urlare e a saltellare dalla felicità.
«Mamma! Mamma! Mamma!» trillarono prendendosi per mano e saltellando in tondo, incuranti di schiacciare con le scarpe le pentole che poi avrei dovuto rilavare.
«Forza, forza, ragazzi! Al lavoro!» intimai, cominciando a darmi da fare.
In poco tempo rimettemmo in ordine la cucina e fissammo la nostra opera piuttosto soddisfatti. In seguito presi la borsa per il mare e ci dirigemmo in spiaggia, dove i due monelli avevano già fatto amicizia con tutte le bambine di Bali.
Peggio del loro papà..
La mia coscienza mi era mancata, ma più andavo avanti nella mia vita e meno avevo bisogno dei suoi consigli. Ero maturato molto nel corso di tutto quel tempo, sia per merito della mia storia con Sole, sia per merito dei miei figli.
Quel periodo di isolamento mi aveva giovato in qualche modo, facendomi crescere e facendomi rendere conto di cosa contasse davvero nella vita, ma prima o poi sapevo che sarei dovuto tornare a Roma, dalla mia famiglia, dalla mia vecchia vita.
Non appena mia madre aveva saputo di diventare nonna prima di aver compiuto i cinquant’anni, era subito corsa a raccontarlo alle sue amiche, vantandosi di essere la nonna più giovane in circolazione, ed era entusiasta all’idea di conoscere finalmente Sole e i suoi due bellissimi nipotini.
Anche la madre di Sole non stava più nella pelle, mentre quello che mi preoccupava davvero era il mio futuro suocero che, sentendo il tonfo al di là del telefono dopo che aveva ricevuto la notizia della gravidanza, avevo immaginato che la novella lo aveva davvero sconvolto.
I miei amici mi avevano fatto le congratulazioni e i commenti poco graditi si erano sprecati, soprattutto da parte di Stefano, che al posto del cervello aveva un criceto.
Dario e Giorgio erano nati a Bali, quindi erano per metà italiani e per metà balinesi. Stando a stretto contatto con gli abitanti del villaggio in cui ci trovavamo, avevano imparato a parlare anche la lingua natia del posto, cosicché ogni turista che li vedeva rimaneva sorpreso di incontrare questi due gemelli biondi che spiccavano tra la popolazione dalla pelle scura.
«Ayah kita akan pulang?» mi chiese Dario, mentre mi ci vollero parecchi minuti per tradurre ciò che mio figlio di nemmeno un anno mi aveva detto in indonesiano.
«Ora ci andiamo» gli risposi, afferrando gli asciugamani e infilandomi le infradito.
Presi i miei due figli per mano ed insieme ci dirigemmo nella casa sul mare. Feci loro una veloce doccia e preparai il pranzo, dopodiché crollarono entrambi come due pere cotte sul letto matrimoniale mio e di Sole.
Mi ritrovai ancora una volta seduto in veranda a guardare il mare, mentre ogni abitante del villaggio che passava mi rivolgeva un caloroso ‘baik hari’. Tutto sommato mi sarebbe mancato quel posto perché era pieno dei più vividi ricordi e della prima infanzia dei miei figli.
Alle volte mi faceva strano pensare che Dario e Giorgio fossero davvero sangue del mio sangue, perché io e Sole sembravamo talmente giovani che quei due marmocchietti passavano quasi per nostri fratelli più piccoli. Ma più li guardavo dormire nel nostro letto, l’uno accanto all’altro, mano nella mano, con quelle lentiggini e quei capelli biondi schiariti dal sole, più mi accorgevano che quelle due meraviglie erano opera nostra.
Alla fine non è poi così tanto male avere una famiglia, no?
Ed io che avevo sempre disdegnato una relazione seria, favorendo incontri occasionali che mi avevano dato molta più soddisfazione a breve termine, ma in compenso ogni volta mi lasciavano un vuoto enorme dentro.
Quella mancanza era stata colmata da Sole prima, e da Dario e Giorgio poi. Loro erano la mia famiglia e lo sarebbero stati per sempre.

Non mi ero affatto accorto di essermi addormentato, quando una carezza leggera mi risvegliò dal torpore di quel pomeriggio afoso.
Aprii gli occhi lentamente, ritrovandomi mezzo dentro mezzo fuori dal letto matrimoniale, con Dario e Giorgio abbarbicati su di me come scimmie, ancora nel pieno del sonno. Mi guardai intorno e ritrovai i contorni nitidi della stanza da letto, fino a quando un paio di iridi perlacee non catturarono la mia attenzione.
«Tutta vita, eh?» ridacchiò Sole, ancora con lo zaino in spalla e i capelli legati.
Aveva uno sguardo distrutto, ma continuava a sorridermi radiosa.
«Come al solito queste due pesti mi hanno succhiato via tutta l’energia» sussurrai, tentando di non svegliarli.
Sole gettò lo zaino a terra e si massaggiò il collo indolenzito. Si tolse la camicia di cotone che indossava come giacchettino e rimase in short e canottiera color cachi. Era tremendamente bella, anche quando tornava esausta da una spedizione durata più di tre giorni.
«Mi sei mancata» le confessai, allungando una mano e sfiorandole una coscia.
Avrei voluto tanto abbracciarla, coccolarla, fare l’amore con lei fino al mattino dopo, ma vedevo sul suo viso una tremenda stanchezza, così mi limitai ad allargare le braccia e ad accogliere anche la mia Sole nel mega-abbraccio di famiglia.
«Quando si sveglieranno saranno entusiasti di riavere la loro mamma, ti hanno cercato ogni giorno» le dissi e Sole s’illuminò come il tramonto d’estate.
«Siete tutta la mia vita» mi sussurrò lei, chiudendo gli occhi.
«E tu sei la mia» sussurrai, anche se Sole era già sprofondata in un sonno profondo.
Francesco Russo aveva fatto un salto di qualità, anzi, direi proprio un volo.
Da single incallito, si era messo con una sola ragazza. Da rapporti durati appena più di una settimana, ora si trovava incastrato in una relazione durata più di un anno e mezzo. Da laureato più sexy della Luiss, si era trasformato nel padre più sexy di Bali.
Francesco Russo non era più un perdigiorno, né un fallito.
Francesco Russo era fidanzato, compagno, marito.. padre.


Ed eccoci qui, alla VERA fine di questa meravigliosa storia. Senza essere troppo melodrammatica o chissà che altro, vi annuncio che non ci sarà un seguito di 'Tutto per una scommessa', salvo sporadici Missing Moments, ma posso annunciarvi con certezza che fra poco pubblicherò uno spin-off di Giorgio e Serena, dal titolo 'Giochi Proibiti' (immaginatevi già le porcate che scriverò! u___u).
Non vi libererete tanto facilmente della sottoscritta! Muahaahhahahaha..
Beh, che altro dire?
Mi mancheranno tantissimo Sole e Francesco, soprattutto il mio laureato più sexy della Luiss che non potrò rivedere nemmeno in Mistake.. sigh! *si asciuga il nasino*.
Okay, mi rimetto!
Un bacione e un immenso grazie a tutte quelle che mi hanno sostenuto su fb e tramite le recensioni, ma anche a quelle che hanno solamente letto.
Vi adoro!

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