Sins

di _aspasia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ira ***
Capitolo 2: *** Avarizia ***
Capitolo 3: *** Lussuria ***
Capitolo 4: *** Invidia ***
Capitolo 5: *** Superbia. ***
Capitolo 6: *** Accidia ***
Capitolo 7: *** Gola ***



Capitolo 1
*** Ira ***


A Gondolin Dima, mia fedele e amata compagna di banco che ascolta i miei scleri e che fa da cavia. Ti voglio bene, tantissimo. *.*


IRA

Il sole brilla sul campo di battaglia, e la sua luce viene riflessa da migliaia di specchi. Lance, spade, elmi e corazze risplendono di un magnifico bagliore come migliaia di splendidi cristalli.
La scena è statica, tutti aspettano il suono della tromba che segnerà l’inizio della battaglia. Per molti l’inizio della fine.
I tamburi suonano, quanti tra gli uomini che mi staranno intorno moriranno a quel suono?
La morte è qui, tra noi; accompagnata dalla gloria.
Sono calmo all’apparenza, un condottiero lo è sempre; ma dentro me il sangue scorre veloce e ogni mio singolo arto formicola.
Amo la guerra.
Tuttavia quella di oggi è una battaglia importante; la vendetta è un richiamo troppo forte per opporvisi, ed io non lo farò.
Oggi sarò impietoso, molti moriranno per mano mia e solamente dopo avrò la mia vendetta.
Ed ecco.
 Le trombe suonano.
E come un solo uomo avanziamo.
I giavellotti saettano sopra di noi, infilzando uomini e scudi.
La polvere riempie le mie narici insieme al profumo del primo sangue versato.
E ci scontriamo.
La spada sguainata, l’elmo abbassato ed il cimiero è rosso, rosso come il sangue che macchia le mie mani, rosso come l’ira che mi acceca.
Ira.
Una così bella e fantastica sensazione.
È lei che muove interi eserciti, lei che decide di vita e di morte. Lei che ora muore la mia terribile spade forgiate dagli dei.
Non ci saranno superstiti né prigionieri, l’ira non li reclama, lei si nutre di anime.
Ed io sono solamente un suo umile servo.
Ammiro lo sguardo di terrore dipindersi sul volto degli uomini che si trovano davanti a me. Mi riconoscono, e la mia fama mi precede; non riusciranno a raccontare le loro imprese, come la mia lama abbia lacerato le loro carni trafiggendo l’oro ed il bronzo delle loro corazze.
Ira.
Terribile sinfonia che mi da la forza, che mi fa muovere veloce mantenendo un ritmo costante.
L’ira.
Già il suo nome è uno strumento musicale, è la lira che suona il mio peana, terribile e fatale. Urla, gemiti ed imprecazioni sono il coro, il coro che si fonde alla lira creando il peana, il peana che sempre mi segue.
Ira, donna audace e selvaggia.
Ira, che brama vendetta.
Ira, che muove la mia spada.
La spada forgiata da Efesto, per me, figlio di Teti e Peleo.
Achille.




 
Alla fine troverete una mia nota sul personaggio che rappresenterà il peccato, nozioni utili come per esempio la data in cui è ambientato il piccolo sclero. Saranno in ordine cronologico. Per alcuni personaggi vi saranno note più lunghe in quanto non molti conosceranno la loro vita, o la loro persona. Per altri vi saranno solo poche righe in quanto la loro fama viaggia a velocità incredibile.
 
Non penso che serva presentare l’incredibile eroe acheo, ma lo farò ugualmente e purtroppo brevemente; altrimenti rischierei di riscrivere l’Iliade decantando la sua forza, la sua audacia, la sua prestanza ed altre doti che adoro della sua adorabile persona.
Rircordiamo che il caro Achille vendicò l’amico Patroclo uccidendoEttore, principe di Troia. Celebre è la sua furia quando si accanì sul corpo del troiano, legandolo al carro e trascinando il cuo corpo nella polvere.
Achille ha sempre avuto difficoltà a seguire gli ordini (cosa che amo di lui) e se ne faceva sempre un baffo di Agamennone, Menelao e chiunque si divertisse a dire cosa doveva fare.
Morì a Troia come gli era stato predetto a causa di una freccia conficcata nel mortale tallone. La sua gloria però rieccheggia nella storia, fino ad i giorni nostri. L’eroe acheo rimane l’emblema del coraggio, del desiderio del rimanere ricordato, della gloria dorata della guerra, della vendetta e dell’amicizia forte, vera e perpetua tra due uomini. Alessandro Magno si addormentava con l’Iliade vicino, ed Achille era il suo eroe e guerriero preferito.
Come si può non amarlo?
Vedete? Non volevo scrivere papiri eppure l’ho fatto!-.- Perdonatemi.

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Capitolo 2
*** Avarizia ***


Oro.
Monete, collane, forzieri interi di puro e scintillante oro zecchino.
Smeraldi, zaffiri, rubini, opali e perle.
Ricchezze.
E sono mie. Solo mie.
Posseggo terre, così tante che il mio regno è talmente esteso che il mio popolo parla lingue troppo diverse per comprendersi.
Il mio dominio è così vasto che va al di là del tumultuoso oceano, dove il solo tramonta affondando nel suo scinitillante cobalto; il mio regno è al di là di quell’astro morente.
E mia di diritto ogni ricchezza che si trova su questa terra; è mia, mia e soltanto mia.
Oro, argento, incenso e gioielli.
Donne, ricchezze, terre. Tutto mi appartiene.
E ne voglio ancora.
Perché accontentarsi?
Non getto nulla, e spendo il minimo indispensabile; non vorrei mai che i miei splendidi forzieri si svuotassero.
Oro.
Oro e gioielli. Splendide e magnifiche ricchezze, e ne voglio ancora.
Le Americhe sono ricche di oro, ne trasudano da ogni singolo poro. Ed è mio, perché io ne sono il re.
Quell’oro non deve rimanere in quelle orride ed incivilizzate terre, in mano a quegli sporchi, orridi, indecenti e rozzi selvaggi. Loro non sanno che cosa farsene di quelle immense ricchezze.
Io invece sì.
Mi spettano di diritto.
Il Signore nostro Santissimo mi ha dato codesto potere, solamente lui mi ha donato il sangue blu e le conseguenti ricchezze, lui mi ha dato il diritto su ogni cosa. E solo lui può togliermi tutto questo.
È mio di diritto, dalla nascita.
Mi chiamano avaro.
Avarizia. Mi dicono che sono peccatore.
Non sanno quanto si sbagliano. Io faccio solamente il loro bene, dei miei eredi.
Io accumulo ricchezze, e sono la mia massima felicità; loro non mi daranno mai dispiaceri, non mi tradiranno mai. Io accumulo e ne godo, e ne gioveranno pure i miei figli in futuro.
Sono ancora giovani, e spesso non comprendono, ma lo faranno in avvenire.
Sono ancora ingenui fanciulli, per ora vi sono io. Io a dover decidere del tesoro reale, io ad ampliarlo, io ad amarlo.
Avarizia.
Non provate anche voi piacere nel considerare una persona “mia”? A tenere nelle proprie mani un gioiello, un quadro di inestimabile valore e bellezza, qualsiasi cosa o persona preziosa?
Il mio oro, le mie terre, i miei gioielli, i miei quadri meravigliosi sono le mie più grandi gioie.
E sono mie.
Soltanto mie.
Avarizia.
Sono dunque avaro?
Non me ne curo.
A me bastano l’oro ed i gioielli, la loro stupenda lucentezza ed i loro magnifici colori; loro non mi tradiranno mai.
Non tradiranno mai il loro sovrano, il loro amato.
Carlo V d’Asburgo.
 
 
 
 
 
 
Carlo V d’Asburgo (1500-1558) è conosciuto anche come Carlo I di Spagna nonché imperatore. Ereditò Paesi Bassi, Spagna, Italia, l’Impero Asburgico e le colonie in America e in Asia.
È nel 1787 nel Don Carlos che Schiller scrisse che sul Regno di Carlo V il sole non tramontava mai.

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Capitolo 3
*** Lussuria ***


Il palazzo è silenzioso, ma so che ogni singolo muro, ogni singola parete ha occhi ed orecchie.
Ma non nella mia stanza.
Così abilmente decorata, al suo interno vi sono tra le opere d’arte migliori dell’epoca.
Amo l’arte.
L’arte in ogni sua forma, che si tratti di scultura, musica, oreficeria, architettura o dipinti. L’arte che preferisco tuttavia è l’arte di fare all’amore.
E nella mia corte vi sono i migliori artisti.
La mia veste accarezza voluttuosa il marmo dei pavimenti, la migliore seta ed il migliore pizzo ricopre il mio corpo, il quale però non ama particolarmente le costrizioni.
La parte della mia camera è chiusa, come deve essere, l’unica chiave che esiste si trova appesa ad una corda di velluto; in mezzo ai miei seni.
Apro la porta.
Non vi è nessuno.
Bene.
Non voglio che quelle sciocche fantesche mi calunnino nella mia nuova corte. Sciocche ingenue ed invidiose fanciulle.
Esiste un passaggio segreto che porta alla mia camera, sconosciuto a tutti, tranne che ai miei artisti.
Mi siedo sul mio letto, ammirando la mia immagine riflessa dallo specchio di fronte a me.
Sono madre, eppure la mia antica bellezza è immutata.
I miei capelli sono del color dell’oro, gli occhi verdi e brillanti, le labbra rosse come le rose e piene. I seni floridi e sodi nonostante le gravidanze: ed il carattere, il mio carattere è rimasto lo  stesso.
Non sono cambiata. Ho solo imparato ad essere più cauta nella mia vita privata e a mentire senza che nessuno se ne accorga.
I preti pensano che io mi sia pentita della mia vita dissoluta.
Non è così.
Non sono pentita, e non sono cambiata.
Ho solamente eliminato le orecchie indiscrete.
Guardo la mia mano candida sorridendo, sul dito medio un anello riccamente decorato. Ha uno smeraldo incastonato, verde come i miei occhi; quello che gli altri non vedono è che esso all’interno è cavo. Lo smeraldo sfaccettato al centro ha un minuscolo ago, e sotto un incavo che mi prodigo a riempire ogni giorno di veleno. È un veleno di nuova produzione; l’ho creato io, grazie al mio amore per le spezie, le erbe ed i loro effetti.
Occorre ricoprire le viscere di un maiale appena ucciso di arsenico, appena esso si essicca va polverizzato; tale mistura fatale giace nel mio anello.
L’ho chiamata cantarella, perché fa cantare di dolore le mie vittime, le quali si spengono tra atroci tormenti entro 24 ore.
Si può morire a causa di una mia voluttuosa, fatale e terribile carezza.
Ad un tratto uno scricchiolio mi distoglie dai miei pensieri, ed il passaggio si apre, mostrando il mio ultimo amante.
Ha le labbra rosse come il velluto più pregiato, gli occhi blu come il cielo ed i capelli neri come una notte di luna nuova senza stelle.
È giovane, ma non troppo.
Amo gli artisti, non gli apprendisti.
Mi sorride e mi cinge i fianchi con le sue braccia, affondando il viso nel mio collo posandovi baci ardenti.
Gemo di piacere.
Lussuria.
Perché mai è considerata un peccato?
È piacere, piacere puro nel suo massimo splendore; perché rinunciarvi?
Quello che mi dona questo giovane uomo è un piacere carnale, effimero ma non certo minoredi quello spirituale. Lascia leggermente insoddisfatti in quanto ne vogliamo sempre di più.
La mia veste scivola voluttuosa dalle mie spalle mostrando la mia pelle, candida come la neve appena caduta.
Il ragazzo si spoglia velocemente, le sue mani viaggiano passionali sul mio corpo regalandomi scosse di piacere e gemiti.
Lussuria.
L’amore non centra nulla in questo, è passione, è attrazione, è piacere. Tuttavia però vi è amore in fondo; l’amore per l’arte, in quanto questo è arte. E l’amore per il piacere, per la lussuria.
Il suo membro spicca sul suo corpo, ed io mi lecco le labbra.
Lo prendo tra le mie mani e lentamente poso la mia bocca sul glande, baciandolo morbidamente.
Lo lecco lentamente percorrendolo in tutta la sua lunghezza.
Il ragazzo sospira.
E poco dopo lui è dentro di me.
Il piacere è instantaneo e puro.
Sono pure scosse elettriche ed il mio respiro aumenta sempre di più.
Lussuria.
Le labbra mordono, baciano tracciando arabeschi umidi.
Ma tutto finisce.
Anche il piacere.
A noi resta cercarlo continuamente.
Il mio amante se ne va, lasciandomi sola.
Ma non lo sono, resto con me stessa, una delle compagnie che preferisco, e rimango con la mia amata arte.
Mi guardo allo specchio rivestendomi; ammiro i miei gioielli scegliendo una collana d’oro con un rubino che riposa pigro tra le mie clavicole.
Ammiro il rosso della gemma e nei suoi bagliori rivedo le labbra dei mie numerosi artisti.
Lussuria.
Il desiderio del piacere, ed il suo appagamento non è certo un peccato.
Lussuria.
Ci chiamano peccatori solamente perché ci invidiano perché vorrebbero sentire il piacere che proviamo noi.
Il  piacere che provo io, signora della Corte d’Este.
Lucrezia Borgia.
 
 
 
Penso che molti conoscano Lucrezia Borgia, donna che devo ammetterlo io ammiro molto. Ci sono molte incongruenze e dubbi sulla sua persona, gli storici non sono ancora d’accordo se considerarla donna audace, calcolatrice e temuta o solamente un povero pezzo di creta in mano al padre e alla famiglia.
Non si sa, quindi si può pensare un po’ come si vuole. È per questo che io amo la storia, non si è sicuri di niente e persone morte e sepolte diventano i nostri amici immaginari, i nostri confidenti, esempi a cui aspirare.
Per quanto la vedo io Lucrezia è la prima donna che domina la storia italiana, ha governato anche Spoleto e sì, veniva considerata figlia, nuora e amante del Papa, però acciderbolina a quell’epoca la cara Penisola era piena di scandali.
Lucrezia ha un suo carattere, indomabile e fiero, e crea (non si sa se è realtà o finzione) la cantarella, un veleno letale. Sarà che io ho una passione per i veleni, in particolare per la storia di questo e del suo anello io la cara Signora d’Este l’amo assai.
Questa piccola storia, ode alla Lussuria è ambientata nel 1504, tre anni dopo il suo ultimo matrimonio.
Lucrezia morì di partoil 24 giugno 1519.

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Capitolo 4
*** Invidia ***


La cella è umida e fredda, sento il gracchiare dei corvi alleggiare nell’aria stantia.
I rumori sono ovattati e tutto rimbomba; pare di essere già morti.
Sembra impossibile che fino a poco tempo fa vivevo in uno splendido palazzo ammirata e temuta da tutti.
Ammirata? Amata? Ecco, forse no.
Non come lei, non come quella che c’era prima di me.
Il popolo non mi ha mai amata, non mi ha mai riconosciuta come vera regina e non apprezzava la mia religione.
Pensavo che nessuno mi avrebbe tolto il trono e l’amore. Ma l’hanno fatto. Lo stesso uomo che me l’ha donato.
Enrico.
Lo ho amato e lo amo troppo; come lei del resto, lei che pensa che lui tornerà ancora da lei.
Ma non lo farà.
Lo conosco bene il nostro sovrano. Non torna mai su una sua decisione.
Non tornerà mai da lei, né da me.
Ma lei, lei è sempre stata considerata la regina del popolo, era amata, rispettata, non come me.
La invidio?
Sì. Ma non me ne pento.
Cosa significa invidiare?
Invidiare vuol dire desiderare, desiderare così ardentemente di avere quello che appartiene ad un altro, un regno od una persona, che si è pronti a tutto pur di ottenerlo. Significa non arrendersi mai, non fermarsi mai fino all’agognato successo.
Occorre avere una determinazione forte ed incrollabile per invidiare perché questo sentimento consuma e distrugge, si può morire a causa di esso.
Come me.
Ho invidiato Caterina. L’ho invidiata per anni e la invidio tutt’ora.
E grazie alla mia invidia sono riuscita a strapparle il trono ed il marito; ma ho peccato di sicurezza.
Non pensavo certo che la mia vita sarebbe finita così presto, troncata dall’uomo che aveva mosso mari e monti pur di sposarmi rinnegando persino il Papa.
Ma a quanto pare tutto ha una fine, specialmente se si è donne.
Rinchiusa nella Torre, aspettando il mio boia riguardo il mio passato, e sorrido.
Non mi pento di nulla.
Invidia.
La mia più grande virtù. Non mi sono mai arresa, mai fermata fino a quando la corona fu posta sul mio capo, Enrico mio marito e mia figlia principessa.
Posso morire ora.
Sono ancora giovane e bella; ho sentito dire che il boia è molto bravo ed il mio collo è sottile.*
È francese, abilissimo spadaccino.
Sento dei passi eccheggiare tra le fredde pietre, sono arrivati dunque.
Aprono la cella.
“Milady, mi segua”.
Invidia.
Magnifica esaltazione della più cocciuta e forte determinazione.
Determinazione che muove i miei passi anche ora, verso la morte.
La mia morte.
Quella di Anna Bolena, regina d’Inghilterra.
 
 
 
 
 
 
 
Eccoci qua nelle note a piè di pagina, che io amo fare perché mi diverte e perché io amo comunque le note a piè di pagina. Mi piace persino il nome. Ok non fate caso al mio divagamento.
Anna Bolena.Fu la seconda moglie di Enrico, il quale la fece capitare. Che dolce maritino non trovate? La fanciulla era entrata alla corte come dama di compagnia di Caterina d’Aragona (prima moglie di Enrico). Il re la sposò in segreto il 23 gennaio 1533 prima di rendere non valido il precente matrimonio e mettere a ferro e fuoco la Chiesa cattolica del tempo. Il popolo disprezzerà Anna fin da subito, partorirà Elisabetta, futura regina ma gli altri figli, tra cui l’agognato maschietto non arrivarono o nacquero già morti.
Il 2 maggio 1536 venne arrestata e portato alla Torre di Londra, dove quest’ode è ambientata e venne accusata di adulterio, stregoneria, incesto e alto tradimento. Oggigiorono è noto che nessuna di queste accuse furono realmente fondate.
19 maggio 1536 Anna venne decapitata, e la frase con * è una citazione che la donna ha detto veramente prima che il spadaccino francese con fama di boia veloce ed eccellente boia le tagliasse la sua cara testolina con la spada.
p.s. una cosa che mi ero dimenticata, un caro e dolce aneddoto. Si dice che il fantasma di Anna Bolena giri ancora per la Torre di Londra con la testa sotto braccio. Carina no? A me è simpatica.

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Capitolo 5
*** Superbia. ***


Merletti, velluti, splendide sete e magnifichi gioielli turbinano intorno a me in un mare colorato di risa e di sfarzi.
Un minuetto suona allegro e noi ci muoviamo a tempo, incontrandoci e lasciandoci.
Parrucche candide di altezze immaginabili decorate da piume e cappellini turbinano ondeggiando.
È questa la corte di Francia.
Uno dei tanti specchi intarsiati d’oro mi rimandano la mia immagine riflessa.
Il mio sorriso si fa ancora più splendente.
Sono meravigliosa.
Sono la più bella, la più ricca, la più ammirata, la più invidiata.
I miei vestiti fanno le mode, i miei gioielli sono i più preziosi, il mio profumo il più dolce e ricercato.
Specchi dorati riflettono la mia splendida immagine.
Tutto in questa corte è magnifico, splendido, ricco e dorato. Stucchi, affreschi, mosaici, tendaggi, specchi, marmi ed oro.
Nulla è eccessivo in quanto nulla è pari alla mia incomparabile bellezza.
In tutta l’Europa non esistono occhi di un ceruleo brillante come il mio, un incarnato così perlaceo e una grazia così eterea ed innata.
Tutti vorrebbero essere me.
Tutti vorrebbero essere al mio posto, tutti desiderano la mia vita.
E d’altronde come biasimarli?
La mia parola è legge in Francia, posso fare quello che più mi aggrada, mantenendo sempre una facciata composta, è vero. Ogni mio desiderio è ordine e devono venire soddisfatti, tutti, nessuno escluso.
Sono la regina, sono stata scelta per compiere questo ruolo, non esistono donne più adatte di me.
La stanza ruota intorno a me, davanti ai miei occhi mille colori e bagliori. È così bella la corte di Francia, ed io ne sono la dea.
Sono io che tutti amano e temono.
Sono io che invidiano.
Sono io che vorrebbero essere.
Sono forse superba? Non è certo colpa mia, è un dato di fatto che la regina sia la donna più importante di tutto il regno.
Non perderò certo la testa per questa mia caratteristica.
Sono io la donna più bella ed invidiata di Francia.
La regina.
Marie Antoiniette.







Eccomi qua dopo un'eternità. Ma chi non è morto si rivede.
Allora Maria Antonietta, penso che tutti la conosciamo, povera ragazza.
A soli diociott'anni divenne regina di Francia, nel 1774. Questa ode è ambientata nel 1775, un anno dopo l'incoronazione.
Ho scelto Marina Antonietta perchè era giovane, frivola, nata nell'ambiente aristocratico ed abituata ad avere tutto. Ricordo di aver letto che lei, il marito ed i figli decisero di scappare di nascosto ma furno scoperti subito a causa delle carrozze dorata con gli stemmi regali ed i numerosi bagagli. Ero rimasta sconvolta per l'ingenuità di questi regnanti.
Maria Antonietta morì ghigliottinata, come il marito per mano degli insorti.
Spero vi piaccia.

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Capitolo 6
*** Accidia ***


Le temperature stanno scendendo.
Ogni metro che la carrozza guadagna verso il luogo che diventerà la mia nuova casa il freddo diventa sempre più pungente.
Sono giorni che andiamo avanti, verso est.
Mio padre mi aveva promesso anni orsono, prima ancora che avessi l’età da marito.
Farò un matrimonio vantaggioso che porterà onore e denaro alla mia famiglia, avrò una vita agiata e i miei figli vivranno nel lusso.
Ho accolto la notizia con indifferenza; non riesco a gioire o a disperarmi.
È il mio destino, e io non ne sono padrona.
Sono donna, la mia parola, il mio pensiero non conta nulla. Tanto vale cominciare ad abituarmi presto.
Non mi curo di quello che accade intorno a me, non attira la mia attenzione.
Vivo nel mio splendido e tranquillo languore.
L’uomo e in particolare la donna non sono fautori del proprio destino; siamo solamente meri granelli di polvere in balia di un vento a noi sconosciuto.
È inutile opporvisi, inutile dibattersi strenuamente quando si verrà inevitabilmente distrutti.
Andrò in contro a mio marito, lo sposerò, accontenterò le sue voglie e partorirò i suoi figli.
Ogni cosa è già decisa.
Perché preoccuparsi?
Non attira la mia attenzione, nulla riesce a smuovere il mio cuore.
Il mondo esterno è così prevedibile, così noioso, e ogni cosa è già stata pianificata e noi non contiamo nulla
Nulla.
Coloro che dicono che l’uomo è padrone di se stesso, che la ragione può salvarci, sono solamente degli stolti.
L’uomo non può essere salvato perché non c’è nulla da salvare.
L’essere umano è come un salmone che risale la corrente, per quanto esso nuoti combattendo contro lo stremo dove arriverà? Nelle fauci di un orso. Non sarebbe stato lo stesso lasciarsi morire nei flutti?
Che differenza vi era tra il morire sbranato ed il morire di fatica o di fame? Nessuna.
E l’uomo è così.
La morte colpisce tutti, senza distinzioni.
E allora lasciamoci portare dalla corrente di questo avverso destino.
Non cambierà nulla.
Accidia.
La salvezza dell’animo umano.
Vivere in questo morbido torpore è così bello; nulla può scalfirci, nulla può farci soffrire né rallegrare.
Viviamo in un limbo, lontano da tutti.
Lasciamoci cullare dai flutti, non lottiamo contro di essi.
Accidia.
Morbida tranquillità, tenue languore che alberga in noi.
Che alberga in me, futura zarina di Russia.
Elisabeth Alexeïevna.




Eccomi qua.
Scritta anche Accidia, siamo presto alla fine. Devo dire che ho faticato molto a scrivere questo capitolo, e non ne sono ancora soddisfatta. Ma sono fatta così eternamente insoddisfatta di me, spero che piaccia a Gaea. Avevo pure l'ansia da prestazione XD.
Di Elisabeth si sa pochissimo, quasi niente; l'ho trovata per puro caso nella dinastia della famiglia Romanov, si sposò nel 1793 lo Zar Alexander I. Si chiama in tal modo per la religione ortodossa, ma era di origine prussiana, ed era conosciuta come Louise Auguste de Bade.
Ho deciso di dare il suo nome all'Accidia che vedo come un tenue languore che alberga nell'animo di alcune persone, le quali non vengono scalfite da niente, si lasciano trasportare dal fato senza mai stupirsi realmente. Spero vi piaccia.
La vostra Aspasia

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Capitolo 7
*** Gola ***


Il sole sta calando ormai, quest’astro innamorato arrossisce prima di andarsene, e nel fulgore della sua toccante bellezza affonda nel mare tingendolo di mille purpurei bagliori.
Sono passati anni, forse troppi da quando me ne sono andato; lontano dalla mia famiglia, lontano da lui che amavo troppo.
Ma era un amore malsano il nostro, ci distruggevamo a vicenda, e la nostra poesia fioriva incredibilmente.
La mia poesia, pensavo di cambiare il mondo, ma ero giovane e credevo di essere il migliore. E probabilmente lo ero.
Ma che importa? Non scrivo da anni; quello che c’era da dire è già stato detto.
Rosso vermiglio, che colore magnifico.
È lui che mi guida, verso casa.
Rosso del tramonto.
Rosso del mare che si tinge di questo pigmento come se non stessimo solcando acqua salata ma sangue di uomini.
Rosso, il rosso vermiglio delle sue labbra.
Rosso del suo amore così passionale.
Rosso, colore che riempie i miei occhi iniettati di sangue a causa del dolore.
Sto morendo.
Pensate che non me ne sia accorto?
Ho dovuto lasciare l’Africa, terra che mi aveva accolto a braccia aperte e sto tornando in patria. Tutto a causa di questo maledetto ginocchio, tutto a causa di questo tremendo dolore.
Mi portano del vino; lo fanno sempre.
E io non mi lamento.
È rosso, come il sangue che mi scorreva lungo la mano ed il braccio quel maledetto giorno; quand’è finito tutto.
O meglio quand’è cominciato l’inizio della fine di tutto.
Bevo ed il sapore caldo e speziato dell’alcool mi riempie la gola inebriandomi.
Che sapore, che calore.
Come faccio a smettere?
Non posso.
Non quando grazie a questo nettare rivedo i suoi occhi, risento le sue mani sul mio corpo e le sue labbra sulle mie.
Non quando dimentico il dolore.
Vino rosso vermiglio.
E che sapore meraviglioso.
Ancora, ancora. Ne voglio ancora.
Marsiglia non sarà poi così lontana.
Vino. Dolce nettare meraviglioso.
Ricordi?
Ti ricordi ancora di me?
Oh Amore rimembri ancora?
Vino, nostro compagno.
Vino, nostro dolce amico.
Oh vino, riportami da lui.
Vola vecchia bagnarola, vola verso Marsiglia, verso la Francia, verso di lui.
Perderò la gamba?
Che importa. Morirò.
Ma prima lasciatemi rivedere i suoi occhi.
Vino.
E ancora vino.
E mentre ammiro la tua torbida fluidità rivedo il mio sangue, le sue lacrime ed il mio tormento.
Perché ci siamo distrutti così? Perché?
E più ci facevamo del male, più la nostra poesia diventava sublime.
Vino, forza. Datemi quel nettare divino.
Divino.
Persino quest’aggettivo ti contiene, significherà pur qualcosa.
Il tuo sapore speziato, caldo; voluttuoso come un suo bacio, come le sue labbra che ora agogno talmente tanto.
Datemene ancora, ancora fino a quando non verrò accolto tra le torbide volute del sonno e della sbronza.
Tuttavia in quell’incoscienza, allora forse lo rivedrò e lo riabbraccerò.
Ma vai nave, naviga veloce verso Marsiglia, verso di lui, verso nuovi vini.
Vino che mi riporta da lui.
Vino che mi ammalia.
Come posso farne a meno?
Gola.
Gli alcoolisti e i fumatori commettono tale peccato.
Allora io sono doppio peccatore, ma ormai le sigarette sono state fumate tutte da ore.
Resta il vino, mio fidato compagno.
Gola.
È realmente peccato?
Il vino venne bevuto persino da Gesù Cristo, il vostro messia. È dunque anche lui peccatore?
Dite che i peccatori sono tali perché non si sanno trattenere.
Avete mai bevuto un Margaux?
Non ci si può trattenere con esso, non con tale nettare; e se la coscienza sene va facendosi sempre più debole allora tanto meglio. La fantasia è un mondo talmente migliore. Ed il vino, il vino è un galeone che porta in questi meravigliosi e sconosciuti lidi a vele spiegate.
Vino.
Gola.
Non chiamiamola peccato.
Gola.
Vino.
Che dolce ambrosia.
Non ci si può trattenere, non quando è così buono, non quando mi riporta indietro nel tempo.
Dai suoi occhi.
Dalle sue labbra che leccano le mie.
Dalle sue dita che accarezzano il mio viso.
Che sfiorano me.
Arthur Rimbaud.






Ed eccoci alla fine, mi dispiace un sacco devo dirlo.
Mi sono divertita molto a scrivere questa raccolta, a dare il giusto lustro ai peccati.
E oggi posto l'ultimo capitolo, la gola. Penso che oggi sia il giorno adatto, il giorno in cui ci si ingozza di cioccolato e leccornie varie.
Ho scelto il vino perchè come peccati di gola, oltre al cibo, sono considerati anche l'ebbrezza dell'alcool e inoltre il fumo. E ho selto Arthur perchè io amo quest'uomo, amo la sua persona, la sua splendida poesia e la sua tormentatissima storia. Così maledetta.
Arthur Rimbaud è uno dei poeti maledetti, a soli 16 anni scrive le poesie che cambieranno la poesia moderna. A 17 anni si trasferisce a Parigi, dove incontra Verlaine, anche lui poeta maledetto. Tra i due nasce una passione bruciante che porterà al divorzio Verlaine e che creerà scandalo.
I due viaggiano spesso, nel 1873 si trovano a Londra e Verlaine decide di tornare dalla moglie e minacciando di spararsi se elle non lo riaccetterà, per questo se ne va in un hotel di Bruxelles. Arthur lo raggiunge convinto che l'amante non avrà il coraggio di togliersi la vita, nel momento in cui Rimbaud vuole lasciare Paul definitivamente egli, ubriaco, gli spara ferendolo leggermente ad una mano. Verlaine viene incarcerato e Arthur torna a casa dove scriverà "una stagione all'inferno".
A soli 24 anni abbandona la patria e la poesia, viaggia in Europa e in Africa diventando persino mercante d'armi.
Morirà a causa di un tumore al ginocchio, nel 1891 tra dolori atroci.
Verlaine dei suoi viaggi ha scritto così: "non ha fatto altro che viaggiare terribilmente e morire giovanissimo".
Voglio precisare una cosa. Nei libri c'è scritto che a Marsiglia, dove morirà arriverà in treno; la mia è una scelta letteraria chiamiamola così, ispirata da una canzone che penso sia a dir poco meravigliosa: A.R. di Vecchioni. Ascoltatela è stupenda.

http://youtu.be/uk_sODPyScI

Vi lascio così fanciulle, con un poeta maledetto e tormentato, che attraverso il peccato di gola torna dal suo amato, dalla lussuria.
Spero vi piaccia e che vi siate divertite tanto quanto me. Ma tutto ha una fine.
un bacio
Aspasia

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