Chiaroscuri & Prospettive-La Vendetta di lilyblack (/viewuser.php?uid=3862)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** L'articolo ***
Capitolo 3: *** Di notte ***
Capitolo 4: *** 4/A - Quattro amici al bar ***
Capitolo 5: *** 4B Friends&Family ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
c&p-lv PRIMO
Chiaroscuri
e Prospettive-La Vendetta
Innanzitutto,
Buongiorno.
Non
state sognando, ho veramente deciso di rimettere mano a questa storia,
trovando questo titolo che ancora non so se è
ridicolo,simpatico
o geniale XD.
Perchè?
Perchè
mi mancavano Daphne e Oliver, la loro testardaggine e i loro mondi
fatti di chiaroscuri.
Si
sono insinuati nella mia testa e hanno incominciato a dire 'scrivi
scrivi scrivi scrivi scrivi.'
E
chi sono io per non accontentarli?
Spero
che tutto questo vi piaccia,che io non faccia solo un gran casino.
Un
bacio,
LilyBlack.
p.s.
penso che non si dovrebbe avere difficoltà a leggere la
storia,
qualora non si conosca il prequel,nel caso rimando a 'Chiaroscuri e
Prospettive' titolo semplice, è una miniminilong, di soli
quattro capitoli ragionevolmente brevi.
p.s.
Questo capitolo
è dedicato a LoveChild, perchè è un
tesoro, per la pazienza che ha con me e per aver creato Imogen, il mio
alterego che è riuscito ad accalappiare Theodore Nott.
*°*°*°*°*°*°*°*°*
L'intervista
Io
non mi sono mai sentita tanto viva come dopo una battaglia dalla quale
sono uscita viva e indenne. [...] È dopo aver vinto quella
sfida
che ti senti così vivo. Vivo quanto non ti senti nemmeno nei
momenti più ubriacanti di gioia o nei momenti più
travolgenti d'amore. -O.Fallaci
°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
L'aria
nella stanza era satura di aspettative e il pulviscolo che il sole
portava, attraversando la finestra, era la maggiore attrattiva presente
nella stanza; tutti gli occupanti di sesso maschile della stanza, la
totalità assoluta dei presenti,fissavano il nulla polveroso
con
sguardo attento.
Un Manager,una decina di giocatori,un fotografo.
Daphne era ferma dietro la porta a vetri e li guardava attenta, con lo
stesso interesse scientifico che era certa provassero i babbano quando
entravano allo zoo: guardare nel loro habitat naturale degli esseri
viventi di cui non si poteva condividere il comportamento.
Poco importava che uno degli appartenenti a quella gabbia di lusso
chiamato ufficio fosse Theodore Nott, suo amico e sostituto fotografo
di Millicent: Daphne non avrebbe mai capito gli uomini e, a dirla
tutta, non le interessava nemmeno.
Una volta che ebbe sistemato il tailleur che indossava,
bussò
delicatamente alla porta, ma non aspettò alcuna risposta
dall'altro lato prima di aprirla e attraversare il limbo che l'avrebbe
trasportata nel mondo del testosterone.
Si fermò un passo oltre la porta e si lasciò il
tempo di
osservarli un'ultima volta in silenzio, tutti insieme, da una
postazione in cui poteva scorgere ogni più piccola ruga di
espressione, ogni capello bianco di Mister Norcott e anche sentire la
puzza, orrenda, di sigaretta babbana che l'unico serpeverde nella
stanza si ostinava a portarsi dietro.
Prese la direzione della finestra, passando sadicamente in quel raggio
di luce che tutti contemplavano come se fosse una rivelazione divina;
tutti trasalirono a quell'ombra nel loro campo visivo, come se fino a
quel momento non si fossero accorti del suo ingresso e un punto
positivo si aggiunse all'umore di Daphne.
'Mi dispiace interrompere le vostre interessantissime e, sicuramente,
profonde introspezioni filosofiche sulla...'
Si fermò un attimo, davanti alla finestra,guardando quelle
coppie spaurite di occhi vacui e si ritrovò, per l'ennesima
volta a ringraziare di essere una donna intelligente, due aggettivi che
purtroppo non rientravano spesso nella stessa frase.
Deglutì con una leggera intensità da attrice,
sfogando in
quel modo tutto il suo bisogno vendicativo di accentrare su di se la
loro attenzione e aumentare la loro tensione.
Non era questione di manie di protagonismo, come insinuava Millicent,
ma semplicemente un modo come un altro di divertirsi e di far allenare
il suo cervello.
'Polvere, ma è ora di iniziare l'intervista.'
Questa parola li fece sobbalzare tutti e, in particolare, fece alzare
il volto del capitano, seduto in ultima fila, il cui volto era
delineato da una barba volto che denotava una indolenza che andava
avanti, ad occhio e croce, da almeno una settimana.
Daphne lo vide stringere gli occhi man mano che scorrevano sulla sua
figura, come se la stesse studiando; tailleur grigio,camicia verde,e
una spilla nella giacca che terminava con un nostalgico stemma della
nobile casata di Salazar, che si aggiustò con noncuranza nel
momento esatto in cui fu certa che lui l'avesse vista.
Lo sguardo che si scambiarono fu l'ennesimo rinnovarsi di quella sfida
che, non essendo mai stata vinta, bruciava sulla pelle di Oliver come
una vera e propria sconfitta.
Daphne Greengrass e Oliver Baston avevano due caratteri totalmente e
incommensurabilmente incompatibili e niente avrebbe cambiato questo
fatto; gli occhi verde giada di Daphne brillarono, di soddisfazione e
di rivalsa, quella luce speciale che nasce da quel gusto incomparabile
di supremazia che si prova ad avere sempre ragione.
Interruppe il contatto solo quando Theodore le fu così
vicino da
poter sentire anche la leggera acqua di colonia, sotto il pungente
sentore di nicotina. Si voltò lentamente verso l'amico e lo
studiò dalla punta delle sue scarpe firmate alla stanghetta
dei
suoi occhiali snob che non facevano altro che sottolineare gli occhi
grigioverdi, attenti ed acuti; riusciva a capire come molte ragazze
fossero cadute vittima del suo fascino, ma non sarebbe mai riuscita a
comprendere come la sua donna ancora non si fosse resa conto dei suoi
innumerevoli difetti.
'Sei uno zotico...'
La sua voce era sottile, un piccolo sibilo pungente di aria fredda che
non tralasciava di colpire nessuno, nemmeno le persone a lei
più
care; essere totalmente immuni dal suo mettere naso in qualsiasi
situazione e nella vita di chiunque era un'utopia, per chiunque la
conoscesse, ma ad ascoltarla bene, in quella sfumatura appena
più morbida della voce, si poteva scorgere il malcelato
affetto
che nutriva per gli amici più cari, come Theodore o
Millicent.
'Daph..'
Il ragazzo, impegnato ad infilare il rullino nella macchina
fotografica, si trattenne dall'alzare gli occhi verso la bionda; non ne
aveva bisogno per sapere l'espressione che la sua amica aveva sul
volto: sopracciglia inarcate e sguardo scettico.
Durante la sua vita era spesso stato incerto ed indeciso sul se odiare
o meno il suo modo impertinente di avere a che fare con il mondo
esterno alla sua mente, ma alla fine decideva sempre che non aveva
scampo e che odiarlo era assolutamente inutile; Daphne non si sarebbe
lasciata convincere da nessuno una volta che era sicura di qualcosa
eppure, nonostante tutto, di tanto in tanto cercava di controbattere.
'Puzzi come una capra, continua a fumare così di nascosto e
lo dico ad Imogen.'
'Non oseresti'
Inutilmente. L'accenno alla sua ragazza, sua croce,ossessione e
delizia, era stato come una doccia fredda lungo la schiena ed
improvvisamente aveva alzato gli occhi di scatto, dimenticandosi che in
quei pochi istanti avevano più di venti occhi puntati contro
e
altrettante orecchie tese a captare quello che dicevano.
Ignorò tutte le loro presenze, non era poi così
difficile, ma lo sguardo pericolosamente serio di Daphne non gli
sfuggì affatto.
'Ne sei sicuro?'
Deglutì, in un modo estremamente più terreno e
realistico
di quello che l'altra usava come intercalare durante i suoi discorsi ed
abbassò gli occhi un solo istante, quel tanto che bastava a
decretare la momentanea vittoria dela ragazza.
Dopo quel piccolo scambio di battute Daphne fu pronta ad iniziare la
vera e propria intervista, dal momento che il suo improvvisato
fotografo aveva finito di incantare pellicola e macchina fotografica.
Si mise in posizione, naturalmente sicura della luce che l'avrebbe
fatta apparire più bella. Non erano gesti studiati o
affettati
questi, Theodore sapeva che Daphne, differentemente dalla sorella,
aveva una naturale propensione all'essere al centro della scena e
sembrava quasi essere nata per quello.
Molti avevano inizialmente pensato che sarebbe stata lei, la promessa
di Draco Malfoy, ma lei non avrebbe mai accettato di essere ricordata
solo come la moglie di qualcuno, era troppo fiera. Si impegnava ed
andava fino in fondo ad ogni cosa si proponesse, odiava perdere ed era
capace di sopportare numerose privazioni pur di ottenere una ricompensa
oggettivamente minuscola ma, per il suo punto di vista,immensa.
Daphne Greengrass aveva il suo personale modo di vedere le cose e
niente e nessuno sarebbero riusciti mai a smuoverla.
La penna incantata di Daphne volava in aria, su un taccuino,
registrando esattamente le parole che venivano dette, mentre un
infernale aggeggio babbano continuava ad oscillare sulla scrivania,
senza fermare mai il suo moto, provocando più di uno scatto
innervosito a Theodore che mal sopportava quei piccoli rumori, simili
al ticchettare di tacchi di una donna o al battere della pioggia sul
vetro. Theodore non amava quella sensazione di qualcosa di subdolo che
si insinuava nella sua vita, talmente abituato ad essere lui quello che
si insinuava nelle vite altrui sottotono e silenziosamente.
Passò alcuni istanti a fotografare il luogo, perdendosi le
prime
domande poste da Daphne ai giocatori; fotografare il mondo per lavoro
lo annoiava tanto quanto amava rapire minuscoli attimi di tempo quando
più gli sembrava opportuno, imprigionando nella pellicola
pezzimi di anima. Fotografare persone intente a lavorare per dare
l'illusione a dei lettori distratti di essere stati in quella stessa
stanza era freddo e di maniera e nulla, decisamente nulla, nel mondo
dell'ultimo figlio dei Nott corrispondeva a quei criteri.
'Cosa si prova ad aver perso il terzo titolo europeo contro i Karasjok
Kites, che non salivano sul podio dal 1956?'
Decisamente più interessante rapire quell'espressione
infastidita di Oliver Baston e del suo fido bestione battitore, le
sopracciglia che si aggrotavano velocemente e le labbra che fremevano
per aprirsi e rispondere senza badare ai dettami della ragione.
Triviali.
Il capitano dei Puddlemer's united sentiva la rabbia crescere e la sua
impulsività premere contro le tempie; l'idea di se stesso
licenziato o in panchina era l'unica cosa che, fino a quel momento, era
riuscita a tenere a freno la lingua nonostante l'odio, profondo, che
quella ragazza gli ispirava.
Rimase diversi istanti in silenzio a prendere aria per far scendere il
rossore dalle gote, nascoste malamente dalla barba; la ragionevolezza
non era mai stata il suo forte, ed incanalare le sue energe in una
risposta sensata e umanamente comprensibile fu, in quel momento, uno
sforzo notevole.
'I Karasjok Kites sono immensamente migliorati, quest'anno e perdere
contro di loro è stato un onore.'
In realtà perdere era una cosa che Oliver non comprendeva,
in
nessun caso e per nessun motivo straordinario; sarebbe stato capace di
immolare alla causa qualsiasi osso del suo corpo e la morte ,forse, era
l'unico vero limite che metteva alla sua voglia di agonismo.
La vittoria dopo una battaglia, anche se era una battaglia su di un
campo di Quidditch, era il momento migliore della sua settimana, quello
in cui l'adrenalina gli scorreva in corpo e si sentiva invincibile. Non
avrebbe cambiato quelle sensazioni per nulla al mondo, per nessuna
donna e nessuna somma in denaro. Il Quidditch era e sarebbe sempre
rimasto la sua vita, sebbene qualcuno dicesse che a volte risultava
troppo estremista. Solo e soltanto il suo orgoglio superava il suo
amore per il Quidditch ed esattamente per questo motivo non avrebbe mai
permesso alla bionda gioralista di sbugiardarlo nuovamente.
'Capisco...'
Quel mormorio appena accennato che fuoriuscì dalle labbra
truccate della ragazza misa talmente alla prova i suoi nervi, che Ernie
dovette poggiarli non una ma ben due mani sull'avambraccio destro, per
impedirgli di scattare in piedi e far scoppiare quella rissa che era
stata, per l'intercessione di una divinità non ben
precisata,
evitata in discoteca poche sere prima. Le mani di Ernie così
nervose e poggiate sul suo braccio, insieme alle occhiate preoccupate
del suo manager, fecero la felicità di Daphne e lo fecero
stare
definitivamente zitto. Per il momento.
'E sarebbe altrettanto normale perdere, eventualmente, contro le
Holyhead Harpies? Non vi preoccupa iniziare il campionato nazionale
contro le Holy?'
Personalmente Daphne odiava le HolyHead Harpies, ma disse quella frase
con una tale calma angelica sul volto che chiunque in quella stanza si
ritrovò a pensare che quella era la sua squadra del cuore.
Oliver non ebbe nemmeno il tempo di macchinare, nella sua testa,
l'ennesimo pretesto per odiarla, che gli era stato rifilato un calcio
nel sedere da chiunque fosse seduto alle sue spalle, in un barbaro
espediente per spronarlo a rispondere.
Gli occhi scuri del ragazzo si fissarono in quelli della giornalista e
per un attimo tornarono al giorno della sfida; erano entrambi seduti su
quelle scope(2) e lottavano per il traguardo, il riconoscimento e
l'affermazione del proprio punto di vista. La tensione era alta e
sembrava scorrere fra le persone come elettricità, toccare
la
loro pelle e entrare nelle loro orecchie fino ad assordarli con il suo
ronzio.
'Ha intenzione di rispondermi, capitano?'
La voce artificiosamente melliflua di Daphne interruppe quell'illusione
uditiva che aveva colpito quasi tutti e fece sussultare talmente tanto
qualcuno dei presenti, che Oliver non fu il solo a ritrovarsi con una
goccia di saliva dove non doveva essere e numerosi colpi di tosse che
fuoriuscirono prepotenti dalla gola.
Quando rialzò lo sguardo nulla era migliorato, rispetto a
prima.
In due soli secondi era arrivato alla convinzione che nella sfavillante
casa delle serpi nessuno si preoccupava di insegnare che fissare le
persone con insistenza era segno di maleducazione; quello era l'unico
motivo con il quale si poteva spiegare l'insistenza sfacciata con la
quale ancora lo fissava, probabilmente in attesa di una risposta.
'Sto aspettando...'
'Le Harpies hanno un passato non glorioso contro la nostra squadra e
per quanto le rispetti, come ogni avversario, penso che, anche
quest'anno, potremmo avere la meglio.'
Dovevano avere la meglio o sarebbe impazzito a forza di sognare la
Greengrass, come già gli accadeva da una settimana a quella
parte. Non la trovava affatto bella, come invece Ernie non perdeva
occasione di definirla, e quel suo sorrisetto, tremendamente simile ad
un ghigno, riusciva quasi a terrorizzarlo. Era lo stesso che aveva
sfoggiato in discoteca, in occasione del loro primo scontro(1) e aveva
la sensazione che i momenti nei quali lo si poteva scorgere sul suo
viso, erano quelli in cui si doveva avere maggiormente paura di lei.
Come in quel momento.
'E pensa che avrete la meglio perchè avete intenzione di
continuare con la strana ondata di falli che ha fatto tanto scalpore
verso la fine dello scorso campionato? E' una situazione ben strana,
visto che avete dichiarato di avere i battitori migliori di tutta la
lega...'
Il suono di Ernie che deglutiva colpevole si sentì,
sicuramente,
fino al piano terra di quell'edificio troppo alto. Lo sguardo della
giornalista fisso sul cranio del suo amico lo fece scattare quasi in
piedi; conosceva bene il carattere di Ernie e, per quanto tentava di
fare lo spavaldo, restava un tassorosso fin nel midollo e non riusciva
a destreggiarsi in situazioni del genere.
'Abbiamo i battitori migliori della lega, posso sottoscriverglielo
nuovamente in qualsiasi istante. I falli di cui lei parla sono stati
semplicemente degli errori ingigantiti, commessi in un periodo in cui
eravamo fuori forma, in quanto stavamo rodando il nostro nuovo campo
d'allenamento.'
'Nuovo campo d'allenamento?'
La soddisfazione di averla colta in fallo, su qualcosa di cui non era a
conoscenza, fu indescrivibile e piazzò sul suo viso un
sorriso
egocentrico e sfavillante, senza pensare minimente che somigliava al
ghigno che tanto rimproverava a Daphne.
'Un campo in allenamento in acqua, una nuova opportunità,
estremamente rara, che è stata messa in atto per dare delle
opportunità ulteriori ai nostri giocatori. Victor Krum si
allena, come saprà, su un campo in acqua.'
'Victor Krum è il miglior cercatore del mondo, sta dicendo
che il suo cercatore è all'altezza di Krum?'
Fece un silenzio ad effetto, durante il quale cercò, o fece
finta di cercare, alcune notizie sulle pagine iniziali del suo taccuino.
Quando Daphne alzò lo sguardo dalle righe scritte,
un'espressione fintamente contrita rendeva i suoi occhi seri e le
labbra prive di qualsiasi espressione.
'Dal San Mungo, dov'è stato ricoverato più di una
volta, mi arrivano notizie contrastanti...'
'Non intendevo peccare di presunzione nei confronti della mia squadra,
Krum rimane il migliore di tutti i tempi, ma sicuramente questa
è un'opportunità quasi unica in inghilterra per
una
squadra di Lega.'
'Capisco...'
Quel suo intercalare e quel modo snervante e lezioso con il quale la
ragazza continuava ad umettarsi le labbra, come se niente la toccasse,
faceva salire la sua pressione sanguigna ogni minuto di più.
Accolse con estremo sollievo il gesto del polso, secco e deciso, con il
quale la bionda riprese il controllo su quell'oggetto infernale che era
la sua penna automatica; era dai tempi del Torneo TreMaghi, in cui
leggeva le indecenti interviste della Skeeter, che aveva imparato a
diffidare di espedienti del genere e dei giornalisti in generale.
L'idea che quell'intervista snervante si avviasse alla fine, gli era
estremamente congeniale e già sorrideva sollevato ad Ernie
quando la loro infernale carnefice si voltò nuovamente verso
di
loro, con la borsa già in mano e il suo portaborse con la
macchina fotografica ben infoderata.
'Mi dica, signor Norcott, avete intenzione di essere presenti alla
commemorazione che si terrà alla Palude di Queerditch*?'
Sembrava una domanda apparentemente innocente, la penna era dimenticata
in fondo alla borsa, ovviamente grigia, che la bionda portava con se e
nulla poteva andare storto, si disse Oliver. Poteva arrivare sano e
senza condanne pendenti sul capo alla fine della giornata. Forse.
John li aveva guardati per un attimo stranito, non capendo cosa
c'entrasse quella domanda, traumatizzato com'era, ancora, dall'ultimo
incontro avuto con la bionda. Annuì innocente ed
inizialmente si
fidò del leggero sorriso di circostanza che gli
arrivò in
risposta.
Daphne era già quasi fuori dalla porta, varco che Theodore
aveva
già oltrepassato, quando si voltò per l'ultima
volta e
puntò gli occhi su Oliver, su lui e su nessun altro.
'Attendo un invito all'evento che organizzerete per l'occasione,
capitano. Sono sicura che non perdereste mai l'occasione per parlare
della vostra squadra e della vostra correttezza a tutto il mondo
magico. Buona giornata a tutti..'
Indubbiamente le uscite plateali erano le sue preferite.
*°*°*°*°*°*
Note:
1/2:questi
episodi fanno
riferimento al prequel.Riassunto: quest'intervista doveva essere
già fatta in precedenza ma la squadra non si era mai
presentata
all'appuntamento. In seguito Oliver e Daphne si erano incontrati e lui
le aveva lanciato una sfida, convinto di umiliarla,'perdendo'.
3: La palude di
Queerditch
è, secondo 'il quidditch nei secoli', il posto in cui
appunto il
famosissimo gioco magico fu inventato.
Spero vi sia
piaciuto questo primo capitolo <3
Un
bacio,Lilyblack.
p.s. per chiunque
voglia, lascio il link al prequel:
http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=568211&i=1
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Capitolo 2 *** L'articolo ***
Chiaroscuri e
Prospettive-La Vendetta
Buongiorno
a tutte!
Ecco a voi il secondo capitolo di Chiaroscuri e Prospettive e le nuove
peripezie dei nostri eroi (?).
Daphne ed Oliver questa volta saranno 'studiati' nel loro habitat
naturale, impareremo a conoscerli maggiormente e tenterò,
insieme a voi, di scavare nella loro mente. Un pò come se
fossero un simpatico esperimento scientifico.
*-* Sperando che vi piaccia, vi lascio alla lettura.
un abbraccio,
Lilyblack.
p.s. Questo capitolo
è dedicato ad Only_Me che con le sue parole random ha
ispirato buona parte del capitolo!
*°*°*°*°*°*°*°*°*
L'articolo
L'odio
è un tonico, fa vivere, ispira vendetta; invece la
pietà uccide, indebolisce ancora di più la nostra
debolezza. (Honoré de Balzac)
°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
Daphne
odiava i giovedì, chiunque la conoscesse lo sapeva. Aborriva
con tutta se stessa quei pomeriggi oziosi, inutili ed apatici in cui
non aveva niente da fare se non scrivere un articolo che non sarebbe
stato pubblicato prima del lunedì della settimana successiva
e che, la maggior parte delle volte, non era mai concluso in tempo.
Daphne Greengrass era la donna con più articoli consegnati
all'ultimo momento di tutto la redazione e rare volte si costringeva a
scrivere la sua opera per tempo, con calma e tranquillità.
Scrivere l'articolo sui Puddlemere United era, sicuramente,
un'occasione troppo ghiotta per non cibarsene con calma, utilizzando
uno dei tediosi e noiosi giovedì pomeriggio che
costeggiavano impertinenti la sua vita da persona adulta.
Le tre del pomeriggio erano scoccate da poco e lei era già
al lavoro, seduta ad un grande tavolo in ciliegio, in un salone
illuminato a giorno, nonostante la pioggia che continuava a scrosciare
oltre le finestre.
Daphne amava la pioggia, il suo odore e il suo battere ritmico,
regolare, che la faceva sentire calma e protetta, immersa in un luogo
in cui esistevano solo lei e i suoi pensieri, dove era libera di far
espandere la sua anima.
Quando pioveva Daphne amava ascoltare solo il rumore della pioggia e
quello della sua penna d'aquila che grattava sul suo taccuino;
qualsiasi altro rumore, come il tamburellare di dita che sentiva in
quel momento, aveva la capacità di farla uscire dal mondo
mentale in cui si era rintanata con la stessa amabilità di
un basilisco.
Alzò
appena gli occhi, ma la fonte del fastidiosissimo rumore non era nel
suo campo visivo per poter essere fulminato; nel tentativo di un
approccio diplomatico, inarcò un sopracciglio e fece finta
di esibirsi in un paio di delicati colpi di tosse, talmente finti che
neppure un sordo avrebbe creduto alla loro veridicità.
Solamente la pioggia e il persistere di quel ritmico battere risposero
alla sua provocazione.
Si raddrizzò totalmente sulla sedia, come se le fosse
mancato in quegli attimi assumetere quella posizione impostata e snob e
fece scorrere lo sguardo lunga tutta la stanza, come quello di un
rapace che cerca la propria preda.
Nel momento esatto in cui si fermò sulla pelle color ebano,
colpevole, delle dita di Blaise deglutì profondamente,
tentando di non far rumore; respirò a fondo, più
di una volta, ma il blando training autogeno non sortì
l'effetto sperato.
Il ticchettare continuava a darle un fastidio mortale e l'articolo era
ancora appeso a metà, fra il filo del sarcasmo e quello
dell'inchiostro.
'Ti
Annoi Blaise?'
La
voce era pungente e tediata, ma non feroce. Erano poche le persone con
cui Daphne non riusciva ad essere feroce, anche nei momenti di maggiore
odio che contraddistinguevano i suoi rapporti con la maggior parte del
mondo; Blaise faceva parte di coloro con i quali non riusciva ad
arrabbiarsi mai veramente.
Urlava, strepitava e lanciava improperi al cielo sembrando una copia
bionda e appena più elegante di Pansy-scaricatore di porto-
Parkinson, ma non riusciva ad odiarlo.
Odiarlo,
forse, sarebbe stata la sua più grande fortuna, eppure non
riusciva nè ad amarlo nè ad odiarlo, e rimaneva
incatenata a qualcosa di indefinito, che sapeva vagamente di amicizia.
Quando
l'altro alzò gli occhi verso di lei sostenne lo sguardo come
se niente fosse, bravissima a recitare qualsiasi copione le si ponesse
davanti, malata di perfezionismo fino al midollo osseo.
Inarcò un sopracciglio e arricciò appena le
labbra, indicando la mano dell'ex serpeverde con un cenno del capo,
distratto ed indolente.
'No
perchè forse solo la noia sarebbe una scusante accettabile,
per tutto il casino che stai provocando.'
'Il
mio tamburellare ti dà fastidio?'
La
voce di Blaise era profonda, musicale e si adattava perfettamente a
tutto ciò che era la sua persona: ricercata, riservata e
terribilmente invadente nel suo essere assolutamente unica. Ignorarlo
era impossibile e nella girandola di persone ossequiose che lo
attorniavano, i pochi amici che aveva erano quelli che lo trattavano
come una persona normale o, come nel caso di Daphne, come un impiastro
qualunque.
Daphne
era talmente sicura di ogni suo gesto, che non aveva bisogno di trovare
conferme negli altri e questo era una delle cose di lei che gli era
piaciuta fin dall'inizio, fin dalla prima sera passata ad Hogwarts;
avevano legato, nonostante i caratteri orgogliosi, scostanti e poco
accomodanti che avevano entrambi e non si erano più lasciati.
'Il
tuo tamburellare è snervante.Io sto tentando di lavorare...'
Esclamò
lei, con il tono di voce più trascinato e esasperato che le
riuscisse di produrre. La piega arcuata che aveva preso il suo
sopracciglio destro sarebbe stata preoccupante per tutti, tranne che
per lui che provava un macabro divertimento nel farle perdere le staffe.
Blaise Zabini ghignò, continuando a fissare negli occhi
verdi l'amica, che era rimasta con la penna ferma a mezz'aria, segno
che aveva tutta l'intenzione di continuare a scrivere.
'Tu
stai tentando di lavorare nel salone di casa mia e mi costringi a stare
quì...'
'Beh,
è maleducazione usufruire della stanza di una casa senza
essere in compagnia del padrone della suddetta.'
Ottimo
modo per mascherare i suoi reali pensieri. Daphne era sempre stata
così totalmente ligia alle sue personali regole, che nessuno
si stupiva mai quando se ne usciva con originali frasi del genere, in
un mondo che stava rivalutando tutte le sue priorità e
posizioni.
Viveva
in un monolocale e per vivere lavorava, cosa assolutamente abolita dal
bel mondo, eppure del suo retaggio familiare da purosangue manteneva in
toto alcune formali convinzioni.
Un particolarissimo ed imprevedibile ibrido.
Il
silenzio che seguì quelle parole fece alzare a Millicent lo
sguardo dal suo diario, quel tanto che bastava per assicurarsi che non
si fossero schiantati a vicenda; il vedere che erano ancora entrambi in
possesso della loro lucidità le fece esalare un sospiro di
sollievo, sebbene non pronunciò parola alcuna. Era
perfettamente conscia che mettere il becco nell'astruso rapporto tra
Daphne e Blaise non era affatto cosa buona e giusta: l'ultima volta che
aveva tentato di dire alla sua bionda amica che forse
doveva
dichiarargli i suoi sentimenti, si era ritrovata i capelli rossi per
circa una settimana, diventando lo zimbello di tutta serpeverde. Non
aveva più tentato, da quel momento, ma continuava ad essere
convinta che nei rapporti interpersonali tutte quelle fobie non
servivano a niente; Lei e Gregory erano perfettamente felici,
semplicemente felici nella loro banalissima storia d'amore.
'Usare
casa tua, per lavorare?'
'Non
dire stupidaggini, mi annoio da sola e quì c'è
più luce.Cos'altro avrai mai da fare...'
L'attimo
di panico in cui Millicent era caduta finì, nel momento
stesso in cui Daphne riprese a scrivere, seppur con un orecchio teso
alle parole che sapeva sarebbero giunte dal moro.
Le domande a trabocchetto erano una delle armi preferite dalla bionda
durante le sue scorribande lavorative e non si asteneva da usarle con i
suoi amici, se le serviva sapere qualcosa senza esporsi troppo o
controllare le loro vite, egocentrica come nessun'altra al mondo.
Millicent scosse il nugolo di capelli crespi che si ritrovava in testa,
sconsolata, guadagnandosi nient'altro che un 'leggero' calcio alla
caviglia destra.
'Niente,
ma..'
L'apocalisse
calò nella stanza e la frase non fu mai finita.
Apocalups, vivace cane Corso del nuovo marito della madre di Blaise era
appena entrato nel salone, seguito da un fiume di fango e sassolini,
oltre che dalla risata cristallina di Theodore Nott.
Una risata destinata a spegnersi sotto il fuoco incrociato del Silencio
di Daphne e delle urla sovrumane di Blaise, scattato immediatamente in
piedi per cercare di arginare i danni.
'Theo
sei impazzito? Quante volte devo dirti di non far entrare la belva!'
'
Quante volte devo dire io a te di non chiamarmi Theo! E' triviale!' (1)
I
due ragazzi erano fermi l'uno davanti all'altro, impegnati a lansciarsi
contro improperi piuttosto velati, mentre Blaise con un colpo di
bacchetta lanciava il cane oltre la portache l'amico aveva lasciato
aperta, isolando al stanza da una precoce fine del mondo.
Per
qualche istante Daphne fu seriamente tentata di lasciarli litigare, di
riempirsi la mente delle loro urla e di ignorare qualsiasi altra cosa;
Ignorare l'attimo e far finta di tornare ad Hogwarts, era uno dei suoi
passatempi preferiti, ma quando lo sguardo le cadde sul taccuino e
sull'articolo che giaceva non rifinito, decise che era ora di prendere
in pugno la situazione.
'Anche
autoinvitarsi è triviale!'
'Ma
io non mi sono autoinvitato, ho seguito Daphne...'
La
voce della verità. Nel tentativo solito e conosciuto di far
sembrare quella riunione un qualcosa di più di una semplice
scusa per farle osservare Blaise, aveva notificato a Theodore che
stavano occupando abusivamente il salone di Zabini Manor.
Bastarono
pochi secondi e due paia d'occhi, dai colori quanto mai opposti, si
fermarono su di lei, chiedendole silenziosamente una spiegazione.
Daphne
si strinse nelle spalle e posando lo sguardo sulle scarpe sporche,
lievemente, di fango del nuovo giunto arricciò le labbra,
per poi decidersi a parlare con estrema calma.
'Ma
tu non dovevi essere da Imogen?'
La
sua risposta apparentemente non era pertinente con il resto del
discorso, ma in realtà aveva saputo scegliere alla
perfezione l'argomento con il quale sviare il discorso da se stessa.
Imogen Eldalyn Talavera, la santa donna che sopportava, oramai da
tempo, Theodore Notte e che, solitamente, viveva in simbiosi con lui.
'Ha
alcuni parenti spagnoli ospiti da lei...'
'Ti
ha cacciato?!?'
'Ma
non dire stupidaggini! E' scappato lui...'
Per
ignorare gli impulsi ormonali che Blaise intento a bere del Wisky le
provocava, aveva deciso di scatenare la sua subdola ira su quello che,
in fin dei conti, era il suo migliore amico. Il suo unico, vero,
amico
maschio.
Si
avvicinò alla poltrona dove Theodore si era seduto, portando
con se il suo profumo di orchidea, elegante e selvaggio allo stesso
tempo, proprio come lei; una volta seduta sul bracciolo del mobile, si
dimenticò apparentemente di quello di cui stavano parlando,
per guardare con un'aria fantasiosamente innocente, i due ragazzi con
aria innocente.
'Beh
mi sembra ovvio che è scappato lui perchè i
cugini di Imogen non parlano inglese e lui non vuole dimostrare quanto
poco ha imparato lo spagnolo.'
'Hai
bevuto Daph?'
'Non
meriti neanche una risposta...'
Daphne
non si ubriacava mai, era risaputo. Lei era sempre perfettamente sobria
e capace di controllare se stessa; nella mente le aleggiavano troppi
segreti perché si potesse permettere di lasciare le sue
labbra capaci di dire qualsiasi cosa.
L'alcool, nella sua personale scala di valori, era più
pericoloso del veritaserum.
'Andiamo
a prenderci una coppa di fragole con panna da Florian?!?'
La
voce di Millicent era stata, fino ad allora, spenta, ma aveva
improvvisamente deciso che era il caso di stoppare quel battibecco
improponibilmente lungo che stava per nascere li, proprio sotto il suo
naso. Amava troppo il suo cervello e le sue orecchie, per farsi fare
cotanto male.
Non
aspettò che rispondessero, ma appellò tutti i
loro mantelli; vivere con daphne le aveva insegnato qualcosa: se vuoi
che gli altri facciano qualcosa per te, mettili nella condizione di non
poter rifiutare.
'Ok...'
Come
volevasi dimostrare.
*°*°*°*°*°
Hogsmeade
era invasa dalla pioggia da quasi quattro giorni e nonostante tutto
Oliver era uscito di casa, preso dalla rabbia,senza ombrello. Aveva
sembpre odiato gli incantesimi idrorepellenti e arrivò alla
porta del pub dove doveva incontrarsi con i suoi compagni, bagnato
fradicio, cosa che non aveva minimamente previsto, quando si era
vestito di chiaro.
Follia. Non c'era altro modo per spiegare quel suo improvviso amore per
il bianco.
Follia
e poco sonno; Poco sonno e molti sogni o meglio, molti incubi. Ogni
volta che si addormentava sentiva come un senso di oppressione e
saltava al centro del letto, costringendosi poi a stare sveglio. Non
era un bambino e ovviamente non credeva al mostro nero nascosto sotto
al letto, ma era piuttosto sicuro che i mostri più
pericolosi albergano negli uomini e nelle loro menti e la sua era
troppo stressata, in quell'ultimo periodo, per lasciarla libera di
sognare.
Era
troppo stressata anche per lasciarla libera di camminare; Era arrivato
davanti al Pub da almeno due o tre minuti e ancora non riusciva a
riappacificarsi con la porta.
Tirare,
Non spingere.
Aveva
sempre avuto qualche problema con le porte dei locali.
Quando
finalmente riuscì ad entrare in quel posto dalla dubbia
fama, vide una scena raccapricciante.
Tra
pizzi e trine il suo cacciatore Samuel Orwell era inginocchiato davanti
alla procace cameriera che lo guardava con uno strano cipiglio,
indecisa se essere disgustata o estremamente divertita da quella sorta
di essere umano ubriaco.
Come
fosse poi riuscito ad ubriacarsi con l'unica bevanda che servivano in
quel posto, il Tea, per Oliver era un mistero.
'Vi
amo Sherazade! Vi amo!! Volete sposarmi?!?'
Il
capitano era piuttosto sicuro che la cameriera, dai tratti tipicamente
inglesi, non si chiamasse in quel modo astruso, ma si limitò
a zittirsi e a sedersi, cercando conferma negli sguardi dei suoi
compagni. Allucinati e divertiti allo stesso tempo, gli altri cinque
componenti titolari dei Puddlemere United, sorseggiavano da bottiglie
di dubbia provenienza e gli ricordarono di quando, nella sala comune di
Grifondoro guardavano qualche povera vittima di Fred e George.
Per
qualche istante dimenticò qualsiasi cosa, si
abbandonò allo scorrere del liquido caldo nella sua gola e
scoppiò a ridere come tutti, nel locale, quando Ernie
esasperato dalla situazione tentò di prendere le redini del
gioco.
'Signorina
la prego lo sposi!Solo così non lo vedrà mai
più!!'(2)
Le
risate divennero quasi singhiozzi, poi mani che battevano sui tavoli.
Bastò poco perchè quel piccolo locale zuccheroso
e rivoltante divenne una sorta di bettola di periferia, un ritrovo per
ubriachi e falliti.
Era
così bello non dover pensare a niente, non avere un orgoglio
ferito da riparare, niente diritti e niente doveri se non quello di
divertirsi. Ritornare all'infanzia era sempre qualcosa di stimolante,
ma il ritorno alla realtà finiva per rivelarsi dannatamente
brusco.
'Dovete
averla fatta schifosamente arrabbiare, quella giornalista, se siete
così ubriachi a prima mattina...'
Gli
sibilò qualcuno nell'orecchio, dopo il terzo sorso di
ciò che sembrava firewisky d'annata.
Non riuscì mai ad identificare chi fosse stato, ma gli
bastò a scrollarsi di dosso l'alcool e vedere tutto quello
che stava accadendo con un'ottica nuova ed estremamente più
raccapricciante.
Erano
la squadra migliore del campionato e si erano rinchiusi in un bar per
coppiette ad ubriacarsi, per motivi a lui ancora ignoti, facendo una
figura davvero poco dignitosa.
Nessuno
di loro era pulito, ordinato o comunque in una situazione estetica
socialmente adatta alla loro casta, quella idolatrata dei giocatori
dello sport maigico più seguito ed ambito.
Erano
giocatori di Quidditch, per morgana! Come erano arrivati a sembrare
degli scadenti appassionati di gobbiglie?
La
voce che l'aveva risvegliato dalla trance, sembrava essere entrata
dalla sua testa, e dopo che i suoi neuroni si incontrarono, nello
spazio cavo del suo cervello sormontato da una massa di capelli
increspati dalla pioggia, si affannò a cercare qualsiasi
cosa assomigliasse anche lontanamente ad una copia de 'La gazzetta del
Quidditch'.
Probabilmente
sembrava matto, con quegli occhi resi lucidi e languidi dall'alcool e
dal raffreddore imminente, mentre si sbracciava a destra e a manca,
rischiando di cadere dalla sedia per un salto troppo azzardato o di
denudarsi perchè, nella foga, un pezzo del suo vestiario si
era impigliato in uno strano segnaposto a forma di cupido.
Uno
sguardo perplesso di Ernie, l'unico apparentemente sobrio, lo
riportò alla realtà.
L'ultima
cosa di cui aveva bisogno la loro reputazione era un arresto per atti
osceni in luogo pubblico.
Quando
finalmente riuscì ad afferrare l'agognato giornale,
respirò profondamente e si caricò delle migliori,
utopistiche, aspettative su ciò che avrebbe trovato al di
sopra della firma di quella serpe velenosa.
Quell'articolo
ormai era una questione personale, anche se Oliver continuava a negarlo
anche a se stesso. Il quasi licenziamento, la sfida praticamente persa
e quella ridicola intervista fatta con lo stile di un plotone di
esecuzione, non avevano contribuito ad innalzare la stima che aveva
delle donne giornaliste, in particolare di quelle che andavano in giro
circondate da gorilla serpeverde, come se fossero ancora a scuola.
Sfogliò
il giornale con la calma tipica di chi in realtà non vuole
affatto leggere ciò che sta facendo finta di cercare.
'Buongiorno
cari lettori.
Pubblico con un ritardo non previsto e non dovuto alla
volontà di questa redazione, ma ad alcuni imprevisti
imputabili alla squadra di cui oggi parleremo, come sicuramente
già sapete.'
Riusciva
quasi ad immaginarsela, con quell'aria da prima donna e il dito del
giudizio puntato contro di loro.
Odiosa
donna, donna odiosa.
Scacciò Ernie con un calcio, ben sapendo che l'unica cosa
che cercava su quella pagina era una foto della Greengrass, per la
quale continuava a nutrire un'insana passione.
Prima o poi sarebbe riuscito a liberarlo da quel tarlo in minigonna e
cotonati capelli biondi, l'avrebbe fatto per la sua stessa
sopravvivenza. Sopportare un amico che idolatra, trasportato dagli
ormoni, colei che era diventata il suo più grande incubo,
non era sicuramente una cosa da Oliver.
Lui
non passava sopra ad offese così gratuite e riusciva a
perdonare solo le persone alle quali voleva veramente bene e coloro
che, soprattutto, non toccavano la sua ragione di vita.
'Nonostante
le prime impressioni e qualche pausa imbarazzante...'
Il
ricordo dell'intervista invase la sua mente, facendolo rabbrividire.
SI
ricordò perfettamente tutte le impressioni che lei gli aveva
fatto, lo sgradevole senso di inferiorità che per
un attimo solo quegli occhi verdi erano riusciti ad infliggergli,
segnando un record.
Oliver
Baston, Grifindoro, Giocatore di Quidditch e scopritore del talento
sportivo di Harry Potter, non si era mai sentito inferiore per nessuno
ma in quell'ufficio, per un solo istante, il silenzio nel suo cervello
era diventato assordante e non era riuscito a reagire; immaginarsi se
stesso piccolo come una formica era stato il passo successivo, anche se
era durato un solo attimo.
La
rabbia incominciava a serpeggiargli sotto la pelle, resa
calda da quei sorsi di firewisky troppo invecchiato.
'Il
capitano promette che i falli smetteranno di imbarazzare la tifoseria.
Dobbiamo crederci?'
Oliver
chinò il capo e deglutì.
Se
c'era una cosa che odiava di più di essere deriso era essere
deriso per qualcosa che continuava a tentare di arginare senza successo.
Era
perfettamente cosciente che alcuni suoi giocatori tendevano ad essere,
in campo, più simili a macellai che ad esperti di Quidditch,
ma non poteva farci nulla, aveva già fatto tutto il
possibile e quell'oca non aveva nessun diritto di rigirare il coltello
nella piaga.
Non
poteva farlo sanguinare, non ne aveva il diritto, non si erano mai
guardati negli occhi con sincerità ed Oliver aveva delle
idee ben precise, sul diritto di far soffrire gli altri.
Perchè
continuasse ad infierire su di loro nonostante la vittoria e i ben due
articoli che le avevano fatto pubblicare, era un qualcosa che lui non
riusciva a concepire, nonostante lo spasmodico amore per la vittoria e
lo stretto rapporto sentimentale che lo legava al suo orgoglio, fin dai
tempi della scuola.
Continuò
a leggere, scorrendo le parole sarcastiche della sua nuova nemesi
tentando di farsele scivolare sulla pelle e di non notare quanto fosse,
effettivamente arguta e conoscitrice della materia. Avrebbe ammirato
quelle qualità in qualsiasi altra ragazza, ma lei non era
ammirabile, era abominevole.
'I
puddlemere united promettono la presenza alla commemorazione storica
con uno speciale incontro con i tifosi.'
Si
bloccò all'improvviso su quella frase, troppo benevola per
far realmente parte di quell'articolo costellato di sarcasmo e denti
avvelenati malamente nascosti. Rimase a guardare quelle parole con la
fronte aggrottata e una ruga di espressione che segnava il volto
segnato da quella barba che oramai stava diventando perenne; la sua ex
ragazza diceva sempre che quei momenti di silenzio riflessivo, rari,
erano quelli in cui lo apprezzava di più, ma non si era mai
spiegato se fosse perché non sopportava sentirlo parlare o
perchè quella particolare espressione aumentava il suo
fascino. Non aveva attualmente nessuna a cui chiedere delucidazioni.
Quasi
si strozzò con il tea che aveva ordinato nel mentre, quando
gli occhi castani si fermarono sulla frase conclusiva dell'articolo.
'La
redazione ricorda ai fan di mettere in conto un eventuale e sostanzioso
ritardo da parte dei loro beniamini.'
Brutta
strega!
*°*°*°*°*°
Note:
1.
Questa frase è una citazione di Lovechild, nel capitolo 4 di
'Dovevo dirti molte cose' ** La dice lo stesso Theo. E mi permetto di
citarla per farle una sorpresa.
2.
Rivisitazione di una citazione di Groucho Marx.
*°*°*°*°*°*°
Risposta
alle recensioni:
Vogue:sono
contenta che ti piaccia questo sequel! In fondo, se Daphne e Oliver
esistono in questa forma, è tutto merito tuo e del tuo
contest^^
Aspetto
la tua prossima opinione, con questo capitolo si entra nel vivo!
Fabi_: SI
*_* Daph è la donna serpeverde per eccellenza, almeno per
me. Stronza, permalosa, orgogliosa, diretta in modo quasi imbarazzante
e subdola allo stesso tempo *_*
Sono
contenta che ti piaccia! Aspetto la risposta a questo capitolo u.u
Valaus:
Tesoro mio caro*_*
Morirei,
senza le tue recensioni.
In
questo capitolo non vi sono molti pungolamenti diretti ma vi
è molta più Daphne e parecchio più
Oliver. Nella mia testa era diverso, il capitolo, ma causa un blocco
dello scrittore alla fine è uscito così,spero ti
piaccia comunque.
Payton:
Franci!
La
vendetta di questa storia è a lungo termine ** E' tutto
basato sull'odio, la vendetta e il rancore questo loro scontrarsi, per
come la vedo io sono de sentimenti che danno tanti tanti spunti
narrativi! *_*
Spero
ti piaccia questo capitolo e che tu non mi abbia odiato per
l'immissione di un nuovo personaggio maschile *_*
LC: Yaya
mia! *_* Eccoci alla tua recensione.
Theo non crucia Daphne perché, nel miomondo, è la
sua migliore amica. Daphne stessa dice che Theo in realtà
è il suo unico amico maschio e lui lo sa. La sopporta e le
vuole bene così com'è, tentando di arginare dove
può il suo caratteraccio.
Oggettivamente si comunque, se Imogen sapesse, sarebbero GUAI grossi XD
Hai perfettamente ragione.
*_*
Spero ti piaccia questo nuovo capitolo, che ti porti un pochetto in
più nella testa della mia Daph.
un
bacio,
Imogen/Lara/la
Romana XD
WHE: XD Lo
so che non è carino iniziare la recensione con il tuo
diminutivo, ma sicuramente sbaglierei qualche lettera, e allora aggiro
il problema.
Siamo
in due ad amare Theodore Notte *_* ed è per questo che
apparirà continuamente in questo sequel. Lui sarà
la coscienza maschile di Daphne, la Millicent al maschile anche se,
vedrai, ha più presa sulla bionda di quanto non abbia
Millicent, soprattutto per alcuni argomenti.
Hai perfettamente azzeccato la reazione che mi sono immaginata
all'ingresso di Daphne ma che non ho descritto perchè alcune
cose preferisco lasciarle alla vostra immaginazione.
Spero
ti piaccia questo capitolo ** alla prossima recensione.
Mary:
Ok
*_* so che stai aspettando questo capitolo!Spero ti sia piaciuto.
Come
penso di averti già detto, non voglio assolutamente
liberarmi di te u.u
Decisamente no XD Ti toccherà continuare a seguire la storia.
Nel
caso ti serva una qualche spiegazione in storia dell'arte chiedimi pure
:p Magari riesco a renderla immediata come Pirandello ^^
Un
bacio.
lily.
MaBra:
Tu
hai letto l'anteprima, ma voglio assolutamente la tua opinione tutta
intera.
Quì
non vi sono grandi litigi u.u quindi dovrai impegnarti per fartelo
piacere, mi dispiace.
Ricorda
che ti voglio bene :*
Lara.
*°*°*°*°*°*°*
Un
bacio a tutti quelli che leggono e non recensiscono,Lily.
p.s.
per chiunque voglia, lascio il link al prequel: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=568211&i=1
|
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Capitolo 3 *** Di notte ***
Chiaroscuri
e Prospettive-La Vendetta
Buongiorno a
tutte!
SO che sono in un ritardo pauroso ma ho avuto un paio di
contest da finire e un pauroso blocco dello scrittore, lo ammetto.
Questo
capitolo è strano, soprattutto la seconda parte, vi avviso
u.u
*-* Sperando
che vi piaccia, vi lascio alla lettura.
un abbraccio,
Lilyblack.
*°*°*°*°*°*°*°*°*
Di
notte
*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
Ci
sono ottimi sentimenti che possono avere pessime ragioni, non lo
sapete...? Come ci sono dei pessimi sentimenti che a volte hanno
delle ottime ragioni.
Dal
film "Ritratto di signora" di Jane Campion
*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
La
stanza era immersa nel buio. La porta si richiuse e il suo cigolio
spezzò il silenzio, facendo trasalire Daphne che era rimasta
stranita a fissare la voragine vuota della sua stanza. Nella lista
delle cose che Daphne Greengrass odiava, particolarmente lunga e
folta, campeggiavano la folla e le persone inopportune, ma anche,
assurdamente, la solitudine non contemplata. Egocentrica e viziata,
c'erano dei momenti in cui la sua testa era preda di talmente tanti
stati d'animo diversi, che restare in compagnia delle sue
innumerevoli personalità era l'ultima cosa a cui poteva
aspirare.
Il
rumore dei passi lungo il corridoio dall'altro lato della porta fece
riaccendere la speranza nei suoi occhi verdi, salvo poi farla morire
subito dopo, quando lo sguardo cadde sul calendario magico che
portava appeso alla parete opposta all'ingresso.
Era Lunedì, il
giorno più nefasto della settimana dopo il
giovedì: Theodore era a
far finta di studiare spagnolo e Millicent era al corso di disegno;
quando Blaise folleggiava in giro con la conquista di turno, come
quella sera, lei sprofondava in un baratro di solitudine.
La
camera non era rassicurante come alle prime luci dell'alba: le
cataste di giornali, vestiti, lustrini e sigarette sembravano
nascondere tutti i suoi demoni. I pensieri a cui non dava ascolto
approfittavano sempre dei suoi attimi di solitudine per saltare
fuori.
Il gatto le si arrotolò attorno alle caviglie, guardando
discretamente all'insù, negli anni aveva imparato che
perdere
l'aplomb felino con Daphne non era una grande mossa; odiava perdere
il controllo, non poter gestire qualsiasi cosa facente parte della
sua vita e considerava queste sfumature caratteriali dei difetti
mortali sulla maggior parte degli esseri viventi.
La strada verso
il letto e lo scrittoio fu tre volte più difficile del
normale:
tentare di non schiacciare il gatto, camminare e svestirsi allo
stesso tempo e al buio non era sicuramente una delle
specialità
sportive, poche, in cui era provetta. Lo sport era, per lei, alla
stregua della maggior parte degli uomini che le gravitava attorno:
guardare si, provare raramente e solo nel caso riesca ad assecondare
ogni sfumatura della personalità. Gli uomini, era risaputo,
raramente assecondavano la personalità femminile
così come
raramente lo sport era così clemente, da non far sembrare
chiunque
lo praticasse un disperato in cerca della forma fisica che non
avrebbe mai trovato.
Il ricordo dell'incontro alla nuova piscina
londinese di pluffanuoto a cui aveva appena finito di assistere,
tornò prepotentemente alla sua mente facendo si che,
improvvisamente, le sue narici fossero in grado di decifrare quel mix
fastidioso di magicloro, sudore e vociare confuso che si era
attaccato alla sua pelle e alle sue orecchie e che era riuscita, fino
a quel momento, ad ignorare grazie ai rumorosi pensieri.
Il
gatto saltò sulla scrivania nello stesso momento in cui lei
stava
per entrare in bagno , ancora marchiato dal doloroso ricordo di tutte
le volte che vi era andato a sbattere contro, riuscendo ad attirare
il suo sguardo su qualcosa che, altrimenti, avrebbe probabilmente
ignorato fino all'alba seguente. Daphne aveva la capacità,
rara, di
vivere fuori dal mondo in alcuni momenti della sua vita: poteva
frequentare lo stesso bar ogni giorno e accorgersi solo dopo mesi del
particolare colore delle pareti.
La
sua scrivania ospitava, al centro, un pacchetto il cui fiocco
argentato brillava a causa dei raggi lunari che filtravano dalla
finestra e su cui era appuntato, con malagrazia, un bigliettino.
**
Alla nostra FairyPrincess,
perché così stasera non sentirai la nostra
mancanza. Millicent e
Theodore. p.s. Ho fatto lucidare il tuo bracciale, è nel
comodino.
p.p.s. prometto che stasera imparo sul serio quel dannatissimo verbo
irregolare spagnolo**
Il
sorriso che le si aprì sul volto fu immediato e
tremendamente
luminoso, bastava che si parlasse dei suoi amici e la serata le si
rischiarava; sapeva di apparire cinica e insensibile al mondo e per
la maggior parte della sua vita lo era, ma c'erano dei pezzi di se
stessa che si erano trasposti in altre persone e non aveva nessuna
voglia di negarlo. Theodore e Milli, in quel particolare frangente,
le avevano regalato un nuovo diario, dalla copertina di pregiata seta
verde chiaro, probabilmente memori che il suo ultimo era finito da
due settimane e ancora non aveva trovato il tempo, incastrata fra il
lavoro e la pigrizia, per andare a comprarne uno nuovo.
**Anno
Domini 2005**
**5
Ottobre**
**Proprietà di Daphne Greengrass**
Con
uno svolazzo semi incomprensibile della sua grafia isterica ed
elegante al tempo stesso, Daphne siglò quel nuovo ingresso
nella sua
psiche, secondo alcuni malata e nel mondo, psicolabile, della sua
immaginazione.
Lasciò che la penna di corvo scorresse sulla
pergamena, lasciò che i suoi pensieri fluissero senza
remore, freni
e inibizioni sulla carta; il momento della scrittura era l'unico in
cui Daphne rivelava tutti i propri segreti a se stessa, l'unico
attimo della sua vita in cui si concedeva di essere totalmente
sincera e vulnerabile, rassicurata dall'assenza di qualsiasi altro
essere vivente al di fuori del gatto e di se stessa.
-E'
Lunedì.
Sono
sola in casa, con la sola deprimente compagnia di un gatto troppo
grasso che mi fissa malefico dalla scrivania. Devo essere stata
ubriaca, stranamente, il giorno in cui l'ho accettato in casa.
Graffia, è infedele, ruffiano ed opportunista, decisamente
troppo
simile a me e troppo diverso al tempo stesso per una pacifica
convivenza.
Possono convivere le anime profondamente affini o
quelle talmente diverse da compenetrarsi e completarsi, tutto
ciò
che esula dai due estremi per me è impossibile.
Millicent dice,
anima pura, che io sono troppo estremista, ma in fondo che male
c'è
nel vedere il mondo, il 99% delle volte, o bianco o nero?
Io
sono fatta così, difficilmente qualcuno mi
cambierà mai.
Trovo
sudicio cambiare le proprie opinioni per un mondo esterno a quello
della propria mente, delle proprie esperienze e delle proprie
emozioni; Daphne è l'unica persona per la quale Daphne
potrebbe
cambiare e se per questo risulto antipatica alle persone, quasi
gioisco.
Non
cerco l'approvazione di nessuno se non di me stessa, non sono come la
mia 'sorellina'.
Oggi mi sono incontrata con Astoria. Nonostante
avessi impiegato ore a trovare una scusa credibile mi ha aspettata
fuori dalla redazione del giornale e mi ha braccata, con una
pedanteria assurda per i suoi ventitré anni.
Dovrebbe aspettare
i cinquant'anni per diventare un'impicciona
Ho ceduto perché
incastrata dai suoi 'pressanti problemi', credendo di poter far finta
di ascoltare mentre pensavo ai miei sacrosantissimi affari, ma alla
fine mi sono trovata a parlare di me. Io sarei il suo pressante
problema perché, a sentire lei, oso scrivere cose pungenti
su ex
Gryffindor, portando ombre sul suo matrimonio fresco di ipocrisia.
Sia mai che qualcuno pensi che a istigarmi sia il suo perfettissimo
marito.
A volte mi chiedo se siamo uscite dallo stesso utero,
perché mi sembra sinceramente impossibile. Tutti coloro che
mi
conoscono anche solo lontanamente sanno che non mi faccio mettere le
parole in bocca da nessuno, come può pensare una cosa simile
MIA
SORELLA, una creatura che, disgraziatamente, porta il mio stesso
cognome!
Il
brutto è che non me la toglierò dalle orecchie
fino a che non sarà
sbollita questa cosa dell'articolo, meraviglioso,
sui Puddlemere.
Potrei provare a farle conoscere l'orrido Baston
per farle cambiare idea, ma probabilmente neanche quello riuscirebbe
a convincerla: affascinata com'è da qualsiasi cosa che
sappia anche
solamente stare in equilibrio su una scopa, si dimenticherebbe il suo
orgoglio di donna 'felicemente' sposata e mi darebbe contro pur di
parteggiare con lui.
E'
una tale oca a volte!
Se solo si fermasse a guardare tutta la
situazione capirebbe che ho innegabilmente ragione; lei odia
aspettare cinque minuti dalla streghestetista, figuriamoci tutto quel
tempo per un appuntamento di lavoro!
(Non
che lei sappia cosa sia il lavoro, visto che ha sposato Draco-mia
moglie non lavora-Malfoy.)
Probabilmente
dovrò sopportare questa discussione anche al pranzo di
domenica con
i nostri genitori, rovinandomi i postumi del sabato, l'unico giorno
decente della settimana.
Dovrò rovinarmi la domenica per colpa di
quel buzzurro del Gryffindor e Millicent ha ancora il coraggio di
dire che, forse, dovrei smetterla di essere così contenta di
quell'articolo, che anche se abbiamo dovuto ristampare il giornale e
il capo si è complimentato con me, non devo poi gongolare
così
tanto.
'E' solo un articolo Daph, smettila...'
Non
capisce, non è solo un articolo, è la vittoria di
numerose
battaglie, è come se finalmente Slytherin avesse battuto
Gryffindor
a Quidditch, come se qualcuno fosse finalmente riuscito a togliere
quel ghigno tronfio dal capitano più insulso che la squadra
rossoro
di Hogwarts abbia mai avuto.
Non è solo un articolo, è il sapore
della vittoria che mi scorre nelle vene; lei non ama vincere, non
può
capire.
Solamente
Blaise mi capirebbe, ma lui si tiene fuori da questa discussione
perché in questi giorni è impegnato con una nuova
conquista, che
forse durerà due settimane a dir tanto, ma sarà
sempre
troppo.
Bassina ma formosa, rossa, vacui occhi celesti:
esageratamente appariscente come tutte le donne con cui esce da circa
dodici anni.
Ho sopportato dodici anni di angherie da parte delle
oche di turno, mi stupisco sempre di questo quando ho abbastanza
tempo e voglia di farmi del male da soffermarmici a pensare un po'.
So
che è sbagliato, che questa sorta di segreta
morbosità che non
sfocerà mai in niente di fatto è una pessima
cosa, un pessimo
sentire, un morbo che mi uccide dal di dentro, ma non c'è
altra
soluzione.
Lui non ama le donne di classe, non ama le bionde, non
sfiorerebbe mai con una mano una sua amica ed è per questo,
deprimente, motivo che non parlo mai di lui nemmeno a Millicent:
sarebbe inutile e comporterebbe solo ore di filippiche assurde su
come e quando dirglielo.
Un diario è un confidente molto più
assennato, non rivela i segreti e sa sempre quando è ora di
chiudere
i battenti.
Questo li chiuderà ora, è mezzanotte oramai ed
è
ora che io mi metta a dormire, domani devo andare a parlare con il
capo e non ho idea di cosa voglia dirmi.
D.
*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
La
sala era scura, piena di fumo o di qualcosa che gli somigliava;
Oliver non avrebbe saputo dire cosa fosse realmente, forse un Bar, o
una taverna squallida piena di giocatori di bische. Una sensazione
alla bocca dello stomaco gli suggeriva che era li che voleva stare,
nonostante il disagio che lo attanagliava mentre navigava in quel
mare fumoso, grigio, innaturale.
Era
vissuto per sette lunghi anni in una torre, lui sovrastava la nebbia,
volava oltre le nuvole con la sua scopa, odiava tutto ciò
che non
fosse chiaro, e limpido. La nebbia era l'opposto della limpidezza e
di se stesso eppure, inspiegabilmente, i piedi erano saldamente
piantati per terra e sembravano capaci di muoversi solo ed
esclusivamente in avanti.
Mille
fili di ferro sembravano muoversi all'interno del suo corpo, mille
emozioni e sensazioni contrastanti alle quali non sapeva dare un
nome, e che quindi non riusciva a padroneggiare; Conoscere il nome di
qualcosa aiuta a sconfiggerlo, a combatterlo, a possederlo, ma lui in
quel momento era un succube.
Camminava
nella nebbia, sentiva risate gutturali provenire dai lati del suo
corpo, da zone d'ombra che non riusciva a vedere, da angoli che i
suoi occhi puntati solo in una direzione non riuscivano a rapire.
Frustrazione.
Ecco una delle tante sensazioni che gli marchiavano la pelle, assieme
alle altre gli si attorcigliava attorno alle sue braccia, gli
stringeva i polsi, cambiando rapidamente da carezze a strette
avvinghianti, subdole, come le spire di un serpente.
I
serpenti lo ossessionavano da giorni, da settimane, quasi da un mese;
i serpenti, gli Slytherin e la loro demoniaca rappresentante che si
era infiltrata nella sua quotidianità a tradimento.
Nessun
uomo meritava di vedere la propria vita soffocata dall'ossessione,
lui era una persona solitamente priva di qualsiasi legame compulsivo
con la rabbia e le manie di persecuzione, nonostante gli avessero
detto, spesse volte durante la vita ad Hogwarts, che si comportava da
maniaco facendo volare la sua squadra sotto la pioggia; Oliver
Baston era stato, fino a circa un mese prima, un giovane uomo sano ed
equilibrato, fino al giorno in cui aveva incontrato
quell'innominabile di Daphne Greengrass.
Lei
era ovunque, la vedeva in ogni luogo, la trovava in ogni frase
sgradevole che sentiva per la strada, in ogni donna bionda che
incontrava sul suo cammino, come quella che era proprio li davanti a
lui, in quella stanza fumosa e che non poteva fare a meno di fissare,
il suo sguardo era calamitato e la nebbia, questa volta, c'entrava
poco. Scarpe nere con il tacco, lunghe gambe velate da calze di seta
nere come quelle che aveva sempre tentato di far comprare a Penny,
corto ed aderente vestito nero su un corpo esile, labbra rosse e ben
disegnate, strette attorno ad una sigaretta. Labbra familiari, troppo
familiari. Quando capì fu troppo tardi, Lei l'aveva
già visto e i
suoi occhi verdi, allungati come quelli di un gatto malvagio erano
già fissi su di lui, le labbra non erano più
ammalianti, ma piegate
in quel ghigno mefistofelico e fastidioso.
Quell'essere
di sesso femminile riusciva a racchiudere in un ghigno una montagna
di egocentrismo e lui non riusciva a capacitarsi ancora, di come mai
facesse a sopportare tutta quella presunzione, come potesse avere
amici, amori, famiglia. Ogni suo più piccolo gesto, passo, e
movenza
erano estremamente simili all'arroganza tipica dei felini, animali
che lui non aveva mai sopportato.
Oliver
Baston odiava i gatti e, di conseguenza, Oliver Baston odiava Daphne
Greengrass che era, per l'ennesima volta, troppo vicina a lui. Ferma,
immobile e silenziosa, ma più comunicativa nel suo silenzio
di tante
donne che aveva conosciuto, ogni sua più piccola smorfia
nasceva da
un pensiero ben preciso, poteva vederlo, lui stesso era fatto
così.
La fronte si arricciò indispettita sui suoi grandi occhi
scuri,
estremamente più comunicativi di quanto non fossero quelli
che si
trovava di fronte; tentò di muoversi, di sorpassarla come
fosse un
cacciatore avversario, ma la nebbia si era fatta più fitta,
quasi
come un muro di gomma, e gli era impossibile avanzare.
La
sensazione di essere in gabbia lo attanagliò nuovamente alle
viscere
e alla smorfia infastidita delle sue labbra rispose nuovamente,
implacabile come un'ossessione, il ghigno della Greengrass.
Tentò di
fare un passo avanti, sperando che lei si spostasse, ma non fece
nient'altro che indietreggiare in modo che lui potesse camminare, ma
che la distanza fra loro non cambiasse mai; alle sue spalle
incominciava ad intravedere il gruppo dal quale si era allontanata:
Zabini, Nott, ragazzi che non conosceva e che la guardavano come se
fosse una dea.
Non riusciva a capire cosa ci trovassero in lei,
nel suo corpo e soprattutto nel cervello malato che l'aveva messo
più
di una volta negli ultimi giorni in difficoltà; riusciva a
sollevarlo solamente il fatto che lui avesse amici sinceri, cosa che
era praticamente sicuro mancasse a lei.
Lui aveva i Gemelli,
Katie, Angelina, Ernie; nel momento stesso in cui pensò allo
scozzese lui si materializzò, tirato a lucido e con un
bicchiere di
super alcolico in mano, non fece in tempo a chiamarlo a se che questo
si avvicinò alla Greengrass. Sapeva che lui la trovava
affascinante,
ma non pensava si conoscessero così tanto, vide tutto in una
sequenza muta: lui che le si avvicinava, che la stringeva per la vita
e le tendeva il proprio bicchiere di liquore, come se Oliver non
fosse li, non potesse vederli. Si sentiva un voyeur, ma più
la
nebbia si stringeva attorno a lui più la coppia, le labbra
che si
incatenavano con un ché di lussurioso, le mani di lui che si
intrecciavano ai capelli biondi come se ne dipendesse la vita, erano
l'unica cosa che riusciva a vedere. Invadevano il suo campo visivo,
la sua mente e i suoi pensieri e per qualcuno abituato a spaziare
nell'aria, questo era insopportabile, quasi quanto la sensazione di
essere stato tradito dal suo migliore amico, che provava in quel
momento.
Ogni bacio ed ogni carezza erano quei serpenti che gli
salivano lungo le braccia, le gambe, che gli stringevano alla gola e
gli toglievano il fiato e monopolizzavano la sua mente; in breve
tempo sentì il vuoto nella testa e un ronzio nelle orecchie
che si
stoppò solo quando lei si voltò verso di lui.
Verde nel marrone,
Slytherin contro Gryffindor, trionfo contro orgoglio: quello sguardo
era pieno di tronfia vittoria, lei stava silenziosamente urlando che
era riuscita a rubargli qualcosa, il suo migliore amico, una parte
della sua vita.
Gli
salì il sangue agli occhi, la parola rabbia lampeggiava
nella sua
testa, nella sua tasca la bacchetta in Castagno bruciava, come se
fosse stata percorsa dalla stessa scarica elettrica che possedeva il
corpo del suo mago. Pensare alla vendetta, prendere la bacchetta e
scagliarle contro uno Stupeficium furono una cosa sola, come se il
veleno che lei gli aveva passato con un solo sguardo l'avesse
posseduto.
Odiarla, schiantarla e svegliarsi seduto nel bel mezzo
del suo letto, con le gocce di sudore che scivolavano lungo il torso
nudo e con la faccia ancora sconvolta dalla rabbia, furono la
naturale epifania della comprensione: era stato tutto solo un
incubo.
Si alzò, sconvolto, nella notte buia che gli invadeva la
stanza, quasi fosse una naturale prolunga di quell'incubo che gli
invadeva ancora la mente; difficilmente avrebbe dimenticato quello
sguardo, quelle sensazioni che non ammetteva nemmeno con se stesso,
quello sguardo verde che lampeggiava dietro le sue palpebre quasi
più
delle Avada a cui aveva assistito nella sua vita.
Daphne
Greengrass era la sua maledizione senza perdono, ma se Harry Potter
aveva sconfitto un'Avada, lui poteva sconfiggere lei.
Daphne
Greengrass l'avrebbe pagata.
*°*°*°*°*°*°
Un
bacio a tutti quelli che leggono e non recensiscono,Lily.
p.s.
per chiunque voglia, lascio il link al prequel:
http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=568211&i=1
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Capitolo 4 *** 4/A - Quattro amici al bar ***
Chiaroscuri
e Prospettive-La Vendetta
Buongiorno a
tutte!
SO che sono in un ritardo pauroso e non ho scuse.
Doveva essere il solito capitolo a metà. Ma solo la parte di
Ollie è venuta così lunga o.o che prima di
metterci altri due anni a scrivere Daph, ho preferito pubblicare.
Ollie, perinciso, mi è un po'scappato di
mano o.o non volevo farlo...così. Poi vedrete u.u
*-* Sperando
che vi piaccia, vi lascio alla lettura.
un abbraccio,
Lilyblack.
*°*°*°*°*°*°*°*°*
Quattro
amici al bar
*°*°*°*°*°*°*°*°*
Meglio
l'orgoglio dello stolto o il silenzio del
saggio?( Sopravvivere-Fear Essence Series-Lilyblack)
°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
Londra
è una città operosa, veloce e frenetica o almeno,
questa è
l'opinione comune; ci sono alcuni angoli nascosti, nella grande
città, in cui l'ozio impera sovrano. Grandi locali si
lasciano
invadere pigri dal sole, abbandonando le loro vetrate alla tirannia
dei raggi diurni e delle mille particelle di polvere che, leggiadre
ed invadenti, si poggiano sulle più disparate superfici.
Oliver
Baston odiava la polvere che attecchiva al suo cappotto nero nuovo,
comprato in un lussuoso negozio della Londra Babbana; Oliver Baston
odiava, inoltre, qualsiasi cosa ricongiungesse i suoi pensieri ad una
certa giornalista e, purtroppo, i pensieri in questione si
moltiplicavano come i criceti. Era innegabile, per la sua mente
provata, che la bionda era esattamente come quella polvere:
inopportuna, onnipresente e assolutamente non
indispensabile.
Onnipresente,
dato che ovunque andasse, tentavano in tutti i modi di non fargli
dimenticare quegli articoli.
Inopportuna, visto che aveva lo
stesso tempismo malato di suo cugino Barthy a dieci anni, che lo
beccava sempre un attimo prima che riuscisse ad allontanarsi dalla
festa con la ragazza più bella.
Assolutamente
non indispensabile, dannatamente superflua e particolarmnte dannosa;
era mercoledì e portava ancora sulla pelle, ingrigita, e
negli
occhi, arrossati per la mancanza di sonno, i segni di quel dannato
incubo.
La
lucidità non gli era mai mancata e sapeva che avrebbe dovuto
reagire, prima che diventasse una questione personale, d'orgoglio e
perdesse di vista ciò che era giusto e ciò che
non lo era; doveva
farlo, nonostante Ernie continuasse a dirgli che se la stava
prendendo troppo, come se fosse Oliver quello poco obiettivo e non
sé
stesso. Ernie era accecato dall'attrazione che provava verso quella
vipera e lui l'avrebbe salvato: era un Gryffindor e quindi
depositario di sano altruismo, era una cosa risaputa.
Avrebbe
affrontato la situazione come ogni bravo giocatore di Quidditch:
approntando uno schema offensivo.
Punto
Primo: prendere informazioni sull'avversario.
Oliver conosceva
alcuni ragazzi nel bar più frequentato dalla Londra Magica
Giornalista, ed era proprio li che intendeva acquisire più
informazioni possibili sul diavolo biondo.
Lui
non era un uomo pigro e morire di ozio nell'attesa dei suoi agganci
non era propriamente nelle sue aspettative, ma qualsiasi guerra aveva
i suoi piccoli problemi: non ci sarebbe stato Silente senza la
bacchetta di Sambuco di Grindelwald e non ci sarebbe stata la fama di
Harry Potter, senza quel piccolo inghippo degli Horcrux.
Il
tonfo che seguì la chiusura della porta si
propagò nell'aria,
trovandolo immerso in un'apatia che non gli era propria; appoggiato
con i gomiti al bancone, gli occhi assonnati persi fra le bottiglie
di liquore e in equilibrio precario sul tipico, alto e infido,
sgabello da bar.
I
jeans neri e la felpa similbabbana lo facevano sembrare un avventore
qualsiasi, un signor nessuno da ignorare come tanti se ne incontrano,
lungo la propria vita; anime perdute, con storie troppo rumorose per
essere raccontate.
Le
sue orecchie erano invase dal suono invadente dei suoi pensieri,
frenetici,e sussultò, quando una mano possente si
posò sulla spalla
sinistra, impaurito forse a causa della suggestione di quella
cornice, oggettivamente angosciante, in cui si era calato.
'Novità?'
Non
si voltò a guardare coloro che erano giunti alle sue spalle,
ma
avrebbe potuto ripetere i loro tratti a memoria; erano scolpiti nella
sua mente da anni, vi erano stati disegnati con la cenere della
guerra, quella che firma i disegni più forti.
Dennis Canon, con
il sorriso troppo simile a quello del fratello e Lee Jordan, che
aveva firmato parte della colonna sonora delle sue partite
più
belle, riuscendo a fargli ricordare ogni più piccola
inflessione
della sua voce; perfino in quel momento, in cui le sue
capacità
mentali erano ridotte al minimo, non aveva dubbi sul fatto che fosse
lui quello che parlava dal di sopra della sua testa, affondata fra le
braccia e poggiata sul bancone di legno.
'Non
ci offri niente?'
Si
vedevano raramente, ma ogni volta che avevano un incontro, per quanto
piccolo potesse essere, i due iniziavano sempre con la stessa frase.
Girò la testa di lato e tentò di inquadrare
entrambe le figure,
così diverse: Dennis chiaro, con gli occhi grigi e quella
dannata
macchina fotografica appesa al collo e Lee, vestito con
un'accozzaglia di stili che Fred e George gli avrebbero preso in giro
fino alla fine.
Il profumo femminile che uno dei due, non gli
interessava sapere quale, portava misto al proprio, gli fece venire
in mente perché erano lì; il buonumore nato con
l'arrivo dei suoi
amici, piuttosto povero, svanì in una nuvola di fumo.
Bisognava
fare qualcosa. Improvvisamente divenne più burbero e
cacciò fuori
quel tono roco e caldo della voce che Lee gli aveva sentito usare, a
volte, quando parlava di una partita persa; il tono di voce delle
cose serie.
'Ma
voi mi avete portato notizie?'
'Si,
ti abbiamo portato notizie...un bicchiere di burrobirra!!'
La
sua speranza di riportarli sulla retta via era praticamente nulla, un
po' come costringere lui ad amare qualcosa più del
Quidditch. Nulla
mai, nella sua vita, avrebbe avuto lo stesso impatto emotivo su di
lui della prima volta che aveva parato una pluffa, ne era
assolutamente certo.
Lee,
nel frattempo, stava facendo un sorriso oscenamente ambiguo alla
barista che gli aveva finalmente dato il boccale di birra ovviamente
addebitato sul conto di Oliver; lo stomaco fece un paio di capriole
per il disgusto, nonostante fosse abituato al modo di fare, un po' da
guascone, dell'ex Grifondoro.
'Sei
un alcolizzato!'
Urlargli
contro era sempre stato un ottimo modo per avere la sua attenzione,
probabilmente aveva le orecchie sensibili dai tempi della McGranitt e
vedere la sua faccia oltraggiata che si voltava a fissarti, valeva
sempre la pena.
'E
tu uno psicopatico con manie ossessive...'
Sentire
le idiozie che aveva da dire su di lui, invece, era meno piacevole;
per un attimo gli venne in mente che Ernie gli avesse potuto dire
qualcosa, ma poi una vocina angelica nella sua testa, gli
ricordò
che lui era pulito e puro come un giglio e che quei due cospiratori,
non avevano proprio nulla da dire su di lui.
'Quel
corso che hai fatto tre anni fa al San Mungo, ti fa ancora male...Ste
notizie?'
Rude,
dritto al punto, con uno sguardo allucinato negli occhi che non
faceva presagire nulla di buono; quello che di lui gli altri
osservavano dal di fuori, suggerì ai due ragazzi che, forse,
solo
per questa volta, era il caso di non stuzzicare troppo quell'orso che
aveva preso il posto di Oliver Baston.
'Si
sa poco della sua vita in giro,ha il suo piccolo gruppo di amici e vede
poche altre persone.'
Asociale,
oltre che stronza; le labbra gli si piegarono in un ghigno, una
smorfia soddisfatta che fece brillare il suo volto di una luce che
Lee avrebbe definito quasi satanica e, sicuramente, spaventosa.
La
situazione stava degenerando velocemente, molto più
velocemente di
quanto Ernie gli avesse prospettato la sera prima, davanti ad un
drink e se non avessero conosciuto, di fama, la Greengrass, si
sarebbero preoccupati per la sua incolumità fisica.
Anche
i Grifondoro, se accuratamente stuzzicati, potevano diventare delle
belve feroci e Oliver Baston, in quel momento, assomigliava
più ad
un Leone drogato ed inferocito, che ad un essere umano nel pieno
possesso delle sue facoltà mentali. La situazione poi,
secondo la
sua personale ottica, peggiorava se si pensava che era sempre stato
convinto che le facoltà mentali di Oliver fossero, da tempo,
ottenebrate dalla brama di vittorie; impossibile spiegare altrimenti
il fatto che i giocatori di Grifondoro sotto la sua guida, erano
stati tra i più assidui frequentatori dell'infemeria di
tutti i
tempi.
'Che
posti frequenta?'
Tutti
abbiamo una tana, perfino le serpi più infide, inutili e
vomitevoli
come lei; doveva avere una tana, e lui l'avrebbe scoperta a qualsiasi
costo.
'L'Ennius
Bar a duecento metri da qui, il Phoenix come discoteca e poco altro.
Te l'ho detto, è tutta casa e lavoro.'
Era
talmente preso dalle sue elucubrazioni, che non si rese conto che
Dennis e Lee, lentamente, avevano incominciato ad allontanarsi a
ritroso, come i gamberi, verso la porta, probabilmente impauriti dal
fatto che lui avesse oramai preso in mano la sua giacca. Loro, non
volevano trovarsi contro l'acuta lingua biforcuta della giornalista e
nel caso fossero rimasti li un minuto di troppo, anche uno solo,
sarebbero stati precettati per quella crociata.
Pericoloso.
Troppo.
La
fuga era l'unica salvezza.
'Nessuno
scheletro nell'armadio?Impossibile...'
Oramai
il capitano dei Puddlemere non parlava neanche più con i
suoi amici,
oramai a metà della loro strada verso la libertà,
ma sembrava più
che altro impegnato in un solitario discorso, con lo straccio per la
polvere che la cameriera stava usando per ripulire il bancone.
'Niente
che è possibile scoprire per ora.'
La
voce di Lee arrivava da lontano, ma Oliver non ci fece caso, era
così
arrabbiato per il fatto che lei non collaborasse alla sua vendetta e
così intestardito sulla soluzione di quel 'caso', che non
gli
interessava più di niente se non i fantomatici punti del suo
schema.
Punto primo: raccogliere indizi.
Punto secondo:
studiarla nel suo habitat naturale.
'L'Ennius
Bar hai detto?'
'Quello
elegante con le tende rosse...'
'Grazie...'
Il
bar meglio frequentato del quartiere: che stupido luogo comune,
l'ennesimo che le trovava appiccicato sulla pelle. Storse il naso
infastidito, da quell'ennesima dimostrazione di cattivo gusto della
bionda, quasi fosse diventata oramai un riflesso di sé
stesso; pagò
le consumazioni e uscì dal bar a testa bassa, senza nemmeno
rendersi
conto, mentre li salutava, che i 'coraggiosissimi' Grifondoro, erano
già scomparsi nello sbiadito sole londinese.
Londra
è una città operosa, veloce e frenetica; troppo
frenetica, per
l'opinione tutt'altro che modesta di Oliver Baston sul mondo
circostante.
Era impegnato nella sua personale caccia alla volpe
da almeno venti minuti, bazzicando il breve tratto di strada che
divideva il bar dal quale era appena uscito dall'Ennius Bar a cui era
diretto, ma della serpe-volpe a cui era interessato, nemmeno l'ombra.
Nessuna
ballerina come le indossava lei durante il giorno,
nessun tailleur
dai colori tristi e improbabili, ma eleganti, nessuno chignon da quel
color oro troppo luminoso e pulito, per essere naturale.
Doveva
essere incapace di mantenersi in equilibrio, una falsa magra e mora
di natura con degli occhi sproporzionati ai suoi colori: non c'era
altro motivo per quelle sue scelte di look così...poco
comuni.
C'era
sempre un motivo sotto ogni decisione dei Serpeverde, l'aveva
imparato da anni e lei non poteva, non doveva, essere
differente.
Impegnato nella sua personale caccia alla volpe,
immerso nell'immagine povera e restrittiva di Daphne che aveva nella
sua mente, si dimenticò di notarla, quando gli
passò praticamente a
pochi centimetri dal naso, uscendo dal bar.
Jeans a vita bassa,
tshirt, ballerine e capelli biondi sciolti selvaggiamente sulle
spalle: apparentemente una ragazza come tante, una di quelle che si
sarebbe girato a guardare e, quindi, una che non avrebbe mai
associato a colei che stava cercando.
Uno
sbuffo.
Uno sbuffo fu il primo verso umano che fece quando
finalmente entrò nel bar, come se all'improvviso sentisse
che i
grugniti che aveva emesso fino a quel momento, fossero troppo poco
eleganti per quel luogo.
Uno sbuffo sbalordito, che per un attimo
parlò della sua consapevolezza improvvisa sul motivo, forse
ragionevole, per il quale buona parte della Londra Magica 'bene', si
riversasse in quell'unico bar, a qualsiasi ora del giorno.
Un
enorme stanzone diviso da tanti piccoli separé, dove
l'atmosfera era
data da tendoni di broccato rosso, atti a filtrare la luce del sole e
sguardi indiscreti, e un filo di musica dolce e soffusa che invadeva
l'aria.
Avrebbe abbinato qualsiasi tipo di donna a quel tipo di
locale, tranne colei che stava cercando; riceveva sensazioni dolci,
contro la pelle, intimistiche e riservate, cosa che lei aveva
dimostrato di non essere.
Rimase
qualche istante sulla porta, fermo, ad osservar quel piccolo concerto
di sorpresa che gli si orchestrava davanti e si mosse solo quando la
porta, dietro di lui, si aprì di nuovo; saltò sul
posto, folgorato
all'improvviso dall'idea che potesse essere lei e, inspiegabilmente,
tirò un sospiro nel constatare che il nuovo avventore era
brutto e
pure uomo.
Avanzò
nel bar come in un mare di nebbia, lentamente, cercando con lo
sguardo da una parte e dall'altra la presenza tanto cercata, senza
però mai trovarla.
Solamente
lo scontrarsi con un altro avventore del locale gli proibì
di scontrarsi con una
vetrata e gli rese possibile rendersi conto che, per qualche istante,
aveva camminato come in trance, seguendo una linea dritta che per
poco non l'aveva fatto finire nell'acquario.
Si
sedette lentamente ad un tavolino, rendendosi conto con orrore che il
solo pensare a lei in un luogo pieno di gente, l'aveva fatto
ricascare nel suo incubo e l'ansia aveva ripreso a mangiarlo, da
dentro.
Il
sudore gli imperlava la fronte e la maglietta che indossava sembrava
stringergli la gola, mentre aluni particolari gli tornavano alla
mente.
Le
scarpe con il tacco,
il rossetto,
le calze di seta
e il
profumo
e il bacio con Ernie.
'Ahia!
Ma è impazzito?!? Un troll mi avrebbe fatto meno male!'
Era
nuovamente andato in un mondo in cui sognava ad occhi aperti, ma
evidentemente il suo istinto, malato, era infastidito dal braccio del
cameriere che gli aveva appena passato il menu ed era stato
arpionato, con le stessa forse che riservava al manico della sua
Firebolt quando doveva mantenersi in equilibrio.
Si
stava distruggendo a causa di un sogno; questa consapevolezza gli
arrivò lampante alla mente e si impose, come nuovo primo
passo del
suo P.C.G.M.(programma cancellazione giornalista molesta), di
ubriacarsi per dimenticare.
Il
fatto che lui, ubriaco, sognava ancora di più, gli
passò totalmente
dalla testa, preso com'era, improvvisamente, da una strana e dolce
euforia.
Non
ricordava che il Phoenix, fosse mai stato un posto così
deliziosamente esaltante come quella sera.
Reduce
dalla discutibile fama che gli era stata data dagli articoli nefasti
della Greengrass, i buttafuori gli avevano fatto saltare la fila
sotto consiglio del dirigente della Security. Speravano che,
vedendolo entrare, per fame di gossip, molte altre persone si
convincessero a sopportare la fila, portando al locale un notevole
guadagno; Oliver, ovviamente, pensò che fosse merito della
sua
indiscutibile fama di giocatore di Quidditch.
Era
tarda serata, nel momento in cui i locali come quello si trasformano
da Dottor Jekyll a Mister Hyde, cambiando la veste familiare di
ristorante altolocato, con ingresso dall'altra parte della strada,
nella veste luccicante e trasgressiva di discoteca all'ultimo grido.
Pantaloni
neri sicuramente non larghi, camicia bianca elegante ed aderente,
capelli perfettamente ordinati e sorriso scintillante : anche Oliver,
preda ancora della strana Trance del pomeriggio, era perfettamente
consono e coordinato al tipo di serata. Le persone gli scivolavano
accanto, bevendo e cantando, muovendosi a ritmo della musica che
cominciava a salire, e per una volta nella sua vita, forse la prima,
non pensò che le Sorelle Stravagarie erano molto meglio di
quella
roba; pensò, addirittura, che doveva ringraziare Ernie per
avergli
fatto conoscere quel luogo e per averlo convinto ad andare li,
proprio quando si sentiva in vena di fare follie.
Era
vivo, energico, ricaricato e già ballava, con ragazze scelte
a caso
nella folla, quando intravide il fidato ex Tassorosso nella folla. Si
bloccò, un solo istante, quando l'immagine di quell'incubo
nefasto
si sovrappose a quella sorridente del suo amico reale, ma riprese ben
presto a camminare verso di lui, come se niente fosse successo.
'Sono
contento che tu sia venuto!'
'Sono contento di essere venuto!'
Era
vero, terribilmente vero: in quel momento era felice, di una
felicità
un po' ebbra e poco cosciente, di quelle felicità che non
durano, ma
che finché ti scorrono nel corpo, sono la cosa migliore del
mondo.
Ernie
lo studiava, come si studia una preda, lo guardava osservare le
persone attorno a lui e teneva la mano discretamente nelle vicinanze
della propria bacchetta magica, ben memore degli ultimi trascorsi
dell'amico e capitano in quello stesso luogo. Non riusciva a
decifrare i suoi movimenti e, soprattutto, dati gli ultimi trascorsi,
non sapeva se avere paura o meno delle sue possibili reazioni. Il
timore che fosse lì per cercar la sua novella nemesi,
cresceva in
lui e se avesse detto che era una paura infondata, si sarebbe sentito
un bugiardo patentato.
'Pensavo
di non vedere mai questo giorno.. Tu che vieni in discoteca senza la
banda!'
Indagare,
indagare e indagare, possibilmente senza farsi scoprire. Se si fosse
allontanato, con l'ansia dell'aver lasciato solo un potenziale
omicida in un posto pieno di gente, si sarebbe rovinato tutta la
nottata. Rovinarsi la nottata, con le le aspettative che aveva,
sarebbe significato catastrofe umorale per tutta la settimana.
'
Non ci fare l'abitudine..'
La
voce dell'amico lo tirò fuori dai suoi pensieri e
obbligò il cuore
a fare i salti mortali, a causa del tono cupo che aveva assunto.
Immediatamente gli vennero alla mente tutti quei momenti, degli
ultimi giorni, in cui propositi apocalittici gli avevano attraversato
la mente, rendendolo, a parere di Ernie, qualcosa di pericolosamente
simile ad un esaltato.
Aveva giocato male, si era comportato in
maniera scorbutica con molti dei loro compagni di squadra senza
rendersene conto e, cosa non meno importante delle altre, ogni due
frasi infilava un riferimento alla Greengrass. Sempre e ovunque,
trovava inconsciamente modo di parlare di lei, dando poi a lui la
colpa, solo perché una volta aveva avuto l'ardire, a parere
di
Oliver, di notare l'ovvio: era bellissima.
In
quel momento aveva quasi paura, lui che era il meno timoroso fra i
Tassorosso, a scoprire il motivo per il quale proprio in quella sera,
proprio in quell'istante, lui avesse deciso di fare uno strappo alla
sua personalissima regola: mai in discoteca senza la squadra.
'C'è
un motivo?!?'
'Un
motivo per il quale ho accettato di rimanere solo entro i dieci
minuti che impiegherai a rimorchiare? No...niente di preciso.'
Dieci
minuti? L'aveva sul serio preso per un dongiovanni da
strapazzo?
Ernie ne impiegava molti di meno, grazie a quell'aria
da burbero bravo ragazzo, forse un po' tonto, che non aspetta altro
che essere civilizzato: come imbrogliare una donna giovane, e non
solo, in poche semplici mosse.
Quel
prenderlo in giro dell'amico, gli risollevò il morale e gli
diede un
po' di speranze: se era capace di guardarlo con quello sguardo un po'
leggero e divertito, che usava sempre per prenderlo in giro, allora
per lui c'era ancora speranza; nonostnate sembrasse ubriaco, una
serata delirante, come prometteva quella di essere, era sempre meglio
di una cella ad Azkaban e un incontro ravvicinato con Harry Potter
nell'espletamento delle sue funzioni.
'Capisco...Magari
rimorchi anche tu'
'Magari...'
Delirante
e propenso al contatto con l'altro sesso che, negli ultimi giorni,
aveva praticamente tentato di cancellare dalla faccia della terra ad
ogni parola.
Era
talmente contento di quei bei segnali, che si stava già
allontanando, pronto a lasciarlo solo con una delle ragazze che lo
stavano osservando, quando gli venne in mente un'ultima prova.
'Una
bella bionda...'
'Niente
bionde.Le ho eliminate dalla dieta.'
Ernie
pensò che fosse un buon segno, Oliver che l'unica bionda
sulla quale
voleva concentrarsi, era colei che voleva metaforicamente
distruggere.
Quella,
però, non era la sera per pensare, era la sera per ballare e
davanti
a lui aveva almeno tre affascinanti e possibili opzioni, per rendere
quella serata memorabile.
La
porta dell'appartamento fece un tonfo contro il battente, ma colui
che la avava appena chiusa non se ne curò più di
tanto.
Quel
che aveva tra le mani, colei che aveva tra le
mani, era
estremamente più importante.
Nome
improbabile ed impronunciabile,
cervello
difficilmente funzionante.
Corpo appariscente,
capelli rossi e
lingua mielosa, più che pungente.
Avere e poter plasmare,
l'antitesi di colei che lo perseguitava, lo faceva sentire meglio,
libero da quell'ossessione nonostante la negasse costantemente.
Nel
buio, l'incontrarsi di loro due era assolutamente casuale: lui non
badava veramente a lei.
Il
corpo che accarezzava lentamente, con le sue mani, era semplicemente
una distrazione dalle sue ossessioni.
I bottoni della camicia che
si lasciava sbottonare, non erano una strada verso un piacere
diverso, migliore, erano solo un modo come un altro di falciare via
dalla testa ogni pensiero, che non fosse materiale e strettamente
inerente a colei che lo stava spogliando.
Le
labbra rosse che gli baciavano lentamente il collo, non le sentiva
come un pugno allo stomaco di adrenalina ed eccitazione, ma solamente
come un passatempo piacevole; estremamente piacevole,
ma pur sempre solo un passatempo.
Voleva
ubriacarsi, che fosse di sensazioni o di alcool, poco importava.
Voleva
dimenticare e ci sarebbe riuscito.
Lui
aveva sempre quello che voleva.
*°*°*°*°*°*°
Un
bacio a tutti quelli che leggono e non recensiscono, anche se una
riga ogni tanto non fa male XD Lily.
p.s.
per chiunque voglia, lascio il link al prequel:
http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=568211&i=1
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Capitolo 5 *** 4B Friends&Family ***
Chiaroscuri
e Prospettive-La Vendetta
Due
mesi.
Faccio pena, lo ammetto, ma fondamentalmente penso di conoscere
personalmente tutte le poche persone che leggono la storia ( e se non
è così, fatevi vivi o.o), quindi mi perdoneranno
:D
Il prossimo spero di pubblicarlo più velocemente, sto
tentando di disintossicarmi dai contest.
*-* Sperando
che vi piaccia, vi lascio alla lettura.
un abbraccio,
Lilyblack.
p.s. Ricordo che questo è il sequel di Chiaroscuri e Prospettive, una minilong di 4 capitoli già ovviamente conclusa.
*°*°*°*°*°*°*°*°*
Friends
& Family
-
L'amicizia
è la parentela più stretta." Hazrat
Ali(599-661),
califfo arabo.
-
°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
La
notte portava consiglio, ma questo per Daphne non si verificava mai;
la notte avrebbe dovuto lasciar scivolare da lei i brutti pensieri e
lasciar spazio ai sogni, ma i luoghi comuni non si erano mai adattati
alla sua pelle.
Era, da sempre, la creatura delle contraddizioni,
delle passioni generalmente incontrollabili, ma a volte tanto
represse da sfociare in scatti inconsulti, in notti come quella che
si apprestava a vivere.
Il buio invadeva ogni cosa, oramai da ore,
eppure per lei la notte era ancora giovane e le prometteva
ubriacature di vita e rumori talmente forti, da zittire pensieri
troppo rumorosi perfino per lei, abituata a far tacere
tutti.
Importava poco che la casa in cui era appena entrata, con
il solito passo da regina, non fosse quella in cui sarebbe voluta
essere e passava sotto gamba anche il fatto che, in situazioni
normali, essere in casa di un semisconosciuto l'avrebbe divertita e
disgustata al tempo stesso; la fronte le batteva e lei voleva solo
estraniarsi da se stessa, da ogni sensazione cosciente che le si
agitava dentro. Cedere ad uno spasimante che altrimenti non avrebbe
nemmeno guardato, era un ottimo metodo, che funzionava per tante
altre e che avrebbe funzionato anche per lei.
Il salotto lounge e
moderno che la attorniava, la rapì ben presto facendo leva
sulla sua
innata curiosità, tanto che si dimenticò
piuttosto velocemente del
disappunto che l'aveva colta, quando si era resa conto che il suo
occasionale incontro abitava nei quartieri bene della Londra magica,
non lontano dall'attico di sua sorella.
Divano di pelle con
annessa chaise longue, mobile bar estremamente assortito e musica
diffusa nell'aria con qualche incantesimo di ultima invenzione; tutto
intorno a lei gridava 'scapolo alla moda' ed era atto a convincere, a
far rilassare, le fortunate ''prede'' che capitavano in quei
luoghi.
Daphne non aveva bisogno di essere convinta o circuita,
aveva varcato quella soglia con perfetta coscienza e desiderio, di
quello che la aspettava; aveva sicuramente un quoziente intellettivo
più alto dell'ospite media, eppure quella musica dal ritmo
basso e
trascinante, le stava prendendo i piedi, salendo su per le gambe fino
a farle muovere i fianchi a ritmo, lasciando che l'orlo morbido del
vestito verde che indossava, ondeggiasse liberamente.
Il motivo
portante della canzone, sembrava quello che suonavano nel momento in
cui aveva deciso di dimenticare, per una notte, il suo amore
impossibile e di gettarsi tra le braccia del primo latinlover, di
bell'aspetto, che avesse incontrato l'antipatia di Blaise.
Pura
ripicca; infantile e probabilmente pure stupida, ma terribilmente
soddisfacente.
Era
stato estremamente piccolo, il passo dalla pista da ballo al salotto;
aveva impiegato poco ad abbandonare la bolgia per trovarsi
lì, con
un bicchiere di Brandy in mano, le sue labbra impegnate a
solleticarle il collo e le mani ben felici, di avvolgerle i fianchi
sottili.
Deglutì un picolo sorso di liquore e poi si voltò
a
baciarlo, tentando di infondere in quel gesto quanta più
convinzione, irruenza e sensualità possibili.
Voleva crederci, e
non sarebbe stata la prima né l'ultima, che nel tentativo di
convincere sé stessa di gesti astrusi, passava attraverso il
convincere gli altri.
Aveva bisogno di sapere che pote va baciare
chi voleva, che non era così malata di una singola persona
da aver
perso la suo libero arbitrio; lei, che di libertà era
malata,
assuefatta e dipendente.
''Balliamo?''
Ballare
e lasciarsi andare; era la scelta migliore, quella che comportava
pochi pensieri, un vortice di mani che danzavano lungo i profili dei
corpi e dei volti e i baci di lui, che dalle labbra ancora ubriace di
liquore scendevano lente, studiatamente lente, fino ai seni,
lasciando che il suo capo si reclinasse all'indietro, in una cascata
di capelli biondi e i suoi pensieri, volassero altrove.
Lasciò il
corpo danzare, agitarsi, disegnare curve morbide nell'aria, con il
solo scopo di attirare l'attenzione, già totale, dei suoi
occhi e
delle sue mani, con il solo obiettivo di essere il centro totale dei
suoi sensi.
Come previsto, come voluto, bastò poco per far
scivolare via la preziosa seta verde dal suo corpo e lasciarlo nudo,
indifeso e provocatore, avvolto solo da lezioso pizzo nero; pronto e
impaziente, di essere disteso sul pellame del divano, di essere
accarezzato, corteggiato, invaso.
Le parole non erano necessarie,
i corpi che si appiattivano con veemenza l'uno contro l'altro
parlavano da soli, di bisogni e necessità diverse, magari,
ma che
confluivano nello stesso istinto, negli stessi gesti guaritori ed
esorcisti.
Le loro pelli sembrano avere fame l'una dell'altra, un
urgenza spasmodica di ritrovari a contatto, di sfiorarsi, di
imprimersi l'odore altrui addosso. Non era più questione di
cervello, era alchimia, istinto; follia, forse, e puro impulso
sessuale, bisogno di sentire i nervi esplodere e la coscienza
scomparire.
Aveva desiderato, cercato e agognato quei momenti,
Daphne, preteso con il proprio corpo, quelle carezze che ora
abbattevano ogni barriera e rubavano, fameliche e possessive, quanti
più centimetri di pelle possibile.
Attendere, era inutile. Tirò
a se il corpo di quell'uomo che si sarebbe iluso di averla, per
qualche ora, per una notte, credendo di essere stato lui a decidere
per entrambi, credendo di avere il potere di circuirla.
Lasciò
che i suoi seni si schiacciarono contro il suo torace, fece scivolare
le mani in larghe carezze sulla schiena possente e percorse strade
già conosciute eppure sempre diverse, in punta di piedi, di
labbra e
di dita; sperò, inequivocabilmente, che quella cura 'fuori
dal
comune', funzionasse, che le portasse l'oblio anche solo per poco
tempo.
Quando
il matino arrivò, gli attimi che aveva rubato alla
realtà
sembrarono troppo brevi e la vita di tutti i giorni, troppo gelosa di
riaverla con sé.
Il sole le accarezzò freddo la pelle candida,
talmente tanto simile alla neve da essere, a volte, definita
terribilmente pallida secondo l'occhio affettuoso, o invidioso, di
chi lasciava scorrere l'attenzione su di lei.
Il freddo del divano
su cui aveva febbrilmente danzato e dove si era addormentata, la
risvegliò del tutto e consegnò alla sua mente il
conto. Ogni attimo
di quella nottata e anche tutti gli istanti che aveva tentato di
affogarci dentro, tornarono a galla: Blaise e la sua ultima fiamma,
rossa come lo stendardo Grifondoro, quell'idiota di Oliver Baston che
si allontanava a distanza di giorni con la stessa donna, come a
ricordarle che chiunque poteva avere Blaise, ma non lei e ultima,
principescamente ultima, sua sorella che continuava a ricordarle che
doveva trovare marito in fretta, ritirarsi a vita privata e fare
tanti figli, se non voleva finire depressa e suicida.
L'uomo, di
cui avrebbe faticato a ricordarsi il nome ancora per un po', era
ancora disteso accanto a lei e la teneva ancorata a sé, con
una mano
poggiata sul ventre piatto e due dita a sfiorare, inconsapevolmente,
la D tatuata accanto all'ombellico; tatuaggio gemello alla A che sua
sorella portava incisa sulla propria pelle.
Le labbra si
piegarono amare, pregne di quell'emotività che veniva fuori
solo
quando era sola, al pensiero che una volta si volevano bene, lei ed
Astoria; una volta, nel tempo passato, erano state veramente
sorelle.
Si rimise distesa e tentò di riposare ancora un po', ma
si rese conto ben presto che oramai non era più il caso. I
muscoli
erano infastiditi da qualsiasi posizione gli facesse assumere, la
pelle trovava irritante il pellame del divano, che poche ore prima
era stato giudicato 'principescamente morbido'; modi gentili del suo
inconscio per dirle che doveva andarsene, possibilmente prima che il
lui senza nome si svegliasse.
Si rivestì rapidamente, con un
colpo di bacchetta e uno di quegli incantesimi complicati, che
però
le aveva salvato la vita diverse volte: dare alla magia il compito di
vestirla, pettinarla e truccarla nello stesso momento era difficile,
azzardato e a volte strettamente necessario.
Trasfigurò la stoffa
del vestito in un più mite motivo 'principe di galles' e la
allungò
di qualche centimetro, poi uscì di casa a piedi, ben decisa
ad
andare a fare colazione di Millicent al bar, come da tradizione.
La
vita riprendeva, che differenza avrebbe mai fatto una notte?
Londra
dormiva sotto un sole pallido, quando la borsa di Millicent fu
lanciata, con malagrazia, su una delle sedie che affiancavano il
tavolino scelto.
'Lo
rivedrai ancora..Come si chiama?'
Lei
e Daphne si erano appena fermate a colazione, dopo un'ora di
peregrinaggi per trovare un bar adatto e abbastanza lontano dal posto
misterioso dove aveva dormito. Aveva rinunciato oramai da tempo a
prevedere gli sbalzi d'umore di cui l'altra era preda, ma non
riusciva a perdere la speranza che aveva nel placarla e renderla un
po' più serena.
Condividere la vita con lei era una continua
prova di pazienza, bisognava aspirare alla santità e volerle
contemporaneamente molto bene, per incassare i rimbrotti e le
continue interferenze nella propria vita privata e non fare
altrettanto. Sopportare in silenzio il male che faceva a se stessa,
spesso per orgoglio, era poi praticamente impossibile.
'Non
me lo ricordo..John,..forse Jack.comunque era un nome piuttosto
comune...'
Pochi
riuscivano a guardare oltre la scorza fredda in cui si avvolgeva,
considerando una forza, apparire algida ed irraggiungibile.
Nascondeva i suoi sentimenti sotto vagonate di sarcasmo ed un
carattere indubbiamente forte, esibendosi a volte in esternazioni di
pensiero che facevano venir voglia di prenderla a schiaffi.
In
quel momento, nascondeva gli occhi arrossati dal poco sonno, sotto un
paio di grandi occhiali da sole; nemmeno Theodore, che sapeva sempre
cosa le passava per la testa, sarebbe riuscito a leggere il suo volto
immobile, mentre sorseggiava il caffé.
'Non
te lo ricordi?'
'Sai benissimo che prima di aver fatto colazione,
non ricordo nemmeno come ti chiami tu.'
Far
sentire le persone innopportune anche per una minima virgola fuori
posto, era una di quelle che la bionda definiva ''le sue innumerevoli
qualità'', mentre Millicent era fermamente convinta che era
uno dei
motivi per cui aveva così pochi amici e che avrebbe dovuto
smussare
quel lato del suo carattere, nonostante sapesse che era molto
difficile: i suoi momenti acidi, frequentissimi, erano innati in
Daphne e lei ci si sentiva a suo agio, come negli amatissimi
tailleur.
'Comunque,
lo rivedrai?'
Sperare
era una delle sue caratteristiche meno Slytherin, Gregory glielo
diceva sempre; da sempre non riusciva ad accettare una visione cinica
delle cose, se il perno del discorso era una persona a cui era
affezzionata e il fatto che la sua migliore amica avesse deciso di
non innamorarsi mai, era qualcosa che le faceva rigirare le budella.
Fingeva, insieme a Mr. Nott, di non sapere che Daphne fosse
particolarmente legata a Blaise da quasi dieci anni e sospettava che
quel sentimento sopito, fosse ancora più antico della loro
presa di
coscienza.
'E'
una domanda a cui ti aspetti realmente una risposta,Milly?'
Era
rimasta per alcuni istanti in silenzio e la risposta l'aveva colta di
sorpresa, soprattutto dal momento che non si aspettava arrivasse.
'suppongo
questo sia un no...'
'Supponi alla perfezione, tesoro.'
Il
sorriso amaro invece, lo aspettava; fra di loro era sempre
così, da
anni, parlavano i gesti e le parole sottintese più di quelle
dichiaratamente dette.
Con
quel misero arricciarsi delle labbra, Daphne le stava dicendo che per
l'amore non avrebbe mai avuto tempo, qualsiasi cosa Millicent potesse
dire, mentre il suo sguardo tranquillo e disilluso le rispondeva che
non importava quanto mentisse, lei avrebbe continuato a provare.
'Quella
donna ha dei gusti troppo difficili!!!'
Era
almeno la terza volta che Millicent si lamenvata, dritta nel suo
orecchio,da quando avevano iniziato a cercare il regalo di compleanno
per Imogen; le due avevano caratteri molto diversi e, per quanto
potessero andare d'accordo, non si erano mai veramente capite.
Lei
era invece estremamente affascinata da quel carattere contraddittorio
come il suo, eppure tanto diverso nelle sue esternazioni, passioni e
follie.
'Lei
ha scelto Theodore e noi conosciamo bene Theodore. Se ci pensi,
possiamo indovinare i suoi gusti molto meglio di tanti altri.'
Lo
sguardo confuso che l'altra le rimandò indietro, da sotto un
paio di
sopracciglia pericolosmente affrottate, le fece pensare per un attimo
che passasse troppo tempo con il suo fidanzato diversamente
intelligente.
Sospirò. Il sospiro per lei era una pennellata
dalle mille possibili sfumature, ma con Millicent era sempre
accondiscentente e bonario.
'Dimmi
i primi aggettivi che abbineresti a Theo...'
'Elegante,
pretenzioso, intellettualoide... poi...di classe, affascinante e con
un cuore prezioso.'
'Basta
scegliere qualcosa che si abbini bene a questi aggettivi...'
Forse
per lei c'era ancora speranza, se riusciva a fare un'analisi del
genere; sorrise e annuì, tirandosela dietro in uno dei
negozi di
accessori più di elite di Diagon Alley. Lei si serviva
sempre li.
Respirò
profondamente quando entrò nel negozio, respirò
il silenzio. Ciò
che più apprezzava di quel luogo era in nulla uditivo che
regnava
ovunque, rotto solo dal rumore delicato di polpastrelli che
saggiavano la pelle delle borse e dal suono cristallino delle
campanelle sulla porta d'ingresso.
'Hai
visto Blaise ieri per caso? Doveva aiutarmi con delle foto...'
Odiava
qualsiasi interferenza con quel silenzio, anche se era la voce della
sua migliore amica e soprattutto se quella voce diceva cose che la
urtavano profondamente. Sigillare le labbra ermeticamente era l'unica
soluzione, secondo il suo punto di vista per niente modesto e
assolutamente autorevole.
Il
ricordo di Blaise con quella rossa le assalì la mente come
un
vampiro avrebbe assalito una persona in carne e piena di sangue, e
affondò le dita in una borsa troppo veementemente, tanto che
l'amica
la guardò dubbiosamente. Da anni oramai era cosciente che
Millicent
sospettava molto di quello che lei provava, ma non era mai riuscita a
parlarne e non perché questo avrebbe fatto diventare tutto
quello
vero, lo era già, ma perché altrimenti avrebbe
dovuto costantemente
affrontare i suoi discorsi per farle mettere la testa a posto e non
poteva sopportarlo. Il dolore di un cuore chiuso bastava, nella sua
vita, il mal di testa che l'altra le avrebbe cronicamente provocato,
non era necessario.
'Io
e Greg abbiamo pensato di fare un viaggio in Italia, la prossima
primavera...'
Tentava
di distrarla con le improbabili avventure vacanziere sue e di Goyle;
era quasi un classico, quando si chiudeva nel suo amatissimo bozzo
silenzioso, tentava in tutti i modi di farla parlare, anche con gli
argomenti più improbabili.
'E
Astoria? Come sta?'
Aveva
sviluppato una strenua resistenza ai quattro quinti degli argomenti
che Millicent poteva usare, ma il nome di sua sorella unito
all'orologio appeso al muro del negozio, le ricordarono che era
attesa a casa sua per pranzo.
Il
suo umore peggiorò velocemente, come se fosse una valanga su
di un
versante montuoso particolarmente ripido, portando con se il melenso
sorriso di sua sorella e i capelli troppo biondi di suo marito.
'Astoria
gioca a fare la regina del mondo, come al solito. Sta bene, si
accontenta del nulla dorato in cui vive e passa il tempo a giudicare
il mondo in cui non vive.'
'Tua
sorella è morta e non lo sapevo?'
Si
sentì malvagiamente libera, a quel pensiero, come se il peso
di
Astoria e del suo matrimonio le fosse stato tolto dalle spalle, con
tutto il livore che si portava dietro da parte della sua famiglia che
avrebbe voluto per lei, quel matrimonio e che ancora la incolpava del
rifiuto.
Sua sorella morta, in quel momento, le avrebbe fatto
comodo e si odiava per quello; un tempo, si erano volute molto bene e
da bambina non avrebbe mai immaginato di arrivare ad odiarla, lei che
faceva dell'indifferenza verso gli altri un vanto, una
qualità.
'Magari.
Semplicemente è rinchiusa a Malfoy Manor e ritiene troppo
plebeo
passare molto tempo nel mondo vero. Oggi però a pranzo ci fa
l'onore
della sua presenza, vuoi venire con me?'
Millicent
non avrebbe mai accettato; l'amicizia per i Serpeverde era sacra
almeno quanto era rara, ma non aveva mai sopportato Draco e aveva
sofferto molto dei suoi momenti di superiorità, durante il
periodo
ad Hogwarts, tanto che ancora dopo alcuni anni, evitava accuratamente
ogni occasione di vederlo.
'Ora
che mi ci fai pensare, è meglio che vada. Devo cambiarmi...'
'E
il regalo per Imogen?'
Aveva
dimenticato molto volentieri il suo impegno familiare a favore di una
giornata di shopping con un'amica per un'altra amica; faceva parte
del partito di chi credeva che non sempre la famiglia è il
nucleo in
cui si nasce, fortuna per pochi e che tutti gli altri devono provare
a crearsela e a scegliersela, una famiglia.
Lei, purtroppo, per
quanto si sentisse spudoratamente fortunata nell'essere riuscita a
trovare i suoi amici, non era ancora riuscita a scalzare via
l'ingombrante ombra di coloro che portavano il suo stesso cognome.
'Ci
penseremo domani...'
Stava
uscendo dal suo negozio preferito senza aver comprato niente e il suo
normalissimo spirito da donna consumista le stava urlando contro,
come se non bastasse l'avere davanti a sé una pessima
giornata.
'E'
tutto ok?'
'No, non è tutto ok. E' una pessima giornata e ci
vorrebbe un miracolo per renderla migliore.'
Lapidaria
e fastidiosa, come solo una serpe sapeva essere. Daphne
sparì in un
pop, lasciandosi
alle spalle
la faccia rassegnata e sbigottita della sua migliore amica, che si
affrettò ad uscire da quel posto troppo lussuoso, in cui
sembrava
avere un prezzo anche la semplice aria.
Tubino
nero, improponibile per lei ad ora di pranzo, filo di perle e capelli
raccolti, pochissimo trucco, nessun orecchino e tacchi moderatamente
bassi; si sentiva la stessa vitalità di sua nonna, da alcuni
mesi
residente nell'oltretomba.
Le
pareti della sala di rappresentanza di casa sua, non le erano mai
sembrate così opprimenti come quel giorno. Fin da piccola
aveva
amato quel luogo, le sue pareti con quadri eleganti, la cristalliera
e i bei tappeti; l'età adulta stava portando via gli ultimi
ricordi
positivi, non solo impedendole di formarsene di nuovi, ma facendo
sfumare quelli vecchi via dalla sua memoria, come se fossero una
canzone in procinto di finire.
La
quotidianità, il nuovo decennio, aveva sostituito alle
figure
vestite di pizzi e merletti che erano lei e sua sorella durante
l'infanzia, teneramente complici, con due donne vestite di nero che
si guardavano con la coda dell'occhio, una con un sorriso nervoso e
l'altra con un ghigno trionfante.
Non
aveva paura del giudizio di sua sorella, suo cognato o dei suoi
genitori, ma essere costretta a vivere una situazione che non aveva
scelto le pesava, e sedere su quella sedia per una mera costrizione
sociale dalla quale non riusciva a sciogliersi, era quasi una
condanna. I discorsi da perfetta 'highsociety', erano anche peggio e
facevano sentire democratica perfino lei, dichiaratamente snob in
più di un atteggiamento.
'Allora
cara, tutto bene al giornale?'
Le
parole di suo padre fecero scattare uno dei mille campanelli
d'allarme posti nel suo cervello; parlava di tanto in tanto con suo
padre, ma mai in presenza di tutta la famiglia.
Il
padre di Daphne e il Signor Greengrass, si erano dimostrati negli
anni due persone totalmente diverse, dalle vite paragonabili ai
binari dell'Espresso per Hogwarts.
Continuò a mangiare
l'antipasto all'italiana che era stato servito, sperando che il suo
annuire silenzioso e composto servisse a dare loro le risposte che
cercavano, e non solo a procurarle un fastidioso mal di testa a causa
dello chignon troppo tirato.
'Daphne...potresti
rispondere più loquacemente.'
Ogni
sua speranza si era rivelata, come previsto, pura utopia; da anni era
convinta che sua madre si fosse costantemente intromessa, spesso
inopportunamente, a tutti i discorsi a cui aveva partecipato, fin
dalle prime parole. Cordelia Magdalena Midderdon in Greengrass non
brillava né per cattiveria né per
bontà, ma aveva l'indole
pettegola, piatta e cerebralmente monocorde che si era poi
manifestata nella minore delle sue figlie; era solita esprimersi
attraverso esclamazioni poco felici, per poi passare i minuti
successivi ad osservare il suo interlocutore con gli enormi occhi
verdi, fino a farlo parlare per la disperazione.
'Il
lavoro al giornale va molto bene, le vendite sono aumentate anche
grazie ad alcuni miei lavori e presto potrei avere un aumento...'
'Trovo
tutto questo così fuori luogo...'
'Come
scusa, Astoria?'
Ciò
che accomunava sicuramente le due sorelle era il tono di voce basso,
impastato, trascinato e con una nota inconfutabilmente snob, che le
rendeva solitamente antipatiche ad un primo ascolto. Astoria era
ultimamente solita condire il tutto con un tono
aristocratic-altolocato che alla sorella sapeva di finto, in quanto
stranamente comparso nella sua bocca dopo il fidanzamento ufficiale.
Una
di fronte all'altra, si fronteggiavano silenziose ed impassibili,
mentre il sopraccigli di Daphne si innalzava sempre di più,
segno di
profondo scetticismo da parte sua.
'Trovo
estremamente volgare, per una ragazza di buona famiglia, parlare di
questioni del genere.'
Daphne
era una persona dalle profonde convinzioni, che abbandonava raramente
i suoi dogmi e uno di questi, consisteva nell'essere convinta oramai
da qualche anno che sua sorella fosse una grandissima stronza; da
tempo oramai viveva con quella certezza e vi basava molte
riflessioni, non facendosi minimamente toccare dalla considerazione
che lei stessa, al di fuori delle mura familiari, fosse considerata
come e peggio di Astoria.
Il
rispettabile livello di buonumore ricavato dalle notturne
attività
sessuali, con suo immenso disappunto, si era già dissolto
nel nulla
e se non fosse stata interrotta, avrebbe commesso un omicidio prima
della portata principale.
''Essendo
oramai sposati da un po', penso di poter interpretare il discorso di
Astoria in questo modo Daphne: ritengo volesse dire che potresti
dedicarti ad altre passioni, senza dover lavorare. La tua è
una
fortuna che non tutti hanno.'
'Ho
scelto questa, di passione. La cosa vi disturba?'
'Assolutamente...leggo
il giornale dove lavori, anche se preferisco l'inserto della
Gazzetta. A proposito, come si è risolta la questione con
Baston?'
''Al
peggio non c'è mai fine'' era sicuramente ai primi posti tra
i detti
popolari più sottovalutati: sovrapporre il volto e il
pensiero di
quel giocatore da lega principanti a quello di sua sorella era degno
dei suoi peggiori incubi.
Era difficile sviare e far diventare
energia propositiva, i suoi pensieri omicidi ed avvelenati su uno
solo dei due soggetti patologici, ma riuscire a contenere gli
improperi verso entrambi nella sua mente e nello stesso momento, era
quasi impossibile anche per una persona dall'intelligenza spiccata
come lei.
Prese
un respiro profondo e provò a mediare le parole che le
arrivavano
diritte alle labbra dalle viscere, nota sede dell'influenza e degli
impulsi, senza passare dal più saggio cervello. Considerava
generalmente inopportuno scoppiare in una serie di improperi poco
fini, accompagnati da frasario assimilabile a quello di uno
scaricatore di porto e contornati per finire da alcuni propositi di
omicidio dallo stile piuttosto artistico ed innovativo; inoltre
rendersi paragonabile ad un avvincino ubriaco davanti ai suoi
genitori e alla coppia reale era un'esperienza che decisamente non
era il caso di provare.
Più
tentava di calmarsi e di modificare il suo frasario, più si
rendeva
conto che le sue labbra non collaboravano e se non fosse arrivato a
sorpresa il gufo di Millicent, il disastro sarebbe stato impossibile
da arginare.
'Non
dovresti ricevere posta a tavola...'
'Non
sei la padrona di casa Astoria, Taci.'
Era
solo questione di tempo: dal momento in cui aveva risposto male a sua
sorella, prima che partissero urla scandalizzate e sorrisetti da
compatimento di suo cognato, sarebbero passati circa un paio di
minuti. Alzarsi, raccogliere le sue cose e fuggire il più
presto
possibile erano, in quel momento, la sua priorità assoluta.
Si
stampò in faccia una smorfia priva di ogni spessore, anche
del più
blando sorriso di circostanza e tese la lettera a suo padre, certa
che sarebbe apparsa diversa da quella che aveva letto lei,
probabilmente attribuita all'Ufficio sport magici, data
l'intestazione della busta.
'''Il
capo di aspetta''' era tutto ciò che la sua amica
barbaramente
mollata a Diagon Alley le aveva scritto, ma in fondo era tutto
ciò
che voleva sentirsi dire e regalare: una via di fuga dall'inferno.
'Daph...'
'Tolgo
il disturbo, impegni di lavoro.'
'Non
è educato cara...'
Daphne
aveva un metro tutto suo per giudicare il mondo: ciò che
viveva
nella sua testa era da lei considerato estremamente più
importante
di buona parte del mondo circostante. Vedere sua madre ingiallirsi
dal disappunto era uno spettacolo che valeva circa un paio di premi
speciali per il giornalismo magico.
'Non
è educato cara...'
'Anche
far aspettare il direttore dell'ufficio per gli Sport Magici, non
è
educato...'
Scomparve
prima di capire se Millicent avesse scritto o meno nella lettera
fittizia, chi era il mittente.
L'ufficio
del suo capo non le era mai sembrato così affascinante ed
accogliente, con quell'arredamento di dubbio gusto che solitamente la
disgustava; entrò traballando su quei tacchi troppo bassi o
troppo
alti per lei, tipica donna da estremi che rifuggeva qualsiasi
occasione di trovare il giusto mezzo.
'Come
ti sei vestita? Sono solo le due...'
'Non
fare domande e dammi il Wiskey...'
Quando
era veramente private di ogni energia creativa e vitale, faceva
quello che ogni ragazza di buona famiglia borghese non avrebbe mai
dovuto fare: si dava all'alcool.
Il
goccio di liquore caldo che le scendeva lungo la gola e le faceva
scuotere appena la testa per la concentrazione di gradi alcolici,
riusciva a distoglierla dai pensieri negativi quasi come una nottata
brava.
Ignorò totalmente lo sguardo di disappunto del suo
direttore in merito al suo vestiario obiettivamente fuori luogo e lo
fissò a lungo per incitarlo a parlare, ripetendo quello
stesso gesto
che sua madre aveva fatto verso di lei pochi istanti prima, la cui
natura impositiva non riusciva ancora a spiegare, nonostante l'avesse
ereditato insieme al colore degli occhi e ne fosse provvista da
quando aveva memoria.
'Non
guardarmi così! Smetti di trangugiare quel coso, che
scommetto
qualsiasi cifra che dopo che ti avrò comunicato il tutto, mi
butterai le braccia al collo.'
'Fossi
in te non ci giurerei. Spara...'
'Sulla
tua scrivania c'è il contratto come nuova cronista ufficiale
del
campionato.'
Dritto
al punto, esattamente come gli aveva chiesto.
Solitamente
i pensieri innovativi del suo capo si riducevano a qualche sottile
novità, decisamente trascurabile. Era un uomo ancora
piuttosto
giovane e sicuramente intelligente, ma privo di quel quid in
più che
rendeva le persone geniali; non l'aveva mai stupita, prima di quel
giorno.
Scommettere
su di lei non era un vuoto azzardo, bensì una scelta
ponderata
giusta, perché lei avrebbe potuto fare la differenza e
portare una
ventata di novità al mondo stantio nel quale vivevano, ma
doveva
riconoscere che il suo datore di lavoro si era esposto notevolmente,
dandole quel posto.
In
poco meno di un mese, poche settimane prima, aveva messo alla berlina
in più di un'occasione una delle squadre più
importanti dell'intera
lega professionisti e nell'ambiente ancora se ne parlava.
Quel
giorno ricevette una delle sorprese più belle della sua vita
e anche
se al momento non concepiva, troppo accecata dalla felicità,
quante
succose occasioni questo nuovo incarico le avrebbe portato, se ne
sarebbe accorta molto presto presto.
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Un
bacio a tutti quelli che leggono e non recensiscono, anche se una
riga ogni tanto non fa male XD Lily.
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