Chiaroscuri & Prospettive-La Vendetta

di lilyblack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** L'articolo ***
Capitolo 3: *** Di notte ***
Capitolo 4: *** 4/A - Quattro amici al bar ***
Capitolo 5: *** 4B Friends&Family ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


c&p-lv PRIMO

Chiaroscuri e Prospettive-La Vendetta
Innanzitutto, Buongiorno.
Non state sognando, ho veramente deciso di rimettere mano a questa storia, trovando questo titolo che ancora non so se è ridicolo,simpatico o geniale XD.
Perchè?
Perchè mi mancavano Daphne e Oliver, la loro testardaggine e i loro mondi fatti di chiaroscuri.
Si sono insinuati nella mia testa e hanno incominciato a dire 'scrivi scrivi scrivi scrivi scrivi.'
E chi sono io per non accontentarli?
Spero che tutto questo vi piaccia,che io non faccia solo un gran casino.
Un bacio,
LilyBlack.
p.s. penso che non si dovrebbe avere difficoltà a leggere la storia, qualora non si conosca il prequel,nel caso rimando a 'Chiaroscuri e Prospettive' titolo semplice, è una miniminilong, di soli quattro capitoli ragionevolmente brevi.

p.s.
Questo capitolo è dedicato a LoveChild, perchè è un tesoro, per la pazienza che ha con me e per aver creato Imogen, il mio alterego che è riuscito ad accalappiare Theodore Nott.

*°*°*°*°*°*°*°*°*
L'intervista

Io non mi sono mai sentita tanto viva come dopo una battaglia dalla quale sono uscita viva e indenne. [...] È dopo aver vinto quella sfida che ti senti così vivo. Vivo quanto non ti senti nemmeno nei momenti più ubriacanti di gioia o nei momenti più travolgenti d'amore. -O.Fallaci
°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*

L'aria nella stanza era satura di aspettative e il pulviscolo che il sole portava, attraversando la finestra, era la maggiore attrattiva presente nella stanza; tutti gli occupanti di sesso maschile della stanza, la totalità assoluta dei presenti,fissavano il nulla polveroso con sguardo attento.
Un Manager,una decina di giocatori,un fotografo.
Daphne era ferma dietro la porta a vetri e li guardava attenta, con lo stesso interesse scientifico che era certa provassero i babbano quando entravano allo zoo: guardare nel loro habitat naturale degli esseri viventi di cui non si poteva condividere il comportamento.
Poco importava che uno degli appartenenti a quella gabbia di lusso chiamato ufficio fosse Theodore Nott, suo amico e sostituto fotografo di Millicent: Daphne non avrebbe mai capito gli uomini e, a dirla tutta, non le interessava nemmeno.
Una volta che ebbe sistemato il tailleur che indossava, bussò delicatamente alla porta, ma non aspettò alcuna risposta dall'altro lato prima di aprirla e attraversare il limbo che l'avrebbe trasportata nel mondo del testosterone.
Si fermò un passo oltre la porta e si lasciò il tempo di osservarli un'ultima volta in silenzio, tutti insieme, da una postazione in cui poteva scorgere ogni più piccola ruga di espressione, ogni capello bianco di Mister Norcott e anche sentire la puzza, orrenda, di sigaretta babbana che l'unico serpeverde nella stanza si ostinava a portarsi dietro.
Prese la direzione della finestra, passando sadicamente in quel raggio di luce che tutti contemplavano come se fosse una rivelazione divina; tutti trasalirono a quell'ombra nel loro campo visivo, come se fino a quel momento non si fossero accorti del suo ingresso e un punto positivo si aggiunse all'umore di Daphne.

'Mi dispiace interrompere le vostre interessantissime e, sicuramente, profonde introspezioni filosofiche sulla...'

Si fermò un attimo, davanti alla finestra,guardando quelle coppie spaurite di occhi vacui e si ritrovò, per l'ennesima volta a ringraziare di essere una donna intelligente, due aggettivi che purtroppo non rientravano spesso nella stessa frase.
Deglutì con una leggera intensità da attrice, sfogando in quel modo tutto il suo bisogno vendicativo di accentrare su di se la loro attenzione e aumentare la loro tensione.
Non era questione di manie di protagonismo, come insinuava Millicent, ma semplicemente un modo come un altro di divertirsi e di far allenare il suo cervello.

'Polvere, ma è ora di iniziare l'intervista.'

Questa parola li fece sobbalzare tutti e, in particolare, fece alzare il volto del capitano, seduto in ultima fila, il cui volto era delineato da una barba volto che denotava una indolenza che andava avanti, ad occhio e croce, da almeno una settimana.
Daphne lo vide stringere gli occhi man mano che scorrevano sulla sua figura, come se la stesse studiando; tailleur grigio,camicia verde,e una spilla nella giacca che terminava con un nostalgico stemma della nobile casata di Salazar, che si aggiustò con noncuranza nel momento esatto in cui fu certa che lui l'avesse vista.
Lo sguardo che si scambiarono fu l'ennesimo rinnovarsi di quella sfida che, non essendo mai stata vinta, bruciava sulla pelle di Oliver come una vera e propria sconfitta.
Daphne Greengrass e Oliver Baston avevano due caratteri totalmente e incommensurabilmente incompatibili e niente avrebbe cambiato questo fatto; gli occhi verde giada di Daphne brillarono, di soddisfazione e di rivalsa, quella luce speciale che nasce da quel gusto incomparabile di supremazia che si prova ad avere sempre ragione.
Interruppe il contatto solo quando Theodore le fu così vicino da poter sentire anche la leggera acqua di colonia, sotto il pungente sentore di nicotina. Si voltò lentamente verso l'amico e lo studiò dalla punta delle sue scarpe firmate alla stanghetta dei suoi occhiali snob che non facevano altro che sottolineare gli occhi grigioverdi, attenti ed acuti; riusciva a capire come molte ragazze fossero cadute vittima del suo fascino, ma non sarebbe mai riuscita a comprendere come la sua donna ancora non si fosse resa conto dei suoi innumerevoli difetti.

'Sei uno zotico...'

La sua voce era sottile, un piccolo sibilo pungente di aria fredda che non tralasciava di colpire nessuno, nemmeno le persone a lei più care; essere totalmente immuni dal suo mettere naso in qualsiasi situazione e nella vita di chiunque era un'utopia, per chiunque la conoscesse, ma ad ascoltarla bene, in quella sfumatura appena più morbida della voce, si poteva scorgere il malcelato affetto che nutriva per gli amici più cari, come Theodore o Millicent.

'Daph..'

Il ragazzo, impegnato ad infilare il rullino nella macchina fotografica, si trattenne dall'alzare gli occhi verso la bionda; non ne aveva bisogno per sapere l'espressione che la sua amica aveva sul volto: sopracciglia inarcate e sguardo scettico.
Durante la sua vita era spesso stato incerto ed indeciso sul se odiare o meno il suo modo impertinente di avere a che fare con il mondo esterno alla sua mente, ma alla fine decideva sempre che non aveva scampo e che odiarlo era assolutamente inutile; Daphne non si sarebbe lasciata convincere da nessuno una volta che era sicura di qualcosa eppure, nonostante tutto, di tanto in tanto cercava di controbattere.

'Puzzi come una capra, continua a fumare così di nascosto e lo dico ad Imogen.'
'Non oseresti'

Inutilmente. L'accenno alla sua ragazza, sua croce,ossessione e delizia, era stato come una doccia fredda lungo la schiena ed improvvisamente aveva alzato gli occhi di scatto, dimenticandosi che in quei pochi istanti avevano più di venti occhi puntati contro e altrettante orecchie tese a captare quello che dicevano.
Ignorò tutte le loro presenze, non era poi così difficile, ma lo sguardo pericolosamente serio di Daphne non gli sfuggì affatto.

'Ne sei sicuro?'

Deglutì, in un modo estremamente più terreno e realistico di quello che l'altra usava come intercalare durante i suoi discorsi ed abbassò gli occhi un solo istante, quel tanto che bastava a decretare la momentanea vittoria dela ragazza.
Dopo quel piccolo scambio di battute Daphne fu pronta ad iniziare la vera e propria intervista, dal momento che il suo improvvisato fotografo aveva finito di incantare pellicola e macchina fotografica.
Si mise in posizione, naturalmente sicura della luce che l'avrebbe fatta apparire più bella. Non erano gesti studiati o affettati questi, Theodore sapeva che Daphne, differentemente dalla sorella, aveva una naturale propensione all'essere al centro della scena e sembrava quasi essere nata per quello.
Molti avevano inizialmente pensato che sarebbe stata lei, la promessa di Draco Malfoy, ma lei non avrebbe mai accettato di essere ricordata solo come la moglie di qualcuno, era troppo fiera. Si impegnava ed andava fino in fondo ad ogni cosa si proponesse, odiava perdere ed era capace di sopportare numerose privazioni pur di ottenere una ricompensa oggettivamente minuscola ma, per il suo punto di vista,immensa.
Daphne Greengrass aveva il suo personale modo di vedere le cose e niente e nessuno sarebbero riusciti mai a smuoverla.
La penna incantata di Daphne volava in aria, su un taccuino, registrando esattamente le parole che venivano dette, mentre un infernale aggeggio babbano continuava ad oscillare sulla scrivania, senza fermare mai il suo moto, provocando più di uno scatto innervosito a Theodore che mal sopportava quei piccoli rumori, simili al ticchettare di tacchi di una donna o al battere della pioggia sul vetro. Theodore non amava quella sensazione di qualcosa di subdolo che si insinuava nella sua vita, talmente abituato ad essere lui quello che si insinuava nelle vite altrui sottotono e silenziosamente.
Passò alcuni istanti a fotografare il luogo, perdendosi le prime domande poste da Daphne ai giocatori; fotografare il mondo per lavoro lo annoiava tanto quanto amava rapire minuscoli attimi di tempo quando più gli sembrava opportuno, imprigionando nella pellicola pezzimi di anima. Fotografare persone intente a lavorare per dare l'illusione a dei lettori distratti di essere stati in quella stessa stanza era freddo e di maniera e nulla, decisamente nulla, nel mondo dell'ultimo figlio dei Nott corrispondeva a quei criteri.

'Cosa si prova ad aver perso il terzo titolo europeo contro i Karasjok Kites, che non salivano sul podio dal 1956?'

Decisamente più interessante rapire quell'espressione infastidita di Oliver Baston e del suo fido bestione battitore, le sopracciglia che si aggrotavano velocemente e le labbra che fremevano per aprirsi e rispondere senza badare ai dettami della ragione. Triviali.
Il capitano dei Puddlemer's united sentiva la rabbia crescere e la sua impulsività premere contro le tempie; l'idea di se stesso licenziato o in panchina era l'unica cosa che, fino a quel momento, era riuscita a tenere a freno la lingua nonostante l'odio, profondo, che quella ragazza gli ispirava.
Rimase diversi istanti in silenzio a prendere aria per far scendere il rossore dalle gote, nascoste malamente dalla barba; la ragionevolezza non era mai stata il suo forte, ed incanalare le sue energe in una risposta sensata e umanamente comprensibile fu, in quel momento, uno sforzo notevole.

'I Karasjok Kites sono immensamente migliorati, quest'anno e perdere contro di loro è stato un onore.'

In realtà perdere era una cosa che Oliver non comprendeva, in nessun caso e per nessun motivo straordinario; sarebbe stato capace di immolare alla causa qualsiasi osso del suo corpo e la morte ,forse, era l'unico vero limite che metteva alla sua voglia di agonismo.
La vittoria dopo una battaglia, anche se era una battaglia su di un campo di Quidditch, era il momento migliore della sua settimana, quello in cui l'adrenalina gli scorreva in corpo e si sentiva invincibile. Non avrebbe cambiato quelle sensazioni per nulla al mondo, per nessuna donna e nessuna somma in denaro. Il Quidditch era e sarebbe sempre rimasto la sua vita, sebbene qualcuno dicesse che a volte risultava troppo estremista. Solo e soltanto il suo orgoglio superava il suo amore per il Quidditch ed esattamente per questo motivo non avrebbe mai permesso alla bionda gioralista di sbugiardarlo nuovamente.

'Capisco...'

Quel mormorio appena accennato che fuoriuscì dalle labbra truccate della ragazza misa talmente alla prova i suoi nervi, che Ernie dovette poggiarli non una ma ben due mani sull'avambraccio destro, per impedirgli di scattare in piedi e far scoppiare quella rissa che era stata, per l'intercessione di una divinità non ben precisata, evitata in discoteca poche sere prima. Le mani di Ernie così nervose e poggiate sul suo braccio, insieme alle occhiate preoccupate del suo manager, fecero la felicità di Daphne e lo fecero stare definitivamente zitto. Per il momento.

'E sarebbe altrettanto normale perdere, eventualmente, contro le Holyhead Harpies? Non vi preoccupa iniziare il campionato nazionale contro le Holy?'

Personalmente Daphne odiava le HolyHead Harpies, ma disse quella frase con una tale calma angelica sul volto che chiunque in quella stanza si ritrovò a pensare che quella era la sua squadra del cuore.
Oliver non ebbe nemmeno il tempo di macchinare, nella sua testa, l'ennesimo pretesto per odiarla, che gli era stato rifilato un calcio nel sedere da chiunque fosse seduto alle sue spalle, in un barbaro espediente per spronarlo a rispondere.
Gli occhi scuri del ragazzo si fissarono in quelli della giornalista e per un attimo tornarono al giorno della sfida; erano entrambi seduti su quelle scope(2) e lottavano per il traguardo, il riconoscimento e l'affermazione del proprio punto di vista. La tensione era alta e sembrava scorrere fra le persone come elettricità, toccare la loro pelle e entrare nelle loro orecchie fino ad assordarli con il suo ronzio.

'Ha intenzione di rispondermi, capitano?'

La voce artificiosamente melliflua di Daphne interruppe quell'illusione uditiva che aveva colpito quasi tutti e fece sussultare talmente tanto qualcuno dei presenti, che Oliver non fu il solo a ritrovarsi con una goccia di saliva dove non doveva essere e numerosi colpi di tosse che fuoriuscirono prepotenti dalla gola.
Quando rialzò lo sguardo nulla era migliorato, rispetto a prima. In due soli secondi era arrivato alla convinzione che nella sfavillante casa delle serpi nessuno si preoccupava di insegnare che fissare le persone con insistenza era segno di maleducazione; quello era l'unico motivo con il quale si poteva spiegare l'insistenza sfacciata con la quale ancora lo fissava, probabilmente in attesa di una risposta.

'Sto aspettando...'
'Le Harpies hanno un passato non glorioso contro la nostra squadra e per quanto le rispetti, come ogni avversario, penso che, anche quest'anno, potremmo avere la meglio.'

Dovevano avere la meglio o sarebbe impazzito a forza di sognare la Greengrass, come già gli accadeva da una settimana a quella parte. Non la trovava affatto bella, come invece Ernie non perdeva occasione di definirla, e quel suo sorrisetto, tremendamente simile ad un ghigno, riusciva quasi a terrorizzarlo. Era lo stesso che aveva sfoggiato in discoteca, in occasione del loro primo scontro(1) e aveva la sensazione che i momenti nei quali lo si poteva scorgere sul suo viso, erano quelli in cui si doveva avere maggiormente paura di lei. Come in quel momento.

'E pensa che avrete la meglio perchè avete intenzione di continuare con la strana ondata di falli che ha fatto tanto scalpore verso la fine dello scorso campionato? E' una situazione ben strana, visto che avete dichiarato di avere i battitori migliori di tutta la lega...'

Il suono di Ernie che deglutiva colpevole si sentì, sicuramente, fino al piano terra di quell'edificio troppo alto. Lo sguardo della giornalista fisso sul cranio del suo amico lo fece scattare quasi in piedi; conosceva bene il carattere di Ernie e, per quanto tentava di fare lo spavaldo, restava un tassorosso fin nel midollo e non riusciva a destreggiarsi in situazioni del genere.

'Abbiamo i battitori migliori della lega, posso sottoscriverglielo nuovamente in qualsiasi istante. I falli di cui lei parla sono stati semplicemente degli errori ingigantiti, commessi in un periodo in cui eravamo fuori forma, in quanto stavamo rodando il nostro nuovo campo d'allenamento.'
'Nuovo campo d'allenamento?'

La soddisfazione di averla colta in fallo, su qualcosa di cui non era a conoscenza, fu indescrivibile e piazzò sul suo viso un sorriso egocentrico e sfavillante, senza pensare minimente che somigliava al ghigno che tanto rimproverava a Daphne.

'Un campo in allenamento in acqua, una nuova opportunità, estremamente rara, che è stata messa in atto per dare delle opportunità ulteriori ai nostri giocatori. Victor Krum si allena, come saprà, su un campo in acqua.'
'Victor Krum è il miglior cercatore del mondo, sta dicendo che il suo cercatore è all'altezza di Krum?'

Fece un silenzio ad effetto, durante il quale cercò, o fece finta di cercare, alcune notizie sulle pagine iniziali del suo taccuino.
Quando Daphne alzò lo sguardo dalle righe scritte, un'espressione fintamente contrita rendeva i suoi occhi seri e le labbra prive di qualsiasi espressione.

'Dal San Mungo, dov'è stato ricoverato più di una volta, mi arrivano notizie contrastanti...'
'Non intendevo peccare di presunzione nei confronti della mia squadra, Krum rimane il migliore di tutti i tempi, ma sicuramente questa è un'opportunità quasi unica in inghilterra per una squadra di Lega.'
'Capisco...'

Quel suo intercalare e quel modo snervante e lezioso con il quale la ragazza continuava ad umettarsi le labbra, come se niente la toccasse, faceva salire la sua pressione sanguigna ogni minuto di più.
Accolse con estremo sollievo il gesto del polso, secco e deciso, con il quale la bionda riprese il controllo su quell'oggetto infernale che era la sua penna automatica; era dai tempi del Torneo TreMaghi, in cui leggeva le indecenti interviste della Skeeter, che aveva imparato a diffidare di espedienti del genere e dei giornalisti in generale.
L'idea che quell'intervista snervante si avviasse alla fine, gli era estremamente congeniale e già sorrideva sollevato ad Ernie quando la loro infernale carnefice si voltò nuovamente verso di loro, con la borsa già in mano e il suo portaborse con la macchina fotografica ben infoderata.

'Mi dica, signor Norcott, avete intenzione di essere presenti alla commemorazione che si terrà alla Palude di Queerditch*?'

Sembrava una domanda apparentemente innocente, la penna era dimenticata in fondo alla borsa, ovviamente grigia, che la bionda portava con se e nulla poteva andare storto, si disse Oliver. Poteva arrivare sano e senza condanne pendenti sul capo alla fine della giornata. Forse.
John li aveva guardati per un attimo stranito, non capendo cosa c'entrasse quella domanda, traumatizzato com'era, ancora, dall'ultimo incontro avuto con la bionda. Annuì innocente ed inizialmente si fidò del leggero sorriso di circostanza che gli arrivò in risposta.
Daphne era già quasi fuori dalla porta, varco che Theodore aveva già oltrepassato, quando si voltò per l'ultima volta e puntò gli occhi su Oliver, su lui e su nessun altro.

'Attendo un invito all'evento che organizzerete per l'occasione, capitano. Sono sicura che non perdereste mai l'occasione per parlare della vostra squadra e della vostra correttezza a tutto il mondo magico. Buona giornata a tutti..'

Indubbiamente le uscite plateali erano le sue preferite.

*°*°*°*°*°*
Note:
1/2:questi episodi fanno riferimento al prequel.Riassunto: quest'intervista doveva essere già fatta in precedenza ma la squadra non si era mai presentata all'appuntamento. In seguito Oliver e Daphne si erano incontrati e lui le aveva lanciato una sfida, convinto di umiliarla,'perdendo'.
3: La palude di Queerditch è, secondo 'il quidditch nei secoli', il posto in cui appunto il famosissimo gioco magico fu inventato.

Spero vi sia piaciuto questo primo capitolo <3
Un bacio,Lilyblack.

p.s. per chiunque voglia, lascio il link al prequel: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=568211&i=1

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Capitolo 2
*** L'articolo ***



Chiaroscuri e Prospettive-La Vendetta
Buongiorno a tutte!
Ecco a voi il secondo capitolo di Chiaroscuri e Prospettive e le nuove peripezie dei nostri eroi (?).
Daphne ed Oliver questa volta saranno 'studiati' nel loro habitat naturale, impareremo a conoscerli maggiormente e tenterò, insieme a voi, di scavare nella loro mente. Un pò come se fossero un simpatico esperimento scientifico.
*-* Sperando che vi piaccia, vi lascio alla lettura.
un abbraccio,
Lilyblack.
p.s. Questo capitolo è dedicato ad Only_Me che con le sue parole random ha ispirato buona parte del capitolo!




*°*°*°*°*°*°*°*°*

L'articolo


L'odio è un tonico, fa vivere, ispira vendetta; invece la pietà uccide, indebolisce ancora di più la nostra debolezza. (Honoré de Balzac)

°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*


Daphne odiava i giovedì, chiunque la conoscesse lo sapeva. Aborriva con tutta se stessa quei pomeriggi oziosi, inutili ed apatici in cui non aveva niente da fare se non scrivere un articolo che non sarebbe stato pubblicato prima del lunedì della settimana successiva e che, la maggior parte delle volte, non era mai concluso in tempo.
Daphne Greengrass era la donna con più articoli consegnati all'ultimo momento di tutto la redazione e rare volte si costringeva a scrivere la sua opera per tempo, con calma e tranquillità.
Scrivere l'articolo sui Puddlemere United era, sicuramente, un'occasione troppo ghiotta per non cibarsene con calma, utilizzando uno dei tediosi e noiosi giovedì pomeriggio che costeggiavano impertinenti la sua vita da persona adulta.
Le tre del pomeriggio erano scoccate da poco e lei era già al lavoro, seduta ad un grande tavolo in ciliegio, in un salone illuminato a giorno, nonostante la pioggia che continuava a scrosciare oltre le finestre.
Daphne amava la pioggia, il suo odore e il suo battere ritmico, regolare, che la faceva sentire calma e protetta, immersa in un luogo in cui esistevano solo lei e i suoi pensieri, dove era libera di far espandere la sua anima.
Quando pioveva Daphne amava ascoltare solo il rumore della pioggia e quello della sua penna d'aquila che grattava sul suo taccuino; qualsiasi altro rumore, come il tamburellare di dita che sentiva in quel momento, aveva la capacità di farla uscire dal mondo mentale in cui si era rintanata con la stessa amabilità di un basilisco.

Alzò appena gli occhi, ma la fonte del fastidiosissimo rumore non era nel suo campo visivo per poter essere fulminato; nel tentativo di un approccio diplomatico, inarcò un sopracciglio e fece finta di esibirsi in un paio di delicati colpi di tosse, talmente finti che neppure un sordo avrebbe creduto alla loro veridicità.
Solamente la pioggia e il persistere di quel ritmico battere risposero alla sua provocazione.
Si raddrizzò totalmente sulla sedia, come se le fosse mancato in quegli attimi assumetere quella posizione impostata e snob e fece scorrere lo sguardo lunga tutta la stanza, come quello di un rapace che cerca la propria preda.
Nel momento esatto in cui si fermò sulla pelle color ebano, colpevole, delle dita di Blaise deglutì profondamente, tentando di non far rumore; respirò a fondo, più di una volta, ma il blando training autogeno non sortì l'effetto sperato.
Il ticchettare continuava a darle un fastidio mortale e l'articolo era ancora appeso a metà, fra il filo del sarcasmo e quello dell'inchiostro.


'Ti Annoi Blaise?'

La voce era pungente e tediata, ma non feroce. Erano poche le persone con cui Daphne non riusciva ad essere feroce, anche nei momenti di maggiore odio che contraddistinguevano i suoi rapporti con la maggior parte del mondo; Blaise faceva parte di coloro con i quali non riusciva ad arrabbiarsi mai veramente.
Urlava, strepitava e lanciava improperi al cielo sembrando una copia bionda e appena più elegante di Pansy-scaricatore di porto- Parkinson, ma non riusciva ad odiarlo.

Odiarlo, forse, sarebbe stata la sua più grande fortuna, eppure non riusciva nè ad amarlo nè ad odiarlo, e rimaneva incatenata a qualcosa di indefinito, che sapeva vagamente di amicizia.
Quando l'altro alzò gli occhi verso di lei sostenne lo sguardo come se niente fosse, bravissima a recitare qualsiasi copione le si ponesse davanti, malata di perfezionismo fino al midollo osseo. Inarcò un sopracciglio e arricciò appena le labbra, indicando la mano dell'ex serpeverde con un cenno del capo, distratto ed indolente.

'No perchè forse solo la noia sarebbe una scusante accettabile, per tutto il casino che stai provocando.'
'Il mio tamburellare ti dà fastidio?'

La voce di Blaise era profonda, musicale e si adattava perfettamente a tutto ciò che era la sua persona: ricercata, riservata e terribilmente invadente nel suo essere assolutamente unica. Ignorarlo era impossibile e nella girandola di persone ossequiose che lo attorniavano, i pochi amici che aveva erano quelli che lo trattavano come una persona normale o, come nel caso di Daphne, come un impiastro qualunque.
Daphne era talmente sicura di ogni suo gesto, che non aveva bisogno di trovare conferme negli altri e questo era una delle cose di lei che gli era piaciuta fin dall'inizio, fin dalla prima sera passata ad Hogwarts; avevano legato, nonostante i caratteri orgogliosi, scostanti e poco accomodanti che avevano entrambi e non si erano più lasciati.

'Il tuo tamburellare è snervante.Io sto tentando di lavorare...'

Esclamò lei, con il tono di voce più trascinato e esasperato che le riuscisse di produrre. La piega arcuata che aveva preso il suo sopracciglio destro sarebbe stata preoccupante per tutti, tranne che per lui che provava un macabro divertimento nel farle perdere le staffe.
Blaise Zabini ghignò, continuando a fissare negli occhi verdi l'amica, che era rimasta con la penna ferma a mezz'aria, segno che aveva tutta l'intenzione di continuare a scrivere.


'Tu stai tentando di lavorare nel salone di casa mia e mi costringi a stare quì...'
'Beh, è maleducazione usufruire della stanza di una casa senza essere in compagnia del padrone della suddetta.'

Ottimo modo per mascherare i suoi reali pensieri. Daphne era sempre stata così totalmente ligia alle sue personali regole, che nessuno si stupiva mai quando se ne usciva con originali frasi del genere, in un mondo che stava rivalutando tutte le sue priorità e posizioni.
Viveva in un monolocale e per vivere lavorava, cosa assolutamente abolita dal bel mondo, eppure del suo retaggio familiare da purosangue manteneva in toto alcune formali convinzioni.
Un particolarissimo ed imprevedibile ibrido.

Il silenzio che seguì quelle parole fece alzare a Millicent lo sguardo dal suo diario, quel tanto che bastava per assicurarsi che non si fossero schiantati a vicenda; il vedere che erano ancora entrambi in possesso della loro lucidità le fece esalare un sospiro di sollievo, sebbene non pronunciò parola alcuna. Era perfettamente conscia che mettere il becco nell'astruso rapporto tra Daphne e Blaise non era affatto cosa buona e giusta: l'ultima volta che aveva tentato di dire alla sua bionda amica che forse doveva dichiarargli i suoi sentimenti, si era ritrovata i capelli rossi per circa una settimana, diventando lo zimbello di tutta serpeverde. Non aveva più tentato, da quel momento, ma continuava ad essere convinta che nei rapporti interpersonali tutte quelle fobie non servivano a niente; Lei e Gregory erano perfettamente felici, semplicemente felici nella loro banalissima storia d'amore.

'Usare casa tua, per lavorare?'
'Non dire stupidaggini, mi annoio da sola e quì c'è più luce.Cos'altro avrai mai da fare...'

L'attimo di panico in cui Millicent era caduta finì, nel momento stesso in cui Daphne riprese a scrivere, seppur con un orecchio teso alle parole che sapeva sarebbero giunte dal moro.
Le domande a trabocchetto erano una delle armi preferite dalla bionda durante le sue scorribande lavorative e non si asteneva da usarle con i suoi amici, se le serviva sapere qualcosa senza esporsi troppo o controllare le loro vite, egocentrica come nessun'altra al mondo.
Millicent scosse il nugolo di capelli crespi che si ritrovava in testa, sconsolata, guadagnandosi nient'altro che un 'leggero' calcio alla caviglia destra.


'Niente, ma..'

L'apocalisse calò nella stanza e la frase non fu mai finita.
Apocalups, vivace cane Corso del nuovo marito della madre di Blaise era appena entrato nel salone, seguito da un fiume di fango e sassolini, oltre che dalla risata cristallina di Theodore Nott.
Una risata destinata a spegnersi sotto il fuoco incrociato del
Silencio di Daphne e delle urla sovrumane di Blaise, scattato immediatamente in piedi per cercare di arginare i danni.

'Theo sei impazzito? Quante volte devo dirti di non far entrare la belva!'

' Quante volte devo dire io a te di non chiamarmi Theo! E' triviale!' (1)

I due ragazzi erano fermi l'uno davanti all'altro, impegnati a lansciarsi contro improperi piuttosto velati, mentre Blaise con un colpo di bacchetta lanciava il cane oltre la portache l'amico aveva lasciato aperta, isolando al stanza da una precoce fine del mondo.
Per qualche istante Daphne fu seriamente tentata di lasciarli litigare, di riempirsi la mente delle loro urla e di ignorare qualsiasi altra cosa; Ignorare l'attimo e far finta di tornare ad Hogwarts, era uno dei suoi passatempi preferiti, ma quando lo sguardo le cadde sul taccuino e sull'articolo che giaceva non rifinito, decise che era ora di prendere in pugno la situazione.

'Anche autoinvitarsi è triviale!'
'Ma io non mi sono autoinvitato, ho seguito Daphne...'

La voce della verità. Nel tentativo solito e conosciuto di far sembrare quella riunione un qualcosa di più di una semplice scusa per farle osservare Blaise, aveva notificato a Theodore che stavano occupando abusivamente il salone di Zabini Manor.
Bastarono pochi secondi e due paia d'occhi, dai colori quanto mai opposti, si fermarono su di lei, chiedendole silenziosamente una spiegazione.
Daphne si strinse nelle spalle e posando lo sguardo sulle scarpe sporche, lievemente, di fango del nuovo giunto arricciò le labbra, per poi decidersi a parlare con estrema calma.

'Ma tu non dovevi essere da Imogen?'

La sua risposta apparentemente non era pertinente con il resto del discorso, ma in realtà aveva saputo scegliere alla perfezione l'argomento con il quale sviare il discorso da se stessa.
Imogen Eldalyn Talavera, la santa donna che sopportava, oramai da tempo, Theodore Notte e che, solitamente, viveva in simbiosi con lui.


'Ha alcuni parenti spagnoli ospiti da lei...'
'Ti ha cacciato?!?'
'Ma non dire stupidaggini! E' scappato lui...'

Per ignorare gli impulsi ormonali che Blaise intento a bere del Wisky le provocava, aveva deciso di scatenare la sua subdola ira su quello che, in fin dei conti, era il suo migliore amico. Il suo unico, vero, amico maschio.
Si avvicinò alla poltrona dove Theodore si era seduto, portando con se il suo profumo di orchidea, elegante e selvaggio allo stesso tempo, proprio come lei; una volta seduta sul bracciolo del mobile, si dimenticò apparentemente di quello di cui stavano parlando, per guardare con un'aria fantasiosamente innocente, i due ragazzi con aria innocente.

'Beh mi sembra ovvio che è scappato lui perchè i cugini di Imogen non parlano inglese e lui non vuole dimostrare quanto poco ha imparato lo spagnolo.'
'Hai bevuto Daph?'
'Non meriti neanche una risposta...'

Daphne non si ubriacava mai, era risaputo. Lei era sempre perfettamente sobria e capace di controllare se stessa; nella mente le aleggiavano troppi segreti perché si potesse permettere di lasciare le sue labbra capaci di dire qualsiasi cosa.
L'alcool, nella sua personale scala di valori, era più pericoloso del veritaserum.

'Andiamo a prenderci una coppa di fragole con panna da Florian?!?'

La voce di Millicent era stata, fino ad allora, spenta, ma aveva improvvisamente deciso che era il caso di stoppare quel battibecco improponibilmente lungo che stava per nascere li, proprio sotto il suo naso. Amava troppo il suo cervello e le sue orecchie, per farsi fare cotanto male.
Non aspettò che rispondessero, ma appellò tutti i loro mantelli; vivere con daphne le aveva insegnato qualcosa: se vuoi che gli altri facciano qualcosa per te, mettili nella condizione di non poter rifiutare.

'Ok...'

Come volevasi dimostrare.

*°*°*°*°*°


Hogsmeade era invasa dalla pioggia da quasi quattro giorni e nonostante tutto Oliver era uscito di casa, preso dalla rabbia,senza ombrello. Aveva sembpre odiato gli incantesimi idrorepellenti e arrivò alla porta del pub dove doveva incontrarsi con i suoi compagni, bagnato fradicio, cosa che non aveva minimamente previsto, quando si era vestito di chiaro.
Follia. Non c'era altro modo per spiegare quel suo improvviso amore per il bianco.

Follia e poco sonno; Poco sonno e molti sogni o meglio, molti incubi. Ogni volta che si addormentava sentiva come un senso di oppressione e saltava al centro del letto, costringendosi poi a stare sveglio. Non era un bambino e ovviamente non credeva al mostro nero nascosto sotto al letto, ma era piuttosto sicuro che i mostri più pericolosi albergano negli uomini e nelle loro menti e la sua era troppo stressata, in quell'ultimo periodo, per lasciarla libera di sognare.
Era troppo stressata anche per lasciarla libera di camminare; Era arrivato davanti al Pub da almeno due o tre minuti e ancora non riusciva a riappacificarsi con la porta.
Tirare, Non spingere.
Aveva sempre avuto qualche problema con le porte dei locali.
Quando finalmente riuscì ad entrare in quel posto dalla dubbia fama, vide una scena raccapricciante.
Tra pizzi e trine il suo cacciatore Samuel Orwell era inginocchiato davanti alla procace cameriera che lo guardava con uno strano cipiglio, indecisa se essere disgustata o estremamente divertita da quella sorta di essere umano ubriaco.
Come fosse poi riuscito ad ubriacarsi con l'unica bevanda che servivano in quel posto, il Tea, per Oliver era un mistero.

'Vi amo Sherazade! Vi amo!! Volete sposarmi?!?'

Il capitano era piuttosto sicuro che la cameriera, dai tratti tipicamente inglesi, non si chiamasse in quel modo astruso, ma si limitò a zittirsi e a sedersi, cercando conferma negli sguardi dei suoi compagni. Allucinati e divertiti allo stesso tempo, gli altri cinque componenti titolari dei Puddlemere United, sorseggiavano da bottiglie di dubbia provenienza e gli ricordarono di quando, nella sala comune di Grifondoro guardavano qualche povera vittima di Fred e George.
Per qualche istante dimenticò qualsiasi cosa, si abbandonò allo scorrere del liquido caldo nella sua gola e scoppiò a ridere come tutti, nel locale, quando Ernie esasperato dalla situazione tentò di prendere le redini del gioco.

'Signorina la prego lo sposi!Solo così non lo vedrà mai più!!'(2)

Le risate divennero quasi singhiozzi, poi mani che battevano sui tavoli. Bastò poco perchè quel piccolo locale zuccheroso e rivoltante divenne una sorta di bettola di periferia, un ritrovo per ubriachi e falliti.
Era così bello non dover pensare a niente, non avere un orgoglio ferito da riparare, niente diritti e niente doveri se non quello di divertirsi. Ritornare all'infanzia era sempre qualcosa di stimolante, ma il ritorno alla realtà finiva per rivelarsi dannatamente brusco.

'Dovete averla fatta schifosamente arrabbiare, quella giornalista, se siete così ubriachi a prima mattina...'

Gli sibilò qualcuno nell'orecchio, dopo il terzo sorso di ciò che sembrava firewisky d'annata.
Non riuscì mai ad identificare chi fosse stato, ma gli bastò a scrollarsi di dosso l'alcool e vedere tutto quello che stava accadendo con un'ottica nuova ed estremamente più raccapricciante.

Erano la squadra migliore del campionato e si erano rinchiusi in un bar per coppiette ad ubriacarsi, per motivi a lui ancora ignoti, facendo una figura davvero poco dignitosa.
Nessuno di loro era pulito, ordinato o comunque in una situazione estetica socialmente adatta alla loro casta, quella idolatrata dei giocatori dello sport maigico più seguito ed ambito.
Erano giocatori di Quidditch, per morgana! Come erano arrivati a sembrare degli scadenti appassionati di gobbiglie?
La voce che l'aveva risvegliato dalla trance, sembrava essere entrata dalla sua testa, e dopo che i suoi neuroni si incontrarono, nello spazio cavo del suo cervello sormontato da una massa di capelli increspati dalla pioggia, si affannò a cercare qualsiasi cosa assomigliasse anche lontanamente ad una copia de 'La gazzetta del Quidditch'.
Probabilmente sembrava matto, con quegli occhi resi lucidi e languidi dall'alcool e dal raffreddore imminente, mentre si sbracciava a destra e a manca, rischiando di cadere dalla sedia per un salto troppo azzardato o di denudarsi perchè, nella foga, un pezzo del suo vestiario si era impigliato in uno strano segnaposto a forma di cupido.
Uno sguardo perplesso di Ernie, l'unico apparentemente sobrio, lo riportò alla realtà.
L'ultima cosa di cui aveva bisogno la loro reputazione era un arresto per atti osceni in luogo pubblico.
Quando finalmente riuscì ad afferrare l'agognato giornale, respirò profondamente e si caricò delle migliori, utopistiche, aspettative su ciò che avrebbe trovato al di sopra della firma di quella serpe velenosa.
Quell'articolo ormai era una questione personale, anche se Oliver continuava a negarlo anche a se stesso. Il quasi licenziamento, la sfida praticamente persa e quella ridicola intervista fatta con lo stile di un plotone di esecuzione, non avevano contribuito ad innalzare la stima che aveva delle donne giornaliste, in particolare di quelle che andavano in giro circondate da gorilla serpeverde, come se fossero ancora a scuola.
Sfogliò il giornale con la calma tipica di chi in realtà non vuole affatto leggere ciò che sta facendo finta di cercare.

'Buongiorno cari lettori.
Pubblico con un ritardo non previsto e non dovuto alla volontà di questa redazione, ma ad alcuni imprevisti imputabili alla squadra di cui oggi parleremo, come sicuramente già sapete.'


Riusciva quasi ad immaginarsela, con quell'aria da prima donna e il dito del giudizio puntato contro di loro.
Odiosa donna, donna odiosa.
Scacciò Ernie con un calcio, ben sapendo che l'unica cosa che cercava su quella pagina era una foto della Greengrass, per la quale continuava a nutrire un'insana passione.
Prima o poi sarebbe riuscito a liberarlo da quel tarlo in minigonna e cotonati capelli biondi, l'avrebbe fatto per la sua stessa sopravvivenza. Sopportare un amico che idolatra, trasportato dagli ormoni, colei che era diventata il suo più grande incubo, non era sicuramente una cosa da Oliver.

Lui non passava sopra ad offese così gratuite e riusciva a perdonare solo le persone alle quali voleva veramente bene e coloro che, soprattutto, non toccavano la sua ragione di vita.

'Nonostante le prime impressioni e qualche pausa imbarazzante...'

Il ricordo dell'intervista invase la sua mente, facendolo rabbrividire.
SI ricordò perfettamente tutte le impressioni che lei gli aveva fatto, lo sgradevole senso di inferiorità  che per un attimo solo quegli occhi verdi erano riusciti ad infliggergli, segnando un record.
Oliver Baston, Grifindoro, Giocatore di Quidditch e scopritore del talento sportivo di Harry Potter, non si era mai sentito inferiore per nessuno ma in quell'ufficio, per un solo istante, il silenzio nel suo cervello era diventato assordante e non era riuscito a reagire; immaginarsi se stesso piccolo come una formica era stato il passo successivo, anche se era durato un solo attimo.
La rabbia incominciava  a serpeggiargli sotto la pelle, resa calda da quei sorsi di firewisky troppo invecchiato.

'Il capitano promette che i falli smetteranno di imbarazzare la tifoseria. Dobbiamo crederci?'

Oliver chinò il capo e deglutì.
Se c'era una cosa che odiava di più di essere deriso era essere deriso per qualcosa che continuava a tentare di arginare senza successo.
Era perfettamente cosciente che alcuni suoi giocatori tendevano ad essere, in campo, più simili a macellai che ad esperti di Quidditch, ma non poteva farci nulla, aveva già fatto tutto il possibile e quell'oca non aveva nessun diritto di rigirare il coltello nella piaga.
Non poteva farlo sanguinare, non ne aveva il diritto, non si erano mai guardati negli occhi con sincerità ed Oliver aveva delle idee ben precise, sul diritto di far soffrire gli altri.
Perchè continuasse ad infierire su di loro nonostante la vittoria e i ben due articoli che le avevano fatto pubblicare, era un qualcosa che lui non riusciva a concepire, nonostante lo spasmodico amore per la vittoria e lo stretto rapporto sentimentale che lo legava al suo orgoglio, fin dai tempi della scuola.
Continuò a leggere, scorrendo le parole sarcastiche della sua nuova nemesi tentando di farsele scivolare sulla pelle e di non notare quanto fosse, effettivamente arguta e conoscitrice della materia. Avrebbe ammirato quelle qualità in qualsiasi altra ragazza, ma lei non era ammirabile, era abominevole.

'I puddlemere united promettono la presenza alla commemorazione storica con uno speciale incontro con i tifosi.'

Si bloccò all'improvviso su quella frase, troppo benevola per far realmente parte di quell'articolo costellato di sarcasmo e denti avvelenati malamente nascosti. Rimase a guardare quelle parole con la fronte aggrottata e una ruga di espressione che segnava il volto segnato da quella barba che oramai stava diventando perenne; la sua ex ragazza diceva sempre che quei momenti di silenzio riflessivo, rari, erano quelli in cui lo apprezzava di più, ma non si era mai spiegato se fosse perché non sopportava sentirlo parlare o perchè quella particolare espressione aumentava il suo fascino. Non aveva attualmente nessuna a cui chiedere delucidazioni.
Quasi si strozzò con il tea che aveva ordinato nel mentre, quando gli occhi castani si fermarono sulla frase conclusiva dell'articolo.

'La redazione ricorda ai fan di mettere in conto un eventuale e sostanzioso ritardo da parte dei loro beniamini.'

Brutta strega!

*°*°*°*°*°
Note:
1. Questa frase è una citazione di Lovechild, nel capitolo 4 di 'Dovevo dirti molte cose' ** La dice lo stesso Theo. E mi permetto di citarla per farle una sorpresa.
2. Rivisitazione di una citazione di Groucho Marx.
*°*°*°*°*°*°
Risposta alle recensioni:

Vogue:sono contenta che ti piaccia questo sequel! In fondo, se Daphne e Oliver esistono in questa forma, è tutto merito tuo e del tuo contest^^
Aspetto la tua prossima opinione, con questo capitolo si entra nel vivo!

Fabi_: SI *_* Daph è la donna serpeverde per eccellenza, almeno per me. Stronza, permalosa, orgogliosa, diretta in modo quasi imbarazzante e subdola allo stesso tempo *_*
Sono contenta che ti piaccia! Aspetto la risposta a questo capitolo u.u

Valaus: Tesoro mio caro*_*
Morirei, senza le tue recensioni.
In questo capitolo non vi sono molti pungolamenti diretti ma vi è molta più Daphne e parecchio più Oliver. Nella mia testa era diverso, il capitolo, ma causa un blocco dello scrittore alla fine è uscito così,spero ti piaccia comunque.

Payton: Franci!
La vendetta di questa storia è a lungo termine ** E' tutto basato sull'odio, la vendetta e il rancore questo loro scontrarsi, per come la vedo io sono de sentimenti che danno tanti tanti spunti narrativi! *_*
Spero ti piaccia questo capitolo e che tu non mi abbia odiato per l'immissione di un nuovo personaggio maschile *_*

LC: Yaya mia! *_* Eccoci alla tua recensione.
Theo non crucia Daphne perché, nel miomondo, è la sua migliore amica. Daphne stessa dice che Theo in realtà è il suo unico amico maschio e lui lo sa. La sopporta e le vuole bene così com'è, tentando di arginare dove può il suo caratteraccio.
Oggettivamente si comunque, se Imogen sapesse, sarebbero GUAI grossi XD Hai perfettamente ragione.

*_* Spero ti piaccia questo nuovo capitolo, che ti porti un pochetto in più nella testa della mia Daph.
un bacio,
Imogen/Lara/la Romana XD

WHE: XD Lo so che non è carino iniziare la recensione con il tuo diminutivo, ma sicuramente sbaglierei qualche lettera, e allora aggiro il problema.
Siamo in due ad amare Theodore Notte *_* ed è per questo che apparirà continuamente in questo sequel. Lui sarà la coscienza maschile di Daphne, la Millicent al maschile anche se, vedrai, ha più presa sulla bionda di quanto non abbia Millicent, soprattutto per alcuni argomenti.
Hai perfettamente azzeccato la reazione che mi sono immaginata all'ingresso di Daphne ma che non ho descritto perchè alcune cose preferisco lasciarle alla vostra immaginazione.

Spero ti piaccia questo capitolo ** alla prossima recensione.

Mary:
Ok *_* so che stai aspettando questo capitolo!Spero ti sia piaciuto.
Come penso di averti già detto, non voglio assolutamente liberarmi di te u.u Decisamente no XD Ti toccherà continuare a seguire la storia.
Nel caso ti serva una qualche spiegazione in storia dell'arte chiedimi pure :p Magari riesco a renderla immediata come Pirandello ^^

Un bacio.
lily.

MaBra:
Tu hai letto l'anteprima, ma voglio assolutamente la tua opinione tutta intera.
Quì non vi sono grandi litigi u.u quindi dovrai impegnarti per fartelo piacere, mi dispiace.
Ricorda che ti voglio bene :*
Lara.



*°*°*°*°*°*°*
Un bacio a tutti quelli che leggono e non recensiscono,Lily.


p.s. per chiunque voglia, lascio il link al prequel: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=568211&i=1

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Capitolo 3
*** Di notte ***


Chiaroscuri e Prospettive-La Vendetta

Buongiorno a tutte!
SO che sono in un ritardo pauroso ma ho avuto un paio di contest da finire e un pauroso blocco dello scrittore, lo ammetto.

Questo capitolo è strano, soprattutto la seconda parte, vi avviso u.u

*-* Sperando che vi piaccia, vi lascio alla lettura.
un abbraccio,
Lilyblack.

*°*°*°*°*°*°*°*°*

Di notte

*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*

Ci sono ottimi sentimenti che possono avere pessime ragioni, non lo sapete...? Come ci sono dei pessimi sentimenti che a volte hanno delle ottime ragioni.

Dal film "Ritratto di signora" di Jane Campion

*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*


La stanza era immersa nel buio. La porta si richiuse e il suo cigolio spezzò il silenzio, facendo trasalire Daphne che era rimasta stranita a fissare la voragine vuota della sua stanza. Nella lista delle cose che Daphne Greengrass odiava, particolarmente lunga e folta, campeggiavano la folla e le persone inopportune, ma anche, assurdamente, la solitudine non contemplata. Egocentrica e viziata, c'erano dei momenti in cui la sua testa era preda di talmente tanti stati d'animo diversi, che restare in compagnia delle sue innumerevoli personalità era l'ultima cosa a cui poteva aspirare.
Il rumore dei passi lungo il corridoio dall'altro lato della porta fece riaccendere la speranza nei suoi occhi verdi, salvo poi farla morire subito dopo, quando lo sguardo cadde sul calendario magico che portava appeso alla parete opposta all'ingresso.
Era Lunedì, il giorno più nefasto della settimana dopo il giovedì: Theodore era a far finta di studiare spagnolo e Millicent era al corso di disegno; quando Blaise folleggiava in giro con la conquista di turno, come quella sera, lei sprofondava in un baratro di solitudine.

La camera non era rassicurante come alle prime luci dell'alba: le cataste di giornali, vestiti, lustrini e sigarette sembravano nascondere tutti i suoi demoni. I pensieri a cui non dava ascolto approfittavano sempre dei suoi attimi di solitudine per saltare fuori.
Il gatto le si arrotolò attorno alle caviglie, guardando discretamente all'insù, negli anni aveva imparato che perdere l'aplomb felino con Daphne non era una grande mossa; odiava perdere il controllo, non poter gestire qualsiasi cosa facente parte della sua vita e considerava queste sfumature caratteriali dei difetti mortali sulla maggior parte degli esseri viventi.
La strada verso il letto e lo scrittoio fu tre volte più difficile del normale: tentare di non schiacciare il gatto, camminare e svestirsi allo stesso tempo e al buio non era sicuramente una delle specialità sportive, poche, in cui era provetta. Lo sport era, per lei, alla stregua della maggior parte degli uomini che le gravitava attorno: guardare si, provare raramente e solo nel caso riesca ad assecondare ogni sfumatura della personalità. Gli uomini, era risaputo, raramente assecondavano la personalità femminile così come raramente lo sport era così clemente, da non far sembrare chiunque lo praticasse un disperato in cerca della forma fisica che non avrebbe mai trovato.
Il ricordo dell'incontro alla nuova piscina londinese di pluffanuoto a cui aveva appena finito di assistere, tornò prepotentemente alla sua mente facendo si che, improvvisamente, le sue narici fossero in grado di decifrare quel mix fastidioso di magicloro, sudore e vociare confuso che si era attaccato alla sua pelle e alle sue orecchie e che era riuscita, fino a quel momento, ad ignorare grazie ai rumorosi pensieri.

Il gatto saltò sulla scrivania nello stesso momento in cui lei stava per entrare in bagno , ancora marchiato dal doloroso ricordo di tutte le volte che vi era andato a sbattere contro, riuscendo ad attirare il suo sguardo su qualcosa che, altrimenti, avrebbe probabilmente ignorato fino all'alba seguente. Daphne aveva la capacità, rara, di vivere fuori dal mondo in alcuni momenti della sua vita: poteva frequentare lo stesso bar ogni giorno e accorgersi solo dopo mesi del particolare colore delle pareti.

La sua scrivania ospitava, al centro, un pacchetto il cui fiocco argentato brillava a causa dei raggi lunari che filtravano dalla finestra e su cui era appuntato, con malagrazia, un bigliettino.


** Alla nostra FairyPrincess, perché così stasera non sentirai la nostra mancanza. Millicent e Theodore. p.s. Ho fatto lucidare il tuo bracciale, è nel comodino. p.p.s. prometto che stasera imparo sul serio quel dannatissimo verbo irregolare spagnolo**


Il sorriso che le si aprì sul volto fu immediato e tremendamente luminoso, bastava che si parlasse dei suoi amici e la serata le si rischiarava; sapeva di apparire cinica e insensibile al mondo e per la maggior parte della sua vita lo era, ma c'erano dei pezzi di se stessa che si erano trasposti in altre persone e non aveva nessuna voglia di negarlo. Theodore e Milli, in quel particolare frangente, le avevano regalato un nuovo diario, dalla copertina di pregiata seta verde chiaro, probabilmente memori che il suo ultimo era finito da due settimane e ancora non aveva trovato il tempo, incastrata fra il lavoro e la pigrizia, per andare a comprarne uno nuovo.


**Anno Domini 2005**

**5 Ottobre**
**Proprietà di Daphne Greengrass**


Con uno svolazzo semi incomprensibile della sua grafia isterica ed elegante al tempo stesso, Daphne siglò quel nuovo ingresso nella sua psiche, secondo alcuni malata e nel mondo, psicolabile, della sua immaginazione.
Lasciò che la penna di corvo scorresse sulla pergamena, lasciò che i suoi pensieri fluissero senza remore, freni e inibizioni sulla carta; il momento della scrittura era l'unico in cui Daphne rivelava tutti i propri segreti a se stessa, l'unico attimo della sua vita in cui si concedeva di essere totalmente sincera e vulnerabile, rassicurata dall'assenza di qualsiasi altro essere vivente al di fuori del gatto e di se stessa.



-E' Lunedì.

Sono sola in casa, con la sola deprimente compagnia di un gatto troppo grasso che mi fissa malefico dalla scrivania. Devo essere stata ubriaca, stranamente, il giorno in cui l'ho accettato in casa. Graffia, è infedele, ruffiano ed opportunista, decisamente troppo simile a me e troppo diverso al tempo stesso per una pacifica convivenza.
Possono convivere le anime profondamente affini o quelle talmente diverse da compenetrarsi e completarsi, tutto ciò che esula dai due estremi per me è impossibile.
Millicent dice, anima pura, che io sono troppo estremista, ma in fondo che male c'è nel vedere il mondo, il 99% delle volte, o bianco o nero?

Io sono fatta così, difficilmente qualcuno mi cambierà mai.
Trovo sudicio cambiare le proprie opinioni per un mondo esterno a quello della propria mente, delle proprie esperienze e delle proprie emozioni; Daphne è l'unica persona per la quale Daphne potrebbe cambiare e se per questo risulto antipatica alle persone, quasi gioisco.

Non cerco l'approvazione di nessuno se non di me stessa, non sono come la mia 'sorellina'.
Oggi mi sono incontrata con Astoria. Nonostante avessi impiegato ore a trovare una scusa credibile mi ha aspettata fuori dalla redazione del giornale e mi ha braccata, con una pedanteria assurda per i suoi ventitré anni.
Dovrebbe aspettare i cinquant'anni per diventare un'impicciona
Ho ceduto perché incastrata dai suoi 'pressanti problemi', credendo di poter far finta di ascoltare mentre pensavo ai miei sacrosantissimi affari, ma alla fine mi sono trovata a parlare di me. Io sarei il suo pressante problema perché, a sentire lei, oso scrivere cose pungenti su ex Gryffindor, portando ombre sul suo matrimonio fresco di ipocrisia. Sia mai che qualcuno pensi che a istigarmi sia il suo perfettissimo marito.
A volte mi chiedo se siamo uscite dallo stesso utero, perché mi sembra sinceramente impossibile. Tutti coloro che mi conoscono anche solo lontanamente sanno che non mi faccio mettere le parole in bocca da nessuno, come può pensare una cosa simile MIA SORELLA, una creatura che, disgraziatamente, porta il mio stesso cognome!

Il brutto è che non me la toglierò dalle orecchie fino a che non sarà sbollita questa cosa dell'articolo, meraviglioso, sui Puddlemere.
Potrei provare a farle conoscere l'orrido Baston per farle cambiare idea, ma probabilmente neanche quello riuscirebbe a convincerla: affascinata com'è da qualsiasi cosa che sappia anche solamente stare in equilibrio su una scopa, si dimenticherebbe il suo orgoglio di donna 'felicemente' sposata e mi darebbe contro pur di parteggiare con lui.

E' una tale oca a volte!
Se solo si fermasse a guardare tutta la situazione capirebbe che ho innegabilmente ragione; lei odia aspettare cinque minuti dalla streghestetista, figuriamoci tutto quel tempo per un appuntamento di lavoro!

(Non che lei sappia cosa sia il lavoro, visto che ha sposato Draco-mia moglie non lavora-Malfoy.)

Probabilmente dovrò sopportare questa discussione anche al pranzo di domenica con i nostri genitori, rovinandomi i postumi del sabato, l'unico giorno decente della settimana.
Dovrò rovinarmi la domenica per colpa di quel buzzurro del Gryffindor e Millicent ha ancora il coraggio di dire che, forse, dovrei smetterla di essere così contenta di quell'articolo, che anche se abbiamo dovuto ristampare il giornale e il capo si è complimentato con me, non devo poi gongolare così tanto.
'E' solo un articolo Daph, smettila...'

Non capisce, non è solo un articolo, è la vittoria di numerose battaglie, è come se finalmente Slytherin avesse battuto Gryffindor a Quidditch, come se qualcuno fosse finalmente riuscito a togliere quel ghigno tronfio dal capitano più insulso che la squadra rossoro di Hogwarts abbia mai avuto.
Non è solo un articolo, è il sapore della vittoria che mi scorre nelle vene; lei non ama vincere, non può capire.

Solamente Blaise mi capirebbe, ma lui si tiene fuori da questa discussione perché in questi giorni è impegnato con una nuova conquista, che forse durerà due settimane a dir tanto, ma sarà sempre troppo.
Bassina ma formosa, rossa, vacui occhi celesti: esageratamente appariscente come tutte le donne con cui esce da circa dodici anni.
Ho sopportato dodici anni di angherie da parte delle oche di turno, mi stupisco sempre di questo quando ho abbastanza tempo e voglia di farmi del male da soffermarmici a pensare un po'.

So che è sbagliato, che questa sorta di segreta morbosità che non sfocerà mai in niente di fatto è una pessima cosa, un pessimo sentire, un morbo che mi uccide dal di dentro, ma non c'è altra soluzione.
Lui non ama le donne di classe, non ama le bionde, non sfiorerebbe mai con una mano una sua amica ed è per questo, deprimente, motivo che non parlo mai di lui nemmeno a Millicent: sarebbe inutile e comporterebbe solo ore di filippiche assurde su come e quando dirglielo.
Un diario è un confidente molto più assennato, non rivela i segreti e sa sempre quando è ora di chiudere i battenti.
Questo li chiuderà ora, è mezzanotte oramai ed è ora che io mi metta a dormire, domani devo andare a parlare con il capo e non ho idea di cosa voglia dirmi.


D.


*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*


La sala era scura, piena di fumo o di qualcosa che gli somigliava; Oliver non avrebbe saputo dire cosa fosse realmente, forse un Bar, o una taverna squallida piena di giocatori di bische. Una sensazione alla bocca dello stomaco gli suggeriva che era li che voleva stare, nonostante il disagio che lo attanagliava mentre navigava in quel mare fumoso, grigio, innaturale.

Era vissuto per sette lunghi anni in una torre, lui sovrastava la nebbia, volava oltre le nuvole con la sua scopa, odiava tutto ciò che non fosse chiaro, e limpido. La nebbia era l'opposto della limpidezza e di se stesso eppure, inspiegabilmente, i piedi erano saldamente piantati per terra e sembravano capaci di muoversi solo ed esclusivamente in avanti.

Mille fili di ferro sembravano muoversi all'interno del suo corpo, mille emozioni e sensazioni contrastanti alle quali non sapeva dare un nome, e che quindi non riusciva a padroneggiare; Conoscere il nome di qualcosa aiuta a sconfiggerlo, a combatterlo, a possederlo, ma lui in quel momento era un succube.

Camminava nella nebbia, sentiva risate gutturali provenire dai lati del suo corpo, da zone d'ombra che non riusciva a vedere, da angoli che i suoi occhi puntati solo in una direzione non riuscivano a rapire.

Frustrazione. Ecco una delle tante sensazioni che gli marchiavano la pelle, assieme alle altre gli si attorcigliava attorno alle sue braccia, gli stringeva i polsi, cambiando rapidamente da carezze a strette avvinghianti, subdole, come le spire di un serpente.

I serpenti lo ossessionavano da giorni, da settimane, quasi da un mese; i serpenti, gli Slytherin e la loro demoniaca rappresentante che si era infiltrata nella sua quotidianità a tradimento.

Nessun uomo meritava di vedere la propria vita soffocata dall'ossessione, lui era una persona solitamente priva di qualsiasi legame compulsivo con la rabbia e le manie di persecuzione, nonostante gli avessero detto, spesse volte durante la vita ad Hogwarts, che si comportava da maniaco facendo volare la sua squadra sotto la pioggia; Oliver Baston era stato, fino a circa un mese prima, un giovane uomo sano ed equilibrato, fino al giorno in cui aveva incontrato quell'innominabile di Daphne Greengrass.

Lei era ovunque, la vedeva in ogni luogo, la trovava in ogni frase sgradevole che sentiva per la strada, in ogni donna bionda che incontrava sul suo cammino, come quella che era proprio li davanti a lui, in quella stanza fumosa e che non poteva fare a meno di fissare, il suo sguardo era calamitato e la nebbia, questa volta, c'entrava poco. Scarpe nere con il tacco, lunghe gambe velate da calze di seta nere come quelle che aveva sempre tentato di far comprare a Penny, corto ed aderente vestito nero su un corpo esile, labbra rosse e ben disegnate, strette attorno ad una sigaretta. Labbra familiari, troppo familiari. Quando capì fu troppo tardi, Lei l'aveva già visto e i suoi occhi verdi, allungati come quelli di un gatto malvagio erano già fissi su di lui, le labbra non erano più ammalianti, ma piegate in quel ghigno mefistofelico e fastidioso.

Quell'essere di sesso femminile riusciva a racchiudere in un ghigno una montagna di egocentrismo e lui non riusciva a capacitarsi ancora, di come mai facesse a sopportare tutta quella presunzione, come potesse avere amici, amori, famiglia. Ogni suo più piccolo gesto, passo, e movenza erano estremamente simili all'arroganza tipica dei felini, animali che lui non aveva mai sopportato.

Oliver Baston odiava i gatti e, di conseguenza, Oliver Baston odiava Daphne Greengrass che era, per l'ennesima volta, troppo vicina a lui. Ferma, immobile e silenziosa, ma più comunicativa nel suo silenzio di tante donne che aveva conosciuto, ogni sua più piccola smorfia nasceva da un pensiero ben preciso, poteva vederlo, lui stesso era fatto così. La fronte si arricciò indispettita sui suoi grandi occhi scuri, estremamente più comunicativi di quanto non fossero quelli che si trovava di fronte; tentò di muoversi, di sorpassarla come fosse un cacciatore avversario, ma la nebbia si era fatta più fitta, quasi come un muro di gomma, e gli era impossibile avanzare.

La sensazione di essere in gabbia lo attanagliò nuovamente alle viscere e alla smorfia infastidita delle sue labbra rispose nuovamente, implacabile come un'ossessione, il ghigno della Greengrass. Tentò di fare un passo avanti, sperando che lei si spostasse, ma non fece nient'altro che indietreggiare in modo che lui potesse camminare, ma che la distanza fra loro non cambiasse mai; alle sue spalle incominciava ad intravedere il gruppo dal quale si era allontanata: Zabini, Nott, ragazzi che non conosceva e che la guardavano come se fosse una dea.
Non riusciva a capire cosa ci trovassero in lei, nel suo corpo e soprattutto nel cervello malato che l'aveva messo più di una volta negli ultimi giorni in difficoltà; riusciva a sollevarlo solamente il fatto che lui avesse amici sinceri, cosa che era praticamente sicuro mancasse a lei.
Lui aveva i Gemelli, Katie, Angelina, Ernie; nel momento stesso in cui pensò allo scozzese lui si materializzò, tirato a lucido e con un bicchiere di super alcolico in mano, non fece in tempo a chiamarlo a se che questo si avvicinò alla Greengrass. Sapeva che lui la trovava affascinante, ma non pensava si conoscessero così tanto, vide tutto in una sequenza muta: lui che le si avvicinava, che la stringeva per la vita e le tendeva il proprio bicchiere di liquore, come se Oliver non fosse li, non potesse vederli. Si sentiva un voyeur, ma più la nebbia si stringeva attorno a lui più la coppia, le labbra che si incatenavano con un ché di lussurioso, le mani di lui che si intrecciavano ai capelli biondi come se ne dipendesse la vita, erano l'unica cosa che riusciva a vedere. Invadevano il suo campo visivo, la sua mente e i suoi pensieri e per qualcuno abituato a spaziare nell'aria, questo era insopportabile, quasi quanto la sensazione di essere stato tradito dal suo migliore amico, che provava in quel momento.
Ogni bacio ed ogni carezza erano quei serpenti che gli salivano lungo le braccia, le gambe, che gli stringevano alla gola e gli toglievano il fiato e monopolizzavano la sua mente; in breve tempo sentì il vuoto nella testa e un ronzio nelle orecchie che si stoppò solo quando lei si voltò verso di lui.
Verde nel marrone, Slytherin contro Gryffindor, trionfo contro orgoglio: quello sguardo era pieno di tronfia vittoria, lei stava silenziosamente urlando che era riuscita a rubargli qualcosa, il suo migliore amico, una parte della sua vita.

Gli salì il sangue agli occhi, la parola rabbia lampeggiava nella sua testa, nella sua tasca la bacchetta in Castagno bruciava, come se fosse stata percorsa dalla stessa scarica elettrica che possedeva il corpo del suo mago. Pensare alla vendetta, prendere la bacchetta e scagliarle contro uno Stupeficium furono una cosa sola, come se il veleno che lei gli aveva passato con un solo sguardo l'avesse posseduto.
Odiarla, schiantarla e svegliarsi seduto nel bel mezzo del suo letto, con le gocce di sudore che scivolavano lungo il torso nudo e con la faccia ancora sconvolta dalla rabbia, furono la naturale epifania della comprensione: era stato tutto solo un incubo.
Si alzò, sconvolto, nella notte buia che gli invadeva la stanza, quasi fosse una naturale prolunga di quell'incubo che gli invadeva ancora la mente; difficilmente avrebbe dimenticato quello sguardo, quelle sensazioni che non ammetteva nemmeno con se stesso, quello sguardo verde che lampeggiava dietro le sue palpebre quasi più delle Avada a cui aveva assistito nella sua vita.

Daphne Greengrass era la sua maledizione senza perdono, ma se Harry Potter aveva sconfitto un'Avada, lui poteva sconfiggere lei.

Daphne Greengrass l'avrebbe pagata.


*°*°*°*°*°*°

Un bacio a tutti quelli che leggono e non recensiscono,Lily.


p.s. per chiunque voglia, lascio il link al prequel: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=568211&i=1

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Capitolo 4
*** 4/A - Quattro amici al bar ***



Chiaroscuri e Prospettive-La Vendetta

Buongiorno a tutte!
SO che sono in un ritardo pauroso e non ho scuse. 
Doveva essere il solito capitolo a metà. Ma solo la parte di Ollie è venuta così lunga o.o che prima di metterci altri due anni a scrivere Daph, ho preferito pubblicare.

Ollie, perinciso, mi è un po'scappato di mano o.o non volevo farlo...così. Poi vedrete u.u


*-* Sperando che vi piaccia, vi lascio alla lettura.
un abbraccio,
Lilyblack.


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Quattro amici al bar

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Meglio l'orgoglio dello stolto o il silenzio del saggio?( Sopravvivere-Fear Essence Series-Lilyblack)

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Londra è una città operosa, veloce e frenetica o almeno, questa è l'opinione comune; ci sono alcuni angoli nascosti, nella grande città, in cui l'ozio impera sovrano. Grandi locali si lasciano invadere pigri dal sole, abbandonando le loro vetrate alla tirannia dei raggi diurni e delle mille particelle di polvere che, leggiadre ed invadenti, si poggiano sulle più disparate superfici.

Oliver Baston odiava la polvere che attecchiva al suo cappotto nero nuovo, comprato in un lussuoso negozio della Londra Babbana; Oliver Baston odiava, inoltre, qualsiasi cosa ricongiungesse i suoi pensieri ad una certa giornalista e, purtroppo, i pensieri in questione si moltiplicavano come i criceti. Era innegabile, per la sua mente provata, che la bionda era esattamente come quella polvere: inopportuna, onnipresente e assolutamente non indispensabile.
Onnipresente, dato che ovunque andasse, tentavano in tutti i modi di non fargli dimenticare quegli articoli.
Inopportuna, visto che aveva lo stesso tempismo malato di suo cugino Barthy a dieci anni, che lo beccava sempre un attimo prima che riuscisse ad allontanarsi dalla festa con la ragazza più bella.

Assolutamente non indispensabile, dannatamente superflua e particolarmnte dannosa; era mercoledì e portava ancora sulla pelle, ingrigita, e negli occhi, arrossati per la mancanza di sonno, i segni di quel dannato incubo.

La lucidità non gli era mai mancata e sapeva che avrebbe dovuto reagire, prima che diventasse una questione personale, d'orgoglio e perdesse di vista ciò che era giusto e ciò che non lo era; doveva farlo, nonostante Ernie continuasse a dirgli che se la stava prendendo troppo, come se fosse Oliver quello poco obiettivo e non sé stesso. Ernie era accecato dall'attrazione che provava verso quella vipera e lui l'avrebbe salvato: era un Gryffindor e quindi depositario di sano altruismo, era una cosa risaputa.

Avrebbe affrontato la situazione come ogni bravo giocatore di Quidditch: approntando uno schema offensivo.

Punto Primo: prendere informazioni sull'avversario.
Oliver conosceva alcuni ragazzi nel bar più frequentato dalla Londra Magica Giornalista, ed era proprio li che intendeva acquisire più informazioni possibili sul diavolo biondo.

Lui non era un uomo pigro e morire di ozio nell'attesa dei suoi agganci non era propriamente nelle sue aspettative, ma qualsiasi guerra aveva i suoi piccoli problemi: non ci sarebbe stato Silente senza la bacchetta di Sambuco di Grindelwald e non ci sarebbe stata la fama di Harry Potter, senza quel piccolo inghippo degli Horcrux.


Il tonfo che seguì la chiusura della porta si propagò nell'aria, trovandolo immerso in un'apatia che non gli era propria; appoggiato con i gomiti al bancone, gli occhi assonnati persi fra le bottiglie di liquore e in equilibrio precario sul tipico, alto e infido, sgabello da bar.

I jeans neri e la felpa similbabbana lo facevano sembrare un avventore qualsiasi, un signor nessuno da ignorare come tanti se ne incontrano, lungo la propria vita; anime perdute, con storie troppo rumorose per essere raccontate.

Le sue orecchie erano invase dal suono invadente dei suoi pensieri, frenetici,e sussultò, quando una mano possente si posò sulla spalla sinistra, impaurito forse a causa della suggestione di quella cornice, oggettivamente angosciante, in cui si era calato.


'Novità?'


Non si voltò a guardare coloro che erano giunti alle sue spalle, ma avrebbe potuto ripetere i loro tratti a memoria; erano scolpiti nella sua mente da anni, vi erano stati disegnati con la cenere della guerra, quella che firma i disegni più forti.
Dennis Canon, con il sorriso troppo simile a quello del fratello e Lee Jordan, che aveva firmato parte della colonna sonora delle sue partite più belle, riuscendo a fargli ricordare ogni più piccola inflessione della sua voce; perfino in quel momento, in cui le sue capacità mentali erano ridotte al minimo, non aveva dubbi sul fatto che fosse lui quello che parlava dal di sopra della sua testa, affondata fra le braccia e poggiata sul bancone di legno.


'Non ci offri niente?'


Si vedevano raramente, ma ogni volta che avevano un incontro, per quanto piccolo potesse essere, i due iniziavano sempre con la stessa frase.
Girò la testa di lato e tentò di inquadrare entrambe le figure, così diverse: Dennis chiaro, con gli occhi grigi e quella dannata macchina fotografica appesa al collo e Lee, vestito con un'accozzaglia di stili che Fred e George gli avrebbero preso in giro fino alla fine.
Il profumo femminile che uno dei due, non gli interessava sapere quale, portava misto al proprio, gli fece venire in mente perché erano lì; il buonumore nato con l'arrivo dei suoi amici, piuttosto povero, svanì in una nuvola di fumo.

Bisognava fare qualcosa. Improvvisamente divenne più burbero e cacciò fuori quel tono roco e caldo della voce che Lee gli aveva sentito usare, a volte, quando parlava di una partita persa; il tono di voce delle cose serie.


'Ma voi mi avete portato notizie?'

'Si, ti abbiamo portato notizie...un bicchiere di burrobirra!!'


La sua speranza di riportarli sulla retta via era praticamente nulla, un po' come costringere lui ad amare qualcosa più del Quidditch. Nulla mai, nella sua vita, avrebbe avuto lo stesso impatto emotivo su di lui della prima volta che aveva parato una pluffa, ne era assolutamente certo.

Lee, nel frattempo, stava facendo un sorriso oscenamente ambiguo alla barista che gli aveva finalmente dato il boccale di birra ovviamente addebitato sul conto di Oliver; lo stomaco fece un paio di capriole per il disgusto, nonostante fosse abituato al modo di fare, un po' da guascone, dell'ex Grifondoro.


'Sei un alcolizzato!'


Urlargli contro era sempre stato un ottimo modo per avere la sua attenzione, probabilmente aveva le orecchie sensibili dai tempi della McGranitt e vedere la sua faccia oltraggiata che si voltava a fissarti, valeva sempre la pena.


'E tu uno psicopatico con manie ossessive...'


Sentire le idiozie che aveva da dire su di lui, invece, era meno piacevole; per un attimo gli venne in mente che Ernie gli avesse potuto dire qualcosa, ma poi una vocina angelica nella sua testa, gli ricordò che lui era pulito e puro come un giglio e che quei due cospiratori, non avevano proprio nulla da dire su di lui.


'Quel corso che hai fatto tre anni fa al San Mungo, ti fa ancora male...Ste notizie?'


Rude, dritto al punto, con uno sguardo allucinato negli occhi che non faceva presagire nulla di buono; quello che di lui gli altri osservavano dal di fuori, suggerì ai due ragazzi che, forse, solo per questa volta, era il caso di non stuzzicare troppo quell'orso che aveva preso il posto di Oliver Baston.


'Si sa poco della sua vita in giro,ha il suo piccolo gruppo di amici e vede poche altre persone.'


Asociale, oltre che stronza; le labbra gli si piegarono in un ghigno, una smorfia soddisfatta che fece brillare il suo volto di una luce che Lee avrebbe definito quasi satanica e, sicuramente, spaventosa.

La situazione stava degenerando velocemente, molto più velocemente di quanto Ernie gli avesse prospettato la sera prima, davanti ad un drink e se non avessero conosciuto, di fama, la Greengrass, si sarebbero preoccupati per la sua incolumità fisica.

Anche i Grifondoro, se accuratamente stuzzicati, potevano diventare delle belve feroci e Oliver Baston, in quel momento, assomigliava più ad un Leone drogato ed inferocito, che ad un essere umano nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. La situazione poi, secondo la sua personale ottica, peggiorava se si pensava che era sempre stato convinto che le facoltà mentali di Oliver fossero, da tempo, ottenebrate dalla brama di vittorie; impossibile spiegare altrimenti il fatto che i giocatori di Grifondoro sotto la sua guida, erano stati tra i più assidui frequentatori dell'infemeria di tutti i tempi.


'Che posti frequenta?'


Tutti abbiamo una tana, perfino le serpi più infide, inutili e vomitevoli come lei; doveva avere una tana, e lui l'avrebbe scoperta a qualsiasi costo.


'L'Ennius Bar a duecento metri da qui, il Phoenix come discoteca e poco altro. Te l'ho detto, è tutta casa e lavoro.'


Era talmente preso dalle sue elucubrazioni, che non si rese conto che Dennis e Lee, lentamente, avevano incominciato ad allontanarsi a ritroso, come i gamberi, verso la porta, probabilmente impauriti dal fatto che lui avesse oramai preso in mano la sua giacca. Loro, non volevano trovarsi contro l'acuta lingua biforcuta della giornalista e nel caso fossero rimasti li un minuto di troppo, anche uno solo, sarebbero stati precettati per quella crociata.

Pericoloso.

Troppo.

La fuga era l'unica salvezza.


'Nessuno scheletro nell'armadio?Impossibile...'


Oramai il capitano dei Puddlemere non parlava neanche più con i suoi amici, oramai a metà della loro strada verso la libertà, ma sembrava più che altro impegnato in un solitario discorso, con lo straccio per la polvere che la cameriera stava usando per ripulire il bancone.


'Niente che è possibile scoprire per ora.'


La voce di Lee arrivava da lontano, ma Oliver non ci fece caso, era così arrabbiato per il fatto che lei non collaborasse alla sua vendetta e così intestardito sulla soluzione di quel 'caso', che non gli interessava più di niente se non i fantomatici punti del suo schema.
Punto primo: raccogliere indizi.
Punto secondo: studiarla nel suo habitat naturale.


'L'Ennius Bar hai detto?'

'Quello elegante con le tende rosse...'

'Grazie...'


Il bar meglio frequentato del quartiere: che stupido luogo comune, l'ennesimo che le trovava appiccicato sulla pelle. Storse il naso infastidito, da quell'ennesima dimostrazione di cattivo gusto della bionda, quasi fosse diventata oramai un riflesso di sé stesso; pagò le consumazioni e uscì dal bar a testa bassa, senza nemmeno rendersi conto, mentre li salutava, che i 'coraggiosissimi' Grifondoro, erano già scomparsi nello sbiadito sole londinese.







Londra è una città operosa, veloce e frenetica; troppo frenetica, per l'opinione tutt'altro che modesta di Oliver Baston sul mondo circostante.
Era impegnato nella sua personale caccia alla volpe da almeno venti minuti, bazzicando il breve tratto di strada che divideva il bar dal quale era appena uscito dall'Ennius Bar a cui era diretto, ma della serpe-volpe a cui era interessato, nemmeno l'ombra.

Nessuna ballerina come le indossava lei durante il giorno,
nessun tailleur dai colori tristi e improbabili, ma eleganti, nessuno chignon da quel color oro troppo luminoso e pulito, per essere naturale.

Doveva essere incapace di mantenersi in equilibrio, una falsa magra e mora di natura con degli occhi sproporzionati ai suoi colori: non c'era altro motivo per quelle sue scelte di look così...poco comuni.
C'era sempre un motivo sotto ogni decisione dei Serpeverde, l'aveva imparato da anni e lei non poteva, non doveva, essere differente.
Impegnato nella sua personale caccia alla volpe, immerso nell'immagine povera e restrittiva di Daphne che aveva nella sua mente, si dimenticò di notarla, quando gli passò praticamente a pochi centimetri dal naso, uscendo dal bar.
Jeans a vita bassa, tshirt, ballerine e capelli biondi sciolti selvaggiamente sulle spalle: apparentemente una ragazza come tante, una di quelle che si sarebbe girato a guardare e, quindi, una che non avrebbe mai associato a colei che stava cercando.


Uno sbuffo.
Uno sbuffo fu il primo verso umano che fece quando finalmente entrò nel bar, come se all'improvviso sentisse che i grugniti che aveva emesso fino a quel momento, fossero troppo poco eleganti per quel luogo.
Uno sbuffo sbalordito, che per un attimo parlò della sua consapevolezza improvvisa sul motivo, forse ragionevole, per il quale buona parte della Londra Magica 'bene', si riversasse in quell'unico bar, a qualsiasi ora del giorno.
Un enorme stanzone diviso da tanti piccoli separé, dove l'atmosfera era data da tendoni di broccato rosso, atti a filtrare la luce del sole e sguardi indiscreti, e un filo di musica dolce e soffusa che invadeva l'aria.
Avrebbe abbinato qualsiasi tipo di donna a quel tipo di locale, tranne colei che stava cercando; riceveva sensazioni dolci, contro la pelle, intimistiche e riservate, cosa che lei aveva dimostrato di non essere.

Rimase qualche istante sulla porta, fermo, ad osservar quel piccolo concerto di sorpresa che gli si orchestrava davanti e si mosse solo quando la porta, dietro di lui, si aprì di nuovo; saltò sul posto, folgorato all'improvviso dall'idea che potesse essere lei e, inspiegabilmente, tirò un sospiro nel constatare che il nuovo avventore era brutto e pure uomo.

Avanzò nel bar come in un mare di nebbia, lentamente, cercando con lo sguardo da una parte e dall'altra la presenza tanto cercata, senza però mai trovarla.

Solamente lo scontrarsi con un altro avventore del locale gli proibì di scontrarsi con una vetrata e gli rese possibile rendersi conto che, per qualche istante, aveva camminato come in trance, seguendo una linea dritta che per poco non l'aveva fatto finire nell'acquario.

Si sedette lentamente ad un tavolino, rendendosi conto con orrore che il solo pensare a lei in un luogo pieno di gente, l'aveva fatto ricascare nel suo incubo e l'ansia aveva ripreso a mangiarlo, da dentro.

Il sudore gli imperlava la fronte e la maglietta che indossava sembrava stringergli la gola, mentre aluni particolari gli tornavano alla mente.

Le scarpe con il tacco,
il rossetto,
le calze di seta
e il profumo
e il bacio con Ernie.


'Ahia! Ma è impazzito?!? Un troll mi avrebbe fatto meno male!'


Era nuovamente andato in un mondo in cui sognava ad occhi aperti, ma evidentemente il suo istinto, malato, era infastidito dal braccio del cameriere che gli aveva appena passato il menu ed era stato arpionato, con le stessa forse che riservava al manico della sua Firebolt quando doveva mantenersi in equilibrio.

Si stava distruggendo a causa di un sogno; questa consapevolezza gli arrivò lampante alla mente e si impose, come nuovo primo passo del suo P.C.G.M.(programma cancellazione giornalista molesta), di ubriacarsi per dimenticare.

Il fatto che lui, ubriaco, sognava ancora di più, gli passò totalmente dalla testa, preso com'era, improvvisamente, da una strana e dolce euforia.





Non ricordava che il Phoenix, fosse mai stato un posto così deliziosamente esaltante come quella sera.

Reduce dalla discutibile fama che gli era stata data dagli articoli nefasti della Greengrass, i buttafuori gli avevano fatto saltare la fila sotto consiglio del dirigente della Security. Speravano che, vedendolo entrare, per fame di gossip, molte altre persone si convincessero a sopportare la fila, portando al locale un notevole guadagno; Oliver, ovviamente, pensò che fosse merito della sua indiscutibile fama di giocatore di Quidditch.

Era tarda serata, nel momento in cui i locali come quello si trasformano da Dottor Jekyll a Mister Hyde, cambiando la veste familiare di ristorante altolocato, con ingresso dall'altra parte della strada, nella veste luccicante e trasgressiva di discoteca all'ultimo grido.

Pantaloni neri sicuramente non larghi, camicia bianca elegante ed aderente, capelli perfettamente ordinati e sorriso scintillante : anche Oliver, preda ancora della strana Trance del pomeriggio, era perfettamente consono e coordinato al tipo di serata. Le persone gli scivolavano accanto, bevendo e cantando, muovendosi a ritmo della musica che cominciava a salire, e per una volta nella sua vita, forse la prima, non pensò che le Sorelle Stravagarie erano molto meglio di quella roba; pensò, addirittura, che doveva ringraziare Ernie per avergli fatto conoscere quel luogo e per averlo convinto ad andare li, proprio quando si sentiva in vena di fare follie.

Era vivo, energico, ricaricato e già ballava, con ragazze scelte a caso nella folla, quando intravide il fidato ex Tassorosso nella folla. Si bloccò, un solo istante, quando l'immagine di quell'incubo nefasto si sovrappose a quella sorridente del suo amico reale, ma riprese ben presto a camminare verso di lui, come se niente fosse successo.


'Sono contento che tu sia venuto!'
'Sono contento di essere venuto!'


Era vero, terribilmente vero: in quel momento era felice, di una felicità un po' ebbra e poco cosciente, di quelle felicità che non durano, ma che finché ti scorrono nel corpo, sono la cosa migliore del mondo.

Ernie lo studiava, come si studia una preda, lo guardava osservare le persone attorno a lui e teneva la mano discretamente nelle vicinanze della propria bacchetta magica, ben memore degli ultimi trascorsi dell'amico e capitano in quello stesso luogo. Non riusciva a decifrare i suoi movimenti e, soprattutto, dati gli ultimi trascorsi, non sapeva se avere paura o meno delle sue possibili reazioni. Il timore che fosse lì per cercar la sua novella nemesi, cresceva in lui e se avesse detto che era una paura infondata, si sarebbe sentito un bugiardo patentato.


'Pensavo di non vedere mai questo giorno.. Tu che vieni in discoteca senza la banda!'


Indagare, indagare e indagare, possibilmente senza farsi scoprire. Se si fosse allontanato, con l'ansia dell'aver lasciato solo un potenziale omicida in un posto pieno di gente, si sarebbe rovinato tutta la nottata. Rovinarsi la nottata, con le le aspettative che aveva, sarebbe significato catastrofe umorale per tutta la settimana.


' Non ci fare l'abitudine..'


La voce dell'amico lo tirò fuori dai suoi pensieri e obbligò il cuore a fare i salti mortali, a causa del tono cupo che aveva assunto. Immediatamente gli vennero alla mente tutti quei momenti, degli ultimi giorni, in cui propositi apocalittici gli avevano attraversato la mente, rendendolo, a parere di Ernie, qualcosa di pericolosamente simile ad un esaltato.
Aveva giocato male, si era comportato in maniera scorbutica con molti dei loro compagni di squadra senza rendersene conto e, cosa non meno importante delle altre, ogni due frasi infilava un riferimento alla Greengrass. Sempre e ovunque, trovava inconsciamente modo di parlare di lei, dando poi a lui la colpa, solo perché una volta aveva avuto l'ardire, a parere di Oliver, di notare l'ovvio: era bellissima.

In quel momento aveva quasi paura, lui che era il meno timoroso fra i Tassorosso, a scoprire il motivo per il quale proprio in quella sera, proprio in quell'istante, lui avesse deciso di fare uno strappo alla sua personalissima regola: mai in discoteca senza la squadra.


'C'è un motivo?!?'

'Un motivo per il quale ho accettato di rimanere solo entro i dieci minuti che impiegherai a rimorchiare? No...niente di preciso.'


Dieci minuti? L'aveva sul serio preso per un dongiovanni da strapazzo?
Ernie ne impiegava molti di meno, grazie a quell'aria da burbero bravo ragazzo, forse un po' tonto, che non aspetta altro che essere civilizzato: come imbrogliare una donna giovane, e non solo, in poche semplici mosse.

Quel prenderlo in giro dell'amico, gli risollevò il morale e gli diede un po' di speranze: se era capace di guardarlo con quello sguardo un po' leggero e divertito, che usava sempre per prenderlo in giro, allora per lui c'era ancora speranza; nonostnate sembrasse ubriaco, una serata delirante, come prometteva quella di essere, era sempre meglio di una cella ad Azkaban e un incontro ravvicinato con Harry Potter nell'espletamento delle sue funzioni.


'Capisco...Magari rimorchi anche tu'

'Magari...'


Delirante e propenso al contatto con l'altro sesso che, negli ultimi giorni, aveva praticamente tentato di cancellare dalla faccia della terra ad ogni parola.

Era talmente contento di quei bei segnali, che si stava già allontanando, pronto a lasciarlo solo con una delle ragazze che lo stavano osservando, quando gli venne in mente un'ultima prova.


'Una bella bionda...'

'Niente bionde.Le ho eliminate dalla dieta.'


Ernie pensò che fosse un buon segno, Oliver che l'unica bionda sulla quale voleva concentrarsi, era colei che voleva metaforicamente distruggere.

Quella, però, non era la sera per pensare, era la sera per ballare e davanti a lui aveva almeno tre affascinanti e possibili opzioni, per rendere quella serata memorabile.





La porta dell'appartamento fece un tonfo contro il battente, ma colui che la avava appena chiusa non se ne curò più di tanto.

Quel che aveva tra le mani, colei che aveva tra le mani, era estremamente più importante.

Nome improbabile ed impronunciabile,

cervello difficilmente funzionante.
Corpo appariscente,
capelli rossi e lingua mielosa, più che pungente.
Avere e poter plasmare, l'antitesi di colei che lo perseguitava, lo faceva sentire meglio, libero da quell'ossessione nonostante la negasse costantemente.

Nel buio, l'incontrarsi di loro due era assolutamente casuale: lui non badava veramente a lei.

Il corpo che accarezzava lentamente, con le sue mani, era semplicemente una distrazione dalle sue ossessioni.
I bottoni della camicia che si lasciava sbottonare, non erano una strada verso un piacere diverso, migliore, erano solo un modo come un altro di falciare via dalla testa ogni pensiero, che non fosse materiale e strettamente inerente a colei che lo stava spogliando.

Le labbra rosse che gli baciavano lentamente il collo, non le sentiva come un pugno allo stomaco di adrenalina ed eccitazione, ma solamente come un passatempo piacevole; estremamente piacevole, ma pur sempre solo un passatempo.


Voleva ubriacarsi, che fosse di sensazioni o di alcool, poco importava.

Voleva dimenticare e ci sarebbe riuscito.

Lui aveva sempre quello che voleva.


*°*°*°*°*°*°

Un bacio a tutti quelli che leggono e non recensiscono, anche se una riga ogni tanto non fa male XD Lily.


p.s. per chiunque voglia, lascio il link al prequel: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=568211&i=1

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Capitolo 5
*** 4B Friends&Family ***


Chiaroscuri e Prospettive-La Vendetta

Due mesi.
Faccio pena, lo ammetto, ma fondamentalmente penso di conoscere personalmente tutte le poche persone che leggono la storia ( e se non è così, fatevi vivi o.o), quindi mi perdoneranno :D
Il prossimo spero di pubblicarlo più velocemente, sto tentando di disintossicarmi dai contest.

*-* Sperando che vi piaccia, vi lascio alla lettura.
un abbraccio,
Lilyblack. p.s. Ricordo che questo è il sequel di Chiaroscuri e Prospettive, una minilong di 4 capitoli già ovviamente conclusa.

*°*°*°*°*°*°*°*°*
Friends & Family

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L'amicizia è la parentela più stretta." Hazrat Ali(599-661), califfo arabo.
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La notte portava consiglio, ma questo per Daphne non si verificava mai; la notte avrebbe dovuto lasciar scivolare da lei i brutti pensieri e lasciar spazio ai sogni, ma i luoghi comuni non si erano mai adattati alla sua pelle.
Era, da sempre, la creatura delle contraddizioni, delle passioni generalmente incontrollabili, ma a volte tanto represse da sfociare in scatti inconsulti, in notti come quella che si apprestava a vivere.
Il buio invadeva ogni cosa, oramai da ore, eppure per lei la notte era ancora giovane e le prometteva ubriacature di vita e rumori talmente forti, da zittire pensieri troppo rumorosi perfino per lei, abituata a far tacere tutti.
Importava poco che la casa in cui era appena entrata, con il solito passo da regina, non fosse quella in cui sarebbe voluta essere e passava sotto gamba anche il fatto che, in situazioni normali, essere in casa di un semisconosciuto l'avrebbe divertita e disgustata al tempo stesso; la fronte le batteva e lei voleva solo estraniarsi da se stessa, da ogni sensazione cosciente che le si agitava dentro. Cedere ad uno spasimante che altrimenti non avrebbe nemmeno guardato, era un ottimo metodo, che funzionava per tante altre e che avrebbe funzionato anche per lei.
Il salotto lounge e moderno che la attorniava, la rapì ben presto facendo leva sulla sua innata curiosità, tanto che si dimenticò piuttosto velocemente del disappunto che l'aveva colta, quando si era resa conto che il suo occasionale incontro abitava nei quartieri bene della Londra magica, non lontano dall'attico di sua sorella.
Divano di pelle con annessa chaise longue, mobile bar estremamente assortito e musica diffusa nell'aria con qualche incantesimo di ultima invenzione; tutto intorno a lei gridava 'scapolo alla moda' ed era atto a convincere, a far rilassare, le fortunate ''prede'' che capitavano in quei luoghi.
Daphne non aveva bisogno di essere convinta o circuita, aveva varcato quella soglia con perfetta coscienza e desiderio, di quello che la aspettava; aveva sicuramente un quoziente intellettivo più alto dell'ospite media, eppure quella musica dal ritmo basso e trascinante, le stava prendendo i piedi, salendo su per le gambe fino a farle muovere i fianchi a ritmo, lasciando che l'orlo morbido del vestito verde che indossava, ondeggiasse liberamente.
Il motivo portante della canzone, sembrava quello che suonavano nel momento in cui aveva deciso di dimenticare, per una notte, il suo amore impossibile e di gettarsi tra le braccia del primo latinlover, di bell'aspetto, che avesse incontrato l'antipatia di Blaise.
Pura ripicca; infantile e probabilmente pure stupida, ma terribilmente soddisfacente.

Era stato estremamente piccolo, il passo dalla pista da ballo al salotto; aveva impiegato poco ad abbandonare la bolgia per trovarsi lì, con un bicchiere di Brandy in mano, le sue labbra impegnate a solleticarle il collo e le mani ben felici, di avvolgerle i fianchi sottili.
Deglutì un picolo sorso di liquore e poi si voltò a baciarlo, tentando di infondere in quel gesto quanta più convinzione, irruenza e sensualità possibili.
Voleva crederci, e non sarebbe stata la prima né l'ultima, che nel tentativo di convincere sé stessa di gesti astrusi, passava attraverso il convincere gli altri.
Aveva bisogno di sapere che pote va baciare chi voleva, che non era così malata di una singola persona da aver perso la suo libero arbitrio; lei, che di libertà era malata, assuefatta e dipendente.


''Balliamo?''


Ballare e lasciarsi andare; era la scelta migliore, quella che comportava pochi pensieri, un vortice di mani che danzavano lungo i profili dei corpi e dei volti e i baci di lui, che dalle labbra ancora ubriace di liquore scendevano lente, studiatamente lente, fino ai seni, lasciando che il suo capo si reclinasse all'indietro, in una cascata di capelli biondi e i suoi pensieri, volassero altrove.
Lasciò il corpo danzare, agitarsi, disegnare curve morbide nell'aria, con il solo scopo di attirare l'attenzione, già totale, dei suoi occhi e delle sue mani, con il solo obiettivo di essere il centro totale dei suoi sensi.
Come previsto, come voluto, bastò poco per far scivolare via la preziosa seta verde dal suo corpo e lasciarlo nudo, indifeso e provocatore, avvolto solo da lezioso pizzo nero; pronto e impaziente, di essere disteso sul pellame del divano, di essere accarezzato, corteggiato, invaso.
Le parole non erano necessarie, i corpi che si appiattivano con veemenza l'uno contro l'altro parlavano da soli, di bisogni e necessità diverse, magari, ma che confluivano nello stesso istinto, negli stessi gesti guaritori ed esorcisti.
Le loro pelli sembrano avere fame l'una dell'altra, un urgenza spasmodica di ritrovari a contatto, di sfiorarsi, di imprimersi l'odore altrui addosso. Non era più questione di cervello, era alchimia, istinto; follia, forse, e puro impulso sessuale, bisogno di sentire i nervi esplodere e la coscienza scomparire.
Aveva desiderato, cercato e agognato quei momenti, Daphne, preteso con il proprio corpo, quelle carezze che ora abbattevano ogni barriera e rubavano, fameliche e possessive, quanti più centimetri di pelle possibile.
Attendere, era inutile. Tirò a se il corpo di quell'uomo che si sarebbe iluso di averla, per qualche ora, per una notte, credendo di essere stato lui a decidere per entrambi, credendo di avere il potere di circuirla.
Lasciò che i suoi seni si schiacciarono contro il suo torace, fece scivolare le mani in larghe carezze sulla schiena possente e percorse strade già conosciute eppure sempre diverse, in punta di piedi, di labbra e di dita; sperò, inequivocabilmente, che quella cura 'fuori dal comune', funzionasse, che le portasse l'oblio anche solo per poco tempo.

Quando il matino arrivò, gli attimi che aveva rubato alla realtà sembrarono troppo brevi e la vita di tutti i giorni, troppo gelosa di riaverla con sé.
Il sole le accarezzò freddo la pelle candida, talmente tanto simile alla neve da essere, a volte, definita terribilmente pallida secondo l'occhio affettuoso, o invidioso, di chi lasciava scorrere l'attenzione su di lei.
Il freddo del divano su cui aveva febbrilmente danzato e dove si era addormentata, la risvegliò del tutto e consegnò alla sua mente il conto. Ogni attimo di quella nottata e anche tutti gli istanti che aveva tentato di affogarci dentro, tornarono a galla: Blaise e la sua ultima fiamma, rossa come lo stendardo Grifondoro, quell'idiota di Oliver Baston che si allontanava a distanza di giorni con la stessa donna, come a ricordarle che chiunque poteva avere Blaise, ma non lei e ultima, principescamente ultima, sua sorella che continuava a ricordarle che doveva trovare marito in fretta, ritirarsi a vita privata e fare tanti figli, se non voleva finire depressa e suicida.
L'uomo, di cui avrebbe faticato a ricordarsi il nome ancora per un po', era ancora disteso accanto a lei e la teneva ancorata a sé, con una mano poggiata sul ventre piatto e due dita a sfiorare, inconsapevolmente, la D tatuata accanto all'ombellico; tatuaggio gemello alla A che sua sorella portava incisa sulla propria pelle.
Le labbra si piegarono amare, pregne di quell'emotività che veniva fuori solo quando era sola, al pensiero che una volta si volevano bene, lei ed Astoria; una volta, nel tempo passato, erano state veramente sorelle.
Si rimise distesa e tentò di riposare ancora un po', ma si rese conto ben presto che oramai non era più il caso. I muscoli erano infastiditi da qualsiasi posizione gli facesse assumere, la pelle trovava irritante il pellame del divano, che poche ore prima era stato giudicato 'principescamente morbido'; modi gentili del suo inconscio per dirle che doveva andarsene, possibilmente prima che il lui senza nome si svegliasse.
Si rivestì rapidamente, con un colpo di bacchetta e uno di quegli incantesimi complicati, che però le aveva salvato la vita diverse volte: dare alla magia il compito di vestirla, pettinarla e truccarla nello stesso momento era difficile, azzardato e a volte strettamente necessario.
Trasfigurò la stoffa del vestito in un più mite motivo 'principe di galles' e la allungò di qualche centimetro, poi uscì di casa a piedi, ben decisa ad andare a fare colazione di Millicent al bar, come da tradizione.
La vita riprendeva, che differenza avrebbe mai fatto una notte?



Londra dormiva sotto un sole pallido, quando la borsa di Millicent fu lanciata, con malagrazia, su una delle sedie che affiancavano il tavolino scelto.


'Lo rivedrai ancora..Come si chiama?'


Lei e Daphne si erano appena fermate a colazione, dopo un'ora di peregrinaggi per trovare un bar adatto e abbastanza lontano dal posto misterioso dove aveva dormito. Aveva rinunciato oramai da tempo a prevedere gli sbalzi d'umore di cui l'altra era preda, ma non riusciva a perdere la speranza che aveva nel placarla e renderla un po' più serena.
Condividere la vita con lei era una continua prova di pazienza, bisognava aspirare alla santità e volerle contemporaneamente molto bene, per incassare i rimbrotti e le continue interferenze nella propria vita privata e non fare altrettanto. Sopportare in silenzio il male che faceva a se stessa, spesso per orgoglio, era poi praticamente impossibile.


'Non me lo ricordo..John,..forse Jack.comunque era un nome piuttosto comune...'


Pochi riuscivano a guardare oltre la scorza fredda in cui si avvolgeva, considerando una forza, apparire algida ed irraggiungibile. Nascondeva i suoi sentimenti sotto vagonate di sarcasmo ed un carattere indubbiamente forte, esibendosi a volte in esternazioni di pensiero che facevano venir voglia di prenderla a schiaffi.

In quel momento, nascondeva gli occhi arrossati dal poco sonno, sotto un paio di grandi occhiali da sole; nemmeno Theodore, che sapeva sempre cosa le passava per la testa, sarebbe riuscito a leggere il suo volto immobile, mentre sorseggiava il caffé.


'Non te lo ricordi?'
'Sai benissimo che prima di aver fatto colazione, non ricordo nemmeno come ti chiami tu.'


Far sentire le persone innopportune anche per una minima virgola fuori posto, era una di quelle che la bionda definiva ''le sue innumerevoli qualità'', mentre Millicent era fermamente convinta che era uno dei motivi per cui aveva così pochi amici e che avrebbe dovuto smussare quel lato del suo carattere, nonostante sapesse che era molto difficile: i suoi momenti acidi, frequentissimi, erano innati in Daphne e lei ci si sentiva a suo agio, come negli amatissimi tailleur.


'Comunque, lo rivedrai?'


Sperare era una delle sue caratteristiche meno Slytherin, Gregory glielo diceva sempre; da sempre non riusciva ad accettare una visione cinica delle cose, se il perno del discorso era una persona a cui era affezzionata e il fatto che la sua migliore amica avesse deciso di non innamorarsi mai, era qualcosa che le faceva rigirare le budella. Fingeva, insieme a Mr. Nott, di non sapere che Daphne fosse particolarmente legata a Blaise da quasi dieci anni e sospettava che quel sentimento sopito, fosse ancora più antico della loro presa di coscienza.


'E' una domanda a cui ti aspetti realmente una risposta,Milly?'


Era rimasta per alcuni istanti in silenzio e la risposta l'aveva colta di sorpresa, soprattutto dal momento che non si aspettava arrivasse.


'suppongo questo sia un no...'
'Supponi alla perfezione, tesoro.'

Il sorriso amaro invece, lo aspettava; fra di loro era sempre così, da anni, parlavano i gesti e le parole sottintese più di quelle dichiaratamente dette.

Con quel misero arricciarsi delle labbra, Daphne le stava dicendo che per l'amore non avrebbe mai avuto tempo, qualsiasi cosa Millicent potesse dire, mentre il suo sguardo tranquillo e disilluso le rispondeva che non importava quanto mentisse, lei avrebbe continuato a provare.



'Quella donna ha dei gusti troppo difficili!!!'


Era almeno la terza volta che Millicent si lamenvata, dritta nel suo orecchio,da quando avevano iniziato a cercare il regalo di compleanno per Imogen; le due avevano caratteri molto diversi e, per quanto potessero andare d'accordo, non si erano mai veramente capite.
Lei era invece estremamente affascinata da quel carattere contraddittorio come il suo, eppure tanto diverso nelle sue esternazioni, passioni e follie.


'Lei ha scelto Theodore e noi conosciamo bene Theodore. Se ci pensi, possiamo indovinare i suoi gusti molto meglio di tanti altri.'

Lo sguardo confuso che l'altra le rimandò indietro, da sotto un paio di sopracciglia pericolosmente affrottate, le fece pensare per un attimo che passasse troppo tempo con il suo fidanzato diversamente intelligente.
Sospirò. Il sospiro per lei era una pennellata dalle mille possibili sfumature, ma con Millicent era sempre accondiscentente e bonario.


'Dimmi i primi aggettivi che abbineresti a Theo...'

'Elegante, pretenzioso, intellettualoide... poi...di classe, affascinante e con un cuore prezioso.'

'Basta scegliere qualcosa che si abbini bene a questi aggettivi...'


Forse per lei c'era ancora speranza, se riusciva a fare un'analisi del genere; sorrise e annuì, tirandosela dietro in uno dei negozi di accessori più di elite di Diagon Alley. Lei si serviva sempre li.

Respirò profondamente quando entrò nel negozio, respirò il silenzio. Ciò che più apprezzava di quel luogo era in nulla uditivo che regnava ovunque, rotto solo dal rumore delicato di polpastrelli che saggiavano la pelle delle borse e dal suono cristallino delle campanelle sulla porta d'ingresso.


'Hai visto Blaise ieri per caso? Doveva aiutarmi con delle foto...'


Odiava qualsiasi interferenza con quel silenzio, anche se era la voce della sua migliore amica e soprattutto se quella voce diceva cose che la urtavano profondamente. Sigillare le labbra ermeticamente era l'unica soluzione, secondo il suo punto di vista per niente modesto e assolutamente autorevole.

Il ricordo di Blaise con quella rossa le assalì la mente come un vampiro avrebbe assalito una persona in carne e piena di sangue, e affondò le dita in una borsa troppo veementemente, tanto che l'amica la guardò dubbiosamente. Da anni oramai era cosciente che Millicent sospettava molto di quello che lei provava, ma non era mai riuscita a parlarne e non perché questo avrebbe fatto diventare tutto quello vero, lo era già, ma perché altrimenti avrebbe dovuto costantemente affrontare i suoi discorsi per farle mettere la testa a posto e non poteva sopportarlo. Il dolore di un cuore chiuso bastava, nella sua vita, il mal di testa che l'altra le avrebbe cronicamente provocato, non era necessario.


'Io e Greg abbiamo pensato di fare un viaggio in Italia, la prossima primavera...'


Tentava di distrarla con le improbabili avventure vacanziere sue e di Goyle; era quasi un classico, quando si chiudeva nel suo amatissimo bozzo silenzioso, tentava in tutti i modi di farla parlare, anche con gli argomenti più improbabili.


'E Astoria? Come sta?'


Aveva sviluppato una strenua resistenza ai quattro quinti degli argomenti che Millicent poteva usare, ma il nome di sua sorella unito all'orologio appeso al muro del negozio, le ricordarono che era attesa a casa sua per pranzo.

Il suo umore peggiorò velocemente, come se fosse una valanga su di un versante montuoso particolarmente ripido, portando con se il melenso sorriso di sua sorella e i capelli troppo biondi di suo marito.


'Astoria gioca a fare la regina del mondo, come al solito. Sta bene, si accontenta del nulla dorato in cui vive e passa il tempo a giudicare il mondo in cui non vive.'

'Tua sorella è morta e non lo sapevo?'


Si sentì malvagiamente libera, a quel pensiero, come se il peso di Astoria e del suo matrimonio le fosse stato tolto dalle spalle, con tutto il livore che si portava dietro da parte della sua famiglia che avrebbe voluto per lei, quel matrimonio e che ancora la incolpava del rifiuto.
Sua sorella morta, in quel momento, le avrebbe fatto comodo e si odiava per quello; un tempo, si erano volute molto bene e da bambina non avrebbe mai immaginato di arrivare ad odiarla, lei che faceva dell'indifferenza verso gli altri un vanto, una qualità.


'Magari. Semplicemente è rinchiusa a Malfoy Manor e ritiene troppo plebeo passare molto tempo nel mondo vero. Oggi però a pranzo ci fa l'onore della sua presenza, vuoi venire con me?'


Millicent non avrebbe mai accettato; l'amicizia per i Serpeverde era sacra almeno quanto era rara, ma non aveva mai sopportato Draco e aveva sofferto molto dei suoi momenti di superiorità, durante il periodo ad Hogwarts, tanto che ancora dopo alcuni anni, evitava accuratamente ogni occasione di vederlo.


'Ora che mi ci fai pensare, è meglio che vada. Devo cambiarmi...'

'E il regalo per Imogen?'


Aveva dimenticato molto volentieri il suo impegno familiare a favore di una giornata di shopping con un'amica per un'altra amica; faceva parte del partito di chi credeva che non sempre la famiglia è il nucleo in cui si nasce, fortuna per pochi e che tutti gli altri devono provare a crearsela e a scegliersela, una famiglia.
Lei, purtroppo, per quanto si sentisse spudoratamente fortunata nell'essere riuscita a trovare i suoi amici, non era ancora riuscita a scalzare via l'ingombrante ombra di coloro che portavano il suo stesso cognome.


'Ci penseremo domani...'


Stava uscendo dal suo negozio preferito senza aver comprato niente e il suo normalissimo spirito da donna consumista le stava urlando contro, come se non bastasse l'avere davanti a sé una pessima giornata.


'E' tutto ok?'
'No, non è tutto ok. E' una pessima giornata e ci vorrebbe un miracolo per renderla migliore.'


Lapidaria e fastidiosa, come solo una serpe sapeva essere. Daphne sparì in un pop, lasciandosi alle spalle la faccia rassegnata e sbigottita della sua migliore amica, che si affrettò ad uscire da quel posto troppo lussuoso, in cui sembrava avere un prezzo anche la semplice aria.


Tubino nero, improponibile per lei ad ora di pranzo, filo di perle e capelli raccolti, pochissimo trucco, nessun orecchino e tacchi moderatamente bassi; si sentiva la stessa vitalità di sua nonna, da alcuni mesi residente nell'oltretomba.

Le pareti della sala di rappresentanza di casa sua, non le erano mai sembrate così opprimenti come quel giorno. Fin da piccola aveva amato quel luogo, le sue pareti con quadri eleganti, la cristalliera e i bei tappeti; l'età adulta stava portando via gli ultimi ricordi positivi, non solo impedendole di formarsene di nuovi, ma facendo sfumare quelli vecchi via dalla sua memoria, come se fossero una canzone in procinto di finire.

La quotidianità, il nuovo decennio, aveva sostituito alle figure vestite di pizzi e merletti che erano lei e sua sorella durante l'infanzia, teneramente complici, con due donne vestite di nero che si guardavano con la coda dell'occhio, una con un sorriso nervoso e l'altra con un ghigno trionfante.

Non aveva paura del giudizio di sua sorella, suo cognato o dei suoi genitori, ma essere costretta a vivere una situazione che non aveva scelto le pesava, e sedere su quella sedia per una mera costrizione sociale dalla quale non riusciva a sciogliersi, era quasi una condanna. I discorsi da perfetta 'highsociety', erano anche peggio e facevano sentire democratica perfino lei, dichiaratamente snob in più di un atteggiamento.


'Allora cara, tutto bene al giornale?'


Le parole di suo padre fecero scattare uno dei mille campanelli d'allarme posti nel suo cervello; parlava di tanto in tanto con suo padre, ma mai in presenza di tutta la famiglia.

Il padre di Daphne e il Signor Greengrass, si erano dimostrati negli anni due persone totalmente diverse, dalle vite paragonabili ai binari dell'Espresso per Hogwarts.
Continuò a mangiare l'antipasto all'italiana che era stato servito, sperando che il suo annuire silenzioso e composto servisse a dare loro le risposte che cercavano, e non solo a procurarle un fastidioso mal di testa a causa dello chignon troppo tirato.


'Daphne...potresti rispondere più loquacemente.'


Ogni sua speranza si era rivelata, come previsto, pura utopia; da anni era convinta che sua madre si fosse costantemente intromessa, spesso inopportunamente, a tutti i discorsi a cui aveva partecipato, fin dalle prime parole. Cordelia Magdalena Midderdon in Greengrass non brillava né per cattiveria né per bontà, ma aveva l'indole pettegola, piatta e cerebralmente monocorde che si era poi manifestata nella minore delle sue figlie; era solita esprimersi attraverso esclamazioni poco felici, per poi passare i minuti successivi ad osservare il suo interlocutore con gli enormi occhi verdi, fino a farlo parlare per la disperazione.


'Il lavoro al giornale va molto bene, le vendite sono aumentate anche grazie ad alcuni miei lavori e presto potrei avere un aumento...'

'Trovo tutto questo così fuori luogo...'

'Come scusa, Astoria?'


Ciò che accomunava sicuramente le due sorelle era il tono di voce basso, impastato, trascinato e con una nota inconfutabilmente snob, che le rendeva solitamente antipatiche ad un primo ascolto. Astoria era ultimamente solita condire il tutto con un tono aristocratic-altolocato che alla sorella sapeva di finto, in quanto stranamente comparso nella sua bocca dopo il fidanzamento ufficiale.

Una di fronte all'altra, si fronteggiavano silenziose ed impassibili, mentre il sopraccigli di Daphne si innalzava sempre di più, segno di profondo scetticismo da parte sua.


'Trovo estremamente volgare, per una ragazza di buona famiglia, parlare di questioni del genere.'


Daphne era una persona dalle profonde convinzioni, che abbandonava raramente i suoi dogmi e uno di questi, consisteva nell'essere convinta oramai da qualche anno che sua sorella fosse una grandissima stronza; da tempo oramai viveva con quella certezza e vi basava molte riflessioni, non facendosi minimamente toccare dalla considerazione che lei stessa, al di fuori delle mura familiari, fosse considerata come e peggio di Astoria.

Il rispettabile livello di buonumore ricavato dalle notturne attività sessuali, con suo immenso disappunto, si era già dissolto nel nulla e se non fosse stata interrotta, avrebbe commesso un omicidio prima della portata principale.


''Essendo oramai sposati da un po', penso di poter interpretare il discorso di Astoria in questo modo Daphne: ritengo volesse dire che potresti dedicarti ad altre passioni, senza dover lavorare. La tua è una fortuna che non tutti hanno.'

'Ho scelto questa, di passione. La cosa vi disturba?'

'Assolutamente...leggo il giornale dove lavori, anche se preferisco l'inserto della Gazzetta. A proposito, come si è risolta la questione con Baston?'


''Al peggio non c'è mai fine'' era sicuramente ai primi posti tra i detti popolari più sottovalutati: sovrapporre il volto e il pensiero di quel giocatore da lega principanti a quello di sua sorella era degno dei suoi peggiori incubi.
Era difficile sviare e far diventare energia propositiva, i suoi pensieri omicidi ed avvelenati su uno solo dei due soggetti patologici, ma riuscire a contenere gli improperi verso entrambi nella sua mente e nello stesso momento, era quasi impossibile anche per una persona dall'intelligenza spiccata come lei.

Prese un respiro profondo e provò a mediare le parole che le arrivavano diritte alle labbra dalle viscere, nota sede dell'influenza e degli impulsi, senza passare dal più saggio cervello. Considerava generalmente inopportuno scoppiare in una serie di improperi poco fini, accompagnati da frasario assimilabile a quello di uno scaricatore di porto e contornati per finire da alcuni propositi di omicidio dallo stile piuttosto artistico ed innovativo; inoltre rendersi paragonabile ad un avvincino ubriaco davanti ai suoi genitori e alla coppia reale era un'esperienza che decisamente non era il caso di provare.

Più tentava di calmarsi e di modificare il suo frasario, più si rendeva conto che le sue labbra non collaboravano e se non fosse arrivato a sorpresa il gufo di Millicent, il disastro sarebbe stato impossibile da arginare.


'Non dovresti ricevere posta a tavola...'

'Non sei la padrona di casa Astoria, Taci.'


Era solo questione di tempo: dal momento in cui aveva risposto male a sua sorella, prima che partissero urla scandalizzate e sorrisetti da compatimento di suo cognato, sarebbero passati circa un paio di minuti. Alzarsi, raccogliere le sue cose e fuggire il più presto possibile erano, in quel momento, la sua priorità assoluta.

Si stampò in faccia una smorfia priva di ogni spessore, anche del più blando sorriso di circostanza e tese la lettera a suo padre, certa che sarebbe apparsa diversa da quella che aveva letto lei, probabilmente attribuita all'Ufficio sport magici, data l'intestazione della busta.

'''Il capo di aspetta''' era tutto ciò che la sua amica barbaramente mollata a Diagon Alley le aveva scritto, ma in fondo era tutto ciò che voleva sentirsi dire e regalare: una via di fuga dall'inferno.


'Daph...'

'Tolgo il disturbo, impegni di lavoro.'

'Non è educato cara...'


Daphne aveva un metro tutto suo per giudicare il mondo: ciò che viveva nella sua testa era da lei considerato estremamente più importante di buona parte del mondo circostante. Vedere sua madre ingiallirsi dal disappunto era uno spettacolo che valeva circa un paio di premi speciali per il giornalismo magico.


'Non è educato cara...'

'Anche far aspettare il direttore dell'ufficio per gli Sport Magici, non è educato...'


Scomparve prima di capire se Millicent avesse scritto o meno nella lettera fittizia, chi era il mittente.



L'ufficio del suo capo non le era mai sembrato così affascinante ed accogliente, con quell'arredamento di dubbio gusto che solitamente la disgustava; entrò traballando su quei tacchi troppo bassi o troppo alti per lei, tipica donna da estremi che rifuggeva qualsiasi occasione di trovare il giusto mezzo.


'Come ti sei vestita? Sono solo le due...'

'Non fare domande e dammi il Wiskey...'


Quando era veramente private di ogni energia creativa e vitale, faceva quello che ogni ragazza di buona famiglia borghese non avrebbe mai dovuto fare: si dava all'alcool.

Il goccio di liquore caldo che le scendeva lungo la gola e le faceva scuotere appena la testa per la concentrazione di gradi alcolici, riusciva a distoglierla dai pensieri negativi quasi come una nottata brava.
Ignorò totalmente lo sguardo di disappunto del suo direttore in merito al suo vestiario obiettivamente fuori luogo e lo fissò a lungo per incitarlo a parlare, ripetendo quello stesso gesto che sua madre aveva fatto verso di lei pochi istanti prima, la cui natura impositiva non riusciva ancora a spiegare, nonostante l'avesse ereditato insieme al colore degli occhi e ne fosse provvista da quando aveva memoria.


'Non guardarmi così! Smetti di trangugiare quel coso, che scommetto qualsiasi cifra che dopo che ti avrò comunicato il tutto, mi butterai le braccia al collo.'

'Fossi in te non ci giurerei. Spara...'

'Sulla tua scrivania c'è il contratto come nuova cronista ufficiale del campionato.'


Dritto al punto, esattamente come gli aveva chiesto.

Solitamente i pensieri innovativi del suo capo si riducevano a qualche sottile novità, decisamente trascurabile. Era un uomo ancora piuttosto giovane e sicuramente intelligente, ma privo di quel quid in più che rendeva le persone geniali; non l'aveva mai stupita, prima di quel giorno.

Scommettere su di lei non era un vuoto azzardo, bensì una scelta ponderata giusta, perché lei avrebbe potuto fare la differenza e portare una ventata di novità al mondo stantio nel quale vivevano, ma doveva riconoscere che il suo datore di lavoro si era esposto notevolmente, dandole quel posto.

In poco meno di un mese, poche settimane prima, aveva messo alla berlina in più di un'occasione una delle squadre più importanti dell'intera lega professionisti e nell'ambiente ancora se ne parlava.

Quel giorno ricevette una delle sorprese più belle della sua vita e anche se al momento non concepiva, troppo accecata dalla felicità, quante succose occasioni questo nuovo incarico le avrebbe portato, se ne sarebbe accorta molto presto presto.

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Un bacio a tutti quelli che leggono e non recensiscono, anche se una riga ogni tanto non fa male XD Lily.

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