Le Lacrime del Crepuscolo di Dobhran (/viewuser.php?uid=130994)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** 17. ***
Capitolo 18: *** 18. ***
Capitolo 19: *** 19. ***
Capitolo 20: *** 20. ***
Capitolo 21: *** 21. ***
Capitolo 22: *** 22. ***
Capitolo 23: *** 23. ***
Capitolo 24: *** 24. ***
Capitolo 25: *** 25. ***
Capitolo 26: *** 26. ***
Capitolo 27: *** 27. ***
Capitolo 28: *** 28. ***
Capitolo 29: *** 29. ***
Capitolo 30: *** 30. ***
Capitolo 31: *** 31. ***
Capitolo 32: *** 32. ***
Capitolo 33: *** 33. ***
Capitolo 34: *** 34. ***
Capitolo 1 *** 1. ***
Salve a
tutti! ho scritto questa storia un paio di anni fa, mossa
principalmente da un periodo di passione per i vampiri che durava
già da un po'. Spero vi piaccia, è uno dei pochi progetti che sono riuscita a portare a
termine.
Perciò
ho deciso di accettarlo così com'è venuto, nella
speranza di migliorare con il tempo e confrontare eventuali
miglioramenti con questi primi tentativi.
Ancora spero
possa piacervi, e anche se così non fosse, vi prego di
lasciare un commento anche piccolo, affinchè io possa capire
cosa ho sbagliato, o comunque sapere che ne pensate. Per me sarebbe
davvero molto importante.
Vi ringrazio
in anticipo anche se magari solo una persona leggerà quanto
ho scritto...e se non dovesse essercene nemmeno una, ringrazio il vuoto. Per favore recensite! :D
:)
ciao!
LE LACRIME DEL
CREPUSCOLO
1.
Avevo sperimentato
sulla mia pelle i rischi che si affrontavano lasciandosi affascinare o
coinvolgere in qualsiasi modo dal gossip.
Le notizie che
viaggiavano di bocca in bocca in un liceo, poi, erano le più
pericolose, anche se potevano sembrare, ad una prima, ingenua
impressione, totalmente innocue.
A mio rischio e
pericolo qualche anno prima mi ero scioccamente interessata alla
situazione di una ragazza del mio stesso corso che si diceva fosse
incinta e che il suo ragazzo fosse un poco di buono.
Era una notizia
verosimile, ma avrei dovuto capire che non ci si poteva basare sulle
voci, per venire a conoscenza della verità.
Avevo chiesto
chiarimenti ad un'altra mia compagna, che non aveva smentito.
Qualche giorno dopo
la ragazza in questione era venuta da me in classe, gli occhi colmi di
lacrime e rabbia e mi aveva vomitato addosso parole che a stento avevo
capito.
Mi aveva accusato di
aver messo in giro voci sul suo conto, che non erano assolutamente
vere, di essere una stronza lingua lunga e così via.
Nonostante io non
fossi colpevole di nulla, se non di ingenuità, smisi di dare
credito alle voci e di interessarmi al gossip scolastico.
Stavo alla larga da
tutto ciò che riguardava la vita delle persone che non
conoscevo e che non mi importava conoscere, e da allora erano passati
diversi anni.
Ero solo una sciocca
ragazzina all’epoca, ma quell'inconveniente, per quanto
spiacevole fosse stato, si era rivelato fonte di un utile insegnamento
di vita.
Poco importava che
la presunta ragazza incinta, che incinta non lo era per nulla, si
rifiutasse ancora, dopo tutto quel tempo, di salutarmi. Si limitava a
lanciarmi occhiate di fuoco che parlavano da sole.
Perciò la
mia regola era diventata: Non partecipare, non ascoltare, non
commentare.
Un po' come i dieci
comandamenti con l'unica differenza che erano solo tre e che di
religioso non avevano nulla.
In pratica mi
bastava chiudere le orecchie al cospetto di qualunque pettegola.
Proprio per quel
motivo, quella mattina non prestai la minima attenzione all'intenso
brusio che mi accolse, non appena varcai la soglia della classe.
Non appena lo notai,
lo associai al laborioso ronzare di uno sciame d'api in
attività. Ignorai ogni parola dei miei compagni e presi
posto. Chiamarli compagni era forse azzardato, ma non avevo altro
appellativo da utilizzare. Conoscenti? Troppo anche quello.
Eravamo
semplicemente persone che frequentavano alcuni corsi assieme. Niente di
particolarmente intimo.
L'unica persona che
potevo essere felice di definire compagna e conoscente era Faith, che
però ancora non si vedeva.
Aveva due motivi in
genere per essere in ritardo. Il primo era la ragione per cui quasi
tutte le mattine era sempre l'ultima ad arrivare in classe e
cioè che abitava dall'altra parte della città, il
suo autobus passava circa mezz'ora prima che la campanella dell'inizio
della lezione suonasse e mezz'ora era più o meno il tempo
che impiegava ad arrivare a destinazione.
Il secondo era che
Faith aveva il sonno pesante, tanto pesante da non sentire a volte la
sveglia del cellulare che teneva accanto a se nel letto.
Fosse stato per lei
avrebbe dormito fino alle dieci, non come me che amavo svegliarmi
presto la mattina solo per poter stare a letto a godermi il calore
delle coperte.
Comunque, tornando a
quello che volevo dire di Faith, il fatto che ero legata più
a lei rispetto agli altri dipendeva molto dal suo carattere. Era una
ragazza semplice, alla mano, disponibile e che come me non si lasciava
impressionare troppo dai pettegolezzi, cosa alquanto apprezzabile, a
dire il vero.
Inoltre, cosa molto
importante, era umile, anche se sapeva fare dei ritratti a carboncino
che erano una meraviglia.
Lanciai una fugace
occhiata alla porta, ma niente. Di Faith non c'era traccia.
Non che mi
disperassi se non c'era, solo che il brusio era divenuto decisamente
fastidioso e mi andava di parlare con qualcuno per ignorarlo.
Mi mordicchiai
distrattamente l'unghia del pollice.
Era il mio vizio
peggiore e anche il più evidente. Le mie mani erano un
disastro e me ne vergognavo, anche se non ero in grado di evitare di
rovinarmele.
Trasalii quando
esagerai nel mangiarmi l'unghia del pollice. La osservai con aria
scocciata e nervosa e guardai il sangue rosato scivolare fuori e
occupare gli spazi tra le pieghe della pelle.
Feci per portarmi il
dito alle labbra per pulirlo, quando la risata acuta e fastidiosa di
Maggie attirò la mia attenzione.
-Sono due!-
Esclamò,
felice come se fosse stato Natale.
-Speriamo siano
carini!-
Consapevole che
stava parlando di ragazzi, chinai il viso sul libro di letteratura
inglese che tenevo aperto, posato sul banco.
Maggie era una delle
persone meno affidabili in tutta la scuola, per quel poco che la
conoscevo. In realtà ciò che bisognava temere di
lei non era il suo carattere, bensì le voci che metteva in
giro. Davvero da non fidarsi.
Lessi due righe di
una poesia, ma non mi aiutò affatto a ignorare gli altri.
Ormai ero troppo distratta.
Scossi la testa
infastidita, ma subito dopo non fui in grado di frenare un sorriso, che
subito mi comparve sulle labbra.
Certe cose erano
buffe pur essendo sciocche. In fondo, al giorno d'oggi molto spesso le
due cose combaciavano. Sciocco, uguale buffo. E viceversa.
Comunque, un'altra
volta mi ero lasciata catturare dalle chiacchiere altrui.
Il fascino del
proibito.
Ringraziai
mentalmente il conducente dell'autobus e la sveglia abbastanza
efficace, quando Faith varcò la soglia della classe, un
istante prima che il professore entrasse in scena.
Era rossa in viso e
il respiro era affannoso, segno che la corsa nei corridoi fatta per
arrivare in tempo era stata faticosa.
Si gettò
di peso sulla sedia accanto a me, con i capelli castani lievemente
arruffati, e rimase in silenzio per un po', per cercare di
regolarizzare il respiro. Fossi stata nelle sue condizioni
probabilmente sarei morta, senza l'aiuto dell'inalatore.
Ero
asmatica...maledettamente asmatica.
-Appena in tempo.-
Commentai, mentre il
professore posava i libri sul tavolo e prendeva posto. La campanella di
inizio lezione suonò e ufficialmente si diede inizio al
corso di letteratura.
Era la mia materia
preferita, in assoluto. Pensieri, struggimenti e sentimenti poetici
erano la mia aria. Non sapevo con esattezza come sarebbe stato vivere
senza.
Con questo non
intendevo dire che passavo il mio tempo libero con il naso immerso in
tomi di poesia.
Mi limitavo alla
narrativa normale e moderna, ma con il professore che mi insegnava ad
interpretare quegli scritti magnifici, il mio interesse aumentava.
E, a differenza
degli altri miei compagni di corso, il registro linguistico piuttosto
complicato non mi spaventava. Anzi…mi rendeva più
entusiasta.
-Devo chiedere al
tuo autista di passare un po' prima da te. Non ce la facevo
più.-
Sussurrai, indicando
con il pollice il gruppetto di pettegoli alle mie spalle. Si erano
tutti messi ai loro posti, ma molte delle ragazze solitamente stavano
vicine anche durante tutta la lezione e si scrivevano sciocchezze sui
banchi.
Il sorriso di Faith
mi fece intuire che aveva capito ciò che intendevo.
-La cosa ti disturba
tanto?-
Chiese. Io assunsi
un'aria seria.
-Altrochè,
non hanno fatto altro che spettegolare su...non lo so, non stavo
ascoltando. Ragazzi credo. Le solite cretinate.-
-Io so di che si
tratta.-
Disse, fissandomi in
maniera strana. Era come se volesse porgermi il frutto proibito o se
volesse propormi qualcosa di osceno senza realmente dirlo. I suoi occhi
verdi sembravano promettere l'universo.
-No, non mi guardare
così.
Mi lamentai con un
sospiro. Lei sapeva che non volevo cedere a quello sguardo, ma era
consapevole del fatto che facendo così era più
facile che avesse la meglio lei in quel gioco assurdo.
-Guardami negli
occhi e giura che non ti interessa nemmeno un po'.-
Sogghignò.
Io feci come mi era stato chiesto, ma subito dopo riabbassai lo sguardo
sentendomi persino arrossire. Che amarezza.
Andava contro i miei
principi curarmi di pettegolezzi, ma dovevo ammettere che ero curiosa e
la curiosità in quel luogo non era mai una bella cosa.
D'altronde c'era
anche da dire che di Faith ci si poteva fidare. Nessuno avrebbe saputo
che io sapevo che...oh al diavolo i miei principi morali!
-Spara.-
Mormorai
avvicinandomi di più a lei, in modo da avere l'orecchio
pronto e a portata di news. Mi sentivo colpevole di qualche sporco
reato o solo un'agente speciale che si deve far confessare qualche
importante segreto di stato.
Il professore
spiegava, ma chissà come il rumore di carte e fogli spostati
e il brusio generale che solitamente regnava nella classe
coprì alla perfezione i nostri bisbigli.
-Pare si tratti di
due studenti nuovi. Vengono domani. Di questo stavano parlando quelle
oche, capisci?-
Se il mio difetto
era mangiarmi le unghie fino a farmele sanguinare, quello di Faith era
terminare molte delle sue frasi con capisci?, come si stesse rivolgendo
ad uno stupido.
In realtà
Faith non era proprio il tipo di persona che si comportava
così con gli altri, ma ad un primo impatto l'impressione che
suscitava quel suo vizio poteva essere fuorviante.
-Due nuovi? E da
dove?-
Si strinse nelle
spalle perplessa.
-Non lo so, ma da
quando alcuni professori lo hanno annunciato alle loro classi non si fa
altro che parlare di loro. Non si sanno nemmeno i loro nomi. Niente,
solo che si sono trasferiti qui da qualche città non troppo
lontana e che frequenteranno la nostra scuola, capisci?-
Sì,
capivo. Non credevo però che valesse la pena di emozionarsi
tanto per due nuovi ragazzi. Che c'era di importante ed interessante?
Proprio niente.
Quella era la prova
schiacciante che le pettegole si potevano rilevare molto stupide a
volte.
Guardai
distrattamente il paesaggio fuori dalla finestra. Eravamo al piano
terra, perciò potevo benissimo intravedere la strada accanto
a me, dalla mia posizione.
Era una bella
giornata, ma un vento fresco muoveva le fronde degli alberi
già pronti a vestirsi di giallo.
Il mio quarto anno
scolastico era appena cominciato ed entro pochi giorni sarebbe iniziata
anche la stagione autunnale.
Personalmente
preferivo l’estate, con i profumi intensi e il calore dei
raggi sulla pelle.
Mi aspettavano
ancora due stagioni fredde e una tiepida, nella speranza di non perdere
l'abbronzatura che mi ero procurata quell'estate al mare. Amavo il
sole, mi scaldava le ossa e mi metteva di buon umore. Era fantastico.
-Che hai fatto al
dito?-
La voce di Faith mi
colse di sorpresa e mi scosse dallo stato di torpore dato dalla
distrazione dei pensieri.
Guardai il punto che
mi stava indicando con gli occhi e vidi il mio pollice completamente
rosso.
-Merda.-
Mormorai portandomi
il dito alla bocca.
-A me sembra sangue.-
Ribatté
con un sorrisino Faith. Non ebbi la possibilità di ridere
della sua battuta sciocca, perché non appena leccai via il
sangue dal dito, il suo sapore mi costrinse ad una smorfia di disgusto.
Dolce e salato assieme, con un retrogusto metallico disgustoso.
-A volte penso che
tu sia un po' masochista. Ti fai del male da sola e nonostante questo
di dia fastidio non la smetti. Ricominci subito dopo, capisci?-
Mi giustificai con
una scrollata di spalle, mentre la lunga spiegazione della vita di un
autore inglese era resa ancora più noiosa dalla voce piatta
del professore.
Era un uomo di
mezz'età, stempiato e dai capelli biondi e riccioluti. I
ricci biondi potevano avere un che di angelico, ma su di lui non lo
sembravano affatto.
Era magro e
nonostante il fatto che era soporifero quando enunciava la vita degli
autori, quando leggeva dei brani era fantastico.
Era molto preparato
e in gamba. Sapeva fare il suo mestiere e, anche se poteva sembrare una
cosa ovvia, era una cosa rara ormai.
La poesia romantica
era bella, ma mi erano piaciute particolarmente le prime lezioni sui
trovatori medievali. Ero rimasta particolarmente colpita dai canti di
imprese eroiche e amorose e a volte, anche un po' scioccamente, mi
sentivo dispiaciuta del fatto che di poeti così nei giorni
moderni non ne esistevano più.
Vivevamo in una
società rozza, superficiale e violenta, che scambiava il
denaro per felicità, il potere per successo e la
semplice lussuria per amore eterno.
Una volta mi ero
anche detta mentalmente che se mai avessi trovato un uomo che
somigliava almeno un po' ad un poeta, medievale e non, me ne sarei
innamorata.
Non so se sarebbe
stato proprio così, ma di certo un’anima bella era
ciò che cercavo. Ancora non mi era imbattuta in niente che
valesse la pena di guardare realmente negli occhi.
A differenza di
molti miei altri compagni di corso, ascoltai il resto delle lezioni con
intensa attenzione.
La concentrazione di
molti era fissa solo sulla novità, ovvero all'arrivo dei
nuovi studenti. Non me ne importava nulla, ad essere sincera.
Erano semplici
esseri umani che avevano cambiato città e scuola, semplici
esseri umani che avrebbero forse fatto un po' di fatica ad ambientarsi
da noi.
Niente di speciale,
solo esseri umani.
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Capitolo 2 *** 2. ***
2.
Il giorno dopo la tensione e l'eccitazione che tanto mi avevano
infastidita si erano fatte sempre più intense. Erano
palpabili come qualcosa di solido. Erano persino qualcosa di soffocante.
Entrai in classe con calma, senza lasciarmi impressionare o contagiare
dall'entusiasmo.
Anche quel giorno le prime due ore erano di letteratura, ma non mi
sembrava che gli altri avessero molta voglia di ascoltare con
attenzione le parole del professore.
Presi posto, ma dei nuovi studenti non c'era neanche l'ombra. E nemmeno
di Faith.
Lei arrivò circa cinque minuti prima che la campanella
suonasse e un paio di minuti prima che il professore entrasse in classe
a passo svelto.
Quando si presentò, con il solito sguardo pesante e
corrucciato pensai che ormai i nuovi non sarebbero più
arrivati.
Il prof posò con enfasi la cartella sulla cattedra ed
estrasse un plico di fotocopie. Si sedette con un sospiro e
alzò con una mano il grosso fascicolo.
-Qualcuno distribuisca questi e chiuda la porta, per cortesia...Taylor!-
Alzai di scatto la testa dal banco, dove io e Faith stavamo giocando a
tris. Stavo per vincere, prima che il professore assegnasse proprio a
me quel compito.
Mi alzai di malavoglia, ma non lo diedi a vedere, e mi avvicinai alla
cattedra.
La giornata era più fredda del giorno prima e il cielo era
di un colore latteo, macchiato qua e là di nuvolette scure.
Solo guardarlo faceva male agli occhi, ma non era quello il punto. Mi
dava noia, e senza un minimo accenno di sole la giornata sarebbe stata
grigia e senza allegria.
Presi le fotocopie, mi avvicinai alla porta, che non era poi molto
lontana dalla cattedra e feci per chiuderla. Mi parve di sentire
qualche cosa nel corridoio, un rumore veloce di passi, ma era talmente
lieve che lo ignorai.
Mi voltai verso i miei compagni, ma il rumore attirò di
nuovo la mia attenzione e in un secondo, senza che nemmeno io sapessi
spiegarlo esattamente, qualcosa mi colpì con forza,
mandandomi a sbattere qualche passo più in là,
proprio contro la cattedra.
Lo spigolo in legno mi colpì un fianco lasciandomi senza
fiato, mentre un dolore intenso esplose diffondendosi nella zona
colpita.
Faticavo a respirare e per un istante temetti di avere qualche costola
incrinata. Mi tastai l'addome per assicurarmi che fosse tutto a posto e
non avvertii nulla di grave, tranne che faceva un male del diavolo.
-Accidenti, scusami, scusami tanto! Non ti sei fatta niente vero?-
Alzai lo sguardo, ignorando la risatina di alcune ragazze, e finalmente
vidi il motivo di quello che mi era successo.
Non era particolarmente alto, ma torreggiava su di me dato che io ero
piegata dal dolore e lui era in piedi.
I suoi occhi erano dello stesso colore del cioccolato fuso, lo stesso
dei capelli, e la sua pelle era tanto pallida e regolare, da sembrare
d'avorio.
Il naso era dritto, le labbra piene, ma non eccessivamente carnose,
così simili a quelle
delle statue greche, che sapevano esprimere sia forza che armonia.
Mi sentii intimidita dalla pesantezza del suo sguardo e dalla
profondità della sua voce.
Per un attimo mi scordai completamente che eravamo in una classe piena
di gente, osservata da tutti.
Non si sentiva nessun rumore, tranne il mio respiro, che emetteva un
suono strano, quasi un fischio. Mi lasciai sfuggire un colpo di tosse e
velocemente portai la mano alla tasca dei jeans. Trassi un sospiro di
sollievo nel sentire il gonfiore familiare dell'inalatore.
Nemmeno io sapevo con esattezza da quando ero asmatica, ma sapevo che
un minimo cambiamento del mio respiro bastava per farmi sentire
soffocare.
-Ehi...rispondi, tutto a posto?-
Insistette il ragazzo. Annuii poco convinta, mentre portavo l'inalatore
alla bocca ed inspiravo profondamente. Subito mi sentii molto meglio,
quando i bronchi tornarono a funzionare a dovere.
-Non è successo niente.-
Mormorai per tutta risposta, continuando a fissarlo in viso. I capelli
scuri gli cadevano sulla fronte in quelli che dopotutto si potevano
definire ciuffi ordinati.
La lunghezza generale arrivava circa alla linea della mascella. Non
erano perfettamente lisci, bensì lievemente arruffati come
se si fosse svegliato dopo un sonno un po’ agitato.
L'unica cosa che interrompeva la continuità spettrale della
sua pelle erano dei segni rossastri che cerchiavano gli occhi. Sembrava
che non dormisse da giorni.
Mi ripresi e raccolsi le fotocopie che avevo sparso ovunque durante la
caduta e, un po' imbarazzata, terminai il mio compito.
Seguito da una ragazza tremendamente somigliante a lui, il ragazzo si
avvicinò alla cattedra e li sentii scusarsi con il
professore e presentarsi come Robert ed Eireen Paige. I nuovi arrivati.
Quindi, nonostante mi fossi intestardita tanto ad ignorare il loro
arrivo, alla fine mi ero letteralmente fatta travolgere da uno dei due
gemelli. Che storia.
Si sistemarono in un banco per due appositamente aggiunto per loro,
proprio dietro Faith e me.
Il lavoro che il professore ci assegnò, assieme alle
fotocopie era quello di leggere la poesia che contenevano e di fare
l'analisi, a coppie.
Io e Faith ci mettemmo subito al lavoro, ma fu una conversazione
distratta, perché ero più concentrata ad
ascoltare ciò che dietro di noi i fratelli Paige stavano
bisbigliando, perlopiù Eireen. E non si trattava del lavoro
di coppia.
-Che diavolo ti è saltato in mente? Potevi farle male sul
serio!-
Il mio cuore perse un battito quando mi resi conto che parlavano di me
e della mia caduta spettacolare. Non capivo però
perché la voce della sorella fosse tanto carica di astio.
-Non l'ho fatto di proposito.-
Si difese il fratello, tamburellando il foglio con la matita. Anche se
forse si trattava solo di una mia impressione, mi sembrava che quel
gesto, seppur minimo, nascondesse sotto sotto una certa inquietudine.
-Potevi evitare di correre e poi, con la tua velocità, la
tua prontezza di riflessi...potevi schivarla!-
Voltai un po' di più la testa verso di loro, per sentire
meglio, ma probabilmente lo notarono, perché all'istante
cambiarono argomento e si concentrarono sull'autore della poesia
assegnataci.
Quando mi voltai di nuovo verso Faith, vidi che mi fissava con
aspettativa e un sopracciglio inarcato in un'espressione interrogativa.
-Allora?-
Chiese.
-Allora cosa?-
Lei sospirò.
-Non hai sentito una sola parola di quello che ho detto, vero?-
Scossi la testa e abbassai lo sguardo.
-Scusami, non volevo ignorarti solo che...ero distratta.-
-Sei sicura di stare bene? Da qui sembrava una bella botta.-
-Sto bene.-
Risposi semplicemente, anche se il fianco ancora mi doleva. Ero sicura
che non era nulla di grave, ma non potevo giurarci.
Mi imposi a forza di fare bene l'esercizio e di seguire con attenzione
ogni lezione seguente.
Scoprii che i gemelli frequentavano molti corsi assieme a me e ora dopo
ora mi stupivo sempre di più del loro pallore.
Forse venivano da una parte dell'America dove il sole non era molto
presente o forse ero io che, abituata com'ero alla mia abbronzatura, mi
lasciavo impressionare troppo facilmente. In conclusione, non era affar
mio.
Nonostante la giornata non fosse delle migliori, trascorsi la
ricreazione per conto mio, come spesso accadeva.
Faith aveva il suo gruppo e io non avevo praticamente nessuno, ma non
me ne preoccupavo mai.
Anche quella mattina perciò, mi misi a sedere sull'erba
curata del piccolo giardinetto della scuola. Molte delle panchine erano
occupate, perciò mi limitai a proteggermi
dall'umidità infilandomi la giacca sotto il sedere.
In un paio di ore il cielo non era cambiato molto, ma la cosa positiva
era che alcuni raggi di sole avevano cominciato a far capolino da
dietro le nuvole.
Mi lasciai scaldare le ossa, per quanto possibile, da essi ed iniziai a
leggere il mio libro.
Era un periodo che divoravo un tomo dietro all'altro anche trovando
tutto il tempo per studiare a dovere.
Certo, non si poteva dire che avevo interessi che mi rubavano molto
altro tempo, perciò non c'era da stupirsi troppo.
Anche se solitamente l'attenzione che dedicavo alla lettura era
sacrosanta, un'occhiata al grande albero al centro del giardino
bastò per rovinare per sempre quel momento.
Nascosti dall'ombra creata dai rami, stavano i fratelli Paige. Vedevo
le labbra di Eireen muoversi velocemente e tendersi di tanto in tanto
in un lieve sorriso, mentre Robert, impegnato nella lettura di un
grosso libro annuiva.
Era serio, chino sulle pagine di quel tomo e raramente alzava gli occhi
per guardarsi intorno.
Nonostante fosse chiaro che tra i due Eireen fosse la più
socievole, entrambi avevano un'aria spaesata e perplessa. Li potevo
capire anche se non avevo mai vissuto un trasferimento di persona.
Essendo una ragazza schiva e timida, nella loro situazione mi sarei
trovata anche peggio.
Il resto della giornata trascorse piuttosto tranquillamente, sia il
pranzo (nonostante la presenza di alcuni dei soliti bulli fuori dalla
mensa) che le lezioni seguenti.
L'unica cosa di cui potevo lamentarmi era l'ultima ora passata in
palestra. Sfiancante e noiosa. La ginnastica era la mia nemica numero
uno, per ovvie ragioni.
Quando suonò la campanella me la presi con comodo, dato che
non ero vincolata dagli orari degli autobus.
Potevo raggiungere casa mia in poco tempo anche a piedi.
Mi avviai con calma verso gli armadietti e raggiunsi il mio, per
sistemare le mie cose prima di tornare a casa.
Era un armadietto di metallo grigio, lungo e stretto, a due piani.
Sul piano superiore tenevo gli indumenti da ginnastica e le scarpe,
sull'ultimo alcuni libri che ritenevo troppo pesanti e inutili, per
scarrozzarli in giro nello zaino.
Misi in ordine le scarpe e i pantaloni della tuta da ginnastica, mentre
infilai la t-shirt nello zaino. Avevo sudato troppo per poterla
lasciare a scuola. Aveva bisogno e meritava una bella lavata.
Lanciai un'ultima rapida occhiata al mio piccolo spazio personale. Era
tutto ordinatamente disposto, non per una mia fissa maniacale,
bensì per il bisogno di vedere che ogni cosa era al suo
posto.
Sospirai di stanchezza chiudendo lentamente la porticina
dell'armadietto e non appena lo feci il mio cuore perse un battito per
la sorpresa e lo spavento.
Sussultai, andando a sbattere con la schiena contro il metallo degli
altri armadi.
Di fronte a me, gli occhi penetranti cerchiati di rosso, c'era Eireen
Paige.
Mi fissava con aria curiosa e lo zaino appeso alla spalla solo grazie
ad una spallina. I suoi capelli castano scuro erano disposti in maniera
un po' disordinata, ma comunque attraente grazie all'ausilio della
pelle eburnea e del viso che comunicava perfezione.
Fissava me, solo me. D'altronde, non c'era nessun altro.
-Cazzo...-
Mormorai.
-Scusa per la parola, è che...non ti avevo sentito arrivare.-
Mi giustificai. Lei rimase seria come l'avevo sempre vista e
inspirò a fondo.
-Lo so, sono una persona silenziosa.-
Spiegò. Continuando a fissarla mi resi contro del mio
respiro lievemente più affannoso del normale. Con una mano
afferrai l'inalatore, che chiaramente portavo sempre con me e aspirai.
Era proprio a causa dell'asma che le lezioni di ginnastica erano
difficili.
Ovviamente non facevo sempre le stesse cose dei miei compagni
più sani.
Oltre allo sport comunque, le seccature erano altre. Mi bastava un
semplice spavento per agitarmi e respirare male. Era una rottura,
davvero.
-Non volevo spaventarti. Mi dispiace.-
Disse Eireen guardandomi fissa. La sua voce aveva qualcosa di
particolare che non seppi definire. Era cadenzata e vellutata, come se
fosse palpabile e piacevole al tocco. Tra l’altro era
incredibile la somiglianza tra lei e il fratello.
Insomma, erano gemelli quindi era una cosa piuttosto ovvia, ma era
qualcosa che mi lasciava comunque impressionata.
Ovviamente lei era più femminile, più aggraziata
e delicata. I capelli superavano quelli del fratello di circa una
spanna e raggiungevano a stento le spalle.
-No, tranquilla...volevi parlare con me, per caso?-
Lei annuì.
-Io e mio fratello come sai siamo nuovi e...beh abbiamo notato che
frequenti la maggior parte dei nostri corsi. Lui svolge un paio di
materie che io non faccio, ma comunque...insomma.-
Si strinse nelle spalle in imbarazzo. Era chiaro che era a disagio, ma
da parte mia non sapevo cosa fare per poterle venire incontro. Ci
provai comunque, perché credevo di aver capito cosa volesse
chiedermi.
-Vi servono un po' di appunti?-
Per la prima volta sulle sue labbra rosate comparve un largo sorriso. I
denti erano bianchi e apparentemente perfetti. Per un secondo, solo
uno, sentii una punta di invidia solleticarmi lo stomaco.
Non avevo i denti storti, ma di certo non erano bianchi come i suoi.
-Sì, è proprio quello di cui avremmo bisogno. Se
per te non è un problema.-
Si affrettò ad aggiungere.
-No, non lo è. Posso darti due quaderni ora e gli altri te
li porto domani. La scuola è appena cominciata,
perciò non credo avrete problemi, ma se avrete problemi a
capire qualcosa, oppure...non so qualsiasi problema non fatevi problemi
a chiedermi aiuto.-
Che idiota, avevo detto la parola problema e problemi una decina di
volte.
Mi chiesi se se ne fosse accorta, ma lei non disse nulla in proposito.
Il sorriso della ragazza si fece ancora più largo. Si
passò una mano tra i capelli scuri, che avevano tutta
l’aria di essere morbidi, e quel gesto mi permise di
intravedere una fila di orecchini d’argento ai lati
dell’orecchio sinistro.
-Grazie, davvero. È importante per me e Robert non rimanere
troppo indietro con il programma.-
Spiegò. Rimanemmo in silenzio per un istante, che mi parve
eccessivamente lungo, ma che in realtà non lo fu affatto.
Ero felice di poterla aiutare, ma il modo con cui Eireen Paige mi
fissava mi metteva un po' a disagio, ad essere sincera.
Non era qualcosa di evidente, ma sembrava che il suo sguardo penetrasse
a fondo, come la lama di un coltello, fino all'anima. Era molto strano,
in effetti.
Per interrompere quel contatto mi voltai, riaprii l'armadietto e presi
un paio di quaderni. Poi li porsi a Eireen e lo richiusi.
-Questi sono letteratura e biologia. Spero capiate la mia calligrafia.-
Annuì e sorrise.
-Grazie mille...non so il tuo nome!-
-Jacqueline Taylor. Ma mi chiamano tutti Jackie.-
Mi pentii un istante dopo di averlo detto. Tutti chi? Praticamente non
avevo amici.
Però lei non lo sapeva e poi i miei genitori mi chiamavano
così, come tutti i miei parenti tranne mia nonna Josie che
insisteva per utilizzare il nome originario. Lo aveva scelto lei,
quindi era comprensibile che si comportasse così.
Anche Faith mi chiamava con il diminutivo, quindi non era stato
inappropriato dirglielo.
Mi porse una mano pallida, bellissima messa a confronto con la mia,
schifosamente rovinata dal mio vizio. La strinse allegramente.
-Io sono Eireen.-
-Lo so...-
Annuì come se rispondesse ad una domanda inesistente.
-Ancora grazie...beh...allora ci vediamo.-
Esclamò. Dopo qualche istante mi regalò un ultimo
sorriso, si voltò e se ne andò via, sparendo in
fretta, proprio come era comparsa.
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Capitolo 3 *** 3. ***
3.
Ebbi l'occasione di conoscere suo fratello la mattina dopo.
Quella sera avevo infilato in cartella il resto degli appunti che
potevo prestare ai gemelli Paige e durante la prima ora, quando
arrivarono in classe, mi avvicinai al loro banco porgendo i quaderni.
-Questi sono gli appunti che ho tenuto finora. Come ho già
detto se avete bisogno di aiuto non esitate a rivolgervi a me...-
Li guardai e loro guardarono me. Non li avevo nemmeno salutati...che
idiota. Era chiaro che non ero tagliata per i rapporti umani.
-Grazie, è gentile da parte tua.-
Disse Eireen sorridendo. Accanto a lei il fratello mi guardava di
sottecchi, con un'espressione seria.
Eireen guardò me, poi il ragazzo e si batté una
mano sulla fronte.
-Ma certo! Che sciocca, non vi ho ancora presentati. Alzati, pigrone,
ricordati un po' di buone maniere.-
Disse schiaffando il dorso della mano sul petto del fratello e
costringendolo ad alzarsi in piedi, afferrandolo per la maglia.
Quando la lasciò, Robert guardò per un secondo la
stoffa stropicciata, se la sistemò con calma, poi mi porse
la mano. Si muoveva con gesti lenti, che infondevano una certa
sicurezza, ma allo stesso tempo, chissà come, erano in grado
di mettermi a disagio.
-Io sono Robert, molto piacere.-
La voce era morbida, cadenzata e profonda come me la ricordavo.
-Jacqueline...-
Mormorai. Fui sul punto di commettere lo stesso errore fatto con Eireen
a proposito del fatto che tutti mi chiamavano con il diminutivo, ma
ebbi la creanza di cambiare frase.
-Ma se vuoi puoi chiamarmi Jackie.-
Suonava peggio. Decisamente peggio. Era come se gli avessi permesso di
chiamarmi così per avere un rapporto più
confidenziale. Dannazione.
Percepii un calore alle guance e sperai solo che non fossi diventata
paonazza. Ci sarebbe mancato anche quello!
-Spero tu stia bene.-
Disse Robert. Ancora stringendo la mia mano. La sua pelle era fresca
senza essere necessariamente umidiccia e viscida come se stessi
stringendo un pesce morto. Mi era capitato spesso di avere
quell'impressione stringendo la mano ad alcune persone.
Era morbida, grande abbastanza da avvolgere la mia ed era tanto pallida
che sotto la pelle potevo facilmente intravedere il blu verdastro delle
vene.
-Come scusa?-
-Parlo dell'incidente. Di ieri. Stai bene, vero?-
-Oh...-
Sorrisi.
-Certo, sto bene. Non è successo niente di brutto e comunque
stavi andando di fretta, posso capirlo. Non lo hai fatto di proposito.-
Non rispose, scambiandosi uno sguardo con sua sorella.
Lasciò andare la mia mano.
-Già.-
Confermò, poi si rimise a sedere. Forse era solo una mia
impressione, ma era come se non avesse molta voglia di interagire.
-Scusa mio fratello, Jackie. È un po' timido. Grazie ancora
per gli appunti.-
Il sorriso che mi rivolse fu enorme. Sembrò coprire il
malumore di Robert, ma di certo non aveva bisogno di giustificare il
suo comportamento. Non riguardava me.
Ricambiai il sorriso e li salutai, anche se udii in risposta solo la
voce della ragazza.
Mi sedetti al mio posto, da sola, a causa dell'assenza di Faith.
Non era arrivata in ritardo e non era a casa a dormire. Un suo sms mi
aveva prontamente avvisato dell'arrivo di sua cugina dell'Australia.
Avrebbe fatto un giro con lei e per quel motivo non sarebbe venuta.
Buon per lei.
Quella mattina la mia mente fu altrove, lontana dalle lezioni ed
estremamente influenzata da ciò che era successo con Robert
Paige.
Sentii sua sorella rimproverarlo a bassa voce prima che il professore
entrasse in classe, ma a parte un lasciami in pace borbottato da lui
per tutta risposta, non udii altro.
Non credevo ce l'avesse con me in particolare, perché non
gli avevo fatto nessun torto.
Non ci conoscevamo neppure e poi lui mi aveva ancora chiesto scusa per
avermi spiaccicata contro la cattedra. Era sembrato un perfetto
gentiluomo, ma poi...
Nonostante mi fossi convinta che non era colpa mia, tutta la mattinata
fu dedicata anche a quei pensieri, oltre che alle solite riflessioni
sul tempo, e la noia.
Alla fine della mattinata, quando giunse l'ora di recarmi in mensa lo
feci con calma, come al solito, più che altro per evitare la
troppa ressa. Non credevo che esistesse nulla di più
pericoloso di un branco di adolescenti affamati.
Mi sistemai al primo tavolo libero che trovai, da sola, a consumare il
mio pranzo.
A sette anni mi ero convinta di voler diventare vegetariana, dopo
essermi fatta raccontare il modo in cui si ammazzavano i maiali quando
i miei genitori erano piccoli.
Mi aveva fatto tanto ribrezzo che la compassione per quelle povere
bestie mi aveva indotto a rinunciare alla loro carne e a quella degli
altri animali.
La mia determinazione aveva avuto cinque giorni di vita, poi avevo
capito che la carne in fondo mi piaceva troppo per potervi rinunciare.
Quel giorno mangiai una semplice bistecca di manzo, grazie al cielo ben
cotta, patate e insalata. Mi piaceva mangiare e a causa della mia
golosità se non mi fossi data un freno avrei di certo
continuato a mettere su chili di troppo.
Invece avevo un controllo sufficiente per non esagerare e mi ritrovavo
con un fisico che non si avvicinava nemmeno a quello delle fotomodelle,
ma era abbastanza slanciato.
Sempre che slanciato potesse essere l'aggettivo giusto per una tizia
alta poco più di un metro e sessanta.
Finito di mangiare mi alzai, sparecchiai il mio vassoio e mi allontanai
dalla mensa, guardando con la coda dell'occhio i fratelli Paige, con un
pranzo decisamente scarso di fronte.
Forse seguivano entrambi una dieta particolare, per motivi di salute.
Ma dopotutto non era affar mio quello che mangiavano.
Uscii dall'edificio adibito a mensa. Avrei preferito fare il giro della
scuola, per gli ovvi motivi che tutti sapevano, ovvero per la rottura
di scatole che alcuni ragazzi quasi ogni giorno rappresentavano.
Il loro divertimento principale consisteva nel piazzarsi all'esterno
della mensa, appoggiati contro il muro e sfottere chiunque passasse di
là.
Mi scocciava parecchio la loro presenza, ma non potevo evitarla in
nessun modo. Quella era l'unica via per tornare alle classi,
perché la porta che permetteva agli studenti di raggiungere
la mensa direttamente dall'interno veniva chiusa dai bidelli quando
capivano che non sarebbe arrivato più nessuno e la scuola
non si poteva nemmeno aggirare, perché una rete metallica lo
impediva. Una vera sfortuna.
Quando li intravidi feci per alzare gli occhi al cielo, ma non volevo
dare loro nessuna soddisfazione. Se avessero capito che mi davano
fastidio, sarebbe stata la fine. Ero pronta.
A testa china passai loro davanti, ignorando per quanto mi fu possibile
le loro battute. Fischiarono in coro come se stesse passando una
sventola da paura, poi, quando diedi loro la schiena uno dei ragazzi mi
lanciò un sassolino sui capelli.
Nonostante mi fossi prefissata di non reagire, sapevo che l'animo umano
se istigato troppo reagiva in maniera poco consona.
In particolare, una mente brillante messa a confronto con un cervello
bacato, finiva per divenire idiota anch'essa, per alchimie che ancora
mi erano sconosciute.
Mi voltai innervosita e mossi un paio di passi verso di loro.
-questo è un liceo, l'asilo è da quella parte.-
Mormorai risentita. Mi voltai di nuovo, pronta a lasciarmeli alle
spalle, ignorando i loro versi. Feci due passi, ma qualcosa mi si
infilò tra le scarpe facendomi cadere a terra di pancia. Che
figura di merda.
Con il volto in fiamme per l'imbarazzo e i nervi a fior di pelle li
sentii ridere. Un ragazzo del gruppo mi aveva infilato la punta della
scarpa tra i piedi per farmi inciampare.
Sembrava una manovra difficile a dirsi, ma in realtà era
molto, molto efficace, visti i risultati.
Mi alzai piuttosto velocemente, fronteggiando il responsabile. Era il
capo, Seth. Aveva capelli di un biondo sporco, a spazzola e la faccia
da coglione. Certa gente sembrava avere scritto in faccia sono un
esasperante rompipalle.
-Stronzo!-
Esclamai. Subito dopo tutto il gruppetto mi fece il verso. Per la terza
volta mi rimisi in cammino, ma la voce strascicata di Seth
catturò la mia attenzione.
-Ehi, bella, guarda cos'hai perso!-
Seppi già di cosa si trattava, ancora prima di voltarmi, ma
mi voltai comunque di colpo come per assicurarmi che fosse davvero
quello. Speravo di no, ma il mio inalatore era a terra. Non fui
abbastanza veloce, perché Seth lo raccolse e lo
lanciò ad un suo compagno.
Il mio cuore batteva, come per avvertirmi che quella situazione non era
piacevole.
Grazie tante, lo capivo anche da sola!
-Che roba è? È per l'alito?-
Biascicò il tizio che al momento reggeva il mio inalatore.
Continuavano a passarselo, a rigirarlo e a lanciarselo tra di loro, ma
non capivano che per me era un oggetto vitale.
-Ti prego, ridammelo!-
-Ridammelo!-
Ripeté uno di quelli, sghignazzando.
-Dico sul serio!-
-Avete sentito ragazzi? La bimba dice sul serio!-
-Oohh, me la faccio sotto!-
-Mi sembra che la signorina sia stata abbastanza chiara.-
Disse una voce. Ero già pronta a placcare uno dei cinque del
gruppo, come in una partita di rugby, sbattendomene altamente di quello
che sarebbero successo.
Mi ero però solo limitata a spostare velocemente lo sguardo
da uno sbruffone all'altro, senza trovare il coraggio di fare nulla.
Almeno fino all'arrivo di Robert Paige.
Quando avevo udito quella frase, con la parola signorina, avevo pensato
che fosse stato uno dei ragazzi della ghenga di Seth a pronunciarla, ma
mi ero accorta che la voce era troppo profonda e musicale per
appartenere ad uno di loro e che non era suonata affatto come una presa
in giro.
Robert si avvicinò camminando lentamente, con la sua solita
calma. Vidi però che i suoi occhi non trasmettevano nessuna
tranquillità, semmai un'ostilità profonda, che mi
intimidiva.
-E chi sei tu? Il suo avvocato difensore?-
-Anche se così fosse non credo sia affar tuo. Ridatele
l'inalatore.-
Uno dei cinque rise. Era basso e tarchiato, piuttosto in carne e con il
viso ricoperto dall'acne.
-E se non volessimo farlo? Sei nel nostro territorio, idiota.-
Robert fece qualche passo nella sua direzione. Lo sguardo era
corrucciato, i pugni serrati ed io ebbi paura per un istante che
volesse fare a botte. Invece si fermò di fronte allo
sbruffone, torreggiando su di lui.
-Non vedo i vostri nomi sui muri...sempre che sappiate scrivere.-
Mio malgrado mi lasciai sfuggire una risatina.
-Ehi, amico, vuoi fare a botte?-
Seth lo raggiunse. Ormai Robert era circondato.
-Io non sono tuo amico. Ora voglio indietro l’inalatore di
Jacqueline.-
Seth rise, poi con uno scatto estremamente veloce caricò il
braccio pronto a dargli un pugno, ma Robert bloccò la sua
mano con il palmo, apparentemente senza il minimo sforzo.
Poi, con un gesto repentino, lo lasciò andare, si
chinò in avanti e lo spinse via con le mani facendolo finire
lungo disteso. Accidenti!
Ero ammutolita, mentre tra il gruppetto si diffondevano borbottii di
stupore.
-L’inalatore, per favore.-
Chiese gentilmente, ma con gli occhi che fiammeggiavano. Le
sopracciglia scure erano aggrottate a mostrare l’unico
turbamento che si concedeva di manifestare.
Il ragazzo-acne si scambiò una fugace occhiata con gli
amici, poi allungò la mano e lasciò cadere
l’oggetto sul palmo del nemico.
Velocemente Robert venne verso di me, mi prese per un braccio senza
farmi alcun male e mi allontanò da lì, mentre
Seth, di nuovo in piedi, gli urlava offese e minacce a cui lui, il
volto di nuovo impassibile, non prestò la minima attenzione.
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Capitolo 4 *** 4. ***
4.
La sua stretta sul mio braccio era decisa, ma non dolorosa.
Robert mi portò lontano da lì, avrei potuto dire
lontano dalla scena del crimine. Poi, quando gli sbruffoni furono
lontani dalla nostra vista, ci fermammo vicino al muro
dell’edificio.
I suoi occhi color cioccolato si fissarono nei miei blu, scrutandomi
nel profondo come per assicurarsi che fossi tutta intera.
-Tutto a posto?-
Mi chiese dopo qualche secondo. Il cuore ancora mi batteva nel petto
furiosamente, ma sì…era tutto a posto.
-Sto bene.-
Gli assicurai. Mi lasciai sfuggire un colpo di tosse e lui subito si
pulì l’inalatore sui jeans. Me lo porse
gentilmente.
-Ecco tieni.-
Si aspettava forse che inspirassi, ma non ne avevo tutto questo
bisogno. Mi bastava poco per avere problemi di respirazione, ma
guardarlo contrastare l’idiozia di quei ragazzi, poco prima,
mi aveva permesso di calmarmi un po’.
Osservai quell’oggetto tanto importante per me, poi me lo
infilai nella tasca dei jeans e guardai il ragazzo.
-Non avresti dovuto metterti contro quelli. L’hai passata
liscia per oggi, ma mi dispiacerebbe se ti prendessero di mira. Non
credo ne sia valsa la pena.-
Scosse le spalle, poi sorrise. Fu la prima volta che glielo vedevo fare
e non fu niente male.
Denti bianchi, perfetti come quelli della sorella. Tutti
così in famiglia?
-Io credo che ne sia valsa la pena. Non è giusto che ti
tormentino così.-
-Lo fanno con tutti.-
-Non è giusto comunque!-
Annuii come per confermare la sua affermazione, ma il mio sguardo
vagava oltre le sue spalle.
-Dov’è Eireen?-
Mi pentii subito di quella mia domanda, per paura di essere parsa
troppo indiscreta. Con quello che era successo quella mattina, ovvero,
visto il comportamento di lui, temetti potesse innervosirsi e dirmi di
farmi gli affari miei. Ma non lo fece.
-Ancora in mensa. Le si è avvicinato un
tizio…voleva parlare. Me ne sono andato principalmente per
quello.-
-Beh, tua sorella già ha successo tra i maschi. Non mi
stupisce, è una bella ragazza e poi è una
novità. Le novità affascinano molto in questo
posto.-
Mi scrutò a lungo, soppesando le mie parole come se ognuna
di esse avesse potuto avere un’importanza stratosferica.
-Affascinano anche te?-
Chiese in un sussurro. Era una maschera pallida di serietà,
come una statua di cera, di avorio o di perfetto e liscio marmo bianco.
-Sono vaccinata contro le novità ormai.-
Risposi con una scrollata di spalle.
-Sono abituata a diffidare di questo genere di cose, perché
si corre troppo il rischio di credere in stereotipi e pregiudizi. Il
gossip è qualcosa che attrae, ma che è meglio
evitare. Tu e tua sorella siete ciò di cui per giorni gli
studenti hanno parlato, è normale che i maschietti mangino
Eireen con gli occhi, no?-
-Immagino di sì.-
Concluse lui. Non aggiunsi che probabilmente le ragazze si mangiavano
anche lui con gli occhi, perché mi sembrava alquanto
inopportuno, ma fui quasi sul punto di farlo.
La bellezza era qualcosa che andava ammessa e Robert Paige era bello.
Punto e basta.
Indossava una maglia nera, dalle maniche lunghe, abbastanza stretta da
mettere in risalto il fisico atletico e le spalle proporzionate. La
linea dei muscoli delle braccia e del torace spiccavano in rilievo
sotto la stoffa, senza sembrare troppo eccessivi.
Non era un fisico da palestrato, ma era in forma. Magro e asciutto,
senza necessariamente essere ossuto.
I jeans erano chiari e stretti in vita da una cintura di pelle marrone.
Un’occhiata un po’ più in basso rivelava
che terminavano con un paio di comunissime scarpe da ginnastica.
Non intravidi nessuna griffa famosa, nessun marchio che potesse
suggerirmi che Robert teneva estremamente al suo look da spendere una
pazzia in abiti firmati. Non credevo ne avesse bisogno.
-Ho detto che me ne sono andato principalmente per l’assalto
del ragazzo a Eireen…ma c’è un altro
motivo.-
Continuò Robert.
-Quale?-
Si strinse nelle spalle, come se lottasse contro se stesso per trovare
le parole adatte.
-Ti ho vista in mensa, che mangiavi da sola. Guardarti mi ha fatto
pensare a questa mattina…a come ti ho trattato. Sono stato
scorbutico e volevo…volevo solo chiederti scusa.-
Possibile che degli occhi potessero essere tanto magnetici? Senza
rendermene conto lo stavo fissando nelle iridi castane imbambolata come
un’idiota. Mi ripresi dal mio stato di torpore momentaneo e
sorrisi.
-Ehi, non è vero che mi hai trattato male.-
-Sì che è vero.-
-Ma non mi sono accorta di nulla!-
Mentii.
Inclinò la testa di lato, facendomi scioccamente venire in
mente lo strano modo che hanno i cuccioli di cane di guardare qualcosa
che li interessava particolarmente. O qualcosa che non riuscivano a
comprendere. Ero quasi sicura che il nostro caso si avvicinasse di
più al secondo paragone. Il suo sguardo era accusatorio,
come se sapesse perfettamente che stavo mentendo. Non resistetti.
-D’accordo, me ne sono accorta, ma non mi sono offesa. Ho
solo riflettuto un po’ sul perché ce
l’avessi con me.-
Ammisi.
Lui scosse la testa.
-Non ce l’avevo affatto con te. È solo che non
sono una persona molto adattabile e l’idea del trasloco
ancora non mi…non mi va giù, ecco.-
-Infatti non c’è bisogno che tu ti giustifichi con
me, perché capisco che possa essere difficile.-
-Non avevo comunque alcun diritto di trattarti così, tu che
ci hai prestato gli appunti e che sei stata tanto gentile. Quindi ti
prego, accetta le mie scuse.-
Aveva un sopracciglio inarcato in un’espressione che
comunicava attesa. Oltre al suo discorso fatto ai bulli, poco prima,
era la prima volta che sentivo la sua voce tanto viva e partecipativa.
La calma che mostrava sempre aveva qualcosa di sbagliato, lo avevo
notato subito, ma non ero stata in grado di comprendere cosa fosse.
In quel momento capii cosa intendevo per sbagliato. Quel suo modo di
fare tanto pacato, comunicava solo stanchezza, non
tranquillità. Sembrava fiaccato e spossato, senza la forza
di muoversi troppo velocemente o gridare.
-Scuse accettate.-
Mormorai.
-Ora ho la coscienza quasi a posto.-
Sorrise. Non domandai cosa fosse quel quasi, per non esagerare sul
serio nel farmi gli affari suoi.
Le nuvole che tingevano quasi l’intero cielo di grigio si
fecero da parte per qualche istante, per permettere ad un audace raggio
di sole di raggiungere la scuola e con essa di scaldare anche noi,
poveri diavoli.
Sorrisi nel sentire la carezza piacevole di quel calore e mi sgranchii
le ossa della schiena stiracchiandomi. Al contrario, Robert si
coprì repentinamente gli occhi con una mano e rimase
così finché un’altra nuvola grigia non
coprì del tutto il raggio.
Lo aveva colpito in pieno viso, certo, ma non mi era parso tanto
splendente e intenso da costringerlo a coprirsi gli occhi.
Una mia occhiata troppo curiosa lo fece scrollare le spalle.
-Il sole mi da fastidio.-
Spiegò semplicemente Robert. Pensai che il pallore fosse
indice di quel suo problema, ma non volli indagare.
-Che…che lezioni hai oggi?-
Chiesi per sviare un po’ il discorso. Quando non si aveva
nulla da dire c’erano due cose perfette da tirare in campo:
il tempo e la scuola.
-Da questo pomeriggio comincia il progetto teatro. Ho firmato per
partecipare. Pensavo che se proprio devo prender parte a qualcosa
meglio scegliere secondo i gusti personali.-
Mi sembrava più che giusto. Avrebbero messo in scena Sogno
di una notte di mezz’estate.
-Ti piace Shakespeare?-
Chiesi incuriosita.
-Mi piace, sì. Forse delle sue opere teatrali si
è parlato all’infinito fino al vomito, ma i
sonetti! I sonetti sono incredibili!-
Mi sembrava di trovarmi di fronte ad un ragazzino che parlava di
calcio, entusiasta per i goal di testa di uno e di quelli di punta di
quell’altro.
L’unica differenza che mai nessun ragazzo di diciassette anni
mi aveva parlato di poesia con quella luce negli occhi.
-E chi interpreterai, Oberon? Il magnifico re degli Elfi?-
Ridacchiò, un suono cristallino e melodioso
nell’aria piena di schiamazzi giovanili. Il cortile si stava
pian piano riempiendo di adolescenti intenti in spintoni e corse e
ragazzine impegnate in chiacchiere e risolini. Un classico.
-No, io non recito. Ho firmato per poter dare una mano nella
preparazione.-
Mi fermai di colpo, rendendomi conto tutt’un tratto che ci
stavamo muovendo. Avevamo inconsciamente cominciato a camminare
lentamente lungo il cortile della scuola, fiancheggiando i muri, ma non
me n’ero proprio accorta. Ero stata così
concentrata sulla nostra conversazione, che lo avevo seguito a ruota
senza prestarvi attenzione.
-Davvero? Anche io sono nel gruppo! Anche volendo nella recitazione
sono una frana, non so mentire.-
-La capacità di mentire a volte rappresenta un ottimo motivo
per farlo.-
Mormorò pensieroso, con aria saggia e lo sguardo perso in
lontananza.
-Quindi…beh, mi sembra di aver capito che ti piace la
poesia.-
Dissi ancora, stranamente desiderosa di saperne di più sul
suo conto. Volevo anche assicurarmi di aver capito bene. Aveva davvero
detto le parole sonetti e meravigliosi?
-Sì, mi piace.-
-Quali autori? Ci deve pur essere qualcuno che ti piace
particolarmente.-
Scrollò le spalle come per dire che nemmeno lui sapeva bene
come rispondermi, poi però assunse un’espressione
pensierosa e rimase in silenzio per un paio di secondi.
-Mi piace un po’ tutta la poesia, quella che mi capita di
leggere, ma mi affascina quella romantica.-
Rispose.
-Insomma, tutto ciò che riguarda struggimento, mistero,
ombra e illusione?-
-Esattamente. Per quanto riguarda gli autori vediamo se
indovini…-
-Oh, no, non sono molto ferrata in questo genere. Non so se…-
-Prova! È un gioco che mi faceva mia madre da piccolo. Anche
a le piacciono i romantici.-
Lo guardai. Il suo viso era allegro, così diverso da quella
mattina. Non potei però non notare che le sue occhiaie non
erano meno marcate e dietro il velo di entusiasmo negli occhi, si
nascondeva qualcosa. Avevo come l’impressione che fosse lo
spettro di una profonda tristezza, ma non ne conoscevo il motivo. Lo
accontentai.
-Vediamo, citerò una frase di un autore tedesco, di uno
inglese, di uno francese e di uno italiano. Fammi vedere come te la
cavi.-
-Spara.-
Decretai, facendolo piacevolmente ridacchiare.
-“si avvicina il delirio e adesca/ via, nulla più
gli resiste./ il battito della vita si ferma,/ ogni senso
s’intorpidisce.”-
-Allegro.-
Commentai, quasi per guadagnare tempo. Che vergogna non mi veniva in
mente nessun autore. Cominciavamo bene!
-Non lo so…-
Mormorai, imbarazzata.
-Novalis. Non ti preoccupare se non li indovini, è solo un
gioco.-
Disse lui semplicemente. Novalis! Non lo avevo riconosciuto! Eppure lo
avevamo fatto alla fine dell’anno precedente. Che amarezza.
-Vai con il prossimo.-
Borbottai già lievemente innervosita. Non mi andava di non
saper rispondere a delle domande di poesia tanto semplici. Era un
oltraggio a quegli autori che tanto amavo!
-Prova con questo autore inglese: “in quali abissi o in quali
cieli/ accese il fuoco dei tuoi occhi?/ sopra quali ali osa
slanciarsi?/ e quale mano afferra il fuoco?”-
Socchiusi gli occhi per pensare. Avevo già sentito quei
versi e, curiosamente, mi veniva in mente una tigre
nell’udirli.
Immediatamente qualcosa nella mia testa scattò e io ricordai
il primo verso della poesia: Tigre! Tigre! Divampante
fulgore…
-È Blake! William Blake!-
Risposi con nessuna incertezza. Lui probabilmente seppe che non avevo
bisogno di conferma, perché si limitò a sorridere
e a continuare il suo gioco.
Trascorremmo così il resto della pausa pranzo. Indovinai
solo l’autore italiano, quando Robert mi recitò
solennemente un tratto del delirio di Ermengarda di Manzoni.
Per quanto riguardava l’autore francese, non avrei comunque
saputo dirgli niente perché non conoscevo poesie francesi.
Mi recitò comunque un passo di una poesia davvero triste di
un certo André Chénier.
Mi resi conto che dopotutto non ero poi tanto esperta di poesia come
pensavo.
Quando Eireen uscì dalla mensa ci incontrò nel
cortile immersi nelle chiacchiere. Mi sembrò di vederla
stupita della nostra vicinanza, ma nascose in fretta
l’incredulità e mi venne incontro con un sorriso.
Ci disse di essere felice di essersi liberata del ragazzo che
l’aveva intrattenuta, poi al suono della campana scomparve
per prender parte alle lezioni di chimica. Non ci avrebbe fatto
compagnia in Auditorium per dipingere, perché non amava
molto i lavori creativi.
La prospettiva di passare altre due ore assieme a Robert era
stranamente confortante, come se ormai sapessi che con lui potevo
sentirmi a mio agio.
Ora che ero a conoscenza della sua passione per la poesia sapevo che
potevo parlare con lui anche dei miei interessi. Non mi era capitato
mai con nessuno, a parte con Faith, con la quale però non ne
discutevo poi molto.
Entrammo a scuola a passo sostenuto, io felice di prender parte ai
lavori per la preparazione della recita e lui in silenzio, con la sua
solita espressione pensierosa negli occhi stanchi.
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Capitolo 5 *** 5. ***
5.
-Musica preferita?-
Chiesi mentre con gesti lenti spalmavo con il pennello morbido il
colore su una grande tela stesa in orizzontale su una cattedra adibita
a piedistallo. Lui non pensò nemmeno un secondo alla
domanda, rispose con certezza come se avesse le idee chiarissime o come
se avesse risposto centinaia di volte a quel tipo di domande.
-Mi piace quasi tutta tranne la tecno,
l’R’n’B e il Jazz.-
-Sono d’accordo con te per le prime due, ma confesso di non
saperne abbastanza sul Jazz per poterlo disprezzare. Elimino dalla mia
lista anche il Reggae e il rap.-
-Secondo me il Jazz è un po’ soporifero, ma il
Reggae non è tanto male.-
Mi strinsi nelle spalle.
-Come disse un tizio di cui non ricordo il nome: De gustibus non est disputandum.-
Sorrise muovendo il suo pennello tinto di verde scuro sulla tela, per
dipingere le ombre sulle fronde degli alberi.
Da un po’ continuavamo quella sorta di botta e risposta per
conoscerci meglio. Scoprii che era pigro, anche se non era ancora ai
miei livelli. Eireen era la sua unica sorella ed erano tanto diversi
caratterialmente, quasi quanto fisicamente erano simili.
Aveva avuto un cane durante le elementari, poi un gatto e al momento
non aveva altri animali in casa. Disse che comunque la loro assenza,
abituato com’era ad avere la loro compagnia, non era molto
piacevole.
Gli spiegai che, a causa della mia asma il mio apparato respiratorio
aveva diversi problemi. Il pelo di animale e i pollini primaverili,
erano probabilmente due miei acerrimi nemici.
Un vero peccato, considerando che tutto sommato gli animali mi
piacevano.
Al di là delle poesie romantiche, amava leggere un
po’ di tutto come me, anche se non andava matto per i romanzi
estremamente sdolcinati. Gli piacevano i romanzi di avventura, di
azione e thriller e aveva una specie di venerazione per Poe,
specialmente per i suoi racconti del terrore.
-Ti sembrerà blasfemo, ma non ho mai letto nessun racconto
del terrore di Poe.-
Confessai senza guardarlo in viso. Non ne avevo bisogno, sapevo che era
sconcertato.
-Cosa? Puoi dirlo forte, certo che sei blasfema!-
Scherzò lui. Io sorrisi lievemente.
-È tanto grave?-
-Non irreparabile, ti presto io una raccolta. Leggine un paio la sera,
da sola, altrimenti rovini tutto l’effetto.-
Aggrottai la fronte pensierosa. Sinceramente non credevo che quelle di
Poe fossero delle storie tanto spaventose da incutere inquietudine. Mi
limitai a ringraziarlo, senza fare commenti.
-E tu invece? Non mi hai detto che genere preferisci di poesia e cosa
leggi.-
Continuò. La sala dell’Auditorium non accoglieva
solo noi due, ma un gruppo di gente di circa una ventina di persone,
più gli addetti un po’ più adulti. Il
brusio generale copriva le nostre voci.
-Mi piace la poesia medievale, i trovatori e…non lo so. Mi
affascina.-
Con un sorriso enigmatico mi fissò. Era impossibile scoprire
cosa stesse pensando, a meno che non me l’avesse confessato.
Il suo sguardo e il suo viso erano impassibili.
-“Triste e felice me ne partirò/ se mai la vedo
l’amore lontano.”-
Recitò. Non ebbi bisogno di chiedergli di chi si trattasse,
perché già lo sapevo.
Jaufré Rudel. Solo non riuscivo a capire come un ragazzo
della sua età potesse conoscerla, e per di più a
memoria. La cosa mi affascinava e mi spaventava al tempo stesso.
-Non ci credo, la conosci! Questo ti fa guadagnare un sacco di punti!-
Esclamai cambiando pennello ed iniziando a colorare il cielo notturno
di un blu talmente scuro da sembrare quasi nero.
-Ehi, un momento, non si era parlato di punti!-
-Troppo tardi.-
Commentai sorridendo. Guardai con la coda dell’occhio
l’espressione di Robert e lo vidi, dopotutto, piuttosto
sereno. I ciuffi che gli cadevano sulla fronte gli incorniciavano gli
occhi concentrati sulla tela.
-Risulto troppo indiscreta…-
Tentai.
-…se ti chiedessi perché tu e la tua famiglia vi
siete trasferiti?-
Scosse la testa.
-Mio padre ha ricevuto un’offerta di lavoro che ha accettato.
Tutto qui. Un classico.-
Già, un classico davvero.
-È per questo che sei triste?-
Mi fissò, con la mano che stringeva il pennello
improvvisamente ferma a mezz’aria, a pochi centimetri dalla
superficie dipinta della tela.
-Io non sono triste. Sono solo pensieroso.-
Borbottò, quasi infastidito.
-D’accordo.-
Evitati di proseguire. Sembrava che l’argomento lo facesse
stare peggio, perciò non volli continuare con quel tipo di
domande. Pensai a come sviare la conversazione a qualcosa di
più piacevole, ma avevo esaurito le domande.
-Oltre a leggere cosa fai nel tuo tempo libero?-
Chiesi banalmente. Lui si strinse nelle spalle, ma non sorrise come
aveva fatto poco prima.
-Colleziono segnalibri.-
Lo disse senza la minima soddisfazione. Impassibile.
Espressi il mio entusiasmo per quel suo Hobby, ma dopo mantenemmo un
silenzio tombale per qualche minuto. Era qualcosa di imbarazzante e di
spiacevole, come se per colpa mia si fosse rovinata
un’atmosfera serena e tranquilla.
In effetti, era proprio così. Perché avevo voluto
intristirlo di più? Perché semplicemente non ero
capace di farmi i cavoli miei?
Gli ultimi dieci minuti della prima ora di lavoro furono quasi
insopportabili, durante i quali io e Robert ci limitammo a parlarci
quando dovevamo passarci un colore o un pennello.
Tentai un paio di volte di continuare la conversazione, ma le sue
risposte si limitarono a dei monosillabi poco interessati e il nostro
discorso finì lì.
Quando la campanella suonò tuffò il pennello in
un barattolo colmo d’acqua. Lo sciacquò con cura,
poi lo rimise al suo posto.
Si asciugò le mani bagnate sui jeans e mi guardò
seriamente.
-Non mi fermo per la seconda ora. Devo…devo andare.-
Disse.
-D’accordo. Ci vediamo.-
Mormorai, ma invece di rispondere con entusiasmo : Certo,
sì, ci becchiamo in giro!, si voltò, si
avvicinò alla professoressa per avvertirla della situazione
e uscì senza nemmeno salutarmi.
Con il cuore in gola e il morale sottoterra trascorsi il resto di
quell’ora a dipingere per conto mio il resto del fondale e
intanto a domandarmi che cosa avessi fatto di tanto male.
Avevo esagerato nel farmi i fatti suoi, certo. Avevo toccato un nervo
scoperto con la questione del trasloco, ma non lo avevo fatto per farlo
tornare triste.
Sconsolata pensai e ripensai a come chiedergli scusa, a come fargli
capire che farlo soffrire non era stata mia intenzione.
Aspettai la fine delle lezioni pomeridiane, poi mi incamminai verso
casa nell’ambiente che lentamente si stava convertendo ai
colori autunnali. Le foglie degli alberi stavano cominciando a tingersi
di giallo e a cadere.
Camminando lentamente su un marciapiede continuai ad emettere
inconsapevolmente frequenti sospiri di sconforto, fino a che non mi
trovai di fronte alla vetrina di una libreria.
Oltre alla biblioteca era uno dei miei posti preferiti e uno dei negozi
che frequentavo di più. Rimasi a fissare i libri esposti
alla ricerca di qualcosa di interessante, anche se percorrevo quella
strada tutti i giorni e sapevo ormai a memoria cosa c’era.
Era così per me. Avevo una dipendenza per le librerie,
potevo passarci delle ore senza stancarmi mai.
Fui sul punto di entrare, ma mi bloccai. Ne valeva la pena? Avevo
intenzione di comprare qualcosa? Avevo le idee precise su un libro che
volevo oppure volevo solo dare un’occhiata?
Non sapevo cosa fare. Rimasi in attesa per qualche istante, soppesando
ogni opzione, poi estrassi dalla tasca il mio cellulare e chiamai mia
madre, per avvertirla che avrei fatto un po’ tardi.
Non le dissi cosa mi avrebbe trattenuta e lei non me lo chiese.
Capiva molte cose al volo, mia madre. Era la forza
dell’abitudine o forse ormai mi conosceva troppo bene per
sapere che non ero per nulla immune al fascino delle librerie.
Quando entrai mi avvolse il profumo della carta stampata di recente e
delle colle utilizzate per la loro creazione.
Era tutto così magico per me, come se quei negozi fossero il
mio Paese delle Meraviglie e io un’Alice molto curiosa.
Vagai senza un vero e proprio obbiettivo, di scaffale in scaffale,
guardando titoli e copertine. Se qualcuno mi avesse detto che potevo
prendere gratuitamente quello che volevo non mi sarebbe bastato un
furgone per portare tutto a casa.
Non c’era nulla che mi interessava, o meglio, nulla
attirò la mia attenzione più del solito, tanto da
indurmi ad estrarre il portafoglio.
Fui molto tentata quando passai di fronte allo scaffale dei manuali,
dove alcuni libri avrebbero potuto insegnarmi a scrivere, parlare,
relazionarmi o a disegnare bene.
Sfogliai affascinata un libro sui cani, con una certa tristezza
perché sapevo che probabilmente non avrei mai potuto avere
un animale in casa. Maledetta asma!
Non presi nessun libro, alla fine, ma quando feci per avviarmi verso
l’uscita mi venne in mente una cosa.
Volsi lo sguardo al bancone, dove Judith stava scrivendo qualcosa al
computer, e guardai la superficie ricoperta da mucchietti diversi di
segnalibri.
Cambiai rotta e mi avvicinai alla donna. Avrà avuto
sì e no una settantina d’anni e sapeva riconoscere
chiunque fosse entrato in quella libreria almeno due volte.
Aveva una memoria incredibile, una mente fresca e un corpo arzillo. A
volte pensavo fosse persino più attiva di me. Non ci voleva
poi molto.
-Ciao Jacqueline, come te la passi, cara? Non prendi niente?-
Sorrisi, sia per Jacqueline che per cara. Mi chiamava sempre
così e non mi dispiaceva.
-Tutto a posto…volevo comprare un segnalibro.-
Mormorai guardandoli bene e tentando di pensarci con attenzione. Robert
aveva detto che li collezionava, perciò c’era il
rischio di regalargli qualcosa che già aveva.
-Sei indecisa?-
Annuii pensierosa. Scartai immediatamente l’idea di prendere
segnalibri con immagini di quadri famosi. Era più facile che
Robert avesse quelli, ma mi soffermai su due segnalibri che mi parvero
interessanti.
Il primo rappresentava la via lattea, un agglomerato luminoso di
stelle, il secondo accoglieva una notte buia, con conifere dai profili
scuri messe una accanto all’altra fino a formare una sorta di
“parete” di alberi.
Sopra il bosco splendeva, enigmatica e solitaria, la luna,
l’unica fonte di illuminazione di quel paesaggio.
Mi vennero in mente i gusti poetici di Robert. Come avevo detto io
amava tutto ciò che era struggimento,
mistero, ombra e illusione.
-Prendo questi.-
Decisi. Porsi i soldi a Judith, la salutai allegramente e mi diressi a
casa, con il cuore un po’ più leggero.
Speravo che gli piacessero e che non li avesse già, ma se
proprio non li avesse voluti accettare non sapevo cos’altro
fare per farmi perdonare.
Non credevo che la mia fosse stata una grande offesa, ma mi sentivo
comunque responsabile di averlo fatto sprofondare di nuovo nello
sconforto.
Robert Paige aveva un problema e io ero stata così egoista
da trattarlo con poco tatto.
Mi misi a letto pensando al giorno dopo.
Le lezioni non si prospettavano estremamente interessanti e il
pomeriggio non avremmo avuto il progetto teatro, ma comunque
c’era una certa aspettativa nel modo in cui mentalmente
progettai tutto.
Ero emozionata e spaventata allo stesso tempo.
Incerta e dubbiosa, ci misi un po’ ad addormentarmi, ma
quando ci riuscì, sognai Robert e i suoi occhi tristi.
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Capitolo 6 *** 6. ***
6.
All’inizio l’ansia che la sera prima era stata
lieve e aveva costituito solo un dubbio per me, si
moltiplicò fino a farmi sudare le mani, quando vidi Robert
entrare in classe assieme alla sorella.
Mi lanciò uno sguardo profondo e mi salutò,
diversamente da quello che avevo immaginato.
Posò la cartella nel banco dietro a quello mio e di Faith,
che sarebbe rimasta a casa anche quel giorno, poi si
avvicinò, probabilmente per parlarmi.
Mi mossi andandogli incontro, così da incontrarci a
metà strada. Lo guardai imbarazzata, senza sapere bene cosa
dire. Aprii la bocca per cominciare a rifilargli le mie scuse, ma lui
mi precedette.
-Perdonami per la seconda volta.-
Mormorò con un sospiro che mi fece sorridere come
un’idiota. Sorpresa o euforia? Non lo sapevo neppure io.
-Questa volta tocca a me scusarmi. Sono io la colpevole.-
-E di che? Non è colpa tua se sono un brontolone lunatico.-
Parlava di lui come molti giovani avrebbero definito un vecchio
antipatico. Scossi la testa, in parte dispiaciuta per quello che
provava e in parte felice perché non ce l’aveva
con me.
Nella tasca posteriore dei jeans tenevo i due segnalibri. Li presi e
glieli porsi.
-Li ho visti e li ho comprati perché pensavo potessero
interessarti. Spero solo che tu non li abbia già.-
Li guardò con un’espressione indecifrabile. Non
disse niente e io cominciai a temere che non gliene fregasse un
accidenti del mio regalo, ma inaspettatamente il suo volto si distese
in un ampio sorriso.
-Perché li hai presi?-
Chiese.
-Per scusarmi.-
-Non ce n’era bisogno…sono splendidi. Grazie.-
-Allora non ce li hai ancora?-
Scosse la testa, continuando a sorridere.
-Sono appena agli inizi come collezionista. Ne ho solo cento.-
Avrei voluto esclamare con sarcasmo solo cento?, ma oltre le sue spalle
vidi avvicinarsi Eireen. I suoi movimenti erano aggraziati come se ad
ogni passo levitasse. Era bellissima.
-Ciao Jackie!-
Esclamò con entusiasmo. Era davvero l’opposto del
fratello. Allegra, solare e sempre gentile. Era chiaro che non era lei
ad avere problemi di socializzazione tra i due.
La salutai con un cenno del capo e un sorriso.
-che succede di interessante?-
Chiese, poi vide i segnalibri.
-Oh, wow! Te li ha regalati lei?-
Il fratello annuì.
-Sono davvero molto belli. E cos’ha fatto mio fratello di
tanto meritevole da guadagnarsi questo regalo?-
Mi strinsi nelle spalle e la mia timidezza mi costrinse ad arrossire.
Comandava lei, punto e basta.
-Cos’ho fatto io semmai.-
Mormorai.
-L’ho fatto arrabbiare.-
-Non è vero, non mi sono arrabbiato.-
Intervenne Robert, prontamente.
-Mio fratello si arrabbia sempre per ogni scemenza. È fatto
così.-
Spiegò Eireen. Vidi il ragazzo lievemente a disagio, ma non
tornò di cattivo umore. Mi fece piacere sapere che i
segnalibri lo avevano calmato.
Pochi minuti dopo mi porse la raccolta di storie del terrore di Poe,
come mi aveva promesso. Non pensavo se ne fosse ricordato.
Quando quella sera fui a casa lo lessi con scetticismo, da sola, nella
mia stanza. Le pagine del libro erano illuminate solo dalla luce gialla
della lampada sul mio comodino.
Al di là di ogni mia aspettativa, non dormii bene. Il
racconto del gatto nero mi aveva inquietato l’animo, anche se
avevo pensato che non sarebbe mai successo.
Anche se non lo avevo mai realmente preso in considerazione e letto,
alla fine Poe cominciò a catturare incredibilmente la mia
attenzione. Era stupefacente come uno scrittore potesse creare emozioni
così palpabili solo con carta e penna.
Era come se il suo inchiostro fosse stato fatto di inquietudine, di
apprensione e di ansia.
Ecco perché si chiamavano storie del terrore e probabilmente
non avrei dovuto dubitare della loro efficacia.
A pranzo presi l’abitudine di mangiare sempre con loro, dato
che Faith mangiava quasi ogni giorno con i suoi amici.
Mi aveva chiesto ancora se mi andava di unirmi a loro, ma non mi
piacevano un granché. Non che avessero ancora fatto nulla di
sbagliato, ma riconoscevo a pelle le persone con cui probabilmente non
sarei andata d’accordo.
Perciò passavo la pausa mensa assieme ai fratelli Paige, li
guardavo come al solito mangiare pochissimo e assieme a loro il
più delle volte contrastavo le prese in giro del gruppo di
bulli appostati fuori dalla mensa.
Cominciammo a frequentarci di più tutti e tre, ma tra i due
quello con cui andavo più d’accordo era
sicuramente Robert, non perché Eireen non mi piacesse, solo
che avevamo meno cose in comune.
Passò un mese senza che me accorgessi nemmeno. Era piacevole
la loro compagnia.
Durante il progetto teatro io e Robert continuavamo a dipingere
fondali, come se nella vita ci bastasse quello per poter essere sereni.
Era divertente ed ogni volta non facevamo altro che colorare paesaggi e
chiacchierare, come se sulla faccia della terra fossimo stati le ultime
due persone rimaste e conoscere tutto di noi fosse importantissimo.
Confessai a Robert la mia passione per le fragole e lui mi disse che
quando dormiva borbottava nel sonno.
Erano cose stupide da raccontarsi, ma fu così che imparammo
a conoscerci bene.
I suoi sbalzi di umore non cessarono mai, ma almeno sapevo come
prenderlo e come riuscire a tirarlo su di morale. Lo portai persino a
fare un giretto in città, per mostrargli la mia libreria di
fiducia.
Senza che nemmeno me ne rendessi conto, la sua presenza nella mia vita
divenne qualcosa di perfettamente normale, come se lui ed Eireen ci
fossero sempre stati, e la sua compagnia divenne qualcosa di
fondamentale per il mio umore.
Io che ero tanto schiva e timida e che a stento riuscivo a considerare
amici i miei compagni di corso da circa quattro anni, in poco tempo
pensai a loro due come tali.
Non avrei mai immaginato che quello sarebbe stato il minimo. Il bello
doveva ancora arrivare.
+++
Il repentino cambiamento del mio rapporto con Robert avvenne in
Auditorium. Probabilmente non accadde tutto in una volta, ma in
quell’istante me ne resi davvero conto. Stavamo terminando
l’ultimo pannello in legno, che sarebbe stato un fondale,
ovviamente, quando capii cose a cui non avevo nemmeno pensato.
-Ne avrà una trentina, è una mania!-
Stava dicendo Robert, armeggiando con il pennello. Parlava di sua madre
e dei suoi foulard.
-Di mia madre non so proprio cosa dirti. Le piace l’arte
moderna.-
Borbottai. Lui mi fissò e ridacchiò.
-Ed è una brutta cosa?-
Mi grattai il naso.
-No, ma dipende dai quadri. L’arte moderna per me non ha
molto senso, ma mi basta che i colori siano ben disposti
perché mi piacciano. Non mi va se appende in salotto un
quadro fatto di lattine usate.-
-Come mi hai detto tu una volta: de gustibus non est disputandum.-
-Chi ti ha dato il permesso di utilizzare le mie stesse frasi contro di
me!-
Ribattei falsamente indignata, pensando in realtà quando
fosse carino quando sorrideva.
-Devo però ammettere che sono d’accordo con te per
quanto riguarda i colori. Non si può certo vedere arte in
qualsiasi forma!-
Disse, poi mi guardò attentamente il viso. Un formicolio
caldo mi percorse la spina dorsale e scese fino allo stomaco, in
profondità. Era la voragine del suo sguardo a farmi sentire
tanto vulnerabile. Di certo era così.
Quando lo vidi trattenere a stento una smorfia di divertimento capii
che non stava proprio guardando me, bensì una mia guancia.
Me la sfiorai preoccupata.
-Che c’è?-
Lui scosse la testa, finalmente ridendo di gusto e la sua risata mi
fece rabbrividire. Era carezzevole e palpabile come la seta
più morbida.
-Aspetta qui un secondo.-
Mi ordinò, allontanandosi subito dopo. Io feci come mi aveva
detto, fino a che non lo vidi tornare con un fazzoletto di carta
inumidito con l’acqua.
-Sta’ ferma, ti sei sporcata un po’ di verde la
guancia quando ti sei grattata il naso.-
Disse, ancora ridacchiando. Quando mi afferrò il mento per
tenermi il viso fermo, un calore intenso mi fece ardere le guance. Fu
qualcosa che avevo provato ancora, quando mi ero trovata a disagio a
causa della mia timidezza, ma non era esattamente la stessa cosa.
Non mi sentivo a disagio, bensì estremamente bene, come se
quel suo tocco fresco potesse proteggermi da qualsiasi cosa. Stupido,
vero?
Con l’altra mano avvicinò il fazzoletto alla mia
guancia e mi pulì via il colore dalla pelle.
Quello che mi affascinò di più fu il suo sguardo
estremamente attento ad ogni suoi gesto, mentre mi sfiorava come se
fossi fatta di vetro e quindi come se fossi stata estremamente fragile.
Quando ebbe finito allontanò da me il fazzoletto, ma non la
mano che mi stringeva il mento. I suoi occhi si spostarono fino ad
incontrare i miei e il mio cuore prese a battere più
velocemente.
Fu allora che, per l’ennesima volta, il suo sguardo si
spense. Si intristì.
Si scostò da me, lasciandomi con il respiro affannoso per
l’emozione, come se avessi appena corso. Se fossi stata un
po’ più turbata avrei avuto bisogno
dell’inalatore.
Non volevo che se ne andasse, volevo che continuasse a sfiorarmi e a
trattarmi come un secondo prima, come se fossi stata preziosa ed
importante.
Chinò il capo come se fosse scoraggiato, ma gli posai una
mano sulla guancia fresca per impedirgli di girarsi. Lo costrinsi a
guardarmi.
-Perché sei triste? Dimmelo, ti prego…-
Lo supplicai in un sussurro. Non c’era pericolo che qualcuno
notasse quello che ci stava succedendo. Il brusio era troppo forte e
tutti erano troppo occupati a fare altro.
Robert aveva forse attirato tanto l’attenzione i primi
giorni, ma ormai la sua presenza era parte dell’arredamento.
Scosse la testa, sempre con il palmo della mia mano posato
delicatamente sul viso.
-Tu non puoi capire.-
Decretò con una punta di durezza nella voce e nello sguardo.
-Aiutami a capire.-
Rimase zitto per più di una ventina di minuti, durante i
quali il suo sguardo si fece sempre più triste e la mia
pelle a contatto con la sua, quasi bruciante.
-Già qualcuno mi ha guardato così, tempo fa, e mi
ha fatto solo soffrire.-
Disse poi, con un sospiro tremante.
-Io non ti farei mai soffrire.-
Replicai, senza nemmeno rifletterci sopra. Fu come se la mia voce fosse
uscita dalle labbra autonomamente e come se non avessi il minimo
controllo sulla mia mente.
Volevo solo sapere chi lo aveva fatto star male e dare un volto al suo
dolore, per poterlo visualizzare e odiare.
-Probabilmente lo faresti senza volerlo.-
Allontanò il volto dal mio tocco, non con aria disgustata o
infastidita, bensì troppo sconfortato per lasciarsi
accarezzare da me.
Mi rivolse un sorriso amaro.
-Prima che tu possa dire qualcosa e chiedermi scusa o prima che possa
farlo io, voglio chiarire che non sono arrabbiato con te. Spero solo
che non lo sia tu.-
-Non sono arrabbiata. Solo dispiaciuta.-
-Ne vale la pena?-
Per lui era solo una domanda retorica, la cui risposta doveva essere
no. Anche per me era una domanda retorica, la cui risposta era
sì. Questione di punti di vista.
-Quando mi hai aiutato con Seth e il suo gruppo anche io ti ho detto
che non valeva la pena di farlo, ma tu hai dissentito. Beh,
ora sono io che non sono d’accordo. Credo davvero valga la
pena di essere dispiaciuta per te, se tu stai male.-
-Non sto male.-
-Queste sono solo cazzate!-
Il tono della mia voce e il turpiloquio lo fecero trasalire. Era
confortante sapere che anche io potevo risultare minacciosa.
-Io lo so che c’è qualcosa che ti turba e questo
turba anche me…perché è questo che
significa essere amici. Significa condividere le emozioni e darsi una
mano a vicenda.-
Non rispose, ma notai che il suo respiro si era fatto più
irregolare, come se stesse per scoppiare il lacrime. Non pianse, ma
secondo me ci andò molto vicino.
Quella sera, nel mio letto riflettei su quello che era successo quel
pomeriggio.
Sentivo ancora sul mio viso la morbidezza delle mani di Robert. Il suo
tocco mi aveva sconvolto tanto non perché lo avessi ritenuto
fastidioso, ma perché non avevo voluto che quel contatto
cessasse.
Non mi era mai successo prima, di provare delle emozioni del genere, ma
sapevo per sentito dire che quello sfarfallio nello stomaco, quel
calore intenso e quell’euforia erano sintomi ben precisi.
Molti poeti e scrittori avevano riempito pagine di riflessioni su quel
sentimento.
Per Jaufré Rudel era lontano, per Dante era platonico e
perfino spirituale, per Jacopo Ortis di Foscolo e per Werther di Goethe
era intenso e struggente.
E per me cos’era l’amore veramente?
Non lo sapevo, perché lo stavo sperimentando per la prima
volta sulla mia pelle.
Una cosa era certa. Se a vedere Robert ridotto così non
desideravo altro che cancellare la sua tristezza con un bacio, se avrei
fatto qualsiasi cosa per farlo star meglio…non poteva essere
altro che amore.
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Capitolo 7 *** 7. ***
Ecco il nuovo
capitolo. volevo ringraziare in particolar modo roxell18 per le
recensioni :D grazie grazie grazie mille. e poi coloro che mi hanno
messo tra le storie preferite, chi mi ha messo tra i seguiti e
ovviamente chi mi segue. ciao!
7.
Ne ebbi la prova il mattino dopo, grazie alla stretta allo stomaco che
provai non appena lo vidi entrare in classe. La campana era appena
suonata e il professore fece il suo ingresso due secondi dopo,
perciò non potei parlargli.
Attesi con impazienza la ricreazione, ma sia lui che Eireen scapparono
via come se fuggissero dal diavolo in persona.
Pensai subito che forse avevano qualcosa da fare e ignorai per tutto il
giorno il loro comportamento, ma anche i giorni seguenti fecero lo
stesso.
Mi fu allora chiaro che mi stavano evitando.
Il senso di colpa fu frustrante, ma venne presto sostituito
dall’irrequietezza e dal nervosismo. Anche Faith non seppe
bene come comportarsi con il mio umore suscettibile.
Dopo un po’ di ore che cercavo di parlare con Robert, lasciai
perdere. Se non voleva rivolgermi la parola peggio per lui.
Non era un comportamento da persone mature, ma in fondo chi ero io per
poter giudicare?
Il mio umore, già nero di per se, precipitò sotto
la suola delle scarpe quando durante la pausa pranzo entrai a scuola
diretta alla classe e mi fermai dietro all’angolo di un
corridoio.
Oltre l’angolo avevo chiaramente sentito le voci dei fratelli
Paige. Erano inconfondibilmente melodiose e cadenzate, ma erano
entrambe esagitate come se stessero prendendo parte ad
un’importante, quanto spiacevole conversazione.
Posai la schiena contro la parete e tesi l’orecchio, ben
consapevole che origliare non era giusto, ma sinceramente incurante di
peccare di curiosità.
-Non puoi fingere che non stia succedendo niente, Rob.-
Disse la voce di Eireen.
-Stai scappando come un coniglio. Non dimostri tanta dignità
comportandoti così.-
Il tono di Robert lasciava trasparire un’intensa frustrazione.
-Ho perso la dignità molto tempo fa. Non voglio che si
ripeta ciò che è già successo.-
-Allora diglielo! Dille che non la puoi frequentare, ma almeno prendi
una decisione! Non puoi evitarla all’infinito, frequenti la
maggior parte dei suoi corsi!-
Parlavano di me. Era chiaro come il sole.
-Cosa dovrei fare secondo te? Cosa le posso dire?-
-Sono solo parole!-
-Sono molto di più! È del mio cuore che si
parla…e del suo. Non posso presentarmi da lei e dirle senti,
mi sono innamorato di te, ma comunque vada non voglio frequentarti
perché sono un…-
-Shh!-
-Cosa c’è?-
Troppo tardi mi resi conto di aver emesso un gemito di sorpresa. Aveva
detto che era innamorato di me. Ma…non voleva frequentarmi.
Purtroppo quella sorta di esclamazione mi costò il
nascondiglio.
A stento vidi il volto di Robert emergere da dietro l’angolo
della parete, perché già stavo correndo fuori
dalla scuola, per evitare di parlargli.
Il mio cuore batteva all’impazzata mentre i corpi degli altri
studenti mi sfilavano di fianco. Avrei potuto investire qualcuno e
fargli male sul serio, tanto veloce andavo, ma non successe e io mi
trovai all’aria aperta.
Non mi limitai ad appoggiarmi ad un muro, corsi finché non
raggiunsi il grande albero in mezzo al giardinetto e la sua maestosa
ombra.
Lì appoggiai le mani contro il suo tronco e crollai in
ginocchio, ansimando.
-Jackie!-
La voce di Robert era sempre più vicina. Mi avrebbe
raggiunto in fretta e anche se non avevo voglia di pensarci, avrei
dovuto trovare le parole adatte per parlargli.
Il mio respiro aveva uno strano rumore. Avevo corso troppo, non
riuscivo più a prendere aria.
Mi tremavano le mani, tanto forti da farmi cadere
l’inalatore, quando lo estrassi dalla tasca.
Lo raccolsi dall’erba ben curata e inspirai due volte. Ancora
sembrava che non bastasse.
-Jackie…-
Una mano mi si posò sulla spalla e mi fece voltare. Era
Robert. Mi allontanai da lui quando bastava per appoggiare la schiena
contro all’albero e abbracciarmi le ginocchia.
-Stai bene?-
Lo guardai, consapevole di avere gli occhi sgranati.
-Cos’hai sentito?-
Ci misi un paio di secondi a capire che si stava riferendo alla
conversazione di un attimo prima.
-Solo che non mi vuoi frequentare. Che cos’ho che non va?-
Sorrise amaramente.
-Tu non hai niente che non va…sono io il problema. Hai
sentito altro?-
-Che sei innamorato di me…-
Nel dirlo arrossii più del dovuto. Dannazione!
-Nient’altro?-
Scossi la testa. Per quanto mi riguardava, mi bastava, ma la sua
espressione mostrò sollievo, come se mi tenesse nascosto
chissà quale enorme segreto di stato.
-Dicevi sul serio, quando ad Eireen hai detto che sei innamorato di me?-
Chiesi, con una voce tanto sottile da sembrare quella di un pulcino.
Avevo bisogno di essere rassicurata, di non essere la sola a provare
quei sentimenti. Forse perché in quelle cose non ci sapevo
fare o perché le mie stesse emozioni mi spaventavano troppo.
-Sì, dicevo sul serio.-
-E perché non mi vuoi?-
-Non è che…-
-Perché!?-
Avevo alzato la voce con impazienza. Non poteva semplicemente
rispondermi e porre fine a quel supplizio? E poteva evitare di
guardarmi fisso negli occhi? Mi stava facendo sprofondare in quei pozzi
scuri e cupi e avevo paura di non poterne più uscire.
-Perché io…sono qualcosa che tu non puoi
accettare.-
Spiegò semplicemente. Si alzò in piedi, poi mi
porse una mano per aiutare anche me.
Non seppi cosa fare. Ero arrabbiata con lui perché era da un
po’ che ci conoscevamo e ancora non si era deciso a dirmi che
cazzo stava succedendo, ma allo stesso tempo avrei voluto prendergli la
mano e non lasciarla più.
Lasciai che mi aiutasse e mi tirai su.
-Voglio una spiegazione migliore.-
Decretai.
-Me la devi. Non mi importa se non vuoi. Aiutami solo a capire.-
Guardai il suo volto pensieroso e concentrato. Bellissimo.
Sospirò, come se volesse trovare le parole migliori per
rifiutare e mandarmi a quel paese, poi però
annuì, con rassegnazione.
-D’accordo. Vuoi una spiegazione? Vuoi farmi soffrire di
nuovo? Vuoi che ti dica tutto per spaventarti e farmi odiare da te? Mi
va benissimo.-
La sua voce era dura. Sembrava che ce l’avesse più
con se stesso che con me.
Non sapevo nemmeno di che stava parlando, come potevo intervenire?
-Alla fine di tutte le lezioni aspettami proprio qui. Andiamo a fare
una passeggiata e allora ti darò qualche indizio.-
Detto questo mi fece un cenno con la testa, si voltò e se ne
andò, camminando velocemente verso la sua classe.
Mi lasciò lì come un’idiota, con le mie
riflessioni.
+++
Perlomeno non mi aveva mentito.
L’attesa fu snervante, ma quando la campanella che decretava
la fine di ogni lezioni suonò, come una furia corsi fuori
per assistere alla spiegazione di Robert.
Si era comportato in modo strano e le sue parole mi vorticavano nella
mente da un po’, in attesa di essere chiarite.
Sono qualcosa che tu non puoi accettare.
Poteva significare qualsiasi cosa, dannazione!
Quando uscii dalla porta, lo vidi e il mio cuore sembrò
avere un tremito. La sua sagoma pallida si stagliava sotto quella scura
e ombrosa dell’albero. Era in piedi, con gli occhi fissi alla
porta della scuola. Odiavo ammetterlo, ma il suo sguardo aveva qualcosa
di minaccioso e spaventoso, come se volesse farmi del male.
Per un attimo solo mi chiesi se mi conveniva seguirlo. Lo conoscevo da
un mese, ma in quell’epoca, una ragazza sempre e comunque
doveva essere prudente.
Allontanai quei pensieri e, senza troppe altre riflessioni, lo
raggiunsi a passo sostenuto.
-Eccomi.-
Mormorai non appena fui a mezzo metro da lui. Non volevo avvicinarmi di
più, non per paura di lui, ma per timore che la mia
vicinanza potesse infastidirlo.
-Ora mi devi qualche spiegazione.-
-Io non ti devo niente.-
Il tono era duro e sofferente. La fronte era aggrottata e il viso era
contratto in una smorfia di dolore. Non potei però impedirmi
di pensare che fosse davvero stupendo.
Abbassai lo sguardo, intristita. Non era l’unico a stare male
per quella situazione.
Ciò che mi infastidiva di più era che lui mi
piaceva e se non aveva mentito anche io piacevo a lui. Per un motivo
che non comprendevo e che mi gettava nello sconforto, non potevamo
stare assieme. Non capivo proprio il perché.
-Ti prego Robert, ti supplico dimmi cosa c’è che
non va. Dimmi qual è il problema, me l’hai
promesso!-
Guardandolo in visi ebbi la dimostrazione della sua tensione quando
strinse i denti fino a contrarre le mascelle.
-Vieni con me.-
Cominciò a camminare in fretta e io, come un cagnolino
fedele, lo seguii a ruota. Faticavo quasi a stargli dietro e a tenere
il passo senza sembrare estremamente goffa, ma nessuno mi aveva detto
che dovevo apparire elegante. Non era una necessità in quel
momento.
Lo rincorsi per una decina di minuti, senza fare domande, senza
lamentarmi, anche se avrei tanto voluto farlo, mentre attraversavamo un
buon pezzo di città. L’attività
cittadina era come al solito, a momenti frenetica e in altri istanti
quasi inesistente.
Il clima e il tempo non erano cambiati da quella mattina. Il cielo era
coperto di nubi e soffiava un’arietta fresca che sembrava
infilarsi tra i vestiti appositamente per infastidire.
Eravamo in una piccola città, ma i luoghi verdi non
mancavano. Ce n’era uno che non era il massimo della bellezza
estetica, ma aveva il pregio di non essere per niente affollato.
In realtà non ci andava quasi nessuno perché si
diceva che molti ragazzi andavano lì per drogarsi. Si
dicevano un mucchio di cose, ma non era certo che fossero vere.
Io non ci andavo mai perché nonostante le voci non mi
impressionassero molto, era sempre meglio essere prudenti.
Comunque, Robert mi portò lì e
dimostrò di conoscere il posto molto bene. Quando gli chiesi
perché si muoveva con tanta familiarità, mi
spiegò che c’era stato due o tre volte
nell’ultimo mese, a leggere.
Come volevasi dimostrare, il parco era deserto. Era una sorta di
collina che dava su una parte di città. Aveva una terrazza
panoramica in legno, infissa nel terreno, che rimbombava un sacco non
appena qualcuno ci camminava sopra.
Ci fermammo dopo aver raggiunto un agglomerato di alberi frondosi,
già pronti a tingersi dei caldi colori
dell’autunno.
Con un gesto e qualche brusca parola, mi ordinò di sedermi e
di ascoltarlo, poi prese a camminare qua e la di fronte a me, in uno
stato di evidente tensione. Era snervante, ma non glielo feci notare.
Avevo bisogno che si calmasse per poter avere da lui più
risposte possibile.
-Che cosa sai di me?-
Mi chiese ad un certo punto, senza però accennare a fermarsi.
-Ti sei trasferito perché tuo padre ha accettato una buona
offerta di lavoro, ma non ne sei per nulla felice. Hai una sorella
gemella, che a dispetto delle apparenze è incredibilmente
diversa da te e…-
-No, no, no! Che cosa sai realmente di me?-
Lo guardai senza capire. Che significava per lui realmente? Quella
domanda doveva farmi presumere che mi avesse mentito? Scossi la testa.
Non ci volevo nemmeno pensare.
-So che sei triste e pensieroso, ma non mi vuoi dire il
perché. So che il tuo animo è buono…-
-Come lo sai? Come sai che non ti ho mentito su tutto?-
-Se mi hai mentito su tutto, significa che hai qualcosa da nascondere,
ma in tal caso non sarebbe certo colpa mia! Voglio solo aiutarti!-
Annuì come se stesse rispondendo a delle domande che si
svolgevano solo nella sua testa. Lo sapevo, era combattuto tra il dirmi
tutto e il lasciar perdere. Sperai che scegliesse la prima opzione,
perché io avevo bisogno di sentirmi dire la
verità.
-Non mi è mai importato molto degli affari degli
altri…-
Mormorai tristemente.
-Ma di te mi importa.-
-Non capisco perché. Non dovresti. Sono un tipo poco
raccomandabile, sai?-
Fece un triste sorriso. Tirai ad indovinare.
-È qualcosa che riguarda il tuo passato? Sei stato per
caso…che so…in un carcere minorile?-
Scosse la testa.
-No…il punto è che non sono come gli altri, sono
diverso.-
Sorrisi, un po’ rincuorata, ma ancora poco tranquilla.
-È per questo che mi sono innamorata di te.-
Si inginocchiò di fronte a me e si sedette sui talloni. Mi
scrutò come se volesse divorarmi l’anima, poi
emise un profondo sospiro di rassegnazione.
-C’è qualcosa che mi rende diverso dagli altri, al
di là del mio carattere. Non ti voglio coinvolgere, ma temo
che sia tardi per rifiutarmi. Tu comunque non me lo permetteresti,
vero?-
Chiese. Io scossi la testa con determinazione.
-Ti prometto che ti tormenterò fino alla fine dei tuoi
giorni-
Suo malgrado fece una risatina, ma senza molta allegria.
-Rifletti bene. Io ed Eireen abbiamo lo stesso problema, secondo te
cosa ci rende diversi?-
Deglutii pensandoci seriamente. Eireen mi era sembrata una ragazza a
posto, solare, allegra. Per quello che avevo visto, non avevo notato
nulla di strano.
Poi mi venne in mente cos’era. Era anche quello che mi
affascinava moltissimo in tutti e due, ovvero la pelle quasi
innaturalmente pallida, le occhiaie che marcavano gli occhi profondi.
Entrambi mangiavano e bevevano pochissimo e sempre con poco entusiasmo.
Per non parlare del sole, che a Robert dava estremamente fastidio, a
diretto contatto con gli occhi.
Elencare nella mia mente tutta quella serie di caratteristiche mi
espose a nuove riflessioni e a qualcosa a cui non avevo pensato.
-Siete malati?-
La voce mi uscì tremante, in un sussurro. Senza nemmeno
rendermene conto stavo pregando che non fosse così.
-Cosa te lo fa pensare?-
Chiese Robert incuriosito, senza però abbandonare nemmeno
per un attimo la sua espressione seria.
Gli spiegai cosa avevo notato di loro e cosa mi aveva indotto ad
arrivare a quella risposta e quando lui annuì, sentii il
cuore infrangersi come se qualcuno lo avesse colpito con una mazzata,
mandandolo in frantumi.
-Sì…siamo malati.-
-E…quanto è grave?-
Già sentivo gli occhi bruciare per delle lacrime che non
volevo versare, ma che sapevo che probabilmente sarebbero uscite
autonomamente. La mia gola era stretta in una morsa che induceva al
pianto.
Robert si strinse nelle spalle e fece un sorrisino amaro.
-È incurabile.-
Scossi la testa come se non volessi nemmeno crederci. Spinsi di
più la schiena contro il tronco dell’albero, fino
a sentirne la ruvidezza. Non era possibile. Non poteva essere vero.
Volevo gettarmi tra le sue braccia, ma avevo anche paura di sentirlo
fragile, come se fosse fatto di vetro.
-Ma perché mi eviti? Che c’entra?-
-Non voglio coinvolgerti con questo mio…problema.-
Inspirai a fondo.
-Di che si tratta?-
Trovai la forza di chiedere. Già pensavo ad ogni ipotesi. Un
tumore e altre cose simili.
Lui sospirò.
-Ecco, molti non la definirebbero proprio una
malattia…è più che altro un
virus…un contagio…è difficile da
descrivere e comunque, non mi crederesti.-
-Mi prendi in giro? Mi stai dicendo che sei malato! Ti credo!-
Esclamai nervosa. Mi tremavano le mani e la voce, e visto come mi
sentivo, probabilmente mi stava tremando anche il cuore.
-No, non mi crederesti.-
Mi chinai in avanti fino a trovarmi a pochi centimetri da lui. Lo
afferrai per la maglia e lo scossi.
-Smettila!-
Fece una pausa, durante la quale mi guardò fisso, poi
continuò.
-È una malattia che ha colpito tutta la mia famiglia.
Questa…condizione ci ha modificato il dna e
l’organismo, costringendoci a smettere di mangiare le stesse
cose di cui si cibano gli altri esseri umani.-
Spiegò. Non mi piacque per niente il tono con cui
pronunciò la parola umani. Era come se non facesse parte
della stessa categoria. Come se fosse una specie diversa dalla
sua…ma non poteva essere così. Era impossibile.
-A questo punto non mi importa se non crederai ad una sola parola di
quello che ti dirò. Lo sapevo fin dall’inizio che
non potevo metterti gli occhi addosso…mi sta solo bene.-
Fece un sorriso amaro, poi continuò.
-Questa malattia è molto antica e ancora non
c’è una cura. Dubito che ci sarà mai.
Esiste in tutto il mondo, da un sacco di tempo, ma è
piuttosto rara.-
Lo guardavo come si guarda un nonno che racconta una storia, ovvero con
interesse e aspettativa. Avevo paura però che degenerasse e
lui cominciasse ad entrare nei particolari. Non volevo che mi spiegasse
che cosa causava la malattia e quali organi attaccava. Temevo che non
sarei più stata capace di trattenere le lacrime ed ero
sicura che una volta scoppiata a piangere, non avrei smesso tanto in
fretta.
-Questo contagio è così antico che la tradizione
ci ha ricamato su un sacco di sciocchezze. È talmente famosa
e paradossale, la mia situazione, che quando ti dirò di che
si tratta, sgranerai gli occhi e non vorrai credermi.-
-Dimmelo e basta, Robert!-
Lo spronai con enfasi. Non ne potevo più dei suoi giri di
parole. Erano snervanti.
-Ci chiamano in molti modi, ma solo alcuni sono esatti.-
Iniziò.
-Il contagio impone a me e alla mia famiglia di essere ematofagi. Ma
tutti conoscono la mia malattia con il nome…con il nome di
vampirismo.-
Fece un profondo respiro, mentre il mio si faceva più
irregolare.
-Sono un vampiro, Jackie.-
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Capitolo 8 *** 8. ***
Salve a tutti! ecco l'ottavo capitolo. Ci sarà una piccola
svolta, spero non vi deluda. Intanto ringrazio coloro che mi hanno
recensito Roxell18 e Love_Vampire_Yuki. Grazie mille! Ben una
recensione in più! Un discreto passo avanti :)
ciao!
8.
Fu come se qualcuno avesse di colpo resettato il computer nella mia
mente e i file fossero andati perduti per sempre. Il mio cervello era
in tilt.
Mi resi conto che avevo socchiuso la bocca in un’espressione
esterrefatta e che stavo fissando Robert come ipnotizzata.
-No…-
Mormorai, scuotendo la testa convulsamente, non appena mi fui ripresa.
Beh, ripresa
era una parola grossa.
-No, mi stai prendendo in giro.-
-Te l’avevo detto che non mi avresti creduto.-
Disse Robert con un tono di voce duro e un’espressione
altrettanto accusatoria. Sembrava che il mondo gli fosse crollato
addosso, ma che dopotutto se lo fosse anche aspettato.
-Me ne vado.-
Dichiarò. Fece per tirarsi in piedi, ma ancora gli stavo
stringendo la maglietta, perciò glielo impedì con
uno strattone poco gentile.
-Aspetta! Ti prego…-
Volevo guadagnare tempo. Non volevo che se ne andasse.
D’altra parte non sapevo nemmeno cosa dirgli, non sapevo cosa
rispondere, dopo la sua affermazione.
Dirgli che non potevo credere alle sue parole lo avrebbe solo fatto
soffrire di più e io non volevo che stesse male a causa mia.
Però…come si faceva a credere a qualcuno che
sosteneva di essere un vampiro?
I vampiri non esistevano, erano una sorta di spauracchio per bimbi,
come l’uomo nero, le streghe, l’orco cattivo e i
lupi mannari. E poi, Robert non era cattivo, mentre i vampiri lo erano,
giusto??
E comunque stavo riflettendo su una situazione assurda.
Tentai di smentire tutto con gentilezza, riflettendoci bene e senza
guardarlo dall’alto in basso. Forse non volevo farlo
perché non sapevo bene nemmeno io se crederci o no. Mi aveva
messo la pulce nell’orecchio e io necessitavo di qualche
spiegazione in più.
-Non puoi essere un vampiro.-
Decretai.
-I vampiri muoiono se esposti alla luce del sole. Bruciano, diventano
polvere.-
Scosse la testa.
-Le leggende esagerano in tutto, dovresti saperlo. E poi non eri tu che
non ti lasciavi convincere dalle storie per sentito dire? in ogni caso
lo hai visto anche tu…la mia pelle e i miei occhi sono
delicati. La luce diretta del sole mi da fastidio, ma posso
sopportarla. Non mi uccide.-
Era la conversazione più strana alla quale avessi mai preso
parte. Le sue parole dopotutto avevano un fondo di verità,
ma non mi bastavano.
-Dovresti vivere di notte e dormire di giorno, in qualche bara o in una
cripta. Dovresti essere un mostro orribile, con i canini lunghi!-
-Altre informazioni sbagliate. I veri vampiri non dormono di giorno. Io
dormo di notte come tutti, ma nel mio letto, in camera mia e non ho i
canini lunghi. Almeno per ora.-
Lo guardai con gli occhi sgranati.
-Quando allora?-
Chiesi in un soffio.
-Quando mi nutro mi si allungano.-
No, era un’immagine troppo insolita per poter essere persino
sognata. Non diceva sul serio, di certo mi stava prendendo in giro!
Se il suo volto non fosse stato tanto grave, non avrei avuto nessun
dubbio sulla falsità delle sue affermazioni. Così
invece, era tutto più difficile.
-Ma per quanto riguarda l’orribile…io sono davvero
un mostro.-
Continuò. Io scossi la testa con decisione.
-Non è vero. Il tuo volto è bello, i tuoi occhi
sono profondi. Non hai nulla di raccapricciante.-
-Ma sono un mostro comunque. Potrei uccidere con facilità.-
Lo guardai in cerca di conforto. Volevo che smentisse, che ritirasse
ciò che aveva appena detto.
-Lo faresti?-
Chiesi. Quando lui scosse la testa, mi sentii rincuorata. Non avevo
davvero sospettato che potesse essere malvagio, ma dopotutto non avevo
nemmeno immaginato che fosse un…vampiro.
Quella parola mi metteva i brividi, non per il suo vero significato, ma
piuttosto perché l’avevo sempre associata ad un
mostro succhiasangue, non alla figura stanca e pacata di Robert.
-Tu non sei un mostro. Mi rifiuto di crederlo.-
Notai che ancora gli stringevo convulsamente la maglietta. Lo lasciai
andare, sistemandogli le pieghe della stoffa, ma indugiai con il palmo
posato sul suo petto, nel sentire contro la pelle le pulsazioni veloci
del cuore.
-I vampiri sono morti…tu non lo sei. Il tuo cuore batte.-
Dissi. Per la prima volta quel giorno mi sorrise con
sincerità.
-Non sono morto e non sono immortale. Molte informazioni diffuse dai
miti dovrebbero essere riviste e corrette. Io sono solo malato.-
Fu guardando il suo sguardo, i suoi occhi scuri tanto sinceri, che
decisi che gli avrei creduto. Non sapevo perché lo facevo,
con esattezza. Sapevo solo che era così.
Probabilmente ero completamente scema, ma fu così che
andarono le cose.
Non volevo dubitare di lui, volevo fidarmi. Quello però non
significava che non volevo sapere altro. Ero assetata di conoscenza,
volevo sapere tutto della sua malattia.
-Questa cosa che tu hai…potrebbe degenerare, o è
stabile?-
-Vuoi sapere se è mortale? Ti stai preoccupando per me?-
Deglutii e annuii.
-Non è mortale. È stabile. A volte credo sia un
bene, a volte…a volte non so nemmeno io cosa pensare.-
-È un bene.-
Decretai allontanando la mano dal suo cuore.
-Allora mi credi?-
-Potresti provarmi in qualsiasi momento che dici il vero?-
Scosse la testa.
-Non voglio che tu mi creda solo perché ti mostro le prove.-
-Non l’ho preteso, ho chiesto se puoi provarlo.-
-Sì.-
Sorrisi.
-Ti credo. Ma…sai…ho bisogno di sapere come ti
nutri.-
In realtà non volevo saperlo, ma era necessario. Se mi
avesse detto che andava in giro di notte ad uccidere la gente per
succhiarle il sangue, mi sarei spaventata. Ero sincera, non so se avrei
accettato una cosa del genere perché sarebbe stato omicidio.
D’altra parte probabilmente non avrei potuto biasimarlo e
colpevolizzarlo per la sua natura.
-Non mangio sangue umano…o meglio, non lo bevo. Nessuno
nella mia famiglia lo fa.-
Trassi un sospiro di sollievo, che Robert di certo notò.
-Non beviamo nemmeno sangue animale, perché non ci piace
uccidere.-
Continuò. Io inarcai un sopracciglio.
-Allora come fate a sopravvivere?-
-Assumiamo dei medicinali appositi. Abbiamo, come dire, un contatto nel
campo della medicina. L’assenza di sangue ci rende deboli, ma
così possiamo vivere senza fare del male a nessuno.-
Spostai la mano dal suo torace, per posargliela sul volto. La sua pelle
era fresca e liscia.
Pallido, misterioso, con le occhiaie...era davvero un vampiro! Stentavo
ancora a crederci, ma era proprio così.
-Grazie per avermelo detto.-
Mormorai.
-Grazie per avermi creduto. Ci speravo, ma non pensavo che lo avresti
fatto sul serio.-
Rispose lui.
-Avrai capito che non è per lavoro che ci siamo trasferiti.-
Disse poi. Si sistemò meglio sui talloni, poi
sospirò. Cominciò a raccontare anche se io non
gli avevo chiesto nulla. Fu come se avesse letto nella mia mente tutte
le innumerevoli domande che mi tormentavano.
Sembrava proprio deciso a togliersi un peso e io non potevo biasimarlo.
-È successo tutto l’anno scorso. Mi ero preso una
cotta per una ragazza più grande di un anno. Pensavo di
esserne innamorato, ma in realtà avevamo poche cose in
comune.-
Si fermò per un paio di secondi, per giocherellare con un
ciuffo d’erba, poi proseguì.
-Ci siamo messi insieme, ma ancora non le avevo raccontato niente. Non
so cosa mi è preso, ma colto dall’entusiasmo
aspettai un paio di mesi, poi decisi di confessarle la mia malattia.-
-E non l’ha presa bene.-
Finii io per lui. Scosse la testa e vidi sul suo viso la stessa
tristezza che mostrava spesso. Ecco la causa.
-Pensavo che l’avrebbe fatto. Pensavo si fidasse di me quasi
quanto pensavo ci si potesse fidare di lei. Sbagliavo in entrambi i
casi.-
-Come ha reagito?-
-Prima ha riso, credendo che la stessi prendendo in giro. Ha anche
pensato che dicessi così perché qualche volta
l’avevo baciata sul collo…-
Nonostante la tristezza che il racconto gli trasmetteva, lo vidi
arrossire lievemente.
-Quando però le dissi che non stavo affatto scherzando ha
cominciato a spazientirsi. Non mi ha creduto e mi ha detto che
probabilmente avevo qualcosa che non andava nella testa. Non
c’era altra spiegazione per uno che si comportava
così.-
Gli accarezzai la guancia con il pollice, come se gli asciugassi
lacrime invisibili.
-Mi dispiace.-
Dissi soltanto. Lui si strinse nelle spalle.
-Cosa mi sarei dovuto aspettare? Mi accorsi in seguito che in
realtà era una ragazza diversa da quella che mi ero
immaginato. Ero accecato dalla cotta che mi ero preso per lei e forse
non l’avevo mai conosciuta veramente. Era qualcosa di
idealizzato per me. Sta di fatto che il giorno seguente
cominciò a prendermi in giro. Resistetti per tutta la fine
dell’anno scolastico, pensando che le vacanze estive
mettessero fine a quel tormento. Quando sono tornato a scuola, per il
nuovo anno, non era cambiato nulla, perciò i miei decisero
di cambiare città per aiutarmi. Da allora non volevo
più innamorarmi e non volevo più dire niente a
nessuno di questo mio problema, ma poi ti ho incontrato, tanto simile a
me in certe cose e…ci sono cascato un’altra
volta.-
Scossi la testa.
-Io non ti farei mai soffrire volontariamente. Non lo dirò a
nessuno, non ti prenderò in giro. Io ti credo.-
-Ma non hai nessuna prova!-
-Mi fido di te.-
Inspirai a fondo.
-Una volta ho pensato che se mai avessi conosciuto una persona
dall’animo poetico, me ne sarei innamorata. Tu citi Novalis,
Blake, Rudel, Manzoni e quel tizio francese di cui non ricordo il nome!-
- Intendi Chénier?-
-Esatto! Io non avevo mai conosciuto nessuno come te.-
Abbassò lo sguardo.
-Non sono una buona compagnia. Dovresti scappare via terrorizzata,
visto che mi credi. Dovresti avere orrore di me. Sarebbe una reazione
normale-
-Non ho mai preteso di essere definita normale. Non mi importa di
esserlo.-
-Quindi vuoi continuare ad essermi amica?-
Arrossii e mi strinsi nelle spalle.
-Io…speravo in qualcosa di più.-
Si mise carponi, avvicinandosi così di più a me.
I nostri volti erano a pochi centimetri. Sentivo il suo fiato caldo
sulle labbra e in quell’istante non desideravo altro che
spostarmi un po’ in avanti e baciarlo.
Ma rimasi immobile, in attesa della sua prossima mossa.
-Sei sicura di non avere paura di me?-
Chiese di nuovo.
-Dovrei?-
-Forse.-
-Avrò paura quando me ne darai motivo.-
Si chinò in avanti e mi sfregò il naso sulla
guancia.
-Quando stavi origliando la conversazione mia e di Eireen, lei non si
è accorta della tua presenza solo dal tuo sospiro. Ha
sentito il tuo odore…un buon odore.-
-Davvero?-
Non sapevo se diceva sul serio, ma se così fosse stato sarei
stata sinceramente impressionata. Pensare in un momento del genere,
comunque, mi risultava incredibilmente difficile. Sentivo il cuore
battere talmente forte che mi sembrava di percepirlo pulsare sotto la
lingua. Non volevo agitarmi troppo, però, perché
sarebbe stato poco romantico usare l’inalatore in un momento
del genere.
-Sì. Anche io l’ho sentito, ma pensavo di non
potermi più fidare dei miei sensi visto che…che
sento il tuo profumo ovunque ormai…e quando al nostro primo
incontro ti sono venuto addosso, avrei davvero potuto farti del male.
Sono più forte degli altri esseri umani.-
Mormorò a pochi centimetri dalle mie labbra.
-E quei ragazzi, che ti davano fastidio, avrei potuto tenerli a bada
con una mano sola.-
Non sapevo che dire, ma comunque non ebbi il tempo di formulare nessun
pensiero coerente, perché le sue labbra finalmente toccarono
le mie in un bacio morbido come il velluto.
Spostai entrambe le mani sul suo viso, gli sfiorai le guance, la
fronte, fino ad infilare le dita tra i suoi capelli.
Erano soffici come avevo sempre pensato, e la sua pelle profumava di
qualcosa che non sapevo identificare. Semplicemente era il suo profumo.
Niente di più.
Decisi io di interrompere quel contatto, perché mi resi
conto che non respiravo più.
Diversamente da quello che pensai, però, riuscii a non usare
l’inalatore.
Gli appoggiai la fronte contro una sua spalla e lasciai che Robert mi
tenesse stretta fra le braccia.
Mi sentivo al sicuro assieme a lui. Lontani dal mondo, isolati e felici.
Sentivo che niente avrebbe potuto scalfirmi, mi sentivo una roccia.
Era quasi paradossale sentirsi al sicuro nella stretta di un vampiro,
per quanto gentile potesse essere, ma era così e in quel
momento non desideravo nulla di più.
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Capitolo 9 *** 9. ***
Eccomi qui, questo è un capitolo più breve degli
altri, ma spero vada bene comunque. ringrazio con tutto il cuore
Roxell18 e Love_Vampire_Yuki per le recensioni, che mi rallegrano la
giornata :D e tutti gli altri che mi seguono. ciao!
9.
-Per diverso tempo i vampiri sono stati molto più di una
leggenda. Nei tempi antichi nessuno dubitava della nostra esistenza.-
Mi spiegò Robert, mentre con calma ci allontanavamo dal
parco per tornare a casa. Le domande che avevo in mente sembravano
premere sulle mie labbra per uscire, ma intendevo lasciare a Robert il
suo spazio e poi procedere con la mia intervista.
-Solo in epoca moderna il vampiro ha assunto un interesse perverso
accentuato dai media e dai fenomeni letterari e cinematografici.-
-E Dracula era davvero un vampiro?-
Sorrise e si strinse nelle spalle.
-Dracula è un invenzione di Bram Stoker, per quanto ne so,
ma se ti riferisci a Vlad Tepes…chi lo sa?-
Vlad Tepes era il signore medievale rumeno a cui Stoker aveva attinto
per creare Dracula. Sì, era proprio a quello che mi
riferivo, anche se non avevo mai letto il romanzo di cui stavamo
parlando.
-Ma ci deve pur essere un motivo per cui questo Vlad è stato
preso come spunto, no?-
Chiesi. Più ci avvicinavamo alla zona abitata della
città, meno cercavamo di attirare l’attenzione su
di noi con le nostre chiacchiere.
D’altra parte, chiunque avesse sentito la nostra discussione
avrebbe comunque pensato che stessimo parlando di qualche film.
-Probabilmente Stoker fu ispirato maggiormente dalla storia
affascinante e cruenta di Vlad. Era chiamato l’impalatore.
Non era molto gentile con i suoi prigionieri e per questo motivo era
anche chiamato dracul.
In rumeno significa drago.-
-Ah ecco perché…e che altro mi puoi dire sui
vampiri? Se le leggende hanno distorto così tanto le
informazioni su di voi, devi illuminarmi.-
Mi rivolse un sorriso tanto bello da lasciarmi spiazzata. Nei suoi
occhi brillava una luce di entusiasmo e quel velo di tristezza sembrava
essersi allontanato. Non credevo però che fosse sparito del
tutto.
-Come ho già detto, il sole non ci uccide, non siamo
immortali, possiamo benissimo vivere di giorno e dormire di notte.
Poi…-
-Vi trasformate in pipistrelli?-
Chiesi io con partecipazione, costringendolo ad una risatina.
-No, quella è un’altra sciocchezza. Con certi tipi
di pipistrelli condividiamo solo il fatto che ci nutriamo di sangue. I
miti ci hanno attribuito questa somiglianza perché i
pipistrelli sono animali misteriosi, che spaventano e che vivono di
notte. Forse ci sono altre attinenze, ma sono tante le cose che persino
io ignoro. Si dice anche che noi vampiri siamo in grado di ipnotizzare
le nostre vittime, di volare, di cambiare aspetto. Sono tutte
stronzate.-
-E se volessi ucciderti dovrei piantarti un paletto nel cuore?-
Rise.
-Allora mi vuoi uccidere? Comunque non ti basterebbe…sono
quasi del tutto invulnerabile, ma se proprio vuoi farmi del male, prova
con l’argento.-
-Allora le leggende hanno un fondo di verità. Quindi,
ricapitoliamo: forza, invulnerabilità, ematofagia, pallore,
fastidio per la luce del sole, sensi molto sviluppati…che
altro c’è?-
-Anche la velocità.-
-E non vi danno fastidio le croci, l’acqua santa e
l’aglio?-
Sorrise.
-No, anche se non vado matto per l’aglio. Anche se ti ho
detto che è solo una malattia, ciò non toglie che
alcune delle mia capacità potrebbero sembrare
sovrannaturali. Sono decisamente fuori dal comune.-
Spiegò, mentre percorrevamo le strade quasi senza
accorgercene. Con lui il tempo passava decisamente troppo in fretta.
Non era giusto.
-Ce ne sono tanti come voi?-
Chiesi ad un certo punto, dopo un paio di minuti di assoluto silenzio.
Lui scosse la testa.
-Non siamo in molti al mondo perché molti vampiri quando si
nutrono preferiscono dissanguare completamente le proprie vittime,
piuttosto che trasformarle. È molto più facile.
Comunque la maggior parte dei vampiri non sono solitari. Preferiscono
avere dei compagni…come una specie di branco. Non so con
esattezza quanti siano, ma se negli Stati Uniti ci siamo noi,
c’è di certo anche qualcun altro.-
-Se dissanguano completamente le vittime, allora tu come sei diventato
vampiro?-
-È stata una donna, in realtà. Non era vampiro da
molto perché altrimenti ci avrebbe uccisi tutti. Immagino
fosse colta da una fame incredibile, perciò io e la mia
famiglia abbiamo semplicemente avuto la sfortuna di essere stati
casualmente scelti come pasto. La foga del nutrimento probabilmente non
le ha permesso di accorgersi che non ci aveva dissanguati del tutto.
È stato…-
Chinò la testa con aria seria, come se stesse pensando ad un
aggettivo adatto per descrivere l’accaduto.
-…brutto.-
Disse infine. Senza pensarci gli sfiorai la mano e gliela strinsi.
Eravamo insieme no?
-Eireen era quella messa peggio, ma è guarita alla
perfezione. Stiamo tutti bene.-
Commentò, ma non sembrò molto convinto.
-Mi dispiace, ma siete vivi, no?-
Annuì, senza il minimo entusiasmo. Lo fermai, costringendolo
a guardarmi negli occhi.
-Ora non sei da solo, guarda che se qualcosa ti turba puoi parlarmene
apertamente, anzi devi, altrimenti mi preoccupo.-
Lo rimproverai.
-È solo che odio quello che sono. Può sembrare
tanto affascinante, ma la nostra condizione non è facile da
affrontare. Con i farmaci non siamo mai abbastanza sazi.-
-Non c’è niente che posso fare, vero?-
Scosse la testa tristemente. Mi alzai in punta di piedi e lo baciai
sulle labbra.
-Ti sentiresti lievemente meglio se ti stessi vicino?-
Chiesi ancora. Lui sorrise.
-Sì.-
Rispose.
-Allora non devi fare altro che chiamarmi ogni volta hai bisogno di
me…io ci sarò.-
Si lasciò andare ad un sorriso più ampio e mi
baciò sulla fronte come una bambina.
Ci rimettemmo in marcia, uno accanto all’altro, mano nella
mano. Non ci fu bisogno di parlare ancora, ci bastava stare vicini.
Quando arrivai alla strada che portava direttamente a casa mia mi
fermai e lui mi imitò.
-Beh…io proseguo di qua.-
Dissi. Mi grattai la testa imbarazzata, come dovevo salutarlo? Con un
abbraccio o con un bacio strappa-tonsille?
Nei film optavano sempre per la seconda possibilità, ma non
mi sembrava appropriato.
-D’accordo.-
Mormorò lui per tutta risposta. Quando indecisa sul da farsi
io feci per andarmene, lui mi afferrò per il gomito e mi
fece girare verso di lui, fino a che le nostre bocche non furono a
pochi millimetri di distanza.
Se il bacio passionale non era nei miei programmi, probabilmente era
nei suoi, perché premette le sue labbra sulle mie e mi
strinse in un abbraccio, come se avesse paura di perdermi di colpo.
Ricambiai l’abbraccio posandogli le mani sulla schiena,
sentendola tesa e muscolosa al punto giusto.
Quando Robert si allontanò dalle mia labbra, mi
accarezzò una guancia con il naso, poi scese fino al mio
collo.
-Ci vediamo domani.-
Sussurrò contro la mia pelle, facendomi rabbrividire. Mi
posò un lieve bacio sul collo, poi si allontanò
da me e se ne andò.
Mi resi realmente conto solo quella sera di quanto fosse stata strana
la nostra conversazione. Insomma, Robert era un vampiro e io mi
comportavo come se nulla fosse!
Avevo sostenuto una conversazione seria su sangue e affini senza
battere ciglio.
Certo, che ero una tipa strana, io!
Se non avessi avuto l’assoluta certezza di potermi fidare di
lui, non gli avrei creduto così facilmente.
Il punto era che tutto in lui mi infondeva sicurezza e
sincerità, perciò non avevo proprio potuto
dubitare davvero di lui. Non dopo tutte le risposte che mi aveva dato.
Non parlai molto con i miei. Con aria scherzosa mia madre mi chiese se
fossi innamorata, ridendo.
Ero più innamorata di quello che potesse immaginare, ma mi
limitai a sorridere.
Mi ritirai nella mia stanza piuttosto presto, pensando che la giornata
passata con lui mi avesse fiaccato più nella mente, che nel
corpo, ma in realtà, quando fui sotto le coperte non riuscii
proprio a prendere sonno.
Anche quando tutta la casa fu nel silenzio più assoluto,
rimasi in ascolto dei rumori della notte.
Non eravamo in montagna o in campagna, perciò la natura in
città si faceva sentire molto meno.
Feci però un gioco che fin da piccola mi aveva aiutato ad
addormentarmi: tentai di identificare ogni rumore che sentivo.
Contai un numero indefinito di rumori causati dalle macchine e osservai
con poco interesse la luce dei loro fari sul soffitto della mia camera.
Udii qualche motorino a tutta velocità e il miagolio di
qualche gatto.
Non percepii nient’altro perché ormai ero nel
mondo dei sogni, con Robert come protagonista.
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Capitolo 10 *** 10. ***
Salve! :D
Nuovo capitolo fresco fresco, spero vi piaccia. Ringrazio
Love_Vampire_Yuki per la tempestiva recensione, coloro che mi hanno
aggiunto ai preferiti e tutti coloro che mi seguono :D grazie!
10.
Mi era sembrato strano che tutto fosse andato liscio come
l’olio. Infatti durante la ricreazione Eireen insistette per
parlarmi, rivolgendo un sorrisone al fratello e pregandolo con una
vocina dolce: te la
rubo solo un minuto!
Mi aveva portata nel cortile e avevamo passeggiato per un attimo
attorno alle mura dell’edificio, fino a che non eravamo
arrivate in una zona praticamente deserta, a differenza del cortile
principale della scuola.
-E quindi tu e mio fratello adesso state insieme.-
Non era una domanda, bensì un’affermazione nella
quale non riuscii ad udire il minimo entusiasmo.
-Sì infatti…-
Mormorai guardandola con attenzione. Cercavo di scorgere sul suo volto
i segni della gelosia, ma i suoi occhi era impassibili e impenetrabili
come pietre scure.
-E tu sai tutto di noi.-
Continuai ad annuire, guardinga.
Mi puntò contro un dito pallido e scandì bene
ogni parola come se volesse disperatamente imprimermele nella memoria,
come un marchio indelebile.
-Robert ha già sofferto abbastanza. Se lo fai star male
anche tu, spiattellando in giro la verità o in qualsiasi
altra maniera, rinnegherò ogni mio principio morale e ti
verrò a cercare.-
Pronunciò la minaccia con cattiveria, puntandomi addosso
quegli occhi di brace.
-Mi hai capito? Non sto scherzando!-
Deglutii, ricordandomi solo allora che la ragazza che avevo di fronte
era la sorella del mio ragazzo, ovvero un vampiro incazzato. Due
particolarità già pericolose da sole e micidiali
se unite.
-Lo so che non stai scherzando…lo vedo.-
Commentai, reprimendo a stento la voglia di scappare via. In fondo era
Eireen, no? Non mi avrebbe davvero fatto del male!
Qualcosa nel suo sguardo mi disse che se le avessi dato un motivo
valido per farlo, mi avrebbe distrutta.
-Allora che dici? Farai la brava?-
-Io non ho la minima intenzione di far soffrire Robert. Non posso
prometterti nulla, ma non lo farei mai stare male volontariamente.-
Inspirò a fondo, come per calmarsi, poi inaspettatamente
fece uno dei suoi sorrisi migliori e mi diede una pacca sulla spalla.
-Allora immagino che saremo ottime amiche.-
Disse ridacchiando. Certo che i Paige erano proprio strani!
Nei giorni seguenti Eireen non fece nulla per spaventarmi, mettermi
sotto pressione o altre cose del genere.
Si comportò gentilmente come al solito e passammo insieme
più tempo di prima.
Con Robert…beh con Robert la vita aveva assunto quella
colorazione rosea idiota di chi era molto innamorato.
Ci scambiavamo opinioni e libri in continuazione. Chiacchieravamo per
ore senza mai stancarci, i momenti in cui ci stringevamo la mano non
sembravano mai abbastanza.
Faith era felice per me, disse che finalmente mi vedeva allegra come
una della mia età doveva realmente essere.
Anche se i Paige probabilmente avevano temuto che potessi rovinare loro
la vita, sapendo il loro segreto, in realtà fu tutto il
contrario.
Era più facile per loro comportarsi in maniera naturale
quando c’ero anche io e non avevano bisogno di mentire.
Questo era già qualcosa di positivo.
Come mi ero aspettata, il rapporto tra me e Robert non passò
più inosservato e le voci sul nostro conto, che giravano
ancora da prima che ci mettessimo assieme, divennero sempre
più fantasiose e varie.
Verso la metà di ottobre alcuni professori ci avvertirono
dell’avvicinarsi dell’uscita formativa di circa una
settimana. Sapevamo già da un po’ che era in
programma, ma dopo che la decisione a proposito della meta si era
portata avanti nel consiglio di istituto per diverso tempo, si era
finalmente giunti ad un accordo solo allora.
Per unire assieme i corsi di biologia e storia dell’arte, i
prof avevano deciso per la Finlandia.
Molti studenti si erano guardati con stupore e avevo sentito
bisbigliare: che
c’è in Finlandia di interessante? Ma
a me non importava, purché con me ci fosse anche Robert.
Personalmente credevo che valesse la pena di andarci. Sul serio.
Avevo visto qualche documentario e la Finlandia mi era parsa davvero
carina, dopotutto.
-Le tappe saranno Helsinki e Rovaniemi, perciò portatevi
qualcosa di pesante perché il clima è
più rigido rispetto al nostro. Inoltre, dato che il nostro
soggiorno andrà dal ventisei ottobre al due novembre,
festeggeremo la vigilia di ognissanti tutti assieme!-
Aveva detto uno dei professori con entusiasmo. Forte!
Al quel punto mi ero scambiata un’occhiata eloquente con
Robert ed Eireen. In fondo io avevo tutti i giorni la mia festa di
Halloween personalizzata. Bazzicavo con due vampiri!
Attesi quel giorno con pazienza, poiché dopotutto era vicino
e perché passavo molte delle mie giornate con Robert, anche
per studiare assieme.
Intanto ne parlai con mia madre, che con tutto l’entusiasmo
che una mamma poteva avere volle sapere tutto il possibile di lui. Non
mi sentivo comunque ancora abbastanza a mio agio per poter presentare
il mio ragazzo alla mia famiglia.
Cosa avrei detto?
“Mamma,
papà, lui è Robert Paige, il mio ragazzo
vampiro.”
“Oh, Robert,
come stai? Che bel giovanotto, gradisci qualcosa da bere? Acqua,
vino…?”
“Solo un
bicchiere di sangue, grazie.”
Probabilmente sarebbe stata una conversazione alquanto insolita. Non ci
volevo pensare.
Di certo il giorno in cui Robert sarebbe venuto da me in veste
ufficiale, non avrei detto nulla ai miei riguardo alla sua condizione
delicata.
Era metà ottobre, ma il sole riusciva comunque a filtrare
tra le nuvole. Mi dispiaceva starne lontano, ma dopotutto i Paige
preferivano evitarlo, perciò passavo con loro molto tempo
sotto il grande albero della scuola.
Era diventato il nostro posto preferito, dove Eireen si guardava
intorno incuriosita e pensierosa e io e Robert potevamo chiacchierare,
baciarci o anche leggere poesie uno tra le braccia
dell’altro.
Quel giorno Robert non stringeva tra le mani uno dei suoi soliti libri
di Novalis, Brentano o Blake, bensì un quotidiano
probabilmente letto e riletto da tutti i bidelli, visto
com’era stropicciato e macchiato di caffé.
Era da qualche giorno che si susseguivano delle sparizioni di ragazze e
Robert l’aveva notato. Non capivo cosa ci fosse di tanto
interessante ma pensai che Robert seguisse
l’attualità più di me e se per lui era
qualcosa di importante, chi ero io per commentare?
-È la quinta questo mese.-
Mormorò pensieroso. Eireen si voltò con aria poco
interessata, distogliendo lo sguardo dal suo passatempo preferito:
guardare i ragazzi che si spintonavano.
-E allora?-
Chiese.
-E allora penso che si tratti dello stesso rapitore, se così
lo si vuole chiamare. I corpi non sono stati trovati, ma sono sempre
state trovate tracce di sangue in vicoli bui e isolati. Probabilmente
sono morte.-
Rifletté. Scosse la testa e a voce alta elencò
delle località non troppo lontane da lì.
-Sì, conosci la geografia, e allora?-
Commentò con un ghigno Eireen. Si punzecchiavano parecchio,
ma si volevano bene e spesso per me assistere era molto divertente.
-Allora se sapessi dove sono situati questi posti, sapresti che la
linea di sparizioni porta a questa zona. Si muove in fretta e da questa
parte, quindi ragazze, state in campana.-
Disse. Eireen ridacchiò.
-So badare a me stessa.-
-Mi riferivo anche a Jackie, lei non ha i canini appuntiti.-
Mi sfiorò la guancia con un bacio leggero e mi
accarezzò i capelli.
-Stai attenta.-
-Le tue sono solo supposizioni.-
Feci con una scrollata di spalle.
-Comunque farò attenzione se è questo che vuoi.-
-È questo che voglio. Fammi stare tranquillo.-
Lo rassicurai baciandolo dolcemente sulle labbra, ma comunque sapevo
che non sarebbe successo nulla di brutto. Era alquanto improbabile,
perché il tasso di criminalità era molto basso in
quella zona. Eravamo gente tranquilla, noi.
Al tg quelle sere seguii comunque il caso, visto che Robert mi aveva
messo la pulce nell’orecchio.
Il presunto criminale si spostava velocemente di città in
città, fermandosi a volte per compiere qualche nuova
scelleratezza. Era quasi sicuro che nessuna delle ragazze fosse
sopravvissuta perchè solitamente i rapimenti avvenivano per
motivi personali e per i riscatti e le ragazze non erano ricche e non
avevano apparentemente niente in comune, tranne il fatto che erano di
sesso femminile.
Ma non erano rapimenti in realtà. Erano semplici sparizioni.
Una grande novità fu che vennero trovati i corpi di alcune
di esse, nei giorni seguenti.
Tutte gettate nelle discariche di diverse città, con la gola
squarciata. In realtà non era stata quella la causa della
morte, perché i tagli erano stati prodotti dopo la morte.
La causa del decesso era stato dissanguamento, anche se le
modalità dell’omicidio ancora erano poco chiare.
Il modus operandi coerente e continuo fece subito pensare ad un serial
killer, ma anche la polizia non aveva le idee molto chiare.
Quindi, forse nemmeno quella pista era giusta. Speravo che la polizia
risolvesse in fretta il caso, perché non mi piaceva pensare
che c’era un pazzo nelle vicinanze.
Qualche giorno prima della gita scolastica non si ebbero più
notizie del seriale. C’era la possibilità che si
stesse spostando verso qualche altra città, ma non ci volli
nemmeno pensare. Avevo Robert, perciò non correvo nessun
rischio.
Stavamo seduti in un bar poco lontano da casa mia, io a sorseggiare una
cioccolata calda e lui a fissarmi.
Gli avevo chiesto cosa prendeva, dimenticandomi che lui in
realtà non assumeva gli stessi cibi che assumevo io. Me
n’ero quasi scordata.
-Pensi che ci sarà bisogno anche di un paio di scarponcini
da montagna? La mia valigia è già piena.-
Chiesi giocherellando distrattamente con un orlo della tovaglietta che
copriva il tavolino.
Ovviamente mi riferivo all’uscita in Finlandia. Non sapevo
con esattezza se sarebbero davvero stati utili. Ero comunque certa che
non volevo impiastricciarmi le scarpe di fango, quando saremmo tutti
andati a fare i prelievi dell’acqua per il corso di biologia.
Era la giornata ideale per rintanarsi in un locale come quello
perché pioveva a catinelle.
Era quasi completamente in legno, tranne i tavolini, che erano in una
plastica scura che ricordava molto il marmo.
-Lasciami indovinare.-
Fece Robert con un sorriso.
-Metà del tuo bagaglio contiene libri.-
-No, ne ho solo due.-
-Due bagagli?-
Gli scoccai un’occhiataccia.
-Due libri.-
-Strano. Sei sicura di sentirti bene?-
Feci una risatina sarcastica, mentre quasi inconsciamente mi allungavo
per stringergli una mano, sul tavolino. Lui me la prese me la
baciò dolcemente.
-Ascolta, avevi qualche idea per la festa di Halloween?-
Mi chiese guardandomi fissa negli occhi. Stava sorridendo sotto i baffi
che non aveva, quindi sospettai ci fosse sotto qualcosa.
-Non mi piace il tuo sguardo. Mi nascondi qualcosa.-
Lo accusai. Si strinse nelle spalle con aria innocente.
-Io? No…-
-Dai.-
-Rispondi alla mia domanda.-
Feci un sospiro, poi feci come ordinato.
-Non ho nessuna idea per la festa. Perché?-
-Perché ho io il vestito che fa per te.-
Inarcai un sopracciglio.
-Lo sapevo che c’era sotto qualcosa. Non puoi costringermi ad
indossare niente!-
-Scommettiamo?-
-Ti prego Robert, niente strisce di pelle, credo che la leggenda che
dice che i vampiri hanno gusti perversi sia vera.-
Lasciò da parte lo sguardo astuto e mi sorrise con
sincerità e dolcezza, facendomi sciogliere il cuore.
Qualsiasi cosa mi avesse fatto indossare per la festa, probabilmente
non sarei stata capace di prendermela con lui. Non se mi avesse rivolto
ancora quello sguardo.
-Sì, la leggenda è vera. Però niente
strisce di pelle, né scollature eccessive. Sarà
un bel vestito, te lo prometto.-
Gli credetti, perché non potei fare altro con quello sguardo
da cucciolo che mi rivolse. Ero felice che avesse meno sbalzi
d’umore, perché vederlo star male faceva soffrire
anche me.
Se solo avessi avuto sotto le mani quella stronza della sua ex le avrei
strappato i capelli. Uno ad uno.
Robert non lo avrebbe fatto di certo, perché era gentile e
probabilmente teneva ancora a quella ragazza.
Però sapevo anche che avrebbe dato qualsiasi cosa per far
tornare se stesso e la sua famiglia normali come un tempo.
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Capitolo 11 *** 11. ***
Ringrazio
Love_Vampire_Yuki per la recensione e Dagusia123 per essersi aggiunta
alla scarsa schiera dei recensori :D grazie mille!
e ovviamente grazie a tutti quelli che seguono e che mi hanno aggiunto
ai preferiti. Baci!
11.
Uscimmo dal locale e ci incamminammo come al solito nelle vie della
città, stringendo l’ombrello per ripararci dalla
pioggia autunnale.
Era pomeriggio inoltrato e la giornata stava cominciando a scurirsi
sempre di più. In poco tempo sarebbe calato il buio e avrei
preferito andare a casa prima che facesse troppo freddo.
Robert reggeva l’ombrello e io gli avevo cinto la vita con un
braccio, come se non volessi lasciarlo andare per nessun motivo. La
posizione non era delle più comode per camminare, ma non
m’importava.
Passammo in libreria per dare un’occhiata ai nuovi titoli.
Judith mi lanciò un’occhiata eloquente quando
Robert si mise a controllare i segnalibri appena arrivati.
Sarà stata la quinta occhiata significativa che mi
rivolgeva. Me ne regalava una ogni volta che andavo lì con
lui.
Probabilmente pensava di dovermi dare il suo parere su tutto, ragazzi
compresi.
Non mi stupiva la sua reazione. Era talmente giovanile che non mi parve
affatto una cosa strana quando la vidi passare in rassegna con lo
sguardo al sedere di Robert.
Rimanemmo lì per un quarto d’ora, poi continuammo
la passeggiata verso casa mia. Mi accompagnava sempre quando uscivamo
assieme, ma non gli avevo ancora chiesto di entrare per presentarlo ai
miei. Mi sarei sentita decisamente in imbarazzo, specialmente se mio
padre avesse iniziato a fare domande indiscrete.
Stavamo passando di fronte ad un chiosco di giornali e riviste, quando
Robert si fermò di colpo, alzando la testa e iniziando ad
inspirare ed espirare velocemente.
Ci misi un po’ a capire che stava fiutando l’aria
come i cani.
-Che stai facendo?-
Chiesi, lasciandomi scappare una risatina. Era buffo.
-Shh..-
Mi interruppe lui, continuando a respirare. Lo vidi aggrottare la
fronte con aria concentrata. Non rise come avevo fatto io. Brutto segno.
-Mi spieghi che c’è?-
La sua espressione non mi stava affatto rassicurando. Era troppo seria.
Ad un certo punto mi prese per un braccio e mi trascinò via,
senza darmi nessuna spiegazione e senza chiedermi nulla.
-Lasciami!-
Lo seguivo a fatica, ma ero costretta dato che non aveva la minima
intenzione di lasciarmi andare. Era troppo forte per me, ma quando ne
ebbi abbastanza feci resistenza e lui, resosi conto della mia
ostinazione non volle portarmi via di peso.
Si voltò guardandomi con un’aria strana.
Continuava ad annusare l’aria come se sentisse un profumo
inesistente.
-Che cos’hai?-
Continuai a chiedere. Lui si guardò intorno per qualche
istante, poi puntò i suoi occhi scuri nei miei.
-Vampiro.-
Disse semplicemente.
-Cosa? C’è un vampiro nelle vicinanze?-
Annuì pensieroso e concentrato.
-L’hai…fiutato?-
Annuì di nuovo. A volte pensavo che bisognasse tirargli
fuori le informazioni con le pinze.
-Ma non potrebbe essere qualcuno della tua famiglia?-
Scosse la testa con forza.
-Vuoi piantarla?!-
Esclamai innervosita.
-Di far cosa?-
-Di rispondermi a gesti! Dimmi cosa sta succedendo!-
Non mi rispose, bensì mi costrinse nuovamente a seguirlo. La
sua tensione era tangibile e ormai anche la mia era alle stelle.
-Conosci una scorciatoia per casa tua?-
Mi chiese dopo un bel po’ di silenzio. Avevo mentito quando
avevo pensato che non mi sarei arrabbiata con lui per nessun motivo. In
realtà in quel momento ero decisamente incazzata.
-Attraverso alcuni vicoli, ma…-
-Andiamo.-
Mi liquidò. Inspirò a fondo, poi finalmente,
mentre ci muovevamo verso i luoghi da me indicati, si decise a parlare.
-Sento l’odore di un vampiro. È diverso da quello
della mia famiglia e credo che lui abbia fiutato il mio odore.-
-E questo che significa?-
Cominciavo a spaventarmi. Ero abituata alla presenza di Robert ed
Eireen nella mia vita, ormai, ed erano due vampiri, però
erano due vampiri buoni, che si comportavano nel rispetto delle regole.
Non era detto che quel vampiro che era arrivato in città non
bevesse sangue umano.
-Significa che ci sta seguendo.-
-Ma perché?-
Ci fermammo all’imboccatura di un vicolo più buio
degli altri. Nel sentire l’odore di urina che emanava non mi
venne certo voglia di attraversarlo, ma avrei fatto di tutto per
evitare l’incontro con un altro vampiro.
-Svoltiamo qui?-
Mi chiese Robert evitando così la mia domanda. Annuii, ma
non rinunciai.
-Perché?-
Ripetei.
-Perché ha sentito anche il tuo odore e vuole sapere
perché me ne vado allegramente in giro con
un’umana.-
Solo allora mi resi realmente conto del guaio in cui ci eravamo
inconsapevolmente cacciati. Robert era uno di loro, ma io ero solo
cibo. Cominciai a respirare più affannosamente, e mi sentii
soffocare.
-Calmati Jackie, non ti succederà niente.-
-Che fa in città? Perché è venuto qui?-
La mia voce aveva un che di isterico.
-Non lo so.-
La penombra del vicolo ci inghiottì, facendomi sentire a
disagio come se mi fossi trovata chiusa in qualche cassa. Non soffrivo
di claustrofobia, ma di certo quel posto non mi faceva sentire a casa
mia.
Robert accelerò la sua andatura trascinandomi come se fossi
stata una bambola di pezza. Ci eravamo immessi in una zona deserta
della città dove ci andavano solo gli ubriachi per pisciare
o vomitare in santa pace. Che consolazione.
Lanciai un grido di spavento, quando una sagoma si abbatté
sulla strada. Si alzò dalla sua posizione accucciata e ci
fissò.
Guardai in alto, con il cuore in gola e Robert rigido accanto a me, e
vidi che l’uomo era saltato giù dal cornicione
dell’edificio, senza farsi nemmeno un graffio. Era lui.
-Robert…-
Sussurrai con la voce tremante e intrisa di paura. Lui se ne accorse
perché mi posò una mano sulla spalla e
fissò lo straniero con aria dura.
-Salve…-
Mormorò lui con una sfumatura nella voce che non mi piacque
per niente. Sembrava pazzo e forse lo era davvero.
Aveva capelli neri e lucidi di pioggia, lunghi fino alle spalle e
pettinati disordinatamente all’indietro come se se li fosse
appena scostati con una mano. Gli occhi erano vacui e scurissimi
anch’essi. Come la notte, come il carbone o semplicemente
come la morte.
Una scintilla di pazzia li rendeva quasi animaleschi. In fondo non era
umano, no?
Espose di più il viso al nostro sguardo e mi si
accapponò la pelle. Io l’avevo già
visto da qualche parte, ma dove?
-Ottima scelta.-
Mormorò ancora, accennando a me con un brusco movimento del
capo.
-Ti va di dividere con me la tua preda, ragazzo?-
Mi strinsi di più a Robert, che rimase immobile e zitto,
come una statua. Sentivo che stavo iniziando a tremare e la situazione
non migliorò quando il mio ragazzo gettò via
l’ombrello, lasciando che la pioggia ci bagnasse senza
ostacoli.
-Non sono solito farlo.-
Disse infine, senza lasciarmi andare nemmeno un attimo. Guardando il
suo viso potevo vedere una maschera di diffidenza e tensione.
Era come una molla, pronta a scattare al minimo segnale di pericolo.
-È un peccato…una ragazza così bella.-
Fece una risatina e si avvicinò di un passo. Rabbrividii
quando Robert, accanto a me emise un cubo brontolio.
In un’altra situazione avrei detto che aveva semplicemente
digerito il pranzo, ma in quel momento, nel vedere i suoi occhi
profondi puntati contro l’avversario capii che si trattava di
un vero e proprio ringhio.
-Siamo nervosi, eh?-
-Lasciaci stare e torna sui tuoi passi. Questa città
è mia!-
Esclamò lasciandomi andare e facendo un passo in avanti,
fino a coprirmi con il suo corpo.
Lo straniero cominciò a girarci intorno come un avvoltoio
preso a sorvegliare una preda. Eravamo noi il suo
obbiettivo…o meglio, ero io.
-Sei solo un bambino. Vattene e lascia che mi nutra!-
Il suo sorriso si aprì, come se si stesse divertendo un
mondo, ma diversamente da quello che mi aspettai, non vidi nessun
canino sporgente.
Solo allora mi ricordai dove avevo già visto quei tratti
duri e allo stesso tempo giovanili, anche se un po’ diversi e
non così affascinanti.
Il telegiornale ne aveva parlato ancora, ma al momento mi sfuggiva il
nome.
Aveva stuprato e ucciso un po’ di ragazzine l’anno
prima, ma non si era sentito più nulla di lui. Non avrei mai
immaginato che fosse diventato un vampiro.
E allora mi fu tutto chiaro. Le morti sospette che ultimamente avevano
fatto preoccupare Robert, erano accadute a causa sua. Ecco
perché il dissanguamento delle vittime, ecco
perché le gole squarciate! Tutto era stato fatto per coprire
i segni dei morsi sulla gola!
Robert sembrò accucciarsi, come se stesse per spiccare un
salto o per attaccare di colpo, ma la risata dell’uomo lo
precedette.
-Non ti conviene farlo.-
Disse. Indossava una giacca di pelle nera, abbastanza lunga da
coprirgli le tasche degli stretti jeans. Afferrò un lembo
del giubbotto e aprì la cerniera.
Quello che vidi mi fece inorridire.
Due lunghi coltelli erano infilati nella cintura, coperti dalle
custodie. Gli estrasse lentamente come se volesse assaporare ogni
secondo, poi ce li mostrò soddisfatto.
Rilucevano nella poca luce che illuminava il vicolo.
-Hai cambiato idea? È argento. Non ti conviene proteggere le
umane. Sono solo cibo, non te l’ha mai insegnato, la mamma?-
Guardai Robert, come per volergli comunicare che era meglio andarcene
di lì. Perché in fondo l’argento
avrebbe potuto ferirlo e io non volevo che gli succedesse nulla di
male.
Mi tremavano le gambe e per un attimo temetti che mi cedessero le
ginocchia e che non fossi stata più capace di reggermi in
piedi.
Il vampiro di fronte a noi imitò Robert nella sua postura.
Emise un ringhio, poi soffiò in modo minaccioso, come un
grosso felino arrabbiato. Non riuscii quasi a credere ai miei occhi, ma
le sue iridi cambiarono colore. Un cupo colore cremisi si
allargò nei suoi occhi, lento e fascinoso come la diffusione
fumosa di una goccia di sangue nell’acqua.
-Scappa…-
Sentii mormorare Robert.
-Cosa? No!-
-Scappa!-
Si voltò verso di me, con il viso contratto dalla rabbia e
mi spintonò apparentemente senza particolare forza, ma con
una potenza che mi fece cadere un metro indietro, distesa sulla schiena.
Sentii i suoni di una colluttazione. Mi alzai in piedi di nuovo e li
vidi intenti in una sorta di lotta. Non mi ero fatta niente, ma il
gesto di Robert mi aveva colta alla sprovvista.
Sembravano due ragazzi normali che facevano a botte, ma con una forza e
un’agilità superiori di centinaia di volte.
Robert tratteneva le mani dell’assassino, e quindi anche i
suoi lunghi coltelli d’argento che altrimenti
l’avrebbero già ferito.
Non riuscii a farne a meno, sentivo il terrore attanagliarmi le viscere
in una morsa gelida e dolorosa.
Scappai via velocemente, consapevole che se fossi stata abbastanza
rapida avrei potuto chiedere aiuto a qualcuno. Urlare era fuori
discussione, nessuno mi avrebbe sentito, ma mentre stavo correndo
pensai di immettermi nella prima strada affollata per farmi ascoltare
da qualcuno. La pioggia mi bagnava i vestiti e mi incollava i capelli
al volto.
Nonostante le mie ginocchia fossero deboli come se fossero state fatte
di gelatina, continuai a correre come se ad inseguirmi fosse stata la
morte in persona e non solo i rumori attutiti dello scontro.
A metà strada, però, mi resi conto di quello che
stavo facendo. Cos’avrei detto?
Erano due vampiri, nessuno mi avrebbe creduto e anche se fossi stata
capace di convincere qualcuno, forse sarebbe stato troppo tardi per
Robert.
Non ci volevo nemmeno pensare.
Mi fermai di colpo, respirando affannosamente. Dovevo aiutare Robert.
Mi voltai di nuovo verso i due, impegnati in un corpo a corpo senza
esclusione di colpi, tossii un paio di volte, poi ricominciai a correre
verso di loro, senza nemmeno pensarci troppo.
Sapevo che non avrei mai dovuto lasciarli, perché il mio
posto era accanto a Robert.
Quando li raggiunsi di nuovo, l’assassino aveva solo un
coltello. Uno dei due gliel’aveva rubato Robert, schiacciato
contro il muro e in netto svantaggio.
Non potei riflettere, non c’era tempo.
Semplicemente piegai le ginocchia alla fine della mia corsa, caricai la
forza sulle gambe, poi spiccai un salto abbastanza alto da gettarmi
sulla schiena dell’uomo.
Mi aggrappai con tutta la forza che possedevo, al suo collo
relativamente muscoloso. Non provò subito ad allontanarmi,
bensì rise di gusto e diede un cazzotto tanto forte a
Robert, da farlo finire contro alcuni bidoni della spazzatura, con un
fragore che mi parve assordante.
-Lascialo stare!-
Sentii la mia voce strillare, senza che avessi minimamente pensato di
farlo. Con una mano tentai di tempestare la sua testa di pugni, ma ogni
mio goffo movimento fu inutile.
Mi afferrò i polsi e strinse con tanta forza da potermeli
spezzare come fuscelli. Poi si voltò di colpo e con estrema
facilità mi scaraventò all’altro lato
del vicolo.
Quando la mia testa sbatté contro il muro, un dolore
lancinante mi invase e la vista si riempì di macchie
danzanti.
Scivolai a terra dolorante e mi lasciai andare, sdraiata su un fianco.
Sentivo le membra indolenzite come se ogni muscolo del mio corpo si
fosse di colpo contratto.
Rivolsi un ultimo sguardo al mio ragazzo, che si stava faticosamente
tirando in piedi con un labbro spaccato che all’istante si
rimarginò e alla sua espressione d’ira furente.
Come quelli dell’assassino, i suoi occhi avevano assunto una
colorazione rosso sangue. Soffiò con rabbia e finalmente
riuscii ad intravedere i canini allungati, tra la serie di denti
bianchi e perfetti.
Poi il mondo venne improvvisamente inghiottito
dall’oscurità e io mi lasciai trascinare alla
deriva da essa.
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Capitolo 12 *** 12. ***
Eccomi
con il nuovo capitolo :D ringrazio Titty1194 e Roxell18 per le
recensioni. (Roxell18 sono felice che sei tornata :D)
12.
Aprii gli occhi lottando contro il dolore e lo stordimento. Ero
fradicia di pioggia, indolenzita e infreddolita, e ogni volta che
tentavo di muovere gli occhi, la mia vista sembrava danzare in maniera
innaturale. Avrei quasi preferito rimanere incosciente, per restare in
quel piacevole oblio, ma sapevo che c’era qualcosa nel mondo,
che attendeva me.
Quella consapevolezza si intensificò quando riuscii
finalmente ad alzarmi in piedi e a schiarire la mia vista.
Non fu un miglioramento, perché il mio cuore perse un
battito e io, dentro l’anima sentii qualcosa infrangersi.
Il dolore più forte che io avessi mai provato in vita mia,
mi pervase seccandomi la gola e facendomi bruciare gli occhi di lacrime.
Di fronte a me, seduto a terra con la schiena appoggiata al muro
c’era Robert. Il suo capo era reclinato d’un lato e
i suoi occhi erano chiusi come se dormisse beatamente.
Sapevo che non era così, perché una larga macchia
scura si era allargata velocemente sul suo petto e il suo respiro
sembrava inesistente.
-Robert!-
Strillai gettandomi in ginocchio accanto a lui e scuotendolo, per
quanto mi fosse possibile.
-Oddio…Oddio…-
Continuavo a ripetere. Con una mano tremante gli accarezzai il volto
esanime, bagnato di pioggia. I capelli erano incollati alla fronte e al
viso pallidissimo.
Tentai di risvegliarlo con qualche schiaffetto, ma fu inutile. Gli
guardai il petto, inorridita.
Il manico del coltello d’argento gli spuntava dal torace.
Aveva scavato nel petto una profonda ferita, dalla quale scorreva
copioso un fiotto di sangue che nell’oscurità del
giorno ormai giunto alla fine, sembrava nero.
Non era morto. Non era morto, altrimenti non avrebbe continuato a
sanguinare.
-Robert, svegliati, ti prego. Sono Jackie.-
Continuai con i colpetti sulle sue guance e quanto vidi la sua fronte
aggrottarsi, quasi piansi per il sollievo.
Non lo feci perché comunque sapevo che non c’era
nulla per cui essere sollevata.
-Jackie…-
Mormorò con voce pacata, come se si fosse appena svegliato
da un bel sonno ristoratore. Quando ebbe ripreso del tutto i sensi,
però, contrasse il viso in una smorfia di dolore che fece
star male anche me solo nel vederla.
Guardò in basso verso il suo petto e cominciò a
respirare affannosamente, quasi come me. Sentivo la presenza
dell’inalatore nella mia tasca, ma non volevo usarlo. Non ero
io che stavo male, bensì Robert.
Feci il possibile per ricordare gli insegnamenti del corso di pronto
soccorso, il secondo anno. Chiunque lo faceva prima o poi nella vita,
ma se fossi stata più attenta sarebbe stato molto meglio.
Tentai comunque di rievocare la lezione nella mia testa.
In quel frangente però, la mia mente era davvero al limite
della lucidità.
-Stai bene?-
Mi chiese in un soffio. Lui stava morendo e chiedeva di me!
Le sue parole diedero il via libera alle lacrime, che scesero
velocemente sulle mie guance. Sapevo che quell’atteggiamento
non mi avrebbe portata da nessuna parte, ma non potei comunque
impedirmi di singhiozzare, mentre accostavo la mano al manico del
coltello.
-Sto bene.-
Risposi tra i singulti. Sfiorai l’arma e la impugnai, facendo
il possibile per non farlo soffrire troppo.
Probabilmente intuì cosa stavo per fare, perché
lo vidi contrarre i muscoli della mascella e chiudere gli occhi.
Quando estrassi l’arma dal suo corpo si lasciò
sfuggire un gemito di dolore, che si trasformò presto in un
colpo di tosse.
All’istante gli posai un palmo sulla ferita, comprimendo
più che potevo e ignorando sia la stretta al cuore che
provavo, sia le mie difficoltà respiratore.
Dovevo salvarlo, altrimenti non sapevo come avrei potuto vivere.
-Ce l’ho fatta, Jackie. L’ho battuto.-
Mormorò debolmente, mentre il suo petto si alzava e si
abbassava in maniera malsana. Contro la mia mano sentivo scorrere il
sangue, che usciva velocemente nonostante cercassi di impedirlo.
-Sei stato bravissimo, ma è meglio se non parli.-
Che cosa si faceva in circostanze simili? Che cosa? Nessun film lo
diceva con esattezza.
Con un cenno del capo che decifrai solo dopo qualche istante, Robert mi
indicò un punto dietro di me. Voltai la testa, senza
smettere di premere sul suo torace e vidi un corpo steso a terra, in
una pozza di sangue. Era il vampiro che ci aveva attaccati, ma distolsi
in fretta lo sguardo per impedire alla nausea di sopraggiungere.
-Ma non volevo ucciderlo…io…non ho avuto scelta.
Non ho avuto scelta!-
-Lo so, stai tranquillo.-
Inspirando a fondo per calmarmi sentii l’odore pungente del
sangue, tanto forte da poterne quasi immaginare il sapore. Mi
disgustava.
-Devo chiamare aiuto.-
Decretai, asciugandomi le guance bagnate di lacrime e pioggia con il
palmo della mano. Troppo tardi mi resi conto che era sporca di sangue e
quando mi toccai il viso lo percepii, viscido sulla pelle.
-No, lo sai che sono diverso. Se lo scoprono per me e la mia famiglia
non ci saranno più luoghi sicuri.-
Ribatté. Non m’importava, non volevo che morisse!
-Forse capiranno, come ho fatto io…-
-No.-
-Ti prego!-
L’isteria mi aveva trasformato la voce in uno squittio acuto.
Non mi aiutava il fatto che stavo capendo come aveva fatto il coltello
a conficcarsi così in alto nel petto di Robert, proprio nel
mezzo, accanto al cuore.
La forza del vampiro aveva spinto il coltello in profondità,
penetrando la cassa toracica come burro.
Non sapevo quali organi avesse danneggiato e forse per la mia
sanità emotiva sarebbe stato meglio non scoprirlo.
Il sangue aveva completamente coperto la mia mano, mentre piangendo
sussurravo parole di conforto al ragazzo di fronte a me. Gli
accarezzavo la fronte come si faceva con i bambini, perché
sapevo che anche se lui non dimostrava paura, io ne avevo per tutti e
due.
-Permettimi di andare a cercare aiuto. Chiamo un’ambulanza,
devono fermare l’emorragia! Probabilmente stai per avere uno
shock e se perdi troppo sangue potresti…-
La mia voce si perse in un singhiozzo. Sentii la freschezza della mano
di Robert accarezzarmi il volto.
-Secondo me sei tu che sei in stato di shock. Non credo che puoi fare
molto per me.-
-No.-
Ansimai. Non avevo più la forza di gridare, ma avrei tanto
voluto farlo. Gridare al mondo intero che non volevo perderlo. Gridare
al mondo intero che qualcuno doveva aiutarmi a mantenerlo in vita.
-Non voglio perderti.-
Gli sussurrai tra le lacrime. Il sangue si raccoglieva attorno al suo
corpo, diluito con l’acqua della pioggia. Dovevo pensare,
escogitare un modo.
-Tu sei un vampiro…non puoi morire!-
-Argento…-
Mormorò lui semplicemente, come se quella parola dovesse
bastare a darmi tutte le spiegazioni possibili e a consolarmi dal
dolore che mi stava straziando le viscere.
-Ma ci dev’essere un modo per curarti.-
-Nessun modo semplice. È troppo tardi.-
Alzò gli occhi su di me e il suo sguardo non
migliorò il mio stato d’animo. Secondo lui forse
avrebbe dovuto rassicurarmi, ma mi fece stare peggio perché
solo immaginarmi la vita senza il colore scuro delle sue iridi e i suoi
sguardi profondi, mi sembrava impossibile e terribile.
-Dimmelo. Voglio comunque saperlo.-
Dissi.
-Serve sangue...-
-Dove lo posso trovare? Farò qualsiasi cosa!-
-Sangue umano.-
Deglutii e scossi la testa. No…non sapevo dove trovare
sangue umano. Sinceramente non sapevo nemmeno dove trovare qualsiasi
altro tipo di sangue e comunque non abbastanza in fretta da salvarlo.
-Non puoi bere il suo?-
Chiesi accennando in il capo all’avversario morto. Steso a
pochi metri da noi. Robert fece una risata, che si tramutò
in un colpo di tosse. Quando rialzò il capo mi sentii morire
dentro nel vedere che da un angolo della bocca gli colava un rivolo di
sangue. Non sapevo con esattezza cosa significava, ma di certo non era
nulla di buono.
-Non siamo mica cannibali. Non ci nutriamo di quelli della nostra
specie.-
Rispose, quasi divertito. Avrei dovuto immaginarlo.
Perché le domande stupide mi uscivano di bocca nei momenti
meno opportuni?
Poi ebbi l’illuminazione. Non sapevo perché non mi
fosse venuto in mente prima, dato che era una cosa tanto banale!
-Quanto sangue ti serve?-
Chiesi ancora. Sul suo splendido viso si alternavano
serenità e smorfie di dolore. Di certo le smorfie di dolore
erano più frequenti.
-Tanto. Almeno un litro. Di più.-
-E con il sangue…che succede?-
-Guarisco. Le ferite…-
Ansimò stringendo i pugni e gli occhi. Mi afferrò
la mano che gli premevo sul petto, senza staccarla da lì e
la strinse, come per infondersi sicurezza da solo.
-Andrà tutto bene.-
Lo rassicurai. Con l’altra mano gli accarezzai la testa, i
capelli bagnati e la fronte, che sapevo essere imperlata di sudore. La
sua pelle sembrava essere, se possibile, ancora più pallida
e fredda del solito.
-Continua.-
Lo incitai.
-Le ferite guarirebbero tutte. Si rimarginerebbero molto in fretta.-
-E tu non moriresti.-
Conclusi in un soffio. Annuì, come conferma, ma con una
smorfia di rassegnazioni sul volto, come se nulla potesse impedire alla
sua vita di continuare, ormai.
Mi bastavano quelle informazioni per poter prendere la mia decisione.
Accostai il mio viso al suo e lo baciai dolcemente, ignorando il sapore
dolciastro e metallico del suo sangue e inspirando profondamente per
impedire al mio corpo di lasciarsi prendere dal panico. La mia mente
già sembrava sguazzarci.
-Prendi il mio.-
Gli sussurrai contro le labbra. Lo sentii irrigidirsi, poi scuotere
convulsamente la testa.
-No. Non se ne parla.-
-Dico sul serio.-
-No! Non sai quello che dici, lo shock ti sta facendo impazzire!-
La fronte era aggrottata e tutto il suo corpo era teso. Sapevo che
diceva sul serio, ma qualcosa, dentro di me, mi stava suggerendo che
l’idea lo stava tentando.
-Io sono seria. Voglio darti il mio sangue.-
Ribadii con fermezza, anche se la voce mi tremava, come le mani e il
resto del corpo.
Ma Robert stava morendo. Stava morendo davvero e io non avrei potuto
vivere serena senza di lui. Era qualcosa di inconcepibile e
inaccettabile.
Ancora poco tempo e non lo avrei mai più stretto fra le
braccia, non lo avrei più baciato. Lui non mi avrebbe mai
più citato nessun autore, né prestato i suoi
libri, consigliato letture. Non avremmo preparato la recita di
Shakespeare, non mi avrebbe più parlato di se e delle sue
capacità di vampiro. Avevo fatto la mia scelta e nessuno,
nemmeno lui poteva distogliermi dall’agire.
-Potrei ucciderti…-
Ansimò lui.
-Non voglio farti del male. Devi solo lasciare che le cose facciano il
loro corso e vivere.-
-Come potrei chiamare vita un’esistenza senza di te? Ti amo.-
Il suo sguardo tornò a puntarsi su di me, forse un poco
sorpreso dalle mie parole. Sorrise.
-Sarebbe melodrammatico dirti che ti amo anche io?-
-Sì.-
Risi, tra le lacrime. Era ufficiale, stavo davvero impazzendo.
Mi avvicinai a lui e gli mostrai il collo, reclinando la testa
all’indietro.
-Non tentarmi, Jackie. Io sono per metà animale, per
così dire. Se mi provochi non riuscirò a
fermarmi.-
Bene. Finalmente una buona notizia.
-È quello che intendo fare. Cosa vuoi che siano un paio di
litri di sangue?-
Tentai di scherzare. Non volevo ammettere che avevo paura.
-Non è questo il punto…potrei ucciderti, oppure
ti condannerei ad un’esistenza peggiore…la mia.-
Sorrisi.
-Niente è peggio di perderti, sapendo che avrei potuto
salvarti.-
Gli posai la gola sulla guancia. Era fresca e quando lui
voltò la testa per posarmi le labbra sulla vena del collo mi
chiesi se avrebbe fatto male.
Anche se fosse stato straziante, anche se mi avesse completamente
dissanguata, non mi sarei tirata indietro.
Forse era davvero lo shock, che mi impediva di preoccuparmi della mia
salute, ma non mi importava.
-Vuoi davvero rinunciare a tutto ciò che prima ti faceva
sentire umana?-
Mi chiese. Il suo alito caldo mi sfiorò la pelle come una
carezza di velluto e mi fece rabbrividire.
-Sì.-
Risposi con una sicurezza che non mi sarei mai aspettata da me.
-Non potrai più mangiare il cibo normale…odierai
le fragole, che tanto ti piacciono e bramerai il sangue come una droga.
Dovrai assumere i miei farmaci e soffrirai la fame…come la
soffro io.-
Deglutì per scacciare il nodo in gola che Robert era stato
abilmente in grado di farmi provare. Non volevo rinunciare a quelle
cose, non volevo essere costretta ad accettare nessuna conseguenza, ma
dovevo scegliere. Avevo già deciso.
-va bene. Tutto quello che serve…-
Mormorai.
-La luce del sole ti infastidirà. Diventerai pallida e
fredda…come noi.-
-Mordimi.-
Sussurrai, appoggiata contro il suo corpo. Avevo tolto la mano dalla
sua ferita e sentivo il suo sangue caldo bagnarmi i vestiti. Entro
pochi minuti lo avrei perso per sempre, se non si fosse sbrigato a
nutrirsi.
Fu quando sentii il suo corpo tendersi contro il mio, il suo respiro
farsi affannoso e roco e il suo naso strofinarsi contro il mio collo,
che capii che lo avevo in pugno.
-Scappa.-
Mi disse, non molto convinto.
-Scappa prima che sia troppo tardi.-
Prima che potessi interpretare le sue parole, una delle sue mani si
strinse con forza il braccio, impedendomi ogni movimento e
l’altra mi afferrò i capelli sulla nuca.
Con uno strattone doloroso, che mi fece sfuggire dalle labbra un gemito
soffocato, mi tirò indietro la testa, tenendomela ferma.
Tuffò il volto nell’incavo del mio collo e
inspirò profondamente. Mosse le labbra su e giù
in piccoli baci veloci, poi con un movimento lento mi leccò
la carotide pulsante.
-Ti amo, Jackie. Ti amo davvero.-
Ansimò. La sua voce era un ringhio, per metà
umana e per metà animale.
Mi tirò di più indietro la testa, per fissarmi
negli occhi e per permettermi di vedere bene i suoi, divenuti cremisi.
Aprì la bocca quanto bastava perché io potessi
intravedere le zanne, poi, con il viso bagnato di pioggia e lacrime mi
spinse verso di se.
Sentii i suoi denti raschiarmi la pelle, mordicchiarmela, ma senza
affondare le zanne. Stava indugiando troppo. Continuando
così, non sarebbe sopravvissuto.
Lo abbracciai, facendo aderire di più i nostri corpi.
-Mi dispiace.-
Mormorò contro la mia pelle, prima di aprire la bocca e
affondarmi con forza i canini nella carne.
Un dolore acuto mi strappò un lamento, ma ormai era tardi
sia per tirarmi indietro, sia per convincere Robert a smetterla.
Ormai era come se non fosse più lui. Era una bestia che si
era lasciata invadere dall’istinto di sopravvivenza e che si
stava nutrendo del mio sangue.
In ogni caso, non volevo nemmeno interrompere quello che stava facendo.
Era doloroso, certo, ma non come mi ero immaginata e comunque sarebbe
servito a salvagli la pelle.
Non stava nemmeno succhiando. Dopo aver piantato i denti
nell’arteria, stava semplicemente bevendo il liquido che ne
usciva, inghiottendo e leccando come se fosse la cosa più
piacevole e naturale del mondo. Forse era proprio così.
Mi ancorai alle sue spalle, quando la vertigine cominciò a
colpirmi la vista. Sentivo i battiti del mio cuore pulsarmi nella testa
e rimbombare nelle orecchie.
Stavo morendo…me lo sentivo e anche se a Robert non lo
volevo dire, ne ero terrorizzata.
Con un sospiro tremante mi accasciai contro di lui, mentre il mondo
cominciava a scurirsi sempre di più, trascinandomi
nell’ombra per la seconda volta quella sera.
E ancora, per la seconda volta lasciai che
quell’oscurità mi inghiottisse e mi cullasse tra
le sue braccia, finché non vidi altro che il buio.
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Capitolo 13 *** 13. ***
Bonjour! :D eccoci
qui, spero che questo capitolo possa piacervi. Ringrazio Roxell18 e
Titty1194 per le belle recensioni.
13.
Aprii gli occhi ritrovandomi in una stanza al buio. Nonostante vedessi
poco o niente, sapevo che non si trattava della mia camera da letto.
Non ero in casa mia.
Lo stordimento mi impedì di mettere a fuoco subito, ma
quando lo feci non potei impedirmi di trarre un profondo sospiro di
sollievo.
Seduto su una sedia accanto a letto dove ero sdraiata, c’era
Robert.
Alzò immediatamente la testa quando notò il mio
cambiamento di respiro e mi fissò con gli occhi sgranati,
dentro i quali tristezza, senso di colpa e sollievo sembravano essersi
intrecciati e amalgamati bene.
-Jackie.-
Mormorò posandomi una mano sulla fronte e sorridendo.
-Come ti senti?-
Mi strinsi nelle spalle cercando di alzarmi a sedere. Lo feci anche se
la vertigine fece oscillare davanti ai miei occhi la stanza, in maniera
nauseante.
Sentivo un cattivo odore. Sembrava impregnare l’aria e non
volersene andare più. Era qualcosa di metallico e
dolciastro. Era odore di sangue.
Mi sfiorai i capelli e li sentii incrostati. Sapevo che era sangue
rappreso.
Scacciai la sensazione di disgusto che mi salì in gola
scuotendo la testa, ma quando vidi la stanza vorticare ancora di
più, chiusi gli occhi emettendo un gemito di protesta.
-Forse è meglio se stai giù.-
Sentii dire Robert.
-Sto bene, sono tutta intera.-
Ribattei.
-E tu stai bene, vero?-
Annuì, quasi impercettibilmente.
-Sei guarito completamente?-
Di nuovo un gesto minimo.
Mossi una mano fino a sfiorargli il torace. Si era cambiato gli
indumenti indossati quel pomeriggio, per mettersi addosso qualcosa che
non fosse pieno di sangue. Quando toccai il suo petto non sentii nulla
di anormale. La sua ferita tanto spaventosa e grave era sparita del
tutto. Completamente rimarginata.
Trassi un sospiro di sollievo, anche se continuare a pensare a quella
situazione mi faceva pensare che non avevo tutte le rotelle a posto.
Nonostante quello, sapevo con certezza che era tutto vero. Non stavo
sognando niente, Robert era veramente guarito da una ferita mortale,
solo grazie al mio sangue.
Era un po’ macabro, ma mi sembrava qualcosa di estremamente
romantico.
Mi misi più comoda. Quando fui all’altezza del suo
viso mi sporsi per baciarlo, ma lui si tirò indietro di
scatto.
Il mio cuore perse un battito.
-Che ti prende?-
Chiesi, con la preoccupazione nella voce.
-Sei sicura di sentirti bene? Hai perso
molto sangue.-
Marcò la parola perso con un’intensità
che non mi piacque per niente. Capivo cosa stava succedendo,
perché sembrava essere tornato come prima che ci mettessimo
insieme. Triste, pensieroso e malinconico.
-Non hai nessun bisogno di sentirti in colpa.-
Dissi con risolutezza. Allungai una mano per accarezzargli il volto, e
lui non si scostò.
-Ti ho quasi ucciso.-
-Ma non l’hai fatto.-
-Però avrei potuto!-
Aveva alzato la voce e stretto i pugni. Sapevo che era furioso
perché i suoi occhi cominciarono a cambiare colore, fino a
diventare rosso sangue. Non si preoccupava minimamente di controllarsi,
in quel caso, come se ormai mi avesse già mostrato tutto
quello che c'era da vedere.
-Calmati, Robert. Sono viva, tu sei vivo. È andato tutto
bene.-
-Cazzate! Non sai in che guaio ti sei cacciata.-
Scossi la testa spazientita, ma in realtà il mio cuore aveva
già cominciato a battere più veloce riflettendo
davvero sul significato delle sue parole. Ero
contagiata…sarei diventata come Robert.
-Sento la tua paura, Jackie. Sento che le pulsazioni del tuo cuore sono
cambiate. Ti trasformerai in un mostro, come me. E solo per colpa mia!-
Chinò il capo, si alzò e mi diede le spalle, ma
solo quando lo vidi tremare, mi resi conto che stava piangendo.
Mi alzai, ignorando un capogiro, poi accesi l’abat-jour sul
comodino accanto al letto.
La stanza si illuminò immediatamente di una luce arancione,
mostrandosi meglio nei suoi dettagli.
Il letto aveva semplici lenzuola blu e anche se non era matrimoniale
era abbastanza largo da poter ospitare due persone.
Accanto al letto stava la scrivania, di legno chiaro, che ospitava un
computer e qualche libro. Il resto dei tomi letti da Robert era riposto
in maniera piuttosto ordinata su un grande scaffale che percorreva
tutta la lunghezza di una parete, assieme ai libri di scuola, ai cd e
ad alcuni dvd.
Mi avvicinai a Robert e gli cinsi la vita da dietro, con un abbraccio.
-Ti prego.-
Mormorai.
-Ti prego non piangere per me. Sto bene.-
Si liberò dal mio abbraccio voltandosi verso di me e
fronteggiandomi. Non riuscii a dire nulla di sensato perché
vedergli il volto rigato di lacrime mi strinse il cuore in una morsa di
dolore.
Mi accarezzò una guancia senza smettere di piangere, poi
senza che io potessi fare nulla per impedirglielo, scivolò
in ginocchio e affondò il volto contro la mia pancia,
stringendomi a se come se non avesse mai voluto lasciarmi andare. Per
nessun motivo.
-Perdonami ti prego! Perdonami per averti condannato alla mia vita!-
Alzò il viso e mi guardò, come un bambino
bisognoso di essere rassicurato. Lo feci perché non volevo
vederlo ridotto a quel modo. Non dovevo essere la causa del suo
struggimento.
-Tu non devi scusarti per nulla. Io ho fatto la mia scelta e se fosse
necessario lo rifarei mille volte ancora.-
Mi sentivo decisamente debole, a causa del sangue che Robert mi aveva
tolto, ma mi inginocchiai anche io, perché non mi piaceva
guardarlo dall’alto in basso.
Così era più alto di me, ma almeno era una
posizione quasi normale.
-È vero quello che mi hai detto prima? È vero che
mi ami?-
Chiesi in un soffio.
-Sì, certo.-
-Allora devi smetterla di darti la colpa di tutto, perché
nessuno di noi due vivrà bene se tu ti piangi addosso
così. Non voglio essere dura con te, ma voglio che tu sia
tranquillo.-
Annuì senza dire nulla. Non sembrava molto convinto, ma
almeno aveva smesso di piangere. Gli asciugai le guance con una carezza
e mi sporsi per baciarlo. Lui non si scostò, ma sapevo, nel
profondo che era ancora addolorato.
-Mi dovrai aiutare.-
Decretai alzandomi in piedi, subito imitata anche da lui.
-So poche cose sui vampiri e dato che diventerò come te, mi
devi insegnare molto.-
Mi guardò serio, poi annuì e finalmente mi
regalò uno dei suoi magici sorrisi.
-Farò il possibile.-
-Quanto ci vuole per…come dite voi? Trasformarsi? Mutare?-
-Non c’è un modo per dirlo, si può dire
in diverse maniere. Comunque, ci vogliono più o meno cinque
o sei giorni. E qui sorge un altro problema…-
Non ebbi bisogno di chiedergli di che si trattasse, perché
lo sapevo già.
-La Finlandia.-
Conclusi per lui. In effetti era davvero un problema, entro pochi
giorni saremmo partiti per la gita e io mi sarei probabilmente
trasformata in una camera d’albergo. Non ci volevo pensare.
-Le camere sono già state decise.-
Dissi. Mi riferivo al fatto che avevamo già deciso chi
sarebbe stato con chi, in stanza.
Se il problema numero uno era che sarei diventata un vampiro e il
problema numero due era che mi sarei trasformata in albergo, il
problema numero tre era che la mia compagna di stanza sarebbe stata
Faith.
-Dimmi come avviene il mutamento.-
Feci, sedendomi di nuovo sul letto e lasciando che Robert si sistemasse
accanto a me. Trasse un sospiro, come tutte le volte che voleva
raccontare qualcosa di importante, poi cominciò.
-Dal momento in cui il veleno entra in circolo, il corpo lentamente
cambia le sue caratteristiche. Nel nostro caso cambia persino il dna.
Cambia ogni cosa. La nostra pelle, i nostri organi, i muscoli e le ossa
diventano più forti e resistenti. Il nostro sistema
digestivo comincia a preferire certi tipo di sostanze. Il sangue.-
Spiegò.
-Rifiuta il resto?-
-Non proprio, però lo digeriamo a stento e anche i sapori
del cibo normale sono diversi. È un cambiamento totale,
insomma.-
-Ma allora se il cibo normale ha un gusto cattivo, perché tu
ed Eireen mangiate in mensa?-
Chiesi, ricordando i loro pasti miseri, ma pur sempre pasti.
-Beh…-
Mormorò.
-La mensa è offerta dalla scuola e mia madre mi ha iscritto
perché pensava che fosse un buon modo per fare conoscenza
con i nuovi studenti.-
Mormorò, come se avesse dovuto giustificarsi di qualcosa di
brutto.
-Tornando a noi, il punto è che la trasformazione non
è qualcosa di rapido. Avviene in diversi giorni e non
è affatto piacevole.-
Continuò. Sentito così sembrava decisamente un
eufemismo.
-È doloroso?-
Chiesi in un sussurro. Lui mi guardò è
annuì.
-Non eccessivamente, ma lo è. La temperatura corporea si
alza perché in atto ci sono cambiamenti molto importanti del
corpo. Ci si sente…deboli. Ma in fondo è qualcosa
di sopportabile…hai paura?-
Mi guardò di sottecchi, come per capire esattamente cosa
provavo e forse, per rinfacciarmelo.
-Affatto.-
Risposi tranquilla e beata.
-Certo, confesso di non aver per nulla voglia di rovinarmi la gita con
una specie di influenza pre-vampirica, ma come hai detto tu
sarà sopportabile. Mi basta che tu mi stia vicino.-
-Ci sarò sempre, lo sai.-
-E Faith?-
-Ci penseremo. Possiamo sempre fare cambio di stanza con Eireen.-
Rimasi in silenzio per qualche secondo. Solo allora cominciai davvero a
pensare che quella situazione potesse trasformarsi in un problema.
-E caratterialmente cosa cambia?-
Chiesi con una voce tanto sottile da sembrare quella di un pulcino.
-Non molto.-
-Tu sei cambiato?-
Lo guardai di sottecchi come per cogliere in lui sfumature di menzogna,
quando mi avrebbe risposto. Tanto per essere sicuri.
-Ti faccio vedere una cosa.-
Mormorò. Si alzò dal letto e raggiunse
velocemente la sua scrivania.
Frugò per un attimo in un cassetto, poi tornò da
me con quello che riconobbi essere un album fotografico, solo quando si
fu nuovamente messo a sedere accanto a me e quando lo ebbe aperto a
metà.
Era di plastica variopinta, con una scritta in cima che diceva
“la nostra famiglia”.
La foto che mi mostrò ritraeva un ragazzino.
-Guarda. Che cosa vedi?-
Mi chiese Robert. La sua voce tradiva una tristezza che non volevo
più sentire. Ero stanca, non di lui, ma del modo in cui
continuava a mortificarsi.
-Vedo te.-
Dissi, ed era la verità, solo che sapevo che in quella foto,
c’era qualcosa di diverso.
Probabilmente era solo perché risaliva a qualche anno prima,
quando Robert era ancora un bambino.
Era abbracciato ad una donna molto bella, che sapevo essere sua madre
anche se non la conoscevo affatto. Vedevo in lei la forma sinuosa del
viso, che aveva tramandato ad entrambi i figli. Gi occhi invece erano
di uno splendido azzurro cielo che si vedeva benissimo, nonostante
quella foto non fosse un primo piano.
Il cambiamento che si poteva notare era che il volto di Robert aveva
ancora quei lineamenti morbidi di chi dall’infanzia si
prepara a raggiungere l’età adulta, ma
c’era però qualcos’altro e di sicuro
Robert si accorse della mia perplessità.
-Guarda qui.-
Mi ordinò puntando un dito verso il viso del ragazzino in
foto.
-Lo vedi? stavo ridendo. Ecco cos'è cambiato in me.
Principalmente questo.-
Per un istante temetti che ricominciasse a piangere, ma non era solo
tristezza che lessi nei suoi occhi. C'era un sacco di rabbia,
abbastanza forte da manifestarsi in un guizzo cremisi nelle iridi.
-Se tutto questo non fosse successo, ora ti troveresti a fissare occhi
normali, mentre ora sono occhi di mostro, quelli che stai vedendo.-
Gli accarezzai il volto, senza la minima paura della bestia che
probabilmente lui aveva paura di scatenare contro di me, quando meno me
lo aspettavo.
-Se tutto ciò non fosse successo oggi saresti
così? Avresti questo carattere? Forse della vita non avresti
mai capito un cazzo e ti saresti trasformato in uno stronzo come gli
altri. Mi dispiace che quello che è successo ti abbia
rovinato la vita, ma se ora sei quello che sei, forse è
anche merito delle difficoltà che hai dovuto passare. Ti
hanno...-
Feci una pausa per trovare la parola adatta, poi continuai.
-...temprato.-
Dissi. Lui mi fissava, gli occhi di nuovo normali, ma il viso fiacco di
chi non sapeva più che fare per dormire sonni tranquilli.
-Io ti amo per quello che sei, non per quello che avresti potuto
essere, se quel vampiro non ti avesse fatto del male. Ma mi dispiace
che tu non sia felice. Farei qualsiasi cosa per cambiare questo.-
Finalmente mi regalò un sorriso.
-Tu già stai cambiando le cose.-
Dichiarò. Si allungò verso di me e
posò le labbra sulle mie in un bacio dolce.
-Potevo dire con sicurezza di non essere felice un tempo, ma ora se
qualcuno me lo chiedesse sarei molto indeciso. Tu mi rendi felice
Jackie. Solo tu. È solo che non volevo che tutto questo
coinvolgesse anche te...non in questo modo.-
-Io e te siamo insieme.-
Gli dissi.
-Supereremo anche questo ostacolo. Quante volte ti devo ancora ripetere
che non sei un mostro? E poi, quando gli occhi ti diventano
rossi...sono davvero bellissimi.-
Non sembrò molto convinto dalle mie parole, ma
annuì con un mezzo sorriso.
Mi baciò un'ultima volta, poi si alzò in piedi e
mi porse una mano per aiutarmi a tirarmi su.
-Vieni, dai. Ti voglio presentare i miei genitori.-
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Capitolo 14 *** 14. ***
Eccomi qui, sono
davvero felice per i commenti. Ringrazio Love_Vampire_Yuki per la
recensione (anche se il suo commento riguardava il capitolo 11, ma non
importa), Roxell18 e Titty1194.
Inoltre un grazie a coloro che mi hanno aggiunto ai preferiti, seguiti,
ricordati etc etc, e a coloro che mi seguono. ciao!
14.
Lo sconvolgimento dovuto alla perdita
di sangue, come l’aveva chiamata poco prima Robert, sembrava
essere cessato. Tutto sommato, anche se il mio fisico solitamente era
debole e cagionevole di natura, mi stavo riprendendo piuttosto bene.
Robert sembrava deciso più che mai a presentarmi ai suoi
genitori. Dopo tutto, non potevo andar via senza nemmeno salutare, dato
che mi trovavo in casa dei signori Paige.
Ero loro ospite anche senza conoscerli e quella situazione imponeva
almeno un po’ di gentilezza da parte mia, dopo la
disponibilità che avevano dimostrato
nell’accogliermi da loro.
Mi domandai per un secondo in quali condizioni Robert si fosse
presentato a casa e quali erano state le mie. Come avevano reagito i
suoi genitori?
Ero a conoscenza del fatto che Robert ed Eireen erano stati riluttanti
nel dire tutto. Ancora non si erano decisi a confessare ai genitori che
sapevo il loro grande segreto.
Nel vedere il ragazzo giungere sulla soglia di casa con me priva di
conoscenza avevano capito tutto al volo? E Robert poi quali spiegazioni
aveva dato?
-Come mi hai portato qui?-
Mi decisi finalmente a chiedere al ragazzo, mentre lui, tenendomi per
mano, mi accompagnava dal resto della sua famiglia.
-Quando hai perso conoscenza ho pensato di averti…di aver
esagerato nel bere il tuo sangue.-
Spiegò, guardandosi bene dal dire che aveva temuto di avermi
ucciso. Forse evitando di nominare quelle parola si sentiva meglio,
come se riuscisse davvero a credere che non mi aveva fatto troppo male.
-Quando ho visto che continuavi a respirare ti ho preso in braccio e
sono tornato a casa.-
-Nessuno ti ha visto?-
Chiesi, quasi incredula.
-I vampiri sanno essere molto discreti, quando vogliono.-
Decretò con un mezzo sorriso.
-Domanda stupida. Colpa mia.-
Scosse la testa divertito, come se volesse comunicarmi mentalmente che
non dovevo farmi problemi se per caso mi sorgevano dei dubbi a
proposito della sua condizione.
-E poi?-
Lo incitai a continuare.
-Poi i miei sono venuti ad aprirmi e ti hanno visto tra le mie braccia.
Hanno notato i miei vestiti e i tuoi imbrattati di sangue e il tuo
collo ferito e…diciamo che sono impalliditi.-
Mi fu quasi impossibile crederlo.
-Più pallidi del normale?-
-Sì. Quando mi hanno fatto entrare mi hanno fatto un sacco
di domande, ma prima ti ho messo a letto e mi sono fatto aiutare da mia
madre nel ripulirti almeno un po’. Solo in seguito abbiamo
discusso di quello che è successo.-
Mi ricordai dell’odore di sangue di poco prima, e nel farci
caso lo notai ancora.
-Puzzo.-
Commentai. Lo vidi scuotere la testa e serrare le mascelle.
-In realtà è un buon odore.-
Rispose. Si rese conto pochi secondi dopo che forse la sua affermazione
era stata un po’ inopportuna. Mi guardò con uno
sguardo che esprimeva sofferenza e senso di colpa, finché
non gli accarezzai il dorso della mano con il pollice.
-Niente struggimenti.-
Lo avvertii.
-Mi fa piacere sapere che il mio sangue abbia una buona fragranza.-
-Non ti fa schifo? Non ti spavento?-
-Io mi fido di te. E poi il sangue non è niente di
disgustoso. È la linfa vitale.-
Mentii. In realtà il sangue mi aveva sempre nauseato, ma
messo in quei termini risultava qualcosa di molto poetico.
-Dimmi una cosa.-
Iniziai, mentre mi faceva scendere una scala di legno che costeggiava
una parete costellata di quadri.
Le mie gambe erano malferme, a causa della stanchezza e della
debolezza, ma cercai in tutti i modi di non darlo a vedere, continuando
la nostra conversazione.
-Com’è?-
Domandai curiosa.
Lui aggrottò la fronte. Non aveva capito di che parlavo.
-A cosa ti riferisci?-
Mi chiese.
-Il mio sangue…è…buono?-
Per un secondo pensai che tornasse a rabbuiarsi, poi però
con mia immensa gioia fece una risata sincera, che mi scaldò
il cuore.
-Certo che sei strana, tu.-
-Grazie.-
Feci con un ghigno.
-Per me è un complimento, non riuscirai ad offendermi.-
-Non era mia intenzione. Comunque il tuo
sangue…è…-
Si strinse nelle spalle pensieroso. Si guardò intorno, come
per trovare l’ispirazione per la parola adatta, poi
continuò, osservando me come se fossi qualcosa di
estremamente importante.
-Ambrosia.-
Il tono della sua voce e il suo sguardo mi fecero arrossire, per un
motivo che nemmeno io conoscevo.
Fui la prima a distogliere lo sguardo e a non dire più nulla.
La casa di Robert era una di quelle case speciali che non avevano
bisogno di essere necessariamente costose, per essere splendide.
Tutto dipendeva dalle mani creative di chi le sapeva arredare.
Chiunque avesse contribuito di certo aveva buon gusto.
Non mancava mai un quadro alle pareti, i cui colori erano di un caldo
color rosso.
Mi venne da pensare rosso sangue, ma non lo dissi a voce alta
perché mi sembrò inopportuno in quel momento.
Scendemmo gli ultimi gradini giungendo di fianco alla porta
d’entrata. Un tappeto dai colori caldi copriva il pavimento
dell’atrio, costeggiando una parete coperta da alcuni
cappotti agganciati su un appendiabiti e fiancheggiando una scarpiera
in legno scuro.
Mi fece strada, proseguendo di pochi metri fino ad una porta a vetri
scorrevole. Di fianco a me guardai a sinistra ed intravidi la cucina,
ma il mio sguardo non poté indugiare per più di
un paio di secondi, perché Robert scostò
silenziosamente la porta a vetri e mi fece segno di entrare, come un
perfetto gentiluomo.
I miei passi erano insicuri e rumorosi nel silenzio quasi assordante
che riempiva l’intera casa.
In tutto il percorso Robert si era mosso con estrema naturalezza e non
aveva emesso quasi nessun rumore, come se i suoi passi fossero stati
fatti di piuma.
Sembrava qualcosa di innaturale e solo allora sapendo che avevo avuto
da un po’ la conferma che non era umano, capivo che era
davvero così.
Quando varcai la soglia del salotto mi sentii in imbarazzo nel sentire
puntati addosso la pesantezza di tre sguardi.
Già normalmente credevo che sia Eireen che Robert avessero
qualcosa negli occhi che comunicava l’intensità
quasi spaventosa di una voragine, ma in quel momento, in una situazione
tanto delicata mi fu impossibile sostenere lo sguardo dei presenti.
Tenni gli occhi fissi a terra, senza quasi il coraggio di osservare i
genitori di Robert, poi, quando sentii le mani del mio ragazzo posarsi
sulle mie spalle, trassi un profondo sospiro, mi feci forza e alzai gli
occhi dal pavimento.
Eireen era seduta su una poltrona, con le ginocchia raccolte contro il
petto e le braccia avvolte attorno ad esse. Anche se la posizione non
era delle più eleganti, il suo corpo trasmetteva
un’armonia incredibile.
Al centro, posto tra quella poltrona e un’altra identica
all’altro lato, quasi speculare alla gemella, c’era
un divano sul quale sedevano due individui.
Riconobbi all’istante i tratti fisici dei figli, il pallore
spettrale, le occhiaie e lo sguardo magnetico. A pensarci bene, forse
me l’ero anche aspettato, ma rimasi comunque senza parole,
troppo in imbarazzo per dire alcunché.
Come per venirmi in soccorso, il padre di Robert sorrise. Aveva occhi
creati appositamente per essere gentili, un viso sottile e barba
incolta, non troppo lunga da sembrare trascurata, ma abbastanza
visibile da donargli un certo fascino. Aveva la fronte alta, non per
via della calvizie. Probabilmente l’aveva avuta sin da
piccolo. Gli occhi erano scuri come la brace.
Quella che mi rivolse fu più che altro una smorfia che non
comunicava né accoglienza, né
ostilità. Tradiva piuttosto una profonda inquietudine.
La stessa tensione palpabile sembrava emanarla la donna seduta al suo
fianco, ma lei non si prese nemmeno il disturbo di sorridere. Era una
bellezza che non comunicava nessuna forma di volgarità e che
sapeva, al momento giusto, farti sentire un’idiota solo
ostentando uno sguardo intelligente.
I capelli castano ramati ricadevano in un caschetto liscio fino a
sfiorare appena le spalle. Il viso era lievemente arrotondato, ma non
paffuto. Era solo una conformazione ossea, la sua.
Gli occhi erano diversi da quelli dei gemelli Page. Erano di un celeste
splendido, ma in quel momento mi parvero freddi come il ghiaccio.
Repressi a stento un brivido che non aveva nulla a che vedere con la
temperatura gradevole della stanza. Non sapevo esattamente il
perché, ma avevo una paura dannata.
-Loro sono i miei genitori, Andrew e Chynthia Page. Lei è
Jacqueline…Jackie.-
Esordì Robert. Io feci un cenno di saluto con il capo e
tentai di sorridere.
-Piacere.-
Mormorai.
-Siediti, Jacqueline.-
Mi disse la donna, indicando la poltrona libera, accanto al divano,
come se non avesse sentito le parole del figlio o come se non gliene
fregasse niente.
Esitante, feci per muovere qualche passo, ma Robert mi precedette. Mi
afferrò la mano, prese posto sulla poltrona e mi
attirò a se, facendomi sedere sulle sue ginocchia.
Non credevo che stare così vicini, in quella posizione
così affettuosa potesse darmi una mano a scacciare la mia
inquietudine e la tensione che si respirava nella stanza, ma non appena
fui tra le sue braccia mi sentii al sicuro, come se non avessi avuto
nulla da temere.
-Ci fa piacere vederti di nuovo in piedi, Jacqueline.-
Mormorò il padre di Robert. Forse era perché
continuavano a ripetere il mio nome completo, che mi mettevano i
brividi. Se solo mi avessero chiamato Jackie, mi sarei calmata. Sarebbe
sembrato tutto qualcosa di più confidenziale ed informale.
-Sì…io…-
Cominciai a dire. Mi schiarii la voce, ma nel frattempo non trovai
nulla di interessante da dire. Deglutii, poi scossi la testa.
-Niente.-
Conclusi. Dio, quant’era imbarazzante! Ed ero così
sciocca a comportarmi così!
-La situazione è delicata.-
Intervenne la donna. Mi puntò addosso quei suoi occhi
glaciali e mi scrutò come se volesse leggermi
l’anima, come le veggenti leggevano i palmi delle mani.
-Forse tu non te ne rendi abbastanza conto, ma…-
-Invece, me ne rendo perfettamente conto.-
Disse una voce risoluta. Ci misi un paio di secondi a realizzare che
ero stata io a parlare. Proprio io che un attimo prima avevo balbettato
e tremato come una foglia.
Strana la vita, vero?
Cominciavo a sentire un po’ più di sicurezza,
forse per la presenza di Robert o forse solo perché per
quanto riguardava quell’argomento, avevo le idee ben chiare.
Perché sapevo che si parlava del fatto che Robert era un
vampiro e io un’umana. Del fatto che loro avevano un segreto
e che io con qualche parola di troppo avrei potuto rovinare le loro
vite un’altra volta.
Avevo la loro reputazione in pugno ed erano loro ad avere paura di
me…non il contrario.
Forse era davvero così, o forse, più
semplicemente, io mi stavo convincendo di quelle cose per potermi
infondere conforto.
-So quello che state cercando di dirmi. È fiato sprecato. Io
non vi tradirò…mai.-
Conclusi. Non avevo altro da aggiungere.
Suggellai quella promessa guardando tutti negli occhi, tranne Robert,
perché aveva il mento posato sulla mia spalla.
Sentivo il suo respiro sul collo e per un momento soltanto, ricordai
l’istante esatto in cui poco tempo prima mi aveva affondato
con forza i canini nella carne.
-Già una volta mio figlio ha sofferto a causa di una ragazza
che lui credeva essere quella giusta. Vogliamo solo assicurarci, che
non succeda di nuovo.-
La signora Page sottolineò il “mio
figlio” con un’enfasi che mi suggerì che
nel caso avessi causato di nuovo il suo dolore, me l’avrebbe
fatta pagare cara.
Probabilmente era una prerogativa delle donne Paige, perché
Eireen mi aveva fatto la stessa minaccia, anche se più
diretta.
-Farei qualsiasi cosa per lui, signora Paige. Ne avete avuto la prova.
Come ho già detto, per niente al mondo vi tradirei. Capisco
cosa significherebbe.-
-Mamma, io mi fido di Jackie.-
Si intromise Robert. Strinse di più l’abbraccio,
ma non riuscii a vedere l’espressione del suo bel viso. Ero
sicura che fosse profonda, sincera e decisa.
Lanciai una fugace occhiata verso Eireen, che a sua volta stava
guardando verso di me.
Mi sorrise e annuì.
-Sì, anche io mi fido di lei. È una a posto. E
poi Robert si lagna di meno da quando stanno insieme.-
Spiegò con un’espressione tanto carina che per un
attimo mi venne voglia di alzarmi ed andare a stampagli un bacio in
fronte.
Ovviamente mi trattenni.
Tornai a guardare i genitori. Quella che mi intimidiva di
più era Chynthia.
Mai sottovalutare una madre incazzata.
Sostenni il suo sguardo il più a lungo possibile, mentre lei
fece lo stesso. Mi fu però impossibile vincere quella
sciocca battaglia. Abbassai gli occhi, per umiltà o forse
solo per debolezza. Mi presi un attimo di pausa, poi gli rialzai.
La sua espressione sembrava essere cambiata di un poco. Più
che gelida, sembrava indagatrice.
-Tu hai salvato la vita a mio figlio.-
Disse. Non era una domanda. Era un’affermazione, ma in ogni
caso sentii che era giusto rispondere in qualche maniera.
-Sì.-
Feci, con determinazione.
-Hai rischiato la tua per guarirlo.-
-Esatto.-
La donna deglutì, come per scacciare un nodo in gola che le
impediva di respirare a dovere.
I suoi occhi persero ogni ostilità e si trasformarono in
qualcosa di struggente e dolce al tempo stesso.
Sembravano mescolare, in un intreccio perfetto, il sollievo per non
aver perso Robert, lo shock per aver rischiato di farlo e
l’incredulità. L’ultima riguardava me.
Era come se non si fosse aspettata una tale devozione da parte mia, o
almeno fu quello che notai.
-Alzati.-
Mi ordinò, con voce tremante. Non seppi che fare, in un
primo momento, ma volevo conservare un po’ della mia
dignità e mostrarmi sicura di me stessa.
Come potevo dimostrare che avrei fatto qualsiasi cosa per il ragazzo
che amavo, se poi avevo paura di sua madre?
Feci come mi aveva detto, inspirando a fondo per impedirmi di agitarmi
troppo. Non avevo ancora usato l’inalatore quel giorno,
nonostante tutto, ma avevo come la sensazione che ne avrei avuto
bisogno entro breve tempo.
Quando fui in piedi, anche Chynthia si alzò. Feci appena in
tempo a notare, legato al suo collo, uno dei suoi famosi foulard, uno
dei tanti, quando a passo sostenuto mi venne incontro. Fu rapidissima
ed inevitabile.
Per un attimo temetti che mi volesse fare qualcosa di male, ma poi
senza che me ne accorgessi nemmeno si gettò contro di me e
mi strinse tra le braccia, con un affetto che non le avrei mai
attribuito.
-Grazie…-
Mormorò con la voce spezzata. Ci misi un po’ a
capire che stava singhiozzando.
-Grazie per averlo salvato.-
Le sue braccia mi avvolsero in modo estremamente materno.
Appoggiò il viso conto la mia spalla e pianse.
Mi guardai intorno imbarazzata, per accertarmi di non essere
l’unica a sentirmi a disagio. Andrew guardava la moglie con
uno sguardo amorevole, indeciso se alzarsi e unirsi a noi o rimanere
immobile. Optò per quest’ultima. Eireen aveva le
lacrime agli occhi, ma probabilmente preferì non lasciarsi
andare.
Scacciai il nodo in gola che mi si era formato per la commozione e
ricambiai l’abbraccio di Chynthia.
-Lo farei ancora, se necessario. Mille altre volte. Lo farei per
sempre.-
Mormorai. Solo in quell’istante capii che in fondo quella
sarebbe diventata anche la mia famiglia, perché nessun altro
tranne loro avrebbe dovuto sapere cosa sarei diventata.
La lasciai piangere. Lasciai che si sfogasse anche al posto mio.
Sentivo nei suoi singhiozzi tutta la tensione accumulata. Era da quando
ero entrata in soggiorno che si tratteneva, o forse anche da molto
prima.
Quando si scostò da me per guardarmi in viso la vidi
sorridere, per mostrare finalmente il carattere solare di cui Robert mi
aveva tanto parlato con orgoglio.
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Capitolo 15 *** 15. ***
Ciaooo! ecco il
nuovo capitolo, finalmente si parte per la Finlandia. Mamma mia che bei
ricordi, la mia gita in Finlandia, mi è rimasta davvero
impressa, altrimenti non avrei mai immaginato di ambientare la storia
lì.
questo capitolo è un po' lento, spero possa piacervi.
Ringrazio Love_Vampire_Yuki e Roxell18 per l'assiduità con
cui mi recensiscono :D grazie di cuore! Ciao!
15.
Qualche istante dopo mi resi veramente conto che erano passate circa
tre ore da quando io e Robert eravamo usciti quel pomeriggio. I miei
probabilmente erano in ansia per me.
Quando lo dissi ai Paige, chiedendo di poter tornare in camera a
prendere il cellulare per chiamarli e scusarmi, mi sorrisero e mi
dissero che ci avevano già pensato loro.
Avevano detto che una macchina, passata a tutta velocità, mi
aveva schizzato i vestiti. Dato che casa loro era più vicina
ero andata da Robert per farmi una doccia e mettermi qualcosa di
asciutto. Avevano aggiunto anche che per loro sarebbe stato un grande
piacere avermi per cena.
Quando mi dissero l’ultima frase li guardai aggrottando la
fronte. Avermi per cena?
La cosa suonava vagamente sinistra, ma non dissi nulla
perché probabilmente ero stata l’unica a notare
l’ambiguità delle loro parole.
Mi osservarono tutti consumare in silenzio un piatto di minestra caldo,
che nonostante loro sostennero fosse una delle poche cose che tenevano
in dispensa per le emergenze, trovai perfetto.
Fuori il clima non era per nulla piacevole e del cibo caldo fu quello
che mi ci volle per scaldarmi un po’ dopo tutta la pioggia
che avevo preso.
Il mio ombrello era andato perso, probabilmente per sempre, in quel
vicolo. Non sarei di certo tornata lì per recuperarlo.
Cenare in mezzo ad una famiglia di vampiri interessati a me mi mise a
disagio, ma non appena posai sul piatto il cucchiaio, dimostrando di
aver finito, come se fosse stata la cosa più naturale del
mondo cominciammo a chiacchierare del più e del meno.
Discutemmo inoltre di quello che era accaduto quel pomeriggio. Man mano
che la mia mente era tornata allo stato normale, ovvero lontana dallo
shock, formulammo le nostre ipotesi sul killer che ci aveva attaccati.
Era stato famoso per una serie di stupri, come avevo già
ricordato e il suo nome era Scott Lehane, l’imprendibile
stupratore. Era già scomparso da qualche mese, ma ovviamente
nessuno aveva pensato che fosse diventato un vampiro.
Chiunque avesse trovato il suo cadavere, quella notte, avrebbe potuto
solo denunciare tutto alla polizia, che però non avrebbe
saputo a chi attribuire l’accaduto.
Quando chiesi il perché, Andrew Paige mi spiegò
che il dna di un umano tramutato in vampiro appare diverso. Gli
scienziati lo avrebbero analizzato ma avrebbero semplicemente pensato
che si trattasse di sangue animale, anche se non era esattamente
così.
Perciò tutto il sangue che Robert aveva versato non poteva
essere attribuito ad un umano e il mio sangue non aveva lasciato tracce
perché se l’era bevuto Robert. Facile, no?
Dopo qualche discussione lasciammo da parte quell’argomento
macabro e ci dedicammo a cose più futili e piacevoli.
Insistetti per aiutare la madre di Robert a sistemare la cucina, dato
che si era scomodata solo a causa mia e parlammo per tutta la sera.
Avevo pensato che fosse una donna fredda e seria, anche un
po’ stronza a dire la verità, ma alla fine era
simpatica, allegra e anche molto giovanile.
Tra l’altro la cosa che più mi fece piacere fu
notare come tutta la famiglia di Robert era così unita.
Nonostante lui e la sorella si punzecchiassero spesso, si volevano bene
tutti, forse per la sorte comune che stavano condividendo.
Dopo quella serata capii che ogni volta che avessi avuto bisogno di
aiuto, i Paige mi sarebbero stati accanto, per darmi una mano o anche
solo per un appoggio morale.
Era una prospettiva decisamente confortante.
Mi spaventai quando a casa di Robert, vidi i segni del suo morso per la
prima volta. Era ben visibile ed era chiaro che non era stato per nulla
gentile quando aveva affondato i denti.
Potevo riconoscere tra i solchi, i buchi inferti dai canini e i segni
delle due arcate.
Nonostante spiccassero sulla mia pelle come un tatuaggio rosso, sarebbe
bastato un po’ di fondotinta per mascherare tutto.
Non m’importava quello che avrebbero detto a scuola, dato che
di sfuggita poteva sembrare un succhiotto, ma volevo ad ogni costo
nascondere tutto ai miei.
Mi sarei limitata a non raccontare nulla, ma nel caso mi avessero
fissato il collo avrei dovuto per forza mentire. Mi sarei sentita
decisamente a disagio in quella situazione, ma avrei fatto del mio
meglio per sembrare naturale.
Nei giorni seguenti, a parte i miei tentativi impegnati di nascondere i
segni della mia prossima trasformazione, non accadde nulla di troppo
diverso dal solito.
Normalità era una parola grossa, per quello che la mia vita
nell’ ultimo mese era diventata, ma non successe nulla di
rilevante, a parte i tg e i giornali che parlarono per un paio di
giorni del ritrovamento di Scott Lehane in un vicolo della nostra
città, misteriosamente ucciso da qualcosa.
Tutto ciò che commentai con i miei genitori, fu che se
l’era meritato. Nient’altro.
Cominciai a preparare seriamente i bagagli, due giorni prima della
partenza. Come avevo detto a Robert misi in valigia solo due libri e i
famosi scarponcini che non sapevo se sarebbero serviti davvero oppure
no.
Non si poteva mai sapere.
Anche se insistetti per farmi mostrare il vestito che Robert aveva in
mente per me per Halloween, lui non si lasciò convincere.
Non mi volle dare neppure un indizio e non mi mostrò nemmeno
il suo.
Speravo soltanto che non fosse nulla di eccessivo.
Dopo una grande attesa il giorno della partenza arrivò.
Arrivammo all’aeroporto grazie all’uso di un
pullman scolastico.
Faith decise di lasciarmi il posto per permettere, come disse lei, a me
e al mio ragazzo di pomiciare. Ovviamente con l’aggiunta
finale del suo solito capisci?.
Ero stata in aereo solo una volta nella mia vita e quand’ero
scesa a terra sana e salva mi ero detta che non ci avrei più
messo piede. Ci avevo pensato qualche giorno prima, ma dopotutto avevo
convenuto che ne sarebbe certamente valsa la pena e non mi ero agitata
troppo, ma quando arrivammo all’aeroporto e vidi i vari gate,
mi ricordai l’esperienza passata e cominciai a mordermi
convulsamente le unghie, indice di un nervosismo intenso.
Salimmo tutti sull’aereo, passando attraverso quei corridoi
tappezzati di cartelli pubblicitari e quando la hostess, con un sorriso
gentile, mi augurò un buon viaggio e io mi accomodai al suo
posto, stavo già sudando freddo.
Robert prese posto accanto a me, incurante del fatto che avevo
già una voglia matta di scavalcare tutti e di fiondarmi
fuori.
Si accorse del mio disagio quando si voltò verso di me per
rivolgermi un sorriso.
-Ehi…-
Mi disse, dandomi un colpetto con il gomito.
-Stai bene?-
Non lo guardai nemmeno in viso. Fissavo la parte di pista che mi era
possibile scorgere dal finestrino, anche se il mio posto era situato
verso il corridoio, sapendo che entro pochi minuti quel terreno
asfaltato sarebbe stato a centinaia di metri lontano dai miei piedi.
Solo il pensiero mi causò brividi lungo la spina dorsale.
-L’aereo.-
Mormorai per tutta risposta. Non gli avevo mai raccontato la mia sorta
di fobia.
Altri avrebbero potuto non capire al volo cosa intendevo, ma lui,
comprensivo come sempre, annuì.
-Hai paura?-
Non volevo ammettere di essere una fifona davanti a lui, ma non potei
impedirmi di annuire convulsamente.
-Si vede così tanto?-
-Si sente.-
Spiegò lui con un sorrisino enigmatico.
-La fiuto.-
-Vuoi piantarla per favore? Mi sembra si stare vicino ad Hannibal
Lecter.-
Si fece serio. Non ero proprio dell’umore adatto per
consolarlo e dirgli che, no, non lo credevo un mostro e un sacco di
altre cose che gli avevo già ripetuto fino alla nausea.
Due hostess si misero in posizione sul corridoio dell’aereo e
iniziarono a gesticolare per mostrare a tutti le norme di sicurezza da
adottare in caso di pericolo e non.
Quando indicarono le uscite di sicurezza cominciai a sentirmi male sul
serio e mi allacciai le cinture in fretta e furia, con mani tremanti.
-Voglio andar via.-
Gemetti. Possibile che durante i giorni precedenti non ci avessi mai
pensato? A rifletterci bene, probabilmente era perché la mia
mente era stata più occupata da altri pensieri.
Il vampirismo era tra questi.
-Robert, andiamo via.-
-Calmati, Jackie. Fai un respiro profondo.-
Chiusi gli occhi, facendo come mi diceva, ma non sentii nessun
cambiamento. L’ansia mi stava divorando lentamente.
Quando li riaprii il suo sguardo mostrava preoccupazione e tenerezza al
tempo stesso.
-Sono qui con te.-
Mi disse, mentre le hostess tornavano ai loro posti. Quando il motore
dell’aereo si accese emisi un piagnucolio.
L’aereo prese a muoversi e a fare qualche giro di prova sulla
pista, mentre sentivo un rivolo di sudore scendermi lungo la schiena.
Robert mi prese la mano destra e la strinse per infondermi sicurezza,
mentre la mia sinistra frugava freneticamente nello zaino alla ricerca
dell’inalatore.
-Respira profondamente.-
Mi ripeté il ragazzo.
-Altrimenti vai in iperventilazione.-
-Grazie mille per la spiegazione scientifica.-
Ribattei sarcastica. Ispirai profondamente dall’inalatore e
mi aggrappai a lui, come se fosse un’ancora si salvezza. O
una sorta di paracadute umano.
L’ansia non mi lasciò neppure un attimo, e quando
l’aereo prese velocità per poi decollare, mi
sentii un vuoto nello stomaco che mi gettò nel panico. Non
lo ricordavo così terribile.
-Ecco…ora si spezza un ala, prendiamo fuoco, cade, ci
schiantiamo.-
Mormorai velocemente.
-No che non succede. I sondaggi dicono che l’aereo
è il mezzo di trasporto più sicuro.-
Lo guardai male.
-Non me lo dire più, la prima volta che ci sono salita me
l’hanno ripetuto un sacco di volte. Non mi tranquillizza.-
Si chinò verso di me. Mi sfiorò la guancia con il
naso e mi baciò lievemente la pelle.
-Ti tranquillizza sapere che sono qui, con te?-
Mi domandò, in un mormorio. Scossi la testa.
-Nemmeno un po’.-
-Qualsiasi cosa succeda, io ti proteggerò. Capito? E
comunque sono sicuro che non succederà nulla.-
In quel momento odiavo davvero la sua pace. Era eccessiva.
L’aereo continuò a salire velocemente di quota,
tappandomi le orecchie a causa della pressione e facendomi battere il
cuore a mille all’ora. Quando, abbastanza in alto da poter
smettere di salire, si stabilizzò e il segnale delle cinture
alzate si spense, in qualche maniera mi sentii un po’ meglio.
L’angoscia non se n’era andata, ma almeno non
c’era turbolenza.
-Meglio?-
Mi chiese lui, ancora abbastanza vicino a me da baciarmi se solo si
fosse spostato di poco.
Annuii senza rispondere, poi lo guardai con un sorriso.
-Apprezzo i tuoi tentativi di calmarmi…ora cerchiamo di
distrarci un po’, d’accordo?-
Mi scrutò con un sorrisino enigmatico, che mi fece arrossire.
-Intendevo qualcosa di costruttivo.-
-Io non ho fatto nessuna allusione.-
Si giustificò alzando le mani in segno di resa, poi si
avvicinò a me per baciarmi in modo tutt’altro che
casto.
-Dai, che c’è gente!-
Ribattei, falsamente stizzita. Ero proprio innamorata cotta.
Quando le hostess passarono con il carrello delle bevande mi sporsi per
vedere quali scelte c’erano. Intravidi un cartone di succo
d’arancia e uno di succo di pomodoro.
-Potrei avere quello, per favore?-
Chiesi indicando quest’ultimo. Lei mi sorrise, mi porse un
bicchiere e lo riempì di un liquido rosso un poco
più denso del latte.
-Grazie mille.-
-Si figuri. Lei signore?-
Robert alzò gli occhi da una rivista che aveva appena
trovato nel porta oggetti del sedile. Guardò distrattamente
il carrello delle bevande, colto alla sprovvista, poi
soffermò il suo sguardo sulla donna. Seguii la direzione in
cui guardavano i suoi occhi scuri e li vidi indugiare per un istante
soltanto, sull’arteria della donna.
Dopo un paio di secondi Robert sospirò e sorrise.
-Sono a posto così, grazie.-
La hostess ricambiò il sorriso e continuò la sua
avanzata.
Robert si accorse solo dopo un attimo, che lo stavo scrutando con uno
sguardo interrogativo, ma quando lo notò si strinse nelle
spalle.
-Che c’è?-
Mi chiese, con tono falsamente innocente.
-È così terribile?-
-Cosa?-
-Non fare il finto tonto.-
Lo rimproverai.
-Sai benissimo di che parlo…hai…fame?-
Lui di nuovo guardò in direzione della donna e
sospirò.
-Un po’, il colore del pomodoro mi ricorda…-
Scosse la testa, come per scacciare un brutto pensiero.
-Sto bene. In fondo non è come al solito
perchè…l’ultima volta ho fatto un pasto
completo.-
Spiegò. Chiunque avesse udito la nostra conversazione, non
avrebbe potuto sospettare nulla di sconveniente.
Non gli domandai altro che riguardasse la sua condizione e ci limitammo
per il resto del viaggio a parlare del più e del meno,
più che altro per fare in modo che io non pensassi troppo al
fatto che eravamo in aria su una specie di lattina con le ali.
Non soffrivo di claustrofobia e non temevo che decollo e atterraggio mi
otturassero troppo le orecchie.
Il mio terrore, profondo e angosciante, riguardava solo il fatto che
era troppo strano che un aeroplano volasse nel cielo.
Mi sembrava qualcosa di troppo assurdo e pericoloso. Se fossimo caduti?
Non volevo morire così.
Guardai dal finestrino.
Sotto l’aereo una distesa di bianco indicava che avevamo
superato le nuvole. Le stavamo sorvolando. Sembrava panna montata,
punteggiata qua e la da scorci di cielo azzurro.
Quando, dopo un paio di il pilota annunciò
l’imminente atterraggio, sentii rinascere dentro di me la
paura, ma feci il possibile per essere fiduciosa e ottimista e
incredibilmente riuscii ad osservare il paesaggio macchiato di boschi e
laghi che si avvicinavano sempre di più.
Atterrammo senza che conficcassi troppo le unghie nei braccioli del
sedile.
Cercando di non pensare troppo al fatto che al ritorno sarei stata
costretta a risalire sull’aereo, seguii Robert
nell’uscita, con il bagaglio a mano in spalla.
-Sei stata brava, dopotutto.-
Commentò con una mezza risata, mentre Eireen tornava ad
unirsi a noi con il suo solito sorriso bellissimo.
Raggiungemmo il centro dell’aeroporto in pochi minuti.
Con il resto della classe recuperammo i bagagli all’aeroporto
e raggiungemmo l’ostello.
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Capitolo 16 *** 16. ***
Ciao!
eccomi, forse ci ho messo più del solito a caricare gli
aggiornamenti, ma l'esame di letteratura latina mi ha tenuto la mente
piuttosto occupata. Ora ci sono. I riferimenti ai luoghi del capitoli
sono reali, comprese le tendine verdi e l'albergo fantastico di
Rovaniemi...che bei ricordi! Ho davvero amato quell'albergo.
:D e come al solito passo ai ringraziamenti. grazie mille, anzi, un
milione, a titty1194 e a _rainbow_ per le recensioni, spero che questo
capitolo possa piacere a voi e agli altri che mi seguono.
Finalmente una piccola svolta....
:D ciao!
16.
Helsinki non era romantica e magica come Parigi, ma era comunque una
bellissima città, nella Finlandia meridionale, munita di un
porto brulicante di attività.
Il mare aveva tutte le caratteristiche degli stati nordici: freddo,
grigiastro ma comunque non privo di un certo fascino.
La città, come l’insegnante di storia
dell’arte ci aveva già detto, era un insieme
interessante di edifici importanti, antichi e moderni, che visitammo
senza sosta.
Il suo entusiasmo contagiò anche me e mi riempì
di interesse che non avrei mai pensato di provare.
L’ostello dove avremmo alloggiato non era niente di speciale,
ma ero tanto emozionata per la gita, che non pensai neppure per un
istante di lamentarmi.
Le nostre camere erano comprese tutte in un solo piano, anche se
l’edificio ne ospitava ben tre.
Eravamo al secondo, raggiungibile grazie ad un ascensore modello antico
che passava esattamente nel centro della lunga rampa di scale.
Quando raggiungemmo la nostra stanza, la 23B, io e Faith posammo a
terra i bagagli e cominciammo a sistemarci come se fossimo a casa
nostra. Era la cosa giusta abituarsi subito alla camera.
Ospitava due letti, coperte da sottili trapunte di velluto blu. Il
pavimento era di linoleum marroncino, che faceva anche un po’
schifo visto così, ma che dopotutto poteva anche andare
bene, visto che era un posto decisamente economico.
Una grande finestra, munita di orribili tendine verdi in stile
ospedale, ed una porta a vetri illuminavano la stanza e permettevano di
immettersi sulla terrazza.
Accanto alla finestra c’era una scrivania di legno chiaro,
una sedia nera e un armadio bianco che conteneva eventuali coperte in
più.
-Vieni a vedere che magnifico panorama!-
Fece Faith ridacchiando e attirando la mia attenzione. Smisi di fare
quello che stavo facendo, ovvero sistemare la mia valigia in modo che
se la notte qualcuno avesse sentito il bisogno di andare in bagno non
si ammazzasse inciampandoci.
Una volta mi era successo in camera mia e non era stato piacevole per
niente, perciò prevenire era meglio che curare.
La raggiunsi curiosa di verificare di persona la fantastica zona che mi
voleva mostrare Faith. Uscii anche io sulla terrazza e mi lasciai
sfuggire una risatina.
-Caspita…davvero bella. Un colpo d’occhio
eccezionale, direi.-
Commentai sarcastica, osservando un incrocio munito di strisce pedonali
e di due semafori.
La nostra camera dava direttamente sulla strada e sulla facciata di una
casa color rosa salmone sbiadito dal tempo.
-Già, un incanto.-
Ribadii con enfasi, mentre Faith rientrava in fretta in camera per non
respirare i gas di scarico di un camion che stava passando in quel
momento sotto di noi, tossendo e ridacchiando.
Nei giorni di soggiorno nella capitale io e la mia classe visitammo
diversi edifici, antichi e non.
Ciò che più mi affascinò fu la piazza
del senato, con la cattedrale Suurkirkko,
che svettava imponente con la sua cupola azzurra e la statua dello Zar
Alessandro II.
Quando uno dei ragazzi del mio corso chiese il motivo della presenza di
una statua dedicata ad uno zar russo in Finlandia, la professoressa di
storia dell’arte spiegò che era indice
dell’influenza russa avvenuta nell’ottocento.
Con Robert, Eireen e Faith feci un sacco di foto, seduta sui gradini di
pietra della cattedrale, accanto alle bianche colonne e sotto la statua
di Alex II.
Non avevo pensato che mi sarei divertita tanto.
La sera utilizzavamo ogni tanto dei traghetti per raggiungere gli
isolotti poco distanti dalla costa e mentre i miei compagni se ne
stavano al coperto, io mi godevo la brezza fresca sul viso e alcune
gocce di acqua che mi colpivano di tanto in tanto.
Con Robert era tutto meraviglioso, ma stare lì, appoggiati
alla balaustra con lui che mi cingeva la vita da dietro, era davvero
bellissimo.
Verso le dieci o le undici di sera, tornavamo sempre in camera stanchi
morti per le varie visite alla città.
Tutti i nostri propositi di restare svegli fino a tarda notte furono
abbandonati, dato che non appena le nostre teste toccavano i cuscini,
nessuno sfuggiva alla spossatezza.
Coricarsi ad un’ora decente era anche una buona idea, dato
che per svegliare Faith ogni giorno alle sette e mezza, mi sarebbe
stata di grande aiuto la banda di S. Patrizio.
La mattina del terzo giorno mangiammo tutti alla piazza del mercato, io
pesciolini fritti e patatine, Robert ed Eireen niente.
Forse esagerai, perché mi sentii pesante per tutto il
pomeriggio e percepivo un qualcosa di strano alla bocca dello stomaco.
Nel pomeriggio tornammo all’aeroporto per
raggiungere Rovaniemi, dove avremmo passato molti più giorni.
La prospettiva di andare in Lapponia, la famosa patria di Babbo Natale,
mi entusiasmò a dir poco.
Al di là del suo essere famosa per uomini con pancia
prorompente, barba bianca e renne da compagnia, era un posto davvero
incantevole.
Il verde dei boschi si mescolava ai colori della città e del
grigio del cielo.
A me che adoravo il sole, forse piacque meno degli altri, ma a parer
mio sarebbe stata la città ideale per i gemelli Paige.
Un piccolo autobus ci permise di arrivare dall’aeroporto alla
stazione più vicina al nostro Hotel ed ogni giorno ci
accompagnò per le varie visite.
Qualche minuto a piedi, sotto una pioggia leggera e fastidiosa, e la
sagoma dell’edificio si mostrò a noi come
un’apparizione, nel giorno quasi volto al termine.
Il crepuscolo stava lentamente facendo morire l’ultima luce e
accogliendo le tenebre.
Una grande scritta bianca e una raffigurazione in stile cartone animato
di Babbo Natale, ci comunicò che eravamo giunti a
destinazione.
Il grande cartello diceva you’re
always welcome. Sei sempre il benvenuto.
Era un posto splendido, probabilmente per compensare lo squallore
dell’ostello.
La hall ospitava la reception e una sorta di salottino
d’attesa con tanto di caminetto acceso.
Tutto era in tinta con l’arredamento generale, fatto di
colori caldi e accoglienti. Altro che le tendine verdi di Helsinki!
Nella Hall la receptionist ci distribuì le chiavi delle
nostre stanze e ci comunicò gli orari di cena e colazione,
parlando in un impeccabile inglese lievemente tinto di un accento
nordico.
Degli ascensori ci aiutarono nel trasporto dei bagagli e circa
mezz’ora dopo io e Faith ci sistemammo nella nostra magnifica
stanza per due, al secondo piano.
All’entrata della nostra stanza, verso sinistra,
c’era il bagno, grande, spazioso e munito di asciugamani
rossi e asciugacapelli.
Subito dopo si entrava nella camera da letto vera e propria, con due
letti dalle lenzuola rosse, lampade eleganti, un quadro
d’arte moderna appeso ad una parete e ampie finestre dalle
tende, rosse anch’esse.
Mi sembrava di alloggiare in una suite, io che non ne avevo mai vista
una.
-No, dico, hai visto? Questo posto è favoloso, potrei vivere
qui per sempre, capisci?-
Esclamò Faith buttandosi di peso sul letto e sospirando, con
un sorrisone sul volto.
-Cerca di non rompere niente, d’accordo?-
Ribattei divertita, osservandola mentre muoveva in aria le gambe, per
poi farle cadere pesantemente sul letto.
Mi sedetti sul mio e la guardai rotolarsi sulle lenzuola.
-Che bello!-
Continuò.
-Però mi devo fare una doccia, sono tutta sudata. Capisci?-
-Sì, vai pure per prima se ti va.-
-Grazie, sei un angelo.-
Senza abbandonare il suo sorriso si alzò in piedi, si
stiracchiò e si diresse in bagno.
La sentii mormorare qualche apprezzamento per lo stile e poi chiudere
la porta
-Ehi, se viene qui mister non-dormo-la-notte, vedi di non fare cose
sconce mentre sono in bagno. È poco educato, capisci?-
Mi urlò Faith da lì dentro. Mi lasciai sfuggire
una risatina, poi feci in modo che la mia voce restasse seria ed
impassibile.
-Non so a chi ti riferisci.-
Dissi. Per un attimo udii solo il silenzio, poi Faith rispose.
-Oh, sai benissimo a chi mi sto riferendo. Vedi di non approfittare
della mia assenza, le pareti qui sono poco insonorizzate, capisci?-
Non potei impedirmi di arrossire lievemente.
-Ma Faith! Ma cosa hai nella testa?-
-È meglio se non te lo dico.-
La sua voce era un miscuglio di divertimento e significati nascosti che
non si potevano ignorare.
-Piantala e fatti la tua doccia! Non metterci troppo!-
Le urlai. Mi alzai dal letto, presi il mio zainetto e lo posai sulla
sedia della scrivania.
Su un tavolo c’era una specie di caffettiera o di bollitore
con qualche bustina, per chiunque sentisse il bisogno di un the, di una
camomilla o di un caffé. In quel momento avevo solo bisogno
di una bella doccia calda e di infilarmi sotto le coperte. La
prospettiva di dover cenare prima di poter dormire non mi entusiasmava
molto.
Da quella mattina mi sentivo stranamente stanca, colpa forse della
giornata precedente piuttosto piena.
Forse l’aria della Finlandia, la frenesia della visita alla
città e l’aereo mi avevano spossato.
Mi avvicinai alle finestre, scostai una tenda e guardai fuori.
La vista non era molto più panoramica di quella
dell’ostello, ma almeno dava su edifici con colori
decisamente migliori e non si intravedevano semafori.
La notte stava cominciando a calare, lenta e inesorabile come la morte.
Mi riscossi dai miei pensieri con un sospiro. Da quando ero
così macabra?
C’entrava forse il fatto che il mio partner non apparteneva
alla specie umana, bramava il sangue e preferiva il buio? Forse.
Guardando fuori il paesaggio scurito dal crepuscolo, mi sentii in
ansia, come se avessi dimenticato qualcosa o come se avessi motivo
d’essere preoccupata per qualche motivo.
Pensandoci non mi veniva in mente niente, ma anche così non
riuscivo ad allontanare da me una strana sensazione, come di disagio.
Mi sentivo dentro un vuoto e un’inquietudine particolari che
mi facevano venir voglia di piangere e di deprimermi.
Ed era come se avessi bisogno di qualcosa. Non sapevo cosa e pur
riflettendoci su non lo capivo. Sentivo che era così e
basta. Bah, forse, come mia madre mi diceva sempre, era solo colpa
dell’adolescenza e degli ormoni.
Non sapevo quanto rimasi lì, alla finestra, immersa in
pensieri strani, ma quando una mano si posò sulla mia spalla
repressi a stento uno strillo.
Mi voltai per vedere di chi si trattava, quasi vergognandomi di essere
scattata come una molla per lo spavento.
Di fronte a me, Faith mi guardava con attenzione, coperta da un
accappatoio rosso, ovviamente offerto dall’albergo.
-Ti senti bene?-
Mi chiese con un’aria che mi parve preoccupata.
Mi strinsi nelle spalle e annuii.
-Sì, tutto a posto. Perché me lo chiedi?-
-Te ne stavi lì ferma a guardare fuori. Hai una strana
faccia, sembri…tesa. Capisci?-
Scossi la testa.
-Sto bene.-
Ripetei, forse più a me stessa che a lei.
-Sei stata un fulmine a farti la doccia.-
Commentai con un sorriso, per cambiare discorso. Lei
continuò a guardarmi con le sopracciglia inarcate. I capelli
castani erano bagnati e pettinati all’indietro fino a
sfiorare la schiena.
I suoi occhi verdi mi scrutarono alla ricerca di qualche segno di
menzogna o di squilibrio da parte mia.
-Ci ho messo venti minuti. Sei tra noi?-
Venti minuti?
-Devo essermi incantata a guardare fuori dalla finestra. Tutto qui, non
pensavo fosse passato tanto tempo.-
Lei annuì pensierosa.
-La doccia è libera se vuoi. Senti…puoi prestarmi
la piastra per sistemare i capelli?-
-Prendila pure.-
Feci allontanandomi da lei, prendendo il mio beauty case ed infilandomi
in bagno.
Chiusi a chiave e rimasi per un paio di secondi a fissarmi nello
specchio.
Apparentemente non c’era nulla che non andava, ma il cuore mi
batteva all’impazzata come se avessi la tachicardia.
Me lo sentivo il gola ed era come se avessi paura.
Avvicinai il viso allo specchio, per guardarmi meglio e osservai in un
silenzio assordante le mie pupille più grosse del normale.
Ma cosa c’era che non andava? Il giorno prima ero stata
benissimo, qual’era il problema?
Forse era la stessa cosa che mi aveva disturbata quel pomeriggio.
Cercai di ignorare tutte le sensazioni e le mie impressioni e mi
rilassai sotto il getto caldo della doccia. Rimasi in bagno circa un
quarto d’ora, poi altri dieci minuti per asciugarmi i capelli
e io e Faith fummo pronte per scendere di sotto per la cena.
Probabilmente per la prima volta da quando conoscevo i gemelli Paige,
Faith si unì a me a Robert e a Eireen.
Tutte le portate mi parvero invitanti già solo per
l’aspetto. Mi sembrava di avere una fame da lupi, ma quando
la cameriera mi posò davanti al naso un piatto di riso e
pollo, il suo profumo mi fece rivoltare lo stomaco come un calzino.
Mormorai un Kiitos
(significava grazie in finlandese) assai poco convinto e cominciai a
consumare la pietanza.
Robert ed Eireen avevano preso solo la zuppa, ma non sembravano
particolarmente felici della loro cena. Chissà
perché…
Convinta che avrei trovato più appetito appena avessi
cominciato, addentai un pezzo di pollo.
Non appena assaporai il gusto della carne, lo sentii amaro nella mia
bocca e un violento moto di nausea mi fece piegare in due.
Mi portai velocemente la mano alla bocca, terrorizzata
dell’idea di vomitare su una tavola d’albergo
splendidamente apparecchiata.
Faith mi lanciò un’occhiata preoccupata.
-Ehi, Jackie, stai bene?-
Scossi convulsamente la testa e quando lo feci un capogiro mi
nauseò ancora di più. Chiusi gli occhi per non
permettere alla stanza di girare, ma anche in quel modo mi
sembrò quasi che il buio dato dalle palpebre chiuse
vorticasse impetuosamente.
-Jackie…-
Sentii la voce di Robert accanto a me. Sapevo che mi era vicino,
perché sentivo la sua presenza al lato della mia sedia.
-Mi sento male.-
Mormorai. Avevo aperto piano la bocca per dirlo, con il timore di
vomitare.
Riaprii gli occhi ed incontrai i suoi. C’era qualcosa nelle
sue iridi, che mi comunicava preoccupazione e paura. La cosa di certo
non tranquillizzava me.
Posai sul piatto le posate che un attimo prima avevo stretto con una
forza tale che non mi sarei stupita di vederle piegate e lasciai che
Robert mi aiutasse ad alzarmi in piedi.
-Professore!-
Esclamò Faith, tra il brusio dei presenti. Nessun altro tra
i miei compagni si erano resi conto che mi ero sentita male. Che
consolazione.
Quando entrambi i professori alzarono lo sguardo dai loro piatti, la
loro espressione si fece circospetta.
-Qual è il problema?-
Borbottò quello di biologia, scrutandomi come per farmi una
diagnosi visiva.
-Si sente poco bene.-
Spiegò Faith.
-Possiamo accompagnarla in camera?-
Con un cenno il professore diede il suo consenso.
Ci incamminammo piuttosto velocemente verso l’ascensore.
Camminando attraverso la sala da pranzo poco illuminata e tanto
accogliente come il resto dell’albergo, mi sentii osservata,
ma non mi importò molto.
La mia vista continuava a danzare, come se avessi le vertigini.
-Robert…mi gira la testa.-
Mi lamentai. Chiusi gli occhi per cercare di darmi una calmata e
inspirai profondamente.
Rivoli di sudore mi percorrevano la schiena. Rischiai di cadere quando
sentii le gambe cedere, ma aggrappata a Robert non successe.
-Aspetta.-
Mormorò lui per tutta risposta.
Si abbassò e senza il minimo sforzo mi prese in braccio.
-Ti porto io.-
Avrei voluto replicare, insistere per lasciarmi andare
perché, in fondo, sapevo camminare anche da sola.
Sì, lo avrei fatto in qualsiasi altro momento, ma in quella
situazione non ero del tutto sicura che ce l’avrei fatta.
Chiusi di nuovo gli occhi e appoggiai la guancia contro la sua camicia
bianca. Profumava di pulito e di lui.
Avrei tanto voluto imbottigliare il suo profumo per spargerlo sul mio
cuscino, la sera, ma sapevo che nessun essere umano sarebbe mai stato
in grado di catturare quella fragranza.
Al momento, poteva essere mia e ne fui decisamente contenta.
Ascoltai tutti i loro passi, mentre Faith mi mormorava frasi che sentii
appena. Sentii la porta della stanza aprirsi e riuscii a trattenermi
fino a quando Robert non mi posò sul letto.
Poi, incurante dei capogiri mi alzai e mi fiondai in bagno.
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Capitolo 17 *** 17. ***
Salve, eccomi qui,
di ritorno da un paio di giorni al mare :D come al solito ringrazio le
recensitrici (si può dire recensitrici? -_-)
Love_Vampire_Yuki e titty1194 e tutti gli altri che seguono...un
commentino non mi dispiacerebbe, ma non importa. Vi sono comunque grata
per la presenza. :D
Kiitos! :D
17.
Era da quella mattina che non mettevo niente in pancia, ma vomitai
comunque quello che avevo nello stomaco. Perlopiù bile.
Quando ebbi finito posai la fronte sudata contro le pareti piastrellate
del bagno, respirando affannosamente. Avevo le lacrime agli occhi per
lo sforzo e tutto il mio corpo era percorso da brividi freddi.
Robert era accanto a me, non aveva voluto lasciarmi sola nemmeno un
attimo, e mi accarezzava i capelli, mormorando parole di conforto.
-Va tutto bene, Jackie. Ora stai meglio, vero?-
Con uno sforzo enorme annuii. Mi scostai dalle piastrelle e lasciai che
mi aiutasse ad uscire da lì.
-Jackie, sei a posto ora?-
Mi chiese Eireen. Era seduta con Faith sul suo letto, le braccia
conserte per l’attesa.
La mia compagna di stanza mi guardò preoccupata, cosa che mi
fece sentire apprezzata e amata.
-Hai una faccia! Sei pallida.-
Mormorò. Mi strinsi nelle spalle con un sorrisino.
-Ora almeno sono in tinta con il mio ragazzo.-
Tentai di scherzare. Mi sdraiai sul letto con un’accortezza
insolita, per evitare altri giramenti di testa.
-Cos’è stato secondo te?-
Chiese la voce di Faith. Mi strinsi nelle spalle e sospirai.
-Forse un’intossicazione alimentare…forse il pesce
che ho mangiato a pranzo non era fresco.-
Mormorai, riflettendoci su. Ero certa che la mia ansia di poco prima e
le pupille dilatate c’entrassero qualcosa, ma in fondo poteva
davvero trattarsi di qualcosa di tanto semplice come
un’intossicazione.
-Ce l’hai il ciclo?-
Insistette Faith. Voltai la testa per guardarla.
-Il cosa?-
Chiesi con la fronte aggrottata.
-Il ciclo.-
-Quale ciclo?-
-Mestruale.-
Spiegò lei con naturalezza.
-No.-
Feci, ma non capii cosa intendeva. Perché quella domanda?
Quando vidi che lanciò un’occhiata significativa a
Robert capii. Ero sempre stata un po’ tarda in certe cose.
-Faith.-
Mormorai a fatica, mentre una nuova scarica di brividi mi sorprese.
-Stai tranquilla, non sono incinta.-
Lei scosse la testa.
-Guarda che può succedere…insomma…-
-Faith.-
Ripetei, con una pacatezza innaturale.
-Cosa?-
-Non sono incinta. Sono vergine.-
Lei guardò in basso, come se si fosse improvvisamente resa
conto di aver fatto un’uscita imbarazzante. Si
guardò le mani come se fossero state estremamente
interessanti, poi si lasciò andare ad un sorriso.
-Oh…-
Mormorò.
-Scusa.-
Scossi la testa per farle capire che non ce l’avevo con lei e
mi rannicchiai in posizione fetale. Robert non fece nessun commento
sulla mia affermazione, grazie al cielo.
Mi accarezzò i capelli e la fronte e si soffermò
si di essa con il palmo fresco della mano.
-Hai la febbre.-
Dichiarò.
-Forse ti sei beccata qualche virus.-
-Può darsi.-
Volevo solo dormire, abbandonarmi al sonno e riposare il mio corpo
stanco.
Guardai Eireen, che a sua volta stava guardando il fratello con
un’espressione che non mi piacque. Sembrava che tra i due si
stesse svolgendo una discussione mentale privata.
-Che c’è?-
Chiesi in un soffio. Rendendosi conto di aver attirato la mia
attenzione, la ragazza scosse la testa con un sorrisino di falsa
naturalezza.
-Niente. Cerca di riposare, così domani starai meglio.-
Rispose, anche se la sua voce non mi parve abbastanza carica di
convinzione. Volevo sapere che stava succedendo, perché
sembrava che quei due la sapessero lunga.
Faith non sembrò accorgersi di nulla.
Rimasero tutti con me per un po’, poi i professori
annunciarono che chi voleva avrebbe potuto uscire per fare un piccolo
giro della città, per un gelato o per bere qualcosa,
ovviamente accompagnati da loro.
Per quel che ne sapevo, tutta la classe volle partecipare, ma sia Faith
che i gemelli mi parvero decisamente riluttanti, date le mie condizioni
di salute.
-Andate, se vi va. Io posso stare anche da sola.-
Dichiarai, con una debole scrollata di spalle.
-Io sto con te.-
Fece Robert. Il suo tono non lasciava spazio a discussioni, ma davvero
non mi andava che loro si rovinassero ogni uscita per causa mia.
-Voi andate, è giusto che vi divertiate. Posso stare io con
Jackie.-
Intervenne Faith con un sorriso. La guardai e scossi la testa.
-Credimi, lo apprezzo molto, ma è giusto che anche tu ti
diverta, Faith. Davvero…me la caverò anche da
sola.-
-Ma io non ho voglia di andare! È tutto il giorno che
giriamo con autobus, valige e rotture varie. Posso benissimo restare in
albergo, capisci?-
-Non mi va di andare senza di te. Mi sentirei in colpa a lasciarti qui.-
Fece il mio ragazzo con un sospiro. Faith gli lanciò uno
sguardo accusatorio.
-Non vorrai mica passare ogni secondo della tua vita con lei! Falla
respirare!-
Robert guardò me, come per cercare una conferma alle sue
parole. Nel suo sguardo c’era qualcosa che mi
comunicò timore, come se avesse paura che mi fossi
già stancata della sua presenza. Per l’ennesima
volte mi sentii in dovere di tranquillizzarlo.
-Ehi, guarda che mi fa piacere se resti. È ovvio, ma si
tratta solo di un po’ di malessere. Passerà con
una notte di sonno. Andate tutti a divertirvi, fate una bella
passeggiata!-
Sembrò un po’ rincuorato.
-Sei sicura?-
Annuii convintissima.
-Certo.-
-Allora d’accordo, andiamo a prepararci. Se
c’è qualcosa che non va chiamaci sul cellulare e
chiederò al professore di tornare subito, tu riposa, hai
capito?-
-Sì, mamma.-
Dissi come una bimba obbediente, facendo ridacchiare Eireen.
-Mi raccomando.-
Insistette lui. Si chinò e mi sfiorò le labbra
con un bacio.
-Ti amo.-
Mormorò, poi si alzò, Eireen mi salutò
con un sorriso ed entrambi uscirono dalla stanza, lasciandomi sola con
Faith.
Insistetti, feci il possibile per convincerla a seguire il resto della
classe, ma lei fu altrettanto testarda e alla fine fui io a cedere. In
fondo quella era anche la sua stanza e anche se io non lo credevo, era
possibile che davvero non avesse voglia di andare con gli altri.
Io ero stanca morta, avevo mal di testa e ogni muscolo mi doleva, ma mi
fece comunque un immenso piacere rimanere con lei a parlare tutta la
sera.
-Robert sembra così…premuroso.-
Fece. La guardai di sottecchi, poi annuii.
-Lo è. È attento, presente, ma non è
appiccicoso. Non mi soffoca.-
Spiegai.
-È in gamba. E tu? Tutto bene con…-
Ci riflettei un attimo. Non riuscivo mai a ricordarmi il nome del
ragazzo di Faith, forse perché da quello che lei mi aveva
detto lui non mi era rimasto proprio impresso.
-…Steven.-
Mormorai poi, ricordarmelo in tempo per non fare una figuraccia troppo
brutta.
Sia il nome che la sua faccia, erano tipici del classico ragazzo del
liceo, giocatore di Football.
Non che ce l’avessi con i giocatori di Football e nemmeno con
quelli che si chiamavano Steven, però lui incarnava lo
stereotipo classico del palestrato sportivo.
Aveva il viso squadrato e lo sguardo poco intelligente, anche se tutte
le ragazze della scuola sostenevano che era un bel ragazzo. Aveva le
spalle larghe e un fisico atletico.
Nonché un bel sedere.
Il fatto che si fosse messa proprio con il belloccio di turno amato da
tutte era l’unica cosa di Faith che mi aveva lasciato stupita
e, a dire la verità, anche un po’ delusa. Avevo
sempre pensato che non fosse attratta solo dall’estetica.
Quando le avevo chiesto cosa ci trovasse di tanto interessante in lui,
aveva scrollato le spalle e aveva detto che era dolce.
In quel momento mi lanciò un’occhiata che mi
comunicò che sinceramente non andava poi tanto bene.
Inspirò a fondo, poi gettò fuori l’aria
con uno sbuffo annoiato.
-Credo che lo mollerò.-
Mi comunicò con rassegnazione.
-Davvero? Ma se ti piaceva così tanto! Cosa ti ha fatto
cambiare idea?-
Alla mia domanda scrollò le spalle.
-È vero, mi piaceva.-
Sottolineò con enfasi il verbo al passato.
-È dolce, romantico e anche generoso, ma se devo essere
sincera, mi ha stancato, capisci? Pensa solo al suo cavolo di Football,
a nient’altro. L’altro giorno gli ho fatto vedere i
miei disegni e lui li ha guardati e ha mormorato
“sì…carini.” E basta,
capisci?-
Annuii.
-Non che mi importi molto del fatto che dica che sono splendidi,
capisci? Non è quello che cerco, anche perché non
sono un’artista, sono solo disegni…-
-Faith, sei brava e tu lo sai. Hai un grande talento.-
La interruppi convinta, ma lei quasi non mi ascoltò, come se
non volesse ammettere a se stessa di avere davvero qualche
capacità artistica. Sviò il mio discorso
continuando a lamentarsi.
-Io pretendo almeno che si mostri un po’ interessato a quello
che faccio, capisci? Come tu e Robert. In fondo anche io fingo di
adorare il Football quando me ne parla, anche se non ci capisco nulla!
Quando con entusiasmo mi racconta la sua passione, sono sinceramente
interessata. Mi piacerebbe che facesse la stessa cosa anche con me.
Chiedo troppo?-
-Chiedi il minimo indispensabile, Faith. Se Steven si comporta da
egoista, lascialo. Non ti merita, se si comporta così. Sei
una ragazza speciale, disegni divinamente e sei gentile con tutti. Se
lui nella mente non ha altro che una palla ovale, lascialo da solo con
lei. Probabilmente saranno felici assieme.-
Ridacchiò piano. Sapevo che era un po’
giù di morale, ma ero anche convinta di averla tirata un
po’ su.
-Grazie, Jackie.-
Mormorò. Alzò lo sguardo per incontrare i miei
occhi e sorrise ancora di più.
-Sei un’amica.-
La guardai senza sapere bene cosa dire. Io che l’avevo sempre
considerata solo una buona compagna di corso, non sapevo come
rispondere.
Poi capii che mi ero sempre sbagliata. Stavamo avendo in comune
qualcosa di importante e io ero dispiaciuta per il fatto che il suo
ragazzo non la facesse sentire abbastanza importante.
Non ci stavamo solamente divertendo, stavamo condividendo una
situazione difficile e quella era una caratteristica
dell’amicizia. Non ebbi più molti dubbi.
-Ci sono sempre, Faith. Quando vuoi.-
Dichiarai. Pensai fosse la cosa più giusta da dire.
Lei mi regalò un sorriso, poi si alzò e si
diresse verso la scrivania.
-Ho un po’ di fame, ho mangiato poco a cena, capisci? Ti va
un tè?-
Mi chiese, armeggiando con il bollitore elettrico, o quello che era, e
un paio di bustine.
-Adesso che mi ci fai pensare…-
Iniziai, sentendo la pancia brontolare e lamentarsi per
l’appetito.
-…anche io ho un po’ di fame. Va bene secondo te
se ne bevo un sorso o due? O mi farà stare peggio?-
-Secondo me no, è solo tè. Ti farà
bene.-
Rispose abbastanza convinta delle sue parole. Dapprima non seppe bene
come funzionasse quell’affare, poi dopo averlo studiato un
po’, riuscì a preparare due tazze fumanti di
tè.
-Quanto zucchero?-
-Due cucchiaini, grazie.-
Me ne porse una, sorseggiando la sua.
-Attenta, scotta.-
Mi avvisò soffiando sul liquido caldo, per raffreddarlo un
po’.
Feci lo stesso, lasciando che il calore della tazza e del vapore mi
scaldasse mani e viso.
Forse era dovuto solo alla febbre, ma avevo un freddo della miseria.
Quando pensai che fosse possibile bere il mio tè, ne
sorseggiai un po’.
Deglutii, lasciando che il liquido bollente mi scaldasse la gola, poi
una sensazione strana mi invase la bocca e lo stomaco.
Un gusto amaro sostituì all’istante quello che mi
ero aspettata e mi fece rivoltare lo stomaco a causa della nausea. Di
nuovo.
La mia espressione di disgusto attirò l’attenzione
di Faith, che posò subito la sua tazza sulla scrivania e mi
tolse la mia dalle mani.
-Tutto a posto?-
Mi chiese preoccupata.
Io ci pensai su un attimo, indecisa se fiondarmi in bagno o se
aspettare che la sensazione passasse.
Dopo qualche secondo, fortunatamente, la nausea cessò.
-Dopotutto è meglio non mettere nulla nello stomaco, per
stasera.-
Commentai con una mezza risata. Tanto per sdrammatizzare un
po’.
Ci mettemmo seriamente a letto solo verso le undici quando
probabilmente tutti erano già tornati nelle proprie stanze.
Robert non venne a darmi la buonanotte, forse pensando che io e Faith
già dormissimo da un pezzo.
Secondo quello che i professori avevano detto prima di cena, la mattina
seguente avremmo dovuto svegliarci alle otto e mezza, per fare
colazione e andare a piedi fino al museo artico.
Dovevo essere riposata e in forma, perciò mi infilai sotto
le coperte e spansi la luce, augurando la buonanotte a Faith.
Mi addormentai quasi subito per la spossatezza che mi invadeva corpo e
mente e caddi presto in un buio senza sogni.
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Capitolo 18 *** 18. ***
Ciao! Un altro
capitolo ci avvicina alla trasformazione, sono elettrizzata
più che altro perchè fra qualche capitolo
c'è il mio preferito in assoluto :D magari non è
scritto bene, ma mi è piaciuto scriverlo. Per ora posto
questo. Ringrazio le recensitrici, Love_Vampire_Yuki, titty1194,
roxell18 e, anche se non è ancora arrivata al capitolo 17,
un grazie di cuore a YukiMoon che con dedizione e gentilezza ha
recensito ogni capitolo in una serata soltanto ( e anche ora sta
continuando) ciao!
18.
Avevo pensato che la notte mi avrebbe aiutato a sentirmi meglio, ma
quella mattina mi svegliai più debole del giorno prima. La
testa mi pulsava e avevo lo stomaco chiuso.
Era chiaro che non avrei fatto colazione quella mattina, con la paura
di vomitare ogni cosa non appena l’avessi messa in bocca.
Io e Faith ci vestimmo lentamente. Lei rimase in bagno per una mezzora
buona, mentre a me bastarono al massimo dieci minuti per fare tutto.
Quando fummo pronte per scendere, raggiungemmo il piano di sotto, dove
Robert ed Eireen ci aspettavano ad un tavolo.
Non avevo nemmeno bisogno di assicurarmene, per sapere che le tovaglie
e i tovaglioli, elegantemente disposti sui tavoli a formare dei coni,
erano rossi.
Faith mi seguì nel self service, al tavolo del buffet,
mormorando parole di meraviglia ogni qual volta vedeva cose che le
mettevano l’acquolina in bocca.
Come mi ero prefissata, non presi nulla, ma comunque volli dare
un’occhiata a quello che l’albergo offriva.
C’era davvero di tutto. Ogni gusto possibile di bevande e
yogurt. Budini a volontà, cereali, dolci, torte.
Davvero una tentazione per una golosa come me. Tra l’altro
avevo una fame da lupi.
-Ti dispiace se mi siedo con gli altri?-
Mi chiese Faith, stringendo con entrambe le mani un vassoio stracolmo
di cibo e accennando con il capo al tavolo dove sedevano tutti i suoi
amici.
-No che non mi dispiace. Vai pure.-
Feci con un sorriso.
-Sei sicura? Volete unirvi a noi?-
Chiese, poco convinta dalla mia risposta. Mi scrutava di sottecchi,
come per assicurarsi che non stessi mentendo o per carpire pensieri
solo miei.
-Ehm…magari la prossima volta, grazie.-
Le dissi allargando il sorriso per convincerla a non insistere troppo.
Non sapevo perché i suoi amici non mi andassero tanto a
genio. Di solito non avevo pregiudizi, ma proprio non mi sentivo a mio
agio in mezzo a loro.
-D’accordo. Ci vediamo dopo.-
Disse, allontanandosi con il suo dolce bottino.
Mi accomodai al tavolo dove sedevano il mio ragazzo e sua sorella.
Robert mi prese la mano e me la baciò dolcemente, poi mi
guardò preoccupato.
-Stai meglio?-
Mi chiese. Sentivo su di me gli occhi profondi di Eireen, ma non volli
accertarmene.
-Un po’, sì. Ho fame, ma credo che sia meglio non
mangiare. Non voglio che mi torni la nausea.-
Spiegai. Lui guardò la sorella, poi stette in silenzio.
Aggrottai la fronte.
-Si può sapere che avete voi due? È da ieri sera
che continuate a lanciarvi occhiatine, dovete dirmi qualcosa?-
Robert scosse la testa.
-Dai, tanto dovrai pure ricordarglielo prima o poi.-
Intervenne Eireen con voce stizzita. Di che stava parlando?
-Ricordarmi cosa?-
Insistetti, passando velocemente lo sguardo da lui a lei e da lei a
lui, in una sorta di danza.
Robert sospirò, poi sembrò arrendersi.
-Sono passati sei giorni da quando ti ho morsa.-
Spiegò sottovoce.
-Ti ricordi cosa ti ho detto a proposito della trasformazione?-
Il mio cuore perse un battito. Sì, mi ricordavo cosa mi
aveva detto. Mi ricordavo eccome, ma chissà come non avevo
associato il mio malessere al morso.
-Mi sto…trasformando?-
Chiesi in un sussurro incerto. La paura si poteva facilmente
individuare nella mia voce, ma Robert parve non farci caso.
Conoscevo già la risposta, ovviamente, ma volevo sentirla
dire da lui, come se la sua voce fosse stata in grado di
tranquillizzarmi. Come se detto da lui fosse stato meno grave.
-Beh, come ti ho detto, ci vuole più o meno una settimana
e…siamo quasi alla fine della settimana.-
Non era un sì diretto, ma era come se lo fosse. Anzi, valeva
molto di più perché era la spiegazione chiara e
semplice a quello che avevo chiesto. Una sorta di prova che
ciò che mi aspettava era inevitabile e incredibilmente
vicino.
Una torpore mi annebbiò la mente per un istante. Era una
sorta di panico, che mi costrinse ad accelerare il respiro.
-Ma io non sono pronta!-
Feci, aggrappandomi alla tovaglia come se fosse stata la mia unica
ancora di salvezza.
Robert allungò una mano sul tavolo per stringere la mia ed
Eireen, al mio fianco, mi posò la sua sulla spalla.
-Ci siamo qua noi, vedrai che non sarà nulla di terribile.-
Mi consolò lei. Annuii, poi sorrisi, sentendo il panico che
mi abbandonava.
Inspirai ed espirai più volte, poi percepii
l’adrenalina diradarsi e lasciar spazio a quella che mi parve
un po’ di calma.
-D’accordo. Sto bene ora. In fondo me la sono cercata, no?-
Tentai di scherzare, con una mezza risata che però, tradiva
un certo nervosismo.
-Ah, questo è certo.-
Borbottò Robert con un sorriso, poi mi guardò con
amore.
-Davvero Jackie. Non sei da sola.-
Mormorai un grazie.
Era davvero importante per me averli accanto.
Diventare vampiro in una stanza d’albergo non era quello che
avevo sempre sognato nella vita. A dire la verità, stanze
d’albergo a parte, anche solo diventare vampiro non era mai
stato il mio sogno, ma ormai era quella la situazione e dovevo
accettarla senza troppo timore.
Finita la colazione io e Faith tornammo in camera per lavarci i denti e
prepararci per l’uscita.
Non ci servimmo di autobus per raggiungere il museo. Facemmo tutta la
strada a piedi.
Grazie al cielo non pioveva, ma di certo ero ben lontana dal sentirmi
bene.
La testa mi pulsava ad ogni passo, come se il cuore dal torace si fosse
spostato nella scatola cranica.
I miei muscoli e le mie ossa sembravano fatti di ricotta. Faticavo
persino ad avanzare.
Non seppi con esattezza quanto camminammo, però mi parve
un’eternità.
Robert mi chiese se volevo essere portata in braccio, ma insistetti
perché mi lasciasse procedere con le mie gambe.
Dopo un tempo indeterminato giungemmo alla sommità di alcune
scale di pietra. Terminavano con un piccolo cortile e con
un’imponente struttura la cui scritta in caratteri
d’oro diceva Arktikum.
Sembrava un incantesimo di maledizione verso qualcuno.
Scesi le scale lentamente, quasi temendo che le mie ginocchia potessero
cedere e farmi rotolare fino a terra. Sarebbe stato di certo uno
spettacolo esilarante per i miei compagni, ma non molto piacevole per
me.
La visita durò più di tre ore, probabilmente le
tre ore più lunghe e strazianti della mia vita.
Ciò che mi permise di mantenere il controllo fu che i
professori che permisero di andare dove volevamo, per suddividere la
visita in base al nostro interesse, perciò potei stare
sempre con Robert e sedermi ogni volta che mi andava di farlo. Il punto
d’incontro per il ritorno erano i divanetti accanto ai bagni.
Il museo era bellissimo, ma non seppi apprezzarlo a dovere proprio a
causa di quel mio malessere e la cosa mi rese ancora più
irritabile e suscettibile.
In grandi cartelli e fotografie, c’era spiegata la vita
passata e presente della Lapponia.
Molti animali imbalsamati ricreavano la fauna e oggetti di vario genere
rievocavano luoghi di vita dei cacciatori.
Vidi un filmato riguardante l’aurora boreale, uno spettacolo
che avrei tanto voluto vedere anche dal vivo.
Al termine delle ore io, Eireen e Robert raggiungemmo il punto
d’incontro. Ancora non c’era nessuno dei nostri
compagni, ma almeno potei sedermi sulle comode sedie.
Appoggiai i gomiti contro le ginocchia e mi presi la testa fra le mani.
Il contatto dei palmi freddi contro la pelle calda del viso mi fece
rabbrividire. Sentivo il cuore battere dentro le orecchie e avevo il
respiro affannoso, come dopo una lunga corsa.
Il museo aveva una struttura interna meravigliosa. Il soffitto era
molto alto, costituito da una sorta di cupola allungata, fatta di vetro.
-Vuoi che ti accompagno in bagno?-
Mi chiese la voce di Eireen. Non vedevo altro che buio
perché avevo chiuso gli occhi.
Il peggio sembrava essere iniziato qualche minuti prima, quando aveva
iniziato a girarmi la testa.
-Hai bisogno di sciacquarti la faccia?-
Scossi la testa, pentendomi subito del gesto. Una fitta mi esplose nel
cervello.
Maledetta emicrania.
-Jackie, guardami.-
Alzai piano la testa, controllando ogni movimento. Robert mi prese il
mento fra le dita e mi guardò negli occhi, seduto accanto a
me.
-Hai le pupille dilatate e…-
Mi passò il palmo fresco sulla fronte.
-…e scotti.-
Concluse.
-Stai male.-
Scostai troppo bruscamente il viso dalle sue mani, piccata.
-Grazie tante! Non ho bisogno che tu me lo dica per sapere che sto
male!-
Sbottai. Che razza di discorsi!
-Come se non me ne fossi accorta da sola! Voglio tornare
all’albergo! Dove cazzo sono gli altri?!-
-Calmati. Se ti agiti stai peggio.-
-Sta’ zitto!-
Interruppi Robert con un tono acido. Mi resi conto di quello che avevo
appena detto, dopo qualche secondo.
Mi voltai verso di lui, che fissava il muro a braccia conserte, con le
mascelle contratte e gli accarezzai il volto con la punta delle dita.
-Scusami. Non volevo.-
Mi guardò prima totalmente serio. Poi, mi regalò
un sorriso.
-Non ti preoccupare. Se urlarmi addosso ti fa sentire meglio, fallo.-
Spostò lo sguardo alle mie spalle.
-Arriva un po’ di gente.-
Dichiarò. Mi voltai e vidi arrivare un gruppetto di persone,
tra cui Faith, i suoi amici e uno dei professori.
Piano piano giunsero anche gli altri. Il prof mi chiese se stavo male,
così gli domandai se potevo non scendere a cena anche questa
sera.
Nel viaggio di ritorno Robert mi portò in spalla per tutto
il tempo. Insistetti perché non lo facesse, ma mi
sussurrò nelle orecchie che per lui pesavo meno di una
piuma.
Avrebbe potuto portare in spalla anche una nave da crociera, se ci
avesse provato, perciò lo lasciai fare.
Chiusi gli occhi e prestai attenzione solo al movimento dei suoi passi
e del suo respiro. Il suo profumo mi solleticava le narici.
Tuffai il naso nell’incavo del suo collo e inspirai
profondamente. Per un istante provai un desiderio intenso di
mordicchiargli e baciargli il collo, ma seppi resistere.
Quando arrivammo all’albergo mi sentivo, se possibile, ancora
più stanca, debole e dolorante.
Ogni passo di Robert si trasmetteva a me come una scarica di dolore
nella testa, mentre il mio sangue pulsava e scorreva nelle vene
impetuosamente, come un fiume in piena.
Mi chiesi se le capacità di vampiro di Robert gli
permettessero di sentirlo, ma non ebbi bisogno di domandarlo a lui per
capire che la risposta era sì.
Di tanto in tanto scambiava qualche parola con Eireen, a bassa voce
come se pensasse che stessi dormendo e avesse paura di svegliarmi.
In ogni caso, come avrei potuto dormire in quelle condizioni? Sarebbe
stato bello, ma dubitavo fosse facile prendere sonno.
Lo sentii muoversi armoniosamente attraverso il corridoio. Il pavimento
era tappezzato di moquette e solitamente rimbombava almeno un
po’ al mio passaggio.
Con lui fu come se nessuno stesse camminando. Leggero ed elegante come
sempre.
Ad un certo punto ogni suo movimento si bloccò. Avevo gli
occhi chiusi, per scacciare da me i capogiri, quindi non guardai
nemmeno dove eravamo arrivati.
-Eireen, mi serve la chiave.-
Sussurrò Robert.
-Non ho idea di dove le tenga.-
Fu la risposta della ragazza. Mi mossi un poco, quando il mal di testa
e le vertigini me lo permettevano e mi schiarii la voce.
-La tasca della giacca.-
Riuscii a mormorare. Sentii le piccole mani di Eireen frugare dove le
avevo detto, fino a trovare la chiave magnetica. Udii ancora per un
secondo il raschiare della tessera sulla fessura, poi lo scatto della
serratura mi comunicò che la porta era aperta.
Un profumo intenso e fruttato sembrò annunciare che eravamo
entrati nella mia stanza.
Inspirai a fondo e il mio stomaco si lamentò con un
borbottio sommesso, che però Robert notò
all’istante.
-Sei affamata?-
Mi chiese, camminando ancora per un paio di metri e mettendomi poi a
sedere sul letto.
Annuii. Era incredibile come una stanza prendesse all’istante
il profumo di chi ci abitava. Solo la sera prima Faith si era fatta la
doccia e il profumo del suo bagnoschiuma aleggiava in tutta la camera
come una presenza palpabile e quasi inquietante. Era pesca o qualcosa
del genere. Forse avevo solo voglia di frutta.
-Ti devo portare qualcosa da mangiare?-
La mia smorfia di disgusto bastò a distoglierlo da quella
preoccupazione. No, decisamente non avevo voglia di frutta, dato che
non appena Robert la nominò mi salì la bile in
gola. Sembrava una contraddizione, ma era proprio così.
-Parlami di cibo e ti vomito addosso.-
Lo minacciai con una smorfia che tentavo di far passare per un sorriso.
Potevo scommettere che sembrava solo una contrazione del viso, che
comunicava fiacchezza e malessere.
-D’accordo. Scusami. Che cosa vuoi che faccia?-
Mi chiese. Alzai gli occhi al suo viso e quasi mi spaventai, nel vedere
i suoi impenetrabili e profondi. Sembrava che facesse tutto il
possibile per non trasmettermi paura e preoccupazione. Nascondeva le
sue emozioni e i suoi sentimenti in una maschera di
imperturbabilità, pensando di tranquillizzarmi, ma in
realtà mi stava solo mettendo più ansia.
-Dov’è Faith?-
Chiesi, sviando quasi la sua domanda. Non mi veniva in mente cosa
poteva fare per me. Ero terrorizzata e mi sembrava quasi che nessuno
potesse darmi una mano.
-È andata a prendere un termometro. Così
controlliamo la tua temperatura.-
Annuii per tutta risposta. In realtà non volevo saperla, la
mia temperatura. Mi sembrava di avere il viso in fiamme, ma avevo anche
freddo.
Spostai lo sguardo da lui ad Eireen, per un paio di volte.
-Non può vedere cosa succederà. Dobbiamo
mantenere il segreto.-
Protestai debolmente. Robert si mise seduto accanto a me, sul letto e
mi accarezzò una guancia con dolcezza.
-Non ti preoccupare di questo. Troveremo un modo. Tu devi solo star
calma, d’accordo? Vedrai che la Morte sarà una
passeggiata.-
Per un secondo solo pensai di aver capito male. Magari non aveva detto
proprio Morte. Forse aveva detto Forte, monte, porte. Ma non morte. Di
certo ero tanto stanca e debole da capire una cosa per
l’altra.
-Scusa, puoi ripetere?-
Feci, con la voce che già tremava perché avevo
paura di non aver commesso l’errore che speravo. Lui fece per
ripetere, poi mi guardò, con la fronte aggrottata.
I suoi occhi si fecero circospetti, poi socchiuse la bocca in una
smorfia di incredulità.
Finalmente si era lasciato sfuggire qualche sentimento!
-Io…non te ne ho mai parlato?-
Chiese, valutando la situazione.
-Di cosa?-
-Della…di quello che succede durante la trasformazione.-
Allora capii che avevo compreso benissimo le sue parole. Aveva proprio
detto Morte.
-Tu non mi hai mai raccontato niente di specifico.-
Il mio tono di voce tradiva nervosismo e paura. Faticavo a stare calma
e le mani mi tremavano come foglie. Sentii Eireen sussurrare un Oh no! Poi si
alzò e si sedette sull’altro letto. Lontana da me,
come se avesse paura di una mia eventuale reazione isterica.
-Hai detto davvero Morte. Vero,Robert?-
Chiesi in tono innaturalmente pacato. In realtà ero
tutt’altro che calma. Il ragazzo si strinse nelle spalle,
sulla difensiva.
-È un modo di dire. La chiamiamo Morte, ma non è
niente di che. Non è permanente, è ovvio!-
-Ma è così!? Si muore!?-
-Calmati.-
-Rispondi, cazzo! Si muore?!-
Già le lacrime mi scorrevano lungo le guance. Rotolarono
giù una dietro l’altra e mi parvero bollenti, come
lava.
Sapevo già la risposta, ma appena lui annuì mi
lasciai sfuggire un piccolo singhiozzo e mi ancorai alle sue spalle.
Lui era il mio porto sicuro, la mia casa.
Affondai il viso contro il suo petto scossi convulsamente la testa,
ignorando i capogiri e il dolore. Erano secondari in quel momento.
-No, no. Ti prego, Robert. Dimmi che stai scherzando!-
Lo sentii muovere la testa in un cenno di negazione. Dio, se avevo
paura!
Non ne avevo mai avuto tanta in vita mia, ma in fondo avevo scelto io
di sacrificarmi per lui. Solo che tutto mi era crollato addosso di
colpo e l’adrenalina…beh…troppe
emozioni insieme.
Come se mi avesse letto nella mente Robert rise. Fu una risata amara,
senza la minima gioia.
-Adesso non sei più tanto sicura di aver fatto la cosa
giusta, non è così?-
Mi chiese, con tono quasi accusatorio. Mi scostai da lui per guardarlo
in viso. Gli presi il volto tra le mani e gli posai le labbra sulle
sue, quasi con violenza per dimostrargli che il mio amore era
più forte di tutto quello che avrei potuto passare.
Era un’arma micidiale contro chiunque e qualsiasi cosa.
Più forte anche della morte stessa.
-Ascoltami bene, Robert.-
Gli intimai, seriamente.
-Se mi chiedessero di tornare indietro nel tempo per rimediare a quella
sera e lasciarti a morire da solo, non lo farei. Semmai cercherei di
evitare quel vicolo, per non metterti nei guai, ma se mi chiedessero di
donarti ancora il mio sangue, lo farei all’infinito.
Solo…-
Deglutii. Inspirai a fondo per trovare il coraggio di mormorare quella
frase, come se solo a dirla avessi evocato quei mostri che tutti i
bambini temevano.
-…ho paura.-
Singhiozzai. Per la prima volta da quando avevo firmato la mia condanna
ad una vita dannata, chinai il capo e piansi a dirotto, come una
bambina terrorizzata.
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Capitolo 19 *** 19. ***
Ciao, ecco la
svolta, ormai ci siamo, ma non vi sto rivelando nulla perchè
era una cosa ovvia :D spero che possa piacervi anche questo capitolo e
grazie a tutti per le recensioni, sono sempre più
soddisfatta. Grazie a YukiMoon, a fria, a Love_Vampire_Yuki e Nata, che
non so a che capitolo sia, ma mi ha scritto comunque delle recensioni.
Grazie mille.
19.
Ero sdraiata contro il corpo fresco di Robert. Mi ero dimenticata di
chiedergli se la sua temperatura corporea fosse solo una sua
caratteristica personale o se fosse un effetto del contagio. Sarei
diventata anche io così fredda? Nonostante i miei dubbi, non
trovai la forza di domandare chiarimenti.
Le sue braccia mi avvolgevano come una coperta e il suo volto era
accanto al mio.
Non erano nemmeno le sette di sera, ma il sole era già
calato e il crepuscolo stava spazzando via gli ultimi residui di luce.
Nella testa sentivo pulsare il sangue, martellante e incessante in un
va e vieni doloroso.
Poco dopo aver saputo che sarei morta, avevo visto Faith comparire,
portandomi il termometro.
Certo, sarei morta solo per pochi minuti. Era un tempo minimo, ma era
comunque morte. Sarei morta sul serio! Solo l’idea mi gettava
nel panico.
E se non mi fossi più svegliata? Se fossi rimasta per sempre
nel buio?
Una nuova lacrima mi scivolò sulla guancia, andando a
perdersi tra le lenzuola.
Non appena avevo misurato la febbre avevamo scoperto che la mia
temperatura era di 102 gradi Fahrenheit, cioè quasi
trentanove gradi Celsius. Al momento era già a 104. Ovvero
quaranta gradi Celsius.
Continuava ad alzarsi e non sapevamo quando si sarebbe fermata.
Avevamo chiesto a Faith di scendere per la cena, perché non
mi andava che non mangiasse a causa mia.
Era quello che le avevo detto, ma c’era anche un altro
motivo. Non la volevo attorno quando la trasformazione sarebbe avvenuta.
Dopo qualche protesta e insistenza, Faith aveva accettato e ci aveva
salutati, facendoci promettere di chiamare se ci fossero stati problemi
di qualsiasi genere.
Dopo un po’, quando il silenzio mi era sembrato assordante ed
inquietante, avevo chiesto a Robert di leggermi qualcosa.
Perciò eravamo entrambi a letto, coperti dalle lenzuola e la
sua voce mi cullava mentre leggeva il primo capitolo di Dracula, di
Bram Stoker.
L’ironia e l’analogia erano quasi spaventose, ma
d’altronde l’alternativa era tra quel libro, un
saggio sui serial killer che Robert stava leggendo e i racconti del
terrore di Poe, perciò quella era stata la mia scelta.
D’altra parte, mi sarebbe andata bene qualsiasi cosa, anche
la lista della spesa, perché mi bastava udire la voce di
Robert, tanto melodiosa e cadenzata, per potermi sentire a mio agio.
Di tanto in tanto una fitta mi irrigidiva e allora lui si fermava, per
accarezzarmi i capelli e mormorarmi frasi e parole di conforto, per
scacciare il dolore che mi tormentava.
Mi diceva che non mi avrebbe lasciato, che era lì con me e
allora io tornavo a calmarmi, mentre anche a livello fisico la tensione
sembrava sciogliersi.
Era solo colpa dei muscoli, che si contraevano in crampi dolorosi.
Tutto era dovuto alla mutazione dell’intero corpo.
-Robert, secondo te quanto manca?-
Chiese Eireen, seduta sul letto di Faith. Non aveva ancora detto una
parola da quando era scesa a cena, ma sapevo che era attenta ad ogni
mio movimento, ad ogni mia smorfia di dolore e ad ogni mia lamentela.
C’era impazienza nel suo sguardo, come se non vedesse
l’ora di vedere che cosa sarebbe successo e ascoltava le
parole di Robert con un’attenzione quasi morbosa.
Io volevo solo che finisse in fretta.
Dovevo ammetterlo, non capii nulla di quello che Robert mi stava
leggendo. Per quanto mi sforzassi di stare attenta e di non badare alle
sensazioni che il mio corpo in trasformazione mi stavano trasmettendo,
ero rapita e sottomessa da ogni percezione fisica e mentale, causata
dal veleno di Robert nel mio corpo.
Strinsi le lenzuola tra i pugni, quando una fitta lancinante si diffuse
attraverso tutto il corpo. Mi lasciai sfuggire un gemito di sofferenza,
che Robert notò.
Lasciò cadere a terra il libro e mi strinse di
più tra le sua braccia. Mi coccolò in maniera
estremamente dolce, ma la mia mente era altrove.
Sembrava che un torpore intenso e fastidioso si fosse diffuso nella mia
testa, lasciandomi spossata e poco concentrata sulla realtà.
Guardandomi attorno sembrava che la stanza stessa fosse qualcosa di
irreale. La percezione delle cose vere era cambiata. Il mondo vorticava.
-Robert, rispondi alla mia domanda.-
Insistette Eireen.
-Non lo so!-
La voce di lui era tesa e persino acuta. Tanto diversa da quella che
conoscevo, pacata e controllata.
Che stava succedendo? Se Robert era tanto sicuro che tutto sarebbe
andato bene e che la Morte sarebbe stata una passeggiata,
perché allora lo sentivo tanto agitato?
Forse sapeva che qualcosa era andato storto e non me lo voleva dire.
Deglutii, sentendo la gola secca e arida. Avevo una sete bruciante, ma
ero certa che il mio stomaco non avrebbe sopportato nessuna sostanza.
Un brivido di freddo mi percorse la spina dorsale. Sembrava provenire
direttamente dalle mie ossa.
D’un tratto cominciai a battere forte i denti e a stringermi
di più a Robert. Non avevo mai sudato tanto in vita mia.
La mia fronte, la mia schiena e tutto il mio corpo erano percorsi da
tremiti e coperti di sudore freddo.
Il profumo della stanza, intenso e dolciastro, parve compirmi allo
stomaco come una mazzata.
Non era il profumo in se, ma ciò che evocava.
Chiusi gli occhi, ispirando a fondo e lasciandomi avvolgere da
quell’odore meraviglioso e immaginai Faith, perché
in fondo era lei la proprietaria di quella fragranza.
Immaginai Faith, il suo bagnoschiuma…e il suo collo.
Mi spaventai di me stessa quando scoprii di avere l’acquolina
in bocca.
Il respiro mi si mozzò in gola e tossii, piegata in due.
Ero sicura che c’eravamo quasi. Entro poco tempo sarei stata
meglio, ma sarei anche stata diversa da prima. Non sarei più
stata umana.
E la Morte era decisamente la cosa che mi terrorizzava di
più.
Sentii Robert muoversi sotto di me e sgusciare via dal letto.
Pensai volesse andarsene ed emisi un brontolio di protesta che
dopotutto non sembrava nemmeno umano, ma in realtà il
ragazzo si mise accanto a me, in ginocchio.
Mi prese una mano fra le sue e strinse, come per infondermi coraggio.
-Ehi, Jackie, manca poco. Dai che ne usciamo.-
Mi mormorò. No, mi sembrava impossibile in quel momento
ascoltare le sue parole e credergli.
Come poteva passare? Mi sembrava di sprofondare in un oceano di torpore
e di dolore.
Ogni mio muscolo prese a bruciare, come invaso dal fuoco puro. I crampi
invasero tutto il mio corpo, mentre con un sforzo incredibile mi
trattenni dal lamentarmi a voce troppo alta.
Pensare di essere coraggiosa era la cosa migliore, mi aiutava a
continuare la mia muta lotta.
Le lacrime ripresero a scorrere dagli angoli degli occhi, allora anche
Eireen mi si avvicinò di più.
Mi posò una mano sulla fronte e mi scosto dalla fronte
bagnata di sudore i ciuffi di capelli castani, con le dita fresche.
Ci misi un po’ a capire che Robert mi stava dicendo qualcosa.
Lo guardai, ma vidi solo le sue labbra muoversi, senza emettere nessun
suono.
Sembrava il bellissimo protagonista di un film, a cui avevano tolto
l’audio.
Provai allora ad immaginare cosa mi stava dicendo. Per tranquillizzarmi
da sola pensai mi stesse confermando che non correvo alcun pericolo,
che tutto sarebbe andato bene e tante altre frasi di circostanza che si
dicevano in momenti come quello.
Come in certi film, dove il protagonista scorgeva l’amata
riversa al suolo, la teneva tra le braccia e le sussurrava, tra il
sangue che scorreva a fiotti, che tutto sarebbe andato bene.
Sapendo che solitamente nei film l’amata moriva, dovevo stare
davvero tranquilla?
Una nuova ondata di nausea mi costrinse ad una smorfia di disgusto.
Continuai a fissare il volto di Robert come in estasi, guardandolo
mormorare mute parole, poi sentii qualcosa dentro di me che mi fece
capire che stavo davvero per morire.
Era come un soffio gelido nel cuore, come se qualcuno mi avesse toccato
l’anima con mani glaciali.
Strinsi le mani di Robert come se stare attaccata a lui potesse tenermi
in vita e al sicuro, ma sapevo che non era così.
L’ultima lacrima mi scivolò dall’angolo
dell’occhio, rotolandomi lungo la guancia e perdendosi sul
cuscino, poi come se qualcuno avesse abbassato la luce di una lampada,
il mondo si fece opaco fino a scomparire nel buio e io mi trovai tra le
braccia della Morte.
+++
Mi sembrava di galleggiare in un mare fatto di tenebra. Il mio respiro
era calmo, minimo. Era quasi inesistente e impercettibile e il buio mi
circondava, senza permettermi di vedere nulla.
Qualcosa di caldo mi avvolgeva come una coperta, ma invece di sentirmi
a mio agio e al sicuro, quella situazione mi terrorizzava. Non era un
calore piacevole, bensì insopportabile e soffocante.
Non avevo un corpo, non lo percepivo e ciò era straziante.
Era come un sogno, o meglio era come un incubo.
Quel torpore liquido dentro al quale ero immersa cominciò a
sommergermi e a mozzarmi il fiato e io andavo sempre più
giù, come risucchiata da un vortice.
Era un sensazione stranissima e angosciante. Mi sentivo leggera, ma
allo stesso tempo pesante come piombo.
Un suono, un rumore in lontananza mi scosse lievemente da quella sorta
di sonno. Era incessante, si ripeteva all’infinito fino a che
mi abituai quasi a quella continuità.
Aveva una cadenza che mi cullava, ma contemporaneamente sembrava quasi
ordinarmi di uscire da quell’acqua pressante e viscida.
Il suono divenne più forte e più chiaro. Era
qualcosa che assomigliava al richiamo di un uccello.
Era un canto.
O forse era una sirena? Dovevo tapparmi le orecchie come Ulisse? Forse
quel suono melodioso voleva ingannarmi per gettarmi ancora di
più nel nulla.
Mossi piano la testa, o almeno ci provai, perché se non
avevo corpo come potevo farlo?
Lentamente, come se qualcuno avesse alzato il volume di uno stereo
immaginario, quel suono si tramutò in una voce. Non era il
canto di un uccello e nemmeno quello di una sirena.
Era una voce umana…anzi no era più che umana
perché non avevo mai sentito un suono più bello
in tutta la mia vita.
Era un concerto, un tripudio di vibrazioni messe insieme, che creavano
note.
Fu allora che tra quelle note riconobbi un nome. Jacqueline...
Era un nome che conoscevo. L’avevo sentito tante di quelle
volte anche se…
-Jackie!-
Sì, Jackie lo conoscevo meglio di Jacqueline! Era il mio
nome!
L’acqua viscida, calda e avvolgente sembrò
muoversi. Un’onda immaginaria mi sommerse, lasciandomi senza
fiato anche se non avevo polmoni con cui respirare o soffocare.
Sbattei gambe e braccia immaginarie per non andare a fondo, per non
permettere a nessuno di trascinarmi giù, verso le tenebre di
qualcosa che volevo evitare.
Allora fui strappata da quel mondo fatto di buio e la luce della vita
mi accolse con un benvenuto decisamente traumatico.
Conscia di avere un corpo presi fiato e i miei polmoni, brucianti per
la mancanza d’aria si gonfiarono per accogliere
l’ossigeno.
Riuscii finalmente a muovermi e saltai su a sedere come una molla.
Immediatamente un corpo si avvicinò al mio e sentii un
contatto.
Mani fresche sul mio viso.
-Jackie, va tutto bene.-
Mormorò una voce. Era la stessa che avevo sentito ripetere
il mio nome. Era la stessa voce melodiosa che avevo attribuito ad una
creatura mitologica.
Guardai in viso colui che mi stava rivolgendo la parola. I suoi occhi
esprimevano preoccupazione e sollievo in un miscuglio ben amalgamato.
Era amore quello che lessi nel suo sguardo ed era tutto rivolto a me,
anche se non ne sapevo il motivo.
Sapevo solo che mi chiamavo Jackie. Nient’altro.
Non avevo un viso, non avevo un’identità.
E il giovane uomo accanto a me, che mi accarezzava per
tranquillizzarmi, chi era?
Lo sapeva chi ero io? Potevo chiederlo a lui.
Poi di colpo, tutte le risposte alle mie domande, e anche di
più, mi crollarono addosso come una valanga. Tutto, tutto
quello che c’era da ricordare e da sapere, mi invase la mente
schiarendomi le idee da quell’incubo caldo e inquietante dal
quale mi ero appena risvegliata.
-Robert…-
Mormorai. Il ragazzo di fronte a me mi sorrise come non mi aveva mai
sorriso da quando stavamo assieme e si chinò per baciarmi.
Sì, ricordavo tutto. Ricordavo il suo sapore, il suo profumo
e la morbidezza del suo viso.
Ricordavo ogni momento passato assieme a lui e ricordavo anche che ero
morta.
Sospirai e mi sistemai più comodamente, avvolta nelle
lenzuola del letto d’albergo.
-Sono viva? Lo sono, vero?-
Domanda stupida, ma volevo essere sicura di quello che stavo vivendo.
Non volevo rischiare mai più di sentirmi addosso quella
viscida e calda sensazione. Era troppo angosciante.
-Certo che sei viva. Ma non sei stata tra noi per…-
Eireen si strinse nelle spalle, pensandoci su e sedendosi accanto a noi.
-…più o meno un quarto d’ora. Sono
contenta che tu stia meglio.-
Fece con un sorriso. Mi posò una mano sulla testa e mi
scompigliò un po’ i capelli, come si faceva di
solito con i bambini.
-Sai, credo che mi sto affezionando a te, piccola umana.
Beh…ex umana.-
La guardai, senza comprendere subito le sue parole. Ex umana. La
verità mi colpì come una mazzata nello stomaco.
Avevo il respiro affannoso, come dopo una corsa o come se non avessi
respirato per circa un quarto d’ora. Mi voltai per cercare
l’inalatore sul mio comodino, ma Robert mi impedì
di prenderlo.
-Non ti serve. Non ti servirà mai più.-
Fece, con aria seria. Stentavo a credergli, ma se lo diceva lui allora
era vero.
-Sono un vampiro, ora?-
Chiesi, con qualcosa nella voce che era un misto di preoccupazione ed
emozione.
Robert annuì lentamente, come se temesse che scappassi via
di corsa urlando. Mi liberai in fretta dalle lenzuola e saltai in
piedi. Poi corsi in bagno.
Accesi la luce mi misi di fronte allo specchio. Sussultai per lo
spavento quando sulla sua superficie vidi l’immagine di una
donna che non conoscevo.
Mi voltai di scatto per fronteggiarla, ma non c’era nessuno
dietro di me, in bagno.
Dopo un paio di secondo la mia mente tornò ad essere
completamente lucida.
Non c’era nessuno. Proprio nessuno.
Tornai a rivolgere il mio sguardo all’immagine. Ero io quella
donna…quella ragazza.
Gli stessi occhi azzurri, gli stessi capelli castani, lo stesso viso,
ma c’era qualcosa di diverso, qualcosa che mi aveva ingannato
ad una prima occhiata.
La pelle era di un pallore spettrale, quasi diafana, e sotto gli occhi
divenuti improvvisamente di una profondità affascinante dei
segni rossi mi rendevano incredibilmente simile ai gemelli Paige.
I due mi avevano appena raggiunti ed erano fermi sulla soglia,
osservandomi mentre mi ispezionavo di fronte allo specchio.
Ero persino più magra, anche se si notava poco. Non ero
troppo diversa da prima, ma c’era qualcosa che faceva capire
che era successo qualcosa.
Feci il possibile per non lamentarmi troppo del fatto che
l’abbronzatura che avevo conquistato dopo tanto tempo sotto
il sole era svanita, perché sulla porta Robert aveva
un’espressione colma d’aspettativa.
Era in attesa di una mia reazione negativa, probabilmente per lasciarsi
andare di nuovo alla tristezza e al senso di colpa.
Distolsi lo sguardo dal mio nuovo corpo e lo rivolsi a lui. Poi mi
gettai tra le sue braccia, posando la guancia contro il suo petto.
-Ti prego, stammi vicino.-
Mormorai. Ero completamente sola a parte loro due, dato che non potevo
confessare a nessuno cos’ero diventata.
-Certo che ti starò vicino. Sempre.-
Mi lasciai andare ad un sorriso, rincuorata.
-Sì, perché non ne so praticamente nulla. Mi
dovete insegnare un sacco di cose tu e tua sorella.-
Mi scostai dal suo corpo quanto bastava per poterli guardare entrambi
negli occhi.
Il profumo fruttato sembrò tornare all’attacco,
talmente dolce ed invitante, che il mio stomaco brontolò in
un’ostinata lamentela.
Sospirai e guardai il ragazzo che amavo. Non glielo dissi, ma ormai era
una cosa implicita, come il fatto che lui amava me.
Tentai di ignorare l’appetito, perché sapevo che
non era di cibo normale che avevo bisogno.
La fame era una cosa di cui di certo avremmo dovuto occuparci, ma ormai
avevo troppi pensieri per la testa.
Una cosa alla volta, d’accordo?
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Capitolo 20 *** 20. ***
Ciao, ecco il
ventesimo capitolo, ne mancano ancora un po' :D ringrazio Nata,
roxell18 e YukiMoon per le recensioni, grazie infinite :D ciao!
20.
Posai le mani sui bordi della finestra e rimasi a guardare fuori. Era
buio, ma sapevo che non era ancora notte, anche se non avevo idea di
che ora fosse.
Non era una vera e propria certezza, perché non avevo prove
che quello che pensavo era vero. Era più che altro una
sensazione innata, come una sorta di istinto che mi faceva rizzare i
peli della braccia e formicolare la nuca.
Mi sentivo strana, come non lo ero mai stata. Le tenebre di Rovaniemi
mi mettevano quasi a disagio.
Udii dei passi alle mie spalle. Forse era la prima volta che sentivo
Robert arrivare da dietro, di solito era sempre così
silenzioso.
Pensai fosse dovuto al fatto che ormai ero come loro e quindi avevo un
udito più sviluppato rispetto a quello umano.
Mi chiesi se fossi diventata anche io così silenziosa ed
armoniosa, ma non lo domandai a lui.
-Che mi succede Robert?-
Chiesi invece in un fil di voce.
-Perché questa sensazione? La provi anche tu?-
Mi posò le mani sui fianchi e lo vidi annuire nel riflesso
sui vetri.
-È il crepuscolo.-
Disse semplicemente, in un tono enigmatico che attirò la mia
attenzione più del dovuto.
-Il crepuscolo? È roba da vampiri?-
-Parli di vampiri come se non facessi parte di quella categoria. Come
se non fossi una di noi.-
-Scusa…è solo che è difficile
abituarsi. Io mi sento sempre la stessa.-
Mi giustificai, con una scrollata di spalle.
-Davvero?-
Continuai a guardare fuori. In effetti tra umana e vampiro
c’era una certa differenza e cominciavo pure io a rendermene
conto.
Vedevo i contorni di ogni casa con estrema nitidezza. E ciò
che prima il buio mi aveva tenuto nascosto, ora non era più
un segreto per me.
-Non è proprio la stessa cosa. Vedo tutto più
limpido e chiaro. Cavolo, vedo al buio! È una forza! Il
punto è comunque che sono sempre io. Sono sempre Jackie, no?-
Mi voltai per guardarlo in viso. Non mi accontentavo del riflesso sui
vetri, volevo vederlo chiaramente.
I suoi occhi erano stanchi, forse più del solito ed erano
puntati nei miei in un’espressione dura.
-Sei sempre Jackie, certo, ma sei malata.-
Spiegò.
-Sai che roba, a me non sembra una malattia!-
-Non minimizzare. È più grave di ciò
che immagini.-
Lo guardai a disagio. I suoi sbalzi d’umore erano decisamente
fastidiosi. Un secondo prima era stato felice e poi di colpo si era
incupito.
-Ti prego Robert, non litighiamo.-
Lo supplicai debolmente. Non avevo la volontà di stare a
spiegargli che non c’era motivo di comportarsi
così.
-Sei tu che prendi le cose poco sul serio, dovresti essere…-
Gli posai la mano sulla bocca per impedirgli di proseguire.
-Magari volevi dire che dovrei essere terrorizzata?-
Finii per lui, senza smettere di tenergli tappata la bocca. Lui
annuì in conferma delle mie supposizioni.
-Non so se hai notato, ma ero effettivamente terrorizzata poco fa. Per
nulla al mondo voglio provare ancora la sensazione di morire.
È come…qualcosa mi dice che è come
nascere. È traumatizzante. Ma ora sono viva, e sono felice.-
Lo liberai.
-Continui a sentirti in colpa?-
-Continuerò sempre a sentirmi in colpa, Jackie. Dovrai
rinunciare a molte cose, ora che sei come me.-
-Dovrò dire addio ai miei genitori?-
Scosse la testa.
-Non ho detto questo.-
-a Faith ed Eireen?-
-No.-
Respirai profondamente.
-E dovrò rinunciare a te?-
Chiesi, guardandolo di sottecchi. Mi resi conto che stavo inclinando la
testa come i cani e ricordai come prima di sapere che fosse diverso,
avevo trovato adorabile che lo facesse pure lui. Altra roba strana da
vampiri.
-No.-
Rispose in un soffio. Lo abbracciai.
-Allora sono tranquillissima. Per il resto…non me importa
niente. E ora parlami di questa storia del crepuscolo.-
Quando mi scostai da lui, incrociò le braccia sul petto e
iniziò a spiegare. Repressi una risata ed evitai di dirgli
che assomigliava ad un professore. Uno di quei professori belli di cui
ci si innamora al primo anno.
-Devi sapere che i vampiri hanno delle particolarità. Il
corpo ha bisogno di nutrimento, come quello umano, ma necessita di
sangue, per poter vivere.-
Fece una pausa, poi continuò.
-Ci sono momenti in una giornata in cui la fame è presente,
ma non così forte. Il momento peggiore per noi è
appunto il crepuscolo. È una fase di stallo tra il giorno e
la notte e quindi siamo più sensibili. I nostri sensi sono
all’erta, siamo tesi e…puoi sentirlo anche tu, non
c’è bisogno che continui.-
Lo guardai attentamente e cercai di trovare in me ciò che mi
aveva spiegato. Il profondo senso di disagio che vivevo da un paio di
giorni, allora non era un caso.
-Non ho poi così fame e non ho mai notato che tu ed Eireen
state male, al crepuscolo.-
Dissi con una scrollata di spalle, forse per sdrammatizzare un
po’.
-Tu no perché sei appena nata e quindi sei meno sensibile
alla differenza tra luce e buio. Quando maturerai come vampiro sentirai
il peso del crepuscolo, ma imparerai a controllare le emozioni, come
noi. Quindi sarà comunque una cosa bilanciata.-
Appena nata.
Non mi piaceva quella parola, mi faceva pensare a qualcosa di debole e
di piccolo.
-Diciamo nuova iniziata, eh? È più bello.-
Annuì per darmela vinta e mi baciò prima il naso
e poi la bocca.
-Capirai di che parlo, domani.-
La porta si aprì con uno scatto ed entrambi ci voltammo per
vedere di chi si trattava. Non appena si socchiuse capimmo senza vedere.
Un profumo intenso, quasi struggente, se così si poteva
definire un profumo, invase la stanza più di prima.
Aveva un retrogusto fruttato e mi investì come una potente
carezza calda.
Robert forse vide che mi ero irrigidita, perché mi
posò una mano sulla spalla, mentre Faith entrava nella
stanza.
-Non pensare al profumo.-
Mi consigliò. Feci come mi disse, anche perché
non c’era altro modo. Era qualcosa di troppo buono per
poterlo ignorare, ma ce la feci.
I pensieri che presero ad invadermi la mente non erano belli.
Non avevo mai desiderato bere il sangue, anzi, mi aveva sempre fatto
schifo, ma in quell’istante era a quello che pensavo.
Quando Faith mi vide fece un sorriso enorme.
-Ehi, Jackie! Stai meglio?-
Annuii sforzandomi anche io di sorridere e calmarmi. In fondo era
Faith, no? La mia amica Faith.
-Sono ancora viva, sì. Probabilmente era qualcosa di
passeggero. Mi sento molto meglio.-
Spiegai. Lei continuò a sorridermi e mi venne incontro.
Allargò le braccia e mi strinse in un abbracciò.
-Sono davvero contenta di saperlo.-
Mormorò tra i miei capelli. Io avevo il naso immerso nei
suoi, ma non osavo inspirare perché pensavo che se
l’avessi fatto non sarei stata in grado di resistere.
Respirai solo quando ci separammo.
-Eireen dov’è?-
Chiese, guardandosi attorno.
-Sotto la doccia. Credo abbia finito, ma si sta preparando per la
notte. Ha approfittato del vostro bagno.-
Fece Robert.
-Non c’è nessun problema, assolutamente.-
Dichiarò, allegra.
-Ti sei persa uno spettacolo!-
Fece poi.
-Ovvero?-
-Il cameriere! Molto carino, e parla bene l’inglese!-
-D’accordo, è ora di andare. Vi lascio discutere
di cose futili.-
Intervenne Robert sfregandosi le mani. Mi si avvicinò e mi
baciò lievemente sulle labbra, in un gesto di saluto.
-Eireen!-
Esclamò, tendendo l’orecchio alla porta del bagno.
-Che vuoi?-
La voce di Eireen era scocciata e ovattata.
-Io vado, tu muoviti!-
-D’accordo!-
Robert mi rivolse l’ultimo sorriso meraviglioso,
salutò Faith con un cenno della mano e se ne andò
chiudendosi la porta alle spalle.
Qualche istante dopo anche Eireen ci lasciò sole.
-Cavolo, sei un sacco pallida. E hai dei brutti segni rossi sotto agli
occhi. Assomigli ai Paige, capisci?-
Commentò Faith, facendomi sorridere. Sì era
proprio la prima cosa che avevo pensato di Robert e sua sorella.
-ma…-
Mi guardò più attentamente, da capo a piedi.
-…sei per caso dimagrita?-
Aggrottò la fronte, ma io liquidai la sua considerazione con
una scrollata di spalle.
-forse ho perso un chiletto perché sono stata poco bene, ma
è solo una tua impressione.-
-sembri diversa.-
Notò.
-Eh sai, ho avuto momenti migliori, ma sto bene. Insomma, parlami di
questo cameriere!-
La vidi sorridere, mentre si metteva a sedere sul suo letto. Non
avremmo mai potuto immaginare che in quella stanza era morta una
persona e che poi quella persona era tornata in vita.
-Niente di che, è biondo, con gli occhi azzurri.-
-Ma va’? il fascino nordico. Sei già cotta?-
Commentai sarcastica. Lei mi tirò un cuscino ridacchiando.
-Non essere sciocca, non lo conosco nemmeno! Però
è stata una bella visione, con cui concludere a meraviglia
la serata, capisci?-
-Capisco.-
Feci annuendo. Beh, lo avrei visto il giorno dopo, ormai.
Mi stiracchiai piacevolmente. Mi sentivo bene, dopotutto.
Nonostante la fame non ero mai stata meglio in vita mia.
-C’era una buona bistecca a cena. Con patate per contorno,
sai?-
Alzai lo sguardo verso Faith.
-Ah davvero? Peccato, me la sono persa.-
Dissi, poco convinta. In ogni caso lei non notò il mio tono.
-L’unica pecca forse era che...-
Fece una pausa per alzarsi e recuperare il cuscino che mi aveva
lanciato. Lo sistemò sul letto e lo sprimacciò,
poi si sdraiò e fissò il soffitto.
-Che era poco cotta…un po’ troppo al sangue.-
Feci un respiro e deglutii. Sangue…sangue.
Chiusi gli occhi e riuscii quasi a sentirne l’odore. Caldo,
metallico.
La gola iniziò a bruciarmi, come se avessi una sete
incredibile. La salivazione si fece più abbondante. Avevo
letteralmente l’acquolina in bocca.
-Bene.-
Borbottai, alzandomi e sistemando le lenzuola.
-Faith, senti…-
-Cosa?-
-Sono un po’ stanca.-
Mentii.
-Ti dispiace se mi metto a letto?-
Chiesi. Tutto, purché non continuasse a parlarmi della cena.
-Che ti prende, sei nervosa?-
Scossi la testa, sospirando.
-No, non è nervosismo. Solo un po’ di spossatezza.
Scusami se ti rovino la serata. Potresti andare da Eireen, a
chiacchierare un po’, se non vuoi rimanere qui da sola mentre
io ronfo.-
-Che dici? Sono tutti stanchi dopo aver visto un museo! È la
natura umana!-
Fece con una mezza risata.
-Mi metterò a letto pure io.-
Diede peso alle sue parole sprimacciando ancora il cuscino. Entro pochi
minuti eravamo entrambi a letto.
Il silenzio regnò per un po’ nella stanza al buio,
poi la sua voce lo infranse.
-Fai sul serio con Robert, vero?-
Aggrottai la fronte, incuriosita dalla sua domanda.
-Certo, perché?-
Risposi.
La sentii muoversi tra le lenzuola.
-Così…siete una bella coppia.-
Sorrisi.
-Grazie.-
-Buonanotte, Jackie.-
-Buonanotte.-
Ci volle poco perché Faith si addormentasse. Le cose di cui
non mi ero mai resa conto, quand’ero stata umana, in quel
momento mi apparvero di una chiarezza disarmante.
Il suo respiro si fece regolare, lento e profondo, smise di muoversi e,
se tendevo l’orecchio, potevo sentirli. I battiti del suo
cuore erano rallentati.
Pensavo che nel silenzio e l’immobilità della
notte, tutto sarebbe stato più facile.
Pensavo che sarebbe bastato non parlare di ciò che mi
affliggeva, ma in realtà non fu affatto più
facile.
Avere Faith a poca distanza da me, non migliorò le cose.
Ogni suo respiro era una lieve ondata di profumo, che nonostante non
fosse eccessivamente forte, mi rendeva più difficile il
compito di ignorarlo.
Quando fui certa che non mi avrebbe mai potuta sentire, scivolai fuori
dalle lenzuola e caddi in ginocchio sul pavimento in legno della camera.
Arrancai fino al suo letto, sempre restando in ginocchio e mi accostai
al suo corpo.
Il suo petto si alzava e si abbassava lentamente, seguendo il ritmo del
suo respiro.
Avvicinai una mano al suo viso. Seguii con le dita la linea dei capelli
e li scostai, in prossimità del collo.
Inclinai la testa, incuriosita dal lieve pulsare della sua pelle,
laddove l’arteria principale pompava il sangue.
Quel profumo mi inebriava. Dio, quanto volevo il sangue!
Mi sarebbe bastato un istante per ottenere quello che volevo. Un solo
misero secondo per far sì che il liquido prezioso uscisse
dalla pelle delicata di Faith.
Mi resi conto dei miei pensieri e mi alzai in piedi disgustata,
indietreggiando.
-No…-
Sussurrai a me stessa, scuotendo la testa.
-No.-
Che cosa stavo facendo? Stavo immaginando di fare del male alla mia
amica? Era una cosa terribile!
Mi rimisi al mio posto, raccogliendo il mio corpo in posizione fetale e
stringendo a me le lenzuola, come una sottile protezione dal mio
istinto.
Prendere sonno fu estremamente difficile, tra il profumo inebriante di
Faith e la fame che mi serrava lo stomaco.
Pensai a cose migliori. Pensai a Robert, alla festa di Halloween della
sera dopo e tentai, per distrarmi un po’, di immaginare come
sarebbe stato il costume che aveva in serbo per me.
Rimasi a fantasticare per più di un’ora, poi
grazie al cielo, mi addormentai.
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Capitolo 21 *** 21. ***
E con questo siamo a
quota 21 :D ringrazio molto YukiMoon e Nata per le recensioni :D
21.
Mi svegliai più risposata e forte, senza avere troppo
appetito, prova che le parole di Robert a proposito del crepuscolo
erano in parte vere.
Io e Faith attendemmo tutto il giorno l’arrivo di quella sera.
Da quando i professori ci avevano comunicato che avremmo partecipato ad
una festa di Halloween nella piccola discoteca dell’albergo,
avevamo subito iniziato a fare supposizioni e a prepararci
psicologicamente.
Di solito non andavo matta per le feste, ma c’era anche da
dire che non avevo mai avuto un cavaliere che mi accompagnasse.
Con Robert forse mi sarei sentita comunque a disagio, ma sarebbe durato
poco.
E poi ero curiosa di vedere il mio
costume!
Dopo cena, che di solito si svolgeva tra le cinque e le sei, eravamo
io, Eireen e Faith in camera mia, ad aspettare che Robert arrivasse con
la scatola magica del mio costume.
-Giuro, non so di che si tratta.-
Fece Eireen alzando le mani in segno di resa.
-Non me l’ha voluto mostrare.-
Non sapevo se dicesse così solo per impedirmi di farle
troppe domande o se fosse davvero sincera, ma volli crederle. In fondo
che motivo aveva di mentirmi?
-Spero si sbrighi, dobbiamo anche truccarci.-
Si lamentò poi. Sorrisi, un po’ tesa, a dire il
vero.
Insomma, ero ormai un vampiro, niente avrebbe dovuto spaventarmi,
invece ogni minuto d’attesa mi rendeva più
nervosa.
Quando la porta si aprì feci un sussultò sul
posto.
Prima del ragazzo si intravide una scatola bianca, senza nessuna
scritta.
-Eccomi!-
Esclamò il ragazzo. C’era una sorta di euforia
nella sua voce, che faticava a mascherare.
Posò la scatola sul letto accanto a me e mi rivolse un
sorriso, quasi incerto.
-Aprila, spero…ti piaccia.-
Guardai la scatola, poi lui, riluttante. Poi tornai a posare lo sguardo
su di lei e l’aprii.
Dapprima non riconobbi nulla in quello che vidi. Era un ammasso di
stoffa nera e nastrini, che all’inizio non mi convinse molto.
Ricordai la promessa che mi aveva fatto Robert. Niente strisce di
pelle, né scollature eccessive, aveva detto.
Sperai che non avesse mentito, perché non sembrava un
vestito tanto innocente.
-Non credo esca da solo dalla scatola, capisci?-
La voce di Faith mi scosse dai miei pensieri. Mi resi conto che ero
immobile e che stavo fissando il vestito piegato con un’aria
crucciata.
-Giusto.-
Commentai con un sospiro.
Mi alzai in piedi e lo presi per le spalline, poi lo tirai su,
aprendolo del tutto di fronte a me.
A vederlo così sembrava quasi una camicia da notte di raso
nero, ma se lo si guardavo con più attenzione si notava che
la parte del busto era più rigida.
Comprendeva un corsetto da stringere grazie ad un sacco di nastri neri
sul davanti.
Continuava in una gonna, ovviamente nera, che ad una prima occhiata
arrivava a metà scarpa in bordi irregolari, come se il raso
fosse stato stracciato alla bell’e meglio.
Sotto al gonna si poteva benissimo intravedere una specie di retina
nera.
-È…-
Cominciai a parlare, ma le parole mi morirono in gola. Guardai Robert,
che sembrava incerto, come se temesse un mio giudizio negativo.
Sorrisi e scossi la testa.
-Robert, è fantastico, dove l’hai trovato un
vestito così!?-
Esclamai. Lui si lasciò andare ad un sospiro di sollievo e
scosse le spalle.
-Cara dolce internet. On-line si possono comprare sempre cose curiose.-
-È davvero fighissimo.-
Commentò Faith.
-Solo che è tutto nero, annoia un po’ magari,
capisci?-
Robert mi lanciò un’occhiata significativa. Una
delle prima volte in cui aveva fatto un discorso ben articolato con
Faith aveva cominciato anche lui a ripetermi capisci? Ogni frase. Poi
grazie al cielo dopo mezz’ora aveva smesso, ma era
così.
Era la maledizione di Faith.
-Non hai ancora visto gli accessori.-
Fece Robert enigmatico.
-Dimmi che non c’è il frustino ti prego.-
Mi guardò a bocca aperta.
-Ma mi credo così pervertito? Guarda tu che
c’è!-
Fece in tono falsamente indignato.
Frugai ancora un po’ nella scatola finché non mi
fu chiaro cosa vi era rimasto.
Gli accessori da abbinare a quel vestito erano un paio di guanti di
raso nero lunghi fino al bicipite, e che si univano al dito medio, un
cappellino strano completo di velo nero in stile funerale, un paio di
autoreggenti a righe rosse e nere, e una collana molto stretta,
praticamente una fascetta fatta di pizzo, con una rosa rossa al centro.
Ci misi una buona mezz’ora ad infilarmi tutto e a stringere
nastri e nastrini. Volendo avrei anche potuto utilizzare la super
velocità vampirica di cui disponevo, ma la sola idea di
provare mi metteva l’agitazione. Magari facevo qualche danno.
Meglio di no.
Perciò mi feci aiutare da Faith, mentre anche Eireen e
Robert erano tornati nelle proprie stanze per cambiarsi.
Ero curiosa di sapere cosa avrebbe indossato Eireen, ma ancora di
più volevo sapere come fosse il costume di Robert. Ero certa
che avrebbe avuto allusioni macabre e dark come il mio. Non vedevo
davvero l’ora di vederlo!
Quando mi fui messa il vestito e tutti gli accessori, cappellino
escluso perché non mi piaceva affatto, aiutai anche Faith a
cambiarsi.
Il suo vestito era bianco, tutto il contrario del mio. Per un attimo
pensai al simbolismo che stava dietro a quegli indumenti.
Faith era il bene, la luce, mentre io ero il male, le tenebre.
Tutto ciò che interrompeva la continuità del suo
abito, lungo fino al ginocchio, erano schizzi di sangue estremamente
realistici. Non era vero, lo sapevo bene, ma era decisamente invitante.
Solo l’idea mi fece brontolare lo stomaco.
-Hai fame?-
Mi chiese lei, mentre si raccoglieva i capelli in modo da potersi
truccare senza sporcarli.
-In effetti hai mangiato poco a pranzo…e anche a cena.-
-Lo so.-
Feci io.
-Mi dai una mano?-
Le chiesi, sviando così ogni possibilità di
discussione sull’argomento.
Non mi andava di parlarne. Era un argomento, che preferivo non
affrontare. Tra l’altro se ancora pensavo al fatto che non
potevo più mangiare il cibo normale senza pensare che
facesse schifo, mi veniva da piangere.
Io andavo matta per le fragole, e non me le sarei mai più
potute gustare. Merda!
-Sì, ti aiuto. Aspetta che faccio il mio trucco, tu
comincia.-
Feci io la maggior parte dell’opera di restauro al mio viso,
ma mi aiutò a mettere lo smalto.
-Caspita, Jackie!-
Mi fece con un sorriso.
-Complimenti, avere un ragazzo ti fa bene!-
La guardai aggrottando la fronte, senza capire bene di che stesse
parlando.
-Come scusa?-
Mi strinse la mano che teneva tra le sue e mi mostrò cosa
l’aveva sconvolta tanto.
Rimasi stupita anche io.
Le miei unghie erano perfette, senza nemmeno averle curate. Non
c’era traccia di morsi da parte mia, né di ferite
accidentali. Ero guarita da ogni mio intervento masochistico.
-Eh già…-
Mormorai, senza sapere bene come giustificarmi.
-Diciamo che ho voluto smettere.-
Mentii. Sembrava che parlassi di droga e non di unghie, ma per me era
un po’ la stessa cosa.
Quello era uno dei primi effetti dell’essere vampiri. Ero
sicura di aver assunto un sacco di altre capacità, ma anche
se ero estremamente curiosa, avrei aspettato un momento migliore per
farmi insegnare tutto il possibile da Robert e metterlo in pratica.
Alla fine della nostra seduta in bagno, il suo volto era una maschera
di pallore spettrale resa così grande all’uso del
fondotinta. Alcune macchie di sangue completavano l’opera
macabra.
Io invece non avevo avuto il minimo bisogno del fondotinta,
perché la mia pelle, messa in contrasto con la matita,
l’ombretto e il mascara neri e il rossetto rosso, sembrava di
porcellana.
Pronte per la festa scendemmo le scale. Robert mi aveva detto che ci
avrebbe aspettato nel salottino della hall e non vedevo l’ora
di ammirarlo.
Faith era decisamente su di giri, lo sentivo dal battito accelerato del
suo cuore. Il profumo della sua pelle era celato dietro a quello che si
era applicata per il party, ma era comunque presente e più
invitante che mai.
Scendemmo nella hall utilizzando scioccamente le scale. Non ero
abituata a portare le scarpe coi tacchi e i sandali che indossavo,
rigorosamente neri e legati alla caviglia con un cinturino, non mi
resero più facile il compito.
Al piano di sotto intravidi Eireen, in piedi, appoggiata alla parete,
vestita da strega, con un vestito che le arrivava al ginocchio e un bel
cappello a punta, che però stava tenendo in mano.
Probabilmente non era molto comodo.
Feci per farle i miei complimenti per il costume, ma i miei occhi
incontrarono quelli di Robert e io rimasi senza fiato.
Letteralmente. Non respirai più e me resi conto solo dopo un
po’. Era seduto sui divanetti, ma non appena mi vide si
alzò in piedi e mi venne incontro, lentamente.
-Eccola, la mia dama gotica.-
Fece un cenno col capo che interpretai come un rapido inchino. Mi prese
la mano guantata, mi sfiorò con il pollice le unghie
smaltate di nero e mi baciò le nocche, senza limitarsi a
sfiorarle con le labbra.
-Sei un incanto. Da brivido.-
Io continuavo a guardarlo, con la bocca socchiusa per la sorpresa. Lui
era un incanto, non io!
Indossava un mantello nero, tanto lungo da arrivargli poco sopra le
scarpe lucide e pantaloni neri.
Il mantello era tenuto fermo da due catenine che sembravano
d’argento, una sotto al collo, una sullo stomaco, delimitate
da due finti rubini.
Il suo collo era fasciato da quello che sembrava un foulard, che
però era nascosto dagli indumenti e in mano stringeva un
cappello a cilindro.
Ciò che più mi colpì comunque, fu il
viso. Era una maschera pallida interrotta solo dalle occhiaie e dal
colore degli occhi. Erano cremisi e talmente affascinanti che rimasi a
guardarli per più di un minuto. Già, davvero
magnetici.
-Wow…-
Mormorai.
-E chi saresti, Jack lo Squartatore?-
Scosse la testa con un mezzo sorriso.
-No, sono un vampiro. E anche tu lo sei.-
Disse semplicemente. Allora capii il bello della serata. Io e lui
avremmo potuto essere più o meno noi stessi alla festa.
Mitico!
-Che porti sotto?-
Chiesi facendo per scostargli il mantello.
-Non si apre il mantello ad un vampiro, è pericoloso!-
Scherzò allontanando gentilmente le mie mani. Io lo guardai
male e feci un sorrisino malefico.
Infilai le mani tra le pieghe del mantello e cominciai ad esplorarlo
per indovinare la conformazione del suo costume, ma sussultai quando
sotto la stoffa accarezzai la pelle nuda del suo stomaco. Lui
trasalì, quasi come me, ma si limitò ad una
scrollata di spalle.
-Sai…hai le mani fredde.-
Non potei impedirmi di arrossire almeno un po’. Cavolo, ma
era mezzo nudo sotto?
Mossi le mani e constatai che aveva almeno una camicia, aperta fino a
poco sopra l’ombelico. Feci scorrere le mani verso
l’alto, per sentire contro il palmo la forma del suo torace
abbastanza scolpito e il battito del suo cuore e il ritmo del suo
respiro.
Aveva una pelle morbida e fresca, che però a me comunicava
calore. Avrei voluto rimanere così per sempre,
perché la sua era una temperatura lieve che mi faceva
sentire a mio agio.
-Ehi voi due…-
La voce di Faith distolse la mia attenzione dal suo volto. Allontanai
le mani e chinai il capo, osservandomi le scarpe, imbarazzata.
Ci raggiunse con una luce maliziosa negli occhi.
-Prendetevi una stanza.-
-Faith!-
Ribattei falsamente indignata.
-Scherzavo, dai. Sai che sembri davvero un vampiro? Dove le hai trovate
le lenti a contatto?-
Quando rialzai lo sguardo lo vidi fingere un’aria pensosa.
-In un negozio di articoli per le feste. Non è affatto male.-
-Affatto, sembrano autentici occhi rossi!-
Mi lasciai scappare una risatina per l’ironia di quella
battuta. Se solo Faith avesse saputo la verità!
-Anche il tuo vestito è magnifico, Faith. Dico sul serio.-
Fece Robert. La ragazza fece un lieve inchino, senza nascondere il
compiacimento, ma assunse comunque la sua solita aria modesta.
-Beh, non è bello come quello di Jackie. Quel vestito le
valorizza le tette. Non trovi Robert?-
Disse con enfasi e con il suo solito ghigno.
Cadde un silenzio imbarazzato. Tentai di non arrossire, quando Robert
lanciò un’occhiata alla mia scollatura. Sorrisi
quando vidi anche le sue guance assunsero un colorito più
roseo del solito.
-Beh…-
Mormorò.
-Non sembra la versione gotica di un film porno?-
-Faith, la vuoi piantare! Non sono mica nuda!-
Feci indignata. Anzi…falsamente indignata. In fondo erano
tutti complimenti, no? Almeno credevo.
-Andiamo?-
Fece Eireen, avvicinandosi a noi tre e sventolando il capello da
strega.
-Sì, direi che possiamo fare la nostra entrata.-
Convenne Faith, soffocando una risatina e finalmente smettendo di fare
la scema.
-Il tuo costume mette i brividi.-
Ridacchiò Eireen passandole accanto.
Ci incamminammo in direzione della sala da pranzo. La discoteca era
proprio di fianco ad essa.
Era una stanza di dimensioni mediocri, dalla quale si sentiva uscire
della musica tecno. Solitamente ai minorenni non era permesso entrare,
ma per questa volta fecero un’eccezione dato che erano stati
i professori a chiedere espressamente di farci partecipare alla festa a
tema. In fondo anche per loro sarebbe stata un’occasione per
divertirsi.
Tutto l’ambiente era stato addobbato su misura, appositamente
per la festa di Halloween.
C’erano striscioni che recitavano auguri, citazioni di film
horror o semplici frasi macabre.
I palloncini erano tantissimi, tutti neri o arancioni, i colori tipici
della festa, mentre i camerieri erano tutti in costume e si
distinguevano solo grazie ad un farfallino che portavano al collo.
Le luci erano soffuse e affascinanti, dal soffitto pendevano ragnatele
e ragni e sulle pareti si intravedevano quelli che sembravano schizzi e
macchie di sangue finto.
-Che ficata!-
Esclamò Faith, mi indicò con un cenno del capo il
suo gruppetto di amici quasi chiedendo mentalmente il permesso di
raggiungerli.
-Vai pure, non devi chiedere a me se puoi!-
La musica era più forte all’interno,
perciò dovetti alzare la voce per farmi sentire.
La osservai mentre spariva tra la folla per andare dagli altri.
Eireen ci lasciò soli subito, per buttarsi in pista.
-Immagino che non ti vada di ballare.-
Esclamò Robert chinò verso di me. Scossi la testa.
-Non subito!-
Mi sorrise e mi indicò il bancone delle bibite.
-Tu aspettami lì. Lascio il mantello e ti raggiungo.-
Annuii e feci per allontanarmi.
-Aspetta.-
Disse, prendendomi per un braccio. Si frugò per un secondo
in tasca, poi mi porse il pungo e fece cadere sul mio palmo due
piccolissimi oggettini bianchi.
-Che roba è?-
-Denti!-
Fece come se fosse la cosa più naturale del mondo.
-Sono canini finti da applicare! Si infilano come dei cappucci sopra
quelli veri!-
Lo guardai sorpresa.
-Forte! Ci vediamo fra un secondo!-
Feci, allontanandomi e tentando mi mettermi quei cosi. Pensavo fosse
più difficile, invece aderirono subito alla perfezione.
Mi appoggiai al bancone delle bibite, dopotutto poco affollato, dato
che era ancora presto perché ci potesse essere troppa gente.
Appoggiai gli avambracci contro la superficie lignea, un po’
rovinata dal passaggio di bicchieri e piattini e sospirai, guardandomi
attorno.
Era davvero una festa magnifica e sentivo che sarebbe migliorata sempre
di più.
In fondo ero accompagnata da un principe azzurro…pardon, da
un principe nero niente male.
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Capitolo 22 *** 22. ***
Un grazie enorme a
YukiMoon e Nata per le recensioni. Volevo solo precisare una cosa,
anche se è abbastanza inutile visto che riguarda me.
L'ispirazione a scrivere la scena della festa mi è venuta
ascoltando una canzone che poi di conseguenza ho identificato col
capitolo.
Mi sembra giusto che sia questa la musica su cui hanno ballato, si
chiama Let it Rock di Kevin Rudolph ft. Lil Wayne.
Probabilmente la conoscete perchè è piuttosto
famosa, ma volevo segnalarla perchè possiate ascoltarla (se
volete) e immaginarvi meglio la scena. ciao!
22.
-Moi!-
Alzai lo sguardo trovandomi di fronte un tipo non molto alto, dalle
spalle larghe e muscolose e un sorriso che sembrava quello di un
modello per spot sui dentifrici.
Aggrottai al fronte, senza sapere come rispondere. Non capivo il
finlandese, figuriamoci parlarlo!
-Ehm…non…non parlo finlandese!-
Esclamai gesticolando come un un’idiota. Lui
allargò il sorriso e passò uno straccio umido sul
bancone.
-Ho capito, sei della classe inglese, vero? Ti ho solo detto ciao.-
Rispose in una lingua quasi perfetta, dimostrando più
intelligenza di quella che gli avrei attribuito. Maledetti stereotipi.
-Americana a dire il vero, ma sì, faccio parte della classe.-
-Hai degli occhi bellissimi.-
Lo guardai imbarazzata, mentre lui fissava me come se sapesse che non
potevo avere scampo. La sapeva lunga lui!
Aveva capelli biondo chiaro, piuttosto corti e un viso dalla pelle
pallida e perfetta. Sembrava ancora più bianca grazie
all’effetto delle luci. Mi chiesi allora com’era la
mia.
Avevo pensato che tutti i finlandesi avessero occhi azzurri, ma i suoi
sembravano essere di carbone. Erano talmente scuri, da sembrare neri.
Aveva una maglietta disegnata in modo che sembrasse piena di fori di
proiettile, dai quali colava del sangue.
-Beh…grazie.-
Mormorai, a disagio. Dov’era Robert?
Mi allungò la mano da dietro il bancone.
-Io mi chiamo Kimmo.-
La strinsi poco convinta, ma lui, probabilmente per dimostrare che era
un uomo di quelli veri, non volle evitare di esagerare con la forza.
Che galanteria!
Ero intenzionata a lasciar perdere, ma chissà come volevo
quasi fargli capire che non era necessario essere uomini e massicci per
poter essere energici, perciò, quasi per scherzare, strinsi
più forte.
Lo vidi fare una smorfia di dolore, poi liberò in fretta la
mano.
-Ehi, mi hai fatto male!-
Esclamò.
-Scusa!-
Come cavolo avevo fatto? Kimmo si massaggiò la mano
indolenzita, poi ridacchiò.
-Sei potente!-
Non risposi, ancora impressionata dalla mia forza. Avevo stretto
appena! Non era nulla di quello che avrei voluto fare!
Poi ricordai. Ero diversa, ora. Ero un vampiro. Forse era meglio non
esagerare.
-Mi dispiace tanto.-
Mi giustificai con una scrollata di spalle e un sorriso.
-Che bei denti hai. Mordi?-
Mi rivolse uno sguardo pieno di significati e io, nonostante tutto, non
riuscii a trattenermi dall’arrossire.
-Beh…-
Mi schiarii la voce senza che mi venne nulla in mente. Mi limitai ad
abbassare lo sguardo.
-Cosa vuoi da bere? Offre la casa.-
Scossi la testa.
-Grazie, ma non bevo niente.
-Perché?-
Mi strinsi nelle spalle.
-Non mi va.-
Se mi chiedeva ancora perché lo avrei preso a calci.
Garantito!
-Ah, capisco. Bevi solo sangue.-
Alzai lo sguardo al suo viso e ci vidi un sorrisino malizioso. Era
tutto uno scherzo per lui, solo per via del mio costume. Annuii
chiedendomi che cosa sarebbe successo se avesse saputo che non stavo
affatto giocando.
-Già, solo sangue.-
Ammisi pensierosa. Ci stavamo ridendo su, ma era proprio
così. Quella sera forse c’erano altre distrazioni,
ma era di sangue che avevo bisogno e prima o poi avrei dovuto per forza
nutrirmi in qualche modo.
Solo pensare al fatto che avrei dovuto assumere dei farmaci per
sostituire il cibo, mi rendeva nervosa.
-Ti prometto che terrò la bocca chiusa. Giuro.-
Lo guardai senza capire.
-Come scusa?-
Non lo avevo nemmeno ascoltato, tanto ero presa dai miei pensieri.
-Ho detto che non devi preoccuparti per il tuo piccolo segreto.
Terrò la bocca chiusa.-
Si posò la mano sul petto muscoloso, all’altezza
del cuore a mo’ di patetico giuramento e mi sorrise,
continuando a passare lo strofinaccio sul banco.
Gli guardai il braccio sempre in movimento. Seguii con lo sguardo la
vena un po’ sporgente che gli percorreva la pelle e deglutii.
-Stai bene?-
Mi chiese, allungando una mano e accarezzandomi una guancia. Il
contatto mi sembrò quasi bruciante, ma non perché
mi piacesse. Era qualcosa di estremamente fastidioso, ma non mi andava
di scostare il viso.
Il suo odore era muschiato, forte e penetrante. Era così
buono.
Per un secondo soltanto lo paragonai a quello di Faith. Quello della
mia amica era più buono, ma anche con Kimmo avrei tanto
voluto aprire la bocca e affondare i denti nella pelle. Solo per
assaggiare, nient’altro.
Lo vidi sorridere, forse pensando che mi piacesse essere accarezzata da
lui, poi guardò alle mie spalle e tornò serio.
Sentii qualcosa posarsi sulle mie guance. Qualcosa di fresco.
Il profumo di Robert mi solleticò le narici. Trassi un
sospiro di sollievo.
-Ma guarda, Jacqueline, ti lascio sola un attimo e ti saltano addosso
gli squali.-
Commentò, con una sfumatura dura nel tono di voce.
Guardò Kimmo come si guarda una mosca troppo fastidiosa e
fece un sorriso che mise un mostra i canini.
-Non mi avevi detto di avere un accompagnatore.-
Disse Kimmo, palesemente deluso.
Scrollai le spalle e presi Robert per mano.
-Tu non me l’avevi chiesto.-
Lo salutai brevemente con un cenno del capo e trascinai via Robert,
forse appena in tempo perché non gli dicesse qualcosa di
spiacevole.
La musica era quasi assordante.
C’erano dei divanetti dall’altra parte della
stanza. Ci portai Robert solo perché non mi andava ancora di
ballare e non volevo restare in piedi in mezzo a tutta quella gente.
Intravidi una mia compagna di classe che si contorceva a ritmo di
musica.
-Perché ci hai messo tanto?-
Chiesi, mentre prendevamo posto, uno accanto all’altro.
Lui non smise di tenermi stretta la mano. Solo allora riuscii davvero
ad ammirarlo senza il mantello.
Aveva una camicia nera, aperta fino all’ombelico, come avevo
già indovinato. Gli lasciava scoperto lo stomaco e parte del
torace pallido.
Al collo aveva stretto una sorta di strano foulard d’epoca
blu notte, che ricadeva sul petto in un gioco di pieghe e onde.
Eravamo entrambi un misto di modernità ed
antichità.
-Ho dovuto portare il mantello all’altro appendiabiti
perché il primo era tutto occupato. E tu invece
perché flirtavi con un barista?-
-Era lui che flirtava con me. Non so perché, non sono
così affascinante.-
Mi guardò con aria seria.
-Sei bellissima, per questo quell’idiota ci provava con te.-
Chinai lo sguardo cercando di dissimulare il compiacimento, ma lui mi
afferrò il mento con le dita e mi costrinse ad alzare il
viso verso di lui.
Mi baciò l’angolo della bocca, forse per non
sporcarsi di rossetto e non rovinarmi il trucco, poi scese al collo,
dove posò un bacio umido, facendomi rabbrividire.
-Non pensavo fossi geloso…-
Mormorai, allacciandogli le braccia dietro la schiena e appoggiandomi a
lui.
-Lo sono, perché non sopporto di perderti.-
Sorrisi, contro il suo petto. La stanza sembrava in una penombra da
cimitero, ma dato che la festa era a tema poteva benissimo starci. Agli
angoli delle pareti si intravedevano alcune lapidi e delle croci.
-Sei sciocco se pensi che basti il primo biondino di turno, con il
sorriso disarmante, per sconvolgermi gli ormoni. È te che
amo.-
Ricambiò l’abbraccio.
Quando mi scostai per guardarlo bene in viso, mi soffermai sugli occhi
rossi. Erano così belli!
-Come fai per tenerli così?-
Gli chiesi avvicinandomi per guardarli meglio.
-Tutta questione di pratica. Dopo un po’ che si è
vampiri si impara a controllarli. A volte succede che non ci riesco, ma
quasi sempre è facile.-
Spiegò.
-Ma come? Insomma…ci sarà un modo!-
-Non credo tu ce la possa fare a mantenerli rossi per tanto tempo,
perché sei vampiro da poco. In genere diventano rossi quando
si prova un’emozione molto intensa, come la rabbia, la sete
troppo forte e l’eccitamento.-
Feci un sorrisino.
-Per eccitamento intendi, una forte euforia o…-
-No, sto parlando della lussuria.-
Fece, con un sorrisino malizioso.
-Quindi non ho problemi a mantenerli rossi stasera…-
Mi squadrò da cima a fondo e io capii subito a cosa si
riferiva. Sviai il discorso chiedendo di più.
-Credo non funzioni con l’allegria e la tristezza. Serve
qualcosa di intenso e bruciante. Qualcosa di quasi incontrollabile.-
-Capisco. E i denti? Anche i tuoi denti sono veri?-
-Sono capsule come i tuoi. Ti ho già detto che quando i
canini si allungano per noi è il momento di mordere o di
attaccare.-
Annuii pensierosa. Non parlammo più per un paio di minuti,
lasciando solo che la musica facesse da sottofondo ai nostri pensieri,
poi trovai un pretesto per tornare a parlare con lui.
-Come te la passi con il tuo compagno di stanza?-
Chiesi. Non era il massimo come argomento di conversazione, ma almeno
era qualcosa. Mossi lo sguardo verso la pista ed intravidi Eireen che
si muoveva con un’eleganza favolosa.
-Non siamo fatti per andare d’accordo. Lui manca la
metà del tempo. Prende e se ne va dai suoi amici, ma non mi
dispiace. È tutto ciò che io non sono.-
Spiegò, con una scrollata di spalle. Potevo capirlo. Qualche
anno prima ero stata in stanza con una ragazza che non faceva altro che
parlare al cellulare e truccarsi. Era stato difficile sopportarci.
-Mi dispiace.-
-A me no. Non me ne frega molto, sinceramente.-
Sorrisi, per tutta risposta.
Gli presi nuovamente la mano. La avvicinai alle mie labbra e la baciai
lievemente. Sorrisi nel notare che gli avevo lasciato tracce di
rossetto sulla pelle e lo pulii passandoci le dita.
-Andiamo a ballare? Ti va?-
Gli chiesi. Senza rispondermi lui si alzò in piedi e mi
trascinò con se verso la pista, in mezzo a tutti gli altri
giovani. Immaginavo fosse un sì.
Mi fece sorridere vedere i professori impegnati nelle danze, ma
dopotutto avevano anche loro il diritto di scatenarsi.
Per il resto della sera ballai accanto a Robert e fu allora che per la
prima volta mi resi davvero conto dei benefici della mia malattia.
Non mi ero mai mossa così. Certo, ero stata a diverse feste,
ma mi ero sempre limitata a muovermi sul posto, alquanto impacciata, a
dire il vero.
Senza contare che non mi ero mai divertita un granché.
Lì, in quell’istante mi sentivo leggera, quasi
come se non avessi un corpo da portarmi appresso.
C’era solo la musica, tanto forte da rilasciare vibrazioni
nel pavimento, che poi mi percorrevano piacevolmente il corpo e mi
facevano battere il cuore allo stesso ritmo.
E non mi limitavo a qualche passetto imbarazzato qua e la,
completamente a disagio.
Muovevo il corpo seguendo le note. Senza pensieri, né
preoccupazioni.
La musica sembrava entrarmi nell’anima.
Ad un certo punto Robert mi fece fare una piroetta e io andai a
sbattere contro un corpo. L’urto gli fece perdere
l’equilibrio e finire lungo disteso.
-Oddio, si sente bene?-
Mi misi in ginocchio accanto alla figura. Era un uomo, sui quaranta
anni circa.
-Sta bene?-
Ripetei, alzando al massimo la voce, per sovrastare il volume della
musica.
Lui mi rivolse un’occhiata poco amichevole, poi fece una
smorfia che io interpretai mio malgrado come un sorriso.
-Sto bene, signorina! È forte, lei!-
Scherzò. Io mi strinsi nelle spalle e ringraziai mentalmente
il cielo per non averlo urtato più forte. Così
com’era successo a Robert quando mi era venuto addosso il suo
primo giorno di scuola, sarebbe potuta andare peggio anche a me in quel
momento. Ancora non controllavo la mia forza ed era già la
seconda persona a cui facevo del male senza volerlo.
Gli porsi la mano per aiutarlo ad alzarsi e lui la strinse. Quando fu
in piedi, accanto a me, una zaffata d’aglio mi
lasciò per un istante senza fiato.
Pensai provenisse dal ristorante accanto, ma era lui. Era
l’uomo.
-Sono davvero mortificata!-
Esclamai. Lui alzò la mano e scosse la testa.
-Tranquilla! Mi capita nel mio mestiere!-
L’accento nordico era marcato, ma parlava un buon inglese.
Tutti in Finlandia se la cavavano con le lingue straniere? Mica male!
Aggrottai la fronte.
-Allora il suo dev’essere un mestiere molto movimentato!-
Accanto a me, Robert ascoltava in silenzio.
-Sono un uomo di Dio!-
Feci una mezza risatina, non tanto perché fosse divertente,
ma più che altro perché forse la sua era una
battuta appositamente fatta per rallegrare. Mi sembrava giusto
accontentarlo.
Il suo sguardo esprimeva qualcosa di arcano e misterioso. Qualcosa di
indefinibile.
Le zampe di gallina ai lati degli occhi e le rughe sulla fronte gli
conferivano un aria vissuta e riflessiva. Aveva un accenno di barba su
guance e mento, come se se la fosse fatta solo un paio di giorni prima
e non avesse avuto più voglia di perderci il suo tempo.
Gli occhi erano espressivi ed enigmatici, ma quando li osservai con
più attenzione, con un brivido notai che c’era una
luce di pazzia.
Forse era solo una mia impressione.
Sorrise, sospirando e una nuova ondata di aglio mi costrinse a chiudere
gli occhi.
Anche il suo abbigliamento era strano.
Aveva un lungo cappotto nero, che gli nascondeva il resto dei vestiti.
Dopotutto era Halloween! Chiunque là dentro era vestito in
modo bizzarro. Forse era travestito da prete del
seicento…che ne poteva sapere io? Per questo aveva detto che
era un uomo di Dio. Mah.
-Allora…si diverta, e scusi ancora!-
Feci, a disagio. Non volli chiedergli spiegazioni sul suo misero
costume.
-Si diverta anche lei!-
Mi passò accanto e lo sentii mormorare qualcosa in
finlandese, che ovviamente non capii.
Io e Robert ci lanciammo un’occhiata significativa, poi
entrambi scoppiammo a ridere.
-Qualcuno qui fa abuso di aglio in cucina!-
Esclamò divertito. Mi baciò una guancia, poi mi
trascinò via per continuare a ballare.
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Capitolo 23 *** 23. ***
Ecco il capitolo che
segnerà una piccola svolta...era anche ora. comunque grazie
a YukiMoon che resiste e ancora mi recensisce e a VeryGood che riesce
sempre a tirarmi su il morale e ad appoggiarmi. La più
lontana, ma la più vicina. ;D
23
Salii le scale a passo strascicato. Era l’una di notte.
Ero ancora attiva come se avessi dormito mille anni e come se non
avessi saltato e ballato per tutta la sera.
Sapevo benissimo che in condizioni normali, ovvero in condizioni umane,
i miei piedi sarebbero stati doloranti e stanchi, ma in quella
situazione anche se non ero per nulla abituata a portare scarpe col
tacco, mi sentivo energica come mai lo ero stata in vita mia.
Dopo essermi divertita tanto con Robert, Eireen e anche con Faith, che
aveva fatto qua e là tra i suoi amici e noi, mi sembrava
quasi un crimine andare a letto.
Avrei potuto benissimo rimanere sveglia per giorni in quelle
condizioni, ma avevo l’impressione che Faith non avesse tutta
la mia energia da poter rimanere in piedi a parlare per ore.
Con un sorriso Faith mi seguì a ruota per tutto il tragitto.
-Sei ubriaca per caso?-
Le chiesi. In realtà non sentivo nel suo alito un eccessivo
odore di alcol. Se aveva bevuto lo aveva fatto con moderazione. Brava
la mia Faith!
-Macchè, solo una Coca! Credo sia un eccesso di adrenalina,
sono ancora su di giri.-
Spiegò, saltellando lungo il corridoio.
-Le nostre strade si dividono, amore mio.-
Mormorò solennemente Robert, facendo ridere Faith e
esibendosi in un elegante inchino davanti a me.
Come aveva fatto quando mi aveva salutato prima della festa, mi prese
la mano e ne baciò il dorso. Il suo respiro caldo sulla
pelle mi fece rabbrividire.
-Buonanotte.-
Fece. Risposi con un sorriso, ma quando fece per andarsene, seguito da
Eireen, lo fermai afferrandolo per il mantello.
-Ehi, aspetta.-
Mi avvicinai a lui e gli aprii il mantello quanto bastava
perché intravedessi il bianco della sua pelle. Mi chinai su
di essa e gli posai un bacio sul petto.
Lo stampo delle mie labbra, rosso per il trucco, riluceva sulla sua
pelle come sangue.
-Ora sei marchiato.-
Decretai. Gli feci l’occhiolino, presi Faith per un braccio e
ci incamminammo verso la nostra stanza.
-Dai, hai visto che faccia?-
Mi fece Faith ridendo, mentre spingevo piano la tessera magnetica nella
serratura e lasciavo aperta la porta per farla entrare.
Fummo accolte solo dal buio della stanza e dal nostro profumo, che
ormai faceva parte dell’ambiente.
-Scommetto che sarà terribile per lui tornare nella sua
stanza senza di te, capisci?-
La guardai male.
-Tu e le tue allusioni!-
Sbottai, fingendomi seccata.
-Ho capito perché te la prendi! Lo stesso vale per te, vero?
Anche per te sarà terribile non accompagnarlo nella sua
camera…ah, il fascino dell’oscuro!-
Esordì solennemente, con un’aria sciocca sul
volto. Resistetti all’impulso di tirarle un cuscino. Avevo
già fatto troppi danni quella sera.
Mi sedetti sul letto, sistemandomi meglio la lunga gonna sulle gambe.
Mi chinai per togliermi le scarpe, mettendo in mostra così
le calze.
-Belle!-
Esclamò Faith.
-Non le avevo notate prima. La gonna era troppo lunga, capisci?-
Mi stesi di schiena sul letto e sorrisi. Probabilmente Faith non
avrebbe mai perso il vizio di eccedere in intercalari.
-Ti dispiace se vado in bagno per prima? Ci metto un attimo a
struccarmi.-
Feci un gesto con la mano.
-Fai pure.-
Mormorai.
Senza guardare le sue mosse, rimasi in ascolto dei suoi movimenti. Fu
estremamente facile sentire qualsiasi cosa, come se qualcuno avesse
alzato il volume al massimo per rendere normali anche i rumori
più sottili.
Durante la festa, con la musica assordante, mi era stato più
difficile accorgermene, ma il mio udito era cambiato.
La sentii spalancare la porta del bagno, aprire la cerniera del beauty
case e armeggiare con ovatta e boccette varie.
-Sai…-
Cominciai, continuando a fissare il soffitto come se fosse un cielo
stellato.
-Ho urtato un tizio alla festa. Era strano.-
-Ah sì? In che senso?-
Riuscii persino ad udire perfettamente lo sfregare
dell’ovatta del suo viso. Immaginai che stesse togliendo il
fondotinta che l’aveva resa pallidissima e gli schizzi di
sangue sul suo volto.
Sangue…
Scossi la testa, per impedirmi di pensarci. Era solo colore, non era
sangue!
-Un uomo finlandese. Avrà avuto quarant’anni,
forse di più.-
Dissi, per impormi una distrazione da quei pensieri.
-Non so da cosa era vestito, ma ha detto di essere un uomo di Dio.
Puzzava di aglio in una maniera…-
Feci una smorfia di disgusto solo a rievocare quell’odore.
-…vomitevole.-
Poi ricordai il modo in cui aveva guardato me e Robert e rabbrividii,
anche se non ne avevo motivo.
-Quando mi sono scusata e mi sono allontanata, ha mormorato qualcosa in
finlandese. Non so...era particolare.-
-Un tizio vestito da prete, allora. Cos’è che ha
detto?-
-Non ne ho idea…suonava molto come epapua iakeinnin. O
qualcosa del genere. Ma non importa, è irrilevante.-
-Dovresti chiedere a Kimmo. Scommetto che sarebbe felice di rispondere
ad ogni tua perplessità. Ho visto come ti ha puntato.-
Feci una mezza risata notando la malizia nella sua voce, anche senza
guardarla in viso, e ricordando il barista.
-Non dirmi che ci ha provato anche con te!-
-È lui il cameriere di cui ti ho parlato ieri, capisci?-
-Che farfallone!-
Commentai delusa. Non che me importasse molto, ma mi era piaciuta
l’idea di essere stata affascinante per qualcuno.
Evidentemente per Kimmo ero stata una delle tante.
Udii Faith sfilarsi il costume di Halloween e gettarlo da qualche
parte, nel bagno, poi sentii i suoi passi e me la vidi comparire
davanti in reggiseno e mutandine.
-Hai per caso visto il mio pigiama?-
Chiese, frugando nella valigia.
-Stamattina l’hai messo sotto al cuscino.-
-Ah, già.-
Alzò il cuscino e ne sfilò gli indumenti da
notte. Io mi alzai a sedere e la osservai.
Era completamente struccata, ma aveva ancora sul collo un po’
di sangue finto. Osservai quel punto come ipnotizzata.
-Ti è rimasto del…colore.-
Le dissi con voce roca, indicando il punto.
-Cavolo, non lo avevo notato. Grazie!-
Corse di nuovo in bagno, lasciandomi lì con le mie
riflessioni. Non potevo andare avanti così. Mi lasciavo
distrarre da del sangue finto, come mi sarei comportata con quello vero?
Non volevo scoprirlo.
-Sono a posto ora?-
Mi chiese Faith tornando fuori e mostrandomi il collo. Le guardai
l’arteria e la vidi pulsare, allora distolsi lo sguardo. Non
volevo continuare a fissarla come una maniaca.
-Sei perfetta.-
Borbottai guardando altrove.
Sentii i suoi movimenti mentre si infilava i pantaloni e la maglia del
pigiama.
-Non mi va proprio di farmi la doccia stasera, capisci? Domattina,
magari.-
Annuii senza dire nulla, voltandomi verso la parete che divideva il
bagno dal mio letto. Tra essa e quest’ultimo c’era
circa mezzo metro, dove avevo lasciato la valigia.
Avrei voluto dirle che era molto meglio per lei lavarsi. Non che
puzzasse…anzi. Il profumo della sua pelle era
così buono che non avrei voluto mai cancellarlo dalla mia
mente. Era però meglio per tutti se l’avesse
coperto in fretta con il bagnoschiuma.
L’effetto era lo stesso. Anche con il bagnoschiuma la trovavo
invitante, dovevo essere sincera, ma almeno era un profumo artificiale.
-Ehi, senti!-
Esclamò Faith, avvicinandosi a me.
-Senti il profumo. L’ho messo prima ed è ancora
forte! Mi sono dimenticata di fartelo annusare prima.-
Si scostò i capelli dal collo e si sporse verso di me,
sedendosi sul bordo del letto.
Io mi tolsi i denti finti e li posai sul comodino, senza guardarla. Non
avevo il coraggio di sentire il suo aroma, tanto meno se si trattava
del collo.
-Ne hai messo anche sui polsi?-
Chiesi debolmente.
-Certo, perché?-
Non risposi, voltandomi allora verso di lei. Se proprio dovevo annusare
era sempre meglio del collo…anche se non credevo fosse
comunque una buona idea.
Lei era sempre lì. Si protendeva verso di me come se si
stesse offrendo ad un amante.
Mi sarebbe bastato pochissimo per sporgermi e posare il naso
nell’incavo del suo collo.
In un solo secondo avrei potuto affondare i denti nella sua carne e
sentire il sapore del sangue. No…non potevo farlo!
Mi strinsi nelle spalle e feci una smorfia, che sperai interpretasse
come un sorriso.
-Si sente fino a qui.-
La liquidai, sulla difensiva, per cercare di allontanarla da me. Era
vero, il profumo si sentiva anche da quella distanza, senza nessun
bisogno di annusare la sua pelle, ma c’era
qualcos’altro che mi spaventava e che non volevo sentire.
Il profumo di Faith, il suo vero profumo, era molto più
buono di quello che si era applicata quella sera per la festa.
Quello artificiale lo copriva un poco, ma era comunque più
forte.
-Beh, d’accordo, ma senti com’è forte!-
Mi mise sotto al naso il suo polso e io, vinta forse dalla sua
insistenza o dalla mia poca lucidità in quel momento, lo
afferrai e inspirai profondamente.
Era molto più che fruttato, era…era umano.
La sua fragranza sfuggiva persino ad una descrizione.
Era talmente buono che non avrei mai più voluto lasciarle il
polso.
-Com’è allora?
Mi chiese, ma la ignorai, come se non avessi udito la domanda.
Inspirai ancora due volte, a fondo, poi sfregai la guancia contro la
pelle morbida della mia amica e rimasi immobile. Sentivo contro la mia
pelle il rumore e il contrarsi di ogni pulsazione del suo cuore.
Sentivo quasi lo scrosciare del sangue che scorreva nelle vene.
-Jackie…che stai facendo?-
C’era divertimento nella sua voce, ma anche una sorta di
incertezza. Deglutii più volte, cercando di frenare la
salivazione, fattasi di colpo più abbondante.
Il mio stomaco emise un brontolio perfettamente udibile.
-È buonissimo.-
Decretai con la voce roca. Avevo gli occhi chiusi, come se fossi
concentrata, ma quando li aprii guardai Faith e nel suo sguardo lessi
un misto di incredulità e divertimento.
Fece una mezza risatina e si alzò in piedi.
-Beh, non pensavo fosse così
buono.-
Era visibilmente a disagio. Con ancora il suo polso stretto tra le mie
dita, fece per allontanarsi, forse pensando che l’avrei
lasciata.
Serrai di più la presa, impedendole di andarsene.
-Dai, Jackie, mollami. Che fai?-
-Aspetta…non ancora.-
Le ordinai debolmente.
Mi alzai in piedi, accompagnando i suoi movimenti. Non avevo la minima
intenzione di lasciare la presa.
Ad una velocità che stupì anche me, le afferrai
l’altro polso e la spinsi contro la parete.
-Jackie…-
-Sta’ zitta!-
Sibilai. I suoi occhi ancora contenevano un briciolo di allegria, come
se pensasse che stessi solo scherzando, ma il disagio stava crescendo
sempre di più. Le fermai con una mano un polso contro il
muro e con l’altra avvicinai l’altro polso al mio
viso.
Continuai ad annusare. Sentivo il profumo del suo sangue anche se non
era ferita. Era una cosa fantastica.
Posai le labbra sulla sua pelle e la baciai, poi estrassi la lingua e
percorsi la linea blu verdastra della sua vena.
Il suo sapore era intenso, ma mi sembrava di volere sempre di
più. Non mi bastava.
Inchiodai con forza anche quel polso al muro e spinsi il mio corpo
contro il suo.
Il mio viso era così vicino che mi sarebbe bastato sporgermi
di un paio di centimetri e l’avrei baciata sulla bocca.
Mi mossi un poco per sfiorarle le labbra con le mie. Il suo respiro era
ancora più buono del resto della pelle. Era quasi
irresistibile.
-Jackie, che ti prende?-
-Il tuo profumo…-
Mormorai soltanto, come se come spiegazione bastasse a coprire ogni
dubbio.
-Jackie, lo so che sei un vampiro, ma ora basta, dai. Ho capito che
stai scherzando, non mi fai paura.-
Le sue parole mi fecero ridere. Fu una risata aspra, di cui io stessa
mi meravigliai. Era malvagia.
Avrei dovuto capire prima che non potevo andare oltre, ma
chissà come, la mia mente aveva perso lucidità e
razionalità. Avevo perso la testa.
-Invece sì…invece hai paura. Lo sai da cosa
l’ho capito, Faith? Dal tuo cuore. È
più veloce. Sento il profumo della tua paura.-
-Non mi piace, smettila!-
Fece per opporre resistenza, per muovere i polsi, ma la mia forza era
superiore alla sua di un sacco di volte. Avrei potuto fermare un camion
con una mano sola.
Non capivo più nulla. Sentivo il mio cuore pulsare nelle
orecchie.
La mia gola bruciava come mai prima d’allora e sentivo che
avrei potuto fare qualsiasi cosa per darle sollievo. La sete era troppo
forte.
-Non voglio farti del male…-
Mormorai, quasi tristemente. La baciai dolcemente sulle labbra come
avrei fatto con qualcosa di estremamente delicato, ma sentii montare la
rabbia dentro di me, quando la sentii irrigidirsi.
-A me piacciono i ragazzi, Jackie. Non le ragazze…-
La guardai inarcando le sopracciglia. Di che stava parlando?
-Mi dispiace…ma non possiamo…io…-
Mormorò ancora. Il suo tono di scuse mi fece ridere.
-Ma che dici? Io non sono innamorata di te.-
Ribattei, con un tono che non mi piacque per niente. Non era mia quella
voce. Era diversa.
-Io…-
Il respiro continuò ad accelerare, come se stessi correndo.
-…io ho solo sete.-
Strinsi tanto forte il polso da conficcare le unghie nella carne.
-Jackie, mi fai male, togliti!-
Per avere una mano libera afferrai tutti e due i polsi con la destra e
li fermai sopra la sua testa.
Con l’altra le afferrai i capelli sulla sommità
del capo e le sbattei la testa contro il muro. Non forte, ma quando
bastava per farle capire che stavo facendo sul serio.
Prima che potesse lamentarsi a voce troppo alta le tappai la bocca con
il palmo.
I suoi occhi cambiarono espressione. Diventarono spaventati.
Non sapevo com’erano i miei e sinceramente non volevo nemmeno
saperlo. Sapevo che non era giusto. Quello che stavo facendo era
scorretto.
Lo sapevo, certo, ma perché? Perché dovevo
continuare a patire, quando invece avevo proprio di fronte a me
ciò che desideravo?
Avevo già rinunciato a molto per gli altri, ora era giusto
che io ottenessi qualcosa.
Mi mancava la razionalità per capire il motivo di quella
scorrettezza.
C’era solo il suo profumo e la brama di sangue che mi sentivo
dentro.
Faith mugolò qualcosa contro il mio palmo, ma non capii
nulla, ovviamente.
-Vedi di non far troppo rumore, se non vuoi che ti faccia
più male di così…-
Ansimai. Il mio respiro si era fatto affannoso. Avvicinai il viso
all’incavo del suo collo, come avevo sognato di fare poco
prima.
Sfregai il naso contro la pelle delicata. Poi leccai la gola laddove
sentivo il pulsare del sangue.
Sentii la ragazza dibattersi, ma non poteva assolutamente niente contro
di me. Niente.
Si lamentò, ma la sua agitazione, la sua paura non placarono
la mia sete. Semmai la aumentarono perché contro la lingua
sentivo le sue pulsazioni farsi sempre più frenetiche.
Raschiai con i denti la sua pelle, ma ancora non morsi. Volevo farlo,
ma allo stesso tempo sapevo che l’attesa sarebbe stata
eccitante. Sarebbe stata quasi un’estasi.
Sapevo anche che le avrei fatto del male, ma volevo continuare
comunque. Avevo bisogno di sangue. Era un dato di fatto.
Improvvisamente sentii gli occhi bruciare. Pensai fossero lacrime, ma
non stavo affatto piangendo. Capii che era qualcosa di molto
più grave quando, quando alzai la testa, la vidi sgranare
gli occhi e assumere un’aria terrorizzata.
Strillò contro il mio palmo e tentò nuovamente di
scostarsi, invano.
Mi abbassai di nuovo e le mordicchiai l’arteria. Volevo solo
mordere…mordere e bere il suo sangue che, ne ero certa,
sicuramente era buono come lo era il suo profumo.
All’improvviso, qualcosa me fermò.
Non fu una forza esterna, ma qualcosa che mi balenò nella
testa come un flash, come un sogno fugace.
Era Faith quella che tenevo ancorata ad un muro. Era Faith che volevo
mordere, solo per nutrirmi. Ero un mostro.
Alzai lo sguardo sul suo volto. Quando la vidi piangere silenziosamente
e quando sentii il calore delle sue lacrime che, scivolando lungo le
guance, mi bagnarono la mano, qualcosa si ruppe dentro il mio cuore.
Feci un salto all’indietro che fu tutt’altro che
goffo.
Mi alzai di un metro da terra e all’indietro atterrai sul
letto di Faith, con le ginocchia piegate e corpo in posizione
d’attacco.
Poi continuai ad indietreggiare, come un animale spaventato, ripetendo
parole che nemmeno sentivo.
Guardare il viso di Faith mi fece stare peggio.
Aveva le guance e gli occhi arrossati, dai quali continuavano a
scendere copiose le lacrime. Nel suo sguardo c’era un panico
tale, che avrei quasi preferito morire piuttosto di sapere che ero io
la causa di quel terrore.
Era scivolata a sedere a terra, contro il muro.
-Faith…-
Mormorai. Mi spaventai nel sentire che la mia voce era un ringhio.
Feci per avvicinarmi a lei per assicurarmi che tutto andasse bene, ma
lei si raccolse su se stessa e strillò.
-Stai lontana da me!-
Mi fermai, consapevole che non era nelle condizioni adatte ad essere
consolata.
-Ti prego…mi dispiace.-
Scosse la testa furiosamente.
-No! Non ti avvicinare!-
A fatica si rialzò in piedi, mi lanciò uno
sguardo di orrore e paura e correndo, si fiondò fuori dalla
stanza sbattendosi la porta alle spalle.
Rimasi da sola, in ascolto di qualche suo grido, di qualche suo
tentativo di chiamare gli altri, ma non udii nulla.
Mi bruciavano le gengive, e mi prudevano come se avessi avuto il
bisogno folle di mordere qualcosa.
Sentivo il mio stesso cuore battere velocemente.
Lasciai che le lacrime mi scorressero sulle guance. Mi misi a sedere
tra i due letti, accanto al comodino e piansi.
Piansi per quello che avrei potuto fare a Faith e quello che
già le avevo fatto.
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Capitolo 24 *** 24. ***
Eccomi, nuovo
capitolo :D ringrazio Nata e YukiMoon per le recensioni e ovviamente
VeryGood perchè continua a sopportarmi :D
24.
Con il cuore che batteva a mille, l’adrenalina a livelli
inimmaginabili e un bruciore alla gola che non mi dava pace, rimasi in
ascolto del silenzio della notte.
Tutto taceva, come se non fosse successo nulla quella sera.
Ma c’erano due persone che sapevano com’erano
andate le cose. Una ero io e l’altra era Faith.
Avrei fatto di tutto per cancellare gli eventi dell’ultima
ora. Davvero.
Mi rannicchiai contro il comodino, avvicinai le ginocchia al petto e le
cinsi con le braccia, fasciata del vestito nero come di una camicia
forza fatta di tenebra.
Avevo già consumato tutte le lacrime, ma non riuscivo a
smettere di singhiozzare.
Che cos’avevo fatto? Come avevo potuto attaccare la mia amica
solo per placare la sete?
Ero un mostro ed era inutile ripetersi che non l’avevo fatto
di proposito, che non era dipeso da me, perché non era vero
niente.
Da perfetta egoista mi ero lasciata sopraffare dall’istinto e
dai miei bisogni, senza minimamente pensare a Faith.
E ora non potevo riparare ciò che avevo rotto.
Senza contare che di certo Faith avrebbe detto a qualcuno
cos’avevo fatto e allora sarebbe stata proprio la fine per
me. Che scusa avrei inventato?
Di sicuro la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata cercare di non
coinvolgere Robert ed Eireen.
Ero io la responsabile, non loro.
Sconsolata chinai la testa. Rimasi un secondo a riflettere sul mio
senso di colpa, quando sentii dei passi nel corridoio. Qualcuno si
stava avvicinando alla mia stanza.
Capii subito che era Robert, sia dai passi leggeri che ormai sentivo
persino io, sia per qualcosa che probabilmente si avvicinava
all’intuito.
O forse era solo la speranza che fosse lui, per abbracciarlo e farmi
confortare.
La porta della camera si aprì, poi si richiuse e io, sempre
a testa china, senza guardarlo in viso, accolsi il suo profumo.
Avevo persino paura di raccontargli tutto, perché temevo la
sua reazione.
Cos’avrebbe detto di me? Cosa avrebbe pensato? Sarebbe di
certo stato molto deluso.
-Che cos’hai fatto?-
Sbottò la sua voce. Era dura, severa e io non avevo davvero
il coraggio di guardarlo negli occhi. Non ero in grado di guardare
negli occhi il ragazzo che amavo!
Non risposi. Quindi sapeva che avevo combinato qualcosa di sbagliato.
Era solo questione di sesto senso o aveva sentito qualcosa?
Dopo qualche istante lo sentii sospirare e ascoltai ogni suo movimento
quando si inginocchiò accanto a me.
-Jackie, ti prego, raccontami che cos’è successo!-
Scossi la testa, sentendo di nuovo gli occhi pizzicare. Erano anche
lacrime, ma sapevo che non erano solo quelle.
Quando alzai la testa rotolarono lungo le guance, inesorabili.
-Mi dispiace…-
Mormorai, con una voce tanto sottile che temetti non mi avesse sentito.
Era importante che lo sapesse.
Era importante che sapesse che se avessi potuto tornare indietro, non
mi sarei nemmeno avvicinata a Faith, con quelle intenzioni.
Quando lo guardai in viso, vidi rabbia, accusa e un sacco di altri
sentimenti negativi che mi spaventarono e mi costrinsero a chiudermi
sempre più in me stessa.
Non avevo scuse. Non avevo giustificazioni.
-Io ed Eireen stavamo ancora chiacchierando nel corridoio, quando ci
è venuta incontro Faith…non sembrava molto
serena.-
-Dov’è?-
Chiesi.
-Dov’è Faith?-
-È fuori con mia sorella. Il suo racconto è stato
confuso, ma sufficiente per farmi intuire che
cos’è successo, anche se vorrei che mi raccontassi
tutto. Ora Eireen sta cercando di convincerla a tornare dentro per
spiegarle come stanno le cose.-
Scoppiai in un pianto disperato.
-Robert, io non l’ho fatto apposta. Ti prego di credermi
io…-
-Va bene, va bene!-
Mi posò una mano sulla guancia e mi accarezzò con
il pollice.
-Certo che ti credo, ora stai tranquilla.-
Annuii tirando su con il naso.
-Ora ho bisogno di sapere che cosa le hai fatto. L’hai morsa?-
-No.-
-L’hai per caso graffiata con i denti?-
-Credo di averla ferita con le unghie, su uno dei polsi.-
Lui scosse la testa.
-Voglio sapere se la tua saliva è entrata in contatto con il
suo sangue.-
-No, ne sono certa.-
Non riuscii a sentirmi meglio nemmeno quando abbandonò
l’aria severa e mi sorrise.
Mi sentivo una merda e probabilmente non avrei messo mai di sentirmi in
colpa.
-Questa è già un’ottima cosa.-
Decretò.
Mi accarezzò i capelli e la fronte imperlata di sudore. Poi
mi passò i pollici sulle palpebre.
-Hai gli occhi rossi…-
Mormorò con un sospiro e io sentii il mio cuore compiere un
balzo.
Lo scostai da me, quanto bastava perché mi lasciasse alzare
in piedi. Quando non fui più seduta, mi mossi velocemente
per andare in bagno.
Dopo quello che mi aveva detto volevo constatare personalmente quanto
assomigliassi ad una bestia.
Appoggiai i palmi contro il lavandino e mi chinai in avanti, fino a
fissare negli occhi la mia immagine.
Ricambiai lo sguardo ad una ragazza che conoscevo a stento. Aveva la
pelle bianca e occhi rossi come il sangue che tanto bramava.
In altri casi sarei stata felice perché nel guardarmi mi
vedevo bella, ma in quella situazione pensavo che tutto fosse
sbagliato.
Ero di una bellezza colpevole. Avevo il cosiddetto fascino della
cattiva, come nei film.
Guardai le mie sopracciglia contratte e unite in
un’espressione truce e malvagia. Le mie labbra erano ancora
rosse per il trucco e gli occhi erano pesantemente marcati di nero,
sopra le occhiaie profonde.
La cosa peggiore, però, ciò che più di
tutto mi fece capire che ero ufficialmente qualcosa di orribile, la
notai quando aprii la bocca, per controllare cosa mi facesse prudere
tanto le gengive.
I canini superiori, dapprima normali, si erano allungati e si
mostravano bianchissimi e appuntiti di fronte a me.
Era davvero una fortuna che fossi stata in grado di fermarmi prima di
fare del male a Faith.
Mi voltai e guardai Robert, che mi aveva raggiunto in bagno e stava
appoggiato con la schiena contro lo stipite della porta.
Aveva una sguardo triste, come se pensasse che fosse stata tutta colpa
sua. Sciocchezze.
-Io non ti merito, Robert.-
Dichiarai, trattenendo a stento un singhiozzo. Lo guardai aggrottare la
fronte e assumere un’espressione meravigliata e quasi
arrabbiata.
-Non dire fesserie…-
-Dico sul serio. Tu sei premuroso, gentile, altruista, mentre a me sono
bastati pochi minuti assieme ad un’umana per dare i numeri.
Ho messo a repentaglio la vita e la sicurezza di una persona a me
cara…questo è imperdonabile! Fossi in te mi
odierei.-
Scosse la testa e mi prese le mani. Mi costrinse quasi a forza ad
uscire dal bagno e mi fece sedere sul letto della mia compagna di
stanza. Poi mi prese il viso tra le mani e mi guardò con
quei suoi occhi tanto profondi che, se avessi guardato con
più attenzione, forse ci avrei potuto scorgere
l’anima.
-Io ti amo, Jackie. Odio già me stesso per ciò
che sono e cosa ti ho fatto diventare. Tu non hai colpa, è
normale essere attratti dal sangue. Semmai la negligenza è
stata mia. Non avrei dovuto lasciarti da solo con Faith fin
dall’inizio. Sei la persona più bella che io abbia
mai conosciuto e ciò che ti rende innocente è
proprio il fatto che ora ti senti colpevole. Se ti senti male per
ciò che hai fatto, significa che hai una coscienza.-
Quelle parole mi commossero e mi intristirono più di quanto
avrei potuto immaginare. Lasciai che il mio corpo desse sfogo alle
lacrime, contro quello di Robert.
Un paio di colpetti alla porta mi fecero sussultare.
-Chi è?-
Chiese Robert, voltandosi verso la fonte del rumore e inspirando a
fondo, come i cani.
-Sono Eireen, possiamo entrare?-
L’uso del plurale mi fece battere più forte il
cuore. Il mio stomaco si strinse in una morsa di ghiaccio, fatta di
paura, incertezza e colpevolezza.
-Vieni.-
Fece lui.
Quando la porta si aprii il mio cuore perse un battito
nell’intravedere la testa di Faith.
Quando vidi il volto, mi sentii quasi peggio.
Era ancora arrossato per il pianto, ma al tempo stesso era pallido per
la paura. Tremava come una foglia da capo a piedi. Sul collo e anche un
po’ sulla bocca aveva alcuni segni rossi, lasciati dalle mie
labbra sporche di rossetto, quando l’avevo baciata.
Feci per alzarmi e correrle incontro, ma Robert riuscii ad afferrarmi
un braccio ed interrompere il mio incedere, prima che la ragazza
scappasse a gambe levate.
Quando riuscii a calmarmi, notai che le tremava persino il respiro.
-Faith…-
Mormorai, guardandola tristemente. Avrei tanto voluto che dimenticasse
il modo in cui l’avevo trattata, ma sapevo che non
l’avrebbe mai fatto.
-Siediti pure sul letto di Jackie e ascolta quello che abbiamo da dire.-
Fece Eireen con voce gentile. Suonava come un invito, ma in
realtà sapevo che nel suo tono dolce c’era un
ordine.
Quando vide che Faith continuava a fissare me terrorizzata, a circa un
metro dal mio letto, seduta sul suo, e che non si muoveva, Eireen
sospirò.
-Che c’è?-
-Lei…lei è troppo vicina. Non la voglio
così vicina…-
Piagnucolò lei. Ogni sua parola mi faceva soffrire, ma me lo
meritavo. Anzi, meritavo di più.
Mi alzai e mi appoggiai contro la parete in fondo alla stanza.
-Meglio?-
Chiesi, con voce carica di pianto. Non avrei mai voluto mostrarmi
così fragile di fronte a lei, ma forse così avrei
dimostrato che non ero un pericolo.
Lei comunque, non sembrò farci caso.
-Sei disposta ad ascoltarci, vero?-
Chiese Robert.
-È molto importante che tu ti tenga per te ciò
che hai visto. È una faccenda…delicata.-
Faith annuì, senza mai distogliere lo sguardo da me. Forse
pensava che un attimo di disattenzione da parte sua avrebbe potuto
esserle fatale.
-Vi ascolto, farò quello che mi chiedete, ma…-
Deglutì.
-…ma tenetemela lontana…-
Ignorai il dolore pungente al cuore e rimasi in ascolto di tutto
ciò che Robert ed Eireen ebbero da dire a Faith.
Fu una conversazione che si tenne a bassa voce, perché
l’argomento non era dei più normali e io osservai
con estrema attenzione ogni minimo cambiamento
nell’espressione di Faith.
Lessi sul suo volto orrore, incredulità e sconcerto, mentre
spiegavano la loro storia e la mia.
-Volete dire che siete…-
Scosse la testa, probabilmente senza il coraggio di credere alle parole
di tre vampiri.
-…no, è impossibile. I vampiri non esistono, lo
sanno anche i bambini.-
-Eppure te ne abbiamo dato la prova.-
Intervenni io. Posò lo sguardo sui miei occhi, tornati
normali non appena l’eccitazione del momento si era
affievolita, e la vidi rabbrividire.
-Lo so, ma…no, non ce la faccio.-
-Qualsiasi domanda, qualsiasi perplessità tu abbia, non devi
fare altro che chiedere. Noi ti spiegheremo tutto.-
-Non voglio che mi spieghiate niente…ne ho abbastanza! Per
stasera ho…-
Scosse la testa come per scacciare un brutto ricordo.
-Trovatemi solo un posto dove dormire.-
La guardai, con il cuore in gola.
-Ti prometto che non ti farò mai più del male.
Resta…-
Smise di guardarmi negli occhi, come se fosse stato troppo difficile o
come se temesse di vederli tornare rossi.
Si alzò dal mio letto e indietreggiò, senza
girarmi le spalle. Prudenza prima di tutto.
-Ditemi dove posso passare la notte.-
Insistette. Robert scosse la testa e si passò le dita tra i
capelli. Poco prima avevo notato che aveva ancora i segni del mio
rossetto sul torace, ma in un momento come quello non potevo ritenere
sensuale un gesto del genere.
-Dormirei io con Jackie, ma temo che non possiamo fare cambio stanza.
Non credo vorresti stare in camera con un ragazzo, no?-
-Non m’importa. Tutto, purché non ci sia lei. Mi
andrebbe bene chiunque.-
Bene, chiunque era meglio di me. Fantastico.
Deglutii per impedire alle lacrime di scorrere.
-Io sto con Cassie in stanza. Se vuoi ti lascio il mio letto. Puoi
dirle che tu e Jackie avete litigato e che quindi preferisci scambiare
la stanza con me.-
Suggerì Eireen debolmente.
-Ma in ogni caso, sarà meglio per te non dire niente di
ciò che è successo, altrimenti…-
-Eireen!-
La rimproverò Robert.
-Smettila.-
Poi si rivolse lui stesso a Faith.
-È molto importante che tu capisca che per noi questo
è un segreto vitale. Se lo spifferi a qualcuno per noi
sarà difficile poter vivere qui.-
-E cosa dovrei dire? Che siete vampiri? Certo, come no!-
-Trova tu le prove di quello che ti abbiamo confessato. Cerca nella tua
mente, nella tua memoria, elementi che ti facciano capire che non
stiamo mentendo.-
Feci.
-È così che ho trovato la forza di credere a
Robert. E mi sono fidata di lui.-
-Se è vero che lo siete, non c’è molto
da fidarsi.-
Sbottò lei. Senza dire più nulla andò
in bagno e prese il suo beauty, poi si avvicinò alla porta e
posò una mano sulla maniglia.
-Se ti serve qualcosa vieni subito. Sono stanca, voglio andare a
dormire.-
Disse rivolta ad Eireen.
Aprì la porta e fece per andarsene, quando sentii un
bisogno. Non era nemmeno lontanamente simile a quello che avevo provato
quando avevo sentito il suo profumo.
Non era sete, né brama. Era solo uno sfogo, ma era
altrettanto forte.
-Faith…-
Mormorai. Lei si bloccò sull’uscio e
girò di poco il volto.
-Che vuoi?-
Il suo tono aspro quasi mi fece decidere di non dire nulla, ma volevo
farlo. Ne sentivo la necessità.
-Ti voglio bene.-
Una lacrima mi scese lungo il volto. Non avevo mai avuto tanti motivi
per piangere. Almeno non tutti assieme.
Lei non rispose. La vidi esitare, scuotere la testa, poi
uscì da quella che poco prima era stata la nostra stanza e
si chiuse la porta alle spalle.
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Capitolo 25 *** 25. ***
Salve! Eccoci,
questo capitolo finalmente contiene una piccola svolta. Era anche ora.
Spero vi piaccia. I ringraziamenti vanno a VeryGood e alla sua
pazienza, alla new entry GeeSomerhalder (spero che rimanga per un po'
di tempo :D) e YukiMoon i cui commenti sono sempre preziosi per me.
Grazie infinite.
25.
Esistevano tanti tipi di dolore.
Epicuro diceva che un'intensa sofferenza non poteva essere destinata a
crescere in maniera illimitata, perché la morte avrebbe
posto fine a quel dolore.
Invece un dolore prolungato non poteva essere eccessivamente intenso e
insopportabile.
Io avevo un’altra teoria, o almeno la mia teoria completava
quella di Epicuro, che a parer mio si riferiva principalmente ad un
dolore fisico.
Il dolore morale distruggeva tutte le regole poste dal famoso filosofo
perché era intenso ed estremamente prolungato. E in quel
momento mi sembrava che mi stesse lentamente divorando
l’anima.
Non mi sentivo più integra. Mi sentivo sporca, lacerata e
priva di forze anche se sapevo che se avessi voluto farlo, avrei potuto
distruggere una parete con due dita.
Quella sera Robert fu estremamente protettivo e premuroso nei miei
confronti.
Mi aiutò addirittura a struccarmi, mentre Eireen portava
nella sua nuova stanza almeno un po’ della sua roba.
Robert mi chiese se avessi bisogno di lui quella notte, se volevo
qualcosa.
In realtà io volevo solo che Faith mi perdonasse. Io mi
sarei odiata in eterno per tutte e due.
Era incredibile come la gente ci mettesse tanto a conquistare la
fiducia di un amico e in pochi secondi la perdesse così
facilmente!
Anche Eireen fu gentile, anche se sapevo che un po’ ce
l’aveva con me per aver rovinato tutto. Sapevo cosa stava
pensando, anche se i vampiri non erano telepatici.
Stava pensando che loro erano stato capaci di mantenere il segreto per
anni, mentre in pochi giorni da vampiro io mi ero fatta scoprire
subito. Che stupida!
Dormii una notte agitata. Continuai a sognare di trasformarmi in una
bestia orribile, poi in un pipistrello. Sognai di bere il sangue a
tutti quelli del mio corso, ai miei genitori, ai miei conoscenti e ogni
volta mi svegliavo con gli occhi che bruciavano e una sete quasi
insopportabile.
La sorella di Robert cercò di lasciarmi in pace il
più possibile, non per mancanza di interesse nei miei
confronti, bensì perché sapeva benissimo che non
ero dell’umore adatto per socializzare, a meno che non si
trattasse di Robert.
Il giorno dopo mi risvegliai, con il cuore più dolorante che
mai, dopo solo un’ora di sonno in tutta la notte.
Pensai che quella mancanza mi avrebbe fiaccato, invece fui fisicamente
attiva per tutto il giorno.
Robert mi spiegò che i vampiri erano più in forze
quando dormivano bene, però avrebbero potuto resistere
giorni e giorni senza chiudere occhio.
Beh, buono a sapersi.
Faith non mi si avvicinò più, anche se lanciava a
me e ai gemelli Paige occhiate tutt’altro che amichevoli.
Erano un misto di paura e curiosità, come se stesse
riflettendo su ciò che le avevamo confessato. In ogni caso,
se non ci credeva era molto meglio per tutti.
Durante colazione, assunsi la mia prima compressa contro il vampirismo.
Robert mi spiegò che mi avrebbe reso più forte,
come se avessi mangiato, ma che in realtà estingueva la sete
solo di poco.
Si potevano assumere solo una volta alla settimana perché
l’organismo faceva fatica a smaltirne tutti gli effetti. Me
la sarei fatta bastare, perché comunque un vampiro non aveva
bisogno di mangiare regolarmente come gli essere umani. Era in grado di
resistere molto di più, anche se impazziva e perdeva il
controllo.
-Perché il nostro corpo riesce ad assumerle?-
Chiesi, prima di ingoiare la mia medicina. Lanciai alla piccola
compressa un'occhiata diffidente, in attesa di una risposta da parte
del mio ragazzo.
-Insomma, se il corpo di un vampiro resiste a tutto fuorché
all'argento, come può una medicina aiutarci?-
Lui sorrise, comprensivo, come si sorrideva alla domanda sciocca di una
bambina ingenua.
-Beh, il corpo di un vampiro può essere scalfito
dall'argento, ma c'è altro che ha effetti su di esso. Una di
queste altre cose è il sangue e la compressa ha effetti su
di noi, proprio perché sostituisce il sangue di cui abbiamo
bisogno.-
non chiesi più nulla, riflettendo su ciò che
già sapevo e sulle innumerevoli informazioni che ancora mi
mancavano.
Erano tante le cose che avrei voluto imparare, perlomeno per sapere
come comportarmi in certe situazioni, tuttavia ancora non avevamo avuto
la possibilità, io e Robert, di fare una lezione pratica.
Per quel giorno, forse per tenermi un po’ la mente occupata,
si limitò a qualche insegnamento teorico e a riferimenti
leggendari.
Durante l’uscita tra mattina e pomeriggio invece, mi fece
provare ad individuare e riconoscere i suoni, i rumori e gli odori
più sottili della città, quelli impercettibili
per un orecchio o un naso umano.
Dopotutto, fu abbastanza divertente.
Quel giorno facemmo solo un giro della città e guardammo il
ponte Jätkänkynttilä, sopra il fiume
Kemijoki, due nomi che probabilmente non mi sarei mai ricordati e che
erano anche difficili da pronunciare.
Continuammo il nostro progetto sull'acqua, raccogliendo qua e la
campioni d'acqua da analizzare con un macchinario apposito, per
misurarne il pH.
Avevo fatto bene a portare gli scarponcini perché per un
quarto d’ora buono fui costretta ad impiastricciarmi le suole
nella riva limacciosa del lago.
Quel progetto ci impegnò durante tutto il pomeriggio e per i
giorni seguenti, dato che comunque a Rovaniemi non c'erano tante
attrazioni e punti di interesse da visitare.
La classe mangiò dove capitava, Mc Donald o un fast food
qualsiasi e quando tornammo all’albergo non era propriamente
notte, ma poco ci mancava. Il crepuscolo era vicino e la sua pesantezza
si fece sentire come un bruciore alla gola e un senso di profondo
malessere.
Non m’importava se durante quell’ora del giorno non
stavo bene. Feci di tutto per ignorare la sete e per pensare ad altro.
Non c’era molto su cui riflettere però.
Se non era la sete era Faith e viceversa.
Da parte mia, fui estremamente felice di tornare all’albergo.
Non mi andava più di fare altre uscite, non ne sentivo il
bisogno e non vedevo già l’ora di trovarmi in
camera per stare lontano dal brusio del resto della classe.
Non appena entrammo nella hall dell’albergo, qualcosa di
insolito ci solleticò le narici. Eireen non poté
riconoscerlo, perché non ne sapeva nulla, ma io e Robert ci
ricordammo subito dell’odore d’aglio del tizio
della festa. Il nostro sguardo vagò fino ai divanetti, per
incontrare una figura seduta. Era lui.
Era vestito apparentemente normale, ma sugli abiti aveva sempre e
comunque il lungo cappotto nero.
Sembrava appena uscito da Matrix.
Guardai Robert con uno sguardo carico di significato, poi quando mi
voltai nuovamente verso il salottino, mi trovai puntati addosso gli
occhi del tizio e un brivido freddo mi corse lungo la spina dorsale.
Non era una certezza, era un sensazione. Quell’uomo non mi
piaceva per niente, anche se non aveva fatto niente a me e ai fratelli
Paige.
Semplicemente, mi inquietava.
Era seduto e appariva rilassato, anche se lo sguardo tradiva qualcosa
che non seppi riconoscere all'istante. Sembrava concentrato su
qualcosa...forse su di me. Aveva le braccia allargate e posate sullo
schienale del divano e le gambe accavallate.
Gli feci un sorrisino, come per dimostragli che mi ricordavo di lui e
per salutarlo, lui ricambiò, poi io e Robert ci incamminammo
nuovamente per tornare nelle nostre stanze.
Avevamo un’ora e mezza di tempo per riposare e sistemare la
nostra roba, poi sarebbe stata pronta la cena.
Mentre il resto della classe, professori compresi, si disperdeva come
pecore per recarsi nelle camere, intravidi una testa bionda che
riconobbi all’istante che andava nella sala da pranzo e mi
venne in mente una cosa.
-Ehi Robert, senti…devo chiedere una cosa al cameriere. Mi
aspetti qui?-
Lui, distolse lo sguardo dall’uomo, distratto. Mi
guardò aggrottando la fronte e scosse la testa.
-Scusa, che hai detto?-
-Ho detto che devo chiedere un’informazione.-
Ripetei indicando con il pollice la sala da pranzo.
-Tu che fai, mi aspetti o vai in camera?-
Ci pensò su per un paio di secondi, poi si strinse nelle
spalle.
-Penso andrò a farmi una doccia. Tu Eireen, che fai?-
La ragazza mi lanciò un’occhiata poco interessata.
Di solito le andava bene tutto, era molto adattabile.
-Io vado in camera. Ti aspetto su, Jackie.-
Feci un cenno di saluto con il capo e li guardai allontanarsi
rapidamente e in silenzio, poi raggiunsi la sala e intercettai Kimmo
proprio quando stava per entrare nella cucina, riservata agli addetti.
-Ehi, frena!-
Gli feci ridendo. Lui si voltò verso di me e il suo viso si
illuminò. Mi rivolse un sorriso che sarebbe stato disarmante
per chiunque.
-Moi! Sei
la ragazza dagli occhi belli, vero? La vampira!-
Il suo entusiasmo sarebbe stato anche contagioso, se non avessi saputo
che stava solo cercando di rimorchiare.
-Già…senti, posso chiederti un favore?-
Allargò le braccia senza smettere di sorridere.
-Tutto quello che vuoi…anche di più.-
Lasciai perdere l’allusione e ignorai persino la sua allegria
insistente.
-Allora mi approfitto della tua gentilezza. Ho…-
Pensai per qualche istante a come esprimere meglio la mia
volontà, ma pensai subito che andare subito al sodo sarebbe
stata la cosa giusta, senza troppi giri di parole. Rivedere l'uomo
della festa mi aveva fatto ripensare ad una cosa.
-Ho sentito una frase in finlandese e mi piacerebbe sapere che
significa.-
Dissi.
-Tutto qui?-
Sembrava persino deluso. Beh, spiacente bimbo…
-Sì, tutto qui.-
-Dimmi la frase.-
Se avessi pronunciato male avrei fatto davvero una figuraccia. Sospirai
e mi buttai.
-Perdona la mia pronuncia orrenda, non me la ricordo molte bene. Suona
molto come epapua iakeinnin.-
Lo guardai trattenere una risata, ma il suo volto si contrasse in una
smorfia di ilarità che non mi sfuggì affatto.
-Te l’ho detto che la mia pronuncia è un disastro!-
-No, tranquilla…forse volevi dire Epäpyhä
Jäikeläinen?-
-Sì, quello!-
Esclamai, anche se non ne ero del tutto convinta. Comunque sembrava
davvero quella. Se non altro mi aveva capito.
-Allora si può sapere chi ti ha detto una cosa del genere?
non mi sembra una frase romantica.-
-Un tizio alla festa…-
Risposi restando sul vago. Ero così curiosa di sapere di che
si trattava! Anche se era chiaro che Kimmo pensava che non fosse una
cosa tanto normale.
-Mi dici cosa significa?-
-Dammi un bacio e te lo dico.-
Lo guardai male.
-Cosa?-
-Un bacio. Solo uno.-
Scossi la testa con determinazione. Ignorai lo il sorriso sornione che
mi rivolse e le braccia incrociate. Se pensava di avermi in pugno era
sulla cattiva strada. Non mi incantava.
-Bene, andrò a chiederlo a qualcun altro. Siamo in Finlandia
e la Finlandia, che tu ci creda o no, è piena di finlandesi.-
Feci per voltarmi ed andarmene da quel ricattatore con gli ormoni a
mille, ma una delle sue grandi mani mi afferrò il polso e mi
fermò.
-No, dai. Aspetta.-
Feci un sospiro quasi spazientito e fu il mio turno di guardarlo male
con le braccia congiunte.
-La frase significa stirpe
del demonio o, non so, un sacco di altre varianti tipo diabolica progenie.
Roba così.-
La mia espressione, da scocciata divenne incredula. Non ebbi bisogno di
guardarmi in uno specchio per capire che i miei occhi erano sgranati in
una manifestazione di stupore.
-Dici sul serio?-
Chiesi. Dovevo per forza aver capito male.
-Certo. Strana cosa da dire ad una ragazza ad una festa…-
Scossi la testa. E mi voltai. Riuscivo ad intravedere il salotto della
hall anche da lì e quasi come se me lo fossi aspettata, il
tizio della festa mi stava scrutando con un’aria strana.
-Io…devo andare.-
Dissi a Kimmo, sentendo un insolito freddo. Non era colpa
dell'ambiente, ben riscaldato. Ignorai ogni sua protesta, mormorai un
grazie fugace e mi fiondai fuori dalla sala da pranzo a passo sostenuto.
Rivolsi un ultimo sguardo all’uomo, che armeggiava con
qualcosa nel fuoco acceso del caminetto.
Chi diavolo era? Valeva davvero la pena di preoccuparsi solo per una
frase del genere?
Forse ero diventata di colpo paranoica, ma ciò che Kimmo mi
aveva tradotto non era una cosa normale da dire. Aveva ragione lui, era
una frase strana da dire ad una ragazza.
Forse sapeva qualcosa di più...qualcosa che non doveva
sapere. O forse me l’aveva detta solo perché aveva
visto che ero vestita da vampiro e lui da prete. Forse stava solo
scherzando. Sì…doveva per forza essere
così.
Quasi convinta dalle mie parole, rallentai il passo. Salii le scale che
portavano al corridoio della mia stanza, sentendo il cuore in gola e
respirando profondamente per impormi la calma. Ci riuscii solo dopo
qualche secondo.
Il corridoio era deserto. Tutti erano nelle loro camere, a farsi una
bella doccia o solo a riposare dopo l’uscita pomeridiana. Era
quello che dovevo fare anche io. E in fretta.
In fondo niente e nessuno mi stava minacciando, giusto? Mi ero solo
lasciata impressionare dalle parole di Kimmo e dalla mia fervida
immaginazione.
Ero solo all’inizio del corridoio, quando una mano mi
coprì la bocca, impedendomi di urlare per lo spavento e una
forza sconosciuta mi premette contro il muro.
La sua potenza era notevole e anche dibattendomi, non riuscii a fare
nulla.
Il cuore mi schizzò in gola quando capii che non era nessuno
della mia classe, che magari voleva farmi uno spavento, o Robert che mi
aveva colta alle spalle per un bacio. Non sarebbe mai stato
così violento con me.
Ricambiai lo sguardo, divenuto quasi folle, del prete della festa. Il
suo odore pungente di aglio mi investì e mi costrinse a
chiudere gli occhi.
Mugolai contro il palmo della sua mano, premuta sul mio viso. Era
guantata, di qualcosa di fresco che non seppi definire.
Mi sembrava che luccicasse, ma quali guanti luccicavano?
Senza che potessi protestare o fare alcunché, tolse in
fretta la mano e mi colpì violentemente al volto con
l’altra, facendomi ronzare le orecchie per l’urto e
offuscare per un attimo la vista.
Davvero, si trattò solo di un istante, ma gli
bastò per afferrarmi i polsi e bloccarmi le mani contro il
muro, sopra la mia testa. Ero talmente frastornata che non ebbe nemmeno
bisogno di tapparmi di nuovo la bocca per impedirmi di urlare come
un’ossessa, anche se quello che accadde dopo fu un buonissimo
motivo per farlo.
Lo sentii armeggiare con qualcosa, poi mi premette un oggetto contro il
palmo della mano sinistra, bloccata, e il dolore esplose, lasciandomi
senza fiato.
Fu qualcosa di lancinante, insopportabile. Un bruciore intenso.
In un secondo reagii grazie all’istinto animale che mi
portavo dentro. Con una velocità che non mi sarei mai
attribuita alzai la gamba e con una ginocchiata lo feci piegare in due
dal dolore.
Solo un intenso autocontrollo mi impedì di strillare per il
bruciore. Non volevo nemmeno guardare cosa mi aveva fatto,
perché di sicuro se la sofferenza era così
violenta, si trattava di qualcosa di spaventoso anche da vedere.
Quando la ginocchiata lo costrinse ad indietreggiare, gli rifilai un
calcio per allontanarlo da me. Fu perlopiù una spinta, ma
finì lungo disteso a più di tre metri da me.
Era strano che in quel momento mi venisse in mente, ma quella scena mi
ricordò il modo in cui Robert aveva spinto via Seth per
difendermi dal gruppetto di bulli fuori dalla mensa scolastica.
Quando fui assolutamente sicura che non mi sarebbe più
saltato addosso per farmi altro male, strinsi al petto la mano
dolorante, sentendo le lacrime pizzicarmi gli occhi e colarmi lungo le
guance.
Era l’unico sfogo che mi potevo permettere per non attirare
l’attenzione, altrimenti sarei corsa dalla prima persona che
avessi incontrato per nascondermi e denunciare l’accaduto.
Guardai un ultima volta l’uomo, che si rialzò in
piedi piuttosto in fretta, con il respiro spezzato a causa della mia
forza.
Ora stavo capendo perché il mio istinto mi aveva comunicato
che di lui non c’era da fidarsi.
Sentivo la mia mano ferita tremare in maniera innaturale e
nell’altra avvertii la presenza di qualcosa. Era un pezzo di
carta che l’uomo mi aveva infilato tra le dita quando mi
aveva attaccata e di cui io non mi ero nemmeno accorta.
-La stirpe del diavolo non deve sopravvivere. È la parola di
Dio.-
Sussurrò lui guardandomi con quella scintilla di pazzia
negli occhi infossati. Rise e fece per avvicinarsi, ma io gli lanciai
un ultimo sguardo terrorizzato e confuso e scappai via pregando che il
dolore cessasse e pregando che quello fosse solo un brutto sogno.
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Capitolo 26 *** 26. ***
Grazie di cuore per
i commenti, a GeeSomerhalder, YukiMoon e a VeryGood, a quest'ultima
anche per aver tentato di farmi inserire tra le storie scelte. Impresa
coraggiosa :D ciao!
26.
-Eireen! Apri la porta! Ti prego, apri!-
Gridai, dando pugni sulla porta abbastanza forti da farla tremare, ma
non abbastanza da scardinarla, cosa che sarebbe successa presto se non
avesse aperto in fretta.
Le chiavi in dotazione per ogni camera erano tre, ma avevo dimenticato
la mia sul letto, quella mattina. Anche se una l’aveva Faith,
che ancora doveva ridarmela, la mia nuova compagna di stanza aveva la
possibilità di entrare quando voleva perché aveva
la terza.
La porta si socchiuse e fece capolino il viso carino di Eireen. Mi
guardò male, con un’espressione interrogativa, e
mi osservò mentre io la costringevo ad aprire del tutto la
porta e a lasciarmi entrare.
Mi seguì con lo sguardo mentre mi infilavo di corsa nel
bagno e poco dopo me la trovai di fianco.
-Che cos’è successo alla tua faccia?-
-Lascia perdere la faccia!-
Gemetti. Feci un sospiro tremante quando accesi la luce.
Prima di controllare la mano mi guardai allo specchio. Se possibile ero
ancora più pallida e le guance erano rigate di lacrime.
Il punto del viso dove l’uomo mi aveva colpita si notava
grazie a dei segni rossi, che lentamente stavano diventando viola. Non
volevo sapere come sarebbero diventati il mattino dopo, ma quello era
il mio problema minore.
-Allora che hai fatto? Rispondimi, Jackie!-
-Guarda!-
Strillai. Mi tremavano le mani, le gambe e persino la voce.
Aprii e distesi bene il palmo, e un nuovo intenso bruciore mi fece
piagnucolare.
Quando vidi le condizioni della mia mano mi sentii quasi mancare.
-Oh mio Dio, Jackie, chi è stato?-
Ero senza parole. Il palmo era liscio e sudato, ma la
continuità delle linee della mano era interrotta da un
simbolo. In corrispondenza la pelle era rossa, raggrinzita e bruciata.
Era un croce, ma non una croce normale.
Aveva le braccia che si diramavano in due parti ed era stata marchiata
a fuoco nella carne con qualcosa di incandescente.
Mi era famigliare, ma non ci riflettei su per far emergere indizi dalla
memoria.
-Figlio di puttana…-
Mormorai stringendo i denti per il dolore. Mi lasciai sfuggire un nuovo
singhiozzo e con l’altra mano aprii l’acqua nel
lavandino, lasciando che diventasse ancora più gelida del
normale.
Feci per tuffare l’ustione sotto il getto freddo, per cercare
sollievo, ma Eireen, con una mossa velocissima, mi fermò.
-Aspetta. Non sono certa che sia la cosa migliore. Vado a chiamare
Robert, lui ha fatto un corso di pronto soccorso alle elementari.
Cioè…lo abbiamo fatto entrambi, ma io non ricordo
nulla. Tu...stai ferma e…-
Sembrava agitata.
-Stai ferma e non fare niente. Io torno subito.-
Detto questo si fiondò fuori dalla stanza e io pregai
perché tornasse presto. Volevo Robert.
Non me ne fregava niente del corso di pronto soccorso, ma volevo il
ragazzo che amavo, solo per poterlo avere vicino.
Anche io avevo fatto un corso simile, ma era stato corto e si era
trattato solo di cose basilari, che a stento ricordavo.
L’attesa fu più difficile di quello che mi ero
aspettata. Il dolore era bruciante e la rabbia era ancora peggio.
Come si era permesso quel tizio, di farmi una cosa del genere?
In fondo, io non gli avevo fatto nulla! E poi quella frase...
La stirpe del diavolo
non deve sopravvivere.
Era una minaccia bella e buona.
Le lacrime continuarono a scendere copiose. Avevo più pianto
in quei pochi giorni da vampiro che in tutta la mia vita.
Mi sedetti sul pavimento del bagno e con la schiena contro la parete
coperta di mattonelle rosse e bianche. Voltai la testa per appoggiare
una guancia contro la sua superficie fresca.
Fu un sollievo, ma durò poco.
La porta si aprì nuovamente ed ebbi un tuffo al cuore,
quando Robert mi corse incontro e si inginocchiò proprio
accanto a me.
-Jackie!-
Esclamò prendendomi il polso che tenevo rigido e che ancora
mi tremava. La mano era quasi inguardabile.
-Chi è stato? Raccontami com’è andata!-
-Io…-
Feci per dire, ma lui scosse la testa.
-No, me lo dirai dopo…fammi dare un’occhiata.-
Guardò con attenzione e curiosità la sagoma della
croce e vidi che la sua fronte cominciò ad imperlarsi di
sudore.
-Cazzo…fa male, vero?-
Chiese. Lo guardai così male che probabilmente se gli
sguardi avessero potuto uccidere, lo avrei incenerito
all’istante.
-No, è una meraviglia!-
Commentai sarcastica.
-Alzati!-
Mi ordinò. Ci mancava solo lui che mi metteva fretta! Feci
come mi disse, perché collaborare significava forse
alleviare il dolore visto che Eireen aveva detto che Robert sapeva come
comportarsi in un momento del genere.
In ogni caso non mi andava di fare storie solo perché ero
nervosa.
Il ragazzo mi prese la mano e aprì l’acqua nel
lavello, come avevo fatto io poco prima.
Quando la mise sotto il getto gelato fu un sollievo e
contemporaneamente uno strazio. Bruciava come l’inferno
quella dannata ustione!
Restammo così per un po’, finché non
percepii sempre meno dolore. Era comunque intenso, ma dopo qualche
minuto sotto l’acqua diminuì notevolmente.
Non sapevo se erano effettivamente le sue cure o la semplice presenza
di Robert a farmi sentire meglio, ma in ogni caso sapere che lui era
lì con me era confortante.
Dopo un paio di minuti mi fece sedere sul mio letto, in assenza di
garze e bende sterili da applicare. Robert mi disse che se le sarebbe
presto procurate, in un modo o nell’altro.
-Credo…-
Mormorò pensieroso.
-Credo si tratti di un’ustione di secondo grado.-
Osservò.
-In casi normali dovremmo portarti al pronto soccorso. È
stato l’argento vero?-
Mi rivolse uno sguardo interrogativo. In realtà la mia
risposta era irrilevante, dato che sapeva benissimo di che si trattava.
Mi limitai a scuotere le spalle.
-Non ho visto cos’era, ma se è riuscito a ferirmi,
era di sicuro dell’argento.-
-Dimmi che cos’è successo. Voglio i particolari.-
Era secco e scorbutico, ma non era freddo, distaccato e impassibile.
Ormai lo conoscevo abbastanza bene da riconoscere nei suoi occhi scuri
una forte preoccupazione, per me e anche per qualcos’altro.
Sembrava che sapesse già ciò che stavo per
raccontargli.
Ignorai quella sensazione e decisi di raccogliere le idee per
spiegargli tutto.
-Eri appena andato via. Stavo parlando con Kimmo e…-
-Con chi?-
-Robert, se mi interrompi ogni secondo come posso raccontarti tutto?-
Lo rimproverai, sentendo però nello stomaco una fitta di
soddisfazione nel capire che la sua in fondo era solo un po’
di gelosia.
Lui annuì, lasciandomi continuare.
-Comunque Kimmo è un cameriere, quello che ci ha provato con
me alla festa.-
-Volevo ben dire io!-
-Robert!-
-Scusa.-
Chinò il capo sconsolato, però riuscii a notare
che stava suo malgrado sorridendo lievemente. Era un bene che anche in
un momento del genere riuscisse a trovare qualcosa di divertente.
Il suo lieve moto d’ottimismo fece sorridere anche me. Poi
ripensai a cosa dire e ricordare ogni passaggio della mia disavventura
mi tolse in fretta il sorriso dalle labbra.
Perché era successo proprio a me? Che avevo fatto di
sbagliato?
Ignorando la rabbia e lo sconcerto, proseguii.
-Ti ricordi la frase che ha detto il tizio della festa dopo che mi sono
scusata? Ho chiesto a Kimmo che cosa significa e lui mi ha detto che
vuol dire stirpe del
demonio o qualcosa del genere.-
Lasciai che le mie parole rimanessero per un istante sospese, per
controllare l’effetto che ebbero su Robert ed Eireen. La
ragazza aggrottò la fronte e mi guardò pensierosa
e Robert contrasse le mascelle, come ogni volta che qualcosa non andava
o la rabbia rischiava di sopraffarlo.
-Ha detto davvero così?-
Chiese a denti stretti. Gli posai la mano sana sulla guancia e lo
accarezzai per calmarlo, come se fosse stato un bambino piccolo da
consolare.
-Ho capito subito che qualcosa non andava, poi mi sono accorta che
l’uomo della festa mi fissava e mi sono sentita tanto a
disagio che ho deciso di raggiungere in fretta Eireen in
camera…e lui mi ha seguita e mi ha aggredita.-
Scossi la testa ricordando quei momenti orribili. Come in conferma alla
paura che ancora mi attanagliava le viscere, l’ustione sulla
mia mano parve bruciare ancora più intensamente.
-Mi ha tenuta ferma e mi ha…non so, scottata con qualcosa.
Non me ne sono resa conto subito.-
-Che bastardo…-
Commentò Eireen scuotendo la testa.
-Perché l’ha fatto?-
-è un cacciatore.-
Dichiarò Robert, attirando sia la mia attenzione, che quella
della sorella. Eireen dapprima rise, poi aggrottò la fronte
confusa.
-Hai detto cacciatore? Ma non esistono, o perlomeno non ce ne sono
più in giro!-
-Ne abbiamo la prova ora, guarda la croce! E poi ho capito subito che
qualcosa in lui non andava. Avrei dovuto seguire il mio sesto senso.
Ecco perché quella frase, ecco perché ci osserva
sempre con quell’aria da pazzo, ecco perché puzza
d’aglio! Avrei dovuto ascoltare l’intuito!-
Alzai le mani in segno di resa. Probabilmente tesi troppo il palmo di
quella ferita, perché il bruciore aumentò e mi
costrinse a compiere meno movimenti possibili.
-Fermi! Perché ho sempre l’impressione che voi
sappiate qualcosa che io non so?-
-Perché è così.-
Rispose Eireen semplicemente, seduta sul suo letto e intenta a
giocherellare con un bordo del lenzuolo.
Lanciò uno sguardo a Robert che avrebbe potuto significare
tutto e niente.
-Crediamo che il tipo che ti ha aggredita, l’uomo della
festa, sia…un cacciatore di vampiri.-
Sgranai gli occhi incredula.
-Un cacciatore di vampiri? Esistono davvero?-
-Beh, ci sono documentazioni, ma risalgono a tantissimi anni fa quando
si credeva che il vampirismo fosse una sorta di dannazione eterna e di
pericolo per chiunque. La maggior parte delle volte le accuse di
vampirismo erano errate e le vittime venivano uccise per nulla. Almeno,
questo è quello che so.-
Robert fece un sospiro. Si passò una mano fra i capelli
castani, poi continuò.
-Non credevo ce ne fossero altri, dato che oggi quasi nessuno crede
ancora ai vampiri e a tutte quelle bestie leggendarie, sputate
dell’inferno. Probabilmente mi sbagliavo…-
Pendevo letteralmente dalle sue labbra. Non era solo perché
l’argomento era interessante o perché mi
riguardava personalmente, ma perché il modo di raccontare di
Robert e il suo tono era davvero ipnotici.
Non sapevo se era un effetto del vampirismo o se era davvero una sua
innata caratteristica.
-Ti ha marchiato. Non lo so il perché, ma l’ha
fatto. Forse era solo un semplice avvertimento sia per me, che per te
per dimostrarci che vuole portare a termine il lavoro.-
-Secondo te ci vuole…uccidere?-
Strinse le mani a pugno e annuì. Una goccia di sudore gli
percorse la tempia.
-Se è un cacciatore, di sicuro è ben attrezzato.
Il fatto che sia riuscito a bloccarti, indica che non è uno
sprovveduto qualsiasi.-
-Aveva dei guanti…-
Mormorai fra me e me. Lo ricordavo, erano fatti di qualcosa di strano.
-Guanti d’argento.-
Mi anticipò il ragazzo.
-Altrimenti la tua forza sarebbe stata maggiore alla sua.-
-Ma perché l’aglio? Mi hai detto che non funziona,
che è solo una leggenda!-
-L’ho detto, certo, ma probabilmente i cacciatori pensano che
i vampiri non vogliano mordere chi puzza troppo d’aglio.
È solo una precauzione.-
Inspirai a fondo, cominciando a delineare bene ogni particolare del mio
brutto incontro con l’uomo.
-Mi ha detto che la stirpe del demonio non deve sopravvivere.-
Dichiarai, ricordandomi di colpo le sue parole, tinte di un forte
accento finlandese.
-Ha detto davvero così?-
Chiese Eireen.
-Sì, e mi ha messo in mano un biglietto.-
Aggiunsi, frugandomi nelle tasche, dove lo avevo risposto per
conservarlo, ed estraendo un piccolo foglio spiegazzato.
Con dita divenute improvvisamente tremanti, lo tenni in mano per
qualche secondo, poi, lentamente, lo aprii ed iniziai a leggere per
conto mio la scritta a penna un po’ sbavata, dopo aver tenuto
il biglietto nella mano sudata.
La calligrafia era elegante, quasi eccessivamente ordinata. Era molto
simile a quella dei testi antichi, inclinata e scorrevole e se
possibile mi rese ancora più nervosa.
È legge di
Dio, scovare ed eliminare le Bestie e i Figli del Demonio.
Domani, 22:00.
Tetto.
Dopo averlo letto due e tre volte mentalmente, riferii agli altri. non
riuscivo quasi a credere a ciò che c’era scritto.
-Caspita…-
Commentò Eireen.
-Questo fa sul serio. Che cosa facciamo?-
Robert non rispose subito. Mi prese il biglietto tra le mani e
osservando il movimento veloce dei suoi occhi capii che stava leggendo
e rileggendo il messaggio un sacco di volte, forse per capirci qualcosa
di più.
-Ecco cosa faremo. Lo accontenteremo.-
Dichiarò poi, gettando via con rabbia il foglietto e
guardandomi.
-Domani andrò nel posto indicato dal messaggio. Non ho
cattive intenzioni. Voglio solo parlare con lui, capire che cosa vuole,
comprendere perché ti ha fatto del male. Il motivo
principale è che è pazzo, ma voglio trattarlo da
mio pari. Gli spiegherò la situazione, mentre tu ed Eireen
starete qui buone e calme…-
Prima che potesse dire altro sia io che la sorella esclamammo un secco
No di protesta.
-No, Rob, perché non posso venire?-
-Esatto…-
Aggiunsi io.
-Questa storia riguarda anche me. È me che ha marchiato,
è me che ha spaventato e attaccato. Io voglio venire e non
accetto un no come risposta!-
Ci guardammo in silenzio per un paio di secondi. Nei nostri sguardi
c’era sia sfida che amore. Non volevo che succedesse nulla a
Robert, e allo stesso tempo anche lui non voleva che succedesse nulla a
me.
Ci amavamo e la preoccupazione era una delle caratteristiche principali
di qualsiasi tipo di amore. Se solo quel pazzo gli avesse fatto del
male, non me lo sarei mai perdonato e di certo non lo avrei mai
perdonato a lui.
Noi tre volevamo semplicemente parlare con il cacciatore, ma lui voleva
farci del male. Era chiaro.
Per lui quel messaggio non era un semplice invito ad un incontro.
Era principalmente una sfida e io non volevo sapere cosa avrebbe
implicato la sua vittoria.
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Capitolo 27 *** 27. ***
Grazie a Yuki_Moon
per la recensione e a VeryGood per la preziosa fiducia :D
27.
21:47
Guardavo con morbosa attesa l’ora indicata dal mio cellulare,
praticamente ogni dieci secondi. Il mio cuore batteva sempre
più in fretta man mano che il momento
dell’incontro si avvicinava.
Non volevo andare, non volevo che arrivassero le dieci, ma
d’altra parte volevo che tutto quel casino finisse in fretta.
Non sapevo più nemmeno io che cosa pensare.
Stringevo nella mano sana il mio inalatore, quasi con nostalgia. Tenevo
la mano ferita immobile, per evitare di scatenare intensi dolori ad
ogni minimo movimento.
Robert aveva chiesto a Kimmo di procurargli in qualche modo una garza
sterile. Il cameriere lavorando nell’hotel, aveva saputo come
fornirgliela in fretta, grazie al cielo senza fare troppe domande.
Anche se il contatto della benda con l’ustione, coperta di
bolle, faceva un male d’inferno, sapevo che era meglio per me
se non la toglievo, per evitare infezioni.
Quando l’argento era venuto in contatto con la mia pelle, la
reazione era stata totalmente umana, perciò rischiavo ancora
di contrarre qualche infezione.
Dopotutto, nemmeno i vampiri erano invulnerabili, no?
Tornai a controllare il cellulare.
21: 50
Sospirai, con noia, ma anche con nervosismo. Che cosa avremmo detto al
cacciatore? Dovevamo di certo chiarire che non eravamo pericolosi,
perché era quello che i cacciatori facevano: eliminavano i
vampiri perché non nocessero a nessuno.
Era tutto da vedere se ci avrebbe creduto.
Ero completamente sola nella stanza. Eireen era da Robert a discutere
di qualcosa, probabilmente sul da farsi.
In ogni caso, avrei tanto voluto che Faith fosse lì con me,
solo per darmi un minimo di sostegno morale.
Invece l’avevo spaventata e il nostro rapporto era finito
quando aveva appena cominciato a farsi serio.
Ero davvero stata un’idiota!
Alzai lo sguardo quando la porta si aprii e Robert mi si fece incontro,
seguito dalla sorella.
Eireen come al solito si appollaiò elegantemente su uno dei
letti e Robert si sedette accanto a me.
-Preoccupata?-
Mi chiese, in un sussurro che era tutto eleganza e melodia. Annuii
deglutendo, ma quel peso che sentivo nel cuore non accennò
ad andarsene.
-Non succederà niente di brutto, vero?-
Chiesi, guardandolo fisso come una bambina bisognosa di essere
rassicurata da un adulto. Era proprio così che mi sentivo.
-Insomma, gli spieghiamo com’è la situazione e poi
ce ne andiamo via, vero?-
Robert fece un cenno affermativo e mi accarezzò la testa.
-Stai tranquilla, andrà tutto bene.-
Dai miei occhi, spostò lo sguardo sulla mano che stringeva
l’inalatore.
-Che ci fai con quello?-
Chiese con un mezzo sorriso. Io mi strinsi nelle spalle, ricambiandolo,
mio malgrado.
-Niente. Stavo solo pensando a com’è cambiata la
mia vita. Prima non potevo fare niente di particolare senza che usassi
questo affare e ora…eccomi qua!-
-Ed è un bene o un male?-
La sua voce si fece quasi tesa, come se temesse che gli dicessi che
odiavo essere come lui. Che mi aveva reso la vita un inferno e un sacco
di altre scemenze. Ormai capivo cosa pensava e sapevo interpretare ogni
suo gesto. Era un ragazzo tremendamente insicuro. Con lui dovevo solo
essere sincera.
-è sia un bene che un male, perché ogni cosa ha i
suoi lati positivi e i suoi lati negativi. È la vita.-
Risposi semplicemente. Lui annuì impercettibilmente e
sospirò.
-Come va la mano?-
Disse, cercando di cambiare discorso. Io feci un cenno di indifferenza
che lui interpretò alla perfezione.
Rimanemmo tutti e tre in un silenzio tombale per un paio di minuti,
durante i quali io controllai per l’ennesima volta
l’ora. Erano le ventuno e cinquantatre.
Feci un profondo respiro e deglutii di nuovo. C’eravamo quasi.
-Parlatemi un po’ dei cacciatori. Perlomeno ditemi quello che
devo sapere.-
Feci, più per scacciare il silenzio, che per vero e proprio
interesse.
Eireen rispose per prima, anticipando il fratello.
-Beh, si pensa che ci siano sempre stati, da quando i vampiri hanno
cominciato a diventare una paura. Si bruciavano i cadaveri che si
pensava diventassero redivivi e si praticavano un sacco di altri riti
strani. Diversi paesi avevano diverse leggende e quindi diversi
procedimenti contro il vampirismo.-
Fece una pausa, per pensarci un po’ su.
-Forse è perché in ogni posto diverso i vampiri
avevano caratteristiche molto diverse. Secondo le credenze ce n'erano
di tantissimi tipi, ma noi sappiamo che uno è reale.-
-E siete voi.-
Conclusi. Poi mi resi conto di aver sbagliato e mi corressi.
-Voglio dire…noi.-
Probabilmente ancora dovevo abituarmi bene all’idea di
ciò che ero diventata.
-Sì, esatto.-
Prese parola Robert.
-A seconda dei vari riti, il cacciatore doveva essere in grado di
uccidere il vampiro o impedire al corpo di riprendere vita sotto forma
di redivivo. I procedimenti erano tantissimi, quasi quanto le specie di
vampiri esistenti secondo le leggende. Per esempio, in Russia il
vampiro era detto Upyr
e per sconfiggerlo era necessario affrontarlo dopo la mezzanotte,
quando era addormentato nella sua bara, spaccargli in due il cuore con
un solo colpo di paletto e tagliargli la testa.-
Il suo sguardo mi fece rabbrividire, ma non lo diedi a vedere troppo.
-Era importante che il cuore si spaccasse con un colpo solo, altrimenti
con un secondo colpo il vampiro avrebbe potuto tornare in vita e
attaccare.-
-Nel Baltico invece i famigliari seppellivano i corpi dei propri cari
con un mattone sulla mascella, per impedire che il morto tornasse in
vita e succhiasse loro il sangue.-
Continuò Eireen, con un’eccitazione tale nella
voce, che mi domandai come facessero quelle storie a non spaventarla.
Era orribile sapere che le suggestioni umane non avevano limite.
-E poi c’erano leggende legate al Vodoo e un sacco di altre
cose. Sono davvero tante le storie affascinanti. Ma ciò che
ci interessa sapere è che sono passati tanti anni da quando
si credeva ai vampiri eppure ancora esistono i cacciatori. La maggior
parte di loro una volta erano preti, ma dubito che quel tizio abbia
ufficialmente a che fare con la Chiesa. Sarebbe utile sapere che tipo
di procedimento conosce per combatterci, ma non sappiamo niente. Ma non
importa, andrà tutto bene.-
Concluse con un sorriso perfetto, scuotendo le spalle.
Non ero molto convinta, sinceramente. Non potevamo parlare con lui,
sapendo che ci voleva morti, senza conoscere il suo modo di fare.
Avrei voluto qualche altra spiegazione, ma un’ultima fugace
occhiata all’orologio mi comunicò che mancavano un
paio di minuti alle dieci.
Il mio cuore perse un battito per il nervosismo, iniziarono a sudarmi
le mani e non fu un bene per la mia ustione, che tornò a
bruciare maledettamente.
Respirai lentamente e a fondo, per evitare di andare in
iperventilazione. Mi sembrava che qualcuno dentro il mio corpo stesse
bussando con violenza sulla cassa toracica.
Dovevo restare calma, tutto sarebbe andato per il verso giusto. Non
avevo motivo per agitarmi tanto.
-Come raggiungiamo il tetto?-
Disse una voce roca e piatta. Dopo un paio di secondi mi accorsi che a
parlare ero stata io, quasi inconsapevolmente e con un tono di voce
dovuto soprattutto al nervosismo.
-Non possiamo passare per le scale, se non vogliamo attirare
l’attenzione. A quest’ora c’è
il coprifuoco per la classe, perciò se qualche professore ci
trova, finiamo nei guai.-
Rispose Eireen, mentre con gesti veloci si pettinava i capelli in una
comoda coda di cavallo. Lasciò cadere in avanti un paio di
ciuffi, ad incorniciare il volto e mi sorrise.
-è ora che tu impari come si muovono quelli come noi.-
Fece lei con un’espressione che, sinceramente, mi piacque
poco.
Sospettosa mi avvicinai alla finestra, la aprii e guardai fuori.
-Che cosa avete in mente?-
Chiesi, sporgendomi quanto bastava per poter controllare la situazione.
Guardai in alto e riuscii a scorgere il bordo del tetto. da
lì l'altezza era notevole.
Sentii Robert che mi si avvicinava da dietro e mi cingeva la vita con
le braccia.
-Nulla di preoccupante. Puoi decidere se arrampicarti fino al tetto o
saltare.-
Fece, come se fosse la cosa più normale del mondo. Certo,
per loro forse!
Mi scostai dalla finestra e da lui e guardai male entrambi.
-Siete completamente impazziti? Arrampicarsi? Saltare? Io prendo
l’ascensore!-
-E cosa dici ai professori se ti scoprono?-
Chiese Eireen, le braccia conserte e un’espressione di sfida
dipinta sul volto pallido e bello.
-Dirò che…dovevo assolutamente prendere una
boccata d’aria.-
Robert ridacchiò piano.
-Andiamo, non avere paura. Cosa vuoi che ti succeda? Sei un vampiro,
ora.-
-Ma non sono capace di saltare tanto
in alto. Nessuno può farlo! avete visto quant'è
alto?-
Ribadii, sopraffatta dal panico. Erano davvero impazziti se credevano
che avrei fatto una cosa del genere. Era fuori discussione!
-Senti, vado prima io.-
Fece Eireen, con un sorriso che mi fece capire che quella situazione la
stava divertendo più del previsto. Beh, beata lei!
Annuii, convinta che fosse la cosa migliore. Le feci cenno di
accomodarsi e lei raggiunse la finestra. Prese un metro di rincorsa,
quando bastava per poter fare un salto decente, poi mi
guardò e rise.
-Guarda e impara, pivella-
Mi fece. Non era un’offesa, nemmeno una vera e propria presa
in giro. Era semplicemente un modo per sdrammatizzare
l’incontro con il cacciatore. Quello era solo un suo modo di
atteggiarsi a me. Lo sapevamo benissimo entrambe che ci volevamo bene.
Eireen si preparò al salto, mosse le spalle per sgranchirsi
ossa e muscoli, poi fece una breve corsetta, salii sul bordo della
finestra e, piegando le gambe, spinse apparentemente senza il minimo
sforzo.
La falcata la fece librare in un salto che sembrò quasi un
volo e che mi lasciò senza parole. Un essere umano non era
in grado di compiere un’azione del genere e forse nemmeno un
animale.
Dopo qualche secondo sospesa, Eireen atterrò sul tetto della
casa di fronte alla nostra finestra, senza che si udissero tonfi o
rumori troppo forti. La ragazza guardò verso di me e
alzò i pollici, in segno di vittoria, poi mi fece cenno di
raggiungerla. Non lo sapevo con esattezza, ma suonava tanto come una
sfida.
Mi resi conto di aver ancora la bocca aperta per lo stupore, quando
Robert mi posò una mano sulla spalla.
-Pensi di farcela?-
Mi chiese in un mormorio.
-Devo davvero fare un salto del genere? E se cado?-
-Non cadrai.-
-Ma se succede? Che faccio?-
Lui scosse la testa e mi sorrise. La sua espressione tranquilla tradiva
un certo nervosismo, ma sapevo che non riguardava il mio salto. La sua
agitazione era tutta per il dopo.
-Jackie, noi non abbiamo nulla in più di te, a parte un
po’ di esperienza, ma devi credermi. Per te sarà
facile come bere un bicchier d’acqua, sarà una
cosa tanto naturale che poi ci farai su una risata.-
Lo guardai poco convinta. Mi posò il palmo fresco della mano
sulla guancia e mi sorrise.
-Se vuoi puoi anche arrampicarti o posso portarti in spalla, se non te
la senti.-
Feci un profondo sospiro, poi scossi la testa, anche se la sua proposta
mi tentava.
-No, mi fido di te.-
Dissi.
-Me la sento.-
Indietreggiai di qualche passo, e presi una rincorsa simile a quella
adottata da Eireen. Ci pensai su e decisi che non bastava, allora la
allungai.
Guardai Robert, che mi sorrise ancora per darmi un po’
d’incoraggiamento, poi guardai il vuoto fuori dalla finestra
ed iniziai a sudare.
E se fossi finita di sotto? Mi sarei spezzata tutte le ossa o i vampiri
non si facevano male?
D’accordo, era ora di prendere in mano la situazione!
Chiusi gli occhi e mi concentrai, come se avessi dovuto spaccare una
tavoletta di legno con le nocche. Percepii un rivolo di sudore colarmi
lungo la guancia, poi riaprii gli occhi, combattiva e decisa, e
raggiunsi di corsa la finestra.
Come aveva fatto Eireen salii con un piede sul bordo, raccolsi tutto il
mio peso sulle ginocchia e saltai.
Per un secondo pensai che sarei caduta giù, ma fu davvero
come volare, con l’unica differenza che il balzo era stato
prodotto dalla mia forza e che non avevo alcun bisogno di ali.
Il cuore mi pulsava freneticamente nella gola e nelle orecchie e
sentivo le gambe molli per l’emozione. In quelle condizioni
come avrei fatto ad atterrare senza che cedessero?
Non volevo nemmeno pensarci. Cercai di rilassarmi e lasciai che
l’aria fredda della notte mi scompigliasse i capelli e che mi
facesse lacrimare gli occhi.
Aprii le braccia come un elegante uccello e percepii la forza
dell’aria che tentava di opporsi al mio passaggio, invano.
Dopo quei due secondi, che mi parvero un’eternità,
vidi avvicinarsi il tetto ed Eireen. Mi preparai ad atterrare,
raccogliendo un poco gli arti, quasi d’istinto e caddi in
perfetto equilibrio sulle piccole tegole della casa, con un rumore
minimo.
-Visto? Ce l’hai fatta! Sei stata grande!-
Esclamò Eireen dandomi un’energica pacca sulla
spalla e ridacchiando. Quasi non me ne accorsi, quando Robert
atterrò accanto a me.
-Sì, Eireen ha ragione, sei stata davvero in gamba. Te
l’avevo detto che tutto sarebbe andato bene.-
Io annuii ancora un po’ scossa per le mie
capacità. Era davvero fico quell’aspetto del
vampirismo.
...Era il resto che mi inquietava.
Rivolgemmo tutti e tre il nostro sguardo al tetto
dell’albergo. Lo avremmo raggiunto con un altro salto da
lì, ma la cosa non mi spaventava più. Non ero
nemmeno più nervosa…non per il salto almeno.
Guardai l’edificio, avvolto nel buio. I suoi contorni erano
nitidi e perfetti per i miei occhi.
Ci vedevo perfettamente anche se l’oscurità era
opprimente.
Robert mi fece un cenno d’incoraggiamento e saltò
per primo. Poi, come creature della notte lo seguimmo in silenzio e
quasi invisibili.
|
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Capitolo 28 *** 28. ***
Grazie mille per le
recensioni a YukiMoon, Edward96 e alla unica e inimitabile VeryGood. :D
28.
Posai silenziosamente i piedi sul parapetto, imitando Robert e
raccogliendo il corpo in modo da mantenere l’equilibrio.
Non mi ero mai mossa tanto armonicamente in vita mia ed era ormai
chiaro che i tempi di goffaggine erano finiti.
Avevamo superato la bianca insegna che indicava il nome
dell’Hotel, che ora ci stava alle spalle. Non riuscivamo
più a scorgere il disegno di Babbo Natale e per un secondo
ne fui dispiaciuta. Mi avrebbe tranquillizzato almeno un po'.
Alzai la testa con gli occhi chiusi e come un buon segugio sniffai
l’aria inspirando ed espirando velocemente. Era impregnata di
un odore forte e disgustoso che conoscevo alla perfezione e che ormai
avevo imparato ad odiare e temere. Aglio.
-è qui…-
Dichiarai, con voce piatta. Aprii gli occhi e mossi lo sguardo di
fronte a me.
Ad una decina di metri, al centro del tetto, una figura scura ci
fissava immobile.
Riconobbi il lungo soprabito nero e, aguzzando la vista vidi quei
particolari del viso che mi inquietavano tanto.
I suoi occhi incavati e intrisi di folle eccitazione si mossero
velocemente da me ai miei compagni.
-Siete in ritardo.-
Disse, in un tono di voce piuttosto basso, ma che noi udimmo alla
perfezione.
Robert con un piccolo salto scese dal parapetto ed iniziò a
camminare verso il cacciatore, imitato subito da me ed Eireen.
-Ci dispiace, abbiamo avuto un contrattempo.-
Fece Robert alzando le mani in segno di resa. Il cacciatore sorrise,
mentre noi ci fermavano a un paio di metri da lui. Il puzzo divenne
sempre più forte, ma resistetti all’impulso di
fare una smorfia di disgusto.
Quando l’uomo posò su di me il suo sguardo,
rabbrividii.
-è un piacere vederti qui, piccola succhiasangue.-
Fece, ridacchiando.
-Come va la mano?-
Vidi Robert irrigidirsi, ma resistere alla voglia di saltargli addosso.
Sapevo cosa stava provando, perché era la stessa cosa che
sentivo anche io. Inspirai a fondo, per calmarmi e rinunciare alla
vendetta.
-La ringrazio per l’interessamento, sto molto meglio. Devo
dire che questo bel marchio mi dona.-
Feci, con la voce intrisa di scherno. Dovevo solo calmarmi e non
abbassarmi al suo livello. Perdere il controllo significava fare il suo
gioco e io non volevo dargliela vinta.
-Lo sai che croce è?-
-Una croce. Mi basta sapere questo.-
Lui scosse la testa.
-Questi giovani, rifiutano sempre i buoni insegnamenti!-
Commentò divertito. Si mosse di un paio di passi verso di
noi, che non ci schiodammo da lì. Era un buon modo per
dimostrare che non avevamo paura di lui, anche se non era vero.
-è una croce gigliata. È uno dei tanti simboli
templari e ciò indica che quella di noi cacciatori
è una crociata per liberare la terra dalle Bestie. Voi siete
avanzi di inferno, i figli del demonio e come tali dovete essere
eliminati tutti.-
Mi guardai la mano fasciata, resistendo all’impulso di
strapparmi di dosso le bende e di osservare quel simbolo di odio nei
nostri confronti. Non volevo dimostrargli di avere il terrore di lui e
dei suoi metodi, perché in fondo noi eravamo in tre ed
eravamo mille volte più forti di lui.
-Lei non ha il diritto di minacciarci!-
Robert alzò la voce.
-Noi non le abbiamo dato nessun pretesto per attaccarci e spaventarci.
Non abbiamo fatto del male a nessuno e non succederà mai.
Non siamo pericolosi!-
-Questo lo dite voi. Io non crederò nemmeno ad una delle
vostre menzogne. Nessuna creatura come voi rinuncia al sangue.
È questa la vostra natura.-
Robert scosse la testa.
-Se lei fosse davvero un esperto di vampiri, saprebbe che non siamo
cattivi.-
-Qualunque esperto di vampiri saprebbe che nessuna Bestia è
innocua.-
Eireen si avvicinò.
-Ha la testa dura questo tizio.-
Mi sussurrò all’orecchio.
-Non sarà facile convincerlo.-
Certo, ero d’accordo con lei.
-Come ha fatto a capire chi siamo?-
Chiesi a voce alta, tentando di guadagnare più tempo
possibile per escogitare qualcos’altro. Se mi fossero venute
in mente argomentazioni decenti per convincerlo a lasciarsi in pace,
forse avremmo potuto tornare a letto prima dell’alba. Forse.
Il cacciatore rise, stringendosi nelle spalle.
-Non è stato tanto difficile. Siete pallidi, affascinanti,
mangiate poco o niente. Ho avuto la conferma quando mi hai urtato,
signorina. Una bella botta! Ecco…non ero certo che anche lei
lo fosse…-
Fece, indicando Eireen con una mano guantata d’argento. Mi
chiese se se li era cuciti da solo, quei guanti. In ogni caso chiunque
li avessi creati era stato in gamba e non doveva essere costato poco.
-Immagino lei non voglia lasciarci in pace, vero?-
Chiese ancora Robert. Quando il cacciatore scosse la testa, il ragazzo
sospirò e si voltò verso di noi.
-Andiamocene.-
Annuii, perfettamente d’accordo con lui. Era inutile
continuare a tentare se era troppo testardo da darci ascolto.
-Piacere di averla conosciuta!-
Esclamò Eireen sbracciandosi, poi tutti e tre ci voltammo
verso la casa da dove avevamo saltato e ci preparammo ad una nuova
falcata.
Come avevo già fatto due volte, raccolsi il peso sulle
gambe. Arcuai le spalle e caricai la forza, ma un rapido rumore
metallico seguito subito da un lamento strozzato, attirò
l’attenzione mia e di Robert.
Il cuore mi finì in gola, quando vidi che Eireen era stata
afferrata alla gola da dietro da quella che sembrava essere una lunga
catena d’argento e sbalzata via verso il cacciatore.
-Rob!-
Strillò, con la voce strozzata, tentando di slegarsi e di
liberarsi.
-Eireen! Merda...-
Il cacciatore l’aveva tirata a se e la stringeva come se
avesse voluto spezzarle il collo. Vista la pazzia che gli lessi negli
occhi, lo avrebbe fatto senza esitare.
Quasi senza pensare, spinsi con forza le gambe contro il parapetto e
balzai verso lui e la ragazza, all’indietro.
In volo ruotai il corpo come un felino con i piedi atterrai sulle
spalle del cacciatore, facendo rotolare me e lui a terra.
Premendogli una mano sul petto lo costrinsi a stare giù, ma
feci il possibile per non esagerare perché nelle mie
condizioni una pressione maggiore avrebbe potuto fracassargli la cassa
toracica.
-Eireen, stai bene?-
Sentii dire la voce di Robert. Lo udii armeggiare con la catena ed
infine liberare la sorella, con un sospiro di sollievo.
-Sì…tutto okay. Grazie.-
Tossì un paio di volte, per recuperare aria, poi
strappò con forza la catena dalle mani dell’uomo e
la gettò via, lontana.
-Provaci ancora e ti ammazzo, vecchio.-
Ringhiò.
-La mia crociata non avrà mai fine. Finché
avrò vita seguirò la parola di Dio.-
Mi alzai in piedi, lasciandolo andare. Lui strisciò
all’indietro per un po’, poi si tirò su
e ci fissò con il solito sorriso e il folle sguardo che lo
contraddistingueva.
-Lei non può ucciderci! Dio non vuole gli omicidi!-
-“se la tua
mano o il tuo piede ti è occasione di peccato, taglialo e
gettalo lontano da te: è meglio per te entrare nella vita
monco o zoppo che essere gettato nel fuoco eterno con tutt’e
e due le mani o con tutt’e due i piedi. E se il tuo occhio ti
è occasione di peccato, strappalo e gettalo via da te:
è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che
essere gettato nella geenna del fuoco con ambedue gli occhi”!
Macchiarsi di delitti per me è un sacrificio, ma
è Dio che lo vuole, è necessario farlo.-
Lo guardai incredula, scuotendo la testa.
-Lei è pazzo, completamente pazzo! So qual è il
posto giusto per lei: Il manicomio!-
-Ci sono azioni giudicate sbagliate per gli uomini, ma ritenute
necessarie per il divino!-
-Jackie, lascialo perdere. Andiamo via.-
Mi suggerì Robert. Indietreggiai, senza perdere di vista un
secondo l’uomo, ma mi bloccai, quando lo vidi infilare una
mano guantata nel soprabito.
Intravidi la canna di una pistola, scattai in avanti con una
velocità a cui ancora non ero abituata e lo afferrai prima
che puntasse l’arma verso di noi.
Non ero sicura che ci avrebbe potuto ferire, ma conoscendolo i
proiettili erano probabilmente rivestiti d’argento, o
qualcosa del genere.
Puntò la pistola in alto, senza potere nulla contro la mia
forza nettamente superiore e nella foga sparò un colpo al
cielo.
Con un colpo della mano lo costrinsi a gettare via la pistola, ma non
fui abbastanza veloce per impedire che estraessi di nuovo qualcosa dal
soprabito.
Qualcosa di brillante scattò verso di me ed un dolore
pungente mi invase il volto. Parai il secondo fendente, sentendo
qualcosa di caldo colarmi lungo la guancia, mentre Robert ed Eireen si
avvicinavano e circondavano l’uomo.
-La smetta!-
Esclamò il ragazzo.
-Siamo tre contro uno, come può pensare di avere la meglio?-
-Dio mi da coraggio. Dio mi da forza!-
Continuava a colpire alla cieca, fendendo l’aria con il
coltello d’argento. Quell’equipaggiamento doveva
essergli costato parecchio.
Io e i miei compagni ci acquattammo il posizione di attacco, spinti
solo dall’istinto, come animali pronti a balzare sulla preda.
Non volevo fargli del male, ma il cacciatore mi stava solo facendo
innervosire.
-è ora che finisca ciò che ho iniziato.-
Dichiarò l’uomo, muovendo lo sguardo da me agli
altri con occhio vigile, mentre noi ci muovevamo in cerchio, come
avvoltoi.
La guancia mi pulsava, ma era un dolore sordo, quasi inesistente.
Sapevo che era reso tale dall’afflusso di adrenalina.
Mi tersi il sangue dalla pelle e lo leccai via dalle dita. Era dolce e
buono, ma era il mio e sapevo che non era nulla in confronto a quello
umano.
Di colpo mi resi conto di avere una fame terribile. In fondo avevo di
fronte una preda.
Un balzo e gli sarei stata addosso e allora avrei potuto fare
ciò che volevo.
No. Non ero una criminale, non volevo fare del male a nessuno!
-La smetta! La smetta e la lasceremo in pace!-
Esclamai, tentando di dissuaderlo da ogni suo tentativo di ucciderci.
Non si stava difendendo da noi, ci stava attaccando.
Tentò di colpire di punta Robert, che evitò
quell’affondo e il montante seguente.
Fece un altro paio di finte, poi altri fendenti e montanti,
così veloci che in poco tempo sentii il respiro
dell’uomo farsi più affannoso e l’odore
del suo sudore, misto a quello dell’aglio.
Lo vidi rallentare i suoi movimenti, perciò indietreggiai
velocemente di qualche passo.
Pensai che non ce la facesse più, perciò feci
cenno a Robert e alla sorella di allontanarsi, mentre lui ci fissava
quasi incredulo.
-Che fate? Avete paura di un vecchio? Potete scappare dove volete, io
vi troverò perché Dio è la mia guida!-
Esclamò. Era solo un fanatico, un invasato e io ero stufa
marcia di sentirlo parlare di Dio come se ogni cosa facesse andasse
giustificata con leggi e decisioni divine.
-Mi tolga una curiosità, signore, come ha deciso di
diventare cacciatore? Chi le ha detto che i vampiri esistono davvero?-
Chiesi, sinceramente interessata, ma anche ben decisa a finirla
lì. Volevo solo farlo ragionare.
L’uomo chinò il capo, poi quando tornò
a puntare i suoi occhi scavati nei miei, vi lessi un dolore e una
rabbia che non mi aspettavo.
-Il mio amico…-
Mormorò soltanto.
-Il suo amico è stato…ucciso da un vampiro?-
Annuì, aggrottando la fronte in un’espressione
furiosa ed iniziando a tremare.
-Mi dispiace.-
Feci, sinceramente addolorata. Ecco perché era talmente
deciso a farci fuori tutti. Allora, lo potevo quasi capire.
-Non ti permetto di insultare così la sua memoria fingendoti
dispiaciuta!-
Gridò. Si scagliò contro di me, con una furia che
probabilmente con qualche altro vampiro lo avrebbe soltanto condannato
a morte.
Con la mano armata tentò di darmi un colpo orizzontale e con
l’altra un pugno, ma evitai entrambi gli attacchi, mi chinai
e feci da perno con il mio corpo, prendendolo per il soprabito,
puntandogli le spalle allo stomaco e scaraventandolo via con poca forza.
Ogni mio movimento era limitato per non fargli male, ma ancora dovevo
decidere se quella era una cosa buona o se avrebbe finito per
ammazzarmi.
Non appena l’uomo toccò terra con un tonfo,
accanto al parapetto, rimase immobile, rannicchiato su se stesso in
posizione fetale.
Per un secondo ebbi paura di avergli fatto male sul serio, ma poi mi
dissi che era impossibile. In fondo, non avevo esagerato.
Guardai Robert, come per aver risposta ad una mia domanda invisibile.
-Forse ha battuto la testa.-
Suggerii Eireen. Già…forse.
Robert azzardò un paio di passi nella mia direzione. Poi si
avvicinò all’uomo e si chinò.
-Respira.-
Dichiarò alzando la testa verso di noi.
Fu un secondo.
Vidi lo scintillio della lama, troppo tardi per poter fare qualcosa.
-Robert!-
Strillai, ma non riuscii ad avvertirlo abbastanza in fretta.
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Capitolo 29 *** 29. ***
Grazie mille per i
commenti ricevuti, a Edward96 e a VeryGood, sostenitrice nel bene e nel
male ;)
29.
Udii perfettamente il rumore della lama che affondava nella carne. Il
grido di sofferenza di Robert si perse nella notte e mi fece piangere
il cuore come se fossi stata io al suo posto.
La gamba gli cedette e lui cadde a terra, mentre il cacciatore si
alzava e si faceva da parte, allontanandosi di un paio di passi.
Non corsi da Robert, non gridai e non piansi, ma scattai in avanti
così rapidamente che ci misi meno di un secondo. Non mi ero
mossa così velocemente nemmeno prima.
L’urto con il corpo del cacciatore fu inevitabile per lui e
perfettamente riuscito per me.
Lo sbattei con rabbia contro il parapetto e mi sporsi assieme a lui, in
modo che il mio corpo lo spingesse all’indietro. Il suo busto
e le sue spalle davano sul vuoto. Solo le gambe ancora erano appoggiate
al parapetto.
Gli occhi mi bruciavano per la collera sempre più intensa.
L’altezza era minore rispetto a quella di un grattacielo, ma
in ogni caso una caduta da quel punto sarebbe stata
mortale…la cosa per una volta non mi disturbava.
Lo tenni per il soprabito mentre metà suo corpo vacillava
nel vuoto.
Avrei tanto avuto voglia di gridare, ma non sapevo che dire se non una
sfilza di parolacce che non mi erano mai nemmeno passate per la testa.
Sentivo dietro di me i lamenti soffocati di Robert e la voce di Eireen,
corsa in suoi aiuto.
-Ti ha preso?-
Chiese la sua voce. Robert gemette.
-Sì…attenta.-
-Jackie!-
Esclamò Eireen. Non mi voltai, non ne ebbi bisogno. Sentivo
l’odore di Robert farsi sempre più intenso. Voleva
dire una cosa sola: il sangue era tanto.
Guardai il cacciatore negli occhi, mentre lui mi regalava uno dei suoi
ghigni da pazzoide.
-Ho reciso l’arteria femorale.-
Fece. Lo spinsi più giù, badando bene a non
perdere l’equilibrio. In ogni caso anche se fosse successo
non rischiavo niente. Io ero quasi del tutto invulnerabile, lui no.
-Dimmi cosa devo fare!-
Gli gridai in faccia. A stento riuscivo a controllare la rabbia e anche
il mio corpo ne era la prova. I miei muscoli erano tesi e contratti, i
miei occhi bruciavano come fuoco e le mani che stringevano i lembi del
suo soprabito tremavano violentemente.
-Niente. Morirà fra un paio di minuti.-
-Che cosa devo fare per salvarlo? Dimmelo, bastardo!-
-Jackie, non riesco a fermare il sangue…-
Piagnucolò Eireen. Era la seconda volta che mi trovavo in
una situazione del genere, con Robert ad un passo dalla morte. La
differenza era che non dipendeva più da me.
Mi ero già sacrificata una volta.
Ignorai Eireen, non perché non mi interessasse, ma
perché ero troppo occupata con il cacciatore. Tutta la mia
compassione per lui era svanita di colpo, e in quel momento rimaneva
solo odio accecante.
-D’accordo, cambiamo metodo allora.-
Feci. La mia voce si stava trasformando in un ringhio e i miei occhi
bruciavano come non mai.
Con uno strattone tirai su l’uomo, che con una mano fasciata
d’argento tentò di colpirmi con uno schiaffone. Lo
schivai rapidamente, come se fosse stata la cosa più facile
del mondo e misi in pratica la mia nuova intenzione, quasi
divertendomi, nonostante tutto.
Cambiai presa e lo afferrai con una mano per la gola. Poi spinsi ancora
più forte e il suo corpo improvvisamente si trovò
sospeso nel vuoto, senza più il parapetto come appoggio e il
tetto sotto i piedi.
-Ehi, ehi. Ragioniamo!-
Il cacciatore si appese al mio braccio testo con entrambe le mani, come
se quel misero stratagemma lo potesse salvare. Avevo in mano la sua
vita e la cosa mi piaceva.
Lui guardò giù e mi accorsi che
cominciò a sudare. Forse aveva capito, finalmente, che anche
se ero una ragazza buona e brava, non scherzavo affatto.
-Robert…-
Chiamai il ragazzo, senza perdere di vista un secondo l’uomo.
-Sei in grado di fermare il sangue? Tu hai fatto delle lezioni di
pronto soccorso, no?-
La voce di lui mi giunse, debole.
-Sì. Ma non si ferma. È…profonda.-
Senza bisogno di dire altro strinsi un po’ di più
la presa sul collo del cacciatore, abbastanza forte per trasmettergli
una muta minaccia.
La mia forza mi permetteva di sorreggere il suo peso con una sola mano,
solo tendendo il braccio. Era uno sforzo minimo, come se il suo corpo
fosse stato fatto di gommapiuma, ma sapevo che in tal modo il suo peso
rischiava si strozzarlo.
-D’accordo. Tu lo sai di sicuro cosa si fa in questi casi.
Parla, se non vuoi che molli la presa. Da qui è un bel volo,
non credi?-
Dissi, con voce lenta e bassa, ma intrisa di rancore. Faceva paura
anche a me, non perché sembrava malvagia, ma
perché riuscivo a leggervi l' eccitazione e
perché sapevo che avrei potuto mantenere la promessa.
-Scoprilo da sola, huoro!-
Non capii la sua parola, ma qualcosa mi fece intuire che non era una
gentilezza. Stringendo di più ferii la sua pelle con le
unghie, poi lo scaraventai all’indietro, di nuovo sul tetto.
I miei modi e le mie mosse non erano più gentili. Non avevo
più paura di fargli del male.
Ignorai il cacciatore per un po’. Mi inginocchiai accanto a
Robert, dando un’occhiata a ciò che stava facendo
Eireen. Gli stava premendo una mano sulla ferita, dalla quale
però continuava ad uscire copioso il sangue.
-Robert…-
Mormorai, con il rancore che lasciava in fretta spazio alla
preoccupazione. Mi guardò senza dire nulla.
Gli accarezzai la fronte, le guance e la testa, poi mi accorsi che lui
mi stava fissando la mano.
Seguii la direzione del suo sguardo e trovai il motivo del suo
interesse. Le mie dita erano sporche del sangue del cacciatore.
Prima privi della rabbia giusta, gli occhi di Robert diventarono
cremisi come i miei. Guardò il sangue con uno sguardo
famelico e capii all’istante cosa era giusto fare, anche se
era una cosa orribile. Anche se era una cosa animalesca.
Osservai con attenzione morbosa, Robert, che mi prese la mano, ci
sfregò per un paio di secondi il naso e leccò via
dai polpastrelli il sangue dell’uomo. Lo fece lentamente, per
assaporare bene ogni istante di quel momento.
A causa del nervosismo, a causa della rabbia, non mi ero resa conto di
essere affamata. La fame, anche se ignorata o dimenticata era sempre
lì e io la sentivo premere contro lo stomaco.
Eireen produsse un basso ringhio, imitata subito da me. Una sorta di
strano, mezzo ruggito mi salii dal petto e uscii dalle mie labbra,
nello stesso istante in cui mi voltai verso il mio nuovo bersaglio.
Il cacciatore spostò lo sguardo da me, alla mia amica,
così velocemente da farmi quasi ridere. Era terrorizzato,
ora che forse aveva capito che con delle bestie era meglio non giocare.
Azzardai un paio di passi nella sua direzione, inspirando ed espirando
profondamente in modo da non perdermi nulla.
Il tanfo di aglio era sempre presente, ma nascosto da esso sentivo
l’odore del suo sangue e del suo sudore. L’odore
della sua paura mi piaceva.
-Mi era sembrato di capire che eri un timorato di Dio, non dei vampiri.-
Dissi, con un ghigno, avvicinandomi sempre di più. Accanto a
me, la ragazza ringhiò più forte, in chiaro segno
di minaccia.
-A cuccia, Eireen. Ci penso io.-
Con uno scatto repentino corsi fino a fronteggiare l’uomo, in
meno di un secondo, poi, non appena gli lasciai il tempo di accorgersi
di me, gli posai le mani sulle spalle e mi ci appoggiai per saltare con
eleganza e finirgli dietro.
Prima che si voltassi gli posai la suola della scarpa sulla base della
schiena e spinsi in avanti, fino ad arrivare a pochi centimetri da
Eireen e Robert, tiratosi faticosamente in piedi.
I suoi jeans erano zuppi di sangue.
-Accomodatevi…-
Feci. Non m’importava molto di quello che sarebbe successo di
lì a pochi istanti.
Mi interessava solo la salute di Robert.
Ero sicura che non fosse una bella cosa, ma non appena Eireen
afferrò il cacciatore per un braccio e Robert per un altro,
capii come sarebbe andata davvero a finire quella notte.
Robert strappò la manica del soprabito e posò il
naso sul polso dell’uomo per fiutare il suo odore.
Ringhiò sommessamente, poi con uno scatto affondò
i denti nella sua carne, cominciando a succhiare il sangue, sua unica
possibilità di salvezza.
Il cacciatore emise un gemito di dolore, ma diversamente da
ciò che mi ero aspettata, non gridò, ma mi
guardò con un’aria di sfida che celava solo una
parte del suo terrore.
Eireen riuscì a farsi da parte solo per un po’,
per lasciare a Robert la priorità di nutrirsi, ma quando
vide che la sua ferita, lentamente si rigenerava e lui riacquistava le
energie, afferrò l’altro polso e iniziò
a fare lo stesso.
L’odore del sangue era così intenso da
solleticarmi i sensi e riuscire quasi a stregarmi. Con passi lenti mi
avvicinai all’uomo, fino a trovarmi con il volto a pochi
centimetri dal suo.
Seguii con gli occhi i graffi che aveva sul collo, prodotti dalle mie
unghie e fissai con bramosia le piccole gocce di sangue che si
perdevano nella sua dolcevita.
-E così…-
Mormorai con voce roca e affannosa.
-Le prede diventano cacciatori e il cacciatore diventa preda.-
-Dio mi proteggerà!-
Esclamò, sudando copiosamente.
-Io eviterei di tirare in campo Dio, in questo momento. Non crede?-
Chinai il capo e sfiorai la sua guancia con le labbra. Inspirai a fondo
e quella sensazione di fame, mista alla frenesia mi invase.
Era troppo buona per resistere. Sentivo il rumore prodotto da i miei
due compagni nel succhiare il suo sangue.
Era qualcosa di affascinante e vagamente osceno.
Ormai l'uomo stava perdendo le forze.
Lo afferrai per i capelli e gli tirai indietro la testa, mettendo in
mostra il suo collo.
Con le dita abbassai il bordo della dolcevita e abbassai la testa.
Quando annusai il suo collo un’ondata disgustosa di aglio mi
lasciò spiazzata per un secondo, ma era quello che sentivo
oltre l’aglio che eccitava la mia fame.
Leccai lentamente il sangue quasi rappreso colato dai graffi e mi
sentii rivivere, per un secondo solo.
Ne volevo di più, come una droga.
Sfregai di più il volto contro la sua faccia e la sua barba
mi pizzicò la pelle. Le gengive mi prudevano terribilmente e
la salivazione si era fatta più abbondante.
Forse, sotto sotto non volevo farlo, ma la fiera che c’era in
me sapeva anche che se non mi fossi mossa i miei amici
l’avrebbero dissanguato e a me non sarebbe rimasto nulla. Era
solo istinto. Puro e semplici istinto animale.
Gli piegai di più la testa all’indietro in modo
che i suoi occhi sbarrati per la paura e per la fede ossessiva,
guardassero le stelle e quel Dio che tanto nominava, ma che non lo
stava aiutando.
A parer mio stava avendo ciò che si meritava e forse anche
il Signore lo sapeva. In ogni caso ecco dove lo aveva portato
sventolare qua e la il Suo nome per giustificare i suoi peccati!
Sentii le zanne allungarsi e le gengive bruciare sempre più
intensamente.
Con un gesto rapido leccai la carotide, ignorando il debole sapore
d'aglio, poi vi affondai i canini.
Sentii perfettamente il rumore della sua pelle che cedeva sotto la
spinta dei miei denti, e lasciai che un liquido caldo mi sgorgasse
nella bocca e raggiungesse la gola.
Aveva un sapore metallico, ma non assomigliava a nient’altro
che avessi mai assaggiato in vita mia. Il calore mi invase le ossa, i
muscoli e tutti i tessuti del corpo donandomi una forza ed un vigore
che pensavo di non poter mai avere. L’adrenalina
andò a mille, facendomi provare un senso di euforia
incredibile.
C’era solo una cosa, però, che rovinava
quell’istante. Sentivo la voce dell’uomo parlare a
raffica. Non erano suppliche rivolte a me quelle che sentivo.
Parlava in finlandese, ma anche se non capivo una parola di
ciò che stava dicendo, sapevo che stava pregando.
Ma nessun fulmine si abbatté su noi dannati, nessun angelo
venne a punirci e nient'altro corse in aiuto del fedele.
Il suo Dio gli aveva voltato le spalle o forse tra due scelte aveva
deciso di aiutare noi. Possibile che per una volta fosse stato disposto
a rispondere a bisogni del male? Se di male si trattava…
La voce dell’uomo smise di pregare. Le sue parole si fecero
sempre più rare e deboli e il suo corpo si
afflosciò contro al mio, troppo debole per potersi reggere
in piedi da solo.
Il suo sangue mi stava scaldando tutto il corpo e il suo sapore intenso
ed estremamente piacevole mi inebriava come un buon vino. Non avrei mai
più voluto smettere.
sentii la mano pizzicare e la pelle tendersi. l'ustione sul mio palmo
si stava ritirando e stava guarendo, come stavano guarendo anche i
lividi del viso e il taglio sulla guancia.
Fu quando sentii i battiti del suo cuore farsi più rari e il
sangue perdere irruenza nella sua corsa nelle vene, che capii che stava
morendo.
Deglutì l’ultimo sorso di quel nettare vitale,
mentre il corpo si faceva sempre più pesante e rigido.
Riuscivo a percepire il calore che lo lasciava fin da subito.
Lasciai andare il cadavere, che cadde al suolo con un tonfo attutito,
poi guardai Robert.
L’adrenalina che mi aveva invaso poco prima svanì,
lasciandomi spossata e terribilmente triste.
Per ritrovare quel po’ di vita rubata, mi leccai le labbra e
il mento, raccogliendo le ultime gocce di sangue. Probabilmente ottenni
solo di sporcarmi ancora di più la bocca, ma almeno ne avevo
sentito ancora il sapore.
l'eccitazione, la fame e l'adrenalina della caccia svanì,
cambiando ogni concezione del mondo e lasciandoci soli.
Robert diede una veloce occhiata al corpo immobile del cacciatore, poi
lanciò un grido contro il cielo che mi spezzò il
cuore e si perse nella notte.
Sbatté violentemente il pugno a terra e scosse convulsamente
la testa.
Io feci un paio di passi e caddi in ginocchio accanto a lui,
lasciandomi andare al dolore per ciò che avevamo fatto tutti
e tre. Eireen si sedette a terra, senza smettere di guardare
l’uomo.
-Che cos’abbiamo fatto?-
Mormorò debolmente. Non risposi alla sua domanda retorica,
perché non ce n’era assolutamente bisogno.
Sapevamo di cosa ci eravamo macchiati. Omicidio.
-Io…-
Fece Robert, con la voce rotta dal pianto.
-Devo sbarazzarmi del corpo. Altrimenti metteremo nei guai tutto
l’albergo. Farò il possibile per eliminare le
tracce.-
Annuii con un lieve cenno del capo. Senza l’adrenalina della
caccia e del cibo, ci eravamo tutti resi conto di cos’avevamo
davvero fatto. Era terribile.
Il punto non era che ci dispiaceva per l’uomo, ma per
ciò che aveva comportato il nostro comportamento.
L’omicidio era sempre un gesto estremo e sbagliato, anche se
non avevamo avuto scelta.
Perché in fondo era così che erano andate le
cose. La scelta era stata tra lui e Robert e tutti e tre avevamo scelto
Robert. Uccidere o morire.
-Jackie…-
Disse ancora il ragazzo. Si asciugò il sudore dalla fronte,
poi fece lo stesso con le macchie di sangue che gli macchiavano il
mento.
-Tu torna in camera con Eireen. Io vengo dopo.-
Dichiarò. Avrei tanto voluto chiedergli di non farlo, di
restare con me per tutta la notte.
Solo l’idea di chiudere gli occhi e sognare, mi gettava nel
panico.
Con lui, forse, quell’incubo sarebbe stato meno difficile da
affrontare, ma liberarci del cacciatore era una cosa che andava fatta.
-Ti do una mano.-
Proposi.
-No. Ci penso da solo. tu vai.-
Annuii debolmente. Mi alzai di nuovo in piedi e feci per andarmene via
da lì, con Eireen al seguito.
-Jackie…-
La voce del ragazzo attirò la mia attenzione ancora una
volta.
Mi voltai verso di lui e il suo sguardo sofferente mi fece stare ancora
peggio.
-Che c’è?-
Lui scosse la testa, poi si lasciò andare ad un sorrisino
che più che altro sembrava una smorfia di autocommiserazione.
-So che non c’entra nulla, in questo momento,
ma…ti amo. Tantissimo.-
Feci un sospiro, sentendo gli occhi pizzicare pericolosamente, ma non
mi sfogai. Non ancora.
-Ti amo tanto anche io, Robert. E…sono contenta che tu sia
vivo. Davvero.-
Non ci dicemmo altro. Mi voltai verso il parapetto, feci una corsa e
spiccai un salto.
Mentre l’aria mi scompigliava i capelli, ripensai a
ciò che era successo. Permisi agli occhi di lacrimare per
poter poi dare la colpa al vento freddo che mi sferzava il volto.
Quel peso che mi sentivo nello stomaco e il senso di colpa, forse non
mi avrebbero mai abbandonato. Ciò che più mi
spaventava e ciò che più mi faceva odiare la
bestia che c’era in me, non era il fatto che avevo ucciso un
uomo, ma il fatto che mi era piaciuto e che volevo rifarlo, per poter
di nuovo sentire in bocca il sapore metallico ed estatico del sangue e
quella strana sensazione di soddisfazione.
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Capitolo 30 *** 30. ***
Grazie di cuore a
GeeSomerhalder e a VeryGood per le loro recensioni :D ecco il nuovo
capitolo, manca sempre meno alla fine. Meno male! :D
30.
Aprii gli occhi nel buio completo della stanza. Nessuna
oscurità ormai mi disturbava più,
perché riuscivo comunque a vedere quasi perfettamente.
Il quel momento però, quell’ombra
sembrò chiudersi attorno a me fredda e spietata come una
morsa di ghiaccio.
Mi svegliai da un sonno disturbato con la convinzione che tutto era
stato un brutto sogno.
Quel senso di inquietudine che mi attanagliava le viscere mi
lasciò respirare un attimo, poi tornò,
più violento di prima, come una coltellata, non appena mi
ricordai tutto e capii che era reale.
Quella nuova consapevolezza mi gettò in una disperazione
tale, che avrei voluto saltar via dal letto, prendere le lenzuola,
strapparle e gettarle a terra. Spaccare tutto.
Ma non lo feci.
Rimasi in silenzio, in ascolto solo dei battiti accelerati del mio
cuore e pensai a ciò che avevo fatto.
Ero un’assassina.
Certo, avevamo ucciso quell’uomo per salvare Robert e per
nutrirci, ma era comunque un crimine. Non sapevamo nemmeno il suo nome!
Strinsi di più a me le coperte per allontanare anche solo di
poco quel gelo che mi stringeva le membra. Capendo che tanto non ci
sarei riuscita, scostai da me le lenzuola e mi misi a sedere.
Per un paio di minuti rimasi così, con i gomiti appoggiati
alle ginocchia e la fronte sui pugni chiusi, poi trovai la forza di
alzarmi e di dirigermi verso la grande finestra. Scostai un poco la
tenda rossa e per passare un po’ il tempo guardai fuori, il
paesaggio immerso nell’ombra. La notte era splendida, ma
viverla così era una tragedia.
Se mi avessero chiesto di tornare indietro per cancellare gli eventi
delle ultime ore, forse non lo avrei fatto ed era quello che forse
più mi inquietava.
Posai le dita contro il vetro. Era gelido, come d’altronde
era gelida l’aria autunnale di Rovaniemi.
Non ottenni nulla di eccezionale nell’osservare in silenzio
la città. Era un posto molto calmo e tra l’altro
era anche un centro piuttosto piccolo. Che cosa mi aspettavo?
Sospirai e tornai in direzione del letto. Sul comodino intravidi il mio
cellulare, lo presi e diedi un’occhiata all’ora.
Quando lo schermo si illuminò, non prestai la minima
attenzione a quest’ultima, bensì
all’avviso di chiamata. Era Robert e risaliva circa ad
un’ora prima.
Probabilmente mi aveva fatto uno squillo per vedere se dormivo. Forse
aveva avuto voglia di parlare un po’.
Tentai di rispondere allo squillo, sperando che fosse ancora sveglio.
Dopotutto, anche per me un po’ di chiacchiere non sarebbero
dispiaciute.
Dopo cinque minuti ancora il cellulare non diede vita. Pensai avesse
preso sonno, ma la mia attesa venne ripagata dopo un attimo, con un sms.
Ciao. Non dormi?
Diceva. Io risposi di no, chiesi cosa stava facendo ed inviai. La sua
risposta non tardò ad arrivare.
Che faccio?
Penso…ed è peggio. Colin non
c’è, ti va di venire?
Colin era il suo compagno di stanza. Erano rare le volte che dormiva
veramente nella loro camera. Solitamente sgattaiolava fuori prima del
coprifuoco e si imbucava nelle altre stanze, dove stavano tutti i suoi
amici. Si riunivano per fare scemenze in silenzio, invece di dormire
beatamente tutta la notte.
Riflettei per un attimo alla sua proposta. Forse era meglio non andare.
Non sapevo veramente se i professori facevano la ronda per prevenire
comportamenti come quelli di Colin dopo il coprifuoco, ma sinceramente
credevo che stessero tutti dormendo. In fondo erano umani anche loro,
no? Avevo controllato l’ora e quale professore aveva voglia
di svegliarsi per controllare la situazione alle cinque e mezza di
mattina?
Prima che potessi di nuovo rifletterci su,un nuovo sms
illuminò lo schermo del cellulare.
Lo so che ci stai
pensando. Ti prego vieni. Ho bisogno di te.
Rilessi più di una volta le sue parole. Mi sembrava quasi di
sentire il suo tono carico di tristezza e decisi in fretta. Anche io
avevo bisogno di lui.
Probabilmente ne avevo sempre avuto e ora che potevo averlo accanto a
me, volevo cogliere l’occasione e stare con lui,
perché dovevo fare tutto il possibile per dimenticare quella
notte.
Dammi un minuto.
Gli risposi. Inviai in fretta, poi in punta di piedi mi alzai, mi
infilai le pantofole e i pantaloni del pigiama che a dormire toglievo
sempre per comodità e mi diressi verso la porta.
-Dove vai?-
Mi voltai di scatto verso la fonte della voce, con il cuore in gola. La
testa di Eireen spuntò dalle lenzuola del suo letto,
assonnata, pallida ed emaciata come al solito.
-Pensavo dormissi.-
Mormorai, mentre il mio cuore rallentava e il mio respiro si calmava.
Non avevo minimamente prestato attenzione alla cadenza del suo, per
assicurarmi che stesse realmente dormendo.
-Infatti dormivo.-
-Mi dispiace.-
Mi giustificai con una scollata di spalle, nascosta agli occhi di
chiunque a causa del buio, ma di certo non ai suoi.
-Non ti volevo svegliare.-
-I vampiri hanno il sonno leggero.-
Disse lei semplicemente. Lo interpretai come una sorta di perdono.
-Allora, mi dici dove vai?-
Sospirai e lasciai la maniglia della porta che avevo afferrato poco
prima.
-Da Robert…-
Mormorai. Guardai il suo viso e sorrisi lievemente nel vederle negli
occhi una luce di malizia.
-Sempre a pensare male tu, eh? Quando fai così mi ricordi
Faith…-
Feci. Solo a nominare il nome della mia ex amica, un dolore al petto mi
ricordò che ormai lei non mi avrebbe più rivolto
le sue battutine a proposito del mio rapporto con Robert. Anche se a
volte mi avevano dato fastidio, in quel momento avrei dato
l’impossibile per far sì che Faith tornasse a
rivolgerle a me.
-Beh, scusa. Tu ti alzi così presto per andare dal tuo
ragazzo, in camera sua. Cosa dovrei pensare?-
Chiese. In effetti aveva ragione.
-Già…-
Ammisi.
-è una cosa legittima, ma è stato lui a chiedermi
di raggiungerlo. Probabilmente non riesce a dormire e gli serve un
po’ di compagnia.-
Lei sospirò, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo.
-Conosco mio fratello. Ogni volta che fa qualcosa di male o qualcosa
che si abbina perfettamente alla sua natura inumana, si abbatte e si
deprime. Forse se gli parli tu, riesce a convincersi di non essere un
mostro.-
Sorrisi con amarezza.
-E chi convincerà me?-
-Jackie, noi non siamo cattivi. Siamo solo diversi e per quanto
riguarda ciò che è successo con il
cacciatore…diciamo che è stato quasi necessario.
È la nostra natura e non riusciamo a trattenerci con
chiunque. Ma non credere che io non ci stia male...solo che se mi
piango addosso così è finita.-
La sua espressione seria e il tono duro riuscirono quasi a convincermi.
-Va bene. Grazie. Non ti dispiace se ti lascio qui da sola per un
po’, vero?-
La vidi scuotere la testa ed un paio di ciuffi scuri le ricaddero sul
bel viso.
-Vai tranquilla. Ho già avuto abbastanza incubi per
stanotte, credo di essere ormai fuori pericolo.-
-Mi piacerebbe poter dire lo stesso.-
Di nuovo, posai la mano sulla maniglia della pesante porta. Con un
cenno del capo salutai Eireen, poi uscii di soppiatto e mi immisi nel
buio corridoio, ovviamente deserto.
Velocemente e in maniera assolutamente silenziosa, mi incamminai verso
la stanza di Robert. Mi aveva detto che era la 14B, ma speravo comunque
di non aver fatto confusione o di non averlo dimenticato.
I miei piedi si muovevano velocemente ed in maniera impercettibile sul
pavimento tappezzato di moquette. Giunsi di fronte alla porta in meno
di un minuto.
Ne sfiorai con le dita la superficie liscia e fredda, poi chiusi la
mano a pugno e bussai lievemente, sicura comunque che Robert mi
sentisse.
In quella che mi parve una frazione di secondo, la porta si aprii e
fece capolino il viso estremamente pallido e stanco del ragazzo.
-Caspita.-
Sussurrai, con un mezzo sorriso.
-Che velocità.-
Lui ricambiò il sorriso, ma l’espressione che
lessi nei suoi occhi mi fece capire che non aveva passato per nulla una
buona notte. Erano pochi mesi che ci conoscevamo, eppure sapevo leggere
ogni suo gesto come se fosse stata una vita che stavamo assieme.
Ci conoscevamo entrambi così bene!
Aprì di più la porta per permettermi di entrare,
poi la chiuse piano e mi fece cenno di accomodarmi sul suo letto.
Probabilmente era una delle stanze maschili più ordinate che
io avessi mai visto. L’unica parte della camera che sembrava
in effetti appartenere ad un vero ragazzo, era l’area dove
alloggiava Colin.
Come a casa sua, il letto e la zona di Robert era quasi perfetta, non
fosse stato per le lenzuola, appallottolate e stropicciate sul letto.
-Scusami per averti chiamato qui. Spero la cosa non ti abbia seccato
troppo.-
Mi disse pacato, quando presi posto. Si accomodò al mio
fianco e mi prese la mano. Scossi la testa con un sorriso.
-Non mi hai affatto seccato. Non ti devi preoccupare.-
-Sei sicura?-
Mi chiese. Aveva la fronte corrugata ed un’espressione tanto
insicura e sconvolta, che avrei solo voluto stringerlo a me e
consolarlo.
-Sono sicura. Io ci sono…ogni volta che hai bisogno di me.
Tu piuttosto, come ti senti?-
Si strinse nelle spalle con uno sbuffo che io interpretai alla
perfezione.
Si sentiva uno schifo, proprio come me.
Rimanemmo in silenzio per un po’, ascoltando solo il rumore
dei nostri respiri, poi lui si sporse verso di me e mi strinse in un
abbraccio che mi lasciò per un attimo spiazzata.
-Jackie, era un uomo. E io l’ho ucciso.-
Mormorò nell’incavo della mia spalla. La sua voce
era un lamento colmo di tristezza e senso di colpa.
-Noi…-
Lo corressi.
-Noi lo abbiamo ucciso.-
Non pianse e gliene fui grata. Il punto non era che non lo consideravo
abbastanza macho, ma il problema era che se avesse iniziato lui, sarei
scoppiata in lacrime anche io ed ero stanca di piangere. Non volevo
cominciare, altrimenti sarei andata avanti per ore.
Avevo anche troppe lacrime da piangere, ma non volevo assolutamente dar
loro il via libera.
-Lo so che è terribile.-
Mormorai, accarezzandogli la testa.
-Ma lo sai che ha detto Eireen? Ha detto che è la nostra
natura e che non siamo mostri. Ha detto che con certe persone sappiamo
controllarci, ma con gli sconosciuti ci è più
difficile. E poi, Robert, non c’era altro modo. Ha cercato di
ucciderci ed è quasi riuscito a far fuori te. Abbiamo dovuto
fare una scelta.-
-Lo so!-
Esclamò, alzando la testa. Il suo volto era una maschera di
rabbia e disperazione.
-So che era uno sconosciuto ed era persino un pazzo maniaco, ma
ciò che mi sconvolge è che il sangue mi piace
così tanto! Come puoi dire che non sono un mostro?-
-Perché so che non lo sei e comunque siamo in tre ad avere
lo stesso problema. Siamo insieme, Robert. Non conta per te?-
Stette in silenzio per un po’, poi sospirò
tristemente e si stese, fissando il soffitto.
-Certo che conta. La mia vita non avrebbe più senso senza di
te.-
Dichiarò.
-C’è un ma…-
Suggerii.
-C’è sempre un ma. In tutto. Non voglio perdere il
controllo e stanotte l’ho perso.-
Mi avvicinai, spostandomi di qualche centimetro, poi mi stesi accanto a
lui e gli passai un braccio attorno alla vita.
Posai la guancia contro il suo petto e lui mi cinse le spalle.
-Io…-
Iniziai.
-Io non sono mai stata tanto male in vita mia, come ora. Te lo giuro.
Anzi, forse sono stata peggio quando davvero pensavo di perderti, prima
che mi mordessi. Il punto è che mi sento terribilmente in
colpa anche io, ma ormai la cosa è fatta. Ciò che
conta è che non succeda ad un innocente.
Quell’uomo non lo era e tu lo sai.-
Feci un sospiro.
-Non importa quali fossero le sue ragioni, ma sai perfettamente che ha
ucciso ancora. Non eravamo i suoi primi vampiri, questo è
certo. Supereremo anche questa, ne abbiamo passate tante!-
Feci un sospiro di sollievo quando lo vidi sorridere un po’ e
annuire.
-Hai ragione.-
Convenne.
Si girò di fianco per guardarmi bene negli occhi. Il suo
corpo si avvicinò al mio e aderì perfettamente,
come se Dio ci avesse creati appositamente per unirci. Era una cosa che
quasi mi commuoveva.
-Ti amo.-
Mormorai, stringendomi a lui e posando le mani sul suo petto. Sotto la
stoffa della maglietta sentivo battere il suo cuore. Sembrava battere
all’unisono assieme al mio.
Lui fece una mezza risata.
-Dire anch’io
sarebbe banale, perciò me ne sto zitto.-
Fece. Mi posò un lieve bacio sulla fronte e rimanemmo in
silenzio. Dopo un po’ decisi di romperlo.
-Se ora non fossi un vampiro, non sarebbe successo tutto questo.-
Dichiarai. Con gli occhi chiusi, capii che Robert stava annuendo solo
dal movimento del suo corpo.
-Io ti avevo detto che farsi mordere non sarebbe stato conveniente.-
-No, mi fraintendi. Ho solo detto che se non fosse stato per me, forse
il cacciatore non ci avrebbe minacciati. Ha voluto attaccarmi
perché ha capito che sono il vampiro più giovane
e inesperto.-
Scosse la testa.
-Sarebbe successo comunque e poi ora che si è aggiunto un
vampiro alla nostra famiglia è più difficile, ma
non cambierei le cose per nulla al mondo. Insomma…se potessi
ti risparmierei questa situazione, ma ti voglio accanto e non desidero
che tu ti senta in colpa. È stata soprattutto colpa del
caso. In tutti i posti dove quell'uomo poteva trovarsi, proprio qui
doveva venire? Proprio nello stesso albergo di tre vampiri? E poi era
anche finlandese, che ci faceva in un Hotel della Finlandia?-
-Forse i cacciatori hanno un radar per vampiri.-
Suggerii, facendolo ridere.
-Addirittura!-
-Allora era qui perché non aveva mai visitato il villaggio
di Babbo Natale in vita sua. Sì, secondo me è per
questo!-
Dalla spalla il suo braccio si spostò fino a posarsi sulla
mia vita. Mi strinse di più a se, come se non avesse voluto
che qualcuno mi portasse via da lui e poi fece un sospiro stanco.
-Si chiamava Thuomas Kuronen. Ho controllato i suoi documenti quando
l'ho portato via.-
-Dove? dove sei andato?-
lo sentii stringersi nelle spalle.
-L'ho gettato nel lago. Spero solo che ai prof non venga in mente di
fare altri prelievi.-
Annuii, perfettamente d'accordo con lui.
-Nessuno troverà le nostre tracce, vero?-
Scosse la testa.
-Ti ho già spiegato come funziona. Ci vorrà un
po' prima che qualcuno si accorga che c'è del sangue sul
tetto. Probabilmente non troveranno quello del cacciatore, ma solo il
mio, ovvero un Dna non umano.-
Sì, mi aveva già spiegato come funzionava.
Sospirò di nuovo e mi strinse di più a se.
-Non sono riuscito a chiudere occhio, stanotte. Tu sei il mio
acchiappasogni personale.-
Disse. Si mise più comodo e sistemò il cuscino.
Per una decina di minuti tornò a regnare il silenzio.
Giocherellai con i suoi capelli per tutto il tempo, poi mi resi conto
che il suo respiro era rallentato. Avvicinando il viso al suo petto e
nell’udire che anche il suo cuore batteva più
lentamente, capii che si era addormentato.
Smisi di accarezzargli la testa e mi rannicchiai contro di lui. Coprii
i nostri corpi con le lenzuola e il resto delle coperte, dando loro una
veloce sistemata, poi chiusi gli occhi.
Ricordandomi quello che Robert mi aveva detto quando ci eravamo
conosciuti, ovvero che lui borbottava nel sonno, accolsi i suoi
discorsi inarticolati e deboli con un sorriso. Distinsi il mio nome,
tra tutte le parole confuse che pronunciò e altre cose
riguardanti quella serata assolutamente da dimenticare.
Forse fu la sua vicinanza, il ritmo cadenzato del suo respiro o la
morbidezza del suo corpo, ma riuscii a calmarmi in pochi attimi.
Tutto il marcio di quella sera, tutta la tristezza e la preoccupazione
svanirono all’istante.
Entro pochi minuti la mia mente cominciò ad offuscarsi e io
riuscii finalmente a prendere sonno e per una volta, a non avere incubi.
|
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Capitolo 31 *** 31. ***
Grazie mille a
VeryGood che riesce ancora a resistere e a recensire :D ciao!
31.
-Ehilà!-
Aprii di scatto gli occhi combattendo l’impulso di gridare.
Quando la mia vista mise bene a fuoco la stanza, mi trovai di fronte un
Colin estremamente sorridente ed euforico.
-Qui ci si diverte e non me l’hai nemmeno detto, Paige! Ti
sembra una cosa corretta?-
Mi guardai intorno per controllare l’ora. Presi il primo
cellulare che mi capitò sotto mano, quello di Robert, e vidi
che erano le sette e mezza.
Avevamo dormito così a lungo e così pesantemente
che non avevamo nemmeno sentito arrivare Colin. Alla faccia dei
vampiri, eravamo ghiri piuttosto!
-Ciao, Colin.-
Biascicai, alzandomi a sedere imitata da Robert, stropicciandomi gli
occhi impastati di sonno e pensando in fretta ad una scusa con cui
giustificare la mia presenza nel letto di Robert.
-Non è come sembra.-
Cominciai. Era la classica frase che nei film si diceva al partner dopo
essere stati colti in flagrante, con l’amante nel letto.
Forse non era la frase più adatta, ma era l’unica
che mi era venuta in mente abbastanza in fretta per guadagnare tempo.
-Oh, ma guarda che io non mi scandalizzo mica!-
-Non c’è nulla per cui scandalizzarsi, Colin.
Siamo entrambi vestiti, non vedi?-
Intervenne Robert.
-Jackie era triste ieri sera. Voleva soltanto la mia compagnia. Niente
di più.-
Spiegò con calma, come se stesse parlando con uno un
po’ tardo.
Ah, io avevo chiesto la sua compagnia, eh? Che scaricabarile!
-Sì, certo.-
Commentò lui sarcastico. Mi lanciò un sorriso
malizioso e si infilò in bagno.
-Occupato!-
Gridò da dentro. Io e Robert ci lanciammo
un’occhiata significativa e poi scoppiammo a ridere insieme.
-Colin è fatto così, passa in bagno un sacco di
tempo. Mi lascia giusto un paio di minuti prima di scendere per la
colazione.-
-Beh…-
Dissi, abbassando la voce.
-Sei abbastanza veloce che probabilmente ti basterebbero pochi secondi.-
Annuì, sorridendo.
-Giusto.-
Convenne. Mi guardò per un paio di secondi con il sorriso
sulle labbra e una strana luce di euforia negli occhi, poi si sporse
verso di me e mi baciò lievemente le labbra.
-Che c’è?-
Chiesi, poco convinta. Lui si strinse nelle spalle e si alzò
in piedi.
-Stanotte ti ho sognata.-
-Davvero? E che facevo?-
-Niente.-
Aggrottai la fronte.
-Come niente?-
Lui annuì pensieroso.
-Non facevi niente. Insomma…era più una specie di
flash. Vedevo il tuo volto e mi sentivo bene. Mi calmava. E ho
ripensato per un attimo a quello che mi hai detto prima di
addormentarmi. Hai ragione.-
Fece un sospiro, mi offri la mano e mi aiutò ad alzarmi, per
un puro gesto di cavalleria.
-è vero che non dimenticherò mai cosa abbiamo
fatto al cacciatore, ma è successo e non sarebbe potuta
andare diversamente. Mi basta che tu ed Eireen stiate bene.-
-E anche tu. Anche tu sei vivo.-
Aggiunsi. Lui annuì e mi accarezzò una guancia.
-Sono felice che tu stia meglio.-
Gli dissi. Prima che potesse aggiungere qualcos’altro, lo
interruppi.
-è meglio se vado a prepararmi.-
-D’accordo. Ci vediamo fra poco al piano di sotto.-
Mi avvicinai alla porta, poi mi girai con un sorriso e gli lanciai
platealmente un bacio. Lui fece finta di afferrarlo e di posarselo sul
cuore.
Era proprio vero che l’amore rendeva un po’ scemi.
+++
Non ce n’eravamo accorti prima, ma quando, tornando in
camera, la trovai immersa in una luce più calda e viva,
capii che per la prima volta dall’inizio della gita, sulla
città splendeva il sole.
In qualsiasi altro momento avrei gioito e mi sarei rallegrata di quella
fortuna, ma nella mia situazione non era per niente una bella cosa.
Scendemmo a colazione e quando tornammo in camera per prendere le
nostre cose per l’ultima uscita, io ed Eireen ci aiutammo a
vicenda con un po’ di crema solare e lei mi prestò
un paio di occhiali da sole che aveva previdentemente portato con se.
Anche la luce del sole avrebbe potuto ustionarci e gli occhi al sole
vedevano meno, perciò un po’ di protezione non
avrebbe guastato.
Lentamente avevo imparato a capire che il concetto di caldo e freddo
per i vampiri era un tantino diverso rispetto a quello umano.
Lo percepivamo allo stesso modo, ma Robert mi aveva spiegato che il
troppo caldo o il troppo freddo non ci avrebbero mai danneggiato.
La mattina completammo il progetto di Biologia e le visite muovendoci
in altre città vicine con l’ausilio
dell’autobus, poi, nel pomeriggio i professori decisero di
lasciarci del tempo da utilizzare come preferivamo. Le altre ragazze
corsero subito nei negozi più belli per fare shopping,
Eireen si infilò in una piccola bottega di bigiotteria,
mentre io e Robert ovviamente scegliemmo subito una buona libreria.
Forse avevano ragione alcuni dei nostri compagni a definirci un
po’ fanatici, dato che sembravamo sinceramente interessati ai
libri anche se erano tutti in finlandese, tranne qualche classico in
inglese. Il punto era che il profumo dei libri era identico in
qualunque paese e ora che anche io non ero più umana, lo
sentivo sempre più intenso.
Era qualcosa di meraviglioso e riuscivo a distinguere l’odore
della carta, della colla e dell’inchiostro. Una sorta di
magia fatta di sensazioni.
Dopo circa un quarto d’ora Robert disse che si sarebbe
allontanato solo per un po’, perché doveva fare
una cosa importante. Capendo che non voleva domande al riguardo gli
strappai la promessa che ci saremmo di nuovo incontrati lì.
Girai e rigirai tra gli scaffali alla ricerca di qualche titolo
interessante e comprensibile ancora per dieci minuti, prima che la
porta si aprisse con il tipo scampanellare e una fragranza mi
avvolgesse.
Conoscevo quel profumo, l’avevo sentito tante di quelle volte
che ormai per me era inconfondibile. Negli ultimi giorni quando lo
sentivo, nel petto percepivo quella fitta dolorosa e un nodo mi si
formava in gola.
Rimasi immobile, sentendo i passi di Faith avvicinarsi. Era sciocco
comportarsi così, ma non volevo guardarla negli occhi. Forse
se l’avessi fatto sarei scoppiata a piangere o peggio, non
sarei stata capace di sostenere il peso suo sguardo accusatorio.
Era inutile tentare di parlarle, dato che probabilmente non era
lì per me.
Accolsi l’aumentare del suo profumo, man mano che la ragazza
si avvicinava sempre di più, fino a trovarsi alle mie
spalle. Non disse nulla, finché non mi voltai e la affrontai.
Era più pallida e stanca dell’ultima volta che
l’avevo davvero guardata in viso. Delle occhiaie le
cerchiavano gli occhi e non aveva un’aria molto sana. In ogni
caso, non era ancora ai miei livelli.
-Faith…-
Mormorai soltanto, incapace di pronunciare qualsiasi altra parola o
frase.
Lei non disse nulla. Rimase a fissarmi per quella che mi parve
un’eternità, con quei suoi occhi verdi ed intensi,
poi sospirò.
-Ti devo parlare.-
Dichiarò. Notai che aveva i pugni chiusi e il battito del
suo cuore era più veloce del normale. Aveva paura. Come
biasimarla?
Posai il libro che stringevo fra le mani dove lo avevo preso, salutai e
ringraziai la commessa, e seguii Faith dovunque stesse andando.
Uscimmo dal negozio, poi raggiungemmo un piccolo muretto dove Faith mi
fece cenno di sedermi e rimase a guardarmi con le braccia conserte.
-Ti ascolto.-
Mormorai, dato che non si decideva a prendere parola.
-Io…-
Cominciò. Inspirò a fondo ed espirò un
paio di volte, poi tornò a guardarmi negli occhi e
continuò.
-Io non riesco a dormire bene. Continuo a ripensare a quello che
è successo e a quello che il tuo ragazzo e sua sorella mi
hanno detto.-
Annuii, come muto invito a continuare.
-Io non posso credere alle vostre parole, capisci?-
Il suo solito intercalare mi fece sorridere. Non importava che fosse
una situazione poco consona, ma il capisci mi ricordava i vecchi tempi
in cui io e Faith almeno andavamo d’accordo.
-Però ho visto quello che hai fatto e tu…tu non
eri normale, capisci? Insomma…voglio so-solo capirci un
po’ di più.-
Balbettò, gesticolando più del normale. Avrei
voluto dirle di calmarsi, ma probabilmente non sarebbe stata una buona
idea.
-Posso aiutarti a capire.-
Feci, seria.
-Ma tu mi devi ascoltare fino in fondo, non interrompere e soprattutto
credere alle mie parole. Intesi?-
Non rispose per qualche secondo, poi annuì.
-Siediti.-
Le dissi gentilmente, posando una mano accanto a me. Lei scosse la
testa deglutendo.
-Sto bene in piedi, grazie.-
Il tono con cui disse quelle parole mi fece male, ma era giusto
così. Ancora non si fidava di me e sinceramente, nemmeno io
mi sarei tanto fidata di una persona che una volta aveva cercato di
bere il mio sangue. Era perfettamente normale.
-Ti ricordi il primo giorno di scuola dei gemelli Paige? ti ricordi
quando Robert mi ha spinto?-
Fece un cenno affermativo con il capo.
-Beh, forse nessuno se n’è accorto, ma quello
sì che era uno spintone! Insomma, nemmeno io
all’inizio avevo pensato a qualcosa di strano, ma poteva
farmi male sul serio! E poi hai presente il loro aspetto pallido,
malato e…strano?-
-Sì, Jackie, ho presente. Lo vedo guardando te
ora…sei cambiata.-
-Già…-
Mormorai tristemente.
-Beh dopo un po’ di tempo avevo anche io notato che in loro
due c’era qualcosa di strano. In mensa mangiavano poco o
niente, non amavano stare alla luce del sole, erano estremamente
pallidi e avevano le occhiaie. E c'era qualcosa in loro che era
diverso. Non lo so...era il loro fascino, il loro modo di muoversi. Per
farla breve, quando ci siamo messi assieme Robert ha voluto confidarmi
tutto. Mi ha detto che lui ed Eireen erano malati, che il loro era una
sorta di contagio e che era conosciuto con il nome di vampirismo.-
Faith scosse convulsamente la testa.
-No! Queste sono stronzate Jackie, ti sei lasciata prendere dalle sue
parole e ti hanno coinvolto in qualcosa. Non mangi più,
sembri morta! Cos’è, una cazzo di setta satanica?-
-Calmati!-
-Non dirmi di calmarmi! Hai cercato di uccidermi!-
Esclamò. Mi guardai attorno, per assicurarmi che nessuno,
finlandese o americano, ci stesse ascoltando.
-Ma insomma…che ti è successo?-
Scossi la testa, sentendo qualcosa simile al pianto chiudermi la gola.
-Faith, perché non vuoi credermi? Te lo giuro, ti dico la
verità. Come spieghi i miei occhi allora? Li hai visti anche
tu diventare rossi, quando ti ho aggredita.-
Si strinse nelle spalle. Ci pensò su un po’, poi
sospirò.
-Che ne so? Secondo me ti fai di qualcosa. Secondo me tu e quei due vi
drogate.-
Feci una mezza risata, per la prima volta sinceramente divertita.
-Ma dai, Faith! Credi davvero che lo farei? Credi davvero che mi
innamorerei di un ragazzo così? Robert è diverso,
ma è un bravo ragazzo. Ora ti siedi per favore? Voglio solo
spiegarti com’è andata. Non ti farò del
male, te lo prometto.-
La ragazza ci pensò su un paio di secondi, poi
sospirò e annuì, forse convenendo che non le
avrei mai potuto fare del male in città, in pieno giorno.
Si mise seduta a mezzo metro di distanza da me e mi guardò
in viso aggrottando la fronte.
-Non potresti toglierti gli occhiali? Mi infastidisce parlare con
qualcuno senza guardarlo negli occhi.-
Chiese. Fui sul punto di rifiutare, ma poi capii che fare
ciò che voleva sarebbe stato un buon modo per mostrarle che
ero disposta a fare molto per lei.
Mi sfilai gli occhiali da sole e strizzai gli occhi quando la luce del
sole quasi mi accecò. Mi fece bruciare lacrimare gli occhi
all’istante, ma resistetti e sostenni lo sguardo di Faith.
-Il sole non è forte.-
Commentò lei. Io mi strinsi nelle spalle e sorrisi appena.
-La mia malattia ha i suoi svantaggi.-
-Dimmi di che si tratta.-
-Come già ti ho spiegato, Robert mi ha detto che si trattava
di vampirismo. È un contagio trasmesso dal portatore dalla
saliva al sangue della…-
Feci una pausa per trovare le parole adatte.
-…vittima, o preda...-
-Allora, ammettendo che sia vera questa cosa, tu come hai contratto il
contagio?-
-Prima della gita, io e Robert ci siamo imbattuti in
quell’assassino seriale che uccideva le ragazze. Ricordi i
giornali?-
Faith annuì.
-E che c’entra?-
Chiese.
-Era un vampiro. Le ragazze sono state gettate nella discarica e
trovate dalla polizia con la gola tagliata in malo modo. Era uno
stratagemma per nascondere i morsi. L’uomo era arrivato da
poco nella nostra città e aveva riconosciuto
l’odore di Robert, quello di un suo simile. Aveva anche
sentito che lo accompagnavo io, un’umana. Allora voleva
me…e Robert l’ha fermato.-
-E?-
Faith pendeva dalle mie labbra, anche se sapevo che faceva fatica a
credere alle mie parole. In ogni caso, era una storia affascinante, no?
La storia della mia nascita.
-Beh…l’ha fermato, ma è rimasto ferito.
Stava morendo, Faith.-
-E cos’è successo?-
-Vedi, un vampiro beve sangue umano per vivere. Robert e la sua
famiglia assumono dei medicinali particolari che imitano le
proprietà del sangue. Un vampiro può essere
ferito solo dall’argento e guarisce solamente se beve una
quantità sufficiente di sangue umano. Io ero la sua unica
speranza. Mi sono offerta come donatrice.-
Mi guardava come se non avesse mai sentito nulla di simile. Scosse la
testa.
-Ma non eri così quando sei venuta in gita. Sei cambiata
quando…-
Assunse un’espressione esterrefatta.
-Sì, quando sono stata male la prima sera qui. Il mutamento
avviene più o meno in una settimana.-
La anticipai. Mi guardò incredula.
-No, no…non posso credere ad una cosa del genere.
È una follia…-
-Non dirlo a me.-
Commentai. Mi voltai verso alcuni edifici, guardandomi attorno senza
realmente sapere cosa fissare. Con la coda dell’occhio vidi
Faith scrutarmi da capo a piedi, come per convincersi che non stavo
mentendo.
-Mi avresti davvero fatto del male?-
Chiese in un sussurro carico di incertezza. Era tornata la Faith di
sempre, quella senza ostilità e freddezza. Non ebbi bisogno
di pensarci nemmeno un attimo.
-No. Eri mia amica. Mi sarei in ogni caso fermata in tempo. Solo
che…avevo fame e…sono stata debole. Ma tanto tu
non mi credi.-
-Jackie.-
-Cosa?-
Mi voltai verso di lei e nei suoi occhi vidi meno paura, più
curiosità e più interesse.
-Io sono
tua amica.-
Ci impiegai un po’ per comprendere bene le sue parole. Quel
nodo di ghiaccio in gola e nello stomaco si sciolse e quasi scoppiai in
lacrime.
-Davvero?-
Chiesi, con la voce roca e carica di emozione.
-Sì, ma devi provare che dici la verità. Ho
bisogno di essere sicura.-
Forse avrei preferito che si fidasse di me, ma non potevo biasimarla
perché non mi credeva. Era giusto che avesse i suoi dubbi.
Io mi ero fidata subito di Robert perché mi era sembrato
estremamente sincero, ma anche perché ero innamorata di lui.
Faith meritava delle prove.
-Non hai più paura di me?-
Lei per la prima volta sorrise.
-Non se mi assicuri che non corro nessun rischio. Voglio fidarmi di te,
almeno a proposito di questo. Ti…ti va se torno ad essere la
tua compagna di stanza? Sempre che non sua un problema per
Eireen…insomma…-
Ero sicura che il mio volto si illuminò.
-Dici sul serio? No che non sarà un problema! Eireen
capirà.-
-Allora ci vediamo dopo, devo andare dagli altri. Ho detto che mi sarei
allontanata solo un attimo.-
Ad un mio cenno affermativo si alzò in piedi e si
allontanò. Le guardai la schiena felice come se fosse stato
Natale, pensando che finalmente qualcosa stava andando per il verso
giusto.
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Capitolo 32 *** 32. ***
Grazie infinite a
Edward96 e VeryGood che mi allietano con i loro commenti :D
32.
Forse ero stata un’illusa a pensare che davvero tutto sarebbe
andato bene. Dopo che Eireen si era di nuovo trasferita nella sua
stanza e Faith era tornata nella mia, e dopo la cena delle cinque, la
camera era illuminata da una soffusa luce gialla, proveniente dalla
lampada della scrivania.
Sentivo l’acqua della doccia scrosciare, mentre Faith si
lavava via il sudore della giornata. L’ultima grande sudata
prima del ritorno a casa.
Il crepuscolo torreggiava sulla città oscuro e inquietante.
La sua presenza, seppur innocua era per me fonte di angoscia.
Non avevo fame, visto il pasto della notte precedente, ma dopo essere
riuscita a convincere e consolare Robert, non riuscivo a calmare me
stessa.
Forse quello non sarebbe stato il momento ideale della giornata per
mostrare a Faith la parte meno umana di me.
Eppure lo dovevo fare, per convincerla che non mentivo e non la
prendevo in giro.
Quando la porta del bagno si aprii percepii il calore del vapore sulla
mia pelle, anche da quella distanza. I miei sensi erano
all’erta e amplificati.
-Jackie, tutto bene?-
Mi voltai verso Faith. Indossava il suo accappatoio e aveva i capelli
bagnati. Il profumo del suo bagnoschiuma e del suo shampoo mi
solleticò le narici.
Feci un sorriso abbastanza convincente.
-Sì. Tu hai finito?-
-Certo…-
Si schiarii la voce.
-Beh, sono pronta…intendo, per le spiegazioni e per la
dimostrazione pratica, capisci? Mi vesto e arrivo.-
Annuii, attendendo che si preparasse per la notte. Si infilò
il suo pigiama, poi abbassò la luce e si sedette a terra,
con le gambe incrociate.
-Ho creato l’atmosfera.-
Spiegò, rispondendo al mio sguardo interrogativo. Avrei
voluto ribadire che non era affatto uno scherzo, ma non volevo
discussioni in quel momento.
Quell’ora del giorno mi fiaccava e mi rendeva nervosa, non
vedevo l’ora di mettermi a letto e di stare per conto mio,
con i miei pensieri che però mi facevano anche paura.
Imitai la ragazza e mi sedetti allo stesso modo di fronte a lei.
-Da dove devo cominciare?-
Chiesi con un sospiro. Lei si strinse nelle spalle, indifferente.
-Da dove vuoi, l’importante è che le tue
spiegazioni siano convincenti e provate, capisci?-
-D’accordo, allora facciamo così: tu parti
dicendomi che cosa sai dei vampiri grazie a leggende, film e libri e io
ti dico quali cose sono vere e quali sono false, così ci
chiariamo.-
-Muoiono se esposti alla luce del sole, dormono di giorno e vivono di
notte, bevono sangue, si uccidono con dei paletti piantati nel cuore o
con l’argento e…-
-D’accordo, basta così. Sono tutte invenzioni,
tutte leggende. I veri vampiri non fanno nemmeno la metà di
queste cose.-
La ragazza scosse la testa, cocciuta.
-I veri vampiri non esistono, Jackie. Qualcuno ti ha messo in testa
queste stronzate, ma è fantasia!-
Alzai le mani in segno di resa.
-Prima ascoltami. Il vampirismo è reale, come probabilmente
sono reali un sacco di fatti dai quali sono nate tutte le leggende. In
pratica però i vampiri non dormono di giorno nelle bare e
nelle cripte e sono invulnerabili, a meno che non li si ferisca con
l’argento. Il contagio trasforma il Dna umano un qualcosa di
molto diverso. Quasi un ibrido. Te lo giuro sulla mia stessa vita,
Faith. È vero.-
Faith mi guardò con una strana espressione, come se volesse
scrutarmi nell’anima per constatare che non mentivo. Era
difficile fidarsi ciecamente di una persona.
-D’accordo.-
Dissi, innervosita, alzandomi in piedi e guardandomi intorno nella
stanza.
-Dove credi posso trovare un coltello o qualcosa di appuntito?-
-Non lo so…che vuoi fare?-
-Provarti che non mento. Allora?-
Indicò il beauty case, posato sul suo letto. Mi avvicinai e
frugai fino a trovare delle forbicine per le unghie, poi tornai al mio
posto, di fronte a lei.
Le porsi l’oggetto.
-Colpiscimi. Fammi del male.-
Le ordinai.
-Cosa?-
-Hai capito bene. Feriscimi. Possibilmente evita di bucarmi il pigiama.-
-Ma…-
Sbuffai spazientita e alzai la manica della maglia, fino a scoprirmi il
braccio. La guardai e sporsi l’arto, quasi con
un’aria di sfida. La sua espressione indicava incertezza e
paura, ma in fondo era lei che voleva le prove no?
Le afferrai la mano chiusa a pugno attorno alle forbicine, impedendole
di esitare oltre, poi affondai la punta a fondo, nel mio avambraccio.
Sentii un solo secondo di intenso dolore che mi fece sussultare, mentre
il metallo entrava per metà della sua lunghezza nella carne.
Non mi ero aspettata che facesse male, ma il dolore svanì
all'istante. Non lo ammisi, fingendomi preparata e abituata, ma quella
cosa stupiva anche me.
Una goccia di sangue mi percorse la pelle, ma la ferita non
sanguinò più di così. Sentendo il
respiro di Faith e il battito veloce del suo cuore, temetti di averla
sconvolta troppo, perciò le lasciai andare la mano, che
allontanò in fretta.
-Oh, mio Dio…-
Mormorò.
-Oddio.-
-Che ne dici, Faith? Mi credi ora?-
-Come hai…come diavolo…-
Estrassi le forbici dal braccio con una facilità
incredibile, poi rimasi a guardare ciò che stava per
succedere. Lentamente, ma decisamente più in fretta del
normale, la pelle ferita e un po’ sanguinante si mosse e
cominciò a chiudersi, finché sulla pelle non
rimase che un segno roseo e poi nemmeno quello. Strofinai un
po’ la zona ferita, per pulire il sangue rimasto.
-Non l’avevo mai provato.-
Ammisi, quasi divertita dallo sconcerto sul volto di Faith. I suoi
occhi verdi erano sbarrati e spaventati.
-è una forza, non trovi?-
Attese un paio di secondi, poi deglutì e annuì.
-Sì…ma…-
-Che cos’altro devo fare per farmi credere? Buttarmi
giù dalla finestra per confermare il fatto che non mi
farò niente? Vuoi che salti fino all’altro tetto
per dimostrarti la mia agilità? O forse vuoi che alzi il
letto con una mano sola? Non voglio mettermi in mostra, voglio solo che
tu mi creda.-
-Io...-
Mormorò.
Sbuffai di nuovo, poi con una mossa veloce spinsi sulle ginocchia a mi
saltai in piedi. In una frazione di secondo un colpo d'aria scosse
appena i capelli di Faith e io mi trovai alle sue spalle, come se fossi
improvvisamente scomparsa e ricomparsa dietro di lei. Quando se ne
accorso lanciò uno strilletto.
-D’accordo! Ti credo!-
Esclamò, alzando le mani in segno di resa. Quando, a
velocità normale, tornai di fronte a lei, scosse la testa.
-Ma dove sono i canini? E come puoi vivere alla luce senza morire?
Insomma…non può davvero essere così!-
Feci un sorrisino.
-La luce del sole infastidisce tutti i vampiri, ma non li uccide. Mi
proteggo con la crema solare e gli occhiali da sole. Per quanto
riguarda i canini…sono retrattili. Quando i sensi di un
vampiro sono eccitati, gli occhi diventano rossi e quando è
pronto a nutrirsi si allungano i canini. Il punto è che poi
è difficile fermarsi all’impulso di mordere.-
Annuì, come per rispondere ad una domanda inesistente.
-Capisco…-
Mormorò.
-E tu bevi sangue umano?-
-Assumo dei farmaci, come Robert ed Eireen. Non sono il massimo, ma non
voglio fare del male a nessuno solo per soddisfare la mia
fame…o la mia sete. Chiamala come vuoi.-
-E com’è?-
La guardai di sottecchi. Mi fissava come si fissa qualcosa di molto
strano, ma allo stesso tempo qualcosa di molto interessante e carico di
fascino.
-Com’è cosa?-
-Il sangue…-
Sussurrò, come se si fosse trattato di qualcosa di proibito.
Mi sembrava la classica situazione in cui una ragazza chiede
all’amica com’era stato fare sesso per la prima
volta.
Ci pensai su un secondo, ma sentendo l’acquolina in bocca
solo a ricordarne il sapore, evitai di rievocare troppo.
-Te l'ho detto, non bevo sangue ma anche solo l'odore
è...unico. Buonissimo.-
Tentai di spiegare.
-è difficile definirlo a parole. È metallico e
muschiato e…-
Chiusi gli occhi e inspirai a fondo per calmarmi. Sentivo gli occhi
bruciare di nuovo, ma non volevo che Faith li vedesse. Li tenni chiusi
e chinai la testa.
La sentii avvicinarsi lentamente, a gattoni. Mi posò una
mano sulla guancia e mi costrinse a rialzare il volto.
-Apri gli occhi.-
Mi ordinò in un tono che era poco più di un
sussurro. Fui un po’ riluttante, ma poi feci come mi aveva
detto e osservai la sua reazione, prima un po’ spaventata,
poi incredula ed infine estremamente affascinata.
-Cavoli…sono proprio rossi.-
Commentò.
-Sì…hai paura?-
Scosse la testa, con un sorriso che mi fece ricordare la vecchia Faith.
Era tornata definitivamente la mia compagna di stanza.
-No, se mi assicuri che non c’è motivo di averne.-
-Non ce n’è motivo.-
-Bene.-
Mi scostò la mano dal volto e si alzò in piedi.
-Dio, non riesco a credere che sei veramente un…-
Sbuffò.
-Cavolo, un vampiro! Un vampiro vero, ti rendi conto?-
-Sì…ed ecco spiegato il mio malessere, le unghie
guarite, il pallore, le occhiaie...-
-...il modo in cui tu e i gemelli vi muovete, il fatto che non usi
più l'inalatore. Sono cose che ho notato, sai?-
Concluse lei.
-E poi...non so...sei diversa. Sei affascinante.-
-Credi?-
Stentavo a crederci, ma ripensando a com'erano Robert ed Eireen, pensai
che forse non mi stava mentendo.
-Sì.-
Fece lei, poi rise.
-Quando mi hai aggredita, prima pensavo che stessi scherzando e
poi...beh. Mi hai baciata!-
Chinai la testa arrossendo lievemente.
-Scusa.-
Mormorai debolmente. Ricordai la morbidezza delle sue labbra e il loro
sapore. Avrei voluto risentirlo, ma non potevo.
-Non c'è problema. Ho pensato davvero che volessi provarci
con me.-
Ammise, con un sorriso. Tornò seria per un secondo.
-Ehi, grazie per avermelo detto e provato. Significa molto per me,
capisci?-
Annuii.
-Sì, capisco…scusami per…quello che ti
ho fatto. Non volevo spaventarti, né farti del male.
Credimi, ti prego.-
Speravo davvero che lo facesse, ma forse chiedevo troppo.
-Non c’è problema, Jackie. È tutto a
posto ora, no?-
-Sì…-
Convenni. Feci come lei, ovvero mi alzai in piedi e mi stiracchiai,
sentendo le ossa scricchiolare piacevolmente.
-è importante che tu non lo dica a nessuno, Faith.-
Aggiunsi.
-A Robert è successo con la sua ex ragazza e lei lo ha detto
a tutta la scuola. Lo hanno preso in giro tanto che ha preferito
trasferirsi. Se qualcuno sapesse la verità, che ci credano o
no, sarà difficile per noi, capisci?-
Oddio, cominciavo a utilizzare anche io i suoi stessi intercalari.
Speravo non fossero contagiosi.
-Capisco. Io non sono tanto stronza.-
Dichiarò lei seriamente.
-Sarò muta come un pesce.-
Sorrisi debolmente. Mi sfregai gli occhi con le mani e sospirai. Quel
peso sullo stomaco non accennava ad andarsene nemmeno un attimo.
Con Faith dopotutto era andata anche troppo bene, ma quella sensazione
di disagio e di nervosismo mi rendeva irrequieta.
Sperai solo di dormire bene quella notte, ma già sapevo che
non sarebbe successo.
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Capitolo 33 *** 33. ***
Buongiorno, eccomi
di ritorno dopo una lunga assenza. Vi chiedo scusa se ci ho messo tanto
ad aggiornare, temo di dover biasimare la mia ignoranza con i computer.
Un virus ha messo k.o il mio pc e per un po' di tempo ho dovuto
rinunciare al programma per pubblicare online. Chiedo ancora scusa per
l'inconveniente.
Per rimediare posterò direttamente tutti i capitoli che
mancano, ormai sono pochissimi. Spero che la fine del racconto vi
piaccia e colgo l'occasione per scrivere qui saluti e ringraziamenti.
Un grazie di cuore a tutti coloro che hanno lasciato una recensione:
Roxell18, Watashi_, dagusia123, titty1194, _Rainbow_, Okarina, Nata,
fria, GeeSomerhalder, Edward96, paramorina97.
grazie anche a chi ha anche solo letto la storia, chi mi ha messo tra
le storie seguite, da ricordare o preferite. Grazie mille!
Non dimentichiamo la lettrice più importante che volutamente
non ho nominato tra i recensori. Un ringraziamento speciale va a
VeryGood che mi ha sempre seguita e sopportata senza lamentarsi, la sua
capacità di resistenza e la sua pazienza sono state molto
importanti per me.
VeryGood, avrò modo di ringraziarti come si deve anche fuori
da Efp :D.
Per ora vi lascio con gli ultimi capitoli, spero siano di vostro
gradimento.
Un saluto e un bacio a tutti!
33.
Il sangue mi ricopriva. Ne sentivo l’odore intenso e
fragrante e il sapore metallico in bocca.
Continuavo a mordere solo per il piacere di percepire la carne sotto i
denti e quel liquido caldo e prezioso invadermi la gola e darmi una
forza incredibile. Mi sentivo tanto potente che probabilmente avrei
potuto alzare il mondo e sorreggerlo, come Atlante.
Solo che io non l’avrei fatto per punizione, ma per il puro
gusto di sentirmi la padrona di tutto.
Niente avrebbe potuto fermarmi. Niente.
Stringevo fra le braccia un corpo che lentamente stava abbandonando il
suo calore. Continuai a succhiare e a inghiottire sangue,
finché non capii che la vita lo aveva abbandonato. Non era
altro che un fantoccio inerte.
Mi staccai dalla sua gola, mi leccai i baffi come i gatti dopo un lauto
pasto, per ripulirmi del sangue che mi sporcava metà viso e
lasciai andare il corpo, che cadde a terra esanime.
Gli occhi del cacciatore erano rivolti al cielo, come se cercassero una
speranza, una via di fuga dal pericolo e dal terrore che io stessa
rappresentavo.
Non aveva avuto risposta da Dio e da nessun altro.
Sbattei le palpebre e i lineamenti dell’uomo lentamente si
trasformarono in qualcosa di più delicato e femminile. Quei
tratti mi erano familiari e non appena riconobbi gli occhi verdi,
sbarrati nell’inquietante immobilità della morte,
lanciai un grido di dolore e di rabbia.
Il cuore parve infrangersi in mille pezzi, lacerato dalla sofferenza e
dal senso di colpa.
Avevo ucciso Faith! L’avevo uccisa e avevo bevuto il suo
sangue.
Caddi in ginocchio, mentre il buio mi avvolgeva. Ero malvagia ed ero
fatta di tenebra.
Toccai il collo della ragazza, dove avevo affondato i denti con tanta
forza da lacerare la carne. Quando ritrassi la mano sporca di sangue mi
odiai profondamente, ma non potei fare a meno di pulirmi le dita con la
lingua per assaporare per l’ultima volta, quel sapore unico.
+++
Mi svegliai madida di sudore in un’oscurità che mi
sembrava quasi quella della morte. Mi alzai a sedere di scatto, con il
respiro affannoso e con le coperte attorcigliate attorno al corpo
tremante.
Ci misi un secondo a mettere bene a fuoco la stanza, ma quando ricordai
dov’ero e gli eventi passati mi ritornarono in mente,
l’angoscia mi colpì lo stomaco come un pugno.
Mi passai una mano sulla fronte e mi asciugai il sudore. La maglia del
pigiama era incollata alla pelle come una muta, fastidiosamente calda e
opprimente.
La stanza era immersa in un calore intenso. Mi sentivo soffocare.
Posai a terra i piedi nudi e senza nemmeno infilarmi i pantaloni mi
avvicinai alla finestra, superando il letto di Faith, dove la ragazza
dormiva beatamente.
Spalancai la finestra e lasciai che l’aria fredda
dell’autunno finlandese mi permettesse di nuovo di respirare.
Il sollievo mi avvolse solo per un secondo, lasciando poi, nuovamente
spazio all’inquietudine.
Non rimasi lì molto, solo il tempo di poter prendere una
boccata d’aria fresca e scoprire che non mi giovava affatto,
poi tornai al mio letto, ma invece di infilarmi di nuovo sotto le
coperte soffocanti, mi lasciai scivolare ai suoi pedi.
Mi presi la testa fra le mani e senza la possibilità di
reagire, permisi al dolore e alla disperazione di soggiogarmi. Ormai
ero la loro schiava e io non ci potevo fare nulla.
Rimasi in ascolto del mio respiro accelerato, finché non si
formò il familiare nodo in gola e il peso nello stomaco.
Questa volta non opposi resistenza, lasciai che le lacrime mi
bagnassero gli occhi e scivolassero lungo le guance. Il mio respiro era
ormai rotto da singulti più silenziosi possibile, mentre
raccoglievo le ginocchia contro il petto e mi rannicchiavo su me stessa
quasi per proteggermi dalla sofferenza.
Dalle labbra mi sfuggì un lamento che soffocai in fretta
mordendomi il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.
Presi a dondolarmi, come per cullarmi.
Devo calmarmi.
Pensai. È
stato solo un sogno. Solo un incubo. Faith sta bene.
Ma per quanto cercassi di illudermi, non era solo Faith il problema.
Ero un’assassina, non potevo stare calma.
Tentai di ripetere nella mia testa le stesse cose che avevo detto a
Robert per rassicurarlo, ma non funzionò. Forse doveva
dirmele qualcun altro perché potessero avere
l’effetto sperato. E se così non fosse stato?
Se quella sensazione non mi fosse mai passata, che cos’avrei
fatto?
La disperazione tornò ad invadermi il cuore. Mi sembrava
quasi di sentirne il sapore sulla lingua.
Tornai a piangere più forte pensando a quella
possibilità.
Il crepuscolo era passato da un pezzo ormai, era notte fonda, ma sapevo
che era a lui che appartenevano le mie lacrime.
Erano quelle che avevo trattenuto durante il suo avanzare ed ora aveva
deciso di punirmi.
-Jackie…-
Alzai la testa di scatto, con il cuore in gola per lo spavento. Il
pianto mi aveva impedito di ascoltare gli altri rumori e con essi anche
il risveglio di Faith.
Dalla mia posizione mi ritrovai a guardarla dal basso. Il suo viso non
celava la preoccupazione. Era un sentimento sincero, glielo leggevo
negli occhi.
Mi schiarii la voce e tentai di asciugarmi le lacrime dalle guance, con
pochi risultati.
-Credevo avessi il sonno pesante.-
Mormorai, senza più la forza di sostenere il suo sguardo.
-Non negli ultimi giorni.-
Spiegò lei. Con la coda dell’occhio la vidi
scrollare le spalle e avvicinarsi a me.
Si inginocchiò e cercò il mio sguardo. La fissai
negli occhi in mancanza di altri punti di riferimento.
-Che cosa c’è? Perché piangi?-
Scossi al testa convulsamente, mentre un singulto mi si formava in
gola. Non volevo che sapesse, ma se avesse insistito non ce
l’avrei fatta a tenermi ancora tutto dentro.
Con una mano mi accarezzò i capelli, poi mi trasse a se e mi
strinse in un abbraccio che mi sciolse in un pianto a dirotto. Non
potevo né volevo trattenermi, dato che ormai in quella
stanza non c’era più nessuno che temevo di
svegliare.
-Faith, aiutami, ti prego!-
Singhiozzai, con il viso affondato contro il suo stomaco e il cuore che
sembrava contrarsi ad ogni battito con un dolore indescrivibile.
-Ehi, ehi. Calmati, devi dirmi che cosa c’è.-
-Non posso!-
La circondai con le braccia afferrando la stoffa del suo pigiama.
Dovevo controllarmi, altrimenti avrei potuto farle del male.
-D’accordo. Non puoi. Ma così fai stare male anche
me.-
Mormorò, senza smettermi di accarezzarmi i capelli come una
sorella.
-Va tutto bene. Che ci può essere di tanto grave?-
Tentò di scherzare, probabilmente per sdrammatizzare. Se
solo avesse saputo che razza di persona ero, non mi sarebbe
più stata tanto vicina.
-Tu non capisci. Non devi sapere…-
Con una forza che avrei benissimo potuto fermare ad ogni istante, si
scostò un po’ da me e mi costrinse ad alzare il
viso. Costringeva il suo a conservare un’espressione calma e
pacata, per rilassare me, in piena crisi isterica.
-Jackie, siamo amiche e se vuoi che io ti aiuti, devo sapere, capisci?-
Replicò. Ricordai per un secondo la sensazione provata
nell’incubo, quando l’avevo vista riversa al suolo
e quella seguente, quando avevo assaggiato il suo sangue. Come poteva
essermi amica?
-Io…-
Cominciai.
-…ho sognato di ucciderti. Non voglio farti male, non
voglio…-
La mia voce si spezzò in un nuovo singhiozzo.
-È stato solo un sogno. Un incubo. Non
c’è nessun problema, no?-
-Sono un’assassina!-
Scosse la testa, con un mezzo sorriso.
-Ma no! Era solo un sogno. Non significa che tu mi abbia ucciso
veramente, capisci? Sono qui!-
Come faceva a non capire? Come faceva a rimanere lì, con me
accanto? Avevo tanto voluto che tornasse a fidarsi di me e ora, non
volevo altro che se ne andasse per non fare la stessa fine del
cacciatore.
Sapevo, e ne ero certa, che non le avrei mai fatto del male, ma solo la
mia presenza era un danno per lei.
Forse sarebbe impazzita, stavo impazzendo io.
La guardai più intensamente negli occhi, godendomi la sua
espressione serena, l’ultima.
-Ho ucciso un uomo, Faith. L’ho ucciso veramente.-
Dissi in un sussurro. Il pianto si fermò, così
come si gelò il sorriso sulle sue labbra. La sua espressione
cambiò e da distesa divenne sconcertata.
-Cosa?-
Chiese.
-Cos’hai detto?-
-Ho detto…che ho ucciso un uomo.-
La disperazione tornò tutta, dopo quel momento di
sospensione, più intensa e lancinante.
-Io non…io non volevo farlo. Te lo giuro, non era stata mia
intenzione. Eravamo lì per trattare, solo per parlare con
lui. Era lui che voleva ucciderci e poi, Robert doveva guarire e non
c’era altro modo!-
Esclamai con una velocità quasi incomprensibile, senza
prendere fiato. Il dolore minacciava di sgretolarmi. Faith mi
posò una mano sulla spalla e quando alzai lo sguardo ad
incontrare i suoi occhi verdi, vidi qualcosa che mi lasciò
sbigottita.
Era comprensione quella che lessi nel suo sguardo. Non c’era
accusa, per il momento, né biasimo.
-Jackie, calmati. Raccontami come…com’è
successo. D’accordo?-
Annuii. Feci un profondo respiro, interrotto da qualche singulto e poi
le spiegai tutto.
Mentre parlavo vedevo le espressioni del suo viso cambiare, ma non vidi
disgusto nel suo sguardo e fu una cosa che mi calmò, quanto
bastava perché non cadessi più nella nevrosi di
poco prima.
Quando terminai il mio racconto, piuttosto confuso, lei fece un sospiro
e scosse la testa.
-Voi vi siete solo difesi.-
Disse.
-Non avete avuto scelta.-
-Ma è orribile! Era un uomo.-
Annuì, decisa.
-Sì è orribile, avete ucciso un uomo, ma non era
innocente. Se voi non lo aveste ucciso credete che si sarebbe fermato?-
-Beh…-
Riflettei.
-Domani partiamo, sarebbe bastato evitarlo. Non sarebbe di certo venuto
fino in America per non lasciarsi sfuggire tre vampiri!-
-Da quello che mi hai raccontato, vi avrebbe seguito in capo al mondo,
o sbaglio?-
Non risposi. Certo che lo avrebbe fatto. Ci avrebbe dato la caccia
finché noi tutti non saremmo stati morti e sepolti.
-Non sbagli.-
Mormorai.
-Vi avrebbe uccisi, vero? Era un pazzo, un fanatico! Era solo un
deviato. È stata una sorta di legittima difesa.-
Disse ancora. Io annuii.
-Hai ragione, però sapere che ho messo fine ad una vita, mi
mette i brividi. È solo che non voglio che succeda ad un
innocente.-
Spiegai. Lei sorrise lievemente.
-Non lo faresti. Solo per il fatto che mi hai aggredito ti sei sentita
male, no? Non faresti mai del male a qualcuno, così, senza
motivo. Sei troppo poco egoista.-
-Eppure sei stata proprio tu a dire che avresti preferito dormire con
chiunque, piuttosto che stare in stanza con me. Perché hai
cambiato idea? io sono sempre lo stesso mostro di prima.-
Lei si strinse nelle spalle.
-Che dire? Avevo paura di te, non ti sei vista ma quella sera eri
spaventosa! È solo che…mi mancavi troppo,
capisci? E tu non sei un mostro. sono mostri i pedofili, gli
stupratori. Sono mostri i serial killer, sono mostri i torturatori. Tu
sei buona e i mostri sono cattivi.-
La sua voce sembrava così convinta e il tono così
deciso, che alzai la testa con risolutezza. Aveva ragione. Non ero
cattiva. Certo, avevo ucciso un uomo, ma lo avevo fatto per soddisfare
un bisogno primario. Se si fosse trattato di qualcun altro, non lo
avrei mai fatto.
Era stata una scelta fatta con un certo criterio.
La guardai fissa negli occhi.
-Non sono un mostro.-
Dissi, tentando di assumere più che potevo un tono sicuro e
risoluto.
-Certo che no!-
Fece Faith.
-Non sono cattiva.-
Ripetei.
-Questa è la Jackie che riconosco! Evvai!-
Mi diede una pacca sulla spalla ridacchiando e io mi sentii
più leggera. Mi ero forse sentita tanto male solo
perché non sapeva nulla di quello che era successo? Forse.
Ora che avevo confessato tutto, quel nodo di ghiaccio alla gola e alla
bocca dello stomaco sembrava essersi sciolto.
-Grazie Faith…-
Mormorai, commossa.
-Sei davvero la mia ancora di salvezza. Sei ciò che mi
impedisce di impazzire.-
-E Robert?-
-Robert è il ragazzo che ho sempre sognato di avere a
fianco, ma credo che a volte avrò bisogno di confidarmi con
un’umana.-
-Io sono qui, se hai bisogno.-
Era più o meno la stessa cosa che le avevo detto quando mi
aveva parlato di Steven. Probabilmente anche lei se ne
accorse, perché mi fece un ghigno felice.
-A proposito…ho deciso di lasciarlo.-
Fece, come se mi avesse letto nel pensiero.
-Davvero?-
Inarcai un sopracciglio, decisamente scettica. Faith aveva tanti di
quei pregi, che a parer mio era strano che non avesse trovato un
ragazzo migliore, ma uno dei suoi difetti più grandi era che
quando stava con un tipo, si affezionava troppo per liberarsene.
Come quando un cane ti fa troppa pena.
-Davvero. È che ho pensato che…non lo so con
lui…-
Si strinse nelle spalle e sbuffò.
- È un bravo ragazzo, credimi, ma non pensa abbastanza a me
per poter credere che gli importi davvero qualcosa. Non so nemmeno
perché stiamo insieme, non abbiamo nulla in comune!
Forse…forse ti sembrerò presuntuosa, ma credo di
meritare di meglio. mi di troppe arie se dico così?-
Ridacchiai.
-Scherzi? Ma no! Sono felice di sentirtelo dire, tu meriti davvero di
meglio. non solo di meglio, ma anche qualcosa di diverso. Steven non fa
per te.-
Sorrise e si alzò in piedi. Si stiracchiò, poi si
diresse verso il suo letto.
-Grazie, Jackie.-
Mormorò.
Si infilò sotto le coperte e fece un enorme sbadiglio, poi
si stese e chiuse gli occhi.
-Non pensare a quello che è successo, Jackie. Hai fatto
ciò che era necessario e tu lo sai.-
Disse, prima di tacere e di stringere a se le lenzuola.
Guardai la sua figura immobile, senza dire nulla, poi quando vidi le
sue spalle alzarsi ed abbassarsi al ritmo del suo respiro lento,
mormorai:
-Grazie a te. Buona notte, Faith.-
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Capitolo 34 *** 34. ***
34.
Forse era perché il crepuscolo era lontano o
perché la chiacchierata confidenziale con Faith mi aveva
fatto davvero bene, ma il giorno dopo fu diverso.
Mi sentivo più leggera e anche più forte. Ero
pronta per tornare a casa e guardare i miei genitori negli occhi senza
il rimorso di dover mentire e il senso di colpa struggente.
Quello che era successo con il cacciatore mi avrebbe tormentato per
sempre, per ricordarmi i miei errori, ma quella mattina mi sentivo
fiera di aver fatto la mia scelta.
Era costata una vita, ma era stata pur sempre una scelta giusta.
L'hotel mi sarebbe mancato più di quanto mi fossi aspettata.
forse non dovevo affezionarmi ai dettagli, ma sentivo già la
mancanza dei colori caldi dell'arredamento, dell'accoglienza, della
bellezza delle camere e, cosa che non avrei mai immaginato, di Kimmo,
con il suo impareggiabile buon umore.
Io e Faith facemmo in fretta i bagagli e ci assicurammo centinaia di
volte di non aver lasciato nulla nella stanza.
Di certo nessuna delle due avrebbe fatto centinaia di chilometri solo
per recuperare eventuali mp3 o piastre per capelli.
Alle dieci liberammo le stanze e dopo mezz'ora eravamo tutti nella
hall, pronti per lasciare Rovaniemi.
Kimmo si liberò in fretta dei suoi doveri di cameriere e,
con il grembiule ancora legato in vita, venne personalmente a salutare
me e qualche altra ragazza del mio corso.
Con una soddisfazione di cui non mi sarei mai aspettata da me, scoprii
che tra di esse ero la sua preferita.
-È un peccato che te ne vada, stavo cominciando a
conquistarti.-
Mi sussurrò ad un orecchio abbracciandomi da dietro. Vidi lo
sguardo di Robert, carico di gelosia, ma lo ignorai, come ignorai
d'altronde l'eccessivo affetto da parte del ragazzo.
-Lo sai?-
Fece, con aria felice e malinconica allo stesso tempo. Mi chiesi
seriamente perché non avesse una ragazza...se era vero che
non ce l'aveva.
Probabilmente era per il fatto che ci provava immancabilmente con
qualsiasi essere di sesso femminile, ma a suo modo ormai avevo capito
che aveva un cuore grande.
-Ti ho preso un regalino.-
Lo guardai sbalordita. Avevo capito bene? sentii il profumo di Robert
farsi più intenso, ancora prima di udire il rumore dei suoi
passi avvicinarsi a me.
-Qualche problema, amore?-
Mi voltai verso di lui e non fui per nulla sorpresa di vedere
un'espressione diffidente sul suo volto. Un riverbero negli occhi non
celava un accenno di rabbia e di gelosia.
Era la prima volta che mi chiamava amore e sinceramente, mi piaceva,
non fosse stato per quel suo tono possessivo.
-Robert, va tutto bene.-
-Sta' tranquillo, amico. Sei fortunato ad avere una ragazza
così speciale.-
Lo rassicurò Kimmo con un sorriso che avrebbe sciolto
qualsiasi ragazza e fatto infuriare i fidanzati gelosi. Non era il
classico sorriso che gli avrei consigliato di usare in presenza di
Robert, ma incredibilmente, quando guardai nei suoi occhi la gelosia
sembrava essere svanita.
Avevo pensato che, come era successo con Seth, fuori dalla mensa, lo
guardasse male e gli dicesse con tono ostile non sono tuo amico,
ma non lo fece.
Annuì ricambiando il sorriso e mi posò una mano
attorno alla vita, non con fare possessivo, bensì
semplicemente affettuoso.
-Lo so.-
Si limitò a dire. Kimmo, sorpreso anch'egli per la reazione
meno aggressiva del previsto di Robert, estrasse dalla tasca del
grembiule ciò che fino ad un attimo prima si era
visibilmente potuto vedere in rilievo. Mi porse un libricino color
bianco e blu.
Riconobbi in fretta i colori della bandiera finlandese e guardai la
scritta in rosso. La lingua era finlandese e di certo non avrei capito
nulla, se sotto non ci fosse stata la traduzione in inglese.
Dizionario
finlandese-inglese/inglese-finlandese.
Dizionario essenziale
per il viaggio, lo studio, il lavoro. Consultazione rapidissima.
-Un dizionarietto tascabile? Forte!-
Esclamai sinceramente sbalordita. Non me lo sarei mai aspettato.
-Sì...beh sai, così saprai sempre tradurre le
strane frasi in finlandese che ti vengono dette.-
Si giustificò lui. Guardai il ragazzo e sorrisi.
-Kiitos Kimmo.-
Si strinse nelle spalle, come per comunicarmi in silenzio che non c'era
bisogno di ringraziarlo. Abbracciarlo forse non sarebbe stato
conveniente con il mio ragazzo al mio fianco, ma sia io e che Robert
gli stringemmo la mano.
-Trovati una brava ragazza.-
Gli consigliai. Gli rivolsi un ultimo sorriso, poi tornai verso la mia
classe sentendo dentro di me una punta di nostalgia.
Poco più tardi lasciammo l’albergo per dirigerci
verso l’aeroporto, sotto una pioggerella finissima, ma
comunque fastidiosa. La pioggia non mi piaceva per niente, ma ero
felice della presenza delle nuvole, che coprivano il sole.
Non appena arrivammo a destinazione il mio cuore cominciò a
battere più forte. Provai una fitta allo stomaco quando
intravidi la pista di decollo.
Avevo preso in tutto tre aerei nel giro di una settimana e ancora me ne
aspettavano due.
Era necessario compiere uno scalo e arrivare con l'aereo a Helsinki e
poi da lì di ritorno in America.
La cosa non mi piaceva per niente.
Sapevo che se anche fosse caduto l'aereo non mi sarei fatta neanche un
graffio. Insomma...avevo ancora da chiarire questo punto con Robert, ma
ero certa che non sarei morta nemmeno se fosse esploso in volo.
Il punto era che nemmeno se fossi stata Wonder Woman, il terrore che
nutrivo per l'aereo mi sarebbe passato.
Era qualcosa di incontrollabile. Avrei viaggiato in una scatola di
metallo in aria! Era una cosa che non potevo controllare e io odiavo
non riuscire ad avere il controllo della situazione!
Comunque, riservai la mia paura per il momento giusto, ovvero l'imbarco
e il volo.
La hostess mi rivolse il suo solito sorriso cordiale e sereno e mentre
i miei compagni si avviavano verso i posti a loro assegnati io sentii
dentro di me l'impulso di fermarmi da lei per qualche domanda.
Per esempio: Come diavolo faceva a vivere giorno dopo giorno su un
aereo? Come faceva a non esserne terrorizzata?
Le era mai capitato di attraversare una zona di eccessiva turbolenza e
di aver pensato che l'aereo sarebbe caduto?
Aveva per caso qualche pastiglia speciale anti-fifa-da-aereo
da darmi?
Ma resistetti a quell'impulso. In ogni caso anche se avesse avuto le
pastiglie, non avrebbero funzionato con un organismo tanto diverso come
il mio.
Perciò di buona lena mi diressi verso il mio posto. Pensai
che questa volta, situato verso il finestrino, non sarebbe stato
l'ideale, ma fu molto migliore alle altre volte.
Il volo si svolse dopotutto, in maniera piuttosto piacevole, al di
là di ogni mia aspettativa.
I paesaggi verdi della Finlandia, che potei scorgere dal finestrino, mi
calmarono almeno un po' e la presenza dei miei amici
contribuì molto sul mio umore.
Per il viaggio fino ad Helsinki fu Faith a farmi compagnia.
Fu decisamente gentile e premurosa, indice che la mia scenata della
sera prima l’aveva scossa. Volevo dirle che non
c’era bisogno di ignorare i suoi amici per stare di
più con me, se non voleva, ma tacqui durante il primo volo.
Averla accanto significava molto per me e non volevo rovinare quel
momento.
Durante il secondo le dissi che non c’era problema se andava
dagli altri e lei con un sorriso comprensivo interpretò le
mie parole come una volontà di stare accanto a Robert.
Prendemmo posto. Io mi sedetti come prima accanto al finestrino e lui
verso il corridoio.
-Lo sai? sei stato carino con Kimmo.-
Gli dissi, un attimo prima che l'aereo decollasse. Avvertii alcuni
rumori metallici e un'idea sciocca in testa mi consigliò di
chiamare una hostess per assicurarmi che i bulloni delle ali fossero
ben avvitati.
Scacciai la vocina bastarda e mi concentrai solo sul viso di Robert e
sulla risposta che mi aspettavo da lui. Parlare di qualsiasi cosa non
riguardasse voli e aerei era una buona idea.
Una buonissima idea.
Il ragazzo sorrise.
-Te l’ho detto che sono geloso. Ho troppa paura di perderti
ma...vedi...non voglio essere come quei fidanzati ossessivi e pedanti.
Non voglio essere eccessivo. E comunque, Kimmo è stato
simpatico a farti il regalo.-
Mormorò, con una rapida stretta di spalle. Ricordandomi del
dizionario, frugai nel bagaglio a mano.
Sentii i muscoli in tensione quando l'aereo, dopo tutte le prove, si
alzò dalla pista, ma poi passò piuttosto in
fretta, quando mi imposi con tutta la mia volontà di non
pensarci.
Estrassi il libricino dallo zainetto e lo sfogliai.
-Allora, inauguriamo il dizionario! Cos'è che mi aveva detto
il cacciatore?-
Chiesi, frugando nella memoria alla ricerca di indizi.
-Era qualcosa che assomigliava molto a...uoro.-
Lui scosse la testa.
-Non ricordo. Prova a dare un'occhiata.-
Sfogliai incuriosita le pagine, ma sotto la lettera U niente
corrispondeva o assomigliava alla mia parola misteriosa.
-Niente...-
Mi lamentai con Robert. Lui diede un'occhiata, poi me lo tolse dalle
mani.
-Aspetta...forse è Huoro, con la acca iniziale.-
Suggerii. Lo guardai mentre l'aereo si alzava di quota e lui sfogliava
in silenzio le piccole pagine. In contrasto con le sue mani, sembravano
davvero minuscole, ma erano quasi dello stesso colore.
-Oh, ecco!-
Esclamò, dopo un po'. Vidi i suoi occhi seguire le parole e
diventare seri.
Dopo due secondi la sua espressione cambiò e ci lessi
incredulità e divertimento.
-Che c'è?-
Chiesi, sporgendomi per controllare. Lui ridacchiò e scosse
le spalle.
-Credo che quell'uomo ti abbia dato della puttana.-
Aprii la bocca e poi la richiusi, senza sapere bene cosa dire.
-Dici sul serio?-
Chiesi, dubbiosa. Forse mi stava prendendo in giro. Probabilmente il
cacciatore mi aveva accusato di essere...che so, il flagello di Dio!
Una nuova piaga per l'umanità e altre sciocchezze da
fanatico religioso. Ma puttana proprio no.
Robert mi diede indietro il dizionario, per permettermi di assicurarmi
personalmente che le sue parole non fossero solo una sciocca presa in
giro.
Non lo erano affatto. Quell'uomo aveva davvero osato chiamarmi puttana!
Non me lo sarei mai aspettata.
-Beh...è rincuorante sapere di avere un buon effetto sulle
persone, non trovi?-
Ci scherzai su. Lui annuì e mi sorrise.
-Anche io ho qualcosa per te, sai?-
Disse. Lo guardai diffidente.
-Vi siete tutti messi d'accordo per farmi delle sorprese o anche tu
vuoi accusarmi di essere una ragazza di facili costumi?-
La sua risata fu tanto sincera ed intensa, che mi parve quasi
palpabile. Solo allora mi resi conto che le parole di Faith riguardo al
cambiamento dei vampiri erano vere. Se anche io avevo assunto una
risata del genere, non potevo fare altro che gioirne.
-No, tranquilla! è che quando eravamo in libreria ieri
pomeriggio, mi è venuta in mente una cosa. Era un po' che
volevo comprartela. Non è niente di speciale, eh!-
-Ecco dov’eri finito.-
Mormorai pensierosa. Quel giorno non gli avevo neanche domandato dove
fosse andato. Probabilmente fare la pace con Faith aveva conquistato
tutta la mia attenzione.
Aprii il suo zainetto e ne estrasse un pacchettino un po' sformato. Me
lo porse con uno sguardo carico di aspettativa, come se temesse che non
mi sarebbe piaciuto.
-Robert...-
Feci, tentando invano di nascondere un sorriso di compiacimento.
-Lo sai che non c'era assolutamente bisogno che tu...io...non ti ho
comprato niente.-
Scosse la testa.
-Non importa, nessuno ha detto che devi farmi dei regali.-
-Ma tu sei stato così carino...-
-Aprilo e basta!-
Con le mie unghie perfettamente guarite e decenti, staccai lo scotch
che teneva ferma la carta. Quando riuscii ad aprire il pacchettino
riuscendo a non fare danni all’incarto, le hostess erano
già passate due volte con il carrello delle bibite e del
caffé.
Robert aveva davvero una pazienza invidiabile.
Infilai un mano nella carta ed estrassi un barattolino rosa.
-Che cos'è?-
Chiesi, girandomelo fra le mani. C'era un disegnino sull'etichetta, che
raffigurava un cestino di fragole.
-Una volta mi hai detto che vai matta per le fragole. Ora che
sei...beh...diversa, non puoi più mangiarle,
perciò ho pensato che...beh, che magari ti potesse fare
piacere...-
Scosse la testa.
- È solo un bagnoschiuma…-
Alzai una mano per interromperlo.
-Non è solo un bagnoschiuma. Questo è davvero un
bel regalo. Significa molto per me, grazie.-
Dissi, con sincerità assoluta.
-Dico sul serio.-
Gli assicurai, guardandolo negli occhi e mostrandogli in silenzio uno
sguardo carico di riconoscenza.
Sorrise e prese la carta vuota che tenevo tra le mani.
-E c'è dell'altro.-
Dichiarò. La scosse un po’ e sul suo palmo
pallidissimo cadde un cartoncino. Appuntati ad esso splendevano due
orecchini. Due orecchini carinissimi a forma di pipistrello.
- È argento ovviamente.-
Mi assicurò con una punta d’orgoglio. Li osservai
attentamente e me ne innamorai all’istante.
Erano piccoli e dalla forma semplice, e grazie al cielo non erano
pendenti. Odiavo il modo in cui questi ultimi si aggrovigliavano ai
capelli.
-Potrebbe essere il regalo ideale per la ragazza di Batman.
C’è solo un piccolo problema. Io non ho i buchi
alle orecchie.-
Protestai. Lo vidi stringersi nelle spalle e fare un'espressione di
indifferenza.
-Beh, puoi sempre farteli fare da Eireen, se ti fidi, ma se non vuoi
non è un problema. Li ho visti e ho pensato a te. Sono molto
allusivi, non credi?-
-Altrochè! Comunque prima o poi mi farò fare i
buchi, promesso. Sono bellissimi, grazie ancora.-
Mi sporsi verso di lui e lo baciai sulle labbra. Era bello stare con
lui, ma non glielo dissi.
Probabilmente c'erano un'infinità di cose in una coppia che
non c'era bisogno di dire.
Con il passare del tempo era necessario ricordarsi a vicenda di essere
importanti, ma io e Robert ci eravamo già dimostrati quanto
eravamo legati.
Lanciai un'ultima occhiata al paesaggio che poteva intravedere fuori
dal finestrino.
Mi sarebbero mancati i bei paesaggi finlandesi e il sole quasi
inesistente del nord, ma volevo anche tornare a casa.
Trassi un sospiro carico d'ansia. Eravamo tanto in alto che le nuvole
creavano una sorta di pavimento sotto l'aereo.
Era incredibile, ma anche un po' inquietante.
Gli appoggiai la testa sulla spalla e trovai così un ottimo
modo per rilassarmi veramente e pensare poco al fatto che eravamo
sospesi a non so quanti piedi da terra.
L'idea mi spaventava un sacco, ma lui era il mio rimedio a quel
problema.
Chiusi gli occhi e ascoltai il rumore dell'aereo che frusciando
tagliava l'aria, il respiro di Robert e il brusio dei passeggeri.
Avevo avuto più esperienze in quella settimana che nei primi
diciassette anni della mia vita, perciò sapevo perfettamente
che il rapporto con il mio ragazzo non sarebbe stato mai noioso.
Ero cambiata fisicamente e anche un po' caratterialmente.
Avevo imparato a convivere con i sensi di colpa, avevo imparato il
valore della vera amicizia e dell'amore e avevo anche provato a fare
dei salti che da umana non mi sarei mai sognata.
Ero certa che prima o poi mi sarebbe mancata almeno un po' la mia vita
normale, ma ero anche sicura del fatto che mai e poi mai avrei
rimpianto di aver salvato Robert e di avergli donato il mio sangue.
Una volta Robert mi aveva detto che la capacità di mentire
rappresentava un ottimo motivo per farlo, o qualcosa del genere.
Beh, io avevo sempre pensato di essere una frana nel raccontare le
bugie, ma ormai era chiaro che avrei dovuto imparare in fretta. Che
cosa avrei detto sennò ai miei genitori riguardo al mio
pallore innaturale, le occhiaie e il poco appetito?
Ci avrei pensato a tempo debito.
Probabilmente, avrei ricordato quella gita per sempre.
Certo, ci sarebbero stati tanti altri momenti significativi nella mia
vita, ma quello avrebbe occupato un posto particolare nel mio cuore e
nella mia mente.
Erano stati i miei primi giorni da diversa...i miei primi giorni da
vampiro.
Finalmente per voi è finito! :D Grazie ancora a tutti coloro
che mi hanno seguito. Ciao e alla prossima! (spero).
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