Rise from the Ashes

di Roxas93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


«Ho immaginato che a te il viaggio non sarebbe interessato molto, quindi potresti venire qui a occuparti della Palestra di Celestopoli mentre noi saremo in giro per il mondo!»
«Misty, sarà solo per un po’ di tempo!»
«Questa bicicletta è tua, vero Misty?»
«Dato che torni a casa, volevamo condividere con te quest’ultima battaglia.»
«Sono convinto che tutto quanto è successo solo perché era destino che ci incontrassimo e diventassimo amici.»
«Credo che adesso dobbiamo separarci.»


Misty aprì gli occhi. Non era stato un brusco risveglio, anzi. Era come se mentre stava dormendo qualcosa l’avesse portata a svegliarsi, ma con dolcezza. Si trovava nella sua stanza, a casa. Erano le prime ore del mattino e Azurill dormiva ancora beatamente ai piedi del suo letto. Poco a poco qualcosa nella sua memoria cominciò a venire a galla.
Aveva sognato. O forse era più corretto dire ricordato. Ed era da un po’ che non ricordava gli eventi di quella giornata, la stessa che aveva segnato la fine di un importante passaggio della sua vita. Richiuse gli occhi per un istante, e una serie di volti cominciò a passarle davanti. Poi quei volti divennero tre e infine uno. Quest’ultimo in particolare era ciò che contava davvero.
Si alzò dal letto, barcollando un po’, e aprì il cassetto della sua scrivania. Estrasse una vecchia foto, ed ecco comparire dinanzi a lei i tre volti di poco fa. Erano ovviamente quelli dei suoi ex-compagni di viaggio. Tutti quanti le mancavano, ma, si sa, lui occupava un posto speciale per lei. Più o meno da sempre.
Dal momento che non aveva più sonno, rimise la foto al suo posto e decise di combinare qualcosa, perciò andò in bagno a sistemarsi. Dopodiché, una volta vestita, si diresse in cucina a mettere qualcosa sotto i denti. Mentre faceva tutto questo, continuava a pensare a quel “sogno”. Era una sensazione strana: le faceva venire forti attacchi di nostalgia, ma allo stesso tempo sentiva che era fondamentale che non lo dimenticasse. E in effetti, il suo inconscio le aveva riproposto pari passo tutto ciò che le era stato detto quel fatidico giorno. Probabilmente aveva, sebbene involontariamente, sotterrato all’interno della sua mente alcuni dettagli che ora erano riemersi all’improvviso.
Le sue riflessioni furono interrotte quando si rese conto di uno strano piagnucolio che proveniva da un’altra stanza. Prima che potesse ricollegare i fatti, un’assonnata Violet entrò in cucina con in braccio il piccolo Azurill, ancora in lacrime.
«Tieni» le porse il Pokémon la sorella. «Dovresti prestargli più attenzioni.»
Senti chi parla, pensò Misty. Prese Azurill e cominciò a coccolarlo un po’, probabilmente si era sentito spaesato quando non l’aveva trovata al suo risveglio. Dopo che il Pokémon si calmò, Violet iniziò a lamentarsi di come la carenza di ore di sonno rischiasse di rovinare la sua pelle stupenda e Misty decise di ignorarla, come faceva sempre.
«Ah» riprese Violet. «Sarebbe carino se oggi cominciassi a pulire la piscina. Non voglio esibirmi in mezzo all’immondizia.»
«Sarebbe altrettanto carino se voi ogni tanto mi deste una mano, sai?» replicò Misty. «Almeno quando viaggiavo non dovevo occuparmi di questo genere di cose.»
Quest’ultima frase le venne spontanea: da una parte voleva stuzzicare la sorella, dall’altra voleva tirare in ballo l’argomento. Si rese conto da sola di quanto questa cosa risultasse patetica. In ogni caso Violet non rispose, anzi, si era messa a preparare la colazione come se nulla fosse, naturalmente senza eccedere troppo per mantenere la sua linea eccezionale.
«Ora che ci penso, è un po’ che non sento Ash.»
Oh no, l’aveva fatto di nuovo. E in maniera doppiamente patetica. Se prima l’aveva scampata, ora Violet avrebbe capito al volo che non vedeva l’ora di fare il nome di Ash. E l’avrebbe presa in giro.
«Non è colpa mia se il tuo ragazzo ti ha mollato» si fece finalmente viva con il massimo dell’indelicatezza.
«Quante volte te lo devo dire che non è il mio ragazzo!?» ribadì Misty, poco convincente.
Purtroppo, meditò segretamente tra sé e sé. Era ufficiale: con Violet non ci si poteva confidare. Un piccolo risentimento verso le sue sorelle ricominciò a farsi sentire. Dopotutto, era anche colpa loro se aveva dovuto dire addio a quella vita. O meglio, ora che stava ricomponendo ordinatamente i tasselli degli eventi di quella giornata, pensò che se Violet e le altre due non avessero mai vinto un viaggio intorno al mondo e non l’avessero mai chiamata per affibbiarle il titolo di Capopalestra dall’oggi al domani, probabilmente a quest’ora starebbe viaggiando insieme ad Ash per chissà quale regione. L’avrebbe seguito a Hoenn e Vera sarebbe stata solamente una delle tante persone incontrate durante i loro viaggi. Sì, sarebbe andata decisamente così se non fosse stato per loro. Invece aveva dovuto attendere che le tre vanitose tornassero dal loro viaggio per poi... rimanere lì. Un altro terribile pensiero si insediò nella sua mente: forse non era solo colpa delle sue sorelle. Una volta tornate, lei avrebbe potuto benissimo fare i bagagli e raggiungere Ash a Hoenn. Sarà solo per un po’ di tempo. Perché invece non l’aveva mai fatto? Forse perché aveva paura. Forse a causa di Vera. Nei brevi periodi in cui si era riunita con i suoi vecchi amici, non se l’era sentita di proporre di tornare a viaggiare insieme. Aveva per caso paura di risultare un peso in un gruppo ormai così affiatato? Ovviamente no. Sapeva che sarebbe stata accolta a braccia aperte. Ciononostante, non si era fatta avanti. Infondo si era abituata alla vita da Capopalestra e quel titolo le dava l’opportunità di scontrarsi con alcuni dei migliori Allenatori in erba che si presentavano per vincere la sua medaglia, oltre che a rappresentare una grossa responsabilità in quanto tappa obbligata per giungere alla Lega Pokémon di Kanto.
In realtà questa storiella se l’era ripetuta tante volte. Ma dentro di sé sapeva che, come tutto il resto, si trattava solo di un’enorme e infondata giustificazione. La verità è che un po’ le piace anche così. Lunghi periodi di lontananza per poi fare una rimpatriata in grande stile. O forse no. L’ultima volta, lei e Ash si erano a malapena salutati. Nonostante continuasse a ripetersi che si trattasse solamente di un’inutile paranoia, non poteva fare a meno di credere che la loro amicizia si fosse indebolita col tempo trascorso a grossa distanza l’uno dall’altra. Che cosa triste, pensò.
«Che muso lungo.»
Daisy, sua sorella maggiore, si unì a loro.
«Non riuscivo più ad addormentarmi» specificò.
«Misty è in crisi perché le manca il suo ragazzo. Come se fosse tutto ‘sto granché» buttò lì Violet con noncuranza.
Misty le lanciò l’ennesima occhiataccia, esasperata, pur sapendo che non sarebbe servito a nulla.
«Al contrario, Violet, dovrebbe essere molto fiera di lui invece» fu la curiosa risposta di Daisy.
Misty ebbe la sensazione di essersi persa qualcosa.
«E come mai, scusa?» domandò.
«Ma come, non lo sai?» la guardò stranita Daisy. «Si è qualificato tra i primi quattro al torneo della Lega di Sinnoh!»
Tra i primi quattro? Al torneo della Lega di Sinnoh? E come mai lei non ne sapeva niente?
«Come l’hai saputo? E soprattutto, come mai non mi avevi detto nulla?!» le chiese.
«L’ho letto su una delle mie riviste di gossip, quelle che a te non piacciono. C’era uno speciale sulla regione di Sinnoh e hanno fatto il suo nome. Scusami, ma dovresti essere tu a informarti, non ti pare?» E difatti non aveva tutti torti. Quindi, con tutta probabilità, il viaggio a Sinnoh di Ash era terminato...

***



Finalmente erano arrivati. Il Quartier Generale del Team Rocket, nella regione di Kanto, era esattamente come lo avevano lasciato. L’unica differenza che Jessie, James e Meowth notarono era una nuova gigantesca “R” che spiccava al centro della struttura esterna dell’edificio.
«Dunque, eccoci» furono le prime parole di Jessie.
«Ogni volta che ci troviamo qui mi sembra di fare ritorno ai tempi dell’accademia» rievocò il passato James.
L’accademia... quanti ricordi per il trio. Come matricole non erano nemmeno niente male. Appena furono promossi come agenti, presi dall’entusiasmo disegnarono le loro divise personali, che si distinguevano da quelle classiche del Team Rocket, solitamente nere, per il loro caratteristico colore bianco, e non tardarono molto a farsi conoscere nella regione. Come dimenticare le foto segnaletiche che avvertivano i cittadini di stare in guardia dal terribile trio?
Poi si imbatterono in quel Pikachu. In quei mocciosi. Il resto... beh, si sa.
Meowth si fece avanti: «Chissà che cos’hanno in serbo per noi.»
«Beh, c’è solo un modo per scoprirlo» replicò Jessie.
I tre sventurati membri del Team Rocket si addentrarono nel Quartier Generale. C’era un gran via vai di reclute, ognuna con un compito ben preciso da portare a termine. Erano davvero gli unici ad essere rimasti allo sbando per tutto quel tempo?
Si diressero verso la reception che si trovava nell’atrio. Delle gabbie con all’interno Pokémon rubati ad alcuni sfortunati allenatori attendevano di trovare una sistemazione migliore. Gli strani petali di un Vileplume che ancora non si era arreso alla prigionia fecero supporre il trio che il bottino provenisse dalle Isole Orange.
«Ma guarda un po’ chi si vede.»
I tre si voltarono. Dei sogghignanti Cassidy e Butch li stavano fissando con aria di sufficienza.
«Jessie-la-perdente ha fatto ritorno nella regione di Kanto, dobbiamo esserne onorati. Siete venuti qui per implorare il capo di affidarvi qualche lavoretto da disperati? Non so, ripulire le gabbie dagli escrementi di Pokémon?» e indicò le gabbie alle loro spalle.
Naturalmente questo bastò per far perdere le staffe a Jessie: «Guarda che siamo stati convocati qui per una ragione ben precisa!»
«Ma davvero? E quale sarebbe?» si introdusse Butch nella conversazione.
«Beh... non lo sappiamo ancora...» rispose Jessie suo malgrado.
L’odiato duo scoppiò in una fragorosa risata e ben presto cominciarono ad attirare l’attenzione di tutti i presenti.
«Probabilmente vogliono regalarvi un licenziamento ufficiale» ipotizzò Cassidy con crudele ironia.
James si sentì colpito nel profondo: «...e se avessero ragione, Jessie?»
«Non dire sciocchezze, James» lo rimproverò Meowth.
«Stammi bene a sentire, agente dei miei stivali» si rivolse Jessie a Cassidy. «A breve dimostreremo il nostro valore a tutta l’organizzazione. Non so come, non so quando, ma ti garantisco che ci riusciremo. E allora la mia vendetta sarà tremenda.»
Questa volta era seria e Cassidy probabilmente afferrò il concetto. Una smorfia di disprezzo segnò il suo volto per qualche secondo per poi essere sostituita da un ghigno che stava a significare che la sfida era accettata. Senza proferire una parola, i due membri levarono le tende.
«Sei stata davvero fenomenale, Jessie!» si congratulò James.
«Sì, lo so. Muoviamoci ora, non facciamo attendere oltre il capo.»
Mostrarono le loro tessere riconoscitive alla reception. La donna che stava dall’altra parte del banco, anch’ella indossante una divisa del Team Rocket, compose velocemente un numero sul telefono che aveva alla sua sinistra e informò qualcuno del loro arrivo.
Erano davvero molto in ansia. Da tempo il Quartier Generale non li contattava di sua iniziativa, più o meno da quando avevano lasciato per la prima volta la regione, e la segretaria di Giovanni aveva lasciato intendere che dietro c’era qualcosa di grosso. Altro che licenziamento. Non potevano fare a meno di chiedersi perché avessero selezionato proprio loro fra tanti agenti, qualsiasi lavoro dovessero svolgere.
La donna finalmente parlò: «Prego, il nostro capo vi attende nel suo ufficio. Tredicesimo piano, ultima porta in fondo al corridoio.»
Evidentemente l’ufficio del capo non era dove ricordavano che fosse. Raggiunsero gli ascensori. Si erano ammutoliti tutti quanti. Jessie, con il suo solito fare da leader del gruppo, premette il pulsante su cui era inciso un grosso numero 13. L’ascensore cominciò a muoversi e quei pochi istanti di salita parevano non finire mai. Quando le porte si aprirono, un corridoio relativamente piccolo illuminato unicamente da opache luci azzurre si stagliava davanti a loro.
Seguendo le indicazioni che erano state date loro, fecero per bussare a quella che era l’ultima porta in fondo, che a dispetto di quello che si potesse immaginare non presentava alcun segno particolare per indicare chi era l’occupante della stanza, ma vennero preceduti dalla stessa segretaria che si era messa in contatto con loro nella regione di Sinnoh, la quale li accolse all’interno.
«Prego, entrate» furono le sue uniche parole.
Come da tradizione, l’ufficio di Giovanni era davvero spazioso. L’ambizioso capo del Team Rocket era un amante del lusso, e non si faceva alcuno scrupolo a renderlo noto. Sulle pareti erano esposti dei grandi quadri che dovevano valere abbastanza soldi da soldi da riuscire a sfamare una persona per il resto della propria vita e oltre. Il tappeto su cui avevano poggiato i piedi rendeva sordo il rumore dei loro passi e persino la scrivania sembrava essere di un metallo pregiatissimo.
«Vi do il benvenuto, agenti» li salutò Giovanni.
«Buonasera, signore» ricambiò il trio all’unisono.
Il fedele Persian del loro superiore, che prima non avevano notato, alzò il capo e si mise a fissare Meowth con un’espressione indecifrabile.
«Il motivo per cui siete stati convocati è molto semplice.»
Detto questo, fece cenno alla propria segretaria di dare delucidazioni.
«La nostra organizzazione intende cominciare a fondare le basi per insediarsi nella lontana regione di Unima. Siete stati selezionati per far parte di una truppa speciale che andrà in avanscoperta nel territorio straniero.»
Chiaro e conciso. Non avevano mai sentito molto parlare della regione di Unima, principalmente perché era molto distante dalle regioni che avevano visitato finora. Si sentirono un po’ spaesati.
Dal momento che la segretaria sembrava aver già finito la sua spiegazione, James prese coraggio e domandò: «Se posso chiedere, come mai siamo stati selezionati proprio noi per questo compito?»
«Dai nostri dati risulta che voi due avete già visitato regioni in cui non sono presenti stabilimenti del Team Rocket. Inoltre ci è giunta notizia che, per merito del vostro duro lavoro, la pericolosa concorrenza nota come Team Galassia e la cacciatrice J sono stati eliminati. Per questi motivi, riteniamo che siate gli agenti più idonei per questa missione.»
Deglutirono. La prima soffiata era fondata, la seconda no. Non ci fu bisogno di consultazioni per decidere di tacere sull’argomento.
La misteriosa donna porse due dossier a Jessie e James.
«Qui troverete tutti i dettagli in merito all’operazione. Domande?»
Il colloquio sembrava stesse già per finire.
«Ehm... io ne avrei una...» mugugnò Meowth. «Perché a me non è stato consegnato alcun dossier?»
«È molto semplice. Tu sei un Pokémon. Inoltre non possiamo rischiare di dare nell’occhio in questa delicata missione, perciò...» e qui si rivolse a Jessie e James. «Non vi sarà permesso portare con voi alcun Pokémon che non sia nativo della regione di Unima.»
«Cosa!?»
L’esclamazione per i due ragazzi fu automatica. A Meowth invece sorse un dubbio terribile.
«Questo significa che...» cominciò il felino.
«Esatto. Non potrai accompagnare i tuoi compagni in questa missione. Tuttavia, non hai nulla da temere: verrai trasferito in un’altra squadra e potrai continuare a operare qui nella regione di Kanto.»
«Chiedo scusa» si intromise Jessie. «Per noi Meowth è un alleato fondamentale. Sono convinta che la sua assenza durante l’operazione limiterebbe le nostre possibilità di successo.»
La segretaria ricambiò in maniera impassibile: «Mi dispiace, ma le indicazioni sono chiare. La...»
«Non sarà un Meowth a fare la differenza» la interruppe Giovanni inaspettatamente. «Ciò non toglie che dovrete prestare la massima discrezione.»
Meowth tirò un sospiro di sollievo, mentre i suoi due compagni intuirono che questa volta non sarebbe stato tollerato nemmeno il più piccolo dei fallimenti. Da quel momento, tutto sarebbe cambiato.

***



«Sono a casa!»
«Ash!»
Sua madre corse immediatamente ad abbracciarlo. Alle sue spalle, uno stravagante Mr. Mime esprimeva il suo benvenuto agitando la scopa che aveva in mano.
C’era poco da fare: casa sua rimaneva sempre casa sua.
«Ti ho preparato una cenetta coi fiocchi! Ho cucinato tutti i tuoi piatti preferiti! Ah, ovviamente anche la tua camera da letto è a posto, sarai stanco dopo il lungo viaggio! Ma dimmi, hai avuto difficoltà? E...»
«Ehi, mamma, lasciami respirare!» la frenò il figlio prima di rimanere soffocato da tanto affetto. E Delia riusciva a trasmetterne sempre tanto.
«Hai ragione, tesoro! Fai pure con calma, mi racconterai tutto più tardi!» si scusò lei. «Ciao, Pikachu!»
«Pika!» ricambiò il topo elettrico.
Ash salì al piano di sopra per sistemarsi, stanco ma tutto sommato felice. Un altro viaggio si era concluso.
La prima cosa che fece una volta entrato in camera sua fu affiancare le medaglie di Sinnoh a quelle di Kanto, Johto, Hoenn e Isole Orange che aveva già conquistato in passato. Oh, anche ai simboli del Parco Lotta ovviamente. A Sinnoh aveva fatto enormi passi da gigante. Non aveva vinto il torneo della Lega, questo è vero, ma poteva ritenersi comunque soddisfatto: aveva raggiunto un’affinità coi suoi Pokémon che rappresentava un traguardo davvero importante. Più tardi avrebbe sistemato anche tutto il resto.
Si diede una rinfrescata in bagno e poi corse giù in cucina per gustarsi i gustosi manicaretti di sua madre.
«Come stanno Lucinda e Brock? Tutto bene?» gli chiese.
«Certo!» rispose lasciando trasparire tutto il suo entusiasmo. «Lucinda è stata contattata da una famosa stilista della regione di Sinnoh, mentre Brock ha fatto il viaggio in nave con me. Ora è determinato a diventare un medico per Pokémon!»
«Ognuno ha trovato la sua strada, insomma» commentò Delia.
Le stavano sorgendo un milione di domande, ma quando vide il figlio ingozzarsi di cibo constatò che era meglio attendere che finisse di mangiare. Ad Ash bastava così poco per essere felice e lei era contenta di sapere come riuscire ad accontentarlo.
Il bene di suo figlio era sempre stato lo scopo primario della sua vita da quando era nato. Le sarebbe piaciuto averlo sempre accanto a sé, ma... purtroppo non sempre questo è possibile. Sapeva bene i Pokémon erano la vera vocazione di Ash, ormai l’aveva imparato, però questo implicava anche una certa lontananza. Non passava giorno in cui lei non volgesse i suoi pensieri al suo unico figlio, in cui si domandasse cosa stesse facendo in quel momento, se stesse giocando spensieratamente con i suoi Pokémon o se per disgrazia stesse male.
Quest’ultima era la più grande paura di Delia. Temeva sempre che succedesse qualcosa di grave ad Ash durante uno dei suoi viaggi e, nel triste caso in cui questo si avverasse, sapeva che non se lo sarebbe mai perdonato. Vederlo tornare a casa ogni volta sano e salvo per lei era un sollievo indescrivibile.
«Oh, Ash» si rivolse a lui non appena ebbe finito di mangiare. «L’altro giorno è venuto a farmi visita Tracey per informarmi che il Professor Oak terrà una conferenza nella regione di Unima.»
«La regione di Unima? Dove si trova?» domandò curioso.
«È molto distante da Kanto. Là si trovano dei Pokémon impossibili da avvistare dalle nostre parti» spiegò lei.
Un sorriso smagliante si stampò in tre nanosecondi sul volto di Ash: «Wow! Sembra interessante!»
«Non avevo dubbi!» non nascose Delia. «Siamo stati invitati ad accompagnarlo! Ho pensato che sarebbe stato bello farci una piccola vacanza insieme dopo tanto tempo. Tu che ne pensi?»
«E me lo chiedi!?» balzò in piedi Ash. «Quando si parte?»
«Ehi, calma!» frenò il suo entusiasmo prima che la assalisse. «Partiremo fra due giorni, perciò avrai tutto il tempo necessario per riposare.»
Detto questo, trascorsero un altro po’ di tempo a parlare. Ash le raccontava i dettagli sui suoi incontri al torneo della Lega di Sinnoh mentre lei ascoltava compiacendosi della passione che il figlio metteva nei suoi combattimenti. Aveva fatto bene a lasciarlo partire. Dopodiché decisero di porre fine a quella che era stata una lunga giornata. La casa sembrava sempre più “viva” quando era presente Ash, e sapere che quella camera da letto non era vuota come la maggior parte del tempo riusciva a farla dormire sempre più serenamente.
«Buonanotte, mamma» le augurò.
«Buonanotte, Ash» ricambiò con dolcezza. «E ricorda: sono molto orgogliosa di te.»



Allora, avevo pubblicato questa fanfiction un po' di tempo fa. Poi rileggendola mi sono reso conto che faceva veramente schifo, quindi ho deciso di ripubblicarla. Spero che questo capitolo possa piacere a tutti coloro che lo leggeranno. A presto!
Roxas93

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Si trovavano a Unima da sole tre settimane e già si erano fatti conoscere dalla polizia del posto. Le varie agenti Jenny, che in questa regione possedevano un aspetto sorprendentemente diverso da quello a cui erano solitamente abituati, avevano già allertato le principali città che una nota organizzazione criminale della regione di Kanto aveva messo a segno qualche colpo sul territorio straniero.
Da una parte si compiacevano di loro stessi: era un po’ come tornare indietro nel tempo. Forse avrebbero rivisto le vecchie foto segnaletiche? Ma dall’altra dovevano prestare più attenzione. Finora la situazione era gestibile, ma non era bene far parlare troppo di sé. Giovanni era stato molto chiaro sull’argomento.
«Argh... con questa uniforme proprio non mi ci vedo» si lamentò James.
Proprio così. Avevano dovuto dire addio alle loro vecchie divise bianche a favore delle classiche nere indossate da tutti i membri del Team Rocket. Così sarebbero stati “esattamente come tutti gli altri”, come aveva detto la segretaria del capo. Ma loro non erano come tutti gli altri, che diamine! Innanzitutto avevano viaggiato più di qualsiasi altro agente e questo nessuno lo metteva in dubbio. Riguardo ai loro successi... beh, si potevano scovare altri pregi. Pregi che Unima stava decisamente facendo emergere.
«Lo so, James. Ma non possiamo deludere il capo. Non ci ricapiterà un’occasione come questa». E Jessie aveva dannatamente ragione.
«Ogni tanto però mi manca la nostra libertà» sospirò Meowth. «Voglio dire, dobbiamo sempre rimanere in attesa di una chiamata dal Quartier Generale e di nuovi ordini. Prima invece potevamo agire come volevamo, escogitare i nostri piani...»
«Ehi ehi, stiamo parlando degli stessi piani cervellotici che non funzionano mai?» lo canzonò James.
«Chi era quello che si metteva sempre a frignare a metà strada?»
«No, adesso non incominciate!» sbottò Jessie. «Questo è proprio il genere di atteggiamento che vogliamo abbandonare se vogliamo avere alte probabilità di successo. E, lasciatemelo dire, abbiamo visto che il nostro impegno viene ricambiato. Perciò vedete di non rovinare tutto!»
Ci fu un attimo di silenzio.
«Stiamo andando forte, è vero» intervenne infine James. «Ma si fanno anche desiderare».
Ormai era calata la sera sul Bosco Girandola e le tecnologie avanzatissime con cui erano stati equipaggiati prima della partenza ancora tacevano. Nessun membro del Team Rocket li aveva ancora contattati e loro erano costretti a nascondersi in mezzo a degli inutilissimi Pokémon Coleottero. Probabilmente qualche tempo fa avrebbero persino cercato di catturarli (senza successo) dalla disperazione, ma il loro nuovo modo di fare imponeva di snobbarli.
Jessie stava consultando di nuovo i file sulle varie missioni contenuti all’interno del loro portatile. Era diventata un’abitudine ormai: doveva essere certa di non aver tralasciato nemmeno il minimo dettaglio. James era quello che si occupava del lato “pratico” delle loro operazioni, anche perché sul resto non era affidabile. Bisognava ammettere però che in quello, se si impegnava, ci sapeva fare. Persino senza l’aiuto di un Pokémon, motivo per cui non si era ancora preoccupato di catturarne uno nella nuova regione. Meowth fungeva da spia. Ognuno aveva il suo ruolo.
«Che fine avranno fatto i mocciosi?» domandò Meowth. «Abbiamo perso le loro tracce da un bel po’».
«Poco importa, non sento per niente la mancanza degli attacchi elettrici di Pikachu» fu la risposta secca di James.
Jessie invece dimostrò ancora una volta di avere le idee ben chiare. «Meowth, i mocciosi rappresentano il passato, non sono più una priorità. Se tenteranno di nuovo di metterci i bastoni tra le ruote, bene, saranno un utile addestramento per testare le nostre abilità. Altrimenti, continueremo a portare avanti i compiti che ci sono stati assegnati. Le loro azioni non ci riguardano minimamente. Tantomeno quel fastidioso roditore elettrico».
Enfatizzò particolarmente quest’ultima frase. La ragazza stava dando il massimo per superare le aspettative che i superiori avevano su di loro e finalmente ci stava riuscendo. James e Meowth trovavano un po’ irritante questo suo nuovo modo di fare – non che prima non lo fosse, sia ben chiaro – ma comprendevano bene le motivazioni della collega. Anzi, dell’amica.
La vita non era stata molto magnanima con lei. La madre, anch’ella un membro del Team Rocket (tra l’altro con un grado piuttosto elevato) era scomparsa misteriosamente tra le montagne mentre svolgeva una missione rigorosamente top secret che le era stata affidata da nientemeno che Madame Boss in persona, la madre di Giovanni. Il risultato fu che Jessie dovette cavarsela da sola sin da bambina. E in questo genere di situazioni, non puoi sopravvivere se non sviluppi un carattere forte. E gli allenamenti del Team Rocket avevano contribuito.
L’incontro con James e Meowth fu una manna dal cielo. Dopo una vasta gamma di fallimenti, in loro aveva finalmente trovato i compagni affiatati che non avrebbe mai pensato (o forse anche sperato?) di trovare. Prima era convinta che da sola sarebbe stata in grado di fare qualsiasi cosa. Ma i suoi compagni le avevano più volte dimostrato il contrario. Anche se lei non lo avrebbe mai ammesso, ovviamente. Tuttavia, finora avevano perso sin troppo tempo: se volevano dare una svolta alla loro carriera, il momento giusto era quello. Non c’era spazio per le esitazioni.
Perciò, dopo le innumerevoli disavventure, eccoli ancora lì, al suo fianco, più inseparabili che mai. James stava riordinando la sua collezione di tappi di bottiglia (Jessie non riusciva a credere che se li fosse portati dietro anche a Unima), atto che stonava tantissimo col suo nuovo look. Meowth invece, con fare sempre più umano, si era stravaccato sull’erba a riposare. Proprio in quel momento, giunse una videochiamata. Il mittente lo conoscevano già.
«Agenti Jessie, James e Meowth a rapporto» fu il loro saluto.
«Come procede la missione?»
Giovanni era sempre molto chiaro nel porre le sue domande. Accanto a lui, Matori, la sua segretaria, li fissava con il suo solito sguardo glaciale.
«Il furto del meteorite al Museo di Zefiropoli si è concluso con successo e con il massimo della discrezione» riferì Jessie.
«Mi sono personalmente occupato di sostituirlo con il campione falso che ci è stato procurato. Ovviamente l’operazione si è svolta senza il minimo intoppo» specificò Meowth, impaziente di dimostrare quanto il suo ruolo fosse rilevante nella missione. Dopotutto avevano minacciato di lasciarlo a casa.
«Molto bene» fu l’unico commento di Giovanni. Dopodiché, lasciò la parola a Matori: «Raggiungerete la città di Austropoli. Confido che vi ricordiate dell’agente Pierce».
Come dimenticare. Pierce era il carismatico agente dallo sguardo penetrante che aveva consegnato loro il falso meteorite da sostituire al Museo. La sua presenza li metteva sempre un po’ a disagio. Sicuramente lui non era stato selezionato per Unima sulla base di informazioni ritoccate.
«Il vostro nuovo incarico sarà quello di consegnargli la refurtiva al bar La Melodia del Silenzio. Troverete tutti i dettagli nei documenti che vi invieremo a breve. Dubbi?»
«Nessuno» rispose Jessie, fungendo da portavoce principale come sempre.
E senza ulteriori scambi di parole, la videochiamata si chiuse.

***



«Ah, ci voleva proprio!» esclamò Ash. «Ce n’è ancora, per caso?»
«Sei il solito bambino, Ash» cominciò a prenderlo in giro Iris.
«Purtroppo, per oggi la cena è andata» annunciò Spighetto con il suo solito modo di fare esibizionista, come se si trovassero dentro un ristorante.
Inutile dire che, una volta giunto a Unima, Ash aveva deciso di competere per conquistare le otto medaglie regionali e partecipare al torneo della Lega Pokémon locale. E non se le stava cavando affatto male. Due medaglie le aveva già conquistate, ovvero quelle di Levantopoli e Zefiropoli. E proprio quel giorno aveva catturato un esemplare di Sewaddle nel Bosco Girandola che pareva proprio in forma. Ora si erano accampati per la notte.
«Visto che non c’è più nulla da mettere sotto i denti, che ne dite di allenarci un po’?» propose.
Iris sbuffò: «Ma Ash, è tutto il giorno che giriamo! Siamo stanchi morti!»
«Beh, io non lo sono per niente. E neanche tu, vero Pikachu?»
«Pika...» rispose il fedele Pokémon poco convinto.
«Sei sempre il solito, Ash» gli fece notare Spighetto.
Viaggiavano con lui da un lasso di tempo relativamente breve, ma avevano già imparato a conoscerlo. Come da tradizione, Ash aveva trovato degli alleati nella nuova regione.
Spighetto era uno dei tre Capipalestra di Levantopoli. Dopo la loro battaglia, aveva deciso di unirsi ad Ash per migliorare le proprie qualità di intenditore di Pokémon o quello che era. Un mestiere strano che consisteva nel quantificare la compatibilità tra un Pokémon e il suo Allenatore. Ash non ci aveva capito molto, ma era felice che il Capopalestra avesse deciso di offrigli il suo aiuto. Vista l’assenza di Brock, aveva bisogno di una figura più esperta che gli facesse da guida. Iris invece l’aveva incontrata dopo averla scambiata erroneamente per un Pokémon e si era unita al gruppo essenzialmente perché non voleva essere lasciata indietro. Il suo obiettivo era quello di diventare una maestra di Pokémon di tipo Drago. Si atteggiava spesso da sapientona, ma in realtà si era dimostrata più volte ingenua quanto Ash.
«Andiamo, Pikachu!» insistette Ash. «Vuoi prepararti per il prossimo incontro in Palestra oppure no?»
«Scusa».
Qualcuno aveva parlato. Si voltarono. Un ragazzo alto dai lunghi capelli mossi e di una strana tonalità di verde si trovava proprio a due passi da loro. Quando diamine era arrivato?
«Non ti senti in colpa nemmeno un po’ a tenere il tuo Pokémon in schiavitù?»
Che non fosse una persona qualunque l’avevano già capito, ma questa non se l’aspettava nessuno. Iris e Spighetto si scambiarono uno sguardo stranito, ma entrambi sapevano di come Ash avesse le idee ben chiare al riguardo.
«Lui è il mio migliore amico, non lo tengo affatto in schiavitù» replicò Ash. Il suo tono di voce era a metà tra l’offeso e il perplesso.
Il tizio strano non fece una piega, anzi, probabilmente era la prima risposta che si aspettava.
«È ciò che dicono tutti. Verità e ideali che vacillano per poi crollare miseramente quando posti dinnanzi alla dura realtà».
Se prima era sorto il dubbio, ora erano certi che quel tizio avesse decisamente qualcosa che non andava.
«Stammi un po’ a sentire» si fece avanti Iris. «Chi sei tu per comparire così all’improvviso senza un minimo di educazione e venirci a dire se ciò che facciamo è giusto o sbagliato?»
Inutile dire che non si scompose nemmeno questa volta.
«Tutto vi sarà presto chiaro. Molto presto. E, per la cronaca, lo stesso discorso vale anche per te». Indicò Axew, il Pokémon di tipo Drago di Iris che se ne stava sempre fuori dalla sua Poké Ball come Pikachu.
«Senti, non so chi tu sia» lo incalzò Ash, più deciso che mai. «Ma ti garantisco che siamo tutti quanti degli Allenatori responsabili!»
Iris stava per ribattere su quanto Ash fosse "responsabile", ma alla fine optò per tacere.
Per un momento, il ragazzo parve rifletterci sopra, gli occhi grigi apparentemente persi nel vuoto. Infine sospirò: «Sai, anch’io sono un Allenatore. Ma non posso fare a meno di domandarmi... se i Pokémon siano davvero felici di tutto ciò. Che ne dici di una lotta per stabilirlo?»
Il fuoco si accese negli occhi di Ash.
«Non chiedo di megl...»
«Un attimo solo» lo interruppe Spighetto, facendosi sentire per la prima volta dall’inizio di quello strano incontro. Prese Ash da parte per un secondo.
«Ash... non sono convinto che sia una buona idea» fu il suo verdetto. «Questa persona non mi piace per niente».
Iris si unì alla riunione: «Secondo me è un fanfarone, tutto fumo e niente arrosto. Io ed Axew potremmo batterlo in qualsiasi momento».
«E con cosa?» la stuzzicò Ash. «Col vostro Starnuto di Drago?»
«Per l’ultima volta, l’attacco si chiama Ira di Drago! Axew deve solo fare un po’ di pratica!» protestò Iris.
Ma prima che Ash potesse ribattere, il ragazzo misterioso sospirò di nuovo: «Che tristezza».
I tre compagni di viaggio si scambiarono uno sguardo più che eloquente. Prima chiudevano quella faccenda, meglio era per tutti.
«Io sono pronto» dichiarò Ash. «E scelgo Snivy!»
Lanciò la Poké Ball e il suo più recente Pokémon di tipo Erba si mostrò, pronto a combattere.
«Interessante» commentò l’avversario. «Amico mio, è il tuo momento».
Mandò in campo un Purrloin, un Pokémon di tipo Buio dall’aria non troppo sveglia. Non sembrava nulla di particolare.
«Non perdiamo tempo, allora! Snivy, usa Frustata!»
Purrloin schivò l’attacco senza difficoltà. Nonostante l’apparente pigrizia, si stava rivelando molto veloce. Snivy tentò ripetutamente l’attacco, senza successo.
«Che tristezza» ripeté lo strano tizio. «Avanti Purrloin, Graffio!»
Purrloin evitò abilmente l’ennesima Frustata di Snivy e passò all’attacco.
«Fa’ attenzione, Snivy!» gridò Ash, ma ormai era troppo tardi. Il Pokémon si era beccato l’attacco in pieno muso. E, fatto ancora più incredibile, era già KO.
«Non è possibile... Snivy!»
Ash corse verso il suo Pokémon per poi alzare lo sguardo verso il misterioso Allenatore: «Si può sapere chi sei?!»
Quest’ultimo richiamò Purrloin nella sua Poké Ball, come se niente fosse. Poi si mise a contemplare la sfera: «I Pokémon sono costretti a rimanere confinati in questi oggetti creati dagli umani. In questo modo, non saranno mai in grado di raggiungere la loro perfezione. Io sono colui che porrà fine a questa crudeltà. Per il momento... il mondo mi conoscerà come N».
Si voltò e, con lo stesso alone di mistero con cui era arrivato, scomparve nella notte.
Spighetto raggiunse Ash ed esaminò le condizioni di Snivy.
«Uhm, le ferite non sono gravi, l’ha semplicemente mandato al tappeto. Domani lo porteremo ad un Centro Pokémon».
Ash annuì, in parte sollevato. Voleva l’allenamento e alla fine l’aveva ottenuto. Anche se non era andata proprio come si sarebbe aspettato.
«Dormiamo?» propose Iris, turbata.
Acconsentirono. Nessuno aveva voglia di parlare più del dovuto. Tirarono fuori i sacchi a pelo e spensero il fuoco che avevano acceso. Per qualche ragione, il bosco ora appariva più minaccioso, come se afflitto da un silenzioso dolore che avrebbe potuto riversarsi su di loro da un momento all’altro.

***



Quella mattina Misty aveva deciso di fare qualche tuffo in piscina assieme ai suoi Pokémon. Seadra le venne incontro e fece qualche giravolta attorno a lei. Si era evoluto proprio l’altro giorno durante una lotta contro uno sfidante. Quell’Allenatore era davvero in gamba, l’evoluzione si era rivelata provvidenziale ai fini della vittoria.
Ma se era vero che come Capopalestra continuava a farsi valere, in un altro ambito non aveva combinato nulla. Dopo quella giornata, l’argomento “Ash” era stato di nuovo confinato alla sua nostalgia personale. Non era da lei rimanere così passiva.
L’acqua la aiutava a riflettere. Fin troppo probabilmente. Mentre nuotava continuava a pensare se per caso l’amicizia tra lei ed Ash sarebbe finita in quel mondo, svanita poco a poco per via della lontananza. Piuttosto deprimente. La domanda sorse di nuovo spontanea: perché allora non stava facendo nulla per impedirlo?
Alla fine i suoi pensieri rimanevano sempre gli stessi. Si sentiva come congelata in un’eterna indecisione, una continua paura di sbagliare. Quante volte si era detta che avrebbe osservato lo sviluppo della situazione? Ovviamente lei era la prima a sapere che rimanere a guardare non era abbastanza. Eppure ricevette lo stesso un aiuto.
«Misty! Vuoi degnarti di rispondermi?»
Sua sorella Daisy la stava chiamando. Detestava essere disturbata mentre si rilassava in piscina.
«Daisy, quante volte devo dirti che...»
«Frena. Hai visite» annunciò la sorella. «Direttamente dalla regione di Sinnoh!»
Sinnoh! Senza chiedere ulteriori informazioni, Misty uscì dall’acqua. Dalla regione di Sinnoh! Non poteva crederci. Da quanto tempo non la veniva a trovare? Poi si ricordò che era sempre stata lei ad andare a trovare lui. Direttamente dalla regione di Sinnoh! Si asciugò e si sistemò nel minor tempo possibile. Aveva un aspetto orribile. Oh, ma in fondo non gliene sarebbe importato. Come si sarebbe comportata? Oh andiamo, pensò, l’hai visto tutti i giorni per un sacco di tempo, non dovresti porti questo genere di domande. Maledì le sue sorelle e il loro viaggio intorno al mondo. Maledì se stessa per non averlo raggiunto una volta che erano tornate.
Si diresse a passo affrettato verso l’ingresso della Palestra. Non stava più nella pelle. Incredibile come una singola frase di tua sorella possa cambiarti la giornata.
Ed ecco crollare tutto un’altra volta. Non era Ash. Era Brock. Per un attimo si sentì incredibilmente stupida. Come poteva anche solo lontanamente aver pensato che si sarebbe preso la briga di venirla a trovare di persona? Manco le telefonava! Che sciocca. Si maledì nuovamente. Tentò di sorridere eliminando i segni della cocente delusione dal suo volto, ma ormai il danno era irrimediabilmente fatto.
«Ehi, che entusiasmo!» commentò Brock. «Hai intenzione di rimanere lì impalata per molto o vieni a salutarmi come si deve?»
Si diede della stupida per l’ennesima volta. Era pur sempre Brock, uno dei suoi più cari amici. Come poteva trattarlo così solo per... beh, per quello. Gli andò incontro e lo abbracciò forte.
«Brock! Mi sei mancato tantissimo!»
Era sincera mentre lo diceva e Brock evidentemente comprese perché ricambiò immediatamente l’abbraccio. Dopodiché si trasferirono in un’altra stanza in tutta tranquillità. Ne avevano di cose da dirsi.
Dopo averlo ringraziato per un souvenir da Sinnoh che le aveva gentilmente regalato, cominciò a raccontarle dei loro ultimi viaggi. Rimase sorpresa dal fatto che Forrest, il fratello di Brock, fosse diventato il Capopalestra ufficiale di Plumbeopoli. Brock aveva trovato la sua strada nella professione di dottore di Pokémon.
«Non è che per caso si tratta della tua ultima manovra per conquistare qualche infermiera Joy?» scherzò Misty.
L’amico ci rise sopra: «Chissà».
Le Gare Pokémon di Lucinda erano un argomento molto meno interessante. Non si era mai appassionata di combinazioni, fiocchettini o simili. Non facevano decisamente per lei. L’importante era che la loro nuova compagna di viaggio non avesse simpatizzato un po’ troppo per chi sapeva lei.
Motivo per cui agevolò la conversazione affinché giungesse al punto che più le premeva. Ash ovviamente non era cambiato affatto. Si era cacciato in un sacco di guai e, grazie al cielo, ne era uscito sano e salvo, come sempre. La sua solita mania di fare l’eroe. Peccato che l’affermazione successiva non le piacque per niente.
«È partito per Unima da qualche settimana».
Unima?! Era così distante! Altro che venirla a trovare. Era ripartito subito e, di nuovo, lei non ne sapeva niente.
Stando a Brock, era migliorato notevolmente a Sinnoh, molto più che a Hoenn.
«Perlomeno a Hoenn si faceva sentire ogni tanto» puntualizzò Misty.
Brock assunse un’espressione strana, come se avesse già capito dove voleva andare a parare. Cavoli.
«E io non posso sapere sempre dove vi trovate di preciso» proseguì. Beh, in effetti era anche vero. Ma suonava troppo da giustificazione.
«E se lo andassimo a trovare?» fu l’improvvisa proposta di Brock. Troppo improvvisa.
Ci mise un po’ a collegare le parole: «Che intendi?»
«Esattamente quello che ho detto» rispose lui col sorriso stampato sulle labbra.
«Non saprei... io devo occuparmi della Palestra e tu sei rientrato a Kanto da poco, abbiamo un mucchio di cose da fare qui, e...»
No. Balle. La Palestra la poteva benissimo lasciare alle sue sorelle e Brock stesso non aveva problemi dal momento che era stato lui a proporre la cosa. Perché diamine ci stava girando intorno?
«Senti,» disse infine l’amico, «non dobbiamo stare via per tanto tempo. Prendila un po’ come una vacanza. Ci fermiamo per una settimana e poi facciamo ritorno ai nostri doveri. Credo che faccia bene a entrambi staccare un po’. E non dirmi che non hai voglia di fare una rimpatriata, perché non ci credo».
Stava per pensarci su, ma decise che era meglio non farlo prima che potesse pentirsene.
«D’accordo. Si parte per Unima».



E a un anno di distanza, ecco il secondo capitolo! Sì, lo so, i miei tempi sono assurdi. Ringrazio tantissimo coloro che hanno commentato il primo capitolo e spero che anche il secondo possa piacere. A presto!
Roxas93

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